Esistono due grandi fasi attraverso cui si è sviluppata la geografia moderna:
FASE PRE-ISTITUZIONALE (dall’antichità greco-latina al XIX secolo) Grande fase di gestazione in cui si pongono le premesse per lo sviluppo della disciplina. In questo lungo periodo la produzione del sapere geografico non era ancora divisa nelle sue attuali partizioni disciplinari: i geografi si occupavano di temi e con approcci che si considerano estranei alla disciplina così come si è configurata tra Ottocento e Novecento. Questi temi sono sovrapponibili con alcuni settori attuali dell’astronomia, della cartografia, dell’etnografia, della storia. Il termine geografia è attestato già anticamente in opere la cui finalità generale è la descrizione del mondo. Il primo ad introdurlo fu Eratostene (275-194 a.C.): egli può essere considerato il fondatore della geografia matematica poiché utilizzava un sistema di coordinate sferiche (latitudine e longitudine). Per secoli, il compito principale dei geografi è stato l’elaborazione e la diffusione di immagini del mondo attraverso la raccolta e la sistematizzazione di dati provenienti dalla tradizione e dalle notizie da un lato, dai viaggi e dalle esplorazioni dall’altro. Questo compito è terminato nel momento in cui l’intero ecumene è stato scoperto: da quel momento in poi nuovi compiti sono spettati alla geografia. Questa operazione descrittiva si è espressa nel corso dei secoli attraverso due linguaggi specifici: Matematico/astronomico/cartografico → capiscuola sono stato Eratostene, Tolomeo e, successivamente, la cartografia rinascimentale. Questo linguaggio fu il primo a fornire informazioni di latitudine e longitudine affianco ai luoghi. Descrizione del mondo → modalità descrittiva di tipo storico-narrativa, analoga a quella utilizzata nelle opere storiche in generale, messa a punto da Erodoto e Strabone, dai corografi rinascimentali (coloro che producono le descrizioni del mondo a partire da questo linguaggio). A partire dalla geografia descrittiva di Strabone e le corografie rinascimentali, esso giunge fino alla geografia statistica tra Ottocento e Novecento. Questa lunga fase pre-istituzionale è caratterizzata dalla presenza di singoli pensatori isolati che fanno geografia descrivendo il mondo attraverso questi due grandi metodi di lavoro. ISTITUZIONALIZZAZIONE A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, inizia la fase di istituzionalizzazione, nella quale la disciplina viene definendosi come scienza in senso moderno. Il tracciare lo spartiacque cronologico non è un’operazione semplice, anzi è ancora ampiamente discussa, ma sicuramente un momento topico è segnato dall’emergere di istituzioni finalizzato a costituire uno statuto ufficiale per la nuova disciplina: nei vari paesi europei si assiste alla fase di istituzionalizzazione della disciplina tanto in senso accademico (nascita delle prime cattedre universitarie di geografia) quanto in senso extra- accademico (nascita di istituzioni scientifiche destinate a produrre sapere geografico: le società geografiche). In questa seconda fase si assiste alla formazione di scuole nazionali, cattedre universitarie che danno luogo a scuole di pensiero. La fase di istituzionalizzazione è caratterizzata, quindi, dalla nascita delle prime cattedre stabili nelle università europee, dall’ingresso della geografia tra le materie di insegnamento nelle scuole fin dal grado elementare, dalla creazione di società geografiche, dalla creazione di riviste scientifiche specializzate, attraverso cui la disciplina si divulga e che danno conto delle ricerche in seno alla disciplina. La geografia pre-istituzionale ha una capacità di penetrazione nel tessuto della storia delle idee assai minore rispetto ai pensieri elaborati all’interno delle scuole formatesi attorno alle prime cattedre di geografia. A causa del crearsi di queste condizioni, si assiste ad una trasformazione dei contenuti: la geografia tende a superare la caratterizzazione di prevalente descrizione che aveva nella fase pre-istituzionale e assume obiettivi di generalizzazione e di esplicazione, e definisce il proprio ambito di interessi come la dimensione spaziale dei fenomeni naturali e antropici che hanno luogo sulla superficie terrestre. C’è un restringimento del campo disciplinare a fronte di un innalzamento dell’obiettivo: non solo più descrizione, ma capacità di generalizzare dei contenuti e di fornire delle spiegazioni. Gli obiettivi di generalizzazione di esplicazione sono definiti attorno ad un ambito che non è generico ma più specifico. Di questi fenomeni la geografia si propone di studiare la localizzazione, la distribuzione, la variazione nello spazio terrestre, l’interrelazione, l’organizzazione. Viene così ridefinito l’ambito di studio: è più circoscritto e risulta distinto da altre discipline con le quali, nella fase pre-istituzionale, vi erano margini di separazione meno netti (astronomia, geologia, geofisica, cartologia, etc). Tuttavia, è un campo di indagine ancora molto ampio e che presenta dei punti di contatto con altri saperi specialistici, tanto sul fronte delle scienze della natura quanto su quello delle scienze umane. All’interno di questo dibattito, attraverso il quale si definisce la moderna identità della disciplina, due sono i problemi chiavi attorno a cui essa si misura: il problema delle relazioni uomo ambiente e il tema della differenziazione regionale della superficie terrestre. In particolare, la questione delle relazioni uomo-ambiente individua l’oggetto della disciplina geografica tra Ottocento e Novecento. La definizione della geografia come scienza che studia le relazioni uomo-ambiente segna una drastica riduzione rispetto alla varietà dei temi emersi nella prima fase, e il fatto che la geografia privilegi questo tema è sicuramente riconducibile al clima culturale degli anni a cavallo del Novecento, dominato dal positivismo e dall’affermazione delle teorie evoluzionistiche di Darwin: essi sono il substrato culturale che domina gli anni dal 1850 e che favorisce il focalizzarsi dell’attenzione attorno al tema dei rapporti uomo-ambiente. L’evoluzionismo darwiniano e la nascita dell’ecologia avevano posto al centro dell’attenzione la questione delle relazioni tra organismi viventi e ambiente naturale: la geografia si propone di esplorare questa questione con riferimento ai rapporti tra gruppi umani e ambienti naturali da essi occupati. L’ecologia aveva studiato le relazioni tra organismi viventi e ambiente, mentre la geografia si pone la questione riferendosi ai rapporti tra gruppi umani ed ambienti naturali, in un ambito, dunque, circoscritto. La scelta di tale oggetto di indagine conferisce alla geografia una relazione di forza nel quadro del sistema positivistico per quanto riguarda la relazione tra saperi. Il positivismo ha alla base il rifiuto di inserire in caselle pre-costituite parti della realtà, e si propone un’analisi della realtà tanto nelle sue manifestazioni fisiche quanto in quelle sociali attraverso uno stesso metodo di indagine empirico-induttivo, fatto di passaggi che iniziano dall’osservazione, comparazione, classificazione e generalizzazione, ovvero identificare delle leggi di valore generale (Auguste Comte). Il positivismo è caratterizzato da un esasperato empirismo, che esclude dalla realtà tutto quanto non sia visibile e verificabile scientificamente. L’unità dei fenomeni della realtà prevede che l’approccio conoscitivo per tutte le scienze sai il medesimo, ovvero quello delle scienze naturali: se la realtà è una, uno solo può essere il mezzo attraverso cui analizzare quella realtà e trarre leggi generali. A fronte di un’unità di metodo, le scienze si definiscono nel loro ambito, e nel caso della geografia la scelta di ambito è quella delle relazioni uomo-ambiente. Questo ambito dà alla disciplina una posizione di forza nel quadro delle scienze positivistiche, in quanto si pone come scienza di sintesi tra quelle naturali e quelle dell’uomo: studio delle relazioni di adattamento sviluppate dagli organismi viventi (che nel caso della geografia sono gli uomini) in rapporto con l’ambiente naturale. In questo contesto scientifico emerge l’opera di Frederich Ratzel, il caposcuola della scuola tedesca di geografia: egli definisce lo statuto disciplinare della geografia come studio della diffusione storica e distribuzione attuale dei gruppi umani sulla superficie terrestre in relazione alle diverse caratteristiche ambientali. Così, i concetti dell’evoluzionismo darwiniano vengono applicati ai gruppi umani. Ratzel ha una formazione di tipo naturalistico (zoologia), successivamente compie studi di etnologia e, dopo un viaggio in America, si converte alla geografia umana. Egli ha scritto la Antropogeografie, nella quale, a partire da apporti differenzi, elabora alcuni conetti nuovi e destinati ad avere una grande influenza sulla geografia successiva. In quest’opera egli definisce lo statuto disciplinare della geografia come sopra descritto. La geografia di Ratzel studia quindi le manifestazioni della vita sulla superficie terrestre nella loro profonda unità e nel rapporto con l’ambiente: questa è una prospettiva essenzialmente ecologica. Ratzel rivitalizza il concetto di ecumene: esso riunisce in sé la geografia umana e quella fisica, che nella fase di iniziale istituzionalizzazione rischiava di dividersi in due campi di studio. L’ecumene è lo spazio abitato dall’uomo che racchiude anche le sue caratteristiche fisiche. Secondo Ratzel ciò che deve essere analizzato è tutto il mondo con tutti gli esseri viventi che lo abitano: questo ambito di ricerca estende alle comunità umane l’approccio già utilizzato in biogeografia per gli animali. In alcune delle sue opere, Ratzel fornisce gli elementi a sostegno di una tesi, enfatizzata successivamente da suoi seguaci (in particolare Churchill Sample), una posizione definita il determinismo ambientale. Secondo questa concezione le condizioni dell’ambiente naturale nelle loro diverse manifestazioni (clima, idrografia, suoli, etc.) determinerebbero in modo vincolante non solo l’evoluzione biologica degli organismi, compreso l’uomo, ma anche lo sviluppo storico e le caratteristiche della vita economico-sociale dei gruppi umani. Ad ambienti naturali analoghi corrisponderebbero identiche caratteristiche delle comunità umane (forme di economia, tecniche, organizzazione sociale, etc) che non varierebbero nemmeno in condizioni storiche diverse. Importanza primaria per Ratzel ha il clima perché fornisce un criterio di regionalizzazione: il popolo è un organismo in grado di rispondere in maniera diversa alle condizioni ambientali, e quelli più evoluti rispondono meglio alle caratteristiche del clima. Il rapporto uomo/ambiente è un rapporto secondo cui l’uomo risponde alle condizioni ambientali in termini evoluzionistici. Chi ha criticato questa impostazione ha messo in luce il fatto che la stretta relazione causa/effetto non è dimostrabile, perché le società non reagiscono in modo automatico alle determinazioni ambientali: bisogna invece considerare anche leggi, sistemi di governo, forme economiche. Anche a fattori ambientali identici, non sempre corrispondono pratiche umane e sociali simili. Tra inizio Ottocento e fine Novecento il positivismo entrò in crisi ed emersero concezioni neo- idealistiche e neo-kantiane. Dal punto di vista geografico, la critica maggiore venne esercitata sul modello scientifico come unico modello attraverso cui studiare i fenomeni. Da un lato si rifiutò il modello naturalista, dall’altro si affermò la specificità delle scienze umane: si sostituì, all’unica legge possibile del positivismo, il dualismo kantiano tra natura e storia. Si individuarono quindi due ordini di scienze con oggetti specifici e, quindi, da indagare con due metodi differenti: scienze della natura (nomotetiche), con l’obiettivo di identificare leggi generali di tipo deterministico; scienze dello spirito (idiografiche) che tendono a cogliere e piegare i fenomeni umani mettendone in luce la variabilità e la contingenza, la loro unicità e irripetibilità. La dicotomia rischiava di frammentare la disciplina geografica in due rami distinti (geografia fisica e geografia umana): di fronte a questo rischio, essa salvaguardò la sua unità e autonomia scientifica caratterizzandosi come scienza regionale, fornendo gli apporti della tradizione alle nuove istanze antipositivistiche. Questo mutamento dell’orientamento coincise con lo sviluppo della scuola regionale e del paesaggio e con l’affermazione dei caratteri idiografici della scienza, che mirava a cogliere il particolare, lo specifico. Alla rigidità delle tesi deterministiche si oppose la scuola francese di Geografia, in particolare con Paul Vidal de La Blache (1843-1918), storico di formazione con ambiente di ricerca la Francia rurale. Egli condivideva con Ratzel la definizione di geografia come scienza delle relazioni tra uomo/ambiente, ma ne elaborò una diversa interpretazione: la geografia è sì scienza dei rapporti uomo/ambiente, ma l’ambiente non pone all’uomo vincoli rigidi e univoci (il determinismo ambientale), piuttosto gli offre un insieme di possibilità, le quali vengono colte e sfruttate in modo differente dai diversi gruppi umani. I diversi gruppi umani, secondo Vidal de La Blache, metterebbero a punto degli specifici generi di vita, ovvero quell’insieme di attività, di valori, di comportamenti collettivi messi in atto da un gruppo umano per far fronte ai propri bisogni fondamentali di sussistenza all’interno di un certo quadro ambientale. Ambienti naturali dello stesso tipo possono dar vita a stili di vita differenti: sono le comunità, con la propria creatività, a reagire alle condizioni del loro ambiente naturale. La scuola possibilista non escludeva il condizionamento dell’ambiente sulla risposta delle comunità umane, bensì credeva che l’ambiente non fosse l’unica forza a plasmare le comunità e le culture. Una volta che un genere di vita viene messo a punto, esso tende a persistere nel tempo e a diventare un modello: il rapporto uomo/ambiente produce così specifiche modalità di valorizzazione del proprio ambiente naturale. Una determinata valorizzazione dell’ambiente naturale tende a perpetuarsi nel tempo attraverso le pratiche di più generazioni: diventa, quindi, un agente di modellamento ambientale. In questo modo, Vidal sottolinea la caratteristica di scambio nelle relazioni ambientali: non solo ambiente che influenza l’uomo, ma anche uomo che influenza l’ambiente perché agisce da modificatore sull’ambiente. Il ruolo modificatore esercitato dall’uomo sull’ambiente terrestre è fondamentale. Questa concezione contrappone, alla rigidità delle leggi naturali, la variabilità storica delle scelte umane, che sono necessariamente contingenti, mutevoli a seconda del contesto: le scelte umane sono differenti perché determinate da vari fattori, non solo dall’ambiente. C’è quindi un’apertura storicista nella geografia vidaliana rispetto a quella ecologica di Ratzel. Dal punto di vista metodologico, l’ottica vidaliana accetta che della conoscenza scientifica facciano parte alcune facoltà (intuizione, sensibilità) precedentemente escluse. La geografia è una scienza descrittiva che però non deve rinunciare alla spiegazione e, per giungere a questi obiettivi, non può inquadrare la realtà in schemi rigidi. Qualificandosi come scienza descrittiva, la geografia è caratterizzata dall’indagine diretta e dall’osservazione sul campo, cioè da quell’osservazione che consente di cogliere, di volta in volta, le originalità di un contesto. Per poter perseguire questo scopo non sono applicabili i metodi dell’empirismo positivista, ma è necessaria una qualità come l’intuizione. La codificazione delle concezioni di Vidal de La Blache fu eseguita in maniera sistematica da un suo allievo, Lucien Febvre (fondatore della scuola degli Annales, colui che ha dato un’esposizione sistematica e una codificazione al pensiero di Vidal e che per primo ha utilizzato il termine di possibilismo geografico). Si possono notare delle linee di continuità tra determinismo e possibilismo, confutando l’idea che vede queste due concezioni agli antipodi: L’insistenza sul peso della tradizione e durata dei generi di vita rende questo concetto poco adatto a studiare società complesse. Genere di vita è un termine che viene abbandonato poiché inadatto a definire la società così come si stava delineando nel dopoguerra. L’insistere sulla durata, sul persistere dei generi di vita più che sul mutamento, sottintende che alcuni siano più adatti ad un ambiente e che, quindi, essi finiscano per affermarsi. La rigida affermazione della geografia come scienza dei luoghi e non come scienza degli uomini tesa allo studio dello spazio fisico nelle sue manifestazione concrete delinea nettamente la presenza di residui deterministici. Vidal de La Blache partecipa allo stesso clima culturale di Ratzel. Le tesi deterministiche appaiono oggi quasi completamente superate, nonostante ci siano alcune riprese del concetto deterministico di Ratzel da autori come Ellen Churchill Semple. La scuola francese fece dell’indagine regionale lo strumento privilegiato della ricerca geografica. All’interno dello studio del rapporto uomo/ambiente, la scuola francese trovò, nell’indagine regionale, l’ambito territoriale nel quale poté applicare le teorie e i metodi proposti dal possibilismo geografico perché in essa si potevano cogliere, nella loro irripetibile varietà e specificità, quelle combinazioni di fatti naturali e umani che caratterizzavano le diverse parti della superficie terrestre. La questione delle regioni acquisì un ruolo centrale nella pratica della ricerca così come si delineò con Vidal de La Blache: venne rifiutata quindi la generalizzazione offerta dal determinismo ambientale, anche perché, per Vidal, la geografia era una scienza troppo giovane per dare già caratteri generali al proprio oggetto di studio. Il compito dei geografi dev’essere più modesto: la raccolta puntuale di dati attraverso l’osservazione del terreno, volta a cogliere le specificità, le originalità, le differenti risposte che di volta in volta l’uomo ha dato di fronte alle condizioni ambientali. Solo l’osservazione diretta condotta all’interno di ambiti spaziali circoscritti consente di cogliere appieno le relazioni tra uomo/ambiente, obiettivo raggiungibile solo a partire dall’indagine regionale. Nella tradizione descrittiva della geografia pre-istituzionale, la descrizione veniva calata all’interno del quadro delle partizioni politico-amministrative esistenti; nell’ottica di Vidal invece la geografia doveva rivendicare la propria autonomia scientifica rispetto alla politica individuando nuovi criteri dell’identificazione regionale: questa deve essere diversa da quella politico-amministrativa: per la scuola tedesca, il quadro di indagine è quello delle grandi regioni ambientali del globo perché il clima è il grande criterio di regionalizzazione: il geografo deve articolare il suo discorso sul mondo a partire dalla grande suddivisione iniziale tra regioni ambientali, al cui interno, alle uniformità dei dati naturali, corrisponde una uniformità di caratteri antropici. Per Vidal l’osservazione deve essere a scala topografica, cioè che prenda in considerazione una piccola porzione di spazio (grande scala: più dettagli ci sono, più è grande la scala). La porzione di spazio studiata da Vidal è quella della regione, una porzione di spazio identificata da un particolare intreccio di elementi naturali (clima, morfologia, vegetazione, etc.) e umani (insediamenti e forme di economia), risultato delle scelte di valorizzazione ambientale praticata da uno specifico gruppo umano attraverso un particolare genere di vita e riflessa, nella forma visibile dell’ambiente, da un particolare paesaggio. In sostanza, la regione è la lunga sedimentazione di un certo genere di vita e la conseguente azione modellatrice esercitata dal gruppo sull’ambiente. Questa azione fa emergere un’unità spaziale dotata di una sua precisa individualità e ben distinta dalle aree vicine. L’ambito di indagine della scuola possibilista francese è quindi la regione intesa come porzione di spazio che può avere dimensioni differenti perché identificata da un particolare intreccio di elementi naturali e umani, il quale è il risultato delle scelte che quel gruppo umano ha utilizzato per la valorizzazione dell’ambiente. Tali scelte si sono codificate in un genere di vita che ha creato un determinato paesaggio, cioè l’espressione sul piano delle forme visibili, esteriori, di un certo genere di vita. L’unità spaziale è quindi dotata di una sua individualità ben diversa, da questo punto di vista, dalla regione di Ratzel, definita da criteri climatici. Questo approccio regionalista, che per Vidal deve preparare la generalizzazione poiché effettua una capillare raccolta di dati, si consolida e si diffonde nelle opere non solo degli allievi diretti di Vidal, ma anche all’esterno della scuola francese, in concomitanza con il declino della scuola e dell’interpretazione positivista della scienza. In questo quadro, per la geografia diventò sempre più difficile mantenere l’impostazione di scienza di sintesi tra scienze naturali e umane, e tese a ridefinire la propria specificità sul piano del metodo piuttosto che su quello dei contenuti. La geografia, pur condividendo l’ambito di indagine con molte altre discipline, se ne distinse grazie all’adozione di una particolare prospettiva, quella della differenziazione spaziale: secondo questo orientamento, compito della geografia, più che identificare leggi generali che regolano le relazioni uomo/ambiente, è quello di descrivere e spiegare gli specifici intrecci di condizioni umane e naturali che consentono di inquadrare la superficie terrestre in un mosaico di regioni che si differenziano tra loro per l’intreccio tra caratteristiche ambientali e umane, e che consentono, sul fronte del metodo più che del contenuto, di identificare la geografia come scienza dell’identificazione spaziale. Il ruolo della geografia come scienza che descrive, ma soprattutto che spiega la differenziazione spaziale attraverso il concetto di regione, subì una forte crisi nel dopoguerra in ragione di molte sollecitazioni: L’impossibilità di raggiungere generalizzazioni poiché le analisi regionali spesso erano condotte con metodi differenti e non compatibili; Crescente specializzazione dei saperi che, nell’ambito geografico, ha frammentato la disciplina in sotto-settori, rendendo sempre meno praticabile un’analisi regionale unitaria; Di fronte allo sviluppo urbano e industriale del dopoguerra, i metodi tradizionali del genere di vita risultarono inadeguati poiché adatti all’analisi delle società rurali. Anche all’interno del settore delle scienze umane si assistette a un profondo rinnovamento degli orientamenti. Questo rinnovamento favorì, in geografia, a partire dagli anni Cinquanta/Sessanta, la cosiddetta rivoluzione teoretica (geografia teorico-quantitativa). Gli anni Sessanta furono basilari per questo cambiamento e, anche se in ritardo rispetto ad altre discipline sociali, la geografia conobbe, prima nei paesi anglo-sassoni, poi negli altri paesi, la svolta quantitativa. Questo nuovo approccio, pur continuando a condividere l’interesse per il rapporto uomo/ambiente e la regionalizzazione (primi due grandi temi della geografia accademica) rifiutava polemicamente l’approccio conoscitivo elaborato dal positivismo e dal possibilismo: Rifiuta l’idiografismo → la geografia non può limitarsi a descrivere e spiegare casi regionali ponendone in luce le specificità, bensì deve riconoscere le strutture spaziali, cioè quelle forme di organizzazione spaziale dei fenomeni naturali e umani dotate di regolarità e di ricorrenza e, quindi, generalizzabili. Quel carattere di analisi regionale che mirava alla specificità non viene ammesso per una scienza che mira all’evidenziazione di caratteri generali. Il compito della geografia è quindi elaborare strutture spaziali che riconoscano in sé i caratteri di generalizzazione. Rifiuta le posizioni maturate dalla geografia umana classica, in particolare il concetto di regione, alla quale non conferisce un ruolo privilegiato: questa diventa esclusivamente un momento di verifica di leggi e teorie generali. Rifiuta lo storicismo introdotto dalla scuola vidaliana → la spiegazione geografica non deve fondarsi sulla ricostruzione storico-genetica di specifiche formazioni regionali, ma deve tendere alla generalizzazione, identificando delle leggi spaziali di valore generale su cui fondare previsione e pianificazione territoriale. Per la prima volta nella storia del pensiero geografico la geografia assume, tra i compiti della ricerca, anche quello di una finalizzazione applicativa: rifiutando lo storicismo, che indaga retrospettivamente il passato, la geografia quantitativa degli anni Sessanta tende all’astrazione, alla generalizzazione, all’identificazione di leggi spaziali di valore generale utili per fondare previsioni e pianificazioni territoriali. I nuovi obiettivi della ricerca verrebbero raggiunti a partire dall’adozione di metodi matematico-statistici in sostituzione di quelli storici. Questi nuovi metodi consentirebbero di gestire la grande mole di informazioni e ottenere una maggiore rigorizzazione dei dati. Vengono rifiutati i metodi di tipo qualitativo: l’obiettivo è raggiungere una visione del mondo a partire da formule chiare e matematiche, senza le “impurità” del linguaggio storico. Passaggio dal metodo tradizionale empirico-induttivo ad un metodo deduttivo → il metodo induttivo non viene totalmente accantonato, ma viene prediletto il metodo deduttivo, il quale capovolge il metodo di ricerca: l’osservazione della realtà viene riservata alla fase finale della ricerca, cioè alla verifica delle ipotesi. Le ipotesi sono invece il punto di partenza del metodo deduttivo e costituiscono la base per la creazione di modelli normativi. Il modello è la formalizzazione di un’ipotesi di ricerca a partire da una schematizzazione astratta e semplificata di una frazione della realtà, costruita nel quadro di una teoria generale per dimostrare la proprietà e i meccanismi di funzionamento dei fenomeni agenti all’interno di quell’ambito. La prima fase del metodo deduttivo è la creazione di una teoria fondata su postulati astratti che abbiano una logica coerente al loro interno: la teoria si basa su ipotesi riferite a un ambito circoscritto. L’ultima fase consiste nella verifica della teoria, per confermare attraverso l’esame di casi empirici più specifici l’ipotesi di partenza, oppure modificarla, contribuendo in questo modo a consolidare, estendere, modificare o confutare la teoria generale. Il modello, da questo punto di vista, non deve essere valutato in termini di vero/falso rispetto alla verifica nella fase finale: la verifica del modello deve derivare dalla sua efficacia scientifica, in quanto capace di contribuire alla generalizzazione. La geografia degli anni Sessanta si lega all’economia politica (geografia economica) → c’è sempre una condizione di partenza che postula un equilibrio di mercato come base di riferimento per la costruzione di ipotesi di ricerca. I suoi modelli illustrano delle soluzioni di organizzazione spaziale razionale (che non si trovano nella realtà) in riferimento alle teorie economiche, in particolare a quelle dell’economia neoclassica. Il fine è la pianificazione territoriale: il modello creato è utilizzato per verificare se la realtà risponde a quei criteri di organizzazione spaziale razionale. Lo spazio della superficie terrestre non è quindi interpretato come un mosaico di regioni, ma come uno spazio funzionale, un campo di azione di relazioni spaziali che tendono a connettere tra di loro luoghi dotati di differenti funzioni. Le funzioni indagate dalla new geography sono identificate con le attività di produzione e di scambio: esistono quindi modelli relativi alla localizzazione delle industrie, dei servizi forniti dalle città, modelli di organizzazione spaziale degli usi del suolo. L’area di gravitazione urbana non è deducibile dal metodo dell’osservazione empirica del terreno, bensì a partire dall’analisi statistica dei dati quantitativi che ci illustrano quelle funzioni. All’approccio della geografia economica, al neopostivismo, sono state mosse critiche e si sono sviluppati approcci diversi: Geografie radicali → oppositori della metodologia della new geography, partono da posizioni marxiste e criticano il modello di organizzazione territoriale economico-sociale. Esse ritengono che l’impegno della geografia debba essere orientato verso una critica del sistema socio-economico dominante. All’interno di questo spazio, le geografie radicali affrontano temi di ricerca come la geografia politica, la geografia del sottosviluppo, le analisi delle proiezioni territoriali e delle disuguaglianze sociali nelle città. Apice del successo negli anni Sessata, perse di importanza negli anni Ottanta, quando anche il paradigma funzionalista scemò. Geografia umanistica e della percezione → insieme piuttosto ampio di esperienze di ricerca maturate soprattutto nel mondo anglosassone. Tema essenziale è il rifiuto delle impostazioni quantitative e funzionaliste della geografia economica, della quale critica il riduzionismo economico: la complessità dei comportamenti umani non può essere ridotta all’astratta razionalità che regola le leggi economiche. Un esempio è legato ai modelli che in geografia economica avevano spiegato gli spostamenti dei consumatori unicamente in base all’imperativo economico di ridurre la distanza. Le geografie umanistiche dicono che partire da questo presupposto è errato, perché il comportamento umano non è sempre dettato da leggi di pura razionalità economica. Le geografie umanistiche criticano gli effetti alienanti di una pianificazione territoriale condotta secondo principi di pura razionalità economica. Secondo questo approccio, la produzione di spazio affidata ai tecnocrati apparirebbe poi, nella sua applicazione concreta, sempre più lontana dai bisogni e dai valori delle persone che vi abitano. Questa corrente dà importanza ai dati che derivano dall’esperienza individuale, dalla percezione: essa concede un’attenzione privilegiata alla dimensione soggettiva dello spazio che fino a quel momento era rimasta sostanzialmente estranea alla geografia. L’attenzione si sposta al concetto di luogo, inteso come spazio dell’esperienza individuale, della struttura di vita quotidiana, fatta anche di percezioni e di pratiche sociali reiterate: la sfera delle relazioni famigliari, di quartiere, di lavoro. Questo approccio condivide un’attenzione verso i temi trattati dalla psicologia e dall’antropologia. Geografia storica → studi già coltivati all’interno di impostazioni tradizionali ed impostati attorno alla ricostruzione e alla spiegazione storica regressiva delle caratteristiche territoriali attuali, sia in ambito anglo-sassone (Darby) che in quello francese (Annales). Questi approcci conoscono, negli anni Settanta, un rinnovamento nel metodo: la geografia storica si propone di studiare il mutamento territoriale proprio a partire dalla polemica con l’antistoricismo della geografia economica. Essa si configura non più soltanto come utile alla ricostruzione delle varie geografie del passato ma, più profondamente, come disciplina che studia le strutture spazio-temporali, proponendosi un’analisi dinamica del mutamento spazio-temporale: è una disciplina che integra, nella scala spaziale propria della geografia, anche la scala temporale. Non propone però uno studio che ponga in successione cronologica le varie fasi dell’organizzazione spaziale, bensì uno studio che sappia integrare le varie fasi l’una con l’altra. I mutamenti temporali possono essere su lunga scala o più ravvicinati. Se il rapporto uomo/ambiente è uno dei temi chiave della disciplina geografica, è anche vero che interrogarsi su quale sia, delle due componenti, quella che influenza maggiormente l’altra, è limitante. È più utile ragionare in termini sistemici, cioè pensare che entrambe le componenti siano reciprocamente connesse. Secondo il geografo Brunet il sistema è l’unico concetto teorico che permette di risolvere la contraddizione tra generale e particolare e conciliare quelle esigenze di studi nomotetici e idiografici. Il concetto di sistema costituisce oggi una categoria forte della geografia, trasversale, unificante rispetto ai molti approcci che caratterizzano lo studio geografico. Questo concetto nasce nell’ambito della Teoria generale dei sistemi di Ludwig von Bertalanffy (1968). Questa teoria definisce un approccio scientifico innovativo che considera i singoli oggetti di studio come parte di un sistema, il quale mette in relazione i suoi componenti secondo influenze reciproche complesse, non lineari. Semplificando, non l’approccio deterministico e di influenza univoca, bensì analisi di elementi e componenti secondo le loro reciproche influenze, che non sono mai lineari ma sempre complesse. Attraverso la ripresa di sollecitazioni maturate nelle riflessioni dei decenni precedenti in diversi ambiti disciplinari, e in rapporto alla crescente insoddisfazione per gli approcci tradizionali, i quali affrontavano procedure di ricerca tendenti alla scomposizione analitica delle componenti dei fenomeni osservati e che avevano sino a quel momento ricercato nessi di causalità lineare, viene elaborato il concetto di sistema. Questo concetto risponde alla necessità di elaborare categorie logiche più adeguate a studiare la complessità crescente del reale, quindi non più procedure di ricerca che miravano alla scomposizione analitica dei fenomeni osservati, studiandone le componenti in maniera isolata, bensì procedure che invece studiassero le componenti come parte di un sistema, al cui interno i nessi non possono essere banalmente quelli di una causalità lineare. La teoria generale dei sistemi si propone di affrontare la complessità dei fenomeni reali nella sua globalità: non scompone la realtà nelle sue varie componenti e le analizza singolarmente, bensì si propone di analizzare quelle singole componenti nei loro reciproci rapporti, perché solo così si riescono a spiegare quei rapporti sempre più intrecciati tra di loro nella maggiore complessità del reale. Ci si propone cioè di studiare l’insieme, la totalità: la teoria dei sistemi connette quindi vari campi del sapere. In questo quadro, gli strumenti offerti da questa teoria appaiono ricchi di potenzialità anche per la geografia, la quale si occupa di fenomeni complessi, fondati su interazioni non deterministiche e che sono comprensibili solo se affrontate nel loro insieme. Per la geografia, che si propone di studiare sia il mondo fisico sia quello umano, è particolarmente adatta un’analisi di tipo sistemico. Il sistema è un insieme di elementi interagenti all’interno di determinati confini e connessi reciprocamente mediante relazioni che mettono in relazione gli elementi secondo una struttura organizzata e stabile, finalizzata ad una funzione. Più sinteticamente, un sistema è un insieme di elementi in interazione tra loro e con il loro ambiente circostante. Le relazioni che connettono tra loro gli elementi del sistema sono di tipologie differenti: In serie o lineari. → al mutamento di A segue il mutamento di B e di C. Il mutamento è propagato da un elemento all’altro del sistema in maniera lineare. In parallelo → il mutamento di A si propaga parallelamente verso B e C; da B e C tale mutamento si propaga poi, rispettivamente, verso D ed E. Relazioni di feedback o retroazione che possono essere positive o negative → mutamento circolare attraverso un meccanismo di retroazione che può essere positivo o negativo (da A a B a C e nuovamente ad A). Il funzionamento del sistema può prevedere un certo grado di apertura verso l’esterno o no: Sistema chiuso → il funzionamento del sistema avviene per una logica esclusivamente interna a quel sistema: solo debolmente è influenzato dall’esterno (un orologio, l’universo); Sistema aperto → il funzionamento dei vari elementi del sistema avviene attraverso un’interazione costante con gli elementi dell’ambiente. Le relazioni di feedback costituiscono la connessione, diretta o indiretta, di tutti gli elementi del sistema tra loro attraverso la propagazione del mutamento, secondo tempi e modalità che dipendono dalla complessità della sua struttura. Il funzionamento dei geo-sistemi è garantito da flussi di input e di output che connettono quel sistema all’ambiente esterno. In geografia abbiamo sistemi minori che fanno parte, che interagiscono con sistemi maggiori: la geografia analizza le connessioni di scala tra i due. Proprietà comune a tutti i sistemi è il dinamismo: le città, nel caso della geografia, sono sistemi agenti a scala regionale ma anche a scala globale. La reazione del sistema al mutamento di una variabile, il quale si propaga agli altri elementi del sistema, dipende dalla flessibilità della sua struttura: oltre ad una certa soglia, la soglia critica, si può verificare la destrutturazione del sistema. Le dinamiche interne al sistema sono complesse, di diverso tipo, a seconda del ritmo di mutamento dei singoli elementi, a seconda che siano presenti o meno fenomeni di inerzia all’interno di quel mutamento, a seconda della flessibilità della struttura del sistema e a seconda della presenza di fenomeni di isteresi (di reazione differita). Si è ritenuto di poter classificare i vari tipi di sistemi in tre tipi: Sistemi morfologici → sistemi nei quali i cambiamenti di livello di un componente provocano cambiamenti paralleli e congiunti nelle altre componenti. Viene rilevato lo schema formale delle relazioni in termini di correlazione positiva o negativa dei diversi elementi. L’esempio è quello della barriera corallina: più c’è luce solare, più aumenta la barriera corallina. L’aumento della barriera corallina comporta la diminuzione del livello delle acque, e minore è il livello delle acque, maggiore è l’irradiazione solare. Questo feedback positivo si interromperà nel momento in cui la barriera corallina trova un livello delle acque basso: l’avvicinamento alla superficie delle acque e il moto ondoso introducono un feedback negativo che limiterà la crescita della barriera. Sistemi a cascata → le relazioni tra gli elementi che lo compongono implicano trasferimenti di energia o materia, dove l’output di una componente diventa l’input di un’altra. Esempio è il ciclo idrologico della terra: l’energia solare riscalda le acque superficiali che, evaporando, raggiungono l’atmosfera. Nell’atmosfera il vapore si condensa e, sotto forma di precipitazioni, cade sulla terra distribuendo nuovamente l’acqua. L’output di un elemento (evaporazione degli oceani) diventa l’input di un altro. Sistemi di controllo → sistemi morfologici o a cascata nei quali sono introdotti dall’uomo meccanismi di controllo per abbassare le singole componenti o regolare i flussi di input e di output.