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«EIKASMOS» XVI (2005)

Sofocle, Socrate e gli ‘inganni’ della mimesi


(Philostr. Iun. Imag. 13,3)*

Nella tredicesima delle Eijkovne" di Filostrato il Giovane1 (= Soph. test. 174


2
R. ) un immaginario spettatore, dietro il quale si cela la voce autoriale, interroga il
ritratto di un Sofocle pensieroso, inspiegabilmente esitante ad accogliere i doni a
lui destinati da Melpomene. Questa è per lo meno la particolare lettura che dell’e[nnoia
del poeta – rispondente, in realtà, a un ben collaudato modello iconografico2 – dà
la persona loquens, e che le consente di trasformare l’enigmatica immobilità del
ritratto in animata mobilità narrativa3. Il pretesto per l’esibizione ecfrastica è offer-
to, infatti, proprio dal tentativo di vincere l’‘inamovibile’ (e pour cause!) riluttanza
del poeta celebrando i dw'ra della Musa, che, com’è facile attendersi, letteralizzano
le più comuni rappresentazioni metaforiche delle virtù poetiche sofoclee: tra di essi
figurerà, quindi, in primis, il miele, evidente corrispettivo ‘materiale’ della ben
nota hJduvth" stilistica di Sofocle4, equiparato spesso nella tradizione biografica e
*
Ringrazio P.E. Easterling, M.T. Luzzatto, M.S. Mirto e L. Porciani per aver letto e com-
mentato precedenti versioni di quest’articolo. Un ringraziamento particolare devo a M.G. Bonanno,
che, con grande generosità, ne ha sensibilmente migliorato sostanza e forma.
1
Per i problemi d’identificazione legati ai due Filostrati cf. De Lannoy 1997, 2367.
2
Sulla tematizzazione della ‘fatica del pensare’ nella ritrattistica greca dell’intellettuale a
partire dall’età ellenistica, si veda Zanker 1997, 106-168, in particolar modo 152-160, dove si
trattano casi esemplari di raffigurazioni di poeti. Nessuna delle superstiti testimonianze figurative
su Sofocle può essere, d’altra parte, accostata alle particolari caratteristiche del «quadro monoscenico
a tre protagonisti», formato da Sofocle, Melpomene e Asclepio, intorno al quale si sviluppa
questa eijkwvn : sui suoi possibili rapporti con la tradizione iconografica cf. Colpo, in Pasquariello-
Colpo 2004, 137-139 (da cui è tratta la citazione).
3
Su questo punto generale si vedano Gutzwiller 2002, 104s., e Whitmarsh 2002, 117 che
sottolinea come «statues are constitutively aporetic, in that they demand narrativisation» e «any
presentation of an artwork in a narrative format necessarily involves a process of translation, of
reinterpretation». Cf. da ultimo Zanker 2004, che, su una linea simile, elabora il produttivo
concetto di «reader or viewer supplementation».
4
Per la topica dolcezza della poesia sofoclea si vedano le testimonianze raccolte sotto la
rubrica «Sophocles suavis» da Radt 1999, 74s. con la discussione offertane da Mauduit 2001. È
questa particolare qualità a giustificare l’equiparazione del poeta a un’ape: cf. e.g. schol. LGR
Soph. Ai. 1199 (87,21 Papag.) [= Soph. test. 111 R.2] h{disto" de; w]n oJ Sofoklh'" pavlin ejpi; to;
i[dion h\qo" e[klinen ejn toi'" mevlesin: o{qen kai; mevlitta ejklhvqh. Isolata, la testimonianza di Vit.
Soph. 20 (= Soph. test. 1,88s. R.2) individua come ragione aggiuntiva la «capacità di trascegliere
e rielaborare il meglio di quanto la tradizione gli offriva» (Di Marco 1997, 143): movno" de; Sofoklh'"
ajf` eJkavstou to; lampro;n ajpanqivzei: kaq` o} kai; mevlitta ejlevgeto. Cf. anche Lefkowitz 1981, 80.
266 TELÒ

retorica a una mevlitta 5. La presenza intorno al volto del poeta di uno sciame di api
ha, quindi, come scopo la consegna del dolce dono; è su questo prodigioso parti-
colare dell’opera d’arte che la voce narrante concentra l’attenzione del suo ‘muto’
interlocutore6:

oJra'/" ga;r kai; ta;" melivtta", wJ" uJperpevtontaiv sou kai; bombou'sin hJduv ti
kai; qei'on ejpileivbousai stagovna" ajporrhvtou" th'" oijkeiva" drovsou: touti;
ga;r kai; th'" sh'" poihvsew" diafuvsetai panto;" ma'llon. h\ pouv ti" kai;
ajnafqevgxetai mikro;n u{steron ejpi; soi; Mousw'n eujkovlwn ajnqrhvnion
levgwn kai; dedoikevnai tw/ paregguhvsei, mhv ph/ lavqoi ti" ejkpta'sa tou'
sou' stovmato" mevlitta kai; to; kevntron ajfulavktw" ejgcrivsasa.

Come spesso accade nel genere ecfrastico, la descriptio dell’opera d’arte non si
risolve nella pura osservazione, ma rintraccia e assorbe altri e pertinenti discorsi, di
natura propriamente testuale 7. Così, con mossa allusiva tipica, la dimensione testua-
le, o per meglio dire intertestuale, della gloria qui annunciata al poeta viene segna-

5
La prima esplicita rappresentazione ‘melittomorfica’ di Sofocle si riscontra in Hermes. fr.
7,57s. Pow. (= Soph. test. 78,57s. R.2) `Atqi;" d` oi|a mevlissa poluprhvwna Kolwno;n / leivpous`
ejn tragikai'" h/\de corostasivai", ma i suoi presupposti sono già chiaramente presenti in Ar. fr.
598 K.-A. (= Soph. test. 108 R.2) oJ d` au\ Sofoklevou" tou' mevliti kecrismevnou / w{sper kadivskou
perievleice to; stovma e fr. 679 K.-A. (= Soph. test. 1,93s. R.2) khro;" ejpekaqevzeto. Le succes-
sive attestazioni di questo fortunato ei[kasma sono raccolte da Radt 1999 nelle testimonianze
1,88s., 2,5, 109, 110, 111, 112, 173,4. L’assimilazione dei poeti alle api è in realtà topica: si
vedano in proposito Pearson 1917, 108s., Waszink 1974, Riginos 1976, 17-21 (in relazione alla
tradizione biografica su Platone), Scheinberg 1979, 22-25, Davies-Kathirithamby 1986, 70-72,
Burzacchini 1991, 48 n. 38, Riedweg 1994, 147s., Dunbar 1995, 466s. e Neri 2003, 190. Una
delle eijkovne" di Filostrato Maggiore (II 12,4) riconosce alle mevlittai un ruolo di primaria
importanza nei primi momenti della vita di Pindaro, ma il quadro complessivo è ben diverso da
quello che, come si vedrà, viene profilato qui per Sofocle: aiJ de; ei[sw mevlittai periergavzontai
to; paidivon ejpibavllousai to; mevli kai; ta; kevntra ajnevlkousai devei tou' ejgcrivsai. Non si può
pertanto condividere l’opinione di Mauduit 2001, 27s., secondo cui «le modèle immédiat de
l’ekphrasis de Philostrate le Jeune» sarebbe proprio questo ritratto di Pindaro.
6
Qui, e nelle successive citazioni di Filostrato, mi attengo all’edizione di Schenkl-Reisch
1902.
7
Per l’abitudine del genere ecfrastico, soprattutto nei suoi prodotti più maturi, ellenistici e
post-ellenistici, a complicare il sistema di riferimento del testo attraverso l’attivazione di vari
richiami intertestuali, si vedano Webb 1999, 14 (secondo cui le Immagini dei due Filostrati
sarebbero l’esito «of a sophisticated interplay between remembered texts and images, painted on
the canvas of the listener’s mind»), Elsner 2002, 14s., Whitmarsh 2002, 114-119, e, in relazione
specifica a Filostrato il Giovane, McCombie 2002, 152, che parla di una vera e propria «textualisation
of viewing». Il fenomeno rientra nella più generale tendenza epistemologica, affermatasi a partire
dall’età ellenistica e ampiamente sviluppatasi in età imperiale, a trasformare ogni atto visivo in
atto interpretativo (cf. Goldhill 1994), e a presupporre conseguentemente come destinatario ideale
dell’opera letteraria un pepaideumevno" qeathv" (cf. Goldhill 2001,160 ss. e Dobrov 2002, 177).
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lata a chiare lettere attraverso un’autentica ‘tis-Rede’ (h\ pouv ti" kai; ajnafqevgxetai
... levgwn ... paregguhvsei), che proietta in un imprecisato futuro un contenuto let-
terario evidentemente già scritto 8, di cui spetterà al destinatario dell’ekphrasis decrittare
gli specifici connotati. Già ai primi editori filostratei non è sfuggita la forte allure
poetica dell’espressione Mousw'n eujkovlwn ajnqrhvnion, e il suo manifesto andamen-
to giambico, unito alle testimonianze sulla predilezione comica per la rappresenta-
zione ‘melittomorfica’ di Sofocle 9, ha indotto Meineke, Kock ed Edmonds a inclu-
derla nelle loro raccolte di fragmenta comica adespota 10, e così hanno fatto da
ultimi, non senza, d’altra parte, qualche cautela, anche Kassel-Austin 1995, nella
cui edizione la pericope filostratea figura come fr. *480. Jacobs 1825, 657 riteneva
che allo stesso ignoto poeta comico 11 spettasse la paternità anche del successivo
monito «ne ex hoc ore tamquam ex favo evolans apis aliqua aculeum furtim ipsi
infigat», e su questa base arrivava a trasformare la pericope corrispondente in una
sequenza di tre trimetri che avrebbe costituito la diretta continuazione testuale di
Mousw'n eujkovlwn ajnqrhvnion12. Dopo Jacobs sono mancate, tra gli editori e gli
interpreti di Filostrato, ulteriori proposte d’identificazione del referente letterario
che si nasconde dietro la paregguvhsi" enunciata in questo passo. Per tentare d’in-
dividuarlo, sarà necessario prendere le mosse dall’archetipo della particolare imma-
gine ‘melittomorfica’ qui presupposta, ovverosia la celebre rappresentazione del-
l’eloquenza di Pericle13 che, nei Demi, offre Eupoli (fr. 102,5-7 K.-A.):

8
Per una trattazione delle ‘tis-Reden’ omeriche e postomeriche cf. Wilson 1979. Quello che
si realizza nella pericope di Filostrato rientra nel meccanismo della cosiddetta «Alexandrian
footnote», ben noto soprattutto dalla poesia latina, per cui è lo stesso testo a segnalare esplici-
tamente al lettore il proprio statuto allusivo: cf. in proposito Hinds 1998, 5-10. Sul gesto allusivo
della proiezione nel futuro di un determinato passato letterario si veda Barchiesi 1993.
9
Si vedano le fonti citate alla n. 5.
10
Cf. Meineke 1841, 655, fr. 209; Kock 1888, 402, fr. 22; Edmonds 1957, 958, fr. 22. Sui
rapporti di questo frammento con la rappresentazione di Sofocle nelle Rane e sulla sua probabile
paternità aristofanea si veda, in questo stesso volume, il contributo di M.G. Bonanno.
11
Secondo Fairbanks 1931, 353 n. 3 «probably Aristophanes or some other writer of the old
comedy».
12
Jacobs 1825, 657 inglobava nella citazione anche dedoikevnai paregguhvsei convinto che
«verbum paregguhvsei non a rhetore profectum, sed ex comoedia transductum», ma un tale
argomento è immediatamente contraddetto dalla comparsa proprio dello stesso verbo alla fine del
paragrafo 4 di questa stessa eijkwvn: `Asklhpio;" de; oi\mai ou|to" ejggu;" paia'nav pou paregguw'n
gravfein. Questo l’assetto testuale complessivo che lo studioso ipotizzava – dovendosi anche
inventare metri causa un fantomatico sostantivo kevntrion – per il presunto frammento comico:
...Mousw'n eujkovlwn ajnqrhvnion / dedoikevnai se paregguw', mhv ph/ lavqh/ / ejkpta'sav ti" mevlitta
kai; to; kevntrion / ajfuvlakto" ejgcrivsasa... Già Meineke 1841, 655 si mostrava scettico nei
confronti di quest’interpretazione: «sed ea mihi ludentis sophistae acumine quam veteris comoediae
ingenio digniora videntur».
13
Un’importante indagine su tutte le testimonianze antiche relative all’eloquenza di Pericle
è stata condotta da Nicolai 1996.
268 TELÒ

peiqwv ti" ejpekavqizen ejpi; toi'" ceivlesin,


ou{tw" ejkhvlei kai; movno" tw'n rJhtovrwn
to; kevntron ejjgkatevleipe toi'" ajkrowmevnoi".

Durante i suoi discorsi, Pericle, definito nel v. 1 kravtisto" ... ajnqrwvpwn levgein,
ottiene sui suoi ascoltatori effetti pari a quelli di un’ape che kevntron perikavllipe
(Nic. Ther. 809)14. Il frammento comico, citato nella sua interezza da schol. Ael.
Arist. Or. 3,51 (309,9 L.-B. = III 472,29 Dind.), ha grandissima fortuna nella
produzione letteraria greca e latina fino alla tarda antichità e all’epoca bizantina15;
il suo verso finale, che metaforicamente assegna allo statista ateniese il possesso di
un infallibile kevntron peiqou'"16, conosce una ricezione anche autonoma e, a dif-
ferenza di molte altre immagini appartenenti all’àmbito dell’eikasma ‘melittomorfico’
di poesia e retorica17, sembra collegarsi strettamente, nella percezione dei suoi vari
fruitori, alla specificità autoriale eupolidea, senza perdersi nell’anonimato topico o
gnomico18. Tutte le allusioni o citazioni del v. 7 fin qui riconosciute, come del resto

14
Su questo fenomeno zoologico cf. Arist. HA VIII 626a 20s., che attesta come l’ape, nel
momento in cui inietta il suo kevntron, sia destinata a morire all’istante (to; de; kevntron ajpobavllousa
hJ mevlitta ajpoqnh/vskei): cf. Davies-Kathirithamby 1986, 52s., 63. Infondata l’interpretazione di
Eup. fr. 102,7 K.-A. data da Raspe 1832, 48, che, a causa delle implicazioni inevitabilmente
‘pungenti’ dell’immagine del kevntron (cf. infra n. 19), suppone che «ab aurigarum stimulo
metaphora petita est, quo et incitant et ducunt iumenta quocumque volunt»: il verbo ejgkataleivpw
(‘conficcare’) non può, infatti, adattarsi certo a questa immagine.
15
Tutte le fonti che ne testimoniano la duratura ricezione sono state puntualmente registrate
da Wyttenbach 1772, 7-9, poi da Nauck 1894, 53s., e, più di recente, da Kassel-Austin 1986, 353-
355. Il passo di Filostrato non è comunque annoverato in queste rassegne.
16
Cf. [Lucian.] Dem. enc. 20 Periklevou" ... peiqou'" ti kevntron.
17
Per la topicità di quest’immagine cf. n. 5. Goossens 1937, 416-418, riprendendo parzial-
mente un’idea di Meineke 1840, 1176, sosteneva che Ar. fr. 679 K.-A. (citato alla n. 5) rappre-
sentasse una ‘citazione’ inesatta di Eup. fr. 102,3 K.-A. (peiqwv ti" ejpekavqizen ejpi; toi'" ceivlesin),
ma, come ha sottolineato Taillardat 1962, 432, «les métaphores de ce genre étaient si banales
qu’elles faisaient un fonds commun où puisaient les poètes» (sull’immagine dell’ejfivzesqai cf.
in particolare Davies 1984). Come si vedrà, questo non si può certo dire invece dell’immagine
del kevntron, che sembra portare un marchio specificamente eupolideo (cf. infra n. 18).
18
Emblematiche da questo punto di vista le seguenti testimonianze, dove oJ kwmikov" è
esplicitamente presentato come l’inventor dell’immagine: Lucian. Nigr. 7 ejnivote dev, kai; mavlista
o{tan ejnereivsw th;n yuchvn, kai; to; provswpon aujtou' moi faivnetai kai; th'" fwnh'" oJ h\co" ejn tai'"
ajkoai'" paramevnei: kai; gavr toi kata; to;n kwmiko;n wJ" ajlhqw'" ejgkatevlipevn ti kevntron toi'"
ajkouvousin, schol. Il. XXIV 85a, V 536s. E. (cf. Eust. ad Il. IV 874,13-16 V.) ejpeidh; mevllei
katastrevfein to;n lovgon eij" ta;" ”Ektoro" tafav", prolabei'n ti ejpiceirei' tw'n eJxh'" kai; to;
kevntron ejgkatalipei'n, wJ" oJ kwmikov" fhsi, toi'" ajkrowmevnoi" w{ste poqh'saiv ti kai; peri; th'"
jAcillevw" ajnairevsew" ajkou'sai kai; ejnnoei'n par` eJautoi'", oi|o" a]n ejgevneto oJ poihth;" diatiqevmeno"
tau'ta e Max. Plan. Or. in imp. Mich. 9,13 (357-359, ed. Westerink 1967, 59) dunato;" ga;r oJ
basileu;" kai; gnw'nai o{ ti dh; kravtiston kai; o{per a]n gnoivh ejpicarivtw" eijpei'n kai; kevntron
ti toi'" ajkouvsasi kata; to;n kwmiko;n ejgkatalipei'n. In schol. Ar. Pac. 1204, 171,1-4 H. (safw'"
Sofocle, Socrate e gli ‘inganni’ della mimesi (Philostr. Iun. Imag. 13,3) 269

il loro stesso ipotesto, che esibisce toni encomiastici19, si caratterizzano, d’altra


parte, per un’univoca valutazione positiva del kevntron ‘rilasciato’ da Pericle e
dalle sue varie ‘controfigure’: il loro kevntron avvince, ammalia, o semplicemente
persuade, ma non rappresenta per questo un pericolo da ‘temere’ (dedoikevnai!) o
un inganno da cui guardarsi20. È proprio questa invece la Stimmung riscontrabile nel
ricorso alla stessa immagine di un celebre passo del Fedone platonico (91c 1-5):

a[gan ejpi; tou' tevlou" tou' dravmato" to; kevntron ejgkatevlipe toi'" ajkrowmevnoi" ejk touvtwn dhlw'n
kai; krivnwn tav te tou' polevmou e[rga kai; ta; th'" eijrhvnh" aujtoi'" a[gwn uJp` o[yin, i{na eij" o}
bouvletai ma'llon aujtou;" ajgavgh/) il dativo toi'" ajkrowmevnoi" lascia pochi dubbi sul fatto che il
nesso to; kevntron ejgkatevlipe, anche in questo caso, abbia come referente Eup. fr. 102,7 K.-A.
Che in Iul. Or. 1,26, 33a (tiv" ou\n hJ rJwvmh gevgone tw'n lovgwn; tiv" de; hJ peiqw; toi'" ceivlesin
ejpikaqhmevnh, <h}> pantodapw'n ajnqrwvpwn suneilegmevnwn to; kevntron ejnapolipei'n i[scuse
tai'" yucai'", kai; nivkhn parascei'n tw'/ megevqei me;n ejnavmillon tai'" ejk tw'n o{plwn periginomevnai",
eujagh' de; kai; kaqaravn, w{sper iJerevw" ej" qeou' foitw'nto", ajll` ouj basilevw" ej" povlemon,
e[rgon genomevnhn) l’immagine mantenga evidenti tracce del locus classicus eupolideo è dimo-
strato da tiv" de; hJ peiqw; toi'" ceivlesin ejpikaqhmevnh, chiara allusione al v. 5 dello stesso
frammento. Soltanto nel contesto di Themist. Or. 26,24 (ei\ta tw'n me;n skiamacouvntwn ejpi; tou'
bhvmato" uJpe;r tou' Kivmwno" h] Nikivou h] Miltiavdou ... spoud'h'/ aJlizovmenoi ajkroasovmeqa,
lovgou de; kevntron ejgkatalipei'n dunamevnou pro;" ajreth;n oujdepwvpote ajpolauvsomen) è diffi-
cile individuare tracce del frammento di Eupoli, che è comunque ben noto a Temistio, come
dimostra Or. 27,12 dove vengono citati i suoi primi tre versi. La valenza fortemente positiva di
cui si carica l’immagine (il kevntron spinge pro;" ajrethvn) porta a escluderne una derivazione
platonica (cf. infra). Su Iul. Epist. 58, 426b si veda infra.
19
Così da ultimi Nicolai 1996, 102s. e Storey 2003, 133, come già le interpretazioni anti-
che, che scorgono nel frammento proprio una deroga alla ben nota lingua maledica della com-
media attica; si vedano in proposito Cic. De orat. III 138 cuius (scil. Periclis) in labris veteres
comici, etiam cum illi male dicerent (quod tum Athenis fieri licebat), leporem habitasse dixerunt
tantamque in eodem vim fuisse, ut in eorum mentibus, qui audissent, quasi aculeos quosdam
relinqueret e Val. Max. VIII 9, ext. 2 veteris comoediae maledica lingua, quamvis potentiam viri
perstringere cupiebat, tamen in labris hominis melle dulciorem leporem fatebatur habitare, inque
animis eorum qui illum audierant quasi aculeos quosdam relinqui praedicabat. Non si può
escludere, d’altra parte, che, pur all’interno di un contesto sicuramente celebrativo, la presenta-
zione ‘pungente’ della vis oratoria di Pericle offerta da Eupoli celasse una qualche velatissima
ironia. Il carattere propriamente ojxuv di un kevntron, non melivtth", ma sfhkov" (la mevlitta è
comunque dotata di kevntra ajmbluvtera, come dichiara lo schol. Hes. Th. 598,89s. Di G.) è
sfruttato nel celebre yovgo" di Archiloco pronunciato da Callim. fr. 380 Pf., su cui si vedano le
fondamentali pagine di Degani 1984, 174 e Degani 1995, 124.
20
In Lucian. Nigr. 7 la citazione s’inserisce all’interno di uno spassionato elogio del filo-
sofo Nigrino, capace di donare proprio con la sua parola ouj mikra;n paramuqivan. Un contesto
parimenti eulogistico si riconosce anche nell’orazione di Massimo Planude (il kevntron oratorio
del basileuv" si fa veicolo della filiva tra il sovrano e i suoi sudditi); nei due passi scoliastici
citati il kevntron è metafora della capacità del poeta di tener desta l’attenzione del proprio pub-
blico; in Giuliano, il sovrano, destinatario della sua orazione, è riuscito grazie al suo kevntron a
ottenere un consenso pacifico e duraturo; in Temistio il kevntron iniettato dal lovgo" ha nell’ajrethv,
come si è già visto, la propria finalità.
270 TELÒ

mentre si appresta ad affrontare il punto nodale della sua dimostrazione dell’im-


mortalità dell’anima (pareskeuasmevno" dhv ... w\ Simmiva te kai; Kevbh", ouJtwsi;
e[rcomai ejpi; to;n lovgon), Socrate chiede ai suoi interlocutori, Simmia e Cebete, di
mettere alla prova la veridicità della sua tesi e di ‘guardarsi’ (eujlabei'sqai) dal
farsi ingannare dal kevntron rilasciato dalle sue parole:

uJmei'" mevntoi, a]n ejmoi; peivqhsqe, smikro;n frontivsante" Swkravtou", th'"


de; aj l hqeiv a " polu; ma' l lon, ej a ; n mev n ti uJ m i' n dokw' aj l hqe; " lev g ein,
sunomologhvsate, eij de; mhv, panti; lovgw/ ajntiteivnete, eujlabouvmenoi o{pw"
mh; ejgw; uJpo; proqumiva" a{ma ejmautovn te kai; uJma'" ejxapathvsa", w{sper
mevlitta to; kevntron ejgkatalipw;n oijchvsomai.

Mi sembra chiaro che il gesto retorico attraverso il quale la persona loquens


filostratea introduce l’immagine della mevlitta to; kevntron ejgcrivsasa si rispecchi
puntualmente nel monito del Socrate platonico21, e che sia di conseguenza difficile non
identificare con lui l’anonimo ti" autore della paregguvhsi" profetizzata dall’ekphrasis.
Se il testo platonico esplicita il referente del traslato eupolideo per comparationem22,

21
La piena coincidenza semantica tra devdoika e eujlabou'mai è testimoniata e.g. da schol.
D Il. I 555 (60 Th.) deivdoika] devdoika, eujlabou'mai e schol. Dem. 19,386 (69,1s. D.) devdoike
de; mh; diamavrth/] di` w|n eujlabei'sqai prospoiei'tai plevon eij" to; dou'nai paroxuvnei to;n Fivlippon.
Il costrutto filostrateo dedoikevnai ... mhv ph/ lavqoi si può, di conseguenza, considerare facilmente
una vera e propria ‘traduzione’ di quello platonico eujlabouvmenoi o{pw" mhv.
22
Che nel testo platonico Socrate riattivi l’immagine eupolidea rendendola ulteriormente
pertinente al contesto – l’ape come Socrate rilascia il suo kevntron nel momento della morte (cf.
supra n. 14) – era già stato supposto da Wyttenbach 1772, 7, ed è stato successivamente ribadito
(cf. Valgimigli 1937, 148). Una posizione più scettica è assunta invece da Tarrant 1951, 61,
Loriaux 1975, 45 e Kassel-Austin 1986, 355, che ne ipotizzano un’origine proverbiale (non si
esprimono sul problema invece i più recenti commenti di Rowe 1993 e Ebert 2004). A favore
dell’interpretazione di Wyttenbach depone innanzitutto la considerazione dei numerosi debiti
formali e non, che, come già notavano gli antichi (cf. Ar. test. 53b K.-A. [Plavtwn] ejfoivthsen
de; kai; kwmikoi'" th;n fravsin aujtw'n wjfelhqh'nai boulovmeno"), legano il dialogo platonico alla
commedia: oltre ai numerosi casi di ripresa di singole espressioni o immagini comiche (cf.
Bonanno 1975/1977, 107-112; Thesleff 1976, 113s.; Wilson 1982, 161-163; Brock 1990, 42;
Segoloni 1994, 31-33, 39-42), si sono riconosciuti specifici contatti situazionali (cf. Dorati 1995
per i rapporti tra i Kolakes di Eupoli e il Protagora, e Segoloni 1994, 136ss. per i legami tra i
Daitaleis aristofanei e il Simposio), nonché più generali affinità strutturali (cf. Nightingale 1995,
172-192 e Capra 2001). Vi è poi un ulteriore, specifico indizio: se l’immagine avesse sia per
Eupoli che per Platone un’origine proverbiale – salvo poi acquistare una precisa identità autoriale
nella sua fortuna letteraria successiva (cf. supra) – mal si spiegherebbe il medium comparationis
platonico w{sper mevlitta, che risulterebbe superfluo qualora l’assetto espressivo attestato da
Eupoli, in cui il referente dell’immagine non è esplicitato, fosse già il prodotto di un consolidato
uso gnomico, e che invece ben si giustifica come tentativo di esegesi indiretta, per similitudinem
appunto, nel caso di ricezione di una puntuale inventio metaforica. Un esempio analogo di tra-
passo verso il simbolismo denotativo della similitudine nella ricezione di una particolare espres-
Sofocle, Socrate e gli ‘inganni’ della mimesi (Philostr. Iun. Imag. 13,3) 271

Filostrato spinge il processo simbolico ai suoi estremi, esplicitandolo ma reinserendolo


nella sua originaria dimensione metaforica: dalle labbra di Sofocle non escono parole
dotate di ‘pungiglione’, e tanto meno parole pungenti come i kevntra delle api, ma
prendono il volo delle api ‘vere’ pronte a rilasciare il loro kevntron! La metafora
acquista così forte evidenza icastica, e nell’ideale competizione tra arte figurativa e
testo letterario che, per statuto, l’ekphrasis mette in scena23 il secondo si dimostra
totalmente all’altezza delle prerogative della prima. Nella pericope filostratea si cela,
dunque, un intertesto platonico24, che viene richiamato non perché contenga – come
la ‘tis-Rede’ da cui è introdotto sembrerebbe all’apparenza suggerire – un particolare
segmento della ‘futura’ storia letteraria di Sofocle, ma solo perché mostra affinità
rappresentative – non importa se in relazione a un altro personaggio – con quelle qui
selezionate. In un universo culturale, che non distingue la realtà dalla mimesi, e co-
struisce programmaticamente la propria identità interiorizzando e uniformando tra
loro le molteplici espressioni di un patrimonio letterario ricevuto in eredità25, succede
non soltanto che ogni nuova opera comunichi inevitabilmente una forte impressione
di déjà vu (o piuttosto di déjà lu), e tenda ossessivamente a esibire la propria
epigonalità26, ma anche che tra due personaggi all’apparenza molto distanti l’uno
dall’altro si possano scoprire delle ‘parentele’ intertestuali inattese, soltanto per effetto
del comune destino metaforico deciso per loro da un passato illustre27.
L’allusività platonica attivata dal testo di Filostrato orienta il lettore, credo,
anche sul senso dell’applicazione a Sofocle di questa particolare eijkwvn . Come si è
visto, infatti, il Socrate del Fedone ‘glossa’ l’immagine eupolidea con il participio
ejxapathvsa", e quindi identifica il pericolo insito nelle sue parole con l’ajpavth,

sione metaforica soloniana è stato individuato da Gentili 1975 e Lomiento 1987 (per il fenomeno
nelle sue linee generali si veda, comunque, Fonzi-Negro Sancipriano 1975, 62). Sulla possibile
vena polemica del recupero platonico cf. infra.
23
Su questo punto, cf. da ultimi Dobrov 2002, 188 e Elsner 2002, 15.
24
La pericope filostratea non è annoverata nella puntuale rassegna sul Nachleben antico del
Fedone approntata da Carlini 1967, 298 che, invece, plausibilmente riconosce (come già Bidez-
Cumont 1922, 63) la presenza dell’ipotesto platonico in Iul. Epist. 58, 426b, dove l’Apostata così
si rivolge all’ajrciatrov" Zenone: th;n tw'n `Alexandrevwn povlin ajpw;n ejpistrevfei" eij" seautovn:
toiou'ton aujth'/ kevntron w{sper mevlitta katalevloipa", eijkovtw".
25
Una brillante discussione su questi tratti basilari del frame culturale e ideologico in cui
s’inserisce la letteratura greca di età imperiale, e in particolare la cosiddetta Seconda Sofistica,
è offerta da Whitmarsh 2001, 44-57, 88s.
26
Cf. Whitmarsh 2001, 44 che, interpretando ‘l’angoscia dell’influenza’ tipica degli autori
della Seconda Sofistica come l’effetto di una «textualist poetics, whereby ‘lateness’ comports a
laudably self-conscious appreciation of the literariness and intertextuality of writing», individua
nelle loro opere la presenza di un vero e proprio «literary trope of epigonality».
27
Per la capacità dell’ekphrasis di trasformare «il tacito piacere di un’immagine, fatto di
mille conoscenze sottintese, in un percorso straordinario di segreti svelati, di convenzioni rese
esplicite, di presupposti chiariti» cf. Maffei 1991, 614.
272 TELÒ

concetto di chiara ascendenza gorgiana28, che era sotteso per la verità anche al
ritratto dell’eloquenza di Pericle offerto dal poeta comico29: se infatti lo statista
riusciva a khlei'n i suoi spettatori, il suo lovgo" non poteva che avvicinarsi, grazie
alle sue capacità psicagogiche, a quelle ejpw/dai; ejpagwgoi; hJdonh'" cui allude pro-
prio Gorgia in Hel. 10, qualificandole come dovxh" ajpathvmata. Anche Socrate è,
come Pericle, indiscusso campione di ‘incantesimi’ dialettici30, ma qui ne stigmatizza
platonicamente, e forse in diretta polemica con la celebrazione eupolidea dello
statista31, l’intrinseco potenziale ingannevole, e ne svela così la precarietà epistemo-
logica, e quindi etica32.
Ora, grazie a Plutarco sappiamo che Gorgia doveva far riferimento all’ajpavth
non solo nell’Encomio di Elena, ma anche altrove, e in termini propriamente este-
tici; questo il testo del celebre frammento B 23 D.-K., citato da Plut. Gl. Ath. 348c:

h[nqhse d` hJ tragw/diva kai; diebohvqh, qaumasto;n ajkrovama kai; qevama


tw'n tovt` ajnqrwvpwn genomevnh kai; parascou'sa toi'" muvqoi" kai; toi'"
pavqesin ajpavthn, wJ" Gorgiva" fhsivn, h}n o{ t` ajpathvsa" dikaiovtero" tou'
mh; ajpathvsanto", kai; oJ ajpathqei;" sofwvtero" tou' mh; ajpathqevnto". oJ
me;n ga;r ajpathvsa" dikaiovtero", o{ti tou'q` uJposcovmeno" pepoivhken: oJ d`
ajpathqei;" sofwvtero": eujavlwton ga;r uJf` hJdonh'" lovgwn to; mh; ajnaivsqhton33.

28
Cf., tra gli altri, Pohlenz 1920, 159s.; Cataudella 1931, 382-387; Untersteiner 1949,
132ss.; Rosenmeyer 1955; Segal 1962, 112-114; Lanata 1963, 193s.; Verdenius 1981 (che sostie-
ne l’origine parmenidea dell’apate gorgiana); Garzya 1987; O’ Sullivan 1992, 127; Wardy 1996,
35-39; Halliwell 2002, 20s. con n. 49; Paduano 2004, 65s.
29
Sulle qualità gorgiane implicite in questo ritratto dell’eloquenza di Pericle si veda
O’ Sullivan 1992, 114 con n. 50. Maggiori ragguagli sulla caratterizzazione ‘stilistica’ di questo
ritratto saranno offerti nel mio commento ai Demi di Eupoli.
30
Sulla capacità incantatoria di Socrate, sostanziata però di contenuti filosofici, si vedano
Belfiore 1980 e da ultimo Duichin 2003, 265.
31
Se, infatti, in Phaedr. 269e, pur non senza una chiara ironia (cf. Reale 1998, 252), Socrate
dichiara che Pericle kinduneuvei ... eijkovtw" ... pavntwn telewvtato" eij" th;n rJhtorikh;n genevsqai,
bisogna tener presente che, in Gorg. 515d-516c, Socrate viene a rispondere in maniera decisa-
mente negativa alla domanda formulata di fronte a Callicle a inizio discussione (oujkou'n o{te
Periklh'" h[rceto levgein ejn tw'/ dhvmw/, ceivrou" h\san oiJ `Aqhnai'oi h] o{te ta; teleutai'a e[legen;),
e, verificata così l’incapacità dello statista di promuovere, con la propria parola, il progresso etico
dei suoi concittadini, non può che trarre la seguente conclusione (516d): oujk a[r ` ajgaqo;" ta;
politika; Periklh'" h\n ejk touvtou tou' lovgou.
32
Sulla contrapposizione epistemologica ed etica tra ajpavth e ajlhvqeia attivata nel passo
platonico si veda, in generale, Detienne 1994, 159-202, che, tuttavia, non prende in considera-
zione il luogo del Fedone.
33
La stessa testimonianza è offerta, in forma più sintetica, in Aud. poet. 15d: Gorgiva" de;
th;n tragw/divan ei\pen ajpavthn, h}n o{ t` ajpathvsa" dikaiovtero" tou' mh; ajpathvsanto" kai; oJ ajpathqei;"
sofwvtero" tou' mh; ajpathqevnto". Questa teoria gorgiana della tragedia si trova riflessa ancora in
Polyb. II 56,11, dove la differenza tra iJstoriva e tragw/diva si misura nel fatto che, mentre la
prima mira a ottenere tajlhqe;" dia; th;n wjfevleian tw'n filomaqouvntwn, la seconda si prefigge
Sofocle, Socrate e gli ‘inganni’ della mimesi (Philostr. Iun. Imag. 13,3) 273

La poesia tragica esercita, secondo Gorgia, una forma di ajpavth che non solo rende
dikaiovtero" chi la mette in atto, ma anche sofwvtero" chi la subisce, e si realizza
attraverso l’hJdonh; lovgwn: la tragedia, in altre parole, può contare su una forza
incantatoria del tutto simile a quella delle ejpw/daiv, ejpagwgoi; hJdonh'" e ajpathvmata
dovxh", menzionate da Gorgia nell’Encomio di Elena34. Sofocle, in quanto poeta
tragico, non potrà, quindi, che assumere, in questa prospettiva, il ruolo di oJ ajpathvsa",
e, di conseguenza, nel testo di Filostrato, il riuso dell’immagine platonica non
opererà soltanto come facile corollario della comune equiparazione melittomorfica
di Sofocle, ma non potrà che rimandare al particolare statuto estetico stabilito da
Gorgia per il genere tragico. Significativamente, tracce della stessa teorizzazione
gorgiana compaiono nel proemio dell’opera, dove Filostrato così illustra i fonda-
menti estetici della zwgrafiva (§ 4)35:

hJdei'a de; kai; hJ ejn aujtw'/ ajpavth kai; oujde;n o[neido" fevrousa: to; ga;r toi'"
oujk ou\sin wJ" ou\si prosestavnai kai; a[gesqai uJp` aujtw'n, wJ" ei\nai nomivzein,
ajf ` ou| blavbo" oujdevn, pw'" ouj yucagwgh'sai iJkano;n kai; aijtiva" ejktov";

come scopo to; piqanovn, ka]n h/\ yeu'do", dia; th;n ajpavthn tw'n qewmevnwn. L’ajpavth rientra tra le
qualità identificanti di Eschilo da Aristofane (cf. Ran. 908-910, dove è Euripide ad accusare
Eschilo di ejxapata'n) fino alla Vita Aeschyli 7 (= Aesch. test. 1,25s. R.) tai'" te ga;r o[yesi kai;
toi'" muvqoi" pro;" e[kplhxin teratwvdh ma'llon h] pro;" ajpavthn kevcrhtai: cf. soprattutto Rosenmeyer
1955. La ‘giustizia’ di chi ejxapata'/ è tematizzata anche in Cleobulin. fr. 2 W.2 (a[ndr` ei\don
klevptonta kai; ejxapatw'nta biaivw", / kai; to; biva/ rJevxai tou'to dikaiovtaton) citato da Dissoi
Logoi 3,10 (su cui cf. infra).
34
L’interpretazione del nesso gorgiano tra apate e tragedia è ampiamente discussa: cf.
Untersteiner 1949, 142 che individua nell’estetica gorgiana dell’apate la scoperta del fatto che
«la poesia è […] confessione della non razionalità del mondo»; Rosenmeyer 1955, 239, dove
s’individua l’essenza del concetto gorgiano nel fatto che «tragedy […] is not designed to convey
moral instruction», ma «it generates emotions» (su una linea analoga anche Taplin 1978, 169);
Lada 1996, 400s., secondo cui nel dibattito letterario del quinto secolo apate «could acquire the
nuance of ‘illusionism’»; Wardy 1996, 36 che riconosce nella teoria gorgiana l’idea di una
«theatrical experience as a sort of contractual deception, relying on cooperation between the
deceptive tragedian and the receptively deceived audience». Da ultima, Bassi 1998, 173s., muo-
vendosi sulla stessa linea di Lada e Wardy, ha identificato l’apate tragica gorgiana con «the aural
and visual enhancement of the stories from myth […] by means of the conventions of the stages»,
e ragionevolmente supposto (173 n. 60) che il suo effetto «can be equated with that which
Aristotle gives to mivmhsi"» in Poet. 1448b 4-19; uno stretto nesso tra «mimesis and deception»
nella teoria poetica aristotelica è stato, infatti, dimostrato, nonostante l’assenza nella Poetica di
elementi riconducibili esplicitamente al lessico dell’‘inganno’, da Woodruff 1992, 83-89. Su una
linea simile, Mureddu 1982/1983, 92s. collega alla teoria gorgiana dell’apate il programma
poetico, fortemente improntato alla mivmhsi", che Agatone enuncia in Ar. Thesm. 146-156. Per le
basi propriamente ‘mimetiche’ su cui poggia la convergenza tra apate tragica e apate pittorica
(e, per implicazione, ecfrastica) si veda infra.
35
Un resoconto dei contenuti di questo proemio è offerto ora da Pugliara 2004, che non si
sofferma d’altra parte sugli elementi di estetica dell’apate qui presenti.
274 TELÒ

Attraverso una formulazione (hJdei'a ... ajpavth) che si ritrova, in un contesto di


«ecphrastic surrogacy»36, anche in Eliodoro 37, Filostrato sembra estendere l’àmbito
di pertinenza estetica dell’apate gorgiana dalla tragedia alla pittura38 sulla base di
una comune vocazione psicagogica, di cui non sarà difficile ricostruire i fondamen-
ti, senza dimenticare naturalmente l’omologazione chiastica tra poesia e pittura di
memoria simonidea39. Grazie alla opsis, ovverosia alla sua resa performativa, che
rappresenta, secondo Aristotele (Poet. 1450a 10), uno dei suoi mevrh fondamentali,
la tragedia viene a caricarsi di una particolare «capacità eidetica»40 che le consente
di collocare il proprio mu'qo" «davanti agli occhi» (pro; ojmmavtwn) prima del suo
autore (Poet. 1455a 10), e poi dei suoi spettatori, e rendere così ejnergou'nta, cioè

36
Così Hardie 1998, 29.
37
Si tratta di Heliod. III 4,9. Dopo che Calasiris ha concluso il suo racconto della proces-
sione di Delfi, Cnemone ha l’impressione di riuscire a vedere in carne e ossa i suoi protagonisti,
e per questo esclama: w\ pavter, qewrei'n aujtou;" kai; ajpovnta" wj/hvqhn, ou{tw" ejnargw'" te kai; ou}"
oi\da ijdw;n hJ para; sou' dihvghsi" uJpevdeixen (III 4,7). Rendendosi conto degli effetti del suo
racconto, che nella descrizione dell’aspetto fisico dei due protagonisti (III 4,2-6), Teagene e
Cariclea, ha esibito qualità propriamente ecfrastiche, Calarisis esclama: w] th'" hJdeiva" ajpavth", w]
th'" glukeiva" oijhvsew", o{pw" me ajnaptevrwsa" oJra'n tou;" filtavtou" kai; deiknuvnai prosdokhqeiv",
w\ Knhvmwn. Sull’assunzione da parte del racconto eliodoreo di movenze ecfrastiche cf. Hardie
1998, 26-38, e sul rapporto con il proemio di Filostrato si vedano lo stesso Hardie 1998, 27s. e
Whitmarsh 2002, 121. La capacità della pittura di ejxapata'n è tematizzata anche in Philostr.
Maior I 23,2, dove a essere vittime dell’‘inganno’ sono – per contrappasso, si potrebbe dire
prendendo alla lettera Filostrato Minore – delle mevlittai: timw'sa de; hJ grafh; th;n ajlhvqeian kai;
drovsou ti leivbei ajpo; tw'n ajnqevwn, oi|" kai; mevlitta ejfizavnei ti", oujk oi\da ei[t` ejxapathqei'sa
uJpo; th'" grafh'", ei[te hJma'" ejxhpath'sqai crh; ei\nai aujthvn. La centralità del concetto di ajpavth
nella letteratura ecfrastica è ulteriormente confermata da Callistr. Imag. 7,2, dove in un contesto
analogo a quello eliodoreo si dice: kovmh de; ou{tw" h\n eujanqh;" kai; zwtiko;n ejpishmaivnousa kai;
e[mpnoun, wJ" ajpata'n th;n ai[sqhsin.
38
In questa operazione Filostrato può forse essere stato ‘legittimato’ da un’analoga presa
di posizione in materia di Gorgia; se, infatti, si accoglie in Hel. 18 la correzione di Dobree
<n>ovson per il tradito oson (così fanno da ultimi Donadi 1982, 16 e Paduano 2004, 83, 99,
mentre Diels-Kranz 1935, 295 stampano il meno palmare qevan di B. Keil), si avrebbe il seguente
assetto testuale: hJ de; tw'n ajndriavntwn poivhsi" kai; hJ tw'n ajgalmavtwn ejrgasiva <n>ovson hJdei'an
parevsceto toi'" o[mmasin. Ciò implicherebbe che «gli occhi non esercitino più la loro funzione
di corretto riconoscimento del reale» (così Paduano 2004, 99), perché evidentemente privati della
capacità percettiva di discernere tra realtà e mimesi artistica.
39
Il principio simonideo (oJ Simwnivdh" th;n me;n zwgrafivan poivhsin siwpw'san prosagoreuvei,
th;n de; poivhsin zwgrafivan lalou'san) è ricordato da Plut. Gl. Ath. 346f (cf. anche Aud. poet.
17f-18a e Quaest. conv. 748a): sul suo ruolo di autentico precursore della teoria gorgiana cf.
Detienne 1994, 161 n. 6, mentre sulla sua amplissima fortuna antica e sulla sua centralità nella
costruzione dell’identità letteraria degli autori della Seconda Sofistica si vedano rispettivamente
Brink 1971, 368ss. e Dobrov 2002, 174ss.
40
Così Di Marco 1989, 140. Per la posizione occupata dalla opsis nel sistema teorico
aristotelico si vedano le importanti trattazioni di Di Marco 1989, Bonanno 1997, 119-123 e
Bonanno 1999.
Sofocle, Socrate e gli ‘inganni’ della mimesi (Philostr. Iun. Imag. 13,3) 275

e[myuca, gli a[yuca (Rhet. III 1411b 8) 41: è un’analoga e statutaria vocazione
all’enargeia che, ovviamente, permette alla pittura e all’ekphrasis, che intende
rappresentarne una diretta trascrizione testuale, d’instillare nel proprio pubblico
l’impressione di toi'" oujk ou\sin wJ" ou\si prosestavnai, e riuscire a yucagwgei'n
dolcemente, e – tiene a precisare Filostrato – innocentemente (ejkto;" aijtiva"). Non
è certo casuale che anche la opsis venga esplicitamente qualificata come elemento
yucagwgikovn da Aristotele (Poet. 1450b 16s.)42. È, dunque, nella comune capacità
di conferire alla mimesi l’effet de réel 43 che risiede la parentela ‘ingannevole’ tra
tragedia e arti figurative, una parentela che si trova esplicitamente enunciata in un
altro importante scritto sofistico come i Dissoi Logoi; l’anonimo autore dell’opera,
in 3,10, afferma infatti:

ejn ga;r tragw/dopoiiva/ kai; zwgrafiva/ o{sti" plei'sta ejxapath'/ o{moia toi'"
ajlhqinoi'" poievwn, ou|to" a[risto".

A questo punto, appare chiaro non soltanto che Filostrato ben conosce l’estetica
tragica gorgiana, e ne sfrutta le ‘applicazioni’ figurative44, che evidentemente do-
vevano essere state teorizzate già in età classica45, ma che, quando assimila il
tragico Sofocle a una mevlitta ejgcrivsasa to; kevntron, non può che individuare in
lui un proprio alter ego: entrambi, in quanto fautori di una mimesi pur sempre

41
Sulle implicazioni dell’espressione pro; ojmmavtwn cf. Dupont Roc-Lallot 1980, 278-280 e
Bonanno 1997, 119s.
42
Il potere psicagogico dell’opsis era enunciato da Gorgia in Hel. 15 (dia; de; th'" o[yew"
yuch; kajn toi'" trovpoi" tupou'tai). Sullo stretto nesso tra apate e psicagogia cf. Rosenmeyer
1955, 237; sugli effetti psicagogici dell’ekphrasis cf. invece da ultimi Goldhill 2001, 166 e
Dobrov 2002, 178s.
43
Secondo la celebre definizione di Barthes 1984, 34-41, su cui si vedano, in relazione
specifica all’ekphrasis, Fowler 1991, 26, Graf 1995 e Webb 1999, 12s. Sull’importanza dell’ejnavrgeia
nella letteratura ecfrastica cf., tra gli altri, Maffei 1991, 593-595 (con ampia bibliografia), Manieri
1998, 149-154 e Webb 1999, 13. Come osserva efficacemente Halliwell 2002, 21, «the persua-
sive vividness of a mimetic work or performance is more than the achievement of a surface. It
involves the creation of something that, through its sense of life, can affect the viewer or hearer
emotionally too».
44
Si può aggiungere a questo proposito che in varie delle eijkovne" di Filostrato Maggiore,
di cui il Minore dichiara espressamente di voler seguire le orme (Prooem. 2), il contenuto della
descriptio ecfrastica viene definito nei termini di un dra'ma e il suo lettore è spesso sollecitato
a «transform the picture into a moving performance» (così Beall 1993, 351, cui si rimanda per
una specifica trattazione di questi aspetti dell’opera di Filostrato Maggiore). Per l’uso del termine
dra'ma cf. Philostr. Maior II 7,2 (au|tai me;n ou\n ~Omhvrou grafaiv, to; de; tou' zwgravfou dra'ma),
II 9,2, II 10,1. Lo stesso Filostrato Minore, nel già citato proemio, attribuisce alla ceivr del pittore
il compito di uJpokrivnesqai ... to; oijkei'on eJkavstou dra'ma.
45
Per la datazione dei Dissoi logoi a inizio quarto secolo, si veda Robinson 1979, 34-41.
Sul passo citato a testo si vedano, tra gli altri, Rösler 1980, 311s. e Mureddu 1982/1983, 93s.
276 TELÒ

‘ingannevole’, ancorché hJdei'a, non importa se tragica o pittorica (o meglio, ecfrastica),


si trovano nella necessità di difendersi dalle accuse di chi diffida, o inviterà a
diffidare, delle loro opere. Un tono vagamente difensivo caratterizza, infatti, le
affermazioni proemiali di Filostrato (pw'" ouj yucagwgh'sai iJkano;n kai; aijtiva"
ejktov";), e un’evidente movenza accusatoria presenta la paregguvhsi" di cui Sofocle
– seppure non certo il più ‘mimetico’ dei tre tragici46 – sarà, secondo lo spettatore
dell’eijkwvn , il bersaglio. In questa accusa si rispecchia chiaramente, dunque, una
preoccupazione autoriale, e la figura del poeta tragico viene a caricarsi così di una
decisa valenza metatestuale.
Si è cercato di dimostrare la presenza nel testo di Filostrato di una ‘forma
dell’espressione’ platonica, ma, se si accoglie la proposta interpretativa avanzata
qui, si giunge a rinvenire tracce parimenti platoniche anche nella ‘forma del con-
tenuto’: non può, infatti, che essere ricondotta, in ultima analisi, allo stesso Platone
l’accusa al carattere intrinsecamente ingannevole della mimesi, in particolar modo
letteraria, e in primis tragica47 che è sottesa alla peculiare equiparazione melittomorfica
di Sofocle. In quest’immagine, vera e propria mise en abîme dei contenuti proemiali,
si proietta, dunque, l’ansia di autolegittimazione di una cultura, che trovando nella
mimesi letteraria – anzi in una doppia mimesi, nel caso specifico del genere ecfrastico48 –
l’unica autentica possibilità di esistenza cerca continuamente di riscattarne il valore
etico, prima che estetico, dal peso della condanna platonica49.

Pisa MARIO TELÒ

46
Secondo Lasserre 1967, 260 Sofocle sarebbe, tra i tre tragici, quello più parco, dal punto
di vista dell’opsis, di effetti mimetici. Come ha ben messo in luce Csapo 2002, 133s., la supe-
riorità ‘realistica’ che Aristotele sembra attribuire a Euripide rispetto a Sofocle in Poet. 1460b
34 non intacca comunque la statutaria vocazione mimetica di quello che il filosofo giudica il più
grande tragico, ma indica piuttosto la tendenza di quest’ultimo ad accogliere, diversamente dal
collega, «what was consistent with good taste or moral decency». La presenza di effetti scenici
fortemente mimetici è stata individuata, comunque, oltre che nella produzione satiresca (cf.
Zagagi 1999, 189-191, 194-198 sugli Ichneutai), nelle ultime tragedie di Sofocle (cf. in generale
Seale 1982, 18 e per un esempio concreto Telò 2001); intenti propriamente mimetici vengono,
poi, riconosciuti a questo poeta tragico da Easterling 1977, 126s. a proposito della caratterizza-
zione dei personaggi.
47
Per la celebre condanna platonica della mimesi artistica, e in special modo poetica nei
libri III e X della Repubblica (376e-398b 9, 595-608b 10), si vedano, tra gli altri, Murray 1996,
3-6, 28-30, Halliwell 2002, 37-71; sulla tragedia come bersaglio privilegiato della polemica
platonica cf. soprattutto Halliwell 1996, 341, secondo il quale, nell’orizzonte teorico platonico,
«tragedy will be the paradigm, however paradoxically, both of the limitation of mimetic poetry
to the ‘surfaces’ of life, and of poetry’s capacity to corrupt the mind by encouraging ethically
inappropriate responses to its dramatic images». La permanenza culturale della condanna plato-
nica del teatro in età ellenistica e postellenistica è illustrata da Hunter 2000 e Hunter 2002, 191ss.
48
Su questo punto cf. McCombie 2002, 152.
49
«Rescuing Mimesis» è significativamente il titolo di una sezione di Whitmarsh 2001, 57,
Sofocle, Socrate e gli ‘inganni’ della mimesi (Philostr. Iun. Imag. 13,3) 277

Abbreviazioni bibliografiche

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Bassi 1998 = K. B., Acting Like Men. Gender, Drama and Nostalgia in Ancient Greece, Ann
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