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Francesca Donnicola

DEFINIZIONI, TERMINOLOGIA SPECIFICA, NORMATIVA E SISTEMI DI


CLASSIFICAZIONE DSA e BES.

1.1 Parole in gioco: DSA, BES, PEI e PDP. Quali significati? Chiarificazioni

Molto spesso quando si legge un articolo, un referto o si è attenti ad ascoltare un discorso è


possibile inciampare in sigle e nomenclature di difficile interpretazione che rendono farraginosa la
comprensione di ciò che si legge o si ascolta.
L’utilizzo di acronimi è molto frequente nel settore scientifico, medico, politico, giuridico per
facilitare la comunicazione e lo scambio di informazioni tra esperti; tuttavia essere estranei ad un
linguaggio tecnico osteggia momenti e situazioni di conoscenza.
Negli ultimi decenni la nostra società – sempre più specialistica e settoriale – caratterizzata dalla
multiculturalità diffusa e dal plurilinguismo costante ha legittimato l’uso di un linguaggio
specialistico nei diversi ambienti della nostra vita. L’utilizzo di acronimi è un fenomeno che interessa
a tutto tondo i diversi aspetti del sociale e del quotidiano, non è rimasto un fenomeno circoscritto in
ambito lavorativo, ma è dilagato nell’ordinarietà interessando settori fino ad allora estranei.
Nel mondo della scuola italiana, ad esempio, è diventata consuetudine far riferimento al termine come
DSA, BES, PDP in maniera sempre più ricorrente esattamente da quando è entrata in vigore la Legge
n.170 del 2010 Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico e
di conseguenza, tali termini sono entrati nella vita di milioni di famiglie italiane le quali- molto
spesso- non hanno una conoscenza adeguata per interpretare e comprendere il framework a loro
consegnato, incontrando non poche difficoltà nel districarsi in situazione – spesso problematiche -
che coinvolgono i propri figli a scuola.
L’obiettivo in questa parte di lavoro è quello di chiarificare e spiegare il significato degli
acronimi più in uso nell’ambiente scolastico e clinico che fanno riferimento al mondo
dell’apprendimento e dei disturbi specifici ad esso correlati in età evolutiva, al fine di diminuire la
complessità e di consegnare ai lettori, anche meno esperti, una chiave di interpretazione chiara e
accessibile. D'altronde è dovere in nuce alla Pedagogia – in modo particolare alla Pedagogia Speciale
- essere garante dell’accessibilità e promuovere l’inclusione tout-court non solo in situazioni di
handicap o di svantaggio, ma come paradigma di riferimento che orienta ogni azione educativa. A
questo proposito è opportuno riportare il pensiero di Andrea Canevaro su come egli concepisce la
Pedagogia Speciale: «la risposta ai bisogni là dove si trovano, e non la risposta a bisogni raggruppati
in categorie»1.
È consuetudine radicata nella pratica clinica e nell’ambiente scolastico utilizzare l’acronimo
DSA per indicare i Disturbi Specifici di Apprendimento.
Con questo termine si fa riferimento ad un gruppo eterogeneo di disturbi di origine neurobiologica
dovuti ad un funzionamento atipico del Sistema Nervoso Centrale che comporta una serie di difficoltà
significative, circoscritte e specifiche nell’acquisizione e nell’uso delle abilità strumentali di lettura,
scrittura e calcolo in un quadro di normodotazione intellettiva e in assenza di patologie sensoriali, di
disturbi psichici e neurologici e deprivazioni socioculturali2.
Rientrano nella categoria DSA quattro forme di difficoltà evolutive specifiche identificabili
con i termini: Dislessia, Disortografia, Disgrafia e Discalculia; ciascuna con particolari e specifiche
manifestazione.
Con l’entrata in vigore della Legge n. 170/2010 Nuove norme in materia di disturbi specifici di
apprendimento in ambito scolastico (d’ora in poi Legge 170/2010) non si propone solo una
definizione precisa di DSA, ma –soprattutto- si normalizza il marasma legislativo in relazione alle
garanzie e ai diritti di alunni e studenti riconosciuti in DSA.
Grazie alla Legge 170/2010 si configurano gli obblighi degli istituti di formazione di ogni ordine e
grado in termini di tutela, inclusione, apprendimento e garanzie di successo scolastico e pari
opportunità formative per i ragazzi con Disturbi Specifici di Apprendimento e viene introdotto il PDP.
Questo termine sta ad indicare il Piano Didattico Personalizzato, ossia lo strumento che nasce per gli
studenti con DSA e che rappresenta un patto scritto e di intesa tra docenti, famiglia e istituzioni socio-
sanitarie atto a garantire il rispetto dell’articolo 2 della Legge 170/2010.
Il PDP è previsto dal Decreto Ministeriale n.5669 del 12 luglio 2011 che in allegato presenta le Linee
guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con Disturbo Specifico di Apprendimento.
Come previsto dalla normativa il PDP è obbligatorio per gli studenti che sono in una situazione di
difficoltà scolastica causata dalla presenza di un disturbo evolutivo specifico diagnosticato dal
Servizio Sanitario Nazionale o da uno specialista competente in ambito di DSA3.

1
A. Canevaro, Pedagogia Speciale. La riduzione dell’handicap, Edizioni Bruno Mondadori, Milano, 2000, p.3.
2
Cfr. C. Cornoldi (a cura di), Difficoltà e disturbi dell'apprendimento, Bologna, Il Mulino, 2009.
3
Cfr. Accordo tra governo, Regioni e Province autonome Bolzano del 25 luglio 2012 su “Indicazioni per la diagnosi e la
certificazione Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA)”.
Disposizioni transitorie per l’attuazione diffuse dalla Regione Puglia alle Politiche della Salute (prot. n. A00 152/0000353
del 9.01.2013), al sito: http://www.istruzione.it
Il PDP si presta ad essere uno strumento utilizzabile dalla scuola per programmare una didattica che
sia il più possibile funzionale alle modalità di apprendimento dell’alunno con DSA.
Tra le caratteristiche principali del PDP si annoverano: la flessibilità, la mutabilitità, l’adattabilità a
quello che lo stile apprenditivo del soggetto. In virtù delle caratteristiche appena indicate il PDP non
deve essere inteso come un mero elenco delle attività didattiche dalle quali si esonera il ragazzo, né
come una banale enumerazione dell’insieme degli strumenti compensativi, utilizzabili dall’alunno e
dall’insegnante, tecnologici e non.
Il PDP è un patto siglato tra famiglia e scuola per permettere le migliori opportunità di formazione,
come previsto ai sensi della legge; è anche un’opportunità didattica per tutta la classe perché – a
partire dalle esigenze specifiche di un singolo alunno- gli insegnanti sono chiamati a sperimentare
metodologie e percorsi di apprendimento innovativi da condividere con il gruppo classe per non
cadere in differenziazioni discriminatorie ed ottenere – al contrario – un risultato stigmatizzante per
l’alunno o, addirittura privilegiato, che creerebbe situazioni di esclusione sociali tra i pari.
Alle categorie DSA e PDP si aggancia un altro acronimo: BES. BES sta per Bisogni Educativi
Speciali.
La definizione è entrata in uso dopo l’emanazione della Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012
Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per
l’inclusione scolastica4.
Il termine BES è una definizione ombrello che comprende una macro-categoria di tutte le difficoltà
educative e dell’apprendimento. Viene introdotta ufficialmente in Italia attraverso la Direttiva 27
dicembre 2012 e la Circolare Ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013 Indicazioni operative alunni con
BES5, nella quale si definiscono dei suggerimenti operativi per insegnanti nelle cui classi esistono
situazioni che rientrano nella categoria appena descritta.
L’idea dei BES ha origini anglofone e risale al concetto di Special Educational Needs (SEN) ossia
all’insieme degli alunni che manifestano l’esigenza di una didattica personalizzata a causa di
difficoltà a conseguire l’apprendimento secondo normali6 procedimenti che, per una varietà di
circostanza, necessitano di una didattica e che agisca attraverso la prospettiva della Pedagogia
Speciale.
La categoria dei SEN anglosassoni è molto più ampia rispetto quella italiana, per gli inglesi rientrano
nei SEN i ragazzi che:

4
Per maggiori informazioni consulta: http://istruzioneer.it
5
Ivi.
6
Il termine normale va inteso nell’accezione gaussiana del termine, ossia: distribuzione che tende a concentrarsi attorno
ad un singolo valore medio, quindi come consuetudine, come ciò che si verifica con maggiore frequenza, e non –
ovviamente- come aggettivo discriminatorio.
[…] si trovano difficoltà di apprendimento generali e specifiche, difficoltà comportamentali,
emozionali e sociali, difficoltà di comunicazione e di interazione, difficoltà di linguaggio, disturbi dello spettro
autistico, difficoltà sensoriali e motorie, minorazioni uditive, minorazioni visive, altre difficoltà fisiche e
mediche7.

Sulla base della classificazione e dell’interpretazione data ai SEN in Inghilterra – come in altri Paesi
europei – si predilige ancora la frequenza di questi ragazzi in scuole speciali; l’Italia, al contrario, è
il primo Paese d’Europa che è dotato di una normativa che legifera e coordina l’integrazione di tutti
i BES all’interno delle scuole normali, garantendo il diritto all’apprendimento e al successo scolastico
attraverso differenti percorsi didattici e azioni educative.
Nella categoria dei BES – così come concepiti della normativa italiana- rientrano tre grandi sotto
categorie: le disabilità, i Disturbi Evolutivi Specifici8 e lo svantaggio socio-culturale, linguistico e
economico.
Ad ognuno di queste categorie, che insieme costituiscono l’area dello svantaggio scolastico, è
dedicato un preciso piano di intervento didattico atto a garantire un’adeguata risposta educativa e
didattica personalizzata.
Agli alunni ai quali è certificata una patologia - secondo la Legge 104/92 - è predisposto il
Piano Educativo Individualizzato (da ora in poi PEI) definito anche progetto di vita, mentre per tutti
gli altri alunni e studenti è predisposto il PDP, ma non in maniera universale bensì con eccezioni che
si spiegheranno nel corso del lavoro.
L’idea del PEI come progetto di vita nasce dalla concezione che l’apprendimento è correlato agli
aspetti sociali e riabilitativi della persona nella sua interezza e globalità. Questa formula supera l’idea
dell’apprendimento come nozione didattica e abbraccia la prospettiva costruttivista di matrice
moriniana9 che lo interpreta come processo e produzione di cambiamento, inteso come evoluzione
positiva.
Ecco che il PEI – alla stregua del PDP – è uno strumento educativo della scuola e per la scuola, redatto
in collaborazione multi professionale con la famiglia dell’alunno e i servizi socio-sanitari che lo
hanno in carica, affinché sia la scuola a realizzare il processo di inclusione e si faccia garante della
formazione in termini di democraticità, ossia: stessi diritti per tutti gli studenti, che in altre parole

7
Department of Education and Skills, Special Educational Skills. Code of practice, Londra, DES, 2001.
8
Nei Disturbi Evolutivi Specifici rientrano: i disturbi specifici dell'apprendimento; i deficit del linguaggio e delle abilità
non verbali; quelli della coordinazione motoria, e dell'attenzione e dell’iperattività (conosciuti come ADHD-
nell’accezione inglese o DDAI in quella italiana); il Disturbo del comportamento (disturbo oppositivo provocatorio DOP,
disturbo della condotta) ed infine il Funzionamento cognitivo limite.
9
Cfr. E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero nel tempo della globalizzazione,
Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000.
diventa: possibilità per tutti gli alunni di esprimersi e di formarsi secondo le proprie potenzialità e
caratteristiche individuali.
Nel PEI vengono descritte e definite le azioni e gli interventi didattico-educativi atti a garantire il
diritto all’educazione, all’istruzione e alla scolarizzazione degli alunni con disabilità così come
sancito dalla Legge 104/92, in una rapporto di sinergia lavorativa multiprofessionale.
Si parte dall’analisi dei referti clinici e diagnostici prodotti dagli operatori delle unità sanitarie,
osservazioni degli insegnanti atte a segnalare le capacità e i punti di forza propri di quell’alunno
specifico; tutto ciò congiuntamente al contributo genitoriale teso a garantire uno sviluppo e
un’evoluzione olistica positiva della persona nella sua interezza.
Imprescindibili a questo punto sono le documentazioni prodotte da ciascuna figura
professionale coinvolta nell’educazione e nella salute dell’alunno disabile, in particolar modo la
Diagnosi Funzionale (DF) è il primo strumento che opera da starter per la corretta elaborazione del
PEI, documento che si presta ad essere la cornice di riferimento che descrive il funzionamento
generale dell’alunno.
La DF - come analisi delle componenti di funzionamento - è redatta seguendo il Sistema
Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) dell’Organizzazione
Mondiale della Salute (OMS) redatto nel 2001 da WHO, e che è diventato rapidamente in Italia la
modalità standard per comprendere, inquadrare e comunicare gli stati di funzionamento della
persona. La descrizione dell’alunno secondo il modello ICF permette di inquadrarlo in una
prospettiva bio-psico-sociale tenendo in considerazione il network globale costituito da numerose
variabili interconnesse in maniera complessa.
Se l’intera giurisprudenza italiana fino ad ora esaminata si è rivelata attenta alle esigenze degli
alunni con disabilità, essa mostra ancora notevoli incertezze e punti d’ombra sui diritti dell’ultima
categoria analizzata: i BES.
Gli alunni con BES che non sono né affetti da patologia, né hanno un Disturbo Specifico di
Apprendimento - pertanto non sono tutelati dalla Legge 104/92 o dalla 170/2010- non ricevono
garanzie particolari poiché il PDP è facoltativo e diventa una discrezione del Consiglio di Classe dei
docenti.
L’integrazione a scuola diventa suscettibile alla responsabilità della comunità educante scolastica ai
sensi del DM 27/12/2012 e del CM 8/2013.

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