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A

Amedeo Postiglione
Diritti dell’uomo nell’Islam
Aracne editrice

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Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale

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via Vittorio Veneto, 


 Canterano (RM)
() 

 ----

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,


di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopie


senza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: maggio 


Indice

 Premessa

 Capitolo I
Una breve cronologia dell’Islam
.. Le origini,  – .. La esclusività religiosa come fatto politico, 
– .. La necessità di una guerra “santa” contro i nemici,  – .. Il
concetto di Jihad,  – .. La funzione di luogotenenza di Allah sulla
terra,  – .. Le origini dello scisma sciita,  – .. Le esperienze
dei Califfati generali e regionali,  – .. Le Crociate,  – .. L’arresto
dell’avanzata musulmana ed il lento declino,  – .. Il risveglio islamico
a carattere nazionalistico e religioso,  – .. Il sogno del Califfato,  –
.. Le Primavere arabe ed i diritti umani,  – .. L’evoluzione radicale
della cultura islamica quale ostacolo ai diritti umani,  – .. Jihad
puntuali, locali e globali,  – .. Le responsabilità religiose e politiche
del fondamentalismo wahhabita,  – .. Le Organizzazioni islamiche
internazionali, .

 Capitolo II
La comparsa dei diritti umani su base universale e regionale
.. Le fonti,  – .. Le caratteristiche principali dei diritti umani, .

 Capitolo III
I documenti islamici sui diritti umani
.. L’originaria posizione di prudenza o riserva verso la Dichiarazione
Universale del ,  – .. I principali documenti islamici sui diritti
umani,  – .. Le Costituzioni nazionali dei Paesi islamici ed il recepi-
mento dei diritti umani,  – .. Il difficile rapporto politica–religione ed
i diritti umani nell’Islam,  – .. Il difficile rapporto politica–religione
e i diritti umani anche nella civiltà occidentale, .


 Indice

 Capitolo IV
Aspetti problematici dei diritti umani nell’Islam
.. Universalità e reciprocità,  – .. Fondamento,  – .. Libertà
di pensiero e religione,  – .. Ruolo della donna,  – .. Rapporto
musulmano–non musulmano,  – .. Omosessualità,  – .. Ricono-
scimento di Israele, .

 Capitolo V
Il diritto umano alla pace nell’Islam
.. Pace come diritto umano e ripudio della guerra,  – .. La pace
nell’Islam,  – .. L’esperienza storica,  – .. Jihad tradizionale e
nuovo Jihad in un mondo globalizzato,  – .. La strategia dell’Isis
dal ,  – .. L’attacco terroristico agli Usa dell’ settembre ,
quale emblema del Jihad globale,  – .. La guerra del Jihad continua al
presente,  – .. La mancata risposta politica della Comunità internazio-
nale,  – .. La risposta culturale richiede tempo,  – .. I fondamenti
religiosi comuni contro la violenza,  – .. Necessità di un’autocritica
dell’Islam storico e di quello attuale,  – .. Misure contro terrorismo
e radicalizzazione, .

 Capitolo VI
Il diritto umano allo sviluppo ed all’ambiente nei documenti isla-
mici
.. I primi documenti islamici,  – .. La carta araba sui diritti uma-
ni,  – .. La natura nella cultura araba,  – .. Le prossime sfide
ambientali per l’Islam,  – .. Il diritto umano all’ambiente nelle
Costituzioni islamiche, .

 Capitolo VII
La situazione attuale a livello politico

 Capitolo VIII
Conclusioni

 Capitolo IX
Proposte per una riforma
.. Ruolo della interpretazione,  – .. Creatività della giurispruden-
za,  – .. Dialogo tra religioni e culture,  – .. Una Carta per
Indice 

la vita sulla Terra,  – .. Diritto allo sviluppo,  – .. Diritto alla
pace,  – .. Diritto alla ricerca pacifica della vita nello spazio, .

 Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo

 Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam

 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo

 Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

 Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali

 Memorandum dell’Arabia Saudita alle N.U. sui diritti dell’uomo


nell’Islam

 Conclusioni e raccomandazioni del Convegno di Kuwait City


Premessa

Per comprendere il senso e la direzione degli attuali fenomeni globali


che interessano la vita stessa dell’ecosistema terreste, cioè la nostra
casa comune, una delle analisi può avere per oggetto i diritti umani:
domandarsi quale ruolo essi possano avere oggi appare opportuno. A
fronte dei mutamenti climatici che destano un reale allarme non solo
nel mondo scientifico e nella società civile ma anche nelle istituzioni
— come è emerso nella Conferenza O di Parigi del  ed in quella
di Marrakesh del  — ci si domanda se per sostenere la nuova
economia non più fondata sulle energie di origine fossile non sia
necessario inaugurare una stagione dei doveri umani, dando un senso
più forte ai diritti umani già acquisiti .
La universalità ed unitarietà di questo fenomeno globale coinvolge
ormai tutti i popoli e tutti i continenti e la risposta in termini di
diritti–doveri umani per essere efficace non può che essere comune,

. L’Accordo di Parigi (C) — confermato a Marrakesh in occasione della C,


nel novembre  — coinvolge tutti gli Stati del Pianeta. Esso è entrato in vigore il 
novembre  a seguito del deposito alle Nazioni Unite delle ratifiche necessarie previste,
comprese U, U e Cina. Preme sottolineare realisticamente che il ° Rapporto I delle
Nazioni Unite del  sul mutamento climatico in atto è davvero molto allarmante e svela
una “verità ecologica” difficile da accettare. Si tratta però di una sequenza di ricerche e
verifiche interdisciplinari di larga parte della cultura scientifica. Una conferma drammatica
è arrivata dal W–World Metereological Organization per il , anno record per il riscal-
damento dell’atmosfera ( parti per milione, più , rispetto al ). Poiché il mutamento
climatico mette in pericolo il valore supremo della vita nella biosfera, secondo uno dei
principi del diritto internazionale dell’ambiente (principio di precauzione), riteniamo che
occorre intervenire pur se mancasse una assoluta certezza scientifica: la verità ecologica
della scienza deve accompagnarsi al dovere giuridico di responsabilità di tutte le istituzioni
ed ovviamente ad un’etica nuova della società civile e del mondo economico. Nel mondo
economico a cominciare da quello tedesco inizia la grande fuga dalla C. Per ulteriori
informazioni, v. A. P, Accordo di Parigi sul clima del , nel sito Lexambiente.it.
Si segnala che il  ottobre  a Kigali, in Ruanda,  Paesi si sono impegnati ad interdire
gli idrofluorocarburi (H) che pur non attaccando lo strato di ozono, contribuiscono al
riscaldamento climatico e ad aumentare l’effetto serra: si tratta di gas molto diffusi usati nei
frigoriferi, condizionatori d’aria, aerosol. Si tratta di un accordo vincolante giuridicamente,
che integra il Protocollo di Montreal sui clorofluorocarburi(C) del .


 Premessa

partendo dall’idea che anche l’ambiente rientra a pieno titolo nei


diritti–doveri umani.
Questa considerazione vale anche per gli altri fenomeni globali
collegati: perdita della biodiversità terrestre, crisi dell’acqua e del cibo
in vastissime aree del pianeta, desertificazione e degrado botanico dei
suoli, alterazione degli equilibri degli oceani, persistenza di squilibri
socio economici eccessivi in un mondo globalizzato significativamente
colpito da una crisi persistente finanziaria ed economica.
Ogni analisi sui diritti umani nel mondo richiede anzitutto il rico-
noscimento dei “fatti” che integrano la cosiddetta globalizzazione e
non solo la comparazione tra sistemi giuridici e politici in astratto.
Nella realtà di oggi la comunità umana è caratterizzata dalla mobilità
del danaro che si accompagna alla mobilità dei popoli, cioè a fenomeni
strutturali di vaste migrazioni dai continenti meno sviluppati come
Africa e parte dell’Asia. La categoria dei diritti–doveri umani, toccando
in profondità la dignità di ogni persona umana e dei popoli, può svolge-
re un ruolo positivo in questo mondo globalizzato attraversato da tante
tensioni, se riesce a dimostrare la sua utilità nella ricerca di un’etica
comune condivisa del vivere insieme e se riesce a fornire motivazioni
adeguate all’attività umana nell’affrontare in concreto le sfide presen-
ti. I diritti umani sono non solo sintesi giuridico–politico–culturali
acquisite ma anche processi dinamici di reciproca integrazione che
si definiscono storicamente. L’evoluzione culturale, sociale e politica
dei diritti umani non è stata facile e ha dovuto superare molti osta-
coli, spesso costati lacrime e sangue . Altri ostacoli non meno gravi
sono davanti a noi perché in un mondo globalizzato occorre conci-
liare universalismo e particolarismo in una dimensione condivisa di
“universalismo concreto” a servizio dell’uomo concreto e di tutti i
popoli.

. La “crisi” dei diritti umani di cui spesso si parla non deve scoraggiare, se il termine
viene inteso nel senso della etimologia greca, perché la maturazione dei diritti umani
nasce anche dal dolore dei fallimenti e da terribili esperienze vissute, che non arrestano il
processo essenziale per l’avvenire umano. In greco, “crisis” deriva dal verbo “krino”, che
significa separare, cernere, discernere, giudicare, valutare, scegliere e quindi passare da
una situazione ad un’altra ritenuta più favorevole. Campi di concentramento nazisti, gulag
sovietici, regimi sanguinari, genocidi, distruzioni di identità etniche e religiose, distruzioni
intenzionali anche di beni culturali, terrorismo. . . sono l’altra faccia di reali situazioni di
crisi, che dimostrano la inadeguatezza degli attuali sistemi di protezione dei diritti umani
nel mondo, ma anche la loro necessità.
Premessa 

Con riferimento al nostro tema, incentrato sui diritti umani nel-


l’Islam, si può osservare preliminarmente che nell’ultimo periodo la
cultura islamica, accanto a positive aperture, registra segnali di resi-
stenza ad una visione condivisa di universalità e reciprocità dei diritti
umani fondamentali.
Per meglio comprendere e spegnere i germi della “violenza” in radi-
ce (che costituisce la spinta morale e culturale del presente contributo)
può essere utile approfondire la visione dei diritti umani nell’Islam e
verificare se da questa sponda possano emergere motivi di speranza.
Contestualmente, sia pure per grandi linee, sembra corretto porsi
il problema dei diritti umani anche con riguardo all’Occidente ed ai
nuovi Paesi emergenti (es. Cina, India, Brasile), per ricercare insieme i
motivi di condivisione di una cultura più forte veramente universale .
Sembra a noi che tutte le culture debbano essere capaci di un
confronto positivo, ricercando i punti in comune e soprattutto rispon-
dendo concretamente alle fide globali sopravvenute, compresa quella
nuova ambientale.
Si è ben consapevoli che parlare dei diritti umani nell’Islam non è
facile, perché la materia è politicamente “sensibile”, ma se si parte dal
principio di verità e obiettività, esponendo la propria opinione, può
essere utile affrontare il tema, con qualche esito positivo. La materia è
anche molto complessa, riservata a specialisti, ma questo costituisce
un motivo in più per impegnarsi a capire, posto che i diritti umani
sono un bene comune.
Dopo un breve inquadramento generale (necessariamente somma-
rio) sull’evoluzione storica dell’Islam, il presente contributo sottolinea
anzitutto che nel mondo culturale, giuridico e politico islamico la
via della promozione dei diritti umani, come già accennato, è stata
avviata, anche se persistono aspetti problematici rispetto alla nozione
universalmente condivisa .
. Una bibliografia sui diritti umani nell’Islam è ampiamente contenuta nel volume
L’Islam ed il dibattito sui diritti umani, a cura di A. P, Fondazione “Giovanni Agnelli”,
Torino ; e E. J. S, An introduction to Islamic Law, Oxford Clarendon Press, .
Interessante è anche il sintetico contributo del gesuita M. S, L’Islam e i diritti umani,
in « La Civiltà Cattolica »,  novembre . Una preziosa fonte di informazione si ritrova
da vari anni nella « Rivista Islamochristiana » del P (Pontificio Istituto di Studi Arabi e di
Islamistica), con sede a Roma. Vedi soprattutto il vol. n.  del , Droits de l’homme\Human
Rights.
. La questione di fondo con riferimento ai diritti umani nell’Islam rimane quella, co-
 Premessa

Un nucleo forte comune dei diritti umani si va, dunque, consolidan-


do nel mondo intero globalizzato ed abbraccia non solo i diritti civili
e politici e quelli economici, sociali e culturali, ma anche nuovi diritti
individuali e collettivi di solidarietà come pace, sviluppo e ambiente.
Questo è un dato di partenza positivo.
Sono da chiarire e spiegare le principali difficoltà nel mondo islami-
co che, a nostro parere, riguardano il fondamento giuridico dei diritti
umani su base laica e un più accettabile equilibrio con i valori etici e
religiosi, il ruolo delle donne, la libertà religiosa (compreso il diritto
di cambiare religione o di professarne una diversa), il ripudio della
violenza in qualsiasi forma.
Tuttavia è necessario uno sguardo unitario ed equanime anche
verso l’occidente, perché in un mondo globalizzato anche la conce-
zione troppo individualista e relativista dei diritti umani è oggetto di
un acceso dibattito (edonismo eccessivo, ruolo della famiglia, unioni
civili ed adozioni da parte di coppie omosessuali, aborto, eutanasia,
idolatria del denaro, liberalizzazione della droga, consumismo, di-
sparità inaccettabili socio–economiche e carenza di vera solidarietà,
mancata tutela dei beni comuni, scelte non sempre precauzionali su
temi bioetici, manipolazioni genetiche, ecc.).
Anche il mondo occidentale è chiamato dunque ad un esame di
coscienza in relazione a “tutti” i diritti vantati. Non si possono co-

me si vedrà, della loro “universalità”. Come è noto, questo principio ispira la Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite del , che per questo si intitola
in tal senso. Aveva ragione il Segretario delle N.U., Kofi Annan, a sottolineare con forza
e coraggiosamente questo principio nel novembre , a Teheran, in occasione di una
Conferenza Islamica: egli sostenne che non ha senso parlare di “diritti islamici dell’uomo”,
posto che i diritti umani come tali sono universali per natura attenendo tutti alla stessa
dignità umana di ogni persona. In verità, realisticamente, si deve tenere conto che ancora
oggi, almeno per alcuni diritti umani, esistono diverse visioni culturali e giuridiche. Non
si può sfuggire ad una certa politicizzazione. La visione delle Nazioni Unite avrebbe un
carattere troppo “occidentale” e non terrebbe conto adeguatamente dei “valori asiatici” (v.
Conferenza degli Stati asiatici, marzo ). Analogamente il continente africano tende a
valorizzare i “valori africani” che includono non solo i diritti individuali ma anche quelli
collettivi dei popoli (v. Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli del ). Alle diffe-
renze culturali, etniche e religiose si aggiunge una preoccupazione socio–politica di fondo:
attribuire priorità allo sviluppo (diritto umano allo sviluppo) da parte di popoli che hanno
sperimentato la colonizzazione occidentale e che rivendicano la loro autonomia dopo la
Seconda Guerra Mondiale. La globalizzazione intervenuta con relativi spostamenti biblici
da interi continenti di popolazioni rende ancora più attuale il tema della “universalità” dei
diritti umani.
Premessa 

struire diritti sulla base di mode od esigenze non di vero sviluppo


umano. Tanto meno si possono invocare diritti senza correlativi dove-
ri. Sembra soprattutto pertinente domandarsi se la violenza (distinta
dalla normale dialettica democratica) giovi o meno alla promozione
dei diritti umani. Dobbiamo oggi cercare di comprendere perché la
violenza nel mondo islamico, nonostante i ripetuti tentativi di dialogo,
anziché diminuire sia andata crescendo durante le ultime generazioni
e se si tratta di un fenomeno solo politico od anche “religioso”.
Sembra a noi che il metodo per una risposta debba essere inte-
grale, guardando all’Islam con rispetto e rigore nella sua unitarietà,
compresa la vita concreta di milioni di persone, sotto il profilo stori-
co, politico, sociale, economico, educativo, istituzionale e soprattutto
religioso–culturale identitario.
La riflessione del presente contributo si incentra soprattutto sul
tema della violenza nell’lslam, che alla luce delle terribili esperienze di
terrorismo e fondamentalismo (I, Boko Haram ed altri movimenti
Jhiadisti), rischia di compromettere il percorso dei diritti umani.
Si sollecita una riforma più radicale della cultura islamica, nel senso
di un rifiuto assoluto della violenza (riforma peraltro auspicata chiara-
mente da alcune componenti religiose e culturali dello stesso mondo
islamico ). È, infatti, inconcepibile immaginare di poter imporre una
cultura identitaria forte o addirittura violenta (ma solo di una parte
della popolazione mondiale), ad altri sette milioni di esseri umani
contro la volontà di questi .

. La stessa « Rivista Islamocristhiana », n. del , del P — Pontificio Istituto di
Sudi Arabi e d’Islamistica — si pone analoga domanda nella introduzione in relazione ai
rapporti tra cristiani e musulmani pur dopo le aperture  anni fa del Concilio Vaticano 
con la Dichiarazione Nostra Aetate : « non seulement rien n’est changé dans les rapports
entre chretiens et musulmans, bien au contraire les positions se sont radicalisées », almeno
con riguardo ai mezzi di comunicazione sociale ed agli eventi tragici registrati in Medio
Oriente ed Africa settentrionale e sub–sahariana.
. Fra gli intellettuali musulmani riformisti, si ricordano tra gli altri: Mohammed Talbi,
Muhammad Al–Asmawi, Abdullahi an–Na’im, Mohamud M.Taha, Kaled Fouad Allam,
Muhammad Arkoun, Mahamud Ayoub, Akbar Ahmed, Hamida al–Nayfar,Ali Merad, Fu’ad
Zakariya e per alcuni profili l’iraniano Hossein Mehrpour.
. Così lo stesso Presidente egiziano Al Sisi che, in una nota dichiarazione pubblica,
il // nella Università di Al–Arhar del Cairo ha chiesto una riforma forte dell’Islam
per combattere il terrorismo ed ha detto ai religiosi islamici di essere « responsabili di
condurre il discorso religioso in armonia con lo spirito del tempo ». Successivamente su
iniziativa religiosa del rettore dell’Università di Al Azhar e del Governo egiziano vi è stata
 Premessa

Un mondo più rispettoso dei diritti umani individuali costituisce


una grande opportunità, un vero e proprio tesoro della vita moderna,
di cui essere fieri. L’ecumene (e la vita della Terra in essa) ha bisogno
sì del contributo dei valori umani e religiosi, come un dovere di
servizio al bene comune universale, ma senza esclusività, con il giusto
riconoscimento della propria identità di popoli diversi.
Il percorso dei diritti umani ha ancora bisogno del contributo dei
valori religiosi nel senso di un dovere di servizio al bene comune
universale compreso quello della costruzione della pace: un sentimen-
to comune di appartenenza, un ethos condiviso su base universale
devono poter trovare nelle varie religioni e culture non “ostacoli” ma
un terreno propizio di sviluppo . Non a parole ma sul piano teorico
e nei fatti, occorre dimostrare l’assoluta estraneità ed il ripudio della
violenza in qualsiasi forma: questo è il presupposto di ogni dialogo
serio.

una prima applicazione di questa richiesta nella Conferenza di Grozny in Cecenia (Russia),
tenutasi dal  al  agosto , alla quale hanno partecipato oltre  personalità sunnite
che hanno escluso il Wahabismo dalla comunità sunnita, perché sostenitore di “concetti
falsi ed ambigui”.
. Forse anche in relazione alla strumentalizzazione della religione islamica ad opera di
I, una parte della cultura laica tende a considerare tutte le religioni monoteiste colpevoli
di intolleranza. Si sostiene che rispetto al politeismo antico (implicante l’accettazione
paritaria di culti diversi), il primo comandamento della legge mosaica (« Non avrai altro
Dio fuori di me »), avrebbe inaugurato una sorta di guerra santa del Dio unico rispetto
agli altri dei. Cristiani e Musulmani avrebbero continuato la tradizione monoteistica,
recependo il medesimo principio di esclusività e quindi di violenza. Bisogna riconoscere
che storicamente le religioni monoteiste hanno dato luogo ad eccessi e violenze (anche nel
loro seno es. cattolici e protestanti; sciiti e sunniti), ma appare problematica la visione di
un mondo antico privo di violenza perché “politeista”. Tra religioni monoteiste esistono
poi differenze fondamentali proprio sul tema della violenza nei relativi testi sacri: Gesù
non solo chiarisce che l’antica legge si riduce ad un unico principio di amore di Dio e del
prossimo, ma testimonia la non violenza anche sulla croce. Pur nel rispetto di opinioni
sostanzialmente atee (es. M. O, Trattato di ateologia, Fazi editore,  ed il più recente
Décadence, Flammarion, ; J. A, Non avrai altro Dio, Il Mulino,  ; M. A,
Le tre parole che cambiarono il mondo, Cortina, ) sembra a noi preferibile valorizzare il
contributo positivo dato dalle religioni monoteiste allo sviluppo umano. Contro le visioni
dissacranti, si può constatare che il sacro accompagna dovunque la storia dell’umanità,
anzi assistiamo ad un suo riemergere in relazione all’individuo “globalizzato” per dare
senso alla vita: comunque il vero senso religioso si oppone ad ogni proselitismo violento.
Diverso discorso riguarda l’autonomia della scienza rispetto alle religioni che si traduce nel
riconoscimento del valore della ragione nella ricerca della natura e dell’universo, un valore
che di per sé non si oppone a Dio.
Capitolo I

Una breve cronologia dell’Islam

.. Le origini

Senza alcuna pretesa di completezza, considerata la vastità e complessi-


tà della materia, si propone anzitutto un breve quadro della evoluzione
dell’Islam , solo allo scopo di definire meglio l’oggetto della presente
ricerca. Si tratta di alcune linee generali.
Islam è un termine arabo che significa “sottomissione” ad un unico
Dio, denominato Allah.
Nella realtà non è solo un movimento religioso, ma una civiltà con
propri valori politici, giuridici, sociali e culturali, che si diffonde nello
spazio oltre l’originaria penisola arabica. Quando nasce Maometto
nella Mecca, (zona costiera occidentale della penisola arabica, lungo la
linea carovaniera che conduceva alla Siria e Mesopotamia verso nord
ed allo Yemen ed Etiopia verso sud), era l’anno .

. Lo storico inglese A. J. T, ne Il Racconto dell’Uomo, Garzanti, , descrive


l’evoluzione storica dell’Islam nella comparazione con altre civiltà a partire dalle origini.
Viene tratteggiata la figura di Maometto, profeta ed uomo di Stato (– d.C.), l’espan-
sione dello Stato islamico con i Califfi Abu Bakr, Omar, Hotman, la scissione religiosa e
politica del movimento sciita a seguito della uccisione del quarto Califfo, Alì, genero di
Maometto ed anche del figlio Hussein. Sono descritte le vicende dell’Impero ottomano con
i Califfati di Damasco e di Bagdad, le ulteriori conquiste fino alla occupazione di Costanti-
nopoli e la successiva lenta decadenza fino alla prima guerra mondiale, lo scioglimento
dell’impero turco e la nascita di una Turchia su basi nazionalistiche e più laiche (Ataturk).
La vicenda degli Sciiti è ben descritta nel recente volume: A. S, L’Islam contro l’Islam.
L’interminabile guerra tra Sunniti e Sciiti, Damiani editore, Viadana (M) . Su un piano
diverso, v. S. P. H, Lo scontro di civiltà ed il nuovo ordine mondiale, Garzanti,  e
B. L con le sue numerose pubblicazioni sul ruolo dell’Islam rispetto all’Occidente, tra
cui, Il linguaggio politico dell’Islam, Laterza, ; La costruzione del Medio Oriente, Laterza,
; I Musulmani alla scoperta dell’Europa, Rizzoli, . Fra le opere a carattere generale:
F. G, Maometto e le grandi conquiste arabe, Il Saggiatore,  e W. M. W, Breve
cronistoria dell’Islam, Il Mulino, .


 Diritti dell’uomo nell’Islam

L’Impero Romano di Occidente era già caduto ( d.C.) sotto la


spinta di varie popolazioni barbariche, mentre era in vita l’Impero Ro-
mano d’Oriente, con capitale Costantinopoli e l’impero persiano (che
si erano indeboliti reciprocamente per un conflitto militare recente).
È significativo che mentre il Cristianesimo si era diffuso per tre secoli
nell’ambito di una realtà politica strutturata esistente, formalmente
non contestata nella legittimità (l’Impero Romano), la nuova religione
islamica ha avuto bisogno di creare ex novo una entità politica propria
ed una forza militare contro i possibili nemici.
La penisola araba era rimasta per secoli ai margini dei grandi
imperi: per le sue caratteristiche fisiche e la presenza del deserto, era
caratterizzata prevalentemente da nomadismo tribale, da una esigua
rete di commercio e da pochi centri sedentari tra cui La Mecca, ove
esisteva una fonte di acqua perenne ed un luogo di culto politeista
intorno alla Kaaba (la pietra nera).

.. La esclusività religiosa come fatto politico

Maometto — a differenza di Gesù che aveva distinto il suo regno spiri-


tuale da quello politico: « date a Cesare quel che è di Cesare » (Matteo,
, –); « il mio Regno non è di questo mondo » (Giovanni , –)
— oltre che profeta, è uomo di Stato, che copre uno spazio di molte
tribù disperse dell’Arabia, unificandole in senso politico–religioso.
La “esclusività religiosa” fu considerata anche una necessità politica
e questo spiega il massacro degli ebrei di Yathrib (Medina), che non
accettarono la conversione all’Islam (come non avevano accettato
quella al Cristianesimo). Fu Maometto stesso ad ordinare questo
massacro.

Rapina, guerra e massacro furono alcuni dei sistemi con i quali Maometto
portò l’Islam alla vittoria. Gli stessi delitti erano stati compiuti anche dai
Cristiani e, in misura minore, perfino dai Buddhisti e analoghe imprese
vengono attribuite, nelle scritture ebraiche, a Mosè e a Giosuè. Ma almeno i
fondatori del Buddhismo e del Cristianesimo non avevano offerto essi stessi
ai loro seguaci il cattivo esempio ».

. A. J. T, Il racconto dell’uomo, op. cit.


. Una breve cronologia dell’Islam 

Le tre tribù ebraiche di Medina non avevano combattuto una guer-


ra contro Maometto, ma avevano la colpa di non avere aderito all’I-
slam: esse furono accusate di avere “complottato” con gli idolatri (che
governavano La Mecca e avevano costretto il profeta a fuggire); due
furono costrette all’esilio (nel ) ed una fu massacrata (nel ) con
lo stesso rito dello sgozzamento degli infedeli, ripreso dai fondamen-
talisti recenti. Allah stesso combatterebbe al fianco di Maometto (v.
sure n.,; ,; ,; ,; ,), come peraltro aveva fatto Jahvè con il
popolo ebraico che, dopo la fuga dall’Egitto, cercava una nuova terra
a Canaan.

.. La necessità di una guerra “santa” contro i nemici

Ma mentre il Dio degli Ebrei aiutava un singolo popolo a trovare una


propria identità in uno spazio limitato ed in un preciso contesto tempo-
rale, nell’Islam la guerra “santa” diventava strutturale e permanente,
con una potenzialità negativa pericolosa, trattandosi di “religione” a
proiezione universale (v. sure ,; ,; ,; ,; ,; ,; ,; ,;
,; ,; ,; ,; ,; ,; ,; ,; ,; ,; ,; ,; ,;
,; ,; ecc.).

.. Il concetto di Jihad

Il Jihad (termine complesso e controverso) non è solo uno “sforzo


interiore” individuale, contro il male morale, ma diviene un dovere
collettivo di contribuire all’edificazione della crescita della comunità
islamica nel concreto contesto storico, a certe condizioni con l’uso
anche della forza, una “guerra santa” verso i nemici (ebrei, cristiani
o altri), che può assumere forme diverse nelle varie epoche storiche,
con periodi pacifici di tolleranza e tranquillità. È in questa accezione,
ma senza generalizzare, che il termine è assunto nel presente scritto,
con riferimento alle forme molto gravi del moderno fondamentali-
smo violento ed alle relative coperture economico–politiche: il Jihad
contemporaneo cerca legittimità nella religione, sia pure male inter-
pretata, sicché l’estremismo islamico prevale su una visione “politica”
 Diritti dell’uomo nell’Islam

equilibrata rispetto alle altre culture e si mette contro la filosofia dei


diritti umani.

.. La funzione di luogotenenza di Allah sulla terra

La funzione “vicaria” di Allah svolta da Maometto, viene puntual-


mente assunta dai successori eletti dalla prima comunità, Abu Bakr
( – ), Omar, ( – ), Othman ( – ), che travolgono
l’Impero Persiano (anno ), parte dell’Impero Bizantino (Siria e
Palestina nel ; Gerusalemme nel ; Egitto nel ) e tutta l’Africa
Settentrionale, (dal  al ) cioè aree e popolazioni esterne all’A-
rabia, in una impressionante serie di rapide conquiste (ottenute sia
militarmente che per adesione). Sono chiamati “Califfi”, nel senso di
una “luogotenenza” religioso–politica rispetto ad Allah.

.. Le origini dello scisma sciita

Il quarto Califfo Alì ( – ) — patrocinatore di un movimento a


sfondo più religioso — contesta il nascente Califfato di Damasco degli
Omayyadi, pretendendo che il ruolo di Califfo passi ai figli Hassan
e Hussein, ma viene ucciso, dando vita ad una guerra fratricida che
tuttora continua (Sunniti, da Sunna, cioè la pratica di vita abituale del
Profeta, e Sciiti, fazione minoritaria “partito di Alì”, che si riteneva
unico legittimo successore di Maometto in quanto cugino e genero
del Profeta secondo un criterio non di elezione, ma di legittimazione
ereditaria). L’idea del “martirio” si radica negli Sciiti fin dall’inizio
per una diretta esperienza storica. I Sunniti sono oggi circa il  per
cento dei seguaci di Maometto, mentre gli Sciiti raggiungono poco
più del  per cento (soprattutto in Iran, ed, in percentuali minori,
in Iraq, Libano,Yemen, Bahrein, Siria, Afghanistan, Pakistan, Kuwait,
India e nella stessa Arabia Saudita). Tra gli Sciiti è importante la figura
dell’Iman (diversa da quella di Califfo): il ° Iman, cioè Mohammed
al Mahdi, sarebbe scomparso misteriosamente nell’ per sfuggire
alla persecuzione ed alla morte e se ne attende il ritorno in una visione
apocalittico–messianica.
. Una breve cronologia dell’Islam 

.. Le esperienze dei Califfati generali e regionali

Le esperienze dei grandi Califfati della prima fase storica (Omayyade


di Damasco in Siria, dal  al , con prevalenza della componente
etnica e culturale araba e Abbasside di Bagdad in Iraq, dal  al 
— epoca della invasione mongola — caratterizzata dalla componente
iranica) raggruppavano popoli diversi ed avevano carattere accentrato
con un potere che si auto legittimava nella sua dinastica continuità.
Altre esperienze di Califfato riguardarono poi alcune aree dell’India
(impero timuride o mogol), parte della Spagna (fino al  ,caduta di
Granada), l’Egitto (dinastia fatimide) e soprattutto l’impero ottomano
dei Turchi che si affermò gradualmente in Anatolia e poi conquistò
Costantinopoli (dal  al ).
Vanno riconosciuti gli innegabili aspetti positivi della civiltà islami-
ca nel campo della scienza e della cultura (l’astronomia ed il nome di
molte stelle scoperte, i numeri e la matematica, l’algebra, la medicina
ed Avicenna, la filosofia ed Averroè, la poesia, l’arte, l’architettura ed
il ruolo di conservazione del patrimonio classico, nonché una tolleran-
za reale verso Ebrei e Cristiani sia pure nella posizione subordinata
di “dhimmi”, con pagamento della decima). I grandi Califfati hanno
riguardato vaste aree che oggi si direbbero entità sovranazionali ed
hanno avuto un modello di governo centralizzato, ma con una artico-
lazione locale più o meno autonoma, con il comune legame di matrice
islamica ed adattamenti inevitabili con le diverse realtà culturali e so-
ciali interessate in vaste aree di tre continenti; non poche difficoltà
verso la maturazione di regimi non autoritari e democratici moderni
sono da ascrivere ai sistemi tradizionali di governo cioè alla struttura
di potere dei primitivi Califfati, che privilegiavano per necessità la sta-
bilità e continuità, utilizzando soprattutto la forza della componente
militare (v. B. L, Il linguaggio politico dell’Islam, Laterza, ; D.
C, Islam e secolarizzazione, Micromega, ).
Un aspetto non positivo riguarda la tentazione iconoclasta e la
lotta contro pitture e sculture che offenderebbero l’inviolabilità del-
l’immagine di Allah, tentazione recepita dai fondamentalisti recenti.
L’iconoclastia contagiò anche l’Impero Romano d’Oriente per un
certo periodo e per certi aspetti perfino alcune correnti della Riforma
protestante.
L’espansione islamica verso occidente (comprendente la Spagna
 Diritti dell’uomo nell’Islam

a partire dal  e come è noto anche la Sicilia per circa due secoli
prima dell’arrivo dei Normanni nell’anno mille) viene arrestata in
Francia meridionale a Poitiers (nel  ad opera di Carlo Martello
della nuova potenza crescente dei Carolingi), mentre i progressi verso
l’Asia trovano un sostanziale ostacolo nell’India e nella Cina. La Russia
di religione cristiana ortodossa resiste egualmente alla penetrazione
islamica nei vari secoli (sia nei Balcani, sia sul mar Nero, sia nel
Caucaso).
Storicamente e culturalmente importante è stata la conversione
all’Islam dei Turchi ed il loro spostamento dall’Asia verso l’Anatolia e
poi nel cuore dell’Impero Ottomano. Molto importante è stata anche
l’espansione ad est della presenza musulmana verso l’Asia centrale ed
il Sud–est asiatico (India del Nord–ovest, parte meridionale della peni-
sola di Malacca, Malesia ed Indonesia: il recupero dell’indipendenza
dopo la seconda guerra mondiale rispetto alla dominazione coloniale
inglese ed olandese ha lasciato inalterato il substrato culturale e reli-
gioso islamico in quelle aree nello attuale Pakistan, nel Bangladesh e
nelle numerose e popolose isole dell’Indonesia).

.. Le Crociate

Il tentativo, molto complesso e lungo, dei cristiani occidentali di al-


largare la loro sfera di influenza nel Mediterraneo e nel Medioriente,
origine del Cristianesimo e sede di Gerusalemme, città santa, e di rea-
lizzare movimenti organizzati di pellegrinaggi più sicuri per superare
gli ostacoli (prima inesistenti) posti a Gerusalemme dai nuovi arrivati,
i Turchi Selgeucidi, si tradusse in vere e proprie missioni di pellegrini
e di militari — soprattutto nobili cavalieri feudali — con il coinvolgi-
mento di Papato e Re (i Crociati): il movimento, da Occidente verso
Oriente, inizia a partire dal  e dura con alterne vicende circa due
secoli (il Regno di Gerusalemme dura fino al . Acri sulla costa fu
tenuta fino al ) .
. Vedi: S. R, Storia delle Crociate, Einaudi, , che evidenzia l’insuccesso
finale delle Crociate con animo critico ma sottolinea anche l’importanza storica dell’evento
per tutta l’Europa; J. R, La grande storia delle Crociate, Newton & Compton editori,
Roma ; H. P, Storia d’Europa, Newton & Compton editori, cap. , sintetico ed
efficace.
. Una breve cronologia dell’Islam 

Sono innegabili, oltre alle ragioni religiose delle Crociate, anche le


ragioni socio–economiche, solo se si considerino le città marinare del-
l’Italia come Venezia, Genova, Pisa, Amalfi. Lo stesso San Francesco,
dopo che il Papa, Urbano , aveva bandito nel  la crociata, ritenne
doveroso iniziare un pellegrinaggio non armato ed incontrò il Sultano
di Egitto per annunciare Gesù Cristo ed il Suo Vangelo. Le incursioni
saracene che avevano terrorizzato per secoli le coste italiane sia sul
Tirreno che sull’Adriatico erano ancora un ricordo vivo. La storia del-
l’Europa riceve una spinta dalle Crociate ma non cambia radicalmente
salvo che per l’accresciuto ruolo dell’Italia e soprattutto di Venezia nel
Mediterraneo e per un rapporto di conoscenza maggiore dell’Islam.

.. L’arresto dell’avanzata musulmana ed il lento declino

Nel , l’Islam realizza il sogno di conquistare Costantinopoli, ma


successivamente la penetrazione verso i Balcani viene arrestata (si
ricordano le battaglie di Lepanto nel  e quelle sotto le mura di
Vienna nel  e nel ).
È l’Islam, occorre riconoscerlo, che dopo avere assorbito le Crocia-
te, vuole espandersi con la forza delle armi, ma senza successo.
Il vero “blocco” o “arresto” della avanzata dell’Islam verso occi-
dente deriva indirettamente dalle pacifiche scoperte geografiche di
Portogallo e Spagna (e dalle relative conquiste in America, Africa, Sud
dell’Asia e Pacifico), seguite da quelle di Olanda, Inghilterra e Francia
e dall’avanzata scientifica e tecnica dell’Occidente. Un evento al quale
l’Islam non era preparato. Dopo la scoperta dell’America ad opera di
Cristoforo Colombo nel  e l’apertura di una nuova rotta marittima
verso l’Asia ad opera di Magellano nel , l’Europa si rafforza anche
economicamente.
Seguono i progressi scientifici, tecnologici, economici e sociali
dell’Occidente da cui restano sostanzialmente estranee le aree, ab-
bastanza omogenee e contigue geograficamente, di influenza araba
ed islamica, per propria incapacità di aprirsi alla modernità. Appare
inevitabile e consequenziale che la civiltà occidentale si espanda. Lo
stesso mondo islamico, soprattutto in Africa settentrionale e Medio
Oriente, subisce il fenomeno della colonizzazione (che riguarda in
verità anche altri popoli).
 Diritti dell’uomo nell’Islam

Il modello della civiltà occidentale, pur con i suoi limiti, è divenuto


ormai prevalente ed opera a livello di alcuni valori condivisi come
“entità collettiva”: esso utilizza in Europa lo strumento politico delle
“entità nazionali” (dopo il tramonto delle idee imperiali del Medioe-
vo), che tenta di estendere, in modo non sempre coerente, nei Paesi
coloniali occupati in altri continenti.

.. Il risveglio islamico a carattere nazionalistico e religioso

Quando si realizza la decolonizzazione, il modello di “Stato nazionale”,


tipico dell’Occidente, viene continuato su nuove basi anche nelle
aree di religione islamica. Per queste aree il vincolo collettivo della
Umma, cioè della comunità globale politico–religiosa dei Califfati,
sperimentato nel passato, opera solo a livello ideale, quale sfondo per
un auspicato “risveglio”. Infatti dopo la prima guerra mondiale, con lo
scioglimento della Grande Porta (), si salva solo la Turchia proprio
in nome della laicità e nazionalità, nell’area occupata dalla attuale Asia
Minore (Ataturk ).
In Iran, con la dinastia Safavide, a partire dal  si era consolidata
la corrente sciita rispettata dagli Ottomani: giova ricordare che dopo la
seconda guerra mondiale, nel , anche in Iran vi fu un cambio di
regime perché il capo dell’esercito Reza Scià Pahlevi si autoproclamò
capo dello Stato. In parallelo ed in alternativa, nel contesto di un
declino lento dell’impero ottomano, si rafforza più tardi la corrente
maggioritaria sunnita, a partire proprio dal vasto luogo di origine
dell’Islam, l’Arabia.
Proprio nel cuore dell’ Arabia (oasi di Neged) , a partire dal ,
si sviluppa una corrente religiosa Wahhabita (dal nome del fondatore
Muhammad ibn Abd al–Wahab), particolarmente rigida, che propu-
gna una interpretazione letterale del Corano, una sorta di ritorno alla

. Purtroppo la nuova entità politica dello Stato nazionale della Turchia costò al popolo
dell’Armenia, in prevalenza cristiano, un vero e proprio “genocidio” (circa un milione e
mezzo di morti) come riconosciuto dalle N.U. e da Papa Francesco anche in una visita in
Armenia giugno , ma ancora negato dalla Turchia. La stessa Germania sente il bisogno
di purgare la memoria storica (mozione approvata dal Bundestang il  giugno , che
definisce come crimine contro l’umanità l’annientamento degli Armeni ed ammette le sue
responsabilità come alleata dei Turchi nella I guerra mondiale).
. Una breve cronologia dell’Islam 

purezza delle origini dell’Islam (però con una forte ostilità verso gli
sciiti persiani ed una intransigente visione iconoclastica) che trova
una sponda politica amichevole nell’emiro Muhammad ibn Saud, fon-
datore della omonima dinastia. L’immenso territorio è formalmente
ancora soggetto ai Sultani di Istanbul: per ragioni geopolitiche gli
Inglesi favoriscono la nascita di una entità politica in Arabia contraria
al Sultanato durante la prima guerra mondiale. Saranno poi gli U i
referenti dell’Arabia Saudita per ragioni geopolitiche ed economiche
(petrolio). Gli equilibri in Medio Oriente tendono a mutare anche
per l’Egitto, che si era liberato dalla dominazione musulmana (Ca-
liffato Fatimide) nel  per passare al controllo inglese e nel 
all’indipendenza.
Dopo la seconda guerra mondiale, si assiste dunque ad una sorta di
“risveglio islamico” soprattutto di tipo nazionalistico e numerosi Stati
a maggioranza islamica acquistano la propria identità nazionale per
effetto della decolonizzazione. È significativo ed anche naturale il fe-
nomeno del riemergere culturale e politico del “collettivo identitario”
anche in termini politici, per effetto della ritrovata libertà nazionale.

.. Il sogno del Califfato

Il sogno del Califfato (una novità imprevista) di alcuni movimenti


come I e Boko Haram (ed in generale dello Jihadismo) ha dunque
radici profonde, culturali, religiose e storiche da non sottovalutare,
anche se, a nostro parere, non ha possibilità di successo: lo dimostra
proprio la violenza eccessiva contro le popolazioni civili e la distru-
zione intenzionale cieca ed insensata di patrimoni culturali comuni
dell’umanità. Sono segni evidenti di debolezza.
Come si dirà meglio in prosieguo, alcuni Stati “islamici”, come
Arabia Saudita e Turchia, di religione sunnita, sono stati spettatori non
indifferenti, dando di fatto un sostegno sotterraneo e reale, complice
l’inerzia degli U e della stessa Europa. Non bisogna trascurare il
ruolo sotterraneo geopolitico di questi Stati caratterizzato da forte
ambiguità: un sostegno di fatto all’I in Iraq ed in Siria nella pri-
ma fase di conquista di spazi territoriali in questi Paesi e poi una
precipitosa marcia indietro a causa della resistenza della comunità in-
ternazionale e della insostenibilità morale e politica della condotta dei
 Diritti dell’uomo nell’Islam

fondamentalisti violenti contro civili ed patrimoni culturali (v.tra gli


altri, C. P, Il libro nero del Califfato, B,  e M. I,
Il fondamentalismo dalle origini all’I, Sugarco edizioni, Milano ).
L’influenza religiosa nel risveglio islamico complessivo come già
detto non va sottovalutata come dimostra:

— il tentativo, non riuscito, sostenuto dall’Occidente, di modernità


in Iran con lo Scià di Persia (Reza Pahalevi a partire dal ),
durato circa trenta anni, interrotto bruscamente;
— il ritorno in Iran di Khomeini (), che (in contrasto con
importanti personalità religiose e tendenze più democratiche
ed aperte della società civile), instaura una forma di assoluti-
smo religioso recepito addirittura nella Costituzione, proclama
una “Repubblica Islamica” e si autodefinisce rappresentante del
Mahdi secondo la visione messianica dei duodecimali (v. ad
esempio la ricostruzione che ne fa C. Panella nel volume Il libro
nero del Califfato, B, , pp.–);
— l’esperienza stessa della Turkia di Erdogan, che sta come in un
bivio in un difficile equilibrio (tra Europa e U, Iran ed Arabia
Saudita) e accusa ora ingiustamente l’Europa di islamofobia ;
— l’esperienza drammatica di Iraq e Siria, due Paesi divisi dal
contrasto Sunniti–Sciiti ed ancor più dai contrasti geopolitici
a livello globale (U–Russia) e locale (Iran–Turchia–Arabia
Saudita);
— l’esperienza della Palestina divisa anche per motivi di radica-
lismo religioso (Hams nella Striscia di Gaza) e Cisgiordania,
guidata dall’Autorità palestinese di Maazel più moderata, in un
quadro di riconoscimento o meno definitivo di un’altra entità
politico–religiosa, Israele.

È interessante sottolineare una sorta di emersione della memoria


identitaria religiosa delle popolazioni stesse che attenuano i tentativi

. La Turchia, a nostro parere, non dovrebbe tradire a cuor leggero, sia pure gradual-
mente, la sua originaria natura di Stato “laico” sul modello dell’Occidente come consacrato
da Ataturk a partire dal : l’eventuale ingresso in Europa sembra essersi allontanato
dopo il cosiddetto golpe del  luglio  conclusosi dopo poche ore. È significativo che
a soffrire siano stati i diritti umani di molti oppositori reali o supposti appartenenti alla
magistratura, alla classe universitaria, ai media, all’esercito.
. Una breve cronologia dell’Islam 

di laicità in Iran e Turchia (v. A. Z L’Iran oltre l’Iran, Ca-


stelvecchio, ). La realtà dei fatti ha dimostrato che le cause del
terrorismo, compreso quello suicida, non sono necessariamente di
tipo economico o sociale, quasi che i fenomeni che si presentano
come religiosi non siano veramente religiosi.

.. Le Primavere arabe ed i diritti umani

È significativo che nel mondo arabo le esperienze di pace sociale deb-


bano passare ancora attraverso dittature (Nasser, Mubarak, Saddam
Hussein, Gheddafi, Hassad) e che sia difficile introdurre “Primavere
Arabe” (a partire dal ) con un pacifico consenso sociale e rispetto
reale dei diritti umani (essendo mancata nella popolazione l’esperienza
diretta dei diritti umani con le relative difficili conquiste sociali graduali
ed un ruolo forte della società civile e anche per l’operare dei “Fratelli
Musulmani” non favorevoli ai valori di libertà e democrazia se non
in un’ottica molto confessionale). Vanno segnalate alcune eccezioni
positive come Giordania, Marocco, Tunisia ed in parte Egitto.
Il tema dei diritti umani non sembra sufficiente a spiegare tutte
le “difficoltà” di evoluzione democratica del vasto mondo arabo ed
islamico attuale nel segno della modernità, ma costituisce comunque
una utile chiave di lettura.
Come si è detto l’Organizzazione dei Fratelli Musulmani ha stru-
mentalizzato le Primavere Arabe (v. A. Pacini, Dossier Mondo islamico .
I Fratelli Musulmani ed il dibattito sull’Islam politico, Fondazione Agnelli,
Torino ), con un fallimento quasi generale, almeno al presente,
nel riconoscimento sociale dei diritti umani.
Senza alcun giudizio di valore negativo (anzi con atteggiamento
di rispetto per la cultura araba ed islamica, antica, originale, com-
plessa, diversificata), su un punto si può convenire: esiste un ritardo
nella ricezione dei diritti umani (assumendo come metro quello della
Dichiarazione delle N.U. del ), che richiede di essere colmato.
 Diritti dell’uomo nell’Islam

.. L’evoluzione radicale della cultura islamica quale ostacolo ai


diritti umani

L’evoluzione della cultura islamica, come si è accennato, deve es-


sere considerata sia in relazione alle fonti, sia alle prassi attuative,
sia all’atteggiamento di vari regimi islamici rispetto ai popoli sotto-
messi in Arabia, Medio Oriente, Africa settentrionale, parte dell’Asia
meridionale.
A livello politico possono essere distinte due fasi: quella delle ori-
gini e dello sviluppo fino alla conquista di Costantinopoli nel  e
quella di una lunga stasi o quiescenza successiva con prevalenza della
civiltà occidentale. Solo dopo la prima e seconda guerra mondiale si
apre una fase nuova, perché l’Europa divisa drammaticamente nel
suo interno a causa di due guerre fratricide, si ritira dai territori sotto-
posti a regime coloniale e consente ad alcuni paesi di sperimentare un
“risveglio” nazionalistico ed identitario.
La fase del “risveglio islamico”, di per sé positiva, è caratterizzata
purtroppo da elementi molto problematici:

— la persistenza di un conflitto interno molto duro tra sunniti e


sciiti (un vero e proprio scisma politico–religioso violento), di
cui l’Occidente non può essere ritenuto responsabile;
— la mancanza di una riforma culturale e religiosa almeno a li-
vello interpretativo con l’accoglimento senza riserve di alcuni
fondamentali comuni valori dello Stato moderno (sono invece
passati  anni dalla riforma protestante che in Europa e nel
mondo ha introdotto un maggiore pluralismo nel cristianesimo
su aspetti importanti, pur nella comune fede in Gesù, Figlio di
Dio e Redentore);
— una sorta di radicalizzazione culturale e politica intorno al
valore identitario religioso sia nella componente maggioritaria
sunnita, sia in quella sciita, spiegabile come comune reazione
ai cosiddetti valori occidentali e più in generale alla cosiddetta
modernità;
— una sorta di “guerra di civiltà” dichiarata dal radicalismo islami-
co contro l’Occidente.

È molto preoccupante (dopo quanto accennato sull’Iran di Kho-


. Una breve cronologia dell’Islam 

meini) constatare che in una parte importante dell’Islam la corrente


religioso–politica del wahhabismo, già ricordata, è stata recepita a
livello politico e statuale e fa assumere al risveglio islamico i connotati
della violenza, in violazione palese dei diritti umani, cioè di una sorta
di Jihad permanente a livello globale attraverso la lotta armata ed il
terrorismo: il risveglio non è più la reazione degli arabi alla egemonia
dell’Impero Ottomano ormai scomparso o la reazione talebana alla
occupazione sovietica dell’Afghanistan nel , con l’aiuto degli U,
ma l’attacco frontale e diretto agli stessi U in alcuni suoi simboli l’
settembre  e poi il terrorismo diffuso globale. Una dimensione
globale, che riflette una logica egualmente globale politico–religiosa.

.. Jihad puntuali, locali e globali

Il Jihad “globale” è preceduto ed accompagnato da esperienze violente


di Jihad “locali”, in Palestina, Cecenia, Kashmir, Indonesia, Filippi-
ne, Tailandia, Mali, Somalia,Yemen ed altri Paesi e da un numero
impressionante di attentati “puntuali” ed indiscriminati di terrorismo
in altre parti del mondo, soprattutto in Occidente. (v. M. I,
Il fondamentalismo dalle origini all’I, Sugarco Edizioni, Milano ,
che descrive dettagliatamente il fenomeno e pubblica in appendice
anche un testo davvero impressionante, conosciuto come il Manuale
del dirottatore, le cui copie sono state trovate dagli inquirenti america-
ni, perché utilizzate dai dirottatori dell’ settembre  degli aerei
diretti contro le Torri Gemelle, il Pentagono e forse la Casa Bianca:
un documento intitolato “L’ultima notte”, di al–Qaida, a suo modo
intriso di religione, una sorta di preghiera prima del martirio).
Il radicalismo islamico violento tende ora a sfuggire di mano ai
generosi ispiratori e finanziatori diretti ed indiretti (Arabia Saudita,
Quatar e perfino Turchia nella prima fase) con l’avvento dello Stato
Islamico (I e movimenti collegati) che invoca il ritorno al Califfato
una sorta di entità sovranazionale politico–religiosa, non solo in Iraq
e Siria, ma anche in Africa.
 Diritti dell’uomo nell’Islam

.. Le responsabilità religiose e politiche del fondamentalismo


wahhabita

Deve però sottolinearsi che nello stesso mondo islamico sunnita si


sta manifestando una reazione, come dimostra la condanna forte ed
esplicita del Wahhabismo ad opera di oltre  intellettuali ed imam
sunniti (Conferenza di Grozny del  agosto ). Si dice ormai chiaro
che il Wahhabismo è fuori del vero Islam, prendendo le distanze
culturali, religiose e politiche dall’Arabia Saudita e dal Quatar ed altri
Paesi del Golfo Persico.
L’idea di un coordinamento e di una integrazione dei paesi arabi
e musulmani, si ripete, non è ovviamente in discussione, anzi è au-
spicabile, ma non sembra realistico e saggio affidarla al sogno di un
califfato che si imponga con il terrorismo. È anche necessario porsi
il problema anche politico di un ridimensionamento del ruolo del-
l’Arabia Saudita e della dottrina Wahhabita, intrinsecamente violenta,
recepita da questo Regno. Questo problema, secondo il nostro punto
di vista, chiama in causa gli Usa e l’Europa nelle relazioni con questo
Paese.
In verità risulta molto difficile su un piano teorico e pratico ela-
borare una vera dottrina dei diritti umani partendo dai postulati po-
litico–religiosi del fondamentalismo wahhabita recepiti dall’Arabia
Saudita le cui caratteristiche sono note: origine del diritto non solo nel
Corano, ma nella Sunna (un insieme di prescrizioni ed atti della vita di
Maometto analiticamente e minuziosamente definiti dalla scuola han-
balita, interpretati tutti come precetti divini in modo letterale e rigido,
che rispecchiano invece un periodo storico passato, rivissuto come
ideale immodificabile); monoteismo assoluto ed intolleranza verso
ogni forma di rappresentazione del divino percepita come idolatria
(non solo contrasto con la religione storica degli Ebrei, ma anche con
i Cristiani, in relazione al punto fondamentale della incarnazione del
Verbo divino nella storia nella persona di Gesù, Figlio di Dio); perfino
contrasto violento in seno all’Islam con gli Sciiti, che credono nel
ruolo storico dei dodici Iman fino all’ anno , venerati come santi
con i loro sepolcri e comunque nella funzione dell’imanato, nell’attesa
quasi messianica del Giudizio Universale.
A ben vedere si tratta di una paura di contaminazione di Dio con
la storia che viene recepita dai Wahhabiti con conseguente visione
. Una breve cronologia dell’Islam 

immobilistica dei diritti umani, che maturano storicamente; rapporto


conflittuale con le altre fedi religiose, anche se permesse dall’Islam,
con un conseguente regime giuridico subordinato dei diritti umani;
accettazione del Jihad come dovere religioso anche per il singolo cre-
dente, con conseguente pericolo incontrollabile di terrorismo diffuso;
considerazione delle terre conquistate dall’Islam storicamente come
intangibili perché possesso divino, con conseguente negazione del di-
ritto di Israele ad esistere come Stato in una parte dell’antica Palestina;
assenza di reciprocità nei diritti religiosi (le moschee sono doverose in
Europa ma le chiese cristiane non possono operare in Arabia Saudita,
terra sacra ed esclusiva di Allah; proselitismo musulmano legittimo
ma illegittimità di quello di altri culti in terre islamiche; ecc.).
Concepire l’elemento religioso, secondo l’opinione di molti, come
servizio pacifico, consapevole e libero ad ogni uomo, inserito in modo
vivificante nella storia, può costituire un elemento di dialogo profondo
tra le religioni, perché lo Spirito creatore non può abbandonare la sua
opera. E non vi è ragione che l’Islam non possa dare un importante
contributo senza la pretesa di imporre la sua esclusività, anche in
materia di diritti umani.

.. Le Organizzazioni islamiche internazionali

Una forma di risveglio islamico e di integrazione di quel mondo


complesso, di per sé è positiva, ma solo su nuove basi,compresa la
chiarificazione pacifica sui principi. L’Islam va rispettato nella sua
maturazione, purché non usi la violenza e trovi forme accettabili di
compromesso in nome della comune umanità con le altre culture in
un mondo ormai globalizzato, soprattutto in tema di diritti umani.
Allo stato attuale le principali Organizzazioni internazionali islamiche
sono:

— il Congresso del Mondo Musulmano (C), nato nel  a


Karachi;
— la Lega del Mondo Musulmano (L), nata nel  con sede
alla Mecca su impulso soprattutto dell’Arabia Saudita;
— l’Organizzazione della Conferenza Islamica (O), nata nel 
con sede a Gedda;
 Diritti dell’uomo nell’Islam

— la Lega degli Stati Arabi creata il  marzo : sono  Paesi;


— la Umma che costituisce però una entità collettiva solo religiosa
e culturale che abbraccia tutto l’Islam, ma non ha una autorità
centrale unica sovraordinata come nella Chiesa Cattolica di
Roma, pur nella sua universalità.
Capitolo II

La comparsa dei diritti umani


su base universale e regionale

.. Le fonti

In questa sede (tralasciando alcune importanti radici culturali nel


mondo antico e nel Medio Evo, compresa la Magna Charta inglese del
) si richiamano solo alcuni punti essenziali della storia più recente
dei diritti umani :

— le grandi Dichiarazioni dei diritti della Confederazione ame-


ricana () e della Francia () soprattutto per i diritti di
libertà e eguaglianza nella comune cittadinanza;
. Sui diritti umani in generale la bibliografia è vastissima. Si citano tra gli altri: U.
L e I. C, Il diritto internazionale: diritto per gli Stati e diritto per gli individui,
Giappichelli, Torino , cap. , , ; C. F, Diritto internazionale, Cedam, pp. e
ss.; F. L, Garanzie dei diritti dell’uomo nel diritto internazionale generale, Milano ; S.
C, I diritti umani oggi, Bari ; R. P M, Responsanbilité de l’Etat pour la
violation des obligations positives relatives aux droits de l’homme, in RC, , vol., pp.–;
A. M, La protezione internazionale dei diritti umani, Franco Angeli, Milano ; F.
F (ed.), Biotechnologies and International Humanm Rights, Hart, Oxford, ; A.
Gambino, L’imperialismo dei diritti umani, Editori Riuniti, Roma ; D. Z, Nuovi diritti
e globalizzazione, in “ Secolo”, Treccani, ; C. Z, La protezione internazionale
dei diritti umani, Giappichelli,Torino ; L. P, La tutela internazionale dei diritti
umani. Norme, garanzie, prassi, Milano ; U. V, Dalla Dichiarazione universale alla
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Bari ; A. D S, R. S, La tutela
dei diritti umani e il diritto internazionale, Napoli ; S. Z, La tutela internazionale
dei diritti umani, Bologna ; P. G, Dall’intervento umanitario alla responsabilità
di proteggere. Riflessioni sull’uso della forza e la tutela dei diritti umani, in « La Comunità
internazionale », /, pp.–. La dottrina prevalente ritiene che i diritti umani
hanno una base giuridica certa nel diritto internazionale. Con particolare riferimento ai
nuovi diritti umani come ambiente, sviluppo e pace vedi anche due recenti pubblicazioni:
A. P, Diritto internazionale dell’ambiente e Ambiente, Giustizia e Pace, Aracne
Editrice, Roma, –. Dello stesso autore: Human Rigths and the Environment, in « The
International Journal of Human Rigths », « Issue  », vol. ,  e Global Environmental
Governance, Bruylant, Bruxelles .


 Diritti dell’uomo nell’Islam

— la Carta delle N.U. () soprattutto per il tema della sicurezza


collettiva;
— la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, sia in sé, sia
per la base di consenso realizzata ();
— i Patti internazionali del  in tema di diritti civili e politici e
dei diritti economici, sociali e culturali: sotto il profilo giuridico
del diritto internazionale i Patti sono accordi vincolanti tra Stati
più delle semplici Dichiarazioni, pur autorevoli;
— i nuovi strumenti giuridici pattizi giuridicamente vincolanti su
base continentale con relativi Protocolli a tutela dei diritti umani
in Europa (Convenzione del //), in America (Convenzio-
ne del //) ed in Africa (Carta africana dei diritti umani
e dei popoli del ), assistiti da organi di garanzia per la loro
effettività, con accesso delle persone titolari dei diritti;
— le molteplici Dichiarazioni e Risoluzioni O in tema di diritti
di terza generazione (ambiente come diritto umano, Stoccol-
ma ; diritto dei popoli alla pace, Risoluzione del ; di-
ritto umano allo sviluppo, Dichiarazione del ), diritti che
integrano quelli già consolidati nel segno della solidarietà;
— la istituzione di una Corte penale internazionale per alcuni
crimini più gravi contro i diritti umani universali violati (crimini
di guerra e crimini contro l’umanità, Statuto di Roma, ):
una Corte che può aprirsi alla competenza di nuovi crimini
compresi quelli gravi internazionali contro i beni comuni del
Pianeta (come proposto da vari organismi della società civile tra
cui la Fondazione I e recentemente da vari Governi, riforma
che sembra politicamente matura e che non esige la modifica
dello Statuto, perché già prevista come possibile a maggioranza
delle parti);
— la tendenza alla dilatazione dei diritti umani (prima generazio-
ne:diritti di libertà; seconda generazione: diritti civili e politici,
nonché diritti economici, sociali e culturali; terza generazio-
ne: diritto alla pace, diritto allo sviluppo, diritto all’ambiente;
quarta generazione: nuove frontiere della informatica, genetica,
biotecnologie, medicina, scienza e tecnologie) e la correlativa
tendenza a porre l’uomo al centro dell’attenzione in un mondo
globalizzato anche in termini di responsabilità.
. La comparsa dei diritti umani 

Pur mancando una Corte universale unica dei diritti umani in un


mondo globalizzato, si deve riconoscere che esiste già una base giuri-
dica consuetudinaria e pattizia importante su cui si è consolidato un
consenso nella giurisprudenza internazionale, nella dottrina prevalen-
te ed anche a livello politico nella maggioranza dei Paesi: un consenso
innegabile della Comunità internazionale come tale, di cui la stessa
Comunità islamica tiene conto, per non essere emarginata.

.. Le caratteristiche principali dei diritti umani

Il fondamento non solo morale e culturale, ma giuridico, dei diritti


umani è fuori discussione e ruota intorno al concetto della dignità
della persona umana, che è uguale in ogni luogo: si spiegano in questa
luce le comuni caratteristiche, ossia la titolarità spettante ad ogni
essere umano come tale, la contestuale doverosità, la inviolabilità, la
indisponibilità, la indivisibilità, l’interdipendenza, la universalità. Vi
sono cioè bisogni vitali materiali e spirituali fondamentali per ogni
persona che devono essere soddisfatti senza distinzione di colore,
razza, sesso, lingua, religione, opinione politica, origine nazionale,
condizione economica e sociale, perché percepiti come irrinunciabili
nel contesto globale di un’unica famiglia umana.
La categoria dei diritti umani è per sua natura aperta, nel senso di
conservare la eredità positiva del passato, recependo il contributo delle
religioni, della filosofia, della scienza e della realtà sociale complessiva
in un mondo in rapida evoluzione. I diritti umani sono un processo
difficile e complesso da valutare nei tempi medio–lunghi, un bene
comune prezioso da coltivare con un impegno costante, senza eccessi
ideologici e strumentalizzazioni politiche.
L’albero dei diritti–doveri umani ha bisogno di approfondire le
sue radici nella terra ed allargare nel contempo i suoi rami. Tutti i
contributi culturali del mondo antico, della civiltà greca, della civiltà
giuridica di Roma, del Cristianesimo, dell’Islam, del Medioevo, del
giusnaturalismo, della Riforma protestante, dell’Illuminismo, della
cultura liberale, del socialismo, comprese le antiche culture dei vari
continenti, inevitabilmente confluiscono nella costruzione di una base
più stabile dei diritti umani, sicché tutti i popoli possono fare ad essi
riferimento come un tesoro comune. Una base stabile ed anche dina-
 Diritti dell’uomo nell’Islam

mica aperta alla soddisfazione di nuovi bisogni. Al loro interno i diritti


umani si integrano e collegano ai doveri e soprattutto al principio di
solidarietà: lo esigono tutti i diritti umani civili e politici ed ancor più
quelli economici, sociali e culturali, per la loro effettività; lo esigono i
nuovi diritti a dimensione non solo individuale ma anche collettiva
come l’ambiente, lo sviluppo e la pace, inconcepibili senza solidarietà.
Il futuro, dominato sempre più dalla medicina, dalla scienza e dalle
potenzialità della tecnica anche nella dimensione extraterrestre, porrà
nuovi problemi di umiltà, equilibrio e prudenza al quadro dei diritti
umani.
Capitolo III

I documenti islamici sui diritti umani∗

.. L’originaria posizione di prudenza o riserva verso la Dichia-


razione Universale del 

La materia dei diritti umani ha sollevato, come era prevedibile, proble-


mi nel mondo islamico per una serie di ragioni, che saranno esaminate

A. P, L’Islam ed il dibattito sui diritti umani, in Laboratorio e dossier mondo islamico,
Edizione Fondazione Giovanni Agnelli, ; A. P, Chiesa ed Islam in Italia, Edizioni
Paoline, ; P. B, Islam e diritti umani.Confronto a distanza tra un saudita ed un
tunisino, in « Rivista internazionale dei diritti dell’uomo », /; P. B, Voci dell’Islam
moderno, Marietti, Genova ; R. B, Islam: i diritti umani fra ritardi storici e regressioni
in « Studi parlamentari e di politica costituzionale », , pp.–; S. C, Religione,
diritti e garanzie nei Paesi arabi in « Quaderni di diritto e politica ecclesiastica », \; S.
A, Le dichiarazioni sui diritti dell’uomo nell’Islam in « I diritti dell’uomo–cronache e
battaglie », \; C. Z, I diritti umani nel dialogo euro–arabo, in « Rivista trimestrale
di scienza dell’amministrazione », \–; C. C, Incontri di fede e culture: precetto
divino, diritti umani, legge dello Stato, Collegio universitario Santa Caterina da Siena, Pavia
; M. C, Islam et droits de l’homme, in « Rivista Islamochristiana » n., , pp.–;
L. G, Un préalable aux questions soulevées par le droits de l’homme: l’actualisation de la
Loi religieuse musulmane aujourd’hui, in « Rivista Islamochristiana » n., , pp.–. Una
preziosa e dettagliata fonte di informazione è fornita dal Pontificio Istituto di Studi Arabi e
d’Islamica, P, Roma, con il numero monografico  del  di « Islamochristiana », Droits
de l’Homme\Human Rights, con riferimento ai primi Documenti islamici sui diritti umani. V.
anche: Y. G, Human Rghts and Governance. The Asia Debate, The Asia Foundation’s Center
for Asian Pacific Affairs, ; B. T, Islamic Law\Sharia, Human Rights, Universal Morality
and International Relations, in Human Rights Quaterly, vol. ,  e Il fondamentalismo
religioso, Torino ; A. A. –N’, Human Rights in Cross Cultural Perspectives, University
of Pennsylvenia Press, Philadelfia (Pa); S A. A A S, Les Musulmans face
aux droits de l’homme, Bochum Winkler, ; J. S, Introduzione al diritto musulmano,
Fondazione Agnelli, Torino ; M. B, I diritti dell’uomo e le istituzioni islamiche,
in P. B e V. B, Studi Arabi ed Islamici in memoria di Matilde Gagliardi,
Istituto Italiano per il Medio e per l’Estremo Oriente, Milano ; A. E. M, Islam and
Human Rigths, Westview Press, Boulder e San Francisco . Le Edizioni della Fondazione
Giovanni Agnelli di Torino hanno pubblicato, tra gli altri volumi, quattro Dossier Mondo
Islamico: Dibattito sull’applicazione della Sharia; I Fratelli Musulmani e il dibattito sull’Islam
politico; Tasse religiose e filantropia nell’Islam del Sud–est Asiatico; Le leggi del diritto di famiglia
negli Stati Arabi del Nord Africa.


 Diritti dell’uomo nell’Islam

nel presente contributo. In via generale si deve osservare che alcuni


Paesi arabi avevano già manifestato riserve alla Dichiarazione uni-
versale delle N.U. del ; tuttavia esiste un cospicuo numero di
Paesi islamici che all’origine o successivamente hanno sottoscritto il
Documento O.
Il ruolo prevalente dei Paesi vincitori della seconda guerra mondia-
le e la recente indipendenza di alcuni Paesi islamici, non consentirono
a questi ultimi probabilmente di dare un contributo più attivo al do-
cumento all’inizio, elaborato in un arco temporale breve di circa un
anno ed in un clima incipiente di conflittualità della Guerra Fredda:

— In modo particolare fu l’Arabia Saudita, non firmataria del Do-


cumento O, a sollevare il problema, con una apposita nota o
memorandum del  (trasmessa alla Lega araba per l’ulteriore
inoltro alla N.U.) a distanza però di oltre  anni.
— Solo a partire dal  (a distanza di  anni dal documento
O) inizia un percorso positivo di approfondimento che ha il
merito formale della trasparenza ed ufficialità.
— Il percorso inizia per prima a livello tecnico, come dimostrano
le Conclusioni di un importante Convegno di esperti in Kuwait
City nel , organizzato dalla locale Università, dall’Unione
degli Avvocati Arabi e dalla Commissione internazionale di
giuristi di Ginevra.

.. I principali documenti islamici sui diritti umani

Seguono a livello più politico:

—  — La Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo;


—  — La Dichiarazione del Cairo dei diritti dell’uomo dell’I-
slam;
—  — La Carta araba dei diritti dell’uomo.

Il fatto che l’Islam senta il bisogno di elaborare “propri” documenti


in tema di diritti umani, dimostra il desiderio di affermazione della
propria specifica identità culturale, ma anche di rimanere agganciato
. I documenti islamici sui diritti umani 

alla comunità internazionale. Questi documenti pongono un duplice


problema:

— analisi del fondamento e dell’impostazione religiosa, filosofica


e culturale (considerando il legame con i profili giuridici);
— analisi giuridica del loro contenuto e raccordo con la normativa
internazionale e continentale di riferimento.

.. Le Costituzioni nazionali dei Paesi islamici ed il recepimento


dei diritti umani

Vi è poi un ulteriore problema:

— verifica dei contributi nuovi offerti dalle Costituzioni dei singoli


Paesi arabi od islamici;
— verifica delle prassi operative su casi specifici in vista della reale
applicazione nei vari sistemi nazionali , data la contestuale per-
sistenza della legge generale islamica tradizionale (Shari’a). A
titolo di esempio (tra i tanti) si può citare il caso della Nigeria
dove, nonostante la Costituzione del , l’applicazione della
Sharia quale legge superiore religiosa porta a forme di punizio-
ne assurde come l’amputazione delle mani (v. O N-
 O Punishments in Islamic Criminal Law as Antithetical to
Human Dignity: the Nigerian experience, in « The International
Journal of Human Rigths », vol. , n. , Routledge, Taylor e
Francis Group, ).

Il fenomeno costituzionale della vasta area arabo ed islamica è


di grande interesse per le sue pecularietà, (consentendo una verifica
puntuale Paese per Paese dei principi comuni relativi ai diritti umani),
ma non può formare oggetto del presente contributo, richiedendo
una trattazione a parte e comparazione specifica.
Certamente la Sharia, quale legge comune islamica, gioca ancora
un ruolo nella vita concreta dei musulmani contemporanei, ma tale
ruolo è di fatto mediato ed attenuato dal ruolo degli Stati–Nazione,
chiamati a conciliare interessi non sempre coincidenti della popola-
zione stessa. Le società islamiche, distribuite in tre continenti, sono
 Diritti dell’uomo nell’Islam

diverse tra loro e, pur tenendo conto dei sentimenti religiosi, mirano
a conseguire propri interessi socio–economici e di sicurezza in un
mondo ormai globalizzato.
In questa sede si possono fare solo alcune osservazioni generali:

— è certa l’influenza del costituzionalismo occidentale di matrice


liberale nella primitiva formazione delle costituzioni nei Paesi
islamici, a causa della presenza ed influenza culturale di alcuni
Paesi occidentali quali potenze coloniali (v. Accordi del ,
Syhes–Picot, plenipotenziari dei governi francese e inglese con
divisione in due zone di influenza: francese, Marocco, Tuni-
sia, Siria, Libano, Cambogia, Laos e britannica, Iraq, Egitto e
Transgiordania);
— è certa l’influenza durante la prima guerra mondiale di due
fattori sopravvenuti a livello politico ed istituzionale: il ritiro
della Russia zarista dalla guerra nel  a seguito della Rivolu-
zione comunista sovietica e l’intervento degli U,favorevoli
al principio di autodeterminazione dei popoli,compresi quelli
arabi;
— è certa la presenza nelle varie costituzioni islamiche di una sorta
di doppia legittimazione: sacra per l’adesione alla tradizione
islamica (la sovranità di Dio) come espressa dalla Sharia e se-
colare (la sovranità appartiene al popolo) per il recepimento
formale dei nuovi principi di ispirazione liberale e democratica;
— è certa perciò l’influenza, non solo formale, della “laicità”, richia-
mata espressamente da alcune costituzioni: Turchia, Albania,
Turkmenistan, Kazakistan, Kirghizistan, Senegal, Niger;
— è certa la difficoltà della transizione già avviata, dovendosi conci-
liare concretamente i valori dell’Islam con la modernità, almeno
in alcuni settori più delicati e controversi, data la permanenza e
resistenza della Sharia e la sua influenza diretta od indiretta;
— è certa l’influenza notevole del nazionalismo (la Patria Araba),
motivo ricorrente tipico del risveglio identitario dell’Islam dopo
la decolonizzazione;
— è certa l’influenza anche della cultura socialista, almeno in
un certo periodo, soprattutto con riferimento ai diritti umani
economici, sociali e culturali;
— è certa la permanenza di vari governi nazionali spesso militari
. I documenti islamici sui diritti umani 

in prevalenza autoritari che accentrano i poteri, per la difficol-


tà di instaurare meccanismi democratici di partecipazione e
democrazia, dovendo essi conciliare tradizione e modernità;
— è certa e positiva l’influenza delle Corti di Giustizia, cioè dei giu-
dici nazionali nell’esame dei casi concreti, per la maggiore liber-
tà di adeguamento pragmatico che hanno i giudici, soprattutto
quando essi sono indipendenti ed imparziali.

L’esame temporale della formazione delle costituzioni islamiche


evidenzia poi che l’origine risale a dopo la Seconda Guerra Mondiale,
con alcune eccezioni e soprattutto mostra un sofferto travaglio nella
sequenza successiva per gli adattamenti subiti dalla carte costituzio-
nali, talora a seguito di mutamenti di regimi o per via referendaria.
Il quadro che segue, necessariamente incompleto, fornisce qualche
idea :

— Turchia,  (, , );


— Egitto,  (, , , );
— Indonesia, 
— Giordania, 
— Brunei, 
— Tunisia,  (, , )
— Mauritania, 
— Niger, 
— Senegal, 
— Libia,  ()
— Algeri,  (()
— Siria,  ()
— Iran,  ()
— Iraq,  ()
— Kwait, 
— Emirati Arabi Uniti,  ()
— Mauritania, 
— Marocco,  (,)
— Sudan, 
. V. D. C M, Sharia e costituzioni nei Paesi musulmani: alcune note e
riflessioni, « Iura Orientalia  », Pontificio Istituto Orientale, , pp. –; R. R, Il
costituzionalismo e la tutela dei diritti negli ordinamenti islamici, Università di Trento, .
 Diritti dell’uomo nell’Islam

— Somalia, 
— Oman, 
— Yemen, 
— Quatar, 
— Bahrain, 
— Arabia Saudita, 
— Pakistan, 
— Afghanistan, 
— Palestina, 

.. Il difficile rapporto politica–religione ed i diritti umani nell’I-


slam

Pesa ancora nelle società islamiche l’eredità storica del difficile rappor-
to politica–religione. Questa eredità — solo per fare qualche esempio
— si esprime, in modo molto forte, nella Costituzione della Repubblica
islamica dell’Iran del  ed in modo più attenuato nella Costituzione
della Repubblica dell’Iraq del : i due testi sono pubblicati in ap-
pendice al volume di Carlo Panella “Il libro nero del Califfato”, BEST
B,.
Nel primo documento l’impronta islamica è contenuta nel tito-
lo e nei principi generali, soprattutto il primo, il secondo, il terzo
ed il quarto. La religione ufficiale è l’Islam « secondo il dogma della
scuola Jaafarita duodecimana immutabile per l’eternità », pur nel “ri-
spetto totale” degli altri dogmi islamici, mentre sono riconosciute le
minoranze: zoroastriani, israeliti e cristiani. La struttura prevede la
divisione dei poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, ma al vertice
la direzione spetta all’Alta Autorità dell’Ayatollah, a partire dall’Iman
Khomeini “guida della rivoluzione” (cioè l’imamato e la sua direzione
permanente ed il suo ruolo fondamentale nello sviluppo continuo del-
la Rivoluzione islamica). I diritti umani non sono enunciati in termini
giuridici chiari e completi, ma sono descritti insieme con valutazioni
politiche, morali e religiose (v.terzo principio e relativi  punti). Una
costituzione teocratica.
Nel secondo documento il sistema costituzionale di governo è de-
finito come “repubblicano, parlamentare e democratico”. Pur nella
menzione dell’Islam come “religione ufficiale dello Stato” sono garan-
. I documenti islamici sui diritti umani 

titi “pienamente” i diritti religiosi di tutti gli individui, come i cristiani,


i yezidi e i sabei. L’art. vieta espressamente razzismo, terrorismo
e il cosiddetto takfir, cioè la possibilità e legittimità di pronunciare
sentenze di condanna e scomuniche per apostasia o idolatria, ossia per
motivi religiosi come avviene nella concezione wahhabita e khomei-
nista (l’Istituto del Takfir è estraneo alla filosofia dei diritti umani). I
diritti della donna sono svincolati dalla Sharia e sono riconosciute le
autonomie locali pur nel quadro della unità nazionale.
Si impegna inoltre lo Stato dell’Iraq « a combattere il terrorismo in
tutte le sue forme ». I diritti umani sono dettagliatamente enunciati
nel Capo : diritti fondamentali e libertà; diritti economici, socia-
li e culturali. Va segnalata l’attenzione (art ) anche all’ambiente
« Diritto a vivere in un ambiente naturale integro. Lo Stato garantisce
la protezione dell’ambiente e della diversità biologica ».
Si confida che in Iraq questa Costituzione possa reggere dopo i noti
eventi dell’I e che il Paese possa trovare pace ed equilibrio tra Sciiti
e Sunniti, proprio in nome di comuni diritti umani condivisi.

.. Il difficile rapporto politica–religione e i diritti umani anche


nella civiltà occidentale

Ritornando al tema generale si può osservare che i messaggi religiosi,


radicandosi nelle società, hanno bisogno di uno sbocco politico nel
senso di un recepimento nelle leggi e nel sistema di governo. Il dilem-
ma è tra dimensione privata della religione e dimensione pubblica e
sua possibile conciliazione.
Anche il Cristianesimo, dopo il primo periodo durato tre secoli,
trova un riconoscimento politico in Costantino e ancor più nei suoi
successori (v. P. V, Quando l’Europa è diventata cristiana, Garzanti,
, pp. –). Mentre l’Impero Romano d’Oriente offriva alla
nuova religione cristiana la continuità di un sostegno, in Occidente la
costruzione di un Impero Romano parallelo — Sacro Romano Impero
— troverà nei Carolingi i promotori, in collaborazione con il Papa di
Roma. Il legame religione ed istituzioni appare evidente in Occidente
anche nel Medioevo ed è continuato in forme diverse negli Stati na-
zionali. Un ruolo decisivo nel segno della libertà e laicità sarà giocato
 Diritti dell’uomo nell’Islam

in Occidente solo dalla Riforma protestante e poi dall’Illuminismo e


dalle Rivoluzioni americana e francese del  secolo.
Nel mondo islamico, come è noto, il rapporto religione–politica
per ragioni storiche particolari e per la natura stessa del messaggio,
non si è evoluto allo stesso modo, ma mostra segnali di mutamento.
Sono proprio i diritti umani uno dei criteri importanti per misurare
l’evoluzione verso la cosiddetta modernità .
. Nel libro Dialogo con l’Islam, curato da Vittorio Ianari della Comunità di Sant’Egi-
dio, Mondadori, , personalità religiose sciite di primo piano provenienti da Iran, Iraq,
Libano, Arabia Saudita, Bahrein, Kuwait si confrontano con figure autorevoli del mondo
cattolico proprio sul tema del rapporto Stato–religione, ruolo dei credenti e prospettive
di pace. Andrea Riccardi sottolinea il risveglio del fenomeno religioso nel mondo della
globalizzazione, caratterizzato tra l’altro dall’aumento impressionante della popolazione
delle città e denuncia le “ore di prova” ed i “momenti difficili” di varie comunità religiose
cattoliche e sciite in Medio Oriente ed in Africa. Jarvad al–Khoei, studioso del Consiglio ira-
keno per il dialogo interreligioso, richiama la necessità di una “comunicazione costruttiva”
per “una riflessione condivisa che individui le cause dell’estremismo religioso”, condannato
dal Corano che privilegia la “via mediana” (Corano ,), partendo dal presupposto della
esistenza di “denominatori comuni tra religioni e confessioni”. Waleed Faraj Allah, preside
della Facoltà di diritto islamico a Kufah in Iraq, dopo una attenta disamina dei testi sia
islamici che cristiani, raccomanda « un sistema di pensiero islamo–cristiano condiviso per
fondare una filosofia della pace universale contemporanea » e la formazione di « una cor-
rente islamo–cristiana che operi per costruire la pace secondo un piano di lavoro concreto ».
Mohammad Hassan al–Amine, influente teologo e letterato libanese, noto per le sue corag-
giose prese di posizione contro il terrorismo di Hezbollah, sollecita una autocritica delle
religioni nella ricerca della pace, cominciando dall’Islam storico (non quello del Corano):
una autocritica esplicita, trasparente e pubblica « perché l’Islam nel periodo attuale assiste
a un fenomeno di cui si può dire con certezza che è in contraddizione flagrante con gli
obiettivi dell’Islam e della sua legge tollerante”. Maytham al–Salman, attivista dei diritti
umani nel Bahrein, di fronte agli antagonismi religiosi in aumento, richiama i principi di
tolleranza contenuti nel Corano e sottolinea che « la dignità umana, la libertà e i legittimi
diritti universali sono elementi comuni dell’umanità e sono sostenuti da tutte le religioni ».
Jaafar al–Hakeem, seminario teologico di Najaf, richiama il principio di moderazione pur
presente nel Corano evitando « l’instaurazione di uno Stato dispotico sotto la copertura
religiosa o confessionale ovvero uno Stato eccessivamente laico in contrasto con lo spirito
della religione e della religiosità popolare ». Un contenuto più religioso hanno altri inter-
venti: Ahmed al–Husseini, professore di diritto islamico e gnosi nel seminario teologico di
Najaf e Abu al–Qasim al–Dibaji, segretario generale dell’Associazione internazionale di
diritto islamico, in Kuwait.Quest’ultimo coglie in modo toccante il tema « La via del cuore
per la conoscenza di Dio ». Interessante è anche la visione della famiglia sia in Vincenzo
Paglia, Presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia, sia in Mohammed Alì al–Hilo,
professore di Storiaa Najaf, i quali sottolineano una realtà: la crisi della famiglia che sussiste
sia pure in forme differenti sia nel mondo cattolico che in quello sciita. Infine il ruolo delle
liedership religiose rispetto alla società civile è affrontato da Crescenzio Sepe, arcivescovo
di Napoli che richiama la figura di Oscar Romero quale defensor civitatis e da Mohammad
Alì Bakar al–Aloom, professore di Hadith in Najaf in Iraq che osserva: « La società civile
. I documenti islamici sui diritti umani 

Anche in Occidente il riferimento religioso per il fondamento o


l’ispirazione dei diritti umani persiste per lungo tempo (es. nella Co-
stituzione americana e non in quella francese ispirata dall’illuminismo
laico) e nelle Costituzioni di singoli Paesi (es. lo Statuto Albertino in
Italia) e poi rimane sullo sfondo.
Il processo di graduale distacco dalla matrice religiosa si nota anche
successivamente non tanto nel riferimento formale, quanto nel contenu-
to: ad esempio la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del ,
su un tema importante come la famiglia, si esprime nel senso di un
“nucleo naturale e fondamentale della società” tra “uomini e donne”
senza concessioni alla c.d. teoria del genere, presente invece a distanza di
cinquanta anni in Europa con la Carta dei diritti fondamentali (confronta
art. della Dichiarazione del  e artt.  e  della Carta europea).
Sembra anche opportuno sottolineare che la Carta dei diritti fondamen-
tali dell’Unione Europea (\C \), nel Preambolo non fa cenno
alle “radici cristiane europee” come da più parti richiesto, ma solo al “pa-
trimonio spirituale e morale”, in modo a nostro parere molto riduttivo,
in nome del multiculturalismo (o “diversità culturale” costruita come
nuova categoria giuridica, v. art. ).
Nel Preambolo si dice: « L’Unione contribuisce al mantenimento ed
allo sviluppo di questi valori comuni, nel rispetto della diversità delle
culture e delle tradizioni dei popoli europei, dell’identità nazionale degli
Stati membri ». Il multiculturalismo è visto però in un’ottica non globale,
ma all’interno dei Paesi europei, mentre una visione più ampia consen-
tiva di considerare la “sfida” culturale e religiosa islamica e l’esigenza
della universalità e reciprocità dei diritti umani per trovare un punto
di equilibrio. Le radici culturali e religiose possono comunque essere
evocate, secondo il nostro punto di vista, come ispirazione ideale perché
sono una realtà storica ancora presente e vissuta nei diversi contesti,
ma senza sacrificare il minimo comune denominatore di diritti umani
comuni ed universali. E questo deve valere per ogni religione,compreso
l’Islam.

occidentale è stata fondata in era moderna su una visione universale e su una antropologia
particolare, le cui radici affondano nell’Umanesimo e nella centralità dell’essere umano,
secondo una visione estremistica. In base a questo modello la religione è stata spostata
ai margini della vita », a causa dell’individualismo, della tendenza al convenzionalismo e
della tendenza ad una razionalità indipendente, sicché un ruolo maggiore della leadership
religiosa anche in Occidente potrebbe avere una funzione sociale equilibratrice.
 Diritti dell’uomo nell’Islam

Occorre subito premettere che le Carte islamiche del  e del


 (pubblicate in appendice al presente volume) non sono state
recepite dagli Stati interessati come documenti giuridici vincolanti (a
parte la Carta araba successiva che interessa solo  Paesi, cioè circa
un terzo dei Paesi islamici nel mondo).
Manca, dunque, ancora una cornice giuridica generale comune nel-
la materia per tutti i Paesi islamici. La ragione del ritardo non risiede
solo nel fondamento religioso–culturale di riferimento, ma nell’insie-
me delle ragioni economico–sociali e culturali del lento sviluppo della
democrazia partecipativa nei Paesi islamici.
Capitolo IV

Aspetti problematici
dei diritti umani nell’Islam

Senza pretesa di completezza e tanto meno di giudizio aprioristico


o ideologico, allo scopo di definire meglio l’oggetto dell’approfon-
dimento, si indicano di seguito i principali aspetti problematici con
riferimento ai diritti umani nell’Islam: il metro di riferimento in sen-
so politico e giuridico da assumere realisticamente è quello degli
strumenti universali e continentali esistenti perché espressione di un
maggiore consenso della più ampia comunità internazionale .
Questo non toglie ovviamente che si possa e si debba assumere
una prospettiva culturale ed ideale più ampia in prospettiva, in un
mondo globalizzato, caratterizzato da rapidi e profondi processi di
rinnovamento, considerando i diritti umani ed i doveri umani non
aree di conflitto ma di reciproca comprensione ed integrazione, con la
piena partecipazione delle componenti culturali e religiose, compresa
quella islamica.
Questa meditazione interessa ovviamente anche il mondo occiden-
tale, i Paesi emergenti come Cina, India, Brasile con le loro culture e
tutti gli altri Paesi.
La laicità dei diritti umani ubbidisce ad una logica anche tecnica
del ruolo del diritto come misura comune dei rapporti tra gli uomini
e non può essere utilizzata come strumento ideologico e addirittura
ostile contro i movimenti della cultura e delle religioni se offrono il
loro contributo senza rigidità esclusive.
. Per un quadro più ampio: F. Z, Filosofia dei diritti dell’uomo e mondo musulmano
in op.cit. A. P, , pp. –; H. –N, Diritti dell’uomo, diritti della comunità e
diritti di Dio, op. cit. pp. –; A. A, Il conflitto tra la Sharia e i moderni diritti umani, op.
cit., pp. –; R. –S, Il pensiero musulmano contemporaneo e i diritti dell’uomo,op.
cit., pp. e ss. Un particolare contributo scientifico è offerto dal numero speciale del
« Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica », « PISAI », n. , Roma , dedicato
interamente ai diritti dell’uomo nell’Islam in comparazione con la visione cristiana.


 Diritti dell’uomo nell’Islam

Sembra saggio ricordare che i diritti, compresi quelli che noi chia-
miamo umani, sono valori importanti se si accompagnano ai do-
veri umani ed aiutano l’umanità in una integrazione pacifica, ma
rimangono “strumenti” umani, perfettibili per loro natura.
Se cambia in modo rapido e radicale lo scenario economico e so-
ciale del mondo (ad esempio per il globale mutamento del clima, per
le migrazioni di popoli da interi continenti, per le questioni globa-
li dell’utilizzo di energie di origine fossile, per le questioni relative
all’alimentazione umana ed alla crisi idrica, per le applicazioni infor-
matiche in ogni campo della vita) anche lo scenario dei diritti umani
dovrà subire mutamenti nel senso di favorire i necessari adattamenti
dell’umanità secondo una filosofia dei doveri umani, rafforzativa di
quella dei diritti di prima e seconda generazione.

.. Universalità e reciprocità

Questa, a nostro parere, è la questione radicale: se i diritti umani,


come dice la parola, sono davvero riferibili ad ogni essere umano in
una comune umanità ed in un mondo unito e casa comune.
Il mondo islamico ha sentito il bisogno di elaborare “propri” do-
cumenti nella materia dei diritti umani. Questo è un dato di fatto
sintomatico, di cui bisogna tenere conto.
Costituisce un dato di fatto anche la carenza di un testo definitivo
comune e aggiornato di tutti i Paesi islamici, promulgato dai rispettivi
Governi, che superi le divergenze esistenti palesi od occulte.
Come si è già detto solo la Carta Araba dei diritti dell’uomo è stata
ratificata dai Governi e vincola dal  i  Paesi interessati.
Questo non è avvenuto per la Dichiarazione dei diritti umani del
 sottoscritta dalla Organizzazione della Conferenza Islamica che
raggruppa  Paesi: la mancata promulgazione ed entrata in vigore a
livello dei Governi implica la persistenza di linee di contrasto rivelatesi
finora insuperabili. Si tratta di un fatto giuridicamente rilevante.
Evidentemente il “corpus” dei diritti umani elaborato dai Governi
in sede internazionale e continentale (anche se non disconosciuto
formalmente anzi richiamato espressamente dalla Carta araba rap-
presentativa non di tutto l’Islam) è ritenuto non del tutto “soddisfa-
cente” o non completamente “soddisfacente”. È molto importante
. Aspetti problematici dei diritti umani nell’Islam 

continuare a lavorare per riconoscersi nei diritti umani condivisi ac-


cogliendoli in profondità come valori e favorire un percorso comune.
Nella logica dei diritti umani l’universalità non può costituire un mero
auspicio, perché è un requisito essenziale, ancor più ora in un mondo
globalizzato aperto al futuro e a nuove sfide.
All’universalità è collegata la reciprocità con la rinuncia ad ogni rigi-
dità ed esclusività. Di conseguenza (quali che siano le ragioni storiche
e filosofiche che sono alla base del disaccordo) occorre evidenziare un
percorso di chiarificazione in vista di un maggior consenso.
Almeno un nucleo essenziale, uno standard legale minimo dei
diritti umani deve essere universale e reciproco in ogni parte del
mondo, compreso quello che si richiama alla cultura religiosa islamica.
Significativamente il valore “universale” dei diritti umani è sottoli-
neato con continuità e forza dalle Nazioni Unite, cioè dalla principale
Organizzazione politica mondiale (non solo nella prima fase costitui-
ta dalla Dichiarazione universale del  e dai Patti internazionali
del , ma anche successivamente con la Conferenza mondiale di
Vienna del giugno  sui diritti umani e con solenni prese di posi-
zione ufficiali di Segretari Generali come Kofi Annan, nel novembre
 a Teheran durante un congresso organizzato dalla Conferenza
Islamica).
Nella dichiarazione conclusiva della Conferenza di Vienna così si
afferma:

Tutti i diritti umani sono universali, indivisibili, interdipendenti e intercon-


nessi. La Comunità internazionale ha il dovere di trattare i diritti umani
in modo uniforme e in maniera corretta ed equa. Benché debbano essere
tenuti in considerazione l’importanza delle peculiarità nazionali e regionali
e le differenti condizioni storiche, culturali e religiose, è dovere degli Sta-
ti promuovere e proteggere tutti i diritti umani e le libertà fondamentali,
prescindendo dai loro sistemi politici, economici e culturali.

Occorre riconoscere che resistenze motivate da ragioni in senso


lato culturali (e non solo religiose) ai diritti umani, considerati erro-
neamente solo espressione dell’Occidente, sono state avanzate anche
in Asia ed Africa soprattutto nella prima fase successiva alla decolo-
nizzazione (Dichiarazione di Bangkok del  e la Carta Africana
dei diritti umani e dei popoli del ), sottintendendo nella realtà il
bisogno di assecondare l’indipendenza e lo sviluppo socio–economico
 Diritti dell’uomo nell’Islam

di vari Paesi: ora la realtà geopolitica globale sembra diversa perché


un certo sviluppo si è prodotto in Cina, India e in varie altre realtà
nazionali e lo stesso Occidente non ha la stessa primazia degli anni
passati.
Il problema della universalità dei diritti umani ha acquistato forza
obiettivamente, perché in un mondo globalizzato è cresciuta la co-
scienza della interdipendenza e reciproca integrazione della comunità
umana nel suo complesso. Se la dignità umana costituisce un valore
comune condiviso,la diversità culturale pur legittima esercita una cer-
ta influenza, ma non può mai arrivare a negare protezione ad uno
standard minimo di valori comuni universali.
L’attualità dei diritti umani riguarda un ampio spettro di valori,
da quelli più personali di libertà a quelli politici di partecipazione e
democrazia,da quelli economico sociali (es. la tutela della sicurezza e
del lavoro anche ad opera di multinazionali) a quelli culturali, da quelli
individuali a quelli collettivi relativi a pace, sviluppo e ambiente comu-
ne, implicanti doveri di nuova solidarietà e rispetto per le esigenze di
sviluppo dei popoli (es. in Africa).
I problemi di tutela dei diritti umani vanno esaminati nella realtà
per come si presentano, senza deformazioni ideologiche e culturali
eccessive. Soprattutto i nuovi diritti umani di terza generazione come
la pace e il bene comune dell’ambiente, aiutano a trovare un terreno
di difesa irrinunciabile da tutti condiviso.
Come si è già accennato, la crisi globale di alcune risorse fonda-
mentali, come acqua, biodiversità, suolo fertile, cibo, energia, clima,
influenza il modo di vedere i diritti umani possibilmente con uno
sguardo comune ed aperto ed anche secondo una filosofia dei doveri.
Allo stesso modo l’impossibilità di risolvere i conflitti tra Stati con
tipi di guerra e di armi distruttive di massa che metterebbero in
pericolo la sostenibilità della vita stessa (compresi tutti i contendenti),
non esclude che si sono moltiplicati i conflitti locali egualmente molto
pericolosi per uno sviluppo ordinato e per la pace, in mancanza di
una governance globale adeguata, stante la inadeguatezza del modello
delle Nazioni Unite: anche questi molteplici conflitti toccano in modo
grave i diritti umani di molte popolazioni.
In punto di fatto, ritornando al tema specifico dei diritti dell’uomo
nell’Islam, occorre riconoscere che nei documenti sui diritti umani
elaborati dal mondo islamico (con l’eccezione della Carta Araba) si
. Aspetti problematici dei diritti umani nell’Islam 

parla ancora un linguaggio culturale troppo autoreferenziale, cioè per


i fedeli di un credo religioso rispettosi di una autorevole tradizione,
quasi in un atteggiamento di difesa verso il resto dei popoli con le loro
culture. Alcuni valori sono enfatizzati, mentre altri rimangono sullo
sfondo e non vengono sviluppati.
In questi documenti non si parla di universalità e reciprocità in
modo completo e generale: se è vero che l’Occidente non può impor-
re i diritti umani, lo stesso vale per l’Islam, posto che i diritti umani
non sono per definizione un’arma politica ma il luogo della comune
umanità e dignità.
L’Islam secondo il punto di vista di molti deve rispondere come inten-
de assicurare ai diritti umani universalità e reciprocità, senza violenza di
qualsiasi tipo, prendendo posizioni chiare ed innovative. Su questi due
punti tra loro collegati è l’Islam che deve avvicinarsi di più agli strumenti
di diritto internazionale già elaborati dalla Comunità internazionale.
Inutile nascondere le difficoltà sopravvenute dopo i noti eventi
traumatici del terrorismo internazionale che si richiama all’Islam, a
cominciare dall’ settembre  con la distruzione delle Torri Ge-
melle di New York e poi con l’emergere dell’I e movimenti collegati
in Iraq, Siria ed Africa. Si tratta di eventi non del tutto chiariti nelle
vere cause ed implicazioni, in attesa che la polvere della propaganda
ideologica e politica si depositi e faccia emergere la verità.
A riprova di queste difficoltà, il numero , , della nota « Rivista
Islamochristiana » del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica,
dedicato al ricordo del cinquantesimo anno del Documento conci-
liare “Nostra Aetate” (Concilio Vaticano  che apriva ai rapporti tra
cristiani, ebrei e musulmani), riconosce, nella pagina introduttiva, che
i recenti attentati terroristici hanno reso questi rapporti molto difficili
nei mezzi di comunicazione sociale. Le posizioni si sono radicalizzate
a seguito di numerosi eventi sanguinari in Europa, Medio Oriente,
Africa settentrionale e sub–sahariana con gravi sofferenze per i cri-
stiani come riconosce e denuncia lo stesso Consiglio Pontificio per il
Dialogo Interreligioso.
Eppure la Dichiarazione n. “Nostra Aetate” del Concilio Vaticano
 aveva aperto in modo convinto il dialogo:

La Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente
e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra,
 Diritti dell’uomo nell’Islam

che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai
decreti di Dio anche nascosti, come si è sottomesso Abramo, al quale la fede
islamica volentieri si riferisce [. . . ] Se nel corso dei secoli non pochi dissensi
e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani, il sacrosanto Concilio
esorta tutti a dimenticare il passato e ad esercitare sinceramente la mutua
comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli
uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà.

Il dialogo comunque prosegue nelle realtà umane locali caratte-


rizzate dalla fede ed anche a livello scientifico. Il grande islamologo
scomparso, Jacques Waardenburg, ricordato dalla Rivista sopracitata,
si domanda quale senso reale profondo abbia « la incomprensione
rinnovata del mondo musulmano nei confronti degli altri ».
Nello stesso numero della Rivista (pp. –) “Regarder avec estime”,
Michel Lagarde nel parlare dei rapporti cristiani–musulmani, osserva:
« nous devons être bien conscients de nos différends réciproques;
nous méfier de l’illusion des fausses ressemblances; et, enfin, avoir le
courage et l’hardiesse de nos saines différences ».
Una prima differenza (che si condivide) secondo questo autore,
riguarda la natura di Dio (monoteismo trinitario o monoteismo stret-
to) e di conseguenza il mistero della incarnazione del Verbo. Questa
è davvero una differenza radicale, che non può essere messa in se-
condo piano per favorire il dialogo (v. J. E, Islam e Cristianesimo:
una parentela impossibile, collana « i Pellicani », Lindau, Torino ; J.
R, Paolo, l’Apostolo delle genti, San Paolo ).
Come osserva W.M. Watt, Breve storia dell’Islam, , pp. e ss.:
« il Corano evidenzia una scarsa conoscenza dei fondamenti della
religione ebraica e cristiana, a parte la fede in Dio e nel Giudizio
ultimo ».
Rispetto al giudaismo infatti nulla si dice del ruolo di Abramo
invitato da Dio a lasciare Ur per una nuova terra confidando con
fede nella promessa di una discendenza numerosa come le stelle del
cielo; nulla si dice del compito affidato da Dio a Mosè di guidare il
suo popolo fuori dell’Egitto; nulla si dice di Davide e del tempio
di Salomone; nulla si dice dell’esilio del popolo ebraico e del loro
ritorno a Gerusalemme per volontà di Ciro il Grande con libertà di
culto nel Tempio [. . . ] Si tratta di aspetti rilevanti anche storicamente
volutamente omessi o ignorati.
Ancora più lacunoso è il riferimento alla religione cristiana, salvo
. Aspetti problematici dei diritti umani nell’Islam 

la concezione verginale di Maria. I Vangeli non sono citati: la passione,


risurrezione dalla morte in croce di Gesù, preceduti dall’ultima cena e
dalla istituzione della eucarestia non sono minimamente considerati.
Anzi vi è un oscuro versetto (:) che sembra negare lo stesso evento
della crocifissione. La dottrina cristiana della Trinità (assolutamente
fraintesa nella sua profondità teologica e per il suo valore del sen-
so della storia umana che vede Dio compartecipe direttamente) è
considerata un ostacolo al rigido monoteismo di Allah.
Si comprende il perché della scritta sulla Moschea di Omar in
Gerusalemme « Dio non ha un figlio »: l’Islam nega storicamente il
fondamento stesso del Cristianesimo, ossia la natura umana e divina
di Cristo, con tutte le implicazioni religiose e culturali. Questo dato
radicale di diversità richiede reciproco rispetto da parte dell’Islam.
Secondo Lagarde, un’altra differenza riguarda la “universalità” della
Dichiarazione O del : questo Documento non esprimerebbe
una cultura veramente universale ma quella “atea” occidentale di deri-
vazione dalla Rivoluzione francese, sicché in via di principio dovrebbe
considerarsi ammissibile anche una cultura come quella islamica che
propone i diritti di Dio ed in posizione subordinata quelli degli uomini.
In verità sembra opportuno distinguere “ateismo” e “laicità”, con-
cetti ben distinti.
Un’altra differenza ancora riguarderebbe la base dell’etica ravvisata
nella “libertà di scelta”: questo punto in generale è condiviso dai
Musulmani, che però non escludono la validità morale di alcuni atti
imposti (es. la conversione forzata), identificando l’Islam con il bene.
Anche in Occidente tutti ricordiamo che violazioni di diritti umani
sono state perpetrate “a fin di bene” (es. Inquisizione). Si tratta di tesi
non condivisibile perché la religione non deve essere mai imposta: si
tratta di un atto umano cosciente e libero, coerente con la dignità della
persona umana.

.. Fondamento

Tutte le concezioni (compresa quella occidentale) in tema di diritti


umani si fondano su valori riconosciuti molto importanti e comuni.
La Dichiarazione universale delle N.U. del  non si è sottratta a
questa esigenza e non merita l’accusa di essere espressione solo dei
 Diritti dell’uomo nell’Islam

valori occidentali. Questo giudizio, sostanzialmente politico, appare


comunque eccessivo.
È vero invece che gli Stati vincitori della seconda guerra mondiale
(ed in particolare gli U) ebbero un ruolo di spinta, ma molteplici
personalità di Paesi del Centro e sud America e dell’Asia, espressione
di diverse culture, poterono partecipare e contribuire. L’Europa era
reduce dalla esperienza terribile di due guerre mondiali nel proprio
seno e di conflitti politici e culturali determinati da nazionalismo, co-
lonialismo, fascismo, nazismo, comunismo. Il ruolo dell’Europa si era
ridimensionato a livello politico, rispetto a nuove entità esterne come
U, U, Paesi nuovi indipendenti (es. India, Cina, Canada, Austra-
lia), ma rimaneva ancora vitale, per la memoria storica e l’esperienza
dei diritti umani calpestati.
Si può dire che la c.d. cultura occidentale per ragioni storiche, so-
cio–economiche, culturali e politiche (Magna Charta inglese del  e
Bill of Rights inglese del , Riforma protestante iniziata con Lutero
in Germania nel , Rivoluzione americana legata all’indipendenza
U del , Rivoluzione francese del  e sua influenza esterna,
indirettamente la stessa Rivoluzione russa del ) era più pronta
dopo il disastro della seconda guerra mondiale a fissare principi co-
muni di convivenza e questo avvenne. Questo spiega anche una certa
urgenza, dovuta alle condizioni storiche del momento e non certo ad
una volontà di trascurare il contributo della cultura islamica.
È vero anche che alcuni Paesi a maggioranza islamica, non usciti
ancora o da poco usciti dalla recente decolonizzazione, non ebbero
di fatto una adeguata rappresentanza ai lavori, ma sette di essi furono
comunque presenti: Egitto, Siria, Iraq, Libano, Giordania, Yemen,
Arabia Saudita. L’Egitto si limitò ad avanzare solo alcune riserve,
mentre l’Arabia Saudita ritenne di non poter aderire al testo .
I Paesi sottoscrittori furono  e solo successivamente con l’ulterio-
re decolonizzazione i Paesi aderenti si sono moltiplicati (oggi i Paesi
aderenti alle N.U. sono ).
Occorre tener conto che la Dichiarazione universale dei diritti uma-

. La scarsa rappresentanza dell’Islam nella redazione della Dichiarazione O sui


diritti umani del  è sottolineata anche da M. B: International Bills of Human
Rigths: An Islamic Critique, in « The International Journal of Human Rigths », vol. , n. ,
, il quale lamenta nel merito, dal suo punto di vista, la separazione tra diritti umani e
religione, separazione culturalmente estranea alla legge islamica Sharia.
. Aspetti problematici dei diritti umani nell’Islam 

ni del  registrò l’astensione anche dell’U e dei Paesi socialisti ad


essa collegati, considerato il clima ormai in corso della guerra fredda
con divisione del mondo in due blocchi ideologici e politici.
In parallelo inizia il cosiddetto “risveglio arabo” con il nazionali-
smo di Nasser in Egitto e la rivoluzione di Komeini in Iran e con la
rivendicazione di indipendenza di Libia, Tunisia, Algeria, Marocco ed
altri Paesi in Africa ed Asia.
L’Islam ha guardato con favore al Trattato di Helsinki del  che
sanciva due principi di non facile conciliabilità tra loro: la inviolabilità
dei confini statuali; l’autodeterminazione dei popoli. Allo stesso modo
ha guardato con favore al crollo del sistema bipolare nel  con
l’Unione Sovietica, vedendo aprirsi nuovi spazi per il suo ruolo nel
mondo.
Alla Dichiarazione del  è stata rivolta dal mondo islamico anche
l’accusa di “individualismo”, tipico dell’Occidente. Si tratta di una
accusa che non regge anche alla luce delle fonti teologiche dell’Islam,
che vedono in ogni persona umana una preziosa individualità, una
sorta di rappresentanza vicaria di Allah. Bisogna poi puntualizzare
che i “diritti umani” sono per definizione diritti propri delle persone
titolari di essi. Invocare una dimensione anche collettiva però non è
improprio, come dimostrato dalla Carta Africana dei diritti umani e
dei popoli, a contenuto laico, che sarà adottata da quel continente nel
 (con l’adesione di alcuni Stati islamici come Egitto, Libia, Tunisia,
Algeria e Sudan), ad integrazione dei diritti individuali. Comunque
l’art. della Dichiarazione O sottolinea che « ogni individuo ha
dei doveri verso la comunità nella quale è possibile il libero e pieno
sviluppo della sua personalità », sicché sembra più corretto parlare
di una “visione personalistica” e non “individualistica”, anche per la
riconosciuta influenza esercitata da personalità di ispirazione cristiana
come Jacques Maritain, René Cassin ed altri.
I diritti umani, proprio perché universali e reciproci, implicano la
doverosità verso gli altri e la comunità, insieme con la responsabilità,
essendo finalizzati al bene comune e non a quello egoistico individuale.
Una filosofia dei doveri non solo in senso etico e religioso ma anche
giuridico, deve poter correggere gli eccessi di un certo individuali-
smo in alcune prassi sociali per tutti i diritti umani, compresi quelli
economico–sociali (l’attuale situazione è caratterizzata da scandalose
disuguaglianze) ed ancor più per quelli più recenti di terza generazio-
 Diritti dell’uomo nell’Islam

ne come ambiente, sviluppo e pace a dimensione collettiva nei quali


la solidarietà è essenziale per la loro reale attuazione.
L’Occidente ed i Paesi emergenti non possono trascurare la di-
mensione anche collettiva dei diritti umani, trovando un terreno di
incontro con altre culture, compreso l’Islam. Questo processo, a no-
stro parere, deve avvenire senza rinnegare le radici dei diritti umani
personali, radicate nelle singole persone: l’albero dei diritti umani
deve poter crescere ed allargare i suoi rami bilanciando il suo sviluppo
con un radicamento più profondo. La doverosità appartiene appun-
to alla dimensione più profonda dei diritti umani e perciò merita di
essere valorizzata. Leggendo con attenzione e rispetto i Documenti
islamici sui diritti umani si riscontra con piacere una viva sensibilità
per questi valori. La doverosità è anche la via obbligata della parte-
cipazione sociale e dell’accesso alla giustizia. La Dichiarazione del
Cairo dei diritti dell’uomo nell’Islam del  nell’art. enuncia in
modo molto efficace e condivisibile che “L’autorità è responsabilità”,
sicché nel mondo islamico le basi della democrazia partecipativa sono
enunciate e richiedono di essere attuate con regimi democratici ed
aperti al pluralismo. Anche il ruolo della società civile merita di essere
sviluppato non solo sotto il profilo procedimentale (informazione, par-
tecipazione ed accesso), ma sostanziale incidendo liberamente sugli
indirizzi di merito dei Governi.
Alla stessa Dichiarazione la cultura islamica rivolge anche l’accusa
di “materialismo”. Su questo punto bisogna riconoscere che la Dichia-
razione del  non indica il fondamento etico e giuridico in una
specifica religione e non cita neppure il nome di Dio (pur presente
nella Dichiarazione americana del ). Questa posizione non equi-
vale ad indifferenza od ostilità verso il patrimonio etico e religioso
dei popoli, che trova la sua espressione nella « libertà di opinione,
coscienza e religione » nella dimensione individuale e pubblica, senza
esclusività. Si tratta di una scelta laica che costituisce uno spartiacque
con la concezione “religiosa” dei diritti umani nell’Islam, ove il fonda-
mento religioso costituisce non solo una ispirazione ma una “regola”
imposta dal Corano: la legge islamica è considerata l’unica fonte dei
diritti, in quanto “doni di Dio”.
Esiste, dunque, un conflitto tra la Sharia ed i moderni diritti umani
che deve trovare una equilibrata soluzione. Bisogna osservare che
secondo un buon numero di autori anche islamici una riforma per
. Aspetti problematici dei diritti umani nell’Islam 

via interpretativa è possibile ed urgente. Nelle Costituzioni recenti di


molti Paesi a maggioranza islamica si nota una tendenza all’autonomo
riconoscimento dei diritti umani, senza il richiamo della Sharia (v.
soprattutto: Abdullahi Ahmed an–Na’im, Il conflitto tra la Shari’a e i
moderni diritti dell’uomo: proposta per una riforma nell’Islam, in A. Pacini,
op. cit.) .

.. Libertà di pensiero e religione

Formalmente, i Documenti islamici sui diritti umani riconoscono in


via generale i diritti alla libertà di pensiero ed alla libertà di religione,
ma pongono una serie di limitazioni e comunque rinviano alla vigenza
attuale della legge religiosa della tradizione islamica (la Sharia). Ad
esempio, il musulmano non può ripudiare la sua fede nell’Islam senza
commettere un peccato contro Dio e addirittura un reato punibile
con la morte.
Questa interpretazione tende ad affievolirsi nei vari sistemi na-
zionali, ma non mancano gravi casi anche recenti di condanne per
apostasia (il caso di Salman Rushdie, autore del libro I versetti satanici,
condannato a morte dal defunto imamKhomeini; il caso di un rifor-
matore musulmano sudanese condannato a morte e ucciso nel ;
il caso di Magdi Cristiano Allam in Italia, divenuto cristiano cattolico
il //, condannato per apostasia e costretto a vivere sotto pro-
tezione: egli è autore di varie pubblicazioni tra cui la traduzione in
italiano del Corano e sostiene che non esiste un Islam moderato così
come aveva affermato con forza O. F (Il declino della cristianità

. Sulla auspicata riforma dell’Islam nel senso di riconoscere la universalità e reciproci-


tà dei diritti umani e di un ripudio formale ed assoluto della violenza sono possibili ulteriori
considerazioni. Le Nazioni Unite potrebbero e dovrebbero incoraggiare un accordo chiari-
ficatore tra Sunniti e Sciiti che ponga fine ad un conflitto interno all’Islam che si trascina da
secoli: una sorta di reciproca accettazione come avvenne in Europa con la pace di Westfalia
nel  tra Cattolici e Protestanti. Questo accordo avrebbe un effetto benefico enorme
nel pacificare l’Islam nel suo stesso seno e aprirebbe uno spazio favorevole alla evoluzione
dei diritti umani in ambito internazionale. Si ricorda che il diritto internazionale moderno
suole indicare coma data simbolica di nascita proprio il . L’universalità accettata dei
principali diritti umani dall’Islam sarebbe un evento epocale per un mondo unito ed in
pace.
 Diritti dell’uomo nell’Islam

sotto l’Islam, Lindau, Torino ; La rabbia e l’orgoglio, Rizzoli, Milano


; La forza della ragione, Rizzoli, Milano ).
L’aspetto più delicato riguarda la utilizzazione blasfema del nome di
Dio ad opera di movimenti fondamentalisti per uccidere gli “infedeli”
in modo indiscriminato. Perfino alcune entità statuali applicano con
violenza la legge islamica in alcuni casi: in Pakistan contro la setta
minoritaria Ahamadi; in Iran contro la setta Bahai; in Arabia Saudita
ed in Yemen contro le minoranze sciite.
La questione che si pone riguarda l’aggiornamento della legge isla-
mica o meglio la confluenza in un corpus di norme che effettivamente
riconoscano libertà di pensiero e religione in tutte le forme (v. anche
il volume: Libertà religiosa: verso un Islam europeo, in « Rivista La Gaz-
zada », dicembre , curata da Mons. Luigi Mistò, Direttore della
Fondazione Ambrosiana Paolo VI, Villa Carmagnola, Varese).
Si ritorna sempre sulla difficoltà di aggiornare una legge islamica
considerata diretta emanazione del Corano e della Sunna, cioè dei testi
sacri dell’Islam, legge posta di conseguenza sullo stesso livello: la Sha-
ria, perché legittimata dalla rivelazione, sarebbe conseguentemente
sempre superiore ad ogni altra legge umana. La tendenza conserva-
trice mirante a garantire la ortodossia ed il fondamento religioso
dell’Islam coinvolge anche il diritto come elaborato dai giuristi isla-
mici in epoche storiche passate nel senso di attribuire alle molteplici
prescrizioni giuridiche nei vari campi della vita il carattere di prescri-
zioni “divine” come tali immutabili (v. M. B, I diritti dell’uomo
e le istituzioni islamiche, in Paolo Branca e Vermondo Brugnatelli (a
cura di), « Studi Arabi e Islamici in memoria di Matilde Gagliardi »,
Istituto Italiano per il Medio e l’Estremo Oriente, Milano ).

.. Ruolo della donna

Esistono tuttora importanti differenze tra legge islamica e la Dichia-


razione universale dell’O del  in merito alla posizione della
donna per i rapporti civili e per gli aspetti patrimoniali oltre che per
il ruolo nella famiglia in rapporto al marito. Una certa evoluzione
positiva rispetto alle epoche storiche passate si è già verificata e la
situazione muta da Paese a Paese (v. A. A. an–Naim, Islamic Family
Law in a Changing World. A global Resources Boook, London ).
. Aspetti problematici dei diritti umani nell’Islam 

Si sottolineano i seguenti punti relativi all’applicazione della legge


islamica che, si ribadisce, non è uniforme nei vari Paesi musulmani e
registra graduali progressi:

— la donna musulmana è sottoposta alla potestà maritale;


— la donna musulmana può avere un solo marito (la poligamia è
privilegio non commendevole dell’uomo);
— la donna musulmana può divorziare solo in via eccezionale
(mentre è consentito al marito ripudiare la moglie);
— la donna musulmana ha un ruolo familiare di custodia dei figli
e cura della casa (ma l’indirizzo della famiglia con relative scelte
appartiene al marito);
— la donna musulmana può ereditare, ma in misura inferiore
rispetto all’uomo;
— la donna musulmana può testimoniare ma la testimonianza
deve essere rafforzata da altre due persone;
— la donna musulmana è condizionata dai parenti nelle scelte
coniugali e l’età per contrarre matrimonio è in media ancora
bassa;
— la pratica della infibulazione particolarmente dolorosa ed odiosa
per le bambine è ancora diffusa in alcuni Paesi islamici, ma
non sembra avere un fondamento nel Corano e neppure nei
documenti islamici sui diritti umani, ma certamente risente del
ruolo della donna nel costume sociale;
— la donna musulmana in alcuni Paesi non può svolgere alcune
professioni (es giudice);
— la donna musulmana deve portare il velo e talora addirittura il
burka (v. Ahmed L., Oltre il velo. La donna nell’Islam da Maometto
agli ayatollah, Firenze ; Acar H.I. Islam,Woman Politics, in
« The Islamic Quarterly », ).

.. Rapporto musulmano–non musulmano

La tradizionale legge islamica nella realtà stabilisce ancora una di-


stinzione tra musulmano e non musulmano. Per Ebrei e Cristiani
storicamente vige l’istituto del “dhimmi”, cioè di una sorta di prote-
zione “concessa” nel privato per le rispettive pratiche di culto, dietro
 Diritti dell’uomo nell’Islam

pagamento di una tassa. Per gli altri non musulmani non esiste questo
istituto ma vi è una tendenza positiva in questa direzione.
Secondo Mohamed Berween (Non–Muslim in the Islamic State: Ma-
jority Rule and Minority Rights in « The International Journal of Human
Rigths », vol. , n. , giugno ), il modello giuridico di tutela delle
minoranze nel diritto islamico sarebbe adatto a governare le società
multietniche, multiculturali e multi religiose.
Il musulmano può sposare una donna di religione ebraica o cristia-
na. La donna musulmana non può farlo secondo la legge. In caso di
lesioni personali è previsto il risarcimento del danno ma in misura
minore per i non musulmani. La tendenza a configurare uguali diritti
civili ed economico sociali nelle Costituzioni moderne dei vari Paesi
islamici merita di essere esaminata, nel senso di una tendenza verso la
unitarietà della cittadinanza.

.. Omosessualità

La terribile vicenda della strage in una discoteca gay nella città di


Orlando, Florida, del  giugno , con  morti (strage rivendicata
dall’I), pone un problema molto grave di equilibrio tra sistemi
legali di protezione dei diritti umani, posto che il diritto alla vita
dovrebbe avere comunque priorità anche nel caso di non condivisione
del fenomeno reale della omosessualità. Si tratta di un fenomeno
antico e non di una scoperta moderna di libertà: v. Genesi, , –,
ove si racconta di Sodoma, colpevole di “un peccato molto grave”, che
arriva come un “grido” fino a Dio.
Anche il Corano condanna questa pratica in varie sure: ––––.
La legge coranica conseguente (Sharia) in vari Paesi islamici prevede
addirittura la pena di morte: così in Arabia Saudita, Iran, Nigeria,
Mauritania, Pakistan, Sudan, Somalia, Somaliland, Yemen. Altri Paesi
come Marocco e Tunisia sono più moderati.
Nella dottrina cattolica l’omosessualità è considerata una tenden-
za contraria alla legge naturale, perché preclude all’atto sessuale il
dono della vita; ma si deve evitare il marchio di una ingiusta pena o
discriminazione. Secondo la dottrina cattolica ogni parificazione con
il matrimonio uomo–donna va esclusa: v. Genesi, ,–; Lettera ai
Romani, ,–; Lettera ai Corinzi, ,; Lettera a Timoteo, ,; Con-
. Aspetti problematici dei diritti umani nell’Islam 

gregazione Vaticana per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Persona


Humana, ; Giovanni Paolo , Esortazione ap. Familiaris consortio,;
Papa Francesco, Enciclica Laudato Si, cap ., « Non è sano un atteg-
giamento che pretenda di cancellare la differenza sessuale perché non
sa più confrontarsi con essa »).
In Occidente in vasti settori, l’omosessualità è rivendicata come un
“diritto”, cioè una sorta di liberazione della propria personalità. La
distanza sembra abissale, eppure, dal nostro punto di vista, il punto
di equilibro dovrebbe essere la valorizzazione del diritto umano alla
famiglia (istituto sociale davvero fondamentale ora in crisi) fondata
sul legame naturale maschio–femmina perché capace di perpetuare la
vita e la specie umana. La criminalizzazione della omosessualità non è
comunque accettabile.

.. Riconoscimento di Israele

Questo profilo va inquadrato in quello più generale del concetto di


guerra e pace nell’Islam, con riferimento al dato letterale degli antichi
testi, alle interpretazioni che si sono avute nella prassi, allo spazio
(o non spazio) dato alla parola guerra nelle moderne Costituzioni
islamiche nazionali.
Prescindendo dalle polemiche, occorre riconoscere un dato sto-
rico costante: la contrarietà alla dimensione pubblica politica della
religione ebraica soprattutto negli spazi considerati di appartenenza
sacra dell’Islam (la Palestina, Gerusalemme). Una cosa sono gli Ebrei
come persone, il cui riconoscimento è ammesso a titolo personale, sia
pure in modo attenuato ed a certe condizioni; altra cosa è la pretesa di
esistenza di uno Stato di Israele nella antica Palestina araba. La pole-
mica contro Israele non è solo di tipo politico ma purtroppo anche di
profonda e radicale ostilità ideologica e religiosa.
Nella Carta araba dei diritti umani del  (v. preambolo e art.) si
arriva ancora a paragonare il sionismo al razzismo: eppure si tratta di
un documento nel complesso moderato.
Esistono certo ragioni storiche, a partire dal periodo di Maometto e
difficoltà nei testi coranici, ma è innegabile che per l’Islam dopo tanti
secoli sia stata percepita come un corpo estraneo una entità statuale
ebraica nella Palestina dopo la seconda guerra mondiale, favorita da
 Diritti dell’uomo nell’Islam

Paesi che in parte erano stati colpevoli del colonialismo verso vari Stati
islamici. Risultato vano il tentativo militare, alcuni Paesi arabi moderati
hanno cercato e cercano un compromesso avallato dalle N.U.: due
entità distinte nell’area, Israele e la Palestina. Questo compromesso
non si è ancora stabilizzato, ma non ha alternative.
Nel ricordato Memorandum del , l’Arabia Saudita cercava di
spiegare alle Nazioni Unite le ragioni di ostilità all’esistenza di Israele
come Stato: pretesa occupazione illegittima di un’area cananea (e
quindi araba!) da parte degli Ebrei fuggiti dall’Egitto al seguito di
Mosè; giusta punizione e distruzione di Gerusalemme ad opera degli
Assiri, di Alessandro Magno e dei Romani (con una esemplificazione
eccessiva: Abramo veniva da Ur verso occidente; non tutti gli Ebrei
erano in Egitto; Ciro il Grande aveva autorizzato la ricostruzione del
Tempio; i Romani erano alleati di Erode il Grande che ricostruì di
nuovo il Tempio).
Considerare un popolo autore della Bibbia, cioè del Libro cui at-
tinge anche l’Islam, non meritevole per ragioni religiose di avere una
propria identità, escludendo addirittura il diritto ad esistere, sembra
eccessivo: in realtà si tratta di un problema, sia pur grave, politico che
può avere una soluzione di compromesso come propongono da anni
le Nazioni Unite. Due popoli possono coesistere in pace in nome dei
comuni diritti umani.
Purtroppo le idee dell’Arabia Saudita non sono cambiate e si ri-
trovano puntualmente nello Statuto del Movimento di Resistenza
Islamico Hamas (pubblicato da Carlo Panella nel volume citato Il libro
nero del Califfato, B, , pp. –). Questo Movimento, una
branca dei Fratelli Musulmani, occupa la striscia di Gaza in Palestina e
non fa mistero della sua natura: « Il Movimento di resistenza islamico è
uno degli anelli della catena del Jihad nella sua lotta contro l’invasione
sionista » (art.).
Lo Statuto di Hamas merita di essere letto con attenzione anche alla
luce del diritto internazionale e della filosofia dei diritti umani, perché
contraddice la visione “politica” dello Stato palestinese di possibile
coesistenza e pace con Israele come popolo e Stato. Non è vero che
« non c’è soluzione al problema palestinese se non il Jihad » (art.): la
Striscia di Gaza è stata ceduta da Israele proprio per consentire una
soluzione politica e non militare ai suoi confini, dopo l’accordo con
l’Egitto a sud (accordi di Begin e Sadat nel ) e l’accordo con la
. Aspetti problematici dei diritti umani nell’Islam 

Giordania (Accordi di Oslo del ) ad est. Si attende che i negoziati


tra lo Stato della Palestina riconosciuto dalle N.U.(come pure Israele) e
da molti Governi in ordine ai confini definitivi giungano a conclusione
a livello politico. Non ha senso a livello politico e giuridico accusare
i nemici ebrei di avere « organizzato la prima guerra mondiale per
distruggere il Califfato islamico »; di avere ottenuto « con il controllo
di molte ricchezze la Dichiarazione di Balfour »; di avere fondato « la
Società delle Nazioni come strumento per dominare il mondo »; di
avere « organizzato la Seconda Guerra mondiale e le Nazioni Unite
per le stesse finalità di dominio » (v. art.).
Si tratta di tesi a dir poco eccessive anche per una legittima visione
nazionalistica, perché partendo da un dato religioso (tutta la Palestina è
terra dell’Islam, « ogni terra che i musulmani abbiano conquistato con
la forza [. . . ] è stata consacrata per tutte le generazioni dell’Islam fino
al giorno del Giudizio », art.), si introduce addirittura un pericoloso
« obbligo individuale per ogni uomo e donna musulmano di combat-
tere il nemico », una legittimazione della guerra indiscriminata e del
terrorismo al di fuori delle regole del diritto internazionale. Non è
senza ragione che l’Autorità Palestinese sconfessi queste impostazioni.
Capitolo V

Il diritto umano alla pace nell’Islam

.. Pace come diritto umano e ripudio della guerra

Il tema della guerra e della violenza nell’Islam merita di essere esami-


nato alla luce dei principi del diritto internazionale moderno e della
branca che riguarda specificamente i diritti umani.
Non si rinviene nei documenti islamici riportati in appendice al
presente volume una formulazione esplicita del diritto umano alla
pace .

. Per la visione cristiana della pace, v. il libro: Il concetto di pace, Libreria Editrice Vaticana,
a cura del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, diretto da S. E. Card. P. K. A.
Turkson, : esso contiene contributi di estremo interesse sulla famosa Enciclica Pacem in
Terris di Giovanni  del  a distanza di  anni. La pace viene considerata nei suoi aspetti
teologici e religiosi, ma anche per gli aspetti politici, economici, sociali, culturali, educativi ed
ambientali, nel contesto attuale della globalizzazione, che esige scelte di governance ineludibili.
L’attuale Pontefice Francesco non ha esitato ad affermare la necessità di un diritto alla pace nel
diritto internazionale.È innegabile che la dottrina cattolica sulla pace ha subito una interessante
chiarificazione nell’ultimo periodo: la condanna dei Papi sia della prima che della seconda
guerra mondiale; la condanna del nazismo e del comunismo ateo sovietico; l’Enclica Pacem
in Terris del  di Giovanni , nata nel pericoloso contesto della minaccia di una guerra
nucleare; il Concilio Vaticano  con i suoi documenti tra cui Nostra Aetate sulla apertura del
dialogo con altre Religioni; perfino la restituzione simbolica della bandiera turca alla Turchia
catturata a Lepanto nel ; i numerosi incontri in Assisi nel nome della Pace con Giovanni
Paolo ; la dissociazione dalla guerra Usa all’Iraq; la ribadita non assimilazione del terrorismo
islamista con una guerra di religione Cristianesimo–Islam. A proposito della la guerra “a
pezzetti” in atto ad opera del fondamentalismo di matrice islamica di cui Papa Francesco ha
parlato, si possono trovare utili indicazioni nel libro a cura del « Corriere della Sera », Che
cosa è l’I, , con contributi di Sergio Romano, Guido Olimpio, Davide Frattini, Lorenzo
Cremonesi, Michele Farina, Viviana Mazza, Francesco Battistini, Fiorenza Sarzanini, Massimo
Gaggi, Faria Sabahi, Roberto Tottoli, Marta Serafini, Pierluigi Battista. Altri recenti contributi: F.
N, Il Califfo e l’Ayatollah, Mondadori, ; M. M, Il Califfato del terrore. Perché
lo Stato islamico minaccia l’Occidente, Rizzoli, Milano ; D. Q, Il grande Califfato, Neri
Pozza, Vicenza ; L. N, Isis, lo Stato del terrore, Feltrinelli, Milano ; K. F. A,
Il jadista della porta accanto, Piemme, Milano ; C. P, Il libro nero del Califfo, Rizzoli,
Milano .


 Diritti dell’uomo nell’Islam

Questo non toglie, come si dirà in prosieguo, che esiste nella cultu-
ra e negli stessi testi religiosi una profonda e sincera ispirazione alla
pace come valore comune dell’umanità.
La pace è divenuta un diritto umano di terza generazione, patroci-
nato dalle Nazioni Unite e da vari movimenti culturali e politici nel
mondo (v. « Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace », Risoluzione
\ del  novembre  dell’Assemblea delle N.U.; « Dichiarazione
sul diritto alla pace », documento del Consiglio dei diritti umani, Ri-
soluzione n.\\ dell’Assemblea Generale). Occorre di con-
seguenza esplicitare questo diritto umano in modo adeguato in ogni
sistema giuridico e ad ogni livello.
Neppure si rinviene, sempre nei documenti islamici riportati nel-
l’appendice, una dichiarazione di “ripudio” esplicito della guerra (co-
me ad esempio accade nella Costituzione italiana del ), quale
strumento di risoluzione dei conflitti. Questo passaggio giuridico cul-
turale ulteriore sarebbe auspicabile, considerando che pace non è solo
assenza di guerra, ma sforzo comune per un vero sviluppo umano
solidale.
Questi rilievi sembrano già significativi della necessità per l’Islam di
una cultura e di un cammino ulteriore da compiere a livello giuridico
nel senso di una chiara posizione in merito.
La pace nelle opere degli storici e dei filosofi moderni registra
molti nomi insigni, (Immanuel Kant ed il suo scritto Per una pace
perpetua, ; l’illuminista Voltaire Trattato sulla tolleranza; lo scrittore
Lev Tolstoi, soprattutto con Guerra e Pace; Bertrand Russell, Storia
della filosofia occidentale, scritto durante la seconda guerra mondiale e
successive prese di posizioni molto forti a favore della pace: Tribunale
Russell; Mahatma Gandhi con la sua non violenza in India; Martin
Luther King, premio Nobel nel , assassinato a Memphis per il suo
impegno sui diritti civili negli U; il Dalai Lama e la sua battaglia
pacifica per il Tibet). Alcune personalità islamiche si sono distinte per
il loro impegno per la pace come Sadat, il Re del Marocco, il Re di
Giordania.
. Il diritto umano alla pace nell’Islam 

.. La pace nell’Islam

Nell’affrontare il tema della “violenza” nell’Islam, oggetto principale


del presente contributo, si può osservare che non si deve generaliz-
zare ed occorre utilizzare con prudenza gli strumenti di analisi più
opportuni. Si può cominciare dalle fonti, cioè dai testi religiosi come
il Corano.
Occorre premettere che nelle fonti, oltre il dato letterale, deve
essere cercata l’ispirazione complessiva come si ricava dai grandi prin-
cipi generali e va tenuto in dovuta considerazione il criterio storico.
Sembra importante non dimenticare anche che in tema di diritti
umani non basta una critica pur necessaria dei testi, ma occorre esa-
minare in concreto le forme del potere come evolute (o non evolute)
storicamente.
Ci si limita qui solo ad alcune indicazioni necessariamente incom-
plete per avere un’idea di massima:

— il saluto usuale del musulmano è “la pace sia con voi”;


— la parola stessa di Dio è “pace” (Corano, da  a );
— Allah è chiamato il Misericordioso, il Clemente;
— uno dei nomi di Allah è As–Salam che significa pace;
— la società ideale islamica è chiamata “dimora della pace” (Dar
as–Salam);
— il terrmine “Jihad” è controverso, ma secondo alcuni analisti an-
drebbe tradotto solo o prevalentemente come “sforzo interiore”
e non come “guerra santa”;
— nel Corano la pace sarebbe citata  volte: es.–; ,; ,;
,; ,; –; ,, ,; , (così, tra gli altri, Rena-
to D’Andria, Il concetto di pace nell’Islam, Genesi, anno , n.,
novembre );
— il Corano descrive la sua via come “la via della pace”: –;
— la stessa parola “Islam” richiamerebbe nella radice (slm) il
concetto di pace, oltre quello di sottomissione a Dio.

A questa visione ed interpretazione moderata del Corano se ne


contrappone un’altra.
Secondo alcuni autori (Magdi Cristiano Allan, convertito al cattoli-
cesimo e autore di una traduzione e commento in italiano del Corano;
 Diritti dell’uomo nell’Islam

il gesuita Samir Khalil Samir,  domande sul Corano, Edizioni Marietti,
Genova; importanti settori del mondo cattolico, es .documento di
 vescovi dell’Emilia Romagna del  novembre  approvato dal
Cardinale Biffi arcivescovo di Bologna; David Cook, Understanding
Jihad, University of California Press,  e numerosi altri autori citati
nelle note del presente testo), le citazioni testuali del Corano che
legittimano la violenza sono numerose e significative. Si vedano le
Sure :–, :, :, :–, :–, :, :, :, :, :,
:–, :–, :, :, :, :, e :.
Qualche esempio offre un’idea del loro contenuto:

— Allah darà « una più grande ricompensa a coloro che combatte-


ranno per lui » (Sura :);
— Circa gli infedeli (coloro che non si sottomettono all’Islam), co-
storo sono « gli inveterati nemici dei musulmani » (Sura :).
I musulmani devono « arrestarli, assediarli e preparare imbo-
scate in ogni dove » (Sura :). I musulmani devono anche
« circondarli e metterli a morte ovunque li troviate, uccideteli
ogni dove li troviate, cercate i nemici dell’Islam senza sosta »
(Sura :). « Combatteteli finché l’Islam non regni sovrano »
(Sura :).« Tagliate loro le mani e la punta delle loro dita »
(Sura :);
— « Se un musulmano non si unisce alla guerra, Allah lo ucciderà »
(Sura :). Al fedele deve essere detto « il calore della guerra
è violento, ma più violento è il calore del fuoco dell’inferno »
(Sura :);
— Un musulmano deve « combattere per la causa di Allah con la
devozione a Lui dovuta » (Sura :);
— « I musulmani devono far guerra agli infedeli che vivono intor-
no a loro » (Sura :);
— « I musulmani devono essere “brutali con gli infedeli” » (Sura
:);
— Un Musulmano deve « gioire della cose buone » che ha guada-
gnato durante il combattimento (Sura :);
— « Un musulmano può uccidere ogni persona che desidera se è
per “giusta causa” » (Sura :);
— « Allah ama coloro che “combattono per la sua causa” » (Sura
:);
. Il diritto umano alla pace nell’Islam 

— « Chiunque combatta contro Allah o rinunci all’Islam per ab-


bracciare un’altra religione deve essere “messo a morte o cro-
cifisso o mani e piedi siano amputati da parti opposte” » (Sura
:);
— « Chiunque abiuri la sua religione islamica, uccidetelo » (Sahih
Al–Bukhari :);
— « Assassinate gli idolatri ogni dove li troviate, prendeteli pri-
gionieri e assediateli e attendeteli in ogni imboscata » (Sura
:);
— « Prendetelo (l’infedele n.d.t) ed incatenatelo ed esponetelo al
fuoco dell’inferno » (Sura :);
— « Instillerò il terrore nel cuore dei non credenti, colpite sopra il
loro collo e tagliate loro la punta di tutte le dita » (Sura :);
— « Essi (gli infedeli) devono essere uccisi o crocifissi e le loro
mani ed i loro piedi tagliati dalla parte opposta » (Sura :);
— « Sappiate che il paradiso giace sotto l’ombra delle spade » (Sa-
hlih Al–Bukhari, vol. , p.).

Queste citazioni vanno contestualizzate. Alcune si spiegano come


parte di un contesto di conflitto in corso con Ebrei e Cristiani. Ma altre
si presentano come strutturali e permanenti, nel senso di considerare
ebrei e cristiani come possibili “nemici” da combattere o comunque
sottomettere, in quanto miscredenti.
Quel che è preoccupante è che siano contenute e rimangano
nel Corano, considerato libro sacro (v. Adonis, La preghiera e la spa-
da, Guanda ed., ) e possono legittimare erroneamente frange
estremiste e radicali alla violenza anche al giorno d’oggi.
Rimane perciò importante e di non facile soluzione la questione
della vera natura del Corano (opera increata immutabile ed eterna
oppure opera sempre di Dio ma creata e suscettibile nel tempo di
adeguamenti e modifiche), come osserva lo studioso W. M. Watt
nell’opera citata e ciò ai fini di una adeguata interpretazione.

.. L’esperienza storica

Venendo alla esperienza storica — che ovviamente non si può sem-


plificare — appare innegabile che la civiltà islamica abbia fatto uso
 Diritti dell’uomo nell’Islam

della forza (oltre che fruire della adesione volontaria) per affermarsi
in Africa, Medio Oriente e sud dell’Asia.
Vari autori hanno sottolineato la natura “complessa” del Corano di-
stinguendo le Sure più aperte e tolleranti del primo periodo meccano
della vita di Maometto, allorché capo di una minoranza perseguitata
invocava la tolleranza della maggioranza, da quelle del periodo succes-
sivo medinese, nel quale prevale il Maometto uomo politico vincente
che vuole consolidare e rafforzare l’Islam e non tollera divisioni ed
ostacoli.
Nello stesso testo religioso anche sul tema della “violenza”, con-
fluiscono dunque citazioni con contenuto ed ispirazione diversa, che
in una religione “orizzontale”, senza autorità centralizzata, aggravano
le difficoltà di interpretazione per un indirizzo uniforme. Mentre in
un normale testo positivo giuridico le modifiche appaiono fisiologi-
che, quando se ne ravvisa la necessità, questo procedimento diventa
delicato e complesso per testi che sono anche religiosi o “religiosi”
tout court.
Sembra opportuno integrare il metodo filologico testuale con la
prassi in una visione storica.
È vero e comprensibile che l’“accusa” di aver fatto uso della violen-
za anche a fini religiosi già fatta propria da un imperatore di Bisanzio,
prima della caduta di Costantinopoli (e poi ricordata, ma senza pole-
miche, da Papa Benedetto  nel Discorso di Ratisbona) non è gradita
dai Musulmani, ma i fatti storici nel bene e nel male devono essere
valutati nella loro obiettività. Questo vale per tutte le culture.

.. Jihad tradizionale e nuovo Jihad in un mondo globalizzato

La dinamica della conquista islamica soprattutto nella prima fase fu


influenzata da molti fattori, ma anche dal Jihad (quale che sia la esatta
nozione filologica e la sua portata), ossia da un ideale od imperativo
religioso (come sottolineano giustamente vari autori, come lo storico
Francesco Gabrieli Maometto e le grandi conquiste arabe, Il Saggiatore,
): a questo imperativo, interpretato però in modo negativo, si
rifanno ora i nuovi “conquistatori” del Califfato ed i loro poteri di
copertura politica, economica e militare. Questo discorso vale ovvia-
mente anche per altre civiltà: l’Occidente, a parte gli errori del passato,
. Il diritto umano alla pace nell’Islam 

ha cercato di distruggere più recentemente il male del nazismo e


del comunismo, ma ha commesso altri errori (anche verso il mondo
islamico), che non meritano però la reazione del “Califfo” nelle forme
disumane in cui si manifesta, in sé criminali in modo radicale.
Con riferimento all’ultimo periodo, dopo la fine della Seconda
Guerra Mondiale, quel che preoccupa oggi non è il risveglio anche
politico del mondo islamico nel contesto mondiale, ma un elemen-
to nuovo imprevisto e il metodo di morte utilizzato: il terrorismo
diffuso, il terrore mediatico, la spettacolarizzazione della violenza,
l’utilizzo blasfemo del termine “martire” per kamikaze portatori di
morte indiscriminata, l’utilizzo di bambini come strumenti di morte,
la riduzione in schiavitù, lo stupro delle donne anche di minore età,
l’uccisione indiscriminata di civili innocenti nella vita quotidiana. È
dalle viscere dell’Islam che esce questo nuovo mostro, che ha bisogno
di trasformare il non musulmano in nemico assoluto da annientare o
sottomettere.
Il diritto internazionale di guerra tipico dei rapporti tra Stati (ius
publicum) non ha più alcun valore e non può mitigare questo nuovo
tipo di guerra inaugurato da Isis, Boko Aram ed altri movimenti
analoghi.
La Comunità internazionale si è trovata impreparata a prevenire e
reprimere questo nuovo fenomeno di morte secondo regole condivise
di sicurezza internazionale. L’inerzia delle N.U. e la debolezza degli
U e dell’Europa hanno tollerato per un lungo periodo o addirittura
coperto quasi fatalisticamente genocidi di popolazioni e distruzioni
intenzionali ripetute e gravissime di patrimoni culturali dell’umanità
(Mosul, Ninive, Palmira, ecc) .
. Merita di essere segnalata la presa di posizione esplicita del Segretario di Stato U,
John Kerry del  marzo , nel senso di definire atti di “genocidio” quelli compiuti
dall’I. Gli U a livello politico hanno lasciato fare ai Paesi del Golfo nel sostegno
strutturale sul territorio all’I ed ora sono preoccupati per la loro immagine nel mondo
sperando di rimuovere gli effetti senza rimuovere le cause con una diversa politica verso
i Paesi del Golfo Persico. Ha ragione Kerry quando promette un documento ufficiale
descrittivo di tutti gli atti di genocidio compiuti dall’I da sottoporre al Consiglio di
Sicurezza delle N.U. ed anche alla Corte Penale Internazionale: un documento contro una
« organizzazione terroristica criminale internazionale ». Ma si ripete qui è in discussione la
responsabilità degli Stati per atti contrari al diritto internazionale compiuti nell’ombra per
scopi pseudo–politici. Non solo l’Islam moderato non ha assunto ancora forti posizioni
di dissenso formale, globale, nelle sedi internazionali contro l’I ed analoghi gruppi
terroristici ma addirittura si scopre che Stati sovrani li hanno finanziati e sostenuti in modo
 Diritti dell’uomo nell’Islam

La riflessione su un nuovo ordinamento giuridico del Pianeta, ca-


ratterizzato da sicurezza, pace sviluppo e protezione dell’ambiente
comune deve tenere conto del principio di integrazione dei sistemi
giuridici, senza squilibri e vuoti pericolosi: si tratta di riflessione che
ritiene comunque necessario insieme con una appropriata governance
mondiale, il ruolo sussidiario degli Stati (per un riferimento culturale
al passato, v. Carl Schmitt, Stati, grandi spazi, nomos, Adelphi, ).
La destabilizzazione di Stati nazionali come Afghanistan, Iraq e Siria,
anche per colpe dell’Occidente, ha creato dei vuoti, delle terre di nes-
suno, da colmare con il terrorismo. L’idea dello Stato non è tramontata
ma ha assunto una nuova forma. Il diritto internazionale impone agli
Stati la responsabilità primaria di proteggere le persone come tali e
non consente di “giocare” con il terrorismo in vista di vantaggi con-
tingenti. In un mondo globalizzato sotto tutti i profili (comprese le
nuove tecnologie del web) sono concepibili solo società aperte e con-
nesse con nuove reti reali e virtuali, superando con prudenza e nuove
regole e nuove forme di governance le inevitabili tensioni e difficoltà,
onde evitare le prepotenze dei più forti. Il terrorismo non deve poter
profittare dei vantaggi delle società aperte, mettendo a repentaglio le
libertà e la sicurezza.

.. La strategia dell’Isis dal 

Alla strategia individuale del terrore distribuita di singole azioni contro


i civili, si è accompagnata una strategia di conquista “territoriale” in
Iraq, Siria, Libia in nome del Califfato (ad opera di I che si separa
da al–Qu’ida non nelle finalità ma nella strategia il  giugno ),
con la copertura ed il sostegno occulto di Arabia Saudita e Paesi del
Golfo e perfino della Turchia, Paesi interessati ad acquisire spazi di
influenza geopolitica (sono oltre  le fosse comuni di sistematici

massiccio e continuo per oltre due anni con armi e risorse. Gli U e la stessa Europa non
hanno voluto vedere ed ora devono confrontarsi con la realtà.
. Si veda la presa di posizione chiara del « Corriere della Sera » dell’ luglio , con
l’articolo di E. G  L, Le troppe parole che l’Islam non dice. A livello politico
secondo l’autore, « l’Arabia Saudita è il vero cuore della violenza terroristica islamica,
perché ne è di gran lunga il maggiore finanziatore ». Questo a nostro parere è il livello
giusto di confronto perché « I è uno strumento della geopolitica dell’Arabia Saudita e
. Il diritto umano alla pace nell’Islam 

stermini e genocidi, trovate in varie località, come Palmira, Ramadi,


Tikrit, Ninive, Sinjar, Deir Ezzor).
Si è trattato di un salto di qualità di tipo territoriale non capito e
sottostimato.
Si dice che questo non è l’Islam, ma può questo mondo non provare
vergogna e non reagire davanti a tanti mostruosi crimini? In ogni caso
si impone il dovere comune di ricercare le vere radici dell’odio e del
male per rimuoverle, perché il mondo non può vivere in un diffuso
terrore. Lo stillicidio continuo ed imprevedibile di attentati alla vita
quotidiana delle persone, alla loro sfera privata, costituisce una scelta
lucida e criminale e malvagia che disonora l’Islam intero: occorre
calpestare alla testa il serpente velenoso. Si noti che gli stessi crimini
nazisti contro gli Ebrei in un certo modo erano tenuti nascosti, mentre
i nuovi nazisti li esibiscono!

.. L’attacco terroristico agli Usa dell’ settembre , quale


emblema del Jihad globale

Descrivere in dettaglio gli attentati terroristici (la loro evoluzione a


partire dagli anni ; la loro natura; la distribuzione geografica nei
vari continenti e Paesi; i loro protagonisti, movimenti fondamenta-
listi, gruppi o persone; i luoghi interessati (caserme, luoghi di culto,
monumenti, musei, treni, aerei, navi, mercati, discoteche, scuole, stra-
de; gli obiettivi con relativi criteri di scelta, militari, civili, religiosi; i
mezzi utilizzati, bombe, fucili, eventuali kamikaze; il numero davvero
enorme di morti e feriti; il contesto di guerra, di conflitti in corso
o contro popolazioni civili; l’eventuale rivendicazione; la cattura, la
fuga o la morte degli attentatori; ecc.) non è compito facile, ma vari
autori e centri di ricerca vi si sono dedicati fornendo utili elementi di
valutazione (es. « National Consortium for the Study of Terrorism and
Responses Terrorism START », Università del Meryland). I dati sono
allarmanti e soprattutto in crescita nel segno di una sempre maggiore
radicalizzazione, estensione nei vari continenti e numero di morti e
degli altri Paesi del Golfo: l’Occidente deve dimostrare di avere capito ed agire a tutti i livelli
contro questi Paesi ». Non deve essere consentita alcuna forma postuma di dissociazione
strumentale per recuperare la propria immagine politica e culturale (senza scomodare
neppure la religione).
 Diritti dell’uomo nell’Islam

feriti. Molti attentati sono stati sventati dalle forze di polizia nazionali e
non sono noti i dati.
Come pure rimane nascosta quella parte di verità dei finanziamenti
ed aiuti militari delle varie potenze che si muovano dietro le fila. La
mancanza di una Polizia internazionale dell’O a carattere perma-
nente con compiti di coordinamento e prevenzione fa sentire il suo
peso.
Il fenomeno del terrorismo fa paura al grande pubblico anche
perché non è compreso, ma solo subito, e non si hanno punti credibili
di riferimento.
In questa sede si ricorda la distruzione delle statue di Buddha da
parte dei Talebani durante la guerra in Afghanistan, perché obiettivo
non militare; allo stesso modo si ricorda la distruzione di Timbuctu in
Afria, obiettivo non militare; allo stesso modo si ricorda la distruzione
di siti archeologici di immenso valore in Iraq ed in Siria — es. Pal-
mira — egualmente obiettivi non militari (secondo la nostra idea dei
diritti umani e delle regole internazionali, a meno che non si debba
ammettere che per I, Boko Aram e movimenti simili queste sono
vere “imprese” di guerra necessarie).
Costituisce uno spartiacque emblematico sotto molti profili l’atten-
tato dell’ settembre , ( dirottatori di cui  Sauditi) alle Torri
Gemelle di New York ed al Pentagono, e quello fallito al Campidoglio
(quest’ultimo per l’eroismo dei passeggeri) che costò la vita a migliaia
di persone innocenti, soprattutto civili e segnò la formalizzazione di
una guerra globale dell’Islam violento contro l’Occidente, un dato
obiettivo che non bisogna nascondere.
A dimostrazione del carattere non episodico del grave evento, ma
dell’inizio di una guerra globale del fondamentalismo islamico, basta
la considerazione realistica della continuità nel periodo successivo
della violenza con la stessa matrice religiosa, culturale e politica in
varie forme e con vari atti in tutti i continenti negli ultimi  anni.

.. La guerra del Jihad continua al presente

La sfida non fu episodica ma è continuata e continua. Come si è detto,


alcuni studiosi e centri di ricerca si sono impegnati a descrivere i mo-
menti conflittuali della guerra in corso (luoghi, date, autori, vittime,
. Il diritto umano alla pace nell’Islam 

mezzi utilizzati, ecc.), che le cronache quotidiane confermano. Impor-


tante è capire il senso e la direzione ed i possibili modi di contrasto
con una risposta proporzionata e vincente. Purtroppo siamo ancora
privi di reali certezze.
Solo qualche esempio, dopo l’ settembre , può dare un’idea
dei principali attentati alla sicurezza collettiva di questa nuova guerra:

— partendo dall’Asia si possono ricordare gli attentati a Bali in


Indonesia il  ottobre  ed il  ottobre  contro strutture
di turisti in vacanza, nonché quello molto grave in India a Mum-
bay il  novembre  contro hotel e stazioni ferroviarie. A
Dacca in Bangladesh il  luglio  viene attaccato un quartiere
residenziale ed un ristorante con la barbara uccisione di molti
ostaggi. Altri gravi attentati si sono verificati in Pakistan;
— attentati cruenti si sono verificati nell’immenso territorio russo
limitatamente all’area caucasica: es.Beslan,  settembre ,
dove  fondamentalisti ceceni islamici presero in ostaggio 
persone e  bambini in un edificio scolastico, causando una
strage di  vittime tra cui  bambini
— nell’area mediorientale, sconvolta da vari conflitti (in Afghani-
stan, Iraq, Siria) si segnalano una strage legata al conflitto in
Afghanistan (Nassiriya  novembre  contro la base italiana
dei Carabinieri, con  vittime, di cui  militari italiani) e l’in-
sieme di distruzioni e morti dovuti all’attività di al–Quaeda e
dell’I per circa tre anni sia in territorio irakeno, sia in parte
della Siria;
— in Siria, l’I ha messo in evidenza i legami con l’Arabia Saudita,
mentre un altro legame si stabiliva tra Russia ed Iran con il
regime di Assad, con un ruolo incerto e non determinante degli
U e dell’Europa e delle stesse N.U.. La distruzione di Aleppo
è come un emblema terribile della mancanza di efficacia del
sistema di sicurezza internazionale;
— è significativo che la Turchia, Paese islamico ed insieme laico,
che ha avuto un ruolo non sempre coerente nella crisi siriana,
ha subito una serie gravissima di attacchi dal fondamentalismo
islamico:  novembre , camion bomba contro due sinago-
ghe in Istanbul,  morti e  feriti;  novembre , attacco
ad una banca e al consolato inglese in Istanbul,  morti, tra
 Diritti dell’uomo nell’Islam

cui il console e ben  feriti;  ottobre , attentato in una


piazza centrale di Ankara,  morti e  feriti;  gennaio ,
attacco suicida presso la Moschea Blu di Istanbul,  morti; 
febbraio , attentato contro tre convogli militari ad Ankara
in transito,  morti e  feriti — attentato di tipologia un poco
diversa rivendicato da PKK curdo ma egualmente inaccettabile;
 marzo , attentato di un kamikaze in una strada del centro
di Istanbul,  morti e  feriti;  gennaio , grave attentato
in una discoteca sul Bosforo in Istanbul durante la festa di fine
anno con molti morti;  gennaio , attentato a Smirne contro
il Palazzo di Giustizia.
— in Africa è stato preso di mira l’Egitto nei suoi interessi eco-
nomici legati al turismo: attacco a Sharm–el Sheikh il  luglio
 con  morti e  feriti; altro attacco a Tabe sul Mar Rosso
all’hotel Hilton con  morti e  feriti. La Tunisia registrò un
violento attacco all’antica sinagoga di Djerba con un camion
bomba l’ aprile , ma ancor più soffrì per la strage di tu-
risti in visita al Museo del Bardo in Tunisi il  marzo . Il
terrorismo islamico ha colpito duramente anche la fascia sub
sahariana (Nigeria, Mali, Burkina Faso, Costa d’Avorio) e poi il
Sudan, la Somalia fino al Kenya per l’operare congiunto di vari
gruppi collegati all’Isis, come Boko Aram, al–Shabaab ed altri.
I bersagli sono stati: campus universitari (come a Nairobi il 
aprile ); centri commerciali (sempre a Nairobi il  settem-
bre ); hotel turistici (come a Bamako il  novembre e
Ougadougou il  gennaio ); località balneari turistiche co-
me Gran Bassam in Costa d’Avorio il  marzo ; addirittura
monumenti di antica cultura a Timbuctu nel Mali;
— negli Stati Uniti dopo l’ settembre , un terribile attentato
si verifica in Florida, città di Orlando, l’ giugno , contro
un noto locale gay con  morti e  feriti;
— in Europa sono stati colpiti: stazioni di metrò (a Londra, il 
giugno  con  morti e  feriti); reti ferroviarie (Madrid,
 marzo  con  morti e  feriti); musei (Bruxelles,
 maggio , museo ebraico con  morti); sedi di giornali
(Charlie Hebdo, Parigi,  gennaio ,  morti); la sede di
un convegno sull’Islam (Copenhagen  febbraio ); sale
da concerto (Bataclan, Parigi,  novembre ,  morti);
. Il diritto umano alla pace nell’Islam 

metropolitane (Bruxelles,  marzo , con  morti e 


feriti); centri commerciali (Monaco di Baviera,  luglio );
occasioni di vita ordinarie (lungomare di Nizza,  luglio ,
ed uccisione di  persone a mezzo di un tir frigorifero); ancora
una occasione di vita ordinaria sotto le feste di Natale  (un
tir dell’Isis fa strage della folla con  morti e centinaia di feriti).

.. La mancata risposta politica della Comunità internazionale

A fronte di questa panoramica — che si rischia di rimuovere per la


sua obiettiva enormità e disumanità — sembra a noi che manchi
del tutto la risposta della Comunità internazionale, sicché esistono le
condizioni perché continui la guerra con relative stragi. Non basta una
risposta culturale, pur necessaria che richiede tempo, ma occorre una
risposta politica netta dei Governi in nome della loro responsabilità
giuridica di proteggere le persone e le comunità (Respondability to
Protect), che è alla base del diritto internazionale. La mancanza di
risposta della Comunità internazionale è stata particolarmente grave
con riferimento alla tragica distruzione di Aleppo in Siria, dove sono
venute allo scoperto i contrasti geopolitici tra i vari Stati interessati e
si cerca un necessario compromesso.

.. La risposta culturale richiede tempo

La risposta culturale appare comunque importante, soprattutto per


prevenire e rimuovere le cause del terrorismo suicida, comprese le
cosiddette operazioni di martirio, utilizzate come mezzi di lotta, in-
trinsecamente degradanti ed eticamente inaccettabili. Non vi sono
giustificazioni del terrorismo suicida neppure sotto il profilo religioso,
perché il “martire” è un testimone verso Dio del male subito non di
quello prodotto con violenza ad altri: le radici culturali dell’Islam non
sembrano avallare la legittimità del martirio se non in via eccezionale,
perché la vita umana propria e quella dei propri simili rimane sempre
sacra.
 Diritti dell’uomo nell’Islam

.. I fondamenti religiosi comuni contro la violenza

Tutti ricordiamo nella Bibbia la domanda di Dio a Caino: “Dov’è tuo


fratello?” e l’imperativo senza condizioni “Non uccidere” contenuto
nelle Tavole della Legge consegnate a Mosè per il popolo ebraico
in cammino. Egualmente ricordiamo non solo le parole dei Vangeli
contro ogni violenza, ma soprattutto il comando positivo dell’amore
anche verso i “nemici” e l’esempio di Cristo che muore sulla cro-
ce perdonando i suoi persecutori. Nei Vangeli è chiarissima e netta
la distinzione tra il male e la persona che lo commette, che non va
mai identificata con il male commesso: all’adultera Cristo doman-
da: « Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? » Quella rispose:
« Nessuno, Signore ». Disse allora Gesù: « Neppure io ti condanno: va
e d’ora innanzi non peccare più »(Giov. –).
Merita di essere riproposto un brano del Vangelo di Matteo (,–):
« Avete udito che fu detto: occhio per occhio e dente per dente. Io,
però, vi dico di non resistere al malvagio, ma a chi ti dà uno schiaffo
sulla guancia destra presentargli anche l’altra ». Ed ancora:

Avete udito che fu detto: amerai il prossimo tuo e odierai il tuo nemico. Io,
però, vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano,
affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli, il quale fa levare il suo
sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Se, infatti,
amate coloro che vi amano qual ricompensa avete? Forse non fanno lo
stesso i pubblicani? E se salutate soltanto i vostri fratelli che cosa fate di
straordinario? Non fanno lo stesso anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti
come il vostro Padre celeste è perfetto.

Questo messaggio straordinario e veramente degno del Figlio


di Dio, chiede una cesura netta con il passato ed àncora la pace alla
natura stessa di Dio concepito come Padre e principio di vita ed amore
assoluto. È significativo che questa concezione nuova del cristianesimo
viene puntualmente riproposta dagli altri evangelisti, quale patrimonio
comune strutturale ed irrinunciabile del Cristianesimo: Mc ,; Lc
,–; Gv ,; , .
Si spiega perché l’inno angelico che accompagna la nascita di Cristo
richiami la pace, quale dono che dall’alto dei cieli arriva in terra agli
uomini (Lc ,) e perché gli operatori di pace sono chiamati alla
dignità di figli di Dio (Mt ,).
. Il diritto umano alla pace nell’Islam 

Nell’Islam si trova una frase all’inizio di ogni Sura « Che la pace e la


misericordia siano su di voi » e va riconosciuto quanto sia importante
che questa frase sia ripetuta milioni di volte al giorno ogni qual volta
un individuo musulmano ne incontra un altro o un gruppo incontra
un altro gruppo nei numerosi Paesi islamici. Egualmente importante
è la condanna dell’omicidio in Corano ,: « Chiunque uccide un
uomo — che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la
corruzione sulla terra — sarà come se avesse ucciso l’umanità intera ».
Magnifico e condivisibile è il legame dell’uccisione di un essere
umano ad un “vulnus” della intera umanità. Era preferibile però un
divieto assoluto senza condizioni: non tanto crea problemi il riferimen-
to comprensibile alla legittima difesa, quanto quello troppo generale
“a chi sparge la corruzione sulla terra”.
È compito dei teologi islamici interpretare il testo in modo corretto
con i fedeli dell’Islam e nel dialogo ecumenico, ma si deve purtroppo
notare che i fondamentalisti islamici moderni si arrogano il diritto di
uccidere, quali “luogotenenti di Allah”, in nome della lotta alla “corru-
zione”, termine citato cinquanta volte nel Corano. In un noto detto
profetico, hadith, viene però opportunamente valorizzato l’aspetto
positivo: « Non entrerete in paradiso finché non crederete. E non cre-
derete finché non vi amerete a vicenda e volete che vi indichi cosa fare
per amarvi reciprocamente? Diffondete la pace tra voi” ». In questo
testo il cammino verso la fede è segnato dall’amore. E la stessa pace
viene concepita come un frutto dell’amore ed un dovere religioso.

.. Necessità di un’autocritica dell’Islam storico e di quello at-


tuale

Esiste una responsabilità dei teologi musulmani e di tanti imam talo-


ra improvvisati ed incolti nel non valorizzare il patrimonio positivo
dell’Islam contro ogni forma di violenza e terrorismo, schierandosi
in modo netto e pubblico contro i movimenti fondamentalisti ed i
loro sostenitori ideologici ed economici, che danno ogni giorno una
immagine distorta dell’Islam stesso (Mohammad Hassan al–Amine
Autocritica delle religioni e ricerca della pace, in « Dialogo con l’Islam », a
cura di Vittorio Ianari, libri di Sant’Egidio, Mondadori, , pp.–).
Esiste una responsabilità degli intellettuali islamici in generale che
 Diritti dell’uomo nell’Islam

pur dicono di apprezzare i principi dell’illuminismo, ispirati alla ra-


zionalità ed alla tolleranza, di abbandonare ogni ambiguità in ordine
al fondamentalismo islamico, di favorire la soluzione definitiva della
questione palestinese (nel senso della compresenza pacifica di due
Stati e due popoli, come voluto dalle N.U.) e di accettare un prin-
cipio equilibrato di laicità e pluralismo senza rinunciare alla libera
manifestazione pubblica della propria fede. Fra queste personalità ad
esempio in Francia vi è Tariq Ramadan, importante autore di molte
pubblicazioni, tra cui La riforma radicale, Rizzoli,  (egli è il nipote
di Hasan al–Banna,fondatore dei Fratelli Musulmani, ucciso al Cairo
in Egitto nel ).
Alla luce dei principi più profondi e generali delle Religioni del Li-
bro, ogni tipo di violenza e terrorismo dovrebbe essere bandito, quale
che sia la forma che assume. Nessuna religione o cultura può trarre
un definitivo vantaggio dalla pratica disumana del fondamentalismo e
del terrorismo.
Anche la legittimazione del “martirio” a mezzo di autobombe,
giubbotti esplosivi, utilizzo di aerei, tir, ecc. (che in realtà è disumanità
verso gli altri) dovrebbe essere esclusa con chiarezza sia dagli Sciiti,
che dai Sunniti. Questo purtroppo avviene spesso solo a parole e non
facilita un dialogo onesto con le altre culture. Appare comunque utile
chiarire nella tradizione sciita il valore positivo del sacrificio come
fatto religioso a cominciare da Alì e dai  primi santi imam uccisi
e dell’imam nascosto destinato a ricomparire contro il male in una
visione escatologica: queste concezioni, che risentono dell’ influenza
cristiana, se danno un senso anche religioso al dolore ed al sacrificio
nella lotta contro il male morale, non possono certo legittimare alcuna
ambiguità, compreso il sacrificio del bene indisponibile della vita di sé
e dei propri simili.
L’amore di cui si parla nei Vangeli deve estendersi a tutti, anche ai
“nemici” e nessuno può uccidere il suo fratello come fece Caino, senza
offendere Dio stesso, datore della vita. Lo stesso Abramo fu dissuaso
dall’angelo di Dio dall’uccidere suo figlio Isacco in sacrificio, come
pur avveniva nell’area mesopotamica in altre culture contemporanee.
Osservava giustamente, con riferimento all’umanesimo cristiano, il
papa Benedetto : « Un profondo rispetto per la dignità dell’uomo
e l’attenzione sincera ai diritti di ogni persona umana: ecco i frutti
della fede nell’incarnazione di Dio », in Christlicher Glaube und Europa,
. Il diritto umano alla pace nell’Islam 

pp. ss., Predigten, Herausgegebenvom Pressereferat der Erzdiozese


Munchen und Freising, .

.. Misure contro terrorismo e radicalizzazione

Il terrorismo, compreso quello suicida, va dunque denunciato e com-


battuto come radicalmente disumano ed antireligioso in ogni ambito
e contrario alla filosofia dei diritti umani universali. Per questa ragione
si insiste sul punto dedicato ai diritti umani nell’Islam.
Esiste un terrorismo “islamico” (non riguarda la religione islamica
come tale ed il rispetto sincero per le persone che la praticano nella
loro vita quotidiana) che coinvolge come attori una parte limitata di
persone, organizzazioni ed entità (da quantificare e definire nella sua
esatta misura, natura e potenzialità offensiva): questo terrorismo va
combattuto dall’Islam stesso e da tutta la Comunità internazionale.
Non ha senso dire, a scopo difensivo o per paura, che non è Islam,
perché questo equivale a negare la verità: l’Islam non può chiamarsi
fuori dalla lotta contro terrorismo e radicalismo almeno per quella
parte che si richiama ai suoi stessi principi, sia pure male interpretati.
Certo esistono altri fattori aggiuntivi nella cultura e pratica della vio-
lenza che si richiama all’Islam, ma non sembra convincente escludere
la componente religiosa nel fenomeno, almeno come concausa (sul
punto ha recentemente scritto Olivier Roy Le Jihad et la mort, Seuil
). L’I non è un progetto nichilista, che sceglie la morte come
fine a se stesso (idea possibile in singole persone), ma un progetto
politico criminale collettivo di conquista su base territoriale condotto
da persone ben consapevoli delle finalità e mezzi utilizzati, compreso
il richiamo alla bandiera dell’Islam.
Occorre combattere insieme e senza comode distinzioni del politi-
camente corretto, ogni forma di terrorismo e radicalizzazione, con
un’opera di prevenzione e di repressione, utilizzando tutti i mezzi
legali previsti dal diritto, pensando di compiere una vera opera di
difesa dei diritti umani nell’interesse dello stesso Islam: la risposta alla
sfida terribile e reale del terrorismo islamico deve essere cercata anche
nella cultura, nei costumi e nella politica del resto del mondo e non
solo dell’Occidente.
 Diritti dell’uomo nell’Islam

Senza una comprensione obiettiva e realistica della natura della


sfida, non è possibile elaborare alcuna risposta adeguata e vincente.
In questa logica realistica sembra si possano esaminare diverse
misure da adottare, indicate a titolo esemplificativo, nell’ottica di una
maggiore difesa dei diritti umani:

— moschee
Le moschee in Occidente devono essere solo luoghi di preghie-
ra. Devono essere autorizzate e controllate. Gli imam devono
partecipare ad appositi corsi ed inseriti in elenchi ufficiali. De-
vono utilizzare in Italia soltanto la lingua italiana. Nel caso di
incitamento alla violenza ed al Jihad vanno subito espulsi.
La minaccia del terrorismo islamico è di tale gravità da esigere
ulteriori misure:
a) la sospensione della autorizzazione di nuovi luoghi di cul-
to in attesa dell’accertamento che essi non siano finanzia-
ti e diretti dai Fratelli Musulmani o da Stati od enti che
adottano le tendenze radicali del wahhabismo;
b) la “reciprocità” come diritto umano nei Paesi islamici di
origine a favore degli altri culti, compreso quello cristiano:
bisogna uscire dalla logica della “concessione”, perché qui
si parla di diritti per la pari dignità umana quale che sia il
culto interessato.
— carceri
Per evitare spese e pericoli di radicalizzazione e proselitismo in
carcere, sembra auspicabile favorire le espulsioni nei Paesi di
origine. Nelle carceri occorre adottare misure di rieducazione
con gente qualificata che conosca l’arabo e di socializzazione
con il lavoro.
— rete del web
L’incitamento alla violenza ed al Jihad può arrivare anche
con gli strumenti della nuova comunicazione sociale. Esistono
meccanismi di interdizione e controllo da utilizzare ad ope-
ra di esperti e centri ad hoc,civili e militari. Fondamentale
è la cooperazione internazionale con una vera cyber guerra
contraria.
— stampa
. Il diritto umano alla pace nell’Islam 

La stampa deve informare in modo sistematico sui fatti ed epi-


sodi che interessano la sicurezza e la vita delle persone, chie-
dendone la collaborazione. La cosiddetta “guerra santa” è una
cosa concreta, reale e va presa sul serio con intelligenza per
prevenire, isolare, neutralizzare i sospetti violenti, che devono
sentire un clima di netto rifiuto di ogni ambiguità, di vigilanza e
controllo del proprio simile in qualunque ambiente e di pronta
reazione in caso di possibili attentati. La propaganda dell’Isis
con la rivista « Dabid », pubblicata in cinque lingue, gode di
sostegni economici vergognosi che vanno denunciati in sede
internazionale perché criminosi. La scelta del nome non è ca-
suale, perché riguarda una località tra Siria e Turchia in cui
secondo Maometto dovrebbe combattersi l’ultima battaglia dei
musulmani contro i cristiani o “romani” prima del Giudizio
Finale, in una visione di odio che non fa onore all’Islam. Ora
sta per uscire una pubblicazione parallela denominata Rumiyah,
cioè Roma, da distruggere quale meta finale del Jihad globale.
È solo propaganda di pochi pazzi? Il problema jihadista riguarda
tutti perché si avvale di appoggi molto concreti per uccidere
ed in parallelo di strumenti con forte valenza simbolica per il
reclutamento di militanti e la gratificazione delle masse.
— una politica “prudente” sulle migrazioni
Le migrazioni sono un fenomeno complesso ed una sfida
troppo importante per strumentalizzazioni ideologiche, da
considerare globalmente nel medio e lungo periodo.
Non vanno confuse con il terrorismo, ma è realistico tener
conto che il terrorismo islamico può utilizzare questo canale, se
rientra nella sua strategia di morte. E questo già avviene come
dimostrato da vari episodi in Europa.
Sulle migrazioni si scontrano due politiche egualmente erronee,
dal nostro punto di vista:
a) quella buonista e genericamente umanitaria dell’accoglien-
za indiscriminata;
b) quella della chiusura e delle barriere fondata sulla paura.

È corretto partire da una visione aperta imposta dalla filosofia dei


diritti umani: gli immigrati sono “persone umane”, come tali titola-
 Diritti dell’uomo nell’Islam

ri di diritti e doveri e nei limiti delle leggi vanno protette (v. anche
Pontificio Consiglio della Pastorale dei Migranti e degli Itineranti,
Istruzione erga migrantes, Caritas Christi,  maggio, , A 
(), pp. – e documenti laici delle Nazioni Unite). Va anche
detto che in un mondo globalizzato, la mobilità sociale diventa una
necessità, ma questa constatazione non esime dal dovere di elaborare
una chiara politica che concili le esigenze di protezione e di sicurez-
za e quelle economiche legate alle libere scelte delle persone. Una
sorta di cosmopolitismo temperato, basato su quanta accoglienza sia
possibile e su una integrazione fondata su una tolleranza reciproca
attentamente calibrata (come suggerisce Anne–Marie Slaughter in
New World Order, Princeton University Press, ). Gli artt. e 
della Dichiarazione universale sui diritti umani del  sono aperti a
questa prospettiva equilibrata e riconoscono giustamente il diritto alla
mobilità, cioè la libertà di movimento di ogni individuo, non solo in
ambito nazionale, entro i confini di ogni Stato, ma anche all’esterno:
il diritto a lasciare il proprio Paese ed eventualmente a farvi ritorno.
Per la richiamata Dichiarazione O, l’individuo ha però soltanto
il diritto di asilo “dalle persecuzioni”. Questo diritto ha quindi dei
presupposti e dei limiti, non potendo essere invocato dal ricercato
per « reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle
Nazioni Unite ». Certamente il terrorista o sospettato di terrorismo
non può invocare il diritto di asilo, perché la sua attività è palesemente
contraria ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite. L’estensione della
protezione internazionale alle persone, oltre l’ipotesi delle persecu-
zioni, allorché esse provengano da luoghi di conflitti in corso , per
ragioni umanitarie, pur prevista da alcune Convenzioni (es. quella
di Ginevra), richiede molta cautela nella applicazione per evitare di
favorire terroristi nei loro disegni di morte.
Il vero problema delle grandi migrazioni, il dato oggettivo (spesso
volutamente sottovalutato per ragioni ideologiche o economiche di
gestioni di fondi pubblici e ottenimento del consenso ad opera di
partiti ed altre entità nel loro interesse, sia pure con finalità dichiarate
umanitarie) riguarda il rapporto nuovo migrazioni–economia in un
mondo globalizzato: persone, soprattutto giovani e famiglie, si sposta-
no in numero davvero impressionante da interi continenti, sperando
di migliorare la loro posizione e migrano dall’Africa e parte dell’Asia
verso l’Europa od altri Paesi più avanzati economicamente.
. Il diritto umano alla pace nell’Islam 

Qui non c’entrano le ragioni umanitarie in senso stretto.


Ora si è aggiunto un nuovo fattore, molto importante, che riguarda
l’ambiente: persone e famiglie per ragioni ambientali non possono più
ricavare risorse dal loro territorio per effetto di nuovi fenomeni come
mutamento climatico, desertificazione, deforestazione, crisi idrica,
degradazione dei suoli agricoli e forestali.
Si pensi ai Paesi del sud Sahara, sconvolti dal mutamento del clima,
che non hanno più la possibilità di coltivare la loro terra, di pascolare
il loro bestiame e sono costretti a fuggire (c.d. rifugiati ambientali).
In questo caso si è davanti ad una necessità che deve giustificare la
protezione internazionale, in attesa di una « stategia planetaria relativa
al mutamento climatico », già anticipata da E. Brown Weiss nel ,
Justice pour les generations futures) e che attende di essere realizzata
al più presto. Sono previsti nei prossimi anni  milioni di rifugiati
ambientali dalla sola Africa.
A livello internazionale non vi sono ancora strumenti adeguati
ed efficaci per affrontare con successo questa problematica di tipo
economico–sociale ed anche ambientale e tutto in materia di migra-
zioni viene considerato a valle in modo riduttivo: immigrazione si o
immigrazione no.
Invocare i diritti umani per milioni di migranti “economici”, una
vera invasione epocale destinata a crescere, nel medio e lungo periodo,
anche per il vertiginoso aumento delle nascite e quindi strutturale,
dall’Africa, è certo legittimo, ma è ben noto che i diritti economici,
sociali e culturali hanno bisogno di una base economica e di risorse
per essere soddisfatti dai diretti interessati con il loro responsabile
impegno, dagli Stati e dalla Comunità internazionale nel suo insieme.
È davvero mortificante che il problema dei migranti economici venga
affrontato (si fa per dire) a valle, in modo volutamente confuso e solo
a livello umanitario, non nelle sue cause.
Dovrebbero essere gli stessi titolari dei diritti economici, sociali e
culturali a doversi impegnare con lo studio, la qualificazione profes-
sionale, il proprio lavoro nei luoghi di origine, che già registrano in
parecchi Paesi africani un certo sviluppo (insieme con opportune poli-
tiche di sostegno pubbliche) ed in quelli di destinazione, collaborando
con le istituzioni per costruire una loro base di risorse necessarie a
soddisfare questi diritti.
I grandi poteri finanziari ed economici non vogliono questo tipo di
 Diritti dell’uomo nell’Islam

politica legata alle persone ed al territorio, ma preferiscono profittare


di una politica superliberista senza vincoli per il danaro, per le merci,
per le persone in un mondo globalizzato, contando sulla loro forza;
vogliono una economia aperta a loro modo ed anche porte spalancate
per le migrazioni di popoli, contando sull’operare delle spietate re-
gole attuali della finanza, del commercio, dell’attività economica non
certo favorevoli ai diritti umani. Questi poteri sono contrari a nuove
regole di trasparenza, equità, giustizia, solidarietà, responsabilità e ad
una governance globale rispettosa dei diritti umani, perché vogliono
manovrare denaro e persone senza adeguati controlli e responsabilità,
pronti a trattare le persone come merci. In questa logica anche l’im-
migrazione indiscriminata va bene, nonostante i suoi spaventosi costi
umani (compreso lo sfruttamento dei mediatori e degli scafisti). Si
dice questo senza alcuna riserva per l’esercizio legittimo della libertà
economica,che non può tradursi in superliberismo fuori controllo.
Siamo in una fase di transizione in tema di migrazioni ed è giusto
considerare con molta attenzione i problemi di sicurezza e le impli-
cazioni culturali e religiose, se lo scopo è un vero sviluppo umano
solidale ed una integrazione reale dei migranti nei nuovi contesti so-
ciali, evitando la creazione di ghetti ed enclave violente: il fenomeno
delle migrazioni non può essere considerato solo di tipo umanitario
ed emergenziale. Giustamente il Papa Benedetto  nell’Enciclica
« Caritas in veritare », punto , suggeriva prudenza ed equilibrio tra
esigenze e diritti delle persone e delle famiglie emigrate e quelle delle
società di approdo, con uno sguardo a tutta la filiera (luoghi di origine,
luoghi di passaggio, luoghi di arrivo; sviluppo anche nei luoghi di
origine, solidarietà).
Se un Paese come l’Arabia Saudita non taglia la “produzione” delle
energie fossili che alterano il clima terrestre; se chiude le sue frontiere
ai migranti; se finanzia scafisti e terroristi secondo alcune fonti, ci si
domanda se non esista un livello politico più alto di quello accademico
da considerare quando di parla di diritti umani ed Islam. Anche l’Islam
è coinvolto nel tema delle migrazioni, non solo per quella parte che ha
sposato il terrorismo e la violenza, ma quale corpo complessivo e civil-
tà umana che può dare un contributo importante per la problematica
economico–sociale globale sommariamente riassunta in precedenza.
L’Islam combatta — come è suo diritto — per i suoi principi ritenuti
validi, con gli strumenti del libero confronto democratico, utilizzando
. Il diritto umano alla pace nell’Islam 

gli stessi diritti umani, che pur riconosce di cui si parla nel presente
volume. È consolante che i testi dei documenti islamici sui diritti
umani (di cui agli allegati) non contengono alcun sostegno a forme di
terrorismo, anzi una condanna del fenomeno.
Bisogna neutralizzare ed espellere le componenti fondamentaliste
dal vero Islam, utilizzando proprio quei principi contenuti nei docu-
menti islamici già elaborati sui diritti umani (v. ad esempio gli artt.  e
 della Dichiarazione del Cairo dei diritti dell’uomo nell’islam, 
che proibiscono ogni attentato alla vita, dono di Dio; il genocidio; le
violazioni dell’integrità fisica; l’uccisione dei non belligeranti, vecchi,
donne e bambini nei conflitti armati; vedi ad esempio gli artt. da  a
, contenuti nella Carta araba dei diritti dell’uomo: sul diritto alla
vita; sui limiti alla pena di morte; sulla tutela dei minori; sul divieto
della tortura; sul divieto della schiavitù, della tratta degli esseri umani
a fini di prostituzione, di sfruttamento sessuale, dello sfruttamento
dei bambini nei conflitti armati). Nessuno dubita della sincerità di
questi propositi e principi comuni a tutti i diritti umani in ogni cultura,
auspicando che ricevano piena e generale applicazione, non solo negli
ordinamenti giuridici degli Stati islamici, ma nella comune lotta alla
follia del fondamentalismo criminale.
Capitolo VI

Il diritto umano allo sviluppo ed all’ambiente


nei documenti islamici

.. I primi documenti islamici

Come è noto insieme con il “diritto alla pace”, i diritti umani di


solidarietà di terza generazione comprendono anche il diritto allo
sviluppo ed il diritto umano all’ambiente .
I documenti islamici non si diffondono molto su questi nuovi diritti
umani, ma non mancano di riferimenti interessanti.
Il memorandum dell’Arabia Saudita alle N.U. del , non parla di
diritto alla pace, anzi contiene una esplicita condanna di Israele,di cui si
esclude addirittura la legittima esistenza. In questo Documento man-
ca una specifica menzione della natura e dell’ambiente, probabilmente
in considerazione della sua finalità e dello specifico oggetto.
Va invece sottolineato che in Arabia Saudita esiste un sistema di aree
protette importante, perché la cultura islamica è sensibile alla natura,
alla protezione della flora e della fauna, alla biodiversità terrestre
e marina, nonostante le particolari condizioni fisiche e climatiche
dell’Arabia. Anche il diritto umano allo sviluppo non è formalmente
enunciato, ma è positiva l’accettazione dei diritti umani a contenuto
economico, sociale e culturale.
Il successivo Documento dei giuristi nel Convegno di Kuwait City
del  enfatizza i diritti economici, sociali e culturali, auspicando
significativamente il superamento dell’“attuale sistema economico”
e pur non enunciando un diritto all’ambiente, sottolinea la necessità
della salvaguardia delle ricchezze naturali, come dovere dello Stato.

. A. P, Ambiente, Giustizia e Pace, Aracne Editrice,  ed ivi riferimen-


ti bibliografici ed i testi internazionali delle Nazioni Unite in tema di pace, sviluppo e
ambiente.


 Diritti dell’uomo nell’Islam

Anche il Documento del  del Consiglio islamico di Europa non


contiene una esplicita menzione dei diritti umani di terza generazione.

.. La carta araba sui diritti umani

Solo nella Carta araba dei diritti umani troviamo una duplice menzio-
ne, molto positiva:

— il diritto allo sviluppo (art. ):


Il diritto allo sviluppo è uno dei diritti fondamentali dell’uomo e tutti
gli Stati parte sono tenuti a stabilire politiche di sviluppo e ad adottare
le misure richieste per assicurare questo diritto. È loro incombenza
adoperarsi per concretizzare i valori di solidarietà e di cooperazione
tra loro e a livello internazionale al fine di eliminare la povertà e
di realizzare lo sviluppo economico, sociale, culturale e politico.
In virtù di questo, ciascun cittadino ha il diritto di partecipare alla
realizzazione dello sviluppo, di contribuirvi e di beneficiare dei
risultati e dei suoi frutti;

— il diritto all’ambiente sano (art. ):


Ciascuno ha diritto ad un tenore di vita sufficiente per sé e la propria
famiglia che gli assicuri benessere ed una vita dignitosa, ivi compre-
so il cibo, l’abbigliamento, l’alloggio e i servizi ed ha inoltre il diritto
ad un ambiente sano. Gli Stati parti prendono le misure necessarie
in funzione delle loro risorse per assicurare questo diritto.

.. La natura nella cultura araba

In termini più generali nella cultura araba si trovano in tema di


ambiente spunti interessanti:

— il concetto di creazione dell’Universo e della Terra in esso e


l’idea di una “creazione continua” affidata a Dio stesso (“Dio sta
creando ancora ciò che voi non sapete”, Sura ,);
— il concetto di responsabilità umana verso la natura (una sorta
di luogotenenza): la natura è considerata nella sua unitarietà,
bellezza ed utilità;
. Il diritto umano allo sviluppo ed all’ambiente nei documenti islamici 

— il concetto di “comunità” riferito non solo agli uomini, ma


anche agli altri esseri viventi « che formano delle comunità con
voi », Corano ,;
— il concetto di un “dovere” primario di servizio alla vita perché
“sacra”.

Il Corano dispiega una possente visione del cosmo non in senso


panteista (perché salvaguarda la trascendenza divina e non identifica
Dio con il Mondo) e neppure separa radicalmente il Dio creatore dalla
sua Creazione, riducendo le cose solo a meri oggetti neutri, separati,
misurabili, sperimentabili: tutte le cose hanno una intrinseca dignità,
sono segni dello Spirito creatore tuttora presente e meritano rispetto
(montagne, alberi, animali, fiumi, cieli e stelle segnalano e segnano lo
Spirito creatore, (v. Corano versetti ,; ,; ,; ;; ,
ed altri). Questo è un patrimonio positivo di valori.
In verità il concetto di creazione, con le relative implicazioni cultuali,
morali e religiose (ed ora ecologiche), era ben presente già nella
Bibbia e fu recepito nei Vangeli cristiani.
Nella recente bella Enciclica di Papa Francesco,« Laudato Si » (Li-
breria Vaticana, ), il secondo capitolo è dedicato interamente a
« Il Vangelo della Creazione » (con una visione incentrata sul pensiero
ebraico–cristiano ed il riferimento a San Benedetto e San Francesco
di Assisi, oltre che al contributo del mondo ortodosso e dei Papi, a
partire da Giovanni .)
Non viene citato il Corano che pur dedica alla creazione pagine
importanti. Viene tuttavia menzionato in una nota al numero , il
contributo mistico del sufismo nella contemplazione della natura (vedi
Ali Al–Khaawwas, in Anthologie du Sufisme, Parigi , p. , trad. it.
I mistici dell’Islam, Parma , p. ).
Molto importante nel pensiero islamico è anche l’idea di un affi-
damento, di una consegna, di una luogotenenza (in parte già nella
Genesi biblica) che Dio affida all’uomo per la custodia della natura
creata: vi è da sottolineare che anche la stessa natura ha ricevuto una
“consegna” ossia un destino, perché deve rispondere al Dio Creatore.
Si ricorderà che anche San Paolo con riferimento alla fine dei tempi
parla di una redenzione che si estende dall’uomo all’universo in un
unico destino di salvezza (« La stessa intera creazione anela,in ansiosa
attesa,alla manifestazione gloriosa dei figli di Dio » Rm. , –). Non
 Diritti dell’uomo nell’Islam

è questa la sede per approfondire la materia (mi permetto rinviare al


mio contributo: Ambiente: per una filosofia dei doveri, Irnerio editore,
Piacenza ), ma non si può rimanere non toccati profondamente
dai Salmi biblici, dai riferimenti alla natura nei detti di Gesù e nelle
parabole ed in alcune stupende pagine del Corano, tutti materiali
che meriterebbero di essere rimeditati alla luce della nuova sensibilità
ecologica.
Il contributo delle tre Religioni monoteiste in relazione all’am-
biente quale “dono” al quale corrisponde una responsabilità appare
comune ed importante, con la sottolineatura che si fa giustamente
oggi sulla “cura” e non solo sul “dominio” .

.. Le prossime sfide ambientali per l’Islam

Prima di concludere sul punto, sia consentita una osservazione rea-


listica: i grandi mutamenti globali che in modo accelerato toccano
l’ambiente porranno problemi molto gravi ed urgenti al mondo ara-
bo ed islamico che occupa aree particolarmente esposte. Il divieto di
estrazione e produzione delle energie di origine fossile di cui sono
ricchi i Paesi del Golfo (per eredità geologica) e l’Iran si imporrà come
una assoluta necessità per arrestare o almeno temperare il catastrofico
mutamento climatico globale. Questo presuppone una modifica ra-
dicale dell’attuale modello economico di produzione e consumo,con
nuovi equilibri geopolitici. La risposta alla sfida della scarsità dell’
acqua è egualmente vitale .

. V. M. R. P, La tutela dell’ambiente nel diritto delle religioni, Aracne, Roma 
e H. M. B, Islam e Ambiente, in Modus n., marzo ; M. T, Tema\Islam e
Natura. L’Educazione ambientale in una prospettiva musulmana, traduzione dal francese di
Mario Salomone.
. Una interessante riflessione sulla energia nel contesto attuale dello sviluppo e della tutela
dell’ambiente è stata sviluppata dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Energia, Sviluppo
e Pace, Libreria Editrice Vaticana, , mentre la riflessione sull’acqua si sposta alla dimensione
giuridica internazionale nel senso di riconoscere un “diritto umano all’acqua”, v. A. C, The
human rigth to water. A right of unique status: the legal status and normative content of the rigth to water,
in « The International Journal of Human Rigths », vol. , n., . In questa direzione si muovono
anche movimenti della società civile come il Comitato Italiano Contratto Mondiale Acqua Onlus
diretto da Rosario Lembo che ha predisposto un nuovo strumento internazionale “Protocollo
Opzionale al Patto P per il diritto umano all’acqua” in collaborazione con il prof. Tullio
Scovazzi. La Fondazione I ha sostenuto e sostiene il Progetto.
. Il diritto umano allo sviluppo ed all’ambiente nei documenti islamici 

In questo mutato quadro geopolitico del prossimo futuro, l’Islam


è chiamato a dare un contributo più attivo ai diritti umani, compresi
quelli alla pace (e non sembri utopia), allo sviluppo sostenibile e all’am-
biente, che richiedono il contrario della violenza, cioè la solidarietà.
Qualche progresso istituzionale si registra a livello di norme e di prassi
giurisdizionali nei Paese islamici a favore delle energie alternative.

.. Il diritto umano all’ambiente nelle Costituzioni islamiche

L’analisi delle Costituzioni di vari Paesi islamici evidenzia che il diritto


umano all’ambiente sta acquistando una rilevanza costituzionale:

— Marocco, legge fondamentale\ (v. Simonetta Sandri, La


protezione dell’ambiente in Marocco, in « Riv. Giur. Ambiente »,
n.\, Giuffrè, Milano );
— art. Costituzione algerina del ;
— Costituzione della Tunisia del  maggio  che contempla il
diritto all’ambiente;
— Costituzione del Sudan che parla delle generazioni future, del
 giugno ;
— Costituzione del Chad del  agosto , art ;
— Costituzione del Kazakistan del  (v. Documento U
« General information on the environment in the Republic of
Kazakhstan », Global Judges Symposion, Johaannesburg, agosto
, pp. – );
— Costituzione del Pakistan del  aprile , art , diritto umano
all’acqua per ogni persona (v. Justice Riaz Ahmad, Legal and In-
stitutional Framework for the Protection of Environment in Pakistan,
U, Global Judges Symposium, Johannesburg, – agosto
);
— Costituzione del Bangladesh del  più volte modificata (per
una conoscenza più ampia v. Justice Mainur Reza Chowdhury,
Capo della Corte Suprema, Legal and Institutional Framework
Promoting Environmental Management in Bangladesh, in vol. U,
Global Judges Symposion, Johannesburg, – agosto );
— Costituzione della Nigeria del  (v. Report del Presidente
della Corte della Nigeria in occasione di un incontro U in
 Diritti dell’uomo nell’Islam

Johannesburg, dal  al  agosto , dal titolo Recent develop-


ments in Nigeria: strengthening the legal and institutional framework
for promoting environmental management);
— Kuwait, Country Report U, Judges Symposium, Johanne-
sburg, – agosto , a cura di Al–Awadhi, Direttore del
Centro Regionale Arabo per il Diritto Ambientale, promosso
da I–I.
Capitolo VII

La situazione attuale a livello politico


Uno sguardo di insieme

I Paesi a maggioranza islamica nel mondo sono circa un quarto di


tutti gli Stati del nostro globo e significativamente occupano la stessa
fascia omogenea delle primitive conquiste storiche in Medio Oriente,
Sud Est asiatico, Africa settentrionale e Sud–Sahariana. Per conoscere
la vera situazione dei diritti umani delle popolazioni interessate oc-
correrebbe domandarsi in dettaglio come operano i diritti di libertà
ed i diritti politici; quale spazio occupano i diritti economici, sociali e
culturali; se i nuovi diritti di solidarietà che ruotano intorno ai valo-
ri della pace,dello sviluppo umano e della protezione dell’ambiente
hanno trovato o meno terreno favorevole per affermarsi. Questi di-
ritti umani, Paese per Paese, vanno considerati nel preciso contesto
territoriale ed istituzionale, per accertare se vi sono o meno linee di
tendenza favorevoli.
Alcune considerazioni possono essere avanzate, sia pure in linea
essenziale:

— il contrasto tra Sunniti e Sciiti non solo persiste, ma è divenuto


violento, perché incarnato a livello geopolitico da Arabia Saudi-
ta ed Iran: su questo contrasto, non imputabile all’Occidente
ed al resto del mondo, si deve svolgere una azione di modera-
zione perché la soluzione deve essere trovata nel seno stesso
dell’Islam (in Occidente così è avvenuto:  anni fa, nel 
iniziò con Lutero un movimento di riforma in seno al cristiane-
simo con valenza non solo religiosa ma anche culturale, sociale,
economica e politica ed inevitabili conflitti che trovarono una
prima composizione nel  con la pace di Westfalia e con
una più profonda comprensione reciproca a partire dal Conci-
lio Vaticano  del secolo scorso culminata recentemente con il


 Diritti dell’uomo nell’Islam

comune incontro di Lund in Svezia il  ottobre  presente


papa Francesco).
— il cosiddetto “risveglio” identitario dell’Islam, che è una realtà,
riguarda tutti i Paesi interessati e significativamente anche le mi-
noranze islamiche presenti in altri Paesi (in alcuni Paesi come le
Filippine del sud Mindanao raggiunte dall’Islam si sono registrati
conflitti con il potere centrale; lo stesso si è verificato nel Sud Su-
dan rispetto al Nord islamico; nel Chad del Nord islamico contro
il resto del Paese; in Nigeria tra Nord islamico e Sud cristiano più
ricco con ruolo terribile di Boko Haram; in Mali, in prevalenza di
religione musulmana; in tutto il Sahel è stata scatenata una terribi-
le guerra civile ad opera degli islamisti di Ansar Dine, “i difensori
della fede”; in Etiopia, la provincia di Ogaden è rivendicata dagli
islamici come autonoma pur essendo essi minoranza; la Soma-
lia, disintegrata dopo Siad Barre, è colpita dal fondamentalismo
violento da anni). Per un quadro più dettagliato vedi: Amedeo
Postiglione, Ambiente, Giustizia e Pace, Aracne, Roma , con
schede informative per continenti e Paesi ed ivi bibliografia.
— il tentativo di democrazia e libertà delle Primavere Arabe a
partire dal  è fallito (per un quadro realistico, v. Fiamma
Nirestein, Il Califfato e l’Ayatollah, Mondadori, ) e sarebbe
utile un esame obiettivo delle cause e responsabilità soprattutto
occidentali,oltre al riconoscimento che i diritti umani devo-
no maturare con l’educazione e la cultura dei popoli al loro
interno;
— per l’Iraq: dopo la legittima reazione per restituire l’indipen-
denza del Kuwait, l’invasione del Paese su iniziativa Usa, pur
mancando il presupposto delle armi chimiche, non ha prodotto
stabilità perché non si è considerato il dopo Saddam Hussein e
si è disarticolato il Paese e creato un vuoto favorevole all’I;
— per la Siria, analoghi errori: ruolo di Assad, ruolo della Russia,
interessi della Turchia contro i Curdi, mancata visione degli Usa
e dell’Europa, distruzione di città ed esodi massicci di profughi;
— per la Libia: colpe gravi di Francia ed Inghilterra, senza un ruolo
forte degli Usa, nel rovesciare ed uccidere Gheddafi, disartico-
lando il Paese in nome dei diritti umani e di interessi di altro
ordine ed incertezze nel sostenere il Governo legittimo (prima
Tobruk, poi Tripoli...);
. La situazione attuale a livello politico 

— assenza, in conclusione, di un ruolo autorevole delle Nazioni


Unite (nonostante i poteri conferiti dalla Carta del , cap. 
“Azioni rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace
ed agli atti di aggressione”, artt. e ss.), e ruolo non sempre
coerente degli U e dell’Europa con incapacità a definire una
vera strategia di contrasto alla minaccia della sfida dell’Islam
violento verso l’Europa ed il resto del mondo.
Capitolo VIII

Conclusioni

Una prima conclusione, positiva, nasce dalla constatazione di un im-


pegno dell’Islam nella elaborazione di propri documenti in tema di
diritti umani. Si segnala soprattutto la Carta araba dei diritti dell’uomo
del  (come modificata nel ), entrata in vigore nel , con
effetti giuridici vincolanti per tutti i  Stati firmatari, che dimostra
una reale tendenza ad accogliere gli standard internazionali.
Occorre salutare con favore il fatto stesso che il mondo islamico
abbia sentito (e senta) il bisogno di elaborare “propri” sistemi giuridici
comuni sui diritti umani e di formalizzarli in modo trasparente con
un linguaggio accessibile. Il contenuto di tali documenti registra molti
punti in comune con gli strumenti universali e continentali “laici”,
già elaborati dalla Comunità internazionale: per le diversità parziali di
visione occorre cercare un denominatore comune universale, pur nel
rispetto di una cultura identitaria forte. Questa rimane una necessità
ed una urgenza in un mondo ormai globalizzato, la cui governance pa-
cifica deve poter contare sul contributo e l’impegno di tutte le culture
compreso l’Islam e milioni di suoi seguaci. Come è meglio specificato
nel commento alla Carta Araba in appendice sono stati ripresi tutti i
principi comuni in tema di libertà e loro garanzie giuridiche (compre-
sa l’attenzione al bene della vita ed il dovere di non sfruttare i bambini
nei conflitti armati).
Tutti i documenti islamici sui diritti umani hanno certamente un
contenuto culturale politico importante per gli Stati firmatari, nel
senso di stabilire una linea comune di condotta su una materia tanto
complessa e delicata. Essi rappresentano un compromesso tra spinte
identitarie e nuove esigenze. Dal punto di vista giuridico — nell’ordi-
namento internazionale — contano le sottoscrizioni degli Stati arabi
(o comunque con notevole presenza islamica) della Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani del , dei Patti del  sui diritti civili


 Diritti dell’uomo nell’Islam

e politici e sui diritti economici, sociali e culturali ed i documenti


su base regionale (Carta africana sui diritti umani e dei popoli del
// e Protocollo del //), il cui valore giuridico è fuori
discussione.
Gli Stati membri delle N.U. nel  erano un numero limitato ().
L’aumento successivo del loro numero () ha comportato anche il
dovere di adesione alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo:
questo è avvenuto anche per molti Paesi arabi o con cospicua presenza
islamica Per esempio: Arabia Saudita, ; Egitto, ; Siria, ;
Turchia, ; Afghanistan, ; Pakistan, ; Yemen, ; Albania,
; Libia, ; Sudan, ; Tunisia, ; Marocco, ; Nigeria,
; Somalia, ; Algeria, ; Kuwait, ; Bahrain, ; Oman,
; Quatar, ; Bangladesh, ; Bosnia–Erzegovina, .
A livello universale la Umma islamica, pur non avendo una perso-
nalità giuridica e politica paragonabile alla Comunità internazionale,
come rappresentata dalle N.U. (sia pure con i limiti che ancora ha que-
sta Organizzazione) rappresenta una forte identità religiosa e culturale,
di cui si deve tenere conto.
La Lega Araba è, invece, una ordinaria importante organizzazione
internazionale. La Chiesa Cattolica ha una personalità giuridica in-
ternazionale con riferimento alla Città del Vaticano, a parte il grande
valore etico–religioso universale.
Dal punto di vista giuridico è opportuno sottolineare l’importan-
za del principio di “effettività” della garanzia per i diritti umani: ad
esempio la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli prevede
un meccanismo di controllo (una vera Corte, accessibile anche alle
persone), che impegna politicamente e giuridicamente tutti gli Stati
africani compresi quelli con presenza religiosa islamica.
È significativa invece la mancanza nella Carta araba dei diritti uma-
ni, di analoghi meccanismi di garanzia, che andavano invece previsti
(non bastando il Comitato arabo dei diritti dell’uomo avente solo un
ruolo consultivo).

— Sotto il profilo politico appare inaccettabile (ed ormai supera-


ta) la equiparazione di nazismo e sionismo, non solo in via di
principio, ma per una palese violazione della Risoluzione /
dell’Assemblea Generale delle N.U., che aveva corretto un pre-
cedente orientamento. Il diritto di Israele ad esistere, con il
. Conclusioni 

contestuale riconoscimento dello Stato palestinese, deve trovare


proprio nei diritti umani una base certa e condivisa. Le aperture
più recenti verso l’Iran dovrebbero favorire questo processo.
— Il riferimento alla “legge di Dio” dei musulmani (la Sharia)
tende ad attenuarsi nella Carta araba dei diritti umani, rispet-
to ai documenti precedenti. Questo è un fatto positivo, per-
ché la base legale di ogni diritto umano deve essere unica e
riconoscibile.

La legge sui diritti umani è una legge non divina, ma umana. L’ispi-
razione religiosa (di per sé rispettabile) non va confusa con la norma
giuridica, altrimenti si creano confusioni e conflitti sulla nozione
stessa dei diritti umani e sul loro reale contenuto universale.

— Appaiono problematici i riferimenti alla Shari’a contenuti sia


nella Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo del  sia
nella Dichiarazione dei Cairo del , ma sembra saggio pren-
dere atto della realtà. Alcuni studiosi islamici ritengono neces-
sario abbandonare il testo, altri invocano una moderna Shari’a,
che senza rinnegare i fondamenti religiosi del Corano e della
Sunna, valorizzi la corretta interpretazione storica e metodo-
logica (v. sul punto le convincenti considerazioni di Abdullahi
Ahmed an–Na’im, Il conflitto tra la Shari’a e i moderni diritti uma-
ni: proposta per una riforma nell’Islam, in op. cit. di Andrea Pacini,
pp. e ss.; per Walid Sayf Diritti dell’uomo e ritorno alle origini
dell’Islam, nella stessa opera di A. Pacini, pp.–, occorre evi-
tare nozioni troppo generali come “fondamentalismo islamico”
e concepire il “risveglio islamico” come ritorno ai principi delle
origini, con accettazione della evoluzione anche giuridica impo-
sta dai tempi storici recenti, compresa la democrazia. Secondo
questo autore, i diritti umani sono violati dai regimi islamici
autoritari locali, ma anche da iniziative e pressioni dei Paesi
occidentali che utilizzano i diritti umani per coprire interessi
economici e politici, spesso sostenendo regimi islamici non
democratici).
— Bisogna riconoscere che il cosiddetto “risveglio islamico” ha un
contenuto anche religioso e culturale nel senso di aver favorito
una pluralità di approfondimenti e posizioni con inevitabili ri-
 Diritti dell’uomo nell’Islam

flessi sulla nozione dei diritti umani (v. Ridwan al–Sayyid (Il pen-
siero musulmano contemporaneo e i diritti dell’uomo: pluralità di po-
sizioni e confronto con l’Occidente, in A. Pacini, op.cit., pp.–).
Il confronto con l’Occidente ha rappresentato una sfida potente
per la quale diventa necessaria una risposta adeguata. Il concetto
stesso di diritti umani utilizzato dalla Dichiarazione francese
del  viene recepito, sia pure con un fondamento culturale
e religioso in parte diverso da quello della “legge naturale”; la
tendenza ad una visione dei diritti umani legati all’individuo è
integrata con una concezione personalistica e comunitaria; il
concetto religioso di luogotenenza, di custode ed erede della
Terra che il Corano affida all’uomo, non appare lontano da
quello di “dignità” umana cui fanno riferimento i Documenti
internazionali sui diritti umani; la dignità umana nasce dalla
comune origine e da un comune destino ed implica onore
e responsabilità, perché ogni essere umano ha intelligenza e
libertà; la finalità della disciplina dei diritti umani rimane co-
munque quella del bene comune anche negli studiosi dell’Islam
con riferimento ad alcuni pilastri: la vita; la famiglia; libertà di
pensiero e di fede; libertà economica ed interesse generale. Le
difficoltà esistono e vanno realisticamente riconosciute. Sem-
bra saggio chiedere più coraggio in una riforma, al di là delle
difficoltà di linguaggio: una riforma naturalmente pacifica, un
cambiamento dall’interno, con i tempi necessari.
— Un altro punto merita attenzione: il rinvio alla legislazione in-
terna dei singoli Paesi islamici favorisce una certa flessibilità ma
rischia di creare disparità di trattamento. In alcuni Paesi, i diritti
sono riconosciuti in modo pieno ai cittadini ed attenuato ai non
cittadini. Deve sottolinearsi, ad esempio, che la Convenzione
sui diritti del bambino garantisce la stessa protezione, a prescin-
dere dalla cittadinanza (questo punto merita molta attenzione,
considerando l’utilizzo odioso e criminale di bambini come
martiri kamikaze).
— Tra i punti critici, vanno ancora considerati i seguenti:

a) il divieto di cambiare religione (apostasia), la cui violazio-


ne comporta sanzioni civili e penali (v. anche la Dichiara-
zione sull’abolizione di ogni discriminazione basata sulla
. Conclusioni 

religione, approvata il  novembre  dall’Assemblea


Generale delle N.U.);
b) la posizione della donna nel matrimonio (v. anche la Con-
venzione per l’abolizione della discriminazione della don-
na, approvata nel  dall’Assemblea Generale delle N.U.
e: The United Nations and the Adadvancement of Women,
New York, United Nations, );
c) la pratica odiosa della poligamia, ancora diffusa;
d) la possibilità di deroghe sia pure eccezionali al diritto sacro
alla vita;
e) i limiti “pubblici” alla libertà di pensiero e religione;
f) la nozione equivoca di Jihad, quale “sforzo interiore” o
come “arma contro gli infedeli”: si discute se il Jihad co-
stituisca o meno il sesto pilastro o fondamento dell’Islam,
dopo la professione di fede, la preghiera giornaliera, l’e-
lemosina, il digiuno del Ramadan, il pellegrinaggio alla
Mecca almeno una volta nella vita (v. F. Gabrieli, Maomet-
to e le grandi conquiste arabe, Newton, Roma , p. e
W. M. Watt, Breve storia dell’Islam, Il Mulino, , p. ),
ma sembra più saggio guardare alla realtà che purtroppo
conosce e patisce il Jihad violento.

— La realtà del fondamentalismo violento su base religiosa, a


nostro parere, non può essere negata, alla luce degli sviluppi
recenti dell’I, di Boko Haram ed altri movimenti Jihadisti.
Non è un problema di parole, ma è l’esame dei fatti molto
gravi che obbliga a tenere conto della realtà senza demonizzare
l’Islam nel suo complesso, ma anche senza sottovalutazioni
pericolose (per un esame più approfondito e dettagliato del
fenomeno del fondamentalismo, compreso quello di matrice
islamica, v. Massimo Introvigne, Il fondamentalismo dalle origini
all’I, Sugarco Edizioni, Milano ).
— Il numero e la gravità degli attacchi terroristici è divenuto da
vari anni strutturale, generalizzato, imponente in tutti i Paesi
a popolazione islamica e anche se solo in parte, nei vari con-
tinenti: non si spiega facilmente il malessere e la rivolta di un
intero mondo che mira a distruggere l’Occidente con i suoi
valori. Una lettura solo socio–economica del terrorismo si è
 Diritti dell’uomo nell’Islam

rivelata sbagliata, perché non tiene conto che nella cultura isla-
mica religione e leggi sono intimamente connesse e sono fattori
distintivi identitari molto forti di una antica comunità.
— In Europa vi è ora la novità della “esportazione” della guerra e
del terrore: i singoli atti di terrorismo sono solo assaggi di prova
per verificare se vi è una risposta e di quale natura ed entità.

La revisione dell’Islam si impone, dunque, non solo per ragioni


politiche di sicurezza in un mondo globalizzato, ma soprattutto per re-
cuperare il legame tra fede e ragione. Già i Greci avevano denunciato
come ibris la colpa di chi travalica i propri limiti invadendo il campo
che appartiene alla sapienza di Dio, una colpa contro la ragione, che
impone di conoscere se stessi e trattare gli altri con equilibrio e misura.
Dio è Logos (« In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio ed il
verbo era Dio », Giovanni ,), sicché la violenza è estranea alla natura
di Dio.
Solo su questa base è possibile il “dialogo” con l’Islam, come sugge-
rito da Benedetto  nella lezione (ritenuta inopportuna da alcuni) di
Ratisbona del  Settembre  (e come aveva ben intuito l’imperato-
re bizantino Manuele  Paleologo nel  nel dialogo con un dotto
persiano sul rapporto cristianesimo–islam: « Mostrami pure ciò che
Maometto ha portato di nuovo e vi troverai solo cose cattive, come
la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli
predicava »).
L’Islam deve accettare il dialogo su questo aspetto ed i cristiani
devono egualmente riconoscere alcune responsabilità storiche.

— Una revisione profonda dell’Islam (come già operata dall’Oc-


cidente con la Riforma protestante e l’illuminismo) appare ne-
cessaria in tema di diritti umani soprattutto ora in un mondo
globalizzato, in grande movimento: la perdita di centralità degli
Stati e la mancanza di una governance globale condivisa, creano
un vuoto, che è riempito dalla violenza di persone e gruppi
fanatici. Questa situazione appare più delicata in quella parte
dell’Islam che manca di autorità di indirizzo sovraordinate ai
comuni imam.
— Sono i diritti umani universali a dover costituire un argine forte
contro ogni forma di violenza. L’approccio più “diplomatico”
. Conclusioni 

sul punto di Papa Francesco (v. punto , Enciclica « Evangelii


Gaudium », Libreria Vaticana, ) attende di essere verificato
nel comportamento dell’Islam moderato:
di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupa-
no, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad
evitare odiose generalizzazioni perché il vero Islam ed un’adeguata
interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza.

— L’opinione autorevole del Santo Padre Francesco distingue il


“vero Islam”, praticato da milioni di persone nella vita quotidia-
na ed il “vero Corano, adeguatamente interpretato”, da “episodi
di fondamentalismo violento” e dalla “violenza”: il Papa cer-
ca di non generalizzare per evitare conflitti religiosi e, perciò,
non parla di “Islam violento”, ma di “fondamentalismo violen-
to”. Eppure rimane sotteso il legame del “fondamentalismo
violento” con una religione sia pure male interpretata.

Amore, verità ed obiettività impongono di guardare alla realtà, che


appare molto grave, perché non siamo purtroppo solo davanti ad
“episodi” di fondamentalismo violento (come mostrano le cronache
recenti per accresciuti attentati in Europa), ma a forme nuove di or-
ganizzazione politico territoriale, che si rifanno all’idea antistorica
del conflitto violento generalizzato (in un mondo globalizzato un
Califfato separato ed esclusivo appare ed è inconcepibile). Come pure
è inconcepibile il Jihadismo diffuso a livello universale. Ora appare
evidente il sostegno ricevuto da alcuni Paesi del Golfo Persico e di
questo livello politico superiore occorre tenere conto, accettando la
sfida.
Il limite non sta nei valori religiosi comuni al Cristianesimo e al-
l’Islam (che vanno valorizzati) ma nel mancato richiamo forte ed
esplicito della responsabilità giuridica e politica delle N.U.nel repri-
mere forme disumane di violenza che sono crimini contro l’umanità,
non tollerabili dal diritto internazionale.
Papa Francesco ha ragione quando afferma che la libertà religiosa
è un “fondamentale diritto umano”, ma deve continuare ad esigere
— insieme con altri leader mondiali — che questo diritto umano sia
protetto dagli Stati e dalla Comunità internazionale nel suo insieme.
In questa direzione si sta muovendo la Santa Sede soprattutto dopo
 Diritti dell’uomo nell’Islam

i recenti fatti di Parigi, Tunisia, Nairobi in Kenya, Francia, Belgio,


Nizza, Dacca ,Istanbul.

— I e Boko Haram (che dalla Nigeria ha giurato fedeltà all’I),


insieme ad altre forme di Jihadismo in Africa e Medio Oriente,
sono realtà organizzate, militarizzate, finanziate da poteri occulti
molto potenti e nascosti, con l’ambizione territoriale di costi-
tuire di fatto una Umma politica riconosciuta dalla Comunità
internazionale: la paura ed il terrore sono utilizzati come mezzo
nella sete di conquista. Si è scatenata una guerra di tipo nuo-
vo, lucidamente pianificata, che si combatte dovunque contro
singole persone nella vita quotidiana (nemico non è un altro
Stato ma la singola persona diversa da sé), diretta a provocare la
disarticolazione sociale, l’assoluta insicurezza diffusa, la morte,
il terrore: questo tipo di guerra sta nel cervello e nel cuore di
esseri che invocano una specifica religione. Da che parte sta il
vero Islam? I contrasti politici possono giustificare una simile
aberrazione?
— La sorte dell’attuale modello delle N.U., se una forte Polizia
internazionale non ferma questi violenti, è segnata, perché ogni
vuoto richiede di essere riempito per una elementare legge
fisica. Il mondo arabo moderato e più in generale l’Islam non
sembrano in grado da soli di arginare il fondamentalismo ed
il terrorismo islamico nato nel proprio seno, almeno finora. I
diritti umani universali riconosciuti, accompagnati dalla forza
della legge internazionale, possono vincere la sfida. Ma occorre
una drastica dissociazione politica, culturale, religiosa, concre-
ta, strutturale e non episodica soprattutto pubblica nelle sedi
competenti comprese le N.U., di tutto l’Islam: il risveglio islami-
co serio passa attraverso questa riforma radicale, che il nuovo
Segretario Generale delle N.U. dovrebbe proporre.
— L’urgenza di riforma delle N.U. si impone anche per queste
ragioni, poiché il mondo esplode senza una forte governance
unitaria sulla base di pochi principi umani condivisi: il primo
principio da garantire è quello della vita, insieme con la libertà
della persona (in cui si sostanzia il diritto umano alla pace).
. Conclusioni 

Occorre reagire ai tagliagole e distruttori iconoclasti di monumenti


con la forza della legge, senza paura, dimostrando la stupidità di un
disegno pseudo–religioso, che mette in discussione i valori della civiltà
umana.
I segnali che vengono dalle Nazioni Unite sono molto deboli (es.
Risoluzione n. del Consiglio di Sicurezza in materia di contrasto
ai finanziamenti al terrorismo internazionale: appare assurdo e signi-
ficativo che il Gruppo di Lavoro nominato è presieduto da U ed
Arabia Saudita, principale finanziatrice del terrorismo!).

— Distruggere statue e monumenti di civiltà passate, significa pro-


iettare anche nel tempo la follia di un rifiuto di comunicazione
spirituale tra gli esseri umani (che è l’essenza dell’arte): si pensa
di uccidere la memoria, come si uccidono bambini, donne e
popolazioni, perché diverse dalla propria identità culturale. Si
prova vergogna perfino a parlare di questo e la vergogna cresce
se non si reagisce.
— Qualche segnale di reazione viene dall’U che ha emanato
una Dichiarazione specifica contro la distruzione intenzionale
dei patrimoni culturali dell’umanità ed ha accolto la proposta
del Governo italiano per la creazione di una Polizia internazio-
nale dell’O con specifica competenza nella materia. Un altro
segnale positivo è venuto dal Tribunale Penale Internazionale
de L’Aia che il  agoso  ha avviato un procedimento per
crimini di guerra contro Ahmadb al–Faqi al–Mahdi, un Jiaha-
dista del Mali responsabile della distruzione di Timbuctu, un
patrimonio che esisteva da secoli. L’imputato ha riconosciuto la
competenza della Corte e si è dichiarato colpevole.
— La domanda sulle radici della violenza nell’Islam non trova
una facile risposta. Il problema non è quello di “criminalizzare”
l’Islam, ma di capire. Dalle religioni si attende un aiuto per
comprendere le radici del male e non pretesti per perpetuare il
male. La Bibbia, i Vangeli, il Corano sono libri che non possono
mai giustificare la morte dei propri simili per motivi religiosi. Vi
sono letture diverse del Corano ed occorre privilegiare quelle
che favoriscono la pacifica convivenza.

Esiste un altro libro, che è costituito dalla natura e dall’universo,


 Diritti dell’uomo nell’Islam

che la scienza apre sempre di più, senza violenza e che conviene


leggere insieme, come hanno ben fatto gli studiosi del primitivo Islam.
Commentando il  aprile  le immagini dell’universo primigenio
captate dal satellite Cobe, il premio nobel per la fisica George Smoot
esclamò: « Pour les esprits religeux, c’est comme voir le visage de
Dieu! ».

— L’idea di un unico Dio creatore dell’universo che accomuna le


tre grandi religioni (ebraica, cristiana e islamica), deve convin-
cere a convivere pacificamente senza la pretesa di “imporre”
la propria immagine di Dio. Profeti e Messaggeri cercano di
rivelare il “volto” di Dio, ma occorre riconoscere umilmente
che: « Nessuno ha mai visto il volto di Dio » (Giovanni, ,).
Si spiega l’angosciosa invocazione « Il Tuo Volto io cerco, o
Signore » (in Sal \,–).
— Senza pretesa di voler imporre un personale punto di vista, ap-
pare convincente l’idea che il volto di Dio « sia amore e perdono
e mai violenza » (Matteo –; –; –; Luca –) e che
Il Signore sia « amante della vita [. . . ] indulgente con tutte le
cose che esistono » (Sapienza, , ), ed appare davvero rivolu-
zionaria la beatitudine di un mondo di vera pace « Beati i miti,
perché erediteranno la Terra ».

Oggi sembra ancor più attuale il presagio di Cristo « Viene l’ora in


cui chiunque vi ucciderà, crederà di rendere onore a Dio » (Giovanni
,). La morte di Cristo sulla croce rimane un mistero profondo di
morte e vita (Paolo, Colossesi, ,.), che introduce direttamente Dio
nella storia e avvicina Dio come amore all’uomo reale. Dopo questo
grande evento la radice del male e della violenza non può essere più
trovata in Dio.
Capitolo IX

Proposte per una riforma

.. Ruolo della interpretazione

Nella dottrina islamica esiste una tendenza interpretativa che distingue


la legge rivelata (sar) come tale intangibile ed eterna che attiene ai
grandi principi generali divini, dalla legge elaborata dai giuristi a
fini applicativi (Shari’a) sui casi concreti, che risente della situazione
storica .
Poiché nel Corano e nella Sunna si trovano molti versetti che si
riferiscono al medesimo tema, l’interprete dovrebbe privilegiare il
principio generale che resta valido nel tempo piuttosto che le interpre-
tazioni contingenti tipiche di un’epoca passata: questo criterio logico
e sistematico consentirebbe di attualizzare il patrimonio dell’Islam,
rispondendo meglio ai bisogni presenti in tema di diritti umani .

.. Creatività della giurisprudenza

È vero che l’origine divina dei diritti e doveri umani implica una
maggiore autorevolezza e stabilità, ma l’eccessiva enfasi posta sugli
aspetti teologici può trasferirsi nel linguaggio e nei contenuti del
diritto, che per sua natura richiede maggiore flessibilità: il diritto
rischia di sclerotizzarsi perdendo il contatto con la realtà umana e
con l’evoluzione storica. La diffidenza nei confronti del concetto di
diritto positivo ha portato nella letteratura islamica alla confusione tra
il livello ideale e quello storico concreto.
. V. L. G, La Shari’a dans le monde d’aujourd’hui, in « Islamochristiana », n. ,
Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica, Roma , pp.–.
. V. A. A. –N,Il conflitto tra Sharia e i moderni diritti dell’uomo, in A. P, op.
cit., pp.– e dello stesso autore, Toward an Islamic Reformation: Civil Liberties, Human
Rigths and International Law, Syracuse University Press, .


 Diritti dell’uomo nell’Islam

L’origine sacra, antica ed immutabile dei diritti umani, come con-


sacrati nei testi (Corano e Sunna) ha condotto ad una sorta di idealiz-
zazione del primitivo Islam, facendo dimenticare la realtà spesso non
favorevole ai diritti umani nei Paesi islamici fino ad epoca recente.
Forse la stessa civiltà islamica (nata ai margini di imperi che per
secoli si erano scontrati ed integrati) per avere legato i valori giuridici
e politici strettamente con quelli religiosi, dopo la prima fase delle
conquiste, si è come chiusa nel suo mondo, maturando uno strano
disprezzo per la realtà storica quando non corrispondente alla sua
visione, una sorta di incapacità a confrontarsi con il reale.
Non si può obiettivamente ritenere come già risolti, in senso accet-
tabile giuridicamente, dal Corano e dalla Sunna, come testi religiosi,
anche i problemi nuovi sopravvenuti rispetto a quelli dell’origine del-
l’Islam, essendo molto mutate le condizioni economico–sociali dei
territori abitati dai fedeli di questa religione e soprattutto del mondo
complessivo esterno, caratterizzato da fenomeni globali (tra cui le
grandi migrazioni di popoli).
La primitiva giurisprudenza islamica fu correttamente elaborata
per rispondere alle esigenze dell’epoca, sia pure alla luce della ri-
velazione divina: oggi occorre una “creatività” della giurisprudenza
islamica sia in termini di interpretazione, sia di risposta a problemi
nuovi: occorre coraggio nel sostenere che alcuni testi, anche se con-
tenuti nel Corano o nella Sunna, non sono più applicabili alla luce di
principi più generali contenuti negli stessi testi essendo inconciliabili
con essi e vedere nella misericordia e benevolenza divina il sostegno
e la forza per la promozione dei valori di tutta la comunità umana, a
prescindere dalle distinzioni di nazionalità, razza, sesso, lingua, religio-
ne, condizioni economico–sociali, recuperando la novità innovativa
del primitivo Islam . La tendenza conservatrice tradizionale, tuttora
prevalente, dovrebbe essere incoraggiata a muoversi in modo più
pragmatico, considerando la riforma un arricchimento dell’Islam .

. Per una lettura che evidenzia il ruolo positivo storico dell’Islam rispetto alla situazio-
ne storica dell’Arabia delle origini anche per il tema dei diritti umani, v. M. C, Islam
et droits de l’homme, in « Islamochristiana », n., , del Pontificio Istituto di Studi Arabi e
d’Islamistica, Roma, pp. –. Egli con riferimento alla Tunisia, sottolinea egualmente la
necessità di una riforma.
. Qualche esempio può essere utile: a) se la schiavitù è stata di fatto abrogata in tutti i
sistemi giuridici islamici moderni, ha senso che la Sharia la consideri ancora legale, sia pure
. Proposte per una riforma 

.. Dialogo tra religioni e culture

Si è rilevata molto utile l’iniziativa degli Incontri in Assisi promossa dal


Papa Giovanni Paolo  per il dialogo tra Religioni e Culture diverse.
Dialoghi interculturali più che interreligiosi in senso tecnico (come
chiarito da Benedetto , v. prefazione del volume di Marcello Pera,
Perché dobbiamo dirci cristiani, Mondadori, , p.). Incontri aperti,
concreti su temi di grande attualità e di comune interesse, senza vi-
sioni di sincretismo irenistico o di generico multiculturalismo. Questi
incontri sono proseguiti ed è bene che possano continuare.
I cristiani non devono dimenticare che essi non presentano una
“religione” cioè un insieme di regole etiche, ma un evento che impe-
gna la fede: Gesù Cristo, figlio di Dio (v. J. Ratzinger, Gesù di Nazareth,
Libreria editrice Vaticana, ).
Il tema dei diritti umani potrebbe essere affrontato proprio negli
aspetti più delicati: universalità, reciprocità, libertà religiosa, dignità
di ogni persona, unità della famiglia naturale uomo–donna, unità
della comunità umana, rispetto del creato e supremazia della giustizia,
modello istituzionale di protezione dei diritti umani su base universale,
subordinazione dell’economia alle esigenze ambientali in tema di
energie fossili climalteranti, ecc.
La cooperazione tra le religioni, se seria e concreta, può condurre
ad un miglioramento della situazione:

a certe condizioni? (v. J. S, An Introdution to Islamic Law, Oxford University Press,,
trad.it. Introduzione al diritto islamico, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino
); b) se il Corano in via generale afferma « Non vi sia costrizione nella Fede » Corano
,  ed ancora « Chi vuole creda, chi non vuole respinga la Fede », Corano ,  e poi
« Potresti tu costringere gli uomini ad essere credenti a loro dispetto? », Corano , , che
senso hanno le prescrizioni giuridiche della Sharia che puniscono il reato di apostasia del
musulmano che abbandoni la sua Fede e che fondamento giuridico coerente può avere la
disciplina separata del dimmi che si applica ai non musulmani,anzi la stessa distinzione tra
musulmano e non musulmano fondata appunto sulla appartenenza religiosa? c) se è vero
che l’uguaglianza di tutti gli esseri umani e la dignità di ogni uomo e donna sono affermate
dal Corano in via generale in vari versetti con particolare riferimento al comune Creatore
(v. Corano , ; Corano, , ), che senso ha la Sharia nelle prescrizioni molteplici
sulla condizione della donna che rispecchiano sicuramente l’epoca storica delle origini
dell’Islam benché contenute nel Corano in posizione logica non primaria (es.« Gli uomini
sono preposti alle donne, perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi
donano dei loro beni per mantenerle » Corano , ). È evidente che la giustificazione
economica oggi è venuta meno e non può legittimare la non parità tra i sessi.
 Diritti dell’uomo nell’Islam

— una iniziativa comune di sostegno alla famiglia come società


naturale uomo–donna garante della continuità della vita: la crisi
della famiglia dovrebbe preoccupare anche laici e non credenti
perché lo sconvolgimento ha cause profonde in alcuni pretesi
diritti della modernità;
— una nuova iniziativa a favore di Gerusalemme e dei suoi luo-
ghi santi quale patrimonio comune delle tre grandi Religioni
monoteiste con relativo riconoscimento non unilaterale O
ed U;
— una Commissione comune delle diverse religioni per una ri-
forma delle Nazioni Unite a distanza di  anni in un mondo
molto cambiato;
— una Polizia internazionale dell’O a carattere permanente con
compiti di prevenzione, vigilanza ed assistenza non solo in tema
di sicurezza ma anche di assistenza nel caso frequente di disastri
ambientali;
— la creazione di una Corte internazionale dell’ambiente specia-
lizzata, sul modello già esistente in vari Paesi, con il compito di
dirimere i conflitti tra Stati in modo vincolante ove è necessa-
rio: es. quando le obbligazioni giuridiche abbiano efficacia erga
omnes e siano indivisibili, come avviene per i divieti di energie
fossili climalteranti;
— la estensione della competenza della attuale Corte Penale Inter-
nazionale anche ai “crimini ecologici internazionali”;
— nuove regole in tema di finanza e commercio internazionale:
no a paradisi fiscali, no a titoli derivati tossici, no a banche
irresponsabili, no al commercio contro la genuinità dei cibi, no
ad operazioni di multinazionali a danno dell’ambiente comune,
ecc.
— sottoposizione di tutti gli enti internazionali della Finanza e del
Commercio ad un unico modello di governance e responsabi-
lità a carattere non solo tecnico ma politico: qui si dovrebbe
verificare la capacità dell’Occidente e degli altri Paesi emergenti
di cambiare strada per difendere i beni comuni ambientali, tra
tutti il clima.
. Proposte per una riforma 

.. Una Carta per la vita sulla Terra

Esistono già iniziative per sviluppare la coscienza ambientale. An-


che nel mondo musulmano cresce l’attenzione all’ambiente ed
esiste un patrimonio storico–culturale favorevole da esplorare in
esso.
Le grandi Religioni potrebbero elaborare una Carta per la vita
sulla Terra, recependo in termini di doveri umani le indicazioni
della scienza sul gravissimo mutamento climatico in atto, sulla crisi
dell’acqua e del cibo, sull’energia, sulla perdita della biodiversità.
La “verità ecologica” sul mutamento climatico che è il problema
dei problemi globali, rivelata dalla scienza indipendente contrasta
con interessi geopolitici enormi contrari nella sostanza ad una pre-
sa di coscienza obiettiva della comunità umana: si tratta di poteri
forti che danno per certo ed inevitabile l’“adattamento” senza in-
dicazione di tempi certi, pur di non toccare la “produzione” delle
energie di origine fossile su cui si fonda l’attuale economia.
Ci si domanda quale nuova forza spirituale può venire dalle
religioni ed anche dall’Islam, considerando che le energie fossili
sostengono l’economia dell’Iran e dei Paesi del Golfo Persico. Una
nuova Carta per l’ambiente deve avere come principio di base la
salvaguardia del valore della “vita”, messo in pericolo davvero dal
mutamento climatico in atto e dalla sua accelerazione.
Un altro aspetto fondamentale riguarda le frontiere della gene-
tica contemporanea e la possibile creazione della “vita artificiale”
(v. E. Boncinelli, La scienza non ha bisogno di Dio, « Corriere della
Sera », vol., ).
Una prima Carta è già costituita dal Documento di Papa Fran-
cesco “Laudato Si” del  che potrebbe essere ulteriormente svi-
luppato, soprattutto in tema di Governance globale di economia e
ambiente, argomento correttamente enunciato ma non sviluppato,
ormai non più eludibile dalla Comunità internazionale.
Intanto si nota una positiva evoluzione negli ordinamenti interni
dei singoli Paesi con maggioranza islamica a livello giuridico ed
amministrativo: il diritto all’ambiente compare in varie Costitu-
zioni o in leggi fondamentali, si creano parchi e riserve naturali,
si moltiplicano i meccanismi di informazione, partecipazione ed
accesso sociale, si qualificano tecnicamente i quadri delle P.A., gli
 Diritti dell’uomo nell’Islam

stessi giudici si coordinano per una migliore giurisprudenza .


Si è dell’opinione che il valore comune ambiente, per la sua novità
ed importanza, possa costituire elemento anche teorico unificante nel
dialogo sempre aperto culturale tra Cristiani, Ebrei, Islamici e altre
religioni.

.. Diritto allo sviluppo

L’economia è destinata a cambiamenti radicali in funzione della prote-


zione globale dell’ambiente comune terrestre. Lo sviluppo è il “nuovo
nome della pace” come ricordava il grande Papa Paolo  nel  con
l’enciclica « Populorum progressio ».
Quale sviluppo? Non quello al quale assistiamo, per il quale si
invocano inutilmente riforme economiche radicali a fronte del fun-
zionamento senza regole della finanza e del capitale globale: le forze
reali che non gradiscono ostacoli si trovano in molti Paesi, compresi
quelli islamici e non si ispirano ad uno sviluppo veramente umano a
beneficio della Terra. Il diritto allo sviluppo sostenibile ha acquistato
ora una prevalente dimensione ecologica, perché la sostenibilità ri-
guarda ormai l’ecosistema vivente e non solo l’economia umana nella
attuale forma, come dimostra in modo inequivocabile il  Rapporto
O sul clima del . Tutti i Paesi oggi si trovano davanti ad una co-
mune grande sfida costituita dal mutamento climatico in atto. L’Islam
conosce quanto gravi sono le implicazioni nei territori interessati a
causa del mutamento climatico: occorre però far accettare dall’Arabia
Saudita, dall’Iran e dai Paesi del Golfo un termine certo e definitivo di
interdizione della stessa “produzione” di energie fossili.
Le previsioni economiche globali in una crisi che non finisce mai,
sono difficili perché i grandi poteri speculativi detengono migliaia di
miliardi di dollari che si spostano ad horas a fini speculativi immediati
lontani dall’economia reale. Importanti Paesi arabi e musulmani sono
dentro questi potenti meccanismi disumani che dovrebbero interpella-

. Ad es. Forum arabo dei giudici per l’Ambiente con sede al Cairo. Vedi anche
L. K, U’s Role in Strengthening the Capacity of Judges and Other Legal
Stakeolders in the Field of Environmental Law, nel volume The Role of the Judiciary in the
Implementation and Enforcement of Environmental Law, Bruylant, Bruxelles , a cura
di Amedeo Postiglione.
. Proposte per una riforma 

re la coscienza critica profonda delle Religioni, compreso l’Islam: quel


che è certo è che il petrolio scoperto solo nel  in Arabia Saudita
non può essere l’energia del futuro! .

.. Diritto alla pace

... Pace tra Israele e Palestina

Su questo punto, che ha ispirato il presente modesto contributo, l’I-


slam può dare un contributo di moderazione, trovando una soluzione
politica accettabile per Israele e Palestina, come due Popoli e due Stati,
con garanzia internazionale, come proposto dalle N.U.. Questa linea
non ha alternative. Chi legge con attenzione lo Statuto di Hamas che
controlla la Striscia di Gaza rimane spaventato dal tipo di linguaggio e
dalle finalità, mancando qualsiasi spazio per una soluzione “politica”
di necessario compromesso, benché patrocinata dalle Nazioni Unite.

. Gli aspetti economici in un mondo globalizzato in rapida trasformazione che vive


da anni una crisi sistemica profonda sono molto importanti per valutare i diritti umani e la
loro sorte oggi. Vari economisti sottolineano le disuguaglianze frutto di un capitalismo
finanziario sfrenato lontano dalle esigenze di una economia reale: J. S, Il prezzo
della disuguaglianza, Einaudi, ; T. P, Il capitale del  secolo, Bompiani, ; P.
M, Post–Capitalism. A guide to our future, Saggiatore, ; J. A, Pour une économie
positive, Fayard, Paris , e, più recentemente, Breve storia del futuro, Fazi editore, .
Si cerca di comprendere quale sia la evoluzione auspicabile della economia mondiale.
Utili indicazioni sono offerte anche dal Documento “L’avvenire che vogliamo” uscito dal
Vertice O Rio+ del , anche se tali indicazioni non presentano carattere obbligante
per i Governi. L’assenza di una Governance Globale economico–ambientale, con nuove
regole ed istituzioni, non aiuta certo la fase di evoluzione della attuale economia verso
nuovi sbocchi. I poteri forti sono interessati al danaro e se la emigrazione massiccia di interi
popoli giova ai propri disegni (perché distribuisce i pesi, allarga il mercato dei consumi e
consente deroghe al rispetto dei diritti umani) va accolta senza regole come avviene per il
danaro: quel che loro interessa è la speculazione a breve senza impegni di medio e lungo
periodo.Se il Vertice di Parigi sul mutamento climatico del  evidenzia la necessità di
intervenire nel settore della ricerca ed impiego delle energie di origine fossile, senza però
indicare precise scadenze, si può essere certi che la finanza e l’economia soprattutto di
alcuni Paesi farà di tutto per sottrarsi ad obblighi di solidale collaborazione, benché sia in
discussione il valore inestimabile della vita dell’ecosistema terrestre. Si dice che il valore
ambiente è ora divenuto strutturalmente sovraordinato rispetto a quello economico, ma si
attende una verifica dalla nuova economia (cosiddetta economia circolare in senso ampio
non riferita solo ai rifiuti), sulla base di un’etica forte della responsabilità a tutti i livelli.
 Diritti dell’uomo nell’Islam

... Pace tra Sunniti e Sciiti soprattutto in Siria ed Iraq

Un altro punto fondamentale riguarda la pacificazione, attraverso una


reciproca accettazione delle differenze religiose, tra Sunniti e Sciiti: an-
che questo gioverebbe alla pace nel mondo. Per il Medio Oriente dopo
i terribili conflitti in Iraq ed in Siria sarebbe auspicabile una diversa
impostazione ispirata ad equilibrio tra le varie componenti e ad alcuni
principi comuni condivisi: principio di autodeterminazione nazionale;
principio democratico di libere elezioni del popolo; principio di non
ingerenza di potenze esterne all’area; principio di eguaglianza e pari
opportunità per tutti i popoli interessati; esclusione della guerra come
mezzo di risoluzione dei conflitti.
Alla luce di questi principi sembra saggio conservare l’unità della
Siria, trovando un equilibrio di rappresentanza tra Sciiti e Sunniti: in
particolare il regime di Hassad deve potersi confrontare con libere
elezioni con il resto del Paese sotto l’egida delle N.U in un tempo
adeguato e senza soluzioni traumatiche come avvenuto con Saddam
e Gheddafi. Gli interessi della Russia presenti nell’area da tempo
possono essere salvaguardati con equilibrio senza arrivare a spaccature
traumatiche.
La Palestina, come già detto, deve vedersi riconosciuta la sovranità e
l’indipendenza, come per Israele secondo il progetto O: due popoli,
due Stati.
Anche l’Iraq deve conservare la sua unità con la sconfitta dell’I
ed un diverso equilibrio tra Sciiti e Sunniti.

... Indipendenza od autonomia per il Kurdistan

I Curdi non vanno dimenticati perché sono una realtà molto impor-
tante: un popolo di circa  milioni di persone radicato in un’area ben
precisa da secoli con una propria lingua e cultura.
Il Kurdistan con il Trattato di Sevres del  fu già ritenuto merite-
vole di avere un proprio “Stato”. Fu la Turchia di Ataturk a disconosce-
re il precedente accordo, dando vita ad un nuovo Accordo a Losanna
nel , compiacenti le potenze occidentali, sicché le speranze dei
Curdi furono tradite. Alla luce dei principi di autodeterminazione e
senza peccare troppo di carenza di realismo, sembra si possa sostenere
che la situazione oggi appare diversa e favorevole alla riproposizione
. Proposte per una riforma 

della questione curda a livello internazionale in attuazione del prin-


cipio di autodeterminazione e senza ricorso al terrorismo: Turchia,
Siria, Iraq, Iran, Armenia e Azerbaijan devono poter accettare la libera
scelta di un popolo che con dignità (anche combattendo a viso aperto
l’I a Kobane e Mosul) ha conservato la sua identità di popolo. Le
Nazioni Unite dovrebbero favorire questo processo pacifico, nono-
stante le difficoltà o almeno trovare forme di riconoscimento nuove
di autonomia per i Curdi come popolo.

... Ripudio della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti


internazionali

Sembra non improprio chiedere all’Islam nelle sue varie componenti,


di considerare con favore la introduzione nel sistema internazionale
dei diritti umani di un nuovo esplicito diritto–dovere umano, quello
alla pace (come richiesto anche dall’attuale Pontefice Francesco). Più
in generale, l’Islam nel contesto mondiale ha diritto, dopo la decolo-
nizzazione, ad un ruolo politico maggiore sia nelle N.U. (ad esempio
nel Consiglio di Sicurezza), sia a livello regionale (in Africa e Me-
dio Oriente), ma in un contesto di nuovi equilibri pacifici economici,
sociali e culturali nel mondo.
Esiste un dibattito sulla esistenza o meno di una “guerra” tra Islam
e Occidente (con tutte le varianti: una guerra si, ma non di religione
o fra religioni; una guerra di gruppi fanatici e sradicati, non integrati
ma egualmente pericolosa; ecc.).
Ma al di là delle formule, occorre stare alla realtà e ripudiare la
guerra come strumento di risoluzione dei conflitti.

... Il Califfato nemico della pace mondiale

Si comprendono bene le preoccupazioni di Papa Francesco di non


avallare l’idea di una “guerra di religione” tra Cristiani e Musulmani,
interrompendo il già difficile dialogo.
Si comprende egualmente il comportamento ambiguo a livello poli-
tico delle istituzioni internazionali incapaci di dare un “nome” ad una
infinità di conflitti etnici, sociali, economici, ambientali, culturali e religio-
si che interessano l’Africa ed il Medio Oriente e perfino altri continenti:
questi conflitti sono una nuova guerra globale solo socio–economica
 Diritti dell’uomo nell’Islam

o culturale od anche “religiosa”? In ogni caso quale è il ruolo della reli-


gione islamica nel determinare alcuni di questi conflitti soprattutto ad
opera di movimenti come I, Boko Aram, ecc.?
Certamente sembra a noi riduttiva e buonista la tesi secondo cui il
Califfato riguarderebbe solo il Medio Oriente e non anche l’Europa, dove
opererebbero solo singoli folli emarginati e radicalizzati: e perché allora
il Califfato avrebbe tanta presa su di loro, addestrandoli, spostandoli,
finanziandoli? perché il Califfato sarebbe presente anche in Libia e in vari
altri Paesi africani? perché tanti attentati anche in Europa? Egualmente a
noi pare infondata la tesi che chiamare con il loro nome alcuni fatti senza
addomesticarli al buonismo del politicamente corretto, comporterebbe
il pericolo di una indiretta legittimazione dell’Isis come “nemico globale”
dell’Occidente anche per i profili religiosi.
Purtroppo gli Stati talora operano utilizzando per convenienza forze e
movimenti fuori della legalità ed in violazione dei diritti umani, pronti a
scaricarli se gli eventi lo consigliano.
La cancellazione formale del termine “guerra” nella cultura europea
non deve ingannare: è vero che bisogna evitare le grandi guerre mondiali,
ma non si possono tollerare senza la forza della legge internazionale una
infinità di conflitti minori ma gravissimi per il loro numero e le loro
conseguenze.

. L’Isis e movimenti analoghi (Talebani, Boko Aram) si muovono contro l’Occidente


dichiarando una “guerra politico–religiosa” che non mira solo a rivendicare la propria indipen-
denza sui territori già storicamente occupati dall’Islam, ma ad occupare spazi in Europa ed in
altri continenti: una “guerra di conquista” nella quale diventa essenziale un nuovo strumento
collettivo identitario (il Califfato). I più importanti Stati Arabi ed Islamici si dissociano solo a
parole, ma di fatto finanziano e sostengono operazioni di destabilizzazione e di vera e propria
sostituzione di popolazione con la politica delle immigrazioni indiscriminate: una politica di
penetrazione fatta di acquisti di imprese, di condizionamenti energetici, di moltiplicazione di
moschee, di finanziamenti agli scafisti criminali, di rivendicazione strumentale dei diritti umani
negati nei Paesi finanziatori (es. Arabia Saudita). Chi è che fa davvero la guerra all’Occidente?
Va esaminato con obiettività il fenomeno I (inizio da oltre due anni con la novità di una vera
occupazione di spazi e non solo di azioni dimostrative; occupazione di città come Mosul di oltre
due milioni di abitanti e sua gestione amministrativa con sostanziale accettazione sociale; ampia
disponibilità di risorse economiche e finanziarie; fornitura di armi; assistenza logistica; utilizzo
sofisticato e criminale di internet; azioni violente spettacolarizzate per “rassicurare” il ventre
profondo della Umma e spaventare a morte i corrotti occidentali nelle loro ordinarie condizioni
di vita; ecc.). Ora che l’Isis si ritira, occorre che una Polizia internazionale O intervenga sul
territorio per garantire equilibrio tra Sciiti e Sunniti.
. V. M. C, E. G  L, L. C, E. R, Senza la guerra, Il
Mulino, .
. Proposte per una riforma 

... Il diritto umano alla mobilità e suoi limiti

A questo si deve aggiungere (almeno in parte) il sostanziale utilizzo


a fine di “occupazione” culturale e religiosa dell’Europa anche del
sostegno all’emigrazione indiscriminata, a fronte della inconsistenza
della politica migratoria europea e dell’inevitabile fallimento di una
politica soltanto umanitaria. Il boom demografico dell’Africa è rapido
ed impressionante e va affrontato anche nei Paesi di origine con una
diversa economia: vi è la certezza che il flusso di milioni di migranti
senza regole ubbidisca a logiche finanziarie ed economiche globali,
di cui sono parte importante anche alcuni Paesi islamici, es. Arabia
Saudita, Quatar.
Si aggiunga che l’Occidente non può ignorare gli artt.– della
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del  (il diritto uma-
no alla mobilità di ogni uomo) e non può privare i profughi delle
garanzie giuridiche conseguenti, ma si deve sottolineare che esiste
un diritto umano a poter rimanere nella propria terra, rimuovendo
anche in loco le cause socio–economiche del disagio.
In questo contesto, noi europei laici (ma radicati in una cultura
religiosa cristiana profonda) abbiamo il dovere di difendere la nostra
civiltà e rispondere alla sfida molto grave cui siamo esposti con la forza
del diritto internazionale.
Non possiamo accettare ricatti senza perdere la nostra anima (se-
condo qualche autore come F. Nirestein in Il Califfo e l’Ayatollah, op.
cit., l’Occidente si troverebbe stretto come in una morsa tra Sciiti e
Sunniti, morsa più pericolosa con riguardo all’Iran, sicché sarebbe
preferibile una sorta di alleanza di interesse con i Sunniti moderati).
Riteniamo invece preferibile una strategia di sicurezza collettiva
della Comunità internazionale come tale, contando sulla attuazione
del diritto internazionale contro la violenza e sulla responsabilità to
protect primaria degli Stati per la vita delle persone, senza contare sulla
divisione dell’Islam e sugli stessi moderati (che a onor del vero finora
si sono limitati alle parole).

... Una chiarificazione politica con l’Arabia Saudita

Un discorso a parte merita l’Arabia Saudita (ed anche il Quatar). In


tema di diritti umani occorre sempre distinguere i problemi tecnici e
 Diritti dell’uomo nell’Islam

giuridici dagli aspetti squisitamente politici e questo sforzo si impone


anche quando esiste uno stretto collegamento.
Autorevoli autori e centri di ricerca, organi di stampa ed anche
organi istituzionali internazionali (Comitato delle Nazioni Unite sui
diritti umani, ; Parlamento Europeo,  luglio ; Freedom
House; Economist Intelligence Unit; Reporters sans Frontières; Am-
nesty International; Nessuno Tocchi Caino; A–Aiuto alla Chiesa che
soffre; Human Rigths Watch; Democracy Index ) documentano
gravi violazioni dei diritti umani nel sistema instaurato nel Regno
dell’Arabia Saudita, comparando i Documenti internazionali sul tema
con la realtà di quel grande Paese.
Sono in discussione nella loro reale attuazione i diritti di libertà
(libertà religiosa perché il Governo proibisce la pratica pubblica di
altre religioni diverse dall’Islam come inteso dai Wahhabiti; limita-
zioni alla libertà di stampa. . . ), i diritti politici (proibizione dei Partiti
politici), i diritti sindacali (proibizione di liberi sindacati), i diritti civili
di uguaglianza (la donna subisce una serie di mortificanti limitazioni
nel divieto di guida di biciclette, nel divieto di guida di auto, nell’ab-
bigliamento, nell’accesso a cariche pubbliche, nel diritto familiare
rispetto al ruolo del marito).
Si perdoni la franchezza delle considerazioni che seguono (poco
politicamente corrette, ma non per questo infondate), che vanno con-
siderate anche esse parte di un dialogo, se sincero. L’Arabia Saudita
custodisce i luoghi santi dell’Islam ed ha una grande storia e responsa-
bilità. Questo non toglie che si possa domandare una riforma radicale
delle sue istituzioni passando per una diversa interpretazione dell’I-
slam originario anche alla luce della evoluzione storica. Peraltro è
quello che hanno domandato a Grozny in Cecenia dal  al  agosto
 circa  alte personalità musulmane sunnite di Egitto, Siria,
Giordania, Sudan, Europa.
Volendo sintetizzare alcuni punti si osserva quanto segue.
L’Arabia Saudita:

— è un Paese che nella creazione delle sue istituzioni nazionali


evidenzia una particolare influenza di Gran Bretagna e poi di
U per ragioni geopolitiche (la prima guerra mondiale esigeva
la sottrazione della regione al dominio turco; esistevano mire
sulle nuove risorse energetiche; era conveniente il sostegno
. Proposte per una riforma 

alla nuova dinastia di Ibn Saud per ottenere la sua autonomia


da Istanbul, sede dell’impero ottomano, poi sciolto) . Le po-
tenze occidentali trascurarono all’epoca il fondamento rigido
politico–religioso della nuova entità nazionale;
— è un Paese autoritario, non democratico perché non esisto-
no partiti politici e libere elezioni, che si riconosce in una di-
nastia ereditaria, in violazione dei diritti umani sulla libera
partecipazione sociale;
— è un Paese oscurantista che segue una corrente dell’Islam (Wah-
habita) particolarmente rigida, esclusiva e conservativa, sostan-
zialmente violenta, che non accetterà mai un dialogo culturale
e politico più aperto se non vi sarà costretto: il Wahhabismo
(che si richiama all’insegnamento di Ibn–al–Wahhab) è un mo-
vimento religioso ultraconservatore, che poggia su una inter-
pretazione letterale del Corano, accusa di eresia ed apostasia
buona parte dello stesso mondo sunnita, provocando la divi-
sione della comunità islamica, predica la rigida separazione dei
sessi e la distruzione dei simboli di altre religioni (es. le statue di
Buddha a Bamiyan) e, secondo molti osservatori, copre le atro-
cità terroristiche (di Talebani come Osama Bin Laden, prima e
dell’Isis, oggi);
— è un Paese che, di conseguenza, applica la Sharia nelle forme
più crudeli: un Paese “boia” con il primato delle esecuzioni
capitali, come denunciato da Amnesty International, Human
Rights Watch e Nessuno Tocchi Caino (v. Avvenire,  gennaio
);
— è un Paese che non ha ancora accettato l’esistenza politica di
Israele secondo la dottrina O: due popoli, due Stati distinti
Palestina ed Israele e continua a parificare razzismo e sionismo
in contrasto con l’orientamento delle N.U.;
— è un Paese economicamente parassitario, che vive della risorsa
petrolifera (scoperta nel  e strapagata dall’Occidente, che pro-
cura il  per cento delle entrate) e dei vantaggi di posizione della
Mecca e relativi pellegrinaggi di milioni di fedeli: un fiume im-
menso di petrodollari non costati vero rischio economico e lavoro,
perché la risorsa del sottosuolo era là da milioni di anni. Anche
studiosi islamici come F. Zakariya (Filosofia dei diritti dell’uomo e
mondo islamico, in op. cit. di A.Pacini, pp.–) osservano che
 Diritti dell’uomo nell’Islam

l’arricchimento repentino di queste società grazie ai redditi petrolife-


ri solleva, sul piano dei diritti umani, un ulteriore problema specifico.
Tutti sanno in effetti che questa ricchezza avrà breve durata e che
essa costituisce un’occasione unica per dotare di strutture e servizi
la società araba che in un futuro non lontano non potrà più conta-
re sugli introiti petroliferi; in altre parole è in ballo la difesa delle
generazioni future;

— è un Paese che dovrà, in un arco temporale certo, fare a meno


di questa risorsa perché è micidiale per il bene comune del
clima terrestre. Una scelta necessaria per l’interesse reale della
vita dell’ecosistema, come indicato dall’Accordo di Parigi del
 e ribadito nella C di Marrakesh del ;
— è un Paese che non accetta il proselitismo altrui ma lo prati-
ca di fatto finanziando moschee in Europa ed in Africa e non
consente sul suo suolo (sacro non in base al Corano ma ad
un decreto del secondo Califfo Omar) la costruzione di chiese
cristiane o di altre religioni, violando palesemente i diritti uma-
ni ed ogni principio di reciprocità con la copertura politica o
inerzia, almeno finora, degli Usa e dell’Europa;
— è un Paese che è accusato di finanziare il terrorismo islamico in
modo sotterraneo ma reale nel mondo in tutte le forme: forni-
tura di armi; fornitura di petrodollari e di risorse energetiche;
assistenza militare; indottrinamento, ecc.;
— è un Paese che è accusato di finanziare gli scafisti per l’inva-
sione indiscriminata dei migranti dall’Africa e Medio Oriente,
ma non accetta migranti neppure musulmani sul suo immen-
so territorio: anzi costruisce una barriera di  miglia per
impedirlo;
— è un Paese che secondo alcune e–mail compromettenti rivelate
da Wikileaks ha finanziato perfino la campagna presidenziale di
uno dei candidati alla Casa Bianca;
— è un Paese che si illude di poter comprare l’anima dell’Occi-
dente e delle altre culture mondiali (Cina, India, Russia) con il
danaro: è ormai chiaro che il nemico politico non è l’I, ma
il suo protettore e finanziatore; il gioco è ormai scoperto e si
spera in un cambio dei rapporti a livello politico ed economico
oltre che culturale da parte dell’Europa e degli Usa con il nuovo
Presidente e degli altri Paesi emergenti.
. Proposte per una riforma 

— è un Paese che secondo una legge del Congresso U votata


a maggioranza di due terzi (J–Justice Against Sponsors of
Terrorism Act) sarà chiamato a rispondere dei danni alle vittime
dell’ settembre  davanti ai Giudici americani, perché 
su  dirottatori che distrussero le Torri Gemelle erano sauditi:
il veto di Obama è stato superato per il formarsi di un consenso
ampio bipartisan tra Repubblicani e Conservatori in nome della
verità e giustizia. Questa pagina oscura non potrà più essere co-
perta da interessi geopolitici riconducibili a denaro e petrolio ed
avrà nel futuro notevoli implicazioni nel diritto internazionale.
— è un Paese che non si riconosce nei diritti umani come enun-
ciati dalla Dichiarazione universale O del  e neppure
nei Patti internazionali del  sui diritti civili e i diritti econo-
mici, sociali e culturali (non sottoscritti, come da esso stesso
ribadito nel Memorandum alle N.U.del , commentato in
appendice). Purtroppo questa linea religiosa, culturale e politi-
ca persiste ancora ora e dovrebbe costituire un problema per
l’intera Comunità internazionale.
— La legge fondamentale promulgata nel  non è parificabile
ad una normale Costituzione perché l’art. si limita ad un rinvio
ad un documento religioso: « Il Libro di Dio e la Sunna del suo
Profeta sono la costituzione del Regno ». Di conseguenza il resto
del mondo, quando denuncia gravi violazioni dei diritti umani
incontra un diniego delle autorità saudite, che si trincerano
dietro una tradizione religiosa immodificabile. Nella realtà si
tratta di un regime autoritario (v. Democracy Index ) perché,
come si è detto, proibisce i partiti politici, limita fortemente la
libertà di stampa, proibisce il culto pubblico di altre religioni,
continua a tenere le donne in condizione di minorità giuridica
e politica.

Per le considerazioni sopra espresse appare realistico chiedere una


chiarificazione sia sui principi, sia sul sistema dei diritti umani pratica-
to in Arabia Saudita: una chiarificazione domandata anche dallo stesso
mondo islamico.
 . Proposte per una riforma

.. Diritto alla ricerca pacifica della vita nello spazio

Le risorse spaziali sono già oggi considerate patrimoni comuni dell’u-


manità (v. Trattato sullo spazio extra terrestre del //). Il mondo
per merito della ricerca scientifica e della rivoluzione informatica è già
entrato in una nuova era, caratterizzata dalla scoperta di un gran numero
di Pianeti che potrebbero ospitare la vita al di fuori del sistema solare (v. i
dati recenti trasmessi dal grande telescopio Keplero in orbita dal  su
migliaia di pianeti extra–solari in grado di ospitare la vita). Queste sco-
perte porteranno le nuove generazioni a relativizzare i contrasti esistenti
nelle diverse fedi religiose su aspetti non essenziali dei diritti umani.
Diventerà prevalente la filosofia dei doveri umani verso cui l’Islam ha già
dimostrato attenzione.
Nello stesso tempo, l’Islam potrà riprendere il suo ruolo storico nel
campo della ricerca in collaborazione con le altre culture e civiltà. Sappia-
mo bene di sognare, ma pare che non sia vietato: che sia fermata al più
presto però ogni forma di fondamentalismo violento, ancor più quello
che strumentalizza il nome di Dio. Con l’apertura di nuove frontiere
dell’universo infinito che ospitano la vita, l’umanità che viene dalla Terra
dovrà proporre insieme una più credibile immagine di Dio e della dignità
umana.

. La ricerca scientifica è stata con umiltà una straordinaria forza unificatrice e pacificatrice
con grandi progressi in ogni campo: a maggior ragione questo ruolo di incontro e promo-
zione dovrebbe essere assunto dalle religioni in tema di diritti e doveri umani. Aveva ragione
Bertrand Russell, allorché concludeva la sua Storia della filosofia occidentale nel modo seguente:
« Nell’accavallarsi dei fanatismi in conflitto, una delle poche forze unificatrici è la verità scien-
tifica, con cui intendo indicare l’abitudine di basare le nostre convinzioni su osservazioni e
deduzioni tanto impersonali e tanto immuni da deformazioni locali ed individuali, quanto
è possibile a degli esseri umani. Aver insistito per l’introduzione di questo principio nella
filosofia e aver trovato un buon metodo con cui tale principio può essere fruttuoso, sono i
meriti principali della scuola filosofica di cui sono membro. L’abitudine all’accurata veridicità
acquistata attraverso la pratica di questo metodo filosofico può essere estesa all’intera sfera
delle attività umane, producendo, dov’è necessario, una diminuzione del fanatismo ed una
accresciuta capacità di reciproca simpatia e comprensione. Abbandonando una parte delle sue
pretese dogmatiche, la filosofia non cessa per questo di suggerire e d’ispirare una via per la vita.
APPENDICE
Dichiarazione Islamica Universale
dei Diritti dell’Uomo∗
Consiglio Islamico d’Europa, Parigi, ∗

(Traduzione dalla versione francese)


« Questa è una dichiarazione per gli uomini e
una guida e un ammonimento pei timorati di
Dio » (Corano , )
Nel nome di Dio, Clemente, Misericordioso!

Introduzione

Quattordici secoli fa, l’Islam ha donato all’umanità un codice ideale


dei diritti dell’uomo. Questi diritti hanno lo scopo di conferire onore
e dignità all’umanità e di eliminare lo sfruttamento, l’oppressione e
l’ingiustizia.
I diritti dell’uomo, nell’islam, sono fortemente radicati nella con-
vinzione che Dio, e soltanto Dio, sia l’autore della Legge e la fonte
di tutti i diritti dell’uomo. Data la loro origine divina, nessun capo
politico né alcun governo, nessuna assemblea né alcuna autorità ha il
potere di limitare, abrogare o violare in alcun modo i diritti dell’uo-
mo da Dio conferiti. Allo stesso modo, nessun uomo può transigere
riguardo ad essi.
I diritti dell’uomo, nell’islam, sono parte integrante dell’ordine
islamico globale, e tutti i governi e gli Organismi islamici sono tenuti

Si veda: H. M, « I diritti dell’uomo nelle Carte internazionali dell’O e
nella Dichiarazione dell’Organizzazione della Conferenza islamica: un confronto tra le due
visioni da una prospettiva sciita in Italia », in op. cit.;. A. P, pp.–; R –S,
Il pensiero musulmano contemporaneo e i diritti dell’uomo: pluralità di posizioni e confronto con
l’Occidente, in op.cit., A. P, pp.–. Il testo in italiano della Dichiarazione è nei
documenti allegati al presente volume.

Si riporta qui il documento Dichiarazione islamica universale dei diritti dell’uomo,
proclamato presso la sede dell’U a Parigi il  settembre . La presente versione si
rifà al Primo testo francese ufficiale, pubblicato dal Consiglio Islamico d’Europa.


 Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo

a rispettarne l’applicazione, sia secondo la lettera che secondo lo


spirito, nel quadro dell’ordine citato.
È assai spiacevole che i diritti umani siano impunemente calpestati
in numerosi paesi del mondo, compresi alcuni paesi musulmani. Que-
ste flagranti violazioni sono estremamente preoccupanti, e destano la
coscienza di un numero crescente di persone in tutto il mondo.
Mi auguro sinceramente che questa dichiarazione dei diritti del-
l’uomo dia un potente impulso ai popoli musulmani affinché restino
saldi e difendano con coraggio e risolutezza i diritti che sono stati loro
conferiti da Dio.
La presente dichiarazione dei diritti dell’uomo è il secondo do-
cumento fondamentale pubblicato dal Consiglio Islamico per sotto-
lineare l’inizio del quindicesimo secolo dell’era islamica; il primo è
costituito dalla Dichiarazione islamica universale, proclamata in occasio-
ne della conferenza internazionale sul Profeta Muhammad — che Dio
lo benedica e lo custodisca nella pace — e il suo Messaggio, tenutasi a
Londra dal  al  aprile .
La Dichiarazione islamica universale dei diritti dell’uomo si basa sul
Corano e sulla sunna, ed è stata elaborata da eminenti eruditi e giuristi
musulmani e dai rappresentanti di movimenti e di correnti del pensie-
ro islamico. Che Dio li ricompensi per i loro sforzi e li guidi sulla retta
via.
Salı̄m‘Azzām, Segretario Generale
Parigi,  settembre 
O uomini, in verità Noi v’abbiam creato da un maschio e da una femmina e
abbiam fatto di voi popoli vari e tribù a che vi conosceste a vicenda, ma il
più nobile fra di voi è colui che più teme Iddio. (Corano , )

Si tratta di un documento culturalmente importante, sottoscritto


nella sede U di Parigi dal Consiglio islamico di Europa in data 
settembre , a solo un anno di distanza dal Convegno del Kuwait.
Esso è rappresentativo di vasti ambienti musulmani, eruditi e giuri-
sti, anche se manca un contenuto normativo ufficiale dal carattere
politico . Con il termine “universale” sembra volersi sottolineare
l’appartenenza ad una grande comunità di popoli di religione e tradi-
. Sulla Dichiarazione si veda anche : L. P, Déclaration universelle des droits de
Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo 

zione islamica, più che sfidare la Dichiarazione “universale” delle N.U.


del .
L’introduzione richiama l’origine divina dei diritti umani, cioè
una costante della cultura dell’Islam. Nella premessa si riconosce
tuttavia l’importanza ed utilità di assicurare ai diritti umani « un quadro
giuridico e morale durevole », con la giusta sottolineatura del rapporto
intrinseco tra diritti e doveri umani: anzi i doveri umani in una civiltà
giuridica dovrebbero avere la priorità.
L’elenco dei diritti umani, qui soltanto enunciato, significativamen-
te è riferito in prevalenza ai diritti di libertà e solo con qualche accenno
ai diritti economici e sociali (proprietà, lavoro):

— diritto alla vita;


— diritti di libertà;
— diritto all’uguaglianza;
— diritto alla giustizia (equo processo, protezione contro gli abusi
di potere; protezione contro la tortura);
— diritto di asilo e tutela delle minoranze;
— diritto di concorrere alle cariche pubbliche;
— diritto di libertà religiosa;
— diritto di parola e pensiero;
— diritto di associazione;
— diritto di istruzione;
— diritto alla vita privata;
— diritto alla famiglia;
— diritto di residenza;
— ruolo della donna.

Come già accennato, si conclude nel senso che « ciascuno dei diritti
enunciati nella presente dichiarazione comporta doveri corrisponden-
ti ».
Secondo Ali Merad , l’Islam non merita giudizi negativi in tema

l’homme dans l’Islam et Charte Internationale des Droits de l’Homme, in « Rivista Islamochristia-
na » n., , pp. e ss.. Vengono individuate le convergenze ed anche alcune divergenze,
tra cui quelle relative al fondamento religioso, alla inferiorità del ruolo della donna nel
matrimonio e nei diritti ereditari, le libertà di coscienza e religione nella loro pienezza.
. A. M, Riflessioni sulla Dichiarazione universale islamica dei diritti umani, in A.
P, L’Islam ed il dibattito sui diritti umani, in « Laboratorio e Dossier Mondo Islamico »,
 Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo

di diritti umani, perché si sarebbero verificati adattamenti rispetto al


passato in epoche recenti soprattutto dopo la decolonizzazione e la
conquista della indipendenza nazionale. Nel documento in esame il
concetto di diritti umani nell’Islam rifletterebbe non l’“immagine di
Dio” (concetto ritenuto incompatibile almeno sul piano formale con i
dati coranici) ma una sorta di “luogotenenza responsabile”, cioè un
ruolo attivo dell’uomo sulla terra creata.
I diritti umani nell’Islam, avendo un’origine divina, godrebbero di
una maggiore autorevolezza e stabilità rispetto ai diritti umani ricono-
sciuti positivamente nelle Dichiarazioni nazionali ed internazionali,
suscettibili di modifiche. L’Islam non merita l’accusa di avere perpe-
trato la schiavitù diffusa all’epoca di Maometto, ma avrebbe svolto un
ruolo graduale per la sua eliminazione. Questo contributo di Merad
dal tono sincero e apologetico, non esclude la necessità di un esa-
me più realistico dei diritti enunciati e del loro contenuto giuridico
preciso, anche sui due temi citati (la posizione di “dimmi” ossia di
solo protetti dei non musulmani, rispetto alla pienezza dei diritti del
musulmano; la posizione della donna nel matrimonio).

La Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo

Premessa

a) Considerato il fatto che l’aspirazione secolare degli uomini a


un assetto mondiale più giusto, in cui i popoli possano vivere,
progredire e prosperare in un ambiente affrancato dalla paura,
dall’oppressione, dallo sfruttamento e dalle privazioni è ben
lontana dall’essere soddisfatta;
b) considerato il fatto che i mezzi di sussistenza economica, dei
quali la misericordia divina ha abbondantemente dotato l’uma-
nità, sono attualmente sperperati o iniquamente e ingiustamen-
te negati agli abitanti della terra;
c) considerato il fatto che Dio ha donato all’umanità, attraverso le
sue rivelazioni, contenute nel sacro Corano e nella sunna del
suo santo Profeta Muhammad, un quadro giuridico e morale

Ed. Fondazione Giovanni Agnelli, Torino .


Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo 

durevole, grazie al quale fondare e regolamentare e istituzioni


e i rapporti fra gli uomini;
d) considerato il fatto che le disposizioni concernenti i diritti del-
l’uomo, i quali sono oggetto di prescrizioni contenute nel-
la Legge divina,hanno lo scopo di conferire dignità e onore
all’umanità e mirano a eliminare l’oppressione e l’ingiustizia;
e) considerato il fatto che, in virtù della loro origine e delle sanzio-
ni divine ad essi collegate, questi diritti non possono essere limi-
tati, abrogati o infranti da autorità, assemblee o altre istituzioni,
più di quanto non si possa rinunciarvi o alienarli;

di conseguenza, noi musulmani

a) credenti in Dio, caritatevole e misericordioso, creatore, soste-


gno, sovrano, sola guida dell’umanità e fonte di ogni legge;
b) credenti nella luogotenenza (ilafa) dell’uomo, che è stato creato
per compiere la volontà di Dio sulla terra;
c) credenti nella saggezza dei precetti divini trasmessi dai Profeti,
la cui missione è giunta al suo apogeo con il messaggio divino
definitivo rivelato per mezzo del Profeta Muhammad — sia la
pace su di lui — all’intera umanità;
d) credenti nel fatto che la razionalità di per sé, senza la luce della
rivelazione divina, non può né costituire una guida infallibi-
le per ciò che concerne le faccende umane né apportare un
nutrimento spirituale all’anima umana, e consapevoli che gli
insegnamenti dell’Islam rappresentano la quintessenza del co-
mandamento divino nella sua forma definitiva e perfetta, rite-
niamo nostro dovere ricordare all’uomo la nobile condizione e
la dignità che Dio gli ha conferito;
e) credenti nell’appello rivolto a tutta l’umanità affinché condivida
il messaggio dell’islam;
f ) credenti nel fatto che, stando alle condizioni del nostro patto
primordiale con Dio, i nostri doveri e i nostri obblighi abbiano
la priorità sui nostri diritti e che ciascuno di noi abbia il sacro
dovere di diffondere gli insegnamenti dell’Islam mediante la
parola, l’azione e ogni altro mezzo pacifico e dì metterli in
pratica non soltanto nella propria vita, ma anche nella società
che lo circonda;
 Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo

g) credenti nel nostro dovere di istituire un ordine islamico:

— in cui tutti gli esseri umani siano uguali e nessuno sia


privilegiato, svantaggiato o discriminato in base alla razza,
al colore, al sesso, alla sua origine o alla sua lingua;
— in cui tutti gli esseri umani nascano liberi;
— dal quale siano banditi la schiavitù e i lavori forzati;
— in cui siano stabilite delle condizioni che permettano di
preservare, proteggere e onorare l’istituzione della fami-
glia, in quanto fondamento di tutta la vita sociale;
— in cui governanti e governati siano sottoposti alla Legge in
modo paritario e siano uguali di fronte ad essa;
— in cui si ubbidisca solo ai precetti conformi alla Legge;
— in cui ogni potere terreno sia considerato un deposito
sacro, da esercitare entro i limiti previsti dalla Legge, con-
formemente ad essa e tenendo conto delle priorità da essa
stabilite;
— in cui tutte le risorse economiche siano considerate be-
nedizioni divine accorate all’umanità, da cui tutti devono
trarre vantaggio conformemente alle norme e ai valori
proclamati dal Corano e dalla sunna;
— in cui tutte le questioni di pubblico interesse siano deci-
se, gestite e amministrate soltanto previa consultazione
reciproca (šūrā) dei credenti abilitati a prendere parte a
decisioni che siano compatibili con la Legge e con il bene
comune;
— in cui ciascuno si assuma degli obblighi conformi alle pro-
prie capacità e sia proporzionalmente responsabile delle
proprie azioni;
— in cui ciascuno abbia la sicurezza che, in caso di violazio-
ne dei propri diritti, saranno prese le misure correttive
adeguate conformemente alla Legge;
— in cui nessuno sia privato dei diritti che la Legge gli garan-
tisce, se non in virtù della stessa Legge ed entro i limiti da
essa stabiliti;
— in cui ognuno abbia il diritto di intraprendere un’azione
giuridica contro chiunque abbia commesso un crimine
contro la società nel suo insieme o contro uno dei suoi
Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo 

membri;
— in cui sia compiuto ogni sforzo
h) per liberare l’umanità da ogni forma di sfruttamento, ingiustizia
e oppressione, e
i) per garantire a ciascuno sicurezza, dignità e libertà con mezzi
legittimi, alle condizioni previste ed entro i limiti stabiliti dalla
Legge.

Con la presente Dichiarazione ci impegniamo, in quanto servitori


di Dio appartenenti alla fratellanza islamica universale, all’inizio del
quindicesimo secolo dell’era islamica, a promuovere i diritti inviolabili
e inalienabili dell’uomo qui sotto elencati, che noi riteniamo prescritti
dall’islam.

Art. .
Diritto alla vita

a) La vita umana è sacra e inviolabile, e ogni sforzo deve essere


compiuto per proteggerla. In particolare, nessuno deve essere
esposto a ferimenti o alla morte, se non per autorità della Legge.
b) Dopo la morte, come in vita, il carattere sacro del corpo di una
persona è inviolabile, I credenti sono tenuti a vigilare affinché
le spoglie di chiunque siano trattate con la dovuta solennità.

Art. .
Diritto alla libertà

a) L’uomo è nato libero. Il suo diritto alla libertà non può subire
alcuna restrizione, se non per autorità e in normale applicazione
della Legge.
b) Ogni individuo e ogni popolo gode del diritto inalienabile alla
libertà in tutte le sue forme — fisica, culturale, economica e
politica — e deve poter lottare con ogni mezzo disponibile
contro ogni violazione o abrogazione di tale diritto.
c) Ogni individuo o popolo oppresso ha diritto all’aiuto legittimo
di altri individui e/o popoli in questa lotta.
 Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo

Art. .
Diritto all’uguaglianza e divieto di ogni forma di discriminazione

a) Tutti gli uomini sono uguali davanti alla Legge e hanno diritto
alle stesse opportunità e a un’uguale protezione da parte della
Legge.
b) A parità di lavoro, tutti gli uomini hanno diritto allo stesso
salario.
c) Nessuno deve vedersi rifiutare un’opportunità di lavoro, subire
discriminazioni di sorta o essere esposto a maggiori rischi per la
sua incolumità in base a semplici differenze di religione, colore,
razza, origine, sesso o lingua.

Art. .
Diritto alla giustizia

a) Ogni individuo ha diritto di essere giudicato conformemente


alla Legge, e soltanto conformemente alla Legge.
b) Ogni individuo ha non solo il diritto, ma anche il dovere di
protestare contro l’ingiustizia. Egli ha diritto ai ricorsi previsti
dalla Legge davanti alle autorità competenti, in conseguenza di
un danno personale subito o di una perdita ingiustificata. Egli ha,
inoltre, il diritto di difendersi, se accusato, e di essere giudicato
equamente dinanzi a un tribunale giudiziario indipendente,
sia che la lite coinvolga un’autorità pubblica sia che riguardi
qualunque altra persona.
c) Ognuno ha il diritto e il dovere di difendere i diritti di qualsiasi
altra persona e della comunità in generale (bisba).
d) Nessuna discriminazione può essere messa in atto verso chi sta
cercando di difendere i suoi diritti pubblici e privati.
e) Ogni musulmano ha il diritto e il dovere di rifiutarsi di ubbi-
dire a ogni precetto contrario alla Legge, qualunque sia la sua
origine.
Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo 

Art. .
Diritto a un processo equo

a) Nessuno deve essere giudicato colpevole di un delitto e con-


dannato a una pena se la sua colpevolezza non è stata provata
dinanzi a un tribunale giudiziario indipendente.
b) Nessuno può essere giudicato colpevole prima di un processo
equo e senza aver avuto delle concrete possibilità di difesa.
c) La pena deve essere stabilita in conformità alla Legge, in propor-
zione alla gravità del delitto e tenendo conto delle circostanze
nelle quali è stato commesso.
d) Nessuna azione deve essere considerata un crimine se non è
esplicitamente definita tale nel testo della Legge.
e) Ogni individuo è responsabile delle sue azioni. La responsabilità
di un delitto non può essere estesa, in sostituzione, ad altri
membri della sua famiglia, o del suo gruppo di appartenenza,
che non siano implicati, né direttamente né indirettamente,
nell’esecuzione del delitto in questione.

Art. .
Diritto alla proiezione contro gli abusi di potere

Ogni individuo ha il diritto di essere protetto dalle prevaricazioni


delle autorità. Non è necessario che egli si giustifichi, se non per
difendersi dalle accuse mosse contro di lui o allorché possa essere
ragionevolmente sospettato di essere implicato in un delitto.

Art. .
Diritto alla protezione dalla tortura

Nessun individuo deve essere sottoposto a torture mentali o fisiche,


trattamenti degradanti e minacce, che siano rivolte a lui, a qualche
suo parente o a qualche persona cara; allo stesso modo, non gli si
deve estorcere la confessione di un crimine né deve essere costretto
ad accettare azioni lesive dei suoi interessi.
 Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo

Art. .
Diritto a tutelare l’onore e la reputazione

Ogni individuo ha il diritto di tutelare il proprio onore e la propria


reputazione dalle calunnie, dalle accuse infondate e da ogni tentativo
deliberato di diffamazione e di ricatto.

Art. .
Diritto d’asilo

a) Ogni individuo perseguitato o oppresso ha il diritto di cercare


rifugio e asilo. Questo diritto è garantito a ogni essere umano,
indipendentemente da differenze di razza, religione, colore o
sesso.
b) Al–masjid al–baram (la sacra casa di Dio) [la grande moschea]
alla Mecca è un rifugio per tutti i musulmani.

Art. .
Diritti delle minoranze

a) Il principio coranico « Non vi sia costrizione nella Fede » deve


regolare i diritti religiosi delle minoranze non musulmane.
b) All’interno di un paese musulmano, le minoranze religiose de-
vono poter scegliere, per la condotta dei loro affari sia pubblici
che privati, tra la Legge islamica e le loro proprie leggi.

Art. .
Diritto e dovere di partecipazione alla condotta e alla gestione degli affari
pubblici

a) Con le eccezioni previste dalla Legge, ogni persona apparte-


nente alla comunità (umma) ha diritto di ricoprire una carica
pubblica.
Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo 

b) L’istituto della libera consultazione (šūrā) è il fondamento dei


rapporti amministrativi tra il governo e il popolo. Conforme-
mente a questo principio, il popolo ha il diritto sia dì scegliere
che di revocare i suoi governanti.

Art. .
Diritto alla libertà di religione, di pensiero e di parola

a) Ogni individuo ha il diritto di esprimere il suo pensiero e le sue


convinzioni, entro i limiti previsti dalla Legge. Tuttavia, nessuno
ha il diritto di diffondere menzogne o notizie capaci di arrecare
oltraggio al comune senso del pudore, né di abbandonarsi alla
calunnia o alla diffamazione, né di nuocere alla reputazione
altrui.
b) La ricerca della conoscenza e la ricerca della verità sono non
soltanto un diritto, ma anche un dovere per ogni musulmano.
c) Ogni musulmano ha sia il diritto che il dovere di difendersi e di
combattere (entro i limiti stabiliti dalla Legge) contro l’oppres-
sione, anche se ciò dovesse portarlo a contestare le massime
autorità dello stato.
d) Nulla deve ostacolare la diffusione di informazioni, nella misura
in cui esse non mettono in pericolo la sicurezza della società o
dello stato e non oltrepassano i limiti imposti dalla Legge.
e) Nessuno ha il diritto di disprezzare o ridicolizzare le convinzioni
religiose di altri individui, né di fomentare l’ostilità pubblica
nei loro confronti. Il rispetto dei sentimenti religiosi altrui è un
dovere che incombe su ogni musulmano.

Art. .
Diritto alla libertà religiosa

Ogni individuo ha diritto alla libertà di coscienza e di culto confor-


memente alle proprie convinzioni religiose.
 Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo

Art. .
Diritto alla libertà di associazione

a) Ogni individuo ha il diritto di partecipare, sia a titolo personale


che collettivo, alla vita religiosa, sociale, culturale e politica
della sua comunità, e di creare istituzioni e organismi aventi
lo scopo di prescrivere il bene (mac rūf ) e di impedire il male
(munkar).
b) Ogni individuo ha il diritto di provare a creare istituzioni che
gli permettano di mettere in pratica questi diritti. Da un punto
di vista collettivo, la comunità è tenuta a creare le condizioni
nelle quali i suoi membri possano sviluppare pienamente la loro
personalità.

Art. .
L’ordine economico e i diritti che ne derivano

a) Nella loro attività economica, tutti gli uomini hanno diritto di


trarre profitto dalla natura e dalle sue risorse. Si tratta infatti di
doni elargiti da Dio a beneficio dell’intera umanità.
b) Tutti gli esseri umani hanno il diritto di procurarsi di che vivere
conformemente alla Legge.
c) Ogni individuo ha diritto alla proprietà sui propri beni, indi-
vidualmente o in associazione con altri. La nazionalizzazione
di determinati mezzi di produzione economica nell’interesse
pubblico è legittima.
d) Ai poveri spetta una determinata parte, stabilita in base all’i-
stituto della zakāt, dei beni dei ricchi, la cui imposizione e
riscossione avviene conformemente alla Legge.
e) Tutti i mezzi di produzione devono essere utilizzati nell’interes-
se di tutta la comunità (umma) e non possono essere trascurati
o mal utilizzati,
f ) Ai fini di promuovere lo sviluppo di un’economia equilibrata
e di proteggere la società dallo sfruttamento, la Legge islamica
vieta i monopoli, le pratiche commerciali eccessivamente re-
strittive, l’usura, l’impiego di misure coercitive per conclusione
Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo 

di un accordo e la pubblicazione di informazioni false a scopo


pubblicitario.
g) Qualunque attività economica è autorizzata, nella misura in cui
non danneggia gli interessi della comunità (umma) e non viola
le leggi e i valori islamici

Art. .
Diritto alla protezione della proprietà

Nessun bene può essere espropriato se non per ragioni di pubblico


interesse, e in cambio di un indennizzo equo e sufficiente.

Art. .
Statuto e dignità dei lavoratori

L’Islam onora il lavoro e il lavoratore, e prescrive ai musulmani di


trattare il lavoratore non solo con giustizia, ma anche con generosità.
Esso ha il diritto non solo di ricevere prontamente il meritato salario,
ma anche quello di riposarsi e di svagarsi a sufficienza.

Art. .
Diritto alla sicurezza sociale

Ogni individuo ha diritto a cibo, alloggio, vestiti, istruzione e cure


mediche, in base alle risorse della comunità. Questo dovere comunita-
rio riguarda in modo particolare tutti gli individui che non possono
mantenersi a causa di un’invalidità temporanea o permanente.

Art. .
Diritto di fondare una famiglia e questioni connesse

a) Ogni individuo ha il diritto di contrarre matrimonio, fondare


una famiglia e allevare la prole conformemente alla propria
 Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo

religione, alle proprie tradizioni e alla propria cultura. Ogni


persona sposata possiede questi diritti e privilegi ed è soggetta
agli obblighi previsti dalla Legge.
b) Ciascuno dei membri di una coppia ha diritto al rispetto e alla
considerazione dell’altro.
c) Ogni marito ha il dovere di mantenere la moglie e i figli,
conformemente ai propri mezzi.
d) Ogni bambino ha diritto di essere mantenuto e allevato con
cura dai suoi genitori; è vietato far lavorare i bambini e im-
porre loro compiti che ostacolino il loro sviluppo naturale o
nuocciano ad esso.
e) Se, per qualche ragione, i genitori si trovassero nell’incapacità
di far fronte ai loro obblighi nei confronti di un figlio, sarebbe
compito della comunità assumersi tali impegni a carico della
spesa pubblica.
f) Ogni individuo ha diritto al sostegno materiale, oltre che alle
cure e alla protezione, della sua famiglia, sia durante la sua
infanzia che durante la vecchiaia o in caso di invalidità. I genitori
hanno diritto al sostegno materiale, alle cure e alla protezione
dei loro figli.
g) La maternità ha diritto a rispetto, cure e assistenza particolari da
parte della famiglia e degli enti pubblici della comunità (umma).
h) All’interno della famiglia, gli uomini e le donne devono spartire
doveri e responsabilità secondo il loro sesso, i loro doni, il loro
talento e la loro propensione naturale, tenendo conto delle loro
responsabilità comuni nei confronti della prole e dei genitori.
i) Nessuno può contrarre matrimonio contro la sua volontà, né
essere privato della personalità giuridica o subirne una diminu-
zione in conseguenza del suo matrimonio.
Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo 

Art. .
Diritti della donna coniugata

Ogni donna coniugata ha diritto a:

a) vivere nell’abitazione in cui vive il marito;


b) riceverei mezzi necessari al mantenimento di un livello di vita
che non sia inferiore a quello del coniuge, e, in caso di divorzio,
ricevere durante il periodo di attesa legale (c idda) mezzi di
sussistenza proporzionali alle risorse del marito, sia per sé, sia
per la prole, che essa nutre e sorveglia; essa percepirà questi
sussidi indipendentemente dalla sua situazione finanziaria, dai
profitti che percepisce e dai beni di cui dispone in proprio;
c) chiedere e ottenere lo scioglimento del matrimonio (hulc a) con-
formemente alle disposizioni della Legge; questo diritto si ag-
giunge al diritto, di cui la donna gode, di chiedere il divorzio
davanti a un tribunale;
d) ereditare dal marito, dai genitori, dai figli o da altri parenti, in
conformità della Legge;
e) veder osservata la più stretta confidenzialità da parte del marito,
o dell’ex–marito, in caso di avvenuto divorzio, riguardo alle
informazioni di cui egli potrebbe essere a conoscenza, e la cui
divulgazione potrebbe nuocere agli interessi della moglie. Su
di lei incombe lo stesso obbligo nei confronti del marito o
dell’ex–marito.

Art. .
Diritto all’istruzione

a) Ogni individuo ha il diritto di ricevere un’istruzione adeguata


alle sue capacità naturali.
b) Ogni individuo ha il diritto di scegliere liberamente la professio-
ne o la carriera e di avere la possibilità di sviluppare totalmente
i suoi doni naturali.
 Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo

Art. .
Diritto alla vita privata

Ogni individuo ha il diritto di proteggere la sua vita privata.

Art. .
Diritto alla libertà di spostamento e di residenza

a) Tenuto conto del fatto che il mondo islamico è un’autentica


umma islamiyya (comunità islamica), ogni musulmano deve
poter godere del diritto di entrare liberamente in un altro paese
islamico e di uscirne altrettanto liberamente.
b) Nessun individuo potrà essere costretto ad abbandonare il suo
paese di residenza, né potrà essere arbitrariamente deportato,
senza fare ricorso alle applicazioni normali della Legge.
Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti dell’Uomo 

Note esplicative

a) Nella formulazione dei diritti dell’uomo che precede, con l’ec-


cezione di ogni altra indicazione contraria nel testo,
— il termine persona è riferito contemporaneamente sia al
maschio che alla femmina;
— con il termine Legge si intende la šarı̄c a, cioè la totalità
degli ordinamenti tratti dal Corano e dalla sunna e ogni
altra legge dedotta da queste due fonti per mezzo dei
metodi considerati validi dalla giurisprudenza islamica.
b) Ciascuno dei diritti enunciati nella presente dichiarazione com-
porta dei doveri corrispondenti.
c) Nell’esercizio e nel godimento dei diritti citati, ogni individuo
sarà soggetto esclusivamente ai limiti imposti dalla Legge, allo
scopo di assicurare il riconoscimento legittimo e il rispetto dei
diritti e delle libertà altrui, e di soddisfare le giuste esigenze
della moralità, dell’ordine pubblico e del benessere generale
della comunità (umma).
d) Il testo arabo di questa Dichiarazione ne costituisce l’origina-
le.

. Il testo tradotto in italiano dall’arabo può essere consultato in A. P, L’Islam ed il
dibattito sui diritti umani, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino .
Dichiarazione del Cairo
sui Diritti Umani nell’Islam


Introduzione

A distanza di circa dieci anni viene sottoscritto un nuovo documento


al Cairo dalla XIX Conferenza Islamica dei Ministri degli Affari Esteri.
Questa volta l’iniziativa parte dalla Organizzazione della Conferenza
Islamica, creata a Rabat in Marocco nel , che abbraccia  Paesi
accomunati dalla comune fede religiosa e da una comune cultura. Essa
si occupa dal  anche di cooperazione economica. Il Documento
(riportato nel testo italiano nei documenti allegati al presente volu-
me), pur importante, non ha però ricevuto una approvazione politica
definitiva per i persistenti contrasti in una materia tanto sensibile. Il
linguaggio utilizzato è quello dei giuristi nello sforzo di adeguamento
ai Documenti internazionali sui diritti umani .
. Per un inquadramento del Documento nel contesto internazionale si veda l’interes-
sante contributo di H. M I diritti dell’uomo nelle Carte internazionali dell’O e nella
Dichiarazione dell’Organizzazione della Conferenza Islamica: un confronto tra due visioni da una
prospettiva sciita iraniana, in A. P, op.cit., pp.–. Egli dopo i riferimenti storici alla
Magna Charta inglese del  ed alla Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del
cittadino del , sottolinea che le cause sociali di tali documenti in Occidente furono
i privilegi di classe, le discriminazioni razziali, le soppressioni delle libertà di pensiero,
opinione e parola. Egli sostiene che le Religioni in linea di principio hanno svolto un ruolo
positivo di promozione dei diritti, dando la forza morale di resistere alle ingiustizie del
potere e mitigare le disuguaglianze. Riconosce che l’Islam deve maturare una riflessione
più approfondita ed adeguata su alcuni aspetti problematici come quello relativo alla libertà
politica e sociale che « dopo il martirio di Alì vide il governo della comunità islamica
cadere nelle mani di califfi dispotici e dittatoriali che [. . . ] impedirono il clima di libertà e
di apertura creato dal Profeta e mantenuto dai primi quattro Califfi, specialmente da Alì ».
Sulla libertà religiosa ricorda che anche nel mondo cristiano vi sono state limitazioni ed
abusi (es. inquisizione spagnola dal  al ), fino alle aperture di Giovanni  e del
Concilio Vaticano  e che dal punto di vista islamico occorre distinguere i principi dalla
attuazione concreta, tenendo presenti i condizionamenti storici. La stessa apertura si nota


 Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam

Va subito notato che la Dichiarazione non richiama quella delle


Nazioni Unite del  e neppure i Patti successivi del  sui diritti
economici, sociali e culturali, ma si muove ancora in modo autorefe-
renziale, come in un mondo a sé, in una materia così fondamentale
per tutta l’umanità: una visione interna all’Islam, alla sua cultura ed
alla sua storia. Neppure viene citato il precedente Documento del
.
Il Documento fa cenno alle fasi di preparazione del Progetto, com-
preso il lavoro di una Commissione di giuristi riunitisi a Teheran
nel dicembre del  e chiarisce la finalità: fornire direttive generali
comuni agli Stati islamici in materia di diritti umani (in una logica
autoreferenziale).

Il contenuto essenziale della Dichiarazione del Cairo sui Diritti


Umani nell’Islam

Il preambolo enuncia una serie di principi tipici della cultura islamica:


l’uomo come luogotenente di Dio sulla terra; il ruolo di civilizzazione
della comunità islamica (« la comunità migliore che Dio abbia creato »
che ha dato luogo ad « una civiltà universale ed equilibrata », capace
al giorno d’oggi di « offrire una soluzione per problemi cronici che
affliggono questa civiltà materialistica »).
Chiaramente si lega la concezione dei diritti umani non solo al-
l’origine divina, ma anche alla religione e tradizione storica del-
l’Islam, concetto rispettabile ma unilaterale, considerato il legame
diritto–religione, tipico di questa cultura.
Con un linguaggio molto chiaro, vengono enunciati in  articoli
i diritti fondamentali umani seconda la concezione islamica: è com-
pito dell’interprete distinguere l’ispirazione dal contenuto giuridico
concreto di ognuno di questi articoli e compararli a quelli accettati a
livello internazionale dal resto degli Stati della Comunità mondiale.

in merito al trattamento della donna nell’Islam che richiede un adeguamento ai nuovi


tempi, essendo mutata la realtà economica e sociale. Egli propone una revisione anche
alla luce della testimonianza di Mahamud Muhammad Taha, studioso islamico sudanese,
propugnatore di una riforma non per i profili religiosi dell’insegnamento di Maometto, ma
per quelli di Maometto politico, condizionato dal periodo storico. Taha fu impiccato il 
gennaio  per blasfemia ed apostasia, come ricorda lo stesso Mehrpour.
Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam 

Certamente è condivisibile l’art., che dopo avere giustamente


affermato la unitarietà della famiglia umana stabilisce che

Tutti gli uomini sono uguali dal punto di vista della dignità umana e dell’a-
dempimento dei doveri e delle responsabilità, senza alcuna discriminazione
di razza, colore, lingua, sesso, religione, appartenenza politica, condizione
sociale o altro.

Si può accettare l’idea che la fede possa garantire un « accrescimento


di tale dignità sulla via dell’umana perfezione », se non interferisse con
lo standard giuridico comune dei diritti–doveri umani universali.
Nell’art.  si enuncia il diritto alla vita e la sua inviolabilità per ogni
essere umano, ma si lascia aperta la possibilità di togliere la vita alla luce
della Sharia quando sussiste una “ragione legale” giustificatrice (e questo
può valere perfino per minori di anni !). La Sharia infatti consente la
pena di morte per vari reati come omicidio, rapina, apostasia, traffico di
droga, omosessualità e di fatto questa pena è comminata in grandi Paesi
come Arabia Saudita ed Iran (non in Algeria, Tunisia e Marocco). Per la
eliminazione della pena di morte o almeno per una moratoria sine die si
è pronunciata l’Assemblea Generale delle N.U. nel .
Senza eccezioni è la condanna del genocidio. Come si vedrà più
avanti il fondamentalismo jihadista è stato ripetutamente accusato di
genocidio, per i suoi gravi crimini.
L’art.  relativo ai conflitti armati recepisce i principi di rispetto
per le persone non belligeranti, il divieto di mutilazione, il divieto di
cagionare danni eccessivi o con mezzi vietati al territorio del nemico.
L’art.  contempla il diritto alla reputazione durante la vita e dopo
la morte e condanna la profanazione delle tombe.
La famiglia fondata sul matrimonio uomo–donna è considerata
basilare per la società. Sono vietate le restrizioni al matrimonio per
ragioni di razza, colore e nazionalità (non si fa cenno nel testo alle
restrizioni per ragioni religiose, v. .art. ).
L’art. , con un linguaggio più aperto, riconosce alla donna la stessa
dignità dell’uomo ed il godimento dei diritti civili ed economici.
Qualche perplessità desta l’art.  che affida al padre il diritto di
scegliere l’educazione dei figli e non ad entrambi i genitori.
La capacità giuridica è correttamente attribuita ad ogni individuo
(art. ).
 Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam

Interessante è l’enfasi sui doveri per la ricerca e l’istruzione, anche


se quest’ultima deve essere finalizzata non solo al rafforzamento della
personalità ma anche della fede in Dio (art. ).
Costituisce un postulato culturale (ma giuridicamente problemati-
co) che l’Islam sia la “fede naturale dell’uomo” art.: la legge coranica
fa scaturire da ciò conseguenze pratiche in termini di non reciprocità,
scoraggiando ogni forma di proselitismo degli altri, ma legittimando
il proselitismo del proprio credo verso gli altri.
Ha un comprensibile contenuto politico il divieto del colonialismo,
sofferto da vari popoli arabi (art.). Egualmente accettabile appare il
diritto di asilo e la libera scelta della residenza (art.).
Segue una lista di diritti economici e sociali: diritto al lavoro art.;
diritto alla previdenza sociale; diritto ad un salario equo; diritto di
proprietà art.; diritto alla libertà economica ed al godimento dei
frutti della produzione scientifica, letteraria, artistica o tecnica; diritto
alla salute; diritto ad un livello di vita dignitoso comprendente alimen-
tazione, vestiario, abitazione, istruzione, cure mediche ed altri bisogni
essenziali (art.).
Non sono citati i diritti sindacali ed i diritti di nuova generazione,
come il diritto allo sviluppo, il diritto all’ambiente, il diritto alla pace.
In tema di giustizia vengono richiamati correttamente i noti princi-
pi di legalità, presunzione di innocenza e processo equo ed il divieto
di arresti arbitrari (art.).
Degno di nota è l’espresso divieto di prendere qualcuno in ostaggio
“qualunque sia il fine perseguito” (art.). Questo punto merita con-
siderazione perché non offre copertura alcuna al fondamentalismo
violento che utilizza ampiamente questa pratica disumana.
La libertà di opinione è garantita, ma è vietato qualsiasi abuso o
offesa alle cose sacre o alla dignità dei Profeti, (art.): questa norma è
suscettibile di strumentalizzazione da parte di fondamentalisti violenti,
benché sia vietato l’incitamento all’odio su base etnica o religiosa.
Con una formula bella ed efficace, l’art. stabilisce che « l’autorità
è responsabilità » e che « ogni individuo ha diritto di partecipare all’am-
ministrazione della cosa pubblica del suo paese », con una innegabile
apertura alle basi della democrazia a livello di principi.
Il ruolo della società civile in molti Stati islamici — salvo alcune
eccezioni — appare tuttavia carente, mentre è noto che le O anche
a livello mondiale si sono più volte riunite facendo sentire la loro voce:
Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam 

Conferenza di Stoccolma del , sull’ambiente umano; Conferenza


di Rio de Janeiro del , su ambiente e sviluppo; Conferenza di
Johannesburg del  e di Rio+ del , sempre in tema di am-
biente; Movimenti di contestazione come il World Forum di Porto
Alegre del  e di Montreal del . Si noti che questi eventi non
sono stati mai organizzati in Paesi islamici. Solo recentemente un
Paese islamico, il Marocco, ha ospitato una Conferenza internazionale
in materia di clima (Marrakesh, novembre ).
Appare però inaccettabile nel Documento in esame la clausola finale
(considerata con troppa benevolenza di stile e quindi poco rilevante da
alcuni) che subordina diritti e libertà alla Legge islamica, posta come
riferimento supremo anche a fini interpretativi quale “solo riferimento
valido”: lo sforzo di codificare e precisare i diritti umani nella prassi
rischia di essere contraddetto da interpretazioni poco aperte della
legge islamica stessa, ma su ciò vi è una tendenza su base nazionale
nel senso del riconoscimento di un concetto più unitario e moderno
di cittadinanza.
Enzo Pace, professore di Sociologia delle Religioni della Università
di Padova, nel commentare questo documento — in « La Dichiara-
zione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam », Diritti dell’Uomo, Diritti
dei Popoli, Anno VI, n. (), Cedam — osserva che è stato com-
piuto uno sforzo interpretativo rispetto alla Ijitihad tradizionale nel
senso di « valicare il linguaggio tradizionale così come depositato nei
silos della storia della cultura islamica e a compiere felici incursioni
nel bagaglio del linguaggio universale moderno dei diritti umani ».
Egli sottolinea che lo sforzo interpretativo, bloccato autoritariamente
intorno all’ d. C., in qualche modo viene riaperto dai redattori
della Dichiarazione del  che costituisce comunque un progresso
rispetto al Documento del .
La questione del ruolo della giurisprudenza è di fatto riaperta,
come è naturale avvenga in ogni opera di codificazione.

La Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam

Preambolo

Gli Stati Membri dell’Organizzazione della Conferenza Islamica,


 Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam

a) Riaffermando il ruolo civilizzatore e storico della Ummah islami-


ca che Dio fece quale nazione ottima, che ha dato all’umanità
una civiltà universale e equilibrata nella quale è stabilita l’ar-
monia tra questa vita e ciò che viene dopo e la conoscenza
è in armonia con la fede; e il ruolo che spetta all’Ummah nel
guidare un’umanità confusa da orientamenti e ideologie con-
traddittorie e nel risolvere i cronici problemi dell’attuale civiltà
materialistica,
b) Desiderando contribuire agli sforzi dell’umanità intesi ad as-
serire i diritti umani, proteggere l’uomo dallo sfruttamento e
dalla persecuzione e affermare la sua libertà e il suo diritto ad
una vita degna, in accordo con la Shari’ah islamica,
c) Convinti che l’umanità, che ha raggiunto un elevato stadio nelle
scienze naturali, avrà sempre bisogno di fede, per sostenere la
sua civiltà, e della forza interiore che nasce dalla motivazione
individuale, per salvaguardare i propri diritti,
d) Credendo che i diritti fondamentali e le libertà fondamentali
nell’Islam sono parte integrante della religione islamica e che
nessuno in via di principio ha diritto di sospenderli in tutto
o in parte o di violarli o di ignorarli, nella misura in cui essi
sono comandamenti divini vincolanti, quali sono contenuti nel
Libro della rivelazione di Dio e trasmessi attraverso l’ultimo dei
suoi Profeti a completare i precedenti messaggi divini, facendo
pertanto della loro osservanza un atto di adorazione e della loro
negligenza o violazione un abominevole peccato, di modo che
ogni persona è individualmente responsabile — e la Ummah lo
è collettivamente — della loro salvaguardia.

Procedendo dai summenzionati principi, dichiara quanto segue:

Art. .

a) Tutti gli esseri umani formano un’unica famiglia i cui membri


sono uniti dalla sottomissione a Dio e dalla discendenza da Ada-
mo. Tutti gli uomini sono eguali quanto alla loro fondamentale
dignità umana e ai loro fondamentali obblighi e responsabilità,
senza alcuna discriminazione in base a razza, colore, lingua,
Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam 

sesso, credo religioso, affiliazione politica, stato sociale o altre


considerazioni. La vera fede è la garanzia per rispettare questa
dignità lungo il cammino della umana perfezione.
b) Tutti gli esseri umani sono soggetti a Dio e i più amati da
Lui sono coloro che sono più utili al resto dei Suoi sudditi, e
nessuno ha superiorità sugli altri eccetto che sulla base della
pietà e delle buone azioni.

Art. .

a) La vita è un dono dato da Dio e il diritto alla vita è garantito


ad ogni essere umano. È dovere degli individui, delle società
e degli Stati proteggere questo diritto da ogni violazione ed è
vietato sopprimere la vita tranne che per una ragione prescritta
dalla Shari’ah.
b) È proibito ricorrere ai mezzi che possono provocare il genoci-
dio dell’umanità.
c) La difesa della vita umana fino alla sua fine voluta da Dio è un
dovere prescritto dalla Shari’ah.
d) La sicurezza dell’incolumità fisica è un diritto garantito. È do-
vere dello Stato proteggerlo ed è vietato infrangerlo senza una
ragione prescritta dalla Shari’ah.

Art. .

a) In caso di uso della forza e di conflitto armato, non è consentito


uccidere non belligeranti quali anziani, donne e bambini. I feriti
e i malati hanno diritto al trattamento medico; i prigionieri di
guerra hanno diritto ad avere cibo. Riparo e vestiti. È vietato
mutilare cadaveri. È un dovere scambiarsi i prigionieri di guerra
e consentire le visite o la riunificazione delle famiglie separate
a causa della guerra.
b) È vietato abbattere alberi, devastare le colture o le mandrie, non-
ché distruggere le costruzioni o le istallazioni civili del nemico
con bombardamenti, esplosioni o con ogni altro mezzo.
 Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam

Art. .

Ogni essere umano ha diritto alla inviolabilità e alla protezione


della reputazione e dell’onore durante la sua vita e dopo la sua morte.
Lo Stato e la società proteggeranno la sua salma e il luogo di sepoltura.

Art. .

a) La famiglia è il fondamento della società e il matrimonio è la


base della sua formazione. Uomini e donne hanno diritto al
matrimonio e nessuna restrizione derivante da razza, colore o
nazionalità impedirà loro di beneficiare di tale diritto.
b) La società e lo Stato rimuoveranno ogni ostacolo al matrimo-
nio e ne agevoleranno la conclusione. Essi assicureranno la
protezione e il benessere della famiglia.

Art. .

a) La donna è uguale all’uomo quanto a dignità umana e ha tan-


to diritti da godere quanto obblighi da adempire; essa ha un
proprio stato civile e indipendenza finanziaria e il diritto di
mantenere il proprio nome e lignaggio.
b) Il marito è responsabile per il mantenimento e il benessere
della famiglia.

Art. .

a) Fin dal momento della nascita ogni bambino ha diritto, nei


confronti dei genitori, della società e dello Stato, ad avere in
modo appropriato nutrimento, educazione e cure materiali,
igieniche e morali. Sia il feto sia la madre devono essere protetti
e ricevere speciale assistenza.
Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam 

b) I genitori e quanti si trovano in analoga condizione hanno il


diritto di scegliere il tipo di educazione che essi desiderano per
i propri figli, a condizione che essi prendano in considerazione
l’interesse e il futuro dei bambini in conformità con i valori etici
e i principi della Shari’ah.
c) Entrambi i genitori sono titolari di certi diritti nei confronti
dei figli; i parenti sono titolari di diritti rispetto al gruppo fami-
liare di appartenenza, in conformità con le prescrizioni della
Shari’ah.

Art. .

Ogni essere umano gode di personalità giuridica e può essere


titolare di obblighi e capace di assumere impegni; nel caso in cui
questa personalità sia perduta o limitata egli sarà rappresentato dal suo
tutore.

Art. .

a) Cercare la conoscenza è un dovere e assicurare l’educazione


è un obbligo della società e dello Stato. Lo Stato garantisce la
disponibilità di strumenti e mezzi per acquisire l’educazione e
garantisce la pluralità di offerte educative nell’interesse della
società e in modo da mettere l’uomo in condizione di conoscere
la religione dell’Islam e i fenomeni dell’Universo, per il bene
dell’umanità.
b) Ogni essere umano ha il diritto di ricevere un’educazione sia
religiosa, sia mondana presso le varie istituzioni di educazione
e di orientamento, compresa la famiglia, la scuola, l’universi-
tà, i media, ecc., in modo integrato ed equilibrato, così che
possa sviluppare la sua personalità, rafforzare la fede in Dio e
promuovere in lui il rispetto e la difesa dei diritti e dei doveri.

Art. .
 Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam

L’Islam è la religione connaturata all’essere umano. È proibito


esercitare qualsiasi forma di coercizione sull’uomo o di sfruttare la
sua povertà o ignoranza al fine di convertirlo a un’altra religione o
all’ateismo.

Art. .

a) Gli esseri umani nascono liberi e nessuno ha il diritto di renderli


schiavi, umiliarli, opprimerli o sfruttarli e non esiste alcuna
subordinazione se non di fronte Dio l’Altissimo.
b) Il colonialismo di qualsiasi tipo, in quanto rappresenta una delle
peggiori forme di schiavitù, è assolutamente vietato. I popoli
che soffrono a causa del colonialismo hanno pieno diritto alla
libertà e all’autodeterminazione. È dovere di tutti gli Stati e di
tutti i popoli sostenere la lotta dei popoli colonizzati volta a
liquidare qualsiasi forma di colonialismo e occupazione, e tutti
gli Stati e tutti i popoli hanno il diritto di preservare la propria
identità indipendente e di esercitare il controllo sulle proprie
ricchezze e risorse naturali.

Art. .

Ogni uomo ha il diritto, nel quadro della Shari’ah, alla libertà di


movimento e alla scelta della propria residenza, sia all’interno, sia al
di fuori del proprio paese e, se perseguitato, ha il diritto di cercare
asilo in un altro paese. Il paese che gli ha concesso rifugio garantirà la
sua protezione fino a che egli raggiungerà la sicurezza, a meno che la
richiesta di asilo sia fondata su un atto che la Shari’ah considera come
un crimine.

Art. .

Il lavoro è un diritto garantito dallo Stato e dalla società ad ogni


persona abile a lavorare. Ognuno è libero di scegliere il lavoro che
Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam 

più gli si addice e che soddisfa i suoi interessi e quelli della società. Il
lavoratore ha il diritto alla sicurezza sul lavoro e alla sicurezza sociale,
nonché ad ogni altra garanzia sociale. Non gli può essere assegnato un
lavoro al di là delle proprie capacità né può essere coartato, sfruttato o
colpito. Egli ha il diritto — senza alcuna discriminazione tra maschi e
femmine — ad un equo e pronto salario per il suo lavoro, alle ferie,
ai benefici e alle promozioni che merita. Da parte sua, egli è tenuto
a impegnarsi e ad essere accurato nel suo lavoro. Nel caso in cui
tra lavoratori e datori di lavoro intervengano divergenze su qualsiasi
materia, lo Stato interviene per risolvere la controversia e fare in modo
che i motivi di lamentela siano rimossi, i diritti confermati e la giustizia
applicata senza sperequazioni.

Art. .

Ognuno ha il diritto a guadagni legittimi senza esercitare mo-


nopolio, inganno o violenza su di sé o sugli altri. L’usura (riba) è
assolutamente vietata.

Art. .

a) Ognuno ha il diritto alla proprietà acquisita in modo legittimo


ed eserciterà i relativi diritti senza pregiudizio per se stesso,
gli altri o la società in generale. L’espropriazione non è con-
sentita tranne che per esigenze di pubblico interesse e dietro
pagamento di un immediato ed equo indennizzo.
b) La confisca e la sottrazione della proprietà è proibita tranne che
per necessità dettata dalla legge.

Art. .

Ognuno ha il diritto di godere dei frutti della propria produzione


scientifica, letteraria, artistica o tecnica, nonché di proteggere gli
interessi morali e materiali che ne derivano, a condizione che tale
produzione non sia contraria ai principi della Shari’ah.
 Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam

Art. .

a) Ognuno ha il diritto di vivere in un ambiente sano, immune dal


vizio e dalla corruzione morale, in un ambiente che favorisca il
suo autosviluppo; incombe allo Stato e alla società in generale
il dovere di promuovere tale diritto.
b) Ognuno ha il diritto all’assistenza medica e sociale e ad ogni
pubblica agevolazione fornita dalla società e dallo Stato nei limiti
delle loro risorse disponibili.
c) Lo Stato assicura il diritto dell’individuo a una vita dignitosa che
gli consenta di provvedere a tutte le esigenze proprie e a quelle
che dipendono da lui, compresa l’alimentazione, il vestiario,
l’alloggio, l’educazione, le cure mediche e ogni altro bisogno
essenziale.

Art. .

a) Ognuno ha il diritto di vivere in sicurezza per quanto riguarda


la sua persona, la sua religione, le persone a carico, il suo onore
e i suoi beni.
b) Ognuno ha il diritto alla riservatezza nella sua vita privata, nel
domicilio, in famiglia e per quanto attiene la sua proprietà e la
sua vita di relazione. Non è consentito svolgere spionaggio su
un individuo, porlo sotto sorveglianza o macchiare il suo buon
nome. Lo Stato deve proteggerlo da ogni interferenza arbitraria.
c) L’abitazione privata è in ogni caso inviolabile. Non vi si può
accedere senza il permesso dei suoi abitanti o in qualunque
maniera illegale, né può essere demolita o confiscata e i suoi
abitanti privati dell’alloggio.

Art. .

a) Tutti gli individui sono eguali di fronte alla legge, senza distin-
zione tra governanti e governati.
b) Il diritto di ricorrere alla giustizia è garantito a tutti.
Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam 

c) La responsabilità penale è essenzialmente personale.


d) Non c’è crimine o pena al di fuori di quanto previsto dalla
Shari’ah.
e) L’imputato è innocente fino a che la sua colpa non sia provata
in un equo processo nel quale egli disponga di tutte le garanzie
della difesa.

Art. .

Non è consentito, senza una ragione legittima, arrestare un indi-


viduo, restringere la sua libertà, esiliarlo o punirlo. Non è consentito
sottoporlo a tortura fisica o psicologica o a qualsiasi forma di umilia-
zione, crudeltà o trattamento contrario alla dignità. Non è consentito
sottoporre un individuo ad esperimenti medici o scientifici senza il
suo consenso o che mettano a rischio la sua salute o la sua vita. Né è
consentito promulgare leggi di emergenza che prevedano interventi
d’autorità per tali azioni.

Art. .

La presa di ostaggi sotto qualsiasi forma e per qualsiasi motivo è


espressamente vietata.

Art. .

a) Ognuno ha il diritto di esprimere liberamente la propria opinio-


ne in un modo che non contravvenga ai principi della Shari’ah.
b) Ognuno ha il diritto di sostenere ciò che è giusto e propagan-
dare ciò che è buono e mettere in guardia contro ciò che è
sbagliato e malvagio secondo le norme della Shari’ah islamica.
c) L’informazione è una necessità vitale per la società. Essa non
può essere sfruttata o usata in modo scorretto in modo tale da
poter violare le cose sacre e la dignità dei Profeti, sminuire i
valori morali e etici o disgregare, corrompere o ledere la società
o indebolirne la fede.
 Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam

d) Non è permesso suscitare odio nazionalistico o ideologico o


fare alcunché che possa costituire incitamento a qualunque
forma di discriminazione razziale.

Art. .

a) Autorità è fiducia; il suo abuso o il suo malevolo sfruttamen-


to è pertanto assolutamente vietato, così che i diritti umani
fondamentali possano essere garantiti.
b) Ognuno ha il diritto di partecipare, direttamente o indirettamen-
te, all’amministrazione dei pubblici affari del suo paese. Costui
ha inoltre il diritto di assumere cariche pubbliche, secondo le
disposizioni della Shari’ah.

Art. .

Tutti i diritti e le libertà enunciate nelle presente Dichiarazione


sono soggetti alla Shari’ah islamica.

Art. .

La Shari’ah islamica è la sola fonte di riferimento per interpretare


o chiarire qualsiasi articolo della presente Dichiarazione.
Cairo,  Muharram  H —  agosto .
Carta Araba dei Diritti dell’Uomo∗
Cairo, , emendata nel 

Introduzione

La Carta araba dei diritti dell’uomo riguarda solo una parte del mondo
islamico: è stata adottata il  settembre  con la Risoluzione 
dal Consiglio della Lega degli Stati Arabi. Il Documento subiva alcuni
emendamenti nel  a Tunisi. Solo nel  entrava in vigore a
distanza di  anni dalla sua adozione, una volta raggiunta la difficile
maggioranza degli Stati interessati (). Costituisce una novità in sen-
so giuridico l’entrata in vigore e quindi la obbligatorietà per i Paesi
interessati.
Si tratta di un evento molto positivo, che arriva dopo una sofferta
evoluzione interna del mondo arabo, evoluzione peraltro ancora in
corso a livello religioso, culturale, sociale e politico. Per comprendere
questa lunga evoluzione, è importante ricordare che:

— nel  erano già decorsi  anni dalla Dichiarazione universa-


le dei diritti umani del ;
— la Dichiarazione “universale” O era stata preceduta dalla Car-
ta delle N.U., entrata in vigore il //, che, pur non con-
tenendo una lista dei diritti umani, ne richiamava l’importanza
in senso morale, politico e giuridico con l’articolo ;

Il testo in lingua italiana della Carta Araba è riportato nei documenti allegati al
presente volume. Per la bibliografia, si veda: C. C, La teoria islamica dei diritti umani
in « Rivista internazionale di filosofia del diritto », , pp. ; F. F, I diritti
dell’uomo nella Lega araba ed il progetto di una Carta Araba dei Diritti dell’uomo, in « Rivista
internazionale dei diritti dell’uomo », \; S. A. A–S, I diritti dell’uomo e la
sfida dell’Islam (diagnosi e rimedi), in « Rivista internazionale dei diritti dell’uomo », \;
L. M, Islam, diritto e potere in « Il Politico », anno \, ; C. B. C, La libertà
religiosa nell’Islam: la Carta araba dei diritti dell’uomo, contributo segnalato dal Prof. Luciano
Musselli, Università di Pavia; C. Z, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, 
edizione, Giappichelli, Torino .


 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

— le N.U. ed il suo “Statuto” sono formalmente espressione del-


la Comunità internazionale, cioè dell’insieme degli Stati nel
mondo (ora sono ).
— la Dichiarazione universale fu sottoscritta all’epoca da  Paesi
e fu approvata con l’astensione di , tra cui l’Arabia Saudita.

Ritornando all’esame della Carta Araba dei diritti umani, va detto


però che essa costituisce espressione, di soli  Paesi (una parte sono
africani: Egitto, Tunisia, Libia, Algeria, Marocco, Sudan, Mauritania,
Somalia, Gibuti; e un’altra parte sono Nazioni del Medio Oriente:
Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Yemen, Palestina,
Libano, Giordania, Iraq, Kuwait, Oman). La Carta araba è un docu-
mento molto importante, espressione del fronte moderato laico: si
tratta anche di uno « strumento del nazionalismo arabo contro ogni
forma di dominazione coloniale » come recitava il Patto costitutivo
della Lega Araba del //. Questo Patto precedente non men-
zionava, tra le sue finalità, la tutela dei diritti umani, sicché è ancor
più significativo che il tema sia stato considerato successivamente
ineludibile, nel contesto internazionale, che aveva già riscontrato un
buon successo della teoria dei diritti umani, su base universale (es. i
Patti del  sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e
culturali) e su base continentale (Carta africana dei diritti dell’ uomo e
dei popoli adottata a Nairobi del // e Protocollo del //
; Convenzione interamericana sui diritti umani adottata a San Josè de
Costarica nel  e Protocolli del // e dell’//; Conven-
zione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali del //, con  Protocolli addizionali).
Il contesto geopolitico internazionale era profondamente mutato a
seguito del crollo dell’U nel , al quale era subentrato un ruolo
più attivo delle N.U.. Si spiega perciò il richiamo esplicito, politica-
mente e giuridicamente significativo, agli strumenti internazionali
(universali e regionali) sui diritti umani, nel punto  del Preambolo.
Si pone ora un problema di coordinamento, nel senso che gli
Stati firmatari della Carta araba rimangono giuridicamente soggetti ai
diritti universali e regionali sottoscritti e politicamente sono obbligati
alla Carta araba, in caso di difformità.
Carta Araba dei Diritti dell’Uomo 

Il contenuto essenziale della Carta araba dei Diritti dell’Uomo

Il preambolo precede ben  articoli, che dimostrano un particolare


sforzo anche nel linguaggio di dare specificità e precisione alle nuove
regole concordate dagli Stati firmatari. Il Preambolo realizza un difficile
equilibrio, accogliendo la filosofia dei diritti umani, in un contesto
non soltanto “laico”, ma anche “religioso e nazionalistico”: il richiamo
alla “dignità dell’uomo” è posto giustamente all’inizio, quale base dei
diritti umani, ma si accompagna alla menzione dell’origine religiosa
dell’uomo (« che Dio ha esaltato sin dalla creazione del mondo »)
ed all’espressa sottolineatura della necessità di realizzare « i principi
eterni della fratellanza, eguaglianza e tolleranza tra gli esseri umani
consacrati dall’Islam e dalle altre religioni rivelate ».
La “matrice religiosa”, di per sé comprensibile, quale fonte cultu-
rale ispiratrice entro certi limiti, è accompagnata significativamente
al riconoscimento del ruolo positivo delle “altre religioni rivelate”
(ebraica e cristiana). Anche questo è un dato positivo.
Più problematico, anche se comprensibile, è il richiamo nazionalisti-
co alla « Patria araba, culla delle religioni e della civiltà », alla « Nazione
araba », alla « lunga storia », al « ruolo determinante nella diffusione
della scienza tra Oriente ed Occidente »: si tratta di riferimenti cultu-
rali anche legittimi, che sfociano nella sostanza politica della « unità
della patria araba », « la quale lotta per la propria libertà e difende il
diritto della Nazione all’autodeterminazione, alla salvaguardia delle
proprie ricchezze e al loro sviluppo », in un quadro che assicuri la
« sovranità della legge » e la « protezione dei diritti dell’uomo nella
loro universalità e complementarietà ».
Trattasi di enunciazioni importanti, da non sottovalutare.
Il preambolo termina, però, con un richiamo al rigetto di “tutte le
forme di razzismo e sionismo”, che sono assimilati tra loro e consi-
derati egualmente una “violazione dei diritti dell’uomo”. Su questo
punto — come meglio si dirà in proseguo — è lecito esprimere un
dissenso, pensando a Israele ed al suo popolo, che non meritano di
essere equiparati ai “razzisti”.
 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

Art. .

L’articolo  non contiene un principio di autonomo “riconoscimen-


to” dei diritti umani da parte degli Stati arabi con riferimento ad ogni
persona come tale, ma l’obbligo degli Stati stessi di adottare politiche
di protezione nel senso di « porre i diritti umani al centro delle preoc-
cupazioni nazionali »: i diritti umani della Carta araba ricevono in tal
modo una protezione mediata ed indiretta ad opera degli Stati arabi,
che sono invitati a “educare l’essere umano”, e a “preparare le nuove
generazioni” in relazione ai nuovi diritti.
L’obiettivo giusto e condivisibile di « radicare il principio secondo
cui tutti i diritti dell’uomo sono universali, indivisibili, interdipendenti
e indissolubili », è riferito non alla coscienza individuale ed alla auto-
noma dignità giuridica della persona, ma ad una cornice collettiva
identitaria ben precisa (« nell’ambito dell’identità nazionale degli Stati
arabi e del sentimento di appartenenza ad una comune civiltà »).
Esso sembra postulare la “concessione” statale e non il “riconosci-
mento”, sicché consente da una parte di valutare con favore i progressi
sulla strada della protezione dei diritti umani (è tra l’altro interessante
il riferimento anche ai “doveri”), ma anche di evidenziare il limite
dell’impostazione generale (una sorta di spettanza collettiva e distinta
dei diritti umani delle persone dei Paesi arabi, come appartenenti ad
una specifica comunità con propri valori da conservare in un difficile
equilibrio con l’evoluzione complessiva dei diritti umani in altre aree
del mondo, con conseguenti problemi di non reale “universalità” per
carenza di “reciprocità”).
Il termine reciprocità non è mai menzionato.

Art. .

Nella stessa logica dell’articolo  si muove quello successivo, che


sottolinea il profilo “collettivo” dei diritti umani: vengono citati non
solo gli “Stati”, ma anche i “Popoli”, riprendendo in parte l’imposta-
zione della Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli del  .
. Su questo aspetto “comunitario” e non solo individuale dei diritti umani insiste H.
–N in Diritti dell’uomo, diritti della comunità e diritti di Dio, testo in italiano pubblicato
dall’opera citata di A. Pacini, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino.
Carta Araba dei Diritti dell’Uomo 

Sono enunciati in una visione di nazionalismo arabo:

— il diritto all’autodeterminazione;
— il diritto sovrano sulle proprie risorse;
— il diritto ad un “proprio” sviluppo economico, sociale e cultura-
le;
— il diritto alla sovranità nazionale e all’unità territoriale;
— il diritto di resistenza all’occupazione straniera.

Questi diritti sono accompagnati dalla seguente problematica enun-


ciazione:

Tutte le forme di razzismo, il sionismo, l’occupazione e la dominazione


straniera costituiscono una limitazione alla dignità umana ed il maggiore
ostacolo all’esercizio dei diritti fondamentali dei popoli; è imperativa la
condanna di simili pratiche in tutte le loro forme e la speranza della loro
eliminazione.

Il testo non cita Israele, ma appare evidente il riferimento ad esso: è


inaccettabile che si assimili “razzismo” e “sionismo”, perché si tratta di
fenomeni distinti. Di ciò anche le N.U. sono consapevoli. Con la Risoluzio-
ne n./, l’Assemblea generale delle N.U. ha revocato una precedente
Risoluzione (n.  del  novembre ), che poneva sullo stesso piano
il sionismo, l’apartheid, l’occupazione straniera e il neocolonialismo.
Il razzismo è divisione tra classi, come evidenziato storicamente in vari
aree del mondo (Sud Africa, U) ed è giusto continuare a denunciarlo
come contrario ai diritti umani. Il sionismo, invece, riguarda storicamente
un popolo che ricerca una stabile identità religiosa e civile in un’area,
che era quella delle sue lontane origini: nonostante le difficoltà e gli
errori commessi, Israele ha diritto di esistere come popolo insieme con
la Palestina, ormai riconosciuta da  Paesi membri dell’O.

Art. .

Si muove correttamente nel “riconoscere” (il verbo questa volta è


appropriato) i diritti e le libertà a “tutte le persone”, impegnando gli
Stati a garantirne la “effettività”.
 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

Sulla posizione della donna e la sua parità con l’uomo vi è, inve-


ce, un richiamo alla Shari’a islamica che notoriamente non è legge
favorevole alle donne: in ogni caso è fuorviante che il diritto umano
delle donne e la loro dignità debbano derivare non direttamente dalla
nuova Carta araba dei diritti umani, ma da una legge (religiosa e civile
insieme) preesistente.

Art. .

Introduce (erroneamente) una possibile “deroga” al rispetto dei


diritti umani per « situazioni di emergenza eccezionale costituenti
pericolo per l’esistenza della nazione »: questo istituto della deroga
è estraneo, per principio, alla Carta universale dei diritti umani, che
considera i diritti umani per loro natura come “inderogabili” perché
legati alla “dignità umana” e non alla “nazione” e può costituire oc-
casione per abusi da parte degli poteri pubblici autoritari nel mondo
arabo come altrove.

Artt. da  a .

Contemplano il “diritto alla vita”, il divieto di “torture” (la Conven-


zione per la prevenzione e la repressione della tortura risale al ), di
esperimenti medici e scientifici relativi ad organi umani, della “schia-
vitù”, dello “sfruttamento della prostituzione”, dello “sfruttamento
dei bambini nei conflitti armati”, ossia di una serie di offese gravi alla
dignità umana. Persiste, invece, la legittimità della pena di morte per
i “crimini più gravi” (perfino nei confronti di minori di  anni, se lo
consente la legge in vigore al momento del delitto).

Artt. da  a .

Vengono ripresi in questi articoli, correttamente, tutti i principi


comuni in tema di diritti di libertà e di garanzie processuali (uguaglian-
za davanti alla legge; indipendenza dei giudici; accesso alla giustizia;
Carta Araba dei Diritti dell’Uomo 

processo equo e pubblico; nullum crimen sine lege; tempus regit actum;
presunzione di innocenza; garanzie particolari giudiziarie per i mino-
ri; divieto di arresto per inadempimento contrattuale; ne bis in idem;
regime carcerario mirante al reinserimento sociale; divieto di intro-
missione arbitraria nella vita privata; riconoscimento della personalità
giuridica; ecc.), sicché si esprime piena adesione anche con riferimen-
to ai documenti internazionali sui diritti umani perché vi è piena
concordanza.

Artt. da  a .

Questi articoli “riconoscono” (ancora una volta il verbo è pertinen-


te) i diritti civili e politici in sintonia con i principi comuni universali
(libertà di riunione; libertà di associazione; libertà di attività politica;
diritto di libera circolazione; divieto di espulsione; diritto di asilo po-
litico; diritto alla propria nazionalità; ecc.) in conformità al sistema
internazionale dei diritti umani.

Art. .

È relativo alla “libertà di pensiero, di credo e di religione”.


In relazione a questi diritti umani fondamentali è illuminante fare
il confronto con la Dichiarazione universale dei diritti umani del 
(artt. e ), dove la libertà di pensiero, di coscienza e di religione
include « la libertà di cambiare religione o credo » e « la libertà di mani-
festare [. . . ] in pubblico ed in privato, la propria religione ed il proprio
credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza
dei riti », oltre che il diritto a « non essere molestato per la propria
opinione » e di « cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee
attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere ».
Nella Carta araba dei diritti umani invece manca questa apertura,
anzi vi è la previsione di possibili “restrizioni previste dalla legge” per
ragioni varie (sicurezza, ordine pubblico, salute pubblica, moralità
pubblica, ecc.), che lasciano un eccessivo margine di discrezionalità,a
dimostrazione del fatto che la religione rimane materia sensibile per i
diritti umani.
 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

La prassi di sanzioni anche gravi per “apostasia”, considerata un


peccato sociale contro la religione e il diritto islamico classico (tra loro
inscindibili), evidenzia una realtà indubitabile: non si può riconoscere
in una Carta un diritto umano alla persona e, nel frattempo, subordi-
narlo a “limitazioni” ad opera di una legge positiva civile interna degli
Stati membri della Lega araba.
Occorre riconoscere obiettivamente che la piena affermazione del
diritto di libertà religiosa è ancora lontana nel mondo arabo: si tratta di
un deficit strutturale anche giuridico interno alla cultura islamica, che
non riesce ad abbandonare definitivamente la matrice confessionale
legislativa della Shari’a.
Il diritto umano all’autodeterminazione a livello di consapevole e
libera scelta personale anche in campo religioso (in quanto espressione
della comune dignità umana) non può trovare un ostacolo in una
religione (l’Islam deve contare sulla forza del diritto islamico per essere
vissuto pacificamente, nel rispetto reale delle persone, opinioni e
fedi?).

Artt. da  a .

Questi articoli contemplano opportunamente una serie di dirit-


ti economici, sociali e culturali, di notevole importanza: il diritto di
proprietà privata (art.); il diritto all’informazione, opinione ed espres-
sione (art.); il diritto al lavoro (art.); il diritto sindacale (art.); il
diritto alla sicurezza sociale (art.); il diritto ad una vita sufficiente
per sé e la propria famiglia, compreso cibo, abbigliamento, allog-
gio (art.); la tutela delle persone con handicap (art.); il diritto
all’istruzione gratuita, almeno a livello primario (art.); il diritto di
partecipare alla vita culturale (art.). Trattasi di istituti conformi ai
documenti internazionali.
Meritano di essere segnalati altri aspetti importanti: la considera-
zione della famiglia come cellula naturale fondamentale della società,
fondata sul matrimonio uomo–donna (art.), il diritto allo sviluppo
come diritto umano fondamentale (art.) e il diritto all’ambiente
sano (art.). Nel complesso ci si muove positivamente, come detto,
in sintonia con i Patti internazionali del  relativi ai diritti civili,
economici, sociali e culturali, peraltro richiamati.
Carta Araba dei Diritti dell’Uomo 

Chiude il sistema una norma di garanzia (di tipo non giurisdi-


zionale e, perciò, inadeguata), offerta dal Comitato arabo dei diritti
dell’uomo (composto di sette membri, eletti a scrutinio segreto, con
un mandato di  anni e compiti di esame dei Rapporti nazionali relati-
vi alla attuazione delle norme sui diritti umani e di presentazione di
osservazioni e raccomandazioni al Consiglio della Lega Araba, organo
politico).
In conclusione si può osservare che la Carta araba dei diritti umani,
che abbiamo sommariamente riassunto, presenta certamente punti
controversi, ma anche aspetti molto positivi. Occorre tenere conto in
conclusione della evoluzione positiva già verificatasi:

— tenendo presenti i Documenti internazionali già emanati sui


diritti umani su base universale (Dichiarazione O del ;
Patti del  sui diritti civili, economici, sociali e culturali) e
su base continentale, la Lega araba decideva di istituire una
Commissione araba permanente per i diritti dell’uomo il 
settembre , in una logica di protezione particolare (diritti
“propri” degli arabi; “diritti della persona araba”). Si trattava
di una prima decisione importante, poiché il cammino dei
diritti umani, una volta intrapreso, ha una sua logica positiva di
sviluppo.
— l’anno successivo () veniva però creata una Organizzazione
della cooperazione islamica, di ispirazione politico–religiosa,
(O) più ampia ( Paesi) rispetto ai  Paesi della Lega araba,
che ispirava come si è visto una « Dichiarazione del Cairo dei
Diritti dell’Uomo nell’Islam » (), con contenuto fortemente
confessionale.
— La Lega araba se ne preoccupò e fu stimolata ad elaborare
un testo più aperto (una prima versione il .. e quella
definitiva nel maggio ). Questo testo ormai entrato in
vigore, consente una visione più aperta e più in sintonia con
l’elaborazione dei diritti umani in sede mondiale.
— La Carta Araba dei Diritti dell’uomo,pur recependo la visione
dell’Islam soprattutto nel preambolo (ma vengono citate anche
le religioni ebraica e cristiana), si muove in realtà in una logica
di pragmatico riformismo, in sintonia con la corrente culturale
del nazionalismo arabo, con un modello tendenzialmente laico,
 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

non condividendo la cultura e la tentazione della islamizzazione


delle istituzioni statuali.

Purtroppo gli sforzi della Lega araba non sono stati assecondati dagli
altri Paesi islamici probabilmente per l’influenza negativa e di freno del
sopravvenuto terrorismo fondamentalista, ma si confida che la disfatta
vera dell’I e movimenti analoghi ed una chiarificazione in seno
all’Islam possano portare ad ulteriore sviluppo il quadro completo dei
diritti umani in sintonia con il resto del mondo.

La Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

Preambolo

a) Basandosi sulla fede della nazione Araba nella dignità della per-
sona umana, che Dio ha esaltato fin dall’inizio della creazione, e
nel fatto che la patria araba è la culla di religioni e civiltà che han-
no affermato come loro più alti valori umani il diritto umano ad
una vita degna fondata sulla libertà, la giustizia e l’eguaglianza,
b) Nel perseguire i principi eterni di fratellanza, eguaglianza e
tolleranza tra gli esseri umani, consacrati dalla nobile religione
islamica e dalle altre religioni rivelate da Dio;
c) Fieri dei propri valori e principi umanitari che la nazione araba
ha affermato nel corso della sua lunga storia e che hanno avuto
un grande ruolo nel diffondere la conoscenza reciproca tra
Oriente ed Occidente, facendo di tale regione un punto di
riferimento per il mondo intero e un luogo d’incontro per tutti
coloro che ricercano la sapienza e la saggezza;
d) Affermando il proprio credo nell’unità della nazione araba, la
quale lotta per la propria libertà e difende il diritto delle nazioni
all’autodeterminazione, al controllo sulle proprie ricchezze e
allo sviluppo; affermando la propria fede nella sovranità della
legge e nel contributo di tale principio alla protezione dei diritti
umani, universali e intercorrelati, e la propria convinzione che
il godimento da parte della persona umana di libertà, giustizia
ed eguaglianza delle opportunità è una misura fondamentale
del valore di una qualunque società,
Carta Araba dei Diritti dell’Uomo 

e) Ribadendo il rifiuto di ogni forma di razzismo e di sionismo, che


costituiscono una violazione dei diritti umani ed una minaccia
alla pace mondiale; riconoscendo la stretta relazione esistente
tra diritti umani e pace mondiale; riaffermando i principi della
Carta delle Nazioni Unite, della Dichiarazione universale dei
diritti umani, delle disposizioni dei due Patti delle Nazioni
Unite sui diritti civili e politici e sui diritti economico–sociali
e culturali e richiamando la Dichiarazione del Cairo sui diritti
dell’uomo nell’Islam;

Gli Stati Parti della Carta hanno concordato quanto segue:

Art. .

La presente Carta, nel rispetto dell’identità nazionale degli Stati


arabi e del loro sentimento di appartenere ad una comune civiltà, si
propone di realizzare le seguenti finalità:

a) Collocare i diritti umani al centro degli impegni nazionali degli


Stati arabi, quali elevati e fondamentali ideali che informano
la volontà dell’individuo negli Stati arabi e che lo mettono in
condizione di migliorare la propria vita in conformità con nobili
valori umani.
b) Insegnare ad ogni persona umana negli Stati arabi la fierezza
della propria identità, la lealtà al proprio paese, l’attaccamento
alla propria terra, alla propria storia e al comune interesse,
instillando in ogni persona una cultura di fratellanza umana,
tolleranza ed apertura verso gli altri, in conformità con i principi
e valori universali e con quelli proclamanti negli strumenti
internazionali sui diritti umani.
c) Preparare le nuove generazioni, negli Stati arabi, ad una vita
libera e responsabile in una società civile caratterizzata dalla
solidarietà, fondata sull’equilibrio tra consapevolezza dei propri
diritti e rispetto per i propri doveri e governata dai valori di
eguaglianza, tolleranza e moderazione.
d) Radicare in profondità il principio che tutti i diritti umani sono
universali, indivisibili, interdipendenti e interconnessi.
 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

Art. .

a) Tutti i popoli hanno diritto all’auto–determinazione ed al con-


trollo delle proprie ricchezze e risorse naturali, di scegliere libe-
ramente il proprio sistema politico e di perseguire liberamente
il loro sviluppo economico, sociale e culturale.
b) Tutti i popoli hanno diritto alla sovranità nazionale e all’integri-
tà territoriale.
c) Tutte le forme di razzismo, sionismo e di occupazione e domi-
nazione straniera costituiscono un ostacolo alla dignità umana
e un grave impedimento all’esercizio dei diritti fondamenta-
li dei popoli; è doveroso condannare tutte queste pratiche e
impegnarsi in ogni modo per la loro eliminazione.
d) Tutti i popoli hanno il diritto di resistere all’occupazione stra-
niera.

Art. .

a) Tutti gli Stati Parti della presente Carta si impegnano a garantire


a tutti gli individui soggetti alla loro giurisdizione il godimen-
to di tutti i diritti e libertà riconosciuti in questa Carta senza
distinzioni fondate su razza, colore, sesso, lingua, credo religio-
so, opinione, pensiero, origine nazionale o sociale, ricchezza,
nascita o disabilità fisica o mentale.
b) Gli Stati Parti della presenta Carta adotteranno le misure del
caso per garantire l’effettiva eguaglianza nel godimento di tutti
i diritti e le libertà incluse nella Carta al fine di garantire la
protezione contro ogni forma di discriminazione fondata su
uno qualunque dei motivi menzionati nel precedente paragrafo.
c) Uomini e donne sono uguali quanto a dignità umana, diritti
e doveri, in un quadro di discriminazioni positive previste in
favore delle donne dalla Shari’ah islamica, da altre leggi divine
e dalle pertinenti leggi e strumenti giuridici. Di conseguenza,
ogni Stato Parte si impegna a prendere ogni misura richiesta per
assicurare pari opportunità e effettiva eguaglianza tra uomini e
donne nel godimento di tutti i diritti formulati in questa Carta.
Carta Araba dei Diritti dell’Uomo 

Art. .

a) In situazioni eccezionali di emergenza che minacciano la vita


della nazione e la cui esistenza sia stata proclamata ufficialmente,
gli Stati Parti alla presente Carta possono assumere misure
che derogano alle obbligazioni da essi assunti con la presente
Carta, nella misura strettamente richiesta dalla situazione, a
condizione che tali misure non siano incompatibili con altri
obblighi secondo il diritto internazionale e non comportino
discriminazioni basate esclusivamente su razza, sesso, lingua,
religione o origine sociale.
b) In situazioni eccezionali di emergenza, nessuna deroga sarà
fatta ai seguenti articoli: art. , art. , art. , art. , art. , art.
., art. , art. , art. , art. , art. , art. , art. , art.  e
art. . Inoltre, le garanzie giudiziarie richieste per la protezione
dei suddetti articoli non potranno essere sospese.
c) Ciascuno Stato Parte della presente Carta che si avvalga del
diritto di deroga dovrà immediatamente informare gli altri Stati
Parti, per il tramite del Segretario generale della Lega degli
Stati Arabi, delle disposizioni alle quali esso ha derogato e delle
ragioni per cui si è proceduto alla deroga. Una ulteriore comu-
nicazione dovrà essere fatta, attraverso lo stesso intermediario,
alla data in cui tale deroga ha termine.

Art. .

a) Ogni essere umano ha l’inerente diritto alla vita.


b) Tale diritto è protetto dalla legge. Nessuno sarà arbitrariamente
privato della sua vita.

Art. .

La condanna a morte può essere imposta solo per i crimini più


gravi, secondo le leggi in vigore al momento della commissione
del crimine e a seguito di un giudizio definitivo reso da una corte
 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

competente. Ogni condannato a morte ha il diritto di chiedere la


grazia o la commutazione della pena.

Art. .

a) La pena di morte non sarà pronunciata a carico di persone al di


sotto dei  anni d’età, salvo che la legge vigente al momento
della commissione del crimine preveda diversamente.
b) La pena di morte non sarà eseguita nei confronti di una donna
incinta prima del parto o ad una madre entro due anni dal
parto; in ogni caso, il miglior interesse del bambino costituisce
la considerazione primaria.

Art. .

a) Nessuno sarà soggetto a tortura fisica o psicologica o ad un


trattamento crudele, degradante, umiliante o inumano.
b) Ogni Stato Parte proteggerà qualunque individuo si trovi sog-
getto alla sua giurisdizione dalle suddette pratiche e adotterà
misure effettive per prevenire tali pratiche. La commissione o la
partecipazione a simili atti sarà considerata tra i delitti punibili in
base alla legge e ad essi non si applicherà la prescrizione. Ogni
Stato Parte dovrà garantire, all’interno del proprio sistema giu-
ridico, riparazioni per chi sia vittima di tortura, compreso un
sistema di riabilitazione e indennizzo.

Art. .

Nessuno sarà sottoposto ad esperimenti medici scientifici o saran-


no usati i suoi organi senza il suo libero consenso e la piena consapevo-
lezza delle conseguenze di tali atti, e salvo il rispetto delle regole etiche,
umanitarie e professionali e l’osservanza delle procedure mediche che
garantiscano la sua personale incolumità, secondo le leggi nazionali in
materia vigenti in ciascuno Stato Parte. Il traffico di organi umani è
punito in ogni circostanza.
Carta Araba dei Diritti dell’Uomo 

Art. .

a) La schiavitù e il traffico di esseri umani sono proibiti in ogni


forma e la legge dispone per la loro punibilità. Nessuno sarà
tenuto in stato di schiavitù e servitù in alcuna circostanza.
b) Il lavoro forzato, il traffico di esseri umani al fine di prostitu-
zione o di sfruttamento sessuale, lo sfruttamento della prosti-
tuzione altrui o ogni altra forma di sfruttamento, ovvero lo
sfruttamento dei bambini nei conflitti armati sono proibiti.

Art. .

Tutti sono uguali davanti alla legge e hanno il diritto di godere della
protezione della legge senza alcuna discriminazione.

Art. .

Tutti sono uguali davanti alle corti e ai tribunali. Gli Stati Parti
assicurano l’indipendenza degli organi giudiziari e proteggono i magi-
strati da ogni interferenza, pressione o minaccia. Garantiscono inoltre,
ad ogni persona sotto la loro giurisdizione, il diritto a perseguire un
rimedio davanti alle corti di ogni grado.

Art. .

a) Ognuno ha diritto ad un processo equo e con adeguate garanzie


davanti ad una corte competente, indipendente ed imparziale,
costituita secondo la legge per conoscere di qualsiasi accusa
penale rivolta contro di lui o per decidere in merito ai suoi diritti
o ai suoi obblighi. Ciascuno Stato Parte garantisce a quanti sono
privi delle necessarie risorse finanziarie un sostegno legale che
consenta loro di difendere i propri diritti.
b) I processi sono pubblici, salvo in casi eccezionali, quando ciò
risulti nell’interesse della giustizia in una società rispettosa dei
diritti e delle libertà dell’uomo.
 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

Art. .

a) Ognuno ha il diritto alla libertà e alla sicurezza personale. Nes-


suno sarà sottoposto ad arresti arbitrati, a perquisizioni o a
detenzione senza un mandato legale.
b) Nessuno sarà privato della libertà, salvo per ragioni o in circo-
stanze determinate dalla legge e secondo le procedure legali.
c) Ogni persona arrestata sarà informata, al momento dell’arresto,
in una lingua di sua comprensione, delle ragioni dell’arresto e
sarà prontamente resa edotta di ogni accusa contro di lei. Sarà
inoltre messa in condizione di prendere contatto con i membri
della sua famiglia.
d) Ogni persona privata della libertà in forza di un arresto o di
detenzione ha il diritto di richiedere una visita medica e deve
essere informata dell’esistenza di tale diritto.
e) Ogni persona arrestata o detenuta sulla base di un’accusa penale
sarà prontamente condotta davanti ad un giudice o ad ogni altro
pubblico ufficiale autorizzato dalla legge ad esercitare poteri giu-
risdizionali e ha diritto ad un processo entro tempi ragionevoli,
oppure ad essere rilasciata. Il rilascio può essere sottoposto a
garanzie circa la sua successiva comparizione al processo. La
carcerazione preventiva non sarà in nessun caso la regola.
f ) Ognuno che sia privato della libertà in stato di arresto o de-
tenzione ha il diritto di proporre ricorso davanti ad una corte
competente affinché si decida senza ritardo sulla legalità dell’ar-
resto o detenzione e sia ordinato il suo rilascio in caso di arresto
o detenzione illegale.
g) Ogni persona che sia stata vittima di un arresto o detenzione
arbitraria o illegale ha il diritto ad un indennizzo.

Art. .

Nessun reato e nessuna pena possono essere determinate se non in


base ad una previa norma di legge. In ogni circostanza sarà applicata
la norma più favorevole all’accusato.
Carta Araba dei Diritti dell’Uomo 

Art. .

Ogni persona accusata di reato sarà presunta innocente fino a che la


sua colpevolezza non sia provata in via definitiva con una sentenza resa
secondo la legge; nel corso delle indagini o del processo, l’accusato
godrà delle seguenti garanzie minime:

a) il diritto ad essere informato prontamente, in modo dettagliato


e in una lingua che egli comprenda, delle accuse rivolte contro
di lui;
b) il diritto di disporre del tempo e dei mezzi adeguati per prepa-
rare la propria difesa e di comunicare con la propria famiglia;
c) il diritto di essere processato in presenza, davanti ad una corte
ordinaria e a difendersi di persona o attraverso un legale di sua
scelta, con cui possa comunicare liberamente e in privato;
d) il diritto all’assistenza gratuita di un legale che lo possa difen-
dere, nel caso non possa difendersi da solo o se così richiede
l’interesse della giustizia, nonché il diritto all’assistenza gratuita
di un interprete se egli non può comprendere o non parla la
lingua usata nel processo;
e) il diritto di esaminare o far esaminare dal proprio legale i testi-
moni dell’accusa e di produrre testimoni a difesa secondo le
stesse condizioni applicate all’accusa;
f ) il diritto di non essere costretto a testimoniare contro di sé o a
confessare la propria colpevolezza;
g) il diritto, in caso di accertamento della sua colpevolezza, di
presentare appello davanti ad un tribunale superiore, secondo
quanto prevede la legge;
h) il diritto in ogni circostanza al rispetto della sua sicurezza perso-
nale e della privacy.

Art. .

Ogni Stato Parte assicura in particolare che ogni minore a rischio o


ogni reo accusato di un delitto abbia il diritto ad uno speciale sistema
di giustizia penale riguardante i minori, ad ogni fase delle indagini,
del processo e dell’esecuzione penale, nonché ad un trattamento
 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

particolare che tenga in considerazione la sua età, protegga la sua


dignità, favorisca la riabilitazione e la reintegrazione sociale e lo metta
in condizione di svolgere un ruolo costruttivo nella società.

Art. .

Nessuna persona riconosciuta da una corte incapace di fare fronte ai


debiti derivanti da un proprio obbligo contrattuale sarà imprigionata.

Art. .

a) Nessuno sarà processato due volte per lo stesso reato. La per-


sona contro cui un tale procedimento dovesse essere intentato
avrà il diritto di contestare la sua legittimità e di chiedere il
proprio rilascio.
b) La persona riconosciuta innocente a seguito di una decisione
definitiva ha diritto ad un indennizzo per il danno sofferto.

Art. .

a) Tutte le persone private della libertà sono trattate con umanità


e con il rispetto dovuto alla dignità inerente ad ogni persona
umana.
b) Le persone detenute in attesa di processo saranno tenute sepa-
rate da quelle che scontano una pena e saranno trattate in mo-
do rispettoso della loro condizione di persone che non hanno
subito condanna.
c) La finalità del sistema penitenziario è la rieducazione del dete-
nuto in vista della sua reintegrazione sociale.

Art. .

a) Nessuno sarà sottoposto ad interferenze arbitrarie o illecite


nella sua vita privata, familiare, domestica o nella sua corrispon-
denza, né ad attacchi illeciti al suo onore o alla sua reputazione.
Carta Araba dei Diritti dell’Uomo 

b) Ognuno ha il diritto di essere protetto dalla legge contro tali


interferenze o tali attacchi.

Art. .

Ognuno ha il diritto al riconoscimento della propria personalità


giuridica.

Art. .

Ogni Stato Parte alla presente Carta si impegna ad assicurare che


qualunque persona i cui diritti o libertà riconosciuti dalla Carta siano
stati violati abbia un rimedio effettivo, a prescindere dal fatto che la
violazione sia stata commessa da persone che abbiano agito in qualità
di pubblici ufficiali.

Art. .

Ogni cittadino ha i seguenti diritti:

a) Di svolgere liberamente attività politica.


b) Di prendere parte alla gestione dei pubblici affari, direttamente
o attraverso rappresentanti scelti liberamente.
c) Di presentarsi alle elezioni o scegliere i propri rappresentanti
in elezioni libere e imparziali, in condizione di parità tra tutti
i cittadini e che garantiscano la libera espressione della sua
volontà.
d) La possibilità di accedere, su un piede di parità con gli altri, alle
funzioni pubbliche nel suo paese, secondo il principio di pari
opportunità.
e) Di formare o di partecipare liberamente ad associazioni con
altri.
f ) Alla libertà di associazione e di riunione pacifica.
 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

g) Nessuna limitazione sarà posta all’esercizio di questi diritti,


salvo quelle prescritte dalla legge e necessarie in una società
democratica nell’interesse della sicurezza nazionale o dell’inco-
lumità, della salute o della morale pubblica o per la protezione
dei diritti e delle libertà altrui.

Art. .

Le persone appartenenti a minoranze non saranno private del


diritto di godere della propria cultura, ad usare la loro lingua e a
praticare la loro religione. L’esercizio di tali diritti sarà regolamentato
dalla legge.

Art. .

a) Ognuno presente legalmente nel territorio di uno Stato Parte


avrà il diritto, su tale territorio, alla libertà di movimento e a
fissare liberamente le propria residenza in qualunque parte del
territorio, in conformità con le leggi vigenti.
b) Nessuno Stato Parte può espellere una persona che non ha
la nazionalità dello Stato ma che si trova legalmente sul suo
territorio, salvo in esecuzione di una decisione presa in confor-
mità con la legge e dopo che la persona sia stata autorizzata a
ricorrere contro tale provvedimento ad un’autorità competente,
a meno che non sussistano ragioni imprescindibili di sicurez-
za nazionale che lo impediscono. Le espulsioni collettive sono
proibite in ogni circostanza.

Art. .

a) A nessuno può essere impedito arbitrariamente o illegittima-


mente di lasciare qualunque paese, compreso il proprio, né
di risiedervi; nessuno può essere obbligato a risiedere in una
località di tale paese.
Carta Araba dei Diritti dell’Uomo 

b) Nessuno può essere esiliato dal proprio paese né gli sarà impe-
dito di farvi ritorno.

Art. .

Ognuno ha il diritto di cercare asilo politico in un altro paese al


fine di sfuggire alla persecuzione. Tale diritto non può essere invocato
dalle persone contro le quali è in corso un’azione penale per un reato
comune. I rifugiati per motivi politici non possono essere estradati.

Art. .

a) Ognuno ha diritto ad una nazionalità. Nessuno sarà privato


arbitrariamente o illegittimamente della sua nazionalità.
b) Gli Stati Parti adottano le misure che riterranno adeguate, in
conformità con le loro norme in materia di cittadinanza, per con-
sentire al figlio di acquisire la cittadinanza della madre, tenendo
conto del miglior interesse del minore.
c) A nessuno sarà negato il diritto di acquisire un’altra cittadinanza,
fermo restando il rispetto per le procedure legalmente previste
nel suo Stato.

Art. .

a) Ognuno ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religio-


ne; nessuna restrizione può essere imposta all’esercizio di tale
diritto salvo quelle stabilite dalla legge.
b) La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo o
di praticare la religione, da solo o insieme ad altri, sarà soggetta
unicamente alle limitazioni previste dalla legge e necessarie in
una società tollerante che rispetta i diritti umani e le libertà,
per la protezione dell’incolumità pubblica, dell’ordine pubblico,
della salute o della morale pubblica o dei fondamentali diritti e
libertà degli altri.
c) I genitori o tutori hanno la libertà di provvedere all’educazione
religiosa e morale dei loro figli.
 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

Art. .

Ognuno ha il diritto di possedere proprietà privata e in nessuna


circostanza sarà arbitrariamente o illegittimamente spogliato in tutto
o in parte della sua proprietà.

Art. .

a) La presente Carta garantisce il diritto all’informazione e il di-


ritto di opinione ed espressione, così come il diritto di cercare,
ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso qualunque
mezzo, senza considerazione delle frontiere geografiche.
b) Questi diritti e libertà saranno esercitati nel rispetto dei fonda-
mentali valori della società e saranno sottoposti unicamente alle
limitazioni richieste per assicurare il rispetto dei diritti o della re-
putazione di altri, o per la protezione della sicurezza nazionale,
dell’ordine pubblico o della salute e moralità pubblica.

Art. .

a) La famiglia è la naturale e fondamentale cellula della società;


essa si fonda sul matrimonio tra un uomo e una donna. Uomini
e donne in età per contrarre matrimonio hanno il diritto di spo-
sarsi e di fondare una famiglia, secondo le regole e condizioni
del matrimonio. Nessun matrimonio può avere luogo senza il
consenso di entrambi gli sposi. Le leggi vigenti regolano i diritti
e i doveri dell’uomo e della donna quanto alla celebrazione del
matrimonio, durante il matrimonio e allo scioglimento dello
stesso.
b) Lo Stato e la società assicurano la protezione della famiglia,
il rafforzamento dei vincoli familiari, la protezione dei suoi
membri e la proibizione di ogni forma di violenza o di abuso
nella relazione tra i suoi membri, in particolare verso le donne
e i bambini. Essi inoltre assicurano la necessaria tutela e cura
nei riguardi delle madri, dei bambini, delle persone anziane e
Carta Araba dei Diritti dell’Uomo 

delle persone con particolari necessità e appronteranno per gli


adolescenti e i giovani le migliori opportunità di sviluppo fisico
e mentale.
c) Gli stati parte adottano ogni necessario provvedimento legislati-
vo, amministrativo e giudiziario per assicurare la protezione,
la sopravvivenza, lo sviluppo e il benessere del bambino, in un
contesto di libertà e dignità e assicureranno in ogni caso che
il miglior interesse del bambino sia il criterio fondamentale
rispetto ad ogni misura adottata nei suoi confronti, sia che si
trattati di un minore a rischio di delinquenza sia che si tratti di
un minorenne che ha commesso reati.
d) Gli Stati Parti adottano tutte le misure necessarie per garantire,
in particolare ai giovani, il diritto di svolgere attività sportiva.

Art. .

a) Il diritto al lavoro è un naturale diritto di ogni cittadino. Lo Stato


si impegna a mettere a disposizione, nella misura del possibile,
posti di lavoro al maggior numero di persone che intendono
lavorare, assicurando nel contempo la produzione, la libertà
di ciascuno di scegliere il proprio lavoro e le pari opportunità
senza alcuna discriminazione basata su razza, colore, sesso, reli-
gione, lingua, opinione politica, affiliazione sindacale, origine
nazionale, origine sociale, disabilità o altre situazioni.
b) Ogni lavoratore ha diritto al godimento di giuste e favorevoli
condizioni di lavoro che assicurino una remunerazione adegua-
ta ai suoi bisogni essenziali e a quelli della sua famiglia, ad un
orario di lavoro regolato, al risposo e a ferie retribuite, nonché
a regole per il mantenimento della salute sul lavoro e la sua sa-
lubrità e per la protezione sul posto di lavoro di donne, minori
e disabili.
c) Gli Stati Parti riconoscono il diritto del bambino ad essere pro-
tetto dallo sfruttamento economico e dall’essere forzato a forme
di lavoro rischiose o che interferiscono con la sua educazione o
sono dannose per la sua salute fisica o per il suo sviluppo men-
tale, spirituale, morale o sociale. A questo scopo, e tenendo in
 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

considerazione le disposizioni rilevanti contenute in altri stru-


menti internazionali, gli Stati Parti si impegnano in particolare
a:
— definire un’età minima di ammissione al lavoro;
— stabilire regole adeguate in materia di orario e condizioni
di lavoro;
— prevedere adeguate sanzioni penali o di altro tipo per
garantire l’effettivo allineamento a tali disposizioni.
d) Non vi sarà alcuna discriminazione tra uomini e donne nel godi-
mento del diritto a beneficiare della formazione, dell’impiego,
della protezione del posto di lavoro, né del diritto a uguale
remunerazione per uguale lavoro.
e) Ogni Stato assicura ai lavoratori immigrati nel proprio territorio
la dovuta protezione nel rispetto delle leggi in vigore.

Art. .

a) Ogni individuo ha il diritto di formare liberamente dei sinda-


cati o di associarsi ai sindacati esistenti e svolgere liberamente
attività sindacale per la protezione dei propri interessi.
b) Non vi saranno restrizioni all’esercizio di tali diritti e libertà
al di fuori di quelle previste dalle leggi in vigore e necessarie
per la salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’incolumità
o dell’ordine pubblico o per la protezione della salute o della
moralità pubblica o dei diritti e libertà di altri.
c) Ogni Stato Parte della presente Carta garantisce il diritto di
sciopero nell’ambito delle leggi nazionali vigenti.

Art. .

Gli Stati Parti assicurano il diritto di ogni cittadino alla sicurezza


sociale, compresa la previdenza sociale.
Carta Araba dei Diritti dell’Uomo 

Art. .

Il diritto allo sviluppo è un diritto umano fondamentale e tutti


gli Stati sono chiamati a istituire politiche di sviluppo e adottare le
misure necessarie ad assicurare tale diritto. Hanno il dovere di dare
effetto ai valori di solidarietà e cooperazione tra di loro e a livello
internazionale, al fine di sradicare la povertà e conseguire lo sviluppo
economico, sociale, culturale e politico. In virtù di questo diritto, ogni
cittadino ha il diritto di partecipare alla realizzazione dello sviluppo e
di godere dei benefici e dei frutti che ne derivano.

Art. .

Ogni persona ha il diritto ad un livello di vita adeguato per sé e la


propria famiglia, che assicuri il loro benessere e una vita dignitosa,
in cui è compreso cibo, vestiario, alloggio, servizi e il diritto ad un
ambiente sano. Gli Stati Parti adottano tutte le misure necessarie, in
proporzione delle loro risorse, per garantire questi diritti.

Art. .

a) Gli Stati Parti riconoscono il diritto di ogni membro della so-


cietà a godere dei più elevati livelli raggiungibili di salute fisica
e mentale e il diritto di ogni cittadino ad accedere gratuita-
mente ai servizi sanitari di base nonché ai presidi medici senza
discriminazioni di alcun tipo.
b) I provvedimenti presi dagli Stati Parti comprenderanno le se-
guenti azioni:
— sviluppo di servizi sanitari e di cura di base e garanzia
di accesso facile e gratuito ai centri che erogano tali ser-
vizi, a prescindere dalla collocazione geografica o dalla
condizione economica;
— sforzi per mettere sotto controllo le malattie attraverso la
prevenzione e la cura, al fine di ridurre il tasso di mortalità;
 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

— promozione della sensibilizzazione in materia sanitaria e


dell’educazione alla salute;
— soppressione di pratiche tradizionali che sono dannose per
la salute degli individui;
— prevedere alimentazione di base e acqua potabile per tutti;
— lottare contro l’inquinamento ambientale e prevedere ade-
guati sistemi di igiene;
— lottare contro le droghe, le sostanze psicotrope, il fumo e
le sostanze che provocano danni alla salute.

Art. .

a) Gli Stati Parti si impegnano ad assicurare alle persone con disa-


bilità fisica o mentale una vita decorosa che garantisca la loro
dignità, nonché a migliorare la loro autosufficienza e facilitare
la loro attiva partecipazione alla vita sociale.
b) Gli Stati Parti prevedono servizi sociali gratuiti per tutte le per-
sone con disabilità, forniranno il necessario sostegno materiale
a tali persone nonché alle loro famiglie o alle famiglie che si
prendono cura di loro, e faranno tutto quanto necessario per
evitare la collocazione di tali persone in istituti. Gli Stati in ogni
caso terranno conto del miglior interesse delle persone disabili.
c) Gli Stati Parti adottano tutte le misure necessarie per ridurre l’in-
cidenza della disabilità con ogni mezzo possibile, compresi pro-
grammi sanitari di prevenzione, campagne di sensibilizzazione
e di educazione.
d) Gli Stati Parti forniranno ogni tipo di servizi educativi adatti
alle persone con disabilità, tenuto conto dell’importanza di
integrare tali persone nel sistema educativo e dell’importanza
della formazione professionale e dell’apprendistato, nonché
della creazione di opportunità di lavoro adeguate nel settore
pubblico come in quello privato.
e) Gli Stati Parti forniranno tutti gli adeguati servizi sanitari per
le persone con disabilità, compresi i servizi di riabilitazione, in
vista della loro integrazione nella vita sociale.
f ) Gli Stati Parti metteranno le persone con disabilità in condizio-
ne di fare uso di tutti i servizi pubblici e privati.
Carta Araba dei Diritti dell’Uomo 

Art. .

a) Sradicare l’analfabetismo è un impegno vincolante per lo Stato


e ognuno ha il diritto all’istruzione.
b) Gli Stati Parti assicurano ai loro cittadini l’istruzione gratuita
almeno al livello primario e di base. Tutte le forme e i livelli
di educazione primaria saranno obbligatori e accessibili a tutti
senza alcun tipo di discriminazione.
c) Gli Stati Parti adottano misure adeguate in ogni campo per
assicurare la collaborazione tra uomini e donne, in vista di
conseguire gli obiettivi di sviluppo della nazione.
d) Gli Stati Parti garantiscono di indirizzare l’educazione al pieno
sviluppo della persona umana e a rafforzare il rispetto per i
diritti umani e le libertà fondamentali.
e) Gli Stati Parti si impegnano a inserire i principi dei diritti umani
e delle libertà fondamentali nella programmazione educativa in
ambito formale e informale, nonché nei programmi educativi
e formativi.
f ) Gli Stati Parti assicurano l’attivazione dei i meccanismi neces-
sari per fornire educazione permanente a tutti i cittadini e di
sviluppare programmi di educazione per gli adulti.

Art. .

a) Ogni persona ha il diritto di prendere parte alla vita culturale


e di godere dei vantaggi del progresso scientifico e delle sue
applicazioni.
b) Gli Stati Parti si impegnano a rispettare la libertà di ricerca
scientifica e di attività creativa e ad assicurare la protezione
degli interessi morali e materiali derivanti dalla produzione
scientifica, letteraria e artistica.
c) Gli Stati Parti collaboreranno e rafforzeranno ulteriormente la
loro collaborazione a tutti i livelli, con la piena partecipazione
delle persone di cultura e dei ricercatori, nonché delle loro
organizzazioni, al fine di sviluppare e attuare programmi in
campo dello spettacolo, culturale, artistico e scientifico.
 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

Art. .

Nulla nella presente Carta può essere inteso o interpretato come


tale da pregiudicare i diritti e le libertà protetti a livello nazionale
dalla legislazione dagli Stati Parti o stabiliti da strumenti internazionali
o regionali in materia di diritti umani adottati o ratificati dagli Stati
Parti, compresi i diritti delle donne, i diritti dei bambini e i diritti degli
appartenenti a minoranze.

Art. .

Gli Stati Parti si impegnano ad adottare, in conformità con le pro-


cedure costituzionali e con le disposizioni della presente Carta, ogni
misura legislativa o non legislativa che risulti necessaria al fine di dare
attuazione ai diritti stabiliti nel presente documento.

Art. .

a) In base alla presente Carta, è istituito un “Comitato arabo per i


diritti umani” — di seguito chiamato “il Comitato”. Il Comitato
è formato da sette membri eletti con voto segreto dagli Stati
Parti della presente Carta.
b) Il Comitato è formato da cittadini di Stati Parti della presen-
te Carta che devono avere ampia esperienza e competenza
nel campo di azione del Comitato. I membri del Comitato
vi siedono a titolo personale e sono del tutto indipendenti e
imparziali.
c) Il Comitato avrà tra i suoi membri non più di un cittadino di
ciascuno Stato Parte; i membri potranno essere rieletti per una
sola volta. Sarà prestata attenzione al rispetto di un principio di
rotazione.
d) I membri del Comitato sono eletti per un mandato di quattro
anni; il mandato di tre dei membri eletti alla prima elezione
sarà di due anni e sarà rinnovato attraverso estrazione a sorte.
Carta Araba dei Diritti dell’Uomo 

e) Sei mesi prima della data dell’elezione, il Segretario generale


della Lega degli Stati Arabi invita gli Stati Parti a presentare
i loro candidati entro i successivi tre mesi. Egli trasmetterà
la lista dei candidati agli stati parti due mesi prima della data
dell’elezione. I candidati che ottengono il maggior numero di
voti espressi saranno eletti a far parte del Comitato. Se, in caso
di un numero di voti uguale ricevuti da due candidati, il numero
di candidati eletti con il massimo dei voti eccede quello dei posti
disponibili, verrà tenuta una seconda votazione tra le persone
con il numero di voti uguale. Se il voto è ancora in parità, il
membro o i membri del Comitato saranno tratti a sorte. La
prima elezione dei membri del Comitato si svolgerà entro sei
mesi dall’entrata in vigore della Carta.
f ) Il Segretario generale invita gli Stati Parti a incontrarsi alla sede
della Lega Araba al fine di procedere all’elezione dei membri
del Comitato. Il quorum è raggiunto con la presenza della
maggioranza degli Stati Parti. Se non è raggiunto il quorum,
il Segretario generale convocherà una nuova riunione in cui
almeno due terzi degli Stati Parti dovranno essere presenti. Se
ancora manca il quorum, il Segretario generale convocherà una
terza riunione che sarà valida indipendentemente dal numero
di Stati Parti presenti.
g) Il Segretario generale convocherà la prima riunione del Comita-
to, nel corso della quale il Comitato elegge il suo presidente tra
i propri membri, che resta in carica per un periodo di due anni
rinnovabile una sola volta per una eguale durata. Il Comitato
stabilisce le proprie regole di procedura e metodi di lavoro e
determina la frequenza delle proprie riunioni. Il Comitato si
riunisce presso la sede della Lega Araba. Può inoltre riunirsi in
qualunque altro Stato Membro della Carta, su invito dello Stato.

Art. .

a) Il Segretario generale dichiara il seggio vacante dopo aver


ricevuto dal presidente comunicazione che uno dei membri:
— è morto;
 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

— si è dimesso; o
— per opinione unanime degli altri membri del Comitato, ha
cessato di svolgere le sue funzioni senza dare una giustifi-
cazione accettabile o per una ragione diversa da quella di
una temporanea assenza.
b) Se il seggio è dichiarato vacante, secondo la procedura del para-
grafo , e il mandato del membro il cui seggio è vacante non
scade entro sei mesi dalla dichiarata vacanza, il Segretario ge-
nerale della Lega degli Stati Arabi riporta la questione agli Stati
Parti della presente Carta i quali possono, entro due mesi, sot-
toporre delle candidature, ai sensi dell’art. , al fine di ricoprire
il posto vacante.
c) Il Segretario generale della Lega Araba stila una lista alfabe-
tica dei candidati e la trasmette agli Stati Membri della Carta.
L’elezione per ricoprire il seggio vacante si svolge secondo la
procedura indicata.
d) Ciascun membro del Comitato eletto per ricoprire un seggio
vacante ai sensi del paragrafo  resta membro del Comitato
fino allo spirare del mandato del membro il cui posto è stato
dichiarato vacante secondo le disposizioni del citato paragrafo.
e) Il Segretario generale della Lega Araba dispone, nell’ambito
del bilancio dell’Organizzazione, per fornire al Comitato le
risorse finanziarie e umane di cui ha bisogno per svolgere in
modo effettivo le proprie funzioni. Gli esperti del Comitato
riceveranno lo stesso trattamento, in termini di emolumenti e
rimborsi, degli esperti del Segretariato della Lega Araba.

Art. .

Gli Stati Parti si impegnano a garantire che i membri del Comitato


godano delle immunità necessarie per la loro protezione contro ogni
forma di molestia o di pressione materiale o morale o di incriminazio-
ne per le posizioni assunte o le opinioni espresse nello svolgimento
delle loro funzioni di membri del Comitato.
Carta Araba dei Diritti dell’Uomo 

Art. .

a) Gli Stati Parti si impegnano a sottoporre al Segretario generale


della Lega degli Stati Arabi rapporti sulle misure adottate per
attuare i diritti e le libertà riconosciuti nella presente Carta e sui
progressi fatti verso il pieno godimento degli stessi. Il Segretario
generale trasmette tali rapporti al Comitato perché li consideri.
b) Ogni Stato Parte sottoporrà al Comitato un rapporto iniziale en-
tro un anno dall’entrata in vigore della Carta e successivamente
un rapporto periodico ogni tre anni. Il Comitato può richie-
dere agli Stati Parti di fornire informazioni ulteriori relative
all’attuazione della Carta.
c) Il Comitato prende in esame i rapporti sottoposti dagli Stati in
base al paragrafo  alla presenza del rappresentante dello Stato
Parte il cui rapporto viene esaminato.
d) Il Comitato discute il rapporto, avanza commenti e formula le
necessarie raccomandazioni alla luce degli obiettivi della Carta.
e) Il Comitato sottopone un rapporto annuale contenente i suoi
commenti e le sue raccomandazioni al Consiglio della Lega
degli Stati Arabi, per il tramite del Segretario generale.
f ) I rapporti del Comitato, le osservazioni conclusive e le racco-
mandazioni sono documenti pubblici che il Comitato provvede
a diffondere ampiamente.

Art. .

a) Il Segretario generale della Lega Araba sottopone la presente


Carta, una volta approvata dal Consiglio della Lega, agli Stati
Membri per la firma, ratifica o accessione.
b) La presente Carta entrerà in vigore due mesi dopo la data di
deposito presso il Segretariato della Lega del settimo strumento
di ratifica.
c) Successivamente alla sua entrata in vigore, la presente Carta
diventa obbligatoria per ciascuno Stato due mesi dopo che lo
Stato in questione ha depositato presso il Segretariato il proprio
strumento di ratifica o accessione.
 Carta Araba dei Diritti dell’Uomo

d) Il Segretario generale notifica a tutti gli Stati Membri il deposito


di ciascuno strumento di ratifica o accessione.

Art. .

Ogni Stato Parte può avanzare proposte per iscritto, attraverso il


Segretario generale, per emendare la presente Carta. Una volta fatte
circolare tra gli Stati Membri le proposte di emendamento, il Segreta-
rio generale invita gli Stati Parti a considerarle prima di sottoporle al
Consiglio della Lega per la loro adozione.

Art. .

Gli emendamenti hanno effetto, limitatamente agli Stati Parti che li


hanno approvati, una volta approvati dai due terzi degli Stati Parti.

Art. .

Ogni Stato Parte può proporre protocolli addizionali alla presente


Carta, che saranno adottati secondo le procedure usate per l’adozione
degli emendamenti alla Carta.

Art. .

a) Ogni Stato Parte, quando firma la Carta o al deposito dello


strumento di ratifica o di accessione, può apporre una riserva
su qualunque articolo della Carta, purché la riserva non sia
incompatibile con gli obiettivi o le finalità fondamentali della
Carta.
b) Ogni Stato Parte che ha apposto una riserva in base al paragrafo
 può ritirarla in qualsiasi momento notificandolo al Segretario
generale della Lega degli Stati Arabi.
c) Il Segretario generale notifica agli Stati Parti le riserve e le
richieste di ritiro delle riserve stesse.
Dichiarazione Universale
dei Diritti dell’Uomo

Adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il  Dicembre


.

Preambolo

a) Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i


membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalie-
nabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e
della pace nel mondo;
b) Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti
dell’uomo hanno portato ad atti di barbarie che offendono la
coscienza dell’umanità, e che l’avvento di un mondo in cui gli
esseri umani godono della libertà di parola e di credo e della
libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più
alta aspirazione dell’uomo;
c) Considerato che è indispensabile che i diritti dell’uomo siano
protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia
costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro
la tirannia e l’oppressione;
d) Considerato che è indispensabile promuovere lo sviluppo dei
rapporti amichevoli tra le Nazioni;
e) Considerato che i popoli delle Nazioni Unite hanno riaffermato
nello Statuto la loro fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nel-
la dignità e nel valore della persona umana, nell’eguaglianza dei
diritti dell’uomo e della donna, ed hanno deciso di promuovere
il progresso sociale e un migliore tenore di vita in una maggiore
libertà;
f ) Considerato che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire,
in cooperazione con le Nazioni Unite, il rispetto e l’osservanza


 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo

universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;


g) Considerato che una concezione comune di questi diritti e di que-
ste libertà è della massima importanza per la piena realizzazione
di questi impegni;

L’Assemblea Generale proclama:


la presente Dichiarazione Universale dei Diritti Dell’Uomo come
ideale da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine
che ogni individuo e ogni organo della società, avendo costantemente
presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegna-
mento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà
e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale
e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto
tanto fra popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori
sottoposti alla loro giurisdizione.

Art. .

Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.


Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso
gli altri in spirito di fratellanza.

Art. .

a) Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enun-


ciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per
ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opi-
nione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale,
di ricchezza, di nascita o di altra condizione.
b) Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto
politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio
cui una persona appartiene, sia che tale Paese o territorio sia
indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non
autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità.
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo 

Art. .

Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della
propria persona.

Art. .

Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di


servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto
qualsiasi forma.

Art. .

Nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni


crudeli, inumani o degradanti.

Art. .

Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della


sua personalità giuridica.

Art. .

Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna
discriminazione, ad un’eguale tutela da parte della legge. Tutti han-
no diritto ad un’eguale tutela contro ogni discriminazione che violi
la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale
discriminazione.
 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo

Art. .

Ogni individuo ha diritto ad un’effettiva possibilità di ricorso a com-


petenti tribunali nazionali contro atti che violino i diritti fondamentali
a lui riconosciuti dalla costituzione o dalla legge.

Art. .

Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto


o esiliato.

Art. .

Ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad


una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente
e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi
doveri, nonché della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga
rivolta.

Art. .

a) Ogni individuo accusato di reato è presunto innocente sino a


che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un
pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie
per la sua difesa.
b) Nessun individuo sarà condannato per un comportamento com-
missivo od omissivo che, al momento in cui sia stato perpetrato,
non costituisse reato secondo il diritto interno o secondo il
diritto internazionale. Non potrà del pari essere inflitta alcuna
pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato
sia stato commesso.
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo 

Art. .

Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitra-


rie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua
corrispondenza, né a lesioni del suo onore e della sua reputazione.
Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali
interferenze o lesioni.

Art. .

a) Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residen-


za entro i confini di ogni Stato.
b) Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il
proprio, e di ritornare nel proprio Paese.

Art. .

a) Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi


asilo dalle persecuzioni.
b) Questo diritto non potrà essere invocato qualora l’individuo sia
realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie
ai fini e ai principi delle Nazioni Unite.

Art. .

a) Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza.


b) Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua
cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza.

Art..

a) Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fon-


dare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza
o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio,
durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento.
 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo

b) Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e


pieno consenso dei futuri coniugi.
c) La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e
ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato.

Art. .

a) Ogni individuo ha il diritto ad avere una proprietà privata sua


personale o in comune con gli altri
b) Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua
proprietà.

Art. .

Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di


religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e
la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che
in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento,
nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.

Art..

Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione,


incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e
quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso
ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

Art. .

a) Ogni individuo ha il diritto alla libertà di riunione e di associa-


zione pacifica.
b) Nessuno può essere costretto a far parte di un’associazione.
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo 

Art. .

a) Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio


Paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamen-
te scelti.
b) Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di eguaglian-
za ai pubblici impieghi del proprio Paese.
c) La volontà popolare è il fondamento dell’autorità del governo;
tale volontà deve essere espressa attraverso periodiche e veri-
tiere elezioni, effettuate a suffragio universale ed eguale, ed a
voto segreto, o secondo una procedura equivalente di libera
votazione.

Art. .

Ogni individuo in quanto membro della società, ha diritto alla sicu-


rezza sociale nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale
e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazio-
ne e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali
indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.

Art. .

a) Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego,


a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione
contro la disoccupazione.
b) Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale
retribuzione per eguale lavoro.
c) Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione
equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua fami-
glia un’esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se
necessario, ad altri mezzi di protezione sociale.
d) Ogni individuo ha il diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi
per la difesa dei propri interessi.
 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo

Art. .

Ogni individuo ha il diritto al riposo ed allo svago, comprendendo


in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche
retribuite.

Art. .

a) Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a


garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia,
con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abita-
zione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed ha
diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidi-
tà vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi
di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.
b) La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed as-
sistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso,
devono godere della stessa protezione sociale.

Art. .

a) Ogni individuo ha diritto all’istruzione. L’istruzione deve es-


sere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari
e fondamentali. L’istruzione elementare deve essere obbligato-
ria. L’istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla
portata di tutti e l’istruzione superiore deve essere egualmente
accessibile a tutti sulla base del merito.
b) L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della per-
sonalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti del-
l’uomo e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la
comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i
gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni
Unite per il mantenimento della pace.
c) I genitori hanno diritto di priorità nella scelta di istruzione da
impartire ai loro figli.
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo 

Art. .

a) Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita


culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al
progresso scientifico ed ai suoi benefici.
b) Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali
e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e
artistica di cui egli sia autore.

Art. .

Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel


quale i diritti e la libertà enunciati in questa Dichiarazione possano
essere pienamente realizzati.

Art. .

a) Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale sol-


tanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità.
b) Nell’esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve
essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite
dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti
e della libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della
morale, dell’ordine pubblico e del benessere generale in una
società democratica.
c) Questi diritti e queste libertà non possono in nessun caso essere
esercitati in contrasto con i fini e i principi delle Nazioni Unite.

Art. .

Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel


senso di implicare un diritto di qualsiasi Stato gruppo o persona di
esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione
dei diritti e delle libertà in essa enunciati.
Patto Internazionale
sui Diritti Civili e Politici


Adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il  dicembre


.
Entrata in vigore internazionale:  marzo .
Stati Parti al ° gennaio : .
Autorizzazione alla ratifica e ordine di esecuzione in Italia dati con
legge n.  del  ottobre  (Gazzetta Ufficiale n.  del  dicembre
).

Preambolo

Gli Stati Parti del presente Patto,

a) Considerato che, in conformità ai principi enunciati nello Statu-


to delle Nazioni Unite, il riconoscimento della dignità inerente
a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, ugua-
li e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della
giustizia e della pace nel mondo;
b) Riconosciuto che, in conformità alla Dichiarazione universa-
le dei diritti dell’uomo, l’ideale dell’essere umano libero, che
goda delle libertà civili e politiche e della libertà dal timore e
dalla miseria, può essere conseguito soltanto se vengono create
condizioni le quali permettano ad ognuno di godere dei propri
diritti civili e politici, nonché dei propri diritti economici, sociali
e culturali;
c) Considerato che lo Statuto delle Nazioni Unite impone agli Stati
l’obbligo di promuovere il rispetto e l’osservanza universale dei
diritti e delle libertà dell’uomo;


 Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

d) Considerato infine che l’individuo, in quanto ha dei doveri verso


gli altri e verso la collettività alla quale appartiene, è tenuto a
sforzarsi di promuovere e di rispettare i diritti riconosciuti nel
presente Patto;

Hanno convenuto quanto segue:

PARTE I.
Art. .

Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù


di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politi-
co e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e
culturale.
Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre libera-
mente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali senza
pregiudizio degli obblighi derivanti dalla cooperazione economica
internazionale, fondata sul principio del mutuo interesse, e dal diritto
internazionale In nessun caso un popolo può essere privato dei propri
mezzi di sussistenza.
Gli Stati Parti del presente Patto, ivi compresi quelli che sono re-
sponsabili dell’amministrazione di territori non autonomi e di territori
in amministrazione fiduciaria, debbono promuovere l’attuazione del
diritto di autodeterminazione dei popoli e rispettare tale diritto, in
conformità alle disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite.

PARTE II.
Art. .

Ciascuno degli Stati Parti del presente Patto si impegna a rispettare


ed a garantire a tutti gli individui che si trovino sul suo territorio e
siano sottoposti alla sua giurisdizione i diritti riconosciuti nel presente
Patto, senza distinzione alcuna, sia essa fondata sulla razza, il colore,
il sesso, la lingua, la religione, l’opinione politica o qualsiasi altra
opinione, l’origine nazionale o sociale, la condizione economica,la
nascita o qualsiasi altra condizione.
Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici 

Ciascuno degli Stati Parti del presente Patto si impegna a compiere,


in armonia con le proprie procedure costituzionali e con le disposizio-
ni del presente Patto, i passi per l’adozione delle misure legislative o
d’altro genere che possano occorrere per rendere effettivi i diritti rico-
nosciuti nel presente Patto, qualora non vi provvedano già le misure,
legislative e d’altro genere, in vigore.
Ciascuno degli Stati Parti del presente Patto s’impegna a:

a) Garantire che qualsiasi persona, i cui diritti o libertà riconosciuti


dal presente Patto siano stati violati, disponga di effettivi mezzi
di ricorso, anche nel caso in cui la violazione sia stata commessa
da persone agenti nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali;
b) Garantire che l’autorità competente, giudiziaria, amministra-
tiva o legislativa, od ogni altra autorità competente ai sensi
dell’ordinamento giuridico dello Stato, decida in merito ai di-
ritti del ricorrente, e sviluppare le possibilità di ricorso in sede
giudiziaria:
c) Garantire che le autorità competenti diano esecuzione a qual-
siasi pronuncia di accoglimento di tali ricorsi.

Art. .

Gli Stati Parti del presente Patto s’impegnano a garantire agli uomi-
ni e alle donne la parità giuridica nel godimento di tutti i diritti civili e
politici enunciati nel presente Patto.

Art. .

In caso di pericolo pubblico eccezionale, che minacci l’esistenza


della nazione e venga proclamato un atto ufficiale, gli Stati Parti del pre-
sente Patto possono prendere misure le quali deroghino agli obblighi
imposti dal presente Patto, nei limiti in cui la situazione strettamente
lo esiga, e purché tali misure non siano incompatibili con gli altri
obblighi imposti agli Stati medesimi dal diritto internazionale e non
comportino una discriminazione fondata unicamente sulla razza, sul
colore, sul sesso, sulla lingua, sulla religione o sull’origine sociale.
 Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

Art. .

Nessuna disposizione del presente Patto può essere interpretata nel


senso di implicare un diritto di qualsiasi Stato, gruppo o individuo di
intraprendere attività o di compiere atti miranti a sopprimere uno dei
diritti o delle libertà riconosciuti nel presente Patto ovvero a limitarlo
in misura maggiore di quanto è previsto dal Patto stesso.
Nessuna restrizione o deroga a diritti fondamentali dell’uomo rico-
nosciuti o vigenti in qualsiasi Stato Parte del presente Patto in virtù di
leggi, convenzioni, regolamenti o consuetudini, può essere ammessa
col pretesto che il presente Patto non li riconosce o li riconosce in
minor misura.

PARTE III.

Art. .

Il diritto alla vita è inerente alla persona umana. Questo diritto deve
esser protetto dalla legge. Nessuno può essere arbitrariamente privato
della vita.
Nei paesi in cui la pena di morte non è stata abolita, una sentenza
capitale può essere pronunciata soltanto per i delitti più gravi, in
conformità alle leggi vigenti al momento in cui il delitto fu commesso
e purché ciò non sia in contrasto né con le disposizioni del presente
Patto né con la Convenzione per la prevenzione e la punizione del
delitto di genocidio. Tale pena può essere eseguita soltanto in virtù di
una sentenza definitiva, resa da un tribunale competente.
Quando la privazione della vita costituisce delitto di genocidio, resta
inteso che nessuna disposizione di questo articolo autorizza uno Stato
Parte del presente Patto a derogare in alcun modo a qualsiasi obbligo
assunto in base alle norme della Convenzione per la prevenzione e la
punizione del delitto di genocidio.
Ogni condannato a morte ha il diritto di chiedere la grazia o la
commutazione della pena.
L’amnistia, la grazia o la commutazione della pena di morte posso-
no essere accordate in tutti i casi.
Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici 

Una sentenza capitale non può essere pronunciata per delitti com-
messi dai minori di  anni e non può essere eseguita nei confronti di
donne incinte.
Nessuna disposizione di questo articolo può essere invocata per
ritardare o impedire l’abolizione della pena di morte ad opera di uno
Stato Parte del presente Patto.

Art. .

Nessuno può essere sottoposto alla tortura né a punizioni o trat-


tamenti crudeli, disumani o degradanti, in particolare, nessuno può
essere sottoposto, senza il suo libero consenso, ad un esperimento
medico o scientifico.

Art. .

Nessuno può esser tenuto in stato di schiavitù; la schiavitù e la


tratta degli schiavi sono proibite sotto qualsiasi forma.
Nessuno può esser tenuto in stato di servitù.

a) Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato od


obbligatorio;
b) La lettera a) del presente paragrafo non può essere interpretata
nel senso di proibire, in quei paesi dove certi delitti possono
essere puniti con la detenzione accompagnata dai lavori forzati,
che sia scontata una pena ai lavori forzati, inflitta da un tribunale
competente;
c) L’espressione “lavoro forzato o obbligatorio”, ai fini del presente
paragrafo, non comprende:
— qualsiasi lavoro o servizio, diverso da quello menzionato
alla lettera b), normalmente imposto ad un individuo che
sia detenuto in base a regolare decisione giudiziaria o che
essendo stato oggetto di una tale decisione, sia in libertà
condizionata;
 Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

— qualsiasi servizio di carattere militare e, in quei paesi ove


è ammessa l’obiezione di coscienza, qualsiasi servizio
nazionale imposto per legge agli obiettori di coscienza;
— qualsiasi servizio imposto in situazioni di emergenza o
di calamità che minacciano la vita o il benessere della
comunità;
— qualsiasi lavoro o servizio che faccia parte dei normali
obblighi civili.

Art. .

Ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza della propria


persona. Nessuno può essere arbitrariamente arrestato
Nessuno può esser privato della propria libertà, se non per i motivi
e secondo la procedura previsti dalla legge.
Chiunque sia arrestato deve essere informato, al momento del suo
arresto, dei motivi dell’arresto medesimo, e deve al più presto aver
notizia di qualsiasi accusa mossa contro di lui.
Chiunque sia arrestato o detenuto in base ad un’accusa di carattere
penale deve essere tradotto al più presto dinanzi a un giudice o ad altra
autorità competente per legge ad esercitare funzioni giudiziarie, e ha
diritto ad essere giudicato entro un termine ragionevole, o rilasciato.
La detenzione delle persone in attesa di giudizio non deve costituire
la regola, ma il loro rilascio può essere subordinato a garanzia che
assicurino la comparizione dell’accusato sia ai fini del giudizio, in ogni
altra fase del processo, sia eventualmente, ai fini della esecuzione della
sentenza.
Chiunque sia privato della propria libertà per arresto o detenzione
ha diritto a ricorrere ad un tribunale, affinché questo possa decidere
senza indugio sulla legalità della sua detenzione e, nel caso questa
risulti illegale, possa ordinare il suo rilascio.
Chiunque sia stato vittima di arresto o detenzione illegali ha pieno
diritto a un indennizzo.
Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici 

Art. .

Qualsiasi individuo privato della propria libertà deve essere trattato


con umanità e col rispetto della dignità inerente alla persona umana.

a) Gli imputati, salvo circostanze eccezionali, devono essere separa-


ti dai condannati e sottoposti a un trattamento diverso, consono
alla loro condizione di persone non condannate;
b) gli imputati minorenni devono esser separati dagli adulti e il
loro caso deve esser giudicato il più rapidamente possibile.
c) I rei minorenni devono essere separati dagli adulti e deve esser
loro accordato un trattamento adatto alla loro età e al loro stato
giuridico.

Art. .

Nessuno può essere imprigionato per il solo motivo che non è in


grado di adempiere a un obbligo contrattuale.

Art. .

Ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato ha


diritto alla libertà di movimento e alla libertà di scelta della residenza
in quel territorio.
Ogni individuo è libero di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio.
I suddetti diritti non possono essere sottoposti ad alcuna restrizione,
tranne quelle che siano previste dalla legge, siano necessarie per pro-
teggere la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la sanità o la moralità
pubbliche, ovvero gli altrui diritti e libertà, e siano compatibili con gli
altri diritti riconosciuti dal presente Patto.
Nessuno può essere arbitrariamente privato del diritto di entrare
nel proprio paese.
 Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

Art. .

Uno straniero che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato


Parte del presente Patto non può esserne espulso se non in base
a una decisione presa in conformità della legge e, salvo che vi si
oppongano imperiosi motivi di sicurezza nazionale, deve avere la
possibilità di far valere le proprie ragioni contro la sua espulsione, di
sottoporre il proprio caso all’esame dell’autorità competente, o di una
o più persone specificamente designate da detta autorità, e di farsi
rappresentare innanzi ad esse a tal fine.

Art. .

Tutti sono eguali dinanzi ai tribunali e alle corti di giustizia.


Ogni individuo ha diritto ad un’equa e pubblica udienza dinanzi
a un tribunale competente, indipendente e imparziale, stabilito dalla
legge, allorché si tratta di determinare la fondatezza di un’accusa penale
che gli venga rivolta, ovvero di accertare i suoi diritti ed obblighi
mediante un giudizio civile.
Il processo può svolgersi totalmente o parzialmente a porte chiuse,
sia per motivi di moralità, di ordine pubblico o di sicurezza nazionale
in una società democratica, sia quando lo esiga l’interesse della vita
privata delle parti in causa, sia, nella misura ritenuta strettamente ne-
cessaria dal tribunale, quando per circostanze particolari la pubblicità
nuocerebbe agli interessi della giustizia; tuttavia, qualsiasi sentenza
pronunciata in un giudizio penale o civile dovrà essere resa pubblica,
salvo che l’interesse di minori esiga il contrario, ovvero che il processo
verta su controversie matrimoniali o sulla tutela dei figli.
Ogni individuo accusato di un reato ha il diritto di essere pre-
sunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata
legalmente.
Ogni individuo accusato di un reato ha diritto, in posizione di piena
eguaglianza, come minimo, alle seguenti garanzie:

a) ad essere informato sollecitamente e in modo circostanziato,


in una lingua a lui comprensibile, della natura e dei motivi
dell’accusa a lui rivolta;
Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici 

b) a disporre del tempo e dei mezzi necessari alla preparazione


della difesa ed a comunicare con un difensore di sua scelta;
c) ad essere giudicato senza ingiustificato ritardo;
d) ad essere presente al processo ,  ed a difendersi personal-
mente o mediante un difensore di sua scelta; nel caso sia sprov-
visto di un difensore, ad essere informato del suo diritto ad
averne e, ogni qualvolta l’interesse della giustizia lo esiga, a
vedersi assegnato un difensore d’ufficio, a titolo gratuito se egli
non dispone di mezzi sufficienti per compensarlo;
e) a interrogare o far interrogare i testimoni a carico e ad ottenere
la citazione e l’interrogatorio dei testimoni a discarico nelle
stesse condizioni dei testimoni a carico;
f ) a farsi assistere gratuitamente da un interprete, nel caso egli
non comprenda o non parli la lingua usata in udienza;
g) a non essere costretto a deporre contro se stesso o a confessarsi
colpevole.

La procedura applicabile ai minorenni dovrà tener conto della loro


età e dell’interesse a promuovere la loro riabilitazione.
Ogni individuo condannato per un reato ha diritto a che l’accerta-
mento della sua colpevolezza e la condanna siano riesaminati.
Quando un individuo è stato condannato con sentenza definitiva e
successivamente tale condanna viene annullata, ovvero viene accor-
data la grazia, in quanto un fatto nuovo o scoperto dopo la condanna
dimostra che era stato commesso un errore giudiziario, l’individuo
che ha scontato una pena in virtù di detta condanna deve essere inden-
nizzato, in conformità della legge, a meno che non venga provato che
la mancata scoperta in tempo utile del fatto ignoto è a lui imputabile
in tutto o in parte.
Nessuno può essere sottoposto a nuovo giudizio o a nuova pena,
per un reato per il quale sia stato già assolto o condannato con sentenza
definitiva in conformità al diritto e alla procedura penale di ciascun
paese.
 Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

Art. .

Nessuno può essere condannato per azioni od omissioni che, al


momento in cui venivano commesse, non costituivano reato secondo
il diritto interno o il diritto internazionale. Così pure, non può essere
inflitta una pena superiore a quella applicabile al momento in cui il
reato sia stato commesso.
Se, posteriormente alla commissione del reato, la legge prevede
l’applicazione di una pena più lieve, il colpevole deve beneficiarne.
Nulla, nel presente articolo, preclude il deferimento a giudizio e la
condanna di qualsiasi individuo per atti od omissioni che, al momento
in cui furono commessi, costituivano reati secondo i principi generali
del diritto riconosciuti dalla comunità delle nazioni.

Art. .

Ogni individuo ha diritto al riconoscimento in qualsiasi luogo della


sua personalità giuridica.

Art. .

Nessuno può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegit-


time nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa o nella
sua corrispondenza, né a illegittime offese al suo onore e alla sua
reputazione.
Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali
interferenze od offese.

Art. .

Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e


di religione. Tale diritto include la libertà di avere o di adottare una
religione o un credo di sua scelta, nonché la libertà di manifestare,
individualmente o in comune con altri.
Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici 

Nessuno può essere assoggettato a costrizioni che possano meno-


mare la sua libertà di avere o adottare una religione o un credo di sua
scelta.
La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo può
essere sottoposta unicamente alle restrizioni previste dalla legge e
che siano necessarie per la tutela della sicurezza pubblica, dell’ordine
pubblico e della sanità pubblica, della morale pubblica o degli altrui
diritti e libertà fondamentali.
Gli Stati Parti del presente Patto si impegnano a rispettare la libertà
dei genitori e, ove del caso, dei tutori legali di curare l’educazione
religiosa e morale dei figli in conformità alle proprie convinzioni.

Art. .

Ogni individuo ha diritto a non essere molestato per le proprie


opinioni.
Ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; tale diritto
comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e
idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto,
attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro
mezzo di sua scelta.
L’esercizio delle libertà previste al paragrafo  del presente articolo
comporta doveri e responsabilità speciali.
Esso può essere pertanto sottoposto a talune restrizioni che però
devono essere espressamente stabilite dalla legge ed essere necessarie:

a) al rispetto dei diritti o della reputazione altrui;


b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico,
della sanità o della morale pubbliche.

Art. .

Qualsiasi propaganda a favore della guerra deve esser vietata dalla


legge.
Qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale o religioso che costi-
tuisca incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza deve
essere vietato dalla legge.
 Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

Art. .

È riconosciuto il diritto di riunione pacifica. L’esercizio di tale di-


ritto non può formare oggetto di restrizioni tranne quelle imposte in
conformità alla legge e che siano necessarie in una società democrati-
ca, nell’interesse della sicurezza nazionale, della sicurezza pubblica,
dell’ordine pubblico o per tutelare la sanità e la morale pubbliche o
gli altrui diritti e libertà.

Art. .

Ogni individuo ha diritto alla libertà di associazione che include il


diritto di costituire dei sindacati e di aderirvi per la tutela dei propri
interessi.
L’esercizio di tale diritto non può formare oggetto di restrizioni,
tranne quelle stabilite dalla legge e che siano necessarie in una società
democratica, nell’interesse della sicurezza nazionale, della sicurezza
pubblica, dell’ordine pubblico, o per tutelare la sanità e la morale
pubbliche o gli altrui diritti e libertà.
Il presente articolo non impedisce di imporre restrizioni legali
all’esercizio di tale diritto da parte dei membri delle forze armate e
della polizia.
Nessuna disposizione del presente articolo autorizza gli Stati Parti
della Convenzione del  dell’Organizzazione Internazionale del
Lavoro, concernente la libertà sindacale e la tutela del diritto sindacale
a adottare misure legislative che portino pregiudizio alle garanzie
previste dalla menzionata Convenzione politica di certi funzionari
pubblici nell’esercizio delle loro funzioni e le norme di legge che
limitano l’attività politica degli stranieri.

Art. .

La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha


diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato.
Il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia è riconosciuto agli
uomini e alle donne che abbiano l’età per contrarre matrimonio.
Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici 

Il matrimonio non può essere celebrato senza il libero e pieno


consenso dei futuri coniugi.
Gli Stati Parti del presente Patto devono prendere misure idonee a
garantire la parità di diritti e di responsabilità dei coniugi riguardo al
matrimonio, durante il matrimonio e al momento del suo scioglimen-
to In caso di scioglimento, deve essere assicurata ai figli la protezione
necessaria.

Art. .

Ogni fanciullo, senza discriminazione alcuna fondata sulla razza, il


colore, il sesso, la lingua, la religione, l’origine nazionale o sociale, la
condizione economica o la nascita, ha diritto a quelle misure protettive
che richiede il suo stato minorile, da parte della sua famiglia, della
società e dello Stato.
Ogni fanciullo deve essere registrato subito dopo la nascita ed avere
un nome.
Ogni fanciullo ha diritto ad acquistare una cittadinanza..

Art. .

Ogni cittadino ha il diritto, e deve avere la possibilità, senza alcu-


na delle discriminazioni menzionate all’articolo  e senza restrizioni
irragionevoli:

a) di partecipare alla direzione degli affari pubblici, personalmente


o attraverso rappresentanti liberamente scelti;
b) di votare e di essere eletto, nel corso di elezioni veritiere, pe-
riodiche, effettuate a suffragio universale ed eguale, ed a voto
segreto, che garantiscano la libera espressione della volontà
degli elettori;
c) di accedere, in condizioni generale di eguaglianza, ai pubblici
impieghi del proprio paese.
 Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

Art. .

Tutti gli individui sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto,
senza alcuna discriminazione, ad un’eguale tutela da parte della legge.
A questo riguardo, la legge deve proibire qualsiasi discriminazione
e garantire a tutti gli individui una tutela eguale ed effettiva contro
ogni discriminazione, sia essa fondata sulla razza, il colore, il sesso,
la lingua, la religione, l’opinione politica o qualsiasi altra opinione,
l’origine nazionale o sociale, la condizione economica, la nascita o
qualsiasi altra condizione.

Art. .

In quegli Stati, nei quali esistono minoranze etniche, religiose, o


linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze non possono
essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di profes-
sare e praticare la propria religione, o di usare la propria lingua, in
comune con gli altri membri del proprio gruppo.

PARTE IV.
Art. .

E istituito un Comitato dei diritti dell’uomo (indicato di qui innanzi,


nel presente Patto, come “il Comitato”. Esso si compone di diciotto
membri ed esercita le funzioni qui appresso previste.
Il Comitato si compone di cittadini degli Stati Parti del presente
Patto, i quali debbono essere persone di alta levatura morale e di
riconosciuta competenza nel campo dei diritti dell’uomo Sarà tenuto
conto dell’opportunità che facciano parte del Comitato alcune persone
aventi esperienza giuridica.
I membri del Comitato sono eletti e ricoprono la loro carica a titolo
individuale.
Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici 

Art. .

I membri del Comitato sono eletti a scrutinio segreto fra una lista di
persone che posseggono le qualità stabilite all’articolo  e che siano
state designate a tal fine dagli Stati Parti del presente Patto.
Ogni Stato Parte del presente Patto può designare non più di due
persone. Queste persone devono essere cittadini dello Stato che le
designa.
La stessa persona può essere designata più di una volta.

Art. .

La prima elezione si svolgerà entro sei mesi a partire dalla data di


entrata in vigore del presente Patto.
Almeno quattro mesi prima della data di ciascuna elezione al Comi-
tato, salvo che si tratti di elezione per colmare una vacanza dichiarata
in conformità all’articolo , il Segretario generale delle Nazioni Unite
invita per iscritto gli Stati Parti del presente Patto a designare, nel
termine di tre mesi, i candidati da essi proposti come membri del
Comitato.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite compila una lista in
ordine alfabetico di tutte le persone così designate, facendo menzione
degli Stati Parti che le hanno designate, e la comunica agli Stati Parti
del presente Patto almeno un mese prima della data di ogni elezione.
L’elezione dei membri del Comitato ha luogo nel corso di una
riunione degli Stati Parti del presente Patto convocata dal Segretario
generale delle Nazioni Unite presso la sede dell’Organizzazione In tale
riunione, per la quale il quorum è costituito dai due terzi degli Stati
Parti del presente Patto, sono eletti membri del Comitato i candidati
che ottengono il maggior numero di voti e la maggioranza assoluta
dei voti dei rappresentanti degli Stati Parti presenti e votanti.

Art. .

Il Comitato non può comprendere più di un cittadino dello stesso


Stato.
 Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

Nell’elezione del Comitato, deve tenersi conto di un’equa riparti-


zione geografica dei seggi, e della rappresentanza sia delle diverse
forme di civiltà sia dei principali sistemi giuridici.

Art. .

I membri del Comitato sono eletti per un periodo di quattro anni;


se vengono nuovamente designati, sono rieleggibili.
Tuttavia, il mandato di nove membri eletti alla prima elezione la
Germania e la Svezia () hanno obiettato alla riserva della Turchia.
Patto internazionale sui diritti civili e politici  scadrà al termine di
due anni; subito dopo la prima elezione, i nomi di questi nove membri
saranno tirati a sorte dal Presidente della riunione di cui al paragrafo
 dell’articolo .
Allo scadere del mandato, le elezioni si svolgono in conformità alle
disposizioni degli articoli precedenti di questa parte del Patto.

Art. .

Se, a giudizio unanime degli altri membri, un membro del Comita-


to abbia cessato di esercitare le sue funzioni per qualsiasi causa diversa
da un’assenza di carattere temporaneo, il Presidente del Comitato ne
informa il Segretario generale delle Nazioni Unite. il quale dichiara
vacante il seggio occupato da detto membro.
In caso di morte o di dimissioni di un membro del Comitato, il
Presidente ne informa immediatamente il Segretario generale delle
Nazioni Unite, il quale dichiara vacante il seggio a partire dalla data
della morte o dalla data in cui avranno effetto le dimissioni.

Art. .

Quando una vacanza viene dichiarata in conformità; all’ articolo ,


e se il mandato del membro da sostituire non deve aver fine entro i
sei mesi successivi alla dichiarazione di vacanza, il Segretario generale
Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici 

delle Nazioni Unite ne avverte gli Stati Parti del presente Patto, i
quali possono entro due mesi designare dei candidati, in conformità
all’articolo , per ricoprire il seggio vacante.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite compila una lista in
ordine alfabetico delle persone così designate e la comunica agli Stati
Parti del presente Patto. L’elezione per ricoprire il seggio vacante si
svolge quindi in conformità alle disposizioni pertinenti della presente
parte del Patto.
Un membro del Comitato eletto ad un seggio dichiarato vacante
in conformità all’articolo  rimane in carica tino alla scadenza del
mandato del membro, il cui seggio nel Comitato sia divenuto vacante
ai sensi del predetto articolo.

Art. .

I membri del Comitato ricevono, con l’approvazione dell’Assem-


blea Generale delle Nazioni Unite, degli emolumenti prelevati sui
fondi della Organizzazione, alle condizioni stabilite dall’Assemblea
Generale, avuto riguardo all’importanza delle funzioni del Comitato.

Art. .

Il Segretario generale delle Nazioni Unite mette a disposizione del


Comitato il personale e i mezzi materiali necessari perché esso possa
svolgere efficacemente le funzioni previste dal presente Patto.

Art. .

Il Segretario generale delle Nazioni Unite convocherà la prima


riunione del Comitato nella sede dell’Organizzazione.
Dopo la sua prima riunione, il Comitato si riunisce alle scadenze
previste dal proprio regolamento interno.
Le riunioni del Comitato si tengono normalmente nella Sede delle
Nazioni Unite ovvero nell’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra.
 Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

Art. .

Ogni membro del Comitato, prima di assumere la carica, deve fare


in udienza pubblica dichiarazione solenne che egli eserciterà le sue
funzioni in modo imparziale e coscienzioso.

Art. .

Il Comitato elegge il proprio ufficio di presidenza per un periodo


di due anni. I componenti di tale ufficio sono rieleggibili.
Il Comitato stabilisce il proprio regolamento interno; questo deve
tuttavia contenere, tra l’altro, le disposizioni seguenti:

a) Il quorum è di dodici membri;


b) Le decisioni del Comitato sono prese a maggioranza dei mem-
bri presenti.

Art. .

Gli Stati Parti del presente Patto si impegnano a presentare rapporti


sulle misure che essi avranno adottate per dare attuazione ai diritti
riconosciuti nel presente Patto, nonché sui progressi compiuti nel
godimento di tali diritti:

a) entro un anno dall’entrata in vigore del presente Patto rispetto


a ciascuno degli Stati Parti;
b) Successivamente, ogni volta che il Comitato ne farà richiesta.

Tutti i rapporti sono indirizzati al Segretario generale delle Nazioni


Unite, che li trasmette per esame al Comitato. I rapporti indicano, ove
del caso, i fattori e le difficoltà che influiscano sull’applicazione del
presente Patto.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite, previa consultazione col
Comitato, può trasmettere agli Istituti specializzati interessati copia
di quelle parti dei rapporti che possono riguardare i campi di loro
competenza.
Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici 

Il Comitato studia i rapporti presentati dagli Stati Parti del presente


Patto. Esso trasmette agli Stati Parti i propri rapporti e le osservazioni
generali che ritenga opportune. Il Comitato può anche trasmettere
al Consiglio Economico e Sociale tali osservazioni, accompagnate da
copie dei rapporti ricevuti dagli Stati Parti del presente Patto.
Gli Stati Parti del presente Patto possono presentare al Comitato i
propri rilievi circa qualsiasi osservazione fatta ai sensi del paragrafo 
del presente articolo.

Art. .

Ogni Stato Parte del presente Patto può dichiarare in qualsiasi


momento, in base al presente articolo, di riconoscere la competenza
del Comitato a ricevere ed esaminare comunicazioni, nelle quali uno
Stato Parte pretenda che un altro Stato Parte non adempie agli obblighi
derivanti dal presente Patto.
Le comunicazioni di cui al presente articolo possono essere ricevu-
te ed esaminate soltanto se provenienti da uno Stato Parte che abbia
dichiarato di riconoscere, per quanto lo concerne, la competenza del
Comitato. Il Comitato non può ricevere nessuna comunicazione ri-
guardante uno Stato Parte che non abbia fatto tale dichiarazione. Alle
comunicazioni ricevute in conformità al presente articolo si applica la
procedura seguente:

a) Se uno Stato Parte del presente Patto ritiene che un altro Stato
Parte non applica le disposizioni del presente Patto, esso può
richiamare sulla questione, mediante comunicazione scritta,
l’attenzione di tale Stato. Entro tre mesi dalla data di ricezione
della comunicazione, lo Stato destinatario fa pervenire allo Stato
che gli ha inviato la comunicazione delle spiegazioni o altre di-
chiarazioni scritte intese a chiarire la questione, che dovrebbero
includere, purché ciò sia possibile e pertinente, Patto interna-
zionale sui diritti civili e politici  riferimenti alle procedure e
ai ricorsi interni già utilizzati, o tuttora pendenti, ovvero ancora
esperibili;
b) Se, nel termine di sei mesi dalla data di ricezione della comuni-
cazione iniziale da parte dello Stato destinatario, la questione
 Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

non è stata risolta con soddisfazione di entrambi gli Stati Parti


interessati, tanto l’uno che l’altro hanno il diritto di deferirla
al Comitato, mediante notifica fatta sia al Comitato sia all’altro
interessato.
c) Il Comitato può entrare nel merito di una questione ad esso
deferita soltanto dopo avere accertato che tutti i ricorsi interni
disponibili siano stati esperiti ed esauriti in conformità ai prin-
cipi di diritto internazionale generalmente riconosciuti. Que-
sta norma non si applica se la trattazione dei ricorsi subisce
ingiustificati ritardi.
d) Quando esamina le comunicazioni previste dal presente articolo
il Comitato tiene seduta a porte chiuse.
e) Salvo quanto è stabilito alla lettera c), il Comitato mette i suoi
buoni uffici a disposizione degli Stati Parti interessati, allo scopo
di giungere ad una soluzione amichevole della questione, basata
sul rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
quali sono riconosciuti dal presente Patto.
f) In ogni questione ad esso deferita, il Comitato può chiedere agli
Stati Parti interessati, di cui alla lettera b), di fornire qualsiasi
informazione pertinente.
g) Gli Stati Parti interessati, di cui alla lettera b), hanno diritto
di farsi rappresentare quando la questione viene esaminata dal
Comitato e di presentare osservazioni oralmente o per scritto,
o in entrambe le forme.
h) Il Comitato deve presentare un rapporto, entro dodici mesi
dalla data di ricezione della notifica prevista alla lettera b):

— Se è stata trovata una soluzione conforme alle condizioni


indicate alla lettera e), il Comitato limita il suo rapporto ad
una breve esposizione dei fatti e della soluzione raggiunta;
— Se non è stata trovata una soluzione conforme alle con-
dizioni indicate alla lettera e), il Comitato limita il suo
rapporto a una breve esposizione dei fatti; il testo del-
le osservazioni scritte e i verbali delle osservazioni orali
presentate dagli Stati Parti interessati vengono allegati al
rapporto. Per ogni questione, il rapporto è comunicato
agli Stati Parti interessati.
Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici 

Le disposizioni del presente articolo entreranno in vigore quan-


do dieci Stati Parti del presente Patto avranno fatto la dichiarazione
prevista al paragrafo  del presente articolo.
Detta dichiarazione sarà depositata dagli Stati Parti presso il Se-
gretario generale delle Nazioni Unite, che ne trasmetterà copia agli
altri Stati Parti. Una dichiarazione potrà essere ritirata in qualsiasi
momento mediante notifica diretta al Segretario generale.
Questo ritiro non pregiudicherà l’esame di qualsiasi questione che
formi oggetto di una comunicazione già inviata in base al presente
articolo; nessun’altra comunicazione di uno Stato Parte sarà ricevuta
dopo che il Segretario generale abbia ricevuto notifica del ritiro della
dichiarazione, salvo che lo Stato Parte interessato non abbia fatto una
nuova dichiarazione.

Art. .

a) Se una questione deferita al Comitato in conformità all’articolo


 non viene risolta in modo soddisfacente per gli Stati Parti
interessati, il Comitato, previo consenso degli Stati Parti interes-
sati, può designare una Commissione di conciliazione ad hoc
(indicata da qui innanzi come “la Commissione”).
La Commissione mette i suoi buoni uffici a disposizione delle
 Liste degli Stati che hanno accettato la competenza del Co-
mitato ai sensi dell’art.  in calce al testo del Patto. Stati Parti
interessati, allo scopo di giungere ad una soluzione amichevole
della questione, basata sul rispetto del presente Patto.
b) La Commissione è composta di cinque membri nominati di
concerto con gli Stati Parti interessati. Se gli Stati Parti interes-
sati non pervengono entro tre mesi a un’intesa sulla compo-
sizione della Commissione, o di parte di essa, i membri della
Commissione sui quali non è stato raggiunto l’accordo sono
eletti dal Comitato fra i propri membri, con voto segreto e a
maggioranza dei due terzi.

I membri della Commissione ricoprono tale carica a titolo indivi-


duale.
 Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

Essi non devono essere cittadini né degli Stati Parti interessati, né


di uno Stato che non sia parte del presente Patto, né di uno Stato Parte
che non abbia fatto la dichiarazione prevista all’articolo .
La Commissione elegge il suo Presidente e adotta il suo regola-
mento interno.
Le riunioni della Commissione si tengono normalmente nella Sede
delle Nazioni Unite ovvero nell’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra.
Tuttavia, esse possono svolgersi in qualsiasi altro luogo appropriato
che può essere stabilito dalla Commissione previa consultazione con il
Segretario generale delle Nazioni Unite e con gli Stati Parti interessati.
Il segretariato previsto all’articolo  presta i suoi servigi anche alle
commissioni nominate in base al presente articolo.
Le informazioni ricevute e vagliate dal Comitato sono messe a
disposizione della Commissione, e la Commissione può chiedere agli
Stati Parti interessati di fornirle ogni altra informazione pertinente.
Dopo un completo esame della questione, ma in ogni caso entro
un termine massimo di dodici mesi dal momento in cui ne è stata
investita, la Commissione presenta un rapporto al Presidente del
Comitato, perché sia trasmesso agli Stati Parti interessati:

a) se la Commissione non è in grado di completare l’esame della


questione entro i dodici mesi, essa si limita ad esporre bre-
vemente nel suo rapporto a qual punto si trovi l’esame della
questione medesima;
b) se si è giunti ad una soluzione amichevole della questione,
basata sul rispetto dei diritti dell’uomo riconosciuti nel presente
Patto, la Commissione si limita ad esporre brevemente nel suo
rapporto i fatti e la soluzione a cui si è pervenuti;
c) se non si è giunti ad una soluzione ai sensi della lettera b), la
Commissione espone nel suo rapporto i propri accertamenti
su tutti i punti di fatto relativi alla questione dibattuta fra gli
Stati Parti interessati, nonché le proprie considerazioni circa la
possibilità di una soluzione amichevole dell’affare.
Il rapporto comprende pure le osservazioni scritte e un verbale
delle osservazioni orali presentate dagli Stati Parti interessati;
d) se il rapporto della Commissione è presentato in conformità alla
lettera c) gli Stati Parti interessati, entro tre mesi dalla ricezione
del rapporto, debbono rendere noto al Presidente del Comitato
Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici 

se accettano o meno i termini del rapporto della Commissione.

Le disposizioni del presente articolo non pregiudicano le attribu-


zioni del Comitato previste all’art. .
Tutte le spese dei membri della Commissione sono ripartite in
parti uguali tra gli Stati interessati, in base a un preventivo predisposto
dal Segretario generale delle Nazioni Unite.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite è autorizzato a pagare, se
occorre, le spese dei membri della Commissione prima che gli Stati
Parti interessati ne abbiano effettuato il rimborso, in conformità al
paragrafo  del presente articolo. Patto internazionale sui diritti civili
e politici.

Art. .

I membri del Comitato e i membri delle commissioni di concilia-


zione ad hoc che possano essere designate ai sensi dell’articolo 
hanno diritto a quelle agevolazioni, quei privilegi e quelle immunità
riconosciuti agli esperti in missione per conto delle Nazioni Unite, che
sono enunciati nelle sezioni pertinenti della Convenzione sui privilegi
e le immunità delle Nazioni Unite.

Art. .

Le disposizioni per l’attuazione del presente Patto si applicano sen-


za pregiudizio delle procedure istituite nel campo dei diritti dell’uomo
ai sensi o sulla base degli strumenti costitutivi e delle convenzioni
delle Nazioni Unite e degli Istituti specializzati e non impediscono
agli Stati Parti del presente Patto di ricorrere ad altre procedure per la
soluzione di una controversia, in conformità agli accordi internazionali
generali o speciali in vigore tra loro.
 Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

Art. .

Il Comitato tramite il Consiglio Economico e Sociale, presenta


ogni anno all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite un rapporto
sulle sue attività.

PARTE V.
Art. .

Nessuna disposizione del presentePatto può essere interpretata in


senso lesivo delle disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite e degli
statuti degli Istituti specializzati che definiscono le funzioni rispettive
dei vari organi delle Nazioni Unite e degli Istituti specializzati riguardo
alle questioni trattate nel presente Patto.

Art. .

Nessuna disposizione del presente Patto può essere interpretata in


senso lesivo del diritto inerente a tutti i popoli di godere e di disporre
pienamente e liberamente delle loro ricchezze e risorse naturali.

PARTE VI.
Art. .

Il presente Patto è aperto alla firma di ogni Stato membro delle


Nazioni Unite o membro di uno qualsiasi dei loro Istituti specializzati
di ogni Stato Parte dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia,
nonché di qualsiasi altro Stato che sia invitato dall’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite a divenire parte del presente Patto.
Il presente Patto è soggetto a ratifica. Gli strumenti di ratifica
saranno depositati presso il Segretario generale delle Nazioni Unite.
Il presente Patto sarà aperto all’adesione di qualsiasi Stato tra quelli
indicati al paragrafo  del presente articolo.
Gli Stati Uniti () hanno dichiarato che tale diritto si esercita solo
in conformità con il diritto internazionale.
Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici 

Alcuni paesi — Afghanistan () Bulgaria (), Guinea (),


Ungheria ( e ), Mongolia (), Romania (), Russia (),
Siria (), Ucraina (), Vietnam () — hanno dichiarato che
tale limitazione è incoerente con il carattere universale del Patto, il
quale dovrebbe essere aperto all’adesione di qualsiasi Stato.
L’adesione sarà effettuata mediante deposito di uno strumento di
adesione presso il Segretario generale delle Nazioni Unite.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite informerà tutti gli Stati
che abbiano firmato il presente Patto, o che vi abbiano aderito, del
deposito di ogni strumento di ratifica o di adesione.

Art. .

Il presente Patto entrerà in vigore tre mesi dopo la data del deposito
presso il Segretario generale delle Nazioni Unite del trentacinquesimo
strumento di ratifica o di adesione.
Per ognuno degli Stati che ratificheranno il presente Patto o vi ade-
riranno successivamente al deposito del trentacinquesimo strumento
di ratifica o di adesione, il Patto medesimo entrerà in vigore tre mesi
dopo la data del deposito, a parte di tale Stato, del suo strumento di
ratifica o di adesione.

Art. .

Le disposizioni del presente Patto si applicano, senza limitazione o


eccezione alcuna, a tutte le unità costitutive degli Stati federali.

Art. .

Ogni Stato Parte del presente Patto potrà proporre un emendamen-


to e depositarne il testo presso il Segretario generale delle Nazioni
Unite. Il Segretario generale comunicherà quindi le proposte di emen-
damento agli Stati Parti del presente Patto, chiedendo loro di infor-
marlo se sono favorevoli alla convocazione di una conferenza degli
 Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

Stati Parti per esaminare dette proposte e metterle ai voti. Se almeno


un terzo degli Stati Parti si dichiarerà a favore di tale convocazione, il
Segretario generale convocherà la conferenza sotto gli auspici delle
Nazioni Unite.
Ogni emendamento approvato dalla maggioranza degli Stati pre-
senti e votanti alla conferenza sarà sottoposto all’approvazione del-
l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Gli emendamenti entreranno in vigore dopo esser stati approvati
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e accettati, in conformità
alle rispettive procedure costituzionali, da una maggioranza di due
terzi degli Stati Parti del presente Patto.
Quando gli emendamenti entreranno in vigore, essi saranno vin-
colanti per gli Stati Parti che li abbiano accettati, mentre gli altri Stati
Parti rimarranno vincolati dalle disposizioni del presente Patto e da
qualsiasi emendamento anteriore che essi abbiano accettato.

Art. .

Indipendentemente dalle notifiche effettuate ai sensi del paragrafo


 dell’articolo , il Segretario generale delle Nazioni Unite informerà
tutti gli Stati indicati al paragrafo  di detto articolo:

a) delle firme apposte al presente Patto e degli strumenti di ratifica


e di adesione depositati in conformità all’articolo ;
b) della data in cui il presente Patto entrerà in vigore, in confor-
mità all’articolo , e della data in cui entreranno in vigore gli
emendamenti ai sensi dell’articolo .

Art. .

Il presente Patto, di cui i testi cinese, francese, inglese, russo e


spagnolo, fanno egualmente fede, sarà depositato negli archivi delle
Nazioni Unite.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite trasmetterà copie auten-
tiche del presente Patto a tutti gli Stati indicati all’articolo .
Patto Internazionale sui Diritti Economici,
Sociali e Culturali


Preambolo

Gli Stati Parti del presente Patto,

a) Considerando che, in conformità ai principi enunciati nello


Statuto delle Nazioni Unite, il riconoscimento della dignità
inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti,
uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della
giustizia e della pace nel mondo;
b) Riconosciuto che questi diritti derivano dalla dignità inerente
alla persona umana;
c) Riconosciuto che, in conformità alla Dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo, l’ideale dell’essere umano libero, che goda
della libertà dal timore e dalla miseria. Può essere conseguito
soltanto se vengono create condizioni le quali permettano ad
ognuno di godere dei propri diritti economici, sociali e culturali,
nonché dei propri diritti civili e politici;
d) Considerato che lo Statuto delle Nazioni Unite impone agli Stati
l’obbligo di promuovere il rispetto e l’osservanza universale dei
diritti e delle libertà dell’uomo;
e) Considerato infine che l’individuo, in quanto ha dei doveri verso
gli altri e verso la collettività alla quale appartiene, è tenuto a
sforzarsi di promuovere e di rispettare i diritti riconosciuti nel
presente Patto;


 Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali

Hanno convenuto quanto segue:

PARTE I.

Art..

a) Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù


di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto
politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico,
sociale e culturale.
b) Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre libe-
ramente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali,
senza pregiudizio degli obblighi derivanti dalla cooperazione
economica internazionale, fondata sul principio del mutuo in-
teresse, e dal diritto internazionale. In nessun caso un popolo
può essere privato dei propri mezzi di sussistenza.
c) Gli Stati Parti del presente Patto, ivi compresi quelli che sono
responsabili dell’amministrazione di territori non autonomi e
di territori in amministrazione fiduciaria, debbono promuovere
l’attuazione del diritto di autodeterminazione dei popoli e ri-
spettare tale diritto, in conformità alle disposizioni dello Statuto
delle Nazioni Unite.

PARTE II.

Art. .

a) Ciascuno degli Stati Parti del presente Patto si impegna ad


operare, sia individualmente sia attraverso l’assistenza e la coo-
perazione internazionale, specialmente nel campo economico
e tecnico, con il massimo delle risorse di cui dispone al fine
di assicurare progressivamente con tutti i mezzi appropriati,
compresa in particolare l’adozione di misure legislative, la piena
attuazione dei diritti riconosciuti nel presente Patto.
b) Gli Stati Parti del presente Patto si impegnano a garantire che
i diritti in esso enunciati verranno esercitati senza discrimina-
zione alcuna, sia essa fondata sulla razza, il colore, il sesso, la
Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali 

lingua, la religione, l’opinione politica o qualsiasi altra opinio-


ne, l’origine nazionale o sociale, la condizione economica, la
nascita o qualsiasi altra condizione.
c) I paesi in via di sviluppo, tenuto il debito conto dei diritti dell’uo-
mo e delle rispettive economie nazionali, possono determinare
in quale misura essi garantiranno a individui non aventi la loro
cittadinanza i diritti economici riconosciuti nel presente Patto.

Art. .

Gli Stati Parti del presente Patto si impegnano a garantire agli


uomini e alle donne la parità giuridica nel godimento di tutti i diritti
economici, sociali e culturali enunciati nel presente Patto.

Art. .

Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono che, nell’assicurare il


godimento dei diritti in conformità dal presente Patto, lo Stato potrà
assoggettarli esclusivamente a quei limiti che siano stabiliti per legge,
soltanto nella misura in cui ciò sia compatibile con la natura di tali
diritti e unicamente allo scopo di promuovere il benessere generale
in una società democratica.

Art. .

a) Nessuna disposizione del presente Patto può essere interpretata


nel senso di implicare un diritto di qualsiasi Stato, gruppo o
individuo di intraprendere attività o di compiere atti miranti
a sopprimere uno dei diritti o delle libertà riconosciuti nel
presente Patto ovvero a limitarlo in misura maggiore di quanto
è previsto nel Patto stesso.
b) Nessuna restrizione o deroga a diritti fondamentali dell’uomo,
riconosciuti o vigenti in qualsiasi Paese in virtù di leggi, con-
venzioni, regolamenti o consuetudini, può essere ammessa con
il pretesto che il presente Patto non li riconosce o li riconosce
in minor misura.
 Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali

PARTE III.

Art. .

a) Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono il diritto al lavoro,


che implica il diritto di ogni individuo di ottenere la possibilità di
guadagnarsi la vita con un lavoro liberamente scelto od accettato,
e prenderanno le misure appropriate per garantire tale diritto.
b) Le misure che ciascuno degli Stati Parti del presente Patto dovrà
prendere per assicurare la piena attuazione di tale diritto com-
prenderanno programmi di orientamento e formazione tecnica
e professionale, nonché l’elaborazione di politiche e di tecniche
atte ad assicurare un costante sviluppo economico, sociale e
culturale ed un pieno impiego produttivo, in condizioni che
salvaguardino le fondamentali libertà politiche ed economiche
degli individui.

Art. .

Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni


individuo di godere di giuste e favorevoli condizioni di lavoro, le quali
garantiscano in particolare:

a) la remunerazione che assicuri a tutti i lavoratori, come minimo:


— un equo salario ed una uguale remunerazione per un lavo-
ro di eguale valore, senza distinzione di alcun genere; in
particolare devono essere garantite alle donne condizioni
di lavoro non inferiori a quelle godute dagli uomini, con
una eguale remunerazione per un eguale lavoro;
— un’esistenza decorosa per essi e per le loro famiglie in
conformità alle disposizioni del presente Patto;
b) la sicurezza e l’igiene del lavoro;
c) la possibilità uguale per tutti di essere promossi, nel rispettivo
lavoro, alla categoria superiore appropriata, senza altra consi-
derazione che non sia quella dell’anzianità di servizio e delle
attitudini personali;
Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali 

d) il riposo, gli svaghi, una ragionevole limitazione delle ore di


lavoro, e le ferie periodiche retribuite, nonché la remunerazione
per i giorni festivi.

Art. .

a) Gli Stati Parti del presente Patto si impegnano a garantire:


— il diritto di ogni individuo di costituire con altri dei sindaca-
ti e di aderire al sindacato di sua scelta, fatte salve soltanto
le regole stabilite dall’organizzazione interessata, al fine di
promuovere e tutelare i propri interessi economici e socia-
li. L’esercizio di questo diritto non può essere sottoposto
a restrizioni che non siano stabilite dalla legge e che non
siano necessarie, in una società democratica, nell’interesse
della sicurezza nazionale o dell’ordine pubblico o per la
protezione dei diritti e delle libertà altrui;
— il diritto dei sindacati di formare federazioni o confedera-
zioni nazionali e il diritto di queste di costituire organizza-
zioni sindacali internazionali o di aderirvi;
— il diritto dei sindacati di esercitare liberamente la loro atti-
vità, senza altre limitazioni che quelle stabilite dalla legge
e che siano necessarie in una società democratica nell’in-
teresse della sicurezza nazionale o dell’ordine pubblico o
per la protezione dei diritti e delle libertà altrui;
— il diritto di sciopero, purché esso venga esercitato in con-
formità alle leggi di ciascun Paese.
b) Il presente articolo non impedisce di imporre restrizioni legali
all’esercizio di questi diritti da parte dei membri delle forze
armate, della polizia o dell’amministrazione dello Stato.
c) Nessuna disposizione del presente articolo autorizza gli Stati
Parti della Convenzione del  dell’Organizzazione Interna-
zionale del Lavoro, concernente la libertà sindacale e la tutela
del diritto sindacale, ad adottare misure legislative che portino
pregiudizio alle garanzie previste dalla menzionata Conven-
zione, o ad applicare le loro leggi in modo da causare tale
pregiudizio.
 Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali

Art. .

Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni


individuo alla sicurezza sociale, ivi comprese le assicurazioni sociali.

Art. .

Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono che:

a) La protezione e l’assistenza più ampia possibile devono essere


accordate alla famiglia, che è il nucleo naturale e fondamentale
della società, in particolare per la sua costituzione e fin quando
essa abbia la responsabilità del mantenimento e dell’educazione
di figli a suo carico. Il matrimonio deve essere celebrato con il
libero consenso dei futuri coniugi.
b) Una protezione speciale deve essere accordata alle madri per
un periodo di tempo ragionevole prima e dopo il parto. Le
lavoratrici madri dovranno beneficiare, durante tale periodo,
di un congedo retribuito o di un congedo accompagnato da
adeguate prestazioni di sicurezza sociale.
c) Speciali misure di protezione e di assistenza devono essere prese
in favore di tutti i fanciulli e gli adolescenti senza discriminazio-
ne alcuna per ragione di filiazione o per altre ragioni. I fanciulli
e gli adolescenti devono essere protetti contro lo sfruttamento
economico e sociale. Il loro impiego in lavori pregiudizievoli
per la loro moralità o per la loro salute, pericolosi per la loro
vita, o tali da nuocere al loro normale sviluppo, deve essere
punito dalla legge. Gli Stati devono altresì fissare limiti di età al
di sotto dei quali il lavoro salariato di manodopera infantile sarà
vietato e punito dalla legge.

Art. .

a) Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni


individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la sua fami-
glia, che includa alimentazione, vestiario, ed alloggio adeguati,
Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali 

nonché al miglioramento continuo delle proprie condizioni di


vita. Gli Stati Parti prenderanno misure idonee ad assicurare
l’attuazione di questo diritto, e riconoscono a tal fine l’impor-
tanza essenziale della cooperazione internazionale, basata sul
libero consenso.
b) Gli Stati Parti del presente Patto, riconoscendo il diritto fonda-
mentale di ogni individuo alla libertà dalla fame, adotteranno,
individualmente e attraverso la cooperazione internazionale,
tutte le misure, e fra queste anche programmi concreti, che
siano necessarie:
— per migliorare i metodi di produzione, di conservazione e
di distribuzione delle derrate alimentari mediante la piena
applicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, la
diffusione di nozioni relative ai principi della nutrizione,
e lo sviluppo o la riforma dei regimi agrari, in modo da
conseguire l’accrescimento e l’utilizzazione più efficaci
delle risorse naturali;
— per assicurare un’equa distribuzione delle risorse alimenta-
ri mondiali in relazione ai bisogni, tenendo conto dei pro-
blemi tanto dei paesi importatori quanto dei paesi esporta-
tori di derrate alimentari.

Art. .

a) Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni


individuo a godere delle migliori condizioni di salute fisica e
mentale che sia in grado di conseguire.
b) Le misure che gli Stati Parti del presente Patto dovranno pren-
dere per assicurare la piena attuazione di tale diritto compren-
deranno quelle necessarie ai seguenti fini:
— la diminuzione del numero dei nati–morti e della mortalità
infantile, nonché il sano sviluppo dei fanciulli;
— il miglioramento di tutti gli aspetti dell’igiene ambientale
e industriale;
— la profilassi, la cura e il controllo delle malattie epidemiche,
endemiche, professionali e d’altro genere;
 Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali

— la creazione di condizioni che assicurino a tutti servizi


medici e assistenza medica in caso di malattia.

Art. .

a) Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni


individuo all’istruzione. Essi convengono sul fatto che l’istru-
zione deve mirare al pieno sviluppo della personalità umana e
del senso della sua dignità e rafforzare il rispetto per i diritti del-
l’uomo e le libertà fondamentali. Essi convengono inoltre che
l’istruzione deve porre tutti gli individui in grado di partecipare
in modo effettivo alla vita di una società libera, deve promuove-
re la comprensione, la tolleranza e l’amicizia fra tutte le nazioni
e tutti i gruppi razziali, etnici o religiosi ed incoraggiare lo svi-
luppo delle attività delle Nazioni Unite per il mantenimento
della pace.
b) Gli Stati Parti del presente Patto, al fine di assicurare la piena
attuazione di questo diritto, riconoscono che:
— l’istruzione primaria deve essere obbligatoria e accessibile
gratuitamente a tutti;
— l’istruzione secondaria, nelle sue diverse forme, inclusa
l’istruzione secondaria tecnica e professionale, deve es-
sere resa generale ed accessibile a tutti con ogni mezzo
a ciò idoneo, ed in particolare mediante l’instaurazione
progressiva dell’istruzione gratuita;
— l’istruzione superiore deve essere resa accessibile a tutti su
un piano d’uguaglianza, in base alle attitudini di ciascuno,
con ogni mezzo a ciò idoneo, ed in particolare mediante
l’instaurazione progressiva dell’istruzione gratuita;
— l’istruzione di base deve essere incoraggiata o intensificata,
nella misura del possibile, a beneficio degli individui che
non hanno ricevuto istruzione primaria o non ne hanno
completato il corso;
— deve perseguirsi attivamente lo sviluppo di un sistema
di scuole di ogni grado, stabilirsi un adeguato sistema di
borse di studio e assicurarsi un continuo miglioramento
delle condizioni materiali del personale insegnante.
Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali 

c) Gli Stati Parti del presente Patto si impegnano a rispettare la


libertà dei genitori e, ove del caso, dei tutori legali, di scegliere
per i figli scuole diverse da quelle istituite dalle autorità pub-
bliche, purché conformi ai requisiti fondamentali che possono
essere prescritti o approvati dallo Stato in materia di istruzione, e
di curare l’educazione religiosa e morale dei figli in conformità
alle proprie convinzioni.
d) Nessuna disposizione di questo articolo sarà interpretata nel
senso di recare pregiudizio alla libertà degli individui e degli
enti di fondare e dirigere istituti di istruzione, purché i principi
enunciati nel ° paragrafo di questo articolo vengano rispettati
e l’istruzione impartita in tali istituti sia conforme ai requisiti
fondamentali che possano essere prescritti dallo Stato.

Art. .

Ogni Stato Parte del presente Patto che, al momento di diventar-


ne parte, non sia stato ancora in grado di assicurare nel territorio
metropolitano o in altri territori soggetti alla sua giurisdizione, l’obbli-
gatorietà e la gratuità dell’istruzione primaria, si impegna a elaborare
ed approvare, entro due anni, un piano particolareggiato di misu-
re al fine di applicare progressivamente, in un ragionevole numero
di anni fissato dal piano stesso, il principio dell’istruzione primaria
obbligatoria e gratuita per tutti.

Art. .

a) Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni


individuo:
— a partecipare alla vita culturale;
— a godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue
applicazioni;
— a godere della tutela degli interessi morali e materiali sca-
turenti da qualunque produzione scientifica, letteraria o
artistica di cui egli sia l’autore.
 Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali

b) Le misure che gli Stati Parti del presente Patto dovranno prende-
re per conseguire la piena attuazione di questo diritto compren-
deranno quelle necessarie per il mantenimento, lo sviluppo e
la diffusione della scienza e della cultura.
c) Gli Stati Parti del presente Patto si impegnano a rispettare la
libertà indispensabile per la ricerca scientifica e l’attività creativa.
d) Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono i benefici che
risulteranno dall’incoraggiamento e dallo sviluppo dei contatti
e dalla collaborazione internazionale nei campi scientifico e
culturale.

PARTE IV.

Art. .

a) Gli Stati Parti del presente Patto si impegnano a presentare,


in conformità alle disposizioni di questa parte del Patto, dei
rapporti sulle misure che essi avranno preso e sui progressi
compiuti al fine di conseguire il rispetto dei diritti riconosciuti
nel Patto.
b) Tutti i rapporti sono indirizzati al Segretario generale delle
Nazioni Unite, che ne trasmette copie al Consiglio Economico
e Sociale per esame, in conformità alle disposizioni del presente
Patto;
c) il Segretario generale delle Nazioni Unite trasmette altresì agli
Istituti specializzati copie dei rapporti, o delle parti pertinenti
di questi, inviati dagli Stati Parti del presente Patto che siano
anche membri di detti Istituti specializzati, in quanto tali rap-
porti, o parti di rapporti, riguardino questioni rientranti nella
competenza di quegli istituti ai sensi dei rispettivi statuti.

Art. .

a) Gli Stati Parti del presente Patto debbono presentare i loro


rapporti a intervalli di tempo, secondo un programma che
verrà stabilito dal Consiglio Economico e Sociale entro un anno
Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali 

dall’entrata in vigore del presente Patto, dopo aver consultato


gli Stati Parti e gli Istituti specializzati interessati.
b) I rapporti possono indicare i fattori e le difficoltà che influiscano
sul grado di adempimento degli obblighi previsti nel presente
Patto.
c) Qualora informazioni pertinenti siano già state fornite alle Na-
zioni Unite o ad un istituto specializzato da uno Stato Parte
del presente Patto, non sarà necessario fornire nuovamente tali
informazioni, ma sarà sufficiente un riferimento preciso alle
informazioni già date.

Art. .

In virtù delle competenze ad esso conferite dallo Statuto delle


Nazioni Unite nel campo dei diritti dell’uomo e delle libertà fonda-
mentali, il Consiglio Economico e Sociale può concludere accordi
con gli Istituti specializzati, ai fini della presentazione da parte loro di
rapporti sui progressi compiuti nel conseguire il rispetto delle disposi-
zioni del presente Patto che rientrano nell’ambito delle loro attività.
Questi rapporti possono includere ragguagli circa le decisioni e racco-
mandazioni adottate dagli organi competenti degli Istituti specializzati
in merito a tale attuazione.

Art. .

Il Consiglio Economico e Sociale può trasmettere alla Commis-


sione dei diritti dell’uomo a fini di studio e perché formuli racco-
mandazioni di ordine generale o, eventualmente, per informazione,
i rapporti relativi ai diritti dell’uomo presentati dagli Stati in confor-
mità agli articoli  e  e i rapporti concernenti i diritti dell’uomo,
presentati dagli Istituti specializzati in conformità all’art. .
 Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali

Art. .

Gli Stati Parti del presente Patto e gli Istituti specializzati interessati
possono presentare al Consiglio Economico e Sociale osservazioni su
qualunque raccomandazione d’ordine generale fatta in base all’art. 
o su qualunque menzione di una raccomandazione d’ordine generale
che figuri in un rapporto della Commissione dei diritti dell’uomo o
in un documento menzionato in tale rapporto.

Art. .

Il Consiglio Economico e Sociale può presentare di quando in


quando all’Assemblea Generale rapporti contenenti raccomandazioni
di carattere generale e un riassunto delle informazioni ricevute dagli
Stati Parti del presente Patto e dagli Istituti specializzati sulle misure
prese e sui progressi compiuti nel conseguire il rispetto generale dei
diritti riconosciuti nel presente Patto.

Art. .

Il Consiglio Economico e Sociale può sottoporre all’attenzione


di altri organi delle Nazioni Unite, dei loro organi sussidiari e degli
Istituti specializzati competenti a prestare assistenza tecnica, qualsiasi
questione risultante dai rapporti menzionati in questa parte del presen-
te Patto, che possa essere utile a tali organismi per decidere, ciascuno
nel proprio ambito di competenza, sull’opportunità di misure inter-
nazionali idonee a contribuire all’efficace progressiva attuazione del
presente Patto.

Art. .

Gli Stati Parti del presente Patto convengono che le misure di or-
dine internazionale miranti all’attuazione dei diritti riconosciuti nel
Patto stesso comprendono, in particolare, la conclusione di convenzio-
ni, l’adozione di raccomandazioni, la prestazione di assistenza tecnica
Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali 

e l’organizzazione, di concerto con i governi interessati, di riunioni


regionali e di riunioni tecniche a fini di consultazione e di studio.

Art. .

Nessuna disposizione del presente Patto può essere interpretata in


senso lesivo delle disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite e degli
statuti degli Istituti specializzati che definiscono le funzioni rispettive
dei vari organi delle Nazioni Unite e degli Istituti specializzati riguardo
alle questioni trattate nel presente Patto.

Art. .

Nessuna disposizione del presente Patto può essere interpretata in


senso lesivo del diritto inerente a tutti i popoli di godere e di disporre
pienamente e liberamente delle loro ricchezze e risorse naturali.

PARTE V.

Art. .

a) Il presente Patto è aperto alla firma di ogni Stato membro del-


le Nazioni Unite o membro di uno qualsiasi dei loro Istituti
specializzati, di ogni Stato Parte dello Statuto della Corte in-
ternazionale di giustizia, nonché di qualsiasi altro Stato che sia
invitato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a divenire
parte del presente Patto.
b) Il presente Patto è soggetto a ratifica. Gli strumenti di ratifica
saranno depositati presso il Segretario generale delle Nazioni
Unite.
c) Il presente Patto sarà aperto all’adesione di qualsiasi Stato fra
quelli indicati al paragrafo  del presente articolo.
d) L’adesione sarà effettuata mediante deposito di uno strumento
di adesione presso il Segretario generale delle Nazioni Unite.
 Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali

e) Il Segretario generale delle Nazioni Unite informerà tutti gli


Stati che abbiano firmato il presente Patto, o che vi abbiano
aderito, del deposito di ogni strumento di ratifica o di adesione.

Art. .

a) Il presente Patto entrerà in vigore tre mesi dopo la data del


deposito presso il Segretario generale delle Nazioni Unite del
trentacinquesimo strumento di ratifica o di adesione.
b) Per ognuno degli Stati che ratificheranno il presente Patto o vi
aderiranno successivamente al deposito del trentacinquesimo
strumento di ratifica o di adesione, il Patto medesimo entrerà
in vigore tre mesi dopo la data del deposito, da parte di tale
Stato, del suo strumento di ratifica o di adesione.

Art. .

Le disposizioni del presente Patto si applicano, senza limitazione o


eccezione alcuna, a tutte le unità costitutive degli Stati federali.

Art. .

a) Ogni Stato Parte del presente Patto potrà proporre un emen-


damento e depositarne il testo presso il Segretario generale
delle Nazioni Unite. Il Segretario generale comunicherà quin-
di le proposte di emendamento agli Stati Parti del presente
Patto, chiedendo loro di informarlo se sono favorevoli alla con-
vocazione di una conferenza degli Stati Parti per esaminare
dette proposte e metterle ai voti. Se almeno un terzo degli Stati
Parti si dichiarerà a favore di tale convocazione, il Segretario
generale convocherà la conferenza sotto gli auspici delle Na-
zioni Unite. Ogni emendamento approvato dalla maggioranza
degli Stati presenti e votanti alla conferenza sarà sottoposto
all’approvazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali 

b) Gli emendamenti entreranno in vigore dopo essere stati appro-


vati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e accettati,
in conformità alle rispettive procedure costituzionali, da una
maggioranza di due terzi degli Stati Parti del presente Patto.
c) Quando gli emendamenti entreranno in vigore, essi saranno
vincolanti per gli Stati Parti che li abbiano accettati, mentre
gli altri Stati Parti rimarranno vincolati dalle disposizioni del
presente Patto e da qualsiasi emendamento anteriore che essi
abbiano accettato

Art. .

Indipendentemente dalle notifiche effettuate ai sensi del paragrafo


 dell’articolo , il Segretario generale delle Nazioni Unite informerà
tutti gli Stati indicati al paragrafo  di detto articolo:

a) delle firme apposte al presente Patto e degli strumenti di ratifica


e di adesione depositati in conformità all’articolo ;
b) della data in cui il presente Patto entrerà in vigore, in confor-
mità all’articolo , e della data in cui entreranno in vigore gli
emendamenti ai sensi dell’articolo .

Art. .

a) Il presente Patto, di cui i testi cinese, francese, inglese, russo e


spagnolo fanno egualmente fede, sarà depositato negli archivi
delle Nazioni Unite.
b) Il Segretario generale delle Nazioni Unite trasmetterà copie
autentiche del presente Patto a tutti gli Stati indicati all’articolo
.
Memorandum dell’Arabia Saudita alle N.U.
sui diritti dell’uomo nell’Islam


Si tratta di un documento importante da leggere con attenzione con


riferimento alla provenienza (Regno Arabia Saudita), all’epoca (),
al destinatario (Commissione Diritti Umani delle N.U.), al linguaggio
utilizzato, al contenuto (la posizione culturale, religiosa e giuridica sui
diritti umani nell’Islam e la sua applicazione nel Regno) .
È già significativo che alla richiesta diretta di un organo delle N.U. in
ordine ad informazioni sulla applicazione dei Diritti umani, il Regno
di Arabia Saudita non risponda direttamente, ma per il tramite della
Lega Araba, quasi fosse non un membro dell’O. Il motivo politico
sta nella sottolineatura che « il Regno non ha aderito alla Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo, nè al Patto internazionale sui diritti
economici, sociali e culturali ». Si tratta di una presa di distanza molto
grave, per fortuna esplicita, che si cerca di giustificare con alcune
considerazioni che ne aggravano — a nostro parere — la portata.
Ma si può leggere il Documento anche come un primo tentativo di
dialogo, sia pure duro.
In via generale, si sottolinea che la dignità umana (finalità comune
anche dei documenti O) è assicurata dal “dogma islamico rivela-
to da Dio” e non « in virtù di legislazioni ispirate da considerazioni
materialistiche e perciò soggette a continui cambiamenti ».
Il rifiuto dei Documenti delle N.U. riguarda, dunque, il fondamento
stesso dei diritti umani universali, ravvisato non nella legge positiva ac-
. Sul Memorandum, si veda: R. C, Les Déclarations des droits de l’homme en Islam
depuis dix ans, in « Rivista PISAI » n. , , pp. –. Il Documento è esaminato in
modo obiettivo e pacato e fa riferimento a incontri successivi favoriti dalle N.U. con giuristi
europei a Rijad (– marzo ), Parigi, Ginevra, Roma e Strasburgo nel , presso il
Consiglio d’Europa, il Consiglio ecumenico delle Chiese ed il Vaticano, a dimostrazione
dell’avvio di un processo di positivo confronto. Il documento è pubblicato in A. P,
L’Islam e il dibattito sui diritti umani, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino .


 Memorandum dell’Arabia Saudita alle N.U. sui diritti dell’uomo nell’Islam

cettata dalla maggioranza, ma in un particolare dato religioso, accettato


solo da una parte della comunità umana.
L’autorità del dogma religioso assicurerebbe una stabilità maggiore
di quella offerta da una legge dettata da considerazioni contingenti:
sia consentito dire che si tratta di una arrogante e gratuita offesa ai
popoli che si sono riconosciuti nella Dichiarazione universale dei di-
ritti dell’uomo e negli Atti internazionali successivi, che non hanno
inteso rispondere dopo la tragedia della seconda guerra mondiale solo
a “considerazioni contingenti”. Anche se fosse vero che « la maggior
parte dei disordini e degli errori che possiamo riscontrare al giorno
d’oggi nella gioventù dei paesi avanzati è una conseguenza della per-
dita della fede in Dio e nell’adozione di un modo di vivere dedito
esclusivamente al culto dei beni materiali », il rispetto dei valori spi-
rituali su cui si concorda può essere assicurato solo con una libera
accettazione sociale e non con sistemi autoritari imposti dall’alto.
Non è vero poi in assoluto che i giovani dell’Arabia Saudita e
degli altri Paesi del Golfo siano immuni sempre dal male morale e
non siano legati ai beni materiali: la verità è che è mutato il contesto
sociale, culturale, religioso e politico, da considerare in un mondo
ormai globalizzato.
La fedeltà ai principi islamici ed alla tradizione non può essere
confusa come fa il Memorandum con una sorta di “filosofia scientifica
dell’Islam” la cui fondatezza sarebbe stata dimostrata da “fatti storici
decisivi”: il mondo è cambiato ed è divenuto uno per una molteplicità
di cause che non possono sfuggire ai custodi della religione islamica.
Occorre convivere pacificamente, trovando il consenso non solo su
“alcuni aspetti pratici” ma proprio sui “principi” o meglio sulla loro
interpretazione ed il loro adeguamento.
Passando alla legislazione nazionale, il Memorandum ricorda — in
modo preciso e condivisibile — i principali diritti umani inseriti nella
legislazione, indicandone la specifica fonte con precisione in citazioni
del Corano: la dignità umana, il divieto di discriminazione, l’unità
della famiglia tra uomo e donna, la libertà di coscienza, il divieto
di cagionare male agli altri, l’inviolabilità del domicilio, il dovere di
solidarietà sociale, il dovere e non solo il diritto all’istruzione (perché
la ricerca del sapere è un obbligo per ogni musulmano), l’omaggio
alla autorità della scienza (un segno positivo della tradizione storica),
il dovere di insegnare ed istruire, la tutela della salute, la tutela di tutti
Memorandum dell’Arabia Saudita alle N.U. sui diritti dell’uomo nell’Islam 

i diritti economici e sociali intesi come “prescrizioni” obbligatorie e


non mere “raccomandazioni” (in verità i Patti del  vincolano gli
Stati ed hanno valore giuridico, sicché non sono “raccomandazioni”).
Il Documento cerca di spiegare e giustificare alcuni punti contro-
versi:

— sul ruolo delle donne musulmane e sulla possibilità o meno di


contrarre matrimoni con non musulmani;
— sulla libertà religiosa e il divieto di cambiare religione;
— sulla questione del divieto della libertà sindacale vigente nel
Regno

A parere non solo nostro, si tratta di argomenti non convincenti.


Quel che conta è che si tratta di contrasti su temi importanti relativi
ai diritti umani come riconosciuti a livello mondiale ed è l’Arabia
Saudita che dovrebbe adeguarsi.
Come si fa a negare alla dignità di una donna la libertà di scelta
in una materia che riguarda la sua stessa vita e la generazione dei
figli nell’ambito della famiglia? Come si fa a negare la libertà di scelta
religiosa in tutte le sue forme se corrisponde alla propria libera de-
terminazione? Come si fa a negare la libertà sindacale e la sua utilità
sia pure nei limiti dell’interesse generale? Sono domande alle quali il
credo religioso e la cultura possono offrire risposte, ma la legge deve
trovare la necessaria sintesi.
Il Memorandum termina con un attacco radicale di natura po-
litico–religioso ad Israele, negando la “legittimità” stessa della sua
esistenza come entità autonoma statuale in Medio Oriente.
Gli argomenti sono infondati ed anche pericolosi: come si può
senza contraddirsi affermare il diritto umano alla propria identità
nazionale con argomenti storici culturali e religiosi, dimenticando
che anche gli Ebrei sono esseri umani,che possono aspirare ad una
propria identità nazionale sulla base di motivazioni culturali e religiose
diverse?
Chi legge il testo trova una serie di affermazioni non serie sulla
vicenda storica di Israele, nel senso che questa componente umana
dovrebbe rimanere senza una sua casa per le colpe passate, punite
dagli Assiri e Babilonesi (non da Ciro il Grande neppure citato) e
poi dai Romani nel  d.C. Non è vero che la lettura della Bibbia a
 Memorandum dell’Arabia Saudita alle N.U. sui diritti dell’uomo nell’Islam

cominciare da Abramo che lascia Ur per una nuova terra e dalla fuga
degli Ebrei con Mosè dall’Egitto, autorizzi interpretazioni nel senso di
una occupazione “abusiva” ante litteram delle terre poi abitate anche
dalle componenti arabe.
L’attacco frontale ad Israele in nome dei diritti umani appartiene
alla lotta politica non ad argomenti di cultura sui diritti umani e non
giova ad un cammino di pace (che deve essere possibile anche con
chi non ha totalmente le medesime idee): la proposta (due popoli,
due Stati) di compromesso delle N.U.non può avanzare se si nega
addirittura la legittimità della esistenza di Israele.
Conclusioni e raccomandazioni
del Convegno di Kuwait City


Nel  si era tenuta a Londra dal  al  aprile una Conferenza


internazionale dedicata al profeta Maometto ed era stata elaborata
una Dichiarazione universale islamica, non dedicata specificamente
ai diritti umani. Nello stesso anno, dal  al  dicembre si teneva in
Kuwait City un evento non governativo specificamente dedicato ai
diritti umani a cura della locale Università e dell’Unione Avvocati
Arabi: una riunione di giuristi anche europei della Commissione
Internazionale dei Giuristi di Ginevra, dal notevole peso culturale ed
anche politico .
Si tratta di un documento ampio di ben  punti, molto elabora-
to e che ha il merito della chiarezza. Vengono indicate le fonti ed i
vari diritti umani già previsti dalla legislazione islamica, con una inte-
ressante sottolineatura: « la necessità di una Carta islamica dei diritti
dell’uomo », a dimostrazione della esigenza di colmare una lacuna. In
una logica positiva più generale si precisa la natura di “contributo” del
futuro documento nella direzione degli « sforzi compiuti per preser-
vare e sviluppare i diritti dell’uomo nel mondo ». Le due anime dei
partecipanti (una più aperta e l’altra più conservatrice)trovarono un
equilibrio.
La lettura del documento è interessante:

— si richiamano i principi islamici (come consacrati nel Corano,


nella Sunna, nel consenso unanime dei giuristi, nella analogia e
nella prassi), ma si riconosce anche che in alcuni regimi politici
islamici la prassi non è stata o non è conforme ai principi(nel
leggere l’elenco dei diritti umani occorre tenere conto delle
. Si veda: R. C, op.cit., . Il documento è pubblicato in lingua italiana da A.
P L’Islam e il dibattito sui diritti umani, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino .


 Conclusioni e raccomandazioni del Convegno di Kuwait City

garanzie concrete di attuazione in alcuni regimi islamici,che


sono carenti come si riconosce da parte della stessa cultura
islamica più aperta);
— si sottolinea che la visione unitaria del diritto islamico discende
dalla unitarietà della vita umana e della famiglia umana (il pro-
blema diviene quello della corretta e condivisa interpretazione
di questi valori che sono condivisibili);
— si evidenziano con una certa auto–referenzialità alcuni “meriti”
della cultura islamica anche in tema di diritti umani con una
serie di esemplificazioni:
a) uno dei meriti sarebbe costituito dallo statuto di tolleranza
per le minoranze non di religione musulmana (ma ognu-
no vede che i diritti umani devono essere riconosciuti
come inerenti ad ogni persona umana a prescindere dal
credo religioso, che è una libera scelta individuale; cer-
to la tolleranza è preferibile alla persecuzione ma questo
sbocco grave diviene possibile con una visione di me-
ra “concessione” e non di “riconoscimento” dei diritti
umani);
b) un altro merito riguarderebbe il ruolo della donna per il
riconoscimento del diritto ad un proprio patrimonio (ma
è noto che il diritto umano delle donne va oltre il solo
profilo patrimoniale);
c) il diritto–dovere della istruzione e ricerca scientifica: que-
sto è un aspetto positivo anche sotto il profilo storico ed è
da approvare che si parli anche di “dovere”;
d) il riconoscimento dei diritti di libertà e di quelli a conte-
nuto economico–sociale: si parla di “doni divini” e non di
“semplici diritti naturali” con un linguaggio mutuato dalla
cultura religiosa, che non crea problemi se sono definiti,
come avviene, i contenuti e le garanzie;
— buona e molto condivisibile è tutta la parte dedicata alle garanzie
relative ai profili penali: principio di legalità; responsabilità pe-
nale personale; divieto di giurisdizioni speciali; non retroattività
della legge penale; presunzione di innocenza; processo equo;
divieto di torture e sequestri (elementi questi ultimi corretta-
mente considerati prassi islamiche in contrasto con i principi in
Conclusioni e raccomandazioni del Convegno di Kuwait City 

relazione ad alcuni regimi);


— da sottolineare il riconoscimento pieno dei diritti economici,
sociali e culturali, compresi il diritto di proprietà, il diritto al
lavoro; il diritto alla salute; il diritto alla previdenza sociale,ecc..

Merita di essere sottolineata l’enfasi per l’educazione religiosa isla-


mica, dovendosi contrastare i “rischi del materialismo scientifico con-
temporaneo”, presenti nei “sistemi di insegnamento su base laica”
(qui si tocca un punto delicato dei diritti umani di libertà che richiede
equilibrio).
Segue la raccomandazione che i giuristi rivolgono ai loro Governi
per la ratifica delle Convenzioni internazionali in tema di diritti umani:
un punto molto positivo.
Infine vi è un accenno “politico” nazionalistico di sostegno all’a-
vanzamento della causa musulmana in Palestina, Ogaden, Eritrea,
Afghanistan, Filippine meridionali, Iraq, nel senso del riconoscimento
dei diritti di autodeterminazione nazionale.
 –

  – Scienze matematiche e informatiche

  – Scienze fisiche

  – Scienze chimiche

  – Scienze della terra

  – Scienze biologiche

  – Scienze mediche

  – Scienze agrarie e veterinarie

  – Ingegneria civile e architettura

  – Ingegneria industriale e dell’informazione

  – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

  – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

AREA  – Scienze giuridiche

  – Scienze economiche e statistiche

  – Scienze politiche e sociali

  – Scienze teologico–religiose

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Compilato il  maggio , ore :
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Finito di stampare nel mese di maggio del 


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 Roma – via di Torre Sant’Anastasia, 
per conto della «Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale» di Canterano (RM)

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