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Studi e Testi di Papirologia

N.S. 14

I PAPIRI OMERICI

ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE DI STUDI


FIRENZE, 9-10 GIUGNO 2011

A CURA DI
GUIDO BASTIANINI E ANGELO CASANOVA

Istituto Papirologico «G. Vitelli»


Firenze 2012
LE EKDOSEIS ANTICHE DI OMERO NEI PAPIRI*

1. Introduzione
Da quel che sopravvive della letteratura erudita antica sui poemi omerici
sappiamo che già prima dell’epoca ellenistica circolava un certo numero di
esemplari dell’Iliade e dell’Odissea, indicati dalle fonti con il termine ejkdov‡ei‡.
Nel materiale scoliografico, in particolare quello risalente a Didimo, si
trovano numerosi riferimenti a tali testi, chiamati in causa come testimoni di
lezioni o di gruppi di versi. La loro natura e le loro caratteristiche restano
alquanto vaghe, ma pare assodato che l’espressione e[kdo‡i‡ non debba essere
intesa nel senso di “edizione” come opera di consapevole e responsabile
costituzione testuale, bensì nel significato di “testo”, “copia” messa a
disposizione di altri1. Il lavoro di emendamento proprio dell’attività filologica
era piuttosto designato, almeno dall’età alessandrina, dal termine diovrqw‡i‡:
ciò che si trovava in una ekdosis poteva essere il prodotto appunto di questo
lavoro di diorthosis (vd. infra).
Dal modo con cui le fonti si riferiscono a tali esemplari, è possibile
distinguerli in tre gruppi, dai quali sfugge qualche caso particolare (vd. infra
e Tabelle 1.1-1.5):
1) alcuni erano identificati con il nome di una città o di una regione (kata;
povlei‡);
2) altri grazie al nome di uno studioso o di un possessore (kat∆ a[ndra);
3) altri ancora venivano raccolti, in maniera del tutto generica, sotto la
denominazione collettiva di koinaiv (scil. ejkdov‡ei‡).
Questi ultimi, privi di un’identità individuale, si trovano anche indicati
come aiJ koinovterai, aiJ dhmwvdei‡ o, in senso dispregiativo, aiJ eiJkaiovterai
(“copie ordinarie”)2. Accanto all’espressione aiJ koinaiv al plurale, si trova
anche hJ koinhv, in alternanza con la prima negli scolî di tradizione medievale

*
I risultati qui esposti sono il frutto di una ricerca condotta in stretta collaborazione dalle due
autrici. La stesura dei paragrafi 1 e 3 si deve a Lara Pagani, quella dei paragrafi 2, 4 e 5 a Serena
Perrone. Da parte di entrambe un sentito ringraziamento ad Albio C. Cassio, Walter Lapini,
Fausto Montana e Franco Montanari per la lettura in anteprima del contributo e per i preziosi
consigli.
1
Van Groningen 1963; West 2001, p. 50.
2
Per la coincidenza di aiJ dhmwvdei‡ e aiJ eiJkaiovterai con le koinai; ejkdov ‡ei‡, vd. Allen 1924, pp.
277-278; Haslam 1997, p. 71; West 2001, pp. 50-51. AiJ dhmwvdei‡ sono citate in: sch. Did. Il. V 881a1;
XIV 125b1 ecc. (vd. Erbse 1969-1988, VI, p. 304, Index III, s.v. dhmwvdh‡; West 2001, p. 50); aiJ
eiJkaiovterai si trovano in: sch. Did. Il. IX 324c1; XVIII 376a ecc. (vd. Erbse 1969-1988, VI, p. 323,
Index III, s.v. eijkai'o‡; West 2001, pp. 50-51); sch. Od. I 117; V 232; XIV 428 ecc. (vd. Dindorf 1855,
II, p. 797, Index scriptorum, s.v. õOmhro‡). Per le occorrenze di koinovterai vd. infra, nota 98.
98 Lara Pagani - Serena Perrone

(vd. Tabella 1.3)3, esclusivamente in tale forma al singolare nei papiri noti
sino ad ora, come vedremo. Si è ipotizzato4 che la koine fosse in realtà il testo
di Atene, non identificato esplicitamente come tale ma indicato in maniera
generica in quanto testo base: ciò spiegherebbe la curiosa assenza di ogni
cenno a testi ateniesi nella tradizione erudita alessandrina, ma l’idea che la
koine sia un modo per riferirsi al testo base è parsa difficilmente conciliabile
con la scarsa considerazione ad essa riservata nella tradizione scoliografica5. È
stato ben chiarito da Michael Haslam che, qualunque cosa fossero questi
“testi comuni”, essi non devono essere identificati con la nostra vulgata –
intesa come l’astratto insieme delle lezioni recate da tutti o dalla maggior
parte dei manoscritti6 – dalla quale essi si distinguono per quasi la metà delle
lezioni a loro attribuite7.
Altre indicazioni generiche presenti negli scolî sono infine aiJ cariev‡terai /
cariev‡tatai, aiJ pa'‡ai / a{pa‡ai, aiJ pleivou‡, ajrcai'ai8. A che cosa esse si
riferissero esattamente e quali potessero essere le loro relazioni reciproche
sono questioni che restano ai margini della nostra ricerca9.
Vi erano poi esemplari identificati grazie al nome di una città o di una
regione, o con espressioni collettive quali aiJ ajpo; tw'n povlewn, aiJ kata; povlei‡,

3
Per i passi vd. infra, nota 98. Cfr. Dindorf 1855, II, p. 797, Index scriptorum, s.v. õOmhro‡; La
Roche 1866, pp. 89-90; Allen 1924, pp. 271-276 (con discussione alle pp. 277-282); Erbse 1969-1988,
VI, p. 385, Index III, s.v. koinov‡, 2; West 2001, p. 50. Per l’alternanza di plurale e singolare vd. le
opinioni di Nagy 2009, pp. 42-43 e 67, e cfr. infra.
4
Jensen 1980, pp. 109-111; Nagy 1996, p. 187 ss.; Nagy 2009.
5
Haslam 1997, p. 71.
6
Una sintetica e chiara spiegazione del concetto di vulgata in relazione al testo omerico è
offerta da Haslam 1997, p. 63.
7
Haslam 1997, p. 71; cfr. Chantraine 1948, pp. 26-27.
8
Per aiJ cariev‡terai / cariev‡tatai, vd., per es., sch. Did. Il. II 53a1 e a2; II 192b2; III 362a2 ecc.
(vd. Erbse 1969-1988, VI, p. 526, Index III, s.v. carivei‡); sch. Od. I 379; II 170; VI 291 ecc. (vd.
Dindorf 1855, II, pp. 797-798, Index scriptorum, s.v. õOmhro‡). Per aiJ pa'‡ai / a{pa‡ai, vd., per es.,
sch. Did. Il. I 117b2; I 123-124; I 435c ecc. (vd. Erbse 1969-1988, VI, p. 444, Index III, s.v. pa'‡ e p. 268,
s.v. a{pa‡); sch. Od. VI 100; VI 108; XIII 279 ecc. (e ‡cedo;n pa' ‡ai: sch. Od. VI 108; XIV 133; XVIII 28;
vd. Dindorf 1855, II, p. 797, Index scriptorum, s.v. õOmhro‡). Per aiJ pleivou‡, vd., per es., sch. Did. Il.
II 53a1 e a2; IV 213 b1; VII 197a2 ecc. (vd. Erbse 1969-1988, VI, p. 452, Index III, s.v. pleivwn); sch. Od.
XII 422 (vd. Dindorf 1855, II, pp. 797-798, Index scriptorum, s.v. õOmhro‡). Per ajrcai'ai, sch. Did. Il.
IX 657a.
9
Secondo West 2001, pp. 51-52, tali denominazioni risalirebbero a Didimo, che le avrebbe
utilizzate per designare una medesima cosa: con “tutte” le ekdoseis (aiJ pa'‡ai / a{pa‡ai) egli non
avrebbe inteso letteralmente tutti gli esemplari a lui accessibili, ma un gruppo selezionato di
manoscritti che riteneva pregevoli e che era solito consultare (aiJ cariev‡terai / cariev‡tatai);
questo gruppo avrebbe incluso tanto testi kata poleis quanto kat’andra, nonché quelli designati
come ajrcai' ai. Uno scenario completamente diverso è presupposto da Nagy 2004, pp. 49 ss., 88
ss., secondo il quale questi riferimenti risalirebbero non a Didimo, ma già ad Aristarco. Cfr. Nagy
2009, pp. 11-14.
Le ekdoseis antiche di Omero nei papiri 99

aiJ politikaiv e qualche altra analoga 10. Le “ekdoseis delle città” che si trovano
citate negli scolî sono, in ordine di frequenza: la Massaliotica, la Chia,
l’Argolica, la Sinopense, la Cipriota, la Cretese11, per l’Iliade; la Massaliotica,
l’Argolica, la Eolica, per l’Odissea12 (vd. Tabella 1.1). Sulle ragioni per cui
questi testi fossero noti con nomi di luoghi sono state formulate svariate
ipotesi: si è pensato che si trattasse di testi ufficiali locali, di proprietà di
gruppi municipali o redatti su loro ordine, e conservati per uso pubblico13; di
esemplari ufficiali destinati all’insegnamento14; di edizioni preparate ad
Alessandria per essere esportate ciascuna nel luogo da cui prendeva nome15;
o ancora di esemplari trascritti dal supposto testo ufficiale di Atene dietro
richiesta delle città da cui prendevano nome16. L’interpretazione più
largamente condivisa, risalente a Friedrich August Wolf, vuole che i nomi
geografici con cui queste copie circolavano indicassero il luogo della loro
provenienza e che fossero impiegati come mezzo di identificazione di tali
esemplari, una volta che essi fossero confluiti nella biblioteca di
Alessandria 17. Anche sul valore delle lezioni offerte dai testi delle città vi è

10
Per aiJ ajpo; tw'n povlewn: sch. Did. Il. XIX 386b1; XXI 454c; XXI 576a ecc. Per aiJ kata; povlei‡:
sch. Did. Il. XXI 11a; XXI 86d; XXI 535a1 ecc. Per aiJ politikaiv: sch. Did. Il. XXIII 77a1; XXIV 30a. Ad
esse si aggiungano: aiJ ej k tw' n povlewn (sch. Did. Il. XXI 351), aiJ dia; tw'n povlewn (sch. Did. Il. XX 308)
(vd. Erbse 1969-1988, VI, p. 457, Index III, s.vv. povli‡ e politikov‡). Il fatto che queste espressioni
collettive si trovino solo negli scolî ai libri XIX-XXIV dell’Iliade è interpretato da West 2001, p. 67
come sintomo di un approccio via via più sbrigativo con il procedere del lavoro, da parte di
Didimo o di chi fece in seguito excerpta dal suo materiale. Come si vedrà, il dato offerto dai papiri
non è in contrasto con questa tendenza, poiché la dicitura generica si riscontra in una nota al XIX
e, forse, in una al XXI libro dell’Iliade.
11
L’esistenza di una ekdosis di Creta può risultare sorprendente, considerata anche l’osserva-
zione posta da Platone in bocca al cretese Clinia, secondo il quale i Cretesi “non praticavano
affatto i poemi stranieri”, ragion per cui egli di Omero conosceva solo qualche verso (kai; ga;r dh;
kai; a[lla aujtou' [scil. ÔOmhvrou] dielhluvqamen mavl∆ aj‡tei'a, ouj me;n pollav ge: ouj ga;r ‡fovdra crwvmeqa
oiJ Krh'te‡ toi'‡ xenikoi' ‡ poihvma‡in, Leg. 680c): cfr. Allen 1924, p. 291 e nota 1.
12
Per gli scolî in cui questi testi sono citati, vd. Allen 1924, pp. 283-288 (con discussione alle
pp. 289-296); Citti 1966, con un’analisi dettagliata dei singoli passi (sono isolate una sessantina di
citazioni per l’Iliade e sei per l’Odissea) e una riflessione generale sui testi delle città.
13
Villoison 1788, p. XXVI.
14
Birt 1913, p. 309.
15
Bolling 1925, p. 41; contra Chantraine 1948, pp. 24-25; Citti 1966, p. 42; West 2001, p. 68, nota 74.
16
Jensen 1980, pp. 109-111.
17
Wolf 1795, pp. 177-178. Cfr. Van Groningen 1963, p. 12; Citti 1966, p. 42; Haslam 1997, p. 69;
West 2001, p. 68. In relazione a questo punto, Wolf (p. 178) richiama l’aneddoto raccontato da
Galeno (in Epid. III II 4), secondo cui un re Tolemeo (forse l’Evergete) aveva stabilito che
chiunque giungesse ad Alessandria dovesse consegnare i libri che aveva con sé, di cui gli
venivano restituite delle copie; gli originali erano destinati alla biblioteca di Alessandria, dove
erano contrassegnati con la formula tw'n ejk ploivwn insieme al nome del possessore: cfr. Allen
1924, pp. 291-294. A un’acquisizione più desultoria e meno sistematica pensa West 2001, pp. 68-
69, il quale ammette comunque che episodi del tipo narrato da Galeno possano essersi verificati
in qualche caso.
100 Lara Pagani - Serena Perrone

stato un vivace dibattito18. Qui ci limiteremo a dire che essi testimoniano


omissioni, varianti e occasionalmente versi in più, e non rivelano, se non in
qualche rara e isolata eccezione, una particolare coloritura dialettale legata al
luogo di cui portano il nome19: alcune di queste lezioni sono giudicate
superiori a quelle della vulgata (nel qual caso esse concordano per lo più con
altre copie antiche, come certe ekdoseis kat’andra) e molte, d’altra parte, sono
considerate inferiori (e allora la coincidenza tra diverse ekdoseis kata poleis o
tra una di loro e altre copie antiche acquista un significato rilevante per la
storia del testo e le possibili relazioni reciproche di questi esemplari20).
Comunque siano valutate le varianti attestate da queste ekdoseis, non si può
che concordare con Haslam sul fatto che esse ci aprono un gradito spiraglio
sull’aspetto che dovevano avere antichi testi di Omero in altre parti del
mondo al di fuori dell’Egitto21.
Un’ulteriore categoria di copie antiche di Omero è quella indicata con
l’espressione collettiva aiJ kat∆ a[ndra22 o, più di frequente, con specifici nomi
di persona, presumibilmente studiosi o comunque proprietari di quell’esem-
plare. Nella Tabella 1.2 si trova un resoconto schematico delle attestazioni in
cui compaiono espressioni costituite dall’articolo hJ seguito dal genitivo del
nome di un erudito antico o da katav con l’accusativo o dall’aggettivo derivato
(es. hJ ∆Antimavc ou / hJ kat∆ ∆Antivmacon / hJ ∆Antimavceio‡23), anche se, data la
problematica natura e forma di questi lavori – di cui diremo fra poco –
almeno in alcuni casi, non si può escludere che fossero sottintesi termini
diversi da e[kdo‡i‡, quali diovrqw‡i‡, levxi‡, o anche grafhv. D’altra parte, bisogna
tenere presente che tali ekdoseis possono essere evocate dalle fonti anche con
la semplice menzione del nome del grammatico: infatti ogni volta che sia
riportata una lezione di un filologo antico noto come “titolare” di una ekdosis,
il riferimento, a livello concettuale, è con ogni probabilità proprio alla sua
ekdosis. Qui tuttavia sono studiati solo i casi che testimoniano positivamente

18
Un quadro si trova in Citti 1966, pp. 5-6 (e conclusioni alle pp. 38-43); per aggiornamenti
vd. Haslam 1997, pp. 69-70 e West 2001, pp. 68-72. Le posizioni più critiche nei confronti di questi
esemplari sono state sostenute da van der Valk 1949, pp. 14-21 e 1963-1964, II (cfr. Bolling 1925,
pp. 37-41 e, più di recente, Janko 1992, p. 26 e nota 29).
19
Cfr. Allen 1924, pp. 295-296.
20
Cfr., per questo, Citti 1966; West 2001, pp. 50-73, con bibliografia.
21
Haslam 1996, pp. 70-71, il quale sostiene, tra l’altro, che la provenienza di questi testi da
luoghi remoti, come Marsiglia o Sinope, o dalla supposta patria di Omero, Chio, faccia pensare a
un «calculated desire to get texts from peripheral areas» (p. 70); contra, West 2001, p. 69, giudica
questa ipotesi come «an astonishing anticipation of a modern methodological insights».
22
Sch. Did. Il. XXII 108a1; XXIII 88a1.
23
Le tre denominazioni sono attestate rispettivamente in: sch. Did. Il. I 298c1; V 461b; XIII 60b
/ sch. Did. Il. I 423-424; I 598a / sch. Did. Il. XXIII 870-871a1; sch. Od. I 85. Cfr. Erbse 1969-1988, VI,
p. 16, Index I, s.vv. ∆Antimavceio‡ e ∆Antivmaco‡.
Le ekdoseis antiche di Omero nei papiri 101

ed esplicitamente l’esistenza di ekdoseis kat’andra grazie alle espressioni


indicate sopra. La più antica di queste ekdoseis, a quanto ne sappiamo, è
quella detta “di Antimaco”, cui si è appena accennato, dal momento che è
invalsa, a partire da Wolf, l’identificazione di questa figura con Antimaco di
Colofone24. A un’epoca di poco posteriore può risalire la ekdosis di un oscuro
Euripide, della quale si sa pochissimo25 (vd. Tabella 1.5). Arrivando all’età
ellenistica, ekdoseis sono attestate, con i tipi di formulazione accennati sopra,
per Zenodoto di Efeso26, Riano di Creta27, gli altrimenti ignoti Filemone e
Sosigene 28, Aristofane di Bisanzio29 e il suo allievo Callistrato30, nonché
Aristarco di Samotracia31. Per quanto riguarda la natura di queste opere, un
lavoro di cosciente emendamento testuale e quindi una responsabilità sulla
costituzione del testo sono assodati a partire da Zenodoto, indicato dalle fonti
come il prw'to‡ tw'n ÔOmhvrou diorqwthv‡32. Avremo occasione, più avanti, di fare
un cenno al problema del valore del lavoro di diovrqw‡i‡ degli Alessandrini e
alla connessa questione se esso comportasse anche la collazione di diversi
esemplari o si fondasse meramente su congetture ope ingenii. Per la fase più
antica – e quindi sostanzialmente per Antimaco, poiché di Euripide cono-
sciamo troppo poco –, si è ritenuto da una parte che si trattasse di un testo
frutto di un lavoro di “correzione”33, e dall’altra che ciò non sia sostenibile
sulla base di quanto ci è noto e che la ekdosis detta “di Antimaco” si debba
interpretare semplicemente come la copia personale di Antimaco34. Esistono

24
Wolf 1795, pp. 181-183. Vd. anche La Roche 1866, pp. 22-23; Allen 1924, pp. 297-299; Wyss
1936, pp. XXIX-XXXI; Pfeiffer 1968, pp. 94-95; Matthews 1996, pp. 46-51, 373-403; West 2001, pp.
52-53.
25
Pagani 2006, con bibliografia.
26
West 2001, pp. 33-45, 54-56; West 2002.
27
La Roche 1866, pp. 43-49; Aly 1914, col. 788 ss.; Pfeiffer 1968, p. 122; West 2001, pp. 56-58;
Leurini 2007.
28
West 2001, pp. 58-59; Ucciardello 2005; Pagani 2011.
29
Pfeiffer 1968, pp. 174-178; Slater 1986, pp. 205-210; Bossi 1990; West 2001, pp. 59-60.
30
Barth 1984, per le cui riserve sul fatto che a Callistrato si possa attribuire una ekdosis di
Omero, vd. infra, nota 78; West 2001, pp. 60-61; Montana 2007 (rev. 2008); Montana 2008, in
partic. pp. 80-81, nota 23.
31
Pfeiffer 1968, p. 217; Montanari 1996, col. 1091; West 2001, pp. 61-67; Montanari 2003. Vd.
anche la bibliografia citata infra, nota 77.
32
Sud. z 74, s.v. Zhnovdoto‡.
33
Wyss 1936, pp. XXIX-XXXI, il quale non affrontava la questione in maniera problematica,
parlando senz’altro di “Antimachi recensio” ed “editio”; Fraser 1972, I, pp. 448-449 e II, p. 648,
nota 9 (i riferimenti al testo di Antimaco sono formulati negli stessi termini usati per le edizioni
di Zenodoto e degli altri Alessandrini); Matthews 1996, pp. 46-51; cfr. Chantraine 1948, p. 26 e
Pontani 2005, p. 33.
34
Pfeiffer 1968, p. 94 (l’opera di Antimaco non è mai chiamata diovrqw‡i‡ e, d’altra parte, è
Zenodoto il grammatico ricordato dalla tradizione come “primo diorqwthv‡ dei poemi omerici”);
West 2001, p. 53.
102 Lara Pagani - Serena Perrone

inoltre rilevanti incertezze sulla forma stessa di questi prodotti, dal momento
che, secondo alcuni studiosi, essi dovevano essere, più che veri e propri testi
continui, delle note critiche apposte ai margini di una copia già esistente35.
Nel caso delle ekdoseis kat’andra insomma il termine ekdosis sembra assumere
un significato più specifico, a indicare non solo un “esemplare” di un testo
ma una copia contenente il prodotto della diorthosis di quel testo da parte di
un erudito. Perciò, quando le fonti antiche menzionano la ekdosis di un
grammatico come, per esempio, Aristarco, fanno riferimento a un testo da lui
costituito secondo precise scelte esegetiche e filologiche: una situazione
alquanto differente rispetto alle copie kata poleis o a quelle “comuni” 36.
Alcuni altri esempi di testi individuati con un’espressione specifica dalle
fonti antiche sono (vd. Tabelle 1.4 e 1.5): una ekdosis detta poluv‡tico‡, presu-
mibilmente caratterizzata dalla presenza di versi “addizionali”37; due ekdoseis
dell’Odissea, indicate dagli scolî rispettivamente come hJ kuklikhv38, forse parte
di una sorta di Gesamtausgabe del ciclo epico39, e come hJ ejk ÊMou‡eivwn o hJ ejk
Mou‡eivou secondo la correzione di Buttmann40, che si è ipotizzato fosse un
esemplare custodito nel tempio delle Muse annesso alla biblioteca di
Alessandria 41; la cosiddetta “Iliade della cassetta” (hJ ejk tou' navrqhko‡), la copia
che la tradizione vuole sia stata riveduta da Aristotele e da lui donata ad
Alessandro Magno42; la non meglio nota “Iliade di Apellicone” o
“dell’Elicona” – il passo è corrotto – citata nei prolegomena del codice romano
degli scolî D43.

35
Haslam 1997, pp. 69-70; Montanari 2002 e Montanari 2009.
36
Vd. infra, § 4 per una discussione sul problema della koine.
37
Essa è citata in sch. Did. Il. I 285b1; I 340a; IV 334-335 (cfr. Erbse 1969-1988, VI, p. 458, Index
III, s.v. poluv‡tico‡). Vd. Cantarella 1929; West 2001, p. 72.
38
Sch. Od. XVI 195; XVII 25.
39
Lehrs 18823, p. 26, nota 9; West 2001, p. 73.
40
Sch. Od. XIV 204.
41
Dindorf 1855, apparato ad loc.; Lehrs 18823, p. 26, nota 9.
42
Vita Marciana, p. 427, 5 Rose; Plut. Alex. VIII 2; Strab. XIII 1, 27. Vd. La Roche 1866, pp. 23-
24; Richardson 1994, p. 9; Sanz Morales 1994; Nagy 1996, p. 121; Nagy 1998, pp. 230-232; West
2001, pp. 72-73. Per Pfeiffer 1968, pp. 71-72, ci si può spingere ad ammettere, sulla base delle
fonti, solo che Alessandro avesse una sua copia dell’Iliade e che l’avesse ricevuta dal suo maestro
Aristotele, ma non che questi fosse responsabile di una recensione del testo.
43
Prolegomena del ms. Bibl. Naz. Roma, Rom. gr. 6, editi per la prima volta nell’Anecdotum
Romanum di F. Osann e da ultimo da Montanari 1979, pp. 50-56, che nel passo in questione
stampa hJ dokou'‡a ajrcai'a ∆Iliav‡, legomevnh de; Êajp∆ elikw'no‡Ê (ajp∆ ÔElikw'no‡ vel pot. ajf∆ ÔElikw'no‡
Osann: ajp∆ ÔElikw' no‡ prob. Sittl: ∆Apellikw'no‡ Ribbeck, Nauck, Wehrli: ∆Apellikw'nto‡ Schimberg,
Wilamowitz). Vd. West 2001, p. 73.
Le ekdoseis antiche di Omero nei papiri 103

2. Le acquisizioni papiracee
Il quadro offerto dalla tradizione scoliografica medievale ha potuto via via
ampliarsi e trovare elementi di confronto nelle acquisizioni papiracee. Tracce
di queste questioni riemergono infatti nei frammenti di papiri di esegesi
omerica, in alcune annotazioni marginali e in commentari estesi che
contengono riferimenti alle ekdoseis antiche 44. Si è deciso quindi di verificare
se una rassegna aggiornata di quanto restituito dalla tradizione papiracea
potesse contribuire in qualche modo a far luce sui numerosi interrogativi
ancora aperti: che tipo di varianti forniscono le ekdoseis delle città? A che
epoca risalgono queste ekdoseis? Erano utilizzate dagli Alessandrini? E che
relazione possono avere quindi con certe ekdoseis kat’andra? E ancora, a cosa si
riferivano esattamente gli esegeti antichi con hJ koinhv e in che rapporto si
poneva questa con le altre ekdoseis?
Le menzioni di ekdoseis nei papiri corrispondono ai tre tipi principali
appena descritti: troviamo infatti riferimenti a ekdoseis politikai, a ekdoseis
kat’andra e citazioni di un testo “comune”, che compaiono, come detto,
sempre nella forma al singolare hJ koinhv. Lo schema proposto nella Tabella 2
riassume la situazione a oggi.
Erano finora noti sette papiri con tali riferimenti – in effetti non molti se
consideriamo la quantità di papiri di esegesi omerica –, a cui ora possiamo
aggiungere un ottavo frammento, un papiro ossirinchita inedito su cui
torneremo brevemente. Si tratta di documenti di età romana, per lo più
databili al IIp. Quattro di essi restituiscono hypomnemata o testi esegetici estesi
non meglio definibili: P.Oxy. LXV 4452v (MP3 1203.01; LDAB 1692, IIp);
P.Oxy. II 221v (MP3 1205; LDAB 1631, IIp); P.Oxy. ined. 105/40 (IIp?); P.Oxy.
LIII 3710 (MP3 1212.01; LDAB 1690, II/IIIp). Gli altri quattro sono copie del
testo omerico con annotazioni marginali: P.Berol. inv. 11759 (MP3 1119; LDAB
1424, I/IIp); P.Hawara 24-28 (MP3 616; LDAB 1695, IIp); P.Oxy. IV 685 (MP3
950; LDAB 1698, IIp); P.Oxy. III 445 (MP3 778; LDAB 1799, II/IIIp).
Ogni considerazione su questi frammenti, non sarà superfluo ripeterlo,
deve essere valutata tenendo conto della parzialità e della casualità dei
ritrovamenti e dello stato spesso frammentario di questi testimoni. Dando per
acquisita questa premessa, possiamo tentare di trarre alcuni dati dalle
evidenze di cui oggi disponiamo. Un primo elemento che salta agli occhi è
una differenza tipologica: i riferimenti alla koine si trovano sempre e solo nei
marginalia, a volte accompagnati da confronti con le lezioni aristarchee;

44
Esistono anche riferimenti a copie di Omero in testi di natura non strettamente filologica,
come, per es., un frammento dei Ke‡toiv di Giulio Africano (P.Oxy. III 412, IIIp), in cui manoscritti
omerici di Gerusalemme in Palestina, di Nisa di Caria e di Roma sono menzionati per la
presenza di un certo numero di versi da inserire dopo Od. XI 43. Vd. Van Groningen 1963, p. 12.
104 Lara Pagani - Serena Perrone

all’opposto i riferimenti a ekdoseis kata poleis e a ekdoseis kat’andra non


esclusivamente aristarchee si trovano solo in testi esegetici estesi. Questa
differenza tra tipi di prodotti esegetici potrebbe anche non essere il frutto di
una deformazione prospettica legata alla fortunosità dei ritrovamenti, ma
rispondere a reali e concrete diversità nei contenuti di queste fonti.

3. Gli hypomnemata: ekdoseis kata poleis e kat’andra


I papiri esegetici con menzioni di ekdoseis in testi estesi consistono in tre
hypomnemata, relativi rispettivamente al XIX libro dell’Iliade (P.Oxy. LXV
4452v, IIp), al XXI libro dell’Iliade (il celebre P.Oxy. II 221v, IIp, noto come
“commentario di Ammonio”) e al XX libro dell’Odissea (P.Oxy. LIII 3710,
II/IIIp). Ad essi abbiamo l’opportunità di aggiungere un inedito frammento
ossirinchita, attualmente in corso di studio (P.Oxy. ined. 105/40), che
conserva resti di un testo di esegesi omerica la cui natura al momento non è
meglio definibile (vd. Tabella 2).
In questi frammenti si trova menzione di quattro diverse ekdoseis kata poleis
– oltre a uno o due riferimenti generici collettivi –, di quattro o cinque ekdoseis
kat’andra, nonché almeno un paio di possibili ulteriori citazioni non più
identificabili perché in lacuna45.

Ekdoseis kata poleis


Nei commentari all’Iliade sono nominati il testo Massaliotico per la
presenza in esso di cinque versi, altrimenti ignoti, in luogo del nostro v. 351
del XIX libro (P.Oxy. LXV 4452v, fr. 1, 17-18); il testo Cretese per l’assenza in
esso dei vv. 290-292 del XXI libro (P.Oxy. II 221v, col. XVII 27); le ekdoseis delle
città, nel complesso, per una variante testuale al v. 386 del XIX libro – la
discussione è molto lacunosa nel papiro, ma si può ricostruire, benché non
senza problemi, grazie al parallelo degli scolî46 – (P.Oxy. LXV 4452v: ajçp˚o˚; t˚w'˚n˚

45
P.Oxy. LXV 4452v, frr. 2, 7 e 8, dove si legge rispettivamente ejn˚ d˚e; th'åi e kai; ejn th'i û å.
Haslam (1998, pp. 41-42), appoggiandosi a quanto noto dagli scolî, propone di riconoscere nella
prima delle due ekdoseis in lacuna quella di Aristofane (e.g. ejn˚ d˚e; th'åi û ∆Ari‡tof(avnou‡) tw'i d∆ w{‡te
pçt˚erav, rr. 7-8) e nella seconda uno dei due testi di Aristarco (kai; ejn th'i û åeJtevrai ∆Ari(‡tavr)c(ou), rr.
8-9); quest’ultimo sarebbe stato menzionato insieme alle ekdoseis kata poleis per la lezione tw'/ d∆
au\te (kai; ejn th'i û åeJtevrai ∆Ari(‡tavr)c(ou) kai; tai'‡ ajçp˚o˚; t˚w˚' n˚ p˚ovl˚ewn û åtw'i d∆ au\te pterav, i{na leivph/ to;
wJ‡, rr. 8-10). Qualcosa del genere non è inverosimile.
46
In sch. Did. Il. XIX 386a si legge: 1) bisogna scrivere tw'/ d∆ eu\te, in modo che sia “come ali
per la leggerezza”; 2) Aristarco in un primo momento scriveva tw'/ d∆ eu\te, in quanto equivalente,
per sistole, di hju?te, come in Il. III 10 (“come sulle vette di un monte”), ma poi cambiò la sua
lezione in tw'/ d∆ au\te, pensando che fosse più espressivo se il “come” era sottinteso. Un secondo
scolio di Didimo (386b1) dice invece: 1) Aristarco scriveva tw'/ d∆ eu\te, con e, per sistole da hju?te; 2)
in Aristofane c’era tw'/ d∆ w{‡te; 3) nelle ekdoseis ajpo; tw'n povlewn c’era tw'/ d∆ au\te, senza “come”.
Nello sch. 386b2 si trova che Aristarco aveva eu\te, mentre lo sch. 386b3 riporta la spiegazione di
Le ekdoseis antiche di Omero nei papiri 105

p˚ovl˚ewn, fr. 2, 9). Infine, è possibile che un’altra citazione delle ekdoseis politikai
nel loro insieme, di nuovo per una variante, si trovasse nel “commentario di
Ammonio”, ma essa è completamente integrata nel papiro sulla base della
tradizione scoliastica (P.Oxy. II 221v: å aiJ ejk tw'n povlûewn ç, col. XVII 2-3)47. Il
commentario all’Odissea registra, ancora per ragioni di costituzione del testo,
la ekdosis Cipriota 48 (P.Oxy. LIII 3710, fr. b, II 8), fornendone così l’unica
attestazione finora nota in relazione a questo poema49. Per quanto riguarda
l’inedito ossirinchita, esso menziona – allo stato attuale non si è in grado di
dire a quale proposito – le ekdoseis Sinopense e Massaliotica, a distanza di un
rigo l’una dall’altra, quindi verosimilmente all’interno della stessa pericope.
In due casi, come si è accennato, queste ekdoseis sono chiamate in causa a
proposito di differenze nel numerus versuum, un punto che ha un certo rilievo,
come noto, per la filologia omerica antica50. Per quanto riguarda i cinque versi
“addizionali” della Massaliotica, essi sono registrati nel P.Oxy. LXV 4452v per
un passo in cui né la tradizione scoliastica né Eustazio conservano traccia di
alcuna osservazione o problema (Il. XIX 351): il “nostro” v. 351 vi compare
modificato in modo che la prima parte (fino alla dieresi bucolica) costituisca
l’inizio, e l’ultima parte (l’adonio finale) costituisca la fine di una sequenza di
cinque versi prima ignoti. Benché essi siano documentati in maniera
frammentaria nel papiro, non è difficile intenderne il significato – si tratta in
sostanza di una dilatazione della narrazione senza rilievo per lo sviluppo
dell’azione51.

eu\te come derivante, per sistole, da hju?te e poi una variante au|tai, posta tra cruces da Erbse (da
intendersi molto probabilmente come au\te), “in modo che ometta il ‘come’”.
47
Nel papiro si legge una parte del lemma subito prima dell’integrazione (hjde˚; k˚åuvpeiron, r. 2)
e la variante k˚uvpaåiçråon (r. 3) che sch. Did. Il. XXI 351 attribuisce alle ekdoseis delle città (kuvpeironÚ
aiJ ejk tw'n povlewn “kuvpairon” ei\con. AintT). Cfr. Citti 1966, p. 251.
48
La variante ascritta a questa ekdosis per Od. XX 135 è leggibile solo in modo molto
frammentario. Haslam (1986, p. 104) ipotizza che si trattasse di eJthvtumon (eJtåhvtçu˚mon aijtåiovwio, r.
8), neutro avverbiale “in verità”, al posto di ajnaivtion, aggettivo concordato con min; la
registrazione della variante poteva essere seguita dalla precisazione circa la necessità di
sottintendere un ou{tw‡ (i{n∆ uJçpakou‡qh'i ou{åtw‡, rr. 8-9: «you would not with truth accuse her
(thus)»). L’ipotesi è plausibile (cfr. Il. XIII 111) anche paleograficamente; tuttavia, considerata la
larghezza della colonna, pare improbabile che il lemma riportato al r. 6 si estendesse fino alla fine
del verso (è leggibile soltanto åoujk a[ç n min nu'n, tevkånon) e quindi che lì fosse registrato il termine
ajnaivtion, oggetto di discussione. Nessun aiuto proviene dagli scolî di tradizione medievale, che
non registrano alcuna variante per questo verso.
49
Essa è documentata cinque volte negli scolî all’Iliade, mai in quelli all’Odissea (vd. Citti
1966, p. 228).
50
Cfr., per es., Allen 1924, p. 202 ss.; Apthorp 1980; Haslam 1997; West 2001; Nagy 2004, pp.
18, 52 ss.; Nagy 2009, pp. 14-19.
51
Cfr. Haslam, P.Oxy. LXV 4452, p. 40, per una proposta di ricostruzione exempli gratia.
106 Lara Pagani - Serena Perrone

Il. XIX 351: oujranou' ejkkatepa'lto di∆ aijq evro‡. aujta;r ∆Acaioiv

P.Oxy. LXV 4452v fr. 1, 11-18:


ou j r aån ou' ej k ka t epa ' l t o di∆
aij ç qev r o˚ å ‡ç a˚ j t r u ge˚ v t åoi o
nå ˚ ˙ ˚ ˚ ç aå ˚ ç ∆ A˚ r ˚ g eiv o i‡i kele˚ å u
fqe˚ g ˚ x ˚ a ˚ m ˚ e v n h, p eri ˚ ; d˚ å
15 gai ' a , a j t årç u ˚ v g ˚ e t o‡ d e; q av å la‡‡
ou [ r ea˚ m˚ a ˚ k ˚ r ˚ a v dein o; n å
gl au kwv p ˚ i ˚ d ˚ o ˚ ‡ ˚ : au j t a; r ∆A ˚ å c ai oiv ejn th'i
Ma‡˚‡al˚i˚w˚t˚i˚kh'i proå
kai;˚ Dion˚uv˚‡˚i˚o˚‡˚ oJ tou' c˚aå
20 pråo;ç‡ Kall˚iv˚‡˚trato˚n˚åejn
dV p˚e˚r˚i˚; ∆Od˚u˚‡‡eiva˚å‡
pav˚l˚i˚n˚ k˚aåtçhnevcqåh
“wJ‡˚ p˚ålçh˚g˚e˚i;˚‡˚ aj˚nepa'ålto” (Il. XXIII 694).

I cinque versi sembrano essere riportati nel papiro come un lungo lemma.
La relativa nota registra innanzi tutto la presenza dei versi in questione nella
Massaliotica52 e fa in seguito riferimento ad auctoritates di non semplice identi-
ficazione: un Dionisio – forse l’allievo di Cheremone 53 –, Callistrato – ma non
è escluso che il nome di Callistrato faccia invece parte del titolo di un’opera
(Pro;‡ Kalliv‡traton) 54 – e uno scritto Sull’Odissea, in almeno quattro libri
(eventualmente attribuibile a Callistrato55). Il testo è molto lacunoso in questa
parte e il senso è tutt’altro che chiaro, ma è verosimile che il commento, dopo
aver riferito la fonte testuale dei versi addizionali (rr. 17-18), desse notizia di
una discussione tra esegeti antichi relativamente ad essi (rr. 19-21)56.
La circostanza che questi versi siano riportati, a quanto pare, come lemma
fa pensare, in prima battuta che essi facessero parte del testo iliadico usato
come base di riferimento per la composizione dello hypomnema e che questo
testo corrispondesse alla ekdosis Massaliotica. Tuttavia, altre possibilità sono
da considerare, sulla base del fatto che la segnalazione della presenza di
questi versi nella Massaliotica, che si legge nel commentario, comporta la
consapevolezza di una discrepanza in quel punto rispetto ad altre versioni. Ci

52
Haslam, P.Oxy. LXV 4452, p. 40, propone per p r o å di r. 18 l’integrazione: proåfevrontai
(proå‡kei'ntai, sim.) oiJ ‡tivcoi.
53
Haslam, P.Oxy. LXV 4452, pp. 30, 40; Montanari 2001, p. 978.
54
Così Montanari 2001, p. 978.
55
Haslam, P.Oxy. LXV 4452, pp. 30, 40; Pontani 2005, p. 49, nota 86.
56
Cfr. Haslam, P.Oxy. LXV 4452, p. 39 e Montanari 2001, p. 979.
Le ekdoseis antiche di Omero nei papiri 107

si domanda in quale modo fosse stata raggiunta tale consapevolezza:


nell’ipotesi che il commentario si fondasse su un testo corrispondente a
quello Massaliotico, si può immaginare che l’estensore dello hypomnema
avesse confrontato il suo testo base con altre copie e avesse ritenuto elemento
degno di nota la presenza in esso dei versi in più. Ma si possono aprire anche
altre prospettive: forse il testo di riferimento non era quello della Massaliotica
e i versi “addizionali” erano stati ricavati per collazione da un altro
esemplare (che si sapeva essere la Massaliotica) e messi a lemma per
commentarli? Oppure ancora il testo di riferimento era una copia dell’Iliade
che era stata oggetto di cure e interventi filologici e in cui i cinque versi erano
già registrati (nel testo o nel margine) come propri della Massaliotica57? La
questione resta insoluta.
La presenza di tali versi “addizionali” nella Massaliotica potrebbe
suggerire una datazione pre-aristarchea di questa ekdosis, secondo un’ipotesi
di Martin West, il quale però fa anche presente la possibilità che l’influenza
standardizzatrice di Aristarco sul numerus versuum non sia stata efficace in
terre lontane così presto come sembra essere accaduto in Egitto58. Del resto,
gli scolî – che nominano la Massaliotica per lo più in relazione a varianti
puntuali59 – ne tramandano un solo altro esempio relativo a una divergenza
nel numero di versi, ed esso è di segno contrario rispetto a quello appena
visto: si tratta di Od. I 97-98, due versi che Aristarco espungeva in quanto
ripetuti e che la Massaliotica non presentava affatto60. Difficile dire in base a
dati così ambigui se l’oscillazione nel numero dei versi rispetto alla nostra
vulgata caratterizzasse questo testo nel suo complesso, se tale oscillazione
possa essere considerata sintomo della sua anteriorità rispetto alla filologia
alessandrina e, in caso affermativo, se gli Alessandrini conoscessero e
avessero accesso a tale ekdosis.
Qualcosa di più chiaro si può forse vedere nell’esempio che riguarda la
ekdosis Cretese, menzionata nel “commentario di Ammonio” all’interno di
una discussione su Il. XXI 290, che trova riscontro, in una forma molto più
sintetica, negli scolî61.

57
Sulla forma materiale del prodotto della diorthosis si veda da ultimo Montanari 2011, con
bibliografia precedente.
58
West 2001, p. 72.
59
Vd. Citti 1966.
60
Sch. Od. I 97; cfr. sch. Ariston. Il. XXIV 341-342. Vd. Montanari 2001, pp. 974-980.
61
Sch. Ariston. Il. XXI 290a: Zhno;‡ ejpainhv‡anto‡ fiejgw; kai; Palla;‡ ∆AqhvnhÃ: ajqetei'tai, o{ ti
ajpivqanon eij‡ ajndro;‡ morfh;n wJmoiwmevnon levgein ejgw; kai; Palla; ‡ ∆Aqhvnh: tiv‡ gavr ej‡tin, ouj mh; nohv‡h/.
A. Sch. ex. Il. XXI 290b: ejgw; kai; Palla;‡ ∆Aqhv nh: hJmavrthtai, o{ti to; eJ autou' o[noma ouJ pro‡evqhken. kata;
to; ‡iwpwvmenon de; i[‡w‡ ejkeleuv‡qh‡an. T.
108 Lara Pagani - Serena Perrone

P.Oxy. II 221v col. XV 6-27 (Erbse 1969-1988, V, pp. 107-108):


Zhno; ‡ ej p a˚ å i -ç
nhv ‡ an to‡ ej g w; k ai; P al la ; ‡ ∆ Aqh ˚ v -
nhfiÚÃ ajqetei'tai, o{ti èo[nomaä oujk ei[-
rhken o[noma tou' qeou', ajll∆ ejgwv,
10 metabeblhkw;‡ th;n ijdevan
eij‡ a[ndra: åkçai; gåa;çr˚ ouj•ka¶de; kata;
th;n a[fodon ‡hmeivwfiià ejpifanei'
to;n ∆Acilleva ejq avr‡unen: “oujde; ’kav-
mandro‡ e[lhge to; o{n mevno‡ ajll∆ e[-
Û›
15 ti ma'llon / cwveto Phleivwni”.
pr˚o;‡ tau'ta levgei ’evleuko‡ ejn tw'fiià gV
Kata; tw'n ∆Ari‡tavrcou ‡hmeivwn o{ti
ajndrav‡in wJmoiwmevnoi o{mw‡ kata;
tåo;ç ‡˚åiçwpwvmenon dia; th'‡ dexiwv‡e-
20 wå‡ç i[c nh tou' qeoi; ei\nai parevcon-
åtça˚i˚: åejçpei; pw'‡ eijrhvka‡i “tåoçi˚vw ga;r toi
nw'i qew'n ejpitarrovqw åeijmçevn”;
kai; åuJçpo; Dio;‡ de; kata; to; ‡åiwçp˚wvme-
non ejpevmfqh‡an. ejn ådçe; tw'fiià e˚V
25 åtçw'n Diorqwtikw'n oJ aujto;‡ åa[çq˚ete˚i'˚
‡u;n toi'‡ eJxh'‡ b˚ wJ‡ peri‡‡o˚åuvç‡. ouj-
k ei\nai de; oujd∆ ejn th'fiià Krhtikh'fiiÃ

I problemi sollevati dagli antichi su questo passo riguardano due supposte


incoerenze in Il. XXI 29062. Il papiro registra le soluzioni prospettate dal
grammatico Seleuco di Alessandria 63 (prima età imperiale), la costituzione del
testo proposta da lui e quella testimoniata dalla ekdosis Cretese. Più
precisamente, le informazioni fornite dallo hypomnema sono:
1) secondo Seleuco (nel trattato Kata; tw'n ∆Ari‡tavrcou ‡hmeivwn) 64, le
apparenti incongruenze erano superabili con il ricorso al criterio kata; to;
‡iwpwvmenon (rr. 16-22 e 23-24 rispettivamente);

62
Esse erano precisamente: 1) il fatto che Poseidone, rivolgendosi ad Achille, non dica il
proprio nome ma soltanto “io”, pur avendo mutato il proprio aspetto in quello di un essere
umano (rr. 8-11) e che il dio, congedandosi, non esorti Achille con un segno evidente, tant’è che il
fiume Scamandro non desiste dalla sua furia (non sapendo che ha parlato Poseidone) (rr. 11-15);
2) il fatto che la prima pericope del v. 290 (“per volere di Zeus”) non sembri giustificata
all’interno della narrazione iliadica.
63
Razzetti 2002.
64
Fr. 2 Duke.
Le ekdoseis antiche di Omero nei papiri 109

2) lo stesso Seleuco, però, nello scritto Diorqwtikav65, atetizzava questo


verso, insieme ai due successivi, in quanto superflui (peri‡‡ouv‡) (rr. 24-26);
3) i tre versi in questione non erano presenti nella ekdosis Cretese (rr. 26-
27). Da uno scolio di Aristonico (sch. Il. XXI 290a) apprendiamo che anche
Aristarco operava un’atetesi in questo punto, ma solo per il v. 290, che dava
problemi, e non per i due successivi, che né sono connessi al primo né
sembrano così palesemente superflui66. In questo caso, la relazione tra la
scelta testuale del grammatico Seleuco e l’assetto della ekdosis politike può
essere ricostruita con una qualche verosimiglianza: sappiamo infatti che
Seleuco conosceva questo testo, dal momento che altrove ne citava una
lezione (sch. Did. Il. I 381)67. Stando così le cose, non si può escludere l’ipotesi
che il grammatico avesse deciso di atetizzare i tre versi influenzato dal fatto
che non li leggeva nel testo di Creta, fondando quindi la propria scelta
sull’autorità di questa ekdosis politike. La conclusione è ovviamente tutt’altro
che obbligata, ma ci sono i presupposti per prenderla in considerazione.

Ekdoseis kat’andra
Questioni relative al numerus versuum emergono anche in relazione a una
delle ekdoseis kat’andra più oscure, cioè quella di un certo Euripide, da
collocarsi forse tra il V e il IV secolo68. Essa doveva essere citata, sempre nel
“commentario di Ammonio”, a proposito della difficoltà di Il. XX 155-156, in
cui Asteropeo, capo dei Peoni, dichiara di essere a Ilio da undici giorni,
mentre egli non è menzionato nel Catalogo dei contingenti del secondo
libro69, che fotografa lo schieramento di cinque giorni prima nella finzione
narrativa.

P.Oxy. II 221v col. VI 16-21 (Erbse 1969-1988, V, p. 89):


h { d e dev m˚ o i n u' n / hj w v ‡ eJ n deåk av t h, o{ t ∆ç
åej ‡ öIli oçn •.¶ ei j l h v l ou q a fi:à ejn th'fiià kat∆ Euj˚åripiv-ç
ådhn kai;ç ejn ti‡i a[llai‡ kai; ejn Diaåkovç‡˚m˚w˚fiià l˚e-˚v
ågetai ∆Aç‡teropai'o‡ ou{t w‡: “aujåta;çr Puraiv-
20 åcmh‡ç a[ågçe Paivona‡ ajgculotovxouå‡ç ÷ Phle-
ågovnoç‡ q∆ uijo;‡ peridevxiåo‡ç ∆A‡teropåaçi'o‡”.

65
Fr. 2 Duke.
66
Cfr. Citti 1966, p. 251.
67
Sch. Did. Il. I 381: ejpei; mavla oiJ fivlo‡ h\en: ’evleukov‡ (fr. 8 Mueller = 10 Duke) fh‡in ej n th/'
Kupriva/ kai; Krhtikh/' “ejpeiv rJav nuv oiJ fivlo‡ h\e n”... A. Cfr. Ludwich 1884-1885, II, p. 4.
68
Pagani 2006.
69
Il. II 848 cita per i Peoni soltanto Pirecme.
110 Lara Pagani - Serena Perrone

Nella ekdosis di Euripide e “in alcune altre”, il problema non sussisteva, in


quanto esse presentavano un verso in più dopo Il. II 848, che affiancava
Asteropeo a Pirecme al comando dei Peoni (rr. 19-21). Nella menzione della
ekdosis kat’andra, il nome di Euripide cade quasi completamente in lacuna, ma
l’integrazione – di Blass – pare plausibile, dal momento che l’unico altro
frammento noto da questa ekdosis si riferisce di nuovo a un verso in più nel
Catalogo dei Troiani70. L’annotazione del commentario papiraceo trova
perfetta rispondenza in uno scolio esegetico, dove però il verso aggiuntivo è
attribuito genericamente a “molte delle Iliadi” 71, un segno del processo di
condensazione del materiale e di riduzione dei riferimenti espliciti ad
auctoritates che spesso si riscontra facendo confronti di questo tipo72.
Le altre ekdoseis kat’andra che troviamo citate nei commentari su papiro
riguardano tutte varianti puntuali: in un caso (P.Oxy. LXV 4452v, fr. 2, 3-4),
sono probabilmente nominate insieme le ekdoseis di Aristarco e quella di
Zenodoto – il testo è lacunoso e non è certo che il riferimento a quest’ultima
sia esplicito73 – per una divergenza sull’assetto testuale di Il. XIX 384 tra le
lezioni e{o aujt ou' (Aristarco) ed eJou' aujtou' (Zenodoto): questa divergenza ha
lasciato una traccia di sé sul ms. Venetus A, dove è apposta al verso in
questione una diple periestigmene, spiegata in uno scolio di Aristonico che
permette di integrare le parti lacunose del papiro74. Le ekdoseis di Aristarco
sono menzionate altre due volte nel “commentario di Ammonio” (P.Oxy. II
221v, coll. IV 22-23 e XI 15) nella forma aggettivale aiJ ∆Ari‡tavrceioi75. Simili
riferimenti alle ekdoseis aristarchee, al plurale, sono coerenti con la situazione

70
Eustath. ad Il. 366, 10-12: hJ de; kat∆ Eujripivd hn meta; to;n trivton ‡tivcon (Il. II 866), ou| ajrch; to; “oi}
kai; Mhv/ona‡ h\gon” gravfei tevtarton tou'ton kata; ‡ch'ma ejpanalhv yew‡ “Tmwvlw/ uJpo; nifoventi, õUdh‡ ejn
pivoni dhvmw” (v. 866a = XXI 385). Cfr. Strab. 13, 4, 6, 1-7, che registra il verso come “scritto in
aggiunta” da alcuni (pro‡gravf ou‡iv tine‡ tou'to tevtarton e[po‡).
71
Sch. ex. Il. XXI 140: ∆A‡teropaivw/ ejpa'ltoÚ ... kai; oiJ me;n uJpotav‡‡ou‡i ‡tivcon ejn tw'/ tw'n Paiov nwn
katalov gw/: “aujta;r Puraivcmh‡ a[ge Paivona‡ ajgkulotovxou‡ ÷ Phlegovno‡ q∆ uiJo;‡ peridevxio‡ ∆A‡teropai'o‡”
(II 848. 848a), o}n kai; ej n pollai'‡ tw'n ∆Iliavdwn fevre‡qai. T. Sia lo scolio sia il commentario
papiraceo (col. VI 23-30) registrano una spiegazione alternativa per l’assenza di Asteropeo dal
Catalogo, cioè la supposizione che costui fosse uno dei capi secondari e che per questo, come
Stichio, Schedio, Fenice e altri, fosse omesso nel Catalogo.
72
Cfr. Haslam 1997, p. 71, nota 35.
73
Haslam, P.Oxy. LXV 4452, p. 32, non si spinge oltre all’integrazione Zh]n˚od˚(ot-), ma nelle
note (p. 41) precisa che hJ de; Zh]nod(ovtou) riempirebbe meglio lo spazio rispetto al semplice
Zhnovd(oto‡).
74
Sch. Ariston. Il. XIX 384a: peirhvqh d∆ e{o aujtou'Ú o{ti Zhnovdoto‡ gravfei “eJou' aujtou'”. ‡ugcei' de; to;
‡uvnarqron ajnti; ajpolelumevnou lambav nwn... A. Cfr. sch. Did. Il. XIX 384a: fie{o aujtou'ÚÃ ou{tw‡ e{o aujtou'
aiJ ∆Ari‡tavrcou: Zhnovd oto‡ “eJou' aujtou'”. Aim.
75
Le due citazioni riguardano rispettivamente la lezione uJpai?xei di Il. XXI 126 (con riscontri
reperibili negli scolî e in Porfirio) e l’interpretazione della forma verbale e[a‡on di Il. XXI 221 come
derivante da ejavw e non da a[w secondo quanto pensavano invece altri (paralleli negli scolî).
Le ekdoseis antiche di Omero nei papiri 111

che si riscontra negli scolî76 ed evocano il controverso problema di quante


furono le ekdoseis di Aristarco e che relazione avessero con i suoi
hypomnemata, un problema che non riprendiamo qui, non avendo alcun
elemento di novità rispetto alle più recenti messe a punto77. Il “commentario
di Ammonio” aggiunge inoltre, a quanto pare, una esplicita citazione della
ekdosis di Callistrato alle pochissime della tradizione medievale78. Qui essa è

76
Lì non solo sono citate frequentemente aiJ ∆Ari‡tavrcou o aiJ ∆Ari‡tavr ceioi, ma si parla anche
di hJ eJtevr a (o hJ prwtevra, hJ deutevra, hJ carie‡tevra) tw'n ∆Ari‡tavrcou o tw'n ∆Ari‡tarceivwn, e viene
inoltre utilizzato l’avverbio dicw'‡ per indicare due lezioni diverse scelte da Aristarco in fasi
successive del suo lavoro. Per quanto riguarda le testimonianze papiracee, oltre alle occorrenze
nei commentari P.Oxy. LXV 4452v e P.Oxy. II 221v, vd. anche la nota marginale a Il. VI 148 in
P.Oxy. III 445. In una nota interlineare di quest’ultimo papiro (al v. 479) si legge anche dic(w'‡),
ma in questo caso è tutt’altro che sicura una connessione con la questione dei “ripensamenti”
aristarchei (vd. McNamee 2007, p. 273). La ekdosis di altri tre filologi antichi è citata in qualche
caso nella forma al plurale, senza che per nessuno di essi sia altrimenti documentata la
produzione di più di una ekdosis omerica. L’espressione aiJ Zhnodovtou compare in sch. Did. Il. VII
428a1 e XIV 89a1 e a2, stampata da Erbse sempre con aiJ tra cruces e corretta in hJ Zhnodovtou
rispettivamente da Lehrs e Ludwich (vd. Erbse 1969-1988, II, p. 289 e III, p. 580 app. ad locc.; cfr.
West 2001, p. 55, nota 23, il quale suppone che l’errore si debba a Didimo, che potrebbe aver
scritto occasionalmente aiJ Z. in luogo dell’abituale hJ Z. «by careless analogy with aiJ
∆Ari‡tavrcou»). AiJ ∆Ari‡tofav nou‡ compare in sch. Did. Il. VIII 513a1 e in sch. Od. V 83, passi che
Nauck 1848, p. 21, nota 3, indicava di correggere in hJ ∆A. (per sch. Did. Il. VIII 513a1 esiste anche la
proposta di Lehrs di emendare ∆Ari‡tofavnou‡ in ∆Ari‡tavrcou, che si scontra però con il contenuto
dello sch. a3, dove è ascritta ad ∆Ari‡tofavnh‡ la stessa lezione attribuita ad aiJ ∆Ari‡tofavnou‡ in a1 ;
vd. Erbse 1969-1988, II, p. 383, app. ad loc.). Per quanto riguarda invece aiJ ÔRianou' in sch. Od. III
178, si tratta di una correzione di Porson per la sequenza ajreianoiv presente nel codice H, che
Pontani 2010, p. 65, stampa ora come ÔRianov‡, seguendo Cobet (così già Ludwich 1884-1885, I, p.
530; Leurini 2007, p. 80, suggerisce anche, dubitativamente, oiJ kata; ÔRianovn). A parte
quest’ultimo caso, dove entrano in gioco anche problemi di costituzione testuale, può ben
trattarsi di “errori” o meglio di generalizzazioni che sembrano andare nella stessa direzione
dell’alternanza hJ koinhv / aiJ koinaiv per la quale vd. infra.
77
Si vedano soprattutto Montanari 1998, pp. 11-20; West 2001, pp. 61-63; Montanari 2003, pp.
31-38; Nagy 2004, pp. 48, nota 31, e 85 ss. (che nella sostanza ritiene persuasiva la ricostruzione di
Montanari, cui apporta un correttivo alla nota 62); vd. anche Nagy 2009, pp. 21-33. In precedenza
la questione era stata posta da Lehrs 18823, pp. 23-24; Erbse 1959; Pfeiffer 1968, p. 216.
78
Sch. Did. Il. II 12a, dove il testo kajn tai'‡ pleivo‡i de; kai; carie‡tevr ai‡ tw'n ej kdov‡ewn Êpavnth/
kata; ‡trato;nÊ è stato corretto da Hecker in kajn th/' Kalli‡travtou (così anche Erbse; West 2001, p.
61 preferirebbe kaj n th/' kata; fiKallivÇtraton); sch. Did. Il. III 18a, dove la ekdosis di Callistrato è
nominata in coppia con quella di Aristofane (di nuovo in accordo con Aristarco). Cfr. West 2001,
pp. 60-61. Diversamente, Barth 1984, pp. 17, 188 ritiene che la formulazione hJ Kalli‡travtou non
si riferisca a un testo di Callistrato, bensì a una delle sue opere di commento (il Peri; ∆Iliavdo‡ o i
Diorqwtikav): questa conclusione si basa sul fatto che nello scolio Genavense a Il. XXI 363e è
registrata un’interpretazione del verso da parte di Callistrato, e non la sua lezione, cosa che fa
pensare a una ripresa da un’opera di commento e non da un testo. E infatti nello scolio non vi è
traccia dell’espressione hJ Kalli‡travtou (l’osservazione è introdotta da Kalliv‡trato‡ ejxhgei'tai),
mentre in P.Oxy. II 221v, dove probabilmente compariva questa locuzione ([hJ Kalli‡t]ravtou˚, col.
XVII 21), è in effetti riportata la lezione di Callistrato (‡u;n tw'fiià nô kniv‡hn, ibid.), esattamente come
accade negli altri due passi in cui è tramandata o ricostruita l’espressione hJ Kalli‡travtou. Le
riserve di Barth sul significato da attribuire a hJ Kalli‡travtou non sembrano dunque fondate. Il
112 Lara Pagani - Serena Perrone

chiamata in causa a proposito della discussa espressione kniv‡hn meldovmeno‡ di


Il. XXI 36379, dove recava la lezione kniv‡hn, femminile, in accordo con
Aristarco, di contro a kniv‡h, neutro plurale, giudicato discordante dall’uso
omerico. La sua menzione cade parzialmente in lacuna, ma la ricostruzione è
confortata dal parallelo con gli scolî. Infine, lo hypomnema all’Odissea di
P.Oxy. LIII 3710 nomina, per il problema testuale di Od. XX 135 cui si è
accennato poco fa in relazione al testo Cipriota80, anche la ekdosis di Riano e
quella di Zenodoto, offrendo così la prima attestazione esplicita di una ekdosis
zenodotea dell’Odissea81.
Il fatto che ognuno di questi scritti eruditi menzioni tanto ekdoseis kata
poleis quanto testi kat’andra, o faccia comunque riferimento ad auctoritates,
anche se non sorprende, è certamente degno di nota. Nel caso appena
ricordato, tre distinte ekdoseis sono chiamate in causa per lo stesso punto
problematico: forse qualcosa di simile succedeva nell’inedito ossirinchita
ricordato sopra, dove la Sinopense e la Massaliotica, citate a brevissima
distanza l’una dall’altra, sono seguite qualche rigo dopo dalla menzione di
Zenodoto e di uno hypomnema (o di hypomnemata: la parte finale è in lacuna).
Tale compresenza di riferimenti a più ekdoseis antiche, sia kata poleis sia
kat’andra, è segno che chi ha elaborato questi commentari aveva a
disposizione e consultava le ekdoseis in questione, oppure riprendeva
materiale da una fonte che le aveva consultate, fosse essa un precedente
hypomnema o un esemplare di Omero con segni critici o annotazioni marginali
frutto del lavoro di collazione tra più ekdoseis82. Abbiamo insomma
un’ulteriore conferma della pratica di consultazione e confronto tra copie
diverse. Va detto però che, siccome la composizione di questi hypomnemata
testimoniati da papiri di II/IIIp si fa per lo più risalire al Ip, tali testimonianze
papiracee non aiutano a dirimere la questione più dibattuta, cioè se questo

problema relativo alla forma e alla natura delle ekdoseis alessandrine, richiamato da Barth a
supporto delle sue conclusioni (p. 188), è reale, come si è già detto, ma non dirimente per la
questione. Ugualmente non decisivo per l’esistenza o meno di una ekdosis callistratea è
l’argomento presentato da Ludwich 1884-1885, I, p. 45, cioè il fatto che Callistrato utilizzasse
l’edizione approntata dal suo maestro (come si ricava da Sch. Did. Il. XIX 327a; Od. VI 29): vd.
Montana 2007 (rev. 2008) e Montana 2008, p. 80, nota 23.
79
Vd. Barth 1984, p. 182 ss.; Schmidt 1987.
80
Vd. supra, nota 48.
81
Cfr. Haslam, P.Oxy. LIII 3710, p. 104. Zenodoto è ricordato abbastanza spesso negli scolî
all’Odissea per le sue lezioni; Riano compare in più di trenta occasioni, in nove delle quali si fa
espresso riferimento alla sua ekdosis (sch. Od. I 95; I 124; I 279; II 152; III 178; IV 12; IV 158-160; V
393; XIII 274). Per la possibile citazione di aiJ ÔRianou', al plurale, in sch. Od. III 178 vd. supra, nota
76. Sul fatto che la menzione del solo nome di un filologo antico per una lezione possa alludere
alla sua ekdosis, vd. quanto detto supra, pp. 100-101.
82
Cfr. quanto detto supra, pp. 106-107, e nota 57.
Le ekdoseis antiche di Omero nei papiri 113

tipo di lavoro possa essere riconosciuto già ai primi Alessandrini e comunque


in epoca antecedente a Didimo83.

4. I marginalia e il problema della koine


L’altro tipo di testimonianze papiracee con riferimenti ad antiche ekdoseis,
cioè le copie omeriche con annotazioni marginali (rappresentato finora da
quattro esemplari, vd. Tabella 2), ci permette di prendere in esame un altro
problema, quello della koine.
I riferimenti a hJ koinhv su papiro ricorrono in tutto in relazione a otto versi,
ma per nessuno di essi è conservato un riferimento esplicito alla koinhv negli
scolî medievali. A meno che queste note papiracee non si inseriscano in un
filone esegetico differente da quello confluito negli scolî, questo dato può
essere interpretato come segno della consistente riduzione del materiale
esegetico nel corso del tempo, che abbiamo già avuto modo di evocare. In
alcuni casi un confronto con gli scolî può rivelarsi comunque produttivo e
consente di valutare le testimonianze papiracee nel quadro delle questioni cui
si è finora accennato.
Ne offre esempio un piccolo frammento ossirinchita da una copia calligra-
fica di Il. XVII con tre marginalia (P.Oxy. IV 685). Il primo di essi, l’unico nella
stessa mano del testo principale, segnala che nella koine (hJ ko(inhv) con la
ricorrente abbreviazione omikron su kappa) 84 al v. 728 si aveva ajll∆ o{te dhv rJ∆.
Nella nota sono segnati accenti e apostrofi (all∆ovt edhvr∆), perché proprio di
una questione di accentazione si tratta. La parte del verso interessata non è
conservata nel papiro, ma verosimilmente doveva recare la forma aristarchea
oJtedhv. Sappiamo infatti da uno scolio a un altro passo iliadico (sch. Hrd. Il. I
493) che Aristarco preferiva leggere oJtedhv85. La medesima questione è trattata

83
L’idea che le lezioni dei primi Alessandrini fossero per lo più frutto di congetture e non il
portato di un confronto di testimonianze manoscritte è stata sostenuta da van der Valk 1963-1964
e ripresa, tra gli altri, da Janko 1992 e West 2001. Per molti altri studiosi, invece, il lavoro degli
Alessandrini non avrebbe escluso la collazione di copie diverse, cui avrebbe semmai affiancato la
pratica di emendamento congetturale: per una recente messa a punto in questo senso e per la
nutrita bibliografia sul problema si rimanda a Montanari 2011, in partic. p. 14, note 37 e 38.
84
Erbse nella sua edizione del P.Hawara (Pap. I) preferisce sciogliere con h] ko(inw'‡). Negli
altri casi in cui tale abbreviazione ricorre accoglie invece hJ ko(inhv) (Pap. IV; Pap. XI, in app.
“possis et h] koinw'‡”). L’espressione h] koinw'‡ avrebbe un parallelo in sch. D Il. IV 110. Per questa e
altre abbreviazioni di koinov ‡, koinhv nei papiri, vd. McNamee 1981, p. 50 e McNamee 1985, p. 214.
85
Sch. Hrd. | Choer. (?) Il. I 493a: ajll∆ o{te dhv rJ∆ ejk toi'oÚ ∆Ariv ‡tarco‡ “oJtedhv” wJ‡ dhladhv
paralovgw‡ ajnegivnw‡ke. Pavmfilo‡ de; to; o{te kat∆ ijdivan ajnaforiko;n ajnalovgw‡: diafevrei ga;r to; o{te
ojxunovmenon kata; th; n prwvthn tou' oJtev ajfi oÃriv‡tou. w{‡te eja;n qelhv ‡h/ oJ ∆Ariv‡tarco‡ ajnaginwv‡kein
“oJtedhv” wJ‡ dhladhv, prw'ton th;n mh; ou\ ‡an crh'‡in para; tw'/ poihth'/ paralhvyetai, deuvteron to;
‡hmainovmenon parafqeivrei. to; de; toi'o properi‡pa‡tevon: to; ga;r tou' Qe‡‡alikw'‡ parauxhqe;n ejgivneto
toi'o, wJ‡ kalou' kaloi'o. û ajpofhv na‡qai dei' o{ti oJ ÔHrwdiano;‡ ejn th'/ ∆Iliakh'/ pro‡w/diva/ (cfr. II 28, 26)
dialambavnwn peri; tou' “ajll∆ o{te dhv rJ∆ ejk toi'o” levgei o{ti tou' oJtev ojxutovnou ajoriv‡tou oujk e[‡tin hJ crh'‡i‡
114 Lara Pagani - Serena Perrone

estesamente nel “commentario di Ammonio” restituito da P.Oxy. II 221v (col.


I 1-8), che però in quella pericope non sembra citare nessuna auctoritas
specifica: a quanto si può leggere, riferisce che «alcuni leggevano oJtedhv
sostenendo che, quando si aggiunge dh, ote perde il suo accento; ma essi
ignorano che dh non può cambiare l’accento della parola precedente»86.
Insomma nel commentario è considerata corretta la lezione che nel marginale
è attribuita alla koine. Quello che vorremmo sottolineare qui è il tipo di
variante discussa: è interessante che la discrepanza tra ekdoseis riguardi una
questione di accentazione. Nel nostro P.Oxy. IV 685, almeno nella parte
conservata del testo principale, non si osservano accenti (né segni di divisione
di parole), ma si può supporre che su otedh fossero presenti. E, aggiungiamo,
si deve supporre che fossero presenti anche nel testo a cui l’esegeta allude con
il termine koine87. Come è noto, i rotoli di età ellenistica e romana non erano di
norma corredati di segni di lettura, per lo meno non sistematicamente. Forse
già al tempo di Aristotele potevano occasionalmente essere utilizzati dei
segni per evitare ambiguità (se possono essere intesi in questo modo i
parav‡hma cui accenna in Sophistici Elenchi 177b)88, ma a prestar fede alla
notizia tramandata in un manoscritto dell’epitome erodianea dello Ps.-
Arcadio (Par. gr. 2603) la creazione di un sistema di accentazione (finalizzato
anzitutto pro;‡ diavkri‡in th'‡ ajmfibovlou levxew‡) sarebbe da attribuire ad
Aristofane di Bisanzio89: ciò risulterebbe tutt’altro che irrilevante per definire

para; tw'/ poihth'/ , ejn mevntoi tw'/ ejnneakaidekavtw/ th'‡ Kaqovlou (I 498, 3) to; “w}‡ õEktwr oJ te; mevn fiteà meta;
prwvtoi‡i fav ne‡ken” (L 64) ojxutovnw‡ dei'n fh‡in ajnaginwv‡ke‡qai. A.
86
ço˚te˚˙å å˙˙˙˙ç˙ a˚( ˙)r˚u˚˙o˚˙å˙ç˙˙˙(˙)w˚ ˙å  åajnagçinwv ‡kein tina;‡ “oJteådhv” å˙˙levç gonta‡ to;n dhv
ejpiå  å˙˙˙ç tw'fiià o{te cronikw'fiià ejpi˙å  å˙˙(˙) ejçn˚klèeäivnein aujtovn. ajg˚ånoou'‡i de;ç åo{ti to;ç dhv oujk
e[‡tin ajlloiw'å ‡ai (ed. Erbse 1969-1988, V, pp. 78-79).
87
Cfr., per es., P.Oxy. III 445 col. II 3 (= Il. VI 175) in cui su allotedh è stato aggiunto (da una
seconda mano?) un apostrofo e l’accento su omikron (quindi secondo la koine). Anche se
l’annotazione in P.Oxy. IV 685 non derivasse da un confronto diretto di copie, ma fosse tratta da
un commentario (come P.Oxy. II 221v), ciò non farebbe che spostare indietro il problema:
l’accentazione della koine doveva essere stata osservabile nella copia del testo omerico consultata
dalla fonte di questo materiale esegetico.
88
Vd. Cassio 2002, p. 127 e nota 97 con bibliografia precedente. Cassio (p. 124 ss.) esamina
alcuni casi riportati nell’opera aristotelica relativi a luv‡ei‡ di Ippia e Stesimbroto di Taso che
prevedevano minime modificazioni di accenti per risolvere versi problematici: verosimilmente
queste antiche congetture potevano essere note ad Aristotele perché descritte da chi le
proponeva in opere della cosiddetta “Peri; Literatur”, ma non si può escludere l’esistenza di un
antico sistema di segni diacritici limitato a parole rare o ambigue, che troverebbe riscontro
(alquanto dubbio in realtà) in segni marginali dal significato sconosciuto presenti in papiri
tolemaici (vd. p. 128 e nota 98). Cfr. Laum 1928, pp. 106-108 a proposito del segno G a fianco a Il.
XXI 377 in P.Grenf. II 4 + P.Hib. I 22 + P.Heid. inv. 1262-1266 (vd. anche West 1967, p. 138, nota
131). Su varianti di pronuncia e critica omerica antica vd. inoltre Aristot. Poet. 1461a 21 e SE 166b
1 e cfr. Pfeiffer 1968, pp. 179-180; Nagy 1996, pp. 121-132; Brancacci 2009.
89
Vd. Laum 1928, pp. 62 e 99-118; Pfeiffer 1968, p. 179; Mazzucchi 1979, pp. 145-147.
Le ekdoseis antiche di Omero nei papiri 115

la cronologia della koine e la sua stessa natura. Il marginale di P.Oxy. IV 685,


insieme a uno scolio medievale che registra una divergenza in materia di
prosodia tra Aristarco e la koine90, mostra che con koine ci si riferiva a una
copia che doveva essere dotata, almeno in alcuni punti, di segni di lettura. E
questo – a noi pare – porterebbe a pensare, più che a un insieme generico di
copie ordinarie, a una copia fisica, determinata, dotata di una sua identità e
sottoposta a una procedura tipica del diorthotes, che comunque presuppone
un certo grado di consapevolezza filologica91.
Un altro caso interessante è offerto da un’annotazione marginale sull’Iliade
di Hawara. La nota a fianco al verso 397 del secondo libro segnala che nella
koinhv c’era gevnhtai (hJ ko(inh;) “gevnhtai”), mentre la forma presente nel testo
principale della copia papiracea, in parte in lacuna, doveva essere gevnwçntai
plurale, che è poi la forma della nostra vulgata92 e quella – a quanto sappiamo
dagli scolî – preferita da Aristarco.
Sul papiro la variante è registrata in modo del tutto asettico, esattamente
come sono registrate in altri punti del volumen le varianti aristarchee e quelle

90
Unico caso paragonabile tra i riferimenti alla koine negli scolî medievali è quello di sch. Hrd.
Il. II 53c che testimonia una differenza tra Aristarco e la koine a proposito della quantità della
prima sillaba di i{ze. Lo scolio è analizzato anche in Nagy 2009, p. 55, all’interno di una più ampia
disamina di scolî che mostrerebbero come ai tempi di Aristarco la tradizione testuale riflettesse
«linguistic patterns that derive from performative transmission». L’argomentazione di Nagy si
basa su un accostamento tra il concetto di koine, da lui inteso come testo base per la diorthosis di
Aristarco, e l’espressione koine anagnosis, che si riferirebbe al modo in cui lo stesso Aristarco
leggeva ad alta voce Omero (pp. 43-59) e anche al modo in cui il testo base gli veniva letto dal
suo anagnostes Posidonio per il controllo diortotico (pp. 59-66). L’idea che il testo letto da
Posidonio fosse la koine non è però supportata da nessuna fonte. È invece plausibile che ai tempi
di Aristarco la koine potesse essere oltre che la «textual basis» pure la «performative basis» (p.
43), ma, anche ammettendo un perdurare della tradizione orale (con quale continuità però
rispetto alla supposta origine della koine negli anni dell’ «Athenian empire»?), è difficile non
pensare a una base di partenza scritta per il processo di diorthosis. Più in generale sul legame tra
questioni di accentazione e testo scritto vd. Aristot. SE 166b 1.
91
Ciò contrasterebbe, almeno in parte, con l’idea tradizionale che identifica la koine con
l’insieme delle «uncorrected copies produced by the book trade», enfatizzandone il carattere
«unrevised» in contrapposizione alle ekdoseis degli alessandrini (Allen 1924, p. 282; vd. anche
West 1967, p. 26).
92
Sulle significative discrepanze tra le lezioni della koine e quelle della vulgata vd. Haslam
1997, p. 71 (cfr. supra, nota 7) e cfr. Allen 1924, p. 282. Per il caso di Il. II 397 il problema sorge se
si considera che soggetto di gevnwntai siano “le onde”, kuvmata del v. 396, quindi un neutro plurale
(così Aristarco e la koine, vd. sch. Il. II 397a-b, riportati infra, note 94-95), e non “i venti”, soggetto
ricavabile a senso da ajnevmwn immediatamente prima nello stesso v. 397 (come volevano alcuni
esegeti antichi, vd. sch. ex. Il. II 397c riportato infra, nota 96). A proposito dell’uso del verbo
singolare con il soggetto neutro plurale come aspetto apparentemente attico, vd. Nagy 2009, pp.
48-50 («the pattern seems distinctly ‘Attic’ only from the highsight of Aristarchus», p. 49). Non
pare del tutto condivisibile la classificazione di questa lezione tra i casi di modernizzazione della
koine in Allen 1924, p. 279.
116 Lara Pagani - Serena Perrone

presenti in copie non meglio specificate93. Negli scolî del Venetus A invece la
lezione gevnhtai, attribuita non alla koine ma ad anonimi tine‡, è respinta
nettamente (ouj graptevon), a favore del più omerico (ÔOmhrikwvteron)
gevnwntai94, lezione delle ekdoseis di Aristarco (ou{tw‡ gevnwntai aiJ ∆Ari‡tavrcou)95
e verosimilmente anche della copia di Hawara. La forma al singolare è
considerata scorretta (oujk ojrqw'‡) da Didimo, che addirittura nello scolio bT
esprime un giudizio decisamente critico non solo sulla lezione in sé, ma su
coloro che la accoglievano, qualificati come oiJ ajhvqei‡, persone inesperte,
dilettanti96.
Ricapitolando, rispetto al papiro di II sec. negli scolî medievali abbiamo in
meno il riferimento specifico alla koine e abbiamo in più una valutazione
negativa della lezione. Simili valutazioni si possono osservare anche in scolî
che citano esplicitamente la koine, tanto da farla risultare pressoché equivalente
a aiJ dhmwvdei‡ e aiJ eijkaiovterai, in contrapposizione alle cariev‡terai97. Inoltre
negli scolî medievali, quando il riferimento è esplicito, risulta preponderante
la forma al plurale, aiJ koinaiv e a volte koinovterai98, chiaro segnale di una
mancanza di specificità nel riferimento. La situazione testimoniata dai papiri,
per il poco che si può dire, appare diversa: come si è detto, c’è sempre hJ koinhv
al singolare e in nessuno dei marginalia papiracei, né quelli del P.Hawara né
gli altri, sembra di poter distinguere un’accezione spregiativa in riferimenti a
hJ koinhv, ma questo ovviamente può essere determinato dalla forma
brachilogica delle annotazioni e dalla casualità dei ritrovamenti. Tuttavia

93
La koine è menzionata anche nel margine di v. 769. Varianti presenti e[n t(i‡i) sono segnalate
a fianco ai vv. 665, 865, varianti aristarchee a fianco ai vv. 436 (?), 447, 671, 682, 694, 707, 751, 798.
Ai vv. 781-782 è registrata una variante di tine‡ segnalata da Aristarco (cwomevnwiÚ ∆Ar˚iv˚‡tarc(o‡)
o{ti tine;‡ “cwovmeno‡” wJ‡ ajp∆ a[llh‡ ajrch' ‡): una testimonianza di estremo interesse per il dibattito
circa l’uso o meno di collazionare manoscritti tra i filologi alessandrini.
94
Sch. Ariston. Il. II 397a: gevnwntaiÚ o{ti ouj graptevon, w{ ‡ tine‡, “gevnhtai”: ÔOmhrikwvteron ga;r
ou{tw‡ levgein, gevnwntai ta; kuvmata, wJ‡ “‡pavr ta levluntai” (B 135). A.
95
Sch. Did. Il. II 397b: gevnwntaiÚ ou{tw‡ gevnwntai aiJ ∆Ari‡tavrcou. touvtw/ de; kai; oJ ejk tw'n
uJpomnhmavtwn lovgo‡ uJpovkeitai e[cwn th'/de: “ejpi; tw'n kumav twn levgei to; gev nwntai. tw'/ toiouvtw/ pleonavki‡
kevcrhtai, w{ ‡te kai; ejpi; tw' n oujdetevrwn ta; plhquntika; paralambavnei”. metapoiou'‡i dev tine‡
“gevnhtai”, ouj k ojrqw'‡. tau'ta oJ Divdumo‡ (p. 113 Schm.). A.
96
Sch. ex. | Did. Il. II 397c: gevnwntaiÚ gevnwntai oiJ a[nemoi. û oiJ de; ajhvqei‡ metagravfou‡i “gevnhtai”.
b(BCE3)T. L’uso di questo aggettivo in riferimento a persone non ha paralleli nella scoliografia
omerica.
97
Vd. Allen 1924, p. 277 ss.; Allen 1931, p. 277; Haslam 1997, p. 71; West 2001, p. 52.
98
Negli scolî iliadici la forma al singolare è presente sei volte (sch. Il. II 53c1 e c3 ; V 461b; XII
33b1; XII 404a1; XIII 613b2; XXII 468c), contro le undici di aiJ koinaiv (sch. Il. II 53a1; IV 170; V 797a2;
XII 382a1; XIII 289a1; XV 638-9; XVI 214a; XX 228a2; XXII 468c1; XXIV 214a; XXIV 344) e le due del
comparativo plurale (sch. Il. XII 382a1; XXII 478). Negli scolî all’Odissea predomina il comparativo
plurale (sch. Od. IV 495; IV 669; V 34; V 217; vd. inoltre sch. Od. XVII 160 in cui però si legge ejn
toi'‡ koinotevroi‡, verosimilmente con sottinteso ajntigravfoi‡), aiJ koinaiv ricorre una volta (sch. Od.
XVII 270), mentre la forma al singolare due (sch. Od. V 459; XI 74).
Le ekdoseis antiche di Omero nei papiri 117

esaminando questi papiri è difficile sfuggire all’impressione che la dicitura hJ


koinhv non stesse a indicare copie qualsiasi di basso livello, quanto piuttosto
un testo di riferimento, a cui si riconosceva una qualche importanza: è l’unica
ekdosis citata nelle annotazioni marginali accanto ad Aristarco. In almeno due
dei casi di marginalia papiracei (P.Oxy. III 445 e P.Hawara99), è testimoniato il
confronto con le lezioni della koine e quelle di Aristarco e solo con esse, come
se questi fossero i testi base a cui rapportare la copia che veniva annotata. Di
più, per quanto la lacunosità dei frammenti consente di ricostruire, nella
maggior parte dei casi nei punti in cui nel testo principale c’è la lezione
preferita da Aristarco, il marginale riporta la lezione divergente della koine100.
Nel processo di collazione di più copie del testo omerico, testimoniato già nei
papiri di età tolemaica 101, la koine si contrappone insomma ad Aristarco e a lui
si affianca come punto di riferimento e base di raffronto. Ciò conforterebbe
l’idea che originariamente con hJ koinhv si intendesse un testo comune nel
senso di universale, «standard, authoritative» (come lo definisce Nagy 1996,
p. 188, sulla scorta delle teorie di Allen) – fosse esso quello ateniese o meno –
e che la connotazione negativa di “comune”, “volgare”, sia secondaria, si sia
sviluppata a un certo punto della tradizione esegetica poi confluita negli scolî
medievali, in conseguenza dell’affermarsi dell’indiscussa autorità di Aristarco102.
Sembra insomma legittimo il sospetto che la connotazione negativa, se non
apertamente spregiativa, sottesa a koine negli scolî medievali possa essere il
portato di una comparazione perdente con l’auctoritas aristarchea, validata a
posteriori svalutando il suo termine di confronto103, che nel corso della
tradizione tanto più facilmente poté essere soggetto a generalizzazioni
(passando dal singolare al plurale aiJ koinaiv, koinovterai) ed epitomazioni, fino
a smarrire la propria identità specifica e a perdersi tra gli indistinti tine‡,
come nello scolio appena esaminato. Simili conseguenze non sembrano
osservabili nei marginalia papiracei. Forse perché l’accezione negativa non si
era ancora sviluppata al livello delle fonti dei nostri marginalia papiracei? Non
possiamo spingerci fino a questo punto. Certo la documentazione esaminata

99
In P.Hawara il richiamo ad Aristarco è formulato al nominativo, senza esplicito riferimento
alle sue ekdoseis.
100
Oltre al P.Hawara, vd. anche P.Oxy. III 445 marg. ad v. 6, 128, cfr. sch. ad. l. Più difficile
dire se fosse anche viceversa (come sembra presupporre ad es. McNamee 2007, p. 269): va
considerato che, come si è detto, non si può dare per scontato che la koine corrisponda alla nostra
vulgata, e le informazioni sulle lezioni della koine ricavabili dagli scolî medievali sono assai meno
frequenti di quelle sulle lezioni aristarchee.
101
Vd. West 1967, pap. Il. 12, Od. 31 e 126.
102
Allen 1924, pp. 278-279; Jensen 1980, p. 109 ss.; Nagy 1996, p. 188; cfr. anche Nagy 2009,
pp. 38-43.
103
Su 26 riferimenti alla koine negli scolî omerici, 15 sono esplicitamente in contrapposizione
con la lezione aristarchea.
118 Lara Pagani - Serena Perrone

ben risponderebbe a questo quadro, ma nella sua limitatezza non può offrirci
nessuna prova cogente e il rischio di cadere nell’argomentazione ex silentio è
in agguato.

5. Conclusioni
Esiguità della documentazione, casualità dei ritrovamenti, frammenta-
rietà: sono molti i limiti a cui anche le poche conclusioni che siamo in grado
di proporre non possono sottrarsi. Ciò che abbiamo di fronte sono frammenti
di piena età romana, se pur verosimilmente testimoni di testi composti
precedentemente. Sono certo più antichi della redazione degli scolî e
cronologicamente meno lontani dalle loro fonti ma comunque posteriori alla
stagione della filologia alessandrina, che costituisce la fase di passaggio
decisiva: ci possono permettere insomma di avvicinarci un po’ di più a quel
momento ma non di ottenere delle risposte precise. Non di rado poi le lacune
papiracee sono integrate in base agli scolî, con il concreto rischio di circolarità
dell’argomentazione quando si cerchi di valutare la testimonianza del papiro
in confronto a quella scoliografica.
Se in base ai papiri non possiamo risolvere gli interrogativi aperti e
cogliere la reale portata e il reale peso di queste antiche ekdoseis sulla
tradizione testuale omerica, possiamo però affermare che diversi indizi
spingono a ritenere che esse, non solo le ekdoseis kat’andra, non possano essere
sbrigativamente liquidate come di scarsa rilevanza per la filologia antica. I
commentari papiracei mostrano che almeno in alcuni casi ci fu una qualche
influenza delle ekdoseis kata poleis sulla costituzione del testo (lo dimostrano la
lemmatizzazione dei versi aggiuntivi della Massaliotica in P.Oxy. LXV 4452v
e il possibile legame tra la scelta di Seleuco e il testo dell’ekdosis Cretese in
P.Oxy. II 221v). Le annotazioni marginali, oltre a confermare l’autorità
aristarchea, sembrano rispecchiare una koine dotata ancora di una sua identità
e forse anche di un maggiore credito rispetto a quello che le sembra attribuito
negli scolî medievali.

LARA PAGANI - SERENA PERRONE

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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Le ekdoseis antiche di Omero nei papiri 119

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120 Lara Pagani - Serena Perrone

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Le ekdoseis antiche di Omero nei papiri 121

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122 Lara Pagani - Serena Perrone

TABELLE104

Tabella 1.1. Citazioni di ekdoseis kata poleis negli scolî a Omero:


Numero di citazioni negli Numero di citazioni negli
Ekdoseis
scolî all’Iliade* scolî all’Odissea*
Ma‡‡aliwtikhv 27 2
Civa 15 -
∆Argolikhv 7 1
’inwpikhv 4 -
Kupriva 5 -
Krhtikhv 1 -
Aijolikhv o Aijoliv‡ - 3

aiJ kata; povlei‡ 5 -


aiJ tw'n povlewn 5 -
aiJ politikaiv 2 -
aiJ dia; tw' n povlewn 1 -
aiJ ejk tw'n povlewn 1 -
aiJ tw'n povlewn 1 -

Tabella 1.2. Citazioni di ekdoseis kat’andra negli scolî a Omero105:


Numero di citazioni negli Numero di citazioni negli
Ekdoseis
scolî all’Iliade* scolî all’Odissea*
aiJ ∆Ari‡tavrcou ÷ aiJ ∆Ari‡tavrceioi 165 (+ 2 dub.) 28
hJ eJtevra tw'n ∆Ari‡tavrcou ÷ tw'n
13 2
∆Ari‡tarceivwn
hJ ∆Ari‡tavrcou ÷ hJ ∆Ari‡tavrceio‡
(scil. e[kdo‡i‡ ÷ diovrqw‡i‡ ÷ levxi‡ ÷ 20 1
grafhv?)
hJ carie‡tevra tw'n ∆Ari‡tavrcou - 1
hJ ∆Ari‡tofavnou‡ (+ aij [?] ∆Ari‡to-
favnou‡)** ÷ hJ ∆Ari‡tofav neio‡ ÷ hJ 44 (+ 1) 2 (+1)
kata; ∆Ari‡tofavnhn

104
I dati presentati nelle Tabelle 1.1-1.5 sono frutto di una ricerca condotta sugli indici di
Dindorf 1855 e di Erbse 1969-1988, nonché sul Thesaurus Linguae Graecae digitale.
* Le citazioni ripetute in più scolî e riferite alla stessa lezione sono conteggiate una sola volta.
** Cfr. supra, nota 76.
*** Per la possibile citazione di aiJ ÔRianou', al plurale, in sch. Od. III 178 vd. supra, nota 76.
105
Sono registrate solo le citazioni esplicite: vd. la riflessione al riguardo supra, pp. 100-101.
Le ekdoseis antiche di Omero nei papiri 123

hJ Zhnodovtou ÷ hJ Zhnodovteio‡ (+
21 (+ 2) -
ÊaijÊ Zhnodovtou)**
hJ ÔRianou'*** ÷ hJ kata; ÔRianovn 12 6
hJ ∆Antimavc ou ÷ hJ ∆Antimavceio‡ ÷ hJ
5 1
kata; ∆Antivmacon
hJ ’w‡igevnou‡ 5 -
hJ Kalli‡travtou 2 -
hJ Filhvmono‡ ÷ hJ kata; Filhvm ona 2 -

kat(a;) a[ ndra 2 -

Tabella 1.3. Citazioni di aij koinaiv ÷ hJ koinhv negli scolî a Omero:


Numero di citazioni negli Numero di citazioni negli
Ekdoseis
scolî all’Iliade scolî all’Odissea
aiJ koinaiv 11 1
aiJ koinovterai 2 4
hJ koinhv 6 2

Tabella 1.4. Altre citazioni di ekdoseis negli scolî a Omero:


Numero di citazioni negli Numero di citazioni negli
Ekdoseis
scolî all’Iliade scolî all’Odissea
hJ poluv‡tico‡ 3 -
hJ kuklikhv - 2
hJ ejk ÊMou‡eivwn (hJ ejk Mou‡eivou
- 1
Buttmann)

Tabella 1.5. Altre attestazioni non papiracee:


Ekdoseis Attestazioni
hJ kat∆ Eujripivdhn Eustath. ad Il. 366, 10-12
hJ ejk tou' navrqhko‡ V. Marc. Aristot. p. 427, 5 (Rose); Plut. Alex.
VIII 2; Strab. XIII 1, 27
hJ Êajp∆ elikw'no‡Ê (ajp∆ ÔElikw'no‡ vel pot. ajf∆ Prolegomena ms. Bibl. Naz. Roma, Rom. gr. 6
ÔElikw'no‡ Osann: ajp∆ ÔElikw'no‡ prob. Sittl: (Anecd. Romanum)
∆Apellikw'no‡ Ribbeck, Nauck, Wehrli:
∆Apellikw'nto‡ Schimberg, Wilamowitz)
124 Lara Pagani - Serena Perrone

Tabella 2. Papiri omerici con citazioni di ekdoseis:


Papiri kata poleis kat’andra koine

P.Oxy. LXV 4452v ejn th'i û Ma‡˚ ‡al˚i˚w˚t˚i˚ kh'i aiJ ∆Ari˚‡˚tavrûåcou (fr. 2, 3-4)
(hypomn. a Il. XIX; (fr. 1, 17-18) hJ de; Zhn˚od˚(ovtou) (?) (fr. 2, 4)
IIp) ajçp˚o˚; t˚w˚'n˚ p˚ovl˚ewn
(fr. 2, 9)
P.Oxy. II 221v ejn th/' Krhtikh'/ ejn de; tai'‡ ∆Ari‡tarûåceivoi‡
(hypomn. a Il. XXI; (col. XV 27) (col. IV 22-23)
IIp) åaiJ ejk tw'n povlewnç (col. ejn th'/ kat∆ Euj˚åriçûåpivdhn (col.
XVII 2-3) VI 17-18)
aiJ ∆Ari‡tavrcfieÃioi
(col. XI 15)
hJ Kalli‡tçravtou˚
(col. XVII 21)
P.Oxy. ined. 105/40 Sinopense Zenodoto (?)
(hypomn.?; IIp?) Massaliotica
P.Oxy. LIII 3710 (ejn th'i) K˚u privai åejnç t˚h˚'åi ÔRiçanou'
(hypomn. a Od. XX; (fr. b, col. II 8) kai; Zhånodov tou
II/IIIp) (fr. b, col. II 7)
P.Berol. inv. 11759 hJ ko(inhv)
(Od. XV con marg.; (ad vv. 541,
I/IIp) 545)
P.Hawara 24-28 (Il. hJ ko(inhv)
I e II con marg.; IIp) (ad II 397 e
769)
P.Oxy. IV 685 (Il. hJ ko(inhv)
XVII con marg.; IIp) (ad v. 728)
P.Oxy. III 445 (Il. VI aiJ ∆Ari(‡tav)rc(ou) (ad v. 148) hJ ko(inhv)
con marg.; II/IIIp) (ad vv. 128,
464, 478)

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