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LA MENTE MULTICULTURALE
re la guerra come metodo “ovvio” (cfr. capitolo 1). In altre circostanze, esso
conduce alla teorizzazione di una “guerra santa” contro altre culture
considerate come il male e il cancro da distruggere e da annientare anche con
il terrorismo (cfr. capitolo 6).
Diffidenza, paura e protezione. Rispetto al fondamentalismo offensivo, la
mente monoculturale può condurre, per converso, ad atteggiamenti di
diffidenza nei confronti degli immigrati. Vi è la percezione dell’altro come
ostacolo e minaccia. Come invasore da cui proteggersi e difendersi. È la paura
dello straniero in quanto straniero. Portando abitudini e stili di vita
profondamente diversi da quelli che siamo soliti seguire, rappresenta un
attacco implicito al nostro modo di pensare e procedere. In base a questo
sentimento possono innescarsi reazioni di difesa e di chiusura, di
rivendicazione della propria identità per conseguire una condizione di
“sicurezza”. Il bisogno di proteggere e tutelare il proprio spazio culturale dalla
presenza di persone e artefatti provenienti da altre culture può condurre
all’adozione di barriere psicologiche e legislative che separano e dividono.
Talvolta si costruiscono ancora muri (in senso fisico) come se la storia della
Grande Muraglia o del muro di Berlino non avesse insegnato nulla.
In entrambi i casi (proselitismo o difesa) si attiva il meccanismo della
contrapposizione fra la nostra cultura e quella degli altri. Questo “attrito
culturale” rende difficile la convivenza là dove, per ragioni varie, si trovino
persone appartenenti a culture diverse. Assieme a norme legislative che
regolamentino queste condizioni sociali, solo il passaggio da una mente
monoculturale a una multiculturale (biculturale) consente una diversa
concezione del diverso e promuove forme più avanzate di convivenza. Da una
società composta da varie parti “singolari” passiamo a una società plurale in
cui ciascuno è culturalmente poliglotta.
Il dilemma degli immigrati di seconda generazione: conversione o fedeltà?
Infine, fra i limiti della mente monoculturale, occorre fare menzione al
dilemma in cui spesso si trovano gli immigrati (soprattutto quelli di seconda
generazione) rispetto all’opzione fra restare fedeli alla cultura di origine o
accettare la nuova cultura ospitante. Fedeltà e adesione a forme diverse di vita
sono entrambe strade legittime e percorribili. Tuttavia, la scelta per Tuna o
per l’altra può essere lacerante. Diventa un problema di appartenenza. Con chi
sto? Chi mi proteggerà di più in caso di difficoltà? Dove mi trovo meglio?
Divento italiano o resto arabo? Chi tradisco? Quale sanzione e punizione
arriveranno? Non sono domande retoriche, ma attraversano la vita di ogni
adolescente figlio di immigrati, nato nel paese ospitante. A fronte di questo
aut aut i ragazzi che sono riusciti ad acquisire una mente multiculturale si
trovano avivere questa condizione in modo molto migliore rispetto ai ragaz-
La mente multiculturale 43
Le sindromi culturali
La prospettiva qui delineata ha assunto in tempi recenti un forte impulso con
la concezione della cultura come collezione (non “sistema”) di sindromi
culturali, ciascuna delle quali consiste in una configurazione
dominiogenerale, flessibile e malleabile, resistente e robusta di “segnali”
(“sintomi”: credenze e valori, atteggiamenti ed emozioni). Tali sindromi
generano una rete di significati, di attese e di pratiche che caratterizzano una
data cultura. Quando un certo aspetto di una sindrome culturale è attivato,
assai probabilmente anche gli altri elementi diventano accessibili nella
memoria di lavoro. Individualismo vs. collettivismo, indipendenza vs.
interdipendenza, pensiero analitico (Aristotele) vs. pensiero olistico
(Confucio), onore e successo, distanza del potere sono altrettanti esempi di
sindromi culturali che esamineremo in questo volume.
La prospettiva della cultura come rete di sindromi culturali, proposta da
Dapna Oyserman (2007; Oyserman, Sorensen, 2009), offre diversi vantaggi.
Anzitutto, esse sono trasversali e dominio-generali, presenti nelle diverse
culture. Un esempio per tutti. Individualismo e collettivismo costituiscono
sindromi fra loro antitetiche e finora, in modo piuttosto stereotipato, erano
assegnate come poli opposti a macroaree culturali ritenute fra loro
inconciliabili come se fossero due blocchi opposti e monolitici al loro interno:
l’in- dividualismo a Occidente e il collettivismo a Oriente (Markus, Kitayama,
1991; Triandis, 1995).
In realtà, da un’accurata meta-analisi condotta da Oyserman e
collaboratori (Oyserman, Coon, Kemmelmeier, 2002) è emerso che tali
sindromi sono attive sia nelle culture occidentali sia in quelle orientali, anche
se con una diffusione e un’intensità diverse. Individualismo e collettivismo
sono orientamenti e stili di vita opposti, presenti non solo fra le culture ma
anche entro ogni cultura ed entro ogni individuo in situazioni differenti e in
fasi diverse della vita. Questa condizione implica non solo il superamento di
ogni prospettiva essenzialista e oggettivistica della cultura, ma pone altresì in
evidenza che, quando una data sindrome culturale è attivata, essa implica il
medesimo tipo di risposta e di comportamento, in modo indipendente dalla
cultura di riferimento. Gli occidentali manifestano una condotta indi-
La mente multiculturale 45
L’apprendimento culturale
Il situazionismo dinamico e la prospettiva delle sindromi culturali prevedono
che in qualsiasi circostanza la cultura sia appresa di continuo dai partecipanti.
L’apprendimento culturale è intrinseco alla nostra condizione di vita, poiché
da ogni cosa che facciamo possiamo trarre informazioni utili per azioni
successive assimilabili alla medesima classe. Esso è la sintesi della nostra
esperienza, intesa come l’enciclopedia delle conoscenze esplicite e implicite
(tacite), acquisite mediante il coinvolgimento personale nelle azioni e
interazioni con altri, accumulate nel corso del tempo.8
L’apprendimento latente. Siamo nella condizione di imparare sempre, in
qualsiasi situazione, in modo consapevole (esplicito e formale) o
inconsapevole (implicito e informale). È un “apprendimento situato”,
associato a determinate circostanze (contesti) che pongono in modo
inevitabile vincoli e opportunità. Se la nostra vita è esperienza (e quindi
apprendimento continuo), ne consegue che ciò che impariamo in modo
accidentale è molto di più di quello che impariamo in modo volontario. Tale
apprendimento continuo, pur non essendo esclusivo della nostra specie, ha
ricevuto un’accelerazione esponenziale negli esseri umani. Si fonda
direttamente sull’esperienza, intesa come consapevolezza di “tutto ciò che
accade” (per parafrasare una nota proposizione di Wittgenstein). Già John
Locke (1690) aveva posto in evidenza che tutta la nostra conoscenza è
fondata sull’esperienza ed essa è la fonte di tutto ciò che conosciamo.
Impariamo dai successi e, soprattutto, dagli insuccessi (errori). Non è in
gioco solo il galileiano “provando e riprovando”. Neppure il procedimento
cieco e casuale, “per tentativi ed errori”. Piuttosto, l’acquisizione di
conoscenze e competenze attraverso la scelta e l’attribuzione
46 La sfida della mente multiculturale: premesse
Il cambio di cultura
Gli studi avviati in Cina sui soggetti biculturali sono stati estesi anche per
altre situazioni di biculturalità. È probabile che tale processo sia presente in
aree di confine fra una nazione e un’altra, nonché negli individui immigrati
stanziali (soprattutto in quelli di seconda generazione) entro una nuova
cultura. In particolare, adolescenti messicani americani che frequentano
scuole pubbliche nella vita familiare e domestica si comportano come
messicani, parlando spagnolo e seguendo le norme di condotta messicane,
mentre a scuola si comportano da americani, parlando inglese e usando
standard americani per interagire e comunicare con gli altri (Padilla, 2006).
Parimenti, bambini greci che vivono in Olanda e che parlano perfettamente il
greco e l’olandese manifestano una diversa attribuzione causale e un diverso
livello di autostima in funzione degli indizi contestuali di facilitazione
(Verkuyten, Pouliasi, 2002).
La presenza di individui biculturali pone in modo immediato la domanda
in che modo essi siano in grado di passare da una cultura a un’altra. In
funzione dei loro contesti di apprendimento, nel tempo costoro hanno
elaborato una mente in grado di funzionare perfettamente da cinese quando si
trovano con cinesi, e da americana quando hanno a che fare con americani.
Gli individui biculturali sono in grado di adattare in modo attivo e dinamico
la loro identità in funzione delle diverse situazioni in modo da sintonizzarsi
con le altre persone in quella data circostanza. A questo riguardo possiamo
parlare di identità biculturale. intesa come identità sia nativa (ver esemnio.
isnanical e locale (oer
54 La sfida della mente multiculturale: premesse
esempio, americana) in riferimento alla nuova cultura ospite (Chen, Benet-
Mar- tinez, Bond, 2008). È la consapevolezza di una doppia identità, già
menzionata. Abbastanza spesso e in modo spontaneo gli individui biculturali
dichiarano: “Sono cinese e italiano”. Per valutare la consistenza di questo
costrutto psicologico, Verònica Benet-Martinez e collaboratori (Benet-
Martinez, Leu, Lee et al., 2002) hanno elaborato il test Bicultural Identity
Integration (BII), in grado di cogliere il livello di integrazione o di attrito fra le
due culture componenti.
Rispetto al governo della doppia identità le persone biculturali possono
seguire differenti strategie. Possono adottare, anzitutto, la strategia
dell’integrazione, che conduce a una fusione delle culture componenti a
costituire un’identità unitaria biculturale. In questa condizione,
"aggiungendo” la nuova identità a quella nativa, gli individui biculturali
riescono a interagire nei differenti contesti di riferimento (Nguyen, Benet-
Martinez, 2007). La testimonianza di una giovane indiana aiuta a capire
questo processo:
Il processo di facilitazione
Il passaggio da una cultura a un’altra è consentito dalla presenza di variabili
prossime ed è promosso dal processo di facilitazione (priming). L’attivazione
delle variabili prossime e, successivamente, di quelle remote è favorita dalla
presenza di indizi specifici legati a una cultura (per esempio, greca) piuttosto
che all’altra (per esempio, olandese). Tali indizi sono in grado di orientare le
risorse psicologiche disponibili degli esperti biculturali a muoversi secondo
certi modelli culturali piuttosto che secondo altri. La transizione da ima
cultura a un’altra è governata, quindi, dall’accessibilità mentale delle
sindromi culturali per capire e interpretare una certa situazione e per
comportarsi, di conseguenza, in modo coerente e appropriato. In generale,
quanto più una categoria culturale è facilmente accessibile, tanto più essa
serve a rendere intelligibile un evento. A sua volta, il grado di accessibilità è
dato dalla frequenza di uso di un certo modello o schema mentale, dalla
facilità del suo reperimento nei magazzini della memoria a lungo termine,
nonché da fattori di facilitazione. In situazioni naturali gli individui biculturali
trovano in modo immediato e in quantità ingente gli indizi opportuni
dell’ambiente (lingua, abbigliamento, colori, odori ecc.). In laboratorio, per
studiare i processi e i meccanismi sottesi al cambio di cultura, i partecipanti
ricevono una sequenza rapida di stimoli nei quali sono presentati indizi
specifici di una data cultura (per la cultura cinese il Dragone, la Grande
Muraglia, un racconto classico ecc.). Tali indizi costituiscono simboli
pregnanti della cultura di riferimento, densi di significato e, in quanto tali,
suoi potenti attivatori.
Il processo di facilitazione può seguire un percorso di induzione delle
sindromi culturali facendo ricorso a conoscenze sia semantiche sia
procedurali (mind-set, Oyserman, Sorensen, 2009). Nel primo caso la
facilitazione consiste nel richiamare alla mente rappresentazioni concettuali
specifiche concernenti significati, valori o ideali che costituiscono cornici
interpretative nell’elaborare le informazioni successive. Tale procedimento si
fonda
La mente multiculturale 57
Non tutti gli individui sono pronti a impossessarsi di una mente biculturale.
Alcuni oppongono resistenza a tale processo, pur trovandosi nelle condizioni
per conseguire il traguardo della biculturalità. Le persone che percepiscono le
due culture di riferimento (quella nativa e quella ospite) come fra loro
incompatibili e in profondo conflitto tendono a rifiutare l’appropriazione
della nuova cultura (Benet-Martinez, Leu, Lee et al., 2002). È un fenomeno
che si riscontra con una certa frequenza negli immigrati, quando optano per 0
processo di acculturazione della separazione, con il respingimento della
cultura ospite a favore di quella nativa e con la scelta dell’isolamento
culturale (Berry, Sam, 1997).
Parimenti, gli individui che hanno una concezione essenzialista della
cultura come entità oggettiva trovano difficoltoso impossessarsi di una mente
biculturale, poiché assumono che i confini culturali siano barriere
invalicabili. Per costoro fra una cultura e l’altra vi è una separazione
impermeabile che impedisce ogni forma di scambio e di incontro. Questo
senso di impermeabilità talvolta si associa con un sentimento di superiorità
nei confronti
58 La sfida della mente multiculturale: premesse
siede una mente biculturale sa che vi sono differenti modi per elaborare i
significati, per costruire i percorsi di senso da attribuire al flusso delle
esperienze, per conversare e definire le relazioni interpersonali (Anolli,
2006b).
Parimenti, la mente multiculturale ha a sua disposizione diverse griglie
per valutare le situazioni rilevanti sul piano affettivo, attivare le varie
esperienze emotive, manifestare e regolare le emozioni. Essa dispone di una
ricca molteplicità di fuochi e stili emotivi per rispondere in modo affettivo
alle situazioni della vita quotidiana, nonché per esprimerle in modo efficace e
pertinente. Gli esperti biculturali, inoltre, appaiono assai più competenti e più
rapidi nel riconoscere le emozioni degli altri rispetto a quelli monoculturali
(Elfenbein, 2006). Sono altresì più abili nel cogliere e interpretare il
significato delle diverse situazioni emotive. Di conseguenza, la mente
multiculturale è emotivamente versatile, poiché riesce a declinare la condotta
emotiva appropriata ai differenti contesti. Le emozioni non esistono in senso
assoluto ma costituiscono esperienze affettive che variano profondamente di
cultura in cultura (Anolli, 2002b). Saper essere in sintonia emotiva significa
essere capaci di mettere l’altro a proprio agio e accogliere la sua sensibilità
emotiva. Risultati analoghi sono perseguiti dagli esperti biculturali anche per
ciò che riguarda il sistema delle credenze, la gerarchia dei valori, il senso di
giustizia, la concezione della leadership, la natura delle organizzazioni e dei
gruppi umani ecc. (Anolli, 2004).