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Riflessioni sulla Costituzione Apostolica Vultum Dei quaerere


per P. Saverio Cannistra, OCD

Il 22 luglio 2016 è stata presentata da mons. José Rodríguez Carballo la Costituzione


Apostolica sulla vita contemplativa femminile, Vultum Dei quaerere (=VDQ), firmata da papa
Francesco il precedente 29 giugno. Tale Costituzione sostituisce la normativa stabilita dai
precedenti documenti della S. Sede, e cioè: la Costituzione Apostolica Sponsa Christi del 21
novembre 1950, l’Istruzione Inter praeclara del 23 novembre 1950, i canoni del Codice di diritto
canonico del 1983 attinenti a tale materia (in particolare, il can. 667 §3 sulla clausura), l’Istruzione
Verbi Sponsa del 13 maggio 1999.
Va osservato che non c’è una perfetta coincidenza tra la materia affrontata in VDQ e quella
trattata nei documenti citati. Ciò si deve al fatto che la nuova Costituzione ha una portata molto più
ampia, poiché tratta della vita contemplativa femminile nel suo complesso, articolando tale
trattazione in ben dodici temi: «formazione, preghiera, Parola di Dio, Eucaristia e Riconciliazione,
vita fraterna in comunità, autonomia, federazioni, clausura, lavoro, silenzio, mezzi di
comunicazione e ascesi» (VDQ 12).
Inoltre, la nuova Costituzione non chiude il discorso sulla vita contemplativa femminile, ma
in un certo senso lo apre, in quanto essa è la base su cui dovranno essere elaborati altri documenti.
Siamo dunque chiamati a un cammino di discernimento e di revisione, che vedrà coinvolti prima la
Congregazione, la cui Istruzione pratica stiamo aspettando, poi gli stessi Istituti religiosi, secondo le
parole della stessa Costituzione:
Questi temi saranno attuati, ulteriormente, con modalità appropriate secondo le specifiche tradizioni
carismatiche delle diverse famiglie monastiche, in armonia con le disposizioni della Parte finale della presente
Costituzione e con le indicazioni applicative particolari che saranno date quanto prima dalla Congregazione per
gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (ivi).

Pertanto, queste mie riflessioni vogliono essere solo un primo approccio alla Costituzione, in vista
del lavoro che ci attende nel futuro prossimo1.

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Per la verità, non è chiarissimo se anche gli Istituti saranno chiamati a esprimersi al fine di adattare le indicazioni
generali della Costituzione alle diverse tradizioni carismatiche. Infatti, nella parte dispositiva di VDQ all’art. 2 §3, si
afferma che: «La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica – qualora necessario
in accordo con la Congregazione per le Chiese Orientali o la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli –
regolerà le distinte modalità di attuazione di queste norme costitutive, secondo le diverse tradizioni monastiche e
tenendo conto delle differenti famiglie carismatiche». Parrebbe quindi, salvo meliori judicio, che tutto il lavoro debba
essere fatto dalla Congregazione nell’Istruzione pratica che seguirà alla Costituzione.
2

1. Le aspettative alla vigilia della pubblicazione della Costituzione


Il documento su cui oggi riflettiamo ha una lunga storia (o preistoria), che lo ha preceduto.
Già nel novembre del 2008 la sessione plenaria della CIVCSVA ebbe come tema “La vita
monastica e il suo significato nella Chiesa e nel mondo di oggi”. Tra le varie relazioni presentate, ve
ne fu una, quella del P. Sebastiano Paciolla, dedicata all’autonomia giuridica dei monasteri. Tale
intervento non fu pubblicato, ma P. Paciolla ha tenuto una conferenza sullo stesso tema (e con lo
stesso schema) il 31 gennaio 2016, nell’ambito dell’incontro internazionale che ha avuto luogo a
Roma al termine dell’anno della vita consacrata2. Nelle conclusioni di tale intervento, il P. Paciolla,
sottosegretario della CIVCSVA, afferma:
Il ritardo nella pubblicazione delle conclusioni della Congregazione Plenaria del Dicastero – che riguardavano
soprattutto il tema dell’autonomia dei monasteri e sulle [sic] modalità per gestire la situazione dei monasteri
che non hanno più i requisiti dell’autonomia – è dovuto al fatto che sarebbe stato necessario intervenire, per
integrarla, su una legge pontificia e questo non era competenza del Dicastero.

Dunque, già a partire dalle conclusioni della Plenaria del novembre 2008 si era lavorato a un nuovo
documento sulla vita claustrale. Tale documento aveva per oggetto soprattutto la questione
dell’autonomia dei monasteri3 e le modalità di gestirla, in particolare quando i monasteri, pur
godendo di autonomia giuridica, non godono di autonomia vitale. Si tratta di una questione molto
complessa, che coinvolge una intricata rete di relazioni del monastero sui juris con le varie istanze
dell’autorità ecclesiale, e cioè:
 la Congregazione degli Istituti di vita consacrata;
 l’Ordinario del luogo, specialmente nel caso dei monasteri isolati, cioè non associati a un
Istituto maschile (cfr. can. 615);
 il Superiore Maggiore dell’Istituto maschile, nel caso di monasteri associati al ramo
maschile della stessa famiglia religiosa (come nel caso delle carmelitane scalze), in base al
can. 614;
 la Federazione (o Associazione) di monasteri nel caso di monasteri federati.
Come spiega P. Paciolla, si trattava di «intervenire, per integrarla», sulla Costituzione Apostolica
Sponsa Christi, il che ovviamente superava le competenze della Congregazione e richiedeva
l’approvazione del S. Padre.
Perché si è ritenuto opportuno intervenire su quanto stabilito da Sponsa Christi? La ragione
fondamentale è che, in determinate situazioni, oggi sempre più numerose, l’autonomia giuridica del

2
S. PACIOLLA, Il monastero autonomo: tra potenzialità e limiti; la si può trovare nel web, per esempio all’indirizzo:
http://www.vitanostra-nuovaciteaux.it/it/wp-content/uploads/Paciolla-Il-monastero-autonomo.pdf.
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Can. 613: «[§1] Una casa religiosa di canonici regolari o di monaci, sotto il governo e la cura del proprio Moderatore,
è una casa sui juris, a meno che le costituzioni non dicano altrimenti. [§2] Il Moderatore di una casa sui juris è, per
diritto, Superiore maggiore» (in base al can. 606, ciò che si dice per gli istituti di vita consacrata e i loro membri «vale a
pari diritto per entrambi i sessi»).
3

monastero diventa «fonte di problemi ed anche ostacolo all’aiuto». Molti monasteri si trovano in
situazione critica, a motivo o dell’esiguità del numero e delle forze della comunità, o della qualità
della formazione iniziale e permanente, e tuttavia è estremamente difficile intervenire per
correggere tali situazioni, se la stessa comunità, giuridicamente autonoma, non decide di chiedere
aiuto.
Più difficile è dire verso quali nuove soluzioni ci si volesse orientare. Il P. Paciolla presenta
alcune proposte, che probabilmente corrispondono all’impostazione della prima versione del
documento. Tra queste, le più importanti sono:
 La possibilità di affiliare un monastero in difficoltà momentanea a un altro monastero più
solido e vitale, sospendendone temporaneamente l’autonomia giuridica.
 Nel caso di un monastero in difficoltà strutturale, ossia non legata a una situazione
passeggera, si propone di sospenderne definitivamente l’autonomia e di affidare il
monastero alla “tutela” di un altro monastero, perché si avvii il processo di soppressione e/o
di fusione.
 Più in generale, si cerca di superare l’isolamento dei monasteri, «caldeggiando il
collegamento tra loro nelle varie forme previste dal diritto oppure associandoli con
maggiore vincolo giuridico agli Istituti maschili».
 Riguardo alle Federazioni dei monasteri, «si deve andare incontro aggiungendo specifiche
competenze a quelle legate all’ufficio di Presidente Federale, al consiglio e all’assemblea
della Federazione». Il P. Paciolla è dell’avviso che «le congregazioni monastiche femminili
in quanto tali e le federazioni con alcuni poteri aggiunti possano essere un logico
bilanciamento tra autonomia del monastero ed esigenze di centralismo, ponendosi come
istanze intermedie tra i singoli monasteri sui juris ed il Dicastero».
Queste proposte, formulate nel gennaio del 2016 da un sottosegretario della Congregazione, danno
un’idea di ciò che gli addetti ai lavori si attendevano dal nuovo documento pontificio.
Oltre al tema dell’autonomia giuridica dei monasteri, era stato annunziato da mons. Carballo
nella conferenza stampa del 31 gennaio 2014 che, per mandato del S. Padre, si sarebbe proceduto
anche alla revisione dell’Istruzione Verbi Sponsa, includendo pertanto anche la questione della
clausura.
Per quanto riguarda la normativa sulla clausura, essa è stata aggiornata più volte, dopo
Sponsa Christi:
 Nel 1966 il Motu Proprio Ecclesiae Sanctae, n.32 abolì la clausura papale minore e indicò
come possibili solo due tipi di clausura: quella papale per le monache integralmente
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contemplative e quella stabilita dalle Costituzioni dell’Istituto per le monache che si


dedicano anche a qualche attività apostolica.
 Nel 1969 l’Istruzione Venite seorsum fissò le norme per la clausura papale per i monasteri
completamente dediti alla contemplazione.
 Nel 1999, in seguito alle indicazioni date dall’Esortazione Apostolica Vita consecrata (n.
59), fu pubblicata l’Istruzione Verbi Sponsa, la quale – oltre a riformulare la normativa
concreta riguardo alla clausura, in particolare responsabilizzando maggiormente la
Superiore riguardo alla concessione di licenze per le uscite (cfr. VS 17) – riaffermò la
distinzione tra clausura papale e clausura costituzionale, così com’era stata formulata nel
CIC del 1983 (can. 667 §3)4.
Non saprei dire con esattezza quali motivi abbiano portato alla decisione di rivedere anche la
normativa sulla clausura. Nella lettera che accompagnava il questionario inviato a tutti i monasteri
il 29 aprile 2014 in vista della preparazione del nuovo documento, si fa riferimento al «desiderio di
molte sorelle claustrali», a cui il Santo Padre sarebbe venuto incontro dando mandato di rivedere e
aggiornare la normativa fissata da Verbi Sponsa. Non si precisa, però, quali fossero i desideri delle
claustrali.
Nella stessa lettera, ai temi dell’autonomia giuridica e della clausura si aggiungeva anche un
terzo tema, quello della formazione delle monache. Su questi tre argomenti sarà articolata anche
l’Istruzione che dovrà essere emanata dalla Congregazione, secondo quanto ha dichiarato mons.
Carballo nella presentazione del 22 luglio scorso: alla Congregazione «spetta ora il compito di
redigere un nuovo documento che sostituisca quello vigente, Verbi Sponsa, che contenga la
legislazione che regolerà la formazione, l’autonomia e la clausura dei monasteri di vita
contemplativa o integralmente contemplativa».

2. Struttura e contenuti della Costituzione


La Costituzione apostolica è divisa in due parti: la prima, più lunga, di carattere espositivo,
comprendente 37 paragrafi; la seconda, più breve, di carattere dispositivo, comprendente 14
articoli.
La prima parte può essere, a sua volta, divisa in tre sezioni: introduzione (nn. 1-11);
esposizione dei dodici temi (nn. 12-35); conclusione (nn. 36-37).
Tralascio i numeri introduttivi e conclusivi, di carattere più parenetico, per concentrarmi sui
numeri centrali, in cui sono esposti i dodici temi che sono oggetto di discernimento e di revisione

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Can. 667 §3: «I monasteri di monache interamente ordinati alla vita contemplativa devono osservare la clausura
papale, cioè conforme alle norme date dalla Sede Apostolica. Tutti gli altri monasteri di monache osservino la clausura
adatta all'indole propria e definita dalle costituzioni».
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normativa. Mi soffermerò solo sui temi che mi paiono contenere le novità più significative,
commentando insieme i numeri della parte espositiva e quelli corrispondenti della parte dispositiva.

FORMAZIONE (VDQ, nn. 13-15; art. 3)


I nn. 13-15 riprendono, spesso alla lettera, l’insegnamento esposto in VC 65-66 (e
sintetizzati anche in VS 22), a cui si rimanda in nota5. Si ribadiscono alcune esigenze della
formazione: essa è un processo incessante, destinato a raggiungere in profondità la persona, che
abbraccia la dimensione umana, culturale, spirituale e pastorale. Come già aveva sottolineato
l’Istruzione Potissimum institutioni, n. 81, si ricorda che «il luogo ordinario dove avviene il
cammino formativo è il monastero».
Il n. 15 richiama l’importanza, nell’attuale contesto socio-culturale e religioso, di un attento
discernimento delle vocazioni e di un accompagnamento personalizzato. Il percorso formativo deve
inoltre essere «sufficientemente ampio», come aveva già detto VC 65. La prima novità che
troviamo nella Costituzione riguarda la quantificazione dello spazio di tempo tra l’ingresso in
monastero e la professione solenne, che dovrebbe essere «per quanto possibile non inferiore a nove
anni, né superiore a dodici». La Costituzione, pertanto, sembra fissare la durata ordinaria del tempo
dei voti temporanei in sei anni, che è il limite massimo stabilito dal can. 655. Tuttavia, l’inciso «per
quanto possibile» attenua l’obbligatorietà di tale indicazione. Non a caso, infatti, nella parte
dispositiva all’art. 3 § 5 si afferma solo che «alla formazione iniziale va riservato un ampio spazio
di tempo», senza ulteriori precisazioni.
L’art. 3 è diviso in sette paragrafi. I primi due sono dedicati alla formazione permanente e
hanno un carattere esortativo; i paragrafi 3 e 4 alla formazione delle formatrici; i numeri 5-7 si
riferiscono ad alcune modalità del processo formativo. Elementi nuovi sono i seguenti:
 Si offre alle sorelle chiamate a svolgere l’ufficio di formatrici la possibilità «servatis de iure
servandis, [di] frequentare corsi specifici di formazione anche fuori del proprio monastero»
(art. 3 § 4). Trattandosi di una disposizione nuova, la Costituzione rimanda a norme
particolari che saranno emanate dalla CIVCSVA.
 Si afferma che bisogna «assolutamente evitare il reclutamento di candidate da altri Paesi con
l’unico fine di salvaguardare la sopravvivenza del monastero» (art. 3 § 6). Poiché si parla di
reclutamento di candidate, sembra che la disposizione non si riferisca ai trasferimenti di
monache già professe solenni da un Paese a un altro. Tuttavia, anche riguardo a questo tema

5
Nella nota 33 si rimanda anche a CIC can. 664; ritengo che si tratti di un errore di stampa. Probabilmente il rimando
corretto è al can. 660, che pone l’esigenza di una formazione capace di integrare la dimensione dottrinale e quella
pratica.
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la Costituzione richiede che «siano elaborati dei criteri per assicurare il compimento di
ciò».
 Si raccomanda di promuovere «case di formazione iniziale comuni a vari monasteri», al fine
di «assicurare una formazione di qualità» (art. 3 § 7). Tale raccomandazione può apparire
non del tutto coerente con quanto affermato al n. 14, ossia che «il luogo ordinario dove
avviene il cammino formativo è il monastero». Si può, tuttavia, intendere che quando dei
monasteri non sono in grado di assicurare una formazione adeguata, è possibile, anzi
raccomandabile che si creino case di formazione iniziale comuni a più monasteri. Si tratta
comunque di una innovazione di notevole portata per dei monasteri di vita contemplativa,
che dovrebbero essere autosufficienti «soprattutto nel campo della formazione» (VS 24).

CENTRALITÀ DELLA PAROLA DI DIO (nn. 19-21; art. 5)


La Costituzione riserva una sezione all’ascolto e alla meditazione della Parola di Dio nella
vita di una comunità contemplativa. Sulla scia di VC 94, si sottolinea che la Parola di Dio è «la
prima fonte di ogni spiritualità» e come tale deve alimentare la vita di preghiera e la vita di
comunione di una comunità contemplativa. Un’enfasi particolare è posta sulla condivisione dei
frutti che nascono dall’ascolto della Parola di Dio. Tale condivisione non si limita ai confini della
comunità contemplativa. Papa Francesco esorta le monache a «condividere questa esperienza
trasformante della Parola di Dio con i sacerdoti, i diaconi, gli altri consacrati e i laici. Sentite questa
condivisione come una vera missione ecclesiale» (n. 19). Tale esortazione ricalca quella analoga di
VC 94, che però si riferisce a tutti i consacrati, i quali sono invitati a proporre la meditazione
comunitaria della Bibbia «anche agli altri membri del popolo di Dio, sacerdoti e laici, promovendo
nei modi consoni al proprio carisma scuole di preghiera, di spiritualità e di lettura orante della
Scrittura».
Nella parte dispositiva l’invito alla condivisione viene riproposto in una forma più
imperativa: «Considerando che la condivisione dell’esperienza trasformante della Parola con i
sacerdoti, i diaconi, gli altri consacrati e i laici è espressione di vera comunione ecclesiale, ogni
monastero individuerà le modalità di questa irradiazione spirituale ad extra» (art. 5 § 2). Come si
vede, ogni comunità è invitata a riflettere su come realizzare questa condivisione della propria
esperienza della Parola con il resto del popolo di Dio.
Mi pare che qui il papa introduca una categoria nuova, quella della condivisione ad extra
dell’esperienza contemplativa, che da un lato non deve essere confusa con l’apostolato attivo,
escluso dalla definizione stessa di “vita integralmente contemplativa” (cfr can. 674), dall’altro non
si limita a essere un «silenzioso annuncio e un’umile testimonianza del mistero di Dio» (VS 7). La
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«misteriosa fecondità apostolica» di cui parla PC 7 è chiamata a visibilizzarsi in una irradiazione


esterna mediante esperienze di condivisione con il popolo di Dio.

L’AUTONOMIA DEI MONASTERI (nn. 28-29; art. 8)


Si tratta di uno dei punti decisivi della Costituzione Apostolica, quello che, in un certo
senso, suscitava più attese. Tuttavia, la Costituzione non ha modificato in nulla lo statuto giuridico
dei monasteri, ma si è limitata a ribadire quanto stabilito dal Codice di diritto canonico del 1983,
sia riguardo alla fondamentale autonomia dei monasteri sui juris, sia riguardo alle relazioni dei
monasteri con il Vescovo diocesano e con il ramo maschile dell’Ordine6.
Nella parte dispositiva, all’art. 8, tuttavia, si introducono alcune indicazioni che, pur non
modificando il quadro giuridico fondamentale, sono di aiuto nei casi in cui all’autonomia giuridica
non corrisponda una reale autonomia vitale.
 Il § 1 indica alcuni criteri per valutare se il monastero goda o no di autonomia vitale. Tra
questi vi è «un numero anche minimo di sorelle, purché la maggior parte non sia di età
avanzata». Non si precisa, tuttavia, quale sia questo numero minimo (probabilmente lo si
farà nell’Istruzione).
 Il § 2 presenta una possibile procedura da seguire nel caso che il monastero risulti essere in
situazione critica, ossia la costituzione (da parte della Congregazione) di «una commissione
ad hoc formata dall’Ordinario, dalla Presidente della federazione, dall’Assistente federale e
dalla Abbadessa o Priora del monastero». Compito di tale commissione sarà valutare se si
possa intervenire per rivitalizzare il monastero in questione o se ne debba avviare la
chiusura.
 Il § 3 introduce come possibile soluzione nel caso di monasteri privi di autonomia vitale
anche quella di «affiliazione ad un altro monastero, o l’affidamento alla Presidente della
federazione, se il monastero è federato, con il suo Consiglio».

LE FEDERAZIONI (n. 30; art. 9)


Anche riguardo alle federazioni va osservato che la Costituzione non introduce nessuna
novità riguardo al loro statuto giuridico. Rimangono strutture di comunione, dipendenti dalla S.
Sede, e di per sé prive di autorità giuridica sui singoli monasteri, così come riaffermato
ultimamente da VS ai nn. 27-28. Sembra, pertanto, che sia andata delusa l’aspettativa che le
federazioni possano diventare, con alcuni «poteri aggiunti», istanze intermedie tra i singoli

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La nota 69 riporta una serie di riferimenti a canoni del CIC. Anche qui si rileva un probabile errore di stampa: il can.
1428 § 1-2 è senza dubbio da leggere come can. 1427 § 1-2.
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monasteri autonomi e il Dicastero competente per la vita consacrata (come si esprimeva P. Paciolla
nel testo su citato). Nella parte dispositiva, però, al § 3 si afferma che la Congregazione «stabilirà
le competenze della Presidente e del Consiglio della federazione», lasciando quindi intendere che
in proposito potrebbe esserci qualche novità (nell’Istruzione applicativa? O la Congregazione
deciderà caso per caso?).
Neppure viene risolta la questione della obbligatorietà o meno dell’Assistente religioso, che
è stata posta a partire dal decreto emanato dalla Congregazione nel settembre 2012. A tale
questione non viene fatto minimamente cenno né nella parte espositiva, né in quella dispositiva (il
che potrebbe significare che non si intende innovare rispetto alla libertà della federazione di avere
o no un Assistente).
La novità più importante si trova all’art. 9 § 1, dove si dice che «inizialmente tutti i
monasteri dovranno far parte di una federazione». L’affermazione sarebbe stata certamente più
chiara senza l’avverbio “inizialmente” (che in spagnolo è stato tradotto con “en principio”, in
francese con “tout d’abord”, in inglese con “initially”). Come si deve interpretare, pertanto, questa
espressione? Secondo le parole di mons. Carballo nella presentazione del documento, «tutti i
monasteri dovranno essere federati», ma si ammette la possibilità di eccezioni a giudizio della S.
Sede. L’avverbio, pertanto, non sembra così importante, mentre lo è la frase successiva che
ammette la possibilità di chiedere alla Congregazione una sorta di dispensa dall’obbligo di
appartenere a una federazione.
Il § 2 dell’art. 9 apre alla possibilità di costituire federazioni «non solo secondo un criterio
geografico, ma di affinità di spirito e di tradizioni». Le applicazioni pratiche di tale possibilità
suscitano parecchi interrogativi: si possono federare monasteri molto distanti geograficamente o
che parlano lingue diverse? Anche in questo caso bisognerà attendere le indicazioni più concrete
che verranno date dalla Congregazione.
Finalmente, il § 4 afferma che «si favorirà l’associazione, anche giuridica, dei monasteri
all’Ordine maschile corrispondente». Per quanto riguarda le carmelitane scalze dei monasteri del
’91 tale associazione già esiste (a differenza dei monasteri del ’90). A mio parere, non è da
confondere l’associazione all’Ordine con la giurisdizione o vigilanza del Superiore del monastero.
In altri termini, il documento non sta dicendo che si preferirà che i monasteri siano collocati sotto
la giurisdizione del Superiore religioso, anziché del Vescovo diocesano. Neppure la Costituzione
attribuisce maggiori competenze riguardo alle monache al ramo maschile dell’Ordine o al
Superiore Generale, per cui anche questa via di decentralizzazione non è stata percorsa, come del
resto era prevedibile.
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LA CLAUSURA (n. 31; art. 10)


Il paragrafo espositivo sulla clausura parla di quattro forme o modalità di clausura.
Escludendo la clausura comune, che riguarda indistintamente tutti gli Istituti religiosi, restano tre
forme di clausura, corrispondenti alla vita contemplativa delle monache: la clausura papale, la
clausura costituzionale e la clausura monastica. Va detto che il Codice di diritto canonico al can.
667 § 3 parla solo di due forme di clausura: quella papale, cioè conforme alle norme date dalla
Sede Apostolica, e quella costituzionale, cioè regolata dalle Costituzioni dell’Istituto. Tale
distinzione, come si vede, si basa sul diverso riferimento normativo che regola la clausura. Essa è
stata ripresa anche da Verbi Sponsa ai nn. 10-12.
Per quanto riguarda la clausura monastica, essa era stata menzionata in VC 59, ma non
ulteriormente precisata. Verbi Sponsa al n. 13 fa riferimento ai «monasteri di monache della
veneranda tradizione monastica» (cfr. VC 6: si intende il monachesimo orientale e, in occidente, il
monachesimo benedettino), ma non attribuisce ad essi una terza modalità di clausura, detta appunto
monastica. Piuttosto, secondo VS 13, all’interno della tradizione monastica bisogna distinguere tra
monasteri che seguono la clausura papale, perché di vita interamente contemplativa, e quelli che
seguono la clausura costituzionale, in quanto «associano alla vita contemplativa qualche attività a
beneficio del popolo di Dio o praticano forme più ampie di ospitalità in linea con la tradizione
dell’Ordine».
Pertanto, l’introduzione di una terza forma di clausura, detta monastica, dovrebbe essere
considerata una novità rispetto alla normativa finora vigente. Curiosamente, però, nel definire
questa diversa forma di clausura, la Costituzione non fa che riprendere quanto Verbi Sponsa diceva
al n. 13 a proposito dei monasteri di tradizione benedettina che osservano la clausura
costituzionale. Si legge infatti in VDQ 31: «La clausura monastica […] permette di associare alla
funzione primaria del culto divino forme più ampie di accoglienza e di ospitalità, sempre secondo
le Costituzioni». In conclusione, non sembra che si esca fuori dal quadro tradizionale delle due
forme di clausura: quella papale e quella costituzionale.
L’art. 10 della parte dispositiva dà la possibilità a ogni monastero di scegliere la forma di
clausura che preferisce e, nel caso che tale forma si discosti da quella vigente nel proprio Ordine,
dovrà essere autorizzata dalla S. Sede. Al tempo stesso, però, si afferma che tale scelta dovrà
comunque rispettare «la propria tradizione e quanto esigono le Costituzioni». Confesso di non
riuscire a capire come concretamente ciò potrà avvenire. Suppongo che, nel caso che un monastero
voglia avere una forma di clausura diversa, dovrà presentare alla Congregazione un suo “schema
normativo”, rispettoso del carisma e dello stile di vita previsto dalle Costituzioni, e quindi la
Congregazione valuterà se approvarlo o no. In questo senso, direi che si permette di avere forme di
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clausura su misura delle diverse comunità (una bespoke enclosure). Ma ancora una volta vedremo
quali precisazioni l’Istruzione apporterà su questa materia.

3. Conclusioni
Mi sono soffermato solo su cinque dei dodici temi trattati in VDQ e ho cercato di
interpretarli alla luce del dibattito che in questi anni si sta svolgendo sulla vita contemplativa delle
monache.
La Costituzione è, in buona misura, un testo di tipo esortativo e, anche nelle sue
determinazioni dispositive, non intende modificare il quadro giuridico esistente. In questo senso,
forse, non era strettamente necessario che il documento comparisse come Costituzione Apostolica.
Le disposizioni tengono conto della reale complessità e multiformità della vita contemplativa
femminile e la accolgono senza tentare di uniformarla, ma al contrario riconoscendo in essa «una
ricchezza e non un impedimento alla comunione, armonizzando sensibilità diverse in un’unità
superiore» (VDQ 31).
Molte domande restano ancora aperte e sarà compito prossimo della Congregazione fornire
le risposte con l’emanazione di norme applicative. Sarà, tuttavia, difficile – dato il quadro definito
dalla Costituzione – che si possano considerare risolte le questioni fondamentali riguardo alla vita
dei monasteri contemplativi femminili, che – in base all’esperienza del nostro Ordine – riassumerei
in tre punti: l’eccesso di centralizzazione, la scarsa vigilanza sui singoli monasteri e
l’indebolimento dell’unità tra ramo maschile e ramo femminile della stessa famiglia carismatica.

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