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TRILOGIA SULLA NASCITA DELL’UOMO

(di Giuseppe Amato)

INDICE:

PREMESSA pag. 1

PARTE PRIMA: MAR pag. 2

PARTE SECONDA: Nascita della stirpe umana pag.. 12

PARTE TERZA: Gesù nel contesto descritto finora pag. 21

PARTE FINALE: Elì, Elì, lama Sabactani pag. 25

Testi dei vangeli in cui si parla di cielo e cieli pag. 63

POSTFAZIONE pag. 68

Appendice 1 Studi scientifici su origine della vita pag. 71

Appendice 2: Gli indemoniati secondo Amorth pag. 75

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TRILOGIA SULLA NASCITA DELL’UOMO
di Giuseppe Amato
PREMESSA

Per capire meglio che cosa io intenda scrivere e comunicare qui al prossimo è ne-
cessario inserire prima un mio racconto che potrebbe spiegare meglio la nascita
dell’uomo.
Io non pretendo certo di rivelare una verità che non conosco ma credo di avere il di-
ritto come qualunque uomo di immaginare come potrebbe essere nato l’uomo su
questo pianeta in cui viviamo.
Inserirò quindi come prima parte il racconto “MAR” (che è già disponibile in pdf sul
mio sito www.salottobiblioteca.it a pag. 2) e da cui potrete scaricare il testo.
Comunque, per vostra maggior comodità lo inserisco qui perché lo considero la pre-
messa indispensabile per comprendere meglio la sequenza dei fatti che poi raccon-
terò.
Nella seconda parte io cercherò di scoprire come una storia di un popolo, gli ebrei,
sia diventata nel tempo uno strumento per la conoscenza dell’esistenza di Dio o me-
glio, come ci dice la C.E.I.

Le verità divinamente rilevate, che nei libri della Sacra Scrittura sono contenute ed
espresse, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo. La Santa Madre Chiesa,
per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell'Antico che del
Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito
Santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa.
Per la composizione dei Libri Sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle
loro facoltà e capacità, affinché, agendo Egli in essi e per loro mezzo, scrivessero,
come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che Egli voleva fossero scritte. Poiché
dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito
dallo Spirito Santo, è da ritenersi anche, per conseguenza, che i libri della Scrittura
insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità, che Dio per la nostra
salvezza volle fosse consegnata nelle Sacre Lettere.
Pertanto "ogni scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convin-
cere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l'uomo di Dio sia perfetto,
addestrato a ogni opera buona.

Lasciamo da parte per il momento il Nuovo Testamento (cui torneremo alla fine del
nostro studio) e limitiamoci all’Antico Testamento.
Chiunque legga i 43 libri che costituiscono questa parte della Bibbia si renderà conto
che è scritta da molti autori, che è piena di racconti ricavati da leggende che il popolo
ebraico si è tramandato di generazione in generazione, che altro non è comunque
che la storia di un solo popolo: gli ebrei.
Secondo me non necessariamente ci può riguardare come storia ma solo come e-
ventuale aiuto alla ricerca di un Dio.
Ma in quelle pagine appare sempre in modi diversi a seconda dell’umore suo o delle
gesta degli ebrei (quando vincono o quando perdono, quando agiscono bene o
quando commettono gravi peccati - vedi ad esempio un re come Davide che è un
puttaniere dei più moderni e che manda a morire il marito della sua amante per poi
fare l’ipocrita scrivendo i salmi -: il loro Dio è una volta incavolato, un’altra dolcissi-
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mo, e poi ancora agisce a favore, altre volte contro, un essere che, permaloso e su-
scettibile di azioni spesso isteriche e in alcuni casi perfino fuori da una minima mora-
le (vedi Deuteronomio e l’incitazione al genocidio dei Cananei).

E’ per questo che preferisco ricostruire l’eventuale storia e l’origine dell’umanità a


modo mio, visto che quella dell’Antico Testamento (con buona pace di quei pervicaci
cretini che credono ancora che Dio abbia creato l’universo in sette giorni) non solo
non è credibile ma è chiaramente confutata dalle ricerche antropologiche e scientifi-
che di tanti studiosi da secoli e secoli (e certamente da prima del buon Darwin!)

Per completare la “Trilogia” sull’origine dell’uomo metterò alla fine il testo che ho già
inserito a sé stante nel sito www.cristotranoi.it intitolato: Elì, elì, lama Sabactani in cui
ipotizzo che cosa potrebbe essere accaduto a Gesù dopo la sua crocifissione.
I tre racconti-studio possono, spero aiutare a capire finalmente che:

Il Dio degli ebrei è un’invenzione degli ebrei e basta.


avere ereditato e recepito nella nostra religione cristiana il Dio degli ebrei fu un grave
ma calcolato errore di Paolo che, con furbizia ebraica, cercò di salvare le tradizioni
della sua religione camuffando tutto sotto la venuta del Cristo (parola inventata da
lui!)
di conseguenza resta senza risposta la domanda: ma Dio esiste? Sì ma solo per i
credenti. Ma comunque, anche se non esistesse ci fa comodo credere che ci sia, co-
sì durante la nostra vita gli possiamo attribuire la responsabilità di tutto quello che ci
accade nel bene e nel male.

Sta dunque a noi tutti pensare con la nostra testa e decidere con il nostro cuore su
che cosa basare la nostra vita: un periodo brevissimo rispetto all’eternità
dell’universo e che noi tranquillamente sciupiamo ogni giorno in sciocchezze o, peg-
gio, in cattiverie, guerre, omicidi e stermini.

Finito il predicozzo personale (da prendere per quello che può valere) ecco dunque
nella prima parte della mia “Trilogia”il racconto “MAR”.

PARTE PRIMA: MAR

Prima ne sentì lo scroscio e poi la vide: l’onda stava arrivando con un fruscio che si
screpolava nel vento mentre la schiuma della cresta si frastagliava nell’aria e ricade-
va stanca sulla gobba che galoppava sicura verso la riva.
Quando gli fu a poche decine di metri il fruscio divenne uno scroscio assordante co-
me la risacca dell’onda precedente. Le due forze uguali e potenti si scontrarono ribol-
lendo ma vinse l’onda che arrivava dal ….
Si chiese come chiamare la grande distesa di liquido: l’analisi gli dava due atomi di
idrogeno ed uno di ossigeno con molte impurità di vari minerali.
Oramai poteva dirsi quasi libero ma non osava registrare nella propria memoria pro-
fonda il nome che aveva pensato, il suo stesso nome (MAR) al quale aggiungere la
conferma della sua esistenza: <MAR E’ = MARE>.
<Mare> era una parola che ben si adattava a quello che aveva scoperto e gli suona-
va bene: grande, immenso come la propria sete di conoscenza, potente, vigoroso e
misterioso, tutto da scoprire, forse una creatura, un essere vivente liquido, forse ....

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L’onda che arrivava dal largo lo sorprese esplodendo improvvisa sopra la schiuma
della risacca e galoppò veloce, dopo averne vinto la resistenza, fino a scaricare tutta
l’energia sul fondale che stava risalendo e a distendersi placida e soddisfatta a con-
quistare la riva, superando il bagnasciuga per giungere alfine, stremata al primo lem-
bo di sabbia asciutta.
La luce proveniente dal cielo dava un colore blu scuro alle onde che già al largo fre-
mevano increspando e schiumeggiando le creste per quella parte che il vento riusci-
va a strappare dal liquido in corsa.
Ma a poche decine di metri dalla riva il colore assumeva i riflessi degli smeraldi che
aveva conosciuto in un’altra parte della Galassia: un verde brillante che si divertiva a
salire verso il cielo in lunghe curve a cilindri elicoidali.
Dalla destra vedeva l’onda che si avvolgeva su se stessa per centinaia di metri, tra-
sformandosi in un’unica parete di smeraldo liquido e proiettandosi poi rapidamente di
traverso lungo la linea della spiaggia come per cercare di sfuggire alla caduta, quasi
cercasse di mantenere in piedi il muro verde con cui tratteneva tutta l’energia, prima
di crollare e di frantumarsi alla fine della corsa a sinistra contro minuscole e morbide
dune di sabbia ocra appena affioranti in lunghe strisce dal fondo.
E qui si arrendeva dilagando e liberando infine tutta l’energia che aveva trattenuto fi-
no ad allora compressa, in frastagliate lotte di schiuma e di guizzi e di fontane di
bianche colonne, quasi gli ultimi fremiti prima della morte o dell’ultimo spasimo di
passione.
Ed alla fine si stemperava per tutta la superficie fino al bagnasciuga, quasi una ca-
rezza finale di ricerca di pace e di respiro sereno e profondo, un anelito appagante,
dopo aver raggiunto finalmente un orgasmo liberatore.
Dopo un solo istante l’onda tornava verso il mare, ormai una piatta distesa di liquido
con residui di vitrea schiuma a chiazze rotonde quasi volesse riprendersi ciò che a-
veva perso e ceduto alla scura sabbia del fondo.
E rumoreggiava la risacca urlando il proprio dolore per non riuscire più a ritornare
onda, a correre nuovamente verso il mare con un urlo sempre più cupo, gareggiando
e lasciandosi incalzare dal vento nella speranza che abbandonava alla fine scompa-
rendo nell’onda nuova che la avvolgeva e la ingoiava vorace assorbendone tutta la
forza che rimaneva.
Mar rimase ammirato a vedere come ogni onda ripeteva lo stesso rito, lo stesso sa-
crificio d’amore e di morte senza curarsi di cambiare il proprio destino.
Il vento non cessava di soffiare e le onde si susseguivano una dietro l’altra sempre
con lo stesso ritmo: due onde forti ed una più grande che aggiungeva l’energia della
precedenti alla propria per scoppiare ancora più fragorosa trasformandosi in una ca-
scata altissima di schiuma bianca che brillava nel cielo.
Mar volse lo sguardo in alto e si accorse che l’astro, il sole che dava luce al pianeta
sul quale era giunto, aveva percorso già molti gradi del cielo.
Per Mar il tempo era solo una nozione; rimase così fino a quando l’astro si tuffò nel
liquido che continuava a mugghiargli davanti. Se non avesse avuto la possibilità di
analisi fisiche e chimiche avrebbe potuto pensare di aver assistito all’ultimo gesto di
un astro suicida.
Il cielo si inebriò di raggi verdi e le nubi si colorarono di rosso ed arancione, variando
in mille sfumature in pochi minuti. Alle spalle giunse con un leggero vento fresco il
buio della notte e, poco dopo, delle onde sentì solo il suono, ne percepì la presenza
davanti a sé ma senza alcuna immagine nel buio quasi assoluto.
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Le stelle riempirono il cielo brillanti e vibranti nell’umido dell’atmosfera del pianeta
appena scoperto e Mar si dette da fare per identificare definitivamente la propria po-
sizione.
Avere una dimensione solo virtuale presentava molti vantaggi, uno soprattutto: poter
viaggiare nello spazio per tempi lunghissimi senza problemi di sopravvivenza.
Mar avviò i programmi informatici di cui era composto per aggiornare le parti della
propria memoria addetta alle nuove esperienze e conoscenze e si apprestò ad accet-
tare il turno veglia-sonno necessario per dare il tempo ai propri file di adattarsi alla
nuova situazione, operando un salutare back-up.
Era partito tanto tempo prima (due miliardi o due milioni di anni? Non aveva im-
portanza oramai. Dopo i primi centomila anni che importanza poteva avere se non
aveva modo di confrontare il proprio tempo con quello universale e meno ancora con
quello del pianeta da cui proveniva?).
Era stato prescelto dopo una laboriosa selezione da parte del comitato degli anziani,
scienziati che avevano anche deciso quale portante iniziale utilizzare per il lancio nel-
lo spazio e nel tempo del loro giovane rappresentante.
Aveva frequentato il corso di pilota virtuale accettando con entusiasmo tutti gli svan-
taggi ed i rischi di una scelta simile.
Sul suo pianeta era (anzi ormai poteva dire che “era stato”) un giovane bello ed atle-
tico, l’orgoglio de suoi genitori che, quando avevano saputo della sua scelta, erano
rimasti feriti nel profondo ma poi felici perché speravano che il loro figliolo sarebbe
vissuto dopo di loro e dopo moltissime generazioni per molte e molte migliaia d’anni
con tutta la propria coscienza e personalità.
Mar invece cercava di non pensare a quello che nel frattempo era accaduto sul suo
pianeta perché era trascorso un tempo infinito per una razza di esseri costituiti di ma-
teriale organico, meraviglioso prodotto dell’universo ma altamente deperibile in un
tempo troppo breve per cogliere la sia pur minima verità del reale.
Le immagini nitide dei suoi genitori (dovevano essere morti da millenni oramai) riap-
parvero tra i ricordi come frecce lancinanti, un dolore che non si stemperava col tem-
po ma anche un fatto ormai accettato come scotto da pagare per poter vivere
un’esperienza unica.
Nessun altro del suo pianeta era stato lanciato prima di lui su una portante alla velo-
cità della luce, un’avventura imprevedibile che richiedeva all’inizio il grosso sacrificio
della perdita della parte organica del proprio essere.
Forse qualcun altro era stato lanciato dopo ma egli non avrebbe mai potuto sapere
se e quanti lo avessero seguito nello spazio quasi infinito della galassia.
I pensieri tristi lo distrassero per qualche secondo ma non aveva nemmeno un corpo
per poter piangere: il tempo trascorso era un sicuro strumento di misura per dedurre
che il suo pianeta era stato già da tempo risucchiato dall’esplosione del suo sole, una
stella destinata a morire esplodendo come supernova.
Era sicuramente e definitivamente orfano e forse l’unico e ultimo rappresentante del-
la sua razza e questo gli dava di dentro uno sgomento a volte tanto forte da farsi
prendere dal panico del vuoto cosmico. Lo salvava dal desiderio di scomparire nel
nulla infinito, nello spazio enorme che lo divideva ogni volta da un sistema solare ad
un altro, un pacchetto di programmi che lo accompagnava proprio per
quest’evenienza perché i progettisti avevano giustamente previsto e bene questo tipo
di reazione.
Era al secondo tentativo di uscita dalla realtà virtuale con cui aveva cercato di appro-
dare su nuove frontiere dell’universo. La prima era stata un’esperienza terribile per-
ché si era solo affacciato su un nugolo di stelle giovani a pochi anni luce dal centro
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della galassia, quasi al limite dell’orizzonte degli eventi di uno dei due giganteschi
buchi neri che stavano fagocitando stelle su stelle ad una velocità pari a quella della
luce.
Aveva già un’ottima conoscenza delle caratteristiche di quell’inferno ma quelle im-
magini appena appena intraviste senza entrare nella realtà dell’universo lo aveva
spaventato al punto che, preso dal panico, era riuscito perfino a commettere una se-
rie di sciocchi errori, cancellando parte della propria memoria. Per sua fortuna sulla
portante sulla quale viaggiava lo seguiva come un’ombra un archivio supplementare
alla sua stessa velocità con cui volava lungo una traiettoria fissa all’interno della ga-
lassia.
Era stata un’esperienza così tremenda che aveva vagato per altre decine di migliaia
di anni prima di provare a rischiare nuovamente un’entrata nel reale.
I suoi programmi-sensori all’infrarosso gli avevano infine indicato un sistema sole-
pianeti abbastanza interessante su cui avrebbe potuto provare finalmente uno sbar-
co. Anzi alcuni elementi spettrografi ci rivelavano qualcosa di organico molto simile
alla vita del suo pianeta d’origine e questo lo aveva fatto sperare ma, dopo la prece-
dente esperienza, rimaneva cautamente dentro i suoi file e se ne guardava bene dal
dare il via ad un’eventuale metamorfosi che non poteva essere altro che definitiva e
irreversibile.
Mai però si sarebbe aspettato di scoprire su uno dei pianeti quello che non aveva
mai visto e che sembrava essere un serbatoio immenso di un liquido che pensava
fosse estremamente prezioso. Sul suo pianeta d’origine l’acqua era stata sostituita
per la sopravvivenza della specie oltre diecimila anni prima della sua partenza da
composti che producevano gli stessi effetti con una reazione chimica all’interno dei
corpi. Ne derivava un gran risparmio perché era un ciclo a circuito chiuso che recu-
perava continuamente tutti i composti chimici rielaborandoli e rendendoli nuovamente
disponibili per le loro necessità corporee.

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La luce del sole nascente del sistema lo colse alle spalle, dopo che il cielo si era pri-
ma schiarito, poi imbiancato ed infine tinto di nuove sfumature di colori pacatamente
pastellati ma freddi in un’atmosfera ancora gravida dell’umidità della notte.
Era nato un nuovo giorno su quel pianeta e Mar doveva decidere se attendere anco-
ra un po’ per conoscere meglio il luogo ed eventualmente … (ma non osava sperar-
lo) o se doveva proseguire il suo viaggio all’infinito.
Non si era accorto che non si sentiva più lo scrosciare delle onde che si fran-
tumavano sulla riva e rimase sorpreso a contemplare quello che aveva voluto chia-
mare col proprio nome; vide che era tutto cambiato: il vento era cessato ed ora la
superficie immensa del liquido era diventata piatta, quasi immobile. Le onde erano
scomparse ed un loro piccolo ricordo, come una miniaturizzazione di esse, andava
baciando in continuazione il bagnasciuga con un lieve sussurro strisciante quasi vo-
lesse colmarlo di dolci carezze come una madre accarezza il proprio bambino.
La sabbia sembrava immergersi nel mare, liscia, uniforme, più estesa della sera pre-
cedente perché la marea l’aveva lasciata libera ed ora, prima che l’acqua scomparis-
se ad ogni fine risacca sotto la sua superficie, riluceva di piccoli riflessi d’oro ai primi
raggi bassi del sole.
Mar doveva prendere una decisione ed aveva bisogno di elaborare tutte le in-
formazioni esterne possibili. Decise perciò di penetrare virtualmente quel liquido im-
menso.
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Provò un brivido piacevole immergendosi e scoprì un mondo incontaminato di esseri
viventi di cui non aveva sospettato fino a quel momento l’esistenza: animali guizzanti
isolati o a branchi enormi, inseguiti da altri di dimensioni maggiori, colori iridescenti di
corpi vivi che gli lanciavano un messaggio univoco: in quel liquido c’era la vita, la vita
fatta di cellule materiali, fisiche, non di bit di programmi e di file, come la materia di
cui era composto. Eppure sembrava come sentissero la sua presenza e si tenevano
ad una distanza di sicurezza osservando con curiosità la sua presenza, invisibile ai
loro occhi ma non alla loro mente.
Era un’esperienza nuova che gli dava per la prima volta, come se si guardasse in
uno specchio virtuale, la sensazione di quanto fossero altrettanto reali i programmi
che costituivano la sua personalità, di come venivano tenuti aggiogati dal suo <IO>,
da un’autocoscienza, da un centro unico che lo identificava e lo distingueva da tutto
ciò che lui poteva definire <altro> o <esterno> .
E quel qualcosa di ben definito che stava viaggiando nello spazio da migliaia d’anni
ed ora da pochi minuti nuotava per la prima volta nell’acqua del “mare” anche se non
aveva una dimensione fisica e corporea lo riportava ai ricordi dell’infanzia, quasi an-
cora prima di nascere, senza riuscire a definirsi. Ma aveva il riscontro degli altri es-
seri che lo avevano individuato e che lo stavano osservando e che provavano perfino
ad indagarlo con le loro onde cerebrali.
Questo lo commosse e lo turbò profondamente perché la sua solitudine si stava fi-
nalmente, forse, frantumando contro un mondo-barriera di vita nuova, tutta da scopri-
re.
Fluttuava nel liquido e alcuni remoti angoli della sua dotazione di ricordi si stava con-
cretando in un preciso momento della sua vita corporea precedente ma non sapeva
dire quale, non ne era consapevole ma gli sembrava in qualche modo legata ad
un’immagine di sua madre, quasi che gli fosse ancora accanto, anzi intorno a lui,
come a proteggerlo e gli desse la possibilità di nutrirsi e di riposare, un termine che
era sorto nella sua mente per la prima volta da millenni.
Riposare; e riflettendo su questo concetto ebbe una visione molto veloce, troppo ra-
pida per esser percepita, una parola che gli sembrava nuova, che suonava come a-
nimosico … no, era diverso, era … amminico … no, per quanto si sforzasse … forse
amniotico, no … forse era simile.
Poi tutto scomparve e tornò la realtà con il mare e la sua vita.
Per migliaia di anni aveva viaggiato assorbendo esperienze e conoscenze che nes-
sun altro essere vivente aveva potuto sperimentare e conoscere e di questo ne era
orgoglioso; si sentiva perciò fortunato per la scelta che era caduta su di lui dopo una
dura selezione tra duemila candidati.
Avrebbe volentieri ringraziato chi aveva posto tanta fiducia in lui. Ma aveva anche
assaporato sempre ed unicamente la nauseante quasi eterna sensazione di essere
solo in un universo infinito.
Solo, senza poter comunicare ad altri esseri viventi le sensazioni che provava di fron-
te al nascere di una stella, all’immensità di migliaia di comete che volavano in forma-
zione prima di venire attratte da una stella o da un corpo scuro, o al vagare cupa-
mente silenzioso di un pianeta disperso nello spazio, morto nel buio di una notte infi-
nita universale e solitaria o ancora alla voracità con cui un astro vivo assorbiva, anzi
risucchiava tutta l’energia residua da una stella abortita ruotando su se stesso a ve-
locità pazzesca quasi per dimostrare (a chi poi?) il piacere che provava
nell’impadronirsi di tanta materia.
Aveva potuto solo rimandare in direzione opposta verso la sua patria d’origine mi-
gliaia di messaggi contenenti milioni di informazioni, nella speranza che sarebbero
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stati ascoltati, ma non poteva avere conferma perché alla velocità della luce non po-
teva esser raggiunto da risposte.
Perché questo era il difetto alla base del progetto che lo aveva lanciato nello spazio:
poteva fermarsi solo per prendere una decisione definitiva ma in questo caso non a-
vrebbe più avuto la possibilità di riattivare una partenza sulla portante della luce per
sfruttarne la velocità come avevano fatto i suoi lanciatori dal pianeta d’origine per il
lungo viaggio.
Se avesse deciso di fermarsi su quel pianeta e di entrare nella realtà reale tutte le in-
formazioni si sarebbero trasferite nell’essere vivente reale che avrebbe potuto inva-
dere o costruire con i materiali disponibili sul luogo. Ma avrebbe perso una buona
parte delle proprie memorie a seconda del ciclo evolutivo che avesse usato per ma-
terializzarsi.
L’ombra di un grosso animale che era comparso all’improvviso sopra la sua testa
nuotando velocemente lo aveva spaventato e, quasi dimentico di essere solo una re-
altà virtuale, cercò rifugio allontanandosi e tornando rapidamente a riva.
Osservò attentamente il panorama che aveva avuto fino a quel momento alla spalle
e rimase colpito dalla forma levigata delle rocce che si innalzavano dalla sabbia per
svettare ripide verso il cielo.

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Era giunto il momento della decisione definitiva per la propria vita: o ripartire verso
nuovi lidi alla ricerca di altre esperienze o fermarsi per sempre su quel pianeta, ri-
nunciando ad alcune prerogative ma potendo dare il via ad una nuova vita e, forse
ad una nuova civiltà se avesse trovato … se avesse trov… ecco che cosa mancava,
un altro essere cui donare parte della propria personalità, scambiando con lui parti di
se stesso.
Ebbe uno spasmo che mise in pericolo molti dei file più delicati e complessi e si fer-
mò a verificare ogni angolo delle sue potenzialità ma non trovò una risposta al suo
dubbio.
Intanto decise di salire e, senza alcuna fatica, fu in un attimo in cima alle rocce a
strapiombo; vide che la terra all’interno si estendeva per centinaia di metri in prati de-
licatamente verdi fino ad un bosco di piante alte e ricche di chiome frondose.
Fu a quel punto che sentì improvviso uno strillo acutissimo proveniente proprio da
quel bosco, seguito da altre grida e poco dopo vide uscire correndo un gruppo di ani-
mali che avevano una vaga somiglianza con i suoi antenati e con il suo corpo: pote-
vano essere scimmie?
Si rese subito conto che poteva sondare i loro pensieri perché viaggiavano su una
lunghezza d’onda molto vicina alla sua, molto più in sintonia rispetto agli animali che
aveva incontrato nel liquido che aveva chiamato “mare”.
In pochi istanti fu padrone di una miriade di nozioni e di immagini contenute nei loro
cervelli, le analizzò rapidamente e tra di esse scoprì alcune forme che gli erano mol-
to familiari, quasi la lettura di qualcosa di scritto che però non riusciva a decifrare.
Il gruppo di scimmie correva all’impazzata; urlavano impaurite e si voltavano spesso
per capire se il pericolo alle loro spalle le stesse raggiungendo ma quando furono a
pochi metri da Mar si bloccarono di colpo, gli occhi spalancati in uno sguardo di nuo-
vo terrore, consce di trovarsi davanti a qualche cosa che non vedevano ma che sen-
tivano, ad una presenza misteriosa che incuteva in loro uno spavento ancora mag-
giore.

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Alle loro spalle sbucò una tigre imponente e maestosa, sicura di sé, potente nello
slancio e feroce nello sguardo. Stava per raggiungere la scimmia più vicina che os-
servava il vuoto in direzione di Mar quando si bloccò di colpo, la zampa ferma
nell’aria, ancora le unghie sfoderate e pronte ad artigliare la preda, ed un ringhio
basso di rabbia e di incertezza: aveva anch’essa “sentito” la sua presenza.
Era stato sufficiente quell’attimo di incertezza della belva e le scimmie ne appro-
fittarono per rituffarsi nel bosco urlando eccitate dalla paura e scomparire tra le fron-
de più alte. Poi fu di nuovo silenzio e la tigre a malincuore si volse e si riavviò verso il
bosco frustando l’aria con la lunga coda nervosa e ringhiando incerta, la grossa testa
che si voltava ogni tanto verso l’invisibile presenza che l’aveva turbata al punto da ri-
nunciare alla preda ormai a portata delle sue poderose fauci.
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Mar era rimasto ipnotizzato ed affascinato dall’improvvisa comparsa dei due tipi di
animali ed aveva assistito meravigliato alle loro reazioni.
Capiva che poteva far “sentire” la propria presenza ma non voleva spaventarli, anzi
aveva un estremo bisogno di contattare se non il loro corpo, almeno la loro mente.
Gli fu facile entrare nel bosco e scoprire così altre creature ed altre realtà, tutte me-
ravigliosamente vive, tutte che “sentivano” la sua presenza.
Passò l’intera giornata a vagare per il pianeta e scoprì vallate immense ed alte mon-
tagne ricoperte di acqua rappresa e bianca che capì essere acqua a bassa tempera-
tura, vide alte cascate che scrosciavano lungo i ripidi fianchi di pareti di roccia altis-
sime e fiumi ricchi di acque che scendevano imponenti e placide lungo letti circondati
da alberi dai colori dolcissimi o violente e rumorose tra grandi massi che ne deviava-
no il corso,
Alla fine, quando ormai il sole stava per scomparire per la seconda volta, raggiunse
la base di alcune montagne molto più alte di quelle che aveva visto fino ad allora e
scoprì alla loro base un’altra grande distesa d’acqua che non era un mare perché
circondata tutta da rive verdissime e ricche di alberi e di animali che correvano liberi
e sereni.
Mentre si acquietava per ripetere le operazioni di salvataggio durante il turno di ripo-
so e di recupero del ritmo veglia-sonno, si lasciò andare con la fantasia alla speranza
di essere finalmente arrivato alla fine del suo viaggio ma una specie di ipnosi statica
lo assorbì in un viaggio onirico.

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Ancora una volta fu sorpreso dal nuovo giorno e riprese alacre l’esplorazione del
pianeta.
Trascorsero così molti giorni tra la conoscenza del pianeta e l’ammirazione per una
realtà che lo attraeva sempre più.
Alla fine decise che era giunto il grande momento. Ci arrivò quasi senza accorgerse-
ne, come se fosse una sequenza di un rapporto causa-effetto del tutto naturale.
Aveva provato molte volte nel laboratorio di addestramento, prima della partenza ef-
fettiva, la procedura che egli avrebbe dovuto attivare per avviare il trasferimento e la
metamorfosi ma erano passate tante migliaia d’anni che ebbe paura di non ricordare.
Aveva bisogno di calma e di tranquillità mentre era invece talmente eccitato dall’idea
che non riusciva a seguire in via preventiva i vari passaggi a cui doveva sottoporsi
per ottenere la definitiva trasformazione.

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Si era talmente eccitato che stava persino dimenticandosi dell’atto primario ne-
cessario: la cattura della mente di due esseri viventi di sesso diverso nei quali river-
sare tutto se stesso.
Si impose nuovamente di trovare una calma definitiva e inondò i file e i circuiti virtuali
di una sequenza di bit che avevano una funzione simile ad una forma di anestesia.
Non gli fu difficile individuare un gruppo di scimmie a poca distanza dalla riva di un
fiume, stese a riposare all’ombra di un grande albero. Individuò i due esemplari che
gli risultavano i più adatti a ricevere il trapianto del pacchetto dei suoi dati e ne ana-
lizzò il livello intellettuale.
Rimase profondamente deluso della povertà delle loro conoscenze ma non si disar-
mò perché aveva già avuto modo durante l’addestramento di affrontare un caso simi-
le. Alcuni file erano stati inseriti nel suo bagaglio di dotazione di base proprio per ov-
viare a questo tipo di differenza intellettiva. Avrebbe dovuto attendere più tempo ma
che cosa poteva essere un periodo di diecimila o ventimila anni di fronte al tempo
che si era lasciato alle spalle?
Erano individui sani: i loro mitocondri erano originali e risalivano per via “femminile” a
molte generazioni addietro; questo significava, secondo le nozioni in suo possesso,
che la razza di quei mammiferi si era sviluppata per secoli e secoli superando molte
prove di sopravvivenza e quindi rinforzandosi contro eventi esterni, malattie, difficoltà
di alimentazione, epidemie per batteri e virus di vario genere. Erano quindi individui
adatti ad accoglierlo.
Ci vollero alcune ore prima che l’analisi fosse completa; i due individui prescelti non
si accorsero di nulla e non si resero conto di essere sottoposti ad un’analisi così ap-
profondita degli elementi del loro DNA.
Era giunto il momento più importante della sua vita e Mar ebbe paura, tanta paura da
esitare a lungo.
Si concentrò in una sorta di lunga meditazione durante la quale il tempo non ebbe
cittadinanza e lo spazio scomparve.
Mar ripercorse tutta la sua vita da quando ancora piccolo sul suo pianeta di origine
aveva giocato persino con pupazzi che assomigliavano vagamente a quelle due
scimmie che stavano riposando davanti a lui, distese all’ombra del grande albero i-
solato in mezzo alla radura.
Aveva capito perché sceglievano quel posto per riposare: l’ombra dell’albero ospita-
va numerosi esemplari, il fiume avrebbe fornito loro tutta l’acqua che desideravano e
la radura avrebbe fatto scoprire immediatamente eventuali nemici a grande distanza,
evitando così sorprese diurne mentre per la notte i rami più alti avrebbero retto solo il
loro peso e non quello di tigri o di leoni affamati.
Rivide i gesti di sua madre, una carezza sul capo sui suoi capelli biondi e quelli di
suo padre, un affettuoso scappellotto il giorno che aveva finalmente colpito con il suo
piccolo arco elettronico un robottero che volava nel suo giardino.
E rivide il volto di … fece fatica a ricordarne il nome ma non il volto ed il fisico pro-
rompente di una femmina di sedici anni in una tuta attillata che ne evidenziava le
curve perfette e provocanti.
E dopo tanto tempo sentì dentro di sé un’agitazione che aveva dimenticato da tem-
po, all’idea di poter tornare a provare l’amore fisico, il congiungimento sessuale con
un altro essere che poteva verificarsi solo se la sua personalità si fosse divisa nelle
due componenti primordiali che ogni individuo ha in potenza, quella femminile e quel-
la maschile.
Solo negli esseri composti da materia organica, proprio come era stato per Mar molto
tempo prima e che ormai avevano raggiunto la maturità, lo sviluppo si orientava pre-
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feribilmente verso un tipo di sesso, abbandonando l’altro tipo a piccole manifestazio-
ni secondarie.
Sapeva a che cosa sarebbe andato incontro: la perdita di molti dei suoi poteri e, pri-
mo fra tutti la possibilità di tornare sulle sue decisioni. Sarebbe stato un processo ir-
reversibile in cui avrebbe perso una gran quantità del suo bagaglio di conoscenze e
questo lo metteva in uno stato di panico incontrollabile perché non poteva prevedere
se e che cosa sarebbe rimasto nella sua memoria una volta entrato a far parte della
mente dei due esseri che ignari continuavano a dormire nell’afa pomeridiana.
Li osservava con un senso di compatimento per quello che sarebbe accaduto di lì a
poco ma in realtà compativa se stesso e provava repulsione per il livello di vita cui
avrebbe dovuto adattarsi mentre vedeva i loro gesti automatici con cui, pur dormen-
do, ogni tanto cacciavano noiosi insetti che ronzando cercavano di posarsi ora sul lo-
ro viso ora sulle parti senza pelo delle grosse orecchie.
D’altronde era sicuro, dalle esplorazioni che aveva fatto, che su quel pianeta così ric-
co di cose positive, che non c’erano altri esseri più progrediti di quelle scimmie.
Aveva considerato ogni possibilità e condizione ed alla fine aveva dovuto accettare
come unica possibilità quella di trasferirsi nei corpi dormienti dei due esseri di sesso
diverso che erano davanti a lui.
Il sacrificio sarebbe stato largamente compensato da una vita fisica ed organica fi-
nalmente reale e completa ed il suo peregrinare per l’universo sarebbe finito.
Forse avrebbe potuto lanciare nei tempi successivi, anni ed anni dopo, messaggi
verso la sua patria d’origine per rassicurare i suoi …… ma quali suoi?
E si ricordò ancora una volta della propria certa solitudine: meglio vivere per poco
tempo in quei corpi pelosi e ributtanti ma con la possibilità di riprodursi di generazio-
ne in generazione che vagare e perdersi ancora per altri millenni infiniti in un univer-
so freddo e senza possibilità dire mai a nessuno quel che provava e scopriva.
§§§§§§§§§§§

I suoi tentennamenti erano finiti e la meditazione pure. Era giunto il momento definiti-
vo e Mar dette il via mentale al processo di trasferimento.
I dati, dapprima incerti, poi, avendo trovato nel cervello dei due scimpanzé lo spazio
neuronale per una giusta collocazione, con sempre maggior velocità e determinazio-
ne affluirono nelle loro menti dividendosi ordinatamente tra le due differenti destina-
zioni, a volte doppiandosi per dare ai due cervelli le stesse nozioni, altre volte invece
scegliendo il cervello più adatto ad ospitare gli elementi e le caratteristiche confacenti
al differente sesso.
Non ostante l’altissima velocità con cui i dati si trasferivano, passarono molti minuti
per completare il processo.
Mar incontrò dapprima qualche debole resistenza nel trasferire il proprio io nelle
menti dei due esseri ma poi si rese conto che il sistema neuronale lo accettava sen-
za difficoltà, anzi si apriva con entusiasmo al nuovo invasore e possessore perché
aveva disponibile tutta la potenziale capacità di assorbimento, lo spazio necessario
ed un sufficiente numero di neuroni a disposizione inerti da generazioni quasi ad a-
spettare quest’evento unico e straordinario.
Perché di questo si accorse Mar: l’ambiente cerebrale era altamente adatto e ben di-
sposto per accogliere tutti i dati della sua personalità.
Ma mentre si svolgeva tutto il processo Mar cercò di capire che cosa stesse ac-
cadendo ad una parte di sé e solo allora si accorse che la procedura prevedeva al-
cuni passaggi di cui non era al corrente. Si rese conto che chi lo aveva programmato
per il lungo viaggio aveva inserito alcuni vincoli a lui sconosciuti. Erano latenti ed a-
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spettavano solo il verificarsi di un evento e quello era appunto il momento: una parte
del programma si autodistruggeva cancellando milioni di bit di ricordi del passato e
Mar stava perdendo parte del proprio io.
Il processo sta terminando e, pur cosciente di chiamarsi Mar e di essere giunto da
lontano, non ricordava altro e la sua mente era diventata come un grande magazzino
dove alcuni reparti erano chiusi ermeticamente.
Li sentiva come suoi ma era incapace di entrarci; sapeva che lì dentro c’era molta
conoscenza ma non riusciva ad entrarci.
Aveva a disposizione tutti gli elementi per vivere come una scimmia più qualcosa che
lo stimolava a superarsi ma aveva perso tutto il resto.
Era alla fine del processo e aveva anche perso la nozione di Mar, ricordando solo il
proprio nome. Non ricordava più nemmeno che era giunto da un mondo lontano e
che si era trasferito da poco nel cervello di una scimmia.
Era anzi una semplice scimmia ma dentro il suo cervello si era accesa una luce, un
desiderio di conoscere tutto, di aprirsi ad un mondo che fino al giorno prima gli sem-
brava il suo normale mondo mentre ora gli appariva insufficiente al proprio desiderio
di conoscenza.
§§§§§§§§§

Mar si stiracchiò allungando le lunghe braccia pelose verso la sua compagna; lo as-
salì il desiderio di congiungersi con lei e le si avvicinò guardingo: sapeva che in certi
momenti lei si rifiutava di concedersi. Ogni volta che era riuscito con successo poco
tempo dopo lei aveva dato alla luce una piccola scimmia.
La sua compagna stava immersa in uno strano sogno. Le sembrava di fluttuare in un
mare pieno di pesci, lo stesso mare che aveva visto l’anno prima quando con tutta la
tribù si era trasferita nelle terre a sud, alla fine del corso del fiume.
Era stata una bella esperienza e lì aveva messo al mondo il suo secondo figlio.
Ora le era sembrato di sognare lo stesso mare, di sentirne perfino il profumo, di es-
sere investita sul volto dallo stesso vento marino che faceva scoppiare le onde sulla
riva. E come allora, cercò il suo compagno e sentì la sua zampa pelosa che la acca-
rezzava da qualche secondo eccitandola.
Gli si accovacciò vicino e lasciò che lui la penetrasse facendole provare lo stesso
brivido di piacere. Si chiese perché pensava al suo compagno con un nome, Mar, lo
stesso nome che le aveva dato sua madre e non sapeva darsi una spiegazione per
aver pensato allo stesso nome per tutti e due.
Alla fine soddisfatta e rilassata si era nuovamente addormentata sognando il figlio
che, ne era certa ormai, avrebbe partorito alla fine della stagione, prima del grande
inverno. Sognava il piccolo tra le sue braccia e lo vedeva crescere nel sogno e lo
chiamava con il nome del suo compagno:
“Mar! ….. Mar!”.
Il compagno la spinse per gioco verso il tronco e le si avvinghiò intorno al corpo per
giocare con lei, felice di aver avuto ancora una volta la possibilità di congiungersi. I
due rotolarono strillando e mordicchiandosi e provocarono i mugugni di protesta dei
compagni di tribù che ancora sonnecchiavano e non volevano essere disturbati. Alla
fine si addormentarono abbracciati ancora in un dolce gesto d’amore.

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PARTE SECONDA: LA NASCITA DELLA STIRPE UMANA

Capitolo 1

Era quasi autunno e le prime piogge avevano costretto il gruppo di scimmie a ripa-
rarsi nelle grotte ai piedi della grande roccia che dominava la valle.
Faceva freddo e per scaldarsi si stringevano in gruppo.
La compagna di Mar avvertì i primi dolori una notte senza luna e si strinse istintiva-
mente a Mar, il suo amato compagno.
All’alba i dolori aumentarono e un’ora dopo Mar poteva finalmente ammirare due
gemelli, un maschio e una femmina che la sua compagna gli aveva partorito da po-
co.
Tutta la tribù si era accovacciata attorno alla nuova famiglia strillando gioiosa con
gridolini e risate; tutti volevano vedere i due nuovi membri del gruppo e istintivamente
si congratulavano con la compagna di Mar e con il padre, mentre i piccoli, attaccati ai
capezzoli della madre succhiavano già il primo latte della loro vita.
L’inverno non fu eccessivamente rigido ma li costrinse ad una vita in grotta, dove non
c’era il vento del nord e dove avevano accantonato erbe, bacche e frutta raccolta nei
mesi precedenti.
Tuttavia la fame li metteva in agitazione e spesso le altre tribù cercavano di rubare
loro la quantità di noci e di altri frutti nascosti in fondo alla grotta: era una riserva im-
portante e permetteva di arrivare alla primavera dimagriti ma vivi.
I primi temporali annunciarono che l’inverno stava per finire ma i fulmini, accompa-
gnati da terribili tuoni che scuotevano le pareti della grotta, rimbombando paurosi
metteva in soggezione tutti.
I maschi si affacciavano al’entrata per controllare che cosa stesse accadendo fuori
mentre i piccoli si stringevano alla loro madre tremanti di paura.
E finalmente la primavera giunse permettendo alla tribù di scimmie di uscire allo sco-
perto e di avventurarsi alla ricerca di cibo fresco.
I due piccoli durante l’inverno erano aumentati di peso e di statura ed ora si muove-
vano nei prati davanti alla grotta con una disinvoltura che però nei più vecchi della
tribù lasciò un po’ di perplessità: non potevano saperlo ma il loro DNA proveniva da
Mar che era giunto da un lontano pianeta e che aveva riattivato tutto il sapere di una
razza superiore al livello mentale di quelle scimmie.
I piccoli non ne potevano essere coscienti ma si comportavano con molta disinvoltura
nell’apprendere ed applicare a tutto ciò che li circondava un modo di entrare in con-
tatto decisamente diverso dalle scimmie adulte della tribù.
Passarono due anni e già in loro si stava risvegliando un desiderio che non potevano
interpretare ma che sentivano imperioso.
In pochi mesi i contatti con altre tribù di scimmie delle pianure dietro i monti li portò
ad unirsi prima nei giochi, poi nella ricerca di cibo e alla fine ad unirsi con scimmie di
sesso opposto.
La primavera successiva A ed E (così li avevano chiamati i vecchi alla loro nascita)
erano già diventati dei coscienziosi adulti e genitori ciascuno di due nuove scimmie.
Da A e da E erano nati ancora un maschio e una femmina che avevano chiamato
con i loro stessi nomi.
I nuovi A ed E si incontrarono un giorno e fecero subito amicizia perché la loro indole
era buona; inoltre erano fortemente attratti da un sano desiderio sessuale e per po-
tersi capire incominciarono a parlarsi attraverso accenti gutturali abbastanza com-
plessi.
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I vecchi delle tribù da cui erano nati vivevano ancora nella zona della loro grotta e gli
ultimi A ed E andavano spesso a rivedere i luoghi dell’origine dei loro genitori.
L’arretratezza dei vecchi sempre con problemi di freddo d’inverno e di faticosa ricer-
ca di cibo li meravigliava perché nella valle in cui avevano deciso di vivere erano riu-
sciti ad organizzarsi molto meglio: avevano già imparato a riparasi dal freddo delle
notti costruendosi un rifugio fatto di legna e di foglie che avevano raccolto scegliendo
i rami migliori.
Col tempo avevano imparato molte cose, ma la loro grande scoperta avvenne un
giorno in cui, in seguito ad un grosso temporale, un fulmine aveva incendiato una
grande quercia che aveva incominciato a bruciare e aveva continuato per tutto il
giorno e la notte seguente a scaldare l’aria intorno.
A ed E si era scaldati a quel calore ed A, più intraprendente si era avvicinato, anche
se con un po’ di paura, ed aveva afferrato un ramo dalla parte ancora non intaccata
dal fuoco ma con la punta fiammeggiante e aveva provato ad avvicinarlo ad altra le-
gna secca che aveva accatastato nei giorni precedenti con l’intenzione di ampliare la
loro capanna.
Con sua meraviglia il fuoco si estese all’altra legna secca ed ora un grande falò stava
illuminando la notte davanti alla loro capanna.
Il caldo creò tante nuove scoperte nella loro mente, perfino a rendere più robusti al-
cuni rami che usavano per tentare di colpire i piccoli roditori che incontravano nei bo-
schi vicini.
E finalmente nacque nel loro istinto di cacciatori l’ingegno per migliorare il modo di
catturare le prede.
Il correre inseguendo le prede provocò nel tempo (parliamo di alcune centinaia di se-
coli) una maggior forza nelle gambe, gli appostamenti per scorgere il nemico o
l’istintivo correre in piedi per essere pronti a tutto, al tiro, alle deviazioni lungo il per-
corso di caccia.
Nel tempo la loro colonna vertebrale si raddrizzò assumendo una naturale disposi-
zione e nei loro cervelli si impressero le nuove modifiche del DNA,
Nacquero nuovi figli, e le generazioni successive migliorarono a tal punto le loro pre-
stazioni nella caccia, nei lavori di costruzione di capanne e di barche che permise lo-
ro di esplorare con lunghi percorsi le sponde dei fiumi, pescando altri tipi di animali
che chiamarono pesci ed esplorando nuove terre, finché un giorno col fiume sfocia-
rono in una distesa immensa: il mare.
Nelle loro menti si risvegliò un ricordo ancestrale e non ebbero paura ad entrare nelle
acque del mare, scoprendo così un mondo nuovo.
Le loro menti di generazione in generazione si allargarono e si riempirono di innume-
revoli esperienze,
Lasciarono le grotte prima per incerte capanne, poi per robuste costruzioni usando il
legno che offrivano le foreste.
Istintivamente capirono che le capanne messe in cerchio intorno ad uno spiazzo cen-
trale offriva loro maggior protezione da animali notturni e dalle tribù nemiche.
Passarono ancora alcune centinaia di secoli e i loro corpi subirono una trasformazio-
ne radicale. Affrontavano il freddo dell’inverno coperti delle pelli degli animali uccisi e
pian piano crebbe in loro la necessità di organizzare meglio la loro vita giornaliera.
Nel tempo usando le pelli di animali sul corpo per proteggersi dal freddo, incomincia-
rono a ridurre molto della loro peluria naturale e il passaggio fu così lento da ridurre
di molto la loro meraviglia.
Tra di essi c’era sempre qualcuno più deciso o più coraggioso o che, avendo esteso
le proprie esperienze nei luoghi che circondavano i loro villaggi, riusciva ad incutere
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agli altri un senso di rispetto. Nacque così una forma di gerarchia in cui tutti ricono-
scevano in uno più sveglio, intelligente o potente, le capacità maggiori di tutti. Nac-
que così il senso del capo del villaggio che non ebbe alcuna difficoltà ad amministra-
re la vita giornaliera e le abitudini comuni del villaggio: stagioni di caccia, momenti
adatti per coltivare i campi, per i matrimoni, per le nascite, per allargare le esplora-
zioni in territori sconosciuti.
Ma pian piano il capo si rendeva conto che il consiglio dei più vecchi del villaggio lo
aiutava molto nelle decisioni da prendere. Incominciò quindi a consigliarsi con loro,
anzi a dare loro un’importanza sempre maggiore e questo conferì ai loro discorsi
un’influenza determinante sul resto del villaggio.
Su tutto due astri dominarono la loro vita quotidiana: il sole di giorno e la luna di not-
te.
Iniziò la lunga esperienza di osservare il movimento del sole e della luna: la costanza
con cui si comportavano i due astri riuscì a convincerli che dovevano avere in sé un
potere sconosciuto, superiore alle loro menti.
Dopo secoli di osservazioni tramandate dai vecchi di generazione in generazione, si
abituarono non solo a riconoscere il collegamento tra i due astri e l’avvicendarsi delle
stagioni, dei periodi ripetitivi di piogge o di siccità, ma anche un senso quasi di miste-
ro che i due astri avevano dentro di sé ma che non si rivelava alle loro menti.

Capitolo 2

La necessità di scambiarsi durante le riunioni intorno al fuoco i pareri per la caccia o


per altri problemi che sorgevano nel villaggio li costrinse a cercare modi di esprimersi
sempre più sofisticati finché con il passare dei secoli giunsero a modulare versi che
non avevano più nulla a che vedere con i suoni gutturali dei loro antenati.
Iniziò cos’ un lungo periodo in cui, come per un comando interiore si dedicarono a
dare un nome ad ogni cosa della natura in cui vivevano.
E dai vecchi impararono a distinguere , seguendo il moto del sole, l’est dall’ovest che
esprimevano con suoni precisi . E così pure per la luna, come per la pioggia, il caldo
e il freddo e di certe piante incominciarono a conoscerne le virtù che indicarono con
parole esatte.
Parole: fu un’altra conquista alcuni secoli dopo: la parola divenne più facile per vive-
re, grazie ad un naturale sviluppo nel loro DNA dei potenziali nascosti che comanda-
vano gli organi della gola. Eccitati dagli sforzi per indicare con un nome le cose, nac-
que così la parola e al suono generico si sostituì qualcosa di preciso che nel tempo
divenne sempre meglio identificativo degli oggetti che volevano nominare o indicare
nei loro discorsi.
Nel frattempo però si erano sviluppate diverse difficoltà nei rapporti con gli altri ani-
mali.
Mentre gli animali feroci erano nello stesso tempo fonte di paura ma anche di caccia
per avere la carne e le loro pelli, c’era una forma di diffidenza strana nei confronti di
altri tipi di scimmie che vivevano nelle valli vicine e che erano rimaste solo e unica-
mente scimmie, senza alcun influsso ancestrale del DNA dei progenitori di A ed E,
un nome che venne tramandato di padre in figlio.
In alcune famiglie, per non creare confusione incominciarono anche a sorgere nomi
più complessi, che nascevano dal modo di modulare la loro voce per richiamare i fi-
gli, spesso troppo vicini a pericoli nascosti.
La curiosità portava spesso gruppi di esploratori oltre le loro terre e così si resero
conto che le terre esplorate non avevano mai fine. Intervallate da fiumi più o meno
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larghi o a volte anche da laghi, le terre alternavano colline a pianure popolate da mi-
gliaia di animali di ogni specie.
Ma presto giunsero alla base di montagne altissime e ricoperte di neve, una strana
forma di acqua bianca e solida che durante la stagione fredda spesso ricopriva i loro
territori e i loro villaggi, facendo impazzire i bambini di gioia.
In una valle nascosta alle loro esplorazioni finché non la scoprirono, trovarono delle
strane spighe che crescevano alte e ondeggiavano al vento delle montagne circo-
stanti.
L’aria muoveva le spighe e faceva cadere i chicchi che erano contenuti in strane
bacche d’oro affusolate.
Per curiosità qualcuno le assaggiò e fu la scoperta più importante per le generazioni
future: avevano scoperto il frumento.
Sapientemente raccolsero le bacche e invece di mangiarle subito, preferirono fare
come per altre piante che avevano scoperto in passato: le seminarono: l’anno dopo
ebbero il loro primo raccolto di frumento e da quel momento per generazioni, semi-
nando e raccogliendo, facendo cadere i chicchi dalle spighe, arrivarono a formare
mucchi di frumento che, schiacciati divennero una polvere che, impastata con acqua
e passata al fuoco, diede loro la scoperta del pane.
E la civiltà delle scimmie, ormai corpi eretti, poco pelosi, coperti di pelli e di altro si
trasformò nella prima civiltà che sapeva come nutrirsi ma soprattutto cessò di fare i
nomadi.
Si installarono nelle pianure più ubertose e coltivarono anno dopo anni il frumento.
Ormai era nata la civiltà moderna.

Capitolo 3

Era già accaduto in passato che dal cielo cadessero parti di montagne di cui non co-
noscevano l’origine, ma una notte il cielo si illuminò di una strana luce e dopo poche
ore il rumore dello stridio dell’oggetto che stava arrivando dal cielo gettò tutti fuori
dalle loro capanne e creò uno spavento enorme.
Tutta la popolazione si era precipitata in riva al lago ma l’oggetto arrivò talmente ve-
loce che scomparve sott’acqua.
L’impatto provocò un’onda altissima che travolse tutto e tutte le capanne.
Pochi si salvarono arrampicandosi sugli alberi, ma passata la paura, un silenzio di
tomba colpì tutta la regione.
L’alba non fece che rivelare meglio i danni subiti e i vecchi si riunirono per decidere
cosa fare.
Decisero prima di tutto di ricostruire le capanne più in alto sulle colline ma poi chiese-
ro al più vecchio degli anziani se sapesse che cosa fosse l’oggetto caduto dal cielo.
Egli ricordava qualcosa di simile, ma non vissuto da lui, anzi da altri che si tramanda-
vano uno strano racconto che era incominciato con una storia che sembrava una fia-
ba.
E arrivò il momento del racconto che nessuno aveva ancora mai ascoltato.
I vecchi raccontavano che molti secoli prima (e già era difficile per loro capire che
dimensione avessero i secoli, visto che la loro vita media non superava i trent’anni)
era accaduto qualcosa di simile ma in un modo diverso: dal cielo era sceso qualcuno
ma non sapevano descriverlo.
Dicevano che era arrivato dalle stelle, le luminose ma lontanissime stelle che domi-
navano il loro cielo.

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Tutto il villaggio ascoltava affascinato la storia, raccolto intorno al vegliardo che, or-
mai cieco, cercava di immaginare lui stesso questa strana figura leggendaria scesa
dal cielo.
Altri nel villaggio incominciarono a cercare di capire che cosa fosse il loro cielo,
quante fossero le stelle e a che distanza. Qualcuno cercò perfino di calcolare a che
distanza passassero nelle notti limpide ma soprattutto erano affascinati dalla tonda
sfera luminosa che spesso riusciva perfino a rischiarare la superficie del lago.
La fantasia non ha limiti oggi e non lo aveva nemmeno allora; incominciarono così a
pensare che qualcuno, più forte di loro, più potente, abitasse nel cielo e spesso lan-
ciasse quei pezzi di montagna.
Il loro DNA li aiutava molto a risvegliare immagini di quello che credevano fosse solo
la loro fantasia. Non potevano sapere che stavano risvegliando non solo ricordi ma
vere realtà esistenti in altri mondi.
Ma per loro non esistevano altri mondi oltre le loro terre. Qualcuno, un po’ più con i
neuroni che lavoravano intensamente, incominciò a pensare concretamente da dove
fossero venuti.
Nessuno poteva certo avere ricordi degli antenati scimmia, anzi ritenevano offensivo
un paragone con quelle bestie dispettose che spesso dovevano ammazzare perché
rubavano i loro cibi, riempiendo di escrementi e di strida i loro villaggi.
E la loro fantasia si ingigantì di generazione in generazione fino a che uno dei capi di
un villaggio, forse anche per imporre con la fantasia il suo potere su tutti, incominciò
a parlare di qualcuno che gli dava degli ordini di notte, mentre dormiva.
E costringeva i suoi sudditi ad obbedire agli ordini conseguenti.
Incominciò a prendere corpo una figura fantastica che il loro capo descriveva agli
anziani: uno come loro ma molto più grande e con strani poteri: gli bastava guardare
intensamente uno di loro per farlo morire di colpo. E dava ordini severi, minacciando
di punire chi avesse disobbedito.
Ma era difficile imporre una figura così strana, mai vista, che non appariva mai, di cui
non avevano sentito mai la voce, che non sapevano se fosse un uomo o una creatu-
ra misteriosa.
C’era chi pensava fosse un mostro con tante braccia, chi lo immaginava dotato di
una corazza durissima come quella degli animali enormi che vedevano ogni tanto nei
fiumi. Altri invece pensavano ad una figura eterea, come fosse un grande uccello ma
trasparente, che parlasse una sua lingua ma conoscesse anche la loro.
Le aurore boreali che si presentavano spesso ai loro occhi venivano interpretate co-
me manifestazioni di quell’essere superore, che chiedeva loro qualcosa, ma cosa?
E nel dubbio si abituarono a pensare di offrire qualcosa a quello strano essere per
accattivarselo. Il capo del villaggio decise di scegliere un capretto da arrostire su
un’ara in modo che il fumo salisse in cielo, verso quell’essere misterioso.
La cerimonia avvenne alla presenza di tutto il villaggio ma pochi minuti prima che ac-
cendessero il fuoco, un temporale si scatenò.
Credettero che fosse quell’essere che si arrabbiasse ma poi apparve nuovamente il
sole e la cerimonia poté proseguire mentre nel cielo le nubi si allontanarono ed ap-
parve un arco dai tanti colori che nasceva dal fiume vicino e scompariva all’orizzonte
tra le nevi dei monti lontani mentre i tuoni si ripetevano allontanandosi.
E il capo esclamò:” Vedete e sentite: l’essere … supremo (e gli vene di dire “supre-
mo” o qualcosa di simile) ha accettato il nostro dono e se ne sta andando brontolan-
do nel cielo che deve essere la sua casa”.

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Le sue parole furono accolte con grida di giubilo e da quel giorno periodicamente
veniva ripetuta l’offerta: ancora una volta un capretto, poi venne la volta del frumento,
poi di alcuni pani già pronti.
E nei secoli quest’abitudine si affermò in modo radicale per cui nella loro vita era di-
ventato un rito naturale fare offerte all’essere supremo.
Nel loro modo di parlare nacque la parola per indicarlo: Ehah, una specie di suono
che voleva essere di grande rispetto e di paura, ma senza dargli un nome vero e
proprio, perché non osavano farlo per non offenderlo.
Col passare dei secoli la sue esistenza e la sua presenza invisibile nella vita dei primi
esseri simili a noi divenne parte integrante e mentre gli uomini continuavano a cac-
ciare chiedendo il suo aiuto indiretto, le donne minacciavano i figli che non obbediva-
no, con il timore che poteva incutere l’idea che chiamassero Ehah.

Capitolo 4

Al di là del grande fiume lungo il quale vivevano e cacciavano, una vasta pianura
venne esplorata un po’ alla volta. Sembrava infinita ma un giorno arrivarono alle
sponde di un altro grande fiume, tanto largo che sembrava un lago.
E per distinguere i due fiumi chiamarono il loro Ti e il nuovo Eu, una deformazione di
Eah in suo onore.
Ma altri decisero di partire per nuove avventure e viaggiarono per mesi e mesi verso
ovest.
Il loro cammino ma soprattutto le notti permisero loro di misurare le distanze percor-
se e quindi la grandezza della terra che scoprivano via via grazie alla loro abilità
nell’osservare e nel calcolare lo spostamento nel cielo dei gruppi di stelle.
E vedendo che i gruppi restavano sempre uniti incominciarono a dare loro dei nomi,
pensando anche che quelle fossero le diverse dimore di Ehah.
Queste migrazioni durarono decine e decine di anni, con spostamenti molto lenti e
con tappe che permettevano di creare nuovi villaggi e nuove generazioni.
Dopo molo tempo giunsero alla fine sulle sponde di un lago infinito e i loro discen-
denti scoprirono per la prima volta che cosa fosse il mare.
Nel frattempo si erano insediati a gruppi di famiglie sulle sponde del grande mare e
vissero alcuni secoli quasi dimenticandosi da dove erano arrivati.
Costruirono villaggi sempre più (per allora) sofisticati e in particolare un nucleo fami-
liare si isolò in una grande tenuta nella quale avevano iniziato a coltivare frumento
ma anche i primi alberi da frutta.
Avevano una quantità notevole di animali, tra pecore, capre e i primi vitelli, ma elimi-
narono dalla loro proprietà i maiali che consideravano immondi e offensivi per Ehah,
tanto da non poterli nemmeno offrirli al loro Supremo.
Fu in questi che si sviluppò maggiormente il ricordo atavico della loro probabile origi-
ne, specie quando associarono i racconti dei loro avi con il nome da dare al grande
lago: “mare”.
Fu quasi automatica l’associazione con i dati che avevano nel loro DNA e iniziò a dif-
fondersi una specie di leggenda su Ehah e su chi avesse creato tutto il mondo in cui
stavano vivendo.
Per loro era logico che solo un essere superiore aveva potuto creare tutto ciò che
avevano scoperto nei secoli precedenti.
Un nuovo gruppo di esploratori arrivò dalla patria di origine alcune generazioni dopo,
inviati per scoprire che fine avevano fatto i primi e in un primo tempo il loro arrivo fu

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accolto molto male: temevano fossero dei nemici, non riconoscendo più le loro origi-
ni.
Ma i nuovi arrivati ritrovarono negli abitanti delle terre lungo il mare le stesse abitudini
e questo permise loro di stringere amicizie e nuovi matrimoni con famiglie numerose
di figli.
Ma un po’ di tempo dopo, nella famiglia che si era organizzata in modo da isolarsi dal
resto degli abitanti, arrivò una strana malattia.
I vari capi dei villaggi nati nel frattempo nei dintorni si chiesero che cosa stesse suc-
cedendo. Ma uno dei nuovi arrivati fece loro scoprire la causa: un frutto dagli effetti
mortali.
I nuovi arrivati raccontarono di una strana leggenda: alcuni, esplorando i boschi vici-
ni, avevano scoperto delle piante che avevano dei frutti molto gustosi. Ne avevano
fatto delle scorpacciate ma presto molti di essi si sentirono male e il capo di tutti i vil-
laggi della zona, dopo una notte di adorazione di offerte a Ehah, al mattino pronunziò
la terribile sentenza di quello che ora possiamo anche chiamarlo il loro “Dio”: quelli
che avevano mangiato quei frutti strani ma erano sopravissuti alle conseguenze di
morte, avevano acquisito nuove capacità di ragionamento, tanto che riuscivano a di-
re cose tanto difficili ma importanti per conoscere meglio il mondo in cui vivevano.
E fu allora che il capo di tutti i villaggi sentenziò il volere di Dio: era stato profanato
un comando preciso di non mangiare di quei frutti perché facevano facilmente mori-
re.
Anche se i sopravissuti intuirono che quei frutti avevano dato loro la possibilità di
aumentare la loro intelligenza al punto da arrivare forse a capire chi fosse Dio, la su-
perstizione dilagò a tal punto che credettero che nel comando c’era una grave mi-
naccia: se disobbedivano al comando di Dio sarebbero stati cacciati dalle loro terre
tanto belle e ricche di tante belle cose e mandati a migrare per il mondo.
Quelli che erano giunti dopo non sapevano se i rimasti fossero ancora vivi o fossero
morti successivamente.
Per sicurezza e giusta curiosità il capo dei villaggi organizzò una spedizione che durò
molti mesi: giunti in prossimità delle loro terre di origine scoprirono che Dio aveva
mantenuto la minaccia:
Forse una grande pietra, una di quelle che ogni tanto arrivavano dal cielo, quasi cer-
tamente lanciate da Dio o forse una causa sconosciuta, avevano sconvolto le terre
che molti secoli prima avevano lasciato.
Insieme a loro c’erano anche alcuni di quelli che erano giunti al mare dopo. Essi rac-
contarono che avevano lasciato le loro terre ancora belle e ricche di piante, di colti-
vazioni e di animali.
Per tutti l’immagine di come era stata devastata la loro terra era davanti ai loro occhi
e non potevano far altro che credere che Dio si era vendicato con coloro che gli ave-
vano disobbedito.
Non potevano immaginare che, a causa di un improvviso cambiamento del clima del
pianeta, causato dal passaggio di un meteorite gigante che non aveva colpito la su-
perficie ma che era passato tanto vicino all’emisfero nord del pianeta da provocare
dei cambiamenti.
Soprattutto ciò accadde sulle montagne asiatiche dove le nevi perenni si erano im-
provvisamente tutte sciolte provocando alluvioni gigantesche che avevano distrutto
ogni cosa con ondate di montagne di fango e di ghiaccio.
Per loro era la vendetta di Dio che aveva cacciato i disobbedienti dalle loro terre.
E questo fatto divenne oggetto di racconti che di generazione in generazione, si mo-
dificarono più volte ma rimanendo ferma la sostanza: una punizione divina.
18
E la figura di Dio divenne sempre più presente in tutte le attività di coloro che, salvi
sulle rive del grande mare, vivevano da agricoltori e da allevatori di greggi di pecore
e capre.
La stirpe di quella famiglia in cui la misteriosa malattia aveva provocato molte morti
continuava sopravvivere ma con sue soli figli, chiamati CA e AB.
Come aveva loro insegnato il padre, offrivano frequentemente sacrifici di animali a
Dio ma CA aveva tutti i sintomi del male ed era diventato scorbutico e invidioso della
salute del fratello AB e della sua bellezza.
Forse per una coincidenza, forse perché preparava i sacrifici di malavoglia, le sue of-
ferte erano spesso distrutte o dalla pioggia o da altri fenomeni naturali o da incapaci-
tà da parte di CA di accendere bene il fuoco.
AB invece era lieto di offrire il meglio che poteva a quello che credeva fosse Dio.
Un giorno in cui si verificarono gli stessi guai, Ca, preso dall’invidia per il fratello, de-
cise di farla finita e lo uccise.
Nascose il suo cadavere sotto un mucchio di sassi in fondo ad una grotta ma mentre
ne stava uscendo, sentì rimbombare per tutta la caverna,
La voce era quella di suo padre che lo aveva seguito, capendo che Ca stava facendo
qualcosa di male su suo fratello.
CA non riconobbe la voce sia perché rimbombava tra le pareti della grotta, sia per-
ché preso dalla gran paura di aver commesso una cosa tanto grave.
E la voce gli chiedeva dov’era suo fratello. Confessò e da quel momento, uscito dalla
grotta fu cacciato dalla casa paterna e dovete mettersi in viaggio per altre terre, spe-
rando di non essere colpito dalla vendetta di Dio.

Capitolo 5

CA si spostò a nord, verso le montagne che erano al confine di un altro mare, ma i


suoi discendenti non ebbero la possibilità di avere eredi: all’inizio sembrò andare tut-
to liscio ma la “vendetta” del Dio inventato dai suoi antenati arrivò dopo molte gene-
razioni.
Ad una seconda era glaciale seguì un altro capovolgimento di clima e dal nord i
ghiacci gonfiarono il livello dei due mari.
Le popolazioni, un po’ per abitudini degli antenati, un po’ per la comodità di avere la
possibilità di pescare il pesce con poca fatica, avevano creato villaggi lungo le coste,
costruendo le loro capanne su pali ricavati da tronchi d’albero e piazzati proprio sul
bagnasciuga in modo da poter accedere alla pesca con maggior facilità.
Avevano perciò creato villaggi che erano tutti su palafitte.
Trascorsero così molti secoli, vivendo di pesca e rimanendo nelle zone abitate non
pensando di esplorare il resto delle terre a nord dei due mari, anche perché per se-
coli furono terre ricoperte da spessi ghiacciai che non invitavano certo a trascorrervi
una vita normale.
Nel frattempo la famiglia del padre di CA e gli abitanti dei territori lungo le coste che
davano sul mare che oggi si chiama Mediterraneo si erano invece avventurati in e-
splorazioni in varie direzioni.
Due furono i grandi filoni di viaggi di esplorazione. A est fu un susseguirsi di scoperte
alternate ad adattamenti per lunghi periodi in territori sempre più interessanti e che
permettevano caccia e pesca ad un tempo. Durante queste esplorazioni si resero
conto che alcune tribù (ormai possiamo chiamarle così) si ritrovarono nelle terre dei
loro antenati e vi si insediarono nuovamente, creando nel tempo nuove civiltà.

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Altri gruppi proseguirono per secoli verso l’estremo est, decisi di trovare l’origine da
cui nasceva il sole (che per loro era ormai diventato Dio), fino ad arrivare ad un mare
(era in realtà quello che oggi è l’Oceano Pacifico) talmente vasto da farli fermare de-
finitivamente in quelle terre per migliaia di anni.
Ma non tutti si fermarono: alcuni, tenaci, proseguirono a nord, dove il ghiaccio peren-
ne allora lo permetteva, e trovarono modo di proseguire e di entrare in altre terre, in
realtà un nuovo continente, quella che ai nostri giorni è il continente americano.
La migrazione lenta ma costante nei secoli portò i vari popoli (che nel frattempo cre-
scevano di numero ed aumentavano la vita media, grazie ad un miglioramento nei
cibi) a scendere lungo il nuovo continente e a insediarsi in terre sempre più nuove e
ricche di cibo, di piante, di grandi foreste e, da qualche secolo, anche di minerali che
le nuove popolazioni incominciavano ad imparare a scoprire e a sfruttare.
Il secondo filone camminò meno: a ovest, una lunga striscia di terra li separava da
pianure che promettevano di essere ricche di piante e di animali cui dare la caccia.
Ma qui incontrarono tribù ben decise a difendere i propri territori che andavano dalle
coste del Mediterraneo fino a oltre le sorgenti di un grande fiume.
Molti decisero di mescolarsi con la nuova razza scoperta mentre altri ritornarono nel-
le loro terre costituendo uno stato (una parola grossa ma che incominciava a prende-
re la forma e l’immagine moderna che ha oggi per noi).
Nacque così, ma tanti secoli dopo, lo stato dì Israele, il cui nome fu inventato da un
loro discendente, Giacobbe..
Oltre i territori popolati dagli egiziani scoprirono i resti di antiche civiltà scomparse
forse per cataclismi che avevano sconvolto le ricche pianure a ovest e che ora erano
diventate aridi deserti, dove erano rimaste solo poche tracce: alcune iscrizioni, dei
graffiti che raccontavano le gesta di quegli antenati.
Incominciava prendere concretezza nelle menti dei viaggiatori di allora l’idea di una
terra molto più grande di quella parte che avevano conosciuto e conquistato.
Stava per incominciare la storia e i racconti che si tramandavano di generazione in
generazione erano sempre più ricchi di avvenimenti concreti.
Il più grave fu lo scioglimento dei ghiacci al nord delle immense pianure oltre il mare
che oggi chiamiamo “Mar Nero”.
Come dicevamo sopra, i ghiacci si sciolsero e improvvisamente, in pochissimi giorni
il livello del mare salì al punto da ricoprire tutti i villaggi. Le popolazioni che si erano
salvate, avevano trovato rifugio sul grande monte che oggi si chiama Ararat, dove al-
lora il livello del mare era arrivato molto in alto, tanto da oscurare la cima del monte.
Accatastati su imbarcazioni costruite in fretta e furia, tramandarono la loro storia ai
discendenti, ma infiorata di molta fantasia.
Nacque così la leggenda di Noè e del diluvio universale che aveva invaso tutte le ter-
re a sud del Mar Nero e del mare che oggi si sta prosciugando, il mar Caspio, mentre
secondo loro, aveva ricoperto tutto il mondo come punizione del Dio che avrebbe de-
ciso di far sparire la razza umana dalla faccia della terra
Da un evento specificatamente locale, anche se vasto, i discendenti ricavarono una
leggenda che divenne parte integrante delle storie della religione ebraica.
A questo punto dobbiamo fermarci perché stiamo entrando nella vera storia
dell’uomo e per questo sono sufficienti gli studi dei veri antropologi.
Penso che aggiungerò alla fine di questo studio-storia la copia di un importante stu-
dio sulla nascita della vita sul pianeta terra che mi ha colpito per la sua serietà.

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PARTE TERZA: GESU’ NEL CONTESTO DESCRITTO FINO AD ORA

Nella seconda parte della trilogia abbiamo visto come possa essere abbastanza faci-
le estrarre una probabile realtà storica dalle leggende contenute nei primi cinque libri
dell’Antico Testamento.
Ma ora dobbiamo fare i conti con una figura storica di tale importanza per il futuro
dell’umanità dall’anno zero in poi da meritare ogni attenzione da parte nostra.
Io penso che Gesù, dai venti ai trent’anni abbia potuto avere una grande e determi-
nante esperienza, seguendo le carovane in oriente mentre tornavano ai loro paesi di
origine.
Non dimentichiamo che cinquecento anni prima di Gesù visse Buddha, che lasciò
una traccia indelebile dei suoi insegnamenti, validi e seguiti tutt’oggi.
Perché dunque Gesù non potrebbe aver conosciuto il mondo orientale in tutte le sue
diverse sfaccettature religiose e filosofiche?
Dal racconto del diluvio universale alla nascita di Gesù è trascorsa un’inezia, rispetto
al tempo che abbiamo passato in rassegna fino ad ora.
Ma proprio per questo possiamo ora spostarci a Nazareth, dove un ragazzo stava
crescendo in una famiglia che abitava molto vicino al luogo in cui si fermavano per
una sosta notturna le carovane provenienti dall’oriente e che portavano a Cesarea le
loro mercanzie da imbarcare, destinate a Roma.
Ogni volta che una carovana si fermava, la sera accanto al fuoco del bivacco i caro-
vanieri parlavano ed ascoltavano i racconti di viaggio e le descrizioni dei luoghi da
dove arrivavano.
Il ragazzo, Gesù, ascoltava eccitato i loro racconti e sperava che un giorno potesse
andare a conoscere quei luoghi.
E infine un giorno, diventato amico di un carovaniere, si fece accettare sulla strada
del ritorno. Avrebbe voluto partire per l’oriente, ma Maria e Giuseppe glielo vietarono:
era ancora troppo giovane e poi non aveva ancora completato la sua istruzione reli-
giosa.
Dovette frequentare la sinagoga di Nazareth dove un sacerdote illuminato riconobbe
in lui qualità non comuni di intelligenza e consigliò i genitori di spedirlo a Gerusa-
lemme per approfondire le sacre scritture.
Così Gesù studiò i testi che noi consideriamo i primi cinque libri della bibbia odierna
e che costituiscono il Torah per gli ebrei (che viene detto anche Pentateuco, dalla
Genesi al Deuteronomio), ma raggiunta una maggiore età, destinato dalla sinagoga
di Nazareth a Gerusalemme per una precisa carriera sacerdotale, decise di partire
definitivamente come se dentro qualcuno o qualcosa lo chiamasse perentoriamente.
Ritornò a Nazareth e si aggregò alle carovane che ritornavano in oriente, questa vol-
ta senza opposizione da parte dei genitori.
Lungo il viaggio imparò tante cose nuove e conobbe genti di villaggi con abitudini di
vita molto differenti da quelle della tradizione ebraica.
Ascoltò tante leggende e racconti fantastici che eccitavano la sua fantasia, ma senti-
va di dentro qualcosa di indefinibile che lo spingeva avanti, sempre verso oriente, al-
la ricerca di qualcosa che non riusciva a capire.
In realtà era il suo DNA che sentiva avvicinarsi un segnale più antico dell’uomo.
Dopo lunghi mesi di peregrinazioni alla fine giunse proprio da dove erano partiti i suoi
antenati: Ur e si fermò per molto tempo sulle sponde del fiume Tigri.

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Non capiva perché ogni volta che si immergeva nelle sue fresche acque durante
un’estate di caldo opprimente, gli sembrava echeggiare nella mente la parola MAR,
come fosse un richiamo e non sapeva che cosa dovesse fare.
Si decise a rivolgersi in un villaggio vicino ad Ur ad un vecchio saggio che gli raccon-
tò:
“I nostri antenati raccontano una leggenda che ora io ti ripeto. Forse potrà aiutarti.
Secondo la leggenda molte ma molte ere sono passate da quando qualcuno sarebbe
arrivato dal cielo per portare la vita qui, sulla terra. Ma è una storia così strana che
nessuno ci crede, anche se piace ricordarla come qualcosa da conservare per noi e
per i nostri figli che a loro volta racconteranno come una storia che ha del sacro.
Non lontano da qui molti anni fa è nato un uomo che, dopo averla ascoltata, decise di
dedicare tutta la sua vita alla ricerca della verità.
Oggi in molti nelle regioni che stanno ancora più a est ne adorano il ricordo e
l’insegnamento di quest’uomo, cercando di imitare il suo tentativo di raggiungere
l’illuminazione.
Gesù gli chiese: “quale era il suo nome?’”
“Si chiamava Buddha ma il suo vero nome non lo conosco. Se …”
Ma non finì di parlare. Gesù si era alzato e ringraziandolo si incamminò ancora una
volta verso est.
Impiegò mesi prima di arrivare nella regione in cui vivevano altri tipi di sacerdoti che
vestivano tutti una veste rossa ed erano cordiali ed accoglienti.
Fu ospitato in uno dei loro conventi e qui conobbe una religione nuova che aveva
contenuti completamente diversi da quelli dell’educazione che aveva ricevuto in si-
nagoga.
E la sua esperienza religiosa si aprì a nuovi orizzonti, i suoi pensieri si allargarono
verso la ricerca della verità contenuta in quella leggenda che gli aveva raccontato il
vecchio saggio, mentre i sacerdoti seguaci di Buddha non ne sapevano quasi nulla:
solo i vecchi ricordavano qualcosa di simile ma ormai avevano abbandonato ogni
tentativo di dare corpo alla figura leggendaria di cui il vecchio saggio gli aveva parla-
to.
Aveva visto da lontano alte montagne che risplendevano per le loro nevi eterne e si
era avviato verso di loro non sapendo quanto fossero lontane.
Se ne accorse dopo oltre un mese di cammino: più camminava e più sembravano al-
lontanarsi.
Ma era tenace e aveva pazienza. Dopo moltissimi mesi giunse finalmente ai piedi di
una della più alte montagne mai viste in vita sua.
La scalata era difficile ma Gesù si incamminò prima usando un sentiero tracciato da
pastori del luogo e poi salendo per pendii ripidi e scoscesi.
Dopo molte ore si dovette fermare perché era stanchissimo e incominciava a respira-
re a fatica.
Era appoggiato ad una roccia che offriva riparo dal vento già molto forte e rimase
così a pensare che cosa gli conveniva fare. Il dubbio cominciava a farlo pentire di
essersi avventurato in quella strana e assurda avventura.
Inoltre il freddo a quell’altezza lo attanagliava e gli rendeva perfino difficile pensare.
Si rendeva conto che il suo corpo stava per arrendersi e decise di trovare un riparo
anche perché il cielo annunciava che il giorno stava finendo.
Salì ancora di qualche metro ed ebbe la fortuna di trovarsi all’improvviso di fronte
all’imboccatura di una grotta dove si gettò spossato e, disteso a terra, si addormentò
quasi di colpo.
Fece un lungo sonno senza sogni e solo un forte tuono lo risvegliò il mattino dopo.
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Sembrava che la montagna volesse spaccarsi per il tremare che faceva il suolo ad
ogni tuono e Gesù incominciò a tremare per il freddo e per la paura.
Si voltò a osservare meglio l’interno della grotta e scorse qualcosa in fondo che po-
teva essere della legna. Si avvicinò e con sua lieta sorpresa si accorse che vicino
giaceva una specie di pietra focaia dalla quale, dopo molti sforzi, ottenne delle scintil-
le che accesero un po’ di paglia che sembrava messa apposta lì vicino e poi i legnetti
che erano accanto.
Aveva imparato a casa come fare e riuscì in breve tempo ad accendere un fuoco più
robusto al quale scaldarsi mentre fuori sembrava che il mondo volesse esplodere.
Passarono alcune ore e finalmente, smesso di piovere ed apparsa una luce nuova,
rivide i raggi del sole illuminare la montagna.
Anzi un raggio lo raggiunse quasi ad invitarlo ad uscire.
Si alzò e stava per avviarsi all’uscita quando un’ombra si stagliò davanti all’entrata,
spaventandolo: non capiva se era un uomo o un animale, ma la voce che lo colpì
quasi lo fece tramortire.
“Finalmente ce l’hai fatta! Ti stavo aspettando!”.
Gesù non poteva capire che cosa intendesse dire ma la figura avanzò e finalmente
Gesù poté vedere il suo volto: un vecchio che sembrava trasparente, tanto era sottile
la sua figura.
Gesù non riusciva a capire come accadesse ma sembrava perfino di intravedere la
luce esterna attraverso il suo corpo.
Con aria indifferente, il vecchio si avvicinò al fuoco e si sedette, invitando Gesù con
un gesto della mano a fare altrettanto; e i due rimasero in silenzio davanti al fuoco
che li riscaldava.
Gesù non osava parlare o chiedergli almeno chi fosse ma il comportamento del vec-
chio gli fece pensare che forse era abituato a vivere o almeno a frequentare quella
grotta.
E nella mente affiorò la riposta: “Sì, io vengo qui spesso ma non vivo qui”.
E da quel momento le due menti si parlarono nel silenzio.
Man mano Gesù entrò in un mondo sconosciuto che solo il vecchio conosceva e che
stava rivelandogli, destando la sua meraviglia.
E il suo racconto gli rivelò finalmente quale sarebbe stato il suo destino: sarebbe tor-
nato tra le sue genti ad annunciare agli uomini la verità del mondo, da dove era giun-
to l’uomo migliaia di anni prima, come era accaduto e per merito di chi.
Gesù ascoltava ma gli era difficile credere al racconto che qui vi riassumo.
Il vecchio più o meno gli disse che moltissime ere prima, milioni di anni, era arrivato
da lontanissimi mondi un essere che non era un uomo ma aveva tutti gli elementi ne-
cessari per diventarlo.
Solo che per ottenere questa trasformazione avrebbe avuto bisogno di incarnarsi in
un animale il più possibile vicino alla sua natura.
Il suo destino poteva compiersi solo se riusciva a trovare un pianeta in cui realizzarsi
e la sua fortuna era stata quella di trovare il pianeta terra e tra i vari animali, alcuni ti-
pi di scimmie molto intelligenti, adatte a ricevere dentro di sé la trasformazione.
Qui, dopo molte esperienze, era riuscito nel suo intento e aveva realizzato il progetto
per cui era stato creato in un lontano pianeta che stava al di là della galassia.
Ma a questo punto Gesù non capì più niente e dovette fermare il vecchio per farsi
spiegare che cosa fosse la cosa di cui parlava.
E il vecchio gli descrisse per la prima volta l’universo, cercando di fargli immaginare
le dimensioni di cui stava parlando.
“E tu come fai a sapere tutte queste cose?” gli chiese Gesù.
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“Sarebbe un discorso lungo ma sappi che ogni uomo oggi può e meglio ancora in fu-
turo potrà scoprire il mistero dell’universo in cui viviamo. Ti basti questo e non chie-
dermi di più. Un giorno tu ritornerai tra le tue genti e cercherai di spiegare a tutti loro
la realtà del mondo, la verità della vita e della creazione, la fortuna degli uomini per il
solo fatto di esistere e la possibilità di donare la bontà del loro cuore a tutti e ad ogni
cosa: solo così l’uomo riuscirà a realizzare lo scopo con cui quell’essere misterioso
giunto da tanto lontano potrà dire di aver realizzato il sogno degli abitanti della sua
lontanissima terra”
Gesù rimase affascinato ma anche tramortito da quelle parole che gli svelavano
all’improvviso una realtà cui non avrebbe mai pensato.
Il vecchio si rese conto che Gesù faticava a seguirlo e perciò fece una cosa che Ge-
sù non si aspettava: stese sul suo capo la mano e lo costrinse a stendersi e ad ad-
dormentarsi: una specie di ipnotismo cui Gesù non poté opporsi, addormentandosi
subito in un sonno ristoratore.

§§§

Era trascorso quasi tutto il giorno quando Gesù si risvegliò. Si voltò per parlare al
vecchio ma si rese conto che era rimasto solo: il vecchio era sparito.
Le sue ultime parole risuonavano nella sua mente: “fra non molti anni ci rivedremo
qui per partire per un lungo viaggio”.
Gli sembrò il frutto della sua fantasia, dell’altezza della montagna che gli stordiva il
cervello, del sonno profondo in cui sembrava di essere ancora immerso.
Si alzò lentamente ed uscì dalla grotta. Avrebbe voluto ridiscendere ma si rese conto
che il sole stava tramontando e decise di rimanere nella grotta ancora una notte.
Aveva fame ma non aveva nulla da mangiare, aveva freddo e riattizzò il fuoco, ma la
vera fame era nel suo cervello: capire e ripetersi continuamente quello che il vecchio
gli aveva rivelato, ammesso che fosse accaduto tutto veramente e che non fosse in-
vece frutto della sua fantasia.
Si sedette per un po’ fuori dall’entrata della grotta per ammirare il panorama delle
montagne che gli stavano di fronte e per assaporare la bellezza del silenzio assoluto
in cui era immerso.
E come per un miracolo le parole del vecchio gli ritornarono sempre più chiare: fi-
nalmente aveva capito che l’origine dell’uomo era in un altro mondo lontanissimo,
dove altri esseri vivevano e che avevano inviato qualcuno per perpetuare la loro stir-
pe.
Pian piano altri concetti che sul momento non aveva ascoltato si risvegliarono nella
sua mente come se il vecchio gli avesse seminato il resto della storia nel suo cervello
mentre dormiva.
Adesso era diventato tutto più chiaro e più semplice: doveva tornare in Israele e
compiere la missione per cui era stato chiamato. I racconti del Torah erano la tra-
sformazione leggendaria di una realtà che con il passare di secoli e secoli si era tra-
sformata in una specie di fiaba che solo ora gli appariva senza senso.
La realtà vera era ben diversa.
Ma, pensò Gesù, era talmente lontana dal modo di credere del popolo cui apparte-
neva, gli ebrei, che gli sarebbe stato molto difficile riuscire a convincere gli uomini di
quale fosse la verità.
E mentre pensava a tutto ciò, giunse la notte; decise di addormentarsi vicino al fuoco
pensando di scendere a valle la mattina dopo anche per trovare del cibo: la fame gli

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attanagliava lo stomaco e non c’era in giro nemmeno un filo d’erba, un rametto, qual-
cosa almeno da masticare.
Per fortuna poteva mettersi in bocca un po’ di neve, almeno per calmare la sete.
E pensando a ciò si addormentò.
La mattina dopo ridiscese nella pianura e si incamminò sulla via del ritorno meditan-
do sull’esperienza vissuta e su che cosa avrebbe dovuto fare una volta tornato in Ga-
lilea.

PARTE FINALE

Riprendo il discorso iniziale:


Per completare la “Trilogia” sull’origine dell’uomo metterò alla fine il testo che ho già
inserito a sé stante nel sito www.cristotranoi.it intitolato: ELÌ, ELÌ, LAMA SABACTANI
in cui ipotizzo che cosa potrebbe essere accaduto a Gesù dopo la sua crocifissione.
Chi vuole può fermarsi qui e andare a leggersi il mio racconto nel sito che ho sopra
citato. Chi preferisce può proseguire a leggere qui di seguito lo stesso testo.

"ELÌ, ELÌ, LAMÀ SABACTÀNI?"


("Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" da Matteo 27,46)

Cap. 1

Il corpo stava cedendo e le corde stringevano sempre più i polsi, ormai martoriati e
incisi dal segno che li attanagliava.
Anche il collo dei piedi sembrava che da un momento all’altro si spezzasse, mentre
un rivolo di saliva giallastra usciva dalla bocca di Gesù.
Il capo chinato in avanti sembrava sprofondarsi in un petto divenuto ancora più ma-
gro tanto che le costole sembravano voler uscire dalla pelle,
Le ginocchia erano piegate in un modo assurdo, lateralmente e pendevano da quel
corpo che ora solo le corde dei legacci ai polsi trattenevano impedendo di farlo cade-
re dalla croce.
Gli occhi non erano chiusi ma sembravano con l’iride rivolto in alto e senza alcun se-
gno di sguardo o di vita.
Lungo il corpo le braccia erano allungate come se fossero senza ossa dentro ma
trattenute al corpo solamente con la pelle.
Per i militari che stavano osservando un po’ più distante per lasciar posto ai parenti
Gesù ormai era morto.
Anche i due malfattori appesi ai legni ai due fianchi di Gesù dovevano essere morti
da un pezzo: erano trascorse quasi cinque ore e iniziava il tramonto: i raggi del sole
sembravano impietosirsi nel dare un colore ibrido e strano ai corpi dei tre legati alla
croce.
Sotto il legno verticale Maria piangeva in silenzio mentre Giovanni la teneva stretta a
sé e le altre donne piegate sulle ginocchia piangevano in silenzio.
Giuseppe d’Arimatea se ne stava un passo indietro, in ginocchio, non sapendo che
fare, con la testa vuota mentre cercava di dare un senso valido a quella morte assur-
da e senza colpa ma causata solo dalla cattiveria degli uomini del Sinedrio che erano
riusciti nel loro intento di aizzare la folla e costringere Pilato alla decisione della croci-
fissione, addirittura contro il suo parere.

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Per Pilato Gesù era un poveraccio innocente mentre il bandito che aveva offerto alla
folla per soddisfare la loro ferocia di vedere giustiziare qualcuno, meritava certamen-
te una severa punizione secondo la legge romana.
Intorno alle tre croci il pianoro era corto e poi scendeva lentamente a valle in una se-
rie di zolle di terra brulla, smossa solo dai calzari dei militari di turno.
Qualche metro più sotto, quasi nascosto e ignorato dai presenti, Nicodemo assisteva
incredulo mentre ripensava alla notte in cui con Gesù aveva toccato per la prima vol-
ta in vita sua la purezza della verità quando è ancora vergine.
Il sole stava scendendo rapidamente e Nicodemo stava meditando in fretta, pensan-
do che avrebbe potuto forse fare ancora qualcosa.
Si mosse lentamente e si avvicinò a Giuseppe di Arimatea; lo toccò su una spalla e,
incurante del suo sguardo spaventato, gli fece cenno di farsi seguire mentre ridi-
scendeva di qualche metro in una zona isolata dove nessuno avrebbe potuto sentirli.
“Che cosa vuoi?” gli chiese Giuseppe in modo quasi sgarbato e scostante, avendo
riconosciuto Nicodemo e sapendo che era membro del Sinedrio.
“Tieniti pronto” gli rispose Nicodemo “Sto per chiedere a Pilato l’autorizzazione di to-
gliere dalla croce il corpo di Gesù, tanto è ormai morto …
“E che cosa vuoi da me?” gli rispose ancora scostante Giuseppe, ma le parole di Ni-
codemo lo rabbonirono e soprattutto lo sorpresero per la proposta che si sentì fare:
“Fa scendere i corpi dei due malfattori e prendine uno, avvolgilo in un lenzuolo e a-
spettami qui fiducioso”
Giuseppe non capiva perché ma cominciò ad intuire che Nicodemo doveva avere
qualche piano misterioso.
Nessuno aveva sentito nulla, nemmeno i soldati che, obbedendo alla richiesta im-
provvisa di Giuseppe, lo aiutarono a tirar giù dai pali di legno i corpi dei tre.
Le donne guardavano attonite ma Giovanni, intuendo qualcosa, con un cenno azzittì
Maria che sembrava volesse protestare.
Mentre Giuseppe, aiutato da Giovanni, avvolgeva il corpo di uno dei malfattori nel
lenzuolo che le donne gli avevano procurato per Gesù, Nicodemo si era precipitato
scendendo di corsa ai piedi del Golgota, diretto in città.
Giunse trafelato alla caserma di Pilato e chiese di parlare con lui.
La guardia, riconoscendo in Nicodemo un membro del Sinedrio, lo accompagnò alla
presenza di Pilato.
“Cosa vuoi a quest’ora?” Pilato stava cenando con alcuni commilitoni.
“Ti prego; quell’uomo che avete condannato a morte perché si proclama re, è morto.
Autorizzami a farlo seppellire nella tomba di uno che conosco in modo che .,..”
Ma Pilato lo interruppe:
“Non mi interessa perché vieni da me; piuttosto, sei sicuro che sia morto?”
“Sì, lo hanno constatato anche i tuoi soldati e stanno tirando giù i morti …”
Pilato chiese conferma al centurione che era a cena con lui. E questi gli confermò di
aver visti tutti e tre morti prima di tornare in caserma.
Pilato allora si volse a Nicodemo:
“Va bene, hai il mio permesso, vai!” e tornò a mangiare.

§§§

Nicodemo arrivò in cima al Golgota trafelato e lì trovò i tre cadaveri avvolti nei len-
zuoli; Giuseppe era seduto su una pietra in attesa del suo ritorno e gli chiese ansio-
so.
“Allora?”
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“Pilato ha dato il permesso; passando da casa ho dato l’ordine ai miei uomini di veni-
re di corsa ad aiutarmi e saranno qui tra poco”
Mentre Giuseppe si chiedeva che cosa avesse in mente quell’uomo, ecco che arriva-
rono quattro robusti servitori di Nicodemo.
Giuseppe aveva già offerto il suo sepolcro per ospitare il corpo di Gesù e Nicodemo,
dopo aver parlato sottovoce con uno dei suoi uomini, diede loro l’ordine di raccoglie-
re il cadavere di uno dei malfattori e di seguire Giuseppe.
Giuseppe stava per obiettare che si stavano sbagliando ma Nicodemo lo azzittì con
uno sguardo severo, mentre le donne intorno erano rimaste ammutolite per quello
che stava accadendo.
“Fate come ho detto; e tu, Giuseppe, obbedisci. Poi ti spiegherò”
E così Giuseppe partì, seguito da quattro uomini che portavano avvolto in un lenzuo-
lo il corpo inerte di uno dei due malfattori.
Ormai era buio e le donne non sapevano cosa fare ma Giovanni capì e le rassicurò.
“Donne, Maria tu per prima, accettate la decisione di Nicodemo: ti conviene per il be-
ne di tuo figlio”.
A Maria queste parole parvero strane ma obbedì: si alzò lentamente e, seguita dalle
altre donne, scese dal Golgota, voltandosi ogni tanto per capire che cosa stessero
per fare ma vide solo Nicodemo in piedi davanti a due cadaveri avvolti nei lenzuoli
stesi a terra.
Non potevano vedere che dalla parte opposta del colle erano salite altre persone.
Appena le donne furono abbastanza lontane, Nicodemo aprì il lenzuolo contenente il
corpo del malfattore e si chinò sul suo petto. Gli uomini che erano appena arrivati lo
videro appoggiare l’orecchio al petto del cadavere e rialzarsi con un gesto di diniego.
Nicodemo rifece lo stesso gesto sul petto di Gesù dopo aver aperto il lenzuolo.
Rimase a lungo appoggiato al suo petto e azzittì tutti pe ascoltare meglio. Passarono
molti secondi ma ad un certo punto fece un balzo di gioia.
Non disse nulla a nessuno ma, dopo aver accuratamente riavvolto il corpo di Gesù
diede l’ordine di sollevare il corpo e di portarlo a casa sua.
Dal basso le donne non videro nulla e coloro che erano lì vicino ad osservare non vi-
dero o non capirono.
Un silenzioso corteo si formò diretto alla casa di Nicodemo. Giunti dentro al patio,
nascosto da sguardi indiscreti Nicodemo diede ordini silenziosi e il corpo di Gesù fu
trasportato in una camera attigua e senza finestre.
Un letto accolse il triste fardello e un altro lenzuolo fu disteso sul suo corpo, lascian-
do fuori solo il capo.
A questo punto Nicodemo congedò gli uomini che avevano trasportato il corpo e fece
loro precise raccomandazioni di ignorare del tutto quello che era successo; accom-
pagnò le poche ma chiare parole con una lauta mancia e finalmente poté rimanere
solo con il corpo di Gesù disteso sul letto che aveva adattato in quella stanza.
Un flebile lume rischiarava l’ambiente ma non poteva cogliere lo sguardo pieno di
speranza di Nicodemo, né poteva immaginare che in quella stanza i cuori che ancora
vivevano forse erano due.

Cap. 2

Era notte fonda quando un leggero bussare al portone principale richiamò


l’attenzione di Nicodemo che si precipitò ad aprire.
Il capo nascosto da un telo di lino, un vecchio con una lunga barba che gli spuntava
da sotto il mento entrò senza parlare e seguì Nicodemo.
27
Si avvicinò al corpo disteso di Gesù e rimase per molto tempo ad osservare il volto e
poi il petto.
Alla fine tolse il lenzuolo e incominciò ad osservare attentamente i piedi palpandoli e
stringendoli con mosse rapide e robuste; poi estrasse da una delle sue tasche inter-
ne della tunica una specie di piccola tromba di legno con due imboccature.
Appoggiò sul petto di Gesù una delle due imboccature all’altezza del cuore e si chinò
con l’orecchio sull’altra, rimanendo a lungo in silenzio come se cercasse di ascoltare
qualcosa che doveva provenirgli da lontano, molto lontano.
Gli occhi chiusi, immobile con l’orecchio sempre appoggiato all’imboccatura superio-
re, rimase così per tanto tempo mentre Nicodemo ai lati del letto lo osservava con
timore e grande attenzione.
Ad un tratto il vecchio emise come un brontolio sordo che non faceva intuire nulla;
poi si alzò e ordinò a Nicodemo di portare molti cuscini o legni o qualunque cosa che
potesse essergli utile per alzare le gambe di Gesù quasi in verticale.
Ora il corpo era piegato ad angolo retto, le gambe perpendicolari e il resto del corpo
sempre disteso.
Non c’era alcun cenno di vita in quel corpo ma il vecchio ricominciò con il suo stru-
mento ad ascoltare il petto di Gesù.
Passarono vari minuti ma ad un certo punto il vecchio ebbe un sobbalzo e sussurrò
come se avesse paura a dirlo:
“E’ vivo e dorme!”
Nicodemo strabuzzò con gli occhi e calde lacrime gli rigarono il viso mentre il vecchio
continuava ad ascoltare il petto di Gesù.
“Confermo: è vivo!”
E, allo sguardo attonito di Nicodemo, riprese a parlare:
“E’ vivo e dorme: hai avuto fede e Dio ti ha ascoltato”.
Poi si sedette a terra accanto al corpo ed iniziò a palpeggiare prima un piede, poi la
caviglia e infine, risalendo lungo il corpo, proseguì una strana forma di massaggio
fatto di punzecchiature ottenute con una specie di grosso ago di legno.
Ad ogni pressione si accompagnava con una specie di giaculatoria in una lingua per
Nicodemo sconosciuta.
La pelle si comprimeva ma poi tornava al suo posto, elastica come se fosse vivo.
Alla fine il vecchio arrivò alla testa di Gesù e qui fece una cosa che Nicodemo non
poteva capire: si mise a soffiare sempre più forte nelle narici di Gesù prima con lo
stesso strumento che aveva usato fino a quel momento, poi direttamente con la boc-
ca.
Soffiò a più riprese dentro le narici prendendole in bocca contemporaneamente fino a
diventare paonazzo in volto.
E qui si fermò, sfiancato dalla fatica di inoculare aria dentro il naso di quel corpo che
sembrava sempre morto.
A questo punto il vecchio rimase in silenzio a occhi chiusi per molti minuti, seduto a
terra, come assorbito da qualcosa di indefinito che lo aveva portato lontano, in un
mondo che Nicodemo non poteva immaginare.
Quando si riprese estrasse da una tasca interna della tunica un sacchetto, scoprì il
lenzuolo all’altezza del cuore di Gesù e fece cadere alcune piccole foglie di una pian-
ta sconosciuta.
Chiese a Nicodemo (che ne era rimasto meravigliato) di procurargli del fuoco.
Nicodemo si alzò e raccolse dal fuoco del camino un rametto di legno acceso che
porse al vecchio.

28
Questi rapidamente incendiò il mucchietto di foglie sul petto di Gesù mentre Nicode-
mo esterrefatto lo osservava meravigliato. Le foglie bruciarono rapidamente lascian-
do una chiazza scura sulla pelle del petto mentre un brivido improvviso scosse il cor-
po di Gesù ma ritornando alla fine immobile come se nulla fosse accaduto.
Il vecchio chiese a Nicodemo un coltello o un rasoio e il padrone di casa si allontanò
per tornare poco dopo con lo strumento.
Il vecchio lo afferrò e con una mossa decisa, tagliò fino alla radice i capelli di Gesù
dalla fronte fino sulla parte alta del capo, procurando un solco. Anche qui fece cade-
re dal sacchetto un mucchietto di foglie e subito dette loro fuoco.
Il fumo insieme all’odore acre di pelle bruciata spaventarono Nicodemo ma resistette
alla paura e al senso di vomito per poter osservare l’eventuale reazione.
Il corpo di Gesù nuovamente ebbe come uno scossone improvviso ma nulla più.
Il vecchio disse:
“La vita è dentro di lui e si sta lentamente risvegliando”
E non parlò più; si accovacciò a terra come addormentato e lì rimase, gli occhi
chiusi e in silenzio.
Nicodemo a sua volta si raggomitolò come per scaldarsi e rimase assopito in silenzio
mentre gli occhi gli si chiudevano per la stanchezza.

§§§

Era quasi l’alba quando il vecchio riaprì gli occhi e finalmente parlò in modo da farsi
capire da Nicodemo:
“Tu lo hai salvato e io te l’ho riportato in vita. Ora posso spiegarti meglio che cosa è
successo e che cosa ho fatto.
Quello che hai visto non fa parte della medicina di questo paese ma di un lontano re-
gno dove ho vissuto a lungo.
Un giorno gli scienziati, quelli che si vanteranno di essere dei veri medici mentre ri-
troveranno metodi antichi che oggi solo pochi sanno usare.
Quello che è successo a Gesù non è la morte ma una cosa che in futuro si chiamerà
in un altro modo. E’ accaduto quello che i Romani vogliono provocare quando ap-
pendono un malfattore condannato a morte ad una croce di legno: rimanendo ore in
quella posizione, il sangue lentamente scende dal cervello lungo il corpo fino a non
alimentare più le vene che portano il sangue al cuore.
Nicodemo ascoltava attonito e cercava di capire; si rendeva conto che stava per
scoprire un mistero che in oriente era usato solo da chi aveva profondamente studia-
to il corpo umano e ne conosceva caratteristiche impensabili di capacità di reazione.
E il vecchio continuò:
“Il cuore, quando si rende conto che sta pompando sempre meno sangue, sempre
più a vuoto, incomincia a cercare altro sangue finché decide di accelerare per ottene-
re che il sangue ritorni in circolo attraverso le vene e se non lo sente arrivare accele-
ra il battito al punto da scoppiare e far morire definitivamente il corpo del malfattore
appeso alla croce di legno.
Ma Gesù aveva, anzi, ha un corpo molto forte anche perché è sano e giovane ma
soprattutto perché tu … sei arrivato in tempo: tu lo hai salvato lasciandomi entrare
qui questa notte.
“Io non ho fatto nulla, ho solo sperato, obbedendo a una voce che sentivo dentro di
me: per me non era morto ma dormiva …”
“Beh, quasi … non so come chiameranno in futuro questo stato: effettivamente Gesù
è come se dormisse ma è anche come se fosse morto”
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Nicodemo non capiva e il vecchio proseguì:
“Il suo corpo è vivo ma la sua mente non riceve tutto il sangue che gli serve per ra-
gionare; è come se dormisse e probabilmente riesce anche a sentire quello che di-
ciamo, ma non lui, bensì la sua anima che Dio ha voluto salvare … grazie a te”
Nicodemo voleva protestare dicendo che non aveva alcun merito, ma il vecchio pro-
seguì:
“No, caro Nicodemo, se non fossimo intervenuti in tempo, avremmo perso la vita di
quest’uomo che ora vive. Ma non illuderti: ora ci vorranno giorni e giorni prima che
egli si risvegli come da un lungo sonno nel quale ora il suo cervello si è nascosto, ri-
fiutandosi di comunicare con noi”
“Cioè?” chiese Nicodemo
“Non te lo so spiegare ma mi è già successo in passato di aver ottenuto quello che si
è verificato qui questa notte: non è un miracolo ma può sembrarlo; a volte veramen-
te, in casi eccezionali si riesce ad allontanare la morte dal nostro corpo. Ora non re-
sta che aspettare.
Io devo andarmene. Tu da oggi non farai altro che stargli vicino sempre di giorno e
lasciarlo dormire di notte.
Di giorno dovrai parlargli dolcemente, ricordargli cose della sua vita. Anzi, se fosse
possibile, trovare una persona molto vicina a lui in vita che possa fargli sentire la sua
voce che lui già conosce …”
“So chi devo chiamare …”
Ma attento a non farti scoprire altrimenti i romani …”
“Non avere paura: conosco bene sua madre e credo che sia l’unica che potrà aiutarlo
a tornare … vivo”
Il vecchio ebbe un dolce sorriso: “Hai ragione, sua madre sarà la persona ideale che
potrà riportarlo nel nostro mondo”.
Si alzò cercando di stiracchiarsi un po’; riprovò ad ascoltare il cuore di Gesù attraver-
so lo strumento di legno e sorrise soddisfatto:
“Ha funzionato; il cuore sta battendo regolarmente, il sangue sta circolando nel suo
corpo ma ci vorrà tempo prima che il suo cervello si risvegli. Ora puoi provare a ridi-
stendere le sue gambe ma ogni ora dovrai massaggiare i suoi muscoli e parlargli, in
attesa che tu possa mettergli vicino sua madre ma … mi raccomando: falla venire
senza dire nulla a nessuno, nemmeno a lei: deve essere una forte sorpresa che le
darà una grande forza d’animo per completare l’opera, non dico il miracolo, ma
l’opera che abbiamo compiuto questa notte tu ed io.”
Abbracciò Nicodemo che non sapeva più che cosa dire pensando che invece si trat-
tava di un vero miracolo.
Il vecchio, senza dire più nulla si avviò verso l’uscita del patio.
Il sole era già alto quando scomparve lasciando solo Nicodemo davanti al corpo di
Gesù che sembrava dormisse il sonno della morte mentre era invece ancora vivo.

Cap. 3

Alcune ora prima, mentre Nicodemo portava il corpo di Gesù a casa sua, Giuseppe
di Arimatea, aiutato da quattro robusti suoi servitori discese il Golgota con il lenzuolo
che conteneva uno dei malfattori.
Raggiunsero la zona del cimitero e si fermarono davanti ad un sepolcro dove, una
volta fatta rotolare la pietra che faceva da chiusura, adagiarono delicatamente il cor-
po sulla pietra rettangolare preparata a suo tempo apposta per ospitare il morto.
Fecero rotolare la pietra chiudendo il sepolcro e si allontanarono in fretta.
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Non si erano però accorti di essere seguiti. Uno dei soldati che aveva assistito alla
crocifissione e che si era allontanato per pochi minuti per nascondere la tunica rossa
di Gesù che aveva vinto ai dadi, era tornato sotto le croci proprio mentre Giuseppe di
Arimatea si stava allontanando con le persone che trasportavano il morto. Il soldato
credette si trattasse di Gesù e, sperando in un compenso, si precipitò da Caifa rac-
contando quello che aveva visto.
A sua volta Caifa, che essendo iniziato il sabato, non poteva muoversi, comandò al
soldato di raccontare al capo delle guardie romane quello che aveva visto.
Il soldato aveva ricevuto precise istruzioni che sciorinò al capo di guardia quella notte
mentre con le mani in tasca si stava toccando le tre monete ricevute in regalo da Cai-
fa.
Disse quello che gli era stato comandato: che era opportuno che alcune guardie ve-
nissero inviate davanti a quel sepolcro perché i seguaci di Gesù avrebbero potuto
rubare di nascosto il corpo per poter poi diffondere la notizia che veramente Gesù
era risorto come aveva promesso in vita.
Fu così che un drappello di tre soldati assonnati uscì dalla loro caserma: si recarono
scocciati alla zona del cimitero e, fattosi indicare il sepolcro, si sedettero di fronte su
alcune pietre. Ma il sonno li avvinse e tutti ben presto si addormentarono.
Giuseppe di Arimatea era stato però avvisato da Giovanni su incarico di Nicodemo:
“Se ti accorgi di essere seguito fai finta di niente e procedi alla sepoltura del corpo
del malfattore come se tu stessi portando Gesù. Sicuramente se ne accorgeranno e
cercheranno di fare la guardia davanti al sepolcro. Solo allora dovrai ritrasportare il
morto in un luogo di sepoltura comune”.
Giuseppe non capiva il perché di quella strana manovra ma, un po’ per rispetto, un
po’ perché si fidava dei piano di Nicodemo, obbedì e raggiunse due ore dopo il se-
polcro davanti al quale le guardie stavano tranquillamente e profondamente dormen-
do.
Operando silenziosamente spostarono lentamente la pietra fino a lasciare abbastan-
za spazio per far uscire il morto, lo prelevarono e lo portarono nel luogo delle sepol-
ture comuni.
E finalmente anche Giuseppe, dopo aver dato alcune monete ai suoi uomini impo-
nendo loro il silenzio, poté rientrare a casa e gettarsi a dormire, stanco ma felice di
aver ingannato i romani.

Cap.4

Pietro con alcuni discepoli, dopo aver assistito da lontano alla morte del Maestro, si
allontanò precipitosamente dal Golgota, seguito da alcuni dei discepoli: la paura di
essere arrestato insieme a Gesù lo aveva già fatto tradire tre volte.
Non sapendo dove andare perché avevano paura a rientrare in Gerusalemme deci-
sero di rifugiarsi a Betania a chiedere ospitalità a casa di Lazzaro che li accolse pie-
no di tristezza e di dolore alla notizia della crocifissione di chi gli aveva ridato la vita.
Dalla cucina arrivarono Maria e Marta e piansero anche loro, tremando di paura per-
ché tutta la loro famiglia era nota ai militari di Pilato ma soprattutto agli scribi e ai fari-
sei: erano troppo desiderosi di vendicarsi di Gesù e aspettavano il momento oppor-
tuno per farli arrestare dal Sinedrio.
Vi era anche Giacomo, il fratellastro di Gesù che se ne stava un po’ discosto dagli al-
tri.
Pietro gli chiese perché facesse in quel modo ma Giacomo preferì insultarlo anziché
rispondergli a tono:
31
“Non vedi a che cosa ci ha portato mio fratello? Ora saremo ricercati e arrestati se
non ci allontaniamo al più presto da Gerusalemme”
“Perché parli così? Non è questo che ci ha insegnato il Maestro: la sua lieta novella
dovrebbe riempirti il cuore di speranza …”
Intervenne Filippo che però fu fermato dallo scatto nervoso di Giacomo:
“Non ti rendi conto di quello che è accusato Gesù? Ha cercato di eliminare la nostra
religione tradizionale con un nuovo modo di … di …”
Ma Pietro lo interruppe.: “Un nuovo modo di amare il prossimo! Cosa che nella no-
stra religione non è previsto, anzi c’è sempre una giustificazione per chi vuol litigare
con il prossimo. Ed ora il nuovo messaggio di Gesù ci sta insegnando quale è la veri-
tà, quella che riempie l’animo …”
Ma Giacomo lo interruppe a sua volta:
“No, caro, è quella che riempie le celle del carcere: hai visto che fine ha fatto mio fra-
tello, e prima ancora Giovanni perché aveva insultato Salomè?”
Seguì un silenzio imbarazzante mentre ognuno pensava a che cosa sarebbe stato
meglio per ciascuno di loro; delusione di fronte al fallimento del maestro, tristezza per
aver seguito forse l’uomo sbagliato, che per l’ennesima volta aveva tentato di cam-
biare la mente degli ebrei, troppo ligi alla loro religione e troppo paurosi di fronte
all’invasore.
La delusione li costringeva a tornare alla loro attività di pescatori prima di conoscere
Gesù e ogni speranza moriva su quella croce con il loro cuore e le loro aspettative.
Ma alla fine Pietro con voce tremante disse:
“Io me ne torno a Cafarnao da mia moglie; tornerò a pescare. Voi fate quello che vo-
lete” e, raccolto un fagotto di poche cose sue, uscì avviandosi sulla strada oltre il
Giordano.
Poco dopo aver confabulato tra di loro, lo seguirono sulla strada che li avrebbe ripor-
tati a casa alle loro famiglie. Era già l’alba quando alcune figure anonime e timorose
si erano già affrettate sui sentieri che conducevano verso nord.

§§§

Maria si era rifugiata con Giovanni in un’altra stanza, confortata dalle sorelle di Laz-
zaro mentre quest’ultimo se ne stava fuori sulla strada per vedere se stesse arrivan-
do qualche drappello di soldati, ma la notte era buia e silenziosa e non passava ani-
ma viva.
Giovanni lasciò che Maria desse sfogo al suo dolore per la morte del figlio ma presto
la stanchezza lo colse in un sonno profondo e senza sogni.
Ma alle prime luci dell’alba si risvegliò ricordando la scena cui aveva assistito al ritor-
no di Nicodemo dal colloquio con Pilato e soprattutto alle parole che aveva intrasenti-
to scambiarsi i due quando Nicodemo aveva dato ordini secchi ad alcuni presenti sul
posto.
Si ricordò che aveva aiutato Giuseppe ad avvolgere il cadavere del malfattore e non
quello di Gesù e capì che doveva essere accaduto qualcosa di strano.
Stava pensando a queste cose quando Lazzaro rientrò in casa trafelato sussurrando
alle donne di nascondersi dietro casa:
“Sta arrivando qualcuno ma non so chi possa essere; meglio essere prudenti”
Lo sconosciuto si fermò davanti alla loro casa e bussò e ribussò con insistenza, fin-
ché Lazzaro, temendo il peggio aprì lentamente l’uscio, ma le parole dello sconosciu-
to lo tranquillizzarono:

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“Non abbiate paura, vengo in pace con un incarico: dovete riferire a Maria, la madre
di Gesù, di recarsi subito alla casa di Nicodemo ma di nascosto, senza farsi accorge-
re da nessuno”.
Dette queste poche parole, uscì di nuovo in strada ritornando da dove era venuto.
Lazzaro rimase perplesso ma preferì lasciare che Maria decidesse se accettare.
Pochi minuti dopo Maria, accompagnata dal fedele giovane discepolo Giovanni era
già sulla strada che li riportava a Gerusalemme.
Per loro fortuna non incontrarono nessuno e dopo circa un’ora erano davanti alla por-
ta della casa di Nicodemo.
La porta era socchiusa e non fu necessario bussare.
Dietro i battenti Nicodemo li aspettava, prese Maria per una mano e la condusse in
silenzio nella stanza in cui il corpo di Gesù giaceva in una specie di morte, vera o
apparente che fosse.
Maria si precipitò su quel corpo e lo abbracciò piangendo calde lacrime mentre Gio-
vanni, sbalordito, si era ritirato in un angolo anche per rispetto del dolore di Maria.
Nicodemo se ne stava sulla porta in silenzio ed aspettava che Maria si calmasse per
poterla informare su quello che era accaduto la sera prima con quel vecchio che se
ne era poi andato senza dire altro.
Giovanni porse una panca accanto a Maria perché stesse più comoda vicino al corpo
di Gesù mentre ad un cenno di Nicodemo, lo seguì nella stanza accanto.
Qui sottovoce, in modo da non farsi sentire da Maria, Nicodemo lo mise al corrente di
come aveva organizzato le cose, di che cosa era successo la sera prima con
l’intervento del vecchio misterioso, raccomandandogli di tenere in segreto quello che
gli aveva confidato.
Per Giovanni la notizia era strabiliante e gli metteva addosso un’euforia che non po-
teva nascondere.
Maria lo aveva osservato ed era rimasta meravigliata ma ad un cenno affermativo di
Nicodemo, Giovanni le disse:
“Tuo figlio non è morto; vive ma in un mondo lontano da noi; metti la tua mano sul
suo petto e sentirai il suo cuore battere”.
Maria lo guardò stranita ma al suo insistere obbedì e mise la mano sul petto di Gesù;
notò con meraviglia che la pelle era ancora calda e non fredda come quella di un ca-
davere e poco dopo sentì battere il suo cuore.
Non sapeva più se piangere o abbracciarlo ma Nicodemo le disse:
“Ora parlagli; devi parlargli come se dormisse; forse un giorno riuscirai a farlo risve-
gliare”
E Maria, dopo essere rimasta inebetita all’idea non sapendo da dove incominciare, si
sentì suggerire da Giovanni:
“Chiamalo col suo nome; pronuncia il suo nome sussurrato e ogni volta sempre più
con voce decisa; insisti e non stancarti. Forse non ti risponderà ma certamente ti sta-
rà ascoltando. Almeno così …”
“Così ci ha assicurato chi ha fatto il miracolo ieri sera” proseguì Nicodemo per com-
pletare la frase di Giovanni. Poi, piangendo per la gioia e la speranza uscì dalla
stanza con Giovanni, lasciando sola la madre col figlio e tutto il giorno trascorse così,
mentre Nicodemo e Giovanni stavano di guardia curando che nessuno venisse a di-
sturbare quell’evento che aveva del miracoloso.
Solo a sera Nicodemo portò a Maria una tazza di cibo e un frutto ma Maria non volle
nulla: era rimasta incantata ad adorare suo figlio, che non avrebbe mai sperato di ri-
vedere ancora vivo.

33
Cap. 5

In una casa di amici strettamente osservanti Giacomo stava immobile ad occhi chiusi
mentre qualcuno dei presenti cercava di consolarlo per il dispiacere della morte di
Gesù. Almeno così credeva ma nella mente di Giacomo pensieri confusi si rimesco-
lavano senza sosta e tenendolo in uno stato di agitazione e di incertezza che non
riusciva a dominare. Si sentiva come in un labirinto dal quale non riusciva a venirne
fuori, come chiuso in un sogno orribile dal quale non riusciva a liberarsi.
A Giacomo erano crollati due ideali importanti: il primo era stato la speranza di vede-
re in suo fratello un futuro condottiero che avrebbe portato il popolo d’Israele alla li-
bertà dagli invasori romani, mente il secondo era stata la grande delusione nel ren-
dersi conto che Gesù invece stava predicando per le strade della Giudea e della Ga-
lilea nuovi concetti, nuove idee che erano nettamente contro la religione dei suoi pa-
dri tradizionali cui Giacomo era strettamente legato fin dagli insegnamenti
dell’infanzia.
Giacomo aveva ricevuto un’educazione molto dura, strettamente osservante delle
leggi religiose che regolavano la vita degli ebrei e non poteva sopportare che un suo
parente stretto si permettesse di rinnegare principi rispettati da secoli da tutto il popo-
lo d’Israele.
Ora invece si era trovato ad assistere prima al suo processo, poi alla sua condanna a
morte insieme alle critiche degli amici e infine alla morte ignominiosa sulla croce in
mezzo a due malfattori.
Tutto era crollato in lui, perfino la voglia di vivere ma dentro di sé il seme seminato da
Gesù stava facendo maturare qualcos’altro che Giacomo non era in grado di identifi-
care.

Cap. 6

La nebbia non si diradava e il passo di Gesù era diventato leggero; non sentiva il
selciato di quella che doveva essere una strada e i suoi piedi nudi sembravano scivo-
lassero lungo il cammino.
Non si sentiva alcun rumore e non si vedeva nulla, tranne una luce lattiginosa e opa-
ca davanti e intorno a sé.
Man mano che camminava aveva la sensazione come se la nebbia lo avvolgesse in
spire delicate e senza forma.
Penetrandole le superava ma dietro gli si riformavano come nuvole silenziose e la
strada sembrava non avere mai fine.
A tratti nella sua mente si formavano immagini di cose o di persone che credeva di
aver già visto o conosciuto altre volte ma non riusciva a dare loro un nome,
un’identità.
Ad un tratto sentì una voce che riconobbe ma non seppe dire di chi fosse: era una
voce dolcissima che pronunciava un nome.
Forse, ma non ne era sicuro, era il suo nome di quando era bambino: Joshua.
E ricordò un momento al tramonto di un giorno di giochi e … sua madre? Madre era
quasi un senso nuovo eppure gli era familiare: madre, una parola che gli dava da ve-
dere un volto e una voce femminile: era una donna e la parola donna risvegliava in
lui il senso d’esistere.
Esisteva! Era lui che esisteva, ma dove? In che mondo stava portando un suo io che
… un io che … poi tutto si perse nella nebbia, anche il suo camminare, anche il suo
passo, anche il suo io … poi più nulla.
34
§§§

Maria gli accarezzava il dorso della mano, lentamente mentre continuava a ripetere
dolcemente: “Joshua!”.
Ma quel corpo restava immobile, gli occhi chiusi, la mente chiusa, la vita chiusa den-
tro suo figlio e Maria agiva quasi ipnoticamente solo perché le avevano detto che do-
veva continuare senza sosta.
Il giorno stava giungendo alla fine e la penombra della stanza diventava sempre più
scura. Maria era tutta indolenzita ma continuava.
Ad un tratto sentì una mano sulla spalla e si voltò quasi di scatto: era Giovanni che le
sorrise e la costrinse ad alzarsi senza pronunziare parola.
Come un automa Maria si alzò e seguì Giovanni nella stanza accanto dove trovò an-
che Nicodemo che la aspettava con una ciotola di zuppa calda.
“Devi mangiare, hai bisogno di darti forza perché il tuo sacrificio sarà lungo”
Così l’accolse Nicodemo mentre la costringeva a sedersi e a mangiare.
“Altrimenti rischiamo di avere due morti invece di un Gesù salvato!”.
Maria non rispose ma capì che parlava per il suo bene e sorbì con piacere la bevan-
da calda che le avevano preparato: doveva trovare forza per continuare a parlare
con il corpo di suo figlio.

§§§

Giovanni passò tutta la notte con Maria che era ritornata accanto al letto e ripeteva il
nome di Gesù da bambino ogni pochi minuti.
Sorse un’alba grigia dopo la notte di pioggia sommessa e quasi silenziosa, ma Maria
continuò ancora finché Giovanni la invitò ad alzarsi per nutrirsi nuovamente.
“Mentre tu ora riposi, provo anch’io a cercare di risvegliarlo” le disse Giovanni. Maria
lo guardò dubbiosa ma poi sperò nella grande amicizia che legava i due uomini da
tanto tempo.
Si alzò e tornò nella stanza accanto dove poté nutrirsi. Nicodemo la invitò a stendersi
per dormire un po’ ma Maria tentennava anche se crollava dal sonno. Alla fine cedet-
te anche perché si era resa conto che non ce la faceva più; e sprofondò in un sonno
ristoratore mentre Giovanni aveva preso il suo posto accanto a Gesù e aveva inco-
minciato a ripetere le stesse parole che Gesù aveva pronunciato durante l’ultima ce-
na (Giovanni aveva una memoria formidabile e ricordava parola per parola il discorso
di Gesù):
“In quel giorno chiederete nel mio nome; e non vi dico che io pregherò il Padre per
voi; poiché il Padre stesso vi ama, perché mi avete amato e avete creduto che sono
proceduto da Dio. Sono venuto nel mondo; ora lascio il mondo, e vado al Padre".
E Giovanni ripeteva queste frasi quasi perfettamente uguali come fossero preghiere
o giaculatorie mentre accarezzava la mano di Gesù, sperando che quelle parole ri-
svegliassero nella mente del suo maestro i ricordi della sua vita.
Passò così tutta la mattina mentre Maria finalmente spossata dormiva nella stanza
accanto.
Nicodemo intanto era uscito per vedere se c’erano novità tra i rappresentanti del Si-
nedrio e soprattutto se si fosse diffusa la voce della resurrezione di Gesù.
Così seppe di Giuda che si era impiccato per la vergogna e che Giacomo aveva ten-
tato di parlare con Caifa ma gli era stato rifiutato il colloquio.

35
E Giacomo allora aveva capito che non tutto quello che la sua religione gli ricordava
era sul sentiero giusto. Stavano nascendo in lui seri dubbi e gli stava crescendo di
dentro il desiderio di trovare un modo per conciliare la sua religione con il messaggio
di suo fratello.
Avrebbe voluto parlarne con gli altri discepoli ma questi erano spariti tutti, temendo di
essere arrestati. La maggior parte era partita a piedi verso nord per tornare in Galile-
a.
Provò allora a recarsi da Giuseppe d’Arimatea ma non lo trovò in casa; aveva anche
chiesto in giro notizie di sua madre ma nessuno aveva saputo dirgli nulla: solo una
vecchia che abitava in periferia gli disse che probabilmente era partita con le altre
donne per andare a Betania a casa di Lazzaro.
Decise allora di recarsi al cimitero. Fino ad allora non aveva trovato il coraggio di re-
carsi a far omaggio alla salma ma ora provava il desiderio di trovare una risposta ai
suoi dubbi davanti al corpo di quell’uomo che aveva parlato a tutti solo di amore e di
fuoco ma fuoco purificatore, quello che gli ricordava il fuoco di Mosè. Faceva un po’
di confusione nei ricordi ma voleva provare a trovarsi di fronte al corpo di suo fratello
ricordando quello che aveva detto quella sera durante l’ultima cena: aveva parlato di
resurrezione dai morti ma forse il suo discorso era da capire come una favola, una
parabola con un senso non reale ma simbolico.
E mentre ricordava quelle parole arrivò davanti al sepolcro e la sua meraviglia fu
grande quando vide che la pietra era spostata e che il sepolcro era vuoto.
Cadde in ginocchio e pianse non riuscendo a fare altro che pensare a che cosa po-
teva essere accaduto; in lui si mescolava la paura che qualcuno avesse rubato il
corpo ricordando le parole di suo fratello quando aveva detto che sarebbe risorto do-
po tre giorni.
Non c’era nessuno intorno e il suo pianto fu l’unica voce nel silenzio dei morti.

Cap. 7

Gesù ancora una volta si trovò a camminare nella nebbia sentendosi chiamare col
suo nome da ragazzo ma intorno non vide nessuno. Cercò di muovere un braccio ma
si accorse che il suo corpo restava immobile nel vuoto e solo allora percepì l’orribile
senso del vuoto assoluto: intorno a lui non c’era che il nulla.
Immagini strane, alcune che conosceva, altre nuove, gli passarono davanti agli oc-
chi, poi più nulla: un silenzio assoluto in cui si perse come sprofondando in fondo al
mare.
Ma la parola mare gli risvegliò il ricordo dell’acqua del lago, poi una barca e … degli
uomini, dei pescatori che gli parlavano, ma non capiva che cosa gli dicessero.
Si perse pensando di essersi nuovamente addormentato mentre sentiva il suo nome
e qualcosa sulla sua mano destra che strisciava. Provò come un brivido e nient’altro,
poi più niente.
Giovanni stava attento ad ogni suo minimo movimento e per un momento credette di
vedere qualcosa ma poi dovette rinunciare: evidentemente si era sbagliato.
Nel pomeriggio fu nuovamente sostituito da Maria che restò accanto a Gesù fino a
notte tarda ma che poi si addormentò senza accorgersi.
Si risvegliò al mattino alle prime luci e si rese conto di aver dormito tanto; si spaventò
e chiamò Nicodemo che la tranquillizzò: spesso durante la notte si era affacciato e
vedendola dormire si era ritirato tranquillo e silenziosamente: Gesù non dava alcun
segno di vita.

36
Nicodemo era preoccupato ma il vecchio glielo aveva detto: sarebbe stata una cosa
molto lunga; dovevano solo avere pazienza.
Nicodemo e Giovanni si alternarono nei turni in cui sostituivano Maria per molti gior-
ni. Ormai era passata una settimana ma non disperavano; solo che lo facevano pas-
sivamente come curare un paralitico, senza dare alla loro veglia un senso forte e in-
tenso.
Un mattino all’alba riapparve il vecchio che, come al solito, senza parlare, rifece le
operazioni della prima volta. Cosparse il petto e la testa di Gesù di due mucchietti di
foglie ridotte quasi in polvere e diede loro fuoco provocando un’ustione seria sulla
pelle del corpo ma nient’altro: Gesù non ebbe alcuna reazione.
Il vecchio mormorò strane parole in una lingua che i presenti (Nicodemo, Maria e
Giovanni che assistevano in disparte) non capirono. Videro il suo capo tentennare
ma non disse nulla, non una parola di speranza o di disperazione.
Quando rimase solo la cenere sulle due ferite, estrasse una piccola ciotola che con-
teneva qualcosa di viscoso. Ci sputò dentro e mescolò con un dito. Poi con lo stesso
dito, cosparse le ferite di quella specie di unguento.
L’unica cosa che disse fu:
“Lasciate le ferite aperte; guariranno da sole mentre le sostanze entreranno nel suo
corpo!”
Si alzò e se ne andò, ancora una volta senza dire nulla.

Cap. 8

I tre rimasero fermi, in silenzio come se si aspettassero una qualche reazione ma il


corpo di Gesù rimase immobile, senza alcun segno di vita.
Ma dentro la sua mente qualcosa stava nascendo come un ricordo lontano. Sembra-
va arrivasse da un punto del cielo, precisamente da una stella lontana che si stava
lentamente avvicinando ruotando su se stessa.
E mentre si avvicinava assumeva svariati colori e ogni tanto lanciava come dei lampi
di luce intensi che morivano poco dopo aver raggiunto la sua fronte.
Fu improvviso il ricordo della croce: si ritrovò sospeso in aria ed ebbe un senso di
vomito mentre sotto di lui gli stringevano i legacci che avevano applicato ai piedi. Poi
un soldato dalla faccia truce, su una scala si avvicinò al suo volto e gli sputò mentre
gli stringeva i legacci del polso sinistro e poi ancora, da sotto, qualcuno spostò la
scala col soldato sopra in modo da fargli raggiungere l’altro braccio disteso. Strinse i
legacci e discese sbuffando e imprecando.
Gesù rimase per un attimo senza fiato poi si rese conto che il suo corpo cedeva sotto
il suo peso e sentì le braccia che sembravano spezzarsi mentre si allungavano in tut-
ta la parte di tendini e di muscoli.
Il dolore era tanto forte che gli impediva di parlare; ricordò solo di aver detto qualcosa
a Giovanni e vide il volto di Giovanni che lo guardava ansioso.
Ma questa volta i suoi occhi erano aperti e vedeva Giovanni vivo e vero che lo guar-
dava a sua volta meravigliato, gli occhi sbarrati.
“Gesù. Maestro mio!|” fu l’unico urlo.
Accorsero Maria e Nicodemo e urlarono di gioia nel vedere gli occhi di Gesù aperti,
ma lo spirito di Gesù era ancora lontano a chiedere che cosa era quella stella che si
avvicinava ruotando e i suoi occhi si spensero nuovamente.
Maria ebbe un moto istintivo e gli si buttò quasi sopra abbracciandolo e piangendo.
Questa volta Gesù sentì la corposità di sua madre e lanciò un debole lamento che ri-
svegliò in tutti quasi uno spavento ma soprattutto la speranza.
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In tre si misero a massaggiare senza sosta la braccia e le gambe di Gesù credendo
di fare una cosa buona. In parte l’azione riuscì ma provocò in quel corpo ancora tan-
to lontano una serie di spasmi e di brividi che li spaventò.
Nicodemo fermò gli altri due e rimase in silenzio con loro accanto: il corpo di Gesù
rimase immobile ma sembrava come se qualcosa dentro quel corpo si animasse.
Gesù ora “sentiva” la presenza di altri e la sua propria presenza. Nient’altro che la
coscienza di esistere ancora, ma ciò fu nella sua mente una cosa grandiosa, un ri-
sveglio della mente maggiore di ogni altro possibile evento.
Poi però la stanchezza lo costrinse a lasciarsi nuovamente andare nel labirinto della
nebbia. Tuttavia “sentiva”, ma non poteva fare altro.
Maria ora piangeva sommessa inginocchiata a fianco del letto e Giovanni cercava di
rianimargli la mano sinistra.
Nicodemo comandò loro di restare immobili e in silenzio; intuiva che avevano esage-
rato con i loro gesti affettuosi e stavano per rovinare tutto.
Ormai era trascorsa una intera giornata senza che nessuno se ne rendesse conto e il
buio avvolgeva ogni cosa intorno alla casa di Nicodemo.
Si sentivano in lontananza le solite voci dalle case della stessa via e qualche passan-
te che strascicava un carretto.
Nicodemo nell’altra stanza diede un ordine ad uno dei servitori di accendere una
fiaccola e di uscire in strada agitando la torcia per un po’.
Il servitore non capiva perché ma obbedì: alcuni minuti dopo si affacciò nuovamente
il vecchio del mattino; si avvicinò a Gesù e provò ad aprirgli le palpebre con delica-
tezza: due occhi spaventati lo fissarono ruotando a destra e a sinistra.
Il vecchio lasciò che gli occhi si chiudessero da soli poi si mise ad ascoltare il cuore
appoggiando sul petto direttamente un orecchio.
Il battito regolare lo tranquillizzò al punto che un cenno di sorriso apparve sul suo vol-
to, colto da un corrispondente sorriso dei tre che aspettavano rispettosi in un angolo
il responso.
“Sta molto meglio e presto tornerà in sé; preparate una bevanda calda e una fredda;
presto vi chiederà da bere; solo dopo potrete massaggiare il suo corpo con unguenti
profumati, soprattutto lungo la schiena, mettendolo sottosopra”.
Null’altro. Si alzò e uscì senza che i tre avessero il coraggio di chiedergli qualcosa.
La notte trascorse senza altre novità; Giovanni era sempre vicino al letto di Gesù
mentre Maria, aiutata dalle donne di casa, preparava del brodo caldo e approntava le
bevande fresche.
Nicodemo, spossato dalla lunga veglia si distese sul fianco su una branda in un an-
golo della stanza e, mentre osservava da lì il corpo di Gesù fu colto dal sonno e si
addormentò senza accorgersi del trascorrere del tempo.

Cap.9

Avvenne tutto all’improvviso: la stella esplose in miriadi di raggi che correvano in tut-
te le direzioni e stavano per colpirlo quando improvvisamente tutto scomparve.
Il buio si stava lentamente rischiarando e Gesù si sentì vivo come non mai: sopra di
lui un soffitto di travi di legno squadrate gli dicevano chiaramente che era tornato nel
mondo.
Nicodemo se ne accorse e, mentre si rialzava dal giaciglio e correva al letto di Gesù
chiamò Maria e Giovanni con un urlo; un secondo dopo erano tutti e tre intorno al let-
to e finalmente gli sguardi di tutti e tre si incrociarono con quelli del “resuscitato”.
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Un silenzio imbarazzante dei “vivi” fu interrotto dalla voce di Gesù che parlò per la
prima volta dopo tanto tempo; e disse con una specie di rantolo per la voce deforma-
ta dal lungo silenzio:
“Ho sete!”.
Maria si dette subito da fare e in qualche modo riuscì a far bere Gesù, che però si
strozzò in un colpo di tosse convulso.
Alcuni secondi dopo Maria ripeté l’operazione e questa volta Gesù poté ingoiare un
po’ del brodo tiepido, ma poi tornò disteso, gli occhi chiusi in una specie di torpore,
forse una stanchezza superiore alle sue forze.
Rimase immobile per tanto tempo quando Giovanni improvvisamente si accorse che
le dita della mano destra si stavano lentamente muovendo.
Afferrò subito la mano e Gesù gli rispose stringendogliela. Impossibile descrivere
l’emozione di Giovanni mentre Nicodemo e Maria piangevano di felicità osservando
quei semplici gesti: Gesù finalmente stava tornando nel suo mondo.
Anche la sua mente aveva abbandonato le immagini fantastiche di prima e i ricordi
stavano riprendendo corpo sempre più nitidi e precisi.
Maria si affrettò a riprendere dalla stanza accanto un bacile e degli asciugamani che
aveva inzuppato nell’acqua tiepida e profumata con essenze delicate.
E incominciò a accarezzare con quegli asciugamani delicatamente la pelle del petto
e e poi le braccia di Gesù.
E finalmente osò passargli quel lavacro profumato anche sul viso ed ottenne da Ge-
sù un improvviso sorriso di piacere che la fece ancora piangere di felicità.
E fu a questo punto che sentì suo figlio che le disse improvvisamente;
“Madre, grazie!”
Giovanni e Nicodemo erano immobili, bloccati dall’emozione del momento che sta-
vano vivendo e che per sempre, per tutta la loro vita sarebbe rimasto impresso nei
loro ricordi.
Maria proseguì a lavare delicatamente quel corpo che stava già muovendosi lenta-
mente, mentre Nicodemo si affrettava a preparare una ciotola con un profumato bro-
do da offrire a Gesù.

Cap.10

Caifa aveva litigato con Pilato; era andato lui dal comandante romano e in privato lo
aveva aspramente rimproverato per aver permesso che portassero in un anonimo
sepolcro il corpo di quell’uomo che gli aveva procurato tanta preoccupazione nei me-
si precedenti.
“Non permetterti di venire a dire a me come devo gestire la giustizia nel tuo popolo!”
gli aveva risposto Pilato quasi gridando e aveva proseguito così:
“Voi usate la lapidazione; se lo ritenevate colpevole perché non lo avete lapidato co-
me fate di solito con i vostri malfattori? Perché non avete avuto il coraggio di uccider-
lo voi stessi? Perché non avete voluto metterlo a morte voi, scaricando la responsa-
bilità su di me? Io ho ben altre cose di cui mi devo occupare, ho già dei problemi con
Roma e sono stanco delle vostre beghe religiose. A voi sembra che esistano solo
quelle, mentre la vostra gente è costretta a fare la fame ma vi deve sempre dare la
decima parte dei loro raccolti! Non vi vergognate di vivere a sbafo? Non dimentichi
che qui comando io e tu sei solo accettato per gestire la tua marmaglia?”
L’impeto con cui Pilato assalì Caifa, quasi sputandogli, urlando la sua risposta fece
accorrere le guardie che erano nel corridoio ma si fermarono incerte riconoscendo
Caifa, un’autorità comunque, anche se di un popolo sottomesso.
39
Ma Pilato diede un ordine secco:
“Accompagnate quest’uomo in strada e che non gli sia più permesso di presentarsi a
me!”
Caifa, furente ma a capo chino, si girò e sgomento se ne andò umiliato nel suo amor
proprio al punto di sentire per quel Gesù ancora più odio di prima, anche se ormai
era certo che fosse morto.
Ma si era comunque ripromesso di vendicarsi alla prima occasione: sapeva che al-
cuni suoi discepoli erano ancora a Gerusalemme e appena rientrato diede disposi-
zioni precise di far arrestare chiunque ancora parlasse in pubblico di Gesù.
Pietro e i suoi compagni erano ormai in salvo in Galilea e avevano ripreso a pescare
nel lago di Tiberiade, ma a Gerusalemme altri discepoli più o meno noti parlavano
ancora del “Maestro” che aveva compiuto tanti prodigi, ma soprattutto aveva parlato
di una cosa che quasi mai correva sulle labbra degli ebrei: l’amore per il prossimo.

Cap.11

Nicodemo seppe tutto quello che era accaduto parlando con altri del Sinedrio e tornò
preoccupatissimo a casa.
Lo raggiunse Giuseppe di Arimatea ed insieme studiarono che cosa conveniva fare.
Stavano seduti appena fuori dalla porta della stanza in cui riposava Gesù e voltavano
le spalle. Non si accorsero della figura che era apparsa improvvisamente dietro di lo-
ro: era Gesù che si era finalmente alzato dal letto e, dopo aver azzittito Giovanni e
Maria, aveva voluto far loro una sorpresa.
“La pace sia con voi!” esclamò Gesù e i due sobbalzarono dai loro scranni e, veden-
do Gesù in piedi, si gettarono a terra ai suoi piedi, pieni di meraviglia e di spavento.
“Non abbiate paura; sono io e sto meglio” disse e si accostò, sedendosi su una pan-
ca accanto.
Rimase in silenzio perché i ricordi incominciavano ad affluire come una cascata nella
sua mente ed egli li stava assaporando come se si nutrisse di loro come di un cibo.
Il silenzio della casa dominava l’aria ed ogni ambiente creando un senso irreale di
serenità, come una preghiera che trascende la parola ed il pensiero, che diventa una
forma concreta, ricca, viva.
Era un presenza che nessuno riusciva a capire, tranne Gesù che ritrovava un lega-
me che si era spezzato da giorni tra la terra e il cielo, un legame che solo lui poteva
riconoscere e che ora gli riempiva il cuore e ridava forza alla sua debolezza.

§§§

Maria e Giovanni erano andate in città per spese ma soprattutto per raccogliere noti-
zie utili su Gesù e sulle intenzioni di Caifa e di Pilato.
Quando entrarono in casa, vedendo Gesù serenamente seduto accanto a Nicodemo
e Giuseppe che rispettosamente stavano immobili e in silenzio, lanciarono un urlo di
gioia e si precipitarono ai piedi del Maestro, piangendo. Ma furono subito azzittiti da
Nicodemo che lasciò loro il piacere di godersi la vista del loro Gesù.
Questi non parlava ma sembrava si fosse assentato in un altro mondo.
Ed era effettivamente in un altro universo perché la sua mente stava alacremente la-
vorando e ricostruendo i suoi ricordi non solo degli ultimi tre anni di vita in pubblico
ma anche (e soprattutto) degli anni precedenti in cui le sue esperienze e le sue co-
noscenze erano ricche di storia.

40
§§§

La figura del vecchio che era apparso improvvisamente dopo che il corpo di Gesù
era stato portato a casa di Nicodemo riapparve ripetutamente nei ricordi:
un’immagine vivida ma in una grotta tra le montagne a est del Giordano e in circo-
stanze che Gesù faticava a ricordare. Eppure il suo volto gli era noto ed anche la sua
voce.
Lo aveva ascoltato per ore con piacere mentre gli apriva la mente.
Aveva imparato da lui cose che non avrebbe mai potuto immaginare e realtà fisiche e
spirituali sconosciute e molto potenti.
Era riuscito a compiere egli stesso alcuni degli atti che il vecchio gli aveva insegnato
nelle notti che aveva trascorso insonni in cima alla montagna.
Lo aveva conosciuto la prima volta una sera appena fuori Nazareth ed ora stava len-
tamente ritornando alla sua mente il momento, insieme a quello che gli era accaduto.
Gesù era ancora un ragazzo molto giovane quando alla sera era uso uscire da casa,
invano richiamato da sua madre.
Era come una forza misteriosa che lo chiamava, che lo cercava e Gesù accorreva al
bivacco delle carovane.
Nazareth era dislocata nel centro della Galilea che, per i Giudei di Gerusalemme, era
considerata una provincia di confine dalla quale non era mai uscito qualcosa o qual-
cuno di importante. Perfino i romani, acquisendo le notizie sui territori conquistati a-
vevano quest’impressione di una terra povera e senza alcun importanza storica.
Ma era sulla via che le carovane provenienti dall’oriente preferibilmente usavano co-
me luogo lontano da incursioni di bande e quindi sicuro per una sosta prima di com-
piere l’ultimo tratto del loro viaggio per raggiungere il porto di Cesarea più a sud.
Nazareth era adagiata ai piedi di una serie di piccole colline e i carovanieri si ferma-
vano ai piedi di una di queste, ricca d’acqua e di legna per il fuoco, che incontravano
appena dopo aver superato il lago di Tiberiade e aggirato l’asperità del monte Tabor.
Qui alla sera si raccoglievano attorno al fuoco raccontandosi a vicenda le loro espe-
rienze d’oriente. E i loro racconti erano avidamente ascoltati dal giovane Gesù che
così era riuscito a conoscere cose, fatti e nomi di genti d’oriente di cui nessuno gli
aveva mai parlato.
Era stato infatti fin da piccolo istruito molto severamente dai sacerdoti della sinagoga
locale ed aveva assorbito usi, storia e credenze del più severo ebraismo.
Quello che invece aveva imparato da quegli uomini che invidiava per la libertà con
cui vivevano esperienze nuove in paesi lontani era diventato per Gesù un mondo
completamente diverso che pian piano gli aveva permesso di allargare la sua fanta-
sia e assimilare nozioni, consuetudini, abitudini di mondi che poteva solo sognare.
Una sera una carovana si era fermata come di consueto per la sosta notturna sulle
rive del torrente che scorreva vicino alla casa di Giuseppe e Maria.
Gesù come al solito era scappato di casa ad ascoltare i racconti di quegli uomini
stanchi e mezzo addormentati.
Senza rendersene conto, Gesù si era accovacciato a terra accanto ad uno dei più
anziani che stava raccontando delle abitudini religiose del paese in estremo oriente
che era vicino alle più alte montagne del mondo:
“Sono talmente alte che la neve sulle loro cime non si scioglie mai” stava dicendo ma
gli occhi di Gesù lo attrassero:
“Non dirmi che non sai che cos’è la neve, ragazzo!”
“Gesù diventò rosso e reagì:
“Certo che lo so: l’anno scorso l’abbiamo vista anche noi!”
41
“Ma non hai mai visto montagne che spariscono nel cielo, tanto sono alte e che sono
ricoperte di una neve tanto dura che chiamano ghiaccio!”
Gesù si chiedeva che cos’era il ghiaccio ed intanto il carovaniere stava proseguendo:
“Ai piedi di quelle montagne ci sono anche alcuni villaggi molto grandi e la gente del
luogo è diversa da noi ed ha abitudini diverse”
“Diverse come?” chiese Gesù.
“Diverse per esempio nel pregare; loro non hanno un Dio ma credono per tradizione
alla figura di un uomo vissuto tanti anni fa che chiamano “il Buddha”.
Fu così che Gesù incominciò a sapere che non c’era un solo Dio, quello degli ebrei e
di Mosè, che quell’uomo chiamato Buddha aveva predicato durante la sua vita cose
tanto diverse dalla religione che Gesù aveva ricevuto dai suoi ed in sinagoga.
Era curioso di sapere tutto quello che poteva:
“Era vissuto tanti anni prima?”
“Tanti! Dicono che sia nato cinquecento anni fa, e che il suo ricordo si sia trasformato
in tante statue scolpite da artisti molto bravi. Pensa ragazzo, che una di queste sta-
tue è stata ricavata da un’intera montagna, tanto alta che supera la parte più alta del
tempio che c’è a Gerusalemme!”
Gesù era rimasto a bocca aperta e la sua fantasia si era persa nell’immaginare quel-
la figura gigantesca.
E la stessa figura ora era viva nel suo ricordo di quando aveva deciso di andare in o-
riente a conoscere non solo la statua ma anche le abitudini e la religione di quei lon-
tani popoli.
Mentre era ancora immerso nei ricordi Maria gli toccò delicatamente una spalla e gli
offrì del cibo, sapendo quanto fosse debole.
Gesù accettò con un sorriso e smise di sognare, mentre si avventava voracemente
su alcune saporite focaccine.

Cap.12

Si vedeva che il cibo gli stava dando forza e lo aiutava a ristabilire il rapporto con la
vita; anche i presenti se ne stavano rendendo conto e speravano che presto potesse
ritornare a parlare di sé come aveva sempre fatto per tre anni prima che lo condan-
nassero a morte.
Gesù lo intuiva ma stava seriamente pensando a che cosa in quel momento era più
conveniente per tutti, ad incominciare da sua madre. E per questo, finito il cibo, dis-
se:
“Madre, tu devi tornare al più presto in Galilea e proprio nella nostra casa di Naza-
reth. Io temo per la tua vita perché i sacerdoti del tempio da qui invieranno propri
uomini o faranno inviare militari di Pilato per sorprendere te ed eventualmente altri
nostri amici.
Per questo al tramonto partirai e viaggerai solo di notte, accompagnata da Giovanni
che ti aiuterà e ti proteggerà lungo il viaggio anche se è ancora giovane. Ma proprio
perché sarete una coppia senza sospetti che potrete viaggiare più tranquilli.”
“E tu?” chiese ansiosa Maria.
“Non preoccuparti per me; qui ho un vero amico, Nicodemo, che mi tiene nascosto.
Ma non può farlo a lungo ….”
Nicodemo stava per protestare, per confermare che lo avrebbe tenuto nascosto fin
che Gesù lo avesse voluto ma poi tacque perché capì che Gesù era seriamente in-
tenzionato ad agire nei giorni a venire. Sperava in cuor suo che si salvasse nel silen-
zio dell’anonimato ma sapeva che non sarebbe stato così.
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“Fra qualche giorno io vi raggiungerò in Galilea perché voglio ritrovare i miei discepo-
li, soprattutto quelli che credevano e credono ancora in me”.
Poi, come se stesse parlando da solo o con qualcuno che gli altri non potevano ve-
dere o sentire, proseguì dicendo:
“Quello che mi hanno fatto doveva accadere ed era previsto da tempo. Non speravo
di tornare a vivere ma il vecchio apparso all’improvviso durante la mia morte appa-
rente mi ha salvato facendomi tornare nel mondo dei vivi grazie alle sue conoscenze
di certi segreti che solo alcuni uomini in oriente conoscono e possono praticare”.
Maria lo guardava in silenzio ma ricordava e Gesù le parlò:
“Tu, madre ti ricordi dei miei lunghi viaggi in oriente e ricordi come ad ogni ritorno io ti
apparissi strano e diverso. Oggi posso dirti che in quei viaggi ho imparato cose im-
pensabili per noi ebrei ma tanto più importanti da superare ogni nostro comandamen-
to migliore della nostra religione.
Perché io sono rimasto fondamentalmente un ebreo ma …”
Nicodemo incominciava a capire qualcosa di certi discorsi che aveva già sentito da
altri sulle abitudini dei popoli che abitavano nelle terre ad est, oltre i fiumi delle terre
dell’antico esilio e deportazione subiti dal popolo d’Israele, ma ora si rendeva conto
di avere la fortuna di aprire la sua mente ad un universo molto più vasto, a scoperte
di terre che erano sconosciute a quasi tutta la popolazione della Palestina. Per que-
sto ascoltava in silenzio ammirato e sperando che Gesù lo illuminasse ancora di più
su quello che stava annunciando.
“ … ma dentro di me sta maturando il momento di un grande cambiamento; purtrop-
po quello che è accaduto è perché tutto si è svolto troppo in fretta e la cattiveria u-
mana ha perso il senso della vera religione. Forse è anche colpa mia perché ho pre-
corso i tempi; forse avrei dovuto aspettare ancora ma la spinta dentro di me era ine-
sorabile come una voce che mi arrivava da un universo lontano, come se da una
stella del cielo mi arrivasse la spinta di affrettarmi a diffondere quel semplice mes-
saggio d’amore che era ed è ancora di più oggi il vero …”
E qui, alzandosi in piedi e quasi gridandolo, disse:
“… l’unico vero comandamento valido per l’umanità: ama il prossimo tuo come te
stesso! Io non posso e non voglio rinnegare la nostra religione ma voglio darle com-
pletezza, voglio darle un contenuto valido.
Purtroppo mi sono reso conto che tutti rispettano solo formule esteriori, parole vuote,
testi ripetuti a memoria ma senza un significato interno.
Molti temono i cambiamenti perché spesso questi costringono l’uomo a rivedersi di
dentro, a scoprire dove e quanto sbaglia. Ma la pigrizia umana domina gli uomini che
si trascinano dietro le loro abitudini, quelle che si sono scelte per vivere più comodi,
interessandosi solo a se stessi e ignorando le esigenze e l’aiuto di cui gli altri hanno
bisogno: l’egoismo pervade la loro vita e guai a chi si permette di infrangere il loro vi-
vere quotidiano senza senso e senza valore”.
Ci fu un lungo silenzio, poi, Gesù, ancora debole per quello che aveva subito, si ritirò
nella stanza attigua e si adagiò sulla branda che lo aveva ospitato per tanti giorni; e
qui sembrò assopirsi in un lungo sonno.
Nessuno dei tre parlò e si ritirarono dalla stanza in penombra e in silenzio in attesa di
un suo risveglio.

Cap.13

Maria nel frattempo, aiutata dalle donne della casa di Nicodemo e da Giovanni, pre-
parò le cose essenziali per il viaggio. Faceva molta fatica sia perché non avrebbe vo-
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luto lasciare solo suo figlio sia perché gli eventi delle ultime settimane avevano pesa-
to sulla sua salute, ancora buona ma comunque di una donna che in quell’epoca po-
teva essere considerata già anziana: era prossima ai cinquant’anni e in quell’epoca
la sua era un’età già avanti nella vita di una donna.
Aveva paura per cosa avrebbe fatto suo figlio nei giorni successivi e questo le mette-
va un’ansia che nemmeno la parole dolci di Giovanni riuscivano a tranquillizzare
mentre superata Efraim, camminavano preferibilmente lungo sentieri poco battuti e
frequentati solo da pastori con le loro greggi al pascolo.

§§§

Alcuni giorni dopo Gesù decise di partire: era giunto il momento che aveva tanto de-
siderato.
Ma prima doveva organizzare le cose in modo da dare maggior sicurezza a sua ma-
dre.
Circolavano insistentemente voci contrastanti: chi parlava di un Gesù che era risorto
ed era tornato per le vie di Gerusalemme a predicare e a maltrattare gli scribi e i fari-
sei, chi invece dichiarava sfacciatamente di aver visto il suo cadavere.
Altri ancora asserivano che stava battezzando lungo il Giordano al posto di Giovanni
Battista.
In mezzo a questa confusione di notizie Caifa si stava agitando perché voleva essere
sicuro di aver eliminato quello che chiamavano “il messia” e che rischiava di scon-
volgere la loro, anzi la “sua” religione nonché i rapporti con gli invasori romani con i
quali voleva vivere in modo tranquillo.
Per questo aveva dato ordini severi a vari gruppi di militari a cavallo e di spie che si
intrufolavano in mezzo alla folla, per ottenere notizie precise.
Aveva convocato i vecchi maestri della religione e della teologia ebraica e tra questi
un certo Gamaliele, uno dei più anziani e rispettati insegnanti della dottrina ebraica
che godeva di molta stima ed aveva molti allievi attivi e pronti ad obbedirgli.
Tra questi c’era un certo Saulo proveniente da una famiglia benestante originaria di
Tarso che aveva la doppia cittadinanza: ebraica e romana, il che dava a Caifa un
maggior affidamento e lo rendeva più accettabile agli occhi di Pilato.
Nel frattempo si stava diffondendo il mito del Messia in tutte le regioni ed anche
all’estero, con una velocità che faceva capire quanto era grande il desiderio di libertà
dai romani che si era diffusa nelle varie popolazioni.
Nella Giudea però il contrasto era maggiore prima di tutto perché a Gerusalemme i
“soloni” (sacerdoti, scribi, farisei) si sentivano maestri e padroni dei fondamenti della
religione, e poi perché ogni forma di ribellione disturbava molto gli interessi commer-
ciali che i principali uomini ricchi della regione intrattenevano con i romani, anch’essi
introdotti in tutta la Palestina con affari non troppo puliti e sui quali in parte a Roma,
pur sapendo, fingevano di ignorare per tenere meglio sotto controllo le terre conqui-
state. In pratica già allora esisteva una forma di mafia commerciale anche se in misu-
ra decisamente inferiore a quanto si possa immaginare.
Oltre i confini della Palestina le notizie riguardanti Gesù avevano comunque cammi-
nato velocemente e già in molte città alcuni gruppi e comunità ebraiche incomincia-
vano a coltivare il culto del Messia e la credenza che effettivamente Gesù fosse ri-
sorto e che quella mattina al cimitero Gesù era misteriosamente scomparso.
Anche se timorosi, comunque i discepoli di Gesù raccontavano spesso alla gente e-
pisodi dello loro vita col Maestro e dei miracoli cui avevano assistito.

44
Ma erano molto attenti a chi ascoltava perché la persecuzione era in atto e l’aggiunta
spontanea di fatti inventati contribuiva ad ingigantire la figura del Messia e ad accre-
scere le speranze di chi voleva ribellarsi ai romani.
Queste notizie correvano più veloci del previsto e secondo Caifa e compagni era as-
solutamente necessario intervenire e bloccare questa emorragia di immaginarie vi-
sioni di un Messia risorto che viaggiava di città in città e continuava a compiere mira-
coli dappertutto.
Era necessario dare un esempio duro per far capire che assolutamente non si voleva
accettare il personaggio che era apparso, crocifisso, morto e infine creduto risorto.
Le sue teorie creavano solo confusione ed erano blasfeme rispetto alla religione di
stato.
Stefano, uno dei sette diaconi eletti dagli apostoli, venne arrestato e condannato a
morte mediante lapidazione.
All’esecuzione della condanna ovviamente non erano presenti gli apostoli, chi rifugia-
tosi in Galilea chi presso amici fidati ma invece vi aveva assistito proprio Saulo, che
era lì a custodire le vesti del condannato.
In verità la Chiesa cattolica si sbaglia chiamandolo il “protomartire” perché il primo
martire ucciso da Erode fu Giovanni Battista (fatto quasi certamente vero) e ancora
prima le decine di bimbi innocenti fatti uccidere per eliminare il futuro Messia (atto
crudele che non ottenne lo scopo voluto ma che forse non è nemmeno veramente
accaduto).
Ma torniamo a Stefano il “protomartire” solo per ricordare che tra coloro che parteci-
parono o assistettero alla lapidazione c’era anche il nostro Saulo, fervente e fanatico
difensore della religione ebraica.

Cap. 14

Durante questi fatti Gesù era già in cammino da giorni, coperto di vesti sudice da pa-
store in modo da non essere riconosciuto.
Non poteva sapere quello che stava succedendo a Gerusalemme, mentre egli voleva
raggiungere un amico, un certo Bartolomeo che abitava a Cesarea e che lavorava
per i romani nel porto.
Fu un incontro amichevole anche se Bartolomeo, dopo le notizie che erano giunte
pochi giorni prima da Gerusalemme davano Gesù per morto.
“Come vedi, sono ancora vivo, amico mio!”
Gli disse con voce allegra Gesù e per Bartolomeo fu un sollievo, ma lo attirò nella
sua baracca perché aveva già visto in giro manipoli di romani a cavallo.
“Come mai sei approdato qui?”
“Ho bisogno del tuo aiuto!” gli rispose Gesù incuriosendolo.
“Se posso!” ma nella sua voce c’era qualche incertezza.
“Non devi spaventarti per quello che ti chiedo: mia madre con il più giovane dei miei
discepoli è andata al mio paese, a Nazareth ma lì non sono al sicuro. Anzi, devo dirti
che non sono al sicuro in tutta la Palestina. Conosco la cattiveria degli scribi e degli
altri uomini comandati da Caifa”
Gesù fece un momento di pausa mentre mangiava alcuni pesci che Bartolomeo gli
aveva generosamente preparato e offerto.
“Ho bisogno che tu riesca ad imbarcarli sulla prima nave che parte per il nord. E’ suf-
ficiente che li lasciate scendere sulle coste della Licia o della Lidia, poi Giovanni avrà
modo di ritrovare alcuni amici suoi che li ospiteranno lontano da ogni pericolo”
Bartolomeo rimase a guardarlo come per dirgli se era matto ma poi capì e si riprese:
45
“Non posso prometterti nulla; l’unica speranza che ho è di imbarcarli di nascosto su
una nave che so partirà settimana prossima per la Macedonia con viveri per le com-
pagnie di soldati romani che sono dislocati là. Ma non sono in grado di assicurarti di
riuscirci: c’è in questi giorni una forte sorveglianza e ….”
Ma Gesù non gli fece finire di parlare; estrasse un sacchetto di cuoio che conteneva
molte monete: un regalo di Nicodemo per eventuali necessità e che ora si dimostrava
essenziale.
Alla vista del denaro Bartolomeo, anche se era un buon diavolo, non fu capace di di-
re di no all’offerta. Fece finire nelle sue tasche il sacchetto e gli disse:
“Fai arrivare tua madre e il tuo amico entro tre giorni al massimo; poi vedremo”
La strada da Cesarea era lunga ma Gesù era abituato da anni a camminare per molti
chilometri e fu presto in vista di Nazareth, dove sperava di riabbracciare Maria e Gio-
vanni.
Ma grande fu la sua sorpresa quando, giunto davanti a casa sua si rese conto che
non c’era nessuno. La porta era aperta e tutto era buttato all’aria: i soldati erano arri-
vati fin lì. E Maria e Giovanni?
Mentre si guardava in giro nella strada del villaggio, un vecchietto seduto su una
grossa pietra lo chiamò: era cieco e non poteva riconoscerlo ma aveva sentito come
si era mosso. Per questo parlò:
“Se cerchi l’uomo e la donna, li troverai per strada verso il monte: sono partiti questa
mattina poco prima che arrivassero i romani a cercarli: hanno chiesto anche a me di
loro ma io ho fatto finta di non conoscerli. E tu chi sei?”
“Sono un amico” mentì prudentemente Gesù “Ma non importa” e finse di allontanarsi
per un’altra direzione. Ma appena poté si inoltrò lungo le pendici del Monte Tabor.
L’unico posto dove in qualche grotta probabilmente Maria e Giovanni erano scappati
per nascondersi.
Era quasi il tramonto quando il sole scendeva sul mare come un’enorme sfera in
fondo alla fine della terra nel mare di fronte alla costa.
La figura di Gesù apparve come l’ombra di un fantasma all’entrata della grotta: lì,
Gesù era sicuro di trovare i due fuggiaschi perché conosceva molto bene quel monte
e le sue grotte.
Dopo il primo spavento i tre si abbracciarono, Maria piangendo e Giovanni gioioso
per aver ritrovato il suo maestro amico.
Passarono la notte nella grotta nutrendosi con un po’ di pane che Maria si era portata
dietro, mentre assalivano Gesù di infinite domande.
Ma Gesù, anziché rispondere preferì istruirli per il viaggio che avrebbero dovuto af-
frontare. Poi spiegò loro che cosa intendeva fare ed essi rimasero meravigliati per-
ché speravano tanto che rimanesse con loro.
E parlò così a Giovanni:
“Affido a te mia madre e credo che il posto migliore sia sulle coste della Lidia ad Efe-
so dove so che c’è un amico di Giuseppe d’Arimatea che vi accoglierà con amore in
casa sua.
Tu, Giovanni, preparati perché il tuo destino sarà quello di raccontare tutto quello che
sai su quello che ho fatto in questi tre anni; io spero che la tua sia una vita lunga ab-
bastanza per superare questo momento di grande confusione e che la memoria non
ti tradisca per raccontare ogni piccolo particolare ma soprattutto il significato vero
della mia vita tra gli uomini”.
“Perché dici questo?” gli chiese Giovanni “Dove pensi di andare?”
“Ti accorgerai che nei prossimi anni tutti si lanceranno a raccontare i tre anni che ab-
biamo passato assieme; qualcuno riuscirà perfino a scrivere della mia infanzia e del-
46
la mia discendenza da Davide pur non conoscendo i fatti, pensando che Maria mi
abbia messo al mondo non si sa per quale strana discendenza: non dare loro retta e
ricordati di scrivere tutto quello che hai vissuto di prima persona. In futuro racconte-
ranno le cose più assurde sulla mia vita ….”
E Gesù si fermò, quasi piangendo mentre strane visioni gli passavano davanti agli
occhi.
Intanto Maria e Giovanni lasciando Gesù nella sua intimità dolorosa e piena di pen-
sieri tristi, si erano stesi su alcuni giacigli di foglie, distrutti dalla stanchezza e felici di
aver ritrovato Gesù.
Gesù si alzò e andò a sedersi davanti alla grotta ad ammirare il mare lontano che
brillava nel silenzio e il cielo ormai pieno di stelle perché non c’era la luna ad oscurar-
le.
Pianse in silenzio mente vedeva passare davanti a sé fatti inauditi e assurdi che sa-
rebbero accaduti negli anni, anzi nei secoli futuri.
Si rese conto che in nome del suo nome tutti si sarebbero affannati ad inventare di
tutto pur di ingannare il prossimo.
Ma soprattutto alcune immagini lo colpirono e lo ferirono nel suo intimo: Pietro a-
vrebbe creato una discendenza di sostituti di Gesù sulla terra; perché?
Non sapeva che in futuro qualcuno si sarebbe azzardato ad inventare cose che lui
non aveva mai detto, ma ora lo intuiva: qualcuno aveva perfino scritto di lui che a-
vrebbe incaricato Pietro di fondare non si sa bene che cosa durante la sua vita e di
perpetuarla nei secoli futuri, dandole un nome che avrebbe vincolato ogni credente a
leggi e comandamenti anziché al messaggio di amore per l’umanità che aveva sem-
pre e tanto detto in tutti i modi a tutti.
Non sarebbe bastato il ricordo di quello che aveva sempre ripetuto in ogni piazza del-
la Palestina, ai suoi discepoli, a chi umilmente aveva capito ed accettato il suo mes-
saggio d’amore, un messaggio da trasmettere a tutta l’umanità presente e futura?
Vide migliaia di morti per causa sua, di nuovo altri sacerdoti pomposamente gonfi di
vesti ricche d’oro che predicavano in nome suo, che ordinavano, che imponevano,
che punivano in nome suo e di Dio.
Possibile, si chiedeva, che non saranno capaci di usare il bene che c’è nel cuore di
ogni uomo? Basterà ascoltarlo e tutti potranno vivere sereni e felici.
Perché inventarsi o credere all’esistenza di un Dio che a volte ti ama, a volte ti con-
danna? Ma se ti ha creato lui, è lui che ti ha messo dentro il tuo cuore tutto ciò che
l’uomo può conoscere se è sincero con se stesso!
E la notte passava lentamente mentre nel cielo ogni tanto lo sorprendeva una stella
cadente. Non era uno scienziato ma era sicuro che un giorno gli uomini avrebbero
conquistato anche il cielo e sperava che almeno quello lo avrebbero fatto con spirito
di bene per il bene dell’umanità.
L’umanità: sono i miei fratelli, si disse e saranno nei secoli futuri molti di più, addirittu-
ra miliardi: perché vorranno combattersi ed uccidersi?”
E rimase in silenzio mentre immagini terribili gli passavano davanti agli occhi spalan-
cati nel buio: vedeva migliaia di uomini e donne che sarebbero nati e morti nei secoli
futuri, tra guerre e fame, carestie e cattiveria: poteva arrivare ad immaginare poco
meno di cinquanta - cento miliardi di corpi: che fine avrebbero fatto nella corruzione
della morte?
La morte: ancora un mistero che però aveva un’ineluttabile realtà nel modo in cui era
stato creato l’uomo.

47
E si perdeva alla ricerca di chi aveva inventato l’uomo: ormai aveva allontanato dalla
sua mente tutto quello che aveva imparato come ogni buon ebreo credente nei sacri
testi della bibbia.
E si apriva invece ad un desiderio di un gioioso e vero Dio che non riusciva a ricono-
scere nel Dio dei suoi conterranei: questi sempre triste, cupo, vendicativo, severo,
solo qualche volta condiscendente ma non aveva mai letto una sola riga dei testi sa-
cri che gli avevano imposto, mai una volta un sorriso di un Dio, felice una volta tanto
e sereno!
Ma vedeva anche che dopo alcuni secoli altri uomini, resi ciechi dall’ignoranza, a-
vrebbero ricominciato a imporre i testi dei profeti e le leggende che Mosè aveva im-
posto al suo popolo per tenerlo sotto il bastone del comando religioso, con precetti
assurdi come il sabato o tante altre abitudini che non avevano alcun senso logico.
Perfino il passaggio del Mar rosso, operato in un momento in cui la marea bassa a-
veva facilitato le genti di Mosè, era diventato una specie di prodigio che il capo
d’Israele avrebbe operato.
E ripensava a quello che avevano fatto i suoi antenati, e iam il pensiero andava di
nuovo a Mosè, forse il più grande impostore della storia degli ebrei: un uomo che di-
ceva di aver parlato con Dio, che lo faceva periodicamente ritirandosi dentro una mi-
steriosa tenda dentro la quale non poteva entrare nessuno, che faceva credere di
essere vissuto per anni e anni nel deserto con tutte le sue genti: ma , nutrendosi di
che cosa? Della manna dei tamarici? E gli armenti di con che cosa li avfrebbe nutriti
sfamati per tanti anni? Si era forse portato dietro tonnellate di fieno e di altro cibo per
gli animali?
Credette che quello che vedeva fosse colpa del periodo che aveva passato in quel
sonno profondo di giorni durante i quali il suo spirito era rimasto assente dal suo cor-
po.
E si chiedeva cosa fosse successo, dove fosse andato il suo spirito; rivedeva i mondi
che aveva visitato come in un sogno ma erano talmente reali che lo spaventavano
continuamente.
E nello stato in cui si trovava (lui non poteva sapere che si chiama “coma”) aveva vi-
sto tutto quello che sarebbe accaduto nel futuro dell’uomo, nel futuro del pianeta in
cui viveva.
Perché ora ripensando alla strana esperienza vissuta, si rendeva conto che stava
parlando a se stesso di un “pianeta”, di un corpo sferico su cui stava vivendo insieme
a migliaia di altri uomini, mari infiniti oltre i quali altre terre ospitavano altri uomini che
forse non avevano mai sentito parlare del Dio degli ebrei..
Ma la sua esperienza durante il periodo in cui il suo spirito aveva viaggiato si era
propagata fino oltre quei mari del mondo in altre terre, sconosciute a tutti ma dove al-
tri uomini stavano vivendo una vita difficile e cercavano il perché del loro vivere e del
loro combattere contro la fame e le malattie.
E la notte passava così di ora in ora, mentre poco distante un uccello notturno sem-
brava che col suo verso lugubre piangesse per lui.

Cap. 15

Stava sorgendo l’alba e alle sue spalle un primo lieve chiarore gli stava annunciando
il nuovo giorno: era giunta l’ora che aspettava e in gran silenzio, per non risvegliare
sua madre e Giovanni, anche se desiderava tanto riabbracciarli prima di andarsene,
uscì dalla grotta e discese lungo un sentiero ripido avviandosi verso oriente.

48
Iniziò il suo nuovo viaggio: il suo passo era celere, abituato ormai a camminare a
piedi scalzi, e portava con sé a tracolla solo un piccolo otre di pelle, pieno d’acqua
che ogni tanto beveva a piccoli sorsi per disabituare il suo corpo ai desideri.
Il suo viaggio durò molti giorni, prima di giungere alle terre che aveva percorso da
giovane, ma si fermò solo in un villaggio di poveri contadini che lo aiutarono con un
po’ del loro cibo.
Dormiva all’aperto sotto le stelle e nel silenzio del viaggio, che sembrava non finire
mai, intanto vedeva sempre più chiaro, per uno strano fenomeno che non riusciva
nemmeno a spiegarsi, quello che sarebbe successo di lì ne, ma sapeva dei pericoli
che la notte portava con sé con animali affamati e feroci.
Contemporaneamente le sue facoltà mentali si erano riprese pienamente e nella sua
mente le immagini di quello che accadeva nel mondo anche lontano da sé e di quelle
che sarebbero venute, aumentavano di giorno in giorno.
E finalmente, un mattino mentre ammirava il sorgere del sole da un piccolo colle ri-
coperto di erba tenera e profumata, capì che cosa si stava proponendo quell’uomo
che veniva da Gerusalemme, ma era originario di Tarso.
Gesù non riusciva ad accettare una verità tanto sconcertante quanto subdola: Saulo
da tempo stava progettando un piano talmente ardito da sembrare impossibile.
Eppure Saulo stava cercando di realizzarlo senza rendersi conto di agire a danno del
messaggio vero di Gesù.
Durante le scorribande in cui aveva colto fedeli in preghiera credendo nel messaggio
di Gesù o addirittura aveva incontrato suoi discepoli che speravano nel suo ritorno,
visto che credevano ancora che era risorto e che
sarebbe ritornato presto, si era reso conto di un fenomeno che non si aspettava: la
fede nel messaggio di Gesù stava allargandosi nei vari paesi della Palestina dalla
Giudea alla Galilea ed anche oltre i confini, in Siria, e più a nord ad Antiochia e quasi
sempre in molte comunità di ebrei da decine d’anni costituitesi in vari centri commer-
ciali sempre più fiorenti e lontani dall’influenza sia dei romani sia di Gerusalemme e
dei suoi severi sacerdoti.
Questo lo aveva fatto meditare a lungo e conoscendo la forza e la potenza militare e
politica del popolo romano si rendeva conto che Israele e tutta la sua tradizione reli-
giosa sarebbero scomparsi miseramente in pochi anni.
Questo gli opprimeva il cuore e lo stimolava a trovare il modo che non accadesse.
Ma la predicazione di quel Galileo, la conoscenza che aveva delle sue parole mentre
di nascosto lo aveva ascoltato nei vicoli di Gerusalemme, la crisi profonda che stava
facendosi strada nel suo credo tradizionale imparato dal suo maestro Gamaliele, sta-
va entrandogli nel sangue come una linfa ma anche come una speranza in qualcosa
che solo lui poteva pensare di poter realizzare durante la sua vita.
L’intuizione di Gesù, anzi la precisa visione che aveva nella mente si era realizzata
molto rapidamente dopo che una sospetta caduta da cavallo ed il ricovero a lungo
presso un abitante di Damasco (che era un fervente nuovo discepolo di Gesù) aveva
permesso a Paolo (così ora si faceva chiamare per dare una precisa impronta al suo
nuovo credo e alla sua nuova “vocazione”) di studiare un progetto che gli avrebbe
permesso di realizzare il suo proposito.
Gesù era tanto lontano da non poter vedere realmente quello che Paolo stava realiz-
zando nelle città che visitava e in cui parlava alle comunità di ebrei che si convertiva-
no al “suo” credo, dicendo che era il messaggio del Messia.
Gesù aveva colto nelle sue visioni la parola “Cristo” e si chiedeva perché Paolo gli
avesse appioppato quella parola che significava “Unto”: Paolo non aveva capito bene

49
chi fosse Gesù ma stava realizzando il suo sogno di dare vita ad una nuova religione Formattato: Tipo di carattere: Arial,
che, dalla parola “Cristo”, si sarebbe chiamata per sempre “Cristianesimo”. 12 pt
Formattato: Tipo di carattere: Non
Grassetto
Cap.16
Formattato: Tipo di carattere: Arial,
12 pt
Gesù purtroppo aveva colto nel segno ma non sapeva che altre nuove e ben più gra-
Formattato: Tipo di carattere: Non
vi sorprese lo aspettavano alla fine del viaggio che stava compiendo. Grassetto
In una notte in cui era crollato in un sonno profondo per la stanchezza del cammino Formattato: Tipo di carattere: Arial,
gli parve che gli comparisse in sogno suo fratello Giacomo e lo vide ucciso a pietrate 12 pt
dai ligi esecutori dei sacerdoti del tempio. Formattato: Tipo di carattere: Non
In piedi nella notte, guardando le stelle si rivolse a Dio, a quel Dio che aveva tante Grassetto
volte invocato e nominato durante i tre anni di predicazione e per la prima volta ebbe Formattato: Tipo di carattere: Arial,
la netta sensazione che esistesse solo l’infinito universo di stelle che sopra la sua te- 12 pt

sta sembravano crollargli addosso come una cascata di luci sconosciute e palpitanti. Formattato: Tipo di carattere: Non
Grassetto
L’alba lo colse mentre ancora cercava di capire perché stava invocando chi sapeva
Formattato: Titolo 1, Rientro:
non esistere. Sinistro: 2 cm
Quel dio degli ebrei non esisteva; di questo era più che convinto dopo aver scoperto
Formattato: Tipo di carattere: Arial,
nuove verità sulla vita e sull’universo in oriente da giovane quando era stato allievo di 12 pt
coloro che oggi cercava di raggiungere nuovamente: Formattato: Tipo di carattere: Non
Non il Dio di Mosè, non il Dio di Abramo ma il TAO era l’unica realtà spirituale al di Grassetto
sopra del mondo materiale nel quale viveva. Formattato: Tipo di carattere: Arial,
12 pt

Il Tao di cui si può parlare Formattato: Tipo di carattere: Non


Grassetto
non è l’eterno Tao;
Formattato: Tipo di carattere: Arial,
il nome che può essere nominato 12 pt
non è l’eterno nome,
Formattato: Tipo di carattere: Non
innominabile, è il principio del cielo e della terra. Grassetto
Nominabile, è la madre di tutte le cose. Formattato: Tipo di carattere: Arial,
Perciò colui che è sempre nel non-volere 12 pt
ne vede l’essenza nascosta, Formattato: Tipo di carattere: Non
mentre colui che è sempre nel volere Grassetto

ne vede per ciò stesso solo i limitati aspetti. Formattato: Tipo di carattere: Arial,
12 pt
Queste due cose
sono la stessa cosa, ma hanno nomi diversi: Formattato: Tipo di carattere: Non
Grassetto
insieme unite esse sono il Mistero,
Formattato: Tipo di carattere: Arial,
il Mistero del Mistero 12 pt
e la porta di ogni meraviglia. Formattato: Tipo di carattere: Non
Grassetto
Ricordava questa preghiera che era anche un insegnamento che aveva imparato dai Formattato: Tipo di carattere: Arial,
maestri orientali, ma come avrebbe potuto far capire questa verità ai suoi conterranei 12 pt
in cui la religione era così radicata da comandare, gestire, amministrare ogni cosa Formattato: Tipo di carattere: Non
Grassetto
che facevano in ogni momento del giorno e della notte?
Aveva cercato di mitigare il forte contrasto tra due modi di vedere il mondo ma aveva Formattato: Tipo di carattere: Arial,
12 pt
ottenuto solo di essere condannato a morte dal fanatismo ebraico ed ora si rendeva
Formattato: Tipo di carattere: Non
conto di aver perso l’unico fratello che aveva avuto e che era stato in vita ben più se- Grassetto
vero di lui nell’obbedire ai principi della religione dei padri. Formattato: Tipo di carattere: Arial,
E ora capiva che il suo messaggio stava per essere soppiantato da un fanatico, furbo 12 pt
e calcolatore che stava scorrazzando per tutto il Mediterraneo sbandierando una Formattato ... [1]
nuova religione in nome di Gesù e chiamandola “cristianesimo”. Formattato ... [2]
Formattato ... [3]
50
Cap. 17

Ad Efeso sua madre stava vivendo i suoi ultimi giorni, assistita amorevolmente da
Giovanni: aveva dovuto sopportare troppi dispiaceri e tanti eventi dolorosi; non sape-
va più che cosa fosse successo a suo figlio Gesù mentre le avevano fatto sapere di
Giacomo.
Aveva perso ogni speranza e si stava lasciando andare.
Le parole di Giovanni che cercava di consolarla non avevano effetto e una sera, sen-
za un lamento era spirata su un giaciglio in silenzio, mentre nella sua mente il volto di
Gesù le veniva incontro come per abbracciarla.
A distanza di centinaia di chilometri nello stesso momento Gesù sentì dentro di sé
che aveva perso sua madre definitivamente.
Giovanni, una volta sepolta Maria, decise di lasciare Efeso e partì per mare; giunto in
un’isola dell’Egeo, trovò ospitalità in una famiglia di lontani parenti e lì finalmente po-
té meditare sulla sua vita e su tutto quello che gli era accaduto.
Era giunto il momento di scrivere quello che ricordava fin che la sua mente fosse ri-
masta lucida e i ricordi fossero ancora vivi e concreti.
La “parola” (il verbo) era il motto che gli dava il segno di partenza del suo nuovo im-
pegno e dalla parola aveva incominciato a scrivere, convinto di riuscirci con l’aiuto
spirituale di Gesù e obbedendo al suo ordine di fermare per iscritto i ricordi.
Rimase isolato, fuori da ogni contatto con gli altri discepoli. Nemmeno Paolo ebbe
occasione di conoscerlo: avrebbe avuto da lui un grande aiuto nel ricostruire la vita
del Maestro, meglio del “Cristo” come Paolo era ormai abituato a citare Gesù.
Eppure Paolo continuava a viaggiare per tutto il Mediterraneo e a scrivere alle varie
comunità, a litigare con gli abitanti, a finire a volte in prigione, fin che molti anni dopo
arrivò fino a Roma dopo lunghi viaggi di cui uno in cui rischiò di morire per un nau-
fragio.
Durante tutti questi anni Giovanni lentamente, cercando di ripetere le parole di Gesù
come fosse stato il suo stenografo, era riuscito a ricostruire se non tutti, almeno i fatti
principali.
Ma soprattutto ricordava la sera dell’ultima cena: un lungo e importante discorso che
però i suoi amici discepoli non avevano capito e nel tempo avevano deformato me-
scolando tradizioni ebraiche (ad esempio i quattro brindisi che il capotavola nella ce-
na di “Parasceve” pronunciava come un rito sacro in quattro momenti diversi della
cena in ricordo dell’attraversamento del Mar rosso) con le parole, da anni sempre
uguali, che il “capotavola” pronunciava con quattro diversi inni (o canti).

Nota introdotta dall’autore (chiedo scusa ma a questo punto è necessaria):


Gesù parlava del proprio corpo e del proprio sangue come offerta per la salvezza del
mondo ma essi negli anni successivi (o più probabilmente alcuni ignoranti loro suc-
cessori), avevano interpretato secondo un’idea erronea, quasi dimentichi che il san-
gue è vietato nell’alimentazione ebraica (tanto che gli animali, dopo essere stati
sgozzati, venivano attentamente dissanguati - <kasher>-) e quindi avevano introdotto
il vino come “sangue di Gesù”:
Io a questo punto mi chiedo: dunque Gesù, un ebreo autentico, come avrebbe potuto
offrire il proprio sangue da bere sotto forma di vino?
Una cosa aveva meravigliato Giovanni: erano solo due i presenti quella sera che poi
negli anni successivi avrebbero raccontato la vita e gli insegnamenti di Gesù: erano
Giovanni che si sforzava di ricordare attentamente i fatti in ogni loro dettaglio e Mat-
teo che avrebbe scritto un racconto che i posteri avrebbero chiamato Vangelo ma era
51
invece l’insieme di tutto quello che aveva vissuto personalmente, però mescolato con
aggiunte di altri episodi che aveva raccolto da altri scrittori dell’epoca (ad esempio
Marco!)
Tutto era nato da un modo confuso di ascoltare il Maestro e, forse, dalla paura che
aveva preso tutti i presenti, avendo sentito le voci che circolavano circa l’arresto di
Gesù dalle guardie di Pilato per ordine di Caifa e a causa della notizia che proprio
uno di loro avrebbe tradito Gesù. Tutti si erano subito meravigliati e spaventati quan-
do Gesù aveva detto che qualcuno lo avrebbe tradito.
Stiamo forse precorrendo i tempi ma è giusto a questo punto ricordare che negli anni
successivi alla presunta morte di Gesù molti erano stati quelli che si erano dati da fa-
re per raccontare per iscritto la mirabile avventura di Gesù e tutti avevano mescolato
fatti veri con fantasie senza senso, parole sante di Gesù con miracoli che non aveva
compiuto ma che venivano aggiunti per dare maggior risalto alla tesi ormai diffusa
che Gesù era il figlio di Dio.
Purtroppo la maggior parte di questi scritti erano saturi e impregnati di fantasie senza
un minimo rapporto con la realtà dei fatti.
Ma favorirono in modo particolare la predicazione di Paolo perché, fingendo di porta-
re avanti la figura di quello che continuava a chiamare il”Cristo” in realtà diffondeva
una nuova religione che non aveva niente a che vedere con il messaggio di Gesù, il
messaggio di amore e di pace che Gesù aveva sempre predicato e che era convinto
di inculcare nel cuore degli ebrei suoi conterranei, ma dal cuore più duro della pietra.
Le prove della poca affidabilità dei “testi evangelici” sono almeno due;
Prima prova: nessuno dei presenti quella sera si era scandalizzato a sentire parlare
di bere il vino trasformato come per miracolo in sangue umano: proprio ad un ebreo
si poteva fare una proposta del genere? Gesù lo sapeva e non credo che avrebbe
scandalizzato i suoi discepoli con un’affermazione del genere. E il fatto che nessuno
si era scandalizzato o aveva espresso parole di meraviglia per un’affermazione simi-
le, mentre si era agitato e preoccupato alla notizia che qualcuno lo avrebbe tradito!
Seconda prova: i testi che si stavano diffondendo citavano spesso la parola Cristo:
eppure questa parola compare tempo dopo solo nelle lettere di Paolo; cosa era ac-
caduto? Ingenuamente la parola era stata aggiunta nei testi scritti molto prima da al-
cuni amanuensi deficienti e ignoranti credevano così di fare un corpo unico da offrire
ai nuovi lettori “cristiani” (CON BUONA PACE DELLA VERITA’!)

Cap. 18

Gesù non poteva sapere di quello che stava accadendo nellae terrae che aveva ab-
bandonato, anche se desiderava ardentemente tornare a Gerusalemme ma era sicu-
ro che tutto sarebbe stato inutile, neppure l’apparizione di un presunto “risorto da
morte”.
R: ricordava molto bene i passi degli scritti dei profeti che aveva dovuto imparare a
memoria da ragazzo nella sinagoga di Nazareth, per rendersi conto di quanta cattive-
riameschinità vi era contenuta: raccontavano non fantasie ma realtà piene di cattive-
rie, di omicidi, di stupidità senza senso ma che si imponevano alla credulità di un po-
polo ormai costretto a ragionare solo con precetti scritti e non con la spontaneità del
cuore.
Era giunto una sera sulle sponde del fiume Tigri e lì si era fermato pensando a Te-
rach. Il padre di Abramo che tanti secoli prima aveva deciso di partire da Ur, la città
che distava poche miglia dal punto in cui si era fermato.

52
Mosè, l’autore del racconto della vita di Abramo e di suo padre, Terach appunto, a-
veva sfruttato in modo ignobile la decisione di Terach di abbandonare Ur per trovare
una terra a ovest di cui gli avevano parlato molto bene i carovanieri, la terra di Cana-
an.
Quale migliore occasione per inventarsi e convincere la sua tribù di straccioni che
quella era la terra promessa da Dio? In realtà egli aveva intrapreso quel viaggio per
obbedire a suo padre. Ma lungo il viaggio Terach era morto e Abramo non se la sen-
tiva di tornare indietro.
Anche perché a Ur stavano accadendo forti mutamenti dovuti ad invasioni sda parte
di popoli vicini. E la poche cose di cui era padrone gli sarebbero state confiscate.
Mosè aveva speculato su questa storia ma ingenuamente tanto che l’espressione
“terra promessa da Dio” appare molto dopo che Terach è partito e ancora dopo che è
morto e ancora dopo che Abramo decide di obbedire al progetto di suo padre: la ter-
ra promessa nacque “spontaneamente” quando fece comodo a Mosè, non prima.

§§§

Gesù stava ripensando a questo momento della storia d’Israele e gli vennero in men-
te le parole che da ragazzo non aveva capito e che sua madre gli aveva consigliato
di accettarle così come erano scritte anche se sembrava impossibile che Dio le a-
vesse pronunziate.
E Gesù le ripeté nella sua mente:

“Quando il Signore, Iddio tuo, ti avrà fatto entrare nella terra alla quale sei diretto per
prenderne possesso, e ne avrà cacciate d'innanzi a te molte nazioni ... e quando il
Signore, Iddio tuo, te le avrà date in potere e tu le avrai sconfitte, dannale allo ster-
minio, non venire a patti con loro e non conceder loro grazia.
Non imparentarti con loro, non dare le tue figlie ai loro figli e non prendere le loro fi-
glie per i tuoi figli...
Ma trattali così: demolite i loro altari, spezzate i loro cippi, abbattete le loro Asceroth,
date alle fiamme i loro idoli...
Distruggi tutti i popoli che il Signore, Iddio tuo, ti dà: non si impietosisca il tuo occhio
per loro...
“Distruggete tutti i luoghi, nei quali quelle nazioni a cui voi ne toglierete il possesso,
hanno servito ai loro dei, sopra i monti e sopra i colli o sotto ogni albero frondoso;
abbattete i loro altari, spezzate le loro statue, incendiate i loro boschi, fate a pezzi i
simulacri dei loro dei, cancellate il loro nome da quel luogo”
(Deuteronomio 12, 2 - 3)

E Gesù si stava chiedendo che razza di Dio fosse un essere che avesse parlato in Formattato: Tipo di carattere: Arial,
12 pt
quel modo ad Abramo; era come se avesse detto ai romani di conquistare la Palesti-
na e sottometterla come avrebbe dovuto fare Abramo con i Cananei?
Forse la stanchezza, forse il lungo periodo di stato di coma stavano modificando in
lui il concetto di Dio che gli avevano inculcato da ragazzo.
E sperava che le visioni che gli passavano nella mente fossero solo segni di un cer-
vello malato o comunque in parte rovinato dopo quello che gli era successo.
E ancora si chiedeva se e come aveva sbagliato nella sua missione.
Riusciva a vedere nel futuro dell’uomo un’organizzazione nata da Paolo e cresciuta
sotto la protezione di potenti cui la religione non interessava ma che capivano quanto
potesse essere d’aiuto per dominare interi popoli, interi stati.
53
E quest’organizzazione diventava sempre più potente nel tempo e molto rispettata
con l’abile attività ipocrita dei politici e dei potenti.
Vedeva all’interno di essa gli intrallazzi e i grandi peccatori che sotto l’apparenza di
essere nientemeno che i suoi successori, erano solo degli uomini ammalati di super-
bia. Erano giunti al punto di sostenere di essere coloro che facevano le veci, i “vica-
ri” di Dio, in nome di Gesù che non aveva mai affermato una corbelleria simile.
Per dare più forza e vigore alla loro politica, affermavano che Gesù era figlio di Dio
ed essi erano i successori di Gesù, cioè di Dio in terra.
Le loro leggi le chiamavano con un nome orribile i “dogma”: e nessuno dei sudditi a-
vrebbe mai potuto contestare questi “dogma”, pena essere espulsi dalla loro organiz-
zazione, dichiarati blasfemi ed eretici, pena la previsione di una condanna all’inferno
E per imitarlo, avevano inventato la pena di morte da attuare con roghi ardenti con
cui uccidere gli eretici e coloro che si rendevano colpevoli di aver violato le leggi di
quest’organizzazione assurda e che lui non avrebbe mai voluto.
Gesù non poteva sapere che qualcuno, per dare credito a questa sciocchezza, a-
vrebbe inserito nei “testi sacri” che l’organizzazione avrebbe accolto come “Vangeli
ufficiali della vita di Gesù”, molti episodi mai accaduti, molte parole mai pronunziate
dal povero Gesù che stava piangendo mentre, senza accorgersi, stava raggiungendo
le prime case di un villaggio.
Ma non si era accorto, mentre pensava a queste cose, che era caduto a terra svenu-
to proprio davanti alle prime capanne.
Era un gruppo di capanne costruite con argilla e paglia che si arrampicava sulle pen-
dici di un monte: quando da ragazzo era stato amorevolmente accolto da una comu-
nità di discepoli del Buddha quel monte era stato per lui un’importante scuola di me-
ditazione e di educazione alla religione orientale.

Cap. 19

Dopo molte ore si stava risvegliando e aprendo gli occhi si vide davanti il volto ansio-
so e bello di una giovane donna che gli stava amorevolmente accarezzando il viso.
Fece il gesto di sollevarsi dal giaciglio ma le mani della donna lo trattennero e lo co-
strinsero a distendersi di nuovo. E fu un bene perché con gli occhi aperti vide tutto il
mondo girare intorno a sé.
Vide che la donna gli stava parlando nella sua lingua e sforzandosi di ricordare qual-
cosa d’antico capì che era stato raccolto e portato al villaggio. In questo modo ave-
vano potuto aiutarlo a riprendersi da uno stato di prostrazione e di debolezza che lo
avevano fatto svenire: era in buone mani e gli occhi neri e profondi della giovane
donna erano talmente belli ed espressivi che gli davano l’impressione di essere capi-
tato in qualche posto miracoloso.
La donna gli fece bere qualcosa di caldo, una specie di infuso di foglie sconosciuto
ma molto gradevole; e poi incominciò a massaggiargli il corpo iniziando dai piedi e ri-
salendo lungo le gambe.
Evitò accuratamente di toccare i genitali ma continuò il massaggio sul suo ventre e
poi sul petto. E proseguì per il resto del corpo.
A Gesù sembrava che nel corpo si mettesse in moto di nuovo la vita e lasciava fare a
quelle mani sapienti che gli eccitavano il sangue e gli provocavano una strana sen-
sazione che non aveva mai provato.
La giovane donna continuava a massaggiarlo quasi languidamente, tanto era delica-
ta e dolce e Gesù si rese conto che si stava risvegliando in lui un desiderio sopito

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molti anni prima con un lungo esercizio di controllo che aveva imparato dai monaci
quando la voglia di donna lo assaliva all’improvviso e molto spesso.
E anche adesso il desiderio stava crescendo; la giovane donna capì e lentamente lo
spogliò dei pochi teli che coprivano il corpo. Poi, sempre con dolcezza incominciò a
togliersi la veste che indossava mentre quasi sottovoce sussurrava un canto che
sembrava quasi una nenia: erano nudi tutti e due e si guardavano con un misterioso
ma eloquente messaggio muto.
Gesù non fece nulla ma il suo membro si irrigidì destando un’eccitazione improvvisa
in lui e nella giovane che, una volta nuda, si distese sul suo corpo nudo.
Con mani sapienti seppe prendere quel membro ormai forte e duro tra le proprie co-
sce e con mano sicura lo indirizzò dentro la sua vagina che si aprì come un fiore per
accoglierlo.
Pochi secondi dopo i due erano come un corpo unico e Gesù tornò ad essere un ve-
ro uomo capace di amare fisicamente come se lo avesse sempre fatto.
La giovane aveva dei movimenti talmente languidi che l’eccitazione di Gesù era
sempre maggiore fino a che d’istinto le sue braccia la strinsero a sé mentre si girava
sul fianco e poi costringeva il corpo della giovane sotto di sé.
E da quel momento furono orgasmi e orgasmi che si ripeterono più volte nei due cor-
pi stretti finché Gesù ricadde all’indietro spossato ed esausto senza forze.
La giovane lo baciò sulla bocca e poi incominciò a baciare il suo corpo scendendo fi-
no agli inguini ed ancora una volta Gesù provò un piacere immenso che non aveva
mai pensato di poter provare.
Poco dopo il sonno colse tutti e due e Gesù sognò e sognò ma senza poi ricordare
se non il piacere di un amplesso che non pensava di poter mai provare nella vita.
Il giorno dopo Gesù era già seduto sulla sponda del giaciglio e stava gustando dei
saporiti cibi preparati dalla sapiente giovane donna.
Gesù aveva conosciuto il suo nome ed ora era quasi un gioco ripeterselo nella mente
quasi fosse una parola d’ordine per tornare a pensare come un uomo normale: Ma-
gda.
Glielo aveva confessato lei stessa nella sua lingua che per Gesù incominciava ad
essere abbastanza familiare di giorno in giorno.
Passavano i giorni e Gesù si stava rimettendo in forze e lo dimostrava spesso di not-
te a Magda, quasi dimentico dello scopo del suo viaggio.
Erano ore di grande piacere che gli ridavano il senso materiale dell’uomo.
Ma una notte fece un sogno che risvegliò in lui tutti i ricordi della sua vita precedente.
Improvvisamente era tornato il Gesù che aveva portato in mezzo agli uomini un mes-
saggio tanto semplice quanto ricco di amore.
E un mattino, senza preavviso scomparve inerpicandosi su per la montagna. Man
mano che saliva sentiva le voci provenienti dal villaggio che lo chiamavano ma Gesù
aveva bisogno assoluto di rimanere solo.
Ridiscese la sera ma non era più il Gesù che conosceva Magda; questa se ne accor-
se e capì che era giunto il momento di lasciare quell’uomo al suo destino.
Il capo del villaggio entrò nella capanna dove abitava e parlò a lungo con lui, capì e a
notte inoltrata uscì dal capanno fortemente dispiaciuto avendo perso un vero amico
ma lo aveva aiutato a tornare se stesso.
Infatti la mattina dopo, rifornito di viveri e di una coperta per il freddo notturno da par-
te di Magda che non osò nemmeno baciarlo, Gesù prese la via del monte e scom-
parve presto alla loro vista.
Alcune ore dopo raggiunse il limite delle nevi e si attrezzò per camminarci come gli
avevano insegnato al villaggio.
55
La salita era faticosa ma per Gesù ogni passo era come se si liberasse da avanzi di
materia, da impedimenti al suo pensiero, divenuto ormai una fissazione di riuscire a
ritrovare il posto in cui aveva conosciuto molti anni prima un vero profeta che gli ave-
va predetto quello che gli sarebbe successo.
Quel profeta aveva ragione ma Gesù aveva bisogno di capire di più, di capirsi di den-
tro, di ritrovare un vero significato alla sua strana esistenza, alla vita che aveva avuto
fino a quel giorno in cui lo avevano legato alla croce a Gerusalemme sul Golgota.
Nemmeno il pensiero di sua madre ormai lo commuoveva o ne risvegliava il dolce ri-
cordo: era come tutti coloro che aveva conosciuto nella vita precedente, dei fantasmi
che non gli chiedevano più nulla e stavano lentamente scomparendo come figure in
una fitta nebbia mattutina.
Dopo alcune ore di faticosa salita raggiunse un piccolo pianoro che nascondeva la
vera cima del monte molto più in alto e Gesù si fermò per riprendere fiato e per am-
mirare il panorama: già da quell’altezza il mondo si allargava in una grande distesa di
catene di monti che si alternavano con le loro cime innevate contro l’orizzonte.
Si costringeva a tenere un pezzo di stoffa sugli occhi per non rimanere accecato dal
riverbero dal sole e gli parve di vedere in alto uno sperone di roccia libero da neve
che sembrava come in ombra o come se fosse l’entrata di una grotta: forse era fi-
nalmente arrivato al primo luogo dove aveva ricevuto i primi insegnamenti e dove
aveva imparato la lingua del posto dai bonzi maestri che con molta pazienza ma cru-
delmente severi con forti punizioni gli insegnavano a leggere i libri sacri.
E riprese il cammino speranzoso: grande fu la sua gioia quando ebbe la conferma di
trovarsi davanti alla grotta che aveva conosciuto molti anni prima.
Per qualche istante si fermò a rimirarla e poi entrò timidamente nel buio temendo di
incontrare qualche animale, ma il silenzio che lo accolse mentre entrava lo rassicurò.
Chinandosi si avviò verso la parete di sinistra dove ricordava che i monaci tenevano
le torce e il materiale per accenderle e con viva sorpresa ritrovò tutto intatto come
tanti anni prima.
Pochi minuti dopo, sia pure con molta fatica, riuscì ad accendere un fuoco e a illumi-
nare l’ambiente, oltre a scaldarsi alla fiamma di altri pezzi di legno che aveva ritrova-
to nella grotta.
Finalmente aveva raggiunto la prima delle due tappe che si era prefissato di ritrova-
re. Prima di riprendere il cammino verso la cima, avrebbe passato in quella grotta
molto tempo, forse molti giorni perché lì era convinto che avrebbe raggiunto nuova-
mente la purificazione dello spirito di cui aveva bisogno.

Cap. 20

Accovacciato accanto ad alcune pietre squadrate gli sembrava di vivere un sogno nel
ritornare dove da ragazzo aveva appreso tante cose e soprattutto la lingua che i mo-
naci usavano: una forma strana derivante dal sanscrito.
Intanto che si riprendeva dalla stanchezza il sole scese rapidamente e presto fuori il
cielo si riempì di stelle che Gesù ora stava ammirando, seduto davanti alla grotta, ra-
pito dalla loro bellezza.
Erano talmente tante che illuminavano la neve che lo circondava e la loro intensità e
chiarezza erano tali che sembrava di poterle afferrare: un cielo che non aveva mai
visto a Nazareth né in tutta la Galilea o sul monte Tabor: lì si sentiva d’un tratto
tutt’uno con l’universo.
Si inginocchiò e per la prima volta disse “Tao”. Non disse “Dio”, come uno potrebbe
aspettarsi , ma “Tao”, nella lingua dei suoi antichi maestri.
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E spontaneamente la sua mente ricordò una antico testo che aveva trovato e che a
suo tempo aveva imparato a memoria:

“Beato tu, vecchio antenato, sì, proprio tu, che hai già pagato il tuo tributo ai posteri.
Tu, se sapessi di me oggi, vorresti il mio turno nella vita.
Ma io so di te e tu m'ignori.
Non hai di che lagnarti: non ci sei più, da allora.
Tu mi hai regalato, però, il racconto della tua vita.
Ed io l'ho qui, tra le mie mani: scivola lentamente come sabbia tra le dita.
Ma prima che si perda tutto nell'oblio del vento, confuso tra gli altri ricordi che vanno
tutti verso lo Spirito, al centro dell'universo, lo fermo qui.
Le ore che io vorrei passare guardando lo stesso cielo che indagavi tu, le ho già tra-
scorse in te.
Io non posso, tu l'hai fatto: avevi il tempo per farlo”.

E mentre ripeteva queste poche parole, la stanchezza ed il sonno vinsero su di Gesù


che alla fine rientrò accanto al fuoco e si addormentò, ricoperto con i teli di lana che
aveva ritrovato in fondo alla grotta.
La notte lo accolse pietosa e nel silenzio della sua corsa verso un nuovo levarsi del
sole.

§§§

L’urlo improvviso di una qualche bestia o qualcosa di simile lo svegliò di soprassalto.


Immerso ancora nel sonno credette ad un lupo ma poi, ritornando lucido, si rese con-
to che a quell’altezza non poteva essere arrivato un animale.
E finalmente capì che era il vento: soffiava ululando impetuoso fuori dalla grotta e fa-
ceva turbinare sulla soglia la neve con una forza inaudita.
Il freddo stava aumentando di momento in momento e Gesù si diede da fare per or-
ganizzare un fuoco con quello che trovava. Finalmente mezz’ora dopo il fuoco si era
riattivato dalla brace e stava scoppiettando in mezzo alle poche stoppie che aveva
trovato.
Cercando materiale per il fuoco scoprì in fondo alla grotta una specie di incavo che
conservava pezzi di carne congelata da chissà quanti anni ma, a causa del freddo,
ben conservata: era meglio di niente e la fame ebbe il sopravvento.
Qualche secondo dopo Gesù riusciva a strappare dei pezzetti di carne che sapeva di
sego ma che in quel momento sembrava il miglior cibo del mondo.
Mentre lavorava di denti, pensava a sua madre e ai discepoli che aveva lasciato in
terre lontane. Non sapeva che cosa fosse successo di loro ma ricordava una specie
di sogno o visione che nella notte aveva vissuto come se fosse stato presente.
I ricordi erano vaghi e nebbiosi ma vedeva che a Gerusalemme stavano litigando tra
di loro per decidere chi fosse il capo e i due contendenti principali erano proprio Pie-
tro e Paolo. Il primo sosteneva che la religione di Gesù doveva rimanere in Israele
mentre Paolo insisteva sulla necessità di portare il messaggio di Gesù nel mondo
anche agli abitanti di altre terre, soprattutto in Grecia e a Roma e col nuovo nome di
Gesù: il Cristo, quindi il “Cristianesimo”.
Gesù capiva il sottile progetto che si proponeva Paolo e si rendeva conto che
l’avrebbe vinta contro le idee di Pietro che era tornato a Gerusalemme dalla Galilea
per organizzare quella che incominciava a chiamare “religione del Messia” mentre
Paolo spudoratamente parlava di “Cristianesimo”.
57
A Gesù gli si stringeva il cuore chiudendosi ad ogni speranza, vedendo che tutto il
suo sacrificio si scioglieva nel nulla come la neve che ora quasi copriva l’entrata della
grotta, perché portata dal vento.
Cercò un appiglio mentale a qualcosa di superiore a tutto, a un Dio, ma ormai non di
certo il Dio di Israele che aveva cessato di esistere anche nel suo cuore.
Gesù si sentiva solo, abbandonato dagli uomini e da Dio, se ne esisteva uno e non
aveva altro pensiero positivo se non la speranza di ritrovare più in alto in quella mon-
tagna la grotta che aveva frequentato tanti anni prima e in cui avrebbe forse scoperto
la verità del mondo, del suo animo e di tutto l’universo.
E rimase per giorni a meditare in attesa che la tempesta si calmasse ed il vento lo la-
sciasse uscire senza rischiare di essere portato via dalla sua violenza.
In fondo, pensava, il vento era come la sua mente: soffiava violento ma senza un di-
rezione e sembrava anche senza uno scopo.
E Gesù cominciò veramente a dubitare se la sua esistenza avesse uno scopo su
quella montagna o se era destinato a scomparire senza lasciare alcuna traccia
all’umanità che nel frattempo stava vivendo la sua vita frenetica, anzi sempre più vio-
lenta non solo di giorno in giorno ma soprattutto di secolo in secolo negli anni a veni-
re.
Era difficile meditare in queste condizioni e Gesù cadde in una specie di deliquio in
cui perse la coscienza del tempo e del proprio animo.
Calò la notte successiva su quel corpo inanimato e che sembrava senza vita.
E il pianeta e i suoi abitanti intanto continuarono il loro destino: quello che credevano
di costruirsi con le proprie mani, fosse Pietro, fosse Paolo o qualunque abitante delle
sponde del Mediterraneo.

Cap. 21
Mentre il corpo di Gesù si irrigidiva in un nuovo stato simile al coma, a Gerusalemme
accadeva di tutto.
Pietro cercava di formare una nuova religione, cui aderivano soprattutto abitanti della
Giudea piuttosto ricchi e desiderosi di liberarsi dal giogo degli invasori romani.
Alla fine decise di accettare una specie di sfida con Paolo e si mise in viaggio per
Roma.
Paolo invece con lunghi e numerosi viaggi aveva raggiunto varie comunità ebraiche
dove aveva portato il nuovo “Cristianesimo”, il messaggio del Cristo, mentre molti si
erano dati da fare per fissare sulla pergamena una specie di storia di Gesù.
Storie raccontate di bocca in bocca che si alternavano a scritti su pergamene in ara-
maico per raccontare la storia e la vita del Messia.
Ognuno la raccontava come la ricordava e spesso infiorava il racconto con aneddoti
falsi per cercare di dare alla figura del Maestro una maestosità pari a Dio.
Paolo era arrivato a scrivere lettere su lettere alle varie comunità che aveva già visi-
tato, riempiendole di raccomandazioni, di precetti, di nuove istruzioni e piano piano
era riuscito, aiutato anche da altri suoi discepoli, a creare solide basi di quella che
sarebbe poi diventata la futura religione del “Cristianesimo”.
Nello stato di semincoscienza in cui si trovava, in realtà in Gesù stava accadendo
uno strano fenomeno: riuscì a vedere il futuro e nel sogno che stava vivendo piange-
va, invocando il Tao ma non riusciva a vedere altro che vergognose trasformazioni di
secolo in secolo fin che si stabilizzava una forma nuova di religione, avallata dai po-
tenti che si erano resi conto che la religione avviata da Paolo, (e non da Gesù) pote-
va essere l’unica arma per soggiogare i popoli e conquistarli o da contrastare, mentre

58
da altre terre tutto il Mediterraneo veniva invaso da orde di popolazioni provenienti
dal lontano oriente.
Per Gesù era una visione apocalittica ma non riusciva a distinguere sogno da visione
profetica e soprattutto non aveva nel suo corpo e nella sua mente alcuna forza, alcun
potere per cancellare dalla sua mente quelle apocalittiche visioni.

§§§

Nel frattempo a Efeso morta Maria, dopo averla pianta a lungo Giovanni passò ore
ed ore sulla sua tomba pensando al dolore che avrebbe provato Gesù se avesse sa-
puto della morte di sua madre.
Era ormai adulto e durante il suo soggiorno ad Efeso, grazie ad alcuni amici aveva
imparato la lingua greca ed aveva incominciato quasi inconsciamente a scrivere di
Gesù e dei fatti accaduti.
Non sapendo più nulla di Gesù, ora non aveva più alcun significato per lui il futuro e,
mentre gli anni passavano velocemente, decise di ritirarsi dove avrebbe potuto scri-
vere in modo completo tutto ciò che gli dettava il cuore.
Ma qualcosa aveva anche alterato il suo modo di vedere; forse stava accadendo a lui
qualcosa di simile a quello che era avvenuto nella mente di Gesù: riusciva ad avere
visioni del futuro ma in modo strano e scriveva di tutto ciò che sentiva nel cuore in
maniera profetica e catastrofica.
Alternava a queste descrizioni di visioni future una precisa descrizione dei fatti acca-
duti mentre era con Gesù.
Ricordava perfettamente Pietro che gli chiedeva a chi si riferisse Gesù durante
l’ultima cena, quando il Maestro aveva annunciato che qualcuno lo avrebbe tradito.
E poi ricordava il pianto di Pietro quando nel cortile del palazzo di Caifa Pietro pianse
amare lacrime ricordando la profezia di Gesù che gli aveva predetto che avrebbe rin-
negato di essere uno dei discepoli del Maestro.
Nel frattempo gli eventi storici si alternarono ai terremoti: anche la natura voleva fare
la sua parte nella storia dell’uomo mentre questi si accaniva tra battaglie, guerre,
conquiste e tradimenti per prendere il potere su altri popoli o con lotte intestine nei
vari regni che andavano formandosi di secolo in secolo.

Cap. 22

Quando si risvegliò dal lungo sonno-coma Gesù non aveva la minima coscienza di
quanto tempo fosse passato. Solo la debolezza e la fame gli ricordarono che doveva
trovare qualcosa da mangiare se voleva sopravvivere.
Lentamente riuscì ad afferrare un residuato di pezzi di carne congelata, carne di non
si sa quale animale ma comunque masticabile. Solo che i suoi denti non riuscivano a
scalfire il pezzo e si accontentò di ciucciarlo lentamente mentre il suo corpo stava ri-
prendendosi.
Si alzò in piedi piano per non cadere mentre barcollava e si avvicinò all’entrata della
grotta, da dove vedeva arrivargli la luce del giorno, appoggiandosi lungo le pareti ge-
lide della roccia e raggiunse la neve all’entrata.
Prima ne prese una manciata e se la mise in bocca per dissetarsi, poi con un piace-
vole senso di liberazione pisciò a lungo creando solchi gialli nella neve di fianco alla
grotta.
Solo allora, la vescica vuota, e un senso naturale di benessere dopo tanto tempo di
ritenzione, si rese conto che un sole meraviglioso gli stava scaldando la testa
59
dall’alto del cielo che era di un azzurro luccicante e capì che era finalmente giunta
l’ora di riprendere il cammino.

§§§

Il cielo e il mondo sembrarono acquietarsi e Gesù poté arrampicarsi verso la cima


con relativa facilità.
La salita non era lunga e verso il tramonto fu in vista della cima che si protendeva in
avanti quasi minacciosa come uno scoglio proteso nel vuoto e libero da tracce di ne-
ve o di ghiaccio: sembrava la testa di un enorme leone tesa a controllare il mondo
che lo circondava.
A Gesù quella protuberanza fece impressione, anche se gli fosse già nota; anzi ri-
svegliò in lui ricordi assopiti col tempo e gli fu di aiuto per trovare l’energia di percor-
rere con vigore l’ultimo tratto prima di giungere in cima, aggirando lo sperone attra-
verso un sentiero ben segnato dal tempo che lo portò proprio davanti all’entrata di
una nuova grotta.
Ma qui egli sapeva che l’interno era ben diverso e si mosse con una certa disinvoltu-
ra nel cercare e trovare il materiale necessario per accendere una torcia e farsi luce.
La grotta sprofondava in discesa nella roccia e sembrava terminare contro un muro;
invece proprio in fondo il corridoio, sempre più ristretto girava di scatto a sinistra per
proseguire per molti metri.
Gesù fu deciso nel muoversi, sicuro di cosa doveva fare e in pochi minuti si trovò da-
vanti ad un muro appoggiato su cardini.
Accanto una leva lo aspettava e Gesù la fece scendere lentamente in basso fino a
che il muro si mosse, manovrato da quel congegno.
Si fermò sulla soglia consapevole che oltre avrebbe ritrovato il prezioso e misterioso
mondo in cui molti anni prima aveva imparato a conoscere la verità.
Poi si decise ed entrò: subito fu avvolto da un nugolo di pipistrelli che scomparvero in
una unica direzione attraverso il grande ambiente dalla parte opposta della porta
d’entrata.
Era finalmente arrivato alla fine del suo lungo viaggio e sapeva dove trovare cibo per
rifocillarsi, cosa che fece immediatamente, ritrovando antiche riserve conservate in
un cunicolo ben occultato dietro una porta molto spessa che scompariva nella parete
di sinistra.

§§§

L’ambiente aveva una temperatura accettabile e in un angolo, al buio, un giaciglio lo


poteva ospitare per la notte, ma Gesù preferì tornare all’entrata per ammirare il tra-
monto e poi, nel buio, assorbire con gli occhi quante stelle potesse accogliere in un
solo colpo d’occhio.
Riconobbe il suo cielo di Galilea, solo un po’ spostato e capì che la terra si muoveva
lungo una sua via celeste.
Poté osservare nelle sere successive lo stesso fenomeno e a capire che la sua terra
doveva essere a sua volta un corpo celeste che si muoveva nello spazio.
La sua mente, ormai libera dalle nebbie del passato stato di coma, ora riusciva a
pensare all’immagine immensa che gli si presentava ogni sera.
Ormai riconosceva le stelle più veloci che si muovevano secondo una loro strada da
quelle che sembravano sempre ferme nel cielo.

60
Non riusciva a capire che cosa fosse la luna che da piccolo lo affascinava per la sua
forte luce ma si rendeva conto che era strettamente legata alla terra in cui c’era la
sua patria lontana e le montagne che ora stava ammirando di giorno.
Alla luce del sole la distesa di monti e di valli che si aprivano davanti a lui lo disto-
glievano dai pensieri tristi cui ritornava spesso e che lo ossessionavano perché con-
tinuava a chiedersi a che cosa fosse servito il suo sacrificio.
Poi tornava tristemente a meditare su tutto quello che gli capitava di pensare, ma in
modo disordinato e senza un senso logico.
Era convinto che stava sbagliando a lasciare che la sua mente vagasse senza una
precisa direzione ma non poteva farci nulla: era solo confuso e perso in una marea di
ricordi e di immagini che non facevano altro che addolorarlo di più.
Man mano che passavano i giorni si rendeva conto che stava perdendo qualcosa di
sé e di cadere in uno stato che non gli piaceva, ma anche che non avrebbe mai potu-
to farcela da solo: l’universo gli opprimeva la ragione e gli rendeva l’animo triste e
sconsolato.
Aveva bisogno di parlare con qualcuno ed aveva incominciato ad ogni alba a metter-
si in ginocchio all’entrata della grotta e a chiedere al Tao aiuto: erano semplici parole,
ma precise.
Chiedeva di ritornare ad essere un vero uomo, di ritornare nella terra da dove era
partito per riprovare a portare il suo vero messaggio, anche se ciò avrebbe compor-
tato il rischio di essere questa volta veramente ucciso.
E capiva anche che ormai lo sviluppo del cristianesimo come lo aveva vissuto nelle
visioni precedenti era una vera forza che si stava stendendo a macchia d’olio anche
contro il paganesimo preesistente, attirando le folle di fedeli buoni e cattivi con i suoi
precetti.
E tutto avveniva in uno sviluppo talmente confuso da cancellare definitivamente la
bontà e l’importanza del messaggio che lui aveva incominciato a diffondere tra gli
uomini con la semplicità di chi amava gli uomini e il loro destino.
Ed era proprio il destino futuro dell’umanità che lo spaventava quando vedeva nelle
notti insonni e gravate da visioni apocalittiche orde di uomini armati che si uccideva-
no per stupide idee o per cupidigia.
Eppure, pensava, il messaggio di Paolo, anche se partito con uno scopo diverso,
portava dentro di sè un nucleo chiaro di pace e di amore tra gli uomini.
Ma forse Paolo era partito col piede sbagliato ed ora ne pagava le conseguenze.

Cap. 23

Erano passati mesi da quando si era isolato in quella grotta ed ormai la sua mente e
il suo cuore vivevano in un altro mondo, quando una notte si accorse della presenza
di qualcuno all’entrata.
Si spaventò pensando ad una belva o a qualche brigante e si affrettò a riaccendere
una torcia.
E grande fu la sua meraviglia quando si rese conto che aveva davanti a sé il vecchio
che a Gerusalemme lo aveva aiutato ad uscire dal coma.
Rimase senza parole a rimirare quella figura strana e silenziosa che, rimanendo in
piedi, lo salutò in silenzio solo levando la mano destra.
Poi, come se fosse con lui in completa confidenza, si accovacciò davanti a Gesù e si
mise in posizione di preghiera e di meditazione, senza dire una parola, senza muo-
vere un muscolo.

61
Ma Gesù si rese improvvisamente conto che quel vecchio gli stava parlando dentro
la mente come se parlasse.
Aveva iniziato uno strano discorso attraverso i pensieri che gli arrivavano nella mente
come se fosse una voce: parlava di altri mondi, di altri spazi dell’universo, di altri
tempi antichi.
Ma ogni tanto si ricollegava ai dubbi di Gesù e gli spiegava:
“Finalmente sei arrivato qui dove ti ho aspettato da sempre. Tu hai ritenuto di fare
quello che qui tanti anni fa ti hanno insegnato. Anch’io ti ho educato ma tu non ti ri-
cordi perché il mio aspetto era molto diverso.
Eppure quasi tutto quello che hai imparato qui viene dall’insegnamento che ti ho dato
io”.
Queste parole avevano lasciato sbalordito Gesù che stava cercando nella sua mente
ricordi che lo potessero riportare a quel vecchio.
“Non tentare di ricordare – gli comunicò mentalmente il vecchio interrompendo il flus-
so dei suoi pensieri –sarebbe una fatica inutile. Quello che conta è che cosa sei a-
desso e che cosa sei riuscito a fare nella tua vita a Gerusalemme e in Galilea.
Incomincia a fare un profondo esame interiore, un esame del tuo passato e soprattut-
to di quello che hai fatto e detto durante i tuoi tre anni di predicazione”.
Il vecchio non comunicò più; parve scomparire dalla sua mente mentre in quella di
Gesù incominciarono a passare i suoi ricordi e le parole che aveva tante volte pro-
nunciato nel suo predicare il precetto d’amore.
Man mano che proseguiva incominciava a capire a che cosa alludeva il vecchio per-
ché i suoi pensieri ripetevano le parole che aveva detto un tempo ad apostoli e a
gente comune:
Sia così ora, poiché conviene che noi adempiamo in questo modo ogni giustizia"
“Non tentare il Signore Dio tuo".
"Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino".
“Venite dietro a me e vi farò pescatori di uomini".
"Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli.
Beati i mansueti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli.
Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di
voi ogni sorta di male per causa mia.
Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per
abolire ma per portare a compimento.
Poiché in verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o
un apice della legge passerà senza che tutto sia adempiuto.
Fa' presto amichevole accordo con il tuo avversario mentre sei ancora per via con lui,
affinché il tuo avversario non ti consegni in mano al giudice e il giudice in mano alle
guardie, e tu non venga messo in prigione.
Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso a-
dulterio con lei nel suo cuore.
Non giurare neppure per il tuo capo, poiché tu non puoi far diventare un solo capello
bianco o nero.
Ma io vi dico: non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia de-
stra, porgigli anche l'altra;
affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole so-
pra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.
62
Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso an-
che i pubblicani?
E se salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pa-
gani altrettanto?
Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste.
Nel pregare non usate troppe parole come fanno i pagani, i quali pensano di essere
esauditi per il gran numero delle loro parole.
Perché se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà
anche a voi;
ma se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre
colpe
Se: ….
E i ricordi si accavallavano chiari e precisi: ricordava quante volte aveva parlato di
cielo e di cieli; come aveva tentato più volte di far capire a quei poveri e ostinati igno-
ranti che la realtà era sopra di loro su, in un cielo sì, ma quale cielo? E cercava le pa-
role che aveva tante volte ripetute e che, per testimonianza riportiamo qui dai quattro
vangeli autorizzati da Madre Chiesa:

(DAI TESTI DEI QUATTRO VANGELI FRASI IN CUI GESU’ PARLA DEL CIELO
O DEI CIELI):

GIOVANNI:
1:32 Giovanni rese testimonianza, dicendo: "Ho visto lo Spirito scendere dal cielo come una
colomba e fermarsi su di lui.
LUCA:
:23 Rallegratevi in quel giorno e saltate di gioia, perché, ecco, il vostro premio è grande nei
cieli; perché i padri loro facevano lo stesso ai profeti.
9:16 Poi Gesù prese i cinque pani e i due pesci, alzò lo sguardo al cielo e li benedisse, li spez-
zò e li diede ai suoi discepoli perché li distribuissero alla gente.
10:20 Tuttavia, non vi rallegrate perché gli spiriti vi sono sottoposti, ma rallegratevi perché i
vostri nomi sono scritti nei cieli".
MARCO:
1:10 A un tratto, come egli usciva dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito scendere su di lui
come una colomba.
1:11 Una voce venne dai cieli: "Tu sei il mio diletto Figlio; in te mi sono compiaciuto".
11:25 Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate; affinché il
Padre vostro, che è nei cieli vi perdoni le vostre colpe.
11:30 Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi".
11:31 Essi ragionavano così tra di loro: "Se diciamo: "dal cielo", egli dirà: "Perché dunque
non gli credeste?"
12:25 Infatti quando gli uomini risuscitano dai morti, né prendono né danno moglie, ma sono
come angeli nel cielo.
13:25 le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno scrollate.
13:27 Ed egli allora manderà gli angeli a raccogliere i suoi eletti dai quattro venti, dall'estre-
mo della terra all'estremo del cielo.
13:31 Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
13:32 Quanto a quel giorno e a quell'ora, nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il
Figlio, ma solo il Padre.
14:62 Gesù disse: "Io sono; e vedrete il Figlio dell'uomo, seduto alla destra della Potenza, ve-
63
nire sulle nuvole del cielo".
16:19 Il Signore Gesù dunque, dopo aver loro parlato, fu elevato in cielo e sedette alla destra
di Dio.
Matteo:
5:18 Poiché in verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un
apice della legge passerà senza che tutto sia adempiuto.
5:34 Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio;
6:10 venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà anche in terra come è fatta in cielo.
6:20 ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scas-
sinano né rubano.
26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il
Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro?
11:23 E tu, o Capernaum, sarai forse innalzata fino al cielo? No, tu scenderai fino al soggior-
no dei morti. Perché se in Sodoma fossero state fatte le opere potenti compiute in te, essa
11:25 In quel tempo Gesù prese a dire: "Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della ter-
ra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli.
14:19 Dopo aver ordinato alla folla di accomodarsi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci
e, alzati gli occhi verso il cielo, rese grazie; poi, spezzati i pani, li diede ai discepoli e i disce-
poli alla folla.
16:1 I farisei e i sadducei si avvicinarono a lui per metterlo alla prova e gli chiesero di mostrar
loro un segno dal cielo.
16:2 Ma egli rispose: "Quando si fa sera, voi dite: "Bel tempo, perché il cielo rosseggia!"
16:3 e la mattina dite: "Oggi tempesta, perché il cielo rosseggia cupo!" L'aspetto del cielo lo
sapete dunque discernere, e i segni dei tempi non riuscite a discernerli?
16:4 Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno, e segno non le sarà dato se non
quello di Giona". E, lasciatili, se ne andò.
18:18 Io vi dico in verità che tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e
tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo.
21:25 Il battesimo di Giovanni, da dove veniva? dal cielo o dagli uomini?"
23:22 e chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi siede sopra.
24:29 Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo
splendore, le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno scrollate.
24:30 Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell'uomo; e allora tutte le tribù della
terra faranno cordoglio e vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nuvole del cielo con
gran potenza e gloria.24:36 "Ma quanto a quel giorno e a quell'ora nessuno li sa, neppure gli
angeli del cielo, neppure il Figlio, ma il Padre solo.
26:64 Gesù gli rispose: "Tu l'hai detto; anzi vi dico che da ora in poi vedrete il Figlio dell'uo-
mo seduto alla destra della Potenza, e venire sulle nuvole del cielo".
28:2 Ed ecco si fece un gran terremoto; perché un angelo del Signore, sceso dal cielo, si acco-
stò, rotolò la pietra e vi sedette sopra.
28:18 E Gesù, avvicinatosi, parlò loro, dicendo: "Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla
terra.
3:2 "Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino".

64
E Gesù era rimasto ad ascoltarsi e si chiedeva come poteva rievocare parole che
aveva detto più volte in varie occasioni ma la voce mentale del vecchio intervenne
nuovamente dopo che era rimasto in silenzio per tutto il tempo:
“Ti sei ascoltato? Sei sicuro di quello che dicevi? Non c’era troppo del tuo io in quelle
parole? Giuste senz’altro, ma non sarebbero servite a cambiare le teste di quelli che
ti ascoltavano più per curiosità che per assorbire il loro significato.
E poi con il tempo quello che tu affermavi in fondo non era la voce di quello che tu
consideravi il tuo Dio, ma sempre comunque un ripetere precetti della tua religione in
cui sei nato con quegli insegnamenti che avevi imparato qui, e questo ti ha fatto
commettere un errore: non ti rendevi conto che non ti stavano ascoltando.
E tu stesso lo sapevi: troppe parole, troppe parole!”
Gesù non seppe mai quanto tempo passò dopo quel messaggio mediatico ma si re-
se conto che il vecchio stava ragionando su un altro piano di pensiero e capì dove
aveva sbagliato.
E finalmente il vecchio riprese a parlare:
“Tu non sei colpevole perché eri in buona fede ma era impossibile riuscire a cambia-
re la mente e il cuore di gente tanto radicata nella loro tradizione.
Hai tentato ma hai fallito, anche se non per colpa tua. Forse alcuni anni ancora e
qualcosa di positivo sarebbe accaduto in quelle teste dure, ma la tua rapida uccisio-
ne e l’avvento di un discepolo sciagurato come Paolo hanno rovinato tutto quello che
avevi fatto, convinto di agire guidato dalla mano di quel Dio che però nel frattempo
stavi perdendo in mezzo al tuo vangelo”
Ancora minuti di silenzio ma alla fine Gesù osò comunicare con la propria mente.
Dapprima fu quasi un balbettare per la fatica mentale che incontrava ma poi divenne
tutto così naturale da sembrare che i due si fossero sempre parlati in quel modo.
Gesù si rendeva conto del fatto che, senza accorgersi, aveva troppo spesso antepo-
sto il proprio io, la propria personalità a quella di coloro che lo ascoltavano.
E in più stava scoprendo, grazie anche all’aiuto mentale che gli arrivava dal vecchio,
di quello che stavano facendo volonterosi ma pretenziosi scrittori che mettevano nero
su bianco cose su di lui che non erano i suoi precetti, ma quelli che si stavano evol-
vendo a causa della religione pregressa e della mentalità ancora ottusa sia degli e-
brei sia di Paolo che, volendo realizzare il suo sogno, aveva distrutto quasi del tutto il
messaggio di Gesù.
Dentro di sé credeva che stesse distruggendosi ogni immagine positiva della sua vi-
ta, ogni merito che credeva di aver raggiunto, mentre ora si rendeva conto che tutto o
quasi quello che aveva detto o fatto era stato inutile.
Non tutto per colpa sua, è vero, ma molto perché si era illuso di riuscire là dove altri
uomini avevano inutilmente tentato.
Ma la sua delusione, il senso di vuoto che ora provava vennero presto colmati dalle
parole del vecchio:
“Non è stata colpa tua; purtroppo l’uomo ha avuto origini da animali e da loro ha ere-
ditato gravi difetti fin da quando passò da scimmia ad uomo”
Queste strane parole avevano risvegliato in Gesù un’attenzione particolare che lo
spinsero finalmente a formulare la domanda che gli stava tanto a cuore:
“Ma tu chi sei? Che cosa puoi sapere delle origini dell’uomo? E che influenza potreb-
bero avere su di noi oggi, uomini con ….”
Ma il vecchio con un gesto della mano (non era la prima volta che Gesù gliela vide
alzare) lo fece tacere e proseguì:

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“Ti dirò solo alla fine quello che vuoi sapere ma prima tu devi conoscere la verità
dell’uomo, della sua origine. Dovrai avere molta pazienza perché è un lungo e strano
racconto quello che sto per rivelarti. L’umanità non è nata su questo pianeta ma molti
milioni di anni fa altri esseri molto simili a te tentarono un gesto disperato per salvare
la loro razza. Un gesto però molto intelligente perché avevano sviluppato il sapere e
le scienze in un modo che la razza umana di oggi raggiungerà solo tra molti secoli”
E, vedendo in Gesù strabuzzare gli occhi e uno sconvolgimento mentale che non gli
permetteva di dare razionalità a quello che stava ascoltando, continuò dicendo:
“Devi avere pazienza come dovrà avere pazienza chi un giorno avrà la ventura di a-
scoltare queste mie parole: la verità del mondo in cui vivi non è nata qui in questo
minuscolo pianeta ma molto, molto lontano nel tempo e nello spazio.
Forse alla fine riuscirò a farti capire ma dovrai avere la pazienza che avevi quando
eri discepolo mio tanti anni fa. Allora avrei potuto rivelarti quello che so e che ora ti
racconterò, ma eri ancora troppo acerbo per capire la vera storia sulle origini
dell’uomo e dell’universo”.
E Gesù non poté più trattenersi ed esplose quasi in un grido:
“Ma allora tu sei Dio? Tu sei il Tao?”
Il vecchio non rispose ma lo calmò mentalmente e proseguì come se non fosse stato
interrotto:
“Non mi interrompere e non tentare di pensare cose superiori alla tua capacità men-
tale. Tu hai bisogno di ascoltare e meditare, altrimenti non riuscirai mai a capire la
verità, a cogliere la realtà in cui vivi.
Tu vivi in un mondo, un universo talmente grande che le tue capacità mentali non
possono comprendere assimilare, assorbire. Devi avere l’umiltà di avvicinarti piano
piano. Nei secoli futuri in mezzo all’umanità sorgeranno uomini che capiranno questo
importante principio e lo applicheranno nel loro modo di conoscere la realtà che li cir-
conda e solo essi riusciranno a dare agli uomini piccole porzioni della realtà
dell’universo. Di secolo in secolo riusciranno ad arrivare sempre più vicini alla verità
ma la strada sarà lunga e piena di ostacoli.
Purtroppo uno degli ostacoli più forti sarà proprio la pretesa di pochi uomini che si ri-
terranno i tuoi eredi, che daranno solo un senso religioso alla vita, senza tener conto
che la realtà dell’universo è ben più grande del dio che loro si inventeranno, eredi-
tandolo da quello che la tua religione ti ha dato in Galilea.
E questo rallenterà moltissimo la conoscenza cui gli uomini aspireranno. E purtroppo
anche contribuirà a farli diventare ancora più negativi, più cattivi, credendosi dei furbi
che potranno dominare il mondo. Invece saranno solo degli omuncoli la cui vita sarà
sempre inferiore alla durata di un secolo mentre l’universo esiste da miliardi di anni!”
Gesù era rimasto sconvolto a bocca aperta e assorbiva avidamente le parole del
vecchio:
“Hai detto miliardi di anni; ma allora noi che cosa siamo; da dove veniamo, chi ci ha
creati, come siamo venuti al mondo su quello che tu hai chiamato pianeta?”
Era una serie di domande più che lecite e a questo punto il vecchio proseguì inizian-
do il racconto contenuto in “MAR” che io ho inserito all’inizio di questa complicata
storia.
E alla fine del racconto il vecchio parlò:
“Interrompo le tue elucubrazioni che vagano confuse, non riuscendo a capire fino in
fondo perché ti ho fatto questo lungo racconto che sembra più una fiaba che una re-
altà.
Ma devi credermi: ti ho svelato l’origine dell’uomo, la sua vera origine.

66
Se vuoi, puoi immaginare che quei due esemplari di scimmie maschio e femmina al-
tro non erano che quelli che nella tua religione sono stati chiamati Adamo ed Eva.
Ti potrà sembrare una bestemmia ma detto da me è accettabile, anche per la tua
mente confusa e ancora piena di ricordi e di imparaticci dei tuoi “maestri” che chia-
mano “sacerdoti”, se vuoi chiamarli ancora così, veri ignoranti perché non sanno e
non accetteranno mai la verità.
Ti dico questo perché nei secoli futuri quelle teorie, insieme alla religione che si è in-
ventato Paolo, verranno portate avanti come retaggio dei tuoi profeti e dei tuoi ante-
nati.
Purtroppo ci fu una sola possibilità per Mar e la razza umana non avrebbe potuto na-
scere e crescere in un modo diverso da quello che è ora, con tutti i suoi pregi e difet-
ti.
Certo la distanza di tempo tra te e loro è un sciocchezza rispetto a quanto è accadu-
to milioni di ani fa, ma è certo che la razza umana proviene da un mondo tanto lonta-
no che ormai si è perso nell’infinità dell’universo”

Gesù assorbiva ora con maggiore comprensione i fatti raccontati ma non si sarebbe
mai aspettato il resto del discorso del vecchio, che proseguì così:
“Fra poco ti accorgerai che anche noi due cambieremo le nostre sembianze in un
modo che ti apparirà strano; non spaventarti ma è il modo naturale con cui la tua vita
si trasformerà definitivamente.
Prima però devo aggiungere una spiegazione al racconto che ti ho fatto.
Ti potrebbe sembrare logico che da qualche parte nell’universo esistano ancora trac-
ce della provenienza del protagonista, di Mar. In questo modo anche solo dei resti
archeologici o fossili del mondo da cui è arrivato, sarebbero una prova dell’origine
dell’uomo. Invece questo non è più possibile perché l’universo per come è fatto si e-
stende all’infinito e le parti che raggiungono la sua estrema periferia si perdono in un
altro mondo, il mondo del nulla.
E il mondo di Mar ha fatto questa fine: è uscito definitivamente nel mondo che i po-
steri, non potendo capirlo lo chiameranno “materia oscura”
La parola giusta che troveranno tra tanti secoli gli scienziati (che si crederanno degli
dei per la scoperta che faranno e invece resteranno sempre eternamente ignoranti) è
l’annichilimento. Ma non sapranno riempire di un preciso significato questa parola
così elegante e precisa.

“Materia oscura, nulla e annichilamento” pensava Gesù, cercando di capirne il signi-


ficato ma non ci riusciva. E allora con un gesto quasi di rabbia, comunque di impa-
zienza verso quel vecchio che gli stava riempiendo il cervello al punto da farlo quasi
impazzire, gli gridò:
“Allora se tu sai tutte queste cose e conosci le origini dell’uomo e come è fatto
l’universo infinito che io non avrei mai immaginato così grande, così misterioso da
non potermi entrare nel mio piccolo cervello, tu devi dirmi ora con tutta la semplicità e
soprattutto con tutta la sincerità possibile chi sei!”
Gesù non se ne accorse ma stava gridando. E intanto si rendeva conto che la figura
del vecchio, proprio come gli aveva detto poco prima, stava mutando in un modo
strano: era sempre lì davanti a lui ma, mentre passava il tempo, la sua figura sem-
brava diventare sempre più trasparente; Gesù riusciva a vedere l’apertura della grot-
ta attraverso il corpo del vecchio in modo sempre più chiaro.
Il vecchio continuava a restare in silenzio e Gesù non poté più trattenersi:

67
“Allora tu sei il Tao! Solo il Tao avrebbe potuto creare un universo così immenso, co-
sì grandioso e un mondo lontano con altri viventi!
E solo tu, il Dio vero, il Tao avrebbe potuto dare loro la possibilità di scoprire cose
che permettesse loro di trasformare addirittura un loro essere vivente in un ammasso
di dati da lanciare nello spazio per salvare e per perpetuare la loro razza.
Dillo una volta per tutte! Non essere così crudele con un pover’uomo come me che
un giorno aveva preteso di predicare il tuo nome e in nome tuo ai miei poveri fratelli
della mia terra, pur senza conoscerti come sto conoscendoti ora!
Se tu sei il creatore di tutto, allora sei proprio il Tao, ma se non me lo dici ora mi ap-
parirai come il Dio degli ebrei: un Dio fasullo, un’ombra come sta diventando il tuo
corpo!”
E mentre parlava gesticolava con le sue mani verso il Vecchio ma si accorse solo al-
lora che anche le sue mani, e poi le sue braccia stavano diventando trasparenti.
Allora rimase in silenzio, spaventato e sbigottito di quel fenomeno che non riusciva a
capire.
E mentre le due figure si scioglievano lentamente diventando sempre più trasparenti,
il vecchio finalmente parlò e furono le sue ultime parole:

“Tu credi ancora che sia io il creatore di tutto l’universo e dell’uomo.


Io non sono il creatore di nulla, l’universo esiste perché esiste.
L’uomo esiste perché te l’ho appena spiegato.

IO SONO SOLO IL TAO”


Alla fine, muto, prese per mano Gesù e lo portò fuori dalla grotta, all’aperto, e attra-
verso il suo corpo si vedeva distintamente l’azzurro del cielo.
Mentre gli teneva stretta la mano, si levò nel cielo trascinando il corpo di Gesù con
sé che nel frattempo era diventato trasparente come lui.
Le ultime parole che Gesù poté ascoltare prima di volatilizzarsi come il vecchio sa-
lendo nel cielo furono:

IO SONO COLUI CHE E’


E mentre ascoltava queste ultime parole, anche Gesù scomparve nel cielo, seguen-
do l’ombra trasparente del vecchio.
Nel cielo azzurro due piccole nuvole, diventando sempre più piccole, volarono in alto,
spinte dal vento del mattino, e scomparvero definitivamente.

FINE

POSTFAZIONE
Da quel giorno sono trascorsi oltre duemila anni e il Tao non si è più visto. Se ha fat-
to qualcosa, nessuno se ne è accorto.
Forse avrà fatto cose che non ci rendiamo conto che siano avvenute.

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Anche Gesù non si è fatto più vivo. I due sono svaniti nel cielo quel giorno e non si
sono fatti più vedere.

In questi venti secoli il Cristianesimo dopo essere nato ed avere dilagato nei primi
secoli in occidente nel bacino del Mediterraneo, grazie soprattutto a Paolo, si è tra-
sformato nei secoli successivi in mille modi: da religione pseudo-vera a religione di
stato, a strumento per dominare i poveri a favore di pochi prepotenti e regnanti; si è
imposta con i suoi precetti ma soprattutto con i suoi dogma per i quali migliaia di per-
sone sono state condannate, bruciate sui roghi o decapitati o ammazzati in vari altri
modi. Molti invece sono stati condannati a rimanere in carcere a marcire a vita.
I poveri di spirito, popoli interi tenuti apposta nell’ignoranza della verità della realtà,
ma soprattutto quella religiosa, i coltivatori della terra ma per conto dei ricchi latifon-
disti in tutti i secoli fino ai giorni nostri, dovettero accettare le imposizioni ecclesiasti-
che, avallate dai potenti laici, alleati con la Chiesa là dove a questi ultimi faceva co-
modo.
E con la rivoluzione industriale tutto è peggiorato, divenendo ancora più blasfemo nei
confronti di Gesù e del TAO, favorendo ai giorni nostri una completa trasformazione
dei costumi e delle abitudini buone, sostituite dalle novità rispetto alle quali Sodoma
e Gomorra fanno sorridere.
In compenso però sono sorte chiese e altari, reliquie e mercati delle medesime, nuo-
vi santi da pregare, nuovi miracoli miracolosamente accaduti, ma soprattutto defe-
zioni all’interno della stessa istituzione “Cristianesimo” con una serie di nuovi filoni re-
ligiosi più o meno ortodossi ma carichi degli stessi errori originari.
E così, proprio quando era necessario sono accadute cose strane (gli altri le chiama-
no straordinarie): Lourdes. Fatima, Medjugorie, ecc.
Ma come mai in queste apparizioni è sempre stata protagonista la Madonna, mai
Gesù o qualche importante e valoroso “santo”?

§§§

La popolazione mondiale intanto ha raggiunto da pochi giorni, secondo dati ufficiali, i


sette miliardi di individui.
I cristiani nel mondo sono stimati in circa il 33%, pari a 2 miliardi di persone.
Ma di questi solo un miliardo e rotti sono quelli che la chiesa considera i veri fedeli di
Cristo: i “cattolici”.
Se però analizziamo la distribuzione del “Cristianesimo” sul pianeta ci accorgiamo
che in duemila anni quasi tutto l’oriente da est della Palestina fino all’oceano Pacifi-
co, sono terre le cui religioni non hanno mai avuto niente a che fare con il “Cristiane-
simo” né, peggio ancora, con il “cattolicesimo” (quasi inutili i tentativi di portare
l’apostolato in maniera definitiva tra le genti d’oriente!).
Eppure in questi paesi super popolati, ricchi solo di povertà e di pensieri umili di fron-
te ai problemi della vita, che hanno subito e sopportato malattie, epidemie, disastri
naturali, fin tanto che non conobbero l’occidente, ebbero tassi bassissimi di cattiveria
e di delinquenza.
E le popolazioni africane? Vale lo stesso discorso! E quelle del sud e centro Ameri-
ca? Idem con patate.
Eppure tutte queste popolazioni non hanno mai saputo niente né del TAO, né di Ge-
sù. E questo fino a che le esplorazioni non hanno inquinato le loro terre, le loro città,
le loro credenze anche religiose ma con Dei ben diversi da quelli che, dopo il 1492,

69
la Chiesa di Roma portò loro come messaggio di “redenzione”, di “liberazione dal
peccato originale” e sciocchezze simili.
E l’occidente?
Ha pensato bene di invadere con la sua superbia e prepotenza ogni angolo allora
ancora sconosciuto del mondo, per succhiarne le ricchezze, per stritolare le creden-
ze e le religioni locali.
Numeri: sette miliardi di abitanti oggi, di cui cristiani poco più di due miliardi e tra
questi di cattolici meno di un miliardo e mezzo: e nel frattempo cosa ha fatto la chie-
sa di Roma per dare maggior civiltà a queste popolazioni?
Lo ha fatto, sì, ma nel proprio interesse, pur di accaparrarsi ricchezze materiali e
nuova gleba da sottomettere.
Lo ha fatto in nome del povero Gesù e imponendosi come “suo successore”, anzi
“Vicario”, come se una gerarchia spirituale potesse esistere come una dinastia di
quelle che esistono sulla terra tra monarchi e regnanti simili.
E lo ha fatto direttamente senza alcun ritegno attraverso i conquistatori che spesso
invadevano le loro terre “nel nome di Cristo”, con la scusa di portare loro la parola di
un Gesù che era come abbiamo sostenuto fino ad ora, un falso con peccato d’origine
in Paolo.
Gli occidentali sono dei presuntuosi che si considerano i più importanti, i più intelli-
genti animali del mondo.
Invece sono solo dei grandi affaristi che guardano solo al denaro, a quel “Mammona”
che Gesù aveva rigettato..
E la chiesa di Roma, che vuole tenere comunque con senso di pseudo fratellanza i
non cattolici, ritiene di essere ancora oggi la depositaria ufficiale della verità.
Ma quale verità? Quella raccontata dai vangeli, pieni di tante correzioni volutamente
false da trasfigurare non solo Gesù ma anche il suo insegnamento?
La verità è forse quella ereditata dalla religione degli ebrei attraverso lo studio e
l’accettazione dell’antico testamento (vedere, per favore le affermazioni stupide delle
prefazioni alle edizioni della bibbia da parte della C.E.I)?
Quelle occidentali hanno una religione composita e utilizzata solo per tradizione (co-
me facevano e fanno gli ebrei), salvo piccole minoranze di asceti e di monache di
clausura che però a loro volta hanno commesso l’errore più grave: rinunciare alla vita
“normale” dell’uomo come abitante di questo pianeta, un giorno fortunatamente ripo-
polato da esseri “umani”.
Perfino i Focolarini o i Paolini e mille altri come i Catecumeni (recente movimento na-
to all’interno del cattolicesimo con la presunzione di insegnarci a vivere da veri cri-
stiani) sono sorti insieme a migliaia di altri movimenti religiosi o laici (vedi per esem-
pio Comunione e liberazione in Italia o il Creazionismo in America): è la dimostra-
zione che il cattolicesimo si è disgregato in tanti diversi modi per cercare di capire la
verità di quello che osano chiamare Dio.
Intanto la “depositaria della verità”, la Roma Papale, imperversa con l’immagine di un
Gesù che chiama come San Paolo: “GESU’ CRISTO” accettando l’errore del vero
traditore di Gesù.
Ma allora?
Allora non resta che il nostro cervello: o lo usiamo, libero da ogni imposizione e lo
facciamo ragionare veramente, oppure faremo come le pecore che vanno e vanno
ma non sanno dove vanno.
Eppure l’uomo in venti secoli e passa, da quando Gesù ci ha lasciato, ha dimostrato
di avere intelligenza, volontà, inventiva, capacità di autosuperarsi in tutto, miglioran-
do moltissimo il suo modo di vivere su questo piccolo pianeta sperduto nello spazio.
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Purtroppo però ha troppo spesso usato le sue capacità per fare del male al suo pros-
simo.
E ha determinato il suo destino prendendo una sola direzione, purtroppo sbagliata e
assolutistica al punto che non è più possibile alcun tentativo di tornare indietro e ri-
cominciare da capo.
Il guaio è che i maggiori autori del male sono gli stessi che continuano a predicare il
bene. E non solo i capi di stato, i “potenti”, le “autorità”, ma anche coloro che credono
di essere i depositari della fede, della verità, del dono di Dio (quale poi? non si sa).
E come nel campo medico non c’è peggior medico di quello che crede di saper fare il
medico e poi riesce a sbagliare diagnosi o il chirurgo che crede di essere un bravo
chirurgo e riesce a tagliare il pezzo sbagliato, ammazzando il paziente, così i “medici
dell’anima”, cioè quelli che pretendono di curare le anime ammalate, ma dimostrano
col loro esempio di essere i primi che hanno bisogno di cure e cure profonde.
Io considero il mio scritto uno sforzo per aprire le menti ma è poca cosa, è troppo
piccolo e scarso per riuscire nello scopo, anche per le difficoltà editoriali e di distribu-
zione nelle librerie che incontrerà per il modo come è strutturato il mercato del libro in
Italia.
Spero solo che qualcuno lo accolga benevolmente e mi dia una mano a diffonderlo
largamente tra la gente.

A tutti gli auguri di una serenità di spirito nell’affrontare le difficoltà che la vita di ogni
giorno ci impone e l’augurio e la speranza di ritrovare un giorno il vero Gesù sulla
propria strada: sarebbe un incontro stupendo e, questo sì, veramente miracoloso.
E finalmente avremo capito il suo messaggio:

AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO


(Giuseppe Amato, Assisi il 18 giugno 2012)
Qui finisce il mio testo ma, se qualcuno non è ancora stanco può leggersi le due
appendici che allego.
Chi vuole dilettarsi ulteriormente, se non si è ancora stancato di leggere quello che
scrivo, può consultare le due appendici che seguono che, confrontate tra loro vi fa-
ranno, spero, fare qualche risata … di pianto!

Appendice 1
(Quest’appendice viene inserita con quella successiva proprio per fare un confronto tra scienza e superstizione,
dilagante nella chiesa di Roma)

Dalla rivista LE SCIENZE NUMERO 9 DI GIUGNO 2012:


(Sui riporta integralmente il testo che chiunque può leggere anche direttamente sulla rivista e che rappresenta per
me un’eloquente prima appendice allo studio cui allego il testo, ringraziando l’Editore per la gentile concessio-
ne)

ORIGINE DELLA VITA


OGNI ESSERE VIVENTE SULLA TERRA SI È EVOLUTO DA UN UNICO ANTENATO
MA DA DOVE È VENUTO? E COME SI È FORMATO?
SIAMO ANDATI A VEDERE A RITROSO NEL TEMPO

Gli scienziati concordano che la vita ha un’unica origine perché il codice genetico è comune a tutti gli or-
ganismi
71
Com'è iniziata la vita? È indubbiamente una delle domande più importanti della biologia. Ma anche fra le più
difficili a cui rispondere; oltre a essere la più controversa. Gli scienziati discutono ogni passo sulla via che ha
portato ai primi organismi viventi e chi di loro svelasse le molecole e i meccanismi che fanno funzionare la vita
si garantirà quasi sicuramente il premio Nobel.
Il problema nello studio dell'origine della vita è complicato da un'altra domanda difficile, ovvero: che cos'è la vi-
ta? Le definizioni sono più di una decina. Il programma di esobiologia della NASA ha adottato, per esempio, la
definizione di vita come "sistema chimico che si autoalimenta ed è soggetto a evoluzione darwiniana". Così, un
modo per identificare le caratteristiche comuni alla vita è ricordare che le cose viventi non sono affatto "cose",
bensì un processo guidato da reazioni chimiche: il metabolismo.
E tuttavia, anche se non abbiamo tutte le risposte sull'origine della vita, recenti ricerche offrono nuovi entusia-
smanti indizi. L'anno scorso gli scienziati hanno scoperto i fossili in assoluto più antichi in una roccia sedimenta-
ria vecchia di 3,4 miliardi di anni, a Strelley Pool sulla costa occidentale dell'Australia, una delle prime distese di
arenaria conosciute. La roccia contiene strutture microscopiche simili a cellule, circondate da "impronte digitali"
chimiche, l'indizio di un'attività biologica. Si tratta di isotopi del carbonio presenti in proporzioni che indicano la
conversione dalla CO, l'anidride carbonica inorganica nelle molecole organiche prodotte dalle cellule viventi.
"Abbiamo scoperto entità conservate in maniera fantastica e incluse in finestrelle tra i granelli di sabbia, che
sembrano avere evitato lo schiacciamento e la cottura. Sono strutture simili a cellule, la loro morfologia è di tipo
biologico e la loro chimica compatibile con le vie metaboliche biologiche", spiega Martin Brasier, paleobiologo
all'Università di Oxford.
La chimica della roccia suggerisce, inoltre, che questi microbi primitivi generavano l'energia mediante reazioni
chimiche che impiegavano lo zolfo, simili in questo ai solfo batteri attuali. Evidentemente questi antichi microbi
erano una forma abbastanza sofisticata" di vita e difficilmente rappresentarono i primissimi organismi viventi.
Allora, quando ha avuto inizio la vita? È difficile che i primi organismi siano comparsi prima di quattro miliardi
di anni fa, cinquecento milioni di anni dopo la formazione della Terra. A quel tempo, il nostro Pianeta era un
mondo d'acqua e la terraferma aveva assunto la forma di archi insulari, più che di veri continenti. La luminosità
del Sole era appena il 70 per cento di quella attuale e l'attività vulcanica innalzava le temperature fino a condi-
zioni miti, fra i 25 e i 60 °C.
La Terra primitiva rispetto a oggi, la Luna era più vicina, generava maree più intense e la Terra ruotava su se
stessa più velocemente. I giorni erano pertanto più brevi e la loro durata era compresa tra le otto e le dieci ore. La
superficie, poi, era colpita ripetutamente da detriti rocciosi, residui del Sistema Solare primitivo durante il Gran-
de bombardamento tardivo, quando non erano insoliti meteoriti dieci volte più grandi di quelli che causarono l'e-
stinzione dei dinosauri.
Conclusosi 3,8 miliardi di anni fa, questo eone Adeano (l'eone è la categoria di rango superiore tra le suddivisio-
ni della scala dei tempi geologici) - il cui nome si ispira al mondo degli inferi degli antichi greci - dal'idea di un
inferno sulla Terra. Eppure, per i microbi fu una sorta di paradiso. i meteoriti sarebbero stati, infatti, i vettori ; di
metalli importanti e di alcuni mattoni : della vita sulla loro superficie; dal canto I loro, l'energia vulcanica e la lu-
ce solare ; fornirono energia gratuita. La Terra i primitiva, anche se sembrerebbe essere i stata ostile a esseri co-
me noi, fu invece ; un luogo vivace dove generare la vita.
Avvolta da gas serra, l'atmosfera era ; senza ossigeno, un prodotto di scarto generato dalle piante e dalle alghe,
che allora non esistevano. L'atmosfera ; primitiva conteneva invece metano,anidride carbonica, anidride solforo-
sa, acido solfidrico e vapore acqueo in : quantità. "Queste sostanze ci sembrano i tossiche, eppure sono per la
maggior parte combustibili ideali per la vita dei i microbi. Per loro quel mondo era un paradiso", ribadisce Brai-
ser. Forse non scopriremo mai le vestigia della vita primitiva conservata nella i documentazione fossile e che ri-
salga nel tempo oltre ai microfossili australiani. Come spiega Brasier, "prima dei tre miliardi e mezzo di anni le
prove sono esclusivamente minerali o chimiche, forse perché queste vecchie rocce sono troppo deteriorate per
conservare i resti di cellule. Ogni forma di vita è cellulare. Perciò le i cellule fossili sono un banco di prova i
fondamentale per gli inizi della vita". Per ricostruire gli eventi accaduti antecedentemente alle prime cellule
alcuni scienziati seguono pertanto una strada differente: simulano la possibile evoluzione della vita creando i
suoi ingredienti in laboratorio. È una strategia ispirata da un'idea degli anni Venti, secondo la quale i primi orga-
nismi emersero da un "brodo primordiale" di molecole organiche.
Un test importante per la teoria del brodo primordiale fu svolto nel 1952 dai chimici Stanley Miller e Harold U-
rey; Essi fecero attraversare da una scarica elettrica (un fulmine simulato) un'apparecchiatura in vetro sigillata
contenente una miscela di gas che si pensava fossero presenti nell'atmosfera primitiva della Terra, ossia metano,
ammoniaca, idrogeno e vapore acqueo. L'acqua che si condensò in questo "oceano" artificiale conteneva ammi-
noacidi, i mattoni delle proteine, molecole indispensabili per la vita.
Gli scienziati che studiano le sostanze chimiche che precedettero le prime cellule sostengono che la vita non
comparve in un unico evento. "L'origine della vita non è un Big Bang", conferma Philipp Holliger del laboratorio
di biologia molecolare del MRC (Medicai Research Council) a Cambridge. "Non è tanto una scintilla divina che

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rende viventi le cose, quanto una transizione. Probabilmente ci fu una zona grigia in cui la materia assunse pro-
gressivamente le sembianze della vita", aggiunge.
E allora, se cucinare i precursori della vita in un brodo primordiale richiede un fuoco lento, quali erano gli ingre-
dienti? Tutti gli esseri viventi sono costituiti da DNA, RNA, proteine e lipidi: quattro molecole importantissime
per le cellule.
I lipidi, per esempio, costituiscono la membrana, la barriera che separa una cellula dall'ambiente esterno e le
consente di regolare le reazioni metaboliche interne. Ma se oggi la ricetta della vita prevede immancabilmente
questi quattro ingredienti, forse le cose non sono sempre andate così.
II mondo a RNA
Ecco il paradosso: nelle cellule attuali le proteine sono il sostegno strutturale e svolgono la funzione di enzimi (i
catalizzatori che permettono le reazioni chimiche), mentre i geni del DNA codificano l'informazione per produr-
re le proteine. E il classico dilemma dell'uovo o della gallina: chi è nato prima, il DNA o le proteine? Nessuno
dei due, sembrerebbe la risposta. Sono stati preceduti dal grande fratello del DNA, l'RNA. Sebbene siano en-
trambe formate dai nucleotidi (le quattro "lettere" che formano le sequenze di DNA e di RNA). le due molecole
hanno personalità differenti. Mentre l'RNA è una molecola reattiva costituita da un'unica catena di nucleotidi ca-
ratteristica struttura a doppia dica del DNA Io rende chimicamente stabile e dunque una molecola più affidarle
per archiviare l'informazione genetica. Come le proteine, la catena di RNA può inoltre ripiegarsi in strutture tri-
dimensionali che mettono a contatto le molecole. favorendo la catalisi delle reazioni.
Perciò l'RNA può svolgere in teoria le funzioni del DNA e delle proteine: comportarsi sia da vettore dell'infor-
mazione sia da catalizzatore. Se le reazioni includevano la capacità di incatenare insieme i nucleotidi per creare
una copia della catena, la molecola avrebbe posseduto anche le proprietà che definiscono la vita, vale a dire la
capacità di replicarsi e di ereditare l'informazione. In altre parole, di riprodursi.
Molti biologi credono che l'RNA sia stato il "primo replicatore" e che la Terra primordiale fosse un tempo un
"mondo a UNA", dominato da questi precursori della vita. La prova migliore a sostegno di questa ipotesi deriva
dai ribosomi, le fabbriche di proteine della cellula. Quasi tutte le reazioni cellulari sono catalizzate da proteine,
nella loro veste di enzimi. Tuttavia l'enzima più importante del ribosoma è un "ribozima", cioè un enzima costi-
tuito da RNA. Ed essendo usato da tutte le forme viventi, il ribosoma è probabilmente un retaggio del mondo a
RNA.
Tuttavia la molecola autoreplicante del mondo a RNA si è persa nella notte dei tempi. "Il meglio che possiamo
fare è costruire in laboratorio una molecola sosia, per studiarne le proprietà e capire che cosa è accaduto quattro
miliardi di anni fa", conferma Holliger. "L'autoreplicazione, sommata all'ereditarietà, rappresenterebbe la transi-
zione dal mondo della chimica a quello della biologia", ribadisce. Finora Holliger ha creato un enzima costituito
da 200 lettere di RNA capace di leggere e di scrivere brevi frammenti di RNA, inclusa la propria sequenza di nu-
cleotidi. L'obiettivo è far copiare a questo enzima a RNA la sua intera sequenza.
Errori di copiatura, le cosiddette mutazioni, potrebbero migliorare un RNA, ossia renderlo più rapido e accurato
nella replicazione. E con una fonte limitata di risorse ambientali, sotto forma di "mattoni" di nucleotidi, è possi-
bile osservare un'evoluzione per selezione naturale. Si tratterebbe di una "selezione chimica" guidata dalla so-
pravvivenza dei catalizzatori più efficienti.
La prima cellula
II passo successivo nella ricostruzione della vita è creare una cellula. Le membrane cellulari sono composte di
lipidi ovvero grassi: molecole con una testa idrofila (affine all'acqua) e una coda lipoflla (affine ai lipidi). Queste
molecole formano un doppio strato lipidico, dove le parti lipoflle delle molecole si affacciano fra loro e formano
la farcitura oleosa di un "sandwich" idrofilo. Come accade con le goccioline di olio nell'acqua, i gruppi chimici
affini all'acqua si raggruppano e si autoassemblano spontaneamente formando una "vescicola", una sfera immer-
sa nell'acqua e che contiene acqua al suo interno. Se, poi, all'interno della bolla lipidica è contenuto l'RNA, a-
vremo creato una cellula primitiva, una "protocellula".
Studiare il comportamento dell'RNA racchiuso in queste protocellule ci ha permesso di capire alcune cose molto
interessanti sui precursori della vita. Collaborando con un pioniere delle protocellule come Jack Szostak, la bio-
fisica Irene Chen, dell'Università di Harvard, ha scoperto che le protocellule di RNA si rigonfiano quando l'RNA
si replica.
Le membrane "fanno acqua", sono cioè permeabili a molecole piccole, come i nucleotidi. Ma una volta che que-
ste molecole sono entrate, vengono allineate e legate per formare lunghe catene di i RNA, troppo grandi per usci-
re di nuovo, i E poiché le molecole di RNA hanno una I carica elettrica negativa, l'attrazione ! elettrostatica attira
nella cellula piccoli ! ioni carichi positivamente. A quel punto, : l'acqua segue gli ioni per osmosi e la i cellula si
rigonfia. Abbiamo scoperto che l'RNA ! traduceva la propria crescita I direttamente nella crescita della cellula ]
intera. Non è necessario aggiungere I enzimi o altre molecole al sistema: è la I semplice conseguenza di proprietà
fisiche i e chimiche", spiega la Chen. Le cellule \ che sfruttano le risorse per crescere più ! rapidamente avrebbe-
ro la meglio sulle i loro compagne. È una prima forma di selezione naturale. \ Tuttavia alcuni scienziati dubi-
tano i che riprodurre la vita in laboratorio ci racconterà la storia completa delle origini.

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"Anche se oggi facessimo un esperimento in cui, partendo da i sostanze chimiche, ottenessimo per I sintesi una
nuova vita, non sarebbe 1a dimostrazione che la vita è nata proprio così. Piuttosto avremmo un racconto i che la
renderebbe più plausibile", dice Bill Martin, biologo evoluzionista i all'Università di Diisseldorf in Germania.
Martin aggiunge che la teoria della vita emergente da un brodo primordiale pieno di molecole organiche ha fatto
il suo tempo. "Il brodo organico è una teoria che circola da 80 anni, prima che si avesse la più pallida idea di
come le cellule ricavano l'energia", puntualizza.
Le opinioni dei ricercatori discordano sulla fonte degli ingredienti del brodo. Si presume che qualsiasi sostanza
vada bi per riempire il brodo. Mancano le prove che tale brodo sìa mai esistito. Questo è il problema", afferma
Nìck Lane, biochimico allo University College London.
Scambio dì energia
Mentre molti fautori del "mondo a RNA" pensano che l'RNA sia nato per primo e abbia evoluto la capacità di
consumare molecole organiche già presenti nel brodo, altri colleghi credono invece che le cellule dovettero pri-
ma imparare a produrre molecole organiche e a generare l'energia attraverso il metabolismo. Per i difensori della
teoria dell'origine della vita "metabolica", come Lane e Martin, gli organismi potevano evolversi solo se l'am-
biente conteneva un sistema per generare l'energia necessaria a dirigere le reazioni chimiche del metabolismo.
In tutte le cellule attuali che contengono un nucleo e usano l'ossigeno, l'energia è generata dai mitocondri. Queste
strutture - vere centraline energetiche della cellula - generano l'energia mediante il movimento di atomi carichi
elettricamente (ioni) attraverso la membrana, i quali creano un gradiente elettrochimico tra l'interno e l'esterno
della membrana.
Immaginate una diga idroelettrica: la pressione creata dalla presenza di più acqua da un suo lato genera energia,
poiché l'acqua scorre attraverso una turbina. Ebbene, qualcosa di analogo accade nei mitocondri. Solo che qui al
posto dell'acqua ci sono i protoni (ioni dell'idrogeno), i quali scorrono lungo un gradiente di concentrazione (da
una zone a concentrazione elevata a una zona a bassa concentrazione) all'interno di un mitocondrio. I protoni at-
traversano una "turbina" molecolare, l'ATP sintetasi, e generano così energia.
Intanto l'ATP sintetasi usa l'energia liberata dal flusso di protoni per produrre molecole di ATP, la moneta dello
scambio di energia della cellula, spesa nelle reazioni chimiche necessarie alla vita. Una persona adulta produce
ogni giorno l'equivalente del proprio peso in ATP, riciclando ciascuna molecola più di mille volte.
E, secondo gli scienziati a favore della teoria "metabolica", sono i gradienti di protoni che hanno generato l'ener-
gia necessaria per alimentare le prime forme di vita. Viene, tuttavia, da chiedersi che cosa abbia prodotto questi
gradienti prima dell'ossigeno, delle membrane e dell'ATP sintetasi. Per rispondere al come è iniziata la vita a
partire dall'energia, è necessario anche sapere dove i gradienti già esistono.
La culla della vita
La vita è cominciata sulla terraferma o negli oceani? Nel 1871 Darwin si augurava che fosse iniziata in una "pic-
cola pozza tiepida" e il dibattito è ancora aperto. Lo scorso febbraio il fisico Armen Mulkidjanian ha ipotizzato
che, in base alla composizione ionica delle cellule attuali, la vita si sarebbe evoluta vicino a pozze geotermiche
in Kamchatki (vicino alla Siberia), pozze simili a quelle del Parco Nazionale di Yellowstone negli Stati Uniti. La
tesi è molto controversa. I critici sottolineano, infatti, che sulla Terra primitiva la terraferma era ancora scarsa
(riducendo così lo spazio potenziale per la formazione della vita) e che la pioggia avrebbe dilavato o diluiti il
contenuto delle pozze. Altre teorie prevedono grandi quantità di pietra pomice e "vulcani di fango" negli abissi,
oggi a cielo aperto in Groenlandia.
Un'altra possibilità è l'oceano, poiché gli abissi avrebbero protetto la vita primitiva dagli effetti dannosi dei raggi
U1 Fino a poco tempo fa la teoria rivale più accreditata erano le sorgenti idrotermali, "fumarole nere", formatesi
nelle fenditure dei fondali oceanici, che liberavano acqua bollente. Ma queste sorgenti hanno una vita relativa-
mente breve, sono troppo cai per la vita (400 °C) e pure troppo acide.
Il candidato principale come culla della vita sono le sorgenti idrotermali alcaline, come quelle di Lost City, una
regione di torri di pietra lungo una faglia vulcanica nell'oceano Atlantico, I minerali delle sorgenti alcaline sedi-
mentano formando dei depositi e possono crescere e formare intricate e bianche strutture simili a camini. A ren-
dere speciali queste sorgenti idrotermali è l'acqua calda che esce a temperature inferiori a 100 °C – fresca a suffi-
cienza per la vita - e il fatto che durerebbero 1OOmila anni, un tempo sufficiente per consentire alla vita di av-
viarsi. Ma l'aspetto più importante è che l'interno alcalino dei depositi idrotermali conserva un gradiente protoni-
co naturale che la vita primitiva avrebbe sfruttato per generare energia. "Un deposito idrotermale si può conside-
rare un dispositivo per catturare energia e materiali, come una fabbrica che assembla le parti sul posto, invece di
sguazzare in un brodo estremamente diluito", spiega Michael Russell, uno dei fautori dell'origine della vita nelle
sorgenti alcaline e geochimico al NASA Jet Propulsion Laboratory in California. Il gradiente di protoni è guidato
dalla differenza di acidità tra l'acqua marina e l'interno delle sorgenti. Il loro interno è alcalino, a differenza
dell'acqua marina degli oceani primitivi : che forse era leggermente acida. Un processo geologico nella crosta
terrestre (la serpentinizzazione) trasferisce un flusso costante di idrogeno, sotto forma di ioni protonici, verso
la sorgente. Così si conserva il gradiente e i protoni fluiscono verso la regione a più bassa concentrazione, Lt'ac-
qua di mare acida.L'idrogeno e i minerali sono spinti attraverso una rete di pori nel deposito idrotermale da cor-

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renti, un fenomeno che concentra le molecole in uno stesso luogo. È in questi micro compartimenti che la vita
avrebbe potuto nascere. Le pareti dei minerali tra i pori fungono
da membrana, generando un gradiente protonico tra pori adiacenti. Si comincia creando eventi chimici specìfici.
Il fatto è che prima servono dei compartimenti che contengano il frutto del lavoro chimico", spiega Russell.
Fonte di energia
Le pareti del deposito sono prive dell'ATP sintetasi, che cattura l'energia liberata dal flusso di protoni. Negli oce-
ani primitivi, invece, le pareti avrebbero dovuto essere costituite da solfuro di ferro, creando una superficie cata-
litica per lo scambio di elettroni tra molecole. Ciò ha permesso all'idrogeno delle sorgenti termali di reagire con
la CO, disciolta nell'acqua, producendo molecole organiche: in altre parole, gli inizi del metabolismo. "Sono
d'accordo con il mondo a RNA ma è qualcosa che viene dopo", puntualizza Russell.
Secondo lo scenario "metabolico", bolle di lipidi si sarebbero poi formate dentro i pori'di un deposito idrotermale
racchiudendo molecole di RXA. I pori sono circa dieci volte più grandi di un tipico microbo, uno spazio suffi-
ciente per formare le prime cellule. Ancora più tardi, il DNA si sarebbe evoluto dall'RNA e le proteine dimostra-
te enzimi migliori dell'RNA. Le proteine si sarebbero poi evolute per pompare attivamente gli ioni attraverso la
membrana permettendo alle cellule di conservare il proprio gradiente per generare energia e di abbandonare i
confini dei pori. "A mio avviso la cellula vivente e autonoma è un'entità che si replica e ricava energia dall'am-
biente usando reazioni chimiche specificate dai suoi geni", dice Bill Martin. Ma che aspetto avevano le prime
cellule? Non abbiamo le prove dal "mondo a RNA" perché la vita primitiva basata sull'RNA sarebbe stata can-
cellata dalla storia. Ma se è venuto prima il metabolismo, allora \ gli scienziati potrebbero ricavare idee da qual-
siasi antico processo metabolico I ancora usato per sintetizzare le molecole | organiche. Martin sostiene che, se i i
processi chimici fondamentali erano i all'opera quattro miliardi di anni fa, non ; c'è ragione per cui avrebbero do-
vuto i cambiare. "La vita primitiva era molto \ simile ai microbi che possiamo osservare ; ancora oggi". II tipo
più primitivo di i metabolismo, spiega Martin, è quello ; usato da microbi semplici: i metanogeni, i che produco-
no metano; e gli acetogeni, | che producono acido acetico. Così, gli ; organismi più antichi avrebbero potuto ; as-
somigliare a questi ultimi. i Gli scienziati sono d'accordo che la vita : abbia un'unica origine perché il codice :
genetico è comune a tutti gli organismi. i Ma la sequenza dei passi evolutivi verso i. la prima cellula rimarrà per
sempre i controversa. Come spiega Martin, I "nella biologia evoluzionista è sempre : una questione di colmare
dei divari. Il -- divario tra noi e gli scimpanzè è minimo. : E possiamo anche figurarci il cammino a : ritroso: ai
pesci, alle spugne e agli animali ; più semplici. Ma la transizione che da i anidride carbonica, acqua e rocce sulla
i Terra primitiva conduce agli esseri viventi i è molto complicata. Sappiamo che succede. j Ma la domanda non
è'se'. È'come'".

JV Chamary è biologo e features editar di BBC Science UK


PER SAPERNE DI PIÙ: http://bbc.in/LifeEarth
La storia della vita sulla Terra su BBC Nature

Appendice n. 2

Ho voluto mettere a confronto il testo che presenta un libro di padre Amorth, no-
to esorcista. Io non faccio commenti, lascio a voi il piacere di confrontare i due
argomenti e di trarre le relative conclusioni

Da Panorama n. 7 – febbraio 2012


SATANA IN VATICANO
Gli indemoniati salvati da Benedetto XVI e
da Giovanni Paolo II.
di Gabriele Amorth e Paolo Rodari

(«Vattene tu, prete! Mi sono ribellato a Dio perché sono il più forte. E voi dovete tutti ado-
rarmi proprio perché sono il più forte, lo sono il Signore)

Mille storie di «ordinaria» possessione e due esorcismi davvero straordinari: Panorama anticipa un brano
di «L'ultimo esorcista» (Edizioni Piemme, 266 pagine, 16,50 euro), dove si descrivono un rito eseguito da
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Joseph Ratzinger, nel maggio 2009, e uno di Karol Wojtyla. Scritto da padre Gabriele Amorth e Paolo Ro-
dari, il libro esce il 7 febbraio.
Fa caldo in piazza San Pietro. La primavera è oramai inoltrata.
Il sole picchia sulla piazza dove una folla di fedeli aspetta il Papa. È mercoledì, il giorno dell'udienza gene-
rale. I fedeli sono arrivati da tutto il mondo. Dal fondo della piazza entra un gruppetto di quattro persone
Due donne e due giovani uomini. Le donne sono due mie assistenti. Mi aiutano durante gli esorcismi, pre-
gano per me e per i posseduti e assistono per quanto è loro possibile i posseduti nel loro lungo e difficile
percorso di liberazione. I due giovani uomini sono due posseduti. Nessuno lo sa. Lo sanno soltanto loro e le
due donne che li «scortano».
Quel mercoledì le donne decidono di portare i due all'udienza del Papa perché pensano che potrebbero tra-
me giovamento. Non è un mistero che molti gesti e parole del Papa facciano imbestialire Satana. Non è un
mistero che anche la sola presenza del Papa inquieti e in qualche modo aiuti i posseduti nella loro battaglia
contro colui che li possiede. I quattro si avvicinano verso le transenne in prossimità del palco da dove Be-
nedetto XVI di lì a poco è chiamato a parlare. Le guardie svizzere li fermano. Non hanno i biglietti per pro-
seguire oltre. Le due donne insistono. È importante per loro riuscire a portare i due posseduti il più possibi-
le vicino al Papa. Le guardie svizzere non ammettono deroghe e intimano loro di allontanarsi. Così una del-
le due donne fa finta di sentirsi male. La sceneggiata ottiene un risultato.
I quattro vengono fatti accomodare nei posti riservati ai disabili.
“Avete visto Giovanni e Marco?” chiedono le due donne ai posseduti
“Ce l’abbiamo fatta. Tra poco arriverà i1 Papa e noi siamo qui vicini a lui.
I due non parlano. Sono stranamente silenziosi.
È come se coloro che li possiedono ( Si tratta di due demoni diversi) stanno incominciando a capire
Che di lì a poco arriverà in piazza.
Suonano le 10. Dall’arco delle campane, il portone a fianco della basilica vaticana esce una jeep bianca.
Sopra tre uomini. Un guidatore, il Papa in piedi e, seduto al suo fianco, il suo segretario particolare monsi-
gnor Georg Gànswein. Le due donne si girano verso Giovanni e Marco. Istintivamente li sorreggono con le
braccia. I due infatti, iniziano ad avere comportamenti strani. Giovanni trema e batte i denti. Le due donne
capiscono che qualcuno sta cominciando ad agire nel corpo di Giovanni e di Marco. Qualcuno che col pas-
sare dei minuti si mostra sempre più agitato «Giovanni mantieni il controllo di te stesso» dice una delle due
donne. «Non farti sopraffare. Reagisci. Mantieni il controllo».
L’altra donna dice le stesse panie a Marco. Giovanni m sembra ascoltare le parole della donna. Salvo,
d’improvviso. girarsi e dirle con voce lenta e che sembra venire da non si sa quale mondo: «Io non
sono Giovanni». La donna non dice più nulla. Sa che con il diavolo solo un esorcista può parlare. Se lei
lo facesse sarebbe molto rischioso. Così rimane in silenzio e si limita a sostenere il corpo di Giovanni.
Ora completamente in mano al demonio. La jeep gira per tutta la piazza. I due posseduti si piegano
per terra. Battono ìa testa per terra.
Le guardie svizzere li osservano ma non intervengono. Sono forse abituate a scene del genere? Forse
sì.
Forse altre volte hanno assistito alle reazioni dei posseduti davanti al Papa. La jeep compie un lungo
percorso. Poi arriva in cima alla piazza, a pochi metri dal portone della basilica vaticana.
Il Papa scende dall'auto e saluta le persone poste nelle prime file Giovanni e Marco, insieme, iniziano
a ululare. Sdraiati per terra ululano. Ululano foltissimo. «Santità, santità, siamo qui!» urla al Papa una
delle due donne cercando di attirare la sua attenzione. Benedetto XVI si gira ma non si avvicina. Vede
le due donne e vede i due giovani uomini per terra che urlano, sbavano, tremano, danno in escande-
scenze. Vede lo sguardo d'odio dei due uomini. Uno sguardo diretto contro di lui. Il Papa non si
scompone. Guarda da lontano. Alza un braccio e benedice i quattro. Per i due posseduti è una scossa
furente. Una frustata assestata su tutto il corpo. Tanto che cadono 3 metri indietro, sbattuti per ter-
ra. Adesso non urlano più. Ma piangono, piangono, piangono. Gemono per tutta l'udienza. Quando
poi il Papa se ne va, rientrano in se stessi. Tornano se stessi. E non ricordano nulla. (...).
arol Wojtyla si sa che fece diversi esorcismi in Vaticano. Una prima volta è il 27 marzo 1982. L'allora ve-
scovo di Spoleto, Ottorino Alberti, gli porta una giovane donna, Francesca Fabrizi, che al vederlo si mette a
gridare, a rotolarsi per terra, incurante che il Papa intimi più volte al diavolo di uscire da lei. Si quieta di
colpo solo quando Giovanni Paolo II le dice: «Domani dirò messa per te». Qualche anno dopo la donna to-
ma dal Papa col marito, tranquilla, felice, in attesa di un bambino. «Non avevo mai visto una cosa simile»
confida il Papa al suo prefetto di casa, il cardinale Jacques Martin. «Una vera scena biblica». Un altro te-
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stimone, che conferma l'accaduto, è padre Saldino, parroco della chiesa dì Santa Assunta di Cesi. «L'inde-
moniata ha 22 anni» dice «È un caso disperato e difficilissimo. Quando subisce l'esorcismo del Pontefice si
placa. Oggi Francesca è felice. Si è sposata, non vive più a Cesi. Ha due bellissimi bambini».
Ma l'esorcismo più duro fatto da Wojtyla credo sia stato quello su Sabrina. È una giovane donna che non ri-
siede nel Lazio. Viene tutti i mercoledì a Roma per farsi esorcizzare da me. Un mercoledì decide di andare
in piazza San Pietro e partecipare all'udienza del Papa. Quando Giovanni Paolo II arriva in piazza, lei inizia
a urlare. Devono tenerla in 10. Vuole scaraventarsi addosso al Papa. Il suo viso è pieno di
odio. Sbava. Bestemmia. Il corpo freme. È una belva pronta all'assalto. L'udienza finisce e coloro che ac-
compagnano Sabrina sono sfiniti. 11 Papa durante l'udienza nota questa donna. Sente le sue urla. Così s'in-
forma su chi sia e dice al suo segretario don Stanislaw Dziwisz di portargliela. La macchina del Papa rien-
tra dall'arco delle campane e si ferma poco avanti, a fianco della basilica dove i fedeli non possono vedere
né avvicinarsi. Sabrina viene trascinata lì. È in trance Gli occhi sono due orbite bianche. Sbava e piega la
testa all'indietro. Appena viene portata vicino al Papa inizia a urlare e a tremare. «No, no, lasciami stare.
Lasciami stare» urla. Il Papa le fa un esorcismo sul posto. La benedice più volte. E poi la lascia andare.
Nel pomeriggio Sabrina viene portata da me. Capisco subito che è ancora posseduta. La sua, infatti, è una
possessione profondissima. Radicata. Inizio l'esorcismo. Sabrina è particolarmente agitata. Non deve essere
stato facile per il demonio affrontare il Papa. Infatti capisco subito che è furente. Vuole dimostrare di co-
mandare ancora. Inizio le preghiere e dico: «Vattene, spirito immondo. Vattene». «Vattene tu, prete» mi ri-
sponde. «Perché sei in questa donna? Perché ti sei ribellato a Dio e sei divenuto un dannato? Perché? Ri-
spondi nel nome di Cristo!». «Mi sono ribellato perché sono il più forte. Dovete tutti adorarmi proprio per-
ché sono il più forte. Io sono il Signore».
Il dialogo continua con un botta e risposta durissimo. Il diavolo è infuriato per l'incontro con il Papa ma
nello stesso tempo si sente forte perché l'esorcismo di Giovanni Paolo II non è riuscito a sconfiggerlo. Si
sente forte e vuole dimostrarmi di essere tale. Sabrina si alza dalla sedia dove l'ho accomodata. Si dirige
verso di me. Mi supera di lato senza guardarmi. Va diritta verso la parete dietro me. E orizzontalmente,
come fosse la cosa più naturale di questo mondo, si mette a camminare sul muro in direzione del soffitto.
Cammina contro ogni legge di gravita. È una cosa naturale per lei. E poi scende come se nulla fosse. Resto
senza parole. Finisco l'esorcismo. Sabrina non è ancora libera. Le chiedo: «Sabrina, cosa ricordi della gior-
nata di oggi?». «Niente» mi risponde. «Non ricordo assolutamente niente». Sabrina torna da me per tanti
anni ancora. Tanto tempo ci vorrà per liberarla completamente. Ma sono convinto che, in qualche modo,
l'esorcismo fattole da Wojtyla abbia lasciato un segno in lei. Nel corso del suo lungo pontificato Giovanni
Paolo II ha lottato diverse volte contro Satana. E la sua battaglia continua anche oggi che è morto. Infatti
Giovanni Paolo II è presente ancora oggi durante molti esorcismi. Faccio un esempio. Una volta una posse-
duta mi ha detto: «Mentre mi esorcizzavi ho visto di fianco a te Giovanni Paolo II. Tu non te ne sei accorto,
ma mi stava esorcizzando assieme a te». •

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