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L’opera seria nel Settecento: sistema produttivo, forme e diffusione.

L’intermezzo e l’opera comica a Napoli. Le “Compagnie di giro”, la


diffusione del nuovo genere e le sue trasformazioni.
Opera seria fra Sei e Settecento: L’opera era largamente diffusa, ogni città aveva una
sua stagione operistica. Al Sud manca il tessuto imprenditoriale del Nord, sebbene la
maggior parte dei compositori provenisse dal Meridione. Il teatro divenne una
consuetudine imprescindibile: i nobili si recavano a teatro ogni sera per divertimento.
Durante l’opera cenavano e parlavano fra di loro, prestando poca attenzione allo
svolgersi delle azioni. Ciò accadeva anche perché spesso i nobili assistevano alla stessa
rappresentazione più di una volta e quindi conoscevano già la storia. Si sentivano in
diritto di esprimere approvazione e disapprovazione verso lo spettacolo perché erano i
veri finanziatori. Se un’opera non era gradita si provvedeva a sostituirla con una già
eseguita prima o modificandola creando un pasticcio per compiacere il pubblico. L’opera
non era verosimile: all’aristocratico interessava immedesimarsi con un regno fantastico,
in cui domina l’arte. Gli interessa non il cosa viene rappresentato, ma come viene
rappresentato: dato che si assisteva allo stesso spettacolo per diverse sere, bisognava
presentare la storia e le musiche in modo sempre nuovo al fine di ravvivare l’interesse
dello spettatore. Questo spiega la predilezione per l’aria col “da capo” in cui il cantante
cantava la prima strofa e la ripresentava alla fine riccamente variata. Il libretto: doveva
avere il lieto fine, in versi, vicende tragiche. Molto inverosimile: i dialoghi quotidiani sono
in prosa, non sempre c’è un lieto fine. La voce del protagonista maschile doveva
emergere, pertanto si utilizzano i cantanti evirati. Anche per i personaggi secondari non
si utilizza il registro grave. Predominanza delle arie sui recitativi: le prime virtuosistiche,
i secondi declamatori. Il pubblico si recava in teatro solo per ascoltare le arie. I personaggi
si spostano innaturalmente da un affetto all’altro. Tempo irregolare: l’inverosimiglianza
è data anche dall’aspetto musicale dell’opera: nei recitativi il tempo della storia e il
tempo e il tempo rappresentato coincidono, mentre nelle arie (in numero maggiore) il
tempo rallenta fino a fermarsi. L’aria non rappresenta però in totale arresto del tempo:
rappresenta le riflessioni dei personaggi, nascono da un recitativo e danno l’input per
l’altro. Uso della realtà ingannevole: la realtà presentata all’inizio dell’opera è smentita
nel suo corso, presenza di agnizioni.
Compositori di opere: I librettisti incidono maggiormente sul carattere dell’opera:
recitativi e arie sono già segnalati sul libretto. Napoli si afferma come maggior centro per
i compositori di opere: vi giunge la troupe dei Febiarmonici. Nascono i conservatori, nove
studiano e insegnano i maggiori operisti del tempo. Alessandro Scarlatti: lavora fra Napoli
e Roma, scrive oratori, cantate da camera, opere, pasticci. 1710: gli operisti napoletani
emigrano altrove perché in altre città guadagnavano di più. Nei primi 20 anni (ancora
non predominanza napoletana): Gasparini, Vivaldi, Hasse. Dal 1750: predominanza
napoletana: Leo, Porpora, Vinci, Hasse, Pergolesi, Piccinni. Non napoletani: Galuppi,
Sarti. L’opera italiana (e napoletana) attecchisce in tutta Europa tranne che in Francia.
Intermezzi: fra gli atti di un’opera seria si rappresentavano scene buffe (vecchia serva
innamorata di un paggio ad esempio). I personaggi buffi avevano anche una funzione
seria. Con il passare del tempo scene buffe e serie si divisero completamente, abolendo
le interferenze fra le trame. La separazione è dovuta alla specializzazione dei cantanti,
che quindi cantavano o solo opere serie o solo scene buffe. Le scene buffe erano
collocate a fine atto e verso la fine del terzo, avevano la funzione di distrarre il pubblico
dall’armeggiare dei macchinisti sul palco durante i cambi di scena, erano rappresentate
sul proscenio. Nei primi anni del ‘700 avvenne la separazione completa delle scene buffe
dall’opera seria, non esistevano più legami: nascono gli intermezzi, che ereditano la
collocazione delle scene buffe. Albinoni, Gasparini: primi compositori di intermezzi. I
personaggi erano due. Presenza di un recitativo secco e di un’aria per entrambi i
personaggi. Anche gli intermezzi avvenivano sul proscenio perché non erano necessarie
scenografie. Musica: Gli strumentisti avevano un importante ruolo, sottolineavano le
battute dei personaggi. I cantanti impiegati erano tenore, basso, non più soprano o
evirati. La voce maschile imitava a mo’ di battuta quella femminile. Abbandono del
contrappunto in favore della polarizzazione melodia-basso. Diffusione che ricalca la
storia dell’opera del ‘600: all’inizio del ‘700 coppia buffa reclutata fra il personale del
teatro, dal 1715 girovaga stabilmente unita, poi libera circolazione dei solisti. Negli
intermezzi si fa satira sugli aristocratici, sul sistema operistico. A Napoli non attecchì
subito per la fama di cui godevano i cantanti e perché i cantanti seri erano pagati di più.
Metastasio scrive un intermezzo per un suo dramma: L’impresario delle Canarie, inserito
in Didone abbandonata, musicato da Sarro. Dopo questo a Napoli si compongono molti
intermezzi: Scarlatti, Leo, Hasse. A Napoli si invertono i ruoli dei personaggi: giovane
donna che si innamora di un ricco uomo, che riuscirà a sopraffare con l’astuzia o con
un’agnizione. Dagli anni 30 del Settecento gli intermezzi diventano autonomi. Gli
intermezzi entrano nei teatri di corte, dove perdono le caratteristiche di semplicità.
Commedia per musica napoletana: Genere già esistente di carattere comico. Nascita
delle commedie per musica contemporanea a quella degli intermezzi. Vero e proprio
spettacolo comico in dialetto napoletano, in italiano per i personaggi un po' più “seri”.
Protagonisti personaggi di basso ceto, generalmente una coppia amorosa di giovani.
Punti di contatto con il dramma per musica: tre atti, alternanza aria (spesso col “da
capo”) -recitativo (pezzi d’assieme più frequenti che nell’opera seria), presenza di
intermezzi o balli fra un atto e l’altro. Numero maggiore di personaggi rispetto agli
intermezzi. Manca la satira verso l’opera e l’aristocrazia. Musiche di Scarlatti, Vinci, Leo,
Pergolesi.

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