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DIRITTO PENALE
LEZIONE XVI
“ I L TE N TA TI V O ”
Indice
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Università Telematica Pegaso Il tentativo
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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commettere una rapina, anziché, come di regola, per affettare il pane o per spalmarvi la nutella. Il
legislatore deve, perciò stabilire quali fra gli atti compiuti dall’agente, se idonei, possono rilevare
ai fini del tentativo: deve cioè individuare un momento nell’iter criminis, a partire dal quale
può configurarsi il tentativo di un determinato delitto.
Sono penalmente irrilevanti a titolo di tentativo gli atti preparatori, cioè gli atti che
abbiano un carattere strumentale rispetto alla realizzazione, non ancora iniziata, di una figura di
reato: tali atti potranno rilevare solo se integrano una figura di reato a sé stante.
• Già il tenore letterale dell’art. 56 c.p. pone in evidenza che l’inizio
dell’attività punibile coincide con l’inizio dell’esecuzione della fattispecie
delittuosa. Il requisito dell’univocità degli atti esprime una caratteristica
oggettiva della condotta: gli atti devono di per sé rilevare che l’agente ha
iniziato a commettere un determinato delitto. Possono infatti uscire
all’equivoco ed essere diretti verso un determinato delitto solo gli atti che
rappresentino l’inizio di esecuzione di quel determinato delitto.
• Questa lettura dell’art. 56 c.p. trova conferma, sul piano sistematico nel
disposto dell’art. 115 c.p., il quale considera non punibili sia l’accordo sia
l’istigazione che abbiano per oggetto la commissione di un delitto, che poi
non venga commesso.
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misura di sicurezza in caso di accordo per commettere un delitto e in alcuni casi di istigazione a
commettere un reato. D’altro lato, eccezionalmente l’ordinamento prevede come reati a sé stanti
una molteplicità di atti preparatori di altri reati. Si noti che le figure delittuose che danno
autonoma rilevanza agli atti preparatori non tollerano che la soglia della punibilità sia ulteriormente
spostata all’indietro: tali reati non ammettono dunque il tentativo.
Una parte della giurisprudenza ritiene che sia configurabile il tentativo anche quando siano
realizzati atti meramente preparatori. Nella giurisprudenza della Corte di cassazione la tesi della
rilevanza dei soli atti esecutivi è stata a lungo minoritaria. Tuttavia, una svolta sembra intervenuta
di recente, con una sentenza corredata da un’ampia motivazione aderente all’orientamento della
Corte costituzionale e alle tesi della dottrina.
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A favore del giudizio di idoneità come giudizio pronognostico a base totale sembra parlare
anche un’altra disposizione del nostro codice, l’art. 49 co. 2, che, sotto la rubrica “reato
impossibile”, stabilisce che “la punibilità..è esclusa quando, per la idoneità dell’azione o per la
inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso”: dopo aver escluso la
punibilità, la norma all’ultimo comma, soggiunge peraltro che “il giudice può ordinare che
l’imputato prosciolto sia sottoposto a misura di sicurezza”. La mancata esposizione a pericolo del
bene può essere dovuta a fattori impeditivi non conoscibili ex ante, come l’inesistenza dell’oggetto
materiale(deve trattarsi di inesistenza assoluta, non di occasionale assenza), ovvero l’inidoneità
dell’azione(che si verifica quando un ostacolo inopinato paralizza l’efficacia causale dell’azione).
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Sia nella rubrica, sia nel testo dell’art. 56 c.p. si parla di “delitto”, mentre non si dice nulla
circa il criterio di imputazione soggettiva della responsabilità: per individuare tale criterio, come si
è anticipato, si deve dunque fare riferimento alla regola generale dettata per i delitti nell’art. 42 co. 2
c.p., dalla quale si ricava che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come
delitto(tentato) se non l’ha commesso con dolo”. Nella sfera del tentativo, in assenza di un’apposita
previsione legislativa, nessuno spazio compete dunque alla responsabilità per colpa.
Oggetto del dolo nel tentativo è la realizzazione del corrispondente delitto consumato: sotto
il profilo dell’oggetto del dolo, non c’è dunque differenza tra delitto tentato e delitto consumato.
Potrà dunque rispondere di tentato omicidio a titolo di dolo eventuale chi, fuggendo dal luogo in
cui ha commesso una rapina, spari in direzione degli inseguitori per farli desistere
dall’inseguimento: spari cioè non al fine di uccidere, ma la fine di sottrarsi alla cattura, accettando
però l’eventualità che una pallottola raggiunga e uccida una delle guardie giurate lanciate al suo
inseguimento.
Ciò che l’agente deve voler realizzare, per la sussistenza del dolo di tentativo, è un fatto
concreto, che integri un modello di fatto descritto da una norma incriminatrice di parte speciale. Il
fatto realizzato costituisce reato solo nella mente dell’agente: si tratta di un reato putativo per
errore di fatto.
In relazione alla configurabilità del tentativo, bisogna distinguere tra reati omissivi propri e
reati omissivi impropri.
Per i reati omissivi impropri è pacificata la configurabilità del tentativo. L’inizio
dell’omissione punibile ex art. 56 c.p. si ha quando il mancato compimento dell’azione aumenta il
pericolo che il garante ha l’obbligo giuridico di neutralizzare per impedire che si verifichi l’evento.
Elemento caratteristico dei reati omissivi propri è sempre il mancato compimento di
un’azione entro un termine, che la legge fissa talora in modo puntuale, talora con una certa
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approssimazione; ne seguirebbe che prima della scadenza del termine non vi sarebbe spazio per
alcuna responsabilità penale, perché nessun obbligo è stato ancora violato, mentre una volta scaduto
il termine il reato omissivo sarebbe consumato. Piuttosto, uno spazio per la configurabilità del
tentativo può individuarsi in ipotesi in cui il soggetto non sfrutti il primo momento utile per
adempiere all’obbligo di agire, ma conservi una chance ulteriore per adempiere a quell’obbligo.
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Il recesso attivo
Nei reati di evento, oltre alla desistenza volontaria, la legge dà rilievo ad un comportamento
dell’agente tenuto dopo aver completato l’azione o l’omissione: e cioè al volontario impedimento
dell’evento. Si parla in proposito di recesso attivo dal delitto tentato. Quanto alla volontarietà, tale
requisito del recesso attivo va ricostruito negli stessi termini a proposito della desistenza.
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Delitti di attentato
Alla categoria dei reati a consumazione anticipata appartengono in primo luogo i delitti di
attentato, caratterizzati dalla presenza, nella rubrica, della parola “attentato”, ovvero, nel testo
della norma incriminatrice, di formule quali: “chiunque attenta a..”, “chiunque commette un fatto
diretto a..”, “chiunque compie atti..diretti e idonei a..”, “chiunque...commette un fatto diretto e
idoneo a ..”. Secondo un orientamento unanime in giurisprudenza e dominante in dottrina, i delitti
di attentato presentano entrambi i requisiti strutturali del tentativo: l’inizio di esecuzione e
l’idoneità degli atti esecutivi. La coincidenza tra la struttura dei delitti di attentato e quella del
tentativo comporta che i delitti di attentato non ammettono il tentativo: il minimo necessario per dar
vita a un tentativo è già sufficiente per la consumazione.
Tra i reati a dolo specifico – tutti caratterizzati dalla presenza di una finalità la cui
realizzazione non è necessaria per la consumazione del reato e tutti identificati da formule come “al
fine di”, “allo scopo di”, etc. – bisogna operare una distinzione in due gruppi: reati a dolo specifico
nei quali l’evento perseguito dall’agente non è dannoso né pericoloso e reati nei quali invece è un
evento offensivo di beni giuridici protetti dall’ordinamento. Con riferimento al secondo gruppo di
reati a dolo specifico si pone il problema se costituiscono altrettante ipotesi di delitto tentato punite
come reati a sé stanti.
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Dal momento che il tentativo non è configurabile in tutte le ipotesi in cui atti preparatori
sono elevati a reati a sé stanti, ne consegue che anche i reati a dolo specifico caratterizzati dal
perseguimento di un evento offensivo di beni giuridici non ammettono il tentativo.
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