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IL FALLIMENTO DEGLI ERODIANI INDIAN?

- Nunziante Mastrolia -

Se nell’analisi dello scenario internazionale si tengono in considerazione soltanto le forza di


natura politica, economica, militare e tecnologica si rischia di non cogliere un aspetto molto
importante e utile da considerare per comprendere cosa sta accadendo.
Altre possenti forze, infatti, sono in azione. Sono forze quelle di natura culturale, psicologica
e sociale, e stanno condizionando nel profondo paesi come la Russia, la Turchia, la Cina e di recente
anche l’India.
Per cercare di comprendere la natura e l’orientamento di queste forze, è necessario rifarsi alla
riflessione del grande storico britannico Arnold Toynbee e ai suoi studi sullo scontro delle civiltà,
vale a dire lo scontro tra il mondo e l’Occidente, “l’evento capitale della storia moderna”1.
Prima di procedere oltre però è bene, anche se in maniera velocissima, cercare di capire quali
siano le cause del miracolo occidentale. Sembra una domanda di una complessità unica, eppure così
non è: dopo che il velo di nebbia della cultura marxista è stato spazzato via, è anzi abbastanza
semplice rispondere.
La causa del miracolo occidentale è dovuta alla creazione, lunga, lenta e faticosa, di una
particolare struttura istituzionale – la cosa era chiara già a Polibio e poi a Machiavelli - che ha
imbrigliato l’arbitrio del potere e tutelato, con la forza del diritto, le libertà individuali e l’autonomia
del mercato e della società civile, a petto dello Stato. Tali libertà e tali autonomie hanno consentito
agli individui di dare libero sfogo alla propria creatività, alle proprie ambizioni, alla libera ricerca
delle felicità. Il che vuol dire che la fonte della ricchezza occidentale, capovolgendo la diade
marxiana, è dovuta ad una particolare sovrastruttura istituzionale che ha difeso e nutrito la libertà e
con essa la creatività e l’intelligenza degli esseri umani.
A partire dalla seconda metà del XV secolo, dunque, i paesi dell’Europa occidentale iniziano
a rompere in confini nei quali erano rimasti fermi per secoli e a debordare in ogni angolo del pianeta.
La civiltà occidentale infatti è “dotata di una potenza radioattiva fuori dal comune” che “ha
letteralmente assediato le altre civiltà: ponendole di fronte alla drammatica scelta di farsi inondare o
di rimanere in un povero assedio”2. Anzi costringe “tutte le altre civiltà a rispondere in qualche modo
alla sfida, pena la loro degradazione dal rango di colonie”3.
Di fronte alla necessità di scegliere tra una mimetizzazione con la cultura occidentale o
l'estinzione, le reazioni possono essere essenzialmente due. Può nascere un “partito erodiano”, cioè
il partito di coloro che assumono un atteggiamento opposto a quello degli “zeloti”: anziché rifiutare
ostinatamente la cultura aliena, gli erodiani si fanno sostenitori di una intenzionale e programmata
acculturazione. Essi, per impedire la colonizzazione imposta, si prodigano per stimolare una sorta di
autocolonizzazione” 4 controllata. Tentano cioè, l’esperimento fu fatto dall’Impero cinese nella
seconda metà dell’Ottocento: secondo il principio del “sapere occidentale come mezzo, il sapere
tradizionale come fondamento” si tentò di innestare in funzione subordinata sul corpo della tradizione

1 A. Toynbee, Il mondo e l’Occidente, Sellerio, Palermo, 1993, p. 9


2
L. Pellicani, Modernizzazione e secolarizzazione, Il Saggiatore, Milano, 1997, pag. 142
3
L. Pellicani, La genesi del capitalismo, op. cit., pag 7
4
L. Pellicani, Jihad, Luiss University Press, Roma, 2004, pag 22. “senonché – continua Pellicani, delineando la figura
del partito degli zeloti – tale autocolonizzazione non può non apparire, allo sguardo degli zeloti, la strada maestra che
conduce all'annientamento delle specificità spirituali del loro mondo. Di qui l'inevitabile lotta tra modernizzatori e
tradizionalisti. Per i primi la salvezza può essere conseguita solo andando a scuola della civiltà moderna per carpirne il
segreto della sua potenza; per i secondi, alla rovescia, tutto ciò che viene dall'esterno è come un veleno per le tradizionali
forme di vita, perciò essi ritengono che non c'è che un modo per evitare la catastrofe culturale espellere l'invasore e
chiudere ermeticamente le frontiere, di modo che nulla e nessuno possa inquinare e corrompere il loro macrocosmo”, p.
22
imperiale cinese alcuni elementi della cultura occidentale in grado di rafforzare il proprio paese e
metterlo nelle condizioni di scacciare gli invasori, vale a dire gli occidentali. Non a caso l’esperimento
cinese prese il nome di movimento dell’Autorafforzamento.
A tale riguardo, scrive Toynbee, “Erodiano è chi agisce in base al principio che il modo più
efficace di salvaguardarsi contro il pericolo dell'ignoto è quello di impadronirsi del suo segreto: e
quando l'Erodiano si trova a dover affrontare un avversario più altamente abile e meglio armato di
lui, risponde mettendo da parte il suo tradizionale metodo di guerra ed imparando ad usare contro il
nemico le stesse armi e la stessa tattica sue”5. Lo Zelota, al contrario, “tenta di ricoverarsi nel passato,
come uno struzzo vuole nascondersi a chi lo insegue affondando la testa nella sabbia”6.
Una civiltà che imbocca la via erodiana, quindi, tenta un innesto di quegli elementi della
cultura altra che vengono ritenuti utili, poiché appaiono quale “il segreto della sua potenza”7 necessari
per rinsaldare e rafforzare la propria cultura in modo da avere la meglio sulla cultura esterna: è un
tentativo di acculturazione controllata che ha come fine, quindi, quello di reagire e sconfiggere la
cultura allogena.
Detto ciò è necessario chiedersi quale sia la scelta migliore, se quella erodiana o quella cinese.
Per farlo è necessario ricorrere alla terza legge sull’aggressione culturale elaborata da Toynbee, che
parte dall’assunto che “ogni struttura culturale storica è un tutto organico delle parti interdipendenti”8
così “(...) se da una certa cultura si sfalda una scheggia e la si introduce in un corpo sociale estraneo,
questa scheggia isolata tenderà a trascinarsi appresso, nel corpo estraneo in cui si è insediata, gli altri
elementi costitutivi del sistema sociale dove la scheggia è di casa e da cui è stata staccata
innaturalmente. La struttura infranta tende a ricostruirsi in un ambiente straniero in cui si è fatta strada
una delle sue componenti”9 Inoltre, “una volta messo in moto, il processo di acculturazione è
inarrestabile e i tentativi degli aggrediti di frenarlo non avranno altro risultato che quello di rendere
più straziante la cosa”10.
Questa è quella che lo stesso Toynbee definisce la legge di “una cosa tira l'altra”, infatti tale
processo si fermerà “solo quando tutti gli elementi essenziali della società radioattiva siano stati
impiantati nel corpo sociale della società aggredita, perché solo così la società occidentale può
funzionare perfettamente”11.
Un meccanismo, tra l'altro, già descritto da Marx nel Manifesto quando scrive che la
borghesia, e cioè il capitalismo, ergo la società aperta e quindi l'Occidente “costringe tutte le nazioni
ad adottare le forme della produzione borghese se non vogliono perire; le costringe ad introdurre nei
loro paesi la cosiddetta civiltà, cioè a farsi borghesi. In una parola, essa si crea un mondo a sua
immagine e somiglianza”12.
Le conseguenze di tale processo di trasduzione non sono di poco conto. Infatti, nelle società
tradizionali a dominare è una Tradizione percepita come sacra e immutabile, in grado di determinare
ogni aspetto della vita degli individui. Pertanto, se si consente che anche un solo elemento della
cultura occidentale penetri all’interno di una società tradizionale, tale elemento innestato all’interno
della società tradizionale, per poter funzionare, avrà bisogno di tutti gli altri elementi che
compongono la cultura da cui esso proviene. Il che significa che la società occidentale dovrà
sostituirsi in ogni aspetto alla società tradizionale. Così il destino di quella Tradione, sacra e
immutabile, che plasma le vite degli individui è segnato: dovrà ridursi al rango di folklore ad uso dei
turisti. Il che può generare un enorme dramma esistenziale, un profondo disorientamento da parte di
chi questo processo è costretto a subirlo. Tale dramma è alla base dei tentativi di combattere
l’Occidente e ricercare nel passato una purezza ormai svanita.
5
A. J. Toynbee, Civiltà al paragone, op. cit., pag. 274
6
Ivi, pag. 275
7
Ibidem
8
A. J. Toynbee, Il mondo e l'Occidente, Sellerio, Palerno, 1992, pag. 78
9
Ibidem
10
L. Pellicani, Jihad, op. cit., pag. 22
11
Ibidem
12
K. Marx e F. Engels, Manifesto del partito comunista, Meltemi Editore, Roma, pag. 33.
Se così stanno le cose, allora è evidente che, sulla base delle stesse riflessioni di Toynbee,
ogni tentativo di controllare il processo di trasfusione di elementi della cultura occidentale all’interno
di una cultura tradizionale è destinato al fallimento, dal momento che una volta attivato questo
processo avrà fine (e avrà senso) solo se il paese ospite abbandonerà totalmente la propria cultura
tradizionale per adottare il toto la cultura occidentale. Questo perchè alla modernizzazione economica
e tecnologica segue come un’ombra la modernizzazione culturale e istituzionale. O, per dirla
diversamente, per avere le ricchezze e i prodigi tecnologici dell’Occidente, i paesi in via di sviluppo
sono costretti ad adottare anche le sue istituzioni e le sue libertà, vale a dire, come si accennava in
precedenza, la vera sorgente della ricchezza e del progresso Occidentali.
Paradossalmente dunque tra l’esperimento erodiano (“il sapere occidentale come mezzo, il
sapere tradizionale come fondamento”) è destinato al fallimento e più coerente e la scelta di chi,
chiudendo ermeticamente le proprie frontiere, impedisce che il processo di trasfusione (“una cosa tira
l’altra”) si attivi.
Ora, sebbene in periodi diversi grandi paesi in via di sviluppo come la Turchia, la Cina e la
Russia hanno imboccato la via erodiana, vale a dire un processo controllato di trasfusione economica
e tecnologica, pensando che questa fosse la strada più sicura per godere di tutti i frutti dell’Occidente,
senza per questo dover abbandonare la propria identità culturale e ridurre a folklore la propria
Tradizione. Si illudevano: le ricchezze e le tecnologie occidentali non possono esistere senza le libertà
occidentali, e queste non possono perdurare senza le istituzioni democratiche; nel contempo le
istituzioni democratiche possono funzionare se difendono le minoranze, e ciò vuol dire che nessuna
visione del mondo, sia essa di natura politica, religiosa, filosofica, è più vera di un'altra. In altri
termini, la difesa delle minoranze implica il pluralismo e il pluralismo è nemico mortale di ogni
dogma, e quindi incompatibile con la Tradizione sacra su cui si fonda ogni società tradizionale.
Quando una parte del mondo politico cinese, russo, e turco ha compreso che l’apertura
all’Occidente per poter funzionare implicava di trapiantare in toto all’interno dei propri paesi non
solo il mercato, ma anche la democrazia, il pluralismo politico e religioso, nonché il primato del
diritto sull’arbitrio del potere, e quindi l’abbandono delle tradizionali istituzioni dell’antico
dispotismo asiatico, hanno invertito la rotta e sono ritornare a nutrire i vecchi sogni del passato. Di
qui la restaurazione neo ottomana di Erdogan, quella neo zarista di Putin e quella neo imperiale di Xi
Jinping. In sintesi, questi paesi hanno abbandonato il processo di modernizzazione e secolarizzazione
sul quale si erano incamminati e che li avrebbe condotti verso la società aperta popperiana ed hanno
fatto marcia indietro per ritornare verso la società chiusa nella quale per secoli erano vissuti. Ciò vuol
dire che le derive autocratiche di Russia, Cina e Turchia altro non solo che il fallimento degli erodiani
e dunque l’impossibilità di far coesistere le società tradizionali con il carattere radioattivo, e
intimamente anarchico, della società liberale occidentale.
E l’India? Spesso si dimentica che l’India moderna nasce proprio dal rifiuto di quel processo
di modernizzazione e secolarizzazione che la colonizzazione inglese aveva importato. Non a caso
quello che compare al centro della bandiera della Confederazione indiana è un telaio con il quale,
secondo l’insegnamento di Gandhi, ogni cittadino avrebbe dovuto prodursi in proprio i propri vestiti
per rendere così indipendente l’India dall’economia moderna e dall’industria tessile occidentale.
“Gandhi vide – è Toynbee che scrive – che una miriade di fili di cotone – cresciuto in India ma filato
nel Lancashire e qui tessuto in panni destinati a vestire il popolo indiano – minacciava di avvinghiare
l’India al modello occidentale in maglie di ragnatela che ben presto potevano diventare più duri a
rompersi che ceppi d’acciaio. Gandhi vide che, se gli indù continuavano a portare panni fatti in
Occidente con macchinario occidentale, ben presto avrebbero adoperato allo stesso scopo del
macchinario occidentale in India. Prima avrebbero importato dall’Inghilterra macchine filatrici e telai
meccanici; poi avrebbero imparato a costruirseli da sé; quindi avrebbero lasciato i campi per lavorare
nei nuovi cotonifici indiani e fonderie indiane; e una volta avvezzi a spendere le ore lavorative in
attività occidentali, avrebbero cominciato a dedicare le ore libere a divertimenti occidentali – cinema
muto e parlato, corse di levrieri e via dicendo – finché a un certo punto si sarebbero trovati a coltivarsi
anime occidentali dimenticando di essere indù”. Nient’altro che una cosa tira l’altra, dunque.
“Con intuizione profetica – continua Toynbee – il Mahatma vide questo seme di cotone
crescere in un grande albero che coi suoi larghi rami avrebbe ombreggiato un continente; e il profeta
indù chiese ai compatrioti di salvare la propria anima indù colpendo con la scure le radici di questo
nefasto albero occidentale. Egli diede loro l’esempio di passare ogni giorno un po’ di tempo a filare
e tessere a mano il cotone indiano, perché se ne abbigliassero corpi indiani; vedeva infatti che questa
recisione dei germinali vincoli economici fra l’India e l’Occidente era l’unico mezzo sicuro per
salvare la società indù dall’occidentalizzarsi anima e corpo”.
Gandhi tuttavia, che pure portò l’India verso la più spinta occidentalizzazione politica, vale a
dire la costituzione di un moderno stato unitario e autonomo, non fu in grado di fermare la legge di
“una cosa tira l’altra” inducendo “i suoi discepoli a seguirlo sulla strada della rigida austerità
economica che questo modo di preservare l’indipendenza culturale indiana comportava” 13.
Alla luce di quanto si è detto in precedenza è chiaro che la via che Gandhi indicava all’India
moderna era quella zelota. Una via che fu immediatamente abbandonata già con Nerhu che impose
al paese una via erodiana fatta di modernizzazione e, sebbene con molte cautele, di avvicinamento
all’Occidente.
Ora, alla luce della nuova fase politica imposta dal Narendra Modi, viene da chiedersi se anche
l’India abbia, come hanno fatto Russia, Cina e Turchia, invertito la rotta e abbandonato quella strada
che, come aveva capito Gandhi, avrebbe portato il paese alla libertà e alla prosperità, ma al costo
della inevitabile perdita dell’anima indù e di una Tradizione percepita come sacra. In altra parole,
Modi, come Gandhi, sta tentando di rompere i legami del paese con la visione del mondo occidentale
per salvare l’anima indiana, così come, illudendosi di poter portare indietro le lancette della storia,
stanno facendo Putin, Erdogan e Xi Jinping? Gli indizi che testimoniano di questa svolte sono svariati,
a partire da una costante retorica fatta di esaltazione dei valori tradizionali, di marcato nazionalismo
di stampo induista e di avversione nei confronti dei valori occidentali e del processo di
secolarizzazione insito in essi14. Il fine ultimo di questo approccio è ovviamente quello di sradicare
dall’India tutto quanto di occidentale vi è stato innestato negli decenni passati, a partire dalla struttura
istituzionale che è stata data al paese, vale a dire il suo regime repubblicano (primato del diritto,
separazione dei poteri ect) e democratico15.
Anche in India, dunque, gli erodiani sembrano aver fallito e gli zeloti stanno provano ad
ottenere una rivincita. Si spera solo che abbiano la consapevolezza che la società tradizionale che
stanno tentando di ricostruire non è una idilliaca arcadia, ma è il vecchio incubo del dispotismo
asiatico e di quella trappola malthusiana, fatta di carestie e pestilenze, che con costanza hanno
falcidiato milioni di essere umani.
L’India aspirava ad essere la più grande potenza del XXI secolo, se dovesse davvero cambiare
rotta e abbandonare la via della modernizzazione (economica, culturale e istituzionale16) vedrebbe in
poco tempo tutti i suoi sogni di gloria evaporare nel nulla.

13
A. Toynbee, Il mondo e l’Occidente, cit. pp. 82-83
14
Si veda, Shashi Tharoor, “The Modi-Erdoğan Parallel”, Project Syndicate, 7 giugno 2018. Si veda anche: Cordelia
Jenkins, “Narendra Modi: India’s strongman”, Financial Times, 15 maggio 2018.
15
Si veda, Manjari Chatterjee Miller, “India's Authoritarian Streak”, Foreign Affairs, 30 maggio 2028; Shashi Tharoor,
“An Assault on India’s Institutions”, Project Syndicate, 18 maggio 2018.
16
Si veda, Shashi Tharoor, “India’s War on Science”, Project Syndicate, 20 febbraio 2018. Dello stesso autore si veda
anche “The Two Backlashes Against Globalization”, 12 ottobre 2017.

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