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Tomba dell’Orco: uno

studio sulle gentes


etrusche
«[…] vuoi per non indispettire
un grande luminare come Mario Torelli,
vuoi per la delusione di scoprire che
una tomba gentilizia di quella importanza
apparteneva non ai blasonati Spurinas,
ma a degli anonimi Murinas […],
più nessuno ha pubblicato lavori scientifici
sulla celeberrima “Tomba dell’Orco”»
(Massimo Morandi Tarabella 2000)

Lo studio che intendo svolgere prende avvio dalla considerazione di una


tomba piuttosto famosa di Tarquinia: la Tomba dell’Orco o Tomba del
Polifemo. Lo scopo di questa ricerca è ricostruire la genealogia di una gens
etrusca partendo appunto da uno degli
ipogei dipinti (e recanti iscrizioni
genealogiche) dell’antica metropoli che
quella famiglia fece costruire per la
sepoltura dei propri membri.
La tomba (che prende il nome dal termine
latino “Orcus”, ovvero il mondo ultraterreno
oppure dall’affresco dell’accecamento del
ciclope) è situata all’interno della necropoli
dei Monterozzi, presso il moderno cimitero di
San Lorenzo. Si tratta della necropoli più
importante della città antica di Tarquinia (la
medievale e odierna Corneto), in quanto
possiede circa 6000 sepolture. Circa 200 di
queste tombe contengono affreschi che
rappresentano il più cospicuo nucleo

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 1
2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 1

1
Walter Lucci

pittorico del popolo etrusco e il più esteso documento di pittura antica prima
dell’età imperiale romana. Il fenomeno della pittura funeraria, tuttavia, non
è sconosciuto negli altri sepolcreti minori1.
La collina dei Monterozzi, lunga circa 6 chilometri, si estende parallela alla
costa, tra questa e l’altura della Civita, dove sorgeva la città antica di
Tarquinia.
Il complesso monumentale, che consta di tre ambienti comunicanti fra loro
(ricavati nel calcare), è stato individuato e scavato sul finire del 1868 in
corrispondenza della recinzione del moderno Cimitero. Esso presenta un
celeberrimo ciclo di affreschi che per qualità dell’esecuzione e per la
singolarità dei soggetti raffigurati, è unico in tutta l’Etruria, probabilmente il
capolavoro di un artista greco vissuto a Tarquinia alla metà del IV secolo
a.C. È per questo che il complesso può essere considerato l’ipogeo dipinto
più importante nell’ambito della pittura etrusca di età ellenistica 2. Purtroppo,
all’indomani della

LA TOMBA DELL’ORCO: PLANIMETRIA DEL COMPLESSO CON INDICAZIONE DI PITTURE ED EPIGRAFI

2
Banchetto con
scoperta, il monumento fu danneggiato per il tentativo
Ravnthu
di asportazione delle pitture da
Thefrinai, i due Banchetto con Velia
Murinas adulti e (Murinei) e Arnth
Serpente barbato,
CIE CIE 5354- demoni alati e la

CIE

Tuchulcha e Teseo
REE 63 seduto che gioca a

CIE 5374-

Thanatos alato e
Hypnos nudo con
recipienti su un

CIE

nuova

CIE
5360

CIE
5358
CIE CIE

CIE
Odisseo che acceca
Polifemo e il gregge CIE

Gerione, Persefone e CIE


Ade con l’accesso
all’Aldilà controllato dal CIE Agamennone, l’albero
degli eidola, l’Ombra di
CIE Tiresia e CIE
Aiace in unCIE

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 1
2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 1

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Walter Lucci

parte delle truppe francesi di stanza a Corneto. Ma parte dei soggetti


(lacunosi), possono essere senz’altro ricostruiti grazie agli apografi del
disegnatore Louis Schulz, che lavorò nei mesi successivi alla scoperta sotto
la direzione di W. Helbig (e pubblicati da questi nei “Monumenti Inediti
dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica”). Successivamente nel 1897,
per incarico dello Johansen, tavole ad acquerello furono eseguite da A.
Morani, genero di Helbig, e edite da Moltesen-Weber Lehmann (1991)3.
Il primo ambiente, denominato Tomba dell’Orco I, è cronologicamente il
più antico. Fondato verso il 380-370 a.C., presenta una camera a pianta
quadrangolare con una nicchia al centro delle pareti destra e di fondo. Il lato
sinistro, che in origine presentava sicuramente anch’esso una nicchia, fu
demolito nel corso del III secolo a.C., per collegare la camera con il resto
dell’ipogeo4. I lavori che nel III secolo a.C. portarono all’ampliamento della
tomba, determinarono anche la realizzazione di banchine per inumazioni
(oltre alle nicchie originarie) lungo il lato sinistro del primo vano (e nella
parte sinistra della parete di fondo) e sui lati lunghi del vano trapezoidale
(Tomba dell’Orco III) che collega il vano I al vano II di pianta quadrangolare
(Tomba dell’Orco II, appunto).

La Tomba dell’Orco I
Il vano quadrangolare, datato al 380-370 a.C., misura 5,14 metri di
lunghezza e 5,46 di larghezza, con un’altezza massima di 2,50 metri (a
livello del columen) e minima di 2,07 metri. È una tomba con tetto a doppio
spiovente, columen rilevato e travi trasversali anch’essi in rilievo. L’accesso
a lungo dromos è orientato a S-SO. Presenta nicchie (originariamente sui tre
lati opposti all’entrata) che misurano 2,30 metri di larghezza, 0,95 di
profondità e 1,62 di altezza5.
Le pitture della camera comprendono un fregio superiore a fascia
continua in rosso, sotto cui corre un ulteriore fregio a tralci di vite in rosso-
blu-verde. In basso, invece, abbiamo uno zoccolo chiaro continuo
sormontato da un motivo a spirale ricorrente in nero verso sinistra, su fondo
chiaro compreso fra una coppia di strisce rosse.
Le pitture figurate si
concentrano
principalmente nel settore
di fondo della tomba: nella
parete di fondo del loculo
abbiamo una scena di
banchetto su fondo verde
scuro (la nube che
identifica l’ambiente
ultraterreno), con kline
riccamente addobbata

4
(drappi e cuscini presentano disegni a
meandro), su cui è assisa una donna
(indicata dall’iscrizione come Ravnthu
Thefrinai) con tunica chiara e, accanto a lei,
un uomo (ormai non più visibile,
denominato […]urinas) e un altro uomo
barbato ([…]inas)6; in primo piano si
collocano due fanciulli stanti con tuniche
chiare
quello di sinistra con “scudo” iscritto
(secondo l’interpretazione di M. Torelli,
accettata da S. Steingräber; in realtà il
panneggio della spalla del personaggio
sovrastante centrale7), mentre quello di destra con bulla. Per quanto
riguarda le iscrizioni, la kline presenta una riga di segni alfabetici, mentre
un’altra iscrizione, la più lunga conservata (ben cinque righe di testo in
nero), corre proprio al di sopra della kline; infine, nell’angolo del
semitimpano destro (sopra la testa dell’uomo barbato), si trova un’altra
iscrizione, su una sola riga. Ai lati del banchetto sono raffigurati due alberelli
con fusto in rosso, uno spoglio (a destra), l’altro con foglie verdi (a sinistra).
Anche le pareti laterali del loculo presentano un alberello rosso con foglie
verdi. Quello di destra è conservato ed è sormontato da una iscrizione su
una riga; quello di sinistra non è più conservato ed è, quindi, ricostruito del
tutto ipoteticamente. A lato del loculo, sempre sulla parete di fondo, a
destra, è raffigurato (originariamente su entrambi i lati, probabilmente) un
demone infero alato (Charun) in rosso-blu-grigio di grandi dimensioni (quasi
tutta l’altezza della parete), gradiente verso
sinistra (verso destra, invece, sul lato sinistro)
con barba e capigliatura a ciocche serpentiformi,
corto gonnellino rosso chiaro, legato in vita,
mantello e serpente in mano8.
Lungo la parete destra della tomba, ai lati del
loculo (che presenta solamente scarse tracce del
fregio superiore a tralci di vite), troviamo: resti di
un alberello rosso spoglio (al di sopra di un
piccolo loculo più tardo) a destra e resti di una
scena di banchetto a sinistra. Il banchetto

comprende una kline riccamente

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 1
2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 1

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Walter Lucci

addobbata (con i soliti drappi con motivi a meandro), su cui giacciono Veli[a]
e Arnth Velcha, contrassegnati dai rispettivi nomi. Velia è raffigurata, su
fondo verde-nero, con volto di profilo (il naso dritto di linea greca), la testa
cinta da un diadema di foglie, orecchini e due collane e i capelli castani in
parte trattenuti sulla nuca da una reticella, in parte ricadenti in morbidi
boccoli ai lati del volto; Arnth Velcha, anch’egli coronato, stringe un
ramoscello nella mano. Originariamente doveva essere presente anche una
seconda figura femminile, non più conservata9. A lato del banchetto era
raffigurato il solito alberello rosso.
La parete sinistra del vano presenta scarse tracce del fregio a tralci di vite
e resti d’iscrizione più tarda su tre righe. In origine doveva essere presente
sicuramente un’altra scena di
banchetto (resti di una figura
femminile?), devastato dai
lavori di ampliamento. Anche
la parete d’ingresso presenta
esclusiva-
La Tomba dell’Orco II
La tomba, che si data al 350
a.C., misura 5,80 metri di
lunghezza e 5,46 di larghezza.
A livello del columen centrale
si ricava un’altezza di 2,75
metri, che scende a 2,15 lungo
le pareti. Come l’ipogeo più antico, la camera presentava (originariamente,
ormai ampiamente distrutto) un soffitto a spioventi e un dromos di accesso
orientato a S-SO; due figure di demoni sono incise a rilievo nel vano della
porta10. Il plinto quadrangolare che emerge dal pavimento in prossimità della
parete di fondo non è la base di un pilastro di sostegno della volta (troppo
vicino alla parete di fondo), ma il resto di un altare o la base di una statua o
altro simulacro11.
Le pitture comprendono un fregio superiore a fascia rossa continua e un
alto zoccolo rosso continuo in basso.
Sulla parete di fondo si notano resti di un demone dalle ali rosse, con
capigliatura a ciocche serpentiformi insieme alla veduta dell’ingresso di una
caverna aperta in una parete rocciosa (l’accesso all’oltretomba, appunto
controllato da Charun), con resti ulteriori della figura di Cerbero (?). Gerione
(Cerun) barbato a tre teste con corazza rosso chiara, scudo e lancia è
seguito da Persefone (Phersipnei), con capi-gliatura a ciocche serpentiformi
e tunica rosso chiara, e Ade (Aita), assiso in trono e recante un manto rosso,
una spoglia di lupo, con il braccio destro proteso in avanti e quello sinistro
levato all’indietro con serpente. Seguono i resti di un lungo serpente avvolto
su se stesso12. Tutte le figure recano un’iscrizione identificativa e sono

6
raffigurate su un fondo scuro, con una
nube identificante l’ambiente
oltremondano.
La parete
d’ingresso del
vano
presenta, a
sinistra, un
grosso
serpente (il cui corpo continua sulla parete
adiacente) barbato rosso chiaro, preceduto dalla
figura frammentaria di un demone gradiente
verso destra con corto gonnellino rosso legato in
vita e martello brandito nella mano destra. Altre
tracce appartengono ai piedi di una figura virile e, più in alto, le ali di un
demone alato: in origine si aveva la rappresentazione di Sisifo (Sispes) con il
macigno. A destra della porta, invece, abbiamo ormai scarse tracce di colore
con ipoteticamente l’arrivo di un defunto nell’oltretomba e, forse, Eracle e
Cerbero13.
Sulla parete destra dell’ipogeo si trova il demone infero Tuchulcha (angolo
destro) di grandi dimensioni, con ali rosso chiaro, testa d’uccello e
capigliatura a serpenti, corto gonnellino rosso legato in vita e serpenti nelle
mani; alla sua sinistra, più in basso, i resti di Piritoo seduto,
mentre a destra Teseo (These) seduto sotto a una roccia, con la parte
superiore del corpo nuda e raffigurato, forse, intento a giocare a dadi. Sulla
parete adiacente alla scena di Tuchulcha e Teseo, è raffigurato un giovinetto
nudo, biondo, dalle ali nere (Thanatos?) con alabastron e rivolto a sinistra,
seguito da un giovane biondo nudo stante (Hypnos?) con armille, brocca e
patera. Segue un kilikeion scuro con numerosi vasi dorati: in alto, disposti
simmetricamente, una grande anfora centrale su supporto, due anfore rette
da Telamoni laterali e due crateri intermedi; in basso due grandi stamnoi e
una grande coppa centrale14.

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 1
2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
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Walter Lucci

La parete sinistra, infine, presenta tracce rosse e nere di un paesaggio


con canne palustri e resti di due demoni alati, un’iscrizione e due figure
successive, forse raffiguranti, originariamente, Odisseo e Achille
nell’oltretomba, seguiti da Agamennone (Achmemrum) barbato con
capigliatura bionda e manto rosso chiaro. Un alberello rosso con figurine a
silhouette nera (eidola che nella dottrina pitagorica indicavano le anime
reincarnate) si frappone fra Agamennone e un’ulteriore figura, l’ombra di
Tiresia (hinthial Teriasals), con manto rosso chiaro-blu, barbato, a capo
velato e con spada. Ai resti di un alberello rosso fa seguito, infine la figura
mutila di Aiace (Eivas)15.

La Tomba dell’Orco III


Lunga 11,5 metri e larga circa 11, questo corpo ipogeico trapezoidale
presenta un’altezza di 2,18 metri (presso il vano di apertura su Orco I).
Datato al III secolo a.C. ca., è dotato di banchine lungo le pareti destra e
sinistra (lunghe) e soffitto a travi
inclinati a rilievo verso sinistra nel
settore sinistro, viceversa a
cassettoni nel settore destro16.
Le pitture del vano constano di
una fascia rossa continua in alto e
uno zoccolo rosso continuo in
basso. Nella nicchia della parete
in corrispondenza del passaggio
comunicante con la Tomba
dell’Orco I viene raffigurata la
scena dell’accecamento del
ciclope Polifemo (Cuclu): Odisseo (Uthuste) nudo acceca il ciclope nudo,
ebbro
e disteso al suolo con un grosso palo; tutt’intorno elementi paesaggistici
come rocce e alberelli e, a destra, i resti di un gregge di pecore. Si può
osservare che l’immagine di Polifemo appare grottesca, grassa, deforme. A
differenza dei finissimi affreschi
delle prime due tombe, opera di
artisti quasi sicuramente greci,
questa scena è opera di un artista
etrusco, dalle capacità tecniche
decisamente inferiori. I colori
utilizzati per la scena sono
principalmente i rossi, l’arancio,
l’ocra, il nero e il grigio chiaro17.

****

8
La Tomba dell’Orco deve essere considerata uno dei complessi funerari
più problematici di Tarquinia. Due tombe originariamente affiancate e non
comunicanti (Orco I e Orco II) vengono in seguito (III secolo a.C.) collegate
fra loro mediante un vano di passaggio (Orco III), producendo in tal modo
notevoli modifiche delle strutture architettoniche e della decorazione
pittorica. L’imponente complesso sepolcrale gentilizio apparteneva, forse, a
più famiglie imparentate fra loro18.
Lo stile e il soggetto delle pitture, di notevole qualità, la taglia stessa della
figura di Caronte e il notissimo profilo della bella Velia, dove la linea di
contorno è stata sostituita da uno sfondo scuro, fanno preferire una
datazione non anteriore alla metà del IV secolo a.C. Le pitture dell’Orco II,
invece, sono da ritenersi più tarde, sia per il programma figurativo (una
nekyia) totalmente diverso, sia per lo stile, notevole per la tavolozza ricca di
mezzitoni. I forti effetti chiaroscurali (come ad esempio per il vasellame sul
kyikeion) denotano una sicura padronanza dei nuovi mezzi espressivi
assunti dall’ambiente greco (e, pertanto, rivelano una probabile
manodopera greca al lavoro nella tomba). Come nella Tomba François di
Vulci, vi sono raffigurati divinità ed eroi ripresi dalla mitologia greca, uniti a
demoni etruschi. La scena si svolge nell’Aldilà e potrebbe essere in parte
ispirata da modelli italico-meridionali con scene di Nekyia. Un parallelo per
la coppia Ade-Persefone si trova nella tomba orvietana Golini I19.
Al centro dell’originaria parete destra della camera doveva essere
raffigurata, molto probabilmente, una scena di banchetto, che si svolgeva a
sua volta nell’Aldilà. Così come accade nella Tomba François, quindi, gli
aristocratici proprietari della tomba si pongono in rapporto con mitici
antenati greci, con piena consapevolezza, allo scopo di sottolineare in tal
modo le proprie antiche origini ed il proprio rango sociale, che ad esse si
connetteva20.
Le pitture del vano di passaggio (Orco III), con l’accecamento di Polifemo,
sono stilisticamente più rozze, di maggiori dimensioni e caratterizzate da
pesanti linee di contorno. Di conseguenza sono da ritenere sicuramente più
tarde rispetto alle altre, quasi sicuramente opera di un artista etrusco, che
mal padroneggiava le tecniche degli artisti greci cui si rifaceva21.

Le iscrizioni della Tomba dell’Orco


Quando si penetra all’interno della Tomba dell’Orco I, le prime iscrizioni
con le quali si viene in contatto sono esattamente le più notevoli dell’intero
complesso. Esse si collocano sulla parete di fondo del primo vano, nella
nicchia con il banchetto principale. All’angolo destro, in alto, si può leggere

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


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2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
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subito l’iscrizione di fondazione dell’ipogeo (CIE 5357), su una sola riga che
corre al di sotto del fregio a tralci di vite (da destra a sinistra, a partire dalla
parete destra della nicchia):
Larthiale Hulchniesi Marcesic Caliathesi munsle nacnvaiasi thamce Le-[…]22
I nomi Larthiale Hulchniesi e Marcesi(c) Caliathesi sono al caso dativo e
quindi vanno tradotti “per/a Larth Hulchnie” e “per/a Marce Caliathe”,
rispettivamente. Anche nacnvaiasi è il dativo di una parola etrusca
(nacnvaia) che significa “coloro che vengono prima (=antenati, avi)”. Il
nome munsle si riferisce ad un qualsiasi monumento ipogeo (non
necessariamente una tomba). Il verbo thamce rimanda alla sfera semantica
del “fondare, erigere”, al perfetto, mentre la parola finale, che comincia per
Le- (mutila), indicherebbe un nome proprio, integrato (sulla base di una
lettera “i” parzialmente visibile), come Leive, al caso nominativo.
L’iscrizione, quindi, andrebbe tradotta, in prima istanza, come:
Le[ive] ha fondato questo monumento per Larth Hulchnie e Marce Caliathe
per la posterità23
Essendo, tuttavia, piuttosto dubbia che i due personaggi citati siano stati
sepolti nella tomba (non appartengono a nessuna delle due famiglia cui, nel
tempo, è stata attribuita), molti studiosi hanno pensato che il complesso
tombale sia stato semplicemente dedicato ai due. Ma siccome Larth
Hulchnie e Marce Caliathe erano due magistrati del IV secolo a.C., qualcuno
ha anche suggerito che l’iscrizione potesse essere tradotta integrandola con
la formula “durante la magistratura di…” o “sotto…”, per datare la
fondazione del monumento (si tratterebbe, quindi, di magistrati eponimi,
verosimilmente due zilac/zilath). Ecco, quindi, che l’iscrizione viene tradotta
come segue:
Le[ive] ha eretto questo monumento per la posterità (durante la
magistratura) di Larth Hulchnie e Marce Caliathe24
Per quanto riguarda i nomi, “Marce” potrebbe essere una forma
imparentata o, comunque, precedente al latino “Marcus”, mentre “Hulchnie”
è generalmente interpretato come il gentilizio romano “Fulcinus” (famiglia
senatoria di età tiberiana coinvolta nelle vicende di Seiano). “Caliathe”,
invece, è assimilabile alla serie degli etnici uscenti in -the, come Manthvate,
Nulathe, Veiathe, ecc.25
Sempre sulla parete di fondo, al di sopra del fregio a tralci di vite (nel
“semitimpano” destro), si colloca l’iscrizione CIE 5358, composta di una sola
riga di testo:
[…]-inas sacni thui cesethce26
Compare ancora una volta il gentilizio in stato frammentario dei
proprietari della tomba, seguito dalla parola etrusca sacni, che indica la

10
“consacrazione” di un luogo. Il verbo al perfetto finale, cesethce, va tradotto
come “far eseguire” ed è preceduto dall’avverbio di luogo thui, “qui”:
[…]-inas fece eseguire qui la consacrazione27
Nel settore sinistro della nicchia di fondo troviamo un’altra iscrizione (CIE
5360), ben più ampia; consta di cinque righe di testo, parzialmente mutile,
restituenti alcune importanti informazio-ni. La lettura procede, come al
solito, da destra verso sinistra:
[…]-urinas an zilath amce mechl rasnal
[…]-s purth ziiace ucntm hecce

(R)avnthu
(Th)efrinai
(at)i nacnuva28
L’iscrizione prende avvio con un nome frammentario, -urinas,
appartenente ad un personaggio della famiglia titolare della tomba. Segue la
particella an (“che”), che collega il nome all’espressione zilath mechl rasnal
(inframezzata dal verbo “essere” al perfetto, amce). Questa può essere
avvicinata e al latino praetor Etruriae, che indicava la suprema carica
federale dei populi etruschi (le città-stato riunite nella Lega presso il Fanum
Voltumnae). Anche il termine purth (dopo una piccola lacuna non
integrabile) indica una sorta di magistratura elettiva ed è seguito da un
verbo al perfetto, ziiace, forse ricollegabile alla parola zilath (?), in forma
verbale, pertanto traducibile come “ricoprire la carica di” oppure come
“giudicare”. Prima della chiusa è presente il verbo hecce (hecece, nella
Tomba dei Tori sempre a Tarquinia, di due secoli prima), legata alla sfera
semantica del “fondare”, con la parola ucntm (intraducibile) come
complemento oggetto. Infine il nome di una donna, Ravnthu Thefrinai,
definita ati nacnuva, ovvero “nonna, ava”, un’espressione (isolata rispetto
alla prima parte, una sorta di didascalia) che lega il sostantivo “madre” a
quello già incontrato di “antenato”. L’iscrizione, pertanto, si tradurrebbe
come segue:
[…]-urinas, che fu Praetor
Etruriae
[…] ricoprì la carica di purth
(come purth giudicò?) e fondò lo
ucntm

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Walter Lucci

(R)avnthu
(Th)efrinai,
(n)onna29
Ravnthu Thefrinai era la sposa del
soggetto dell’iscrizione e, inoltre, la donna
raffigurata assisa sulla kline nel banchetto. Il
gentilizio femminile Thefrinai è avvicinabile
al nome Thefarie del “re” di Cere delle
lamine di Pyrgi (Thefarie Velianas) e, forse, al
latino Tiberius, con l’aggiunta del formante
gentilizio -na.
Nella nicchia di fondo della Tomba
dell’Orco I sono presenti altre due iscrizioni,
rispettivamente CIE 5361, sotto la kline del
banchetto, e CIE 5359, sullo “scudo” (il drappeggio della spalla del
personaggio centrale) a destra. La prima iscrizione, su una riga, è
estremamente mutila e intraducibile:
[…]-is thi-[…]-tha thna[?]nce30
L’altra iscrizione, invece, ha subito un destino un po’ particolare. Fin dalla
sua prima documentazione, l’iscrizione sullo “scudo” veniva letta come
segue:
suthinia […] thuvusarths […]31
Si tratta, ovvero, di una successione di parole priva di significato che, tra
l’altro, era stata accolta pedissequamente dagli editori successivi del calibro
di Massimo Pallottino e Helmut Rix, oltre che da Mario Torelli che voleva
identificare la Tomba con l’ipogeo della gens Spurinna32.
Massimo Morandi Tarabella, invece, è stato in grado di restituire la giusta
lettura dell’iscrizione. Egli ha voluto leggerla come un testo bustrofedico, nel
modo che segue (partendo dalla seconda riga, da destra verso sinistra, e
proseguendo con la prima riga, da sinistra verso destra):
Thuvus Larth Murin(as) Painials33
Si tratta della formula onomastica completa del personaggio centrale
mutilo, Larth Murinas, forse designato da un titolo sacerdotale o altra carica
pubblica (thuvus) e figlio di una Painei (Painials essendo, appunto, un
metronimico con la desinenza del possessivo). Il corretto emendamento del
testo è stato reso possibile grazie alla sua registrazione fatta da Louis
Schulz. Purtroppo ora il testo dello “scudo” (panneggio!) è caduto, ma
l’ottimo apografo di Schulz rimane34.
Nella parete destra della prima camera, troviamo un’altra iscrizione (CIE
5354-5355), ovvero una doppia didascalia a menzione dei personaggi:

12
Arnth Velchas
Veli[a …-ei]35
Si tratta di moglie e marito. Velcha è un gentilizio molto famoso, attestato
nella Tomba degli Scudi (datata intorno al 340 a.C.), sempre a Tarquinia.
Pertanto le due famiglie proprietarie delle rispettive tombe risulterebbero
imparentate tramite il matrimonio con la donna, di nome Velia. Il ritratto di
Velia è uno dei più famosi dell’antichità e con il suo enigmatico profilo
rappresenta il frammento più “classico” di tutta la pittura funeraria
etrusca36.
Durante una ricognizione effettuata nel 1995 da Massimo Morandi
Tarabella, fu rinvenuta un’ulteriore iscrizione, in una rientranza della parete
a sinistra dell’ingresso (REE 63 n16). Il titolo, dipinto in nero, era pertinente
alla fase recente della prima camera, ma ormai è quasi del tutto scomparso;
le poche lettere superstiti si collocano su due righe separate da uno spazio
di 12,5 cm, sufficiente per altre due linee di scrittura37:
Vel-[…]
[…] LI38
Il nome è integrabile come Velthur o Velcha, già presente nella Tomba
dell’Orco, mentre il numerale doveva costituire la chiusa dell’epitaffio,
probabilmente l’età del defunto (un incinerato, vista il limitato spazio in quel
punto della camera).
Nella parete sinistra della camera si colloca un’iscrizione (CIE 5362)
dedicata alla sepoltura di un altro membro della gens proprietaria della
tomba, inumato nello spazio reso disponibile dai lavori di ampliamento della
camera. Si tratta di un’iscrizione mutila e difficilmente leggibile, oltreché
traducibile, e distribuita su una sola linea di testo:
[…-urina]s Arnth Larthal [cla]n […]-vruc-[…]39
Il testo parte subito con una lacuna che potrebbe essere integrata con il
nome gentilizio (-inas), seguito dal nome del defunto. C’è, poi, la menzione
del patronimico Larthal, al genitivo, quindi tradotto come “di Larth”; e segue
il sostantivo clan, “figlio”. Il resto dell’iscrizione non offre alcun dato
traducibile:
Arnth […-urina]s figlio di Larth […]40
Durante la ricognizione del 1995 effettuata da Massimo Morandi Tarabella
fu rinvenuta anche un’altra iscrizione piuttosto importante che gettava luce
sul nome della gens proprietaria della Tomba dell’Orco.

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 1
2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 1

13
Walter Lucci

Sulla base delle altre iscrizioni non era possibile giungere ad una
soluzione convincente e inequivocabile: i nomi lacunosi -inas/-urinas erano
variamente integrabili come Smurinas, Spurinas, Murinas, Surinas, insomma
con tutti quei gentilizi etruschi che terminavano in quel modo.
Si è detto che durante il III secolo
a.C. la prima camera, più antica, fu
posta in comunicazione con quella
dell’Orco II, tramite il vano
intermedio dell’Orco III. La parte
sinistra, con relativa nicchia, della
Tomba dell’Orco I, così, fu distrutta
e ciò costrinse alla stesura di nuovo
intonaco, sicuramente più scadente
rispetto a quello più antico. Proprio
in quel settore nuovamente
intonacato sono stati individuati tenui tracce di un’iscrizione dipinta in nero.
Il nuovo testo, esteso per 135 cm, conteneva almeno quattro o cinque
righe. Sotto di esso, altre tracce rosse indicavano la probabile presenza
originaria di figurazioni41.
Il testo, estremamente frammentario, è ricostruito come segue:
Murin(as) Larth […] zilachnce […]42
Il nome Murinas è stato già individuato nell’iscrizione CIE 5359, registrata
da Louis Schulz e collocata nel settore più antico della tomba. Questo sta ad
indicare che se nel III secolo la Tomba dell’Orco apparteneva ai Murinas
(sulla base della nuova iscrizione), essa era di loro proprietà già a partire
dalla sua prima fondazione nel IV secolo a.C. e non si può parlare di un
passaggio di proprietà da una gens (quella degli Spurinas, come voleva
Mario Torelli) all’altra.
L’iscrizione, in ogni
caso, menziona il
gentilizio prima del
nome personale,
com’era usuale negli
epitaffi funerari tarquiniesi di III secolo a.C. (e ciò accadrebbe, in effetti,
43

anche nell’iscrizione CIE 5362). Segue una lacuna di circa sedici lettere e il
verbo zilachnce, ovvero la forma verbale del titolo zilath/zilac, una
magistratura repubblicana etrusca. Si traduce, quindi, come segue:
Larth Murin(as) […] fu zilac […]44
Subito dopo questa iscrizione, c’è un testo graffito di cui rimane
solamente una grande M-, che pertanto non restituisce alcuna informazione.
Per quanto riguarda il resto della Tomba, le iscrizioni vanno ad indicare, in
forma di didascalie, i nomi dei personaggi raffigurati sulle pareti.

14
Nella Tomba dell’Orco II abbiamo, a partire dall’ingresso, proseguendo in
senso orario: [Ach]memrun (Agamennone, CIE 5369), hinthial Teriasals
(“ombra di Tiresia”, CIE 5368), […]-mesn-[…] (CIE 5371, tra Tiresia e Aiace),
Eivas […] (Aiace, CIE 5367) e […]-mith-[…] (CIE 5370, in basso alla destra di
Aiace) sulla parete sinistra della camera; Cerun (Gerione, CIE 5366),
Phersipnei (Proserpina-Persefone, CIE 5365) e Aita (Ade, CIE 5364) sulla
parete di fondo; Tuchulcha (CIE 5375) e These (Teseo, CIE 5374),
all’estremità destra della parete destra; tupi Sispes (“fatica/masso (?) di
Sisifo”, CIE 5373) nel settore a destra dell’entrata45.
Nella Tomba dell’Orco III, infine, troviamo l’iscrizione Cuclu Uthuste
(Ciclope e Odisseo, CIE 5363), nella nicchia adiacente al passaggio
comunicante con il primo vano46.

La genealogia dei proprietari della Tomba: i Murinas


Per tentare un’indagine prosopografica e ricostruire la genealogia della
famiglia proprietaria della Tomba dell’Orco, i Murinas, occorre individuare
questo preciso gentilizio non solamente dalla tomba in questione, ma da
qualsiasi altro monumento o manufatto che ne rechi menzione.
In passato noti solo occasionalmente a Tarquinia, i Murinas hanno
acquisito una fisionomia di enorme rilievo dopo la loro identificazione proprio
con i proprietari del complesso sepolcrale in analisi. Di origine etrusco-
settentrionale, da Chiusi o da Orvieto, i Murinas giungono nella città tirrenica
nel tardo V secolo a.C. e subito allacciano relazioni con le aristocrazie locali,
tra cui spiccano in primo luogo i Velchas. La fondazione della Tomba
dell’Orco deve coincidere con un momento di grande fioritura della gens,
connesso al periodo dello zilacato mechl rasnal rivestito da Larth, effigiato
insieme alla consorte nella nicchia di fondo della prima camera. Nel corso
del III secolo a.C., i Murinas tornano a distinguersi con un nuovo zilacato
rivestito da un altro Larth, autore di quelle opere di ampliamento che hanno
portato all’unificazione delle due camere (Orco I e II) della tomba, tramite un
vano intermedio (Orco III). Fuori da Tarquinia (Orvieto, Bolsena, Chiusi), la
gens mantiene un tenore più basso, almeno a giudicare dalla qualità
dell’evidenza archeologica47. Legate ai Murinas sono anche la gens dei
Thefrina, rappresentata nel IV secolo a.C. da una donna, sposa proprio dello
zilath mechl rasnal Larth Murinas, e quella dei Paina, individuata
dall’iscrizione CIE 5359 e anch’essa rappresentata da una donna, madre
dello stesso. Tali relazioni familiari garantiscono l’alto prestigio raggiunto dai
Thefrina a Tarquinia. La loro origine settentrionale, da Orvieto o dall’area
chiusino-perugina, è in accordo con la provenienza degli stessi Murinas48.

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 1
2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 1

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Walter Lucci

Anche per i Paina si può ipotizzare un’origine orvietana in base all’analisi


linguistica della radice onomastica Paie-49.
Ma partiamo proprio da Larth Murinas. È il personaggio maschile
raffigurato a banchetto sulla kline nella nicchia di fondo della tomba
dell’Orco I. Nell’iscrizione CIE 5360, abbiamo individuato il prenome
(integrato) [M]urinas. Ma il prenome e il matronimico sono ricavabili
dall’iscrizione CIE 5359 registrata dal disegnatore Louis Schulz nel 1869-70.
Veniamo a sapere, così, che Larth Murinas fu non solamente zilath mechl
rasnal e purth, ma anche thuvus (sostantivo di difficile traduzione e
interpretazione, ma forse riferibile all’ambito cultuale-
religioso)50. Sua madre è una Painei, gentilizio non documentato in questa
forma, ma comunque presupposto a Tarquinia da Peinei (CIE 5591, di età
recente) e a Tuscania da Peinal (CIE 5868, di età recente)51. Sua moglie,
invece, è Ravnthu Thefrinai, raffigurata sulla stessa kline, alla sua sinistra.
Nell’iscrizione di fondazione della tomba, poi, veniamo a conoscere il suo
vero fondatore, discendente di Larth (suo figlio?): Lei[ve] Murinas,
menzionato nella chiusa dell’iscrizione CIE 5357. La fondazione viene datata
allo zilacato di Larth Hulchnie e Marce Caliathe (380-70 a.C. ca.). Leive
andrebbe identificato con il banchettante barbato effigiato all’estremità
destra della nicchia di fondo52.
Larth Murin(as), menzionato nel lungo elogium dipinto nell’estremità
sinistra di fondo della Tomba dell’Orco I, nei primi decenni del III secolo a.C.
Fu zilath a Tarquinia e “rifondatore” (autore dei lavori di ampliamento) del
monumento, con l’apertura del passaggio cassettonato (Orco III)
comunicante con la Tomba dell’Orco II53.
Figlio di Larth era Arnth Murinas, menzionato nell’iscrizione estremamente
lacunosa CIE 5362 (mancante anche dell’intero gentilizio, di cui si
conserverebbe la -s finale). Ma a parte il patronimico Larthal [cla]n
nient’altro è ricavabile.
Nella tomba sono identificabili vari personaggi quasi sicuramente ivi
sepolti. Innanzitutto, Arnth Velchas, raffigurato a banchetto nella parete
destra della Tomba dell’Orco I, insieme alla moglie Velia (Murinei?). Doveva
essere sepolto nella nicchia della parete e si colloca cronologicamente agli
inizi del IV secolo. Velia (Murinei?), moglie di Arnth Velchas, sepolta
anch’essa nella stessa parte della tomba, insieme al marito. Il gentilizio non
è conservato, ma ricostruito con un certo margine di certezza come Murinei.
Come Leive, il fondatore della tomba, potrebbe essere figlia di Larth Murinas
e Ravnthu Thefrinai. Ravnthu Thefrinai, moglie di Larth Murinas e definita
dalla didascalia come [at]i nacnuva, ovvero “nonna” o, secondo Vetter,
“ava” 54.
Altri due personaggi assolutamente non identificabili sono rivelati da una
M- graffita accanto al lungo elogium di Larth Murinas (e, quindi, ad esso

16
posteriore) e Vel[thur/cha?] nella rientranza a sinistra dell’ingresso della
tomba55.
Dalla Tomba dell’Orco, quindi, si ricava la seguente genealogia56:
420/410 a.C. (?) (…Murinas) - (…) Painei

400/490 a.C. (?) Larth Murinas - Ravnthu Thefrinai


zilath mechl rasnal [at]i nacnuva

? ?
380/370 a.C. ca. Lei[ve? Murinas] Velia (Murinei) -
Arnth Velchas
Agli inizi del III secolo a.C., si è detto, la tomba viene ampliata, mettendo
in comunicazione la Tomba dell’Orco I con la II: “rifondatore” dell’ipogeo è
Larth Murinas, il cui figlio, Arnth, viene sepolto (alla metà del III secolo a.C.)
lungo la parete sinistra della prima camera57. Ne consegue il breve schema
genealogico:

280/270 a.C. ca. Larth Murinas

260/250 a.C. Arnth Murinas


Al di fuori della Tomba dell’Orco possediamo svariate attestazioni del
gentilizio Murina. Innanzitutto sottoforma di matronimico, nella tomba n°
5203 in terreno Maggi, piccola camera con soffitto piano e columen a rilievo
databile nei decenni centrali del III secolo a.C. Nella parete sinistra è stata
ricavata un’ampia rientranza o nicchia per un’inumazione; sul fondo, dipinto
in nero, un lungo elogium, purtroppo in pessime condizioni e di difficile
lettura (TLE 883)58; di otto righe di testo, sono ricavabili solamente le
seguenti informazioni, dalle prime quattro righe:
C-[…]-nas L[a]ris Velthurus clan Than-[…]-ls Murinals savalthas avil LXX
[…] t[v?]ethach […] purthisvne […]
[…] purth […] Safrie
[…] ci clenar […]59
L’incipit è costituito dal nome del beneficiario dell’elogium, un certo Laris
C-[…]-nas, figlio di Velthur e di Than-[…]-ls Murinei. Il gentilizio dell’uomo è
integrabile come Curunas o Camnas60; il nome della donna è integrabile
facilmente come Thanchvil. Segue un termine di difficile traduzione e la

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 1
2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
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Walter Lucci

menzione degli “anni” (avil), ovvero l’età (di Laris?), settanta. Nella seconda
e terza riga si ricavano vari titoli ottenuti dal defunto: tvethach, purthisvne e
purth. Si tratta di titoli di difficile esplicazione. Segue, poi, il nome di una
gens legata a quella di Laris: Safrie (a cui si aggiungerebbe quella degli
Ucrini, identificati in modo incerto altrove nell’iscrizione)61. Infine alla riga
quattro (le restanti quattro estremamente lacunose) la menzione di una
discendenza di “tre figli”, ci clenar, dove clenar è il plurale di clan.
Da questo elogium si ricava il seguente schema genealogico62:
260/240 a.C. C[uru/am]nas Velthur - Thanchvil Murinei

C[uru/am]nas Laris

“tre figli”
A Volsinii-Orvieto, nella necropoli di Crocefisso del Tufo, troviamo
l’iscrizione CIE 5020, su un cippo in pietra lavica di tipologia volsiniese di età
recente. Vi si legge il nome Vetu Murinas. Il raro prenome Vetu è
funzionalizzato in Etruria meridionale anche come gentilizio, nella variante
Vete. A Volsinii-Bolsena, invece, troviamo un ennesimo Larth Murinas, figlio
di V(el). È titolare di una sepoltura con cippo in pietra lavica dalla necropoli
di Poggio Sala, datato al III-II secolo a.C. In lui si può verosimilmente
riconoscere il marito di Ra(v)thu Seia, sepolta nella stessa necropoli, che nel
proprio epitaffio (CIE 5170) presenta il gamonimico (con terminazione in -sa)
di un Murinas:
Ra(v)nthu Seia Murinasa63
Ovvero:
Ra(v)nthu Seia, (moglie) di Murinas
Sempre a Bolsena giunge un cippo sepolcrale in
basalto di tipo volsiniese di dimensioni abbastanza
inconsuete (alto 0,65 metri, circa il doppio dei
consueti cippi volsiniesi) e rinvenuto in una discarica
di pietre in località Poggio Sala64. Si data al III-II
secolo a.C. e presenta la seguente iscrizione (ET Vs
1.254):
Larth Murinas V(elus)65.
Si tratta, ovvero, di una formula onomastica maschile trimembre, con
patronimico abbreviato. Si traduce:
Larth Murinas (figlio) di V(el)66
Da Viterbo proviene una cassa di sarcofago con una formula onomastica
molto chiara:

18
Murinas Velturn
as67
Se la formula è completa, abbiamo un gentilizio nominativo in -as, seguito
da un gentilizio al genitivo, corrispondente però al matronimico, cosicché si
traduce:
x Murinas (figlio) di x Velturna
Si noti che nel sepolcreto di Salarco (Chiusi), i Murinas sono sempre
ricordati al nominativo nella forma Murina, nelle epigrafi CIE 657, 658, 659,
660; sempre a Chiusi, il gentilizio compare anche nelle iscrizioni CIE 662,
783, 1937, 2474, 2477, ecc.68
Ad esempio, un’urna chiusina in alabastro della prima metà del II secolo
a.C. (ora a Manchester) reca, sull’orlo del coperchio, l’iscrizione incisa:
Aule Murina L-[…]69
Nella parte finale, corrotta, recava il patronimico “(figlio) di L(arth?)”.
Altro documento è costituito da un cippo funerario a sfera (ad apice
schiacciato) in travertino al Museo Nazionale Etrusco di Chiusi. Databile al
IV-III secolo a.C. (quindi, di epoca precedente alle maggiori attestazioni del
nome), reca un’iscrizione incisa sulla sfera del cippo:
Vel Acilu Murinal70
Si tratta, ancora una volta, di una formula onomastica trimembre, con
matronimico in -al:
Vel Acilu (figlio) di Murina
Abbiamo, quindi, un personaggio appartenente alla gens Acilu (con
qualche relazione con la gens plebea di Roma Acilia?), imparentata per parte
di madre con la gens Murina.
Da quanto visto, è evidente che in Etruria meridionale, la documentazione
epigrafica della gens Murina è circoscritta a Tarquinia (complesso
monumentale della Tomba dell’Orco, nella necropoli dei Monterozzi, e tomba
n° 5203 in terreno Maggi), Orvieto (necropoli di Crocifisso del Tufo) e
Bolsena (necropoli di Poggio Sala)71.
Questa documentazione epigrafica svela un livello sociale prima
inaspettato per la gens in
analisi: i titoli individuati nella Tomba dell’Orco permettono di affermare, con
assoluta sicurezza, che almeno dalla prima metà del IV secolo a.C. il grande
complesso tarquiniese apparteneva a questa famiglia (quando fu fondato da
Leive). La sua stessa “rifondazione” nel III secolo si deve ad un membro

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 1
2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
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Walter Lucci

della stessa famiglia, Larth, che fu zilath a Tarquinia e che alla sua morte fu
onorato con un lungo elogium nello stesso ipogeo e, forse, anche con la sua
raffigurazione in un corteo magistratuale, oggi purtroppo praticamente
scomparso72.
L’alto livello sociale dei Murina è testimoniato, oltre che dal possesso della
Tomba dell’Orco, dai legami matrimoniali avuti con i Velcha nel IV secolo
a.C. e con i Camna o Curuna nel III secolo a.C.
La famiglia, inoltre, è ben documentata in territorio orvietano e
soprattutto a Chiusi, da dove è probabilmente giunta a Tarquinia al più tardi
nella seconda metà del V secolo a.C. Il gentilizio, in effetti, continua ad
essere ampiamente diffuso anche nel II e I secolo a.C. nell’agro di Chiusi, da
cui proviene l’83% delle sue attestazioni e va, quindi, ad aggiungersi alla
numerosa serie di elementi onomastici tardo-etruschi comuni ai territori
volsiniese e chiusino.
In ogni caso, i Murina si configurano tutt’altro che come gens minore o di
origini tarde. Lo stesso gentilizio, di tipo patronimico, appare formato su un
nome personale di rango, *Murie (<*Mura-ie), portato dal re di Veio Morrius
al quale Servio Danielino attribuisce l’istituzione del sacerdozio dei Salii.
Anche altre presenze del nome nelle fonti, come quella del re Murranus
virgiliano (Eneide, X, 529 seg., 639 seg.), di stirpe regale, confermano il
tenore di questa voce onomastica73.

Gli Spurinas: gli elogia tarquiniensia e le pitture della Tomba


dell’Orco I
Per anni, la Tomba dell’Orco era stata attribuita alla gens degli
Spurinas/Spurinna. Ad attribuire la tomba a questa notissima e potente
famiglia tarquiniese fu Mario Torelli a partire dagli anni ’70 del secolo scorso.
E questo in virtù della notevole qualità degli affreschi, delle dimensioni
(successive all’ampliamento) dell’ipogeo e della presenza, nelle iscrizioni,
del gentilizio lacunoso -urinas, che ben poteva essere integrato come
[Sp]urinas.
Ma la base preponderante sulla quale Mario Torelli volle identificare la
Tomba dell’Orco con il sepolcro gentilizio degli Spurinas era la apparente e
straordinaria coincidenza degli affreschi della prima camera (Orco I) con le
informazioni offerte dai famosi Elogia tarquiniensia ritrovati presso il tempio
dell’Ara della Regina a Tarquinia.
Si tratta di una serie di lastre marmoree con incisi, in latino, le gesta e i
cursus honora di alcune famiglie tarquiniesi, tra le quali proprio quella degli
Spurinas (Spurinna in latino).
La quasi totalità dei frammenti (rinvenuti nel 1957) è stata edita dal
Romanelli. Ma ad essi vanno aggiunti alcuni frustuli ritrovati in una scatola di
cartone senza indicazione di provenienza nel magazzino del Museo
Nazionale Tarquiniese74.

20
Le iscrizioni
contenenti gli Elogia
Spurinnae sono
state incise su lastre
di marmo lunense a
grana molto fine, di
spessore variabile e
crescente verso il
basso (frammenti 1,
4, 5) o verso l’alto
(frammenti 2 e 3) e
da sinistra verso
destra (frammento
3)75. Tutte le lastre,
assicurate ad un
basamento
verosimilmente in
muratura, erano
accostate fra di loro
e i testi si disponevano sulle superfici senza tener conto della lunghezza
delle lastre stesse. Sopra il basamento poggiavano delle statue, cui
corrispondevano, al di sotto, i testi degli elogia; a causa della diversa
estensione dei testi, le statue avevano a disposizione spazi non uguali fra
loro, di circa 60 cm per i testi dei frammenti 1 e 2 (Velthur figlio di Lars e
Velthur figlio di Velthur) e di 90 cm per il testo del frammento 3 (Aulus figlio
di Velthur). Le statue dovevano avere grandezza na-
turale. Sovrapposta ai margini delle lastre, infine, era una cornicetta
marmorea di 3,3 cm di altezza76.
Per quanto riguarda i caratteri epigrafici, si nota che la prima riga dei
testi, contenente la formula onomastica, è alta 4,6 cm con lettere ben incise
e profonde, mentre le restanti righe dell’elogium erano in scrittura più
minuta, ma sempre uniforme e regolare. È usato l’apex (segno diacritico)
almeno per le a lunghe per natura, uso tipico della tarda età giulio-claudia e
di quella flavia77.
Questi elogia sono documenti che non derivano da ipotetiche e oscure
“tradizioni locali”, tramandate “oralmente o da monumenti” come pensa
Harris, ma da un’elaborazione molto complessa di tipo storico-letterario,
basata su precise documentazioni scritte di origine e di uso gentilizio, su
archivi familiari78. L’iniziativa dell’incisione, a Tarquinia, non può che essere

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


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Walter Lucci

attribuita ai discendenti degli Spurinna, molto verosimilmente a Vestricius


Spurinna (vissuto nel I secolo d.C., al tempo di Claudio), rampollo dei
principes Spurinas per parte di madre e dei meno nobili Vestrcnie per via
paterna, che così voleva celebrare il proprio ingresso nel senato di Roma79.
L’iscrizione della prima lastra (frammento n° 1) recita:
V[elth]ur Spur[inna]
[L]artis f.
pr(aetor) I[I; in] magistràtu al[terum]
exerc[i]tum habuit, alte[rum in]
Siciliam duxit; primus o[mnium]
Etruscorum mare cu[m …]
traiecit; à qu-[…]
aurea ob vi-[…]80
Le possibilità di integrare il prenome sono due, V[elth]ur e V[olt]ur. A
favore della prima opzione ci sarebbe il fatto che il prenome etrusco
corrispondente, proprio Velthur, non appare mai latinizzato in Voltur 81.
Anche il patronimico non presenta problemi d’integrazione, in quanto
l’etrusco Larth viene tranquillamente traslitterato in Lars, genitivo Lartis.
Alla terza ri-
ga, l’espressione latina in magistratu appare più corretta di frasi come in eo
magistratu, come evidenziato da altre formule come in praetura, in
consulatu, ecc., note anche degli elogia epigrafici. E la parte finale si
completa facilmente come al[terum], quanto allo spazio disponibile. Le
integrazioni della quarta e quinta riga appaiono altrettanto semplici, a
differenza delle righe successive, 6-882.
Alla riga 6, la lacuna conta non più di otto lettere, per cui è esclusa
un’integrazione con exercitu; uniche altre opzioni risultano legione o milite,
quest’ultimo preferibile83.
Alla riga 7, l’integrazione aqu[ila] va fortemente rigettata, in quanto
l’apex è una sicura indicazione di quantità (vocale lunga per natura), mentre
l’assenza di interpunzione tra à e qu-[…] si giustifica con la diffusa usanza
epigrafica di non porre punti tra la preposizione e il susseguente sostantivo
a cui si riferisce, come se fosse una sorta di proclitica. La pronome relativo
che ne deriverebbe andrebbe integrato come qu[o] (riferito a miles) o qu[a]
(riferito a legione); ma la seconda opziona va preferita per ragioni
grammaticali84. Nella grande lacuna che segue (una decina di lettere),
andrebbero inserite due parole. Sicuramente in fine di rigo va posta la
parola corona (aurea, nel rigo successivo). Prima di essa, una qualsiasi altra
parola che indichi un dono “trionfale”, palma, bulla o, più convincentemente,
clupeo (secondo Mario Torelli) più la congiunzione et 85.
La causa del trionfo e, quindi, dei doni relativi, viene indicata alla riga 8:
ob vi[rtutem] oppure ob vi[storia]. La prima molto preferibile giacché

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l’elogium tace qualsiasi fatto d’armi per cui possa essere celebrata una
vittoria. Infine l’espressione donatus est che esprime l’atto del “donare”,
appunto86. Ne consegue la seguente ricostruzione:
V[elth]ur Spur[inna]
[L]artis f(ilius)
pr(aetor) I[I; in] magistràtu al[terum]
exerc[i]tum habuit, alte[rum in]
Siciliam duxit; primus o[mnium]
Etruscorum mare cu[m legione]
traiecit; à qu[a clupeo et corona]
aurea ob vi[rtutem donatus est] 87
Tradotto, il testo recita:
V[elth]ur Spur[inna]
f(iglio) di [L]arth
du[e] volte pr(etore); [durante l’esercizio del]la
carica
ebbe un eserc[i]to, un alt[ro in]
Sicilia condusse; primo fra t[utti]
gli Etruschi il mare co[n l’esercito]
attraversò; al qua[le uno scudo e una corona]
aurea per la vi[rtù fu donato]
Secondo la ricostruzione proposta da Giovanni Colonna (che accoglie il
suggerimento del Gabba), invece, la lastra reciterebbe:
V[elth]ur Spur[inna]
[L]artis f(ilius)
pr(aetor) I[I; in] magistràtu Al[eriae]
exerc[i]tum habuit, alte[rum in]
Siciliam duxit; primus o[mnium]
Etruscorum mare cu[m legione]
traiecit; à qu[o Apollo cortina]
aurea ob vi[rtutem donatus est] 88
Aleria, ovvero Alalia in Corsica, coinvolta nella battaglia del Mare Sardo e
il sito dove, Velthur avrebbe comandato la flotta etrusca (intorno al 535 a.C.
ca.) contro i Greci di Focea. Nel testo, Giovanni Colonna ricostruisce
l’espressione à quo Apollo cortina aurea […] donatus est, che indica il dono
“offerto” ad Apollo dal condottiero, ovvero un tripode (quello appunto di
Apollo) sopra cui la Pizia comunicava i responsi. Ciò troverebbe, in effetti,

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


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2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
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Walter Lucci

riscontro nella dedica del tripodi di cui rimane la base a Delfi, in seguito alla
spedizione vittoriosa contro Lipari. Il lebete recava la dedica da parte dei
Tyrranoi, ovvero i Tirreni/Etruschi, di cui Velthur era rappresentante
federale89.
Ne consegue la seguente traduzione:
V[elth]ur Spur[inna]
f(iglio) di [L]arth
du[e] volte pr(etore); [durante] la carica ad A[leria]
ebbe un eserc[i]to, un alt[ro in]
Sicilia condusse; primo fra t[utti]
gli Etruschi il mare co[n l’esercito]
attraversò; per la qua[le ad Apollo un tripode]
aureo per la vi[rtù fu donato]
L’iscrizione della seconda lastra (frammenti n° 2 e 5) recita:
[Velthu]r Spur[inna]
[Velthur]i[s f. (?)] 90

[…]VN[…]
[…] pr(aetor) […]
[…]MA[…]
[…]A[…] 91
L’integrazione della prima riga è assolutamente certa. Il maggiore spazio
di interlinea obbliga ad immaginare un elogium più corto degli altri due (e
meglio conservati) e quindi a mettere il patronimico alla seconda riga. Il
supplemento proposto per la filiazione, basato sulla posizione del testo,
induce a ritenere questo Velthur, figlio del precedente92.
Il frammento n° 5, invece, è estremamente lacunoso e difficilmente
integrabile. La menzione, alla seconda riga, di un pr(aetor), non l’intestatario
dell’elogium, ma sicuramente un personaggio di altra città coinvolto nelle
res gestae di Velthur93.
L’iscrizione della terza lastra (frammenti n° 3-4 e 6) recita:
A(ulus) S[pu]rinna V[elth]ur[is f.]
pr(aetor) (ter); Orgoln[iu]m Velthurne[nsis
Pyrg]ensi[um et]
Caeritum regem imperio expu[lit …] XI […]
[A]rretium bello servili v[exatum liberavit (?)]
[La]tinis novem op[pida …] 94

cep[it (?) …]
Falis[c …] 95

24
Le integrazioni del primo rigo sono certe: gentilizio S[pu]rinna e
patronimico V[elth]ur[is], anche se la forma e la declinazione latine del
prenome etrusco Velthur ci sono praticamente sconosciute. Alla seconda
riga, il nome Orgoln[iu]m viene ricostruito sulla base di un cippo a casetta
cerite di una certa Ania Orculnia, dove Orculnia (Orgolnius, latinizzazione
dell’etrusco Urclna nell’elogium) è evidentemente il gentilizio. La parola
successiva, piuttosto che un gentilizio (sarebbe stato Velthurna-), appare
essere un nome “etnico”, forse Velthurne[nsis] 96. Segue la parte finale di
un’altra parola, precisamente un altro nome “etnico”; forse si potrebbe
pensare a [Pyrg]ensi[um], tenuto conto del legame che univa Caere al suo
porto97.
Alla terza riga, la quarta parola ammette due integrazioni, expu[lit] o
expu[lsum]. Nel primo caso, Aulo Spurinna risulterebbe l’instauratore di un
regime repubblicano a Caere, mentre nel secondo caso, sembra logico
immaginare che il praetor tarquiniese avesse aiutato l’esule re ceretano. La
parte finale della riga non è integrabile con sicurezza. Alla quarta riga viene
menzionato l’intervento di Aulo ad Arezzo, sconvolta da una rivolta servile.
L’integrazione della parte finale, sulla base di altre iscrizioni latine (come
l’elogium di M. Valerius Maximus), viene risolta come v[exatum liberavit].
L’integrazione della quinta riga, oltre a [La]tinis e op[pida] non è risolvibile
ulteriormente98.
Nel frammento n° 6, sono conservate le ultime due righe dell’elogium,
altrimenti perdute. Il verbo iniziale (se come una p e non una n dev’essere
considerata la terza lettera) sarebbe riferibile ai novem oppida “presi” da
Aulo, mentre sicura è la menzione dei Falisci, anche se manca qualsiasi
accenno alle ragioni della loro presenza99.
L’elogium si traduce come segue:
A(ulus) S[pu]rinna [f(iglio) di] V[elth]ur
(tre volte) pr(etore); Orgoln[io] Velthurne[nse, di
Pyrgi e]
di Caere re, rimos[se] dal potere […]
[liberò (?) A]rezzo, a[gitata] da una guerra servile
nove ci[ttà] dei [La]tini […]

pre[se (?) …]
Falis[c …]
Si diceva come Mario Torelli volle identificare i membri della gens
Spurinas con i soggetti raffigurati sulle pareti della Tomba dell’Orco I. È

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 1
2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 1

25
Walter Lucci

apparso, cioè, apparentemente straordinaria la coincidenza degli elogia con


le persone e gli oggetti ivi raffigurati.
Si è detto come nella nicchia di fondo della camera fossero rappresentati
tre soggetti adulti distesi su una kline conviviale e due soggetti giovani
stanti di fronte alla kline.
Innanzitutto la coppia coniugale costituita da Ravnthu Thefrinai e l’uomo
in posizione centrale, ormai perduto; e inoltre l’uomo barbato a destra, che
guarda verso di loro. È chiaro che
se Massimo Morandi Tarabella identifica il soggetto centrale con Larth
Murinas, Mario Torelli non può che identificarlo con Larth Spurinas, padre di
colui a cui era dedicato il primo degli elogia tarquiniensia preso in
considerazione. Si tratterebbe, quindi, degli antenati dei fondatori della
tomba. E, in effetti, la donna viene definita ati nacnuva, ovvero “nonna” o, in
questo caso, “ava”. La corrispondenza, quindi, apparirebbe abbastanza
stringente.
Il terzo soggetto adulto della scena, sulla destra, quindi, non poteva che
essere identificato con Velthur Spurinna, intestatario del primo elogium.
Stando all’elogium, Velthur fu praetor due volte e durante la sua
magistratura ebbe un esercito, mentre un altro lo condusse in Sicilia, a
quanto pare, primo fra tutti gli Etruschi a realizzare una traversata trans
marina con un esercito. A seguito di questa vicenda, ebbe in dono uno scudo
e una corona aurea per la virtus dimostrata. Torelli vuole riconoscere in
questo evento militare l’intervento degli Etruschi al fianco degli Ateniesi in
Sicilia nel 415-413 a.C. E, secondo lui fu in questa precisa occasione che i
suoi soldati vollero conferirgli gli onori100.
Il testo, in effetti, parlerebbe di un clipeus ob virtutem, che nella Tomba
sarebbe raffigurato presso il personaggio sulla kline a destra101. Questo
stando alla ricostruzione di Mario Torelli. Ma si è visto che, in realtà, lo
“scudo” altro non è se non il panneggio sulla spalla del personaggio
centrale.
Ma proseguiamo nel ragionamento di Mario Torelli. Nella scena sono
raffigurati altri due soggetti maschili, di giovane età. Sono stanti ai piedi
della kline e quello di sinistra, vestito di una tunica, ha il viso e gli occhi
rivolti al personaggio centrale perduto. Apparentemente è in atto di
sostenere, quasi ostentandolo, lo “scudo” ove corre un’iscrizione di cui il
Torelli non si pose il minimo problema d’interpretazione (suthinia…
thuvusarths…). Il giovane a destra, invece, di pelle più chiara, reca al collo
una grossa bulla e indossa una tunica orlata di porpora; secondo Mario
Torelli, alza il braccio destro in cenno di saluto. I due giovani, quindi,
sarebbero figli minori o nipoti del personaggio centrale102.
I due, in particolare, sono stati identificati con gli intestatari degli altri due
elogia, Velthur figlio di Velthur e Aulus figlio di Velthur. Trattandosi di due

26
giovinetti, Torelli ha ipotizzato che i potessero essere fratelli (uno minore,
l’altro maggiore), figli entrambi del primo Velthur.
Se su Velthur “minor” non abbiamo informazioni (essendo, tra l’altro, di
minore estensione il suo elogium), su Aulus possediamo notevoli dati che si
riassumo nella cacciata del re di Caere, nell’episodio di Arezzo e nella guerra
contro i Latini (con la presa di novem oppida e il probabile intervento dei
Falisci). Pur essendo possibile che egli fosse figlio di Velthur II “minor” e
nipote di Velthur I “maior”, Mario Torelli riteneva più probabile (anche sulla
base delle pitture della tomba) che si trattasse del filius natu minor di
Velthur I. Egli, quindi, sarebbe il giovinetto con pretexta e bulla, forse meno
che decenne all’epoca dell’affresco e, dunque, circa cinquantenne al
momento dei fatti narrati nell’elogium103.
Mario Torelli vuole collocare gli eventi citati dall’elogium di Aulus durante
la guerra tra Roma e Tarquinia nel 358 a.C., ovvero una sessantina di anni
dopo gli eventi della spedizione di Velthur I in Sicilia104.
Secondo altri storiografi, invece, l’elogium di Aulus non parlerebbe della
guerra del 358 a.C., in cui gli stessi Romani furono trucidati dagli Etruschi
nel foro di Tarquinia. I Romani, infatti, avrebbero avuto scarso interesse a
rievocare quegli eventi parzialmente dolorosi (tra cui la privazione di nove
città latine!). In realtà gli episodi menzionati si collocherebbero tra la fine del
VI secolo a.C. e gli inizi del V, quando si può ben concepire anche la stessa
rimozione
del re da Caere e l’eventuale instaurazione del regime repubblicano105.
Nella Tomba dell’Orco I, in ogni caso, Velia, moglie di Arnth Velchas,
risulterebbe membro della famiglia Spurinas (sorella del fondatore, Velthur
I?) e, quindi, se ne ricaverebbe una parentela della gens Velcha (proprietaria
della Tomba degli Scudi) con questa importante famiglia tarquiniese.
Quanto alla presenza del nome Murinas, nella tomba, essa verrebbe
spiegata con un passaggio di proprietà dalla gens fondatrice, gli Spurinas, ai
Murinas stessi.

La genealogia degli Spurinas


Appurato, in ogni caso, che la Tomba dell’Orco dovette appartenere alla
gens Murinas fin dalla sua fondazione, è interessante ricostruire anche la
genealogia della famiglia che, per lungo tempo, è stata creduta proprietaria
della tomba (e che, invece, sarà da ricercare altrove, nella stessa Tarquinia).
Sulla base degli elogia e considerando Velia Spurinas sorella di Velthur I
(in quanto fondatore della tomba?), si ricaverebbero due “stemmi” familiari:

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 1
2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 1

27
Walter Lucci

510 o 430 a.C. ca. Lars Spurinas - Ravnthu


Thefrinai (?)

?
480 o 415 a.C. Velthur I Spurinas (primo elogium) Velia Spurinas

460 o 380 a.C. Velthur II Spurinas (secondo elogium)

435 o 358 a.C. Aulus Spurinas (terzo elogium)


Oppure:
510 o 430 a.C. ca. Lars Spurinas - Ravnthu Thefrinai (?)

?
480 o 415 a.C. Velthur I Spurinas Velia Spurinas

460 o 380 a.C. Velthur II Spurinas Aulus Spurinas 435 o 358 a.C.
Considerando l’interpretazione data alle pitture della Tomba dell’Orco I,
ovviamente, risulterebbe corretto il secondo schema genealogico. Mario
Torelli vede confermata questa ipotesi anche sulla base del nome del
secondo-genito di Velthur I, ovvero Aulus: questo prenome, infatti, sembra
innovare rispetto alla tradizione familiare incentrata sui prenomi
Lars/Velthur; questo perché se il figlio maggiore prendeva un nome in linea
con la tradizione (in questo caso, Velthur), il figlio minore, invece, riceveva
necessariamente un nome diverso106. Ma Torelli non prese in considerazione
il fatto che se Velthur II prese il nome del padre (perché non del nonno?),
Aulus poteva plausibilmente ricevere il prenome Lars.
Le date proposte per i membri della gens Spurinas sono basate,
rispettivamente, sulle interpretazioni di G. Colonna107 e M. Torelli.

Oltre ai dati offerti dagli elogia, incontriamo un Venel Spurienas a Volsinii


(Orvieto), nella necropoli di Crocefisso del tufo. Titolare di una tomba a
camera della fine del VI secolo a.C., è citato nell’iscrizione CIE 4926 della
tomba108. Si noti, in particolare, la forma con cui è attestato il gentilizio,
Spurienas, ovvero ricostruibile come *spurie (ambito semantico della “città”)
> *spurie + -na, suffisso formante dei gentilizi.
La Tomba dei Tori (Necropoli dei Monterozzi) restituisce un’iscrizione (CIE
5327, TLE 78) che ricorda un esponente di questa famiglia: Arath Spuriana.
Il testo completo è:

28
Arath Spuriana s[uth]il hecece fariceka109
Vi si ricorda, quindi, la fondazione del sepolcro, tramite il collegamento dei
due verbi con la congiunzione enclitica -ka (analogo al -que latino); i due
verbi esprimono il valore semantico del “fondare” (hecece) e del
“predisporre” (farice-, forse avvicinabile al latino pario):
Arath Spuriana, la t[omb]a fondò e predispose
La tomba viene datata al
530 a.C. in virtù del
confronto stilistico delle
sue pitture con quelle sulle
ceramiche etrusche a
figure nere, cosiddette
pontiche, che inseriscono
la tomba e il suo pittore nel
panorama artistico di quel
periodo e che hanno fatto
della tomba stessa uno
degli ipogei tarquiniesi più
discussi nell’ambito etrusco logico . Ma la stessa iscrizione ci offre un
110

elemento cronologico: il segno con cui viene indicato il fonema f (fh), a


forma di 8, compare nelle iscrizioni tarquiniesi solamente a partire dal 540
a.C. e la stessa opposizione fonologica tra le due sibilanti sigma (a forma di
z = ss), iniziale del nome Spuriana, e san (a forma di M = s), iniziale della
parola suthi (anche se integrata), si stabilizza ugualmente nello stesso
periodo.
Il dittongo -ia- nel gentilizio è esito di un’alterazione del timbro vocalico in
Spuriena, che è da ritenersi la forma etimologica (come nell’epigrafe
volsiniese)111.
Arath Spuriana è, forse, da identificare con lo stesso personaggio che
dedicò una tessera hospitalis in avorio nel santuario di Sant’Omobono a
Roma (foro Boario), dedicato al culto di Fortuna e Mater Matuta112. La
placchetta reca anche il nome della
controparte, un certo Araz Silqetenas
(Sulcitanus?) Spurianas. Ma lo stesso Arath
Spuriana potrebbe essere un antenato della
famosa famiglia degli Spurinna, le cui
imprese sono narrate dai celeberrimi elogia.

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 1
2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 1

29
Walter Lucci

La tessera hospitalis fu rinvenuta nel 1978, nel deposito votivo dietro il


lato posteriore del tempio, contro il primo podio. È conformata a figura di
leone accovacciato nella parte anterior, mentre nel lato posteriore, liscio, è
incisa la formula onomastica trimembre. La datazione è fissata al 530 a.C.
Trattandosi di una tessera hospitalis, essa era destinata al
ricongiungimento, nella parte piatta, con una analoga, ma speculare. Il
proprietario è un etrusco residente a Roma: la resa del nome con la -z per
l’affricata in luogo della dentale palatale -th è un fenomeno ampiamente
diffuso in area latino-falisca. Il primo gentilizio è costituito, in realtà, da un
etnico, improntato sul nome della città fenicio-punica di Sulci in Sardegna
sud-occidentale e ricostruibile in *Selce o *Selci. Terzo membro della
formula è considerato, dai più, come un nomen qualificante un etrusco “che
avesse soggiornato più o meno a lungo a Sulci, prima della conquista
cartaginese della Sardegna”113. Sicuramente fu membro della famiglia
Spuriana/Spurinas e legato al proprietario della Tomba dei Tori.
Poiché la vita di Arath Spuriana si colloca in un periodo anteriore al 530
a.C. ca., è ipotizzabile (sulla base della cronologia di Giovanni Colonna) che
egli sia il padre di Lars Spurinas (in questo caso, Spuriana!), che negli elogia
viene indicato come il padre di Velthur I. In sostanza, si potrebbe ipotizzare
che il sepolcro della gens Spurinas sia da identificare con la Tomba dei Tori,
fondata da Arath. E, in effetti, il programma figurativo della tomba, con
l’unica rappresentazione mitologica greca (l’agguato di Achille su Troilo) che
si ritrovi all’ingresso di una tomba etrusca arcaica 114, oltre alle scene
erotiche (anche di contenuto omosessuale) e alla complessa simbologia
funeraria, ben si sarebbe prestato a rappresentare una gens così
importante. Ne conseguirebbe la seguente genealogia:
560 a.C. ca. Arath Spurinas

510 a.C. ca. Lars Spurinas

480 a.C. Velthur I Spurinas

460 a.C. Velthur II Spurinas

435 a.C. Aulus Spurinas


Sepolto nella tomba della gens Partunu a Tarquinia, in un sarcofago in
nenfro, troviamo un Arnth Spurinas, raffigurato sul coperchio come un
giovano recumbente. La cassa del sarcofago è ornata da una coppia di
genietti alati separati da un grande cratere a volute ed è databile al 260 a.C.
Le dimensioni evidenziano che esso appartenne ad un fanciullo.
Nell’iscrizione identificativa, il gentilizio (Spurinas) è anteposto al nome

30
personale, com’era usuale in epoca tarda. Suo padre è Vel Spurinas, sua
madre Cuclni Thanchvil, nota come moglie di Laris II Partunus e madre
anche di Velthur II Partunus. Dall’epitaffio (CIE 5427) si ricava che il fanciullo
fu conferito il titolo di zilath115:
Spurinas Arnth Velus clan Cu[cl]nial Thanchvi[lus … zi]lath lupuce […]-ur-
[…]116
Patronimico e matronimico hanno l’uscita in genitivo, rispettivamente dei
nomi terminanti in liquida e dei nomi femminili terminanti in -i. Il termine
lupuce rientra nella sfera semantica del “morire” al perfetto. L’iscrizione,
frammentaria, è traducibile come:

Spurinas Arnth, figlio di Vel (e) di Cu[cl]ni Thanchvi[l … zi]lath morì…


Sulla base delle relazioni familiari all’interno della Tomba dei Partunu, si
ricava il seguente schema genealogico:
290 a.C. ca. Laris II Partunus - Cuclni Thanchvil - Vel
Spurinas

260 a.C. Arnth Spurinas


Da Tarquinia provengono due iscrizioni di età recente, menzionanti altri
due membri della gens Spurinas: A(ule?) Spurinas, figlio di S(ethre) e morto
a trentacinque anni e Thana Spurinei, una donna di ottantaquattro anni. Il
primo riceve sepoltura con cippo in nenfro a base parallelepipeda e
colonnina di provenienza incerta, la seconda con un cippo in nenfro della
stessa tipologia117.
Ricordato nel lungo epitaffio di Larthi Cilnei, visto e copiato nel
Cinquecento in una tomba a Tarquinia (Manoscritto Vaticano Latino 6040),
Arnth Spurinas (?) era il marito della donna, morta all’età di ottantatre anni
e figlia di Luvchume Cilnie e di una Felznei originaria di Arezzo e vissuta
forse nel IV secolo a.C.118
Il testo del manoscritto (le parole precedute da * sono state emendate)
recita:
Larthi Cilnei *Luvchumes
Cilnies sech *an *Aritinial
meani arsince *clthlu-
m lupu Felznealc nach
umse puia a[m]ce *Ar(n)thal *Spu-
rinas cver puthsce uthu

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 1
2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 1

31
Walter Lucci

u[z]r einch s[a]l luice phul-


ui-[…]-ce […]*-es puia amce a-
[vi]l XIIII *lupum *avils [L]XXXIII 119

Il testo, quindi, si traduce lacunosamente come segue:


Larthi Cilnei di Luvchume
Cilnie figlia che da Arezzo
… se ne andò …
morì e di Felznei …
… fu moglie di Arnth Spu-
rinas (e) un dono ha fatto (?) …

… fu moglie per an-
ni 14, morta ad anni 83
Ne consegue il seguente schema cronologico:
IV sec. a.C. Luvchume Cilnie - (…) Felznei

IV sec. a.C. Larthi Cilnei - Arnth Spurinas


Dall’agro di Tarquinia provengono due ultime attestazioni del gentilizio in
esame: uno da Blera, nell’iscrizione ta mutna Marces Spurinas (“Questo
sarcofago è di Marce Spurinas”)120, che quindi reca il nome di Marce (al
genitivo) Spurinas inciso su un sarcofago in nenfro a
cassa liscia con specchiatura centrale e coperchio displuviato (recuperato
nel 1968-69 in una tomba a camera depredata), datato al IV-III secolo a.C.;
l’altro da Tuscania, con il nome di Sethra Spurini inciso su un cippo in
peperino a base parallelepipeda e colonnina di età recente121.
Altri esponenti minori della gens sono: Spurinnia Longa, donna di
settantacinque anni ricordata nell’epitaffio di una colonnina sepolcrale in
pietra calcarea (I secolo a.C.-I d.C.) dalla zona di villa Bruschi-Falgari;
Spurinnia L. f. Thannia, altra donna morta a novantaquattro anni e sepolta
nella necropoli dei Monterozzi, con cippo in marmo lunense di provenienza
incerta (I. secolo a.C.-I d.C.). Altro esponente della famiglia era Larth
Srupinas (emendato in Spurinas), sepolto in una tomba a camera di Volsinii
(Orvieto), nella necropoli di Crocefisso del Tufo (fine VI secolo a.C.);
l’epitaffio recitava mi Larthia Srupinas, ovvero “Io sono di Larth Srupinas”,
con il nome al genitivo122.
La documentazione epigrafica del gentilizio Spurinas è arricchita dalla
omonima serie vascolare, costituita in genere da piattelli e coppe con il
tondo interno interessato dalla presenza di formule onomastiche monomie o
binomie dipinte, da intendersi come marchi di produttore o come nomi di
committenti-donatori. Gli esemplari con iscrizione Spurinas sono cinque e
provengono da Vulci e S. Giuliano; uno è di origine incerta. Quanto al centro

32
di produzione, si pensa a Vulci, in virtù della quantità degli esemplari
rinvenutivi; la datazione, invece, si colloca tra il 525 e il 475 a.C.
Ovviamente non ci consentono di individuare personaggi specifici, ma
comunque attestano l’importanza della famiglia in Etruria meridionale nel
periodo tardo-arcaico, oltre che lo sviluppo Spuriena > Spurina prima degli
inizi del V secolo a.C.123
La coppa Spurinas n° 13 (parte dell’orlo e della vasca) proviene dalla
tomba Ciarlanti di San Giuliano; il materiale documentato nella tomba,
consta di un nucleo più antico, cui appartiene un alabastron etrusco-
corinzio, e di uno più recente, rappresentato da una kylix attica e al quale va
annessa anche la coppa Spurinas124. L’iscrizione nel tondo interno, sp[…]s è
integrabile con certezza come Sp[urina]s, giacché la grafia e la spaziatura
delle lettere consentono di avvicinare questa iscrizione a quella del piattello
n° 55 e giacché si riscontra una quadruplice occorrenza del gentilizio nel
Gruppo, di cui esso è stato assunto come eponimo da Beazley125.
Anche i piattelli n° 36 (Vulci, necropoli di Pian dell’Abbadia, scavi Luciano
Bonaparte 1828-1829)126, 45, 55 (Pitignano, terreno di Giovanni Denci 1902;
parte dell’orlo mancante)127 e 91 (provenienza sconosciuta) recano iscritto il
gentilizio Spurinas. Si tratta, per il momento, delle più antiche attestazioni di
questa forma del nome, al genitivo, la cui forma arcaica è
Spuriena/Spurienas128.
Il gentilizio Spurina risulta attestato nel V secolo a Cerveteri (Spurin[as]) e
nel territorio di Chiusi, oltreché a Tarquinia, Orvieto, Norchia, agro perugino,
ecc.129
I quattro esemplari menzionati del Gruppo Spurinas, due provengono da
Vulci (36 e 45), uno da Pitignano (55) e il quarto di provenienza sconosciuta
(91). In particolare, l’esemplare di Pitignano (55) proveniva da una tomba a
camera i cui oggetti di corredo permettono di ipotizzare una o più
deposizioni ne VII secolo a.C., mentre la ceramica attica appartiene a una
deposizione più recente. A questo nucleo più recente va attribuito il nostro
piatto Spurinas,

collocabile nell’ultimo quarto del VI secolo a.C.130


L’Etruria settentrionale offre una nutrita serie di attestazioni del gentilizio.
Ancora alla seconda metà del V secolo a.C. deve essere riferita, per la forma
non contratta del prenome Venel, l’urna in pietra fetida di Castelmuzio
Trequanda con la formula bimembre Venel Spurina. A Perugia abbiamo, tra
la fine del III secolo ed il II secolo a.C., ben quattro attestazioni del gentilizio
nella forma Spurinas (ET Pe 1408, CIE 4465, CIE 4134, CIE 4464). Dalla

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 1
2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 1

33
Walter Lucci

necropoli di Casalta in Val di Chiana (Arezzo) proviene un’urna di travertino


con l’iscrizione di una Larthi Spurinei131.
A Chiusi è presente un’altra Larthi Spurinei e a Chiusi-Sanbuono un Arnth
Murina, figlio di una Spurinei (attestando una parentela tra gli Spurina e i
Murina, che della zona di Chiusi erano originari!)132. Secondo Mario Torelli,
ciò evidenzierebbe un legame tra le due gens all’origine dell’ampliamento
della Tomba dell’Orco, ovvero un passaggio di proprietà dagli originari
Spurinas ai successivi Murinas, i quali si vollero ricollegare al capostipite
fondatore della Tomba dell’Orco I con il nuovo programma iconografico, o,
meglio, epigrafico.
Riassumendo, nel nord, il gentilizio è distribuito in sei siti, con una decina
di occorrenze. Interessante è soprattutto il quadro delle relazioni inter-
familiari: si evidenzia una strategia di alleanze con le gentes del nord,
indiziata da legami matrimoniali, che avrebbe permesso fin dalla metà del V
secolo a.C., l’instaurarsi ed il consolidarsi di interessi da parte della casata
tarquiniese, del cui intervento nel nord resta memoria nell’elogio di Aulus
Spurinna.
Da varie fonti è ricordato, infine, uno Spurinna come aruspice di Cesare,
autore della profezia delle Idi di Marzo (Svetonio, Caesar 81; Valerio
Massimo, Memorabilia VIII, 11, 2). Questo aruspice di Cesare, secondo Mario
Torelli sarebbe antenato del Vestricius Spurinna del I secolo d.C. Il che
dimostra la lunga fortuna che questa gens ebbe nella storia etrusca e
romano-repubblicana133.
La base onomastica spur- è molto antica e produttiva; su di essa si forma
il termine istituzionale spura (aggettivo spurana) corrispondente al latino
civitas. Fin dalla metà del VII secolo a.C. sono attestati elementi onomastici
individuali (prenomi) derivati da tale base: Spurie a Cerveteri (TLE 90),
Spuriaza a Cerveteri e Chiusi (TLE 941, 482). Alla fine del Vi secolo a.C., si
ha Spurie ad Orvieto-Crocefisso del Tufo (CIE 4950) e, si è già detto,
Spuriena in funzione di nomen nello stesso sito, che attesta il grado -e- della
vocalizzazione del dittongo, originario rispetto al tarquiniese -a-134.

Appendice: un approfondimento morfo-linguistico sul cognome


etrusco
Sulla base dei dati forniti dall’archeologia, è possibile affermare che la
formazione del sistema onomastico etrusco s’inserisce direttamente nel
processo di sviluppo della società villanoviana135. L’aggregazione di più
comunità in una stessa sede, comporta la necessità di creare forme più
adeguate per l’identificazione degli individui. Varrone affermava che Romolo
e Remo non ebbero mai né un praenomen né un cognomen; i latini più
antichi, pertanto, si chiamavano con il solo nome individuale, mentre la la
formula onomastica bimembre si sarebbe diffusa in un secondo momento, in
concomitanza con il sinecismo con la comunità sabina (ad es, Titus Tazius).

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Per l’Etruria si può pensare egualmente che sia avvenuto un passaggio dalla
formula unimembre a quella bimembre nello stesso periodo o, forse, anche
prima136. Tutto ciò si collocherebbe, in effetti, tra la fine dell’VIII e gli inizi del
VII secolo a.C., giacché alla metà
del VII secolo il sistema onomastico bimembre appare già formato e
ampiamente usato.
Sulla questione dell’origine del sistema onomastico etrusco si sono
“scontrate” due teorie facenti capo l’una a Massimo Pallottino, l’altra a
Helmut Rix. Se Rix affermava un’origine italica, sabina o latino-falisca del
sistema bimembre (prenome + gentilizio)137, Pallottino si dichiara contrario,
quindi a favore di un’origine prettamente etrusca. Questo tipo di sistema si
differenziava, in particolare dalle formule in uso presso altri popoli
mediterranei, come i Greci, i quali indicavano le persone con un semplice
nome individuale più un patronimico (Apollonio di Nestore) o un epiteto di
discendenza (Aiace Telamonio), senza esprimere il concetto di continuità
familiare138.
Al contrario, il sistema italico prevede la presenza di un doppio elemento,
il nome personale e il nome di famiglia o gentilizio, usanza che si è
tramandata fino all’età moderna.
Si ritiene che i gentilizi siano derivati dal nome singolo paterno. Ma poi i
nomi si formarono anche da teonimi, toponimi, ecc. La nuova formazione,
tuttavia, rimane fissata per tutti i membri della famiglia e loro discendenti,
senza mutamenti (se non grafici) di rilievo139. Lo studio della formazione dei
gentilizi, in effetti, sovverte il radicato luogo comune sul matriarcato
etrusco, poiché i gentilizi si formavano prevalentemente sulla base di nomi
maschili (per via patrilineare, quindi). Presso i latini, ad esempio, il gentilizio
Marcius (arcaico Marcios) è formato sulla base del nome individuale Marcus,
con l’aggiunta del suffisso di appartenenza/derivazione -io, un imprestito
dell’italico. La stessa funzione di quel suffisso ha, in etrusco, -na
(aggettivale): da Marce, deriva il gentilizio Marcena140.
Oltre ai gentilizi terminanti in -na, esistono anche altre categorie di
nomina: i gentilizi terminanti in -ie (adeguamento ai gentilizi italici in -io,
latino -ios > -ius); gentilizi terminanti in -nie (combinazione di -na + -ie),
come in Tarchunie (Tarquinius), ecc.141
Alla fine del VI secolo a.C. si possono distinguere anche altri elementi
aggiunti alla formula onomastica. Terzo elemento diventa il cognomen,
attestato sporadicamente, che come presso i latini è in origine un
soprannome caratterizzante l’individuo per qualità fisiche o morali). Si

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 1
2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 1

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Walter Lucci

aggiunge, poi, anche il patronimico, espresso con il nome individuale


paterno al possessivo142.
L’onomastica di età recente (IV-I secolo a.C.), diventa assai complessa con
l’aggiunta di dati anagrafici ulteriori nelle iscrizioni. I nomi individuali
maschili (praenomina) si riducono ad un numero esiguo (come presso i
romani) e spesso vengono abbreviati alla prima o alle prime due lettere. I
nomi più frequenti e le loro abbreviazioni incontrate nel presente lavoro,
sono i seguenti:
- maschili: Arnth, abbreviato in A. Ar. Ath.; Avle/Aule, abbreviato in
Av./Au.; Vel, abbreviato in V. Ve., Vl.; Velthur, abbreviato in Vth.; Larth,
abbreviato in L. La. Lth.; Laris, abbreviato in L. Li. Lr.; Lauchme, abbreviato
in Lch; Sethre, abbreviato in S. Sth.
- femminili: Velia; Thanchvil, abbreviato in Th. Tha.; Ramtha, abbreviato in
R. Ra.; Ra(v)nthu143.
La riduzione dei nomi individuali rende più importante la funzione dei
gentilizi, che continuano quelli attestati più anticamente, anche se
graficamente e morfologicamente il loro aspetto muta (cadono le vocali
post-toniche, si riducono i dittonghi, ecc.)144.
Accanto ai due elementi principali diventa diffusissimo proprio il
patronimico (nome del padre al possessivo/genitivo + clan, “figlio”, oppure
nome paterno nella forma aggettivale u-
scente in -sa). Altro elemento tipico dell’onomastica recente è il matronimico
(espresso con il prenome e il gentilizio in possessivo o raramente col
gentilizio in -sa). Nelle formule onomastiche femminili, infine, viene aggiunto
anche il gamonimico (prenome e nome del marito in possessivo/genitivo +
puia, “moglie” o raramente il gentilizio uscente in -sa)145.
Fatte le dovute premesse circa la natura e lo sviluppo dell’onomastica
etrusca, si può procedere con l’analizzare la questione da cui si era partiti,
ovvero le gentes dei Murina e degli Spurina.
In particolare è possibile gettare uno sguardo critico sulla formula etrusco-
romana Araz Silqetenas Spurianas, del leoncino eburneo di S. Omobono.
Siamo nel VI secolo a.C., precisamente intorno al 560 a.C., in area latino-
falisca. L’iscrizione su leoncino reca una formula trimembre con due
appositivi formalmente identici nella formante -na (apparentemente
gentilizi146). In essa si è spesso ipotizzato di riconoscere nell’oscuro
silqetenas un etnico (con suffisso -te), rispetto al notissimo gentilizio
Spurianas. Ma qualcuno ha anche paragonato quest’ultimo al termine
rumach utilizzato per designare Cneve Tarchunies (Gneus Tarquinius),
ovvero “romano”; il che porterebbe a tradurre spurianas come il latino
urbicus, ovvero “cittadino”147. Carlo de Simone, invece, ha avanzato un’altra
ipotesi, ovvero che in uno dei due si abbia il gentilizio, mentre nell’altro la
filiazione; e la filiazione sarebbe riconosciuta in Spurianas, nonostante esso
figuri come notissimo gentilizio (fin dal fondatore della Tomba dei Tori)148.

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Il punto importante, però, è un altro: la coesistenza di due appositivi. Data
l’alta cronologia dell’iscrizione, si tratta di un vero e proprio hapax in
etrusco, e ciò lo troviamo addirittura nell’etrusco di Roma (città che, in data
posteriore, non conosce tale formula). In definitiva, si può concludere che: 1)
la formula onomastica con doppio appositivo, esisteva dal VI secolo a.C. nel
Lazio; 2) è possibile che essa esistesse a Roma prima dell’altra formula
usata per la filiazione, ovvero il nome parentale al genitivo con o senza
“figlio”)149.
A differenza dell’iscrizione di S. Omobono, la cui interpretazione appare
ancora incerta, in tutti gli altri casi in cui è attestato, il gentilizio Spurinas ha
una sua precisa origine e spiegazione morfologica che va analizzata. Senza
contare che anche il gentilizio Murinas segue lo stesso tipo di sviluppo:
spur- (“città”) > Spurie (spur- + -ie) > Spuriena (Spurie + -na) > Spuriana >
Spurina
mur- (“sostare, dimorare”?)> Murie (Mur- + -ie) > *Muriena (Murie + -na) >
Murina
Spurie può essere considerato o un nome individuale o un sostantivo che
rientra nell’ambito semantico della “città”. Esso, comunque, è attestato
anche come gentilizio intorno al 620-600 a.C. a Caere (?), nell’iscrizione (ET
Cr 3.8) su un’anfora di bucchero sottile:
mini Spurie Utas muluvanice150
Essa si traduce:
Mi ha donato Utas Spurie
Il termine spur- è utilizzato anche per la formazione di altri nomi o gentilizi
etruschi. L’iscrizione CIE 5429 da Tarquinia (necropoli dei Monterozzi), incisa
su un cippo in nenfro con coronamento a capitello, recita:

mi ma(rchars) Mamarce(s) Spuriiazas151


Essa si traduce:
Io (sono) la st(ele) di Mamarce Spuriiaza
Spuriiaza è la forma diminutiva (o valutativa) realizzata con suffisso -za152
(Spurie > *Spurieza > *Spuriaza > Spuriiaza).
Etimologicamente il nome Spurie appare ben radicato in ambiente
etrusco. Per esso si può parlare dell’integrazione di un nome da L1 a L2,
mediante adattamento lessicale-semantico. Si tratta di un’integrazione che

1. “Necropoli dei Monterozzi e tombe dipinte”, in


http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/Tarquinia-monterozzi.html, p. 1
2. Morandi, M., “Monumenti in primo piano: la Tomba dell’Orco di Tarquinia”, in
http://www.amicidiroma.it/tomba-orco-tarqui-nia.html, p. 1

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Walter Lucci

avviene nei casi in cui il suono del nome appare fortemente (anche se in
modo accidentale) simile a quello di un appellativo. E proprio nel nostro caso
notiamo che il latino Spurius corrisponde all’etrusco Spurie, anche se non è
assolutamente possibile stabilire la direzione dell’imprestito (se di prestito si
tratta). Entrambi i nomi sembrano avere agganci lessicali nelle rispettive
lingue: in etrusco, spura è la civitas, mentre in latino spurius significa “non
legittimo”; quindi, se il nome etrusco è stato imprestato in latino, può aver
avuto proprio un aggancio lessicale nell’aggettivo spurius (o nome
individuale Spurius)153.
Il suffisso etrusco -ie ha una valenza univoca di adattamento fonologico
del nome ad un contesto culturale vicino, come quello latino-italico, e non di
marca di gentilizio. I nomi in questione, quindi, non sono da considerare
gentilizi di tipo italico, ma praenomina adattati al look latino-italico e
rifunzionalizzati come gentilizi. Si tratta, in definitiva di un suffisso valutativo
analogo a -za154.
Gentilizi uscenti in -ie-na (*Muriena, Spuriena) mostrano che
l’adattamento al look latino-italico è avvenuto nel nome di base cui poi è
stato aggiunto il suffisso nativo etrusco di gentilizio -na. Poiché i gentilizi in
-na sono considerati autentici e molto antichi nella storia dell’onomastica
etrusca, si deve supporre una fase di imprestito del nome in concomitanza
con la formazione delle prime gentes o addirittura prima155.
Si deduce, quindi, una sorta di cronologia relativa della formazione di
suffissi, secondo il seguente schema:
I fase (contatto) praenomina italici -ie (tipo Murie, Spurie)
II fase (integrazione) gentilizi etruschi -ie-na (tipo
*Muriena, Spuriena) 156

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185, 243-244 (Hulchnie), 153-254 (Thefrina), 318-325 (Murina), 344-345
(Paina), 358, 476-486 (Spuriana/Spuriena), 487 (Spuriiaza), 630-631, tavv.
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