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Q U A L I S A RT I F E X P E R E O.
L’ A R C H I T E T T U R A N E RO N I A N A
92 È forse nelle ultime parole di Nerone morente che si racchiude la chiave per comprendere 93
l’architettura neroniana. Artifex, infatti, è la radice di artificio, artificioso, ma anche di fuochi
artificiali, e se i due primi termini soffrono ancora di una lettura pregiudizialmente negativa, è
difficile trovare chi possa sottrarsi alla fascinazione pirotecnica. Eppure, anche dei fuochi
artificiali più fantasmagorici, a fine spettacolo rimane giusto un abbaglio, una scia di fumo, e un
po’ di polvere. A voler essere rigorosi, infatti, dell’architettura di Nerone non conosciamo
granché; anzi, di tutta l’architettura giulio-claudia pochissimi sono gli edifici che possano essere
datati con certezza assoluta all’uno o all’altro dei successori di Augusto, figuriamoci quindi a
voler sceverare tra Nerone, Galba, Otone (che pure spese cifre folli nei suoi pochi mesi di regno
per proseguire il cantiere della Domus Aurea), Vitellio, o, addirittura, interventi flavi (in
particolar modo di Tito).
Se poi volessimo postulare un’architettura neroniana, intesa come una cifra particolare che
caratterizzi l’architettura dell’Impero negli anni tra il 54 e il 68 d.C., dovremmo fare i conti
indifferentemente con edifici neodorici ad Efeso o con gli stucchi di ordine ibrido del restauro
del tempio di Apollo a Pompei dopo il terremoto del 62 d.C. Proprio le città vesuviane, da
sempre considerate “quasi speculum Urbis”, e comunque campo di osservazione ideale per 1. Domus Aurea, Agli estremi orientali dell’Impero, ad esempio, in Caria, ad Afrodisias, tra l’età tiberiana e l’età
Criptoportico 92
quasi ogni fenomeno del mondo romano, offrono la prova di una certa vischiosità delle claudia si sta realizzando uno dei monumenti più spettacolari che ci sia pervenuto della
datazioni, che possono scivolare facilmente dal regno di un imperatore a quello di un altro romanità, strettamente legato peraltro alla figura dell’Imperatore: il Sebasteion. Si tratta di un
(per non parlare del fatale anno 69, che vide quattro imperatori) se non ci sono cardini storici complesso costituito dal tempio di Afrodite Promètore o progenitrice, il tratto di strada
o epigrafici a porre punti fermi. Attualmente peraltro anche lo spartiacque del terremoto del monumentale che lo raggiunge e del propylon che marca l’attacco (peraltro sghimbescio) di
62 viene messo in discussione, non solo come data (si è proposto di spostarla al 63), ma come questa con il principale asse stradale della città. Mentre il tempio è un tempio
evento-crisi di un sistema sociale e della sua architettura, preferendo vedere nei cantieri imbarazzantemente ordinario, prostilo esastilo come centinaia di altri nell’Impero, il propylon
interrotti dal Vesuvio non più l’onda lunga di una catastrofe remota, ma il normale sviluppo di (fig. 3) è la più antica facciata monumentale, costruita a puri fini decorativi, che ci sia
una storia edilizia. Da un altro punto di vista, però, questa assenza di definizione pervenuta. Se è esatta la ricostruzione che ne viene proposta, il marmo è usato ai limiti
dell’architettura giulio-claudia può essere letta in positivo, ovvero come cifra del periodo in cui dell’ammissibilità statica, in quella che si sarebbe tentati di bollare come un’architettura
il “classicismo” augusteo, inteso come norma stabilita non per legge ma per propria auctoritas, fantastica, più adatta al quarto stile pittorico in gestazione proprio negli stessi anni: la
si evolve prima in senso manierato (imitazione), poi manierista (approfondimenti e varianti), larghezza della sede stradale è spartita in tre da una coppia di tetrapili su podio, a due ordini
fino allo scatto inventivo di età flavia, quando nuove e diverse esigenze politiche imporranno sovrapposti, che formano una facciata a timpano spezzato; trabeazioni preoccupantemente
altrettanto nuove e diverse forme architettoniche. Interrogarsi sull’architettura neroniana esili la collegano a due ali estreme che ne ripetono, libere nell’aria, il motivo architettonico.
acquista allora un senso, per sistematizzare una prassi costruttiva (tecnologie), edilizia Appena oltrepassato questo diafano schermo, più che una strada, una corte stretta e lunga (14
(tipologie) e architettonica (exempla), che scorreva sui binari saldamente stabiliti da Augusto, x 90 metri circa) ha come fondale il tempio, costruito sull’unica eminenza disponibile sul sito
e dai quali si deragliava solo in circostanze estremamente rare e specifiche, per motivi oltre quella del teatro, ma tutto l’interesse è per le due pareti longitudinali, costituite da tre
incidentali, spesso dovuti alla lontananza dal centro del potere o a specifiche condizioni locali. ordini sovrapposti di colonne canonicamente doriche, ioniche e corinzie, che al pianterreno
94 2. Acquerello
ricostruttivo della Villa
danno accesso a vani mai utilizzati fino al tardo antico, e ai piani superiori intelaiano duecento 5. Pompei, Casa di
Marco Lucrezio
95
di Nerone a Subiaco rilievi a soggetto mitologico, allegorico e politico (fig. 4). Che tutto questo non sia farina del Frontone, decorazione
(cortesia Soprintendenza della parete nord del
Archeologica Lazio)
sacco degli Afrodisiensi, per quanto straordinari artigiani del marmo, lo prova non soltanto la tablino, quadretto con
serie di allusioni puntigliosamente up to date: Claudio che conquista la Britannia e Claudio un paesaggio con villa
3. Disegno ricostruttivo
della facciata del che viene conquistato da Agrippina, Agrippina che incorona Nerone, Nerone che conquista 6. Domus Aurea,
portico meridionale del l’Armenia (chissà se Tiridate era mai passato per Afrodisia...), ma anche per le cinquanta ricostruzione e pianta
Sebasteion di Afrodisia, del padiglione sul colle
da K.T. Erim, figurazioni di popoli soggetti a Roma, dall’Atlantico all’Arabia, tra cui i Pirusti, che oggi Oppio, da L.F. Ball, The
Aphrodisias, Istanbul figurano anche su Wikipedia, ma di cui è difficile che ad Afrodisia si fosse mai sentito parlare: Domus Aurea and the
1990 Roman Architectural
si trattava infatti di popolazioni stanziate tra le Bocche di Cattaro e il Montenegro. Se una città Revolution, Cambridge
4. Disegno ricostruttivo modesta e provinciale, come Afrodisia era ancora alla metà del primo secolo dopo Cristo, University Press 2003
dei propilei del
Sebasteion di Afrodisia, poteva esibire monumenti del genere, cosa facevano i Giulio-Claudii a Roma? Ebbene, per
da K.T. Erim,
Aphrodisias, Istanbul
quanto possa sembrare strano, nei primi cinquant’anni della nostra era, Roma è ancora la
1990 Roma di Augusto: i due Cesari successivi, Tiberio e Caligola, non avrebbero interferito in
grande stile sul centro monumentale, già saturo. La città ha un ruolo promotore, esporta nel
mondo romanizzato modi e modelli, e nessuno può prevedere che sia in atto una vera e
propria rivoluzione. Già in età tiberiana, infatti, si avrà la prima affermazione su vasta scala di
una “nuova” tecnica costruttiva, ancora fino all’età augustea impiegata solo per usi specifici
come le pareti curve a stretto raggio, per il notevolissimo costo di uno dei suoi componenti.
L’opus testaceum, in italiano il laterizio, altro non era che il già sperimentatissimo opus
caementicium, il cui paramento, però, anziché essere costituito da tufelli più o meno
regolarizzati e più o meno regolarmente disposti (opus incertum, opus quasi reticulatum, opus
reticulatum), è costituito di mattoni di argilla cotta. Il rifornimento e il costo della legna per la
cottura (più il mattone veniva cotto a temperatura elevata, migliori erano le sue caratteristiche
tecniche) aveva probabilmente rallentato il suo impiego, ma le immense disponibilità
dell’Augusto rendevano il problema trascurabile: le mura dei Castra Praetoria,
l’accampamento della guardia imperiale, oculatamente tenuto fuori dalla città, sono in opera
laterizia. Questa nuova tecnica verrà impiegata anche per un cantiere ancora poco noto, ma di
cui M.A. Tomei parla in questo volume, e di ben altro impegno costruttivo: la cosiddetta
Domus Tiberiana, ovvero il palazzo in cui i discendenti di Augusto incarnarono la nuova
dimensione autocratica di Roma. Mentre la retorica ufficiale (peraltro riportata da Svetonio un
secolo dopo) voleva Augusto inquilino di una modesta dimora priva di marmi e appena degna
di un privato cittadino, un progetto modularmente concepito e sostanzialmente unitario,
impensabile al di fuori dell’ambito della famiglia imperiale, veniva realizzato sulla metà
96 7. Domus Aurea,
spaccato ricostruttivo
settentrionale del Palatino, non accorpando, ma sostituendosi alle case dei membri della 97
della sala ottagonale, famiglia imperiale. Da questo palazzo, probabilmente già in funzione, Caligola con una serie di
da P. Conolly, H. Dodge,
La città antica, Colonia
ponti levatoi sui tetti delle case e dei templi sottostanti raggiungeva il tempio di Giove
1998 Capitolino e nei criptoportici di questo palazzo trovò la morte per mano di Cassio Cherea. Un
palazzo dinastico, che non escluderà l’esistenza di altri palazzi, contemporanei e futuri, che ad
esso verranno collegati da giardini o da criptoportici, in cui si sperimenteranno formule 8. Domus Aurea, sala per ricreare, in un contesto diverso da quello originale e perfino urbanizzato, i paesaggi
architettoniche che possono rappresentarne un’evoluzione o un’alternativa. Un palazzo ottagonale dell’epica, dell’idillio e della mitologia. Sperlonga e Capri sono esempi di un genere che fino
bloccato, geometrizzato, ma del cui elevato, purtroppo, non abbiamo al momento alcuna all’età augustea contava vari estimatori nel ceto dei ricchissimi e degli aristocratici (dalle cui
traccia, salvo sapere che era dotato di una (probabilmente maestosa) facciata con fastigio e fila peraltro proveniva lo stesso Tiberio), ma che, disapprovato da Augusto, che smontò gli
scalinata: è su questi gradini che sarà incoronato Nerone. È abitando in questo palazzo che splendidi giardini che Vedio Pollione gli aveva lasciato in eredità per farne un portico aperto al
Nerone si occuperà di architettura in prima persona, elaborando progetti di un fuori scala che pubblico, sembra per un certo periodo essere rimasto appannaggio della famiglia imperiale.
sembra inconciliabile con qualsiasi pratica nel quotidiano e progetti totalmente calati nella Caligola, come già accennato, si esibì più in costruzioni effimere (il ponte sui tetti di Roma, un
realtà, come dimostrò dopo l’incendio del 64, emanando tutta una serie di prescrizioni, oggi ponte di barche da Baia a Pozzuoli), di cui le più interessanti sono le famose navi di Nemi, il
diremmo un vero e proprio regolamento urbanistico, che perfezionò quello preesistente di cui livello di raffinatezza è pari solo a quello dell’idea di navigare nell’assoluto silenzio del
Augusto e fu solo ritoccato da Traiano, mettendo le premesse per il volto di Roma imperiale. cratere lacustre immerso nel Nemus Aricinum, al chiarore della luna piena. Sub laqueum,
Ma a dire il vero tutto il progetto della Domus Aurea, di cui si parla diffusamente in questa Subiaco, trae il suo toponimo dal lago creato da Nerone (come Sperlonga dalla spelunca, la
stessa sede, è il progetto di riforma di una Roma definita da Tito Livio “magis occupata quam grotta di Tiberio) per avere, a meno di un giorno di viaggio da una Roma troppo urbanizzata,
divisa”, più un accampamento di zingari che una città pianificata, nella capitale degna di un paesaggio come quelli di Ludius (o Studius) che forse ancora ornavano il suo palazzo (fig.
primeggiare su Alessandria d’Egitto, fino allora la città più bella del mondo antico. Non è 2). Rocce come sculture e sculture tra le rocce, padiglioni un po’ irreali e ponti più sottili e
purtroppo possibile analizzare la grande architettura a scala geografica, di cui Nerone fu aggraziati di quelli fatti per far passare l’esercito, tra boschi impervii e cielo mutevole, il tutto
insuperabile propositore, solo perché ne risulta una cronaca di conati rimasti senza forma, ma riflesso nell’acqua più fredda e più verde del Lazio. La pittura contemporanea ci offre centinaia
il solo elenco giustifica l’epiteto affibbiatogli da Tacito di incredibilium concupitor, smanioso di immagini come quella che evochiamo, perché i gusti dell’imperatore facevano sognare il
di cose impossibili: il taglio dell’istmo di Corinto, il congiungimento di Pozzuoli ad Ostia popolo, e chi poteva cercava di adeguarvisi. Non potendo vivere a Subiaco (giusto Benedetto
attraverso canali navigabili, portare il mare fino a Roma, esplorare il Caucaso o il cuore da Norcia ci riuscirà, mezzo millennio dopo, ma era un santo e per di più in vena di
dell’Africa (e un eventuale successo avrebbe comportato l’apertura di strade). Ma, come automortificazione) Nerone cerca di annettere alla dimora Palatina i Giardini di Mecenate
riportava Filostrato, queste sono cose da semidio. A scala territoriale, invece, Nerone se la sull’Esquilino, e inventa la casa di passaggio, la Domus Transitoria. A pensarci bene, vicino
cavava benissimo, come dimostra una delle sue prime imprese architettoniche, la villa di Roma ne esiste ancora oggi una validissima replica, significativamente extraterritoriale: a
Subiaco, che però va inquadrata in un fenomeno già in atto. Se viaggiare era un’incognita per Castelgandolfo il Sommo Pontefice abita nel Palazzo Pontificio in pieno centro abitato; un
qualsiasi abitante del mondo antico, per il sovrano di Roma allontanarsi dal Palatino poteva passaggio sospeso gli permette di raggiungere la villa Cybo, ove potrebbe trovare la piscina
significare lasciar spazio a potenziali usurpatori, lo aveva sperimentato pochi anni prima olimpionica edificata per Papa Wojtyla (le terme?), oltre al bizzarro giardino a scalinate degli
Tiberio con Seiano. Pure, senza fare psicanalisi spicciola, il bisogno di evasione è un anelito antichi signori di Massa, oppure, tramite un altro cavalcavia recarsi nei meravigliosi giardini
incoercibile dell’anima umana: a questa esigenza la cultura tardo-ellenistica oramai della Villa Barberini, dove potrebbe passeggiare in perfetta solitudine fino ad Albano: il tutto
robustamente romanizzata aveva dato sfogo con l’ars topiaria, l’arte di rimodellare la natura senza uscire dal territorio vaticano. Se è possibile oggi, era ancora più facile in antico, quando
robusti pretoriani armati fino ai denti vigilavano sul loro sovrano (o lo tenevano in ostaggio, a
seconda dei casi) e “dissuadevano” i romani in maniera più pittoresca di quanto faccia ora un
manipolo di garbate guardie svizzere equiparate a vigili urbani. Della Domus Transitoria,
definita spesso “casa a festone”, o “festone di case”, per la discontinuità del suo impianto, che
peraltro impegnò Nerone nei suoi primi dieci anni di regno, si parla diffusamente nel volume.
Qui interessa invece riesaminare le riflessioni di L.F. Ball, uno dei pochissimi studiosi che
abbia potuto occuparsi a fondo della sola grande realizzazione neroniana sopravvissuta, il
palazzo del Colle Oppio, quello che oggi sopporta da solo e in condizioni abissalmente diverse
da quelle originali, il nome di Domus Aurea. Fino alla pubblicazione di Ball, The Domus Aurea
and the Roman Architectural Revolution, Cambridge 2003, quello che aveva sempre colpito gli
studiosi di architettura romana era la straordinaria irrequietezza planimetrica dell’insieme,
costituito da due ali, una cosiddetta orientale, oggi ricostruita come un corpo di fabbrica a due
piani, con al centro la sorprendente sala ottagonale con ambienti satelliti, esaltato da due
cortili mistilinei e due brevi ali estreme, ed un’ala cosiddetta occidentale, costituita da un
grande peristilio verso il colle su cui si affacciano tre lati di ambienti rigorosamente ortogonali;
il contatto tra i due lati è una linea spezzata che genera ambienti monchi, asimmetrici, oscuri
(figg. 6a-b). Solo la fretta, dovuta ad eventi storici convulsamente vicini, avrebbe obbligato gli
architetti a non risolvere quei nessi architettonici insensati, quegli spessori pletorici e quei
labirinti oscuri, di cui ci si rende conto solo in pianta: l’augusto abitatore in quelle zone buie
non avrebbe mai messo piede. Si è comunque sempre letto l’edificio nel suo complesso, come
prima grande e innovatrice realizzazione dell’architettura romana in laterizio, con particolare
riguardo alla famosa sala ottagona (fig. 8), esaltandone i valori spaziali (la sala ottagona
98 9. Capitello corinzio
d’età neroniana dalla
anticipa le più importanti costruzioni del primo millennio, dal c.d. Ninfeo degli Horti 99
villa di Nerone a Liciniani o tempio di Minerva Medica, alla chiesa di San Vitale a Ravenna, alla Cappella
Subiaco. Subiaco,
Monastero di Santa
Palatina di Aquisgrana), luministici (a prescindere dall’oculo centrale di sei metri di diametro,
Scolastica gli ambienti satelliti appaiono illuminati “magicamente”, senza alcuna finestra visibile, grazie a
10. Capitello corinzio bocche di lupo aperte rasente l’estradosso della cupola centrale, fig. 7), tecnologici (le immense
d’età neroniana dalle piattabande annullano le pareti; le spinte della cupola sono scomposte e sopportate da una
strutture severiane del
Palatino. Roma, Museo raggiera di muri che si irradiano dagli spigoli). Meno piaciuta l’ala occidentale, meglio
Palatino accettata da quando la Fabbrini ne aveva postulata una uguale e contraria ad est. A questo
punto è necessaria una breve digressione. La scoperta, all’interno del palazzo dell’Oppio, di
muri appartenenti ad edifici più antichi (Fabbrini, ma è ancora da dimostrare che si trattasse
di horrea o di altri edifici utilitaristici) ha portato Ball a configurare l’ideatore della Domus
Aurea capace di dominare mentalmente e graficamente il suo progetto fino al punto di
risparmiare, di edifici preesistenti, solo i muri che gli sarebbero serviti, salvo scavarli e
risagomarli qua e là, procedimento non impossibile né indimostrabile, ma in questo caso
ingiustificabile. I relitti degli edifici preesistenti, infatti, non conservavano decorazioni di
pregio, memorie o feticci di situazioni pregresse di cui si volesse sfruttare l’auctoritas, non
risultano staticamente determinanti, sono in percentuale minima, ma fortemente fastidiosa
per l’intero complesso, tanto che, anche ammessane la casuale possibilità di riutilizzo, sarebbe
infinitamente più semplice abbatterli e ricostruirli. L’unica strada per giustificare la presenza,
nero
TA su
NTORNA
sempre perimetrale rispetto a un nucleo architettonico del palazzo, di questi “fossili” di una
SCO situazione preesistente, è leggerli come tali: costituiscono gli ultimi indizi di fasi successive di
accrescimento di un progetto tutt’altro che unitario, di cui possediamo l’ultima redazione, che
non è necessariamente la somma algebrica delle precedenti. Ball infatti sottolinea come ogni
trasformazione non si sovrapponga mai alla precedente prima che questa sia completamente
terminata, come a dire che le evoluzioni sono dovute ad un cambiamento o ad un progressivo
affinamento del gusto, e avvenivano solo dopo aver sperimentato ciò che ancora non era stato
visto mai. Si può pertanto riconoscere nell’ala orientale del palazzo dell’Oppio uno dei
padiglioni della Domus Transitoria, al limite di quegli Horti di Mecenate che Nerone ambiva
annettere al Palatino, ove i giardini erano un po’ risicati; incastrata originariamente tra un
salto di quota certamente voluto, se non cercato, ed edifici la cui destinazione servile non è
accertata, si potrebbe addirittura ipotizzare che questi ultimi sostenessero ambienti di più alta
qualità al livello superiore, che era forse quello principale, e che rimasero in essere,
opportunamente modificati, per tutta la durata di una prima fase architettonica.
dell’ordine corinzio, che si era affermato in età augustea, con una accentuazione calligrafica dei
dettagli che in età neroniana tocca un acme di perfetto equilibrio tra l’accentuazione delle
potenzialità decorative del capitello e il rispetto della sua immagine stabilita, anche quando
qualche inserzione figurata più esuberante potrebbe evocare una voglia di risemantizzazione che
per esprimersi compiutamente dovrà attendere l’età adrianea. In mostra si presentano due begli
esemplari, uno di provenienza sublacense (fig. 9), l’altro palatina (fig. 10), che incarnano
perfettamente questa tendenza. Un ulteriore scatto inventivo, però, è dato dalla ricomparsa dei
pilastri a sezione rettangolare, apparsi nella c.d. basilica Emilia del Foro Romano in età augustea
e poi eclissatisi, e riscontrabili nello stesso giro di anni nella Domus Aurea e dai predia di Iulia
Felix a Pompei (fig. 11). L’esemplare romano, ritrovato in pezzi in un punto imprecisato degli
interri del padiglione dell’Oppio, costituisce un unicum per il suo trattamento: quando era in
opera, infatti, le sue facce, interrotte a mezza altezza da un modulo quadrato, non erano scanalate,
ma presentavano scorniciature concentriche intarsiate di porfidi rossi e verdi, prevalenti per
quantità e intensità cromatica sul marmo bianco del supporto. Più semplici e “standardizzati”, con
le loro scanalature d’ordinanza, ma anch’essi con il modulo quadrato a mezz’altezza, i pilastri
pompeiani conservano i capitelli assolutamente paragonabili, peraltro, a capitelli sporadici sempre
rinvenuti negli interri della Domus Aurea. La casa di Iulia Felix, peraltro, sembra voler citare in
tempo reale le novità più appariscenti della casa del principe, di cui forse si favoleggiava nelle
fasce più ambiziose della società, come la fontana a gradini nel triclinio, o l’uso dei tartari e del
mosaico a pasta vitrea nelle decorazioni murali. Da Anzio proviene il sacello di Ercole del Museo
Nazionale Romano, che sembra essere tra le prime manifestazioni compiute di un genere
destinato a moltiplicarsi nei ninfei-fontana delle case vesuviane di età neroniana e flavia,
100 11. Pompei, Praedia
di Iulia Felix, il portico
Quando, probabilmente proprio per l’incendio del 64, ci furono le condizioni per rimuoverli, la culminando col mosaico della casa di Nettuno e Anfitrite. La polimatericità di questa decorazione 101
verso il giardino loro impronta rimase inamovibile, condizionando lo sviluppo perfino della nuova ala occidentale, non è di per sé una novità, essendo già ben nota nei ninfei tardo-repubblicani, mentre lo è il
12. Pompei, Casa di
così regolare e apparentemente priva di condizionamenti visibili. Al contrario, questa nuova ala prevalere del mosaico parietale di paste vitree, il cui impiego è già peraltro attestato su vasta scala
Apollo, scenografie dovette inserirsi tra un confine occidentale preesistente (e non è escluso che dietro quel muro non nella grotta di Sperlonga e, naturalmente, nel ninfeo del Polifemo, in asse col grandioso cortile
di quarto stile
vi fossero già le terme che anni dopo, col nome di Terme di Tito, sarebbero state aperte al occidentale del padiglione del Colle Oppio. Ben altri materiali erano stati usati, ad esempio, per
13. Durante gli equinozi pubblico sudato del Colosseo) ed il limite spezzato e ora sì immodificabile (pena la perdita della l’intronizzazione di Tiridate a re di Armenia sulla scena del teatro di Pompeo, ove tutto rifulgeva
a mezzogiorno la luce
penetra dall’oculo a preziosissima decorazione) dell’ala orientale. L’ala occidentale costituirebbe quindi l’intervento che di oro: si è proposto di riconoscerne una pallida eco nella famosa e oggi deperitissima scenografia
illuminare la porta nord trasformò un padiglione della vecchia Domus Transitoria in uno dei punti più importanti della su una parete della casa di Apollo a Pompei (fig. 12) o sulle pareti dei Triclini di Murecine. O
della sala ottagonale,
foto di P. Marchand, da nuova Domus Aurea: riconoscere questo metodo di reimpiego di quanto possibile della casa addirittura, a mezzogiorno di ogni equinozio, era la luce stessa del sole, intercettando gli spruzzi
L’Urbs. Espace Urbain precedente ci permette di capire meglio come in soli tre anni si potesse inaugurare un progetto dell’acqua della cascata nell’ambiente nord della sala ottagona del padiglione del Colle Oppio (fig.
et Histoire. Ier siècle av.
J.-C. – IIIe siècle ap. così immane, perché Otone dovesse ancora spendervi milioni di sesterzi, per far poi dire alla 13), a creare un arcobaleno effimero ed artificiosissimo, più splendido di ogni mosaico o doratura
J.-C., Atti del Colloquio
Internazionale 1985,
moglie di Vitellio che quella casa mancava di comfort. Ciò giustificherebbe anche la vistosa o pietra preziosa. Non ci si meravigli quindi di scoprire derivazioni neanche troppo lontane di
Roma 1987 differenza della decorazione parietale: nell’ala orientale uno stile fastosissimo, elaboratissimo, quanto creato per il principe recepite con velocità insospettata non solo da aristocratici e
molto simile a quello dei c.d. Bagni di Livia del Palatino, oggi generalmente ritenuti neroniani, plutocrati ambiziosi (la classe dei liberti alla Trimalcione, ma non si dimentichino gli onnipotenti
quasi certamente parte della Domus Transitoria e comunque precedenti al 64; nell’ala occidentale liberti di Claudio, ancora attivi in gran parte del regno di Nerone, prima di cedere il posto ai
altissimi rivestimenti marmorei, da cui si dipartiva una vera e propria decorazione di quarto stile. nuovi favoriti) ma anche dai borghesi più velleitari: è grazie a loro che di tante meraviglie, fatte
Interessantissimo, in termine di percezione estetica antica, il fatto che le mostre marmoree delle per inganno oppur per arte, è rimasto qualche ricordo.
porte “rompessero” sistematicamente la decorazione pittorica delle pareti, come se vi fossero state
ricavate in un secondo momento: così non è, la decorazione è stata altrettanto sistematicamente
Le immagini ricostruttive del padiglione del Colle Oppio principali di queste immagini, che costituiscono solo
concepita in questo modo, che evidentemente non disturbava l’occhio squisito (o quanto meno le presentate in calce a questo intervento e le vedute l’esito finale di uno scrupoloso processo di ricostruzione
pretese artistiche) di Nerone (?). Che si tratti o meno degli interventi post incendio del 64 (in d’insieme interpolate nel testo introduttivo alla Domus architettonica, in grado, attraverso una metodologia
fondo Nerone, incoronato nel 54 e morto nel 68 per sfrenarsi architettonicamente ha avuto molto Aurea sono il frutto di una ricerca condotta in quasi dieci appositamente studiata, di giustificare ogni singola scelta
più tempo prima dell’incendio che non dopo) o non anche della Domus Titi (ipotesi da tener anni di studi, durante i quali i principi dell’informatica e ricostruttiva. Tale lavoro non costituisce dunque
della rappresentazione computerizzata sono stati messi al semplicemente un apparato iconografico a
sempre presente) potrà essere stabilito solo da una serie di sondaggi archeologici opportunamente
servizio di attente indagini storico-critiche, volte alla rappresentazione di un’idea preconcetta dell’architettura
mirati (e perché no, fortunati). I contemporanei, meno interessati degli studiosi odierni alla comprensione profonda di cosa potesse essere antica, ma è di fatto un nuovo modo di condurre la
filologia, colsero i risultati finali, il che spiega anche il comparire in molti quadretti del terzo stile l’architettura neroniana nella sua realtà storica. Tale è ricerca storico-architettonica: tutti i dati archeologici
tardivo, come quelli (ma non solo) della casa di M. Lucrezio Frontone a Pompei, di edifici molto infatti da alcuni anni l’obiettivo di Progetto Katatexilux vengono vagliati con attenzione all’interno della
simili alla ricostruzione proposta per il corpo centrale del padiglione dell’Oppio nella sua prima (Katatexilux.com), un giovane studio associato fondato ricostruzione e tutte le ipotesi espresse vengono
versione, ribadendo come la pittura rifletta e al massimo “canonizzi” ma non inventi l’architettura dagli architetti Stefano Borghini e Raffaele Carlani, nel accuratamente verificate attraverso una simulazione dei
quale, oltre a confluire competenze storiche e fenomeni fisici reali coinvolti nell’architettura. Una
contemporanea (figg. 5, 6a-b). A Roma, quindi, e nelle immediate dipendenze come le zone
tecnologiche di alto livello, è da sempre avvertita simulazione che solo i complessi algoritmi gestiti da
vesuviane, si assiste alla sperimentazione di un’architettura di masse murarie, in cui gli ordini l’esigenza primaria di restituire soprattutto la qualità calcolatori sempre più potenti, e soprattutto le
architettonici sottolineano – ma non costituiscono – l’invenzione. Anche dal punto di vista estetica dell’architettura antica ormai perduta. competenze storiche ed estetiche di chi li guida, sono in
dell’ordine architettonico, il periodo giulio-claudio mostra il consolidarsi del predominio Correttezza scientifica e bellezza sono dunque gli aspetti grado di assicurare.
102 14. Domus Aurea,
padiglione del Colle
103
Oppio, ala orientale,
Sala ottagona (Progetto
Katatexilux 2011)
108 Nerone è noto soprattutto per le dimensioni e lo sfarzo delle sue residenze, in particolare gli 109
edifici, da lui ampliati, dei suoi predecessori sul Palatino e negli horti di Roma (fig. 1). Dopo il
grande incendio del 64 d.C., tentò di riunirli in un’unica struttura, la Domus Aurea, oltre ad
edificare sistematicamente diverse zone di Roma.
Tacito (Storie, 15, 43, cfr. Svetonio, Nerone, 16 e Historia Augusta 5, 1-2) racconta con ammirazione
che dopo il terribile incendio Nerone fece ricostruire i quartieri distrutti con ampie strade e portici
che circondavano ogni isolato, lasciando aree vuote per farne piazze e prescrivendo l’altezza degli
edifici. Le macerie furono utilizzate per bonificare le paludi di Ostia e i portici vennero costruiti a
spese dell’imperatore. Nerone ridusse la percentuale di legno utilizzato nelle insulae a più piani a
favore della pietra, refrattaria al fuoco, garantì l’approvvigionamento idrico dei vari quartieri e
1. Roma in età neroniana
prescrisse che presso ogni casa fosse tenuto il necessario per spegnere il fuoco. Questi provvedimenti (elaborato di H. Beste La preoccupazione per il benessere fisico del popolo trovò espressione in azioni spettacolari: nel
accrebbero il decoro della città, che fino ad allora non spiccava per la particolare qualità delle case e M. Schützenberger) 62 d.C. ad esempio Nerone fece gettare nel Tevere il frumento destinato alla plebe che era vecchio
per la plebe. Si affermò dunque uno schema che rimase determinante anche per il periodo e deteriorato. Tentò inoltre di migliorare l’approvvigionamento attraverso nuove opere, tra cui gli
successivo, sebbene non mancarono le critiche di chi considerava migliore l’antica struttura, con impianti portuali di Ostia e Portus, quest’ultimo iniziato da Claudio e riprodotto su alcune serie di
vicoli stretti ma al riparo dai raggi del sole, come riferisce Tacito. monete neroniane (fig. 3, Mattingly-Sydenham 1923). I porti e quindi l’approvvigionamento di
Già in precedenza gli imperatori avevano varato provvedimenti per regolamentare la costruzione Roma dovevano avere un ruolo molto importante per Nerone, il quale progettò di portare le mura
degli edifici; sotto Nerone essi presero però forma più concreta, già solo per il fatto che bisognava di Roma fino ad Ostia e di fare arrivare l’acqua del mare nell’Urbe (Svetonio, Nerone, 16). Iniziò
ricostruire grandi aree. Abbiamo tracce di questi nuovi edifici forse sul Celio, all’angolo tra anche i lavori per un canale che dal Lago d’Averno, nei pressi di Pozzuoli, arrivasse fino ad Ostia
l’acquedotto fatto costruire da Nerone per l’approvvigionamento del Palatino e il lato meridionale con una larghezza tale “che due navi a cinque ordini di remi potessero navigarvi in senso
del Tempio del Divo Giulio. Qui dopo il grande incendio del 64 d.C. furono costruite, quasi a contrario” (Svetonio, Nerone, 31). Accanto alla testimonianza di Tacito (Annali, 15, 42), restano
delimitare la Domus Aurea, prestigiose insulae che riflettono tutta una serie di criteri descritti, in tracce di lunghi tratti di questo canale tra il lago di Lucrino, Cuma e Mondragone nonché nella
particolare i portici lungo la strada, profondi circa 6 metri (Pavolini 2006, pp. 93-101, figg. 64-65, 71). zona di Monte Circeo, sebbene qui fossero sfruttate anche le lagune del lago di Paola.
Resta tuttavia oscuro in quale misura e con quale efficacia siano state attuate le nuove forme. Probabilmente già prima di Nerone si tentò di evitare attraverso un canale il viaggio intorno al
L’ammirazione di Tacito fa comunque supporre un’attività estesa e non limitata alle immediate promontorio (Johannowsky 1990; Johannowsky 1994; Lugli 1928). Resta dubbio se
vicinanze della Domus Aurea. l’ampliamento di Anzio con un prestigioso porto e la colonia di veterani pretoriani (Svetonio,
Nerone, 9) fosse legato a questo sistema di canali.
Sebbene le nuove insulae siano sorte in conseguenza dell’incendio, Nerone già in precedenza si
era preoccupato della popolazione urbana, inaugurando nel 59 d.C. il macellum magnum (fig. 2, Una delle maggiori aspirazioni di ogni imperatore romano era la legittimazione della propria
Cassio Dione, 61, 18, 3). Possiamo avere un’idea del suo aspetto dall’immagine riportata su alcuni rivendicazione di potere. Questa avveniva a diversi livelli, ma già Augusto con uno dei suoi primi
dupondi: un edificio rotondo a due piani al centro di una grande piazza, in cui venivano venduti provvedimenti fece erigere in posizione dominante sul Foro Romano un tempio dedicato al padre,
al dettaglio soprattutto carne e pesce ma anche beni di lusso, come testimonia l’iscrizione tombale Giulio Cesare, divinizzato dopo la morte. Anche Nerone dimostrò la sua pietas con la
di un argentarius (LTUR III s.v. Macellum Magnum). divinizzazione del padre secondo il modello stabilizzato: tenne un elogio funebre per Claudio dai
rostra del Foro e decretò funerali solenni (Tacito, Annali, 12, 69, 2-3; Svetonio, Nerone, 9, 1).
L’apoteosi viene ironizzata nella nota Apocolocyntosis di Seneca (La deificazione della zucca) e lo
stesso Svetonio (Vespasiano, 9) riporta che il tempio del Divo Claudio sul Celio, secondo questa
tradizione iniziato da Agrippina e subito dopo demolito da Nerone, sia stato terminato solo da
Vespasiano. Nel complesso questo quadro crea però alcuni problemi (fig. 4). Agrippina deve aver
iniziato la costruzione dell’edificio negli anni immediatamente successivi all’apoteosi di Claudio
del 54 d.C. Il tempio doveva mostrare a tutto il mondo che il suo consorte era stato accolto tra gli
dei e questa divinizzazione confermava la sua pietas, allontanando da lei il sospetto di aver
avvelenato l’imperatore, e soprattutto garantiva il potere alla stessa Agrippina e al figlio Nerone,
adottato da Claudio.
I resti archeologici mostrano innanzitutto un impianto articolato in due parti (LTUR I s.v.
Claudius Divus, Templum). Il tempio era impostato su un’imponente terrazza delle dimensioni di
m 205 x 160 circa, alta in parte ben oltre 10 metri. Le dimensioni del tempio, al centro della
terrazza, tramandate solo dalla pianta nella forma urbis Romae severiana, erano invece piuttosto
modeste, m 25 x 40 circa. Le indicazioni relative alla pianta fanno inoltre supporre che il tempio,
circondato da siepi o file di alberi concentriche, costituisse il fulcro di un ampio parco.
I resti del terrazzamento conservato sotto la chiesa dei SS. Giovanni e Paolo dovrebbero essere
databili all’epoca di Agrippina, come testimoniano i blocchi in bugnato particolarmente
accentuato, che trovano un parallelo solo nella Porta Maggiore, di età claudia. La sostruzione era
quindi stata terminata poco dopo l’ascesa al trono di Nerone.
Resta naturalmente aperta la questione se ciò valga anche per il tempio, in quanto non ne sono
conservati resti, sebbene non sia verosimile che, dopo la costruzione di una tale terrazza, si sia
110 2. Moneta con la
rappresentazione
rinunciato a costruire il tempio, di dimensioni ben limitate, tanto più che l’edificazione della Domus 111
del Macellum Magnum. Aurea iniziò solo dopo il 64 d.C. È invece piuttosto improbabile che Nerone abbia volutamente
Collezione privata
distrutto l’edificio, come vuol far credere il passo di Svetonio, poiché non ne avrebbe guadagnato
3. Moneta con la nulla. Il fatto che l’edificio sia stato inserito nell’area della Domus Aurea, facendolo precedere da
rappresentazione
di Portus. Collezione un’enorme fontana, la più grande di Roma fino ad allora, potrebbe essere stato interpretato
privata piuttosto in questo senso dai contemporanei. Inoltre anche la sproporzione tra terrazza e tempio
4. Moneta con la potrebbe aver portato ad interpretazioni astiose. Se paragonato al tempio del Divo Giulio, infatti,
rappresentazione questo edificio non era neppure particolarmente piccolo ma, diversamente da questo e dal tempio
dell’Arco di Nerone
sul Campidoglio. del Divo Augusto, era lontano dal Foro Romano, su un’alta terrazza e inserito in un parco. Qui
Collezione privata dunque rispetto agli edifici precedenti con la stessa funzione è subentrato un cambiamento di
significato, che sposta il culto dell’imperatore divinizzato dal centro politico trasformandolo in un
momento di piacere per il visitatore, per cui è praticamente predestinato a venire poi integrato come
“parte estrema” del vasto impianto della Domus Aurea (Marziale, Gli spettacoli, 2, 9-10).
I primi anni di regno dell’imperatore, pertanto, invece di una presupposta cattiveria, potevano
nascondere una generale trasformazione nella concezione di tali impianti templari e della
divinizzazione. Infatti la disposizione degli elementi viene in seguito ripresa nel Templum Pacis:
5. Tempio di Claudio sul
anche qui il concetto tradizionale dei fori degli imperatori viene trasformato e arricchito con Celio (elaborato di H. Beste
e M. Schützenberger)
l’aspetto del parco. Comunque siano da interpretare i dettagli, nel complesso il tempio del Divo
Claudio rappresenta il primo grande edificio templare di età postaugustea. Conosciamo il tempio 6. Terme di Nerone sul
Campo Marzio, pianta
di Augusto, fatto costruire da Tiberio, solo dalle immagini riportate sulle monete (LTUR I s.v. sulla base dei disegni
Augustus, Divus, templum). L’ampia facciata del tempio del Divo Claudio era orientata alla di Andrea Palladio
(da G. Ghini)
residenza dei primi imperatori sul Palatino e con le sue dimensioni dominava la strada che
passava tra questo colle e il Celio, una via percorsa da importanti processioni, come ad esempio i
trionfi o i cortei funebri dei membri della casa imperiale che dal Foro raggiungevano il Campo
Marzio. La moglie dell’imperatore, Poppea, dopo la sua morte nel 65 d.C., sebbene Nerone nel suo
elogio funebre l’abbia chiamata “madre di una figlia divina”, non venne divinizzata ma
imbalsamata alla maniera dei re orientali e tumulata nel mausoleo di Augusto (Tacito, Annali, 16,
6). Anche a Nerone venne prospettato dal senato un tempio quando era ancora in vita, dopo la
congiura di Pisone, ma lo rifiutò.
Dopo le vittoriose battaglie contro i Parti, nel 58 d.C. il senato fece erigere sul Campidoglio un
arco trionfale che venne però inaugurato solo nel 62 d.C. Si tratta di un monumento molto
insolito rispetto alla tradizione degli archi trionfali, con una ricca decorazione figurativa e sfarzosi
ornamenti, testimoniati, oltre che dalle riproduzioni sulle monete (fig. 4), da alcuni frammenti greci, erano i primi giochi di questo tipo a Roma. Nerone riprese lo schema dei giochi greci ad
marmorei del rivestimento. A differenza degli archi precedenti, in cui il trionfatore, rappresentato esempio di Olimpia, sottolineando ulteriormente questo riferimento con strutture quali il
da una statua sulla sommità dell’arco, costituiva l’effettivo scopo del monumento, qui il ricco collegio di giudici, a cui sembra sottomettersi anche l’imperatore, e la partecipazione delle
decoro con immagini illustrava ulteriormente le gesta e il programma dell’imperatore (LTUR V vergini Vestali, in analogia alle sacerdotesse di Demetra ad Olimpia.
s.v. Tropaea Neronis). Le terme ci sono note in particolare dalla documentazione di Andrea Palladio e dai resti in situ
In seguito al catastrofico incendio del 64 d.C. venne distrutta gran parte del centro della città. (fig. 6), interpretati da ultimo da Giuseppina Ghini. Il restauro di Alessandro Severo, che dovette
Caddero vittima del fuoco anche il tempio di Vesta con la casa delle Vestali (Tacito, Annali, 15, essere molto vasto, costituisce un problema in quanto risalgono a questo periodo il noto capitello
41), riedificato con alcune limitazioni a favore dei portici nel vestibolo della Domus Aurea. Il figurato conservato nel Giardino della Pigna dei Musei Vaticani e anche la maggior parte della
tempio è riprodotto anche su una serie di sesterzi (LTUR V s.v. Vesta Aedes). decorazione architettonica, e solo pochissimi resti possono essere datati in età neroniana (Ghini
1988, p. 168, tav. 30). Se la disposizione della pianta corrisponde all’edificio neroniano, come è
Nerone diede grande importanza alla nuova articolazione del Campo Marzio (fig. 1). Agrippa e probabile già solo per il fatto che gli assi dell’impianto si allacciano al precedente ginnasio, il
Augusto avevano qui dato vita a una qualità urbana fondamentalmente nuova rispetto all’età complesso costituì il prototipo delle successive terme imperiali, le più note delle quali sono
repubblicana, inserendo la parte settentrionale del Campo Marzio con il mausoleo ed il quelle di Traiano, Caracalla e Diocleziano. Diversamente dagli impianti fino ad allora in uso, le
Pantheon nella sfera urbana. Con il teatro di Pompeo e i portici annessi si erano qui già terme di Nerone si distinguevano per le immense sale e i grandi cortili. Al di là dell’enorme
concentrati edifici per l’intrattenimento del popolo, ma anche questi impianti in età augustea impegno costruttivo e degli ingenti costi per la decorazione architettonica e le sculture, il
erano stati ampliati con vari teatri, l’anfiteatro di Statilio Tauro, le terme di Agrippa e una problema era soprattutto l’approvvigionamento di acqua e calore. Dimensione e disposizione dei
quantità di portici e stagni, in parte anche per i giochi, in un’area praticamente ininterrotta vani richiedevano grandi quantità di energia.
aperta al divertimento del popolo. Così era profondamente cambiato il carattere di questi impianti. Già i balnea o le terme
Ciò considerato non è facile definire la qualità specificamente nuova che determinò le attività di precedenti comprendevano molti elementi che, diversamente dagli impianti ellenistici con le
Nerone in questa regione. “Cosa è peggio di Nerone? E cosa meglio delle sue terme?” si era già loro semplici vasche, permettevano grande lusso. La nuova qualità delle terme di Nerone era
chiesto Marziale (7, 34, 4), evidenziano così ancora una volta il dilemma della nostra tradizione. data dalla sequenza di alte sale inondate di luce in stretto rapporto con le vasche. A queste si
Le fonti oscillano anche qui tra polemica astiosa e affermazioni panegiriche che nella loro aggiungevano diversi cortili, esaltando ulteriormente una qualità già propria delle terme romane
112 esaltazione offuscano ben presto caratteristiche fondamentali delle attività. Le testimonianze ma ancora modesta, ovvero da un lato la possibilità di incontrarsi e intrattenersi in modo 113
archeologiche restano invece scarse o incerte nella loro attribuzione. informale in un ambiente piacevole e dall’altro dedicarsi alla cura del corpo anche con esercizi
Nella cronologia delle attività edilizie l’anfiteatro, in legno ma con una prestigiosa decorazione, ginnici. Questi aspetti furono connotati positivamente attraverso la decorazione, in quanto
fu il primo impianto ad essere edificato nel Campo Marzio sotto Nerone nel 57 d.C. Possiamo l’ampiezza delle sale e il facile accesso creavano una sorta di piazza pubblica, analogamente ad
avere un’idea dell’edificio solo dalla descrizione di Calpurnio Siculo (Egloghe, 7, 23-84; LTUR I altri portici e piazze sul Campo Marzio.
s.v. Amphitheatrum Neroni). Se possiamo considerare neroniana la pianta tramandata delle terme e riferirla all’attività edilizia
Se possiamo dar credito a Svetonio (Nerone, 12,1), i romani, fedeli alle tradizioni, si dell’imperatore, essa si distingue chiaramente dagli impianti successivi di questo tipo a Roma
scandalizzarono per il fatto che durante i giochi venissero soppresse determinate regole: durante (Krencker 1929, pp. 263-265). Le grandi terme degli imperatori che seguirono erano inserite in
i combattimenti dei gladiatori l’imperatore non fece uccidere nessuno e fece poi esibire nei ampi cortili a loro volta annessi ad una serie di edifici subordinati. Alle terme di Nerone i cortili
combattimenti con le spade persino 400 senatori e 600 membri dell’ordo equestre. Svetonio erano invece annessi, come si vede in modo particolarmente chiaro a sud. Queste disposizioni
sottolinea indignato che alcuni di loro godevano di una fortuna e una reputazione altissima. non possono essere spiegate semplicemente con la mancanza di spazio, in quanto si sarebbero
Evidentemente dietro ciò si nascondeva il tentativo di sperimentare con gli edifici nuove forme potute trovare soluzioni diverse. Si delinea piuttosto una diversa concezione per l’uso
di presentazione sociale, alle quali parteciparono volontariamente rappresentanti dei singoli dell’edificio. Le grandi sale caldarium, tepidarium e frigidarium, pur formando anche qui già
ordines. Altrimenti infatti non si sarebbero presentati circa i due terzi del senato. Se a questo l’asse principale dell’impianto, per dimensioni vengono quasi raggiunte da due assi che le
aggiungiamo che alcuni giovani eseguirono danze pirriche, ottenendo come compenso la circondano e collegano cortili, sale e altri ambienti. Mentre successivamente tutte le sequenze e
cittadinanza romana, ci troviamo apparentemente di fronte al tentativo di trasferire a Roma disposizioni di vani erano orientate verso il centro, nelle Terme di Nerone le parti erano
forme greche. Ciò dovrebbe valere sia per i giochi gladiatori incruenti che per i combattimenti affiancate ed equiparate.
con le spade e spiegherebbe perché vi fosse un certo interesse anche da parte dei rappresentanti La loro importanza venne ulteriormente sottolineata dai numerosi vani collegati che possono
dei due ordines più elevati (Flaig, Ritualisierte Politik, pp. 254-259, parla di “rivoluzione essere interpretati come biblioteche, sale per conferenze ed esedre. Nel progetto si nota che gli
culturale neroniana”). architetti dovevano ancora prendere dimestichezza con le nuove funzioni dell’edificio. Il risalto
Vi furono poi altri due particolari irritanti: l’imperatore non presiedette infatti, come era usuale, dato ai singoli peristili ha però un effetto programmatico. Qui erano presenti diversi cortili per la
i giochi, ma si nascose nella sua loggia, segnalando così che, seguendo la tradizione greca, non cura del corpo e dello spirito come in un ginnasio greco. Le terme possono dunque essere intese
voleva dominarli. Aveva piuttosto previsto un comitato appositamente scelto. Malgrado tutto vi come luogo di educazione e di otium, ma appunto con la specifica sfumatura del modello greco.
furono anche degli imprevisti, come l’episodio di Pasifae con il toro o un Icaro che al primo Questa interpretazione viene avallata dall’impianto annesso a sud alle terme. Recenti scavi
tentativo di volo cadde schizzando di sangue addirittura l’imperatore (Coleman 1990). Se alcuni effettuati nell’ambito della progettazione di una nuova metropolitana davanti alla chiesa di
di questi episodi si svolsero nell’anfiteatro ligneo, allora è indicativo che Calpurnio Siculo Sant’Andrea della Valle hanno permesso a Fedora Filippi di reinterpretare scavi precedenti in
riferisca solo di bestie feroci e della presenza dell’imperatore. Ci troviamo sempre nuovamente di quest’area e identificare l’edificio con il ginnasio di Nerone (figg. 7, 8; LTUR II s.v. Gymnasium
fronte a conflitti nella tradizione. Neronis; Filippi 2011). Si tratta di un peristilio lungo circa 200 metri e largo 100, che circondava
Con la costruzione dell’anfiteatro devono essere iniziati anche i lavori per le grandi terme, una o più profonde vasche. L’impianto può essere datato in età neroniana, sebbene restaurato in
inaugurate nel 62 d.C. (LTUR V s.v. Thermae Neronianae/Alexandrinae), nel contesto dei epoca successiva, e nella pianta ricorda i gymnasia greci per cui potrebbe essere identificato con
Neronia, giochi che si tenevano ogni cinque anni, i primi dei quali risalenti al 60 d.C., i secondi il ginnasio neroniano testimoniato da diverse fonti. Tacito (Annali, 15, 22) riporta che il
al 65 d.C. Tra le discipline Svetonio (Nerone 12, 3) cita la musica, la ginnastica e l’equitazione. ginnasio bruciò poco dopo essere stato costruito e la statua di Nerone in esso contenuta si
Cassio Dione (61, 21) sottolinea espressamente che i Neronia, per il loro orientamento ai modelli ridusse ad una massa informe di bronzo. Tuttavia vede questo edificio anche come espressione
d’oro e dedicati a Giove Capitolino”. In un altro passo Svetonio (Nerone, 12) riferisce che
l’imperatore durante i certamina si sedeva tra i senatori al margine dell’orchestra del teatro, e
qui aveva ottenuto la corona dell’eloquenza e della poesia latina, contesa a onorevoli concorrenti,
ma quando gli fu offerta la corona di suonatore di cetra la fece portare di fronte alla statua di
Augusto. Durante il concorso era seriamente ossequiente al regolamento (Svetonio, Nerone, 24;
Tacito, Annali, 16, 4). Evidentemente si sforzò affinché nell’ambito dei giochi i concorrenti
avessero gli stessi diritti e incoraggiò i membri degli ordines più elevati a concorrere alle gare,
partecipandovi in prima persona.
È ovvio che questa concezione, da un certo punto di vista quasi utopica, sarebbe rimasta in sé
contraddittoria e avrebbe portato di conseguenza a molti atteggiamenti e reazioni controverse.
Scandalosa rimase per i senatori e gli equites che sin dal principio rifiutarono di partecipare, non
tanto la disciplina – retorica, poesia e ginnastica erano infatti praticate dalla maggior parte di
loro – quanto piuttosto la rappresentazione in pubblico. Questi dubbi caratterizzano persino lo
stesso Nerone, in principio ancora titubante a comparire come attore nei ludi. Solo alcune
attività erano tradizionalmente permesse a questi ordines. Problematico era certamente anche il
fatto che l’imperatore si identificasse sempre maggiormente con questo atteggiamento, volesse
avere successo in ogni campo e dovesse necessariamente averlo, riuscendo a conciliare sempre
meno le rivendicazioni della sua concezione con il proprio atteggiamento personale. Si arrivò
persino al punto che durante i Neronia, contrariamente alla prassi, salì sul palco con una parte
dei pretoriani e alcuni amici (Svetonio, Nerone, 21).
I Neronia con le loro diverse discipline si svolgevano sostanzialmente in tutta Roma (fig. 1). Le
gare equestri non si possono che immaginare al Circo Massimo, per quelle ginniche vengono
114 7. Ginnasio di Nerone sul
Campo Marzio, sezione
menzionati i saepta (LTUR IV s.v. Saepta Iulia). Angelo Maria Colini aveva inoltre supposto che 115
(elaborato da F. Filippi) l’edificio dello stadio (l’attuale Piazza Navona) datato in età domizianea avesse una fase
8. Ginnasio di Nerone
neroniana (Colini 1941, pp. 22-23.). Nell’area delle terme di Nerone si sarebbero dunque trovati
sul Campo Marzio, vari edifici per lo svolgimento delle singole discipline dei ludi.
frammento di trabeazione.
Roma, Antiquario Altre attività edilizie di Nerone sono tramandate soprattutto nell’ambito di feste e giochi.
Comunale del Celio Tiridate III venne confermato nella sua dignità di re d’Armenia nel 66 d.C. a Roma all’interno di
un cerimoniale estremamente sfarzoso, ma neppure la relazione di Svetonio (Nerone, 13)
chiarisce quanto ciò si possa interpretare come evento mediatico. Lo storico inserisce questo
evento tra gli spettacoli e riporta che dovette essere spostato a causa della nebbia. La prima
intronizzazione venne celebrata sui rostra, nel Foro Romano, la seconda nel teatro di Pompeo, il
cui palcoscenico, secondo la testimonianza di Plinio (Storia Naturale, 30, 3) per questo giorno
venne ricoperto d’oro, mentre sulla vela fu intessuta l’immagine del dio del sole con il ritratto di
Nerone (LTUR V s.v. Theatrum Pompei).
Per i suoi ludi e le rappresentazioni utilizzò anche gli impianti al di là del Tevere, negli horti
Vaticani. Qui Caligola aveva costruito un imponente circo, il cui obelisco si trova oggi al centro
della forma greca di libertas. Filostrato (Vita di Apollonio di Tiana, 4, 42) racconta che Nerone, di Piazza San Pietro (Liverani 1999, pp. 21-27, 131, n. 57). Probabilmente risale a questo
in occasione dell’inaugurazione del ginnasio, cantò in uno dei suoi ambienti. imperatore anche un ponte, di cui si riconoscono ancora nel Tevere i possenti pilastri, che
Con le terme e il ginnasio Nerone voleva raggiungere la qualità della cultura greca. Sia Svetonio collegava direttamente il Campo Marzio con questi luoghi dei giochi. La definizione Pons
(Nerone, 12, 3) che Tacito (Annali, 14, 47) tramandano infatti un evento singolare: nel ginnasio Neronianus è tuttavia testimoniata solo successivamente, nel medioevo (LTUR IV s.v. Pons
l’imperatore fece distribuire dell’olio ai membri dell’ordo senatorius ed equestris. Poiché è escluso Neronianus ). Nerone utilizzò gli impianti nell’ager Vaticanus anche per gli spettacoli pubblici:
che essi non avessero i mezzi per acquistarlo, si intendeva così integrare socialmente i due qui nel 64 d.C. fece bruciare vivi i Cristiani, considerati colpevoli dell’incendio di Roma,
gruppi nella vita delle terme, la cui disposizione spaziale permetteva nella stessa misura distanza certamente una terribile punizione, ma forse da interpretare come uno degli spettacoli con
e avvicinamento, cosa impensabile negli edifici precedenti. Nerone aveva dunque in mente un soggetti mitici sopra citati, per esempio la fine di Troia (Tacito, Annali 15, 44). Si esibì qui anche
nuovo tipo di edificio per una comunità in cui i cittadini si potessero riunire con disinvoltura. davanti agli schiavi e alla plebe nelle corse dei carri, come riporta Svetonio (Svetonio, Nerone,
Analogamente ai giochi nell’anfiteatro questo nuovo tipo di partecipazione di tutti i cittadini ai 22), per prepararsi alle grandi esibizioni al Circo Massimo.
ludi veniva accompagnato da riferimenti al passato greco. Tutti dovevano curare il corpo in Il suo ritorno dall’Achaia nel 66 d.C., dove partecipò a tutti i giochi possibili, fu organizzato,
giochi ginnici, come già avveniva nelle città greche e godere delle relative manifestazioni, che secondo quanto tramandato da Svetonio (Nerone, 25) come un corteo trionfale. Approdato a
culminavano con la premiazione dei Neronia. Lo stesso Nerone vi prese parte e Svetonio Napoli gli venne aperta una breccia nelle mura poi, passando per Anzio e Bovillae (Albanum)
(Nerone, 10) e molti altri tramandano che alle sue esercitazioni ginniche nel Campo Marzio entrò a Roma, dove nel Circo Massimo venne smantellato un arco. La processione terminò,
poteva assistere anche il popolo. Declamò pure in pubblico e recitò poesie. Viene espressamente diversamente dal trionfo, sul Palatino, davanti al tempio di Apollo.
sottolineato che non lo fece solo in casa sua, ma anche in teatro e sorprende leggere nella Al di fuori di Roma Nerone progettò una piscina coperta e circondata da portici che doveva
descrizione Svetonio, altrimenti ostile, che lo fece “con così grande gioia di tutti, che dopo una estendersi da Miseno fino al Lago d’Averno e raccogliere tutte le acque termali della regione
simile esibizione furono decretati ringraziamenti agli dei e i versi da lui letti impressi a caratteri (Svetonio, Nerone, 31), probabilmente per valorizzare la regione di Baiae.
La tradizione offre un quadro variegato dell’attività edilizia di Nerone che da un canto
testimonia l’attenzione dell’imperatore e allo stesso tempo anche i deficit nella realizzabilità di
grandi progetti. Evidentemente, come per la costruzione dei canali in Italia, era l’idea ad essere
in primo piano, non tanto il fatto che il progetto venisse portato a termine. A giudicare dalle
restanti attività edilizie si ha l’impressione che con l’ausilio dei giochi volesse creare a Roma
nuove forme di intrattenimento in cui il popolo potesse ritrovarsi. L’otium, una volta riservato
alla sfera privata, diventava ora pubblico.
Una qualità precipua degli edifici romani era la decorazione, in particolare il rivestimento di
pavimenti e pareti e gli ornamenti scelti. Proprio questa qualità viene qui esaltata. Conosciamo
solo pochi edifici chiaramente datati in epoca neroniana che permettano di avere un’idea di tali
forme di decorazione. Si tratta soprattutto di impianti di rappresentanza, quindi gli edifici sul
Palatino, la villa a Subiaco o singole parti di altri contesti (figg. 8, 9). In essi si può leggere il
nuovo linguaggio delle forme che utilizza modelli diffusi in determinati settori dell’architettura
precedente, ad esempio in edifici privati o ambienti interni di edifici pubblici, un linguaggio che
rientrerebbe pertanto perfettamente nel contesto della sua epoca. Allo stesso tempo si nota però
che in queste parti di edifici di età neroniana i dettagli sono particolarmente sottolineati,
guadagnando così monumentalità e rifacendosi alle modalità di articolazione della decorazione
degli edifici pubblici tradizionali (von Hesberg 2004, pp. 64-72, figg. 94-109).
Viceversa, per i pochi edifici pubblici di età neroniana di cui conosciamo parte della decorazione
ornamentale, quindi ad esempio il c.d. ginnasio, le terme o l’arco di trionfo, vengono scelte
forme che si distinguono chiaramente dalle modalità di articolazione precedenti e possono a loro
116 volta essere messe in relazione con modelli dell’architettura privata tradizionale, in particolare le 9. Capitello corinzio
d’età neroniana dalla
decorazioni in stucco (La Rocca 1992; Riemenschneider 1986, pp. 41-82). Evidentemente villa di Nerone a
Subiaco. Subiaco,
vengono quindi superati o confusi i limiti della semantica degli ornamenti. Monastero
Plinio (Storia Naturale, 36, 163) riferisce che sotto Nerone nella Domus Aurea il tempio della di Santa Scolastica
Fortuna, chiamato tempio di Seiano, consacrato da re Servio, venne restaurato con una pietra
trasparente proveniente dalla Cappadocia, per ottenere l’effetto che a porte chiuse, fosse
inondato di luce, come se fosse catturata all’interno di specchi (LTUR II 1995 s.v. Fortuna
Seiani, aedes). Evidentemente si volevano stupire i visitatori con effetti strabilianti.
È significativo che queste forme non vengano più utilizzate nell’architettura pubblica di età
flavia, dove dominano capitelli corinzi e trabeazioni dalle forme tradizionali. Proprio
l’ornamentazione può pertanto mostrare quanto gli artigiani e gli architetti in età neroniana si
sforzassero di trovare un linguaggio di forme adeguato alle nuove concezioni edilizie.
Si possono dunque riconoscere nell’attività edilizia di Nerone a Roma alcune chiare tendenze.
Cerca di essere all’altezza delle rivendicazioni degli imperatori e costruisce “per il popolo”
(Zanker 1997), tentando però in modo particolare di attuare un concetto che, proprio nel campo
dei giochi, in una sfera dunque in cui aveva luogo una forma privilegiata di intensa
comunicazione con il popolo, si distaccava dalla tradizione dominante implicando una profonda
trasformazione che pareva eliminare, almeno per la durata dei giochi, i vari ordines (Flaig,
Ritualisierte Politik, pp. 254-259). A queste aspirazioni corrisponde il desiderio di evidenziare in
modo fino allora senza precedenti la propria posizione come imperatore nella sua residenza. Per
raggiungere questi obiettivi venne sviluppato praticamente in tutti i generi edilizi un nuovo
linguaggio formale.
Un più ampio contributo verrà pubblicato nel volume Culture, a cura di Emma Buckley e Martin Dinter
Blackwell Companion to Neronian Literature and (pubblicazione prevista per il 2012).
M A R I A A N TO N I E T TA TO M E I
N E R O N E S U L P A L AT I N O
118 “Non in alia re tamen damnosior quam in aedificando”, così Svetonio commenta (Nerone, 31) la 1. Ritratto di Nerone.
Roma, Museo Palatino
119
megalomania di costruire che caratterizzò Nerone durante tutto il suo regno (fig. 1).
In realtà dopo Augusto, che visse in una casa che non si distingueva “né per lusso, né per
comodità” (Svetonio, Augusto, 72, 1), si pensava, in base ad un famoso passo di Flavio Giuseppe
(Antichità Giudaiche, 19, 117), che anche gli imperatori giulio-claudii, fino a Nerone,
continuassero nella sobrietà del loro avo e non abitassero in un vero palazzo, ma in una residenza
costituita da abitazioni separate, le domus Palatinae o domus Caesarum, denominate da chi le
aveva abitate per primo oppure le aveva costruite.
Era stato Nerone, infatti, a edificare il primo palazzo concepito in forma unitaria sul colle, e a
cambiare completamente l’architettura e le dimensioni della residenza palatina, arrivando a
rivoluzionare i criteri costruttivi e l’organizzazione urbanistica di tutta la città.
In quest’ottica gli scavi lunghi e complessi condotti nel settore occidentale del Palatino avevano
indotto a ritenere che il palazzo denominato Domus Tiberiana altro non fosse che un nucleo della
Domus Aurea, costruito da Nerone e inserito nel suo progetto architettonico.
Questa consolidata credenza è stata di recente rivoluzionata dagli scavi sulla terrazza degli Orti
Farnesiani, intrapresi al fine di sanare i gravissimi dissesti statici della costruzione, e che hanno
permesso di ricostruire un quadro cronologico della Domus Tiberiana del tutto nuovo, con
ripercussioni che investono la cronologia e l’architettura dei Palazzi imperiali del Palatino nel loro
complesso.
Gli scavi ancora in corso sia sulla terrazza degli Orti che nei sottostanti criptoportici, fino a tempi
recenti interrati, hanno evidenziato una planimetria – articolata su due livelli – finora
sconosciuta, che oggi delinea un nuovo quadro dell’architettura e delle fasi del palazzo giulio-
claudio del Palatino.
Nella I fase (fig. 2, in rosso nella planimetria), esistente forse già in epoca tiberiana, il criptoportico,
alto circa 5 metri, presentava bocche di lupo aperte lungo i muri perimetrali (fig. 3); al di sopra si
deve immaginare un portico le cui colonne erano posizionate negli spazi tra le gole di lupo.
In una seconda fase (arancione in pianta) fu messa in opera, con funzione di rinforzo, una fodera
laterizia, di spessore di cm 60 circa, che ha rivestito tutta la parete interna del criptoportico,
provocandone un restringimento e un abbassamento. In questa fase il portico sovrastante dovette
rimanere invariato, ma l’elemento architettonicamente nuovo e più rilevante evidenziato dagli
scavi è la costruzione, all’interno del peristilio, di una grande vasca polilobata, rivestita di lastre di
marmo bianco; sui lati, due zone rettangolari destinate a giardino, realizzato con il consueto
sistema di impermeabilizzazione costituito da suspensurae (fig. 4).
120 2. Scavi sugli Orti
Farnesiani. Planimetria
La realizzazione della vasca si può collegare con la presenza di un lungo frammento di fistula 121
del peristilio con vasca plumbea del diametro di cm 15, rinvenuta in situ a ridosso della fodera di rinforzo: il condotto
e dei sottostanti
criptoportici
reca l’iscrizione TI CLAVDI CAES AVG, menzionando pertanto il nome dell’imperatore Claudio
(fig. 5).
3. Criptoportico sotto
gli Orti Farnesiani Si era già supposto all’inizio delle indagini che potesse essere questa la galleria dove, secondo
durante lo scavo Flavio Giuseppe, l’imperatore Caligola fu ucciso dai congiurati capeggiati da Cassio Cherea (Flavio
Giuseppe, Antichità Giudaiche, 19, 103-104). Oggi i dati dello scavo, condotto in condizioni di
notevole difficoltà a causa delle difficili situazioni statiche, confermano l’ipotesi, in quanto questi
ampi criptoportici – da considerare gallerie di comunicazione all’interno del Palazzo – furono
ristrutturati e rinforzati da Claudio, come si è visto, ma certamente già esistevano al tempo di
Caligola.
È dunque un dato inatteso e assai rilevante che non fu Nerone e neppure gli imperatori Flavi a
dare per la prima volta monumentalità al palazzo imperiale del Palatino, ma forse già Tiberio e
poi Caligola avevano iniziato un progetto, poi realizzato dal vecchio Claudio (41-54 d.C.), l’erudito
marito prima di Messalina, che egli fece uccidere per i suoi tradimenti, e poi di Agrippina, di cui
adottò il figlio Nerone.
Sotto Claudio dunque la prima residenza imperiale, costituita dai nuclei differenziati delle domus
palatinae Caesarum , era già stata trasformata in un palazzo architettonicamente unitario che
occupava tutta la parte occidentale del Palatino, sia pur inglobando al suo interno i diversi settori.
Sotto Claudio già esistevano, infatti, sul piano nobile della Domus Tiberiana, un ampio portico
colonnato, ricchi giardini e una grande vasca, anticipando quanto poi riproposero i Flavi sia in
questo, che negli altri peristili del loro palazzo.
Tra i ricchi e numerosi i materiali scultorei di età giulio-claudia finora recuperati nello scavo di
questa settore centrale della Domus Tiberiana segnaliamo, in quanto esposta in mostra, la statua
maschile acefala in marmo greco, con tracce evidenti di colore nel panneggio (fig. 6). La scultura
– di particolare complessità nell’assemblaggio dei pezzi che la compongono, come ha evidenziato
il restauro – raffigura verosimilmente un principe di età giulio-claudia, stante in nudità eroica;
della stessa epoca la raffinatissima cista con tracce di doratura e numerosi importanti resti di
decorazioni architettoniche.
Fu qui, sui gradus Palatii della residenza di Claudio, che Nerone diciassettenne nel 54 d.C. fu
eletto imperatore (Svetonio, Nerone, 8) e in questo palazzo visse certamente i primi anni del suo
regno, sotto il controllo illuminato del maestro Seneca.
122 4. Vista aerea
dello scavo sugli
7. “Bagni di Livia”.
Resti della Domus
Le costruzioni neroniane del Palatino, più che dai resti archeologici che ci sono conservati, sono 123
Orti Farnesiani Transitoria sotto note in base al famoso passo di Svetonio secondo cui Nerone “domum a Palatio Esquilis usque
il Triclinio della
5. Fistula plumbea Domus Flavia
fecit”; la residenza, dapprima definita “transitoria”, fu ricostruita dopo l’incendio del 64 d.C. e
con il nome chiamata “aurea” (Nerone, 31).
dell’imperatore Claudio
I resti neroniani – nelle due fasi pre e post incendio – non sono ancora stati definiti con chiarezza,
6. Statua di principe né studiati complessivamente, anche se gli scavi e i lavori in corso su vaste aree del colle ne stanno
giulio-claudio dagli
scavi alla Domus precisando gradualmente i caratteri e la vera estensione. Certamente Nerone, non diversamente
Tiberiana dai suoi predecessori e per gli stessi motivi ideologici e politici, edificò sul Palatino il suo nuovo
palazzo, anche se lo ampliò a dismisura, estendendolo fino all’Oppio.
Il centro del potere rimase, e non poteva essere altrimenti, sul colle dove nacque Romolo e fu
fondata Roma.
Con molta probabilità la Domus Transitoria, come anche il nome sembra suggerire, mantenne
l’accorpamento architettonico – già presente al tempo di Claudio – delle domus Palatinae Caesarum,
tra loro diversamente orientate; gli architetti neroniani, oltre ad arricchirne a dismisura l’apparato
decorativo, ricucirono la loro dislocazione attraverso percorsi che dettero alla prima residenza
neroniana una connotazione urbanistica. Pur se alla costruzione venne mantenuto il termine domus,
esso fu palesemente dilatato a comprendere nuclei diversi in una forma solo apparentemente casuale e
spontanea. Questo tipo di articolazione a settori differenziati costituì del resto la caratteristica anche
della Villa che Nerone si fece costruire presso Subiaco, lungo i “Simbruina stagna”.
Certo comincia con questo imperatore quel “discorso continuo” dell’architettura che sarà poi
realizzato compiutamente a Villa Adriana.
articolati giochi d’acqua. Originale per pianta ed architettura, è creazione di un geniale architetto
coadiuvato da abili decoratori. Né sono da sottovalutare i riferimenti a luoghi mitici greco-orientali
perché il complesso si configura in realtà come una grotta rinfrescata da cascate. Non esistono altri
esempi di un complesso simile nel mondo ellenistico romano; i paralleli sono stati giustamente
ricercati nell’architettura scenica, argomento, come noto, particolarmente caro a Nerone.
L’intera superficie orizzontale e verticale del complesso (800 mq circa) era completamente rivestita
di preziosi marmi colorati; le volte affrescate e stuccate, dorate e arricchite di pasta vitrea e finti
lapislazzuli, producevano effetti di raffinata opulenza.
Scene figurate sono dipinte nel finto cassettonato delle volte, in uno stile classicheggiante a figure
distanziate.
In uno degli ambienti minori (A2), dove la volta presenta uno schema a cerchi con disco dorato al
centro, circondato da un disegno floreale (fig. 13), la profusione dell’oro è tale che immediato è il
collegamento simbolico di questo cielo dorato con l’età dell’oro (fig. 14); alla stessa favolosa età
sembra ricollegarsi il fregio con tiaso dionisiaco sotto l’imposta della volta. Non si può non
ricordare che Seneca prevedeva l’inizio “saeculi felicissimi” (Seneca, Apocolocyntosis, 1, 1 ss.) alla
morte di Claudio, quando il filo di lana aveva lasciato il posto al filo d’oro di Nerone.
Il tiaso dionisiaco è anche strettamente collegato al carattere musico-teatrale del complesso,
disposto intorno ad un ninfeo con funzione di teatro d’acqua, dove la scaenae frons miniaturistica
di marmi colorati è arricchita con elementi architettonici di bronzo dorato.
In un altro degli ambienti (A4) le pitture, messe in luce da Giacomo Boni, distaccate negli anni
sessanta e attualmente esposte al Museo Palatino, raffigurano scene incorniciate da grottesche: si
tratta – anche se le interpretazioni non sono univoche – di quadri riferibili ad eroi del ciclo
troiano, che rafforzano, se ce ne fosse bisogno, l’attribuzione della costruzione (figg. 15-16).
Sappiamo infatti da Svetonio (Nerone, 52) non solo “l’amore non piccolo per la pittura” di
Nerone, ma anche lo strettissimo rapporto che egli, discendente da Enea, aveva con i miti troiani.
Un legame che lo accompagnò per tutta la vita: “Quand’era ancora bambino... prese parte ai
giochi troiani nell’arena. Con grande volontà e grande successo” (Svetonio, Nerone, 7); lo stesso
126 11a-b-c. Domus
Transitoria. Pavimenti
autore sottolinea la predilezione di questo imperatore per gli scyphi omerii (Nerone, 47), coppe 127
a intarsio marmoreo preziose con rappresentazioni omeriche a rilievo; e mentre Roma bruciava è a tutti noto che
Nerone cantò la caduta di Troia, l’Halosis Ilii, in abito scenico (Svetonio, Nerone, 38). Ma la
conferma suprema di questo profondo legame con il mito troiano Nerone ce la lascia negli ultimi
istanti della sua vita, quando, all’avvicinarsi dei cavalieri che avevano l’ordine di prenderlo vivo,
cita il “galoppo di veloci corsieri” dal libro X dell’Iliade (Svetonio, Nerone, 49), prima di
trafiggersi con la spada.
Rappresentazioni omeriche si trovano anche nell’ambiente A3 e nel vano A5 (fig. 17), sopra ad un
fregio con Amazzonomachia (fig. 18): lo spirito guerriero di queste figure mitiche aveva colpito
Nerone a tal punto, che prima della spedizione in Grecia fece rasare i capelli alle concubine che
voleva portare con sé, e le armò di pelta e di scure, come le Amazzoni (Svetonio, Nerone, 44), in
una sorta di mitica evocazione.
Sia l’architettura che la decorazione della Domus Transitoria riappariranno, ampiamente
sviluppate, nella Domus Aurea, dove verranno riproposti i motivi della finta grotta, della cascata a
scalini, i fregi dionisiaci, i quadri con scene a soggetto troiano, le grottesche floreali.
I resti pittorici della Domus Transitoria costituiscono certamente uno degli esempi più ricchi di
pittura neroniana, e i colori caldi e dorati, i giochi di luce, l’immediatezza quasi impressionistica
delle scene, la raffinatezza dei dettagli, sembrano bene adattarsi alla maniera di Fabullo, il pittore
della Domus Aurea definito da Plinio (Storia Naturale, 35, 145) floridus et humidus.
La splendida costruzione detta “Bagni di Livia” ebbe breve vita ed uso limitato, come confermano i
gradini delle scale dagli spigoli ancora vivi: l’incendio del 64 d.C. si propagò anche all’interno della
Domus Transitoria, come attestano i marmi combusti, le tracce evidenti di fuoco sui materiali di
scavo, i metalli fusi al centro del ninfeo.
L’edificio fu dunque abbandonato per essere inglobato nella nuova residenza neroniana. Gli
ambienti, spogliati degli elementi decorativi riutilizzabili, furono tagliati dalle possenti fondazioni
di nuovi, grandiosi edifici; costruite affrettatamente – nelle murature è evidente l’uso di elementi
decorativi di marmi colorati della precedente costruzione – sono comunemente attribuite – e gli
studi recenti lo hanno confermato – alla Domus Aurea (fig. 19).
Non è chiaro il rapporto tra il ninfeo interrato (“Bagni di Livia”) e i resti del soprastante portico con
il pavimento a intarsio, presso la Casina Farnese, i quali resti non appaiono organicamente collegati,
anzi divergono come orientamento, dalle costruzioni sottostanti, pur presentando strette affinità con
il tipo di pavimento e la tecnica costruttiva (fig. 20). Poiché il loro orientamento corrisponde a
quello del vicino tempio di Apollo e alla zona delle Biblioteche, resta difficile, allo stato attuale
delle conoscenze, decidere a quale complesso appartenevano.
In questo tentativo di ricomporre le strutture neroniane del Palatino, è importante rilevare che
anche le fondazioni sotto l’Aula Regia, scavate dal Boni all’inizio del Novecento, presentano due
fasi sovrapposte e lo stesso orientamento dei “Bagni di Livia”; quindi sono verosimilmente da
attribuire alle costruzioni di Nerone, prima e dopo l’incendio.
La complessa architettura delle costruzioni neroniane del Palatino e la sontuosità del suo apparato
decorativo sembrano derivare dai basileia di Alessandria, che occupavano enormi estensioni della
città. Come e più dei sovrani ellenistici, Nerone scelse il linguaggio della grandiosità, della
raffinatezza, della sontuosità, per impressionare il popolo e dare così una giustificazione sacrale al
suo potere assoluto.
132 19. Domus Transitoria.
Gli ambienti tagliati
21. Vigna Barberini.
Resti della Coenatio
133
dalle fondazioni della rotunda in corso
Domus Aurea di scavo
20. Pavimento ad
intarsi marmorei
visibile sopra la
Domus Transitoria
La concezione teocratica della monarchia imperiale è enunciata da Nerone stesso in Seneca
(Sulla clemenza): “Tra tutti i mortali non sono piaciuto e non sono stato eletto per fare le veci
degli dei in terra?”.
La ricchezza delle decorazioni marmoree e pittoriche dei resti descritti è tale che senza dubbio ad
esse si riferisce la famosa descrizione dell’opulenza delle costruzioni neroniane lasciataci da
Svetonio (Nerone, 31) : “tutto era coperto di oro, pietre preziose e madreperla”.
L’uso dell’oro e delle gemme, criticato da Lucano (Farsalia, 10, 109 ss.), che apparentemente si
riferisce al palazzo di Cleopatra ad Alessandria, ma in realtà al palazzo neroniano a Roma, è
ampiamente attestato negli ambienti dipinti del Palatino.
Opulenza e luxuria, efficacemente espresse nel ciclo pittorico e nei rivestimenti dei due nuclei
della Domus Transitoria illustrati (i “Bagni di Livia” e i tre ambienti sotto la Domus Tiberiana),
con la loro profusione di oro e di paste vitree, con la pienezza rigogliosa delle decorazioni floreali e
mitologiche, sembrano alludere costantemente all’aurea aetas che Nerone avrebbe assicurato al
popolo. La diffusione in infinite varianti delle grottesche attesta che il loro messaggio ideologico fu
facilmente recepito, e si diffuse con incredibile rapidità.
Le possenti e articolate strutture genialmente progettate nella Domus Aurea da Severo e Celere –
sia pure per quel poco che ne resta – segnarono un punto fermo nella storia dell’architettura e
dell’urbanistica, come confermano le analogie costruttive presenti nelle realizzazioni rinascimentali
(la poderosa torre con archi rampanti della Coenatio rotunda trova confronti stretti con le torri e le
fortificazioni cinquecentesche).
Per quest’imperatore “che aveva un desiderio sommo ma inconsulto di perpetuare la propria
memoria e la propria fama nell’eternità” (Svetonio, Nerone, 55), tutto doveva concorrere in modo
134 22. Domus sotto
gli Orti Farnesiani.
da dare al popolo un’impressione di grandezza e di splendore quasi divini, garanzia di un governo 135
Ambiente 3, fregio ricco e potente. Ed è sul Palatino – indiscusso centro del potere imperiale – che soprattutto doveva
a mosaico con tholos
e pantera
realizzarsi questo grandioso programma.
23. Domus sotto Gli scavi sulla Domus Tiberiana (Orti Farnesiani), diretti Gli scavi sulla ex Vigna Barberini, effettuati dalla
gli Orti Farnesiani.
Ambiente 2, volta
scientificamente da chi scrive, sono stati seguiti e Soprintendenza, sono stati seguiti e documentati da
mosaicata documentati da Francesca Carboni e Fiammetta Sforza. Françoise Villedieu e dalla sua équipe; la direzione dei
La direzione dei lavori è dell’architetto Giuseppe Morganti lavori è dell’architetto Antonella Tomasello.
24. Domus sotto
gli Orti Farnesiani.
Tirsi in funzione
di colonne e ghirlande,
particolare
Nerone è l’imperatore di Roma che meglio ha impersonato la figura del despota: il Superbo redivivo,
dopo 564 anni? Nel giudicarlo è arduo scegliere tra le tinte fosche degli storici antichi e le
riabilitazioni degli storici moderni. Verrebbe la tentazione di pensare che quanto il suo maestro e
collaboratore Seneca considerava virtuoso fosse il rovescio del ritratto principe. E verrebbe anche da
credere che il liberto Trimalcione descritto da Petronio sia uno schizzo, in piccolo, di quel che
sembrava il liberto Elio, l’uomo più potente della città in assenza del principe. Nerone veniva da una
famiglia di perversi: i Domizi Ahenobarbi, padre e nonno. Perversi si potrebbe dire, ma con stile;
non nel modo squallido di chi ama potere e sesso bruti. Benché fino a undici anni fosse stato allevato
da un ballerino e da un barbiere, si era rifatto con Seneca, per cui di cultura certo non mancava, anzi
pareva un sovrano ellenistico, sportivo e artista. Si coglie a volte in lui un tratto di cafoneria:
applicatogli da storici avversi? Ma i signori possono mascherarsi da uomini nuovi, per piacere di più
alla massa, alla plebe urbana, che i tratti nobiliari mal sopporta (i radical-chic di allora).
1. Tra le domus Palatinae
Nerone è anche il prototipo del capo carismatico, che conquista il popolo dando di sé spettacolo. (ha 24) e l’hortus/domus del divo. La parte pubblica, a est del tempio, pareva in quel tempo piccola, dotata forse già da
In assenza di stampa, radio e televisione, erano gli edifici teatrali e altri spazi aperti della città i set di Mecenate (ha 13) Claudio o più probabilmente da Nerone, già prima del 64, di una basilica, con retrostante piscina,
la zona “transitoria”,
in cui sempre più il principe si esibiva. Questi edifici e spazi è possibile conoscerli nei loro resti e occupata dalla Domus che si affacciava sul portico delle Danaidi (fig. 3). Eppure la casa di Augusto rimase per sempre il
Aurea (ha 45)
riconoscerli grazie a ipotesi ricostruttive, sempre in progress, per cui in questo caso l’archeologia I possedimenti imperiali
nocciolo fondativo e simbolicamente principale dei palazzi imperiali: Claudio aggiunse una corona
della città – esterna alle tradizioni storiche – è in grado di verificare e di arricchire la storia nel centro storico entro navale al vestibolo della casa, nella sua Curia Nerone riunì ancora il senato, mentre l’intrigante
le mura serviane (ha 267)
dell’imperatore, facendoci vedere l’attore tramite la scena da lui scelta o voluta. È attraverso le occupavano una superficie
Agrippina, sua madre, spiava e si faceva avanti, fino a quando Nerone non la cacciò dal palazzo;
ricostruzioni dei paesaggi e degli edifici urbani che possiamo intravedere la sua figura – oltre che equivalente al 27% (ha 74) sarà anche la meta dell’ultimo trionfo di questo principe.
(ricostruzione di D. Bruno,
nei ritratti figurativi e letterari – ed è ciò che in questo breve saggio ci proponiamo di fare, G. Fatucci, D. Filippi, Fu così che, vicino alla Domus Augusti, si edificò una enorme domus – la più grande di Roma
avvalendoci dei grafici elaborati per l’Atlante di Roma antica, in corso di elaborazione. F. Fraioli, disegno di (mq 18.700) – anche questa su un’alta sostruzione ospitante liberti e schiavi. Era stata voluta
D. Bruno, F. Fraioli)
probabilmente già dal vecchio Tiberio; nel suo cantiere fu assassinato Caligola; verrà perfezionata
La scena da cui conviene partire è la casa di Augusto (figg. 1 e 2), che finalmente oggi conosciamo e proseguita da Claudio e completata infine da Nerone. Era la Domus Tiberiana, sorta nel
nell’ibrido armonioso delle parti abitative, il tempio di Apollo con l’antistante area su due livelli quartiere abitativo più elegante del Palatino e di Roma (fig. 4).
(portico delle Danaidi e silva di Apollo) e la potente sostruzione per il terrazzo inferiore nella Manca a tutt’oggi una edizione scientifica aggiornata di questo palazzo. Per quello che riusciamo a
quale potevano essere alloggiati liberti e schiavi dell’amministrazione imperiale. La casa era stata evincere dal piano sottostante conservato e dagli scavi recenti della Soprintendenza, la domus si
abitata anche da Tiberio, era stata fuggita e spoliata da Caligola, che si era fatto un proprio apriva, tramite un portico, sull’area Palatina; era circondata su due lati da giardini pensili, isolati dalle
palazzetto tra Palatino e tempio dei Castori, ed era stata abitata probabilmente anche da Claudio. sostruzioni tramite intercapedini; disponeva di un’area di accesso, non sappiamo come articolata,
I tre successori di Augusto – Tiberio, Caligola e Claudio – dovevano trovare le parti abitative di tramite la quale si accedeva al palazzo vero e proprio: un quadrato di mezzo stadio per lato, bordato
Augusto troppo modeste. La parte privata a ovest del tempio di Apollo con il tempietto antistante su tre lati da portici e gravitante su un sontuoso peristilio – fondato sopra un quadriportico
(tetrastylum Augusti) era riservata oramai per lo più al culto del genius, del numen di Augusto e sotterraneo illuminato da alte “bocche di lupo” – la cui area scoperta era occupata da una vasta
138 2. Dalla Sacra via
con portici e santuario
139
di Vesta alle domus
Palatinae: Domus
Augusti, Domus
Tiberiana, Domus Gai
e Domus Augustiana
(ricostruzione e disegno
di D. Bruno)
3. Domus Augusti,
Basilica con statue
imperiali (Aedes
Caesarum), piscina
retrostante e ninfeo,
età neroniana, dopo
il 64 d.C. (ricostruzione
e disegno di D. Bruno)
piscina, rivelata dagli ultimi scavi di M.A. Tomei. Sul retro della domus era un hortus lungo e stretto,
seguito da un’ambulatio, di mezzo stadio, da cui si godeva una vista sul Campidoglio e sul tempio di
Giove, Giunone e Minerva, che si trovava di fronte. Contrariamente alla casa di Augusto, incentrata
sul tempio di Apollo, non conosciamo un culto importante connesso a questo palazzo, forse a
carattere privato, che doveva tuttavia albergare l’Auguratorium, una memoria dell’osservatorio del
volo degli uccelli connesso alla benedizione fondativa della città da parte del re fondatore Romolo. Al
tempo di Claudio o più probabilmente di Nerone venne creata nella Domus Gai (di Caligola) una
piscina nella parte scoperta del peristilio, decorata a nicchie, come quelle forse coeve allestite nella
Domus Augusti e nell’edificio residenziale sull’Oppio della Domus Aurea (figg. 2, 3, 16). Il resto del
monte Palatino, cioè la sua parte orientale, era ancora in mano privata.
Sull’Esquilino Nerone possedeva casa e horti che erano stati di Mecenate, passati poi ad Augusto e
ai suoi successori. Ogni grande di Roma aveva avuto una domus in città, una domus negli horti
che attorniavano il centro storico contenuto entro le mura Serviane e varie villae in campagna o al
140 5. Sacra via, età neroniana,
dopo il 64 d.C., con
141
soprelevazione del tempo
di Tito/Domiziano.
In alto: prospetto
est-ovest dei portici con
Arcus in summa Sacra via;
al centro: dettagli dell’arcus
e del portico, ricostruito
grazie ai frammenti
attribuiti a questo
monumento da E.B. Van
Deman nel 1910; in basso:
sezione nord-sud della
strada porticata
(ricostruzione e disegno
di D. Bruno)
4. Domus Tiberiana,
tentativo di ricostruzione
mare. Per condurre la sua vita da despota-artista-atleta Nerone avrebbe potuto accontentarsi delle
(ricostruzione e disegno tre residenze romane che abbiamo sopra nominato. Ma il potere assoluto richiede sfrenatezze
di D. Bruno)
illimitate. Così prima dell’incendio del 64 il principe ebbe l’idea della Domus Transitoria –
anteprima della Domus Aurea, progettata dopo quell’incendio. Come racconta l’aggettivo
“transitoria” e come ricaviamo dagli storici antichi, la Domus Transitoria doveva interporsi tra le
domus Palatinae e gli horti imperiali sull’Esquilino, già di Mecenate. Questo primo progetto
doveva consentire all’imperatore di unire in qualche modo i due possedimenti, separati da una
parte importante del centro storico, che fra loro si interponeva. Forse già da allora questa domus si
articolava in un edificio sulla pendice della Velia – sovrapposto alla dimora paterna, dove sorgerà il
vestibulum della Domus Aurea? – e di un altro edificio sull’Oppio – dove ancora si conserva un Per le esibizioni davanti ai cittadini Nerone si avvaleva di teatri, di un anfiteatro ligneo, del Circo
palazzetto che pare anteriore all’incendio (mq 6470; fig. 15). Massimo e di quello privato negli horti di Agrippina, usando della città come se fosse casa sua.
Sorge a questo punto una questione. Per quanto limitati, questi primi palazzetti, per configurarsi Ciò significa che considerava i palazzi palatini e le case negli horti palcoscenici inadeguati per la
realmente “transitori” dovevano essere incastonati in un parco. Come era possibile creare questo rappresentazione imperiale da lui ambita. Ma anche i suddetti luoghi di spettacolo parvero al
paesaggio “transitorio” se l’area in cui i palazzetti dovevano sorgere era occupata dalla città? principe troppo ristretti. Eliminata la madre, liberatosi di Seneca e Burro, Nerone si scatenò per
Potevano quei palazzetti essere circondati da case di altri privati? Se ne ricava che il progetto diventare sempre più somigliante a sé medesimo: un tiranno demagogo. Spasimava per contatti
“transitorio” invocava fin dall’inizio un grande esproprio, e come altro motivarlo se non con grazie fusionali con i cittadini comuni, possibili soltanto entro spazi assai vasti e inusuali. Fu così che
a un incendio? Questa è una delle ragioni per cui chi scrive ha finito per annoverarsi tra i cercò grandi specchi d’acqua, dove si erano svolte rappresentazioni di battaglie navali, fino a
colpevolisti nell’accusa mossa a Nerone di aver causato o favorito l’incendio, visto che il progetto desiderare una casa propria che avesse la dimensione di una città, stagno compreso – vedi l’edificio
della Domus Transitoria e poi Aurea sembra precedere l’incendio della città. Forse anche per residenziale della Velia –, non di un microcosmo di città, come aveva voluto Augusto. Gli erano
questo è da prediligere l’immagine fosca di Nerone. D’altra parte il principe aveva fatto necessari banchetti colossali in cui le sfrenatezze della vecchia nobiltà fossero rese disponibili alla
rappresentare una togata di Afranio nel 59, dal titolo inquietante: Incendio! plebe, involgarite oltre l’immaginabile da una sconcia regia. Un primo di questi banchetti si tenne
142 6. Musei Vaticani,
rilievo dal sepolcro
8. Monte Porzio Catone
(Roma), Villa del Barco
adatta ad accogliere l’abitazione del Cesare in vita. Sul lato lungo il c.d. clivo Palatino A sorgerà 143
degli Haterii, età di Borghese (fine del I secolo un piccolo portico, probabilmente per statue, che preannunciavano all’esterno la nuova funzione
Domiziano a.C. - I secolo d.C.).
Planimetria delle sostruzioni
della casa-santuario (fig. 2).
7. Domus Aurea, a concamerazioni Fu dopo l’incendio che Nerone ideò uno sviluppo enorme della casa di Augusto (mq 23.000): la
edificio residenziale rettangolari (da Mari 2003)
alla pendice della Velia. Domus Augustiana, che occupò, insieme al suo giardino, la parte restante del Palatino, tolto ormai
Planimetria ricostruttiva; 9. Rappresentazioni del tutto ai privati. Pur trattandosi di una sola domus, la nuova residenza si articolava in due
prospetto ricostruttivo di villae:
visto dalla Sacra via; in alto a sinistra: Stabia, edifici residenziali affiancati (fig. 2).
prospetto ricostruttivo villa marittima con sulla Il primo corpo (mq 8.680) fu edificato a contatto con la casa di Augusto, aveva un carattere
dallo stagnum; sezione cima un ambiente
ricostruttiva poligonale. Napoli, Museo pubblico e si apriva sull’area Palatina. Era forse dotato di un portico a L, di una corte di ingresso
(ricostruzione e disegno Archeologico Nazionale; affiancata da due aule, di un peristilio circondato da sale e di un ninfeo in parte sotterraneo, che
di F. Fraioli) in alto al centro: Pompei,
in secondo piano villa fungeva da cerniera con la Domus Augusti (fig. 3). Lo schema architettonico pare simile a quello
marittima di forma
allungata; in alto a destra:
ricostruibile in grandi linee per la Domus Tiberiana.
Pompei, Villa con fronte Il secondo corpo, molto più ampio (mq 14.320), era dotato probabilmente di una zona di ingresso
colonnato con sala centrale
e corpi laterali aggettanti.
con tempio tardo-repubblicano sopravvissuto (scavo della No man’s land), di un primo peristilio e di
Napoli, Museo Archeologico un secondo peristilio con altre sale intorno. Questo secondo era a due piani, per cui dal piano terra ci
Nazionale; in basso
a sinistra: Pompei, Casa si affacciava su un peristilio sotterraneo, dotato anch’esso di sale. Entrambi i peristili sembrano
di M. Lucretius Fronto, inglobati in un lungo triportico. Questo palazzo si concludeva con un maenianum imminente sul
villa con avancorpi laterali;
in basso al centro: Pompei, circo, la cui sostruzione conteneva una fila di stanze su due piani: per liberti e schiavi?
nello stagno di Augusto a Trastevere – siamo nel 59 – e un altro banchetto nello stagno di Agrippa villa marittima con Davanti a questo secondo palazzo, privato, della Domus Augustiana fu creato, tramite una
avancorpo laterale. Napoli,
in Campo Marzio, regista il prefetto al pretorio Tigellino – siamo nel 62-63. Erano luoghi vasti Museo Archeologico sostruzione verso le pendici della Velia, un giardino, che doveva avere – come avrà poi dai Flavi
intorno a piccoli mari – ricordavano Baia? – dove una finta imbarcazione consentiva al principe di Nazionale; in basso a destra: – valenze cultuali (culti della Dea Syria, cara a Nerone – Svetonio, Nerone, 56 – e forse anche di
Roma, particolare del rilievo
essere allo stesso tempo al centro del popolino e protetto da esso. Era circondato fin da allora da di Paride ed Enone a Palazzo Adone?). All’angolo nord-est del giardino, che segnava anche l’angolo dell’intero monte, era una
Spada, con rappresentazione
una numerosissima guardia di applauditori e acclamatori: gli Augustiani. È in un contesto di di villa affacciata sul mare,
torre rotonda, che sorreggeva un tempietto, rotondo anch’esso, accessibile solamente dall’alto e
questo genere che fiorì il progetto della Domus Transitoria. Poi venne l’incendio. con corpo semicircolare pertanto connesso al palazzo imperiale privato palatino. La torre-tempietto si trovava pertanto al
in posizione centrale
e avancorpi laterali limite del complesso palaziale e non nello spazio “transitorio”, che sappiamo dalle fonti essere
Anche dopo l’incendio Roma rimase la città irregolare che da sempre era stata, salvo la Domus (si veda il prospetto esterno al Palatino (secondo le scavatrici della torre, M.A. Tomei e Françoise Villedieu, si
ricostruttivo della Domus
Aurea e la strada di regime che ad essa portava dal Foro. Nerone restaurò allora la casa di Aurea della Velia, fig. 7) tratterebbe invece della sala da pranzo circolare e ruotante della Domus Aurea, per la quale si
Augusto (già bruciata due generazioni prima): ripavimentò sontuosamente la basilica eretta da veda oltre).
Claudio (fig. 3) o più probabilmente da lui stesso prima dell’incendio, dotata sicuramente dal Conduceva alla Domus Augusti, alla Domus Tiberiana e alla Domus Augustiana, con il suo
tempo di Vespasiano di otto statue imperiali. Il complesso è da interpretare come la aedes giardino, un clivo fiancheggiato da portici – il c.d. clivo Palatino B – che aveva origine in cima alla
Caesarum o Caesareum della residenza palatina, attestata da una fonte nell’ultimo anno del Sacra via e che terminava nell’area Palatina (è questo il percorso che fa il libro di Marziale inviato
regno (Svetonio, Galba, 1) e da un tubo di piombo bollato trovato in un criptoportico sotto la dall’autore ad un certo Giulio Proculo, probabilmente il bibliotecario della Domus Augusti in
basilica. La Domus Augusti, divenuta luogo di culto dei Cesari defunti, parve sempre meno epoca flavia: Marziale, Epigrammi, 1, 70).
Tevere
edificio residenziale possono, nella loro trama seriale, non corrispondere alla planimetria del piano stanze per accogliere gli ospiti e sul retro, verosimilmente, i nuovi alloggi degli Augustiani, secondo il
terreno (fig. 8). Alle distruzioni di Vespasiano e della Metropolitana B non possiamo porre riparo. modello dell’edificio di servizio rinvenuto davanti alla residenza dell’Oppio (fig. 15). Sulla base della
sala ottagona tronca dell’Oppio è possibile ricostruire la cenatio rotunda (fig. 11), che dovette essere il
Il grande vestibolo, che accoglierà il Colosso, circondato da un portico, la domus lunga e stretta, suo modello, il cui pavimento non girava – come in taluni ristoranti pacchiani odierni – ma ruotava
probabilmente con un portico mosso sulla fronte (come nella residenza sull’Oppio) e con al centro la nel rivestimento della cupola, mossa probabilmente da schiavi disposti intorno al bordo dell’oculus,
cenatio rotunda, lo stagno rettangolare, circondato probabilmente anch’esso da portici, e sicuramente secondo un meccanismo simile a quello di una macina (fig. 11). Infatti Petronio, nel descrivere il
da edifici a modo di città (come scrive Svetonio), offrono un’immagine straordinariamente efficace meccanismo ruotante del soffitto del triclinio di Trimalcione, allude a una mola. Ciò si apprende
della politica spettacolarmente megalomane di Nerone (mq 65.215). Gli enormi spazi aperti davanti e anche dai solchi regolari e rotondi che circondano l’oculus della residenza dell’Oppio. Anche la cupola
dietro tale residenza garantivano l’accoglimento dei ceti alti e della plebe urbana nei grandi banchetti dell’aviarium della villa di Varrone a Cassino aveva una lancetta ruotante (fig. 12).
di fine regno. Al trionfo e alla cerimonia partica di Tiridate nel 66 era seguito un banchetto, e un
banchetto si ebbe dopo il trionfo di Nerone tornato dalla Grecia nel 67. In queste ultime feste il Se la nuova reggia, grande quasi come Versailles (fig. 13), fosse stata ancora più capiente e a essa
principe non aveva più dovuto girovagare alla ricerca di specchi d’acqua tra Trastevere e Campo avessero potuto affluire le plebi di tutta Italia, Nerone avrebbe avuto un set pari a quello mediatico
Marzio: lo stagno lo aveva ormai nella nuova dimora a carattere pubblico, che aveva preso l’aspetto di che conosciamo oggi in Italia. Ma in quel tempo bastava il popolino della metropoli, che si
una enorme villa marittima (fig. 9). Possiamo immaginare, al centro dello stagno, una nave simile a identificava a vista con il principe e viceversa, a dispetto dell’antica classe nobiliare, ormai decimata.
quella maggiore di Caligola scoperta nel lago di Nemi, sulla quale Nerone, circondato dal popolo e
protetto dall’acqua – sogno di ogni demagogo – banchettava con gli intimi della corte, mentre la Terminata con Nerone la stirpe adottiva dei Cesari – siamo nel 69 – sarà Otone, primo marito di
guardia degli Augustiani applaudiva e inneggiava al principe da tre rive. Intorno allo stagno erano Poppea, primo amico di Nerone e aspirante alla mano di Statilia Messalina, ultima moglie del
148 149
152 Per molti aspetti è comprensibile che l’interesse per la Domus Aurea abbia sempre sovrastato 153
quello per la Domus Transitoria (De Vos 1995, pp. 199-202; Tomei 1999, pp. 10-20; Tomei 2009,
pp. 172-183), come si riscontra anche presso gli autori antichi. Svetonio (Nerone, 31, 1) non ne fa
che un breve accenno trattando della Domus Aurea: “Ma il denaro lo sperperò soprattutto nelle
costruzioni. Si fece erigere una casa che andava dal Palatino all’Esquilino e la battezzò subito
‘il passaggio’ e quando un incendio la distrusse, se la fece ricostruire e la chiamò ‘casa d’oro’” e 1. Pianta generale con
neppure Tacito (Annali, 15, 39, 1), che riporta dettagliatamente l’incendio del 64 d.C. e il progetto il possibile percorso della Gli horti Maecenatis, realizzati da Gaio Cilnio Mecenate intorno al 33 a.C. sull’Esquilino
Domus Transitoria
della Domus Aurea, fornisce indicazioni sull’articolazione e il tracciato della Domus Transitoria, bonificando un’antica necropoli (Orazio, Satire, 1, 8-15), non sono che uno dei grandi giardini, i
limitandosi a scrivere: “Nerone, allora ad Anzio, tornò a Roma solo quando il fuoco si stava c.d. horti, che circondavano a mo’ di corona l’area edificata dell’antica Roma. Il limite orientale dei
avvicinando alla residenza che aveva edificato per congiungere il Palazzo con i Giardini di Giardini di Mecenate dovrebbe trovarsi all’altezza del Portico di Livia e della cisterna delle Sette
Mecenate”. Sale; il giardino era dunque situato a breve distanza dal Palatino (Grimal 1969, pp. 144-145;
Del grande progetto della Domus Transitoria ci sono tramandati solo questi due rapidi accenni: la LTUR III s.v. Horti Maecenatis). Oltre al parco con la sua vegetazione facevano parte dell’impianto
sua costruzione iniziò intorno al 60 d.C. e nel 64 d.C. venne distrutta o danneggiata dall’incendio anche diversi edifici, tra cui il c.d. auditorium. Alla morte di Mecenate, nell’anno 8 d.C., gli horti
che bruciò gran parte della città. In ogni caso l’impianto era minacciato dalle fiamme, come scrive divennero di proprietà imperiale, essendo Augusto erede universale (Cassio Dione, 55, 7, 5). Per
Tacito, e proprio questo avrebbe spinto Nerone a tornare a Roma, sebbene non sappiamo in quale edifici e posizione – Orazio (Odi, 3, 29, 5-11) descrive la vista dall’edificio principale sui Colli
fase dell’incendio, durato ben nove giorni. Si potrebbe dunque argomentare che il suo Albani – gli horti godettero probabilmente sempre del favore imperiale. Tiberio vi si trasferì al suo
comportamento confermi le accuse che gli venivano mosse, ma non è questo il punto. Il tardato rientro da Rodi nel 2 d.C. (Svetonio, Tiberio, 15) e Tito (Plinio il Vecchio, Storia Naturale, 36,
rientro di Nerone può fare piuttosto supporre che il grande progetto non fosse ancora molto 37-38) vi risiedette al suo ritorno da Gerusalemme nel 71 d.C. Di certo anche Nerone apprezzò il
avanzato, per cui i danni causati dall’incendio sarebbero stati limitati, oppure l’impianto, dopo parco con i suoi edifici e le prestigiose sculture, tanto più che gli horti vennero ampliati sotto
quattro anni di lavori, fosse già terminato e si estendesse dal Palatino agli horti sull’Esquilino, circa Caligola, che acquisì pure gli horti Lamiani. La Domus Transitoria doveva dunque collegare
1 km in linea d’aria. Sia Svetonio che Tacito sono infatti concordi nel riportare che la Domus attraverso una prestigiosa cornice architettonica l’area amministrativa e residenziale sul Palatino
Transitoria doveva collegare il Palatino con gli horti (fig. 1). con gli horti, destinati allo svago e al riposo dell’imperatore.
Per comprendere la finalità dell’impianto bisogna soffermarsi brevemente sullo sviluppo del
Palatino e la funzione degli horti. L’apparato del potere dell’Impero romano nasceva da una Qualunque cosa vogliamo immaginare con il termine transitoria, non conosciamo né l’esatto
combinazione di vecchie strutture di potere repubblicane e di amministrazione familiare dei primi percorso dell’impianto né l’architettura del corpo edilizio attraverso il quale sarebbe stato creato il
principes, si sviluppò dunque solo lentamente un tipo di residenza che potesse soddisfare il collegamento, distrutto dall’incendio del 64 d.C.
crescente aspetto pubblico e le rilevanti funzioni di rappresentanza del princeps. L’imperatore Per altri edifici vittime di questa catastrofe abbiamo la testimonianza archeologica o letteraria che
Augusto risiedeva in un complesso di case aristocratiche preesistenti fatte accorpare sul Palatino. vennero ricostruiti, mentre sembra che il progetto Domus Transitoria sia stato completamente
Oltre al Tempio di Apollo facevano parte della residenza anche biblioteche ed archivi. I suoi abbandonato e sostituito dall’impianto della molto più vasta Domus Aurea (64-68 d.C.). Malgrado
successori ampliarono questi impianti, senza che tuttavia sorgesse ancora un complesso l’attribuzione di edifici sia scarsa e non sempre certa, tenteremo di ricostruire il progetto della
residenziale unitario. Una nuova residenza sganciata dai predecessori augustei era costituita dalla Domus Transitoria e la sua possibile ubicazione.
c.d. Domus Tiberiana, nome dato al complesso di edifici sul Palatino solo a partire dall’età flavia Se si parte dai pochi impianti architettonici oggi attribuiti alla Domus Transitoria bisogna
(Tacito, Storie, 1, 27, 2; Plutarco, Galba, 34, 7; Svetonio, Vitellio, 15, 3). menzionare innanzitutto i c.d. “Bagni di Livia” precedentemente noti anche come “Bagno di Augusto”
o “Bagno di Tiberio”, solo 40 metri ad est del Tempio di Apollo, circa 8-10 metri al di sotto del
triclinio e del peristilio della Domus Flavia, dalla quale sono poi stati ricoperti (Bastet 1971,
pp. 144-172; Bastet 1972, pp. 61-87; Carettoni 1949, pp. 48-79; De Vos 1990, pp. 167-186). La
definizione “Bagni” non è corretta in quanto, sebbene i pavimenti e le pareti dell’impianto siano
dotati di intercapedini come nelle terme romane, non si tratta di un balneum ma di un triclinio
riccamente decorato con pitture, stucchi, pasta vitrea e diverse varietà di marmi policromi (v. il
contributo di M.A. Tomei in questo volume).
Per tutti gli altri edifici e resti messi in relazione con la Domus Transitoria non è possibile
un’attribuzione certa. Tanto più che i resti conservati non possono essere inseriti in un contesto
certo. Ciò vale anche per il prestigioso edificio ottagonale, dal quale si dipartono quattro ampi
corridoi, situato sotto il tempio di Venere e Roma (Blake 1959, p. 36; Morricone 1987, pp. 69-82,
figg. 1-20; Palombi 1990, pp. 53-72). Evidentemente nell’ottagono si incrociavano due sistemi di
vani o passaggi, uno dei quali circondava un bacino idrico ed era chiuso da una fila di colonne. La
pavimentazione è lussuosa, con lastre triangolari in marmo bianco e pasta vitrea blu lapislazzuli.
Questo edificio viene attribuito alla domus di Gneo Domizio Enobarbo, padre dell’imperatore
Nerone, una circostanza che a mio avviso non esclude affatto un’attribuzione alla Domus
Transitoria. Viene piuttosto spostata così l’attenzione sui rapporti di proprietà, in quanto una parte
della Domus Transitoria si trovava sul terreno imperiale. In questo senso andrebbero interpretate
anche le strutture sotto la chiesa di San Pietro in Vincoli, pertinenti secondo Antonio Maria Colini
alla Domus Transitoria e comprendenti la domus di Pompeo Magno, confiscata da Antonio e per
un periodo residenza di Tiberio (Colini, Matthiae 1966, pp. 52-56; LTUR II s.v. Domus
154 Pompeiorum). Se questa ipotesi fosse esatta l’edificio sarebbe quindi di proprietà imperiale e 2. Domus Aurea, Sala
della Volta Dorata,
155
costituirebbe un punto di orientamento per ricostruire il tracciato della Domus Transitoria. particolare delle
decorazioni
La ricerca di elementi architettonici pertinenti alla Domus Transitoria porta anche all’ala
occidentale della Domus Aurea, attribuibile secondo Larry Ball (Ball 2003) ad un edificio 3. Domus Aurea, Sala
di Achille a Sciro,
precedente. Vi sono tuttavia argomenti che confutano questa attribuzione e, prima della particolare delle
conclusione delle indagini ancora in corso, non sarà possibile fare affermazioni definitive. Va decorazioni
inoltre ricordato il ninfeo all’incrocio Viale del Monte Oppio / Via delle Terme di Traiano, situato
ad un livello di sei metri più basso. Sebbene non sia possibile attribuirlo alla Domus Transitoria, è
verosimile una datazione in età neroniana (Bizzarri Vivarelli 1976, pp. 742-747).
Se gli edifici menzionati si considerano come parti della Domus Transitoria, si delinea un percorso
che dal Palatino, attraverso la Domus Tiberiana e il Clivus Palatinus porterebbe fino all’angolo
nordoccidentale del Tempio di Venere e Roma, dove si trovano i resti della domus del padre di
Nerone. Da qui il sentiero avrebbe proseguito attraverso la collina della Velia e la depressione tra
Velia e Carinae fino a San Pietro in Vincoli, poi verso est fino ai Giardini di Mecenate (Palombi
1997; Volpe 2000). Il ninfeo sotto l’incrocio di Viale del Monte Oppio si sarebbe così trovato poco
prima degli horti e, se pertinente alla Domus Transitoria, ne avrebbe costituito un ingresso. È
plausibile che le diverse parti della Domus Transitoria fossero formate da nuove costruzioni,
considerando i “Bagni di Livia” si potrebbe pensare a una combinazione di ninfei e triclini.
Oltre all’attribuzione delle strutture edilizie e al possibile percorso della Domus Transitoria resta
aperta la questione dei rapporti di proprietà dei lotti sui quali si trovava la domus, tanto più che
l’occupazione di lotti intramurani da parte di Nerone per la realizzazione della Domus Aurea
costituisce una delle principali critiche tramandate dagli autori antichi. Se per la Domus Aurea si
parte tacitamente dal presupposto che all’imperatore fosse possibile occupare dei lotti senza alcun
indennizzo a causa dell’incendio, per la Domus Transitoria questo è escluso. Pertanto bisogna
ipotizzare che il terreno su cui si estendeva la Domus Transitoria fosse già di proprietà imperiale e
di conseguenza i lotti su cui si trovava questa domus, dopo l’incendio del 64 d.C., costituissero un
fattore importante per l’estensione dell’area della Domus Aurea.
Non bisogna tuttavia dimenticare che, allo stato attuale della ricerca, la ricostruzione qui proposta
della Domus Transitoria si basa in buona misura su ipotesi, non solo per la mancanza di chiare
evidenze nell’attribuzione degli edifici ma anche per la configurazione moderna del Colle Oppio,
che fino all’incendio del 64 d.C. aveva una topografia molto diversa.
ALESSANDRO VISCOGLIOSI
LA DOMUS AUREA
156 Le fonti antiche sono sostanzialmente concordi sul più famoso dei progetti neroniani: la Domus 157
Aurea, la casa finalmente degna di un uomo, cornice della sua regalità e divinità, era stata pensata e,
per quanto possibile, realizzata dopo l’incendio del 64, inglobando buona parte delle aree rese
disponibili dall’incendio, con qualche aiuto delle macchine da guerra dell’esercito. Svetonio riporta la
“pasquinata” che circolò all’epoca: “Tutta Roma diventa una sola casa: trovatevi una casa a Veio, figli
di Romolo, sempreché questa casa non inghiotta pure Veio”. Smembrata da Vespasiano, che ne
restituì ad uso pubblico gran parte delle aeree, un’idea della sua estensione è riportata da Marziale, 1. La Domus Aurea
da nord: in primo
che puntigliosamente ne enumera i settori offrendone le relative corrispondenze con la “democratica” piano i portici della
mare (fig. 3). Gli scavi hanno riportato alla luce grandiose strutture per un bacino rettangolare, in cui
(o populista?) Roma dei Flavi: Sacra Via, quindi il però nulla vieta che confluissero le acque di laghetti minori disseminati nei giardini che lo
vestibolo, lo stagnum
e la valle a giardino
circondavano (Svetonio, che scrive intorno al 120 non poteva aver visto nulla di quanto racconta, ma,
“Qui dove un colosso alto fino al cielo vede le stelle più da vicino tra il padiglione del segretario di Vibia Sabina, moglie di Adriano, è comunque da considerarsi “informato dei fatti”). Poco
Colle Oppio e il
E dove altissime macchine sceniche ingombrano la via Claudium; a destra più a est, per le esigenze dei Romani esposti per ore e ore al sole nell’anfiteatro, Tito aprì le terme che
Si irradiavano le sale odiose di un sovrano feroce i palazzi imperiali portano il suo nome, ma si è proposto che si trattasse di quelle della Domus Aurea, di cui sempre
del Palatino (Progetto
quando una sola casa occupava tutta la città. Katatexilux 2011) Svetonio riferisce che erano alimentate dalle acque Albule di Tivoli e da quelle marine (d’altronde è
Qui dove si erge la mole impressionante del mirabile probabile che Tito sia stato l’ultimo fruitore di quanto rimaneva ad uso abitativo della Domus Aurea,
Anfiteatro, c’era il lago di Nerone. ovvero il padiglione del Colle Oppio, che oggi per tutti è la Domus Aurea). Interessante che Marziale
Qui dove apprezziamo le terme che ci hanno messo a disposizione a tempo di record, utilizzi queste terme per alludere agli sfratti e alle vere e proprie deportazioni di massa adombrate
una enorme tenuta aveva cancellato le case dei poveri. dalla “pasquinata” di Svetonio: per un romano di oggi è difficile da immaginare, ma il cuore
Dove il portico di Claudio stende la sua vasta ombra, residenziale di Roma antica era qui, tra le Carinae, il Fagutal e l’Iseo Metellino, il più antico tempio di
c’era l’ultima parte della reggia incompiuta. Iside costruito a Roma; d’altronde è qui che nella Domus Aurea la maglia del costruito si diradava e
Roma è stata restituita a se stessa, e grazie a te, o Cesare, al suo posto comparivano campi e boschi, con panorami a perdita d’occhio, come riferito da Tacito
sono delizie del popolo quelle che furono di un sovrano.” (fig. 4). È probabile che gran parte di questa vera e propria opera di paesaggismo fosse già in nuce nei
giardini di Mecenate, che all’epoca di Nerone da un buon mezzo secolo facevano parte del demanio
Marziale non prende nemmeno in considerazione il Palatino, che difficilmente si potrebbe sostenere imperiale, e che non bruciarono nell’incendio: fu anzi da una torre, un triclinio aereo come quello più
restituito a Roma da Domiziano, anche perché non sottratto al popolo da Nerone; parte quindi dal tardo descritto da Plinio il Giovane nella sua villa di Laurento, che Nerone cantò il suo incendio di
Colosso, in fondo restituito anch’esso al popolo da Vespasiano, che aveva fatto sostituire il volto di Troia, finalmente al cospetto di una catastrofe degna di Omero. E gli scavi archeologici hanno rivelato
Nerone con quello del Sole coronato di raggi. Il Colosso si ergeva nel vestibolo della Domus Aurea che nella valle tra il colle Oppio e il Celio dopo l’incendio di Nerone fino a piena età flavia non vi fu
(fig. 1): Marziale dice “radiabant atria”, “sale che (si) irradiavano”, giocando forse con una metafora di alcuna attività edilizia, indizio plausibilissimo della destinazione a giardino finora postulata. Ma
cui oggi cogliamo anche il valore architettonico-distributivo, oltreché poetico: il Colosso, quindi, come l’unione di questi giardini al Celio e al Palatino dovette comportare se non l’eliminazione, quanto
fulcro visivo di tutto il complesso, collocato nel padiglione da cui si diramavano le varie parti della meno la deviazione di tutti i percorsi che innervavano l’area, in primis l’antichissima via Labicana, ma
“casa”, che arrivava fino al Celio, solo perché era rimasta incompiuta. Dove oggi resiste il Colosseo, che non fu risparmiato nemmeno il prolungamento della Sacra Via, che congiungeva la città col
del Colosso invece scomparso da milleseicento anni ancora porta il nome (amphitheatrum ad santuario di Juppiter Latiaris sul Monte Cavo. Un intero settore della città veniva segregato: tutti
colossum), c’erano gli stagna, che Svetonio dice circondati da edifici come città che si affacciano sul coloro che arrivavano nell’Urbe dalle città latine, e dall’intera città i devoti di Iside che si volessero
158 159
5. Il Claudium e soprattutto, mirabile fondale scenografico delle solitudines, i campi strappati alla città. Un asse viario
i giardini paesaggistici
visti dal colle Oppio doveva costeggiare la fantastica fontana, la più grande del mondo romano (fig. 5), vera mostra
(Progetto Katatexilux d’acqua dell’acquedotto Claudio che giorno e notte gettava acqua inutilizzata nello stagnum, degno
2011)
paredro dello stagno di Agrippa in Campo Marzio; quasi simmetrica e speculare rispetto all’asse dello
stagnum, la “stecca” architettonica del padiglione del Colle Oppio; all’estremo opposto, infisso nel
Foro Romano, un progetto di rettifica dell’Argileto, prima di diventare il Foro Transitorio, farà in
2. La dimora del sovrano recare al tempio, avrebbero dovuto compiere penose deviazioni intorno al muro di cinta che prima o tempo a trasmettere al templum Pacis di Vespasiano l’orientamento del Foro di Augusto. Questo è il
come matrice generativa
di una nuova Roma poi avrebbe estromesso chiunque dalle delizie dell’imperatore. Ciò non significa che i tracciati miracolo di Severo e Celere, le date sono impressionanti nella loro compressione: l’incendio di Roma
(Progetto Katatexilux 2011)
sparissero: ne è prova la Sacra Via che, opportunamente rettificata e monumentalizzata, diventerà è del luglio 64, Nerone muore nel giugno del 68, per tutto l’evo antico Roma sarà quella rimodellata
3. Lo stagnum visto l’asse portante del progetto di Severo e Celere. Se infatti osserviamo una pianta delle strutture da loro. Ma tutto ciò ha un precedente illustre: la più grande, la più bella, la più famosa città del
da sud-est, tra le terme
di Tito e il Claudium;
neroniane tra il Foro romano e la valle dell’Anfiteatro, di cui, come si è detto, conosciamo le regolari mondo antico, fondata dal modello di tutti gli imperatori e disegnata da un architetto d’ingegno, ove i
sullo sfondo il vestibolo strutture che circondavano lo stagno, tutto il centro di Roma antica è stato ridisegnato dagli architetti basìleia, i quartieri imperiali, con i loro palazzi, i templi i giardini, il Ninfeo e la Biblioteca, si
e il Palatino (Progetto
Katatexilux 2011) di Nerone, che hanno sbancato, sostruito, rettificato e, dove non potevano allineare, coordinato (fig. 2). specchiavano nelle placide acque del lago Mareotide (in fondo, uno stagnum), ove i viali dei giardini
Un unico orientamento lega la casa delle Vestali ricostruita da Nerone con i grandiosi porticati della uscivano dalle mura del palazzo e diventavano le strade della città. Alexandria, la città di Alessandro:
4. Gli spazi verdi
della Domus Aurea Sacra Via regolarizzata, l’area del Vestibolo, la grande terrazza del Palatino su cui sorgeva la torre, Svetonio, sempre lui, che malalingua, sosteneva che Nerone, ricostruita Roma, pensava di darle il suo
nell’urbanizzazione forse un triclinio aereo, forse la praecipua coenatio rotunda dal soffitto ruotante, e il lago circondato nome. Un’altra fosca pennellata, un pettegolezzo o un buon indizio?
di Roma (Progetto
Katatexilux 2011) da portici. Da questo asse monumentale si irradiano (che verbo fatale!) il Palatino con il suo
orientamento dettato dal palazzo di Tiberio, l’asse stradale (oggi via di San Gregorio) che connetteva
con l’Appia, con Ostia e con Anzio, l’aerea terrazza del Claudium, magnifico belvedere sul lago e,
C L E M E N T I N A PA N E L L A
LA DOMUS AUREA
N E L L A VA L L E D E L C O L O S S E O
E SULLE PENDICI
D E L L A V E L I A E D E L PA L AT I N O
160 Dopo l’incendio del 64 d.C. interi quartieri vennero assorbiti nella nuova residenza imperiale 161
nota con il nome di Domus Aurea (fig. 1). Interpretata dagli studiosi moderni come una casa
“che si fa villa” (domus-villa) e/o come una villa “che è casa” (villa-domus), ci viene presentata
dagli scrittori antichi come l’esito di un’appropriazione dell’intera città: per due volte, dice Plinio
il Vecchio (Storia Naturale, 36, 111), Roma è stata circondata, da una domus, da quella di
Caligola (che si era spinta fino al Campidoglio, passando per il Tempio dei Castori) e da quella
aurea di Nerone: una domus-urbs (Royo 2007). Si tratta di un’iperbole retorica che ricorre anche
in Marziale (Gli spettacoli, 2, 4) e in Svetonio (Nerone, 39, 2), ma che dimostra la novità di un
progetto che aveva modificato le relazioni topografiche tra la città e il palazzo, utilizzando a tal
fine le progettazioni o le riprogettazioni (Domus Tiberiana sul Palatino), le trasformazioni d’uso
(il tempio di Claudio sul Celio trasformato in ninfeo), le ricostruzioni (tempio di Fortuna nella
casa che era stata di Seiano, prefetto del pretorio di Tiberio), i corpi di fabbrica costruiti ex novo 1. Sovrapposizione delle della Domus Aurea in questo settore urbano (figg. 2-3). In quest’ambito sono stati riportati alla
strutture appartenenti
(nella valle e sull’Oppio) e il recupero e la riconfigurazione dei parchi già esistenti (degli Horti di alla Domus Aurea
luce, in corrispondenza della Velia, il fronte orientale dell’atrio-vestibolo, in prossimità del
Mecenate e probabilmente degli Horti Lamiani et Maiani) contestuale forse alla creazione di (in rosso) alla topografia Colosseo, due blocchi edilizi paralleli al lago (stagnum delle fonti) che si configurano – nella nostra
antica e moderna
nuovi giardini. Limitare il suo impatto ad un unico comparto (ad esempio al padiglione (elaborazione Marco
interpretazione – come sostruzioni terrazze e aree porticate scenograficamente disposte intorno
dell’Oppio, il solo che per decenni è stato identificato con la Domus Aurea) rischia di far perdere Fano) allo specchio d’acqua, sul Palatino le fondazioni dei portici che accompagnavano la salita verso il
di vista il disegno complessivo di questa operazione che non può essere letta come semplice Foro e una terrazza che regolarizzava il primo salto di quota tra valle e collina.
giustapposizione di parti. D’altro canto un altro passo di Plinio (Storia Naturale, 36, 163), ove si Inoltre, i rinvenimenti effettuati nell’area in momenti diversi hanno permesso di avanzare ipotesi sulla
ricorda che il tempio di Fortuna sopra menzionato era stato ricostruito da Nerone ed “incluso forma e sulle dimensioni dello stagnum (Medri 1996). Collocato in una precisa cornice architettonica,
nella Domus Aurea”, sembra dimostrare che anche per i contemporanei la denominazione ci è apparso come il centro ordinatore dell’intero sistema urbanistico della residenza imperiale.
“domus aurea” comprendesse più luoghi ed avesse un’accezione ampia. La dimora di Seiano con Concorda su questo punto Andrea Carandini (2010), che tra l’altro pone tra l’atrio-vestibolo e lo
il culto di Fortuna, certamente espropriata dopo l’uccisione del suo proprietario nel 31 d.C., è da stagno l’edificio residenziale principale della Domus, “incastonando” tra questi due plessi una delle
localizzare sull’Esquilino, ovunque vada poi più precisamente cercata (sotto la chiesa di San cenationes rotundae (la principale), descritte da Svetonio (Nerone, 31). Di esse si continua ad andare
Pietro in Vincoli o più a nord, verso Via Merulana: Coarelli 2001; Carandini 2010). alla ricerca (v. in questo volume il contributo di M.A. Tomei, che identifica l’edificio a torre
Ai fini della comprensione di un sistema così complesso ci sembra più utile cercare di riportare ad recentemente scoperto sulla terrazza della Vigna Barberini, con una sala di questo tipo). L’ipotesi di
un’unità di progetto i diversi interventi attuati sugli spazi interessati dall’attività edilizia promossa Carandini è più “vistosa” di quella da noi avanzata, ma ad essa sembra ostare la “fragilità” delle
da Nerone all’indomani dell’incendio, fermo restando che essa riflette non solo scelte di carattere strutture rinvenute sia nel nostro scavo che nello sterro operato per la realizzazione della Metro B alla
urbanistico e architettonico, sui cui modelli si è a lungo dibattuto (per una sintesi v. il saggio di metà del XX secolo (Schingo 2001). Tuttavia la presenza di un padiglione residenziale, del tipo di
A. Viscogliosi), ma anche politiche, sociali, religiose, filosofiche, ideologiche. Su ciascuno di questi quello sull’Oppio, avrebbe forse dovuto lasciare, nonostante la brutalità degli interventi moderni,
aspetti si è esercitata la critica moderna, con conseguente vastissima bibliografia. tracce più consistenti. Per altri versi, anche noi ci proponiamo di continuare a lavorare sui resti delle
murature interposte tra il Tempio di Venere e Roma e il Colosseo, tanto più che tronconi di
Le strutture neroniane rinvenute nella valle che sarà del Colosseo e sulle pendici nord-orientali del fondazioni neroniane continuano ad essere riportati in luce nella Piazza (Rea 2009). Le future
Palatino sono i resti più consistenti su cui è possibile oggi basare la ricostruzione del complesso scoperte potrebbero rimettere in discussione quelle che oggi appaiono ipotesi più o meno fondate.
162 2. Planimetria
ricostruttiva dei blocchi
La viabilità 4-5. Capitello di lesena
del porticato della via
(fig. 5; Brienza 2003-2004). La copertura era quasi certamente realizzata con volte a crociera. 163
edilizi della Domus Nonostante il totale sovvertimento della topografia urbana operato tra il 64 e il 68 d.C. dagli diretta dalla valle al Foro Il capitello di lesena sembra potersi datare all’età neroniana (Pensabene 2009); ciò farebbe
Aurea nella valle del (età neroniana)
Colosseo e sulle pendici
architetti Severo e Celere, permangono nell’area in esame i due assi stradali documentati dalle età e restituzione 3D del
pensare ad un riutilizzo da parte delle maestranze flavie della decorazione architettonica già
del Palatino e della più antiche e di cui abbiamo seguito in altra parte del volume la storia: quello che congiungeva il portico settentrionale approntata e messa in opera nella fase edilizia precedente.
Velia. Il riquadro rosso della via diretta dalla
indica la zona di cui si Circo Massimo all’Esquilino (sul prolungamento dell’attuale Via di San Gregorio), e quello che valle al Foro (elaborazione La destinazione finale di questo asse è ancora la Sacra via, che oltre a essere rettificata e ingrandita
dà il particolare nella dalla base del monte saliva al Palatino e di qui al Foro (riproposto dall’attuale Via Sacra). Emanuele Brienza) e messa in comunicazione con il vestibolo, diventa anch’essa una strada porticata (Medri 1996).
fig. 3 (disegno Maura
Medri e Emanuele Rispetto alla posizione originaria, perpetuatasi per secoli, la sede di quest’ultima via venne C’è da osservare che l’intero sistema che raccorda con vie porticate la valle all’area del Palatino e al
Brienza, elaborazione spostata in modo da innestarsi ad angolo retto sull’asse diretto all’Esquilino (v. figg. 2-3). Foro subisce una sostanziale ristrutturazione in età flavia, tanto da far dubitare che la costruzione,
grafica Monica Cola -
Studio MCM) L’incrocio tra queste due strade venne successivamente occupato dalle fondazioni della Meta sicuramente iniziata dalle maestranze neroniane, sia stata realmente portata a termine.
Sudans flavia, che si sovrapposero a quelle neroniane, rasate e reimpiegate nelle strutture della Più incerta è la sistemazione della strada proveniente dal Circo Massimo, che potrebbe aver
3. Strutture della
Domus Aurea fontana. Questo intervento non sembra aver tuttavia cancellato completamente le tracce di un perduto il valore di asse di collegamento tra l’accesso meridionale alla città (Porta Capena) e i
rinvenute nello scavo
dell’area della Meta
ingresso monumentale al colle. Da qui si dipartivano due file di portici che fiancheggiavano l’asse quartieri centrali del Palatino e dell’Esquilino, svolgendo nel disegno della reggia la sola funzione
Sudans e del Palatino stradale fino al sito occupato in seguito dall’Arco di Tito. Un lato del porticato coincide con il di raccordo tra i diversi corpi di fabbrica. Forse il suo ingresso nella valle era segnato da una
nord-orientale (in
grigio le fondazioni; in
limite meridionale del Tempio di Venere e Roma, il cui podio si sovrapporrà in tutto o in parte in struttura monumentale (una porta?), alla cui fondazione si addossa secoli dopo quella dell’Arco di
nero gli elevati età adrianea al vestibolo della reggia. Quello opposto rientra nell’area dello scavo del Palatino che Costantino (Zeggio 1999). Tuttavia già prima o in corrispondenza dell’incrocio con la strada
conservati. Disegno
A.F. Ferrandes) è tuttora in corso. Di quest’ultimo abbiamo rinvenuto le fondazioni del muro interno per tutta diretta al Palatino essa parrebbe trasformarsi in una via tecta, consentendo al corpo di fabbrica
l’area indagata, dalla valle fino quasi all’Arco di Tito. Esse procedono lungo la strada, che è in spettante all’atrio-vestibolo di proiettarsi verso lo stagno, con una soluzione forse analoga a quella
forte salita, con salti di quota regolari e conservano in corrispondenza di tali dislivelli le tracce di adottata dagli architetti di età adrianea nell’avancorpo verso il Foro della Domus Tiberiana,
grandi blocchi in travertino quasi tutti asportati dagli interventi medievali e moderni, rinforzati avancorpo che contiene al suo interno il clivus Victoriae.
lungo la percorrenza interna da pilastri di sostegno di età flavia. Questi ultimi interventi Non vi è più traccia nella valle delle altre vie che convergevano prima dell’incendio del 64 d.C.
sembrano essere serviti al consolidamento delle volte secondo una modalità riscontrata anche verso l’angolo nord-orientale del Palatino: la strada proveniente dal Laterano e quella che scendeva
lungo i portici della Sacra Via (Carandini, Papi, Gualandi 1999). Va infatti tenuto presente che in a valle dalla pendice occidentale del Celio. E cosa succede, sul limite settentrionale, alla Via
età flavia si taglia e si arretra il fronte di questo porticato verso il colle per far posto alla Meta Labicana, tra il Celio e l’Oppio, altro percorso fondamentale dall’età più antica? In realtà non
Sudans e alla sua area di rispetto, così come si arretra il fronte dell’atrio-vestibolo per far posto sappiamo se questa rete infrastrutturale, a cui era affidato il compito di collegare i quartieri
alla piazza e ai servizi del Colosseo. Il ritrovamento di frammenti di lesene rudentate in marmo periferici con il centro cittadino e viceversa, sia stata interrotta, deviata, sostituita. La viabilità
di Luni, di cui una conserva l’imoscapo, e di un capitello corinzio di lesena quasi integro nello interna ed esterna alla Domus Aurea rappresenta uno degli elementi irrisolti nella ricostruzione
stesso marmo (fig. 4), consentono di avere un’idea, sulla scorta di quanto indicato da Vitruvio, dell’intero progetto, anche in funzione dell’individuazione delle funzioni pubbliche e private dei
dell’altezza delle lesene stesse e della trabeazione. Essendo il piano della via in forte pendenza, il diversi nuclei della residenza.
portico doveva accompagnare tale dislivello tramite una divisione in settori distinti e regolari,
raccordati da scale, e con un innalzamento progressivo dei pilastri, mantenendo orizzontale la L’atrium-vestibulum
trabeazione (Medri 1996). Le strutture conservate permettono di avanzare un’ipotesi di In diverse occasioni sono state attribuite alla Domus Aurea una serie di strutture rinvenute
ricostruzione degli elevati: archi a pianta quadrata sulla cui facciata esterna erano applicate le nell’attuale piazza del Colosseo durante la messa in opera di servizi o nel corso di scavi
lesene che poggiavano su plinti progressivamente più alti per seguire la pendenza della strada sistematici (Colini 1937 e 1962), ma il gruppo più consistente di evidenze è stato riportato alla
164 165
8. Planimetria luce in questi ultimi anni nell’area della Meta Sudans, tra l’Arco di Costantino e il basamento del
ricostruttiva del
complesso neroniano Colosso. Si tratta di una fila di vani rettangolari e regolari rinforzati da dadi di testata, che si
flavio nell’area della aprono sulla via diretta all’Esquilino, certamente coperti con volta a botte. Identificati come i
Meta Sudans e del
Palatino nord-orientale vani sostruttivi, a valle, della Velia, sono funzionali all’estensione artificiale della terrazza su cui
(in grigio le fondazioni; sorgeva il vestibolo della reggia. Di tale edificio è stato ritrovato solo l’angolo situato tra la via
in nero gli elevati
conservati. Disegno diretta al Foro e quella diretta all’Esquilino, ma riteniamo che il sistema, percorribile su più
A.F. Ferrandes)
piani, raggiungesse la base adrianea del Colosso (v. fig. 3), delimitando lungo questo fronte il
vestibolo stesso. Le strutture rinvenute non solo confermano che questo elemento della Domus
Aurea sorgeva realmente nel sito poi occupato dal Tempio di Venere e Roma – ubicazione
6-7. Vedute 3D dei concordemente accettata sulla base di un passo di Marziale (Gli spettacoli, 2) – ma dimostra
complessi edilizi della
Domus Aurea tra
anche che esso avanzava nella valle più di quanto non facesse il podio del tempio. L’impianto di
Palatino (grandi aule quest’ultimo ha completamente cancellato gli elevati. È possibile tuttavia ricostruire sulla
e terrazza), Velia
(atrium/vestibulum)
terrazza, raggiungibile dalla valle mediante due scale poste simmetriche ai suoi lati, un
e valle del Colosseo quadriportico affacciato sullo stagnum, dominato, come afferma Svetonio (Nerone, 31, 1), dalla
(stagnum) dalla Vigna
Barberini e dall’Arco statua di Nerone/Sole, alta 35 metri, opera dal bronzista greco Zenodoro (Plinio il Vecchio,
di Tito (elaborazione Storia Naturale, 34, 46). Esistono dubbi, derivati dalle discordanze delle fonti, su chi avesse
Marco Fano)
realmente innalzato la statua in questa parte del complesso, se Nerone o i Flavi (discussione e
bibliografia in Lega 1989-90). Come per altri settori della Domus Aurea, in assenza di dati
archeologici, è solo possibile immaginare cosa prevedesse il progetto, indipendentemente da ciò
che fu realizzato. Tenendo conto che Sacra via e atrio-vestibolo non sono in asse tra di loro, si
può supporre che il Colosso fosse collocato sull’asse dell’edificio, ma in corrispondenza
dell’incrocio tra i due assi, in modo che coloro che provenivano dal Foro potessero vederlo
centralmente rispetto alla strada. Le raffigurazioni delle monete del III secolo suggeriscono che
nella sua ricollocazione a valle, la statua fosse rivolta verso Meta, cioè ad ovest. Tale era forse la
sua posizione anche all’interno del complesso neroniano, ove rimase finché fu spostata per far
posto al nuovo edificio di Adriano (Historia Augusta, Adriano, 19, 12).
Se molti dati archeologici mancano per Nerone, è certo invece che i Flavi siano intervenuti
pesantemente sull’atrio-vestibolo, arretrandone il fronte, forse fino a farlo coincidere con il
successivo podio del tempio adrianeo. Il taglio delle strutture a valle, incluso quello altrettanto
distruttivo di un tratto dei portici della via diretta al Foro, è avvenuto contestualmente ai lavori per
la costruzione dell’Anfiteatro, ma non sembra che abbia comportato altre modifiche sostanziali in
questa parte della Domus che sopravvisse ancora per un cinquantennio.
170 Gli impianti monumentali edificati sulla vasta area occupata dalla Domus Aurea sono stati in gran 171
parte cancellati dall’edificazione successiva. La parte meglio conservata della Domus è il padiglione
alle pendici del Colle Oppio, da sempre ritenuto l’edificio principale dell’impianto. Danneggiato da
un incendio nel 104 d.C., esso venne in parte demolito per costruire le Terme di Traiano (106-109
d.C.). Finora non si conoscono nel dettaglio l’esatta estensione del complesso di edifici e la sua
pianta originale (Bergmann 1993, pp. 18-30; Essen 1954, pp. 371-398; Segala, Sciortino 1999) e
neppure sappiamo quali altri complessi si trovassero ancora sul Colle Oppio e in quale combinazione.
Laura Fabbrini (Fabbrini 1982, pp. 5-24; Fabbrini 1983, pp. 169-184; Fabbrini 1985-1986, pp.
129-179), che ha studiato dettagliatamente l’impianto e scavato una parte del primo piano,
suppone che il palazzo fosse costituito da due grandi cortili poligonali, un’area centrale all’interno
della quale si trovava anche la sala ottagona, un’ala orientale e una occidentale. L’edificio avrebbe
1. Situazione attuale
avuto così una lunghezza di circa 330 metri. L’imperatore Nerone affidò la progettazione e del Colle Oppio accesso e l’ottava parete funge da facciata esterna. Mentre quattro di queste nicchie possono essere
costruzione della Domus Aurea agli architetti Severo e Celere “…che avevano avuto l’ingegno e con i resti antichi interpretate come triclini, nella quinta è inserito un largo scivolo per una cascata, proveniente dal
l’audacia di creare con l’artificio ciò che la natura aveva negato…” (Tacito, Annali, 15, 42). Per piano superiore oggi andato perduto e da qui alimentato, che finisce in un bacino. La funzione di
ridurre i tempi di costruzione, essi inglobarono nel nuovo complesso parte degli edifici risparmiati questo vano è discussa, bacino e scivolo potrebbero fare ipotizzare un ninfeo. Dalla sala si poteva
dall’incendio del 64 d.C., creando così una basis villae, un espediente largamente utilizzato nelle certamente accedere al giardino pensile. Resta dubbio se questo collegamento costituisse l’accesso
ville romane per ampliare la superficie edificabile. I pochi resti noti del piano superiore oggi principale alla residenza, come rappresentato in molte ricostruzioni.
andato perduto – due piccoli peristili con fontane e il lato breve di un bacino idrico decorato con Nella sala ottagona sono conservate tracce di un rivestimento marmoreo fino all’impostazione
colonne – mostrano che possiamo qui supporre il vero piano nobile del palazzo. Sebbene non sia della volta, mentre la volta stessa non presenta resti di decorazione o pittura. Sono stati quindi
più possibile determinare nel dettaglio estensione, articolazione e funzioni di questo piano nobile, ipotizzati rivestimenti in legni pregiati, madreperla e avorio, che farebbero suggestivamente
possiamo avere una vaga idea del complesso paragonandolo alla ville marittime del Golfo di pensare a questa sala come alla sala da pranzo principale descritta da Svetonio, che ruotava
Napoli, meglio conosciute (Mielsch 1987). continuamente, notte e giorno “vice mundi” (Svetonio, Nerone, 31). La rotazione sarebbe stata
Il piano inferiore conservato del padiglione sul Colle Oppio, al quale è convenzionalmente legata creata attraverso un rivestimento mobile della volta che mostrava il moto delle costellazioni, un
l’immagine della Domus Aurea, è dotato di gruppi di ambienti con diversa articolazione, in meccanismo simile a quello delle coperture dei soffitti che si spalancavano per far scendere fiori e
conseguenza del già menzionato inserimento di strutture precedenti. profumi (cfr. Petronio, Satyricon, 60). Tali architetture mobili sono testimoniate già per le sale a
Varie strutture in laterizi erano sopravvissute all’incendio e gli architetti si trovarono di fronte al volta delle ville repubblicane, ad esempio per l’aviarum della villa di Varrone a Cassino, dotato di
compito di inglobare questi edifici nel padiglione. Basandosi sull’orientamento degli edifici un meccanismo che mostrava il movimento delle stelle (Varrone, L’agricoltura, 5, 9-17) (Prückner,
risparmiati, Severo e Celere progettarono vari gruppi di ambienti. Uno di questi, delle dimensioni Storz 1974, pp. 323-339; Moormann 1998, pp. 354-355). Andrebbe approfondito se il moto
di m 30 x 60 circa, ospita al centro una sala ottagonale, sulla quale torneremo. Questo gruppo di rotatorio del soffitto venisse azionato dall’ampia cascata, come proposto da Helmut Prückner e
vani è situato davanti alle strutture precedenti e quello che era il collegamento ad un magazzino Sebastian Storz.
(horrea), fu trasformato in corridoio di servizio (vano 92). Questo gruppo di vani era incorniciato ad est e ad ovest da un cortile pentagonale aperto verso
La parte centrale di questo gruppo è dominata da una sala ottagonale coperta da una cupola e sud. Per il cortile occidentale è possibile dimostrare che dimensioni e forma furono condizionate
circondata su 5 lati da grandi nicchie rettangolari, due ulteriori nicchie costituiscono i corridoi di dallo spazio lasciato da un’edificazione precedente (vani 69 e 70 nonché 84-86).
172 2. Veduta aerea della
Domus Aurea con il
4. Immagine della sala
ottagona (n. 128)
173
padiglione neroniano
sul Colle Oppio
(in giallo)
Non meno innovativa, sebbene non priva di difficoltà per la sequenza dei vani e dei giochi di luce,
è la composizione di ambienti nell’area occidentale dell’impianto. Per la loro realizzazione venne
3. Pianta attuale del
padiglione della Domus abbattuto un edificio abitativo anch’esso risalente all’epoca precedente all’incendio del 64 d.C.
Aurea neroniana e delle Purtroppo questo settore è stato frazionato in compartimenti dai muri di rinforzo eretti in epoca
strutture delle Terme di
Traiano sul Colle Oppio traianea per la costruzione delle terme ed è oggi difficile cogliere direttamente la grandezza e l’effetto
complessivo dei vani. L’ambiente più grande di questo gruppo aveva in origine una superficie di più
di 100 metri quadri ed era coperto da un’unica volta a botte. Esso si apriva con il lato breve su un
peristilio di m 20 x 30 circa. La parete è aperta, fatta eccezione per 4 colonne che sorreggono una
grande finestra. Alla parete posteriore della sala, articolata con la stessa sequenza di colonne, è
annesso uno stretto cortile che porta ad un ninfeo. La volta a botte, sulla quale sono applicati
cinque grandi tondi con scene dell’Odissea, è rivestita di finte stalattiti ricoperte di polvere d’oro
(Lavagne 1970, pp. 673-722). Su ciascuna delle due pareti laterali vi erano tre nicchie che
ospitavano delle statue e sulla parete posteriore del ninfeo una piccola cascata alimentava una vasca
situata sul pavimento. L’effetto scenografico dei giochi d’acqua, del soffitto con stalattiti e delle pareti
aperte era accresciuto dal sapiente uso della luce, che creava una sequenza di zone di luce e ombra.
Spesso viene dibattuta la questione se sotto gli edifici sopravvissuti quasi intatti all’incendio del 64
d.C. si possano localizzare anche strutture appartenenti alla Domus Transitoria. Larry Ball, che si è
a lungo occupato dell’argomento, ipotizza che quasi tutta l’ala occidentale faccia parte della Domus
Transitoria (Ball 2003). Senza entrare nei dettagli vi sono una serie di argomenti, quali la tecnica
di costruzione del lungo tratto di muro che chiude l’ala occidentale e il riuso di laterizi in questo
settore, che smentiscono l’attribuzione dell’intera ala occidentale alla Domus Transitoria.
Dei giudizi tramandati sulla Domus Aurea sono giunte fino a noi soprattutto le critiche.
L’impianto di un enorme parco al centro della città densamente popolata fu largamente
osteggiato. Per l’interpretazione della concezione neroniana della Domus Aurea la questione
centrale è comprendere se l’impianto vada inteso come villa suburbana di particolare prestigio, che
offriva altissimi standard di lusso, o come imitazione di palazzi e paradeisoi ellenistici o orientali.
La villa romana, tuttavia, riuniva in sé sin dalle origini l’aspetto agrario delle antiche tenute e la
ricezione del lusso abitativo ellenistico, per cui al più tardi in età tardo-repubblicana la villa
mostrava già rivendicazioni di grande lusso e prestigio.
174 5. Isometria della zona
degli ambienti 44 e 45
175
(ninfeo)
6. Ricostruzione del
padiglione della Domus
Aurea neroniana sul
Colle Oppio La discussione sulla Domus Aurea è molto accesa in particolare per quanto riguarda la praecipua
cenationum rotunda. Nel 1942 Hans Peter L’Orange in un articolo che ebbe ampie ripercussioni
interpretò la Domus Aurea come palazzo di un cosmocratore, il quale, collocando la sua statua
colossale con attributi solari nel vestibolo e ricorrendo all’uso dell’oro, avrebbe perseguito intenti
programmatici (L’Orange 1942, pp. 68-100). La sala che ruotava su se stessa “come la terra” venne
ricostruita come sala dotata di una cupola con la rappresentazione dei movimenti celesti,
identificando in essa una corrispondenza con le sale del trono di Parti e Sassanidi. L’Orange
ipotizzò che la sala fosse restituita nell’architettura di un padiglione a volta raffigurato su un
dupondio neroniano, interpretando la legenda MAC AUG come Machina Augusti, mentre alcuni
studiosi vi leggono Macellum Augusti. Altri autori hanno voluto vedere una simbologia nella luce
che entra nella sala ottagona dall’oculus della volta. Da tutto questo si dedusse che Nerone avrebbe
ripreso nella Domus Aurea l’architettura dei palazzi tolemaici e la loro simbologia del potere. Altri
ancora hanno visto nella Domus Aurea la riproduzione paradisiaca del cosmo e la scena di una
esaltante concezione di rinnovamento del mondo. Jocelyn C. Toynbee (Toynbee 1947, pp. 126-149)
ed altri hanno invece sostenuto la posizione opposta, asserendo che la Domus Aurea non sarebbe
altro che una villa di lusso particolarmente prestigiosa e la simbologia Apollo-Sole l’allusione alla
passione di Nerone per il canto e le corse delle bighe.
Gli argomenti di molte di queste discussioni si possono spesso verificare nel dettaglio, tuttavia la
valutazione finale è legata all’interpretazione complessiva del comportamento e dei provvedimenti
dell’imperatore.
Ci si può chiedere se questi edifici fossero innovativi o riflettessero semplicemente la megalomania
di Nerone. Alla mancata conoscenza di molti dettagli si aggiunga che per la Domus Aurea si può
difficilmente trovare un confronto utile. In ogni caso per molti aspetti questo complesso si distacca
chiaramente dalle tipologie note di ville o domus urbane e per la vicinanza a Palatino e Foro, sedi
dell’amministrazione, non può neppure essere paragonato alla Villa di Domiziano a Castel
Gandolfo o a Villa Adriana a Tivoli, residenze che alle funzioni dell’otium durante il soggiorno
dell’imperatore affiancavano quelle amministrative.
Fintanto che non avremo altri dati ogni interpretazione di questo affascinante progetto è destinata
a rimanere in buona misura ipotetica.