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OPPORTUNITÀ E SCELTE
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FATTORI CHE DETERMINANO IL SUCCESSO DI UNA PERFORMANCE VOCALE O
STRUMENTALE
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in termini di tempo, alla luce della ricompensa relativamente modesta che ne
ricevevano.
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L’APPRENDIMENTO INFORMALE
MEMORIA MUSICALE
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memorizzazione e monitorarne i progressi (Ginsborg, 2002), adottare molteplici
procedure di codificazione (Nuki, 1984; Lim e Lippman, 1991; Hallam, 1997b).
Suonare la musica è più efficace della semplice lettura dello spartito, anche se
quest’ultima è correlata all’ascolto (Lim e Lipmann, 1991). Per i cantanti è più
fruttuoso imparare le parole e la musica insieme piuttosto che separatamente
(Ginsborg, 2000, 2002). In generale, il metodo più sicuro per prepararsi a una
performance a memoria è usare un’ampia gamma di strategie che risultino nella
codifica multipla. Le strategie visive, uditive e cinestetiche forniscono le basi per lo
sviluppo di uno schema; esse operano con un livello minimo di consapevolezza e
sono adattate in un contesto strutturale scaturito dall’analisi cognitiva consapevole
della musica. Tali strategie forniscono strutture di recupero multiple. Gli studi che
osservano la memorizzazione degli strumentisti sotto condizioni naturali
suggeriscono che questa tende a verificarsi verso la fine del processo di
apprendimento, quando la performance è già sicura (Chaffin e Imreh, 1994, 1997;
Chaffin et al., 2002; Miklaszewski, 1995). I cambiamenti nelle strategie di
memorizzazione si verificano non appena si sviluppa l’esperienza (Hallam, 1997b;
McPherson, 1995/6).
Hallam (1997b) scoprì che l’uso di strategie da parte dei professionisti dipende dalla
natura del materiale da memorizzare, dai gusti personali e dai livelli di ansia da
prestazione percepiti. L’apprendimento era basato sulla combinazione di strategie
uditive, cinestetiche, visive e analitiche. I principianti adottavano strategie simili di
elaborazione automatizzata e facevano poco uso dell’analisi cognitiva condotta a
livello consapevole. In uno studio controllato, condotto su giovani musicisti a cui era
consentita un’alternanza di esecuzione pratica e mentale per memorizzare brevi
passaggi, McPherson (1994) dimostrò un simile incremento nell’uso di strategie
uditive e iterazioni mentali in concomitanza con il graduale sviluppo delle abilità.
Sembra che i principianti tendano inizialmente a contare su un’elaborazione
automatizzata e sull’uso di strategie cognitive consapevoli sviluppate in itinere con
l’acquisizione graduale dell’esperienza.
LEGGERE LA MUSICA
Molte culture hanno escogitato dei sistemi per codificare e notare la propria musica. I
due principali tipi di notazione sono quelle fonetiche (basate su parole o numeri) e
quelle diastematiche (tutte quelle forme di rappresentazioni pittoriche o grafiche,
come la notazione sul pentagramma). Queste notazioni non forniscono tutte le
informazioni necessarie per la musica che deve essere riprodotta; per decodificarle in
maniera appropriata sono richieste abilità uditive, manipolative e interpretative.
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Quando si legge la musica, i lettori abili non si focalizzano su ogni nota; la loro
attenzione si concentra in senso più ampio ai confini di battuta e di frase.
L’esperienza acquisita permette loro di proseguire la lettura dello spartito rispetto al
punto corrente della performance e di ritornarvici. Sembra che sappiano cosa cercare
(Goolsby, 1994). Scorrono la pagina in modo più efficiente e richiedono un grado di
attenzione minore (per intensità e numero di punti su cui concentrarsi) per
confrontare o codificare il materiale da eseguire dato che sono in grado di
immagazzinare più informazioni in un’unica scorsa (Waters et al., 1997). Possono
continuare a suonare circa sei o sette note nel momento in cui vengono privati dello
spartito (coordinazione occhio-mano), mentre i lettori poco abili ne gestiscono solo
tre o quattro (Sloboda, 1984; Goolsby, 1994). Tale coordinazione coincide con i
confini della frase, aumentando o riducendosi a seconda di come cambiano i limiti di
demarcazione, suggerendo che il contenuto musicale è organizzato in frammenti
significativi (Sloboda, 1984). Coloro che leggono la musica contrappuntistica
tendono a seguire singole linee melodiche in orizzontale, mentre nella musica
omofonica gli accordi sono acquisiti singolarmente in verticale (Weaver, 1943). Gli
esatti modelli visivi variano a seconda degli individui. Non appena gli esecutori
iniziano a familiarizzare di più con la musica, i processi di immagazzinamento delle
informazioni diventano più brevi e i movimenti degli occhi più lunghi,
presumibilmente perché parte delle informazioni è già nota. Non sono stati testati dei
metodi che assistano i bambini in maniera costante a imparare a leggere la musica.
Hodges (1992), in una sintesi narrativa, sosteneva che fosse impossibile giungere a
conclusioni, poiché le strategie di insegnamento adottate non erano sostenute dalla
teoria, le scoperte erano contrastanti e c’erano pochi casi analoghi. Le strategie usate
includevano l’uso di strumenti mnemonici, schemi formativi per acquisire maggiore
consapevolezza della struttura armonica e melodica, uso di modelli uditivi registrati
su nastro, uso del computer, cambiamenti nel sistema di notazione, uso di movimenti
del corpo, canto, esercizi con accompagnamento e lavoro con il pianista al fine di
enfatizzare gli aspetti verticali degli spartiti in analisi. Tre strategie di successo che
hanno delle basi teoriche includono il coinvolgimento degli studenti in attività
creative come la composizione, l’esecuzione e l’ascolto (Bradley, 1974; Hutton,
1953), la lettura della musica prima di una spiegazione formale (Hewson, 1966),
l’associazione di stimoli visivi (posizionamento dei testi di canzoni su livelli diversi)
e uditivi (proposizione di melodie aventi diverse tessiture – es. più acuta o grave)
(Franklin, 1977).
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LETTURA A PRIMA VISTA
Suonare a prima vista è una modalità di esecuzione che ha luogo senza aver effettuato
alcuna prova. La capacità dell’esecutore di elaborare segnali visivi complessi in
tempo reale, senza alcuna possibilità di correzione, stabilisce alte aspettative. Il
successo dipende dall’ immaginario sonoro, dall’esperienza, dallo stile cognitivo e di
pensiero, dai controlli esterni (Kornicke, 1995), dall’ abilità acquisita, dalla velocità
di elaborazione delle informazioni nonché dalla velocità psicomotoria (Kopiez et al.,
in stampa), e per i pianisti anche dal tempo trascorso ad accompagnare le attività
correlate così come dall’entità del repertorio di accompagnamento (Lehmann e
Ericsson, 1996). Sembra inoltre che ci sia una forte associazione tra l’abilità ritmica e
la pratica della prima vista (Boyle, 1970; Elliott, C.A., 1982). I musicisti esperti nella
prima vista si basano sul contesto più che la pianificazione anticipata di ciò che
segue, sono relativamente più distratti dalle informazioni inaspettate (Waters et
al.,1997), ed eseguono meglio quei compiti nei quali viene richiesto loro di
completare il discorso musicale con una nota appropriata (Lehmann and Ericsson,
1996). Chi suona a prima vista può incorrere negli ‘errori a prova di lettore’ (cioè
eseguire delle note che non sono presenti sullo spartito) perché si tende a identificare
un modello familiare piuttosto che leggere le note singolarmente (Sloboda, 1976).
McPherson (1994) suggerisce che i migliori esecutori a prima vista sono capaci di
assimilare molte informazioni riguardo lo spartito prima di iniziare a suonare. Il
modo più efficace per migliorare la lettura a prima vista sembra essere l’esercizio,
preferibilmente in condizioni in cui possa essere garantita la continuità dell’impulso
performativo, come ad esempio accompagnare qualcuno, o suonare in un gruppo
(Banton, 1995; Kornicke, 1992; Lehmann e Ericsson, 1996).
I musicisti attraversano varie fasi col progredire della loro esperienza. Bloom (1985)
e Soniak (1985, 1990) ne indicano tre: introduzione ad attività inerenti, avvio delle
istruzioni che sottintendono la pratica e l’esercizio consapevole nonché la volontà di
dedicarsi a tale attività a tempo pieno. Alcuni musicisti potrebbero non riuscire a
rendere il transfer tra le competenze tecniche e quanto richiesto per prestazioni
professionali in ‘termini musicali’ (Bamberger, 1986). Manturzewska (1990)
suggerisce sei fasi relative lo sviluppo delle abilità di un musicista, ognuna delle quali
con processi elaborativi graduali e funzioni diversificate. La prima fase si basa sullo
sviluppo della sensibilità sensitivo-emozionale nonché sull’attività ed espressione
musicale spontanea. La fase 2 è associata a un periodo di sviluppo musicale guidato
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deliberato, che permette di conseguire basi tecniche, capacità di esecuzione e
conoscenze musicali. La fase 3 riguarda la formazione e lo sviluppo della personalità
artistica. Durante la fase 4 i musicisti si inseriscono nell’ambiente musicale
professionale e intraprendono un percorso performativo fecondo. La fase 5 è descritta
come la fase d’insegnamento, mentre l’ultima riguarda il ritiro dall’ attività
professionale. Harnischmacher (1995) fornisce un resoconto più approfondito
riguardo lo sviluppo degli studenti in età scolastica. Nella fase di attività (8-10 anni),
la funzione musicale era legata al gioco. Nella fase di partecipazione (11-12 anni), si
sviluppava il lavoro etico e i giovani musicisti pensavano alla causalità e
l’orientamento del risultato nella propria attività. Durante la fase di integrazione (13-
14 anni), la pratica diventava parte dell’attività quotidiana, mentre l’elemento ludico
serviva per rilassare. Nella fase di identificazione (15-18 anni), si evidenziava un
riflesso sull’implicita relazione della pratica con il proprio io, migliorando nel
contempo l’efficacia e la consapevolezza degli standard. I cambiamenti strutturali
nella pratica sembravano determinare un aumento della consapevolezza
metacognitiva, fenomeno altresì rilevato in relazione allo sviluppo delle abilità
compositive (Swanwick e Tillman, 1986). Tutti questi studi si concentrano sullo
sviluppo della cultura relativa la musica classica occidentale e potrebbero solo
riflettere i sistemi educativi di queste culture. Si conosce molto poco riguardo
l’insegnamento della musica nelle altre culture.
ESECUZIONE
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della performance varia perché va oltre ciò che è riportato sullo spartito. Quando i
musicisti suonano, ogni esibizione differisce in maniera molto sottile da tutte le altre.
Infatti, anche all’interno di una sola battuta, possono esserci sottili variazioni di
tempo, intensità, timbro e intonazione. Sono queste variazioni che contribuiscono a
rendere espressiva un’esibizione (Shaffer, 1992). I musicisti, nello sviluppare
un’interpretazione, tendono inizialmente a leggere o suonare la musica in toto al fine
di avere una visione dell’intero lavoro. Viene poi adottato uno dei due principali
approcci: intuitivo (l’interpretazione si sviluppa durante la fase di apprendimento ed è
basata sull’istinto e le sensazioni intuitive, senza alcun elemento di pianificazione
conscia) o olistico (l’interpretazione è pianificata in anticipo ed è basata su un ascolto
esteso, il confronto con altre interpretazioni e l’analisi della struttura musicale).
Alcuni musicisti adottano entrambi gli approcci, sebbene la maggior parte preferisce
sceglierne uno (Hallam, 1995a). L’interpretazione che il musicista fa del brano da
eseguire costituisce l’essenza del messaggio che verrà comunicato al pubblico.
Questo è l’impatto maggiore, molto più di una esibizione tecnicamente curata ma
‘sterile’. È importante che l’esecutore non perda di vista questi aspetti nella fase
preparatoria. La comunicazione dell’espressione è più efficace quando gli ascoltatori
possono individuare e contestualizzare le variazioni nell’esibizione. Sembra che i
comunicatori più efficaci siano coloro che usano l’espressione con maggiore
coerenza e che siano in grado di enfatizzarla (Sloboda, 1983); sono coloro che
tendono ad avere anche più esperienza. I meno efficaci, invece, sono incoerenti e
violano le ‘regole’ cui la maggior parte degli esecutori rispetta. L’uso di variazioni
espressive esagerate aiuta gli ascoltatori a comprendere la struttura di un brano.
Questo processo viene supportato dagli aspetti visivi dell’esibizione. Davidson, J.W.
(1993, 1995, 2001, 2002b), basandosi sul giudizio degli osservatori, ha dimostrato
che i movimenti del corpo eseguiti dai musicisti durante un’esecuzione
contribuiscono all’espressività dello spettacolo. Sembra che i movimenti attirino
l’attenzione degli osservatori verso aspetti particolari della musica. Suonare a
memoria può anche aiutare nel processo comunicativo, in parte perché migliora
l’aspetto visivo della performance (Williamon, 1999).
ANSIA DA PRESTAZIONE
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mancanza di concentrazione dovuta a pensieri negativi come preoccupazione e paura
di sbagliare, vuoti di memoria e incapacità di suonare con trasporto; cambiamenti
comportamentali inclusi rigidità e tensione muscolare (Ely, 1991; Salmon, 1991;
Wesner et al., 1990). I cambiamenti fisiologici che si verificano prima di una
performance indicano che la parte simpatica del sistema nervoso autonomo è stata
attivata. Ciò non è necessariamente connesso con l’ansia. Cambiamenti autonomi
simili si verificano quando gli individui svolgono compiti impegnativi, sono coinvolti
in situazioni emotive che comportano rabbia e prima di esperienze piacevoli. Studi
che hanno adottato varie metodologie per valutare l’ansia da prestazione hanno
dimostrato che i rapporti tra le risposte fisiologiche dell’ansia e l’ansia riportata in
relazione all’esibizione non sono spesso coerenti (Kendrick et al., 1982; Craske e
Craig, 1984; Deffenbacher e Hazaleus, 1985; Fredrikson et al., 1986; Abel e Larkin,
1990; Ryan, 2004). La preoccupazione riguardo l’esibizione e le implicazioni sociali
correlate al fallimento possono essere dissociate dall’eccitazione somatica percepita
(Deffenbacher, 1980). Il confronto tra musicisti ansiosi e quelli non ansiosi dimostra
che entrambe le categorie presentano un aumento dell’attività fisiologica quando
suonano (Craske e Craig, 1984), mentre ricerche in merito agli effetti dei beta
bloccanti hanno mostrato che, sebbene l’eccitamento fisiologico possa essere ridotto
e ci sia un aumento della qualità della performance, questi effetti non possono essere
interpretati come una soggettiva diminuzione dell’ansia (Neftel et al., 1982; James e
Savage, 1984; Fredrikson et al., 1986). Altri fattori, oltre quelli fisiologici, sono
altresì importanti.
L’ansia da prestazione è comune tra i musicisti (Goode e Knight, 1991; Steptoe e
Fidler, 1987; Fishbein e Middlestadt, 1988; Van Kemanade et al., 1995; Bartel e
Thompson, 1997); sembra che un certo grado di tensione sia parte integrante di una
buona prestazione (Caldwell, 1990). Solo l’eccesso di stress può diventare
debilitante, impedisce lo sviluppo delle abilità musicali (Brotons, 1994) e scoraggia
gli esecutori a proseguire negli studi della musica (James, 1988; Wolfe, 1989). Molti
artisti sostengono di necessitare di un’eccitazione psicologica per soddisfare le
proprie aspettative e che lo stress è parte integrante di una buona performance. Gli
studi di Hamann (1982), e quelli condotti da quest’ultimo con Sobaje (1983),
rilevarono che un aumento dell’ansia tende a facilitare le abilità esecutive,
specialmente per quei musicisti che hanno acquisito nel tempo una certa padronanza.
Ci sono molte teorie riguardo l’ansia da prestazione. La legge Yenkers-Dodson
propone il principio della U capovolta che rappresenta la relazione tra l’eccitazione
emotiva e l’esibizione: si afferma che il grado di eccitazione degli individui aumenti
il livello del rendimento della performance fino a un punto ottimale oltre il quale si
registra un deterioramento. La legge stabilisce anche che il deterioramento si verifica
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più velocemente quando il compito che deve essere svolto è complesso e non si
dispone di un’adeguata conoscenza per portarlo a termine. Una teoria catastrofica
sostiene che quando un’esibizione si evolve in una situazione stressante è
improbabile che possa essere riportata persino a un livello mediocre (Hardy e Parfitt,
1991). La teoria psicoanalitica considera l’ansia da prestazione come la risultante di
comportamenti, caratteristiche e conflitti inconsci che si sviluppano durante l’infanzia
e che possono presentarsi nuovamente in particolari circostanze – come anticipare o
tenere un concerto (Plaut, 1990). Brandfonbrener (1990) sostiene che l’ansia da
prestazione sia semplicemente una manifestazione di problemi psicologici e non può
essere considerata a sé stante. I sintomi dell’ansia devono essere valutati in relazione
all’assetto psicologico dell’individuo. Le teorie comportamentali cognitive
attribuiscono l’ansia da prestazione a pensieri negativi e convinzioni irrazionali
correlati al bisogno dell’approvazione del pubblico per mantenere una considerazione
positiva di se stessi, e all’esigenza di una performance perfetta. La persistenza di
questi pensieri porta a una mancanza di fiducia e invalida i benefici delle ore di
preparazione (Nagel, 1990).
Lehrer (1987) identificava cinque elementi associati al panico da palcoscenico:
preoccupazione riguardo la memoria o la distrazione, preoccupazione riguardo la
tensione, paura per la disapprovazione degli altri, preoccupazione riguardo le abilità
esecutorie e la capacità di impegnarsi in strategie di coping orientate all’esibizione.
Solo la preoccupazione per la tensione era associata all’ansia da esibizione. Di
contro, Tobacyk e Downs (1986) scoprirono che gli studenti che manifestavano un
livello crescente di ansia prima di un’esibizione erano maggiormente minacciati dalla
possibilità di fallimento ed erano sopraffatti dai pensieri più irrazionali; credevano
che dovessero essere perfetti durante l’esibizione in modo che gli ascoltatori
pensassero che ne valesse la pena. Ciò può essere enfatizzato dalla tendenza dei
musicisti di sentirsi costantemente valutati e paragonati a standard di perfezione.
Steptoe e Fidler (1987) scoprirono che i musicisti affetti da forte ansia da prestazione
avevano una capacità di adattamento che può essere classificata come catastrofica;
esageravano le conseguenze derivanti da un errore minimale, credendo che esso
potesse rovinare l’intera esibizione, o sentivano di non potersi esibire senza
abbattersi. La preoccupazione riguardo l’ansia, o pensieri catastrofici, può avere
conseguenze molto negative (Powell e Enright, 1990).
MODELLI MULTIDIMENSIONALI
Negli ultimi anni c’è stata la tendenza a considerare l’ansia da prestazione come una
condizione medica o psicologica. I trattamenti proposti sono stati inquadrati in un
contesto medico e comprendono l’uso di farmaci, l’ipnoterapia, l’approccio generico
alle problematiche relative la salute, e l’uso della tecnica Alexander (vedi Hallam,
2003; Williamon, 2004). Molti approcci psicologici volti a ridurre l’ansia da
prestazione sono stati focalizzati su cambiamenti comportamentali o cognitivi.
Alcune tecniche comportamentali come la desensibilizzazione sistematica, gli
interventi cognitivo-attenzionali e il biofeedback hanno dimostrato di poter ridurre
con successo sintomi fisiologici e cognitivi dell’ansia da prestazione migliorando nel
contempo l’effettiva qualità dell’esibizione stessa (Appel, 1976; Fogle, 1982;
Mansberger, 1988). La terapia cognitiva comportamentale riguarda cambiamenti nel
modo di pensare dell’esecutore e ha dimostrato con successo – spesso
congiuntamente ad altri trattamenti – di potere ridurre l’ansia e incrementare la
qualità della performance (Clark e Agras, 1991; Sweeney e Horan, 1982). Per
esempio, Kendrick et al. (1982) hanno lavorato in un gruppo di 53 pianisti,
identificando pensieri negativi e irrilevanti durante l’esecuzione e sostituendo questi
con pensieri ottimistici e fattivi. Il trattamento includeva anche persuasioni verbali,
modellamento, stress da performance, l’uso dell’influenza del gruppo e incarichi da
svolgere a casa. Un’altra tecnica, conosciuta come Stress inoculation training, è
basata sull’idea che sia importante infondere aspettative realistiche riguardo ciò che
avverrà durante l’esibizione così come promuovere pensieri ottimistici riguardo se
stessi. Agli esecutori viene insegnato ad accettare gli eventuali sintomi dell’ansia e a
usarli nel dare energia alla performance (Meichenbaum, 1985; Salmon, 1991). Queste
strategie vengono frequentemente usate dai musicisti che non sentono il bisogno di
chiedere consigli professionali per ridurre l’ansia (Roland, 1994; Hallam, 1992).
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FIGURA 7.1 Modello performativo
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PREPARAZIONE ALL’ESIBIZIONE
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appropriata, che venga concesso tempo sufficiente per la preparazione, che le
esecuzioni ‘simulate’ vengano intraprese per identificare potenziali difficoltà e le
strategie più idonee per superarle, che gli studenti non sopravvalutino l’importanza
della performance, che sia fornito tempo sufficiente per adattarsi all’ambiente in cui
si suonerà nonché per prepararsi con calma subito prima dello spettacolo. Dopo
l’esibizione, necessiterebbero momenti per riflettere, valutare e formulare programmi
futuri.
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Marcoux e Toussaint (1995) hanno riferito del successo ottenuto nello sviluppare
delle modalità atte a migliorare l’atteggiamento dei genitori che supportano e
incoraggiano i loro figli nell’attività musicale. La supervisione dei genitori della
pratica musicale, o anche semplicemente il fatto di ricordare ai figli di esercitarsi, non
sono generalmente ben accetti durante l’adolescenza. La motivazione ha bisogno di
essere interiorizzata prima dell’adolescenza se il bambino è destinato a diventare un
musicista impegnato. Il fatto che un genitore continui a controllare il figlio durante
l’esercitazione negli anni dell’adolescenza, molto probabilmente porterà al
risentimento e, in ultima istanza, potrebbe anche indurre all’abbandono della pratica
musicale (Sloboda e Davidson, 1996). La supervisione serrata dello studio può anche
avere effetti dannosi sulla motivazione intrinseca (Lepper e Green, 1975) e i benefici
possono essere solo a breve termine (Freeman, 1991).
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GLI OBIETTIVI DELL’IMPEGNO PROFUSO IN ATTIVITÀ MUSICALI EXTRA-CURRICOLARI
Mentre a breve termine ci possono essere molti possibili vantaggi nel partecipare ad
attività musicali extra-curriculari, a lungo termine la principale differenza è fra coloro
che potrebbero desiderare di intraprendere una carriera nell’ambito musicale e coloro
che potrebbero volere un coinvolgimento marginale in qualità di amatori o ascoltatori
attivi. Per la maggior parte degli studenti, le ultime due categorie sono correlate. In
tal senso, probabilmente, un obiettivo sempre più importante nell’insegnamento
extra-curriculare è che questo sia piacevole e divertente (Schenk, 1989; Hallam e
Prince, 2000). Anche gli insegnanti si rendono conto di un ampio raggio di benefici
che comprendono il miglioramento della capacità di socializzazione; l’amore per la
musica; il lavoro di gruppo; il senso di realizzazione; una maggiore fiducia in se
stessi e l’auto-disciplina; l’opportunità di svago; il miglioramento della capacità di
concentrazione, della coordinazione fisica, delle abilità cognitive, creative,
organizzative e di ascolto nonché la capacità di divertire gli altri (Hallam e Prince,
2000). Per consentire un coinvolgimento con la musica che duri tutta la vita, gli
alunni devono sviluppare capacità di apprendimento indipendenti (Hallam, 1998a),
avere a disposizione una serie di strategie di assimilazione, essere consapevoli dei
loro punti di forza e di debolezza, essere in grado di valutare cosa è richiesto per
intraprendere un lavoro di tipo musicale, essere determinati, essere capaci di
controllare i progressi così come imparare a essere critici riguardo i risultati
dell’apprendimento. Le implicazioni di quanto riportato, ai fini dell’insegnamento,
sono profonde.
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RISULTATI:
ALLIEVO:
Età
Personalità
Attitudini
Valori
Aspettative di ruolo
Transizioni ecologiche
Reattività
Controllo reciproco
Coinvolgimento
Auto-efficacia
Motivazione
La maggior parte dei bambini che impara a suonare uno strumento o che prende
lezioni di canto non proseguirà gli studi per affermarsi come professionista o per
intraprendere una carriera nell’ambito musicale. Le attività musicali extra-curriculari
forniscono alla maggioranza dei giovani le basi durature per praticare musica a livello
amatoriale o in qualità di semplici ascoltatori così come promuovono lo sviluppo di
abilità generiche che sono utili in diverse attività. Gli obiettivi dell’insegnamento
strumentale/vocale dovrebbero essere mirati, dunque, a rendere divertente il processo
musicale fornendo nel contempo uno stimolo competitivo di natura intellettuale.
Anche quando gli alunni desiderano intraprendere una carriera, gli insegnanti
dovrebbero offrire loro un piano educativo completo che li prepari in maniera
professionale ad affrontare un futuro mutevole e incerto. Tutti gli studenti hanno
bisogno di essere agevolati ad apprendere autonomamente in modo da adattarsi
facilmente e rapidamente ai nuovi ambiti musicali nonché attingere dalle abilità che
hanno appreso per soddisfare i bisogni attuali.
Imparare a suonare uno strumento richiede molto tempo e fatica, e la motivazione è
indispensabile (vedi capitolo 9). Suonare lo strumento che si è scelto, dunque, può
essere più importante della percezione relativa la sua dimensione estetica e
dell’adattabilità alla propria conformazione fisica. Suonare un strumento
apparentemente impopolare può offrire maggiori opportunità di partecipazione a
gruppi di alto livello; per alcuni studenti questo aspetto potrebbe rappresentare
un’opzione appetibile, a patto che ne sia spiegata loro la ragione logica.
La famiglia è un supporto importante per i bambini piccoli avviati alla pratica
strumentale e gli insegnanti dovrebbero cercare di coinvolgere nel processo di
apprendimento, in qualsiasi modo possibile, dei supervisori – incluso il supporto non
critico nello studio. I bambini piccoli, durante le prime fasi dell’ apprendimento, si
fortificano grazie all’elogio e all’incoraggiamento. Gli insegnanti, la famiglia e gli
amici in questo sono fonti preziose e le opportunità informali di esibirsi che vengono
loro offerte possono essere molto utili a intensificare la motivazione. Per gli allievi
più grandi, il coinvolgimento della famiglia, al di là delle risorse messe loro a
disposizione nonché dell’incoraggiamento, può essere controproducente. Nel
momento in cui la competenza degli allievi si sviluppa, questi accettano la critica
costruttiva come un modo per migliorare le loro abilità e il loro rapporto con gli
insegnanti è maggiormente focalizzato sugli obiettivi. Come vedremo nel Capitolo 9,
l’influenza dei pari e lo sviluppo di un’identità come musicista sono fondamentali ad
accrescere la motivazione durante l’adolescenza.
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L’acquisizione delle abilità complesse richieste per suonare uno strumento necessita
di tempo e pratica (vedi Capitolo 8). Durante le prime fasi dell’apprendimento di
abilità, sono richieste spiegazioni chiare e riscontri sui progressi effettuati. I modelli
sonori di riferimento per il risultato finale desiderato costituiscono una guida per
l’apprendimento e consentono di identificare più facilmente eventuali errori. Fornire
delle registrazioni di ciò che bisogna imparare può facilitare lo sviluppo di pattern
sonori appropriati. Via via che l’assimilazione procede verso gli stadi successivi,
l’automatismo cresce attraverso l’esercizio. Ciò non deve avvenire elusivamente
tramite la pratica isolata. Le abilità possono essere sviluppate in attività di gruppo che
forniscono maggiore motivazione grazie alla loro natura sociale. Laddove i gruppi
suonano decodificando la notazione musicale, la capacità di lettura, soprattutto quella
a prima vista, viene continuamente esercitata e di conseguenza migliora.
Prendere parte a esibizioni pubbliche può essere un’esperienza eccitante e gratificante
oltreché aumenta la motivazione. Tuttavia, per alcuni studenti essa è causa di grande
ansia e può essere demotivante. Suonare o cantare in gruppo, in particolar modo nei
casi in cui non è richiesta l’esecuzione di un assolo, può ridurre l’ansia e allo stesso
tempo fornire risultati positivi legati all’esibizione in pubblico. Ciononostante, non è
essenziale che coloro che imparano a suonare uno strumento o prendono lezioni di
canto si esibiscano pubblicamente. Suonare o cantare per se stessi può essere
gratificante, divertente e liberatorio a livello emotivo. Analogamente, suonare o
cantare a memoria può migliorare sicuramente il livello di comunicazione con il
pubblico ma non rappresenta una condizione indispensabile. Laddove la memoria è
considerata auspicabile, imparare il pezzo a fondo, usando strategie di codifica
multipla, con ampie opportunità simulative di un’esibizione, dovrebbe conferire
sicurezza. La padronanza totale della musica, l’attenzione alla comunicazione con il
pubblico – accettando l’agitazione come necessaria a dare una ‘scintilla’ alla
performance e utilizzando la stessa per produrre energia – aiuta a garantire che
l’ansia non rovini l’esibizione ma aiuti a migliorarla. La maggior parte delle tecniche
di insegnamento strumentali e vocali continuano a essere basate su quelle sviluppatesi
nell’ultima parte del diciannovesimo secolo, quando l’insegnamento formale era in
rapporto frontale ‘uno a uno’ e concesso solo a pochi privilegiati. Molti più bambini,
oggi, hanno l’opportunità di imparare a suonare uno strumento e la maggior parte di
questi non proseguirà lo studio a livello professionale. È necessario che gli educatori
ridefiniscano la loro considerazione in merito agli obiettivi di un apprendimento ben
riuscito. Questi tendono a variare a seconda dello specifico strumento, del genere,
delle aspirazioni degli allievi e delle opportunità che essi hanno di impegnarsi nella
musica a lungo termine.
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ULTERIORI LETTURE
Manuela Cardaropoli
Caterina Carusone
Vincenzo Morelli
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