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MUSIC PSYCHOLOGY IN EDUCATION – SUSAN HALLAM

7. IMPARARE A SUONARE UNO STRUMENTO E SVILUPPARE CAPACITÀ VOCALI

OPPORTUNITÀ E SCELTE

Non tutti i bambini hanno l’opportunità di imparare a suonare uno strumento o di


ricevere lezioni di canto specifiche. Laddove sussistano risorse esigue, si aziona la
procedura di valutazione. Tali procedure si sviluppano di norma attraverso lezioni a
pagamento; tuttavia, la valutazione delle abilità musicali potrebbe anche avere luogo
a prescindere dal corrispettivo economico (vedi Capitolo 4). Alcuni insegnanti
credono che le caratteristiche fisiche dovrebbero essere tenute in considerazione nella
scelta dello strumento, sebbene le ricerche che analizzano la relazione tra il progresso
e l’adeguatezza delle caratteristiche fisiche non hanno riscontrato nessuna palese
interconnessione (Lamp e Keys, 1935); alcuni hanno suggerito delle motivazioni
suscettibili di miglioria, se suonare rappresenta un’esperienza fisicamente gratificante
(Ben-Tovim e Boyd, 1990).
I fattori che influenzano la scelta dello strumento sono complessi e includono la
convenienza, la disponibilità, il genere, la scelta dei genitori, l’influenza della scuola
o le attività musicali, l’influenza degli amici, gli interessi e l’entusiasmo. L’impegno
assunto verso uno specifico strumento è un fattore importante poiché determina la
natura della motivazione (Ben-Tovim e Boyd, 1990). Ci sono differenze di genere
riguardo la preferenza degli strumenti; le ragazze sono orientate verso quelli dai toni
più acuti solitamente presenti in orchestra; i ragazzi scelgono per lo più quelli dai toni
più gravi (Delzell e Leppla, 1992). Anche i genitori tendono ad avere degli stereotipi
rispetto allo strumento più adatto per ogni genere. Uno studio ha dimostrato che le
ragazze preferivano clarinetto, flauto e violino; i ragazzi, batteria, tromboni e tromba;
per il violoncello e il sassofono, invece, sembra non sussistere alcuna associazione di
genere (Abeles e Porter, 1978). Un altro studio ha indicato che l’arpa, l’ottavino, il
glockenspiel, il violoncello, il pianoforte, il corno francese e l’oboe sono i preferiti
dalle ragazze; i ragazzi, invece, propendono per la chitarra, i piatti, il sassofono, il
contrabbasso e la tuba (Griswold e Chroback, 1981).

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FATTORI CHE DETERMINANO IL SUCCESSO DI UNA PERFORMANCE VOCALE O
STRUMENTALE

Il livello di esperienza conseguito nella pratica musicale è determinato da una serie di


fattori importanti, incluso l’esercizio (Ericsson et al., 1990; Sosniak,1990; Sloboda et
al., 1996; Hallam, 1998c; 2004b), il supporto dei genitori (Davidson, J.W. et al.,
1996), la motivazione (O’Neill, 1996, 1997, Hallam 1998c; 2004b), la personalità
(Kemp, 1996), le conoscenze pregresse (Hallam, 1997a), la capacità di comprendere
le istruzioni (Hallam, 1998c) nonché i metodi di apprendimento (Hallam 1997a,
2001b, 2001a). Tali questioni sono affrontate nel Capitolo 8. Gli obiettivi a lungo
termine legati alla possibilità di divenire un musicista professionista piuttosto che un
dilettante sono meglio anticipati dall’autostima, dall’autoefficacia e dal piacere che
scaturisce dall’esecuzione. Le aspirazioni professionali sono ulteriormente anticipate
dalla partecipazione a gruppi di alto livello e da efficaci strategie di esecuzione,
mentre le aspirazioni amatoriali sono anticipate dal sostegno dei genitori (Hallam,
2004b). Laddove sia stata considerata più la qualità della performance piuttosto che il
livello di esperienza raggiunto, il carico di lavoro sottinteso non è un buon predittore
(Hallam, 1998c, Williamon e Valentine, 2000). Sono importanti anche altri fattori
quali, in particolare, la valutazione dell’abilità musicale da parte dell’insegnante,
l’autostima e il coinvolgimento in attività musicali extra-curriculari (Hallam, 2004b).
La ricerca relativa la rinuncia all’attività musicale ha migliorato la nostra
comprensione relativa quei fattori che contribuiscono al successo. Lo stato socio-
economico, le proprie idee rispetto alla musica, i risultati ottenuti nella lettura,
l’abilità scolastica, le capacità musicali provate, i risultati nell’ambito matematico, la
motivazione così come il carico di lavoro (Sloboda et al., 1996; Hallam, 1998c;
2004b) sono tutti fattori che permettono di predire la continuità nel suonare uno
strumento (Young, 1971; Mawbey, 1973; McCarthy, 1980; Klinedinst, 1991; Hallam,
1998c).
Frakes (1984) ha riscontrato delle differenze significative tra risultati musicali e
accademici nonché le attitudini in relazione alle attività musicali (e relative
differenziazione in partecipanti, non partecipanti e rinunce). Coloro che decidevano
di abbandonare non si ritenevano musicalmente in grado, ricevevano meno
incoraggiamenti dalla famiglia, tendevano a sentirsi musicalmente inadeguati e nel
loro tempo libero sceglievano lo sport e altre attività piuttosto che la musica. Frakes
concluse che la percezione positiva di sé correlata alle abilità musicali era associata al
desiderio di continuare la formazione musicale volontariamente. A sostegno di ciò,
Hurley (1995) evidenziò che gli studenti che abbandonavano il loro percorso
consideravano il fatto di continuare a suonare come un compito troppo impegnativo

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in termini di tempo, alla luce della ricompensa relativamente modesta che ne
ricevevano.

ACQUISIZIONI DELLE ABILITÀ

Imparare a suonare uno strumento o sviluppare competenze vocali richiede lo


sviluppo di un ampio campo di competenze. Generalmente, vengono prese in
considerazione tre fasi per acquisire tali abilità (Fitts e Posner, 1967). Nella fase
cognitivo-verbale-motoria, l’apprendimento è ampiamente determinato da un
controllo cognitivo consapevole. Colui che impara deve comprendere cosa viene
richiesto affinché possa intraprendere ed eseguire il compito mentre provvede
all’autoistruzione consapevolmente. Gli insegnanti possono assecondare questa fase
assicurandosi che gli studenti capiscano quel che viene richiesto loro nonché
fornendo delle opportunità per sviluppare un modello mentale di ciò si intende
conseguire – ad esempio uditivo (conoscendo il suono), visivo (riconoscendo il
movimento) o cinestetico (in quanto in grado di percepire un movimento).
L'insegnante può agire come un ‘suggeritore verbale’, fornendo allo studente un’
impalcatura simultanea e una graduale eliminazione delle istruzioni non appena si è
raggiunta una certa padronanza. Nella fase associativa, lo studente comincia a
mettere insieme una sequenza di reazioni che diventano più fluenti con il tempo. Gli
errori vengono svelati ed eliminati. Il feedback dei suoni prodotti e l’insegnante
giocano un ruolo importante in questo processo. Nella fase autonoma, l'abilità
diventa automatizzata, viene gestita senza nessuno sforzo a livello consapevole, e
continua a svilupparsi ogni volta che viene attivata, diventando più solida e veloce.
Quando si impara a suonare uno strumento musicale vengono acquisite
simultaneamente molte abilità, e ne vengono costantemente aggiunte delle altre al
repertorio. Non appena vengono acquisite abilità più avanzate, quelle imparate in
precedenza vengono esercitate continuamente in modo da raggiungere il massimo
automatismo. Mentre un gruppo di abilità acquisisce una graduale automazione, altre
invece saranno di pertinenza delle fasi associativa e cognitiva. L’insegnante dovrà
accertarsi che gli studenti non si aspettino di acquisire troppe abilità allo stesso tempo
poiché il carico di informazioni da elaborare potrebbe diventare eccessivo. Per
sviluppare abilità, gli studenti devono stabilire degli obiettivi che si focalizzino
sull’attenzione e facilitino la motivazione. Tali obiettivi possono essere impostati a
breve, medio o lungo termine; al fine di assecondare la motivazione, la padronanza di
ognuno di essi deve essere riconosciuta e sostenuta (Hallam, 1998a).

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L’APPRENDIMENTO INFORMALE

Negli ultimi anni c’è stato un interessamento all’apprendimento informale della


musica, per esempio rock, pop e hip-hop (Fornas et al., 1995; Berkaak e Ruud, 1994;
Green 2001; Soderman e Folkestad, 2004; Mito, 2004) nonché folk (Cope, 2002).
L’apprendimento informale è basato sulla combinazione di prove ed errori,
ripetizioni, l’osservazione di altri esecutori e la presa di coscienza dei loro consigli, la
lettura, l’ascolto, così come l’imitazione – processi già considerati in relazione allo
sviluppo delle abilità di improvvisazione. Spesso le esperienze dell’ apprendimento
informale vanno oltre le abilità musicali, che comprendono le abilità organizzative e
pratiche, l’esercizio linguistico e la formazione dell’ identità personale.

MEMORIA MUSICALE

Sebbene generalmente si pensi alla memoria musicale in relazione alla


memorizzazione di un’esecuzione, la memoria gioca un ruolo in tutti gli aspetti
dell’apprendimento. Nello sviluppo delle attività musicali c’è un’interazione tra la
conoscenza dichiarativa (sapere qualcosa) e procedurale (saper fare). La memoria
dichiarativa può essere pensata come una rete di unità cognitive cui è collegata la
conoscenza. Al contrario, la memoria procedurale consiste in una serie di regole atte
a espletare un compito. Questa conoscenza, una volta acquisita, è archiviata nella
memoria a lungo termine. I ricordi registrati nella memoria a lungo termine possono
essere conservati per molti anni (si pensi alle abilità motorie, che sono resistenti
all’oblio). La memoria lavorativa opera in modalità ‘breve termine’, consente di
elaborare e conservare informazioni a livello conscio nonché di codificare nuovi dati
e di archiviarli nella memoria a lungo termine. Essa consente altresì di recuperare
informazioni dalla memoria a lungo termine e di utilizzarle per un dato compito che
si presenta all’occorrenza. La memoria lavorativa possiede una capacità limitata e
può affrontare solo una quantità esigua di informazioni alla volta. Il materiale deve
essere sottoposto a un processo di iterazione prima di poter essere trasferito alla
memoria a lungo termine.
L’iterazione si divide in due principali tipologie: il mantenimento dell’iterazione
(ripetizione) e l’iterazione elaborativa (collegare nuovo materiale alle informazioni
già esistenti). Imparare nuove informazioni e concetti è più semplice se essi sono
correlati a strutture di conoscenza già stabilite. Alcuni concetti vengono appresi
casualmente, senza che ci sia uno sforzo conscio per imparare. La ripetizione, che è
una parte integrante della pratica musicale, si presta all’apprendimento casuale e gran
parte dell’apprendimento si verifica in questo modo. Si impara effettivamente di più
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quando si è consapevoli delle varie strategie di apprendimento disponibili. Questa
consapevolezza è conosciuta come metacognizione. Gli adulti e i bambini più grandi
dispongono di metamemorie sofisticate e sono decisamente consapevoli dei propri
punti di forza e delle debolezze in relazione a ciò che deve essere ricordato, delle
strategie che possono essere usate per memorizzare le informazioni e di quelle
presumibilmente più efficaci per un determinato compito. Gli adulti e i bambini più
grandi sono anche in grado di controllare con successo i loro progressi relativi
l’attività di memorizzazione e, se le strategie adottate non sono state efficaci, possono
effettuare dei cambiamenti. Riconoscere il bisogno di lavorare sulla capacità di
ricordare informazioni è qualcosa che si sviluppa solo gradualmente. I bambini al di
sotto dei 7 anni potrebbero non sapere cosa fare per memorizzare (Hallam e
Sainthorp, 1995).

MEMORIZZARE LA MUSICA PER UNA PERFORMANCE

Suonare o cantare a memoria migliora le relazioni musicali e la musicalità in una


performance (Williamon, 1999), consentendo al pubblico di cogliere meglio la
comunicatività dei momenti e dei gesti dell’esecutore (Davidson, J.W. 1993,1994).
Tuttavia, ciò può provocare ansia estrema. Per sentirsi più sicuri, i musicisti hanno
bisogno di sviluppare delle strategie per aiutarsi a memorizzare efficacemente e
recuperare le informazioni necessarie senza incorrere nel disorientamento. I primi
studi che indagarono sulle modalità di miglioramento dell’esecuzione a memoria
scoprirono che c’era una maggiore memorizzazione di frammenti musicali quando
questi venivano appresi lontano dalla tastiera (Kovacs, 1916).
Rubin-Rabson (1937, 1939, 1940a, 1940b, 1941a, 1941b, 1941c, 1941d) sviluppò
questo lavoro adottando procedure sperimentali atte a considerare le modalità di
memorizzazione più efficaci. Il suo studio suggerisce che la memorizzazione migliora
quando la pratica viene preceduta da uno studio analitico; quando la pratica è
distribuita nel tempo; quando si studia a mani separate; quando alla pratica effettiva si
interpongono frammenti di pratica mentale; e quando il lavoro viene imparato in
piccole sezioni. L’adozione di queste strategie ha un grande effetto sul risultato
dell’apprendimento per coloro che trovano difficile imparare a memoria la musica.
Le scoperte ottenute da questi primi studi sono state supportate da lavori più recenti.
Ci sono prove secondo cui analizzare la musica che deve essere memorizzata facilita
l’apprendimento (Ross, E., 1964; Williamson, 1964; Nuki, 1984; Kopiez, 1991;
Hallam, 1997b), così come tenere conto dei confini musicali strutturali (Williamon e
Valentine, 2002; Chaffin et al., 2002; Ginsborg, 2002), iniziare presto la

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memorizzazione e monitorarne i progressi (Ginsborg, 2002), adottare molteplici
procedure di codificazione (Nuki, 1984; Lim e Lippman, 1991; Hallam, 1997b).
Suonare la musica è più efficace della semplice lettura dello spartito, anche se
quest’ultima è correlata all’ascolto (Lim e Lipmann, 1991). Per i cantanti è più
fruttuoso imparare le parole e la musica insieme piuttosto che separatamente
(Ginsborg, 2000, 2002). In generale, il metodo più sicuro per prepararsi a una
performance a memoria è usare un’ampia gamma di strategie che risultino nella
codifica multipla. Le strategie visive, uditive e cinestetiche forniscono le basi per lo
sviluppo di uno schema; esse operano con un livello minimo di consapevolezza e
sono adattate in un contesto strutturale scaturito dall’analisi cognitiva consapevole
della musica. Tali strategie forniscono strutture di recupero multiple. Gli studi che
osservano la memorizzazione degli strumentisti sotto condizioni naturali
suggeriscono che questa tende a verificarsi verso la fine del processo di
apprendimento, quando la performance è già sicura (Chaffin e Imreh, 1994, 1997;
Chaffin et al., 2002; Miklaszewski, 1995). I cambiamenti nelle strategie di
memorizzazione si verificano non appena si sviluppa l’esperienza (Hallam, 1997b;
McPherson, 1995/6).
Hallam (1997b) scoprì che l’uso di strategie da parte dei professionisti dipende dalla
natura del materiale da memorizzare, dai gusti personali e dai livelli di ansia da
prestazione percepiti. L’apprendimento era basato sulla combinazione di strategie
uditive, cinestetiche, visive e analitiche. I principianti adottavano strategie simili di
elaborazione automatizzata e facevano poco uso dell’analisi cognitiva condotta a
livello consapevole. In uno studio controllato, condotto su giovani musicisti a cui era
consentita un’alternanza di esecuzione pratica e mentale per memorizzare brevi
passaggi, McPherson (1994) dimostrò un simile incremento nell’uso di strategie
uditive e iterazioni mentali in concomitanza con il graduale sviluppo delle abilità.
Sembra che i principianti tendano inizialmente a contare su un’elaborazione
automatizzata e sull’uso di strategie cognitive consapevoli sviluppate in itinere con
l’acquisizione graduale dell’esperienza.

LEGGERE LA MUSICA

Molte culture hanno escogitato dei sistemi per codificare e notare la propria musica. I
due principali tipi di notazione sono quelle fonetiche (basate su parole o numeri) e
quelle diastematiche (tutte quelle forme di rappresentazioni pittoriche o grafiche,
come la notazione sul pentagramma). Queste notazioni non forniscono tutte le
informazioni necessarie per la musica che deve essere riprodotta; per decodificarle in
maniera appropriata sono richieste abilità uditive, manipolative e interpretative.
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Quando si legge la musica, i lettori abili non si focalizzano su ogni nota; la loro
attenzione si concentra in senso più ampio ai confini di battuta e di frase.
L’esperienza acquisita permette loro di proseguire la lettura dello spartito rispetto al
punto corrente della performance e di ritornarvici. Sembra che sappiano cosa cercare
(Goolsby, 1994). Scorrono la pagina in modo più efficiente e richiedono un grado di
attenzione minore (per intensità e numero di punti su cui concentrarsi) per
confrontare o codificare il materiale da eseguire dato che sono in grado di
immagazzinare più informazioni in un’unica scorsa (Waters et al., 1997). Possono
continuare a suonare circa sei o sette note nel momento in cui vengono privati dello
spartito (coordinazione occhio-mano), mentre i lettori poco abili ne gestiscono solo
tre o quattro (Sloboda, 1984; Goolsby, 1994). Tale coordinazione coincide con i
confini della frase, aumentando o riducendosi a seconda di come cambiano i limiti di
demarcazione, suggerendo che il contenuto musicale è organizzato in frammenti
significativi (Sloboda, 1984). Coloro che leggono la musica contrappuntistica
tendono a seguire singole linee melodiche in orizzontale, mentre nella musica
omofonica gli accordi sono acquisiti singolarmente in verticale (Weaver, 1943). Gli
esatti modelli visivi variano a seconda degli individui. Non appena gli esecutori
iniziano a familiarizzare di più con la musica, i processi di immagazzinamento delle
informazioni diventano più brevi e i movimenti degli occhi più lunghi,
presumibilmente perché parte delle informazioni è già nota. Non sono stati testati dei
metodi che assistano i bambini in maniera costante a imparare a leggere la musica.
Hodges (1992), in una sintesi narrativa, sosteneva che fosse impossibile giungere a
conclusioni, poiché le strategie di insegnamento adottate non erano sostenute dalla
teoria, le scoperte erano contrastanti e c’erano pochi casi analoghi. Le strategie usate
includevano l’uso di strumenti mnemonici, schemi formativi per acquisire maggiore
consapevolezza della struttura armonica e melodica, uso di modelli uditivi registrati
su nastro, uso del computer, cambiamenti nel sistema di notazione, uso di movimenti
del corpo, canto, esercizi con accompagnamento e lavoro con il pianista al fine di
enfatizzare gli aspetti verticali degli spartiti in analisi. Tre strategie di successo che
hanno delle basi teoriche includono il coinvolgimento degli studenti in attività
creative come la composizione, l’esecuzione e l’ascolto (Bradley, 1974; Hutton,
1953), la lettura della musica prima di una spiegazione formale (Hewson, 1966),
l’associazione di stimoli visivi (posizionamento dei testi di canzoni su livelli diversi)
e uditivi (proposizione di melodie aventi diverse tessiture – es. più acuta o grave)
(Franklin, 1977).

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LETTURA A PRIMA VISTA

Suonare a prima vista è una modalità di esecuzione che ha luogo senza aver effettuato
alcuna prova. La capacità dell’esecutore di elaborare segnali visivi complessi in
tempo reale, senza alcuna possibilità di correzione, stabilisce alte aspettative. Il
successo dipende dall’ immaginario sonoro, dall’esperienza, dallo stile cognitivo e di
pensiero, dai controlli esterni (Kornicke, 1995), dall’ abilità acquisita, dalla velocità
di elaborazione delle informazioni nonché dalla velocità psicomotoria (Kopiez et al.,
in stampa), e per i pianisti anche dal tempo trascorso ad accompagnare le attività
correlate così come dall’entità del repertorio di accompagnamento (Lehmann e
Ericsson, 1996). Sembra inoltre che ci sia una forte associazione tra l’abilità ritmica e
la pratica della prima vista (Boyle, 1970; Elliott, C.A., 1982). I musicisti esperti nella
prima vista si basano sul contesto più che la pianificazione anticipata di ciò che
segue, sono relativamente più distratti dalle informazioni inaspettate (Waters et
al.,1997), ed eseguono meglio quei compiti nei quali viene richiesto loro di
completare il discorso musicale con una nota appropriata (Lehmann and Ericsson,
1996). Chi suona a prima vista può incorrere negli ‘errori a prova di lettore’ (cioè
eseguire delle note che non sono presenti sullo spartito) perché si tende a identificare
un modello familiare piuttosto che leggere le note singolarmente (Sloboda, 1976).
McPherson (1994) suggerisce che i migliori esecutori a prima vista sono capaci di
assimilare molte informazioni riguardo lo spartito prima di iniziare a suonare. Il
modo più efficace per migliorare la lettura a prima vista sembra essere l’esercizio,
preferibilmente in condizioni in cui possa essere garantita la continuità dell’impulso
performativo, come ad esempio accompagnare qualcuno, o suonare in un gruppo
(Banton, 1995; Kornicke, 1992; Lehmann e Ericsson, 1996).

FASI PER DIVENTARE UN MUSICISTA

I musicisti attraversano varie fasi col progredire della loro esperienza. Bloom (1985)
e Soniak (1985, 1990) ne indicano tre: introduzione ad attività inerenti, avvio delle
istruzioni che sottintendono la pratica e l’esercizio consapevole nonché la volontà di
dedicarsi a tale attività a tempo pieno. Alcuni musicisti potrebbero non riuscire a
rendere il transfer tra le competenze tecniche e quanto richiesto per prestazioni
professionali in ‘termini musicali’ (Bamberger, 1986). Manturzewska (1990)
suggerisce sei fasi relative lo sviluppo delle abilità di un musicista, ognuna delle quali
con processi elaborativi graduali e funzioni diversificate. La prima fase si basa sullo
sviluppo della sensibilità sensitivo-emozionale nonché sull’attività ed espressione
musicale spontanea. La fase 2 è associata a un periodo di sviluppo musicale guidato
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deliberato, che permette di conseguire basi tecniche, capacità di esecuzione e
conoscenze musicali. La fase 3 riguarda la formazione e lo sviluppo della personalità
artistica. Durante la fase 4 i musicisti si inseriscono nell’ambiente musicale
professionale e intraprendono un percorso performativo fecondo. La fase 5 è descritta
come la fase d’insegnamento, mentre l’ultima riguarda il ritiro dall’ attività
professionale. Harnischmacher (1995) fornisce un resoconto più approfondito
riguardo lo sviluppo degli studenti in età scolastica. Nella fase di attività (8-10 anni),
la funzione musicale era legata al gioco. Nella fase di partecipazione (11-12 anni), si
sviluppava il lavoro etico e i giovani musicisti pensavano alla causalità e
l’orientamento del risultato nella propria attività. Durante la fase di integrazione (13-
14 anni), la pratica diventava parte dell’attività quotidiana, mentre l’elemento ludico
serviva per rilassare. Nella fase di identificazione (15-18 anni), si evidenziava un
riflesso sull’implicita relazione della pratica con il proprio io, migliorando nel
contempo l’efficacia e la consapevolezza degli standard. I cambiamenti strutturali
nella pratica sembravano determinare un aumento della consapevolezza
metacognitiva, fenomeno altresì rilevato in relazione allo sviluppo delle abilità
compositive (Swanwick e Tillman, 1986). Tutti questi studi si concentrano sullo
sviluppo della cultura relativa la musica classica occidentale e potrebbero solo
riflettere i sistemi educativi di queste culture. Si conosce molto poco riguardo
l’insegnamento della musica nelle altre culture.

ESECUZIONE

L’esecuzione è definita socialmente e la sua natura muta nel tempo. Attualmente, la


maggior parte dei musicisti professionisti occidentali tende a considerare le esibizioni
come dei concerti pubblici. Tuttavia, con il crescente utilizzo della tecnologia, molti
spettacoli non sono più realizzati dal vivo ma in uno studio dove manca il contatto
diretto con il pubblico. L’esibizione può esser vista come una gerarchia di contesti
più o meno formali che determinano nell’esecutore livelli differenti di stress, il meno
influente dei quali riguarda l’esibizione privata dove si suona solo per se stessi.
L’elemento chiave delle esibizioni pubbliche è la comunicazione con il pubblico e i
colleghi musicisti. Ciò è risaputo tra i professionisti, gli studenti di musica e i ragazzi
in età scolare (Prince, 1994; Founta, 2002; Hallam e Prince, 2003). La comunicazione
dipende dai significati, dalla conoscenza e le intenzioni condivise sia dagli esecutori
che dal pubblico (Mead, 1934). Questi significati possono essere rappresentativi o
referenziali. Un importante elemento del livello di comunicazione stabilito tra
l’esecutore e il pubblico è il modo in cui la musica viene interpretata. Il rendimento

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della performance varia perché va oltre ciò che è riportato sullo spartito. Quando i
musicisti suonano, ogni esibizione differisce in maniera molto sottile da tutte le altre.
Infatti, anche all’interno di una sola battuta, possono esserci sottili variazioni di
tempo, intensità, timbro e intonazione. Sono queste variazioni che contribuiscono a
rendere espressiva un’esibizione (Shaffer, 1992). I musicisti, nello sviluppare
un’interpretazione, tendono inizialmente a leggere o suonare la musica in toto al fine
di avere una visione dell’intero lavoro. Viene poi adottato uno dei due principali
approcci: intuitivo (l’interpretazione si sviluppa durante la fase di apprendimento ed è
basata sull’istinto e le sensazioni intuitive, senza alcun elemento di pianificazione
conscia) o olistico (l’interpretazione è pianificata in anticipo ed è basata su un ascolto
esteso, il confronto con altre interpretazioni e l’analisi della struttura musicale).
Alcuni musicisti adottano entrambi gli approcci, sebbene la maggior parte preferisce
sceglierne uno (Hallam, 1995a). L’interpretazione che il musicista fa del brano da
eseguire costituisce l’essenza del messaggio che verrà comunicato al pubblico.
Questo è l’impatto maggiore, molto più di una esibizione tecnicamente curata ma
‘sterile’. È importante che l’esecutore non perda di vista questi aspetti nella fase
preparatoria. La comunicazione dell’espressione è più efficace quando gli ascoltatori
possono individuare e contestualizzare le variazioni nell’esibizione. Sembra che i
comunicatori più efficaci siano coloro che usano l’espressione con maggiore
coerenza e che siano in grado di enfatizzarla (Sloboda, 1983); sono coloro che
tendono ad avere anche più esperienza. I meno efficaci, invece, sono incoerenti e
violano le ‘regole’ cui la maggior parte degli esecutori rispetta. L’uso di variazioni
espressive esagerate aiuta gli ascoltatori a comprendere la struttura di un brano.
Questo processo viene supportato dagli aspetti visivi dell’esibizione. Davidson, J.W.
(1993, 1995, 2001, 2002b), basandosi sul giudizio degli osservatori, ha dimostrato
che i movimenti del corpo eseguiti dai musicisti durante un’esecuzione
contribuiscono all’espressività dello spettacolo. Sembra che i movimenti attirino
l’attenzione degli osservatori verso aspetti particolari della musica. Suonare a
memoria può anche aiutare nel processo comunicativo, in parte perché migliora
l’aspetto visivo della performance (Williamon, 1999).

ANSIA DA PRESTAZIONE

L’ansia da prestazione è correlata a un insieme di sintomi che includono un


eccitamento fisiologico eccessivo (aumento del battito cardiaco, bocca secca,
sudorazione, respiro corto, mal di stomaco, nausea, diarrea, tremore, vertigini,
rossore); sintomi psicologici ed emozionali come eccessiva apprensione, paura di
fallire, irritabilità e panico generalizzato; fattori cognitivi come perdita di fiducia,

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mancanza di concentrazione dovuta a pensieri negativi come preoccupazione e paura
di sbagliare, vuoti di memoria e incapacità di suonare con trasporto; cambiamenti
comportamentali inclusi rigidità e tensione muscolare (Ely, 1991; Salmon, 1991;
Wesner et al., 1990). I cambiamenti fisiologici che si verificano prima di una
performance indicano che la parte simpatica del sistema nervoso autonomo è stata
attivata. Ciò non è necessariamente connesso con l’ansia. Cambiamenti autonomi
simili si verificano quando gli individui svolgono compiti impegnativi, sono coinvolti
in situazioni emotive che comportano rabbia e prima di esperienze piacevoli. Studi
che hanno adottato varie metodologie per valutare l’ansia da prestazione hanno
dimostrato che i rapporti tra le risposte fisiologiche dell’ansia e l’ansia riportata in
relazione all’esibizione non sono spesso coerenti (Kendrick et al., 1982; Craske e
Craig, 1984; Deffenbacher e Hazaleus, 1985; Fredrikson et al., 1986; Abel e Larkin,
1990; Ryan, 2004). La preoccupazione riguardo l’esibizione e le implicazioni sociali
correlate al fallimento possono essere dissociate dall’eccitazione somatica percepita
(Deffenbacher, 1980). Il confronto tra musicisti ansiosi e quelli non ansiosi dimostra
che entrambe le categorie presentano un aumento dell’attività fisiologica quando
suonano (Craske e Craig, 1984), mentre ricerche in merito agli effetti dei beta
bloccanti hanno mostrato che, sebbene l’eccitamento fisiologico possa essere ridotto
e ci sia un aumento della qualità della performance, questi effetti non possono essere
interpretati come una soggettiva diminuzione dell’ansia (Neftel et al., 1982; James e
Savage, 1984; Fredrikson et al., 1986). Altri fattori, oltre quelli fisiologici, sono
altresì importanti.
L’ansia da prestazione è comune tra i musicisti (Goode e Knight, 1991; Steptoe e
Fidler, 1987; Fishbein e Middlestadt, 1988; Van Kemanade et al., 1995; Bartel e
Thompson, 1997); sembra che un certo grado di tensione sia parte integrante di una
buona prestazione (Caldwell, 1990). Solo l’eccesso di stress può diventare
debilitante, impedisce lo sviluppo delle abilità musicali (Brotons, 1994) e scoraggia
gli esecutori a proseguire negli studi della musica (James, 1988; Wolfe, 1989). Molti
artisti sostengono di necessitare di un’eccitazione psicologica per soddisfare le
proprie aspettative e che lo stress è parte integrante di una buona performance. Gli
studi di Hamann (1982), e quelli condotti da quest’ultimo con Sobaje (1983),
rilevarono che un aumento dell’ansia tende a facilitare le abilità esecutive,
specialmente per quei musicisti che hanno acquisito nel tempo una certa padronanza.
Ci sono molte teorie riguardo l’ansia da prestazione. La legge Yenkers-Dodson
propone il principio della U capovolta che rappresenta la relazione tra l’eccitazione
emotiva e l’esibizione: si afferma che il grado di eccitazione degli individui aumenti
il livello del rendimento della performance fino a un punto ottimale oltre il quale si
registra un deterioramento. La legge stabilisce anche che il deterioramento si verifica
11
più velocemente quando il compito che deve essere svolto è complesso e non si
dispone di un’adeguata conoscenza per portarlo a termine. Una teoria catastrofica
sostiene che quando un’esibizione si evolve in una situazione stressante è
improbabile che possa essere riportata persino a un livello mediocre (Hardy e Parfitt,
1991). La teoria psicoanalitica considera l’ansia da prestazione come la risultante di
comportamenti, caratteristiche e conflitti inconsci che si sviluppano durante l’infanzia
e che possono presentarsi nuovamente in particolari circostanze – come anticipare o
tenere un concerto (Plaut, 1990). Brandfonbrener (1990) sostiene che l’ansia da
prestazione sia semplicemente una manifestazione di problemi psicologici e non può
essere considerata a sé stante. I sintomi dell’ansia devono essere valutati in relazione
all’assetto psicologico dell’individuo. Le teorie comportamentali cognitive
attribuiscono l’ansia da prestazione a pensieri negativi e convinzioni irrazionali
correlati al bisogno dell’approvazione del pubblico per mantenere una considerazione
positiva di se stessi, e all’esigenza di una performance perfetta. La persistenza di
questi pensieri porta a una mancanza di fiducia e invalida i benefici delle ore di
preparazione (Nagel, 1990).
Lehrer (1987) identificava cinque elementi associati al panico da palcoscenico:
preoccupazione riguardo la memoria o la distrazione, preoccupazione riguardo la
tensione, paura per la disapprovazione degli altri, preoccupazione riguardo le abilità
esecutorie e la capacità di impegnarsi in strategie di coping orientate all’esibizione.
Solo la preoccupazione per la tensione era associata all’ansia da esibizione. Di
contro, Tobacyk e Downs (1986) scoprirono che gli studenti che manifestavano un
livello crescente di ansia prima di un’esibizione erano maggiormente minacciati dalla
possibilità di fallimento ed erano sopraffatti dai pensieri più irrazionali; credevano
che dovessero essere perfetti durante l’esibizione in modo che gli ascoltatori
pensassero che ne valesse la pena. Ciò può essere enfatizzato dalla tendenza dei
musicisti di sentirsi costantemente valutati e paragonati a standard di perfezione.
Steptoe e Fidler (1987) scoprirono che i musicisti affetti da forte ansia da prestazione
avevano una capacità di adattamento che può essere classificata come catastrofica;
esageravano le conseguenze derivanti da un errore minimale, credendo che esso
potesse rovinare l’intera esibizione, o sentivano di non potersi esibire senza
abbattersi. La preoccupazione riguardo l’ansia, o pensieri catastrofici, può avere
conseguenze molto negative (Powell e Enright, 1990).

MODELLI MULTIDIMENSIONALI

Recentemente, LeBlanc (1994) e Hallam (1998a, 2003) hanno proposto modelli


esecutivi multidimensionali che tengono conto dei modi in cui i diversi fattori che
12
influenzano lo sviluppo dell’ansia da esibizione conducono all’esibizione stessa. Tali
fattori includono le caratteristiche dell’esecutore, le caratteristiche dell’ambiente in
cui è stata programmata l’esibizione, la natura della musica che deve essere eseguita,
il processo di preparazione, lo stato d’animo dell’esecutore nel periodo
immediatamente precedente lo spettacolo, l’esibizione vera e propria nonché le
critiche successive allo spettacolo. In ogni momento del periodo di preparazione le
circostanze possono cambiare, influendo sull’esecutore e la sua performance. Il
modello è esplicitato nella figura 7.1. Ci sono evidenze che supportano vari aspetti
del modello (per spiegazioni più approfondite vedi Hallam, 2003).

MODALITÀ GESTIONALI DELL’ANSIA DA PRESTAZIONE

Negli ultimi anni c’è stata la tendenza a considerare l’ansia da prestazione come una
condizione medica o psicologica. I trattamenti proposti sono stati inquadrati in un
contesto medico e comprendono l’uso di farmaci, l’ipnoterapia, l’approccio generico
alle problematiche relative la salute, e l’uso della tecnica Alexander (vedi Hallam,
2003; Williamon, 2004). Molti approcci psicologici volti a ridurre l’ansia da
prestazione sono stati focalizzati su cambiamenti comportamentali o cognitivi.
Alcune tecniche comportamentali come la desensibilizzazione sistematica, gli
interventi cognitivo-attenzionali e il biofeedback hanno dimostrato di poter ridurre
con successo sintomi fisiologici e cognitivi dell’ansia da prestazione migliorando nel
contempo l’effettiva qualità dell’esibizione stessa (Appel, 1976; Fogle, 1982;
Mansberger, 1988). La terapia cognitiva comportamentale riguarda cambiamenti nel
modo di pensare dell’esecutore e ha dimostrato con successo – spesso
congiuntamente ad altri trattamenti – di potere ridurre l’ansia e incrementare la
qualità della performance (Clark e Agras, 1991; Sweeney e Horan, 1982). Per
esempio, Kendrick et al. (1982) hanno lavorato in un gruppo di 53 pianisti,
identificando pensieri negativi e irrilevanti durante l’esecuzione e sostituendo questi
con pensieri ottimistici e fattivi. Il trattamento includeva anche persuasioni verbali,
modellamento, stress da performance, l’uso dell’influenza del gruppo e incarichi da
svolgere a casa. Un’altra tecnica, conosciuta come Stress inoculation training, è
basata sull’idea che sia importante infondere aspettative realistiche riguardo ciò che
avverrà durante l’esibizione così come promuovere pensieri ottimistici riguardo se
stessi. Agli esecutori viene insegnato ad accettare gli eventuali sintomi dell’ansia e a
usarli nel dare energia alla performance (Meichenbaum, 1985; Salmon, 1991). Queste
strategie vengono frequentemente usate dai musicisti che non sentono il bisogno di
chiedere consigli professionali per ridurre l’ansia (Roland, 1994; Hallam, 1992).

13
FIGURA 7.1 Modello performativo
14
PREPARAZIONE ALL’ESIBIZIONE

Coloro che si esibiscono bene sono in grado di canalizzare in maniera specifica la


propria eccitazione per la performance (Bochkaryov, 1975; Hamann, 1982). Hamann
e Sobaje (1983) hanno suggerito che il fattore critico relativo la gestione dell’ansia è
la padronanza del compito da svolgere. Steptoe (1989) ha scoperto che molte
strategie di coping citate dai musicisti non si correlavano alla pratica (es. distrazione,
respirazione profonda, rilassamento muscolare, sedativi e uso di alcol). Bartel e
Thompson (1994) hanno riportato una serie simile di strategie di coping associate allo
stile di vita, ma hanno identificato solo quelle relative una consona preparazione
tecnica e musicale. Ciò includeva il riscaldamento, le prove per migliorare la
padronanza dell’esecuzione, l’esercizio sotto tempo, l’ascolto di registrazioni,
l’esecuzione di materiale più difficile di quello richiesto, la lettura a prima vista di
nuovo materiale e l’accertamento delle condizioni ottimali degli strumenti. Alcuni
musicisti si esercitavano suonando per i coetanei. Immaginare come il pubblico
percepisca lo spettacolo in differenti ambiti acustici potrebbe altresì essere utile
(Edlund, 2000). Strategie di coping da usare quando l’esibizione è in corso includono
la concentrazione o l’ascolto della musica prima di esibirsi, compiere i movimenti
fisici di quando si suona, svuotare la mente, ignorare il pubblico e il direttore.
Un’accurata preparazione musicale è una delle più efficaci strategie di coping per il
panico da palcoscenico, sebbene spesso venga usata insieme ad altre strategie.
Hallam (1992) scoprì che ci sono fattori individuali molto diversi relazionati alla
percezione del livello di stress. Soltanto una minoranza di musicisti sperimenta un
grado di stress tale da necessitare l’adozione di strategie di coping; alcuni ritengono
di aver bisogno del pubblico per poter suonare bene. Altri, nonostante avvertano
sintomi angoscianti di stress fisico dovuto all’ ansia da palcoscenico, si godono
l’esecuzione e non ne compromettono in alcun modo la prestazione. Testimonianze
biografiche riguardo attori famosi includono condizioni psicofisiche simili. Potrebbe
sembrare che il nervosismo di per sé non rovini la prestazione né tantomeno scoraggi
i musicisti dall’intraprenderla. Un campione di principianti mostrava una gamma di
atteggiamenti analoga riguardo l’esibizione sebbene le strategie di coping adottate
fossero meno sviluppate. La loro attenzione era focalizzata sulla necessità di ridurre
sentimenti di paura piuttosto che alleviare effetti dannosi sulla performance.
Quest’ultimi non avevano chiaramente sviluppato lo stesso significato attribuito dal
gruppo professionale.
Al fine di aiutare gli studenti a impiegare il loro livello di eccitamento per migliorare
piuttosto che danneggiare la performance, gli insegnanti devono fornire delle guide
che illustrino il processo gradualmente, assicurando che la musica da eseguire sia

15
appropriata, che venga concesso tempo sufficiente per la preparazione, che le
esecuzioni ‘simulate’ vengano intraprese per identificare potenziali difficoltà e le
strategie più idonee per superarle, che gli studenti non sopravvalutino l’importanza
della performance, che sia fornito tempo sufficiente per adattarsi all’ambiente in cui
si suonerà nonché per prepararsi con calma subito prima dello spettacolo. Dopo
l’esibizione, necessiterebbero momenti per riflettere, valutare e formulare programmi
futuri.

L’IMPORTANZA DELLA FAMIGLIA

Il supporto costante dei genitori è un fattore importante per il raggiungimento di alti


livelli di competenza musicale. Come visto nel Capitolo 3, l’interesse della madre per
la musica, in particolar modo per il canto, può influenzare lo sviluppo di competenze
musicali precoci, addirittura prima della nascita. Una ricerca comparata effettuata su
giovani musicisti con abilità diversificate, mise in evidenza come il gruppo con il più
alto livello di competenze cantasse un motivo riconoscibile in media sei mesi prima,
ossia attorno ai 16 mesi di età, rispetto ai bambini degli altri 4 gruppi. Il muoversi a
ritmo di musica, mostrare un alto livello di attenzione al suono e chiedere di
partecipare ad attività musicali non faceva differenza all’interno dei vari gruppi
(Sloboda e Davison, 1996).
L’età in cui i bambini cantavano per la prima volta era legata a quella serie di
comportamenti musicali avviati dai genitori (Howe et al., 1995). Lo stimolo che da
questi può arrivare, relativamente alle prime esperienze musicali del bambino,
sembrava favorire un interesse prematuro al canto il quale, a sua volta, contribuiva al
raggiungimento di successi futuri. Avere genitori predisposti alla musica, o
comunque vivere in un ambiente sensibile a quest’arte, influisce sulla partecipazione
del bambino alla musica (LeBlanc Corporation, 1961) e sullo sviluppo di qualità
musicali (Shelton, 1996; Wermouth, 1971; Jenkins, 1976). Il successo del metodo
Suzuki (Sperti, 1970; Doan, 1973; Blaine, 1976) è stato collegato al livello di
sensibilizzazione della famiglia (Breamer, 1985). I genitori di coloro che
raggiungono alti livelli di competenza sono generalmente più coinvolti nella pratica
iniziale dei figli, frequentano con loro le lezioni e ricevono un riscontro
dall’insegnante (Davidson, J.W. et al., 1996). Accompagnare gli alunni ai concerti e
fornire un supporto economico è fondamentale (Zdzinski, 1991). A volte gli stessi
membri della famiglia sono attivamente impegnati nel campo musicale (Rexroad,
1985; Sosniak, 1985; Sloboda e Howe, 1991), sebbene Davidson, J.W. et al. (1995/6)
hanno dimostrato che la partecipazione attiva dei genitori nell’assistere, incoraggiare
e supportare il bambino nei primi stadi dell’apprendimento aiuta più facilmente a
16
prevedere il raggiungimento di successi musicali rispetto a qualsiasi conoscenza
musicale da parte dei genitori. Le famiglie possono assumere un ruolo nel
riconoscimento del talento (Rexroad, 1985) e i genitori di coloro che raggiungono alti
livelli tendono a maturare alte aspettative diventando esigenti rispetto alla
realizzazione degli obiettivi correlati (Bastian, 1989; Lassiter, 1981). Il bambino
sembra interiorizzare quest’ultimi, e il raggiungimento che ne consegue diviene un
bisogno in sé. Tuttavia, ciò non rappresenta un rimedio universale per una
considerevole acquisizione di competenze poiché non si conoscono le dinamiche
relative quei bambini che non riescono a soddisfare le aspettative dei loro genitori. I
giovani discenti potrebbero sviluppare una bassa autostima e alla fine rinunciare a
suonare. Creech (2001), studiando i genitori dei violinisti, ha suggerito che coloro che
sono dotati di un forte senso di autodeterminazione si costruiscono un ruolo aiutando
i figli nella scelta dello strumento, nel trovare un insegnante, nello stimolare modelli
comportamentali e favorire attività che promuovano il successo del bambino in
ambito musicale (motivandolo, assistendolo durante l’esercitazione pratica,
instillando la capacità di concentrazione e la disciplina nella pratica musicale,
assistendo alle lezioni, comunicando con l’insegnante, e rispondendo alla sua
richiesta di aiuto e sostegno). Ciononostante, molti genitori avvertono una minore
efficacia di tale approccio nel momento in cui il bambino matura e progredisce dopo
gli 11 anni; un fenomeno comune se relazionato ai compiti per casa (Hallam, 2004a).
Le dinamiche familiari, compreso il ruolo dei fratelli, sono importanti per quanto
riguarda la motivazione (Davidson, J.W. e Borthwick, 2002 – vedi Capitolo 9).
Coloro che si distinguono in vari campi per le spiccate abilità sono spesso figli
primogeniti o figli unici, sebbene i fratelli maggiori possono fungere da ispirazione
per quelli più piccoli, incoraggiandoli, sostenendoli e inducendoli a imitarli
(Davidson, J.W. et al.,1997). Uno degli esempi più significativi relativi il ruolo della
famiglia viene da una descrizione delle arti in Cina intorno al 1980. (Lowry e Wolf,
1988). In quel periodo, il ruolo del musicista era regolato dallo stato, e solo un
numero molto limitato di musicisti professionisti veniva formato e ritenuto idoneo a
ricoprire i posti disponibili in qualità di concertisti o insegnanti. Le famiglie
riconoscevano il talento nei loro figli e fornivano loro le prime esperienze musicali
essendo essi stessi musicisti o lavorando in ambiti affini. Nell’apprendimento di uno
strumento, l’attenzione era sulla tecnica e sulla costruzione di abilità con un
considerevole apprendimento mnemonico. La formazione contemplava disciplina,
una serie invariabile di esercizi a orari prestabiliti, compiti prefissati e punizioni,
sebbene fossero anche previsti l’incoraggiamento e i premi. I bambini generalmente
iniziavano tra i 4 e i 6 anni. L’esercitazione era ampiamente strutturata, durava da una
a due ore ogni giorno ed era imposta dai genitori. La famiglia si impegnava a fornire
17
il sostegno necessario nonché le opportunità per permettere di continuare a studiare
per diventare un musicista professionista.
Non tutti gli studi hanno rilevato che il supporto genitoriale è significativo ai fini del
raggiungimento degli obiettivi relativi la performance (Mitchell 1985; Dregalla 1983;
Zdzinski, 1991) o la percezione musicale (Brand, 1982, 1985, 1986). L’età, in quel
caso, potrebbe essere un fattore di rilievo, con studenti più grandi che richiedono un
supporto minore, sebbene i genitori dei ragazzi ormai formatisi in tutte le aree di
competenza generalmente dedicano gran parte del loro tempo e delle loro energie a
soddisfare le esigenze dei loro figli, prefissano delle mete ambiziose, incoraggiano
all’uso produttivo del tempo, forniscono occasioni stimolanti, si accertano della
disponibilità del materiale e delle lezioni nonché predispongono alcune aree della
casa dove studiare in tranquillità (Csikszentmihalyi et al., 1993). Tuttavia, vi sono
esempi famosi di bambini che hanno raggiunto uno status professionale con poco
sostegno pratico da parte della famiglia – per esempio, Louis Armstrong (Collier
1983) e gli orfani del Pio Ospedale della pietà all’epoca di Vivaldi (Howe, 1990) –
ma casi del genere sono rari. In questi esempi, altri fattori legati all’ambiente
compensano la mancanza del supporto familiare. Alcuni soggetti in possesso di
notevoli abilità in determinati campi hanno storie di vita segnate da una pesante
frustrazione, grosse privazioni ed esperienze traumatiche. La determinazione
personale ha consentito loro di superare queste difficoltà (MacKinnon, 1965).

MONITORAGGIO E SUPERVISIONE DELLO STUDIO

Pochi bambini sembrano essere totalmente auto-motivati a esercitarsi. I genitori di


coloro che raggiungono livelli alti generalmente supportano l’esercitazione pratica
incoraggiandola nonché monitorandola e controllandone la durata, sebbene questo a
volte conduca a contrasti (Sosniak, 1985; Bastian, 1989; Sloboda e Howe, 1991;
Heaney, 1994; Davidson, J.W. et al., 1996). Brokaw (1983) e Sperti (1970) hanno
concluso che la supervisione dello studio a casa da parte della famiglia incide
notevolmente sul successo dello studente. Brokaw ha trovato delle correlazioni tra i
miglioramenti che derivano dallo studio in sé, dallo 0.44 allo 0.54, e quello che ha
luogo dietro monitoraggio della famiglia, fino a 0.58 e 0.57. In una ricerca sui
bambini prodigio basata su dati storici, Lehmann (1997b) ha dimostrato come tutti
siano stati seguiti durante lo studio negli anni dell’infanzia. Vacher (1992), ritenendo
che la gestione del tempo dedicato dagli allievi all’esercitazione non fosse efficace,
ha concluso che la pratica delle competenze dovrebbe essere insegnata e
l’esercitazione supervisionata, soprattutto durante le prime fasi dell’apprendimento.

18
Marcoux e Toussaint (1995) hanno riferito del successo ottenuto nello sviluppare
delle modalità atte a migliorare l’atteggiamento dei genitori che supportano e
incoraggiano i loro figli nell’attività musicale. La supervisione dei genitori della
pratica musicale, o anche semplicemente il fatto di ricordare ai figli di esercitarsi, non
sono generalmente ben accetti durante l’adolescenza. La motivazione ha bisogno di
essere interiorizzata prima dell’adolescenza se il bambino è destinato a diventare un
musicista impegnato. Il fatto che un genitore continui a controllare il figlio durante
l’esercitazione negli anni dell’adolescenza, molto probabilmente porterà al
risentimento e, in ultima istanza, potrebbe anche indurre all’abbandono della pratica
musicale (Sloboda e Davidson, 1996). La supervisione serrata dello studio può anche
avere effetti dannosi sulla motivazione intrinseca (Lepper e Green, 1975) e i benefici
possono essere solo a breve termine (Freeman, 1991).

COMUNICAZIONE ‘GENITORE – INSEGNANTE – ALUNNO’ E RICETTIVITÀ

La qualità delle interazioni tra genitore, insegnante e alunno può influenzare in


maniera significativa la gratificazione personale e professionale, il godimento della
musica e il raggiungimento degli obiettivi di tutti e tre i soggetti in questione. In uno
studio sull’efficacia degli insegnanti di pianoforte, Duke (1999/2000) ha individuato
una stretta intesa tra genitori, alunni e insegnanti rispetto agli obiettivi e ai risultati
nello studio mentre Jorgensen H. (1998) – nella sua indagine relativa le caratteristiche
dell’insegnante di strumento e la capacità decisionale dello studente – ha sottolineato
che il livello di accordo riguardo le aspettative e le predilezioni era legato all’intensità
del conflitto o della cooperazione. Creech e Hallam (2003) propongono un modello
basato sull’opera di Tubbs (1984), che sintetizza i precedenti modelli e identifica tre
categorie di variabili che influenzano i rapporti e a loro volta subiscono delle
modifiche in quanto risultanti degli stessi. Le categorie sono fattori legati al vissuto,
(personalità, attitudini e valori), influenze interne (tipo di leadership, comportamento
linguistico, ruoli di interazione, stile decisionale) e conseguenze (soluzioni ai
problemi, condivisione delle informazioni, relazioni interpersonali/crescita tra i
membri di un gruppo). La figura 7.2 illustra organicamente come queste categorie
possono interagire nell’ambito di un contesto musicale.

19
GLI OBIETTIVI DELL’IMPEGNO PROFUSO IN ATTIVITÀ MUSICALI EXTRA-CURRICOLARI

Mentre a breve termine ci possono essere molti possibili vantaggi nel partecipare ad
attività musicali extra-curriculari, a lungo termine la principale differenza è fra coloro
che potrebbero desiderare di intraprendere una carriera nell’ambito musicale e coloro
che potrebbero volere un coinvolgimento marginale in qualità di amatori o ascoltatori
attivi. Per la maggior parte degli studenti, le ultime due categorie sono correlate. In
tal senso, probabilmente, un obiettivo sempre più importante nell’insegnamento
extra-curriculare è che questo sia piacevole e divertente (Schenk, 1989; Hallam e
Prince, 2000). Anche gli insegnanti si rendono conto di un ampio raggio di benefici
che comprendono il miglioramento della capacità di socializzazione; l’amore per la
musica; il lavoro di gruppo; il senso di realizzazione; una maggiore fiducia in se
stessi e l’auto-disciplina; l’opportunità di svago; il miglioramento della capacità di
concentrazione, della coordinazione fisica, delle abilità cognitive, creative,
organizzative e di ascolto nonché la capacità di divertire gli altri (Hallam e Prince,
2000). Per consentire un coinvolgimento con la musica che duri tutta la vita, gli
alunni devono sviluppare capacità di apprendimento indipendenti (Hallam, 1998a),
avere a disposizione una serie di strategie di assimilazione, essere consapevoli dei
loro punti di forza e di debolezza, essere in grado di valutare cosa è richiesto per
intraprendere un lavoro di tipo musicale, essere determinati, essere capaci di
controllare i progressi così come imparare a essere critici riguardo i risultati
dell’apprendimento. Le implicazioni di quanto riportato, ai fini dell’insegnamento,
sono profonde.

20
RISULTATI:

Conseguimento di risultati in ambito musicale


Godimento musicale
Soddisfazione professionale
Soddisfazione personale
Crescita interpersonale
Condivisione di informazioni

ALLIEVO:
Età
Personalità
Attitudini
Valori
Aspettative di ruolo
Transizioni ecologiche

Reattività
Controllo reciproco
Coinvolgimento

Auto-efficacia
Motivazione

Risoluzione dei conflitti


GENITORE: INSEGNANTE:
Stile genitoriale Caratteristiche professionali
Personalità Personalità
Attitudini Attitudini
Valori Valori
Condizioni ambientali Transizioni ecologiche
Aspettative di ruolo Aspettative di ruolo

Figura 7.2 Interazioni tra allievo-genitore-insegnante (Creech e Hallam, 2003)


21
IMPLICAZIONI NELL’AMBITO DELL’INSEGNAMENTO

La maggior parte dei bambini che impara a suonare uno strumento o che prende
lezioni di canto non proseguirà gli studi per affermarsi come professionista o per
intraprendere una carriera nell’ambito musicale. Le attività musicali extra-curriculari
forniscono alla maggioranza dei giovani le basi durature per praticare musica a livello
amatoriale o in qualità di semplici ascoltatori così come promuovono lo sviluppo di
abilità generiche che sono utili in diverse attività. Gli obiettivi dell’insegnamento
strumentale/vocale dovrebbero essere mirati, dunque, a rendere divertente il processo
musicale fornendo nel contempo uno stimolo competitivo di natura intellettuale.
Anche quando gli alunni desiderano intraprendere una carriera, gli insegnanti
dovrebbero offrire loro un piano educativo completo che li prepari in maniera
professionale ad affrontare un futuro mutevole e incerto. Tutti gli studenti hanno
bisogno di essere agevolati ad apprendere autonomamente in modo da adattarsi
facilmente e rapidamente ai nuovi ambiti musicali nonché attingere dalle abilità che
hanno appreso per soddisfare i bisogni attuali.
Imparare a suonare uno strumento richiede molto tempo e fatica, e la motivazione è
indispensabile (vedi capitolo 9). Suonare lo strumento che si è scelto, dunque, può
essere più importante della percezione relativa la sua dimensione estetica e
dell’adattabilità alla propria conformazione fisica. Suonare un strumento
apparentemente impopolare può offrire maggiori opportunità di partecipazione a
gruppi di alto livello; per alcuni studenti questo aspetto potrebbe rappresentare
un’opzione appetibile, a patto che ne sia spiegata loro la ragione logica.
La famiglia è un supporto importante per i bambini piccoli avviati alla pratica
strumentale e gli insegnanti dovrebbero cercare di coinvolgere nel processo di
apprendimento, in qualsiasi modo possibile, dei supervisori – incluso il supporto non
critico nello studio. I bambini piccoli, durante le prime fasi dell’ apprendimento, si
fortificano grazie all’elogio e all’incoraggiamento. Gli insegnanti, la famiglia e gli
amici in questo sono fonti preziose e le opportunità informali di esibirsi che vengono
loro offerte possono essere molto utili a intensificare la motivazione. Per gli allievi
più grandi, il coinvolgimento della famiglia, al di là delle risorse messe loro a
disposizione nonché dell’incoraggiamento, può essere controproducente. Nel
momento in cui la competenza degli allievi si sviluppa, questi accettano la critica
costruttiva come un modo per migliorare le loro abilità e il loro rapporto con gli
insegnanti è maggiormente focalizzato sugli obiettivi. Come vedremo nel Capitolo 9,
l’influenza dei pari e lo sviluppo di un’identità come musicista sono fondamentali ad
accrescere la motivazione durante l’adolescenza.

22
L’acquisizione delle abilità complesse richieste per suonare uno strumento necessita
di tempo e pratica (vedi Capitolo 8). Durante le prime fasi dell’apprendimento di
abilità, sono richieste spiegazioni chiare e riscontri sui progressi effettuati. I modelli
sonori di riferimento per il risultato finale desiderato costituiscono una guida per
l’apprendimento e consentono di identificare più facilmente eventuali errori. Fornire
delle registrazioni di ciò che bisogna imparare può facilitare lo sviluppo di pattern
sonori appropriati. Via via che l’assimilazione procede verso gli stadi successivi,
l’automatismo cresce attraverso l’esercizio. Ciò non deve avvenire elusivamente
tramite la pratica isolata. Le abilità possono essere sviluppate in attività di gruppo che
forniscono maggiore motivazione grazie alla loro natura sociale. Laddove i gruppi
suonano decodificando la notazione musicale, la capacità di lettura, soprattutto quella
a prima vista, viene continuamente esercitata e di conseguenza migliora.
Prendere parte a esibizioni pubbliche può essere un’esperienza eccitante e gratificante
oltreché aumenta la motivazione. Tuttavia, per alcuni studenti essa è causa di grande
ansia e può essere demotivante. Suonare o cantare in gruppo, in particolar modo nei
casi in cui non è richiesta l’esecuzione di un assolo, può ridurre l’ansia e allo stesso
tempo fornire risultati positivi legati all’esibizione in pubblico. Ciononostante, non è
essenziale che coloro che imparano a suonare uno strumento o prendono lezioni di
canto si esibiscano pubblicamente. Suonare o cantare per se stessi può essere
gratificante, divertente e liberatorio a livello emotivo. Analogamente, suonare o
cantare a memoria può migliorare sicuramente il livello di comunicazione con il
pubblico ma non rappresenta una condizione indispensabile. Laddove la memoria è
considerata auspicabile, imparare il pezzo a fondo, usando strategie di codifica
multipla, con ampie opportunità simulative di un’esibizione, dovrebbe conferire
sicurezza. La padronanza totale della musica, l’attenzione alla comunicazione con il
pubblico – accettando l’agitazione come necessaria a dare una ‘scintilla’ alla
performance e utilizzando la stessa per produrre energia – aiuta a garantire che
l’ansia non rovini l’esibizione ma aiuti a migliorarla. La maggior parte delle tecniche
di insegnamento strumentali e vocali continuano a essere basate su quelle sviluppatesi
nell’ultima parte del diciannovesimo secolo, quando l’insegnamento formale era in
rapporto frontale ‘uno a uno’ e concesso solo a pochi privilegiati. Molti più bambini,
oggi, hanno l’opportunità di imparare a suonare uno strumento e la maggior parte di
questi non proseguirà lo studio a livello professionale. È necessario che gli educatori
ridefiniscano la loro considerazione in merito agli obiettivi di un apprendimento ben
riuscito. Questi tendono a variare a seconda dello specifico strumento, del genere,
delle aspirazioni degli allievi e delle opportunità che essi hanno di impegnarsi nella
musica a lungo termine.

23
ULTERIORI LETTURE

CREECH, A. AND HALLAM, S. (2003) ‘Parent–teacher–pupil interactions in


instrumental music tuition: aliterature review’. British Journal of Music Education,
20(1) (pp. 29–44).
HALLAM, S. (1998a) Instrumental Teaching:Apractical guide to better teaching and
learning. Oxford: Heinemann.
PARNCUTT, R. AND MCPHERSON, G.E. (2002) The Science and Psychology of Music
Performance: Creative strategiesfor teaching and learning. Oxford: Oxford
University Press.
SNYDER, B. (2000) Music and Memory: An introduction. Cambridge, MA: The MIT
Press.
THURMAN, L. AND WELCH, G.F. (2000) Bodymind and Voice: Foundations of voice
education. (2nd edition) Iowa City: National Center for Voice and Speech.
WILLIAMON, A. (ed.) (2004) Musical Excellence: Strategies and techniques to
enhance performance. Oxford: Oxford University Press.

TRADUZIONE A CURA DI:

Manuela Cardaropoli
Caterina Carusone
Vincenzo Morelli

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