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1.

Le interazioni mediate Interazioni mediate: interazioni con altri usando determinati medium,
che differiscono dalla comunicazione “faccia a faccia” per la non compresenza nel tempo e nello
spazio degli interlocutori. I new media (tutte le forme di comunicazione nate dai processi di
digitalizzazione e dalla convergenza tra le telecomunicazioni e l’informatica) hanno ridotto, se non
annullato, i tempi e i luoghi della comunicazione.
Comunicazione “faccia a faccia”: comunicazione naturale, che avviene tra persone fisicamente
compresenti in un determinato luogo in una certa situazione. La comunicazione è dialogica, quindi
bidirezionale. In essa, oltre ai contenuti verbali, ci sono anche una serie di contenuti simbolici
(comunicazione non verbale), quali la gestualità, il tono di voce, le espressioni. Questo tipo di
comunicazione è condizionata anche dal contesto in cui si trovano i comunicatori (contesto formale
o familiare). Goffman afferma che le regole sociali che apprendiamo fin da piccoli in un
determinato contesto socio-culturale ci obbligano a differenziare i nostri comportamenti “in
pubblico” da quelli “in privato”: ognuno di noi indossa una maschera si muove in modo diverso nel
retroscena a sul palcoscenico (questa teoria non è sulla personalità, ma riguarda il comportamento
sociale degli individui). È impossibile non comunicare (anche il silenzio è una forma di
comunicazione!).
Comunicazione mediata: prevede l’utilizzo di un medium (mezzo). Si perdono numerosi indizi
simbolici e input sensoriali legati alla compresenza fisica: per questo viene definita una
comunicazione “impoverita”. Può essere attuata tramite i media tradizionali (telefono e lettera)
oppure con i new media, come il computer. Essa può agevolare la comunicazione, agendo da filtro,
ma può anche essere fonte di equivoci e impersonalità.
Quasi-interazione mediata: (definizione di Thompson) tipica dei mass-media. È una
comunicazione unidirezionale, asimmetrica, di tipo one-to-many. Per compensare la mancanza
fisica del pubblico, all’interno dei contenuti mediatici vengono attuate determinate strategie, cioè
viene stipulato un patto comunicativo (presenza del “pubblico in studio”, presentatore che
coinvolge lo spettatore, chiamate da casa…). Inoltre la ripetitività di alcuni palinsesti, come le
fiction, provoca nel pubblico un attaccamento, un’affezione verso personaggi della tv: spesso si
verifica cioè un’interazione parasociale, cioè si ritiene di conoscere in intimità quel personaggio, lo
si considera un amico mediale. Thompson definisce questo fenomeno intimità non reciproca a
distanza (fenomeno del fandom).
I contenuti dei mass media agevolano i processi di socializzazione. In particolare i new media
danno la possibilità di instaurare nuovi tipi di relazione poiché sono interattivi. La comunicazione
mediata dal computer (CMC) comprende modalità di interazione sincrona (chat o MUD-Multi User
Domain) oppure asincrona (e-mail, forum, newsgroup).
Cambiamenti introdotti dai media nella vita quotidiana: Thompson definisce mondo mediato tutte
quelle realtà che è possibile conoscere solo attraverso la fruizione dei media. Sotto questo aspetto i
media possono essere considerati “moltiplicatori di mobilità”. Inoltre la loro entrata nella vita
quotidiana ha determinato lo stabilimento di novi punti fermi, dando rassicurazioni agli individui
che vivono nella nuova società dell’informazione.
Joshua Meyrowitz “Oltre il senso del luogo” (1985) : riflette sul modo in cui i media elettronici
(TV,radio,telefono etc.) con la loro presenza nelle case e nella quotidianità abbiamo influenzato il
comportamento sociale. I media modificano il modo di interagire, di conoscere e di fare esperienza
(ora sono possibili le esperienze mediate) . I media elettronici alterano il “senso del luogo”(non è
più necessaria la compresenza fisica dei soggetti dell’interlocuzione). Si assiste a:
1. Fusione della sfera pubblica a privata: in particolare la tv ha abbattuto il confine tra
ribalta/retroscena. Lo spazio domestico diventa interconnesso con l’esterno.
2. Fusione tra infanzia e maturità: la tv ridefinisce le classiche tappe della socializzazione. I
bambini possono accedere ad informazioni del mondo degli adulti e gli adulti tendono ad
avvicinarsi al mondo infantile.
3. Fusione maschile e femminile: la tv ha attenuato le differenze di genere, permettendo alle donne
di imitare i comportamenti maschili e viceversa.
John Thompson “Mezzi di comunicazione e modernità”(1995):analizza l’impatto dei media sul
comportamento sociale. Egli afferma che i mass media influiscono nel processo di costruzione del
sé. Essi permettono di allargare i confini dell’esperienza diretta e di esplorare vari aspetti
dell’identità soggettiva, essendo svincolati da limiti fisici, spaziali e sociali. Da un lato questa
possibilità di spaziare concede agli individui maggiore libertà e scelta, dall’altro può avere un
effetto disorientante, dando una sensazione di smarrimento che può portare a ripiegamenti
narcisistici o alla frammentazione del sé.
Anthony Giddens “Le conseguenze della modernità” (1990): sostiene che il mondo moderno
globalizzato è caratterizzato dallo sradicamento spazio-temporale dell’azione dal contesto sociale
(disembeddment) che favorisce rapporti tra persone “assenti”, lontane, e l’aumento della riflessività.
Roger Silverstone “Televisione e vita quotidiana” (1994): la tv svolge una duplice funzione:
estende le relazioni e le conoscenze a livello globale, introducendo nuove ansie ed incertezze nel
pubblico, a contemporaneamente dona rassicurazione, fornendo programmi seriali che entrano nella
routine quotidiana (ad es, tra i programmi più visti ci sono le previsioni metereologiche, che
forniscono previsioni).
[Funzioni della Tv: amplia la gamma delle conoscenze, consente di fare esperienze mediate, di
riflettere su se stessi, fornisce rassicurazioni riguardo alla incertezze creata dalla modernità. È una
vera e propria “agenzia di socializzazione” che si affianca a famiglia, scuola e gruppo dei pari. Essa
ha inoltre funzione socializzante]
Howard Rheingold “Comunità virtuali” (1993): internet dà la possibilità di stabilire relazioni
solide e significative, piene di passioni, all’interno delle comunità virtuali. Esse sono veri e proprio
mondi paralleli che però “lasciano fuori il corpo”, portando anche risvolti positivi: le differenze
fisiche, di genere o gli handicap possono essere “superati”; inoltre, sotto pseudonimi o nickname, è
possibile svelarsi ed aprirsi più facilmente e intimamente verso l’altro. Nelle comunità virtuali si
viene a creare un’altra forma di opinione pubblica. Levy afferma che Internet è diventato il nuovo
villaggio globale in cui si produce una sorta di intelligenza collettiva, costituita dall’insieme delle
competenze individuali di coloro che fanno parte della società virtuale.
2. Teorie sugli effetti dei media e modelli comunicativi La storia delle teorie della comunicazioni
inizia negli anni ’20-’30 del XX secolo (quando cinema e radio si aggiungono alla stampa
divenendo i media “di massa”, ovvero accessibili alla maggior parte della popolazione). La
tradizione teorica di ricerca è la communication research che comincia negli USA, ma più
generalmente si fa riferimento ai media studies. Le teorie vertono principalmente sullo studio degli
effetti che i media hanno sugli individui, perché fin dagli esordi si attribuisce loro un certo potere.
La storia delle teorie dei media si può vedere da due prospettive:
1. Ricostruzione “per cicli”(McQuail,Tuchman,Wertella), suddivide la storia dei media in 3 fasi
(aggiunta dopo la 4):
1.a.Media onnipotenti (anni 20-30)
1.b.Effetti limitati, dalle caratteristiche psicologiche individuali e dalle relazioni interpersonali, dei
media (anni 40-60)
1.c.Riscoperta del potere dei media (anni 70-80)
1.d.Influenza negoziata dei media (l’audience ne fruisce in modo attivo) (anni 80-2000)
2. Ricostruzione per compresenza (Wolf): continuo alternarsi e sovrapporsi, dagli anni ’20 in poi,
della concezione di media onnipotenti e della teoria dell’influenza mediata.
Le teorie vengono analizzate in base a: la concezione degli effetti dei media, la concezione
dell’audience (passiva o attiva in questo manuale diventa la principale chiave di lettura), la
metodologia utilizzata nella ricerca (qualitativa o quantitativa),il tenere conto delle differenze
sessuali e di genere ( dagli anni ’70 ha influenza il fenomeno femminista), modello comunicativo di
riferimento (ad es: stimolo-risposta, informazionale etc), l’approccio più o meno multidisciplinare.
Teoria ipodermica (magic bullet-theory) Corrisponde più ad un clima di opinione che ad una vera
a propria teoria, infatti ha avuto come sostenitori intellettuali e scrittori; addirittura alcuni autori non
la tengono in considerazione (Lang&Lang: “that never was”). Propone per prima una concezione
pessimistica dei media mai stata abbandonata del tutto e attribuisce all’audience un ruolo passivo.
Presenta un approccio globale ai media, senza distinguerli, e ne studia gli effetti sulla società di
massa. Secondo la teoria, i messaggi veicolati dai media colpiscono singolarmente e fortemente
gli individui (come un proiettile appunto), influenzandone le opinioni. Gli effetti sono immediati
e diretti. Gli individui sono indifferenziati e isolatil’audience è passiva. La teoria ipodermica fa
riferimento a teorie sulla società di massa:
1. Tönnies, teoria dei vincoli sociali: mette a confronto la realtà pre-industrializzata e quella
industrializzata; nella prima (Gemeinschaft) i legami tra gli individui si basano sul reciproco
rispetto, nella seconda (Gesellschaft) le relazioni sociali si stipulano in base alla convenienza
economica.
2. Durkheim, analisi sulla divisione sociale del lavoro: nelle società semplici, rurali, la solidarietà
sociale è di tipo meccanico (basata sul lavoro manuale); nelle società complesse, si stabilisce una
solidarietà “organica” in questo
caso aumenta l’isolamento psicologico e la differenziazione sociale, che può portare alla mancanza
di norme morali condivise.
3. Teorie sulla massa di Le Bon (concetto negativo, gli individui che fanno parte della folla perdono
la capacità di agire e pensare singolarmente), Ortega y Gasset (l’uomo-massa è l’antitesi dell’uomo
colto) e Blumer (la massa si collega alla creazione del pubblico dei cinema ed è un’entità priva di
tradizioni, di regole di comportamento, leadership, costituita da individui anonimi e dunque
potenzialmente pericolosi) tutte idee pessimistiche
Inizialmente il modello a cui faceva riferimento questa teoria era quello istintualista,
successivamente si aderisce al modello Stimolo-Risposta di Pavlov: ad un determinato
condizionamento (messaggio dei media) corrisponde una risposta condizionata (effetti sul pubblico)
così si conferma l’idea che gli effetti dei media siano diretti e immediati. Inoltre, il fatto che quasi
in contemporanea, in Europa hanno avvio i totalitarismi, sembra confermare a pieno questa teoria,
come dimostrato dal forte potere della propaganda (Goebbels) con cui viene esercitato e mantenuto
il controllo sugli individui.
Lasswell, scienziato politico, “Propaganda Technique in the World War” (1927): analisi della
propaganda americana, inglese, francese e tedesca durante la 1GM. Anche Lasswell sostiene che i
messaggi propagandistici manipolano facilmente l’opinione pubblica gli effetti dei media sono forti
e diretti come “aghi ipodermici” (da cui il nome della teoria).
Critiche alla teoria: 1. Negli stessi anni, i sociologi della Scuola di Chicago
(Thomas,Park,Mead,Cooley,Dewey etc) rifiutano la concezione di massa indifferenziata. Vedono
nei media un potere ambivalente: possono concorre alla creazione dell’opinione pubblica ed aiutare
ad attuare una critica democratica alle forme governative, ma al contempo gli esponenti di questa
scuola ne riconoscono gli aspetti di controllo sociale. 2. Non vengono studiati gli effetti reali
sull’audience. Gli effetti considerati da questa teoria sono “a breve termine”. Non si tiene conto del
contesto in cui gli individui fruivano dei messaggi o della loro esperienza precedente.
Schede: Payne Fund Studies ; “La guerra dei mondi”
Teorie dell’influenza selettiva: l’audience ostinata
Dagli anni 40 due filoni di ricerca “amministrativa”, atti a risolvere problemi pratici-applicativi,
mettono in crisi la teoria ipodermica:l’approccio empirico-sperimentale ad orientamento
psicologico (teoria della persuasione) e l’approccio empirico di orientamento sociologico (teoria
degli effetti limitati). Entrambe hanno avuto una forte ripercussione sull’intera communication
research. Questa rivoluzione del pensiero nasce dalla scoperta, a seguito di ricerche empiriche, del
ruolo “attivo” dell’audience: la mente dei riceventi non è una tabula rasa ed essi non vivono isolati
ma in precisi contesti sociali in cui intessono relazioni. Di conseguenza muta anche l’idea sugli
effetti che i media hanno. Questa inversione di marcia è dovuta anche al nuovo contesto socio-
culturale mondiale, quello del dopo guerra in cui regna una relativa tranquillità economica e politica
e soprattutto la voglia collettiva di ottimismo. Inoltre si inizia a tenere maggiormente conto delle
differenze psicologiche e sociodemografiche degli individui.
Nel 1948 Lasswell propone un nuovo modello comunicativo, denominato “delle 5 W”. Questo
modello ha ancora chiari e numerosi limiti: processo di comunicazione asimmetrico (i media hanno
il potere, l’audience è del tutto passiva), non si mettono in relazioni le seguenti variabili e
soprattutto non si considera il contesto entro il quale avviene la comunicazione. Nonostante questo,
la communication research si è a lungo soffermata su due punti di questo modello: il 2 e il 5. Per
descrivere un atto di comunicazione, è necessario rispondere alle seguenti domande: 1. Who: studio
degli emittenti
2. Says What: analisi dei contenuti
3. In Wich channel (attraverso quale canale): studio della storia e delle caratteristiche dei media
4. To Whom: studio delle caratteristiche e delle preferenze dell’audience
5. With What effects: analisi degli effetti
Teoria della persuasione Nasce dallo studio mirato a stabilire l’efficacia persuasoria della
propaganda (politica, pubblicitaria etc), che avevi poi intenti applicativi. Il punto di vista è quello
degli emittenti, cioè si studiano gli effetti dei media, considerando in primo luogo quello che i
media intendevano trasmettere al pubblico. Si rivolge l’attenzione alle differenze psicologiche
individuali (quindi l’audience non è più una massa omogenea): si crede che il messaggio
persuasorio avrà successo solo se è adeguato ai fattori psicologici del destinatario.
Si basa sulla teoria del Neocomportamentista Edward Tolman: “S-O-R” tra lo stimolo e la risposta
si interpone “l’organismo”, ovvero la specificità di ogni individuo. In questo schema si inserisce il
concetto di atteggiamento (= predisposizione acquisita ad agire in un certo modo nei confronti di
specifici oggetti), che nel contesto dei media fa diventare la teoria della persuasione rispondente alla
relazione: “comunicazione (stimolo del media)-atteggiamento (processi psicologici)-
comportamento (del pubblico)”
Gli studi inerenti alla teoria della persuasione si possono dividere in due filoni: 1. studi sulle
caratteristiche individuali del destinatario. Emerse che i fattori che maggiormente fungevano da
filtro agli effetti erano: l’interesse ad acquisire l’informazione, l’esposizione selettiva (per acquisire
bisogna esporsi, ma se non c’è interesse non ci si espone), la percezione selettiva (dipende dal gusto
personale, dal livello intellettuale, dall’attenzione posta al messaggio) e la memorizzazione selettiva
(si ricorda solo quello che ci interessa) . Hovland teorizza l’”effetto latente”: se in un primo
momento l’atteggiamento negativo verso una fonte può costituire un ostacolo persuasione, a
distanza di tempo la memorizzazione selettiva può attenuare questo aspetto a favore dei contenuti
dei messaggi.
2.studi sull’organizzazione ottimale dei messaggi a fini persuasori. Emerse che i fattori che
fungevano da filtro erano: la credibilità del comunicatore (tendiamo ad ascoltare messaggi da parte
di comunicatori di cui “ci fidiamo”), l’ordine delle argomentazioni (effetto primacy e recency:
meglio dare prima la buona o la cattiva notizia?), la completezza delle argomentazioni (meglio
rimanere sul vago o specificare l’info?). Hovland condusse degli esperimenti sui soldati in guerra: il
messaggio che descriveva sia gli effetti negativi che quelli positivi sul prolungamento della guerra
(“both sides”) ebbe più effetto persuasivo di quello che presentava solo gli aspetti positivi
Critiche alla teoria: nonostante abbia evidenziato l’esistenza di caratteristiche soggettive degli
individui, il limite è che comunque i media mantengono il proprio potere provocando effetti forti e
l’audience rimane facilmente condizionabile e passiva: la teoria sostiene infatti che nonostante le
“resistenze della soggettività”, i media riescono a persuadere gli individui.
Scheda: Mr. Biggott e la percezione selettiva
Teoria degli effetti limitati Si lega all’opera del sociologo P.F.Lazarsfeld. Egli svolge una ricerca
sul pubblico della radio, cercando di capire chi la ascolta e perché. Secondo lui, per capire cosa
significa un programma per il pubblico è necessario impiegare contemporaneamente tre metodi:
analisi del contenuto (come li può utilizzare il pubblico?), analisi delle caratteristiche dell’audience
(rilevare le differenze psicologiche tra persone di diverso genere,età,classe sociale,razza), studio
delle gratificazioni (si chiede direttamente alle persone cosa il programma significa per loro).
Lazarsfeld parla di effetti preselettivi ed effetti successivi, ovvero afferma che un programma
radiofonico ha effetto solo su quelle persone che hanno scelto di ascoltarlo in base alle
gratificazioni che vogliono ottenere. questa conclusione anticipa la teoria vera e propria degli usi e
gratificazioni.
In seguito, nell’ambito del Bureau (of AppliedSocial Research) di cui Lazarsfeld faceva parte
insieme a Berelson, Gaudet e altri, vennero sviluppate molte ricerche inerenti ai mass-media. In
particolare è la ricerca sul campo “The people’s choice” (1944) a dare origine a questa teoria. Si
tratta di uno studio sulla formazione,il cambiamento e l’evoluzione dell’opinione pubblica in
relazione alla decisione di voto. Vennero indagati gli effetti della campagna presidenziale in una
contea, furono intervistate 600 persone ogni mese per 7 mesi (panel). Si rilevò che le persone che
durante la campagna cambiarono opinione di voto furono influenzate non tanto dai media, ma dalle
persone che aveva intorno, e risultava importante il gruppo sociale di cui facevano parte (ad es,
quelli che erano parte di due gruppi contemporaneamente furono più propensi a cambiare idea). La
scoperta fondamentale della ricerca fu che per ogni gruppo sociale esistevano degli opinion leader:
le persone più attive e influenti, e anche maggiormente informate e interessate a farlo. Questa figura
porta all’ipotesi di un processo comunicativo a due stadi (“two step flow of communication”): le
informazioni spesso passano dai media ai leaders di opinione (1), poi da essi ai settori meno attivi
della popolazione. si relativizza così il potere diretto dei media. Una campagna politica ha 3
potenziali effetti: 1. Attivazione 2.Rafforzamento delle opinioni 3.Conversione delle opinioni. La
campagna in sé risultò svolgere principalmente la funzione di rafforzamento, mentre l’effetto di
conversione era proprio dei leader d’opinione, che avevano il vantaggio di arrivare alle persone
anche non interessate alla politica e di essere più persuasive, perché si rivolgevano a persone che si
fidavano di loro e li conoscevano. I media hanno effetti limitati, al contrario di quanto affermava
la teoria della persuasione.
Lazarsfeld conduce un’altra ricerca per testare la sua teoria, “Personal Influence” (1945-55):
intervista 800 donne, chiedendo loro se per le decisione prese quotidianamente (acquisto di
alimenti, di prodotti per la casa, di negozi da frequentare, vestiti da indossare…) si affidavano
maggiormente a pubblicità etc, oppure a consigli di persone a loro vicine (amiche,parenti etc..).
Risultò anche in questo caso che l’effetto dei media era minimo e che prevalevano nettamente le
influenze dei leader d’opinione vicini alle donne. In ogni contesto sociale risultò l’esistenza di
leader
d’opinione (nella famiglia, nei posti di lavoro, nel gruppi di pari…) e si evidenziarono anche
“catene” di influenza personale (leaders che influenzano e creano altri leaders). Si conclude che se
gli effetti dei media sono limitati,allora l’audience non può essere passiva, ma deve
avere un ruolo attivo nello scegliere contenuti che gli porteranno gratificazioni: si rileva perciò
l’importanza della percezione selettiva. Bauer definì quest’audience, ostinata, nel senso che non
sempre essa gli individui rispondono come l’emittente si aspetta.
Critiche alla teoria: Viene criticato il fatto di riconoscere fin troppo poco potere ai media e di non
considerare gli effetti cumulativi a lungo termine (Lang&Lang, Neumann); più che altro, il fatto che
a essi è attribuito come unico effetto quello di rafforzare le opinione preesistenti. Lazarsfeld in
realtà era cosciente degli altri effetti, sia a breve che a lungo termine, dei media, ma il principale
ostacolo a studiarli fu la natura amministrativa di questi studi (cioè erano stati commissionati da
broadcasters che volevano mettere in rilievo solo gli effetti a breve termine delle campagne)
Scheda: Personal Influence
Teoria degli “usi e gratificazioni” Fa parte della teoria funzionalista delle comunicazioni di
massa, che fa riferimento alla teoria sociologica dello struttural-funzionalismo di Parsons e Merton;
la teoria degli usi e gratificazioni introduce l’interrogativo di quali funzioni i media svolgono nella
società, e non solo i loro effetti in specifiche situazioni (vengono perciò considerati i media nella
loro normale fruizione) Parsons (1951): afferma che un sistema sociale deve poter svolgere 4
“imperativi funzionali” : adattarsi all’ambiente, definire i propri obiettivi, conservare la propria
organizzazione, integrare la proprie parti. Per lui bisogno considerare le alternative funzionali per
ogni bisogno sociale, poiché ogni funzione può essere svolta da più sottoinsiemi. Merton (1957):
dice che i media possono avere funzioni manifeste o funzioni latenti. Quando gli elementi del
sistema infrangono l’equilibrio sociale si dicono disfunzionali. La teoria funzionalista delle com. di
massa analizza funzioni e disfunzioni dei media. Lasswell (1948) ha una concezione funzionalista
della società: ogni componente opera al fine di mantenere l’equilibrio. Individua 3 funzioni dei
media connesse ai bisogni e agli usi del pubblico :
1. Sorveglianza dell’ambiente –fornire informazioni: possibilità di mettere in stato di allarme i
cittadini in caso di pericolo o di avvisarli di nuove opportunità. diplomatici, ambasciatori,
corrispondenti esteri
2. Correlazione delle componenti sociali – fornire interpretazioni: interpretazione delle
informazioni relative ai media editori, giornalisti, speakers.
3. Trasmissione dei valori culturali – esprimere i valori dell’identità sociale: da una generazione
all’altra famiglia e scuola.
Wright (1960) riesamina le funzioni individuate da Lasswell e ne introduce una quarta:
l’intrattenimento. Egli sente il bisogno di ampliare e complicare lo schema del predecessore, in
seguito alla “scoperta” di Merton delle funzioni manifeste e latenti e dall’esame più approfondito
fatto da Lazarsfeld e Merton sulle funzioni e disfunzioni sociali dei media. Perciò, le funzioni delle
comunicazioni di massa nella società si possono raggruppare nello schema:
1. Conferiscono uno status sociale (per chi è fatto oggetto dai media es: partecipanti di reality) 2.
Impongono o rafforzano le norme sociali (tramite la denuncia delle deviazioni dalla norma) 3.
Allertano i cittadini (trasmettano agli individui notizie relative a cosa succede nel mondo) 4.
Rafforzamento di prestigio per chi ne fruisce: creazione degli opinion leaders.
5. Forniscono strumenti per compiere attività quotidiane Nel 1972, Mcquail,Blumer e Brown
proseguono l’analisi delle funzioni dei media, questa volta considerandone gli effetti principalmente
sull’individuo. Distinguono anche loro 4 punti: 1.informazione 2.identità personale (esplorazione di
se stessi e della realtà, rafforzamento dei valori) 3. Integrazione ed interazione sociale (possibilità
di incrementare le relazioni sociali o di usare i media come sostituti di compagnia 4.
Intrattenimento (fuga dai problemi e dalla routine, rilassamento)
La teoria degli “usi e gratificazioni” dice che il pubblico “usa” i contenuti dei media allo scopo
di ottenere determinate “gratificazioni” (ovvero, il pubblico si espone solo ai contenuti che
presume gli possano soddisfare determinati bisogni). Katz,Guerevitch e Haas (1973) individuano 5
classi di bisogni psicologici e sociali che i media possono soddisfare e che sostanzialmente servono
alle persone per potersi connettere, con sé stessi o con altri:
1. Bisogni cognitivi (miglioramento delle conoscenze e della comprensionei media informano
perché le persone hanno bisogno di essere informate)
2. Bisogni affettivi-estetici (i media rafforzano la sfera emotiva e la ricerca di appagamento estetico)
3. Bisogni integrativi a livello della personalità (rassicurazione –anche se questo è un paradosso,
perché al
contempo sono anche causa di allarmismo- , stabilità emotiva, incremento di status) 4. Bisogni
integrativi a livello sociale (rafforzamento dei contatti interpersonali con famiglia e amici)
Wright
5. Bisogni di evasione (allentamento delle tensione e dei conflitti) Il punto cruciale di questa teoria
è la concezione di un’audience attiva, che fruisce dei media per soddisfare i propri bisogni (essi
sono comunque in competizione con altre fonti di soddisfazione dei bisogni), ne seleziona i
contenuti con l’intenzione di raggiungere uno scopo. Inoltre risulta che ad ogni medium sia
collegato un determinato modello di fruizione e che esso, insieme al contesto sociale di provenienza
del pubblico, debba essere maggiormente studiato. Gli studi misero in evidenza che è possibile
trarre gratificazione dal medium in sé, dai suoi contenuti e da alcuni aspetti riguardanti il contesto
di fruizione.
Ricerche inerenti a questa teoria: nel 1940 Waples affermò che “non dobbiamo domandare ciò che i
media fanno alla gente, ma cosa la gente fa con i media”. Nel 1944 Herta Herzog condusse una
ricerca sul pubblico femminile delle soap-operas radiofoniche: “What we really know about daytime
serial listeners”. Risultò chele donne traevano 3 principali tipi di gratificazioni da questo prodotto:
si rilassavano, sognavano compensando le frustrazioni della vita quotidiana, traevano spunti e
consigli per risolvere problemi di vita comune. Nel 1949 Berelson condusse uno studio sulla
reazione di fedeli lettori di quotidiani durante uno sciopero dei giornali a New York, “What missing
the newspapers means”: molti furono indotti ad aprire i vecchi quotidiani poiché ne sentivano la
mancanza, in quanto essi svolgevano la fondamentale funzione di fornire informazioni utili. Altre
ricerche condotte dagli anni ’70, evidenziarono che: cinema e libri erano ritenuti media che
permettevano di riflettere su di sé, mentre radio, quotidiani e tv servivano per connettersi con la
società; inoltre, in base al livello di istruzione, le persone più colte preferivano usufruire di media
cartacei, mentre le persone meno intellettuali prediligevano i mezzi elettronici. Nel 1974, B.
Greenberg svolse una ricerca su 726 ragazzini tra i 9 e i 15 anni, per rilevare quali gratificazioni
derivavano dalla visione della televisione: relax, passatempo, compagnia, informazione, abitudine,
scoprire qualcosa su sé stessi, provare emozioni.
Critiche alla teoria: approccio troppo centrato sull’individuo, si perde di vista il contesto sociale.
La concezione attiva dell’audience è troppo estremizzata, perché, come è risultato anche dalle
ricerche, qualche volte si fruisce dei media anche solo per compagnia o per passare il tempo. La
visione decisamente ottimista dell’audience fa perdere di vista gli effetti sia a breve che a lungo
termine che hanno i media su di essa.
Teoria critica Le ricerche svolte in Europa sul potere dei mass media non erano svolte per gli
interessi di qualche broadcasters, ma si volevano rilevare gli effetti macrosociali che essi avevano
in campo economico, politico e ideologico. Gli studi furono svolti dagli appartenenti alla Scuola di
Francoforte (istituto per le ricerche sociali) fondato da M. Horkheimer, di cui facevano parte T.
Adorno, H.Marcuse, E.Fromm,W.Benjamin, F.Pollock, L. Lowenthal etc. La critica che muovono
alla settorialità della cultura (che sfavorisce il mutamento della società), è di stampo marxista ( e fa
anche riferimento alla filosofia dialettica hegeliana). Questi studiosi analizzano
contemporaneamente gli aspetti strutturali e sovrastrutturali ( cultura di massa) della società,
concependo una stretta e continua interazione tra di essi. Nella “Dialettica dell’illuminismo”,
Horkheimer e Adorno parlano per la prima volta di industria culturale , ovvero i prodotti dei
media sono gestiti al pari di qualsiasi altro prodotto commerciale (sottoposti cioè a
standardizzazione e semplificazione) dall’ élite dominante (che ha il potere), che li sfrutta per
manipolare il pubblico. Questa manipolazione avviene in maniera subdola e sottile. I media hanno
perciò effetti di controllo psicologico, che riduce il pubblico ad un insieme di pseudo-individui,
privati della libertà di pensiero l’audience è passiva, contraddicendo la teoria di Lazarsfeld
secondo cui vale la percezione selettiva. La struttura dei contenuti dei media è multistratificata e
nasconde messaggi latenti volti a trasmettere messaggi ideologici che inculcano le idee dell’élite.
Marcuse, ne “L’uomo a una dimensione” (1964), si scaglia contro l’industria della pubblicità che
promuove “falsi bisogni”: gli individui non si accorgono di acquistare e di consumare beni prodotti
in serie, simili tra loro e superflui, solo per assomigliare gli uni agli altri, perpetuando così il
proprio asservimento al sistema. Adorno critica la musica commerciale, che con la sua ripetitività
banalizza i contenuti dei media e favorisce nel pubblico riflessi condizionati. Ha avvio il dibattito
sul divario tra Alta Cultura (letteratura colta, musica da camera, teatro, opere d’arte) e Bassa
Cultura, o Cultura di Massa (Prodotti standardizzati) Benjamin afferma che l’Alta cultura viene
distrutta dalla riproducibilità.
Critiche alla teoria: C’è una concezione del tutto astratta dell’audience (non comprovata dalla
ricerca empirica) e si considera una massa omogenea di individui; la società è suddivisa solo in due
categorie: i succubi e l’élite dominante. Comunque, agli studiosi della scuola di Francoforte va
riconosciuta la scoperta dell’interdipendenza tra il sistema dei media e il sistema economico-
politico, idea che li ha fatti scagliare contro gli esponenti della teoria degli effetti limitati, sviluppata
negli stessi anni in America. In particolare, si registra il dibattito tra Adorno (emigrato negli USA
durante la guerra) e Lazarsfeld: il primo accusa il secondo di svolgere un tipo di ricerca
“amministrativa”, che non si interroga sui condizionamenti socio-culturali che l’audience ha
durante la fruizione dei media e sul fatto che i loro studi erano sfruttati a scopo di guadagno dai
broadcasters; inoltre Adorno rifiutava i metodi di analisi quantitativi di Lazarsfeld, che a sua volta
accusava Adorno di non verificare empiricamente i risultati delle ricerche.
Scheda: dibattito sulla cultura di massa
Teorie sugli effetti a lungo termine: la costruzione sociale della realtà Negli anni ’70-’80, sia in
America che in Europa c’è un ritorno alla concezione degli effetti forti dei media; inoltre c’è
l’intenzione di verificarne gli effetti a lungo termine (e non in particolari contesti, come lo studio
di Hovland sulle campagne di propaganda politica). Segna l’inizio di questa inversione di tendenza
il saggio di E.N Neumann del 1973 “Return to the concept of powerful mass media”. Vengono
fortemente criticati i modelli comunicativi che presuppongono un’efficacia dei media immediata e
diretta (“s-o-r” o “informazionale”), il cui uso ha probabilmente condizionato la ricerca stessa di
effetti a lungo termine (= effetti che i media esercitano nel tempo sul sistema sociale delle
conoscenze degli individui, sono invisibili, latente, meno facili da verificare empiricamente ma
proprio per questo ritenuti più incisivi). Per indagarli, si attinge ora a campi del sapere quali la
sociologia, la psicologia cognitiva, la psicologia sociale, la linguistica. Ne “La realtà come
costruzione sociale” di Berger e Luckermann (1966), gli autori sostengono che la realtà viene
costruita socialmente. Secondo loro, c’è una relazione dialettica tra gli esseri umani (produttori) e il
mondo sociale (prodotto); di conseguenza anche il processo di trasmissione delle conoscenze è
dialettico e circolare, e si articola:
1. ESTERIORIZZAZIONE: le conoscenze sono prodotte dagli esseri umani tramite l’esperienza e
le intuizioni personali.
2. OGGETTIVIZZAZIONE: le conoscenze vengono tipizzate, istituzionalizzate (ricondotte a leggi,
regole, teorie) tramite il linguaggio
3. INTERIORIZZAZIONE: le conoscenze vengono interiorizzate tramite il processo di
socializzazione. Si torna quindi ad una concezione pessimistica dell’audience: gli individui
tendono a dipendere dai media non solo per ottenere informazioni, quanto per formarsi un’idea
della realtà sociale che li circonda i media diventano apparati di mediazione simbolica della realtà.
Ricerca effettuata dai coniugi Lang sulla costruzione della realtà da parte della televisione: “The
unique prospective of television and its effects” (1953), utilizzando il metodo dell’osservazione
partecipante. Essi esaminarono le reazioni degli spettatori che osservarono la parata per il ritorno
del generale MacArthur dalla guerra di Corea in diretti e di quelli che la videro in televisione in
diretta: ne dedussero che la TT tende ad imporre la propria prospettiva degli evnti. Infatti tramite
inquadrature strategiche, il pubblico da casa ebbe l’idea di una manifestazione molto più grande e
spettacolare di quella che fu in realtà. questo fenomeno di ricostruzione degli eventi da parte della
televisione è detto “effetto-valanga”, in quanto non lascia spazio al dissenso o all’interpretazione
personale.
Il ritorno ad un’idea degli effetti forti dei media è dovuta al contesto di quegli anni, in cui si assiste
alla globalizzazione, a grandi cambiamenti tecnologici e soprattutto all’instabilità politica e sociale
cui si assiste sia in Europa che negli USA (contestazione del ’68, movimento femminista, Guerra
fredda).
Teoria della “spirale del silenzio” Ideata da Elisabeth Noelle Neumann, che critica la ”teoria degli
effetti limitati” di Lazarsfeld: secondo lei, egli tralascia l’interrogativo su come si formano le
opinioni, focalizzandosi solo su come essi vengano rinforzate. La teoria dice che i media, in
particolare la televisione, hanno il potere di influenzare, addirittura di creare l’opinione
pubblica, enfatizzando particolari aspetti di una determinata questione. Ogni individuo tende ad
adeguarsi all’opinione dominante portata avanti dai media, per paura dell’isolamento sociale,
e questo produce un effetto a spirale di riduzione al silenzio delle opinioni contrastanti. Inoltre
la capacità del pubblico di selezionare i contenuti è fortemente limitata dalla cumulatività (
ripetitività delle informazioni rese rilevanti dai media) e dalla consonanza (argomentazione
unanime di eventi e notizie) dei contenuti dei media. neutralizzazione della selettività. L’ipotesi
della passività dell’audience implicita in questa teoria sembra dipendere dalla pressoché totale
mancanza di pluralismo dell’informazione e al bisogno insito nella natura umana di conformarsi gli
uni agli altri. Quest’ultima caratteristica viene assolta dalla funzione definita percezione-quasi-
statistica: gli individui compiono un’osservazione costante dell’ambiente sociale al fine di
individuare il clima d’opinione prevalente, cui aderire per non essere isolati: i media, enfatizzando
un determinato clima d’opinione, diventano lo strumento principale per orientarsi. Una ricerca
dell’autrice che parve conservare questa teoria fu quella svolta sui votanti di una campagna
elettorale (1965): per mesi le intenzioni di voto rimasero invariate, poi quando venne diffusa la voce
che avrebbe vinto il partito conservatore, si produsse un effetto di conversione nella direzione del
vincitore annunciato (last minute swing). i media riescono a convertire le opinioni, non solo a
rafforzarle. La Neumann riconosce la possibilità di cambiare la società, a quell’individuo che riesce
a superare la paura dell’isolamento, ma questo è un caso molto raro ed eccezionale. Il punto di vista
recente del francese Moscovici (1991) critica e rovescia la teoria della spirale del silenzio: egli
ripone fiducia nella capacità delle minoranze attive di risvegliare le masse dall’apatia prodotta
dall’adottare le opinione della maggioranza.
Teoria della coltivazione Elaborata da G.Gerbner e dagli studiosi americani dell’Annenberg Scholl
of Communications dell’Università della Pennsylvania. Viene attribuita particolare importanza al
potere della televisione, in particolare del genere della fiction. In “Living with television”, Gerbner
afferma che i bambini nati nell’era della televisione conoscono la realtà mostrata dalle fictions, che
agiscono da agenti di socializzazione; sostiene che nel lungo periodo la televisione ha il potere
di “coltivare” immagini della realtà semplificate, distorte e stereotipate, che finiscono per
essere confuse o sovrapposte con la realtà “oggettiva” più le persone guardano la tv, più ne
subiscono l’influenza. L’impatto della televisione viene definito “effetto
mainstreaming”(“elaborazione teorica e verifica empirica dell’ipotesi che la televisione coltiva
prospettive comuni, che produce un’omogeneizzazione delle prospettive e una convergenza degli
spettatori più disparati. Il mainstreaimng fa della TV il melting pot del popolo americano del
ventesimo secolo”)Inoltre denuncia che la TV offre contenuti di massa che non consentono una
vera e propria scelta, in quanto caratterizzati tutti dalle stesse caratteristiche di base.
L’appiattimento delle opinioni fa rafforzare lo staus quo e scoraggia i cambiamenti in questa teoria
la televisione svolge il ruolo di freno ai mutamenti sociali . Gerbner e i suoi collaboratori (Morgan,
Signorielli, Gross) hanno svolto numerose ricerche nell’ambito della “cultivation analysis”, atte a
capire in quale misura guardare la televisione contribuisca a influenzare le concezioni e i
comportamenti dell’audience. L’analisi si divide in due fasi:
1. Analisi di contenuto (ricostruisce con una metodologia quantitativa, la rappresentazione della
realtà veicolata dalla televisione)
2. L’analisi dell’audience (somministrazione di questionari, si vuole rilevare le percezioni della
realtà posseduto dal pubblico intorno all’argomento trattato e le sue abitudini di consumo). Tra la
variabili relative all’audience, la più importante è la quantità di tempo passata a guardare la tv: chi
la guarda per più di 4 ore è un heavy viewer, chi la guarda meno e non tutti i giorni è un light
viewer.
Tra i principali risultati emersi dalle ricerche, risulta che -riguardo ai contenuti: c’è uno scarto tra la
realtà e quella rappresentata dalle fictions. Il mondo della televisione distorce alcuni dati della
realtà, sovra-rappresentando alcune categorie o aspetti della realtà e sotto-rappresentandone altri (ad
es: la immagini femminili rispetto a quelle maschili sono in rapporto di 1 a 3, e anche le persone di
colore e le minoranza raziali sono sotto-rappresentate;la classe sociale maggiormente rappresentata
è la middle-class, mentre il numero di crimini è 10 volte maggiore di quello reale). Si fa particolare
attenzione alla presenza femminile nelle fiction (in media le donne in TV risultano più giovani, più
snelle e meno inserite nel mondo del lavoro). Tuchman svolge la ricerca “Heart and Home: images
of woman in the mass media” (1978): rileva che la sotto-rappresentazione della donna e l’insistenza
sulle immagini stereotipate o della casaliga-madre o della donna-oggetto possa produrre un
annullamento simbolico del genere femminile. -riguardo all’audience: i consumatori “forti” di
televisione tendono molto più dei consumatori “deboli” ad assorbire passivamente le concezioni
trasmesse dai media, fino ad arrivare a confondere il piano della realtà con quello della sua
rappresentazione. Nella ricerca di Gerbner, “Violence in television Drama”(1972), emerge che gli
heavy viewers credono che il mondo sia molto più violento i quello che è.
Critiche alla teoria: si accusa la teoria di avere alla base un modello comunicativo troppo semplice
(relazione causa- effetto), che non tiene conto della variabili psicologiche e sociologiche che
intervengono nel processo di ricezione. Il limite principale della teoria è il dare per scontata
l’equivalenza tra la concezione della realtà veicolata dalla televisione e le opinioni del pubblico.
Teoria della “dipendenza” Proposta da M. Defleur e S. Ball Rokeach. Parte dal presupposto che
l’esperienza vissuta direttamente dagli individui è limitata rispetto alle conoscenze della realtà
cui è possibile accedere attraverso i media: gli individui tendono perciò a “dipendere” dai
media per ottenere informazioni adatte ai loro scopi. A partire dall’analisi macrosociale degli
effetti dei media, viene esplorata la relazione che gli individui instaurano con essi a livello
microsociale, mettendo in luce come questa fitta rete di relazioni sia interdipendente e limita il
comportamento di consumo degli individui. Questa teoria ha obiettivi molto generali, quindi non è
supportato da ricerca empirica. Secondo i due studiosi, il sistema dei media è una risorsa
fondamentale della società, perché esso controlla le risorse d’informazione utili agli individui per
raggiungere i propri scopi, e a sua volta i media dipendono dalle risorse attinte da altri ambiti
sociali (es: stretta inter-dipendenza tra sistema mediatico e sistema politico). Gli individui
dipendono dalla risorse informative dei media per raggiungere principalmente tre scopi:
1. Comprensione ( A) di sé stessi – fanno sviluppare la personalità e la capacità di auto-percezione-
e B) sociale –i media forniscono le categorie interpretative per “leggere” la realtà-)
2. Orientamento ( A) all’azione – i media forniscono esempi di comportamento
economico,politico,sociale- e B) all’interazione –si fa affidamento sui suggerimenti forniti dai
media riguardo il comportamento da tenere con gli altri)
3. Svago ( si dipende dai media per svagarsi con attività individuali o di gruppo) Nonostante questa
teoria abbia delle assonanze con quella degli “usi e gratificazioni”, la differenza sta nella
concezione tutt’altro che attiva dell’audience, che qui dipende dai media, attraverso vincoli
strutturali e di contenuto.
Gli studiosi intendono dimostrare gli effetti dei media sugli individui facendo riferimento al
paradigma cognitivo: maggiore è il grado di dipendenza, più aumenta la probabilità che si
verifichino effetti cognitivi, affettivi e comportamentali a lungo termine. Le relazioni di dipendenza
dai media si rafforzano in caso di pericolo o di un momento di passaggio nell’ambiente sociale
(accedere alla informazioni in questi casi serve per capire cosa succede e come agire). Il processo
che porta a rinforzare la dipendenza si articola in:
1. Gli individui (selezionatori attivi) decidono di esporsi al contenuto dei media per raggiungere
degli scopi. 2. Si instaurano dipendenze di varia intensità a seconda delle motivazioni e degli scopi
personali e delle
sollecitazioni provenienti dal contesto sociale. Maggiore è l’intensità delle dipendenze,maggiore
sarà il grado di stimolazione cognitiva o affettiva.
3. Maggiori sono le stimolazioni, maggiore sarà il coinvolgimento(che permetterà la
memorizzazione) 4. Maggiore è il coinvolgimento, maggiori saranno gli effetti cognitivi, affettivi e
sui comportamenti
Critiche alla teoria: pur partendo dal contesto macrosociale, la teoria va ad indagare gli effetti a
livello troppo personale, arrivando a psicologizzare il modello comunicativo. Nonostante questo, va
riconosciuta alla teoria il riconoscimento di una non necessaria inter-dipendenza tra effetti forti e
audience passiva ( nonostante il pubblico utilizzi la percezione selettiva, i media controllano la
società alle basi)
Teoria dell’agenda-setting Nasce con il saggio di M.McCombs e D.Shaw “The agenda-setting
function of the mass media” (1972). Gli studiosi si interrogano sul ruolo svolto dai media (in
particolare i giornali) nella costruzione sociale della realtà; l’audience tende a dare maggiormente
importanza a ciò che viene trattato ed enfatizzato dai media, mentre ciò che viene da essi escluso o
posto in secondo piano viene ignorato dal pubblico. I media dicono al pubblico non “cosa” pensare,
ovvero quale opinione avere, ma hanno un ruolo fondamentale nell’orientare gli individui sulla
scelta degli argomenti intorno ai quali pensare. I temi posti quotidianamente “in agenda” dai
media, vengono percepiti dal pubblico come temi rilevanti e su cui è “necessario” farsi
un’opinione; i temi che occupano i primi posti nella gerarchia delle notizie creata dai media
diventano i temi prioritari anche dell’agenda del pubblico. Gli effetti considerati sono a lungo
termine, in quanto sono effetti cognitivi cumulativi che incidono sui criteri di valutazione e sulla
scale di valori degli individui. L’enfatizzazione o la scarsa considerazione di alcune notizie da parte
dei media va a costruire una cornice interpretativa attraverso cui la gente guarda la realtà sociale. La
ricerca che ha dato il via a questa teoria è quella svolta da McCombs e Shaw durante la campagna
presidenziale americana del 1968: vennero confrontate i temi/problemi enfatizzati dai media con
quelli ritenuti più importanti da 100 elettori ancora indecisi; risultò una forte corrispondenza tra
temi dei media e temi delle persone. McClure e Patterson (1976): ricerca durante la campagna
presidenziale del ’72, risultò che la stampa (notizie fruibili con calma, su cui si poteva tornare sù in
modo soggettivo) esercitava un effetto di agenda-setting maggiore di quello della TV (notizie
troppo frammentate e veloci). Una loro seconda ricerca dimostrò che tuttavia la televisione aveva
un ruolo importante nel fornire un’immagine complessiva della politica,che poteva influenzare
l’agenda del pubblico. Successive ricerche dimostrarono però, che le conoscenze e le esperienze
pregresse individuali riducono la possibilità dei media di esercitare effetti di agenda; inoltre funge
da mediazione anche l’agenda personale (=priorità assegnate a determinati temi dagli individui in
base agli interessi personali e all’esperienza diretta). Di solito avviene un’integrazione tra l’agenda
personale e quella dei media, e quest’ultima ha più influenza su quei temi di cui il soggetto non ha
esperienza personale. Altri studiosi hanno rilevato che avviene un intreccio tra tre tipi di agenda del
pubblico: intrapersonale (riguarda il proprio paese), quella interpersonale (temi più discussi nella
cerchia delle proprie relazioni), quella relativi alla percezione del clima d’opinione (temi che
l’individuo pensa siano rilevanti per gli altri). Dagli anni ’80 viene maggiormente studiato il campo
dell’agenda-building: studi su chi determina l’agenda dei media. L’interrogativo più grande di
questa teoria è quello della time-lag: quanto tempo deve passare perché i temi enfatizzati dai media
entrino nell’agenda del pubblico?
Newsmaking e Valori-notizia Le notizie vengono “costruite”: inizialmente si attribuiva potere
decisionale al giornalista, definito “gate- keeper” (guardiano del cancello seleziona le notizie). In
seguito viene studiato il processo di distorsione inconsapevole delle notizie da parte dei media,
attraverso i processi di raccolta, selezione e presentazione. 1. Raccolta: l’attività del giornalista in
realtà è prevalentemente svolta “a tavolino” ,quindi il primo filtro sono le
agenzie di stampa che passano le notizie ai giornalisti, con il risultato di un’omogeneizzazione delle
notizie. Inoltre esse devono rispettare lo scadenzario e spesso,sottostare al volere di chi ha il potere
economico e politico e li finanzia.
2. Selezione: per scegliere le informazioni più notiziabili, i giornalisti si affidano a dei valori-
notizia, che sono regole pratiche osservate per velocizzare il tempo. I criteri “sostantivi” di
notiziabilità sono: 2.a.Rilevanza delle persone e delle nazioni coinvolte (+ rilevanza mondiale
hanno,+ fanno notizia) 2.b.Impatto sulla Nazione e sull’interesse nazionale (interessa di +, se
riguarda gli interessi politici-economici
dello Stato) 2.c.Quantità di persone che l’evento coinvolge (+ persone coinvolge,+ ha probabilità di
interesse)
2.d.
Rilevanza e significatività dell’evento riguardo agli sviluppi di una determinata situazione
2.e.Novità e negatività (sono più notiziabili notizie negative e che vanno contro il normale ordine
delle cose) 2.f. Frequenza e brevità (un evento deve essere di breve durate e deve essere avvenuto
nelle ultime 24 ore, così da
poter essere uno scoop) 2.g.Qualità della storia originale (bisogna avere un buon materiale di
partenza)
3. Presentazione: avviene una decontestualizzazione degli eventi e una ricontestualizzazione entro il
formato delle notizie. Si tende sempre di più alla spettacolarizzazione della notizia e alla
tematizzazione (ovvero si raggruppano notizie a tematica simile). Infine, si assiste alla
personificazione della notizia, che è quella procedura di semplificazione della realtà che si ottiene
dando un volto e un nome ai fatti, che serve ad umanizzare i problemi.
Schede: Media e comunicazione politica; Le rappresentazioni sociali.
Audience Studies (l’audience situata) Filone di ricerche sul consumo di prodotti culturali popolari
sviluppatosi dagli anni ’80,in cui viene considerato prioritariamente il punto di vista dell’audience.
Si usa un approccio teorico- empirico. Questi studi mettono in luce la necessità di riconsiderare
il processo di comunicazione, compresa la questione del potere dei media, a partire
dall’analisi del comportamento dell’audience nel loro naturale contesto di fruizione.
Influenzano questi studi, la teoria degli “usi e gratificazioni” (che dava forte potere all’audience, ma
ignorava la relazione tra essa e il testo), e le teorie reader-oriented ( che esplorano la relazione
testo-lettore). I Cultural Studies britannici (di cui questi entrano a far parte e li ampliano) nascono
attorno agli anni ’50-’60 all’Università di Birmingham; hanno l’intenzione di studiare la cultura e le
pratiche sociali che formano la working- class. La prima fase di questi studi è definita “culturalista”
(Williams, Hoggart, Thompson),la seconda “strutturalista”, alla cui base c’è il concetto di ideologia
Althusser (per lui l’ideologia è la rappresentazione del rapporto immaginario degli individui con le
proprie condizioni di esistenza reali. Nelle società capitalistiche, lo Stato esercita il potere tramite la
repressione e l’ideologia; sostiene che l’ideologia viene interiorizzata dai soggetti in maniera
inconscia e perciò la soggettività diventa prodotto sociale) e Gramsci (fonde questo concetto con
quello di “egemonia”,che è il controllo della classe dominante sulle classi subordinate; la classe
dominante trasmette un’ideologia, che insinuandosi subdolamente nella mente degli individui, li
convince ad acconsentire di propria spontanea volontà alla sottomissione e all’omologazione). La
teoria di Gramsci in particolare verrà sfruttata dagli Audience Studies, in quanto è un incontro tra la
corrente culturalista e strutturalista. È sotto il suo impulso che vengono effettuati studi sulle sub-
culture giovanili: esse vengono interpretate come la risposta delle classi operaie giovanili attraverso
il rituale e lo stile alla cultura egemonica dominante. Gerbner e McRobbie, nello studio “Girls and
Subcultures” denunciano il fatto che nei Cultural Studies non si è data abbastanza importanza al
ruolo femminile. Infatti è solo con lo scoppio del fenomeno femminista che è introdotta negli studi
culturali la riflessione sulla concezione patriarcale e gerarchica tra i sessi imposta dalla cultura
egemone. Negli anni ’70 la “riscoperta dell’ideologia” investe anche gli sudi veri e propri sulle
comunicazioni di massa, che abbandonano così la fase “degli effetti limitati”. Da questo momento,
gli studi si concentrano sulla significazione dei testi e vengono svolte quindi soprattutto analisi di
contenuto. l’audience è considerata estremamente passiva. Un’altra influenza a questi studi arriva
dalla Screen Theory (anni ’70),elaborata dalla rivista cinematografica inglese Screen, secondo cui il
testo filmico impone i propri significati all’audience in quanto “posiziona” ogni soggetto all’interno
di categorie discorsive preordinate. (ad es, Laura Mulvey nel saggio “Visual pleasure and narrative
cinema” ci dice che i film hollywoodiani sono visti principalmente dal punto di vista maschile.)
Negli anni ’80, i Cultural Studies passano dal “potere die media” al “potere dell’audience”: si pone
l’accento sui concetti di identità e soggettività, si cominci a distinguere il pubblico per classi,
genere, etnia, età. Si inizia inoltre ad esaminare il contesto in cui l’audience fruisce dei media, per
capire come il contesto socio culturale, economico, politico, storico influenzi la loro percettività. Si
fa esplicito riferimento all’ Encoding/Decoding Model di Hall (vedi ) Gli aspetti principale degli
Audience Studies sono:
1. Si rivaluta il ruolo dell’audience come componente “attiva” del processo di comunicazione; si
sostiene che ogni individuo offra un’interpretazione soggettiva dei testi e li usa per gratificare i
propri bisogni. In questo caso però, si crea tra l’audience e il testo una relazione basata sulla
negoziazione dei significati, data dall’attività interpretativa delle audience. Ogni soggetto viene
considerato in un determinato contesto socio- culturale.
2. Gli Audience Studies concentrano l’attenzione su audience televisive popolari (perché i
programmi popolari vengono ritenuti testi aperti a molteplici interpretazioni). Si considerano ora
audiences al plurale, perché esse si suddividono in base ai gusti delle persone,.
3. La metodologia maggiormente utilizzata è quella qualitativa, consistente nell’applicazione di
metodi etnografici (osservazione partecipante nel contesto di fruizione naturale le case e le famiglie
che le abitano diventano microcontesti da analizzare)
Ci sono anche criteri relativi all’INTERESSE, ovvero si deve anche stabilire la disponibilità,
l’attrattiva e la qualità della notizia:
Alcune delle ricerche più famose svolte nel contesto degli Audience Studies: 1) “The Nationwide
Audience: structure and decoding”(1980), David Morley: ricerca sull’Audience di un programma di
attualità della BBC, the Nationwide, che tende a offrire un’immagine tradizionalista e idealizzata
della Gran Bretagna. Intervista vari tipi di persone: MANAGER in accordo con la lettura
dominante, SINDACALISTI condividono la retorica populista, ma prendono le distanze a seconda
dei problemi affrontati dal programma, STUDENTI/ESSE DI COLORE in netta opposizione
perché il programma affronta tematiche troppo distanti da loro. (Morley fu criticato per il fatto che
abbia applicato in modo fin troppo rigido lo schema di Hall delle possibili risposte ad uno stesso
testo; è necessario avere una visione più complessa sia della codifica, che della decodifica)
2)”Housewives and the Mass Media”(1980), Dorothy Hobson: introduce nei Cultural Studies la
tematica della differenza di genere collegata all’uso dei media. Sulla base di conversazioni con
giovani casalinghe della working class, la Hobson dedusse che la fruizione die media da parte loro
serviva per alleviare la noia e la ripetitività dei lavori domestici. Inoltre i tipi di programmi
televisivi seguiti erano Soap operas, quiz, spettacoli d’intrattenimento leggero mentre non
gradivano i notiziari e in generale quelli che parlavano di guerra, di politica o d’economia. la
fruizione dei media dipende dall’uso che se ne vuole fare e anche dal contesto sociale da cui
proviene l’audience. 3) “Public Secrets:”East Enders” and Its Audience” (1987) David
Buckingham: esamina la soap opera East Enders dalla prospettiva della struttura organizzativa che
produce il testo, dalla struttura del testo, dalla struttura del mercato televisivo, le risposte
dell’audience. Si passa ad una concezione di struttura “aperta” del testo, il cui senso viene costruito
anche dall’audience tramite le interpretazioni soggettive. 4) “The export of meaning: Cross-
Cultural reading of “Dallas””(1990) Liebes e Katz: la ricerca venne condotta in Israele su diversi
gruppi etnici che offrirono diverse interpretazioni del programma, a secondo delle proprie norme
culturali, della religione, delle credenze politiche. Questa ricerca pone l’accento sugli effetti delle
globalizzazione sulla cultura, sottolineando il concetto di audience attiva.
Modelli comunicativi Modello Informazionale (Shannon e Weawer, 1949) Deriva dalla teoria
matematica dell’informazione (cibernetica) , serviva per cercare di migliorare la comunicazione
telefonica. Il modello esemplifica la trasmissione ottimale dei messaggi da una fonte di
informazione ad un destinatario, attraverso un canale. Lo scopo principale è quello di far passare il
massimo dell’informazione con il minimo di distorsione e la massima economia di tempo (è un
modello applicabile sia a macchine che a uomini, quindi ha avuto molto successo). Applicato alle
comunicazioni di massa, questo modello mostra uno schema del tutto lineare, che ignora quello che
sta in mezzo tra lo stimolo e la risposta postula perciò un’audience del tutto passiva. Modello
semiotico-informazionale (Eco, Fabbri e altri, 1965) Introduce modifiche al modello
informazionale: l’accento viene posto sul passaggio di “significati” dall’emittente al destinatario,
piuttosto che di “informazioni”: il processo comunicativo dei media viene concepito come una
trasformazione di significati; i significati vengono da un lato “codificati” dall’emittente, e dall’altro
“decodificati”(interpretati) dal destinatario. Basilare in questo modello è il concetto di codice:
l’assegnazione di un sistema di significati ad un sistema di significanti. Questo modello concepisce
il processo di comunicazione come una relazione negoziale tra emittente e destinatario, ciascuno
dei quali possiede codici propri (l’audience, essendo interprete, ha una funzione attiva). Per
comprendersi, però, le due parti devono avere alcuni codici di base in comune (es: competenze
linguistiche); nel caso di “non comprensione” o interpretazione difforme dall’intenzione del
destinatario, si parla di “decodifica aberrante”. Può anche avvenire una “guerriglia semiologica”,
cioè un’intenzionale lettura divergente da parte dell’audience dei contenuti proposti dall’emittente,
al fine di smascherarne gli aspetti ideologici ed egemonici. MODELLO “SEMIOTICO-
TESTUALE” (Eco,Fabbri,1978): approfondisce alcuni aspetti del “semiotico- informazionale”; i
destinatari non ricevono messaggi singoli, ma “insiemi testuali”. Il testo infatti è intessuto da
molteplici messaggi aventi molteplici significati. Se ci sono più testi, si verifica una “competenza
intertestuale”. MODELLO “SEMIOTICO-ENUNCIAZIONALE” (Manetti, 1980): sostiene
che la comunicazione massmediatica sia diversa dalla comunicazione faccia-a-faccia, quindi,
siccome emittente e destinatario non si vedono, devono farsi un’idea dell’altro: per questo creano
simulacri l’uno dell’altro; l’interazione avviene attraverso e nel testo. La comunicazione mass-
mediatica non è a senso unico, ma una relazione biunivoca in cui l’emittente “propone” un certo
tipo di comunicazione” e il destinatario può cercare di riconoscervisi o rifiutarla.
Encoding/Decoding Model (Hall, 1980)
Egli utilizza il concetto di “codice”, considerando una possibile disparità tra il codice dell’emittente
e quello del destinatario. Questo modello si differenzia da quelli semiotici, perché dà maggiore
rilievo agli aspetti contestuali del processo comunicativo (in quali condizioni politiche, sociali,
economiche, storiche avvengono codifica e decodifica). Il processo comunicativo, secondo Hall, è
una relazione tra due momenti: l’emittente codifica un messaggio che veicola determinati significati
e che assume una certa “forma” a seconda del mezzo utilizzato; il destinatario, attraverso i propri
codici, decodifica il messaggio cercando di comprendere le intenzioni dell’emittente. È solo quando
il messaggio viene percepito dal pubblico come “discorso dotato di significato” e si integra nelle
pratiche sociali che si può parlare di “comunicazione”. Hall denuncia l’esistenza di un ”ordine
culturale dominante”, attraverso il quale i produttori cercano di imporre i propri significati al
pubblico (i produttori dei media operano all’interno dell’egemonia del codice imposto dall’élite
politica, economica o militare); al tempo stesso, però, le due parti nelle rispettive fasi di codifica e
decodifica, riescono a mantenere una certa autonomia, in quanto utilizzano i propri codici.
Attribuendo all’audience un ruolo attivo, Hall ipotizza 3 possibili posizioni dalle quali avviare il
processo di lettura dei testi:
1. Lettura dominante/egemonica: i destinatari decodificano il testo aderendo al codice dominante 2.
Lettura negoziata: i destinatari accettano la lettura dominante, ma in certi casi ne prendono le
distanze 3. Lettura in opposizione: i destinatari comprendono il codice dominante, rifiutandolo e
decodificando il
messaggio in una cornice di riferimento alternativa. Opponendosi intenzionalmente alla “lettura
preferita”, egli attuano una “politica di significazione” capace di mettere in discussione l’ordine
culturale dominante.
3. Usi sociali dei media Si intendono le pratiche e le esperienze di fruizione dell’audience nella vita
quotidiana. Ciascun individuo sperimenta quotidianamente l’uso di molteplici media che incidono
sul modo di organizzare la giornata, di intessere relazioni, di costruirsi una certa rappresentazione
della realtà sociale. Si tratteranno ora le audiences effettive, poiché sono colte nel loro contesto
naturale di fruizione (come la casa, la famiglia). I pubblici dei media Si distingue il pubblico
(insieme di individui che sceglie consapevolmente di partecipare ad uno spettacolo entro un ambito
spazio-temporale definito e che si comporta rispettando certe regole implicite; rappresenta una
forma istituzionalizzata di comportamento sociale) dall’ audience (aggregato casuale, mutevole e
provvisorio di individuiche fruiscono i media in maniera indiretta, poiché la ricezione dei testi non
avviene nello stesso momento in cui vengono prodotti; il consumo dell’audience è un insieme di
pratiche sociali non istituzionalizzate). L’audience di oggi è l’espansione quanti-qualitativa del
pubblico tradizionalmente inteso: ormai si usano questi due termini in modo interscambiabile. In
generale, il “pubblico” o “audience” è l’insieme di lettori, spettatori o ascoltatori di un dato medium
o di un determinato genere di contenuto. C’è stata un’evoluzione nel tempo del concetto di
pubblico. La prima estensione del concetto di pubblico tradizionale (quello che fruiva direttamente)
c’è stata con l’invenzione della stampa. Con la nascita della radio e poi della televisione (anni 20-
30), nascono i primi “pubblici di massa”. Tra gli anni 40 e 50, il pubblico inizia ad essere inteso
come gruppo sociale, non più massa anonima e omogenea, ma composta da persone aventi le stesse
caratteristiche socio-demografiche e simili interessi. L’espansione economica dell’industria dei
media rafforza invece il concetto di pubblico come mercato: individui considerati sia come
potenziali consumatori di prodotti culturali, che come potenziali acquirenti dei prodotti
pubblicizzati. Dal punto di vista dei media, diventa conveniente suddividere il pubblico-mercato
secondo modelli di consumo, “target-groups” cui orientare la comunicazione in modo mirato.
L’aspetto più importante considerato nel pubblico è la quantità di persone effettivamente raggiunte
dalla comunicazione (ad es,nel caso della TV, gli emittenti cercano di massimizzare l’audience,
poiché stabiliscono le quote pubblicitarie secondo gli indici di ascolto). Sembra in questo modo che
il pubblico sia controllabile e pianificabile, invece negli ultimi decenni le audience televisive sono
un’astrazione (Ang), un modo di generalizzare il pubblico da parte degli emittenti che è molto
lontano delle audiences effettive. McQuail propone una classificazione delle ricerche sul pubblico
in base all’importanza data all’audience dalle teorie nella storia dei media:
1. tradizione strutturale (prime ricerche sul pubblico con metodi quantitativi di inchiesta e analisi
statistica)
2. tradizione comportamentale (studi che cercano di individuare glie effetti dei media
presupponendo una comunicazione lineare tra emittenti e pubblico)
3. tradizione socioculturale (studi etnografici nell’ambito dei Cultural Studies) Ancora oggi ci sono
questioni teoriche dibattute:
I. L’audience è attiva o passiva? Prima era il concetto alla base delle teorie, oggi il dibattito ha perso
fondamento perché si è stabilito che non esiste un audience del tutto passiva o del tutto attiva.
Attribuibili ad un’audience attiva sono le caratteristiche di selettività, utilitarismo, intenzionalità,
coinvolgimento, resistenza o impermeabilità. Biocca afferma che l’attività/passività è una questione
di gestione dei significati: il potere del testo di imporre i propri significati ad un audience
scarsamente selettiva VS il potere di un’audience resistente che sceglie i contenuti e li interpreta.
II. Quale immagine dell’audience possiedono gli emittenti? L’immagine di un pubblico sempre più
esigente e critico che tuttavia rimane comunque sconosciuti e che gli emittenti a loro volta, hanno
poco interesse a conoscere: avviene una massificazione dell’audience perché per gli emittenti ciò
che conta è vendere (perciò difficilmente essi si interrogano sulle reali esigenze del pubblico) “ciò
che l’audience vuole non è altro che l’indicazione di ciò che le audiences effettive hanno finito per
accettare nel guardare la televisione”
III. Siamo arrivati alla fine delle comunicazioni di massa? Certamente no, Internet ha aperto infinite
strade da esplorare anche individualmente (“autostrade dell’informazione”), riconoscendo un
pubblico sicuramente attivo davanti all’ampia scelta di media disponibili. Si apre la questione del
digital-divide, il divario tra le persone ricche, che possono permettersi i new media, e quelle povere
che ne rimangono escluse. Internet ha prodotto una “dispersione delle masse”, in quanto il pubblico
può seguire i contenuti preferiti, in ogni momento, perciò le emittenti devono impegnarsi a
migliorare la qualità dei prodotti per attirare nuovamente piò audience possibile.
IV. Diffusione globale dei contenuti. Grazie alla tv satellitare, è possibile seguire molti programmi
da ogni parte del mondo; inoltre molti format o contenuti sono tradotti e copiati globalmente, tanto
che si può parlare di un’audience transnazionale. Morley afferma che “dal salotto di casa, il locale
incontra il globale”, ma al tempo stesso McQuail e D. Crane sostengono che non è ancora avvenuta
una globalizzazione della cultura, tale che in ogni parte del mondo un simbolo veicoli un dato
significato e per questo il globale difficilmente sostituirà il locale.
Usi sociali della televisione Secondo gli Audience Studies, la pratica del guardare la televisione
assume significato se la si considera calata nella vita quotidiana; in questo contesto, gli “usi” della
TV si estendono a considerare quella “extratestuali”( cioè, che esulano dall’effettiva fruizione del
testo in sé conversazioni che hanno come oggetto i contenuti televisivi etc.). Il contesto naturale di
fruizione è la casa, perciò tutti gli usi dei media entrano a far parte dei rapporti di potere familiari
(Silverstone afferma che la TV è entrata a far parte della nostra cultura domestica).
Ricerche sugli usi femminile della TV Le studiose, nell’ambito degli Audience Studies (in
particolare, del filone del “Feminist cultural television criticism”), si interrogano sul ruolo svolto
dalla soap operas nella vita quotidiana delle donne; di questa tipologia di testo, studiano la struttura
di significazione in sé e gli usi e i piacere che ne traggono le spettatrici. Negli anni ’70 le studiose
femministe erano critiche nei confronti dei prodotti culturali “per donne”, considerati contenuti con
cui si perpetuava la subordinazione femminile, attraverso le rappresentazioni stereotipate date.
Dagli anni ’80 vengono introdotte nei contenuti mediatici nuove figure di donne inserite nel mondo
del lavoro; questo perché molte correnti femministe di questo periodo si collocano nel modello di
valorizzazione femminile: sotto questo punto di vista, il genere delle soap è rivendicato come un
modello che rappresenta e capisce le donne. Le soap operas sono un prodotto destinato in modo
particolare alle casalinghe; in esse la donna è “motore” dell’azione, ha successo in casa come nel
lavoro, viene valorizzata la sfera privata e la capacità tipicamente femminile di intessere relazioni;
gli uomini sono sotto- rappresentati o mostrati come le donne vorrebbero che fossero. Molte
studiose concordano sul fatto che le soap sono testi aperti, che lasciano libertà di interpretazione e
di identificazione nei personaggi.
“Crossroads: the drama of a soap opera” (1982), Dorothy Hobson: prima importante ricerca
etnografica sul pubblico femminile delle soap; rilevò che guardando le soap, le donne cercavano di
“tagliarsi uno spazio per sé stesse”. Queste donne rappresentavano un pubblico attivo, che criticava
il grado di realismo delle situazioni rappresentate. “Watching Dallas” (1985) Ien Ang: dalle risposte
di 40 donne alla domanda sul perché questa soap appassionasse così tanto, Ang dedusse che il
piacere di guardarla dipendeva da un’impressione psicologica di realtà definita “immaginazione
melodrammatica” (i sentimenti dei personaggi erano realistici).
“Reading the romance” (1984), Janice Radway: viene esplorata la dimensione femminile del
desiderio e della fantasia; intervistando un gruppo di casalinghe lettrici di romanzi rosa, la Radway
evidenziò che la lettura di romanzi assumeva per loro il significato di un atto di indipendenza, una
fuga dalla routine domestica. Ricerca di Hermes sulla lettura di riviste da parte delle donne: le
riviste permettono alle donne di riflettere il proprio “sé ideale” proiettandole in molteplici immagini
femminili perfette, che offrono un senso di potere e di momentaneo controllo sulla vita reale.
“Women watching television” (1991), Andrea Press : 20 donne della working-class e 21 della
middle-class giudicano la soap Dynasty; le donne della working-class ritenevano la soap realistica
al contrario di quelle della middle-class (che erano disincantante): questo perché la “vita dei ricchi”
rappresentata, era molto lontana dalla loro (inoltre esse tendevano a proiettare nella soap, i desideri
materialistici di una vita agiata). Le spettatrici, a seconda della classe sociale (“class-specific”), del
livello d’istruzione, dell’aver vissuto in particolari contesti storici e sociali, forniscono risposte
diverse ad uno stesso contenuto. “Soap Operas and women’s talk” (1994), M.E.Brown: si sofferma
ad analizzare il piacere delle donne di “parlare delle soap”: le donne guardano le soap soprattutto
per poter creare un network, ovvero una rete di discorso tra donne, sviluppando una solidarietà
femminile e un senso di potenziale “resistenza” all’ordine patriarcale dominante. i discorsi sulle
soap sono definiti “spoken text”, all’interno dei quali le interpretazione dei contenuti sono
rinegoziate a livello collettivo e assumono nuovi significati.
Ricerche sugli usi familiari della tv “The social uses of television” (1980) James Lull: osserva il
comportamento di 200 famiglie provenienti da diverse estrazioni socioculturali, nelle loro case.
Emersero due tipi di usi da parte dei membri della famiglia:
1. Usi strutturali: legati alla mera presenza della televisione in casa. Essa può funzionare come
risorsa ambientale (crea un rumore di sottofondo costante che fa compagnia),oppure come
regolatore comportamentale (scandisce il tempo e l’attività familiare, segnalando ad es. l’orario dei
pasti)
2. Usi relazionali: riguardano l’uso che ognuno fa della TV per comunicare con gli altri membri
della famiglia o per evitare la conversazione. esiste una sorta di comunicazione familiare che parte
e/o è alimentata dai programmi televisivi. La tv può anche aiutare a superare le barriere
generazionali, a far stare vicine fisicamente le persone, o a creare una sorta di solidarietà familiare (
anche se può svolgere anche il compito inverso, cioè allontanare le persone). Inoltre la tv fornisce
consigli sugli acquisti o permette di acquisire informazioni utili.
“Family Television” (1986), David Morley: indaga il “potere” sulla televisione in base al ruolo
ricoperto in famiglia. Dalle interviste risultò che gli uomini risultavano avere il “potere sul
telecomando” e la loro fruizioni era attenta e senza interruzioni, mentre la visione da parte delle
donne risultava “sacrificata” alle scelte della famiglia e perlopiù distratta, in quanto era un’attività
che accompagnava i lavori domestici. Da questa ricerca risultò anche come la relazione di potere tra
mariti e mogli a favore die primi è strettamente connessa alla definizione sociale di “mascolinità”,
di cui il ruolo di lavoratore che mantiene la famiglia è un aspetto fondamentale.
Delle ricerche sull’introduzione dei new media nel quotidiano, ha rivelato che le donne, rispetto
agli uomini, sono complessivamente più restie ad apprendere il funzionamento e a trarre piacere
dall’uso delle nuove tecnologie (come il PC), mentre emerge una “cultura femminile del telefono”,
e un uso consolidato delle donne di TV e radio. Gli uomini, invece, si sentono a loro agio con i new
media, che diventano dei “giocattoli” di cui assumere il controllo. In “Gender of the line” (1992),
Lana Rakow rilevò un uso del telefono da parte delle donne, come sostegno emotivo: serviva loro
per realizzare una “vicinanza psicologica” con le persone care, che le aiutava ad uscire
dall’isolamento e la solitudine provati dalle donne casalinghe. “Tv Living” (1999), Gauntlett e Hill,
è uno studio su 500 famiglie di tutti i tipi (compresi studenti che convivono, anziani soli, coppie
omosessuali) durata 5 anni: risultò che non solo ogni famiglia, ma ogni singolo individuo ha un
rapporto personalizzato con la tv. Inoltre si rilevò che nel tempo sono cambiate alcune situazioni:
ormai il “potere sul telecomando” non è più prevalentemente maschile, non ci sono più differenze
nette tra i tipi di programmi fruiti dalle persone a seconda del genere. Le donne inoltre criticano
l’oggettivizzazione subita nelle rappresentazioni mediatiche e l’assenza di programmi “intelligenti”
a loro indirizzati. Inoltre risultò che la televisione svolgeva numerose funzioni, come quello di
“antidepressivo” per persone in particolari fasi della propria vita, di “buona amica” che fa
compagnia, rassicura e dà consigli; serve per sentirsi partecipi ad eventi mondiali.
Scheda: La ricerca qualitativa italiana sull’audience televisiva. Usi sociali di Internet
Internet è un meta-medium ( che ingloba caratteristiche di altri media: tv, libri e giornali, telefono) e
le sue funzionalità sono in continua espansione. Vi sono innumerevoli usi di internet, sia a livello
individuale che sociale. Non è possibile fare una ricerca quantitativa sugli utenti di internet, in
quanto gli individui vi accedono quando e come vogliono, e anche sotto falsa identità (l’audience è
fortemente attiva!).Internet risulta inoltre, la cosa che più ci avvicina alla sfera pubblica, creta
nell’ambito della società borghese tra ‘700 e ‘800, poiché è diventata la nuova “piazza elettronica”.
Dalla ricerca di Annette Markham,“Life Online”, risultano 3 principali usi di internet: alcuni
considerano la CMC come uno strumento tecnologicamente avanzato ed economico per comunicare
su scala globale; altri parlano di Internet come un luogo in cui passare la maggior parte del tempo
disponibile (come fare “un salto al solito bar”); altri dichiarano di usare il web come un mondo
parallelo in cui esprimere più liberamente il proprio modo di essere, o addirittura per reinventarsi.
Christine Hine in “Virtual Ethnography” (2000), analizza e partecipa lei stessa a siti e newsgroup
sorti in relazione ad un fatto di cronaca, quello di una baby-sitter accusata di aver ucciso il bambino
che aveva in custodia e il cui verdetto giuridico è stato dato “in diretta” da Internet. Dalle interviste
ai creatori dei siti che proliferarono pro e contro la ragazza, la Hine rilevò che molti “volevano fare
qualcosa per aiutare la ragazza”, altri solo per attirare persone e mostrare le proprie doti da web
designer. Il primo caso costituisce una forma di azione sociale. Inoltre La Hine rileva che su
Internet si possono sviluppare relazioni significative al pari di quelle reali e che le persone
collaborano per creare una sensazione di tempo e spazio che li aiuta a capire dove si trovano. Nancy
Byam in “Tune in, Log on” (2000) partecipa attivamente ad un forum di discussione sulle soap, e vi
rileva che esso diventa una sorta di comunità virtuale. Grazie ai pensieri espressi da altri, molte
partecipanti ampliano il loro punto di vista su argomenti e personaggi; inoltre, alla Byam risulta che
le “identità” non vengono perlopiù nascoste, anzi, spesso le partecipanti si firmano in modo da
poter essere riconosciute successivamente e creare amicizie vere. Antonio Roversi in “Chat
Line”(2001), la prima ricerca etnografica italiana sugli utenti di internet, ha rilevato che sulla rete
c’è una riproposizione di modelli stereotipati di genere, che contraddicono sia le potenzialità
innovativa insite nel mezzo di Internet, sia quelle della realtà attuale. In “Life on the Screen”
(1996), Sherry Turkle studiò i bisogni psicologici che spingevano gli utenti a connettersi
quotidianamente ai MUD. La possibilità di falsificare la propria identità può essere un’esperienza
liberatoria, che offre la possibilità di esplorare nuove identità (anche cambiando sesso) o di
esprimere aspetti dell’identità repressi nella vita offline. Un aspetto negativo della CMC in
generale, è invece il fenomeno della “frammentazione del sé”.

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