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BIB110IECA ANGELICA

MELIANINO
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K. -

5
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BIBLIOTECA

D E G L I

SCRITTORI LATINI

coLLA VERSIONE A FRONTE


- *(--
TITU S IL IV I US
TITI LIVII
PATA VINI

I HI I S T O R I A R U MI
AE URBE conni TA LIBRI QUI SUPERSUNT on INEs

EX RECENSIONE ARN. DRAKENBORCH

ACCEDUNT SUPPLEMENTA DEPERDIToaUM T. Liviu LIBRoRUM

A J O H. F R E I N S H E M I O
C O N C IN N A T' A

VOLUMEN II.

VENETIIS
E X CUD IT JosEPH ANTO NEL L I
AUREIS l)ONATUS NUMISMA TIBUS

M,DCCC, XLII
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ST O R I A IR O MI A NA
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TITO LIVIO
COI SUPPLEMENTI DEL FRE IN SEMIO

TRADOTTA

DAL C. LUIGI MABIL


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CON ANNOTArioNI

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VENEZIA
D ALLA TIP. DI GIUSEPPE ANTONELLI ED.
PREMIATo con MEDAGLIE D ono
1842
TITO LIVIO
… - …
TITI LIVII PATAVINI
H I S T O R I A R U MI
AB URBE CONDITA LIBRI

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EPITOMIE

LIBRI VIGESIMI SEXTI

C. Fulvius ob amissum in Apulia exercitum in Gneo Fulvio se ne va in esilio per aver perduto
exsilium abit. Hannibal a Capua pulsus, Romam l'esercito nella Puglia. Annibale scacciato da Capua,
petit. Ad tertium ab urbe Roma lapidem super si reca sopra Roma. A tre miglia da essa accampossi
Anienem castra posuit : ipse vero cum duobus milli al di sopra del fiume Aniene; egli stesso con due mila
bus equitum usque ad ipsam Capenam portam, ut cavalli cavalcò sino alla porta Capena per osservare la
urbissitum exploraret, obequitavit : et quum per tri situazione della città. Ed essendo per tre giorni con
duum in aciem utrimgue exercitus omnis descendis tinui uscito a battaglia tutto l'esercito d'ambe le
set, certamen tempestas diremit: nam, quum in parti, un temporale impedi sempre lo scontro del
castra rediissent, statim serenitas erat. Capua capta l'armi; perciocchè, com'erano tornati agli alloggia
est a Q. Fulvio et Ap. Claudio consulibus. Principes menti, subito v'era serenità. Capua è presa dai con
Campanorum veneno sibi consciverunt mortem. Quum soli Quinto Fulvio, ed Appio Claudio. I primati dei
senatus Campanorum deligatus esset ad palos, ut se campani si diedero la morte col veleno. Mentre il se
curi feriretur, literas a senatu missas Q. Fulvius nato di Capua stava legato al palo per essere deca
consul, quibus jubebatur parcere, anteguam legeret, pitato, il console Quinto Fulvio si ripose in seno,
in sinu posuit, et lege agi jussit, et supplicium pere senza leggerle, le lettere speditegli dal senato, che
git. Quum in comitiis apud populum quaereretur, cui gli ordinavano di perdonare, e volle che si eseguisse
mandaretur Hispaniarum imperium, nullo id volente la legge, e consumò il supplizio. Trattandosi ne' co
mizi presso il popolo, a chi commettere il comando
suscipere, P. Scipio, P. filius, qui in Hispania cecide
delle spagne, nessuno volendo prenderlo, Publio Sci
rat, professus est se iturum: et, suffragio populi con
sensugue omnium missus, Novam Carthaginem uno pione, figlio di quel Publio, ch'era stato
ucciso nella

die expugnavit, quum ageret vigesimum quartum spagna, dichiarò che ci andrebbe : e mandato per

ºººm, ridereturgue divina stirpe creatus; quonian suffragio del popolo, e con generale consentimento
I
-

Livio 2
3 TITI LIVII EPITOME LIBRI VIGESIMI SEXTI 4

et ipse, postguam togam acceperat, quotidie in Ca prese in un solo giorno Cartagine la Nuova, nell'età
pitolio erat ; et in cubiculo matris ejus auguis saepe di ventiquattro anni, credendosi che discendesse da
numero videbatur. Res praeterea in Sicilia gestas origine celeste ; perciocchè , vestita ch'ebbe la toga,
continet, et amicitiam cum Aetolis junctam, bellum era ogni giorno sul Campidoglio : e si era veduto
gue gestum adversus Acarnanas et Philippum Mace spesso un serpente nella stanza, ove dormiva sua ma
doniae regem. dre. Il libro contiene inoltre le imprese fatte in Si
cilia, e l'amicizia stretta cogli Etoli, e la guerra
contro gli Acarnani, e contro Filippo re di Macedo
nia.
TITI LIVII

L I B E R V I G E S I MI U S S E X TU S

è3

I. (Anno U. C. 541. – A. C. 211.) Ca. Ful 1. (Anni D. R. 541. – A. C. 211) Essendo


vius Centumalus, P. Sulpicius Galba consules, i consoli Gneo Fulvio Centumalo, e Publio Sul
quum idibus Martiis magistratum inissent, senatu picio Galba entrati in carica alla metà del mese
in Capitolium vocato, de republica, de admini di Marzo, radunato il senato in Campidoglio,
stratione belli, de provinciis exercitibusque Pa consultarono i Padri intorno la repubblica, il
tres consuluerunt. Q. Fulvio, A. Claudio, prioris modo di governare la guerra, intorno le province
anni consulibus, prorogatum imperium est, atque e gli eserciti. Si prorogò il comando a Quinto
exercitus, quos habebant, decreti; adjectumque, Fulvio, e ad Appio Claudio, consoli dell'anno
ne a Capua, quam obsidebant, abscederent, prius antecedente; si decretarono loro i medesimi
quam expugnassent. Ea tum cura maxime inten eserciti, che avevano ; fu aggiunto, che non par
tos habebat Romanos; non ab ira tantum, quae tissero dall'assedio di Capua innanzi di averla
in nullam umquam civitatem justior fuit, quam presa. Quest'era il pensiero che, più ch'altro,
quod urbs tam nobilis ac potens, sicut defectione stava in cuore a Romani; non tanto per indi
sua traxerat aliquot populos, ita recepta inclina gnazione, di cui non v'ebbe la più giusta contro
tura rursus animos videbatur ad veteris imperii alcun'altra città, quanto perchè, siccome una
respectum. Et praetoribus prioris anni, M. Junio città sì nobile e potente avea colla sua ribellione
in Etruria, P. Sempronio in Gallia, cum binis trascinati seco alquanti popoli, così pareva che
legionibus, quas habuerant, prorogatum est im avrebbe, ricuperata che fosse, inchinati gli animi
perium. Prorogatum et M. Marcello, ut pro con nuovamente alla riverenza dell'impero antico.
sule in Sicilia reliqua belli perficeret eo exercitu, Si prorogò il comando anche ai pretori dell'anno
quem haberet: si supplemento opus esset, supple antecedente, a Marco Giunio nella Toscana, a
ret de legionibus, quibus P. Cornelius propraetor Publio Sempronio nella Gallia colle due legioni,
in Sicilia praeesset; dum me quem militem legeret che avevano ; similmente a Marco Marcello, ac
ex eo numero, quibus senatus missionem redi ciocchè con titolo di proconsole terminasse il
tumoue in patriam negasset ante belli finem. C. rimanente della guerra nella Sicilia coll'esercito,
Sulpicio, cui Sicilia e venerat, duae legiones, quas che aveva: se abbisognasse di supplemento, lo
P. Cornelius habuisset, decretae, et supplemen traesse dalle legioni, ch'erano comandate in Sici
tum de exercitu Cn. Fulvii, qui priore anno in lia dal propretore Publio Cornelio; purchè non
Apulia foede caesus fugatusque erat. Huic generi levasse alcun soldato di quelli, a quali il senato
militum senatus eumdem, quem Cannensibus, fi avea negato il congedo, ed il ritorno innanzi che
nem statuerat militiae: additum etiam utrorum finisse la guerra. Si decretarono a Caio Sulpicio,
que ignominiae est, me in oppidis hibernarent, cui toccata era la Sicilia, le due legioni, che aveva
neve hiberna propius ullam urbem decem milli avute Publio Cornelio, e un supplemento dal
bus passuum aedificarent. L. Cornelio in Sardinia l'esercito di Gneo Fulvio, che l'anno avanti era
dua e legiones datae, quibus Q. Mucius praefue stato nella Puglia bruttamente disfatto, e messo
rat: supplementum, si opus esset, consules scri in fuga. A questa classe di soldati avea prefisso
-

7 TITI LIVII LIBER XXVI. 8

bere jussi. T. Otacilio et M. Valerio Siciliae il senato, come a quei di Canne, non altro ter
Graeciaeque ora cum legionibus classibusque, mine della milizia, che quello della guerra; s'era
quibus pracerant, decretae. Quinquaginta Graeci pur anche aggiunto, ad ignominia d'ambedue,
cum legione una, centum Siculi cum duabus le che non potessero svernare nelle terre murate,
gionibus habebant naves. Tribus et viginti legio nè piantare i loro quartieri meno lontani di dieci
mibus Romanis eo anno bellum terra marique est miglia dalle città. Si diedero a Lucio Cornelio
gestum. nella Sardegna le due legioni, ch'erano state co
mandate da Quinto Mucio. Se occorresse supple
mento, ebbero i consoli facoltà di arrolare. Le
coste della Sicilia e della Grecia furono assegnate
a Tito Otacilio e a Marco Valerio colle ſlotte e
colle legioni, cui comandavano. Aveano i Greci
cinquanta navi con una legione, i Siciliani cento
navi con due legioni. Si fe” la guerra in quel
l'anno per terra e per mare con ventitrè legioni
Romane.

II. Principio eius anni quum de literis L. II. Nel principio di quell'anno, trattandosi
Marcii referretur, res gestae magnificae senatui in senato delle lettere di Lucio Marcio, parvero
visae: titulus honoris (quod, imperio non populi al senato magnifiche le imprese di lui; ma spia
jussu, non ex auctoritate Patrum dato. Proprae cque ai più quel titolo di onore, ch'egli s'era
tor senatui, scripserat) magnam partem homi preso, in un comando non conferitogli nè dal
num offendebat. Rem mali exempli esse, impera popolo, nè dal senato, scrivendo « il Propretore
tores legi ab exercitibus, et solemne auspicato al senato. » Esser cosa di mal esempio, che gli
rum comitiorum in castra et provincias, procul eserciti si eleggan essi il lor comandante, e che
ab legibus magistratibusque, ad militarem teme la solennità dei comizii, cui gli auspizii debbono
ritatem transferri. Et, quum quidam referendum consagrare, si trasporti agli accampamenti ed
ad sematum censerent, melius visum differri eam alle province, lungi dalla vigilanza delle leggi
consultationem, donec proficisceremtur equites, e dei magistrati, in balia del capriccio del solda
qui ab Marcio literas attulerant. Rescribi de fru to. E stimando alcuni, che si avesse a propor la
mento et vestimentis exercitus placuit: « eam cosa al senato, parve meglio differire sì fatta
utramque rem curaefore senatui. Adscribi autem, consulta sino a che fossero partiti i cavalieri, che
Propraetori L. Marcio, non placuit; ne id ipsum, avean recate le lettere di Marcio. Fu risposto,
quod consultationi reliquerant, pro praejudicato quanto al frumento ed al vestito, « che il senato
ferret. Dimissis equitibus, de nulla reprius con penserebbe all'uno ed all'altro. - Non si pose
sules retulerunt, omniumque in unum sententiae « al Propretore Lucio Marcio º per non antici
congruebant, agendum cun tribunis plebis esse, pare il giudizio su quello, ch'era tuttavia in con
primo quoque tempore ad plebem ferrent, quem sulta. Licenziati i cavalieri, non altra cosa i
cum imperio mitti placeret in Hispaniam ad consoli proposero innanzi questa; e tutti i pareri
eum exercitum, cui Cn. Scipio imperator prae consentirono in uno, che si trattasse coi tribuni
fisset. Ea res cum tribunis acta promulgataque della plebe, acciocchè al più presto le propones
est. Sed aliud certamen occupaverat animos. C. sero, chi volevano che si mandasse in Ispagna
Sempronius Blaesus die dicta Cn. Fulvium, ob al comando di quell'esercito, del quale era stato
exercitum in Apulia amissum, in concionibus comandante Gneo Scipione. La cosa fu quindi
vexabat : « multos imperatores temeritate atque trattata coi tribuni, e proposta al popolo. Se non
inscientia exercitum in locum praecipitem per che altro dibattimento di già teneva gli animi
duxisse dictitans: neminem, praeter Cn. Ful preoccupati. Caio Sempronio Bleso, avendo ac
vium, ante corrupisse omnibus vitiis legiones cusato Gneo Fulvio per l'esercito perduto nella
suas, quam proderet. Itaque vere dici posse, prius Puglia, lo travagliava fieramente nelle concioni
eos perisse, quam viderent hostem; nec ab Han al popolo, dicendo. « molti comandanti aver con
nibale, sed ab imperatore suo, victos esse. Nemi dotto i loro eserciti a rovina per temerità ed
nem, quum suffragium ineat, satis cernere, cui ignoranza: nessuno, eccetto Gneo Fulvio, aver
imperium, cui exercitum permittat. Quid inter corrotte le legioni con ogni sorta di vizii prima
fuisse inter Ti. Sempronium? Quum ei servorum di darle in mano del nemico. Quindi potersi dire
exercitus datus esset, brevi effecisse disciplina veramente, ch'erano perite innanzi che vedessero
atſue imperio, ut nemo eorum generis ac sangui il nemico, e che non erano state vinte da Anni
nis sui memorin acie esset, praesidio sociis, hosti bale, ma sì dallo stesso loro comandante. E que
-

0 TITI LIVII LIBER XXVI. - 1o

bus terrori essent: Cumas, Beneventum, aliasque sto è, perchè nessuno, dando il voto, considera
urbes eos velut e faucibus Hannibalis ereptas po abbastanza a chi affida il comando, a chi l'eser
pulo Romano restituisse. Cn. Fulvium Quiritium cito. Qual differenza tra costui e Tito Sempro
Romanorum exercitum, honeste genitos, libera nio? Questi, avuto un esercito composto di schia
liter educatos, servilibus vitiis imbuisse. Ergo vi, fece in breve colla disciplina e col vigor del
effecisse, ut feroces et inquieti intersocios, ignavi comando, che nessun d'essi in un dì di battaglia
et imbelles inter hostes essent, mec impetum mo rammentasse l'origine e il sangue suo, ed anzi
do Poenorum, sed ne clamorem quidem sustinere fosse difesa degli alleati, terrore dei nemici; e
possent. Nec, hercule, mirum esse, milites in acie strappate quasi dalle fauci di Annibale Cuma,
non stetisse, quum primus omnium imperator Benevento, ed altre città, le restituì al popolo
fugeret. Magis mirari se, aliquos stantes cecidis Romano. Gneo Fulvio, l'esercito dei Quiriti Ro
se, et non omnes comites Cn. Fulvii fuisse pavo mani, gioventù nata bene, liberalmente educata,
ris ac fugae. C. Flaminium, L. Paullum, L. Po l'imbrattò di vizii servili. Quindi avea fatto che
stumium, Cn. ac P. Scipiones cadere in acie ma fossero feroci ed inquieti cogli alleati, pusillanimi
luisse, quam deserere circumventos exercitus. ed imbelli coi nemici; nè potessero, non che
Cm. Fulvium prope unum nuncium deleti exerci l'impeto, sostenere il primo grido dei Cartagi
tus Romam redisse. Facinus indignum esse, Can nesi. Nè maraviglia, per Bacco, che i soldati non
nensem exercitum, quod ex acie fugerit, in Sici abbiano tenuto fermo, quando il loro coman
liam deportatum, ne prius inde dimittatur, quam dante primo fuggì ; si maravigliava più tosto,
hostis ex Italia decesserit, et hoc idem in Cn. Ful che alcuni cadessero combattendo, e non tutti
vii legionibus muper decretum : Cn. Fulvio fu invece si facessero compagni della paura e della
gam ex proelio, ipsius temeritate commisso, im fuga di Gneo Fulvio. Preferirono di morire sul
punitam esse: et eum in ganea lustrisque, ubi campo di battaglia Caio Flaminio, Lucio Paolo,
juventam egerit, senectutem acturum: milites, Lucio Postumio, Gneo e Publio Scipioni, più
qui nihil aliud peccaverint, quam quod impera presto che abbandonare i loro eserciti avvilup
toris similes fuerint, relegatos prope in exsilium, pati. Gneo Fulvio fu quasi il solo, che tornasse
ignominiosam pati militiam : adeo imparem li a Roma colla notizia dell'esercito disfatto. È in
bertatem Romae diti ac pauperi, honorato atque degna cosa, che l'esercito di Canne, perchè fuggì
in honorato esse. » dalla battaglia, sia stato confinato nella Sicilia,
per non doverne uscire sino a che il nemico non
sia partito d'Italia; e che siasi decretato lo stesso
per le legioni di Fulvio; e che la fuga di Fulvio
da una battaglia appiccata per sua temerità, sia
rimasta impunita; e ch'egli a passar abbia la sua
vecchiezza dove consumò la giovanezza, nelle
taverne e nei bordelli; e che i di lui soldati, che
in niente altro peccarono, che nell'essere stati
simili al lor capitano, rilegati quasi in esiglio
sopportino una milizia cotanto ignominiosa:
tanto è grande in Roma la differenza di libertà.
tra il ricco ed il povero, tra l'uomo d'alta e di
bassa condizione ! »
III. Reus ab se culpam in milites transferebat: III. L'accusato riversava la colpa da sè sopra
« Eos ferociter pugnam poscentes productos in i soldati: a che avendo essi stessi chiesta feroce
aciem, non eo, quo voluerint (quia serum diei mente la battaglia, fattili avanzare non in quel
fuerit), sed postero die, et tempore et loco aequo dì, che volevano, perchè l'ora era tarda, ma il dì
instructos, seu famam, seu vim hostium non su seguente, ordinatili in tempo e luogo vantaggio
stinuisse. Quum effuse omnes fugerent, se quoque so, non aveano sostenuto nè la lor fama, nè l'urto
turba oblatum; ut Varronem Cannensi pugna, ut dei nemici. Datisi tutti a precipitosa fuga, ci fu
multos alios imperatores. Qui autem solum se strascinato egli pure dalla frotta, come già Var
restantem prodesse reipublicae, nisi mors sua re rone nella battaglia di Canne, e come molti altri
medio publicis cladibus futura esset, potuisse ? comandanti. In qual modo avrebbe egli potuto,
Non se inopia commeatus, non in loca iniqua in restando solo, giovare alla repubblica, se non se
caute deductum, non agmine inexplorato euntem nel caso, che la sua morte fosse stata rimedio
insidiis circumventum. Vi aperta, armis, acie vi alla pubblica sciagura ? Non perchè mancante
ctum nec suorum animos, nec hostium, in p. di vettovaglie, non perchè tratto incautamente
1 I TITI LIVII LIBER XXVI. i2

testate habuisse. Suum cuique ingenium audaciam in luoghi svantaggiosi, non perchè caduto fosse
aut pavorem facere. » Bis est accusatus, pecunia in agguati; ma fu vinto a forza aperta, coll'armi,
que anquisitum: tertio, testibus datis, quum, sul campo di battaglia: non avea potuto padro
praeterquam quod omnibus probris onerabatur, neggiare nè l'animo de'suoi, nè quello dei nemi
jurati permulti dicerent, fugae pavorisque ini ci; chè la natura di ciascheduno il fa ardimen
tium a praetore ortum ; ab eo desertos milites, toso o pusillanime. " Due volte fu accusato, e si
quum haud vanum timorem ducis crederent, trattò di punirlo con pena pecuniaria; la terza
terga dedisse; tanta ira accensa est, ut capite prodotti alquanti testimonii, oltre che il carica
anquirendum concio succlamaret. De eo quoque rono d'ogni sorta d'improperii, affermando pa
novum certamen ortum: nam, quum tribunus recchi d'essi con giuramento, che il principio
bis pecunia anduisisset, tertio capitis se anguirere della paura e della fuga era venuto dal pretore,
diceret; tribuni plebis appellati, a collegae, me chè i soldati, abbandonati da lui, avean voltate
garunt, se in mora esse, quo minus, quod ei more le spalle, credendo che la paura del comandante
majorum permissum esset, seu legibus seu mori non fosse senza ragione; tanto sdegno si accese,
bus mallet, anguireret, quoad vel capitis, vel che la plebe si pose a gridare, doversi propor
pecuniae judicasset privato. » Tum Sempronius, la pena capitale. Anche su di ciò insorse nuovo
« perduellionis se judicare Cn. Fulvio, º dixit, conflitto; perciocchè avendo il tribuno proposta
diemque comitiis ab C. Calpurnio praetore urbis due volte la pena pecuniaria, e la terza volta la
petit. Inde alia spes ab reo tentata est; si adesse pena capitale, appellatosi Gneo agli altri tribuni
in judicio Q. Fulvius frater posset, florens tum della plebe, questi dissero, a ch'ei non si oppo
et fama rerum gestarum, et propinqua spe Ca nevano al collega, perch'egli, secondo che per
puae potiundae. Id quum per literas miserabiliter metteva l'usanza de maggiori, seguendo, come
pro fratris capite scriptas petisset Fulvius, negas più gli piacesse, o le leggi, ovvero il costume,
sentoue Patres e republica esse, abscedi a Capua ; procedesse insino a tanto che Fulvio, uomo pri
postguam dies comitiorum aderat, Cn. Fulvius vato, fosse condannato a pena pecuniaria, o capi
exsulatum Tarquinios abiit: id ei justum exsilium tale. Allora Sempronio disse, «ch'egli accusava
esse, scivit plebs. Gneo Fulvio di lesa maestà; - e chiede, che Caio
Calpurnio, pretore urbano, assegni il giorno dei
comizii. Il reo tentò dappoi altro soccorso, se
mai potesse assistere al giudizio suo fratello
Quinto Fulvio, allora in grande favore e per
le belle sue geste, e per la vicina speranza, che
s'impadronisse di Capua. Avendo chiesta Quinto
questa licenza con lettere piene di compassione
per la salvezza del fratello, e risposto i Padri,
ch'era dannoso alla repubblica, ch'egli si partisse
di Capua, Gneo Fulvio, venuto il giorno dei co
mizii andò da sè stesso in bando a Tarquinia :
la plebe gli confermò, come giusta, la pena del
bando.
IV. Inter haec vis omnis belli versa in Capuam IV. S'era volto in questo mezzo tutto lo sforzo
erat: obsidebatur tamen acrius, quam oppugna della guerra contro Capua: era però più tosto
batur; nec aut famem tolerare servitia ac plebs vigorosamente assediata, che combattuta; nè gli
poterant, aut mittere nuncios ad Hannibalem per schiavi, nè la plebe potean più oltre tollerare
custodias tam arctas. Inventus estNumida, qui, ac la fame, nè si potea spedir messi ad Annibale di
ceptis literis, evasurum se professus, ut promis mezzo a scolte sì fitte. Si trovò un Numida, che,
sum praestaret, per media Romana castra nocte ricevute le lettere, accertando che sarebbe pas
egressus, spem accendit Campanis, dum aliquid sato, uscito la notte per mezzo al campo Romano,
virium superesset, ab omni parte eruptionem a compiere la sua promessa, riaccese ne'Campani
tentandi. Ceterum in multis certaminibus eque la speranza, dacchè avanzava loro ancora qual
stria proelia ferme prospera faciebant: pedites che po' di forza, di tentar con frutto una gene
superabantur. Sed nequaquam tam laetum vin rale sortita. Del resto in molti fatti le zuffe eque
cere, quam triste vinci ulla parte erat ab obsesso stri riuscivan loro quasi sempre felici; nelle pe
et prope expugnato hoste. Inita tandem ratio est, destri erano al di sotto. Se non che non recava
ut, quod viribus deerat, arte aequaretur. Ex tanto piacere il vincere, quanto dolore l'essere
omnibus legionibus electi sunt juvenes, maxime in qualche parte vinti da un nemico assediato, e
13 TI'l'I LIVIl LlBER XXVI. 14

vigore ac levitate corporum veloces: eis parmae quasi debellato. Si è trovata sul fine una via
breviores, quam equestres, et septena jacula qua di pareggiare coll'arte quello, che mancava alle
termos longa pedes data, praefixa ferro, quale forze. Si trassero da tutte le legioni i giovani,
hastis velitaribus inest. Eos singulos in equos ch'eran più lesti per vigoria e leggerezza di cor
suos accipientes equites assuefecerunt, et vehi pi: si diedero loro scudi più piccioli di quelli
post sese, et desilire perniciter, ubi signum da usati da cavalieri, e sette giavellotti, lunghi quat
tum esset. Postguam assuetudine quotidiana sa tro piedi colla punta di ferro, simile a quella
tis intrepide visum est fieri, in campum, qui me dell'asta dei veliti. I cavalieri, ciascuno presone
dius inter castra murumque erat, adversus in uno sul suo cavallo, gli avvezzarono a salire in
structos Campanorum equites processerunt: et, groppa, e a saltare a terra prestamente, come ne
ubi ad conjectum teli ventum est, signo dato ve fosse dato il segno. Poi che parve, che col conti
lites desiliunt. Pedestris inde acies ex equitatu nuo esercizio si fossero fatti bastantemente intre
repente in hostium equites incurrit, jaculaque pidi, si portarono innanzi nella pianura, ch'era
cum impetu alia super alia emittunt. Quibus plu di mezzo tra il campo e le mura, ad affrontare
rimis in equos virosque passim conjectis permul i cavalieri Campani; e come si venne a tiro di
tos vulneraverunt: pavoris tamen plus ex re giavellotto, i veliti al dato segno balzano a ter
nova atque inopinata injectum est; et in percul ra; poscia, di cavalieri divenuti fanti, all'improv
sum hostem equites invecti, fugam stragemque viso si scagliano contro la cavalleria nemica,
eorum usque ad portas fecerunt: inde equitatu e scoccano impetuosamente dardi sopra dardi.
quoque superior Romana res fuit. Institutum, ut Scagliatone da ogni parte un nembo, ferirono
velites in legionibus essent. Auctorem peditum gran numero d'uomini e di cavalli; fu però più
equiti immiscendorum centurionem Q. Navium la paura per la cosa nuova ed impensata; e la
feruni, honorique id ei apud imperatorem fuisse. gente a cavallo, corsa addosso al nemico sbigot
tito, inseguendo i fuggiaschi sin presso alle por
te, ne fece strage. D'allora in poi cominciarono
i Romani ad essere superiori anche in cavalleria.
Fu stabilito che nelle legioni ci fosser sempre
dei veliti. Dicesi che l'inventore di mescolar
de fanti tra i cavalli fu il centurione Quinto
Navio, e che ne trasse grande onore dal coman
dante.
V. Quum in hoc statu ad Capuam res essent, V. Tal essendo lo stato delle cose sotto Capua,
Hannibalem diversum Tarentinae arcispotiundae era diviso Annibale tra due diversi pensieri e di
Capuaeque retinendae trahebant curae. Vicit prendere la rocca di Taranto, e di conservare
tamen respectus Capuae, in quan omnium socio Capua. Vinse però il riguardo di Capua, verso
rum hostiumque conversos videbat animos; do la quale vedeva rivolti gli animi di tutti gli al
cumento futurae, qualemcumque eventum de leati e nemici, e che dovea servire di documen
ſectio ab Romanis habuisset. Igitur, magna parte to, qualunque fosse per esser l'esito della ribel
impedimentorum relicta in Bruttiis, et omni gra lione dai Romani. Lasciata adunque gran parte
viore armatu, cum delectis peditum equitumque, del bagagliume nei Bruzii, e tutta la grossa
quam poterat aptissimis ad maturandum iter, in armatura, con un corpo scelto di fanti e di cavalli,
Campaniam contendit: secuti tamen tam raptim i più atti ad accelerare il cammino, move alla
euntem tres et triginta elephanti. In valle occulta volta della Campania. Il seguirono però, sebbene
post Tifata montem imminentem Capuae conse andasse così veloce, trenta tre elefanti. Si fermò
dit. Adveniens quum castellum Galatiam, praesi in una valle occulta di dietro al monte Tifata,
dio vi pulso, cepisset, in circumsedentes Capuam che sovrasta a Capua. Avendo preso nel venire
se vertit. Praemissis ante munciis Capuam, quo il forte di Galazia, scacciandone a forza il presi
tempore castra Romana aggressurus esset, ut dio, si voltò verso gli assediatori di Capua. Man
eodem et illi, ad eruptionem parati, portis omni dativi innanzi dei messi ad avvisare, in che tempo
bus sese effumderent, ingentem praebuit terro avrebbe assaltati gli accampamenti Romani, ac
rem : nam alia parte ipse adortus est; alia Cam ciocchè nello stesso essi pure, pronti alla sortita,
pani omnes, pedites equitesque, et cum iis Puni sboccasser fuori da tutte le porte, mise grande
cum praesidium, cui Bostar et Hanno praeerant, spavento. Perciocchè egli in persona diede l'as
erupit. Romani, ut in re trepida, ne ad unam salto da una parte, da un'altra tutti i Campani,
concurrendo partem aliquid indefensi relinque fanteria e cavalleria, e insieme il presidio Carta
rent. ita interse copias partiti sunt: Ap. Claudius ginese, alla cui testa erano Bostare ed Annone.
15 TITI LIVII LIBER XXVI. 16

Campanis, Fulvius Hannibali est oppositus: C. I Romani in tanta trepidazione, per non lasciar
Nero propraetor cum equitibus sextae legionis ne, correndo ad una parte, un'altra indifesa, si
via, quae Suessulam fert; C. Fulvius Flaccusle son divise a questo modo le genti. Appio Claudio
gatus cum sociali equitatu constitit e regione fu messo di rincontro a Campani, Fulvio ad An
Vulturni amnis. Proelium non solito modo cla nibale. Caio Nerone propretore si piantò coi
more actumultu est coeptum, sed ad alium vi cavalli della sesta legione sulla strada, che mette
rorum, equorum, armorumque sonum, disposita a Suessola; il legato Caio Fulvio Flacco colla
in muris Campanorum imbellis multitudo tan cavalleria degli alleati dirimpetto al fiume Vul
tum cum aeris crepitu, qualis in defectu lunae turno. La battaglia cominciò, non all'usato modo
silenti nocte cieri solet, edidit clamorem, ut aver col grido e col tumulto, ma oltre lo strepitar
teret etiam pugnantium animos. Campanos facile de'soldati, de'cavalli e dell'armi, l'imbelle mol
a vallo Appius arcebat Major vis ab altera parte titudine dei Campani, distribuita sulle mura, tal
Fulvium, Hannibal et Poeni, urgebant. Legio menò rumore percuotendo vasi di rame, qual
ibi sexta loco cessit: qua pulsa, cohors Hispano suole farsi in tacita notte allo svenir della luna,
rum cum tribus elephantis usque ad vallum per che a sè rivolse gli sguardi degli stessi combat
vasit; ruperatolue mediam aciem Romanorum, et tenti. Appio facilmente respingeva i Campani
in ancipiti speac periculo erat, utrum in castra dallo steccato; più grossa forza incalzava Fulvio
perrumperet, an intercluderetur a suis. Quem dall'altra parte, Annibale co' suoi Cartaginesi.
pavorem legionis periculumque castrorum Ful Quivi la sesta legione perdette terreno; respinta
vius ubi vidit, Q. Navium primoresque alios cen la quale, una coorte di Spagnuoli con tre elefanti
turionum hortatur, « ut cohortem hostium sub s'inoltrò sino allo steccato, ed avea sfondato
vallo pugnantem invadant: in summo discrimine il centro de Romani, e s'era messa tra la spe
rem verti: aut viam dandam iis esse, et minore ranza e il pericolo o di lanciarsi dentro il campo
conatu, quam condensam aciem irrupissent, in nemico, o d'essere tagliata fuori da'suoi. Come
castra irrupturos; aut conficiendos sub vallo esse. vide Fulvio la paura della legione ed il pericolo
Nec magni certaminis rem fore: paucos esse, et del campo, esorta Quinto Navio e gli altri prin
ab suis interclusos; et quae, dum paveat Roma cipali centurioni « ad assaltare la coorte nemica,
mus, interrupta acies videatur, eam, si se utrim che combatteva sotto lo steccato. La cosa era
que in hostem vertat, ancipiti pugna medios cir al sommo dello stretto; o bisognava lasciar loro
cumventuram. » Navius ubi haec imperatoris aperta la via, e si sarebbon lanciati dentro il
dicta accepit, secundi hastati signum ademptum campo con manco sforzo, che non avean fatto
signifero in hostes infert; jacturum in medios per isfondare il folto delle schiere, o tagliarli
eos minitans, ni se propere sequantur milites, et a pezzi a piè dello steccato. Nè ci vorrebbe gran
partem capessant pugnae. Ingens corpus erat, et che: son pochi, e schiusi dai loro; e quella stessa
arma honestabant; et sublatum alte signum con legione, che adesso, pel timore ch'ebbe il Roma
verterat ad spectaculum cives hostesque. Cete no, sembra rotta pel mezzo, quella stessa, se si
rum, postguam jam ad signa per venerat Hispa volti d'ambe le parti contro il nemico, col dop
norum, tum undique in eum tragulae conjectae, pio assalto è certa d'invilupparlo. » Navio, udite
et prope tota in unum acies versa : sed neque le parole del comandante, strappata di mano
hostium multitudo, neque telorum vis arcere all'alfiere l'insegna del secondo corpo degli astati,
impetum eius viri potuerunt. la drizza contro i nemici, minacciando i suoi, che
l'avrebbe gettata in mezzo alle file nemiche, se
rattamente non lo seguissero, e prendesser parte
nella pugna. Era Navio di grande statura, e le
armi gli davano rilievo; e la bandiera alto levata
avea rivolto a sè gli sguardi degli amici insieme
e de'nemici. Come però fu presso alle insegne
Spagnuole, gli si scagliò contro un nembo di
giavellotti, e tutta quasi la coorte si volse contro
lui solo; ma nè la moltitudine dei nemici, nè
il piover dei dardi poterono arrestare l'impeto
di quel prode.
VI. Et M. Atilius legatus, primi principis ex VI. Anche il legato Marcio Atilio sforzò l'al
eadem legione signum inferri in cohortem Hispa fiere della prima compagnia di quella stessa
norum coegit. Et, qui castris praeerant, L. Por legione a voltar la bandiera contro la coorte
cius Licinus et T. Popillius legati pro vallo acri Spagnuola. I legati, che presiedevano all'accani
17 TITI LIVII LIBER XXVI. 18
ter propugnant, elephantosque transgredientes pamento, Lucio Porcio Licinio, e Tito Popilio,
in ipso vallo conficiunt: quorum corporibus combattono ferocemente dinanzi allo steccato, e
quum oppleta esset fossa, velut aggere aut ponte ammazzano sullo steccato stesso gli elefanti, che
injecto, transitum hostibus dedit. Ibi per stragem erano in atto di travalicarlo; i corpi de' quali
jacentium elephantorum atrox edita caedes. Al avendo colmata la fossa, quasi sopra un argine,
tera in parte castrorum jam impulsi erant Cam o un ponte, si aperse la via a nemici di passar
pani Punicumque praesidium, et sub ipsa porta oltre. Quivi sopra i corpi de'prostesi elefanti si
Capuae, quae Vulturnum fert, pugnabatur: ne fe'crudele battaglia. All'altra parte del campo
que tam armati irrumpentibus Romanis resiste già respinti erano i Campani e il presidio Car
bant, quam quod porta, ballistis scorpionibusque taginese, e presso la stessa porta di Capua, che
instructa, missilibus procul hostes arcebat. Et mena a Vulturno, si combatteva, nè quivi non
suppressit impetum Romanorum vulnus impera tanto resistevano gli armati all'urto de'Romani,
toris Ap. Claudii, cui, suos ante prima signa quanto che la porta stessa, guernita di balestre
adhortanti, sub laevo humero summum pectus e di scorpioni, tenea, saettando, lontani i nemici.
gaeso ictum est. Magna tamen vis hostium ante Rallentò l'impeto de Romani la ferita del coman
portam est caesa: ceteri trepidi in urbem com dante Appio Claudio, il quale, mentre sulle pri
pulsi. Et Hannibal, postguam cohortis Hispano me file incoraggia i suoi, fu colpito da un gia
rum stragem vidit, summaque vi castra hostium vellotto nella sommità del petto, sotto la spalla
defendi, omissa oppugnatione, recipere signa et sinistra. Nondimeno fu grande l'uccisione dei
convertere agmen peditum, objecto a tergo equi nemici presso la porta: gli altri spaventati fu
tatu, ne hostis instaret, coepit. Legionum ardor rono respinti nella città. Annibale, poi che vide
ingens ad hostem insequendum fuit: sed Flaccus la strage della coorte Spagnuola, e che si difen
receptui cani jussit; satis ad utrumque pro devano gli accampamenti con gran vigore, la
fectum ratus, ut et Campani, quam haud multum sciata l'impresa, cominciò a ritrarre le insegne,
in Hannibale praesidii esset, et ipse Hannibal e richiamare indietro le schiere, opponendo la
sentiret. Caesa eo die, qui hujus pugnae auctores cavalleria alle spalle, acciocchè il nemico non
sunt, octo millia hominum de Hannibalis exerci le incalzasse. Fu grande l'ardore delle legioni
tu, tria ex Campanis tradunt; signaque Cartha nell'inseguire il nemico; ma Flacco fe' sonare
giniensibus quindecim adempta, duodeviginti a raccolta, pago del doppio vantaggio, e che i
Campanis. Apud alios nequaquarn tantam molem Capuani sentissero quanto poco avean da contare
pngnae inveni, plusque pavoris, quam certami sul soccorso di Annibale, e che Annibale ciò
nis, fuisse: quum inopinato in castra Romana stesso sentisse. Quelli, che scrivono di questa
Numidae Hispanique cum elephantis irrupissent; battaglia, dicono esser morti in quel dì otto mila
elephanti, per media castra vadentes, stragem uomini dell'esercito di Annibale, tre mila dei
tabernaculorum ingenti somitu ac fugam abrum Campani; e che si son tolte ai Cartaginesi quin
pentium vincula jumentorum facerent : fraudem dici bandiere, e diciotto ai Campani. Non trovo
quoque super tumultum adjectam, immissis ab presso gli altri che il fatto fosse di tanta mole;
Hannibale, qui (habuit aliquos ) gnari latinae bensì che fu più la paura, che il menar delle ma
linguae juberent consulum verbis, quoniam amis ni, essendo i Numidi e gli Spagnuoli penetrati
sa castra essent, pro se quemque militum in pro improvvisamente nel campo Romano cogli ele
ximos montes fugere: sed eam celeriter cognitam fanti; avendo questi, attraversando gli alloggia
fraudem, oppressamoue magna caede hostium ; menti, fatta strage del padiglioni con gran fra
- elephantos igni e castris exactos. Hoc ultimum casso, anche per parte dei giumenti, che, rotti
(utcumque initum finitumque est) ante deditio i legami, si fuggivano; essendosi aggiunta a quel
nem Capuae proelium fuit. Medixtuticus, qui trambusto anche la frode, coll'aver Annibale
summus magistratus apud Campanos est, eo mandati alcuni, che pratici della lingua latina
anno Seppius Lesius erat, loco obscuro tenuique (e ne aveva seco alquanti) ordinassero a nome
fortuna ortus. Matrem ejus quondam, pro pupil de'consoli, che, poi che il campo era perduto,
lo eo procurantem familiare ostentum, quum ogni soldato da sè si ritraesse a monti vicini:
respondisset aruspex, summum quod esset impe ma fu scoperto prestamente l'inganno, e affogato
rium Capuae, perventurum ad eum puerum, nihil nella grande strage de'nemici; gli elefanti furon
ad eam spem agnoscentem, dixisse ferunt: a Nae cacciati fuori dagli steccati col fuoco. Questo fu
tu perditas res Campanorum narras, ubi sum l'ultimo fatto d'arme, comunque avesse princi
mus honos ad filium meum perveniet! » Ea ludi piato e finito, ch'ebbe luogo innanzi la dedizione
ficatio veri, et ipsa in verum vertit: nam quum di Capua. Era in quell'anno medistutico, ch'è
fame ferroque urgerentur, nec spes ulla super il magistrato supremo dei Campani, Seppio Lc
Livio 2 - 2
19 TITI LIVII LIBER XXVI. 20

esset, iis, qui nati in spem honorum erant, hono sio, di nascita oscura, e di tenue fortuna. Narrano
res detrectantibus, Lesius, querendo desertam che un giorno sua madre, mentre attendeva ad
ac proditam a primoribus Capuam, summum ma espiare pel pupillo un domestico prodigio, aven
gistratum ultimus omnium Campanorum cepit. dole risposto l'aruspice,che quel fanciullo sarebbe
un dì arrivato alla carica, ch'è la suprema in
Capua, nulla trovando essa, che la confermasse
in così fatta speranza, dicesse: « Certo tu presa
gisti la rovina di Capua, se avverrà mai che mio
figlio conseguisca il primo degli onori. » Queste
parole dette per ischerzo si convertiron nel vero.
Perciocchè Capua essendo stretta dalla fame e
dal ferro, nè rimanendo alcuna speranza, nè cu
rando gli onori quelli, ch'eran pur nati alla spe
ranza di conseguirli, Lesio, dolendosi che la
patria fosse abbandonata e tradita dai più illustri
tra cittadini, fu, ultimo di tutti i Campani, pro
mosso al supremo magistrato.
vII. Ceteram Hannibal, ut nec hostes elici VII. Del resto Annibale, poi che vide che nè
amplius ad pugnam vidit, nec per castra eorum si poteva più trarre il nemico a battaglia, nè farsi
perrumpi ad Capuam posse, ne suos quoque com strada a Capua di mezzo al loro campo, anche
meatus intercluderent novi consules, abscedere perchè i nuovi consoli non gli tagliasser fuori
irrito incepto, et movere a Capua statuit castra. le vettovaglie, deliberò di cessare dalla vana im
Multa secum, quonam inde ire pergeret, volventi presa, e di ritirarsi da Capua. Ravvolgendo in
subiitanimum impetus, caput ipsum belli Romam mente diversi pensieri, dove avesse, di là par
petendi: cujus rei semper cupitae praetermissam tendo, ad andare, gli venne impeto di portarsi
occasionem post Cannensem pugnam et alii vulgo a Roma, alla sorgente stessa della guerra: cosa
fremebant,et ipse non dissimulabat: «Necopinato sempre bramata, e di cui comunemente dolevansi,
pavore ac tumultu, non esse desperandum, ali ed egli stesso non dissimulava, d'essersi lasciata,
quam partem urbis occupari posse; et, si Roma dopo la rotta di Canne, sfuggire l'occasione.
in discrimine esset, Capuam extemplo omissuros “Non era fuor di speranza, che nel terrore e
aut ambo imperatores Romanos, aut alterum ex nel tumulto impensato si potesse occupare qual
iis: et, si divisissent copias, utrumque infirmio che parte della città; e se Roma fosse in pericolo,
rem factum aut sibi, aut Campanis, bene geren subitamente o i due comandanti, o uno d'essi,
dae rei fortunam daturos esse. - Una ea cura avrebbon lasciata Capua; e se avessero diviso
angebat, ne, ubi abscessisset, extemplo dederen le lorgenti, l'uno e l'altro, fatto più debole di
tur Campani, Numidam promptum ad omnia au lui, o de Campani, avrebbon data occasione
denda donis perlicit, ut, literis acceptis, specie di qualche buon successo. » Un solo pensiero
transfugae castra Romana ingressus, altera parte lo travagliava; che come fosse partito, subito
Capuam clam pervadat. Literae autem erant ad quelli di Capua non si arrendessero. Quindi al
hortatione plenae. «Profectionem suam, quaesa letta co'doni un Numida, pronto a tutto arri
lutaris illis foret, abstracturam ad defendendam schiare, perchè, avuta una lettera, entrando,
Romam ab oppugnanda Capua duces atque exer come disertore, nel campo Romano, dall'altra
citus Romanos. Ne desponderentanimos: toleran parte si rechi a Capua nascostamente. Era la let
do paucos dies, totam soluturos obsidionem. - In tera piena di esortazioni: «La sua partenza, che
denayes influmine Vulturno comprehensas subigi sarebbe la lor salute, avrebbe richiamati i consoli
ad id, quod jam ante praesidii causa fecerat, ca e gli eserciti Romani dal combatter Capua a di
stellum jussit. Quarum ubi tantam copiam esse, fender Roma. Non si perdessero di animo: tol
ut una nocte trajici posset exercitus, allatum est, lerando ancora pochi dì, si sarebbon liberati
cibariis decem dierum praeparatis, deductas nocle dall'assedio. » Indi ordinò che le navi, fatte
ad fluvium legiones ante lucem trajecit. arrestare nel fiume Vulturno, si accostassero al
forte, che avea già fatto costruire a difesa del
luogo. Delle quali come gli fu detto tanta essere
la copia, che si poteva in una sola notte far pas
sare tutto l'esercito, preparato il cibo per dieci
giorni, condotte le legioni la notte al fiume, lo
valicò innanzi giorno.
2I TITI LIVII LIBER XXVI. - 22

VIII. Id priusquam fieret, ita futurum com VIII. Prima che questo accadesse, avendo
pertum ex transfugis, Fulvius Flaccus senatui Ro Fulvio Flacco saputo dai disertori ch'era per
mam quum scripsisset, varie hominum animi pro accadere, e scrittone al senato, gli animi delle
cujusque ingenio affecti sunt. Ut in re tam tre persone furono diversamente colpiti secondo la
pida, senatu extemplo vocato, P. Cornelius, cui natura di ciascuno. Convocato subito il senato,
Asinae cognomen erat omnes duces exercitusque come richiedeva la terribile circostanza, Publio
ex tota Italia, negue Capuae, meque ullius alterius Cornelio, soprannominato Asina, non curandosi
rei memor, ad urbis praesidium revocabat. Fabius nè di Capua, nè d'altra impresa qualunque, ri
Maximus, abscedi a Capua, terrerique et circum chiamava da tutta Italia tutti quanti erano i
agi ad nutus comminationesque Hannibalis fla comandanti e gli eserciti Romani alla difesa
gitium ducebat: « Qui ad Cannas victorire tamen di Roma. Fabio Massimo stimava cosa vituperosa
ad urbem ausus non esset, eum a Capua repul partirsi da Capua, e lasciarsi atterrire ed aggirare
sum, spem potiundae urbis Romae cepisse? Non secondo i cenni e le minacce di Annibale: « Colui,
ad Romam obsidendam, sed ad Capuae liberan che vincitore a Canne, non aveva osato di andare
dam obsidionem, ire. Romam eum eo exercitu, a Roma, respinto da Capua avrebbe preso spe
qui ad urbem esset, Jovem, foederum ruptorum ranza di pigliar Roma? Viene, non per assediar
ab Hannibale testem, deosque alios defensuros Roma, bensì per liberar Capua. La difenderanno
esse. " Has diversas sententias media sententia P. coll'esercito, che le sta presso, e Giove, testimo
Valerii Flacci vicit; qui utriusque rei memor, nio de'patti infranti da Annibale, e gli altri dei.»
imperatoribus, qui ad Capuam essent, scriben Questi diversi pareri furon vinti da un tal qual
dum censuit: « Quid ad urbem praesidii esset, parere di mezzo di Publio Valerio Flacco, il qua
quantas autem Hannibal copias duceret, autouan le avuto riguardo e a Roma e a Capua opinò che
to exercitu ad Capuam obsidendam opus esset, si scrivesse ai comandanti, ch'erano sotto Capua,
ipsos scire. Si et Romam e ducibus alter, et exer a quante fossero le forze in Roma; saper essi
citus pars mitti posset ut ab reliquo et duce et quante genti menasse Annibale con sè, o di quante
exercitu Capua recte obsideretur ; inter se com si abbisognasse a tener fermo l'assedio di Capua.
pararent Claudius Fulviusque, utri obsidenda Se si potesse mandare a Roma uno dei due co
Capua, utri, ad probibendam obsidione patriam, mandanti, ed una parte dell'esercito, purchè
Romam veniundum esset. - Hoc senatusconsulto l'altro comandante e l'altro esercito assediasse
Capuam perlato, Q. Fulvius proconsul, cui, col Capua debitamente, i consoli Claudio e Fulvio
lega ex vulnere aegro, eundum Romam erat, e tra sè divisassero qual d'essi restasse all'assedio
tribus exercitibus milite electo, ad quindecim di Capua, qual dovesse venire a Roma ad impe
millia peditum, mille equites, Vulturnum tradu dir, che fosse assediata. Portato a Capua il de
cit. Inde quum Hannibalem Latina via iturum creto del senato, il proconsole Quinto Fulvio,
satis comperisset, ipse per Appiae municipia, cui toccava andare a Roma, essendo il collega
quaeque propter eam viam sunt, Setiam, Coram, infermo per la ferita, fatta una scelta da tutti e
Lanuvium praemisit, ut commeatus paratos et tre gli eserciti, di quindici mila fanti a un dipres
in urbibus haberent, et ex agris deviis in viam so, e di mille cavalli, portolli al Vulturno. Indi
proferrent, praesidiaque in urbes contraberent, essendosi accertato che Annibale avrebbe presa
ut sua cuique respublica in manu esset. la strada Latina, egli, attraversando i municipii
della via Appia, mandò innanzi a Sezia, a Cora
ed a Lanuvio, che son su quella via, ad avvisare,
che preparassero vettovaglie, e le tenessero nelle
città, e dalle terre dell'interno le portassero in
sulla strada, e riparassero i presidii nelle città,
sì che ognuno difendesse il proprio comune.
IX. Hannibal, quo die Vulturnum est trans IX. Annibale, nel dì stesso, che passò il Vul
gressus, haud procula ſlumine castra posuit. Po turno, si accampò non lungi dal fiume. Nel sus
stero die praeter Cales in agrum Sidicinum per seguente giunse nel territorio de' Sidicini, oltre
venit: ibi diem unum populando moratus, per Cale: quivi fermatosi un giorno a saccheggiare,
Suessulam Allifanumque et Casinatem agrum via menò l'esercito per Suessola e pel contado Alli
Latina ducit. Sub Casinum biduo stativa habita fano e Casinate sulla via Latina. Si fermò due
et passim populationes factae. Inde, praeter Inte giorni sotto Casino, e pose a sacco qua e là i
ramnam Aquinumque, Fregellanum agrum ad contorni. Di là, oltrepassando Interamna ed
Lirim fluvium ventum: ubi intercisum pontem Aquino, si venne nel contado Fregellano al fiume
a Fregellanis morandi itineris causa invenit. Et Liri, dove trovò il ponte tagliato da quei di Fre
23 TITI LIVII LIBER XXVI. 24
Fulvium Vulturnus tenuerat amnis, navibus ab gelle, onde ritardargli il cammino. Avendo An
Hannibale incensis, rates ad trajiciendum exerci mibale abbruciate le navi, anche Fulvio era stato
tum, in magna inopia materiae, aegre comparan ritardato dal fiume Vulturno, provando difficoltà
tem. Trajecto ratibus exercitu, reliquum Fulvio di procacciarsi delle zattere per la grande scar
expeditum iter, non per urbes modo, sed circa sezza di legname. Passato l'esercito su queste, il
viam, expositis benigne commeatibus, erat: ala restante del cammino di Fulvio fu assai spedito,
cresque milites alius alium, ut adderet gradum, trovando cortesemente vettovaglie apparecchiate
memor ad defendendam ire patriam, hortaban non solamente nelle città, ma lungo la via. Ed
tur. Romam Fregellanus nuncius, diem noctem i soldati allegri si confortavano l'un l'altro ad
que itinere continuato, ingentem attulit terrorem. affrettare il passo, pensando, che andavano a
Tumultuosius, quam allatum erat, cursus homi difender la patria. Un messo spedito da Fregelle
num, aſfingentium vana auditis, totam urbem a Roma, continuando il suo viaggio dì e notte,
conciverat. Ploratus mulierum non ex privatis ci portò grande terrore. Il correr qua e là della
solum domibus exaudiebatur; sed undigue ma gente, che aggiungeva cose false alle vere, avea
tromae, in publicum effusae, circa deim delubra messo in tutta la città più grave scompiglio, che
discurrunt, crinibus passis aras verrentes, mixae non ne avea recato la stessa nuova. Non si udiva
genibus, supinas manus ad coelum ac deos ten soltanto il pianger delle donne dalle case private,
dentes, orantesque, ut urbem Romanam e ma ma da ogni parte le matrone, spandendosi per
nibus hostium eriperent, matresque Romanas et le strade, corrono a templi degli dei, colle di
liberos parvos inviolatos servarent. Senatus ma sciolte chiome spazzando gli altari, inginocchiate,
gistratibus in foro praesto est, si quid consulere levando alte le mani al cielo ed agli dei, e pre
velint. Alii accipiunt imperia, discedunto ue ad gando che Roma salvino dalle mani dei nemici,
suas quisque officiorum partes: alii offerunt se, e inviolate serbino le madri Romane e i pargo
si quo usus operae sit. Praesidia in arce, in Ca letti lor figli. Il senato sta sulla piazza, presto ad
pitolio, in muris, circa urbem, in monte etiam ascoltare i magistrati che volessero consultarlo.
Albano atque arce Aesulana ponuntur. Inter hunc Altri ricevon gli ordini e partono, ciascuno a
tumultum, Q. Fulvium proconsulem profectum compiere i commessi uffizii: altri si offrono, se
cum exercitu a Capua affertur; cui ne minuere occorresse l'opera loro in nessun che. Si metton
tur imperium, si in urbem venisset, decernit se guardie sulla rocca, nel Campidoglio, sulle mura,
natus, ut Q. Fulvio par cum consulibus imperium intorno la città, per sino sul monte Albano e
esset. Hannibal, infestius perpopulato agro Fre sulla rocca Esulana. In mezzo a questo trambusto
gellano propter intercisos pontes, per Frusina viene arrecato, che il proconsole Quinto Fulvio
tem Ferentinatemque et Anagninum agrum in era partito da Capua coll'esercito; al quale per
Lavicanum venit. lnde Algido Tusculum petiit: chè non fosse punto scemato di autorità venendo
mec receptus moenibus, infra Tusculum destror a Roma, decretò il senato che l' avesse eguale a
sus Gabios descendit. Inde in Pupiniam exercitu quella dei consoli. Annibale, avendo devastato
demisso, octo millia passuum ab Roma posuit ca più nimichevolmente il contado dei Fregellani,
stra. Quo propius hostis accedebat, eo major cae perchè aveano tagliati i ponti, per le terre di
des fiebat fugientium, praecedentibus Numidis; Frusinone, di. Ferentino e di Anagni venne nel
pluresque omnium generum atque aetatium ca Lavicano. Di là pel monte Algido, si drizzò alla
piebantur. volta di Toscolo, e non accolto melle mura, al di
sotto di Toscolo, a man destra, discese a Gabio;
e quindi, calato l'esercito per la Pupinia, si ac
campò ad otto miglia da Roma. Quanto più il
nemico si accostava, tanto era maggiore, scor
rendo innanzi i Numidi, la strage de' fuggitivi ;
e si facevano assai prigioni di ogni condizione,
di ogni età.
X. In hoc tumultu Fulvius Flaccus, porta X. Nel bollor di questo tumulto Fulvio Flac
Capena cum exercitu Romam ingressus, media co, entrato in Roma coll'esercito per la porta
urbe per Carinas Esquilias contendit Inde egres Capena pel mezzo della città, attraversando le
sus, inter Esquilinam Collinam que portam po Carine, si porta alle Esquilie; donde uscito, andò
suit castra. Aediles plebis commeatum eo com ad accamparsi tra la porta Esquilina e la Collina.
portarunt. Consules senatusque in castra vene Gli edili della plebe vi fecero trasportare le vet
runt: ibide summa republica consultatum. Pla tovaglie. I consoli ed il senato vennero al campo:
cuit, consules circa portas Collinam Esquilinam quivi si consultò della somma delle cose. Si con
25 TITI LIVII LIBER XXVI. 26

que ponere castra: C. Calpurnium praetorem ur venne che i consoli si accampassero tra la porta
banum Capitolio atque arci praeesse: et sematum Collina e la Esquilina; che Caio Calpurnio, pre
frequentem in foro contineri, si quid in tam su tore urbano, guardasse il Campidoglio e la rocca;
bitis rebus consulto opus esset. Inter haec Han che il senato in buon numero stesse raccolto sulla
nibal ad Anienem fluvium, tria millia passuum piazza, se ne casi improvvisi occorresse di con
ab urbe, castra admovit . Ibi stati vis positis, ipse sultarlo. Intanto Annibale portò il campo al fiu
cum duobus millibus e porta Collina usque ad me Aniene, tre miglia discosto da Roma. Quivi
Herculis templum est progressus; atque, unde attendatosi, s'inoltrò egli stesso in persona con
proxime poterat, moenia situmque urbis obequi due mila cavalli dalla porta Collina sino al tem
tans contemplabatur. Id eum tam licenter atque pio di Ercole; e cavalcando quanto più presso
otiose facere, Flacco indignum visum est. Itaque poteva, contemplava le mura e il sito della città.
immisit equites, submoverique atque in castra re Parve a Flacco indegna cosa, ch'egli ciò facesse
digi hostium equitatum jussit. Quum commis con tanta licenza ed agiatezza; quindi gli mandò
sum proelium esset, consules transfugas Numi contro alquanti cavalli, ed ordinò che la caval
darum, qui tum in Aventino ad mille et ducentos leria nemica fosse rimossa e respinta ne' suoi
erant, media urbe transire Esquilias jusserunt: accampamenti. Appiccatasi la zuffa, i consoli co
nullos aptiores, interconvalles tectaque hortorum mandarono che i disertori Numidi, ch'erano da
et sepulcra aut cavas undidue vias, ad pugnan mille e dugento sul monte Aventino, per mezzo
dum futuros rati. Quos quum ex arce Capitolio della città passassero alle Esquilie, stimando che
que clivo Publicio in equis decurrentes quidam non altri fossero più atti a combattere tra le val
vidissent, captum Aventinum conclamaverunt. late e i casamenti degli orti, tra i sepolcri e le
Ea res tantum tumultum ac fugam praebuit, ut, strade concave all'intorno. Se non che avendoli
misi castra Punica extra urbem fuissent, effusura alcuni veduti correr giù a cavallo dalla rocca e
se omnis pavida multitudo fuerit. Tunc in domos dal Campidoglio per la pubblica calata, grida
atque in tecta refugiebant, vagosque in viis suos rono che l'Aventino era preso. Questo incidente
pro hostibus lapidibus telisque incessebant. Nec produsse tanto tumulto e tanta fuga, che se il
comprimi tumultus aperirique error poterat, re nemico non fosse stato accampato alle porte, tutta
fertis itineribus agrestium turba pecorumque,quae la moltitudine spaventata si sarebbe lanciata fuori
repentinus pavor in urbem compulerat. Equestre della città. Allora si rifuggivano nelle case e sui
proelium secundum fuit, submotidue hostes sunt; tetti, e scagliavan dardi e sassi contro i suoi che
et, quia multis locis comprimendi tumultus erant, erano per le strade, credendoli nemici. Nè si
qui temere oriebantur, placuit, omnes, qui di potea far quetare il tumulto, nè metter in chiaro
ctatores, consules, censoresve fuissent, cum im l'inganno, piene, com'erano le strade di folla di
perio esse, donec recessisset a muris hostis. Et contadini e di bestiami, che l'improvviso terrore
diei quod reliquum fuit, etnocte insequenti, multi avea cacciati dentro la città. La battaglia equestre
temere excitati tumultus sunt, compressique. fu felice, e i nemici furono allontanati; e perchè
bisognava comprimere in molti luoghi i tumulti,
che accidentalmente nascevano, fu preso, che
tutti quelli ch'erano stati dittatori, consoli o
censori, avessero dritto di comandare, sino a
tanto che il nemico non si fosse discostato dalle
mura. Nel restante del giorno, e la notte susse
guente molti tumulti furono casualmente eccitati
e compressi.
XI. Postero die transgressus Anienem Hanni XI. Il dì seguente Annibale, passato l'Aniene,
bal in aciem omnes copias eduxit; mec Flaccus con spiegò tutte le sue forze in ordine di battaglia i
sulesque certamen detrectavere. Instructis utrim nè Flacco, nè i consoli la ricusarono. Schierati
que exercitibus in eius pugnae casum, in qua ur d'ambe le parti gli eserciti a cimentarsi in un
bis Roma victori praemium esset, imber ingens fatto, nel quale Roma era premio del vincitore,
grandine mixtus ita utramque aciem turbavit, ut dirotta pioggia, mista con grandine, scompigliò
vix armis retentis in castra sese receperint, nul sì fattamente ambedue le schiere, che a pena ri
lius rei minore, quam hostium, metu. Et postero tenendo l'armi rifuggironsi negli alloggiamenti,
die eodem loco acies instructas eadem tempestas non d'altro manco termendo, che del nemico. E
diremit. Ubi recepissent se in castra mira serenitas il giorno appresso nello stesso luogo uno stesso
cum tranquillitate oriebatur. In religionem ea res temporale spartì le schiere già pronte ad azzuf
apud Poemos versa est; auditaque vox Hannibalis farsi. Come s'erano rimessi negli alloggiamenti,
27 TITI LIVII LIBER XXVI. 28

fertur, « Potiundae sibi urbis Romae modo men rinasceva colla calma un bellissimo sereno. Parve
tem non dari, modo fortunam. º Minuere etiam ai Cartaginesi che la cosa avesse del prodigio;
spem ejus aliae, parva magnaque, res: magna e fu sentito Annibale a dire, a che ora gli si to
illa, quod, quum ipse ad moenia urbis Romae ar glieva la volontà, ora il potere di prender Roma.»
matus sederet, milites sub vexillis in supplemen E gli scemarono la speranza altre cose e grandi
tum Hispaniae profectos audivit: parva autem, e picciole; grande quella, che stando egli seduto
quod per eos dies eum forte agrum, in quo ipse armato sotto le mura di Roma, udì essere partito
castra haberet, venisse, nihil ob id deminuto pre un rinforzo di soldati per la Spagna a bandiere
tio, cognitum ex quodam captivo est. Id vero a spiegate; picciola l'altra, che seppe da certo pri
deo superbum atque indignum visum, ejus soli, gioniero, essersi in quegli stessi dì venduto il
quod ipse bello captum possideret haberetolue, campo, dov'egli era attendato, senza che il prez
inventum Romae emptorem, ut, extemplo vocato zo per ciò ne fosse diminuito. E gli parve atto
praecone, tabernas argentarias, quae circa forum sì superbo ed insultante, che si fosse trovato a
Romanum tunc essent, jusserit venire. His motus Roma un compratore del terreno, ch'egli, con
ad Tutiam ſluvium castra retulit, sex millia pas quistato coll'armi, possedeva e riteneva, che
suum ab urbe. Inde ad lucum Feroniae pergit chiamato subito il banditore, ordinò che si ven
ire, templum ea tempestate inclytum divitiis. Ca dessero le botteghe degli orafi, ch'erano intorno
penates aliqui accolae ejus erant; primitias fru al foro di Roma. Mosso Annibale da queste con
gum eo donaque alia pro copia portantes, multo siderazioni ritirò il campo al fiume Tuzia, a sei
auro argentoque id exornatum habebant. His miglia dalla città. Di là si avvia al bosco della
omnibus donis tum spoliatum templum : aeris dea Feronia, al tempio in quella età celebratis
acervi, quum rudera milites religione inducti ja simo per ricchezza. Ne abitavano i dintorni alcuni
cerent, post profectionem Hannibalis magni in Capenati; portandovi le primizie delle biade, ed
venti. Hujus populatio templi haud dubia inter altri doni in abbondanza, lo aveano arricchito
scriptores est. Coelius, Romam euntem ab Ereto di molto oro ed argento. Di tutti questi doni fu
devertisse eo Hannibalem, tradit; iterque ejus ab spogliato il tempio; si son trovati, partito Anni
Reate, Cutiliisque, et ab Amiterno orditur. Ex bale, grandi mucchi di rame greggio, che i sol
Campania in Samnium, inde in Pelignos perve dati, colti da riguardo di religione, aveano get
nisse; praeterque oppidum Sulmonem in Marru tato via. Del saccheggiamento di questo tempio
cinos transisse; inde Albensi agro in Marsos, hinc tutti convengono gli scrittori. Celio dice che
Amiternum, Forulosque vicum venisse. Neque Annibale, andando a Roma, deviò da Ereto per
ibi error est, quod tanti exercitus vestigia intra portarsi in quel tempio; e tesse il di lui cammino
tam brevis aevi memoriam potuerint confundi: da Reate, dai Cutilii e da Amiterno; che dalla
isse enim ea constat. Tantum id interest veneritne Campania era passato nel Sannio, indi ne' Peli
eo itinere ad urbem, an ab urbe in Campaniam gni; che, lasciato addietro Sulmone, andato era
redierit.
ne' Marrucini, poi pel contado d'Alba venuto
nelle terre de' Marsi, quindi ad Amiterno e alla
borgata di Foruli. Nè havvi qui errore, chè le
tracce di tanto esercito non s'eran potute con
fondere in sì breve spazio di età, essendo cosa
certa, che tenne quella strada; la sola differenza
è questa, se la tenesse andando a Roma, o da
Roma tornando alla Campania.
XII. Ceterum non quantum pertinaciae ad XII. Del resto non ebbe tanta pertinacia An
premendam obsidione Capuam Romanis fuit, nibale a difender Capua, quanto i Romani a
tantum ad defendendam Hannibali: namque ex stringerla d'assedio. Perciocchè dai Lucani andò
Lucanis in Bruttium agrum, ad fretum vero ac nel paese de Bruzii, sino allo stretto ed a Reg
Rhegium eo cursu contendit, ut prope repentino gio con sì veloce corso, che furon quasi impen
adventu incautos oppresserit. Capua etsi nihilo satamente oppressi dalla repentina venuta. Ben
segnius obsessa per eos dies fuerat, tamen adven chè Capua in que giorni fosse stata tutt'altro,
tum Flacci sensit: et admiratio orta est, non si che debolmente assediata, pure si accorse della
mul regressum Hannibalem. Inde per colloquia venuta di Flacco; e insorse maraviglia, che anche
intellexerunt, relictos se desertosque, et spem Ca Annibale non fosse tornato. Poscia dai discorsi
puae retinendae deploratam apud Poemos esse. vennero a conoscere, ch'erano lasciati da parte,
Accessit edictum proconsulis ex senatusconsulto e abbandonati, e che avean perduta i Cartagi
propositum, vulgatumque apud hostes : ut, qui nesi ogni speranza di conservare Capua. Si ag
29 TITI LIVII LIBER XXVI. 3o

civis Campanus ante certam diem transisset, sine giunse l'editto del proconsole messo fuori per
fraude esset. - Nec ulla facta est transitio, metu decreto del senato e diffuso tra i nemici, a che
magis eos, quam fide, continente; quia majora in qualunque Campano avanti un tal giorno deter
defectione deliquerant, quam quibus ignosci pos minato fosse passato ai Romani, sarebbe esente
set. Ceterum quemadmodum nemo privato con da castigo. r Nè ci fu alcuno, che passasse, più
silio ad hostem transibat, ita nihil salutare in me ritenendoli la paura, che la fede; chè avean
dium consulebatur. Nobilitas rempublicam dese commesse ribellandosi più gravi colpe, che se
ruerat, neque in senatum cogi poterant. In ma ne potesse perdonare. Del resto, siccome nessuno
gistratu autem erat, qui non sibi honorem adje passava al nemico di suo privato consiglio, così
cisset, sed indignitate sua vim ac jus magistratui, non si pigliava nè anche in pubblico nessuna sa
quem gerebat, dempsisset. Jam ne in foro qui lutare deliberazione. I mobili aveano abbandonata
dem, aut publico loco, principum quisquam ap la repubblica, nè si poteva fare che si adunassero
parebat: domibus inclusi patriae occasum cum in senato. Sedeva poi nel magistrato un tale, che
suo exsilio in dies exspectabant. Summa curae non avea con questo aggiunto onore a sè mede
omnis in Bostarem Hannonemolue praefectos simo, ma sì colla sua bassezza tolta la forza ed il
praesidii Punici versa erat, suo, non sociorum rispetto alla carica che sosteneva. Già non si ve
periculo sollicitos. Hi, conscriptis ad Hannibalem dea nessuno dei primati comparire in piazza, o
literis, non libere modo, sed etiam aspere, quibus, in altro pubblico luogo; chiusi nelle case aspet
« non Capuam solam traditam in manum hosti tavansi ogni dì la ruina della patria insieme colla
bus, sed se quoque et praesidium in omnes cru lor propria. Tutta la somma delle cose era pas
ciatus proditos, incusabant: abisse eum in Brut sata in mano di Bostare e di Annone, comandanti
tios, velut avertentem sese, ne Capua in oculis del presidio Cartaginese, solleciti del proprio,
ejus caperetur. At, hercule, Romanos ne oppu non del pericolo degli alleati. Essi pertanto scris
gnatione quidem urbis Romanae abstrahi ab Ca sero lettere ad Annibale non solo liberamente,
pua obsidenda potuisse: tanto constantiorem ini ma eziandio aspramente, nelle quali lo accusava
micum Romanum, quam amicum Poenum esse. no, a che avesse dato in mano a'nemici non la
Si redeat Capuam, bellumque omne eo vertat, et sola Capua, ma loro medesimi, ed il presidio
se et Campanos paratos eruptioni fore. Non cum a perire tra i tormenti: era andato ne' Bruzii,
Rheginis, neque Tarentinis bellum gesturos trans quasi voltandosi in là per non vedersi pigliar
isse Alpes ubi: Romanae legiones sint, ibi et Car Capua su gli occhi. Ma, per dio, non si potè
thaginiensium exercitus debere esse. Sic ad Can distorre i Romani dall'assedio di Capua, nè anche
mas, sie ad Trasimenum rem bene gestam; coeun assaltando Roma ; tanto il Romano è più fermo
do, conferendo cum hoste castra, fortunam ten nella nimicizia, che il Cartaginese nell'amicizia.
tando. " In hanc sententiam literae conseriptae Ma se egli tornasse a Capua e volgesse quivi
Numidis, proposita mercede jam professis ope tutto lo sforzo della guerra, essi e i Campani
ram, dantur. Hi specie transfugarum quum ad sarebbero pronti a fare una sortita. Non si erano
Flaccum in castra venissent, ut inde tempore ca passate l'Alpi per mover guerra ai Reggiani, ai
ptoabirent, famesque, quae tam diu Capuae erat, Tarentini; dove son le legioni Romane, ivi deb
nulli non probabilem causam transitionis faceret, bon essere gli eserciti Cartaginesi. Così s'era
mulier repente Campana in castra venit, scortum combattuto prosperamente a Canne, così al Tra
transfugarum unius, indicatoue imperatori Ro simeno; accostandosi al nemico, campo a campo
mano, Numidas fraude composita transisse, lite opponendo, e tentando la fortuna. » Le lettere,
rasque ad Hannibalem ferre: id unum ex iis, qui scritte con questi sentimenti, si consegnano ad
sibirem aperuisset, arguere sese paratam esse. alcuni Numidi, che mediante una mercede pro
Productus primo satis constanter ignorare se mu metton l'opera loro. Costoro, essendo venuti,
lierem simulabat: paullatim dein convictus veris, sotto apparenza di disertori, al campo di Flacco,
quum tormenta posci et parari videret, fassus id per indi, colto il tempo, sortirne, e la fame, che
ita esse; literaeque prolatae; et additum etiam travagliava Capua da lungo tempo, rendendo
indicio, quod celabatur, et alios specie transfuga verisimile ad ognuno la cagione del disertare,
rum Numidas vagari in castris Romanis. Hi supra venne al campo inopinatamente una donna Ca
septuaginta comprehensi, et cum transfugis novis puana, bagascia di uno dei disertori, e palesa
mulcatis virgis, manibusque praecisis, Capuam al comandante Romano, che i Numidi eran ve
rediguntur. Conspectum tam triste supplicium nuti per frode tramata, e che portavan lettere
fregit animos Campanorum. dirette ad Annibale: esser pronta a ciò sostenere
in faccia a colui, che gli avea svelata la cosa.
Fatto venire al confronto, colui dapprima fin
3i TITI LIVIl LlbER XXVI. 32

geva con assai fermezza di non conoscere la


donna: indi convinto a poco a poco dalla forza
della verità, vedendo ordinarsi e prepararsi i
tormenti, confessò ch'era il vero; e si produs
sero le lettere, e si aggiunse inoltre quello, che
ancora si celava, altri Numidi eziandio, sotto
apparenza di disertori, errar pel campo Romano.
Se ne presero di costoro da più di settanta, e
insieme co nuovi disertori, battuti di verghe,
e tagliati le mani, si rimandano a Capua. La vista
di così brutto supplizio abbattè gli animi de'Ca
puani.
XIII. Concursus ad curiam populi factus coe XIII. Il popolo, concorso alla curia, obbligò
git Lesium senatum vocare; et primoribus, qui Lesio a convocare il senato; e minacciavano
jam diu publicis consiliis aberant, propalam mi apertamente i principali cittadini, che già da
nabantur, nisi venirent in senatum, circa domos gran tempo si astenevano dalle pubbliche adu
eorum ituros se, et in publicum omnes vi extra nanze, se non venivano al senato, che andrebbono
cturos esse. Is timor frequentem senatum magi alle lor case, e me li trarrebbon fuori per forza.
stratui praebuit. Ibi quum ceteri delegatis mit Questa paura fe' che il senato si raccogliesse in
tendis ad imperatores Romanos agerent, Vibius gran numero dintorno a Lesio. Quivi trattando
Virrius, qui defectionis ab Romanis auctor fue gli altri di mandare ambasciatori ai comandanti
rat, interrogatus sententiam, negat, a eos, qui de Romani, Vibio Virrio, che primo avea proposto
legatis et de pace ac deditione loquantur, memi di ribellarsi dai Romani, chiesto del parere,
nisse, nec quid facturi fuerint, si Romanos in po « non si ricordano, disse, quelli che parlano
testate habuissent, nec quid ipsis patiendum sit. di ambasciatori, di pace e di dedizione, nè quel
Quid ? vos, inquit, eam deditionem forecensetis, lo, che avrebbon fatto essi stessi, se avessero
qua quondam, ut adversus Samnites auxilium avuto i Romani in poter loro, nè quello, che
impetraremus, nos nostraque omnia Romanis de avranno a soffrire. Vi pensate forse, che questa
didimus? Jam e memoria excessit, quo tempore, somigli la dedizione, colla quale demmo in altro
et in qua fortuna a populo Romano defecerimus? tempo noi e tutte le cose nostre ai Romani, per
jam, quemadmodum in defectione praesidium, impetrare il loro aiuto contro i Sanniti? Evvi
quod poterat emitti, per cruciatum et ad contu sì tosto uscito di mente in che tempo, in che cir
meliam mecarimus ? quoties in obsidentes, quam costanze ci siamo ribellati dai Romani ? come
inimice eruperimus, castra oppugnarimus? Han nell'atto di ribellarci, il presidio, che si poteva
nibalem vocaverimus ad opprimendos eos ? hoc lasciar andare, l'abbiamo tra i tormenti e gli
quod recentissimum est, ad oppugnandam Romam oltraggi trucidato? quante volte, con quanta
hinc eum miserimus? Age contra, quae illi infe furia sortimmo contro gli assedianti, e assaltam
ste in nos fecerint, repetite; ut ex eo, quid spe mo i loro alloggiamenti ? che abbiamo chiamato
retis, habeatis. Quum hostis alienigena in Italia Annibale ad opprimerli? e, cosa recentissima, che
esset, et Hannibal hostis, et cuncta bello arderent, di qua l'abbiamo spiccato a combatter Roma?
omissis omnibus, omisso ipso Hannibale, ambo Riandate all'opposto con quale accanimento ci
consules et duo consulares exercitus ad Capuam trattaron essi, onde vediate, se avete punto a
oppugnandam miserunt. Alterum annum circum sperare. Essendoci in Italia un nemico straniero,
vallatos inclusosque nos fame macerant, et ipsi e questo nemico essendo Annibale e tutto intorno
nobiscum ultima pericula ac gravissimos labores ardendo la guerra, lasciata ogni altra cosa, la -
perpessi, circa vallum ac fossas saepe trucidati, et sciato lo stesso Annibale, mandarono ambedue
propead extremum castris exuti. Sed omitto haec: i consoli, ambedue gli eserciti consolari a com
vetus atque usitata res est, in oppugnanda ho batter Capua. Egli è di già il secondo anno, che
stium urbe labores ac pericula pati: illud irae investiti d'ogni parte e chiusi ci maceran colla
atque odii exsecrabilis indicium est. Hannibal in fame, sostenendo essi pure con noi pericoli estre
gentibus copiis peditum equitumque castra op mi e gravissime fatiche, spesso trucidati sullo
pugnavit, et ex parte cepit ; tanto periculo nihil stesso steccato e in sulle fosse, e ultimamente
moti sunt ab obsidione. Profectus trans Vultur quasi privati del loro alloggiamenti. Ma lascio
num, perussit Calenum agrum; nihil tanta socio questo: è cosa vecchia ed usitata soffrir pericoli
rum clade avocati sunt. Ad ipsam urbem Romam e fatiche combattendo le altrui città. Ben questo
infesta signa ferri jussit; eam quoque tempesta è indizio di grand'ira e di odio esecrabile. Anni
33 TITI LIVII LIBER XXVI. 34

tem imminentem spreverunt. Transgressus Anie bale assaltò il loro campo con immense forze
nem, tria millia passuum ab urbe castra posuit: di cavalli e di fanti, e in parte lo prese; pertanto
postremo ad moenia ipsa et ad portas accessit. pericolo non si son mossi punto dall'assedie.
Romam se adempturum eis, nisi omitterent Ca Passato il Vulturno, mise a fuoco il contado di
puam, ostendit: non omiserunt. Feras bestias, Cale: per tanta strage di alleati non torsero
caeco impetu ac rabie concitatas, si ad cubilia et un passo indietro. Ordinò che si avviassero le
catulos earum ire pergas, ad open suis ferendam ostili insegne verso Roma istessa ; beffaronsi
avertas. Romanos Roma circumsessa, conjuges, di quella sovrastante tempesta. Valicato l'Aniene,
liberi, quorum ploratus hinc prope exaudieban si accampò a tre miglia da Roma; in fine si ac
tur, arae, foci deim delubra, sepulcra majorum costò egli stesso in persona alle mura ed alle
temerata ac violata a Capua non averterunt: tanta porte; mostrò che avrebbe lor tolta Roma, se
aviditas supplicii expetendi, tanta sanguinis no non lasciavano Capua: non la lasciarono. Le be
stri hauriendi est sitis! Nec injuria forsitan: nos stie più feroci, da cieco impeto trasportate e
quoque idem fecissemus, si data fortuna esset. da rabbia, se ti drizzi a lor covili, a lor piccini,
Itaque quando aliter diis immortalibus visum le richiami a soccorrere i suoi; ma i Romani non
est, quum mortem ne recusare quidem debeam, Roma assediata, non le mogli, i figliuoli, i cui
cruciatus contumeliasque, quas sperat hostis, dum pianti quasi sino di qua si udivano, non le are,
liber, dum mei potens sum, effugere morte, prae i focolari, i templi degli dei, i sepolcri de' mag
terquam honesta, etiam leni, possum. Non videbo giori bruttati, violati, non istornarono da Capua.
Ap. Claudium et Q. Fulvium, victoria insolenti 'l'anto son avidi di punirci, tanta han sete di suc
subnisos, neque vinctus per urbem Romanam ciarsi tutto il sangue nostro. Nè forse a torto;
triumphi spectaculum trahar, ut deinde in carce avremmo fatto lo stesso, se la fortuna ce l per
re, aut ad palum deligatus, lacerato virgis tergo, metteva. Poichè pertanto piacque altrimenti agli
cervicem securi Romanae subjiciam : nec dirui dei immortali, poi che non debbo nè anche ricu
incendigue patriam videbo: nec rapi ad stuprum sar di morire, posso, mentre son libero, mentre
matres Campanas, virginesque et ingenuos pue son padrone di me stesso, i tormenti fuggire, e
ros. Albam, unde ipsi oriundi erant, a fundamen gli obbrobrii, che mi prepara il nemico, con una
tis proruerunt, ne stirpis, ne memoria originum morte, non che onorata, dolce eviandio. Non
suarum exstaret: nedum eos Capuae parsuros vedrò Appio Claudio e Quinto Fulvio rizzarsi
credam, cui infestiores, quam Carthagini sunt. alteri nella insolente vittoria; nè sarò strascinato
Itaque quibus vestràm ante fato cedere, quam in catene per tutta Roma, spettacolo del trionfo,
haec tot tam acerba videant, in animo est, iis per indi in carcere, o legato al palo, stracciato
apud me hodie epulae instructae parataeque sunt. il tergo dalle verghe, sottoporre il collo alla scure
Satiatis vino ciboque poculum idem, quod mihi Romana; nè vedrò smantellarsi ed ardere la
datum fuerit, circumferetur: ea potio corpus ab patria; nè trarsi forzate allo stupro le matrone
cruciatu, animum a contumeliis, oculos, aures, a di Capua, le vergini ed i nobili giovanetti. Di
videndis audiendisque omnibus acerbis indignis roccaron dai fondamenti Alba, dond'erano usciti,
que, quae manent victos, vindicabit.Parati erunt, perchè non restasse memoria della stirpe ed ori
qui magno rogo in propatulo aedium accenso cor gin loro; tanto son lungi dal credere che rispar
pora exanima injiciant. Haec una via et honesta min Capua, contro cui sono più istizziti, che
et libera ad mortem: et ipsi virtutem mirabun contro Cartagine stessa. A quelli peranto di voi,
tur hostes, et Hannibal fortes socios sciet ab se che son fermi di morire, innanzi che vedere co
desertos ac proditos esse. » tanti orrori, oggi ho allestito e preparato in mia
casa un banchetto. Come sarem satolli di cibo
e di vino, sarà portato in giro quel mappo mede
simo, che mi sarà stato presentato: questa po
zione ci libererà il corpo dai cruciati, l'animo
dagli oltraggi, gli occhi e gli orecchi dal mirare
ed udire tutte le infamie e i vituperii, che desti
mano ai vinti. Ci sarà gente in pronto, che get
terà i corpi morti in un gran rogo acceso nel
cortile. Questa è la sola onorata e libera via di
andare a morte. Ammireranno i nemici stessi
il coraggio, e Annibale conoscerà quai forti al
leati ha egli traditi e abbandonati. “
XIV. Hancorationem Virrii plures audierunt XIV. Più furono quelli, si ascoltarono que
Livio 2
35 'l'ITI LIVII LlBER XXVI, 36

cun assensu, quam forti animo id quod proba sto discorso con approvazione, che quelli che
bant, exsequi potuerunt. Major pars senatus, poterono eseguire con animo forte quello, che
multis saepe bellis expertam populi Romani cle approvavano. La maggior parte del senato non
mentiam haud diffidentes sibi quoque placabilem diffidando che la clemenza del popolo Romano,
fore, legatos ad dedendam Romanis Capuam de provata spesso in molte guerre, non avesse a pie
creverunt, miseruntgue. Vibium Virrium septem garsi eziandio a favor loro, decretarono e manda
et viginti ferme senatores domum secuti sunt, rono ambasciatori, i quali dessero Capua ai Ro
epulatique cum eo; et, quantum facere potue mani. Ventisette senatori a un dipresso seguirono
rant, alienatismentibus vino ab imminentis sensu Vibio Virrio alla sua casa, e banchettarono con
mali, venenum omnes sumpserunt: inde misso lui; e alienando, quanto più poterono, col vino
convivio. destris inter se datis, ultimoque com le loro menti dal male soprastante, tutti presero
plexu, collacrymantes suum patriaeque casum, il veleno; indi, licenziato il convito, datisi le de
alii, uteodem rogo cremarentur, manserunt; alii stre e l'ultimo abbracciamento, piangendo il
domos digressi sunt. Impletae cibis vinoque ve loro e il tristo caso della patria, altri si rimasero
nae minus efficacem in maturanda morte vim per essere abbruciati nello stesso rogo, altri an
veneni fecerunt: itaque noctem totam plerique darono alle lor case. Le vene rigonfie pel cibo
corum, et diei insequentis partem quum animam e pel vino allentarono in parte l'efficacia del ve
egissent; omnes tamen, priusquam aperirentur leno nell'affrettare la morte. Quindi i più di loro,
hostibus portae, exspirarunt. Postero die porta stati agonizzando tutta la notte, e parte del dì
lovis, quae adversus castra Romana erat, jussu seguente, tutti però, innanzi che si aprissero le
proconsulis aperta est. Ea intromissa legio una porte, spirarono. Il dì appresso la porta di Giove,
et duae alae cum C. Fulvio legato. Is, quum che guardava il campo Romano, al cenno del
omnium primum arma telaque, quae Capuae proconsole fu aperta; per essa s'introdusse una
erant. ad se conferenda curasset, custodiis ad legione, e due squadroni col legato Caio Fulvio.
omnes portas dispositis, ne quis exire aut emitti Questi, avendosi primieramente fatte portare le
posset, praesidium Punicum comprehendit, se armi tutte e da offesa e da difesa, ch'erano in Ca
matum Campanum ire in castra ad imperatores pua, messe guardie a ciascuna delle porte, onde
Romanos iussit. Quo quum venissent, extemplo nessuno potesse uscire, o esser mandato fuori,
his omnibuscatenaeinjectae, jussique ad quaesto fece prigione il presidio Cartaginese, ed ordinò
res deferre, quod auri argentique haberent. Auri che il senato di Capua andasse al campo ai co
pondo septuaginta fuit, argenti tria miilia pondo mandanti Romani. Dove essendo venuti, furon
et ducenta. Senatores quinque et viginti Cales subito messi in catene e comandati di conse
in custodiam. duodetriginta Teanum missi: quo gnare ai questori tutto l'oro e l'argento, che
rum de sententia maxime descitum ab Romanis avessero. L'oro fu settanta libbre, l'argento tre
constabat, mila dugento. Venticinque senatori furon man
dati a Cale per esservi custoditi, vent'otto a Tea
no: eran quelli, pel cui consiglio specialmente si
sapeva esser nata la ribellione.
XV. De supplicio Campani senatus haudqua XV. Intorno al supplizio del senato di Capua
quam inter Fulvium Claudiumque conveniebat. non si accordavano punto Claudio e Fulvio.
Facilis impetrandae veniae Claudius, Fulvio du Claudio piegava più facile al perdono, era più
rior sententiaerat. Itaque Appius Romam ad se duro il parere di Fulvio. Quindi Appio rimetteva
matum arbitrium eius rei totum rejiciebat per tutto l'arbitrio della cosa a Roma al senato: esser
cunctandi etiam aequum esse potestatem fieri anche conveniente di lasciare a Padri l'agio di
Patribus, num communicassent consilia cum ali ricercare, se i Capuani avessero avuto intelligenza
quibus sociorum Latini nominis municipiorum ; con alcuno dei municipii confederati del nome
etnum ope eorum in bello forent et municipio Latino, e se essi e i municipii avessero aiutato nel
rum adiuti. « Id vero minime committendum la guerra i Capuani. Fulvio rispondeva, e che anzi
esse, Fulvius dicere, ut sollicitarentur criminibus ciò non era da farsi non dovendosi travagliare gli
dubiis sociorum fidelium animi, et subjicerentur animi dei fedeli alleati con dubbie imputazioni, e
indicibus, queis, neque quid facerent, neque sottoporli a indizii di gente, che non badava pun
quid dicerent, quidquam umquami pensi fuisset: to nè a ciò che facesse, nè a ciò che dicesse; che
itaque se eam quaestionem oppressurum exstin così avrebbe impedita e spenta ogni disamina. “
cturumque. “ Ab hoc sermone quan digressi Separatisi dopo questo discorso, e Appio non
essent, et Appius, quamvis ferociter loquentem dubitando che il collega, benchè parlando sì fie
collegan, non dubitaret tamen literas super tanta ramente, avrebbe aspettate le lettere di Roma
37 TITI I.IVII LIBlità XXVI. 38

re ab Roma exspectaturum; Fulvius, ne id ipsum sopra così grave argomento, Fulvio, licenziati
impedimentum incepto foret, dimittens praeto gli officiali della sua corte, onde da questi stessi
rium, tribunis militum ac praefectis sociùm im non si mettesse ostacolo al suo disegno, comandò
peravit, uti duobus millibus equitum delectis ai tribuni de'soldati e ai capitani degli alleati,
denunciarent, ut ad tertiam buccinam praesto che ordinassero a due mila scelti cavalieri, che
essent. Cum hoc equitatu nocte Teanum profe al terzo segno della tromba fossero in pronto.
ctus, prima luce portam intravit, atque in forum Andato la notte con questa banda di cavalli a
perrexit: concursuque ad primum equitum in Teano, entrò nella porta sul far del giorno,
gressum facto, magistratum Sidicinum citari jus e portossi diritto alla piazza.; e concorsa molta
sit, imperavitTue, ut produceret Campanos, quos gente al primo ingresso de cavalli, fe” citare il
in custodia haberet. Producti omnes, virgisſue magistrato Sidicino, ed ordinò che traesse fuori
caesi, ac securi percussi. Inde citato equo Cales i Campani, che aveva in custodia. Tutti furono
percurrit: ubi quum in tribunali consedisset, presentati, e battuti di verghe, e percossi di
productique Campani deligarentur ad palum, scure. Indi a sciolta briglia corre a Cale; dove
eques citus ab Roma venit, literasque a C. Cal sedutosi in tribunale, mentre si legavano al palo
purnio praetore Fulvio et senatusconsultum tra i Campani tratti di prigione, venne da Roma a
didit. Murmur ab tribunali totam concionem sproni battuti un cavaliere, e gli consegnò lettera
pervasit, differri rem integram ad Patres de del pretore Caio Calpurnio con decreto del se
Campanis, et Fulvius, id ita esse ratus, acceptas nato. Dal tribunale subito si diffuse per tutta
literas, neque resolutas, quum in gremio repo l'adunanza, che l'affare dei Campani si riservava
suisset, praeconi imperavit, ut lictorem lege agere intatto al senato. Ed anche Fulvio, stimando
juberet. Ita de iis quoque, qui Calibus erant, che così fosse, ricevuta la lettera, e non disug
sumptum supplicium. Tum literae lectae sema gellata e postasela in seno, ordinò al banditore
tusque consultum, serum ad impediendam rem che il littore facesse secondo la legge. Così anche
actam ; quae summa ope approperata erat, ne quelli, ch'erano a Cale, furono giustiziati. Allora
impediri posset. Consurgentem jam Fulvium lesse la lettera ed il decreto del senato, tardi
Taurea Jubellius Campanus, per mediam vadens però per impedire la cosa fatta, e ch'era stata
urbem turbamdue, nomine inclamavit, et, quum quanto mai accelerata, perchè non fosse impedita.
mirabundus quidnam sese vellet, rese disset Flac Levandosi già Fulvio da sedere, laurea Jubellio,
cus, a Me quoque, inquit, jube occidi, ut gloriari Campano, passando per mezzo alla città ed alla
possis, multo fortiorem, quam ipse es, virum abs turba, chiamollo per nome, e Flacco essendosi
te occisum esse. - Quum Flaccus negaret, a pro rimesso a sedere, maravigliando che mai volesse,
fecto satis compotem mentis esse, modo, probi a Fa, disse Jubellio, uccider me pure, onde tu
beri etiam se, si id vellet, senatusconsulto. dice possa gloriarti di aver ucciso un uomo assai più
ret: « tum Jebellius, . Quando quidem, inquit, intrepido, che tu non sei º Fabio dicendo, che
capta patria, propinquis amicisque amissis, quum colui era senza dubbio fuor di senno, poi che, se
ipse manu mea conjugem liberosque interfece anche il volesse, glielo vietava il decreto del se
rim, ne quid indigni paterentur, mihi ne mortis mato: e allora Jubellio, . Poi che, disse, presa la
quidem copia eadem est, quae his civibus meis; patria, perduti i congiunti e gli amici, avendo
petatura virtute invisae hujus vitae vindicta: » io stesso ucciso di mia mano la moglie ei figli,
atque ita gladio, quem veste texerat. per adver onde non soffrissero nessuna indegnità, non mi
sum pectus transfixus, ante pedes imperatoris si lascia nè anche la facoltà di morire, che si è
moribundus procubuit. lasciata a questi miei concittadini, traggasi dal
coraggio la forza di liberarmi da questa odiata
vita; - e in così dire, trapassatosi il petto col
ferro, che tenea celato sotto la veste, cadde mo
riente a piedi del proconsole, -

XVI. Quia, et quod ad supplicium attinet XVI. E perchè quello, che appartiene al
Campanorum, et pleraque alia de Flacci unius supplizio de Capuani, e parecchie altre cose era
sententia acta erant, mortuum Ap. Claudium no state fatte di volontà del solo Flacco, alcuni
sub deditionem Capuae, quidam tradunt: hunc scrivono che Appio Claudio morisse poco innanzi
quoque ipsum Tauream neque sua sponte venisse la dedizione di Capua; e che questo stesso l'aurea
Cales, negue sua manu interfectum ; sed, dum nè venisse a Cale di suo proprio moto, nè si uc
interceteros ad palum deligatur, quia parum cidesse di sua mano, ma che, mentre lo si attac
inter strepitus exaudiri possent, quae vocifera cava al palo insieme cogli altri, poco intenden
batur, silentium fieri Flaccum jussisse: tum Tau dosi, a motivo dello strepito, ciò che diceva,
39 TITI LIVII I,IBER XXVI. 4o

ream illa, quae ante memorata sunt, dixisse, «vi Flacco facesse fare il silenzio ; e che allora abbia
rum se fortissimum ab nequaquam pari ad vir Taurea dette le cose ricordate di sopra, a ch'egli,
tutem occidi; º sub haec dicta, jussu proconsulis uomo di vaglia, era messo a morte da chi non
praeconem ita pronunciasse: « Lictor, viro forti punto lo somigliava; - a questi detti il banditore
adde virgas, et in eum primum lege age. » Le aver commesso, per ordine del console, al littore,
ctum quoque senatusconsultum, priusquam securi « aggiungi le verghe all'uomo di vaglia, e comin
feriret, quidam auctores sunt : sed, quia adscri cia da lui ad eseguire la legge. - Alcuni anche
ptum in senatusconsulto fuerit, c. si ei videretur, affermano, che Flacco leggesse il decreto del se
integram rem ad senatum rejiceret, º interpre nato innanzi di metter mano alla scure; ma per
tatum esse, quid magis e republica duceret, aesti chè vi era scritto, che « rimettesse intatto l'affare
mationem sibi permissam. Capuam a Calibus al senato, se così gli piacesse, º interpretasse che
reditum est, Atellaque et Calatia in deditionem se gli fosse lasciato l'arbitrio di far quello, che
acceptae. Ibi quoque in eos, qui capita rerum più stimasse utile alla repubblica. Da Cale si
erant, animadversum. Ita ad septuaginta princi fe ritorno a Capua, e si ebbero a patti anche
pes senatus interfecti; trecenti ferme nobiles Atella e Calazia. Quivi pure si castigaron coloro,
Campani in carcerem conditi: alii, per sociorum ch'erano stati i capi. Così furon messi a morte
Latini nominis urbes in custodias dati, variis ca da settanta del principali senatori; circa trecento
sibus interierunt: multitudo alia civium Cam nobili Campani imprigionati; ed altri, dispersi
panorum venumdata. De urbe agroque reliqua per le città alleate dei Latini ad esservi guardati,
consultatio fuit, quibusdam delendam censenti perirono per varii casi; l'altra moltitudine fu
bus urbem praevalidam, propinquam, inimicam. venduta. Si trattò poi della città e del territorio,
Ceterum praesens utilitas vicit: nam propter opinando alcuni che si dovesse spianare al suolo
agrum, quem omni fertilitate terrae satis consta una città potentissima, vicina e nemica. Se non
bat primum in Italia esse, urbs servata est, ut che vinse il riguardo della presente utilità. Per
esset aliqua aratorum sedes. Urbi frequentandae ciocchè per rispetto al territorio, che si sapeva
multitudo incolarum libertinorumque et instito essere per fertilità d'ogni sorta il primo in Italia,
rum opificumque retenta: ager omnis et tecta la città fu conservata, perchè ci avessero i lavo
publica populi Romani facta. Ceterum habitari ratori del paese qualche ricetto; e a renderla
tantum, tamquam urbem, Capuam, frequentari popolosa si ritennero molti abitatori e servi ma
que placuit: corpus nullum civitatis, nec senatus, nomessi, mercanti ed artefici; tutto il territorio
nec plebis concilium, nec magistratus esse. Sine e le fabbriche furono del popolo Romano. Del
consili publico, sine imperio multitudinem, resto, si volle che Capua fosse non altro, che
nullius rei interse sociam, ad consensum inha abitata e frequentata come città; però non avesse
bilem fore: praefectum ad jura reddendaab Ro corpo municipale, non senato, non adunanze di
ma quotannis missuros. Ita ad Capuam res com popolo, nè magistrati; senza pubblico consiglio,
positae, consilio ab omni parte laudabili: severe senza comando, la moltitudine, non comunicando
et celeriter in maxime noxios animadversum : tra sè, sarebbe stata inabile a cospirare; si man
multitudo civium dissipata in nullam spem redi derebbe ogni anno un prefetto da Roma ad am
tus : non saevi tum incendiis ruinisque in tecta ministrar la giustizia. Così furono assestate le
innoxia murosoue; et cum emolumento quaesita cose di Capua, con saggezza per ogni conto lode
etiam apud socios lenitatis species, incolumitate vole. Si castigarono severamente e prestamente
urbis nobilissimae opulentissima eque, cujus rui i rei principali; la moltitudine dei cittadini fu
mis omnis Campania, emnes, qui Campaniam dispersa senza speranza di ritorno; non si usa
circa accolunt, populi ingemuissent : confessio rono crudeltà d'incendii nè di ruine contro
expressa hosti, quanta vis in Romanis ad expe i tetti innocenti e le mura; si cercò anche di
tendas poenas ab infidelibus sociis, et quam nihil sfoggiare agli occhi degli alleati una tal quale
in IIannibale auxilii ad receptos in fidem tuen apparenza di clemenza, conservando una delle
dos esset. più cospicue e più ricche città, la rovina del
la quale contristato avrebbe la Campania tutta,
e tutti i popoli, che abitano all'intorno, in fine
si sforzò il nemico a confessare, quanto fosser
fermi i Romani nel punire gli alleati infedeli,
quanto fosse impotente Annibale a difendere chi
s'era dato alla sua fede. -

XVII. Romani Patres, perfuncti, quod ad XVII. I Romani Padri, liberati da ogni pen
Capuam attinebat, cura, C. Neroni ex iis duabus siero per ciò, che risguardava Capua, decretano
41 TITI LIVII LIBER XXVI. 42

legionibus, quas ad Capnam habuerat, sex millia a Caio Nerone, delle due legioni ch'egli aveva
peditum et trecentos equites, quos ipse legisset, avute a Capua, sei mila fanti e trecento cavalli,
et sociùm Latini nominis peditum numerum pa a scelta di lui, e pari numero di fanti degli alleati
rem, et octingentos equites decernunt: eum Latini, con ottocento cavalli. Imbarcato questo
exercitum Puteolis in naves impositum Nero in esercito a Pozzuoli, Nerone trasportollo in Ispa
Hispaniam transportavit. Quum Tarraconem na gna. Venuto a Tarracona, e messe a terra le gen
vibus venisset, expositisque ibi copiis, et navibus ti, e tirate in secco le navi, avendo anche armate,
subductis, socios quoque navales multitudinis per crescere il numero, le ciurme, andato al fiu
augendae causa armasset; profectus ad Iberum me lbero, ricevette l'esercito da Tito Fonteio e
flumen, exercitum ab T. Fontejo et L. Marcio da Lucio Marcio: indi si move alla volta del neº
accepit: inde pergit ad hostes ire. Hasdrubal mico. Era accampato Asdrubale, figlio di Amil
Hamilcaris ad Lapides atros castra habebat in care, nel paese degli Ausetani a Pietre-Nere,
Ausetanis: is locus est inter oppida Illiturgin et luogo posto tra i castelli d'Illiturgi e di Mentissa.
Mentissam. Hujus saltus fauces Nero occupavit. Nerone occupò le bocche di quel passo. Asdru
Hasdrubal, ne in arcto res esset, caduceatorem bale, per non trovarsi rinchiuso, mandò un mes
misit, qui promitteret, si inde missus foret, se saggero a promettere, che, se si fosse lasciato
omnem exercitum ex Hispania deportaturum. uscire di là, avrebbe tratto tutto l'esercito fuori
Quam rem quum laeto animo Romanus accepis di Spagna. Avendo il Romano udito ciò con molto
set, diem posterum Hasdrubal colloquio petivit, piacere, Asdrubale domandò un abboccamento
ut Romani leges conscriberent de tradendis ar pel dì seguente, acciocchè i Romani dettassero
cibus urbium, dieque statuenda, ad quam prae le leggi per la consegna delle fortezze, e stabilis
sidia deduceremtur, suaque omnia sine fraude sero il giorno, in cui sortissero i presidii, e i Car
Poeni deportarent. Quod ubi impetravit, extem taginesi asportassero tutte le robe loro senza
plo primis tenebris, atque inde tota nocte, quod essere molestati. Il che impetrato, Asdrubale
gravissimum exercitus erat, Hasdrubal, quacum subito ordinò che durante la notte tutti i più
que posset, evadere e saltu jussit. Data sedulo grossi bagagli dell'esercito uscissero, come meglio
opera est, ne multi ea nocte exirent, ut ipsa potessero, da quelle strette. Si badò, che in quel
paucitas, quum ad hostem silentio fallendum la notte non ne uscissero molti, acciocchè la stessa
aptior, tum ad evadendum per arctas semitas ac pochezza col non far rumore e fosse più atta a
difficiles esset. Ventum insequenti die ad collo gabbare il nemico, e a trarsi fuori per que sen
quium est: sed loquendo plura scribendoque, tieri angusti e difficili. Si venne il dì seguente
dedita opera, quae in rem non essent, die con ad abboccarsi: ma col parlare e scrivere a bella
sumpto, in posterum dilatum est. Addita inse posta più cose, che non erano al proposito, con
quens nos spatium dedit et alios emittendi: nec sumato il giorno, fu rimesso l'affare al seguente.
postero die res finem in venit. Ita aliquot dies L'altra notte aggiunta diede spazio a far uscire
disceptando palam de legibus, noctesque emit altra gente; e nè anche il dì appresso si finì di
tendis clam e castris Carthaginiensibus, absum trattare. Così furono consumati parecchi giorni
ptae; et, postguam major pars emissa exercitus nel disputare palesemente dei patti, e parecchie
erat, jam ne iis quidem, quae ultro dicta erant, notti nel fare uscire occultamente i Cartaginesi
stabatur, minusque ac minus (cum timore simul dal campo; e poi che fu mandata fuori la mag
fide decrescente) conveniebat. Jam ferme pede gior parte dell'esercito, già non si stava più nè
stres omnes copiae evaserant e saltu; quum pri anche a quello, che s'era detto innanzi; esce
ma luce densa nebula saltum omnem camposque mando la fede con lo scemar del timore, sempre
circa intexit. Quod ubi sensit Hasdrubal, mittit manco si si accordava. Già quasi tutte le forze
ad Neronem, qui in posterum diem colloquium pedestri erano fuori delle strette, quando sul far
diſſerret: illum diem religiosum Carthaginien del giorno una densa nebbia ricoperse tutto quel
sibus ad agendum quidquam rei seriae esse: ne tratto e la campagna d'intorno. Il che veduto,
tum quidem suspecta fraus. Quum data esset Asdrubale mandò a Nerone a chiedere che si
venia eius diei, extemplo Hasdrubal, cum equi differisse l'abboccamento al dì seguente; chè
latu elephantisque castris egressus, sine ullo tu quello era giorno, in cui la religione vietava ai
multu in tutum evasit. Hora ferme quarta dis Cartaginesi di occuparsi di cose serie. Nè anche
pulsa sole nebula aperuit diem, vacuaque hostium allora s'ebbe sospetto di frode. Conceduta la di
castra conspexerunt Romani. Tum demum Clau lazione di quel giorno, subito Asdrubale, uscito
dius, Punicam fraudem agnoscens, ut se dolo dal campo colla cavalleria e cogli elefanti, si trasse
captum sensit, proſiciscentem institit sequi, pa senza rumore in sicuro. Verso l'ora quarta la
ratus confligere acie: sed hostis detrectabat pu nebbia cacciata dal sole mostrò il chiaro giorno,
43 TITI LIVII LIBER XXVI. 44

gnam; leviatamen proelia inter extremum Puni e i Romani videro gli alloggiamenti nemici del
cum agmen praecursoresque Romanorum fiebant. tutto vòti. Allora finalmente Claudio, ricono
scendo la frode Punica, come si accorse d'essere
stato gabbato, si pose ad inseguire Asdrubale,
pronto di venire a battaglia; ma il nemico la
schivava: si facevan però leggiere scaramucce
tra la retroguardia Cartaginese e i precursori
de' Romani.
XVIII. Inter haec Hispaniae populi, nec qui XVIII. In questo mezzo nè i popoli diSpagna,
post cladem acceptam defecerant, redibant ad che si erano ribellati dopo la rotta ricevuta, tor
Romanos, mec ulli novi deficiebant. Et Romae navano ai Romani, nè alcun altro nuovo si ribel
senatui populoque, post receptam Capuam, non lava. E a Roma il senato ed il popolo, dopo la
Italiae jam major, quam Hispaniae, cura erat: presa di Capua, non si pigliavano maggior cura
et exercitum augeri, et imperatorem mitti pla dell'Italia, che della Spagna; e si stabilì di ac
cebat. Nectamen, quem mitterent, satis consta crescerne l'esercito, e mandarvi un comandante.
bat; quan illud, ubi duo summi imperatores Nè però sapevano chi vi si dovesse mandare ;
intra dies triginta cecidissent, qui in locum duo bensì ch'era da scegliersi con diligenza straordi
rum succederet, extraordinaria cura deligendum naria quegli, che aveva a succedere in luogo dei
esse. Quum alii alium nominarent, postremum due capitani, ch'eran periti in quel paese nello
eo decursum est, ut populus proconsuli creando spazio di trenta giorni. Nominando chi uno e
in Hispaniam comitia haberet: diemque comitiis chi un altro, si venne finalmente a questo, che
consules edixerunt. Primo exspectaverant, ut, il popolo tenesse i comizii per nominare un pro
qui se tanto imperio dignos crederent, nomina console nella Spagna: e i consoli stabilirono il
profiterentur. Quae ut destituta exspectatio est, giorno dei comizii. Aveano aspettato dapprima,
redintegratus luctus acceptae cladis, desiderium che quelli, i quali si riputassero degni di sì im
que imperatorum amissorum. Moesta itaque ci portante comando, proponessero i loro nomi;
vitas, prope inops consilii, comitiorum die ta delusa la quale aspettazione, rinovossi il lutto
men in campum descendit; atque in magistratus della passata sconfitta, e un sovvenir doloroso
versi circumspectant ora principum, aliorum dei comandanti perduti. Mesta pertanto la città,
alios intuentium, fremuntdue, adeo perditas res priva quasi di consiglio, pure il giorno dei comi
desperatumque de republica esse, ut nemo au zii discese al campo Marzio; e voltisi ai magi
deat in Hispaniam imperium accipere. Quum strati, fisano in viso i principali cittadini, che si
subito P. Cornelius, Publii, qui in Hispania ceci stanno guardandosi l'un l'altro, e dolgonsi con
derat, filius, quatuor et viginti ferme annos sordo mormorio, a tale stato e disperazione esser
natus, professus se petere, in superiore, unde giunta la repubblica, che nessuno osi accettare
conspiei posset, loco constitit. In quem postguam il comando della Spagna. Quando all'improvviso
omnium ora conversa sunt, clamore ac favore Publio Cornelio, figlio di quel Publio, ch'era
ominati extemplo sunt felix faustumque impe perito in Ispagna, giovane a un dipresso d'anni
rium. Jussi deinde inire suffragium, ad unum ventiquattro, dichiaratosi che dimandava, si col
omnes non centuriae modo, sed etiam homines, locò in luogo eminente, donde potesse esser vi
P. Scipioni imperium esse in Hispania jusserunt. sto. Poi che tutti gli sguardi s'ebbero volti verso
Ceterum post rem actam, ut jam resederat impe di lui, ognuno colle grida e col favore gli augurò
tus animorum ardorque, silentium subito ortum felice e fortunato quel comando. Indi chiamati
et tacita cogitatio, quidnam egissent ? num favor a dare il suffragio, non solo tutte le centurie, ma
plus valuisset, quam ratio ? Aetatis maxime poe eziandio tutti gli uomini conferirono il comando
mitebat: quidam fortunam etiam domus horre della Spagna a Publio Scipione. Ma poi, fatta
bant nomengue, ex funestis duabus familiis, in la cosa, e sedato il primo ardore ed impeto degli
eas provincias, ubi inter sepulcra patris patrui animi, nacque subito un silenzio, una tacita con
que res gerendae essent, proficiscentis. siderazione, che avessero fatto? se forse non potè
più il favore, che la ragione? e specialmente
facea riguardo l'età: alcuni anche paventavano
la mala fortuna della casa, e il cognome del gio
vanetto, che da due sgraziate famiglie andava a
guerreggiare tra le tombe del padre cdel zio. -
XIX. Quam ubi ab re tanto impetu aeta sol - XIX. Come vide Scipione codesta inquietez
licitudinem curamque hominum animadvertit, za e travagliosa cura degli uomini per la cosa
45 TITI LIVII LIBER XXVI. 46
advocata concione, ita de aetate sua imperioque fatta con sì grand'impeto, chiamato il popolo
mandato, et bello, quod gerendum esset, magno a parlamento, favellò dell'età sua, dell'affidatogli
elatoque animo disseruit, ut ardorem eum, qui comando, e della guerra, che avea preso a gover
resederat, excitaret rursus novaretolue; et im nare, con tanta grandezza ed elevatezza d'animo,
pleret homines certioris spei, quam quantam che ridestò e rinnovò quell'ardore, che s'era al
fides promissi humani, aut ratio ex fiducia rerum quanto calmato, ed empiè i petti di più secura
subjicere solet. Fuit enim Scipio non veristan fidanza, che non suole arrecarne fede di umana
tum virtutibus mirabilis, sed arte quoque qua promessa, o ragionamento tratto da certa cogni
dam ab juventa in ostentationem earum compo zion delle cose. Perciocchè fu Scipione non sola
situs: pleraque apud multitudinem, aut per no mente ammirabile per le vere virtù, ma eziandio
cturnas visa species, aut velut divinitus mente sin da giovanetto per non so quale arte sua adde
monita, agens: sive et ipse capti quadam supersti strato a metterle in bella mostra, spacciando
tione animi, sive ut imperia consiliaque, velut presso la moltitudine, ch'ei facesse parecchie cose
sorte oraculi missa, sine cunctatione exsequeren o rivelategli da notturne visioni, o quasi divina
tur. Ad hoc jam inde ab initio praeparans animos, mente ispirategli; o perchè fosse preso da certa
ex quo togam virilem sumpsit, nullo die prius superstizione, o perchè gli ordini e consigli suoi,
ullam publicam privatamque rem egit, quam in quasi dettati da oracolo, fossero senza indugio
Capitolium iret, ingressusque aedem consideret: eseguiti. Preparando a questo gli animi altrui
et plerumque solus in secreto ibi tempus tereret. sin dal tempo, in cui prese la toga virile, non
Hic mos, qui per omnem vitam servabatur, seu mai fece cosa nè pubblica, nè privata, che prima
consulto, seu temere, vulgatae opinioni fidem non fosse andato sul Campidoglio, ed entrato
apud quosdam fecit, stirpis eum divinae virum nel tempio vi sedesse e quivi, per lo più solo,
esse; retulitoſue famam, in Alexandro Magno consumasse in segreto alcun tempo. Questo co
prius vulgatam, et vanitate et fabula parem, an stume, che conservò per tutta la vita, o delibera
guis immanis concubitu conceptum, et in cubiculo tamente, o a caso, accreditò presso alcuni la di - -
matris ejus persaepe visam prodigii ejus speciem, volgata opinione, ch'egli fosse di sangue celeste;
interventudue hominum evolutam repente, atque e rinnovò la voce, già prima corsa di Alessandro
- ex oculis relapsami His miraculis numquam ab il Grande, ed egualmente vana e favolosa, ch'egli
ipso elusa fides est: quin potius aucta arte qua fosse stato generato da un serpente di smisurata
dam, nec abnuendi tale quidquam, nec palam grandezza, che s'era veduto apparire più volte
affirmandi. Multa alia eiusdem generis, alia vera, nella stanza di sua madre, e che sopravvenendo
alia assimulata, admirationis humanae in eo juve persone, s'era all'improvviso dileguato, sparendo
ne excesserant modum: quibus freta tunc civitas, dagli occhi. Non iscemò egli mai la credenza a
aetati haudouaquam maturae tantam molem re codesti prodigii, anzi piuttosto con una sorte
rum, tantumque imperium permisit. Ad eas co di arte l'accrebbe, non negando che così fosse
pias, quasex vetere exercitu Hispania habebat, a un dipresso, e non l'affermando. Molte altre
quaeque a Puteolis cum C. Nerone trajectae cose di simil fatta, altre vere, altre infinte aveano
erant, decem millia militum et mille equites ad destata per questo giovane un'ammirazione fuor
duntur: et M. Junius Silanus propraetor adjutor di misura; in che fidando la città, commise a
ad res gerendas datus est. Ita cum triginta ma quell'età tuttora immatura un affare di sì gran
vium classe (omnes autem quinqueremes erant) mole, e un sì importante comando. Alle forze,
ostiis Tiberinis profectus praeter oram Tuscima che avea la Spagna nel vecchio esercito, e che
ris, Alpes atque Gallicum sinum, et deinde Pyre avean fatto con Caio Nerone il tragitto da Poz
naei circumvectus promontorium, Emporisi urbe zuolo, si aggiungono dieci mila fanti e mille ca
Graeca (oriundi et ipsi a Phocaea sunt) copias valli: gli si dà il propretore Marco Junio Silano
exposuit: indesequi navibus jussis, Tarraconem ad assisterlo nelle imprese. Così con una flotta
pedibus profectus, conventum omnium sociorum di trenta navi (ed eran tutte quinqueremi) partito
(etenim legationes ad famam adventus ejus ex dalle bocche del Tevere, costeggiando le rive
omni se provincia effuderant) habuit. Naves ibi del mar Toscano, girate le Alpi e il golfo Gal
subduci jussit, remissis quatuor triremibus Massi lico, indi il promontorio del Pireneo, sbarcò
liensium, quae officii causa ab domo prosecutae le sue genti a Emporia, città greca (oriondi essi
fuerant. Responsa indelegationibus suspensis va pure dalla Focea); indi detto alle navi che lo
rietate tot casuum dare coepit, ita elato ab in seguissero, andato a piedi a Tarracona, vi tenne
genti virtutum suarum fiducia animo, ut nullum una dieta di tutti gli alleati, perciocchè alla fama
ferox verbum excideret; ingensque omnibus, di sua venuta eran concorse ambascerie da tutta
quae diceret, quum majestas inesset, tum fides. la Spagna. Quivi fe'tirare in secco le navi, riman
17 TITI LIVII LIBER XXVI. 48

date le quattro triremi dei Marsigliesi, che da


casa lo aveano accompagnato per onorarlo. Poi
cominciò a rispondere agli ambasciatori, sospesi
per la varietà di tanti casi, con tale elevatezza
d'animo per la fidanza che avea nelle sue virtù,
che non gli cadde di bocca parola, che fosse alte
ra; e in tutto quello che diceva appariva insieme
la maestà e la fede. - -

XX. Profectus ab Tarracone, et civitates so XX. Partito da Tarracona, visitò le città de


ciorum et hiberna exercitus adiit: collaudavit gli alleati e i quartieri d'inverno de'soldati; e
que milites, quod, duabus tantis cladibusdeinceps lodò questi, perchè quantunque percossi da due
icti, provinciam obtinuissent: nec fructum secun sì grandi sconfitte, s'erano mantenuti nella pro
darum rerum sentire hostes passi, omni cis Ibe vincia, e non lasciando che i nemici gustassero
rum agro eos arcuissent, sociosque cum fide tu il frutto del loro prosperi successi, gli avesser te
tati essent. Marcium secum habebat cum tanto nuti lontani da tutto il paese di qua dall'Ibero,
honore, ut facile appareret, nihil minus, quam e difeso avessero con tutta fede gli alleati. Aveva
vereri, ne quis obstaret gloriae suae. Successit seco Marcio in tal guisa onorandolo, che facil
inde Neroni Silanus, et in hiberna novi milites mente appariva niente manco temer egli, quanto
deducti. Scipio, omnibus, quae adeunda agen che alcuno offuscasse la sua gloria. Indi Silano
daque erant, mature aditis peractisque, Tarraco succedette a Nerone; e i nuovi soldati furon
nem concessit. Nihilo minor fama apud hostes messi a quartieri d'inverno. Fatto e visitato
Scipionis erat, quam apud cives sociosque, et di tutto quello, ch'era da fare e visitare, tornò Sci
vinatio quaedam futuri, quo minus ratio timoris pione a Tarracona. La fama di Scipione non era
reddi poterat oborti temere, majorem inferens punto minore presso i nemici di quel che fosse
metum.lIn hiberna diversi concesserant: Hasdru presso i cittadini e gli alleati, come pure il con
sgonis usque ad Oceanum et Gades : Mago cetto di una certa divinazione del futuro, che
in mediterranea, maxime supra Castulonensem tanto più atterriva, quanto meno si potea render
saltum: Hasdrubal Hamilcaris filius proximus ragione del timore nato senza apparèrre motivo. -e
Ibero circa Saguntum hibernavit. Aestatis ejus I nemici erano andati a quartieri d'inverno in
extremo, quo capta est Capua, et Scipio in Hispa luoghi diversi: Asdrubale, figlio di Giscone sino
niam venit, Punica classis, et Sicilia Tarentum all'Oceano ed a Cadice ; Magone nei paesi entro
accita ad arcendoscommeatus praesidii Romani, terra, specialmente sopra la selva Castulonese;
quod in arce Tarentina erat, clauserat quidem Asdrubale, figlio di Amilcare svernò presso all'I
omnes ad arcem a mari aditus; sed assidendo bero ne' contorni di Sagunto. Nel fine di quella
diutius arctiorem annonam sociis, quam hosti, fa state, in cui fu presa Capua e Scipione venne in
ciebat. Non enim tantum subvehi oppidanis per Ispagna, la flotta Cartaginese, chiamata dalla Si
pacata litora apertosque portus praesidio navium cilia a Taranto per impedire le vettovaglie al
Punicarum poterat, quantum frumenti classis ipsa presidio Romano, che guardava quella fortezza,
turba navali mixta ex omni genere hominum avea bensì chiuso ogni accesso dal mare alla roc
absumebat: ut arcis praesidium etiam sine in ca; ma prolungando di troppo la sua stazione,
vecto (quia pauci erant) ex ante praeparato sus affamava più gli alleati, che i nemici. Perciocchè
tentari posset; Tarentinis classique ne invectum non si poteva col soccorso delle navi Cartaginesi
quidem sufficeret. Tandem majore gratia, quam portare ai terrazzani dalle tranquille coste, e dai
venerat, classis dimissa est. Annona haud multum porti aperti tanto frumento, quanto ne consuma
laxaverat, quia, remoto maritimo praesidio, sub va la flotta stessa e la ciurma, mista ad ogni ge
vehi frumentum non poterat. nerazione di gente; in modo, che il presidio della
rocca (perchè eran pochi) poteva sostenersi, an
che senza riceverne di nuovo, con quello provvi
sto in addietro; ed ai Tarentini, e alla flotta non
bastava nè anche quello, che vi si portava. Final
mente la flotta fu licenziata con più contentezza,
che quando venne. La carestia non s'era molto
allentata, perchè, levato il sussidio di mare, non
si potea portarvi grano dal di fuori.
XXI. Ejusdem aestatis exitu, M. Marcellus ex XXI. Sul fine della state medesima, essendo
Sicilia provincia quum ad Urbem venisset, a C. Marco Marcello dalla Sicilia venuto a Roma, il
49 TITI LIVII I.IBER XXVI. 5o

Calpurnio praetore senatus ei ad aedem Bellonae pretore Caio Calpurnio lo introdusse nel senato,
datus est. Ibi quum de rebus a se gestis disseruis che avea raccolto nel tempio di Bellona. Quivi,
set, questus leniter non suam magis, quam mili poi ch'ebbe Marcello parlato delle sue geste, do
tum vicem, quod provincia confecta exercitum lutosi modestamente non tanto della sua, quanto
deportare non licuisset, postulavit, ut trium della sorte dell'esercito, che, compiuta l'impo
phanti urbem inire liceret: id non impetravit. stagli commissione, non gli fosse stato concesso
Quum multis verbis actum esset, utrum minus di ricondurlo a casa, chiese che gli fosse lecito
conveniret, cujus nomine absentis, ob res pro di entrare in Roma trionfante; e non l'ottenne.
spere ductu eius gestas, supplicatio decreta foret, Essendosi disputato a lungo, se forse sconveniente
et diis immortalibus habitus honos, ei praesenti cosa non fosse a quello, in nome del quale assente
negare triumphum; an, quem tradere exercitum erano state decretate pubbliche preghiere, e rin
successori jussissent (quod, nisi manente in pro graziamenti agli dei immortali, al medesimo pre
vincia bello, non decerneretur), eum quasi de sente negare il trionfo, ovvero, se quegli, a cui
bellato triumphare, quum exercitus, testis meriti era stato commesso di consegnar l'esercito al
atque immeriti triumphi, abesset: medium vi successore (il che non si decretava, che a guerra
sum, ut ovans urbem iniret. Tribuni plebis ex colà non ancora terminata), quegli stesso, quasi a
auctoritate senatus ad populum tulerunt, ut M. guerra finita, dovesse trionfare, non vi essendo
Marcello, quo die urbem ovans iniret, imperium nè anche l'esercito, testimonio del meritato o
esset. Pridie, quam urbem iniret, in monte Alba non meritato trionfo; si prese la via di mezzo,
no triumphavit: inde ovans multam praese prae che entrasse ovante in Roma. I tribuni della ple
dam in urbem intulit. Cum simulacro captarum be, autorizzati dal senato, proposero al popolo
Syracusarum catapultae ballistaeque, et alia omnia che a Marco Marcello, in quel dì che fosse en
instrumenta bellilata, et pacis diuturnae regiae trato, gli fosse conservato il comando. Il dì in
que opulentiae ornamenta, argenti aerisque fa manzi che entrasse trionfò sul monte Albano;
brefacti vis, alia supellex, pretiosaque vestis, et indi entrò in Roma ovante, portando dinanzi a
multa nobilia signa, quibus inter primas Graeciae sè gran bottino. Col disegno rappresentante la
urbes Syracusae ornatae fuerant: punicae quoque presa Siracusa c'eran catapulte e balliste, e tutti
victoriae signum, octo ducti elephanti. Et non gli altri bellici stromenti, e, frutto ed ornamento
minimum fuit spectaculum cum coronis aureis della lunga pace, e della regia opulenza, grande
praecedentes Sosis Syracusanus, et Mericus Hispa quantità d'oro e d'argento cesellato, suppellet
nus: quorum altero duce nocturno Syracusas in tili d'ogni sorte, preziose vesti e molte statue
troitum erant; alter Nasum, quodque ibi praesi di mano eccellente, di che Siracusa era adorna,
dii erat prodiderat. His ambobus civitas data, quanto alcun'altra più cospicua città della Gre
et quingena jugera agri. Sosidi in agro Syracu cia. S'introdussero pur anche otto elefanti, do
sano, qui aut regius, aut hostium populi Romani cumento della vittoria riportata sopra i Cartagi
fuisset, et aedes Syracusis cujus vellet eorum, in nesi. Nè furono picciolo spettacolo Soside Siracu
quos belli jure animadversum esset; Merico Hi sano e Merico Spagnuolo, che precedevano con
spanisque, qui cum eo transierant, urbs agerque corone d'oro sul capo: colla notturna scorta
in Sicilia ex iis, qui a populo Romano defecis del primo s'era entrato in Siracusa; l'altro avea
sent, jussa dari. Id M. Cornelio mandatum, ut, ubi consegnata l'isola di Naso, ed il presidio che ci
ei videretur, urbem agrumque eis assignaret. In era. Fu data ad ambedue la cittadinanza, e cin
eodem agro Belligeni, per quem illectus ad tran quecento giugeri di terra; a Soside nel contado
sitionem Mericus erat, quadringenta jugera agri Siracusano dei terreni, ch'erano stati del re o
decreta. Post profectionem ex Sicilia Marcelli, dei nemici del popolo Romano, ed una casa in
Punica classis octo millia peditum, tria Numida Siracusa a suo piacimento, di quelle ch'erano
rum equitum exposuit. Ad eos Murgantinae desci state di alcuno dei giustiziati; a Merico ed agli
verunt terrae: secutae defectionem earum Hybla Spagnuoli, che lo avean seguitato, una casa in
et Macella sunt, etignobiliores quaedam aliae. Et città, e una possessione nella Sicilia, di quelle,
Numidae, praefecto Mutine, vagi per totam Sici che aveano appartenuto ad alcun di coloro, che
liam, sociorum populi Romani agros urebant. Su s'erano ribellati dal popolo Romano. Fu com
per haec exercitus Romanus iratus, partim quod messo a Marco Cornelio, che assegnasse loro, do
cum imperatore non devectus ex provincia esset, ve meglio gli sembrasse, codeste case e terreni.
partim quod in oppidis hibernare vetiti erant, Nel medesimo contado furono assegnati quattro
segni fungebantur militia: magisque eis auctor cento giugeri di terra a Belligene, che avea tirato
ad seditionem, quam animus, deerat. Inter has Merico a ribellarsi. Dopo la partenza di Marcello
difficultates M. Cornelius praetor et militum ani dalla Sicilia, la flotta Cartaginese mise a terra
Livio 4
5I TITI LIVII LIBER XXVI. 52

mos, nunc consolando, munc castigando, sedavit, ottomila fanti, e tre mila cavalli Numidi; si uni
et civitates omnes, quae defecerant, in ditionem rono ad essi i contadi di Murganza, e seguirono
redegit; atque ex his Murgantiam Hispanis, qui il loro esempio Ibla e Macella, e alcuni altri
bus urbs agerque debebatur, ex senatusconsulto luoghi di poco conto. I Numidi, sotto la condotta
attribuit. di Mutine, scorrendo per tutta la Sicilia,abbrucia
van tutti i poderi degli alleati del popolo Romano.
Si aggiungeva, che l'esercito Romano, indispet
tito, parte perchè non s'eran lasciati partire dalla
Sicilia col loro comandante, parte perchè gli
aveano impediti di svernare nelle città murate,
faceano debolmente il lor dovere, e mancava
loro più tosto un capo, che la volontà a sollevarsi.
ln mezzo a queste difficoltà il pretore Marco
Cornelio quetò gli animi dei soldati ora confor
tandoli, ed ora riprendendoli, e ritornò all'obbe
dienza tutte le città che s'erano ribellate; e di
queste, per decreto del senato, assegnò Murganza
agli Spagnuoli, a quali era dovuta una stanza ed
un terreno, -

XXII. Consules, quum ambo Apuliam pro XXII. Avendo ambedue i consoli il governo
vinciam haberent, minusque jam terroris a Poe della Puglia in comune, nè più temendosi tanto
nis et Hannibale esset, sortiri jussi Apuliam Ma i Cartaginesi ed Annibale, si ordinò loro che si
cedoniamo ue provincias. Sulpicio Macedonia eve spartissero a sorte la Puglia e la Macedonia.
nit, isque Laevino successit. Fulvius, Romam co Toccò la Macedonia a Sulpizio, il quale succedet
mitiorum causa arcessitus, quum comitia consu te a Levino. Tenendo Fulvio, richiamato a Ro
libus rogandis haberet, praerogativa Veturia ma, i comizii per l'elezione dei consoli, la cen
juniorum declaravit T. Manlium Torquatum et turia Veturia de' giovani, alla quale prima toccò
T. Otacilium. Manlius, qui praesens erat, gratu dare il voto, nominò Tito Manlio Torquato e
landi causa quum turba coiret, nec dubius esset Tito Otacilio. Manlio, ch'era presente, mentre
consensus populi, magna circumfusus turba ad la turba lo accerchiava per congratularsi seco
tribunal consulis venit, petitgue, ut pauca sua lui, nè si dubitava punto del consentimento del
verba audiret, centuriamoue, quae tulisset suf popolo, circondato da immensa folla, si presenta
fragium, revocari juberet. Erectis omnibus ex al tribunale del console, e chiede che ascolti al
spectatione, quidnam postulaturus esset, oculo cune poche parole, e richiami la centuria, che
rum valetudinem excusavit : « Impudentem et avea dato il voto. Levatisi tutti in aspettazione,
gubernatorem et imperatorem esse, qui, quum qual cosa fosse egli per chiedere, si scusò dall'ac
alienis oculis ei omnia agenda sint, postulet sibi cettare allegando l'infermità degli occhi: « Esser
aliorum capita ac fortunas committi. Proinde, si impudente quel governatore e quel comandante,
videretur, et redire in suffragium Veturiam ju che costretto a valersi in ogni cosa degli occhi
miorum juberet, et meminisset in consulibus cre altrui, chiegga che gli sia commessa la vita e la
andis belli, quod in Italia sit, temporumque rei fortuna degli altri. Quindi, se gli piace, ordini
publicae. Vixdum requiesse aures a strepitu et che la Veturia dei giovani ritorni a dare il voto,
tumultu hostili, quo paucos ante menses assede e rammenti nel creare i consoli, la guerra che
rint prope moenia Romana. ” Post haec quum arde in Italia, e i tempi calamitosi della repub
centuria frequens succlamasset, a nihil se mutare blica. Erano quasi ancora assordati gli orecchi
sententiae, eosdemogue consules dicturos esse; º dallo strepito e tumulto, con cui s'era piantato
tum Torquatus, « Neque ego vestros, inquit, mo il nemico da non molti mesi sotto le mura di
res consul ferre potero, neque vos imperium Roma. » Detto ciò, gridando tutta insieme la
meum. Redite in suffragium, et cogitate bellum centuria, a che non cangiava parere, e che avreb
Punicum in Italia, et hostium ducem Hannibalem be nominati consoli i medesimi ; º allora Tor
esse. » Tum centuria, et auctoritate mota viri, et quato, « nè io potrò console tollerare i vostri
admirantium circa fremitu, petit a consule, ut costumi, nè voi il mio comando. Tornate a dare
Veturiam seniorum citaret: « Velle se cum ma il voto, e rammentate che i Cartaginesi vi fan
joribus natu colloqui. et ex auctoritate eorum guerra in Italia, e che il loro comandante è An
consules dicere. “ Citatis Veturiae senioribus, nibale. » Allora la centuria, e mossa dall'autorità
datum secreto in Ovili cum his colloquendi tem del personaggio, e dal mormorio di approvazione
53 TITI LIVII LIBER XXVI. 54
pus. Seniores de tribus consulendum dixerunt de circostanti, chiede al console, che chiami la
esse, duobus jam plenis honorum, Q. Fabio et Veturia dei seniori: « Voler conferire coi mag
M. Marcello, et, si utique novum aliquem adver giori di età, e seguire il lor parere nella nomina
sus Poemos consulem creari vellent, M. Valerium de'consoli. » Come furono chiamati, si diede
Laevinum egregie adversus Philippum regem loro tempo di abboccarsi insieme segretamente
terra marique res gessisse. Ita de tribus consul nell'ovile. I vecchi dissero, che non c'era da de
tatione data, senioribus dimissis, juniores suffra liberare, che intorno a tre soggetti, due già
gium ineunt. M. Claudium Marcellum, fulgentem ricolmi di onori, Quinto Fabio e Marco Marcel
tum Sicilia domita, et M. Valerium absentes con lo, e se anche si volesse nominare alcun nuovo
sules dixerunt: auctoritatem praerogativae omnes console contro i Cartaginesi, essersi Marco Vale
centuriae secutae sunt. Eludant nunc antiqua mi rio Levino condotto egregiamente per terra e
rantes: non equidem, si qua sit sapientium civi per mare contro il re Filippo. Quindi, consultati
tas, quam docti fingunt magis, quam norunt, aut si intorno i tre, licenziati i seniori, i iuniori
principes graviores temperantioresque a cupidi vanno a dare il voto. Nominaron consoli, in loro
ne imperii, aut multitudinem melius moratam assenza, Marco Claudio Marcello, chiaro allora
censeam fieri posse. Centuriam vero juniorum per la domata Sicilia, e Marco Valerio. Tutte le
seniores consulere voluisse, quibus imperium suf centurie seguirono l'autorità di quella che prima
fragio mandaret, vi» ut verisimile sit, parentum diede il voto. Vengano adesso ad irridere i tempi
quoque hoc seculo vilis levisque apud liberos antichi. Certo se ci fosse una repubblica di sa
auctoritas fecit. pienti, quale i dotti se la fingono in mente, piut
tosto che la conoscano, son di avviso, che non ci
si potrebbe trovare nè principali cittadini più
gravi, e più lontani dall'ambizione di comanda
re, nè moltitudine di popolo più costumata. Che
poi la centuria dei iuniori abbia voluto consultare
i seniori, chi dovesse ella proporre a consoli, fe”
che sembri poco credibile la eziandio in questo
secolo invilita e debile autorità del genitori so
pra i figliuoli. º
XXIII. Praetoria inde comitia habita. P. Man XXIII. Indi si tennero i comizi per la ele
lins Vulso, et L. Manlius Acidinus, et C. Laetorius, zione dei pretori. Furon creati Publio Manlio
et L. Cincius Alimentus creati sunt. Forte ita Vulsone, Lucio Manlio Acidino, Caio Letorio e
incidit, ut comitiis perfectis nunciaretur, T. Ota Lucio Cincio Alimento. Accadde a caso, che, ter
cilium, quem T. Manlio, nisi interpellatus ordo minati i comizii, si annunziò esser morto in Si
comitiorum esset, collegam absentem daturus cilia Tito Otacilio, quegli, che pareva che il po
fuisse videbatur populus, mortuum in Sicilia esse. polo avrebbe dato collega, in sua assenza, a Tito
Ludi Apollinares et priore anno fuerant, et, eo Manlio, se non fosse stato interrotto l'ordine
anno ut fierent, referente Calpurnio praetore, delle elezioni. I giuochi Apollinari e s'erano fatti
senatus decrevit, ut in perpetuum voverentur. l'anno innanzi, e proponendo il pretore Caio Cal
Eodem anno prodigia aliquot visa nunciataque purnio che si facessero anche in questo, il senato
sunt. In aede Concordiae Victoria, quae in cul decretò che si celebrassero tutti gli anni in per
mine erat fulmine icta decussaque, ad Victorias, petuo. In quell'anno medesimo furon visti ed
quae in antefixis erant, haesit, neque inde proci annunziati alquanti prodigii. La Vittoria, ch'era
dit. Et Anagnia et Fregellis nunciatum est, mu in cima al tempio della Concordia, colpita ed ab
rum portasque de coelo tactas; et in foro Suber battuta da un fulmine, cadendo si attaccò alle
tano sanguinis rivos per diem totum fluxisse, et Vittorie, che adornavano la cornice, nè più se ne
Ereti lapidibus pluisse, et Ereti lapidibus pluisse, spiccò. E si annunziò da Anagnia e da Fregelle
et Reate mulam peperisse. Ea prodigia hostiis che le mura e le porte erano state percosse da
majoribus sunt procurata, et obsecratio in unum fulmini, e che nella piazza di Suderto eran corsi
diem populo indicta, et movemdiale sacrum. Sa rivi di sangue un intero giorno; che ad Ereto
cerdotes publici aliquoteo anno demortui sunt, eran piovute pietre, e che a Reate una mula avea
novique suffecti: in locum M.' Aemilii Numidae partorito. Si espiarono questi prodigii con le
decemviri sacrorum M. Aemilius Lepidus; in lo vittime maggiori, e s' intimarono pubbliche
cum M. Pomponii Mathonis pontificis C. Li preci per tutto un giorno, e nove dì di sagrifizii.
vius; in locum Sp. Carvilii maximi auguris M. Morirono in quell'anno alcuni pubblici sacerdoti,
Servilius. T. Otacilius Crassus pontifex quia cui se ne surrogarono di nuovi: in luogo di Ma
55
r TITI LIVII LIBER XXVI. 50

exacto anno mortuus erat, ideo nominatio in nio Emilio Numida decemviro si sagrifizii, Mar
locum eius non est facta. C. Claudius Flamen co Emilio Lepido; in luogo del pontefice Manio
dialis, quod exta perperam dederat, flaminio Pomponio Matone, Caio Livio; in luogo di Spu
abiit. rio Carvilio, augure massimo, Marco Servilio.
Perchè il pontefice Tito Otacilio Crasso era mor
to compiuto il suo anno, non si nominò in suo
luogo. Caio Claudio, sacerdote di Giove, perchè
avea presentate le viscere in modo non debito,
rinunziò al sacerdozio.
XXIV. Per idem tempus M. Valerius Laevi XXIV. In quel medesimo tempo Marco Va
nus, tentatis prius per secreta colloquia princi lerio Levino, saggiati prima con segreti abboc
pum animis, ad indictum ante ad idipsum conci camenti gli animi dei principali cittadini, venne
lium Aetolorum classe expedita venit. Ubi quum con alquanti legni leggeri alla dieta degli Etoli,
Syracusas Capuamque captam, in fidem in Sici stata precedentemente intimata a tal effetto. Do
lia Italiaque rerum secundarum, ostentasset, adie ve, poi ch'ebbe esposta la presa di Siracusa e di
cissetque, « jam inde a majoribus traditum mo Capua a far fede dei successi ottenuti nella Sici
rem Romanis colendi socios, ex quibus alios in lia ed in Italia, aggiunse a essere costume dei
civitatem atque aequum secum jus accepissent, Romani, già ricevuto sin da lor maggiori, di
alios in ea fortuna haberent, ut socii esse, quam coltivare gli alleati, altri de' quali aveano am
cives, mallent. Aetolos eo in majore futuros ho messi alla loro cittadinanza e a dritti eguali con
noré, quod gentium transmarinarum in amici seco, altri gli avevano in grado tale, che essi ama
Baruspisisanigeat Philippum eis et Macedo van meglio d'essere alleati che cittadini. Gli Etoli
mas graves accolas èsse; quorum se vim ac spiri sarebbero stati tenuti in tanto maggior onore,
tus et jam fregisse, eteo redacturum esse, ut non quanto che, di tutte le nazioni d'oltre mare, pri
his modo urbibus, quaspervim (demissent Aeto mi sarebbero venuti all'amicizia dei Romani.
lis, excedant, sed ipsam Macedoniam infestam Avean presso Filippo e i Macedoni, vicini da
habeant. Et Acarnanas, quos aegre ferrent Aetoli temersi, la cui prepotenza ed orgoglio egli aveva
a corpore suo diremptos, restituturum se in an e di già infranto, e ridurrebbe a tale, che do
tiquam formulam jurisque ac ditionis eorum. ” vrebbero non solo uscire dalle città, che avean
Haec, dicta promissaque ab Romano imperatore, tolte agli Etoli colla violenza, ma si vedrebbero
Scopas, qui tum praetor gentis erat, et Doryma inquietati nella stessa Macedonia. E gli Acarnani,
chus, princeps Aetolorum, affirmaverunt aucto che gli Etoli soffrivano di mal cuore smembrati
ritate sua, minore cum verecundia et majore cum dal lor paese, gli avrebbe rimessi sotto l'antica
fide vim majestatemdue populi Romani extollen loro giurisdizione, e sotto il loro dominio. " E
tes: maxime tamen spes potiundae movebat Acar queste parole e promesse al comandante Ro
maniae. Igitur conscriptae conditiones, quibus in mano, Scopa, ch'era allora pretore, e Dorimaco,
amicitiam societatemdue populi Romani veni capo degli Etoli, le confermarono colla loro au
rent; additumque, « ut, si placeret vellentque, torità, levando al cielo con minor verecondia,
eodem jure amicitiae Elei, Lacedaemoniique, et e con più credibilità, la potenza e la maestà del
Attalus, et Pleuratus, et Scerdilaedus essent. popolo Romano: però li moveva massimamente
(Asiae Attalus, hi Thracum et Illyriorum reges) la speranza di ricuperare l'Acarnania. Si posero
« Bellum ut extemplo Aetoli cum Philippoterra dunque in iscritto le condizioni, colle quali gli
gererent: navibus ne minus viginti quinquere Etoli venissero a collegarsi coi Romani; e fu
mibus adjuvaret Romanus. Urbium Corcyrae te aggiunto, che, « qualora piacesse e volessero,
nus ab Aetolia incipienti solum, tectaque et muri entrassero nella stessa alleanza gli Eléi, gli Spar
cum agris Aetolorum ; alia omnis praeda populi tami, Attalo, Pleurato e Scerdiledo (Attalo era re
Romani esset; darentoue operam Romani, ut dell'Asia, gli altri due, uno della Tracia, l'altro
Acarnaniam Aetoli haberent. Si Aetoli pacem dell'Illirio); che subito gli Etoli movessero guer
cum Philippo facerent, foederi adscriberent, ita ra a Filippo per terra, che il Romano gli aiu
ratam eorum pacem, si Philippus arma ab Ro tasse con non manco di venti quinqueremi; che
manis sociisque, quique eorum ditionis essent, cominciando dall'Etolia sino a Corcira, il suolo,
abstinuisset. Item, si populus Romanus foedere le case, i muri delle città col loro territorii fos
jungeretur regi, ut caveret, ne jus ei belli infe sero degli Etoli; tutta l'altra preda dei Romani.
rendi Aetolis sociisque eorum esset. - Haec con E questi si adoprassero perchè gli Etoli ricupe
venerunt, conscriptaque biennio post Olympiae rassero l'Acarnania. Se gli Etoli facessero la pace
ab Aetolis, in Capitolio ab Romanis, ut testata con Filippo, aggiungessero ai patti, che la pace
57 TITI LIVII LIBER XXVI. 58

sacratis monumentis essent, sunt posita. Morae non sarebbe valida, se Filippo non si astenesse
causa fuerant retenti Romae diutius legati Aeto dal portar l'armi contro i Romani e gli alleati
lorum: nec tamen impedimento id rebus geren e soggetti loro. Parimenti, se il popolo Romano
dis fuit. Et Aetoli extemplo moverunt adversus si collegasse col re, stipulasse che Filippo non
Philippum bellum, et Laevinus Zacynthum (par dovesse mover guerra agli Etoli, nè ai loro al
va insula est propinqua Aetoliae: urbem unam leati. » Questi furono gli accordi, scritti due anni
eodem, quo ipsa est, nomine habet); eam praeter dopo dagli Etoli nel tempio di Olimpia, e posti
arcem vi cepit, et Oeniadas Nasumque Acarna dai Romani nel Campidoglio, acciocchè fossero
num captas Aetolis contribuit. Philippum quoque monumenti consagrati dalla religione. Cagione
satis implicatum bello finitimo ratus, ne Italiam del ritardo furono i legati degli Etoli ritenuti a
Poenosque et pacta cum Hannibale posset respi Roma lungo tempo; nè ciò impedì punto il
cere, Corcyram ipse se recepit. guerreggiare. Gli Etoli si mossero subito contro
Filippo, e Levino prese e consegnò agli Etoli il
Zante (questa è una picciola isola vicina all'Eto
lia, che ha una sola città dello stesso nome): la
prese di viva forza, eccetto la rocca, non che
Oeniade e Naso, già degli Acarnani; e pensando
che Filippo fosse anche impacciato nella guerra
coi confinanti, e non potesse badare nè all'Italia,
nè ai Cartaginesi, nè agli accordi fatti con Anni
bale, si ritirò egli pure a Corcira.
XXV. Philippo Aetolorum defectio Pellae XXV. La defezione degli Etoli fu rapportata
hibernanti allata est: itaque, quia primo vere mo a Filippo, mentr'egli svernava a Pella. Quindi,
turus exercitum in Graeciam erat, Illyrios finiti perchè stava per movere l'esercito in primavera
masque eis urbes alterno metu quietas ut Mace contro la Grecia, acciocchè la Macedonia non
donia haberet, expeditionem subitam in Orici avesse a temer nulla dalla parte degl'Illirii, e
morum atque Apolloniatium fines fecit, egres delle città loro confinanti, si scagliò subito sulle
sosque Apolloniatas cum magno terrore atque terre degli Oricini e degli Apolloniati, e cacciò
pavore compulit intramuros. Vastatis proximis questi, ch'erano usciti, con gran terrore e spa
Illyrici, in Pelagoniam eadem celeritate vertit vento dentro le loro mura. Devastati i paesi vi
iter: inde Dardanorum urbem, sitam in Macedo cini all'Illirio, si volse colla stessa celerità contro
nia, transitum Dardanis facturam, cepit. His ra la Pelagonia; indi prese Sinzia città dei Dardani,
ptim actis, memor Aetolici junctique cum eo Ro che apriva loro il passo nella Macedonia; fatto
mani belli, per Pelagoniam et Lyncum et Bot ciò rapidamente, non dimentico della guerra,
tiaeam in Thessaliam descendit. Ad bellum se che avea cogli Etoli congiunti ai Romani, per la
cum adversus Aetolos capessendum incitari pos Pelagonia, il Linco e la Bottiéa discese nella Tes
se homines credebat; et, relicto ad fauces Thes saglia. Credeva di poter suscitare quelle genti a
saliae Perseo cum quatuor millibus armatorum pigliar seco la guerra contro gli Etoli; e lasciato
ad arcendos aditu Aetolos, ipse, priusquam ma alle gole della Tessaglia Perseo con quattro mila
joribus occuparetur rebus, in Macedoniam, atque armati a chiudere il passo agli Etoli, egli, in
inde in Thraciam exercitum ac Maedos duxit. nanzi che maggiori faccende l'occupassero, con
Incurrere ea gens in Macedoniam solita erat, ubi dusse l'esercito nella Macedonia, e di là nella
regem occupatum externo bello ac sine praesidio Tracia e nella Medica. Soleva questa nazione
esse regnum sensisset. Ad Phragandas igitur va scorrer sopra la Macedonia, tosto che vedesse il
stare agros, et urbem Jamphorimam, caput ar re occupato in guerra esterna, e il regno senza
cem que Maedicae, oppugnare coepit. Scopas, ubi difesa. Cominciò dunque a Fragande a dare il
profectum in Thraciam regem, occupatumque ibi guasto alle terre e a combattere Gianforina, cit
bello audivit, armata omni juventute Aetolorum, tà capitale e fortezza della Medica. Scopa, udito
bellum inferre Acarnaniae parat. Adversus quos che il re, passato nella Tracia, era quivi tratte
Acarnanum gens et viribus impar, et jam Oenia nuto guerreggiando, messa in arme tutta la gio
das Nasumque amissa cernens, Romanaque insu ventù degli Etoli, si apparecchia ad assaltare
per arma ingruere, ira magis instruit, quam con l'Acarnania. Ad affrontare il qual nembo gli
silio, bellum. Conjugibus liberisque et senioribus Acarnani, e diseguali di forze, e che vedevano
supra sexaginta annos in propinquam Epirum già perduti oeniade e Naso, ed oltre ciò piombar
missis ab quindecim ad sexaginta annos conju loro addosso l'armi Romane, pure più per ira,
rant, nisi victores, se non redituros. Qui victus che per sano consiglio si accingono alla difesa.
59 TITI LIVII LIBER XXVI. Go

acie excessisset, eum ne quis urbe, tecto, mensa, Mandate nel vicino Epiro le mogli, i figliuoli ed
lare reciperet, diram exsecrationem in populares, i vecchi oltre i sessant'anni, giurano tutti dai
obtestationem quam sanctissimam potuerunt ad quindici ai sessant'anni di non tornare, se non
versus hospites, composuerunt; precatique simul se vincitori. Acciocchè nessuno ricevesse nè in
Epirotas sunt, ut, qui suorum in acie cecidissent, città, nè in casa, nè alla mensa chiunque uscisse
eos uno tumulo contegerent, adhiberentgue hu vinto dalla battaglia, composero una spaventosa
matis titulum: HIC siT1 su NT ACARNANes, QUI, esecrazione contro i popolani, un'imprecazione
AdvERsUs vIM ATQUE INJURIAM AEToLoRUM PRO PA quanto più poterono tremenda contro chi gli
TRIA PUGNANTEs, MoRTEM occuBUERUNT. Per haec albergasse, e in pari tempo pregano gli Epiroti,
incitatis animis, castra in extremis finibus suis che a quelli di loro, che cadessero sul campo,
obvia hosti posuerunt: nunciis ad Philippum diano una sola sepoltura, aggiungendovi questa
missis, quanto res in discrimine esset, omittere iscrizione: QUI GIAccioNo GLI ACARNANI, CHE com
Philippum id, quod in manibus erat, coegerunt BATTENDO PER LA PATRIA CoNTRO LA VIOLENZA E

bellum, Jamphorina per deditionem recepta, et L' INGIUSTIZIA DEGLI EToLI, INcoNTRARoNo LA
prospero alio successu rerum. Aetolorum impe MoRTE. Avendo con questo infiammati gli animi,
tum tardaverat primo conjurationis fama Acar si accamparono sull'estremità del lor confine di
manicae: deinde auditus Philippi adventus regre rincontro a nemici. Mandati messi a Filippo,
di etiam in intimos coégit fines. Nec Philippus, che lo avvisassero in che pericolo essi fossero,
quamquam, ne opprimerentur Acarnanes, itine queste notizie lo sforzarono a lasciar la guerra
ribus magnis ierat, ultra Dium est progressus. che aveva tra le mani, sebbene avuta avesse di
Inde, quum audisset reditum Aetolorum ex Acar già Gianforina a patti, e riportati altri vantaggi.
mania, et ipse Pellam rediit. La nuova della cospirazione degli Acarnani avea
dapprima ritardato l'impeto degli Etoli; indi
quella della venuta di Filippo gli avea eziandio
sforzati a ritornarsene al paese. Nè Filippo, quan
tunque fosse venuto a gran giornate per non la
sciar opprimere gli Acarnani, si era avanzato più
oltre, che Dio. Poscia, ndito che gli Etoli s'era
no ritirati dall'Acarnania, egli pure tornò a Pella.
XXVI. Laevinus, veris principio a Corcyra XXVI. Sul principio della primavera partito
profectus navibus, superato Leucata promonto Levino colla flotta da Corcira, superato il pro
rio, quum venisset Naupactum, Anticyram inde montorio di Leucate, venuto a Naupatto, fece
se petiturum edixit, ut praesto ibi Scopas Aeto intendere che di là andrebbe ad Anticira, accioc
lique essent. Sita Anticyra est in Locride laeva chè Scopa e gli Etoli vi si trovassero in pronto.
parte sinum Corinthiacum intrantibus: breve ter Anticira è posta nella Locride dalla parte sinistra
raitereo, brevis navigatio ab Naupacto est. Ter a chi entra nel seno di Corinto; partendo da
tio ferme post die utrimogue oppugnari coepta Naupatto il viaggio per terra è breve, breve per
est. Gravior a mari oppugnatio erat; quia et tor mare. Quasi tre dì dopo si cominciò a batterla
menta machinaeque omnis generis in navibus d'ambi i lati. Dalla parte di mare l'assalto fu
erant, et Romani inde oppugnabant. Itaque intra più vigoroso, e perchè c'era nelle navi ogni sorta
paucos dies recepta urbs per deditionem Aetolis di macchine e di stromenti bellici, e perchè ci
traditur, praeda ex pacto Romanis cessit. Literae erano a combatterla i Romani. In pochi di adun
Laevino redditae, consulem eum absentem decla que avutala a patti, fu consegnata agli Etoli; la
ratum, et successorem venire P. Sulpicium: cete preda, giusta l'accordo, fu de Romani. Ebbe
rum, diuturno ibi morbo implicitus, serius spe Levino lettere, che lo avvisavano esser egli stato
omnium Romam venit. M. Marcellus, quum Idibus fatto console in assenza, e venire a succedergli
Martiis consulatum inisset, senatum eo die, moris Publio Sulpicio: se non che, infermatosi quivi
modo causa, habuit, professus, « nihil se, absente di lunga malattia, giunse a Roma più tardi di
collega, neque de republica, neque de provinciis, quel che ognuno sperava. Marco Marcello, preso
acturum. Scire se, frequentes Siculos prope ur il consolato alla metà di Marzo, il di medesimo
bem in villis obtrectatorum suorum esse: quibus, radunò il senato solamente per seguir l'uso, di
tantum abesse, ut per se non liceat palam Romae chiarando, a che in assenza del collega non trat
crimina edita fictaque ab inimicis vulgare, ut, ni terebbe nè della repubblica, nè delle province.
simularent, aliquem sibi timorem, absente colle Gli era noto, che parecchi Siciliani si stavano
ga, dicendi de consule esse, ipse eis extemplo appiattati presso Roma nelle ville de suoi detrat
daturus senatum fuerit. Ubi quidem collega ve tori, a quali tanto è lontano ch'egli non per
61 TITI LIVII LIBER XXVI. 62

nisset, non passurum quidquam prius agi, quam metta di palesare pubblicamente in Roma le colpe
ut Siculi in senatum introducantur. Delectum o da lui commesse, o infinte da suoi nemici, che
propea M. Cornelio per totam Siciliam habitum, se non simulassero di aver tema di parlare a ca
ut quamplurimi questum de se Romam venirent. rico di un console in assenza del di lui collega,
Eumdem literis falsis urbem implesse, bellum in gl'introdurrebbe subito in senato. Come tosto
Sicilia esse, ut suam laudem minuat. » Moderati sarà venuto il collega, non soffrirà che si tratti
animi gloriam eo die adeptus consul, senatum d'altro, innanzi che i Siciliani sieno ammessi in
dimisit; ac prope justitium omnium rerum futu senato. Avea Marco Cornelio fatta quasi una leva
rum videbatur, donec alter consul ad urbem ve per tutta la Sicilia, onde molti e molti venissero
nisset. Otium, ut solet, excitavit plebis rumores: a Roma a querelarsi di lui; e per iscemargli la
a belli diuturnitate, et vastatos agros circa urbem, lode avea piena Roma di lettere false, spargendo
qua infesto agmine isset Hannibal, et exhaustam che dura tuttavia la guerra in Sicilia. » Il conso
delectibus Italiam, et prope quotannis exercitus le, acquistatasi in quel dì gloria di molta mode
caesos querebantur; et consules bellicosos ambo, razione, licenziò il senato; e pareva che ci sa
viros acres nimis et feroces, creatos, qui vel in rebbe stata vacanza da ogni altro affare sino a
pace tranquilla bellum excitare possent, medum tanto che l'altro console non fosse venuto a Ro
in bello respirare civitatem forent passuri. » ma. L'ozio, siccome avviene, suscitò i rumori
della plebe: dolevansi, « che per la lunghezza
della guerra fossero devastate le campagne per
tutto nelle vicinanze di Roma, dov'era passato
Annibale ostilmente; che l'Italia fosse votata
d'uomini per le leve; che quasi ogni anno si
udissero eserciti disfatti; e che si fossero eletti
due consoli, ambedue bellicosi, ambedue caldi
troppo e feroci, i quali, non che lasciar la città
respirare alquanto in tempo di guerra, la guerra
suscitar potrebbero anche in mezzo a pace tran
quilla. »
XXVII. Interrupit hos sermones nocte, quae XXVII. Interruppe questi discorsi un incen
pridie Quinquatrus fuit, pluribus simul locis circa dio scoppiato in più luoghi ad un tratto la notte
forum incendium ortum: eodem tempore septem che precedette la festa di Minerva. Si abbrucia
tabernae, quae postea quinque, et argentariae, rono ad un tempo stesso le sette botteghe, che
quae nunc novae appellantur, arsere. Compre poi furon cinque, e quelle de'banchieri, che ora
hensa postea privata aedificia: neque enim tum si chiaman botteghe nuove. Indi il fuoco si ap
basilicae erant: comprehensae lautumiae, forum prese alle fabbriche private; chè allora non ci
que piscatorium, et atrium regium. Aedes Vestae era il gran portico; non che alle prigioni, al
vix defensa est tredecimmaxime servorum opera, mercato del pesce e all'atrio dei re. Il tempio di
qui in publicum redempti ac manumissi sunt. Vesta fu a mala pena salvato per opera massima
Nocteac die continuatum incendium fuit; neculli mente di tredici schiavi, che furono ricomprati
dubium erat, humana id fraude factum esse, quod col pubblico denaro, e messi in libertà. L'incen
pluribus simul locis, et iis diversis, ignes coorti dio durò un giorno ed una notte. Nè si dubitava
essent. Itaque consul ex auctoritate senatus pro che non fosse avvenuto per frode umana, perchè
concione edixit, qui, quorum opera id conflatum il fuoco si levò ad un tratto in più luoghi e di
incendium, profiteretur, praemium fore, libero versi. Quindi il console per decreto del senato
pecuniam, servo libertatem. Eo praemio inductus fe' bandire, che chiunque manifestasse per opera
Campanorum Calaviorum servus (Mannus ei no di cui fosse accaduto l'incendio, avrebbe in pre
men erat) indicavit, a dominos et quinque prae mio, se uomo libero, una somma di denaro, se
terea juvenes nobiles Campanos, quorum parentes schiavo, la libertà. Da cotal premio allettato uno
a Q. Fulvio securi percussi erant, id incendium schiavo de' Calavii Campani (nomato Manno),
fecisse; vulgoque facturos alia, mi comprehen denunziò, « che i suoi padroni, e inoltre cinque
dantur. » Comprehensi ipsi familiaeque eorum: nobili giovani Capuani, i cui padri erano stati
et primo elevabatur index indiciumque: « pridie fatti decapitare da Quinto Fulvio, avean procu
eum verberibus castigatum ab dominis discessis rato quell'incendio, e che ne dovevano procu
se, per iram ac levitatem ex re fortuita crimen rare altri qua e colà, se non fossero presi. » Fu
commentum.» Ceterum ut coram coarguebantur, rono dunque presi essi e tutti i loro schiavi. E
et quaestio ex ministris facinoris foro medio ha dapprima si volea screditare il denunziante e la
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beri coepta est, fassi omnes, atque in dominos denunzia, dicendo, a che colui s'era partito il dì
servosque conscios animadversum est: indici li innanzi dai padroni, perchè l'avean fatto battere
bertas data, et vigintimillia aeris. Consuli Lae colle verghe, e che per dispetto e leggerezza avea
vino Capuam praetereunti circumfusa multitudo infantata dal caso occorso quell'accusa. » Del re
Campanorum est, obsecrantium cum lacrymis, ut sto, poi che furono confrontati a faccia a faccia,
sibi Romam ad senatum ire liceret, oratum, si e che si cominciò nel mezzo della piazza ad ap
qua misericordia tandem flecti possent, ne se ad plicare gli esecutori del misfatto alla tortura,
ultimum perditum irent, nomengue Campanorum tutti confessarono; quindi i padroni e gli schiavi
a Q. Flacco deleri sinerent. Flaccus, « sibi pri consapevoli furono giustiziati. Al delatore fu data
vatam simultatem cum Campanis, negare, nul la libertà e venti mila assi. Il console Levino,
lam esse: publicas inimicitias et hostiles esse et passando per Capua, fu attorniato da una molti
futuras quoad eo animo esse erga populum Ro tudine di Capuani, che lo scongiuravano colle
manum sciret: nullam enim in terris gentemesse, lagrime agli occhi, che permettesse loro di an
nullum infestiorem populum nomini Romano. dare a Roma al senato a pregarlo, se in fine lo si
Ideo se moenibus inclusos tenere eos, quia, si potesse piegare a compassione, che non volesse
qui evasissent aliqua, velut feras bestias per agros consumare la lor rovina, nè lasciasse che Quinto
vagari, et lamiare et trucidare, quodcumque ob Flacco spegnesse affatto il nome Campano. Flac
vium detur. Alios ad Hannibalem transfugisse, co rispose, a non aver egli nimistà privata nes
alios ad Romam incendendam profectos: inven suna coi Campani: era nimicizia pubblica ed
turum in semiusto foro consulem vestigia sceleris ostile, e sempre la manterrebbe, sino a tanto che
Campanorum. Vestae aedem petitam, et aeternos sapesse nodrir essi l'animo stesso verso il popolo
ignes, et conditum in penetrali fatale pignus im Romano: perciocchè non v'ha nazione al mondo,
perii Romani. Se minime censere tutum esse, non popolo più avverso al nome di Roma. Lite
Campanis potestatem intrandi Romana moenia neva egli chiusi dentro le mura, perchè se alcuno
fieri. » Laevinus Campanos, jurejurando a Flacco ne scampasse fuori per qualche via, andrebbero
adactos, quinto die, quam ab senatu responsum vagando, quai fiere belve, per le campagne, stra
accepissent, Capuam redituros, sequi se Romam ziando, trucidando tutto quello, in che si abbat
jussit. Hac circumfusus multitudine, simul Siculis tessero. Altri eran fuggiti ad Annibale, altri an
obviam egressis Aetolisque Romam praeivit, cla dati a metter fuoco a Roma. Troverebbe il con
rissimarum urbium excidio celeberrimis viris vi
sole nella piazza mezzo abbruciata i vestigii della
ctos bello accusatores in urbem adducens. De re
scelleratezza de' Campani. Si mirò al tempio di
publicatamen primum acde provinciisambo con Vesta, agli eterni fuochi, a quel che si cela nel
sules ad senatum retulere.
l'intimo santuario pegno fatale dell'impero Ro
mano; sì che egli non reputava cosa sicura per
mettere a Capuani, ch'entrassero in Roma. Le
vino, fatto che i Campani giurassero in man di
Flacco, che sarebbero tornati a Capua cinque
giorni dopo che avessero avuta risposta dal se
nato, ordinò che lo seguitassero a Roma. Accer
chiato da questa moltitudine, entrò in Roma in
sieme coi Siciliani e cogli Etoli usciti gli incontro,
seco menandovi coloro che vinti in guerra veni
vano ad accusare riputatissimi capitani per l'ec
cidio di nobilissime città. Nondimeno i consoli,
prima che d'altra cosa, riferirono al senato delle
cose concernenti la repubblica, e del governo
delle province. -

XXVIII. Ibi Laevinus, quo statu Macedonia XXVIII. Quivi Levino espose in che stato era
et Graecia, Aetoli, Acarnanes Locrique essent, la Macedonia, la Grecia, gli Etoli, gli Acarnani
quasque ibi res ipse egisset terra marique, expo ed i Locresi ; e tutto quello ch'egli avea fatto per
suit: a Philippum, inferentem bellum Aetolis, mare e per terra: « Filippo, che avea mossa
in Macedonia retroab se compulsum, ad intima guerra agli Etoli, da lui risospinto in dietro nella
penitus regni abisse, legionemque inde deduci Macedonia, essersi concentrato nelle più interne
posse: classem satis esse ad arcendum Italia re parti del regno, e quindi potersi ritirare la le
gem. » Haec de se deque provincia, cui praefue gione che vi era ; bastar la flotta a tenere il re
rat. Consulum de provinciis communis relatio lontano dall'Italia. » Non altro disse di sè, e
65 TITI LIVII LIBER XXVI. 66

fuit. Decrevere Patres, a ut alteri consulum Ita della provincia che avea governata. La propo
lia bellumque cum Hannibale provincia esset: al sta delle province fu fatta al senato dai con
ter classem, cui T. Otacilius praefuisset, Siciliam soli in comune. I Padri decretarono, « che l'I
que provinciam cum L. Cincio praetore obtine talia, e la guerra con Annibale fosse dell'uno
ret. - Exercitus eis duo decreti, qui in Etruria dei consoli; l'altro avesse la flotta, ch'era stata
Galliaque essent; eae quatuor erant legiones: sotto gli ordini di Tito Otacilio, e insieme il go
urbanae duae superioris anni in Etruriam; duae, verno della Sicilia col pretore Lucio Cincio. »
quibus Sulpicius consul praefuisset, in Galliam Si assegnaron loro i due eserciti, ch'erano nel
mitterentur: Galliae et legionibus praeesset quem l'Etruria e nella Gallia, composti di quattro le
consul, cujus Italia provincia esset, praefecisset. gioni; le due legioni urbane, levate l'anno in
In Etruriam C. Calpurnius, post praeturam pro nanzi, si mandassero nell'Etruria; e le altre due,
rogato in annum imperio, missus; et Q. Fulvio state comandate da Sulpicio console, nella Gallia.
Capua provincia decreta, prorogatumque in an Alla Gallia ed a quelle legioni fosse preposto
num imperium. Exercitus civium sociorumque colui, che il console, cui toccasse l'Italia, prepo
minui jussus, utex duabus legionibus una legio, nesse. Nell'Esruria fu mandato Caio Calpurnio,
quinque millia peditum et trecenti equites essent; prorogatogli, finita la pretura, il comando per
dimissis, qui plurima stipendia haberent: et so un anno; e a Quinto Fulvio fu assegnato il go
ciorum septem millia peditum et trecenti equites verno del Capuano, e parimenti prorogato per
relinquerentur, eadem ratione stipendiorum ha un anno il comando. Fu ordinato che si dimi
loita in veteribus militibus dimittendis. Cn. Ful nuisse l'esercito dei cittadini e degli alleati, sì
vio consuli superioris anni, nec de provincia Apu che di due legioni se ne formasse una sola di
lia, nec de exercitu, quem habuerat, quidquam cinque mila fanti e trecento cavalli, licenziati
mutatum: tantum in annun prorogatum impe quelli, che avessero militato per più anni; e de
rium est. P. Sulpicius collega eius omnem exer gli alleati si ritennero soltanto sette mila fanti e
citum, praeter socios navales, jussus dimittere trecento cavalli, avuto il medesimo rispetto agli
est. Item ex Sicilia exercitus, cui M. Cornelius anni della milizia nel licenziare i vecchi soldati.
praeesset, ubi consulin provinciam venisset, di A Gneo Fulvio, console dell'anno antecedente,
mittijussus. L. Cincio praetori ad obtinendam Sici non si mutò nulla, nè quanto alla provincia della
liam Cannenses milites dati, duarum instar legio Puglia, nè quanto all'esercito, che aveva avuto ;
num. Totidem legiones in Sardiniam P. Manlio solamente gli si prorogò il comando per un anno.
Vulsoni praetori decretae, quibus L. Cornelius Il di lui collega Publio Sulpicio ebbe ordine di
in eadem provincia priore anno praefuerat. Ur licenziare tutto l'esercito, tranne le genti di ma
banas legiones ita scribere consules jussi, ne quem re. Si ordinò similmente, che come il console
militem facerent, qui in exercitu M. Claudii, M. fosse arrivato in Sicilia, si licenziasse quell'eser
Valerii, Q. Fulvii, fuissent; neve eo anno plures, cito ch'era stato comandato da Marco Cornelio.
quam una et viginti, Romanae legiones essent, A tener la Sicilia furono assegnati al pretore Lu
cio Cincio i soldati dell'esercito di Canne, for
manti a un dipresso due legioni. Altrettante ne
furono decretate per la Sardegna al pretore Pu
blio Manlio Vulsone, quelle stesse che avean mi
litato l'anno innanzi nella stessa provincia sotto
Lucio Cornelio. Si commise ai consoli che arro
lassero le legioni urbane in guisa, che non pren
dessero alcun soldato di quelli ch' erano stati
nell'esercito di Marco Claudio, di Marco Valerio
e di Quinto Fulvio, e che in quell'anno le le
gioni Romane non oltrepassassero il numero di

vent'una.
XXIX. His senatusconsultis perfectis, sortiti XXIX. Fatti questi decreti, i consoli si divi
provincias consules. Sicilia et classis Marcello, sero a sorte le province. La Sicilia e la flotta toccò
Italia cum bello adversus Hannibalem Laevino a Marcello, l'Italia colla guerra contro Annibale
evenit. Quae sors, velut iterum captis Syracusis, dLevino. Questa destinazion della sorte disanimò
ita exanimavit Siculos, exspectatione sortis in con sì fattamente i Siciliani, che stavansi in faccia ai
sulum conspectu stantes, ut comploratio eorum consoli ad attendere ciò ch'ella ordinasse, che,
flebilesque voces et extemplo oculos. hominum quasi fosse presa di nuovo Siracusa, il lor com
pianto e le voci lamentevoli ºppiº trassero a
converterent, et postmodo sermones praebuerint.
livio
67 TITI LIVII LIBER XXVI. 68

Circumibant enim senatum cum veste sordida, sè gli occhi di tutti, e poscia diedero motivo di
affirmantes, « se non modo suam quisque patriam, discorsi. Perciocchè attorniavano il senato in ve
sed totam Siciliam, relicturos, si eo Marcellus ste bruna, protestando, a che lascerebbero non
iterum cum imperio redisset. Nullo suo merito solamente ciascuno la patria sua, ma tutti ezian
eum ante implacabilem in se fuisse: quid iratum, dio la Sicilia, se ci tornasse nuovamente Marcello
quod Romam de se questum venisse Siculos sciat, a comandare. Senza che il meritassero, egli era
facturum? Obrui Aetnae ignibus, aut mergi freto, stato dianzi loro implacabile nemico; che fareb
satius illi insulae esse, quam velut dedi noxae ini, be ora sdegnato, poi che sa che son venuti a
mico. " Hae Siculorum querelae, domos primum Roma i Siciliani per querelarsi di lui? meglio
nobilium circumlatae, celebrataeque sermonibus, per quell'isola che i fuochi d'Etna la divorino,
quos partim misericordia Siculorum, partium in o che il mare l'inghiotta, piuttosto ch' essere
vidia Marcelli excitabat, in senatum etiam per consegnata, quasi a carnefice, al suo nemico. »
venerunt. Postulatum a consulibus est, ut de per Queste querele dei Siciliani, portate prima din
mutandis provinciis senatum consulerent. Marcel torno per le case dei nobili, poscia ripetute nei
lus, . si am auditi ab senatu Siculi essent, aliam discorsi, cui suscitava in parte la compassione
forsitan futuram fuisse sententiam suam dicere. verso i Siciliani, in parte l'invidia contro Mar
Nunc, ne quis timore frenari eos dicere posset, cello, pervennero eziandio al senato. Fu chiesto
quo minus de eo libere querantur, in cuius pote ai consoli che consultassero il senato sullo
state mox futuri sint, si collegae nihil intersit, scambiar le province. Marcello disse, a che se i
mutare se provinciam paratum esse. Deprecari Siciliani avessero di già avuto udienza dal senato,
senatus praejudicium ; nam, quum extra sortem sarebbe egli forse d'altro parere: adesso, accioc
collegac optionem dari provinciae iniquum fuerit, chè nessuno possa dire che il timore li ritiene
quanto majorem injuriam, immo contumeliam dal querelarsi liberamente di colui, sotto il poter
esse, sortem suam ad eun transferri? : Ita se del quale stan per cadere, esser egli pronto, se
matus, quum, quid placeret, magis ostendisset, nulla importa al collega, a scambiar la provincia.
quam decresset, dimittitur. Inter ipsos consules Ben pregava il senato che non anticipasse il suo
permutatio provinciarum, rapiente fato Marcel giudizio; perciocchè, se sarebbe stata ingiusta
lum ad Hannibalem, facta est: ut, ex quo primus cosa il concedere al suo collega, fuor della sorte,
adversae pugnae gloriam ceperat, in eius laudem la scelta della provincia, quanto non sarebbe
postremus Romanorum imperatorum, prosperis maggiore ingiuria, anzi oltraggio, la sorte ch'era
tum maxime bellicis rebus, caderet. toccata a lui, trasferirla nel collega ? » Così il
senato, avendo indicato piuttosto che decretato
ciò, che più gli piaceva, è licenziato. Si fa tra i
consoli lo scambio delle province, la forza del
destino tirando Marcello verso Annibale, accioc
chè, siccome nella fortuna avversa della guerra,
primo egli si aveva acquistata gloria vincendolo,
così nel mezzo delle belliche prosperità, ultimo
de'comandanti Romani a di lui lode cadesse.
XXX. Permutatis provinciis, Siculi, in sena XXX. Scambiate le province, i Siciliani, in
tum introducti, multa de Hieronis regis fide per trodotti in senato, molte parole fecero della non
petua erga populum Romanum verba fecerunt, mai cangiata fede del re Jerone verso il popolo
in gratiam publicam avertentes, « Hieronymum Romano, derivandone il merito a tutta la Sicilia;
ac postea Hippocraten et Epicyden tyrannos, « che Jeronimo, e di poi Ippocrate ed Epicide
quum ob alia, tum propter defectionem ab Ro tiranni eran loro venuti in odio sì per altre cose,
mamis ad Hannibalem, invisos fuisse sibi. Ob eam sì perchè dai Romani s'eran voltati ad Annibale.
causam et Hieronymum a principibus juventutis Fu per questo, che Jeronimo fu ammazzato quasi
prope publico consilio interfectum, et in Epi per pubblico consiglio, dai primarii capi della
cydis Hippocratisque caedem septuaginta nobi gioventù, e che alla morte di Epicide e di Ippo
lissimorum iuvenum conjurationem factam; quos crate congiurarono settanta giovani nobilissimi,
Marcelli mora destitutas, quia ad praedictum tem i quali abbandonati per l'indugiar di Marcello,
pus exercitum ad Syracusas non admovisset, in che non aveva al tempo convenuto accostato
dicio facto, omnes ab tyrannis interfectos. Eam l'esercito a Siracusa, scoperti, furon tutti messi
quoque Hippocratis atque Epicydis tyrannidem a morte dai tiranni. Quella stessa tirannia d'Ip
Marcellum excitasse, Leontinis crudeliter direptis. pocrate e di Epicide, suscitolla Marcello coll'avere
Numquam deinde principes Syracusanorum de barbaramente saccheggiati i Leontini. Non avean
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7o
sisse ad Marcellum transire, pollicerique, se ur poscia cessato i principali Siracusani di venire
bem, quum vellet, ei tradituros: sed eum primo a Marcello, e promettergli, quando gli piacesse,
vi capere maluisse : dein, quum id neque terra, di dargli in mano la città. Ma egli volle anzi
neque mari, omnia expertus, potuisset, auctores prenderla di forza. Indi, poi che, tentata ogni
traditarum Syracusarum fabrum aerarium Sosim, via per mare e per terra, non gli potè riuscire,
et Mericum Hispanum, quam principes Syracusa avea preferito, piuttosto che aver Siracusa dal
norum habere, toties id nequidquam ultro offe le mani dei principali cittadini, che gliela avevano
rentes, praeoptasse: quo scilicet justiore de causa offerta spontaneamente, di averla da Soside fabro,
vetustissimos socios populi Romani trucidaret, ac e da Merico Spagnuolo, onde farsi così una più
diriperet. Si non Hieronymus ad Hannibalem de speciosa ragione di trucidare e spogliare gli an
fecisset, sed populus Syracusanus et senatus; si tichissimi alleati del popolo Romano. Se non
portas Marcello Syracusani publice, et non, op Jeronimo, ma il popolo ed il senato Siracusano
pressis Syracusanis, tyranni eorum Hippocrates si fosser dati ad Annibale; se i Siracusani aves
et Epicydes, clausissent; si Carthaginiensium ani sero pubblicamente chiuse le porte a Marcello, e
mis bellum cum populo Romano gessissent; quid non i loro tiranni ed oppressori, Ippocrate ed
ultra, quam quod fecerit, misi ut deleret Syracu Epicide; se avessero fatta la guerra al popolo
sas, facere hostiliter Marcellum potuisse? Certe Romano coll'accanimento dei Cartaginesi, che
praeter moenia et tecta exhausta urbis et refracta avrebbe potuto fare Marcello più ostilmente di
ac spoliata deim delubra, diis ipsis ornamentis quel che fece, fuorchè smantellar del tutto Sira
que eorum ablatis, nihil relictum Syracusis esse. cusa? Certo, eccetto le mura e le case votate, e
Bona quoque multis adempta, ita ut ne nudo qui i templi degli dei rotti e spogliati, rapiti gli dei
dem solo, reliquiis direptae fortunae alere sese ac stessi ed i loro ornamenti, null'altro era rimasto
suos possent. Orare se Patres conscriptos, ut, si in Siracusa. A molti si son tolti eziandio i beni,
nequeant omnia saltem, quae compareant cogno sì che nemmen potessero sè alimentare ed i suoi
scique possint, restitui dominis jubeant. º Talia sul nudo suolo, avanzo di lor distrutta fortuna.
con questos quum excedere ex templo, ut de po Pregavano quindi i Padri coscritti, che se tutto
stulatis eorum. Patres consuli possent, Laevinus non possono, facessero almeno restituir loro
jussisset. - Maneant immo, inquit Marcellus, ut quello, che si trovasse, e si potesse riconoscere. »
coram his respondeam, quando ea conditione pro Fatte cotali doglianze, avendo Levino ordinato
vobis, Patres conseripti, bella gerimus, ut victos che i Siracusani uscissero dalla sala, onde si po
armis accusatores habeamus Duae captaehocanno tesse consultare i Padri sopra le loro domande,
urbes Capua Fulvium reum, Marcellum Syracusae . Anzi restino, disse Marcello, sì che io risponda
habeant. º
in loro presenza, poi che a tal patto facciam la
guerra per voi, o Padri coscritti, che coloro, che
abbiamo vinti coll'armi, sieno i nostri accusato
ri; e due città prese in quest'anno si levino con
tro di noi, Capua contro Fulvio, Siracusa contro
Marcello. , -

XXXI. Reductis in curiam legatis, tum consul, XXXI. Tornati gli ambasciatori in senato,
«Non adeo majestatis, inquit, populi Romani im allora il console, « Non sono, disse, o Padri co
periique hujus oblitus sum, Patres conscripti, ut, scritti, dimentico a tal modo della maestà del
si de meo crimine ambigeretur, consul dicturus popolo Romano e di questa mia dignità, che se
causam, accusantibus Graecis, fuerim: sed non, si dubitasse di mia condotta, avessi console, e
quid ego fecerim, in disquisitionem venit, quam console accusato da Greci, a difendere la mia
quid istipati debuerint. Qui si non fuerunt ho causa. Ma non si tratta di esaminare quello, che
stes, nihil interest, nunc, an vivo Hierone Syra ho fatto, bensì piuttosto ciò che meritavan co
cusas violaverim. Sin autem desciverunt, legatos storo di soffrire; i quali, se non ci furono nemici,
nostros ferro atque armis petierunt, urbem ac non fa differenza, ch'io abbia mal concia Siracusa
moenia clauserunt.exercituque Carthaginiensium adesso, o pure vivente Jerone. Se poi si ribella
adversus nos tutati sunt; qui passos esse hostilia, romo, se si fecero addosso ai nostri legati coll'ar
quum fecerint, indignatur? Tradentes urbem mi e col ferro, se ci han chiusa la città e le mura,
principes Syracusanorum aversatus sum: Sosim e coll'esercito dei Cartaginesi le han difese contro
et Mericum Hispanum, quibus tantum crederem, di noi, chi vorrà sdegnarsi che abbian sofferto
potiores habui. Non estis extremi Syracusanorum tratti ostili, quando essi stessi n'hanno commes
quippe qui aliis humilitatem objiciatis. Quis est so? Ho rigettato i capi dei Siracusani, che mi
vestrum, qui se mihi portas aperturum, qui ar volean consegnare la città; ho preferito Soside e
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matos milites meos in urbem accepturum promi Merico Spagnuolo, a questi soli prestando fede.
serit? Odistis et exsecramini eos, qui fecerunt, et Non siete certo gli ultimi tra i Siracusani, poi
ne hic quidem contumeliis in eos dicendis parci che rinfacciate agli altri la lor bassezza. Ora chi
tis: tantum abest, ut et ipsi tale quidquam facturi è di voi che m'abbia promesso di aprirmi le por
fueritis. Ipsa humilitas eorum, Patres conscripti, te, di ricevere i miei soldati armati in città?
quam isti objiciunt, maximo argumento est, me Avete odiato, ed esecrate tuttora quelli, che ciò
neminem, qui navatam operam reipublicae nostrae fecero; e non vi astenete nemmen quivi di cari
velit, aversatum esse. Et antequam obsiderem carli d'ingiurie; tanto è lontano, che avreste
Syracusas, nunc legatis mittendis, nunc ad collo fatto lo stesso. La bassezza medesima di coloro
quium eundo, tentavi pacem; et, postduam ne ell'è, Padri coscritti, grandissimo argomento,
que legatos violandi verecundia erat, nec mihi che non ho rigettato alcuno, che avesse voluto
ipsi congresso ad portas cum principibus respon prestare l'opera sua a pro della repubblica. E in
sum dabatur, multis terra marique exhaustis la nanzi di assediare Siracusa, ho tentata la pace,
boribus, tandem vi atque armis Syrcusas cepi.Quae ora col mandare ambasciatori, ora portandomi
captis acciderint, apud Hannibalem et Carthagi in persona a conferire. Ma poi che non si avea
nienses victosque justius, quam apud victoris po rossore di violare gli ambasciatori, nè andato io
puli sematum, quererentur. Ego, Patres conscripti, stesso ad abboccarmi alle porte coi principali
Syracusas spoliatassi negaturus essem, numquam della città, non mi si dava risposta, corsi mille
spoliis earum urbem Romam exornarem. Quae pericoli per mare e per terra, ho finalmente colla
autem singulis victor aut ademi, aut dedi, quum forza e coll'armi presa Siracusa. Di ciò che ac
belli jure, tum ex cujusque merito, satis scio me cadde di poi, han più diritto di dolersene con
fecisse. Ea vos rata habeatis, Patres conscripti, Annibale e coi Cartaginesi, che col senato di un
nae magis reipublicae interest, quam mea. Mea popolo vincitore. Se avessi voluto negare, o Padri
quippe fides exsoluta est: ad rempublicam per coscritti, che ho spogliata Siracusa, non avrei
tinet, ne acta mea rescindendo, alios in posterum di quelle spoglie adornata Roma. Quanto poi a
segniores duces faciatis. Et quoniam coram et quello, che vincitore ho tolto o dato in partico
Siculorum et mea verba audistis, Patres conscri lare ad altrui, ho la coscienza di averlo fatto e
pti, simul templo excedemus, ut, me absente, li per diritto di guerra, e secondo i meriti di cia
berius consuli senatus possit. » Ita dimissis Sicu scuno; e che ciò abbiate ad avere, o Padri co
lis, et ipse in Capitolium ad delectum discessit. scritti, per fermo e rato, ciò certo più importa
alla repubblica, che a me; perciocchè ho fatto io
il mio dovere. Interessa la repubblica, che voi,
rescindendo gli atti miei, non facciate in avvenire
più rispettivi gli altri comandanti. E poi che
avete udito in faccia, o Padri coscritti, le mie
parole, e quelle dei Siciliani, usciremo insieme
dalla sala, acciocchè, in assenza mia, consultarsi
possa più liberamente il senato. Così licenziati
i Siciliani, andò egli in Campidoglio alla leva
dei soldati.
XXXII. Consul alter de postulatis Siculorum XXXII. L'altro console propose al senato le
ad Patres retulit. Ibi quum diu de sententiis cer domande dei Siciliani. Quivi essendo insorto
tatum esset, et magna pars senatus, principe eius lungo conflitto di opinioni, gran parte del sena
sententiae T. Manlio Torquato, a cum tyrannis to, dietro il parere di Tito Manlio Torquato,
bellum gerendum fuisse, censerent, hostibus et opinava, e che si avrebbe dovuto far la guerra
Syracusanorum et populi Romani; et urbem re ai tiranni, veri nemici dei Siciliani e del popolo
cipi, non capi; et receptam legibus antiquis et Romano, non prendere colla forza, ma ricuperare
libertate stabiliri, non fessam miseranda servitute Siracusa, e ricuperata ristabilirla nell'antiche sue
bello affligi. Inter tyrannorum et ducis Romani leggi e libertà, e non ispossata, com'era, da mi
certamina, praemium victoris in medio positam seranda servitù affliggerla inoltre colla guerra.
urbem pulcherrimam ac nobilissimam periisse, Tra codesto lottare dei tiranni e del comandante
horreum atque aerarium quondam populi Ro Romano, posta nel mezzo, quasi premio del vin
mani: cujus munificentia ac domis multis tempe citore, la bellissima e nobilissima città, granaio
statibus, hoc denique ipso Punico bello, adjuta un tempo ed erario del popolo Romano, venne
ormataque respublica esset. Si ab inferis exsistat a perire; eittà, dalla cui munificenza, e da cui
rex Iliero, fidissimus imperii Romani cultor, quo doni in più tempi, e ultimamente in questa stessa
73 l'ITI LIVIl LIBER XXVI. 74

ore aut Syracusas, aut Romam ei ostendi posse? Punica guerra, era stata la repubblica soccorsa.
quum, ubi semirutam ac spoliatam patriam re Se dal soggiorno de'morti a noi tornasse Jerone,
spexisset, ingrediens Romam in vestibulo urbis, del Romano impero cultore fedelissimo, con qual
prope in porta, spolia patriae suae visurus sit ? » fronte gli si potrebbe mostrare o Siracusa, o
Haec taliaque quum ad invidiam consulis misera Roma? il quale, poi che avesse veduta la sua città
tionemdue Siculorum dicerentur, mitius tamen mezzo distrutta e spogliata, vedrebbe, entrando
decreverunt Patres causa Marcelli; a quae is gerens in Roma, sul primo suo limitare, e quasi in su
bellum victorque egisset, rata habenda esse. In la porta infisse le spoglie della sua patria? » Tali
reliquum curae senatui fore rem Syracusanam, e simili cose dicendosi a carico del console, e per
mandaturosque consuli Laevino, quod sine ja compassione del Siciliani, i Padri però, per ri
ctura reipublicae fieri posset, fortunis ejus civi spetto di Marcello, fecero un decreto più mode
tatis consuleret.» Missis duobus senatoribus in Ca rato: « doversi tenere per fermo e rato tutto
pitolium ad consulem, uti rediret in curiam, et quello, ch'egli avesse fatto nel corso della guerra,
introductis Siculis, senatusconsultum recitatum e dappoi vincitore; nel resto, avrebbe il senato
est: legatique, benigne appellati ac dimissi, ad a cuore le cose di Siracusa, e commetterebbe al
genua se Marcelli consulis projecerunt, obsecran console Levino che, quanto far si potesse senza
tes a ut, quae deplorandae ac levandae calamita danno della repubblica, provvedesse al ben essere
tis causa dixissent, veniam eis daret, et in fidem di quella città. - Mandati due senatori al console
clientelamque se urbemdue Syracusas acciperet: » in Campidoglio, acciocchè tornasse alla curia, ed
post haec consul clementer appellatos dimisit. introdotti i Siciliani, si recitò il decreto del se
nato, e gli oratori, intrattenuti benignamente, e
licenziati, si gettarono a piedi di Marcello, scon
giurandolo, a che perdonasse loro le cose, che
avean dette per procacciar compassione e sol
lievo alla loro calamità ; e volesse riceverli essi
e la città di Siracusa nella sua protezione e clien
tela. » Dopo ciò, il console, accoltili con clemen
za, li licenziò.
XXXIII. Campanis deinde senatus datus est, XXXIII. Indi fu data udienza dal senato ai
quorum orator miserabilior, causa durior erat ; Campani, il cui discorso fu assai più commo
neque enirn meritas poenas negare poterant, nec vente, la causa alquanto più difficile. Perciocchè
tyranni erant, in quos culpam conferrent: sed non potean negare di aversi meritato un castigo,
satis pensum poemarum, tot veneno absumptis, nè ci erano tiranni su cui riversare la colpa; ma
tot securi percussis senatoribus, credebant. « Pau si stimavano abbastanza puniti, essendo morti
cos nobilium superstites esse, quos nec sua con tanti senatori di veleno, tanti sotto la scure:
scientia, ut quidquam de se gravius consulerent, « Pochi mobili avanzare, cui nè la coscienza spin
impulerit, nec victoris ira capitis damnaverit; eos se ad aggravar la mano sopra di sè, nè lo sdegno
libertatem sibi suisque, et bonorum aliquam par del vincitore privò di vita; pregar essi, ch'eran
tem orare, cives Romanos, affinitatibus pleros pur cittadini Romani, la più parte congiunti per
que et propinquis jam cognationibus ex connubio antiche parentele, o per recenti cognazioni, che
vetusto junctos.» Submotis deinde e templo, paul si renda loro ed a suoi la libertà, e insieme
lisper dubitatum, an arcessendus a Capua Q. Ful qualche parte del loro beni. » Indi, fatti uscire
vius ( mortuus enim post captam Claudius consul dalla sala, si dubitò alcun poco, se si dovesse
erat), ut coram imperatore, qui res gessisset, si richiamare Quinto Fulvio da Capua (che il con
cut inter Marcellum Siculosque disceptatum fue sole Claudio era morto dopo la presa della città)
rat, disceptaretur: dein, quum M.Atilium, C. Ful acciocchè si disputasse in presenza del coman
vium fratrem Flacci, legatos ejus, ac Q. Minu dante, che avea fatto l'impresa, come già s'era
cium et L. Veturium Philonem, item Claudii le disputato tra Marcello e i Siciliani: poi vedendo
gatos, qui omnibus gerendis rebus adfuerant, in in senato Marco Atilio e Caio Fulvio, fratello
senatu viderent, nec Fulvium avocari a Capua, di Flacco, di lui legati, non che Quinto Minucio
nec diſſerri Campanos vellent; interrogatus sen e Lucio Veturio Filone, e così pure i legati di
tentiam M. Atilius Regulus, cujus ex iis, qui ad Claudio, ch'erano stati presenti a tutte le cose,
Capuam fuerant, maxima auctoritas erat, . In nè volendo che Fulvio fosse richiamato da Ca
consilio, inquit, arbitror me fuisse consulibus, pua, nè che si differisse di rispondere ai Campa
Capua capta, quum quaereretur, ecquis Campa ni, chiesto del parere Marco Atilio Regolo, che
norum de republica nostra bene meritus esset: di quelli, ch'erano stati a Capua, avea credito
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duas mulieres compertum est, Vestiam Oppiam maggiore, « Presa Capua, disse, mi sovviene
Atellamam Capuae habitantem, et Fauculam Clu d'essere intervenuto al consiglio coi consoli,
viam, quae quondam quaestum corpore fecisset; quando si ricercò quale de Campani avesse ben
illam quotidie sacrificasse pro salute et victoria meritato della patria nostra; e non essersi tro
populi Romani; hanc captivis egentibus alimen vate che due donne, Vestia Oppia Atellana,
ta clam suppeditasse. Ceterorum omnium Campa abitante in Capua, e Faucula Cluvia, in addietro
norum eunmdem erga nos animum, quem Cartha femina di partito; quella aver fatti ogni dì sagri
giniensium, fuisse; securique perculsos a Q. Ful fizii per la salute e la vittoria del popolo Roma
vio esse magis, quorum dignitas inter alios, quam no; questa aver porti di nascosto alimenti ai
quorum culpa eminebat. Per senatum agi de Cam prigionieri bisognosi. Di tutti gli altri Campani
panis, qui cives Romani sunt, injussu populi non essere stato l'animo simile a quello dei Cartagi
video posse: idque et apud majores nostros in nesi; ed aver Fulvio fatti percuoter di scure
Satricanis factum est, quum defecissent, ut M. quelli, che avanzavano gli altri per dignità, piut
Antistius tribunus pebis prius rogationem ferret, tosto che per colpa. Non vedo che il senato possa
sciretgue plebs, uti senatui de Satricanissententiae deliberare dei Campani, che son cittadini di Ro
dicendae jus esset. Itaque censeo, cum tribunis ma, senza che il popolo me lo autorizzi; il che
plebis agendum esse, ut eorum unus pluresve trovo essersi fatto dai nostri maggiori nel caso
rogationem ferant ad plebem. qua nobis statuendi dei Satricani, che si erano ribellati, avendo prima
de Campanis jus fiat. “ L. Atilius tribunus plebis il tribuno della plebe Marco Antistio proposto
ex auctoritate senatus plebem in haec verba roga alla medesima, e questa approvato che potesse
vit: a Omnes Campani, Atellani, Calatini, Sabatini, il senato dare il suo giudizio nell'affare dei Satri
qui se dediderunt in arbitrium ditionemque popu cani. Sono dunque di avviso che si debba trattare
li Romani Fulvio proconsuli, quaeque una secum coi tribuni della plebe, acciocchè uno, o più
dediderunt, agrum urbemdue, divina, humana d'essi propongano alla plebe una legge, per cui
que utensiliaque, sive quid aliud dediderunt: de ci sia data facoltà di statuire sul fatto de'Cam
iis rebus quid fieri velitis, vos rogo, Quirites. , pani. » Il tribuno Lucio Atilio, di volontà del
Plebes sic jussit: « Quod senatus juratus, maxi senato, portò alla plebe la seguente proposizione:
ma pars, censeat, qui assident, id volumus jube « Tutti i Campani, Atellani, Calatini, Sabatini,
musque. » che si dierono in potere ed arbitrio del popolo
Romano nelle mani del console Fulvio, e che
dierono con seco il contado, la città, le cose tutte
umane e divine, le masserizie, e se altro dierono,
vi domando, o Quiriti, quello che vi piace ne sia
fatto.» La plebe così ordinò: « Quello che parrà
al senato, raccolto, giurato, e colla pluralità
di voti, quello vogliamo e comandiamo.
XXXIV. Ex hoc plebiscito senatusconsultus XXXIV. In forza di questo plebiscito il se
a Oppiae Cluviaeque primum bona ac libertatem nato consultato a restituì primieramente i beni
restituit: si qua alia praemia petere ab senatu e la libertà ad Oppia ed a Cluvia: se alcun altro
vellent, venire eas Romam. » Campanis in fa premio chieder volessero al senato, venissero
milias singulas decreta facta, quae non operae a Roma. » Altri decreti furon fatti per ciascuna
pretium est omnia enumerare. « Aliorum bona famiglia Capuana in particolare, cui non è pre
publicanda: ipsos liberosdue eorum et conjuges gio dell'opera noverare. « Di alcuni doversi
vendendas, extra filias, quae enupsissent prius confiscare i beni, e vendere essi, i loro figli e
quam in populi Romani potestatem venirent. Alios le mogli, eccetto le figliuole, che si fossero ma
in vincula condendos, ac de his posterius consu ritate, innanzi che venissero in potere del popolo
lendum. - Aliorum Campanorum summam etiam Romano. Altri fossero imprigionati, e di questi
census distinxerunt, publicanda necne bona es sarebbe deliberato dappoi. ” Quanto ad altri,
sent: . pecua captiva, praeter equos, et mancipia, distinsero anche la somma del censo, onde stabi
praeter puberes virilis sexus, et omnia, quae solo lire se si avessero a confiscare i beni, o no:
non continerentur, restituenda censuerunt domi decretarono, e che i bestiami presi, eccetto i ca
nis. Campanosomnes, Atellanos, Calatinos, Saba valli e gli schiavi, eccetto i maschi giunti a puber
tinos, extra quan qui eorum, aut ipsi aut parentes tà, e tutto quello, che non fosse compreso nel
eorum, apud hostes essent, liberos esse jusserunt. fondo, si avesse a restituire ai padroni. Ordina
ita ut nemo eorum civis Romanus aut Latini nomi rono, che tutti i Campani, Atellani, Calatini,
mis esset: neve quis eorum, qui Capuae fuissent, Sabatini, eccetto quelli, i quali essi, o i loro
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dum portae clausae essent, in urbe agroveCampa padri si trovassero presso i nemici, fossero liberi,
no intra certam diem mameret. Locus ubi habita a condizione però, che nessun di loro fosse citta'
rent, trans Tiberim, qui non contingeretTiberim, dino Romano o del nome Latino; e che nessun
daretur. Qui nec Capuae, nec in urbe Campana, di quelli, che fossero rimasti in Capua nel tem
quae a populo Romano defecisset, per bellum fuis po, in cui furon chiuse le porte ai Romani, ri
sent, eos cis Lirim amnem Romam versus ; qui manga in Capua o nel contado Capuano dopo
ad Romanos transissent prius, quam Hannibal un dato giorno; si assegnasse loro un luogo,
Capuam veniret, cis Vulturnum emovendos cen dove abitassero, di là dal Tevere, che però non
suerunt. Ne quis eorum propius mare quindecim lo toccasse. Quelli, che durante la guerra non
millibus passuum agrum aedificiumve haberet. erano stati nè in Capua, nè in altra città della
Qui eorum trans Tiberim emoti essent, ne ipsi Campania, che si fosse ribellata dai Romani,
posterive eorum uspiam pararent haberentve, stessero di qua del fiume Liri verso Roma; e
misi in Veiente, aut Sutrino Nepesinove agro; quelli, che si eran dati ai Romani, innanzi che
dum ne cui major, quam quinquaginta jugerum, Annibale venisse a Capua, si mettessero di qua
agri modus esset. Senatorum omnium, quique del fiume Vulturno; ma che nessuno di tutti
magistratus Capuae, Atellae, Calatiae gessissent, questi avesse case o poderi a meno di quindici
bona venire Capuae, jusserunt. Libera corpora, miglia dal mare. Quelli che fossero trasportati
quae venum dari placuerat, Romam mitti, ac Ro di là dal Tevere, nè essi, nè i loro posteri acqui
mae venire. Signa, statuas aeneas, quae capta de stassero o possedessero, fuorchè nel territorio
hostibus dicerentur, quae eoruro sacra ac profana Veientano o Sutrino o Nepesino, purchè nessuno
essent, ad pontificum collegium rejecerunt. » Ob avesse più di cinquanta jugeri. Comandarono,
Haec decreta moestiores aliquanto, quam Romam
che i beni di tutti i senatori e di tutti quelli, che
venerant, Campanos dimiserunt. Nec jam Q. Ful aveano esercitati magistrati in Capua, in Atella,
vii saevitiam in sese, sed iniquitatem deim atque in Calazia, fossero venduti in Capua. Gli uomini
exsecrabilem fortunam suam incusabant.
di condizione libera, che si avessero a vendere,
fossero mandati a Roma, e quivi venduti. Le
imagini, le statue di bronzo, che si dicessero
prese a nemici, secondo che fossero sacre o pro
fane, si rimettessero al collegio del pontefici. Per
questi decreti si rimandarono i Capuani a casa
alquanto più dolenti, che non erano venuti a
Roma; nè più accusavano la sevizie di Quinto
Fulvio verso di loro, ma sì l'ingiustizia degli dei,
e la spietata loro fortuna.
XXXV. Dimissis Siculis Campanisque, dele XXXV. Licenziati i Siciliani e i Capuani, si
ctus habitus: scripto deinde exercitu, de remi fe la leva: indi arrolato l'esercito, si cominciò
gum supplemento agi coeptum. In quam rem a pensare al supplemento dei remiganti. Al che
quum neque hominum satis, mec, ex qua para fare non vi essendo bastante copia d'uomini, nè
rentur, stipendiumque acciperemt, pecuniae quid si trovando in quel tempo danaro nella pubblica
quam ea tempestate in publico esset, edixerunt cassa, onde acquistarli e stipendiarli, i consoli
consules, ut privati ex censu ordinibusque, sicut ordinarono che i privati, secondo la classe e
antea, remiges darent cum stipendio cibariisque il censo di ciascheduno, somministrassero, come
dierum triginta. Ad id edictum tantus fremitus altre volte, i remiganti con paga e vittuaria per
hominum, tanta indignatio fuit, ut magis dux, trenta giorni. Al pubblicarsi di questo editto
quam materia, seditioni deesset. a Secundum Si tanto fu il fremito, tanta l'indignazion della gen
culos Campanosque plebem Romanam perdendam te, che mancò piuttosto il capo alla sommossa,
lacerandamdue sibi consules sumpsisse. Per tot che la materia. « Dopo la ruina dei Siciliani e
annos tributo exhaustos nil reliqui, praeter ter dei Campani essersi assunti i consoli di perdere
ram mudam ac vastam habere. Tecta hostes incen e straziare la plebe Romana; esausti per tant'anni
disse, servos agricultores rempublicam abduxis dai tributi non altro rimaner loro, che la terra
se nunc ad militiam parvo aere emendo, nunc nuda e deserta. Aver i nemici bruciate le cose,
remiges imperando. Si quid cui argenti aerisve aver la repubblica levati i servi, che lavoravano
fuerit, stipendio remigum et tributis annuis abla i campi, ora comperandoli a poco prezzo per la
tum: se, ut dent, quod non habeant, nulla vi nullo milizia, ora ordinando leva di remiganti. Se al
imperio cogi posse. Bona sua venderent; in cor cuno aveva qualche po' di moneta o di argento,
Pora, quae reliqua essent, saevirent: ne unde re sparì anche questo nelle paghe dei remiganti, e
79 TITI LIVII LIBER XXVI. 8o

dimantur quidem, quidquam superesse. ” Haec nelle annue imposte. Non v'ha però forza, non
non in occulto, sed propalam in foro atque oculis comando, che li possa costringere a dare ciò, che
ipsorum consulum ingensturba circumfusi fre non hanno. Vendessero pure i loro beni; incru
mebant: nec eos sedare consules, nunc castigando, delissero contro le persone, che sole restano; non
nunc consolando, poterant. Spatium deinde his avanza loro nè anche di che riscattarsi. ” Così
tridui se dare ad cogitandum dixerunt: quo ipsi fremendo parlava, nè già occultamente, ma pub
ad rem inspiciendam expediendamque usi sunt. blicamente in sulla piazza e sugli occhi stessi
Senatum postero die habuerunt de remigum sup de'consoli, immensa turba di popolo raccoltosi
plemento: ubi quum multa disseruissent, cur ae all'intorno; nè potevano i consoli nè coi rim
qua plebis recusatio esset, verterunt orationem procci nè coi conforti acquetarli. Dissero in fine,
eo, ut dicerent, . Privatis id, seu aequum, seu che davan loro lo spazio di tre giorni a pensare;
iniquum, onus injungendum esse: nam unde, spazio, di cui si valsero essi pure per esaminare
quum pecunia in aerario non esset, paraturosna e disbrogliare la cosa. Raccolsero il senato il dì
vales socios ? Quomodo autem sine classibus aut seguente per trattarvi del supplemento dei remi
Siciliam obtineri, aut Italia Philippum arceri pos ganti; dove, avendo molto disputato sulla giusti
se, aut tuta ltaliae litora esse ? » zia del rifiuto della plebe, vennero finalmente
a conchiudere; a che questo aggravio, fosse giusto
o no, era pur forza imporlo ai privati; percioc
chè non essendovi danaro nel tesoro, donde si
poteva procacciarsi gente di mare? Come poi
senza flotta ritener la Sicilia, o allontanar Filippo
dall'Italia, o difenderne le coste ? »
XXXVI. Quum in hac difficultate rerum con XXXVI. In così grande imbarazzo non si
silium haereret, ac prope torpor quidam occu sapendo a che partito appigliarsi, ed essendo
passet hominum mentes, tum Laevinus consul, le menti degli uomini quasi colpite da torpore,
« Magistratus senatui, et senatum populo, sicut allora il console Levino: « Siccome i magistrati
honore praestent, ita ad omnia, quae dura atque il senato, ed il senato avanza il popolo, così deb
aspera essent, subeunda duces debere esse. Si quid bon essi essere i primi ad incontrare ogni più
injungere inferiori velis, id prius in te ac tuos grave ed aspro peso. Se vuoi alcuna cosa imporre
si ipse juris statueris, facilius omnes obedien agl'inferiori, gli troverai più facilmente obbe
tes habeas. Nec impensa gravis est, quum ex ea dienti, se innanzi ne avrai dato carico a te stesso
plus quam pro virili parte sibi quemque capere ed a tuoi. Nè par loro grave la spesa, quando
principum vident. Itaque classes habere atque scorgono i principali cittadini prendersene più
ornare volumus populum Romanum ? privatos gran parte, che non lor tocca. Vogliamo pertan
sine recusatione remiges dare? nobismetipsis pri to che il popolo Romano abbia flotte, che le
mum imperemus. Aurum, argentum, aes signa allestisca ? che i privati non ricusino di dar le
tum omne senatores crastino die in publicum ciurme ? imponiamo prima a noi stessi. Domani
conferamus; ita ut annulos sibi quisque et con noi senatori portiamo al tesoro tutto l'oro, l'ar -
jugi et liberis, et filio bullam, et, quibus uxor gento, la moneta di rame che abbiamo, sì che
filiaeve sunt, singulas uncias pondo auri relin ognuno ritenga solamente un anello per sè, per
quant; argenti, qui curuli sella sederunt, equi la moglie e pe' figli, e la berchia pel figliuolo;
ornamenta et libras pondo, ut salinum patellam e chi ha moglie e figliuole, non altro che un'on
que deorum causa habere possint: ceteri sena cia d'oro per ciascuna; e chi ebbe magistrati
tores libram argenti tantum, aeris signati quina curuli, i fornimenti d'argento del cavallo, e due
millia in singulos patresfamiliae relinquamus. Ce libbre d'argento per la saliera e la coppa al ser
terum omne aurum, argentum, aes signatum ad vigio degli dei: gli altri senatori si ritengano
triumviros mensarios extemplo deferamus, ante soltanto una libbra d'argento, e ogni padre di
nullo senatusconsulto facto; ut voluntaria collatio famiglia cinque mila assi in moneta di rame.
et certamen adjuvandaereipublicae excitet ad ae Tutto l'altro oro, argento, rame coniato, portia
mulandum animos primum equestris ordinis, dein molo subitamente ai triumviri della zecca, senza
reliquae plebis. Hanc unam viam, multa internos che ne sia fatto decreto del senato, acciocchè
collocuti, consules invenimus. Ingrediemini, diis la volontaria collazione, e la gara di soccorrere la
bene juvantibus. Respublica incolumis et privatas repubblica svegli l'emulazione prima nell'ordine
res facile salvaspraestat: publica prodendo,tua ne de'cavalieri, poscia nel resto della plebe. Dopo
quidquam serves. In haec tanto animo consensum di aver molto conferito insieme, non troviamo
est, ut gratiae ultro consulibus agerentur. Senatu noi consoli altra via. Prendetela dunque col buon
8i TITI LIVII LIBER XXVI. 82

inde misso, pro se quisque aurum, argentum et aes favore degli dei; la cosa pubblica salvata salva
in publicum conferunt, tanto certamine injecto, ut anche le private; abbandonando le pubbliche ti
prima inter primos nomina sua vellent in publi lusinghi invano di salvarle tue.» In che però fu
cistabulis esse; ut mec triumviri accipiundo, nec il consentimento sì grande, che se ne fecero ai
scribae referundo sufficerent. Hunc consensum consoli spontanei ringraziamenti. Indi, licenziato
senatus equester ordo est secutus; equestris or il senato, ognuno porta alla cassa pubblica l'oro,
dimis plebes. Ita sine edicto, sine coercitione ma l'argento e il rame monetato, tanta essendo
gistratus, nec remige in supplementum, nec sti la gara insorta, che tutti volevano scritto primo
pendio respublica eguit, paratisque omnibus ad il loro nome ne' pubblici libri; sì che nè basta
bellum, consules in provincias profecti sunt. vano i triumviri a ricevere, nè gli scrivani a regi
strare. Questo consentimento del senato fu se
guitato dall'ordine equestre, quello dell'ordine
equestre dalla plebe. Così senza editto, senza
forza usata dai magistrati, non mancò alla repub
blica nè supplemento di remiganti, nè soldo per
gli stipendii; e fatti tutti gli apparecchii per la
guerra, andarono i consoli alle lor province.
XXXVII. Neque aliud magis tempus belli XXXVII. Nè fuvvi altro tempo di guerra
fuit, quo Carthaginienses Romanique pariter va mai, nel quale i Cartaginesi ed i Romani egual
riis casibus immixti magis in ancipiti speac metu mente, pel vario avvicendare dei casi, sieno stati
fuerint. Nam Romanis et in provinciis, hinc in più sospesi tra la speranza ed il timore. Percioc
Hispania adversae res, hinc prosperae in Sicilia, chè quanto ai Romani e nelle province, quinci
luctum et laetitiam miscuerant: et in Italia, quum i disastrosi avvenimenti nella Spagna, quinci i
Tarentum amissum damno et dolori, tum arx felici nella Sicilia, aveano mescolato insieme
cum praesidio retenta praeter spem gaudio fuit: il lutto ad un tempo e l'allegrezza; e nell'Italia
et terrorem subitum pavoremoſue urbis Romae la perdita di Taranto arrecò danno e dolore,
obsessae et oppugnatae Capua post dies paucos e la rocca col suo presidio conservata porse in
capta in laetitiam vertit. Transmarinae quoque sperata letizia; e il subito terrore e la paura, che
res quadam vice pensatae. Philippus hostistem s'era avuta per l'assedio e la oppugnazione di
pore haud satis opportuno faetus; Aetoli novi Roma, pochi dì dopo per la presa di Capua
adsciti socii, Attalusque Asiae rex, jam velut de voltossi in gioia. Anche le cose d'oltre mare
spondente fortuna Romanis imperium Orientis. furono da una specie di alternativa bilanciate.
Carthaginienses quoque Capuam amissam et Ta Filippo s'era dichiarato nemico in tempo tutt'al
rentum captum aequabant ; et, ut ad moenia tro, che opportuno; s'erano aggiunti nuovi alleati
urbis Romanae nullo probibente se pervenisse in gli Etoli, ed Attalo, re dell'Asia, quasi la fortuna
gloria ponebant, ita pigebat irriti incepti, pu sin d'allora promettesse ai Romani l'impero
debataue adeo se spretos, ut, sedentibus ipsis ad dell'Oriente. Anche i Cartaginesi si pareggiavano
Romana moenia, alia porta exercitus Romanus colla perdita di Capua e colla presa di Taranto;
in Hispaniam duceretur. Ipsae quoque Hispaniae, e come si recavano a gloria d'esser venuti senza
quo propius spem venerant, tantis duobus duci contrasto sino sotto le mura di Roma, così dole
bus exercitibusque caesis, debellatum ibi ac pul vansi del mal riuscito tentativo; e si vergogna
sos inde Romanos esse; eo plus, ab L. Marcio vano d'essere stati sì altamente dispregiati, che
tumultuario duce ad vanum et irritum victoriam mentre si stavan essi ad una porta di Roma, da
redactam esse, indignationis praebebant. Ita ae un'altra uscisse un esercito alla volta di Spagna.
quante fortuna, suspensa omnia utrimdue erant, Le Spagne stesse, quanto più s'erano isperanzite,
integra spe, integro metu, velut illo tempore pri che tagliati a pezzi due sì valenti capitani ed
mum bellum inciperent. eserciti, la guerra fosse finita, e fossero cacciati
fuora i Romani, tanto più si crucciavano, che un
capitano tumultuario, qual si era Lucio Marcio,
avesse resa vana ed irrita la vittoria. Così, la for
tuna bilanciando gli avvenimenti, tutto era in
sospeso dall'una parte e dall'altra, come se
appunto allora si cominciasse la guerra.
XXXVIII. Hannibalem ante omnia angebant, XXXVIII. Ciò che più ch'altro travagliava
quod Capua, pertinacius oppugnata ab Romanis, Annibale grandemente si era, che Capua più
quam defensa ab se, multorum ltaliae populorum ostinatamente combattuta dai Romani, che difesa
Livio 2 G
83 TI I I LIVII LIBER XXVI. 84

animos averterat: quos neque omnes tenere prae da lui, gli aveva alienati gli animi di molti popoli
sidiis, misi vellet in multas parvasque partes car d'Italia; i quali nè potea tutti contenere coi
pere exercitum, quod minime tum expediebat, presidii, se non voleva sminuzzare l'esercito
poterat; nec, deductis praesidiis, spei liberam vel in molti piccioli brani, il che non gli conveniva
obnoxiam timori sociorum relinquere fidem. fare in questo tempo; nè, fuor traendone i pre
Praeceps in avaritiam ex crudelitatem animus ad sidii, lasciar libera alla speranza, o esposta al
spolianda, quae tueri nequibat, ut vastata hosti timore la fede degli alleati. L'animo di lui dedito
relinquerentur, inclinavit. Id foedum consilium, sfrenatamente all'avarizia ed alla crudeltà, lo
quum incepto, tum etiam exitu fuit: neque enim fe' piegare al partito di spogliare que luoghi,
indigna patientium modo abalienabantur animi, che non poteva difendere, onde lasciarli al neº
sed ceterorum etiam ; quippe ad plures exem mico devastati. Questa determinazione fu brutta
plum, quam calamitas, pertinebat. Nec consul Ro non meno nel suo concepimento, che infelice
manus tentandis urbibus, sicunde spes aliqua se nell'esito; perciocchè si alienavano gli animi non
ostendisset, deerat. Salapiae principes erant Dasius solamente di quelli, che soffrivano l'indegno
et Blattius: Dasius Hannibali amicus ; Blattius, trattamento, ma eziandio degli altri; chè l'esem
quantum ex tuto poterat, rem Romanam fovebat, pio andava a colpire assai più gente, che non
et per occultos nuncios spem proditionis fecerat la stessa calamità. Nè il console Romano mancava
Marcello; sed sine adjutore Dasio res transigi non di tentare or questa, or quella città tutte le volte,
poterat. Multum ac diu cunctatus, et tum quoque che se gli oſfriva alcuna speranza. Erano princi
magis inopia consilii potioris, quam speeffectus, pali cittadini di Salapia Dasio e Blattio; Dasio
Dasium appellabat: at ille, quum ab re aversus, era amico di Annibale; Blattio, quanto più il
tum aemulo potentatus inimicus, rem Hannibali poteva senza pericolo, favoreggiava i Romani;
aperit. Arcessito utroque, Hannibal quum pro e con segreti messaggi avea porto speranza a
tribunali quaedam ageret, mox de Blattio cogni Marcello di dargli la terra; ma non si potea ve
turus, starent Tue submoto populo accusator et nirne a fine senza l'aiuto di Dasio. Blattio, poi
reus; Blattius de proditione Dasium appellabat. ch'ebbe molto e lungamente indugiato, finalmen
Enimvero, ille, velut in manifestare, exclamat, te, ed anche allora più per inopia di miglior
sub oculis Hannibalis secum de proditione agi. » consiglio, che per isperanza di buon successo, se
lIannibali atoue eis, qui aderant, quo audacior ne aperse con Dasio. Ma questi avverso alla
res erat, minus similis veri visa est. « Aemulatio cosa, e nemico dell'emolo di sua potenza, svelò
nem profecto atque odium esse; et id crimen af il tutto ad Annibale. Mentre Annibale, chiamati
ferri, quod, quia testem habere non posset, libe a sè l'uno e l'altro, stavasi in tribunale spicciando
rius fingenti sit. » Ita inde dimissi sunt : nec alcune cose, per poi tosto intrattenersi di Blattio,
Blattius ante abstitit tamen tam audaci incepto, e trovandosi intanto l'accusatore ed il reo appar
quam idem obtundendo docendoque, quam ea tati alquanto dal popolo, Blattio sollecitava Da
res ipsis patriaeque salutaris esset, pervicit, ut sio a ribellarsi. Questi, come se la cosa fosse già
praesidium Punicum (quingenti autem Numidae manifesta, si fa a gridare, a che gli si propone di
erant) Salapiaque traderetur Marcello. Nec sine ribellarsi sin sotto gli occhi dello stesso Anni
caede multa tradi potuit: longe fortissimi equi bale. » La cosa quant'era più ardita, tanto sem
tum toto Punico exercitu erant. Itaque, quam brò meno verisimile ad Annibale e a quelli che
quam improvisa res fuit, nec usus equorum in eran presenti: « Esser questo ad evidenza non altro
urbe erat, tamen, armis inter tumultum captis, et che un tratto di gelosia e di odio; e l'accusa, che
eruptionem tentaverunt, et, quum evadere nequi si dava, tanto era più facile ad infingersi, quanto
rent, pugnantes ad ultimum occubuerunt; nec che non si potea provare con testimonii. » Quindi
plus guinquaginta ex his in potestatem hostium furono licenziati. Nè Blattio ristette mai dall'ar
vivi venerunt: plusque aliquanto dammi haec dita impresa sino a che, battendo sempre lo stesso
ala equitum amissa Hannibali, quam Salapia, fuit: punto, e mostrando quanto sarebbe la cosa ad
nec deinde unquam Poenus (quo longe plurimum essi stessi salutare ed alla patria, ottenne che
valuerat) equitatu superior fuit. Dasio consentisse di dare a Marcello Salapia col
presidio Cartaginese (erano cinquecento Numidi).
Nè si potè dare senza molta strage. Ci era la più
valente cavalleria di tutto l'esercito Cartaginese.
Quindi, sebbene la cosa fosse improvvisa, nè po
tessero far uso de'cavalli in città, nondimeno,
prese l'armi in sul primo tumulto, tentarono
di lanciarsi fuori, nè riuscendo loro di scampare,
85 TITI LIVII LIBER XXVI. 86

in fine perirono combattendo, e non più di cin


quanta caddero vivi in potere dei nemici; e la
perdita di questa banda di cavalli recò più danno
ad Annibale, che la perdita di Salapia; nè il Car
taginese mai dappoi fu superiore di cavalleria,
nella quale era stato dianzi assai gagliardo.
XXXIX. Per idem tempus, quum in arce Ta XXXIX. Verso quel tempo medesimo, non
rentina viz inopia tolerabilis esset, spem omnem potendo più quasi la rocca Tarentina reggere
praesidium, quod ibi erat, Romanum praefectus alla carestia, non altra speranza aveva il presidio
que praesidii atque arcis M. Livius in commeati l'omano, che vi era, e Marco Livio prefetto del
bus ab Sicilia missis habebant. Qui ut tuto prae presidio stesso e della rocca, che nelle vettova
terveherentur oram Italiae, classis viginti ferme glie mandate dalla Sicilia; e perchè passassero
navium Rhegii stabat. Praeerat classi commeati sicuramente lungo la costa d' Italia, stavasi ar
busque D. Quintius, obscuro genere ortus, cete mata in Reggio una flotta di circa venti navi.
rum multis fortibus factis gloria militari illustris. Presiedeva alla flotta ed alle vettovaglie Decio
Primo quinque naves, quarum maximae duae Quinzio, di oscuro lignaggio, del resto chiaro
triremes a Marcello ei traditae erant, habuit: in guerra per molti fatti valorosi. Ebbe dapprima
postea rem impigre saepe gerenti tres additae cinque navi da Marcello, delle quali le due mag
quinqueremes: postremo ipse a sociis Rhegi giori eran triremi: poscia, essendosi di portato
misque, et a Velia et a Paesto debitas ex foedere più volte con gran coraggio, se gli aggiunsero
exigendo, classem viginti navium, sicut ante di tre quinqueremi: egli poi altre esigendone dagli
ctum est, effecit. Huic ab Rhegio profectae classi alleati, da quei di Reggio e di Velia e di Pesto,
Democrates, cum pari classe navium Tarentina debite pei trattati, si avea formata, come s'è
rum numero, quindecim millia ferme ab urbe ad detto, una flotta di venti navi. A questa flotta,
Sacriportum obvius fuit. Velis tum forte, impro partitasi da Reggio, si fe' incontro con egual
vidus futuri certaminis, Romanus veniebat. Sed numero di navi Tarentine Democrate a Sacri
circa Crotonem Sybarimque suppleverat remigio porto, alla distanza quasi di quindici miglia dal
naves, instructamque et armatam egregie pro la città. Il Romano allora veniva a vele, non
magnitudine navium classem habebat; et tum s'imaginando di dover combattere; ma nelle
forte sub idem fere tempus et venti vis omnis vicinanze di Crotona e di Sibari avea rinforzate
cecidit, et hostes in conspectu fuere, ut ad com le navi di remiganti, e rispetto alla grandezza
ponenda armamenta, expediendumque remigem di queste, si trovava avere una flotta egregia
ac militem ad imminens certamen satis temporis mente provveduta ed armata; ed allora quasi
esset. Raro alias tantis justae concurrerunt clas al medesimo istante mancò interamente il vento,
ses: quippe quum in majoris discrimen rei, quam ed il nemico fu a vista, sì che s'ebbe tempo ba
ipsae erant, pugnarent. Tarentini, ut, recuperata stante a disporre tutto l'armamento, e a prepa
urbe ab Romanis post centesimum prope annum, rare i remiganti ed i soldati all'imminente bat
arcem etiam liberarent, specommeatus quoque taglia. Di rado altre volte due giuste flotte si
hostibus, si navali proelio possessionem maris affrontarono con tanto ardore; perciocchè com
ademissent, interclusuros; Romani, ut, retenta battevano per maggior cosa, che non eran esse
possessione arcis, ostenderent, non vi aut virtute, medesime. I Tarentini, ricuperata dopo un secolo
sed proditione ac furto. Tarentum amissum. Ita dai Romani la lor città, per liberarne eziandio
que ex utraque parte signo dato quum rostris la rocca, sperando anche, se gli potean torre con
concurrissent, neque retro navem inhiberent, nec battaglia navale, la possessione del mare, d'inter
dirimi ab se hostem paterentur, quam quis in cludere al nemico ogni speranza di vettovaglie;
deptus navem erat, ferrea injecta manu; ita con i Romani per mostrare, mantenendosi nella rocca,
serebant ex propinquo pugnam, ut non missili che avean perduto Taranto non per altrui forza
bus tantum, sed gladiis etiam prope collato pede o valore, ma per tradimento e per furto. Quindi,
gereretur res. Prorae inter se junctae haerebant; al dato segnale, corsi d'ambe le parti ad urtarsi
puppes alieno remigio circumagebantur. Ita in colle prore, nessun legno ritraendosi indietro,
arcto stipatae erant naves, ut vix ullum telum in nè soffrendo che il nemico si discostasse, aggrap
mari vanum intercideret. Frontibus velut pe pando la nave, in che si abbattevano, cogli uncini
destris acies uurgebant, per viaeque naves pu di ferro, combattevano sì da vicino, che non solo
gnantibus erant. Insignis tamen interceteras pu adopravano i giavellotti, ma pur anche le spade,
gna fuit duarum, quae primae agminis concurre quasi da corpo a corpo. Le prore stavano stretta
rant inter se. In Romana nave ipse Quintius mente appiccate le une alle altre, e le poppe
87 TITI LI VIL LIBLR XXVI. 88

erat, in Tarentina Nico, cui Perconi fuit cogno erano aggirate dai remi delle altre navi; e que
men, non publico modo, sed privato etiam odio ste eran così serrate insieme, che quasi nessun
invisus atque in ſestus Romanis; quod eius factio dardo cadeva a vòto in mare: a fronte s'incalza
mis erat, quae Tarentum Hannibali prodiderat. vano come in battaglia pedestre, e i combattenti
Hic Quintium, simul pugnantem hortantemdue passavano da nave a nave. Fu però osservabile
suos, incautum hasta transfigit: ille atque prae tra l'altre la pugna di due navi, che prime della
ceps cum armis procidit ante proram. Victor fila s'erano azzuffate insieme. Era nella nave
Tarentinus, in turbatam duce amisso navem im Romama lo stesso Quinzio, nella Tarentina Nico
pigre transgressus, quum submovisset hostes, et ne, cognominato Percome, oltre che qual pub
prora jam Tarentinorum esset, puppim male con blico nemico, odioso anche personalmente ai
globati tuerentur Romani; repente et alia a puppi Romani, perchè era della fazione, che avea dato
triremis hostium apparuit. Ita in medio circum Taranto ad Annibale per tradimento. Costui col
venta Romana navis capitur. Hinc ceteris terror l'asta passò da parte a parte Quinzio, che senza
injectus, ut praetoriam navem captam videre; guardarsi combatteva e incoraggiava i suoi; e
fugientesque passim, aliae in alto mersae, aliae questi tombolò con tutte l'armi davanti alla pro
in terram remis abreptae, mox praedae fuere ra. Mentre il Tarentino vincitore, saltato corag
Thurinis Metapontinisque. Ex onerariis, quae giosamente nella nave Romana, sbigottita per
cum commeatu sequebantur, per paucae in pote la perdita del comandante, avea rimossi i nemici,
statem hostium venere: aliae, ad incertos ventos e già impadronitisi i Tarentini della prora, i
hinc atque illimc obliqua transferentes vela, in Romani affastellati mal ne difendevano la poppa,
altum evectae sunt. Nequaquam pari fortuna per ecco improvvisa apparire alla poppa stessa altra
eos dies Tarenti res gesta: mam ad quatuor millia trireme nemica. Così la nave Romana, tolta in
hominum frumentatum egressa, quam in agris mezzo, vien presa. Quindi tutte l'altre, vista
passim vagarentur, Livius, qui arci praesidioque presa la Capitana, furon colte da terrore, e fug
Romano praeerat, intentus in omnes occasiones gendo alla sfilata qua e colà, altre furono som
gerendae rei, C. Persium, impigrum virum, cum merse in mare, altre, a forza di remi sospinte
duobus millibus armatorum ex arce emisit. Qui, in terra, rimasero poi preda dei Turini e dei
vage effusos per agros palatosque adortus, quum Metapontini. De'navigli da carico, che venivan
diu passim cecidisset, paucos ex multis, trepida dietro colle vettovaglie, pochissimi vennero in
fuga incidentes semiapertis portarum foribus, in potere dei nemici; gli altri, qua e là girando
urbem compulit, ne urbs eodem impetu capere obliquamente, secondo il vario spirar dei venti,
tur. Ita aequatae res ad Tarentum ; Romanis furono trasportati in alto mare. Non andò a Ta
victoribus terra, l'arentinis mari. Frumenti spes, ranto la cosa con eguale fortuna. Perciocchè,
quae in oculis fuerat, utrosque frustrata pariter. essendo usciti da quattro mila uomini a forag
giare, mentre divagavano qua e là pe' campi,
Livio, prefetto della rocca e del presidio Roma
no, intento a cogliere tutte le occasioni propizie,
mandò fuori Caio Persio, uomo risoluto, con due
mila armati; il quale piombando addosso a co
loro, disordinati e vagamente sparsi per la cam
pagna, poi che n'ebbe lungamente fatto macello,
gli altri pochi, di molti ch'erano, li rispinse
fuggenti dentro la città per le porte, ch'erano
mezzo aperte, onde in quell'impeto medesimo
la città stessa non fosse presa. Così le cose a Ta
ranto restavan pari, vincendo i Romani per terra,
i Tarentini per mare. La speranza del frumento,
che aveano avuto dinanzi agli occhi, fallì egual
mente e gli uni e gli altri.
XL. Per idem tempus Laevinus consul, jam XL. E così pure in quel tempo, passata già
magna parte anni circumacta, in Siciliam, vete gran parte dell'anno, il console Levino venuto
ribus novisque sociis exspectatus, quum venisset, essendo in Sicilia aspettato dai vecchi e dai nuovi
primum ac potissimum omnium ratus, Syracusis alleati, ebbe a principale e prima cura l'assestare
nova pace inconditas componere res. Agrigentum le cose di Siracusa pe nuovi avvenimenti ancora
inde (quod belli reliquum erat, tenebaturque a incomposte. Di là condusse le legioni ad Agri
Carthaginiensium valido praesidio) duxit legio gento, ch'era tenuto dai Cartaginesi con valido
89 TITI LIVII LIBER XXVI. 9o

nes: et adfuit fortuna incepto. Hanno erat impe presidio, sola parte di guerra, che restava ; e la
rator Carthaginiensium, sed omnem in Mutine fortuna arrise all'impresa. Annone era il coman
Numidisque spem repositam habebant. Per totam dante dei Cartaginesi, ma tutta la loro speranza
Siciliam vagus praedas agebat ex sociis Romano era posta in Mutine e nei Numidi. Costui, scor
rum: neque intercludi ab Agrigento vi aut arte rendo tutta la Sicilia, menava prede dalle terre
ulla, nec quin erumperet, ubi vellet, probiberi degli alleati Romani; nè si potea per forza o
poterat. Haec eius gloria, quia jam imperatoris per ingegno escluderlo da Agrigento, nè impe
quoque famae officiebat, postremo in invidiam dirgli che ne uscisse fuori quando il volesse.
vertit; ut ne bene gestae quidem res jam Hanno Questa sua gloria, perchè nuoceva alla fama del
mi propter auctorem satis laetae essent. Propter supremo comandante, in fine si convertì in invi
quae postremo praefecturam eius filio suo dedit, dia, sì che Annone non si allegrava nè anche
ratus, cum imperio auctoritatem quoque ei inter de'buoni successi per rispetto di chi n'era l'auto
Numidas erepturum : quod longe aliter evenit: re; per lo che in ultimo diede la prefettura dei
mam veterem favorem ejus sua insuper invidia Numidi al proprio figlio, onde col comando
auxit. Nequeille indignitatem injuriae tulit, con torgli anche il credito presso di loro; il che ac
festimolue ad Laevinum occultos nuncios misit de cadde assai diversamente; perciocchè coll'odio
tradendo Agrigento. Per quos ut est facta fides, suo non fe” che accrescere a Mutine l'antico
compositusque rei gerendae modus, portam ad favore. Nè sopportò egli l'indegnità dell'affron
mare ferentem Numidae quum occupassent, pul to, e tosto mandò segreti messi a Levino a trat
sis inde custodibus, aut caesis, Romanos ad id tare di dargli Agrigento. Come s'ebbe la fede
ipsum missos in urbem acceperunt. Et quum da questi, e si convenne del modo di condur
agmine jam in media urbis ac forum magno tu la cosa, avendo i Numidi occupata la porta, che
multu iretur, ratus Hanno non aliud, quam tu mette al mare, scacciandone e trucidandone le
multum ac secessionem (id quod etante accide guardie, introdussero in città i Romani, ch'erano
rat) Numidarum esse, ad comprimendam sedi stati mandati a quest'oggetto; e già inoltrandosi
tionem processit. Atdue ille, quum ei multitudo essi in ordinata schiera nel mezzo della città e
major, quam Numidarum, procul visa, et clamor nella piazza con gran tumulto, stimando Annone,
Romanus haudquaquam ignotus ad aures accidis che altro non fosse che un ammutinamento, una
set, prins quam ad ictum teli veniret, capessit sommossa dei Numidi (com'era accaduto altre
fugam. Per aversam portam emissus, assumpto volte), si fe innanzi per comprimere la sedizio
comite Epicyde, cum paucis ad mare pervenit ; ne; ma come vide da lontano ch'erano assai
nactique opportune parvum navigium, relicta più gente, che i Numidi, e gli venne all'orecchio
bostibus Sicilia, de qua per tot annos certatum il grido Romano da lui ben conosciuto, innanzi
erat, in Africam trajecerunt. Alia multitudo Poe di giungere a tiro d'arco, prende la fuga. Uscito
norum Siculorumque, ne tentato quidem certa per la porta opposta, toltosi a compagno Epici
mine, quum caeci in fugam ruerent, clausique de, giunse al mare con pochi; e trovato oppor
exitus essent, circa portas caesa. Oppido recepto tunamente picciolo naviglio, abbandonata ai ne
Laevinus, qui capita rerum Agrigenti erant, vir mici la Sicilia, per la quale s'era combattuto
gis caesos securi percussit: ceteros praedamque tant'anni, passarono in Africa; l'altra moltitu
vendidit: omnem pecuniam Romam misit. Fama dine dei Cartaginesi e dei Siciliani, senza nè
Agrigentinorum cladis Siciliam quum pervasis anche combattere, datisi ciecamente a fuggire,
set, omnia repente ad Romanos inclinaverunt. ed essendo chiusi gli egressi, fu tagliata a pezzi
Prodita brevi sunt viginti oppida; sex vi capta: in sulle porte. Levino, ricuperata la fortezza,
voluntaria deditione in fidem venerunt ad qua fe battere colle verghe e percuotere di scure
draginta: quarum civitatium principibus quum i principali di Agrigento: vendè gli altri e la
pro cujnsque merito consul pretia poenasque preda, e mandò a Roma tutto il denaro, che
exsolvisset, coegissetque Siculos, positis tandem ne trasse. Divolgatasi per la Sicilia la fama del
armis, ad agrum colendum animos convertere, la strage degli Agrigentini, tutto subitamente
utesset non incolarum modo alimentis frugifera piegò a favore dei Romani. Si ebbero in breve
insula, sed urbis Romae atque Italiae (id quod tempo venti castelli per tradimento: sei ne furon
multis saepe tempestatibus fecerat) annomam le presi colla forza, e quaranta volontariamente si .
varet; ab Agathyrna inconditam multitudinem son dati. Il console poi ch'ebbe distribuiti e pre
secum in Italiam transvexit. Quatuor millia homi mii ai capi di queste città, e pene, secondo il me
num e rant, mixti ex omni colluvione exsules, rito di ciascuno, e costretti i Siciliani, finalmente
oba ereti, capitalia ausi plerique; et quum in posate l'armi, a rivolgersi alla coltivazion delle
civitatibus suis ac sub legibus vixerant, et post terre, acciocchè l'isola non solamente fruttasse
91 TITI LIVII LIBER XXVI. 92

quam eos ex variis causis fortuna similis conglo alimenti agli abitanti, ma somministrasse, occor
baverat Agathyrnam, per latrocinia ac rapinam rendo, grani a Roma ed all'Italia (il che avea
tolerantes vitam. Hos neque relinquere Laevinus fatto sovente in varii tempi), dall'Agatirna tras
in insula, tum primum nova pace coalescente, portò seco in Italia un ammazzo di gente d'ogni
velut materiam novandis rebus, satistutum ratus sorte. Erano da quattro mila uomini, sozza me
est: et Rheginis usui futuri erant ad populandum scolanza di banditi, di falliti, la maggior parte
Bruttium agrum, assuetam latrociniis quaerenti rei di colpe capitali, e che mentre eran vissuti
bus manum. Et, quod ad Siciliam attinet, eo anno nelle loro città e sotto le leggi, e così dappoi
debellatum est. che una comune fortuna gli avea dopo varii casi
agglomerati in Agatirna, avean sempre vissuto
di ladronecci e di rapina. Non istimò Levino
che fosse cosa secura lasciar costoro, quasi fomite
di novità, in un'isola, che cominciava allora per
la fresca pace ad assodarsi; oltrechè sarebbero
stati utili ai Reggiani, che cercavan gente avvezza
ai ladronecci per saccheggiar le terre dei Bruzii.
E quanto alla Sicilia, ebbe in quell'anno fine
la guerra.
XLI. In Hispania principio veris P. Scipio, XLI. In Ispagna sul principio di primavera
navibus deductis, evocatisque edicto Tarraconem Publio Scipione, tratte fuori le navi, e chiamati
sociorum auxiliis, classem onerariasque ostium a Tarracona con editto gli aiuti degli alleati,
inde Iberi ſluminis petere jubet. Eodem legiones ordina che la flotta e i legni da carico vadano
ex hibernis convenire quum jussisset, ipse cum all'imboccatura del fiume Ibero. Avendo coman
quinque millibus sociorum ab Tarracone pro dato che le legioni, uscendo da quartieri d'in
fectus ad exercitum est. Quo quum venisset, allo verno, colà pure si radunassero, egli partì da
quendos maxime veteres milites, qui tantis super Tarracona con cinque mila alleati alla volta del
fuerant cladibus, ratus, concione advocata, ita l'esercito. Dove essendo arrivato, giudicando
disseruit: « Nemo ante me novus imperator mi che fosse bene far parole specialmente ai vecchi
litibus suis prius, quam opera eorum usus esset, soldati, ch'erano avanzati da tante stragi, chia
gratias agere jure ac merito potuit. Me vobis mato parlamento, così arringò: « Nessuno nuovo
prius, quam provinciam aut castra viderem, obli comandante avanti me potè giustamente e me
gavit fortuna: primum, quod ea pietate erga pa ritamente render grazie a suoi soldati, innanzi
trem patruumque meum vivos mortuosque fui che avesse fatta prova dell'opera loro. Hammi
stis: deinde, quod amissam tanta clade provinciae la fortuna obbligato a voi innanzi che vedessi la
possessionem, integram et populo Romano et provincia e il campo; primieramente perchè
successori mihi virtute vestra obtinuistis. Sed foste affezionati tanto a mio padre e zio, vivi
quum jam benignitate dei m id paremus atque e morti; poi perchè questa provincia con tanta
agamus, non ut ipsi maneamus in Hispania, strage perduta, voi col valor vostro la riconqui
sed ne Poeni maneant, nec ut pro ripa Iberi staste intera al popolo Romano, e a me, che a
stantes arceamus transitu hostes, sed ut ultro quelli succedo. Ma poscia che per la bontà degli
transeamus, transferamusque bellum ; vereor, ne dei pensiamo e miriamo, non a rimanere noi
cui vestrum majus id audaciusque consilium, nella Spagna, ma sì a fare che i Cartaginesi non
quam aut pro memoria cladium muper accepta ci stieno, e non a fermarsi sulle sponde dell'Ibe
rum, aut pro aetate mea, videatur. Adversae pu ro a vietare il passo a'nemici, ma sì a varcarlo
gnae in Hispania nullius in animo, quam meo, noi stessi, e portar oltre la guerra, temo che
minus obliterari possunt; quippe cui pater et questa impresa non sembri a talun di voi grande
patruus intra triginta dierum spatium, ut aliud ed ardita più, che non comporta la memoria
super aliud cumularetur familiae nostrae funus, de' recenti nostri disastri o l'età mia. Nessuno
interfecti sunt. Sed ut familiaris pene orbitas ac manco di me potè cancellare dall'animo le scom
solitudo frangit animum ; ita publica quum for fitte nostre nella Spagna, di me, il cui padre
tuna tum virtus desperare de summa rerum pro e zio nello spazio di trenta giorni, accumulandosi
hibet. Ea fato quodam data nobis sors est, ut ma l'un sopra l'altro i mortorii nella nostra famiglia,
gnis omnibus bellis victi vicerimus. Vetera omit perirono. Ma se, rimasto quasi l'unico di tutti
to, Porsenam, Gallos, Sammites: a Punicis bellis i miei, la domestica solitudine mi abbatte l'ani
incipiam. Quot classes, quot duces, quot exerci mo, d'altra parte la fortuna e virtù pubblica
tus priore bello amissi sunt ? Jam quid hoc bello non mi lasciano disperare della somma delle cose.
93 TITI LIVII LIBER XXVI. 94
memorem? Omnibus aut ipse adfui cladibus, aut, È questa la sorte nostra, per non so quale desti
quibus abfui, maxime unus omnium eas sensi. no, che in tutte le guerre d'importanza vinti
Trebia, Trasimenus, Cannae, quid aliud sunt, avessimo a riuscire vincitori. Lascio le antiche,
quam monumenta occisorum exercituum consu Porsena, i Galli, i Sanniti; comincierò dalle guer
lumque Romanorum ? Adde defectionem Italiae, re Cartaginesi. Quante flotte non si son perdute,
Siciliae majoris partis, Sardiniae. Adde ultimum quanti capitani, quanti eserciti nella prima guer
terrorem ac pavorem, castra Punica inter Anie ra? E che dirò di questa? O mi son trovato
nem et moenia Romana posita, et visum prope in presente a tutte codeste rotte, o quelle, dove
portis victorem Hannibalem. In hac ruina rerum non intervenni, m'hanno più vivamente che
stetit una integra atque immobilis virtus popoli altri percosso. Trebbia, Trasimeno e Canne,
Romani: haec omnia strata humi erexit ac sustu che altro sono, se non se monumenti di eserciti
lit. Vos omnium primi, milites, post Cannensem e consoli Romani trucidati? Agginngete la defe
cladem vadenti Hasdrubali ad Alpes Italiamoue, zion dell'Italia, della maggior parte della Sicilia,
qui si se cum fratre conjunxisset, nullum jam no della Sardegna. Aggiungete l'ultimo terrore e
men esset populi Romani, ductu auspicioque pa spavento, il campo Cartaginese piantato tra
tris mei obstitistis: et hae secundae resillas ad l'Aniene e le mura di Roma, e il visto quasi
versas sustinuerunt. Nunc, benignitate deim, alle porte Annibale vincitore. In mezzo a così
omnia secunda, prospera, in dies laetiora ac me immensa rovina sola stette intera ed immobile la
liora in Italia Siciliaque geruntur. In Sicilia Syra virtù del popolo Romano: questo rilevò e rin
cusae, Agrigentum captum, pulsi tota insula ho francò quanto giaceva prostrato al suolo. Voi pri
stes, receptaque provincia in ditione populi Ro mi, o soldati, dopo la strage di Canne, sotto la con
mani est. In Italia Arpi recepti, Capua capta. Iter dotta e gli auspizii di mio padre, faceste fronte
omne ab urbe Roma trepida fuga emensus Han ad Asdrubale, che veniva all'Alpi ed in Italia;
nibal, in extremum angulum agri Bruttii com il quale se si fosse congiunto col fratello, già sa
pulsus, nihil jam majus precatur deos, quam ut rebbe spento il nome Romano; e questi prosperi
incolumi cedere atque abire ex hostium terra successi ci dieron forza di reggere a codeste altre
liceat. Quid igitur minus conveniat,milites, quam, calamità. Ora per la clemenza degli dei tutto ci
quum aliae super alias clades cumularentur, ac riesce a bene, prosperamente, tutto va ogni dì
dii prope ipsi cum Hannibale starent, vos hic più lietamente ed alla meglio nella Sicilia e nel
cum parentibus meis (aequentur enim etiam ho l'Italia. In Sicilia si è ripresa Siracusa ed Agri
nore nominis) sustinuisse labantem fortunam po gento, si son cacciati dall'Isola tutti i nemici,
puli Romani; nunc eosdem, quia illic omnia se e la provincia è tornata in dominio del popolo
cunda laetaque sunt, animis deficere? Nuper quo Romano. In Italia si è riavuto Arpi, si è presa
que quae acciderunt, utinam tam sine meo luctu, Capua. Annibale, misurando tutta la via con fuga
quam vestro, tramsissent! Nunc dii immortales precipitosa, onde scostarsi da Roma, respinto
imperii Romani praesides, qui centuriis omnibus, nell'angolo estremo del paese de' Bruzii, non
ut mihi imperium juberent dari, fuere auctores, altro chiede tanto agli dei, quanto che gli si dia
iidem auguriis auspiciisque, et per nocturnos di trarsi salvo, ed uscire dal territorio nemico.
etiam visus omnia laeta ac prospera portendunt. Che altra cosa dunque si converrebbe meno, o
Animus quoque meus, maximus mihi ad hoc tem soldati, quanto che l'aver voi, quando accumu
pus vates, praesagit nostram Hispaniam esse: lavansi le rotte l'una sull'altra, e quasi gli stessi
brevi extorre hinc omme Punicum nomen, maria dei stavano alla parte di Annibale, sostenuta quivi
terrasque foeda fuga impleturum. Quod mens insieme co'padri miei (e mi sia lecito pareggiarli
sua sponte divinat, idem subjicit ratio haud fal a voi per onore del nome) la vacillante fortuna
lax. Vexati ab iis socii nostram fidem per legatos del popolo Romano, ed ora, che le cose tutte son
implorant: tres duces discrepantes, prope ut de qui prospere e liete, perdervi d'animo? Anche
fecerimt alii ab aliis, trifariam exercitum in di le sciagure testè accadute, fossero pur passate
versissimas regiones distraxere. Eadem in illos non tanto senza il mio, quanto senza il vostro
ingruit fortuna, quae nuper nos afflixit: nam et danno! Ora però gli dei immortali, proteggitori
deseruntur ab sociis, ut prius ab Celtiberis mos, del Romano impero, i quali ispirarono a tutte
et diduxerunt exercitus; quae patri patruoque le centurie che mi si desse il comando, essi stessi
meo causa exitii fuit. Nec discordia intestina coire e cogli augurii e cogli auspizii ed anche colle
eos in unum sinet, neque singuli nobis resistere notturne visioni ci promettono eventi lieti e fe
poterunt. Vos modo, milites, favete nomini Sci lici. Lo stesso animo mio, che fino a questo di
pionum, soboli imperatorum vestrorum, velut non mi fu mai fallace indovino, mi presagisce,
accisis recrescenti stirpibus. Agite, milites vete che la Spagna sarà nostra e che tra breve tutto
95 TITI LIVII LIBER XXVI. 96

res, novum exercitum novumque ducem traduci l'oste Cartaginese quindi scacciato empierà i ma
te Iberum, traducite in terras cum multisfortibus ri e le terre del grido e vitupero della sua fuga.
ſactis saepe a vobis peragratas. Brevi faciam, ut, Ciò che la mente da sè sola indovina, lo stesso
quemadmodum nunc moscitatis in me patris pa detta la non fallace ragione. Gli alleati Cartagi
truique similitudinem oris vultusque et linea mesi, malmenati da loro, mandano legati ad im
menta corporis, ita ingenii, fidei, virtutisque plorare il nostro aiuto: tre capitani discordanti,
exemplum expressam ad effigiem vobis reddam, quasi si fossero ribellati gli uni dagli altri, hanno
ut revixisse, aut rematum sibi quisque Scipionem spartito l'esercito in tre parti in diversissimi
imperatorem dicat. » paesi. Piomba loro addosso quella stessa mala
fortuna che ci ha testè travagliato; perciocchè
sono abbandonati dagli alleati, come fummo noi
dai Celtiberi, ed han diviso gli eserciti, il che fu
cagione a mio padre e zio della rovina. Nè l'in
testina discordia gli lascerà unirsi insieme; nè
spartiti potranno uno ad uno resisterci. Ma vi
piaccia, o soldati, favoreggiare il nome dei Sci
pioni, il rampollo dei vostri comandanti, che
quasi da recise piante rigermoglia. Su via, vecchi
soldati, guidate il nuovo esercito e il nuovo co
mandante di là dall'Ibero, e guidateli a quelle
terre, che avete corse tante volte con molti fatti
egregii. Farò in breve tempo, che come in me
riconoscete il viso, le fattezze e i lineamenti del
corpo di mio padre e zio, vi rappresenti pur
anche l'esempio e l'espressa imagine del loro
ingegno, fede e valore, sì che ognun dica a sè
stesso essere risuscitato o rinato il comandante
Scipione. -
XLII. Hac oratione accensis militum animis, XLII. Infiammati con questo discorso gli
relicto ad praesidium regionis ejus M. Silano, animi del soldati, lasciato a presidio del paese
cum tribus millibus peditum et trecentis equi Marco Silano con tre mila fanti e trecento cavalli,
tibus, ceteras omnes copias (erant autem viginti trasportò di là dall'Ibero tutte l'altre genti
quinque millia peditum, duo millia et quingenti (erano venti cinque mila pedoni, duemila e cin
equites) Iberum trajecit. Ibi quibusdam suaden quecento cavalli). Quivi però consigliandolo al
tibus, ut, quoniam in tres tam diversas regiones cuni, che, poi ch'erano gli eserciti Cartaginesi
discessissent Punici exercitus, proximum aggre spartiti in tre sì diverse regioni, assaltasse il più
deretur; periculum esse ratus, ne eo facto in vicino, egli temendo il pericolo, se ciò facesse,
unum omnes contraheret, nec par esset unus che tutti i nemici non venissero a raccozzarsi
tot exercitibus, Carthaginem Novam interim op insieme, e non poter solo esser pari a tanta gente,
pugnare statuit; urbem quum ipsam opulentam deliberò di combattere intanto Nuova-Cartagine,
suis opibus, tum hostium omni bellico apparatu città e potente per le proprie sue forze, e piena
plenam (ibi arma, ibi pecunia, ibi totius Hispa di tutte le provigioni di guerra dei nemici (quivi
niae obsides erant); sitam praeterea quum op eran l'armi, quivi il danaro, quivi gli ostaggi
portune ad trajiciendum in Africam, tum super di tutta la Spagna), situata inoltre opportuna
portum satis amplum quantaevis classi, et nescio mente per tragittare in Africa, e con porto assai
an unum in Hispaniae ora, qua nostro adjacet capace per qualunque armata navale, e forse
mari. Nemo omnium, quo iretur, sciebat, praeter il solo sulla costa di Spagna, che guarda il nostro
C. Laelium. Is, classe circummissus ita moderari mare. Nessuno sapeva dove si andasse, eccelto
cursum navium jussus erat, uteodem tempore Caio Lelio. Questi, mandato a fare il giro colle
exercitus ostenderetur, et classis portum intra navi, aveva avuto ordine di così moderare il suo
ret. Septimo die ab Ibero Carthaginem ventum corso, che ad un tempo stesso comparisse l'eser
est simul terra marique: castra ab regione ur cito di terra, e la flotta entrasse in porto. Dopo
bis, qua in septemtrionem versa est, posita: his sette giorni si venne al medesimo tempo dal
ab tergo (nam frons natura tuta erat ) vallum l'Ibero a Nuova-Cartagine per terra e per mare.
objectum. Celerum sita Carthago sic est. Sinus Si piantò il campo a quella parte della città, ch e
est maris media fere li ispaniae ora, maxime volta a tramontana; al di dietro del campo (che la
n7 TITI LIV11 LIBER XXVI. 98

Africo vento oppositus, et quingentos passus in fronte era difesa dalla natura) si oppose uno stec
trorsus retractus, paullulo plus passuum in lati cato. Ecco del resto com'è situata Nuova-Carta
tudinem patens. Hujus in ostio sinus parva insula gine. V'ha un seno di mare quasi nel mezzo
objecta ab alto portum ab omnibus ventis, prae della costa di Spagna, opposto massimamente
terquam Africo, tutum facit. Ab intimo sinu pe al vento Africo, e ritratto infra terra cinquecento
ninsula excurrit, tumulus is ipse, in quo condita passi e largo poco più. All'ingresso di questo
urbs est, ab ortu solis et ameridie cincta mari: una picciola isola, situata di fronte in alto mare,
ab occasu stagnum claudit, paullum et ad se difende il porto da tutti i venti, fuor che dal
ptemtrionem fusum; incertae altitudinis, utcum l'Africo. Dal fondo di questo seno scorre allun
que exaestuataut deficit mare. Continenti urbem gandosi una penisola, che è quello stesso rialzo,
jugum ducentosfere et quinquaginta passus pa sul quale è fabbricata la città, cinta dal mare a
tens conjungit: unde quum tam parvi operis levante e mezzodì : a ponente la chiude uno sta
munitio esset, non objecit vallum imperator gno, che si allarga alcun poco a tramontana, di
Romanus, seu fiduciam hosti superbe ostentans, acque d'incerta altezza, secondo la forza del flusso
sive ut subeunti saepe ad moenia urbis recursus o del riflusso. Si unisce la città al continente
pateret. mediante un giogo di colline largo da dugento
e cinquanta passi; e quivi, sebbene forse opera
di non grande lavoro, non oppose il comandante
Romano nessuna barricata, o per fare superba
mente al nemico mostra di fidanza, o perchè al
soldato, che dovea sovente accostarsi alle mura,
º
fosse più facile la ritirata.
XLIII. Cetera, quae munienda erant, quum XLIII. Compiute tutte l'altre munizioni, dove
perfecisset, naves etiam in portu, velut mariti occorreva, ordinò eziandio le navi nel porto,
mam quoque ostentans obsidionem, instruxit; quasi mostrando di voler attaccare la città anche
circumvectusque classem, quum monuisset prae per mare; e fatto il giro della ſlotta, avvertiti
fectos navium, ut vigilias nocturnas intenti ser i capitani, acciocchè facessero attenta guardia
varent, omnia ubique primo obsessum hostem la notte, che il nemico assediato suol fare sul
conari; regressus incastra, ut consilii sui rationem, principio i più grandi sforzi; e tornato al campo,
quod ad urbe potissimum oppugnanda bellum volendo informare i soldati per qual ragione
orsus esset, militibus ostenderet, et spem po avesse cominciata la guerra specialmente dal com
tiundae cohortando faceret, concione advocata battere Nuova-Cartagine, e per insieme confor
ita disseruit: « Ad urbem unam oppugnandum tarli nella speranza di prenderla, chiamatili a
si quis vos adductos credit, is magis operis ve parlamento, così parlò: « Se crede alcun di voi,
stri, quam emolumenti rationem exactam, mili ch'io v'abbia qui tratti ad espugnare una sola
tes, habet. Oppugnabitis enim vere moenia unius città, questi, o soldati, ha più esattamente calco
urbis, sed in una urbe universam ceperitis Hispa late le vostre fatiche, che l'utilità dell'impresa.
niam. Hic sunt obsides omnium nobilium regum Perciocchè prenderete bensì le mura di una sola
populorumque; qui, simul in potestate vestra città, ma in questa prenderete tutta la Spagna.
erunt, extemplo omnia, quae nunc sub Cartha Qui sono gli ostaggi di tutti i re, di tutti i popoli
giniensibus sunt, in ditionem tradent. Hic pecu più illustri; questi, come saran quelli caduti
mia omnis hostium, sine qua neque illi gerere nelle vostre mani, tosto consegneranno in poter
bellum possunt, quippe qui mercenarios exer vostro tutto quello, ch'è ora dei Cartaginesi.
citus alant, et quae nobis maximo usui ad con Quivi è tutto il danaro dei nemici, senza il quale
ciliandos animos barbarorum erit. Hic tormenta, non possono far la guerra, come quelli, che man
arma, armamenta, et omnis apparatus belli est, tengono soldati mercenarii; danaro, che ci sarà
qui simul et vos instruet, et hostes nudabit Po di grand'uso a conciliarci gli animi dei barbari.
tiemur praeterea quum pulcherrima opulentis Quivi son l'armi, le macchine, tutto l'apparec
simaque urbe, tum opportunissima portu egre chio di guerra, di che voi vi fornirete, e sarà
gio, unde terra marique, quae belli usus poscunt, il nemico spogliato. Conquisteremo inoltre una
suppeditentur. Quae quum magna ipsi habebi bellissima e ricchissima città, coll'opportunità
mus, tum dempserimus hostibus multo majora. di egregio porto, donde saremo provveduti per
Ilaec illis arr, hoc horreum, aerarium, arma mare e per terra di ciò, che bisogna alla guerra:
mentarium, hoc omnium rerum receptaculum cose che avremo in buon numero, e che in nu
est-Ilinc rectus in Africam cursus est: haec una mero assai maggiore torremo ai nemici; perocchè
inter Pyrenaeum et Gades statio: hinc omni questa è la rocca loro, il granaio, l'erario, l'arse
Livio a 7
99 TITI LIVII LIBER XXVI. loo

Hispaniae imminet Africa. Sed, quoniam vos nale, questo il gran ricetto di tutto. Di qua si
instructos et ordinatos cognosco, ad Carthagi naviga dirittamente all'Africa; questa è la sola
nem movam oppugnandam totis viribus et bono posata tra i Pirenei e Cadice; di qua l'Africa
animo transeamus. » Quumque omnes una voce, la Spagna tutta minaccia. Ma perchè vi vedo ben
hoc faciendum, succlamarent, eos Carthaginem ordinati ed agguerriti, passiamo con tutte le for
duxit: tum terra marique eam oppugnari jubet. ze e di buon cuore a combatter Nuova-Carta
gine. ” Ed avendo tutti ad una voce gridato,
passiamo, li conduce alla città; poscia comandò
che la si battesse per mare e per terra.
XLIV. Contra Mago Poenorum dux, quum XLIV. All' incontro Magone, comandante
terra marique instrui oppugnationem videret, dei Cartaginesi, vedendo che si faceano gli ap
et ipse copias ita disponit. Oppidanorum duo parecchi dell'assedio per terra e per mare, an
millia ab ea parte, qua castra Romana erant, ch'egli mette in ordine le sue forze. Oppone due
opponit: quingentis militibus arcem insedit: mila terrazzani dalla parte, dov'era il campo
quingentos tumulo urbis in orientem verso im Romano: tiene la rocca con cinquecento soldati:
ponit: multitudinem aliam, quo clamor, quo cinquecento ne mette sul poggio più alto della
subita vocasset res, intentam ad omnia occur città volto a Levante: impone a tutta l'altra mol
rere jubet. Patefacta deinde porta, eos, quos in titudine, che attenta a tutto corra dove il grido
via ferente ad castra hostium instruxerat, mittit. e il bisogno improvviso la chiamasse. Indi, spa
Romani, duce ipso praecipiente, parumper ces lancata la porta, manda fuori le genti, che avea
sere, ut propiores subsidiis in certamine ipso schierate sulla via che guida al campo nemico. I
submittendis essent. Et primo haud impari ste Romani, per ordine dello stesso comandante, ce-
tere acie: subsidia deinde, idemtidem submissa dettero alcun poco, ond'essere più vicini ai sus
e castris, non averterunt solum in fugam hostes, sidii da mandarsi nel calore stesso della mischia.
sed adeo effusis institerunt, ut, nisi receptui ce E dapprima non ci ebbe disparità; indi i soccorsi
cinisset, permixti fugientibus irrupturi fuisse in che venivano di mano in mano dal campo, non
urbem viderentur. Trepidatio vero non in proe solamente voltarono in fuga i nemici, ma sì dap
lio major, quam tota urbe fuit: multae stationes presso gl'incalzarono, che se non si fosse sonato
pavore atque fuga desertae sunt, relictique muri, a raccolta, pareva che misti ai fuggitivi sarebbero
quum, qua cuique erat proximum, desiluissent. penetrati nella città. Nè fu maggiore lo spavento
Quod ubi egressus Scipio in tumulum, quem nella battaglia, che nella città stessa: molte poste
Mercurii vocant, animadvertit, multis partibus furono lasciate per paura e per fuggire: si ab
nudata defensoribus moenia esse ; omnes e ca bandonaron le mura, saltando ciascuno a terra
stris excitosire ad oppugnandam urbem, et ferre dal luogo, che gli veniva più comodo. Il che
scalas iubet. Ipse, trium prae se juvenum vali avendo osservato Scipione dal poggio che chia
dorum scutis oppositis ( ingens enim jam vis mano di Mercurio, ch'eran cioè le mura della
omnis generis telorum e muris volabat), ad ur città in molti luoghi senza difensori, ordina che
bem succedit, hortatur, imperat, quae in rem tutti uscendo dal campo vadano all'assalto, e por
sunt; quodque plurimum ad accendendos mi tino le scale. Egli stesso, coperto dagli scudi di
litum animos intererat, testis spectatorque vir tre giovani gagliardi (chè già piovea dalle mura
tutis atque ignaviae cujusque adest. Itaque in ogni sorta di saettame) si fa sotto la città, esorta,
vulnera ac tela ruunt; neque illos muri, neque comanda ciò che occorre, e quello che più valeva
superstantes armati arcere queunt, quin certa ad accendere gli animi de'soldati, egli in persona
tim ascendant. Et ab navibus eodem tempore è testimonio e spettatore della virtù o codardia
ea, quae mari alluitur, pars urbis oppugnari di ciascuno. Quindi gettansi a precipizio incontro
coepta est: ceterum tumultus inde major, quam ai dardi, alle ferite; nè le mura, nè i sovrastanti
vis, adhiberi poterat. Dum applicant, dum par armati vietar possono, che non montino a gara.
tim exponunt scalas militesque, dum, qua cuique E al tempo stesso si cominciò dalle navi a com
Proximum est, in terram evadere properant, ipsa battere la parte della città che è bagnata dal mare.
testinatione et certamine alii alios impediunt. Quivi però si potea più far romore che forza.
Mentre approdano, mentre sbarcano in fretta e
scale e soldati, mentre ciascuno, com'è più vicino,
si affretta di prender terra, collo stesso avacciarsi
ed incalciarsi, gli uni gli altri s'impediscono a
vicenda. -

XLV. Inter haee repeverat jam Poenus ar XLV. Aveva intanto il Cartaginese guernite
not TITI LIVli LIBER XXVI. toº

matis muros, et vis magna, ex ingenti copia tutte le mura di armati, e ci era immensa quan
congesta, telorum suppeditabat. Sed neque viri, tità di giavellotti in grandi mucchi ammontati.
nec quidquam aliud aeque, quam moenia ipsa Ma nè dagli uomini, nè dai giavellotti, nè da
sese, defendebant: rarae enim scalae altitudini altro checchè fosse, eran difese tanto le mura,
aequari poterant, et, quo quaeque altiores, eo quanto da sè stesse; perocchè poche scale pote
infirmiores erant. Itaque, quum summus quisque van giungere alla loro altezza; e quanto ciascuna
evadere non posset, subirent tamen alii, onere era più lunga, tanto era più debole. Quindi non
ipso frangebantur. Quidam, stantibus scalis, potendo i saliti in cima andar più oltre, e non
quum altitudo caliginem oculis offudisset, ad ostante altri succedendo, le scale dal peso stesso
terram delati sunt. Et quum passim homines si rompevano; altri abbagliati la vista dell'al
scalaeque ruerent, et ipso successu audacia atque tezza, stramazzarono a terra. E qua e colà rovi
alacritas hostium cresceret, signum receptui da mando uomini e scale, e pel successo crescendo
tum est; quod spem non praesentis modo ab a'nemici l'ardire ed il coraggio, si sonò a raccol
tanto certamine ac labore quietis obsessis, sed ta; il che diede agli assediati non solo speranza
etiam in posterum dedit, scalis et corona capi per ora di riposare da sì gran lotta e fatica, ma
urbem non posse: opera et difficilia esse, et tem eziandio per l'avvenire, che la città non potesse
pus datura, ad ferendam opem imperatoribus esser presa per iscalata, nè per assalto generale;
suis. Vix prior tumultus conticuerat, quum Sci e il prenderla colle macchine esser opera difficile,
pio ab defessis jam vulneratisque recentes inte e che darebbe tempo ai loro comandanti di ac
grosque alios accipere scalas jubet, et vi majore correre in soccorso. S'era appena quetato il pri
aggredi urbem. Ipse, ut ei nunciatum est, aestum mo tumulto, quando Scipione, in luogo degli
decedere, quod per piscatores Tarraconenses, stanchi e feriti, ordina che altri freschi ed intatti
nunc levibus cymbis, nunc, ubi eae siderent, prendano le scale, ed assaltino la città con mag
vadis pervagatos stagnum, compertum habebat, gior impeto. Egli, com'ebbe inteso che la marea
facilem pedibus ad murum transitum dari, eo si abbassava, avvisato dai pescatori Tarragonesi
secum armatos duxit. Medium ferme diei erat, che giravano per lo stagno ora con piccioli schifi,
et ad id, quod sua sponte cedente in mare aestu ora, come questi toccavano il fondo, guazzando
trahebatur aqua, acer etiam Septemtrio ortus in lo, potersi facilmente giungere a piedi sino al
climatum stagnum eodem, quo aestus, ferebat, muro, menò cinquecento de' suoi a quella parte.
et adeo nudaverat vada, ut alibi umbilico tenus Era quasi mezzo giorno; ed oltrechè pel ri
aqua esset, alibi genua vix superaret. Hoc, cura flusso l'acqua da sè si ritirava al mare, anche una
ac ratione compertum, in prodigium ac deos fiera tramontana insorta vieppiù spingeva l'ac
vertens Scipio, qui ad transitum Romanis mare que inclinate, dove già la marea le portava ; ed
verterent, et stagno auferrent, viasque ante mum avea di tal maniera scoperto il guado, che altrove
quam imitas humano vestigio aperirent. Neptu l'acqua giungeva sino al bellico, altrove poco più
num jubebat ducem itineris sequi, ac medio sta che sopra il ginocchio. Scipione, quello che avea
gno evadere ad moenia. trovato esaminando e ragionando, attribuendolo
invece a prodigio ed agli dei, i quali ritraessero
e rimovessero il mare dallo stagno per dar passo
ai Romani, ed aprissero nuove vie non mai per
innanzi da vestigio umano calcate, gl'incorag
giava a seguir Nettuno, scorta del cammino,
e dal mezzo dello stagno lanciarsi appiè delle
lnull'a.

XLVI. Ab terra ingens labor succedentibus XLVI. Grande travaglio aveano gli assalitori
erat: nec altitudine tantum moenium impedie dalla parte di terra; nè l'impaccio procedeva
bantur, sed quod euntes ad ancipites utrimoue soltanto dall'altezza delle mura, ma perchè, avan
ictus subjectos habebant Romanos; ut latera in zandosi, eran soggetti i Romani ad esser colpiti
festiora subeuntibus, quam adversa corpora, es d'ambi i lati, in modo che più pativano ai fian
sent. At parte in alia quingentis et per stagnum chi, che di fronte. Ma dall'altra parte fu facile ai
facilis transitus, et in murum adscensus inde fuit: cinquecento passare per lo stagno, e di là salire
nam neque opere emunitus erat, ut ubi ipsius sul muro ; chè non era fortificato con opere, co
loci ac stagni praesidio satis creditum foret; nec me quello che avean creduto bastantemente di
ulla armatorum statio aut custodia opposita, in feso dalla natura del luogo e dal padule; nè vi si
tentis omnibus ad opem eo ferendam, unde peri avca messo nessuna posta o guardia di soldati,
culum ostendebatur.Ubiurbem sine certamine in attento ognuno a recar soccorso, dove il pericolosi
1o3 TITI LIVII LIBER XXVI. 1o4
travere, perguntinde, quanto maximo cursu pote mostrava. Come furono senza contrasto entrati in
rant, ad eam portam, circa quam omne contractum città, corrono con quanta forza più possono, alla
certamen erat. In quod adeo intenti omnium non porta, intorno a cui s'era serrata la battaglia; alla
animi solum fuere, sed etiam oculi auresque pu quale così erano intenti non solamente gli animi,
gnantium spectantiumque et adhortantium pu ma eziandio gli occhi e gli orecchi di chi combat
gnantes, ut nemo ante ab tergo senserit captam teva e di chi guardava e confortava i combattenti,
urbem, quam tela in aversos inciderunt, et che nessuno si accorse la città esser presa alle
utrimque ancipitem hostem habebant. Tunc, tur spalle, se prima non si sentirono venire i dardi
batis defensoribus metu, et moenia capta, et porta alla schiena, e non si videro il nemico a fronte
intus forisque pariter refringi coepta; et mox e di dietro. Allora, scompigliati i difensori dallo
caedendo confractis ac distractis, ne iter impedi spavento, e si son prese le mura, e si cominciò
retur, foribus, armati impetum fecerunt. Magna ad un tratto e dentro e fuori ad atterrare la
multitudo et muros transcendebat, sed hi passim porta, e messene in pezzi le imposte, onde non
ad caedem oppidanorum versi. Illa, quae portam s'impacciasse la via, gli armati entrarono furio
ingressa erat, juxta acies, cum ducibus, cum samente. Anche una gran moltitudine travalicava
ordinibus, media urbe in forum processit.lnde le mura; e questi eran volti qua e là a far ma
quum duobus itineribus fugientes videret hostes. cello dei terrazzani. Ma quelli, ch'erano entrati
alios ad tumulum in orientem versum, qui te per la porta a forma di giusto corpo coi capi
nebatur quingentorum militum praesidio, alios tani e cogli ordini loro, di mezzo alla città si
in arcem, in quan et ipse Mago cum omnibus condussero alla piazza. Indi vedendo Scipione
fere armatis, qui muris pulsi fuerant, refugerat; che i nemici fuggivano per due strade, altri al
partim copiarum ad tumulum expugnandum poggio volto a Levante, ch'era guardato da cin
mittit, partim ipse ad arcem ducit. Et tumulus quecento dei loro, altri alla rocca, dove rifuggito
primo impetu est captus, et Mago, arcem cona s'era lo stesso Magone con quasi tutti quelli che
tus defendere, quum omnia hostium plena vide erano stati scacciati dalle mura, manda parte
ret, neque spem ullam esse, se arcemque et prae delle genti ad espugnare il poggio, parte egli
sidium dedidit. Quoad dedita arx est, caedes tota stesso le guida alla rocca. Il poggio fu preso di
urbe passim factae; neculli puberum, qui obvius primo impeto, e Magone, provatosi a difendere
fuit, parcebatur: tum, signo dato, caedibus finis la rocca, poi che vide tutto esser pieno di ne
factus: ad praedam victores versi, quae ingens mici, nè rimanergli speranza alcuna, si arrendette
omnis generis fuit. colla rocca e col presidio. In sino a che la rocca
tenne, non vi fu che strage per tutta la città; nè
si perdonava a qual fosse adulto che s'incon
trasse; di poi, dato il segno, si fe fine all'ucci
sione. I vincitori si voltarono alla preda, che fu
in ogni genere grandissima.
XLVII. Liberorum capitum virile secus ad XLVII. Delle persone libere di sesso maschile
decem millia capta: inde, qui cives Novae Car ne furon prese da dieci mila; ma ne rilasciò poi
thaginis erant, dimisit: urbemdue et sua omnia, tutti quelli ch'erano cittadini di Nuova-Carta
quae reliqua eis bellum fecerat, restituit. Opifices gine, ea quali restituì la città e tutto quello che
ad duo millia hominum erant; eos publicos fore era rimasto loro dalla guerra. Gli artigiani erano
populi Romani edixit, cum spe propinqua liber da due mila; li dichiarò di ragione del popolo
tatis, si ad ministeria belli enise operam navas Romano colla non lontana speranza d'essere li
sent. Ceteram multitudinem incolarum iuvenum berati, se si fossero adoprati con zelo ne' mini
ac validorum servorum, in classem ad supple steri della guerra. L'altra moltitudine dei giovani
mentum remigum dedit; et auxerat navibus octo del paese e di servi robusti si diede alla flotta a
captivis classem. Extra hanc multitudinem Hi supplemento dei remiganti; flotta ch'egli aveva
spanorum obsides erant; quorum perinde ac si accresciuta di otto navi prese al nemico. Eran
sociorum liberi essent, cura habita. Captus et fuori di questa moltitudine gli ostaggi degli Spa
apparatus ingens belli; catapultae maximae for gnuoli, de quali s'ebbe cura, come se fossero
mae centum viginti, minores ducentae octoginta figliuoli di alleati. Fu preso anche un grande
et una: ballistae majores viginti tres, minores apparato di macchine da guerra; cento e venti
quinquaginta duae: scorpionum majorum mi catapulte della massima grandezza, dugento ed
norumque, et armorum telorumque ingens ottant'una più picciole, ventitrè baliste maggiori,
numerus: signa militaria septuaginta quatuor. cinquanta due minori: immenso numero di
Etauri argentiquerelata ad imperatorem magna scorpioni maggiori e minori, di armi, di giavel
1 o5 TITI LIVII LIBER XXVI. 1 o6

vis: paterae aurae fuerunt ducentae septuaginta i lotti; e settanta quattro bandiere. E grande
sex, libras ferme omnes pondo: argenti facti si quantità d'oro e d'argento fu portata al coman
gnatique decem et octo millia et trecenta pondo: dante; le coppe d'oro dugento settanta sei, cia
vasorum argenteorum magnus numerus. Haec scuna del peso a un dipresso di una libbra; di
omnia C. Flaminio quaestori appensa adnumera argento lavorato e coniato diciotto mila e tre
taque sunt. Tritici quadraginta millia modium, cento libbre, e numero grande di vasi d'argento.
hordei ducenta septuaginta. Naves onerariaese Tutte queste cose furono pesate e numerate al
xaginta tres in portu expugnatae captaeque: questore Caio Flaminio; inoltre quaranta mila
quaedam cum suis oneribus, frumento, armis, moggia di grano, e dugento e settanta di orzo.
aere praeterea, ferroque et linteis, et sparto et Nel porto si sono sforzate e prese sessanta tre
navali alia materia ad classem aedificandam: ut navi da trasporto, alcune col loro carico, fru
minimum omnium inter tantas opes belli captas, mento, armi, inoltre rame, e ferro, e vele, e sparto,
Carthago ipsa fuerit. ed altre materie occorrenti ad allestire una flotta;
di maniera che, di tante ricchezze conquistate,
fors'era Nuova-Cartagine la minore.
XLVIII. Eo die Scipio, C. Laelio cum sociis XLVIII. Il dì medesimo Scipione, lasciato
navalibus urbem custodire jusso, ipse in castra Caio Lelio collagente di mare alla custodia della
legiones reduxit, fessosque milites omnibus uno città, ritrasse le legioni negli accampamenti; ed
die belli operibus (quippe qui et acie dimicas ordinò che i soldati, stanchi dall'aver sostenuto
sent, et capienda urbe tantum laboris periculique in un giorno solo quante sono le fazioni della
adissent, et capta, cum iis, qui in arcem confu guerra (che aveano combattuto alla campagna,
gerant, iniquo etiam loco pugnassent) curare ed incontrato tante fatiche e pericoli nel prendere
corpora jussit. Postero die, militibus navalibus la città, e poi che fu presa, dovuto azzuffarsi an
que sociis convocatis, primum diis immortalibus che in sito svantaggioso con quelli che s'erano
laudesque et grates egit, qui se non urbis solum rifuggiti nella rocca) curassero le persone. Il dì
opulentissimae omnium in Hispania uno die com seguente, radunati i soldati e le genti di mare,
potem fecissent, sed ante eo congessissent omnis dapprima rendette lodi e grazie agli dei immortali,
pene Africae atque Hispaniae opes; ut neque ho che non solamente in un giorno stesso l'avesser
stibus quidquam relinqueretur, et sibi ac suis fatto signore della città più doviziosa della Spa
omnia superessent. Militum deinde virtutem col gna,ma vi avessero innanzi accumulate le ricchezze
laudavit, quod eos non eruptio hostium, non di quasi tutta l'Africa, e della Spagna, sì che
altitudo moenium, non inexplorata stagni vada, nulla avanzasse a'nemici, ed ogni cosa abbondasse
non castellum in alto tumulo situm, non muni a sè ed a'suoi. Di poi lodò il valore dei nemici; nè
tissima arx deterruisset, quo minus transcende l'altezza delle mura, nè il mal noto guado dello
rent omnia perrumperentolue. Itaque, quamduam stagno, nè il castello posto su alto poggio, nè la
omnibus omnia deberet, praecipuum muralis fortissima rocca potè rattenere, sì che tutto non
coronae decus ejus esse, qui primus murum ad valicassero e sforzassero. Quindi, quantunque
scendisset : profiteretur, qui se dignum eo du fosse egli debitore a tutti di tutto, l'onore però
ceret dono. Duo professi sunt : Q. Trebellius della murale corona a colui apparteneva, che
centurio legionis quartae, et Sex. Digitius socius primo montato fosse sul muro; quegli, che si
navalis: nec ipsi tam inter se acriter contende stimasse degno di tal dono, si presentasse. Due si
bant, quam studia excitaverant uterque sui cor presentarono: Quinto Trebellio, centurione del
poris hominum. Sociis C. Laelius praefectus clas la quarta legione, e Sesto Digizio, soldato della
sis; legionariis M. Sempronius Tudinatus aderat. flotta. Nè combattevan essi tanto acremente tra
Ea contentio quum prope seditionem veniret, loro, quant'era la gara, che avea ciascun d'essi
Scipio tres recuperatores quum se daturum pro svegliata nella gente del proprio corpo. Caio Le
nunciasset, qui,cognita causa testibusque auditis, lio, prefetto della flotta, sosteneva i soldati di
judicarent, uter prior in oppidum transcendis mare, Marco Sempronio Tuditano i legionarii.
set; C. Laelio et M. Sempronio advocatis partis Questa contesa piegando quasi a sedizione, ed
utriusque, P. Cornelium Caudinum de medio avendo Scipione dichiarato, che nominerebbe tre
adjecit, eosque tres recuperatores considere, et arbitri, i quali, conosciuta la cosa, ed uditi i te
causam cognoscere jussit. Quum res eo majore stimonii, giudicassero chi fosse montato primo
ageretur certamine, quod amoti tantae digni sul muro, a Caio Lelio e Marco Semproio difen
tatis non tam advocati, quam moderatores stu sori delle due parti aggiunse terzo Publio Cor
diorum fuerant; C. Laelius, relicto consilio, ad nelio Caudino; e comandò che questi tre arbitri
tribunal ad Scipionem accedit, eumque docet, sedessero e conoscessero il fatto. Trattandosi la
to7 TITI LIVII LIBER XXVI. 1 o8

« rem sine modo ac modestia agi, ac propeesse, cosa con vie maggiore accanimento, perchè s'era
ut manus inter se conserant. Ceterum, etiam si no rimossi quel personaggi di somma autorità,
vis absil, milailominus detestabili exemplo rem stati fin allora non tanto sostenitori, quando mo
agi; quippe ubi fraude ac perjurio decus petatur deratori dei due partiti, Caio Lelio, partitosi dal
virtutis. Stare hinc legionarios milites, hinc clas consiglio, si accosta al tribunale di Scipione, e
sicos, per omnes deos paratos jurare, magis quae gli espone, a che ormai non si serbava più nè
velint, quam quae sciant, vera esse, et obstrin misura, nè rispetto, e poco mancare che non si
gere periurio non se solum suumque caput, sed venga alle mani. Del resto, anche qualora non si
signa militaria et aquilas, sacramentique reli usi violenza, essere nondimeno la cosa di pessimo
gionem. Haec se ad eum de sententia P. Cornelii esempio, come quella, in cui si cerca onore alla
et M. Sempronii deferre. » Scipio, collaudato virtù colla frode e collo spergiuro. Starsi da una
Laelio, ad concionem advocavit pronunciavit parte i legionarii, dall'altra i soldati della flotta
que, «se satis compertum habere, Q. Trebellium pronti a giurare per tutti gli dei più presto quel
et Sex. Digitium pariter in murum escendisse ; lo, che sanno esser vero, e a caricare dell'onta
seque eos ambos, virtutis causa, coronis murali dello spergiuro non solamente sè stessi e le teste
bus donare. » Tum reliquos, prout cuique me loro, ma le insegne militari, le aquile e la santità
ritum virtusque erat, donavit. Ante omnes C. del giuramento. Tutto questo gli riferiva di pa
Laelium praefectum classis et omni genere laudis rere eziandio di Publio Cornelio e di Marco Sem
sibimet ipse aequavit, et corona aurea ac triginta pronio. » Scipione, lodato Lelio, chiamò i soldati
bubus donavit. a parlamento e dichiarò, « esser egli certo abba
stanza, che Quinto Trebellio e Sesto Digizio
erano ambedue montati ad un tempo stesso sul
muro; e ch'egli, in premio del valore, li regalava
ambedue della corona murale. » Regalò poscia gli
altri, secondo il merito e la virtù di ciascheduno;
sopra tutti eguagliò a sè medesimo in ogni gene
re di lode Caio Lelio, prefetto della flotta, e do
mogli una corona d'oro, e trenta buoi.
XLIX. Tum obsides civitatium Hispaniae vo XLIX. Indi si fe chiamare gli ostaggi della
cari jussit: quorum quantus numerus fuerit, Spagna, de'quali non so dire il numero quanto
piget scribere, quippe quum alibi trecentos fer fosse; perciocchè in un luogo li trovo presso a
me, alibi septingentos viginti quinque fuisse in trecento, in un altro settecento e venticinque.
veniam. Aeque et alia inter auctores discrepant. Nell'allre cose v'ha egualmente discrepanza tra
Praesidium Punicum alius decem, alius septem, gli autori. Chi dice che il presidio Punico fosse
alius haud plus quam duùm millium fuisse scri di dieci, chi di sette, chi non più di due mila uo
bit. Capta alibi decem millia capitum, alibi supra mini. Qua trovo fatti dieci mila prigioni, colà
quinque et viginti invenias. Scorpiones majores più di venticinque. Dirò tra maggiori e minori,
minoresque ad sexaginta captos scripserim, si da sessanta scorpioni, se seguo Sileno, greco scrit
auctorem Graecum sequar Silenum: si Valerium tore; se Valerio Anziate, sei mila de maggiori,
Antiatem, majorum scorpionum sex millia, mi tredici mila de'minori; tanta è l'impudenza del
norum tredecim : adeo nullus mentiendi modus mentire. Non si conviene nè anche de'capitani. I
est. Ne de ducibus quidem convenit: plerique più fanno prefetto della flotta Lelio ; alcuni
Laelium praefuisse classi; sunt, qui M. Junium Marco Giunio Silano. Valerio Anziate scrive, che
Silanum dicant. A rimem praefuisse Punico prae Arine comandava il presidio Punico, e ch'egli si
sidio, deditumque Romanis, Antias Valerius ; è arrenduto ai Romani; altri nominan Magone.
Magonem alii scriptores tradunt. Non de numero Non si conviene del numero delle navi prese, non
navium captarum, non de pondere auri atque del peso dell'oro e dell'argento, nè del denaro
argenti, et redactae pecuniae, convenit. Si ali tratto dalle vendite. S'egli è pur forza assentire
quibus assentiri necesse est, media simillima ve ad alcuni, l'opinione di mezzo e la più verisimile.
ris sunt. Ceterum Scipio, vocatis obsidibus, pri Del resto Scipione, chiamati gli ostaggi, primie
mum universos bonum animum habere jussit. ramente gli esortò tutti a starsi di buon animo:
« Venisse eos in populi Romani potestatem, qui a esser venuti in poter del popolo Romano, il
beneficio, quam metu, obligare homines malit, quale preferisce di obbligarsi gli uomini piutto
exterasque gentes fide ac societate junctas ha sto coi benefizii, che col timore, e di piuttosto
bere, quam tristi subjectas servitio. » Deinde, stringere a sè le genti straniere coll'amicizia e
acceptis nominibus civitatium, recensuit captivos, colla fede, che tenersele soggette in tristo servag
1o9 TITI LIVII LIBER XXVI. I 1 o

quot cuiusque populi essent; et nuncios domum gio. " Indi, presi i nomi delle città, passò in ras
misit, ut ad suos quisque recipiendos veniret. Si segna gli ostaggi, quanti appartenessero a ciascun
quarum forte civitatium legati aderant, eis prae popolo; e mandò messi alle case, perchè ciascuno
sentibus suos restituit: ceterorum curam benigne venisse a ricuperare i suoi. Se ci erano a caso
tuendorum C. Flaminio quaestori attribuit. In presenti gli ambasciatori di alcune città, a questi
ter haec e media turba obsidum mulier magno li restituì, e commise al questore Caio Flaminio,
matu, Mandonii uxor, qui frater Indibilis llerge che avesse cura amorosa degli altri. In questo, dal
tum reguli erat, flens ad pedes imperatoris pro mezzo della turba degli ostaggi, una donna attem
cubuit, obtestarique coepit, ut curam cultunque pata, moglie di Mandonio, ch'era fratello d'In
feminarum impensius custodibus commendaret. dibile, re degli Ilergeti, si gettò piangendo ai
Quum Scipio, a nihil profecto defuturum, º di piedi di Scipione, e si fe'a pregarlo, che raccoman
ceret; tum rursus mulier, « Haud magni ista fa dasse quanto più poteva caldmente ai custodi
cimus, inquit: quid enim huic fortunae 9on satis la cura ed il governo delle femmine. Dicendo Sci
est ? Alia me cura, aetatem harum intuentem pione, e che nulla sarebbe loro mancato, º di
( nam ipsa jam extra periculum injuriae mulie nuovo la donna, e non ci curiamo, disse, gran
bris sum ) stimulat. » Aetate et forma florentes fatto di codeste cose; e che non basta a questa
circa erant Indibilis filiae, aliaeque nobilitate nostra fortuna ? altra cura mi punge, mentre ri
pari, quae omnes eam pro parente colebant. Tum guardo all'età di queste (che quanto a me, son
Scipio, a Meae populique Romani disciplinae già fuori del pericolo di femminile insulto). - Le
causa facerem, inquit, ne quid, quod sanctum stavano d'intorno, fiorenti per età e per bellezza le
usquam esset, apud nos violaretur: nunc, ut id figlie d'Indibile, ed altre egualmente nobili don
curem impensius, vestra quoque virtus dignitas zelle, che tutte la veneravano qual madre. Allora
que facit; quae ne in malis quidem oblitae de Scipione: « farei, disse, per mio e istituto proprio
coris matronalis estis. ” Spectatae deinde inte del popolo Romano, che niente di ciò, che in ogni
gritatis viro tradidit eas, tuerique haud secus luogo è rispettabile e sacro, fosse qui violato da noi.
verecunde ac modeste, quam hospitum conjuges Che ora io badi a ciò più intensamente, il fa pur
ac matres, jussit. anche questa vostra virtù e dignità, poi che nè
meno in mezzo alle sciagure foste dimentiche del
matronale decoro. » Indi consegnolle ad uomo di
specchiata costumatezza; e gli ordinò di guar
darle con riverenza e rispetto non altrimenti, che
se fossero mogli o madri di ospiti Romani.
L. Captiva deinde a militibus adducitur ad L. Poscia gli si mena dinanzi una vergine
eum adulta virgo, adeo eximia forma, ut, qua adulta, di così rara bellezza, che dovunque passa
cumque incedebat, converteret omnium oculos. va, traeva a sè gli sguardi d' ognuno. Scipione,
Scipio, percunctatus patriam parentesque, inter chiestane la patria e i genitori, intese tra l'altre
cetera accepit, desponsam eam principi Celtibe cose, ch'ella era promessa sposa ad un giovane
rorum adolescenti: Allucio nomen erat. Extem principe dei Celtiberi, nomato Allucio. Chiamati
plo igitur parentibus sponsoque ab domo accitis, subito da casa i genitori e lo sposo, udito frat
quum interim audiret, deperire eum sponsae tanto, ch'egli amava perdutamente la sposa,
amore, ubi primum venit, accuratiore eum ser come fu quegli arrivato, Scipione drizzò la parola
mone, quam parentes, alloquitur. « Juvenis, più particolarmente a lui, che ai genitori di lei:
inquit, iuvenem appello, quo minor sit internos a Giovane, disse, mi volgo a te giovane, onde
l'ujus sermonis verecundia. Ego, quum sponsa possiamo intrattenerci tra noi due con manco
tua capta a militibus nostris ad me ducta esset, rispetto. Essendomi stata menata prigioniera
audiremoue, eam tibi cordi esse, et forma face da nostri soldati codesta tua sposa, e udendo
ret fidem, quia ipse, si frui liceret ludo aetatis, ch'ella era sommamente cara al tuo cuore, di
( praesertim recto et legitimo amore) et non res che mi facea fede la sua bellezza, siccome, se mi
publica animum nostrum occupasset, veniam mihi fosse lecito abbandonarmi ai piaceri dell'età mia,
dari sponsam impensius amanti vellem : tuo, cu specialmente in retto e legittimo amore, e non
jus possum, amori faveo. Fuit sponsa tua apud avesse la repubblica preoccupato l'animo mio,
me eadem, qua apud soceros tuos parentesque vorrei che mi fosse perdonato, se amassi intensa
suos, verecundia: servata tibi est, ut inviolatum mente la tua sposa, così di buon grado, poi che
et dignum me teque dari tibi donum posset. il posso, favoreggio l'amor tuo. Fu la tua sposa
Hane mercedem unam pro eo munere paciscor; rispettata tanto presso di me, quanto esser poteva
amicus populo Romano sis: et, si me virum bo presso i tuoi suoceri, ed i di lei genitori: ti ſu
- I 1 - TITI I,IVII LIBER XXVI. 112

num credis esse, quales patrem patruumque serbata intatta, onde poterti offerire un dono di
meum jam ante ha e gentes norant, scias multos me degno, e di te. Per codesto regalo questa
nostri similes in civitate Romana esse; nec ullum mercede sola patteggio ; sii tu amico del popolo
in terris populum hodie dici posse, quem minus Romano. E se mi stimi uomo dabbene, quali
tibi hostem tuisque esse velis, aut amicum ma furon già in addietro conosciuti da queste genti
lis. - Adolescens, simul pudore et gaudio per fu il padre mio, ed il mio zio, sappi esserci molti in
sus, dextram Scipionis tenens, deos omnes invo Roma, che mi somigliano; e potersi dire con
care ad gratiam illi pro se referendam, quoniam verità non trovarsi oggi al mondo altro popolo,
sibi nequaquam satis facultatis, pro suo animo che tu debba volere, che sia meno nemico tuo
atque illius erga se merito, esset. Parentes inde e de'tuoi, o più bramare che ti sia amico. " Il
cognatique virginis appellati: qui, quoniam gratis giovanetto, ricolmo ad un tempo di confusione
sibi redderetur virgo, ad quam redimendam sa e di gioia, tenendo la mano di Scipione, invocava
tis magnum attulissent auri pondus, orare Sci tutti gli dei che gli rendessero in vece sua le
pionem, ut id ab se donum acciperet, coeperunt; dovute grazie, poi che non aveva egli poter ba
haud minorem eius rei apud se gratiam futuram stante di ciò fare, secondo l'animo suo ed i me
esse, affirmantes, quam redditae inviolatae foret riti di lui. Indi furon chiamati i genitori ed i
virginis. Scipio, quando tanto opere peterent, parenti della fanciulla; i quali, poi che la si ren
accepturum se pollicitus, poni ante pedes jussit, deva loro senza mercede, ed a redimer la quale
vocatoque ad se Allucio, a super dotem, inquit, seco avean portato gran peso d'oro, si fecero a
quam accepturus a socero es, haec tibi a me scongiurare Scipione, che gli piacesse di riceverlo
dotalia dona accedent: º aurumque tollere, ac in dono; protestando che non gli sarebbero
sibi haberejussit. His laetus donis honoribusque men tenuti di ciò, che dell'aver ad essi restituita
dimissus domum, implevit populares laudibus intatta la fanciulla. Scipione, poi che il chiedeva
meritis Scipionis: « Venisse diis simillimum ju no con tanta istanza, promesso che il prende
venem, vincentem omnia, quum armis, tum be rebbe, ordinò che l'oro gli fosse portato davanti
nignitate ac beneficiis. » Itaque, delectu clien a piedi; e chiamato Allucio, « sopra la dote,
tium habito, cum delectis mille et quadringentis disse, che sei per ricevere dal suocero, abbiti da
equitibus intrapaucos diesad Scipionem revertit. me per giunta questo regalo di nozze; - e gli
ordinò, che si togliesse quell'oro, e lo tenesse
per suo. Lieto di questi doni ed onori, tornato
a casa, empiè tutti i suoi concittadini delle lodi
meritate di Scipione: « Esser venuto un giovane
somigliantissimo agli dei, che soggioga tutto
coll'armi, e insieme colla benignità e coi benefi
zii. » Di poi Allucio, fatta una scelta di clienti,
ritornò tra pochi giorni a Scipione con mille e
quattrocento eletti cavalieri.
LI. Scipio retentum secum Laelium, dum LI. Scipione, ritenuto seco Lelio insino a tan
captivos obsidesque et praedam ex consilio eius to che col di lui consiglio disponesse dei prigioni,
disponeret, satis omnibus compositis, data quin degli ostaggi, e della preda, poi ch'ebbe tutto
quereme, captivisque, Magone et quindecim fere assestato, datagli una quinquereme, imbarcativi
senatoribus, qui simul cum eo capti erant, in sopra i prigionieri, e Magone, e circa quindici
navem impositis, nuncium victoriae Romam mit senatori, ch'erano stati presi con lui, lo mandò
tit. Ipse paucos dies, quibus morari Carthagine a Roma messaggero della vittoria; ed egli, i pochi
statuerat, exercendis navalibus pedestribusque giorni, che avea stabilito di restarsi a Nuova-Car
copiis absumpsit. Primo die legiones in armis tagine, li consumò nell'esercitar le genti da mare
quatuor millium spatio decurrerunt: secundo e da terra. Il primo giorno dopo le legioni sotto
die arma curare et tergere ante tentoria jussit: l'armi difilarono dinanzi a lui per lo spazio
tertio die rudibus inter se in modum justae pu di quattro miglia; nel secondo fe che governas
gmae concurrerunt, praepilatisque missilibus ja sero e rinettassero l'armi davanti alle tende; il
culati sunt: quarto die quies data: quinto iterum terzo si affrontarono insieme tirando col bottone,
in armis decursum est. Hunc ordinem laboris a forma di giusto combattimento, e si saettarono
quietisque, quoad Carthagine morati sunt, ser con giavellotti non ferrati; nel quarto s'ebbe
varunt. Remigium classici que milites, tranquillo riposo; nel quinto nuova rassegna. Tennero per
in altum e vecti, agilitatem navium simulacris tutto il tempo, che stettero a Nuova-Cartagine
navalis pugnae experiebantur. Haec extra urbem questa vicenda di fatiche e di riposo. I remiganti,
113 TITI LIVII I,IBER XXVI. i 14
terra marique corpora simul animosque ad bel e i soldati marinareschi, recandosi me'dì tranquilli
lum acuebant: urbs ipsa strepebat apparatu belli, in alto mare, facean prova dell'agilità dei lor
fabris omnium generum in publica officina in legni in finta pugna navale. Questi esercizii
clusis: dux cuncta pari cura obibat. Nunc in fuori della città per mare e per terra addestrava
classe ac navali erat; nunc cum legionibus decur no ad un tempo gli animi ed i corpi alla guerra.
rebat; nunc operibus adspiciendis tempus dabat, La città stessa rimbombava dello strepito dei
quaeque in officinis, quaeque in armamentario militari apparecchi; standosi i fabbri d'ogni
ac navalibus fabrorum multitudo plurima in sin sorte rinchiusi in pubblica officina. Scipione
gulos dies certamine ingenti faciebat. His ita in attendeva a tutto con pari cura: ora visitava la
choatis, refectisque, qua quassi erant, muris, ſlotta e l'arsenale; ora passava a rassegna le
dispositisque praesidiis ad custodiam urbis, Tar legioni; ora impiegava il tempo nell'osservare
raconem est profectus, a multis legationibus pro i lavori e quello che ogni dì si facesse nelle
tinus in via aditus: quas partim dato responso officine, nella fabbrica d'armi, o nei cantieri dalla
ex itinere dimisit, partim distulit Tarraconem, molta gente, che a gara vi lavorava. Fatte queste
quo omnibus novis veteribusque sociis edixerat disposizioni, e ristaurati i muri, dov'erano con
conventum. Et cuncti fere, qui cis Iberum inco quassati, e distribuito il presidio per la città, se
lunt, populi, multi etiam ulterioris provinciae ne andò a Tarracona incontrato subito per via
convenerunt. Carthaginiensium duces primo ex da molte legazioni; parte delle quali, data rispo
industria famam captae Carthaginis compresse sta per istrada, licenziò, parte gli rimise a Tar
runt: deinde, ut clarior res erat, quam ut tegi racona, dove intimato avea l'assemblea dei vecchi
ac dissimulari posset, elevabant verbis. « Neco e dei nuovi alleati. E vi vennero quasi tutti i po
pinato adventu ac prope furto unius diei urbem poli, che abitan di qua dall'Ibero, molti anche
unam Hispaniae interceptam: cujus rei tam par di quei di là. I comandanti Cartaginesi dapprima
vae praemio elatum insolentem juvenem, im compressero la fama della presa di Nuova-Carta
modico gaudio speciem magnae victoriae impo gine; indi essendo la cosa chiara tanto, che non
suisse. At, ubi appropinquare tres duces, tres v'era più luogo a celarla o dissimularla, colle
victores hostium exercitus audisset, occursuram parole la diminuirono; e che arrivando i nemici
ei extemplo domesticorum funerummemoriam.» improvvisamente avean preso, quasi di furto in
Haec in vulgus jactabant, haudquaquam ipsi un giorno solo, non altro, una città della Spagna;
ignari, quantum sibi ad omnia virium, Cartha che invanito l'insolente giovane della riuscita di
gine amissa, decessisset. sì picciola impresa, l'avea, per intemperanza di
gioia, spacciata qual grandissima vittoria. Ma
come udrebbe avvicinarsi tre comandanti, tre
nemici eserciti vincitori, gli verrebbe subito a
mente la ricordanza delle domestiche sciagure. »
Tali cose spacciavano presso il volgo, non igno
rando essi stessi, quanto, perduta Nuova-Cartagi
me, scemate si fossero per ogni conto le forze
loro,

LIvic 2
TITI LIVII PATAVINI

H I S T O R I A R U MI
AB URBE CONDITA LIBRI

EPITOME

LIBRI VIGESIMI SEPTIMI

C. Fulvius proconsul cum exercitu ab Hannibale ad Il proconsole Gneo Fulvio fu tagliato a pezzi con
Herdoneam caesus est. Meliore eventu a Claudio Mar tutto l'esercito da Annibale presso Erdonea. Con mi
cello consule adversus eumdem ad Numistronem pu glior esito combattè contro di lui il console Claudio
gnatum est: inde Hannibal noctu recessit. Marcellus Marcello presso Numistrone; donde la notte Anniba
insecutus est, et subinde cedentem pressit, donec con le si ritirò. Marcello lo inseguì, e poi venne strin
figeret : priore pugna Hannibal superior fuit, Mar gendolo sì dappresso, che dovette combattere; Anni
cellus insequenti. Fabius Maximus pater consul Ta bale nel primo fatto fu superiore, Marcello nel susse
rentinos per proditionem recepit. In Hispania ad Bae guente. Il console Fabio Massimo, il padre, riebbe i
culam Scipio cum Hasdrubale Hamilcaris conflixit, et Tarentini per tradimento. Nella Spagna Scipione si
vicit : inter alia captum puerum regalem eximiae azzuffò con Asdrubale figlio di Amilcare presso Be
formae ad avunculum Masinissam cum donis dimisit. cula, e lo vinse. Preso tra l'altra preda, un fanciullo
Claudius Marcellus, T. Quintius Crispinus consules, di stirpe reale, di esimia bellezza, lo rimandò con do
speculandi causa progressi e castris, insidiis ab Han ni a suo zio Masinissa. I consoli Claudio Marcello, e
nibale circumventi sunt. Marcellus occisus fuit, Cri Tito Quinzio Crispino, venuti dal campo ad esplorare,
spinus fugit. Res praeterea a P. Sulpicio praetore cadono in un agguato teso da Annibale; Marcello vi
adversus Philippum et Achaeos gestas continet. Lu restò morto, Crispino fuggì. Il libro contiene inoltre
strum a censoribus conditum est : censa sunt civium i fatti del pretore Publio Sulpicio contro Filippo, e
capita centum triginta septem millia centum et octo: contro gli Achei. I censori chiudono il lustro: si con
ex guo numero apparuit, quantum hominum tot proe tano cento trentasette mila cento e otto cittadini; dal
liorum adversa fortuna populo Romano abstulisset. che apparve quanti uomini rapiti avesse al popolo Ro
Hasdrubal, qui cum exercitu novo transcenderat Al mano la mala sorte dell' armi. Asdrubale, che avea
pes, ut se Hannibali comjungeret, cum millibus homi con nuovo esercito valicate le Alpi, onde unirsi ad
num quinguaginta sex caesus est, M. Livii consulis Annibale, fu tagliato a pezzi con cinquanta sei mila
ductu, sed non minore opera Claudii Neronis consu de' suoi, sotto la condotta del console Marco Livio,
lis: qui, quum Hannibali oppositus esset, relictis ca non meno che coll'opera del console Claudio Nerone ;
stris, ita ut hostem falleret, cum electa manu profe il quale, avendo Annibale a fronte, lasciati in modo
ctus, Hasdrubalem circumvenit. d'ingannarlo gli alloggiamenti, partito con eletta
banda, avviluppò Asdrubale.
TITI LIVII
LIBE R V I G E SI MU S s EP TIM Us

I. (Anno U. C. 542. – A. C. 2 , o.) Hie status I. (Anni D. R. 542. – A. C. 21o.) uest'era


rerum Hispaniae erat. In Italia consul Marcellus, lo stato delle cose di Spagna. In Italia il console
Salapia per proditionem recepta, Maroneam et Marcello, ricuperata Salapia per tradinento,
Meles de Samnitibus vi cepit. Ad tria millia mi prese per forza Maronea e Mele di pertinenza
litum ibi Hannibalis, quae praesidii causa relicta de' Sanniti. Quivi furono oppressi da tre mila
erant, oppressa. Praeda (et aliquantum eius fuit) soldati di Annibale, che vi erano stati lasciati
militi concessa: tritici quoque ducenta quadra a guardia. Il bottino (e non fu poco) fu lasciato
ginta millia modiòm, et centum decem millia ai soldati: vi si trovò pur anche due cento qua
hordei inventa. Ceterum nequaquam indetantum ranta mila moggia di grano e cento dieci mila
gaudium fuit, quanta clades intra paucos dies ac di orzo. Del resto, non s'ebbe tanta allegrezza
cepta est, haud procul ab Herdonea urbe. Castra di ciò, quanto fu grande indi a pochi giorni la
ibi Cn. Fulvius proconsul habebat, spe recipien sconfitta ricevuta non lungi da Erdonea. Era
dae Herdoneae, quae post Cannensem cladem ab quivi accampato il proconsole Gneo Fulvio, colla
Romanis defecerat, nec loco satis tuto posita, nec speranza di ricuperare Erdonea, che dopo la rotta
praesidiis firmata. Negligentiam insitam ingenio di Canne s'era ribellata dai Romani, città nè
ducis augebat spes ea, quod labare iis adversus posta in luogo abbastanza sicuro, nè guernita
Poenum fidem senserat, postguam, Salapia amis di sufficiente presidio. La negligenza, naturale
sa, excessisse his locis in Bruttios Hannibalem in Fulvio, era pur anche accresciuta per questa
auditum est. Ea omnia, ab Herdonea per occul speranza, che avea sentito vacillaressi nella fede
tos nuncios delata Hannibali, simul curam sociae verso i Cartaginesi, come s'intese che Annibale,
retinendae urbis, et spem fecere incautum hostem perduta Salapia, era partito da que luoghi, e
aggrediendi. Exercitu expedito, ita ut famam andato ne' Bruzii. Queste cose riferite ad Anni
prope praeveniret, magnis itineribus ad Her bale da occulti messi speditigli da Erdonea, gli
doneam contendit, et, quo plus terroris hosti ob destarono a un tempo stesso e il pensiero di ri
jiceret, acie instructa accessit. Par audacia Ro tenere la città alleata, e la speranza di assaltare
manus, consilio et viribus impar, copiis raptim il nemico sprovveduto. Coll'esercito sciolto da
eductis, conflixit: quinta legio et sinistra alacri impedimenti, a gran giornate, in guisa di preve
ter pugnam inierunt. Ceterum Hannibal, signo nir quasi la fama, si drizza egli verso Erdonea,
equitibus dato, ut, quum pedestres acies occupas e per più atterrire il nemico, vi si accosta colle
sent praesenti certamine oculos animosque cir genti in ordine di battaglia. Pari il Romano in
cumvecti, pars castra hostium, pars terga trepi ardimento, non pari in accortezza ed in forze,
dantium invaderent, ipse in Fulvii similitudinem tratte fuori in fretta le schiere, si azzuffò. La
nominis, quod Cn. Fulvium praetorem biennio quinta legione e l'ala sinistra cominciarono a pu
ante in iisdem deviceratlocis, increpans, similem gnare gagliardamente. Del resto Annibale, dato
eventum pugnae fore affirmabat. Neque ea spes segno alla sua cavalleria, che come tosto la zuffa
vana fuit: nam, quum cominus acie et peditum occupasse gli occhi e gli animi della fanteria,
i 23 TITI LIVII LIBER XXVII. 124
certamine multi cecidissent Romanorum, starent essa, fatto un giro, parte assaltasse gli alloggia
tamen ordines signaque, equestris a tergo tumul menti, parte la schiena de'nemici spaventati, egli,
tus, simul a castris clamor hostilis auditus, sextam prendendo a scherno la somiglianza del nome
ante legionem, quae, in secunda acie posita, prior di Fulvio, perocchè due anni innanzi avea vinto
ab Numidis turbata est; quintam deinde atque in quei luoghi medesimi il pretore Gneo Fulvio,
eos, qui ad prima signa erant, avertit. Pars in affermava, che non sarebbe stato diverso l'esito
fugam effusi, pars in medio caesi: ubi et ipse Cn. della presente battaglia. Nè fu vana codesta spe
Fulvius cum undecim tribunis militum, cecidit. ranza: perciocchè, essendo morti parecchi Romani
Romanorum sociorumque quot caesa in eo proelio affrontandosi nella battaglia pedestre, pure stan
millia sint, quis pro certo affirmet ? quum tre do ancor fermi gli ordini e le bandiere, il tumulto
decim millia alibi, alibi haud plus quam septem, equestre udito alle spalle, e ad un tempo le grida
inveniam. Castris praedaque victor potitur. Her ostili dalla parte degli alloggiamenti, fe'dar in
doneam, quia et defecturam fuisse ad Romanos dietro primieramente la sesta legione, che posta
comperit, nec mansuram in fide, si inde abscessis nella seconda schiera fu la prima scompigliata
set, multitudine omni Metapontum ac Thurios dai Numidi, indi la quinta, e quelli ch'erano sul
traducta, incendit: occidit principes; qui cum dinanzi colle bandiere. Parte si diede a fuggire,
Fulvio colloquia occulta habuisse comperti sunt. parte fu tagliata a pezzi nel mezzo; dove cadde
Romani, qui ex tanta clade evaserant, diversis lo stesso Gneo Fulvio con undici tribuni de'sol
itineribus semermes ad Marcellum consulem in dati. Quante migliaia di Romani e di alleati
Samnium perfugerunt. restassero morti in quel fatto, chi può dirlo con
certezza? mentre che ne trovo in un luogo tre
dici, altrove non più di sette mila. Il vincitore
s'insignorì del campo e della preda; abbruciò
Erdonea, trasportatane tutta la moltitudine a
Metaponto ed a Turio, perchè seppe, ch'ella era
per darsi ai Romani, nè sarebbe durata in fede,
s'egli ne fosse partito; e pose a morte i principali
cittadini, che furono convinti di aver tenuto con
Fulvio segreti abboccamenti. I Romani, ch'erano
scampati da tanta strage, se ne fuggirono mezzo
disarmati per diverse vie al console Marcello nel
Sannio.
II. Marcellus, nihiladmodum tanta clade ter II. Marcello, niente sbigottito per sì grande
ritus, literas Romam ad senatum de duce et exer sconfitta, manda lettere a Roma al senato colla
citu ad Herdoneam amisso scribit: t. ceterum, nuova del comandante e dell'esercito perduto
eumdem se, qui post Cannensem pugnam fero ad Erdonea : « del resto, ch'egli, quello stes
cem victoria Hannibalem contudisset, ire adversus so, che dopo la rotta di Canne avea battuto
eum, brevemilli laetitiam, qua exultet facturum. » Annibale inferocito per la vittoria, andava ad
Et Romae quidem quum luctus ingens ex prae affrontarlo, e farebbe che breve fosse la letizia,
terito tum timor in futurum erat. Consul ex di che esultava. - A Roma per verità c'era gran
Samnio in Lucanos transgressus, ad Numistronem lutto pel passato, non che timore pel futuro.
in conspectu Hannibalis loco plano, quum Poenus Il console, trasferitosi dal Sannio nella Lucania,
collem teneret, posuit castra. Addidit et aliam si accampò presso Numistrone in faccia ad Anni
fidentis speciem, quod prior in aciem eduxit: nec bale in luogo piano, mentre questi temeva il pog
detrectavit Hannibal, ut signa portis efferri vidit. gio. Aggiunse un'altra mostra di fidanza, uscendo
lta tamen aciem instruxerunt ut Poenus destrum primo a combattere; nè Annibale, come vide
cornu in collem erigeret, Romani sinistrum ad trarsi fuori delle porte le bandiere, ricusò la bat
oppidum applicarent. Ab hora tertia quum ad taglia. Disposero però le squadre in maniera, che
noctem pugnam extendissent, fessaeque pugnan il Cartaginese drizzava l'ala destra su pel colle,
do primae acies essent, ab Romanis prima legio i Romani appoggiavano la sinistra alla città. Aven
et dextera ala, ab Hannibale Hispani milites et do tirata la pugna dall'ora terza sino alla notte,
funditor Baliaris, elephanti quoque, commisso ed essendo le prime schiere stanche dal combat
jam certamine in proelium acti. Diu pugna neu tere, i Romani cacciarono innanzi nella mischia
tro inclinata stetit. Primae legioni tertia, deste la prima legione o l'ala destra, Annibale gli Spa
rae alae sinistra subiit, et apud hostes integri a gnuoli e i frombolieri Baleari, ed anche gli ele
fessis pugnam accepere. Novum atque atrox proe fanti. Stette lungamente la pugna senza piegare
125 TITI LIVII LIBER XXVII. 126

lium ex tam segni repente exarsit, recentibus ani a questa o quella parte. Sottentrò alla prima
mis corporibusque: sed noz incerta victoria di legione la terza, all'ala destra la sinistra, e presso
remit pugnantes. Postero die Romani ab sole i nemici, invece della stracca, prese a combattere
orto in multum diei stetere in acie. Ubi memo la gente fresca. Da pugna tanto allentata nuova
hostiuin adversus prodiit, spolia per otium legere se ne accese all'improvviso e feroce, freschi es
et congestos in unum locum cremavere suos. No sendo gli animi ed i corpi; se non che la notte
cte insequenti Hannibal silentio movit castra, et divise i combattenti, restando incerta la vittoria.
in Apuliam abiit: Marcellus, ubi lux fugam ho Il dì appresso i Romani stettersi in arme dallo
stium aperuit, saueiis cum praesidio modico Nu spuntare del sole insino a giorno inoltrato. Poi
mistrone relictis, praepositoque his L. Furio Pur che nessun nemico uscì loro incontro, raccolsero
pureone tribuno militum, vestigiis institit sequi. a tutt'agio le spoglie, e ammontati in un sol
Ad Venusiam adeptus eum est. Ibi per dies ali luogo i cadaveri de'suoi, gli abbruciarono. La
quot quum ab stationibus procursaretur, mixta notte seguente Annibale mosse il campo in gran
equitum peditumque tumultuosa magis proelia, silenzio, e andossene in Puglia: Marcello, appena
quam magna, et ferme omnia Cumanis secunda il dì chiaro scoperse la fuga del nemico, lasciati
fuerunt. Inde per Apuliam ducti exercitus sine i feriti con picciolo presidio a Numistrone, e
ullo memorando certamine; quum Hannibal no messo a guardarli Lucio Furio Purpureoue, tri
cte signa moveret, locum insidiis quaerens; Mar buno de'soldati, si pose dietro all'orme sue.
cellus, nisi certa luce, et explorato ante, non se Lo raggiunse presso Venosa. Quivi per alquanti
queretur. giorni, fattesi scorrerie dagli alloggiamenti, fu
ronvi piuttosto tumultuose mischie di fanti e
di cavalli, che grossi combattimenti, e quasi sem
pre a vantaggio dei Romani. Indi gli eserciti
furon tratti per la Puglia senza alcun fatto me
morando, Annibale sempre movendo il campo
la notte, spiando un luogo atto alle insidie, Mar
cello non seguitandolo che a dì chiaro, e a paese
innanzi riconosciuto,
III. Capuae interim FIaccus dum bonis prin III. Mentre che Flacco consuma il tempo in
cipum vendendis, agro, qui publicatus fuerat, lo Capua a vendere i beni dei principali cittadini,
cando (Iocavit autem omnem frumento) tempus e ad allogare il terreno, ch'era stato confiscato,
terit ; ne deesset materia in Campanos saeviendi, (ed allogollo a grano) perchè non gli mancasse
novum in occulto gliscens per indicium protra materia d'incrudelire contro i Campani, gli fu
ctum est facinus. Milites aedificiis emotos, simul da spia rilevato nuovo attentato, che occulta
ut cum agrotecta urbis fruenda locarentur, simul mente si macchinava. Tratti i soldati fuori dalle
metuens, ne suum quoque exercitum, sicut Han case, e per dar queste ad usufrutto insieme coi
nibalis, nimia urbis amoenitas emolliret, in por terreni, e temendo eziandio che le troppe agia
tis murisque sibimet ipsos tecta militariter coe tezze della città non ammollissero, come quello
gerataedificare. Erant autem pleraque ex cratibus di Annibale, anche l'esercito suo, gli aveva ob
aut tabulis facta, alia arundine texta, stramento bligati a fabbricarsi essi stessi dei tetti alla foggia
intecta omnia, velut de industria, alimentis ignis. militare presso alle porte, e lungo le mura; ed
Haec noctis una hora ut omnia incenderent, cen erano i più fatti di tavole e graticci, altri intes
tum septuaginta Campani, principibus fratribus suti di canne, tutti coperti di strame, alimenti,
Blosiis, conjuraverant. Indicio eius rei ex familia quasi a bella posta, del fuoco. Cento e settanta
Blosiorum facto, portis repente jussu proconsu Capuani, capi i fratelli Blosii, aveano insieme
lis clausis, quum ad arma signo dato milites con congiurato di abbruciar tutto questo ad un'ora
currissent; comprehensi omnes, qui in nova e medesima di notte. Scoperta la cosa da uno degli
rant, et, quaestione acriter habita, damnati ne schiavi de' Blosii, chiuse all'improvviso le porte
catique: indicibus libertas, et aeris dena millia per ordine del proconsole, corsi i soldati all'arme
data. Nucerinos et Acerranos querentes, ubi ha al dato seguale, furon presi tutti i colpevoli, e
bitarent, non esse, Acerris ex parte incensis, Nu posti ad acre tortura, condannati e messi a mor
ceria deleta, Romam Fulvius ad senatum misit. te: ai denunzianti fu data la libertà, e dieci mi
Acerranis permissum, ut aedificarent, quae incen gliaia di assi. I Nucerini e gli Acerrani, che si
sa erant: Nucerini Atellam, quia id maluerant, lagnavano di non aver dove abitare, abbruciata
( Atellanis Calatiam migrare jussis) traducti. In Acerra in gran parte, e smantellata Nuceria,
ter multas magnasqueres, quae, nunc secundae, Fulvio li mandò a Roma al senato. Si permise
127 TITI LIVII LIBER XXVII. 128

muncadversae, occupabantcogitationes hominnm, agli Acerrani, che rifabbricassero quello, ch'era


ne Tarentinae quidem arcis excidit memoria. M. stato arso: i Nucerini furono spediti ad Atella,
Ogulnius et P. Aquillius in Etruriam legati ad che così avevan bramato, detto agli Atellani, che
frumentum coemendum, quod Tarentum porta passassero a Calazia. In mezzo a tante e sì gran
retur, profecti, et mille milites de exercitu urba cose, che ora prospere ed ora avverse occupavano
no, par numerus Romanorum sociorumque, eo le menti degli uomini, non isfuggì dalla memoria
dem in praesidium cum frumento missi sunt. nè anche la rocca Tarentina. Marco Ogulnio e
Publio Aquilio partirono alla volta della Toscana
in qualità di legati a comperar grani da traspor
tarsi a Taranto, e mille soldati dell'esercito ur
bano, Romani ed alleati in egual numero, furono
colà spediti a scorta del frumento.
IV. Jam aestas in exitu erat, comitiorumque IV. Era già la state sul terminare, e vicinis
consularium instabat tempus: sed literae Marcelli, simo il tempo dei comizii consolari; ma le lettere
negantis e republica esse, vestigium abscedi ab di Marcello, che diceva esser dannoso alla repub
Hannibale, cui cedenti certamenque abnuenti blica il discostarsi un passo da Annibale, al quale
gravis ipse instaret, curam injecerant, ne aut egli stava addosso sempre, mentre si ritirava e
consulem, tum maxime res agentem, a bello avo sfuggiva di combattere, aveano dato da pensare,
carent, autin ammum consules deessent. Optimum nel pericolo o di ritrar dalla guerra il console,
visum est, quamquam extra Italiam esset, Vale che allora specialmente aveva tra le mani gran
rium potius consulem ex Sicilia revocari. Ad eum cose, o di starsi l'anno prossimo senza consoli.
literae jussu senatus ab L. Manlio praetore urbis Parve miglior partito, benchè fosse fuori d'Italia,
missae cum literis consulis M. Marcelli; ut ex iis richiamar piuttosto il console Valerio dalla Sici
mosceret, quae causa Patribus eum potius, quam lia. Lucio Manlio, pretore urbano, gli scrisse per
collegam, revocandi ex provincia esset. Eo ſere ordine del senato, mandandogli le lettere del
tempore legati ab rege Syphace Romam venerunt, console Marco Marcello, acciocchè da queste co
quae is prospera proelia cum Carthaginiensibus noscesse qual ragione moveva i Padri a richia
fecisset, memorantes. « Regem nec inimiciorem mare piuttosto lui dalla provincia, che il collega.
ulli populo, quam Carthaginiensi, nec amiciorem, Quasi in quel tempo medesimo vennero a Roma
quam Romano, aſfirmabant esse. Misisse eum gli ambasciatori del re Siface, annunziando le
antea legatos in Hispaniam ad Cm. et P. Corne vittorie, ch'egli aveva riportate sopra i Cartagi
lios, imperatores Romanos: nunc ab ipso velut nesi: dicevano a non essere il re loro ad altro
fonte petere Romanam amicitiam voluisse. , Se popolo più nemico, che al Cartaginese, nè più
natus non legatis modo benigne respondit, sed amico, che al Romano; aver egli già mandati
et ipse legatos cum donis ad regem misit, L. Ge per l'innanzi ambasciatori in Ispagna a Gneo e
nucium, P. Poetelium, P. Popillium. Dona tulere Publio Scipioni, comandanti Romani; ed ora
iogam ettonicam purpuream, sellam eburneam, aver voluto cercare, quasi nella stessa sorgente,
pateram ex quinque pondo auri factam. Protinus la Romana amicizia. Il senato non solo rispose
et alios Africae regulos jussi adire: iis quoque benignamente agli ambasciatori, ma spedì egli
quae darentur, portata, togae praetextae, et terna stesso al re con donativi Lucio Genucio, Publio
pondo paterae aureae. Et Alexandriam ad Ptolo Petelio e Publio Popillio. Gli portarono in dono
maeum Cleopatramque reges M. Atilius et M. una toga ed una tunica di porpora, una sedia
Acilius legati, ad commemorandam renovandam di avorio ed una coppa d'oro del peso di cinque
que amicitiam missi, dona tulere, regi togam et libbre. Ebber ordine di visitare subito anche gli
tunicam purpuream cum sella eburnea reginae, altri piccioli re dell'Africa, e portarono da darsi
pallam pictam cum amiculo purpureo. Multa ea loro toghe preteste e coppe d'oro del peso di tre
aestate, qua haec facta sunt, ex propinquis urbi libbre. Mandatisi inoltre Marco Atilio e Manio
bus agrisque nunciata sunt prodigia: Tusculi a Acilio in Alessandria ai regnanti Tolomeo e Cleo
gnum cum ubere lactenti natum: Jovis aedis cul patra a rammentare e rinnovar l'amicizia, porta
men fulmine ictum, ac prope omni tecto nuda rono a donar loro una toga ed una tunica di
tum: iisdem ferme diebus, Anagniae terramante porpora al re con una sedia d'avorio, e alla re
portam ictam, diem ac noctem sine ullo signis ali gina una sopravveste ricamata con velo di por
mento arsisse: et aves, ad compitum Anagninum, pora. In quella state, in cui si fecero queste cose,
in luco Dianae nidos in arboribus reliquisse: Tar molti prodigii furono annunziati dalle città e
racinae in mari haud procul portu angues magni terre vicine: un'agnella nata a Toscolo con le
tudinis mirae, lascivientium piscium nodo exul poppe piene di latte; il comignolo del tempio
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tasse: Tarquiniis porcum cum ore humano ge di Giove colpito da fulmine, e nudato di quasi
nitum : et in agro Capenate, ad lucum Feroniae, tutto il tetto: in quel dì stessi a un dipresso,
quatuor signa sanguine multo diem ac noctem alla porta di Anagnia la terra percossa da folgore
sudasse Haec prodigia hostiis majoribus procu essersi veduta ardere un giorno ed una notte,
rata decreto pontificum ; et supplicatio diem senza che il fuoco avesse alimento: gli uccelli,
unum Romae ad omnia pulvinaria, alterum, in in un borgo di Anagnia, nel boschetto di Diana,
Capenate agro, ad Feroniae lucum, indicta. aver abbandonati i nidi fatti sugli alberi: a Ter
racina serpenti di smisurata grandezza aver fatte
capriole sul mare, presso al porto, a guisa di
pesci che sgavazzano: a Tarquinia esser nato
un porco con viso d'uomo, e nel contado Cape
nate, nel bosco della dea Feronia, quattro statue
aver sudato molto sangue dì e notte. Questi
prodigii furono espiati per decreto dei pontefici
colle vittime maggiori, e si ordinarono proces
sioni in un giorno a Roma a tutti i tempii, e in
un altro nel contado Capenate al bosco della dea
Feronia.
V. M. Valerius consul literis excitus, provin V. Il console Marco Valerio, eccitato dalle
cia exercituque mandato Cincio praetori, M. Va lettere del senato, affidata la provincia e l'esercito
lerio Messalla praefecto classis cum parte navium al pretore Cincio, spedito in Africa con parte
in Africam praedatum simul speculatumque, quae delle navi Marco Valerio Messala comandante
populus Carthaginiensis ageret pararetque, mis della flotta a predare ad un tempo, ed a spiare
so, ipse decem navibus Romam profectus, quum che si facessero i Cartaginesi, e che meditassero,
prospere pervenisset, senatum extemplo habuit. egli, partitosi con dieci navi, giunto a Roma
Ibide suis rebus gestis commemoravit. « Quum felicemente, convocò subito il senato. Quivi diede
annos prope sexaginta in Sicilia terra marique conto delle cose da lui fatte. « Dopo che s'era per
saepe magnis cladibus bellatum esset, se eam pro quasi sessant'anni combattuto in Sicilia per terra
vinciam confecisse. Neminem Carthaginiensem in e per mare, e spesso con gravi danni, egli avea
Sicilia esse: neminem Siculum, qui metu inde messo fine a quell'impresa. Non esservi in Sici
fugati abfuerint, non esse: omnes in urbes, in lia un solo Cartaginese: non mancare un Siciliano
agros suos reductos, arare, serere: desertam re di quei, ch'eran fuggiti per paura: tutti ridotti
coli tandem terram, frugiferam ipsis cultoribus, nelle lor città, ne'lor poderi, arare e seminare:
populoque Romano pace ac bello fidissimum an riabitarsi finalmente quella terra desertata, frut
nonae subsidium.» Exim Mutine, et si quorum tifera pe'suoi coltivatori, e in pace e in guerra
aliorum merita erga populum Romanum erant, securissimo soccorso di vettovaglie al popolo
in senatum introductis, honores omnibus, ad ex Romano. º Indi, introdotti in senato Mutine, e
solvendam fidem a consule, habiti. Mutines etiam se alcun altro c'era, che avesse ben meritatº del
civis Romanus factus, rogatione ab tribuno ple popolo Romano, furono tutti ricolmati di cuori,
bis, ex auctoritate Patrum, ad plebem lata. Dum onde soddisfare alla promessa del console. Mutine
haec Romae geruntur, M. Valerius Messalla quin fu anche fatto cittadino Romano per legge pro
quaginta navibus quum ante lucem ad Afri posta al popolo da un tribuno della plebe, previa
cam accessisset, improviso in agrum Uticensem l'autorità del senato. Mentre si fanno a Roma
exscensionem fecit; eumque late depopulatus, queste cose, Marco Valerio Messala accostatosi
multis mortalibus cum alia omnis generis praeda all'Africa innanzi giorno con cinquanta navi,
captis, ad naves rediit, atque in Sicilia transmi discese all'improvviso nel territorio di Utica, e
sit ; tertiodecimo die, quam profectus indeerat, saccheggiatolo per gran tratto, presa molta gente
Lilybaeum revectus. Ex captivis, quaestione ha con altra preda d'ogni sorte, tornossi alle navi,
bita, haec comperta, consulique Laevino omnia e trasferissi in Sicilia, ricondotto a Lilibeo tredici
ordine perscripta, ut sciret, quo in statu res giorni poi che n'era partito. Dai prigioni, che
Africae essent. «Quinque millia Numidarum cum furono esaminati, ecco le cose che si ritrassero,
Masinissa, Galae filio, acerrimo juvene. Cartha e che si scrissero tutte per ordine al console Le
gine esse; et alios per totam Africam milites mer vino, acciocchè non ignorasse in che stato si
cede conduci, qui in Hispaniam ad Hasdrubalem fossero le cose d'Africa: « Esservi in Cartagine
traiicerentur, ut is, quam maximo exercitu pri cinque mila Numidi con Masinissa, figlio di Gala,
Ino rº" tempore in Italiam transgressus, jun
iv 10 2
giovane ardentissimo, ed assoldarsi per tutta
9
13 i TITI LIVll LIBER XXVII. 132

geret se Hannibali: in eo positam victoriam cre l'Africa altri soldati, da spedirsi in Ispagna ad
dere Carthaginienses. Classem praeterea ingen Asdrubale, acciocchè questi, passando al più
tem apparari ad Siciliam repetendam, eamque se presto in Italia con esercito poderoso si unisca
credere brevi traiecturam, º Haec recitata a con ad Annibale; in ciò credere i Cartaginesi riposta
sule ita movere senatum, ut non exspectanda co la vittoria. Inoltre allestirsi gran flotta per ricu
mitia consuli censerent, sed dictatorem comitio perare la Sicilia, e stimar egli, che non tarde
rum habendorum causa dici, et extemplo in pro rebbe molto a trasferirvisi. » Queste notizie date
vinciam redeundum. Illa disceptatio tenebat, dal console sì fattamente mossero il senato, che
quod consul in Sicilia se M. Valerium Messallam, pensarono non aver il console ad aspettare i co
qui tum classi praeesset, dictatorem dicturum es mizii, ma sì nominare il dittatore a tenerli, e
se ajebat: Patres extra Romanum agrum (eam subito ritornare nella provincia. Una disputa li
autem in Italia terminari) negabant dictatorem ratteneva, che il console diceva, che avrebbe
dici posse. M. Lucretius tribunus plebis quum de nominato in Sicilia dittatore Marco Valerio Mes
ea re consuleret, ita decrevit senatus, . Ut com salla, allora comandante della flotta: i Padri al
sul prins, quam ab urbe discederet, populum ro l'opposto sostenevano, che non si potesse nomi
garet, quem dictatorem dici placeret; eumque, nare il dittatore fuori del territorio Romano
quem populus jussisset, diceret dictatorem. Si (ch'era ristretto nei termini dell'Italia). Consul
consul noluisset, praetor populum rogaret: si ne tato il senato sopra ciò dal tribuno della plebe
is quidem vellet, tum tribuni ad plebem ferrent.” Marco Lugrezio, decretò, a che il console, innan
Quum consul se populum rogaturum negasset, zi che partisse da Roma, proponesse al popolo
quod suae potestatis esset, praetoremque vetuis chi gli piacesse che fosse nominato dittatore;
set rogare; tribuni plebis rogarunt, plebesque e nominasse quello, che il popolo volesse. Se il
scivit, ut Q. Fulvius, qui tum ad Capuam erat, di console ricusasse, il pretore ne facesse la proposta
ctator diceretur: Sed, quodie id plebis concilium al popolo: se anche questi ricusasse, allora i tri
futurum erat, consul clam nocte in Siciliam abiit, buni ne facessero la proposta alla plebe.» Avendo
destitutique Patres literas ad M. Claudium mit il console ricusato di proporre al popolo quello
tendas censuerunt, ut desertae ab collega reipu ch'era di suo diritto, e vietato al pretore che
blicae subveniret, diceret Iue, quem populus jus proponesse, i tribuni ne fecero la proposta alla
sisset, dictatorem. Ita a M. Claudio consule Q. plebe, ed essa deliberò, che Quinto Fulvio, il
Fulvius dictator dictus, et ex eodem plebiscito quale a quel tempo si stava in Capua, fosse il dit
et ab Q. Fulvio dictatore P. Licinius Crassus pon tatore. Ma il dì, che dovea tenersi l'assemblea
tifex maximus magister equitum dictus. del popolo, la notte il console nascosamente se
n'andò in Sicilia, e i Padri abbandonati ordi
marono che fosse scritto a Marco Claudio, perchè
sovvenisse alla repubblica abbandonata dal suo
collega, e nominasse egli dittatore quello, ch'era
voluto dalla plebe. Così Quinto Fulvio fu nomi
mato dittatore dal console Marco Claudio, e in
forza dello stesso plebiscito, e dallo stesso ditta
tore Quinto Fulvio fu nominato maestro de'ca
valieri Publio Licinio Crasso pontefice massimo.
VI. Dictator postouam Romam venit, Cn. V1. Il dittatore, come fu giunto a Roma, man
Sempronium Blaesum legatum, quem ad Capuam dò all'esercito in Toscana, in luogo del pretore
habuerat, in Etruriam provinciam ad exercitum Caio Calpurnio, Gneo Sempronio Bleso, ch'era
misit, in locum C. Calpurnii praetoris; quem, ut stato suo legato in Capua, eccitandolo con lettere
Capuae exercituique suo praeesset, literis excivit. a prendere il governo di Capua e dell'esercito.
Ipse comitia, in quem diem primum potuit, edi Intimò i comizii per quel primo giorno, che po
xit; quae, certamine inter tribunos dictatorem tè; i quali però non si poteron terminare per la
que injecto, perfici non potuerunt. Galeria ju disputa insorta tra i tribuni e il dittatore. La cen
miorum, quae sorte praerogativa erat, Q. Ful turia Galeria dei giuniori, cui toccava per sorte
vium et Q. Fabium consules dixerat, eodemque esser la prima a dare il voto, avea nominati con
jure vocatae inclinassent, ni tribuni plebis C. et soli Quinto Fulvio e Quinto Fabio, al che sareb
L. Arennii se interposuissent, qui, i neque ma bero ugualmente inclinate l'altre centurie, se
gistratum continuari satis civile esse, aiebant; et Caio e Lucio Arennii, tribuni della plebe, non si
multo foedioris exempli, eum ipsum creari, qui fossero opposti, i quali dicevano, e non moltº
comitia haberet. Itaque, si suum nomen dictator convenire alla civile libertà, che le cariche si
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acciperet, se comitiis intercessuros: si aliorum, continuassero, ed essere di esempio ancora più
praeterquam ipsius, ratio haberetur, comitiis se sconcio crearsi quello stesso, che teneva i comizii.
moram non facere.» Dictator causam comitio Quindi, se il dittatore accettasse la sua nomina,
rum auctoritate senatus, plebiscito, exemplis tu si opporrebbero ai comizii, se altri si nominassero,
tabatur. « Namque, Cn. Servilio consule, quum fuorchè lui, non ci metterebbono ostacolo. ” Il
C. Flaminius alter consul ad Trasimenum ceci dittatore difendeva la causa dei comizii, e col
disset, ex auctoritate Patrum ad plebem latum, l'autorità del senato, e colla deliberazion della
plebemque scivisse, ut, quoad bellum in Italia plebe, e cogli esempii. « Perciocchè nel conso
esset, ex iis, qui consules fuissent, quos et quo lato di Gneo Servilio, allorchè Caio Flaminio,
ties vellet, reficiendi consules populo jus esset; uno de' consoli, fu morto al lago Trasimeno,
exemplumque eam in rem se habere vetus L. si propose alla plebe coll'autorità del senato,
Postumii Megelli, qui interrex iis comitiis, quae e la plebe deliberò che per tutto il tempo,
ipse habuisset, consul cum C. Junio Bubulco crea che durasse la guerra in Italia, il popolo po
tus esset; recens Q. Fabii, qui sibi continuari tesse di quelli, ch'erano stati consoli, rifarne
consulatum, misi id bono publico fieret, profecto quanti e quante volte volesse; avere in ciò l'an
numquam sivisset. » His orationibus quum diu tico esempio di Lucio Postumio Megello, il quale
cartatum esset, postremo ita interdictatorem ac essendo interrè, fu creato console con Caio Giu
tribunos convenit, uteo, quod censuisset sema nio Bubulco in quel comizii medesimi, che avea
tus, staretur. Patribus id tempus reipublicae vi tenuti; non che l'altro recente di Quinto Fabio,
sum est, ut per veteres, et expertos, bellique pe il quale non avrebbe assentito mai, che gli si
ritos imperatores respublica gereretur: itaque continuasse il consolato, se non ci fosse stato il
moram fieri comitiis non placere. Concedentibus pubblico vantaggio. » Essendosi conteso lunga
tribunis, comitia habita. Declarati consules Q. mente con codesti discorsi, finalmente si venne a
Fabius Maximus quintum, Q. Fulvius Flaccus questo accordo tra il dittatore ed i tribuni, che
quartum.Praetoresinde creati, L. Veturius Philo, si stesse a ciò, che il senato deliberasse. Parve ai
T. Quintius Crispinus, C. Hostilius Tubulus, Padri esser tali le circostanze della repubblica,
C. Aurunculejus. Magistratibus in annum crea che si dovesse commetterne il governo a coman
tis, Q. Fulvius dictatura se abdicavit. Extremo danti vecchi, esperti e pratici di guerra: quindi
aestatis hujus classis Punica navium quadragin non piacer loro che si metta ritardo ai comizii.
ta, cum praefecto Hamilcare in Sardiniam traje Acconsentendo i tribuni, i comizii si tennero.
cta, Olbiensem primo, dein, postduam ibi P. Son dichiarati consoli Quinto Fabio Massimo per
Manlius Vulso praetor cum exercitu apparuit, la quinta volta, e Quinto Fulvio Flacco per la
circumacta inde ad alterum insulae latus, Carali quarta. Indi son creati pretori Lucio Veturio
tanum agrum vastavit, et cum praeda omnis ge Filone, Tito Quinzio Crispino, Caio Ostilio Tu
neris in Africam rediit. Sacerdotes Romani eo bulo e Caio Arunculeio. Creati i magistrati per
anno mortui aliquot suffectique. C. Servilius un anno, Quinto Fulvio depose la dittatura. Sul
Pontifex factus in locum T. Otacilii Crassi; Ti. finire di questa state la flotta Cartaginese di
Sempronius Ti. F. Longus augur factus in locum quaranta navi, passata in Sardegna sotto il co
T. Otacilii Crassi. Decemvir item sacris faciundis mando di Amilcare, dapprima diede il guasto al
in locum Ti. Sempronii C. F. Longi Ti. Sempro paese degli Olbii, indi, al comparire di Publio
nius Ti. F. Longus suffectus. M. Marcius rex sa Manlio Vulsone coll'esercito, girando all'altro lato
crorum mortuus est, et M. Aemilius Papus maxi dell'isola, diede il guasto al territorio Caralitano,
mus curio: neque in eorum locum sacerdotes eo e tornò in Africa con bottino d'ogni sorte. Mori
anno suffecti. Et censores hic annus habuit L. rono in quell'anno, e furono rifatti alquanti sacer
Veturium Philonem et P. Licinium Crassum, ma doti Romani. Caio Servilio fu fatto pontefice in
ximum pontificem. Crassus Licinius mec consul, luogo di Tito Otacilio Crasso. Tito Sempronio
nec praetorante fuerat, quam censor est factus: Longo figlio di Tito fu fatto augure in luogo del
ex aedilitate gradum ad censuram fecit. Sed hi lo stesso Otacilio Crasso. Parimenti fu surrogato
censores neque sematum legerunt, nec quidquam decemviro ai sagrifizii, in luogo di Tito Sempro
publicae rei egerunt: mors diremit L. Veturii: mio Longo, figlio di Caio, Tito Sempronio Lon
inde et Licinius censura se abdicavit. Aediles go, figlio di Tito. Morì Marco Marcio, re dei sa
curules L. Veturius et P. Licinius Varus ludos grifizii, e Marco Emilio Papo, curione massimo;
Romanos diem unum instaurarunt. Aediles plebis nè fu loro in quell'anno surrogato alcuno. Ed
Q. Catius et L. Porcius Licinus ex mulctaticio ar ebbe quest'anno censori Lucio Veturio Filone, e
Publio Licinio Crasso, pontefice massimo. Cras
gento signa aenea ad Cereris dedere, et ludos, pro so Licinio non era stato nè console, nè pretore,
temporis ejus copia, maguifici apparatus fecerunt.
135 TITI LIVII LIBER XXVII. 136

innanzi che fosse fatto censore; non ſe' che un


passo dall'edilità alla censura. Ma questi censori
nè rielessero il senato, nè fecero alcun atto pub
blico; glielo impedì la morte di Lucio Veturio:
poscia Licinio rinunziò alla censura. Gli edili
curuli Lucio Veturio e Publio Licinio Varo
rinnovarono i giuochi Romani per un giorno.
Gli edili della plebe Quinto Cazio e Lucio Por
cio Licino, del denaro tratto dalle multe, posero
alcune statue di bronzo nel tempio di Cerere, e
celebrarono giuochi con quel più magnifico ap
parato, che portava la ricchezza di quel tempo.
VII. Exitu anni hujus, die quarto et trigesi VII. Sul finire di quest'anno, trentaquattro
mo, quam ab Tarracone profectus erat, C. Lae giorni da che partito era da Tarracona, Caio
lius legatus Scipionis Romam venit; isque, cum Lelio legato di Scipione venne a Roma; ed entra
agmine captivorum ingressus urbem, magnum to in città con uno stuolo di prigionieri, mosse
concursum hominum fecit. Postero die in sena gran concorso di gente. Il dì appresso introdotto
tum introductus, captam Carthaginem, caput Hi in senato, espose che s'era presa in un giorno
spaniae, uno die, receptasque aliquot urbes, quae solo Nuova-Cartagine, capo di tutta la Spagna, non
defecissent, movasque in societatem adscitas, ex che riavute alquante città già ribellatesi, ed al
posuit. Ex captivis comperta his fere congruen tre nuovamente tratte in amicizia. Dai prigionieri
tia, quae in literis fuerant M. Valerii Messallae. s'intesero le cose stesse a un dipresso, com'erano
Maxime movit Patres Hasdrubalis transitus in scritte nelle lettere di Marco Valerio Messalla. Fu
Italiam, vix Hannibali atoue ejus armis subsisten rono i Padri specialmente colpiti dal passaggio
tem. Productus et in concionem Laelius eadem di Asdrubale in Italia, che pur appena resisteva ad
edisseruit. Senatus ob res feliciter a P. Scipione Annibale, e all'armi sue. E Lelio prodotto dinanzi
gestas supplicationem in unum diem decrevit: C. al popolo, narrò le cose stesse. Il senato decretò
Laelium primo quoque tempore, cum quibus ve un giorno di preghiere per le felici imprese di
nerat navibus, redire in Hispaniam jussit (Anno Publio Scipione. Comandò che Caio Lelio, come
U.C.543. – A. C. 2o9 ) Charthaginis expugnatio prima potesse, tornasse in Ispagna colle navi, colle
nem in hunc annum contuli, multis auctoribus; quali era venuto. (Anni D. R. 543. – A. C. 2o9.)
haud nescius, quosdam esse, qui anno insequenti Ho posta la presa di Nuova-Cartagine in que
captam tradiderint: quod mihi minus simile veri st'anno, colla scorta di molti scrittori, non però
visum est, annum integrum Scipionem nihil ignaro, esservi alcuni, che l'han detta presa
gerundo in Hispania consumpsisse. Q. Fabio l'anno seguente; ma erami sembrato poco veri
Maximo quintum, Q. Fulvio Flacco quartum simile, che Scipione avesse consumato un anno
consulibus, Idibus Martiis, quo die magistratum intero in Ispagna senza far nulla. Alla metà di
inierunt, ltalia ambobus provincia decreta; re Marzo, il dì stesso, che pigliarono l'uffizio, la
gionibus tamen partitum imperium: Fabius ad provincia d'Italia fu decretata a Quinto Fabio
Tarentum, Fulvius in Lucanis ac Bruttiis rem Massimo console per la quinta volta, e a Quinto
gereret: M. Claudio prorogatum in annun impe Fulvio Flacco per la quarta. Fu però diviso il
rium. Praetores sortiti provincias: C. Hostilius comando per paesi, in modo che Fabio guerreg
Tubulus urbamam, L. Veturius Philo peregrinam giasse dalla parte di Taranto, Fulvio nei Lucani
cum Gallia, T. Quintius Crispinus Capuam, C. e nei Bruzii. A Marco Claudio fu prorogata la ca
Aurunculejus Sardiniam. Exercitus ita per pro rica per un anno. I pretori trassero a sorte le
vincias divisi: Fulvio dnae legiones, quasin Si province: Caio Ostilio Tubulo ebbe la pretura
cilia M. Valerius Laevinus haberet; Q. Fabio, urbana, Lucio Veturio Filone la forense con la
quibus in Etruria C. Calpurnius praefuisset, de Gallia, Tito Quinzio Crispino Capua, Caio Arun
cretae. Exercitus urbanus ut in Etruriam succe culeio la Sardegna. Gli eserciti furono ripartiti
deret: C. Calpurnius eidem praeesset provinciae per le province in questo modo. Si diedero a
exercituique: Capuam exercitumque, quem Q. Fulvio due legioni, quelle che aveva nella Sicilia
Fulvius habuisset, T. Quintius obtineret: C. Marco Valerio Levino; a Quinto Fabio quelle,
Hostilius ab C. Laetorio propraetore provinciam che avea comandate nella Toscana Caio Calpur
exercitumque, qui tum jam Arimini erat, accipe nio: che l'esercito urbano passasse nella Tosca
ret. M. Marcello, quibus consul bene rem gesse na, del quale, non che della provincia, avesse
rat, legiones decretae. M. Valerio cum L. Cincio il comando lo stesso Caio Calpurnio; Tito Quin
137 TITI LIVII LIBER XXVII. 138

(his quoque est enim prorogatum in Sicilia im zio avesse Capua coll'esercito, ch'era stato di
perium) Cannensis exercitus datus; eumque sup Quinto Fulvio: Caio Ostilio ricevesse dal propre
plere ex militibus, qui ex legionibus Cn. Fulvii tore Caio Letorio la provincia e l'esercito, ch'e
superessent, jussi. Conquisitos eos consules in Si ra allora a Rimini. Si decretarono a Marco Mar
ciliam miserunt: additaque eadem militiae igno cello le legioni, colle quali console avea felice
minia, sub qua Cannenses militabant, quique ex mente guerreggiato. A Marco Valerio, insieme
praetoris Cn. Fulvii exercitn, ob similis iram con Lucio Cincio (che fu prorogato ad essi pure
fugae, missi eo ab senatu fuerant. C Auruncule il comando nella Sicilia) fu dato l'esercito di
jo eaedem in Sardinia legiones, quibus P. Man Canne, e detto che lo supplisse coi soldati avan
lius Vulso, eam provinciam obtinuerat, decretae. zati dalle legioni di Gneo Fulvio. Fattili cercare,
P. Sulpicio, eadem legione eademque classe Ma i consoli gli mandarono in Sicilia, notati della
cedoniam obtinere jusso, prorogatum in annum stessa ignominia, con cui militavano quei di Can
imperium. Triginta quinqueremes ex Sicilia Ta ne, e gli altri dell'esercito del pretore Gneo Fulvio,
rentum ad Q. Fabium consulem mitti jussae: ce colà mandati dal senato, irritato da una simile lor
tera classe praedatum in Africam aut ipsum M. fuga. A Caio Arunculeio si decretarono quelle
Valerium Laevinum trajicere, aut mittere, seu stesse legioni nella Sardegna, colle quali Publio
L. Cincium, seu M, Valerium Messallam. Nec de Manlio Vulsone avea tenuta quella provincia. Si
Hispania quidquam mutatum, nisi quod non in prorogò il comando per un anno a Publio Sulpi
annum Scipioni Silanoque, sed donec revocati ab cio, con ordine di ritenere la Macedonia colla
senatu forent, prorogatum imperium est. Ita pro legione e flotta che aveva. Fu commesso che di
vinciae exercituumque in eun annum partita Sicilia si mandassero trenta quinqueremi a Ta
imperia. ranto al console Quinto Fabio; che col rimanente
della flotta o lo stesso Marco Valerio Levino pas
sasse in Africa a bottinare, o vi mandasse Lucio
Cincio, o Marco Valerio Messalla. Nè si fe'can
giamento alcuno rispetto alla Spagna; se non
che fu prorogato il comando non per un anno
a Scipione ed a Silano, ma sino a tanto che fos
sero richiamati dal senato. In questo modo le
province e gli eserciti furon divisi per quel
l'anno.
VIII. Inter majorum rerum curas comitia VIII. In mezzo a pensieri della maggiore im
maximi curionis, quum in locum M. Aemilii sa portanza i comizii del massimo curione, per crea
cerdos crearetur, vetus excitaverunt certamen , re un sacerdote in luogo di Marco Emilio, ride
patriciis negantibus C. Mamilii Vituli, qui unus starono un'antica contesa; dicendo i Padri non
ex plebe petebat, habendam rationem esse, quia doversi tener conto di Caio Mamilio Vitulo,che solo
nemo ante eum, nisi ex Patribus, id sacerdotium della plebe chiedeva, perchè nessuno innanzi lui,
habuisset. Tribuni appellati ad senatum rejece fuor che patrizio, aveva ottenuto quel sacerdozio.
runt: senatus populi potestatem fecit. Ita primus Appellatosi Mamilio ai tribuni, questi rimisero
ex plebe creatus maximus curio C. Mamilius Vi la cosa al senato; il senato al popolo. Così primo
tulus. Et Flaminem dialem invitum inaugurari della plebe Caio Mamilio Vitulo fu creato mas
coégit P. Licinius pontifex maximus C. Valerium simo curione. E il pontefice massimo Publio Li
Flaccum. Decemvir sacris faciundis creatus in cinio sforzò Caio Valerio Flacco a farsi contro
locum Q. Mucii Scaevolae demortui C. Laeto sua voglia inaugurare sacerdote di Giove. Caio
rius. Causam inaugurari coacti Flaminis libens Letorio fu creato decemviro ai sagrifizii in luogo
reticuissem, mi ex mala fama in bonam vertisset. di Quinto Mucio Scevola morto. Avrei taciuta
Ob adolescentiam negligentem luxuriosamque volentieri la cagione, per cui fu Flacco sforzato
C. Flaccus Flamen captus a P. Licinio pontifice a farsi inaugurare, s'egli non si fosse da mala fa
maximo erat, L. Flacco fratri germano cognatis ma voltato a buona. Avea Publio Licinio, pon
que aliis ob eadem vitia invisus. Is, ut animum tefice massimo, vincolato al sacerdozio Caio
ejus cura sacrorum et caeremoniarum cepit, ita Flacco a motivo della sua sbadata e licenziosa
repente exuit antiquos mores, ut nemo totaju gioventù, odiato per questi vizii medesimi dal
ventute haberetur prior, nec probatior primori fratello Lucio Flacco, e dagli altri congiunti.
bus Patrum, suis pariter alienisoue, esset. Hujus Egli però, tosto che s'ebbe dedicato con fervore
famae consensu elatus ad iustam fiduciam sui, alla cura dei sagrifizii e delle cerimonie, si spo
rem intermissam per multos annos ob indigni gliò sì prestamente degli antichi costumi, che
139 TITI LIVII LIBER XXVII. 14o

tatem Flaminum priorum repetivit, ut in sena non vi fu nessuno di tutta la gioventù, che gli
tum introiret. Ingressum eum curiam quum L. andasse innanzi, e che fosse più stimato dai prin
Licinius praetor inde eduxisset, tribunos plebis cipali tra Padri, e così da suoi, come dagli strani.
appellavit Flannen. Vetustum jus sacerdotii re Dal consenso di questa fama elevatosi egli a giu
petebat: datum id cum toga praetexta et sella sta fidanza di sè medesimo, richiamò un uso da
curuli et Flaminio esse. Praetor, non exoletis molti anni intermesso pel nessun merito dei sa
vetustate annalium exemplis stare jus, sed recen cerdoti antecedenti, quello di entrare in senato.
tissimae cujusque consuetudinis usu, volebat: nec Entrato adunque nella curia fattone sortire dal
patrum, nec avorum memoriam dialem quem pretore Lucio Licinio, si appellò egli ai tribuni
quamid jus usurpasse. Tribuni, rem inertia Fla della plebe. Ridomandava l'antico diritto del
minum obliteratam ipsis, non sacerdotio, damno suo sacerdozio, diritto datogli colla toga pretesta,
fuisse, quum aequum censuissent, ne ipso qui colla sedia curule e colla tiara. Il pretore voleva
dem contra tendente praetore, magno assensu che il diritto si fondasse non sopra esempii ran
Patrum plebisque, Flaminem in senatum intro cidi tratti da vecchie cronache, ma sì sopra qual
duxerunt; omnibus ita existimantibus, magis siasi uso più recente; che nè a memoria dei Pa
sanctitate vitae, quam sacerdotii jure, rem eam dri, nè degli avi nessun sacerdote di Giove si
Flaminem obtinuisse. Consules prius, quam aveva usurpato tal diritto. I tribuni, avendo tro
in provincias irent, duas urbanas legiones; in vato giusto che questa usanza, dimenticata per
supplementum, quantum opus erat ceteris exer la inerzia dei sacerdoti, fosse di danno ad essi,
citibus militum, scripserunt. Urbanum veterem ma non al sacerdozio, non opponendosi nemmen
exercitum Fulvius consul C. Fulvio Flacco lega lo stesso pretore, con grande consentimento dei
to (frater hic consulis erat) in Etruriam dedit Padri e della plebe, introdussero il sacerdote in
ducendum, et legiones, quae in Etruria erant, senato, stimandosi però da ognuno, che egli aves
Romam deducendas. Et Fabius consul reliquias se ottenuto l'intento più per la santità della vi
exercitus Fulviani conquisitas (fuere autem ad ta, che per diritto del sacerdozio. I consoli,
tria millia trecenti triginta sex) Q. Maximum innanzi che andassero alle loro province, arrola
filium ducere in Siciliam ad M. Valerium pro rono due legioni nella città in supplemento di
consulem jussit, atque ab eo duas legiones et quanto occorresse di soldati agli altri eserciti. Il
triginta quinqueremes accipere. Nihil hae edu vecchio esercito urbano fu dal console Fulvio
ctae ex insula legiones minuerunt nec viri consegnato a Caio Fulvio Flacco legato (era egli
bus nec specie eius provinciae praesidium : mam fratello del console) da condursi in Toscana, ri
quum, praeter egregie suppletas duas veteres conducendo quelle legioni, ch'erano in Toscana,
legiones, transfugarum etiam Numidarum equi a Roma. E il console Fabio, cercate le reliquie
tum peditumque magnam vim haberet, Siculos dell'esercito di Fulvio (furono da tre mila tre
quoque, qui in exercitu Epicydis aut Poenorum cento e trentasei uomini), commise a Quinto Mas
fuerant, belli peritos viros, milites scripsit. Ea simo, suo figliuolo, che le conducesse in Sicilia al
externa auxilia quum singulis Romanis legioni proconsole Marco Valerio, e ricevesse da lui due
bus adjunxisset, duorum speciem exercituum legioni, e trenta quinqueremi. Queste legioni,
servavit: altero L. Cincium partem insulae, qua levate dall'isola, non iscemaron punto nè in
regnum Hieronis fuerat, tueri jussit; altero ipse forze, nè in apparenza il presidio di quella pro
ceteram insulam tuebatur, divisam quondam Ro vincia; perciocchè Valerio, oltre due vecchie le
mani Punici que imperii finibus; classe quoque gioni interamente supplite, avendo anche gran
navium septuaginta partita, ut omni ambitu lito numero di cavalieri e fanti Numidi disertori, ar
rum praesidia orae maritimae essent. Ipse cum rolò pure parecchi Siciliani, ch'erano stati del
Mutinis equitatu provinciamperagrabat, ut vise l'esercito di Epicide o dei Cartaginesi, gente
ret agros, cultaque ab incultis notaret, et perinde pratica del mestiere della guerra. Avendo aggiun
dominos laudaret castigaretque. Ita tantum ea ti questi esterni aiuti a ciascuna delle legioni Ro
cura frumenti provenit, ut et Romam mitteret, mane, conservò la forma di due eserciti: ordinò
et Catamam conveheret, unde exercitui, qui ad che con uno Lucio Cinzio difendesse quella parte
Tarentum aestiva acturus esset, posset praeberi. dell'isola, ch'era stata il regno di Jerone; col
l'altro egli difendeva il restante dell'Isola divi
sa in addietro dai confini del Romano impero e
del Cartaginese; avendo pur anche spartita la
flotta di settanta navi, acciocchè proteggesse le
coste marittime per tutto il giro dell'Isola. Ed
egli colla cavalleria di Mutine scorreva la provin
141 IITI LIVII LIBER XXVII. 142
cia, per visitare i campi, notare i coltivati e non
coltivati, e quindi darne lode o biasimo ai pa
droni. Con codesta diligenza tanto s'ebbe di
grano, che mandonne a Roma, e trasportonne a
Catana, onde se ne potesse fornire l'esercito, che
dovea fermarsi la state a Taranto. -

IX. Ceterum transportati milites in Siciliam IX. Del resto, i soldati trasportati in Sicilia
(eterant major pars Latini nominis sociorumque) (ed erano la maggior parte Latini ed alleati)
prope magni motus causa fuere: adeo ex parvis furon quasi cagione di grave sommossa; tanto
saepe magnarum momenta rerum pendent. Fre è vero, che da picciole cose spesso ne nascono
mitus enim inter Latinos sociosque in conciliis di gran momento. Perciocchè tra i Latini e gli
ortus: « Decimum annum delectibus, stipendiis alleati si cominciò a susurrare nelle loro assem
exhaustos esse. Quotannis ferme clade magna pu blee: « Esser già consunti dalle leve, dalla milizia
gnare: alios in acie occidi, alios morbo absumi: di dieci anni. Ogni anno sottostare a qualche
magis perire sibi civem, qui ab Romano miles grande sconfitta: altri esser morti nelle battaglie,
lectus sit quam qui a Poeno captus: quippe ab altri dalle malattie; esser più presso a perire il
hoste gratis remitti in patriam ; ab Romanis ex cittadino, fatto soldato dai Romani, che quello
tra Italiam in exilium verius, quam in militiam, preso dai Cartaginesi ; perocchè questi era gra
ablegari. Octavum jam ibi annum senescere Can tuitamente restituito alla patria dal nemico, que
nensem militem, moriturum ante, quan Italia gli rilegato fuori d'Italia piuttosto in esiglio, che
hostis (quippe nunc quum maxime florens viri a guerreggiare. Già da ott'anni il soldato di Can
bus) excedat. Si veteres milites non redeant in ne si sta quivi invecchiando per morirvi prima,
patriam, novi legantur, brevi neminem superfu che il nemico (adesso più che mai florido di forze)
turum. Itaque, quod propediem res ipsa negatura esca d' Italia. Se i vecchi soldati non tornano in
sit, priusquam ad ultimam solitudinem atque patria, se nuovi se ne levano, in breve nessuno
egestatem perveniant, negandum populo Romano avanzerà. Quindi, innanzi che si giunga all'estre
esse. Si consentientes in hoc socios videant Ro ma solitudine ed inopia, fa d'uopo negare al po
mani, profecto de pace cum Carthaginiensibus polo Romano quello, che lo stato stesso delle cose
jungenda cogitaturos: aliter numquam, vivo Han gli negherà. Se i Romani vedranno tutti in ciò
mibale, sine bello ltaliam fore. » Haec acta in consentire gli alleati Romani, certo penseranno
conciliis. Triginta tum coloniae populi Romani a far la pace coi Cartaginesi; altrimenti, vivo
erant: ex iis duodecim, quum omnium legationes Annibale, non sarà mai l'Italia senza guerra. »
Romae essent, negaverunt consulibus esse, unde Si trattò di questo nelle assemblee. Erano allora
milites pecuniamoue darent. Eae fuere Ardea, trenta le colonie del popolo Romano. Dodici di
Nepete, Sutrium, Alba, Carseoli, Cora, Suessa, queste, avendo tutti i loro ambasciatori a Roma,
Circeji, Setia, Cales, Narnia, Interamna. Novare negarono ai consoli di poter dare nè soldati, nè
consules icti, quum absterrere eos a tam detesta danaro. Furono queste Ardea, Nepete, Sutrio,
bili consilio vellent, castigando increpandoque Alba, Carseole, Cora, Suessa, Circello, Sezia,
plus, quam leniteragendo, profecturos rati, º eos Cale, Narnia, Interamna. Colpiti i consolida que
ausos esse consulibus dicere, aiebant, quod con sta novità, volendo distorli da sì detestabile
sules, in senatuut pronunciarent, in animum in disegno, persuasi che avrebbero più profittato
ducere non possent: non enim detrectationem col riprendere e rimprocciare, che col trattar
eam munerum militiae, sed apertam defectionem dolcemente, « aveano osato, dicevano, di tener
tale discorso ai consoli, ch'essi non avrebbero
a populo Romano esse Redirent itaque propere
in colonias, et, tamquam integrare,locuti magis, potuto indursi a pronunziarlo in senato; che
quam ausi, tantum nefas, cum suis consulerent. non era questo un volersi sottrarre agli obblighi
Admonerent, non Campanos, neque Tarentinos della milizia, ma un'aperta ribellione dal popolo
eos esse, sed Romanos; inde oriundos, inde in Romano. Tornassero dunque in fretta alle colo
colonias atque in agrum bello captum stirpis au nie, e come nulla fosse accaduto, quasi avessero
gendae causa missos: quae liberi parentibus de parlato a caso, non meditato un tal delitto, con
berent, ea illos Romanis debere, si ulla pietas, sultassero co' suoi, e gli ammonissero, che non
si memoria antiquae patriae esset. Consulerent eran essi nè Campani, nè Tarentini, ma Romani,
igitur de integro: mam, tum quidem quae temere oriondi del paese, e di qua stati mandati nelle
agitassent, ea prodendi imperii Romani, traden colonie e nelle terre conquistate ad aumentare la
dae Hannibali victoriae esse. ” Quum alternis stirpe. Quello che i figliuoli ai genitori, essi
haec consules diu jactassent, uil.il moti legati, il debbono ai lomani, se hanno senso di alletto,
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e neque se, quod domum renunciarent, habere, se memoria dell'antica lor patria. Si consigliassero
dixerunt, neque senatum suum, quid novi con dunque da capo, perciocchè quello, che aveano
suleret, ubi nec miles, qui legeretur, nec pecu sconsideratamente agitato, non era che un tradire
mia, quae daretur in stipendium, esset. - Quum il Romano impero, e dar la vittoria ad Annibale. »
obstinatos eos viderent consules, rem ad senatum Avendo i consoli, or l'uno or l'altro, per più
detulerunt: ubi tantus pavor animis omnium est tempo dette e ridette queste cose, gli ambascia
injectus, ut magna pars, « actum de imperio, di tori, non punto smossi, risposero, « nè aver essi,
ceret: idem alias colonias facturas ; idem socios che riferire a casa, nè il lor senato che nuova
consensisse omnes, ad prodendam Hannibali ur mente deliberare, poi che non ci era soldato da
bem Romanam. » potersi arrolare, nè danaro da darsi per le pa
ghe. » I consoli, vedendoli ostinati, riferirono
la cosa al senato. E quivi tanto spavento si apprese
agli animi di ciascuno, che la maggior parte
diceva, a essere omai spacciato l'impero; le altre
colonie farebbero lo stesso; tutti gli alleati essersi
convenuti insieme di dar Roma in mano ad
Annibale. »
X. Consules hortari et consolari senatum, et X. I consoli si mettono a confortare e conso
dicere: a Alias coloniasin fide atque officio pristi lare il senato, e dire, a che le altre colonie sta
mo fore, eas quoque ipsas, quae officio decessis rebbero in fede e nel primiero dovere; quelle
sent, si legati circa eas colonias mittantur, qui stesse, che se n'erano scostate, se si mandassero
castigent, non qui precentur, verecundiam impe de' legati, che le rimprocciassero, non le pregas
rii habituras esse. » Permissum ab senatu iis sero, avrebbono la debita riverenza all'impero. ”
quum esset, agerent, facerentolue, ut e republica Avendo il senato rimesso in loro arbitrio il dire
ducerent, pertentatis prius aliarum coloniarum e far quello, che stimassero vantaggioso alla re
animis, citaverunt legatos, quaesiveruntdue ab pubblica, saggiate prima le disposizioni delle al
iis, « ecquid milites ex formula paratos habe tre colonie, citarono i loro ambasciatori, e li
rent? » Pro duodeviginti coloniis M. Sextilius ricercarono, a se avessero in pronto i soldati,
Fregellanus respondit: « et milites ex formula secondo la convenzione. » Per diciotto colonie
paratos esse, et, si pluribus opus esset, plures Marco Sestilio Fregellano rispose: « esser pronti
daturos, et, quidquid aliud imperaret velletgue i soldati, secondo la convenzione, e se più ne
populus Romanus, emise facturos: ad id sibi ne abbisognasse, più ne darebbero e farebbero di
que opes deesse, animum etiam superesse. • Con tutto cuore quant'altro comandasse e volesse
sules, sibi parum videri, praefati, pro merito eo il popolo Romano, al che non mancavan loro
rum, sua voce collaudari eos, nisi universi Patres le forze, l'animo anche sopravanzava. I consoli
iis in curia gratias egissent, sequi in senatum jus dicendo parer loro poco per tanto merito, che la
serunt. Senatus, quam poterat honoratissimo de lor sola voce li lodasse, se tutti i Padri insieme
creto allocutus eos, mandat consulibus, ut ad non li ringraziassero nella curia, se li trassero
populum quoque eos producerent, et inter mul dietro in senato. Il senato, avendoli ringraziati
ta alia praeclara, quae ipsis majoribusque suis col più magnifico decreto, che si potesse, com
praestitissent, recens etiam meritum eorum in mette ai consoli che li presentino anche al po
rempublicam commemorarent. Ne nunc quidem polo, e tra gli altri insigni benefizii, che avean
post tot secula sileantur, fraudenturve laude sua, già fatti ad essi e a lor maggiori, rammentino
Signini fuere et Norbani Saticulanique et Brun anche quest'ultimo loro merito verso la repub
disini et Fregellani et Lucerini et Venusini et blica. E nè anche adesso, dopo tanti secoli, si
Hadriani et Firmani et Ariminenses: et ab alte taccia di loro, nè della dovuta lode si frodino.
ro mari, Pontiani et Paestani et Cosani: et me Furono i Signini, i Norbani, i Saticulani, i Brun
diterranei, Beneventani et Aesernini et Spoleti disini, i Fregellani, i Lucerini, i Venosini, gli
mi et Placentini et Cremonenses. Harum colo Adriani, i Firmani, gli Ariminesi; e lungo l'altro
miarum subsidio tum imperium populi Romani mare i Ponziani, i Pestani e Cosani; e in fra
stetit; iisque gratiae et in senatu, et ad popu terra i Beneventani, gli Esernini, gli Spoletani,
lum actae. Duodecim aliarum coloniarum, quae i Piacentini e i Cremonesi. Pel soccorso dato
I detrectaverunt imperium, mentionem fieri Pa da queste colonie stettesi saldo il Romano impe
tres vetuerunt, neque illos dimitti, neque retineri, ro; e ne furono ringraziate in senato, e presso
neque appellari a consulibus: ea tacita castigatio il popolo. Quanto alle altre dodici colonie, che
maxime ex dignitate populi Romani visa est. Ce ricusarono di obbedire, vollero i Padri che non
145 TTTI LIVII LIBER XXVII. 146
tera expedientibus, quae ad bellum opus erant, se ne facesse menzione, e che i loro ambasciatori
consulibus, aurum vicesimarium, quod in sanctio non fossero nè licenziati, nè ritenuti, nè chiamati
re aerario ad ultimos casus servabatur, promi dai consoli; questo tacito castigo parve convenir
placuit. Prompta ad quatuor millia pondo auri: sommamente alla dignità del popolo Romano.
inde quingena pondo data consulibus, et M. Mar Mentre i consoli vanno spicciando tutte l'altre
cello et P. Sulpicio proconsulibus, et L. Veturio cose, che occorrevano per la guerra, si fe trar
praetori, qui Galliam provinciam sortitus erat; fuori l'oro delle vigesime, che si riservava nel
additumque Fabio consuli centum pondo auri più intangibile erario pe'casi estremi. Se ne ca
praecipuum, quod in arcem Tarentinam porta varono quattro mila libbre d'oro: di queste
retur. Cetero usi sunt ad vestimenta praesenti se ne diedero cinquecento ai consoli, ai procon
pecunia locanda exercitui, qui in Hispania bel soli Marco Marcello e Publio Sulpicio, e al pre
lum secunda sua fama ducisque gerebat. tore Lucio Veturio, cui toccata era la Gallia; al
console Fabio furono di più aggiunte cento libbre
d'oro da portarsi nella rocca Tarentina. Del ri
manente se ne servirono per comperare a danaro
contante i vestimenti per l'esercito, che guerreg
giava nella Spagna con fama sua molta, e del
capitano.
XI. Prodigia quoque, priusquam ab urbe con XI. Si ordinò pure di espiare i prodigii in
sules proficiscerentur, procurari placuit. In Al nanzi, che i consoli partissero da Roma. La fol
bano monte tacta de coelo erant signum Jovis, gore avea percosso sul monte Albano la statua
arborque templo propinqua, et Ostiae lacus, et di Giove, e l'albero vicino al tempio, a Ostia il
Capuae murus, Fortunaeque aedes, et Sinuessae lago, a Capua il muro e il tempio della Fortu
murus portaque. Haec de coelo tacta. Cruentam na, a Sinuessa il muro e la porta. Tutto questo
etiam fluxisse aquam Albanam, quidam auctores era stato fulminato; e alcuni anche rapporta
erant. Et Romae intus cellam aedis Fortis For romo, che l'acqua del lago Albano era corsa tutta
tunae de capite signum, quod in corona erat, in sanguigna. E a Roma nella cella interna del tem
manus sponte sua prolapsum. Et Priverni sa pio della Fortuna una figurina, di quelle della
tis constabat bovem locutum, vulturiumque fre corona, da sè spiccatasi dal capo, l'era caduta
quenti foro in tabernam devolasse, et Sinuessae in mano. E a Priverno si dava per certo, che un
natum ambiguo inter marem ac feminam sexu bue avesse parlato, e che un avoltoio, a piazza
infantem; quos androgynos vulgus (ut pleraque, piena di gente, fosse volato in una bottega; e
faciliore ad duplicanda verba Graeco sermone) fosse nato a Sinuessa un fanciullo di dubbio sesso
appellat: et lacte pluisse, et cum elephanti capi tra maschio e femmina, di quelli, che il volgo
te puerum natum. Ea prodigia hostiis majoribus chiama Androgini come si usa d'altre parole,
procurata, et supplicatio circa omnia pulvinaria, più facili a duplicarsi nel linguaggio greco);
et obsecratio in unum diem indicta; et decretum, e ch'era piovuto latte, e nato un fanciullo con
ut C. Hostilius praetor ludos Apollini, sicut his capo di elefante. Si espiarono questi prodigii
annis voti factique erant, voveret faceretoue. Per con le vittime maggiori, e si ordinarono proces
eos dies et censoribus creandis Q. Fulvius consul sioni a tutti gli altari, e preghiere per un giorno;
comitia habuit. Creati censores, ambo qui non e si decretò, che il pretore Caio Ostilio facesse
dum consules fuerant, M. Cornelius Cethegus, voto, e celebrasse i giuochi d'Apollo, com'era
P. Sempronius Tuditanus. Hi censores, ut agrum stato promesso e fatto in quest'anni. In questi
Campanum fruendum locarent, ex auctoritate giorni medesimi il console Quinto Fulvio tenne
Patrum latum in plebem est, plebesque scivit. Se i comizi per creare i censori. Furon fatti censori
natus lectionem contenti o inter censores de prin due, che non erano stati ancora consoli, Marco
cipe legendo tenuit. Sempronii lectio erat: cete Cornelio Cetego e Publio Sempronio Tuditano.
rum Cornelius a morem traditum a patribus se Si propose alla plebe per autorità del senato, e
quendum ajebat: ut, qui primus censor ex iis, la plebe deliberò che i censori eletti dessero ad
qui viverent, fuisset, eum principem legerent: affitto il territorio Campano. L'elezione dei se
is T. Manlius Torquatus erat. Sempronius, a cui natori fu ritardata dalla disputa insorta tra i cen
dii sortem legendi dedissent, ei jus liberum eos sori per l'elezione del principe del senato. Toccava
dem dedisse deos. Se id suo arbitrio facturum, eleggerlo a Sempronio; ma Cornelio diceva,
Vecturumque Q. Fabium Maximum, quem tum a doversi seguire l'usanza tramandata dai mag
principem Romanae civitatis esse, vel Hannibale giori di eleggere principe del senato il primo
iudice, victurus esset. » Quum diu certatum ver dei censori ancora viventi; - e questi era Tito
Livio 2 1 o
1 47 TITI LIVII LIBER XXVII. 1 48
bis esset, concedente collega, lectus a Sempronio Manlio Torquato. Sempronio rispondeva che
princeps in senatu Q. Fabius Maximus consul: « a quello, cui dato aveano gli dei il diritto di
inde alius lectus senatus, octo praeteritis, inter eleggere, avean pur data la libertà della scelta;
quos L. Caecilius Metellus erat, infamis auctor ch'egli lo farebbe a modo suo, ed eleggerebbe
deserendae Italiae post Cannensem cladem. In Quinto Fabio Massimo, provando che questi
equestribus quoque notis eadem servata causa ; allora era il primo cittadino di tutta Roma, anche
sed erant perpauci, quos ea infamia attingeret: a giudizio di Annibale. - Dopo molto altercare,
illis omnibus (et multi erant) adempti equi, qui cedendo il collega, Sempronio elesse principe
Cannensium legionum equites in Sicilia erant. del senato il console Quinto Fabio Massimo ; indi
Addiderunt acerbitati etiam tempus, ne praete si passò ad eleggere il senato, lasciati fuori otto
rita stipendia procederentiis, quae equo publico senatori, tra quali era Lucio Cecilio Metello, auto
emeruerant, sed dena stipendia equis privatis fa re infame, dopo la rotta di Canne, di abbandonare
cerent. Magnum praeterea numerum eorum con l'Italia. Anche nel numero dei cavalieri si tenne
quisiverunt, qui equo merere deberent, atque conto di questa stessa ragione; ma erano pochis
ex iis, qui principio eius belli septemdecim annos simi quei, cui toccasse codesta infamia. Si tolsero
nati fuerant, neque militaverant, omnes aerarios i cavalli a tutti quelli (ed eran molti) delle legioni
fecerunt. Locaverunt inde reficienda, quae circa di Canne, ch'erano in Sicilia. All'acerbità della
forum incendio consumpta erant, septem taber pena si aggiunse la pena del tempo, non volendo
mas, macellum, atrium regium. che si valutassero gli anni passati a quelli, che
aveano militato con pubblico cavallo, ma che
dovessero militare altri dieci anni con cavallo
privato. Inoltre inquisirono un gran numero
di quei, che avean debito di militare con cavallo;
e di questi coloro, che al principio della presente
guerra aveano compiuti sedici anni, nè aveano
militato, furon posti tra contribuenti. Indi die
dero a rifare gli edifizii, che l'incendio avea
consumati intorno alla piazza, cioè le sette bot
teghe, il macello e l'atrio regio.
XII. Transactis omnibus, quae Romae agenda XII. Fornito tutto quello, ch'era da farsi a
erant, consules ad bellum profecti. Prior Fulvius Roma, i consoli andarono alla guerra. Primo
praegressus Capuam: post paucos dies consecu Fulvio precedendo giunse a Capua: pochi dì dopo
tus Fabius; qui et collegam coram obtestatus, et Fabio gli tenne dietro; il quale e in presenza
per literas Marcellum, ut quam acerrimo bello scongiurò il collega, e per lettere Marcello, che
detineret Hannibalem, dum ipse Tarentum oppu con guerra più che mai viva tenessero occupato
gnaret: ea urbe adempta hosti jam undique pulso, Annibale, mentre ch'egli combatteva Taranto:
nec ubi consisteret, nec quid fidum respiceret tolta questa città al nemico da ogni parte scac
habenti, ne remorandi quidem causam in Italia ciato, e che non avrebbe dove fermarsi, nè in
fore. Rhegium etiam nuncium mittit ad prae che fidare, non gli resterebbe nè anche motivo
fectum praesidii, quod ab Laevino consule adver di rimanersi in Italia. Manda eziandio un messo
sus Bruttios ibi locatum erat, octo millia homi a Reggio al comandante di quel presidio, che
mum : pars maxima ab Agathyrna (sicut antea il console Levino avea quivi collocato di rincon
dictum est) ex Sicilia traducta, rapto vivere ho tro ai Bruzii; erano otto mila uomini, la maggior
minum assuetorum : additi erant Bruttiorum parte tratti d'Agatirna nella Sicilia, (come si è
indidem perfugae, et audacia et audendi omnia detto di sopra) gente avvezza a vivere di rapina.
necessitatibus pares. Hanc manum ad Bruttium Vi si erano similmente aggiunti parecchi disertori
primum agrum depopulandum duci jussit, inde de'Bruzii, pari nell'audacia e nella necessità di
ad Cauloniam urbem oppugnandam. Imperata tutto osare. Ordinò che questa banda fosse con
non impigre solum, sed etiam avide, exsecuti, dotta primieramente a saccheggiare il paese dei
direptis fugatisque cultoribus agri, summa vi ur Bruzii, indi ad assaltare la città di Caulonia.
bem oppugnabant. Marcellus, et consulis literis Avendo costoro eseguiti gli ordini non solamente
excitus, et quia ita in animum induxerat, nemi con prestezza, ma eziandio con ardore, mano
nem ducem Romanum tam parem Hannibali,quam messi e scacciati i coltivatori delle terre, com
se, esse, ubi primum in agris pabuli copia ſuit, ex batteano fieramente la città. Marcello e perchè
hibernis profectus, ad Canusium Hannibali occur eccitato dalle lettere del console, e perchè s'era
rit. Sollicitabat ad defectionem Canusinos Poe messo nell'animo, niun altro comandante Romano
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nus: ceterum, ut appropinquare Marcellum au tanto esser pari ad Annibale, quanto lui, come
divit, castra inde movit. Aperta erat regio, sine tosto si potè foraggiare ne'campi, uscito da quar
ullis ad insidias latebris; itaque in loca saltuosa tieri d'inverno, si fe'incontro ad Annibale a
cedere inde coepit. Marcellus vestigiis instabat, Canusio. Annibale sollecitava i Canusini a ribel
castraque castris conferebat, et, opere perfecto, larsi; ma quando intese che Marcello si avvici
extemplo in aciem legiones educebat. Hannibal, nava, levò il campo. Era il paese aperto, senza
turmatim per equites peditumque jaculatores le nascondigli da poter tendere agguati ; quindi
via certamina serens, casum universae pugnae cominciò a ritirarsi in luoghi imboschiti. Marcello
non necessarium ducebat: tractus est tamen ad gli era sempre addosso, e piantava campo incon
id, quod vita bat, certamen. Nocte praegressum tro a campo; e fornito il lavoro, usciva subito
assequitur locis planis ac patentibus Marcellus : in ordine di battaglia. Annibale, lasciando che
castra inde ponentem, pugnando undigue in mu la cavalleria ed i lancieri a piedi facessero a tor
nitores, operibus prohibet. Ita signa collata, pu me qualche leggiera scaramuccia, non istimava
gnatumque totis copiis, et, quum jam nox insta necessario venire a fatto generale; nondimeno
ret, marte aequo discessum est: castra, exiguo fu tratto alla battaglia, che schivava. La notte
distantia spatio, raptim ante noctem permunita. portatosi innanzi Marcello lo raggiunse in luoghi
Postero die luce prima Marcellus in aciem copias piani ed aperti; e mentre quegli bada a piantare
eduxit: nec Hannibal detrectavit certamen, mul il campo, questi, dando addosso da ogni parte ai
tis verbis adhortatus milites, a ut memores Tra zappatori, ne impedisce il lavoro. Quindi si venne
simeni Cannarumque, contunderent ferociam alle mani a bandiere spiegate, e si combattè con
hostis: urgere atque instare eum: non iter quie tutte le forze; ed essendo presso la notte, gli
tos facere, non castra ponere pati, non respirare eserciti si separarono a vittoria indecisa. I due
aut circumspicere: quotidie simul orientem so campi, poco distanti l'uno dall'altro furono in
lem et Romanam aciem in campis videndam esse. fretta fortificati innanzi notte. Il dì seguente, sul
Si uno proelio haud incruentus abeat, quietius far del giorno, Marcello si presentò in ordine
deinde tranquilliusque eum bellaturum. » His di battaglia, nè Annibale la ricusò, avendo con
irritati adhortationibus, simulque taedio ferociae molte parole incoraggiato i suoi: « che ricorde
hostium quotidie instantium lacessentiumque, voli del Trasimeno e di Canne rintuzzassero la
acriter proelium ineunt. Pugnatum amplius dua ferocia del nemico, nemico, che gli premeva,
bus horis est. Cedere inde ab Romanis destra ala gl'incalzava, non li lasciava camminar quieti,
et extraordinarii coepere: quod ubi Marcellus non accamparsi, non respirare, non guardarsi
vidit, duodevicesimam legionem in primam aciem attorno: ogni dì bisognava vedere ad un tempo
inducit. Dum alii trepidi cedunt, alii segniter e il sole nascente, e l'esercito Romano schierato;
subeunt, turbata tota acies est, dein prorsus fusa; se uscirà Marcello d'una battaglia bene insangui
el, vincente pudorem metu, terga dabant. Ceci nato, farà la guerra più quietamente, più tran
dere in pugna fugaque ad duo millia et septin quillamente. » Irritati i Cartaginesi da queste
genti civium sociorumque : in his quatuor Ro parole, e insieme dal tedio di un nemico feroce,
mani centuriones, duo tribuni militum, M. Li che ogni dì gl'incalzava, li provocava, appicca
einius et M. Helvius. Signa militaria quatuor de rono la zuffa rabbiosamente. Si combattè più
ala, prima quae fugit; duo de legione, quae ce di due ore; indi cominciò dalla parte dei Roma
dentibus sociis successerat, amissa. mi a cedere l'ala destra, e gli straordinarii; il che
veduto, Marcello caccia innanzi sulla fronte la
diciottesima legione. Mentre altri cedono spaven
tati, altri sottentrano lentamente, tutto l'esercito
si scompiglia, indi si sbanda interamente; e
la paura vincendo la vergogna, fuggivano. Cad
dero sul campo e nella fuga da due mila e sette
cento tra cittadini ed alleati; tra questi quattro
centurioni Romani, e due tribuni de'soldati,
Marco Licinio e Marco Elvio. Si son perdute
quattro bandiere dell'ala, che prima fuggì, e due
- della legione, ch'era sottentrata agli alleati, che
cedevano.
XIII. Marcellus, postduam in castra reditum XIII. Marcello, poi che i soldati si furon
est, concionem adeo saevam atque acerbam apud rimessi negli alloggiamenti, tenne loro un discor
so aspro tanto ed acerbo, che l' orazione del
milites habuit, ut proelio, per diem totum infeli
15 I TITI LIVII LIBER XXVII. 152

citer tolerato, tristior iis irati ducis oratio esset. corrucciato comandante riuscì ad essi più grave,
« Diis immortalibus, ut in tali re, laudes grates che la battaglia sostenuta per tutto il giorno con
que, inquit, ago, quod victor hostis, cum tanto infelice successo. « Rendo, disse, e lodi e grazie
pavore incidentibus vobis in vallum portasque, agli dei immortali, quanto il consente la circo
non ipsa castra est aggressus: deseruissetis pro stanza, che il nemico vincitore, mentre voi con
fecto eodem terrore castra, quo omisistis pu tanto spavento vi gettavate dentro allo steccato
gnam. Qui pavor hic, qui terror, quae repente, ed alle porte, non abbia assaltato gli stessi allog
qui, et cum quibus pugnaretis, oblivio animos giamenti: gli avreste certo abbandonati col me
cepit? nempeiidem sunt hi hostes, quos vincen desimo terrore, con cui lasciaste il campo di
do et victos sequendo priorem aestatem ab battaglia. Qual vi prese paura, quale sgomento,
sumpsistis; quibus dies noctesque fugientibus per come poteste in un subito dimenticare chi siete,
hos dies institistis; quos levibus proeliis fatiga e contro chi combattevate? son pur questi quegli
stis; quos hesterno die nec iter facere, nec castra stessi nemici, i quali, e vincendo e inseguendoli
ponere passi estis. Omitto ea, quibus gloriari po consumaste la scorsa estate; quelli, che dì e notte
testis: cujus et ipsius pudere ac poenitere vos fuggendo non cessaste mai d'incalzare in questi
oportet, referam: nempe, aequis manibus hester giorni; che stancaste con picciole scaramucce, che
mo die diremistis pugnam. Quid haec nox, quid non lasciaste ieri nè seguitare il lor cammino nè
hic dies attulit? vestrae his copiae imminutae accamparsi. Ommetto quello di che potete gloriar
sunt, an illorum auctae? Non equidem mihi cum vi: dirò quello bensì, di che dovete aver onta, e
exercitu meo loqui videor, mec cum Romanis mi pentimento: ieri usciste dalla battaglia con parità
litibus: corpora tantum atque arma eadem sunt. di vantaggio. Quale arrecò cangiamento questa
An, si eosdem animos habuissetis, terga vestra notte, quale questo dì ? Sono scemate forse le
vidisset hostis ? signa alicui manipulo aut cohorti vostre forze, o son cresciute quelle del nemico ?
abstulisset? Adhuc caesis Romanis legionibus In fede mia, non mi par di parlare col mio
gloriabatur. Vosilli hodierno die primum fugati esercito, nè con soldati Romani: i corpi, le armi
exercitus dedistis decus. » Clamorinde ortus, ut sole son le medesime. Se aveste avuto il solito

veniam ejus diei daret; ubi vellet, deinde expe coraggio, veduto avrebbe il nemico le vostre
riretur militum suorum animos. « Ego vero expe spalle ? avrebbe tolte le insegne a nessuna com
riar, inquit, milites: et vos crastino die in aciem pagnia, a nessuna coorte? Non si gloriava egli
educam, ut victores potius, quam victi, veniam fino a questo dì, che di aver tagliati a pezzi
impetretis, quam petitis. » Cohortibus, quaesi degli eserciti nemici, oggi per la prima volta gli
gna amiserant, hordeum dari jussit, centurio avete dato il vanto di aver fugato l'esercito.
nesque manipulorum, quorum signa amissa fue Sorse allora un grido, che si perdonasse loro il
rant, destrictis gladiis discinctos destituit; et, ut fallo di quel giorno; mettesse a prova in appresso
postero die omnes, equites, pedites, armati ades il lor coraggio, dove più volesse. « E metterollo,
sent, edixit. Ita concio dimissa fatentium, jure disse, o soldati, e domani vi condurrò sul campo,
ac merito sese increpitos; neque illo die virum acciocchè il perdono, che chiedete, l'abbiate
quemquam in acie Romana fuisse, praeter unum piuttosto vincitori, che vinti. » Ordinò, che alle
ducem ; cui aut morte satisfaciendum, aut egre coorti, le quali avran perduto le bandiere, si
gia victoria esset. Postero die ornati armatique desse orzo; i centurioni delle compagnie che le
ad edictum aderant. Imperator eos collaudat, avevan perdute, gli lasciò senza cintura colle spa
pronunciataue, « a quibus orta pridie fuga esset, de sguainate; e comandò che il seguente giorno
cohortesque, quaesigna amisissent, se in primam tutti e cavalieri e fanti si presentassero armati.
aciem inducturum. Edicere jam sese, omnibus Così fu licenziato il parlamento, confessando essi
pugnandum ac vincendum esse; et admitendum stessi d'essere stati meritamente ripresi; e che in
singulis universisque, ne prius hesterna e fugae, in quel dì non ebbe altro prode l'esercito Roma
quam hodiernae victoriae, fama Romam perve no, che il proprio comandante, a cui bisognava
miat. » Inde cibo corpora firmare jussi, ut, si lon soddisfare o colla morte, o coll'insigne vittoria.
gior pugna esset, viribus sufficerent. Ubi omnia Il di seguente si appresentarono, giusta l'ordine,
dicta factaque sunt, quibus excitarentur animi allestiti ed armati. Il comandante gli loda, e
militum, in aciem procedunt. dichiara, « che avrebbe messo nella prima fronte
i soldati, che furon primi a fuggire, e le coorti,
che avean perdute le insegne; e facea noto che
tutti aveano a combattere e vincere, e che ciascuno
da sè, e tutti insieme doveano fare ogni sforzo,
perchè non giungesse a Roma prima la notizia
153 TITI LIVII LIBER XXVII. 154
della fuga di jeri, che della vittoria di oggi. •
Indi ordinò, che si ristorassero col cibo, ac
ciocchè, se la battaglia si prolungasse, potessero
durare in forze. Come fu detto e fatto tutto quel
lo, che poteva eccitare il coraggio dei soldati,
escono in campo.
XIV. Quod ubi Hannibali nunciatum est : XIV. ll che essendo riferito ad Annibale,
« Cum eo nimirum, inquit, hoste res est, qui «Abbiam che fare, disse, con un nemico, che non
mec bonam, nec malam ferre fortunam potest. può sostener nè la buona, nè la mala fortuna: se
Seu vicit, ferociter instat victis: seu victus est, vince, insegue ferocemente i vinti, se è vinto,
instaurat cum victoribus certamen. » Signa inde rinnova la pugna coi vincitori. » Indi fe'somare
canere jussit, copias educit. Pugnatum utrimque all'arme, e trasse fuori l'esercito. Si combattè
aliquanto, quam pridie, acrius est; Poenis ad da una parte e dall'altra alquanto più fieramen
obtimendum hesternum decus admitentibus, Ro te, che il dì innanzi, sforzandosi i Cartaginesi di
manis ad demendam ignominiam. Sinistra ala ab sostener l'onore del giorno antecedente, i Ro
Romanis et cohortes, quae amiserant signa, in mani di torsi d'indosso l'onta sofferta. Dal canto
prima acie pugnabant, et legio vicesima ab dextro dei Romani combattevano nelle prime file l'ala
cornu i nstructa. L. Cornelius Lentulus et C. Clau destra e le coorti, che avean perdute le bandiere,
dius N ero legati cornibus praeerani, Marcellus e la ventesima legione posta nel corno sinistro. I
mediama aciem, hortator testisque praesens, firma legati Lucio Cornelio Lentulo, e Caio Claudio
bat. Ab Hannibale Hispani primam obtinebant Nerone comandarono dai lati; Marcello teneva
frontem, et id roboris in omni exercitu erat. forte il centro, esortatore ad un tempo e te
Quum anceps diu pugna esset, Hannibal elephan stimonio presente. Dal canto di Annibale gli
tos in primam aciem induci jussit: si quem injice Spagnuoli stavano sulla prima fronte, ed era
re ea res tumultum ac pavorem posset. Et primo questo il nerbo di tutto l'erercito. Durando la
turbarunt signa ordinesque, et partim occulcatis, pugna lungamente dubbiosa, Annibale comandò,
partim dissipatis terrore, qui circa erant, nuda che si traessero gli elefanti alie prime schiere,
verant una parte aciem: latiusque fuga manasset, se con ciò si potesse per avventura metter con
ni C. Decimius Flavus tribunus militum, signo fusione e terrore. E da principio scompigliarono
arrepto primi hastati, manipulum eius signi se gli ordini e le insegne, e parte calpestando, parte
sequi jussisset. Duxit ubi maxime tumultum con dissipando collo spavento quelli, ch'erano intor
globatae belluae faciebant, pilaque in eas conjici no, avean denudata tutta una parte di combatten
jussit. Haesere omnia tela haud difficili ex propin ti; e la fuga si sarebbe più ampiamente dilatata,
quo in tanta corpora ictu, et tam conferta turba: se Caio Decimio Flavo, tribuno de'soldati, strap
sed ut non omnes vulnerati sunt, ita, in quorum pata la bandiera di mano ad un primo astato, non
tergis infixa stetere pila (ut est genus anceps), avesse ordinato alla compagnia, di cui ell'era, di
in fugam versi etiam integros avertere. Tum jam seguitarlo. La condusse dove gli elefanti agglo
non unus manipulus, sed pro se quisque miles, merati faceano il massimo scompiglio, e comandò
qui modo assequi agmen fugientium elephanto che scagliassero lor contro i giavellotti. Questi
rum poterat, pila conjicere. Eo magis ruere in si appiccaron tutti agevolmente, lanciati da vicino
suos belluae; tantoque maiorem stragem edere, in corpi sì grossi, e in turba tanto affollata. Ma
quam inter hostes ediderant, quanto acrius pa perchè tutti non furon feriti, così quelli nel
vor consternatam agit, quam insidentis magistri cui tergo s'infissero i giavellotti (razza com'è
imperio regitur. In perturbatam transcursu bel di bestie paurosa), voltisi in fuga fecero fuggire
luarum aciem signa inferunt Romani pedites, et anche i non feriti. Allora non più una sola com
haud magno certamine dissipatos trepidantesque pagnia, ma ciascun soldato da sè, che pur poteva
avertunt Tum in fugientes equitatum immittit raggiungere lo stuolo degli elefanti che fuggiva
Marcellus, nec ante finis sequendi est factus, quam no, lanciar loro addosso giavellotti; e tanto più
incastra paventes compulsi sunt. Nam super alia, le bestie dar dentro a suoi e far rovina tanto
quae terrorem trepidationem ſue facerent, ele maggiore di quella, che avean fatto contro i ne
Phanti quoque duo in ipsa porta corruerant, mici, quanto è più pronto questo animale ala
coactique erant milites per fossam vallumque rue sciarsi trasportare dal terrore, che ad obbedire al
º incastra. Ibi maxima hostium caedes facta: comando del reggitore, che gli sta sopra. I tanti
º ad octo millia hominum, quinque elephanti. Romani si slancian dentro alle schiere scompiglia
Nec Romani, incruenta victoria fuit: mille ferme
te dal trascorrere degli elefanti; e non con molto
ҼPtingenti de duabus legionibus, et sociorum sforzo dissipate e spaventate le volgono in fuga.
155 TITI LIVII LIBER XXVII. 156

supra mille et trecentos occisi; vulnerati permul Allora Marcello scaglia la cavalleria addosso i
ti civium sociorumque. Hannibal nocte proxima fuggitivi; nè si finì d'inseguirli sino a che non
castramovit: cupientem insegui Marcellum prohi furono, pieni di paura, ricacciati dentro il campo.
buit multitudo sauciorum. Perciocchè, oltre l'altre cose, che mettean terro
re e scompiglio, due elefanti eran caduti in sulla
porta; ed i soldati erano stati costretti di balzare
entro il campo, saltando la fossa e lo steccato.
Quivi fu fatta strage grandissima de'nemici: ne
perirono da otto mila, e cinque elefanti. La vitto
ria non fu senza sangue neppur pei Romani: ne
rimasero uccisi da mille e settecento delle due
legioni, e più di mille e trecento degli alleati, e
di questi e di Romani moltissimi feriti. La notte
Annibale mosse il campo. La moltitudine del fe
riti non permise a Marcello d'inseguirlo.
XV. Speculatores, qui prosequerenturagmen, XV. Le spie mandategli dietro il dì seguente
missi, postero die retulerunt, Bruttios Hanniba-. riferirono, che Annibale si avviava verso i Bruzii.
lem petere. Iisdem fere diebus et ad Q. Fulvium Quasi in quel medesimi giorni gl'Irpini, e i Lu
consulem Hirpini, et Lucani, et Volcentes, tradi cani, e i Volscenti si diedero al console Quinto
tis praesidiis Hannibalis, quae in urbibus habe Fulvio, consegnatigli i presidii, che Annibale
bant, dediderunt sese, clementerque a consule, aveva nelle città ; e furono accolti dal console
cum verborum tantum castigatione ob errorem con clemenza, castigati solamente con parole del
praeteritum, accepti. Et Bruttiis similis spes ve passato errore. Ed anche ai Bruzii fu data simile
miae facta est: quum ab iis Vibius et Pactius fra speranza di perdono, essendo di là venuti i fra
tres, longe mobilissimi gentis ejus, eamdem, quae telli Vibio e Paczio, de' più nobili del paese, a
data Lucanis erat, conditionem deditionis peten domandare di darsi agli stessi patti, che i Lucani.
tes venissent. Q. Fabius consul oppidum in Sal Il console Quinto Fabio prese a forza Manduria,
lentinis Manduriam vi cepit: ibi ad quatuor mil castello nelle terre de'Sallentini. Quivi si son pur
lia hominum capta, et ceterae praedae aliquan presi da quattro mila uomini, e alquanto di altra
tum. Inde Tarentum profectus, in ipsis faucibus preda. Di là andato a Taranto si accampò alla
portus posuit castra. Naves, quas Livius tutandis bocca del porto. Le navi, che Livio avea seco per
commeatibus habuerat, partim machinationibus assicurare le vettovaglie, le carica parte di mac
onerat apparatuque moenium oppugnandorum, chine e di quanto occorre a batter le mura, parte
partim tormentis et saxis omnique missilium te di strumenti da trarre, e di sassi e saettume
lorum genere instruit, onerarias quoque, non d'ogni sorte; nè soltanto le navi, che vanno
cassolum, quae remis agerentur; ut alii machi con remi, ma eziandio quelle da carico, sì che
nas scalasque ad muros ferrent, alii procul ex altri portasse le macchine e le scale sin sotto le
navibus vulnerarent moenium propugnatores. mura, altri di lontano colpisse dalle navi i difen
Sae maves, ab aperto mari ut urbem aggrederen sori delle mura. Codeste navi erano disposte ed
tur, instructae parataeque sunt. Et erat liberum ordinate in guisa da assaltare la città dalla banda
mare, classe Punica, quum Philippus oppugnare del mare. Ed era il mare libero, andata la flotta
Aetolos pararet, Corcyram transmissa. In Brut Cartaginese a Corcira, poichè Filippo si dispone
tiis interim Caulonis oppugnatores, sub adven va a combattere gli Etoli. In questo mezzo nei
tum Hannibalis, ne opprimerentur, in tumulum, Bruzii, quelli che assediavano Caulonia, all'avvi
a praesenti impetu tutum, se recepere. Fabium, cinarsi di Annibale, per non essere oppressi, si
Tarentum obsidentem, leve dictu momentum ad ritirano sopra un poggio, bastantemente sicuro
rem ingentem potiundam adjuvit. Praesidium da un impeto subitano. Fabio, che assediava
Bruttiorum datum ab Hannibale Tarentini habe Taranto,fu aiutato a conseguire gran cosa da cosa
lant. Ejus praesidii praefectus deperibat amore di picciolo momento. I Tarentini aveano un
mulierculae, cujus frater in exercitu Fabii consu presidio di Bruzii, dato da Annibale. Il prefetto
lis erat. Is, certior literis sororis factus de nova di questo presidio amava perdutamente certa
consuetudine advenae, locupletis, atque interpo donnicciuola, il cui fratello era nel campo di
pulares tam honorati, spem nactus per sororem Fabio. Avvisato questi per lettere della sorella
quolibet impelli amantem posse, quid speraret, della nuova pratica stretta col forestiero, ricco e
ad consulem detulit. Quae quum haud vana co molto onorato tra suoi, venuto a speranza che
gitalio visa esset, pro perfuga jussus Tarentum si potesse col mezzo della sorella trarre codesto
157 TITI LIVII LIBER XXVII. 158

transire, acper sororem praefecto conciliatus, pri amante dove piacesse, espose al console ciò che
mo occulte animum ejus tentando, dein, satis sperava. Il che non parendo pensiero vano del
explorata levitate, blanditiis muliebribus perpu tutto, commesso colui di andare a Taranto qual
lit eum ad proditionem custodiaeloci, cui prae disertore, e fattosi per via della sorella amico
positus erat. Ubi et ratio agendae rei, et tempus del prefetto, dapprima tentando occultamente
convenit, miles, nocte per intervalla stationum l'animo di lui, poi, conosciutane abbastanza la
clam ex urbe emissus, ea, quae acta erant, quae leggerezza, a forza di carezze donnesche lo indus
que ut agerentur, convenerat, ad consulem re se a consegnare il posto, che guardava. Poi ch'eb
fert. Fabius vigilia prima, dato signo iis, qui in bero convenuto del modo di condur la cosa, e
arce erant, quique custodiam portus habebant, del tempo, il medesimo soldato, uscito la notte
ipse circuito portu ab regione urbis in orientem nascosamente della città tra gl'intervalli da una
versa occultus consedit. Canere inde tubae simul ad altra porta, riferisce al console quello, che
ab arce, simul a portu et ab navibus, quae ab s'era fatto, e quello ch'era convenuto di fare.
aperto mari appulsae erant; clamorgue undigue Fabio in su la prima veglia, dato il segnale a quei
cum ingenti tumultu, unde minimum periculi ch'erano nella rocca e che custodivano il porto,
erat, de industria ortus. Consul interim silentio fatta una giravolta, andò a mettersi occultamente
continebat suos. Igitur Democrates, qui prae alla parte della città volta a levante. Indi si udi
fectus antea classis fuerat, forte illo loco praepo rono ad un tempo stesso le trombe e dalla rocca
situs, postguam quieta omnia circa se vidit, alias e dal porto, e dalle navi, che si erano accostate
partes eo tumultu personare, ut captae urbis in dall'alto mare; e levossi a bella posta un im
terdum excitaretur clamor, veritus me inter cun menso rumore con gran tumulto dalla parte,
ctationem suam consul aliquam vim faceret, si donde ci era meno da temere. Intanto il console
gnaque inferret, praesidium ad arcem, unde ma ratteneva i suoi nel massimo silenzio. Democrate
xime terribilis accidebat sonus, traducit. Fabius, adunque, il quale innanzi era stato capitano della
quum et ex temporis spatio et ex silentio ipso flotta, posto a caso a custodire quel luogo, poi
(quod, ubi paullo ante strepebant excitantes vo che vide tutto esser quieto d'intorno a sè, e
cantesque ad arma, inde nulla accidebat vox) de l'altre parti risonare di tal tumulto, che talvolta
ductas custodias sensisset, ferri scalas ad eam par le parevan grida di città presa d'assalto, temen
tem muri, qua Bruttiorum cohortem praesidium do che mentr'egli badava, il console non facesse
agitare proditionis conciliator munciaverat, jubet. qualche forza, e spingesse innanzi le insegne,
Ea primum est captus murus, adjuvantibus reci trasporta il presidio verso la rocca, dove si udiva
pientibusque Bruttiis, et transcensum in urbem più spaventoso lo strepito. Fabio, come si accorse
est: inde et proxima refracta porta, ut frequenti e dallo spazio del tempo, e dallo stesso silenzio
agmine signa inferrentur. Tum, clamore sublato, (perciocchè di là, donde si udiva poc'anzi grida
sub ortum ferme lucis, nullo obvio armato, in re e chiamare all'armi, non più nessuna voce
forum perveniunt; omnesque undique, qui ad partiva) che s'eran levate le guardie, ordina
arcem portumque pugnabant, in se converterunt. che si portino le scale a quella parte del muro,
dove il conciliatore del tradimento avea detto
esservi il presidio dei Bruzii. Fu là, dove fu pre
so il muro dapprima, aiutati ed introdotti i nostri
dai Bruzii, poi si scese nella città; indi si ruppe
la porta vicina, onde le genti entrassero a pieno
stuolo. Allora, levato un grido, quasi allo spun
tare del giornò , senza incontrare alcuno che
fosse armato, arrivano alla piazza; e da ogni
parte rivolsero verso di sè tutti quelli, che com
battevano alla rocca ed al porto. -

XVI. Proelium in aditu fori majore impetu, XVI. Si combattè sull'ingresso della piazza
quam perseverantia, commissum est. Non animo, con più d'impeto, che di perseveranza. Non era
non armis, non arte belli, non vigore aut viribus il Tarentino pari al Romano nè per coraggio, nè
corporis, par Romano Tarentinus erat. Igitur, per armi, nè per arte di guerra, nè per forze o
pilis tantum conjectis, prius pene, quam conse vigoria di corpo. Quindi, lanciati solamente i
rerent manus,terga dederunt, dilapsique per nota giavellotti, quasi prima che venissero alle mani,
urbisitinera in suas amicorumque domos: duo ex voltaron le spalle, e dileguandosi per le note
ducibus Nico et Democrates fortiter pugnantes strade della città, n'andarono alle case loro, o
cecidere. Philemenus, qui proditionis ad Hanni degli amici. Due de'comandanti Cartaginesi, Ni
159 TITI LIVll LIBER XXVII. 16o

balem auctor fuerat, quum citato equo ex proelio cone e Democrate caddero combattendo da valo
avectus esset, vagus paullo post equus errans per rosi. Filemeno, quegli che avea ordito la ribel
urbem cognitus; corpus nusquam inventum est: lione, essendo stato trasportato fuor della mischia
creditum vulgo est, in puteum apertum ex equo dalla furia del cavallo, questo fu poi veduto an
praecipitasse. Carthalonem autem, praefectum dar vòto errando per la città; il corpo non fu
praesidii Punici, cum commemoratione paterni trovato in nessun luogo: si credette comunemen
hospitii, positis armis, venientem ad consulem, te che fosse precipitato giù da cavallo in un poz
miles obvius obtruncat. Alii alios passim sine di zo scoperto. Cartalone poi, capitano del Punico
scrimine armatos, inermes, caedunt, Carthagi presidio, mentre, deposte l'armi, se ne viene al
nienses Tarentinosque pariter. Bruttii quoque console, rammemorando l'antico paterno ospizio,
multi interfecti, seu per errorem, seu vetere in scontrato da un soldato, resta ucciso. Altri ucci
eos insito odio, seu ad proditionis famam (ut vi dono altri qua, là, senza distinzione, armati e
potius atque armis captum Tarentum videretur) disarmati, Cartaginesi e Tarentini. Furono am
exstinguendam. Tum ab caede ad diripiendam mazzati parecchi anche de'Bruzii o per errore, o
urbem discursum : millia triginta servilium ca per odio antico contro di loro, o per ammorzare
pitum dicitur capti: argenti vis ingens facti si la fama del tradimento, sì che paresse essere stato
gnatiqne; auri octoginta tria millia pondo; si preso Taranto piuttosto dalla forza e dall'armi.
gna tabùtaeque, propeutSyracusarum ornamen Indi si corse a dare il sacco alla città. Diconsi
ta aequaverint. Sed majore animo generis ejus prese trenta mila teste di schiavi; copia grande
praeda abstinuit Fabius, quam Marcellus; qui di argento coniato e lavorato, ottanta tre mila
interroganti scribae, quid fieri signis vellet (in libbre d'oro; statue e pitture tante, che quasi ag
gentis magnitudinis dii sunt, suo quisque habitu guagliarono gli ornamenti tratti da Siracusa. Ma
in modum pugnantium formati) a deos iratos Fabio si astenne da siffatta preda con più fermez
Tarentinis relinquiº jussit. Murus inde, qui ur za d'animo, che Marcello; perciocchè interrogato
bem ab arce dirimebat, dirutus est ac disjectns. da uno scrivano, che voleva si facesse delle statue
Dum haec Tarenti aguntur, Hannibal iis, qui degli dei (ed erano di colossale grandezza, vestiti
Cauloniam obsidebant, in deditionem acceptis, ciascuno alla lor foggia in atteggiamento di com
audita oppugnatione Tarenti, dies noctesque cur battenti) rispose, « che si lasciassero pure ai Ta
sim agmine acto, quum, festinans ad open fe rentini i loro dei corrucciati. » Poscia fu disfatto
rendam, captam urbem audisset; a Et Romani, ed abbattuto il muro che separava la città dalla
inquit, suum Hannibalem habent: eadem, qua rocca. Mentre si fanno a Taranto queste cose,
ceperamus, arte Tarentum amisimus. » Netamen Annibale, ricevuti a patti quelli che assediavano
fugientis modo convertisse agmen videretur, quo Caulonia, udito che il nemico batteva Taranto,
constituerat loco, quinque millia ferme ab urbe camminando, o piuttosto correndo dì e notte
posuit castra: ibi paucos moratus dies, Metapon coll'esercito, com'ebbe udito, mentre si affretta
tinos cum literis principum ejus civitatis ad Fa di soccorrerlo, ch'era stato preso; « Hanno, disse,
bium Tarentum mittit, fidem ab consule acce anche i Romani il lor Annibale : abbiamo perdu
pturos, impunita iis priora fore, si Metapontum ei to Taranto per quell'arte stessa, con cui l'aveva
cum praesidio Punico prodidissent Fabius, vera, mo conquistata. » Ma per non parere di dar volta
quae afferrent, esse ratus, diem, qua accessurus es a guisa d'uomo che fugge, pose il campo nel luo
set Metapontum, constituit; literasque ad princi go stesso, dove s'era fermato, quasi a cinque mi
pes dedit,quae ad Hannibalem delatae sunt. Enim glia dalla città. Rimasto quivi pochi di, ritirossi
vero laetus successu fraudis, si ne Fabio quidem in Metaponto. Indi manda due Metapontini a Ta
dolo invictus fuisset, haud procul Metaponto in ranto a Fabio con lettere dei principali della
sidias ponit. Fabio auspicanti prius, quam egre città ad aver promessa dal console, che non sa
deretur ab Tarento, aves semel atque iterum non rebbero puniti del passato, se gli avessero dato
addixerunt: hostia quoque caesa consulenti deos nelle mani Metaponto insieme col presidio Carta
aruspex, cavendum a fraude hostili et ab insidiis ginese. Fabio, stimando esser vero quello, che
praedixit. Metapontini, postguam ad constitutam gli si arrecava, stabilì il giorno, in cui si acco
non venerat diem, remissi, ut cunctantem hor sterebbe a Metaponto, e diede loro lettere pei
tarentur, repente comprehensi, metu gravioris principali cittadini, le quali furon portate ad
quaestionis, detegunt insidias. Annibale. Lieto questi del buon successo della
sua frode, e che anche Fabio fosse uomo da ca
dere negli agguati, ne drizza uno non discosto
da Metaponto. Fabio, consultando una e due
volte gli auspizii, innanzi che partisse da Taranto,
TITI LIVII LIBER XXVII. 162

non gli ebbe favorevoli, e consultando anche


gli dei col sagrifizio di una vittima, l'aruspice
gli disse che si guardasse dalle insidie e dalla
frode nemica. l Metapontini, poi che Fabio non
era comparso nel giorno stabilito, rispediti a
sollecitarlo di non più oltre tardare, all'improv
viso arrestati, per tema d'essere posti a grave tor
tura, palesano la trama.
XVII. Aestatis ejus principio, qua haec age XVII. Sul principio della state, in cui si face
bantur, P. Scipio in Hispania quum hiemem to vano queste cose, poi ch'ebbe Scipione consumato
tam reconciliandis barbarorum animis, partim nella Spagna tutto il verno a riconciliare gli
donis, partim remissione obsidum captivorum animi de'barbari parte con doni, parte col resti
que, absumpsisset; Edesco ad eum, clarus inter tuire gli ostaggi ed i prigioni, venne a lui Ede
duces Hispanos, venit. Erant conjux liberique scone rinomato tra i capitani Spagnuoli. Aveva
ejus apud Romanos: sed praeter eam causam egli e moglie e figliuoli in poter dei Romani; ma
etiam velut fortuita inclinatio animorum, quae oltre questa cagione vi fu anche tratto da non so
Hispaniam omnem averterat ad Romanum a Pu quale fortuita tendenza generale, che avea rivolta
nico imperio, traxit eum. Eadem causa Indibili tutta la Spagna dal dominio Cartaginese ad ac
Mandonioque fuit, haud dubie omnis Hispaniae costarsi al Romano. La stessa cagione ebbero In
principibus, cum omni popularium manu, relicto dibile e Mandonio, de'primi senza dubbio della
Hasdrubale, secedendi in imminentes castris ejus Spagna, lasciato Asdrubale, di ritirarsi con tutti
tumulos, unde per continentia juga tutus rece i suoi nelle alture, che sovrastavano al di lui
ptus ad Romanos esset. Hasdrubal, quum hostium campo, onde di colle in colle condursi secura
restantis augescere incrementis cerneret, suas mente ai Romani. Asdrubale, vedendo crescere
imminui, ac fore, ut, nisi audendo aliquid mo per tanti aumenti le forze de'nemici, scemare le
veret, qua coepissent, fluerent, dimicare quam sue, e che, se non tentasse qualche colpo ardito,
primum statuit. Scipio avidior etiam certaminis si sarebbero dileguate per la via, che aveano co
erat, quum a spe, quam successus rerum augebat, minciato, deliberò di azzuffarsi quanto più presto
tum quod prius, quam jungerentur hostium potesse. Era Scipione ancor più avido di combat
exercitus, cum uno dimicare duce exercituque, tere, e per la speranza, che il buon successo delle
quam simul cum universis, malebat. Ceterum, cose gli accresceva, e specialmente perchè in
etiam si cum pluribus pariter dimicandum foret, nanzi che gli eserciti nemici si unissero, amava
arte quadam copias auxerat: mam quum vide più di cimentarsi con un solo capitano ed eserci
ret, nullum esse navium usum, quia vacua omnis to, che ad un tempo stesso con tutti. Del resto,
Hispaniae ora classibus Punicis erat, subductis anche se avesse avuto a combattere contro più
navibus Tarracone, navales socios terrestribus nemici ad un tempo, avea coll'arte accresciute le
copiis addidit. Et armorum affatim erat capto sue forze. Perciocchè, vedendo, che le navi non
rum Carthagine, et quae post captam eam fece gli erano di nessun uso, che in tutta la costa di
rat, tanto opificum numero incluso. Cum iis Spagna non si vedeva lotta Cartaginese, tiratele
copiis Scipio, veris principio ab Tarracone egres in secco a Tarracona, aggiunse alle genti di ter
sus (jam enim et Laelius redierat ab Roma, sine ra quelle di mare. Ed aveva abbastanza d'armi, e
quo nihil majoris rei motum volebat), ducere di quelle prese a Nuova-Cartagine, e di quelle,
ad hostem pergit. Per omnia pacata eunti, ut poi che fu presa, fatte fabbricare da tanto nume
cujusque populi fines transiret, prosequentibus ro di artefici tenuti rinchiusi. Con queste forze
excipientibusque sociis, Indibilis et Mandonius sul principio di primavera uscito Scipione da
cum suis copiis occurrerunt. Indibilis proutro Tarracona (ch'era già tornato da Roma Lelio,
que locutus, haudquaquam ut barbarus stolide senza il quale non volea muover cosa d'impor
incauteque, sed potius cum verecunda gravitate, tanza) le tragge alla volta del nemico. Cammi
propiorque excusanti transitionem ut necessa nando per paesi tranquilli, seguitato ed accolto
riam, quan glorianti eam velut primam occasio da gente alleata, secondo che passava pe' confini
nem raptam. « Scire enim se, transfugae nomen di ciascun popolo, vennero a farsegli incontro
exsecrabile veteribus sociis, novis suspectum colle lor forze Indibile e Mandonio. Indibile,
esse: neque eum se reprehendere morem homi parlando a nome di ambedue, non come uomo
num, si tamen anceps odium causa, non nomen,
barbaro, stolidamente e incautamente, ma piut
faciat » Merita inde sua in duces Carthaginien tosto con modesta gravità, e più a modo di scu
º commemoravit, avaritiam contra eorum su sare qual necessario il lor passaggio alla parte
Livio 2 I I
163 TITI LIVII LIBER XXVII. 104

perbiamºue, et omnis generis injurias in se atque dei Romani, che di darsi il merito di aver colta
populares. « Itaque corpus dumtaxat suum ad questa, come prima occasione che si oſſerse,
id tempus apud eos fuisse; animum jam pridem « Sapeva, disse, che il nome di disertore era ese
ibi esse, ubi jus ac fas crederent coli. Ad deos crabile agli antichi alleati, sospetto ai nuovi; nè
quoque confugere supplices, qui nequeant homi condannar egli questo sentimento, purchè il
num vim atque injurias pati. Se id Scipionem doppio odio proceda dalla cagione, e non dal no
orare, ut transitio sibi mec fraudi apud eum, me. - Indi rammentò i loro meriti verso i co
nec honori sit: quales ex hac die experiundo co mandanti Cartaginesi, e d'altra parte la costoro
gnorit, perinde operae eorum pretium faceret. - avarizia e superbia, e le ingiustizie d'ogni sorte
Ita prorsus respondet facturum Romanus; nec praticate contro di loro, e contro i lor popolani.
pro transfugis habiturum, qui non duxerint so « Non furono pertanto sino a questo dì uniti ad
cietatem ratam, ubi mec divini quidquam, nec essi, che col corpo; era il loro cuore già da gran
humani sanctum esset. Productae deinde in con tempo colà, dove stimavano aversi in conto il
spectum iis conjuges liberique lacrymantibus dritto e la giustizia. Rifuggono supplichevoli
gaudio redduntur, atque eo die in hospitium ad agli dei anche coloro, che sostener non possono
ducti. Postero die foedere accepta fides; dimis le violenze e le ingiustizie degli uomini. Prega
sique ad copias adducendas. Iisdem deinde castris vano Scipione, che non mettesse nè a merito, nè
tendebant, donec ducibus iis ad hostem perven a demerito codesto loro passaggio: quali avver
tum est, rà che da questo dì li conosca per esperienza,
tal farà giudizio e conto delle opere loro. E farà
così veramente, risponde il Romano; nè terrà
mai per disertori coloro, che non si son creduti
legati ad una società, dove nessuna cosa ne divi
ma, nè umana si rispetta. Indi, fatte venire in
presenza le mogli ed i figliuoli di ambedue, gli
rende ad essi, che si stempravano in lagrime
d'allegrezza. In quel dì alloggiarono presso Sci
pione. L'altro giorno si strinse la ſede coll'al
leanza; e congedati si mandarono a prendere le
lorgenti. Poscia fecero coi Romani un campo so
lo, sino a tanto che dietro la loro scorta si giunse
a fronte del nemico.
XVIII. Proximus Carthaginiensium exercitus XVIII. Il più vicino esercito dei Cartaginesi
Hasdrubalis prope urbem Baeculam erat: pro era quello di Asdrubale presso la città di Becula:
castris equitum stationes habebat. In eas velites aveva dinanzi al campo alcune poste di cavalleria.
antesignanique, et qui primi agminis erant, ad Contro di queste i veliti, gli scorridori e quelli
venientes ex itinere, priusquam castris locum delle prime schiere, appena giunti e innanzi di
caperent, adeo contemptim impetum fecerunt, accamparsi, scagliaronsi con così fatta baldanza,
ut facile appareret, quid utrique parti animorum che facilmente apparve qual fosse il coraggio
esset. In castra trepida fuga compulsi equites dell'una parte e dell'altra. La cavalleria fu re
sunt, signaque Romana portis prope ipsis illata: spinta spaventata nel campo, e le insegne Roma
atque illo quidem die, irritatis tantum ad cer ne s'inoltraron quasi dentro alle porte. I Roma
tamen animis, castra Romani posuerunt. Nocte ni, non altro fatto in quel dì, che aizzare gli
Hasdrubal in tumulum copias recipit, plano cam animi alla battaglia, si accamparono. La notte
po in summo patentem: fluvius ab tergo; ante Asdrubale ritira i suoi sopra un poggio, la cui
circaque velut ripa praeceps oram ejus omnem sommità si stendeva in pianura: stavagli alle
cingebat. Suberat et altera inferior submissa fa spalle un fiumc, cui dinanzi e dintorno cingeva
stigio planities: eam quoque altera crepido haud tutto un'erta ripa. Sotto quella era un'altra pia
facilior in ascensum ambibat. In hunc inferio mura più bassa, cui fasciava un altro greto niente
rem campum postero die Hasdrubal, postguam più facile a salire. In questo piano inferiore
stantem pro castris hostium aciem vidit, equites Asdrubale, il dì seguente, poi che vide l'esercito
Numidas, leviumque armorum Baliares et Afros nemico starsi di fronte al suo campo, fe discen
demisit. Scipio, circumvectus ordines signaque, dere la cavalleria de Numidi, e i Baleari, e gli
ºstendebat, « hostem, praedamnata spe aequo Africani armati alla leggera. Scipione, girando
di ricandi campo, captantem tumulos, loci fidu intorno agli ordini e alle bandiere, mostrava lo
ria, non virtutis armorumque, stare in conspe ro « il nemico, che perduta la speranza di poter
165 TITI LIVII LIBER XXVII. i Go

ctu. Sed altiora moenia habuisse Carthaginem, reggere in campo aperto, prendendo i poggi,
quae transcendisset miles Romanus: nec tumu stava loro in fronte, più per fidanza nel sito, che
los, nec arcem, ne mare quidem armis obstitisse nel coraggio e nell'armi. Ma ben ebbe Nuova
suis. Ad id fore altitudines, quae cepissent ho Cartagine mura più alte, che pur avea superate
stes, ut per praecipitia et praerupta salientes fu il soldato Romano. Non avean resistito all'armi
gerent: eam quoque se illis fugam clausurum. » loro nè i poggi, nè la rocca, nè il mare istesso.
Cohortesque duas, alteram tenere fauces vallis, I nemici avean preso quelle alture, onde fuggire
per quan deferretur amnis, jubet; alteram, viam attraverso di precipizii e di rupi, ma chiuderebbe
insidere, quae ab urbe per tumuli obliqua in loro anche quella via di fuggire. » Quindi ordi
agros ferret. Ipse expeditos, qui pridie stationes ma che due coorti, una tenga la bocca della
hostium pepulerant, ad levem armaturam, infi valle, per cui correva il fiume, l'altra si pianti
mo stantem supercilio, ducit. Per aspreta primo, sulla strada, che serpeggiando pel colle dalla
nihil aliud quam via impediti, iere: deinde, ut città mette nel campo. Egli, le genti più leste,
sub ictum venerunt, telorum primo omnis ge che il di innanzi avean cacciato il nemico dalle
neris vis ingens effusa est in eos: ipsi contra, poste, le conduce a combattere quei di leg
saxa, quae locus strata passim, omnia ferme mis gera armatura che si stavano sul ciglione più
silia, praebet, ingerere, non milites solum, sed basso. Dapprima andarono per luoghi alpestri,
etiam turba calonum immixta armatis. Ceterum, senz'altro impedimento, che quello della strada:
quamquam adscensus difficilis erat, et prope ob poi, come furono a tiro, primieramente si lanciò
ruebantur telis saxisque, assuetudine tamen suc contro di loro un nembo di giavellotti d'ogni
cedendi muros, et pertinacia animi, subierunt sorte: esssi all'incontro, nè soltanto i soldati, ma
primi. Qui, simul cepere aliquid aequi loci. ubi i saccomanni misti agli armati scagliavan sassi,
firmo consisterent gradu, levem et concursato di che aveano copia a lor piedi, quasi tutti buoni
rem hostem, atque intervallo tutum, quum pro da trarre. Del resto, benchè la salita fosse difficile,
cul missilibus pugna eluditur, instabilem eum e fossero quasi soverchiati dalle pietre e dai dar
dem ad cominus conserendas manus, expulerunt di, nondimeno e per l'abitudine di salir le mura,
loco, et cum caede magna in aciem altiori super e per la pertinacia dell'animo, primi montarono.
stantem tumulo impegere. Inde Scipio, jussis I quali, poi ch'ebbero preso alquanto del piano,
adversus mediam evadere aciem victoribus, ce dove fermare il piede, scacciarono dal luogo un
teras copias cum Laelio dividit; atque eum parte nemico, agile sì e scorridore, e difeso dalla di
dextra tumuli circumire, donec mollioris ascen stanza, quando si scaramuccia da lontano con ar
sus viam inveniret, jubet: ipse ab laeva, circuitu mi da tiro, ma non fermo, se si vien dappresso
haud magno, in transversos hostes incurrit. Inde alle mani; e lo respinsero con grande strage sino
primo turbata acies est, dum ad circumsonantem a suoi, che si stavano sul poggio superiore. Quin
undigue clamorem flectere cornua et obvertere di Scipione, ordinando che i vincitori si facessero
ordines volunt. Hoc tumultu et Laelius subiit, largo per mezzo alla schiera nemica, divide l'al
et, dum pedem referunt, ne ab tergo vulneraren tre genti tra sè e Lelio, e gli commette che giri
tur, la xata prima acies, locusque ad evadendum intorno al poggio dalla parte destra sino a tanto,
et mediis datus est; qui per tam iniquum locum, che trova la salita più dolce : egli a sinistra, fatto
stantibus integris ordinibus, elephantisque ante non lungo circuito, piomba per fianco addosso
signa locatis, numquam evasissent. Quum ab a'nemici. Quivi cominciò a scompigliarsi la lor
omni parte caedes fieret, Scipio, qui laevo cornu gente, mentre alle grida che risonavan d'intorno
in dextrum incucurrerat, maxime in nuda ho vogliono girare le lorale, e voltare gli ordini. In
stium latera pugnabat. Et jam ne fugae quidem mezzo a questo tumulto sopravvenne anche Lelio;
patebat locus: nam et stationes utrimdue Ro e mentre si ritraggono indietro per non essere
manae dextra laevaque insederant vias, et por colpiti alle spalle, la prima schiera si diradò, e
tam castrorum ducis principumque fuga clause diede quindi spazio a quei di mezzo di spingersi
rat; addita trepidatione elephantorum, quos ter oltre; il che non avrebbon potuto fare in luogo
ritos aeque atque hostes timebant, Caesa igitur tanto svantaggioso, tenendo intatti gli ordini, e
ad octo millia hominum. fermi gli elefanti collocati innanzi alle bandiere,
Facendosi da ogni parte gran macello, Scipione,
che dall'ala sinistra era corso addosso alla destra,
combatte specialmente i fianchi del nemico denu
dati. E già non restava nè anche luogo a fuggire;
perciocchè le poste Romane s'erano piantate sul
le due strade a destra ed a sinistra, e la fuga del
i 67 TITI LIVIl LlBER XXVII. i 68

comandante e dei capi dell'esercito avea chiusa


la porta del campo; aggiuntovi l'infuriare degli
elefanti, che spauriti mettean loro tanto spavento,
quanto gli stessi nemici. Restarono adunque mor
ti da otto mila nemici.
XIX. Hasdrubal, jam antequam dimicaret, pe XIX. Già Asdrubale, avanti che si combattes
cunia rapta, elephantisque praemissis, quam plu se, portato via il denaro, e mandati innanzi gli
rimos poterat de fuga excipiens, praeter Tagum elefanti, raccogliendo quanti più potè fuggitivi,
flumenad Pyrenaeum tendit. Scipio castris hostium s'era avviato di là dal Tago verso i Pirenei. Sci
potitus, quum praeter libera capita omnem prae pione, impadronitosi degli alloggiamenti nemici,
dam militibus concessisset, in recensendis captivis conceduta ai soldati, eccetto le teste libere, tutta
decem milliapeditum, duo millia equitum in venit. l'altra preda, nell' annoverare i prigioni trovò
Ex iis Hispanossine pretio omnes domum dimisit: dieci mila fanti e due mila cavalieri, de quali
Afros vendere quaestorem jussit. Circumfusa inde rimandò a casa senza prezzo tutti gli Spagnuoli.
multitudo Hispanorum, et ante deditorum, et Ordinò al questore che vendesse gli Africani.
pridie captorum, regem eum ingenti consensu Indi la moltitudine degli Spagnuoli che si erano
appellavit. Tum Scipio, silentio per praeconem già prima arresi, non che di quelli che furono
facto, « sibi maximum nomen imperatoris esse, presi il giorno innanzi, affollatasi intorno a Sci
dixit, quo se milites sui appellassent. Regium no pione, ad una voce salutollo re. Allora Scipione,
men alibi magnum, Romae intolerabile esse: re fatto intimare silenzio dal banditore, si era, disse,
galem animum in se esse si id in hominis ingenio per lui grandissimo, più ch'altro mai, il titolo
amplissimum ducerent, tacite judicarent: vocis d'imperatore, che gli avean dato i suoi soldati;
usurpatione abstinerent. - Sensere etiam barbari il titolo di re, grande altrove, era insopportabile
magnitudinem animi, cujus miraculo nominis a Roma. Se l'aver egli anima regale stiman esser
alii mortales stuperent, id ex tam alto fastigio cosa in uomo sommamente pregiabile, tacita
aspernantis. Dona inde regulis principibusque mente il pensino, ma si astengano dal far uso di
Hispanorum divisa, et ex magna copia captorum tal nome. m Conobbero anche i barbari la gran
equorum trecentos, quos vellet, eligere Indibilem dezza dell'animo di lui, che quel nome, che gli
jussit. Quum Afros venderet jussu imperatoris altri udivano con ammirazione e stupore, egli
quaestor, puerum adultum inter eos forma insi da cotanta altezza sua dispregiava. Poi divise i
gni, quum audisset regii generis esse, ad Scipio doni ai picciolire e signori della Spagna, e disse
mem misit. Quem quum percunctaretur Scipio, ad Indibile che del gran numero de cavalli pre
«quis, et cujas, et curid aetatis in castris fuisset? si trecento ne scegliesse a grado suo. Mentre che
Numidam esse, ait, Massivam populares vocare: il questore vendeva gli Africani per ordine del
orbum a patre relictum, apud maternum avum comandante, scorto tra questi un fanciullo adul
Galam, regem Numidarum, eductum, cum avun to di esimia bellezza, udito ch' egli era di stirpe
culo Masinissa, qui nuper cum equitatu subsidio regale, mandollo a Scipione. Questi avendolo in
Carthaginiensibus venisset, in Hispaniam traje terrogato a chi, e donde fosse, e perchè di quel
cisse. Probibitum propter aetatem a Masinissa, l'età si trovasse al campo, rispose egli esser Nu
munquam ante proelium iniisse. Eo die, quo pu mida, chiamarlo i suoi Massiva: lasciato orfano
gnatum cum Romanis esset, inscio avunculo, clam dal padre, essere stato allevato presso l'avolo
armis equoque sumpto, in aciem exisse: ibi pro materno Gala, re dei Numidi, e quindi tratto in
lapso equo effusum in praeceps, captum ab Ro Ispagna insieme con suo zio Masinissa, ch'era
mamis esse. ” Scipio, quum asservari Numidam venuto di fresco colla cavalleria in aiuto dei
jussisset, quae pro tribunali agenda erant, per Cartaginesi; che impedito per l'età da Masinis
agit. Inde, quum se in praetorium recepisset, vo sa, non era mai per l'innanzi uscito a battaglia ;
catum eum interrogat, « velletne ad Masinissam ma in quel dì, che s'era combattuto coi Romani,
reverti ? » Quum, effusis gaudio lacrymis, a cu preso di nascosto senza saputa dello zio un ca
pere vero, diceret; tum puero annulum aureum, vallo e l'armi, era venuto in campo: quivi, ro
tunicam lato clavo, cum Hispano sagulo et aurea vesciato giù da cavallo, era stato fatto prigione
fibula, equumque ornatum donat, jussisque pro dai Romani. » Scipione, dato ordine che il Nu
sequi, quoad vellet, equitibus dimisit. mida fosse guardato, compiè quello, che gli re
stava a fare sedendo in tribunale. Poscia, rimes
sosi nella sua tenda, fattolo chiamare, gli doman
da, « se bramava di tornare a Masinissa? ” Co
m'ebbe risposto, piangendo a dirotto per alle
169 TITI LIVII LIBER XXVII. 17o

grezza, che veramente bramava, º allora Scipione


doma al fanciullo un anello d'oro, una tunica col
lato-clavo, un mantello alla Spagnuola, una fib
bia d'oro, ed un cavallo riccamente bardato, e il
lasciò andare, fattolo scortare da cavalieri fin
dove volesse.
XX. De bello inde consilium babitum; et, XX. Indi si tenne consiglio di guerra; e pro
auctoribus quibusdam, ut confestim Hasdrubalem ponendo taluni che Scipione inseguisse subito
consequeretur, anceps id ratus, ne Mago atque Asdrubale, egli stimando esservi pericolo che
Hasdrubal cum eo jungerent copias, praesidio Magone ed Asdrubale unissero insieme le loro
tantum ad insidendum Pyrenaeum misso, ipse forze, spedito solamente un presidio a guardare
reliquum aestatis recipiendis in fidem Hispaniae il passo de' Pirenei, consumò il restante della
populis absumpsit. Paucis post proelium factum state a ricevere in amicizia i popoli della Spagna.
ad Baeculam diebus, quum Scipio, rediens jam Pochi giorni dopo la battaglia di Becula, mentre
Tarraconem, saltu Castulonensi excessisset, Has Scipione, ritornando a Tarracona, era appena
drubal Gisgomis filius et Mago imperatores ex fuori degli stretti di Castulona, Asdrubale figlio
ulteriore Hispania ad Hasdrubalem venere, serum di Giscone, e Magone, comandanti, vennero dalla
post male gestam rem auxilium ; consilio in ce Spagna ulteriore ad Asdrubale, tardo soccorso do
tera exsequenda belli haud parum opportuni. Ibi po la rotta avuta, non però fuor di tempo per
conferentibus, quid in cuiusque provinciae regio consigliarsi intorno alle altre operazioni della
me animorum Hispanis esset, unus Hasdrubal Gi guerra. Quivi conferendo insieme, qual fosse in
sgonis, ultimam Hispaniae oram quae ad Oceanum cadaun paese della Spagna la disposizione degli
et Gades vergit, ignaram adhuc Romanorum es animi, il solo Asdrubale di Giscone opinava che
se, eo que Carthaginiensibus satisfidam, censebat. l'ultima costa di Spagna, che guarda l'Oceano e
Inter Hasdrubalem alterum et Magonem consta Cadice, non avesse ancora notizia dei Romani,
bat, - beneficiis Scipionis occupatos omnium ani e quindi fosse tuttora fedele ai Cartaginesi. L'al
mos publice privatim que esse; nec transitionibus tro Asdrubale e Magone si accordavano a pensa
finem ante fore, quam omnes Hispani milites aut re, « che i benefizii di Scipione avean guadagnati
in ultima Hispaniae amoti, aut traducti in Gal gli animi di tutti e in pubblico e in privato; nè
liam forent. Itaque, etiamsi senatus Carthaginien avrebbon fine le ribellioni sino a tanto che tutti
sium non censuisset, eundum tamen Hasdrubali i soldati Spagnuoli non fossero o confinati nelle
fuisse in Italiam, ubi belli caput rerumque summa spiagge ultime della Spagna, o trasportati nella
esset; simul, ut Hispanos omnes procul ab nomi Gallia. Quindi, sebbene il senato Cartaginese non
ne Scipionis ex Hispania abduceret. Exercitum lo avesse deliberato, avrebbe dovuto Asdrubale
ejus, cum transitionibus, tum adverso proelio im andare in Italia, dov'era il centro e il forte del
minutum, Hispanis repleri militibus. Et Mago la guerra, e per trar fuori di Spagna tutti gli Spa
nem, Hasdrubali Gisgonis filio tradito exercitu, gnuoli lungi dal nome di Scipione, e per riem
ipsum cum grandi pecunia ad conducenda mer piere il suo esercito, diminuito dalle ribellioni e
cede auxilia in Baliares trajicere. Hasdrubalem dalle sconfitte, di soldati Spagnuoli; che Magone,
Gisgonis cum exercitu penitus in Lusitaniam a consegnato l'esercito ad Asdrubale, figlio di Gi
bire, nec cum Romanis manus conserere. Masinis scone, passasse con grandi somme di danaro
sae ex omni equitatu, quod roboris esset, tria alle isole Baleari ad assoldare rinforzi; che Asdru
millia equitum expleri; eumque vagum per cite bale di Giscome si mettesse coll'esercito ben ad
riorem Hispaniam sociis opem ferre, hostium op dentro nella Lusitania, nè si azzuffasse coi Roma
pida atque agros populari. » His decretis, ad ex ni; che si desse in supplemento a Masinissa tre
sequenda, quae statuerant, duces digressi. Haec mila cavalli del nerbo dell'esercito, e ch'egli,
eo anno in Hispania acta. Romae fama Scipionis scorrendo la Spagna citeriore, soccorresse gli al
in dies crescere. Fabio Tarentum captum astu leati, e saccheggiasse le città e le terre dei nemi
magis, quam virtute, gloriae tamen esse: Fulvii ci. » Prese queste determinazioni, i capitani par
senescere fama: Marcellus etiam adverso rumore tirono ad eseguirle. Questo è quello, che in quel
esse, super quam quod primo male pugnaverat, l'anno si è fatto nella Spagna. A Roma la fama
quia, vagante per Italiam Hannibale, media ae di Scipione ogni dì più cresceva. Taranto, preso
state Venusiam in tecta milites abduxisset. Ini da Fabio più coll'astuzia, che col valore, pure
micus erat ei C. Publicius Bibulus tribunus ple
gli tornava a lode. Il nome di Fulvio andava
bis Is jam a prima pugna, quae adversa fuerat, invecchiando. Contro Marcello ci era eviandio
assiduis concionibus infamem invisumque plebi qualche mala voce, perchè, oltre l'aver da prin
171 TITI LIVII LIBER XXVII. 172

Claudium fecerat, et jam de imperio abrogando cipio infelicemente combattuto, avea di mezza
ejus agebat : quum tamen necessarii Claudii ob state messi i soldati a quartieri in Venosa, mentre
tinuerunt, ut, relicto Venusiae legato, Marcellus intanto Annibale scorreva per tutta Italia. Gli
Romam rediretad purganda ea, quae inimici de era nemico Caio Publicio Bibulo, tribuno della
cernerent; nec de imperio eius abrogando, ab plebe, e già dal primo fatto che gli era stato con
sente ipso, ageretur. Forte sub idem tempus et trario, avea sempre nelle concioni diffamato
Marcellus ad deprecandam ignominiam, et Q. Claudio, e fattolo odioso alla plebe, e già si tratta
Fulvius consul comitiorum causa Romam venit. va di ritorgli il comando; se non che i di lui pa
renti ottennero, che lasciato a Venosa il suo lega
to, Marcello tornasse a Roma a purgarsi dalle
accuse degli avversarii, nè si trattasse, assente lui,
di richiamarlo. A caso in quel dì medesimi ven
nero a Roma, Marcello per isgravarsi di quel
l'onta, e il console Quinto Fulvio per tenere i
comizii.
XXI. Actum de imperio Marcelli in circo Fla XXI. La causa di Marcello fu trattata nel circo
minio est ingenti concursu plebisque et omnium Flaminio con gran concorso della plebe, e di tutti
ordinum; accusavitoſue tribunus plebis, non Mar gli ordini. Ed accusò il tribuno della plebe non il
cellum modo, sed omnem nobilitatem. « Fraude solo Marcello, ma insieme tutta la nobiltà. . Egli
eorum et cunctatione fieri, ut Hannibal decimum è avvenuto per loro frode, per loro indugio, se
jam amnum Italiam provinciam habeat: diutius Annibale da dieci anni si ritiene l'Italia; visse
ibi, quam Carthagine, viverit. Habere fructum quivi più lungo tempo, che a Cartagine. Il popo
imperii prorogati Marcello populum Romanum : lo Romano ben coglie il frutto di aver prorogato
bis caesum exercitum ejus aestiva Venusiae sub il comando a Marcello, il cui esercito sconfitto
tectis agere. » Hanc tribuni orationem ita obruit due volte passa la state a Venosa nel quartieri. ”
Marcellus commemoratione rerum suarum, ut Marcello atterrò sì fattamente questo discorso
non rogatio solum de imperio eius abrogando del tribuno col rammentare le cose, che aveva
antiquaretur, sed postero die consulem eum in fatte, che non solo si rigettò la proposta di ritor
genti consensu centuriae omnes crearent. Additur gli il comando, ma il dì appresso tutte le centurie
collega T. Quintius Crispinus, qui tum praetor con grande consentimento lo crearono console.
erat. Postero die praetores creati P. Licinius Cras Se gli aggiunse a collega Tito Quincio Crispino,
sus Dives, pontifex maximus, P. Licinius Varus, ch'era in quel tempo pretore. L'altro giorno
Sex. Julius Caesar, Q. Claudius Flamen. Comi furon creati pretori Publio Licinio Crasso Ricco,
tiorum ipsorum diebussollicita civitas de Etruriae pontefice massimo, Publio Licinio Varo, Sesto
defectione fuit. Principium ejus rei ab Arretinis Giulio Cesare, Quinto Claudio Flamine. Ne gior
fieri, C. Calpurnius scripserat, qui eam provin ni stessi de'comizii la città fu in travaglio, temen
ciam pro praetore obtinebat. Itaque confestimeo do della defezione della Toscana. Avea Caio
missus Marcellus, consul designatus, qui rem Calpurnio, ch'era vicepretorein quella provincia,
inspiceret, ac, si digna videretur, exercitu accito. scritto, che la prima mossa era venuta da quei di
bellum ex Apulia in Etruriam transferret. Eo Arezzo. Quindi fu subito colà mandato Marcello,
metu compressi Etrusci quieverunt. Tarentino eletto console, perchè esaminasse la cosa, e se gli
rum legatis pacem petentibus cum libertate ac paresse meritarlo, richiamato l'esercito, trasferis
legibus suis responsum ab senatu est, ut redirent, se la guerra dalla Puglia nella Toscana. Compresi
quum Fabius consul Romam venisset. Ludi et dal timore, che n'ebbero, i Toscani si acqueta
Romani et plebeji eo anno in singulos dies instau rono. Ai legati dei Tarentini, chiedenti la pace e
rati. Aedilescurules fuere L. Cornelius Caudinus insieme la libertà e leggi loro, fu risposto dal
et Ser. Sulpicius Galba: plebeji C. Servilius et Q. senato che tornassero, quando il console Fabio
Caecilius Metellus. Servilium negabant jure aut fosse venuto a Roma. In quell'anno si rinnova
tribunum plebis fuisse, aut aedilem esse; quod rono i giuochi Romani ed i plebei, ciascuno per
patrem ejus, quem triumvirum agrarium occisum un giorno. Furono edili curuli Lucio Cornelio
a Boiis circa Mutinam esse opinio per decem an Caudino e Sergio Sulpicio Galba, edili della
nos fuerat, vivere, atque in hostium potestate plebe Caio Servilio e Quinto Cecilio Metello,
esse, satis constabat. Negavano che Servilio fosse stato legalmente
eletto dalla plebe e fosse edile, perchè si sapeva
che il di lui padre, uno dei triumviri agrarii, di
cui da dieci anni era corsa voce che fosse stato
173 'l'ITI LIVII LIBER XXVII. 174
ucciso dai Boi sotto Mutina, vivea tuttora, ed era
in potere dei nemici.
XXII. (Anno U. C.544. – A. C. 2o8) Unde XXII. (Anni D. R. 544. – A. C. 2o8.) L'ammo
cimo anno Punici belli consulatum imierunt M. undecimo della guerra Cartaginese presero il
Marcellus quintum (ut numeretur consulatus, consolato Marco Marcello per la quarta volta (an
quem vitio creatus non gessit) et T. Quintius noverando quello che non esercitò, perchè vi fu
Crispinus. Utrisque consulibus Italia decreta pro difetto nella elezione) e Tito Quincio Crispino.
vincia est, et duo consulares prioris anni exer Ad entrambi fu assegnata l'Italia, e i due eserciti
citus (tertius tum erat Venusiae, cui M. Marcel consolari dell'anno antecedente (il terzo, già
lus praefuerat), ita utex tribus eligerent duo, quos comandato da Marco Marcello, era allora a Ve
vellent; tertius ei traderetur, cui Tarentum et nosa), così però, che dei tre si scegliessero quei
Sallentini provincia evenisset. Ceterae provin due, che più volessero; il terzo si desse a quello,
ciae ita divisae praetoribus: P. Licinio Varo ur cui fosse toccato Taranto e il paese dei Sallentini.
bana, P. Licinio Crasso pontifici maximo pere Le altre province furono ripartite ai pretori,
grina, et quo senatus censuisset; Sex. Julio Cae come segue. La pretura urbana fu data a Publio
sari Sicilia, Q. Claudio Flamini Tarentum. Pro Licinio Varo, la forestiera a Publio Licinio
rogatum imperium in annum est Q. Fulvio Flac Crasso, pontefice massimo, con che si avesse a
co, ut provinciam Capuam, quae T. Quintii prae recare, dove piacesse al senato; la Sicilia a Sesto
toris fuerat, cum una legione obtineret. Proro Giulio Cesare, a Quinto Claudio Flamine Taran
gatum et C. Hostilio Tubulo est, ut pro praetore to. Si prorogò il comando per un anno a Quinto
in Etruriam ad duas legiones succederet C. Cal Fulvio Flacco, perchè con una legione tenesse
purnio: prorogatum et L. Veturio Philoni est, Capua, dov'era il pretore Tito Quincio, e si
pro praetore Galliam eamdem provinciam cum prorogò parimenti a Caio Ostilio Tubulo, accioc
iisdem duabus legionibus obtineret, quibus prae chè succedesse vicepretore in Toscana a Caio
tor ob tinuisset. Quod in L. Veturio, idem in C. Calpurnio nel comando di due legioni; e così fu
Aurunculejo decretum ab senatu, latumque de prorogato a Lucio Veturio Filone, acciocchè vi
prorogando imperio ad populum est, qui praetor cepretore tenesse la Gallia con le due medesime
Sardiniam provinciam cum duabus legionibus ob legioni, con cui l'avea tenuta pretore. Quello che
tinuerat: additae ei ad praesidium provinciae il senato decretò per Lucio Veturio, quello fu
quinquaginta naves, quas P. Scipio ex Hispania pur decretato per Caio Arunculeio, e fu propo
misisset. Et P. Scipioni, et M. Silano, suae Hispa sto al popolo, che gli si prorogasse il comando
niae, suique exercitus in annum decreti. Scipio della Sardegna con le due legioni, che aveva
ex octoginta mavibus, quas aut secum ex Italia ad avute: se gli aggiunsero a rinforzo cinquanta na
ductas aut captas Carthagine habebat, quinqua vi, che Scipione avea mandate di Spagna. E si
ginta in Sardiniam transmittere jussus, quia fama assegnarono per un anno a Publio Scipione e a
crat, magnum navalem apparatum eo anno Car Marco Silano le loro Spagne e i loro eserciti.
lhagine esse; ducentis navibus omnem oram lta Delle ottanta navi, che Scipione avea o seco
liae, Siciliaeque, ac Sardiniae impleturos. Et in tratte dall' Italia, o prese a Nuova-Cartagine
Sicilia ita divisa res est. Sex. Caesari exercitus ebbe ordine di mandarne cinquanta in Sardegna,
Cannensis est datus: M. Valerius Laevinus (ei quo perchè era fama, che si facesse in Cartagine
que enim prorogatum imperium est) classem, quae grande apparato navale, e con dugento legni
ad Siciliam erat, navium septuaginta obtineret: avrebbono empiute tutte le coste d'Italia, e di
adderet eo triginta naves, quae ad Tarentum Sicilia, e di Sardegna. Ed in Sicilia s'era fatto
priore anno fuerant: cum ea centum navium questo ripartimento. L'esercito di Canne fu dato
classe, si videretur ei praedatum in Africam traji a Sesto Cesare; che Marco Valerio Levino (chè fu
ceret. Et P. Sulpicio, ut eadem classe Macedo a lui pure continuato il comando) avesse la flotta
miam Graeciamdue provinciam haberet, proro di settanta navi, ch'era in Sicilia; e vi si aggiun
gatum in annum imperium est. De duabus, quae gesse le trenta navi, ch'erano state a Taranto
ad urbem Romam fuerant, legionibus nihil mu l'anno innanzi: con questa armata di cento le
tatum : supplementum, quo opus esset, scriberent gni, se gli paresse, passasse a depredare l'Africa.
consules permissum. Una et viginti legionibus eo Si prorogò il comando per un anno anche a Pu
anno defensum imperium Romanum est. Et P. blio Sulpicio, acciocchè colla sua flotta tenesse la
Licinio Varo praetori urbis negotium datum, Macedonia e la Grecia. Non si fe nessun can
- ut naves longastriginta veteres reficeret, quae giamento quanto alle due legioni, ch'erano pres
Cstiae erant, et viginti novas naves sociis navali so a Roma: i consoli levassero quel supplemento,
bus impleret; ut quinquaginta navium classe o che abbisognasse. Il Romano impero fu in quel
i 75 TITI LIVII LIBER XXVII. 176

rammaris vicinam urbi Romanae tueri posset. » l'anno difeso con vent' una legione. E fu com
C. Calpurnius vetitus ab Arretio movere exerci messo a Publio Licinio Varo pretore urbano,
tum, misi quum successor venisset. Idem et Tu « che racconciasse le trenta vecchie navi grosse,
bulo imperatum, ut inde praecipue caveret, ne ch'erano ad Ostia, ed altre venti nuove ne for
qua nova consilia caperemtur. nisse di gente, onde con una flotta di cinquanta
legni potesse difendere tutta la costa marittima
vicina a Roma. » A Caio Calpurnio fu vietato
muover l'esercito da Arezzo, se prima non fosse
venuto il successore. Lo stesso fu ordinato a Tu
bulo, e sopra tutto badasse, che da quella parte
non si machinasse qualche novità.
XXIII. Praetores in provincias profecti: con XXIII. I pretori andarono alle loro province.
sules religio tenebat, quod, prodigiis aliquot nun I consoli erano trattenuti da motivi di religione,
ciatis, non facile litabant. Et ex Campania nun perciocchè, annunziati parecchi prodigii, l'espia
ciata erant, Capuae duas aedes, Fortunae et Mar zione non riusciva a dovere. Dalla Campania era
tis, et sepulcra aliquot de coelo tacta. Cumis stato riferito, che a Capua il fulmine avea colpito
(adeo minimis etiam rebus prava religio inserit i due tempii della Fortuna e di Marte, ed alcuni
deos) mures in aede Jovis aurum rosisse. Casini sepolcri, che a Cuma (così la superstizione me
examen apium ingens in foro consedisse; et O scola gli dei anche nelle cose più meschine) nel
stiae murum portamque de coelo tactam. Caere tempio di Giove i topi aveano roso l'oro; che
vulturium volasse in aedem Jovis: Volsiniis san a Casino uno sciame grande di api s'era fermato
guine lacum manasse. Horum prodigiorum causa in sulla piazza; che il muro e la porta di Ostia
diem unum supplicatio fuit. Per dies aliquot ho erano stati fulminati; che a Cere un avoltoio era
stiae majores sine litatione caesae, diuque non volato nel tempio di Giove; che ne' Vulsini il
impetrata pax deim. In capita consulum, repu lago era corso sangue. A motivo di questi prodigii
blica incolumi, exitiabilis prodigiorum eventus ci furono precipubbliche per un giorno. S'im
vertit. Ludi Apollinares, A. Fulvio, Ap. Claudio molarono per alquanti di vittime maggiori, ma
consulibus, a P. Cornelio Sulla praetore urbis senza buon effetto; e scorse assai tempo innanzi
primum facti erant. Inde omnes deinceps prae che gli dei si placassero. L'infausto evento dei
tores urbani fecerant: sed in unum annum vove prodigii si rovesciò sul capo dei consoli, salva
bant, dieque incerta faciebant. Eo anno pestilen la repubblica. I giuochi Apollinari erano stati
tia gravis incidit in urbem agrosque ; quae ta celebrati la prima volta dal pretore Publio Cor
men magis in longos morbos, quam in pernicia nelio Silla, sotto il consolato di Quinto Fulvio e
les, evasit. Ejus pestilentiae causa et supplicatum di Appio Claudio. D'indi in poi tutti i pretori
per compita tota urbe est, et P. Licinius Varus urbani gli aveano celebrati; ma ne faceano il voto
praetor urbis legem ferread populum jussus, ut hi ogni anno, e non li celebravano in giorno deter
ludi in perpetuum in statam diem voverentur. minato. In quest'anno grave pestilenza assalì
Ipse primus ita vovit, fecit Iue ante diem tertium Roma e il contado; riuscì piuttosto in lunghe,
Nonas Quinctiles. Is dies deinde solemnis servatus. che in mortali malattie. Per questa pestilenza si
fecero processioni per tutte le contrade di Roma;
e Publio Licinio Varo, pretore urbano, ebbe or
dine di proporre al popolo che questi giuochi
si dovessero votivamente celebrare in perpetuo
in un dì determinato. Primo egli ne fece il voto,
e li celebrò i cinque di Luglio. Questo giorno
fu in appresso ritenuto sempre solenne.
XXIV. De Arretinis et fama in dies gravior, XXIV. Dagli Aretini ogni dì più crescevano
et cura crescere Patribus. Itaque C. Hostilio scri le male nuove, e con esse il pensiero de'Padri.
ptum est, ne differret obsides ab Arretinis acci Fu dunque scritto a Caio Ostilio, che non tar
pere; et, cui traderet Romam deducendos, C. dasse a pigliare ostaggi da loro; e si mandò Caio
Terentius Varro cum imperio missus: qui ut ad Terenzio Varrone, cui li consegnasse per tradurli
venit, extemplo Hostilius legionem unam, quae a Roma. Giunto Varrone, Ostilio subito comandò
ante urbem castra habebat, signa in urbem ferre che la legione, la quale era accampata presso la
jussit, praesidiaquelocis idoneis disposuit; tum porta, entrasse in città, e dispose guardie me luo
in foro citatis senatoribus obsides impetravit. ghi opportuni; poi, citati i senatori a comparire
Quum senatus biduum ad considerandum peteret in piazza, comandò loro gli ostaggi. Il senato
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-

tempus, aut ipsos extemplo dare, aut se postero chiedendo il tempo di due giorni per deliberare,
die senatorum omnes liberos sumpturum, edixit. intimogli o di consegnarli immantinente, o che
Inde portas custodire iussi tribuni militum, prae il dì prossimo avrebbe preso tutti i figliuoli dei
fectique sociùm et centuriones, ne quis nocte senatori; indi commise ai tribuni dei soldati,
urbe exiret. Id segnius negligentiusque factum: ai capitani degli alleati ed ai centurioni, che cu
septem principes senatus, priusquam custodiae in stodissero le porte, sì che la notte nessuno uscisse
portis locarentur, ante noctem cum liberis evase di città. L'ordine fu eseguito con tardanza e
runt. Postero die luce prima, quum senatus in negligenza: sette del principali senatori, innanzi
forum citari coeptus esset, desiderati, bona que che le guardie fossero messe alle porte, la notte
eorum venierunt. A ceteris senatoribus centum scamparono col figliuoli. Il dì seguente, sul far
viginti obsides, liberi ipsorum, accepti, traditi del giorno, quando si cominciò a citare il senato
que C. Terentio Romam deducendi. Is omnia in piazza, si trovarono non comparsi, e si ven
suspectiora, quam ante fuerant, in senatu fecit. dettero i loro beni. Dagli altri senatori s'ebbero
Itaque, tamquam imminente Etrusco tumultu, le cento e venti ostaggi, loro figliuoli, e si conse
gionem alteram ex urbanis Arretium ducere jus gnarono a Caio Terenzio da tradursi a Roma.
sus ipse C. Terentius, eamque habere in praesi Questi in senato rendette le cose vieppiù sospette,
dio urbis. C. IIostilium cum cetero exercitu pla che non erano innanzi. Quindi, quasi fosse im
cet totam provinciam peregrare, et cavere, ne minente una sommossa nella Toscana, lo stesso
qua occasio novare cupientibus res daretur. C. Caio Terenzio ebbe ordine di condurre ad Arezzo
Terentius, ut Arretium cum legione venit, cla l'altra legione urbana, e di guardar con essa
ves portarum quum magistratus poposcisset, ne quella città. Si volle, che coll'altro esercito Caio
gantibus iis comparere, fraude amotas magisra Ostilio scorresse tutta la provincia, e badasse
tus, quam negligentia intercidisse, ipse alias che non si desse occasione alcuna a chi bramava
claves omnibus portis imposuit; cavitdue cum fare novità. Caio Terenzio, come fu giunto colla
cura, ut omnia in potestate sua essent. BIostilium legione in Arezzo, avendo chiesto ai magistrati
intentius monuit, ut in eo spem, non moturos le chiavi delle porte, negando essi che ci fossero,
quidquam Etruscos, poneret, si, ne quid moveri e stimando che mancassero più per frode, che
posset, cavisset. per negligenza, ne fece mettere altre nuove; e
guardò bene di aver ogni cosa in suo potere, ed
ammonì accuratamente Ostilio, che allora solo
sperasse che i Toscani non si sarebber mossi,
quand'egli avesse ben provveduto, che non si
potessero muovere.
XXV. De Tarentinis inde magna contentione KXV. Indi si trattò in senato dei Tarentini
in senatu actum coram Fabio, defendente ipso, con molto calore alla presenza di Fabio, difen
quos ceperatarmis, aliis infensis, et plerisque ae dendo egli stesso quelli, che avea soggiogati col
quantibus eos Campanorum noxae poenaeque. l'armi, gli altri accusandoli, e i più pareggiandoli
Senatusconsultum in sententiam M.'Acilii factum nella colpa e nella pena ai Campani. Il senato
est, ut oppidum praesidio custodiretur, Taren decretò, secondo la proposta di Manio Acilio, che
tinique omnes intra moenia continerentur: res si guardasse Taranto con presidio, e che i Taren
integra postea referretur, quum tranquillior sta tini si tenessero dentro le mura; che si ripropo
ius Italiae esset. Et de M. Livio, praefecto arcis nesse poi la cosa nella sua integrità, quando lo
Tarentinae, haud minore certamine actum est, stato d'Italia fosse più tranquillo. Nè con minor
aliis senatuscontulto notantibus praefectum, quod contenzione si trattò di Marco Livio, prefetto
ejus socordia Tarentum proditum hosti esset; della rocca Tarentina, altri volendo colpirlo con
aliis praemia decernentibus, quod per quinquen decreto del senato, perchè per di lui negligenza
nium arcem tutatus esset, maximeque unius ejus Taranto s'era dato ai nemici; altri anzi decre
opera receptum Tarentum foret; mediis ad cen
tandogli premi, perchè ne avesse difesa la rocca
sores, non ad senatum, notionem de eo pertinere per cinque anni, e specialmente perchè s'era ri
dicentibus; cujus sententiae et Fabius fuit. Adje cuperato Taranto per di lui opera sola, quei del
cit tamen a fateri se, opera Livii Tarentum rece medio parere dicendo, che la cognizione di ciò
ptum, quod amici eius vulgo in senatujactassent; spettava ai censori, non al senato; del qual parere
neque enim recipiundum fuisse, misi amissum fu anche Fabio. Aggiunse però, a confessaregli,
foret. " Consulum alter T. Quintius Crispinus che Taranto s'era ricuperato per opera di Livio,
ad exercitum, quem Q. Fulvius Flaccus habue come gli amici di lui gliene davano vanto in
rat, cum supplemento in Lucanos est profectus. senato; perciocchè non si sarebbe ricuperato,
Livio 2
TITI LIVII LIBER XXVII. 18o
179

Marcellum aliae atque aliae objectae animo reli se non si fosse perduto. » Tito Quincio Crispino,
giones tenebant: in quibus, quod, quum bello uno de'consoli, andò ne' Lucani col supplemento
Gallico ad Clastidium aedem Honori et Virtuti all'esercito, ch'era stato di Quinto Fulvio Flacco.
vovisset, dedicatio eius pontificibus impediebatur; Marcello era ritenuto ora da questo scrupolo, ora
quod megabant, unam cellam duobus recte dedi da quello; tra quali, che avendo nella guerra
cari, quia, si de coelo tacta, aut prodigii aliquid Gallica presso a Clastidio fatto voto di un tempio
in ea factum esset, difficilis procuratio foret, quod all'Onore ed alla Virtù, i pontefici ne impedivano
utri deo res divina fieret, seiri non posset; neque la dedicazione, sostenendo, che non si potesse
enim duobus, nisi certis, deis rite una hostia fieri. debitamente dedicare una sola e stessa cella a due
Ita addita Virtutis aedes approperato opere; ne dei diversi, perchè se fosse colpita da fulmine, o
que tamen ab ipso aedes eae dedicatae sunt. Tum le accadesse altro prodigio, l'espiazione riusci
demum ad exercitum, quem priore anno Venu rebbe difficile, non potendosi sapere a qual dio
siae reliquerat, cum supplemento proficiscitur. convenisse sagrificare; perciocchè non si offre
Locros in Bruttiis Crispinus oppugnare conatus, debitamente una sola vittima a due dei, se non è
quia magnam famam attulisse Fabio Tarentum dichiarato a qual dei due. Quindi fu aggiunto
rebatur, omne genus tormentorum machimarum un altro tempio alla Virtù con lavoro molto
que ex Sicilia arcessierat; et naves indidem ac affrettato; nondimeno nessuno di que tempii fu
citae erant, quae vergentem ad mare partem ur dedicato da lui. Finalmente andò col supplemento
bis oppugnarent. Ea omissa oppugnatio est, quia all'esercito, che l'anno innanzi avea lasciato a
Lacinium Hannibal admoverat copias; et collegam Venosa. Crispino, provatosi a combatter Locri
eduxisse jam ab Venusia exercitum fama erat, ne' Bruzii, perchè si stimava che la presa di Ta
cui conjungi volebat. Itaque in Apuliam ex Brut ranto recata avesse gran fama a Fabio, avea fatto
tiis reditum, et inter Venusiam Bantiamoue, mi venire di Sicilia ogni maniera di macchine e
nus trium millium passuum intervallo, consules stromenti bellici; e si erano chiamate anche ma
binis castris consederant. In eamdem regionem vi, che battessero la parte della città, che guarda
et Hannibal rediit, averso ab Locris bello. Ibi il mare. Fu abbandonata questa impresa, perchè
ambo consules, ingenio feroces, prope quoti Annibale s'era accostato colle genti a Lacinio, e
die in aciem exire; haud dubia spe, si duobus correva la voce, che il suo collega avesse di già
exercitibus consularibus junctis commisisset sese tratto fuor di Venosa l'esercito, al quale voleva
hostis, debellari posse. unirsi. Dai Bruzii adunque si fe” ritorno alla Pu
glia, ed i consoli aveano piantato i due campi tra
Venosa e Banzia, distanti l'uno dall'altro meno
di tre miglia. Anche Annibale, stornata la guerra
daLocri,tornossi a quello stesso paese. Quivi i due
consoli, di natura fieri, quasi ogni giorno usci
vano a battaglia, con la non dubbia speranza, se
il nemico si cimentasse con due eserciti consolari
insieme uniti, che si potesse por fine alla guerra.
XXVI. Hannibal quia cum Marcello bis priore XXVI. Annibale, poi che l'anno innanzi az
anno congressus vicerat victusque erat, ut, cum zuffatosi due volte con Marcello, era stato e vin
eodem si dimicandum foret, mec spem, nec metum citore e vinto, siccome, se avesse a combattere
ex vano haberet; ita duobus consulibus haudqua nuovamente con lui, non avea più ragione di
mam sese parem futurum credebat: itaque, totus sperare, che di temere, così d'altra parte non
in suas artes versus, insidiis locum quaerebat. Le credeva di poter esser pari ai due consoli uniti;
via tamen proelia inter bina castra vario eventu quindi, voltosi tutto alle arti sue, cercava luogo
fiebant; quibus quum extrahi aestatem posse con alle imboscate. Pur si facean leggere scaramucce
sules crederentmihilominusoppugnari Locrospos tra i due campi con vario evento, colle quali sti
serati, L. Cincio, ut ex Sicilia Locros cum classe mando i consoli di trarre in lungo la guerra,
traiceret, scribunt. Et, ut ab terra quoque oppu e nondimeno sperando di poter eviandio prender
gnari moenia possent, ab Tarento partem exercitus Locri, scrivono a Lucio Cincio, che dalla Sicilia
qui in praesidio erat, duci eo jusserunt. Ea ita fu passasse a Locri colla flotta. E per batter le mura
tura per quosdam Thurinos compertum Hanni anche dalla parte di terra, ordinarono che si
bali quum esset, mittit ad insidendam ab Tarento mandasse colà parte dell'esercito, ch'era di pre
via n. 1bi sub tumulo Peteliae tria millia equitum, sidio a Taranto. Avendo Annibale ciò saputo
Pelitun duo in occulto locata: in quae inexplo da alcuni Turini, spedisce genti a mettersi sulla
ºatº euntes Romani quum incidissent, ad duo mil strada di Taranto. Quivi furono appostati sotto
18 i TITI LIVII LIBER XXVII. 18a

lia armatorum caesa, mille quingenti ferme vivi il colle di Petelia tre mila cavalli e due mila
capti: alii dissipati fuga per agros saltusque Ta fanti; ne' quali essendosi per la via abbattuti
rentum rediere. Tumulus erat silvestris inter inavvertitamente i Romani, ne furono tagliati
Punica et Romana castra, ab neutris primo occu a pezzi da due mila, e mille dugento fatti pri
patus; quia Romani, qualis pars ejus, quae ver gioni: gli altri dispersi, fuggendo per campi
geret ad hostium castra esset, ignorabant: Han e boschi, tornarono a Taranto. Tra il campo
mibal insidiis, quam castris, aptiorem eum cre Cartaginese ed il Romano v'era un poggio sel
diderat. Itaque nocte ad id missas aliquot Nu vatico, dapprima non occupato da nessuno,
midarum turmas medio in saltu condiderat, quo perchè i Romani ignoravano qual ne fosse la
rum interdiu nemo ab statione movebatur, ne aut parte, che guardava l'accampamento Romano;
arma, aut ipsi procul conspicerentur. Fremebant ed Annibale lo avea stimato luogo più atto a tes
vulgo in castris Romanis, occupandum eum tu sere agguati, che ad alloggiarvi. Quindi la notte,
mulum esse, et castello firmandum ; nec, si occu speditevi alcune bande di Numidi, le aveva oc
patus ab Hannibale foret, velut in cervicibus ha cultate nel mezzo della boscaglia, nessun de'quali
berent hostem. Movit ea res Marcellum, et colle di giorno si moveva dal luogo, per non essere di
gae, « Quin imus, inquit, ipsi cum equitibus pau lontano veduti nè essi, nè l'armi loro. Nel campo
cis exploratum ? Subjecta res oculis nostris cer Romano non altro si mormorava, se non che
tius dabit consilium. º Consentiente Crispino, conveniva occupare quel poggio, e fortificarlo,
cum equitibus ducentis et viginti, ex quibus qua per non avere, se occupato fosse da Annibale,
draginta Fregellani, ceteri Etrusci erant, profi il nemico quasi sul collo. Mosse questa osserva
ciscuntur. Secuti M. Marcellus, consulis filius, et zione Marcello, e disse al collega, « Perchè non
A. Manlius, tribuni militum ; simul et duo pre andiamo noi stessi con pochi cavalli a riconoscere
fecti sociùm, L. Arennius et M.'Aulius. Immolasse il luogo ? La cosa veduta dagli occhi nostri ci
eo die quidam memoriae prodidere consulem Mar darà consiglio più sicuro. Consentendo Crispi
cellum, et, prima hostia caesa, jecur sine capite no, partono con dugento e venti cavalli, qua
inventum ; in secunda omnia comparuisse, quae ranta, ch'erano Fregellani, gli altri Toscani.
assolent, auctum etiam visum in capite: mec id Seguitaronli Marco Marcello, figliuolo del con
sane aruspici placuisse, quod, secundum trunca sole, ed Aulo Manlio, tribuni de soldati, e insic
et turpia exta, mimis laeta apparuissent. me due prefetti degli alleati, Lucio Arennio e
Manio Aulio. Alcuni hanno scritto, che il console
Marcello aveva in quel giorno sagrificato, e che,
sparata la prima vittima, si trovò il fegato senza
testa; nella seconda poi tutto, come al solito:
anzi che la testa del fegato era comparsa grande
più dell'ordinario; non però essere piaciuto al
l'aruspice, che dopo le interiora monche e sparute,
ne fossero apparse di troppo belle.
XXVII. Ceterum consulem Marcellum tanta XXVII. Marcello del resto era preso da tanta
cupiditas tenebat dimicandi cum Hannibale, ut smania di combattere con Annibale, che non gli
numquam satis castra castris collata crederet. Tum pareva mai di accostare abbastanza campo a cam
quoque vallo egrediens signum dedit, ut ad lo po. Anche allora uscendo dallo steccato diede
cum miles esset paratus, ut, si collis, in quem spe il segno a soldati, che si stessero pronti al loro
culatum irent, placuisset, vasa colligerent, ac se posto, onde se il poggio, che andavano a ricono
querentur. Exiguum campi ante castra erat: inde scere, fosse piaciuto, raccogliessero i bagagli
in collem aperta undigue et conspecta ferebat via. e lo seguitassero. Era davanti al campo un po' di
Numidis speculator, nequaquam in spem tantae pianura, donde la strada da ogni parte aperta
rei positus, sed si quos vagos, pabuli aut ligno e veduta metteva al colle. Una vedetta, posta
rum causa longius a castris progressos possent ex quivi non per la speranza di così grande succes
cipere, signum dat, ut pariter ab suis quisque la so, ma per cogliere qualche Romano, se a caso
tebris exorirentur. Non ante apparuere, quibus vagando si allontanasse dal campo per foraggio
obviis ab jugo ipso consurgendum erat, quam o per legne, dà il segnale ai Numidi che tutti
circumiere, qui a tergo includerent viam. Tum ad un tempo escano fuori, ciascuno dai loro
undigue omnes exorti, et clamore sublato impe nascondigli. Quegli, che dal giogo doveano farsi
tum fecere. Quum in ea valle consules essent, ut incontro a Romani, non si scorsero prima che
neque evadere possent in jugum occupatum ab gli altri avessero fatto il giro, per tagliar loro
hoste, nec receptum ab tergo circumventi habe alle spalle la strada. Allora, levatisi tutti da ogni
i 8,3 TITI LIVII LIBER XXVII. 184

rent; extrahi tamen diutius certamen potuisset, parte, e messo un grido, furono addosso ai nostri.
mi coepta ab Etruscis fuga pavorem ceteris inje Trovandosi i consoli in quella valle in modo da
cisset. Non tamen omisere pugnam deserti ab non potere nè prendere il poggio, nè circondati
Etruscis Fregellani, donec integri consules hor alle spalle ritirarsi, pur si avrebbe potuto pro
tando, ipsique ex parte pugnandorem sustinebant. lungare la pugna, se i Toscani, primi a fuggire,
Sed, postduam vulneratos ambo consules, Mar non avessero messo lo spavento negli altri. Non
cellum etiam transfixum lancea prolabentem ex dimeno i Fregellani, benchè abbandonati dai
equo moribundum videre, tum et ipsi (perpauci Toscani, non cessarono di combattere sino a tan
autem supererant) cum Crispino consule duobus to che i consoli, illesi confortando, ed essi stessi
jaculis icto, et Marcello adolescente, saucio et ipso combattendo, sostentarono la pugna. Ma come
eſfugerunt. Interfectus A. Manlius tribunus mi videro ambedue i consoli feriti, Marcello anche
litum, et ex duobus praefectis sociùm M.' Aulius trapassato da una lancia moribondo cader da ca
occisus, L. Arennius captus. Et lictores consulum vallo, allora essi pure fuggirono (ed erano rimasi
quinque vivi in hostium potestatem venerunt: pochissimi) col console Crispino colpito da due
ceteri aut interſecti, aut cum consule effugerunt: giavellotti, e col giovanetto Marcello, ferito anche
equites tres et quadraginta, aut in proelio, aut esso.1 Restò morto Aulo Manlio tribuno de'sol
in fuga, ceciderunt, duodeviginti vivi capti. Tu dati, e dei due prefetti degli alleati Manio Aulio,
multuatum et incastris fuerat, ut consulibus irent preso Lucio Arennio. Vennero in mano de'nemici
subsidio, quum consulem et filium alterius con anche cinque littori de'consoli; gli altri o furono
sulis saucios, exiguasque infelicis expeditionis re uccisi, o fuggirono col console. Caddero qua
liquias ad castra venientes cernunt. Mors Mar rantatrè cavalieri o nella mischia o nella fuga;
celli quum alioqui miserabilis fuit, tum quod diciotto furon presi vivi. Si era destato gran
mec pro aetate (major jam enim sexaginta annis movimento nel campo per andare a soccorrere
erat) neque pro veteris prudentia ducis, tam im i consoli, quando vedono arrivare un console e
provide se collegamdue, et prope totam rempu il figliuolo dell'altro console feriti, e i pochi
blicam, in praeceps dederat. Multos circa uman avanzi dell'infelice spedizione. La morte di Mar
rem ambitus fecerim, si quae de Marcelli morte cello, d'altronde degna di pianto, lo fu special
variant auctores, omnia exsequi velim. Ut omit mente per aver egli in onta all'età sua (che già
tam alios, L. Coelius triplicem rei gestae ordinem oltrepassava i sessant'anni), in onta alla prudenza
edit: unam traditam fama; alteram scriptam lau di vecchio capitano, sì sconsideratamente tratto
datione filii, qui rei gestae interfuerit; tertiam, a perdizione sè, il collega, e quasi tutta la repub
quam ipse pro inquisita ac sibi comperta affert. blica. Dovrei troppo rigirarmi intorno ad una
Ceterum ita fama variat, ut tamen plerique loci cosa stessa, se riferir volesse tutto quello, che
speculandi causa castris egressum ; omnes insidiis variamente scrissero autori della morte di Mar
circumventum tradant. cello. Per lasciare gli altri, Lucio Celio narra
l'ordine del fatto in tre modi: uno tramandato
dalla fama; l'altro qual è scritto nell'elogio reci
tato dal figlio, che si trovò presente; il terzo,
ch'egli dà come investigato da lui ed avverato.
La fama del resto varia, in guisa però, che la
maggior parte lo fa uscito dal campo per una
ricognizione, tutti avviluppato in una imboscata,
XXVIII. Hannibal, magnum terrorem hosti XXVIII. Annibale, stimando di aver messo
bus, morte consulis unius, vulnere alterius, in gran terrore nei nemici colla uccisione di un
jectum esse ratus, ne cui deesset occasioni, castra console, e la ferita di un altro, per non perdere
in tumulum, in quo pugnatum erat, extemplo alcuna occasione, trasferisce subito il campo al
transfert. lbi inventum Marcelli corpus sepelit. poggio, dove s'era combattuto. Quivi, trovato
Crispinus, et morte collegae, et suo vulnere ter il corpo di Marcello, lo fa seppellire. Crispino,
ritus, silentio insequentis noctis profectus, quos atterrito dalla morte del collega e dalla propria
proximos manctus est montes, in iis loco alto et ferita, partito nel silenzio della notte susseguente,
tuto undigue castra posuit. Ibiduo duces sagaci si accampò ne' più vicini monti, che incontrò, in
ter moti sunt, alter ad inferendam, alter ad ca luogo alto e da ogni parte sicuro. Quivi i due
vendam fraudem. Annulo Marcelli simul cum capitani nemici si condussero assai sagacemente,
corpore Hannibal potitus erat: ejus signi errore l'uno nel macchinare, l'altro nello schivare gli
ne cui dolus necteretur a Poemo, metuens Crispi inganni. Annibale s'era impadronito col corpo
nus, circa civitates proximas miserat nuncios: anche dell'anello di Marcello. Temendo Crispino,
185 TITI LIVII LIBER XXVII. 186

occisum collegam esse, annuloque ejus hostem che il Cartaginese con quel sigillo non inducesse
potitum, ne quibus literis crederent nomine Mar in errore qualcheduno, avea mandato avviso per
celli compositis. Paullo ante hic nuncius consulis le vicine città, che il suo collega era stato ucciso,
Salapiam venerat, quum literae ab Hannibale al e che il nemico ne avea nelle mani l'anello; non
latae sunt, Marcelli nomine compositae: «Se prestassero fede a lettere scritte a nome di Mar
nocte, quae diem illum secutura esset, Salapiam cello. Poco innanzi era venuto a Salapia questo
venturum. Parati milites essent, qui in praesidio messo del console, quando giunsero lettere da
erant, si quo opera eorum opus esset. - Sensere Annibale scritte a nome di Marcello; « ch'egli
Salapitani fraudem, et ab ira, non defectionis la notte appresso sarebbe venuto a Salapia: stes
modo, sed etiam equitum interfectorum, rati oc sero pronti i soldati, ch'erano di presidio, se
casionem supplicii peti, remisso retro nuncio occorresse valersi in alcun che dell'opera loro. »
(perfuga autem Romanus erat), ut sine arbitro Si accorsero i Salapiani della frode, e stimando
milites, quae vellent, agerent, oppidanos per mu che Annibale cercasse occasione di vendicarsi di
ros urbisque opportuna loca in stationibus dispo loro, per lo sdegno non solamente di lor ribel
nunt; custodias vigiliasque in eam noctem inten lione, ma eviandio de'suoi cavalieri uccisi, riman
tius instruunt. Circa portam, qua venturum dato indietro il messo (era un disertore Romano),
hostem rebantur, quod roboris in praesidio erat, acciocchè i soldati senza testimonii facessero
opponunt. Hannibal quarta vigilia ferme ad ur quello, che si voleva, dispongono i terrazzani
bem accessit. Primi agminis erant perfugae Ro per le mura e ne' luoghi opportuni della città,
manorum, et arma Romana habebant. Ii, ubi ad e fanno fare quella notte sentinelle e veglie più
portam est ventum, latine omnes loquentes exci diligenti. Intorno alla porta, per cui pensavano
tant vigiles, aperirique portamjubent: consulem che il nemico venisse, appostano il miglior nerbo
adesse. Vigiles, velut ad vocem eorum excitati, del presidio. Annibale verso la quarta veglia del
tumultuari, trepidare, moliri portam; cataracta la notte si accostò alle mura. Quei della prima
dejecta clausa erat: eam partim vectibus levant, schiera eran disertori Romani, ed erano armati
partim funibus subducunt in tantum altitudinis, alla Romana. Costoro, come furon presso alla
ut subire recti possent. Vixdum satis patebat iter, porta, parlando tutti latino, svegliano le senti
quum perfugae certa tim ruunt per portam ; et nelle, e intimano che la porta si apra; esservi
quum sexcenti ferme intrassent, remisso fune, il console in persona. Le sentinelle, quasi riscosse
quo suspensa erat cataracta magno sonitu cecidit. alla voce de' suoi, darsi gran movimento, affac
Salapitani, alii perfugas negligenter ex itinere cendarsi, agitar la porta. La saracinesca, caduta,
suspensa humeris, utinter pacatos, gerentes arma, la chiudeva ; parte la levano colle stanghe, parte
invadunt; alii e turri eius portae murisque saxis, in su la tirano con le funi a tanta altezza, che
sudibus, pilis, absterrent hostem. Ita inde Han potessero ritti passarvi sotto. Appena s'era fatto
nibal suamet ipse fraude captusabiit; profectusque bastante spazio, i disertori a gara si lancian den
ad Locrorum solvendam obsidionem, quam Cin tro, ed essendone entrati da seicento, la saraci
cius summa vi, operibus tormentorumque omni nesca, lasciata andare la fune, che la teneva so
genere ex Sicilia advecto, oppugnabat. Magoni, spesa, cadde con gran fracasso. I Salapitani, altri
jam haud ferme fidenti retenturum defensurum assaltano i disertori, che, come si suole in cam
que se urbem, prima spes, morte nunciata Mar mino, portavan l'armi negligentemente alle spal
celli, affulsit. Secutus inde nuncius, Hannibalem, le, quasi tra gente amica; altri dalla torre sopra
Numidarum equitatu praemisso, ipsum, quantum la porta e dalle mura con sassi, con pali e giavel
accelerare posset, cum peditum agmine sequi. lotti travagliano il nemico. Così Annibale di là
Itaque ubi primum Numidas edito e speculis si partissi, colto dalla sua frode medesima, e an
gno adventare sensit, et ipse, patefacta repente dossene a sciogliere l'assedio di Locri, che Cincio
porta, ferox in hostes erumpit. Et primo, magis fortemente combatteva con lavori, e con ogni
quia improviso id fecerat, quam quod par viri sorte di macchine fatte venire di Sicilia. La pri
bus esset, anceps certamen erat: deinde, ut su ma speranza, che rifulse a Magone, il quale quasi
pervenere Numidae, tantus pavor Romanis est più non si credeva di poter ritenere e difendere
injectus, ut passim ad mare ac naves fugerent, la città, gli venne dalla nuova della morte di
relictis operibus machinisque, quibus muros qua Marcello. Poscia gli arrivò un messo, che Anni-
tiebant. Ita adventu Hannibalissoluta Locrorum bale, mandata innanzi la cavalleria de'Numidi,
obsidio est. le veniva dietro, quanto più poteva celeremente,
con la fanteria. Quindi, come si accorse dal se
gnale dato dalle alture che i Numidi si appres
savano, anch'egli, spalancata improvvisamente
TITI LIVII LIBER XXVII. 188

la porta, piomba furiosamente addosso a nemici.


E dapprima, più perchè l'assalto era stato im
provviso, che perchè fosse pari di forze, la pugna
rimaneva dubbiosa; indi, sopraggiungendo i Nu
midi, tanto spavento prese i Romani, che sbandati
fuggirono al mare ed alle navi, lasciati i lavori
e le macchine, con cui battevan le mura. Così
per la venuta di Annibale fu sciolto l'assedio
di Locri.
XXIX. Crispinus, postguam in Bruttios pro XXIX. Crispino, com'ebbe inteso essere
fectum Hannibalem sensit, exercitum, cui collega andato Annibale nei Bruzii, ordinò a Marco
praefuerat, M. Marcellum tribunum militum Ve Marcello, tribuno del soldati, che conducesse a
nusiam abducere jussit: ipse, cum legionibus suis Venosa l'esercito, ch'era stato del suo collega:
Capuam profectus, viz lecticae agitationem prae egli, partito colle sue legioni alla volta di Capua,
gravitate vulnerum patiens, Romam literas de sostenendo con pena l'agitazione della lettiga
morte collegae scripsit, quantoque ipse in discri pel dolore della ferita, scrisse a Roma lettera
mine esset. «Se comitiorum causa non posse Ro della morte del collega, e in qual pericolo fosse
mam venire, quia nec viae laborem passurus vi la stessa sua vita. «Non poter egli venire a Roma
deretur, et de Tarento sollicitus esset, ne ex Brut per la tenuta dei comizii, e perchè non credeva
tiis Hannibal eo converteret agmen. Legatos opus di poter reggere alla fatica del viaggio, e perchè
esse ad se mitti, viros prudentes, cum quibus, Taranto gli dava pensiero, su la tema che Anni
quae vellet, de republica loqueretur. » Hae lite bale dai Bruzii non si volgesse a quella parte:
rae recitatae magnum et luctum morte alterius bisognava mandargli legati, uomini di vaglia,
consulis, et metum de altero fecerunt. Itaque et co'quali s'intrattenesse delle cose pubbliche, che
Q. Fabium filium ad exercitum Venusiam mise volesse. ” Queste lettere, recitate in senato, ap
runt, et ad consulem tres legati missi, Sext. Ju portarono gran doglia per la morte di uno dei
lius Caesar, L. Licinius Pollio, L. Cincius Alimen consoli, e gran timore per l'altro. Mandarono
tus, quum paucis ante diebus ex Sicilia redisset. dunque all'esercito a Venosa Quinto Fabio il
Hinunciare consuli jussi, ut, si ad comitia ipse figlio, e si spedirono al console tre legati, Sesto
Romam venire non posset, dictatorem in agro Giulio Cesare, Lucio Licinio Pollione e Lucio
Romano diceret comitiorum causa. Si consul Ta
Cincio Alimento, ch'era da pochi dì tornato
rentum profectus esset, Q. Claudium praetorem dalla Sicilia. Furono incaricati di dire al console,
placere in eam regionem inde abducere legiones, che se egli non potesse venire a Roma ai comizi,
in qua plurimas sociorum urbes tueri posset. Ea nominasse, stando sul territorio Romano, un
dem aestate M. Valerius cum classe centum na dittatore a tenerli. Se il console fosse andato
vium ex Sicilia in Africam transmisit, et, ad Clu a Taranto, piacere al senato, che il pretore Quinto
peam urbem exscensione facta, agrum late, nullo Claudio levasse quindi le legioni, trasferendole
ferme obvio armato, vastabat. lnde ad naves ra in quel luogo, dove potesse difendere il maggior
ptim praedatores recepti, quia repente fama ac numero delle città collegate. In quella state me
cidit, classem Punicam adventare: octoginta erant desima Marco Valerio passò dalla Sicilia in Africa
ettres naves. Cum iis haud procul Clupea prospe con una flotta di cento navi, e sbarcato presso
re pugnat Romanus: decem et octo navibus ca la città di Clupea, andava saccheggiando il paese
ptis, fugatis aliis, cum magna terrestri navalique per ogni dove, senza quasi incontrarsi in uomo
praeda, Lilybaeum rediit. Eadem aestate et Phi armato. Indi i predatori tornarono in fretta alle
lippus implorantibus Achaeis auxilium tulit, quos navi, perchè all'improvviso corse voce avvicinarsi
et Machanidas tyrannus Lacedaemoniorum fini la flotta Cartaginese; ed erano ottantatrè navi.
timo bello urebat, et Aetoli, navibus per fretum, Combattè con esse prosperamente il Romano,
quod Naupactum et Patras interfluit (Rhion in non lungi da Clupea: prese diciotto navi, l'altre
colae vocant), exercitu trajecto, depopulati erant. messe in fuga, tornò a Lilibeo carico di preda
Attalum quoque regem Asiae, quia Aetoli sum di terra e di mare. E in quella state medesima
mum gentis suae magistratum ad eum proximo Filippo recò il soccorso che avean chiesto agli
concilio detulerant, fama erat in Europam tra Achei, travagliava con guerra sul confine Maca
jecturum. nida tiranno dei Lacedemoni; dagli Etoli, tras
portato l'esercito per lo stretto, che scorre tra
Naupatto e Patrasso (gli abitanti lo chiamano
! Rione), stati saccheggiati. Era pur ſama, che an
TITI LIVII LIBER XXVII, 19o

che Attalo, re dell'Asia, perchè gli Etoli nel


l'ultima dieta gli aveano conferito il supremo
magistrato del paese, sarebbe passato in Europa.
XXX. Ob haec Philippo in Graeciam descen XXX. Per questa cagione, quando Filippo
denti ad Lamiam urbem Aetoli, duce Pyrrhia, discese in Grecia, gli Etoli, sotto la condotta
qui praetor in eum annum cum absente Attalo di Pirria, ch'era stato pretore in quell'anno in
creatus erat, occurrerunt. Habebant et ab Attalo sieme con Attalo assente, gli si fecero incontro
auxilia secum, et mille ferme ex Romana classe, presso alla città di Lamia. Aveano seco le genti
a P. Sulpicio missos. Adversus hunc ducem atque ausiliarie mandate da Attalo, e mille soldati a
has copias Philippus bis prospero eventu pugna un dipresso della flotta Romana, mandati da
vit: mille admodum hostium utraque pugna oc Publio Sulpicio. Contro questo capitano e queste
cidit. Inde quum Aetoli metu compulsi Lamiae forze combattè due volte Filippo con prospero
urbis moenibus tenerent sese, Philippus ad Pha successo, e ne' due fatti uccise più di mille ne
lara exercitum reduxit: in Maliaco sinu is locus mici. Indi, standosi gli Etoli, cacciati dalla paura,
est, quondam frequenter habitatus propter egre dentro le mura di Lamia, Filippo ricondusse
gium portum, tutasque circa stationes, et aliam l'esercito a Falara. È questo un luogo nel seno
opportunitatem maritimam terrestremdue. Eo Maliaco, in addietro molto abitato per l'eccel
legati ab rege Aegypti Ptolemaeo, Rhodiisque et lente porto, e le rade sicure d'intorno, e per
Atheniensibus et Chiis venerunt ad dirimendum altre opportunità di terra e di mare. Gli vennero
inter Philippum atque Aetolos bellum. Adhibitus colà ambasciatori da Tolommeo, re dell'Egitto,
ab Aetolis et ex finitimis pacificator Amymander, dai Rodii, dagli Ateniesi, e da quei di Chio per
rex Athamanum. Omnium autem non tanta pro metter fine alla guerra tra Filippo e gli Etoli.
Aetolis cura erat, ferocioribus quam pro ingeniis Adoprarono gli Etoli a pacificatore anche Ami
Graecorum gentis; quam ne Philippus regnumque nandro, re degli Atamani, loro confinanti. Code
ejus, grave libertati futurum, rebus Graeciae sta premura di tutti non era però tanto pegli
immisceretur. De pace dilata consultatio est in Etoli, più feroci per natura, che non soglion
concilium Achaeorum; concilioque ei et locus essere i Greci, quanto perchè Filippo e il regno
suo non si meschiasse nelle cose della Grecia
et dies certa indicta: interim triginta dierum
induciae impetratae. Profectusinde rex per Thes con grave pericolo della loro libertà. Si rimise
saliam Boeotiamoue, Chalcidem Euboeae venit, ut il trattar della pace alla dieta degli Achei, alla
Attalum, quem classe Euboeam petiturum audie quale si assegnò luogo e giorno certo. Intanto
rat, portubus et litorum appulsu arceret. lnde, si ottenne una tregua di trenta giorni. Poscia
praesidio relicto adversus Attalum, si forte inte partitosi il re, attraversando la Tessaglia e la
rim trajecisset, profectus ipse cum paucis equi Beozia, venne a Calcide nell'Eubea per impedire
tum levisque armaturae, Argos venit. Ibi curatio ad Attalo, che aveva udito doversi colà recare
me Heraeorum Nemeorumque suffragiis populi colla flotta, che approdasse ai porti e pigliasse
ad eum delata, quia se Macedonum reges ex ea terra. Indi, lasciato un presidio per far fronte
civitate oriundos referunt, Heraeis peractis, ab ad Attalo, se intanto per avventura passasse,
ipso ludicro extemplo Aegium profectus est, ad partito con pochi cavalli e soldati armati alla leg
indictum multo ante sociorum concilium. Ibi de gera, venne ad Argo. Quivi, conferitagli dai voti
Aetolico finiendo bello actum, ne causa aut Ro del popolo la presidenza dei giuochi Erei e Ne
manis, aut Attalo intrandi Graeciam esset. Sed ea mei, perchè i re di Macedonia si dicevano oriondi
omnia, vixdum induciarum tempore circumacto, di quella città, celebrati i Giuochi Erei, passò
Aetoli turbavere, postouam et Attalum Aeginam subito a Egio alla dieta degli alleati molto tempo
venisse, et Romanam classem stare ad Naupactum innanzi ordinata. Quivi si trattò di por fine
audivere. Vocati enim in concilium Achaeorum, alla guerra degli Etoli, per non dar pretesto nè
in quo eaedem legationes erant, quae ad Phalara ai Romani, nè ad Attalo di entrare in Grecia.
egerant de pace, primum questi sunt quaedam Ma gli Etoli, non ancor bene spirato il tempo
parva contra fidem conventionis tempore indu della tregua, scompigliarono tutti questi maneggi,
ciarum facta: postremo negarunt dirimi bellum come udirono esser venuto Attalo ad Egina, e
posse, nisi Messeniis Achaei Pylum redderent, la flotta Romana starsi ancorata a Naupatto. Per
Romanis restitueretur Atintamia, Scerdilaedo et ciocchè chiamati all'assemblea degli Achei, dove
Pleurato Ardyaei. Enimvero indignum ratus Phi erano le medesime legazioni, che aveano trattato
lippus, victos victori sibi ultro conditiones ferre: a Falara della pace, dapprima si lagnarono di
- ne antea quidem se aut de pace audisse, aut in alcune picciole contravvenzioni all'accordo fatte
ducias pepigisse, dixit, spem ullam habentem durante la tregua; in fine dissero, non poter
191 TITI LIVII LIBER XXVII. 192

quieturos Aetolos; sedut omnes socios testes ha cessare la guerra, se gli Achei non rendessero
beret, se pacis, illos belli causam quaesisse. » Ita Pilo ai Messenii, se non si restituisse Atintamia
infecta pace concilium dimisit, quatuor millibus ai Romani, e gli Ardiei a Scerdiledo e Pleurato.
armatorum relictis ad praesidium Achaeorum, et Ma Filippo indegna cosa stimando, che i vinti
quinque longis navibus acceptis: quassi adjecis dettassero le condizioni al vincitore; «non avea,
set missae nuper ad se classi Carthaginiensium, disse, nè anche per lo innanzi dato ascolto alle
et ex Bithynia ab rege Prusia venientibus navi parole di pace, o stipulata la tregua, perchè no
bus, statuerat navali proelio lacessere Romanos, drisse speranza alcuna, che gli Etoli si sarebbono
jam diu in ea regione potentes maris. Ipse ab eo quietati, ma per aver testimonii tutti gli alleati,
concilio Argos regressus; jam enim Nemeorum ch'egli avea cercato la pace, essi ogni pretesto
appetebat tempus, quae celebrari volebat prae di guerra. » Così, senza conchiuder nulla, licen
sentia sua. ziò la dieta, lasciati quattro mila armati a pre
sidio degli Achei, ed ebbe da loro cinque galere;
le quali se avesse potuto aggiungere alla flotta
Cartaginese, speditagli di fresco, ed alle navi,
che gli venivano dalla Bitinia dal re Prusia, avea
deliberato di provocare a battaglia navale i Ro
mani, già da molto tempo in quel paese potenti
in mare. Da quella dieta si rimise in Argo; che
già si avvicinava il tempo de' giuochi Nemei,
che voleva fossero celebrati in sua presenza.
XXXI. Occupato rege apparatu ludorum, et XXXI. Essendo il re occupato nell'apparec
per dies festos licentius, quam inter belli tempo chio de'giuochi, e tra le feste di que” giorni
ra, remittente animum, P. Sulpicius, ab Naupacto distraendo l'animo da ogni cura più che non si
profectus, classem appulit inter Sicyonem et Co de fare in tempo di guerra, Publio Sulpicio,
rinthum, agrumque nobilissimae fertilitatis effuse partito da Naupatto, approdò colla flotta tra
vastavit. Fama eius rei Philippum ab ludis exci Sicione e Corinto, e devastò per gran tratto quel
vit ; raptimque cum equitatu profectus, jussis territorio di celebrata fertilità. La fama di que
subsequipeditibus, palatos passim per agros gra sto fatto distolse Filippo dai giuochi, e mossosi
vesque praeda (ut qui nihil tale metuerent) ador in fretta colla cavalleria, dato ordine ai pedoni
tus Romanos, compulitin naves. Classis Romana, che il seguitassero, assaltati i Romani qua e là
haudquaquam laeta praeda, Naupactum rediit. sbandati per la campagna, e carichi di preda
Philippo quoque ludorum, qui reliquierant, cele (come quelli che nulla meno temevano) li ricacciº
britatem quantaecumque, de Romanis tamen, nelle navi. La flotta Romana, non liela gran fattº
victoriae partae fama auxerat, laetitiaque ingenti del bottino, tornò a Naupatto. La nuova della
celebrati festi dies; eo magis etiam, quod, popu qualunque vittoria riportata sui Romani da Fi
lariter dempto capitis insigni, purpuraque atque lippo accrebbe la celebrità de' giuochi, che
alio regio habitu, aequaverat ceterisse in speciem: restavano a farsi, e si festeggiarono que giºrni
quo nihil gratius est civitatibus liberis; praebuis con grande allegrezza; ed anche tanto più, quanto -

setque haud dubiam eofacto spem libertatis, nisi che, per piaggiare il popolo, toltosi dal capo il
omnia intoleranda libidine foeda ac deformia ef diadema, non che la porpora ed ogni altra inse.
fecisset. Vagabatur enim cum uno aut altero co gna di re, si era in apparenza pareggiato agli
mite per maritas domos dies noctesque: et, altri; di che non v'ha cosa, che riesca a città
submittendo se in privatum fastigium, quo minus libera più grata. E avrebbe con questo fatto data
conspectus, eo solutior erat; et libertatem quum non dubbia speranza di libertà, se non avesse
aliis vanam ostendisset, totam in suam licentiam guastato e bruttato tutto con una intollerabile
verterat. Neque enim omnia emebat aut eblan libidine. Perciocchè andava di e notte, con uno
diebatur, sed vim etiam flagitiis adhibebat; pe
o due compagni, vagando per le case di gente
riculosumque et viris et parentibus erat, moram maritata, e abbassandosi alla forma di privato,
incommoda severitate libidini regiae fecisse. Uni quant'era meno in vista, tanto era più dissoluto;
etiam principi Achaeorum Arato adempta uxor ed avendo mostrata agli altri una larva di libertà,
nomine Polycratia, ac spe regiarum nuptiarum l'avea tutta rivolta in propria sua licenza. Non
in Macedoniam asportata fuerat. Per haec flagi tutto otteneva col danaro o colle blandizie, ma
tia solemni Nemeorum peracto, paucisque addi talvolta aggiungeva al peccato la violenza; ed
tis diebus, Dymas est profectus, ad praesidium era pericolosa cosa ai genitori ed ai mariti met
Aetolorum, quod ab Eleis accitum acceptumque tere indugio alla libidine del re. Tolse anche
193 TITI LIVII LIBER XXVII. 194
in urbem erat, eiiciendum. Cycliadas (pemes eum ad Arato, uno de'primi dell'Acaia, la moglie,
summa imperii erat) Achaeique ad Dymas regi chiamata Pollicrazia, ed era stata trasportata in
occurrere, et Eleorum accensi odio, quod a cete Macedonia sotto la speranza di regie nozze. Tra
ris Achaeis dissentirent, et infensi Aetolis, quos codeste scelleratezze passate le feste de Nemei,
Romanum quoque adversus se movisse bellum pochi dì da poi, andò a Dima a cacciarne fuori
credebant. Profecti ab Dymis, conjuncto exercitu il presidio degli Etoli, che gli Elei vi aveano
transeunt Larisum amnem, qui Eleum agrum ab chiamato e ricevuto in città. Cicliade (ch'eser
Dymaeo dirimit. citava il primo magistrato), e gli Achei vennero
incontro al re sino a Dima, e accesi d'odio contro
gli Elei, perchè dissentivano dagli altri Achei,
e avversi agli Etoli, che credevano aver tirata
loro addosso anche la guerra Romana. Partitisi
da Dima, passano coll'esercito unito il fiume La
riso, che divide il territorio degli Elei da quello
dei Dimei.
XXXII. Primum diem, quo fines hostium in XXXII. Il primo giorno, ch'entrarono nel
gressi sunt, populando absumpserunt. Postero die paese nemico, lo consumarono saccheggiandolo.
acie instructa ad urbem accesserunt, praemissis Il dì seguente si accostarono alla città in ordi
equitibus, qui, obequitando portis, promptum nanza, spedita innanzi la cavalleria, la quale,
ad excursiones genuslacesserent Aetolorum. Igno scorrendo sin presso alle porte, provocasse gli
rabant, Sulpicium cum quindecim navibus ab Etoli pronti sempre alle sortite. Ignoravano che
Naumpacto Cyllenen trajecisse, et, expositis in ter Sulpicio da Naupatto fosse passato con quindici
ram quatuor millibus armatorum, silentio noctis, navi a Cillene, e sbarcati da quattro mila uomini,
ne conspici agmen posset, intrasse Elim. Itaque fosse entrato nel fitto della notte, per non essere
improvisa res ingentem injecit terrorem, post veduto, in Eli. Quindi, tosto che tra gli Elei e
quam inter Aetolos Eleosque Romana signa atque gli Etoli riconobbero l'armi e le bandiere Roma
arma cognovere. Et primo recipere suos voluerat ne, l'improvvisa vista li pose in grande terrore.
rex; dein, contracto jam inter Aetolos et Trallos E il re da principio avea voluto ritirar le sue
(Illyriorum id est genus) certamine, quum ur genti; poi, appiccatasi di già la zuffa tra gli Etoli
geri videret suos, et ipse rex cum equitatu in ed i Tralli (son questi di nazione Illirica) scor
cohortem Romanam incurrit. Ibi equus pilo tra gendo incalzate le sue genti, egli pure con la ca
jectus quum prolapsum per caput regem effudis valleria die' dentro alla coorte Romana. Quivi
set, atrox pugna utrimolue accensa est, et ab Ro il cavallo trapassato da un giavellotto, avendolo
manis impetu in regem facto, et protegentibus rovesciato giù capovolto, atroce pugna si accese
regiis. Insignis et ipsius pugna fuit, quum pedes d'ambe le parti, i Romani facendo impeto contro
inter equites coactus esset proelium inire. Dein, il re, e difendendolo i suoi. Fu anche mira
quum jam impar certamen esset caderentTue cir bile il valore di Filippo, costretto a combattere
ca eum multi, et vulnerarentur, raptus ab suis, appiedi in mezzo a cavalli: in fine, essendo la
atque alteri equo injectus, fugit. Eo die castra battaglia troppo diseguale, cadendogli dintorno
quinque millia passuum ab urbe Eleorum posuit: parecchi morti o feriti, rapito da suoi, e posto
postero ad castellum (Pyrgum vocant) copias sopra un altro cavallo, si fuggì. Si accampò in
omnes eduxit: quo agrestium multitudinem cum quel giorno discosto da Eli cinque miglia; nel
pecoribus metu populationum compulsam audie seguente condusse tutte le genti ad un castello
rat. Eam inconditam inermemdue multitudinem detto Pirgo, dove aveva udito essersi ricovrata
primo statim terrore adveniens cepit; compensa gran moltitudine di contadini col bestiame, per
veratoſue ea praeda, quod ignominiae ad Elim ac paura del saccheggio; e trovatala al suo soprag
ceptum fuerat Dividenti praedam captivosque giungere scompigliata ed inerme, la prese subito
(fuerant autem quatuor millia hominum, pecoris in sul primo terrore; ed avea con quella preda
omnis generis ad millia viginti) nuncius ex Ma compensata l'ignominia ricevuta ad Eli. Mentre
cedonia venit, Eropum quemdam, corrupto ar attende a dividere la preda ed i prigioni (ch'era
cis praesidiique praefecto, Lychnidum cepisse: no da quattro mila uomini, e da venti mila teste
tenere et Dassaretiorum quosdam vicos, et Dar di bestiami di ogni sorte) venne un messo della
danos etiam concire. Omisso igitur Achaico bello, Macedonia coll'avviso che un certo Eropo, cor
relictis tamen duobus millibus et quingentis rotto il prefetto della rocca e del presidio, avea
omnis generis armatorum cum Menippo et Poly preso Licnido, e teneva alcune borgate dei Dassa
phanta ducibus ad praesidium sociorum, pro rezii, e tentava eziandio di sollevare i Dardani.
l . I v1o 2 13
195 l'ITI LIVII LIBER XXVII. 196
fectus ab Dymis, per Achajam Boeotiamoue et Abbandonata dunque la guerra Acaica, lasciati
Euboeam, decimis castris Demetriadem in Thes però a presidio degli alleati mille e cinquecento
saliam pervenit. uomini di ogni arma sotto il comando di Menip
po e di Polifante, partito da Dima, per mezzo
all'Acaia, la Beozia e l'Eubea, giunse in dieci
stazioni a Demetriade nella Tessaglia.
XXXIII. Ibi alii, majorem afferentes tumul XXXIII. Quivi gli si fecero incontro altri
tum, nuncii occurrunt: Dardanos, in Macedo messi recando nuove di maggiori sommosse; che
niam effusos, Orestidem jam tenere, ac descen i Dardani spargendosi per la Macedonia già
disse in Argestaeum campum; famamdue inter possedevano Orestide, ed erano discesi nella pia
barbaros celebrem esse, Philippum occisum. Ex mura di Argeste; e correr fama comunemente
peditione ea, qua cum populatoribus agri ad Si tra i barbari che Filippo fosse stato ucciso. In
cyonem pugnavit, in arborem illatus impetu equi, quella spedizione, nella quale combattè presso
ad eminentem ramum cornu alterum galeae prae a Sicione contro quei, che saccheggiavano il pae
fregit. Id inventum ab Aetolo quodam, perlatum se, balzato dalla furia del cavallo contro un al
que in Aetoliam ad Scerdilaedum, cui notum bero, si ruppe in un ramo sporto in fuori un
erat insigne galeae, famam interfecti regis vul corno dell'elmetto. Questo, trovato a caso da
gavit. Post profectionem ex Achaja regis, Sulpi certo Etolo, e portato in Etolia a Scerdiledo,
cius, Aegimam classe profectus, cum Attalo sese cui era noto il fregio di quell'elmo, sparse da per
conjunxit. Achaei cum Aetolis Eleisque haud tutto la fama dell'uccisione del re. Dopo la par
procul Messene prosperam pugnam fecerunt. At tenza del re dall'Acaia, Sulpicio, andato colla
talus rex et P. Sulpicius Aeginae hibernarunt. flotta ad Egina, si congiunse con Attalo. Gli
Exitu hujus anni T. Quintius Crispinus consul, Achei combatterono con buon esito cogli Etoli
dictatore comitiorum ludorumque faciendorum e cogli Elei non lungi da Messene. Il re Attalo e
causa dicto T. Manlio Torquato, ex vulnere mo Publio Sulpicio svernarono in Egina. Sul finire
ritur: alii Tarenti, alii in Campania mortuum di quest'anno il console Tito Quincio Crispino,
tradunt. Id quod nullo ante bello acciderat, duo avendo nominato dittatore a tenere i comizii
consules, sine memorando proelio interfecti, ve e celebrare i giuochi Tito Manlio Torquato, si
lut orbam rempublicam reliquerant. Dictator morì della ferita. Altri dicono che sia morto
Manlius magistrum equitum C. Servilium (tum in Taranto, altri nella Campania. Cosa non mai
aedilis curulis erat) dixit. Senatus, quo die per l'innanzi in nessuna guerra accaduta, due
primum est habitus, ludos magnos facere dicta consoli uccisi in battaglia di non grande impor
torem jussit, quos M. Aemilius praetor urbis C. tanza, avean lasciata vedova la repubblica. Il dit
Flaminio, Cn. Servilio consulibus, fecerat, et tatore Manlio nominò maestro de'cavalieri Caio
in quinquennium voverat. Tum dictator et ludos Servilio (era egli allora edile curule). Il senato,
fecit, et in insequens lustrum vovit. Ceterum il primo di che si raccolse, ordinò al dittatore,
quum duo consulares exercitus tam prope hostem che celebrasse i giuochi Grandi, che il pretore
sine ducibus essent, omnibus aliis omissis, una urbano Marco Emilio aveva istituiti sotto i con
praecipua cura Patres populumque incessit, con soli Caio Flaminio e Gneo Servilio, e de'quali
sules primo quoque tempore creandi, et ut eos po avea fatto voto per cinque anni. Allora dunque
tissimum crearent, quorum virtussatistuta a frau il dittatore li celebrò, e ne fece voto per un altro
de Punica esset; a quum toto eo bello damnosa quinquennio. Del resto, trovandosi due consolari
praepropera ac fervida ingenia imperatorum fuis eserciti così vicini al nemico senza chi li coman
sent, tum eo ipso anno consules, nimia cupiditate dasse, lasciata ogni altra cosa, fu sola e precipua
conserendi cum hoste manum, in necopinatam cura dei Padri e del popolo, che quanto prima
fraudem lapsos esse. Ceterum deos immortales, si creassero i consoli, e tali specialmente si creas
miseritos nominis Romani, pepercisse innoxiis e sero, che la loro abilità non avesse che temer
xercitibus: temeritatem consulum ipsorum capi dalla frode Punica; « perciocchè in tutta quella
tibus damnasse. » guerra i troppo subitani e ferventi animi dei co
mandanti aveano sempre fatto danno; e in que
st'anno medesimo i consoli per troppa smania
di azzuffarsi col nemico eran caduti sconsidera
tamente in agguati. Del resto, gli dei immortali,
avuta pietà del popolo Romano, aveano rispar
miati gli eserciti innocenti,e rovesciata la temerità
dei consoli sul capo loro. »
197 TITI LIVII LIBER XXVII. 198
XXXIV. Quum circumspicerent Patres quos XXXIV. Guardando intorno i Padri, chi
nam consules facerent, longe ante alios eminebat avessero a creare consoli, avanzava tutti gli altri
C. Claudius Nero. Ei collega quaerebatur, et vi Caio Claudio Nerone. Gli si cercava un collega,
rum quidem eum egregium ducebant, sed prom e lo stimavano bensì uomo egregio, ma pronto e
ptiorem acrioremque, quam tempora belli po fiero alquanto più che non esigevano le circo
stularemt, aut hostis Hannibal: temperandum acre stanze di quella guerra, ed Annibale nemico:
ejus ingenium moderato et prudenti viro adjun pensavano che si dovesse temperare quell'indole
cto collega censebant. M. Livius erat, multisante ardente coll'aggiungergli a collega un uomo mo
annisex consulatu populijudicio damnatus: quam derato e prudente. Ci era Marco Livio, molti
ignominiam adeo aegre tulerat, ut et rus migra anni innanzi, poichè uscì dal consolato, condan
ret, et per multos annos et urbi et omni coetu ca nato dal popolo. La quale ignominia aveva egli
reret hominum. Octavo ferme post damnationem di sì malanimo sopportata, ch'era andato a dimo
anno M. Claudius Marcellus et M. Valerius Lae rare in villa, e per parecchi anni s'era astenuto
vinus consules reduxerant eum in urbem : sed dalla città, e dal conversare con chi che sia. L'an
erat veste obsoleta, capilloque et barba promissa, no ottavo a un dipresso dopo la sua condanna
praeferens in vultu habitudue insignem memo gione i consoli Marco Claudio Marcello, e Marco
riam ignominiae acceptae. L. Veturius et P. Li Valerio Levino lo aveano ritratto alla città; ma
cinius censores eum tonderi et squalorem depo usava veste logora, capelli e barba lunga,attestan
nere, et in senatum venire, fungi que aliis publi do chiaramente nel volto e nel culto della perso
cis muneribus coegerunt: sed tum quoque aut ma la memoria dell'onta ricevuta. I censori Lucio
verbo assentiebatur, aut pedibus in sententiam Veturio e Publio Licinio l'obbligarono a radersi
ibat, donec cognati hominis eum causa, M. Livii a depor lo squallore, a venire in senato, e a soste
Macati, quum fama eius ageretur, stantem coegit nere ogni altro pubblico incarico. Anche allora
in senatu sententiam dicere. Tum ex tanto inter però, o assentiva con una semplice parola, o
vallo auditus convertit ora hominum in se cau passava da luogo a luogo per dare il suo voto,
samque sermonibus praebuit, «indigno injuriam insino a tanto che la causa di Marco Livio Macato,
a populo factam, magnoque id damno fuisse, suo congiunto, della cui fama si trattava, lo co
quod tam gravi bello nec opera, nec consilio talis strinse ad esporre in senato, fermo al posto, il
viri usa respublica esset. C. Neroni neque Q. Fa suo parere. Allora udito a parlare dopo tanto
bium, neque M. Valerium Laevinum dari colle intervallo, trasse a sè gli sguardi di tutti, e die
gas posse, quia duos patricios creari non liceret: motivo ai discorsi: « avergli il popolo fatta
eamdem causam in T. Manlio esse, praeterquam solenne ingiustizia, ed esser venuto gran danno
quod recusasset delatum consulatum recusaturus dal non aver usato la repubblica in sì grossa
que esset. Egregium par consulum fore, si M. Li guerra dell'opera e del consiglio di tal uomo.
vium C. Claudio collegam adjunxissent. » Nec Non potersi dare a Caio Nerone collega nè Quinto
populus mentionem eius rei ortam a Patribus est Fabio, nè Marco Valerio Levino, perchè non è
aspernatus. Unus eam rem in civitate is, cui de lecito creare due consoli patrizii. Regge la stessa
ferebatur honos, abnuebat, levitatem civitatis ac causa rispetto a Tito Manlio, oltre che avea egli
cusans. « Sordidati rei non miseritos, candidam to ricusato l'offertogli consolato, e il ricuserebbe di
gam invito offerre: eodem homores poenasque nuovo. Sarebbe una bella coppia di consoli, se
congeri. Si bonum virum duceremt, quid ita pro aggiungessero Marco Livio a Caio Claudio. » Nè
malo ac noxio damnassent? si noxium comperis il popolo lasciò cadere questa menzione comin
sent, quid ita, male credito priore consulatu, al ciata dai Padri. Il solo contraddicente in tutta
terum crederent? » Haec taliaque arguentem et Roma era quello stesso, a cui si conferiva l'onore,
querentem castigabant Patres, « et M. Furium, accusando la leggerezza della città. «Non mossisi
memorantes, revocatum de exilio, patriam pul a pietà di lui supplicante in veste nera, offerirgli
sam sede sua restituisse. Ut parentum saevitiam, ora contro sua voglia la toga candida: accumula
sic patriae, patiendo ac ferendo leniendam esse. re sul capo stesso onori e pene. Se lo stimavan
Adnisi omnes, cum C. Claudio M. Livium consu uomo dabbene, perchè averlo condannato qual
lem fecerunt. tristo e reo ? se lo aveano trovato reo, perchè
malamente affidatogli il primo consolato, com
mettergli il secondo ? » Confutavano i Padri sì
fatti argomenti e querele, ricordando a Marco
Furio, che richiamato dall'esiglio avea rimessa
la patria scacciata dalla sua sede: doversi, come
quella dei genitori, così addolcire la crudeltà
i 99 - TITI LIVII LIBER XXVII. - 20mo

della patria sofferendo e sopportando. » Tutti


adoprandosi d'accordo crearono console Marco
Livio insieme con Caio Claudio.
XXXV. Post diem tertium eius diei praeto XXXV. Tre giorni dopo si tennero i comizii
rum comitia habita. Praetores creati L. Porcius per l'elezione dei pretori. Furono eletti Lucio
Licinus, C. Mamilius, A. et C. Hostilii Catones. Porcio Licino, Caio Mamilio, Aulo e Caio Ostilii
Comitiis perfectis, ludisque factis, dictator et ma Catoni. Finiti i comizii, e fatti i giuochi, il ditta
gister equitum magistratu abierunt. C. Terentius tore e il maestro de'cavalieri deposero la carica.
Varro in Etruriam propraetor missus, ut ex ea Caio Terenzio Varrone fu spedito propretore in
provincia C. Hostilius Tarentum ad eun exerci Toscana, acciocchè Caio Ostilio andasse di là a
tum iret, quem T. Quintius consul habuerat: et Taranto all'esercito, ch'era stato del console Tito
L. Manlius trans mare legatus iret, viseretolue, Quincio; e Lucio Manlio andasse legato oltre
quae res ibi gererentur: simul quod Olympiae mare, e vedesse che si faceva colà: nel tempo
ludicrum ea aestate futurum erat, quod maximo stesso, perchè si aveano in quella state a fare i
coetu Greciae celebraretur, ut, si tuto per hostem giuochi Olimpici, che si celebrano con gran con
posset, adiret id concilium: ut, qui Siculi bello corso di tutta la Grecia, andasse, quando il po
ibi profugi, aut Tarentini cives relegati ab Han tesse senza tema del nemici, a quella assemblea,
nibale essent, domos redirent, scirentolue sua acciocchè i Siciliani, che vi si trovassero fuggiti
omnia, quae ante bellum habuissent, reddere po per la guerra, o i cittadini di Taranto confinativi
pulum Romanum. Quia periculosissimus annus da Annibale, tornassero a casa, e sapessero che
imminere videbatur, neque consules in republica il popolo Romano rendeva loro tutto quello, che
erant, in consules designatos omnes versi, quan aveano avuto innanzi la guerra. Perchè pareva,
primum eos sortiri provincias, et praesciscere, che soprastasse un anno assai pericoloso, ed era
quam quisque eorum provinciam, quem hostem la repubblica senza consoli, tutti rivolgendosi
haberet, volebant. De reconciliatione etiam gra verso i consoli designati bramavano che traesse
tiae eorum in senatu actum est, principio facto ro subito a sorte le province, e sapessero qual
a Q. Fabio Maximo. Inimicitiae autem nobiles provincia si aspettasse ad ognuno, e qual nemi
inter eos erant, et acerbiores eas indignioresque co. Si trattò anche in senato di riconciliarli tra
Livio sua calamitas fecerat, quod spretum se in loro, fattene le prime mosse da Quinto Fabio
ea fortuna credebat. Itaque is magis implacabi Massimo. Perciocchè ci era tra essi una segnalata
lis erat, et « nihil opus esse reconciliatione, aie nimicizia, che avea renduta a Livio ancor più
bat. Acrius et intentius omnia gesturos, timentes acerba e grave la sua stessa calamità, perocchè
ne crescendi ex se inimico collegae potestas fie credeva d'essere stato in quella sua fortuna tra
ret. » Vicit tamen auctoritas senatus, ut, positis vagliosa disprezzato. Era dunque Livio più im
simultatibus, communi animo consilioque admi placabile, e diceva, «non ci essere bisogno di
mistrarent rempublicam. Provinciae iis non per riconciliazione: avrebbero usato in ogni cosa più
mixtae regionibus, sicut superioribus annis, sed attenzione e più vigore nella temenza di dar
diversae extremis Italiae finibus, alteri adversus motivo al collega nemico d'essere da più di sè.
Hannibalem Bruttii,Lucani; alteri Gallia adversus Ottenne nullostante l'autorità del senato, che
Hasdrubalem (quem jam Alpibus appropinquare deposte le nimicizie, amministrassero la cosa
fama erat) decreta. Exercitum ex duobus, qui in pubblica di comun consenso e parere. Si decreta
Gallia,quique in Etruria essent,addito urbano,eli ron loro le province, non come negli anni antece
geret,quem mallet, qui Galliam esset sortitus. Cui denti, promiscuamente, ma distintamente negli
Bruttii provincia evenisset, novis legionibus ur estremi angoli dell'Italia; all'uno i Bruzii e i Lu
banis scriptis, utrius mallet consulum prioris anni cani contro Annibale, all'altro la Gallia contro
exercitum sumeret. Relictum a consule exercitum Asdrubale; perciocchè correva fama, ch'egli di già
Q. Fulvius proconsul acciperet; eique in annum si accostasse all'Alpi. Quegli, cui fosse toccata la
imperium esset: et C. Hostilio, cui pro Etruria Gallia, si scegliesse di due eserciti, ch'erano
Tarentum mutaverant provinciam, pro Tarento uno nella Gallia, l'altro nella Toscana, quello
Capuam mutaverunt: legio una data, cui Fulvius che più volesse, aggiuntovi l'esercito urbano.
proximo anno praefuerat. E l'altro, cui fossero toccati i Bruzii, levate
in Roma nuove legioni, si prendesse qual eser
cito voleva, di uno de' consoli dell'anno scorso.
L'esercito stato lasciato dal console, lo piglias
se il proconsole Quinto Fulvio, cui durasse il
comando per un anno. E a Caio Ostilio, al quale
20 I TITI LIVII LIBER XXVII. 2o2

avean cangiato la Toscana con Taranto, cangia


ron Taranto con Capua: gli diedero una legione,
quella che l'anno innanzi era stata comandata
da Fulvio.
XXXVI. De Hasdrubalis adventu in Italiam XXXVI. Ogni dì più cresceva il pensiero
cura in dies crescebat. Massiliensium primum le della discesa di Asdrubale in Italia. Dapprima i
gati nunciaverant, eum in Galliam transgressum, legati de' Marsigliesi avean riferito ch'egli era
erectosque adventu eius, quia magnum pondus entrato nella Gallia, e che al di lui comparire gli
auri attulisse diceretur ad mercede auxilia con animi de Galli s'erano alquanto riscossi, perchè
ducenda, Gallorum animos. Missi deinde cum iis si diceva aver egli portato seco gran somma di
legati ab Roma Sex. Antistius et M. Raecius ad danaro, onde assoldar gente. Poscia, essendo stati
rem inspiciendam retulerant, misisse se cum Mas spediti da Roma insieme con detti legati Sestio
siliensibus ducibus, qui per hospites eorum, prin Antistio e Marco Recio a riscontrare la cosa,
cipes Gallorum, omnia explorata referrent. Pro questi avean riferito di aver mandata gente sotto
comperto habere, Hasdrubalem ingenti jam coa la scorta di alcuni Marsigliesi, che visitando i
cto exercitu proximo vere Alpes trajecturum; principali della Gallia, loro ospiti, rapportassero
nectum eum quidquam aliud morari, nisi quod quanto avessero osservato. Ora tener essi per
clausae hieme Alpes essent. In locum M. Marcelli cosa certa, che Asdrubale, raccolto un grosso
P. Aelius Paetus augur creatus inauguratusque: et esercito, avrebbe la prossima primavera passato
Cn. Cornelius Dolabella rex sacrorum inaugura l'Alpi; nè altro presentemente ritenerlo, se non
tus est in locum M. Marcii, qui biennio ante mor che non erano transitabili a motivo del verno.
tuus erat. Hoc eodem anno et lustrum conditum In luogo di Marco Marcello fu creato e consecra
est a censoribus P. Sempronio Tuditano et M. to augure Publio Elio Peto, e fu inaugurato re
Cornelio Cethego. Censa civium capita centum dei sagrifizii in luogo di Marco Marcio, morto
triginta septem millia, centum et octo: minor due anni avanti, Gneo Cornelio Dolabella. In
aliquanto numerus, quam qui ante bellum fuerat. quest'anno medesimo fu compiuto il lustro dei
Eo anno primum, ex quo Hannibal in Italiam censori Publio Sempronio Tuditano, e Marco
venisset, comitium tectum esse, memoriae pro Cornelio Cetego. Si noverarono cento trentasette
ditum est, et ludos Romanos semel instauratos ab mila cento e otto teste di cittadini; numero al
aedilibus curulibus Q. Metello et C. Servilio: et quanto minore, che non era stato innanzi la
plebejis ludis biduum instauratum ab Q. Mami guerra. E si trova scritto che in quell'anno per
milio et M.CaecilioMetello aedilibus plebis; et tria la prima volta, da che Annibale era venuto in
signa ad Cereris iidem dederunt; et Jovis epu Italia, fu coperto il comizio, e che i giuochi Ro
lum fuit ludorum causa. (Anno U. C. 545. – A. mani furono rinnovati per un giorno dagli edili
C. 2o7-) Consulatum inde ineunt C. Claudius curuli Quinto Metello e Caio Servilio, ei giuochi
Nero et M. Livius iterum: qui, quia jam designati plebei per due giorni da Quinto Mamilio e Marco
provinciassortiti erant, praetores sortiri jusse Cecilio Metello, edili della plebe. Gli stessi posero
runt. C. Hostilio urbana evenit: addita et pe tre statue nel tempio di Cerere, e si tenne il ban
regrina, ut tres in provincias exire possent. A. chetto di Giove all'occasione del giuochi. (Anni
Hostilio Sardinia, C. Mamilio Sicilia, L. Porcio D. R. 545. – A. C. 2o7.) Indi pigliano il conso
Gallia evenit. Summa legionum trium et viginti lato Caio Claudio Nerone e Marco Livio per la
ita per Provincias divisas, ut binae consulum es seconda volta; i quali avendosi, già designati,
sent; quatuor Hispania haberet; tres praetores spartiti tra loro le province, ordinarono ai pretori
binas, in Sicilia, in Sardinia, et Gallia; duas C. che facessero lo stesso. La pretura urbana toccò
Terentius in Etruria; duas Q. Fulvius in Bruttiis; a Caio Ostilio: gli si aggiunse anche la forestiera,
duas Q. Claudius circa Tarentum et Sallentinos ; perchè tre di essi potessero andare alle lor pro
unam C. Hostilius Tubulus Capuae: duae ur vince. Toccò ad Aulo Ostilio la Sardegna, a Caio
banae ut scriberentur. Primis quatuor legionibus Mamilio la Sicilia, a Lucio Porcio la Gallia. La
populus tribunos creavit: in ceteras consules mi somma dalle ventitrè legioni fu divisa per le pro
serunt, vince in modo, che due fossero de'consoli,quattro
ne avesse la Spagna, due i tre pretori nella Sicilia,
nella Sardegna e nella Gallia, due Caio Terenzio
nella Toscana, due Quinto Fulvio nei Bruzii, due
Quinto Claudio ne' contorni di Taranto e dei
Sallentini; una Caio Ostilio Tubulo a Capua; e
due se ne levassero nella città. Il popolo nominò
2o3 TITI LIVII LIBER XXVII. 2o4
i tribuni per le prime quattro legioni; alle altre
li mandarono i consoli.
XXXVII. Priusquam consules proficisceren XXXVII. Innanzi che i consoli si partissero,
tur, novemdiale sacrum fuit, quia Vejis de coelo ci furono sagrifizii per nove giorni, perchè a
lapidaverat. Sub unius prodigii (ut fit) mentio Veia eran piovute pietre. Dietro alla riferta di un
nem alia quoque nunciata; Minturnis aedem Jo prodigio altri, come suole, ne furono annunziati;
vis et lucum Maricae; item Atellae murum et che era stato colpito da fulmine a Minturno il
portam de coelo tacta. Minturnenses, terribilius tempio di Giove e il bosco di Marica, e così ad
quod esset, adjiciebant, sanguinis rivum in porta Atella il muro e la porta. I Minturnesi aggiun
fluxisse: et Capuae lupus, nocte portam ingres gevano, cosa più spaventosa, che un rivo di san
sus, vigilem laniaverat. Haec procurata hostiis gue era corso per la porta, e che a Capua un lupo,
majoribus prodigia, et supplicatio diem unum entrato dentro la porta, avea sbranata la guardia.
fuit ex decreto pontificum. Inde iterum novem Questi prodigii furono espiati colle vittime mag
diale instauratum, quod in Armilustro lapidibus giori, e vi fu un giorno di preci pubbliche per
visum pluere. Liberatas religione mentesturbavit decreto dei pontefici. Indi si rinnovarono i sagri
rursus nunciatum, Frusinone infantem matum fizii per nove giorni, perchè s'era veduto piover
esse quadrimo parem ; nec magnitudine tam mi pietre nell'Armilustro. Gli animi liberati da re
randum, quam quod is quoque, ut Sinuessae bien ligiose paure conturbolli di nuovo l'annunzio,
nio ante, incertus, mas an femina esset, natus erat. ch'era nato a Frusinone un fanciullo grande,
Id vero aruspices, ex Etruria acciti, foedum ac come uno di quattrº anni; nè tanto mirabile per
turpe prodigium dicere: extorremagro Romano, grandezza, quanto che questi eziandio, come due
procul terrae contactu, alto mergendum. Vivum anni addietro a Sinuessa, nato era senza che si
in arcam condidere, provectumque in mare pro sapesse, se fosse maschio o femmina. Gli aruspici
jecerunt. Decrevere item pontifices, ut virgines chiamati dalla Toscana dissero ch'era un sozzo
ter novenae, per urbem euntes, carmen canerent. e turpe mostro: doversi, bandito dal suolo Ro
Id quum in Jovis Statoris aede discerent, condi mano, lungi dal contatto della terra, sommergere
tum ab Livio poèta, carmen, tacta de coelo aedes nel mar profondo. Lo riposero vivo in una casset
in Aventino Junonis Reginae: prodigiumque id ta, e lo gettaron lungi nel mare. Decretarono
ad matronas pertinere, aruspices quum respon egualmente i pontefici, che ventisette vergini
dissent, donoque divam placandam esse ; aedi andassero per la città cantando un inno. Mentre,
lium curulium edicto in Capitolium convocatae, composto dal poeta Livio, si stanno esse apparam
quibus in urbe Romana, intraque decimum lapi dolo nel tempio di Giove Statore, quello di Giu
dem ab urbe domicilia essent, ipsae inter se quin none regina fu colpito da fulmine sul monte Aven
que et viginti delegerunt, ad quas ex dotibus sti tino; ed avendo risposto gli aruspici che questo
pem conferrent. lnde donum pelvis aurea facta, prodigio risguardava le matrone, e ch'era d'uopo
lataque in Aventinum, pureque et caste a matro placar la dea con un dono; chiamate in Campi
mis sacrificatum. Confestim ad aliud sacrificium doglio per editto degli edili curuli tutte quelle,
eidem divae ab decemviris edicta dies, cujus ordo che abitavano in Roma e nel circuito di dieci mi
talis fuit: ab aede Apollinis boves feminae albae glia all'intorno, elessero venticinque di loro, alle
duae porta Carmentali in urbem ductae: post eas quali conferissero, ciascuna qualche somma tratta
duo signa cupressea Junonis Reginae portaban dalle lor doti. Di che poi fu fatto un bacino d'oro
tur: tum septem et viginti virgines, longam in da darsi in dono, e portato sull'Aventino, e quivi
dutae vestem, carmen in Junonem Reginam ca le matrone con casta e puramente sagrificarono.
nentes ibant; illa tempestate forsitan laudabile E subito di poi statuirono i decemviri il giorno
rudibus ingeniis, nunc abborrens et inconditum, peraltro sagrifizio alla stessa dea, del quale questo
si referatur. Virginum ordinem sequebantur de si fu l'ordine: dal tempio di Apollo per la porta
cemviri coronati laurea, praetextatique. A porta Carmentale furono condotte in Roma due vacche
Jugario vico in forum venere: in foro pompa bianche, dietro alle quali si portavano due statue
constitit; et per manus reste data, virgines so di Giunone regina, fatte di legno di cipresso, poi
mum vocis pulsu pedum modulantes incesserunt: ventisette vergini in veste lunga veniano cantan
inde vico Tusco Velabroque, per Boarium forum, do un inno in onore della dea, piacente forse
in clivum Publicium atque aedem Junonis Regi allora a quegli ingegni rozzi, ma che parrebbe
nae perrectum. Ibi duae hostiae ab decemviris ora insopportabile ed incomposto, se si riferisse.
immolatae, et simulacra cupressea in aedem illata. Seguivano la fila delle vergini i decemviri coro
nati di alloro, e vestiti della pretesta. Dalla porta
pel borgo dei Gioghi vennero in piazza: quivi
2o5 TITI LIVII LIBER XXVII. 2o6

la processione si fermò , e le vergini, tenendosi


ciascuna ad una stessa funicella, danzarono, accor
dando il suono della voce al batter de'piedi.
Indi dal borgo Toscano e Velabro pel foro
Boario si salì al poggio Publicio, e al tempio di
Giunone regina. Quivi immolarono i decemviri
le due vittime, e le statue di cipresso furon por
tate nel tempio.
XXXVIII. Diis rite placatis, delectum consu XXXVIII. Placati gli dei secondo i riti, i
les habebant acrius intentiusque, quam prioribus consoli attendevano alla leva con più severità e
annis quisquam meminerat habitum: mam et belli rigore, che alcuno si ricordasse mai fatto negli
terror duplicatus novi hostis in Italiam adventu; anni innanzi; perciocchè s'era duplicato il ter
et minus juventutis erat, undescriberent milites. rore per la venuta di un nuovo nemico in Ita
Itaque colonos etiam maritimos, qui sacrosanctam lia, e ci era meno gioventù, donde trar soldati.
vacationem dicebantur habere, dare milites co Quindi obbligavano ad arrolarsi anche i coloni
gebant. Quibus recusantibus, edixere in diem cer marittimi, che si diceva aver un dritto inviola
tam, ut, quo quisque jure vacationem haberet, bile di esenzione; e ricusando essi, s'intimò loro
ad senatum deferret. Ea die hi populi ad sena che in un dato giorno ciascuno recasse al senato
tum venerunt: Ostiensis, Alsiensis, Antias, Auxu qual fosse il suo dritto all'esenzione. I popoli,
ras, Minturnensis, Sinuessamus, et ab superoma che vennero in quel giorno, furono quelli di
ri Senensis. Quum vacationes suas quisque popu Ostia, di Alzia, di Anzio, di Anxure, di Minturno,
lus recitaret, nullius, quum in Italia hostis esset, di Sinuessa, e dal mare di sopra quelli di Sena.
praefer Antiatem Ostiensemque, vacatio observa Avendo ogni popolo presentati i suoi titoli di
ta est, et earum coloniarum juniores jurejuran esenzione, non s'ebbe riguardo, essendo il nemi
do adacti, supra dies triginta non pernoctaturos co in Italia, che a quella degli Anziati e degli
se esse extra moenia coloniae suae, donec hostis Ostiesi, e i giovani di quelle colonie furono ob
in Italia esset. Quum omnes censerent, primo bligati a giurare, che non avrebbero pernottato
quoque tempore consulibus eundum ad bellum, fuori delle lor mura oltre trenta giorni, fin tanto
(nam et Hasdrubali occurrendum esse descen che il nemico fosse in Italia. Essendo opinion ge
denti ab Alpibus, ne Gallos Cisalpinos, neve nerale, che i consoli andassero al più presto alla
Etruriam, erectam in spem rerum novarum, sol guerra (perciocchè bisognava e farsi incontro ad
licitaret; et Hannibalem suo proprio occupan Asdrubale nel suo discendere dall'Alpi, acciocchè
dum bello, ne emergere ex Bruttiis atque obviam non sollevasse i Galli Cisalpini, e la Toscana vo
fratri ire posset) Livius cunctabatur, parum fi gliosa di novità, e insieme tener Annibale occu
dens suarum provinciarum exercitibus: collegam pato in guerra, perchè non potesse uscire dall'A
ex duobus consularibus egregiis exercitibus, ct bruzzo, e recarsi incontro al fratello), Livio però
tertio, cui Q. Claudius Tarenti praeesset, electio soprastava, confidando poco negli eserciti delle
nem habere: intuleratoue mentionem de voloni sue province, mentre il collega avea la scelta dei
bus revocandis ad signa. Senatus liberam pote due begli eserciti consolari, e del terzo, ch'era
statem consulibus fecit, et supplendi unde vellent, a Taranto sotto gli ordini di Quinto Claudio; ed
et eligendi de omnibus exercitibus, quos vellent, avea fatto menzione di richiamare i voloni alle
permutandique, et ex provinciis, quos e republi bandiere. Il senato diede ai consoli piena licenza
ca censerentesse, traducendi. Ea omnia cum sum e di trarre i supplementi donde volessero, e di
ma concordia consulum acta. Volones in unde scegliere di tutti gli eserciti quelli, che volesse
vicesimam et vicesimam legiones scripti. Magni ro, e di permutarli e tradurli dalle province, co
roboris auxilia ex Hispania quoque a P. Scipione me credessero più utile alla repubblica. Tutto
M. Livio missa quidam ad id bellum auctores ciò fu fatto con somma concordia dei consoli. I
sunt: octo millia Hispanorum Gallorumque, et voloni furono levati per essere ascritti alla dician
duo millia de legione militum, equitum mille, novesima e ventesima legione. Alcuni anche scri
mixtos Numidas Hispanosque: M. Lucretium has vono, che Publio Scipione mandò di Spagna a
copias navibus adduxisse; et sagittariorum fundi Livio aiuti di molto nerbo, otto mila Spagnuoli
torumque ad quatuor millia ex Sicilia C. Mami e Galli, e due mila legionarii Romani e mille
lium misisse. cavalli, parte Spagnuoli e parte Numidi; che
Marco Lugrezio trasportò queste forze sulle navi,
e che Caio Mamilio spedì di Sicilia da quattro
mila arcieri e frombolieri.
207 TITI LIVII LIBER XXVII. 2o8

XXXIX. Auxerunt Romae tumultum literae XXXIX. Accrebbero la confusione in Roma


ex Gallia allatae ab L. Porcio praetore: « Hasdru le lettere venute dalla Gallia di Lucio Porcio pre
balem movisse ex hibernis, et jam Alpes transire; tore: se essersi già mosso Asdrubale da quartieri
octo millia Ligurum conscripta armataque, con d'inverno, e già passar l'Alpi; otto mila Liguri
junctura se transgresso in Italiam esse, nisi mit arrolati ed armati gli si unirebbero tosto che
teretur in Ligures, qui eos bello occuparet. Se avesse messo piede in Italia, se non si spedisse
cum invalido exercitu, quoad tutum putaret, pro chi tenesse occupati i Liguri in guerra; ch'egli
gressurum. » Hae literae consules, raptim con si sarebbe portato innanzi col suo debole eserci
fecto delectu, maturius, quam constituerant, exire to sin dove stimerà poterlo fare senza pericolo. n
in provincias coegerunt, ea mente, ut uterque Queste lettere obbligarono i consoli, compiuta
hostem in sua provincia contineret, neque con in fretta la leva, a portarsi alle loro province più
jungi, aut conferre in unum vires pateretur. presto che non aveano determinato, coll'inten
Plurimum in eam rem adjuvit opinio Hanniba zione che l'uno e l'altro nella propria provincia
lis, quod, etsi ea aestate transiturum in Italiam contenesse il nemico, nè lo lasciasse unirsi e
fratrem crediderat, recordando quae ipse in tran congiungere le forze insieme. Giovò molto in
situ nunc Rhodani, nunc Alpium, cum hominibus questo l'opinione di Annibale; perciocchè, quan
locisque pugnando per quinque menses exhau tunque credesse che in quella state suo fratello
sisset, haudquaquam tam facilem maturumque sarebbe passato in Italia, pure ricordandosi le
transitum exspectabat : ea tardius movendi ex perdite, ch'egli aveva fatte nel passare ora il
hibernis caussa fuit. Ceterum Hasdrubali et sua Rodano, ed ora le Alpi, combattendo per cinque
et aliorum specmnia celeriora atque expeditiora mesi contro gli uomini e contro i luoghi, non
fuere. Non enim receperunt modo Arverni eunm, si aspettava che il suo passaggio fosse sì facile e
deincepsque aliae Gallicae atque Alpinae gentes, sollecito. Questo fu il motivo per cui tardò ad
sed etiam secutae sunt ad bellum ; et quum per uscire in campagna. Del resto, tutto riuscì ad
munita pleraque transitu fratris, quae antea in Asdrubale più presto e più spedito, che non era
via fuerant, ducebat, tum etiam, duodecim an stata la sua e l'altrui speranza. Perciocchè non
morum assuetudine perviis Alpibus factis, inter solo gli Arverni, poi le altre genti della Gallia e
mitiora jam hominum transibat ingenia. In visitati delle Alpi lo accolsero, ma lo seguirono exiandio
mamque antea alienigenis, nec videre ipsi adve alla guerra; e li conduceva per luoghi la maggior
nam in sua terra assueti, omni generi humano parte spianati dal passaggio del fratello, ch'erano
insociabiles erant. Et primo ignari, quo Poenus prima intransitabili; ed essendo l'Alpi fatte
pergeret, suas rupes suaque castella, et pecorum più agevoli dalla pratica di dodici anni, passava
hominumque praedam peti crediderant: fama tra gente divenuta d'indole più mite. Perciocchè
deinde Punici belli, quo duodecimum annum innanzi non visitati mai da stranieri, nè soliti a
Italia urebatur, satis edocuerat, viam tantum Al vedere alcuno nel lor paese, non aveano società
pes esse: duas praevalidas urbes, magno interse alcuna con tutto il genere umano; e dapprima
maris terrarumque spatio discretas, de imperio ignorando dove il Cartaginese volesse andare,
et opibus certare: hae causae aperuerant Alpes avean creduto ch'ei mirasse a prendere le rupi
Hasdrubali. Ceterum quod celeritate itineris pro e i lor castelli, e far preda d'uomini e di bestia
fectum erat, id mora ad Placentiam, dum frustra mi; ma poi la fama della guerra Punica, che da
obsidet magis, quam oppugnat, corrupit. Credi dodici anni divorava l'Italia, gli avea bastante
derat campestris oppidi, facilem expugnationem mente istrutti, non altro esser l'Alpi, che un
esse; et nobilitas coloniae induxerat eum, ma passaggio, e che due nazioni validissime, distanti
gnum se excidio eius urbis terrorem ceteris ra tra loro per gran tratto di terra e di mare, com
tum injecturum. Non ipsum solum ea oppugnatio battevano per gara di signoria e di potenza.
impediit, sed Hannibalem post famam transitus Queste cagioni aveano aperte l'Alpi ad Asdrubale.
ejus, tanto spe sua celeriorem, jam moventem ex Del resto, il profitto che si era fatto colla celerità
hibernis, continuerat; quippe reputantem, non del cammino, lo avea guastato l'indugio intorno
solum quam lenta urbium oppugnatio esset, sed Piacenza, mentre piuttosto l'assedia inutilmente,
etiam quam ipse frustra eamdem illam coloniam, che la combatte. Credeva facile il prendere una
ab Trebia victor regressus, tentasset. città di pianura; e la celebrità della colonia l' a
veva indotto a pensare che con l'eccidio di
quella città grande spavento avrebbe messo nelle
altre. Nè quell'assedio ritardò lui solo, ma rat
tenne pur anche Annibale, che, udito il passaggio
di Asdrubale tanto più presto che non pensava,
2o0 TITI LIVII LIBER XXVII. 2 10

si disponeva a muoversi dai quartieri; rammen


tando non solamente quanto fosse lenta l'espu
gnazione delle città, ma eziandio, com'egli stesso,
tornando vincitore dalla Trebbia, avesse inutil
mente combattuta quella colonia medesima.
XL. Consules, diversis itineribus profecti ab XL. I consoli, partitisi di Roma per due strade
urbe, velut in duo pariter bella distenderant cu diverse, divisero come in due diverse guerre
ras hominum, simul recordantium, quas primus anche i pensieri degli uomini, i quali e si ricor
adventus Hannibalis intulisset Italiae clades; si davano che ruine avea portate all'Italia la pri
mul, quum illa angeret cura, « quos tam pro ma venuta di Annibale; ed erano eviandio in
pitios urbi atque imperio fore deos, uteodem affanno, pensando a quali sarebbero stati gli dei
tempore utrobique respubblica prospere gerere propizii tanto alla città ed all'impero di Roma,
tur? Adhuc adversa secundis pensando rem ad id sì che nello stesso tempo da per tutto le cose
tempus extractam esse. Quum in Italia ad Trasi andassero prosperamente ? s'era tirato innanzi
menum et Cammas praecipitasset Romana res, pro fino ad ora co buoni compensando i tristi succes
spera bella in Hispania prolapsam eam erexisse. si. La repubblica precipitata in Italia per le bat
Posteaquam in Hispania alia super aliam clades, taglie del Trasimeno e di Canne, l'aveano rilevata
duobus egregiis ducibus amissis, duos exercitus i successi prosperi della Spagna. Indi poi che in
ex parte delesset multa, secunda in Italia Sicilia Ispagna una ed un'altra sconfitta, perduti due
que gesta quassatam rempublicam excepisse: et sommi capitani, ebbe quasi affatto annientati
ipsum intervallum loci, quod in ultimis terrarum due eserciti, i felici eventi accaduti nell'Italia e
oris alterum bellum gereretur, spatium dedisse nella Sicilia avean rimessa la conquassata repub
ad respirandum. Nunc duo bella in Italiam ac blica; e la stessa distanza de luoghi, facendosi
cepta, duo celeberrimi nominis duces circumstare una delle guerre nelle parti estreme della terra,
urbem Romanam, et unum in locum totam peri avea dato tempo a respirare. Ora due guerre
culi molem, omne onus incubuisse. Qui eorum vengono a piombare sull'Italia, due capitani di
prior vicisset, intra paucos dies castra cum alte nome celebratissimo accerchian Roma, e tutta la
ro juncturum. » Terrebat et proximus annus lu mole del pericolo, tutto il peso s'era concentrato
gubris duorum consulum funeribus. His anxii in un luogo solo. Il primo dei nemici, che vinces
curis homines digredientes in provincias consules se, fra pochi di congiunto avrebbe il campo suo
prosecuti sunt. Memoriae proditum est, plenum a quello dell'altro. » Spaventava anche l'anno
adhuc irae in cives M. Livium, ad bellum profi prossimamente decorso, anno lugubre per la
ciscentem, monenti Q. Fabio, a ne, priusquam ge morte di due consoli. Con questo affanno in cuore
nus hostium cognosset, temere manum consere la gente accompagnava i consoli, che partivano
ret, º respondisse: « Ubi primum hostium agmen per le loro province. Fu scritto che Marco Livio,
conspexisset pugnaturum. » Quum quaereretur, andando alla guerra pieno ancora di sdegno con
quae causa festinandi esset ? . Aut ex hoste egre tro i suoi concittadini, rispondesse a Quinto Fa
giam gloriam, inquit, aut ex civibus victis gau bio, il quale lo ammoniva . di non venire alle
dium, meritum certe, etsi non honestum, ca mani, se prima non conoscesse la qualità del neº
piam. » Priusquam Claudius consul in provin mico, e che anzi avrebbe combattuto, come tosto
ciam perveniret, per extremum finem agri Lari avesse veduto il primo squadrone. ” E ricercato
natis ducentem in Sallentinos exercitum Hanni qual fosse la cagione di tanta fretta, dicesse: «O
balem cum expeditis cohortibus adortus, C. Hosti trarrò dal nemico egregia fama, o dai vinti cit
lius Tubulus incomposito agmini terribilem tu tadini se non onesta, certo meritata allegrezza. ”
multum intulit. Ad quatuor millia hominum occi Innanzi che il console Claudio arrivasse alla sua
dit, novem signa militaria cepit. Moverat ex hi provincia, Caio Ostilio Tubulo con le coorti
bernis ad famam hostis Q. Claudius, qui per leggere avendo assaltato Annibale, che pel confi
urbes agri Sallentini castra disposita habebat. ne Larinate conduceva l'esercito ne' Sallentini,
Itaque, ne cum duobus exercitibus simul confli mise in quello terribile confusione; uccise da
geret, Hannibal nocte castra ex agro Tarentino quattro mila uomini, e prese nove bandiere. Alla
movit, atque in Bruttios concessit. Claudius in fama de nemici s'era mosso da quartieri d'in
Sallentinos agmen convertit. Hostilius, Capuam verno Quinto Claudio, che avea le sue genti
petens, obvius ad Venusiam fit consuli Claudio. distribuite per le città del contado Sallentino;
quindi Annibale, per non aver a combattere ad
lbi ex utroque exercitu electa peditum quadra
ginta millia, duo millia et quingenti equites, qui un tratto contro due eserciti, di notte mosse il
bus consul adversus Hannibalem rem gereret: campo dal territorio di Taranto, e passò ne Bru
Livio a i4
2 il l'I I I LIVII LIBER XXVII. 2 1a

reliquas copias Hostilius Capuam ducerejussus, ut zii. Claudio si volse ai Sallentini. Ostilio, recan
Q. Fulvio proconsuli traderet. dosi a Capua, s'incontrò a Venosa col console
Claudio. Quivi si fece una scelta dall'uno e dal
l'altro esercito di quaranta mila fanti, e due mila
cinquecento cavalli, con i quali il console com
battesse con Annibale; il rimanente delle genti
Ostilio ebbe ordine di condurle a Capua, onde
consegnarle al proconsole Quinto Fulvio.
XLI. Hannibal, undigue contracto exercitu, XLl. Annibale, raccolto da ogni parte l'eser
quem in hibernis, aut in praesidiis agri Bruttii cito, che avea me quartieri d'inverno, o nelle
habuerat, in Lucanos ad Grumentum venit, spe guernigioni delle città de Bruzii, venne a Gru
recipiendi oppida, quae per metum ad Romanos mento nella Lucania, colla speranza di ricuperare
defecissent. Eodem a Venusia consul Romanus le terre, che per paura s'erano volte ai Romani.
exploratis itineribus contendit, et mille fere et Recasi colà pure da Venosa, fatte riconoscere le
quingentos passus castra ab hoste locat. Grumenti strade, il console Romano, e si accampa mille
moenibus prope injunctum videbatur Poenorum cinquecento passi all'incirca discosto dal nemico,
vallum: quingenti passus intererant. Castra Puni Lo steccato dei Cartaginesi pareva quasi addos
caac Romana interjacebat campus; colles immi sato alle mura di Grumento; non c'era, che la
nebant nudi sinistro lateri Carthaginiensium, distanza di cinquecento passi. Tra il campo Car
dextro Ronanorum, neutris suspecti, quod nihil taginese ed il Romano eravi una pianura; alcu
silvae neque ad insidias latebrarum habebant. In ni colli del tutto ignudi sovrastavano al sinistro
medio campo ab stationibus procursantes certa lato dei Cartaginesi, al destro dei Romani, a
mina, haud satis digna dictu, serebant. Id modo niuna delle parti sospetti, perchè non aveano nè
Romanum quaerere apparebat, ne abire hostem boscaglie, nè nascondigli, dove appiattarsi. Nel
pateretur. Hannibal, inde evadere cupiens, totis mezzo della pianura e questi e quelli, scorrendo
viribus in aciem descendebat. Tum consul, inge fuor delle porte, faceano scaramucce non degne
mio hostis usus, quo minus in tam apertis colli d'essere ricordate. A questo solamente si vedea
bus timeri insidiae poterant, quinque cohortes, mirare il Romano, di non lasciare che il nemico
additis quinquemanipulis, nocte jugum superare, partisse. Annibale, pur bramando levarsi di là,
elin aversis vallibus considerejubet.Tempus ex usciva a battaglia con tutte le forze. Allora il con
surgendi ex insidiis, et aggrediendi hostem, Ti. sole, usando l'arti nemiche, quanto ci era meno
Claudium Asellum tribunum militum et P. Clau da temere agguati in così scoperte colline, com
dium praefectum sociùm edocet, quos cum iis mette a cinque coorti, aggiunte vi cinque compa
mittebat. Ipse luce prima copias omnes peditum gnie, che di notte sormontino il giogo, e si ap
equitumque in aciem eduxit. Paullo post et ab piattino nelle opposte valli. A Tito Claudio Asel
Hannibale signum pugnae propositum est, cla lo, tribuno del soldati, e a Publio Claudio, pre
norque in castris ad arma discurrentium est su fetto degli alleati, che avea mandati con quella
blatus. Inde eques pedesque certatim portis ruere, squadra, insegna il tempo di uscire dagli agguati,
º Palati per campum properare ad hostes. Quos e di assaltare il nemico. Egli sul far del giorno
ubi effusos consul videt, tribuno militum tertiae trae fuori in ordinanza tutti i suoi fanti e cavalli.

legionis C. Aurunculeio imperat, ut equites le Poco di poi anche Annibale dà il segno della bat
gionis, quanto maximo impetu possit, in hostem taglia, e si ode levarsi dagli allogiamenti il grido
emittat: ita pecorum modo incompositos toto de'soldati che corrono all'armi; ed ecco la gen
Passim campo se fudisse, ut sterni obterique, te a piedi ed a cavallo lanciarsi a gara fuor delle
Priusquam instruantur, possint. porte, e sparsi per la pianura muoversi frettolosi
contro il nemico. Il console, vedendoli così sban
dati, ordina a Caio Arunculeio, tribuno della terza
legione, che scagli addosso a nemici la sua caval
leria con quanto maggior impeto si possa: essersi
coloro sì disordinatamente sparpagliati qua e là,
a guisa di bestiami, che si potevano atterrare,
calpestare innanzi che si ordinassero.
XLII. Nondum Hannibal e castris exierat, XLII. Non era uscito Annibale ancora dagli al
quum pugnantium clamorem audivit: itaque ex loggiamenti, quando udì le grida di quelli, che
citus tumultu, raptim ad hostem copiasagit. Jam combattevano. Scosso pertanto dal rumore, ratto
Prinus occupaveral equester terror: peditum spinge i suoi contro il nemico. Già i primi erano
2 13 TITI LIVII LIBER XXVII 214
etiam prima legio et destra ala proelium inibant. stati spaventati dall'urto della cavalleria. Anche
Incompositi hostes, ut quemque aut pediti, aut l'infanteria della prima legione, e l'ala destra
equiti casus obtulit, ita conserunt manus. Crescit degli ausiliarii entravano in battaglia. I nemici
pugna subsidiis, et procurrentium ad certamen scompigliati, come si abbattono a caso nella gente
numero augetur; pugnantesque (quod nisi in a piedi od a cavallo, così combattono. Cresce la
vetere exercitu, et duci veteri haud facile est) pugna pe'rinforzi, e si aumenta del numero della
inter tumultum acterrorem instruxisset Hannibal, gente, che accorre a sostenerla, ed avrebbe
mi cohortium ac manipulorum decurrentium per Annibale, anche in mezzo alla confusione ed al
colles clamor, ab tergo auditus, metum, ne inter terrore, ordinati i suoi (cosa non facile, se non se
cluderetura castris injecisset. Inde pavor incus a vecchio capitano e a vecchio esercito), se il gri
sus, et fuga passim fieri coepta est: minorque do udito alle spalle delle coorti e compagnie, che
caedes fuit, quia propinquitas castrorum brevio scendevan giù di corso dalle colline, non gli aves
rem fugam perculsis fecit. Equites enim tergo in se messi in panra d'essere esclusi dai loro allog
haerehant: in transversa latera invaserant cohor giamenti. Quindi cominciarono a mettersi in
tes, secundis collibus via nuda ac facili decurren paura ed a fuggire da ogni parte; e la strage fu
tes: tamen supra octo millia hominum occisa, minore, perchè la vicinanza degli alloggiamenti
supra septingentos capti: signa militaria novem fece agli atterriti più breve la fuga. Perciocchè
adempta; elephanti etiam, quorum mullus usus avendo la cavalleria nemica fitta alle spalle, gli
in repentina ac tumultuaria pugna fuerat, qua assalirono di fianco le coorti, che giù correvano
tuor occisi, duo capti. Circa quingentos Romano dalle dolci colline per via facile e spianata. Non
rum sociorumque victores ceciderunt. Postero dimeno ne restaron morti da otto mila, presi più
die Poenus quievit. Romanus, in aciem copiis di settecento; tolte nove bandiere, e degli elefan
eductis, postguam neminem signa contra efferre ti, de'quali non s'era fatto alcun uso in quella
vidit, spolia legi caesorum hostium, et suorum zuffa repentina e tumultuaria, uccisi quattro,
corpora collata in unum sepeliri jussit. Inde in presi due. Perdettero i vincitori da cinquecento
sequentibus continuis diebus aliquot ita institit tra Romani ed alleati. Annibale il dì seguen
portis, ut prope inferre signa videretur : domec te stette quieto. Il Romano, uscito colle genti
Hannibal tertia vigilia, crebris ignibus taberna a battaglia, poi che vide nessuno farsegli in
culisque, quae pars castrorum ad hostes verge contro, ordinò che si raccogliessero le spoglie
bat, et Numidis paucis, qui in vallo portisque se de'nemici uccisi, e i cadaveri de'suoi, messi in
ostenderent, relictis, profectus Apuliam petere sieme, si abbruciassero. Indi per alquanti giorni
intendit. Ubi illuxit, successitvallo Romana acies; continui minacciò sì dappresso le porte, che pa
et Numidae ex composito paulisper in portis se reva volesse assaltare il campo; sino a tanto che
valloque ostentavere, frustratique aliquandiu Annibale sulla terza veglia, lasciati accesi molti
hostes, citatis equis agmen suorum assequun fuochi, lasciate le tende dalla parte, che guardava
tur. Consul, ubi silentium in castris, et ne paucos il nemico, e lasciati alcuni pochi Numidi, che si
quidem, qui prima luce obambulaverant, parte mostrassero sullo steccato ed alle porte, partito
ulla cernebat, duobus equitibus speculatum in s'incamminò verso la Puglia. Appena si ſe'chiaro,
castra praemissis, postduam satistuta omnia esse l'esercito Romano si accostò agli steccati; i Nu
exploratum est, inferri signa jussit: tantumque midi, secondo l'ordine avuto, si mostrarono al
ibi moratus, dum milites ad praedam discurrunt, cun poco alle porte e alle palizzate, ed avendo
receptui deinde cecinit, multoque ante noctem per alquanto tempo tenuto a bada il nemico, spro
copias reduxit. Postero die prima luce profectus, mati i cavalli, raggiunsero i suoi. Il console, os
magnis itineribus famam et vestigia agminis se servato il silenzio del campo, non vedendo da
quens, haud procul Venusia hostem assequitur. nessuna parte nè anche que pochi, che sul primo
Ibi quoque tumultuaria pugna fuit, supra duo schiarire andavano qua e là vagando, mandati
millia Poenorum caesa. Inde nocturnis monta innanzi due cavalieri a spiare il campo nemico,
misque itineribus Poenus, ne locum pugnandi poi che scorse ogni cosa intorno sicura, comandò
daret, Metapontum petiit. Hanno inde (is che si entrasse dentro; e fermatosi quivi sola
enim praesidio eius loci praefuerat) in Brut mente sin tanto che il soldato corre a depredare,
tios cum paucis ad exercitum novum compa indi sonò a raccolta, e molto innanzi che facesse
randum missus. Hannibal, copiis ejus ad suas notte, ritrasse le sue genti. Partitosi il dì seguen
additis, Venusiam retro, quibus venerat itine te in sull'alba, seguendo a gran giornate la fama
ribus, repetit, atque inde Canusium procedit. e l'orme dell'esercito nemico lo raggiunse non
Numquam Nero vestigiis hostis abstiterat; et molto lungi da Venosa. V'ebbe qui pure un fatto
Q. Fulvium, quum Metapontum ipse proficisce d'arme tumultuario; furon tagliati a pezzi più di
a 15 TITI LIVII LIBER XXVII. 2 1G
e

retur, in Lucanos, ne regio ea sine praesidio esset, due mila Cartaginesi. Di là Annibale, per non
arcessierat. aversi ad azzuffare, camminando di notte per
montagne, portossi a Metaponto, da dove Anno
ne (ch'era stato alla guardia di quel luogo) fu
mandato con pochi nel paese de'Bruzii a levare
un nuovo esercito. Annibale, aggiunte alle sue le
genti di Annone, tornò a Venosa per la strada
stessa, ch'era venuto; e quindi va a Canusio.
Non s'era mai Nerone scostato dalle pedate del
nemico, e nell'andare a Metaponto avea chiamato
Quinto Fulvio ne Lucani, onde quel paese non
restasse senza presidio.
XLIII. Inter haec ab Hasdrubale, posto uam a XLIII. In questo mentre, come Asdrubale si
Placentiae obsidione abscessit, quatuor Galli e fu partito dall'assedio di Piacenza, quattro cava
quites, duo Numidae, cum literis ad Hannibalem lieri Galli, e due Numidi, mandati da lui con let
missi, quum per medios hostes totam ferme lon tere ad Annibale, avendo attraversata quasi tutta
gitudinem Italiae emensi essent, dum Metapon la lunghezza dell'Italia per mezzo a nemici, men
tum cedentem Hannibalem sequuntur, incertis tre van dietro alle tracce di Annibale, che si riti
itineribus Tarentum delati, a vagis per agros pa rava da Metaponto, trasportati dall'ignoranza
bulatoribus Romanis ad Q. Claudium propraeto delle strade a Taranto, presi dai foraggieri Ro
rem deducuntur. Eum primo incertis implicantes mani, che vagavano per la campagna, furon me
responsis, ut metus tormentorum admotus fateri nati al propretore Quinto Claudio. Avvoltolo
vera coegit, edocuerunt, literas se ab Hasdrubale dapprima con ambigue risposte, come la paura
ad Hannibalem ferre. Cum iis literis, sicuterant, degli appressati tormenti gli obbligò a confessare
signatis, L. Virginio tribuno militum ducendi ad il vero, gli dissero, che portavan lettere di Asdru
Claudium consulem traduntur. Duae simul tur bale ad Annibale. Con queste lettere, suggellate
mae Samnitium praesidii causa missae: qui ubi com'erano, son consegnati a Lucio Virginio, tri
ad consulem per venerunt, literaeque lectae per buno dei soldati, per essere condotti al console
interpretem sunt, et ex captivis percunctatio fa Claudio. Si mandarono con lui a sua guardia due
cta; tum Claudius, non id tempus esse reipubli bande di soldati Sanniti. Giunti che furono i pri
cae ratus, quo consiliis ordinariis provinciae suae gioni al console, e poi che s'ebber lette le lettere
quisque finibus per exercitussuos cum hoste de col mezzo d'interprete, e si furono interrogati,
stinato ab senatu bellum gereret, audendum ali allora Claudio, stimando non essere la repubblica
quid improvisum, inopinatum, quod coeptum non in circostanza tale, che ognuno avesse coi metodi
minorem apud cives, quam hostes, terrorem fa ordinarii a guerreggiare ne'confini della propria
ceret, perpetratum in magmam laetitiam ex ma provincia contro il nemico assegnatogli dal senato;
gno metu verteret; literis Hasdrubalis Romam ad doversi tentar qualche colpo improvviso, inopi
senatum missis, simul et ipse Patres conscriptos, nato, che intrapreso non meno atterrisse i citta
quid pararet, edocet, ut, quum in Umbria se oc dini, che i nemici, ma eseguito volgesse poi la
cursurum Hasdrubal fratri scribat. legionem a Ca grande paura in grande allegrezza, mandate le
pua Romam arcessant; delectum Romae habeant; lettere di Asdrubale al senato, informa i Padri
exercitum urbanum ad Narniam hosti opponant. coscritti di ciò, ch'egli meditava; cioè, che scri
IIaec senatui scripta. Praemissi item per agrum vendo Asdrubale al fratello, che lo avrebbe in
Larinatem, Marrucinum, Frentanum, Praetutia contrato nell'Umbria, richiamino a Roma la le.
num, qua exercitum ducturus erat, ut omnes ex gione, ch'era di Capua; facciano nuova leva a
agris urbibusque commeatus paratos militi ad ve Roma; e oppongano presso a Narni l'esercito
scendum in viam deferrent, equos jumentaque urbano al nemico. Questo scrisse al senato. Man
alia producerent,ut vehiculorum fessis copia esset. dò pur gente pei contadi Larinate, Marrucino,
Ipse de toto exercitu civium sociorumque, quod Frentano, Pretuziano, pe quali voleva condurre
roboris erat, delegit, sex millia peditum, mille l'esercito, ad avvisare che tutti dalle campagne
equites: pronunciat, occupare se in Lucanis pro e dalle città portassero in sulle strade vettovaglie
ximam urbem Punicumque in ea praesidium vel in pronto a cibare i soldati, e traessero fuori ca
Ie, ut ad iter parati omnes essent. Profectus no valli e giumenti d'ogni sorte, acciocchè i soldati
cte flexit in Picenum. Et consul quidem, quantis stanchi trovassero dove salire. Egli, di tutto l'e
maximis itineribus poterat, ad collegam ducebat, sercito di cittadini e di alleati, sceglie il miglior
relicto Q. Catio legato, qui castris praeesset. nerbo, sei mila fanti e mille cavalli; mette voce
217 TITI LIVII LIBER XXVII. 2 18

di voler prendere la città più vicina della Lucania


e il presidio Cartaginese, che ci è dentro, onde
tutti stessero pronti alla partita. Mossosi di notte,
piega il cammino verso il Piceno. In questa guisa
il console a grandi giornate, quanto più poteva,
andava ad unirsi al collega, lasciato il legato
Quinto Cazio alla custodia del campo.
XLIV. Romae haud minus terroris actumul XLIV. A Roma non era minore la confusione
tus erat, quam fuerat biennio ante, quum castra e lo spavento di quel che fu due anni innanzi,
Punica objecta Romanis moenibus portisque fue quando gli accampamenti Cartaginesi stavan di
rant: neque satis constabat animis, tam audax iter fronte alle mura ed alle porte Romane; nè ben
consulis laudarent vituperarentne. Apparebat sapevano se quella mossa così ardita del console
(quo nihil iniquius est) ex eventu famam habi fosse da lodarsi o biasimarsi. Si vedeva che se
turum. « Castra prope Hannibalem hostem reli ne sarebbe giudicato dall'esito (di che non v' ha
cta sine duce cum exercitu, cui detractum foret ingiustizia maggiore). « Si era lasciato il campo
omne, quod roboris, quod ſloris fuerit ; et con in vicinanza di Annibale senza capitano, con un
sulem in Lucanos ostendisse iter, qunn Picenum esercito, da cui s'era tolto tutto il nerbo, tutto il
et Galliam peteret, castra relinquentem nulla alia fiore. Avea fatto il console mostra di andar nei
re tutiora, quan errore hostis, qui ducem inde
Lucani, mentre invece si portava nel Piceno e
atque exercitus partem abesse ignoraret. Quid nella Gallia, lasciando il campo non d'altra forza
futurum, si id palam fiat, et aut insequi Nero guernito, che dell'errore, in cui era il nemico, il
nem, cum sex millibus armatorum profectum, quale ignorava esserne partito il comandante e
Hannibal toto exercitu velit, aut castra invadere parte dell'esercito. Che avverrebbe, se si sapesse?
praedae relicta, sine viribus, sine imperio sine o se voglia Annibale inseguire con tutte le genti
auspicio ? » Veteres ejus belli clades, duo consu Nerone partito con soli sei mila soldati, o assal
les proximo anno interfecti terrebant. « Et ea tare qui gli alloggiamenti, lasciati a cadere preda
omnia accidisse, quum unus imperator, unus e del nemico, senza forze, senza comando, senza
xercitus hostium in Italia esset: nunc duo bella auspizii ? » Spaventavano le sconfitte avute in
Punica facta, duos ingentes exercitus, duos pro addietro in questa guerra, i due consoli uccisi
pe Hannibales in Italia esse: quippe et Hasdru l'anno innanzi. « E queste sciagure avvennero,
balem, patre eodem Hamilcare genitum, aeque quando non v'era in Italia, che un comandante,
impigrum ducem, per tot in Hispania annos Ro un esercito nemico: ora son fatte due le guerre
mano exercitatum bello, gemina victoria insignem Cartaginesi, due i grandi eserciti, e due, per co
duobus exercitibus cum clarissimis ducibus dele sì dire, gli Annibali; che anche Asdrubale, nato
tis. Nam itineris quidem celeritate ex Hispania et dello stesso padre Amilcare, non men valente ca
concitatis ad arma Gallicis gentibus multo magis pitano, esercitato per tant'anni nella guerra di
quam Hannibalem ipsum, gloriari posse. Quippe Spagna a combattere coi Romani, andava famoso
in iis locis hunc coégisse exercitum, quibus ille per due vittorie, disfatti due eserciti co' loro
majorem partem militum fame ac frigore, quae egregii comandanti. Perciocchè può egli molto
miserrima mortis genera sunt, amisisset. - Adji più che Annibale stesso gloriarsi della celerità di
ciebant etiam periti rerum Hispaniae, «haud cum sua venuta dalla Spagna, non che d'aver chiamate
ignoto duce C. Nerone congressurum; sed quem all'armi le genti della Gallia, avendo raccolto un
in saltu impedito deprehensus forte, haud secus esercito in que luoghi medesimi, dove l'altro
quam puerum, conscribendis fallacibus conditio avea perduto la maggior parte de'suoi per fred
nibus pacis frustratus elusisset. - Omnia majora do e per fame, i due più funesti generi di mor
etiam vero praesidia hostium, minora sua, metu te. » Aggiungevano eziandio i pratichi delle cose
interprete, semper in deteriora inclinato, duce di Spagna, « che Asdrubale avrebbe avuto a com
bant. battere con Caio Nerone, che non eragli scono
sciuto, quello stesso, che da lui colto a caso in un
passo angusto, aveva egli, non altrimenti che un
fanciullo, con fallaci condizioni di pace gabbato.»
E facean maggiori per ogni conto le forze dei
nemici, minori le proprie, ascoltando il timore
che interpreta tutto al peggio.
XLV. Nero, postduam jam tantum intervalli XLV. Nerone, poi che s'ebbe messo a tanta
detegi consilium satis tutum
ab hoste fecerat, ust distanza dal nemico, che nulla più si rischiava
219 TITI LIVII LIBER XXVII. 22o

esset, paucis milites alloquitur. Negat a ullius palesando il disegno, drizza a soldati poche pa
consilium imperatoris in speciem audacius, re role. Sostiene, «che da nessun altro comandante
ipsa tutius fuisse, quam suum. Ad certam eos se fu preso mai un partito in apparenza più ardito,
victoriam ducere: quippe ad quod bellum collega in fatto più sicuro del suo; ch'egli li conduceva
non ante, quam ad satietatem ipsius peditum at a certa vittoria. Perciocchè a quella guerra, alla
que equitum datae ab senatu copiae fuissent ma quale il suo collega non volle andare, se prima il
jores instructioresque, quam si adversus ipsum senato non gli avesse dato sino a sazietà la
Hannibalem iret, profectus sit, eo ipsos, quan maggiore più robusta gente in fanteria e caval
tumcumque virium momentum addiderint, rem leria, non altrimenti che se andasse contro An
omnem inclinaturos. Auditum modo in acie (nam, nibale, a quella guerra medesima qualunque
me ante audiretur, daturum operam ), alterum momento di forza essi aggiungessero, farebbon
consulem et alterum exercitum advenisse, haud certo crollar la bilancia a lor favore. L'udirso
dubiam victoriam facturum. Famam bellum con lamente nell'atto della mischia (e ben mi adopre
ficere, et parva momenta in spem metumque im rò, perchè non si oda prima) essere arrivato l'al
pellere animos. Gloriae quidem ex re bene gesta tro console e l'altro esercito, darebbe loro cer
partae fructum prope omnem ipsos laturos. Sem tissima vittoria. La fama fa tutto in guerra, e
per, quod postremum adjectum sit, id rem totam piccioli momenti spingono gli animi alla paura,
videri traxisse. Cernere ipsos, quo concursu, qua ovvero alla speranza. Quasi tutto il frutto della
admiratione, quo favore hominum iter suum ce gloria, che verrà dal buon successo, lo avranno
lebretur. » Et, hercule, per instructa omnia or essi; che sempre l'ultima cosa, che viene ad ag
dinibus virorum mulierumque, undigue ex agris giungersi, sembra che abbia tratto seco il merito
effusorum, inter vota et preces et laudes ibant: di tutta. Veggon essi cogli occhi lor proprii con
illos praesidia reipublicae, vindices urbis Romae qual concorso, con quale ammirazione e favor
imperiique appellabant: in illorum armis de tris generale vien celebrato il loro arrivo. » E per ve
que suam liberumque suorum salutem ac liberta rità camminavano per luoghi tutti pieni d'uo
tem repositam esse. Deos omnes deasque preca mini e di donne di ogni ordine, accorsi a gara
bantur, utillis faustum iter, felixque pugna, ma dalle campagne, in mezzo a voti e preghiere e
tura ex hostibus victoria esset, damnarenturque lodi; li chiamavano sostegni della repubblica,
ipsi votorum, quae pro iis suscepissent; ut, quem salvatori di Roma e dell'impero, dicendo ch'era
admodum nunc solliciti prosequerentur eos, ita riposta nell'armi e destre loro la salute e libertà
paucos post dies laeti ovantibus victoria obviam sua e de' figliuoli. Pregavano gli dei tutti e le dee,
irent. Invitare inde pro se quisque, et offerre, che il loro cammino fosse felice, prospero il com
et fatigare precibus, ut, quae ipsis jumentisque battere, presta la vittoria; che starebbono a loro
usui essent, ab se potissimum sumerent: benigne carico i voti, che facessero per essi; sì che, sic
omnia cumulata dare. Modestia certare milites, come ora solleciti gli accompagnavano, così po
me quid ultra usum necessarium sumerent: nihil chi giorni di poi andassero lieti ad incontrarli
morari, nec ab signis absistere cibum capientes: tripudianti per la vittoria. Indi ognuno in parti
diem ac noctem ire: vix, quod satis ad naturale colare gl'invitava ed offriva e istantemente pre
desiderium corporum esset, quieti dare. Et ad gava, che pigliassero francamente quello, che
collegam praemissi erant, qui nunciarent adven potesse abbisognare ad essi e a lor giumenti;
tum, percunctarenturque, clam an palam, inter avrebbon dato tutto largamente e di buon cuore.
diu an noctu, venire sese vellet, iisdem an aliis Gareggiava il soldato colla moderazione, niente
considere castris. Nocte clam ingredi melius vi più pigliando, che il necessario: non mai resta
sum est.
vano, nè si scostavano dalle bandiere per pren
dere il cibo: camminavano dì e notte; appena
davano al sonno quanto ricerca il natural biso
gno dei corpi. S'erano pur anche mandati messi
al collega, che lo avvisassero del suo arrivo, e
chiedessero se voleva che si venisse palesemen
te, ovvero di nascosto, se di giorno o di notte;
se avesse a fermarsi nel campo di lui, ovvero in
altro separato. Parve miglior partito il giungere
nacostamente di notte.
XLVI. Tessera per castra ab Livio consule XLVI. Il console Livio fe'distribuire l'ordine
data erat, ut tribunum tribunus, centurio centu pel campo, che il tribuno pigliasse seco il tribu
turionem, eques equitem, pedes peditem accipe mo, il centurione il centurione, il cavaliere il ca
22 i TITI LIVII LIBER XXVII. -222

ret. Neque enim dilatari castra opus esse, ne ho valiere, il fante il fante; perciocchè non biso
stis adventum alterius consulis sentiret; et coarcta gnava allargare gli alloggiamenti, acciocchè il
tio plurium in angusto tendentium facilior futura nemico non si accorgesse della venuta dell'altro
erat, quod Claudianus exexcitus nihil ferme, prae console; ed era tanto più facile ristringer molti
ter arma, secum in expeditionem tulerat. Cete in breve spazio, quanto che l'esercito di Claudio
rum in ipso itinere auctum voluntariis agmen non aveva in questa spedizione portato seco, che
erat; offerentibus sese ultro et veteribus militi l'armi. Del resto, il numero s'era per via ingros
bus perfunctis jam militia, et juvenibus, quos sato di volontarii, offerendosi da sè e vecchi sol
certatim nomina dantes, si quorum corporis spe dati emeriti, e giovani, che concorrendo a gara,
cies roburque virium aptum militiae videbatur, se li scorgeva per bellezza di figura e robustezza
conscripserat. Ad Senam castra alterius consulis di forze atti alla milizia, gli aveva arrolati. Il
erant; et quingentos inde ferme passus Hasdru campo dell'altro console era a Sena; e Asdrubale
bal aberat. Itaque quum jam appropinquaret, te n'era discosto cinquecento passi all'incirca. Quin
ctus montibus substitit Nero, ne ante noctem ca di Nerone, di già avvicinandosi, si fermò coperto
stra ingrederetur. Silentio ingressi, ab sui quis dai monti, per non entrare negli steccati innanzi
que ordinis hominibus in tentoria abducti, cum che fosse notte. Entrati con gran silenzio, sono
summa omnium laetitia hospitaliter excipiuntur, condotti, ciascuno nelle tende da quelli di un
Postero die cousilium habitum, cui et L. Porcius simil grado, ed accolti ospitalmente, con grande
Licinus praetor adfuit. Castra juncta consulum gioia di tutti. Il dì seguente si tenne consiglio,
castris habebat, et ante adventum eorum per al quale intervenne anche il pretore Lucio Porcio
loca alta ducendo exercitum, quum modo inside Licino. Aveva questi unito il suo al campo dei
ret angustos saltus, ut transitum clauderet, modo consoli, e avanti la lor venuta, menando l'eser
ab latere aut ab tergo carperetagmen, ludificatus cito per luoghi montani, ora fermandosi in passi
hostem omnibus artibus belli fuerat: is tum in stretti per impedirne il transito, ora pizzicando
consilio aderat. Multorum eo inclinant sententiae, il nemico a fianchi, ovvero alle spalle, lo avea
ut, dum fessum via ac vigiliis reficeret militem berteggiato con tutte l'arti della guerra. Questi
Nero, simul et ad noscendum hostem paucos sibi dunque intervenne al consiglio. Molti pareri in
sumeret dies, tempus pugnae differretur. Nero clinano a questo, che mentre Nerone ristora
non suadere modo, sed summa ope orare institit, il soldato stanco dal cammino e dalle veglie,
a ne consilium suum, quod tutum celeritas fecis e si piglia alcuni giorni a riconoscere il nemico,
set, temerarium morando facerent. Errore (qui si differisse il tempo della battaglia. Nerone insi
non diuturnus futurus esset) velut torpentem stette non solo in persuadere, ma eviandio in
Hannibalem, nec castra sua sine duce relicta ag pregare con tutta la forza e che non rendessero
gredi, nec ad sequendum se iter intendisse. An il suo disegno, cui la sola celerità rendea sicuro,
tequam se moveat, deleri exercitum Hasdrubalis coll'indugiare, temerario. Annibale, quasi intor
posse, redirique in Apuliam. Qui prolatando spa pidito da un errore, che però non poteva esser
tium hosti det, eum et illa castra prodere Han lungo, non s'era mosso finora nè ad assaltare il
nibali, et aperire in Galliam iter, ut per otium, suo campo rimasto senza capitano, nè ad inseguir
ubi velit, Hasdrubali conjungatur. Extemplo si lui nel suo cammino. Innanzi ch'egli si mova,
gnum dandum, et exeundum in aciem ; abuten potersi disfare l'esercito di Asdrubale, e dar
dumque errore hostium absentium praesentium di volta nella Puglia. Chi differendo concede
que; dum neque illi sciant cum paucioribus, nec tempo al nemico, è come se desse in mano ad
hicum pluribus et validioribus remesse. » Con Annibale quel campo, come se gli aprisse la strada
silio dimisso, signum pugnae proponitur, confe nella Gallia, onde a tutt'agio, quando volesse, si
stimolue in aciem procedunt. unisse ad Asdrubale. Bisognava dar subito il se
gno, e uscire a battaglia, e valersi dell'errore,
in cui sono i nemici assenti ed i presenti, fintanto
che sanno quelli di aver a fare con pochi, questi
con molti e gagliardissimi. » Licenziato il consi
glio, si dà il segno della battaglia, e immanti
mente escono in ordinanza.
XLVll. Jam hostes ante castra instructi sta XLVII. Già i nemici stavansi schierati dinanzi
bant : moram pugnae attulit, quod Hasdrubal, al campo. Quello che ritardò la battaglia, si fu,
Provectus ante signa cum paucis equitibus, scuta che Asdrubale, fattosi innanzi con pochi cavalli,
vetera hostium notavit, quae ante non viderat, et notò alcuni vecchi scudi di soldati, che non avea
strigosiores equos: multitudo quoque major so veduti innanzi, non che alcuni cavalli sfiancati:
223 TITI LIVII LIBER XXVII. 224

lita visa est. Suspicatus enim id, quod erat, re anche il numero gli parve maggiore. Venuto in
ceptui propere cecinit, ac misit ad flumen, unde sospetto di ciò, ch'era, sonò in fretta a raccolta,
aquabantur, ubi et excipi aliqui possent, et notari e mandò gente al fiume, dove si andava per
oculis, si qui forte adustioris coloris, utex recen acqua, se potessero pigliare qualcuno, ed osser
ti via, essent, simul circumvehi procul castra ju vare, se a caso tra soldati alcuni fossero di colore
bet specularique, num auctum aliqua parte sit più adusto, come chi viene da lunga via: nel
vallum, et ut attendant, semel bisne signum tempo stesso ordina che si vada di lontano gi -
canat in castris. Ea quum ordine omnia relata rando il campo dintorno, e spiando, se lo stec
essent, castra nihil aucta errorem faciebant. Bina. cato da nessuna parte fosse stato allargato; e
erant, sicut ante adventum consulis alterius fue badino, se la tromba si senta sonare nel campo
rant, una M. Livii, altera L. Porcii: neutris una ovvero due volte. Essendogli stato riferito
quidquam, quo latius tenderetur, ad munimenta il tutto con ordine, l'accampamento non punto
adjectum. Illud veterem ducem assuetumque Ro accresciuto lo tirava in errore. Erano due campi,
mano hosti movit, quod, semel in praetoriis ca come avanti la venuta dell'altro console; quello
stris signum, bis in consularibus referebant ceci di Marco Livio e quello di Lucio Porcio: non si
nisse. Duos profecto consules esse, et, quonam erano aggiunte munizioni nè all'uno, nè all'altro,
modo alter ab Hannibale abscessisset, cura ange onde alloggiassero più largamente. Quello, che
bat. Minimeid, quod erat, suspicari poterat, tan fe'impressione sul capitano vecchio e avvezzo
tae rei frustratione Hannibalem elusum, ut, ubi a guerreggiare coi Romani, si fu, che riferivano
dux, ubi exercitus esset, cum quo castra collata essersi udita la tromba una volta nel campo del
haberet, ignoraret: profecto haud mediocri clade pretore, e due nel campo consolare. Ci erano
absterritum insequi non ausum. Magnopere ve dunque certo i due consoli; e in qual modo si
reri, ne perditis rebus serum ipse auxilium ve fosse un d'essi scostato d'Annibale, quest'era
nisset, Romanisque eadem jam fortuna in Italia, il pensiero, che il travagliava. Non poteva in nes
quae in Hispania, esset. Interdum, literas suas ad suna guisa sospettare quello ch'era, che Annibale
eum non pervenisse, credere, interceptisque iis, fosse stato sì solennemente gabbato, che non
consulem ad sese opprimendum accelerasse. His sapesse dove fosse il capitano, dove l'esercito,
anxius curis, exstinctis ignibus, vigilia prima dato presso al quale era il suo campo. Certamente,
signo, ut taciti vasa colligerent, signa ferri jussit. ricevuta qualche grossa sconfitta, non aveva osato
In trepidatione etnocturno tumultu duces parum Annibale inseguirlo; sicchè temeva Asdrubale
intente asservati, alter in destinatis jam ante d'esser venuto aiuto tardo a cose rovinate, e che
animo latebris subsedit, alter per vada nota Me già i Romani avessero in Italia la stessa buona
taurum flumen tranavit. Ita desertum a ducibus fortuna, che nella Spagna. Talvolta credeva che
agmen primo per agros palatur; fessique aliquot le sue lettere non fossero giunte ad Annibale, e
somno ac vigiliis sternunt corpora passim, atque che il console, avendole intercettate, avesse acce
infrequentia relinquunt signa. Hasdrubal, dum lerato il suo cammino per opprimerlo. Sbattuto
lux viam ostenderet, ripa fluminis signa ferri da questi pensieri, spenti i fuochi, dato il segno
jubet; et per tortuosi amnis sinus ſlexusque er in su la prima veglia, perchè raccogliessero le
rorem volvens haud multum processit, ubi prima robe loro, ordina che si levi il campo. Nella con
lux transitum opportunum ostendisset, transitu fusione e nel tumulto della notte, le guide, poco
rus. Sed quum, quantum mare abscedebat, tanto attentamente osservate, altra si appiattò ne'na
altioribus coercentibus amnem ripis, non inveni scondigli già innanzi coll'animo disegnati, altra
ret vada, diem terendo spatium dedit ad inse per guadi noti valicò il Metauro. Così primiera
quendum sese hosti. -
mente l'esercito, smarrite le guide, si sbanda
per la campagna; ed alcuni, stanchi dal sonno
e dalle veglie, gittansi a terra qua e colà, ed
abbandonano le bandiere. Asdrubale ordina che
insino a tanto che il giorno mostri il cammino,
le bandiere si tengano lungo la riva del fiume;
e ravvolgendosi per tutti i semi e giravolte, che
il fiume stesso faceva, non andò molto innanzi,
però determinato di passarlo, come tosto la
prima luce gli offerisse luogo opportuno. Ma
perchè, quanto più il mare si allontanava, e
tanto più alte sponde frenavano il fiume, non
gli riusciva di trovare alcun guado, avvenne, che
225 T 1TI LIVII LIBER XXVII. 226

consumando il giorno, diede tempo al nemico


d'inseguirlo.
XLVIII. Nero primum cum omni equitatu XLVIII. Nerone venne primo con tutta la
advenit: Porcius deinde assecutus cum levi arma cavalleria; indi lo seguitò Porcio colle genti ar
tura. Qui quum fessum agmen carperent ab omni mate alla leggera; e mentre questi vanno scor
parte incursarentgue, et jam, omisso itinere, rendo intorno, e pizzicando da ogni parte il
quod fugae simile erat, castra metari Poenus in nemico stanco, ed Asdrubale, lasciato stare il cam
tumulo super fluminis ripam vellet; advenit Ili mino, che somigliava a fuga, medita di accamparsi
vius peditum omnibus copiis, non itineris modo, sopra un poggio vicino alla riva del fiume, ecco
sed ad conserendum extemplo proelium instru sopraggiunger Livio con tutta la fanteria, non
ctis armatisque. Sed ubi omnes copias conjunxe come gente che va per via, ma ben sì come presta
runt, directaque acies est, Claudius dextro in ed allestita a venir subito alle mani. Poi che
cornu, Livius ab sinistro pugnam instruit: media ebbero unite le forze, e l'esercito fu in ordine,
acies praetori tuenda datur. Hasdrubal, omissa Claudio prende il governo dell'ala destra, Livio
munitione castrerum, postduam pugnandum vi della sinistra: la difesa del centro è commessa
dit, in prima acie antesigna elephantos collocat. al pretore. Asdrubale, lasciato di fortificare il
Circa eos laevo in cornu adversus Claudium Gal campo, poi che vide aversi pure a combattere,
los opponit, haud tantum eis fidens, quantum ab colloca gli elefanti nella prima fronte dinanzi
hoste timeri eos credebat. Ipse dextrum cornu alle bandiere. Intorno ad essi alla sinistra mette
adversus M. Livium sibi atque Hispanis (etibi i Galli contro Claudio, non tanto perchè fidasse
maxime in vetere milite spen habebat) sumpsit. in essi, quanto perchè credeva che il nemico
Ligures in medio post elephantos positi; sed lon li temesse. Egli prese l'ala destra contro Marco
gior, quam latior, acies erat. Gallos prominens Livio per sè e per gli Spagnuoli (chè in questi
collis tegebat: ea frons, quam Hispani tenebant, specialmente confidava, quai vecchi soldati).
cum sinistro Romanorum cornu concurrit. Dex I Liguri furon posti nel mezzo dietro gli elefan
tra omnis acies extra proelium eminens cessabat: ti; ma la disposizione dell'esercito era più lunga,
collis oppositus arcebat, ne aut a fronte, aut che larga. I Galli eran coperti dalla sovrastante
ab latere aggrederentur. Inter Livium Hasdru collina. La testa, che gli Spagnuoli tenevano, si
balemque ingenscontractum certamen erat,atrox affrontò coll'ala sinistra dei Romani; tutta la
que caedes utrimque edebatur. Ibiduces ambo, destra, sporgentesi oltre la linea del combatti
ibi pars major peditum equitumque Romano mento, restava oziosa; chè la collina opposta
rum: ibi Hispani, vetus miles peritusque Roma impediva loro l'assalire o di fronte, o di fianco.
mae pugnae, et Ligures, durum in armis genus. Il forte della mischia era ristretto tra Livio ed
Eodem versi elephanti, qui primo impetu turba Asdrubale, e si faceva d'ambe le parti atroce
veramt antesignanos, et jam signa moverant loco; strage. Quivi i due capitani; quivi la maggior
deinde, crescente certamine et clamore, impoten parte dei ſanti e cavalli Romani; quivi gli Spa
tius jam regi, et inter duas acies versari, velut gnuoli, milizia vecchia e pratica del combattere
incerti quorum essent; haud dissimiliter navi Romano; e quivi i Liguri, gente indurata nel
bus sine gubernaculo vagis. Claudius, a Quid l'armi. A questo luogo s'eran volti gli elefanti,
ergo praecipiti cursu tam longum iter emensi che al primo impeto aveano scompigliata la pri
sumus ? » clamitans militibus, quum in adver ma fronte, e cacciate indietro le bandiere; ma
sum collem frustra signa erigere conatus esset, poi crescendo la zuffa e le grida, cominciarono
postduam ea regione penetrari ad hostem non a non lasciarsi governare, e ad aggirarsi tra l'uno
videbat posse; cohortes aliquot subductas e des e l'altro esercito, quasi incerti a chi appartenes
tro cornu, ubi stationem magis segnem, quam sero, non altrimenti che navi erranti senza noc
pugnam, futuram cernebat, post aciem circum chiero. Claudio, gridando a soldati, « A che dun
ducit: et, non hostibus modo, sed etiam suis ino que abbiam corso con tanto precipizio sì lunga
pinantibus, in sinistrum hostium latus incurrit; via ? » poi ch'ebbe tentato invano di drizzare le
tantaque celeritas fuit, ut, quum ostendissent se insegne pel colle, vedendo che da quella parte
ab latere, mox in terga jam pugnarent. Ita ex non si poteva giungere al nemico, staccate alcune
omnibus partibus, ab fronte, ab latere, ab tergo, coorti dall'ala destra, dove scorgeva che, invece
trucidantur Hispani Liguresque; et ad Gallos di combattere, sarebbero piuttosto stati a guar
jam caedes per venerat. Ibi minimum certaminis dare, fatte una volta sul di dietro, nol pensando
fuit: nam et pars magna ab signis aberant, nocte non che i nemici, nè anche i suoi, piomba sul
dilapsi, stratique somno passim per agros; et, fianco sinistro del nemico; e tanta fu la prestez
qui aderant, itinere ac vigiliis fessi, intolerantis za, che appena s'eran mostrati sul fianco, già
Livio 2 15
227 TITI LIVII LIBER XXVII. 228

sima laboris corpora, vix arma humeris gesta combattevano le spalle. Quindi gli Spagnuoli
bant. Et jam diei medium erat, satisque et ca ed i Liguri son tagliati a pezzi da ogni parte, di
lor hiantes caedendos capiendosque affatim prae fronte, ai lati, da tergo ; e già la strage s'era
bebat. distesa insino ai Galli. Quivi fu minima la resi
stenza, perchè gran parte era lontana dalle in
segne, sbandatisi la notte, e sparsi qua e là dal
sonno per la campagna; e quelli, ch'eran pre
senti, stanchi dal cammino e dal vegghiare, corpi,
come sono, intollerantissimi della fatica, appena
reggeano l'armi sul dorso. Ed era già mezzo
giorno; ed ansanti a bocca aperta per la sete e
pel calore si lasciavano senza contrasto uccidere
o pigliare.
XLIX. Elephanti plures ab ipsis rectoribus, XLIX. Degli elefanti più furono gli uccisi
quam ab hoste, interfecti. Fabrile scalprum cum dai loro stessi conduttori, che dal nemico. Avean
malleo habebant: id, ubi saevire belluae ac ruere questi uno scalpello da fabbro con un martello.
in suos coeperant, magister inter aures positum, Come le bestie cominciavano ad infuriare e a
ipso in articulo, quo jungitur capiti cervix, quan lanciarsi addosso i suoi, il conduttore messo lo
to maximo poterat ictu, adigebat. Ea celerrima scalpello tra gli orecchi nella giuntura, dove
via mortis in tantae molis bellua inventa erat, ubi il collo si appicca alla testa, vel ficcava dentro
regendi spem vicissent: primusque id Hasdrubal con quanta maggior forza si poteva. S'era trovata
instituerat, dux quum saepe alias memorabilis, questa prestissima via di uccidere una bestia di
tum illa praecipue pugna. Ille pugnantes hortan tanta mole, tosto ch'ella avea tolta la speranza
do, pariterque obeundo pericula, sustinuit: ille di poterla governare; e primo Asdrubale aveva
fessos abnuentesque taedio et labore, nunc pre imaginato questo mezzo, capitano e spesso in
cando, nunc castigando, accendit: ille fugientes altri casi degno di memoria, ma più particolar
revocavit, omissamque pugnam aliquot locis re mente in questa battaglia. Egli sostenne i com
stituit. Postremo, quum haud dubie fortuna ho battenti, confortandoli ed incontrando con essi
stium esset, ne superesset tanto exercitui suum ogni pericolo; egli ora pregando ed ora rampo
nomen secuto, concitato equo se in cohortem Ro gnando infiammò i soldati stanchi e restii dal
mamam immisit. Ibi, ut patre Hamilcare et Han tedio e dalla fatica; egli richiamò i fuggitivi, e
nibale fratre dignum erat, pugnans cecidit, Num rinfrancò in alquanti luoghi la pugna. In fine,
quam eo bello una acie tantum hostium inter non essendo più dubbia la vittoria dei nemici,
fectum est, redditaque aequa Cannensi clades, vel per non sopravvivere a tanto esercito, che avea
ducis, vel exercitus interitu, videbatur. Quinqua seguito il suo nome, spronato il cavallo, si lanciò
ginta sex millia bostium occisa: capta quinque in mezzo alla coorte Romana. Quivi, come con
millia el quadringenti: praeda alia magna tum veniva al figliuolo di Amilcare e ad un fratello
omnis generis, tum auri etiam argentique. Ci di Annibale, cadde morto combattendo, Hn que
vium etiam Romanorum, qui capti apud hostes sta guerra non s'era ucciso mai in una sola bat
erant, supra quatuor millia capitum recepta : id taglia tanto numero di nemici; e pareva restituita
solatii fuit pro amissis eo proelio militibus. Nam in pari misura, per la morte del comandante e
baudouaquam incruenta victoria ſuit: octo fer la disfatta dell'esercito, la rotta di Canne. Cin
me millia Romanorum sociorumque occisa. Adeo quanta seimila nemici furono uccisi; presi cinque
que etiam victores sanguinis caedisque ceperat mila e quattro cento; immensa l'altra preda di
satietas, ut postero die, quum esset nunciatum ogni sorte, non che di oro e d'argento. Si ricu
Livio consuli, Gallos Cisalpinos Liguresque, qui perarono eziandio più di quattro mila cittadini
aut proelio non affuissent, aut inter caedem effu Romani, ch'erano in potere dei nemici; il che
gissent, uno agmine abire sine certo duce, sine fu di conforto pe'soldati perduti in questo fatto.
signis, sine ordine ullo, aut imperio ; posse, si Perciocchè la vittoria non fu già senza gran san
una coſuituri, ala mittatur, omnes deleri; « Su gue; e da otto mila tra Romani ed alleati resta
persint, inquit, aliqui nuncii, et hostium cladis ron morti. E tal prese gli stessi vincitori sazietà
et nostrae virtutis. n di strage e di sangue, che il dì seguente essendo
stato riportato al console Livio che i Galli Cisal
pini ed i Liguri, i quali non erano intervenuti
alla battaglia, o eran fuggiti dal macello, anda
vano errando in frotta senza capitano, senza
d'ITI LIVII LIBER XXVII. 23o

bandiere, senz'alcun ordine o comando, e che,


mandando solamente una banda di cavalli, si
poteva sterminarli; « Avanzi, disse, qualche nun
zio e della disfatta del nemico, e del nostro
valore. »
L. Nero ea nocte, quaesecuta est pugnam, ci L. Nerone quella notte, che succedette alla
tatiore, quan inde venerat, agmine, die sexto ad battaglia, con maggiore velocità, che non ne era
stativa sua, atque ad hostem pervenit. 1ter ejus partito, venne di nuovo dopo sei giorni a suoi
frequentia minore, quia nemo praecesserat nun alloggiamenti ed al nemico. Il di lui ritorno fu
cius, laetitia vero tanta, vi» ut compotes men celebrato bensì con minore concorso, perchè
tium prae gaudio essent, celebratum est. Nam nessun messo lo avea preceduto, ma però con
Romae neuter animi habitus satis dici enarrari tanta letizia, che appena reggea lo spirito per
que potest; nec quo incerta expectatione eventus l'allegrezza. Perciocchè non si può abbastanza
civitas fuerat, nec quo victoriae famam accepit. dire, nè narrare quale si fosse in Roma il doppio
Numquam per omnes dies, ex quo Claudium con stato degli animi, nè come prima si stesse la città
sulem profectum fama attulit, ab orto sole ad oc nella dubbia aspettazione dell'esito, nè come
cidentem, aut senator quisquam a curia atque ab dipoi, quando intese la nuova della vittoria. Non
magistratibus abscessit, aut populus e foro. Ma mai, poi che s'era saputa la partenza del console
tronae, quia nihil in ipsis opis erat, in preces Claudio, nessun senatore, dal levare al tramon
obtestationesque versae, per omnia delubra vagae tare del sole, si partì dalla curia o dai magistrati,
suppliciis votisque fatigare deos. Tam sollicitae nè mai il popolo dalla piazza. Le matrone, per
ac suspensae civitati fama incerta primo accidit, chè non potean recare nessun soccorso, voltesi
duos Narnienses equites in castra, quae in fauci a pregare e scongiurare, vagando per tutti i tem
bus Umbriae opposita erant, venisse ex proelio, pii, stancavano gli dei colle supplicazioni e coi
nunciantes caesos hostes. Et primo magis auribus, voti. Essendo la città così sospesa ed ansiosa,
quam animis, id acceptum erat, ut maiuslaetius venne primieramente l'incerta nuova, che due
que, quan quod mente capere, aut satis credere cavalieri di Narni erano arrivati al campo, che
possent; et ipsa celeritas fidem impediebat, quod stava a guardare la bocca dell'Umbria, annun
biduo ante pugnatum dicebatur. Literae deinde ziando la sconfitta dei nemici. E in principio ci
ab L. Manlio Acidino missae ex castris afferuntur avean preso più parte gli orecchi, che gli animi,
de Narniensium equitum adventu. Eae literae, come cosa grande e lieta più di quel che la mente
per forum ad tribunal praetoris latae, senatum capir potesse, o credere con certezza; e la stessa
curia exciverunt; tantoque certamine actumultu celerità impediva il prestar fede, perchè si diceva
populi ad fores curiae concursum est, ut adire accaduto il fatto due giorni innanzi. Indi ven
nuncius non posset, trahereturdue a percunctan gono lettere mandate dal campo da Lucio Manlio
tibus vociferantibusque, utin Rostris prius, quam Acidino della venuta dei cavalieri di Narni.
in senatu, literae recitarentur. Tandem submoti E queste lettere portate per la piazza al tribunale
et coérciti a magistratibus; dispensarique laetitia del pretore trassero il senato in sulle soglie del
inter impotentes ejus animos potuit. In senatu la curia; alle cui porte corse il popolo con tanta
primum, deinde in concione, literae recitatae furia e tumulto, che il messo non poteva arri
sunt; et, procujusque ingenio, aliis jam certum varvi, ritenuto da quelli che lo interrogavano e
gaudium, aliis nulla ante futura fides erat, quam gridavano doversi recitare le lettere dinanzi ai
legatos consulumve literas audissent, rostri, prima che in senato. Finalmente furono
rimossi e frenati dai magistrati, e si potè dispen
sare la gioia tra cuori, che appena la capivano.
Furono recitate le lettere prima in senato, poi
al popolo; e secondo il proprio pensare di cia
scuno, altri se n'allegrò daddovero, altri non ci
volle prestar fede, se non aveva udito prima o
messi, o lettere de'consoli,
LI. Ipsos deinde appropinquare legatos alla LI. Indi fu annunziato, che i legati si avvici
tum est: tum enimvero omnis aetas currere obvii, ogni età correre ad incontrarli,
navano. Allora

primus quisque oculis auribusquehaurire tan bramando ognuno d'essere il primo a beversi
tum gaudium cupientes. Ad Mulvium usque pon cogli occhi e cogli orecchi tanta allegrezza. Un
tem continens agmen pervenit. Legati (erant L. continuato stuolo di gente arrivò sino al ponte
Veturius Philo, P. Licinius Varus, Q. Caecilius Mulvio. I legati (erano Lucio Veturio Filone,
23 i TITI LIVII LIBER XXVII. 232

Metellus) circumfusi omnis generis hominum fre Publio Licinio Varo, Quinto Cecilio Metello)
quentia in forum pervenerunt, quum alii ipsos. attorniati da immensa folla d'ogni genere, giun
alii comites eorum, quae acta essent, percuncta sero alla piazza, altri interrogando loro stessi,
rentur, et ut quisque audierat, exercitum ho altri i lor compagni dell'accaduto; e come ognu
stium imperatoremdue occisum, legiones Roma no aveva udito l'esercito nemico disfatto, il co
nas incolumes, salvos consules esse, extemplo aliis mandante Asdrubale ucciso, le Romane legioni
porro impertiebant gaudium suum. Quum aegre esser salve, salvi i consoli, subito comunicavano
in curiam perventum esset, multo aegrius submo agli altri la gioia loro. Giunti i legati alla curia
ta turba, ne Patribus misceretur, literae in senatu con gran pena, e con pena maggiore fatta sco
recitatae sunt: inde producti in concionem legati. stare la turba, onde non si meschiasse coi Padri,
L. Veturius, literis recitatis, ipse planius omnia, recitarono le lettere in senato; poscia furono
quae acta erant, exposuit cum ingenti assensu, prodotti dinanzi al popolo. Lucio Veturio, reci
postremo etiam clamore universae concionis, tate le lettere, espose le cose più pianamente,
quum vix gaudium animis caperent. Discursum com'erano accadute, con grande contentamento,
inde ab aliis circa templa deum, ut grates agerent; e in fine anche colle grida di tutta l'assemblea,
ab aliis domos, ut conjugibus liberisque tam lae capendo appena nei petti tanta piena di allegrez
tum nuncium impertirent. Senatus, quod M. Li za. Indi altri corse ai tempii degli dei a porger
vius et C. Claudius consules, incolumi exercitu, grazie; altri alle proprie case a mettere a parte
ducem hostium legionesque occidissent, supplica di sì gran nuova e mogli e figliuoli. Il senato,
tionem in triduum decrevit: eam supplicationem per avere i consoli Marco Livio e Caio Claudio,
C. Hostilius praetorpro concione edixit, celebra salvo l'esercito, disfatte le legioni e ucciso il co
taque a viris feminisque est. Omnia templa per mandante nemico, decretò tre giorni di preghie
totum triduum aequalem turbam habuere; quum re: ne pubblicò l'ordine il pretore Caio Ostilio
matronae amplissima veste cum liberis, perinde nell'assemblea del popolo, e vi concorsero a gara
ac si debellatum foret, omni solutae metu, deis uomini e donne. Tutti i tempi in que'tre giorni
immortalibus grates agerent. Statum quoque ci ebbero sempre la stessa folla, andando le matro
vitatis ea victoria movit: ut jam inde, haud secus ne vestite riccamente co'lor figliuoli, sciolte da
quam in pace, res inter se contrahere, vendendo, ogni timore, come se la guerra fosse finita, a
emendo, mutuum dando, argentum creditum ringraziare gli dei immortali. Quella vittoria
solvendo, auderent. C. Claudius consul quum in diede anche movimento alle cose interne; sì che
castra redisset, caput Hasdrubalis, quod serva da indi in poi osarono, non altrimenti che in
tum cum cura attulerat, projici ante hostium sta tempo di pace, far contratti, vendendo, compe
tiones, captivosque Afros vinctos, uterant, osten rando, dando a prestito, pagando il danaro ri
di, dmos etiam ex iis solutosire ad Hannibalem, cevuto. Il console Caio Claudio tornato al campo
et expromere, quae acta essent, jussit. Hannibal, ordinò che la testa di Asdrubale, che avea con
tanto simul publico familiarique ictus luctu. . a servata con gran cura, portata seco, fosse gittata
gnoscere se fortunam Carthaginis, º fertur dixis davanti alle stazioni de'nemici, e si mostrassero
se; castrisque inde motis, ut omnia auxilia, quae loro i prigioni Africani, legati, com'erano; ed
diffusa latius tueri non poterat, in extremum Ita eziandio, che due d'essi disciolti andassero ad An
liae angulum Bruttios contraheret, et Metaponti nibale a riferirgli l'accaduto. Annibale, colpito
nos, civitatem universam, excitos sedibus suis, et da sì grande e pubblica e domestica calamità,
Lucanorum, qui suae ditionis erant, in Bruttium narrasi che dicesse; a scorgere in ciò il destino
agrum traduxit. di Cartagine. ” E levato il campo di là, onde
concentrare ne' Bruzii, ultimo angolo dell'Italia,
tutte le forze, che largamente sparse non potea
difendere, vi condusse, levandoli dalle lor sedi,
tutti i Metapontini, quanti erano,non che i Lucani,
che gli stavano soggetti.
TITI LIVII PATAVINI

H I S T O R I A R U M
AB URBE CONDITA LIBRI

22n
ettº 3 ºs5re

EPITOME

- LIBRI VIGESIMI OCTAVI

Res in Hispania prospere gestae a Silano, Scipionis Si narrano le felici imprese in Ispagna di Silano
legato, et ab L. Scipione fratre adversus Poenos, a legato di Scipione, e del fratello Lucio Scipione contro
Sulpicio proconsule et ab Attalo rege Asiae adversus i Cartaginesi, non che quelle del proconsole Sulpicio,
Philippum regem Macedonum, pro Aetolis, referuntur. e di Attalo, re dell'Asia, contro Filippo re di Mace
Quum M. Livio et Claudio Neroni consulibus trium donia, a favore degli Etoli. Essendo stato decretato
phus decretus esset, Livius, qui in provincia sua rem il trionfo ai consoli Marco Livio e Claudio Nerone,
gesserat, quadrigis invectus est; Nero, qui in collegae Livio, che avea combattuto nella propria provincia,
provinciam, ut victoriam eius adjuvaret, venerat, eguo entrò in Roma tirato da quattro cavalli; Nerone,
est secutus, et in hoc habitu plus gloriae reverentiae ch'era venuto nella provincia del collega per cooperare
que habuit: nam et plus in bello, quam collega, alla di lui vittoria, lo seguitò a cavallo; e in questa
fecerat. Ignis in aede Vestae negligentia virginis, quae foggia ottenne gloria e riverenza maggiore, perciocchè
non custodierat, exstinctus est: virgo caesa est flagro. aveva operato nella guerra più che il suo collega.
P. Scipio in Hispania cum Poenis debellavit quarto Nel teupio di Vesta il fuoco si estinse per negligenza
decimo anno eius belli, quinto post anno, quam ierat: della vergine, ch'era incaricata di custodirlo; e fu
exclusisque in totum possessione eius hostibus, Hispa battuta colla sferza. Publio Scipione terminò la guerra
miam recepit; et a Tarracone in Africam ad Srpha in Ispagna contro i Cartaginesi, durata tredici anni,
cem regem Numidarum duobus navigiis transvectus, e cinque anni di poi, ch'egli era andato colà, e
foedus junait. Hasdrubal Gisgonis ibi cum eo in eodem scacciati affatto i nemici da quel possedimento, ricu
lecto accubuit. Munus gladiatorium in honorem patris però la Spagna, e passato con due navi da Tarracona
patruique Carthagine Nova edidit, non ex gladiato in Africa a Siface re dei Numidi, strinse alleanza
ribus, sed ex iis, qui aut in honorem ducis, aut ex con esso lui. Quivi Asdrubale, figlio di Giscone, sedette
provocatione in certamen descendebant: in quo reguli alla stessa mensa con Scipione. Diede questi a Nuova
fratres de regno ferro contenderunt. Quum Astapa Cartagine uno spettacolo gladiatorio in onore del padre
urbs ab Romanis oppugnaretur, oppidani liberos et e dello zio, e non già di gladiatori, ma di quelli, che
coniuges rogo exstructo occiderunt, et se insuper prae entravano in lizza o per onorare il comandante, o
cipitaverunt. Ipse Scipio, dum gravi morbo implicitus perchè provocati, e in questa occasione due fratelli,
235 TITI LIVII EPITOME LIBRI VIGESIMI OCTAVI 236

est, seditionem, in parte exercitus motam, confirmatus figli di re, disputaron col ferro della successione al
discussit, rebellantesque Hispaniae populos coegit in trono del padre. Essendo la città di Astapa combat
deditionem venire; et, amicitia facta cum Masinissa tuta dai Romani, i terrazzani, alzato un rogo, vi
rege Numidarum, qui illi auxilium, si in Africam ucciser sopra le loro mogli e i figliuoli, e vi si pre
trajecisset, pollicebatur, cum Gaditanis quogue post cipitarono essi pure. Scipione trattenuto da grave
discessum inde Magonis, cui ex Carthagine scriptum malattia, poi che fu rimesso, dissipò una sedizione
erat, ut in Italiam trajiceret, Romam reversus, con insorta in una parte dell'esercito, e costrinse i po
sulque creatus. Africam provinciam petenti, contra poli della Spagna, che s'erano ribellati, a tornare
dicente Q. Fabio Maximo, Sicilia data est: permis alla soggezion de'Romani, e fatta amicizia con Masi
sumque, in Africam trajiceret, si ex republica esse nissa, re dei Numidi, che gli prometteva soccorsi, se
censeret. Mago, Hamilcaris filius, a minore Baliari fosse passato in Africa, non che coi Gaditani, poi che
insula, ubi hiemarat, in Italiam trajecit. n'era partito Magone, a cui era stato scritto da Car
tagine, che si recasse in Italia, tornò a Roma e fu
creato console. Avendo egli chiesto di passar in Afri
ca coll'esercito, ed essendovisi opposto Quinto Fabio
Massimo, gli fu data la Sicilia, però permettendogli
di tragittare in Africa, qualora ciò stimasse utile
alla repubblica. Magone, figlio di Amilcare, dalla
minore delle Baleari, dove avea svernato, passò in
Italia.
TITI LIVII V

L I B E R V I G E SI M US O CTA VUS

è 093

I. (Anno U. C. 545. – A. C. sono Quum I. (Anni D. R. 545. - A. C. 2o7) Mentre


transitu Hasdrubalis, quantum in Italiam de pareva per la passata di Asdrubale, che quanta
climaverat belli, tantum levatae Hispaniae vide parte di guerra s'era piegata verso l'Italia, d'al
rentur; rematum ibi subito par priori bellum est. trettanta sgravate si fossero le Spagne, altra quivi
Hispanias ea tempestate sic habebant Romani subito ne insorse pari alla prima. Era a quel tem
Poenique: Hasdrubal Gisgonis filius ad Oceanum po questa nelle Spagne la posizione dei Romani,
penitus Gadesque concesserat. Nostri maris ora e dei Cartaginesi: Asdrubale figlio di Giscone
omnisque ferme Hispania, qua in orientem ver s'era ritratto ben addentro verso l'Oceano e
git, Scipionis ac Romanae ditionis erat. Novus Cadice. La costa del nostro mare, e quasi tutta
imperator Hanno, in locum Barcini Hasdrubalis quella Spagna, ch'è volta a Levante, era di Sci
novo cum exercitu ex Africa transgressus, Mago pione e del dominio Romano. Avendo il nuovo
mique junctus, quum in Celtiberia, quae media comandante Annone, venuto dall'Africa con nuo
est, brevi magnum hominum numerum armas vo esercito in luogo di Asdrubale Barcino, e
set; Scipio adversus eum M. Silanum cum de unitosi a Magone, armato in breve tempo gran
cem haud plus millibus militum, equitibus quin numero d'uomini nella Celtiberia, che sta di
gentis, misit. Silanus, quantis maximis potuititi mezzo ai due mari, Scipione gli mandò contro
neribus (impediebant autem et asperitates viarum Marco Silano con non più di dieci mila fanti, e
et angustiae saltibus crebris, ut pleraque Hispa cinquecento cavalli. Silano, camminando a gran
niae sunt, inclusae), tamen non solum nuncios, giornate più che poteva (perciocchè il ritardavano
sed etiam famam adventus sui praegressus, duci e l'asprezza delle vie, e le angustie dei passi
bus indidem ex Celtiberia transfugis, ad hostem chiusi tra folte boscaglie, com'è il più della
pervenit. Eisdem auctoribus compertum est, quum Spagna), pure avanzando non solamente i messi,
decem circiter millia ab hoste abessent, bina ca ma la stessa fama di sua venuta, scortato da al
stra circa viam, qua irent, esse: laeva Celtiberos, cuni de'medesimi Celtiberi disertori, giunse al
novum exercitum, supra novem millia hominum, nemico. Si seppe dai medesimi, quando si fu alla
dextra Punica tenere castra. Haec stationibus, vi distanza di circa dieci miglia dal nemico, che sui
giliis, omnijusta militari custodia tuta et firma lati della strada, per cui andavano, c'erano due
esse: illa altera soluta neglectaque, ut barbaro campi, uno a sinistra dei Celtiberi, esercito no
rum et tironum, et minus timentium, quod in vello, di circa nove mila uomini, a destra un
sua terra essent. Ea prius aggredienda ratus Si altro dei Cartaginesi: questo essere guardato e
lanus, signa quan maxime ad laevam jubebat difeso da poste, da sentinelle, da ogni sorta di
ferri, necunde ab stationibus Punicis conspicere militare custodia ben regolata; l'altro essere
tur. Ipse, praemissis speculatoribus, citato agmine sfacciato, trascurato, come di barbari, e novizii,
ad hostem pergit. e che temevan meno, perchè eran nel proprio
paese. Silano, pensando di primieramente assal
tar questo, ordinava che si tenesse il cammino
TITI LIVII LIBE.R XXVIII. 24o
quanto più si poteva alla sinistra, onde non fosse
veduto da qualcuna delle poste Cartaginesi; ed
egli, mandati innanzi gli esploratori, ratto si
drizza al nemico.
II. Tria millia ferme aberat, quum haud dum II. Non n'era lontano all'incirca tre miglia,
quisquam hostium senserat. Confragosa loca et che nessuno ancora de'nemici se n'era accorto.
obsita virgultis tenebant colles: ibi in cava valle, I colli eran tutti ingombri di sassi e di virgulti.
atque ob id occulta, considere militem, et cibum Quivi in bassa valle, e perciò più occulta, fa che
capere jubet: interim speculatores, transfugarum il soldato si fermi e prenda cibo. Intanto torna
dicta affirmantes, venerunt. Tum, sarcinis in me rono gli esploratori, confermando il detto dei
dium conjectis, arma Romani capiunt, acieque disertori. Allora i Romani, gettati nel mezzo i
justa in pugnam vadunt. Mille passuum aberant, loro arnesi, dan di piglio all'armi, e fattisi in
quum ab hoste conspecti sunt, trepidarique re giusta ordinanza, vanno alla battaglia. Erano
pente coeptum: et Mago ex castris citato equo distanti un miglio, quando furon veduti dal ne
ad plurimum clamorem et tumultum advehitur. mico; e questi cominciò subito a trepidare. E
Erant autem in Celtibero exercitu quatuor millia al primo grido e tumulto Magone accorre subito
scutatorum et ducenti equites: hanc justam le a briglia sciolta dal campo. Erano poi nell'eser
gionem (et id ferme roboris erat) in prima acie cito Celtibero da quattro mila scutati, e dugen
locat: ceteros, levem armaturam, in subsidiis po to cavalieri; e questi (ch'era a un dipresso tutto
suit. Quum ita instructos educeret castris, vixdum il nerbo delle genti) li mette nella prima fronte;
in egressos vallo Romani pila conjecerunt. Sub gli altri, armati alla leggera, nella riserva. Trattili
sidunt Hispani adversus emissa tela ab hoste, in in sì fatta ordinanza fuori del campo, non erano
de ad mittenda ipsi consurgunt. Quae quum appena usciti dallo steccato che i Romani sca
Romani conferti, ut solent, densatis excepissent glian lor contro i giavellotti. Si chinano gli Spa
scutis, tum pes cum pedecollatus, et gladiis geri gnuoli allo scoccar dei dardi dei Romani, indi si
res coepta est. Ceterum asperitas locorum et Cel levano a lanciare i loro. I Romani, serrati insie
tiberis, quibus in proelio concursare mos est, me come sogliono, avendoli ricevuti negli scudi
velocitatem inutilem faciebat, et haud iniqua ea addensati gli uni cogli altri, allora si affrontarono
dem erat Romanis stabili pugnae assuetis; nisi corpo a corpo, e si cominciò a pugnare colle spa
quod angustiae et internata virgulta ordines di de. Del resto, l'asprezza de'luoghi, che rendeva
rimebant, et singuli binique velut cum paribus, ai Celtiberi, usi nella mischia a volteggiare qua
conserere pugnam cogebantur. Quod ad fugam e colà, inutile la loro celerità, non era punto
impedimento hostibus erat, id ad caedem eos, svantaggiosa ai Romani avvezzi a combattere a
velut vinctos, praebebat. Et jam, ferme omnibus piè fermo; se non che le strettezze de luoghi,
scutatis Celtiberorum interfectis, levis armatura ed i cespugli frapposti rompevano gli ordini, ed
et Carthaginienses, qui ex alteris castris subsidio erano costretti ad azzuffarsi uno con uno, due
venerant, perculsi caedebantur. Duo haud am con due, quasi pari con pari. Quello, che dava
plius millia peditum et equitatus omnis vixinito impaccio a nemici a fuggire, quello stesso gli
proelio, cum Magone effugerunt. Hanno, alter offriva, quasi imbrigliati, al macello. E già, uc
imperator, cum eis, qui postremi, jam profligato cisi quasi tutti gli scutati dei Celtiberi, si facea
proelio, advenerant, vivus capitur. Magonem fu strage pur anche degli armati alla leggera, e dei
gientem equitatus ferme omnis, et quod veterum Cartaginesi, ch'eran venuti in aiuto dall'altro
peditum erat secuti, decimo die in Gaditanam pro campo. Non più di due mila fanti, e tutta la ca
vinciam ad Hasdrubalem per venerunt. Celtiberi, valleria, appena appiccata la zuffa, si fuggirono
novus miles, in proximas dilapsi silvas, inde do con Magone. Annone, l'altro comandante, è preso
mos diffugerunt. Peropportuna victoria nequa vivo insieme con quei, ch'erano venuti ultimi, a
quam tantum jam conflatum bellum, quanta fu battaglia già terminata. Quasi tutta la cavalle
turi materia belli (si licuisset eis, Celtiberorum ria, e quel che v' era di vecchi fanti, seguitando
gente excita, et alios ad arma sollicitare populos) Magone, che fuggiva, giunsero dopo dieci giorni
oppressa erat. Itaque, collaudato benigne Silano, ad Asdrubale nella provincia di Cadice. I Celti
Scipio spem debellandi, si mihil eam ipse cun beri, soldato novello, disperdendosi nelle vicine
ctando moratus esset, nactus, ad id, quod reli boscaglie, se ne fuggiron quindi alle lor case.
quum belli erat, in ultimam Hispaniam adversus Con sì opportuna vittoria fu non tanto spenta
Hasdrubalem pergit. Poenus, quum castra tum una guerra di gran momento, quanto una, ch'era
forte ad sociorum animos in Baetica centimendos per iscoppiare, se potuto avessero, suscitata la
in fide haberet, signis repente sublatis, fugae ma nazione dei Celtiberi, sollecitar pur anche gli
241 TITI LIVII LIBER XXVIII. 24a
gis, quam itineris modo, penitus ad Oceanum et altri popoli a sollevarsi. Quindi Scipione, lodato
Gades ducit. Ceterum, quoad centinuisset exerci benignamente Silano, entrato in isperanza di
tum, propositum bello se fore ratus, antequam dar fine alla guerra, s'egli indugiando non ci
freto Gades trajiceret, exercitum omnem passim mettesse ritardo, a compier quello che rimaneva
in civitates divisit, ut et muris se ipsi, et armis da farsi, move alla volta di Asdrubale verso l'ul
muros tutarentur.
tima Spagna. Asdrubale, che stava allora per
avventura accampato nella Betica per tenere in
fede quegli alleati, levate all'improvviso le ban
diere, più a foggia di fuga, che di cammino,
si reca più addentro verso l'Oceano e Cadice.
Del resto giudicando, ch'egli sarebbe preso
sempre di mira fino a tanto che avesse tenuto
unito l'esercito innanzi di passar lo stretto di
Cadice, lo ripartì tutto per le città d'intorno,
acciocchè sè colle mura, e le mura coll'armi di
fendessero.
III. Scipio ubi animadvertit dissipatum passim III. Scipione, come vide la guerra essersi,
bellum, et circumferre ad singulas urbes arma per così dire, sparpagliata qua e colà, e che por
diutini magis, quam magni esse operis, retro ver tare intorno l'armi a ciascuna città sarebbe ope
tit iter. Ne tamen hostibus eam relinqueret re ra più presto lunga, che importante, tornossi ad
gionem, L. Scipionem fratrem cum decem milli dietro. Ma per non lasciare il paese in mano dei
bus peditum, et mille equitum, ad oppugnandam nemici, manda il fratello Lucio Scipione con
opulentissimam in iis locis urbem, Oringin barba dieci mila fanti e mille cavalli a combattere la
ri appellabant, mittit. Sita in Melessum finibus est città più doviziosa di que luoghi, chiamata dai
Hispanaegentis;ager frugifer: argentum etiam in barbari Oringi. È ella posta ai confini de' Meles
colae fodiunt: ea arx fuit Hasdrubali ad excursio si, pur popoli della Spagna; il territorio è ricco
nes circa in mediterranos populos faciendas. Sci di biade: i paesani ne cavan anche dell'argento.
pio, castris prope urbem positis, priusquam cir Serviva come di rocca ad Asdrubale per indi
cumvallaret urbem, misit ad portas, qui ex pro scorrere intorno addosso ai popoli entro terra.
pinquo alloquio animos tentarent, suaderentolue, Scipione accampatosi sotto la città, innanzi di
ut amicitiam potius, quam vim, experirentur cingerla di assedio, mandò alle porte alcuni dei
Romanorum. Ubi nihil pacati respondebatur, fossa suoi, che da vicino tentassero con le parole gli
duplicidue vallo circumdata urbe, in tres partes animi degli abitanti, e li persuadessero a speri
exercitum dividit; ut una semper pars, quietis mentare piuttosto l'amicizia, che il rigore dei
interim duabus, oppugnaret. Prima pars quum Romani. Poi che le risposte non erano di pace,
adorta oppugnare est, atrox sane et anceps proe circondata la città di fossa e di doppio steccato,
lium fuit: non subire, non scalas ferre ad muros divide l'esercito in tre parti, onde una sempre,
prae incidentibus telis facile erat; et jam, qui e standosi le due quiete, la battesse. Quando la pri
rexerant ad murum scalas, alii furcis ad id ipsum ma parte cominciò l'assalto, fu per verità la bat
factis detrudebantur, in alios lupi superne ferrei taglia pericolosa ed atroce. Non era facile acco
injecti, ut in periculo essent, ne suspensi in mu starsi alle mura, nè appoggiarvi le scale sotto un
rum extraherentur. Quod ubi animadvertit Sci nembo di giavellotti; e quelli, che ve le aveano
pio, nimia paucitate suorum exaequatum certamen di già appoggiate, altri n'erano buttati giù con
esse, et jam eo superare hostem, quod ex muro forche fatte a tal uopo, sopra altri si scagliavan
pugnaret; durabus simul partibus, prima recepta, dall'alto certi uncini di ferro, per cui correano
urbem est aggressus. Quae res tantum pavoris pericolo d'esser tratti così sospesi in sulle mura.
injecit fessis jam cum primis pugnando, ut et op Per lo che accortosi Scipione, che la lotta riusci
pidani moenia repentina fuga desererent, et Pu va pareggiata a motivo della pochezza de' suoi,
nicum praesidium metu, ne prodita urbs esset, e che anzi il nemico superava, perchè combatteva
relictis stationibus in unum se colligeret. Timor dal muro, richiamata la prima, assaltò la città
inde oppidanos incessit, ne, si hostis urbem in con l'altre due parti ad un tempo. Il che mise
trasset, sine discrimine, Poenus an Hispanus es tanto spavento ai nemici, già stanchi dal combat
set, obvii passim caederentur. Itaque, patefacta tere coi primi, che i terrazzani a un tratto fug
repente porta, frequentes ex oppido sese ejece gendo abbandonarono le mura, e il presidio
runt, scuta praese tenentes, ne tela procui conji Cartaginese, temendo che la città si rendesse, la
cerenturiLivio
destras nudas ostentantes, ut gladios sciate le poste, si strinse tutto insieme. Indi
2 - 16
243 TITI LIVII LIBER XXVIII. e 44
abjecisse appareret. Id utrum parum ex intervallo vennero in paura i terrazzani, che, se il nemico
sit conspectum, an dolus aliquis suspectus fuerit, entrasse in città, non facesse strage indistinta
incompertum est. Impetus hostilis in transfugas mente di quanti incontrasse, fossero Cartaginesi,
factus; nec secus, quam adversa acies, caesi: ea o Spagnuoli. Quindi, spalancata all'improvviso la
demque porta signa infesta in urbem illata; et porta, balzaron fuori a torme dalla città, tenen
aliis partibus securibus dolabrisque caedebantur dosi dinanzi gli scudi per coprirsi dai dardi, che
et refringebantur portae, et ut quisque intrave venissero da lontano, mostrando le destre ignude,
rat eques ad forum occupandum (ita enim prae onde si vedesse, ch'erano senz'armi. Se per la
ceptum erat) citato equo pergebat. Additum erat distanza non si sia ben compresa o l'una cosa, o
et triariorum equiti praesidium : legionarii cete l'altra, o se sia nato sospetto di qualche inganno,
ras partes pervadunt: direptione et caede obvio non è ben certo. Il Romano di addosso ai fuggi
rum, nisi qui armis se tuebantur, abstinuerunt. tivi, e furono fatti a pezzi, non altrimenti che
Carthaginienses omnes in custodiam dati sunt: una schiera nemica di fronte. E per la porta me
oppidanorum quoque trecenti ferme, qui clause desima entrarono le bandiere in città; e nel
rant portas: ceteris traditum oppidum, suae red le altre parti si spezzavano ed atterravano le porte
ditae res. Cecidere in urbis ejus oppugnatione coll'ascie e colle scuri; e come uno entrava a
hostium duo millia ferme; Romanorum haud cavallo, subito di galoppo correva a pigliare la
amplius nonaginta. piazza (che tal era l'ordine dato). S'era aggiun
to alla cavalleria il presidio dei triarii. I legiona
rii s'inoltrano nell'altre parti della città; e si
astennero dal saccheggiare ed ammazzare quei
che incontravano, fuorchè se si difendevano
coll'armi. Tutti i Cartaginesi furono messi in
ceppi, ed anche quasi trecento dei terrezzani,
che avean chiuse le porte; agli altri fu restituita
la città, non che la roba loro. Caddero in quella
espugnazione da due mila nemici; de' Romani
non più di novanta.
IV. Laeta et ipsis, qui rem gessere, urbis ejus IV. La presa di quella città recò gran piacere
expugnatio fuit et imperatori ceteroque exerci a quelli, che la fecero, non che al supremo coman
tui; et speciosum adventum suum, ingentem tur dante e al resto dell'esercito; e menando dinanzi
bam captivorum praese agentes, fecerunt. Scipio, a sè gran turba di prigionieri, bella rendettero e
collaudato fratre, quum, quanto poterat verbo pomposa la lor venuta. Scipione, lodato il fra
rum honore, Carthagini ab se captae captam ab eo tello colle più orrevoli parole che poteva, aggua
Oringin aequasset, quia et hiems instabat, ut nec gliando Oringi preso dal fratello a Nuova-Carta
tentare Gades, nec disiectum passim per provin gine già presa da lui, poi che l'inverno era
ciam exercitum Hasdrubalis consectari posset, in presso sì, che non poteva nè tentar l'assedio di
citeriorem Hispaniam omnes suas copias reduxit; Cadice, nè inseguire l'esercito di Asdrubale qua
dimissisque in hiberna legionibus, L. Scipione e là disperso per la provincia, ricondusse tutte le
fratre Roman misso, et Hannone hostium impe sue genti nella Spagna citeriore; e mandate le
ratore, ceterisque nobilibus captivis, ipse Tar legioni a quartieri d'inverno, inviato a Roma
raconem concessit. Eodem anno classis Romana, il fratello Lucio Scipione insieme con Annone,
cum M. Valerio Laevino proconsule ex Sicilia in comandante nemico, e cogli altri nobili fatti pri
Africam transmissa, in Uticensi Carthaginiensique gioni, egli n'andò a Tarracona. In quell'anno
agro late populationes fecit. Extremis finibus medesimo la flotta Romana, dalla Sicilia trasmes
Carthaginiensium circa ipsa moenia Uticae prae sa in Africa col proconsole Marco Valerio Levino,
dae actae sunt. Repetentibus Siciliam classis Pu si distese largamente a saccheggiare nel territorio
nica (septuaginta erant longae naves) occurrit. di Utica, e nel Cartaginese; e tolsero prede sin
Decem et septem naves ex iis capte sunt, quatuor sull'ultimo confine dei Cartaginesi presso alle
in alto mersae: cetera fusa ac fugata classis. Terra mura stesse di Utica. Nel tornare in Sicilia se
marique victor Romanus cum magna omnis ge le fe'incontro la flotta Cartaginese (erano settanta
neris praeda Lilybaeum repetit. Toto inde mari galere). Diciassette di esse furono prese, quattro
pulsis hostium navibus, magni commeatus fru affondate: il rimanente della flotta fu sbaragliato
menti Romam subvecti. e fugato. Il Romano, vincitore per mare e per
terra, si rimette a Lilibeo con bottino immenso
d'ogni sorte. Quindi, scacciate le navi nemiche
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246
da tutto il mare, si trasportarono a Roma grandi
convogli di frumento. -

V. Principio aestatis ejus, qua haec sunt gesta, V. Nel principio di quella state, in cui si son
P. Sulpicius proconsul et Attalus rex quum fatte codeste cose, avendo il proconsole Publio
Aeginae (sicut ante dictum est) hibernassent, Sulpicio, ed il re Attalo svernato in Egina (come
Lemnum inde, classe juncta, Romanae quinque et sopra si è detto) passarono indi a Lenno con la
viginti quinqueremes, regiae quinque et triginta, flotta unita, venticinque quinqueremi de'Romani,
transmiserunt. Et Philippus, ut, seu terra seu e trentacinque del re. E Filippo per essere, qualo
mari obviam eundum hosti foret, paratus ad ra bisognasse andare incontro o per terra o per
omnes conatus esset, ipse Demetriadem ad mare mare al nemico, apparecchiato ad ogni suo tenta
descendit: Larissam diem ad conveniendum exer tivo, venne in persona a Demetriade in sul mare,
citui edixit. Undique ab sociis legationes Deme e stabilì all'esercito il giorno, in cui si trovasse a
triadem ad famam regis convenerunt. Sustulerant Larissa. Alla fama della venuta del re accorsero
enim animos Aetoli, quum ab Romana societate, da ogni parte ambascerie degli alleati a Demetria
tum post Attali adventum, finitimosque depopu de. Perciocchè gli Etoli sì dopo la Romana allean
labantur. Nec Acarnanes solum Boeotique, et qui za, sì dopo la venuta di Attalo eran cresciuti di
Euboeam incolunt, in magno metu erant; sed animo, e saccheggiavano i confinanti. Ed erano
Achaei quoque, quos super Aetolicum bellum in paura non solamente gli Acarnani e i Beozii, e
Machanidas etiam Lacedaemonius tyrannus haud quelli che abitano l'Eubea, ma eviandio gli Achei,
procul Argivorum fine positis castris, terrebat: hi cui, oltre la guerra degli Etoli, dava spavento
omnes suis quisque urbibus, quae pericula terra anche Macanida, tiranno de'Lacedemoni, venuto
marique portendebantur, memorantes, auxilia ad accamparsi non lontano dal confine degli Ar
regem orabant. Ne ex regno quidem ipsius tran givi. Tutti questi invocavano il soccorso del re,
quillae nunciabantur res : et Scerdilaedum Pleu ciascuno pe' rispettivi paesi, ricordandogli che
ratumque motos esse, et Thracum maxime Mae pericoli sovrastavan loro per terra e per mare.
dos, si quod longinquum bellum regem occupas Nè dallo stesso suo regno se gli annunziavan cose
et, proxima Macedoniae incursuros. Boeoti qui tranquille: che s'eran mossi Scerdiledo e Pleurato;
dem et interiores Graeciae populi Thermopylarum e che specialmente i Medi della Tracia, se alcuna
saltum, ubi angustae fauces coarctant iter, fossa guerra lontana occupato avesse il re, avrebbon
valloque intercludi ab Aetolis, nunciabant, ne fatte scorrerie ne' paesi prossimi alla Macedonia.
transitum ad sociorum urbes tuendas Philippo Avvisavano i Beozii e i popoli più addentro nella
darent. Vel segnem ducem tot excitare tumultus Grecia, che gli Etoli chiudevan di fossa e di argi
circumfusi poterant: legationes dimittit, pollici me lo stretto delle Termopile, dove l'angustia
tus, prout tempus ac res se daret, omnibus latu delle fauci stringe la via, onde non avesse Filippo
rum se auxilium. In praesentia, quae maxime aperto il varco a soccorrere le città degli alleati.
urgebat res, Peparethum praesidium urbi mit Tante notizie di movimenti sparse d'intorno po
tit; unde allatum erat, Attalum, ab Lemno classe tevano destare un qualunque anche pigro capita
transmissa, omnem circa urbem agrum depopu no. Licenzia egli le ambascerie, promettendo che
latum. Polyphantam cum modica manu in Boeo come la circostanza e il tempo gli permettesse,
tiam, Menippum item quemdam ex regiis du darebbe a tutti soccorso. Di presente, essendovi
cibus cum mille peltastis (pelta caetrae haud somma urgenza, manda un presidio alla città di
dissimilis est) Chalcidem mittit. Additi quingenti Pepareto, donde gli si avea recato, che Attalo,
Agrianum, ut omnes insulae partes tueri possent: partito con la flotta da Lemno, saccheggiato aves
ipse Scotussam est profectus; eodem que ab La se tutto il contado intorno alla città. Manda Poli
rissa Macedonum copias traduci jussit. Eo nun fante con piccola banda in Beozia, e certo Menip
ciatum est, concilium Aetolis Heracleam indictum, po, uno de' regii capitani, a Calcide con mille
regemdue Attalum, ad consultandum de summa peltati (la pelta non è gran fatto dissimile dalla
belli, venturum. Hunc conventum ut turbaret cetra, piccolo scudo ), aggiuntivi cinquecento
subito adventu, magnis itineribus Heracleam du Agriani, onde potessero difendere tutte le parti
xit : et concilio quidem dimisso jam venit: sege dell'isola. Egli andò a Scotussa; ed ordinò che
tibus tamen, quae prope maturitatem erant, ma colà pure si trasferissero da Larissa le genti della
xime in sinu Aenianum vastatis, Scotussam copias Macedonia. Quivi ebbe avviso, che gli Etoli avea
reducit. Ibi exercitu omni relicto, cum cohorte no intimata una dieta ad Eraclea, e che il re At
regia Demetriadem sese recipit. Inde ut ad omnes talo vi sarebbe venuto a consultare della somma
hostium motus posset occurrere, in Phocidem, della guerra. Per disturbare codesta adunanza
atque Euboeam et Peparethum mittit, qui loca coll'improvvisa venuta, trasse a gran giornate
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alta eligerent, unde editi ignes apparerent. Ipse l'esercito ad Eraclea; se non che vi giunse a dieta
in Tisaeo (mons est in altitudinem ingentem ca già licenziata: dato però il guasto, specialmenle
cuminis editi) speculam posuit, utignibus pro nel seno degli Eniani, alle biade, ch'eran prossime
cul sublatissignum, ubiquid molirentur hostes, a maturarsi, rimise le genti a Scotussa. Lasciato
momento temporis acciperet. Romanus imperator quivi tutto l'esercito, torna egli colla guardia
et Attalus rex a Peparetho Nicaeam trajecerunt. reale a Demetriade. Indi, a poter accorrere ad
Inde classem in Euboeam ad urbem Oreum trans ogni mossa de'nemici, manda nella Focide, nel
mittunt: quae ab Demetriaco sinu Chalcidem et l'Eubea e a Pepareto de' suoi, che pigliassero i
Euripum petenti ad laevam prima urbium Eu luoghi più elevati, donde vedere i fuochi, che si
boeae posita est. lta inter Attalum ac Sulpicium facessero, e mette una vedetta sul Tiseo (monte
convenit, ut Romani a mari, regii a terra oppu elevato a grande altezza), donde, da fuochi accesi
gnarent. da lontano, ricevesse in un istante il segnale, se i
nemici macchinassero alcun che. Il comandante
Romano, ed il re Attalo passarono da Pepareto a
Nicea. Di là mandano la flotta in Eubea alla città
di Oreo, ch'è la prima delle città Euboiche, che
sian poste a man sinistra di quelli, che dal seno
Demetriaco vanno verso Calcide e l'Euripo. L'ac
cordo fatto tra Attalo e Sulpicio si fu, che i Ro
mani assaltassero Oreo dalla parte dal mare, le
genti del re dalla parte di terra.
VI. Quatriduo post, quam appulsa classis est, VI. Quattro giorni da poi ch'era approdata
urbem aggressi sunt. Id tempus occultis cum Pla la flotta, assaltarono la città. Quel tempo era stato
tore, qui a Philippo praepositus urbi erat, collo consumato in segreti parlamenti con Platore,
quiis absumptum est. Duasarces urbshabet, unam ch'era stato da Filippo messo a governarla. Ha
imminentem mari, altera urbis media est: cuni essa due rocche, una sovrastante al mare, l'altra
culo inde via ad mare ducit, quam a mari turris in mezzo alla città: da questa una via sotterra
quinque tabulatorum, egregium propugnaculum, conduce al mare, dove la chiudeva una torre
claudebat. Ibi primo atrocissimum contractum di cinque palchi, eccellente fortezza. Quivi da
est certamen, et turre instructa omni genere telo principio ci fu battaglia atrocissima, essendo la
rum, et tormentis machinisque ad oppugnandam torre fornita d'ogni sorta d'armi, ed essendosi
eam ex navibus expositis. Quum omnium animos sbarcato dalle navi ogni genere di macchine e
oculosque id certamen avertisset, porta maritimae d'ingegni per combatterla. Avendo questa lotta
arcis Plator Romanos accepit, momentoque arx rivolto a sè gli sguardi e gli animi di tutti, Plato
occupata est. Oppidani, pulsi inde in mediam ur re introdusse i Romani per la porta della rocca
bem, ad alteram tendere arcem. Et ibi positi verso il mare, e sul momento la rocca fu occu
erant, qui fores portae objicerent: ita exclusi in pata. I terrazzani, di là respinti nel mezzo della
medio caeduntur capiunturque. Macedonum prae città, si volsero all'altra rocca. E quivi c'era gente,
sidium conglobatum sub arcis muro stetit ; nec che chiudesse loro le porte: quindi, chiusi in
fuga effuse petita, nec pertinaciter proelio inito. mezzo, son tagliati a pezzi e presi. Il presidio
Eos Plator, venia a Sulpicio impetrata, in naves de'Macedoni, conglobatosi insieme, si fermò sotto
impositos ad Demetrium Phthiotidis exposuit: il muro della rocca; nè dandosi a fuga precipito
ipse ad Attalum se recepit. Sulpicius, tam facili sa, nè combattendo con pertinacia. Platore, otte
ad Oreum successu elatus, Chalcidem inde pro nuto da Sulpicio il lor perdono, fatti gli imbarca
timus victrici classe petit; ubi haudquaquam ad re, li pose a terra a Demetrio nella Ftiotide; egli
spem eventus respondit. Ex patenti utrim ſue si ricovrò presso Attalo. Sulpicio, imbaldanzito
coactum in angustias mare, speciem intuenti pri da sì facile successo presso Oreo, move subito
mo gemini portus in ora duo versi praebuerit: verso Calcide colla ſlotta vincitrice; dove l'even
sed haud facile alia infestior classi statio est; nam to non corrispose punto alla speranza. La larghez
et venti ab utriusque terrae praealtis montibus za del mare, venendosi a restringere d'ambe le
subiti ac procellosi se deiiciunt, et fretum ipsum parti, darebbe a prima vista l'aspetto di un dop
Euripi non septies die, sicut fama fert, tempori pio porto con due sbocchi; ma non v'ha per
bus statis reciprocat; sed temere in modum ven avventura stazione per le navi più pericolosa.
ti, nunc huc, nunc illuc verso mari, velut mon Perciocchè venti improvvisi e procellosi piombano
te praecipiti devolutus torrens rapitur. Ita nec giù dai monti altissimi dell'una parte e del
nocte, nec die quies navibus datur. Quum clas l'altra; e l'Euripo, non sette volte al giorno,
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sem tam infesta statio accepit, tum et oppidum, come fu detto, e a tempi determinati alterna il
alia parte clausum mari, alia ab terra egregie mu flusso a riflusso; ma rimescendosi il mare varia
nitum, praesidioque valido firmatum, et praeci mente qua e colà a seconda del vento, infuria,
pue fide praefectorum principumque, quae fluxa quasi torrente, che ruina da monte precipitoso;
et vana apud Oreum fuerat, stabile atque inexpu quindi non hanno posa le navi nè dì, nè notte.
gnabile fuit. Id prudenter, utin temere suscepta La flotta dunque fu ricevuta in sì malfida stazione,
re, Romanus fecit, quod, circumspectis difficul e la città, chiusa da una parte verso il mare,
tatibus, ne frustra tempus tereret, celeriter absti dall'altra fortificata egregiamente verso terra, e
tit incepto, classemque indead Cynum Locridis guardata da valido presidio, e specialmente dalla
( emporium id est urbis Opuntiorum mille pas fede dei prefetti e dei principali cittadini, fede,
suum a mari sitae) trajecit. che vana e fallace presso Oreo, stette ferma e
inespugnabile. In questo fece prudentemente il
Romano, come in cosa sconsideratamente intra
presa, che, riconosciute le difficoltà, per non
perdere il tempo, abbandonolla prestamente, e
di là trasportò la flotta a Cino di Locride (è que
sto l'emporeo della città degli Opunzii, discosto
un miglio dal mare).
VII. Philippum et ignes ab Oreo editi mo VII. I fuochi per verità vedutisi dall'Oreo
nuerant, sed serius Platoris fraude e specula elati: avean dato avviso a Filippo, ma s'eran mostrati
et impari maritimis viribus haud facilis erat in dalla specola troppo tardi per frode di Platore;
insulam classi accessus: ita res per cunctationem nè riusciva facile alla flotta, diseguale di forze in
omissa. Ad Chalcidis auxilium, ubi signum acce mare, l'accesso all'isola: così indugiando si per
pit, impigre est motus: nam et ipsa Chalcis, dette il momento. Com'ebbe avuto il segnale,
quamduam ejusdem insulae urbs est, tamen adeo ratto si mosse al soccorso di Calcide: perciccchè
arcto interscinditur freto, utponte continenti jun anche Calcide, benchè città appartenente all'isola
gatur, terraque aditum faciliorem, quam mari, stessa, pur è divisa da sì stretto canale, che con
habeat. Igitur Philippus, dejecto praesidio, fusis un ponte si congiunge a terra, ed ha più facile
que Aetolis, qui saltum Thermopylarum inside l'accesso da questa, che dal mare. Filippo adun
bant, quum ab Demetriade Scotussam, inde de que, sconfitto il presidio e fugati gli Etoli, che
tertia vigilia profectus, trepidos hostes Hera guardavano lo stretto delle Termopile, venuto da
cleam compulisset, ipse uno die Phocidis Elatiam Demetriade a Scotussa, e di là partito sulla terza
millia amplius sexaginta contendit. Eodem ferme veglia, poi che ebbe scacciati gli sbigottiti nemici
die ab Attalo rege Opuntiorum urbs capta diri in Eraclea, in un dì arrivò ad Elazia di Focide,
piebatur: concesserat eam praedam regi Sulpi che son più di sessanta miglia. Quasi quel dì
cius, quia Oreum paucos ante dies ab Romano medesimo, Attalo, presa la città degli Opunzii, la
milite, expertibus regiis, direptum fuerat. Quum saccheggiava: avea Sulpicio conceduta quella pre
Romana classis eo se recepisset, Attalus, ignarus da al re, perchè pochi giorni innanzi Oreo era
adventus Philippi, pecuniis a principibus exigen stato saccheggiato dai Romani, senza che ci aves
disterebat tempus: adeoque improvisa res fuit, sero parte le genti del re. Standosi colà ritirata
ut, nisi Cretensium quidam, forte pabulatum ab la flotta Romana, Attalo, ignorando la venuta
urbe longius progressi, agmen hostium procul di Filippo, consumava il tempo nel trar da
conspexissent, opprimi potuerit. Attalus inermis mari dai principali; e fu la cosa così improv
atque incompositus cursu effuso mare ac naves visa, che se alcuni Cretesi, scostatisi alquanto
petit; et molientibus ab terra naves Philippus dalla città in traccia di foraggi, non avessero
supervenit, tumultumque etiam ex terra nauticis scoperto da lontano i nemici, avrebbe potuto es
praebuit. Inde Opuntem rediit, deos hominesque sere oppresso. Attalo pertanto disarmato e in
accusans, quod tantaerei fortunam ex oculis pro disordine corre sbrigliatamente al mare ed alle
pe raptam amisisset. Opuntii quoque ab eadem navi; e Filippo sopraggiunge a quelli, che le ti
ira increpiti, quod, quum trahere obsidionem in ravano all'acqua, e mise lo scompiglio tra i ma
adventum suum potuissent, viso statim hoste, rinai. Indi tornò ad Opunzia, gli dei accusando
prope in voluntariam deditionem concessissent. e gli uomini, ch'egli avesse perduta quasi in sugli
Compositis circa Opuntem rebus, Toronem est occhi una sì bella fortuna. Sgridò pure con non
profectus. Et Attalus primo Oreum se recepit: in minor collera gli Opunzii, perchè avendo potuto
de, quum fama accidisset, Prusiam Bithyniae regem trarre a lungo l'assedio sino alla sua venuta, si
in fines regni sui transgressum, omissis rebus fossero quasi volontariamente dati al nemico,
25 I TITI I,IVII LIBER XXVIII. 252

atque Aetolico bello, in Asiam traiecit. Et Sulpi appena visto. Acconciate le cose in Opunzia, andò
cius Aeginam classem recepit, unde initio veris a Torone. Attalo dapprima si ritirò in Oreo; po
profectus erat. Haud majore certamine, quan scia, correndo fama che Prusia, re di Bitinia,
Opuntem Attalus ceperat, Philippus Toronem fosse entrato ne' confini del suo regno, lasciata
cepit. Incolebant urbem eam profugi ab Thebis ogni cosa, non che la guerra d'Etolia, passò in
Phthioticis. Urbe sua capta a Philippo, quum in Asia. E Sulpicio ritrasse la flotta ad Egina, d'on
fidem Aetolorum perfugissent, sedem eis Aetoli de partito era sul principio della primavera. Con
eam dederant, urbis vastatae ac deserta e priore non maggiore sforzo, che Attalo avea preso
ejusdem Philippi bello. Tum ab Torone, sicut Opunzia, prese Filippo Torone. Abitava quella
paullo ante dictum est, recepta profectus, Trito città gente fuggita da Tebe nella Ftiotide. Aven
non et Drymas, Doridis parva atque ignobilia do presa Filippo Tebe, ricorsi essi alla fede degli
oppida, cepit: inde Elatiam, jussis ibi se opperiri Etoli, questi avean lor data quella stanza, però
Ptolemaei Rhodiorumque legatis, venit. Ubiquum guastata e disertata nella prima guerra dallo
de ſiniendo Aetolico bello ageretur (adfuerant stesso Filippo. Partitosi da Torone presa, come
enim legati muper Heracleae concilio Romanorum dicemmo poc'anzi, s'impadronì da Tritonone e
Aetolorumque), nuncius affertur, Machanidam Drima, piccole terre e meschine della Doride:
Olympiorum solemne ludicrum parantes Eleos indi venne ad Elazia, avendo già ordinato, che
aggredi statuisse. Praevertendum idratus, legatis lo aspettassero colà gli ambasciatori di Tolomeo
cum benigno responso dimissis, « se neque cau e de' Rodiani. Dove, mentre si tratta di metter
sam ejus belli fuisse, nec moram (si modo aequa fine alla guerra d'Etolia (chè gli stessi legati
et honesta conditione liceat) paci facturum, º eran poc'anzi intervenuti alla dieta in Eraclea
cum expedito agmine profectus per Boeotiam, dei Romani e degli Etoli), gli viene avviso, che
Megara, atque inde Corinthum descendit; unde, Macanida avea stabilito di assalire gli Elei, men
commeatibus sumptis, Phliunta Pheneumque pe tre apparecchiavano la solenne festa de' giuochi
tit. Et jam, quum Heraeam venisset, audito, Ma Olimpici. Il che stimando Filippo doversi ante
chanidam, fama adventus sui territum, refugisse venire, licenziati i legati con benigna risposta,
Lacedaemonem, Aegium se ad concilium Achaeo « ch'egli nè stato era cagione di quella guerra,
rum recepit: simul classem Punicam, ut mari nè (se si possa ad eque ed oneste condizioni)
quoque aliquid posset, accitam, ibi ratus se inven farebbe ostacolo alla pace, º partito con una ban
turum. Paucis ante diebus in Phoceas trajecerant da di gente lesta, venne per la Beozia a Megara,
Poemi: inde portus Acarnanum petierant, quum indi a Corinto, donde, fornitosi di vettovaglie,
ab Oreo profectum Attalum Romanosque audis andò a Fliunta e a Feneo. E già venuto ad Erea,
sent, veriti ne ad se iretur, et intra Rhium (fau udito che Macanida, spaventato dalla fama della
ces eae sunt Corinthii sinus) opprimerentur. di lui venuta, s'era in fretta ritratto a Lacedemo
ne, si recò ad Egio all'assemblea degli Achei,
stimando che avrebbe quivi trovata la flotta
Cartaginese, che avea sollecitata onde aver qual
che forza anche in mare. Pochi dì innanzi eran
passati i Cartaginesi nella Focea; di là ne porti
degli Acarnani, poi ch'ebbero intesa la partenza
di Attalo e dei Romani da Oreo, per tema d'esse
re assaltati, ed oppressi dentro Rio (ch'è la bocca
del golfo di Corinto).
VIII. Philippus moerebat quidem et angeba VIII. Filippo si doleva, si cruciava, che essen
tur, quum ad omnia ipse raptim isset, nulli ta do andato con la massima prestezza dovunque
men se rei in tempore occurrisse, et rapientem occorreva, non era mai giunto a tempo, e che la
omnia ex oculis elusisse celeritatem suam fortu fortuna, strappandogli d'in su gli occhi tutte le
nam. In concilio autem, dissimulans aegritudi occasioni, deluso avesse la sua celerità. Nullostante
nem, elato animo disseruit, testatus deos homi nella dieta, dissimulando la doglia, parlò con
nesque, « se nullo loco, nec tempore defuisse, animo elevato, attestando gli dei e gli uomini,
quin, ubi hostium arma concrepuissent, eo, quan a ch'egli non avea mancato in nessun tempo, in
ta maxima posset celeritate, tenderet: sed vix nessun luogo di là correre, con quanta potè mag
rationem iniri posse, utrum ab se audacius, an giore celerità, dove s'era fatto sentire il suono
fugaciusab hostibus geratur bellum. Sicab Opun dell'armi nemiche; ma potersi appena giudicare,
te Attalum, sic Sulpicium a Chalcide, sic eisipsis s'egli più arditamente faccia la guerra, o se più
diebus Machauidam e manibus suis elapsum. Sed vilmente la sfuggano i nemici. In sì fatta guisa gli
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non semper felicem esse fugam : nec pro difficili era scappato dalle mani Attalo da Opunzia, in sì
id bellum habendum, in quo, si modo congres fatta Sulpicio da Calcide, in sì fatta questi di
sus cum hostibus sis, viceris. Quod primum esset, medesimi Macanida. Ma non ha sempre buon
confessionem se hostium habere, nequaquam pa esito la fuga; nè difficil guerra è da dirsi quella,
res esse sibi: brevi et victoriam haud dubiam nella quale, se ti riesce di azzuffarti col nemico,
habiturum, nec meliore eventu eos secum, quam sarai vincitore. Quello che importa si è, aver egli
spe, pugnaturos. " Laeti regem socii audierunt. la confessione de' suoi stessi nemici, non poter
Reddidit inde Achaeis Heraeam et Triphyliam. essi stargli a fronte; in breve ed egli riporterebbe
Alipheram autem Megalopolitis, quod suorum certa vittoria, e non avrebbon quelli, combatten
fuisse finium satis probabant, restituit. Inde, ma do, miglior successo di quel che sperano. Lieti
vibus acceptis ab Achaeis (erant autem tres qua udirono gli alleati le parole del re. Indi restituì
driremes et biremes totidem), Anticvram trajecit. agli Achei Erea e Trifilia; Alifera poi ai Mega
Inde quinqueremibus septem, et lembis viginti lopoliti, perchè provavano bastantemente, ch'el
amplius, quos, ut adjungeret Carthaginiensium la era stata di loro appartenenza. Poscia, fornito
classi, miserat in Corinthium sinum, profectus di alcune navi dagli Achei (erano tre quadriremi,
ad Erythras Aetolorum, quae prope Eupalium ed altrettante biremi), passò in Anticira. Di là con
sunt, exscensionem fecit. Haud fefellit Aetolos; sette quinqueremi e più di venti legni minori,
nam, hominum quod aut in agris, aut in propin che avea mandati nel golfo di Corinto per aggiun
quis castellis Potidaniae atque Apolloniae fuit, gerli alla flotta Cartaginese, andato ad Eritra,
in silvas montesque refugit. Pecora, quae inter città degli Etoli, ch'è vicina ad Eupalio, scese a
festinationem abigi nequierant, sunt direpta et in terra. Non si lasciaron cogliere gli Etoli; chè
naves compulsa. Cum his ceteraque praeda, Nicia quel tanto d'uomini, che si trovò o nelle cam
praetore Achaeorum Aegium misso, quum Corin pagne, o ne' vicini castelli di Potidiana e di A
thum petisset, pedestresinde copias per Boeotiam pollonia, si rifuggì ne' boschi e ne monti. I be
terra duci jussit. Ipse ab Cenchreis praeter ter stiami, che non s'era potuto menar via per la
ram Atticam super Sunium navigans, inter me fretta, furon predati e cacciati nelle navi. Con
dias prope hostium classes, Chalcidem pervenit. questi e col restante della preda mandato in
Inde, collaudata fide ac virtute, quod neque ti Egia Nicia, pretore degli Achei, andato a Corin
mor, neque spes flexissent eorum animos, horta to ordinò che le genti pedestri fossero condotte
tusque in posterum, ut eadem constantia perma per terra, passando per la Beozia. Egli da Chen
nerent in societate, si suam, quam Oritanorum crea, navigando oltre l'Attica al di sopra di
atque Opuntiorum, fortunam mallent; ab Chal Sunio, quasi per mezzo alle flotte nemiche, giunse
cide Oreum navigat, principumque iis, qui fugere a Calcide. Di là commendata la lor fede e virtù,
capta urbe, quam se Romanis tradere maluerant, perchè nè timore nè speranza gli avesse fatti
summa rerum et custodia urbis permissa, ipse vacillare, ed esortatili per l'avvenire a perseve
Demetriadem ab Euboea, unde primo ad open rare nella lega colla medesima costanza, se prefe
ferendam sociis profectus erat, trajecit. Cassan rivano la loro condizione a quella degli Oritani
dreae deinde centum navium longarum carinis e degli Opunzii, naviga da Calcide ad Oreo, e
positis, contractaque ad effectum eius operis mul consegnatone il governo e la custodia a quelli
titudinem fabrorum navalium, quia res in Grae tra primi cittadini, che amaron meglio, presa la
cia tranquillas et profectio Attali fecerat, et in città, fuggire, che darsi ai Romani, dall'Eubea,
tempore laborantibus sociislatum ab se auxilium, donde partito era dapprima per soccorrere gli
retro in regnum concessit, ut Dardanis bellum alleati, passò a Demetriade. Poscia fatto costruire
inferret. in Cassandrea i corpi di cento galee, raccolto a
tal uopo un gran numero di fabbri navali, poi che
la partenza di Attalo avea tranquillate le cose nella
Grecia, ed avea soccorsi a tempo gli alleati, re
trocedette nel suo regno per mover guerra ai
Dardani.

IX. Extremo aestatis ejus, qua haec in Grae IX. Sul fine di quella state, in cui si son fatte
cia gesta sunt, quum Q. Fabius Maximi filius le in Grecia queste cose, recato avendo Quinto Fa
gatus ab M. Livio consule Romam ad senatum bio, figlio del Massimo, mandato a Roma al se
nunciasset, consulem satis praesidii Galliae pro nato dal console Marco Livio, credere questi che
vinciae credere L. Porcium cum suis legionibus Lucio Porcio bastasse colle sue legioni a difen
esse, decedere se inde, ac deduci exercitum con dere la Gallia, e quindi poter egli partirsene, e
sularem posse; Patres non M. Livium tantum ritrarne l'esercito consolare, i Padri ordinarono
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redire ab urbem, sed collegam quoque ejus C. che tornasse a Roma non solamente Marco Livio,
Claudium jusserunt. Id modo in decreto inter ma eziandio il di lui collega Caio Claudio. Non
fuit, quod M. Livii exercitum reduci, Neronis ci fu nel decreto altra differenza, se non che or
legiones Hannibali oppositasmanere in provincia dinarono che si riconducesse l'esercito di Marco
jusserunt. Inter consules ita per literas convenit, Livio, ma le legioni di Nerone, ch'erano a fron
ut, quemadmodum uno animo rempublicam ges te di Annibale, rimanessero nella provincia. I
sissent, ita, quamquam ex diversis regionibus consoli per lettere si accordarono, che siccome
convenirent, uno tempore ad urbem accederent; aveano amministrata la cosa pubblica d'uno
Praeneste qui prior venisset, collegamibi opperiri stesso parere, così, benchè partissero da luoghi
jussus. Forte ita evenit, uteodem die ambo Prae diversi, si accostassero a Roma in un medesimo
meste venirent: inde praemisso edicto, ut triduo tempo. Quegli, che primo giungesse a Preneste,
post frequens senatus ad aedem Bellonae adesset, aveva ordine di aspettare il collega. A caso av
omni multitudine obviam effusa, ad urbem ac venne che ambedue giunsero a Preneste nel dì
cessere. Non salutabant modo universi circumfusi, medesimo. Di là, premesso un editto perchè tre
sed, contingere pro se quisque victrices des tras giorni di poi si trovasse raccolto il senato nel
consulum cupientes, alii gratulabantur, alii gra tempio di Bellona, incontrati da immensa molti
tias agebant, quod eorum opera incolumis res tudine di gente, si accostarono a Roma. I citta
publica esset. In senatu quum more omnium im dini tutti, affollatisi dintorno, non solamente li
peratorum, expositis rebus ab se gestis, postulas salutavano, ma ciascuno in particolare, bramando
sent, « ut pro republica fortiter feliciterque am di toccar le destre vittoriose de'consoli, altri si
ministrata, et diis immortalibus haberetur honos, congratulavano con esso loro, altri li ringrazia
et ipsis triumphantibus urbem inire liceret; Se vano, che per opera loro la repubblica fosse salva.
vero ea, quae postularent, decernere, Patres, In senato, poi ch'ebbero i consoli esposte le cose
merito deorum primum, dein, secundum deos, fatte da essi, secondo il costume degli altri capi
consulum, , responderunt; et supplicatione am tani, avendo chiesto, a che per la repubblica
borum nomine, et triumpho utrique decreto, in coraggiosamente e felicemente governata e si
ter ipsos, ne, quum bellum communi animo ges rendesse onore agli dei immortali, e fosse loro
sissent, triumphum separarent, ita convenit, « ut, concesso di entrare in Roma trionfando, º rispo
quoniam et in provincia M. Livii res gesta esset, sero i Padri, « che assentivano a quello, che
et eo die, quo pugnatum foret, ejus forte auspi avean chiesto, e di che prima n'avean merito gli
cium fuisset, et exercitus Livianus deductus Ro dei, poscia i consoli; - e decretata la supplica
mam venisset, Neronis deduci non potuisset de zione a nome di ambedue, non che il trionfo
provincia, ut M. Livium, quadrigis urbem ineun a ciascun d'essi, i consoli, per non separarsi nel
tem, milites sequerentur, C. Claudius equo sine trionfo, poi che non s'erano separati di parere
militibus inveheretur. » Ita consociatus trium nell'amministrare le guerra, così convennero,
phus, quum utrique, tum magisei, qui, quantum a ch'essendo accaduto il fatto nella provincia di
merito anteibat, tantum honore collegae cesserat, Marco Livio, che il dì, nel quale s'era combattuto,
gloriam auxit: « illum equitem ajebant sex die aveva egli preso gli auspizii, e che il di lui eser
rum spatio transcurrisse longitudinem Italiae, cito era stato ricondotto a Roma, mentre quello
et eo die cum Hasdrubale in Gallia signis collatis di Nerone non si era potuto ritrarre dalla pro
pugnasse, quo eum castra adversus sese in Apu vincia, che perciò i soldati seguitassero Marco
lia posita habere Hannibal credidisset. Ita unum Livio nel suo ingresso in Roma su cocchio tirato
consulem pro utraque parte ltaliae adversus duos da quattro cavalli, e che Caio Claudio venisse a
duces, duos imperatores, hinc consilium suum, cavallo senza soldati.i trionfo in questa guisa
hinc corpus opposuisse. Nomen Neronis satis fuis accomunato tra loro accrebbe la gloria all'uno e
se ad continendum castris Hannibalem : Hasdru all'altro, e più a quello, che quanto avanzava
balem vero, qua alia re, quam adventu ejus, obru in merito, tanto più avea ceduto nell' onore al
tum atque exstinctum esse ? Itaque iret alter con collega. « Lui, dicevano, avere a cavallo trascorsa
sul sublimis curru multijugis, si vellet, equis: in sei giorni tutta la lunghezza dell'Italia, e
uno equo per urbem verum triumphum vehi; combattuto a bandiere spiegate Asdrubale nella
Neronemque, etiam si pedes incedat, vel parta eo Gallia in quel dì stesso, in cui Annibale sel cre
bello, vel spreta eo triumpho gloria, memorabi deva accampato in faccia a sè nella Puglia. Così
lem fore. ” Hi sermones spectantium Neronem un solo console da una parte dell'Italia e dal
usque in Capitolium prosecuti sunt. Pecuniam in l'altra opposto aveva a due capitani, a due co
aerarium tulerunt sestertiúm tricies, octoginta mandanti, quindi il proprio senno, quinci il pro
millia aeris. Militibus M. Livius quinquagenos prio corpo. Il nome di Nerone avea bastato a
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senos asses divisit: tantumdem C. Claudius absen contenere Annibale nel campo. Asdrubale poi da
tibus militibus suis est pollicitus, quum ad exer che altro, che dalla sua venuta fu schiacciato,
citum redisset. Notatum, eo die plura carmina annichilato ? Andasse dunque l'altro console
militaribus jocis in C. Claudium, quam in con alto su cocchio tirato da quanti più volesse caval
sulem suum, jactata. Equites L. Veturium et Q. li; un solo cavallo basta per un vero trionfo; e
Caecilium legatos magnis tulisse laudibus, horta Nerone, se anche andasse a piedi, sarà sempre
tosque esse plebem, uteos consules in proximum memorabile sì per la gloria acquistata in questa
annum crearent: adjecisse equitum praerogativae guerra, sì per quella disprezzata in questo trion
auctoritatem consules, postero die in concione, fo. » Sì fatti discorsi degli spettatori accompa
quam forti fidelique duorum praecipue legato gnarono Nerone sino al Campidoglio. Portarono
rum opera usi essent, commemorantes. al tesoro trecento mila sesterzii, e ottanta mila
assi. Marco Livio ripartì tra i soldati cinquantasei
assi per testa; altrettanti ne promise Caio Clau
dio a' suoi assenti, come fosse tornato all'eserci
to. Si notò, che in quel giorno i soldati nelle
loro canzoni scherzevoli più ne drizzavano a
Caio Claudio, che al proprio lor console è che i
cavalieri celebrarono con grandi lodi Lucio Ve
turio e Quinto Cecilio legati, ed esortaron la
plebe a crearli consoli per l'anno prossimo; e
che i consoli aggiunsero il loro voto alla testimo
nianza dei cavalieri, rammemorando nel dì se
guente nell'assemblea del popolo quanto util
mente s'eran serviti della forte e fidata opera
specialmente de'due legati.
X. (Anno U. C. 546. – A. C. 2o6.) Quum X. (Anno D. R.546. – A. C. 2o6) Approssi
comitiorum tempus appeteret, et per dictato mandosi il tempo dei comizi e piacendº che tenu
rem comitia haberi placuisset, C. Claudius con ti fossero da un dittatore, il console Caiº Claudio
sul M. Livium collegam dictatorem dixit: Li nominò dittatore il collega Marco Livio; Livio
vius Q. Caecilium magistrum equitum. A M. nominò maestro del cavalieri Quinto Ceciliº Fu
Livio dictatore creati consules L. Veturius, Q. rono eletti consoli dal dittatore Lucio Veturio e
Caecilius; is ipse, qui tum erat magister equi Quinto Cecilio, quello stesso,ch'era allora maestro
tum. Inde praetorum comitia habita: creati C. de'cavalieri. Indi si tennero i comizi per la nº
Servilius, M. Caecilius Metellus, Ti. Claudius Asel mina de'pretori. Furon creati Caiº Servilio, Mlarco
lus, Q. Mamilius Turinus, qui tum aedelis plebis
Cecilio Metello, Tito Claudio Asello, Quintº Mla
erat. Comitiis perfectis, dictator, magistratu abdi milio Turino, ch'era allora edile della plebe. Ter
cato, dimissoque exercitu, in Etruriam provin minati i comizi, il dittatore, deposto l'utiziº º
ciam ex senatusconsulto est profectus ad quae licenziato l'esercito, andò per decretº del senato

stiones habendas, qui Etruscorum Umbrorumve in Toscana ad inquisire quali de'popoli della To
populi defectionis ab Romanis ad Hasdrubalem scana o dell'Umbria avessero macchinatº di ribel
sub adventum eius consilia agitassent, quique eum larsi dai Romani per darsi ad Asdrubale alla venu
auxiliis, aut commeatu, aut ope aliqua juvissent. ta di lui; e quali lo avessero soccorsº di gente, di
Haec eo anno domi militiaeque gesta. Ludi Ro vettovaglie, o d'altra cosa. Queste furon le cose
mani ter toti instaurati ab aedilibus curulibus, fatte quest'anno dentro e fuori, I giuochi Roma
Cn. Servilio Caepione, Ser. Cornelio Lentulo. ni furon tre volte rifatti tutti dagli ediliº,
Item ludi plebeji semel tot instaurati ab aedilibus Gneo Servilio Cepione e Sergiº Cornelio Len
plebis, M. Pomponio Mathone, et Q. Mamilio Tu tulo. Anche i giuochi plebei furon tutti rifatti
rino. Tertiodecimo anno Punici belli, L. Veturio una volta dagli edili della plebe Marco Pompo
Philone et Q. Caecilio Metello consulibus, Brut nio Matone e Quinto Mamilio Turinº L'anno
tii ambobus, ut cum Hannibale bellum gererent,
decimo terzo della guerra Punica, nel consolato
provincia decreta. Praetores exinde sortiti sunt, di Lucio Veturio Filone e di Quintº Cecilio Me
tello, fu decretata ad ambedue la provincia dei
M. Caecilius Metellus urbanam, Q. Mamilius pe:
regrinam, C. Servilius Siciliam, l'i. Claudius Sar Bruzii per guerreggiare contrº Annibale. Indi i
diniam. Exercitus ita divisi: consulum alteri, pretori trassero a sorte le province loro: ebbe

quem C. Claudius prioris anni consul, alteri, i urbana Marco Cecilio Metello, la forestierº
quem Q.Claudius propraetor (eae binae legiones Quinto Mamilio, Caio Servilio la Sicilia, Titº
Livio 2 17
TITI LIVII LIBER XXVIII. 26o
259
erant) habuisset exercitum. In Etruria duas vo Claudio la Sardegna. Gli eserciti furon divisi
lonum legiones a C. Terentio propraetore M. Li in questo modo. All'uno de'consoli quello, che
vius proconsul, cui prorogatum in annum impe aveva avuto Caio Claudio, console dell'anno ante
rium erat, acciperet: et Q. Mamilio, ut, collegae cedente; all'altro quello ch'era stato del propre
jurisdictione tradita, Galliam cum exercitu, cui tore Quinto Claudio (erano due legioni); nella
L. Porcius propraetor praefuerat, obtineret, de Toscana il proconsole Marco Livio, a cui era stato
cretum est; jussusque populari agros Gallorum, prorogato il comando per un anno, ricevette dal
qui ad Poenos sub adventum Hasdrubalis defe propretore Caio Terenzio due legioni di voloni:
cissent. C. Servilio cum Cannensibus duabus le a Quinto Mamilio fu commesso, che consegnata
gionibus, sicut C. Mamilius tenuerat, Sicilia tuen l'amministrazione della giustizia al collega, te
da data. Fx Sardinia vetus exercitus, cui A. Ho nesse la Gallia coll'esercito, ch'era stato del
stilius praefuerat, deportatus: novam legionem, propretore Lucio Porcio; ed ebbe ordine di dare
quam Ti. Claudiustrajiceret secum, consules con il guasto alle terre dei Galli, che alla venuta di
scripserunt. Q. Claudio, ut Tarentum, C. Hostilio Asdrubale s'eran voltati alla parte dei Cartagi
Tubulo, ut Capuam provinciam haberet, proro nesi. La difesa della Sicilia fu assegnata a Caio
gatum in annum imperium est. M. Valerius pro Servilio con le due legioni di Canne, come avea
consul, qui tuendae circa Siciliam maritimae orae fatto Caio Mamilio. Il vecchio esercito della Sar
praefuerat, triginta navibus C. Servilio praebitis, degna, al quale era stato preposto Aulo Ostilio,
cum cetera omni classe redire ad urbem jussus. ne fu richiamato: i consoli levarono una nuova
legione, con cui dovesse Tito Claudio colà passa
re. Si prorogò per un anno il comando a Quinto
Claudio, perchè al governo di Taranto, e a Caio
Ostilio Tubulo, perchè si stesse a quello di Ca
pua. Il proconsole Marco Valerio, ch'era stato a
difendere la costa marittima di Sicilia, ebbe or
dine, consegnate trenta navi a Caio Servilio, di
tornarsi a Roma col rimanente della flotta.
XI. In civitate tanto discrimine belli sollicita, XI. In una città, travagliata da sì gravi rischi
quum omnium secundorum adversorumque cau di guerra, dove le cagioni d'ogni cosa prospera
sas in deos verterent, multa prodigia nunciaban o avversa si attribuivano agli dei, molti prodigii
tur; Tarracinae Jovis aedem, Satrici Matris Ma venivano annunciati; che a Terracina il fulmine
tutae de coelo tactam. Satricanos haud minuster avea percosso il tempio di Giove, a Satrico quel
rebant in aedem Jovis foribus ipsis duo perlapsi lo della dea Matuta; e niente meno spaventavano
angues. Ab Antio nunciatum est, cruentas spicas iSatricani due serpenti entrati per la stessa porta
metentibus visas esse. Caereporcus biceps, et nel tempio di Giove. Venne da Anzio, che ai
agnus mas idemdue femina natus erat: et Albae mietitori s'eran mostrate alcune spicche sangui
duo soles visos referebant: et nocte Fregellis lu gne. A Cere nato era un porco con due capi, e
cem obortam: et bos in agro Romano locutus, un agnello maschio e femmina ad un tempo. Ri
et ara Neptuni multo sudore manasse in circo ferivano essersi veduti in Alba due soli; e a
Flaminio dicebatur: et aedes Cereris, Salutis, Fregelle di notte essere insorto un gran chiarore;
Quirini de coelo tactae. Prodigia consules hostiis e si diceva che nel contado Romano un bue avea
majoribus procurarejussi,et supplicationemunum parlato, e che nel circo Flaminio l'ara di Nettuno
diem habere. Ea ex senatusconsulto facta. Plus avea mandato fuori molto sudore; e che i tempii
omnibus ant nunciatis peregre, aut visis domi di Cerere, della Salute, di Quirino erano stati
prodigiis, terruit animos hominum ignis in aede fulminati. Fu commesso a consoli che espiassero
Vestae exstinctus; caesaque flagro est Vestalis, codesti prodigii con le vittime maggiori, e che
cuius custodia noctis ejus fuerat, iussu P. Licinii intimassero pubbliche preci per un giorno. Tut
Pontificis. Id quamquam, nihil portendentibus to ciò fu fatto per decreto del senato. Ma più
deis, ceterum negligentia humana acciderat, ta ch'altro prodigio o rapportato di fuori o veduto
men et hostiis majoribus procurari, et supplica in Roma, spaventò gli animi di tutti l'essersi
tionem ad Vestae haberi placuit. Priusquam pro spento il fuoco nel tempio di Vesta; e la Vestale,
ficiscerentur consules ad bellum, moniti ab senatu a cui toccata era la guardia di quella notte, fu
sunt, “ utin agros reducendae plebiscuram habe per ordine del pontefice Publio Licinio battuta
rent. Deim benignitate submotum bellum ab colle verghe. Sebbene questo, che nulla minaccia
urbe Romana et Latio esse, et possesine metu in va per parte degli dei, fosse anzi accaduto per
agris habitari. Minime convenire, Siciliae, quam umana trascuratezza, pure si volle che fosse
261 TITI LIVII LIBER XXVIII. 262

Italiae, colendae majorem curam esse. m Sed res espiato con le vittime maggiori, e che si facessero
haudquaquam erat populo facilis, et liberis cul preghiere nel tempio di Vesta. Innanzi che i
toribus bello absumptis et inopia servitiorum, et consoli andassero alla guerra, il senato gli avvertì,
pecore direpto, villisque dirutis aut incensis: ma a che si prendessero la cura di ricondur la plebe
gna tamen pars auctoritate consulum compulsa nel contado. Per benignità degli dei la guerra
in agros remigravit. Moverant autem hujuscerei era stata cacciata lungi da Roma e dal Lazio, e
mentionem Placentinorum et Cremonensium le potersi abitare le campagne senza timore: non
gati, querentes, agrum suum ab accolis Gallis in era conveniente, che si pigliasse maggior cura
cursari ac vastari, magnamdue partem colono di coltivar la Sicilia, che l'Italia. » Ma la cosa
rum suorum dilapsam esse, et infrequentes se non era facile al popolo, periti essendo nella
urbes, agrum vastum ac desertum habere. Mami guerra i coltivatori di libera condizione, scarseg
lio praetori mandatum, ut colonias ab hoste tue giando gli schiavi, predato il bestiame, diroccate
retur. Consules ex senatusconsulto edixerunt, ut, ed abbruciate le ville. Nondimeno gran parte,
qui cives Cremonenses atque Placentini essent, sospinta dall'autorità de' consoli, ripassò nelle
ante certam diem in colonias reverterentur. Prin campagne. Avean fatta nascere codesta menzione i
cipio deinde veris et ipsi ad bellum profecti sunt: legati dei Piacentini e dei Cremonesi, i quali eran
Q. Caecilius consul exercitum ab C. Nerone, L. venuti a dolersi che il loro contado era corso e
Veturius ab Q. Claudio propraetore accepit, no devastato dai Galli confinanti, e che gran parte
visque militibus, quos ipse conscripserat, supple dei loro coloni s'era sbandata, che avean le lor
vit. In Consentinum agrum consules exercitum città spopolate, il territorio guasto e deserto. Fu
duxerunt, passimoue depopulati, quum agmen commesso al pretore Mamilio, che difendesse le
jam grave praeda esset, in saltu angusto a Brut colonie dal nemico. I consoli per decreto del se
tiis jaculatoribusque Numidisturbati sunt, ita ut nato pubblicarono un editto, che qualunque cit
non praeda, sed armati quoque in periculo fue tadino. Cremonese o Piacentino avanti un certo
rint. Major tamen tumultus, quam pugna, fuit ; giorno tornasse alle sue colonie. Essi poi sul prin
et praemissa praeda, incolumes et legiones in loca cipio di primavera andarono alla guerra. Il con
tuta evasere. Inde in Lucanos profecti. Ea sine sole Quinto Cecilio prese l'esercito da Caio Ne
certamine tota gens in ditionem populi Romani rone, Lucio Veturio dal propretore Quinto Clau
rediit.
dio, e lo supplì co'nuovi soldati, ch'egli stesso
avea levati. I consoli condussero l'esercito nel
contado Cosentino, e saccheggiatolo tutto, essen
do le genti cariche di preda, in un passo stretto
furono alquanto scompigliate dai Bruzii, e dai
lanciatori Numidi; sì che non la sola preda, ma
furono in pericolo gli armati stessi. Se non che
fu maggiore il tumulto, che la battaglia; e man
dato innanzi il bottino, anche le legioni si misero
in salvo in luoghi sicuri. Indi andarono ne'Lu
cani. Tutta quella nazione, senza combattere,
tornò sotto la dominazione del popolo Romano.
XII. Cum Hannibale'nihil eo anno rei gestum XII. Non v'ebbe in quell'anno fatto alcuno
est; nam meque ipse se obtulit in tam recenti e con Annibale; perciocchè nè egli nella sua pub
vulnere publico privatoque, neque lacessierunt blica e privata ferita si fece innanzi, nè quieto,
quietum Romani: tantam inesse vim, etsi omnia com'era, il provocarono i Romani; tanta stima
alia circa eum ruerent, in uno illo duce cense vano rimaner forza in lui solo, benchè ogni al
bant. Ac nescio, an mirabilior adversis, quam tra cosa gli ruinasse d'intorno. E non so dire, se
secundis rebus, fuerit; quippe qui, quum et in degno fosse di ammirazione più ne'casi prosperi,
hostium terra per annostredecim, tam procul ab che negli avversi; come quegli, che guerreggian
domo, varia fortuna bellum gereret exercitu non do in terra nemica da tredici anni, sì lontano da
suo civili, sed mixto ex colluvione omninm gen casa, con varia fortuna, non con un esercito di
tium, quibus non lex, non mos, non lingua com proprii cittadini, ma misto della feccia di tutte
munis, alius habitus, alia vestis, alia arma, alii le nazioni, che non avean comuni nè leggi, nè
ritus, alia sacra, alii prope dei essent; ita quo costumanze, nè lingua, con altre fogge, altre
dam uno vinculo copulaverit eos, ut nulla mec vesti, altre armi, altri riti, altro culto, e quasi al
inter ipsos, mec adversus ducem seditio exstite tri dei, pure gli avea con un certo unico legame
rit; quum et pecunia saepe in stipendium, et sì fattamente stretti insieme, che non vi fu mai
263 TITI LIVII LIBER XXVIII. 264

commeatus in hostium agro deessent: quorum sedizione nè tra loro, nè contro il lor capitano,
inopia priore Punico bello multa infanda inter benchè spesso mancasse il denaro per le paghe,
duces militesque commissa fuerant. Post Hasdru non che le vettovaglie in paese nemico ; per
balis vero exercitum cum duce, in quibus spes mancanza di che brutti sconci eran nati nella
omnis reposita victoriae fuerat, deletum, ceden prima guerra Cartaginese tra i comandanti e i
doque in angulum Bruttium cetera Italia conces soldati. Poscia, dopo la disfatta dell'esercito di
sum, cui non videatur mirabile, nullum motum Asdrubale, e la morte di lui stesso, ne'quali pur
in castris factum ? nam ad cetera id quoque ac era posta tutta la speranza della vittoria, e che,
cesserat, ut ne alendi quidem exercitus, nisi ex ritiratosi in un angolo de Bruzii, si dovette ab
Bruttio agro, spes esset; qui, ut omnis coleretur, bandonare tutto il resto dell'Italia, a chi non fa
exiguus tamen tanto alendo exercitui erat Tum rà maraviglia, che non siavi stata mai sommossa
magnam partem juventutis abstractam a cultu alcuna nel suo campo ? Perciocchè si aggiungeva
agrorum bellum occupaverat, et mos vitio etiam anche questo a tutto il resto, che non avea spe
insitus genti per latrocinia militiam exercendi: ranza di poter nodrire l'esercito, che dalle terre
mec ab domo quidquam mittebatur, de Hispania dei Bruzii; le quali, anche se tutte si fossero col
retinenda sollicitis, tamquam omnia prospera in tivate, pur poche erano ad alimentar tanta gente;
Italia essent. In Hispania res quadam ex parte e gran parte della gioventù distratta dalla coltu
eamdem fortunam, quadam longe disparem ha ra delle terre, l'aveva a sè tratta la guerra, ed

bebant: eamdem, quod proelio victi Carthagi anche il costume proprio di quella nazione di
nienses, duce amisso, in ultimam Hispaniae oram esercitar la milizia ladroneggiando. Nè gli veniva
usque ad Oceanum compulsi erant; disparem un sol uomo di casa; ch'erano premurosi di con
autem, quod Hispania, non quan Italia modo, servare la Spagna, quasi tutto andasse in Italia
sed quam ulla pars terrarum, bello reparando prosperamente. Le cose in Ispagna per una parte
aptiorerat, locorum hominumque ingeniis. Ita avean la medesima fortuna, per l'altra assai di
que ergo prima Romanis inita provinciarum, versa; la medesima, perchè i Cartaginesi, vinti
quae quidem continentis sint, postrema omnium, in battaglia, perduto il capitano, erano stati cac
nostra demum aetate, ductu auspicioque Augusti ciati nell'ultimo confine della Spagna sino all'O
Caesaris, predomita est. lbi tum Hasdrubal Gi ceano; diversa poi, perchè la Spagna tutta era
sgonis maximus clarissimusque eo bello secun atta, non solo più che l'Italia, ma più che ogni
dum Barcinos dux, regressus ab Gadibus, rebel altra parte del mondo a rinfrescare la guerra per
landi spem adjuvante Magome Hamilcaris filio, la qualità dei luoghi e l'indole degli abitanti.
delectibus per ulteriorem Hispaniam habitis, ad Quindi la prima delle province del continente
quinquaginta millia peditum, et quatuor millia assalita dai Romani, fu domata finalmente l'ulti
et quingentos equites armavit. De equestribus ma di tutte a giorni nostri sotto la condotta e
copiis ferme inter auctores convenit: peditum gli auspizii di Cesare Augusto. Quivi allora Asdru
septuaginta millia quidam adducta ad Silpiam ur bale di Giscone, il più grande e più illustre ca
bem scribunt. Ibi super campos patentes duo du pitano in quella guerra dopo i Barcini, tornato
ces Poemi ea mente, ne detrectarent certamen, da Cadice, aiutato da Magone figlio di Amilcare
consederunt. nella speranza di rinnovare la guerra, fatte nuo
ve leve nella Spagna ulteriore, mise in arme cin
quanta mila fanti, e quattro mila e cinquecento
cavalli. Delle genti a cavallo, gli autori quasi tutti
si accordano; ma de fanti, dicono che ne fossero
condotti alla città di Silpia settanta mila. Quivi
piantaronsi i due comandanti Cartaginesi sopra
larga pianura con animo di non ricusare la bat
taglia.
XIII. Scipio, quum ad eum fama tanti com XIII. Scipione, recatagli la notizia di sì gran
parati exercitus perlata esset, neque Romanis de esercito messo insieme dal nemico, nè stiman
legionibus tantae se parem fore multitudini ra do colle Romane legioni d'esser pari a tanta
tus, ut non in speciem saltem opponerentur bar moltitudine, se non avesse ad opporre almeno in
barorum auxilia, neque in iis tamen tantum vi apparenza gli aiuti de barbari, senza però tal
rium ponendum, ut mutando fidem, quae cladis mente contare sulle forze loro, che qualora mu
causa fuisset patri patruoque, magnum momen tasser fede, il che era stato cagione di rovina al
tum facerent, praemisso Silano ad Colcham, duo padre ed allo zio, gran danno gliene dovesse ve
detriginta oppidis regnantem, ut equites pedites nire, mandato innanzi Silano a Colca, che regna
265 TITI LIVII LIBER XXVIII. 266

que ab eo, quos se per hiemem conscripturum va su vent'otto castelli, a riceverne que cavalli e
pollicitus erat, acciperet, ipse ab Tarracone pro fanti, che avea promessso di arrolare quell'in
fectus, protinus ab sociis, qui accolunt viam, mo verno, egli partitosi da Tarracona, raccogliendo
dica contrahendo. auxilia, Castulonem pervenit. intanto dagli alleati, che abitan lungo la via, al
Eo adducta ab Silano auxilia, tria millia pedi quanti pochi aiuti, giunse a Castulone. Colà Sila
tum et quingenti equites: inde ad Baeculam no gli addusse il rinforzo di tre mila fanti, e
urbem progressus omni exercitu civium, socio cinquecento cavalli. Indi avviossi alla città di
rum, peditum equitumque quinque et quadra Becula coll'intiero esercito de'cittadini e degli
ginta millibus. Castra ponentes eos Mago et alleati, che tra fanti e cavalieri ascendeva al nu
Masinissa cum omni equitatu aggressi sunt; tur mero di quarantacinque mila. Mentre attende
bassentoue munientes, mi abditi post tumulum, vano ad accamparsi, Magone e Masinissa gli as
opportune ad id positum, ab Scipione equites saltarono con tutta la cavalleria, e gli avrebbero
improviso in effusos incurrissent. Hi promptissi disturbati da lavori, se una banda di cavalli na
mum quemdue, et proxime vallum, atque in ipsos scosta da Scipione dietro un'altura opportuna
munitores primum invectum, vixdum proelio mente situata, non si fosse improvvisamente sca
inito, fuderunt: cum ceteris, qui sub signis atque gliata addosso agli sbandati. Questa, venuta ap
ordine agminis incesserant, longior et diu ambi pena alle mani, sbaragliò i più arditi, e quelli,
gna pugna fuit. Sed quum ab stationibus pri che s'eran di primo tratto portati contro lo stec
m um expeditae cohortes, deinde ex opere deducti cato, e contro gli stessi lavoratori; cogli altri,
milites, atque arma capere jussi plures et integri ch'eran venuti schierati sotto le insegne e in
fessis subirent.magnumque jam agmen armatorum ordine di battaglia, fu più lunga, e per più tem
a castris in proelium rueret, terga haud dubio po dubbia la pugna. Ma poi che accorsero dalle
vertunt Poeni Numidaeque. Et primo turmatim lor poste le coorti leggere, indi i soldati levati
abibant, nihil propter pavorem festinationemve dal lavoro, e fu fatto prender l'armi, a maggior
confusis ordinibus: dein, postguam acrius ulti numero, ed agli stanchi i freschi succedere, e che
mis incidebat Romanus, neque sustineri impetus già gran turba di armati si slanciava dagli al
Poterat, nihil jam ordinum memores, passim, qua loggiamenti alla battaglia, i Cartaginesi ed i Nu
cuique proximum fuit, in fugam effunduntur. midi voltano apertamente le spalle. E dapprima
Et quamquam eo proelio aliquantum et Romanis si ritiravano a torme a torme senza che per la
aucti et deminuti hostibus animi erant, tamen paura o la fretta confondessero gli ordini; poi,
numquam aliquot insequentes dies ab excursio come il Romano dava addosso agli ultimi con più
mibus equitum levisque armaturae cessatum est. vigore, nè si potea sostenerne l'impeto più oltre,
dimenticata l'ordinanza, si danno a fuga precipi
tosa, ciascuno alla parte, che gli tornava più ac
concia. E quantunque per quella zuffa fosse alcun
poco cresciuto l'animo ai Romani, e scemato ai
nemici, pure per alquanti giorni dappoi non
mai cessarono le scorrerie dei cavalli, e degli ar
mati alla leggera. - -

XIV. Ubi satis tentatae per haec levia certa XIV. Com'ebbero saggiate bastantemente le
mina vires sunt, prior Hasdrubal in aciem copias forze con questi lievi combattimenti, primo
eduxit: deinde et Romani processere. Sed utra Asdrubale trasse le genti fuori in ordine di batta
que acies pro vallo stetit instructa; et quum ab glia; indi uscirono anche i Romani, ma e l'un
neutris pugna coepta esset, jam die ad occasum esercito e l'altro si stette schierato dinanzi allo
inclinante, a Poeno prius, deinde ab Romano in steccato; e nessuna parte avendo dato principio
castra copiae reductae. Hoc idem per dies aliquot al combattere, di già piegando il giorno verso
factum : prior semper Poenus copias castris edu l'occaso, prima il Cartaginese, poscia il Romano
cebat; prior fessisstando signum receptui dabat: ritrassero le schiere negli alloggiamenti. Questo
ab neutra parte procursum, telumve missum, aut fu fatto per parecchi giorni. Primo sempre il
vox ulla orta. Mediam aciem hinc Romani, illimc Cartaginese metteva fuori i suoi; primo, com'e
Carthaginienses mixti Afris, cornua socii tene rano stanchi dallo starsi sull'armi, sonava a rac
bant: erant autem utrimque Hispani pro corni colta. Da nessuna parte si uscì di fila, si lanciò
bus: ante Punicam aciem elephanti castellorum dardo, si udì una voce. Stavan nel centro quinci
procul speciem praebebant. Jam hoc in utrisque i Romani, quindi i Cartaginesi mescolati cogli
castris sermonis erat, ita, ut instructi stetissent, Africani: i confederati eran sull'ale, le cui prime
pugnaturos: medias acies Romanum Poenumque, file eran d'ambe le parti formate di Spagnuoli.
TITI LIVII LIBER XXVIII. 268
267
quos inter belli causa esset, pari robore animo Gli elefanti sul dinanzi delle schiere Cartaginesi
rum armorumque concursuros. Scipio ubi haec offrivano da lontano la sembianza di altrettanti
obstinate credita animadvertit, omnia de indu castelli. Già nell'uno e nell'altro campo il discor
stria in eum diem, quo pugnaturus erat, muta so era questo, che avvrebbono combattuto col
vit. Tesseram vesperi per castra dedit, ut ante l'ordine, in cui si stavano; che i centri de due
lucem viri equique curati et pransi essent ; ar eserciti Romano e Cartaginese, cui spettava la
matus eques frenatos instratosque teneret equos. ragion della guerra, si sarebbero affrontati con
Vixdum satis certa luce, equitatum omnem cum pari forza d'animo e d'armi. Scipione, veduto
levi armatura in stationes Punicas immisit: in che si credeva questo con tutta fermezza, mutò
de confestim ipse cum gravi agmine legionum appositamente ogni cosa pel dì, in cui si dove
procedit, praeter opinionem destinatam suorum va combattere. La sera mandò l'ordine pel cam
hostiumque, Romano milite cornibus firmatis, po, che innanzi giorno uomini e cavalli fossero
sociis in mediam aciem acceptis. Hasdrubal, cla curati e cibati; i cavalieri armati tenessero i ca
more equitum excitatus, ut ex tabernaculo pro valli imbrigliati e sellati. A di non ancora ben
siluit, tumultumque ante vallum et trepidatio chiaro scaglia tutta la cavalleria armata alla leg
nem suorum, et procul signa legionum fulgentia,
gera contro le poste Cartaginesi; indi subito si
plenosque hostium campos vidit, equitatum om avanza egli col merbo delle legioni, rinforzate le
nem extemplo in equites emittit. Ipse cum pe ale fuor dell'opinione de'suoi e de'nemici co'sol
ditum agmine castris egreditur, nec ex ordine dati Romani, e messi gli alleati nel centro. Asdru
solito quidquam acie instruenda mutat. Equitum bale, riscosso dalle grida de cavalieri, come bal
jam diu amceps pugna erat; nec ipsa per se de zò fuori del padiglione, e vide il tumulto insorto
cermi poterat, quia pulsis (quod prope in vicem dinanzi allo steccato, e lo scompigliamento dei
fiebat) in aciem peditum tutus receptus erat. Sed suoi, e da lontano le bandiere folgoreggianti delle
ubi jam haud plus quingentos passus acies inter legioni, e la pianura tutta ingombra di nemici,
sese aberant, signo receptui dato, Scipio, patefa incontamente manda fuori tutta la cavalleria con
ctisque ordinibus, equitatum omnem levemdue tro quella del nemico. Egli colla fanteria esce
armaturam, in medium acceptam divisamque in dallo steccato, nè fa nessun cangiamento all'ordi
partes duas, in subsidiis post cornua locat. Inde, ne già stabilito nella disposizion delle schiere
ubi incipiendae jam pugnae tempus erat, Hispa Durava già da alquanto tempo la battaglia eque
nos (ea media acies fuit) presso gradu incedere stre rabbiosa, nè poteva da sè sola decidersi,
jubet. Ipse e destro cornu (ibi namdue praeerat) perchè i respinti avean sicuro ricetto tra i fanti,
muncium ad Silanum et Marcium mittit, ut cor il che faceano quasi a vicenda gli uni e gli altri.
mu extenderent in sinistra parte, quemadmodum Ma poi che gli eserciti non furon tra loro più
se tendentem a dextra vidissent, et cum expe lontani di cinquecento passi, Scipione, fatto sona
ditis peditum equitumque prius pugnam conse re a raccolta e spalancati gli ordini, accolta nel
rerent cum hoste, quam coire inter se mediae mezzo, e divisa in due parti tutta la cavalleria e
acies possent. Ita diductis cornibus, cum ternis gli armati alla leggera, la colloca tra il corpo di
peditum cohortibus, ternisque equitum turmis, riserva dietro l'ale. Poscia, essendo già tempo
ad hoc velitibus, citato gradu in hostem duce d'incominciar la battaglia, ordina che gli Spa
bant, sequentibus in obliquum aliis. Sinus in gnuoli, ch'erano stati nel centro, si avanzassero
medio erat, quia segnius Hispanorum signa ince di pien passo. Egli, dall'ala destra, dove coman
debant. Et jam conflixerantcornua, quum, quod dava in persona, manda ad avvertire Silano, e
roboris in acie hostium erat, Poeni veterani Marcio, che come il vedessero distendersi alla
Afrique nondum ad teli conjectum venissent, destra, essi si distendessero alla sinistra, e colla
neque in cornua, ut adjuvarent pugnantes, di fanteria e cavalleria leggera appiccassero la zuffa
scurere auderent, ne aperirent mediam aciem col nemico, innanzi che le schiere di mezzo po
venienti ex adverso hosti. Cornua ancipiti proelio tessero cozzare insieme. Così distese le ale con
urgebantur: eques, levisque armatura et velites, tre coorti di fanti, con tre di cavalli, e di più coi
circumductis alis in latera incurrebant; cohortes veliti, andavano a gran passo contro il nemico,
a fronte urgebant, ut abrumperent cornua a seguitati obbliquamente dagli altri. V'era nel
cetera acie. mezzo un vòto, perchè gli Spagnuoli cammina
vano più lenti; e già le ale aveano combattuto,
che quel che ci era di nerbo nell'esercito nemico,
i Cartaginesi veterani e gli Africani, non erano
ancora giunti a tiro d'arco, nè osavan correr sul
l'ale ad aiutare i lor combattenti, per non aprire
269 TITI LIVII LIBER XXVIII. 27o

il centro al nemico, che veniva di fronte. Le loro


ale erano incalzate da due bande: la cavalleria e
gli armati alla leggera e i veliti, attorniandole,
davano di fianco; le coorti le urtavano di fronte,
onde staccarle dal resto dell'esercito.
XV. Et quum ab omni parte haudquaquam XV. Nè pari era la pugna d'ambe le parti, sì
par pugna erat, tum quod turba Baliarium tiro perchè la torma de' Baleari e degli Spagnuoli di
numque Hispanorum Romano Latinoque militi nuova leva stava a fronte del soldato Romano e
objecta erat, et, procedente jam die, vires etiam Latino, sì perchè inoltrandosi il giorno, anche le
deficere Hasdrubalis exercitum coeperant,oppres forze cominciarono a mancare all'esercito di
sos matutino tumulto coactosque, priusquam ci Asdrubale, sopraffatto dal tumulto della mattina,
bo corpora firmarent, raptim in aciem exire. Ad e costretto a correre in fretta alla battaglia innan
id sedulo diem extraxerat Scipio, ut sera pugna zi che si rinforzassero col cibo. Scipione aveva
esset: nam ab septima demum hora peditum appunto con ogni cura indugiato, acciocchè la
signa cornibus incurrerunt. Ad medias acies ali battaglia si prolungasse ben tardi; perciocchè
quanto serius pervenit pugna; ita ut prius aestus non prima dell'ora settima i fanti si scagliarono
a meridiano sole, laborque standi sub armis, et contro le ale nemiche, e la battaglia arrivò alle
simul fames sitisque corpora afficerent, quam ma schiere di mezzo alquanto più tardi; in modo
nus cum hoste consererent. Itaque steterunt scu che il calore del mezzo giorno, la fatica dello
tis innisi: nam super cetera elephanti etiam, tu stare in sull'armi, e insieme la fame e la sete
multuoso genere pugnae equitum velitumque et avean travagliato i corpi innanzi che venissero
levis armaturae consternati, e cornibus in me alle mani col nemico. Stavansi dunque appoggiati
diam aciem sese intulerant. Fessi igitur corpori sugli scudi; chè oltre agli altri guai, anche gli
bus animisque retulere pedem, ordines tamen elefanti, costernati dalla tumultuosa foggia di
servantes, haud secus, quam si imperio ducis combattere dei cavalieri, de'veliti e degli armati
cederet integra acies. Sed quum eo ipso acrius, alla leggera, s'eran gettati dalle ale nel centro
ubi inclinatam sensere rem, victores se undigue dell'esercito. Abbattuti dunque di forze e di co
inveherent, nec facile impetus sustineri posset; raggio, si ritrassero indietro, però conservando
quamquam retinebat, obsistebatoſue cedentibus gli ordini, non altrimenti che se tutto l'esercito
Hasdrubal, «ab tergo esse colles tutumque rece retrocedesse per comando del capitano. Ma i vin
ptum, si modice se reciperent, º clamitans, ta citori, come li videro piegare, tanto più vivamen
men, vincente verecundiam metu, (quum pro te da ogni parte investendoli, nè potendosi più
ximus quisque hostem cederet) terga extemplo oltre sostenere quell'impeto, benchè Asdrubale
data, atque in fugam sese omnes effuderunt. Ac li ritenesse, e si opponesse a quelli, che cedevano,
primo consistere signa in radicibus collium, ac gridando, e che aveano i colli alle spalle ed un
revocare in ordines militem coeperant, cunctan sicuro ricetto, se si ritiravano a lento passo; o
tibus in adversum collem erigere aciem Roma nondimeno, la paura vincendo la vergogna, il
mis. Inde ut inferri impigre signa viderunt, inte Romano tagliando a pezzi quanti affrontava,
grata fuga, in castra pavidi compelluntur. Nec voltano subitamente le spalle, e tutti dannosi a
procul vallo Romanus aberat, cepissetaue tanto fuggire. Ed avean da principio cominciato a fer
impetu castra, mi se ex vehementi sole, qualis mar le insegne alle radici de'colli e rimettere il
intergraves imbre nubes effulget, tanta vis aquae soldato in ordinanza, mentre il Romano indugia
dejecisset, ut vix in castra sua receperint se vi alquanto a salir l'erta: indi come videro portarsi
ctores; quosdam etiam religio ceperit ulterius innanzi intrepidamente le insegne, rinnovata la
quidquameo die comandi. Carthaginienses,quam fuga, paurosi vanno a cacciarsi negli steccati. Nè
quam fessos labore ac vulneribus nox imberque il Romano n'era discosto, e preso avrebbe gli
ad necessariam quietem vocabat, tamen, quia alloggiamenti nemici con quell'impeto sì grande,
metus et periculum cessandi non dabat tempus, se dopo un caldo veemente, qual suole dardeggia
prima luce oppugnaturis hostibus castra, saxis re il sole, che riluce tra nugoli pregni d'acqua,
undique circa ex propinquis vallibus congestis tal diluvio di pioggia non fosse sopravvenuto, che
augent vallum, munimento sese, quando in ar appena gli stessi vincitori poterono ricoverarsi
mis parum praesidiis foret, defensuri. Sed tran nel loro campo; ed alcuni si fecero anche scru
sitio sociorum, fuga ut tutior mora videretur, polo di far più altra cosa in quel giorno. 1 Carta
fecit. Principium defectionis ab Attane regulo ginesi, benchè, rifiniti com'erano dalla fatica e
Turdetanorum factum est: is cum magna popu dalle ferite, la notte e la pioggia gli richiamasse
larium manu transfugit: inde duo munita oppida al necessario riposo, nondimeno, perchè la paura
271 "TITI LIVII LIBER XXVIII. 272

cum praesidiis tradita a praefectis Romano; et e il pericolo non lasciava tempo d'indugiare, poi
ne latius, inclinatissemel ad defectionem animis, che al primo spuntar del giorno il nemico avreb
serperet res, silentio proximae noctis Hasdrubal be assaltato l'accampamento, raccolti sassi da
castra movet. -
ogni parte dalle vicine valli, rinforzano lo stecca
to, onde difendersi coi ripari, poi che poco presi
dio avuto avrebbono dall'armi. Ma la defezione
degli alleati fece, che parve più sicuro il fuggire,
che il fermarsi. Il principio ne venne da Attane,
re dei Turdetani: egli passò al nemico con gran
moltitudine de' suoi; indi due castelli co' loro
presidii furono dai prefetti consegnati ai Romani.
Ed acciocchè, essendo gli animi una volta inclinati
a ribellione, il male non serpeggiasse più oltre,
Asdrubale nel silenzio della notte susseguente
move il campo.
XVI. Scipio, ut prima luce, qui in stationibus XVI. Scipione sul far del giorno, appena
erant, retulerunt, profectos hostes, praemisso quelli, ch'erano alle poste, gli ebbero rapportato
equitatu signa ferri jubet; adeoque citato agmi che i nemici s'eran partiti, mandata innanzi la
ne ducti sunt, ut, si via recta vestigia sequentes cavalleria, leva il campo; e si mossero con tanta
issent, haud dubie assecuturi fuerint. Ducibus celerità, che se seguito avessero le lor pedate per
est creditum, brevius aliud esse iter ad Baetim la diritta, gli avrebbero senza dubbio raggiunti.
fluvium, ut transeuntes aggrederentur. Hasdru Fu creduto alle guide, che vi fosse una strada
bal, clauso transitu fiuminis, ad Oceanum flectit; più breve per giungere al fiume Beti, dove gli
et jam indefugientium modo effusi abibant; id avrebbono assaltati nel passaggio. Asbrubale, ser
que ab legionibus Romanis aliquantum intervalli ratogli il passo del fiume, piega verso l'Oceano;
fecit. Eques levisque armatura, nunc ab tergo, e già se n'andavano sbandati a guisa di fuggia
numc ab lateribus occurrendo, fatigabat moraba schi; e questo li discostò alquanto dalle legioni
turque: sed quum ad crebros tumultus signa Romane. I cavalieri però e gli armati alla leggera,
consisterent, et nunc equestria, nunc cum veliti investendoli ora alle spalle ed ora ai fianchi, gli
bus auxiliisque peditum proelia consererent, su stancavano, li ritardavano; ma mentre a frequenti
pervenerunt legiones. Inde non jam pugna, sed assalti le bandiere fan alto, ed ora si azzuffan coi
trucidatio velut pecorum fieri; donec ipse dux cavalli, ora coi veliti e coi fanti ausiliarii, soprav
fugae auctor in proximos colles cum sex millibus vennero le legioni. Da indi in poi non fuvvi già
ferme semiermium evasit. Ceteri caesi captique: battaglia, ma sì macello quasi di pecore; sino a
castra tumultuaria raptim Poeni tumulo editis che lo stesso capitano, autore della fuga, si ritrasse
simo communierunt, atque inde, cum hostis ne nelle prossime colline con sei mila de' suoi, quasi
quidquam subire iniquo adscensu conatus esset, tutti senz'armi: gli altri furono tagliati a pezzi e
haud difficulter sese tutati sunt. Sed obsidio in presi. I Cartaginesi si fortificarono tumultuaria
loco nudo atque inopi vix in paucos dies tolera mente in fretta sulla più elevata cresta di un pog
bilis erat: itaque transitiones ad hostem fiebant. gio; e colà, tentato avendo invano il nemico di
Postremo dux ipse, navibus acceptis (nec procul salire l'erta ripidissima, si difesero con poca
inde aberat mare), nocte relicto exercitu, Gades difficoltà. Ma non si saria potuto sostenere l'asse
perfugit. Scipio, fuga ducis hostium audita, de dio che pochi di, in luogo ignudo, e privo di
cem millia peditum, mille equites relinquit Sila tutto: quindi si passava alla banda del nemico.
no ad castrorum obsidionem. Ipse cum ceteris Finalmente lo stesso Asdrubale, avute alcune
copiis, septuagesimis castris, protinus causis re navi (chè il mare non era molto discosto) di
gulorum civitatiumque cognoscendis, ut praemia notte abbandonato l'esercito, fuggissi a Cadice.
ad veram meritorum aestimationem tribui pos Scipione, udita la fuga de'nemici, lascia a Silano
sent, Tarraconem rediit. Post profectionem eius dieci mila fanti e mille cavalli ad assediare il
Masinissa, cum Silano clam congressus, ut ad campo Cartaginese. Egli col rimenente delle for
nova consilia gentem quoque suam obedientem ze in settanta giornate tornossi a Tarracona, a
haheret, cum paucis popularibus in Africam tra subito riconoscere la condotta tenuta dai re e
jecit; non tam evidenti eo tempore subitae mu dalle città, onde poter distribuire i premii secon
tationis causa, quam documento post id tempus do i veri meriti rispettivi. Dopo la di lui partenza,
constantissimae ad ultimam senectam fidei, ne Masinissa, abboccatosi segretamente con Silano,
tum quidem eum sine probabili causa fecisse. ripassò in Africa con pochi de' suoi, per disporre
273 TITI LIVII LIBER XXVIII. 274
Mago inde, remissis ab Hasdrubale navibus, Ga eziandio la nazione a prestarsi a suoi novelli
des petit Ceteri, deserti ab ducibus, pars transi disegni, non essendo allora apparsa con tanta
tione, pars fuga, dissipati per proximas civitates evidenza la ragione del subito cangiamento,
sunt: nulla manus numero aut viribus insignis. quanto di poi la fede costantissima da lui serbata
Hoc maxime modo, ductu atque auspicio P. dopo quel tempo sino all'ultima vecchiezza docu
Scipionis, pulsi Hispania Carthagimienses sunt; mentò, che mè anche allora l'avea fatto senza ra
tertiodecimo anno post bellum initum; quinto, gionevole motivo. Poscia Magone, avendogli
quam P. Scipio provinciam et exercitum accepit. Asdrubale rimandate le navi, andò a Cadice. Gli
Haud multo post Silanus, debellatum referens, altri, abbandonati dai loro capi, parte per diser
Tarraconem ad Scipionem rediit. zione, parte per fuga, si sono dispersi per le
vicine città; nessuna banda però da valutarsi nè
per numero, nè per forze. In questo modo prin
cipalmente, sotto la condotta e gli auspizii di
Publio Scipione, i Cartaginesi sono stati scacciati
dalla Spagna, l'anno decimo terzo dopo il comin
ciamento della guerra, il quinto poi che Scipione
ebbe quell'incarico e quell'esercito. Non molto
dappoi Silano tornò a Scipione a Tarracona,
annunziando terminata la guerra di Spagna.
XVII. L. Scipio cum multis mobilibus capti XVII. A recar la nuova della Spagna riacqui
vis nuncius receptae Hispaniae Romam est mis stata fu mandato Lucio Scipione con molti nobili
sus: et quum ceteri laetitia gloriaque ingenti eam prigionieri. E mentre gli altri con la gioia e le
rem vulgo ferrent, unus, qui gesserat, inexple immense lodi celebravano quest'impresa, il solo,
bilis virtutis veraeque laudis, parvum instar eo che l'avea fatta, di virtù e di vera lode insazia
rum, quae spe ac magnitudine animi concepis bile, stimava che le Spagne ricuperate poca cosa
set, receptas Hispanias ducebat: jam Africam fossero a paragone di quelle, ch'egli avea nella
magnamdue Carthaginem, et in suum decus no mente e nella grandezza dell'animo suo concepite.
mengue velut consummatam ejus belli gloriam Già mirava all'Africa ed alla grande Cartagine,
speciabat. Itaque, praemoliendas sibi ratus jam ed alla fama e nome che gli verrebbe dalla gloria
res conciliandosque regum gentiumque animos, di aver dato l'ultimo fine a quella guerra. Quindi
Syphacem primum regem statuit tentare. Masae stimando di dover predisporre le cose,e conciliarsi
sylorum is rex erat. Masaesyli, gens affinis Mau gli animi dei re e delle nazioni, deliberò di tentare
ris, in regionem Hispaniae, maxime qua sita No prima di tutto il re Siface. Era egli re dei Massessi
va Carthago est, spectant. Foedus ea tempestate li. I Massessili, nazione confinante coi Mauri, son
regi cum Carthaginiensibus erat: quod haud gra volti a quella parte della Spagna, dove massima
vius ei sanctiusque, quan vulgo barbaris, quibus mente è posta Nuova-Cartagine. Eran essi a quel
ex fortuna pendet fides, ratus fore, oratorem ad tempo stretti in alleanza coi Cartaginesi; la quale
eum C. Laelium cum donis mittit. Quibus bar pensando Scipione che non sarebbe nè più fer
barus laetus, et quia res lum prosperae ubique ma, nè più santa di quello, che suol essere ai
Romanis, Poenis in Italia adversae, in Hispania barbari, la cui fede dipende dalla fortuna, gli
nulla e jam erant, amicitiam se Romanorum acci manda oratore Caio Lelio con parecchi regali.
pere adnuit: firmandae ejus fidem nec dare, nec Alla vista de' quali rallegratosi il barbaro, e per
accipere, nisi cum ipso coram duce Romano. Ita chè allora le cose de Romani erano prospere da
Laelius, in id modo fide ab rege accepta, tutum per tutto, e quelle dei Cartaginesi avverse in Ita
adventum fore, ad Scipionem rediit. Magnum in lia, e già interamente nulle in Ispagna, consentì
omnia momentum Syphax affectanti res Africae di legarsi in amicizia coi Romani; di che però
erat, opulentissimus eius terrae rex, bello jam non volea nè dare, nè ricever fede, se non se in
expertus ipsos Carthaginienses, finibus etiam re presenza dello stesso comandante Romano. Quindi
gni apte ad Hispaniam, quod freto exiguo diri Lelio, avuta solamente promessa del re, che la
muntur, positis. Dignam itaque rem Scipio ratus, venuta di Scipione sarebbe sicura, tornò a lui.
quae, quoniam non aliter posset, magno pericu Era Siface di grande importanza per chi aspirava
lo peteretur, L. Marcio Tarracone, M. Silano alle cose d'Africa, re il più dovizioso di quel
Carthagine Nova, quo pedibus ab Tarracone iti paese, che s'era già provato in guerra coi Carta
neri bus magnis ierat, ad praesidium Hispaniae ginesi, coi confini anche del regno opportuna
elictis, ipse cum C. Laelio duabus quinquere mente posti per la Spagna, non essendone sepa
mibus "ogia proſectus tranquillo mari rati, che da picciolo braccio di mare. Stimando
l V 19 : 18
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plurimum remis, interdum et leni adjuvante pertanto Scipione che la cosa fosse da tanto, di
vento, in Africam trajecit. Forte ita incidit, ut meritare che, poichè non si poteva altrimenti, si
eo ipso tempore Hasdrubal pulsus Hispania, se cercasse anche con grande pericolo, lasciato a
ptem triremibus portum invectus,anchoris positis presidio della Spagna Lucio Marcio a Tarracona,
terrae applicaret naves; quum conspectae duae Marco Silano a Nuova-Cartagine, dove partito da
quinqueremes haud cuiquam dubio, quinho Tarracona era andato per terra a gran giornate,
stium essent, opprimi que a pluribus, priusquam egli con Caio Lelio, partito da Nuova-Cartagine.
portum intrarent, possent, nihil aliud, quam tu con due quinqueremi, navigando co'remi per lo
multum ac trepidationem simul militum ac nau più a motivo della calma, talora anche aiutato da
tarum, nequidquam armaque et naves expedien leggero venticello, passò in Africa. Avvenne a
tium, fecerunt. Percussa enim ex alto vela paullo caso, che in quel tempo medesimo Asdrubale,
acriori vento prius in portum intulerunt quin scacciato dalla Spagna ed entrato in porto con
queremes, quam Poeni anchoras molirentur; nec sette triremi, gettate l'ancore, pigliava terra,
ultra tumultum ciere quisquam in regio portu quando la vista di due quinqueremi, nessuno
audebat. Itaque prior in terra Hasdrubal, mox dubitando che non fossero nemiche, e che non si
Scipio et Laelius egressi, ad regem pergunt. potessero opprimere col maggior numero innanzi
ch' entrassero in porto, non altro fecero, che
mettere in iscompiglio e tumulto i soldati insieme
ed i nocchieri, che si adoperavano invano ad
allestire l' armi e le navi. Perciocchè un vento
alquanto gagliardo, vegnente dalla banda di ma
re, percuotendo le vele romane, cacciarono le
quinqueremi in porto, innanzi che i Cartaginesi
strappassero l'ancora ; nè alcuno osava più far
tumulto nel porto del re. Quindi Asdrubale smon
tò prima in terra, indi Scipione e Lelio discesi,
vanno al re.
XVIII. Magnificumque id Syphaci (nec erat XVIII. E parve a Siface (e non era altrimenti)
aliter) visum, duorum opulentissimorum ea tem cosa bella e magnifica per lui, che i comandanti
pestate duces populorum uno die suam pacem de'due più potenti popoli di quella età fossero
amicitiamo ue petentes venisse. Utrumque in ho venuti in un medesimo giorno a chiedergli ami
spitium invitat, et, quoniam fors eos sub uno cizia ed alleanza. Invita egli l'und e l'altro nella
tecto esse, atque ad eosdem pemates voluisset, regia, e poi che la sorte avea voluto che si
contrahere ad colloquium dirimendarum simul trovassero ambedue sotto un tetto medesimo e
tatium causa est conatus; Scipione abnuente, aut nel medesimo ospizio, cercò di tirarli a conferire
privatim sibi ullum cum Poeno odium esse, quod insieme, onde por fine alle contese; se non che
colloquendo finiret, aut de republica se cum ho Scipione diceva di non aver alcun odio privato
ste agere quidquam injussu senatus posse. Illud con Asdrubale, cui si dovesse metter fine coll'ab
magno opere tendente rege, ne alter hospitum boccarsi ; però non poter trattare col nemico di
exclusus mensa videretur, ut in animum induce cose risguardanti la repubblica senza licenza del
ret ad easdem venire epulas, haud abnuit; coena senato. E adoperandosi grandemente il re, onde
tumque simul apud regem est; et eodem etiam l'uno degli ospiti non paresse escluso dalla men
lecto Scipio atolue Hasdrubal (quia ita cordi erat sa, a persuadere a Scipione, che intervenisse
regi) accubuerunt. Tanta autem inerat comitas anch'egli al banchetto, Scipione non ricusò, e
Scipioni, atque ad omnia naturalis ingenii dexte cenarono ambedue col re; e Scipione ed Asdru
ritas, ut non Syphacem modo, barbarum insue bale (stando ciò grandemente a cuore a Siface),
tumque moribus Romanis, sed hostem etiam in sedettero eziandio sullo stesso letto. Scipione poi
festissimum, facunde alloquendo sibi conciliaret; aveva in sè tanta piacevolezza, e tanta in ogni
« mirabilioremdue sibi eum virum congresso co cosa desterità e naturale disinvoltura, che col
ram visum praese ferebat, quam bello rebus ge facondo conversare s'era conciliato non solo Si
stis. Nec dubitare, quin Syphax regnumque ejus face, uomo barbaro e non avvezzo alle Romane
jam in Romanorum essent potestate: eam artem maniere, ma lo stesso Asdrubale, nemico fierissi
illi viro ad conciliandos animos esse. Itaque non, mo; e francamente diceva, « che trattenutosi con
quo modo Hispaniae amissae sint, quaerendum quell'uomo, e vistolo di presenza, gli era sem
magis Carthaginiensibus esse, quam, quo modo brato ancor più maraviglioso, che per le cose
Africam retineant, cogitandum. Non peregrina fatte in guerra; nè porre in dubbio, che Siface
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bundum, neque circa amoenas oras vagantem ed il suo regno di già non fossero in poter dei
tantum ducem Romanum, relicta provincia no Romani; chè Scipione possedeva l'arte di conci
vae ditionis, relictis exercitibus, duabus navibus liarsi gli animi. Dover quindi i Cartaginesi non
in Africam trajecisse sese in hostilem terram, re tanto cercare, come la Spagna si fosse perduta,
giam in fidem expertam; sed potiundae Afri quanto come possano ritener l'Africa. Un tanto
cae spem affectantem. Hoc eum jam pridem vo capitano Romano, lasciata la provincia di nuova
lutare in animo, hoc palam fremere, quod non, conquista, lasciati gli eserciti, non era quasi pere
quemadmodum Hannibal in Italia, sic Scipio in grinando, o vagando per l'amenità di quelle
Africa bellum gereret. » Scipio, foedere icto cum spiagge, passato in Africa, in terra ostile con due
Syphace, profectus ex Africa, dubiisque et ple navi, affidato alla fede regia non conosciuta, ma
rumque saevis in alto jactatus ventis, die quarto sì covando la speranza d'impossessarsi dell'Africa.
Novae Carthaginis portum tenuit. Questo già da gran tempo ravvolge egli nel pen
siero, questo va mormorando apertamente, per
chè, come Annibale in Italia, così anche Scipione
non guerreggi in Africa. Scipione, stretta allean
za con Siface, partitosi d'Africa, e travagliato in
alto mare da varie e per lo più crudeli fortune,
il quarto di afferrò il porto di Nuova-Cartagine.
XIX. Hispaniae sicut a bello Punico quietae XIX. Siccome le Spagne eran tranquille per
erant, ita quasdam civitates, propter conscien conto della guerra Cartaginese, così si vedeva
tiam culpae, metu magis, quam fide, quietas esse che alcune città pel rimordimento della colpa
apparebat: quarum maxime insignes et magnitu stavansi quiete più per paura, che per fede; tra
dine et moxa Illiturgi et Castulo erant. Castulo, le quali erano maggiormente osservabili e per
quum prosperis rebus socii fuissent, post caesos l'ampiezza e per la colpa Illiturgo e Castulone.
cum exercitibus Scipiones defecerant ad Poenos. Quei di Castulone, che ne tempi prosperi erano
Illiturgitani prodendis, qui ex illa clade ad eds stati alleati de Romani, dopo l'eccidio degli Sci
perfugerant, interficiendisque scelus etiam deſe pioni e del loro eserciti, s'eran voltati alla parte
ctioni addiderant. In eos populos primo adventu, dei Cartaginesi. Quei di Illiturgo, coll'arrestare
quum dubiae Hispaniae essent.merito magis.quam ed uccidere i nostri soldati, che da quella strage
utiliter, saevitum foret. Tunc, jam tranquillis re rifuggiti s'erano appo loro, alla ribellione aggiun
bus, quia tempus expetendae poenae videbatur ta avevano anche la scelleraggine. Al primo venir
venisse, accitum ab Tarracone L. Marcium cum di Scipione, mentre le Spagne stavansi ancora
tertia parte copiarum ad Castulonem oppugnan dubbiose, si avrebbe potuto dar addosso a code
dum mittit: ipse cum cetero exercitu quintis fer sti popoli piuttosto meritamente, che inutilmente.
me ad Illiturgin castris pervenit. Clausae erant Ma adesso, poichè le cose essendo tranquille, pa
portae, omniaque instructa et parata ad oppu reva venuto il tempo di punirli, Scipione, chiama
gnationem arcendam: adeo conscientia, quid se to da Tarracona Lucio Marcio con la terza parte
meritos scirent, pro indicto eis bello fuerat. Hinc dell'esercito, lo manda ad espugnare Castulone:
et hortari milites Scipio orsus est. « Ipsos clau egli col resto delle genti in cinque giornate a un
demdis portis indicasse Hispanos, quid, ut time dipresso giunge ad Illiturgo. Le porte erano
rent, meriti essent. Itaque multo infestioribus chiuse, e tutto era apparecchiato e pronto a ri
animis cum iis, quam cum Carthaginiensibus, bel pulsare l'assalto; tanto la coscienza e il sapere
lum gerendum esse. Quippe cum illis prope sine quello, che meritavansi, era stato per essi una
ira de imperio et gloria certari; ab his perfidiae intimazione di guerra. Quindi cominciò Scipione
et crudelitatis et sceleris poenas expetendas esse. ad esortare i soldati: « Gli Spagnuoli stessi, col
Venisse tempus, quo et nefandam commilitonum chiudere le porte, aveano indicato quel che si
necem, et in semet ipsos, si eodem fuga delati fo avean meritato di temere: bisogna quindi com
rent, instructam faudem ulciscerentur; et in battere contro costoro più rabbiosamente ancora,
omme tempus gravi documento sancirent, ne quis che contro i Cartaginesi. Perciocchè contro quelli
umquam Romanum civem militemve in nulla for si lotta quasi senz'ira per la signoria e per la glo
tuna opportunum injuriae duceret. - Ab hac co ria, conviene punir questi della loro perfidia,
hortatione ducis incitati, scalas electis per mani scelleraggine e crudeltà. Era venuto il tempo, in
pulos viris dividunt, partitoque exercitu, ita ut cui vendicassero la nefanda strage del loro com
parti alteri Laelius praeesset legatus, duobus si militoni, la frode tessuta contro essi medesimi, se
mul locis ancipiti terrore urbem aggrediuntur. la fuga gli avesse balzati a quella parte; e dessero
Non dux unus, aut plures principes oppidanos. un grave documento per tutto il tempo avvenire,
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TITI LIVII LIBER XXVIII. o82

sed suus ipsorum ex conscientia culpae metus ad che nessun mai si credesse potervi essere tempo
defendendam impigre urbem hortatur. Et memi opportuno, qualunque fosse il tenore della fortu
nerani, et admonebant alii alios, a supplicium ex na, per offendere un cittadino od un soldato
se, non victoriam, peti. Ubi quisque mortem op Romano. » Eccitati da queste esortazioni del
peteret, id referre; utrum in pugna et in acie, capitano, partiscono le scale ad uomini scelti tra
ubi Mars communis et victum saepe erigeret, et le compagnie, e diviso l'esercito in modo, che
affligeret victorem; an postmodo, cremata et di ad una parte presedesse il legato Lelio, in due
ruta urbe, ante ora captarum conjugum libero luoghi ad un tempo con duplicato terrore assalta
rumque, interverbera et vincula, omnia foeda no la città. Non è un capitano, non sono i princi
atque indigna passi, exspirarent. » Igitur non pali della città, che incoraggino i terrazzani a
militarismodo aetas, aut viri tantum, sed femi difendere coraggiosamente la terra, ma sì il timo
nae puerique supra animi corporisque vires ad re di ciascuno per la coscienza del misfatto. E
sunt: propugnantibus tela ministrant, saxa in ricordavano, e gli uni agli altri li rammentava
muros munientibus gerunt. Non libertas solum no, e che di loro si cercava il supplizio, non la
agebatur, quae virorum fortium tantum pectora vittoria. Se anche ciascuno andasse incontro a
acuit; sed ultima omnium supplicia, et foeda certa morte, la differenza sta in questo, se perir
mors ob oculos erat. Accendebantur animi et cer si debba nella mischia e sul campo, dove la sorte
tamine laboris ac periculi, atque ipso inter se dell'armi spesso rileva il vinto e abbatte il vinci
conspectu. Itaque tanto ardore certamen initum tore, o più tardi, arsa e diroccata la città, nel
est, ut domitor ille totius Hispaniae exercitus, ab cospetto delle mogli e del figliuoli, fatti prigioni,
unius oppidi juventute saepe repulsus a muris, tra le battiture e le catene, dopo aver sofferto
haud satis decoro proelio trepidaret. Id ubi vidit ogni sorta d'onte e d'oltraggi. Or dunque non
Scipio, veritus, ne vanis conatibus suorum et ho solamente l'età atta alla guerra, non solamente
stibus cresceret animus, et segnior miles fieret, maschi, ma le femmine ed i fanciulli si presentano
sibimet conandum ac partem periculi capessen alla difesa, più che nol consentono le forze del
dam esse ratus, increpita ignavia militum, ferri l'animo e del corpo: somministrano i dardi ai
scalas jubet: se ipsum, si ceteri cunctentur, escen combattenti, e portano sassi sulle mura ai difen
surum mimatur. Jam subierat haud mediocri pe sori. Non si trattava solamente della libertà, che
riculo moenia, quum clamor undigue ad sollicitis infiamma unicamente i petti degli uomini risolu
vicem imperatoris militibus sublatus, scalaeque ti, ma vedevansi innanzi agli occhi gli ultimi
multis simul partibus erigi coeptae. Et ex altera supplizii, e l'ignominiosa morte di ciascheduno.
parte Laelius instat. Tum victa oppidanorum vis, Gli animi si accendevano in quella lotta di perico
dejectisque propugnatoribus occupantur muri: li e di fatiche, e nello stesso mirarsi l'un l'altro,
arx etiam ab ea parte, qua inexpugnabilis vide Quindi cominciò la zuffa con tanta ardenza, che
batur, inter tumultum capta est. -

quell'esercito domatore di tutta la Spagna ribut


tato spesso dalle mura dalla gioventù di una sola
terra, vacillava in questo non troppo onorevole
conflitto. Come Scipione vide questo, temendo che
gli sforzi vani de'suoi non accrescessero il corag
gio a nemici, e rallentassero quello de'suoi, giu
dicando di dover egli stesso farsi alla prova, e
pigliarsi parte del pericolo, sgridata l'ignavia
de' soldati, erdina che gli si rechino le scale; e
poi che gli altri stannosi titubanti, minaccia di
montare egli stesso alle mura. Già s'era fatto lor
presso con non mediocre pericolo, quando levossi
da ogni parte un grido dei soldati spaventati dal
pericolo del comandante, e in vari luoghi ad un
tempo si cominciò a rizzare le scale. Anche Lelio
incalza d'altra parte. Allora fu vinta la resistenza
dei terrazzani, e giù rovesciatine i difensori, le
mura son prese. Anche la rocca in quel trambu
sto fu presa dalla parte, che pareva inespugnabile.
XX. Transfugae Afri, qui tum inter auxilia XX. I disertori Africani, che trovavansi allora
Romana erant, et oppidanis in ea tuenda, unde nel corpo di riserva de' Romani, mentre quei
periculum videbatur, versis, e Romanis subeun di dentro son volti a difendere i luoghi, dove
28 1 TITI LIVII LIBER XXVIII. 282

tibus, qua adire poterant, conspexerunt editis si vedeva il pericolo, ed i Romani si spingevano
simam urbis partem, quia rupe praealta tegeba sin dove potevamo arrivare, osservarono, che la
tur, neque opere ullo munitam, et ab defensori parte più elevata della città, protetta essendo
bus vacuam. Levium corporum homines, et mul da una roccia altissima, non era fortificata, ed era
ta exercitatione pernicium, clavos secum ferreos vòta di difensori. Uomini, com'erano, agilissimi
portantes, qua per inaequaliter eminentia rupis di corpo e destri per molto esercizio, montano
poterant, scandunt. Sicubi nimis arduum et leve su dove meglio potevano, per le ineguali promi
saxum occurrebat, clavos per modica intervalla nenze della rupe, seco portando chiovi di ferro.
figentes, quum velut gradus fecissent, primi se Se incontravano qua e colà il sasso troppo ripido
quentes extrahentes manu, postremi sublevantes e levigato, facendosi una specie di gradini col
eos, qui praeirent, in summum evadunt: inde ficcar que chiovi a piccioli intervalli, i primi
decurrunt cum clamore in urbem jam captam ab tirando su colla mano i secondi, gli ultimi solle
Romanis. Tum vero apparuit, ab ira et ab odio vando quelli, che precedevano, giungono alla ci:
urbem oppugnatam esse.Nemo capiendi vivos,ne ma: di là scendono gridando di corso nella città
mo, patentibus ad direptionem omnibus, praedae già presa dai Romani. Allora apparve, che l'ira
memor est. Trucidant inermes juxta atque ar e l'odio, più ch'altro, aveano espugnata quella
matos, feminas pariter ac viros: usque ad infan terra. Nessuno si ricorda di far prigioni, nessuno,
tium caedem ira crudelis pervenit. Ignem deinde spalancate essendo al saccheggio tutte le case,
tectis injiciunt, ac diruunt, quae incendio absu di correre al bottino. Ammazzano indistintamente
mi nequeunt: adeo vestigia quoque urbis exstin armati e non armati, maschi e femmine egual
guere, ac delere memoriam hostium sedis, cordi mente; e la crudeltà dell'ira si distese sino alla
est. Castulonem inde Scipio exercitum ducit: strage degl'infanti. Indi mettono il fuoco alle ca
quam urbem non Hispani modo convenae, sed se, ed atterran quelle, che non può l'incendio
Punici etiam exercitus ex dissipata passim fuga consumare: tanto sta loro a cuore di spegnere
reliquae tutabantur. Sed adventum Scipionis ogni vestigio della città, e cancellar la memoria
praevenerat fama cladis Illiturgitanorum, terror di un luogo, già stanza del nemico. Poscia Sci
que inde ac desperatio invaserat; et in diversis pione conduce l'esercito a Castulone, città, ch'era
causis, quin sibi quisque consultum sine alte non solamente difesa dagli Spagnuoli ventitivi,
rius respectu vellet, primo tacita suspicio, dein ma eziandio dagli sbandati rimasugli dell'esercito
de aperta discordia secessionem inter Carthagi Cartaginese, quivi raccoltisi dalla fuga. Ma la
nienses atque Hispanos fecit. His Cerdubellus fama della rovina d'Illiturgo avea preceduta
propalam deditionis auctor; Himilco Punicis au la venuta di Scipione, e quindi gli aveva invasi
xiliaribus praeerat ; quos urbemdue, clam fide terrore e disperazione; e nella diversità delle
accepta, Cerdubellus Romano prodit. Mitior ea circostanze volendo ciascuno provvedere a sè
victoria fuit: nec tantumdem noxae admissum senza rispetto agli altri, dapprima un tacito so
erat, et aliquantum irae lenierat voluntaria de spetto, poi un'aperta discordia generò una scis
ditio. sura tra i Cartaginesi e gli Spagnuoli. A questi
Cerdubello consigliava apertamente la dedizione.
Imilcone era il comandante degli ausiliari Carta
ginesi; i quali Cerdubello, avuta segretamente
la fede dei Romani, consegnò loro insieme colla
città. Questa vittoria fu più moderata; nè la colpa
era stata tanto grave, e la volontaria dedizione
avea mitigato alquanto lo sdegno.
XXI. Marcius inde in barbaros, si qui non XXI. Indi fu spedito Marcio a ridurre i bar
dum perdomiti erant, sub jus ditionem que redi bari, se ne restavano ancora alcuni da domarsi,
gendos missus. Scipio Carthaginem, ad vota sol all'obbedienza e soggezione. Scipione tornò a
venda diis, munusque gladiatorium, quod mortis Nuova-Cartagine a soddisfare i voti fatti agli dei,
causa patris patruique paraverat, edendum, re e a dare lo spettacolo dei gladiatori, che apparec
diit. Gladiatorium spectaculum fuit non ex eo chiato aveva per la morte del padre e dello zio.
genere hominum, ex quolanistis comparare mos Non fu questo composto di quel genere di schia
est, servorum, quive venalem sanguinem habent. vi, donde sogliono trarli gl'imprenditori, o di
Voluntaria omnis et gratuita opera pugnantium quelli, che vendono il proprio sangue. Fu tutta
fuit: nam alii missi ab regulis sunt ad specimen volontaria e gratuita l'opera dei combattenti.
insitae genti virtutis ostendendum: alii ipsi pro Perciocchè altri furon mandati dai re ad esibire
fessi, se Pugnaturos in gratiam ducis: alios aeLuu un saggio del valore innato di quel popoli; altri
283 TI l I Ll VII LIBER XXVIII. 284

latio et certamen, ut provocarent, provocatique vennero a proporsi per combattere in onore del
haud abnuerent, traxit. Quidam, quas disceptan capitano; altri li trasse l'emulazione e la gara,
do controversias finire nequiverant, aut nolue pronti a provocare, e provocati a non ricusare.
rant, pacto inter se, ut victorem res sequereiur, Alcuni, che non avean potuto nè voluto le con
ferro decreverunt. Neque obscuri generis homi troversie loro disputando finire, pattuitisi che
mes, sed clari illustresque, Corbis et Orsua pa la ragione seguisse la parte del vincitore, le ter
trueles fratres, de principatu civitatis, quam Ibem minarono coll'armi. Nè c'erano soltanto uomini
vocabant, ambigentes, ferro se certaturos profes di condizione oscura, ma personaggi chiari ed
si sunt. Corbis major erat aetate. Orsuae pater illustri; tali Corbi ed Orsua cugini, i quali con
princeps proxime fuerat, a fratre majore post tendendo del principato della città, che chiama
mortem eius principatu accepto. Quum verbis vano Ibe, dichiararono ch'entrati sarebbero nel
disceptare Scipio vellet, ac sedare iras, negatum l'agone. Era Corbi maggiore di età; il padre
id ambo dicere communibus cognatis, nec alium di Orsua era stato l'ultimo principe, che avea
deorum hominumve, quam Martem, se judicem ricevuto il principato dal fratello maggiore dopo
habituros esse. Robore major, minor flore aeta la morte di lui. Volendo Scipione terminare il
tis ferox, mortem in certamine, quan ut alter piato colle parole e calmare gli sdegni, dissero
alterius imperio subjiceretur, praeoptantes, quum aver ciò negato ai comuni parenti, e che non mai
dirimi ab tanta rabie nequirent, insigne spectacu nè tra gli uomini, nè tra gli dei avrebbon altro
lum exercitui praebuere documentumque, quan giudice, che Marte. Il maggiore feroce per ga
tum cupiditas imperii malum inter mortales es gliardia, il minore pel fior degli anni, bramando
set. Major usu armorum et astu facile stolidas ambedue di morir combattendo più tosto, che
vires minoris superavit. Huic gladiatorum spe soggiacesse l'uno alla signoria dell'altro, non
ctaculo ludi funebres additi pro copia, et pro potendo essere distolti da tanta rabbia, spettacol
vinciali et castrensi apparatu. grande presentarono all'esercito, e insieme grande
documento, che immenso male sia tra i mortali
la cupidigia del dominare. Il maggiore per pra
tica d'armi e per astuzia superò facilmente l'in
considerate forze del minore. A questo spettacolo
si sono aggiunti i giuochi funebri con quanta
maggior ricchezza poterono somministrare e la
provincia, ed il campo.
XXII. Res interim nihilominus ab legatis ge XXII. Nondimeno intanto i legati continua
rebantur. Marcius, superato Baete ammi, quem rono le imprese. Marcio, valicato il fiume Beti,
incolae Certim appellant, duas opulentas civita che gli abitanti chiamano Certi, riceve a patti
tes sine certamine in deditionem accipit. Astapa due ricche città senza contrasto. Astapa era una
urbs erat, Carthaginiensium semper partis: ne città sempre della parte dei Cartaginesi; nè tanto
que id tam dignum ira erat, quam quod, extra questo destava l'ira, quanto che, senza che stretti
necessitates belli, praecipuum in Romanos gere fossero dalle necessità della guerra, portavano
bant odium. Nec urbem aut situ aut munimento a Romani un odio particolare. Nè avevano una
tutam habebant, quae ferociores iis animos face terra così difesa o per sito, o per lavori di mano,
ret: sed ingenia incolarum latrocinio laeta, ut che ne dovessero pigliare tanta ferocia; ma l'in
excursiones in finitimum agrum sociorum populi dole degli abitanti, che si dilettavano di ladro
Romani facerent, impulerant, et vagos milites necci, gli avea sospinti a fare scorrerie nel vicino
Romanos lixasque et mercatores exciperent. Ma contado degli alleati del popolo Romano, e far
gnum etiam comitatam, quia paucis parum tutum prigioni i soldati Romani, che si trovassero sban
fuerat, transgredientem fines, positis insidiis cir dati, i saccomanni e i mercadanti; e una grossa
cumventum, iniquo loco interfecerunt. Ad hanc compagnia di questi, perchè era a pochi il viag
urbem oppugnandam quum admotus exercitus giare mal sicuro, coltala in un'imboscata in sito
esset, oppidani conscientia scelerum, quia mec de malagevole, la trucidarono. Essendosi l'esercito
ditio tuta ad tam infestos videbatur, nec spes avvicinato a questa città per combatterla, i ter
moenibus aut armis tuendae salutis erat, facinus razzani, sbigottiti dalla coscienza de'lor misfatti,
in se ac suos foedum ac ferum consciscunt. Lo poi che nè pareva cosa sicura il darsi a discre
cum in foro destinant, quo pretiosissima rerum zione a nemico tanto irritato, nè v'era speranza
suarum congererent. Super eum cumulum con di salvarsi con le mura e coll'armi, prendono un
juges ac liberos considere quum jussissent ligna partito contro sè medesimi e contro i suoi spa
circa exstruunt, fascesque virgultorum conjiciunt. ventoso e fiero. Destinano un luogo nella piazza,
285 TITI LIVII LIBER XXVIII. 286

Quinquaginta deinde armatis juvenibus praeci dove ammontare quanto hanno di più prezioso.
piunt, « ut, donec incertus eventus pugnae esset, Avendo fatto sedere su questo ammontamento
praesidium eo loco fortunarum suarum corpo le mogli ed i figliuoli, vi metton legne tutto
rumque, quae cariora fortunis essent, servarent. all'intorno, e vi gettan sopra fasci di virgulti.
Si rem inclinatam viderent, atque in eo jam esse, lndi commettono a cinquanta giovani armati,
ut urbs caperetur; scirent omnes, quos euntes in e che sino a tanto che fosse dubbio l'esito del
proelium cernerent, mortem in ipsa pugna obi la pugna, facesser quivi la guardia alle loro
turos. Illos se per deos superos inferosque orare, sostanze, ed alle persone, ch'eran loro più care
ut memores libertatis, quae illo die aut morte delle sostanze. Se vedessero la cosa piegar male,
homesta, aut servitute infami finienda esset, nihil e già venuta a termine, che la città fosse per
relinquerent, in quod saevire iratus hostis posset. esser presa, tutti tenessero per fermo, che coloro,
Ferrum ignemdue in manibus esse: amicae ac i quali vedevano uscire alla battaglia, lasciata
fideles potius ea, quae peritura essent, absume avrebbono la vita sul campo stesso. Gli scongiu
rent manus, quam insultarent superbo ludibrio ravano quindi per tutti gli dei del cielo e del
hostes. » Ilis adhortationibus exsecratio dira ad l'inferno, che ricordevoli della libertà, che dovea
jecta, si quem a proposito spes mollitiave animi spirare in quel dì o con una morte onorata, o
flexisset. Inde concitato agmine patentibus por col più infame servaggio, non lasciassero cosa
tis ingenti tumultu erum punt. Neque erat ulla alcuna, contro cui potesse incrudelire un corruc
satis firma statio opposita; quia nihil minus, ciato nemico. Aveano in pugno e ferro e fuoco;
quam ut egredi moenibus auderent, timeri pote mani amiche e fedeli distruggessero le cose, che
rat. Perpaucae equitum turmae, levisque arma pur doveano perire, più tosto che lasciarle espo
tura repente e castris ad id ipsum emissa occur ste agl'insulti ed al superbo ludibrio dell'ini
rit. Acrior impetu atque animis, quam composi mico. A queste raccomandazioni fu aggiunta
tiorullo ordine, pugna fuit. Itaque pulsus eques, un'orrenda imprecazione, se speranza o debolezza
qui primus hosti se obtulerat, terrorem intulit d'animo stornasse taluno dal proposito. Indi
levi armaturae; pugnatumque sub ipso vallo fo spalancate le porte, di pien passo si lancian fuori
ret, ni robur legionum, perexiguo ad instruen con gran romore. Nè ci era di rincontro nessuna
dum dato tempore, aciem direxisset. Ibi quoque posta bastantemente gagliarda, perchè tutt'altro
trepidatum parumper circa signa est, quum caeci si poteva temere, fuorchè osassero uscir dalle mu
furore in vulnera ac ferrum vecordi audacia rue ra. Alcune poche bande di cavalli, e quei di leg
rent. Dein vetus miles, adversus temerarios im gera armatura, fatti perciò sortire dallo steccato,
petus pertinax, caede primorum insequentes sup si ferono loro incontro. La battaglia fu più dub
pressit. Conatus paullo post ultro inferre pedem, biosa per l'impeto e per l'animosità, che ben
ut neminem cedere, atque obstinatos mori in ve regolata per alcun ordine. Quindi la cavalleria,
stigio quemque suo vidit, patefacta acie (quod che s'era prima offerta al nemico, respinta gettò
ut facere posset, multitudo armatorum facile sup lo spavento tra gli armati alla leggera; e si sa
pedi tabat) cornua hostium amplexus, in orbem rebbe combattuto sin sotto lo steccato, se il nerbo
pugnantes ad unum omnes occidit. delle legioni, frapposto breve tempo ad ordinarsi,
non si fosse mosso a ricontro. Quivi pure fuvvi
alcun po' di scompiglio presso alle bandiere,
mentre coloro, ciechi per furore, con insano
ardimento si gettavano incontro alle ferite ed
alla morte. Indi il soldato veterano, immobil
mente fermo contro gl'impeti temerarii, coll'uc
cisione dei primi i secondi represse. Poscia pro
vatosi da lì a poco a farsi innanzi egli stesso,
come vide che nessuno cedeva e che tutti osti
natamente morivano, ciascuno al posto suo,
spalancato il corpo di mezzo (il che la moltitu
dine dei soldati permetteva loro di fare) abbrac
ciate l'ale de'nemici, combattendo in cerchio,
tutti in sino ad uno gli uccise.
XXIII. Atque haec tamen hostium iratorum, XXIII. Questo però si faceva da nemici cor
actum maxime dimicantium, jure belli in arma rucciati, e sul campo di battaglia, per dritto
tos repugnantesque edebantur. Foedior alia in di guerra contro gente armata, e che resisteva.
urbe trucidatio erat, quum turbam feminarum Era ben altramente spietata l'uccisione, che si
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puerorumque imbellem inermemdue cives sui cae faceva in città, gli stessi concittadini tagliando
derent, et in succensum rogum semianima plera a pezzi l'imbelle ed inerme turba delle donne e
que injicerent corpora, rivigue sanguinis flam dei fanciulli, e gettando nell'acceso rogo i corpi
mam orientem restinguerent: postremo ipsi, cae la più parte mezzo vivi, spegnendo i rivi di san
de miseranda suorum fatigati, cum armis medio gue la nascente fiamma: in fine essi stessi, stanchi
se incendio injecerunt. Jam caedi perpetratae vi della miseranda strage de' suoi, si gettaron col
ctores Romani supervenerunt: ac primo con l'armi nel mezzo dell'incendio. E già i Romani
spectu tam foedaerei mirabundi partimper obstu vincitori sopravvennero a strage terminata; ed
puerunt. Dein quum aurum argentumque, cumu al mirare dapprima sì crudel cosa, stettersi al
lo rerum aliarum interfulgens, aviditate ingeni quanto sbalorditi. Indi volendo, per la naturale
humani, rapere ex igne vellent, correpti alii flam avidità dell'uman cuore, ritor dal fuoco l'oro e
ma sunt, alii ambusti afflatu vaporis, quum re l'argento, che scintillava tra il monte dell'altre
ceptus primis, urguente ingenti turba, non esset. robe, ad altri s'apprese la fiamma, altri furono
lla Astapa, sine praeda militum, ferro ignique soffocati dal vapore, non potendo i primi retro
absumpta est. Marcius, ceteris ejus regionis metu cedere per la gran turba che li premeva. Così
in deditionem acceptis, victorem exercitum Car Astapa, senza che i soldati ne traessero alcun
thaginem ad Scipionem reduxit. Per eos ipsos bottino, fu consumata dal ferro e dal fuoco. Mar
dies perfugae a Gadibus venerunt, pollicentes, cio, avendo ricuperate a patti per la tema l'altre
urbem Punicumque praesidium, quod in ea urbe città, ricondusse l'esercito vittorioso a Nuova
esset, et imperatorem praesidii cum classe pro Cartagine a Scipione. In que giorni medesimi
dituros esse. Mago ibi ex fuga substiterat, navi vennero alcuni disertori da Cadice, promettendo
busque in Oceano collectis, aliquantum auxilio che l'avrebbon dato in mano a Romani insieme
rum et trans fretum ex Africa ora, et ex proximis col presidio Cartaginese, che ci era, e quello,
Hispaniaelocis per Hannonem praefectum coege che il comandava insiem colla flotta. Magome
rat. Fide accepta dataque perfugis, et Marcius eo s'era quivi dalla fuga fermato; e richiamate le
cum expeditis cohortibus, et Laelius cum septem navi dall'Oceano, avea raccolti alquanti aiuti
triremibus, quinqueremi una, est missus, ut terra col mezzo del prefetto Annone di là dal mare
marique communi consilio rem gererent. dalle spiagge dell'Africa, e da luoghi vicini del
la Spagna. Data la propria, e ricevuta a vicenda
la fede dei disertori, fu colà mandato e Marcio
con le coorti leggere, e Lelio con sette triremi
ed una quinquereme, acciocchè governassero la
guerra di comun consiglio per terra e per mare.
XXIV. Scipio ipse gravi morbo implicitus, XXIV. Scipione intanto caduto in grave ma
graviore tamen fama, quum ad id quisque, quod lattia, però più aggravata dalla fama, ciascuno,
audierat (insita hominum libidine alendi dein per vezzo innato negli uomini d' ingrossar le
dustria rumores), adjiceret aliquid, provinciam nuove a bella posta, aggiungendo qualche cosa
omnem ac maxime longinqua ejus turbavit; ap a quello che ha udito, scompigliò alquanto la pro
paruitoue, quantam excitatura molem vera fuisset vincia, e massimamente le parti più remote; e
clades, quum vanus rumor tantas procellas exci si conobbe quanta mole di guai suscitata avrebbe
visset. Non socii in fide, non exercitus in officio la vera calamità, se un vano romore avea destata
mansit. Mandonius et Indibilis, quibus (quia re tanta procella. Non fermi stettero nella fede gli
gnum sibi Hispaniae, pulsis inde Carthaginiensi alleati, non fermo nel dovere l'esercito. Mando
bus, destinarantanimis) nihil prospe contigerat, nio ed Indibile, cui nulla riuscito era a seconda
concitatis popularibus (Lacetani autem erant), et delle speranze (perchè si aveano in cuor loro,
juventute Celtiberorum excita, agrum Suesseta scacciati i Cartaginesi, promesso il regno delle
num Sedelanumque sociorum populi Romani Spagne), sommossi quei del paese (erano i Lace
hostiliter depopulati sunt. Civilis alius furor in tani), sollevata la gioventù dei Celtiberi, posero
castris ad Sucronem ortus. Octo ibi millia mili ostilmente a sacco il contado dei Suessani e dei
tum erant, praesidium gentilus, quae cis Iberum Sedetani, alleati del popolo Romano. Altro furore
incolunt, impositum. Motae autem eorum mentes civile si accese nel campo a Sucrone. Erano quivi
sunt non tum primum, quum de vita imperatoris otto mila soldati, guardia messa a tenere in freno
dubii rumores allati sunt, sed jam ante, licentia i popoli che abitano di qua dall'Ibero. Nè avean
ex diutino, ut fit, olio collecta, et nonnihil, quod cominciato a sommoversi allora soltanto, che si
in hostico lazius rapto suetis vivere arctiores in sparsero dubbie novelle della vita del coman
pace res erant. Ac primo sermones tantum oc dante, ma già innanzi per licenza prodotta, come
289 TITI LIVII LIBER XXVIII. 29o

culti serebantur, « si bellum in provincia esset, accade, dal lungo ozio; e ancora perchè avvezzi
quid sese inter pacatos facere? si debellatum jam a vivere più largamente di rapina in terra nemi
et confecta provincia esset, cur in ltaliam non ca, trovavansi nella pace maggiormente alle stret
revehi? » Flagitatum quoque stipendium proca te. E da principio non si spargevano, che occulti
cius, quam ex more et modestia militari erat; et discorsi; a se si ha guerra nella provincia, a che
ab custodibus probra in circumeuntes vigiliastri si stanno essi in paese pacato? E se la guerra è
bunos jacta; et noctu quidam praedatum in finita, e l'impresa terminata, perchè non si ricon
agrum circa pacatum ierant: postremo interdiu ducono in Italia? » Si dimandaron anche le pa
ac propalam sine commeatu ab signis abibant. ghe con più insolenza, che non si suole secondo
Omnia libidine ac licentia militum, nihil instituto il costume e la disciplina militare; ed avean le
ac disciplina militiae, aut imperio eorum, qui guardie scagliate villanie contro i tribuni, che
praeerant, gerebatur. Forma tamen Romanorum visitavano le poste, ed alcuni erano usciti la notte
castrorum constabat una ea spe, quod tribunos a predare sul territorio amico: finalmente di
ex contagione furoris haud expertes seditionis giorno e palesemente partivano dalle insegne
defectionisque rati fore, et jura reddere in prin senza averne avuto licenza. Tutto si faceva a
cipiis sinebant, et signum ab eis petebant, et in libito, a capriccio dei soldati, senza rispetto agli
stationes ac vigilias in ordinem ibant; et, ut vim istituti e alla disciplina militare, senza avere
imperii abstulerant, ita speciem dicto parentium, gli ordini da chi comandava. Durava nondimeno
ultro sibi imperantes, servabant. Erupit deinde la forma degli accampamenti Romani per la sola
seditio, postguam reprehendere atque improbare speranza, che si stimavano che i tribuni, presi
tribunos ea, quae fierent, et comari obviam ire, dallo stesso furore, partecipato avrebbono alla
et propalam abnuere, furoris eorum se futuros sedizione e ribellione; ond'è che gli lasciavano
socios, senserunt. Fugatis itaque ex principiis, ac render ragione nelle lor tende, e lor chiedevano
post paullo e castris tribunis, ad principes sedi il segno, e andavano per ordine alle poste, e a far
tionis, gregarios milites, C. Albium Calenum et la guardia; e siccome aveano infranta la forza
C. Atrium Umbrum, delatum omnium consensu del legittimo comando, così comandando volon
imperium est; qui, nequaquam tribuniciis con tariamente a sè stessi, conservavano l'apparenza
tenti ornamentis, insignia etiam summi imperii, di soldati obbedienti. Scoppiò di poi la sedizione,
fasces securesque, attrectare ausi: neque venit tosto che videro i tribuni riprendere e disappro
in mentem, suis tergis suisque cervicibus virgas vare ciò, che si faceva, e opporsi, e palesemente
illas securesque imminere, quas ad metum alio negare di farsi giammai compagni del lor furore.
rum praeferrent. Mors Scipionis falso credita oc Cacciati pertanto i tribuni dalle lor tende, e da
caecabat animos; sub cujus vulgatam mox famam lì a non molto anche dagli alloggiamenti, il co
non dubitabant totam Hispaniam arsuram bello: mando è trasferito di comune consentimento ai
in eo tumultu et sociis pecunias imperari, et di capi della sedizione, Caio Albio Caleno e Caio
ripi propinquas urbes posse; et, turbatis rebus, Atrio Umbro, soldati gregarii; i quali, non con
quum omnia omnes auderent, minus insignia tenti punto dei tribunizii ornamenti, osaronº
fore, quae ipsi fecissent. trattare i fasci e le scuri, insegne del sommo
potere: nè venne loro in pensiero, che quelle
verghe e quelle scuri, che si faceano recare in
nanzi a terrore degli altri, sovrastavano alle spalle
e teste loro. La morte di Scipione falsamente
creduta acciecava le menti; al cui primo divº
garsi non dubitavano che tutta si accenderebbe
in guerra la Spagna, e che in cotanto scºmpi
gliamento si potrebbe impor denari agli alleati,
o saccheggiare le vicine città, e che nel generale
trambusto, tutti osando tutto, sarebber menº
avvertite le cose, ch'essi avesser fatto.
XXV. Quum alios subinde recentes nuncios, XXV. Aspettandosi in appresso altri più fre
non mortis modo, sed etiam funeris, exspecta
schi messaggi non solo della morte, ma eziandio
de'funerali di Scipione, nè sopravvenendo alcu
rent, neque superveniret quisquam, evanesceret
mo, e dileguandosi il romore, nato senza fonda
que temere ortus rumor; tum primi auctores re
quiri coepti; et, subtrahente se quoque, ut cre mento, allora si cominciò a ricercarne i primi
didisse polius temere, quam finxisse, rem talem autori; e sottraendosi ognuno, onde parer piut
videri posset, destituti duces jam sua ipsi insi
Livio 2 s,
tosto di aver leggermente creduta, che intantº
19
291 TITI LIVII LlBER XXVIII. 292

gnia, et provana imagine imperii, quod gererent, la nuova, i capi della sedizione, abbandonati, già
veram justamque mox in se versuram potestatem paventavano essi stessi le loro insegne, e che in
horrebant. Stupente ita seditione, quum vivere vece della vana imagine del potere, stesse fra
primo, moxetiam valere Scipionem, certi aucto poco a piombar su di loro una vera e legittima
res afferrent, tribuni militum septem ab ipso Sci autorità. Intorpiditasi a questa guisa la sedizione,
pione missi sunt. Ad quorum primum adventum certi messaggi annunziando dapprima che Sci
exasperati animi; mox, ipsis placido sermone pione era vivo, indi eziandio ch'era sano, Scipio
permulcentibus notos, cum quibus congressi ne stesso mandò colà sette tribuni del soldati
erant, leniti sunt. Circumeuntes enim tentoria Al primo giunger de'quali gli animi s'inaspri
primo, deinde in principiis praetorioque, ubi ser rono; poi, raddolcendo essi con buone parole
mones inter se serentium circulos vidissent, allo i più noti, co' quali s'erano abboccati, si quieta
quebantur, percunctantes magis, quae causa irae rono. Perciocchè, girando da principio intorno
consternationisque subitae foret, quam factum le baracche de'soldati, indi inoltrandosi alle tende
accusantes. Vulgo a stipendium non datum ad dei capi e al padiglione maggiore, come vedevan
diem jactabatur, et, quum eodem tempore, quo cerchi di persone, che s'intrattenessero insieme,
scelus llliturgitanorum exstitisset, Post duorum parlavan secoloro, chiedendo più tosto qual fosse
imperatorum duorumque exercituum stragem, la cagione del malcontento e della subita com
sua virtute defensum nomen Romanum ac retenta mozione, che riprendendo l'accaduto. Comune
provincia esset: Illiturgitanos poenam nozae me mente si allegava, a che non s'era data la paga
ritam habere; suis recte factis gratiam qui exsolvat, al dì, che si doveva; e che in quel tempo, in cui
non esse. . Talia quaerentes « aequa orare, seque scoppiata era la perfidia degl'Illiturgitani, dopo
ea relaturos ad imperatorem, respondebant. Lae l'eccidio di due comandanti e di due eserciti,
tari, quod nihil tristius, nec insanabilius esset: et avendo essi col lor valore difeso il nome Roma
P. Scipionem deim benignitate, et rempublicam no e conservata la provincia, ben avean pagata
esse gratiae referendae. » Scipionem bellis assue la meritata pena quei d'Illiturgo, ma non v'era
tum, ad seditionum procellas rudem, sollicitum chi rendesse degna mercede al merito loro. »
habebat res, ne aut exercitus peccando, aut ipse A così fatte doglianze i tribuni rispondevano,
puniendo, modum excederet. In praesentia, ut « ch'erano giuste le lor dimande, e che le avreb
coepisset, leniter agi placuit, et, missis circa sti bono rapportate al capitano: rallegrarsi che il
pendiarias civitates exactoribus, stipendii spem male non sia più grande, nè più difficile a sanar
propinquam facere. Edictum subinde propositum, si, e che per benignità degli dei Publio Scipione
ut ad stipendium petendum convenirent Cartha e la repubblica ben aveano di che ricompensarli.»
ginem, seu carptim partes, seu universi mallent. Scipione, avvezzo alla guerra, inesperto nelle
Tranquillam seditionem jam perse languescentem, procelle sediziose, era travagliato dal pensiero
repentina quies rebellantium Hispanorum fecit. che o l'esercito peccando, o egli castigando non
Redierantenim in fines, omisso incepto, Mando eccedesse la misura. Presentemente gli piacque
mius et Indibilis, postduam vivere Scipionem al di operar con dolcezza, come avea principiato, e
latum est: mec jam erat aut civis, aut externus, mandati esattori per le città tributarie, far na
cum quo furorem suum consociarent. Omnia cir scere la speranza del prossimo pagamento. Indi
cumspectantes consilianihil reliqui habebant.prae pubblicossi un editto, che si recassero a Nuova
ter non tutissimum a malis consiliis receptum, ut Cartagine a ricevere lo stipendio, o a parte a
imperatoris vel justae irae, vel non desperandae parte, o tutti insieme, come volessero. La subita
clementiae sese committerent: etiam hostibus eum quiete degli Spagnuoli, che parean volersi ribel
ignovisse, cum quibus ferro dimicasset. Suam se lare, tranquillò la sedizione, che già da sè s'illan
ditionem sine vulnere, sine sanguine fuisse: nec guidiva. Perciocchè Mandonio ed Indibile, poi
ipsam atrocem, nec atroci poena dignam ; utin che intesero Scipione esser vivo, lasciata l'im
genia humana sunt ad suam cuique levandam cul presa, s'erano rimessi a casa; nè ci era cittadino
pam nimio plus facunda. llla dubitatio erat, sin o forestiero, col quale associar potessero il lor
gulaene cohortes, an universi ad stipendium pe furore. Esaminando seco stessi tutti i partiti da
tendum irent. Inclinavit sententia, quod tutius prendersi, non altro ne restava loro, che quello
censebant, universos ire. non però sempre sicuro di ritrarsi dalle male
macchinazioni per abbandonarsi o alla giusta ira
del capitano, ovvero alla sua clemenza, di cui
non potevano ancora disperare. Aveva egli per
donato a'nemici, co quali avea pur combattuto
coll'armi: la loro sedizione era stata senza ferite,
293 TITI LIVII LIBER XXVIII. 294
senza sangue, nè atroce di per sè, nè meritevole
di pena atroce; tanto egli è vero, che gli uomini
son più del dovere ingegnosi nell'alleggerire le
lor colpe. Questo restava a decidersi, se le coorti
una ad una, ovvero se tutti insieme andassero
a pigliare le lor paghe. Il parere del maggior
numero, perchè riputato il più sicuro, si fu che
andassero tutti insieme.
XXVI. Per eosdem dies, quibus haec illicon XXVI. In que giorni medesimi, mentre co
sultabant, consilium de iis Carthagini erat; cer loro si consigliavano a questa guisa, si teneva
tabaturque sententiis, utrum in auctores tantum consulta a Nuova-Cartagine de'fatti loro ; e si
seditionis (erant autem hi numero haud plus, disputava se si avessero a punire i soli autori
quam quinque et triginta) animadverteretur, an della sedizione (e non erano più di trentacinque),
plurium supplicio vindicanda tam foedi exempli o col supplizio di maggior numero vendicare
defectio magis, quam seditio esset. Vicit senten una più tosto ribellione, che sedizione di tanto
tia lenior, ut, unde orta culpa esset, ibi poena pessimo esempio. Vinse il parere più mite, in
consisteret: ad multitudinem castigationem satis modo che la pena si fermasse, dov'era nata la col
esse. Consilio dimisso, ut id actum videretur, ex pa; quanto alla moltitudine, bastare la riprensio
peditio adversus Mandonium Indibilemque edi ne. Licenziato il consiglio, s'intima all'esercito,
citur exercitui, qui Carthagine erat, et cibaria ch'era in Nuova-Cartagine, acciocchè paresse
dierum aliquot parare jubentur.Tribunis septem, che vi si fosse trattato di questo, la spedizione
qui et antea Sucronem ad leniendam seditionem contro Mandonio ed Indibile, e che si proveg
ierant, obviam exercitui missis, quina nomina gano di cibo per alquanti giorni. Mandati incon
principum seditionis edita sunt; ut eos, per ido tro all'esercito, che veniva, que sette tribuni,
neos homines benigno vultu ac sermone in hospi ch'erano andati prima a Sucrone a calmare la
tium invitatos sopitosque vino vincirent. Haud rivolta, si consegnan loro cinque nomi de prin
procul jam Carthagine aberant, quum ex obviis cipali autori della sedizione, acciocchè, invitati
auditum, postero die omnem exercitum cum M. a cena da persone destre con viso e parlare affa
Silano in Lacetanos proficisci, non metu modo bile, e addormentati nel vino, gli arrestino. Non
omni, qui tacitus insidebat animis, liberavit eos, erano discosti gran tratto da Nuova-Cartagine,
sed laetitiam ingentem fecit; quod magis habi quando la notizia avuta da quelli, che incontra
turi solum imperatorem, quam ipsi futuri in po vano, tutto l'esercito il dì seguente partire con
testate eius essent. Sub occasum solis urbem in Marco Silano alla volta de' Lacetani, non sola
gressi sunt, exercitumque alterum parantem om mente liberolli da ogni tema, che stava loro ta
nia ad iter viderunt. Excepti sermonibus de in citamente in cuore, ma die' loro grande allegrez
dustria compositis, « laetum opportunumque ad za, pensando che il comandante rimanendo solo,
ventum eorum imperatori esse, quod sub ipsam sarebbe egli piuttosto in loro balia, che non essi
profectionem alterius exercitus venissent, º cor in poter suo. Entrarono in città sul tramontare
pora curant. A tribunis sine ullo tumultu aucto del giorno, e videro l'altro esercito allestir ogni
res seditionis, per idoneos homines perducti in cosa per la partenza. Accolti con discorsi a bella
hospitia, comprehensi acvincti sunt. Vigilia quar posta preparati, a esser cara al capitano ed op
ta impedimenta exercitus, cujus simulabaturiter, portuna la lor venuta, essendo giunti in sul par
proficisci coepere. Sub lucem signa mota, et ad tire dell'altro esercito, º curano le lor persone.
portam retentum agmen, custodesque circa omnes Gli autori della sedizione, tratti da gente destra
portas missi, ne quis urbe egrederetur. Vocati negli alberghi, sono arrestati e legati dai tribuni,
deinde ad concionem, qui pridie venerant, fero senza tumulto. Alla veglia quarta i bagagli del
citer in forum ad tribunal imperatoris, ut ultro l'esercito, di cui si fingeva la partenza, comin
territuri succlamationibus, concurrunt. Simul et ciarono a difilare. Sul far del giorno le insegne
imperator in tribunal escendit, et reducti armati si mossero, e alla porta si fe far alto alle schiere,
a portis inermi se concioni ab tergo circumfude e si mandaron guardie a tutte le porte, onde
runt. Tum omnis ferocia concidit, et, ut postea nessuno uscisse di città. Indi chiamati a parla
fatebantur, nihil aeque eos terruit, quam prae mento quelli ch'eran venuti il giorno innanzi,
ter spem robur et color imperatoris, quem affe corron essi con fierezza al tribunale del coman
ctum visuros crediderant, vultusque, qualem ne dante, quasi per incutergli terrore con le grida.
in acie quidem ajebant meminisse. Sedit tacitus Al tempo stesso Scipione salì il tribunale, e ri
paulisper, donec nunciatum est, deductos in chiamati dalle porte i soldati armati circondarono
295 TITI LIVII LIBER XXVIII. 296

forum auctores seditionis, et parata jam omnia alle spalle la disarmata moltitudine. Allora venne
esse, meno ogni ferocia, e come poi confessavano,
niente tanto li spaventò, quanto fuor della loro
aspettazione, la vigoria e il colorito del coman
dante, che credevano di vedere mal affetto, e
quel suo volto, quale dicevamo non l'aver mai
veduto nè anche in un giorno di battaglia. Se
dette egli tacito alcun poco, insino a che gli fu
recato, che gli autori della sedizione eran di già
sulla piazza, e che tutto era pronto.
XXVII. Tum, silentio per praeconem facto, XXVII. Allora, fatto intimare silenzio dal
ita coepit: « Numquam mihi defuturam oratio banditore, così cominciò: «Non ho mai creduto,
nem, qua exercitum meum alloquerer, credidi; che mi avessero a mancar le parole, qualora
non quo verba umquam potius, quam res, exer dovessi favellare al mio esercito, non perchè io
cuerim, sed quia propea pueritia in castris ha mi sia piuttosto esercitato in far parole, che
bitus, assueram militaribus ingeniis. Ad vosquem fatti, ma perchè sin quasi dalla mia puerizia
admodum loquar, nec consilium, nec oratio allevato in campo, io m'era avvezzato alle ma
suppeditat: quos ne quo nomine quidem appel niere militari. Oggi non trovo nè concetti, nè
lare debeam, scio. Cives ? qui a patria vestra de espressioni per parlare con voi; con voi, cui non
scistis: an milites? qui imperium auspiciumque so nemmeno con qual nome vi debba chiamare.
obnuistis, sacramenti religionem rupistis. Hostes? Cittadini? voi, che vi ribellaste dalla vostra pa
corpora, ora, vestitum, habitum civium agnosco: tria? o soldati? che vi sottraeste al comando, ed
facta, dicta, consilia, animos hostium video. Quid agli auspizii, e rompeste la santità del giura
emim vos, nisi quod llergetes et Lacetani, aut mento? nemici? riconosco i corpi, i volti, le ve
optastis aliud, aut sperastis? Et illi tamen Man sti, le fogge de'cittadini; veggo i fatti, i detti,
domium atque Indibilem, regiae mobilitatis viros, i pensieri, i sentimenti de'nemici. E veramente,
duces furoris secuti sunt: vos auspicium et impe che altro avete bramato, che sperato, fuor che
rium ad Umbrum Atrium et Calenum Albium quel medesimo, che gl'llergeti e i Lacetani? Pur
detulistis. Negate, vos id omnes fecisse, aut factum questi han seguitato, quai capi del lor furore,
voluisse, milites: paucorum eum furorem atque Mandonio ed Indibile, uomini di regia nobiltà;
amentiam esse, libenter credam negantibus: nec voi deste il comando e gli auspizii in mano ad
enim ea sunt commissa, quae vulgata in omnem Umbro Atrio e a Caleno Albio. Negate sì certo,
exercitum sine piaculis ingentibus expiari possint. o soldati, che tutti abbiate fatto o voluto far
Invitus ea, tamquam vulnera, attingo; sed misi questo; esser ciò stato il furore, la frenesia di
tacta tractataque sanari non possunt. Equidem, pochi, e volentieri vel crederò; chè non si son
pulsis Hispania Carthaginiensibus, nullum locum commessi tali misfatti, che resi comuni a tutto
tota provincia, nullos homines credebam esse, l'esercito, non si possano espiare, se non che con
ubi vita invisa esset mea: sic me non solum ad grandi supplizii. Tocco di mal grado, quasi fos
versus socios gesseram, sed etiam adversus hostes. sero ferite, codeste cose; ma non si possono
In castris en meis, quantum me opinio fefellit! sanare, se non son tocche e trattate. Per verità,
fama mortis meae non accepta solum, sed etiam poi ch'ebbi scacciati i Cartaginesi dalla Spagna,
exspectata est. Non quod ego vulgari facinus per non mi pensava che vi fosse luogo, che vi fos
omnes velim (equidem si totum exercitum meum sero uomini in tutta la provincia, a quali fosse
mortem mihi optasse crederem, hic statim ante in odio il viver mio; tal io m'era diportato non
oculos vestros morerer; nec me vita juvaret, in solamente verso gli alleati, ma eziandio verso
visa civil us et militibus meis), sed multitudo i nemici. Ecco, che nello stesso mio campo
omnis, sicut natura maris, per se immobilis est, (quanto n.'ha ingannato il mio pensiero!) la no
venti et aurae cient; ita aut tranquillum, aut pro tizia della mia morte non solamente fu accolta,
cellae in vobis sunt; et causa atque origo omnis ma eziandio aspettata. Non che io ne voglia
furoris penes auctores est: vos contagione insani incolpar tutti (perciocchè se credessi che tutto
stis; qui mihi ne hodie quidem scire videmini, l'esercito bramato avesse la mia morte, qui subito
quo amentiae progressi sitis, quid facinoris in sugli occhi vostri mi ucciderei; nè mi sarebbe
me, quid in patriam parentesque ac liberos ve cara una vita, odiosa ai soldati e cittadini miei),
stros, quid in deos, sacramenti testes, quid ad ma ogni moltitudine è, come il mare, di sua ma
versus auspicia, sub quibus militatis, quid adver tura immobile, i venti e l'aure il commovono;
sus morem militiae disciplinam que majorum, così voi pure o tranquilli siete, o in burrasca; e
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TITI LIVII LIBER XXVIII. 298

quid adversus summi imperii majestatem ausi si la cagione e l'origine d'ogni imperversare attri
tis. De me ipso taceo: temere potius, quam avide, buir si deve ai primi autori: voi non impazzaste,
credideritis: denique ego sim, cujus imperii tae che per contagione. E nè pur oggi mi sembrate
dere exercitum minime mirandum sit. Patria comprendere a qual grado di demenza vi siete
quid de vobis meruerat, quam cum Mandonio et spinti, qual attentato abbiate commesso contro
Indibili consociando consilia prodebatis? Quid di me, quale contro la patria, i genitori, i figliuoli,
populus Romanus, quum imperium, ablatum ab quale contro gli dei, testimonii del vostro giura
tribunis suffragio populi creatis, ad homines pri mento, quale contro gli auspizii, sotto i quali
vatos detulistis? quum, eo ipso non contenti, si militate, quale contro il costume della milizia
pro tribunis illos haberetis, fasces imperatoris e la disciplina dei maggiori, quale in fine contro
vestri adeos, quibus servus, cui imperarent, num la maestà dell'impero. Taccio di me; creduta
quam fuerat, Romanus exercitus detulistis. In avrete la mia morte piuttosto per leggerezza, che
praetorio tetenderunt Albius et Atrius; classicum per brama; sia pur io tale finalmente, che non
apud eos cecinit; signum ab iis petitum est; se v'abbia di che maravigliarsi se l'esercito è noiato
derunt in tribunali P. Scipionis; lictor apparuit; del mio comando. Ma che vi aveva fatto la patria,
sub moto incesserunt; fasces cum securibus prae che volevate, associando i vostri a consigli di
lati sunt. Lapides pluere, et fulmina jaci de coe Mandonio e d'Indibile, tradire? che il popolo
lo, et insuetos foetus animalia edere, vos portenta Romano, quando, tolto il comando ai tribuni,
esse putatis: hoc est portentum, quod nullis ho creati dai suffragii del popolo Romano, lo passa
stiis, nullis supplicationibus, sine sanguine eorum, ste in mano ad uomini privati? quando non
qui tantum facinus ausi sunt, expiari possit. » - contenti di tenerli in luogo di tribuni, voi, dico,
esercito Romano, trasferiste i fasci del vostro
capitano a coloro, che non ebbero mai nè pure
uno schiavo, cui comandare? Albio ed Atrio si
allogarono nel padiglione proconsolare; la trom
ba sonò dinanzi ad essi; ad essi fu chiesto il se
gno; sedettero nel tribunale di Publio Scipione;
apparve il littore; si fecero innanzi, rimossa
la turba; i fasci colle scuri li precedettero. Voi
chiamate portenti il piover delle pietre, lo sca
gliarsi de fulmini dal cielo, il nascere di mostri
non più veduti; questo sì, questo è portento,
che non si può con nessuna vittima, con nessune
preci espiare, se non è col sangue di coloro, che
osaron commettere sì gran misfatto. “
XXVIII. « Atdue ego (quamduam nullum XXVIII. « E vorrei pure (benchè nessuna
scelus rationem habet) tamen, ut in re nefaria, scelleraggine ha in sè ragione, che la giustifichi)
quae mens, quod consilium vestrum fuerit, scire vorrei, trattandosi di un infame attentato, saper
velim. Rhegium quondam in praesidium missa pure qual fosse la vostra mente, quale il disegno.
legio, interfectis per scelus principibus civitatis, Altre volte una legione mandata a Reggio in
urbem opulentam per decem annos tenuit. Pro presidio, scannati perfidamente i principali cit
pter quod facinus tota legio, millia hominum tadini, stette padrona per dieci anni di quella
quatuor, in foro Romae securi percussi sunt. Sed ricca città. Pel quale delitto tutta quella legione
illi primum, non Atrium Umbrum semilixam, no di quattro mila uomini fu nella piazza di Roma
minis etiam abominandi ducem, sed Decium Ju decapitata. Ma prima di tutto non ebbero a capo
bellium tribunum militum secuti sunt: nec cum un Atrio Umbrio, quasi della feccia più vile, di
Pyrrho. nec cum Samnitibus aut Lucanis, hosti nome eziandio malaugurato, ma Decio Jubellio,
bus populi Romani, se conjunxerunt. Vos cum tribuno del soldati: nè si unirono con Pirro, nè
Mandonio et Indibili consilia communicastis, et coi Sanniti, o Lucani, nemici del popolo Roma
arma consociaturi fuistis. Illi, sicut Campani Ca no. Voi vi concertaste con Mandonio ed Indibile,
puam, Tuscis veteribus cultoribus ademptam, Ma e unite avreste le vostre all'armi loro. Quelli,
mertini in Sicilia Messanam, sic Rhegium habituri come un tempo i Campani s'impossessarono di
perpetuam sedem erant; nec populum Romanum, Capua, tolta agli antichi Toscani, come i Mamer
nec socios populi Romani ultro lacessituri bello. tini di Messina nella Sicilia, così essi volevano
Sucronemne vos domicilium habituri eratis ? ubi fermare in Reggio per sempre la stanza loro; nè
si vos decedens confecta provincia imperator re avrebbono da sè provocato in guerra nè il popolo
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linquerem, dedm hominumque fidem implorare Romano, nè i suoi alleati. Volevate voi fermare
debebatis, quod non rediretis ad conjuges libe in Sucrome il vostro domicilio? dove, se io vo
rosque vestros. Sed horum quoque memoriam, stro capitano, terminata l'impresa, partendo vi
sicut patriae meique, eieceritis ex animis ve lasciassi, dovreste gli dei e gli uomini scongiu
stris. Viam consilii scelerati, sed non ad ulti rare, perchè vi fosse dato di tornare alle mogli
mum dementis, exsequi volo. Mene vivo, etcetero ed ai figliuoli vostri. Nondimeno, abbiate pure
incolumi exercitu, cum quo ego die uno Carthagi scacciata dagli animi vostri la memoria della pa
nem cepi, cum quo quatuor imperatores, quatuor tria e di me. Voglio tener dietro allo scellerato
exercitus Carthaginiensium fudi, fugavi, Hispania vostro disegno, se pure non fu pazzo del tutto.
expuli, vos octo millia hominum, minoris certe Me vivo, sano e salvo il resto dell'esercito, col
omnes pretii, quam Albius et Atrius sunt, quibus quale in un solo giorno ho preso Nuova-Carta
vos subjecistis, Hispaniam provinciam populo Ro gine, col quale ho sconfitti, fugati, cacciati di
mano erepturi eratis? Amolior et amoveo momen Spagna quattro capitani, quattro eserciti Carta
meum : nihil ultra facile creditam mortem meam ginesi, voi, otto mila uomini, ciascun de'quali
a vobis violatus sim. Quid ? si ego morerer, me certo valete meno di Albio e di Atrio, a quali vi
cum expiratura respublica, mecum casurum impe soggettaste, vi pensavate di ritorre la Spagna
rium populi Romani erat? ne istuc Jupiter optimus al popolo Romano? Metto da parte e scordo il
maximus sirit, urbem, auspicato diis auctoribus in mio nome; non mi avete offeso, che credendo
aeternum conditam, fragili huic et mortali corpori facilmente la mia morte. E che? Se io morissi,
aequalem esse. Flaminio, Paullo, Graccho, Postu morrebbe meco la repubblica, meco cadrebbe
mio Albino, M. Marcello, T. Quintio Crispino, Cn. l'impero del popolo Romano? Non piaccia a
Fulvio Scipionibus meis, tot tam praeclaris impe Giove ottimo massimo, che una città dagli dei
ratoribus uno bello absumptis, superstes est popu fondatori fabbricata per l'eternità, eguale sia
lus Romanus, eritque, mille aliis nunc ferro, nunc a questo corpo fragile e mortale. A Flaminio, a
morbo morientibus. Meo unius funereelata populi Paolo, a Gracco, a Postumio Albino, a Marco
Romani esset respublica? Vos ipsi hic in Hispania Marcello, a Tito Quinzio Crispino, a Gneo Ful
patre et patruo meo, duobus imperatoribus inter vio, a'miei Scipioni, a tanti illustri capitani, tutti
fectis, Septimum Marcium ducem vobis adversus periti in questa guerra, sopravvive il popolo
exultantes recenti victoria Poenos delegistis. Et Romano, e sopravviverà, e a mille altri, che ver
sic loquor, tamquam sine duce Hispaniae futurae ran morendo di ferro o di malattia; e il mio solo
fuerint: M. Silanus, eodem jure, eodem imperio funerale sarebbe stato pur anche quello della re
mecum in provinciam missus, L. Scipio frater pubblica? Voi stessi, qui nella Spagna, uccisi
meus, et Laelius, legati, vindices majestatis impe i due comandanti, mio padre e zio, vi eleggeste
rii deessent? Utrum exercitus exercitui, an du a capitano Settimo Marcio contro i Cartaginesi
ces ducibus, an dignitas, an causa comparari po imbaldanziti per la recente vittoria. E dico ciò,
terat? quibus si omnibus superiores essetis, arma come se avesse dovuto la Spagna rimanere senza
cum Poenis contra patriam, contra cives vestros comandante. Ma sarebbero mancati, a vendicare
ferretis? Africam Italiae, Carthaginem urbi Ro la maestà dell'impero, Marco Silano, mandato
manae imperare velletis? quam ob noxam pa qui con potere eguale al mio, Lucio Scipione
triae ? » mio fratello e Caio Lelio legati? Potean venire
a paragone esercito con esercito, capitani con
capitani, dignità con dignità, causa con causa?
E se anche foste in tutto questo superiori, por
tereste insieme coi Cartaginesi l'armi contro la
patria, contro i vostri concittadini? Vorreste
che l'Africa comandasse l'Italia? Cartagine a
Roma? per quali colpe della patria? »
XXIX. « Coriolanum quondam damnatio in XXIX. «Un'ingiusta condanna, un misero
justa, miserum et indignum exsilium, ut iret ad non meritato esiglio spinse in addietro Corio
oppugnandam patriam, impulit: revocavittamen lano ad assaltare la patria; pure la privata pietà
a publico parricidio privata pietas. Vos qui dolor, stornollo dal pubblico parricidio. Ma voi quale
quae ira incitavit ? Stipendiumne diebus paucis offesa, quale ira vi concitò ! La paga forse di po
imperatore aegro serius numeratum satis digna chi di ritardata per la malattia del comandante,
causa fuit, cur patriae indiceretis bellum ? cur ad potè esservi bastante motivo, perchè aveste ad
Ilergetes descisceretis a populo Romano? curni intimar la guerra alla patria? perchè dal popolo
hil divinarum humanarumve rerum inviolatum Romano passaste a darvi agli Ilergeti? perchè
3o1 TITI LIVII LIBER XXVIII. 3o2

vobis esset? Insanistis profecto, milites: mec ma nulla aveste a rispettare di quanto è sacro in cielo
jor in corpus meum vis morbi, quam in vestras ed in terra? Impazzaste certo, o soldali; nè la
mentes, invasit. Horret animus referre, quid cre forza del male, che colpì il mio corpo, fu men
diderint, homines quid speraverint, quid optave grave di quella, che invase le vostre menti. Ri
rint. Auferat omnia irrita oblivio, si potest: si fugge l'animo mio dal riferire quale s'ebbe cre
non, utcumque silentium tegat. Non negaverim, denza, quali s'ebbono speranze, quali brame.
tristem atrocemdue vobis visam orationem meam; Tutto porti via seco l'obblivione, se può; se no,
quanto creditis facta vestra atrociora esse, quam tutto almeno ricopra il silenzio. Non negherò, che
dicta mea ? et me ea, quae fecistis, pati aequum le mie parole vi debbon esser sembrate aspre ed
censetis; vos ne dici quidem omnia aequo animo atroci; quanto credete, che i fatti vostri sieno
ferretis ? Sed ne ea quidem ipsa ultra exprobra più atroci de'miei discorsi? Stimate conveniente
buntur. Utinam tam facile vos obliviscamini eo ch'io soffra le cose, che avete fatte; voi non soffri
rum, quam ego obliviscar. Itaque, quod ad vos rete nè pure che vi sien dette? Ma già queste
universos attinet, si erroris poenitet, satis super stesse non vi saran nè meno più oltre rinfacciate;
que poenarum habeo. Albius Calenus, et Atrius possiate pur voi sì facilmente scordarle, come io
Umber, et ceteri nefariae seditionis auctores, san stesso le scorderò. Or dunque, per quanto vi
guine luent quod admiserunt. Vobis supplicii riguarda tutti insieme, se dell'errore vi pentite,
eorum spectaculum non modo non acerbum, sed son pago; vi ho punito abbastanza. Albio Caleno
laetum etiam, si sana mens rediit, debet esse: de ed Atrio Umbro, e gli altri autori dell'infame se
nullis enim, quam de vobis, infestius aut inimi dizione pagheranno col sangue il commesso mis
micius consuluerunt. Vix finem dicendi fecerat, fatto. Lo spettacolo del lor supplizio, se rientrati
quum ex praeparato simul omnium rerum terror siete in voi stessi, vi dee riuscire non solamente non
oculis auribusque est offusus. Exercitus, qui co acerbo, ma eizandio grato; perciocchè a nessun al
rona concionem circumdederat, gladiis ad scuta tro, più che a voi, facean guerra e danno que lor
concrepuit: praeconis audita vox citantis nomi disegni. » Appena finito avea di parlare, che tutto
ma damnatorum in consilio. Nudi in medium l'apparato preordinato venne a spaventare gli
protrahebantur, et simul omnis apparatus sup occhi e gli orecchi. L'esercito, che avea circonda
plicii expromebatur. Deligati ad palum, virgisque ta l'assemblea, diº delle spade negli scudi: si udì
caesi et securi percussi, adeo torpentibus metu, la voce del banditore citare a nome i condannati
qui aderant, ut non modo ferocior vox adversus a farsi innanzi. Son tratti nudi nel mezzo; si spie
atrocitatem poenae, sed me gemitus quidem exau ga ad un tratto tutto l'apparecchio del supplizio;
diretur. Tracti indede medio omnes, purgatoque son legati al palo; son battuti colle verghe, per
loco citati milites nominatim apud tribunos mi cossi colla scure, rappresi essendo tutti i presenti
litum in verba P. Scipionis jurarunt, stipendium da così fatto spavento, che non solamente non si
que ad nomen singulis persolutum est. Hunc fi udì voce levarsi contro la severità del castigo, ma
nem exitumque seditio militum coepta apud Su nè anche un gemito. Indi, rimossi i corpi dal luo
cronem habuit. go, e ripurgatolo, i soldati nominatamente chia
mati giurarono nelle mani de'tribuni obbedienza
a Scipione, e fu contata loro ad uno ad uno la
paga. Tal ebbe fine ed esito la sedizione de'solda
ti, cominciata a Sucrone.
XXX. Per idem tempus ad Baetim fluvium XXX. In quel medesimo tempo Annone, pre
Hanno, praefectus Magonis, missus a Gadibus, fetto di Magone, mandato con piccola banda di
cum parva manu Afrorum, mercede Hispanos sol Africani da Cadice al fiume Beti, armò, allettan
licitando ad quatuor millia juvenum armavit. Ca doli con la mercede, da quattro mila Spagnuoli;
stris deinde exutus ab L. Marcio, maxima parte ma di poi, spogliato degli alloggiamenti da Lucio
militum inter tumultum captorum castrorum, Marcio, perduta la maggior parte del soldati in
quibusdam etiam in fuga amissis, palatos perse quel trambusto, alcuni anche nella fuga, inseguiti
sequente equite, cum paucis ipse effugit. Dum essendo gli sbandati dalla cavalleria, si fuggì egli
haec ad Baetim ſluvium geruntur, Laelius inte con pochi. Mentre accade questo presso al fiume
rim, freto in Oceanum evectus, ad Cartejam classe Beti, Lelio intanto, entrato per lo stretto nel
accessit. Urbs ea in ora Oceani sita est, ubi pri l'Oceano, approdò a Carteia con la flotta. Questa
mum e faucibus angustis panditur mare. Gades, città è situata sulla costa dell'Oceano, là dove dalle
sine certamine, proditione recipiendi, ultro qui strette gole comincia il mare ad allargarsi. Era
eam rem pollicerentur in castra Romana venien nata speranza, come sopra si è detto, di pigliare
tibus, spes, sicut ante dictum est, fuerat: pate Cadice per tradimento senza combattere, venuti
3o3 TITI LIVII LIBER XXVIII. 3o4

facta immatura proditio est, comprehensosque essendo da sè nel campo Romano alcuni, che
omnes Mago Adherbali praetori Carthaginem promettevano tal cosa. La trama non ancor ma
devehendos tradit. Adherbal, conjuratis in quin tura fu scoperta, e Magone, arrestati tutti i rei,
queremen impositis, praemissaqne ea, quia tar li consegnò al pretore Aderbale per essere tradotti
dior, quam triremis, erat, ipse cum octo triremi a Cartagine. Aderbale, messi i congiurati sopra
bus modico intervallo sequitur. Jam fretum in una quinquerme, e mandatala innanzi, perchè
trabat quinqueremis, quum Laelius, et ipse in era più tarda che una trireme, viene seguendola
quinqueremi, e portu Cartejae, sequentibus se con otto di queste a piccolo intervallo. Era già
ptem triremibus, evectus, in Adherbalem ac tri entrata la quinquereme nello stretto, quando
remes invehitur, quinqueremem satis credens de Lelio, esso pure sopra una quinquereme, uscito
prensam rapido in freto, in adversum aestum dal porto di Carteia, seguitato da sette triremi,
reciprocari non posse. Poenus in re subita parum dà addosso ad Aderbale ed alle sue triremi, per
per incertus trepidavit, utrum quinqueremem se suaso che la quinquereme nemica, colta nella
queretur, an in hostes rostras converteret. Ipsa maggior corrente dello stretto, non potrebbe far
cunctatio facultatem detrectandae pugnae ademit: forza contro la forza del riflusso. ll Cartagine
jam enim sub ictu teli erant, et undique insta se nell'improvviso emergente stette alcun poco
bant hostes: aestus quoque arbitrium moderandi incerto se avesse a seguitare la sua quinquereme,
naves ademerat: neque erat navali pugna similis; o voltar la prora contro i nemici. Lo stesso indu
quippe ubi nihil voluntarium, nihilartis aut con giare gli tolse il poter evitare la battaglia, chè
silii esset. Una natura freti, aestusque totius cer già erano a tiro d'arco, e il nemico incalzava da
taminis potens, suis, alienis navibus nequidquam ogni parte: anche il flusso avea tolta la facoltà di
remigio in contrarium tendentes invehebat, ut governare le navi; nè la zuffa somigliava a zuffa
fugientem navem videres retro vortice intoriam navale, chè non ci avea luogo la volontà, non il
victoribus illatam ; et sequentem, si in contra consiglio, non l'arte. La natura sola dello stretto
rium tractum incidisset maris, fugientis modo e il flusso, padrone ed arbitro della battaglia,
sese avertentem. Jam in ipsa pugna haec, quum spingeva le navi l'una contro l'altra, fossero
infesto rostro peteret hostium navem, obliqua proprie o nemiche, benchè co'remi facesser for
ipsa ictum alterius rostri accipiebat: illa, quum za in contrario; sicchè avresti veduto una nave
transversa objiceretur hosti, repente intorta in che fuggiva, respinta indietro dal vortice, esser
prora circumagebatur. Quum inter triremes, for balzata in mezzo ai vincitori; e alcun'altra che
tuna regente, anceps proelium misceretur, quin inseguiva, se si abbatteva in contraria corrente,
queremis Romana, seu pondere tenacior, seu plu volgersi indietro, come se fuggisse. Nel bollore
ribus remorum ordinibus scindentibus vortices, sistesso della mischia, mentre questa si scagliava
quum facilius regeretur, duas triremes suppressit, ad investire col rostro la nave nemica, era ella
unius praelata impetu lateris alterius remos de stessa colpita di fianco dal rostro d'altra nave;
tersit; ceterasque, quasindepta esset, mulcasset, ni quell'altra, presentando il fianco al nemico,
cum reliquis quinque navibus Adherbal velis in attorta subitamente dal vortice, volgea girando
Africam transmisisset.
la prora. Mentre dura la pugna tra le triremi a
solo arbitrio della fortuna, la quinquereme Ro
mana, o più salda pel suo peso, o perchè, fen
dendo i vortici con maggior numero di remi,
fosse più facilmente governata, ruppe due triremi
nemiche; ad un'altra colla violenza dell'impeto
abrase i remi di tutto un fianco, e mal conce
avrebbe tutte l'altre, se Aderbale con le rima
nenti cinque navi non avesse sciolte le vele verso
l'Africa. -

XXXI. Laelius victor Carteiam revectus, au XXXI. Lelio, ritornato a Carteia vincitore,
ditis, quae acta Gadibus erant, patefactam pro udito quello ch'era accaduto a Cadice, la congiura
ditionem, conjuratosque missos Carthaginem, scoperta, i congiurati spediti a Cartagine, e anda
spem ad irritum redactam, qua venissent, nunciis ta a vòto la speranza, per cui eran venuti, man
ad L. Marcium missis, nisi si terere frustra tem dato a dire a Lucio Marcio, che non volendo
pus sedendo ad Gades vellent, redeundum ad consumare inutilmente il tempo a Cadice senza
imperatorem esse, assentiente Marcio, paucos far nulla, sarebbe da far ritorno a Scipione, Mar
post dies ambo Carthaginem rediere. Ad quorum cio acconsentendo, pochi di dappoi ambedue si
discessum non respiravit modo Mago, quum terra tornarono a Nuova-Cartagine. º partenza dei
3o5 Tl.TI I.IVII LIBER XXVIII. 3o6

marique ancipiti metuurgeretur; sed etiam,audita quali Magone non solamente respirò, incalzato da
rebellione Ilergetum, spem recuperandae Hispa doppia paura per mare e per terra, ma exiandio,
miae nanctus, nuncios Carthaginem ad senatum udita la ribellione degli Ilergeti, sortagli speranza
mittit, qui, simul seditionem civilem in castris di ricuperare la Spagna, manda messi a Cartagine
Romanis, simul defectionem sociorum in majus al senato, i quali, magnificando oltre il vero la
verbis extollentes, hortarentur, ut auxilia mitte sedizione scoppiata nel campo Romano, e insieme
rent, quibus traditum a patribus imperium Hi la ribellione de'loro alleati, lo esortassero a man
spaniae repeti posset. Mandonius et Indibilis, in dare aiuti, co' quali racquistar si potesse la rice
fines regressi, paullisper, dum, quidnam de se vuta dai padri dominazione delle Spagne. Mando
ditione statueretur, scirent, suspensi quieverunt; nio ed Indibile, rientrati ne'lor confini, stettersi
si civium errori ignosceretur, non diffidentes sibi quieti alcun tempo e sospesi, insino a tanto che
quoque ignosci posse. Postguam vulgata estatro sapessero che si fosse deliberato sul fatto della
citas supplicii, suam quoque moxam pari poena sedizione; non diffidando, se si perdonasse al
aestimatam rati, vocatis rursus ad arma popula trapasso dei cittadini, di ottenere essi pure il lor
ribus, contractisque, quae ante habuerant, auxi perdono. Ma poi che si divolgò la severità del
liis, in Sedetanum agrum, ubi principio defectio castigo, pensando che pari pena destinata fosse
mis stativa habuerant, cum viginti millibus pedi alla lor colpa, richiamati all'arme quei del paese,
tum, duobus millibus equitum et quingentis tran e raccolti insieme gli aiuti, che aveano avuto
scenderunt.
dapprima, passarono nel contado Sedetano, dove
si erano accampati nel principio della ribellio
ne, con venti mila fanti e due mila cinquecento
cavalli.
XXXII. Scipio, quum fide solvendi pariter XXXII. Scipione, riconciliati facilmente gli
omnibus noviis innoxiisque stipendii, tum vultu animi del soldati, sì coll'aver pagato indistinta
ac sermone in omnes placato, facile reconciliatis mente lo stipendio ai colpevoli non meno, che
militum animis, priusquam castra ab Carthagine agl'innocenti, sì col mostrarsi nel volto e nel
moveret, concione advocata, multis verbis in per discorso placato inverso tutti, innanzi di levare il
fidiam rebellantium regulorum invectus, . ne campo da Nuova-Cartagine, chiamatili a parla
quaquam eodem animo se ire professus est ad mento, scagliatosi con assai parole contro la per
vindicandum id scelus, quo civilem errorem nu fidia dei principi ribellatisi, dichiarò, « che non
per sanaverit. Tum se, haud secus quam viscera andava a punire quella scelleraggine col medesimo
secantem sua, cum gemitu et lacrymis triginta ho animo, col quale avea testè medicato il fallo dei
minum capitibus expiasse octo millium seu im cittadini. Allora egli, non altrimenti che se squar
prudentiam, seu noxam : nunc laeto eterecto ani ciato avesse le proprie viscere, avea gemendo e
mo ad caedem Ilergetum ire. Non enim eos, ne lagrimando espiata colle teste di trenta uomini
que natos in eadem terra, neculla secum societate l'imprudenza e la colpa di otto mila: ora portarsi
junctos esse: eam, quae sola fuerit, fidei atque con lieto animo ed alacre a sterminare gl'Ilergeti;
amicitiae ipsos per scelus rupisse. In exercitu suo che non son coloro nati con seco nella stessa terra,
se, praeterquam quod omnes cives, aut socios nè a lui per alcun vincolo congiunti: quel solo,
Latinique nominis videat, etiam ea moveri, quod che ci era, vincolo di amicizia e di fede, l'avean
nemo fere sit miles, qui non aut a patruo suo essi rotto colla perfidia. Nell'esercito suo, oltre
Cn. Scipione, qui primus Romani nominis in che non vede, che cittadini Romani ed alleati
eam provinciam venerit, aut a patre consule, aut Latini, questo eziandio lo conforta, che non v'ha
a se sitex Italia advectus. Scipionum nominis au quasi un soldato, che non sia stato qui tratto
spiciisque omnes assuetos, quos secum in patriam dall'Italia, o da Gneo Scipione, suo zio, che
ad meritum triumphum deducere velit; quos primo de Romani venne in Ispagna, o dal conso
consulatum petenti, velut si omnium communis le suo padre, o da lui stesso. Erano tutti avvezzi
agatur honos, affuturos speret. Quod ad expedi al comando ed agli auspizii degli Scipioni quei
tionem attineat, quae instet, immemorem esse re soldati, ch'egli volea seco ricondurre in patria al
rum suarum gestarum, qui id bellum ducat. Ma meritato trionfo; i quali sperava egli, che il
gonis hercule sibi, qui extra orbem terrarum sosterranno nella dimanda del consolato, come se
in circumfusam Oceano insulam cum paucis per si trattasse del comune onore di tutti. Quanto alla
fugerit navibus, majorem curam esse, quam Iler spedizione, che si va a fare, chi stima questa
getum.Quippe illic et ducem Carthaginiensem, et esser guerra, ha poste in dimenticanza le imprese
quantumcumque Punicum praesidium esse: hic la fatte. Certo gli avea dato più pensiero Magone, il
trones, latronumque duces: quibus ut ad populan quale pur era corso con poche navi a rifuggirsi
Livio - 20
TITI LIVII LIBER XXVIII. 3o8
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dos finitimorum agros,tectaqueurenda, etrapien in un'isola cinta dall'Oceano in capo al mondo,
da pecora aliqua vis sit, in acie ac signis collatis che non codesti Ilergeti; perciocchè c'era colà il
nullam esse: magis velocitate ad fugam, quam ar comandante Cartaginese, e quel qualunque Puni
misfretospugnaturosesse. Itaquenon, quodulum co presidio: qui non ci sono che ladroni, e capi
inde periculum aut semen majorisbelli videat, ideo di ladroni; i quali, se hanno alcuna forza per
se, priusquam provincia decedat, opprimendos saccheggiar le terre de vicini, abbruciar le case
Ilergetes duxisse; sed primum, ne impunita tam e predare il bestiame, così non ne han nessuna
scelerata defectio esset: deinde, ne quis in provin sul campo di battaglia, ed a bandiere spiegate;
cia, simulvirtute tanta etfelicitate perdomita, reli combatteranno più fidando nella velocità de piedi,
ctus hostis dici posset. Proinde deis bene juvan che nella possa dell'armi. Quindi avea pensato di
tibus sequerentur, non tam ad bellum gerendum schiacciare gl'Ilergeti, innanzi di partire dalla
(neque enim cum pari hoste certamen esse), quam Spagna; non ch'ei vegga sovrastar pericolo da
ad expetendas ab hominibus scelestis poenas. ” quella parte o seme alcuno di maggior guerra,
ma primieramente perchè sì infame ribellione
non andasse impunita, poscia perchè non si
avesse a dire, che in quella provincia domata
con tanto valore e insieme tanta felicità, ri
masto fosse alcun nemico. Lo seguitassero adun
que col favore degli dei, non tanto a far la guerra
(che non s'ha da combattere con nemico pari di
forze), quanto a punire un branco di scellerati. »
XXXIII. Ab hac oratione dimissos ad iter se XXXIII. Finito, ch'ebbe di parlare, ordina
comparare in diem posterum iubet, profectusque Scipione che stieno pronti a levare il campo pel
decimis castris pervenit ad Iberum flumen. Inde, dì seguente, e partitosi arrivò in dieci giornate
superato ammi, die quarto in conspectu hostium al fiume Ibero. Indi, valicatolo, si accampò il
posuit castra. Campus ante montibus circa septus quarto giorno in faccia de'nemici. Era dinanzi
erat:in eam vallem Scipio quum pecora, rapta ple una pianura, chiusa all'intorno da monti. In
raque ex hostium agris, propelli ad irritandam codesta vallata ordinato avendo Scipione che si
feritatem barbarorum jussisset, velites subsidio mandassero a pascolare alquanti bestiami, tolti la
misit. A quibus ubi per procursationem commissa maggior parte dalle campagne del nemici, onde
pugna esset, Laelium cum equitatu impetum ex aizzare la ferocia de'barbari, spedì a guardarli
occulto facere jubet. Mons opportune prominens una banda di veliti, dai quali come si fosse cor
equitum insidias texit: nec ulla mora pugnae seggiando appiccata la zuffa, commette a Lelio
facta est. Hispani in conspecta procul pecora, ve che da occulto luogo sbucando si faccia loro ad
lites in Hispanos praeda occupatos incurrere. dosso colla cavalleria. Un monte, che sovrastava
Primo missilibus territavere; deinde, emissis le lì presso molto a proposito, celò l'aguato dei
vibus telis, quae irritare magis, quam decernere, cavalli; nè si tardò punto di venire alle mani. Gli
pugnam poterant, gladios nudant, et collato pede Spagnuoli corrono addosso al bestiame veduto da
res coepta geri est; ancepsque pedestre certamen lontano; i veliti addosso agli Spagnuoli occupati
erat, misi equites supervenissent. Neque ex ad a predare. Dapprima gli spaventarono col getto
verso tantum illati obvios obtrivere, sed circum de' giavellotti; poi, lanciati i dardi più leggeri,
vecti etiam quidam per infima clivi ab tergo se, ut che più valevano ad irritare che a decidere la
plerosque intercluderent, objecerunt; majorque battaglia, snudano le spade, e si comincia a com
caedes fuit, quam quantam edere levia per ex battere corpo a corpo; e dubbia era la pugna
cursiones proelia solent. Ira magis accensa adver pedestre, se non fossero sopraggiunti i cavalli.
so proelio barbaris est, quam imminuti animi: Nè solamente assaltandoli di fronte schiacciarono
itaque, ne perculsi viderentur, prima luce postero quanti si pararon loro dinanzi, ma taluni exian
die in aciem processere. Non capiebat omnes co dio, fatta una girata lunghesso il piede del poggio,
pias angusta, sicutante dictum est, vallis: duae si fecer loro alle spalle, onde torli in mezzo gran
ferme peditum partes, omnis equitatus in aciem parte, e fu la strage maggiore, che non suol essere
descendit: quod reliquum peditum erat, obliquo da leggere zuffe fatte per via di scorrerie. L'ira
constituerunt colle. Scipio, pro se esse loci an vie più si accese in petto ai barbari pel mal esito
gustias ratus, et quod in arcto pugna Romano a della pugna, non che scemassero di coraggio.
ptior, quam Hispano militi, futura videbatur, et Quindi per non mostrarsi sbigottiti, il dì seguen
quod in eum locum detracta hostium acies esset, te sul far del giorno uscirono a battaglia. La valle,
qui non omnem multitudinem eorum caperet, come s'è detto, angusta non conteneva tutte le
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novo etiam consilio adjecit animum: equitem genti; due parti incirca della fanteria e tutta la
nec se posse circumdare cornibus in tam angusto cavalleria discese in campo; quel che restava
spatio, et hosti, quem cum pedite eduxisset, inu de'fanti, lo collocarono su fianchi della collina.
tilem fore. Itaque imperat Laelio, ut per colles Scipione, giudicando che l'angustia del luogo gli
quam occultissimo itinere circumducat equites, fosse vantaggiosa, e perchè gli pareva che il sol
segregetque, quantum possit, equestrem a pede dato Romano sarebbe stato più atto, che lo Spa
stri pugnam. Ipse omnia signa peditum in hostes gnuolo, a combattere allo stretto, e perchè l'eser
vertit: quatuor cohortes in fronte statuit, quia cito nemico era tratto in luogo, che non poteva
latius pandere aciem non poterat. Moram pu tutto riceverlo, volse anche la mente a nuovo
gnandi nullam fecit, utipso certamine averteret partito, considerando che nè egli poteva in sì
ab conspectu transeuntium per colles equitum : angusto spazio avviluppare le ale del nemico
neque ante circumductos sensere, quam tumul colla propria cavalleria, e che quella, che il ne.
tum equestris pugnae ab tergo accepere. Ita duo mico avea tratta fuori insieme coi fanti, non gli
proelia erant: duae peditumacies, duo equitatus sarebbe di nessun uso. Ordina pertanto a Lelio
per longitudinem campi, quia misceri ex genere di far la volta della collina co' suoi cavalli per
utroque proelium angustiae non patiebantur, occultissimo cammino, e di separare quanto più
pugnabant. Hispanorum quum neque pedesequi può la battaglia equestre dalla pedestre. Egli
ti, mec eques pediti auxilio esset, pedes fiducia rivolge tutte le insegne della fanteria contro
equitis temere commissus campo caederetur, e quella de'nemici: mette di fronte quattro coorti,
ques circumventus nec peditem a fronte (jam non potendo allargar maggiormente l'ordinanza
enim stratae pedestres copiae erant), nec ab tergo Nè indugiò punto ad appiccare la zuffa, onde con
equitem sustineret, et ipsi, quung diu in orbem questa stessa distoglierli dall'osservare il passag
sese stantibus equis defendissent, ad unum omnes gio de cavalli dietro la collina. Nè si accorsero
caesi sunt: nec quisquam peditum equitumque della girata fatta da questi, che quando sentirono
superfuit, qui in valle pugnaverunt. Tertia pars, il romore della mischia equestre alle spalle. Così
quae in colle ad spectaculum magistutum, quam eran due le battaglie: combattevano per tutta la
ad partem pugnae capessendam, steterat, et lo lunghezza del terreno due corpi di fanti e due di
cum et tempus ad fugiendum habuit. Inter eos cavalli (chè l'angustia del luogo non permetteva
et reguli ipsi fugerunt, priusquam tota circum che un fatto d'arme si mescolasse con l'altro).
venireturacies, inter tumultum elapsi. Quanto agli Spagnuoli, non potendo nè i loro
fanti dare aiuto ai cavalli, nè i cavalli ai fanti,
essendo tagliata a pezzi la gente a piedi avventu
ratasi nella pianura per la fidanza avuta nella
gente a cavallo, e la cavalleria circondata non più
sostenendo da fronte l'impeto della fanteria
(ch'eran di già atterrate le forze pedestri), nè
alle spalle quello della cavalleria, anch'essi, poi
che si furono lungamente difesi in cerchio, finchè
resistettero i cavalli, son tutti insino ad uno ta
gliati a pezzi: nè un solo avanzò de'fanti e cava
lieri nemici, che avean combattuto nella valle. La
terza parte dell'esercito, ch'era rimasta sul colle
piuttosto a guardare da sito sicuro, che a prender
parte nella pugna, ebbe luogo e tempo a fuggire.
Con loro i capi stessi fuggirono, scampati di mez
zo alla mischia, innanzi che tutto l'esercito fosse
avviluppato.
XXXIV. Castra eodem die Hispanorum, prae XXXIV. In quel giorno medesimo si prende
terreliquam praedam, cum tribus ferme milli il campo degli Spagnuoli, oltre tutta l'altra pre
bus hominum capiuntur. Romani sociique ad da, con quasi tre mila uomini. De Romani e de
mille ducenti eo proelio ceciderunt: vulnerata gli alleati ne perirono in quella battaglia da mille
amplius tria millia hominum. Minus cruenta vi e dugento: i feriti furon più di tre mila. La
ctoria fuisset, si patentiore campo, et ad fugam vittoria sarebbe stata men sanguinosa, se si fosse
capessendam facili foret pugnatum. Indibilis, ab combattuto in più aperta pianura, e più facile a
jectis belli consiliis, nihil tutius in afflictis rebus dar luogo alla fuga. Indibile, abbandonato ogni
exPerta fide et clementia Scipionis ratus, Mando. pensiero di guerra, nella disperazion delle cose
31 1 TITI LIVII LIBER XXVIII. 3 12

mium fratrem ad eum milit; qui advolutus null'altro partito stimando più sicuro, che rifug
genibus, « fatalem rabiem temporis ejus accusat, girsi alla provata fede e clemenza di Scipione,
quum velut contagione quadam pestifera, non gl'invia suo fratello Mandonio, il quale, gettatosi
Ilergetes modo et Lacetani, sed castra quoque a suoi piedi, incolpa « la fatale rabbia di quei
Romana insanierint. Suam quidem et fratris et tempi, ne' quali, quasi per pestifera contagio
reliquorum popularium eam conditionem esse, ne, non solamente gl'Ilergeti e i Lacetani, ma
ut aut, si ita videatur, reddant spiritum P. Sci gli stessi Romani accampamenti eran caduti in
pioni, ab eodem illo acceptum, aut servati bis frenesia. Ben era tale la sua e la condizione
uni debitam vitam pro eo in perpetuum devo di suo fratello e de' suoi concittadini, che o ven
veant. Antea in causa sua fiduciam sibi fuisse, deranno a Scipione, se così gli piace, quella vita,
nondum experta clementia eius: nunc contra, ch'ebbero altra volta in dono da lui, o salvati
nullam in causa, omnem in misericordia victoris due volte, quella stessa, a lui dovuta, gliela con
spem positam habere. » Mos vetustus erat Roma secreranno in perpetuo. In addietro avean riposta
mis, cum quo nec foedere, nec aequis legibus jun la speranza nella lor causa, che non aveano anco
geretur amicitia, non prius imperio ineum tam ra fatta prova della di lui clemenza: ora al con
quam pacatum uti, quam omnia divina humana trario non ne avean posta nessuna nella lor causa,
que dedisset, obsides accepti, arma adempta, prae ma sì tutta nella misericordia del vincitore. »
sidia urbibus imposita forent Scipio multis inve Era vecchia usanza de Romani di non dettar
ctus in praesentem Mandonium absentemgue In leggi di pace a chi che fosse, col quale non fos
dibilem verbis, « illos quidem merito perisse sero stati legati per alleanza o trattati, se prima
ipsorum maleficio, ait: victuros suo atque populi non avesse consegnato quant'era in suo potere,
Romani beneficio. Ceterum se neque arma iis se prima non si fossero avuti ostaggi, levate l'ar
adempturum (quippe ea pignora timentium re mi, messi presidii nelle città. Scipione, rimproc
bellionem esse, se libera arma relinquere, solu ciati con assai parole Mandonio presente, ed In
tosque metu animos), neque se in obsides inno dibile assente, a ben, disse, meritamente la lor
xios, sed in ipsos, si defecerint, saeviturum; nec colpa gli avrebbe tratti a perire: vivrebbero
ab inermi, sed ab armato hoste poenas expetitu però per suo, e per benefizio del popolo Romano.
rum. Utramque fortunam expertis permittere Del resto, non torrebbe loro l'armi (chè questi
sese, utrum propitios, an iratos, habere Romanos son pegni, che si danno a chi teme di ribellione,
mallent. : Ita dimissus Mandonius; pecunia tam ed egli lascia che le adoprimo liberamente, ed
tummodo imperata, ex qua stipendium militi ha l'animo sgombro d'ogni timore), nè, se man
praestari posset. Ipse, Marcio in ulteriorem Hi cassero di fede, vorrebbe incrudelire contro o
spaniam praemisso, Silano l'arraconem remisso, staggi innocenti, ma contro loro medesimi; nè
paucos moratus dies, dum imperatam pecuniam punirebbe il disarmato, ma sì l'armato nemico.
Ilergetes pernumerarent, cum expeditis Marcium Avendo essi provata e l'una e l'altra fortuna, li
jam appropinquantem Oceano assequitur. lasciava liberi di scegliere, se volessero avere i
Romani più tosto propizii, che sdegnati. ” Così
ſu licenziato Mandonio; solamente fu imposta
una certa somma, con cui poter dar le paghe al
soldato. Egli, mandato innanzi Marcio nella Spa
gna ulteriore, rispedito Silano a Tarracona, fer
matosi pochi dì sino a tanto, che gl'Ilergeti la
comandata somma contassero, colla gente più
lesta raggiunge Marcio, che già si avvicinava al
l'Oceano.
XXXV. Inchoata res jam ante de Masinissa XXXV. Il trattato, già incominciato con Ma
aliis atque aliis de causis dilata erat, quod Numi sinissa, era stato per diverse ragioni differito,
da cum ipso utique congredi Scipione volebat, perchè il Numida voleva abboccarsi in persona
atque ejus dextra fidem sancire: ea tum itineris collo stesso Scipione, ed aver in pegno la di lui
tam longi ac tam devii causa Scipioni fuit. Masi destra: questo fu il motivo, che fe' fare a Scipio
nissa quum Gadibus esset, certior adventare eum ne un sì lungo e disviato cammino. Masinissa,
a Marcio factus, causando corrumpi equos inclu trovandosi a Cadice, accertato da Marcio che già
sos in insula, penuriamoue omnium rerum et fa Scipione si avvicinava, sotto pretesto che i cavalli
cere ceteris, et ipsos sentire ad hoc equitem mar stando rinchiusi nell'isola si guastavano, e che
cescere desidia, Magonem perpulit, ut se trajicere cagionavano agli altri, e provavano essi stessi
in continentem ad del'opulandos proximos IIis penuria di tutto, e che oltre ciò gli uomini mar
313 TITI LIVII LIBER XXVIII. 314
paniae agros pateretur. Transgressus tres princi civano nell'ozio, persuase a Magone che lo la
pes Numidarum praemittit, ad tempus locumque sciasse passare in terra ferma a saccheggiare le
colloquio statuendum. Duos pro obsidibus reti terre prossime alla Spagna. Come vi fu passato,
neri a Scipione jubet: remisso tertio, qui, quo manda innanzi tre de principali Numidi a stabi
jussus erat, adduceret Masinissam, cum paucis in lire il tempo e il luogo dell'abboccamento, ed
colloquium venerunt. Ceperat jam ante Numi ordina che due si rimangano ostaggi presso Sci
dam ex fama rerum gestarum admiratio viri; sub pione. Rimandato il terzo, il quale conducesse
stitueratoſue animo speciem quoque corporis am Masinissa dove gli era imposto, vennero ad ab
plam ac magnificam. Ceterum major praesentis boccarsi con altri pochi. Avea già innanzi il Nu
veneratio cepit; et, praeterquam quod suaptema mida, dalla fama delle imprese fatte concepita
tura multa majestas inerat, adornabat promissa grande ammirazione di Scipione, e si era pure
caesaries, habitusque corporis non cultus mundi formata in mente un'idea grandiosa e magnifica
tiis, sed virilis vere ac militaris, et aetas in medio di sua persona; se non che la presenza gli destò
virium robore; quod plenius nitidiusque ex mor ancor maggiore venerazione; ed oltre che c'era
bo velut renovatus flos juventae faciebat. Prope naturalmente in Scipione molta maestà, lo ador
attonitus ipso congressu Numida, a gratias de fra nava la lunga capigliatura e l'abito del corpo
tris filio remisso agit. Ex eo tempore, affirmat, non attillato squisitamente, ma veramente virile
eam se quaesisse occasionem, quam tandem obla e militare, e l'età nel colmo della forza; donde
tam deim immortalium beneficio non omiserit. brillava più pieno e più nitido, quasi rinnovato
Cupere se illi populoque Romano operam nava dalla sofferta malattia, il fiore di sua giovanezza.
re, ita ut nemo unus externus magis enise adju Il Numida, quasi sul primo affacciarsegli, sbalor
verit rem Romanam. Id se, etiam si ſampridem dito « lo ringrazia dell'avergli Scipione riman
vellet, minus praestare in Hispania, aliena atque dato il figlio del fratello. Dice, che da quel gior
ignota terra, potuisse: in qua autem genitus edu no egli avea cercata l'occasione, che offertagli
catusque in spem paterni regni esset, facile prae finalmente per benefizio degli dei immortali,
staturum. Siquidem eumdem Scipionem ducem in non ha voluto lasciare. Bramar egli tale opera
Africam mittant Romani, satis sperare perbrevis prestare a lui ed al popolo Romano, che nessun
aevi Carthaginem esse. » Laetus eum Scipio vidit altro straniero siasi adoperato mai più intensa
audivitgue, quum caput rerum in omni hostium mente a pro di Roma. Non aver potuto ciò fare,
equitatu Masinissam fuisse sciret, et ipse juvenis benchè da assai tempo il bramasse, nella Spagna,
specimen animi praese ferret. Fide data accepta terra strana ed ignota; ora in quella, nella quale
que, profectus retro Tarraconem est. Masinissa era nato e cresciuto alla speranza del paterno re
permissu Romanorum, ne sine causa trajecisse in gno, facilmente il potrebbe. Mandino i Romani
continentem videretur, populatus proximosagros capitano in Africa Scipione; ben avea speranza
Gades rediit. che saria brevissima la durata di Cartagine. » Di
lieto cuore Scipione il vide ed udillo, sapendo
che nella cavalleria nemica il nerbo era stato
Masinissa, e mostrando il giovane in viso quel
ch'ei valeva. Data e ricevuta la fede, Scipione
ritornò a Tarracona. Masinissa, con la permissio
ne de' Romani, per non parere d'esser passato
in terra ferma senza motivo, saccheggiate le vici
ne terre, si rimise a Cadice.
XXXVI. Magoni, desperatis in Hispania re XXXVI. Mentre Magone, perduta ogni spe
bus, in quarum spem seditio primum militaris, ranza delle cose di Spagna, speranza che gli avea
deinde defectio Indibilis animos ejus sustulerant, riaccesa in petto primieramente la sedizione dei
parantitrajicere in Africam, nunciatum ab Car soldati Romani, poi la ribellione d'Indibile, si
thagine est, jubere senatum, ut classem, quam apparecchiava di passare in Africa, gli fu recato
Gadibus haberet, in Italiam trajiceret; conducta da Cartagine, che il senato gli commetteva di
ibi Gallorum ac Ligurum quanta maxima posset trasportare in Italia la flotta, ch'egli aveva in
juventute, conjungeret se Hannibali; neu sene Cadice; che quivi, assoldata quanta più potesse
scere bellum, maximo impetu, majore fortuna gioventù de' Galli e de'Liguri, si unisse ad An
coeptum, sineret. Ad eam rem et a Carthagine nibale; nè lasciasse invecchiare una guerra con
pecunia Magoni advecta est; et ipse, quantam grande impeto e con maggior fortuna incomin
potuit, a Gaditanis exegit, non aerario modo eo ciata. A tal uopo gli si mandaron somme di da
rum, sed etiam templisspoliatis, et privatim omni naro da Cartagine, ed egli stesso ne trasse quante
315 TITI LIVlI LIBER XXVIII. 3 1G

bus coactis aurum argentumque in publicum con più potè dai Gaditani, spogliato non solamente
ferre. Quum praeterveheretur Hispaniae oram, il pubblico erario, ma i tempii eziandio, ed ob
haud procul Carthagine Nova espositis in ter bligati i privati a recare in comune il loro oro ed
ram militibus, proximos depopulatus agros, inde argento. Navigando lungo le coste della Spagna,
ad urbem classem appulit. Ibi quum interdiu sbarcati i soldati non lungi da Nuova-Cartagine,
milites in navibus tenuisset, nocte in litus expo saccheggiate le vicine terre, accostò la flotta alla
sitos ad partem eam muri, qua capta Carthago città. Avendo il giorno tenuti i soldati nelle navi,
ab Romanis fuerat, ducit; nec praesidio satis va la notte, messili in terra, li condusse a quella
lido urbem teneri ratus, et aliquos oppidanorum parte del muro, per la quale i Romani avean
ad spem novandi res aliquid moturos. Ceterum presa Nuova - Cartagine, stimando che la città
nuncii ex agristrepidi simul populationem agre non fosse difesa da presidio forte abbastanza, e
stiumque fugam et hostium adventum attulerant; che alcuni de terrazzani, per isperanza di novità,
et visa interdiu classis erat, nec sine causa electam fatto avrebbero qualche movimento. Del resto,
ante urbem stationem apparebat; itaque instructi gente accorsa dal contado spaventata avea recata
armatique intra portam, ad stagnum ac mare ver la notizia e dei saccheggiamenti e della fuga dei
sam, continebantur. Ubi effusi hostes, mixta inter contadini, e della venuta dei nemici; e la flotta
milites mavalis turba, ad muros tumultu majore, era stata il giorno veduta, nè pareva scelto senza
quam vi, subierunt, patefacta repente porta, Ro ragione l'ancorarsi dinanzi alla città; quindi si
mani cum clamore erumpunt, turbatosque ho stavano in arme e schierati dentro la porta, che
stes, et ad primum incursum conjectumque telo guarda lo stagno ed il mare. Appena i nemici
rum aversos, usque ad litus cum multa caede per disordinati, e con essi miste le ciurme si acco
sequuntur: nec, nisi naves litori appulsae trepi starono alle mura, i Romani, con più tumulto
dos accepissent, superfuisset pugnae aut fugae che forza spalancata subitamente la porta, ne
quisquam. In ipsis quoque trepidatum navibus balzan fuori con gran romore, ed avendoli al
est, dum, ne hostes cum suis simul irrumperent, primo scontro, al primo getto de'dardi scompi
trahunt scalas, orasque et anchoras, ne in molien gliati, gl'inseguono con molta strage insino al
do mora esset, praecidunt; multique adnantes lido; e se spaventati com' erano non gli avessero
navibus, incerto prae tenebris, quid aut peterent ricettati le navi accostate alla riva, nessuno sa
aut vitarent, foede interierunt. Postero die quum rebbe sopravanzato dalla fuga. S'ebbe nelle navi
classis inde retro ad Oceanum, unde venerat, fu stesse gran paura, nel mentre che tiran suso le
gisset, ad octingenti homines caesi inter murum scale, acciocchè i nemici non vi balzasser dentro
litusque, et ad duo millia armorum inventa. insieme co' suoi, e taglian l'ancora e le gomene,
onde non indugiare a scortarsi. E molti nuo
tando inverso le navi, non sapendo nel buio do
ve drizzarsi, nè che schivare, miseramente peri
rono. Il dì seguente la flotta, rimessasi fuggendo
nell'Oceano dond'era partita, si son trovati tra
il muro e la riva da ottocento uomini uccisi, e
da due mila armature.

XXXVII. Mago, quum Gades repetisset, ex XXXVII. Magone, tornato a Cadice, nè rice
clusus inde, ad Cimbim (haud procul a Gadibus vuto dentro, approdato con la flotta a Cimbi
islocus abest) classe appulsa, mittendis legatis, (luogo non lontano da Cadice) per indi mandar
querendoque, quod portae sibi socio atque amico legati a lagnarsi che gli si fossero a lui, amico
clausae forent, purgantibus iis, multitudinis con ed alleato, chiuse in faccia le porte, scusandosi
cursu factum, infestae ob direpta quaedam abs quelli, che s'era ciò fatto per ammutinamento
conscendentibus naves militibus, ad colloquium del popolo, irritato da alcuni ladronecci com
suffetes eorum, qui summus Poenis est magistra messi dai soldati nell'imbarcarsi, trasse a parlar
tus, cum quaestore elicuit, laceratosque verberi seco insieme col questore i lor suffeti (sono pres
bus cruci affigi jussit: inde navibus ad Pityusam so i Cartaginesi il primo magistrato), e stracciatili
insulam, centum millia ferme a continenti (Poeni con le verghe li fece crocifiggere. Indi passò con
tum eam incolebant) trajecit. Itaque classis bona le navi nell'isola Pitiusa, abitata a quel tempo
cum pace accepta est, nec commeatus modo beni dai Cartaginesi, lontana cento miglia dalla terra
gne praebiti, sed in supplementum classis juven ferma. La flotta fu accolta con buon viso; nè
tus armaque data: quorum fiducia Poenus in Ba solamente fu provveduta benignamente di vetto
liares insulas (quinquaginta inde millia absunt) vaglie, ma eviandio di gioventù e d'armi a sup
transmisit. Duae sunt Baliares insulae, major al plemento. Fidato in queste forze passò Magone
317 TITI LIVII LIBER XXVIII. 318

tera atque opulentiorarmis virisque; et portum all'isole Baleari, che ne son lontane cinquanta
habet, ubi commode hibernaturum se (etjam ex miglia. Son due le Baleari; una più grande e
tremum autumni erat) credebat. Ceterum, haud più ricca d'uomini e d'armi, ed ha un porto,
secus quam si Romani eam insulam incolerent, dove sperava di svernare comodamente (che già
hostiliter classi occursum est. Fundis ut nunc era in fine dell'autunno), se non che, quasi gli
plurimum, ita tunc solo eo telo utebantur; nec abitanti di quell'isola fossero Romani, si fecero
quisquam alterius gentis unus tantum ea arte, ostilmente incontro alla flotta. Facean uso, come
quantum inter alios omnes Baliares excellunt. Ita oggidì quasi sempre, allora delle sole frombe;
que tanta vis lapidum creberrimae grandinismo nè v'ha nessuno d'altra nazione tanto in quel
do in propinquantem jam terrae classem effusa l'arte eccellente, quanto sovra ogni altro i Balea
est, ut, intrare portum non ausi, averterent in ri. Fu quindi lanciata sopra la flotta, che si acco
altum naves. In minorem inde Baliarium insu
stava, tanta quantità di pietre, a guisa di gran
lam trajecerunt, fertilem agro; viris, armis haud dine foltissima, che non osando di entrare in
aeque validam. Itaque egressi navibus supra por porto, voltarono le navi in alto mare. Indi pas
tum loco munito castra locant, ac sine certami sarono alla minore delle Baleari, fertile di terreno,
me urbe agroque potiti, duobus millibus auxilia ma non come l'altra, tanto possente d'uomini e
rium inde conscriptis, missisque Carthaginem, d'armi. Quindi usciti dalle navi, si accampano
ad hibernandum naves subduxerunt. Post Ma
sopra il porto in luogo fortificato, e impadronitisi
gonis ab Oceani ora discessum, Gaditani Romanis senza combattere della città e del contado, levati
deduntur.
due mila ausiliarii, e speditili a Cartagine, tiraron
le navi a terra per isvernare. Dopo la partenza
di Magone dalle coste dell'Oceano, quei di Cadice
si danno ai Romani.
XXXVIII. Haec in Hispania P. Scipionis du XXXVIII. Queste son le cose accadute in
ctu auspicioque gesta. Ipse, L. Lentulo et L. Man Ispagna sotto la condotta e gli auspizii di Publio
lio Acidino provincia tradita, decem navibus Ro Scipione. Egli, consegnata la provincia a Lucio
mam rediit; et, senatu extra urbem dato in aede Lentulo e a Lucio Manlio Acidino, tornossi a
Bellonae, quas res in Hispania gessisset, disseruit; Roma con dieci navi, e datagli udienza nel se
quoties signis collatis dimicasset, quot oppida ex nato raccolto nel tempio di Bellona fuori della
hostibus vi cepisset, quasgentes in ditionem po città, raccontò distesamente le cose da lui fatte
puli Romani redegisset: « adversus quatuor se in Ispagna; quante volte avea combattuto in
imperatores, quatuor victores exercitus in Hispa giornata campale, quante fortezze avea prese
miam isse: neminem Carthaginiensem in iis ter a nemici, quai popoli sottomessi alla domina
ris reliquisse. Ob has res gestas magis tentata zione Romana; a ch'egli era andato in Ispagna
est triumphi spes, quam petita pertinaciter; quia a combattere quattro capitani, quattro eserciti
neminem ad eam diem triumphasse, qui sine ma vittoriosi, e che non avea lasciato in tutti quei
gistratu res gessisset, constabat. Senatu misso, paesi un solo Cartaginese. Per così fatte imprese
urbem est ingressus, argentique prae se in aera segnò più tosto la speranza di ottenere il trionfo,
rium tulit quatuordecim millia pondo trecenta che nol chiese instantemente; perciocchè non si
quadraginta duo, et signati argenti magnum nu sapeva che sino a quel dì fosse stato conceduto
merum. Comitia inde creandis consulibus habuit a nessuno, che guerreggiato avesse senza essere
L. Veturius Philo; centuriaeque omnes ingenti fornito di magistrato, di trionfare. Licenziato
favore P. Scipionem consulem dixerunt: collega il senato, entrò Scipione in città, e si fe portare
additur ei P. Licinius Crassus pontifex maximus. dinanzi, da riporsi nell'erario, quattordici mila
Ceterum comitia majore, quam ulla per id bel trecento e quaranta due libbre d'argento, non
lum, celebrata frequentia, proditum memoriae che grande quantità d'argento coniato. Indi Lu
est. Con venerant udique non suffragandi modo, cio Veturio Filone tenne i comizii per fare i con
sed etiam spectandi causa P. Scipionis; concur soli, e tutte le centurie con grandissimo favore
rebantoſue et domum frequentes, et in Capito nominarono console Publio Scipione: gli si ag
lium ad immolantem eum, quum centum bubus giunse a collega Publio Licinio Crasso, pontefice
votis in Hispania Jovi sacrificaret; spondebant massimo. Del resto si trova fatta memoria, che
que animis, sicut C. Lutatius superius bellum in tutto il corso di quella guerra non altri comizii
Punicum finisset, itaid, quod instaret, P. Cor mai furono con tanta frequenza d'uomini cele
nelium finiturum, atque, ut Hispania omni Poe brati. S'erano raccolti da tutte le parti non sola
mos expulisset, sic Italia pulsurum esse; Africam mente per dare il voto, ma eziandio per mirare
que ei, perinde ac debellatum in Italia foret, in viso Publio Scipione; e correan frequenti
TITI LIVII LIBER XXVIII. 32o
319
provinciam destinabant. Praetoria inde comitia alla di lui casa e sul Campidoglio a vederlo im
babita: creati duo, qui tum aediles plebis erant, molare i cento buoi per voto, che ne avea fatto
Sp. Lncretius et Cn. Octavius, et ex privatisCn. a Giove in Ispagna; e si ripromettevano in cuor
Servilius Caepio et L. Aemilius Papus. (Anno U. loro, che siccome Caio Lutazio avea posto fine
C. 547. – A. C. 2o5.) Quartodecimo anno Pu alla prima guerra Cartaginese, così la presente
nici belli P. Cornelius Scipio et P. Licinius Cras l'avrebbe terminata Publio Cornelio; e che co
sus ut consulatum inierunt, nominatae consuli m'egli scacciato avea dalla Spagna tutti i Carta
bus provinciae sunt, Sicilia Scipioni extra sortem, ginesi, così gli scaccerebbe dall'Italia; e quasi
concedente collega, quia sacrorum cura pontifi non vi fosse quivi più guerra, gli assegnavano
cem maximum in Italia retinebat; Bruttii Cras l'impresa dell'Africa. Indi si tennero i comizii
so. Tum praetoriae provinciae in sortem conje per l'elezione dei pretori, e due ne furono fatti,
ctae: urbana Cn. Servilio obtigit, Ariminum (ita ch'erano allora edili della plebe, Spurio Lugre
Galliam appellabant) Sp. Lucretio, Sicilia L. Ae zio e Gneo Ottavio, e de'privati Gneo Servilio
milio, Cn. Octavio Sardinia. Senatus in Capitolio Cepione e Lucio Emilio Papo. (Anni D. R. 547.
habitus. Ibi, referente P. Scipione, senatuscon – A. C. 2o5.) Nell'anno decimo quarto della
sultum factum est, ut, quos ludos inter seditio guerra Cartaginese, com'ebbero pigliato il con
nem militarem in Hispania vovisset, ex ea pecu solato Publio Cornelio Scipione e Publio Licinio
nia, quam ipse in aerarium detulisset, faceret. Crasso, si assegnaron loro le province; la Sicilia
a Scipione fuor di sorte, così contentandosi il
collega, poichè essendo questi pontefice massimo,
la cura dei sagrifizii il riteneva in Italia; i Bruzii
a Crasso. Indi si misero alla sorte le province
dei pretori; l'urbana toccò a Gneo Servilio,
Arimino (che così chiamavan la Gallia) a Spurio
Lugrezio; a Lucio Emilio la Sicilia, la Sardegna
a Gneo Ottavio. Si tenne il senato in Campido
glio. Quivi a proposta di Publio Scipione fu
decretato che i giuochi, de'quali avea egli fatto
voto in Ispagna al tempo della sedizione militare,
si facessero del denaro, ch'egli avea portato nel
pubblico tesoro.
XXXIX. Tum Saguntinorum legatos in sena XXXIX. Poscia introdusse in senato gli am
tum introduxit. Ex eis maximus natu : “ Etsini basciatori de Saguntini, de'quali il maggiore di
hil ultra malorum est, Patres conscripti, quam età così parlò: « Sebbene, o Padri coscritti, non
quod passi sumus, ut ad ultimum fidem vobis vi sia misura di male, che pareggi quelli, che
praestaremus; tamen ea vestra merita, imperato abbiam sofferto per mantenervi la fede insino
rumque vestrorum erga nos fuerunt, ut nos cla all'ultimo, pur tali sono i vostri, e tali i meriti
dium nostrarum non poeniteat. Bellum propter de'vostri comandanti verso di noi, che non ci
nos suscepistis: susceptum quartumdecimum an duole punto delle nostre calamità. Avete pigliata
mum tam pertinaciter geritis, ut saepe ad ulti la guerra per noi, da quattordici anni si ostinata
mum discrimen et ipsi veneritis, et populum mente la sostenete, che spesse volte e voi stessi
Carthaginiensem adduxeritis. Quum in Italia in estremo pericolo venuti siete, e ci avete tratto
tam atrox bellum et Hannibalem hostem habere il popolo Cartaginese. Mentre avevate in Italia
tis, consules cum exercitu in Hispaniam, velut una guerra così atroce, ed un nemico qual è
ad colligendas reliquias naufragii nostri, misistis. Annibale, spediste un console con un esercito
P. et Cn. Cornelii, ex quo in provinciam vene in Ispagna, quasi a raccogliere le reliquie del
runt, nullo tempore destiterunt, quae nobis se nostro naufragio. Da che vennero a quell'im
cunda, quaeque adversa hostibus nostris essent, presa i due Publio e Gneo Scipioni, non mai
facere. Jam omnium primum oppidum nobis re restaron di fare quello, che fosse utile a noi,
stituerunt: per omnem Hispaniam cives mostros dannoso a nostri nemici. Prima di ogni altra
venumdatos, dimissis, qui conquirerent, ex ser cosa ci restituirono la città nostra; mandata
vitute in libertatem restituerunt. Quum jam pro gente per tutta la Spagna a cercare de'nostri
pe esset, ut optabilem ex miserrima fortunam ha concittadini venduti, da servitù li tornarono a
beremus, P. et Cn. Cornelii imperatores vestri
libertà. Quando eravamo già presso a tornare
luctuosius nobis quoque, quam vobis, perierunt. da tristissima a più discreta fortuna, i vostri co
Tum vero ad hoc retracti ex distantibus locis in mandanti Publio e Gneo Scipioni spenti furono,
32 I TITI LIVlI LIBER XXVIII. 322

sedem antiquam videbamur, utiterum periremus, più lutto a noi recando, che a voi stessi. Allora
et alterum excidium patriae videremus: mec ad sì, che ci parve d'essere stati da lontani luoghi
peniciem nostram Carthaginiensi utique aut duce all'antica stanza richiamati per nuovamente pe
aut exercitu opus esse; ab Turdulis nos veterri rire, e vedere un secondo eccidio della patria
mis hostibus, qui prioris quoque excidii causa nostra; nè già più abbisognavano alla nostra
nobis fuerant, exstingui posse: quum ex inspe rovina un capitano, un esercito Cartaginese;
rato repente misistis nobis P. hunc Scipionem, i Turduli, nostri antichissimi nemici, ch'erano
quem, fortunatissimi omnium Saguntinorum vi stati la cagion prima del nostro esterminio, ba
demur, quia consulem declaratum videmus, ac stavano a spegnerci del tutto. Quand'ecco, che
vidisse nos civibus nostris renunciaturi sumus, fuori d'ogni speranza ci mandaste all'improvviso
spem omnem salutem que nostram : qui, quum questo Publio Scipione, vedendo il quale, ed
plurimae hostium vestrorum cepisset in Hispania avendo a recar la nuova a nostri concittadini
urbes, ubique ex captorum numero excretos Sa di averlo veduto dichiarato console, la speranza
guntinos in patriam remisit: postremo l'urdeta e salvezza nostra ci sembra d'essere più fortu
niam, adeo infestam nobis, utilla gente incolumi nati d'ogni altro Saguntino. Egli, avendo prese
stare Saguntum non posset, ita bello afflixit, ut in Ispagna parecchie città de'vostri nemici, sepa
non modo nobis (absit verbo invidia), ne posteris rati sempre i Saguntini dal numero degli altri
quidem timenda mostris esset. Deletam urbem prigioni, rimandoli alla lor patria; e in fine sì
cernimus eorum, quorum in gratiam Saguntum fattamente afflisse coll'armi la Turdetania tanto
deleverat Hannibal: vectigal ex agro eorum capi a noi nemica, che salva essa star non potrebbe
mus, quod nobis non fructu jucundius est, quan Sagunto, che (sia detto senz'ombra di orgoglio)
ultione. Ob haec, quibus majora neque sperare, non solamente noi, ma non l'avranno a temere
neque optare ab diis immortalibus poteramus, nemmeno i nostri posteri. Vediamo smantellata
gratias actum nos decem legatos Saguntimus se la città di coloro, in grazia de'quali avea sman
natus populusque ad vos misit; simul gratula tellato Annibale Sagunto; tiriamo da lor terreni
tum, quod ita res hos annos in Hispania atque un'imposta, che ci rende caro, non tanto l'utile,
Italia gessistis, ut Hispaniam non Ibero amnete quanto la vendetta. Per tutti questi benefizii,
nus, sed qua terrarum ultimas finit Oceanus do che di maggiori non ne potevamo nè sperare, nè
mitam armis habeatis; Italiae, nisi quatenus val bramar dagli dei immortali, ci ha spediti noi,
lum castrorum cingit, nihil reliqueritis Poeno. dieci ambasciatori, il senato ed il popolo Sagun
Jovi optimo maximo, praesidi Capitolinae arcis, tino a congratularci con seco voi, che abbiate
non grates tantum ob haec agere jussi sumus, sed in questi anni condotte sì fattamente le cose in
donum hoc etiam, si vos permitteretis, coronam Ispagna ed in Italia, che non solamente domata
auream in Capitolium victoriae ergo ferre. Id uti abbiate coll'armi la Spagna sino al fiume Ibero,
permittatis, quaesumus; utique, si vobis ita vi ma sin dove le terre ultime son dall'Oceano
deretur, quae nobis imperatores vestri commoda terminate; e dell'Italia non altro terreno lasciato
tribuerunt, ea rata atque perpetua auctoritate abbiate ad Annibale, che quanto cinge il suo
vestra faciatis. ” Senatus legatis Saguntinis res campo. Per tutto questo ebbimo commissione
pondit, « Et dirutum et restitutum Saguntum di non solamente porger grazie a Giove ottimo
fidei socialis utrimoue servatae documentum massimo, custode della rocca Capitolina, ma
omnibus gentibus fore. Suos imperatores recte eziandio, se il vorrete concedere, offerirgli in
et ordine, et ex voluntate senatus fecisse, quod dono sul Campidoglio questa corona d'oro, mo
Saguntum restituerint, civesque Saguntinos ser numento della vittoria. Vi preghiamo adunque,
vitio exemerint: quaeque alia eis benigne fece che il concediate, ed eziandio, se così vi piace,
rint, ea senatum ita voluisse fieri. Donum per che tutti i benefizii impartitici dai vostri coman
mittere, ut in Capitolio ponerent.» Locus inde danti, voi coll'autorità vostra li facciate rati e
lautiaque legatis praeberi jussa, et muneris ergo perpetui. " Il senato rispose agli ambasciatori
in singulos dari ne minus dena millia aeris. Lega Saguntini, « che Sagunto diroccato e ristabilito
tiones deinde ceterae in senatum introductae, sarà documento a tutti i popoli della fede sociale
auditaeque, et petentibus Saguntinis, ut, quate d'ambe le parti osservata: aver fatto bene, rego
nus tuto possent, Italiam spectatum irent, duces larmente i comandanti Romani e secondo le
dati, literaeque per oppida missae, ut Hispanos intenzioni del senato, rimettendo Sagunto e
comiteracci perent. Tum de republica, de exer liberando dal servaggio i cittadini Saguntini;
citibus scribendis, de provinciis relatum. e quant'altro avean fatto a pro loro, averlo fatto
per volontà del senato: permettersi, che depon
Livio 2
gano il dono nel Campidoglio. » Indi si ordinò,
2 i
TITI LIVII LIBER XXVIII. 324
che si assegnasse agli ambasciatori un ospizio,
e il trattamento del pubblico, e si desse a ciascun
d'essi a titolo di regalo non meno di dieci mila
assi. Poscia introdotte furono in senato ed udite
le altre ambascerie. E avendo chiesto i Saguntini
di poter visitare l'Italia per tutto, dove il potes
sero sicuramente, si son lor date guide, e spedite
lettere per le città, acciocchè accolti fossero beni
gnamente gli Spagnuoli. Finalmente si trattò
in senato della repubblica, delle leve e delle
province.
XL. Quum Africam novam provinciam extra XL. Correndo per la bocca di tutti che si
sortem P. Scipioni destinari homines fama fer destinasse a Publio Scipione, fuor di sorte, l'Afri
rent, et ipse, nulla jam modica gloria contentus, ca per nuova impresa, ed egli stesso, ormai di
non ad gerendum modo bellum, sed ad finiem nessuna mezzana gloria contento, dicendo d'es
dum diceret se consulem declaratum esse, neque sere stato nominato console non solamente per
aliter id fieri posse, quam si ipse in Africam exer far la guerra, ma per terminarla, nè ciò potersi
citum transportaret, et, acturum se id per popu fare altrimenti, che col passare in Africa egli
lum aperte ferret, si senatus adversaretur, id coll'esercito; e dichiarando apertamente che se
consilium haudquaquam primoribus Patrum cum il senato si fosse opposto, ne avrebbe ottenuta
placeret, ceterique per metum aut ambitionem la permissione dal popolo; nè punto piacendo
mussarent, Q. Fabius Maximus rogatus senten questo suo disegno ai principali senatori, e gli
tiam, . Scio, inquit, multis vestrum videri, Pa altri mussitando o per paura o per connivenza,
tres conscripti.rem actam hodierno die agi,et fru Quinto Fabio Massimo, chiesto del suo parere,
stra habiturum orationem, qui, tamquam de in « So, disse, o Padri coscritti, che parrà a molti
tegrare, de Africa provincia sententiam dixerit. di voi trattarsi oggi di cosa, ch'è già fatta, e
Ego autem primum illud ignoro, quemadmodum spender vane parole colui, che quasi di affare
jam certa provincia Africa consulis viri fortis ac non risoluto vi esporrà il suo sentimento rispetto
strenui sit, quam nec senatus censuit in huncan all'Africa. Ma io ignoro prima di tutto, come
num provinciam esse, nec populus jussit. Dein il console, uomo senza dubbio forte e valoroso,
de, si est, consulem peccare arbitror, qui, dere si tenga di certo assegnata l'Africa, cui nè il se
transacta simulando se referre, senatum ludibrio nato giudicò, nè il popolo deliberò che sia im
habet, non senatorem modo, qui, de quo consu presa da farsi in quest'anno. Indi, ponendo che
litur, suo loco dicit sententiam. Atdue ego cer sia, son di avviso che il console pecca; il quale,
tum habeo, dissentientimibiabista festinatione in fingendo di consultare di cosa già risoluta, si fa
Africam trajiciendi, duarum rerum subeundam beffe non solamente del senatore, che consultato
opinionem esse; unius, insitae ingenio meo cun ha da dire alla sua volta il parer suo, ma di tutto
ctationis; quam metum pigritiamoue homines insieme il senato. E vedo io ben chiaramente,
adolescentes sane appellent, dum ne poeniteat, che dissentendo da questa fretta di passare in
adhuc aliorum speciosiora primo adspectu consi Africa, vado ad espormi a due rimproveri, uno
lia semper visa, mea usu meliora: alterius, ob della mia innata lentezza, che chiamino pure
trectationis atque invidiae adversus crescentem codesti giovani tema o pigrizia, purchè non si
in dies gloriam fortissimi consulis. A qua suspi neghi, che finora gli altrui consigli si son sempre
cione si me neque vita acta et mores mei, neque trovati a prima vista speciosi, ma in fatto i miei
dictatura cum quinque consulatibus, tantumque più vantaggiosi; l'altro di mal cuore e d'invidia
gloriae belli domique partae vindicat, ut propius contro la ogni dì più crescente gloria di un con
fastidium eius sim, quam desiderium; aetas sal sole valentissimo. Dal quale sospetto se non mi
tem liberet. Quae enim mihi aemulatio cum eo libera nè la passata mia vita, nè i miei costumi,
esse potest, qui ne filio quidem meo aequalis sit? nè la dittatura sostenuta con cinque consolati, e
Medictatorem, quum vigerem adhuc viribus, et tanta rinomanza acquistata in pace ed in guerra,
in cursu maximarum rerum essem, recusantem che son più presso ad averne fastidio, che bra
memo aut in senatu, aut ad populum audivit, quo mosia, dovrebbe almeno liberarmene l'età mia.
minus insectanti me magistro equitum, quod Perciocchè quale aver posso emulazione con co
ſando numquam ante auditum erat, imperium lui, che nemmeno pareggia l'età di mio figliuolo?
mecum aequaretur. Rebus, quam verbis, assequi Quando io era dittatore, quando robusto ancora
malui, ut, qui aliorum judicio milli comparatus di forze, e nel corso di affari importantissimi,
325 TITI LIVII LIBER XXVIII. 326

erat, sua mox confessione me sibi praeferret: nessuno udì mai ch'io ricusassi nè in senato, nè
nedum ego, perfunctus honoribus, certamina dinanzi al popolo, che alla mia pareggiata fosse
mihi atque aemulationes cum adolescente floren l'autorità di un maestro de'cavalieri, che inveiva
tissimo proponam; videlicet ut mihi jam viven contro di me, cosa inaudita per l'innanzi: volli,
do, non solum rebus gerendis fesso, si huicne più tosto che colle parole, conseguire coi fatti
gata fuerit, Africa provincia decernatur. Cum che quegli, il quale m'era stato agguagliato per
ea gloria, quae parta est, vivendum atque mo altrui giudizio, egli stesso poco di poi con la sua
riendum est. Vincere ego probibui Hannibalem, propria confessione mi preponesse a sè medesi
uta vobis, quorum vigent nunc vires, etiam vinci mo: non che ora colmo di onori, io mi proponga
posset. » di gareggiare e lottare con giovane nel più bel
fiore della sua gloria; sì certo, per questo, per
chè sendo io già stanco di vivere, non che di fare
altre imprese, se si tolga l'Africa a lui, a me la
si dia. Ho da vivere e morire con quella gloria,
che mi sono acquistata. Ho impedito ad Annibale
che vincesse, acciocchè il vinceste voi pure, che
siete ora nel colmo delle forze. -
XLI. « Illud te mihi ignoscere, P. Corneli, XLI. « Questo ben sarà giusto, che tu, o
aequum erit, si, quum in me ipso numquam plu Publio Cornelio, mi perdoni, se non avendo io
ris famam hominum, quam rempublicam, fecerim, mai riguardo a me stesso tenuto in maggior
ne tuam quidem gloriam bono publico praepo conto la gloria mia, che la repubblica, non ante
nam: quamquam, si aut bellum nullum in ltalia, pongo nemmen la tua al pubblico bene. Quan
autis hostis esset, ex quo victo nihil gloriae quae tunque, se non ci fosse guerra in Italia, o tal
reretur, qui te in Italia retineret, etsi id bono fosse il nemico, che il vincerlo nessuna gloria
publico faceret, simul cum bello materiam glo fruttasse, quegli che ti ritenesse in Italia, anche
riae tuae isse ereptum videri posset. Quum vero se il facesse per ben pubblico, potrebbe forse
Hannibal hostis incolumi exercitu quartumdeci parere di aver voluto insieme colla guerra torti
mum annum Italiam obsideat, poenitebit te, P. materia di gloria. Ma tenendo Annibale, un tal
Corneli, gloriae tuae, si hostem eum, qui tot fu nemico, già da quattordici anni assediata l'Italia
nerum, tot cladium nobis causa fuit, tu consul coll'esercito in buon essere, parratti piccola glo
Italia expuleris, et, sicut penes C. Lutatium prio ria, o Publio Cornelio, se tu nel tuo consolato
ris Punici perpetrati belli titulus fuit, ita penes scaccerai d'Italia quel nemico, che ci è stato
te hujus fuerit? nisi aut Hamilcar Hannibali dux cagione di tante morti, di tante stragi; e se,
est praeferendus, aut illud bellum huic, aut victo com'ebbe Lutazio l'onore di por fine alla prima
ria illa major clariorque, quam haec (modo con Punica guerra, tu quello avrai di finir questa?
tingat, ut te consule vincamus), futura est. Ab Quando però non sia da preferirsi Amilcare ad
Drepanis atque Eryce detraxisse Hamilcarem, Annibale, o quella guerra a questa, o non si stimi
quam Italia expulisse Poenos atque Hannibalem, quella vittoria, se pur ti riesce di vincere durante
malis? Ne tu quidem, etsi magis partam, quam il tuo consolato, più importante e più illustre
speratam, gloriam amplecteris, Hispania potius, di questa. Preferiresti di scacciare Amilcare da
quam Italia, bello liberata gloriatus fueris. Non Drepano, o dal monte Erice, più tosto che i Car
dum is est Hannibal, quem non magis timuisse taginesi ed Annibale dall'Italia? Certo tu stesso,
videatur, quam contempsisse qui aliud bellum benchè apprezzi maggiormente l'acquistata glo
maluerit. Quin igitur ad hoc accingeris, nec per ria, che la sperata, non ti daresti più vanto
istos circuitus, ut, quum in Africam trajeceris, di aver liberata dalla guerra la Spagna, che l'Ita
secuturum te illuc Hannibalem speres potius, lia. Annibale non è ancor tale, che colui, il quale
quam recto hinc itinere, ubi Hannibal est, eo bel cerca altra guerra, non sembri più presto averlo
lum intendis? Egregiamistam palmam belli Pu temuto, che disprezzato. Perchè dunque non
nici patrati petis ? Hoc et natura prius est, tua accingerti a questo ? e invece di sperare con
quum defenderis, aliena ire oppugnatum. Pax codesti suoi circuiti, che quando sarai passato
ante in Italia, quam bellum in Africa sit; et no in Africa, seguiratti Annibale colà, non porti di
bis prius decedat timor, quam ultro aliis infera qua direttamente la guerra, dov'è Annibale?
tur. Si utrumque tuo ductu auspicioque fieri po Miri all'egregia palma di metter fine alla guerra
test, Hannibale hic victo, illic Carthaginem expu Cartaginese? Questo è primo in ordine di natu
gna: si alterutra victoria novis consulibus re ra; quando avrai difese le cose tue, va a conqui
linquenda est, prior quum major clariorque, tum stare le altrui. Si faccia in Italia la pace prima
327 TITI LIVII LIBER XXVIII. 328

causa etiam insequentis fuerit: nam nunc quidem di portare la guerra in Africa, e si allontani da
praeterquam quod et in Italia et in Africa duos noi il timore prima d'incuterlo altrui. Se può
diversos exercitus alere aerarium non potest, farsi l'una e l'altra cosa sotto la condotta ed il
praeterquam quod, unde classes tueamur, unde comando tuo, vinto qui Annibale, doma colà
commeatibus praebendis sufficiamus, nihil reli Cartagine. Se l'una, o l'altra delle vittorie deve
qui est, quid ? periculi tandem quantum adea lasciarsi ai consoli, che verranno, la prima sarà
tur, quem fallit? P. Licinius in Italia, P. Scipio più grande ed illustre, ed eziandio la cagione
bellum in Africa geret. Quid ? si (quod omnes della susseguente. Perciocchè ora qui tra noi,
dii omen aver tant, et dicere etiam reformidat oltre che non può l'erario sostenere due diversi
animus; sed, quae acciderunt, accidere possunt) eserciti in Italia ed in Africa, oltre che nulla ci
et victor Hannibalire ad urbem pergat ; tum de avanza, con che mantenere le flotte, non che
mum te consulem ex Africa, sicut Q. Fulvium a fornirle di vettovaglie, chi non vede a che gran
Capua, arcessemus? Quid ? quod in Africa quo rischio ci mettiamo? Publio Licinio farà la guerra
que Mars communis belli erit ? Domus tibi tua, in Italia, Publio Scipione in Africa. Ma se (il che
pater patruusque, intra triginta dies cum exerci tolgano tutti gli dei, e rifugge l'animo dal dirlo;
tibus caesi, documento sint, ubi per aliquot an pur quello, ch'è accaduto, può nuovamente ac
nos, maximis rebus terra marique gerendis, am cadere) se Annibale vincitore si movesse inverso
plissimum nomen apud exteras gentes populi Ro Roma, allora richiameremo te console dall'Africa,
mani vestraeque familiae fecerant. Dies me defi come già Quinto Fulvio da Capua º E che ? la
ciat, si reges imperatoresque, temere in hostium guerra stessa dell'Africa sarà ella senza rischii ?
terras transgressos cum maximis cladibus suis Ti sia di documento la tua famiglia, tuo padre
exercituumque suorum, numerare velim. Athe e zio in trenta giorni tagliati a pezzi co' loro
nienses, prudentissima civitas, bello domi relicto, eserciti, là dove per alquanti anni, dopo imprese
auctore aeque impigro ac mobili juvene, magna grandissime per terra e per mare, avean fatto
classe in Siciliam transmissa, una navali pugna presso le nazioni esterne chiarissimo il nome del
florentem rempublicam suam in perpetuum aſ popolo Romano e della vostra famiglia. Mi man
flixerunt. » cherebbe il giorno, se noverar volessi i re e i
comandanti, che sconsigliatamente son passati
nelle terre de'nemici con grandissima lor rovina,
e degli eserciti loro. Gli Ateniesi, avvedutissima
città, lasciata la guerra che aveano in casa, pas
sati con gran flotta nella Sicilia, seguendo un
giovane non meno illustre per nascita, che per
valore, in una sola battaglia rovinarono in per
petuo la repubblica loro fiorentissima. »
XLII. « Externa et nimis antiquarepeto. Afri XLII. . Ricordo cose esterne e antiche
ca eadem ista et M. Atilius, insigne utriusque for troppo. Ci servano di documento e quest'Africa
tunae exemplum, nobis documento sint. Nae tibi, medesima, e Marco Atilio, memorando esempio
P. Corneli, quum ex alto Africam conspexeris, dell'una e dell'altra fortuna. Certo quando, o
ludus et jocus fuisse Hispaniae tuae videbuntur. Publio Cornelio, scorgerai l'Africa dall'alto ma
Quid enim simile? pacato mari praeter oram re, ti parrà che codesta tua Spagna sia stata un
Italiae Galliaeque vectus Emporias, in urbem so giuoco, uno scherzo. Perciocchè quale somi
ciorum, classem appulisti: expositos milites, per glianza? trasportato ad Emporia per un mare
tutissima omnia, ad socios et amicos populi Ro senza nemici lungo le coste dell'Italia e della
mani Tarraconem duxisti: ab Tarracone deinde Gallia, approdasti con la flotta ad una città al
iter per praesidia Romana: circa Iberum exerci leata: sbarcati i soldati, li conducesti per luoghi
tus patris patruique tui, post amissos imperatores in ogni parte sicuri a Tarracona, a popoli amici
ferociores et calamitate ipsa: dux tumultuarius e confederati del popolo Romano; indi da Tar
quidem ille L. Marcius, et militari suffragio ad racona camminasti in mezzo a presidii Romani:
tempus lectus, ceterum, si mobilitas ac justi hono trovasti presso l'Ibero gli eserciti di tuo padre
res adornarent, claris imperatoribus qualibet arte e zio, dopo la perdita del loro comandanti viep
belli par : oppugnata per summum otium Car più inferociti dalla stessa calamità: trovasti Lucio
thago, nullo trium Punicorum exercituum socios Marcio, bensì tumultuariamente e dai suffragii
defendente. Cetera, neque ea elevo, nullo tamen de'soldati eletto a tempo, però se lo adornassero
modo Africo bello comparanda; ubi non portus la nobiltà del sangue ed i legittimi onori, pari
ullus classi nostrae apertus, non ager pacatus, per arte di guerra a più illustri capitani: com
329 TITI LIVII LIBER XXVIII. 33o

non civitas socia, non rex amicus, non consistendi battesti a tutt'agio Nuova-Cartagine, senza che
usquam locus, non procedendi. Quacumque cir nessuno dei tre eserciti Cartaginesi difendesse
cumspexeris, hostilia omnia atque infesta. An gli alleati. Del resto, non attenuo queste cose;
Syphaci Numidisque credis? satis sit semel cre non però sono da paragonarsi per nessun modo
ditum: non semper temeritas est felix; et fraus colla guerra d'Africa, dove non c'è porto aperto
fidem in parvis sibi praestruit, ut, quum operae alle nostre flotte, non paese amico, non città
pretium sit, cum mercede magna fallat. Non ho alleata, non re benevolo, non luogo, dove fer
stes patrem patruumque tuum armis prius, quam marsi o andare innanzi. Dovunque girerai lo
Celtiberi socii fraude circumvenerunt; mec tibi sguardo, vedrai avverso tutto, ostile tutto. Forse
ipsi a Magone et Hasdrubale, hostium ducibus, metti credenza in Siface e nei Numidi? ti basti
quantum ab Indibili et Mandonio in fidem ac aver creduto loro una volta: non è sempre la te
ceptis, periculi fuit. Numidis tu credere potes, merità felice; e la frode si concilia fede sulle cose
defectionem militum tuorum expertus? Et Sy piccole, onde, quando ci sia prezzo dell'opera,
phax et Masinissa se, quam Carthaginienses, ma ingannare con gran profitto. Non prima i nemici
lunt potentes in Africa esse; Carthaginienses, coll'armi, che gli alleati Celtiberi cogl'inganni
quam quemquam alium. Nunc illos aemulatio in avvilupparono tuo padre e zio; nè ti venne tanto
tersese et omnes causae certaminum acuunt, quia pericolo da Magone e da Asdrubale, comandanti
procul externus metus est. Ostende Romana ar nemici, quanto da Indibile e da Mandonio, che
ma, exercitum alienigenam ; velut ad commune ti avean data la lor fede. Tu puoi credere ai Nu
restinguendum incendium concurrent. Aliter midi, tu che hai provata la ribellione de tuoi
iidem illi Carthaginienses Hispaniam defende soldati? E Siface e Masinissa voglion essere in
runt ; aliter moenia patriae, templa deim, aras Africa più potenti dei Cartaginesi, e dopo di essi
et focos defendent, quum euntes in proelium più i Cartaginesi, che alcun altro. Ora gli aizza
pavida prosequetur conjux, et parvi liberi occur l'un contro l'altro la gara del potere e tutte
sabunt. Quid porro ? Si satis confisi Carthagi l'altre cagioni di discordia, perchè nulla temono
nienses consensu Africae, fide sociorum regum, al di fuori. Ma mostra l'armi Romane, mostra
moenibus suis, quum tuo exercitusque tui prae un esercito straniero; correran d'accordo quasi
sidio nudatam Italiam viderint, ipsi ultro novum ad estinguere un comune incendio. In altro modo
exerci tum in Italiam aut ex Africa miserint, aut han difeso i Cartaginesi la Spagna; in altro di
Magonem, quem, a Baliaribus classe transmissa, fenderanno le mura della patria, i tempii degli
jam praeter oram Ligurum Alpinorum vectari dei, le are, i focolari quando andando alla bat
constat, Hannibali se conjungere jusserint? Nem taglia seguiteralli la moglie desolata, e si vedran
pe in eodem terrore erimus, in quo nuper fui no innanzi i figliuolini. Inoltre che sarà, se
mus, quum Hasdrubal in Italiam transcendit: i Cartaginesi, fidando nell'unione dell'Africa,
quem tu, qui non solum Carthaginem, sed omnem nella fede dei re alleati, nelle proprie lor mura,
Africam, exercitu tuo es clausurus, e manibus vedendo l'Italia spogliata della tua e della difesa
tuis in Italiam emisisti. Victum a te dices: eo del tuo esercito, manderanno dall'Africa un
quidem minus vellem, et id tua, non reipublicae nuovo esercito in Italia, o commetteranno a Ma
solum, causa, iter datum victo in Italiam esse. gone, il quale si sa, che partito colla flotta dal
Patere, nos omnia, quae prospera tibi ac populi le Baleari costeggia la riviera de'Liguri Alpi
Romani imperio evenere, tuo consilio assignare; giani, che si congiunga con Annibale? Saremo
adversa casibus incertis belli et fortunae delega appunto in quello stesso spavento, in cui fummo
re. Quo melior fortiorgue es, eo magistalem prae poco fa, quando Asdrubale discese in Italia, il
sidem sibi patria atoue universa Italia retinet. quale tu, che vuoi serrar col tuo esercito non
Non potes ne ipse quidem dissimulare, ubi Han solamente Cartagine, ma tutta l'Africa, ti lasciasti
nibal sit, ibi caput atque arcen hujus belli esse; scappar di mano a ridosso dell'Italia. Dirai che
quippe qui praete feras, eam tibi causam traji il vincesti: vorrei però tanto meno e più per
ciendi in Africam esse, ut Hannibalem eo trahas. onor tuo, che per riguardo alla repubblica, che
Sive igitur hic, sive illic, cum Hannibale est tibi il vinto si fosse aperta la strada in Italia. Sii con
futura res. Utrum ergo tandem firmior eris in tento, che attribuiamo al tuo consiglio tutto ciò,
Africa solus, an hic, tuo collegaeque tui exercitu che avvenne di prospero a te, ed all'impero
conjuncto ? ne Claudius quidem et Livius consu del popolo Romano, e che rimandiamo i contrarii
les tam recenti exemplo, quantum id intersit, eventi ai casi incerti della guerra e della sorte.
documento sunt? Quid ? Hannibalem utrum tam Quanto sei più abile e più valoroso, tanto più
dem extremus angulus agri Bruttii, frustra jam volentieri la patria e l'Italia tutta per sè ritiene
diu poscentem ab domo auxilia, an propinqua un tal campione. Tu stesso però non puoi dissi
33 i TITI LIVII LIBER XXVIII. 332

Carthago et tota socia Africa potentiorem armis mulare, che dov'è Annibale, quivi è la somma,
virisque faciet? Quod istud consilium est, ibi il nerbo della guerra; perciocchè adduci per
malle decernere, ubi tuae dimidio minores copiae motivo di passare in Africa, il trarre Annibale
sint, hostium multo majores, quam ubi duobus colà. O qui dunque, o là avrai a che fare con
exercitibus adversus unum, tot proeliis et tam Annibale. Ora, sarai più forte in Africa solo, o
diuturna et gravi militia fessum, pugnandum sit? qui, unito al tuo l'esercito del tuo collega? Non
Quam compar consilium tuum parentis tui consi vale ad ammaestrarti abbastanza di che impor
lio sit, reputa. llle, consul profectus in Hispa tanza sia questo, nemmeno il fresco esempio dei
miam, ut Hannibali ab Alpibus descendenti occur consoli Claudio e Livio? E che ? Farà forse più
reret, in Italiam ex provincia rediit: tu, quum potente Annibale d'uomini e d'armi l'angolo
Hannibal in Italia sit, relinquere Italiam paras; estremo de'Bruzii, dove stassi implorando da
non quia reipublicae id utile, sed quia tibi am tanto tempo soccorsi dalla patria, ovvero la vicina
plum et gloriosum censes esse: sicut quum, pro Cartagine, e tutta l'Africa confederata ? Che
vincia et exercitu relicto, sine lege, sine senatus pensiero è questo, preferir di combattere, dove
consulto, duabus navibus populi Romani impe le tue forze saran minori la metà, e assai maggiori
rator fortunam publicam et majestatem imperii, quelle de'nemici, più tosto che dove si può pu
quae tum in tuo capite periclitabantur, commi gnare con due eserciti contro un solo, stanco
sisti. Ego P. Cornelium, Patres conscripti, reipu già da tanti combattimenti e da sì lunga e fati
blicae nobisque, non sibi ipsi privatim creatum cosa milizia ? Considera quanto il tuo disegno
consulem existimo; exercitusque ad custodiam sia consimile a quello del padre tuo. Egli, andato
urbis atque Italiae scriptos esse, non quos regio console in Ispagna per farsi incontro ad Anni
more per superbiam consules, quoterrarum ve bale, che giù calava dall'Alpi, tornò dalla pro
lint, trajiciant. n vincia a rimettersi in Italia; tu, essendo Annibale
in Italia, ti apparecchi ad abbandonare l'Italia;
non che la stimi cosa utile alla repubblica, ma sì
magnifica e gloriosa al nome tuo; come allora,
che lasciato l'esercito e la provincia, senza che
la legge, o decreto del senato tel permettessero,
tu, investito dal popolo Romano del comando,
affidasti a due navi la pubblica fortuna e la
maestà dell'impero, che a quel tempo tutta ri
posava sul capo tuo. Quanto a me, Padri coscritti,
son di parere che Publio Cornelio sia stato creato
console per la repubblica e per noi, non perso
malmente per lui; e che gli eserciti sieno stati
arrolati per la custodia di Roma e dell'Italia,
non perchè i consoli con superbo arbitrio, a
guisa di re, li trasportino dovunque più lor
piace. »
XLlII. Quum oratione ad tempus parata Fa XLIII. Avendo Fabio con questo discorso,
bius, tum auctoritate et inveterata prudentiae accomodato al tempo, e inoltre con l'autorità e
fama, magnam partem senatus, et seniores maxi inveterata fama di sua prudenza commosso gran
me, movisset, pluresque consilium senis, quam parte del senato, e specialmente i più vecchi,
animum adolescentis ferocem, laudarent; Scipio e il maggior numero lodando il parere dell'uomo
italocutus fertur: « Et ipse Q. Fabius principio attempato più tosto, che il consiglio ardimentoso
orationis, Patres conscripti, commemoravit, in del giovane, dicesi che Scipione così rispondesse:
sententia sua posse obtrectationem suspectam esse. « Lo stesso Quinto Fabio, Padri coscritti, sul
Cujus ego rei non tam ipse ausim tantum virum principio del suo favellare, accennò che il parer
insimulare, quam ea suspicio, vitio orationis, an suo potrebbe essere sospettato di bassa invidia,
rei, haud sane purgata est. Sic enim honores suos di che non tanto ardirò d'incolpare un sì grande
et famam rerum gestarum extulit verbis, ad ex uomo, quanto asserire che o per difetto del di
stinguendum invidiae crimen, tamquam mihi ab scorso, o della cosa in sè, non si è egli del tutto
infimo quoque periculum sit, ne mecum aemule purgato da codesta sospicione. Perciocchè ha
tur; et non ab eo, qui, quia super ceteros excellat, egli sì fattamente elevato con le parole i conse
quo me quoque niti non dissimulo, me sibi ae guiti onori e la fama delle imprese sue, per
quari nolit. Sic senem se perfunctum honoribus, ispegnere la sospicione dell'invidia, come se io
333 TITI LIVII LIBER XXVIII. 334

et me infra aetatem filii etiam sui posuit; tam corressi pericolo, che qualunque più oscuro cit
quam non longius, quam quantum vitae humanae tadino venisse a farsi emulo mio, e non colui,
spatium est, cupiditas gloriae extendatur, maxi il quale, appunto perchè sovrasta a tutti gli altri,
maque pars ejus in memoriam ac posteritatem al che non dissimulo di tendere io stesso con
promineat. Maximo cuique id accidere animo cer ogni sforzo, vietasse ch'io mi provassi di aggua
tum habeo, ut se non cum praesentibus modo, gliarlo. E per questa guisa medesima ha fatto sè
sed cum omnis aevi claris viris, comparent. Equi così vecchio e ricolmo di onori, e posto me an
dem haud dissimulo, me tuas, Q. Fabi, laudes che sotto l'età di suo figliuolo, quasi che la brama
non assequi solum velle, sed (bona venia tua di della gloria non si estenda più oltre, che quanto
xerim), si possim, etiam exsuperare. Illud nec è lungo lo spazio della umana vita, e gran parte
tibi in me, neu mihi in minoribus natu animi sit, di questa non si propaghi nella memoria della
ut nolimus, quemquam nostri similem evadere posterità. Accade, non ne dubito, a qualunque
civem: id enim non eorum modo, quibus invi animo grande, di paragonarsi non solamente coi
derimus, sed reipublicae, et pene omnis generis presenti, ma coi più chiari personaggi di ogni
humani, detrimentum sit. Commemoravit, quan età. E per verità, o Quinto Fabio, non dissimulo
tum essen periculi aditurus, si in Africam trajice voler io non solamente agguagliare, ma, sia detto
rem ; ut meam quoque, non solum reipublicae et con pace tua, se il potessi, avanzare eziandio
exercitus, vicem videretur sollicitus. Unde haec le lodi tue. Bensì tale non sia l'animo tuo verso
repente cura de me exorta? quum pater patruus di me, nè il mio verso i minori di età, da non
que meus interfecti, quum duo exercitus eorum volere che nessun cittadino diventi simile a noi;
prope occidione occisi essent, quum amissae Hi chè ne verrebbe danno a quelli non solamente,
spaniae, quum quatuor exercitus Poenorum, qua a cui portassimo invidia, ma alla repubblica, e
tuorque duces omnia metu armisque tenerent, quasi a tutto il genere umano. Rammentò a quanti
quum quaesitus ad id bellum imperator nemo se pericoli mi esporrei, se passassi in Africa, per
ostenderet, praeter me, nemo profiteri nomen mostrarsi sollecito della sorte della repubblica
ausus esset, quum mihi quatuor et viginti annos e dell'esercito, ed eziandio della mia. Onde gli è
nato detulisset imperium populus Romanus; quid nata così subito questa sua cura di me? Quando
ita tum nemo aetatem meam, vim hostium, diffi ammazzati furono mio padre e mio zio, quando
cultatem belli, patris patruique recentem cladem i loro due eserciti furono presso che tutti ster
commemorabat? Utrum major aliqua nunc in minati, quando s'era perduta la Spagna, e quat
Africa calamitas accepta est, quam tunc in Hispa tro eserciti, quattro capitani Cartaginesi tutto
nia erat ? an majores nunc sunt exercitus in Afri empieano d'armi e di terrore, quando, cercatosi
ca, duces plures melioresque, quam tunc in Hispa un comandante per questa guerra, nessuno si
mia fuerunt? An aetas mea tunc maturior bello fece innanzi, eccetto me, nessuno osava dare
gerendo fuit, quam nunc est ? an cum Carthagi il suo nome, quando il popolo Romano, essendo
niensi hoste in Hispania, quam in Africa, bellum io d'anni ventiquattro, mi affidò il comando,
geri aptius est? Facile est, post fusos fugatosque perchè nessuno allora facea parola dell'età mia,
quatuor exercitus Punicos, post tot urbes vi ca delle forze del nemico, della difficoltà della guer
ptas, aut metu subactas in ditionem, post per ra, della recente morte del padre e dello zio?
domita omnia usque ad Oceanum, tot regulos, tot Si è forse adesso ricevuta in Africa qualche cala
saevas gentes, post receptam totam Hispaniam, mità maggiore, che allora in Ispagna ? o son ora
ita ut vestigium nullum belli reliquum sit, eleva più grossi eserciti in Africa, più e migliori capi
re meas res gestas: tam, hercule, quam, si vi tani, che non erano allora in Ispagna ? o l'età
ctor ex Africa redierim, ea ipsa elevare, quae mia fu allora più matura per guerreggiare, di
numc, retinendi mei causa, ut terribilia eadem quel che sia al presente ? o torna più conto far
videantur, verbis extolluntur. Negat aditum esse la guerra contro i Cartaginesi in Ispagna, che in
in Africam, negatullos patere portus. M. Atilium Africa? Certo adesso, sbaragliati e fugati quattro
captum in Africa commemorat ; tamquam M. eserciti Cartaginesi, prese per forza, o soggettate
Atilius primo accessu ad Africam offenderit: ne col terrore tante città, domato tutto il paese,
que recordatur, illi ipsi tam infelici imperatori tanti re, tante crudeli nazioni sino all'Oceano,
patuisse tamen portus Africae, et res egregias pri conquistata tutta la Spagna sì, che non vi rimane
mo anno gessisse, et, quantum ad Carthaginieu vestigio alcuno di guerra, è cosa facile attenuare
ses duces attinet, invictum ad ultimum perman le cose da me fatte; non altrimenti che il sareb
sisse. Nihil igitur me isto tu exemplo terrueris: bc, in fede mia, se tornassi vincitore dall'Africa,
si hoc bello, non priore, si muper, et non annis quelle stesse cose attenuare, che ora, per rite
ante quadra giuta, ista clades accepta foret, qui nermi, si elevano colle parole, acciocchè sembrino
335 TITI LIVII LIBER XXVIII. 336

ego minus in Africam, Regulo capto, quam, Sci più spaventose. Nega che si possa entrare in
pionibus occisis, in Hispaniam trajicerem ? Nec Africa, che ci sieno porti aperti; rammenta Marco
felicius Xanthippum Lacedaemonium Carthagini, Atilio, fatto prigione in Africa, quasi Marco Atilio
quam me patriae meae sinerem matum esse; cre fosse malcapitato in sul suo primo giungere in
sceretgue mihi ex eo ipso fiducia, quod possit Africa; nè si ricorda che quell'infelice capitano
in hominis unius virtute tantum momenti esse. ebbe aperti tutti i porti dell'Africa, e fe'il primo
At etiam Athenienses audiendi sunt, temere in anno gloriose imprese, e per quanto appartiene
Siciliam, omisso domi bello, transgressi. Cur ergo, ai comandanti Cartaginesi, stettesi invitto insino
quoniam Graecas fabulas enarrare vacat, non all'ultimo. Non farai dunque con questo esempio,
Agathoclem potius, Syracusanum regem, quum ch'io mi spaventi. Se questa calamità si fosse
diu Sicilia Punico bello ureretur, transgressum avuta in questa, non nella guerra precedente, se
in hanc eamdem Africam, avertisse eo bellum, di questi dì, e non già quarant'anni addietro,
unde venerat, refers ? » perchè dovrei meno passare in Africa, a Regolo
preso, che allora in Ispagna, a Scipioni uccisi ?
Nè certo consentirei che lo Spartano Santippo
fosse nato più felicemente per Cartagine, che
non io per la mia patria; e da questo stesso cre
scerebbe la mia fiducia, considerando che tanto
peso apportar può nella bilancia la virtù di un
uomo solo. Ma ci conviene attendere anche gli
Ateniesi sconsideratamente passati in Sicilia, la
sciata accesa la guerra in propria casa. E perchè
più tosto, poi che ti spassi in narrarci le greche
istorie, non ci rammenti Agatocle, re di Siracusa,
il quale, mentre era da lungo tempo travagliata
la Sicilia dall'armi Cartaginesi, passato a questa
Africa medesima, riportò la guerra colà, dond'era
prima venuta ? »
XLIV. « Sed quid, ultro metum inferre hosti, XLIV. « Ma qual bisogno di mostrare con
et ab se remoto periculo alium in discrimen ad vecchi ed esterni esempi quanto importi recare
ducere, quale sit, veteribus externisque exemplis lo spavento in casa del nemico, e, rimosso da sè
admonere opus est ? Majus praesentiusve ullum il pericolo, metter altri in travaglio? Può esservi
exemplum esse, quam Hannibal, potest? Multum altro più grande e più vicino esempio, che Anni
interest, alienos populare fines, an tuos uri, ex bale istesso ? Ci è gran differenza, che tu saccheg
scindi, videas: plus animi est inferenti periculum, gi i paesi altrui, o vegga ardere e disfarsi i tuoi;
quam propulsanti. Ad hoc major ignotarum rerum chi reca pericolo ha più coraggio di chi lo repul
est terror: bona malaque hostium ex propinquo sa. Oltre a ciò, lo spavento delle cose ignote è
ingressus fines adspicias. Non speraverat Hanni maggiore. Entrando nel paese nemico, tu ne rico
bal fore, ut tot in Italia populi ad se deficerent, nosci da vicino il bene e il male. Non avea spe
quot defecerunt post Cannensem cladem. Quanto rato Annibale, che tanti popoli nell'Italia si des
minus quidquam in Africa Carthaginiensibus sero a lui, quanti se gli diedero dopo la rotta di
firmum ac stabile sit, infidis sociis, gravibus ac su Canne: quanto son meno stabili e ferme le cose
perbis dominis! Ad hoc mos, etiam deserti ab so dei Cartaginesi in Africa, alleati, come sono, in
ciis, viribus nostris, milite Romano, stetimus. Car fidi, padroni gravi e suberbi ! Si aggiunga che
thaginiensi nihil civilis roboris est: mercede pa noi, anche abbandonati dagli alleati, si sostenem
ratos milites habent, Afros Numidasque; levissima mo colle nostre forze, conostri proprii soldati.
fidei mutandae ingenia. Hic modo nihil morae Non ha Cartagine forze sue proprie: hanno sol
sit, una et trajecisse me audietis, et ardere bello dati condotti a prezzo, Africani e Numidi, gente
Africam, et molientem hinc Hannibalem, et ob leggerissima e pronta a mutar fede. Purchè qui
sideri Carthaginem. Laetiores et frequentiores ex nulla mi ritardi, udrete ad un tempo e che ho
Africa exspectate nuncios, quam ex Hispania ac varcato il mare, e che arde in Africa la guerra, e
cipiebatis. Has mihi spes subjicit fortuna populi che Annibale di quasi parte, e che d'assedio è
Romani, dii foederis ab hoste violati testes, Si stretta Cartagine. Aspettatevi più lieti e più fre
phax et Masinissa reges: quorum ego fidei ita quenti messi dall'Africa, che non ne aveste dalla
innitar, ut bene tutus a perfidia sim. Multa quae Spagna. Queste speranze mi porge e la fortuna
nunc ex intervallo non apparent, bellum aperiet: del popolo Romano, e gli dei testimonii del patto
337 TITI LIVII LIBER XXVIII. 338

et id est viri ei ducis, non deesse fortunae prae violato dai nemici, e i re Siface e Masinissa, sulla
benti se, et oblata casu flectere ad consilium. Ha cui fede tanto riposerò, da starmi però sicuro dalla
bebo, Q. Fabi, parem, quem das, Hannibalem; sed perfidia. Molte occasioni aprirà la guerra, che ora
illum potius ego trabam, quam illeme retineat. In per la lontananza non appariscono: tocca all'uo
sua terra cogam pugnare eum, et Carthago prae mo, al capitano non mancare alla fortuna, che si
mium victoriae erit, quan semiruta Bruttiorum offre, e piegare a pro suo quello, che il caso pre
castella. Ne quid interim, dum trajicio, dum ex senta. Avrò a fronte, o Quinto Fabio, quell'Anni
pono exercitum in Africa, dum castra ad Cartha bale, che mi assegni; ma non ch'egli mi ritenga,
ginem promoveo, respublica hic detrimenti ca io più tosto trarrollo a me. Costrignerollo a com
piat, quod tu, Q. Fabi, quum victor tota Italia battere nel suo paese, e sarà premio della vittoria
volitaret Hannibal, potuisti praestare, hoc vide più tosto Cartagine, che le castella diroccate dei
ne centumeliosum sit, concusso jam et pene fracto Bruzii. Acciocchè intanto, mentre ch'io valico il
Hannibale, negare, posse P. Licinium consulem mare, mentre sbarco l'esercito in Africa, mentre
virum fortissimum praestare; qui, ne a sacris accosto il campo a Cartagine, non abbia a ricever
pontifex maximus, ideo in sortem tam longinquae danno la repubblica, guarda che quello, che tu
provinciae non venit. Si, hercule, nihilo matu potesti pur fare, o Quinto Fabio, quando Anni
rius hoc, quo ego censeo, modo perficeretur bel bale correa tutta Italia vincitore, guarda che non
lum ; tamen ad dignitatem populi Romani, fa sia grave oltraggio il dire, che far non possa il
mamque apud reges gentesque externas perti medesimo, ora che Annibale è fiaccato, e quasi
nebat, non ad defendendam modo Italiam, sed ad infranto, il console Publio Licinio, uomo valoro
inferenda etiam Africae arma, videri mobis ani sissimo; il quale per non abbandonare, pontefice
mum esse; mec hoc credi vulgarique, quod Han massimo, la cura delle cose sacre, non viene a
nibal ausus sit, neminem ducem Romanorum au correr meco la sorte di sì lontana impresa. Se an
dere; et priore Punico bello, tum quum de Si che, in fede mia, non si terminasse la guerra si
cilia certaretur, toties Africam ab nostris exerci prestamente, com'io penso, nondimeno apparter
tibusque et classibus oppugnatam ; nunc, quum rebbe alla dignità del popolo Romano ed alla
de Italia certetur, Africam pacatam esse. Requie gloria del nome nostro presso i re e le nazioni
scat aliquando vexata tam diu Italia: uratur straniere, che mostrassimo aver coraggio non
evasteturque in vicem Africa. Castra Romana solo di difendere l'Italia, ma di portare eziandio
potius Carthaginis portis immineant, quam nos l'armi in Africa; e che non si dicesse e spacciasse
iterum vallum hostium ex moenibus nostris vi non aver osato nessun comandante Romano quel
deamus. Africa sit reliqui belli sedes: illuc terror lo, che Annibale osò, e che nella prima guerra
fugaque, populatio agrorum, defectio sociorum, Punica, quando si combatteva per la Sicilia, l'A
ceterae belli clades, quae in nos per quatuorde frica sia stata tante volte dai nostri eserciti e dalle
cim amnos ingruerunt, vertantur. Quae ad rem flotte nostre combattuta; ed ora, pugnandosi per
publicam pertinent, et bellum, quod instat, et l'Italia, l'Africa si resti in pace. Riposi ormai l'I
provincias, de quibus agitur, dixisse satis est. llla talia da tanto tempo travagliata, l'Africa alla sua
longa oratio, nec ad vos pertinens sit, si quem volta sia messa a ferro ea fuoco. Gli accampa
admodum Q. Fabius meas res gestas in Hispania menti Romani minaccino le porte di Cartagine,
elevavit, sic et ego contra gloriam eius eludere, più tosto che noi veggiamo un'altra volta dalle
et meam verbis extollere velim. Neutrum faciam, nostre mura il campo Cartaginese. Sia l'Africa il
Patres conscripti, et si ulla alia re, modestia certe teatro della guerra, che rimane: colà si volgano
et temperando linguae adolescens senem vicero. il terrore, la fuga, il devastamento de'campi, la
Ita et vixi, et res gessi, ut tacitus ea opinione, ribellione degli alleati, tutte le altre ruine della

quam vestra sponte conceptam animis haberetis, guerra, che da quattordici anni ci piombarono
facile contentus essem. » sul campo. Si è detto abbastanza quantº alla re
pubblica, alla guerra, che sta per farsi, alle pro
vince, di cui si tratta. Lungo discorso terrei, nè
appartenente a voi, se, come Quinto Fabio atte
nuò le cose da me fatte in Ispagna, così volessi iº
abbassare la di lui gloria, ed innalzare con le Pº
role la mia. Non farò, Padri coscritti, ne l'una
cosa, nè l'altra, e se non altrimenti, vincerò gio
vane il vecchio colla modestia, e la temperanza
della lingua. Ho vissuto in maniera, e tali cose ho
fatto, che posso in silenzio starmi facilmente con
Livio 2 22
33 ) TITI LIVII LIBER XXVIII. 34o
tento dell'opinione, che di me avrete da voi stessi
concepita. ”
XLV. Minus aequis animis auditus est Scipio XLV. Non fu ascoltato Scipione con gran fa
quia vulgatum erat, si apud senatum non obli vore, perchè s'era di volgato, che se non avesse
nuisset, ut provincia Africa sibi decerneretur, ad ottenuto dal senato di andare in Africa coll'eser
populum extemplo laturum. Itaque Q. Fulvius, cito, ne avrebbe subito fatta al popolo la proposta.
qui consul quater et censor fuerat, postulavit Quindi Quinto Fulvio, ch'era stato console quat
a consule, ut palam in senatu diceret, « permit tro volte, e censore, richiese il console che dices
teretne Patribus, ut de provinciis decernerent? se chiaramente in senato, « se lasciava che i Padri
staturusque eo esset, quod censuissent, an ad deliberassero delle province, e se si sarebbe atte
populum laturus? » Quum Scipio respondisset, nuto a quello che avessero deliberato, o se portato
se, quod e republica esset, facturum; tum Ful avrebbe l'affare al popolo. » Avendo Scipione
vius: « Non ego ignarus, quid responsurus fa risposto, che avrebbe fatto quel che fosse utile
cturusve esses, quaesivi, quippe quum prae te alla repubblica, allora Fulvio: « Non ti ho chiesto
feras, tentare magis, quan consulere senatum et ciò, perch'io ignorassi quello che avresti risposto,
mi provinciam tibi, quam volueris, extemplo de o fatto, perciocchè mostri ad evidenza che tenti
cernamns, paratam rogationem habeas. Itaque a piuttosto, che consulti il senato, e che se tosto non
vobis. tribuni plebis, postulo, inquit, ut senten ti decretiamo la provincia, che vuoi, hai in pronto
tiam mihi ideo non dicenti, quod, etsi in meam il ricorso al popolo. Chiedo dunque, disse, a voi,
sententiam discedatur, non sit ratum habiturus o tribuni della plebe, che vogliate accorrere in
consul, auxilio sitis. " Inde altercatio orta, quum mia difesa, se ricuso di dire il mio parere, poichè,
consul negaret, aequum esse tribunos intercedere, se anche tutti gli altri il seguitassero, non terrallo
quo minus suo quisque loco senator rogatus sen il console in nessun conto. Quindi nacque alter
lentiam diceret. Tribuni ita decreverunt. « Si cazione, negando il console che i tribuni abbian
consul senatui de provinciis permittit, stari eo, dritto d'impedire che un senatore chiestone alla
quod senatus censuerit, placet; nec de ea re ferri sua volta, esponga il suo parere. I tribuni deter
ad populum patiemur: si non permittit, qui de minarono: «Se il console consente che il senato
ea re sententiam recusabit dicere, auxilio erimus.» deliberi delle province, si stia a quello ch'egli de
Consul diem ad colloquendum cum collega petiit. libera, nè soffriremo che l'affare sia portato al
Postero die permissum senatui est. Provinciae popolo; se non consente, verremo in difesa di
ita decretae: alteri consuli Sicilia et triginta ro colui, che ricuserà di dire su di ciò il parer suo.»
stratae naves, quas C. Servilius superiore anno Il console, chiese un giorno per conferire col col
habuisset; permissumque, ut in Africam, si id e lega. Il dì seguente fu lasciato al senato il delibe
republica esse censeret, trajiceret: alteri Bruttii rare delle province: furon esse assegnate a questo
et bellum cum Hannibale, cum eo exercitu, quem modo. All'uno de'consoli la Sicilia, e le trenta
I. Veturius, aut Q. Caecilius. Hi et sortirentur navi rostrate, ch'erano state l'anno innanzi di
inter se compararentve, uter in Bruttiis duabus Caio Servilio; e gli si permise di passare in Africa,
legionibus, quas consul reliquisset, rem gereret; se la stimasse cosa utile alla repubblica: all'altro
imperiumque in annum prorogaretur, cui ea pro i Bruzii, e la guerra con Annibale con quell'eser
vincia evenisset: et ceteris praeter consules prae cito, ch'era stato di Lucio Veturio, o di Quinto
toresque, qui exercitibus provinciisque praefuturi Cecilio. Questi due tirassero a sorte, o convenis
erant, prorogata imperia. Q. Caecilio sorte eve sero tra loro qual d'essi farebbe la guerra ne'Bru
mit, ut cum consule in Bruttiis adversus Hanniba zii con le due legioni, che il console avesse lascia
lem bellum gereret. Ludi deinde Scipionis magna te; e a quello, cui toccata fosse quella provincia,
frequentia et favore spectantium celebrati. Lega si prorogasse il comando per un anno; che,
ti, Delphos ad donum ex praeda Hasdrubalis eccetto i consoli ed i pretori, fu pure prorogato
portandum missi, M. Pomponius Matho et Q. a tutti gli altri, a quali toccati fossero eserciti e
Catius, tulerunt coronam auream ducentùm pon province. Toccò per sorte a Quinto Cecilio di far
do, et simulacra spoliorum, ex mille pondo ar la guerra insieme col console contro Annibale
genti facta. Scipio, quum, et delectum haberet, ne'Bruzii. Indi si sono celebrati i giuochi di Sci
neque impetrasset, negue magnopere tetendisset, pione con gran concorso e gran favore degli spet
ut voluntarios ducere sibi milites liceret, tenuit, tatori. Marco Pomponio Matone e Quinto Cazio,
et, quia impensae negaverat reipublicae futuram spediti a portare a Delfo il regalo, tratto dal
classem, ut, quae ab sociis darentur ad novas fa bottino di Asdrubale, vi portarono una corona
bricandas naves, acciperet. Etruriae primum po d'oro del peso di dugento libbre, e le imagini di
puli, prosuis quisque facultatibus consulem ad parecchie spoglie de'nemici, fatte in argento, del
341 TITI LIVII LIBER XXVIII. 342

juturos polliciti. Caerites frumentum sociis nava peso di libbre mille. Scipione, nè avendo ottenu
libus commeatumque omnis generis, Populonien to, nè grandemente instato per fare una nuova
ses ferrum; Tarquinienses lintea in vela; Vola leva, ottenne però di menar seco i volontarii; e
terrani interamenta navium et frumentum ; Ar perchè avea detto che la flotta non avrebbe co
retini triginta millia scutorum, galeas totidem, stato nulla alla repubblica, gli fu permesso di
pila, gaesa, hastas longas, millium quinquaginta prendere tutto quello, che gli dessero gli alleati
summam pari cujusque generis numero expletu per fabbricar nuove navi. Primi i popoli della
ros, secures, rutra, falces, alveolos, molas, quan Toscana promisero di aiutare il console, ciascuno
tum in quadraginta longas naves opus esset, tri giusta le sue facoltà: i Ceriti darebbero frumento
tici centum et vigintimillia modium, et in viati e vettovaglie d'ogni sorte per le ciurme dell'ar
cum decurionibus remigibusque collaturos: Pe mata; i Populoniesi ferro; i Tarquiniesi telami
rusini, Clusini, Rusellani abietem in fabricandas per le vele; i Volaterrani pece per le navi, e fru
naves, et frumenti magnum numerum : abiete ex mento; gli Aretini trenta mila scudi, altrettante
publicis silvis est usus. Umbriae populi, et praeter celate, dardi, giavellotti, aste lunghe, sino alla
hos Nursini et Reatini et Amiternini, Sabinusque somma di cinquanta mila di ciascuna sorte, scuri,
ager omnis milites polliciti. Marsi, Peligni, Mar zappe, falci, vasi e mole, quante ne abbisognasse
rucinique, multi voluntari nomina in classem a fornire quaranta navi lunghe, e cento venti mila
dederunt. Camertes, quum aequo foedere cum moggia di grano, e il soldo di via pe'decurioni, e
Romanis essent, cohortem armatam sexcentorum remiganti; i Perugini, i CIusini, i Rusellani gli
hominum miserunt. Triginta navium carinae, vi abeti per la costruzione delle navi, e quantità
ginti quinqueremes, decem quadriremes quum grande di frumento; se non che Scipione si servì
essent positae, ipse ita institit operi,ut die quadra degli abeti de'pubblici boschi. I popoli dell'Um
gesimo quinto, quam ex silvis detracta materia bria, e inoltre i Nursini, i Reatini, gli Amiternini
erat, naves instructae armataeque in aquam dedu e tutto il contado Sabino promisero soldati. I
ctae sint. Marsi, i Peligni, i Marrucini e molti altri volon
tarii diedero i loro nomi per la flotta. I Camerti
legati in alleanza coi Romani, mandarono una
coorte di seicento armati. Essendosi messe in
costruzione trenta navi, venti quinqueremi, dieci
quadriremi, Scipione incalzò i lavori sì fattamente,
che in quarantacinque giorni, da che il legname
era stato tratto dai boschi, le navi furon poste
all'acqua fornite di tutto ed armate.
XLVI. Profectus in Siciliam est triginta na XLVI. Scipione partì alla volta della Sicilia
vibus longis, voluntariorum septem ferme milli con trenta navi lunghe, messivi sopra da sette
bus in naves impositis. Et P. Licinius in Bruttios mila volontarii. Anche Publio Licinio andò nei
ad duos exercitus consulares venit: ex eis eum Bruzii ai due eserciti consolari, de'quali si prese
sibi sumpsit, quem L. Veturius consulhabuerat. quello, ch'era stato del console Lucio Veturio.
Metello, ut, quibus praefuisset legionibus, iis Permise a Metello che comandasse le legioni,
praeesset (facilius cum assuetis imperiorem ge che aveva innanzi comandate, persuaso che
sturum ratus), permisit. Et praetores diversi in avrebbe fatto meglio con gente avvezza ad ubbi
provincias profecti. Et, quia pecunia ad bellum dirlo. Anche i pretori andarono per vie diverse
deerat, agri Campani regionem, a fossa Graeca alle lor province. E perchè mancava il denaro a
ad mare versam, vendere quaestores jussi; indi far la guerra, fu commesso a questori di vendere
cio quoque permisso, qui ager civis Campani quel tratto del territorio Campano, che dalla fossa
fuisset, utis publicus populi Romani esset: indici Greca è volto al mare; permesso anche il denun
praemium constitutum, quantae pecuniae ager ziare i terreni, che fossero stati di un cittadino
indicatus esset, pars decima. E: Cn.Servilio prae di Capua, ond'esser dovessero di pubblica ragione
tori urbis negotium datum, ut Campani cives, del popolo Romano; promessa in premio al de
ubi cuique ex senatusconsulto liceret habitare, nunziante la decima parte del valore del campo
ibi habitarent, animadverteretoue in eos, qui denunziato. E si die incombenza a Gneo Servilio,
alibi habitarent. Eadem aestate Mago, Hamilcaris pretore di Roma, di far sì, che i cittadini Campa
filius, ex minore Baliarium insula, ubi hiberna ni abitassero ne' luoghi dov'era stato permesso a
rat, juventute lecta in classem imposita, in Italiam ciascuno di abitare, giusta il decreto del senato, e
triginta ferme rostratis navibus et multisonerariis di punire coloro, che abitassero altrove. In quella
duodecim millia peditum, duo ferme equitum state medesima Magone, figliuolo di Amilcare,
343 TITI LIVII LIBER XXVIII. 344

trajecit; Genuamque, nullis praesidiis maritimam dalla minore delle Baleari, dove avea svernato,
oram tutantibus, repentino adventu cepit. Inde imbarcato sulla flotta il fiore della gioventù. tras
ad oram Ligurum Alpinorum, si quos ibi motus portò in Italia sopra circa trenta navi rostrate, e
facere posset, classem appulit. Ingauni (Ligu parecchie altre da carico, dodici mila fanti e quasi
rum ea gens est) bellum ea tempestate gerebant due mila cavalli; e in sul venire improvviso prese
cum Epanteriis montanis. Igitur Poenus, Savone Genova, non vi essendo presidio alcuno, che di
oppido Alpino praeda deposita, et decem longis fendesse la costa. Indi approdò colla flotta alla
navibus in statione ad praesidium relictis, ceteris riviera de'Liguri Alpigiani, se vi potesse per av
Carthaginem missis ad tuendam maritimam oram, ventura destare qualche movimento. Gli Ingauni
quia fama erat Scipionem trajecturum esse, ipse, (nazione Ligure) avean guerra a quel tempo
societate cum Ingaunis, quorum gratiam malebat, cogli Epanterii abitanti della montagna. Quindi
composita, montanos instituit oppugnare. Et cre il Cartaginese, deposta la preda in Savona, castel
scebat exercitus in dies, ad famam nominis ejus lo delle Alpi, e lasciate quivi dieci navi lunghe a
Gallis undigue confluentibus. Ea literis cognita presidio, spedite l'altre a Cartagine a difendere
Sp. Lucretii, ne frustra, Hasdrubale cum exercitu la costa marittima, perchè correva fama che Sci
deleto biennio ante, forent laetati, si par aliud pione meditasse di colà passare, egli, collegatosi
inde bellum, duce tantum mutato, oriretur, cu cogl'Ingauni, la cui grazia preferiva, si accinse a
ram ingentem accenderunt Patribus. itaque et combattere i montanari. E gli cresceva l'esercito
M. Livium proconsulem ex Etruria volonum - ogni giorno, accorrendo da ogni parte i Galli alla
exercitum admovere Ariminum jusserunt, et Cn. fama del suo nome. Queste cose saputesi dalle
Servilio praetori negotium datum, ut, si e repu lettere di Spurio Lugrezio, diedero gran pensiero
blica censeret esse, urbanas legiones, imperio cui ai Padri, che non si fossero rallegrati invano,
videretur dato, ex urbe duci juberet. M. Valerius quando due anni innanzi disfecero intieramente
Laevinus Arretium eas legiones duxit. Eisdem Asdrubale ed il suo esercito, se ora altra pari
diebus naves onerarias Poenorum ad octoginta guerra si accendesse, cangiato solamente il coman
circa Sardiniam ab Cn. Octavio, qui provinciae dante. Quindi ordinarono che il proconsole Mar
praeerat, captas, Coelius frumento misso ad Han co Livio dalla Toscana si accostasse a Rimini col
nibalem commeatuque onustas, Valerius prae l'esercito dei voloni; e fu commesso al pretore
dam Ertuscam Ligurumque montanorum capti Gneo Servilio, che se stimasse esser utile alla
vos Carthaginem perportantes, tradit. In Bruttiis repubblica, facesse uscir di Roma le legioni urba
nihil ferme anno eo memorabile gestum. Pesti ne, dandone il comando a chi gli paresse. Marco
lentia incesserat pari clade in Romanos Poenos Valerio Levino condusse quelle legioni ad Arezzo.
que, nisi quod Punicum exercitum super mor In que giorni medesimi da ottanta grossi legni
bum etiam fames affecit. Propter Junonis Laci Cartaginesi, presi ne' contorni della Sardegna da
miae templum aestatem Hannibal egit; ibique Gneo Ottavio, che governava quella provincia,
aram condidit dedicavitque, cum ingenti rerum Celio scrive che fossero carichi di grano e vetto
ab se gestarum titulo, Punicis Graecisque literis vaglia mandata ad Annibale, Valerio, che portas
insculpto. sero a Cartagine il bottino fatto nell'Etruria, e i
Liguri montani fatti prigioni. Ne' Bruzii non si
fe' quasi cosa in quell'anno degna di ricordanza.
La pestilenza avea colpito con pari strage i Roma
ni ed i Cartaginesi; se non che l'esercito di questi,
oltre che dal morbo, fu anche afflitto dalla fame.
Annibale passò la state presso al tempio di Giu
mone Lacinia, e quivi fabbricò un'ara e dedicolla,
con una lunga iscrizione delle cose fatte da lui,
scolpita in lettere Puniche e Greche.
TITI LIVII PATAVINI

H I S T O R I A R U MI
AB URBE CONDITA LIBRI

stº (983)

EPITOME

L I B R I VI G E SI M IN O N I

Bellam in Hispania finitum, victore Romano, quod La guerra in Ispagna, che Indibile avea suscitata,
Indibilis excitaverat: ipse in acie occisus, Mandonius ebbe fine colla vittoria de' Romani: egli per com
exposcentibus Romanis a suis deditus est. Ea Sicilia battendo. Mandonio, chiesto dai Romani, fu lor con
C. Laelius in Africam a Scipione missus ingentem prae segnato da suoi. Caio Lelio dalla Sicilia spedito da
dam reportavit, et mandata Masinissae Scipioni expo Scipione in Africa ne riportò gran bottino, e gli espose
suit, conquerentis, quod nondum exercitum in Afri le doglianze di Masinissa, perchè non avesse ancora
cam trajecisset. Magoni, qui in Gallia et in Liguribus tradotto in Africa l'esercito. A Magone, ch'era in
erat, ex Africa et militum ampla manus missa, et Gallia e ne Liguri, si mandò dall'Africa grosso nu
pecuniae, quibus auxilia conduceret: praeceptumque, mero di soldati, e danaro, con cui ne assoldasse;
ut se Hannibali jungeret Scipio a Syracusis in Bruttios e gli fu commesso di unirsi con Annibale. Scipione
trajecit, et Locros, pulso Punico praesidio, fugatoque da Siracusa passò ne'Bruzii, e prese Locri, scaccia
Hannibale, recepit. Pax cum Philippo facta est. Idaea tone il presidio Cartaginese, e messo Annibale in
mater deportata est Roman a Pessinunte, oppido fuga. Si fe la pace con Filippo. La madre Idea
Phrygiae, carmine in libris sibyllinis invento, « pelli fu da Pessinunte, castello della Frigia, trasportata
Italia alienigenam hostem posse, si mater Idaea de a Roma, essendosi trovato un verso ne' libri Sibillini,
portata Romam esset: n tradita autem est Romanis che diceva: a potersi scacciare dall'Italia il nemico
per Attalum regem Asiae. Lapis erat, quem matrem straniero, se si fosse trasportata a Roma la madre
deiim incolae dicebant. Excepit P. Scipio Nasica Cm. Idea. » Quegli che la die' in mano ai Romani, fu
filius, eius, qui in Hispania per ierat, vir optimus Attalo, re dell'Asia. Era ella una pietra, e quei
a senatu judicatus, adolescens nondum quaestorius, del paese la dicevano la madre degli dei. La ricevette
quoniam ita responsum jubebat : « ut numen id ab Publio Scipione Nasica, figlio di Gneo, di quello
optimo viro reciperetur consecrareturque. » Locrenses ch'era perito in Ispagna, come quello, che il senato
legatos Romam miserunt, qui de impotentia Q. Ple avea giudicato l'uomo il più virtuoso che ci fosse;
minii legati quererentur, quod pecuniam Proserpinae giovane non arrivato ancora alla questura; e ciò,
abstulerat, et liberos eorum ac coniuges stupraverat. perchè l'oracolo comandava « che la dea fosse rice
Pleminius, in catenis Romam perductus, in carcere vuta e consegrata dal più virtuoso dei cittadini. »
mortuus est. Quum falsus rumor de P. Scipione pro Quei di Locri mandano ambasciatori a Roma a la
consule, qui in Sicilia erat, in urbem perlatus esset, gnarsi delle violenze del legato Quinto Pleminio, che
347 TITI LIVII EPITOME LIBRI VIGESIMI NONI 348
tamquam is luxuriaretur, missis ob hoc legatis a se avea manomesso il tesoro di Proserpina, e stuprati
natu, qui explorarent, an ea vera essent, purgatus i figliuoli e le mogli loro. Pleminio, condotto a Ro
infamia Scipio in Africam trajecit, senatus permissu. ma in catene, morì in prigione. Essendo stata recata
Syphax, accepta in matrimonium filia Hasdrubalis a Roma una falsa diceria intorno al proconsole Publio
Gisgonis, amicitiae, quam cum Scipione ipse junze Scipione, ch'era in Sicilia, quasi vi stesse gozzovi
rat, renunciavit. Masinissa, rea Massyliorum, dum gliando, speditisi legati dal senato a esaminare se
pro Carthaginiensibus in Hispania militat, amisso ciò fosse vero, Scipione, purgatosi dall'accusa, passò
patre Gala, de regno exciderati quo per bellum saepe in Africa con la permissione del senato. Siface, presa
repetito, aligaot proeliis a Srphace rege Numidarum in matrimonio la figliuola di Asdrubale Gisgone,
victus, in totum privatus est; et cum ducentis equi rinunziò all'amicizia, che avea contratta con Scipione.
tibus exsul Scipioni se junait: et cum eo primo statim Masinissa, re dei Massilii, mentre guerreggia in Ispa
bello Hannonem Hamilcaris filium cum ampla manu gna a favore dei Cartaginesi, perduto Gala suo pa
interemit. Scipio, adventu Hasdrubalis et Srphacis, dre, caduto era dal regno. Provatosi più volte a
qui prope cum centum millibus armatorum venerant, ricuperarlo coll'armi, vinto in alquante pugne da
ab obsidione Uticae depulsus, hiberna communivit. Siface, re dei Numidi, n'è intieramente spogliato;
Sempronius consul in agro Crotoniensi prospere ad ed esule venne ad unirsi a Scipione con dugento
versus Hannibalem pugnavit. Lustrum a censoribus cavalli, e standosi con lui, uccise subito nella prima
conditum est: censa sunt civium capita ducenta qua battaglia Annone, figlio di Amilcare, con grosso
tuordecim millia. Inter censores, M. Livium et Clau numero de' suoi. Scipione, alla venuta di Asdrubale
dium Neronem, notabilis discordia fuit: nam et e di Siface, ch'erano giunti con quasi cento mila
Claudius Livio collegae equum ademit, quod a populo armati, costretto a levar l'assedio di Utica, si forti
damnatus actusque in exsilium fuerat; et Livius fica ne'quartieri d'inverno. Il console Sempronio,
Claudio, quod falsum in se testimonium dixisset, et nel territorio di Crotona, combatte prosperamente
quod non bona fide secum in gratiam redisset. Idem contro Annibale. I censori chiudono il lustro: si son

omnes tribus, extra unam, aerarias reliquit, quod noverati dugento quattordici mila cittadini. Tra i
et innocentem se damnassent, et postea consulem censori Marco Livio e Claudio Nerone insorse grave
censoremgue fecissent. discordia: perciocchè e Claudio tolse il cavallo a Li
vio, perchè il popolo lo avea condannato e mandato
in bando, e Livio il tolse a Claudio, perchè avea
deposto il falso a di lui carico, e perchè s'era di mala
fede riconciliato con lui. Lo stesso Livio privò della
cittadinanza tutte le tribù, eccetto una, perchè lo avea
no condannato innocente, e perchè di poi lo avevano
eletto console e censore.
TITI LIVII
L I B E R V I G E S I M U S N O N U S

è ºsº

I. (Anno U. C. 547. – A. C. 2o5.) Sario, post I. (Anni D. R. 547. – A. C. 2o5) Sapione,


quam in Siciliam venit, voluntarios milites ordi come fu arrivato in Sicilia, mise in ordine i vo
navit centuriavitdue: ex iis trecentos juvenes, lontarii, e assegnò loro i centurioni. Ritenne pres
florentes aetate et virium robore, inermes circa so di sè trecento giovani, senz'armi, nel fiore
se habebat, ignorantes, quem ad usum, neque dell'età e nel maggior nerbo delle forze, i quali,
centuriati, medue armati, servarentur. Tum ex non essendo nè armati, nè collocati nelle centu
totius Siciliae juniorum numero principes genere rie, non sapevano a qual uso si riserbassero.
et fortuna trecentos equites, qui secum in Afri Poscia dal numero dei giovani di tutta la Sicilia,
cam trajicerent, legit; diemdue iis, qua equis ar dei principali per nascita e per fortuna, elesse
misque instructi atque ornati adessent, edixit. trecento cavalieri, che seco passassero in Africa,
Gravis ea militia, procul domo, terra marique e assegnò loro il giorno, in cui dovessero rap
multos labores, magna pericula allatura videba presentarsi messi in punto, e forniti d'arme e di
tur; neque ipsos modo, sed parentes cognatos cavalli. Codesto grave genere di milizia, lungi da
que eorum ea cura angebat. Ubidies, quae dicta casa, parea dover arrecare molte fatiche, grandi
erat, advenit, arma equosoue ostenderunt. Tum pericoli per mare e per terra; e tal pensiero non
Scipio, a renunciari sibi, dixit, quosdam equites essi solamente, ma travagliava i loro genitori e
Siculorum, tamquam gravem et duram, horrere congiunti. Come fu venuto il giorno assegnato,
eam militiam. Si qui ita animati essent, malle eos comparvero coll' armi e con i cavalli. Allora
sibi jam tum fateri, quam postmodo querentes, Scipione, « gli era, disse rapportato, che alcuni
segnes atque inutiles milites reipublicae esse. cavalieri Siciliani rifuggivano da quella milizia,
Expromerent quid sentirent: cum bona venia come troppo dura e pesante. Se alcuni fossero di
se auditurum. m Ubi ex his unus ausus est dicere, quell'animo, amava egli che glielo confessassero
« se prorsus, si sibi, utrum velit, liberum esset, più tosto, che lagnandosi di poi, fossero soldati
molle militare; º tum Scipio ei, « Quoniam igitur, da poco e disutili alla repubblica. Esponessero
adolescens, quid sentires non dissimulasti, vica francamente il lor sentimento; gli avrebbe ascol
rium tibi expediam, cui tu arma equumque et tati, senza gravarsene. " Come uno di questi
cetera instrumenta militiae tradas, et tecum hinc ebbe ardimento di dire, a ch'egli, se gli si lasci
extemplo domum ducas, exerceas, docendum cures libero il volere o non volere, non voleva del tutto
equo armisque. Laeto conditionem accipienti militare; º allora Scipione a lui; « poi che non
unum ex trecentis, quos inermes habebat, tradit. hai dissimulato, o giovane, il tuo sentimento, ti
Ubi hoc modo exauctoratum equitem cum gratia darò un cambio, al quale tu consegni l'armi, il
imperatoris ceteri viderunt, se quisque excusare, cavallo e gli altri stromenti della milizia, e tosto
et vicarium accipere. Ita trecentis Siculis Romani ne lo meni teco a casa, lo eserciti, e gli apprenda
equites substituti, sime publica impensa. Docen a maneggiare le armi ed il cavallo. » Accettando
dorum atque exercendorum curam Siculi habue colui di buon grado la condizione, gli consegna
runt: quia edictum imperatoris crat, ipsum mi uno di quel trecento disarmati, che aveva. Ve
351 TITI LIVII LIBER XXIX. 352

litaturum, qui ita non fecisset. Egregiam hanc dendo gli altri messo in libertà il cavaliere in
alam equitum evasisse ferunt, multisque proeliis questo modo, con la buona grazia del comandan
rempublicam adjuvisse. Legiones inde quum in te ognuno si fece a scusarsi, e a chiedere il cam
spiceret, plurimorum stipendiorum ex iis milites bio. In questa maniera sostituiti furono ai trecen
delegit; maxime qui sub duce Marcello militave to Siciliani altrettanti cavalieri Romani senza
rant: quos quum optima disciplina institutos cre pubblica spesa. Ebbero i Siciliani la cura di am
debat, tum etiam ab longa Syracusarum obsidio maestrarli e di esercitarli, avendo il comandante
ne peritissimos esse urbium oppugnandarum : pubblicato che chi ciò non facesse, militerebbe
nihil enim parvum, sed Carthaginis jam excidia in persona. Dicono che questa banda di cava
agitabat animo. Inde exercitum per oppida dis lieri si diportò egregiamente, e che in molti com
pertit: frumentum Siculorum civitatibus impe battimenti fu utile alla repubblica. Indi rivedendo
rat; ex Italia advectoparcit: veteres naves reficit, le legioni, scelse di queste i soldati, ch'erano più
et cum iis C. Laelium in Africam praedatum mit anziani, specialmente quelli che avevano militato
tit; novas Panormi subducit, quia ex viridi ma sotto Marcello, perchè li credeva ottimamente
teria raptim factae erant, utin sicco hibernarent. disciplinati, e per aver assediato lungamente Si
Praeparatis omnibus ad bellum, Syracusas, non racusa, praticissimi di espugnare le città; chè
dum ex magnis belli motibus satis tranquillas, non ruminava nell'animo niente di piccolo, ma
venit. Graeci res a quibusdam Italici generis, sin d'allora bensì l'eccidio di Cartagine. Indi
eadem vi, qua per bellum ceperant, retinentibus, spartisce l'esercito per le terre; impone grani
concessas sibi ab senatu, repetebant. Omnium alle città di Sicilia; non tocca quelli portati dal
primum ratus tueri publicam fidem, partim edi l'Italia; rifà le vecchie navi, e manda con esse
cto, partim judiciis etiam in pertinaces ad obti Caio Lelio a predare in Africa; tira a terra le
nendam injuriam redditis, suas res Syracusanis nuove a Palermo, acciocchè, com'erano state
restituit. Non ipsis tantum ea res, sed omnibus fatte in fretta di legname verde, si seccassero nel
Siciliae populis, grata fuit; eoque enisius ad bel verno. Allestita ogni cosa per la guerra, venne a
lum adjuverunt. Eadem aestate in Hispania coor Siracusa, non del tutto ancora tranquilla dai
tum ingens bellum, conciente Ilergete Indibili, grandi movimenti guerreschi. I Greci ripetevano
nulla alia de causa, quam per admirationem Sci le robe, che il senato avea lor concedute, robe,
pionis contemptu imperatorum aliorum orto. che alcuni Italiani avean lor tolte, e che questi si
« Eum superesse unum ducem Romanis, ceteris ritenevano colla violenza stessa, con cui le aveano
ab Hannibale interfectis, rebatur. Eo nec in Hi prese. Stimando però Scipione che si dovesse
spania caesis Scipionibus alium, quem mitterent, innanzi a tutto mantener la pubblica fede, parte
habuisse; et, postiuam in Italia gravius bellum con editto, parte eziandio con giudizii pronun
urgeret, adversus Hannibalem eum arcessitum. ziati contro i più ostinati a tenersi nell'ingiusto
Praeterquam quod nomina tantum ducum in Hi possedimento, restituì a Siracusani le robe loro.
spania Romani haberent, exercitum quoque inde Il che non fu grato solamente ad essi, ma eziandio
veterem deductum. Trepida omnia, ut incondi a tutti i popoli della Sicilia, e per questo maggior
tam turbam tironum, esse: numquam talem oc mente s'impegnarono ad aiutarlo nella guerra.
casionem liberandae Hispaniae fore. Servitum ad In quella state medesima insorse gran i
eam diem aut Carthaginiensibus, aut Romanis; nella Spagna, suscitata da Indibile, capo degli
nec in vicem his aut illis, sed interdum utrisque Ilergeti, non per altra cagione, se non se pel di
simul. Pulsos ab Romanis Carthaginienses; ab sprezzo, in che era venuto degli altri capitani per
Hispanis, si consentirent, pelli Romanos posse, l'ammirazione, che gli destava Scipione. «Que
ut ab omni externo imperiosoluta in perpetuum stiera, a parer suo, il solo capitano, che rimasto
Hispania in patrios rediret mores ritusque.» Haec fosse ai Romani, uccisi gli altri da Annibale: non
aliaque dicendo non populares modo, sed Ause altri aveano avuto, morti gli Scipioni, da mandare
tanos quoque, vicinam gentem, concitat, et alios in Ispagna; e stringendoli più grave guerra in
finitimos sibi atque illis populos. Itaque intra Italia, aver lui chiamato per far fronte ad Anni
paucos dies triginta millia peditum, quatuor fer bale; oltre che i Romani non aveano in Ispagna,
me equitum in Sedetanum agrum, quo edictum che pretti nomi di capitani, e ne aveano già le
erat, convenerunt. vato via anche il vecchio esercito. Tutto era con
fusione, qual tra una turba incomposta di soldati
novelli. Non offrirassi mai una simile occasione di
liberare la Spagna. Avean servito sino a quel dì
o ai Cartaginesi o ai Romani; nè sempre ora a
questi ed ora a quelli, ma talvolta in un tempo
TITI LIVII LIBER XXIX. 35
4
stesso ad amendue. Aveano i Romani scacciati i
Cartaginesi, potersi dagli Spagnuoli, se si con
certassero, scacciare i Romani; sì che la Spagna,
liberata in perpetuo da ogni giogo straniero, tor
nasse alle patrie usanze, ai riti suoi. : Queste di
cendo e simili cose, solleva non solamente quelli
del paese, ma eviandio gli Ausetani, nazione vi
cina, ed altri popoli a sè ed a questi confinanti;
sì che tra pochi dì trenta mila fanti e da quattro
mila cavalli si raccolsero nel contado Sedetano,
com'era stato ordinato.
II. Romani quoque imperatores, L. Lentulus II. Anche i Romani comandanti Lucio Len
et L. Manlius Acidinus, neglisceret prima negli tulo, e Lucio Manlio Acidino, acciocchè negli
gendo bellum, junctis et ipsi exercitibus, per gendo la prime scintille non vie più la guerra si
agrum Ausetanum, hostico, tamquam pacato, cle dilatasse, uniti essi pure i loro eserciti conducen
menter ductis militibus, ad sedem hostium per do i soldati senza far guasto pel contado Auseta
venere. Trium millium spatio procul a castris no, quasi per paese non avverso, ma tranquillo,
eorum posuerunt castra. Primo per legatos ne giunsero al luogo de'nemici, e posero il campo
quidquam tentatum, ut discederetur ab armis: discosto tre miglia dal campo loro. Dapprima si
dein, quum in pabulatores Romanos impetus re tentò invano col mezzo di legati, che si posassero
pente ab equitibus Hispanis factus esset, submisso l'armi: poscia, avendo improvvisamente i cavalie
ab statione Romana equitatu, proelium equestre ri Spagnuoli dato addosso ai nostri foraggiatori,
fuit, haud sane memorando in partem ullam even fatta uscire la cavalleria dal campo Romano,
tu. Sole oriente, postero die armati instructidue fuvvi una pugna equestre, di successo per verità
omnes mille ferme passus procul a castris Roma non memorabile per nessuna delle parti. Il dì
mis aciem ostendere. Medii Ausetani erant: cornua seguente allo spuntare del giorno si mostraron
dextrum Ilergetes, laevum ignobiles tenebant tutti in arme alla distanza di circa un miglio dal
Hispani populi. Inter cornua et mediam aciem campo Romano, e pronti a combattere. Eran nel
intervalla patentia satis late fecerant, qua equi centro gli Ausetani: gl'Ilergeti tenevano l'ala
tatum, ubi tempus esset, emitterent. Et Romani, destra; la sinistra altri popoli della Spagna men
more suo exercitum quum instruxissent, id modo noti. Tra le ale ed il centro avean lasciato degli
bostium imitati sunt, ut inter legiones et ipsi pa spazi larghi abbastanza, pe' quali, quando fosse
tentes equiti relinquerent vias. Ceterum Lentu il tempo, scagliar fuori la cavalleria. Ed i Romani
lus, ei parti usum equitis fore ratus, quae prior ordinato alla lor foggia l'esercito, in questo solo
in dehiscentem intervallis hostium aciem equites imitarono i nemici, che lasciaron essi pure tra le
emisisset, Ser. Cornelio tribuno militum imperat, legioni degli spazi aperti alla cavalleria. Se non
equites per patentes in hostium acie vias permit che Lentulo giudicando che quella parte trar
tere equos jubeat: ipse, coepta parum prospere rebbe partito dalla cavalleria, che avesse la prima
pedestri pugna, tantum moratus, dum cedenti scagliata la sua negl'intervalli lasciati dal nemico
duodecimae legioni, quae in laevo cornu adver tra schiera e schiera, ordina a Servio Cornelio,
sus Ilergetes locata erat, tertiam decimam legio tribuno de'soldati, che cacci i cavalli per entro
nem ex subsidiis in primam aciem firmamentum a quelle vie aperte tra le schiere nemiche: egli,
ducit; postduam aequata ibi pugna est, ad L. messosi a combattere non troppo felicemente
Manlium, inter prima signa hortantem, ac subsi colla fanteria, solo indugiando insino a tanto
dia, quibus res postulabat locis, inducentem, ve che condusse la terza decima legione dalla retro
mit. Indicat tuta ab laevo cornu esse: jam mis guardia sulla prima fronte a rinforzare la duo
sum ab se Cornelium Servium procella equestri decima, che cedeva, la quale era collocata nell'a
hostes circumfusurum. Vix haec dicta dederat, la sinistra cortro gli Illergeti, poi che fu quivi
quum Romani equites, in medios invecti hostes, pareggiata la battaglia, viene a Lucio Manlio,
simul pedestres acies turbarunt, simul equitibus che su le prime file incoraggiava i suoi, e menava
Hispanorum viam immittendi equos clauserunt. soccorsi ne' luoghi, dove occorreva: gli fa sapere
Itaque, omissa pugna equestri, ad pedestrem Hi che alla sinistra tutto è sicuro, e che avea già
spani descenderunt. Romani imperatores, ut tur spedito Cornelio Servio ad avviluppare quasi
batos hostium ordines, et trepidationem pavo con procella equestre i nemici. Appena avea detto
remdue, et fluctuantia viderunt signa, hortantur, questo, che i cavalieri Romani, gettatisi nel folto
orant milites, «ut perculsos invadant, neu resti de'nemici, ad un tempo ste, se ne scompiglia
Livio 2 2
355 TITI LIVII LIBER XXIX. 35G

tui aciem patiantur. » Non sustinuissent tam in rono i fanti, e chiusero agli Spagnuoli la via di
festum impetum barbari, mi regulus ipse Indibilis mandar fuori i lor cavalli. Quindi gli Spagnuoli
cum equitibus ad pedes degressis ante prima si lasciato il combattere a cavallo, posero piede a
gna peditum se objecisset. Ibi aliquamdiu atrox terra. I comandanti Romani, come videro sgo
pugna stetit. Tandem postguam ii, qui circa re minati gli ordini del nemici, la confusione, la
gem, seminecem restantem, deinde pilo terrae paura, e le bandiere qua e là a caso fluttuanti,
affixum, pugnabant, obruti telisoccubuerunt, tum esortano, pregano i soldati, a che diano addosso
fuga passim coepta, pluresque caesi, quia equos al nemico spaventato, nè gli permettano di rior
conscendendi equitibus spatium non fuerat, et dinarsi; º nè avrebbono sostenuto i barbari sì
quia perculsis acriterinstiterunt Romani: necante fiero impeto, se lo stesso lor capo Indibile co'ca
abscessum est, quam castris quoque exuerunt ho valieri scesi a terra non si fosse fatto innanzi in
stem. Tredecim millia Hispanorum caesa eo die, su la prima testa della fanteria. Quivi la zuffa
octingenti ferme capti. Romanorum sociorumque durò alquanto tempo ferocissima. Finalmente,
paullo amplius ducenti, maxime in laevo cornu, poi che quelli, che combattevano intorno ad In
ceciderunt. Pulsi castris Hispani, aut qui ex proe dibile già mezzo morto, poi con una lancia con
lio effugerant, sparsi primo per agros, deinde in fitto in terra, caddero sotto un membo di giavel
suas quisque civitates redierunt. lotti, allora si cominciò a fuggire da ogni parte,
e se ne fece grande strage, perchè i cavalieri non
aveano avuto tempo di risalire a cavallo, e perchè
i Romani, scompigliatili, furon loro addosso rab
biosamente. Nè prima cessarono, se non ebbero
anche presi gli alloggiamenti nemici. Tredici
mila Spagnuoli furon tagliati a pezzi in quel
giorno, e da ottocento presi ; de Romani e de
gli alleati poco più di dugento, massimamente
dell'ala destra. Gli Spagnuoli, sì quegli scacciati
dal loro campo, che quelli ch'eran fuggiti dalla
battaglia, dispersi dapprima per le campagne,
indi si rimisero ciascuno nelle sue terre.
III. Tum a Mandonio evocati in concilium, III. Allora, chiamati a consiglio da Mandonio,
conquestique ibi cladessuas, increpitis auctoribus e quivi dolutisi della loro sconfitta, rimbrottati
belli, legatos mittendos ad arma tradenda dedi gli autori della guerra, deliberarono che si man
tionemque faciendam censuerunt. Quibus, culpam dassero ambasciatori a consegnare le armi, ed
in auctorem belli Indibilem, ceterosque principes, arrendersi. A quali, riversando essi la colpa
quorum pleriqueinacie cecidissent, conferentibus, sopra Indibile, autore della guerra, e sopra gli
tradentibusque arma, et dedentibus sese, respon altri capi, che la più parte eran periti sul cam
sum est: « In deditionem ita accipi eos, si Man po, e dicendosi venuti a consegnare le armi
donium ceterosque belli concitores tradidissent e darsi in balia de'Romani, fu risposto: « Accet
vivos: sin minus, exercitus se in agrum Ilergetum tarsi la lor dedizione, se avessero consegnati vivi
Ausetanorumque, et deinceps aliorum populorum Mandonio e gli altri suscitatori della guerra; se
ducturus. » Haec dicta legatis, renunciataque in no, tratto avrebbero gli eserciti sulle terre degli
concilium. Ibi Mandoniusceterique principescom Ilergeti e degli Ausetani, e di mano in mano su
prehensi et traditi ad supplicium. Hispaniae po quelle degli altri popoli. » Questa fu la risposta
pulis reddita pax: stipendium eius anni duplex data ai legati, e riportata all'assemblea. Quivi
et frumentum sex mensium imperatum, sagague Mandonio e gli altri capi son presi e mandati al
et togae exercitui, et obsides ab triginta ferme supplizio. La pace fu renduta ai popoli della
populis accepti. Ita Hispaniae rebellantis tumultu, Spagna: s'impose loro per quell'anno doppio
haud magno motu, intra paucos dies concito et stipendio, frumento per sei mesi, toghe e saii per
compresso, in Africam omnis terror versus. C. l'esercito; e si presero ostaggi quasi da trenta
Laelius nocte ad Hipponem Regium quum accessis popoli. Così essendosi eccitato nella Spagna, e in
set, luce prima ad populandum agrum sub signis pochi di con non grande pena compresso un mo
milites sociosque navales duxit. Omnibus, pacis vimento di ribellione, tutto il terror della guerra
modo incuriose agentibus, magna clades illata; fu volto contro l'Africa. Caio Lelio, accostatosi
munciique trepidi Carthaginem terrore ingenti di notte a Ippone Regio, mandò sul far del
complevere, classem Romanam Scipionemque im giorno con le bandiere i soldati e le ciurme
peratorem (et fama fuerat jam in Siciliam trans navali a saccheggiar la campagna. Si fe' gran
357 TITI LIVII I,IBER XXIX. 358

gressum) advenisse: mec quot naves vidissent, guasto da per tutto, standosi coloro sbadati, quasi
nec quanta manus agros popularetur, satis gnari, in tempo di pace, e alquanti sbigottiti messi
omnia in majus, metu augente, accipiebant. Ita empieron Cartagine d'immenso spavento, an
que primo terror pavorque, dein moestitia ani nunziando la venuta della flotta Romana e del
mos incessit: a tantum fortunam mutasse, ut, qui comandante Scipione (e già si sapeva ch'era pas
modo ipsi exercitum ante moenia Romana habuis sato in Sicilia); nè certi abbastanza quante navi
sent victores, stratisque tot hostium exercitibus, avessero vedute, nè quanta gente devastasse la
omnes Italiae populos aut vi aut voluntate in campagna, il timore esagerando ogni cosa, si fa
deditionem accepissent, ii, verso marte, Africae cevan tutto più che non era. Dapprima pertanto
populationes et obsidionem Carthaginis visuri la paura e lo spavento, poi venne a colpirli un
forent, nequaquam pari ad patienda ea robore, senso di tristezza: « tanto essersi mutata la for
ac Romani fuissent. Illis Romanam plebem, illis tuna, che quel medesimi, i quali avean poc'anzi
Latium juventutem praebuisse, majorem semper portate le lor bandiere sotto le mura di Roma, e,
frequentioremdue pro tot caesis exercitibus su distrutti tanti eserciti nemici, s'erano vincitori
bolescentem. Suam plebem imbellem in urbe, insignoriti o a patti, o per forza di tutti i popoli
imbellem in agris esse: mercede parari auxilia d'Italia, quegli stessi, cangiata la sorte dell'armi,
ex Afris, gente ad omnem auram spei mobili at abbian ora a vedere saccheggiarsi l'Africa, ed
que infida. Jam reges, Syphacem post colloquium assediarsi Cartagine, non però avendo, a sostener
cum Scipione alienatum ; Masinissam aperta de cotali sciagure, le forze ch'ebbero i Romani. Ad
fectione infestissimum hostem. Nihilusquam spei, essi diede giovani la plebe di Roma, giovani ii
nihil auxilii esse: nec Magonem ex Gallia movere Lazio, sempre più crescenti in numero ed in viº
tumultus quidquam, nec conjungere sese Hanni gore in luogo degli eserciti disfatti. La plebe
bali: et Hannibalem ipsum jam et fama senesce Cartaginese essere imbelle nelle città, imbelle
re, et viribus. nelle campagne: trarsi soldati mercenarii dagli
Africani, gente ad ogni aura di speranza mobile
ed infida. Quanto ai re, già Siface, poi che abboc
cossi con Scipione, s'era alienato da Cartagine;
Masinissa con aperta ribellione n' era divenuto
fiero nemico. Non esservi da nessuna parte spe
ranza, non aiuto: nè riuscire a Magone di destar
movimenti nella Gallia, nè di unirsi con Anniba
le: ad Annibale stesso già venir meno la fama e
le forze. »
IV. In haec deflenda prolapsosab recenti nun IV. Trascorsi gli animi per le recenti notizie
cio animos rursus terror instans revocavit ad a sì miserabili compianti, nuovo terrore urgente
consultandum, quonam modo obviam praesenti richiamolli a consultare in qual modo si potesse
bus periculisiretur. Delectus raptim in urbe agris far fronte all'imminente pericolo. Piace che si
que haberi placet, mittere ad conducenda Afro facciano in fretta leve nella città e nel contado,
rum auxilia, munire urbem, frumentum conve che si mandi ad assoldar gente nell'Africa, che
here, tela, arma parare, instruere naves ac mit si fortifichi la città e si provegga di grano; si
tere ad Hipponem adversus Romanam classem. approntin arme e giavellotti, si forniscan le
Jam haec agentibus nuncius tandem venit, Lae navi, e si spediscano ad Ippone contro la flotta
lium, non Scipionem, copiasque, quantae ad in Romana. Mentre attendono a questo, giunge
cursiones agrorum satis sint, transvectas; sum finalmente un messo colla notizia, ch'era pas
mae belli molem adhuc in Sicilia esse. Ita respi sato in Africa Lelio, non Scipione, e solamente
ratum, mittique ad Syphacem legationes, aliosque tante genti, quante bastassero a scorrere il paese,
regulos, firmandae societatis causa, coeptae. Ad e che il grosso delle forze nemiche si trovava an
Philippum quoque missi, qui ducenta argenti ta cora in Sicilia. Quindi si respirò, e si cominciò
lenta pollicerentur, ut in Siciliam, aut in Italiam a spedire ambascerie a Siface, e agli altri principi
trajiceret. Missiet ad duos imperatores in Italiam, a stringere alleanze. Si mandò pure chi promettes
ut omni terrore Scipionem retinerent: ad Mago se a Filippo dugento talenti d'argento, acciocchè
nem non legati modo, sed viginti quinque naves passasse o in Sicilia, o in Italia. Mandaron pure
longae, sex millia peditum, octingenti equites, in Italia ai due comandanti, che cercassero con
septem elephanti, ad hoc magna pecunia ad con ogni sorta di terrore di ritenere Scipione; e a
ducenda auxilia, quibus fretus propius urbem Magone non solamente de'messi, ma venticinque
Romanam exercitum admoveret, conjungeretque galee,sei mila fanti, ottocento cavalli, sette elefanti;
359 TITI LIVII LIBER XXIX. 36o

se Hannibali. Haec Carthagine parabant agita e inoltre gran somma di danaro per condur
bantque. Ad Laelium praedas ingentes ex agro gente, con che rinforzato menasse l'esercito più
inermi ac nudo praesidiis agentem Masinissa, fa presso a Roma, e si unisse ad Annibale. Tali erano
ma Romanae classis excitus, cum equitibus pau a Cartagine gli allestimenti, le cure. Masinissa,
cis venit. Is « segniter rem agi ab Scipione que mosso dalla fama della flotta Romana, venne con
stus, quod tum non jam exercitum in Africam pochi cavalli a Lelio, che menava gran prede
trajecisset, perculsis Carthaginiensibus, Syphace da un paese disarmato e nudo di difesa. Si dolse,
impedito finitimis bellis, quem incertum haerere; « che Scipione andasse a rilento, nè avesse allora
si spatium ad sua, ut velit, componenda detur, allora tragittato l'esercito in Africa, mentre era
nihil sincera fide cum Romanis acturum. Horta no i Cartaginesi sbigottiti, e Siface, impedito
retur, ac stimularet Scipionem, ne cessaret. Se, dalle guerre coi confinanti, pendeva incerto; il
quamquam regno pulsus esset, cum haud con quale, se gli si dia tempo di acconciar, come vuole,
temnendis copiis affuturum peditum equitum le cose sue, non tratterebbe di buona fede coi
que. Nec ipsi Laelio morandum in Africa esse: Romani. Esortasse e stimolasse Scipione a non
classem credere profectam a Carthagine, cum qua, tardare più oltre. Quantunque ei fosse scacciato
absente Scipione, non satistutum esse contrahi dal suo regno, verrebbe con forze non ispregevoli
certamen. º d'uomini e di cavalli. Nè egli Lelio dovea fer
marsi in Africa; chè credeva partita una flotta da
Cartagine, colla quale, in assenza di Scipione, non
istimava cosa sicura l'affrontarsi.
V. Ab hoc sermone dimisso Masinissa, Lae V. Dopo ciò, licenziato Masinissa, Lelio il dì
lius postero die naves praeda onustas ab Hippone seguente sciolse da Ippone le navi cariche di pre
solvit, revectusque in Siciliam mandata Masinis da, e tornato in Sicilia riferì a Scipione quanto
sae Scipioni exposuit. Eisdem ferme diebus na gli avea commesso Masinissa. Quasi in quegiorni
ves, quae ab Carthagine ad Magonem missae medesimi le navi, che si erano spedite da Carta
erant, inter Albingaunos Ligures Genuamque ac gine a Magone, approdarono tra gli Albingauni
cesserunt. In iis locis tum forte Mago tenebat Liguri, e Genova. In que luoghi stessi per ven
classem: qui, legatorum auditis verbis, juben tura Magone teneva la flotta; il quale, uditi i
tium exercitus quam maximos comparare, extem legati, che gli ordinavano di allestire il maggior
plo Gallorum et Ligurum (namque utriusque esercito, che potesse tenne subito una dieta di
gentis ingens ibi multitudo erat) concilium ha Galli e di Liguri (chè ci era quivi gran moltitu
buit. « Et missum se ad eds vindicandos in li dine dell'una e dell'altra nazione). « Egli era
bertatem, ait, et, ut ipsi cernant, mitti sibi ab stato, disse, spedito per render loro la libertà,
domo praesidia; sed quantis viribus, quanto exer e, come essi stessi vedevano, se gli mandavano
citu id bellum geratur, in eorum potestate esse. aiuti da casa; ma stare in poter loro con quante
Duos exercitus Romanos, unum in Gallia, alte forze, con che grosso esercito si avesse a far quel
rum in Etruria esse: satis scire, Sp. Lucretium la guerra. Eran due gli eserciti Romani, uno nel
se cum M. Livio juncturum : multa millia ipsis la Gallia, l'altro nella Toscana: sapeva di certo,
etiam armanda esse, ut duobus ducibus, duobus che Spurio Lugrezio si sarebbe unito con Marco
exercitibus Romanis resistatur. Galli, summam Livio. Doveano armare essi pure più migliaia
ad id suam voluntatem esse, dicere; sed, quum d'uomini per resistere a due comandanti, a due
una castra Romana intra fines, altera in finitima eserciti Romani. " I Galli dissero, a essere a ciò
terra Etruria prope in conspectu habeant, si pa dispostissimi, ma che avendo uno de campi Ro
dam fiat, auxiliis adjutum ab sese Poenum, extem mani dentro i lor confini, l'altro quasi di fronte
plo infestos utrimgue exercitus in agrum suum nel paese Toscano, se si faccia palese che abbian
incursuros. Ea ab Gallis desideraret, quibus oc dati soccorsi ai Cartaginesi, subito ambedue gli
culte adjuvari posset. Liguribus, quod procul eserciti si sarebbero scagliati sulle lor terre: chieg
agro urbibusque eorum castra Romana sint, li ga ai Galli cose, colle quali possano aiutarlo na
bera consilia esse : illos armare juventutem, et scostamente. Era libero ai Liguri qualunque par
capessere pro parte bellum, aequum esse. ” Li tito, perchè gli accampamenti Romani eran disco
gures haud abnuere: tempus modo duorum men sti dalle città e terre loro : toccava ad essi armare

sium petere ad delectus habendos. Interim Mago la gioventù. e prender parte nella guerra. » Non
milites. Gallis dimissis, clam per agros eorum negavano i Liguri; solamente chiedevano il tem
mercede cenducere: commeatus quoque omnis po di due mesi a far le leve. Intanto Magone, li
generis occulte ad eun a Gallis populismitteban cenziati i Galli, spedì occultamente per le terre
tur. M. Livius exercitum volonum ex Etruria in loro a prezzolare soldati; e gli si mandavan
36 i TITI LIVII LlBER XXIX. 362

Galliam traducit,junctusque Lucretio, si se Mago anche dai Galli nascostamente vettovaglie d'ogni
ex Liguribus propius moveat, obviam ire parat; sorte. Marco Livio trasporta l'esercito dei voloni
si Poenus sub angulo Alpium quietus se conti dall'Etruria nella Gallia, e unitosi con Lugrezio,
neat, et ipse in eadem regione circa Ariminum se Magone dai Liguri si movesse inverso Roma,
Italiae praesidio futurus. si apparecchia ad incontrarlo; e se il Cartaginese
si tenga quieto in un angolo delle Alpi, egli pure
si starebbe in quella posizione intorno a Rimini
alla difesa dell'Italia.
VI. Post reditum ex Africa C. Laelii, et Sci VI. Dopo il ritorno di Caio Lelio dall'Africa,
pione stimulato Masinissae adhortationibus, et mentr'era stimolato Scipione dalle esortazioni di
militibus, praedam ex hostium terra cernentibus Masinissa, e mentre i soldati, al mirare sì gran
tota classe efferri, accensis ad trajiciendum quam preda trarsi fuor dalle navi fatta sulle terre ne
primum, intervenit majori minor cogitatio, Lo miche, ardevan di voglia di passare subito colà,
cros urbem recipiendi, quae sub defectionem Ita sopravvenne ad un maggiore un minor pensiero,
liae desciverat et ipsa ad Poemos. Spes autem af quello di riavere la città di Locri, che al ribellar
fectandae ejus rei ex minima re affulsit. Latroci si dell'Italia s'era pur essa volta alla parte dei
miis magis, quam justo bello, in Bruttiis gere Cartaginesi. La speranza che riuscisse l'impresa,
bantur res; principio ab Numidis facto, et Brut rifulse da piccolissima cosa. Si guerreggiava nei
tiis, non societate magis Punica, quam suopte Bruzii piuttosto a guisa di ladroneccio, che di
ingenio, congruentibus in eum morem. Postremo giusta guerra: n'era nato il principio dai Numidi;
Romani quoque, jam contagione quadam rapto ei Bruzii, non tanto per essere in società coi Car
gaudentes, quantum per duces licebat, excursio taginesi, quanto per indole lor propria, conveni
nes in hostium agros facere. Ab iis egressi qui vano in quel costume. In fine anche i Romani,
dam urbem Locrenses circumventi, Rhegiumque quasi per contagione, dilettandosi di rapina, fa
abstracti fuerant. In eo captivorum numero fa ceano, per quanto era lor conceduto dai coman
bri quidam fuere, assueti forte apud Poenos mer danti, scorrerie sulle terre del nemico. Aveano
cade opus in arce Locrorum facere. Ii, cogniti presi certi Locresi usciti dalla città, e tradottili
ab Locrensium principibus, qui pulsi ab adversa a Reggio; tra quali furonvi alcuni fabbri, soliti
factione, quae Hannibali Locros tradiderat, Rhe a caso lavorare nella rocca di Locri al soldo dei
gium se contulerant, quum cetera percunctanti Cartaginesi. Riconosciuti da taluni de'principali
bus (ut mos est, qui diu absunt) quae domi age Locresi, che scacciati dalla contraria fazione, che
rentur, exposuissent, spem fecerunt, si redempti avea già dato Locri in mano ad Annibale, s'erano
ac remissi forent, arcem se iis tradituros. Ibi se recati a Reggio, poi ch'ebbero risposto a chi li
habitare, fidem que sibi rerum omnium inter domandava, come andassero le cose a casa (il che
Carthaginenses esse. Itaque, ut qui simul desi suol farsi da chi n'è lontano da gran tempo),
derio patriaeangerentur, simul cupiditate inimi fecero nascere la speranza, che se fossero riscat
cos ulciscendi arderent, redemptis extemplo iis tati e rimandati consegnerebbon loro la rocca;
remissisque, quum ordinem agendae rei compo perciocchè quivi aveano stanza, e i Cartaginesi si
suissent, signaque, quae procul edita observarent, fidavano in loro d'ogni cosa. Pertanto que” Lo
ipsi ad Scipionem Syracusas profecti, apud quem cresi, siccome li crucciava il desiderio della patria
Pars exulum erat, referrentes ibi promissa capti e insieme la brama di vendicarsi del loro nemici,
vorum, quum spem ab effectu haud abhorrentem tosto riscattati coloro, e poi ch'ebbero convenuto
consuli fecissent; tribuni militum cum iis M. Ser il modo di operare e i segni, che avrebbon ve
gius et P. Matienus missi, jussique ab Rhegio tria duto di lontano, rimandatili a casa, andati a Si
millia militum Locros ducere: et Q. Pleminio racusa a Scipione, presso il quale si stava una
propraetori scriptum, ut rei agendae adesset. Pro parte de' fuorusciti, gli riferiron le promesse dei
fecti ab Rhegio, scalas ad editam altitudinem ar prigioni, e trassero il console in isperanza che la
cis fabricatas portantes, media ferme nocte ex eo cosa riuscirebbe; onde furon mandati con essi
loco, unde convenerat, signum dedere proditori Marco Sergio e Publio Mazieno, tribuni de'soldati,
bus arcis. " intentique, et ipsi scalas ad con ordine di condur seco da Reggio tre mila
id ipsum factº cum demisissent, pluribusque si soldati alla volta di Locri; e fu scritto al propre
mul locis scandentes accepissent, priusquam cla tore Quinto Pleminio, che attendesse all'impresa.
mor oriretur, in vigiles Poenorum, ut in nullo Partitisi da Reggio, portando scale fabbricate alla
tali metu, sopitos impetus est factus. Quorum misura dell'altezza della rocca, in sulla mezza
gemitus primo morientium exauditus; deinde notte dal luogo, donde s'era convenuto, diedero
subita consternatio ex somno ei tumnltus, quum il segno ai traditori della rocca. I quali, già pronti
363 TITI LIVII LIBER XXIX. 364
causa ignorare tur; postremo certior res, aliis ex ed attenti, avendo essi pure già calate scale a
citantibus alios. Jamque «ad arma » prose quisque quell'uopo, e ricevuti quelli, che da più parti sa
vocabat: a hostes in arce esse, et caedi vigiles: » livano, innanzi che nascesse romore, diedero ad
oppressidue forent Romani, nequaquam numero dosso alle guardie Cartaginesi, che come nulla
pares, ni clamor ab iis, qui extra arcem erant, di ciò tenenti dormivano. Dapprima udissi il
sublatus, incertum unde accidisset (omnia vana gemere dei moribondi, poi succedette la subita
augentem nocturno tumultu) fecisset. Itaque velut costernazione e il tumulto di quei, che si desta
plena hostium arce territi Poeni, omisso certami vano dal sonno senza saperne la cagione; in fine
ne, in alteram arcem (duae sunt haud multum la certezza della cosa, gli uni svegliando gli altri.
inter se distantes) confugiunt. Oppidani urbem E già ognuno gridava all'armi: a i nemici esser
habebant victoribus praemium in medio positam. nella rocca: tagliarsi a pezzi le guardie; - e sa
Ex arcibus duabus proeliis quotidie levibus cer rebbero stati oppressi i Romani, non punto pari
tabatur. Q. Pleminius Romano, Hamilcar Punico di numero, se il grido levato da quelli, ch'erano
praesidio praeerat : arcessentes ex propinquis fuor della rocca, non avesse renduto incerto
locis subsidia copias augebant. Ipse postremo ve donde venisse, accrescendo il tumulto notturno
niebat Hannibal: nec sustinuissent Romani, nisi ogni più vano spavento. Quindi atterriti i Carta
Locrensium multitudo, exacerbata superbia atque ginesi, quasi la rocca fosse piena di nemici, lascia
avaritia Poenorum, ad Romanos inclinasset. to il combattere, rifuggono nell'altra rocca (ch'e
rano due non distanti molto tra loro). I terrazza
mi tenevano la città, posta in mezzo quasi premio
di chi fosse vincitore. Ogni dì dalle due rocche
si facean piccole scaramucce. Quinto Pleminio
comandava i Romani, Amilcare il presidio Carta
ginese; gli uni e gli altri accrescevan le loro forze,
chiamando aiuti da luoghi vicini. Veniva in fine
Annibale in persona; nè i Romani sostenuto
avrebbono lo scontro, se la maggior parte dei
Locresi, esacerbati dall'arroganza ed avarizia dei
Cartaginesi, non si fosse piegata verso i Romani.
VII. Scipioni ut nunciatum est, in majore VII. Come fu recato a Scipione, che il trava
discrimine Locris rem verti, ipsumque Hanniba glio a Locri si facea maggiore, e che vi veniva
lem adventare; ne praesidium etiam perclitare Annibale in persona; temendo che il presidio non
tur, haud facili inde receptu, et ipse a Messana, corresse pericolo, per ciò che non gli era facile
L. Scipione fra tre in praesidio ibi relicto, quum di là ritrarsi, esso pure da Messina, lasciato quivi
primum aestu fretum inclinatum est, naves mari a guardia il fratello Lucio Scipione, tosto che la
secundo misit. Et Hannibal, a Butroto ammi marea si abbassò, mise alla vela con vento pro
(haud procul is ab urbe Locris abest) nuncio pizio. E Annibale, dal fiume Brutoto (che non è
praemisso, ut sui luce prima summa vi proelium discosto molto da Locri), mandato innanzi un
cum Romanis ac Locrensibus consererent, dum messo con ordine a suoi, che al primo albeggiare
ipse, aversis omnibus in eum tumultum, ab tergo appiccassero gagliarda zuffa coi Locresi, mentre
urbem incautam aggrederetur, ubi luce coeptam ch'egli, essendo tutti volti a quel tumulto, assal
invenit pugnam, ipse nec in arcem se includere, terebbe alle spalle la città colta alla sprovvista,
turba locum arctum impediturus, voluit; neque com'ebbe trovata sul far del giorno cominciata
scalas, quibus scanderet muros, attulerat. Sarcinis la battaglia, nè volle chiudersi nella rocca per
in acervum conjectis, quum haud procul muris non impacciare colla calca l'angusto luogo, nè
ad terrorem hostium aciem ostendisset, cum equi avea recate seco le scale da salir le mura. Am
tibus Numidis circumequitabat urbem, dum sca montati i bagagli, mostrando le sue genti in ordi
lae, quaeque alia ad oppugnandum opus erant, nanza non lungi dalle mura, onde atterrire il
parantur, ad visendum qua maxime parte aggre nemico, mentre si apparecchian le scale, e quan
deretur. Progressus ad murum, scorpione icto, t'altro occorre a combattere la città, andava ca
qui proximus eum forte steterat, territus inde valcando intorno coi Numidi a ſedere da qual
tam periculoso casu, receptui canere quum jus parte la si potesse meglio assaltare. Avvicinatosi
sisset, castra procul ab ictu teli communiit. Clas al muro, colpito a caso da uno scorpione quello
sis Romana a Messana Locros, aliquot horis die che gli era presso, atterrito dal pericoloso acci
superante, accessil: expositi omnes e navibus, et dente, fatto sonare a raccolta, si piantò in campo
ante occasum solis urbem ingressi sunt. Postero trincerato fuor di colpo di balestra. La flotta
365 TITI LIVIl I,IIER XXIX. 3GG

die coepta ex arce a Poenis pugna; et Hannibal, Romana da Messina si accostò a Locri, che avan
jam scalis aliisque omnibus ad oppugnationem zavano ancora alcune ore del giorno: sbarcaron
paratis, subibat muros; quum repente in eum, tutti, e avanti il tramontare del sole entrarono
nihil minus quam tale quidquam timentem, pa in città. Il dì seguente i Cartaginesi dalla rocca
tefacta porta erumpunt Romani. Ad ducentos im cominciarono la pugna; e Annibale, allestite già
providos, qunm invasissent, occidunt: ceteros le scale e ogni altra cosa occorrente all'assalto,
Hannibal, ut consulem adesse sensit, in castra si facea sotto le mura; quando i Romani all'im
recipit; nuncioque misso ad eos, qui in arce e provviso, spalancata la porta, si scaglian fuori
rant, ut sibimetipsi consulerent, nocte motis ca addosso a lui, che tutt'altro temeva. Ne ammaz
stris abiit. Et qui in arce erant, igni injecto te zano da dugento colti all'impensata: Annibale,
ctis, quae tenebant, ut is tumultus hostem mora come seppe esserci il console, richiama gli altri
retur, agmen suorum fugae simili cursuante no negli alloggiamenti; e mandato a dire a quelli
ctem assecuti sunt. ch'eran nella rocca, che provveggano a sè stes
si, la notte levato il campo, se ne partì. Quei
che stavamo nella rocca, messo fuoco alle ca
se, che occupavano, onde con questo tumulto
tenere a bada i nemici, con corso a fuga simi
gliante, innanzi notte raggiunsero l'esercito
de' suoi.

VIII. Scipio, ut et arcem relictam ab hostibus VIII. Scipione, come vide la rocca abbando
et vacua vidit castra, vocatos ad concionem Lo nata dai nemici e vòti gli alloggiamenti, chiamati
crenses graviter ob defectionem incusavit: deau i Iocresi a parlamento, li riprese aspramente
ctoribus supplicium sumpsit, bonaque eorum al della loro ribellione: punì di morte gli autori, e
terius factionis principibus, ob egregiam fidem concedette i lor beni a capi della contraria fazione
adversus Romanos concessit. « Publice nec dare, per l'egregia lor fede verso i Romani. «Quanto
nec eripere se quidquam Locrensibus, dixit; Ro al pubblico, disse, nè toglieva, nè dava nulla ai
mam mitterent legatos: quam senatus aequum Locresi; mandassero ambasciatori a Roma: avreb
censuisset, eam fortunam habituros. Illud satis bono quella fortuna, che paresse al senato conve
scire, etsi male de populo Romano meriti essent, nevole. Questo ben ei sapeva, che quantunque
in meliore statu sub iratis Romanis futuros, quam avessero demeritato del popolo Romano, sarebbe
sub amicis Carthaginiensibus fuerint. » Ipse, Q. stata migliore la lor condizione sotto i Romani
Pleminio legato praesidioque, quod arcem cepe corrucciati, che sotto i Cartaginesi amici. " Egli,
rat, ad tuendam urbem relicto, cum quibus ve lasciato il legato Quinto Pleminio, ed il presidio,
nerat copiis, Messanam trajecit. Ita superbe et che avea presa la rocca, alla difesa della città, pas
crudeliter habiti Locrenses ab Carthaginiensibus sò a Messina colle medesime genti, con cui era
post defectionem ab Romanis fuerant, ut modicas venuto. I Locresi, dappoi che s'erano staccati dai
injurias non aequo modo animo pati, sed prope Romani, erano stati trattati dai Cartaginesi con
lubenti possent. Verum enimvero tantum Plemi tanta arroganza e crudeltà, che potean soffrire
nius Hamilcarem praesidii praefectum, tantum le piccole vessazioni non solo pazientemente, ma
praesidiarii milites Romani Poemos scelere atque eziandio quasi di buon grado. Se non che Plemi
avaritia superaverunt, ut non armis, sed vitiis nio superò di tanto nella scelleratezza ed avarizia
videretur certari. Nihil omnium, quae inopi in Amilcare prefetto del presidio, e i soldati Romani
visas opes potentioris faciunt, praetermissum in quelli del presidio Cartaginese, che pareva gareg
oppidanos est ab duce, aut a militibus: in corpo giassero, più che coll'armi, coi vizii. Niente di
ra ipsorum, in liberos, in conjuges infandae con ciò, che rende odiosa al debole la grandezza del
tumeliae editae. Nam avaritia ne sacrorum qui potente, fu ommesso a danno dei terrazzani dal
dem spoliatione abstinuit: mec alia modo tem comandante o dai soldati: furono crudelmente
pla violata, sed Proserpinae etiam, intacti omni insultati nelle persone, ne'figliuoli, e nelle mogli.
aetate, thesauri; praeterquam quod a Pyrrho, Perciocchè non si astenne l'avarizia dallo spoglia
qui cum magno periculo sacrilegii sui manubias re le cose sacre; nè solamente si violarono gli
retulit, spoliati dicebantur. Ergo sicut ante re altri tempii, ma eviandio i tesori di Proserpina,
giae naves, laceratae naufragiis, nihil in terram rimasti intatti in ogni età; eccetto che dicevansi
integri, praeter sacram pecuniam deae, quam stati spogliati da Pirro, il quale con solenne espia
asportabant, extulerant; tum quoque alio genere zione del sacrilegio gli avea riportati. Adunque,
cladis eadem illa pecunia omnibus contactis ea siccome innanzi le regie navi squarciate dai nau
violatione templi furorem objecit, atque inter fragii, non altra cosa aveano salva posta in terra,
367 TITI LIVII LIBER XXIX. 3G8

se ducem in ducem, militem in militem rabie fuor che il sacro tesoro della dea, che asportava -
hostili vertit. no, così ora quello stesso danaro, con altro genere
di calamità, mise il furore indosso a tutti quelli
ch'eran contaminati da quella violazione del tem
pio, e volse con rabbia ostile il capitano contro
il capitano, il soldato contro il soldato.
IX. Summae rei Pleminius praeerat: mili IX. Era il poter sommo in mano di Pleminio,
tum pars sub eo, quam ipse ab Rhegio adduxe e la parte dei soldati, ch'egli avea condotto da
rat, pars sub tribunis erat. Rapto poculo argen Reggio, stava sotto di lui; l'altra parte sotto
teo ex oppidani domo Pleminii miles fugiens, i tribuni. Uno de'soldati di Pleminio, avendo
sequentibus quorum erat, obvius forte Sergio et rubata una tazza d'argento dalla casa di un
Matieno tribunis militum fuit. Cui quum jussu terrazzano, fuggendo inseguito da quelli, di cui
tribunorum ademptum poculum esset, jurgium ell'era, si abbattè a caso in Sergio ed in Ma
inde et clamor, pugna postremo orta inter Ple zieno, tribuni del soldati. Ed essendogli ritolta
minii milites, tribunorumque; ut suis quisque la tazza per comando dei tribuni, ne nacque
opportunus advenerat, multitudine simulac tu altercazione e clamore, in fine azzuffamento
multu crescente. Victi Pleminii milites quum ad tra i soldati di Pleminio, e quelli del tribuni;
Pleminium, cruorem ac vulnera ostentantes, non vie più crescendo il numero ed il tumulto, se
sine vociferatione atque indignatione concurris condo che ciascuno veniva a tempo in soccorso
sent, probra in eun ipsum jactata in jurgiis refe de' suoi. I soldati di Pleminio rimasti vinti essen
rentes; accensus ira domo sese proripuit, voca do corsi a lui, mostrandogli non senza grida e
tosque tribunos nudari, ac virgas expedirijubet. voci piene di sdegno, il sangue e le ferite, e ripor
Dum spoliandis iis (repugnabantenim, militem tandogli le villanie nel calor della rissa lanciate
que implorabant) tempus teritur, repente mili contro lui stesso; egli, acceso d'ira, balza fuori
tes, feroces recenti victoria, ex omnibus locis, di casa, e chiamati i tribuni, ordina che sieno
velut adversus hostes ad arma conclamatum es spogliati, e che si approntin le verghe. Mentre si
set, concurrerunt; et quum violata jam virgis perde tempo nello spogliarli (chè resistevano, e
corpora tribunorum vidissent, tum vero in mul chiedevano aiuto a soldati), questi in un subito,
to impotentiorem subito rabiem accensi, sine re fieri per la recente vittoria, accorsero da ogni
spectu, non majestatis modo, sed etiam humani parte, come se si fosse gridato all'armi contro il
tatis, in legatum impetum, lictoribus prius in nemico. E vedendo i corpi dei tribuni già violati
dignum in modum mulcatis, faciunt: tum ipsum, dalle verghe, allora sì, che da più forte rabbia
ab suis interceptum et seclusum, hostiliter lace subitamente accesi, senza rispetto non solamente
rant, et prope exsanguem, naso auribusque mu alla maestà, ma nè anche alla umanità, malconci
tilatis, relinquunt. His Messanam nunciatis, Sci prima nel più indegno modo i littori, si scagliano
pio, post paucos dies Locros hexeri advectus, addosso allegato, e lui stesso, strappato e separato
quum causam Pleminii et tribunorum audisset, da'suoi, lacerano barbaramente,e tagliatogli il na
Pleminio noza liberato, relictoque in eiusdem so e gli orecchi, il lasciano semivivo. Recate que
loci praesidio, tribunis sontibus judicatis, et in ste nuove a Messina, Scipione, pochi giorni dopo
vincula conjectis, ut Romam ad senatum mitte passato a Locri su legno a sei remi, avendo udito
rentur, Messanam atque inde Syracusas rediit. la causa di Pleminio e dei tribuni, assolto Plemi
Pleminius impotens irae, neglectam ab Scipione mio e lasciatolo al comando di quel presidio, giu
et nimis leviter latam suam injuriam ratus, nec dicati rei i tribuni, e messili in catene, acciocchè
quemquam aestimare alium eam litcm posse, nisi fossero mandati a Roma al senato, tornò a Mes
qui atrocitatem eius patiendo sensisset, tribunos sina, e di là a Siracusa. Pleminio, bollente di
attrahi ad se jussit ; laceratosque omnibus, quae sdegno, parendogli che Scipione avesse trasandata
pati corpus ullum potest, suppliciis interfecit: e troppo leggermente trattata la fattagli offesa, e
nec satiatus vivorum poema, insepultos projecit. che non altri giudicar meglio potesse di quell'ol
Simili crudelitate et in Locrensium principes est traggio che quegli, che ne avea sentita soffrendo
usus, quos ad conquerendas injurias ad P. Sci l'atrocità, ordinò che gli fosser tratti dinanzi i
pionem profectos audivit; et, quae antea per li tribuni, e laceratili con quanti supplizii può cor
bidinem atque avaritiam foeda exempla in socios po umano sopportare, li mise a morte; nè sod
ediderat, tunc ab ira multiplicia edere: infamiae disfatto di averli puniti vivi, gettolli insepolti
atque invidiae non sibi modo, sed etiam impe alla campagna. Usò la stessa crudeltà contro i
ratori, esse. principali Locresi, che udì partiti per andarsi a
dolere a Scipione; e quanti avea prima dati soli
369 TITI LIVII LIBER XXIX. 37o
-

esempii di libidine, e di avarizia contro gli alleati,


allora moltiplicolli per ira, e non solamente sè,
ma caricò d'odio e d'infamia il supremo coman
dante.
X. Jam comitiorum appetebat tempus, quum X. Avvicinavasi già il tempo de' comizii,
P. Licinii consulis literae Romam allatae, a se quando recate furono a Roma lettere del console
exercitumque suum gravi morbo affectari; nec Publio Licinio, che avvisano a lui e l'esercito
sisti potuisse, mi eadem vis mali, aut gravior suo essere travagliati da gran malattia; nè si sa
etiam, in hostes ingruisset. Itaque, quoniam ipse rebbe potuto resistere, se lo stesso male, ed anche
venire ad comitia non posset, si ita Patribus vi più violento, non avesse invaso anche i nemici.
deretur, se Q. Caecilium Metellum dictatorem Pertanto giacchè egli non potea venire a Roma,
comitiorum causa dicturum : exercitum Q. Cae se così paresse ai Padri, egli avrebbe nominato
cilii dimitti, e republica esse. Nam neque usum dittatore a tenere i comizii Quinto Cecilio Metello.
ejus ullum in praesentia esse, quum Hannibal Esser utile alla repubblica che si licenzi l'esercito
jam in hiberna suos receperit, et tanta incesse d'esso Metello, perciocchè non è in presente di
rit in ea castra vis morbi, ut, nisi mature dimit nessun uso, avendo già Annibale ritratti i suoi
tantur, nemo omnium superfuturus videatur. » ne'quartieri d'inverno, e sì fattamente imperver
Ea consuli a Patribus facienda, ut e republica fi sando il male in quel campo, che se non si licen
deque sua duceret, permissa. Civitatem eo tem ziano a tempo, pare non averne a scampare nè
pore repens religio invaserat, invento carmine pur uno.» Permisero i Padri al console ciò che
in libris Sibyllinis, propter crebius eo anno de stimava esser utile alla repubblica, e secondo la
coelo lapidatum inspectis. « Quandoque hostis fede sua. La città in quel tempo era stata di su
alienigena terra e Italiae bellum intulisset, eum bito colpita da religioso pensiero, avendo trovato
pelli Italia vincique posse, si mater Idaea a Pes un carme ne'libri Sibillini, consultati per le pie
sinunte Romam advecta foret. » Id carmen ab
tre cadute dal cielo in quell'anno più frequente
decemviris inventum eo magis Patres movit, quod mente del solito. Dicevano: «Qualora un nemico
et legati, qui donum Delphos portaverant, refere straniero avesse portata la guerra in Italia, si
bant: et sacrificantes ipsos Pythio Apollini lita avrebbe potuto cacciarnelo, e vincere, se la ma
visse, et responsum oraculo editum, majorem dre Idea fosse stata da Pessinunte tratta a Roma.”
multo victoriam, quam cujus ex spoliis dona Questo carme trovato dai decemviri tanto più
portarent, adesse populo Romano. In eſusdem mosse i Padri, quanto che ei legati, che aveano
spei summam conferebant P. Scipionis velut portato il dono a Delfo, riferivano che sacrifican
praesagientem animum de fine belli, quod depo do essi ad Apolline Pizio, gli auguri si mostraron
poscisset provinciam Africam. Itaque quo matu favorevoli; e che l'oracolo avea risposto, promet
rius fatis, ominibus, oraculisque portendentis sese tersi al popolo Romano vittoria molto maggiore
victoriae compotes fierent, id cogitare, quae ra di quella, dalle cui spoglie aveano fatto il dono,
tio transportandae Romam deae esset. che gli recavano. A vie più crescere così fatta spe
ranza aggiungevano l'animo di Scipione, che
quasi presago di avere a terminar quella guerra,
avea chiesta l'impresa dell'Africa. Quindi per
conseguire più presto la vittoria annunziata dai
destini, dagli augurii e dagli oracoli andavanº
pensando qual fosse il modo di trasportare a
Roma la dea.
XI. Nullasdum in Asia civitates socias habe XI. Non era ancora il popolo Romano colle
gato con alcuna città dell'Asia; nondimeno ri
bat populus Romanus: tamen memores, Aescu
lapium quoque ex Graecia quondam, hauddum cordevoli, che ne tempi scorsi s'era fatto per la
ullo foedere sociata, valetudinis populi causa ar salute del popolo venir di Grecia non ancºra
cessitum, et jam cum Attalo rege, propter com alleata anche Esculapio, e che già si avea comin
mune avdersus Philippum bellum, coeptam amici ciato a tener amicizia col re Attalo per occasion
tiam esse, facturum eum, quae possit, populi della guerra sostenuta in comune contrº Filippo,
Romani causa, legatos ad eum decernunt, M. Va persuasi ch'egli avrebbe fatto quel che potesse
lerium Laevinum, qui bis consul fuerat, ac res per aggradire il popolo Romano, gli destinano
in Graecia gesserat, M. Caecilium Metellum prae ambasciatori Marco Valerio Levino, ch'era statº
torium, Ser. Sulpicium Galbam aedilitium, duos console due volte, ed avea guerreggiatº in ºrº
quaestorios, Cu. Tremellium Flaccum, et M. Va cia, Marco Cecilio Metello, stato pretore, Sergio
livio 2 a i
TITI LIVII LlBER XXl X. 372
371
Sulpicio Galba, stato edile, e Gneo Tremellio
lerium Faltonem. His quinquenaves quinquere
mes, ut ex dignitate populi Romani adirent eas Flacco, e Marco Valerio Faltone, stati questori.
terras, ad quas concilianda majestas nomini Ro Si assegnan loro cinque quinqueremi, acciocchè
mano esset, decernunt. Legati Asiam petentes andassero con la dignità conveniente a quel paesi,
protinus Delphos quum escendissent, oraculum dove bisognava acquistar credito al nome Roma
audierunt, consulentes ad quod negotium missi no. Gli ambasciatori, partiti alla volta dell'Asia,
essent, perficiendi eius, quam sibi spem populo smontati essendo a Delfo, andarono a consultare
que Romano portenderet. Responsum esse ferunt, l'oracolo, quale speranza desse loro ed al popolo
« Per Attalum regem compotes ejus fore, quod Romano di condurre ad effetto quello, per lo
peterent. Quum Romam deam deve Kissent, tum che partiti erano di casa. Dicono che loro fosse
curarent, ut eam, qui vir optimus Romae esset, risposto: « Otterrebbero per opera del re Attalo
hospitio exciperet. » Pergamum ad regem ve quello, che bramavano. Quando avessero condot
merunt. Is legatos comiter acceptos Pessinun ta a Roma la dea, facessero che le desse ricetto
tem in Phrygiam deduxit; sacrumque iis lapi in sua casa il miglior uomo, che fosse in Roma. -
dem, quam matrem deim esse incolae dicebant, Giunsero a Pergamo al re. Egli accolti benigna
tradidit, ac deportare Romam jussit. Praemissus mente gli ambasciatori, li condusse a Pessinunte
ab legatis M. Valerius Falto nunciavit, deam ap nella Frigia; e consegnò loro la sacra pietra, che
portari: quaerendum virum optimum in civitate gli abitanti dicevan essere la madre degli dei,
esse, qui eam rite hospitio exciperet. Q. Caeci perchè la portassero a Roma. Mandato innanzi
lius Metellus dictator ab consule in Bruttiis co dagli altri ambasciatori Marco Valerio Faltone,
mitiorum causa dictus, exercitusque ejus dimis annunziò che la dea veniva ; doversi cercare
sus; magister equitum L. Veturius Philo. Comi l'uomo, che fosse il migliore di Roma, il quale
tia per dictatorem habita. Consules facti M. Cor solennemente la ricevesse in propria casa. Quinto
nelius Cethegus, P. Sempronius Tuditanus absens, Cecilio Metello fu nominato dal console ne' Bru
quum provinciam Graeciam haberet. Praetores zii dittatore a tenere i comizii, ed il suo esercito
inde creati, Ti. Claudius Nero, M. Marcius Ralla, fu licenziato; il maestro de'cavalieri fu Lucio
L. Scribonius Libo, M. Pomponius Matho. Co Veturio Filone. Il dittatore tenne i comizii. Fu
mitiis peractis, dictatorsese magistratu abdicavit. rono fatti consoli Marco Cornelio Cetego, e Pu
Ludi Romani ter, plebeji septies instaurati. Cu blio Sempronio Tuditano, assente, perchè andato
rules erant aediles Cn. et L. Cornelii Lentuli.
al suo governo nella Grecia. Indi si crearono pre
Lucius Hispaniam provinciam habebat: absens tori Tito Claudio Nerone, Marco Marcio Ralla,
creatus, absenseum honorem gessit. Ti. Claudius Lucio Scribonio Libone e Marco Pomponio Ma
Asellus et M. Junius Pennus plebeji aediles fue tone. Terminati i comizii, il dittatore depose la
runt. Aedem Virtutiseo anno ad portam Capenam carica. I giuochi Romani furon tre volte rinno
M. Marcellus dedicavit, septimo decimo anno post vati, sette i plebei. Erano curuli edili i due Cor
quam a patre ejus primo consulatu vota in Gallia nelii Lentuli Gneo e Lucio. Lucio aveva il co
ad Clastidium fuerat. Et flamen Martialisco anno mando della Spagna: creato assente ritenne as
est mortuus M. Aemilius Regillus, sente quell'onore. Gli edili plebei furono Tibe
rio Claudio Asello e Marco Giunio Penno. In
quell'anno Marco Marcello dedicò il tempio della
Virtù presso la porta Capena, diciassett'anni da
poi che suo padre nel suo primo consolato ne
avea fatto il voto nella Gallia presso Clastidio. In
quell'anno pure Marco Emilio Regillo, sacerdote
di Marte, morì.
XII. Neglectae eo biennio res in Graecia e XII. Le cose nella Grecia erano state in questi
rant: itaque Philippus Aetolos, desertos ab Ro due anni trascurate. Quindi Filippo costrinse gli
manis, cui uni fidebant auxilio, quibus voluit Etoli abbandonati dai Romani, solo aiuto in cui
conditionibus, ad petendam et paciscendam su- fidavano, a chiedere e pattuire la pace alle con
begit pacem. Quod nisi omni vi perficere matu dizioni, che volle. Il che se non si fosse egli gran
rasset, bellantem eum cum Aetolis P. Sempronius demente affrettato di conchiudere, trovatolo in
proconsul, successor imperiimissus Sulpicio, cum guerra cogli Etoli, l'avrebbe certo il proconsole
decem millibus peditum, et mille equitibus, et Publio Sempronio, mandato successore a Sulpicio,
triginta quinque rostratis navibus (haud parvum oppresso con dieci mila fanti, mille cavalli, e tren
momentum ad opem ferendam sociis) oppressis tacinque navi rostrate, forze di non piccolo mo
set Vixdum pace facta, nuncius regi venit, Ro mento a soccorrere gli alleati. Appena fatta la
373 TITI LIVII LIBER XXIX. 374
manos Dyrrachium venisse, Parthimosque et pace, giunse avviso al re, che i Romani eran ve
propinquas alias gentes motas esse ad spem no nuti a Durazzo, che i Partini ed altri vicini paesi
vandi res, Dimallumque oppugnari. Eo se ver s'eran sollevati per isperanza di novità, e che si
terant Romani ab Aetolorum, quo missi erant, batteva Dimallo. S'eran colà rivolti i Romani,
auxilio, irati, quod sine auctoritate sua adversus sdegnati che gli Etoli, al cui soccorso erano stati
foedus cum rege pacem fecissent. Ea quum au mandati, avessero invece senza il loro assentimen
disset Philippus, ne qui motus major in finitimis to contro i patti segnata la pace col re. Filippo,
gentibus populisque oriretur, magnis itineribus udito ciò, temendo che non nascesse maggior
Apolloniam contendit, quo Sempronius se rece sommossa ne' paesi e popoli d'intorno, si recò a
perat, misso Laetorio legato cum parte copiarum gran giornate ad Apollonia, dove Sempronio
et quindecim navibus in Aetoliam, et ad visendas s'era ritratto, avendo spedito il legato Letorio
res, pacemdue, si posset, turbandam. Philippus nell'Etolia con parte delle genti e con quindici
agros Apolloniatium vastavit, et ad urbem admo navi a esaminare le cose, e se potesse, a scompi
tis copiis potestatem pugnae Romano fecit. Quem gliare la pace. Filippo diede il guasto alle terre
postduam quietum muros tantummodo tueri vi degli Apolloniati, e avvicinato l'esercito alla
dit, nec satisfidens viribus, ut urbem oppugna città, offrì al Romano la battaglia. Ma poi che il
ret, et cum Romanis quoque, sicut cum Aetolis, vide quieto badare solamente alla difesa delle
cupiens pacem, si posset, sin minus, inducias fa mura, nè stimandosi forte abbastanza per com
cere, nihil ultra irritatis novo certamine odiis, battere la città, e bramando, siccome cogli Etoli,
in regnum se recepit. Per idem tempus, taedio la pace ancora, se potesse, coi Romani, se no,
diutini belli. Epirotae, tentata prius Romanorum almeno una tregua, senza irritare gli odii più
voluntate, legatos de pace communi ad Philippum oltre con nuove pugne, tornò al suo regno. In
misere; satis confidere, conventuram eam, affir quel tempo medesimo gli Epiroti, attediati della
mantes, si ad colloquium cum P. Sempronio lunga guerra, saggiata prima la volontà dei Ro
imperatore Romano venisset. Facile impetratum mani, mandarono ambasciatori a trattar con Fi
(neque enim me ipsius quidem regis abborrebat lippo della pace comune; aver essi assai speranza
animus), utin Epirum transiret. Phoenice urbs est di conchiuderla, se venisse ad abboccarsi con
Epiri Ibi prius collocutus rex cum Aéropo et Publio Sempronio comandante Romano. Si otten
Darda et Philippo, Epirotarum praetoribus; po ne facilmente (chè non n'era gran fatto alieno
stea cum P. Sempronio congreditur. Adfuit collo l'animo dello stesso re) ch'egli passasse in Epiro.
quio et Amymander Athamanum rex, et magistra È città dell' Epiro Fenice: quivi prima abbocca
tus alii Epirotarum et Acarnanum. Primus Philip tosi il re con Aeropo e Darda e Filippo, pretori
pus praetor verba fecit, et petit simul ab rege et degli Epiroti, poscia conferì con Publio Sempro
ab imperatore Romano, ut finem belli facerent, nio. Assistettero al colloquio e Aminandro re de
darentoue eam Epirotis veniam. P. Sempronius gli Atamani, e gli altri magistrati degli Epiroti
conditiones pacis dixit, ut Parthini et Dimallum e degli Arcanani. Primo a parlare fu il pretore
et Bargulum et Eugenium Romanorum essent: Filippo, e ad un tempo chiese al re e al coman
Atintania, si, missis Romam legatis, ab senatu dante Romano, che mettessero fine alla guerra, e
impetrasset, Macedoni accederet. In eas condi questo concedessero agli Epiroti, Publio Sempro
tiones quum pax conveniret, ab rege foederi mio chiese per condizioni della pace, che i Partini
adscripti Prusia Bithyniae rex, Achaei, Boeti, e Dimallo e Bargulo ed Eugenio fossero de'Ro
Thessali, Acarnanes, Epirotae: ab Romanis Ili mani; l'Atintamia, se mandati de legati a Roma,
enses, Attalus rex, Pleuratus, Nabis Lacedaemo il senato acconsentisse, fosse del Macedone. Con
niorum tyrannus, Elei, Messenii, Athemienses. venuta a questi patti la pace, furono dal re asso
Haec conscripta consignataque sunt, et in duos ciati alla stessa Prusia re della Bitinia, gli Achei,
menses induciae factae, donec Romam mitteren i Beozii, i Tessali, gli Acarnani, gli Epiroti; e dai
tur legati, ut populus in has conditiones, pacem Romani gl'Iliesi e il re Attalo, Pleurato, Nabide
juberet: iusseruntdue omnes tribus, quia, verso tiranno de' Lacedemoni, gli Elei, i Messenii e
in Africam bello, omnibus aliis in praesentiale gli Ateniesi. Queste furono le condizioni scritte
vari volebant bellis. P. Sempronius, pace facta, e segnate, e si fe” una tregua di due mesi sino a
ad consulatum Romam decessit. che si mandasse a Roma, onde il popolo assentisse
a questi patti; e tutte le tribù assentirono, per
chè, volta essendo la guerra in Africa, volevano
in presente scaricarsi d'ogni altra. Publio Sem
pronio, fatta la pace, partì alla volta di Roma a
esercitare il consolato.
375 TITI LIVII LIBER XXIX. 376

XIII. (Anno U. C. 548. – A. C. 2o4.) P. Sem XIII. (Anni D. R. 548. – A. C. 2o4.) Ai


pronio, M. Cornelio consulibus (quintusdeci consoli Publio Sempronio e Marco Cornelio (era
mus is annus Punici belli erat) provinciae, Cor questo l'anno decimo quinto della guerra Car
nelio Etruria cum vetere exercitu, Sempronio taginese) furono decretate le province: toccò a
Bruttii, ut novas scriberet legiones, decretae. Cornelio la Toscana col vecchio esercito, ebbe Sem
Praetoribus, M. Marcio urbama, L. Scribonio Li pronio i Bruzii, con che però levasse nuove legio
boni peregrina, et eidem Gallia, M. Pomponio ni. A Marco Marcio toccò la pretura urbana, a Lucio
Mathoni Sicilia, Ti. Claudio Neroni Sardinia Scribonio Libone la forestiera, ed allo stesso la
evenit. P. Scipioni cum eo exercitu, cum ea Gallia; a Marco Pomponio Matone la Sicilia, a
classe, quam habebat, prorogatum in annum im Tito Claudio Nerone la Sardegna. Si prorogò
perium est: item P. Licinio, ut Bruttios cum il comando a Publio Scipione per un anno con
duabus legionibus obtineret, quoad eum in pro quell'esercito e con quella flotta, che aveva ; e
vincia cum imperio morari consuli e republica così a Publio Licinio, perchè si rimanesse ne'Bru
visum esset. Et M. Livio, et Sp. Lucretio, cum zii con due legioni sino a tanto, che il console
binis legionibus, quibus adversus Magonem Gal stimasse utile alla repubblica, ch'ei durasse in
liae praesidio fuissent, prorogatum imperium est. quel comando. Fu anche prorogato a Marco Li
Et Cn. Octavio, ut, cum Sardiniam legionemdue vio e a Spurio Lugrezio con le due legioni, colle
Ti. Claudio tradidisset, ipse navibus longis qua quali avea protetta la Gallia contro Magone. E
draginta maritimam oram, quibus finibus sena parimenti a Gneo Ottavio, acciocchè, poi che
tus censuisset, tutaretur. M. Pomponio praetori avesse consegnata la Sardegna e la legione a Tito
in Sicilia Cannensis exercitus duae legiones de Claudio, egli con quaranta galee guardasse la co
cretae. T. Quintius Tarentum, C. Hostilius Tu sta marittima dentro i limiti, che il senato stimas
bulus Capuam, propraetores, sicut priore anno, se. A Marco Pomponio, pretore nella Sicilia, si
cum vetere uterque praesidio, obtinerent. De decretarono due legioni dell'esercito di Canne;
Hispaniae imperio, quos in eam provinciam duos i propretori Tito Quinzio e Caio Ostilio Tubulo
proconsules mitti placeret, latum ad populum tenessero, quegli Taranto, questi Capua, come
est. Omnes tribus eosdem, L. Cornelium Len l'anno innanzi, l'uno e l'altro col vecchio presidio.
tulum et L. Manlium Acidinum, proconsules, Fu proposto all'assemblea del popolo, quanto alla
sicut priore anno tenuissent, obtinere eas pro Spagna, quali i due proconsoli volesse che si man
vincias jusserunt. Consules delectum habere in dassero colà. Tutte le tribù ordinarono che ci re
stituerunt, et ad novas scribendas in Bruttios le stassero, come l'anno innanzi, i proconsoli Corne
giones, et in ceterorum (ita enim jussi ab senatu lio Lentulo e Lucio Manlio Acidino. I consoli co
erant) exercituum supplementum. minciarono a far le leve,e ad arrolare nuove legio
ni da mandarsi ne' Bruzii, e per compiere (come
il senato avea loro commesso) gli altri eserciti.
XIV. Quamquam nondum aperte Africa pro XIV. Benchè l'impresa dell'Africa non fosse
vincia decreta erat (occultantibus id, credo, Pa stata ancora apertamente decretata (occultando,
tribus, ne praesciscerent Carthaginienses), tamen credo, i Padri la cosa, perchè i Cartaginesi non
in eam spem erecta civitas erat, in Africa eo ne avessero sentore), nondimeno la città si era
anno debellatum iri, finemdue bello Punico ades levata alla speranza, che in quell'anno in Africa
se. Impleverat ea res superstitionum animos, si poserebbon l'armi, e che vicino fosse il fine
pronique et ad nuncianda, et ad credenda prodi della guerra Cartaginese. Questo pensiero avea
gia erant: eo plura vulgabantur. « Duos soles vi riempiuti gli animi di superstizione, ed erano
sos, et nocte interluxisse; et facem Setiae ab ortu inclinati ad annunziare e a dar credenza ai pro
solis ad occidentem porrigi visam. Tarracinae digii; e quindi più se ne spacciavano. « S'eran
portam, Anagniae et portam et multis locis mu veduti due soli; un gran chiarore di notte; a
rum de coelo tactum. In aede Junonis Sospitae Sezia una facella sera distesa da levante a po
Lanuvii cum horrendo fragore strepitum edi nente; a Tarracina la porta, ad Anagnia e la porta
tum. » Eorum procurandorum causa diem unum e il muro in parecchi luoghi erano stati percossi
supplicatio fuit; et novemdiale sacrum, quod de da fulmini; nel tempio di Giunone Sospita a La
coelo lapidatum esset, factum. Eo accessit consul nuvio s'era udito uno strepito con orrendo fra
tatio de matre Idaea accipienda, quam, praeter gore. ” Ad espiare questi prodigii vi furono
quam quod M. Valerius, unus ex legatis prae precipubbliche per un giorno, e si fecero sagri
gressus, actutum in Italia forenunciaverat, recens fizii per nove giorni, perch'eran piovute pietre
nuncius aderat, Tarracinae jam esse. Haud parvae dal cielo. Si aggiunse a questo la consulta pel
rei judicium senatum tenebat, qui vir optimus in ricevimento della madre Idea, la quale, oltre che
377 TITI LIVII LIBER XXIX. 378
civitate esset: veram certe victoriam ejus rei sibi Marco Valerio, uno de' legati spedito innanzi,
quisque mallet, quam ulla imperia honoresve, avea riferito ch'ella sarebbe di giorno in giorno
suffragio seu Patrum, seu plebis delatos. P. Sci in Italia, un recente messo annunziava ch'era
pionem, Cn. filium, eius qui in Hispania cecide già in Terracina. Non era piccolo pensiero al se
rat, adolescentem nondum quaestorium, judica mato il giudicare qual fosse il miglior uomo di
verunt in tota civitate virum bonorum optimum tutta Roma. Certo ognuno avrebbe preferito
esse. Id quibus virtutibus inducti itajudiearint, di restar vincitore in quella gara a qual siasi
sicut proditum a proximis memoriae temporum altra carica od onore, che gli avessero i Padri
illorum scriptoribus libens posteris traderem ; o la plebe impartito. Giudicarono pertanto, che
ita meas opiniones, conjectando rem vetustate Publio Scipione, figlio di quel Gneo, ch'era pe.
obrutam, non interponam. P. Cornelius cum rito nella Spagna, giovanetto non ancora in età
omnibus matronis Ostiam ire jussus obviam deae, d'esser questore, fosse tra buoni il migliore
isque eam de nave accipere, et in terram elatam di tutta la città. Da quali virtù indotti abbiano
tradere ferendam matronis. Postduam navis ad i Padri così giudicato, siccome amerei di traman
ostium ammis Tiberini accessit, sicut erat jussus, darlo ai posteri, se scrittori vicini a que tempi
in salum nave evectus, ab sacerdotibus deam ac ce l'avessero lasciato scritto, così non interporrò
cepit, extulito ue in terram. Matromae primores il parer mio, usando di congetture in cosa sepolta
civitatis, inter quas unius Claudiae Quintae in nell'antichità. Publio Cornelio ebbe ordine di
signe est momen, accepere: cui dubia (ut traditur) recarsi con tutte le matrone ad Ostia ad incon
antea fama clariorem ad posteros tam religioso trare la dea e riceverla dalla nave, e scesa a terra
ministerio pudicitiam fecit. Eae per manus, suc darla a portare alle matrone. Poi che fu giunta
cedentes deinceps aliae aliis, omni effusa civitate la nave alla bocca del Tevere, entrato in mare
obviam, thuribulis ante januas positis, qua prae con una barca, come gli era stato commesso,
ferebatur, atque accenso thure, precantibus, ut ricevette la dea dalle mani dei sacerdoti, e por
volens propitiaque urbem Romanam iniret, in tolla a terra. Le principali matrone di Roma
aedem Victoriae, quae est in Palatio, pertulere la ricevettero, tra le quali non si sa d'altre il no
deam pridie Idus Aprilis; isque dies festus fuit. me, che di Claudia Quinta, la cui pudicizia,
Populus frequens dona deae in Palatium tulit, le di dubbia fama per l' innanzi, come si scrive,
etisterniumque et ludi fuere, Megalesia appellata. fessi più chiara ai posteri per sì religioso mini
stero. Esse da mano a mano, le une alle altre
succedendo, vedendosi corsa incontro tutta la
città, posti turriboli, ed ardere incensi dinanzi
alle porte sulle vie, dove passava, ciascuno pre
gando che volonterosa e propizia entrasse in
Roma, il dì duodecimo di Aprile portarono la dea
nel tempio della Vittoria, ch'è sul monte Pala
tino; e quel dì fu di poi sempre festivo. Il popolo
in gran folla recò doni alla dea sul Palatino; e vi
furono i sacri-letti, ed i giuochi, che chiamarono
Megalesi. -

XV. Quum de supplemento legionum, quae XV. Trattandosi in senato del supplemento
in provinciis erant, ageretur: « tempus esse, º delle legioni, ch'erano nelle province, a essere
a quibusdam senatoribus subjectum est, a quae ormai tempo, dissero alcuni senatori, di non più
dubiis in rebus utcumque tolerata essent, ea, oltre soffrire quello ch'era comunque sofferto
dempto jam tandem deim benignitate metu, non ne'tempi pericolosi, essendo omai tolto per be
ultra pati. » Erectis exspectatione Patribus, sub nignità degli dei ogni timore. » Levatisi in aspet
jecerunt: « colonias Latinas duodecim, quae Q. tazione i Padri, soggiunsero: « le dodici colonie
Fabio et Q. Fulvio consulibus abnuissent milites Latine, che avean ricusato di dar soldati ai con
dare, eas annum jam ferme sextum vacationem soli Quinto Fabio e Quinto Fulvio, già da sei
militiae, quasi honoris et beneficii causa, habere; anni essere esenti dalla milizia, quasi a titolo
quum interim boni obedientesque socii, pro fide di onore e di benefizio, mentre intanto i buoni
atque obsequio in populum Romanum, continuis ed obbedienti alleati, per la fede ed ossequio
omnium annorum delectibus exhausti essent. » loro verso il popolo Romano, sono esausti dal
Sub hanc vocem non memoria magis Patribus le continue leve di ciascun anno. » A questo
renovata rei prope jam obliteratae, quam irair cenno non tanto rinnovossi ne'Padri la memoria
ritata est. Itaque, nihil prius referre consules di cosa quasi dimenticata, quanto attizzossi lo
TITI LIVII LIBER XXIX. 38 ,
379
passi, decreverunt, « ut consules magistratus de sdegno. Non permettendo adunque che i consoli
nosque principes Nepete, Sutrio, Ardea, Calibus, altro affare innanzi a questo proponessero de
Alba, Carseolis, Sora, Suessa, Setia, Circejis, Nar cretarono, « che i consoli chiamassero a Roma
mia, Interamna (eae namque coloniae in ea causa i magistrati, e dieci de'principali cittadini di Ne
erant), Romam excirent: iis imperarent, quan pete, di Sutrio, di Ardea, di Cale, di Alba, di
tum quaeque earum coloniarum militum pluri Carseole, di Sora, di Suessa, di Sesia, di Circeio,
mum dedisset populo Romano, ex quo hostes in di Narnia e d'Interamna (tutte colonie ch'erano
Italia essent, duplicatum eius summae numerum in questo caso); comandassero loro, che ciascuna
peditum daret, et equites centenos vicenos. Si desse duplicato il numero di quel più di soldati,
qua eum numerum equitum explere non posset, che avea dato al popolo Romano dal dì, che
pro equite uno tres pedites liceret dare: pedites il nemico avea posto piede in Italia, non che cento
equitesque quam locupletissimi legerentur, mit e venti cavalieri. Se alcuna compier non potesse
terenturque, ubicumque extra Italiam supple il numero di questi, desse per un cavaliere tre
mento opus esset. Si qui ex iis recusarent, reti fanti; e che i cavalieri ed i fanti si scegliessero
neri eius coloniae magistratus legatosque placere; de più ricchi, e si mandassero fuor d'Italia, dove
neque, si postularent, senatum dari, priusquam si abbisognasse di supplemento. Se alcuni di que
imperata fecissent. Stipendium praeterea iis co sti ricusassero di ubbidire, si ritenessero a Roma
loniis in millia aeris asses singulos imperari exi i magistrati ed i legati di quella colonia; nè, se
gique quotannis; censumque in iis eoloniis agi chiedessero udienza al senato, la si desse loro
ex formula ab Romanis censoribus data. Dari innanzi che avessero ubbidito. Inoltre s'impo
autem placere eamdem, quam populo Romano; nesse e riscuotesse da quella colonia ogni anno
deferrique Romam ab juratis censoribus colonia un asse ogni mille del lor valsente; e vi si facesse
rum, priusquam magistratu abirent. - Ex hoc il censo secondo la norma, che fosse data dai cen
senatusconsulto, accitis Romam magistratibus pri sori Romani. Volersi però che sia quella stessa,
moribusque earum coloniarum, consules quum che si darebbe al popolo Romano, e che quel
militem stipendiumque imperassent, alii aliis ma censimento fosse portato a Roma dai censori giu
gis recusare ac reclamare. Negare a tantum mi rati delle colonie, prima che lasciassero la carica. -
litum eſfici posse: vix, si simplum ex formula In vigor di questo decreto chiamati a Roma i
imperetur, emisuros. » Orare atque obsecrare, magistrati e i principali di quelle colonie, come
« ut sibi senatum adire ac deprecari liceret. ebbero i consoli intimato loro di contribuire e
Nihil se, quareperire merito deberent, admisisse: soldati e stipendio, cominciaron tutti l'un più
sed, si pereundum etiam foret, medue suum de che l'altro a ricusare e reclamare, dicendo a esser
lictum, neque iram populi Romani, ut plus mi loro impossibile far tanti soldati: appena, se si
litum darent, quam haberent, posse efficere. » chiedesse il semplice numero, giusta la formula
Consules obstinati manere legatos Romae iubent; usitata, l'otterrebbero. » Chiedevano e scongiu
magistratus ire domos ad delectus habendos. ravano, a che si permettesse loro di presentarsi
Nisi summa militum, quae imperata esset, Ro al senato e pregarlo: non aver essi commesso
mam adducta, neminem iis sematum daturum. Ita cosa, per cui meritassero di perire, ma se anche
praecisa spe senatum adeundi deprecandique, perir dovessero, nè il lor peccato, nè lo sdegno
delectus in iis duodecim coloniis, per longam va del popolo Romano potrebbe fare che dieno più
cationem numero juniorum aucto, haud difficul soldati, che non ne hanno. - I consoli ostinati
ter est perfectus. comandano che i legati si rimangano a Roma;
che i magistrati vadano a casa a far la leva:
se prima condotta non fosse a Roma la somma
dei soldati comandata, non avrebbono ottenuta
udienza dal senato. Così, troncata ogni speranza
di andare a scongiurare il senato, la leva in quelle
dodici colonie, cresciutovi il numero de giovani
per la lunga esenzione dalla milizia, si compiè
senza difficoltà.
XVI. Altera item res, prope aequelongo ne XVI. Altra cosa parimenti, quasi per egual
gleeta silentio, relata a M. Valerio Laevino est: tempo trasandata in silenzio, fu proposta al se
qui, a privatis collatas pecunias, se ac M. Clau nato da Marco Valerio Levino, il quale disse
dio consulibus, reddi tandem, aequum esse dixit: « essere cosa giusta, che finalmente si restituis
nec mirari quemquam debere, in publica obligata sero le somme di danaro contribuite dai privati
fide suam praecipuam curamesse. Nam, Praeter nel tempo, ch'egli era console con Marco Clau
38 i
TITI LIVII LIBER XXIX. 382

quam quod aliquid proprie ad consulem ejus an dio; nè doversi alcuno maravigliare, se obbligata
ni, quo collatae pecuniae essent, pertineret, etiam essendo la pubblica fede, se ne prende egli cura
se auctorem ita conferendi fuisse, inopi aerario, speciale. In fatto, oltre che la cosa riguarda pro
nec plebe ad tributum sufficiente. » Grata ea priamente alcun poco il console di quell'anno,
Patribus admonitio fuit; jussisque referre con in cui s'è prestato il danaro, egli stesso avea
sulibus, decreverunt, « ut tribus pensionibus ea proposto quel modo di contribuire nella penuria
pecunia solveretur: primam praesentem ii, qui dell'erario e nella impotenza della plebe a pa
tum essent, duas tertii et quinti consules nume gare il tributo. » Fu grato ai Padri sì fatto
rarent. º Omnes deinde alias curas una occupa ricordo; e detto ai consoli che ne facessero la
vit, postguam Locrensium clades, quae ignoratae proposta, decretarono, a che quel danaro fosse
ad eam diem fuerant, legatorum adventu vulga pagato in tre rate: contassero subito la prima
tae sunt: nec tam Q. Pleminii scelus, quam Sci i consoli dell'anno corrente; le altre due quelli
pionis in eo aut ambitio aut negligentia iras ho dell'anno terzo e quinto. » Indi una sola cura
minum irritavit. Decem legati Locrensium, obsiti prese il luogo di tutte l'altre, poi che colla venuta
squalore et sordibus, in comitio sedentibus con dei legati si divolgarono le calamità dei Locresi,
sulibus velamenta supplicum, ramos oleae (ut che si erano ignorate sino a quel dì. Nè tanto
Graecismos est), porrigentes, ante tribunal cum irritò la gente la scelleraggine di Quinto Plemi
flebili vociferatione humi procubuerunt. Quae nio, quanto in questo fatto la parzialità o la
rentibus consulibus « Locrenses se dixerunt esse, negligenza di Scipione. Dieci ambasciatori dei
ea passos a Q. Pleminio legato Romanisque mi Locresi, tutti squallore e sozzura, mentre i con
litibus, quae patine Carthaginienses quidem velit soli sedevano in sulla piazza dei comizii, spor
populus Romanus. Rogare, uti sibi Patres adeun gendo in atto di supplichevoli (come costumano
di, deplorandique aerumnas suas potestatem fa i Greci) rami d'ulivo, gettaronsi a terra dinanzi
Cerent. » al loro tribunale con lamentevoli grida. Doman
dati dai consoli risposero, a ch'eran Locresi, che .
avean sofferto dal legato Quinto Pleminio e dai
soldati Romani quello, che non vorrebbe il po
polo Romano che soffrissero nè meno gli stessi
Cartaginesi. Pregavano che fosse lor dato di
presentarsi ai Padri, e deplorare le loro cala
mità. »

XVII. Senatu dato, maximus natu ex iis: XVII. Introdotti in senato, il maggiore di età
- Scio, quanti aestimentur nostrae apud vos que così parlò: « In che conto abbiano ad essere tenute
relae, Patres conscripti, plurimum in eo momenti le querele nostre presso di voi, o Padri coscritti,
esse, si probe sciatis, et quomodo proditi Locri ben so massimamente in questo consistere, se
Hannibali sint, et quomodo, pulso Hannibalis sappiate al giusto in qual modo Locri sia stato da
praesidio, restituti in ditionem vestram. Quippe to in mano ad Annibale, e in qual modo, scacciato
si et culpa defectionis procul a publico consilio il presidio di Annibale, rimesso in poter vostro.
absit, et reditum in vestram ditionem appareat, Perciocchè, se la colpa della ribellione non sia
non voluntate solum, sed ope etiam ac virtute imputabile a pubblico consiglio, e se il ritorno
nostra, magis indignemini, bonis ac fidelibus alla vostra dominazione si vegga fatto non sola
sociis tam atroces atque indignas injurias able mente per volontà, ma eziandio per opera e virtù
gato vestro militibusque fieri. Sed ego causam nostra, vi sdegnerete maggiormente che a buoni
utriusque defectionis nostrae in aliud tempus e fedeli alleati si facciam dal vostro legato e dai
differendam arbitroresse, duarum rerum gratia; vostri soldati ingiurie cotanto atroci ed indegne.
unius, ut coram P. Scipione, qui Locros recepit, Ma penso che l'espor la ragione dell'uno e del
omnium nobis recte perperamque factorum testis, l'altro nostro cangiamento differir si debba ad
agatur; alterius, quod, qualescumque sumus, ta altro tempo per due ragioni; una, perchè se ne
men haec, quae passi sumus, pati non debuimus. idebba trattare presente Publio Scipione, il quale
Non possumus dissimulare, Patres conscripti, nos, ricuperò Locri, testimonio di tutto il bene ed
quum praesidium Punicum in arce nostra habe il male, che abbiam fatto; l'altra, perchè qualun
remus, multa foeda et indigna, et a praefecto que noi siamo, pur non dovemmo soffrire quello,
praesidii Hamilcare, et ab Numidis Afrisque pas che soffrimmo. Non possiamo dissimulare, o Pa
sos esse. Sed quid illa sunt, collata cum iis, quae dri coscritti, che quando ebbimo il presidio Car
hodie patimur ? Cum bona venia, quaeso, audia taginese nella nostra rocca, dovemmo soffrire
tis, Patres conscripti, id, quod invitus dicam. In molte sconce ed indegne cose e dal prefetto del
383 TITI LIVII LIBER XXIX. 384

discrimine est nunchumanum omne genus, utrum presidio Amilcare, e dai Numidi ed Africani. Ma
vos, an Carthaginienses principes terrarum videat. che son quelle paragonate con queste, ch'oggi
Si ex iis, quae Locrenses aut ab illis passi sumus, soffriamo? Udite, di grazia, pazientemente, o
aut a vestro praesidio nunc quum maxime pati Padri coscritti, quello che contro voglia dirovvi.
mur, aestimandum Romanum ac Punicum impe Pende ora in dubbio tutta l'umana generazione,
rium sit, memo non illossibi, quam vos, domi se vedrà voi, ovvero i Cartaginesi dominare tutta
mos praeoptet. Et tamen videte, quemadmodum la terra. Se si avesse a far giudizio dell'impero
Locrenses in vos animati sint: quum a Carthagi Romano e del Cartaginese da quello, che han
niensibus injurias tanto minores acciperemus, ad sofferto i Locresi da loro, o che ora soffrono
vestrum imperatorem confugimus: quum a ve grandemente dal vostro presidio, non v'ha uno,
stro praesidio plusquam hostilia patiamur, nus che non volesse la loro, più tosto che la vostra
quam alio, quan ad vos, querelas detulimus. Aut dominazione. Nondimeno vedete di che animo
vos respicietis perditas res nostras, Patres con sono i Locresi verso di voi. Sebbene ricevessimo
scripti, aut ne ab diis quidem immortalibus quod assai minori ingiurie dai Cartaginesi, ricorremmo
precemur, quidquam superest. Q. Pleminius le al vostro comandante, e soffrendo ora dal vostro
gatus missus est cum praesidio ad recipiendos a presidio trattamenti più che ostili, non ad altri
Carthaginiensibus Locros, et cum eodem ibi re portammo le doglianze nostre che a voi. O voi
lictus est praesidio. In hoc legato vestro (dant darete uno sguardo, Padri coscritti, alle nostre
enim animum ad loquendum libere ultimae mi calamità, o non ci avanza nè meno di che pregare
seriae) nec hominis quidquam est, Patres con scri gli stessi dei immortali. Ci fu mandato legato
pti, praeter figuram et speciem ; neque Romani insieme col presidio Quinto Pleminio a ritrar
civis, praeter habitum, vestitumque, et sonnm Locri dalle mani dei Cartaginesi, e fu quivi la
Latinae linguae. Pestis ac bellua immanis, quales sciato a governare collo stesso presidio. In que
fretum quondam, quo ab Sicilia dividimur, ad sto vostro legato (che ci fanno arditi a parlare
perniciem navigantium circumsedisse fabulae fe liberamente l'estreme nostre sciagure) nè altro
runt. At si scelus, libidinem que, et avaritiam so havvi d'uomo, Padri coscritti, che la figura e
lus ipse exercere in socios vestros satis haberet, la sembianza; nè altro di cittadino Romano, che
unam profundam quidem voraginem tamen pa il portamento, il vestito e il suono della favella
tientia nostra expleremus. Nunc omnes centurio latina. Egli è una peste, un mostro crudele, come
nes militesque vestros (adeo in promiscuo licen quelli, che narrano le favole un tempo aver asse
tiam atque improbitatem esse voluit) Pleminios diato lo stretto, che ci divide dalla Sicilia a ster
fecit: omnes rapiunt, spoliant, verberant, vulne minio dei naviganti. E se si appagasse di eserci
rant, occidunt: constuprant matronas, virgines, tare egli solo contro i vostri alleati la sua scelle
ingenuos, raptos ex complexu parentum. Quotidie raggine, libidine ed avarizia, pur potremmo colla
capitur urbs nostra, quotidie diripitur; dies no pazienza nostra ricolmare questa profonda sì, ma
ctesque omnia passim mulierum puerorumque, pur sola voragine. Ora costui tutti i centurioni,
qui rapiuntur atque asportantur, ploratibus so tutti i soldati vostri (sì gli piacque render co
mant. Miretur, qui sciat, quomodo aut nos ad mune la licenza e la malvagità) gli ha fatti diven
patiendum sufficianus, autillos, qui faciunt, non tare Pleminii; tutti rapiscono, spogliano, battono,
dum tantarum injuriarum satietas ceperit. Neque feriscono, uccidono: stuprano le matrone, le
ego exsequi possum, nec vobis operae est audire vergini, i giovanetti, strappatili dalle braccia
singula, quae passi sumus: communiter omnia dei genitori. La città nostra ogni giorno è presa
amplectar. Nego domum ullam Locris; nego d'assalto, ogni giorno saccheggiata; dì e notte
quemduam hominem expertem injuriae esse; ne non d'altro suonan le contrade, che delle strida
go ullum genus sceleris, libidinis, avaritiae supe di donne e di fanciulli, che si rapiscono e si por
resse, quod in ullo, qui pati potuerit, praeter tan via. Chi ciò sapesse, farebbe le maraviglie, o
missum sit. Vix ratio imiri potest, uter casus civi come regger possiamo a tanto soffrire, o come
tatis sit detestabilior, quum hostes bello urbem non sieno sazii ancora di tanti oltraggi coloro,
cepere, an quum exitiabilis tyrannus vi atque ar che ce li fanno. Nè io posso raccontare per mi
mis oppressit. Omnia, quae captae urbes patium nuto, nè importa a voi l'udire una ad una le cose,
tur, passi sumus, et quum maxime patimur, Pa che soffrimmo; abbraccerolle tutte in un fascio.
tres conscripti; omnia, quae crudelissimi atque Dico non esservi in Locri una casa, dico non
importunissimi tyranni scelera in oppressos cives esservi un uomo, che non sia stato oltraggiato;
edunt, Pleminius in nos, liberosque nostros et dico non essersi ommesso genere di scelleratezza,
conjuges edidit. » di libidine, di avarizia contro chiunque l'abbia
potuto soffrire. Appena può decidersi, qual sia
385 TIT1 LIVII LIBER XXIX. 386

più spaventoso caso per una città, se il nemico


la prese per assalto, o se l'oppresse colla violen
za, e coll'armi un crudelissimo tiranno. Tutto
quello, che soffre una città presa dal nemico,
l'abbiam sofferto, e tuttora il soffriamo, Padri
coscritti; tutte le scelleraggini, che i più rabbiosi
e più crudeli tiranni commettono contro i citta
dini oppressi, Pleminio le commise contro di noi,
contro i figliuoli e le mogli nostre.
XVIII. « Unum est, de quo nominatim et nos XVIll. t. V'ha però una cosa, della quale ci
queri religio infixa animis cogat, et vos audire, costringe a nominatamente dolerci la religione
et exsolvere rempublicam vestram religione, si scolpita nei nostri cuori, e che vorremmo che
ita vobis videbitur, velimus, Patres conscripti. udiste, o Padri coscritti, e da cui, se così parrav
Vidimus emim, cum quanta caeremonia non vestros vi, scaricaste in faccia agli dei la repubblica
solum colatis deos, sed etiam externos accipiatis. vostra. Perciocchè vedemmo con quanto rispetto
Fanum est apud nos Proserpinae, de cuius sancti non solo venerate i vostri dei, ma eviandio acco
tate templi credo aliquam famam ad vos perve gliete gli altrui. Evvi presso di noi il tempio
nisse Pyrrhi bello; qui quum ex Sicilia rediens, di Proserpina, della cui santità, credo, saravvi
Locros classe praeterveheretur, inter alia foeda, giunta alcuna contezza nella guerra di Pirro;
- quae propter fidem erga vos in civitatem nostran il quale, tornando dalla Sicilia, passando colla
facinora edidit, thesauros quoque Proserpinae, flotta dinanzi a Locri, tra l'altre sconce cose, che
intactos ad eam diem, spoliavit, atque ita, pecu commise contro la nostra città per la fede osser
mia in naves imposita, ipse terra est profectus. vata verso di voi, spogliò anche i tesori di Pro
Quid ergo evenit, Patres conscripti? Classis po serpina, non mai tocchi sino a quel dì ; e messo
stero die foedissima tempestate lacerata, omnes il danaro sulle navi, prese egli il cammino di ter
que naves, quae sacram pecuniam habuerunt, in ra. Che dunque avvenne, o Padri coscritti ? la
litora nostra eiectae sunt. Qua tanta clade edoctus flotta il dì seguente lacerata da fierissima bur
tandem deos esse superbissimus rex, pecuniam rasca, tutte le navi, ch'eran cariche del sacro
omnem conquisitam in thesauros Proserpinae re danaro, furon battute sui nostri lidi. Dalla quale
ferri jussit. Nec tamen illi umquam postea pro tanta rovina imparato avendo il superbissimo re
speri quidquam evenit; pulsusque Italia, ignobi che ci sono gli dei, ordinò che ricercato tutto
li atque imbonesta morte, temere nocte ingressus quel danaro, fosse rimesso nel tesoro di Proser
Argos, occubuit. Haec quum audisset legatus ve pina. Nondimeno nulla di poi riuscigli in bene;
ster, tribunioue militum, et mille alia, quae non e cacciato d'Italia, entrato imprudentemente di
augendae religionis causa, sed praesentis deae notte in Argo, perì di morte ignobile e indeco
numine saepe comperta nobis majoribusque no rosa. Avendo tutto ciò inteso il vostro legato ed
stris, referebantur; ausi sunt nihilominus sacrile i tribuni de'soldati, e mille altre simili storie,
gas admovere manus intactis illis thesauris, et che si narrano, non per accrescere il religioso
nefanda praeda se ipsos ac domos contaminare timore, ma come quelle, che attestarono a noi
suas et milites vestros. Quibus, per, vos, fidem ed ai maggiori nostri la presenza del nume, ciò
vestram, Patres conscripti, priusquam eorum non ostante osarono accostar le mani sacrileghe
scelus expietis, neque in Italia, neque in Africa a quegli intatti tesori e della nefanda preda sè e
quidquam rei gesseritis; ne, quod piaculum com le case loro ed i soldati vostri contaminare;
miserunt, non suo solum sanguine, sed etiam pu coll'opera de'quali, per fede vostra, non voglia
blica clade luant. Quamquam ne nunc quidem, te, o Padri coscritti, se non espiate innanzi la
Patres conscripti, aut in ducibus, aut in militi loro scelleratezza, fare alcuna impresa o nell'Ita
bus vestris cessatira deae. Aliquoties jam inter lia o nell'Africa; onde non paghino l'empietà, che
se signis collatis concucurrerunt: dux alterius commisero, non pure col loro sangue, ma eziandio
partis Pleminius, alterius duo tribuni militum colla pubblica rovina. Benchè nè anche al pre
erant. Non acrius cum Carthaginiensibus, quam sente, Padri coscritti, stassi lenta l'ira della dea
interse ipsi, ferro dimicaverunt; praebuissentque contro i capitani e soldati vostri. Già cozzarono
ºccasionem furore suo Locros recipiendi Hanni insieme alquante volte a bandiere spiegate: era
ºli, niaccitus ab nobis Scipio intervenisset. At, capo di un partito Pleminio, dell'altro i due tri
ºcule, milites contactos sacrilegio furor agitat: buni de'soldati. Non mai strinsero più rabbiosa
in ducibus ipsis puniendis nullum deae mumen mente il ferro contro i Cartaginesi, che contro
errºri lmmo ibi praesens maxime fuit: virgis
al V 1O 2
sè medesimi; e dato avrebbono col lor furore
25
387 ini Livu LIBER XXIx. 388

caesi tribuni ab legato sunt. Legatus deinde in occasione ad Annibale di ricuperare Locri, se
sidiis tribunorum interceptus, praeterquam quod sopraggiunto non fosse, chiamato da noi, Sci
toto corpore laceratus, naso quoque auribusque pione. Sì certamente furore insano agita i soldati
decisis, exsanguis est relictus: recreatus deinde tocchi da sacrilegio; ma non mostrò per avven
legatus ex vulneribus, tribunos militum in vincu tura la dea col punire gli stessi comandanti nes
la conjectos, dein verberatos, servilibusque om sun segno di sua possanza? Anzi mostrollo quivi
nibus suppliciis cruciatos trucidando occidit ; grandissimo. Il legato fe battere colle verghe
mortuos deinde probibuit sepeliri. Has dea poe i tribuni; indi egli stesso, colto in agguato dai
nas a templi sui spoliatoribus habet; nec ante tribuni, oltre che lacerato in tutto il corpo, ta
desinet omnibus eos agitare furiis, quam reposita gliatigli anche naso ed orecchi, fu lasciato semi
sacra pecunia in thesauris fuerit. Majores quon vivo. Indi riavutosi il legato dalle ferite, messi
dam nostri, gravi Crotoniensium bello, quia extra in prigione i tribuni del soldati, poi battuti, stra
urbem templum est, transferre in urbem eam pe ziatili a guisa di servi con ogni sorta di supplizii,
cuniam voluerunt. Noctu audita ex delubro vox mandoli a morte; in fine vietò che morti fossero
est, « abstinerent manus: deam sua templa defen seppelliti. Quest'è la vendetta, che fa la dea degli
suram. » Quia movendi inde thesauros incussa spogliatori del suo tempio; nè lascierà di agitarli
erat religio, muro circumdare templum volue con tutte le furie insino a tanto, che il sagro da
runt: ad aliquantum jam altitudinis excitata naro non sarà rimesso nel suo tesoro. Altre volte
erant moenia, quum subito collapsa ruina sunt. i nostri maggiori nella gran guerra, ch'ebbero
Sed et nunc, et saepe alias dea suam sedem, co' Crotoniati, perchè il tempio è fuori di Locri,
suumque templum aut tutata est, aut a violatori vollero trasportare dentro la città quel danaro.
bus gravia piacula exegit. Nostras injurias nec Si udì la notte una voce dal santuario: se non
potest, nec possit alius ulcisci, quam vos, Patres toccassero; difenderebbe la dea il tempio suo. »
conscripti. Ad vos vestramque fidem supplices Perch'era insorto un santo timore di levar quindi
confugimus: nihil nostra interest, utrum sub illo il tesoro, vollero circondare il tempio di muro;
legato, sub illo praesidio Locros esse sinatis, an e lo aveano di già condotto ad alquanta altezza,
irato Hannibali et Poenis ad supplicium dedatis. quando improvvisamente ruinò al suolo. Ma e
Non postulamus, utextemplo nobis, ut de absente, in presente e spesse altre volte la dea difese la
ut indicta causa credatis: veniat, coram ipse au sua stanza e il tempio suo, e ne colpì di grave
diat, ipse diluat. Si quidquam sceleris, quod homo pena i violatori. I nostri oltraggi nè può, nè po
in homines edere potest, in nos praetermisit, trebbe altri vendicare, fuor che voi, o Padri
non recusamus, quin et nos omnia eadem iterum, coscritti; a voi, alla fede vostra supplichevoli
si pati possumus, patiamur, et ille omni divino ricorriamo; non c'è per noi differenza, o vogliate
humanoque liberetur scelere, º lasciar Locri sotto quel legato, sotto quel presi
dio, o darci, perchè ci punisca, in mano allo sde
gnato Annibale ed ai Cartaginesi. Non chiediamo
che ci prestiate subito fede in assenza di Plemi
nio, e senza ascoltarlo; venga, oda in persona
le accuse, si discolpi. S'egli ha ommessa contro
di noi scelleratezza, che possa commetter uomo
contra uomo, non ricusiamo di soffrire, se soffrir
le potremo, un'altra volta le stesse cose; ed egli
sia pure in faccia agli dei ed agli uomini da ogni
scelleraggine libero e purgato. »
XIX. Haec quum ab legatis dicta essent, quae XIX. Avendo i legati così parlato, e ricercati
sissetque abiis Q. Fabius, detulissent ne eas quere essendo da Quinto Fabio, se portate avessero a
las ad P. Scipionem, responderunt, º missosle Publio Scipione codeste loro doglianze, rispose
gatos esse, sed eum belli apparatu occupatum es ro: « avergli mandati oratori, ma esser lui occu
se, et in Africam aut jam trajecisse, aut intra pato negli apparecchii della guerra, e che o di già
paucos dies trajecturum: et, legati gratia quanta passato era, o tra pochi dì passerebbe in Africa.
esset apud imperatorem, expertos esse, quum, Ed avean di già fatta prova in quanta grazia fosse
inter eum et tribunos cognita causa, tribunos in Pleminio presso Scipione, allor quando, udita
vincula conjecerit; legatum aeque sontem, aut la causa tra questi ed i tribuni, pose i tribuni in
magis etiam, in ea potestate reliquerit. » Jussis prigione, ed il legato, egualmente reo, ed anche
excedere e templo legatis, non Pleminius modo, più, lo avea lasciato nel suo posto.» Fatti uscire
sed etiam Scipio, principum orationibus lacerari: i legati dalla curia, non solamente i principali
389 TITI LIVII LIBER XXIX. 39o
ante omnes Q. Fabius, matum eum ad corrum senatori si misero a mordere fieramente Plemi
pendam disciplinam militarem, arguere. «Sic et mio, ma eviandio Scipione; sopra tutti Quinto
in Hispania plus prope per seditionem militum, Fabio accusavalo d'esser nato a corrompere la
quam bello, amissum : externo et regio more et militar disciplina. «Così nella Spagna s'era per
indulgere licentiae militum, et saevire in eos. » duta più gente per la sedizion de soldati, che
Sententiam deinde aeque trucem orationi adje per la guerra; ed egli, all'usanza dei re stranieri
cit. « Pleminium legatum vinctum Romam de favoriva la licenza dei soldati e incrudeliva con
portari placere, et ex vinculis causam dicere; ac, tro di essi. » Indi al discorso aggiunse una non
si vera forent, quae Locremses quererentur, in meno truce proposizione: a che si dovesse tras
carcere mecari, bonaque ejus publicari. P. Scipio portare a Roma il legato Pleminio incatenato, il
nem, quod de provincia decessisset injussu sena quale dalla prigione si difendesse; e se vere fos
tus, revocari; agique cum tribunis plebis, ut de sero le cose, che i Locresi gli apponevano, fosse
imperio eius abrogando ferrent ad populum. Lo quivi messo a morte, e i suoi beni fossero cou
crensibus coram senatum respondere: Quas inju fiscati. Publio Scipione, perchè s'era partito
rias sibi factas quererentur, eas neque senatum, dalla provincia senza licenza del senato, fosse
neque populum Romanum factas velle. Viros bo richiamato, e si trattasse co'tribuni della plebe,
nos, sociosque et amicos eos appellari: liberos, che proponessero al popolo di ritorgli il coman
conjuges, quaeque alia erepta essent, restitui: do. Ai Locresi richiamati in curia si rispondesse,
pecuniam, quanta ex thesauris Proserpinae subla che gli oltraggi, di cui si dolgono, nè il senato,
ta esset, conquiri, duplamque pecuniam in the nè il popolo Romano vorrebbono che fossero
sauros reponi: et sacrum piaculare fieri, ita ut stati lor fatti; si riconoscessero come uomini
prius ad collegium pontificum referretur, quod dabbene, buoni alleati ed amici; figliuoli, mogli
sacri thesauri moti, violati essent, quae piacula, ed ogni altra cosa tolta fosse lor restituita; si
quibus diis, quibus hostiis, fieri placeret. Milites, cercasse quanto fosse il danaro via portato dal
qui Locris essent, omnes in Siciliam transporta tesoro di Proserpina, e ve ne fosse rimessa una
ri: quatuor cohortes sociorum Latini nominis in doppia quantità; e si facesse un sagrifizio espia
praesidium Locros adduci. » Perrogari eo die torio, però domandando innanzi al collegio dei
sententiae, accensis studiis pro Scipione et ad pontefici, ch'essendo stati mossi di luogo e vio
versus Scipionem, non potuere. Praeter Pleminii lati i sagri tesori, quali espiazioni convenisse
facinus Locrensiumque cladem, ipsius etiam im di fare, a quali dei, e con quali vittime. I soldati,
peratoris non Romanus modo, sed ne militaris ch'erano a Locri, si trasportassero tutti in Sicilia;
quidem cultus jactabatur: « cum pallio crepidis ed a presidio di Locri si mandassero quattro
que inambulare in gymnasio, libelliseum palae coorti del nome Latino. » Non si potè in quel
straeque operam dare: aeque segniter molliter giorno raccogliere tutti gli avvisi, bollendo i
que cohortem totam Syracusarum amoenitate partiti quali in favore, e quali contro Scipione,
frui: Carthaginem atque Hannibalem excidisse Oltre il delitto di Pleminio e le sciagure dei Lo
de memoria: exercitum omnem licentia corru cresi, s'inveiva eziandio contro la stessa foggia
ptum, qualis Sucrone in Hispania fuerit, qualis del vestire di Scipione, non solamente non Ro
nunc Locris, sociis magis, quam hosti, metuen mana, ma nè anche militare: a passeggiar egli
dum. » pel ginnasio in mantello ed in pianelle; badare
alla lettura di libri, alla palestra; non meno
oziosamente e mollemente tutta la sua corte
godersi l'amenità di Siracusa; essergli uscita
di mente Cartagine ed Annibale; tutto l'esercito
dalla licenza corrotto tale essere, qual fu a Su
crone in Ispagna, qual ora è a Locri, più spaven
toso agli alleati, che ai nemici. »
XX. Haec quamquam partim vera, partim XX. Abbenchè queste cose, che si spacciavano,
mixta, eoque similia veris jactabantur, vicit ta fossero vere in parte, in parte miste, e per ciò
men Q. Metelli sententia, qui, de ceteris Maximo più simili al vero, nondimeno prevalse il parere
assensus, de Scipionis causa dissensit. «Qui enim di Quinto Metello, il quale, assentendo quanto
convenire, quem modo civitas juvenem admodum al resto a Quinto Fabio, discordò quanto a Sci
recuperandae Hispaniae delegerit ducem, quem, pione. « Perciocchè, come accordare insieme,
recepta ab hostibus Hispania, ad imponendum che quegli, cui testè la città elesse giovanetto
Punico bello finem creaverit consulem, spe de assai a ricuperare la Spagna, quegli cui, ricupe
stimaverit Hannibalem ex Italia detracturum, A rata la Spagna, creò console a metter fine alla
391 TITI LIVII LIBER XXIX. 39a
fricam subacturum, eum repente, tamquam Q. guerra Cartaginese, per opera di cui sperò, che
Pleminium, indicta causa prope damnatum, ex Annibale sarebbe scacciato d'Italia e l'Africa

provincia revocari? quum ea, quae in se nefarie soggiogata, questo stesso, come un altro Quinto
facta Locrenses quererentur, ne praesente quidem Pleminio, quasi condannato innanzi di ascoltarlo,
Scipione facta dicerent, neque aliud, quam pa sia subitamente richiamato dalla provincia? men
tientia, aut pudor, quod legato pepercisset, insi tre che le iniquità, di cui si dolgono i Locresi,
mulari possit? Sibi placere, M. Pomponium prae non le dicono commesse presente Scipione, nè
torem, cui Sicilia provincia sorte evenisset, tri di altro si può tacciarlo, che di pazienza o di
duo proximo in provinciam proficisci: consules troppo rispetto per aver perdonato al legato.
decem legatos, quos iis videretur, ex senatu le Era egli d'avviso, che il pretore Marco Pompo
gere, quos cum praetore mitterent, et duos tri mio, cui toccata era in sorte la Sicilia, nel prossimi
bunos plebei, atque aedilem: cum eo consilio tre giorni andasse al suo governo; che i consoli
praetorem cognoscere. Si ea, quae Locrenses fa scegliessero nel senato dieci legati, che paresse
cta quererentur, jussu aut voluntate P. Scipionis loro, mandandoli col pretore e insieme due
facta essent, ut eum de provincia decedere jube tribuni della plebe, ed un edile, che il pretore
rent. Si P. Scipio jam in Africam trajecisset, tri con questo consiglio conoscesse della cosa. Se
buni plebis atque aedilis cum duobus legatis, trovassero i fatti, di cui dolevansi i Locresi, av
quos maxime praetor idoneos censuisset, in Afri venuti per volontà o comando di Publio Scipio
cam proficiscerentur: tribuni atque aedilis, qui ne, gli ordinassero di partire dalla provincia.
reducerent inde Scipionem ; legati, qui exercitui Se Publio Scipione fosse già passato in Africa,
praeessent, donec novus imperator ad eum exer i tribuni della plebe, e l'edile con due legati,
citum venisset. Sin M. Pomponius et decem le che il pretore stimasse più idonei, andassero in
gati comperissent, neque jussu, neque voluntate Africa; i tribuni e l'edile per indivia menarne
P. Scipionis ea facta esse, ut ad exercitum Scipio Scipione; i legati per attendere all'esercito, in
maneret, bellumque, ut proposuisset, gereret. sino a tanto, che vi giungesse il nuovo coman
Hoc facto senatusconsulto, cum tribunis plebis dante. Se poi Marco Pomponio e i dieci legati
actum est, ut compararent inter se, aut sorte le trovassero, che quelle cose non s'eran fatte nè
gerent, qui duo cum praetore ac legatis irent. Ad per comando, nè per volere di Publio Scipione,
collegium pontificum relatum de expiandis quae rimanesse Scipione al comando dell'esercito, e
Locris in templo Proserpinae tacta, violata, ela governasse la guerra nella forma, che avea pro
taque inde essent. Tribuni plebis cum praetore posto. » Fatto questo decreto, si trattò coi tri
et decem legatis profecti M. Claudius Marcellus buni, perchè tra loro convenissero o scegliessero
et M. Cincius Alimentus: iis aedilis plebis datus, a sorte i due, che andassero col pretore e co'le
quem, si aut in Sicilia praetori dicto audiens non gati. Si consultò il collegio de'pontefici intorno
esset Scipio, aut jam in Africam trajecisset, pren all'espiazione da farsi per le cose tocche, violate
dere tribuni juberent, ac jure sacrosanctae pote o via portate dal tempio di Proserpina in Locri.
statis reducerent. Prius Locros ire, quam Messa Partirono col pretore e co'dieci legati i tribuni
nam, consilium erat. della plebe Marco Claudio Marcello e Marco Cin
zio Alimento. Si aggiunse loro un edile della
plebe, al quale, se Scipione o in Sicilia o di già
passato in Africa ricusasse di obbedire, i tribuni
commettessero di arrestarlo, e in virtù del sagro
santo lor potere il rimenassero. Erano in parere
di andare prima a Locri, che a Messina.
XXI. Ceterum duplex fama est, quod ad Ple XXI. Del resto, quanto a Pleminio è doppia
minium attinet. Alii, auditis, quae Romae acta la fama. Altri ha, che udite le cose fatte in Roma,
essent, in exsilium Neapolim euntem forte in Q. mentre andava in esiglio a Napoli, s'imbattè a
Metellum, unum ex legatis, incidisse, et ab eo caso in Quinto Metello, uno de' legati, e che
Rhegium vi retractum tradunt: alii, ab ipso Sci questi colla forza lo ricondusse a Reggio; altri,
pione legatum cum triginta nobilissimisequitum che Scipione stesso spedito avesse un legato con
missum, qui Q. Pleminium in catenas, et cum eo trenta de' più scelti cavalieri, i quali mettessero
seditionis principes, conjicerent. Ii omnes, seu in catene Quinto Pleminio, e insieme con lui
ante Scipionis, seu tum praetoris jussu, traditi in i capi della sedizione. Tutti costoro, o innanzi
custodiam Rheginis. Praetor legatique Locros per ordine di Scipione, o di poi per ordine del
profecti primam, sicuti mandatum erat, religio pretore furono dati in guardia a Reggiani. Il
mis curam habuere: omnem enim sacram pecu pretore ed i legati, giunti a Locri, badarono,
393 TITI LIVII LIBER XXIX. 394
niam, quaeque apud Pleminium, quaeque apud innanzi a tutt'altro, come s'era loro commesso,
milites erat, conquisitam, cum ea quan ipsi se alle cose risguardanti la religione. Quindi, cer
cum attulerant, in thesauris reposuerunt, ac pia cato tutto il danaro sacro, sì quello ch'era presso
culare sacrum fecerunt. Tum vocatos ad concio Pleminio, sì quello ch'era presso i soldati, tutto
mem milites praetor signa extra urbem efferre insieme con quello, che avean seco portato, il ri
jubet, castraque in campo locat, cum gravi edi posero nel tesoro, e fecero un sagrifizio espiato
cto, «Si quis miles aut in urbe restitisset, aut se rio. Poscia il pretore, chiamati i soldati a parla
cum extulisset, quod suum non esset, Locrensi mento, ordina che escano dalla città colle ban
bus se permittere, ut, quod sui quisque cognos diere, e va ad accamparsi fuori, minacciando con
set, prehenderet: si quid non compareret, repe editto severe pene, « se alcun soldato rimasto
teret. Ante omnia, libera corpora placere sine fosse in città, o ne avesse portato fuori cose non
mora Locrensibus restitui: non levi defuncturum sue, permettere gli ai Locresi di ripigliarsi quello,
poena, qui non restituisset.» Locrensium deinde che ognuno riconoscesse esser suo; se non ne
concionem habuit, atque, «iis libertatem leges riconoscesse, chiedesse d'esserne compensato.
que suas populum Romanum senatumque resti Innanzi a tutt'altro, le persone libere fossero
tuere, dixit. Si qui Pleminium aliumve quem senza indugio restituite ai Locresi; soggiacerebbe
accusare vellet, Rhegium se sequeretur. Si de P. a pena non leggera chi non le restituisse. » Indi
Scipione publice queri vellent, ea, quae Locris chiamò a parlamento i Locresi, e disse, « che
nefarie in deos hominesque facta essent, jussu il senato ed il popolo Romano restituiva loro la
aut voluntate P. Scipionis facta esse, legatos mit libertà e le lor leggi. Se alcuno accusar volesse
terent Messanam: ibi se cum consilio cognitu Pleminio, o talun altro, lo seguitasse a Reggio.
rum. » Locrenses praetori legatisque, et senatui Se volessero querelarsi pubblicamente di Publio
ac populo Romano gratias egere: « se ad Plemi Scipione, aggravandolo, che l'empietà commesse
mium accusandum ituros. Scipionem, quam quam in Locri contro gli dei e gli uomini, s'eran fatte
parum injuriis civitatis suae doluerit, eum esse per comando, o per volere di lui, mandassero
virum, quem amicum sibi, quam inimicum, ma legati a Messina: quivi ne avrebbe fatta insieme
lint esse. Pro certo se habere, neque jussu, ne col suo consiglio cognizione. - I Locresi ringra
que voluntate P. Scipionis tot tam nefanda com ziarono il pretore, i legati, il senato ed il popolo
missa: aut Pleminio nimium, aut sibi parum cre Romano: « sarebbero andati ad accusare Plemi
ditum. Natura insitum quibusdam esse, ut ma nio. Quanto a Scipione, bench'egli si sia poco
gis peccari nolint, quam satis animi ad vindican risentito degli oltraggi fatti alla loro città, esser
da peccata habeant.» Et praetori et consilio haud egli tal uomo, che più lor piace averlo amico che
mediocre onus demptum erat de Scipione cogno nemico; eran però certissimi, che non s'eran
scendi. Pleminium, et ad duo et triginta homines commesse tante e sì nefande iniquità per coman
cum eo damnaverunt, atque in catenis Romam do o per volere di Scipione, che solamente s'era
miserunt: ipsi ad Scipionem profecti sunt, ut ea creduto troppo a Pleminio, e poco ad essi. Sono
quoque, quae vulgata sermonibus erant de cultu taluni per natura sì fattamente disposti, che più
ac desidia imperatoris solutaque militiae disci presto ricusano di credere al peccato, di quello
plina, comperta oculis perferrent Romam. che abbian forza di castigarlo. » Di non picciolo
carico si trovavano alleggeriti ed il pretore ed
il consiglio, cui toccava conoscere della causa
di Scipione. Condannarono Pleminio e trentadue
altri con lui, e li mandarono in catene a Roma;
essi poi partirono alla volta di Scipione, onde
vedere cogli occhi proprii quello, che s'era spac
ciato nel discorsi intorno alla foggia del vestire,
alla mollezza del comandante e alla dissoluta
militar disciplina, e recarlo a Roma.
XXII. Venientibus eis Syracusas, Scipio res, XXII. Avvicinandosi essi a Siracusa, Scipione
non verba, ad purgandum sese paravit. Exerci a purgarsi preparò fatti, non parole. Comandò
tum omnem eo convenire, classem expediri jus che tutto l'esercito quivi si raccogliesse, e la flotta
sit, tamquam dimicandum eo die terra marique fosse in punto, quasi si avesse in quel giorno a
cum Carthaginiensibus esset. Quo die venerunt, combattere per terra e per mare coi Cartaginesi.
hospitio comiter acceptis postero die terrestrem Accolti il dì che vennero, benignamente, mostrò
navalemque exercitus, non instructos modo, sed loro nel dì seguente gli eserciti di terra e di ma
hos decurrentes, classem in portu, simulacrum et re, nè solamente messi in ordinanza, ma quello
395 TITI LIVII LIBER XXIX. 396
ipsam edentem navalis pugnae, ostendit: tum fintamente scaramucciando, e la flotta nel porto
circa armamentaria et horrea aliumque belli ap esibendo essa pure un'immagine di pugnana
paratum visendum praetor legatique ducti; tan vale; poscia il pretore ed i legati furon condotti
taque admiratio singularum universarumque re a visitare gli arsenali, i granai e gli altri appa
rum incussa, ut satis crederent, autillo duce at recchii di guerra. E tanta li prese ammirazion
que exercitu vinci Carthaginiensem populum, aut d'ogni cosa sì nel tutto, che nelle parti, che fa
nullo alio posse; juberentque, quod dii bene ver cilmente si persuasero, o con quel capitano e
terent, trajicere, et spei conceptae, quo die illum quell'esercito potersi vincere Cartagine, o con
omnes centuriae priorem consulem dixissent, pri nessun altro; e lo esortarono a passare, col favore
mo quoque tempore compotem populum Roma degli dei, in Africa, e quanto prima adempiere
num facere: adeoque laetis inde animis profecti la speranza del popolo Romano concepita in quel
sunt, tamquam victoriam, non belli magnificum giorno, in cui tutte le tribù l'aveano primo no
apparatum, nunciaturi Romam essent. Pleminius, minato console. E di là partironsi con animo sì
quique in eadem causa erant, postguam Romam lieto, quasi andassero a recare a Roma la nuova
est ventum, extemplo in carcerem conditi; ac non del magnifico apparato guerresco, ma della
primo producti ad populum ab tribunis, apud vittoria. Pleminio e quelli ch'erano nella stessa
praeoccupatos Locrensium clade animos, nullum circostanza, come vennero a Roma, furono subito
misericordiae locum habuerunt. Postea, quum incarcerati. E presentati dinanzi al popolo dai
saepius produceremtur, jam senescente invidia, tribuni, non trovaron dapprima compassione
molliebantur irae; et ipsa deformitas Pleminii nessuna negli animi preoccupati dalla calamità
memoriaque absentis Scipionis favorem ad vul dei Locresi; poscia, più volte rappresentati, l'odio
gum conciliabat. Mortuus tamen prius in vincu venendo già meno, anche gli sdegni si mitiga
lis est, quam judicium de eo populi perficeretur. vano, e la stessa deformità di Pleminio e il ricor
Hunc Pleminium Clodius Licinius in libro ter darsi di Scipione, benchè assente, conciliava loro
tio rerum Romanarum refert, ludis votivis, quos favore appresso il volgo. Se non che Pleminio
Romae Africanus iterum consul faciebat, cona morì in prigione, innanzi che il popolo pronun
tum per quosdam, quos pretio corruperat, ali ziasse la sentenza. Narra Clodio Licinio nel terzo
quot locis urbem incendere, ut frangendi carce libro delle cose Romane, che questo Pleminio,
1 is fugiendique haberet occasionem; patefacto all'occasione del giuochi votivi, che l'Africano
deim scelere, delegatum in Tullianum ex senatus celebrava in Roma nel suo secondo consolato,
consulto. De Scipione nusquam, nisi in senatu, tentò coll'opera di alcuni, che avea corrotti col
actum: ubi omnes legatique et tribuni, classem danaro, di appiccare il fuoco in alquanti luoghi
eam, exercitum, ducemdue verbis extollentes, della città, onde aver occasione di rompere la car
effecerunt, ut senatus censeret, primo quoque cere e fuggire; che poi scoperto l'attentato, fu
tempore in Africam trajiciendum; Scipioni que per decreto del senato confinato nel carcere Tul
permitteretur ut ex iis exercitibus, qui in Sici liano. Di Scipione non parlossi in altro luogo,
lia essent, ipse legeret, quos in Africam secum che in senato, dove tutti e i legati ei tribuni
trajiceret, quos provinciae relinqueret praesidio. esaltando con le parole quella flotta, quell'eser
cito e quel capitano, fecero sì, che il senato
deliberò che si dovesse quanto prima passare
in Africa; e fosse permesso a Scipione di scegliere
da quegli eserciti, ch'erano in Sicilia, quali vo
lesse menar seco in Africa, e quali lasciare a pre
sidio della provincia.
XXIII. Dum haec apud Romanos geruntur, XXIII. Mentre si fanno a Roma codeste cose,
Carthaginienses quoque, quum, speculis per pro anche i Cartaginesi, avendo passato il verno in
montoria omnia positis, percunctantes paventes affanno, poste vedette su tutti i promontorii,
que ad singulos nuncios sollicitam hiemem egis cercando e nel tempo stesso temendo ad ogni
sent, haud parvum et ipsi tuendae Africae mo novella, aggiunser cosa di non piccolo momento
mentum adjecerunt societatem Syphacis regis, alla difesa dell'Africa, l'amicizia del re Siface,
cujus maxime fiducia trajecturum in Africam credendo che i Romani massimamente in questa
Romanum crediderunt. Erat Hasdrubali Gisgo fidando, per ciò passassero in Africa. Aveva
nis filio non hospitium modo cum rege, de quo Asdrubale, figlio di Giscone, contratte non sola
ante dictum est, quum ex Hispania forte in idem mente col re amichevoli relazioni, come s'è detto
tempus Scipio atque Hasdrubal convenerunt; sed di sopra, quando a caso Scipione ed Asdrubale,
mentio quoque inchoata affinitatis, ut rex duce venendo di Spagna, s'eran quivi ad un tempo
397 TITI LIVII LIBER XXIX. 398
ret filiam Hasdrubalis. Ad eam rem consumman stesso trovati insieme, ma s'era pur fatta men
dam tempusque nuptiis statuendum (jam enim zione d'imparentarsi, sposando il re la figlia
et nubilis erat virgo) profectus Hasdrubal, ut di Asdrubale. Andato questi a dar compimento
accensum cupiditate (et sunt ante omnes Numi alla cosa, e stabilire il tempo delle nozze (che
dae barbaros effusi in venerem) sensit, virginem già la fanciulla era da marito), come vide Siface
ab Carthagine arcessit, maturato ue nuptias: et acceso d'amore (chè sono i Numidi, più che gli
inter aliam gratulationem, ut publicum quoque altri barbari, alla libidine proclivi) richiama da
foedus privato adjiceretur, societas inter popu Cartagine la fanciulla e affretta le nozze. E tra
lum Carthaginiensem regemdue, data ultro ci le altre allegrezze, per aggiungere alla privata
troque fide, eosdem amicos inimicosque habitu anche la pubblica alleanza, si stringe con giura
ros, jurejurando affirmatur. Ceterum Hasdrubal, mento amistà tra il popolo Cartaginese ed il re,
memor et cum Scipione initae regi societatis, et promettendosi scambievolmente di avere gli ami
quam vana et mutabilia barbarorum ingenia es ci ed i nemici medesimi. Del resto Asdrubale,
sent, veritus, ne, si trajiceret in Africam Scipio, ricordevole che il re avea stretta amicizia anche
parvum vinculum eae nuptiae essent, dum accen con Scipione, ma quanto vani fossero e per na
sum recenti amore Numidam habet, perpellit, tura mutabili i pensieri de'barbari, temendo, se
blanditiis quoque puellae adhibitis, ut legatos in Scipione passasse in Africa, che quelle nozze non
Siciliam ad Scipionem mittat, per quos moneat fossero un legame troppo debole, mentre si tiene
eum, « Ne proribus suis promissis fretus in Afri stretto il Numida acceso dal nuovo amore, lo
cam trajiciat. Se et nuptiis civis Carthaginiensis, induce, adoperate anche le carezze della fanciul
filiae Hasdrubalis, quem viderit apud se in ho la, a spedir legati a Scipione in Sicilia ad avver
spitio, et publico etiam foedere cum populo Car tirlo, a che non passi in Africa fidato alle sue
thaginiensi junctum. Optare primum, ut procul prime promesse; ch'egli era unito col popolo
ab Africa, sicut adhuc fecerint, bellum Romani Cartaginese e per le nozze contratte con una
cum Carthaginiensibus gerant, ne sibi interesse loro concittadina, la figlia di Asdrubale, il quale
certaminibus eorum, armaque aut haec, aut illa, avea veduto, quando alloggiarono in sua casa;
abnuentem alteram societatem, sequi necesse sit. ed eziandio con pubblico trattato. Bramava egli
Si non abstineat Africa Scipio, et Carthagini exer innanzi tutto, che i Romani guerreggiassero coi
citum admoveat, sibi necessarium fore, et pro ter Cartaginesi fuori d'Africa, come avean fatto fino
ra Africa, in qua et ipse sit genitus, et pro pa allora, per non esser egli costretto d'intervenire
tria conjugis suae, proque parente ac penatibus nelle lor contese, e seguire queste o quelle armi,
dimicare. rinunziando ad una delle due società. Se non si
astiene Scipione dall'Africa, e se accosta l'eser
cito a Cartagine, sarà egli nella necessità di com
battere e per l'Africa, terra, dove nacque, e per la
patria, pel padre, per la casa della moglie sua. »
XXIV. Cum his mandatis ab rege legati ad XXIV. Gli ambasciatori dal re mandati a Sci
Scipionem missi,Syracusis eum convenerunt. Sci pione con queste commissioni, lo trovarono a
pio, quanquam magno momento rerum in Africa Siracusa. Scipione, benchè privato di grande
gerendarum magnaque spe destitutus erat, lega speranza e di soccorso rilevante per l'impresa
tis propere, priusquam res vulgaretur, remissis d'Africa, rimandati prestamente gli ambasciatori,
in Africam, literas dat ad regem, quibus etiam innanzi che la cosa si divolgasse, dà loro lettere
atque etiam monet eum, « Ne jura hospitiise pel re, colle quali più e più lo esorta « a non
cum, neu cum populo Romano initae societatis, tradire i dritti della ospitalità contratta seco lui,
neu fas, fidem, de» tras, deos testes atque arbitros nè quelli della fatta alleanza col popolo Romano,
conventorum, fallat º Ceterum, quando neque non la giustizia, la fede, le date destre, gli dei
celari adventus Numidarum poterat (vagati enim testimonii e vendicatori dei patti. » Del resto,
in urbe, obversatique praetorio erant), et, si sile poi che nè si poteva celare la venuta dei legati
retur, quid petentes venissent, periculum erat, Numidi (ch'erano andati vagando per le città,
ne vera eo ipso, quod celarentur, sua sponte ma ed aggirandosi per le stanze stesse del coman
gis emanarent, timorgue in exercitum incideret, dante), e se si tacesse quel che fossero venuti
ne simul cum rege et Carthaginiensibus foret a chiedere, c'era pericolo che il vero, appunto
bellandum, avertit a vero falsis praeoccupando perchè si celava, da sè vie più si rivelasse, e ti
mentes hominum. Et, vocatis ad concionem mi more invadesse gli animi di avere ad un tratto a
litibus, « Non ultra esse cunctandum, ait. Insta combattere contro il re e contro i Cartaginesi,
re, ut in Africam quamprimum trajiciat, socios divertì le menti dal vero, preoccupandole col
399 TITI LIVII LIBER XXIX. 4oo
reges. Masinissam prius ipsum ad Laelium ve falso. E chiamati a parlamento i soldati, « Non
nisse, querentem, quod cunctando tempus tere c'è più, disse, da indugiare: instano i re alleati
retur: nunc Syphacem mittere legatos, idem ad perchè subito si passi in Africa. Primo era venuto
mirantem, quae tam diuturnae morae sit causa, a Lelio Masinissa in persona, dolendosi che si
postulantemdue, ut aut trajiciatur tandem in consumasse il tempo tardando; ora Siface man
Africam exercitus, aut, si mutata consilia sint, dare ambasciatori, maravigliando qual fosse la
certior fiat, ut et ipse sibi ac regno suo possit cagione di sì lungo indugio, e chiedendo che
consulere. Itaque, paratis jam omnibus instru finalmente si passi in Africa coll'esercito; o se
ctisque, et re jam non ultra recipiente cuncta si fosse mutato pensiero, se ne gli dia l'avviso,
tionem, in animo sibi esse, Lilybaeum classe tra acciocchè possa egli pure a sè provvedere e al
ducta, eodem que omnibus peditum equitumque regno suo. Essendo pertanto allestita e pronta
copiis contractis, quae prima dies cursum navi ogni cosa, nè ammettendo ulteriore ritardo, aveva
bus daret, deis bene juvantibus, in Africam tra in animo, tradotta la flotta a Lilibeo e radunate
jicere.» Literas ad M. Pomponium mittit, ut, si quivi tutte le genti a piedi ed a cavallo, al primo
ei videretur, Lilybaeum veniret, ut communiter di, che spirasse vento propizio, di passare sotto
consulerent, quas potissimum legiones, et quan la protezione degli dei in Africa. » Manda lettere
tum militum numerum in Africam trajiceret. a Marco Pomponio, acciocchè, se gli pare, venga
Item circum oram omnem maritimam misit, ut a Lilibeo a conferire insieme quali legioni parti
naves onerariae comprehensae Lilybaeum omnes colarmente, e quanto numero di soldati fosse da
contraherentur. Quidquid militum naviumque tradursi in Africa. Così mandò intorno a tutta
in Sicilia erat, quum Lilybaeum convenissent, et la costa marittima, perchè, fermate tutte le navi
nec urbs multitudinem hominum, nec portus na da carico, venissero ad unirsi a Lilibeo. Quivi
ves caperet, tantus omnibus ardor in Africam essendosi raccolto quanto c'era di soldati e di
trajiciendi, ut non ad bellum duci viderentur, navi nella Sicilia; e non bastando la città a capire
sed ad certa victoriae praemia. Precipue, qui su la moltitudine degli uomini, nè il porto quella
perabant ex Cannensi exercitu, milites illo, non delle uavi, tal era l'ardore in tutti di passare
alio duce, credebant, navata reipublicae opera, in Africa, che pareva si conducessero non alla
finire se militiam ignominiosam posse. Et Scipio guerra, ma quasi a sicuri premii della vittoria.
minime id genus militum aspernabatur, ut qui I soldati specialmente, che restavano dell'esercito
neque ad Cannas ignavia eorum cladem acceptam di Canne, si credevano, come se avessero in ad
sciret, neque ullos aeque veteres milites in exer dietro prestata utile opera alla repubblica, poter
citu Romano esse, expertosque non variis proe sotto quello o sotto nessun altro capitano metter
liis modo, sed urbibus etiam oppugnandis. Quin fine all'ignominiosa loro milizia. Nè Scipione
ta et sexta Cannenses erant legiones: eas se tra facea poco conto di questa sorta di soldati, come
jecturum in Africam quum dixisset, singulos mi quello, che sapeva non essersi ricevuta a Canne
lites inspexit, relictisque, quos non idoneos cre quella sconfitta per viltà loro, e che non avea
debat, in locum eorum subjecit, quos secum ex l'esercito Romano nè soldati più vecchi, nè più
Italia adduxerat; supplevitque ita eas legiones, sperimentati non solamente ne'diversi combatti
ut singulae sena millia et ducenos pedites, tre menti, ma eziandio nella espugnazione delle cit
cenos haberent equites: sociorum item Latini tà. Erano le legioni di Canne la quinta e la sesta.
nominis pediles equitesque de exercitu Cannen Avendo detto che le trasporterebbe in Africa,
si legit. ne fe'la revista uomo per uomo; e lasciati quelli
che non gli parvero atti, sostituì in loro vece
di quelli, che avea condotti seco dall'Italia, e
compiè in modo quelle legioni, che ciascuna
avesse sei mila e dugento fanti e trecento cavalli;
e così fe” scelta di fanti e di cavalli dell'esercito
degli alleati Latini, ch'era stato a Canne.
XXV. Quantum militum in Africam trans XXV. Quanto sia stato il numero de'soldati
portatum sit, non parvo numero inter auctores trasportati in Africa, non di poco tra sè discor
discrepat. Alibi decem millia peditum, duo mil dano gli autori. Altrove dieci mila fanti, due mila
lia et ducentos equites; alibi sedecim millia pe. e dugento cavalli; altrove sedici mila fanti, mille
ditum, mille et sexcentos equites; alibi, parte plus e seicento cavalli; altrove, accresciuta la somma
dimidia rem auctam, quinque et triginta millia più del doppio, trovo imbarcati trentacinque
peditum equitumque in naves imposita invenio. mila tra fanti e cavalli. Alcuni non aggiunsero
“Quidam non adjecere numerum ; inter quos me il numero, tra quali in cosa cotanto incerta amo
-
4o 1 T IT 1 Ll VII LIBER XXIX. 4o2
ipse in re dubia poni malim. Coelius, ut abstinet io pure d'esser posto. Celio, senza darci il nume
numero, ita ad immensum multitudinis speciem ro, ce ne porge un'immagine esagerata. Dice
auget. Volucres ad terram delapsas clamore mi che gli augelli caddero a terra sbalorditi dalle
litum ait, tantamque ſmultitudinem conscendisse grida dei soldati, e che fu tanta la moltitudine
naves, ut nemo mortalium, aut in Italia, aut in che s'imbarcò, che pareva non si fosse lasciato
Sicilia, relinqui videretur. Milites ut in naves or uomo indietro nè in Italia, nè in Sicilia. Scipione
dine ac sine tumultu conscenderent, ipse eam si si prese egli stesso la cura, che i soldati montas
bicuram sumpsit. Nauticos C. Laelius, qui clas sero in nave con ordine e senza tumulto. Caio
sis praefectus erat, in navibus, ante conscendere Lelio, ch'era prefetto della flotta, come furon
coactos, continuit. Commeatus imponendi M. fatti imbarcare, li contenne. La cura di caricare
Pomponio praetori cura data: quinque et qua le vettovaglie fu data al pretore Marco Pompo
draginta dierum cibaria, e quibus quindecim die mio: si caricaron viveri per quarantacinque gior
rum cocta, imposita. Ut omnes jam in navibus ni, per quindici de'quali vivande cotte. Come
erant, scaphas circummisit, ut ex navibus guber furon tutti imbarcati, mandò intorno schifi,
matoresque et magistri navium et bini milites in acciocchè i capitani, i piloti delle navi e due sol
forum convenirent ad imperia accipienda. Post dati di ciascheduna si raccogliessero nella piazza
quam convenerunt, primum ab iis quaesivit, si a ricevere gli ordini. Poi che furon raccolti,
aquam hominibus jumentisque in totidem dies, primieramente li richiese se avessero caricata
quot frumentum, imposuissent. Ubi responde per gli uomini e pe' giumenti acqua per tanti
runt, aquam dierum quinque et quadra ginta in giorni, per quanti avean frumento. Avendo ri
navibus esse; tum edixit militibus, ut silentium sposto, che c'era acqua nelle navi per quaranta
quieti nautis sine certamine ad ministeria ex se cinque giorni, comandò a soldati, che quieti, in
quenda bene obedientes praestarent. Cum viginti silenzio, senza contrasto si prestassero obbedienti
rostratis se ac L. Scipionem ab dextro cornu, a nocchieri ne' marineschi servigii; ch'egli e Lu
laevum, totidem rostratas, et C. Laelium praefe cio Scipione all'ala destra con venti navi rostrate,
ctum classis cum M. Porcio Catone (quaestoris e che alla sinistra altrettante rostrate, e Caio
tum erat) onerariis futurum presidio. Lumina in Lelio prefetto della flotta con Marco Porcio Cato
navibus singula rostratae, bina onerariae habe ne (ch'era allora questore) starebbero alla difesa
rent: in praetoria nave insigne nocturnum trium de'legni da carico. Le navi rostrate avessero la
luminum fore. Emporia ut peterent, gubernato notte ciascuna un lume; quelle da carico due;
ribus edixit. Fertilissimus ager, eoque abundans la capitana la distinzione di tre lumi. Commise
omnium copia rerum est regio, et imbelles (quod ai governatori delle navi che si drizzassero verso
plerumque in uberi agro evemit) barbari sunt; Emporia. È fertilissimo territorio, e perciò il
priusque, quam Carthagine subveniretur, oppri paese abbonda di tutto, e quel barbari (come
mi videbantur posse. lis editisimperiis, redire ad per lo più accade ne'luoghi grassi) sono imbelli;
naves jussi; et postero die, deis bene juvantibus, e pareva che si potrebbe opprimerli, innanzi
signo dato solvere naves. che fossero soccorsi da Cartagine. Dati codesti
ordini, comandò che tornassero alle navi, e il dì
seguente, sotto la protezion degli dei, al dato
segno salparono. -

XXVI. Multae classes Romanae e Sicilia atque XXVI. Molte flotte Romane erano altre volte
ipso illo portu profectae erant. Ceterum non ee partite dalla Sicilia, e da quel porto medesimo;
bello solum (mec id mirum, praedatum enim ma non solamente in quella guerra (il che non fa
tantummodo pleraeque classes ierant), sed ne maraviglia, chè la più parte erano andate non ad
priore quidem, ulla profectio tanti spectaculi altro, che a predare), ma nè anche nella prece
fuit. Quam quam, si magnitudine classis aestima dente fuvvi mai partenza di così grande spetta
retur, et bini consules cum binis exercitibus ante colo. Benchè, se si consideri quella flotta quanto
trajecerant; et prope totidem rostratae in illis alla grandezza, anche per lo innanzi due consoli
classibus fuerant, quot onerariis Scipio tum tra con due eserciti andati eran nell'Africa; e conta
jiciebat: nam, praeter quadraginta longas naves, vano quelle flotte quasi altrettante navi rostrate,
quadringentis ferme onerariis exercitum trans quanto eran quelle da carico, con cui Scipione
vexit. Sed et bellum bello, secundum priore ut allora veleggiava. Perciocchè, oltre quaranta navi
atrocius Romanis videretur, quum quod in Ita lunghe, passò tutto l'esercito a un dipresso sopra
lia bellabatur, tum ingentes strages tot exerci quattrocento legni da carico. Ma facea parere ai
tuum, simul caesis ducibus, effecerant; et Scipio Romani la seconda guerra Punica più atroce del
dux, partim factis fortibus, partim suapte for
Livio 2
la prima, il guerreggiare sº 2
in Italia, e le
ſo3 TITI LIVII LIBER XXIX. 4o4
tuna quadam ingentis ad incrementa gloriae ce stragi spaventose di tanti eserciti colle morti dei
lebratus, converterat animos: simul et mens lor capitani, ed avea tratti a sè gli occhi di tutti
ipsa trajiciendi, nulli ante eo bello duci tentata, il comandante Scipione, chiaro parte per fatti di
quod ad Hannibalem detrahendum ex Italia, valore, parte per certa sua fortuna, che il facea
transferendumque et finiendum in Africa bellum, creder nato a vie più salire a immensa gloria;
se transire vulgaverat. Concurrerat ad spectacu non che quel suo stesso pensiero, non mai venuto
lum in portum omnis turba, non habitantium in mente ad alcun altro capitano in quella guer
modo Lilybaei, sed legationum omnium ex Sici ra, di volere, come avea divolgato, strappare An
lia: quae et ad prosequendum Scipionem officii nibale dall'Italia, e portare in Africa la guerra,
causa convenerant, et praetorem provinciae M. e quivi terminarla. Era concorsa allo spettacolo
Pomponium secutae fuerant. Ad hoc legiones, nel porto tutta la gente; nè solo gli abitanti di
quae in Sicilia relinquebantur, ad prosequendos Lilibeo, ma tutte le legazioni venute dalla Sicilia,
commilitones processerant; nec classis modo pro che s'eran qui raccolte per onorare la partenza di
spectantibus e terra, sed terra etiam omnis circa Scipione, e che aveano accompagnato Marco Pom
referta turba spectaculo navigantibus erat. ponio, pretore della provincia. Oltre a ciò le le
gioni, che rimanevano in Sicilia, eran venute ad
accompagnare i loro commilitoni; nè solamente
la flotta a chi guardava da terra, ma la terra stessa,
tutta piena d'intorno di gente accalcata, era bello
spettacolo ai naviganti.
XXVII. Ubi illuxit, Scipio e praetoria nave, XXVII. Appena fu giorno, Scipione dalla
silentio per praeconem facto, « Divi divaeque, nave capitana fatto fare silenzio dal banditore,
inquit, maria terrasque qui colitis, vos precor a O dei, disse, o voi, dee, che abitate i mari e le
quaesoque, uti quae in meo imperio gesta sunt, terre, vi prego e supplico, che tutto quello, che
geruntur, postgue gerentur, ea mihi, populo ple si è fatto, si fa, e in avvenire farassi sotto la mia
bique Romanae, sociis nominique Latino, qui po condotta, tutto torni lieto e prospero a me, al po
puli Romani, quique meam sectam, imperium au polo, ed alla plebe Romana, agli alleati, a quei
spiciumque terra, mari, amnibusque sequuntur, del nome Latino, a tutti quanti seguono per ma
bene verruncent: eaque vos omnia bene juvetis; re, per terra, per fiumi l'impresa, il comando,
bonis auctibus auxitis: salvos incolumesque, victis gli auspizii del popolo Romano e miei; che vo
perduellibus victores, spoliis decoratos, praeda gliate a tutto concedere il favor vostro, tutto ef
onustos triumphantesque, mecum domos reduces ficacemente e largamente felicitare e proteggere;
sistatis: inimicorum hostiumque ulciscendorum e codesti, sani e salvi, vinti i perfidi nemici, li
copiam faxitis : quaeque populus Carthaginiensis ritorniate meco a casa vincitori, adorni di spoglie,
in civitatem nostram facere molitus est, ea ut mihi carichi di bottino, e trionfanti: ci diate di poter
populoque Romano in civitatem Carthaginien ci vendicare de'nemici pubblici e privati; e che
sium exempla edendi facultatem detis, º Secun quello, che il popolo Cartaginese macchinò di fa
dum eas preces cruda exta victimae, utimos est, re contro la città nostra, quello stesso a me con
in mare porricit, tubaque signum dedit profici cediate ed al popolo Romano di poter fare contro
scendi. Vento secundo vehementi satis profecti, la città dei Cartaginesi. - Dopo questa preghiera
celeriter e conspectu terrae ablati sunt: et a me gettò in mare, com'è l'uso, le crude viscere della
ridie nebula occepit, ita utvix concursus navium vittima, e colla tromba diede il segno di partire.
inter se vitarent. Lenior ventus in alto factus: Partitisi con vento prospero, però alquanto ga
noctem insequentem eadem caligo obtinuit: sole gliardo, presto perderon di vista la terra; e a
orto est discussa, et addita vis vento. Jam terram mezzo di levossi una tal nebbia, che le navi appe
cernebant: haud ita multo post gubernator Sci na schivarono di urtarsi tra loro. In alto mare il
pioni ait, « non plus quinque millia passuum A vento si fe più mite: la medesima nebbia durò
fricam abesse: Mercurii promontorium secerne la notte seguente; e allo spuntare del sole si dis
re: si iubeat eo dirigi, jam in portu fore omnem sipò, e il vento rinforzossi. Già scorgevan la ter
classem. Scipio, ut in conspectu terra fuit, pre ra, e poco di poi il piloto disse a Scipione, «che
catus, utibono reipublicae suoque Africam vide non era discosta l'Africa più di cinque miglia,
rit, dare vela, et alium infra navibus accessum che vedeva il promontorio di Mercurio: se vo
petere jubet. Vento eodem ferebantur: ceterum leva drizzarsi colà, tra poco tutta la flotta sarebbe
nebula sub idem ferme tempus, quo pridie, exor in porto. ” Scipione, come fu a vista della terra,
ta conspectum terrae ademit, et ventus premente pregati gli dei, che l'aver veduta l'Africa torni
nebula cecidit. Nox deinde certiora omnia fecit: a bene della repubblica e suo, gli ordina di
4o5 TITI LIVll LIBER XXIX. 4o6
itaque anchoras, ne aut inter se concurrerent na sciogliere le vele, e di cercare un altro approdo
ves, aut terrae inferrentur, jecere. Ubi illuxit, alle navi più sotto. Andavano col medesimo
ventus idem coortus, nebula disſecta, aperuit vento ; se non che la nebbia insorta quasi alla
omnia Africae litora. Scipio, quod esset proxi stessa ora che il dì innanzi, tolse la vista della
mum promontorium percunctatus, quum Pulchri terra; e la nebbia premendo, cadde il vento. Po
promontorium id vocari audisset, « Placet omen, scia la notte accrebbe maggiormente l'incertezza;
inquit; hoc dirigite naves. » Eo classis decur quindi gettarono l'ancore, onde le navi non coz
rit: copiae omnes in terram expositae sunt. Pro zassero tra loro e non urtassero in terrra. Venuto
speram navigationem sine terrore ac tumultu il giorno, levatosi quel medesimo vento, dissipata
fuisse, permultis Graecis Latinisque auctoribus la nebbia, si dispiegarono alla vista tutte le spiag
credidi. Coelius unus, praeterquam quod non ge dell'Africa. Scipione, chiesto qual fosse quel
mersas fluctibus naves, ceteros omnes coelestes vicin promontorio, udito che si nomava Pulcro,
maritimosque terrores, postremo abreptam tem a Piaceni, disse, l'augurio; drizzate a quella volta
pestate ab Africa classem ad insulam Aegimurum, le navi. » Corse colà la flotta a piene vele: tutte
inde aegre correctum cursum, exponit; et prope le genti vennero a terra. Ho prestato fede a molti
obrulis navibus, injussu imperatoris, scaphis, haud autori Greci e Latini, che quella navigazione sia
secus quam naufragos, milites sine armis cum in stata prospera senza timori, senza tumulto; il solo
genti tumultu in terram evasisse. Celio, eccetto che si sieno sommerse navi, rac
conta terrori d'ogni altra fatta, celesti e marit
timi; che in fine la flotta, strappata dall'Africa,
fu balzata dalla burrasca all'isola di Egimuro;
che potè a gran pena raddrizzare il cammino; e
che, non essendosi per poco sommerse le navi, i
soldati senza licenza del comandante, su schifi,
come se avessero naufragato, balzarono a terra
senz'armi con gran tumulto.
XXVIII. Expositis copiis, Romani castra in XXVIII. Sbarcate le genti, i Romani si accam
proximis tumulis metantur. Jam non in mariti parono ne'vicini monticelli. Già la paura e lo spa
mos modo agros, conspectu primum classis, dein vento, dapprima all'aspetto della flotta, poi pel
tumultu egredientium in terram, pavor terrorque romore dei soldati, che uscivan dalle navi, s'era
pervenerat, sed in ipsas urbes: neque enim homi diffuso non solamente pe luoghi marittimi, ma
mum modo turba, mulierum puerorumque agmi nelle stesse città. Perciocchè non soltanto la turba
nibus immixta, omnes passim compleverat vias, degli uomini, mista a sciami di donne e di fan
sed pecora quoque praese agrestes agebant; ut re ciulli, avea riempiute tutte le strade, ma i conta
linqui subito Africam diceres. Urbibus vero ipsis dini si cacciavan dinanzi il bestiame, sì che avresti
majorem, quam quem secum attulerant, terrorem detto, che abbandonavan l'Africa subitamente.
inferebant. Praecipue Carthaginis prope ut captae Alle città poi portavano maggior terrore di quel
tumultus fuit. Nam post M. Atilium Regulum et lo, che avean seco recato. A Cartagine special
L. Manlium consules, annis prope quinquaginta, mente fu tale il tumulto, quasi come se fosse pre
nullum Romanum exercitum viderant, praeter sa. Perciocchè dopo i consoli Marco Atilio Regolo
praedatorias classes, quibus exscensiones in agros e Lucio Manlio, per lo spazio quasi di cinquanta
maritimos factae erant; raptisque, quae obvia anni, non avean veduto nessun esercito Romano,
fors fecerat, prius recursum semper ad naves, eccetto alcune flottiglie, mandate a depredare,
quam clamor agrestes conciret, fuerat: eo major che scendevan me'luoghi marittimi, e rapito quel
tum fuga pavorque in urbe fuit Et, hercule, lo, in che s'imbattevano a caso, si tornava sem
neque exercitus domi validus, neque dux, quem pre alle navi, innanzi che il romore sollevasse i
opponerent, erat. Hasdrubal, Gisgonis filius, ge contadini: per questo fu addesso nella città mas
mere, fama, divitiis, regia tum etiam affinitate, sima la fuga e lo spavento. E veramente non
longe primus civitatis erat: sed eum ab illo ipso aveano a casa nè valido esercito, nè capitano da
Scipione aliquot proeliis fusum pulsumque in opporre. Asdrubale, figlio di Giscone, era di gran
Hispania meminerant; nec magis ducem duci lunga il primo della città per nascita, per fama,
parem, quam tumultuarium exercitum suum Ro per ricchezze, ed eziandio per regia parentela;
mano exercitui esse. Itaque, velut si urbem ex ma ricordavansi ch'egli era stato rotto in parec
templo aggressurus Scipio foret, ita ad arma est chi scontri, e scacciato dalla Spagna da quel me
conclamatum; portaeque raptim clausae, et ar desimo Scipione; e che non era punto più pari
mati in muris, vigiliaeque et stationes dispositae, l'uno all'altro capitano, di quel che si fosse il loro
o7
TITI I,IVII I,IRER XXIX, 4o6
ac nocte insequenti vigilatum est. Postero die esercito tumultuario all'esercito Romano. Pertan
quingenti equites, speculatum ad mare turban to, come Scipione stesse per venir subito ad
dosque egredientes ex navibus missi, in stationes dosso a Cartagine, si gridò all'armi e in fretta si
Romanorum inciderunt. Jam enim Scipio, classe serraron le porte, e si disposero armati sulle
Uticam missa, ipse haud ita multum progressus mura, e vedette e poste, e tutta la seguente not
a mari, tumulos proximos ceperat; equites et in te si vegliò. ll giorno appresso cinquecento cavalli
stationibus locis idoneis posuerat, et per agros mandati a spiare alla marina e ad inquietare
miserat praedatum. quelli, che uscivan dalle navi, diedero nelle poste
de'Romani; che già Scipione, spedita la flotta in
Utica, non troppo discostatosi dal mare, avea pre
se le vicine collinette, e messi qua e là de'cavalli
ne' luoghi opportuni, e mandatine altri a predare
per la campagna.
XXIX. li cum Carthaginiensi equitatu proe XXIX. Azzuffatisi questi colla cavalleria Car
lium quum commisissent, paucos in ipso certa taginese, alcuni pochi ne uccisero nella mischia,
mine, plerosque fugientes persecuti (in quibus i più nell'inseguirli nella fuga (tra quali anche
praefectum quoque Hannonem, nobilem juvenem il prefetto Annone, giovane illustre). Scipione
occiderunt. Scipio non agros modo circa vasta non solamente diede il guasto alla campagna d'in
vit, sed urbem etiam proximam Afrorum satis torno, ma prese pur anche una vicina città del
opulentam cepit: ubi praeter cetera, quae extem l'Africa alquanto ricca, dove, oltre l'altra preda
plo in naves onerarias imposita, missaque in Si che fu subito imbarcata e spedita in Sicilia, si
ciliam erant, octo millia liberorum servorumque son fatti otto mila prigioni tra liberi e schiavi.
capitum sunt capta. Laetissimus tamen Romanis Ma fu, più ch'altro giocondissima ai Romani sul
in principio rerum gerendarum adventus fuit principio del guerreggiare la venuta di Masinissa,
Masinissae: quem quidam cum ducentis haud che alcuni dicono venuto con non più di dugento
amplius equitibus, plerique cum duùm millium cavalli, ed altri più con due mila. Del resto,
equitatu tradunt venisse. Ceterum quum longe essendo stato egli senza dubbio il più gran re
maximus omnium aetatis suae regum hic fuerit, dell'età sua, ed avendo le Romane cose assai gio
plurimumque rem Romanam juverit, operae vato, pare che porti il pregio digredire alcun po
pretium videtur excedere paullulum ad enarran co a narrare quanto varia fortuna provato egli
dum, quam varia fortuna usus sit in amittendo abbia nel perdere e nel racquistare il regno pa
recuperandoque paterno regno. Militanti pro terno. Mentre Masinissa guerreggia in Ispagna a
Carthaginiensibus in Hispania pater ei moritur: favore dei Cartaginesi, gli muore il padre, chiama
Galae nomen erat. Regnum ad fratrem regis Oe to Gala. Il regno (che tale è l'usanza presso i Nu
salcem, pergrandem natu (mosita apud Numidas midi) venne ad Esalce, fratello del re, molto avan
est,) pervenit. Haud multo post, Oesalce quoque zato in età. Poco di poi, morto anche Esalce,
mortuo, major ex duobus filiis ejus Capusa, puero Capusa, il maggiore de' suoi due figli, essendo
admodun altero, paternum imperium accepit. l'altro ancora fanciullo, succedette nel paterno
Ceterum quum magis jure gentis, quam aucto impero. Se non che, regnando egli più per la legge
ritate inter suos aut viribus, obtineret regnum; del paese, che per autorità che godesse tra suoi,
exstitit quidam, Mezetulus nomine, non alienus o per forze che avesse, fuvvi un certo nomato
sanguine regibus, familiae semper inimicae, ac Mezetulo, non istrano al sangue dei re, però di
de imperio varia fortuna cum iis, qui tum obti famiglia sempre nemica, e con varia fortuna lot
nebant, certantis. Is, concitatis popularibus, apud tante sempre con quelli, che regnavano. Questi,
quos, invidia regum, magnae auctoritatis erat, sollevati i popolani, presso i quali era in favore
castris palam positis, descendere regem in aciem, per l'odio che si aveva contro i regnanti, accam
ac dimicare de regno coegit. In eo proelio patosi palesemente con le sue genti, obbligò il
Capusa cum multis principum cecidit, gens Mas re a scendere a battaglia, ed a combattere pel re
sylorum omnis in ditionem imperiumque Meze gno. Cadde in quel fatto Capusa con molti dei
tuli concessit. Regio tamen nomine abstinuit ; principali ; e tutta la nazione de'Massilii passò
contentusque nomine modico tutoris puerum sotto il dominio e l'impero di Mezetulo. Non
Lacumacem, qui stirpis regiae supererat, regem dimeno si astenne egli dal titolo di re; e contento
appellat. Carthaginiensem nobilem feminam, so-, del piccolo nome di tutore, dichiara re il fan
roris filiam Hannibalis, quae proxime Oesalci ciullo Lacumace, il solo che rimanesse della stirpe
regi nupta fuerat, matrimonio sibi iungit, spe reale. Prende per moglie una donna nobile Care
Carthaginiensium societatis; et cum Syphace taginese, figlia di una sorella di Annibale, ch'era
io9 TITI LIVI1 LIBER XXIX. 4 to
inospitium vetustum legatis missis renovat, omnia stata poc'anzi maritata al re Esalce, colla speran
ea auxilia praeparans adversus Masinissam. za di legarsi coi Cartaginesi ; e mandati amba
sciatori, rinnova con Siface gli antichi vincoli di
ospitalità; preparandosi tutti codesti aiuti contro
Masinissa.
XXX. Et Masinissa, audita morte patrui, dein XXX. E Masinissa, udita la morte dello zio,
nece fratris patruelis, ex Hispania in Maurita indi l'uccisione del cugino, dalla Spagna passa
miam (Bocchar ea tempestate rex Maurorum erat) nella Mauritania (era Boccare a quel tempo re
trajicit. Ab eo supplex infimis precibus auxilium de' Mauri). Supplichevole co prieghi più umili
itineri, quoniam bello non poterat, quatuor mil ottiene da lui scorta del cammino, poi che non
lia Maurorum impetravit. Cum iis, praemisso poteva ad uso di guerra, quattro mila Mauri.
nuncio ad paternos suosque amicos, quum ad fi Con questi, mandati innanzi un messo ad avvisa
nes regni pervenisset. quingenti ferme Numidae re gli amici del padre e suoi, arrivato ai confini
ad eum convenerunt. Igitur Mauris inde, sicut del regno, da cinquecento Numidi si radunarono
convenerat, retro ad regem remissis, quamduam intorno a lui. Adunque rimandati indietro i Mauri
aliquanto minor spemultitudo, nec cum qua tan al re, com'era convenuto, benchè il numero
tam rem aggredi satis auderet, conveniret; ratus della gente raccolta fosse minore alquanto di
agendo ac moliendo vires quoque ad agendum quello, che avea sperato, e con cui potesse osare
aliquid collecturum, proficiscenti ad Syphacem di accingersi a tanta impresa, nondimeno stiman
Lacumaci regulo ad Thapsum occurrit. Trepidum do, che mettendosi all'opera e provandosi, acqui
agmen quum in urbem refugisset, urbem Masi sterebbe anche altre forze a far qualche cosa, si
nissa primo impetu capit: ex regiis alios traden fe' incontro presso Tapso al re Lacumacc, che
tes se recipit, alios vim parantes occidit. Pars andava a Siface. Rifuggitasi spaventata la di lui
maxima cum ipso puero inter tumultum ad Sy scorta in città, Masinissa se ne impadronisce di
phacem, quo primum intenderantiter, pervene primo assalto: delle genti del re altre ne prende,
runt. Fama hujus modicae rei, in principio re che si arrendono, altre, che si apparecchiano a
rum prospere actae, convertitad Masinissam Nu resistere, ne ammazza; la maggior parte, di
midas; affluebantque undique ex agris vicisque mezzo al tumulto, insieme col re fanciullo, ar
veteres milites Galae, et invitabant juvenem ad rivarono a Siface, dove dapprima s'erano indi
recuperandum paternum regnum. Numero mili rizzati. La fama di questo piccolo fatto in sul
tum aliquantum Mezetulus superabat: nam et principiar dell'impresa felicemente riuscito, ri
ipse eum exercitum, quo Capusam vicerat, et ex volse i Numidi a favore di Masinissa. Da ogni
receptis post caedem regis aliquot habebat; et parte e dalla campagna e dalle borgate fluivano
puer Lacumaces ab Syphace auxilia ingentia ad i vecchi soldati di Gala, ed invitavano il giovane
duxerat. Quindecim millia peditum Mezetulo, a ricuperare il regno paterno. Mezetulo superava
decem millia equitum erant; quibuscum Masinis alquanto in numero di soldati, avendo e l'eserci
sa, nequaquam tantum peditum equitumve ha to, col quale avea vinto Capusa, e alquanti di
bens, acie conflixit. Vicit tamen et veterum mi coloro, che avea racquistati dopo l'uccisione del
litum virtus, et prudentia inter Romana et Puni re; e il fanciullo Lacumace gli avea condotti gran
ca arma exercitati ducis. Regulus cum tutore et di aiuti da Siface. Avea pertanto Mezetulo quin
exigua Masaesylorum manu in Carthaginiensem dici mila fanti e dieci mila cavalli, co' quali Ma
agrum perfugit. Ita recuperato regno parerno, sinissa venne alle mani, ben lungi dall'averne al
Masinissa, quia sibi adversus Syphacem haud trettanti. Vinse nondimeno il valore del vecchi
paullo majorem restare dimicationem cernebat, soldati e la scienza del capitano, esercitato tra le
optimum ratus cum fratre patruele gratiam re armi puniche e le romane. Il fanciullo col tutore
conciliare, missis, qui et puero spem facerent, si e con piccola banda di Massilii fuggì nel territo
in fidem Masinissae sese permisisset, futurum in rio Cartaginese. Così Masinissa, ricuperato il re
eodem honore, quo apud Galam Oesalces quon gno paterno, poi che vedeva rimanergli altra lotta
dam fuisset; et qui Mezetulo, praeter impunita alquanto maggiore con Siface, stimando bene
tem, sua omnia cum fide restitui sponderent; riconciliarsi col cugino, mandate persone, che
ambo praeoptantes exsilio modicam domi fortu dessero speranza al fanciullo, che starebbe egli,
mam (omnia, ne id fieret, Carthaginiensibus de se si rimettesse alla fede di Masinissa, in quel
industria agentibus) ad sese perduxit. grado medesimo, in cui era stato Esalce un tempo
presso Gala, e promettessero a Mezetulo, oltre
l'impunità, che gli sarebbe fedelmente restituita
ogni cosa; ambedue preferendo all'esiglio una
41 1 TITI LIVII LIBER XXIX, 4t2

mediocre condizione a casa (adoperandosi gran


demente i Cartaginesi, perchè ciò non succedesse)
li trasse a sè.
XXXI. Hasdrubaltum forte, quum haec ge XXXI. Mentre accadevano queste cose, Asdru
rebantur, apud Syphacem erat: qui Numidae, bale per avventura si trovava presso Siface,
haud sane multum ad se pertinere credenti, utrum al quale, che credeva poco dovergli importare
penes Lacumacen, an Masinissam, regnum Mas che il regno del Massilii fosse in mano di Lacu
sylorum esset, a falli eum magnopere, ait, si Ma mace, o di Masinissa, Asdrubale disse, a ingannar
sinissam eisdem contentum fore, quibus patrem si egli di molto, se stimava che Masinissa saria
Galam, aut patruum eius Oesalcem, credat: mul rimasto contento di quello, ch'era stato di Gala
to majorem indolem in eo animi ingeniique esse, suo padre, o di Esalce suo zio: avea codestui
quam in ullo gentis ejus umquam fuisset. Saepe una forza d'animo e d'ingegno assai maggiore,
eum in Hispania rarae inter homines virtutis spe che fosse stata in altri mai di quella nazione: aver
cimen dedisse sociis pariter hostibusque; et Sy egli spesso in Ispagna dati saggi agli alleati, non
phacem, et Carthaginienses, nisi orientem illum meno che a nemici, di una virtù rara tra gli uo
ignem oppressissent, ingenti mox incendio, quum mini, e che se Siface ei Cartaginesi non avessero
jam nullam opem ferre possent, arsuros. Adhuc soffocato quel fuoco nascente, sarebbero stati di
teneras et fragiles ejus vires esse, vizdum coale vorati in appresso da grande incendio, quando
scens foventis regnum. » Instando stimulandoque non avrebbero più potuto apporvi rimedio. Esse
pervincit, ut exercitum ad fines Massylorum ad re ancora tenere e fragili le forze sue, colle quali
moveat, atque in agro, de quo saepe cum Gala va assodando il regno appena sorto. ” Instando
non verbis modo disceptatum, sed etiam armis e stimolando finalmente lo indusse ad accostare
certatum fuerat, tamquam haud dubie juris sui, l'esercito ai confini de' Massilii, e ad accamparsi
castra locat. « Si quis arceat, id quod maxime sul territorio, del quale s'era sovente disputato
opus sit, acie dimicaturum: sin per metum agro con Gala non solamente colle parole, ma coll'ar
cedatur, in medium regnum eundum: aut sine mi, come di territorio indubbiamente di sua ra
certamine concessuros in ditionem eius Massylos, gione. « Se verrà alcuno a cacciarnelo, il che sa
autnequaquam pares futuros armis. » His vocibus rebbe a bramarsi, si darà battaglia; se poi si ce
incitatus Syphax Masinissae bellum infert, et pri derà per paura, bisognerà inoltrarsi nel cuore del
mo certamine Massylos fundit fugatoſue. Masinis regno, o i Massilii si sottometteranno a lui senza
sa cum paucis equitibus ex acie in montem (Bal combattere, o non avranno forze eguali da resi
bum incolae vocant) perfugit: familiae aliquot stere. . Aizzato da codeste parole, Siface muove
cum mapalibus pecoribusque suis (ea pecunia guerra a Masinissa, e nel primo fatto sbaraglia e
illis est) persecuti sunt regem ; cetera Massylo fuga i Massilii. Masinissa con pochi cavalli dalla
rum multitudo in ditionem Syphacis concessit. mischia si rifugge sopra un monte, dagli abitanti
Quem ceperant exsules montem, herbidus aquo chiamato Balbo. Alcune famiglie seguirono il re
susque est; et, quia pecori bonus alendo erat, ho colle tende e co bestiami loro; chè questa è tut
minum quoque, carne ac lacte vescentium, abun ta la lor ricchezza; il restante de'Massilii passò
de sufficiebat alimentis. Inde nocturnis primo ac sotto il dominio di Siface. Il monte, che i fuor
furtivis incursionibus, deinde aperto latrocinio, usciti avean preso, era erboso ed acquoso; e
infesta omnia circa esse: maxime uri Carthagi perchè buono a nodrir bestiami, somministrava
niensis ager, quia et plus praedae, quam inter abbondante cibo anche agli uomini, che viveva
Numidas, et latrocinium tutius erat. Jamdue adeo no di carne e di latte. Quindi dapprima con
licenter eludebant, ut ad mare devectam praedam incursioni notturne e furtive, poscia con aperto
venderent mercatoribus, appellentibus naves ad ladroneccio infestavan tutti i dintorni: era spe
id ipsum ; pluresque, quam justo saepe in bello, cialmente messo a guasto il territorio Cartagi
Carthaginiensium caderent caperenturque. De nese, e perchè v'era più da predare che tra i
plorabant ea apud Syphacem Carthaginienses, Numidi, e perchè si rubava più securamente.
infensumque et ipsum ad reliquias belli perse E già s'eran fatti sì baldanzosi nella licenza,
quendas instigabant: sed vix regium videbatur, che portavano la preda al mare a venderla ai
latronem vagum in montibus consectari. mercadanti, che per questo stesso vi approdava
no; e restavan morti o presi più Cartaginesi,
che non accade spesso in giusta guerra. Porta
vano i Cartaginesi le lor doglianze a Siface, e lo
istigavano, già irritato com'era, a proseguire
il resto dell'impresa; se non che non gli pareva
413 TITI LIVII LIBER XXIX. 414

cosa da re dar dietro a ladroni, che correvano


per le montagne.
XXXII. Bocchar, ex praefectis regiis vir acer XXXII. Boccare, uno de' regii prefetti, uomo
et impiger, ad id delectus. Ei data quatuor mil ardito e valoroso, fu scelto a ciò. Gli si diedero
lia peditum, duo equitum: praemiorumque in quattro mila fanti e due mila cavalli, e caricato lo
gentium spe oneratus, si caput Masinissae retu della speranza di grandi premii, se riportasse la
lisset, aut vivum (id vero inaestimabile gaudium testa di Masinissa, o vivo (il che sarebbe d'inesti
fore) cepisset, palatos incurioseque agentes im mabil gioia) il prendesse, egli, assalitili sbandati
proviso adortus, pecorum hominumque ingenti nè punto in guardia di sè, tagliata fuori dalla
multitudine a praesidio armatorum exclusa, Ma difesa degli armati una gran moltitudine d'uomi
sinissam ipsum cum paucis in verticem montis ni e di bestiami, respinge lo stesso Masinissa con
compellit. Inde, propeut jam debellato, mec prae pochi in sulla vetta del monte. Indi, come a guer
da modo pecorum hominumque captorum missa ra quasi terminata, spedita al re non solamente
ad regem, sed copiis etiam, ut aliquanto majori la preda fatta d' uomini e di bestiami, ma riman
bus, quam pro reliquiis belli, remissis, cum quin dando eziandio le genti, come troppe più, che
gentis haud amplius peditibus ducentisque equi non occorreva al restante della guerra, messossi
tibus, degressum jugis Masinissam persecutus, in con niente più di cinquecento fanti e dugento ca
valle arcta, faucibus utrimogue obsessis, inclusit: valli ad inseguir Masinissa disceso dalle alture,
ibi ingens caedes Massylorum facta. Masinissa lo chiuse in una stretta valle, serratene le bocche
cum quinquaginta haud amplius equitibus per d'ambe le parti. Fu quivi grande la strage dei
anfractus montis ignotos sequentibus se eripuit. Massilii. Masinissa con cinquanta cavalli appena
Tenuit tamen vestigia Bocchar; adeptusque eum sottrossi per gli anfratti del monte non noti a chi
patentibus prope Clupeam urbem campis, ita cir lo inseguiva. Boccare nondimeno gli tenne dietro,
cumvenit, ut, praeter quatuor equites, omnes ad e raggiuntolo nell'aperta pianura presso la città di
unum interficeret: cum iis ipsum quoque Masi Clupea, così accerchiollo, che, tranne quattro gli
nissam saucium prope e manibus inter tumul uccise tutti gli altri cavalieri, tra quali nel bollor
tum amisit. In conspectu erant fugientes; ala della mischia si lasciò uscire quasi fuor di mano
equitum, dispersa toto campo, quibusdam, ut oc lo stesso Masinissa ferito. I fuggitivi erano a vi
currerent, per obliqua tendentibus, quinque ho sta; la banda dei cavalli, dispersa per tutta la
stes sequebatur. Amnis ingens fugientes accepit pianura, onde farsi di fronte ad alcuni, che scam
(neque enim cunctanter, ut quos major metus pavano per traverso, inseguiva i cinque nemici.
urgeret, immiserant equos), raptique gurgite, Un largo fiume accolse i fuggenti (che stretti da
et in obliquum praelati. Duobus in conspectu maggior paura, vi si erano senza esitare lanciati
hostium in praerapidum gurgitem haustis, ipse dentro co'cavalli), e furon sospinti dalla corrente,
periisse creditus: at duo reliqui equites cum eo e obbliquamente trasportati. Ingoiati due d'essi
inter virgulta ulterioris ripae emerserunt. Is fi dalla rapidità del gorgo in sugli occhi del nemico,
nis Bocchari sequendi fuit, nec ingredi flumen si credette perito lo stesso Masinissa; ma gli altri
auso, nec habere credenti se jam, quem sequere due cavalieri insieme con lui usciron salvi tra i
tur. Inde vanus auctor absumpti Masinissae ad virgulti dell'opposta riva. Quivi fe fine Boccare
regem rediit; missidue, qui Carthaginem gau all'inseguire, nè osando entrare nel fiume, nè
dium ingens nunciarent: totaque Africa fama credendosi più avere chi inseguir dovesse. Tornò
mortis Masinissae repleta varie animos affecit. Ma quindi al re falso apportatore della morte di Ma
sinissa in spelunca occulta, quum herbis curaret sinissa, e si spedì gente a Cartagine ad annunzia
vulnus, duorum latrocinio per dies aliquot vixit. re l'immenso gaudio; e la fama della morte di
Ubi primum ducta cicatrix, patique posse visa Masinissa, sparsa per tutta l'Africa, toccò gli ani
jactationem, audacia ingenti pergitire ad regnum mi diversamente. Masinissa occultato in una spe
repetendum; atque, in ipso itinere haud plus qua lonca, curandosi con erbe la ferita, visse alquanti
dra ginta equitibus collectis, quum in Massylos, giorni delle ruberie de'due cavalieri. Come tosto
palam jam quis esset ferens, venisset, tantum comparve la cicatrice, e si credette poter essa so
motum quum favore pristino, tum gaudio in stener il moto del cavallo, si rimette in via con
sperato, quod, quem perisse crediderant, inco insigne ardimento a racquistare il regno; e raccol
lumem cernebant, fecit, ut intra paucos dies sex to nel cammino niente più di quaranta cavalli,
millia peditum armatorum, quatuor equitum, ad venuto nelle terre de'Massilii, dichiaratosi pubbli
eum convenirent; iamque non in possessione camente ch'egli era, destò sì gran movimento
modo paterni regni esset, sed etiam socios Cartha per l'antico favore, di cui godeva, sì per la gioia
giniensium populos Masaesylorumque fines (id non isperata al vederlo salvo, lui che credevano
-
-

415 TITI LIVll LIBER XXIX. ſi 6


Syphacis regnum erat), vastaret: inde, irrita d'aver perduto, che in pochi di s'ebbe intorno
to ad bellum Syphace, inter Cirtam Hipponem sei mila fanti e quattro mila cavalli, ed era di già
que in jugis opportunorum ad omnia montium non solamente in possesso del paterno regno, ma
consedit.
saccheggiava gli alleati dei Cartaginesi e le terre
dei Massilii, dove regnava Siface. Poscia, sfidato
a guerra Siface, andò a mettersi tra Cirta ed Ip
pona sulla sommità de'monti opportuni ad ogni
occorrenza.

XXXIII. Majorem igitur eam rem Syphax ra XXXIII. Ora stimando Siface, che la cosa
tus, quam ut per praefectum ageret, cum filio ju fosse dappiù, che da essere trattata da un prefet
vene (nomen Verminae erat)parte exercitus missa, to, mandata con un giovane suo figlio, che avea
imperat, ut, circumducto agmine, in se intentum nome Vermina, una parte dell'esercito, gli ordi
hostem ab tergo invadat. Nocte profectus Vermi na che, fatta una volta intorno al monte, mentre
ma, qui ex occulto aggressurus erat: Syphax au il nemico bada a lui, egli lo assalti alle spalle.
tem interdiu aperto itinere, ut qui, signiscollatis, Partì di notte Vermina, avendo ad assaltare di
acie dimicaturus esset, movit castra. Ubi tempus nascosto: Siface poi mosse il campo di giorno
visum est, quo pervenisse jam circummissi videri per la strada aperta, quasi avesse a combattere a
poterant, et ipse leni clivo ferente ad hostem, bandiere spiegate. Come gli parve giunto il tem
quum multitudine fretus, tum praeparatis ab ter po, in cui poteva credersi arrivata al luogo la
go insidiis, per adversum montem erectam aciem gente mandata a far la volta, egli per un dolce
ducit. Masinissa fiducia maxime loci, quo multo poggio, che metteva al nemico, fidato nel nume
aequiore pugnaturus erat, et ipse dirigit suos. ro, non che dell'aguato teso alle spalle, drizzò su
Atrox proelium et diu anceps fuit; loco et vir per l'opposto monte le schiere. Masinissa, confi
tute militum Masinissam, multitudine, quae nimio dando massimamente nel sito, dove avrebbe
major erat, Syphacem iuvante. Ea multitudo di combattuto con maggiore vantaggio, anch'egli
visa, qun pars a fronte urgeret, pars a tergo drizza all'erta i suoi. Fu fiera la battaglia, e lun
se circumfudisset.victoriam haud dubiam Syphaci gamente indecisa, il luogo ed il valor de'soldati
dedit: et ne effugium quidem patebat hinc a facendo per Masinissa, il numero, ch'era di molto
fronte, hinc ab tergo inclusis: itaque ceteri pedi maggiore, per Siface. Questa moltitudine divisa,
tes equitesque caesi aut capti. Ducentos ferme parte incalzando a fronte, parte circondando
equites Masinissa circa se conglobatos, divisosque alle spalle, diede non dubbia vittoria a Siface, e
turmatim in tres partes, erumpere iubet; loco chiusi essendo i nemici quinci di fronte, quindi
praedicto, in quem ex dissipata convenirent fuga. alle spalle, non c'era nemmeno strada allo scam
Ipse, qua intenderat, inter media tela hostium po. Tutti dunque gli altri fanti e cavalieri furon
evasit: duae turmae haesere: altera metu dedita morti, o presi. A dugento incirca di questi, che
hosti; pertinacior in repugnando telis obruta et si erano serrati d'intorno a lui, divisili in tre
confixa est. Verminam prope vestigiis instantem, bande, ordina Masinissa che si faccian largo tra
in alia atque alia flectendo itinera eludens, taedio i nemici, indicato il luogo, dove sbandati dalla
et desperatione tandem fessum, absistere sequen fuga si raccogliessero. Egli da quella parte, dove
do coegit: ipse cum sexaginta equitibus ad mi s'era indirizzato, scampò di mezzo a un nembo
norem Syrtim pervenit. Ibi cum conscientia egre di giavellotti. Due di quelle bande si fermarono:
gia saepe repetiti regni paterni, inter Punica Em una per timore si rendette al nemico; la più
poria gentemdue Garamantum omne tempus, ostinata a resistere rimase oppressa, e trafitta
usque ad C. Laelii classisque Romanae adventum dai dardi. Masinissa col torcere qua e colà il
in Africam, consumpsit. Haec animum inclinant, cammino deludendo sempre Vermina, il quale
ut cum modico potius, quam cum magno praesi gli era quasi alle spalle, obbligollo finalmente
dio equitum, ad Scipionem quoque postea venisse stanco dal tedie, e disperato di raggiungerlo, a
Masinissam credam: quippe illa regnantis mul cessare dall'inseguirlo, e con sessanta cavalli
titudo, haec paucitas exsulis fortunae conve giunse alla piccola Sirti. Quivi consolandosi colla
Illens est, coscienza di aver più di una volta ricuperato il
regno paterno, passò tra la Punica Emporia e la
nazione de' Garamanti tutto il tempo, che corse
sino alla venuta in Africa di Caio Lelio e della
flotta romana. Per questo inclino a credere, che
di poi sia venuto a Scipione più tosto con piccola,
che con grossa banda di cavalli; chè quella mol
417 TITI LIVII LIBER XXIX. 418
titudine conviene alla fortuna di chi regna,
questa pochezza alla fortuna di fuoruscito.
XXXIV. Carthaginienses, ala equitum cum XXXIV. I Cartaginesi, perduta una banda di
praefecto amissa, alio equitatu per novum dele cavalli insieme col lor prefetto, messane insieme
ctum comparato, Hannonem Hamilcaris filium un'altra col mezzo di nuova leva, ne danno il
praeficiunt. Hasdrubalem subinde ac Syphacem comando ad Annone figlio di Amilcare. Indi per
per literas nunciosque, postremo etiam per lega lettere emessi, in fine anche per legati chiamano
tos, arcessunt: Hasdrubalem open ferre prope Asdrubale e Siface: commettono ad Asdrubale
circumsessae patriae jubent: Syphacem orant, che rechi soccorso alla patria già quasi stretta
ut Carthagini, ut universae Africae subveniat. d'assedio: pregano Siface, che sovvenga a Car
Ad Uticam tum castra Scipio, ferme mille passus tagine, all'Africa tutta. Avea Scipione a quel
ab urbe, habebat, translata a mari, ubi paucos tempo, il suo campo nelle vicinanze di Utica, alla
dies stativa conjuncta classi fuerant. Hanno, ne distanza quasi di un miglio, trasferitolo colà dal
quaquam satis valido, non modo ad lacessemdum mare, dove l'avea tenuto per pochi di congiunto
hostem, sed me ad tuendos quidem a populatio alla flotta. Annone, avuta una cavalleria non solo
nibus agros, equitatu accepto, id omnium pri non sufficiente a provocare il nemico, ma nè anche
mum egit, ut per conquisitionem numerum equi a difendere la campagna dai saccheggiamenti, ado
tum augeret: nec aliarum gentium aspernatus, perossi prima d'ogni altra cosa ad accrescere colle
maxime tamen Numidas (id longe primum equi perquisizioni il numero de'cavalli. Nè trascurando
tum in Africa est genus) conducit. Jam ad qua quelli d'altre nazioni, ne assolda specialmente di
tuor millia equitum habebat, quum Salecam no Numidi (chè in Africa questa è la migliore sorta
mine urbem occupavit; quindecim ferme millia di cavalleria). Già ne avea raccolti da quattro
ab Romanis castris. Quod ubi Scipioni relatum mila, quando occupò la città nomata Saleca, di
est, « Aaestiva sub tectis equitatus! inquit: sint stante all'incirca quindici miglia dagli accampa
vel plures, dum talem ducem habeant. » Eoque menti romani. Il che essendo rapportato a Scipio
minus sibi cessandum ratus, quo illi segniusrem ne; a Distate, disse, la cavalleria negli alloggia
agerent, Masinissam cum equitatu praemissum menti? sieno pur anche molti più, pur che s'abbia
portis obequitare, atque hostem ad pugnam eli no un tal capitano. » E giudicando di dover egli
cere, jubet: ubi omnis multitudo se effudisset, tanto meno indugiare, quanto più andavan essi
graviorque jam in certamine esset, quam ut fa a rilento, mandato innanzi Masinissa colla caval
cile sustineri posset, cederet paullatim ; se in tem leria, gli commette che vada cavalcando in sulle
pore pugnae obventurum. Tantum moratus, porte di Saleca, e vegga di trarre il nemico a bat
quantum satis temporis praegresso visum ad eli taglia: come tutta la moltitudine fosse uscita, e
ciendos hostes, cum Romano equitatu secutus, soverchiasse col numero così, che la non si potesse
tegentibus tumulis, qui peropportune circa viae facilmente sostenere, si ritirasse a poco a poco;
flexus oppositi erant, occultus processit. Masinis ch'egli arriverebbe a tempo alla battaglia. Avendo
sa, ex composito, nunc terrentis, nunc timentis indugiato tanto tempo solamente, quanto gli parve
modo, aut ipsis obequitabat portis, aut cedendo, dover bastare a Masinissa mandato innanzi a trarre
quum timorissimulatio audaciam hosti faceret, il nemico a battaglia, venutogli dietro colla caval
ad insequendum temere eliciebat. Nondum om leria romana, occulto camminò, coperto da'mon
mesegressi erant, varieque dux fatigabatur, alios ticelli, che opportunamente si alzavano lungo le
vino et sommo graves arma capere, et frenare svolte della strada. Masinissa, secondo il convenu
equos cogendo, aliis, ne sparsi et inconditi sine to, ora a guisa di chi minaccia, ora di chi teme,
signis omnibus portis excurrerent, obsistendo. o cavalcava sino in sulle porte, o cedendo e col
Primo incaute se evehentes Masinissa excipiebat: finger timore aggiungendo ardire al nemico, lo
mox plures simul conferti porta effusi aequave allettava ad arrischiarsi d'inseguirlo. Non erano
rant certamen: postremo, jam omnis equitatus ancora usciti tutti, e Annone avea molto che fare,
proelio quum adesset, sustineri ultra nequiere. obbligando gli uni, gravi dal sonno e dal vino,
Non tamen effusa fuga Masinissa, sed cedendo a prender l'armi ed imbrigliare i cavalli, rite
sensim, impetus eorum excipiebat; donec ad tu nendo gli altri che non corresser fuori da tutte
mulos tegentes Romanum equitatum pertraxit. le porte sbandati e incomposti, senza ordine e
Inde exorti equites, et ipsi integris viribus, et senza bandiere. Masinissa dapprima sosteneva
recentibus equis, Hannoni Afrisque pugnando ac quelli, che incautamente si scagliavano innanzi ;
sequendo fessis se circumfudere: et Masinissa, dappoi, essendosi coloro lanciati ad un tempo
flexis subito equis, in pugnam rediit. Mille fer stesso fuor delle porte in maggior numero, la
lue, quil" agminis fuerant, ut quibus haud
a IV 10 2
battaglia s'era pareggiata: in fine, entrata a
27
419 TITI LIVII LIBER XXIX. 12o

facilis receptus fuit, cum ipso duce Hannone in combattere tutta la cavalleria, non si potè più
terclusi atque interfecti sunt. Ceteros, ducis prae sostenerla. Masinissa però sosteneva il lor impeto
cipue territos caede, effuse fugientes per tria mil non fuggendo sbrigliatamente, ma cedendo a
lia passuum victores secuti, ad duo praeterea a poco a poco; sino a tanto che li trasse a'mon
millia equitum aut ceperunt, aut occiderunt. ticelli, che coprivano la romana cavalleria. Donde
lnter eos satis constabat, non minus ducentos balzando fuori i cavalieri, intatti essi di forze e
Carthaginiensium equites fuisse, et divitiis quos co'cavalli freschi, accerchiarono Annone e gli
dam et genere illustres. Africani, stanchi dal combattere e dall'inseguire;
e Masinissa, rivoltati subito i cavalli, tornò alla
battaglia. Da mille all'incirca, ch'erano stati
della prima schiera, come quelli, che non avean
potuto facilmente ritirarsi, furono avviluppati
ed uccisi collo stesso lor comandante Annone.
Degli altri, che, spaventati specialmente dalla
morte del capitano, disperatamente fuggendo
furono per tre miglia inseguiti dai vincitori, me
restaron presi o morti da due mila. Tra questi si
sapeva essersi trovati non meno di dugento ca
valieri Cartaginesi, alcuni anche illustri per no
biltà e per ricchezze.
XXXV. Eodem forte, quo haec gesta sunt, XXXV. Nel giorno stesso, in cui accadde
die naves, quae praedam in Siciliam vexerant, questo fatto, le navi per avventura, che avean
cum commeatu rediere; velut ominatae, ad prae tradotta la preda in Sicilia, tornarono con le
dam alteram repetendam sese venisse. Duos eo vettovaglie, quasi indovinando d'esser venute a
dem nomine Carthaginiensium duces duobus raccorre altra preda. Non tutti gli scrittori si
equestribus proeliis interfectos, non omnes au accordano a dire, che due capitani Cartaginesi
ctores sunt; veriti, credo, ne falleret bis relata dello stesso nome sieno rimasti uccisi in due
eadem res. Coelius quidem et Valerius captum battaglie equestri, venuti, credo, in timore di
etiam Hannonem tradunt. Scipio praefectos equi sbagliare, narrando uno stesso fatto due volte.
tesque, prout cujusque opera fuerat, ante omnes Celio certo e Valerio scrivono che fosse preso
Masinissam, insignibus donis donat: et, firmo anche Annone. Scipione distribuisce egregii regali
praesidio Salecae imposito, ipse cum cetero exer ai prefetti ed ai cavalieri, secondo l'opera pre
citu profectus, non agris modo, quacumque in stata da ciascheduno, e specialmente a Masinissa:
cedebat, populatis, sed urbibus etiam quibusdam e messo forte presidio a Saleca, partitosi col
vicisque expugnatis, late fuso terrore belli, septi resto dell'esercito, saccheggiato non solamente
mo die, quam profectus erat, magnam vim homi il paese, dove passava, ma espugnate eziandio
num et pecoris et omnis generis praedae trahens, alcune città e borgate, spandendo largamente
in castra redit; gravesque iterum hostilibus spo intorno il terrore, sette giorni da che s'era parti
liis naves dimittit. Inde, omissis expeditionibus to, seco traendo gran preda d'uomini e di bestia
parvis populationibusque, ad oppugnandam Uti mi e di ogni altro genere, ritorna al campo, e
cam omnes belli vires convertit, eam deinde, si rimanda nuovamente le navi cariche di spoglie
cepisset, sedem ad cetera exsequenda habiturus. ostili. Poscia, ommesso le piccole spedizioni ed i
Simul et a classe navales socii, qua ex parte urbs saccheggi, rivolge tutte le forze a combattere
mari alluitur, simul et terrestris exercitus ab Utica,onde, se la prendesse, tenerla a ferma stanza
imminente prope ipsis moenibus tumulo est ad per indi eseguire l'altre imprese. Fa che nel tempo
motus. Tormenta machinasque et advexerat se stesso le genti della flotta si accostino alla città
cum, et ex Sicilia missa cum commeatibus erant: dalla parte, ch'è bagnata dal mare, e l'esercito
et nova in armamentario, multis talium operum di terra dalla parte del monticello, che sovrasta
artificibus de industria inclusis, fiebant. Uticen quasi alle mura. Quanto alle macchine ed ordigni,
sibus tanta undidue mole circumsessis in Cartha e ne avea portato seco, e gliene aveano mandato
giniensi populo, Charthaginiensibus in Hasdru dalla Sicilia insieme coi viveri, e se ne fabbrica
bale ita, si is movisset Syphacem, spes omnis erat: van di nuove nell'arsenale, dove avea rinchiusi
sed desiderio indigentium auxilii tardius cuncta a tal uopo molti artefici di simili lavori. Tutta la
movebantur. Hasdrubal, intentissima conquisi speranza degli Uticensi, investiti da ogni parte
tione quum ad triginta milliapeditum, tria equi da sì gran mole di guerra, stava nel popolo Car
lum conſecisset, non tamen ante adventum Sy taginese; tutta quella dei Cartaginesi in Asdru
421 TITI LIVII LIBER XXIX.
422
phacis castra propius hostem movere est ausus. bale, se avesse potuto muover Siface; ma tutto
Syphax cum quinquaginta millibus peditum, de andava più lento, che non era il desiderio di chi
cem equitum advenit; confestimoſue motis ab abbisognava di aiuto. Asdrubale, avendo colla
Carthagine castris, haud procul Utica munitioni più diligente perquisizione messi insieme da
busque Romanis consedit. Quorum adventus hoc trenta mila fanti, e da tre mila cavalli, non osò
tamen momenti fecit, ut Scipio, quum quadra tuttavia farsi più presso al campo de'nemici avan
ginta ferme dies nequidquam omnia experiens ti la venuta di Siface. Venne questi con cinquanta
obsedisset Uticam, abscederet inde irrito ince mila fanti e dieci mila cavalli, e levato subito il
pto. Et (jam enim hiems instabat) castra hiberna campo da Cartagine si piantò non lontano da
in promontorio, quod tenui jugo continenti ad Utica e dagli alloggiamenti Romani. La cui venuta
haerens in aliquantum maris spatium extenditur, però fece questo effetto, che Scipione, poi ch'ebbe
communit: uno vallo et navalia castra ample per quasi quaranta giorni, fatti invano tutti gli
ctitur. Jugo medio legionum castris impositis, sperimenti, assediata Utica, se ne partisse non
litus ad septentrionem versum subductae naves ottenuto l'intento. E sovrastando già il verno, si
navalesque socii tenebant; meridianam vallem ad fortificò sopra un promontorio, che attaccato con
alterum litus deveram equitatus. Haec in Africa dolce eminenza al continente si protende per
usque ad extremum autumni gesta. alquanto spazio nel mare, e in un solo steccato
racchiude anche gli alloggiamenti navali. Allogate
le legioni alla metà dell'altura, le navi tirate a
terra, e con esse le genti di mare occupavano la
riva volta a settentrione; la valle a mezzo dì, che
piegava all'altra riva, era tenuta dalla cavalleria.
Queste son le cose, che si son fatte in Africa sino
alla fine dell'autunno.
XXXVI. Praeter convectum undique ex po XXXVI. Oltre il grano radunato da ogni
pulatis circa agris frumentum, commeatusque ex parte dalle campagne saccheggiate all'intorno,
Sicilia atque Italia advectos, Cn. Octavius pro ed oltre le vettovaglie venute di Sicilia e d'Ita
praetor ex Sardinia ab Ti. Claudio praetore, cu lia, il propretore Gneo Ottavio condusse di Sar
jus ea provincia erat, ingentem vim frumenti ad degna quantità grande di frumento avuto dal
vexit; horreaque non solum, quae jam facta erant, pretore Tito Claudio, che governava quella pro
repleta, sed nova aedificata. Vestimenta exerci vincia, e non solamente s'empierono i granai,
tui deerant: id mandatum Octavio, ut cum prae ch'eran già fatti, ma se ne fabbricaron di nuo
tore ageret, si quid ex ea provincia comparari ac vi. L'esercito mancava di vestiti: si commise ad
mitti possit: ea quoque haud segniter curata res. Ottavio che trattasse col pretore, se si potesse
Mille ducentae togae brevi spatio, et duodecim trarne alquanti da quelle province, e mandarli.
millia tunicarum missa. Aestate ea, qua haec in Anche questa cosa fu speditamente acconciata:
Africa gesta sunt, P. Sempronius consul, cui Brut iu poco tempo furon mandate mille e dugento
tii provincia erat, in agro Crotoniensi cum Han toghe, e dodici mila tuniche. In quella state, in
nibale in ipso itinere tumultuario proelio con cui si son fatte in Africa codeste cose, il console
flixit: agminibus magis, quam acie, pugnatum est. Publio Sempronio, cui toccata era la provincia
Romani pulsi, et tumultu verius, quam pugna, ne Bruzii, cammin facendo ebbe ad azzuffarsi
ad mille et ducenti de exercitu consulis interfe tumultuariamente con Annibale nel contado di
cti: in castra trepide reditum; neque oppugnare Crotona, e si combattè più tosto squadra con
tamen ea hostes ausi. Ceterum silentio proximae squadra, che con tutto l'esercito. I Romani fu
noctis profectus inde consul, praemisso nuncio rono respinti, e in quel tumulto, più tosto che
ad P. Licinium proconsulem, ut suas legiones ad battaglia, restaron morti dell'esercito del conso
moveret, copias conjunxit: ita duo duces, duo le da circa mille e dugento uomini: si tornò agli
exercitus ad Hannibalem redierunt: nec mora alloggiamenti non senza qualche paura; nondi
dimicandi facta est, quum consuli duplicatae vi meno i nemici non osarono assaltarli. Se non che
res, Poeno recens victoria animo esset. In pri il console, partitosi di là nel silenzio della notte
mam aciem suas legiones Sempronius induxit: in susseguente, mandato a dire al proconsole Pu
subsidiis locatae P. Licinii legiones. Consul prin blio Licinio che avvicinasse le sue legioni, si
cipio pugnae aedem Fortunae Primigeniae vovit, congiunse a lui. Così due capitani e due eserciti
si eo die hostes fudisset: composque eius voti Romani tornarono alla volta di Annibale. Nè si
fuit Fusi ac fugati Poeni: supra quatuor milia tardò di venire alle mani; avendo il conso
armatorum caesa: paullo minus trecenti vivi ca le raddoppiate le forze, e il Cartaginese fresca
ſi 23 TITI LIVII LIBEB XXIX. 424
pti, et equi quadraginta, et undecim militaria si nell'animo la recente vittoria. Sempronio trasse
gna. Perculsus adverso proelio Hannibal Croto le sue legioni su la prima linea: quelle di Publio
nem exercitum adduxit. Eodem tempore M. Cor Licinio furon messe nella riserva. Il console
nelius consul in altera parte Italiae non tam ar sul principio della pugna fe'voto di un tempio
mis, quam judiciorum terrore, Etruriam conti alla Fortuna Primigenia, se avesse in quel dì
net, totam ferme ad Magonem, ac per eum ad sconfitti i nemici; il suo voto fu esaudito. I Car
spem novandi res, versam. Eas quaestiones ex taginesi furon rotti e fugati: ne restaron morti
senatusconsulto minime ambitiose habuit; mul più di quattro mila, e poco meno che trecento
tique nobiles Etrusci, qui aut ipsi ierant, aut presi vivi, e quaranta cavalli e undici bandiere.
miserant ad Magonem de populorum suorum de Annibale, percosso da questa rotta, ritirò l'eser
fectione, primo praesentes erant condemnati; cito a Crotona. Nel tempo medesimo, dall'altra
postea, conscientia sibimetipsi exsilium consci parte dell'Italia, il console Marco Cornelio, non
scentes, quum absentes damnati essent, corpori tanto coll'armi, quanto col terrore dei giudizii,
bus subtractis, bona tantum, quae publicari po tiene in freno la Toscana, volta quasi tutta a
terant, pignoranda poenae praebebant. Magone ed a speranza, col di lui mezzo, di no
vità. Queste inquisizioni le fece il console per
decreto del senato, senza nessuna parzialità, e
de'molti nobili Toscani, ch'erano andati in per
sona, o aveano mandato a Magone a trattare
della ribellione de'lor popoli, dapprima i pre
senti furono condannati; poscia taluni altri, im
postosi per coscienza un volontario esiglio, sot
tratte le persone, offrirono condannati in as
senza alla pena i beni solamente che si pote
rono confiscare.
XXXVII. Dum haec consules diversis regio XXXVII. Mentre i consoli si adoprano in
nibus agunt, censores interim Romae M. Livius questa guisa in diversi paesi, a Roma intanto i
et C. Claudius senatum recitaverunt. Princeps censori Marco Livio e Caio Claudio pubblica
iterum lectus Q. Fabius Maximus: notati septem; rono la lista dei senatori. Fu nuovamente eletto
nemo tamen, qui sella curuli sedisset. Sarta tecta principe del senato Quinto Fabio Massimo: sette
acriter et cum summa fide exegerunt. Viam e furono i notati; nessuno però, che avesse avuto
foro Boario ad Veneris, et circa foros publicos, sedia curule. Vollero che i restauri allogati fos
et aedem Matris Magnae in Palatio faciendam sero eseguiti con rigore e somma fede, e diedero
locaverunt. Vectigal etiam novum ex salariaan a farsi la strada dal foro Boario al tempo di Ve
nona statuerunt: sextante sal et Romae et per nere, e le logge pubbliche all'intorno, e il tem
totam Italiam erat. Romae pretio eodem, pluris pio della Gran-Madre nel Palatino. Stabilirono
in foris et conciliabulis, et alio alibi pretio prae eziandio una nuova gabella sul sale: si vendeva
bendum locaverunt. Id vectigal commentum al sei danari a Roma, e in tutta l'Italia. Lo alloga
terum ex censoribus satis credebant, populo ira rono a Roma al prezzo stesso, ma ne'mercati e
tum, quod iniquo judicio quondam damnatus es nelle fiere a maggiore, e qua ad un prezzo, colà
set; et im pretio salis maxime oneratas tribus, ad un altro. Credevano esser questa un'inven
quarum opera damnatus erat, credebant: inde zione di uno de'censori, sdegnato col popolo,
Salinatori Livio inditum cognomen. Lustrum che l'avesse un tempo ingiustamente condan
conditum serius, quia per provincias dimiserunt mato, e ch'egli avesse nel prezzo del sale caricate
censores, ut civium Romanorum in exercitibus, maggiormente le tribù, che lo aveano condan
quantus ubique esset, referretur numerus. Censa nato. Quindi gli fu messo il soprannome di Li
cum iis ducenta decem quatuor millia hominum: vio Salinatore. Il lustro fu compiuto più tardi,
condidit lustrum C. Claudius Nero. Duodecim perchè i censori mandarono per le province a
deinde coloniarium (quod numquam antea fa sapere quanto fosse negli eserciti il numero dei
ctum erat) deferentibus ipsarum coloniarum cen cittadini Romani da per tutto. Con questi sino
soribus, censum acceperunt; ut, quantum nume verarono dugento quattordici mila teste. Chiuse
ro militum, quantum pecunia valerent, in publi il lustro Caio Claudio Nerone. Indi ricevettero
cis tabulis monumenta exstarent. Equitum dein il censo di dodici colonie (il che non s'era fatto
de census agi coeptus est; et ambo forte censores per l'innanzi), esibito dai censori delle colonie
equum publicum habebant. Quum ad tribum stesse, acciocchè ne pubblici registri stesse il
Polliam ventum est, in qua M. Livii nomen erat, documento, quanto valessero per numero di
f,25 TITI LIVII LIBER XXIX. 426
et praeco cunetaretur citare ipsum censorem; soldati, quanto per danari. Indi si cominciò a fare
«Cita, inquit Nero, M. Livium:» et, sive ex resi il censo de'cavalieri, e per avventura i due cen
dua et vetere simultate, sive intempestiva jacta sori aveano il cavallo dal pubblico. Quando si
tione severitatis inflatus, M. Livium, quia populi venne alla tribù Pollia, nella quale c'era il nome
judicio esset damnatus, quum ad tribum Ar di Marco Livio, soprastando il banditore a citar
niensem et momen collegae ventum est, vendere lo stesso censore, a cita, disse Nerone, Marco Li
equum C. Claudium jussit, duarum rerum causa; vio; » e, o per residuo di antica nimistà, o perchè
unius, quod falsum adversus se testimonium s'inorgogliasse di far pompa d'intempestiva se
dixisset; alterius, quod non sincera fide secum in verità, comandò a Marco Livio che vendesse il
gratiam redisset. Itaque ibi foedum certamen in cavallo, perciocchè era stato condannato per
quinandi famam alterius, cum suae famae dammo, giudizio del popolo. Parimenti Marco Livio,
factum est. Exitu censurae quum in leges juras quando si venne alla tribù Arniense e al nome
set C. Claudius, et in aerarium escemdisset, inter del collega, comandò a Caio Claudio, che ven
nomina eorum, quos aerarios relinquebat, dedit desse il cavallo per due ragioni; una, perchè
collegae nomen. Deinde M. Livius in aerarium avea deposto il falso contro di lui; l'altra, per
venit, et, praeter Maeciam tribum, quae se nec chè non s'era riconciliato con esso lui di buona
condemnasset, neque condemnatum aut consulem fede. Videsi quivi pertanto una sconcia lotta di
aut censorem fecisset, populum Romanum om denigrare la fama altrui con danno della propria.
nem, quatuor et triginta tribus, aerarios reliquit; Sul finire della censura avendo Caio Claudio
quod et innocentem se condemnassent, et con giurata l'osservanza delle leggi, salito alla ca
demnatum consulem et censorem fecissent; ne mera pubblica, tra i nomi di coloro, che lasciava
que inficiari possent, aut judicio semel, aut co solamente tributarii, pose il nome del collega.
mitiis bis ab se peccatum esse: inter quatuor et Indi venne alla camera stessa Marco Livio, e
triginta tribus et C. Claudium aerarium fore. tranne la tribù Mecia, che nè lo aveva condan
Quod si exemplum haberet bis eumdem aerarium nato, nè, come fu condannato, eletto console e
relinquendi, C. Claudium nominatim se inter censore, pose tra i tributarii tutto il popolo Ro
aerarios fuisse relicturum. Pravum certamen no mano, trenta quattro tribù, e perchè lo aveano
tarum inter censores : castigatio inconstantiae condannato innocente, e perchè, condannatolo,
populi censoria, et gravitate temporum illorum nondimeno lo aveano eletto console e censore,
digna. In invidia censores quum essent, crescendi non potendo essi negare di aver peccato, o una
ex his ratus esse occasionem Cm. Baebius tribu volta nel giudicarlo, o due volte ne'comizii. Nella
nus plebis diem ad populum utrique dixit. Ea pena delle trentaquattro tribù doveva, disse, es
res consensu Patrum discussa est, ne postea ob ser compreso anche Caio Claudio, e se avesse un
noxia populari aurae censura esset. esempio, che si desse due volte la stessa pena a
taluno, l'applicherebbe due volte nominatamente
a Caio Claudio. Brutta lotta di note infamanti tra
due censori: castigo però all'incostanza del popo
lo, degno della gravità censoria, e della gravità
pur di quel secolo. Divenuti odiosi i censori, sti
mando Gneo Bebio, tribuno della plebe, di trarne
occasione di segnalarsi, li citò ambedue dinanzi
al popolo. I Padri d'accordo fecero sì che tra
montasse la cosa, onde la censura non fosse espo
sta per l'avvenire all'instabil aura popolare.
XXXVIII. Eadem aestate in Bruttiis Clampe XXXVIII. In quella state medesima ne'Bruzii
tia a consule vi capta, Consentia et Pandosia, et fu presa per forza dal console Clampezia, Co
ignobiles aliae civitates voluntate in ditionem ve senza e Pandosia, ed altre città di poco conto
nerunt. Et, quum comitiorum jam appeteret tem volontarie si arrendettero. E di già avvicinan
pus, Cornelium potius ex Etruria, ubi nihil belli dosi il tempo de' comizii, parve meglio che si
erat, Romam acciri placuit. Is consules Cn. Ser chiamasse a Roma Cornelio dalla Toscana, dove
vilium Caepionem et C. Servilium Geminum non c'era punto di guerra. Egli nominò consoli
creavit. Inde praetoria comitia habita: creati P. Gneo Servilio Cepione e Caio Servilio Gemino.
Cornelius Lentulus, P. Quinctilius Varus, P. Ae Poi si tennero i comizii de'pretori: furon creati
lius Paetus, P. Villius Tappulus. Hiduo, quum Publio Cornelio l'entulo, Publio Quintilio Varo,
aediles plebis essent, praetores creati sunt. Con Publio Elio Peto, Publio Villio Tappulo. Questi
sul, comitiis perfectis, ad exercitum in Etruriam due furon creati pretori essendo edili. Il console,
427 TITI LIVII LIBER XXIX. 428
rediit. Sacerdotes eo anno mortui, atque in lo finiti i comizii, tornò all'esercito in Toscana. I
cum eorum suffecti: Ti. Veturius Philo flamen sacerdoti morti in quell'anno e i surrogati fu
Martialis, in locum M. Aemilii Regilli, qui prio rono: Tito Veturio Filone, sacerdote di Marte,
re anno mortuus erat, creatus inauguratusque; fu creato e inaugurato in luogo di Marco Emilio
et in M. Pomponii Mathonis auguris et decem Regillo, ch'era morto l'anno innanzi; e in luogo
viri locum creati, decemvir M. Aurelius Cotta, di Marco Pomponio Matone, augure e decemvi
augur Ti. Sempronius Gracchus admodum ado ro, furon creati decemviro Marco Aurelio Cotta,
lescens, quod tunc perrarum in mandandis sa augure Tito Sempronio Gracco, assai giova
cerdotiis erat. Quadrigae aureae eo anno in Ca netto; il che accadeva di rado quel tempo nel
pitolio positae ab aedilibus curulibus, C. Livio conferire i sacerdozii. In quell'anno gli edili cu
et M. Servilio Gemino. Et ludi Romani biduum ruli Caio Livio e Marco Servilio Gemino posero
instaurati. Idem per biduum plebeji ab aedilibus nel Campidoglio una quadriga d'oro. I giuochi
P. Aelio, P. Villio: et Jovis epulum fuit ludorum Romani furono rinnovati per due giorni; così
Causa. per due giorni i giuochi plebei dagli edili Publio
Llio e Publio Villio, e per cagione del giuochi ci
fu il banchetto di Giove.
TITI LIVII PATAVINI

H I ST O R I A R U M
AB URBE CONDITA LIBRI

etº (983e

EPITOME

L IB R I T R I G E S I M I

In Africa Scipio Carthaginienses et eumdem Syphacem Scipione in Africa, coll'aiuto di Masinissa, vinse in
Numidarum regem Hasdrubalem que pluribus proeliis parecchie battaglie i Cartaginesi, lo stesso Siface, re
vicit, adiuvante Masinissa, binaque hostium castra dei Numidi, ed Asdrubale; e prese due alloggiamenti
expugnavit: in quibus quadraginta millia hominum de'nemici. In questi fatti quaranta mila uomini pe.
ferro ignique consumpta sunt Syphacem per C. Laelium rirono di ferro e di fuoco. Per opera di Caio Lelio e di
et Masinissam cepit. Masinissa Sophonisbam, uxorem Masinissa ebbe nelle mani Siface. Masinissa, fatta
Siphacis, filiam Hasdrubalis, captam statim adama prigioniera Sofonisba, moglie di Siface e figlia di
vit, et, muptiis factis, uxorem habuit: castigatus a Asdrubale, tosto se n'invaghì, e fatte le nozze, la prese
Scipione venenum ei misiti quo hausto illa decessit. in matrimonio. Biasimato da Scipione, le mandò il ve
Effectumque est multis Scipionis victoriis, ut Cartha leno, ed ella presolo morì. E le molte vittorie di Sci
ginienses, in desperationem acti, in auxilium publicae pione fecero sì, che i Cartaginesi, ridotti alla dispera
salutis Hannibalem ex Italia revocarent: isque, anno zione, richiamarono Annibale dall'Italia a soccorso
decimosexto Italia decedens, in Africam trajecit, ten della pubblica salute. Questi, dopo anni sedici partendo
tavitgue per colloquium pacem cum Scipione componere: dall'Italia, passò in Africa e tentò in un abboccamento
et cum de conditionibus pacis non convenisset, acie d'indur Scipione alla pace, e non essendo convenuti
victus est. Pax Carthaginiensibus data est petentibus. nelle condizioni, fu vinto in giornata campale. Avendo
Fannibal Gisgonem, pacem dissuadentem, manu sua i Cartaginesi chiesta la pace, fu data loro. Annibale
detraziti excusata deinde temeritate facti, ipse di propria mano giù trasse dalla tribuna Gisgone,
pacem suasit. Mago, qui bello in agro Insubrium che dissuadeva la pace; indi, chiesta scusa dell'atto
cum Romanis conflixerat, vulneratus, dum in Afri ardito, egli stesso la consiglia. Magone, azzuffatosi
can per legatos revocatus revertitur, ex vulnere coi Romani nel paese degl'Insubri riportò una ferita,
mortuus est. Masinissae regnum restitutum est. Re e di questa morì, mentre richiamato da messi ritor
versus in urbem Scipio amplissimum nobilissimum ma in Africa. Il regno di Masinissa è rimesso. Sci
que egiº ºriumphum, quem Q. Terentius Calleo senator pione, tornato a Roma, celebrò un magnifico e nobi
43 i TITI LIVII EPITOME LIBRI TRIGESIMI 432

pileatus secutus est. Scipio Africanus (incertum militari lissimo trionfo. Quinto Terenzio Culleone senatore lo
prius favore, an populari aura ita cognominatus) accompagnò col berretto in testa. Scipione l'Africano
primus certe hic imperator victae a se nomine gen ( è incerto se sia stato soprannominato così prima
tis nobilitatus est. dal favore dei soldati, o dall'aura popolare) fu certo
il primo comandante noblitato col nome della da lui
vinta nazione.
TITI LIVII

L I B E R T R I G E S I MI U S

-
tesºsi

I. (Anno U. C. 549. – A. C. 2o3.) Cn. Ser I. ( Anni D. R. 549 – A. C. 2o3.) Avendo


vilius Caepio et C. Servilius Geminus consules i consoli Gneo Servilio Cepione e Caio Servilio
(sextus decimus is annus belli Punici era!), quum Gemino (era questo l'anno decimo sesto della
de republica belloque et provinciis ad senatum guerra Punica) fatto riferta al senato dello stato
retulissent, censuerunt Patres, ut consules inter se della repubblica, della guerra e delle province,
compararent, sortirenturve, uter Bruttios adver i Padri deliberarono che i consoli convenissero
sus Hannibalem, uter Etruriam ac Ligures pro tra loro, o traessero a sorte qual d'essi aver do
vinciam haberet i cui Bruttii evenissent, exerci vesse i Bruzii contro Annibale, quale la Toscana
tum a P. Sempronio acciperet: P. Sempronius ed i Liguri: quello che avesse i Bruzii, ricevesse
(ei quoque enim proconsuli imperium in annum l'esercito da Publio Sempronio: Sempronio (che
prorogabatur) P. Licinio succederet: is Romam si prorogava a lui pure in qualità di proconsole
reverteretur, bello quoque bonus habitus ad ce il comando per un anno) succedesse a Publio
tera, quibus nemo ea tempestate instructior civis Licinio: questi tornasse a Roma, già riconosciuto
habebatur, congestis omnibus humanis a natura anche buon capitano, oltre l'altre doti, di cui
fortuna que bonis Nobilis idem ac dives erat: miun altro cittadino era stimato più fornito in
forma viribusque corporis excellebat. Facundis quel tempo, avendolo di quanti beni toccar pos
simus habebatur, seu causa oranda, seu in sena sono ad uomo, natura e fortuna ricolmato. Era
tu, ad Populum, suadendi ac dissuadendi locus egli nobile e insieme ricco: si distingueva per
esset: juris pontificii peritissimus. Super haec, bella figura e per forza di corpo. Riputato era
bellicae quoque laudis consulatus compotem fe eloquentissimo, o si avesse a trattare una causa,
cerat. Quod in Bruttiis provincia, idem in E ovvero in senato, o dinanzi al popolo consigliare
truria ac Liguribus decretum. M. Cornelius no o sconsigliare una cosa; peritissimo eziandio nel
vo consuli tradere exercitum jussus: ipse, pro diritto pontifizio. Per giunta, il consolato gli
rogato imperio, Galliam provinciam obtinere avea procacciato il vanto di gloria militare.
cum legionibus iis, quas praetor L. Scribonius Quello che s'era decretato per la provincia dei
priore anno habuisset. Sortiti deinde provincias: Bruzii, quello stesso fu decretato per la Toscana
Caepioni Bruttii, Servilio Gemino Etruria eve e pe'Liguri. Marco Cornelio ebbe ordine di con
nit. Tum praetorum provinciae in sortem conje segnare l'esercito al nuovo console; e ch'egli,
ctae Jurisdictionem urbanam Paetus Aelius, Sar prorogatogli il comando, avesse il governo della
diniam P. Lentulus, Siciliam P. Villius, Arimi Gallia con le legioni, ch'erano state l'anno in
ºum cum duabus legionibus (sub Lucretio Spu manzi del pretore Lucio Scribonio. Indi trassero
ºeae fuerani) Quinctilius Varus est sortitus. Et a sorte le province; i Bruzii toccarono a Cepione,
Lucretio prorogatum imperium, ut Genuam op la Toscana a Servilio Gemino. Poscia si misero
Pº a Magone Poeno dirutum exaedificaret. alla sorte le province del pretori: toccò l'urbana
P. Scipioni, non temporis, sed rei gerendae fiue, giurisdizione a Peto Elio, la i rise a Publio
livio 2 al
435 TITI LIVII LIBER XXX. 436

domec debellatum in Africa foret, prorogatum Lentulo, la Sicilia a Publio Vlllio; Rimini con
imperium est: decretumque, ut supplicatio fieret, due legioni (ch'erano state sotto Lugrezio Spu
quod is in Africam provinciam trajecisset, ut ea rio) a Quintilio Varo. Fu prorogato il comando
res salutaris populo Romano ipsique duci atque anche a Lugrezio, acciocchè rifabbricasse la for
exercitui esset. tezza di Genova, stata diroccata da Magone
Cartaginese. Si prorogò il comando a Publio
Scipione non a tempo, ma rispetto al termine
dell'impresa, sino a tanto che finita fosse la
guerra d'Africa. E si decretarono pubbliche
preghiere, acciocchè l'esser egli passato in Africa
tornasse a giovamento del popolo Romano, dello
stesso comandante e dell'esercito.

II. In Siciliam tria millia militum sunt scri II. Si levarono tre mila soldati per la Sicilia;
pta; et quia, quod roboris ea provincia habue e perchè tutto quel di forza, che aveva quella
rat, in Africam transvectum fuerat, ne qua clas provincia, s'era trasportato in Africa, fu ordi
sis ex Africa trajiceret, quadraginta navibus cu mato che la costa marittima della Sicilia fosse
stodiri placuerat Siciliae maritimam oram. Tre guardata con quaranta navi, acciocchè nessuna
decim novas naves Villius secum in Siciliam du flotta nemica colà passasse dall'Africa. Villio
xit: ceterae in Sicilia veteres refectae. Huic classi menò seco in Sicilia tredici nuove navi: le altre
M. Pomponius, prioris anni praetor, prorogato vecchie della Sicilia furono rifatte. Marco Pom
imperio praepositus, novos milites ex ltalia ad ponio, pretore dell'anno antecedente, preposto
vectos in maves imposuit. Parem navium nume al governo di quella flotta, prorogatogli il co
rum Cn. Octavio, praetori item prioris anni, cum mando, v'imbarcò sopra i nuovi soldati condotti
pari jure imperii ad tuendam Sardiniae oram dall'Italia. Eguale numero di navi decretarono
Patres decreverunt. Lentulus praetor duo millia i Padri a Gneo Ottavio, pretore esso pure del
militum dare in naves jussus. Et Italiae ora, quia l'anno innanzi, a guardare la coste della Sar
incertum erat, quo missuri classem Carthaginiem degna con parità di comando. Il pretore Len
ses forent (videbantur autem, quidquid nuda tulo ebbe ordine di fornire le navi di due mila
tum praesidiisesset, petituri), M. Marcio, praetori soldati. Anche la costa dell'Italia, non sapendosi
prioris anni, cum totidem navibus tuenda data dove i Cartaginesi mandata avrebbono la lor
est. Tria millia militum in eam classem ex decreto flotta (pareva però, che si sarebbero lanciati
Patrum consules scripserunt, et duas legiones sulla parte, che nudata fosse di presidio), fu data
urbanas ad incerta belli. Hispaniae cum exerci a custodire con altrettante navi a Marco Marcio
tibus imperioque veteribus imperatoribus, L. pretore esso pure dell'anno scorso. Per questa
Lentulo et L. Manlio Acidino, decretae. Viginti ſloita levarono i consoli per decreto del senato
omnino legionibus, et centum sexaginta navibus tre mila soldati, non che due legioni urbane
longis res Romana eo anno gesta. Praetores in pe' casi incerti della guerra. Il comando delle
provincias ireiussi: consulibus imperatum, prius Spagne co' loro eserciti fu dato a vecchi coman
quam ab urbe proficiscerentur, ludos magnos danti Lucio Lentulo e Lucio Manlio Acidino.
fficerent, quos T. Manlius Torquatus dictator in Roma guerreggiò in quest'anno con in tutto
quintum annum vovisset, si eodem statu respu venti legioni, e cento e sessanta navi lunghe.
blica staret. Et novas religiones excitabant in A'pretori si ordinò, che andassero alle lor pro
animis hominum prodigia, ex pluribus locis nun vince. Fu commesso a consoli che innanzi che
ciata. Aurum in Capitolio corvi non lacerasse partissero di Roma celebrassero i giuochi Gran
tantum rostris crediti, sed etiam edisse: mures di, de'quali avea fatto voto per cinque anni il
Antii coronam auream arrosere. Circa Capuam dittatore Tito Manlio Torquato, se la repubblica
omnem agrum locustarum vis ingens, ita ut, durata fosse nello stesso stato. E i prodigi da più
unde advenissent, parum constaret, complevit. luoghi annunziati destavano in petto agli uomi
I quuleus Reate cum quinque pedibus natus: A ni nuovi religiosi terrori. Fu creduto che i cor
magniae sparsi primum ignes in coelo, dein ſax vi non solamente lacerato col rostri, ma trangu
ingens arsit: Frusinone arcus solem tenui linea giato avessero le dorature sul Campidoglio. I to
amplexus est; circulum deinde ipsum major so pi in Anzio rosicchiarono una corona d'oro. Uno
lis orbis extrinsecus inclusit: Arpini terra cam stormo immenso di locuste riempie d'intorno
pestri agro in ingentem sinum consedit: consu a Capua tutto il contado, senza che si sapesse,
Juan alteri, primam hostiam immolanti, caput je d'onde fosser venute. A Reate nacque un pule
canoris defuit. La prodigia majoribus hostiis pro dro con cinque piedi. Nell'Anagnia si videro
437 TITI LIVII LIBER XXX. 433

curata: editi a collegio pontificum dii, quibus dapprima de'fuochi sparsi pel cielo, indi si acce
sacrificaretur. se una gran fiaccola. A Frusinone un arco ab
bracciò il sole con una linea sottile; indi quel
cerchio medesimo fu esternamente rinchiuso da
altro cerchio maggiore del sole. Il contado d'Ar
pino nel piano si avallò per gran tratto. A uno
de'consoli nell'immolare la prima vittima non
apparve il capo del fegato. Questi prodigii espiati
furono con le vittime maggiori. Il collegio dei
Pontefici dichiarò a quali dei si dovesse sagri
ficare.
III. Iis transactis, consules praetoresque in III. Fatte queste cose, i consoli ed i pretori
provincias profecti: omnibus tamen, velut eam andarono alle lor province: tutti però aveano
sortitis, Africae cura erat; sen quia ibi summam in cuore l'Africa, quasi fosse toccata in sorte a
rerum bellique verti cernebant; seu ut Scipioni loro stessi; o perchè vedevano quivi aggirarsi la
gratificarentur, in quem tum omnis versa civitas somma delle cose e della guerra; o per far cosa
erat. Itaque non ex Sardinia tantum (sicutante grata a Scipione, verso il quale la città tutta era
dictum est), sed ex Sicilia quoque et Hispania volta. Quindi non solamente dalla Sardegna, co
vestimenta, frumentumque, et arma etiam ex Si me s'è detto innanzi, ma eziandio dalla Sicilia
cilia, et omne genus commeatus eo portabantur. e dalla Spagna si portavan colà e vestiti e fru
Nec Scipio ullo tempore hiemis belli opera remi mento, e dalla Sicilia armi ancora ed ogni sorta
serat, quae multa simul undique eum circumsta di vettovaglie. Nè Scipione intralasciato aveva
bant. Uticam obsidebat; castra in conspectu Ha in nessun tempo del verno le opere della guerra,
sdrubalis erant. Carthaginienses deduxerant na che molte insieme gli stavan sopra d'ogni parte.
ves; classem paratam instructamque ad commea Assediava Utica: aveva a fronte il campo di
tus intercipiendos habebant.Inter haec ne Sypha Asdrubale. I Cartaginesi avean tratte all'acqua le
cis quidem reconciliandi curam ex animo mise navi; aveano una flotta in pronto e fornita per
rat; si forte jam satias amoris in uxore ex multa intercettare le vettovaglie. In mezzo a queste
copia cepisset. Ab Syphace magis pacis cum Car cure non avea Scipione deposto il pensiero di ri
thaginiensibus conditiones, ut Romani Africa, conciliarsi Siface, se a caso mai, per averne a ri
Poeni Italia excederent, quam, si bellaretur, spes bocco, lo avesse preso sazietà della moglie. Dalla
ulla desciturum afferebatur. Haec per nuncios parte di Siface gli si recava piuttosto speranza
magis equidem acta crediderim (etita pars ma ch'egli avrebbe assentito per condizioni di pa
jor auctores sunt), quam ipsum Syphacem, ut ce, che uscissero i Cartaginesi dall'Italia, ed i
Antias Valerius prodit, in castra Romana ad col Romani dall'Africa, di quello che, se continuas
loquium venisse. Primo eas conditiones impera se la guerra, che fosse egli mai per istaccarsi da
tor Romanus vix auribus admisit : postea, ut Cartagine. Crederei che questa cosa si sia trat
causa probabilis suis commeandi foret in castra tata più per messaggi (e così pensa la maggior
hostium, mollius eadem illa abnuere, ac spem parte degli autori) anzi che Siface, come scrive
facere, saepius ultro citroque agitantibus rem Valerio Anziate, fosse venuto egli stesso ad ab
conventuram. Hibernacula Carthaginiensium, boccarsi nel campo Romano. Dapprima Scipione
congesta temere ex agris materia exaedificata, appena porse orecchio a quelle condizioni; poi,
lignea ferme totaerant. Numidae praecipue arun acciocchè avessero i suoi più plausibile pretesto
dine textis, storeaque pars maxima tectis passim di passar nel campo dei nemici, cominciò a ri
nullo ordine, quidam, ut sine imperio occupatis gettarle meno aspramente, e porgere speranza
locis, extra fossam etiam vallumque habitabant. che trattandosi la cosa quinci e quindi più volte,
Haec relata Scipioni spem fecerant castra hostium la si sarebbe convenuta. I quartieri d'inverno
per occasionem incendendi. dei Cartaginesi, fabbricati di materia tratta a ca
so dalla campagna, eran quasi tutti di legno.
I Numidi specialmente stavano sotto tetti la mag
gior parte intessuti di canne e di stuoie, qua e
là senz'ordine; alcuni anche, fuori della fossa e
dello steccato, quasi in luoghi di lor capriccio
occupati. Queste notizie avean destato speranza
in Scipione, che gli venisse forse il destro di ab
bruciare gli alloggiamenti nemici,
439 TITI LIVII LIBER XXX. 44o
IV. Cum legatis, quos mitteret ad Syphacem, IV. Coi legati, che aveva a mandare a Siface,
calonum loco primos ordines spectatae virtutis in luogo de'saccomanni mandava sotto abito di
atque prudentiae servili habitu mittebat; qui schiavi de'primi officiali di sperimentato valore
dum in colloquio legati essent, vagi per castra, e di accorgimento; i quali mentre i legati stava
alius alia, aditus exitusque omnes, situm formam no abboccandosi, vagando pel campo spiassero
que et universorum castrorum, et partium, qua chi una cosa, chi un'altra, gl'ingressi ed egressi
Poeni, qua Numidae haberent, quantum inter tutti, il sito e la forma degli alloggiamenti e delle
valli inter Hasdrubalis ac regia castra esset, spe parti loro, dove stessero i Cartaginesi, dove i Nu
cularentur; moremque simul noscerent stationum midi, quanta fosse la distanza tra il campo di
vigiliarumque: nocte, an interdiu opportuniores Asdrubale e quello di Siface; e insieme conosces
insidianti essent. Et inter crebra colloquia alii sero la usanza delle poste e delle guardie, e se si
atque alii deindustria, quo pluribus omnia nota prestassero a chi le insidiasse più opportune o di
essent, mittebantur. Quum saepius agitata res giorno o di notte. E tra le frequenti conferenze,
certiorem spem pacis in dies Syphaci et Cartha si mandava a bella posta sempre gente diversa,
giniensibus per eum faceret, legati Romani - ve acciocchè la cognizione si diffondesse tra più.
titos se reverti ad imperatorem ajunt, nisi cer Mentre la cosa parecchie volte trattata ogni dì
tum responsum detur. Proinde, seu ipsi staret traeva Siſace, e per di lui mezzo i Cartaginesi
jam sententia, seu consulendus Hasdrubal et Car a più certa speranza di pace, i legati Romani di
thaginienses essent, consuleret. Tempus esse, aut chiararono, a aver ordine dal loro comandante
pacem componi, aut bellum naviter geri º Dum di non più ritornare, se non si dia loro una ri
consulitur Hasdrubal ab Syphace, ab Hasdrubale soluta risposta. Quindi o il decidersi dipendesse
Carthaginienses; et speculatores omnia visendi, da lui, o avesse egli a consultare Asdrubale ed
et Scipio ad comparanda ea, quae in rem erant, i Cartaginesi, li consultasse: esser ormai tempo
tempus habuit. Et ex mentione ac spe pacis ne o di conchiuder la pace, o di far la guerra ga
gligentia, ut fit, apud Poenos Numidamque orta gliardamente. - Intanto che Siface consulta
cavendi, ne quid hostile interim paterentur. Tan Asdrubale, Asdrubale i Cartaginesi,ebbero tempo
dem relatum responsum, quibusdam (quia nimis gli specolatori di tutto osservare, e Scipione di
cupere Romanus pacem videbatur) iniquis per tutto approntare quanto occorreva; e la menzio
occasionem adjectis; quae peropportune cupienti ne e la speranza della pace fe” nascere nei Carta
tollere inducias Scipioni causam praebuere; ac ginesi e nei Numidi, come avviene, la negligenza
nuncio regis, quum relaturum se ad consilium di guardarsi di non ricevere frattanto offesa dai
dixisset, postero die respondit: «Se uno frustra nemici. Finalmente si apportò la risposta, ag
tendente, nulli alii pacem placuisse. Renunciaret giuntevi all'occasione (poi che pareva che i Ro
igitur, nullam aliam spem pacis, quam relictis mani fossero assai vogliosi della pace) alcune
Carthaginiensibus, Syphaci cum Romanis esse. ” cose men che discrete, le quali diedero pretesto
Ita tollit inducias, ut libera fide incepta exseque molto opportuno a Scipione di rompere, come
retur; deductisque navibus (et jam veris princi bramava, la tregua: ed al messaggio del re, det
pium erat) machinas tormentaque, velut a mari togli che avrebbe comunicata la cosa al consiglio,
aggressurus Uticam, imponit; et duo millia mili il dì appresso rispose: « che eccetto lui solo, che
tum ad capiendum, quem antea tenuerat, tumu vi si era adoperato invano, a nessun altro era pia
lum super Uticam mittit; simul ut ab eo, quod ciuta la pace. Riferisse adunque non poter Siface
parabat, in alterius rei curam converteret ho aver altrimenti pace coi Romani, che abbando
stium animos; simul ne qua, quum ipse ad Sy nando i Cartaginesi. » Così rompe la tregua, on
phacem Hasdrubalemque profectus esset, eru de sciolta la fede, continuare l'impresa; e tratte
ptio ex urbe et impetus in castra sua, relicta cum fuori le navi (ch'era già il principio di prima
levi praesidio, fieret. vera) vi mette sopra le macchine e gl'ingegni,
quasi volesse assaltar Utica dal mare; e manda
due mila soldati a pigliare il monticello, che
aveva innanzi occupato, sopra Utica; sì per isvia
re l'attenzione del nemico da quello, che pre
parava; sì perchè, mentr'egli fosse andato contro
Siface ed Asdrubale, non si sortisse dalla città
e si piombasse addosso al suo campo, lasciato con
picciolo presidio.
V. His praeparatis, advocatoque consilio, edi V. Preparato tutto questo, e chiamato il con
cere exploratoribus jussis, quae comperta affer siglio, poi ch'ebbe detto agli esploratori che
A41 TITI LIVII LIBER XXX. 442
rent, Masinissaque, cui omnia hostium nota erant; recassero quanto avevano osservato, non che a
postremo ipse, quid pararet in proximam noctem, Masinissa, a cui non era ignota cosa alcuna dei
proponit. Tribunis edicit ut ubi, praetorio di nemici; in fine propone egli quello che pensava
misso, signa concinuissent, extemplo educerent di fare nella notte susseguente. Commette ai tri
castris legiones. Ita, ut imperaverat, signa sub buni che come tosto, licenziato il consiglio, si
occasum solis efferri sunt coepta: ad primam fosse udito il suono delle trombe, subito traesser
ferme vigiliam agmen explicaverunt: media no fuori le legioni. Siccome avea commesso, sul tra
cte (septem enim millia itineris erant) modico montare del sole si cominciò a metter fuori le
gradu ad castra hostium perventum. Ibi Scipio insegne. Quasi in sulla prima veglia le genti si
partem copiarum Laelio, Masinissamque ac Nu spiegarono in ordinanza: a mezzanotte di pic
midas attribuit, et castra Syphacis invadere, ignes ciol passo (che ci erano sette miglia di cammino)
que conjicere jubet. Singulos deinde separatim, si giunse agli alloggiamenti del nemici. Quivi
Laelium ac Masinissam, seductos obtestatur, « ut, Scipione assegna una parte delle genti a Lelio
quantum nov providentiae adimat, tantum dili con Massinissa e co Numidi, e gli ordina di assa
gentia expleant curaque. Se Hasdrubalem Puni lire il campo di Siface e di mettervi il fuoco.
caque castra aggressurum: ceterum non ante Indi, presi in disparte Lelio e Masinissa, scon
coepturum, quam ignem in regiis castris conspe giurò ciascun di loro separatamente, «che quanto
Misset. - Neque ea res morata diu est: nam, ut la notte toglie di provvidenza, tanto essi suppli
proximis casis injectus ignis haesit, extemplo scano con la diligenza e la cura; ch'egli an
proxima quaeque, et deinceps continua ample dava ad assaltare Asdrubale e il campo Carta
xus, totis se passim dissipavit castris. Et trepida ginese; però non comincerebbe l'assalto, se pri
tio quidem, quanta necesse erat, in nocturno ef ma non avesse veduto il fuoco nel campo del re. »
fuso tam late incendio orta est: ceterum fortui
Nè la cosa tardò molto: perciocchè appena il
tum, non hostilem ac bellicum ignem rati esse, fuoco si fu appreso alle prossime casucce, in un
sime armis ad restinguendum incendium effusi, istante, invadendo i tetti vicini, indi di mano in
in armatos incidere hostes, maxime Numidas, ab mano i contigui, qua e colà per tutto si diffuse.
Masinissa notitia regiorum castrorum ad exitus E certo insorse uno scompigliamento grande
itinerum idoneis locis dispositos. Multos in ipsis cotanto, quanto era necessario che fosse in not
cubilibus semisomnos hausit flamma: multi in turno incendio sì largamente disteso; se non che
praecipiti fuga, ruetens super alios alii, in an stimandolo essi fuoco accidentale, non di mano
gustiis portarum obtriti sunt. ostile e guerresco, accorsi senz'armi ad estin
guerlo, caddero nelle mani de'nemici armati, e
specialmente de'Numidi, che Masinissa, conoscen
do gli accampamenti del re, avea disposti in luo
ghi opportuni alle bocche delle strade. Molti ne
consumò la fiamma mezzo addormentati nel loro
letti; molti nella fuga precipitosa, gli uni rove
sciandosi sugli altri, rimasero nelle strettezze
delle porte schiacciati.
VI. Relucentem flammam primo vigiles Car VI. Le guardie dei Cartaginesi, indi gli altri
thaginiensium, deinde excitati alii nocturno tu destati dal notturno rumore, avendo visto il luci
multu quum conspexissent, ab eodem errore cre car delle fiamme, credettero essi pure per lo
dere etipsi sua sponte incendium ortum : et cla stesso errore, che l'incendio fosse nato da sè;
mor inter caedem et vulnera sublatus, an ex tre e le grida, levatesi per la strage e le ferite, non
pidatione nocturna esset, confusus, sensum veri sapendosi se provenissero dal notturno scom
adimebat. Igitur pro se quisque inermes, ut qui pigliamento, toglieva la conoscenza del vero.
bus nihil hostile suspectum esset, omnibus portis, Disarmati, come quelli che nulla sospettavano
qua cuique proximum erat, ea modo, quae restin dalla parte de'nemici, da tutte le porte, come
guendo igni forent, portantes, in agmen Ro n'erano più vicini, portando ognuno da sè quello
manum ruebant. Quibus caesis omnibus, praeter soltanto, ch'era buono a spegnere l'incendio,
quam hostili odio, etiam ne quis nuncius effuge precipitavano nella squadra Romana. Tagliati a
ret, extemplo Scipio neglectas, ut in tali tumultu, pezzi tutti costoro,oltre che per odio ostile, anche
portas invadit: ignibusque in proxima tecta perchè nessuno sfuggisse ad avvisarne gli altri,
conjectis, effusa flamma primo veluti sparsa subito Scipione invade le porte, neglette, come
pluribus locis reluxit, dein per continua ser avviene in simili casi; e gettato il fuoco ne'tetti
pens, uno repente omnia incendio hausit. Am vicini, la fiamma brillò dapprima al largo, quasi
443 TITI LIVII LIBER XXX. 444
busti homines jumentaque ſoeda primum fuga, in più luoghi dispersa; indi continua di tetto in
dein strage, obruerant itinera portarum : quos tetto serpeggiando, in un istante tutto in un solo
non oppresserat ignis, ferro absumpti; binaque incendio avvolse e divorò. Gli uomini mezzo arsi
castra clade una deleta. Duces tamen ambo, et ed i giumenti, prima miseramente fuggendo, poi
ex tot millibus armatorum duo millia peditum ancisi cadendo, aveano ostrutte le vie delle porte.
et quingenti equites semiermes, magna pars sau Quelli che il fuoco non aveva oppressi, furon fini
cii, afflatidue incendio, effugerunt. Caesa aut ti dal ferro, e una sola e stessa strage due campi
hausta flammis quadraginta millia hominum ad un tempo distrusse. Nondimeno i due capitani,
sunt, capta supra quinque millia: multi Cartha e di tante migliaia d'armati due mila fanti e cin
giniensium nobiles, undecim senatores, signa mi quecento cavalli, quasi senz'armi, la maggior
litaria centum septuaginta quatuor, equi Numi parte feriti e dall'incendio mal conci scampa
dici supra duo millia septingenti, elephanti sex rono. Quaranta mila furono gli uccisi, o consu
capti; octo ſlamma ferroque absumpti, magna que mati dalle fiamme; i prigionieri più di cinque
visarmorum capta. Ea omnia imperator Vulcano mila: molti nobili Cartaginesi, undici senatori,
sacrata incendit. cento e settantaquattro bandiere, più di duemila
e settecento cavalli di Numidia furon presi, non
che sei elefanti; otto di questi perirono dal fer
ro o dal fuoco, e si prese anche quantità grande
d'armi, che Scipione, offertele a Vulcano, fe'tut
te abbruciare.
VII. Hasdrubal ex fuga cum paucis Afrorum VII. Asdrubale fuggendo con pochi, s'erapor
urbem proximam petierat; eoque omnes, qui tato alla più vicina città degli Afri; e tutti quelli,
supererant, vestigia ducis sequentes, se contule ch'erano avanzati, seguendo l'orme del capitano,
rant: metu deinde, ne dederetur Scipioni, urbe s'erano recati colà : indi, temendo d'esser conse
excessit. Mox eodem patentibus portis Romani gnato a Scipione, uscì dalla città. Quivi furon
accepti; nec quidquam hostile, quia voluntate con subito accolti i Romani a porte aperte, e perchè
cesserant in ditionem, factum. Duae subinde ur s'eran dati di volontà, non ebbero a soffrire nulla
bes captae direptaeque: ea praeda, et quae ca di ostile. In appresso si son prese e saccheggiate
stris ex incensis et igne rapta erat, militi conces due città, e questa preda, e quella che rapita s'era
sa est. Syphax octo millium ferme inde spatio degli alloggiamenti incendiati e dal fuoco, fu com
loco communito consedit. Hasdrubal Carthagi ceduta a soldati. Si face si fermò alla distanza qua
nem contendit, ne quid per metum ex recenti si di otto miglia in luogo fortificato. Asdrubale
clade mollius consuleretur: quo tantus primo avviossi a Cartagine, acciocchè il timore destato
terror est allatus, ut, omissa Utica, Carthaginem dalla recente sciagura non ispirasse troppo molli
crederent extemplo Scipionem obsessurum. Se consigli. Dove dapprima fu tale e tanto lo spaven
matum itaque suffetes (quod velut consulare impe to, che stimarono che Scipione, lasciata Utica,
rium apud eos erat) vocaverunt. Ibi e tribus (una avrebbe assediata subito Cartagine. Adunque i
de pace legatos ad Scipionem decernebat: altera suffeti (potere che colà corrisponde a quello dei
Hannibalem ad tuendam ab exitiabili bello pa consoli) convocarono il senato. Quivi di tre pa
triam revocabat: tertia Romanae in adversis re reri (nno mandava ambasciatori a Scipione a
bus constantiae erat; reparandum exercitum, Sy chieder pace; l'altro richiamava Annibale a di
phacemoſue hortandum, ne bello absisteret, cen fender la patria da una guerra micidiale ; il terzo
sebat) haec sententia, quia Hasdrubal praesens agguagliava la Romana costanza nelle avversità ;
Barcinaeque omnes factionis bellum malebant, pensava, che si rifacesse l'esercito, e si esortasse
vicit. Inde delectus in urbe agrisque haberi coe Siface a non cessar dalla guerra) vinse l'ultimo,
ptus, et ad Syphacem legati missi, summa ope perchè Asdrubale presente, e tutti quelli della fa
et ipsum reparantem bellum,quum uxor non jam, zione Barcina preferivano la guerra. Quindi si
utante, blanditiis, satis potentibus ad animum cominciò a far leva di soldati nelle città e nelle
amantis, sed precibus et misericordia valuisset, campagne, e si mandarono ambasciatori a Siface,
plena lacrymarum obtestans, ne patrem suum il quale esso pure con ogni studio rifaceva la
patriamoue proderet, iisdemdue flammis Cartha guerra; chè sua moglie s'era fatta forte, non già,
ginem, quibus castra conflagrassent, absumi sine come innanzi, colle carezze, assai potenti sul cuo
ret. Spem quoque opportune oblatam afferebant re di chi ama, ma coi prieghi e colla compassione,
legati, quatuor millia Celtiberorum circa urbem scongiurandolo cogli occhi pregni di lagrime,
nomine Abbam, ab conquisitoribus suis conducta che non abbandonasse il di lei padre e la patria,
in Hispania, egregiae juventutis, sibi occurrisse, nè permettesse che quelle fiamme, che divorato
ſi 45 TITI LIVII LIBER XXX. 446
et Hasdrubalem prope diem affore cum manu aveano i due campi, consumassero Cartagine. Re
haudquaquam contemnenda. Igitur non benigne cavan anche gli ambasciatori una speranza oppor
modo legatis respondit, sed ostendit etiam mul tunatamente venuta ad offerirsi: aveano incontra
titudinem agrestium Numidarum, quibus per to quattro mila Celtiberi nelle vicinanze della
eosdem dies arma equosoſue dedisset, et omnem città di Abba, assoldati in Ispagna da loro arro
juventutem affirmat exciturum ex regno. «Scire latori, bellissima gioventù; e già venire di giorno
incendio, non proelio, cladem acceptam : eum in giorno Asdrubale con grossa banda. Siface
bello inferiorem esse, qui armisvincatur. » Haec adunque non soltanto rispose benignamente, ma
legatis responsa. Et post dies paucos rursus Ha fe loro vedere un gran numero di contadini Nu
sdrubal et Syphax copias junxerunt: is omnis midi, a quali avea dato in questi dì stessi armi e
exercitus fuit triginta ferme millium armatorum. cavalli, e promette che suscitata avrebbe tutta la
gioventù del regno. « Sapeva, che l'accaduta
ruina venuta era dall'incendio, non da battaglia
perduta: quegli solo essere in guerra inferiore,
che sia vinto dall'armi. » Così fu risposto agli
ambasciatori. Indi Asdrubale e Siface congiunse
ro insieme le loro genti: fu tutto questo esercito
di quasi trenta mila armati.
VIII. Scipionem, velut jam debellato, quod VIII. Mentre Scipione, come se avesse termi
ad Syphacem Carthaginiensesque attineret, Uti mata la guerra per quanto spettava a Siface ed ai
cae oppugnandae intentum, jamque machinas Cartaginesi, stava non ad altro intento, che all'e
admoventem muris, avertit fama redintegrati spugnazione di Utica, e già accostava le macchine
belli; modicisque praesidiis ad speciem modo alle mura, la fama della guerra rinnovata venne
obsidionis terra marique relictis, ipse cum robore a sviarnelo; e lasciati piccioli presidii solamente
exercitus ire ad hostes pergit. Primo in tumulo, a far mostra d'assedio per terra e per mare, egli
col nerbo dell'esercito si mette alla volta del me
quatuor ferme millia distante ab castris regiis,
consedit: postero die cum equitatu in Magnos mico. Si fermò sulla prima eminenza, ch'era di
(ita vocant) campos, subjectos ei tumulo, degres stante quasi quattro miglia dagli accampamenti
sus, succedendo ad stationes hostium, lacessendo reali: il dì seguente disceso colla cavalleria nei
que le vibus proeliis, diem absumpsit: et per in Campi Magni (così li chiamano), sottoposti a
sequens biduum tumultuosis hinc atque illimc ex quella altura, consumò il giorno accostandosi
cursionibus in vicem, nihil dictu satis dignum fe alle poste dei nemici e provocandoli con leggere
cerunt: quarto die utrimogue in aciem descensum scaramucce; e ne' due giorni seguenti, con tu
est. Romanus principes post hastatorum prima multuarie scorrerie dall'una parte e dall'altra,
signa, in subsidiis triarios constituit: equitatum non si fe cosa bastantemente degna di memoria.
Italicum ab dextro cornu, ab laevo Numidas Ma Il quarto giorno ambedue scesero a combattere. Il
sinissamque opposuit. Syphax Hasdrubalque, Nu Romano pose i principi dopo le prime insegne
midicis adversus Italicum equitatum, Carthagi degli astati, e i triarii tra le genti di riserva: op
niensibus contra Masinissam locatis, Celtiberos pose la cavalleria Italiana sul destro corno, sul
in mediam aciem in adversa signa legionum ac sinistro i Numidi e Masinissa. Siface e Asdrubale,
cepere: ita instructi concurrunt. Primo impetu collocati i Numidi a rincontro de'cavalli Italiani,
simul utraque cornua, et Numidae et Carthagi i Cartaginesi a rincontro di Masinissa, raccolse
nienses pulsi: nam neque Numidae, maxima pars ro nel centro i Celtiberi a fronte delle legioni. In
agrestes, Romanum equitatum, megue Carthagi questa guisa ordinati si azzuffano. Al primo im
nienses, et ipse novus miles, Masinissam, recenti peto i due corni ad un tempo, i Numidi e i Car
super cetera victoria terribilem, sustinuere. Nu taginesi sono respinti; perciocchè nè i Numidi,
data utrimoue cornibus Celtiberùm acies stabat, la maggior parte gente di campagna, sostennero
quod nec in fuga salus ulla ostendebatur locis la Romana cavalleria, nè i Cartaginesi, essi pure
ignotis, neque spes veniae ab Scipione erat; quem, di nuova leva, sostennero Masinissa, divenuto,
bene meritum de se et gente sua, mercenariis ar non che pel resto, terribile eziandio per la re
nnis in Africam oppugnatum venissent. Igitur, cente vittoria. Stavasi ferma, benchè snudata
circumfusis undigue hostibus, alii super alios ca ne due fianchi, la squadra dei Celtiberi, perchè
dentes, obstinati moriebantur: omnibusque in non si affacciava loro salute alcuna nella fuga
eos versis aliquantum ad fugam temporis Syphax in paese mal noto, nè speravano perdono da Sci
et Hasdrubal praeceperunt. Fatigatos caede diu pione, cui benchè benemerito di essi e della loro
tius, quam Pugna, victores uox oppressit. nazione, venuti erano in Africa ad assaltare coun
M47 TITI LIVII LIBER XXX. - 148

pri col danaro. Adunque circondati per ogni par


te dai nemici, gli uni cadendo sugli altri, ostinati
morivano; e mentre tutti eranvolti contro di loro
poterono Siface ed Asdrubale pigliare alquanto
tempo a fuggire. La notte obbligò i vincitori
a cessare assai più stanchi dalla strage, che dal
la pugna.
IX. Postero die Scipio Laelium Masinissam IX. Scipione il dì seguente manda Lelio e Ma
que, cum omni Romano et Numidico equitatu sinissa con tutta la cavalleria Romana e Numidica,
expeditisque militum, ad persequendos Syphacem e co' più leggeri soldati ad inseguire Siface ed
atque Hasdrubalem mittit: ipse, cum robore Asdrubale. Egli col nerbo dell'esercito, parte
exercitus, urbes circa, quae omnes Carthaginien colla speranza, parte col timore e parte colla for
sium ditionis erant, partim spe, partim metu, par za s'insignorì delle città circonvicine, ch'eran
tim vi subegit. Carthagini quidem erat ingens tutte del dominio Cartaginese. E grande era in
terror, et circumferentem armaScipionem, omni Cartagine il terrore, e credevano che Scipione
bus finitimis raptim perdomitis, ipsam Carthagi portando l'armi all'intorno, domati rapidamente
nem repente aggressurum credebant. Itaque et tutti i confinanti, avrebbe incontamente assalita
muri reficiebantur, propugnaculisque armaban la stessa Cartagine. Si racconciavano adunque i
tur, et pro se quisque, quae diutinae obsidioni muri, e si armavano di fortini, e ognuno di per sè
tolerandae sunt, ex agris convehit. Rara mentio trasporta dal contado quanto occorreva a soste
est pacis, frequentior legatorum ad Hannibalem nere un lungo assedio. Di rado si fa menzione di
arcessendum mittendorum. Pars maxima classem, pace; più frequentemente di mandare ambasciato
quae ad commeatus excipiendos parata erat, mit ri a richiamare Annibale. La maggior parte pen
tere jubent ad opprimendam stationem navium sa che si spedisca la flotta, di già allestita per in
ad Uticam, incaute agentem: forsitan etiam na tercettare le vettovaglie, a dare addosso alle navi
valia castra, relicta cum levi praesidio, oppressu sotto Utica, dove si stavano poco in guardia;
ros. In hoc consilium maxime inclinant: legatos forse avrebbero sforzato anche gli accampamenti
tamen ad Hannibalem mittendos censent: quippe, navali, lasciati con debole presidio. Piegano spe
classi utfelicissime gerantur res, parte aliquale cialmente verso questo parere, nondimeno è preso,
vari Uticae obsidionem: Carthaginem ipsam qui che si mandino ambasciatori ad Annibale; per
tueatur, neque imperatorem alium, quam Han ciocchè, quand'anche la cosa riuscisse felicemen
nibalem, neque exercitum alium, quan Hanniba te quanto alla flotta, si alleggeriva bensì Utica in
lis, superesse. Deductae ergo postero die naves, parte dall'assedio, ma non restava altro coman
simul et legati in Italiam profecti, raptimque dante, che Annibale, altro esercito, che quello di
omnia, stimulante fortuna, agebantur; et, in quo Annibale, con cui difendere Cartagine. ll dì se
quisque cessasset, prodi ab se salutem omnium guente pertanto si trasser fuori le navi, e nel
rebatur. Scipio, gravem jam spoliis multarum tempo stesso partirono gli ambasciatori per l'Ita
urbium exercitum trahens, captivis aliaque prae lia; e tutto si faceva con gran fretta, vieppiù
da in vetera castra ad Uticam missis, jam in Car incalzando la mala fortuna; chè ciascuno, in che
thaginem intentus, occupat relictum fuga custo si fosse allentato, credeva farsi traditore della co
dum Tuneta. Abest ab Carthagine quindecim mune salute. Scipione, seco traendo l'esercito
millia ferme passuum locus, quum operibus, tum carico delle spoglie di molte città, spediti i pri
suapte natura tutus, et qui ab Carthagine con gionieri e l'altra preda me vecchi alloggiamenti
spici, et praebere ipse prospectum, quum ad ur sotto Utica, già mirando sempre a Cartagine, oc
bem, tum ad circumfusum mare urbi, posset. cupa Tuneta, abbandonata per la fuga dei difen
sori. È questo un luogo distante da Cartagine a
un dipresso quindici miglia, forte e pei lavori, e
per la sua stessa natura, il quale si poteva vedere
da Cartagine, e che offeriva egli stesso la vista di
quella città e di tutto il mare d'intorno.
X. Inde, quum maxime vallum Romani jace X. Di là, mentre i Romani badano specialmente
rent, conspecta classis hostium est, Uticam Car a piantar lo steccato, fu veduta la flotta de'nemi
thagine petens. Igitur, omisso opere, pronuncia ci drizzarsi da Cartagine alla volta di Utica. Quin
tum iter, signaque raptim ferri sunt coepta; ne di, lasciati i lavori, s'intimò la partenza e si le
naves, in terram et obsidionem versae, ac minime varono in fretta gli stendardi, onde le navi volta
navali proelio aptae, opprimerentur. Qui enim te verso terra intente all'assedio, e non punto
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restitissent agili et nautico instrumento aptae et atte a battaglia navale, non restassero sopraffatte.
armatae classi naves, tormenta machinasque por Perciocchè come avrebbono resistito ad una ſlotta
tantes, et aut in onerariarum usum versae, aut agile, allestita ed armata di tutto il corredo nau
ita appulsae ad muros, ut pro aggere ac pontibus tico, a legni che portavano macchine ed istromenti
praebere adscensus possent? Itaque Scipio, con d'assedio, e o convertiti ad uso di legni da tras
tra quanin navali certamine solet, rostratis, quae porto, o tanto accostatisi alle mura, che potevano,
praesidio aliis esse poterant, in postremam aciem quasi argine e ponti, offerire una salita ? Scipio
receptis prope terram, onerariarum quadrupli ne pertanto, contro ciò, che si suol fare in batta
cem ordinem pro muro adversus hostem oppo glia navale, messe le navi rostrate, che potean
suit; easque ipsas, ne in tumultu pugnae turbari servire di riparo alle altre, nell'ultima fila
ordines possent, malis antennisque de nave in presso terra, oppone al nemico, qual muro, un
navem trajectis, ac validis funibus velut uno inter ordine quadruplicato di navi da carico, ed accioc
se vinculo illigatis, comprendit, tabulasque super chè nel tumulto della pugna le file non si avesse
instravit, ut pervium ordinem faceret: et sub ro a scompigliare, quasi con un solo vincolo tutte
ipsis pontibus intervalla fecit, qua procurrere insieme allaccia le navi, attraversati dall'una al
speculatoriae navesin hostem, ac tuto recipi pos l'altra gli alberi e le antenne, e legatili con forti
sent. His raptim pro tempore instructis, mille funi; e vi stese sopra un palco di tavole, onde
ferme delecti propugnatores onerariis imponun passare liberamente, e sotto gli stessi ponti pra
tur: telorum maxime missilium, ut, quamvis lon ticò degl'intervalli, per cui le barche scorrer
go certamine, sufficerent, vis ingens congeritur. potessero ad ispiare il nemico, e ritirarsi secura
Ita parati atque intenti hostium adventum oppe mente. Fatti in fretta questi preparamenti secon
riebantur. Carthaginienses, qui, si maturassent, do la circostanza, mettonsi sulle navi da carico
omnia permixta turba trepidantium primo impetu intorno a mille combattenti, e vi si ammassa
oppressissent, perculsi terrestribuscladibus, atque quantità grande d'armi specialmente da getto,
inde me in mari quidem, ubi ipsi plus poterant, bastanti per qualsivoglia lungo combattimento.
satis fidemtes, die segni navigatione absumpto, sub In cotal guisa aspettavano agguerriti ed armati
occasum solis in portum (Ruscinoma Afri vocant) la venuta del nemico. I Cartaginesi, i quali, se si
classe appulere. Postero die sub ortum solis in fossero affrettati, avrebbono di primo colpo nel
struxere ab alto naves, velut ad justum proelium lo scompigliamento del nemici rovinata ogni
navale, et tamquam exituris contra Romanis. cosa, sbigottiti dalle sciagure di terra, e quindi
Quum diu stetissent, postguam nihil moveri ab nè anche nel mare, dove pur erano più potenti,
hostibus viderunt, tum demum onerarias aggre bastantemente fidando, consumato in lenta ma
diuntur. Eratres minime certamini navali similis, vigazione un giorno intero, approdarono colla
proxime speciem muros oppugnantium navium. flotta sul tramontare del sole al porto (gli Africani
Altitudine aliquantum onerariae superabant: ex lo chiamano Ruscinone). Il dì seguente allo spun
rostratis Poeni vana pleraque (utpote supino tare del sole misero le navi in ordinanza in alto
jactu) tela in superiorem locum mittebant: gra mare, quasi a far giusta battaglia navale, e come
vior ac pondere ipso libratior superne ex onera se avessero i Romani ad uscire lor contro. Ferma
riis ictus erat. Speculatoriae naves ac levia ipsa tisi alquanto tempo, poi che videro non punto
navigia, quae sub constratis pontium per inter muoversi i nemici, assaltano finalmente le navi
valla excurrebant, primo ipso tantum impetu ac da carico. Era la cosa non somigliante punto a
magnitudine rostratarum obruebantur: deinde conflitto navale, piuttosto offrendo l'immagine
et propugnatoribus quoque incommodae erant, di navi, che assaltino una muraglia. I legni da
quod permixtae cum hostium navibus inhibere carico superavano alquanto in altezza; i Carta
saepe tela cogebant, metu, ne ambiguo ictu suis ginesi dalle navi rostrate lanciavan dardi per lo
inciderent: postremo asseres ferreo unco praefixi più senza effetto, perchè dal basso all'alio: era
(harpagones vocant) ex Punicis navibus injici più gagliardo, e per lo stesso suo peso più libra
in Romanas coepti. Quos quum neque ipsos, ne to il colpo, che partiva superiormente dai legni
que catenas, quibus suspensi injiciebantur, inci da carico. Le barche da spiare e gli schifi leg
dere possent; ut quaeque retro inhibita rostrata geri, che scorrevano fra gl'intervalli sotto il ta
onerariam haerentem unco traheret, scindivide volato dei ponti, dapprima rimanevano schiac
res vincula, quibus alia aliis innexa erat, seriem ciati dal solo urto e dalla grandezza delle navi
aliam simul plurium navium trahi. Iloc maxime rostrate; indi davano impaccio agli stessi com
modo lacerati quidem omnes pontes, et vix tran battenti, perchè mescolandosi co' legni nemici,
siliendi in secundum ordinem navium spatium obbligavano spesso a ritenersi di lanciare per
propugnatoribus datum est. Sex ferme onerariae tema, che cadendo alla ventura non colpissero i
Livio 2 2)
45 i TITI LIVII I, II,ER XXX. 452

puppibus abstractae Carthaginem sunt: major suoi: in fine si cominciò a gettare dalle navi
quam pro relaetitia, sed eo gratior, quod inter Cartaginesi contro le romane alcuni legni aventi
assiduasclades ac lacrymas unum quantumcumque alla testa uncini di ferro (si chiamano arpagoni).
ex insperato gaudium affulserat; cum eo, ut ap Ora non potendosi nè questi, nè le catene, a cui
pareret, haud procul exitio fuisse Romanam lanciavansi attaccati, tagliare, come ogni nave
classem, ni cessatum a praefectis suarum navium rostrata ne tirava indietro una da carico appiglia
foret, et Scipio in tempore subvenisset. ta all'uncino, avresti veduto rompersi i legami,
con che connessa era l'una con l'altra, e insieme
tirarsi dietro altra fila di più navi. In questo mo
do massimamente tutti i ponti furono lacerati, e
appena ebbero tempo i combattenti di passare
al secondo ordine di navi. Sei legni da carico al
l'incirca attaccati alle poppe del vascelli nemici
furono condotti a Cartagine; con più allegrezza,
che non meritava la cosa, ma tanto più gradita,
quanto che tra le tante continue rotte e lagrime
s'era offerta una, qual ella si fosse, gioia inspera
ta; con questo eziandio, che si vedea che tutta
la flotta romana era stata prossima all'ultima
rovina, se i capitani delle navi non avessero
indugiato, e se Scipione non l'avesse a tempo
SOCCOrsa,

XI. Per eosdem forte dies, quum Laelius et XI. In quel dì medesimi essendo giunti Lelio
Masinissa quintodecimo ferme die in Numidiam e Massinissa in Numidia quasi in quindici giorni,
pervenissent, Massyli, regnum paternum Masinis i Massilii restituirono lietamente il regno paterno
sae, Iaeti ut ad regem din desideratum concesse a Masinissa, come are da lungo tempo bramato.
re. Siphax, pulsis inde praefectis praesidiisque Siface, essendo già stati quindi scacciati i suoi
suis, vetere se continebat regno, mentiquam quie prefetti ei suoi presidii, si conteneva nell'antico
turus. Stimulabant aegrum amore uxor socerque; suo regno, non però col pensiero di starsi quieto.
et ita viris equisque abundabat, ut subjectae ocu Caldo di amore lo stimolavano la moglie ed il
lis regni per multos florentis annos vires etiam suocero, ed era così abbondante d'uomini e di
minus barbaro atque impotenti animo spiritus cavalli, che le forze del suo per molti anni fio
possent facere. Igitur omnibus, qui bello apti rente impero offerte allo sguardo poteano inspi
erant, in unum coactis equos, arma, tela dividit: rare ardimento anche ad animo men barbaro e
equites in turmas, pedites in cohortes, sicut quon meno ambizioso. Raccolti pertanto tutti quelli,
dam ab Romanis centurionibus didicerat, distri ch'eran atti alla guerra, spartisce loro cavalli,
buit. Exercitu haud minore, quam quem prius armi, giavellotti. Divide i cavalieri in isquadre, i
habuerat, ceterum omni propenovo atque incon pedoni in coorti, come aveva appreso in addietro
dito, ire ad hostes pergit. Et, castris in propinquo dai centurioni Romani. Con un esercito non mi
positis, primo pauci equites ex tuto speculantes nore di quello, che avuto aveva dianzi, del resto
ab stationibus progredi; inde jaculis submoti re quasi tutto novello e non esercitato, si mette alla
currere ad suos; inde excursiones in vicem fieri, volta de'nemici. Ed accampatosi in vicinanza,
et, quum pulsos indignatio accenderet, plures su dapprima pochi cavalli, spiando da luogo sicuro,
bire: quod irritamentum certaminum equestrium escono dalle porte, poi respinti da giavellotti, ri
est, quum aut vincentibus spes, aut pulsis ira ag corrono a suoi ; indi fanno scorrerie d'ambe le
gregat suos. Ita tum paucis proelio accenso, om parti, e l'ira infiammando gli scacciati, succedo
nem utrimoue postremo equitatum certaminis no in maggior numero ; irritamento proprio
studium effudit. Ac, dum sincerum equestre proe delle battaglie equestri, quando la speranza nei
lium erat, multitudo Masaesylorum, ingentia ag vincitori ed il dispetto nei vinti aggiunge loro
mina Syphace emittente, sustineri vix poterat: compagni. Così allora, appiccata la zuffa da pochi,
deinde, ut pedes Romanus repentino per turmas l'ardore di combattere in fine cacciò fuori da una
suas viam dantes intercursu stabilem aciem fecit, e dall'altra parte tutta la cavalleria. E sino a tan
absterruitgue effuse invehentem sese hostem, pri to che la battaglia era solamente de'cavalli, la
mo barbari segnius permittere equos; deinde sta moltitudine de' Massilii, Siface mandando fuori
re ac prope turbari novo genere pugnae; postre grosse bande, appena si poteva sostenere; indi,
mo, non pediti solum cedere, sed ne equitem qui come il fante romano, accorrendo repentina
453 TITI LIVII LIBER XXX. 454
dem sustinere, peditis praesidio audentem. Jam mente per mezzo alle sue squadre, che gli davano
signa quoque legionum appropinquabant: tum la via, rendette stabile la pugna, e potè atterrire
vero Masaesyli non modo primum impetum, sed il nemico, che venia scagliandosi incontro a bri
ne conspectum quidem signorum atque armorum glia sciolta, i barbari da principio cominciarono
tulerunt: tantum seu memoria priorum cladium, a rallentare i cavalli; poi a far alto, e quasi sgo
seu praesens terror valuit. mentarsi di questo nuovo genere di pugna; in
fine non solamente cedere al fantaccino, ma non
sostenere nè anche la cavalleria, incoraggiata
dall'aiuto del pedoni. E già si avvicinavano anche
le insegne delle legioni. Allora i Massilii non sola
mente non ressero al primo impeto, ma nè anche
alla vista delle bandiere e dell'armi; tanto potè
o la memoria delle precedenti sconfitte, o il pre
sente terrore.

XII. Ibi Syphax, dum obequitat hostium tur XII. Quivi Siface, mentre cavalca intorno alle
mis, si pudore, si periculo suo fugam sistere pos squadre nemiche, se potesse colla vergogna e col
set, equo graviter icto, effusus opprimitur capi suo proprio pericolo fermar la fuga, ferito grave
turque, et vivus, laetum ante omnes Masinissae mente il suo destriero, rovesciato a terra è sopraf
praebiturus spectaculum, ad Laelium pertrahitur. fatto e preso, e vivo vien tratto innanzi a Lelio,
Cirta caput regni Syphacis erat: eo se ingens ho ad essere sopra a tutti gli altri spettacolo giocon
minum contulit vis. Caedes in eo proelio minor, do a Masinissa. Cirta era la città capitale del re
quam victoria, fuit, quia equestri tantummodo gno di Siface: colà si recò quantità grande di
proelio certatum fuerat: non plus quinque millia gente. La strage in quel combattimento fu da
occisa, minus dimidium eius hominum captum meno assai, che la vittoria, perchè la battaglia
est, impetu in castra facto, quo perculsa rege era solamente de'cavalli. Non furono gli uccisi più
amisso multitudo se contulerat. Masinissa, « sibi di cinque mila, e manco che la metà di quel nu
quidem, dicere, nihil esse in praesentia pulcrius, mero i presi nell'assalto dato al campo, dove ri
quam victorem, recuperatum tanto post interval fuggita s'era la moltitudine, sbigottita per la per
lo, patrium invisere regnum; sed tam secundis, dita del re. Masinissa, a certo, disse, niuna cosa
quam adversis rebus non dari spatium ad cessan gli pareva più aggradevole, quanto riveder vinci
dum. Si se Laelius cum equitatu vinctoque Sy tore il paterno regno, ricuperato dopo tanto in
phace Cirtam praecedere sinat, trepida omnia tervallo di tempo; ma così ne'casi prosperi, come
metu se oppressurum: Laelium cum peditibus negli avversi era di avviso che non avesse ad in
subsequi modicis itineribus posse. » Assentiente dugiare. Se Lelio gli permetta di andare innanzi
La elio, praegressus Cirtam, evocari ad collo a Cirta colla cavalleria e con Siface incatenato,
quium principes Cirtensium jubet.Sed apud igna egli si sarebbe collo spavento insignorito di tutto;
ros regis casus, neque quae acta essent promendo, poteva Lelio seguitarlo a piccole giornate coi fan
mec minis, nec suadendo, ante valuit, quam rex ti. » Acconsentendo Lelio, Masinissa precorso a
vinctus in conspectum datus est. Tum ad specta Cirta fa chiamar fuori a parlamento i principali
culum tam foedum comploratio orta; et partim della città; ma nè col narrare le cose fatte, nè con
pavore moenia sunt deserta, partim repentino le minacce, nè colla persuasione potè nulla sugli
consensu gratiam apud victorem quaerentium animi di quelli, che ignoravano il caso del re, se
patefactae portae. Et Masinissa, praesidio circa prima non si videro dinanzi agli occhi lo stesso
portas opportunaque moenium dimisso, ne cui re incatenato. Allora al miserando spettacolo si
fugae pateretexitus, ad regiam occupandam cita levò un pianto universale, e parte abbandonò le
to vadit equo. Intranti vestibulum in ipso limine mura per timore, parte, cercando con improvviso
Sophonisba, uxor Syphacis, filia Hasdrubalis Poe consenso la grazia del vincitore, aprirono le por
mi, occurrit, et, quum in medio agmine armato te. Masinissa, messe a queste ed alle mura le guar
rum Masinissam insignem, quum armis, tum ce die in luoghi opportuni, acciocchè nessuno fuggir
tero habitu, conspexisset, regem esse (id quod potesse, corre a spron battuto ad occupare la reg
erat) rata, genibus advoluta eius: « Omnia qui gia. Nell'entrare, in sulla soglia stessa gli si fa
dem ut posses in nobis dii dederunt, virtusque incontro Sofonisba, la moglie di Siface, la figlia
et felicitas tua. Sed, si captivae apud dominum di Asdrubale Cartaginese, ed avendo scorto in
vitae necisque suae vocem supplicem mittere li mezzo allo stuolo degli armati Masinissa, distinto
cet, si genua, si victricem attingere destram, pre sopra tutti per l'armi e gli altri ornamenti della
cºr quaesoque per majestatem regiam, in qua persona, stimando che fosse il re, siccome egli era,
l

455 TITI LIVII LIBER XXX. 456

paullo ante nos quoque fuimus, per gentis Numi gettandosegli alle ginocchia, a Gli dei, disse, e la
darum nomen, quod tibi cum Syphace commune virtù e fortuna tua ti hanno conceduto che tu
ſuit, per hujusce regiae deos, qui te melioribus possa tutto sopra di noi; ma se lice a prigioniera
ominibus accipiant. quam Syphacem hinc mise metter voce supplichevole presso chi è padrone
runt, hanc veniam supplici des, ut ipse, quod della vita e morte sua, se lice toccargli le ginoc
cumque fert animus, de captiva statuas, neque chia e la destra vittoriosa, ti prego e scongiuro
me in cuiusquam Romani superbum ac crudele per la regia maestà, nella quale fummo poc'anzi
arbitrium venire sinas. Si nihil aliud, quam Sy noi pure, pel nome della nazione dei Numidi, che
phacis uxor fuissem, tamen Numidae, atque in ti fu comune con Siface, per gli dei di questa reg
eadem mecum Africa geniti, quan alienigenae et gia, che possano accettarti con migliori auspizii,
externi, fidem experiri mallem. Quid Carthagi che non ne fecero uscir Siface, che questa grazia
niensi ab Romano, quid filiae Hasdrubalis timen alle mie suppliche tu conceda, che tu stesso della
dum sit, vides. Si nulla alia re potes, morte me tua prigioniera, come più ti aggrada, deliberi, nè
ut vindices ab Romanorum arbitrio, oro obte venir mi lasci nel superbo e crudele dominio di
storque. » Forma erat insignis et florentissima alcun Romano. Se fossi stata non altro, che mo
aetas: itaque quum modo, devtram amplectens, glie di Siface, amerei nondimeno provar piutto
in id, ne cui Romano traderetur, fidem exposce sto la fede di un Numida, di uno nato meco nella
ret, propiusque blanditias oratio esset, quan pre stessa Africa, che di un ignoto e straniero. Vedi
ces; non in misericordiam modo prolapsus est che temer debbe una Cartaginese, una figlia di
amimus victoris, sed (ut est genus Numidarum in Asdrubale da un Romano. Se in altro modo non
venerem praeceps) amore captivae victor captus, puoi, colla morte, te ne prego e scongiuro, togli
data destera in id, quod petebatur, obligandae mi dall'arbitrio dei Romani. » Era costei di singo
fidei, in regiam concedit. Institit deinde repu lare bellezza, e nel fior primo dell'età. Quindi,
tare secum ipse, quemadmodum promissi fidem mentr'ella stringendogli la destra, in ciò sola
praestaret: quod quum expedire non posset, ab mente implorava la sua fede, che non la si desse
amore temerarium atque impudens mutuatur con in potere ad alcun Romano, e già piegava il suo
silium. Nuptias in eun ipsum diem repente pa discorso piuttosto alle carezze che alle preghiere,
rari jubet, ne quid relinqueret integri aut Laelio, l'animo del vincitore si volse non solamente a
aut ipsi Scipioni, consulendi velut in captivam, compassione, ma (come sono i Numidi alla libidi
quae Masinissae jam nupta foret. Factis nuptiis ne proclivi) preso dall'amore della prigioniera,
supervenit Laelius, et adeo non dissimulavitim datole la mano a prometterle quello, ch'essa chie
probare se factum, ut primo etiam cum Syphace deva, entrò nella reggia. Indi si pose seco stesso
et ceteris captivis detractam eam toro geniali a ruminare, come serbar potesse la fede della pro
mittere ad Scipionem conatus sit. Victus deinde messa. Di che non trovando egli modo, nè via,
precibus Masinissae orantis, ut arbitrium, utrius piglia dall'amore un temerario ed impudente con
regum duorum fortunae accessio Sophonisba es siglio. Ordina che tosto si apparecchino per quel
set, ad Scipionem rejiceret; misso Syphace et di medesimo le nozze, per così togliere a Lelio
captivis, ceteras urbes Numidiae, quae praesidiis ed allo stesso Scipione ogni arbitrio di disporre
regiis tenebantur, adjuvante Masinissa, recipit. di lei, qual di prigioniera, essendo già fatta sposa
di Masinissa. Fatte le nozze, sopraggiunge Lelio,
il quale sì poco dissimulò di biasimare quel fatto,
che dapprima tentò, strappatala dal letto geniale,
di mandarla a Scipione anche con Siface e con gli
altri prigionieri; poscia vinto dalle istanze di
Masinissa, che il pregava di rimettere a Scipione
il giudicare, alla sorte di quale de'due re si doves
se aggiungere Sofonisba, fatti partire Siface e gli
altri prigionieri, s'impadronì, coll'aiuto di Masi
nissa, delle altre città della Numidia, ch'erante
nute ancora dalle genti del re.
XIII. Syphacem in castra adduci, quum esset XIII. Essendo giunta la nuova, che Siface ve
nunciatum, omnis veiut ad spectaculum triumphi niva condotto al campo, tutta a torme ne uscì fuo
multitudo effusa est. Praecedebat ipse vinctus; ri la moltitudine, quasi a spettacolo di trionfo.
sequebatur grex nobilium Numidarum. Tum, Camminava egli dinanzi legato; seguiva uno stor
quantum quisque plurimum posset, magnitudini mo di nobili Numidi. Allora ognuno, quanto più
Syphacis, famae gentis, victoriam suam augendo poteva, aggiungendo alla grandezza di Siface ed
457 TITI LIVIl LIBER XXX. 453

addebat: « illum esse regem, cujus tantum ma alla fama di quella nazione, vieppiù rialzava la
jestati duò potentissimi in terris tribuerint po riportata vittoria: « questi essere quel re, alla cui
puli, Romanus Carthaginiensisque, ut Scipio im maestà tanto attribuirono i due più potenti popoli
perator suus ad amicitiam eius petendam, relicta della terra, il Romano ed il Cartaginese, che Sci
provincia Hispania exercitudue, duabus quinque pione, comandante de'Romani, lasciato la provin
remibus in Africam navigaverit: Hasdrubal, Poe cia della Spagna e l'esercito, era venuto navigan
norum imperator, non ipse modo ad eum in re do in Africa con due quinqueremi a chiedere la
gnum venerit, sed etiam filiam ei nuptum dede di lui amicizia, e Asdrubale, comandante dei Car
rit. Habuisse eum uno tempore in potestate duos taginesi, era andato non solamente a visitarlo nel
imperatores, Poemum Romanumque. Sicut ab suo regno, ma gli avea dato a sposa la propria
diis immortalibus pars utraque hostiis mactandis figliuola. Aveva egli avuto ad un tempo stesso in
pacem petisset, ita ab eo utrimgue pariter ami poter suo due comandanti, il Romano ed il Carta
citiam petitam. Jam tantas habuisse opes, ut Ma ginese. Come l'una e l'altra parte avea, sagrifican
sinissam regno pulsum eo redegerit, ut vita eius do vittime, chiesta la pace agli dei immortali,
fama mortis et latebris, ferarum modo in silvis ra così parimenti da una parte e dall'altra gli era
pto viventis, tegeretur. » His sermonibus circum stata chiesta l'amicizia sua. E già era stata la sua
stamtium celebratus rex in praetorium ad Scipio potenza grande così, che, scacciato Masinissa dal
nem est perductus. Movit et Scipionem quum regno, lo avea ridotto a tale, che coprir dovette
fortuna pristina viri praesenti fortunae collata, la sua vita sotto la fama della propria morte, nel
tum recordatio hospitii dextraeque datae, et foe le spelonche, vivendo tra le selve di rapina, a gui
deris publice ac privatim juncti. Eadem haec et sa di belve. " In mezzo a codesti discorsi dei cir
Syphaci animum dederunt in alloguendo victo costanti il re fu condotto alla tenda di Scipione.
re: nam quum Scipio, e quid sibi voluisset, quae E Scipione stesso fu commosso dalla prima fortu
reret, qui non societatem solum abnuisset Roma ma di quest'uomo alla presente paragonata, non
nam, sed ultro bellum intulisset; º tum ille, che dalla ricordanza dell'ospizio, e della destra
a peccasse quidem sese atque insanisse, fatebatur; data, e della pubblicamente e privatamente stret
sed non tum demum, quum arma adversus po ta amicizia. Queste stesse considerazioni diedero
pulum Romanum cepisset: exitum sui furoris animo a Siface nel parlare al suo vincitore. Per
fuisse, non principium. Tunc se insanisse, tumc ciocchè, domandatogli da Scipione, « che cercato
bospitia privata et publica foedera omnia ex ani egli avesse, abbandonando non solamente l'allean
mo ejecisse, quam Carthaginiensem matronam za de'Romani, ma movendo lor guerra sponta
domum acceperit. Illius nuptialibus facilus re neamente; e allora egli confessò, « che avea per
giam conflagrasse suam: illam furiam pestemdue verità peccato, e caduto era in frenesia, non però
omnibus delimimentis animum suum avertisse soltanto ultimamente, quando impugnò l'armi
atque alienasse; mec conquiesse, donec ipsa ma contro il popolo Romano; chè ſu questo la con
nibus suis nefaria sibi arma adversus hospitem seguenza, non il principio del suo furore. Allora
atque amicum induerit. Perdito tamen atque af sì veramente caduto egli era in frenesia, allora sì
flicto sibi hoc in miseriis solatii esse, quod in scacciato avea dal suo cuore ogni memoria di pri
omnium hominum inimicissimi sibi domum ac vato ospizio, di pubblica alleanza, quando accolse
Penates eamdem pestem ac furiam transisse vi in sua casa una matrona Cartaginese. Quelle faci
deat: neque prudentiorem, neque constantiorem nuziali, quelle arsero la sua reggia; che quella
Masinissam, quam Syphacem, esse, etiam juventa furia, quella peste con ogni sorta di blandimenti
incautiorem: certe stultius illum atque intempe gli avea svolta ed alienata la ragione; nè avea
rantius eam, quam se, duxisse. » colei cessato mai, sino a tanto che colle proprie
mani non gli ebbe poste indosso l'armi ella stessa
contro l'ospite ed amico suo. Perduto però, e mi
sero, com'egli era, questo il confortava nella sua
calamità, che vedeva quella furia e peste medesi
ma passata nella casa e nei lari del maggior ne
mico ch'egli abbia. Perciocchè non era Masinissa
nè più avveduto, nè più fermo, di quel che fosse
Siface, ed anzi più incauto per gioventù; e certo
avea Masinissa nello sposarla mostrato minor sen
no, minor ritegno di lui.
- XIV. Haec non hostili modo odio, sed amoris XIV. Si face, avendo dette codeste cose, sti
stºm stimulis, amatam apud aemulum cernens, molato non solamente da odio ostile, ma eviandio
459 TITI LIVII I,IBER XXX. 46o
quum dixisset, non mediocri cura Scipionis ani da pungoli d'amore, perchè vedea la donna
mum pepulit. Et fidem criminibus raptae prope amata in braccio all'emolo suo, pose l'animo di
inter arma nuptiae, neque consulto, medue expe Scipione in non mediocre travaglio. Fede facean
ctato Laelio, faciebant; tamque praeceps festina del delitto di Masinissa e le nozze quasi in mezzo
tio, ut, quo die captam hostem vidisset, eodem all'armi tumultuariamente fatte, senza aspettar
matrimonio junctam acciperet, et ad penates Lelio, nè consultarlo, e la fretta così precipitosa,
hostis sui nuptiale sacrum conficeret. Eo foediora che in quel giorno, in cui veduta aveva la prigio
haec videbantur Scipioni, quod ipsum in Hispa niera, in quel medesimo se l'avea presa in isposa,
nia juvenem nullius forma pepulerat captivae. e celebrata la ceremonia nuziale in casa stessa del
Haec secum volutanti Laelius ac Masinissa super suo nemico; il che pareva a Scipione cosa tanto
venerunt: quos quum pariter ambo et benigno più sconcia, quanto che, essendo egli giovane in
vultu excepisset, et egregiis laudibus frequenti Ispagna, non lo aveva commosso mai bellezza di
praetorio celebrasset; abductum in secretum nessuna prigioniera. Mentr'egli si ravvolgeva in
Msinissam sic alloquitur: « Aliqua te existimo, questi pensieri, sopraggiunsero Lelio e Masinissa,
Masinissa, intuentem in me bona, et principio in ed avendoli accolti ambedue con volto egualmen
Hispania ad iungendammecum amicitiam venis te benigno, e colmatili di egregie lodi alla pre
se, et postea in Africa te ipsum spesque omnes senza di molti, tratto in segreta parte Masinissa,
tuas in fidem meam commisisse. Atgui nulla ea così gli parla: « Penso, o Masinissa, che tu, in me
rum virtus est, propter quas appetendus tibi vi scorgendo alcuna buona qualità, e da principio
sus sim, qua ego aeque, atque temperantia et sii venuto in Ispagna a stringer meco amicizia, e
continentia libidinum, gloriatus fuerim. Hanc te poscia in Africa tu abbi commesso alla mia fede
quoque ad ceteras tuas eximias virtutes, Masinis te stesso e tutte le tue speranze. Ora di quelle
sa, adjecisse velim. Non est, non (mihi crede) virtù, per le quali ti son paruto degno, che alla
tantum ab hostibus armatis aetati mostrae peri mia persona ti affezionassi, non avvene alcuna,
culum, quantum ab circumfusis undique volu di cui m'abbia io maggiormente gloriato, quanto
ptatibus. Qui ea suas temperantia frenavitac do della temperanza e continenza. Vorrei, o Masinis
muit, multo majus decus majoremque victoriam sa, che all'altre egregie tue virtù questa pur an
sibi peperit, quam nos Syphace victo habemus. che tu aggiungessi. Non corre, no, credimi, l'età
Quae, me absente, strenue ac fortiter fecisti, li nostra così grande pericolo dagli armati nemici,
benter et commemoravi, et memini: cetera te quanto dalle voluttà, che ci stanno intorno da
ipsum reputare tecnm, quam, me dicente, eru ogni parte. Colui, che potè infrenarle e domarle
bescere malo. Syphax populi Romani auspiciis colla sua temperanza, quegli assai maggior lustro,
victus captusque est. Itaque ipse, conjux, regnum, assai maggior vittoria riportò, che non n'ebbi
ager, oppida, homines, qui incolunt; quidquid mo noi da Siface vinto. Ho ricordate volentieri,
denique Syphacis fuit, praeda populi Romani e rammento le forti e valorose prove che hai fat
est: et regem conjugemdue ejus etiam si non civis to in mia assenza: bramo che l'altre cose tu stesso
Carthaginiensis esset, etiamsi non patrem ejus teco le consideri, piuttosto che, dicendole, io
imperatorem hostium videremus, Romam opor farti arrossire. Siface sotto gli auspizii del popo
teret mitti, ac senatus populique Romani de ea lo Romano fu vinto e preso. Egli adunque e la
judicium atque arbitrium esse, quae regem nobis moglie, il regno, il territorio, i castelli, gli uomi
socium alienasse, atque in arma egisse praecipi ni che gli abitano, infine tutto quello, che fu di
tem dicatur. Vince animum: cave deformes multa Siface, tutto è preda del popolo Romano, e il re
bona uno vitio, et tot meritorum gratiam majo e la moglie di lui, anche se questa non fosse
re culpa, quam causa culpae est, corrumpas. ” cittadina Cartaginese, anche se non vedessimo il
padre suo essere capitano dei Cartaginesi, pur
converrebbe che si mandassero a Roma, e che
fosse del senato e del popolo Romano il giudicare
e statuire di lei, la quale si dice che ci abbia
alienato un re alleato, e l'abbia precipitosamente
sospinto all'armi. Vinci la passione: guardati di
deformare con un solo vizio molte belle qualità,
e di guastare il pregio di tanti meriti con una
colpa grande più, che non è la cagione stessa
della colpa.
XV. Masinissae haec audienti non rubor XV. Masinissa, udendo queste parole, non
solum suffusus, sed lacrymae etiam obortae; et solamente si tinse di rossore, ma gli spuntarono
A61 TITI LIVII LIBER XXX. 462
quum « se quidem in potestate futurum impera le lagrime agli occhi, e avendo detto, a che sta
toris dixisset, orassetgue eum, ut, quantum res rebbe a cenni del suo comandante, e pregatolo
sineret, fidei suae témere obstrictae consuleret; che il lasciasse, quanto permette la cosa, provve
promisisse enim, sese in nullius potestatem eam dere all'osservanza di sua fede incautamente
traditurum º ex praetorio in tabernaculum suum obbligata, perciocchè avea promesso che non
confusus concessit. Ibi, arbitris remotis, quum l'avrebbe data in poter di nessuno, º dalla tenda
crebro suspiritu et gemitu, quod facile ab cir di Scipione ritirossi confuso nella sua. Quivi,
cumstantibus tabernaculum exaudiri posset, ali allontanato ciascuno, poi ch'ebbe con frequenti
quantum temporis consumpsisset; ingenti ad gemiti e sospiri, il che poteva udirsi facilmente
postremum edito gemitu, fidum e servis vocat, da chi stava presso la tenda, consumato alcun
sub cujus custodia regio more ad incerta fortunae tempo, tratto un ultimo gran gemito, chiama uno
venenum erat, et mixtum in poculo ferre ad So de' più fidi servi, che giusta l'usanza dei re
phonisbam jubet, ac simul nunciare, « Masinis barbari, teneva in custodia il veleno pe' casi in
sam libenter primam ei fidem praestaturum fuisse, certi della fortuna, e gli commette che meschia
quam vir uxori debuerit. Quoniam arbitrium tolo in una coppa il rechi a Sofonisba, e insieme
ejus, qui possint, adimant, secundam fidem prae le dica, « che Masinissa le avrebbe volentieri
stare, ne viva in potestatem Romanorum veniat. serbata la prima fede, qual deve marito a moglie;
Memor patris imperatoris, patriaeque, et duorum ma poi che gli è tolto il farlo da chi può tutto,
regum, quibus nupta fuisset, sibi ipsa consuleret.” le manteneva la seconda promessa, che non sa
Hunc nuncium ac simul venenum ferens minister rebbe venuta viva in potere dei Romani. Ella,
quum ad Sophonisbam venisset, « Accipio, in ricordevole del padre, capitano dei Cartaginesi
quit, nuptiale munus; neque ingratum, si nihil e della patria, e dei due re, a quali fu maritata,
majus vir uxori praestare potuit. Hoc tamen nun provedesse da sè a sè medesima. » Essendo venu
cia, melius me morituram fuisse, si non in funere to il ministro a Sofonisba, portando questo
meo nupsissem. » Non locuta est ferocius, quan messaggio, e col messaggio il veleno, a Accetto,
acceptum poculum, nullo trepidationissigno dato, diss'ella, il presente di nozze; nè discaro, se non
impavide hausit.Quod ubinunciatum est Scipioni, altra maggior cosa potè offerire il marito alla
ne quid aeger animi ferox juvenis gravius consu moglie. Questo però gli di', che sarei morta con
leret, accitum eum extemplo nunc solatur ; nunc, miglior fama, se non mi fossi rimaritata nel
quod temeritatem temeritate alia luerit, tristio tempo stesso de'miei funerali. » Nè usò parole
remdue rem, quam necesse fuerit, fecerit, leniter più forti; ma presa la coppa, senza dar segno
castigat. Postero die, ut a praesenti motu averte alcuno di timore, impavida la votò. Il che come
ret animum ejus, in tribunal escendit, etconcio fu rapportato a Scipione, acciocchè il fiero giovi
nem advocari jussit. Ibi Masinissam, primum re ne, lacerato nell'anima, non pigliasse qualche
gem appellatum, eximiisque ormatum laudibus, grave partito, chiamatolo incontamente a sè, ora
aurea corona, aurea patera, sella curuli et sci il consola, ora dolcemente il riprende, che abbia
pione eburneo, toga picta et palmata tunica do castigata una follia con un'altra, e preso consiglio
mat. Addit verbis honorem, a Neque magnificen più violento di quel che fosse necessario. Il dì
tius quidquam triumpho apud Romanos, neque appresso, onde sviargli l'animo dalla presente
triumphantibus ampliorem eo ornatu esse; quo agitazione, salito il tribunale, fe convocare il
unum omnium externorum dignum Masimissam parlamento. Quivi primieramente dichiarato re
populus Romanus ducat. » Laelium deinde, et Masinissa, e ricolmatolo di esimie lodi, il regala
ipsum collaudatum, aurea corona donat ; et alii di una corona d'oro, di una coppa pur d'oro, di
militares viri, prout a quoque navata opera erat, una sedia curule, di un bastone d'avorio, di una
donati. His honoribus mollitus regis animus, e toga a vari colori, e di una tunica ricamata a
rectusque in spem propinquam, sublato Syphace, palme. Rileva colle parole l'onore: «Non aver
omnis Numidiae potiundae, cosa i Romani più magnifica del trionfo; nè avere
i trionfatori più splendido ornamento di questo,
del quale il popolo Romano, tra tutti gli strani,
stima esser degno il solo Masinissa. » Indi regala
Lelio, lodatolo esso pure, di una corona d'oro:
gli altri guerrieri, secondo che s'era ognuno di
portato, furono parimenti regalati. Questi ono
riammollirono l'animo di Masinissa, il quale si
levò alla prossima speranza, tolto via Siface,
d'impadronirsi di tutta la Numidia,
463 TITI LlVII LIBER XXX. 464
XVI. Scipio, C. Laelio cum Syphace aliisque XVI. Scipione, spedito Caio Lelio a Roma con
captivis Romam misso, cum quibus et Masinissae Siface e cogli altri prigionieri, co' quali partiro
legati profecti sunt, ipse ad Tuneta rursum castra no pur anche gli ambasciatori di Masinissa, ri
refert, et, quae munimenta inchoaverat, permu porta nuovamente il campo a Tuneta, e compie
mit. Carthaginienses, non brevi solum, sed prope le fortificazioni, che avea già cominciate. I Car
vano gaudio, ab satis prospera in praesens oppu taginesi, gustata una breve e quasi vana gioia
gnatione classis perfusi, post famam captiSypha per l'allora bastantemente felice assalto dato
cis, in quo plus prope quam in Hasdrubale atque alla flotta nemica dopo la nuova della prigionia
exercitu suo spei reposuerant, perculsi, jam nullo di Siface, nel quale avean posto quasi maggiore
auctore belli ultra audito, oratores ad pacem pe speranza, che in Asdrubale e nel suo esercito,
tendam mittunt triginta seniorum principes. Id sbigottiti, non più ascoltando chiunque consi
erat sanctius apud illos consilium, maximaque ad gliasse la guerra, mandano trenta del principali
ipsum senatum regendum vis. Qui ubi in castra senatori più vecchi a chieder pace. Quest'era
Romana et praetorium pervenerunt, more adu presso di loro il più rispettabile consiglio, ed
lantium (accepto, credo, ritu ex ea regione, ex avea gran forza a reggere il senato stesso. I quali,
qua oriundi erant) procubuerunt. Conveniens come furon giunti nel campo Romano alla tenda
oratio tam humili adulationi fuit, non culpam di Scipione, a guisa di cortigiani adulatori (co
purgantium, sed transferentium initium culpae stume, credo, ricevuto dal paese, da cui traevan
in IIannibalem impotentiaeque ejus fautores. Ve l'origine) si prostrarono a terra. Il discorso cor
niam civitati petebant, civium temeritate bis jam rispose a così umile adulazione, non iscusando la
ante eversae, incolumi futurae iterum hostium colpa, ma trasferendone il principio in Annibale,
Ibeneficio. « Imperium ex victis hostibus popu e ne fautori dell'ambizione di lui. Domandava
lum Romanum, non perniciem, petere: paratis no che si perdonasse a Cartagine, già due volte
obedienter servire, quae vellet, imperaret. » Sci per la temerità de'suoi cittadini tratta all'ultima
pio, « et venisse ea spein Africam se, ait, et spem rovina, e che sarà nuovamente fatta salva per
suam prospero belli eventu auctam, victoriam se, benefizio de' nemici. « Si propone il popolo Ro
non pacem, domum reportaturum esse ; tamen, mano di signoreggiare il vinto nemico, non di
quum victoriam prope in manibus habeat, pacem sterminarlo: comandasse ciò che gli piacesse,
non abnuere; ut omnes gentes sciant, populum eran pronti a servirlo con obbedienza. » Scipione,
Romanum et suscipere juste bella, et finire. Le « venuto egli era, disse, in Africa veramente colla
ges pacis se has dicere. Capivos, et perfugas, et speranza, e speranza accresciutagli dagli eventi
fugitivos restituant: exercitus ex Italia et Gallia prosperi della guerra, ch'egli avrebbe riportata
deducant: Itispania abstineant: insulis omnibus, a Roma non la pace, ma la vittoria. Nondimeno,
quae inter Italiam et Africam sunt, decedant: avendo già quasi in mano la vittoria, non ricusa
naves longas, praeter viginti, omnes tradant: la pace, acciocchè sappian tutte le nazioni, che
tritici quingenta, hordei trecenta millia modiò m.» il popolo Romano intraprende giustamente la
Pecuniae summam quantam imperaverit, parum guerra, e giustamente la finisce. Le condizioni
convenit: alibi quinque millia talentùm, alibi della pace, ch'egli propone, son queste: restitui
quinque millia pondo argenti, alibi duplex stipen scano i prigioni, i disertori, i fuggitivi; ritragga
dium militibus imperatum invenio. . His condi no i loro eserciti dall'Italia e dalla Gallia; si
tionibus, inquit, placeatne pax, triduum ad con astengano dalla Spagna; abbandonino tutte le
sultandum dabitur. Si placuerit, mecum inducias isole, che son tra l'Italia e l'Africa; consegnino
facite, Romam ad senatum mittite legatos. º Ita tutte le navi lunghe, fuor che venti, e cinque
dimissi Carthaginienses, nullas recusandas con cento mila moggia di frumento, e trecento mila
ditiones pacis quum censuissent (quippe qui mo d'orzo. Quanta somma di danaro comandasse,
ram temporis quaererent, dum Hannibal in Afri non ne convengono gli scrittori: trovo in un
cam trajiceret), legatos alios ad Scipionem, ut luogo cinque mila talenti, altrove cinque mila
inducias facerent, alios Romam ad paccm peten libbre d'argento, altrove doppio stipendio ai
dam mittunt, ducentes paucos in speciem capti soldati. « Se piaccia, disse, o no a queste con
vos. perfugasque, et fugitivos, quo impetrabilior dizioni la pace, vi si daranno tre giorni a con
pax cssct. sultare; se piacerà, fate meco tregua e spedite
ambasciatori a Roma al senato. » Licenziati così
i Cartaginesi, avendo essi deliberato di non
ricusare qualsiasi condizione di pace (come
quelli, che cercavano di guadagnar tempo insino
a tanto, che Annibale passasse in Africa) mandano
465 TITI LIVII LIBER XXX. 466
altri ambasciatori a Scipione per far la tregua,
altri a Roma a chieder la pace, mandando insieme
per apparenza alcuni pochi prigionieri, e diser
tori e fuggitivi, onde impetrare più agevolmente
la pace.
XVII. Multis ante diebus Laelius cum Sy XVII. Molti dì innanzi Lelio giunse a Roma
phace primoribusque Numidarum captivis, Ro con Siface e co' più nobili Numidi prigionieri,
mam venit; quaeque in Africa gesta essent, omnia ed espose ordinatamente a Padri tutte le cose
exposuit ordine Patribus, ingenti omnium et in fatte in Africa, con letizia grande di ciascuno si
praesens laetitia, et in futurum spe. Consulti inde pel presente, sì per le speranze nell'avvenire.
Patres regem in custodiam Albam mittendum Indi i Padri consultati deliberarono, che il re
censuerunt; Laelium retinendum, donec legati fosse mandato in prigione ad Alba; Lelio fosse
Carthaginienses venirent. Supplicatio in quatri ritenuto insino a tanto che venissero gli amba
duum decreta est. P. Aelius praetor, senatu misso, sciatori Cartaginesi. Si ordinarono preghiere
et concione inde advocata, cum C. Laelio in Ro pubbliche per quattro giorni. Il pretore Publio
stra escendit. lbi vero audientes, fusos Carthagi Elio, licenziato il senato, e quindi chiamato il
niensium exercitus, devictum et captum ingentis popolo a parlamento salì i rostri con Caio Lelio.
nominis regem, Numidiam omnem egregia victo Quivi i Romani udendo sbaragliati gli eserciti
riaperagratam, tacitum continere gaudium non de'Cartaginesi, vinto e preso un re di gran no
poterant, quin clamoribus, quibusque aliis mul me, tutta corsa di vittoria in vittoria la Numidia,
titudo solet, laetitiam immodicam significarent. non potevano contener taciti la gioia sì, che con
Itaque praetor extemplo edixit, « Uti aeditui ae le grida e con quanti altri modi suole la molti
des sacras omnes tota urbe aperirent; circumeun tudine, non palesassero l'eccesso dell'allegrezza.
di, salutandique deos agendiquegrates per totum Il pretore adunque subito ordinò: « che i sacer
diem populo potestas fieret. » Postero die legatos doti aprissero tutti i tempii della città onde il
Masinissae in senatum introduxit. Gratulati pri popolo potesse andare in giro un giorno intero
mum senatui sunt, a quod P. Scipio prospere res a salutare gli dei, e ringraziarli. º ll dì seguente
in Africa gessisset: deinde gratias egerunt, quod introdusse in senato gli ambasciatori di Masinissa,
Masinissam non appellasset modo regem, sed Dapprima si congratularono col senato, «che
fecisset, restituendo in paternum regnum; in Scipione avesse avuto in Africa prosperi successi:
quo post Syphacem sublatum, si ita Patribus vi indi gli rendettero grazie, che avesse egli non
sum esset, sine metu et certamine esset regnaturus. solamente nominato, ma fatto re Masinissa, ri
Dein, quod collaudatum pro concione amplissi mettendolo nel paterno regno, nel quale, tolto
mis decorasset donis: quibus ne indignus esset, via Siface, se così piacerà a Padri, regnerà egli
et dedisse operam Masinissam, et porro daturum senza timore e senza contrasto; poscia che, col
esse. Petere, ut regium nomen ceteraque Scipio matolo di lodi in faccia all'esercito, lo avesse
nis beneficia et munera senatus decreto confir decorato di amplissimi doni, del quali a non
maret: et, nisi molestum esset, illud quoque pe mostrarsi indegno s'era adoperato Masinissa, e si
tere Masinissam, ut Numidas captivos, qui Romae adoprerebbe. Chiedevano che il senato confer
in custodia essent, remitterent. Id sibi amplum masse con decreto il titolo di re, e gli altri bene
apud populares futurum esse. » Ad ea respon fizi e regali di Scipione, e se non gli fosse mole
sum legatis: « Rerum gestarum in Africa prospere sto, restituissero i Numidi prigionieri, ch'erano
communem sibi cum rege gratulationem esse. tenuti in carcere a Roma; questo renderebbe
Scipionem recte atque ordine videri fecisse, quod Masinissa molto accetto a suoi popolani.” Fu
eum regem appellaverit; et quidquid aliud fecerit, risposto agli oratori: “ che dei successi prosperi
quod cordi foret Masinissae, ea Patres compro accaduti in Africa si allegravano essi pure in co
bare atque laudare. » Munera, quae legati fer munione col re. Essere il senato di avviso, che
rent regi decreverunt: sagula purpurea duo cum Scipione abbia giustamente e con ragione nomi
fibulis aureis singulis, et lato clavo tunicis, et mato re Masinissa; e quant'altro gli avverrà di
equos duos phaleratos, bina equestria arma cum fare, che sia grato a Masinissa, i Padri lo appro
loricis, et tabernacula, militaremgue supellecti veranno e loderanno.» Decretarono i doni, che
lem, qualem praeberi consuli mos esset. Haec gli oratori portassero al re: due sai di porpora,
regi praetor mittere iussus. Legatis in singulos ciascuno con le fibbie d'oro, con due laticlavi
dona ne minus quinòm millium, comitibus eo da senatore, due cavalli bardati, due armature
rum millium aeris, et vestimenta bina legatis, da cavaliere con le loriche, e padiglioni, e sºpr
comitibus
singula Livio Numidisque, qui ex custodia pellettili militari, quali darsi sogliono a consoli.
a 29
467 TITI LIVII LIBER XXX. 468
emissi redderentur regi. Ad hoc aedes liberae, Ebbe il pretore commissione di mandar tutto
loca, lautia legatis decreta. - questo al re; non che di dare a ciascuno degli
oratori non meno di cinque mila assi, e mille
a loro compagni; e agli altri oratori due vestiti,
ed uno ai compagni, ed ai Numidi, che messi fuor
di carcere fossero restituiti. Inoltre si decretò
loro alloggiamento franco, luogo agli spettacoli,
ed altre cotali lautezze.
XVIII. Eadem aestate, qua haec decreta Ro XVIII. Nella medesima state, in cui queste
mae, et in Africa gesta sunt, P. Quintilius Va cose si son decretate in Roma, e fatte in Africa,
rus praetor et M. Cornelius proconsul in agro il pretore Publio Quintilio Varo, ed il proconsole
Insubrium Gallorum cum Magone Poeno signis Marco Cornelio vennero a giornata con Magone
collatis pugnarunt. Praetoris legiones in prima Cartaginese nel contado de Galli Insubri. Nella
acie fuerunt: Cornelius suas in subsidiis tenuit, prima schiera furon le legioni del pretore : Cor
ipse ad prima signa equo advectus: proque duo nelio tenne le sue nella retroguardia; egli si portò
bus cornibus praetorac proconsul milites ad in a cavallo su le prime file; e alla testa delle due
ferenda in hostes signa summa vi hortabantur. ale il pretore ed il proconsole incoraggiavano
Post quam nihil commovebant, tum Cornelio i soldati a lanciarsi col maggior impeto contro
Quintilius: « Lentior, ut vides, fit pugna; et il nemico. Veduto che non lo smovevano, allora
induratus praeter spem resistendo hostium timor; Quintilio disse a Cornelio: « La pugna, come tu
ac, ne vertat in audaciam, periculum est. Eque vedi, si rallenta: il timore, che aveano i nemici,
strem procellam excitemus, oportet, si turbare col resistere oltre quanto speravano, si è rasso
ac statu movere volumus. ltaque vel tu ad prima dato; e v'ha pericolo, che si converta in audacia.
signa proelium sustine, ego inducam in pugnam Fa d'uopo, che qual procella, ci scagliamo loro
equites: vel ego hic in prima acie rem geram, addosso co'cavalli, se vogliamo scompigliarli e
tu quatuor legionum equites in hostem emitte. » muoverli di luogo. O tu adunque sostieni la bat
Utram vellet praetor, muneris partem proconsule taglia su la prima fronte, ed io condurrò i cava
accipiente, Quintilius praetor cum filio, cui lieri alla battaglia; o combatterò io sulla fronte,
Marco praenomen erat, impigro juvene, ad equi e tu lancia contro il nemico la cavalleria del
tes pergit, jussosque escendere in equos repente le quattro legioni. » Accettando il proconsole
in hostem emittit. Tumultum equestrem auxit quella qualunque parte, che piacesse al pretore
clamor ab legionibus additus; nec stetisset ho di lasciargli, il pretore Quintilio col figlio, no
stium acies, ni Mago, ad primum equitum motum minato Marco, giovane coraggioso, va alla caval
paratos elephantos extemplo in proelium indu leria; e fattili salire a cavallo, all'improvviso gli
xisset. Ad quorum stridorem odoremque et ad scaglia contro il nemico. Il tumulto della caval
spectum territi equi vanum equestre auxilium leria fu accresciuto dal grido aggiunto dalle le
fecerunt: et ut permixtus, ubi cuspide uti et co gioni; nè il nemico avrebbe tenuto fermo, se
minus gladio posset, roboris majoris Romanus. Magone, alla prima mossa del cavalli, non avesse
eques erat, ita in ablatum paventibus procul subito cacciato innanzi gli elefanti, già preparati.
equis melius ex intervallo Numidae jaculabantur. Allo strider de'quali, al loro odore ed aspetto
Simul et peditum legio duodecima, magna ex spaventati i cavalli, riuscì vano il loro soccorso.
parte caesa, pudore magis, quam viribus, tenebat E come il Romano cavaliere, qualora, avvolto
locum ; mec diutius tenuisset, mi ex subsidiis ter nella mischia, potea far uso dappresso della lan
tiadecima legio, in primam aciem inducta proe cia e della spada, era di maggior forza; così,
lium dubium excepisset. Mago quoque ex subsi quand'era portato lungi dai cavalli spaventati,
diis Gallos integrae legioni opposuit: quibus meglio i Numidi nella distanza il saettavano.
haud magno certamine fusis, hastati legionis un Anche la duodecima legione di fanteria, tagliata
decimae conglobant sese, atque elephantos jam a pezzi in gran parte, teneva piè fermo più per
peditumaciem turbantes invadunt. In quos quum vergogna, che per forze; nè l'avria tenuto più
pila confertos conjecissent, nullo ferme frustra e a lungo, se la terzadecima legione, dalla retro
misso, omnes retro in aciem suorum averterunt: guardia portata sul dinanzi, rimessa non avesse
quatuor gravati vulneribus corruerunt. Tum pri la dubbia battaglia. Anche Magone, tratti i Galli
ma commota hostium acies: simul omnibus pedi dalla retroguardia, gli oppose alla fresca legione.
tibus, ut aversos videre elephantos, ad augendum Sbaragliati questi con non molta fatica, gli astati
pavorem ac tumultum effusis; sed donec stetit dell'undecima legione si stringono insieme, ed
ante sigua Mago, gradum sensim referentes or assaltano gli elefanti, che già metteano lo scom
469 TITI LIVII LIBER XXX. 47o
dimes, terrorem pugnae servabant: postguam fe piglio nella fanteria; contro i quali, stretti in
mine transfixo cadentem, auferrique ex proelio sieme, avendo i Romani scagliati i giavellotti,
prope exsanguem videre, extemplo in fugam nessuno de'quali andava a voto, li respinsero
omnes versi. Ad quinque millia hostium eo die indietro addosso a suoi; quattro, oppressi dal
caesa, et signa militaria duo et viginti capta. Nec le ferite, caddero a terra. Allora si smosse la
Romanis incruenta victoria fuit: duo millia et prima testa de'nemici, tutti i fanti ad un tempo,
trecenti de exercitu paetoris, pars multo maxima come videro gli elefanti in volta, dando indietro
ex legione duodecima, amissi: inde et tribuni ad accrescere il tumulto e lo spavento. Sino a
militum duo, M. Cosconius, et M. Maenius: ter tanto però, che Magone stette alla testa delle
tiae decimae quoque legionis, quae postremo bandiere, le file, ritraendo il piede a poco a poco,
proelio adfuerat, Cn. Helvius tribunus militum mantenevan l'ordine della battaglia; ma poi che
in restituenda pugna cecidit, et duo et viginti il videro cadere, trapassata una coscia, ed essere
ferme equites illustres, obtriti ab elephantis, cum quasi esangue portato fuori della mischia, subita
centurionibus aliquotperierunt; et longius cer mente tutti si posero a fuggire. Da cinque mila
tamen fuisset, ni vulnere ducis concessa victoria nemici furono uccisi in quel giorno, e prese ven
esset,
tidue bandiere. Nè la vittoria fu senza sangue
pei Romani: si son perduti due mila e trecento
uomini dell'esercito del pretore, di quei per la
massima parte della duodecima legione; poi due
tribuni de'soldati, Marco Cosconio e Marco Me
nio: anche della terzadecima legione, ch'era
stata in sul finire della battaglia, cadde, nel voler
rimettere la zuffa, Gneo Elvio, tribuno de'sol
dati: perirono all'incirca ventidue illustri cava
lieri, schiacciati dagli elefanti, con alquanti cen
turioni; e sarebbe durato più lungo il combatti
mento, se la ferita del comandante non ci avesse
agevolata la vittoria. -

XIX. Mago, proximae noctis silentio profe XIX. Magone, partito nel silenzio della notte
ctus, quantum pati viae per vulnus poterat, iti vegnente, facendo lungo cammino, quanto più
neribus extentis, ad mare in Ligures Ingaunos il poteva soffrire per la ferita, giunse al mare
pervenit. Ibi eum legati ab Carthagine, paucis nel paese de'Liguri Ingauni. Quivi il trovarono
ante diebus in sinum Gallicum appulsis navibus, gli ambasciatori di Cartagine, pochi di innanzi
adierunt, jubentes, primo quoque tempore in approdati nel golfo Gallico, intimandogli, che
Africam trajicere: a idem et fratrem ejus Hanni quanto prima passasse in Africa; «lo stesso
balem (nam ad eum quoque isse legatos eadem avrebbe fatto il di lui fratello Annibale (chè
jubentes) facturum. Non in eo esse Carthaginien andarono ambasciatori a lui pure coll'ordine
sium res, ut Galliam atque Italiam armis obti medesimo). Non erano in tale stato gli affari
neant. » Mago, non imperio modo senatus peri dei Cartaginesi da poter tenere con l'armi la
culoque patriae motus, sed metuens etiam, ne vi Gallia insieme e l'Italia. » Magone, mosso non
ctor hostis moranti instaret, Liguresque ipsi, re solamente dal comando del senato e dal pericolo
linqui Italiama Poeniscernentes, ad es. quorum della patria, ma temendo eziandio, che il nemico
mox in potestate futuri essent, deficerent, simul vincitore non gli fosse addosso, se tardasse, e che
sperans leniorem in navigatione, quam in via, gli stessi Liguri, vedendo i Cartaginesi abbando
jactationem vulneris fore, et curationi omnia nare l'Italia, non si voltassero alla parte di co
commodiora, impositis copiis in naves profectus, loro, in cui potere stavano per venire; sperando
vixdum superata Sardinia, ex vulnere moritur: ancora, che saria men forte lo sbattimento del
naves quoque aliquot Poemorum disiectae in alto la ferita, andando per acqua, piuttosto che per
a classe Romana, quae circa Sardiniam erat, ca terra, e che tutto ne aiuterebbe meglio la guari
piuntur. Haec terra marique in parte Italiae, quae gione; imbarcato l'esercito, di poco avendo pas
jacet ad Alpes, gesta. Consul C. Servilius, nulla sata la Sardegna, si muore della ferita; ed anche
memorabili re in provincia Etruria et Gallia alquante navi dei Cartaginesi, sbandatesi in alto
(quoniam eo quoque processerat) gesta, patre mare, son prese dalla flotta Romana, che stava
C. Servilio et C. Lutatio ex servitute post sex intorno la Sardegna. Questo è quello, che si è
tumdecimum annum receptis, qui ad vicum Ta fatto per terra e per mare nella parte d'Italia,
netum a Bojis captifuerant, hinc patre, hinc Ca che giace appiè dell'Alpi. Il console Caio Servi
471 TITI LIVII LIBER XXX, 472
tulo lateri circumdatis, privato magis, quam pu lio, senza aver fatto cosa degna di memoria nè
blico decore insignis, Romam rediit. Latum ad nella Toscana, nè nella Gallia (che s'era inoltrato
populum est, « ne C. Servilio fraudi esset, quod anche sin là) ricuperato avendo dalla schiavitù
patre, qui sella curuli sedisset, vivo, quam id il padre Caio Servilio e Caio Lutazio dopo sedici
ignoraret, tribunus plebis atque aedilis plebis anni, ch'erano stati presi da'Boi presso al borgo
fuisset, contra quan sanctum legibus erat. ” Hac Taneto, con a lato quinci il padre e quinci Ca
rogatione perlata, in provinciam rediit. Ad Cn. tulo, tornossi in Roma, insigne più per bella
Servilium consulem, qui in Bruttiis erat, Consen azione privata, che per pubblica impresa. Fu
tia, Uffugum, Vergae, Besidiae, Hetriculum, Sy proposto al popolo, a che non s'imputasse a
pheum, Argentanum, Clampetia, multique alii colpa a Caio Servilio, l'essere stato, a padre che
ignobiles populi senescere Punicum bellum cer egli non sapeva esser vivo, e che avea seduto in
nentes, defecere. Idem consul cum Hannibale in sedia curule, eletto tribuno ed edile della plebe,
agro Crotoniensi acie conflixit. Obscura eius pu contro il disposto dalle leggi. Ammessa la pro
gnae fama est. Valerius Antias quinque millia ho posta, tornò Servilio nella provincia. Al console
stium caesa ait: quae tanta res est, ut aut impu Gneo Servilio, ch'era ne'Bruzii, si diedero Co
denter ficta sit, aut negligenter praetermissa. senza, Uffugo, Verga, Besidia, Etricolo, Sifeo,
Nihil certe ultra rei in Italia ab Hannibale ge Argentano, Clampezia e parecchi altri popoli
stum : nam ad eum quoque legati ab Carthagine, di minor conto, vedendo illanguidirsi la guerra
vocantes in Africam, iis forte diebus, quibus ad Cartaginese. Lo stesso console venne alle mani
Magonem, venerunt. -
con Annibale nel contado di Crotoma; del qual
fatto oscura è la fama. Valerio Anziate dice ta
gliati a pezzi cinque mila nemici; cosa sì grossa,
che fu o impudentemente imaginata, o negligen
temente pretermessa. Certo Annibale dappoi non
più altro fece in Italia. Perciocchè in quel dì
medesimi, che a Magone, vennero a lui pure
ambasciatori da Cartagine, che il richiamarono
in Africa.
XX. Frendens gemensque, ac vix lacrymis XX. Dicesi, ch'egli ascoltasse le parole degli
temperans, dicitur legatorum verba audisse. Post ambasciatori scrizzando i denti e gemendo, e le
quam edita sunt mandata, « Jam non perplexe, lagrime a gran pena rattenendo. Poi che furono
inquit, sed palam revocant, qui, vetando supple esposte le commissioni, « Già, disse, non più tor
mentum et pecuniam mitti, jampridem retrahe tuosamente, ma chiaramente mi richiaman coloro,
bant. Vicit ergo Hannibalem non populus Ro i quali, vietando che mi si mandassero rinforzi
manus toties caesus fugatusque, sed senatus Car e danaro, già da gran tempo quinci mi strappa
thaginiensis obtrectatione atque invidia : neque vano. Fu dunque vinto Annibale non dal popolo
hac deformitate reditus mei tam P. Scipio exsul Romano tante volte tagliato a pezzi e fugato,
tabit atque efferet sese, quam Hanno, qui domum ma dal senato Cartaginese con la malevolenza
mostram, quando alia re non potuit, ruina Car ed invidia. Nè dell'onta di questo mio ritorno
thaginis oppressit. » Jam hoc ipsum praesagiens tanto esulterà e menerà vanto Scipione, quanto
animo, praeparavera tante naves: itaque, inutili Annone, che oppresse la nostra famiglia, poi che
militum turba praesidii specie in oppida Bruttii non ha potuto altrimenti, colla ruina di Carta
agri, quae pauca magis metu, quam fide conti gine. » Già presagendo questo stesso avveni
mebantur, dimissa, quod roboris in exercitu erat, mento aveva egli preparate alquanto innanzi
in Africam transvexit: multis ltalici generis (quia le navi. Quindi, distribuita la turba inutile dei
in Africam secuturos abnuentes concesserant in soldati, sotto apparenza di presidio, per quei
Junonis Laciniae delubrum, inviolatum ad eam pochi castelli del paese de'Bruzii, che stavano
diem) in templo ipso foede interfectis. Raro saldi ancora più per timore, che per fede, tras
quemduam alium, patriam exsilii causa relin portò in Africa tutta quant'era la forza dell'eser
quentem, magis moestum abisse ferunt, quam cito; fatti barbaramente trucidare nel tempio
Hannibalem hostium terra excedentem : respe istesso di Giunone Lacinia, non mai per l'addietro
xisse saepe Italiae litora, et deos hominesque ac violato, molti soldati Italiani, perchè ricusando
cusantem, in se quoque ac suum ipsius caput ex di seguirlo in Africa, rifuggiti vi si erano. Dicono
secratum, a Quod non cruentum ab Cannensi esser di rado avvenuto, che alcun altro, lasciando
victoria militem Romam duxisset. Scipionem ire per causa di esiglio la patria, ne partisse con
ad Carthaginem ausum, qui consul hostem in Ita tanta mestizia, con quanta partissi Annibale dalla
TITI LIVII LIBER XXX. 474
473
lia Poenum non vidisset. Se, centum millibus terra nemica; e che spesso si volgesse a guar
armatorum ad Trasimenum et Cannas caesis, cir dar le spiagge d'Italia, gli dei e gli uomini
ca Casilinum, Cumasque, et Nolam consenuisse, o accusando, e sè medesimo e il capo suo maledi
Haec accusans querensque, ex diutina possessione cendo, « perchè dopo la vittoria di Canne non
Italiae est detractus. avesse menato subito a Roma il soldato lordo
di sangue. Scipione, che essendo console non
avea pur mai veduto in Italia un soldato Carta
ginese, osato aveva di andare a Cartagine; ed
egli, avendo tagliati a pezzi al Trasimeno ed a
Canne cento mila armati, non avea fatto, che
consumarsi invecchiando ne'contorni di Casilino,
di Cuma e di Nola. m Così accusando sè medesi
mo, e dolendosi, fu divelto a forza dalla lunga
possessione d'Italia.
XXI. Romam per eosdem dies, et Magonem XXI. Fu recata a Roma negli stessi dì la
et Hannibalem profectos, allatum est. Cujus du nuova della partenza di Magone e di Annibale;
plicis gratulationis minuit laetitiam, et quod pa però doppia allegrezza scemata alquanto dal ve
rum duces in retinendis iis (quum id mandatum dersi, che i comandanti Romani aveano avuto
ab senatu esset) aut animi, aut virium habuisse poco animo e poche forze a ritenerli (com'era
videbantur; et quod solliciti erant, omni belli stato loro imposto dal senato); e perchè tutto
mole in unum ducem exercitumque inclinata, quo il peso della guerra andando a rovesciarsi sopra
evasura esset res. Per eosdem dies legati Sagun un solo capitano ed esercito, stavansi in pensiero
tini venerunt, comprehensos cum pecunia addu a qual fine la cosa fosse per riuscire. Ne giorni
centes Carthaginienses, qui ad conducenda auxi medesimi vennero ambasciatori da Sagunto, me
lia in Hispaniam trajecissent. Ducentùm et quin nando seco prigionieri alquanti Cartaginesi presi
quaginta auri, octingentùm pondo argenti in ve col danaro, con cui passati erano in Ispagna a
stibulo curiae posuerunt. Hominibus acceptis et soldar gente. Deposero sul vestibolo della curia
in carcerem conditis, auro argentoque reddito, dugento e cinquanta libbre d'oro e ottocento
gratiae legatis actae, atque insuper munera data d'argento. Ricevuti e cacciati in prigione gli
acnaves, quibus in Hispaniam reverterentur. Men uomini, restituito a Saguntini l'oro e l'argento,
tio deinde ab senioribus facta est, «Segnius ho furono gli ambasciatori ringraziati, e regalati
mines bona, quam mala, sentire. Transitu in Ita inoltre, e provveduti di navi, onde tornassero in
liam Hannibalis, quantum terroris pavorisque, Ispagna. Indi parecchi de' più vecchi senatori
sese meminisse, quas deinde clades, quos luctus si fecero a dire, « Essere gli uomini meno sensi
incidisse! Visa castra hostium e muris urbis: quae tivi ai beni, che ai mali. Hanno presente alla me
vota singulorum universorumque fuisse! quoties moria quanto alla calata di Annibale in Italia si
in conciliis voces manus ad coelum porrigentium fu grande la paura e lo spavento, quante accad
auditas: En umquam ille dies futurus esset, quo dero di poi stragi e quanto lutto ! veduto il cam
vacuam hostibus Italiam bona pace florentem vi po de'nemici dalle mura di Roma, quali si son
suri essent! Dedisse tandem id deos sextodecimo fatti voti e dai singoli e da tutti ! quante volte
demum anno: nec esse, qui diis grates agendas s'udì la gente nelle assemblee, alzando le mani
censeant. Adeo ne advenientem quidem gratiam al cielo, gridare: Verrebbe mai quel giorno, in cui
homines benigne accipere, medum ut praeteritae vedessero l'Italia, vòta di nemici, per bella pace
satis memores sint. » Conclamatum deinde ex fiorire! Lo aveano finalmente conceduto gli dei
omni parte curiae est, uti referret P. Aelius prae dopo l'anno sedicesimo; nè si vede alcuno insor
tor: decretumque, nt quinque dies circa omnia gere a proporre che gli dei sieno ringraziati: sì,
pulvinaria supplicaretur, victimaeque majores im egli è vero che gli uomini, non che ricordarsi dei
molarentur centum viginti. Jam dimisso Laelio passati, non ricevon neppur grati i benefizii, che
legatisque Masinissae, quum Carthagimiensium vengono.» Allora s'udì gridare da ogni parte del
legatos de pace ad sematum venientes Puteolis vi la curia, che il pretore Publio Elio proponesse; e
sos, inde terra venturos allatum esset; revocari si decretò, che per lo spazio di cinque giorni ci
C. Laelium placuit, ut coram eo de pace ageretur. fossero pubbliche preci a tutti gli altari, e che
Q. Fulvius Gillo, legatus Scipionis, Carthaginiem s'immolassero cento e venti vittime maggiori. Es
ses Romam adduxit: quibus, vetitis ingredi ur sendo già stato licenziato Lelio e gli ambasciatori
bem, hospitium in villa publica, senatus ad aedem di Masinissa, come s'ebbe notizia, che gli oratori
Bellonae datus est. Cartaginesi mandati a chieder pace al senato,
TITI LIVII LIBER XXX. 476
s'eran veduti a Pozzuolo, e che di là verrebbero
per terra, si volle che Lelio fosse richiamato,
onde trattare in sua presenza della pace. Quinto
Fulvio Gillone, legato di Scipione, condusse i
Cartaginesi a Roma; a quali, vietato l'ingresso
in città, fu dato alloggio nella pubblica villa,
e udienza in senato nel tempio di Bellona.
XXII. Orationem eamdem ferme, quam apud XXII. Tenner essi a un dipresso lo stesso
Scipionem, habuerunt; culpam omnem belli a discorso, che avean tenuto con Scipione, scari
publico consilio in Hannibalem vertentes. « Eum cando la repubblica loro, e tutta rovesciando
injussu senatus non Alpes modo, sed lberum quo la colpa della guerra sopra Annibale: « Aveva
que transgressum : nec Romanis solum, sed ante egli, senza ordine del senato, varcato non sola
etiam Saguntinis, privato consilio bellum intulis mente l'Alpi, ma lo stesso lbero, e di sua privata
se. Senatui ac populo Carthaginiensi, si quis vere autorità mosso guerra non solo ai Romani, ma
aestimet, foedus ad eam diem inviolatum esse eziandio prima ai Saguntini. A rettamente giu
cum Romanis. ltaque nihil aliud sibi mandatum dicare, è rimasta inviolata sino a questo dì l'al
esse, uti peterent, quam utin ea pace, quae po leanza del senato e del popolo Cartaginese coi
stremo cum consule Lutatio facta esset, mamere Romani. Non altro dunque fu lor commesso, se
liceret. » Quum, more tradito, Patribus potesta non se di chiedere, che conservar possano quella
tem interrogandi, si quisquid vellet, legatos prae pace, ch'era stata ultimamente conchiusa col con
tor fecisset, senioresque, qui foederibus inter sole Lutazio. » Avendo il pretore, secondo l'an
fuerant, alia alii interrogarent, nec meminisse tico costume, conceduto licenza a Padri, se alcun
per aetatem (etenim omnes ferme juvenes erant) volesse, d'interrogare gli ambasciatori; e i più
dicerent legati; conclamatum ex omni parte cu vecchi, ch'erano intervenuti ai trattati, or d'una
riae est, a punica fraude electos, qui veterem cosa interrogandoli, or d'un'altra, e rispondendo
pacem repeterent, cujus ipsi non meminissent. » essi, che non se ne ricordavano per l'età (ch'era
no giovani quasi tutti) si gridò da ogni canto
della curia: « essersi eletti con Punica frode a
quell'ambasciata cotali, che chiedessero quella
prima pace, di cui non potevano ricordarsi. »
XXIII. Emotis deinde curia legatis, sententiae XXIII. Indi, fatti uscir dalla curia gli amba
interrogari coeptae. M. Livius « C. Servilium sciatori, si cominciò a domandare i pareri. Marco
consulem, qui propior esset, arcessendum, ut co Livio era d'avviso, « che si chiamasse il console
ram eo de pace ageretur, censebat. Quum de re Caio Servilio, ch'era il più vicino, acciocchè si
majore, quam quanta ea esset, consultatio inci trattasse della pace, lui presente. Non potendosi
dere non posset, non videri sibi, absente consu far consulta di cosa più importante di questa,
lum altero, ambobusve, eam rem agi, satis ex di parea gli che non fosse della dignità del popolo
gnitate populi Romani esse. Q. Metellus, qui Romano il trattarla nell'assenza di uno, anzi
triennio ante consul dictatorque fuerat, . Quum di ambedue i consoli. » Quinto Metello, che tre
P. Scipio, caedendo exercitus, agros populando, anni innanzi era stato console e dittatore, disse,
in eam necessitatem compulisset hostes, ut sup « che avendo Publio Scipione, tagliando a pezzi
plices pacem peterent, et nemo omnium verius gli eserciti, e saccheggiando le terre dei Cartagi
existimare posset, qua mente ea pax peteretur, nesi, tratto i nemici nella necessità di chiedere
quam is, qui ante portas Carthaginis bellum gere supplichevoli la pace, e nessuno potendo giudi
ret; nullius alterius consilio, quan Scipionis, ac care con qual mente chiedessero codesta pace
cipiendam abnuendamve pacem esse. - M. Vale meglio di colui, che guerreggia in su le porte
rius Laevinus, qui bis consul fuerat, « Speculato di Cartagine, non doversi per consiglio d'altri,
res, non legatos venisse, arguebat, jubendosque che di Scipione, ricever la pace, o ricusarla. ”
Italia excedere, et custodes cum iis usque ad naves Valerio Levino, ch'era stato console due volte,
mittendos; Scipionidue scribendum, ne bellum « Costoro, dicea, eran venuti non ambasciatori,
remitteret. - Laelius Fulviusque adjecerunt: « Et ma spioni; si dovea cacciarli fuori d'Italia e farli
Scipionem in eo positam habuisse spem pacis, si accompagnare da guardie sino alle navi, e scri
Hannibal et Mago ex Italia non revocarentur. vere a Scipione, che non allentasse la guerra.
Omnia simulaturos Carthaginienses, duces eos Lelio e Fulvio aggiunsero, « che anche Scipione
exercitusque exspectantes: deinde, quamvis re non avea messa speranza nella pace, se non se
centium foederum et deorum omnium oblitos, nel caso, che Annibale e Magone non fossero
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bellum gesturos. » Eo magis in Laevini senten richiamati dall'Italia. I Cartaginesi fingerebbero
tiam discessum. Legati pace infecta, ac prope sine ogni cosa sino a tanto, che aspettassero que loro
responso, dimissi. comandanti ed eserciti; poscia obbliando i patti,
benchè recenti, non che tutti gli dei, farebbono
la guerra. » Quindi tanto più prevalse il parere
di Levino. Gli ambasciatori furono licenziati
senza pace, e quasi senza risposta.
XXIV. Per eos dies Cn. Servilius consul, haud XXIV. In que giorni stessi il console Gneo
dubius, quin pacatae Italiae penesse gloria esset, Servilio, non dubitando che non dovesse esser
velut pulsum ab se Hannibalem persequens, in sua la gloria di aver pacificata l'Italia, inseguen
Siciliam, inde in Africam transiturus, trajecit. do Annibale, quasi l'avesse egli scacciato, passò
Quod ubi Romae vulgatum est, primo censuerunt in Sicilia per indi andarsene in Africa. Il che divol
Patres, ut praetor scriberet consuli, senatum ae gatosi a Roma, i Padri dapprima deliberarono
quum censere, in Italiam reverti eun : deinde, che il pretore scrivesse al console, esser il senato
quum praetor, spreturum eum literas suas, dice di avviso ch'egli tornasse in Italia; poi, dicendo
ret, dictator ad id ipsum creatus P. Sulpicius, il pretore che il console non farebbe alcun conto
pro jure majoris imperii, consulem in Italiam delle sue lettere, Publio Sulpizio, creato a tale
revocavit: reliquum anni, cum M. Servilio ma effetto dittatore, colla maggior forza della sua
gistro equitum, circumeundis Italiae urbibus, carica richiamò il console in Italia, e consumò il
quae bello alienatae fuerant, moscendisque singu resto dell'anno, insieme col maestro de'cavalieri
larum causis consumpsit. Per induciarum tempus Marco Servilio nell'andare intorno per le città
et ex Sardinia ab Lentulo praetore centum one d'Italia, ch'eran passate al nemico per ragion
rariae naves, cum commeatu et viginti rostrata della guerra, e nel conoscere le cause di ciasche
rum praesidio, et ab hoste, et ab tempestatibus duna. Durante la tregua, cento legni da carico
mari tuto, in Africam transmiserunt. Cm. Octavio con vettovaglie, e sotto la scorta di venti navi
ducentis onerariis, triginta longis navibus ex Si rostrate mandate di Sardegna dal pretore Len
cilia trajicienti, non eadem fortuna fuit. In con tulo, passarono in Africa, essendo il mare sgom
spectum ferme Africae prospero cursu vectum bro da nemici e tranquillo. Non ebbe la stessa
primo destituitventus; deinde versus in Africum felicità Gneo Ottavio, partito di Sicilia con du
turbavit, ac passim naves disjecit. Ipse cum ro gento navi da carico, e trenta navi grosse. Arri
stratis, per adversos fluctus ingenti remigum la vato con prospero corso quasi a vista dell'Africa,
bore enisus, Apollinis promontorium tenuit. One primieramente gli mancò il vento; indi, mutatosi
rariae, pars maxima ad Aegimurum (insula ea in Africo, scompigliò le navi, e le disperse qua e
sinum ab alto claudit, in quo sita Carthago est, colà. Egli con le rostrate, facendo forza contro
triginta ferme millia ab urbe ) aliae adversus ur la corrente con immensa fatica del remiganti,
bem ipsam ad Calidas Aquas delatae sunt. Omnia afferrò il promontorio di Apollo. Quelle da ca
in conspectu Carthaginis erant: itaque ex tota rico furon balzate la maggior parte a Egimuro
urbe in forum concursum est. Magistratus sena (quest'isola chiude dalla parte dell'alto mare lo
tum vocare; populus in curiae vestibulo fremere, stretto, dov'è situata Cartagine, e n'è lontana
ne tanta ex oculismanibusque amitteretur praeda. quasi trenta miglia); altre dirimpetto alla stessa
Quum quidam pacis petitae, alii induciarum (nec città nel luogo detto le Calde-Acque. Ogni cosa
dum enim dies exierat) fidem opponerent, per si vedeva da Cartagine: quindi da tutte le parti
mixto pene senatus populique concilio, consen della città si corse al foro. I magistrati chiamano
sum est, ut classe quinquaginta navium Hasdru il senato; il popolo nel vestibolo della curia do
bal Aegimurum trajiceret; inde per litora por manda fremendo, che non si lasciasse sfuggire
tusque dispersas Romanas naves colligeret. De dagli occhi e dalle mani cotanta preda. Alcuni
serta e fuga nautarum, primum ab Aegimuro, opponendo la pace, che s'era richiesta al nemico,
dein ab Aquis onerariae Carthaginem puppibus altri la fede della tregua (che il giorno non n'era
iractae sunt. ancora spirato), il senato ed il popolo, quasi
mescolati insieme, deliberarono d'accordo, che
Asdrubale con una flotta di cinquanta navi passas
se ad Egimuro, e di là andasse raccogliendo pei
porti e per le spiagge le disperse navi romane.
Quelle da carico, abbandonate per la fuga delle
ciurme, prima da Egimuro, poi dalle Acque furo
no rimorchiate dietro le poppe sino a Cartagine.
-
479 TITI LIVII LIBER XXX. 48o
XXV. Nondum reverterant ab Roma legati, XXV. Non erano tornati ancora da Roma gli
neque sciebatur, quae senatus Romani debello ambasciatori, nè si sapeva qual fosse il parere del
aut pace sententiaesset; necdum induciarum dies senato Romano intorno la pace, o la guerra, nè
exierat: eo indigniorem injuriam ratus Scipio, spirato era il giorno della tregua. Scipione, ripu
ab iis, qui petissent pacem et inducias, et spem tando tanto più grave l'ingiuria, quanto che que
pacis et fidem induciarum violatam esse, legatos gli stessi, i quali avean chiesta la pace e la tregua,
Carthaginem, L. Baebium, L. Sergium, L. Fa violata aveano e la speranza della pace, e la fede
bium extemplo misit. Qui, quum multitudinis della tregua, mandò incontamente ambasciatori a
concursu prope violati essent, nec reditum tutio Cartagine Lucio Bebio, Lucio Sergio e Lucio Fa
rem cernerent futurum, petierunta magistratibus, bio. I quali essendo quasi stati violati dal gran
quorum auxilio vis prohibita erat, ut naves mit concorso della moltitudine, e prevedendo niente
terent, quae se prosequerentur. Datae triremes più sicuro il ritorno, richiesero i magistrati, l'aiu- -

duae, quum ad Bagradam flumen pervenissent, to de' quali gli avea difesi dalla violenza, che loro
unde castra Romana conspiciebantur, Carthagi dessero alcune navi, che gli scortassero. Furon
nem rediere. Classis Punica ad Uticam stationem date loro due triremi, le quali, arrivate al fiume
habebat: ex ea tres quadriremes, seu clam misso Bagrada, donde si vedeva il campo Romano, tor
a Carthagine nuncio, uti fieret, seu Hasdrubale, narono a Cartagine. La flotta Cartaginese era
qui classi praeerat, sine publica fraudeauso faci stazionata ad Utica: spiccatesi da essa tre qua
nus, quinqueremem Romanam superantem pro driremi, o per segreto ordine spedito da Carta
montorium ex alto repente aggressae sunt. Sed gine, o Asdrubale prefetto della flotta tal cosa
neque rostro ferire celeritate subterlabentempo da sè osando, e senza pubblica frode, all'improv
terant, neque transilire armati ex humilioribus viso dall'alto mare assaltarono la quinquereme
in altiorem navem: et defendebatur egregie, Romana, che valicava il promontorio di Apollo.
quoad tela suppeditarunt. Quis deficientibus, Ma nè potean ferirla col rostro, perciocchè sfug
quum jam nulla alia reseam, quam propinquitas giva loro colla sua celerità, nè gli armati potean
terrae, multitudoque a castris in litus effusa, tueri da legni più bassi salire sopra il più alto, e si di
potuisset; concitatam remis, quanto maximo im fendeva bravamente sino a tanto, ch'ebbero ar
petu poterant, in terram quum immisissent, na mi da lanciare; mancando le quali, non altro po
vis tantum jactura facta, incolumes ipsi evase tendo salvarla, che la vicinanza della terra e la
runt. Ita alio super aliud scelere quum haud du moltitudine dal campo accorsa sul lido, avendola
bie induciae ruptae essent, Laelius Fulviusque ab i nostri con quanta più forza poterono spinta
Roma cum legatis Carthaginiensibus supervene co” remi in terra, non perduto altro che il legno,
runt. Quibus Scipio, « Et si non induciarum mo salvi scamparono. Quindi essendosi con delitto
do fides a Carthaginiensibus, sed jus etiam gen sopra delitto indubbiamente infranta la tregua,
tium in legatis violatum esset; tamen se nihil, sopravvennero da Roma Lelio e Fulvio cogli am
nec institutis populi Romani, nec suis moribus basciatori Cartaginesi. A quali avendo detto Sci
indignum, in iis facturum esse, º quum dixisset, pione, a che sebbene i Cartaginesi violata avesse
legatis dimissis, bellum parabat. Hannibali jam ter ro non solamente la fede della tregua, ma pur
rae appropinquanti jussus e nauticis unus escen anche il dritto delle genti nelle persone de'legati,
dere in malum, ut specularetur quam tenerent pur egli non avrebbe commesso verso di loro
regionem, quum dixisset sepulcrum dirutum nessuna cosa indegna degl'istituti Romani, e del
proram spectare, abominatus, praetervehi jusso costume proprio di lui, º licenziatili, si apparec
gubernatore, ad Leptim appulit classem, atque chiava alla guerra. Intanto avvicinandosi di gia
ibi copias exposuit. Annibale a terra, fatto salire un marinaio in cima
all'albero, per iscoprire in qual parte si fossero,
dettogli che la prora guardava un sepolcro rui
mato, abbominando il tristo augurio, comandato al
piloto, che passasse innanzi, approdò con la ſlotta
a Lepti, e quivi sbarcò le genti.
XXVI. Haec eo anno in Africa gesta. Inse XXVI. Queste son le cose fatte in Africa in
quentia excedunt in eum annum, quo M. Servi quell'anno. Le seguenti si distendono all'anno
lius Geminus, qui tum magister equitum erat, et prossimo, in cui Marco Servilio Gemino, ch'era
Ti. Claudius Nero consules facti sunt. Ceterum allora maestro de cavalieri, e Tito Claudio Ne
exitu superioris anni quum legati sociarum ur rone, furono fatti consoli. Del resto, sul fine del
bium ex Graecia questi essent, vastatos agros ab l'anno antecedente lagnati essendosi gli ambascia
regiis praesidiis, profectosque in Macedoniam le tori delle alleate greche città, che le guarnigioni
481 TITI LIVII LIBER XXX. 482

gatos ad res repetendas non admissos ad Philip del re Filippo devastati avessero i lor contadi,
pum regem ; simul nunciassent, quatuor milia e ch'egli non avesse ammessi gli ambasciatori spe
militum cum Sopatro duce trajecta in Africam diti in Macedonia a chiedere il rifacimento dei
dici, ut essent Carthaginiensibus praesidio, et pe danni, annunziando correr voce, che quattro mila
cuniae aliquantum una missum ; legatos ad re soldati sotto la condotta di Sopatro passati fos
gem, qui haec adversus foedus facta videri Patri sero in Africa a soccorso dei Cartaginesi, e che
bus nunciarent, mittendos censuit senatus. Missi s'era eziandio spedito loro alquanto danaro; il
C. Terentius Varro, C. Mamilius, M. Aurelius : senato decretò, che si mandassero ambasciatori a
iis tres quinqueremes datae. Annus insignis in Filippo a fargli sapere che pareva a Padri co
cendio ingenti, quo clivus Publicius ad solum deste cose essersi fatte contro il tenore dei tratta
exustus est, et aquarum magnitudine: sed anno ti. Furono spediti Caio Terenzio Varrone, Caio
nae vilitas fuit, praeterquam quod pace omnis Mamilio, Marco Aurelio: si son date loro tre quin
Italia erat aperta, etiam quod magnam vim fru queremi. Fu memorabile quest'anno per un gran
menti, ex Hispania missam, M. Valerius Falto et de incendio, per cui tutte le fabbriche del colle
M. Fabius Buteo aediles curules quaternis aeris Publicio rimasero abbruciate insino al suolo, non
vicatim populo descripserunt. Eodem anno Q. che per grandi inondazioni; ma i viveri furono
Fabius Maximus moritur, exactae aetatis; siqui a basso prezzo, perchè, oltre che l'Italia tutta era
dem verum est, augurem duos et saxaginta annos aperta per la pace, Marco Valerio Faltone e Mar
fuisse, quod quidam auctores sunt. Vir certe fuit co Fabio Buteone, edili curuli, distribuirono al
dignus tanto cognomine, vel si novum ab eo inci popolo, di contrada in contrada, quantità immen
peret. Superavit paternos homores, avitos aequa sa di grano, venuto dalla Spagna, a quattro assi
vit. Pluribus victoriis et majoribus proeliis avus al moggio. Muore in quest'anno Quinto Fabio
insignis Rullus; sed omnia aequare unus hostis Massimo, in età decrepita, s'egli è vero che sia
Hannibal potest. Cautior tamen, quam promptior stato augure sessanta due anni, come scrivono al
hie habitus fuit: et sicut dubites, utrum ingenio cuni. Fu certo egli uomo degno di così grande
cunctator fuerit, an quia ita bello proprie, quod cognome, anche se questo principiato avesse per
tum gerebatur, aptum erat; sic nihil certius est, la prima volta da lui. Superò gli onori paterni,
quam unum hominem nobis cunctando rem resti agguagliò gli aviti. Fu l'avolo suo Rullo insigne
tuisse, sicut Ennius ait. Augur in locum ejus per maggior numero di vittorie, per battaglie
inauguratus Q. Fabius Maximus filius: in eius più sanguinose; ma il solo Annibale nemico ba
dem locum pontifex (mam duo sacerdotia habuit) sta a pareggiare ogni partita. Fu però riputato
Ser. Sulpicius Galba. Ludi Romani diem unum, più cauto, che pronto; e siccome potresti dubi
plebeji ter toti instaurati ab aedilibus, M. Sextio tare, se sia stato indugiatore per natura, ovvero
Sabino et Cn. Tremellio Flacco. Ii ambo praeto perchè così veramente addomandasse la guerra,
res facti, et cum iis C. Livius Salinator et C. Au che allora si faceva, non v'ha però nulla di più
relius Cotta. Comitia ejus anni utrum C. Servi certo, che un solo uomo indugiando ristabilì la
lius consul habuerit, an (quia eum res in Etruria cosa pubblica, come disse Ennio. Consacrarono
tenuerint, quaestiones ex senatusconsulto de con augure in suo luogo il figlio Quinto Fabio Massi
jurationibus principum habentem ) dictator ab mo, e in luogo pur dello stesso (ch'egli ebbe due
eo dictus P. Sulpicius, incertum ut sit, diversi sacerdozii), fu eletto pontefice Sergio Sulpizio
auctores faciunt, Galba. I giuochi Romani furono celebrati per un
giorno, i plebei rinnovati tre volte per intero
dagli edili Marco Sestio Sabino e Gneo Tremellio
Flacco. Ambedue furono eletti pretori, e con essi
Caio Livio Salinatore e Caio Aurelio Cotta. Se
i comizii di quest'anno gli abbia tenuti il conso
le Caio Servilio, ovvero (perchè gli affari il rite
nevano nella Toscana a conoscere per ordine del
senato delle congiure del principali cittadini) il
dittatore Publio Sulpizio da lui nominato, la di
scordanza degli scrittori fa che non si sappia di
Certo,
XXVII. ( Anno U. C. 55o. – A. C. 2o2.) XXVII. (Anni D. R. 55o. – A. C. 2o2.)
Principio insequentis anni M. Servilius et Ti. Sul principio dell' anno seguente Marco Ser
Claudius, senatu in Capitolium vocato, de pro vilio e Tiberio Claudio, convocato il senato in
vinciis retulerunt. llaliam atque Africam in sor Campidoglio, proposero la distribuzione delle
Livio 2 31
483 TITI LIVII LIBER XXX. 484
tem conjici, Africam ambo cupientes, volebant. province. Ambedue desiderando l'Africa, vole
Ceterum, Q. Metello maxime adnitente, neque vano che questa e l'Italia si mettessero alla sorte;
data, neque negata est Africa. Consules jussi se non che specialmente mercè gli sforzi di Quin
cum tribunis plebisagere, ut, si iis videretur, po to Metello, non fu nè data loro, nè negata l'Afri
pulum rogarent, quem vellet in Africa bellum ca. Si ordinò a consoli che trattassero coi tribuni
gerere. Omnes tribus P. Scipionem jusserunt. della plebe, acciocchè, se così loro piacesse, con
Nihilominus provinciam Africam (ita enim sena sultassero il popolo a chi volesse egli affidarla
tus decreverat) in sortem conjecerunt. Ti. Clau guerra dell'Africa. Tutte le tribù dissero Publio
dio Africa evenit, ut quinquaginta navium clas Scipione. Nondimeno i consoli misero alla sorte
sem, omnes quinqueremes, in Africam trajiceret, l'Africa (chè così avea decretato il senato). Toccò
parique imperio cum Scipione imperator esset. l'Africa a Tiberio Claudio, dove avesse a passare
M. Servilius Etruriam sortitus: in eadem pro con una flotta di cinquanta navi, e con tutte le
vincia et C. Servilio prorogatum imperium, si quinqueremi, e comandasse con facoltà eguale a
consulem manere ad urbem senatui placuisset. quella di Scipione. La sorte diede a Marco Servi
Praetores, M. Sextius Galliam est sortitus, ut duas lio la Toscana. Fu prorogato nella stessa provincia
legiones provinciamoue traderet ei P. Quintilius il comando a Caio Servilio, nel caso che piacesse
Varus; C. Livius Bruttios cum duabus legionibus, al senato che restasse il console a Roma. De' pre
quibus P. Sempronius proconsul priore anno tori, Marco Sestio ebbe in sorte la Gallia, doven
praefuerat; Cn. Tremellius Siciliam, ut ab P. Vil dogli Publio Quintilio Varo consegnare due le
lio Tappulo praetore prioris anni provinciam et gioni e la provincia, Caio Livio i Bruzii con due
duas legiones acciperet; Villius propraelor vigin legioni, ch'erano state l'anno innanzi del procon
ti navibus longis, militibus mille, oram Siciliae sole Publio Sempronio; Gneo Tremellio la Sicilia,
tutaretur: inde M. Pomponius viginti navibus ricevendo da Publio Villio Tappulo, pretore del
reliquis mille et quingentos milites Romam de l'anno scorso, la provincia e due legioni; doven
portaret. C. Aurelio Cottae urbana evenit: cete do il propretore Villio gaardar la costa della
ris, ita uti quisque obtinebant provincias exerci Sicilia con venti navi lunghe e mille soldati, e
tusque, prorogata imperia. Sexdecim non amplius Marco Pomponio di là trasportare a Roma le al
eo anno legionibus defensum imperium est. Et tre venti navi, e i mille cinquecento soldati. La
mt placatis diis omnia inciperent agerentolue, lu pretura urbana toccò a Caio Aurelio Cotta: agli
dos, quos, M. Claudio Marcello, T. Quintio con altri pure, secondo che si assegnavan loro pro
sulibus, T. Manlius dictator, quasque hostiasma vince ed eserciti, fu prorogato il comando. L'im
jores voverat, si per quinquennium illud respu pero in quest'anno fu difeso con non più di
blica eodem statu fuisset, ut eos ludos consules, sedici legioni. Ed acciocchè ogni cosa si princi
priusquamad bellum proficiscerentur, facerent. piasse e si facesse col favor degli dei, fu com
Ludi in circo per quatriduum facti; hostiaeque, messo a consoli, che innanzi di andare alla guerra,
quibus votae erant diis, caesae. celebrassero i giuochi, de' quali Tito Manlio dit
tatore, nel consolato di Marco Claudio Marcello
e di Tito Quinzio, avea fatto voto sagrificando
le vittime maggiori, che avea parimente pro
messo, se durante quel quinquennio la repubblica
si fosse mantenuta nel medesimo stato. l giuochi
furon fatti nel circo per quattro giorni, e si son
sagrificate le vittime a quegli dei, a quali erano
state promesse in voto.
XXVIII. Inter haec simul spes, simul cura in XXVIII. In questo mezzo crescevano di gior
dies crescebat; nec satis certum constare apud no in giorno la speranza insieme e la tema; nè
animum poterat, utrum gaudio dignum esset, si poteva con certezza giudicare, se fosse da ral
Hannibalem, post sextumdecimum annum ex Ita legrarsi, perchè Annibale, dopo sedici anni par
lia decedentem, vacuam possessionem eius reli tendo dall'Italia, ne avese lasciata libera la pos
quisse populo Romano, an magis metuendum, sessione a Romani, o veramente più da temere,
quod incolumi exercitu in Africam transisset. perch'era passato in Africa con tutto salvo l'eser
« Locum nimirum, non periculum, mutatum : cito. . S'era mutato il luogo, non il pericolo, e
cujus tantae dimicationis vatem, qui nuper deces di questa gran lotta vaticinando Quinto Fabio,
sisset, Q. Fabium haud frustra camere solitum, morto poc'anzi, non senza ragione solea dire,
graviorem in sua terra futurum hostem Hanniba che sarebbe stato Annibale più terribile nella
lem, quam in aliena fuisset. Nec Scipioni aut cum propria terra, che non era stato nell'altrui.
485 TITI LIVII LIBER XXX. 486
Syphace, inconditae barbariae rege, cui Statorius Nè avrebbe avuto a fare Scipione o con Siface,
semilixa ducere exercitus solitus sit, aut cum so re di rozza e barbaramazione, i cui eserciti sole
cero ejus Hasdrubale, fugacissimo duce, rem fu van essere guidati dal saccomanno Statorio, o col
turam, aut tumultuariis exercitibus, ex agrestium di lui suocero Asdrubale, capitano velocissimo a
semiermi turba subito collectis; sed cum Hanni fuggire, o con eserciti tumultuarii raccozzati in
bale, prope nato in praetorio patris fortissimi du fretta da turba di villani male armati, ma con
cis, alito atque educato inter arma, puero quon Annibale, quasi nato nella tenda del padre, va
dam milite, vixdum juvene imperatore: qui se lorosissimo capitano, nodrito ed educato tra le
nex vincendo factus, Hispanias, Gallias, Italiam armi, soldato appena fanciullo, e appena giovane
ab Alpibus ad fretum monumentis ingentium re comandante supremo; il quale divenuto vecchio
rum complesset: ducere exercitum aequalem sti vincendo, empiuto avea la Spagna, la Gallia e
pendiis suis, duratum omnium rerum patientia, l'Italia dall'Alpi al mare di monumenti de' suoi
quas vix fides fiat homines passos; perfusum mil gran fatti: condur egli un esercito, che sin dai
lies cruore Romano; exuvias non militum tam primi anni milita sotto di lui, indurato in pati
tum, sed etiam imperatorum, portantem. Multos menti d'ogni sorte, quali appena è credibile aver
occursuros Scipioni in acie, qui praetores, qui potuto uomini sopportare, bagnato mille volte di
imperatores, qui consules Romanos sua manu oc sangue Romano, e che porta seco le spoglie non
ci dissent, muralibus vallaribusque insignes coro di soldati soltanto, ma di vinti capitani. Molti nel
mis, pervagatos capta castra, captas urbes Roma la mischia incontrerebbe Scipione di quelli, che
nas. Non esse hodie tot fasces magistratibus po hanno ucciso di lor mano e pretori e comandan
puli Romani, quot captos ex caede imperatorum ti e consoli Romani, e adorni di corone murali
praeferre posset Hannibal. " Has formidines agi e camperecce, e già corsi pegli alloggiamenti, per
tando animis ipsi curas et metus augebant etiam, le città romane. Non aver oggi i magistrati di
quod, quum assuessent per aliquot annos bellum Roma tanti fasci, da quanti Annibale poteva farsi
ante oculos aliis atque aliis in Italia e partibus len precedere, venuti in poter suo dalla strage dei
ta spe, in nullum propinquum debellandi finem comandanti. » Rimescolando in cuor loro tutte
gerere, erexerant omnium animos Scipio et Han codeste paure, si accrescevano essi stessi la tema
nibal, velut ad supremum certamen comparati ed il travaglio, perchè avvezzi da parecchi anni
duces. Ii quoque, quibus ingens erat in Scipione ad aver la guerra sotto gli occhi in questa, o in
fiducia et victoriae spes, quo magis in propin quella parte d'Italia, nodriti di lenta speranza,
quam eam imminebant animis, eo curae intentio senza veder prossimo alcun fine di guerreggiare,
ris erant. Haud dispar habitus animorum Cartha gli levavan ora a grande espettazione Scipione
giniensibus erat; quos modo petisse pacem, in ed Annibale, come due capitani destinati all'ul
tuentes Hannibalem ac rerum gestarum eius ma timo cimento. Quegli stessi, che metteano in
gnitudinem, poenitebat: modo, quum respice Scipione la massima fiducia e la speranza della
rent, bissese acie victos, Syphacem captum, pul vittoria, quanto più se la figuravan vicina col
sos se Hispania, pulsos Italia, atque ea omnia pensiero, tanto più stavansi nell'inquietezza. Non
unius virtute et consilio Scipionis facta, velut fa erano diversamente disposti gli animi dei Car
talem eum ducem in exitium suum matum hor taginesi. Quelli, che avean chiesta testè la pace,
rebant. s

riguardando Annibale e le grandi imprese di lui,


se ne pentivano: poi considerando, ch'erano
stati vinti due volte in giornata campale, che
Siface era stato preso, essi scacciati dalla Spagna,
scacciati dall'Italia, e che tutto questo s'era fatto
per virtù e per consiglio del solo Scipione, spa
ventati il miravano, come capitano fatale nato
alla loro ruina.
XXIX. Jam Adrumetum venerat Hannibal, XXIX. Era di già arrivato Annibale in Adru
unde, ad reficiendum ex jactatione maritima mi meto; donde presi alcuni pochi giorni a ristorare
litem paucis diebus sumptis, excitus pavidis nun i soldati dal travaglio del mare, eccitato da pau
ciis, omnia circa Carthaginem obtineri armis, af rosi messaggi, che recavano essere il paese intor
ferentium, magnis itineribus Zamam contendit. no a Cartagine ingombro tutto di armati, a gran
Zama quinque dierum iter ab Carthagine abest. giornate si porta a Zama. È distante Zama da
lude praemissi speculatores quum excepti a custo Cartagine cinque giornate. Alcuni, di là mandati
dibus Romanis deducti ad Scipionem essent, tra a spiare, presi dalle guardie Romane e condotti
ººº ºos tribunis militum, jussosque omisso me a Scipione, ordinò egli che consegnati fossero ai
487 TITI LIVII LIBER XXX. 488

tu visere omnia, per castra, qua vellent, circum tribuni de'soldati e menati intorno pegli allog
duci jussit; percunctatusque, satin' per commo giamenti, dove più lor piacesse, e tutto vedesse
dum omnia explorassent, datis, qui prosequeren ro senza nessun timore; e interrogati se avesse
tur, retro ad Hannibalem dimisit. Hannibal nihil ro con bastante agio veduta ogni cosa, data una
quidem eorum, quae nunciabantur (nam et, Ma scorta che gli accompagnasse, rimandoli indie
sinissam cum sex millibus peditum, quatuor equi tro ad Annibale. Egli veramente delle cose rap
tum venisse eo ipso forte die, afferebant), laeto portate non ne udì nessuna di lieto animo (per
animo audiit, maxime hostis fiducia, quae non ciocchè raccontavano, che quel dì stesso per
de nihilo profecto concepta est, perculsus. Itaque, avventura venuto fosse Masinissa con sei mila
quamquam et ipse causa belli erat, et adventu suo fanti e quattro mila cavalli), tocco più che d'altro
turbaverat et pactas inducias, et spem foederum; dalla fiducia, mostrata dal nemico, che certo non
tamen, si integer, quam si victus, peteret pacem, l'avea concepita senza ragione. Quindi, sebbene
aequiora impetrari posse ratus, nuncium ad Sci fosse egli stesso la cagione della guerra, e turbato
pionem misit, ut colloquendi secum potestatem avesse colla sua venuta e la tregua pattuita, e la
faceret. Id utrum sua sponte fecerit, an publico speranza dell'accordo, pure pensando che, se
consilio, neutrum cur affirmem, habeo. Valerius chiedesse la pace intatto, invece che vinto, avria
Antias, primo proelio victum eum a Scipione, quo potuto impetrarne patti migliori, mandò un
duodecim millia armatorum in acie sunt caesa, messaggio a Scipione, perchè gli desse di venir
mille et septingenti capti, legatum cum aliis de seco lui a parlamento. Se abbia ciò fatto di sua
cem legatis tradit in castra ad Scipionem venisse. propria volontà, o per pubblico consiglio, non
Ceterum Scipio quum colloquium haud abnuisset, ho ragione di affermare nè l'una cosa, nè l'altra.
ambo ex composito duces castra protulerunt, ut Valerio Anziate scrive, che Annibale, vinto da
coire ex propinquo possent. Scipio haud procul Scipione nel primo fatto d'arme, in cui restaron
Naraggara urbe, tum ad cetera loco opportuno, morti sul campo dodici mila armati, e presi mille
tum quod aquatio intrateli conjectum erat, con e settecento, venne egli stesso al campo di Scipio
sedit. Hannibal tumulum a quatuor millibus inde, ne con altri dieci legati. Del resto, non avendo
tutum commodumque alioquin, nisi quod lon Scipione ricusato di abboccarsi, ambedue i co
ginguae aquationis erat, cepit. Ibi in medio locus mandanti d'accordo portarono innanzi gli ac
conspectus undidue, ne quid insidiarum esset, campamenti, per più accostarsi l'uno all'altro.
delectus. -

Scipione si piantò non lungi dalla città di Nara


gara, luogo per ogni altra cosa opportuno, ma
specialmente per aver l'acqua vicina a tiro d'arco.
Annibale prese un'altura quattro miglia di là
distante, sicura d'altronde e comoda; se non che
l'acqua era alquanto discosta. Quivi fu scelto un
luogo nel mezzo, scoperto da ogni parte, onde
non vi fosse tema d'insidie.
XXX. Submotis pari spatio armatis, cum sig XXX. Rimossi a distanza eguale gli armati,
gulis interpretibus congressi sunt, non suae modo si abboccarono insieme, ciascuno col proprio in
aetatis maximi duces, sed omnis ante se memo terprete, i due più grandi capitani dell'età loro
riae, omnium gentium cuilibet regum imperato non solamente, ma di quanti a memoria d'uomi
rum ve pares. Paullisper alter alterius conspectu, mi furono innanzi, e pari a qualsivoglia re o capi
admiratione mutua prope attoniti conticuere. tano d'altra qualunque nazione. Al vedersi l'un
Tum Hannibal prior, « Si hoc ita fato datum erat, l'altro, stettersi alcun poco in silenzio, colpiti da
ut, qui primus bellum intuli populo Romano, scambievole ammirazione. Allora primo Anni
quique toties prope in manibus victoriam habui, is bale: « Se così era, disse, voluto dal destino,
ultro ad pacem petendam venirem; laetor te mihi ch'io, il quale primo ho mosso la guerra al po
sorte potissimum datum, a quo peterem. Tibi polo Romano, e ch'ebbi tante volte in mano la
quoque inter multa egregia non in ultimis lau vittoria, io stesso spontaneamente venissi a
dum hoc ſuerit, Hannibalem, cui tot de Romanis chieder la pace, m'allegro, o Scipione, che tu
ducibus victoriam dii dedissent, tibi cessisse; massimamente mi sii stato dato per avventura,
teque huic bello, vestris prius, quam no stris, cla a cui la chiedessi. Ne a te pure, fra i tanti egregii
dibus insigni, finem imposuisse. Hoc quoque lu tuoi fatti, sarà questa l'ultima delle tue lodi, che
dibrium casus ediderit fortuna, ut, quum patre Annibale, cui dierono gli dei di vincere tanti
tuo consule ceperim arma, cum eodem primum comandanti Romani, abbia a te ceduto; e che tu
Romano imperatore signa contulerim ; ad filium abbia messo fine a questa guerra, più memorabile
489 TITI LIVII LIBER XXX. 19o

ejus inermis ad pacem petendam veniam. Opti per le stragi vostre, che per le nostre. Avrà pur
mum quidem fuerat, eam patribus nostris men anche fatto la fortuna codesto giuoco, che
tem datam ab diis esse, ut et vos Italiae, et nos avendo io prese l'armi nel consolato di tuo padre,
Africae imperio contenti essenus: neque enim ed essendomi con lui, allora comandante Romano,
ne vobis quidem Sicilia ac Sardinia satis digna per la prima volta azzuffato, or io stesso venga
pretia sunt pro tot classibus, tot exercitibus, tot disarmato al figlio di lui a chieder pace. Sarebbe
tam egregiis amissis ducibus. Sed praeterita magis certo stata cosa migliore, che tal data avessero
reprehendi possunt, quam corrigi. Ita aliena ap gli dei mente ai Padri nostri, che fossimo stati
petivimus, ut de mostris dimicaremus, nec in Ita contenti voi dell'Italia, e noi dell'Africa; per
lia solum vobis bellum, nobis in Africa esset; sed ciocchè non sono a voi stessi nè la Sicilia, nè la
et vos in portis vestris prope ac moenibus signa Sardegna bastante premio per tante ſlotte, tanti
armaque hostium vidistis, etnosab Carthagine fre eserciti, tanti egregii capitani perduti. Ma il
mitum castrorum Romanorum exaudimus. Quod passato può più facilmente riprendersi, che
igitur nos maxime abominaremur,vos ante omnia correggersi. Fummo così ingordi delle cose
optaretis, in meliore vestra fortuna de pace agi altrui, che dovemmo combattere per le nostre, e,
tur: agimus ii, quorum et maxime interest pacem non solamente ebbimo guerra voi nell'Italia, noi
esse, et qui quodcumque egerimus, ratum civita nell'Africa, ma voi vedeste le insegne e l'armi
tes nostrae habiturae sint. Animo tantum nobis nemiche in sulle vostre porte, e quasi in sulle
opus est non abborrente a quietis consiliis. Quod mura vostre, e noi da Cartagine sentiamo il
ad me attinet, jam aetas senem in patriam rever fremito degli accampamenti Romani. Quello
tentem, unde puer profectus sum, jam secundae, pertanto accadde, ch'era la più ingrata cosa per
jam adversae res, ita erudierunt, ut rationem se noi, e la sovra ogni altra desiderabile da voi:
qui, quam fortunam, malim. Tuam et adolescen si tratta della pace in un tempo, in cui la fortuna
tiam et perpetuam felicitatem, ferociora utraque, vostra è migliore; la trattiam noi, a quali spe
quam quietis opus est consiliis, metuo. Non teme cialmente importa, che si faccia, e i quali, qua
re incerta casuum reputat, quem fortuna num lunque cosa avremo convenuto, la vedremo
quam decepit. Quod ego fui ad Trasimenum, ad dalle città nostre ratificata: solamente ci occorre
Cammas, id tu hodie es. Vixdum militari aetate di aver l'animo disposto a quieti consigli. Quanto
imperio accepto, omnia audacissime incipientem a me, cui l'età già riconduce vecchio in patria,
nusquam fefellit fortuna. Patris et patrui perse donde sono uscito quasi fanciullo, già i casi
cutus mortem, ab calamitate vestrae domus decus prosperi e gli avversi m'hanno talmente am
insigne virtutis pietatisque eximiaecepisti: amis maestrato, che amo meglio seguitar la ragione,
sas Hispanias recuperasti, quatuor inde Punicis che la fortuna. Ben temo e della tua giovanezza,
exercitibus pulsis: consul creatus, quum ceteris e della tua perpetua felicità, l'una e l'altra fiere
ad tutandam Italiam parum animi esset, transgres più, che non si conviene, quando occorron
sus in Africam, duobus hic exercitibus caesis, bi quieti consigli. Non pensa facilmente agl'incerti
mis eadem hora captis simul incensisque castris, casi colui, che non è mai stato tradito dalla for
Syphace potentissimo rege capto, tot urbibus re tuna. Quello, ch'io sono stato al Trasimeno ed
gni ejus, tot nostri imperii ereptis, me sextum a Canne, oggi sei tu. Preso il comando in età ap
decimum jam annum haerentem in possessione pena militare, a qualunque ardita impresa io mi
Italiae detraxisti Potest victoriam, inquam, mal son messo, non mi ingannò giammai la fortuna. A,
le quam pacem, animus Novi spiritus magisma Tu, movendoti a vendicar la morte del padre e
gnos, quam utiles; et mihi talis aliquando fortu dello zio, dalle sciagure di tua famiglia cogliesti
ma affulsit. Quod si in secundis rebus bonam quo bella fama di virtù e di pietà, ricuperasti le Spa
quementem darent dii; non ea solum, quae eve gne perdute, scacciandone quattro eserciti Car
nissent, sed etiam ea, quae evenire possent, re taginesi: creato console, mentre agli altri bastava
putaremus. Ut omnium obliviscaris aliorum, sa appena l'animo a difendere l'Italia, passato in
tis ego documenti in omnes casus sum. Quem Africa, quivi tagliati a pezzi due eserciti, presi in
modo, castris inter Anienem atque urbem vestram un'ora medesima ed abbruciati due alloggia
positis, signa inferentem ad moenia Romana; hic menti, fatto prigione Siface, re potentissimo,
cernis, duobus fortissimis viris, fratribus, clarissi conquistate tante città del di lui regno, tante del
mis imperatoribus, orbatum, ante moenia prope nostro impero, me dalla possessione-d' Italia, –
obsessa e patriae, quibus terrui vestram urbem, che tenni anni sedici, strappasti)Può, dico, l'ani
ea Pro mea deprecantem. Maximae cuique fortu mo tuo voler piuttosto la vittoria, che la pace.
mae minime credendum est. In bonis tuis rebus, Conosco ciò, che sono gli spiriti, che mirano più
ºººº dubiis, tibi ampla ae speciosa danti est al grande, che all'utile, e tal sorrise a me pure
491 TITI LIVII LIBER XXX. 492

pax : nobis petentibus magis necessaria, quam un tempo la fortuna. Ma se nella prosperità ci
honesta. Melior tutiorque est certa pax, quam dessero gli dei anche la saggezza, sapremmo
sperata victoria: haec in tua, illa in deorum ma considerare non solamente quello che accadde,
nu est. Ne tot annorum felicitatem in unius horae ma quello eziandio, che fosse per accadere. Di
dederis discrimen: quam tuas vires, tum vim for menticandoti anche di tutti gli altri, sono io solo
tunae martem ſue belli communem propone ani documento bastante per tutti i casi. Quegli, che,
mo. Utrimoue ferrum, corpora humana erunt; non ha molto, pose il campo tra l'Aniene e la
nusquam minus, quam in bello, eventus respon vostra città, e spingeva le insegne sì presso al
dent. Non tantum ad id, quod data pace jam ha le mura di Roma, qui lo vedi, privato di due
bere potes, si proelio vincas, gloriae adjeceris, fortissimi uomini, di due fratelli chiarissimi
quantum ademeris, si quid adversi eveniat. Si capitani, dinanzi alle mura della quasi assediata
mul parta ac sperata decora unius horae fortuna patria, pregarti di allontanare dalla mia città gli
evertere potest. Omnia in pace jungenda tuae spaventi, che ho pur recati alla vostra. Quanto è
potestatis sunt, P. Corneli: tunc ea habenda for più grande la fortuna, tanto altri manco sen' fidi.
tuna erit, quam dii dederint. Inter pauca felici Essendo il tuo stato prospero, il nostro dubbio,
tatis virtutisque exempla M. Atilius quondam in la pace a te, che la dai, è cosa bella e gloriosa, a
hac eadem terra fuisset, si victor pacem petenti noi, che la chiediamo, più necessaria, che deco
bus dedisset patribus nostris: non statuendo tan rosa. È più sicura e miglior cosa una certa pace
dem felicitati modum, nec cohibendo efferentem che una sperata vittoria: quella è in mano tua,
se fortunam, quanto altius elatus erat, eo foedius in mano questa degli dei. Non commettere al pe
corruit. Est quidem eius, qui dat, non qui petit, ricolo di un'ora la felicità di tant'anni. Poniti
conditiones dicere pacis: sed forsitan non indi dinanzi agli occhi le tue forze, ma insieme la
gni simus, qui nobismetipsi mulctam irrogemus. prepotenza della fortuna e la comun sorte della
Non recusamus, quin omnia, propter quae bellum guerra. D'ambe le parti vi sarà ferro, d'ambe
initum est, vestra sint, Sicilia, Sardinia, Hispania, umani corpi; non v' ha quanto nella guerra,
quidquid insularum toto inter Africam Italiam dove corrisponda meno il successo. Non aggiun
que continetur mari. Carthaginienses, inclusi gerai, anche vincendo, tanto di gloria a quella,
Africae litoribus, vos (quando ita diis placuit) che aver puoi col darci la pace, quanto ne sce
externa etiam terra marique videamus regentes meresti, se ti accadesse alcun sinistro. La fortuna
imperia. Haud negaverim, propter non nimis sin di un'ora può ad un tratto annientare gli acqui
cere petitam aut exspectatam nuper pacem, su stati e gli sperati onori. Nello stringer la pace
spectam esse vobis Punicam fidem. Multum, per arbitro sei di tutto; diversamente dovrai appagarti
quos petita sit, ad fidem tuendae pacis pertinet, della fortuna, che ti vorran dare gli dei. In que
Scipio. Vestri quoque (ut audio) Patres nonnihil sta terra medesima sarebbe stato in addietro
etiam ob hoc, quia parum dignitatis in legatione Marco Atilio uno de pochi esempii di felicità e
erat, magaverunt pacem. Hannibal peto pacem ; di virtù, se vincitore avesse dato ai Padri nostri
qui neque peterem, nisi utilem crederem, et pro la pace, che chiedevano: non mettendo un ter
pter eamdem utilitatem tuebor eam, propter mine alla felicità, nè raffrenando l'orgoglio di
quam petii: et quemadmodum, quia a me bel sua fortuna, quanto più alto s'era levato, tanto
lum coeptum est, ne quem ejus poeniteret, quoad più bruttamente cadè. Egli è veramente di
ipsi invidere dei, praestiti; ita adnitar, ne quem chi la dà, non di chi la chiede, proporre le con
Pacis per me partae poeniteat. » dizioni della pace; ma forse abbiam meritato,
che c'imponiamo noi medesimi la pena. Non ri
cusiamo, che tutto quello, per cagione di che s'è
principiata la guerra, sia vostro; la Sicilia, la
Sardegna, la Spagna, e quante son le isole in
tutto il mare tra l'Africa e l'Italia, e che noi
Cartaginesi, rinchiusi dentro i lidi dell'Africa,
abbiamo a vedervi (poi che così piacque agli dei)
signoreggiare anche fuori d'Italia per mare e
per terra. Non negherò che per essersi a questi
di chiesta o aspettata la pace poco sinceramente,
non vi debba essere sospetta la fede Punica ; se
non che molto importa, o Scipione, ad accertare
l'osservanza della pace stessa chi sieno quelli, che
l'hanno domandata. I senatori vostri, come odo,
A93 TITI LIVII LIBER XXX. 494

la negarono anche per questo, perchè c'era poca


dignità nell'ambasciata. Son io Annibale, che
chiedo la pace; nè la chiederei, se non la stimassi
utile; e per la medesima utilità, che la chiesi, la
manterrò. E siccome, perchè aveva io principiata
la guerra, ho fatto, insino a che gli dei non m'in
vidiarono la mia sorte, che nessuno se ne avesse
a pentire; così farò in modo, che nessun si penta
della pace per mezzo mio acquistata. ,
XXXI. Adversus haec imperator Romanus in XXXI. A questo discorso il comandante Ro
hanc fere sententiam respondit. « Non me falle mano rispose in questi termini a un dipresso.
bat, Hannibal, adventus tui spe Carthaginienses «Io non ignorava, o Annibale, che i Cartaginesi
et praesentem induciarum fidem, et spem pacis su la speranza della tua venuta rotto aveano la
turbasse: neque tu id sane dissimulas, qui de fede della presente tregua, ed i maneggi della
conditionibus superioribus pacis omnia subtra pace; nè tu stesso il dissimuli, poi che dalle con
has, praeter ea, quae jam pridem in nostra pote dizioni della pace detraggi tutto, eccetto quello,
state sunt. Ceterum, sicut tibi curae est, sentire ch'è già da gran tempo in poter nostro. Del re
civestuos, quanto per te onere le ventur; sic mihi sto, siccome ti sta a cuore, che i tuoi cittadini
laborandum est, ne, quae tunc pepigerunt, hodie sentano di quanto peso sieno per opera tua sol
subtracta ex conditionibus pacis, praemia perfi levati, così debbo io adoperarmi, acciocchè i pat
diae habeant. Indigni, quibus eadem pateat con ti, che s'erano allora convenuti, oggi sottratti
ditio, ut etiam prosit vobis fraus, petitis. Neque dalle condizioni della pace, non divengano il
patres nostri priores de Sicilia, neque nos de premio della perfidia. Indegni di ottenere le stes
Hispania fecimus bellum. Et tunc Mamertinorum se condizioni, chiedete che la frode stessa vi
sociorum periculum, et nunc Sagunti excidium giovi, Non fecero primi i Padri nostri la guerra
nobis pia ac justa induerunt arma. Vos lacessisse, per la Sicilia, nè poi per la Spagna; e allora
et tu ipse fateris, et dei testes sunt; qui et illius il pericolo dei Mamertini alleati, e adesso l'ecci
belli exitum secundum jus fasque dederunt, et dio di Sagunto ci han fatto pigliar l'armi santa
hujus dant et dabunt. Quod ad me attinet, et mente ed a buon dritto. Che voi ci abbiate pro
humanae infirmitatis memini, et vim fortunae re vocati, e tu stesso il confessi, e gli dei ne son
puto, et omnia, quaecumque agimus, subjecta testimonii, i quali per giustizia un felice esito
esse mille casibus scio. Ceterum, quemadmodum dierono a quella guerra, il danno a questa, e
superbe et violenter me faterer facere, si prius, daranno. Quanto a me s'appartiene, ed ho pre
quam in Africam trajecissem, te tua voluntate sente l'umana debolezza, e conosco la prepotenza
cedentem Italia, et, imposito in naves exercitu, della fortuna, e so che quanto operiamo, tutto è
ipsum venientem ad pacem petendam asperma sottoposto a mille casi. Del resto, siccome confes
rer; sic nunc, quum prope manu conserta resti serei di usare superbamente e violentemente, se,
tantem ac tergiversantem in Africam attraxerim, innanzi ch'io passassi in Africa, essendo tu già
nulla sum tibi verecundia obstrictusa Proinde si pronto ad uscire spontaneamente d'Italia, e di
quid ad ea, in quae tum pax conventura videba già imbarcato l'esercito, e venendo a chieder
tur, (quae sint, nosti) mulctae navium cum com la pace, non ti dessi ascolto; così ora, avendoti
meatu per inducias expugnatarum legatorumque quasi per forza d'armi, mentre ti stavi indu
violatorum adjicitur, est quod referam ad con giando e tergiversando, attratto in Africa, non
silium. Sinilla quoque gravia videntur, bellum ti son debitore di alcun rispetto. Quindi, se
parate, quoniam pacem pati non potuistis. » Ita a patti, a quali pareva che la pace fosse per
infecta pace, ex colloquio ad suos quum se rece conchiudersi (e sai quali sono) si aggiunga una
pissent, frustra verbajactata renunciant: armis multa per le navi tolte colle vettovaglie, durante
decernendum esse, habendamque eam fortunam. la tregua, e per la violazione degli ambasciatori,
quam dii dedissent. ne farò riferta al consiglio. Se vi parranno gra
vose anche queste condizioni, poi che non avete
potuto sopportar la pace, apparecchiatevi alla
guerra. ” Così, senza conchiuder nulla, dall'ab
boccamento ritrattisi a suoi, riportano essersi
fatte vane parole; che bisognava combattere, e
stare a quella fortuna, che concedessero gli dei.
XXXII. In castra ut est ventun, pronunciant XXXll. Come furono al campo, ambedue
1,05 TITI LIVII LIBER XXX. - 496
ambo, « Arma expedirent milites animosque ad fanno intendere ai soldati, « che approntin l'ar
supremum certamen, non in unum diem, sed in mi ed il coraggio all'ultimo cimento, ond'essere
perpetuum, si felicitas adesset, victores. Roma, vincitori, se fortuna gli assiste, non per un gior
an Carthago, jura gentibus darent, ante crasti no solo, ma in perpetuo. Se Roma o Cartagine
mam noctem scituros; neque enim Africam, aut avesse a dar legge a tutto il mondo, il saprebbero
Italiam, sed orbem terrarum victoriae praemium avanti la notte di domani; perciocchè non l'Afri
fore; par periculum praemio, quibus adversae ca, non l'Italia, ma il mondo tutto sarebbe il
pugnae fortuna fuisset. ” Nam neque Romanis premio della vittoria, e pari al premio sarebbe
efugium ullum patebat in aliena ignotaque terra; il pericolo per quelli, cui fosse avversa la sorte
et Carthagini, supremo auxilio effuso, adesse vi. della battaglia. " E invero nè restava a Romani
debatur praesens excidium. Ad hoc discrimen scampo alcuno in terra strana ed ignota; e a Car
procedunt postero die duorum opulentissimorum tagine, consumate l'ultime sue forze, inevitabil
populorum duo longe clarissimi duces, duo for parea l'estremo eccidio. Il dì seguente si presen
tissimi exercitus, multa ante parta decora aut tano a questa lotta i due più eccellenti capitani,
cumulaturi eo die, aut eversuri. Anceps igitur i due più valorosi eserciti de'due più potenti
spes et metus miscebant animos; contemplanti popoli della terra, che in quel dì o dato avreb
busque modo suam, modo hostium aciem, quum bero il colmo, o rovesciata per sempre la molta
oculis magis, quam ratione, pensarent vires, si gloria innanzi conquistata. Dubbia quindi spe
mul laeta, simul tristia obversabantur. Quae ipsis ranza e timore rimescolavano gli animi; e con
sua sponte non succurrebant, ea duces admonen templando ciascuna parte ora le proprie, ora le
do atque hortando subjiciunt Poenus sedecim squadre nemiche, ed estimandone le forze più
annorum in terra Italia res gestas, tot duces Ro cogli occhi, che con la ragione, si facean loro
manos, tot exercitus occidione occisos, et sua cui dinanzi ad un tempo stesso lieti e tristi presagii.
que decora, ubi ad insignem alicujus pugnae me Quello che da sè non si offeriva alla lor mente,
moria militem venerat, referebat. Scipio Hispa i capitani, ammonendo, esortando, lo suggeri
mias, et recentia in Africa proelia, et confessio scono. Annibale ricordava le imprese di sedici
nem hostium, quod neque non petere pacem anni fatte in Italia, tanti capitani Romani, tanti
propter metum, neque manere in ea prae insita eserciti sterminati; e ricordava a ciascuno i pro
animis perfidia potuissent. Ad hoc, colloquium prii suoi pregii, quando veniva a qualche soldato
Hannibalis in secreto habitum, ac liberum fin per alcun fatto egregio illustrato. Scipione ram
genti, qua velit, flectit. Ominatur, quibus quon mentava le Spagne e le recenti pugne nell'Africa,
dam auspiciis patres eorum pugnaverint ad Ae e la confession de'nemici, che non avean potuto
gates insulas, ea illis exeuntibus in aciem porten non chiedere la pace per la paura, nè per l'in
disse deos. « Adesse finem belli ac laboris: in ma nata loro perfidia starsi a quella. Inoltre l'abboc
nibus esse praedam Carthaginis, reditum domum camento avuto con Annibale, cui, perchè segreto,
in patriam, ad parentes, liberos, conjuges, pena gli era libero di fingere, il torce come più vuole.
tesque deos. » Celsus haec corpore, vultuque ita Annunzia, che mentr'essi uscivano a battaglia,
laeto, ut vicisse jam crederes, dicebat. Instruit gli dei aveano mostrato loro gli stessi auspizii,
deinde primos hastatos, posteos principes; tria co quali già i lor Padri avean combattuto alle
riis postremam aciem clausit. isole Egati. « Era venuto il fine della guerra e
delle fatiche: starsi in lor mano e la preda di
Cartagine, e il ritorno in patria alle lor case, ai
genitori, a figliuoli, alle mogli, agli dei dome
stici. » Diceva egli codeste cose tenendo alta la
persona, e con volto lieto così, che crederesti
avesse già vinto. Indi mette nella prima fronte
gli astati; dietro a questi i principi; chiude l'ul
tima schiera coi triarii.
XXXIII. Non confertas autem cohortes ante XXXIII. Non disponeva le coorti affollate
sua quamque signa instruebat, sed manipulos ali insieme, ciascuna dinanzi alle sue bandiere, ma
quantum inter se distantes, ut esset spatium, quo in compagnie, distanti alquanto l'una dall'altra,
elephanti hostium accepti nihil ordines turba onde vi fosse spazio, dentro il quale ricevuti gli
rent. Laelium (cujus ante legati, eo anno quae elefanti, non turbassero punto l'ordinanza. Mette
storis extra sortem ex senatusconsulto opera ute su l'ala sinistra con la cavalleria ltaliana Lelio
batur) cum Italico equitatu ab sinistro cornu, (dell'opera del quale si valeva l'anno innanzi
Masinissam Numidasiue ab dextro opposuit. Vias come legato, in questo come questore straordi
497 TITI LIVII LIBER XXX. 498
patentes inter manipulos antesignanorum veliti nario per decreto del senato), alla destra Masi
bus (ea tunc levis armatura erat ) complevit; nissa e i Numidi; gli spazi aperti tra le compa
dato praecepto, ut, ad impetum elephantorum, gnie degli antesignani gli empiè di veliti (erano
aut post rectos refugerent ordines, aut, in dex allora soldati armati alla leggera), con ordine
- tram laevamgue discursu applicantes se antesi che al primo impeto degli elefanti o rifuggissero
gnamis, viam, qua irruerent in ancipitia tela, bel dietro alle file intatte, ovvero scorrendo a destra
luis darent. Hannibal ad terrorem primum ele o a sinistra, applicandosi agli antesignani, lascias
phantos (octoginta autem erant, quot nulla um sero la via libera alle bestie, per cui venissero
quam in acie ante habuerat) instruxit: deinde ad urtare in armi d'ogni sorte. Annibale, a de
auxilia Ligurum Gallorumque, Baliaribus Mau stare spavento mise in su la fronte gli elefanti
risque admixtis; in secunda acie Carthaginienses (erano ottanta, quanti non m'ebbe mai in nes
Afrosque et Macedonum legionem ; modico inde sun'altra battaglia); poscia i Galli ed i Liguri
intervallo relicto, subsidiariam aciem Italicorum ausiliarii, mescolativi i Baleari ed i Mauri; nella
militum (Bruttii plerique erant, vi ac necessitate seconda schiera i Cartaginesi e gli Afri, e la le
plures, quam sua voluntate, decedentem ex Italia gione dei Macedoni; indi, lasciato picciolo inter
secuti) instruxit. Equitatum etiam ipsum circum vallo, pose la squadra sussidiaria de'soldati Ita
dedit cornibus: dextrum Carthaginienses, sini liani (erano la maggior parte Bruzii, che lo avean
strum Numidae tenuerunt. Varia adhortatio erat seguitato al suo partire d'Italia più per forza
in exercitu intertot homines, quibus non lingua, e necessità, che per volontà). Anche la cavalleria
non mos, non lex, mon arma, non vestitus habi la distribuì sulle ale, i Cartaginesi a destra,
tusque, non causa militandi eadem esset. Auxilia i Numidi a sinistra. Variava il tenore delle esor
ribus et praesens, et multiplicata merces ex prae tazioni in un esercito, composto di tanta gente,
da ostentatur. Galli proprio atque insito in Ro che non avean comune tra loro nè lingua, nè
manos odio accenduntur: Liguribus campi ube costumi, non leggi, non armi, non vestito, non
res Italiae, deductis ex asperrimis montibus, in fogge, non la medesima cagione di guerreggiare.
spem victoriae ostentantur: Mauros Numidasque Agli ausiliarii si mette in mostra il premio pre
Masinissae impotenti futuro dominatu terret: aliis sente, e l'assai maggiore in appresso della preda.
alia e spes ac metus jactantur. Carthaginiensibus I Galli sono infiammati aizzando il proprio ed
moenia patriae, dii penates, sepulcra majorum, insito lor odio contro i Romani. Ai Liguri, tratti
liberi cum parentibus, conjuges pavidae; aut ex da monti asprissimi, mostravansi per premio
cidium servitiumque, aut imperium orbis terra della vittoria i campi fertili dell'Italia. I Mauri
rum, nihil aut in metum, aut in spem medium ed i Numidi gli atterrisce, spaventandoli coll'idea
ostentatur. Quum maxime haec imperator apud della prepotente dominazione di Masinissa. Ad
Carthaginienses, duces suarum gentium inter altri fansi vedere altre speranze, altri timori.
populares, plerique per interpretes inter immix Mettonsi innanzi agli occhi dei Cartaginesi le
tos alienigenis, agerent, tubae cornuaque ab Ro mura della patria, gli dei domestici, le tombe
manis cecinerunt; tantusque clamor ortus, ut dei maggiori, i figliuoli co' genitori, le mogli
elephanti in suos, sinistro maxime cornu, verte sbigottite, o l'eccidio e la schiavitù, o la signoria
rentur, Mauros ac Numidas. Addidit facile Masi del mondo tutto; niente di mezzo tra la paura
nissa perculsis terrorem, mudavitdue ab ea parte e la speranza. Mentre Annibale ricordava codeste
aciem equestri auxilio. Paucae tamen bestiarum, cose ai Cartaginesi, e i diversi capitani alle genti
intrepidae in hostem actae, inter velitum ordines del lor paese, la maggior parte col mezzo d'in
cum multis suis vulneribus ingentem stragem terpreti frammisti ai soldati forestieri, sonaron
e debant. Resilientes enim ad manipulos velites, le trombe e i corni dalla parte dei Romani; e
quum viam elephantis, me obtererentur, fecis levossi un grido sì forte, che gli elefanti si vol
sent, in ancipites ad ictum utrimdue conjicie sero contro i suoi, massimamente all'ala destra
bant hastas; nec pila ab antesignanis cessabant; contro i Mauri ed i Numidi. Masinissa accrebbe
donec undique incidentibus telis exacti ex Ro facilmente terrore agli sbigottiti, e da quella
mana acie, hi quoque in suos dextro cornu ipsos parte snudò il nemico dell'aiuto de'cavalli. Alcuni
Carthaginiensium equites in fugam verterunt. pochi elefanti nondimeno, lanciatisi intrepidi
Laelius, ut turbatos vidit hostes, addit perculsis contro il nemico, grande strage menavano nelle
terrorem. file dei veliti, però con molte loro ferite; che
i veliti, lesti rifuggendosi alle compagnie, poi che
avean lasciata libera la via agli elefanti, per non
esserne schiacciati, di costa, d'ambo i lati, lan
i ciavan le aste lo coi vº: nè di fronte ces-avanº
Livio 2 3a
TITI LIVII LIBER XXX. 5oo
499
i giavellotti degli antesignani, sino a tanto che,
scacciati dalle file dei Romani da un nembo
di dardi, che piovevan loro addosso da ogni
parte, volsero in fuga sull'ala destra la stessa
cavalleria dei Cartaginesi. Lelio, come vide
scompigliati i nemici, vieppiù accresce loro lo
spavento.
XXXIV. Utrimque equite nudata erat Punica XXXIV. Era l'esercito Cartaginese d'ambo
acies, quum pedes concurrit, nec spe, nec viribus i fianchi snudato di cavalleria, quando si mosse
jam par. Ad hoc, dictu parva, sed magni eadem ad azzuffarsi la loro fanteria, già non più pari
in re gerenda momenti res, congruens clamor a nè di speranza, nè di forze. Si aggiungeva, cosa
Romanis, eoque major et terribilior; dissonae picciola a dirsi, ma di gran momento in sì fatta
illis, ut gentium multarum discrepantibus lin circostanza, un grido unisono dalla parte dei
guis, voces: pugna Romana stabilis, et suo et ar Romani, e quindi tanto più grande e terribile;
morum pondere incumbentium in hostem : con all'opposto dissone voci dalla parte dei nemici,
cursatio et velocitas illimc major, quam vis. Igi come quelle, che risultavano dalle discordi lingue
tur primo impetu extemplo movere loco hostium di tanti popoli. Era fermo il combattere dei Ro
aciem Romani: ala deinde et umbonibus pulsan mani, che premevano il nemico col peso dei cor
tes, in submotos gradu illato, aliquantum spatii, pi e dell'armi: dall'altra parte maggiore la scor
velut nullo resistente, incessere; urgentibus et reria e maggiore la velocità, che la forza. Quindi
movissimis primos, ut semel motam aciem sense al primo impeto i Romani smossero di luogo il
re; quod ipsum vim magnam ad pellendum ho nemico; indi incalzandolo con tutta l'ala e con
stem addebat. Apud hostes, auxiliares cedentes gli scudi, e cacciandolo indietro, camminarono
secunda acies, Afri et Carthaginienses, adeo non alquanto spazio, quasi senza trovare chi resi
sustinebant, ut contra etiam, ne resistentes per stesse; gli ultimi, come s'accorsero che il nemico
tinaciter primos caedendo ad se perveniret hostis, piegava, sospingendo i primi; il che pure ag
pedem referrent. Igitur auxiliares terga dant re giungeva gran forza a scacciarlo del tutto. Presso
pente, et, in suos versi, partim refugere in se i nemici gli Africani e i Cartaginesi, nella seconda
cundam aciem, partim non recipientes caedere, linea, così poco sostenevano gli ausiliarii, che già
uti paullo ante non adjuti, et tunc exclusi. Et cedevano, che anzi essi ritraevano il piede, te
prope duo jam permixta proelia erant, quum mendo che il nemico, tagliati in pezzi i primi,
Carthaginienses simul cum hostibus, simul cum che ostinatamente resistevano, non giungesse
suis cogerentur conserere manus. Non tamen ita insino a loro. Gli ausiliarii adunque voltano
perculsos iratosque in aciem accepere; sed, den subitamente le spalle, e movendosi inverso i
satis ordinibus, in cornua vacuumque circa cam suoi, parte rifuggivasi nella seconda linea, parte
pum extra proelium eſecere, ne pavidos fuga vul uccideva chi ricusava di accettarli, irritati che
neribusque milites in certam et integram aciem non fossero stati dapprima soccorsi, e che ora
miscerent. Ceterum tanta strages hominum ar fossero esclusi. E già vedevansi quasi due batta
morumque locum, in quo steterant paullo ante glie miste insieme, costretti i Cartaginesi a com
auxiliares, compleverat, ut prope difficilior tran battere contro i nemici ad un tempo, e contro
situs esset, quam per confertos hostes fuerat. Ita i suoi. Non vollero però ricever dentro le file
que, qui primi erant, hastati, per cumulos cor codesti spaventati ed infuriati, ma, serrata l'ordi
porum armorumque et tabem sanguinis, qua nanza, li ributtarono dalle bande, e nella intorno
quisque poterat, sequentes hostem, et signa et vota campagna fuori della battaglia, per non
ordines confuderunt: principum quoque signa mescolare in una schiera ferma ed intatta soldati
ſluctuari coeperant, vagamante secernendo aciem. fuggitivi e malconci dalle ferite. Tale però e
Quod Scipio ubi vidit, receptui propere canere tanta strage d'uomini e d'armi avea ingombrato
hastatis jussit, et, sauciis in postremam aciem il luogo, dov'erano stati prima gli ausiliarii, che
subductis, principes triariosque in cornua indu era quasi più difficile adesso passarvi per entro,
cit; quo tutior firmiorque media hastatorum che non era stato prima tra gli addensati nemici.
acies esset. Ita novum de integro proelium ortum Quindi gli astati, ch'erano i primi, inseguendo
est: quippe ad veros hostes perventum erat, et il nemico, come ciascuno potea, tra monti di ca
armorum genere, et usu militiae, et fama rerum daveri e d'armi, e sozzi laghi di sangue, turba
gestarum, et magnitudine vel spei vel periculi rono l'ordinanza; ed anche le insegne dei prin
pares. Sed et numero Romanus superiorerat, et cipi avean cominciato a fluttuare, vedendo la
animo; quod jam equites, jam elephantos fu schiera dinanzi scompigliata. Di che accortosi
5o 1 TITI LIVII LIBER XXX. 5o2

derat: jam, prima acie pulsa, in secundam pu Scipione, fatto subito sonare a raccolta, richia
gnabat. mati gli astati, e ritirati i feriti nell'ultima schie
ra, spinge innanzi sull'ale i principi e i triarii,
onde il centro degli astati fosse più difeso e sicu
ro. Così ricominciossi una battaglia nuova del
tutto; perciocchè pervenuti erano a veri nemici,
pari per foggia d'armi, per pratica di milizia,
per fatti egregii e per grandezza sì di speranza,
che di pericolo. Ma il Romano superava di nu
mero e di coraggio, perchè avea di già sbaragliati
i cavalli e gli elefanti, e, respinta la prima linea
del nemico, combatteva contro la seconda.
XXXV. In tempore Laelius ac Masinissa, pul X XXV. A tempo Lelio e Masinissa, com'ebbero
sos per aliquantum spatii secuti equites, rever per alquanto spazio inseguiti i cavalli, che fuggi
tentes in aversam hostium aciem incurrere. Is de vano, tornando piombarono alle spalle della fan
mum equitum impetus fudit hostem: multi cir teria. Quest'impeto ruppe finalmente il nemico.
cumventi in acie caesi: multi per patentem circa Molti avviluppati caddero sul campo di battaglia:
campum fuga sparsi, tenente omnia equitatu, molti fuggendo sparsi per la pianura aperta d'in
passim interierunt. Carthaginiensium sociorum torno, coperta da per tutto di cavalleria, qua e
que caesa eo die supra millia viginti: par ferme là perirono. Furono in quel dì tagliati a pezzi
numerus captus est, cum signis militaribus cen più di venti mila tra Cartaginesi e loro alleati;
tum triginta tribus, elephantis undecim. Victores se ne prese quasi un numero eguale con cento e
ad duo millia cecidere. Hannibal,cum paucis equi trentatrè bandiere, ed undici elefanti. De' vinci
tibus inter tumultum elapsus, Adrumetum per tori ne caddero da due mila. Annibale, scampato
fugit ; omnia et in proelio, etante aciem, prius dalla furia della mischia con pochi cavalieri, fuggì
quam excederet pugna, expertus; et confessione in Adrumeto, fatta, innanzi che uscisse dal campo,
etiam Scipionis omniumque peritorum militiae ogni prova nella battaglia ed alla testa de' suoi,
illam laudem adeptus, singulari arte aciem eo die avendosi acquistata per confessione stessa di Sci
instruxisse. Elephantos in prima fronte; quorum pione, e di tutti i pratici della milizia, la lode di
fortuitus impetus atque intolerabilis vis signa se avere in quel dì ordinate le schiere con arte sin
qui, et servare ordines (in quo plurimum spei golare. Pose gli elefanti nella prima fronte, l'im
ponerent) Romanos prohiberet. Deinde auxilia peto e intollerabil forza de quali non lasciasse
res ante Carthagimiensium aciem, ne homines a Romani seguitar le insegne, e conservare gli
mixti ex colluvione omnium gentium, quos non ordini, in che massimamente confidavano; poi gli
fides teneret, sed merces, liberum receptum fu ausiliarii davanti alla schiera dei Cartaginesi,
gae baberent; simul primum ardorem atque im acciocchè cotal gente, mista della feccia di tutte
petum hostium excipientes fatigarent; ac, si nihil le nazioni, cui non teneva saldi la fede, ma il
aliud, vulneribus suis ferrum hostile hebetarent. guadagno, non avesse la via libera a fuggire, e ad
Tum, ubi omnis spes esset, milites Carthaginiem un tempo stesso ricevendo in sè il primo ardore
ses Afrosque, ut omnibus rebus aliis pares, eo, ed impeto del nemico, lo stancassero, e se non
quod integri cum fessis ac sauciis pugnarent, su altro colle lor ferite il nemico ferro spuntassero;
periores essent: Italicos, intervallo quoque di indi i Cartaginesi e gli Africani, dov'era tutta
remptos, incertos socii an hostes essent, in postre la sua speranza, sì che, pari in ogni altra cosa, fos
mam aciem submotos. Hoc edito velut ultimo sero superiori per questo, perchè avrebbono com
virtutis opere, Hannibal, quum Adrumetum re battuto freschi ed interi contro soldati stanchi e
fugisset, accitusque inde Carthaginem sexto ac feriti: gl'Italiani finalmente, messi anche a qual
trigesimo post anno, quan puerinde profectus che distanza, non sapendosi se amici fossero, o
erat, redisset, fassus in curia est, non proelio nemici, gli avea nella schiera ultima confinati.
modo se, sed bello victum, nec spem salutis alibi, Annibale, dato quest'ultimo saggio di sua virtù,
quam in pace impetranda, esse. fuggitosi in Adrumeto, e di là tornato essendo a
Cartagine, trentasei anni dappoi che n'era par
tito fanciullo, confessò nel senato, ch'egli era stato
vinto non solamente quanto alla battaglia, ma
quanto alla sorte finale della guerra; nè restar
altra speranza di salute, che nell'impetrare la
pace.
5o3 TITI LIVII LIBER XXX. - 5o4

XXXVI. Scipio confestim a proelio expugna XXXVI. Scipione, subito dopo la battaglia,
tis hostiun castris direptisque, cum ingenti prae presi e saccheggiati gli accampamenti nemici,
da ad mare acnaves rediit; nuncio allato, P. Len tornò, ricco d'immensa preda, al mare ed alle
tulum cum quinquaginta rostratis, centum one navi, avuto avviso che Publio Lentulo con cin
rariis, cum omni genere commeatus, ad Uticam quanta navi rostrate, e con altre cento cariche
accessisse. Admovendum igitur undigue terro d'ogni sorte di vettovaglia, s'era accostato ad
rem perculsae Carthagini ratus, misso Laelio Ro Utica. Giudicando pertanto che si dovesse vieppiù
mam cum victoriae nuncio, Cn. Octavium terre atterrire la già atterrita Cartagine, mandato Le
stri itinere ducere legiones Carthaginem iubet: lio a Roma con la novella della vittoria, ordina a
ipse, ad suam veterem nova Lentuli classe adjun Gneo Ottavio, che per la via di terra guidi le le
cta, profectus ab Utica portum Carthaginis petit. gioni colà ; ed egli, aggiunta alla vecchia sua la
Haud procul aberat, quum velata in fulis ramis flotta nuova di Lentulo, partito da Utica si drizza
que oleae Carthaginiensium occurrit navis. De al porto di Cartagine. Non n'era molto discosto,
cem legati erant principes civitatis, auctore Han quando gli si fe'incontro una nave Cartaginese,
nibale missi ad petendam pacem: qui quum ad velata da infule e rami di ulivo. Erano dieci
puppim praetoriae navis accessissent, velamenta ambasciatori, de primi della città, su la proposta
supplicum porrigentes, orantes, implorantesque di Annibale mandati a chieder la pace: i quali
fidem et misericordiam Scipionis; nullum iis essendosi accostati alla poppa della nave capitana,
aliud responsum datum, quam ut Tunetem veni sporgendo insegne di supplicanti, ed implorando
rent: eo se moturum castra. Ipse ab contemplato la clemenza e misericordia di Scipione, non altra
situ Carthaginis, non tam noscendi in praesentia, risposta fu data loro, se non che venissero a Tu
quam deprimendi hostis causa, Uticam, eodem et neto; ch'egli porterebbe il campo colà. Scipione,
Octavio revocato, rediit. Inde procedentibus ad contemplato il sito di Cartagine, non tanto per
Tunetem nuncius allatus, Verminam, Syphacis conoscerlo al presente, quanto per più deprimere
filium, cum equitibus pluribus, quam peditibus, il nemico, tornossi ad Utica, avendo richiamato
venire Carthaginiensibus auxilio. Pars exercitus cºlà anche Ottavio. Mentre di là si avvicinava a
cum omni equitatu Saturnalibus primis agmen Tuneto, s'ebbe novella che Vermina, figlio di
aggressa, Numidas levi certamine fudit. Exitu Siface, veniva in soccorso dei Cartaginesi con
quoque fugae intercluso, a parte omni circumda più cavalli, che fanti. Parte dell'esercito, assalita
tis equitibus, quindecim millia hominum caesa; quella torma con tutta la cavalleria ne' primi di
mille et ducenti vivi capti sunt, et equi Numidi de Saturnali, sbaraglia con poco sforzo i Numidi;
ci mille et quingenti, signa militaria duo et sep chiusa loro la via del fuggire, perchè circondati
tuaginta. Regulus ipse inter tumultum cum pau da ogni parte dalla cavalleria, ne restaron morti
cis effugit. Tum ad Tunetem eodem, quo antea, sul campo quindici mila, e presi vivi mille dugen
loco castra posita, legatique triginta Carthagine to, con mille e cinquecento cavalli di Numidia, e
ad Scipionem venerunt: et illi quidem multo settanta due insegne militari. Il re nel bollor
miserabilius, quam ante (quo magis cogebat for della mischia fuggì con pochi. Allora si piantò il
tuna), egerunt: sed aliquanto minore cum mise campo a Tuneto nel medesimo luogo, che prima,
ricordia ab recenti memoria perfidiae auditi sunt. e trenta ambasciatori vennero da Cartagine a
In consilio quanduam justa ira omnes ad delen Scipione. Parlaron essi in termini ancor più mi
dam stimulabat Carthaginem; tamen, quum, et serevoli, che innanzi; sì la trista fortuna gli strin
quanta res esset, et quam longi temporis obsidio geva; ma furono uditi con alquanto minor com
tam munitae et tam validae urbis, reputarent, et passione per l'ancor fresca memoria dell'ultima
ipsum Scipionem exspectatio successoris, venturi perfidia. Nel consiglio, benchè un'ira giusta sti
ad paratam alterius labore ae periculo finiti belli molasse tutti alla distruzion di Cartagine, pur
famam, sollicitaret, ad pacem omnium animi ver
Si sunt. -
considerando quanto grande impresa, e di che
lungo tempo sarebbe l'assediare una città così
munita e così forte, e mosso lo stesso Scipione
dall'attender egli il successore, il quale verrebbe
a coglier la gloria, con l'altrui fatica e pericolo
acquistata, di aver finita la guerra, tutti gli animi
si volsero alla pace.
XXXVII. Postero die, revocatis legatis, et XXXVII. Il dì seguente richiamati gli amba
cum multa castigatione perfidiae monitis, ut, tot sciatori, ripresi a lungo della loro perfidia, ed
cladibus edocti. tandem deos et jusjurandum esse ammoniti che ammaestrati da tante stragi final
crederent, conditiones pacis dictae: « Ut liberi mente credessero esserci gli dei, e vindici de'giu
5o5 TITI LIVII LIBER XXX. 5o6

legibus suis viverent. Quas urbes, quosque agros, ramenti, si pronunziarono le condizioni della pa
quibusque finibus ante bellum tenuissent, te ce: «Vivessero liberi colle lor leggi: possedesse
nerent populandique finem eo die Romanus fa ro le città, le terre, e ne'medesimi confini, che
ceret. Perfugas, fugitivosque, et captivos omnes aveano innanzi la guerra, e il Romano in quel dì
redderent Romanis, et naves rostratas, praeter stesso cessasse di saccheggiare. Restituissero ai
decem triremes, traderent, elephantosque, quos Romani i disertori, i fuggiaschi e tutti i prigio
haberent domitos, neque domarentalios. Bellum nieri: consegnassero tutte le navi rostrate, eccet
neve in Africa, neve extra Africam, injussu po to dieci triremi, e gli elefanti domati, che avesse
puli Romani gererent. Masinissae res redderent, ro, nè altri ne domassero. Non facessero guerra
foedusque cum eo facerent. Frumentum stipen nè in Africa, nè fuori senza il consentimento del
diumque auxiliis, donec ab Roma legati redissent, popolo Romano. Restituissero a Masinissa ogni
praestarent Decem millia talentùm argenti, de cosa, e facessero lega con lui. Somministrassero
scripta pensionibus aequis in annos quinquagin frumento e paga agli ausiliarii Romani, sino a
ta, solverent. Obsides centum arbitratu Scipionis tanto che gli ambasciatori tornati fossero da Ro
darent; ne minores quatuordecimannis, neu tri ma. Pagassero dieci mila talenti d'argento in cin
ginta majores. Inducias ita se daturum, si per quant'anni, divisi in rate eguali. Dessero cento
priores induciasmaves onerariae captae, quaeque ostaggi a scelta di Scipione, non minori d'anni
fuissent in navibus, restitueremtur. Aliter nec in
quattordici, non maggiori di trenta. Darebbe tre
ducias, nec spem pacis ullam esse. ” Has condi gua, se le navi da carico, prese durante la tregua
tiones legati quum domum referre jussi in con prima, restituite fossero con quanto c'era dentro.
cione ederent, et Gisgo ad dissuadendam pacem A patti diversi non isperino nè tregua, nè pace. »
processisset, audireturque a multitudine, inquie Gli ambasciatori tornati a casa riferto avendo al
ta eadem et imbelli, indignatus Hannibal, dici l'assemblea del popolo codeste condizioni, ed es
ea in tali tempore audirique, arreptum Gisgonem sendosi fatto innanzi Gisgone a dissuadere la pace,
manu sua ex superiore loco detraxit. Quae insue e prestandogli orecchio la moltitudine, inquieta
ta liberae civitati species quum fremitum populi ad un tempo ed imbelle, sdegnato Annibale, che
movisset, perturbatus militaris virurbana liber in cotal tempo cotali cose si dicessero e si udis
tate, « Novem, inquit, annorum a vobis pro sero, afferrato colle sue proprie mani Gisgone, il
fectus, post sextum et tricesimum annum redii. trasse giù dall'arringo. Il quale atto non solito a
Militares artes, quas me a puero fortuna nunc vedersi in città libera, destato avendo il fremito
privata, nunc publica docuit, probe videorscire. del popolo, l'uomo di guerra turbato da questo
Urbis ac fori jura, leges, mores, vos me oportet tratto di cittadinesca libertà , . Di nove anni,
doceatis. » Excusata imprudentia, de pace mul disse, partito da voi, son tornato dopo trentasei
tis verbis disseruit, quam nec iniqua, et necessa anni. Credo di ben sapere l'arti militari, che ho
ria esset. ld omnium maxime difficile erat, quod apprese sin da fanciullo or dalla privata, or dalla
ex navibus per inducias captis nihil, praeter ipsas pubblica fortuna. Tocca a voi l'insegnarmi le ra
comparebat naves; neque inquisitio erat facilis, gioni, le leggi, le costumanze della città e del fo
adversantibus paci, qui arguerentur. Placuit na ro. » Scusata l'imprudenza, disputò con molte
ves reddi, et homines utique inquiri. Cetera, parole della pace, mostrando che non era del
quae abessent, aestimanda Scipioni permitti; tutto svantaggiosa, ed era necessaria. La cosa più
atque ita pecunia luere Carthaginienses. Sunt, difficile stava in questo, che delle navi prese du
qui Hannibalem ex acie ad mare pervenisse, inde rante la tregua, non altro si trovava, che le navi
praeparata nave ad regem Antiochum extemplo stesse; nè il cercarne riusciva facile, perchè gl'im
profectum tradant; postulantique ante omnia putati si opponevano alla pace. Fu deliberato di
Scipioni, ut Hannibal sibi traderetur, responsum render le navi; gli uomini si cercherebbono.
esse, Hannibalem in Africa non esse. Dell'altre cose, che mancassero, se ne rimettesse
la stima a Scipione, e i Cartaginesi le rifacessero
in danaro. Scrivono alcuni, che dal campo di bat
taglia Annibale si recasse al mare, e di là su nave
preparata passasse subito al re Antioco, e che a
Scipione, il quale innanzi ogni altra cosa doman
dò che gli fosse Annibale consegnato, fu risposto
non esser Annibale in Africa. -

XXXVIII. Postguam redierunt ad Scipionem XXXVIII. Poi che gli ambasciatori tornati
legati; quae publica in navibus fuerant, ex pu furono a Scipione, si commise a questori di di
blicis descripta rationibus quaestores, quae priva chiarare, consultati i pubblici registri, le cose di
5o7 TITI LIVII LIBER XXX. 5o8

ta profiteri domini jussi. Pro ea summa pecuniae pubblica ragione, ch'eran nelle navi, e ai padroni
viginti quinque millia pondo argenti praesentia quelle di ragion privata; per la somma di che fu
exacta; induciaeque Carthaginiensibus datae in rono esatte subito venticinque mila libbre d'ar
tres menses. Additum, ne per induciarum tempus gento, e fu data a Cartaginesi la tregua di tre
alio usquam, quam Romam, mitterent legatos ; mesi. Si aggiunse, che, durante il tempo della
et, quicumque legati Carthaginem venissent, ne tregua, non mandassero ambasciatori altrove, che
ante dimitterent eos, quam Romanum imperato a Roma, e che, qualora ne venissero a Cartagine,
rem, qui, et quae petentes venissent, certiorem non li licenziassero prima di aver fatto conoscere
facerent. Cum legatis Carthaginiensibus Romam al comandante Romano, chi fossero, e che venuti
missi L. Veturius Philo, et M. Marcius Ralla, et a domandare. Cogli ambasciatori Cartaginesi fu
L. Scipio imperatoris frater. Per eos dies com rono mandati a Roma Lucio Veturio Filone e
meatus ex Sicilia Sardiniaque tantam vilitatem Marco Marcio Ralla e Lucio Scipione fratello del
annonae effecerunt, ut pro vectura frumentum comandante. In que giorni medesimi i grani ve
mercator nautis relinqueret. Romae ad nuncium nuti dalla Sicilia e dalla Sardegna cagionarono
primum rebellionis Carthaginiensium trepidatum ne'viveri tal bassezza di prezzo, che il mercadan
fuerat; jussusque erat Ti. Claudius mature in te lasciava a nocchieri il frumento pel noleggio.
Siciliam classem ducere, atque inde in Africam A Roma sul primo avviso che i Cartaginesi avean
trajicere, et alter consul M. Servilius ad urbem riprese l'armi, s'era ridestato il timore, ed era
morari, donec, quo statu res in Africa essent, stato imposto a Tito Claudio di condurre solleci
sciretur. Segniter omnia in comparanda dedu tamente la flotta in Sicilia, e quindi passasse in
cendaque classe ab Ti. Claudio consule facta Africa; e all'altro console Marco Servilio di ri
erant; quod Patres de pace Scipionis potius ar manersi in città sino a tanto, che si sapesse in che
bitrium esse, quibus legibus daretur, quam con stato si trovassero le cose in Africa. ll console Ti
sulis censuerant. Prodigia quoque, nunciata sub to Claudio nell'allestire e trar fuori la flotta face
ipsam famam rebellionis, terrorem attulerant. va ogni cosa lentamente, a motivo che i Padri
Cumis solis orbis minui visus, et pluit lapideo avean deliberato, che fosse in arbitrio di Scipio
imbri: et in Veliterno agro terra ingentibus ca ne piuttosto che del console determinar le leggi,
vernis consedit,arboresque in profundum haustae. con cui si desse la pace. Anche i prodigii annun
Ariciae forum, et circa tabernae, Frusinone mu ziati sul primo avviso della ribellione dei Carta
rus aliquot locis, et porta de coelo tacta: et in ginesi aveano incusso terrore. A Cuma il disco
Palatio lapidibus pluit. Id prodigium more pa del sole era sembrato sminuirsi, ed era piovuto
trio novemdiali sacro, cetera hostiis majoribus pietre. Nel contado Veliterno la terra si avvallò
expiata. Inter quae etiam aquarum insolita ma in grandissime caverne, e gli alberi n'erano stati
gnitudo in religionem versa: nam ita abundavit ingoiati. In Aricia il foro e le botteghe d'intorno,
Tiberis, utludi Apollinares, circo inundato, extra a Frusinone il muro in alquanti luoghi, e la por
portam Collinam ad aedem Erycinae Veneris pa ta erano stati colpiti dal fulmine, e nel monte
rati sint. Ceterum ludorum ipso die, subita sere Palatino piovette pietre. Questo prodigio fu
mitate orta, pompa, duci coepta ad portam Colli espiato secondo il patrio rito con sagrifizii per
mam, revocata deductaque in circum est, quum nove giorni; gli altri con le vittime maggiori.
decessisse inde aquam nunciatum esset: laetitiam Tra le quali cose un'insolita escrescenza d'acque
que populo et ludis celebritatem addidit sedes fu pur volta a tristo presagio; perciocchè il Te
sua solemni spectaculo reddita. vere sì fattamente soverchiò, che i giuochi Apol
linari, inondato il circo, si dovettero preparare
fuor della porta Collina presso al tempio di Ve
nere Ericina; se non che nel giorno stesso dei
giuochi, fattosi il cielo subitamente sereno, la
pompa, che cominciava ad avviarsi verso la porta
Collina, fu richiamata indietro, e condotta nel
circo, venuto essendo l'avviso che l'acqua n'era
partita, ed il consueto luogo restituito al solenne
spettacolo aggiunse letizia al popolo e maggior
concorso alla festa.

XXXIX. Claudium consulem, profectum tam XXXIX. Il console Claudio, partito finalmen
dem ab urbe, interportus Cosanum Lauretanum te da Roma, assalito tra il porto Cusano e quello
que atrox vis tempestatis adorta in metum ingen di Loreto da violentissima burrasca, n'ebbe
tem adduxit. Populonios inde quum pervenis grandissimo terrore. Indi arrivato a Populonia,
-

oo9 TITI LIVII LIBER XXX. 51 o

set, stetissetque ibi, dum reliquum tempestatis e quivi fermatosi insino a tanto, che cessasse la
exsaeviret, Ilvam insulam, et ab Ilva Corsicam, fortuna d'infierire, passò all'isola dell'Ilva, da
a Corsica in Sardiniam trajecit. Ibi superantem Ilva alla Corsica, dalla Corsica in Sardegna. Quivi
Insanos montes, multo et saevior et infestioribus nel passar dinanzi a monti Insani altra burrasca
locis tempestas adorta, disiecit classem. Multae insorta più fiera, e in luoghi più pericolosi, gli
quassatae armamentisque spoliatae naves; quae disperse tutta la flotta. Molte navi furono scon
dam fractae. Ita vexata ac lacerata classis Carales quassate e spogliate de'loro attrezzi; alcune rotte.
tenuit: ubi dum subductae reficiuntur naves, La flotta così travagliata e squarciata approdò a
hiems oppressit; circumactumque anni tempus, Carale; dove, mentre le navi tratte a terra si
et, nullo prorogante imperium, privatus Ti. Clau racconciano, sopraggiunse il verno, e venuto il
dius classem Romam reduxit. M. Servilius, ne fine dell'anno, e non gli essendo prorogato il
comitiorum causa ad urbem revocaretur, dicta comando, ricondusse privato la flotta a Roma.
tore dicto C. Servilio Gemino, in provinciam est Marco Servilio, per non essere richiamato in città
profectus. Dictator magistrum equitum P. Ae alla tenuta dei comizii, nominato dittatore Caio
lium Paetum dixit. Saepe comitia indicta perfici Servilio Gemino, andò alla sua provincia. Il dit
tempestates prohibuerunt. Itaque, quum pridie tatore nominò maestro de'cavalieri Publio Elio
Idus Martias veteres magistratus abissent, novi Peto. Più volte i tempi piovosi non permisero
suffecti non essent, respublica sine curulibus ma che si tenessero i comizii nel giorno intimato.
gistratibus erat. T. Manlius Torquatus pontifex Quindi, essendo usciti di carica i vecchi magistra
eo anno mortuus: in locum ejus suffectus C. Sul ti alla metà di Marzo, nè rifatti i nuovi, la repub
picius Galba. Ab L. Licinio Lucullo et Q. Fulvio blica si stava senza magistrati curuli. Morì in
aedilibus curulibus ludi Romani ter toti instau quest'anno il pontefice Tito Manlio Torquato:
rati. Pecuniam ex aerario scribae viatoresque gli fu surrogato Caio Sulpicio Galba. I giuochi
aedilitii clam egessisse per indicem comperti Romani furono rinnovati tre volte per intiero
damnati sunt, non sine infamia Luculli aedilis. dagli edili Lucio Licinio Lucullo e Quinto Fulvio.
P.Aelius Tubero et L.Laetorius aediles plebis vitio Gli scrivani e ministri degli edili, accusati di aver
creati, magistratu se abdicarunt, quum ludos lu distratto clandestinamente danari dal pubblico
dorumque causa epulum Jovi fecissent, et signa tesoro, furono condannati non senza infamia
tria ex mulctaticio argento facta in Capitolio po dell'edile Lucullo. Publio Elio Tuberone e Lucio
suissent. Cerealia ludos dictator et magister equi Letorio, creati difettosamente edili della plebe,
tum ex senatusconsulto fecerunt. rinunziarono il magistrato, poi ch'ebbero fatto i
giuochi, e all'occasione di questi il banchetto in
onore di Giove, e poste tre statue sul Campido
glio del danaro tratto dalle multe. Il dittatore e
il maestro de'cavalieri per decreto del senato
fecero i giuochi Cereali.
XL. Legati ex Africa Romani simul Cartha XL. Essendo venuti d'Africa a Roma insieme
giniensesque quum venissent Romam, senatus ad coi Cartaginesi gli ambasciatori Romani, si radu
aedem Bellonae habitus est. Ubi quum L. Vetu nò il senato nel tempio di Bellona. Dove avendo
rius Philo, pugnatum cum Hannibale esse supre esposto Lucio Veturio Filone con gran letizia
ma Carthaginiensibus pugna, finemdue tandem de' Padri, che s'era combattuto contro Annibale
lugubri bello impositum ingenti laetitia Patrum in una ultima giornata coi Cartaginesi, e che
exposuisset; adjecit, Verminam etiam, Syphacis s'era terminata finalmente una guerra sì disastro
filium, quae parva bene gestaerei accessio erat, sa, aggiunse che anche Vermina, figlio di Siface,
devictum. In concionem inde prodire jussus, picciola giunta a sì felice successo, era stato vinto.
gaudiumque id populo impartire. Tum patuere, Indigli fu commesso di salire in piazza la ringhie
facta gratulatione, omnia in urbe templa, suppli ra, e comunicare al popolo la grata nuova. Allo
cationesque in triduum decretae. Legatis Cartha ra, dopo le mutue congratulazioni, si apersero
giniensium et Philippi regis (nam ii quoque ve tutti i templi della città, e si decretarono pub
nerant) petentibus, ut senatus sibi daretur, re bliche preghiere per tre giorni. Agli ambasciatori
sponsum jussu Patrum ab dictatore est, consules dei Cartaginesi, e a quelli del re Filippo (ch'eran
novos eis senatum daturos esse. Comitia indeba venuti anche questi) fu per ordine de' Padri
bita. (Anno U. C. 551. – A. C. 2o1.) Creati con risposto dal dittatore, che i nuovi consoli avreb
sules Cn. Cornelius Lentulus, P. Aelius Paetus: bon data loro l'udienza dal senato, che chie
praetores, M. Junius Pennus, cui sors urbana eve devano. Indi si tennero i comizii. (Anni D. R.
mit; M. Valerius Falto Bruttios, M. Fabius Buteo 551. – A. C. 2o1.) Son creati consoli Gneo
5r i TITI LIVII LIBER XXX. 51 a

Sardiniam, P. Aelius Tubero Siciliam est sortitus. Cornelio Lentulo e Publio Elio Peto; pretori
De provinciis consulum nihilante placebat agi, Marco Giunio Penno, cui toccò l'urbana giuris
quam legati Philippi regis et Carthaginiensium dizione; Marco Valerio Faltone ebbe in sorte i
auditi essent. Belli finem alterius, principium alte Bruzii, Marco Fabio Buteone la Sardegna, Publio
rius prospiciebant animis. Cn. Lentulus consul Elio Tuberone la Sicilia. Quanto alle province
cupiditate flagrabat provinciae Africae; seu bel dei consoli, non si voleva prendere alcuna deter
lum foret, facilem victoriam, seu jam finiretur, minazione, prima che si desse udienza agli orato
finiti tanti belli se consule gloriam petens. Ne ri del re Filippo e dei Cartaginesi. Prevedevano
gare itaque prius quidquam agi passurum, quam il fine di una guerra, ed il principio di un'altra.
sibi Africa decreta esset, concedente collega, Il console Gneo Lentulo ardeva di desiderio della
moderato viro et prudenti; qui gloriae ejus provincia d'Africa, o, se ci fosse guerra, aspiran
certamen cum Scipione, praeterquam quod do ad una facile vittoria, o, se questa cessasse,
iniquum esset, etiam impar futurum cernebat. alla gloria di aver egli messo fine, nel suo conso
Q. Minucius Thermus et M.'Acilius Glabrio, tri lato, a guerra sì grande. Dichiarava pertanto, che
buni plebis, « rem, priore anno nequidquam ten non avrebbe permesso, che si trattasse d'altra
tatam ab Ti. Claudio consule, Cn. Cornelium ten cosa, se prima non gli era decretata l'Africa,
tare ajebant. Ex auctoritale Patrum latum ad po consentendogli il collega, uomo moderato e pru
pulum esse, cujus vellent imperium in Africa esse dente, il quale vedeva che codesta lotta di gloria,
Omnes quinque et triginta tribus P. Scipioni id con Scipione, oltre che era cosa ingiusta, sarebbe
imperium decresse. » Multis contentionibus, et in anche stata diseguale. I tribuni della plebe Quinto
senatu et ad populum acta res, postremo eo de Minucio Termo e Marcio Acilio Glabrione dice
ducta est, ut senatui permitterent. Patres igitur vano a tentarsi da Gneo Cornelio la cosa stessa,
jurati (ita enim con venerat)censuerunt, uti consu che avea tentata inutilmente l'anno innanzi il
les provincias inter se compararent, sortirenturve, console Tito Claudio. S'era per decreto del sena
uter Italiam, uter classem navium quinqua to proposto al popolo a chi volesse egli dare il
ginta haberet. Cui classis obvenisset, in Siciliam comando dell'Africa, e tutte le trentacinque tribù
navigaret: si pax cum Carthaginiensibus compo l'aveano conferito a Publio Scipione. » Questo
mi mequisset, in Africam trajiceret. Consul mari, affare fu trattato con molti contrasti in senato e
Scipio eodem, quo adhuc, jure imperii terra rem presso al popolo; in fine la cosa si ridusse a que
gereret. Si conditiones convenirent pacis, tribuni sto, che se ne lasciasse l'arbitrio al senato. I Padri
plebis populum rogarent, utrum consulem, an dunque con giuramento (chè così s'erano accor
P. Scipionem, juberent pacem dare; et quem, si dati) deliberarono che i consoli si dividessero tra
deportandus exercitus victor ex Africa esset, de loro, o per la via della sorte, le province, e un
portare. Si pacem per P. Scipionem dari, atque di loro avesse l'Italia, l'altro una flotta di cin
ab eodem exercitum deportari jussissent, ne con quanta navi. Quegli, cui toccasse la flotta, navi
sul ex Sicilia in Africam trajiceret. Alter consul, gasse in Sicilia; se non si potesse convenir della
cui Italia evenisset, duas legiones a M. Sextio pace coi Cartaginesi, passasse in Africa. Il console
praetore acciperet. per mare, Scipione comandasse per terra col po
tere stesso, che aveva avuto fino a quel dì. Se si
convenisse delle condizioni, i tribuni della plebe
proponessero al popolo, chi dovesse dar la pace,
se il console, ovvero Scipione, e chi, se si dovesse
ricondur l'esercito vincitore dall'Africa, il ricon
ducesse. Se il popolo avesse ordinato che Publio
Scipione desse la pace, e ch'egli stesso ricondu
cesse l'esercito, il console non più passasse dalla
Sicilia in Africa. L'altro console, cui toccata fosse
l'Italia, ricevesse due legioni dal pretore Marco
Sestio.
XLI. P. Scipioni cum exercitibus, quos habe XLI. A Publio Scipione fu prorogato il co
ret, in provincia Africa prorogatum imperium. mando nell'Africa cogli eserciti, che aveva. Si
Praetori M. Valerio Faltoni duae legiones in assegnarono al pretore Marco Valerio Faltone le
Bruttiis, quibus C. Livius priore anno praefue due legioni ne' Bruzii, ch'erano state l'anno in
rat, decretae. P. Aelius praetor duas legiones in manzi di Caio Livio: il pretore Publio Elio rice
Sicilia ab Cn. Tremellio acciperet. Legio una M. vesse nella Sicilia le due legioni di Gneo Tremel
Fabio in Sardiniam, quam P. Lentulus pro prae lio. Si assegna a Marco Fabio nella Sardegna una
TITI LIVII I, BER X XX. 514
tore habuisset, decernitur. M. Servilio prioris legione ch'era stata del propretore Publio Lentu
anni consuli, cum suis duabus item legionibus in lo. Parimenti si prorogò il comando nella Tosca
Etruria prorogatum imperium est. Quod ad Hi na a Marco Servilio, console dell'anno antece
spanias attineret, aliquot jam annos ibi L. Cor dente colle sue due legioni. Quanto alla Spagna,
nelium Lentulum et L. Manlium Acidinum esse. essendo quivi da alquanti anni Lucio Cornelio
Uti consules cum tribunis agerent, si eis videre Lentulo e Lucio Manlio Acidino, che i consoli
tur, ut plebem rogarent, cui juberent in Hispa trattassero coi tribuni, onde, se così loro paresse,
nia imperium esse, Is ex duobus exercitibus in proponessero al popolo, a chi volesse che ne
umam legionem conscriberet Romanos milites, et fosse dato il governo. Quegli, cui fosse dato, di
in quindecim cohortes socios Latini nominis, due eserciti formasse una legione di soldati Ro
quibus provinciam obtineret: veteres milites L. mani, e quindici coorti di alleati del nome
Cornelius et L. Manlius in Italiam deportarent. Romano, co'quali tenesse quella provincia: Lucio
Cornelio consuli quinquaginta navium classis ex Cornelio e Lucio Manlio trasportassero in Italia
duabus classibus, Cn. Octavii, quae in Africa esset, i vecchi soldati. Si decretò al console Cornelio
P. Villii, quae Siciliae oram tuebatur, decreta; una flotta di cinquanta navi, con facoltà di sce
ut, quasnaves vellet, deligeret. P. Scipio quadra gliersi quelle, che più volesse, dalle due flotte,
ginta longas maves haberet, quas habuisset. Qui una di Gneo Ottavio, ch'era in Africa, l'altra di
rus si Cn Octavium; sicut praefuisset, praeesse Publio Villio, che guardava la costa di Sicilia.
vellet, Octavio pro praetore in eun annum im Publio Scipione avesse le quaranta navi lunghe,
perium esset: si Laelium praeficeret, Octavius che aveva; al governo delle quali se volesse che
Romam decederet, reduceretque naves, quibus restasse, com'era innanzi, Gneo Ottavio, proro
consuli usus non esset. Et M. Fabio in Sardiniam gato fosse al medesimo, in qualità di propretore,
decem longae naves decretae: et consules duas il comando per quell'anno; ma se ci mettesse
regtones urbanas scribere jussi: ut quatuordecim Lelio, Ottavio tornasse a Roma e riconducesse le
Regionibus eo anno, centum navibus longis res navi, che fossero di nessun uso al console. Anche
Publica administraretur. a Marco Fabio furon decretate dieci navi lunghe
in Sardegna. Fu commesso a consoli, che levas
sero dae legioni in città; acciocchè in quell'anno
la repubblica avesse a sua disposizione quattordici
legioni e cento navi lunghe.
XLII. Tum de legatis Philippi et Carthagi XLII. Allora si cominciò a trattare degli ora
niensium actum. Priores Macedonas introduci tori di Filippo e dei Cartaginesi. Piacque che
placuit : quorum varia oratio fuit, partim pur prima s'introducessero i Macedoni; i quali ten
gantium, quae questi erant missi ad regem a Ro nero un discorso vario, parte purgandosi delle
ma legati de populatione sociorum ; partim ultro cose, di che s'erano querelati gli ambasciatori da
accusantium quidem et socios populi Romani, Roma spediti al re intorno al saccheggio degli
sed multo infestius M. Aurelium (quem ex tribus alleati; parte accusando anzi eglino stessi gli allea
ad se missis legatis, delectu habito, substitisse, et ti del popolo Romano, e molto più acremente
se bello lacessisse contra foedus, et saepe cum Marco Aurelio (il quale, uno dei tre ambasciatori
praefectis suis signis collatis pugnasse); partim spediti al re, fatta una leva, s'era fermato colà, e
postulantium, ut Macedones duxque eorum So lo avea provocato in guerra contro la fede dell'al
pater, qui apud Hannibalem mercede militassent, leanza, e sovente venuto era alle mani co'di lui
captique in vinculis essent, sibi restitueremtur. prefetti), parte chiedendo che si restituisser loro
Adversus ea M. Furius, missus ad id ipsum ab i Macedoni e il loro comandante Sopatro, i quali
Aurelio ex Macedonia, disseruit, « Aurelium re avean per mercede militato con Annibale, ed era
lictum, ne socii populi Romani, fessi populationi no stati fatti prigioni. A queste doglianze rispose
bus atque injuria, ad regem deficerent, finibus Marco Furio, mandato dalla Macedonia a questo
sociorum non excessisse: dedisse operam, ne im effetto da Marco Aurelio, . che Aurelio, rimasto
pune in agros eorum transcenderent populatores. nel paese, acciocchè gli alleati del popolo Roma
Sopatrum ex purpuratis et propinquis regis esse: no, stanchi de saccheggi e degl'insulti non si des
eum cum quatuor millibus Macedonum et pecu sero al re, non era uscito mai dai lor confini;
mia missum muper in Africam esse Hannibali che s'era solamente adoperato ad impedire che i
Carthaginiensibusque auxilio. “ De his rebus in predatori non passassero impunemente sulle terre
terrogati Macedones, quam perplexe responde degli alleati. Sopatro esser uno dei porporati e
rent ipsi, ante responsum tulerunt. . Bellum dei parenti del re, e ch'era stato poco innanzi
quaerere regem, et, si pergat, propediem inven mandato in Africa con quattro mila Macedoni º
Livio 2 33
5 15 TITI LIVII LIBER XXX. 516

turum. Dupliciter ab eo foedus violatum, et quod con danaro a soccorso di Annibale e dei Cartagi
sociis populi Romani injurias fecerit, bello armis nesi. ” Su di che interrogati i Macedoni, e ri
que lacessierit: et quod hostes auxiliis et pecunia spondendo ambiguamente, ne riportarono essi
juverit. Et P. Scipionem recte atque ordine vi stessi questa risposta: « che il re cercava la guer
deri fecisse et facere, quod eos, qui arma contra ra, e se continua così, l'avrà ben tosto. Aver egli
populum Romanum ferentes capti sunt, hostium violata l'alleanza doppiamente, e coll'aver fatto
numero in vinculis habeat, et M. Aurelium e re ingiuria agli alleati del popolo Romano, e pro
publica facere, gratumque id senatui esse, quod vocatili con la guerra e con l'armi, e coll'aver
socios populi Romani, quando jure foederis non soccorso i nemici di gente e di danaro. Aver fatto
posset, armis tueatur. » Cum hoc tam tristi re e far rettamente ed a buon dritto Scipione, rite
sponso dimissis Macedonibus, legati Carthaginien nendo prigioni e nel numero di nemici coloro,
ses vocati. Quorum aetatibus dignitatibusque ch'erano stati presi coll'armi in mano contro il
conspectis (nam longe primi civitatis erant) tum popolo Romano, e condursi Marco Aurelio da
pro se quisque dicere, vere de pace agi. Insignis buon cittadino, e far cosa grata al senato, difen
tamen interceteros Hasdrubal erat (Haedum po dendo coll'armi gli alleati del popolo Romano,
pulares cognomine appellant) pacis semper auctor quando non potea colla ragione dell'alleanza. "
adversusque factioni Barcinae. Eo tum plus illi Licenziati i Macedoni con questa dura risposta,
auctoritatis fuit, belli culpam in paucorum cupi furon chiamati gli oratori Cartaginesi; al veder
ditatem a republica transferenti. Qui quum varia l'età e la dignità de'quali (ch'erano de'primis
oratione usus esset, nunc purgando crimina, nunc simi della città) ognuno disse tra sè, trattarsi ora
quaedam fatendo, ne impudenter certa neganti daddovero della pace. Tra tutti però era Asdru
bus difficilior venia esset, nunc monendo etiam bale il più insigne (i suoi concittadini lo chiama
Patres conscriptos, ut rebus secundis modeste ac vano Edo), autore sempre della pace e contrario
moderate uterentur; « Si se atque Hannonem alla fazione Barcina. Quindi ebbe egli allora mag
audissent Carthaginienses, et tempore uti voluis gior credito per trasferire dalla repubblica sulla
sent, daturos fuisse pacis conditiones, quas tunc cupidigia di pochi la colpa della guerra. Il quale
peterent. Raro simut haminibus bonam fortunam avendo variamente discorso, ora purgando le ac
bonamque mentem dari. Populum romanum co cuse, or confessandone vere alcune, acciocchè,
invictum esse, quod in secundis rebus sapere et negando impudentemente ciò ch'era certo, non
consulere meminerit : et, hercule, mirandum fosse più difficile il perdono, ora exiandio avvi
fuisse, si aliter facerent. Ex insolentia, quibus sando i Padri, che usassero modestamente e mo
nova bona fortuna sit, impotentes laetitiae insa deratamente della prosperità, aggiunse: « Se i
mire. Populo Romano usitata ac prope jam obso Cartaginesi avessero prestato orecchio a lui e ad
leta ex victoria gaudia esse; ac plus pene parcendo Annone, e voluto pigliare il tempo, dettate
victis, quam vincendo, imperium auxisse. » Cete avrebbono le condizioni della pace, che ora
rorum miserabilior oratio fuit, commemorantium, chiedono. Rade volte è data agli uomini ad un
« Ex quantis opibus quo recidissent Carthagi tempo mente buona e buona fortuna. È invinci
niensium res: nihil eis, qui modo orbem prope bile il popolo Romano per questo, perchè nei
terrarum obtinuissent armis, superesse, praeter tempi prosperi sa esser saggio, e maturamente
Carthaginis moenia. Iis inclusos, non terra, non deliberare; e per verità, sarebbe maraviglia che
mari quidquam sui juris cernere. Urbem quoque altrimenti facesse. Coloro che non sono avvezzi
ipsam ac penates ita habituros, si non in ea quo alla nuova buona fortuna, non capendo in sè per
que, quo nihil ulterius sit, saevire populus Ro la gioia, impazzano. Al popolo Romano l'allegrar
manus velit. » Quum flecti misericordia Patres si per la vittoria è cosa usitata e fatta quasi già
appareret, senatorum unum infestum perfidiae vieta, ed aveano accresciuto l'impero più che col
Carthagimiensium succlamasse ferunt, « Per quos vincere, col perdonare ai vinti. Il discorso degli
deos foedus icturi essent, quum eos, per quos altri fu assai più miserevole, ricordando a da che
ante ictum esset, fefellissent? Per eosdem, inquit altezza di fortuna caduto fosse lo stato dei Carta
Hasdrubal, qui tam infesti sunt foedera violanti ginesi: avendo quasi coll'armi signoreggiato il
bus. me
mondo tutto, non altro restava loro, che le mura
di Cartagine. Rinchiusi in queste non vedevano
nè per mare nè per terra cosa, che fosse di ra
gion loro, e non avrebbon conservata la città
stessa e le lor case, se non se qualora non voglia
il popolo Romano incrudelire eziandio contro
questo solo che resta loro. » Parendo, che i Pa
TITI LIVII LIBER XXX. 518
517
dri si piegassero a compassione, dicesi, che un
senatore, corrucciato della perfidia dei Cartagi
nesi, esclamasse, « per quali dei giurato avrebbo
mo di mantenere l'accordo, poi che aveano in
gannato quelli, de'quali giurarono l'altra volta?
per quegli stessi, rispose Asdrubale, che son
ora avversi tanto ai violatori dei patti. »
XLIII. Inclinatis omnium ad pacem animis, XLIII. Piegando tutti gli animi verso la pace,
Cn. Lentulus consul, cui classis provincia erat, il console Gneo Lentulo, che aveva il governo
senatusconsulto intercessit. Tum M. Acilius et Q. della flotta, si oppose alla deliberazione del sena
Minucius tribuni plebis ad populum tulerunt, to. Allora i tribuni della plebe Marcio Acilio e
a Vellent, juberentne senatum decernere, ut cum Quinto Minucio proposero al popolo, a Se volesse
Carthaginiensibus pax fieret: et quem eam pa e comandasse che il senato determinasse, se si
cem dare, quemque ex Africa exercitus deportare avesse a far la pace coi Cartaginesi, e chi dovesse
juberent? » De pace, uti rogassent, omnes tribus darla e ricondurre gli eserciti dall'Africa. » Tut
jusserunt: pacem dare P. Scipionem, eumdem te le tribù deliberarono secondo la proposta, e
exercitus deportare. Ex hac rogatione senatus che Scipione desse la pace, ed egli stesso ricon
decrevit, ut P. Scipio ex decem legatorum sen ducesse gli eserciti. Sopra codesta deliberazione
tentia pacem cum populo Carthaginiensi, quibus il senato decretò: che Publio Scipione col parere
legibus ei videretur, faceret. Gratias deinde Pa di dieci legati facesse la pace coi Cartaginesi a
tribus egere Carthaginienses, petieruntque, ut que'patti, che gli paresse. Indi i Cartaginesi rin
sibi in urbem introire, et colloqui cum civibus graziarono i Padri e domandarono, che fosse lo
suis liceret, qui capti in publica custodia essent: ro permesso di entrare in città, e parlare coloro
esse in iis partim propinquos amicosque suosmo concittadini, ch'eran guardati nelle pubbliche
biles homines ; partim ad quos mandata a pro prigioni: esserci tra questi in parte del loro pa
pinquis haberent. Quibus conventis, quum rursus renti ed amici, persone nobili, in parte alcuni,
peterent, ut sibi, quos vellent, ex iis redimendi pe'quali aveano avute commissioni da lor con
potestas fieret; jussi nomina edere: et, quum giunti. Visitati i quali, avendo nuovamente chie
ducentos ferme ederent, senatusconsultum fa sto, che fosse loro permesso di riscattare quelli
ctum est, « Ut legati Romani ducentos ex capti che volessero, fu risposto che ne dessero i nomi,
vis, quos Carthaginienses vellent, ad P. Corne ed avendone nominati da dugento, il senato de
lium Scipionem in Africam deportarent, nuncia cretò, « che gli ambasciatori Romani menassero
rentoue ei, ut, si pax convenisset, sine pretio eos a Scipione in Africa dugento de'prigioni che vo
Carthaginiensibus redderet. » Feciales quum in lessero i Cartaginesi, e gli dicessero che, se si
Africam ad foedus feriendum ire juberentur, conchiudeva la pace, li rendesse ai Cartaginesi
ipsis postulantibus, senatusconsultum in baec senza prezzo. » Essendosi commesso ai Feciali,
verba factum est: a Ut privos lapides silices, pri che andassero in Africa a sancire la pace, fu fatto
vasque verbenas secum ferrent: uti praetor Ro a richiesta loro il seguente decreto: sº che portas
manus his imperaret, ut foedus ferirent, illiprae sero seco le sacre selci e le sacre verbene, e che
torem sagmina poscerent. » Herbae id genus ex
come il pretore Romano avesse loro ordinato che
arce sumptum dari Fecialibus solet. Ita dimissi ab sancissero l'accordo, gli chiedessero le sagmine.”
Roma Carthaginienses, quum in Africam venis È questa una specie d'erba, che presa dalla rocca
sent ad Scipionem, quibus ante dictum est legi del Campidoglio si suol dare ai Feciali. In questa
bus, pacem fecerunt Naves longas, elephantos
guisa licenziati i Cartaginesi da Roma, come fu
perfugas, fugitivos, captivorum quatuor millia rono venuti in Africa a Scipione, fecero la pace
tradiderunt; inter quos Q. Terentius Culleo se
a patti, che si è detto. Consegnarono le navi lun
mator fuit. Naves provectas in altum incendi jus ghe, gli elefanti, i disertori, i fuggitivi e quattro
mila prigioni; tra quali fu Quinto Terenzio Cul
sit: quingentas fuisse omnis generis, quae remis
agerentur, quidam tradunt: quarum conspectum leone senatore. Le navi, mandatele in alto mare,
repente incendium tam lugubre fuisse Poenis, le fe'abbruciare. Erano, dicono alcuni, cinque
quam si tum ipsa Carthago arderet. De perfugis cento d'ogni sorte, di quelle che vanno a remi;
gravius, quam defugitivis, consultum: nominis l'incendio delle quali veduto tutto ad un tratto,
Latini qui erant, securi percussi; Romani in cru fu spettacolo non men lugubre ai Cartaginesi,
cem sublati. che se ardesse allora Cartagine stessa. Si puniro
-
no più gravemente i disertori, che i fuggitivi;
quelli del nome Latino furono decapitati, i Ro
mani messi in croce.
5 19 TI I I I I VIl LIBER XXX. - 52e
XLIV. Annis ante quadra ginta pax cum Car XLIV. Quarant'anni innanzi s'era fatta l'ulti
thagimiensibus postremo facta erat, Q. Lutatio, ma pace coi Cartaginesi, consoli essendo Quinto
A. Manlio consulibus: bellum initum annis post Lutazio ed Aulo Manlio: s'era ripigliata la guer
tribus et viginti, P. Cornelio, Ti Sempronio con ra dopo venti tre anni, nel consolato di Publio
sulibus: finitum est septimo decimo anno, Cn. Cornelio e di Tito Sempronio: fu finita dopo
Cornelio, P. Aelio Paeto consulibus. Saepe postea diciassette anni in quello di Gneo Cornelio e di
ferunt Scipionem dixisse, Ti. Claudii primum cu Publio Elio Peto. Narrano che Scipione dicesse
piditatem, deinde Cn. Cornelii, fuisse in mora, spesso dappoi, che l'ambizione prima di Tito
quo minus id bellum exitio Carthaginis finiret. Claudio, poscia di Gneo Cornelio era stata d'im
" quum prima collatio pecuniae diutino pedimento, che quella guerra non si fosse termi
nata coll'eccidio di Cartagine. Parendo a Car
bello exhaustis difficilis videretur, moestiti aque
et fletus in curia esset, ridentem Hannibalem fe tagine difficile quel primo contamento di danaro, ()
runt conspectum : cujus quum Hasdrubal Haedus esausti com'erano da sì lunga guerra, ed essendo
risum increparet in publico fletu, quum ipse la la curia mesta ed in pianto, dicono essersi vedu
crymarum causa esset; «Si, quemadmodum oris to Annibale ridere. Il cui riso in quel pubblico
habitus cernitur oculis, inquit, sic et animus in compianto essendogli rimproverato da Asdrubale
tus cerni posset, facile vobis appareret, non laeti, Edo, mentr'egli, Annibale, era la cagione di
sed prope amentis malis cordis hunc, quem in quelle lagrime; . Se come, disse, si vede di fuori
crepatis, risum esse. Qui tamen nequaquam adeo cogli occhi l'atteggiamento del viso, così pure
est intempestivus, quam vestrae istae absurdae at veder si potesse l'animo dentro, scorgereste fa
queabhorrentes lacrymae sunt. Tunc flesse decuit, cilmente codesto riso, che biasimate, non prove
quum adempta nobis arma, incensae naves, inter nire da lieto cuore, ma sì da unanimo quasi fuor
dictum externis bellis: illo enim vulnere concidi di senno per le sciagure; riso però, che non è
mus. Nec esse in vos, odio vestro, consultum ab così fuor di stagione, quanto codeste vostre la
Romanis credatis. Nulla magna civitas diu quie grime sono assurde e inopportune. Allora pianger
scere potest: si foris hostem non habet, domi in si doveva, quando ci furono tolte l'armi, abbru
venit; ut praevalida corpora ab externis causis ciate le navi, proibite le guerre esterne : quella
tuta videntur, sed suis ipsa viribus onerantur. sì fu la ferita, che ci trasse a morte. Nè vi fate a
Tantum nimirum ex publicis malis sentimus, credere che i Romani provveduto abbiano al
quantum ad privatas res pertinet; mec in eis l'odio, che vi portate l'un l'altro. Nessuna grande
quidquam acrins, quam pecuniae dammum stimu città può lungamente starsi quieta Se non ha un
lat. Itaque, quum spolia victae Carthagini detra nemico fuori, ne trova in casa; come i corpi più
hebantur, quum inermem jam ac nudam destitui robusti sembrano difesi dalle ingiurie esterne,
intertot armatas gentes Africae cerneretis, nemo ma son oppressi dal carico dalle lor forze mede
ingemuit: nunc, quia tributum ex privato con sime. Non ci risentiamo de'mali pubblici se non
ferendum est, tamquam in publico funere com tanto quanto appartiene agl'interessi privati; nè
ploratis. Quam vereor, ne propediem sentiatis, di quelli altro più acremente ci punge, che il
levissimo in malo vos hodie lacrymasse! » Haec danno del danaro. Quindi allor che si spogliava
Hannibal apud Carthaginienses. Scipio, concione la vinta Cartagine, allor che la vedemmo già la
advocata, Masinissam ad regnum paternum Cirta sciarsi inerme e abbandonata in mezzo a tanti
oppido et ceteris urbibus agrisque, quae ex regno popoli armati dell'Africa, nessuno trasse un
Syphacis in populi Romani potestatem venissent, sospiro. Ora, perchè conviene contribuire del
adjectis donavit. Cn. Octavium classem in Sici privato, piangete come in un pubblico funerale.
liam ductam Cn. Cornelio consuli tradere jussit: Quanto temo, che non abbiate ad accorgervi tra
legatos Carthaginiensium Romam proficisci, ut poco, che avete oggi pianto per un male legge
quae ab se ex decem legatorum sententia acta es rissimo! » Così Annibale ai Cartaginesi. Scipio
sent, ea Patrum auctoritate populique jussu con ne, chiamato l'esercito a parlamento, donò a Ma
firmarentur. sinissa per ginnta, oltre il regno paterno, Cirta
e l'altre città e terre, che state già di Siface, ve
mute erano in potere del popolo Romano. Ordi
mò che Gneo Ottavio, condotta la flotta in Sici
lia, la consegnasse al console Gneo Cornelio, e che
gli ambasciatori Cartaginesi andassero a Roma,
acciocchè le cose, ch'egli avea fatte col parere
dei dieci legati, confermate fossero dall'autorità
del senato e dai suffragii del popolo.
52 I 1 l'l'I LIVII LIBER XXX. 522

XLV. Pace terra marique parta, exercitu in XLV. Conquistata la pace per mare e per
naves imposito, in Siciliam Lilybaeum trajecit: terra, messo l'esercito sulle navi, Scipione venne
inde magna parte militum in navibus missa, ipse in Sicilia al Lilibeo. Poscia, imbarcata la maggior
per laetam pace non minus, quam victoria, Italiam, parte dell'esercito, egli per mezzo all'Italia, non
effusis non urbibus modo ad habendos honores, meno lieta per la pace, che per la vittoria, usci
sed agrestium etiam turba obsidente vias, Romam tegli incontro a fargli onore non solamente le
pervenit, triumphoque omnium clarissimo urbem città tutte, ma eviandio le strade ingombrando
est invectus. Argenti tulit in aerarium pondo affollata turba di contadini, giunse a Roma, ed
centum millia viginti tria: militibus ex praeda entrò in città, menando il più chiaro trionfo che
quadragenos aeris divisit. Morte subtractus spe fosse mai stato. Portò nell'erario cento e venti
ctaculo magis hominum, quam triumphantis glo tre mila libbre d'argento; della preda divise ai
riae, Syphax est, Tibure haud ita multo ante soldati quaranta danari per ciascuno. La morte
mortuus, quo ab Alba traductus fuerat. Conspe sottrasse Siface piuttosto allo spettacolo della
cta mors tamen eius fuit, quia publico funere est gente, che alla gloria del trionfatore, morto es
elatus. Hunc regem in triumpho ductum Poly sendo poco innanzi a Tivoli, dov'era stato con
bius, handquaquam spernendus auctor tradit. Se dotto da Alba. Fu però la di lui morte messa alla
cutus Scipionem triumphantem est, pileo capiti vista di tutti, essendo stato seppellito con pub
imposito, Q. Terentius Culleo, omnique deinde blico funerale. Polibio, stimabilissimo autore,
vita, ut dignum erat, libertatis auctorem coluit. scrive che il corpo del re fu condotto in trionfo.
Africanum cognomen militaris prius favor, an Quinto Terenzio Culleone seguitò Scipione trion
popularis aura, celebraverit, an, sicuti Felicis fante col berretto in testa; indi per tutta la sua
Sullae Magnique Pompeji patrum memoria, coe vita il riconobbe, com'era dovere, quale autore
ptum ab assentatione familiari sit, parum com della sua libertà. Non so abbastanza, se il cogno
pertum habeo. Primus certe hic imperator nomi me di Africano venisse per la prima volta ad ono
ne victae ab se gentis est nobilitatus. Exemplo rare Scipione dal favore dei soldati, o dall'aura
deinde hujus, nequaquam victoria pares, insignes popolare, o dall'adulazione de'suoi famigliari, co
imaginum titulos claraque cognomina familiae me quello al tempo dei nostri Padri di Silla il
fecere. -

Felice, di Pompeo il Grande. Fu egli certo il pri


mo comandante di eserciti, nobilitato col nome
della da lui vinta nazione. Indi ad esempio di
lui altri, non pari certo per le vittorie, ne ador
marono i titoli delle immagini, ed illustrarono i
nomi delle lor famiglie.
TITI LIVII PATAVINI

H I S T O R I A R U MI
AB URBE CONDITA LIBRI

+8 (933 -

EPITOME

LIBRI TRIGESIMI PRIMI

Belli adversus Philippum Macedoniae regem, quod Della guerra già intermessa, ed ora rinnovata com
intermissum erat, repetiti causae referuntur hae. tro Filippo re di Macedonia, le cagioni che si dico
Tempore Initiorum duo juvenes Acarnanes, qui non no, son queste. Al tempo delle Iniziazioni ai misterii
initiati erant, Athenas venerunt, et in sacrarium di Cerere due giovani Acarnani, che non erano ini
Cereris cum aliis popularibus suis intraverunt: ob hoc, ziati, vennero in Atene, e con altri lor popolani en
tamquam nefas summum commisissent, ab Athenien trarono nel tempio della dea, per il che, come se
sibus caesi sunt. Acarnanes, mortibus suorum commoti, avessero commesso un gravissimo misfatto, furono
ad vindicandos illos auxilium a Philippo petierunt. uccisi dagli Ateniesi. Gli Acarnani, irritati della
Paucis mensibus post pacem Carthaginiensibus datam, morte de'suoi, onde vendicarla, chiesero aiuto a Filippo.
quingentesimo quinquagesimo anno ab urbe condita, Pochi mesi dopo la pace data ai Cartaginesi, cinque
quum Athemiensium, qui obsidebantur a Philippo, legati cento e cinquant'anni dalla fondazione di Roma,
ouxilium a senatu petissent, et senatus id censuisset avendo gli ambasciatori degli Ateniesi, ch'erano as
ferendum, plebe, quod tot bellorum continuus labor sediati da Filippo, chiesto soccorso ai Romani, ed
gravis erat, dissentiente, tenuit auctoritas Patrum, ut avendo il senato giudicato, che si desse, dissentendo
sociae civitati ſerri opem populus quoque juberet. Bel la plebe stanca del continuo travaglio per si lunghe
lum id P. Sulpicio consuli mandatum est: qui, crer guerre, l'autorità de'Padri tanto prevalse, che anche
citu in Macedoniam ducto, equestribus proelis cum il popolo determinò, che la città alleata fosse soccorsa.
Philippo prospere pugnavit. Abydeni a Philippo ob Fu questa guerra commessa al console Publio Sulpi
sessi, ad exemplum Saguntinorum, suos segue occide cio; il quale, condotto l'esercito nella Macedonia,
runt. L. Furius praetor Gallos Insubres rebellantes combattè con prospero successo contro Filippo in
at Hamilcarem Poenum, bellum in ea parte molien alcuni scontri di cavalleria. Gli Abideni, assediati
tem, acie vicit. Hamilcar eo bello occisus est, et da Filippo, all'esempio de Saguntini, sè uccisero ed
millia hominum triginta sez. Praeterea expeditiones i suoi. Il pretore Lucio Furio vinse in giornata com
Philippi regis et Sulpicii consulis, expugnationesque pale i Galli Insubri, che si erano ribellati, e Amil
527 TITI LIVII EPIT OME LIBRI TRlGESIMI PRIMI 528

urbium ab utroque factas, continet. Sulpicius consul, care Cartaginese, che ridestava la guerra in quella
adjuvantibus rege Attalo et Rhodiis, bellum gerebat. I parte. In quel fatto Amilcare fu ucciso, e con lui
Triumphavit de Gallis L. Furius praetor. trentasei mila uomini. Il libro contiene inoltre la

spedizioni del re Filippo e del console Sulpicio, e le


città prese dall'uno e dall'altro. Il console Sulpicio
guerreggiava, assistito dal re Attalo e dai Rodiani,
Il pretore Lucio Furio trionfo dei Galli.
TITI LIVII

L I B E R TR I G E S I M U S P R I M US

i> &G;

I. (Anno U. C. 551. – A. C. 2o1.) Me quoque I. (Anni D. R. 551. – A. C. 2o1.) M, allegro


juvat, velut ipse in parte laboris ac periculi fue anch'io, quasi fossi stato a parte io pure della
rim, ad finem belli Punici pervenisse: nam etsi fatica e del pericolo, d'essere giunto al termine
profiteri ausum, perscripturum res omnes Roma della guerra Punica. Perciocchè quantunque non
mas, in partibus singulis tanti operis fatigari mi convenga che, avendo osato professare di volere
mime conveniat; tamen, quum in mentem venit, scrivere tutti i fatti de Romani, io mi stanchi in
tres et sexaginta annos (tot enim sunt a primo nessuna parte di sì grand'opera, nondimeno,
Punico ad secundum bellum finitum) aeque multa quando mi sovviene, che sessantatrè anni (chè
volumina occupasse mihi, quam occuparint qua tanti sono dalla prima guerra Punica alla seconda
dringenti octoginta octo anni a condita urbe ad finita) mi occuparono un numero di volumi
Ap. Claudium consulem, qui primus bellum Car eguale a quello, che mi hanno occupato gli anni
thaginiensibus intulit; jam provideo animo, ve quattrocento ottantotto dalla fondazione di Roma
lut qui proximis litori vadis inducti mare pedi sino al console Appio Claudio, che primo mosse
bus ingrediuntur, quidquid progredior, in va guerra ai Cartaginesi, già prevedo col pensiero,
stiorem me altitudinem, ac velut profundum in come coloro, che messo il piede nei guadi pros
vehi, et crescere pene opus, quod prima quae simi al lido, entrano in mare, che quanto più
queperficiendo minui videbatur. Pacem Punicam m'inoltro, in tanto più vasto fondo son balzato,
bellum Macedonicum excepit, periculo haudqua e quasi in un abisso, e scorgo quasi crescermi
quam comparandum, aut virtute ducis, aut mi fra le mani il lavoro, che nel compiere successi
litum robore; claritate regum antiquorum, ve vamente le prime parti, parea scemarsi. La pace
tustaque fama gentis, et magnitudine imperii, Punica fu immediatamente seguita dalla guerra
quo multam quondam Europae, majorem partem Macedonica, non punto paragonabile all'altra ne
Asiae obtinuerant armis, prope nobilius. Ceterum
quanto al pericolo, nè quanto all'abilità del ca
coeptum bellum adversus Philippum decem fer pitano ed al valore de' soldati, ma quasi più
me ante annis, triennio prius depositum erat, illustre per la grandezza di antichi re, e per la
quum Aetoli et belli et pacis fuissent causae. fama della nazione e l'ampiezza della domina
Vacuos deinde pace Punica jam Romanos et in zione, colla quale aveano, mediante l'armi, occu
fensos Philippo, quum ob infidam adversus Ae pata un tempo gran parte dell'Europa, e più
tolos aliosque regionis eiusdem socios pacem, gran parte dell'Asia. Del resto, la guerra inco
tum ob auxilia cum pecunia nuper in Africam minciata quasi dieci anni innanzi contro Filippo,
missa Hannibali Poenisque, preces Atheniensium, era stata da tre anni intralasciata, essendo stati
quos agro pervastato in urbem compulerat, ex gli Etoli cagione e della guerra e della pace. Po
cita verunt ad removandum bellum. scia le preghiere degli Ateniesi, che Filippo, sac
cheggiato il lor contado, avea confinati nella
città, mossero i Romani a rinnovare la guerra,
disoccupati, com'erano, re" pace Punica, e
Livio 2 1
53 i TITI LIVII LIBER XXXI. 532

indisposti contro Filippo sì per la pace mal osser


vata contro gli Etoli, e contro gli altri alleati di
quel paese, sì pe'soccorsi, anche di danaro, ulti
mamente mandati in Africa ad Annibale ed ai
Cartaginesi.
II. Sub idem fere tempus et ab Attalo rege. lI. Quasi nel tempo medesimo eran venuti
et Rhodiis legati venerunt, nunciantes. Asiae ambasciatori anche del re Attalo, e dai Rodiani,
quoque civitates sollicitari. His legationibus re recando avviso che le città exiandio dell'Asia
sponsum est, curae Asianam rem senatui fore. erano eccitate a sollevarsi. A queste ambascerie
Consultatio de Macedonico bello integra ad con fu risposto che il senato avrebbe a cuore le cose
sules, qui tunc in provinciis erant, rejecta est. dell'Asia. La consulta della guerra Macedonica
Interim ad Ptolemaeum Aegypti regem legati tres fu rimessa tutta intatta ai consoli, che guerreggia
missi, C. Claudius Nero, M. Aemilius Lepidus. vano allora contro i Boi. Intanto si mandarono
P. Sempronius Tuditanus; ut et annunciarent tre ambasciatori a Tolomeo, re d'Egitto, Caio
victum Hannibalem Poenosque, et gratias agerent Claudio Nerone, Marco Emilio Lepido e Publio
regi, quod in rebus dubiis, quum finitimi etiam Sempronio Tuditano, ad annunziare ch'erano
socii Romanos desererent, in fide mansisset; stati vinti Annibale e i Cartaginesi, e a ringrazia
et peterent, ut, si coacti imjuriis bellum adver re il re, che nella dubbiezza degli eventi, mentre
sus Philippum suscepissent, pristinum animum anche gli alleati a lui vicini abbandonavano i Ro
erga populum Romanum conservaret. Eodem mani, egli fosse rimasto in fede; e a chiedere,
fere tempore P. Aelius consul in Gallia, quum che qualora costretti dalle ingiurie pigliassero
andisset a Bojis ante suum adventum incursio guerra contro Filippo, conservasse il medesimo
nes in agros sociorum factas, duabus legioni animo verso il popolo Romano. Intorno a quel
bus subitariis tumultus ejus causa scriptis, addi tempo il console Publio Elio, ch'era nella Gallia,
lisque ad eas quatuor cohortibus de exercitu udito avendo che prima della sua venuta i Boi
suo, C. Oppium praefectum sociùm hac tumul avean fatte scorrerie sulle terre degli alleati, le
tuaria manu per Umbriam (quam tribun Sappi vate in fretta due legioni a motivo di quel tumul
niam vocant) agrum Bojorum invadere jussit: to, aggiunte ad esse quattro coorti del proprio
ipse eodem, aperto itinere, per medios montes esercito, commise a Caio Oppio, prefetto degli
duxit. Oppius, ingressus hostium fines, primo alleati, che con questa banda tumultuaria iuva
populationes satis prospere actuo fecit : delecto desse dalla parte dell'Umbria (che chiamano la
deinde ad castrum Mutilum satis idoneo loco, ad tribù Sappinia) il territorio de'Boi: egli pure,
demetenda frumenta (jam enim maturae erant fattosi strada per mezzo a monti, colà condusse

segetes) profectus, neque explorato circa, mec i suoi. Oppio, entrato nel paese nemico, dappri
stationibus satis firmis quae armatae inermes at ma lo mise a sacco molto felicemente e sicura
que operi intentos tutarentur, positis, improviso mente: indi, scelto un luogo opportuno presso
impetu Gallorum cum frumentatoribus est cir il castello Mutilo, andato a mietere i frumenti
cumventus. Inde pavor fuga que etiam armatos (ch'eran già mature le biade), nè spiato bene il
cepit. Ad septem millia hominum palata per se paese d'intorno, nè messe guardie abbastanza
getes sunt caesa; inter quos ipse C. Oppius prae forti, che armate difendessero la gente inerme e
fectus: ceteri in castra metu compulsi, indesine intenta al lavoro, fu da un improvviso assalto
certo duce consensu militari proxima nocte, re dei Galli avviluppato insieme coi mietitori. Quin
licta magna parte rerum suarum, ad consulem di anche gli armati, spauriti, si posero a fuggire.
Da sette mila uomini sparsi per la campagna ri
per saltus prope invios pervenere; qui, nisi quod
populatus est Bojorum fines, et cum Ingaunis Li masero morti, tra i quali lo stesso Oppio prefetto.
guribus foedus icit, nihil, quod esset memorabi Gli altri cacciati dallo spavento negli alloggiamen
le aliud in provincia quum gessisset, Roman ti, di poi la notte seguente, senza capitano, che
rediit. gli guidasse, accordatisi insieme i soldati,
abban
donata gran parte delle robe loro, per balze quasi
intransitabili giunsero al console; il quale non
altro avendo fatto di memorabile nella provincia,
se non che saccheggiò le terre de'Boi, e strinse
alleanza cogli Ingauni Liguri, tormossi a Roma.
IlI. Quum primum senatum habuit, univer III. Com'ebbe radunato il senato, chiedendosi
sis postulantibus, ne quam prius rem, quam de da tutti, che non d'altra cosa trattasse prima, che
Philippo sociorumque querelis, ageret; relatum
di Filippo e delle doglianze degli alleati, ne fu
533 TITI LIVII LIBER XXXI. 534
extemplo est, decrevitque frequens senatus, ut fatta subito la proposta ; e il senato in buon nu
P.Aelius consul, quem videreturei, cum imperio mero decretò che il console Publio Elio man
mitteret, qui, classe accepta, quam ex Sicilia Cm. dasse rivestito di potere chi a lui paresse; il
Octavius reduceret, in Macedoniam trajiceret. M. quale, ricevuta la flotta, che Gneo Ottavio ricon
Valerius Laevinus propraetor missus, circa Vibo durrebbe dalla Sicilia, passasse in Macedonia. Il
nem duodequadraginta navibus ab Cn. Octavio propretore Marco Valerio Levino, che fu manda
acceptis, in Macedoniam transmisit. Ad quem to, ricevute da Gneo Ottavio trentotto navi
quum M. Aurelius legatus venisset, edocuissetque presso Vibone, passò in Macedonia. Al quale ve
eum, quantum navium numerum comparasset rex, nuto essendo il legato Marco Aurelio, ed infor
et quemadmodum circa omnes non continentis matolo di quanti eserciti e di quanto numero di
modo urbes, sed etiam insulas, partim ipse adeun navi si fosse il re provveduto, e come non sola
do, partim per legatos, conciret homines ad arma; mente intorno le città del continente,ma eviandio
majore conatu Romanis id capessendum bellum per le isole, parte andando egli in persona, parte
esse, ne cunctantibus iis auderet Philippus, quod mandando de legati, aizzasse la gente a sollevarsi;
Pyrrhus ausus ex aliquanto minore regno esset; che per ciò doveano i Romani pigliar quella
haec eadem scribere Aurelium consulibus et se guerra con tutta la forza, acciocchè, indugiando
natui placuit. essi, non osasse Filippo quello, che poc'anzi osato
avea Pirro, benchè re di stato alquanto minore:
per ciò Levino fu d'avviso che queste cose me
desime Aurelio le scrivesse ai consoli ed al
senato. -

IV. Exitu hujus anni quum de agris veterum IV. Nella fine di quest'anno, essendosi fatta
militum relatum esset, qui ductu atque auspicio proposta in senato intorno alle terre de soldati
P. Scipionis in Africa bellum perfecissent, decre veterani, che sotto la condotta e gli auspizii di
verunt Patres, ut M. Junius praetor urbis, si ei Publio Scipione avean terminata la guerra in
videretur, decemviros agro Samniti Appuloque, Africa, i Padri decretarono che Marco Giunio,
quod ejus publicum populi Romani esset, metien pretore urbano, se così gli paressse, nominasse
do dividendoque crearet. Creati P. Servilius, Q. dieci cittadini a misurare e dividere le terre del
Caecilius Metellus, C. et M. Servilii (Geminis Sannio e della Puglia, ch'erano di ragione del
ambobus cognomen erat), L. et A. Hostilii Ca popolo Romano. Furono creati Publio Servilio,
tones, P. Villius Tappulus, M. Fulvius Flaccus, Quinto Cecilio Metello, Caio e Marco Servilii
P. Aelius Paetus, Q. Flaminius. Per eos dies, P. (ambedue soprannominati Gemini) Lucio e Aulo
Aelio consule comitia habente, creati consules P. Ostilii Catoni, Publio Villio Tappulo. Marco
Sulpicius Galba, C. Aurelius Cotta. Praetores ex Fulvio Flacco, Publio Elio Peto e Quinto Fla
inde facti, Q. Minucius Rufus, L. Furius Purpu minio. In que'dì stessi, tenutisi i comizii dal con
reo, Q. Fulvius Gillo, Cn. Sergius Plancus. Ludi sole Publio Elio, furon creati consoli Publio Sul
Romani scenici eo anno magnifice apparateque picio Galba e Caio Aurelio Cotta. Indi furono
facti ab aedilibus curulibus, L. Valerio Flacco et . eletti pretori Quinto Minucio Rufo, Lucio Furio
L. Quintio Flaminio: biduum instauratum est; Purpureone, Quinto Fulvio Gillone e Gneo Ser
frumentique vim ingentem, quod ex Africa P. gio Planco. I giuochi Romani furono celebrati in
Scipio miserat, quaternis aeris populo cum sum quest'anno con grande e magnifico apparato da
ma fide et gratia diviserunt. Et plebeji ludi ter gli edili curuli Lucio Valerio Flacco e Lucio
toti instaurati ab aedilibus plebis, L. Apustio Quinzio Flaminio: li rifecero due giorni, e divi
Fullone et Q. Minucio Rufo, qui ex aedilitate sero al popolo con somma fede e con molto lor
praetor creatus erat; et Jovis epulum fuit ludo merito quantità grande di grano, che Publio
rum Call.Sa. Scipione avea mandato dall'Africa, al prezzo di
quattro assi. Anche i giuochi plebei rifatti fu ono
interamente tre volte dagli edili della plebe Lucio
Apustio Fullone e Quinto Minucio Rufo, il quale
di edile era stato pretore; e all'occasione de'giuo
chi ci fu il banchetto di Giove.
V. (Anno U. C. 552.-A. C. 2oo) Anno quin V. (Anni D. R. 552. – A. C. 2oo.) L'anno
gentesimo quinquagesimo aburbe condita, P.Sul cinquecento e cinquanta dalla fondazione di Ro
picio Galba, C. Aurelio consulibus, bellum cum ma, sotto il consolato di Publio Sulpicio Galba e
rege Philippoinitum est, paucis mensibus post pa di Caio Aurelio, si die' principio alla guerra col
cenn Carthaginiensibus datam. Omnium primum re Filippo, pochi mesi dopo la pace data ai Car
535 TITI LIVII LIBER XXXI. 536

eam rem Idibus Martiis, quo dietum consulatus taginesi. Di codesta impresa a quindici di Marzo,
inibatur, P. Sulpicius consul retulit; senatusque giorno, in cui in quel tempo si pigliava il conso
decrevit, uti consules majoribus hostiis rem di lato, il console Publio Sulpicio fe'riferta al senato,
vinam facerent, quibus diis ipsis videretur, cum e il senato decretò che i consoli sagrificassero
precatione ea : « Quam rem senatus populusque con le vittime maggiori a quegli dei, che loro
Romanus de republica deque ineundo novo bello paresse, e con questa preghiera: « che l'impresa,
in animo haberet, ea res uti populo Romano so che meditava di fare il senato ed il popolo Ro
ciisque, ac nomini Latino bene ac feliciter eve mano concernente la repubblica, ed il pigliar
miret: secundum rem divinam precationem que, nuova guerra, questa riuscisse a bene e felicemen
ut de republica deque provinciis senatum consu te al popolo Romano, agli alleati ed al nome La
lerent. Per eos dies opportune irritandis ad bel tino; - e che terminati i riti sacri e la preghiera,
Ium animis, et literae a M. Aurelio legato, et M. consultassero il senato degli affari della repubbli
Valerio Laevino propraetore allatae, et Athe ca e delle province. In quel dì medesimi oppor
niensium nova legatio venit, quae regem appro tunamente ad aizzare gli animi alla guerra, ven
pinquare finibus suis nunciaret: brevique, non nero lettere dal legato Marco Aurelio e dal
agros modo, sed urbem etiam in ditione eius fu propretore Marco Valerio Levino, e arrivò pure
turam, nisi quid in Romanis auxilii foret. Quum una nuova ambasceria degli Ateniesi, recando
pronunciassent consules, rem divinam rite per che il re di già si avvicinava a lor confini e che
fectam esse, et precationem admisisse deos aruspi in breve non solamente il contado, ma la città
ces respondere, laetaque exta fuisse, et prolatio stessa verrebbe in suo potere, se non ci fosse
nem finium, victoriamoue et triumphum por qualche soccorso per parte dei Romani. Avendo i
tendi; tum literae Valerii Aureliique lectae, et consoli pronunziato che i sagrifizii s'erano fatti a
legati Atheniensium auditi. Senatus inde consul dovere, e parimente gli aruspici risposto che gli
tum factum est, ut sociis gratiae agerentur, quod dei gradita avevano la preghiera, e che le viscere
diu sollicitati, ne obsidiomis quidem metu fide promettevan lieti successi, e presagivano dilata
decessissent. Deauxilio mittendo tum respondere zione di confini, vittoria e trionfo; allora si les
placere, quum consules provinciassortiti essent; sero lettere di Valerio e di Aurelio, e si diede
atque is consul, cui Macedonia provincia evenis udienza agli ambasciatori degli Ateniesi. Indi il
set, ut Philippo regi Macedonum indiceretur senato decretò che gli alleati fossero ringraziati,
bellum. -
perchè, lungo tempo sollecitati, non s'erano di
-
partiti dalla fede, nè anche per timore dell'asse
dio. Quanto al mandare soccorso, avrebbono ri
sposto, tosto che i consoli si avessero diviso le
province, e che quel console, cui toccata fosse la
Macedonia, proposto avesse al popolo che si aves
se ad intimare la guerra al re Filippo.
VI. P. Sulpicio provincia Macedonia sorte eve VI. Toccò per sorte o Publio Sulpicio la Ma
nit, isque rogationem promulgavit, « Vellent, ju cedonia, ed egli propose al popolo, a Se volesse
berent Philippo regi Macedonibusque, qui sub e comandasse che s'intimasse la guerra al re Fi
regno eius essent, ob iniurias armadue illata so lippo ed ai Macedoni, che sono sotto la di lui
ciis populi Romani, bellum indici. " Alteri con dominazione, per le offese e per le armi portate
suli Aurelio Italia provincia obtigit. Praetores contro gli alleati del popolo Romano. » All'altro
exinde sortiti sunt, Cn. Sergius Plancus urbanam. console Aurelio toccò l'Italia. Indi i pretori eb
Q. Fulvius Gillo Siciliam, Q. Minucius Rufus bero a sorte, Gneo Sergio Planco la giurisdizione
Bruttios, L. Furius Purpureo Galliam. Rogatio urbana, Quinto Fulvio Gillone la Sicilia, Quinto
de bello Macedonico primis comitiis ab omnibus Minucio Rufo i Bruzii, Lucio Furio Purpureone
ferme centuriis antiquata est: id quam fessi diu la Gallia. La proposta della guerra Macedonica
turnitate et gravitate belli sua sponte homines ne'primi comizii fu rigettata da quasi tutte le
taedio laborum periculorumque fecerat, tum Q. tribù ; il che fatto aveano spontaneamente, stan
Baebius tribunus plebisviam antiquam criminandi chi dalla lunghezza e gravezza della guerra, per
Patres ingressus, incusaverat bella ex bellisseri, tedio delle fatiche e de'pericoli; oltre che Quinto
ne pace umquam frui plebs posset. Aegre eam Bebio tribuno della plebe, messossi nell'antica
rem passi Patres, laceratusque probris in senatu via di calunniare i Padri, gli aveva accusati che
tribunus plebis; et consulem pro se quisque hor facessero di guerra nascer guerra, onde non mai
tari, ut de integro comitia rogationi ferendae potesse la plebe godersi la pace. Dolse codesta
e diceret, castigaretque segnitiem populi, atque cosa ai Padri, e in senato si scagliaron acri invettive
ri
537 TITI LIVII I.IEER XXXI. 538

doceret, quanto damno dedecorique dilatio ea contro il tribuno, e ciascuno si pose ad esortare
belli futura esset. - il console, che intimasse nuovi comizii onde ri
proporre l'affare, e riprendesse la pigrizia del
popolo, e lo informasse quanto danno e disonore
ne verrebbe dal differirsi quella guerra.
VII. Consul in campo Martio comitiis habitis, VII. Il console, tenuti i comizii nel campo di
priusquam centurias in suffragium mitteret, con Marte, prima di chiamar le centurie a dare il vor
cione advocata, « Ignorare, inquit, videmini mihi, to, chiamato il popolo a parlamento, « Sembra
Quirites, non, utrum bellum an pacem habeatis, te, disse ignorare, o Quiriti, che siete consultati,
vos consuli (neque enim liberum id vobis per non se vogliate la pace o la guerra (che non lascia
mittit Philippus, qui terra marique ingens bel libera Filippo codesta scelta, poi che apparecchia
lum molitur); sed utrum in Macedoniam legio egli gran guerra per terra e per mare), ma piut
nes transportetis, an hostem in Italiam accipiatis. tosto, se vogliate mandar le vostre legioni in
Hoc quantum intersit, si umquam ante alias Pu Macedonia, o ricevere il nemico in Italia. Quanto
nico certe proximo bello experti estis. Quis enim diversa cosa ella sia, se in altro tempo mai, certo
dubitat. quin, si Saguntinis obsessis fidemdue provato l'avete in quest'ultima guerra Cartagi
nostram implorantibus impigre tulissemus opem, nese. Perciocchè chi dubita, che se avessimo
sicut patres nostri Mamertinis tulerant, totum in bravamente soccorsi i Saguntini assediati, che
Hispaniam aversuri bellum fuerimus, quod cun imploravano il nostro aiuto, come i Padri mostri
ctando cum summa clade nostra in Italiam acce avean soccorso i Mamertini, che non avremmo
pimus ? Ne illud quidem dubium est, quinhune rivolta la guerra tutta in Ispagna, che dovemmo,
ipsum Philippum, pactum jam per legatos lite indugiando, ricevere con tanta nostra strage in
rasque cum Hannibale in Italiam trajicere, misso Italia ? E questo ancora non ammette dubbio,
cum classe Laevino, qui ultro ei bellum inferret, che questo stesso Filippo, che s'era già pattuito
in Macedonia continuerimus: et quod tunc feci con Annibale e per ambasciate e per lettere di
mus, quum hostem Hannibalem in Italia habere passare in Italia, mandato Levino con la flotta
mus, id nunc, pulso Italia Hannibale, devictis Car a fargli guerra, lo ritennero in Macedonia. E
thaginiensibus, cunctamur facere? Patiamur ex quello, che femmo allora nel tempo, che avevamo
pugnandis Athenis, sicut Sagnnto expugnando Annibale in Italia, ora che ne abbiamo scacciato
Hannibalem passi sumus, segnitiem nostram ex lui e i Cartaginesi, tarderemo a farlo ? Lasciamo
periri regem. Non quinto inde mense, quemad pure che il re faccia prova della nostra pigrizia
modum ab Sagunto Hannibal, sed quinto inde espugnando Atene, come lasciammo che facesse
die, quam ab Corintho solverit naves, in Italiam Annibale, espugnando Sagunto. Non già dopo il
perveniet. Ne aequaveritis Hannibali Philippum, quinto mese, come Annibale da Sagunto, ma do
ne Carthaginiensibus Macedonas; Pyrrho certe po il quinto giorno, che avrà Filippo sciolto da
aequabitis: dico, quantum vel vir viro, vel gens Corinto, arriverà in Italia. Non vorrete aggua
genti praestat. Minima accessio semper Epirus gliare Filippo ad Annibale, nè i Macedoni ai
regno Macedoniae fuit, et hodie est. Peloponne Cartaginesi; ma lo agguaglierete certo a Pirro;
sum totam in ditione Philippus habet, Argosque dico, quanto uomo sta sopra ad altr'uomo, na
ipsos, non vetere fama magis, quam morte Pyrrhi zione ad altra nazione. L'Epiro fu sempre ed è
nobilitatos. Nostra nunc compara: quanto magis tuttora picciola giunta al regno di Macedonia.
florentem Italiam, quanto magis integras res, sal Ha Filippo in suo potere tutto il Peloponneso
vis ducibus, salvistot exercitibus, quos Punicum e la stessa città di Argo, non tanto illustrata per
posteabellum absumpsit, aggressus Pyrrhustamen fama antica di valore, quanto per la morte di
concussit, et victor prope ad ipsam urbem Romam Pirro. Ora mettete a paragone le cose nostre.
venit! Nec Tarentini modo oraque illa Italiae, Quanto era più florida l'Italia, quanto più intat
quam majorem Graeciam vocant, ut linguam, ut to lo stato nostro, salvi tanti capitani, salvi tanti
nomen secutos crederes, sed Lucanus, et Bruttius, eserciti, che poi la guerra Punica s'ingoiò, quan
et Samnis a nobis defecerunt. Haec vos, si Philip do Pirro assalendoci pur ci die'molto che fare,
pus in Italiam transmiserit quietura autmansura in e venne vincitore quasi sin presso alle mura di
fide creditis? Manserunt enim Punico postea bel Roma. Nè ci abbandonarono i Tarentini soli, e
lo: numduam isti populi, nisi quum deerit, ad quella costa d'Italia, che si chiama Grecia gran
quem desciscant, a nobis deficient. Si piguisset de, che potreste credere ch'abbiam seguito la
vos in Africam trajicere, hodie in Italia Hanniba conformità di lingua e di nome, ma i Lucani, i
lem et Carthaginienses hosteshaberetis. Macedonia Bruzii, il Sannio. Vi pensate che tutti costoro, se
potius, quam Italia, bellum habeat: hostium urbes Filippo passasse in Italia, si starebbero quieti ed
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539
agrique ferro atque igni vastentur. Experti jam in fede? Veramente, ci rimasero di poi nella
sumus forisnobis, quam domi feliciora potentiora guerra Punica: no, non mai codesti popoli, se
que arma esse. lte in suffragium, bene juvantibus non quando mancherà loro a chi darsi, resteran
diis, et, quae Patres censuerunt, vos jubete. Hujus no di ribellarsi da noi. Se aveste ricusato di pas
vobis sententiae non consul modo auctor est, sed sare in Africa, oggi avreste in Italia Annibale e
etiam dii immortales; qui mihi sacrificanti pre i Cartaginesi. Abbiasi la guerra la Macedonia
cantique, ut hoc bellum mihi, senatui vobisque, piuttosto che l'Italia; mettansi a ferro e fuoco le
et sociis ac nomini Latino, classibus exercitibus città e le terre de'nemici. Abbiamo già fatto pro
que nostris bene ac feliciter eveniret, laeta omnia va, che l'armi nostre son più felici e potenti fuo
ri, che in casa. Andate a dare il voto col favore
prosperaque portendere. »
degli dei, ed ordinate quello, che il senato ha de
cretato. Non è il solo console, che vi propone
questo partito, sono gli stessi dei immortali, i
quali, sagrificando io, e pregando che questa
guerra riuscisse felicemente a me, al senato, a voi,
agli alleati ed al nome Latino, alla flotta ed agli
eserciti nostri, mi presagiron lieti e fortunati
successi. »
VIII. Ab hac oratione in suffragium missi, VIII. Dopo sì fatto discorso mandati a dare
mti rogarat, bellum jusserunt. Supplicatio inde a il voto, approvarono la guerra, com'era stato
consulibus in triduum ex senatusconsulto indicta proposto. Indi i consoli per decreto del senato
est, obsecratique circa omnia pulvinaria dii, ut, intimarono tre giorni di pubbliche preghiere, e
quod bellum cum Philippo populus jussisset, id si supplicarono gli dei a tutti gli altari, acciocchè
bene ac feliciter eveniret; consultique Feciales ab la guerra, che il popolo avea comandata contro
consule Sulpicio, bellum, quod indiceretur regi il re Filippo, riuscisse a bene e felicemente, e i
Philippo, utrum ipsi utique nunciari juberent, Feciali, consultati dal console Sulpicio, se stimas
an satis esset, in finibus regni, quod proximum sero che la guerra da intimarsi al re si dovesse
praesidium esset, eo nunciari? Feciales decreve annunziare a lui stesso, o se bastasse annnuziarla
runt, utrum eorum fecisset, recte facturum. Con sul confine del regno al più prossimo presidio, i
suli a Patribus permissum, ut, quem videretur, Feciali decretarono che quale delle due cose fa
ex iis, qui extra senatum essent, legatum mitte cesse, sarebbe ben fatta. I Padri permisero al
ret ad bellum regi indicendum. Tum de exerci console che mandasse chi più gli piacesse, pur
tibus consulum praetorumque actum : consules chè non fosse tratto dal senato ad intimar la
binas legiones scribere jussi ; veteres dimittere guerra al re. Poi si trattò degli eserciti dei con
exercitus. Sulpicio, cui novum ac magni nominis soli e dei pretori. Si ordinò a consoli che levas
bellum decretum erat, permissum, ut de exercitu, sero due legioni, e che i vecchi eserciti si licen
quem P. Scipio ex Africa deportasset, volunta ziassero. A Sulpicio, cui era stata commessa una
rios, quos posset, duceret: invitum me quem mi guerra nuova e di tanto nome, fu permesso che
litem veterem ducendi jus esset. Praetoribus L. dell'esercito che Publio Scipione avea ricondotto
Furio Purpureoni et Q. Minucio Rufo quina dall'Africa, seco menasse quanti volontarii potes
millia sociùm Latini nominis consul daret; qui se; ma de'vecchi soldati non ne potesse menare
bus praesidiis alter Galliam, alter Bruttios pro alcuno contro lor voglia. Il console desse ai pre
vinciam obtineret. Q. Fulvius Gillo et ipse jussus tori Lucio Furio Purpureone e Quinto Minucio
ex eo exercitu, quem P. Aelius consul habuisset, Rufo cinque mila soldati di quelli degli alleati
ut quisque minime multa stipendia haberet, le del nome Latino; con le quali forze uno conte
gere, donec et ipse quinque millia sociùm ac no nesse la Gallia, l'altro i Bruzii. Anche Quinto
minis Latini effecisset: id praesidio Siciliae pro Fulvio Gillone ebbe ordine di scegliersi dell'eser
vinciae esset. M. Valerio Faltoni, qui praetor cito, ch'era stato del console Publio Elio, de'sol
priore anno Campaniam provinciam habuerat, dati, che avessero militato per manco tempo, si
prorogatum in annum imperium est; uti pro no a che ne formasse egli pure cinque mila di
praetor in Sardiniam trajiceret, atque de exerci quelli degli alleati e del nome Latino, e questo
tu, qui ibi esset, quinque millia sociùm nominis fosse il presidio della Sicilia. Si prorogò il coman
Latini, qui eorum minime multa stipendia habe do per un anno a Marco Valerio Faltone, che
ret, legeret. Et consules duas urbanas legiones l'anno innanzi avea pretore governata la Cam
scribere jussi: quae, si quo res posceret, multis pania, acciocchè in qualità di propretore passas
in Italia contactis gentibus Punici belli societate, se in Sardegna, e quivi dell'esercito, che vi si
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iraque inde tumentibus, mitterentur. Sex legio trovava, scegliesse cinque mila alleati del nome
nibus Romanis eo anno usura respublica erat. Latino, di quelli che aveano manco tempo mili
tato. Anche a consoli fu commesso che levassero
in città due legioni, le quali, essendoci in Italia
parecchie città guastate dal contagio della guerra
Cartaginese, e quindi pregne d'ira, si mandassero
dove ci fosse bisogno. In quest'anno la repub
blica avrebbe avuto in arme sei legioni Romane.
1X. In ipso apparatu belli legati ab rege Pto IX. Mentre faceansi questi apparecchi di guer
lemaeo venerunt, qui nunciarunt, « Athemienses ra, vennero ambasciatori dal re Tolomeo, i quali
adversus Philippum petisse ab rege auxilium. annunziarono, a che gli Ateniesi avean chiesto
Ceterum, etsi communes socii sint, tamen, misi aiuto dal re contro Filippo; che per altro, seb
ex auctoritate populi Romani, neque classem, bene siano alleati comuni, non avrebbe egli,
neque exercitum defendendi aut oppugnandi cu senza l'autorità del popolo Romano, mandato
jusquam causa regem in Graeciam missurum esse: in Grecia nè flotta, nè esercito a difendere, o ad
vel quieturum eum in regno, si populo Romano assaltar chicchessia. O si starebbe quieto egli nel
socios defendere liceat; vel Romanos quiescere, suo regno, se amassero i Romani di difendere gli
si malint, passurum, atque ipsum auxilia, quae alleati, o lascerebbe, se più lor piacesse, starsi
facile adversus Philippum tueri Athemas possent, quieti i Romani, e manderebbe egli gente, che
missurum. » Gratiae regiab senatu actae, respon potesse difendere facilmente Atene contro Filip
sumque ; « Tutari socios populo Romano in ami po. » Il senato rendette grazie al re, e gli rispose;
mo esse: si quare ad id bellum opus sit, indica a che il popolo Romano aveva in animo di difen
turos regi, regnique eius opes scire subsidia fir dere gli alleati: se occorresse alcuna cosa per
ma ac fidelia suae reipublicae esse. » Munera quella guerra, ne lo avrebbono avvertito, e ben
deinde legatis in singulos quinòm milllum aeris sapevano che le forze del di lui regno sarebbon
ex senatusconsulto missa. Quum delectum consu sempre fermi e fidati sussidii della repubblica. »
les haberent, pararentque, quae ad bellum opus Indi per decreto del senato si regalarono i legati
essent, civitas religiosa, in principiis maxime di cinque mila assi per ciascuno. Mentre i consoli
novorum bellorum, supplicationibus habitis jam, faceano le leve e preparavano quanto occorreva
et obsecratione circa omnia pulvinaria facta, ne alla guerra, la città religiosa, ne'principii special
quid praetermitteretur, quod aliquando factum mente di nuove guerre, fatte già le supplicazio
esset, ludos Jovi donumque vovere consulem, ni e preci intorno a tutti gli altari, perchè nulla
cui provincia Macedonia evenisset, jussit. Moram si ommettesse di quanto s'era fatto altre volte, or
voto publico Licinius pontifex maximus attulit, dinò che il console, cui toccasse la Macedonia,
qui negavit, « ex incerta pecunia vovere debere, facesse voto a Giove di giuochi e di doni. Lici
si ea pecunia non possetin bellum usui esse: re nio, pontefice massimo, si oppose a questo pub
poni statim debere, nec cum alia pecunia misce blico voto, allegando, a che non si dovea far vo
ri: quod nisi factum esset, votum rite solvi non to di una somma indeterminata di danaro, poi
posse. » Quamquam et res, et auctor movebat, che la somma destinata a quest'uso non si può
tamen ad collegium pontificum referre consul adoperarla per la guerra: bisogna subito metterla
jussus, si posset recte votum incertae pecuniae a parte, nè mescolarla con altra ; il che non fa
suscipi: posse, rectiusque etiam esse, pontifices cendosi, non si potea sciogliere il voto a dove
decreverunt. Vovit in eadem verba consul, prae re. » Benchè la cosa per sè, e chi la proponeva
eunte maximo pontifice, quibus antea quinquen movesse il senato, pure si commise al console
malia vota suscipi solita erant; praeterquam quod che interrogasse il collegio del pontefici, se si
tanta pecunia, quantam tum, quum solveretur, poteva rettamente far voto di una somma inde
senatus censuisset, ludos donaque facturum vo terminata, e i pontefici decretarono potersi, ed
vit. Toties ante ludi magni de certa pecunia voti anche più rettamente. Fe'dunque il console il
erant: ii primi de incerta. voto, preceduto dal pontefice massimo, colle
stesse parole, colle quali si solevano innanzi fare
i voti quinquennali; se non che fece voto di fare
giuochi e doni con quella tanta somma di danaro,
che il senato avrebbe determinata, allor che si
sciogliesse il voto. Più e più volte innanzi s'eran
fatti per voto i giuochi Grandi a somma determi
nata; questi furono i primi a somma incerta.
543 TITI LIVII LIBER XXXI. 5 14
X. Omnium animis in bellum Macedonicum X. Voltisi tutti i pensieri verso la guerra Ma
versis, repente nihil minus eo tempore timenti cedonica, all'improvviso, quando di nulla manco
bus, Gallici tumultus fama exorta est. Insubres, temevano in quel tempo, sorse la fama di un
Cenomanique et Boji, excitis Salyis Ilvatibusque, grande movimento de'Galli. Gl'Insubri, i Ceno
et ceteris Ligustinis populis, Hamilcare Poeno mani, i Boi, suscitati i Salii, gl'Ilvati e gli altri
duce, qui in iis locis de Hasdrubalis exercitu popoli della Liguria, condotti da Amilcare Carta
substiterat, Placentiam invaserant; et, direpta ginese, il quale delle reliquie dell'esercito di
urbe, ac per iram magna ex parte incensa, via Asdrubale s'era fermato in que luoghi, aveano
duobus millibus hominum inter incendia ruinas invasa Piacenza; e messa a sacco la città, e in gran
que relictis, trajecto Padoad Cremonam diri parte abbruciata per ira, lasciati appena tra gl'in
piendam pergunt. Vicinae urbis audita clades cendii e le ruine due mila uomini, passato il Po,
spatium colonis deditad claudendas portas, prae muovonsi a saccheggiare Cremona. Udita la stra
sidiaque per muros disponenda; ut obsiderentur ge della vicina città, ciò diede tempo agli abitanti
tamen prius, quam expugnarentur, nunciosque di chiudere le porte e metter guardie alle mura,
mitterent ad praetorem Romanum. L. Furius ond'essere, innanzi che presi, assediati, e potes
Purpureo tum provinciae praeerat: cetero ex se sero mandarne avviso al pretore Romano. Gover
natusconsulto exercitu dimisso, praeter quinque nava in quel tempo la provincia Lucio Furio
millia sociùm ac Latini nominis, cum iis copiis Purpureone: licenziato per ordine del senato il
in proxima regione provinciae circa Ariminum restante dell'esercito, eccetto cinque mila degli
substiterat. Is tum senatui scripsit, quo in tumul alleati e del nome Latino, s'era fermato con quelle
tu provincia esset: « Duarum coloniarum, quae forze ne'contorni di Rimini in paese vicino alla
ingentem illam tempestatem Punici belli subter provincia. Allora egli scrisse al senato, in che
fugissent, alteram captam ac direptam ab hosti costernazione la provincia si fosse: « Delle due
bus, alteram oppugnari: nec in exercitu suo satis colonie, ch'erano scampate a quella immensa bur
praesidii colonis loborantibus fore, nisi quinque rasca della guerra Punica, una era già presa e
millia sociam quadraginta millibus hostium (tot saccheggiata dai nemici, l'altra assediata ; nè
enim in armis esse ) trucidanda objicere velit, et avrebbe egli nel suo esercito forze bastanti a soc
tanta sua clade jam inflatos excidio coloniae Ro correre i travagliati coloni, se non volesse far tru
manae augere hostium animos. » cidare cinque mila alleati da quaranta mila nemici
(che tanti erano in arme), e con tanta sua ruina
crescere l'animo a'nemici già levatisi ad orgoglio
per l'eccidio di una colonia Romana. »
XI. His literis recitatis decreverunt, ut C. Au XI. Recitate queste lettere, i Padri decretaro
relius consul exercitum, cui in Etruriam ad con no che il console Caio Aurelio comandasse all'e
veniendum diem edixerat, Arimini eadem die sercito, al quale avea determinato il giorno di
adesse juberet, et aut ipse, si per commodum rei trovarsi in Toscana, che quel giorno stesso si
pubblicae posset, ad opprimendum Gallicum tu trovasse in Rimini, e o egli in persona, se il po
multum proficisceretur; aut L. Furio praetori tesse senza danno della repubblica, andasse a
scriberet, ut, quum ad eum legiones ex Etruria spegnere l'insurrezione dei Galli, o scrivesse al
venissent, missis in vicem earum quinque millibus pretore Lucio Furio, che come tosto gli venissero
sociorum, qui interim Etruriae praesidio essent, le legioni dalla Toscana, mandati in lor vece i
proficisceretur ipse ad coloniam liberandam obsi cinque mila alleati a guardare in tanto la Tosca
dione. Legatos item mittendos in Africam cen ma, andasse egli a liberare la colonia dall'assedio.
suerunt, eosdem Carthaginem, eosdem in Numi Decretarono pure, che si mandassero ambasciatori
diam ad Masinissam: Carthaginem, ut muncia in Africa a Cartagine, ed i medesimi a Masinissa:
rent, a civem eorum Hamilcarem relictum in a Cartagine ad annunziare, a che Amilcare loro
Gallia, haud satis scire ex Hasdrubalis prius, an cittadino rimasto nella Gallia, non ben sanno, se
ex Magonis postea exercitu, bellum contra foedus restato prima dell'esercito di Asdrubale, o poi di
facere. Exercitus Gallorum Ligurumque excivisse quello di Magone, moveva guerra contro i patti
ad arma contra populum Romanum. Ram, si convenuti. Aveva egli suscitati all'armi contro il
pax placeret, revocandum illis, et dedendum po popolo Romano gli eserciti dei Galli e dei Ligu
pulo Romano esse. m Simul munciare jussi, a per ri. Doveano, se amassero di starsi in pace, richia
fugas sibi non omnes redditos esse, ac magnam marlo a sè, e consegnarlo al popolo Romano » E
partem eorum palam Carthagini obversari dici: nel tempo stesso a dire, a che non erano stati re
quos comprehendi conquirique debere, ut sibi stituiti tutti i disertori, dicendosi che una gran
ex foedere restituantur. » Haec ad Carthaginien parte di coloro palesemente si aggiravano per
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ses mandata. Masinissae gratulari jussi, « quod non Cartagine; i quali dovevan esser cercati ed arre
patrium modo recuperasset regnum, sed, parte stati, onde restituirli a norma dell'accordo. »
florentissima Syphacis finium adjecta, etiam au Queste furono le commissioni date per Cartagine.
xisset. ” Nunciare praeterea jussi, « bellum cum Quanto a Masinissa, ebber ordine di seco lui con
rege Philippo susceptum, quod Carthaginienses gratularsi, e che non solo ricuperato avesse il
auxiliis juvisset; injuriasque inferendo sociis po regno paterno, ma eviandio accresciuto, aggiun
puli Romani, flagrante bello Italia, coegisset clas tavi la più florida parte di quello di Siface: »
ses exercitusque in Graeciam mitti; et, distinen inoltre gli dicessero, a che s'era intrapresa la guer
do copias, causa imprimis fuisset serius in Afri ra col re Filippo, perchè avea dati soccorsi ai Car
cam trajiciendi. Petere, ut ad id bellum mitteret taginesi, e facendo ingiurie agli alleati del popolo
auxilia Numidarum equitum. » Dona ampla data, Romano, mentre ardeva la guerra in Italia, lo
quae ferrent regi, vasa aurea argenteaque, toga aveano costretto a mandar flotte ed eserciti in
purpurea, et palmata tunica cum eburneo scipio Grecia, e distraendo così le forze Romane, era
ne, et toga praetexta cum curuli sella; jussique stato la prima cagione di tragittare in Africa più
polliceri, «si quid ei ad firmandum augendumque tardi. Lo pregavano che mandasse a quella guer
regnum opus esse judicasset, enise id populum ra un soccorso di cavalli Numidi. “ Si diedero
Romanum merito eius praestaturum. » Verminae loro doni magnifici da portare al re, vasi d'oro
quoque Syphacis filii legati per eos dies sematum e d'argento, una toga di porpora, una tunica
adierunt, excusantes errorem adolescentiamoue, ricamata a palme con bastone d'avorio, ed una
et culpam omnem in fraudem Carthaginiensium toga pretesta con sella curule ; ed ebber con
avertentes. « Et Masinissam Romanis ex hoste ami missione di promettergli, a che se stimasse aver
cum factum ; Verminam quoque admisurum, ne bisogno di cosa alcuna per assodare ed ampliare
officiis in populum Romanum aut a Masinissa, aut il suo regno, gliela avrebbe il popolo Romano,
ab ullo alio vincatur. Petere, ut rex, sociusque, pe' di lui meriti, con ogni sforzo procacciata. »
et amicus ab senatu appellaretur. » Responsum In quel dì medesimi vennero al senato gli amba
legatis est: a Et patrem eius Syphacem sine causa sciatori di Vermina, figlio di Siface, scusando
ex socio et amico hostem repente populi Roma l'errore e la giovanezza di lui, e riversando tutta
ni factum ; et eum ipsum rudimentum adolescen la colpa sulla frode dei Cartaginesi: « anche Ma
tiae bello lacessentem Romanos posuisset. Itaque sinissa di nemico era diventato amico dei Roma

pacem illi prius petendam a populo Romano esse, ni; e così Vermina egli pure farebbe ogni sforzo,
quam nt rex, sociusque, et amicus appelletur. perchè nè Masinissa, nè alcun altro il vincesse in
Nominis ejus honorem pro magnis erga se regum divozione verso i Romani: domandava che il se
meritis dare populum Romanum consuesse. Le nato lo dichiarasse re, e suo alleato ed amico. “
gatos Romanos in Africa fore, quibus mandatu Fu risposto agli ambasciatori: . che anche il di
rum senatum, ut Verminae pacis dent leges, libe lui padre Siface era divenuto all'improvviso,
rum arbitrium eis populo Romano permittente. senza cagione, di amico ed alleato nemico del
Si quid ad eas addi, demi, mutarive vellet, rur popolo Romano; e ch'egli stesso, Vermina, avea
sus ab senatu ei postulandum fore. » Legati cum tolto a primo rudimento della sua adolescenza il
iis mandatis in Africam missi, C. Terentius Var provocare in guerra i Romani. Quindi egli dove
ro, Sp. Lucretius, Cn. Octavius: quinqueremes va chieder pace al popolo Romano prima di chie
singulis datae. dere d'esser chiamato re, alleato ed amico.
L'onore di quel nome soleva darlo il popolo
Romano solamente a quei re, che avessero meri
tato grandemente di lui. Ci sarebbero in Africa
de' legati Romani, a quali commesso avrebbe il
senato, che presentassero a Vermina le condizioni
della pace, lasciando ad essi il popolo Romano
intorno a ciò libera facoltà. S'egli volesse che in
quelle condizioni si aggiungesse, si togliesse, o si
mutasse alcuna cosa, ne avrebbe nuovamente
chiesto il senato. » Mandati furono in Africa con
queste commissioni Caio Terenzio Varrone, Spu
rio Lugrezio, Gneo Ottavio: si diede a ciascuno
una quinquereme.
XII. Literae deinde in senatu recitatae sunt XII. Poi si son recitate in senato le lettere del
Q-Minucii praetoris, cum Bruttii provincia erat; pretore Quinto Minucio, cui toccata era la pro
Livio a 35
547 TITI LIVII LIBER XXXI. 548
a Pecuniam Locris ex Proserpinae thesauris nocte vincia de Bruzii, le quali recavano, « che a Lo
clam sublatam: nec, ad quos pertineat facinus, cri era stato nascostamente via portato il danaro
vestigia ulla ex stare. - Indigne passus senatus, dal tesoro di Poserpina; nè trovarsi traccia
non cessari ab sacrilegiis, et ne Pleminium qui nessuna di chi avesse commesso tal misfatto. “
dem, tam clarum recensoue noxae simulac poe Sdegnossi il senato, che non si tralasciasse di
mae exemplum, homines deterrere. C. Aurelio commettere sacrilegii, e che nè anche Pleminio,
consuli negotium datum , ut ad praetorem in esempio così pubblico e così recente di colpa
Bruttios scriberet : « senatui placere, quaestio insieme e di punizione, spaventasse altrui. Fu
nem de expilatis thesauris eodem exemplo habe commesso al console Caio Aurelio che scrivesse
ri, quo M. Pomponius praetor triennio ante ha al pretore ne' Bruzii : « esser volontà del senato,
buisset. Quae inventa pecunia esset, reponi: si che sia fatta inquisizione intorno i tesori derubati,
quo minus inventum foret, expleri; ac piacula in quella maniera stessa, che s'era fatto tre anni
ria, si videretur, sicutante pontifices censuissent, innanzi dal pretore Marco Pomponio. Il danaro,
fieri causa expiandae violationis ejus templi. » che si fosse trovato, si rimettesse: se il trovato
Prodigia etiam sub idem tempus pluribus locis fosse di manco, si aggiungesse il compimento, e
munciata acciderunt. In Lucanis coelum arsisse si facessero, se così paresse, sagrifizii, come avea
afferebant. Priverni sereno per diem totum ru no innanzi ordinato i pontefici, onde espiare la
brum solem fuisse. Lanuvii templo Sospitae Ju violazione di quel tempio. Si annunziava anche
monis nocte strepitum ingentem exortum. Jam varii prodigii in quel dì accaduti in parecchi
animalium obscoeni foetus pluribus locis nuncia luoghi. Recavano, che nel paese de Lucani s'era
bantur: in Sabinis incertus infans natus, mascu visto ardere il cielo, che a Priverno, in tempo
lus an femina esset: alter sexdecim jam annorum sereno, il sole era stato rosso un giorno intero,
item ambiguo sexu inventus. Frusinone agnus che a Lanuvio nel tempio di Giunone Sospita
cum suillo capite, Sinuessae porcus cum capite s'era udito di notte uno strepito grande. Riferi
humano natus: in Lucanis in agro publico equu vansi pur anche feti mostruosi nati in più luoghi.
leus cum quinque pedibus. Foeda omnia et de Ne Sabini era nato un fanciullo dubbio se ma
formia, errantisque in alienos foetus naturae visa. schio fosse o femmina, un altro, già di anni sedi
Ante omnia abominati semimares, jussique in ci, trovato parimenti di sesso ambiguo. A Frusi
mare extemplo deportari; sicut proxime, C. Clau none era nato un agnello con testa di porco, a
dio, M. Livio consulibus, deportatus similis pro Sinuessa un porco con testa d'uomo: nei Lucani
digii foetus erat. Nihilo minus decemviros adire in un campo di pubblica ragione un poledro con
libros de portento eo jusserunt. Decemviri ex li cinque piedi; tutti parti sconci e deformi, quasi
bris res divinas easdem, quae proxime secundum errori della natura, che confondesse le specie.
id prodigium factae essent, imperarunt. Carmen Sopra tutto si avevano in orrore i mezzo-maschi,
praeterea ab termovenis virginibus cani per ur e si ordinò che subito gettati fossero nel mare,
bem jusserunt, donumque Junoni reginae ferri. come v'era stato gettato ultimamente, sotto i
Ea uti fierent, C. Aurelius consul ex decemviro consoli Caio Claudio e Marco Livio, un parto
rum responso curavit. Carmen, sicut patrum similmente mostruoso. Nondimeno fu commesso
memoria Livius, ita tum condidit P. Licinius ai decemviri, che consultassero i libri su codesta
Tegula. sorte di portenti. I decemviri, visti i libri, ordi
narono che fatti fossero gli stessi sagrifizi, che
s'eran fatti poc'anzi per un altro simile prodi
gio, e inoltre che si cantasse un carme per la
città da tre cori di nove vergini, e si portasse un
dono al tempio di Giunone regina. Il console
Caio Aurelio, secondo la risposta dei decemviri,
fece fare tutte codeste cose. Il carme fu composto,
come da Livio al tempo degli antenati, così allora
da Publio Licinio Tegola.
XII1. Expiatis omnibus religionibus (mam XIII. Fatte tutte queste religiose espiazioni
etiam Locris sacrilegium pervestigatum a Q. Mi (chè anche a Locri Quinto Minucio avea trovati
nucio erat. pecuniaque ex bomis noxiorum in gli autori del sacrilegio, e de'beni de' colpevoli
thesauros reposita), quum consules in provincias fatto rimettere il danaro nel tesoro), mentre i
proficisci vellent; privati frequentes, quibus ex consoli volevano andare alle loro province, mol
pecunia, quam M. Valerio, M. Claudio consulibus tissimi privati, a quali era dovuto in quell'anno
mutuam dederant, tertia pensio debebatur eo il terzo contamento del danaro,che avean prestato
55o
TITI LIVII LIBER XXXI.
549
ai consoli, Marco Valerio e Marco Claudio, si
anno, adierunt senatum; quia consules, quum ad
novum bellum, quod magna classe magnisque presentarono al senato, perchè i consoli, bastando
exercitibus gerendum esset, vix aerarium suffi appena il pubblico tesoro alle spese della nuova
guerra, che bisognava fare con grossa flotta e
ceret, negaverant esse, unde iis in praesentia sol
grossi eserciti, avean lor detto, che non c'era di
veretur. Senatus querentes eos non sustinuit, . Si
li nte. Il senato non potè resi
in Punicum bellum pecunia data, in Macedoni che pagar al prese
stere alle loro dogli anze dicendo essi, a che se del
cum quoque bellum uti respublica vellet; aliis ex
tibus bellis , quid aliud quam publi ca danar o dato per la guerr a Cartaginese, volea
aliis orien
tam, pro beneficio, tamquam ob noxam, suam servi rsene la repub blica per la guerra di Mace
ndo sempre
pecuniam fore? - Quum et privati aequum po donia, che altro era questo, nasce
stularent, mec tamen solvendo aere alieno respu guerr e da guerr e, se non se invec e che riputarlo
izio, quasi per commessa colpa confi
blica esset, quod medium inter aequum et utile un benef
o? do nda dei privati,
erat, decreverunt, a Ut, quoniam magna pars scarl » Essen giusta la doma
blica danaro, con che
eorum agros vulgo venales esse diceret, et sibi ma non avendo la repub
o; , to
met emptis opus esse; agri publici, qui intra pagare quel debit i Padri preso un parti
quag esim um lapid em esset, copia iis fieret . di mezz o tra il giust o e l'util e, decre tarono che
quin
Consules agrum aestimaturos, et in jugera asses a poi che la maggior parte di essi diceva, che ci
molti terreni del comune da vendere, e
vectigales,testandi causa publicum agrum esse,im erano
posituros; ut, si quis, qunm solvere posset popu ch' essi avean bisogno di fare acquisti, si desse
lus, pecun iam e,
haber quam agru m mallet , re loro di quel pubblico terreno, ch'era dentro il
stitueret agrum populo.» Laeti eam conditionem confine di cinquanta miglia: che i consoli ne
privati accepere. Trientius Tabuliusque is ager, facessero la stima, e tassassero ogni giugero di
no
quia pro tertia parte pecuniae datus erat, ap un asse, per segno che quello era terre di
ragion pubblica; ad effetto, che se taluno,
pellatus. quando il popolo fosse in poter di pagare, prefe
risse di avere il danaro, invece che la terra, la
restituisse al popolo. » Accettaron di buon grado
i privati codesta condizione. Quel terreno fu
chiamato Trienzio e Tabullio, perchè era stato
dato per la terza parte del danaro dovuto.
XIV. Tum P. Sulpicius, secundum vota in XIV. Allora Publio Sulpicio, fatti i consueti
voti sul Campidoglio, uscito col paludamento da
Capitolio nuncupata, paludatus cum lictoribus Roma con i littori, venne a Brindisi, e messi
profectus ab urbe, Brundisium venit; et, veteri
ribus militibus voluntariis ex Africano exercitu nelle legioni i vecchi soldati volontarii tratti dal
l'esercito Africano, e scelte alquante navi dalla
in legiones descriptis, navibusque ex classe con
sulis Cornelii lectis, altera die, quam a Brundisio flotta del console Cornelio, il secondo giorno, da
solvit, in Macedoniam trajecit. Ibi ei praesto fue che salpato era da Brindisi, giunse in Macedonia.
Quivi gli furono innanzi gli ambasciatori Atenie
re Atheniensium legati, orantes, ut se obsidione
eximeret. Missus extemplo Athenas est C. Clau si, pregando che li liberasse dall'assedio. Fu
mandato subito alla volta di Atene Caio Claudio
dius Centho cum viginti longis navibus, et mi
Centone con venti grosse navi e con soldati. Nè
litum copiis; neque enim ipse rex Athenas obsi
il re in persona assediava Atene, chè in quel
sidebat. Eo maxime tempore Abydum oppugna
tempo combatteva Abido fortemente, fatta prova
bat, jam cum Rhodiis et Attalo navalibus certa
di sue forze co' Rodiani e con Attalo in alcune
minibus, neutro feliciter proelio, vires expertus.
gne navali, in nessuna però felicemente. Ma gli
Sed animos ei faciebat, praeter ferociam insitam, dava animo, oltre la naturale ferocia, l'alleanza
foedus ictum cum Antiocho Syriae rege, divisae
fatta con Antioco, re della Siria, e le già divise
que jam cum eo Aegypti opes; cui, morte audita
Ptolemaei regis, ambo imminebant. Contraxerant
con lui ricchezze dell'Egitto, al quale, udita la
morte del re Tolommeo, ambedue stavan sopra
autem sibi cum Philippo bellum Athenienses bramosamente. Gli Ateniesi poi s'eran tirati ad
haudduaquam digna causa; dum ex vetere for
tuna nihil praeter animosservant. Acarnanes duo dosso la guerra con Filippo per non punto degna
cagione, mentre dell'antica fortuna non altro
juvenes per Initiorum dies, non initiati, templum
conservavano, che l'alteriglia. Due giovani Acar
Cereris, imprudentes religionis, cum cetera turba
ingressi sunt. Facile eos sermo prodidit, absurde mani, ne giorni delle Iniziazioni, non essendo essi
iniziati, entrarono insieme con l'altra turba nel
quaedam percunctantes; deductique ad antistites
templi, qun palam esset per errorem ingressos, tempio di Cerere ignorando quel riti. Il parlare
55 i TITI LIVII LIBER XXXI. 552

tamquam ob infandum scelus, interfecti sunt. Id facilmente gli scoperse, mentre van facendo alcu
tam foede atque hostiliter factum gens Acarna me strane domande, e condotti dinanzi ai sacer
num ad Philippum detulit; impetravitque ab eo, doti maggiori del tempio, essendo chiaro ch'era
ut, datis Macedonum auxiliis, bellum se inferre no entrati non sapendo, furono ammazzati, quasi
Atheniensibus pateretur. Hic exercitus, primo rei d'orrendo misfatto. La nazione degli Acar
terram Atticam ferro ignique depopulatus, cum nani rapportò a Filippo questo fatto crudele
omnis generis praeda in Acarnaniam rediit; et tanto ed ostile, ed ottenne da lui che potessero,
irritatio animorum ea prima fuit: postea justum dato un soccorso di Macedoni, far guerra agli
bellum decretis civitatis ultro indicendo factum. Ateniesi. Questo esercito, messo primieramente a
Attalus enim rex Rhodiique, persecuti cedentem ferro e a fuoco tutto il contado di Atene, tornò
in Macedoniam Philippum, quum Aeginam ve in Acarnania, ricco d'ogni sorte di bottino, e di
nissent; rex Piraeeum, renovandae firmandae qua sorse il primo irritamento degli animi: poi
que cum Atheniensibus societatis causa, trajecit. l'una e l'altra città, per decreto, s'intimaron
Civitas omnis obviam effusa cum conjugibus ac guerra solennemente. Perciocchè, venuti da Egi
liberis, sacerdotes cum insignibus suis intran ma il re Attalo ed i Rodiani, poi ch'ebbero inse
tem urbem, ac dii prope ipsi excitis sedibus suis, guito Filippo, che si ritirava in Macedonia, il re
exceperunt. passò al Pireo, per rinnovare e confermare la
lega cogli Ateniesi. Uscita gli incontro tutta la
città colle mogli e co figliuoli, anche i sacerdoti
colle loro insegne, e quasi dissi, gli stessi dei
mossisi dalle lor sedi, il ricevettero all'entrar che
fece in città.

XV. In concionem extemplo populus vocatus, XV. Il popolo fu chiamato subito a parlamen
ut rex, quae vellet, coram ageret: deinde ex di to, acciocchè il re esponesse in pubblico ciò, che
gnitate magis visum, scribere eum, de quibus vi gli piacesse. Indi parve cosa più dignitosa, ch'egli
deretur, quam praesentem aut referendis suis in scrivesse quello che gli paresse, piuttosto che
civitatem beneficiis erubescere, aut significationi avesse ad arrossire, o rammemorando egli stesso
bus acclamationibusque multitudinis, assentatio i suoi benefizii verso la città, o per le attesta
ne immodica pudorem onerantis. In literis autem, zioni e acclamazioni della moltitudine, che per
quae missae in concionem recitataeque sunt, com eccesso di adulazione avrebbe aggravato troppo
memoratio erat beneficiorum primum in civita il di lui pudore. Nelle lettere adunque, che si son
tem sociam; deinde rerum, quas adversus Philip mandate all'assemblea e quivi recitate, c'era
Pum gessisset; ad postremum adhortatio; a Ca primieramente la commemorazione de di lui
Pessendum bellum, dum se, dum Rhodios, tum benefizii verso la città alleata ; poi quella delle
quidem, dum etiam Romanos haberent. Nequid cose operate contro Filippo; in fine un'esorta
quam postea, si tum cessassent, praetermissam zione, «perchè prendessero la guerra, mentre
occasionem quaesituros. » Rhodii deinde legati avevan lui e i Rodiani, ed eziandio i Romani:
auditi sunt; quorum recens erat beneficium, cessando allora, avrebbon dappoi cercata invano
quod naves longas quatuor Atheniensium, captas la perduta occasione. » Poscia fu data udienza
muper a Macedonibus recuperatasque, remiserant: agli ambasciatori Rodiani, il cui benefizio era
itaque ingenti consensu bellum adversus Philip ancor fresco, perchè, ricuperate quattro grosse
pum decretum. Bonores regi primum Attalo im navi degli Ateniesi, prese ultimamente dai Ma
modici, deinde et Rhodiis habiti: tum primum cedoni, le aveano rimesse ad Atene. Fu adunque
mentio illata de tribu, quam Attalida appellarent, decretata con unanime consentimento la guerra
ad decem veteres tribus addenda: et Rhediorum contro Filippo. Smisurati onori furon fatti dap
Populus corona aurea virtutis gratia donatus, ci prima al re Attalo; indi se ne fecero anche ai
vitasque Rhodiis data, quemadmodum Rhodii Rodiani: allora per la prima volta fu fatta men
prius Atheniensibus dederant. Secundum haec zione della tribù Attalide, da aggiungersi alle
rex Attalus Aeginam ad classem se recepit. Rho-. dieci vecchie tribù, e il popolo rodiano in pre
di Ciam ab Aegina, inde per insulas Rhodum mio del suo valore fu regalato di una corona
navigarunt: omnibus, praeter Andrum, Parum d'oro, e si diede la cittadinanza ai Rodiani, co
que, et Cythnum, quae praesidiis Macedonum te me prima i Rodiani l'avean data agli Ateniesi.
nebantur, in societatem acceptis. Attalum Aegi Dopo ciò, il re Attalo si recò ad Egina alla flotta:
nae missi in Aetoliam nuncii, exspectatique inde i Rodiani da Egina navigarono a Cia, indi a Rodi
legati, aliquamdiu nihil agentem tenuere; et ne per le isole, avendole ricevute tutte in lega, ec
queillos excire ad arma potuit, gaudentes utcum cetto Andro, Paro e Citno, ch'erano guardate
553 TITI LIVII LIBER XXXI. 554

que composita cum Philippo pace; et ipse Rho dai Macedoni. I messi mandati in Etolia e gli
diique, si institissent tunc Philippo, egregium li ambasciatori, che ne aspettava, tennero Attalo
beratae per se Graeciae titulum habere potuis alquanto tempo ozioso in Egina; nè potè muo
sent. Patiendo rursus eum in Hellespontum tra vere gli Etoli all'armi, godentisi la comunque
jicere, occupantemoue Graeciae opportuna loca fatta pace con Filippo. E veramente se egli ed i
vires colligere, bellum aluere, gloriamoue ejus Rodiani avessero incalzato Filippo, avrebbon
gesti perfectique Romanis concesserunt. potuto procacciarsi l'egregio titolo di liberatori
della Grecia. Invece soffrendo ch'egli passasse
di nuovo l'Ellesponto, e, occupati i luoghi più
opportuni della Grecia, rimettesse le sue forze,
nodrirono la guerra, e cedettero ai Romani la
gloria di aver fatta e terminata quella guerra.
XVI. Philippus magis regio animo est usus, XVI. Filippo spiegò un animo più da re, e
qui quum Attalum Rhodiosque hostes non susti non avendo potuto reggere contro Attalo ed i
nuisset, ne Romano quidem, quod imminebat, Rodiani, pure non punto atterrito dalla guerra
bello territus, Philocle quodam ex praefectis suis de Romani, che gli sovrastava, mandato certo
cum duobus millibus peditum, equitibus ducen Filocle, uno de' suoi prefetti, con due mila fanti
tis ad populandos Atheniensium agros misso, clas e dugento cavalli a saccheggiare le terre degli
se tradita Heraclidi, ut Maroneam peteret, ipse Ateniesi, consegnata la flotta ad Eraclide, perchè
terra eodem cum expeditis duobus millibus pe. andasse a Maronea, egli per terra si pose a quella
ditum, equitibus ducentis pergit. Et Maroneam volta con altri due mila fanti e dugento cavalli.
quidem primo impetu expugnavit; Aenum inde E di primo impeto prese Maronea, indi Eno,
cum magno labore, postremo proditione Gany adoperatavi da principio grande fatica, poi per
medis praefecti Ptolemaei, cepit: deinceps alia tradimento di Ganimede, prefetto di Tolommeo:
castella, Cypsela, et Doriscon, et Serrheum oc poscia occupa altri castelli, Cipsela, Dorisco e
cupat: inde progressus ad Chersonesum, Elaeun Serreo. Di là portatosi a Chersoneso, a Eleunta
ta et Alopeconnesum, tradentibus ipsis, recepit. ed Alopeconneso, apertegli le porte, se ne insi
Callipolis quoque et Madytos dedita, et castella gnorì. Anche Callipoli e Madito si diedero da sè,
quaedam ignobilia. Abydeni, ne legatis quidem ed alcuni altri castelli di minor conto. Gli Abi
admissis, regi portas clauserunt: ea oppugnatio deni, non ammessi nè anche i legati del re, gli
diu Philippum tenuit; eripique ex obsidione, mi chiusero in faccia le porte. Quell'assedio trat
cessatum ab Attalo et Rhodiis foret, potuerunt. tenne lungamente Filippo, e se Attalo ed i Ro
Attalus trecentos tantum milites in praesidium, diani non avessero indugiato, avrebbon potuto
Rhodii quadriremem unam ex classe, quum ad liberarsene. Attalo non mandò in loro soccorso
Tenedum staret, miserunt. Eodem postea, quum che trecento soldati; i Rodiani una sola quadri
jam vix sustinerent obsidionem, et ipse Attalus reme della flotta, ch'era ancorata a Tenedo.
quum trajecisset, spem tantum auxilii ex pro Essendo poi, mentre non potevan più oltre soste
pinquo ostendit, neque terra, neque mari adju nere l'assedio, passato colà lo stesso Attalo, mo
tis sociis.
strò loro solamente da vicino speranza di soc
corso, senza però in fatto soccorrere gli alleati
nè per terra, nè per mare.
XVII. Abydeni primo, tormentis per muros XVII. Gli Abideni dapprima, disposte le mac
dispositis, non terra modo adeuntes aditu arce chine pe'muri, non solamente respingevano chi
bant, sed navium quoque stationem infestam gli assaltava, ma travagliavano exiandio le navi
hosti faciebant. Postea, quum et muri pars strata nemiche. Poscia essendo già ruinata a terra una
ruinis, et ad interiorem raptim oppositum mu parte delle mura, e le mine arrivate sino al muro
rum cuniculis jam perventum esset, legatos ad intero, ch'era stato in fretta contrapposto, man
regem de conditionibus tradendae urbis mise darono ambasciatori al re a trattare delle condi
runt. Paciscebantur autem, ut Rhodiam quadri zioni di arrendere la città. Dimandavano per
remem cum sociis mavalibus, Attalique praesi patto, che la quadrireme de'Rodiani con le sue
dium emitti liceret, atque ipsis urbe excedere ciurme ed il presidio di Attalo potessero libera
cum singulis vestimentis. Quibus quum Philip mente andar fuori, ed essi uscire dalla città, cia
pus nihil pacati, nisi omnia permittentibus, re scuno con una veste. Ai quali non dando Filippo
spondisset; adeo renunciata haec legatio ab in nessuna buona risposta, se non si arrendevano a
dignatione simulac desperatione iram accendit, discrezione, tale ambasciata riportata sì fatta
ut, ad Saguntinam rabiem versi, matronas omnes mente d'ira gli accese per indignazione ad un
555 TITI LIVII LIBER XXXI. 556

in templo Dianae, pueros ingenuos, virginesque, tempo, e per disperazione, che voltisi a rabbia,
infantes etiam cum suis nutricibus, in gymnasium come già i Saguntini, fecero chiudere nel tempio
includi juberent: aurum et argentum in forum di Diana dentro il ginnasio tutte le matrone, i
deferri, vestem pretiosam in naves Rhodiam Cy fanciulli liberi, le vergini ed eziandio gl'infanti
zicenamque, quae in portu erant, congeri; sacer colle loro balie, e portare in piazza l'oro e l'ar
dotes victimasque adduci, et altaria in medio po gento, e caricare le vesti preziose sopra la nave
ni. Ibi delecti primum, qui, ubi caesam aciem de' Rodiani, e sopra l'altra de'Cisiceni ch'erano
suorum, pro diruto muro pugnantem, vidissent, in porto, e venire i sacerdoti e le vittime, e pian
extemplo conjuges liberosque interficerent; au tarsi nel mezzo gli altari. Quivi primieramente
rum, argentum, vestemque, quae in navibus esset, elessero alcuni, i quali, come avessero veduto
in mare deiicerent; tectis publicis privatisque, uccisa la schiera de'suoi, che combatteva dinanzi
quamplurimis locis possent, ignes subjicerent; al muro atterrato, subito ammazzassero le mogli
et, se facinus perpetraturos, praeeuntibus exse ed i figliuoli; l'oro, l'argento e le vesti ch'erano
crabile carmen sacerdotibus, jurejurando adacti: sulle navi, tutto gettassero nel mare; agli edifizii
tum militaris aetas jurare, neminem vivum, misi pubblici e privati, in quanti più luoghi potes
victorem, acie excessurum. Hi, memores deorum, sero, appiccassero il fuoco; e a così fare astretti
adeo pertinaciter pugnaverunt, ut, quum nox furono con giuramento, intonando i sacerdoti
proelium diremptura esset, rex prior, territus ra un carme, intessuto di orribili imprecazioni:
bie eorum, pugna abstiterit. Principes, quibus poscia si fe'giurare tutti quelli, ch'erano in età
atrocior pars facinoris delegata erat, quum pau di portar l'armi, che nessuno sarebbe uscito
cos et confectos vulneribus ac lassitudine super vivo dalla pugna, se non se vincitore. Questi, ri
esse proelio cernerent, luce prima sacerdotes cum cordevoli degli dei, sì ostinatamente combatte
infulis ad urbem dedendam Philippo mittunt. rono, che stando già la notte per far cessare la
battaglia, il re primo spaventato dalla rabbia di
costoro, lasciò di combattere. I principali della
città, a quali era stata affidata la parte più atro
ce della esecuzione, vedendo rimasti pochi dalla
battaglia, e rifiniti dalle ferite e dalla stanchez
za, sul far del giorno mandano i sacerdoti con
le infule a consegnare a Filippo la città.
XVIII. Ante deditionem ex iis legatis Roma XVIII. Udito l'assedio degli Abideni, avanti
nis. qui Alexandriam missi erant, M. Aemilius che accadesse la dedizione, Marco Emilio venne
trium consensu minimus natu, audita obsidione a Filippo, di que legati Romani, ch'erano stati
Abydenorum, ad Philippum venit. Qui, questus mandati ad Alessandria, il più giovane, col con
Attalo Rhodiisque arma illata, et quod tum sentimento degli altri tre. Il quale essendosi la
maxime Abydum oppugnaret, quum rex ab At gnato col re, ch'egli avesse mosso l'armi contro
talo et Rhodiis ultro se bello lacessitum diceret; Attalo ed i Rodiani, e che pur allora combattesse
« Num Abydeni quoque, inquit, ultro tibi intu Abido, rispondendo Filippo, che anzi era stato
lerunt arma ? » Insueto vera audire ferocior egli provocato in guerra da Attalo e dai Rodiani,
oratio visa est, quam quae habenda apud regem « Forse, disse, che anche gli Abideniti hanno
esset. « Aetas, inquit, et forma, et super omnia primi provocato? » Parve a Filippo, non avvez
Romanum nomen te ferociorem facit. Ego autem zo a udire il vero, più ardito il discorso, di quel
che convenisse tenersi a re. « L'età tua, disse,
primum velim, vos foederum memores servare
mecum pacem. Si bello'lacesseritis, mihi quoque l'avvenenza, e soprattutto il nome Romano ti fa
in animo est facere, ut regnum Macedonum no ardito più che si debbe. Ma io vorrei primiera
mente, che ricordevoli della contratta alleanza
menque, haud minus quam Romanum, nobile
bello sentiatis. » Ita dimisso legato, Philippus, conservaste meco la pace. Se mi provocherete in
guerra, ho in animo di farvi sentire anch'io, che
auro argentoque, quae coacervata erant, accepto,
hominum praedam omnem amisit: tanta enim
rabies multitudinem invasit, ut repente proditos
il regno e il nome de' Macedoni non è punto
men chiaro in guerra di quel che siasi il nome
.
rati, qui pugnantes mortem occubuissent, per Romano. » Licenziato in questa guisa il legato,
juriumque aliis alii exprobrantes, et sacerdotibus Filippo, preso tutto l'oro e l'argento, ch'era
maxime, qui, quos ad mortem devovissent, eorum ammontato, perdette però tutta la preda degli
uomini. Perciocchè tal rabbia invase la moltitu
deditionem vivorum hosti fecissent,repente omnes
ad caedem conjugum liberorumque discurrerent, dine, che parendo loro di aver tradito quelli che
seque ipsi per omnes vias lethi interficerent. eran morti combattendo, all'improvviso, gli uni
557 T'ITI LIVII Lll;ER XXXI. 558

Osbtupefactus eo furore rex, suppressit impetum agli altri rimproverando lo spergiuro, e special
militum; et, « triduum se ad moriendum Aby mente ai sacerdoti, i quali avean dato vivi in
denis dare, º dixit. Quo spatio plura facinora mano al nemico quegli stessi, che aveano offerti
in se victi ediderunt, quam infesti edidissent vittime alla morte, corsero tutti subitamente ad
victores; nec, nisi quem vincula aut alia necessi uccidere e mogli e figliuoli, e ad ammazzare sè
tas mori probibuit, quisquam vivus in potestatem stessi con quante son le maniere di morire. Stu
venit. Philippus, imposito Abydi praesidio, in pefatto il re di tanto furore, fermò l'impeto dei
regnum rediit. Quum, velut Sagunti excidium soldati, e disse « che dava agli Abideni tempo
Hannibali, sic Philippo Abydenorum clades ad tre giorni a morire. » Nel quale spazio più tratti
Romanum bellum animos fecisset, nuncii occur di crudeltà esercitaron vinti contro sè stessi, che
rerunt, consulem jam in Epiro esse, et Apollo non ne avrebbono usato contro di loro i vinci
niam terrestres copias, navales Corcyram in tori; nè, tranne qualcuno, cui vietò di morire o
hiberna deduxisse. l'essere incatenato, ovvero altra necessità, nessu
no venne vivo in potere di Filippo. Egli, messo
presidio in Abido, tornò al suo regno. Avendo
la strage degli Abideni fatto animo a Filippo,
come già l'eccidio di Sagunto ad Annibale, di
proseguir la guerra contro i Romani, gli soprag
giunsero messi colla notizia, che il console era
giunto in Epiro, e che avea menato le genti di
terra a svernare in Apollonia, e quelle di mare
a Corcira.
XIX. Inter haec legatis, qui in Africam missi XIX. In questo mezzo risposero i Cartagi
erant de Hamilcare Gallici exercitus duce, re nesi ai legati, ch'erano stati mandati in Africa
sponsum a Carthaginiensibus est, nihil ultra se a dolersi di Amilcare, fattosi condottiere del
facere posse, quam ut exsilio eum mulctarent, l'esercito dei Galli, non poter essi far altro, che
bonaque ejus publicarent. Perfugas et fugitivos, punirlo col bando, e confiscargli i beni : che
quos inquirendo vestigare potuerint, reddidisse; aveano restituiti i disertori e i fuggitivi, quanti
et de ea re missuros legatos Romam, qui senatui ricercando ne avean potuti trovare; e che di que
satisfacerent. Ducenta millia modiàm tritici Ro ste cose avrebbono spedito ambasciatori a Roma
mam, ducenta ad exercitum in Macedoniam mise a soddisfare al senato. Mandarono dugento mila
runt. Inde in Numidiam ad reges profecti legati: moggia di grano a Roma, e dugento mila all'eser
dona data Masinissae, mandataque edita. Equites cito in Macedonia. Indi quegli stessi legati anda
mille Numidae (quum duo millia daret) accepti. rono in Numidia a quei re. Furono presentati
Ipse in naves imponendos curavit, et cum du i doni a Massinissa, ed espostegli le commissioni.
centis millibus modiúm tritici, ducentis hordei, Si accettarono mille cavalieri Numidi, mentre il
in Macedoniam misit. Tertia legatio ad Vermi re ne dava due mila. Procurò egli stesso che fos
sero imbarcati, e li mandò in Macedonia con du
nam erat. Is, ad primos fines regni legatis obviam
progressus, utscriberent ipsi, quas vellent, pacis gento mila moggia di grano e dugento mila di
conditiones, permisit. Omnem pacem bonam orzo. La terza ambasceria era per Vermina. Egli,
justamque fore sibi cum populo Romano: datae fattosi incontro ai legati sui primi confini del
leges pacis, jussusque ad eam confirmandam mit regno, gli lasciò in arbitrio di scrivere quelle,
tere legatos Romam. -
che lor piacessero, condizioni di pace: qualun
que pace col popolo Romano la terrebbe egli
per buona e giusta. Dategli le condizioni della
pace, gli fu ordinato di mandare a Roma amba
sciatori per ratificarla.
XX. Per idem tempus L. Cornelius Lentulus XX. Verso quel tempo medesimo il procon
pro consule ex Hispania rediit. Qui quum in sole Lucio Cornelio Lentulo tornò dalla Spagna.
senatures ab se per multos annos fortiter felici Il quale esponendo in senato le belle imprese
terque gestas exposuisset, postulassetque, ut quivi fatte da lui per molt'anni, e chiedendo
triumphanti sibi invehi liceret in urbem; a res che gli fosse permesso di entrare in Roma trion
triumpho dignas esse censebatsenatus, sed exem fante, era bensì d'avviso il senato, a che quelle
plum a majoribus non accepisse, ut, qui neque imprese degne fossero del trionfo, ma non aveano
dictator, neque consul, meque praetorres gessis da maggiori nessuno esempio, che chi avesse
set, triumpharet. Pro consule illum Hispaniam guerreggiato non essendo nè dittatore, nè con
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provinciam, non consulem aut praetorem obti sole, nè pretore, trionfasse. Aver egli avuta la
muisse. » Decurrebatur tamen eo, utovans urbem provincia di Spagna, bensì proconsole, ma non
iniret, intercedente Ti. Sempronio Longo tribu console, nè pretore. ” Si correva bene sin là, che
no plebis; qui nihilo magis id more majorum, in città entrasse ovante; opponendosi nondimeno
autullo exemplo futurum diceret. Postremo vi il tribuno della plebe Tito Sempronio Longo,
ctus consensu Patrum tribunus cessit, et ex sena dicendo che questo stesso sarebbe contro l'usan
tusconsulto L. Lentulus ovans urbem est ingres za de maggiori, e senza simile esempio. In fine il
sus. Argenti tulit ex praeda quadraginta quatuor tribuno, vinto dal consentimento de'Padri, ce
millia pondo; auri duo millia quadringenta quin dette, e Lucio Lentulo, per decreto del senato,
quaginta: militibus ex praeda centum viginti entrò ovante in Roma. Portò della preda qua
asses divisit. ranta quattro mila libbre d'argento, e due mila
quattrocento e cinquanta d'oro: della stessa pre
da divise a soldati cento e venti assi per ciascuno.
XXI. Jam exercitus consularis ab Arretio XXI. Già l'esercito consolare era stato tradot
Ariminum traductus erat, et quinque millia so to da Arezzo a Rimini, e cinque mila alleati del
ciùm Latini nominis ex Gallia in Etruriam trans nome Latino eran passati dalla Gallia nella To
ierant: itaque L. Furius, magnis itineribus ab scana. Quindi Lucio Furio, partitosi da Rimini a
Arimino adversus Gallos, Cremonam tum obsi gran giornate ad incontrare i Galli, che allora
dentes, profectus, castra mille quingentorum assediavano Cremona, si accampò discosto dai
passuum intervallo ab hoste posuit. Occasio egre nemici mille e cinquecento passi. Gli si era offerta
gie rei gerendae fuit, si protinus de via ad castra occasione di un bel fatto, se appena giunto avesse
oppugnanda duxisset. Palati passim vagabantur condotto i suoi ad assaltare il lor campo. Erra
per agros, nullo satis firmo relicto praesidio: vano dispersi per la campagna, senza aver la
lassitudini militum timuit, quod raptim ductum sciato presidio forte abbastanza: temette della
agmen erat. Galli, clamore suorum ex agris revo stanchezza del soldati, perchè gli avea fatti cam
cati, omissa praeda, quae in manibus erat, castra minare in gran fretta. I Galli, richiamati dalla
repetivere, et postero die in aciem progressi, nec campagna alle grida de' suoi, lasciata la preda,
Romanus moram pugnandi fecit: sed vix spatium che aveano tra le mani, tornarono agli accampa
instruendi fuit ; eo cursu hostes in proelium menti, e il dì seguente uscirono in ordinanza. Nè
venerunt. Dextra ala (in alas divisum socialem il Romano frappose tempo al combattere; ma
exercitum habebat) in prima acie locata est: in s'ebbe appena quello di ordinare le schiere; con
subsidiis duae Romanae legiones. M. Furius tal corso vennero i nemici alla battaglia. L'ala
dextrae alae, legionibus M. Caecilius, equitibus destra (era diviso l'esercito degli alleati in ale)
L. Valerius Flaccus (legati omnes erant) prae fu messa nella prima schiera: le due legioni Ro
positi. Praetor secum duos legatos, Cn. Laetorium mane nella retroguardia. Marco Furio comandava
et P. Titinium, habebat; cum quibus circumspi all'ala destra, Marco Cecilio alle legioni, Lucio
cere et obire ad omnes hostium subitos conatus Valerio Flacco (eran tutti legati) ai cavalli. Il
posset. Primo Galli, omni multitudine in unum pretore aveva seco due legati, Gneo Letorio e
locum connisi, obruere atque obterere sese de Publio Titinio, co' quali potesse veder tutto al
xtram alam, quae prima erat, sperarunt posse. l'intorno, e farsi incontro ad ogni subito tenta
Ubi id parum procedebat, circumire a cornibus, tivo dei nemici. Dapprima i Galli, fatto uno
et amplecti hostium aciem (quod in multitudine sforzo con tutta la gente raccolta in un sol luogo,
adversus paucos facile videbatur) conati sunt. speravano di poter opprimere e schiacciare l'ala
Id ubi vidit praetor, ut et ipse dilataret aciem, destra, ch'era la prima; il che non riuscendo
duas legiones ex subsidiis dextra laevaque alae, loro, tentarono di avviluppare dai lati, e torre
quae in prima acie pugnabat, circumdat, aedem in mezzo la schiera nemica (il che pareva facile
que deo Jovi vovit, si eo die hostes fudisset. L. a farsi con tanta moltitudine contro pochi). Come
Valerio imperat, ut parte duarum legionum equi il pretore vide questo, anch'egli per allargare
tes, altera sociorum equitatum in cornua hostium l'ordinanza, con due legioni tratte della retro
emittat, neccircumire eos aciem patiatur. Simul guardia circonda a destra ed a sinistra l'ala, che
et ipse, ut extenuatam mediam deductis corni combatteva sulla prima fronte, e fe” voto di un
busaciemn Gallorum vidit, signa inferre confertos tempio a Giove, se avesse in quel dì sbaragliati i
milites, et perrumpere ordines jubet. Et cornua nemici. Ordina a Lucio Valerio che da una parte
ab equitibus, et medii a pedite pulsi; ac repente, i cavalli delle due legioni, dall'altra spinga contro
quum omni parte caede ingenti sternerentur, Galli i fianchi del nemico la cavalleria degli alleati, nè
terga vertunt, fugaque effusa repetunt castra. Fu lasci che circondino i combattenti. A un tempo
56 i Tll I LIVll LIBER XXXI, 562

gientes persecutus eques, mox et legiones insecu stesso egli, come vide assottigliato il centro dei
tae in castra impetum fecerunt. Minus sex millia Galli per essersi i lor fianchi dilalati, ordina che
hominum inde effugerunt: caesa aut capta supra i soldati stretti insieme vi si scaglino dentro, e
quinque et triginta millia cum signis militaribus rompano l'ordinanza. I fianchi furon quindi re
septuaginta carpentis Gallicis, multa praeda onera spinti dai cavalli, il centro dai pedoni, e subito i
tis, plus ducentis. Hamilcar dux Poenus eo proe Galli, con grande strage tagliati a pezzi da ogni
lio cecidit, et tres imperatores nobiles Gallorum. parte, voltan le spalle, e a briglia sciolta fuggono
Placentini captivi ad duo millia liberorum capitum agli alloggiamenti. La cavalleria e in appresso le
redditi colonis. legioni, inseguendo il nemico, assaltarono gli
alloggiamenti : ne fuggirono meno di sei mila ; i
morti e presi furon più di trentacinque mila con
settanta bandiere, e con più di dugento carri Gal
lici, carichi di molta preda. Amilcare Cartaginese,
che comandava, perì in quel fatto, e tre mobili
capitani dei Galli. Da due mila prigioni Piacen
timi, di libera condizione, furono restituiti ai
coloni.
XXII. Magma victoria laetaque Romae fuit : XXII. Fu grande la vittoria, grande il giubilo
literis allatis, supplicatio in triduum decreta est. a Roma recate le lettere, si decretaron preghiere
Romanorum sociorumque ad duo millia eo proe per tre dì. De Romani e degli alleati caddero in
lio ceciderunt: plurimi dextrae alae, in quan quel fatto intorno a due mila; i più dell'ala
primo impetu visingens hostium illata est. Quam destra, contro la quale s'era scagliata nel primo
quam per praetorem prope debellatum erat, con impeto la maggior forza de'nemici. Benchè avesse
sul quoque C. Aurelius, perfectis, quae Romae il pretore pessochè finita egli la guerra, nondi
agenda fuerant, profectus in Galliam, victorem meno anche il console Caio Aurelio, terminate in
exercitum a praetore accepit. Consul alter, quum Roma le cose, ch'erano a farsi, andato nella Gallia,
autumno ferme exacto in provinciam venisset, ricevette dalle mani del pretore l'esercito vitto
circa Apolloniam hibernabat. Ab classe, quae rioso. L'altro console, essendo andato alla sua
Corcyrae subducta erat, C. Claudius triremesque provincia quasi in sul fine dell'autunno, sverna
Romanae (sicutante dictum est) Athenas missae, va ne' contorni di Apollonia. Caio Claudio e le
quum Piraeeum pervenissent, despondentibus triremi Romane tratte dalla flotta, ch'era in terra
jam animos sociis spem ingentem attulerant: a Corcira, e mandate ad Atene (come s'è detto
mam et terrestres ab Corintho, quae per Megaram innanzi), essendo giunte al Pireo, aveano rilevate
incursiones in agros fieri solitae erant, non ſie le speranze degli alleati, già presso a perdersi
bant ; et praedonum a Chalcide naves, quae non d'animo. Gia le scorrerie per terra, che da Co
mare solum infestum, sed etiam omnes maritimos rinto si solevan fare per Megara nel lor contado,
agros Atheniensibus fecerant, non modo Sunium non più si facevano, e i legni del pirati che da
superare, sed nec extra frumentum Euripi com Calcide aveano infestato non solamente tutto il
mittere aperto mari se audebant. Supervenerunt mare, ma eziandio tutte le spiagge marittime
his tres Rhodiae quadriremes, eterant Atticae tres degli Ateniesi, non solo non osavano di oltrepas
aperte naves, ad tuendos maritimos agros com sare Sunio, ma nè anche di fidarsi in alto mare
paratae. Hac classe si urbs agrique Atheniensium fuor dello stretto dell' Euripo. Si aggiunsero a
defenderentur, satis in praesentia existimanti quelle triremi tre quadriremi Rodiane, e ci eran
Claudio esse, majoris etiam rei fortuna oblata anche tre navi aperte degli Ateniesi, ordinate per
est. difendere le terre vicine al mare. Stimando Clau
dio, che per il presente si sarebbe fatto abbastan
za, se con questa flotta si fosse difesa la città e il
contado degli Ateniesi, se gli offerse bella occa
sione anche di maggior impresa.
XXIII. Exsules ab Chalcide, regiorum injuriis XXIII. I banditi di Calcide, scacciati dalla
pulsi, attulerunt, occupari Chalcidem sine certa violenza del partito regio, arrecarono che si po
mine ullo posse; nam et Macedonas, quia nullus teva occupare Calcide senza nessuno contrasto.
in propinquo sit hostium metus, vagari passim, et Perciocchè i Macedoni, non avendo nemico vici
oppidanos, praesidio Macedonum fretos, custo no, di cui temere, andavano vagando qua e cola,
diam urbis negligere. His auctoribus profectus, e i terrazzani, fidatisi nel presidio dei Macedoni,
quamquam Sunium ita mature pervenerat, ul trascuravano la custodia della i". Claudio, par
livio a G
563 TITI LIVII LIBER XXXI. 564
inde provehi ad primas angustias Euboeae posset; titosi dietro il consiglio di costoro, quantunque
ne superato promontorio conspiceretur, classem fosse giunto a Sunio sì per tempo, che poteva di
in statione usque ad noctem tenuit. Primis tene là recarsi fino ai primi stretti dell'Eubea, pure
bris movit ; et tranquillo pervectus Chalcidem, per non esser veduto, se passasse il promontorio,
paullo ante lucem, qua infrequentissima urbis tenne la flotta in sull'ancora sino alla notte. Si
sunt, paucis militibus turrim proximam murum mosse sul primo imbrunire, e con tranquilla na
que circa scalis cepit, alibi sopitis custodibus, alibi vigazione arrivato a Calcide poco innanzi giorno,
nullo custodiente. Progressi inde ad frequentia prese con le scale, dalla parte della città, ch'è la
aedificiis loca, custodibus interſectis, refractaque più deserta, con pochi soldati la torre vicina e il
porta, ceteram multitudinem armatorum accepe muro, essendo qua addormentate le guardie, nes
runt. Inde in totam urbem discursum est, aucto suno colà che custodisse. Indi inoltratisi a luoghi
etiam tumultu, quod circa forum ignistectis in più affollati di case, uccise le guardie e fracassata
jectus erat. Conflagrarunt et horrea regia, et ar la porta, introdussero tutto il restante degli ar
mamentarium cum ingenti apparatu machinarum mati. Poi si feceero a correre tutta la città, cre
tormentorumque : caedes inde passim fugientium sciuto il tumulto anche perchè intorno alla piazza
pariter ac repugnantium fieri coepta est; necullo era stato appiccato il fuoco alle case. Rimasero
jam, qui militaris aetatis esset, non aut caeso, aut abbruciati i granai del re e l'arsenale con tutto
fugato, Sopatro etiam Acarnane praefecto praesi l'apparecchio di stromenti da guerra e macchine
dii interfecto, praeda omnis primo in forum col d'ogni sorte. Indi si cominciò a tagliare a pezzi
lata, deinde in naves imposita. Carcer etiam ab indistintamente e chi fuggiva, e chi resisteva: e
Rhodiis refractus, emissidue captivi, quos Philip già non rimanendo alcuno in età di portar l'arme,
pus tamquam in tutissimam custodiam condide che non fosse ucciso, o preso, ammazzato anche
rat. Statuis inde regis dejectis truncatisque, signo Sopatro di Acarnania, comandante del presidio,
receptui dato, conscenderunt naves, et Piraeeum, primieramente tutta la preda fu portata in sulla
unde profecti erant, redierunt. Quod si tantum piazza, poi caricata sulle navi. Fu anche rotta dai
militum Romanorum fuisset, ut et Chalcisteneri, Rodiani la carcere, e messi fuori i prigioni, che
et non deseri praesidium Athenarum potuisset; Filippo avea quivi rinserrati, quasi in custodia
magna res principio statim belli, Chalcis et Euri sicurissima. Poscia atterrate e troncate le statue
pus adempta regi forent: nam ut terra Thermo del re, sonato a raccolta, montarono in sulle navi,
pylarum angustiae Graeciam, ita mari fretum Eu e tornarono al Pireo, donde erano partiti. Che
ripi claudit. - se ci fossero stati tanti soldati Romani da potersi
ad un tempo tener Calcide, e non lasciare Atene
senza difesa, grande cosa sarebbe stata sul princi
pio della guerra l'aver tolto al re Calcide e l'Eu
ripo: perciocchè, come dalla parte di terra lo
stretto delle Termopile, così da quella di mare
lo stretto dell' Euripo chiude tutta la Grecia.
MXIV. Demetriade tum Philippus erat: quo XXIV. Era Filippo in quel tempo a Demetria
quum esset nunciata clades sociae urbis, quam de: dove essendogli recata la nuova della strage
quam serum auxilium perditis erat, tamen, quae della città alleata, benchè tardo fosse il soccorso
proxima auxilio est, ultionem petens, cum expe a gente perduta, nondimeno, cercando la vendet
ditis quinque millibus peditum, et trecentis equi ta, solo conforto che gli restava, partitosi subito
tibus extemplo profectus, cursu prope Chalcidem con cinque mila fanti armati alla leggera, e con
contendit, haudquaquam dubius opprimi Roma trecento cavalli, quasi di corso andò alla volta di
nos posse. A qua destitutus spe, ne quidquam Calcide, non dubitando di non poter opprimere
aliud, quam ad deforme spectaculum semirutae i Romani. Della quale speranza fallito, nè ad
ac fumantis sociae urbis quum venisset, paucisvix, altro venuto essendo, che a vedere lo spettacolo
qui sepelirent bello absumptos, relictis, aeque della città alleata mezzo distrutta, e ancor fuman
raptim ac venerat, transgressus ponte Euxipum, te, lasciati pochi appena bastanti a seppellire gli
per Boeotiam Athenas ducit, pari incepto haud uccisi, colla stessa fretta, con cui era venuto, pas
disparem eventum ratus responsurum. Et respon sato sopra un ponte l'Euripo, per la Beozia con
disset, ni speculator (hemerodromos vocant Grae duce i suoi ad Atene, sperando che a pari impresa
ci, ingens die uno cursu emetientes spatium), pari esito risponderebbe. E avrebbe corrispo
contemplatus regium agmen e specula quadam, sto, se uno speculatore (i Greci li chiamano Ile
praegressus nocte media Athenas pervenisset. merodromi, che in un giorno fanno correndo
ldem ibi somnus, eademque negligentia erat, gran cammino), scoperta da una vedetta la gente
565 TITI LIVII LIBER XXXI. 566;

quae Chalcidem dies ante paucos prodiderat. Ex del re, precedutolo, non fosse giunto in Atene a
citati nuncio trepido et praetor Atheniensium, et mezza notte. Quivi era lo stesso sonno, la stessa
Dioxippus praefectus cobortis mercede militan trascuratezza, che avea pochi dì innanzi tradito
tium auxiliorum, convocatis in forum militibus, Calcide. Eccitati dal trepidante messo il pretore
tuba signum ex arce dari jubent, nt hostes adesse degli Ateniesi e Diossippo, prefetto della coorte
omnes scirent: ita undigue ad portas, ad muros degli aiuti mercenarii, chiamati i soldati alla
discurrunt. Paucas post horas Philippus, aliquanto piazza, fan dare dalla rocca il segno con la tromba,
tamen ante lucem, appropinquans urbi, conspe acciocchè tutti sapessero esser presso il nemico.
ctis luminibus crebris et fremitu hominum trepi Quindi da ogni parte si corre alle porte, alle
dantium (ut in tali tumultu) exaudito, sustinuit mura. Poche ore dopo Filippo, però alquanto
signa: et considere ac conquiescere agmen jussit, innanzi giorno, accostatosi alla città, visto gran nu
vi aperta propalam usurus, quando parum dolus mero di lumi, e udito il fremere della gente (come
profuerat. Ab Dipylo accessit: porta ea, velut in accade in simili tumulti), spaventato fermò le
ore urbis posita, major aliquanto patentiorque, insegne, e ordinò che i suoi facesser alto, riposas
quam ceterae, est: et intra eam extraque latae sero, determinato di usare palesemente la forza,
sunt viae, ut et oppidani dirigere aciem a foro ad poi che poco gli avea giovato l'inganno. Si acco
portam possent: et extra limes mille ferme pas stò dalla parte di Dipilo : quella porta, situata
sus, in Academiae gymnasium ferens, pediti equi quasi alla bocca della città, è alquanto più grande
tique hostium liberum spatium praeberet. Eoli e più larga delle altre, e dentro e fuori ha stra
mite Athenienses cum Attali praesidio et cohorte de larghe; sicchè dentro i terrazzani potevano
Dioxippi, acie intra portam instructa, signa ex drizzare le schiere dalla piazza alla porta, e fuori
tulerunt. Quod ubi Philippus vidit, habere se una spianata di quasi mille passi, che mette al
hostes in potestate ratus, et diu optata caede ginnasio dell'Accademia, lasciava libero spazio
(neque enim ulli Graecorum civitatium infestior alla fanteria e cavalleria de'nemici. Gli Ateniesi
erat) expleturum, cohortatus milites, « ut, se in col presidio di Attalo e colla coorte di Diossippo,
tuentes, pugnarent, scirentgue ibisigna, ibi aciem messisi prima in ordinanza, uscirono fuori in
esse debere, ubi rex esset; º concitat in hostes quella spianata. Il che vedendo Filippo, stimando
equum, non ira tantum, sed etiam gloria elatus; di aver in mano i nemici, e che si sarebbe final
quod, ingenti turba completis etiam ad spectacu mente sfamato nella loro strage da tanto tempo
lum muris, conspici se pugnantem egregium du bramata (chè di tutte le greche città niun'altra
cebat. Aliquantum ante aciem cum equitibus pau gli era tanto odiosa), esortati i suoi a combattere,
cis evectus in medios hostes, ingentem quum suis « tenendo sempre l'occhio fisso in lui, e che là
ardorem, tum pavorem hostibus injecit. Pluri dovevano essere le bandiere e il forte della pugna,
mos manu sua cominus eminusque vulneratos dove fosse il re, º sprona il cavallo contro i ne
compulsosque in portam consecutus et ipse, quum mici, non tanto infiammato dall'ira, quanto dalla
majorem in angustiis trepidantium edidisset cae gloria; perciocchè, piene essendo tutte le mura
dem, in temerario incepto tutum tamen receptum d'immensa turba corsa a vedere, stimava bella
habuit; quia, qui in turribus portae erant, susti cosa esser visto a combattere. Passato alquanto
nebant tela, ne in permixtos hostibussuos conjice innanzi alle prime file con pochi cavalli in mezzo
rent Intra muros deinde tenentibus milites Athe a'nemici, come grande ardore ne'suoi, così gran
miensibus, Philippus, signo receptuidato, castra ad de spavento mise nel nemico. Inseguendo egli
Cynosarges (templum Herculis, gymnasiumque stesso molti di sua mano e dappresso e da lontano
et lucus erat circumjectus) posuit; sed Cynosar feriti, e respintili sino alla porta, avendo fatto
ges, et Lyceum, et quidquid sancti amoenive circa nelle strettezze strage ancora maggiore del fuggi
urbem erat, incensum est, dirutaque non tecta tivi, potè in un'impresa cotanto temeraria pur
solum, sed etiam sepulcra; nec divini humanive salvo ritirarsi, perchè quelli, che stavano sulle
iuriº quidquam prae impotenti ira est servatum. torri della porta, si ristavano dal trarre dardi,
per non me lanciare contro i suoi misti a 'nemici.
Poscia, ritenendo gli Ateniesi le lor genti dentro
le mura, Filippo, fatto sonare a raccolta, pose
il campo a Cinosarge (v'era il tempio di Erco
le, il ginnasio e un bosco all'intorno). Ma Ci
nosarge e il liceo, e quanto c'era di santo o di
ameno intorno la città, tutto fu preda delle
fiamme. Così diroccarono le case non solamente,
ma eziandio i sepolcri; nè per la violenza dello
567 TITI LIVII LIBER XXXI. 568

sdegno cosa intatta lasciarono, divina o umana


che fosse.

XXV. Postero die, quum primo clausae fuis XXV. Il dì seguente, essendo state prima
sent portae, deinde subito apertae, quia praesi chiuse, poi subitamente aperte le porte, perchè
dium Attali ab Aegina, Romanique ab Piraeeo entrato era in città il soccorso di Attalo venuto
intraverant urbem, castra ab urbe retulit rex tria da Egina, non che i Romani dal Pireo, il re ritras
ferme millia passuum. Inde Eleusinem profectus, se indietro il campo a tre miglia incirca. Indian
spe improviso templi castellique, quod et immi dato ad Eleusi con la speranza di prendere all'im
met et circum datum est templo, capiendi, quum provviso il tempio e la rocca, che gli sta sopra e
haudquaquam neglectas custodias animadvertis lo cinge all'intorno, ma vedendo che la custodia
set, et classem a Piraeeo subsidio venire, omisso non era punto trascurata, e che dal Pireo veniva
incepto, Megaram; ac protinus Corinthum ducit: in soccorso la flotta, lasciata l'impresa, si condusse
et quum Argis et Achaeorum concilium esse au a Megara, e subito a Corinto. E avendo udito
disset, inopinantibus Achaeis, concioni ipsi super che in Argo radunata era l'assemblea degli Achei,
venit. Consultabant de bello adversus Nabin ty mentre questi non sel pensavano, sopraggiunse
rannum Lacedaemoniorum: qui, translato impe alla dieta. Consultavano della guerra da farsi a
rio a Philopoemene ad Cycliadem, nequaquampa Nabide, tiranno dei Lacedemoni; il quale, trasfe
rem illi ducem, dilapsa cernens Achaeorum au rito il comando da Filopemene a Cicliade, capi
xilia, redintegraverat bellum, agrosque finitimo tano per nessun modo pari a quello, vedendo
rum vastabat, et ja.n urbibus quoque erat ter essersi dileguata la gente degli Achei, avea rico
ribilis. Adversus hunc hostem, quum, quantum minciata la guerra e devastava le terre dei confi
ex quaque civitate militum scriberetur, consulta nanti, e già facea tremare le città stesse. Mentre
rent; Philippus, dempturum se eis curam, quod si consultava quanti soldati dar dovesse ciascuna
ad Nabin et Lacedaemonios attineret, pollicitus, città contro codesto nemico, promise Filippo,
nec tantum agros sociorum populationibus pro che quanto a Nabide ed ai Lacedemoni, gli avreb
hibiturum, sed terrorem omnem belli in ipsam be egli sollevati d'ogni pensiero, e che non sola
Laconicam, ducto eo extemplo exercitu, transla mente difenderebbe il paese degli alleati dai
turum. Haec oratio quum ingenti hominum as saccheggiamenti, ma che, tratto subito l'esercito
sensu acciperetur; c. Ita tamen aequum est, in colà, trasporterebbe nella stessa Laconia tutto il
quit, me vestra meis armistutari, ne mea interim terror della guerra. Essendo accolta questa pro
nudentur praesidiis. Itaque, si vobis videtur. posizione con generale assentimento, « Egli è
tantum parate militum, quantum ad Oreum et però, disse, giusto, che io difenda le cose vostre
Chalcidem et Corinthum tuenda satis sit, ut, in modo, che le mie intanto snudate non restino
meis ab tergo tutis, securus bellum Nabidi infe di difesa. Pertanto, se vi pare, allestite tanti sol
ram et Lacedaemoniis.» Non fefellit Achaeos quo dati, quanti bastino a proteggere Oreo e Calci
spectasset tam benigna pollicitatio, auxiliumque de e Corinto, sì che guardato alle spalle, io possa
oblatum adversus Lacedaemonios: id quaeri, ut securo far guerra a Nabide ed ai Lacedemoni. n
obsidem Achaeorum juventutem educeret ex Pe Non isfuggì agli Achei, dove mirasse una pro
loponneso, ad illigandam Romano bello gentem. messa sì generosa, e l'aiuto offerto contro i La
Et id quidem coarguere Cycliadas praetor Achae cedemoni: mirava a condur fuori del Pelopon
orum nihil attinere ratus, id modo quum dixis neso, quasi ostaggi, la gioventù degli Achei, e
set, non licere legibus Achaeorum de aliis rebus ad implicarla nazione nella guerra coi Romani:
referre, quam propter quas convocati essent; de E stimando Cicliade, pretore degli Achei che
creto de exercitu parando adversus Nabin facto, non importasse punto rilevar questo, null'altro
concilium fortiterac libere habitum dimisit; in avendo detto, se non che non era lecito per le
ter assentatores regios ante eam diem habitus. leggi degli Achei trattar d'altre cose fuor di
Philippus, magna spedepulsus, voluntariis paucis quelle, per le quali erano stati convocati, fatto
militibus conscriptis, Corinthum atque in Atti decreto per l'allestimento dell'esercito contro
cam terram rediit. Nabide, licenziò la dieta, che avea tenuta con
fermezza e libertà; uomo sino a quel dì annove
rato tra gli adulatori del re. Filippo, caduto da
così grande speranza, levati pochi soldati volon
tarii, tornò a Corinto e nell'Attica.
XXVI. Per eos ipsos dies, quibus Philippus XXVI. In que'di medesimi, ne'quali Filippo
in Achaja fuit, Philocles praefectus regius, ex stette nell'Acaia, Filocle, prefetto del re, partito
Euboea profectus cum duobus millibus Thracum si dell'Eubea con due mila Traci e Macedoni a
TITI LIVII LIBER XXXI. 57o
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Macedonumque ad depopulandos Atheniensium devastar le terre degli Ateniesi, travarcò dalla
fines, e regione Eleusinissaltum Cithaeromistran banda di Eleusi il passo di Citerone. Di là, mam
scendit. Inde dimidia parte militum ad praedan data la metà de'soldati a predare qua e là per la
dum passim per agros dimissa, cum parte ipse campagna, egli coll'altra metà si pose occulta
occultus loco ad insidias opportuno consedit, ut, mente in agguato in luogo opportuno, onde, se
si ex castello ab Eleusine in praedantessuosim-. dal castello di Eleusi si desse addosso ai preda
petus fieret, repente hostes effusos ex improviso tori, assaltare i nemici sparpagliati. ll teso aggua
adoriretur. Non fefellere insidiae: itaque revoca to non riuscì. Richiamati dunque i soldati, che
tis, qui discurrerant ad praedandum, militibus, eran corsi a predare, e messili in ordinanza, an
instructisque, ad oppugnandum castellum Eleu dato a combattere il castello di Eleusi, se ne ri
sinem profectus, cum multis inde vulneribus re partì con molte ferite, e si congiunse a Filippo,
cessit, Philippoque se venienti ex Achaja conjun che veniva dall'Acaia. Anche il re tentò di pren
xit. Tentata et ab ipso rege oppugnatio eius ca dere quel castello; ma le navi romane, che veni
stelli est: sed naves Romanae, a Piraeeo venien vano dal Pireo, ed il soccorso introdotto l'ob
tes, intromissumque praesidium absistere incepto bligarono a lasciare l'impresa. Poscia, diviso
coégerunt. Diviso deinde exercitu, rex cum parte l'essrcito, il re con una parte mandò Filocle ad
Philoclem Athenas mittit, cum parte ipse Pirae Atene, con l'altra si avvia egli stesso verso il Pi
eum pergit; ut, quum Philocles subeundo mu reo, col pensiero, che mentre Filocle, accostan
ros, et comminanda oppugnatione contineret ur dosi alle mura, e minacciando di combattere la
be Athenienses, ipsi Piraeeum levi cum praesidio città, ritenesse dentro gli Ateniesi, potesse egli
relictum expugnandi facultas esset . Ceterum espugnare il Pireo, rimasto con picciolo presidio.
nihilo ei Piraeei, quam Eleusinis, facilior, iisdem Ma l'espugnazione del Pireo non gli fu punto
ſere defendentibus, oppugnatio fuit. A. Piraeeo più facile, che quella di Eleusi, difeso quasi dai
Athenas repente duxit; inde eruptione subita medesimi combattenti. Dal Pireo subitamente si
peditum equitumque inter angustias semiruti trasportò ad Atene; indi respinto da improvvisa
muri, qui brachiis duobus Piraeeum Athenis sortita di fanti e di cavalli usciti per le strettez
jungit, repulsus, omissa oppugnatione urbis, di ze del muro mezzo abbattuto, che unisce con
viso cum Philocle rursus exercitu, ad vastandos due braccia il Pireo ad Atene, lasciato il battere
agros profectus, quum priorem populationem la città, diviso nuovamente l'esercito con Filocle,
sepulcris circa urbem diruendis exercuisset, ne e portatosi a devastare il contado, avendo eser
quid inviolatum relinqueret, templa deim, quae citato il primo guasto col rovinare i sepolcri
pagatim sacrata habebant, dirui atque incendi eretti attorno la città, ordinò, per non lasciare
jussit. Exornata eo genere operum eximie terra nulla d'intatto, che si atterrassero ed abbrucias
Attica, et copia domestici marmoris, et ingeniis sero i tempii degli dei, che si trovavano qua e
artificum, praebuit huic furori materiam ; neque là consegrati per le borgate. L'Attica egregia
enim diruere modo ipsa templa, ac simulacra mente adornata di codesta sorte di opere, e per
evertere satis habuit; sed lapides quoque, ne l'abbondanza dei marmi del paese, e per l'inge
integri cumularent ruinas, frangijussit; et, post gno degli artefici, somministrò materia a così
quam non tam ira satiata, quam irae exercendae fatto furore. Perciocchè non gli bastò di abbat
materia haec deerat, agro hostium in Boeotiam tere i tempii e le statue, ma comandò che si
excessit, nec aliud quidquam dignum memoria spezzassero anche le pietre, onde rimaste intere
in Graecia egit. non riparassero le ruine; e di poi, non tanto
perchè avesse saziata l'ira, quanto perchè man
cogli la materia di esercitarla, uscito dalle terre
de'nemici andò in Beozia; nè fece nella Grecia
cosa altra degna di memoria.
XXVII. Consul Sulpicius eo tempore inter XXVII. Il console Sulpicio in quel tempo
Apolloniam ac Dyrrachium ad Apsum flumen accampato era tra Apollonia e Durazzo sul fiu
habebat castra; quo arcessitum L. Apustium le me Apso; dove chiamato il legato Lucio Apustio,
gatum, cum parte copiarum ad depopulandos lo manda con parte dell'esercito a saccheggiar
hostium fines mittit. Apustius, extrema Macedo le terre dei nemici. A pustio, messi a guasto i
miae populatus, Corrago et Gerrunio et Orgesso confini della Macedonia, presi di primo impeto
castellis primo impetu captis, ad Antipatriam in i castelli Corrago, Gerrunio e Orgesso, venne
faucibus angustis sitam urbem, venit: ac primo ad Antipatria, città posta in una stretta gola. E
evocatos principes ad colloquium, ut fidei Ro dapprima, chiamati a parlamento i principali,
manorum se committerent, perlicere est conatus: tentò d'indurli a darsi ai Romani; indi, siccome
TITI LIVII LIBER XXXI. f, m o
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deinde, ubi, magnitudine ac moenibus situque ur fidatisi nella grandezza, nelle mura e nel sito
bis freti, dicta aspernabantur,vi atque armis ador della città, non davano ascolto alle parole, la
tus, expugnavit; puberibusque interfectis, prae prese con la forza e coll'armi, e uccisi tutti gli
da omni militibus concessa, diruit muros, atque adulti, data tutta la preda ai soldati, atterrò i
urbem incendit. Hic metus Codrionem, satis va muri ed abbruciò la città. Questo spavento fece
lidum et munitum oppidum, sine certamine ut sì, che Codrione, castello assai forte e ben guer
dederetur Romanis effecit. Praesidio ibi relicto, mito, si diede ai Romani senza contrasto. Lasciato
Ilion (nomen propter alteram in Asia urbem, quivi un presidio, Ilione (nome più noto per
quam oppidum, notius) vi capitur. Revertentem l'altro Ilione dell'Asia, che per questo) è preso
legatum ad consulem cum satis magna praeda, per forza. Mentre il legato tornava al console con
Athenagoras quidam regius praefectus in transi assai ricca preda, certo Atenagora, prefetto del
tu fluminis a novissimo agmine adortus, postre re, assaltatolo alla coda nel passaggio di un fiu
mos turbavit: ad quorum clamorem et trepida me, mise lo spavento nella retroguardia. Alle
tionem quam revectus equo propere legatus si cui grida e romore il legato, dando indietro
gna convertisset, conjectisque in medium sarcinis prestamente col cavallo, voltate le bandiere e
aciem direxisset; non tulere impetum Romano messi nel mezzo i bagagli, avendo drizzate lor
rum militum regii: multi ex iis occisi, plures contro le sue genti, non sostennero quelle del re
capti. Legatus, incolumi exercitu reducto ad con l'impeto dei soldati Romani: molti ne furono
sulem, remittitur inde extemplo ad classem. uccisi, moltissimi presi. Il legato, ricondotto
l'esercito salvo al console, di là fu rimandato
subito alla flotta.
XXVIII. Hac satis felici expeditione bello XXVIII. Cominciata la guerra con questa
commisso, reguli ac principes accolae Macedo bastantemente felice spedizione, i regoli e i prin
donum in castra Romana veniunt, Pleuratus Scer cipi vicini alla Macedonia vengono al campo Ro
dilaedi filius, et Amynander Athamanum rex, et mano, Pleurato figlio di Scerdiledo, e Aminan
ex Dardanis Bato, Longari filius. Bellum suo dro re degli Atamani, e dei Dardani Batone figlio
nomine Longarus cum Demetrio Philippi patre di Longaro. Avea già Longaro da sè solo fatta
gesserat. Pollicentibus auxilia respondit consul, guerra contro Demetrio padre di Filippo. Pro
Dardanorum et Pleurati opera, quum exercitum mettendo èssi di mandare aiuti, il console rispose
in Macedoniam induceret, se usurum; Amynan che si varrebbe dell' opera dei Dardani e di
dro Aetolos concitandos ad bellum attribuit. At Pleurato, quando condurrebbe l'esercito in Ma
cedonia. Diede ad Aminandro il carico d'incitare
tali legatis (nam ii quoque per id tempus vene
rant) mandat, ut Aeginae rex, ubi hibernabat, gli Etoli alla guerra. Commette ai legati di Attalo
classem Romanam opperiretur; qua adjuncta, bel ( ch'eran venuti essi pure a quel dì ), che il re
lo maritimo, sicut ante, Philippum urgeret. Ad aspettasse in Egina, dove svernava, la flotta Ro
Rhodios quoque missi legati, ut capesserent par mana; unita la quale alla sua, travagliasse Filippo
tem belli. Nec Philippus segnius (jam enim in per mare, come innanzi. Si mandarono eziandio
Macedoniam pervenerat) apparabat bellum. Fi ambasciatori ai Rodiani, perchè entrassero a parte
lium Persea, puerum admodum, datis ex amico della guerra. Nè Filippo (che già era giunto in
rum numero, qui aetatem ejus regerent, cum Macedonia) andava più lento nel far guerreschi
parte copiarum ad obsidendas angustias, quae preparativi. Mandò suo figlio Perseo, ancora
ad Pelagoniam sunt, mittit. Sciathum et Pepare assai giovanetto, dati gli alcuni de'consiglieri,
thum, haud ignobiles urbes, ne classi hostium che il governassero, con parte dell'esercito ad
praedae ac premio essent, diruit. Ad Aetolos occupare gli stretti, che son presso a Pelagonia.
mittit legatos, ne gens inquieta adventu Romano Smantella Sciato e Pepareto, non dispregevoli
rum fidem mutaret. città, onde non fossero premio e preda dei nemi
ci. Spedisce ambasciatori agli Etoli, acciocchè
quella nazione di natura inquieta alla venuta
de Romani non mutasse la fede.
XXIX. Concilium Aetolorum statuta die, quod XXIX. La dieta degli Etoli, che chiamano
Panaetolium vocant, futurum erat. Huic ut oc Panetolio, dovea convocarsi nel giorno stabilito
currerent, et legati regis iter accelerarunt, et ab Onde trovarvisi a tempo, gli ambasciatori del re
consule missus L. Furius Purpureo legatus venit; affrettarono il cammino, e ci venne anche Lucio
Atheniensium quoque legati ad concilium occur Furio Purpureone spedito dal console; vi accor
rerunt. Primi Macedones, cum quibus recentissi sero eziandio gli ambasciatori degli Ateniesi. Fu
mum foedus erat, auditi sunt. Qui, a nulla nova prima dato ascolto ai Macedoni, co'quali era frº
573 TITI LIVII LIBER XXXI. 574
re, nihil se novi habere. quod aſſerrent, dixe schissima l'alleanza. I quali, a non essendo, dis
runt: quibus enim de causis, experta inutili so sero, accaduta alcuna novità, nulla recavano di
cietate Romana, pacem cum Philippo fecissent, nuovo; perciocchè per quelle ragioni, per le qua
compositam semel servare eos debere. An imitari, li, provata disutile la società coi Romani, avean
inquit, unus ex legatis, Romanorum licentiam, an fatto la pace con Filippo, per quelle stesse, poi
levitatem dicam, ma vultis? qui, qunm legatis ve che una volta fu fatta, doveano conservarla. Pre
stris Romae responderi ita jussissent, Quid ad ferite, disse uno de'legati, la licenza, o vogliam
nos venitis, Aetoli, sine quorum auctoritate pa dire, la leggerezza de'Romani? i quali, avendo
cem cum Philippo fecistis ? iidem nunc, ut bel ordinato che si rispondesse a vostri legati in
lum secum adversus Philippum geratis, postulant: Roma, A che venite, o Etoli, a noi, voi che senza
et antea propter vos, et pro vobis arma sumpta nostro consentimento faceste la pace con Filippo?
adversus eum simulabant; nunc vos in pace esse e questi stessi ora chiedono che facciate con loro
cum Philippo prohibent. Messanae ut auxilio es guerra a Filippo. E innanzi fingevano di aver
sent, primo in Siciliam conscenderunt: iterum, prese l'armi contro di lui per vostra cagione, e
ut Syracusas oppressa ab Carthaginiensibus in in vostra difesa; ora vi proibiscono di stare in
libertatem eximerent. Et Messanam, et Syracusas, pace con Filippo. La prima volta sbarcarono in
et totam Siciliam ipsi habent, vectigalemdue pro Sicilia per soccorrere Messina, e la seconda per ri
vinciam securibus et facibus subjecerunt. Scilicet mettere in libertà Siracusa oppressa dai Cartagi
sicut vos Naupacti legibus vestris per magistratus nesi. Ora si ritengono e Messina, e Siracusa, e
a vobis creatos concilium habetis, socium hostem tutta la Sicilia, e la provincia, fatta tributaria, ai
que libere, quem velitis, lecturi, pacem ac bellum fasci ed alle scuri assoggettarono. Appunto come
arbitrio habituri vestro; sic Siculorum civitati voi tenete la dieta a Naupatto sotto le vostre leggi
bus, Syracusas, aut Messanam, aut Lilybaeum in col mezzo di magistrati creati da voi, per eleg
dicitur concilium. Praetor Romanus conventus gere liberamente qual popolo vi piace avere
agit: eo imperio evocati conveniunt: excelso in amico o nemico, e per dichiarare la guerra, o far
suggestu superbajura reddentem, stipatum licto la pace a vostro arbitrio, così nelle città della
ribus vident: virgae tergo, secures cervicibus im Sicilia s'intima la dieta o a Siracusa o a Messina
minent; et quotannis alium atque alium domi o a Lilibeo. Il Romano pretore tiene le assem
num sortiuntur. Nec id mirari debent, aut pos blee; a un suo comando chiamati si radunano :
sunt, quum Italiae urbes Rhegium, Tarentum, lo vedono dall'alto del tribunale, accerchiato dai
Capuam, ne finitimas nominem, quarum ruinis littori, dettare leggi superbe; le verghe minac
crevit urbs Romana, eiusdem subjectas videant ciano il dorso, le scuri il collo, e ciascun anno
imperio. Capua quidem, sepulcrum ac monumen la sorte manda loro uno ed un altro padrone. Nè
tum Campani populi, elato et extorri eiecto ipso possono o debbono maravigliarsi di ciò, mentre
populo, superest; urbs trunca, sine senatu, sine scorgono le altre città d'Italia, e Reggio e Ta
plebe, sine magistratibus, prodigium; relicta cru ranto e Capua, per non nominare l'altre vicine,
delius habitanda, quam si deleta foret. Furor est, dalle ruine delle quali Roma è cresciuta, sogget
si alienigenae homines, plus lingua et moribus et te pure al comando di un pretore. Capua, sepol
legibus, quam maris terrarumque spatio, discreti, cro e monumento luttuoso del popolo Campano,
haec tenuerint, sperare, quidquam eodem statu popolo seppellito o mandato lungi in esilio, è
mansurum. Philippi regnum officere aliquid vi tuttora in piedi; ma città tronca, senza senato,
detur libertati vestrae; qui, quum merito vestro senza plebe, senza magistrati, prodigio mo
vobis infestus esset, et nihil a vobis ultra, quam struoso, più crudelmente lasciata da abitare, che
pacem, petiit, fidemdue hodie pacis pactae deside se si fosse smantellata. È vera pazzia, se uomini
rat? Adsuefacite his terris legiones externas, et stranieri, più discosti da noi per lingua, per
jugum accipite: sero ac nequidquam, quum do costumi e per leggi, che per tratto di mare e di
minum Romanum habebitis, socium Philippum terra, signoreggin queste contrade, sperare che
quaeretis. Aetolos, Acarnanas, Macedonas, ejus le cose rimangansi nello stato, in cui sono. Vi
dem linguae homines, leves ad tempus ortae cau pare che il regno di Filippo danneggi alcun poco
sae disjungunt conjunguntoue; cum alienigenis, la vostra libertà, egli, che inimicatosi con voi
cum barbaris aeternum omnibus Graecis bellum per colpa vostra, e null'altro vi chiese, che la
est, eritQue: natura enim, quae perpetua est, non pace, ed oggi null'altro brama, che l'osservanza
mutabilibus in diem causis, hostes sunt. Sed, un della pace stessa? Avvezzate le legioni straniere
de coepit oratio mea, ibi desinet. Hoc eodem loco a questi paesi, e ricevete il giogo. Tardi, e invano,
idem homines de eiusdem Philippi pace trien quando avrete i Romani a signori, cercherete
mio ante decrevistis, iisdem improbantibus ean l'alleanza di Filippo. Gli Etoli, gli Acarnani, i
575 TITI LIVII LIBER XXXI. 576
pacem Romanis, qui nunc pactam et compositam Macedoni, genti, che parlano la stessa lingua per
turbare volunt; in qua consultatione nihil for leggere e temporarie cagioni e si disuniscono, e
tuna muta vit, cur vos mutetis non video. si uniscono ; hanno ed avranno i Greci tutti
eterna guerra cogli stranieri e coi barbari; per
ciocchè son nostri nemici per natura, la qual è
perpetua, non per cagioni, che cangiansi ad ogni
di. Ma donde cominciò, quivi abbia fine il mio
discorso. In questo luogo medesimo, voi, i me
desimi uomini, tre anni or sono, decretaste la
pace con Filippo, pace disapprovata da quegli
stessi Romani, che ora, fatta e pattuita ch'è, la
vogliono disturbare. Nella quale consulta sicco
me nulla mutò la fortuna, non veggo perchè
dobbiate nulla mutare. »
XXX. Secundum Macedonas, ipsis Romanis XXX. Dopo i Macedoni, così consentendo e
ita concedentibus jubentibusque, Athenienses, volendo i Romani, introdotti furono gli Ateniesi,
qui foeda passi justius in crudelitatem saevitiam i quali sofferto avendo ogni sorte di atrocità,
que regis invehi poterant, introducti sunt. De poteano più giustamente inveire contro la cru
ploraverunt vastationem populationemque mise deltà e la sevizia del re. . Deplorano il guasto e
rabilem agrorum. « Neque id se queri, quod ho il miserando saccheggiamento delle lor terre; nè
stilia ab hoste passi forent; esse enim quaedam si lagnavano di aver sofferto dal nemico nimici
belli jura; quae ut facere, ita pati sit fas: sata trattamenti; chè la guerra ha pur essa i dritti
exuri, dirui tecta, praedas hominum pecorum suoi, e ci son cose, che come fare, così pur è
que agi, misera magis, quan indigna, patienti giusto patire. Abbruciarsi i seminati, diroccarsi
esse. Verum enim vero id se queri, quod is, qui le case, via predati menarsi bestiami ed uomini,
Romanos alienigenas et barbaros vocet, adeo om son cose a chi le soffre, che dan più motivo di
nia simul divina humanaque jura polluerit, ut dolersi, che ragione di querelarsi. Ben di ciò si
priore populatione cum infermis diis, secunda querelavano, che colui, il quale chiama i Roma
cum superis bellum nefarium gesserit: omnia se ni stranieri e barbari, avesse sì fattamente calpe
pulcra monumentaque diruta esse in finibus suis, stati i divini dritti e gli umani, che nel primo
omnium nudatos manes, nullius ossa terra tegi. guasto guerra facesse cogli dei infernali, nel se
Delubra sibi fuisse, quae quondam pagatim habi condo coi celesti. Nel lor contado tutte le sepol
tantes in parvis illis castellis vicisque consecrata, ture, tutti i monumenti funebri furono smantel
ne in unam urbem quidem contributi majores lati, messi allo scoperto i cadaveri, le ossa di
sui deserta reliquerint: circa ea omnia templa ciascuno disotterrate. Ci erano de'tempietti, che
Philippum infestos circumtulisse ignes; semiusta gli abitanti, vivendo un tempo a borgate, aveano
et truncata simulacra deim inter postratos jace consagrati in quel piccoli castelli e villaggi, e che
re postes templorum. Qualem terram Atticam i lor maggiori, nè anche quando si ridussero in
fecerit, exornatam quondam opulentamaue, ta una sola città, non lasciarono abbandonati. A
lem eum, si liceat, Aetoliam, Graeciamoſue omnem tutti questi intorno avea Filippo appiccato il
facturum. Urbis quoque suae similem deformita fuoco; i simulacri degli dei, mezzo abbruciati e
tem futuram fuisse, nisi Romani subvenissent: troncati, giacevansi al suolo tra i rottami delle
eodem enim scelere urbem colentes deos, prae porte dei tempii. Quale ei fece l'Attica, già tanto
sidemdue arcis Minervam petitam : eodem Eleu ornata e doviziosa, tale farà, potendo, l'Etolia e
sine Cereris templum, eodem Piraeei Jovem Mi la Grecia tutta. Avrebbe deformata egualmente
nervamdue; sed ab eorum non templis modo, la loro Atene, se i Romani non l'avessero soccor
sed etiam moenibus vi atque armis repulsum, in sa; chè con la medesima scelleratezza assaltò gli
ea delubra, quae sola religione tuta fuerint, sae dei, che abitano nella città, e Minerva, protettrice
visse. Itaque se orare atque obsecrare Aetolos, ut, della rocca: con la stessa il tempio di Cerere
miserti Atheniensium, ducibus diis immortali Eleusina; con la stessa Giove e Minerva, custodi
bus, deinde Romanis, qui secundum deos pluri del Pireo; se non che, respinto coll' armi, e con
mum possint, bellum susciperent. » la forza non solamente dai lor tempii, ma ezian
dio dalle lor mura, infierì contro que sagri luo
ghi, ch'eran difesi dalla sola religione. Pregava
no adunque, e scongiuravano gli Etoli, che mossi
a pietà degli Ateniesi, guidati dagli dei immortali,
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e in appresso dai Romani, i quali dopo gli dei
potevan moltissimo, pigliassero questa guerra. »
XXXI. Tum Romanus legatus: « Totam ora XXXI. Allora il legato Romano: « Tutto
tionis meae formam Macedones primum, deinde l'ordine del mio discorso l'han prima mutato i
Athenienses mutarunt. Nam et Macedones, quum Macedoni, poscia gli Ateniesi. Perciocchè i Mace
ad conquerendas Philippi injurias in tot socias doni, mentre io son venuto a querelarmi delle
nobis urbes venissem, ultro accusando Romanos, ingiurie fatte da Filippo a tante città nostre
defensionem ut accusatione potiorem haberem, alleate, primi accusando i Romani, han fatto sì,
effecerunt; et Athenienses in deos superos infe che debbo premettere la difesa all'accusa; e gli
rosque nefanda atque inhumana scelera eius re Ateniesi, raccontando le di lui nefande ed inuma
ferendo, quid mihi aut cuiquam reliquerunt, quod ne scelleratezze contro gli dei infernali e celesti,
objicere ultra possim ? Eadem Cianos, Abyde che hanno lasciato a me, o ad altri da potergli
nos, Aeneos, Maronitas, Thasios, Parios, Samios, più oltre rinfacciare? Fanno, l'abbiate per certo,
Larissenses, Messenios hinc ex Achaja, existimate le stesse doglianze quei di Cio, gli Abideni, gli
queri i graviora etiam acerbioraque eos, quibus Enei, i Maroniti, i Tasii, i Parii, i Samii, quei di
nocendi majorem facultatem habuit. Nam quod Larissa, e i Messenii qui dell'Acaia, e più gravi,
ad ea attinet, quae nobis objecit: nisi gloria di e più acerbe ancora coloro, cui potè nuocere
gna sunt, fateor ea defendi non posse. Rhegium, maggiormente. Perciocchè quanto alle cose, che
et Capuam, et Syracusas nobis objecit, Rhegium Filippo ci rimproverò, se non son degne d'esser
Pyrrhi bello legio a nobis, Rheginis ipsis, ut mit celebrate, confesso di non poterle difendere. Ci
teremus, orantibus, in praesidium missa, urbem, rinfacciò Reggio, Capua e Siracusa. Quanto a
ad quam defendendam missa erat, per scelus pos Reggio, una legione nella guerra di Pirro colà
sedit. Comprobavimus ergo id facinus ? an bello da noi mandata in presidio, chiestaci dagli stessi
persecuti sceleratam legionem, in potestatem no Reggiani, occupò scelleratamente la città, ch'era
stram radactam tergo et cervicibus poenas sociis stata mandata a difendere. Abbiamo forse appro
pendere quam coègissemus, urbem, agros, suaque vato un cotal fatto? o piuttosto, avendo inseguito
omnia cum libertate legibusque Rheginis reddi in guerra la scellerata legione, poichè, ridotta in
dimus? Syracusanis oppressis ab externis tyran poter nostro, l'ebbimo costretta a pagare il fio
nis, quo indignius esset, quum tulissemus opem, agli alleati con le verghe e con la scure, non
et fatigati prope per triennium terra marique rendemmo a Reggiani la città, il contado e tutte
urbe munitissima oppugnanda essemus, quum le robe loro, con la libertà, e con le proprie lor
jam ipsi Syracusani servire tyrannis, quam capi leggi? Quanto ai Siracusani, avendoli soccorsi,
a nobis mallent, captam iisdem armis et libera oppressi com'erano da tiranni stranieri, cosa an
tam urbem reddidimus. Neque inficias imus, Si cora più indegna, ed essendoci affaticati quasi per
ciliam provinciam mostram esse, et civitates. quae tre anni a combattere quella città fortissima, pre
in parte Carthaginiensium fuerunt, et uno animo ferendo poscia gli stessi Siracusani di servire
cum illis adversus nos bellum gesserunt, stipen piuttosto ai tiranni, ch' essere presi da noi,
diarias nobis ac vectigales esse. Quin contra, hoc com'ebbimo presa e liberata Siracusa, la rendem
et vos et omnes gentes scire volumus, pro merito mo loro. Nè vogliam negare, che la Sicilia è pro
cuique erga nos fortunam esse. An Campanorum vincia nostra, e che ci sono soggette, e tributarie
Poenae, de qua neque ipsi quidem queri possunt, le città, che tennero la parte dei Cartaginesi, e
mos poeniteat? Hi homines, qunm proiis bellum insieme con essi ci fecero la guerra; anzi al con
adversus Samnites per annos prope septuaginta trario vogliamo che voi, e tutti i popoli sappian
cum magnis nostris cladibus gessissemus, ipsos questo, che è trattato ciascun d'essi secondo il
foedere primum, deinde connubio, atque inde merito suo. Ci pentiremo forse del castigo dato
cognationibus, postremo civitate nobis conjun ai Campani, del quale non si possono dolere essi
rissemus, tempore nostro adverso primi omnium medesimi? Costoro, poi ch'ebbimo guerreggiato
Italiae populorum, praesidio nostro foede inter coi Sanniti in lor difesa quasi per settant'anni,
fecto, ad Hannibalem defecerunt; deinde, indi con danni nostri gravissimi, e gli ebbimo stretti
gnati se obsideri a nobis, Hannibalem ad oppu a noi prima con alleanza, poi coi matrimonii, e
gnandam Romam miserunt. Horum sineque urbs quindi colle parentele, infine col dono della cit
ipsa, neque homo quisquam superesset, quis du tadinanza, primi di tutti i popoli d'Italia, nel
rius, quam pro merito ipsorum, statutum indi tempo delle nostre avversità, trucidato il nostro
gnari posset? Plures sibimetipsi conscientia sce presidio, si diedero ad Annibale; indi sdegnatisi,
lerum mortem consciverunt, quam a nobis sup che gli assediassimo, mandarono Annibale a com
plicio affecti sunt. Ceterisita oppidum, ita agros batter Roma. Di costoro se nè la città, nè un
Livio 2 3a
TITI I,l VII LIBER XXXI. 58o
579
ademimus, ut agrum locumque ad habitandum solo fosse rimasto, chi potrebbe rimproverarci,
daremus, urbem innoxiam stare incolumem pa che gli avessimo trattati più duramente che non
teremur; ut, qui hodie videat eam, nullum op si abbiamo meritato ? Furono più quelli, che per
pugnatae captaeve ibi vestigium inveniat. Sed coscienza de lor delitti si tolsero la vita da sè
quid ego Capuam dico ? quum Carthagini victae medesimi, che non quelli, che mandammo noi al
pacem ac libertatem dederimus. Magis illud est supplizio. Agli altri abbiam tolto la patria, il
periculum, ne, nimis facile victis ignoscendo, plu contado, ma però diemmo loro e terre e luogo
res ob id ipsum ad experiendam adversus mos da abitare; lasciando starsi in piedi la città,
fortunam belli incitemus. Haec pro nobis dicta ch'era senza colpa, sì che chiunque oggi la vede,
sint, haec adversus Philippum; cujus domestica non vi ravvisa vestigio di città combattuta, o
parricidia, et cognatorum amicorumque caedes, presa. Ma a che rammento Capua, quando ab
et libidinem inhumaniorem prope, quam crude bian dato alla vinta Cartagine pace e libertà ?
litatem, vos, quo propiores Macedoniae estis, Ben piuttosto corriam pericolo che, perdonando
melius nostis. Quod ad vos attinet, Aetoli, nos ai vinti troppo facilmente, non eccitiamo per ciò
pro vobis bellum suscepimus adversus Philip stesso più gente a tentare contro di noi la fortuna
pum; vos sine nobiscum eo pacem fecistis. Et della guerra. Questo sia detto a nostra difesa;
forsitan dicatis, bello Punico occupatis nobis, quest'altro contro Filippo; i cui domestici par
coactos metu vos leges pacis ab eo, qui tum plus ricidii, e l'uccisione dei parenti e degli amici, e
poterat, accepisse. Et nos quum alia majora ur la libidine quasi più mostruosa, che la stessa cru
gerent, depositum a volis bellum et ipsi omisi deltà, voi, che più vicini siete alla Macedonia, me
mus. Nunc et nos, deum benignitate Punico per glio conoscete. Quanto a voi, o Etoli, noi abbiam
fecto bello, totis viribus nostris in Macedoniam presa per difendervi la guerra contro Filippo;
incubuimus, et vobis restituendi vos in amici voi fatta avete la pace con lui senza di noi. E for
tiam societatem que nostram fortuna oblata est; se direte, che mentre eravamo occupati nella
nisi perire cum Philippo, quam vincere cum Ro guerra Cartaginese, costretti dal timore, avete
manis, mavultis. accettate le condizioni della pace da colui, il quale
era allora il più potente; e così anche noi, pres
sati da cure maggiori, abbiamo abbandonata la
guerra, che avevate lasciata. Ora e noi, terminata
col favore degli dei la guerra Punica, venimmo
addosso alla Macedonia con tutte le forze nostre,
ed è così offerta a voi l'occasione di tornare alla
nostra amicizia ed alleanza; se però non vogliate
piuttosto perire con Filippo, che vincere coi
Romani. »
XXXII. Haec dicta ab Romano quum essent, XXXII. Poi che il Romano finito ebbe di par
inclinatis omnium animis ad Romanos, Damocri lare, inclinando tutti già verso i Romani, Damo
tus praetor Aetolorum, pecunia, ut fama est, ab crito, pretore degli Etoli, compro, com'è fama,con
rege accepta, nihil aut huic aut illi parti assen danari del re, non accostandosi nè a questa, nè a
sus, « Rem magni discriminis consiliis nullam quella parte, « Non v'ha, disse, cosa contraria
esse tam inimicam, quam celeritatem, dixit. Ce tanto alla saggezza de'consigli in affari di molta
lerem enim poenitentiam, sed eamdem seram importanza, quanto la prestezza; perciocchè vie
atque inutilem, sequi, quum praecipitata raptim ne pur presto, però tardo ed inutile il pentimen
consilia neque revocari, neque in integrum re to, non potendosi i partiti presi con troppa fretta
stitui possint. Deliberationis autem eius, cujus nè rivocare, nè averli come non presi. Di codesta
ipse maturitatem exspectandam putaret, tempus deliberazione adunque, la quale stima egli dover
itajam nunc statui posse, quum legibus cautum si attendere che si maturi, già si poteva sino da
esset, ne de pace bellove, misi in Panaetolico et oggi stabilire il tempo. Essendo provveduto dalle
Pylaico concilio, ageretur, decernerent extem leggi, che non si tratti nè di pace, nè di guerra,
plo, ut praetor sine fraude, quum de bello aut se non se nella dieta Panetolica, o Pilaica, in
de pace agere velit, advocet concilium ; et, presente deliberassero che il pretore senza frode
quod tum referatur decernaturque, ut perinde convochi il consiglio, qualora voglia trattare della
jus ratumque sit, ac si in Panaetolico aut Pylaico guerra, o della pace; e che quello, che allora si
concilio actum esset. - Dimissis ita suspensa re proponesse e decretasse, avesse forza e fermezza,
legatis, egregie consultum genti aiebat; nam, come se fosse stato deliberato nella dieta Paneto
utrius partis melior fortuna belli esset, ad eſus lica, o Pilaica.» In questa guisa licenziati i legati
58 i TITI LIVII LIBER XXXI. 582

societatem inclinaturos. Haec in concilio Aeto senza conchiuder nulla, si era, diceva, provvedu
lorum acta.
to egregiamente ai vantaggi della nazione; per
ciocchè si sarebbon volti a collegarsi con quella
parte, che avesse nella guerra miglior fortuna.
Questo è ciò, che si è fatto nella dieta degli
Etoli.

XXXIII. Philippus impigre terra marique pa XXXIII. Filippo intanto indefessamente ap


rabat bellum; navales copias Demetriadem in parecchiava la guerra per terra e per mare; rac
Thessaliam contrabebat. Attalum Romanamdue coglieva forze navali in Demetriade nella Tessa
classem principio veris ab Aegina ratus moturos, glia. Stimando che sul principio della primavera
navibus maritima eque orae praefecit Heraclidem, Attalo e la flotta Romana si sarebbon mossi da
quem et ante praefecerat: ipse terrestres copias Egina, prepose alle navi ed alla costa marittima
comparabat, magna se duo auxilia detraxisse Ro Eraclide, quello stesso, che vi aveva preposto
manis credens, ex una parte Aetolos, ex altera innanzi. Egli poi radunava genti di terra, persua
Dardanos, faucibus ad Pelagoniam a filio Perseo so di aver tolto ai Romani due grandi aiuti, gli
interclusis. Ab consule non parabatur, sed gere Etoli da una parte, i Dardani dall'altra, mentre
baturjam bellum; per Dassaretiorum fines exer suo figlio Perseo tenea chiuse le gole verso Pela
citum ducebat, frumentum, quod ex hibernis ex gonia. Il console non apparecchiava, ma faceva
tulerat, integrum vehens; quod in usum militi la guerra. Conduce l'esercito pe'confini de'Das
satis esset, praebentibus agris. Oppida vicigue sareti, traendo seco non tocco il frumento, che
partim voluntate, partim metuse tradebant: quae avea cavato dai quartieri d'inverno ; bastando
dam vi expugnata, quaedam deserta, in montes all'uso de'soldati quello, che gli dava il paese. I
propinquos refugientibus barbaris, invenieban castelli e le borgate, parte si davano di buona –
tur. Ad Lyncum stativa posuit prope flumen Be voglia, parte per timore: alcuni ne furon presi
vum ; inde frumentatum circa horrea Dassaretio con la forza, alcuni si trovavano abbandonati,
rum mittebat. Philippus consternata quidem om fuggendo i barbari nelle vicine montagne. Si
nia circa, pavoremdue ingentem hominum cer accampò la state a Linco presso il fiume Bevo :
nebat ; sed parum gnarus, quam partem petisset di là mandava a saccheggiare intorno i granai
consul, alam equitum ad explorandum, quonam de'Dassareti. Filippo vedeva bensì da ogni parte
hostes iter intendissent, misit. Idem error apud la costernazione del paese, e il grande spavento
consulem erat. Movisse ex hibernis regem scie della gente; ma non sapendo a qual parte si fosse
bat, quam regionem petisset ignorans: is quoque volto il console, mandò un drappello di cavalli
speculatum miserat equites. Hae duae alae ex di ad esplorare dove si fossero i nemici avviati. Era
verso, quum diu incertis itineribus vagatae per il console nella stessa incertezza: sapeva essere
Dassaretios essent, tandem in unum iter conve uscito il re da quartieri d'inverno, ma non dove
merunt. Neutros fefellit, ut fremitus procul homi fosse andato; anch'egli avea spedito de'cavalli
num equorumque exauditus est, hostes appro ad esplorare. Queste due bande da diversa parte,
pinquare. Itaque prius, quam in conspectum ve poi ch'ebbero lungo tempo vagato pel paese dei
mirent, equos armaque expedierant; nec mora, Dassareti, per istrade sconosciute, finalmente si
ubi primum hostem videre, concurrendi facta scontrarono in una strada medesima. Nessuno
est. Forte et numero et virtute, utpote lecti utrim s'ingannò, come s'udì da lunge il romore degli
que, haud impares, aequis viribus per aliquot uomini e dei cavalli, congetturando che il nemi
horas pugnarunt. Fatigatio ipsorum equorum co si appressava. Quindi, prima che fossero in
que, incerta victoria, diremit proelium. Macedo presenza, approntaron l'arme e i cavalli. Nè, come
num quadraginta equites, Romanorum quinque tosto videro il nemico, tardarono ad affrontarsi.
et triginta ceciderunt. Neque eo magis explorati Pari tra loro e per numero, e per valore, ch'eran
quidduam, in qua regione castra hostium essent, d'ambedue le parti uomini scelti, combatterono
aut illi ad regem, authi ad consulem retulerunt. alquante ore con forze eguali. La stanchezza loro,
Per transfugas cognitum est, quos levitas inge e quella de'cavalli divise la pugna, a vittoria in
niorum, ad cognoscendas hostium res, in omni certa. Caddero de Macedoni quaranta cavalieri,
bus bellis praebet. de'Romani trentacinque. Nè per questo niente
rapportarono di più certo o quelli al re o questi
al console, dove i nemici fossero accampati: si
seppe dai disertori, l'animo leggero de quali
porge il mezzo in tutte le guerre di conoscere i
fatti de'nemici.
583 TITI LIVII LIBER XXXI. 584

XXXIV. Philippus, aliquid et ad caritatem XXXIV. Filippo, stimando che gioverebbe a


suorum, et ut promptius pro eo periculum adi renderlo più caro a suoi, e a far sì, che più pronti
rent, ratus profecturum se, si equitum, qui ceci incontrassero i pericoli per lui, se si avesse piglia
derant in expeditione, sepeliendorum curam ha ta la cura di seppellire i cavalieri, ch'eran morti
buisset, afferri eos in castra jussit, ut conspicere in quella spedizione, comandò che fossero tra
tur ab omnibus funeris honos. Nihil tam incer sportati al campo, acciocchè ciascuno me vedesse
tum nec tam inaestimabile est, quam animi mul gli onorevoli funerali. Non v'ha cosa più incerta
titudinis: quod promptiores ad subeundam om e più difficile da apprezzarsi, quanto gli animi
nem dimicationem videbatur facturum, id metum della moltitudine. Quello che sembrava doverli
pigritiamoue incussit: nam qui hastis sagittisque rendere più pronti ad incontrar qualunque ci
et rara lanceis vulnera facta vidissent, cum Grae mento, quello appunto gli rendette paurosi e
cis Illyriisque pugnare assueti, postduam gladio pigri. Perciocchè coloro, che, avvezzi a combatte
Hispaniensi detruncata corpora brachiis abscisis, re coi Greci e cogl'Illirici, non avean veduto che
aut tota cervice desecta divisa a corpore capita, ferite fatte dalle aste, dalle saette, e rade volte
patentiaque viscera, et foeditatem aliam vulne dalle lance, poi che videro i corpi, tagliate le
rum viderunt, adversus quae tela quosque viros braccia dalle spade Spagnuole, rimasti tronchi, o
pugnandum esset, pavidivulgo cernebant. Ipsum le teste divise dai busti, tagliato il collo e le vi
quoque regem terror cepit, nondum justo proe scere squarciate, ed ogni altra schifezza delle fe
lio cum Romanis congressum : itaque, revocato rite, i più guardavano con ispavento contro quali
filio praesidioque, quod in Pelagoniae faucibus armi e quali uomini aveano a combattere. Lo
erat, utiis copiis suas augeret, Pleurato Darda stesso re fu preso da terrore, che non era ancor
misque iter in Macedoniam patefecit. lpse, cum venuto coi Romani a giornata campale. Quindi,
viginti millibus peditum, quatuor equitum, du richiamato il figlio ed il presidio, ch'era alle
cibus transfugis, ad hostem profectus, paullo plus bocche di Pelagonia, onde con quelle accrescere
ducentos passus a castris Romanis tumulum pro le sue forze, aperse a Pleurato ed ai Dardani il
pinquum Athaco fossa ac vallo communivit; ac, varco nella Macedonia. Egli con venti mila fanti
subjecta cernens Romana castra, admiratus esse e quattro mila cavalli, guidato dai disertori, an
dicitur et universam speciem castrorum, et de dato al nemico, si fortificò con fossa e steccato
scripta suis quaeque partibus, tum tendentium sopra un'altura vicina ad Ataco, distante poco
ordine, tum itinerum intervallis; et negasse, bar più di dugento passi dal campo Romano, e guar
barorum ea castra ulli videri posse. Biduum con dandolo dall'alto, dicesi che ne ammirasse e tutta
sul et rex, alter alterius conatus exspectantes, insieme la forma, e tutte ad una ad una le parti
continuere suos intra vallum : tertio die Roma nella distribuzione delle tende, e negl'intervalli
nus omnes copias in aciem eduxit. delle strade, e dicesse, non poter quello parere a
nessuno un campo di barbari. Due giorni il con
sole ed il re, l'uno aspettando che assaltassse
l'altro, tennero i suoi dentro lo steccato; il terzo
dì trasse il Romano fuori tutte le sue genti in or
dine di battaglia.
XXXV. Rex vero, tam celerem aleam univer XXXV. Ma il re, temendo di avventurarsi
si certaminis timens, quadringentos Tralles (Il troppo presto ad un fatto generale, mandò a pro
lyriorum id, sicut alio diximus loco, est genus) vocare la cavalleria de'nemici quattrocento Tralli
et Cretenses trecentos, addito iis peditibus pari (son costoro della razza degl'Illirici, come abbiam
numero equitum, cum duce Athenagora, uno ex detto in altro luogo), e trecento Cretesi, aggiunto
purpuratis, ad lacessendos hostium equites misit. ai fanti un eguale numero di cavalli, sotto la con
Ab Romanis autem (aberat acies eorum paullo dotta di Atenagora, uno de porporati. Dalla
plus quingentos passus) velites et equitum duae banda dei Romani (era il loro esercito discosto
ferme alae emissae, ut numero quoque eques pe poco più di cinquecento passi) si mandaron fuori
desque hostem aequarent. Credidere regii, genus i veliti, e due ale a un dipresso di cavalli, ond'es
pugnae, quo assuerant, fore; ut equites, in vicem ser pari al nemico anche nel numero de cavalli
insequentes refugientesque, nunc telis uterentur, e de' fanti. Quei del re si pensavano che la ma
nunc terga darent; Illyriorum velocitas ad ex niera del combattere sarebbe quella stessa, a cui
cursiones et impetus subitos usui esset, Cretenses erano assuefatti; che i cavalieri cioè, inseguendosi
in invehentem se effuse hostem sagittas conjice a vicenda, o rifuggendo, ora scagliati avrebbono
rent.Turbavit hunc ordinem pugnandi non acrior, i loro dardi, ora voltate le spalle; che la velocità
quam pertinacior, impetus Romanorum: mam degl'Illirici sarebbe utile nelle scorrerie e nei
585 TI l I LIVII LIBER XXXI. 586

haud secus, quam si tota acie dimicarent, et veli gl'impeti subitani, e che i Cretesi lancerebbero
tes, emissis hastis, cominus gladiis rem gerebant, le lor saette contro il nemico, che verrebbe a bri
et equites, ut semel in hostem evecti sunt, stan glia sciolta ad assaltarlo. Ma scompigliò quest'or
tibus equis, partim ex ipsis equis, partim desi dine di combattere l'impeto de'Romani non
lientes immiscentesque se peditibus, pugnabant. tanto assai vigoroso, quanto grandemente perti
Ita nec eques regius equiti parerat, insuetus ad mace. Perciocchè, non altrimenti che se combat
stabilem pugnam ; nec pedes concursator et va tessero con tutto l'esercito, i veliti, scagliate
gus, et prope seminudus genere armorum, veliti ch'ebbero le aste, facean uso dappresso delle
Romano parmam gladiumque habenti, pariterque spade, e i cavalieri, come si furon gettati in mezzo
et ad se tuendum, et ad hostem petendum arma a'nemici, fermati i cavalli, combattevano parte
to. Non tulere itaque dimicationem ; nec alia re, da cavalli stessi, parte discesi da quelli e mesco
quam velocitate, tutantesse, in castrarefugerunt. landosi tra i fanti. Così nè la gente a cavallo del
re, non avvezza a combattere standosi ferma,
pari era a quella de' Romani, nè il fante, solito
correre e divagare, e per la qualità dell'armi
quasi mezzo nudo, pari era al velite Romano,
che avea spada e scudo, e ch'era armato sì a
proteggere sè stesso, che ad offendere il nemico.
Non sostennero dunque la pugna, e non difen
dendosi in altro modo, che con la loro velocità,
rifuggironsi negli alloggiamenti.
XXXVI. Uno deinde intermisso die, quum XXXVI. Poscia, fatto sosta un giorno, il re,
omnibus copiis equitum levisque armaturae pu volendo combattere con tutta la cavalleria e con
gnaturus rex esset, nocte caetratos, quos pelta la gente armata alla leggera, la notte avea messa
stas vocant, loco opportuno inter bina castra in in agguato in luogo opportuno tra un campo e
insidiis abdiderat, praeceperatoue Athenagorae l'altro una banda di cetrati, sorta di fanti, che
et equitibus, ut si aperto proelio procederetres, armati di piccoli scudi chiamano peltasti, e avea
uterentur fortuna; si minus, cedendo sensim detto ad Atenagora ed ai cavalieri, che se la bat
ad insidiarum locum hostem pertraherent. Et taglia allo scoperto procedesse in bene, profittas
equitatus quidem cessit; duces caetratae cohor sero della fortuna; diversamente, cedendo poco
tis, non satis exspectato signo, ante tempus ex a poco, tirassero il nemico al luogo dell'imbo
citatis suis, occasionem bene gerendae rei ami scata. E la cavalleria veramente cedette; se non
sere. Romanus, et aperto proelio victor, et tutus a che i capitani della coorte cetrata, non aspettando
fraude insidiarum, in castra sese recepit. Postero quanto occorreva il segno, fatti uscire i suoi in
die omnibus copiis consulin aciem descendit, ante nanzi tempo, perdettero l'occasione di un buon
prima signa locatis elephantis: quo auxilio tum successo. Il Romano, e vincitore a battaglia sco
primum Romani, quia captos aliquot bello Punico perta, e sicuro dalle insidie, ritirossi nel suo cam
habebant, usi sunt. Ubi latentem intra vallum po. Il dì seguente il console trasse fuori tutte le
sensit, exprobrans metum successit. Postguam ne sue genti, messi sulla prima fronte gli elefanti,
tum quidem potestas pugnandi dabatur, quia ex del quale aiuto si son serviti allora per la prima
tam propinquis stati vis parum tuta frumentatio volta i Romani, perchè ne avevano alquanti già
erat, dispersos milites per agros equitibus extem presi nella guerra Cartaginese. Come vide starsi
plo invasuris; octo ferme inde millia, intervallo Filippo nascosto dentro lo steccato, se gli fe” pres
tutiorem frumentationem habiturus, castra ad so rimproverandogli la sua paura. Vedendo che
Octolophum (id est loco nomen) movit. Quum nè anche allora gli si dava di poter combattere,
in propinquo agro frumentarentur Romani, pri poi che in tanta vicinanza di alloggiamenti era
mo rex intra vallum suos tenuit, ut cresceret si cosa poco sicura il mandare a far preda di fru
mul et negligentia cum audacia hosti. Ubi effusos menti, a motivo che i soldati, dispersi per la
vidit, cum omni equitatu et Cretensium auxilia campagna, sarebbono stati subitamente assaliti
ribus, quantum equitem velocissimi pedites cursu dalla gente a cavallo, portò il campo ad Octolofo
aequare poterant, citato profectus agmine, inter (così chiamano quel luogo) discosto quasi otto
castra Romana et frumentatores constituit signa. miglia, onde per la distanza i soldati mandati a
Inde, copiis divisis, partem ad consectandos va depredare fossero più sicuri. Mentre i Romani
gos frumentatores emisit, dato signo, ne quem van depredando le biade ne' campi vicini, il re
vivum relinquerent; cum parte ipse substitit, iti dapprima ritenne i suoi nello steccato, onde al
neraque, quibus ad castra recursuri videbantur nemico crescesse insieme con l'audacia la trascu
587 TITI LIVII LIBER XXXI. 588

hostes, obsedit. Jam passim caedes ac fuga erat, ranza. Come li vide sparpagliati, uscito con tutta
necdum quisquam in castra Romana nuncius cla la cavalleria e cogli aiuti de'Cretesi, andando in
dispervenerat, quia refugientes in regiam statio fretta, quanto i più veloci pedoni poteano aggua
nem incidebant; et plures ab obsidentibus vias, gliar nel corso i cavalli, fermò le insegne tra il
quam ab emissis ad caedem, interficiebantur. campo Romano, e quelli, ch'eran andati a predar
Tandemintermedias hostium stationes elapsi qui biade. Di là, spartiti i suoi, parte li mandò a dar
dam trepidi, tumultum magis, quancertum nun dietro a quei, che sbandati predavano, dato or
cium, intulerunt castris. - dine che non me lasciassero alcun vivo; egli con
l'altra parte si fermò, e prese tutte le strade, per
le quali stimò che i nemici dovessero tornare al
campo. E già non ci era da ogni banda che strage
e fuga; nè ancora nessuno era giunto al campo
Romano a darne notizia, perchè i fuggitivi ca
devano nelle poste del re, ed erano più gli uccisi
da quelli, che guardavano le strade, che da quelli,
ch'erano stati mandati ad assaltarli. Finalmente
alcuni scappati di mezzo alle poste de'nemici,
spaventati com'erano, arrecarono nel campo piut
tosto tumulto, che notizia certa del fatto.
XXXVII. Consul, equitibus jussis, qua quis XXXVII. Il console, ordinato avendo alle gen
que posset, open ferre laborantibus, ipse legiones ti a cavallo, che recassero, come ciascuno più po
e castris educit, et agmine quadrato ad hostem tesse, soccorso a quel travagliati, egli trae fuori
ducit. Dispersi equites per agros quidam aberra le legioni, e le conduce al nemico, schierate in
runt, decepti clamoribus aliis exalio exsistentibus ordine quadrato. Del cavalieri, altri andarono
loco. Pars obvios habuerunt hostes; pluribus errando dispersi pe'campi, ingannati dalle grida,
locissimulpugna coepit. Regia statio atrocissimum che si udivano qua e colà da questo e quel luo
proelium edebat; nam et ipsa multitudine equitum go, parte si scontrarono co'nemici. La pugna co
peditumque prope justa acies erat; et Romano minciò ad un tempo in più luoghi. La schiera,
rum, quia medium obsederat; iter, plurimi infe dove trovavasi il re, combatteva quanto più si
rebantur. Eo quoque superiores Macedones erant, possa fieramente; perciocchè e per la moltitudine
-
quod et rex ipse hortator aderat, et Cretensium dei cavalli e dei fanti era quasi un esercito giusto,
auxiliares multos ex improviso vulnerabat, con e parecchi de' Romani, avendo egli occupato il
ferti praeparatique in dispersos eteffusos pugnan mezzo delle strade, s'imbattevano in quella. Era
tes. Quod si modum in insequendo habuissent, no i Macedoni anche per questo superiori, e per
non in praesentis modo certaminis gloriam, sed in chè il re in persona grincoraggiava, e perchè gli
summam etiam belli profectum foret: nunc, avi aiuti de'Cretesi li ferivano all'improvviso, com
ditate caedisintemperantius insecuti, in praegres battendo stretti insieme, e preparati contro gente
sas cum tribunismilitum cohortes Romanas inci dispersa e sbandata. Che se avessero tenuto una
dere; et fugiens eques, ut primo signa suorum misura nell'inseguire, si sarebbe non solamente
vidit, convertit in effusum hostem equos: versa provveduto all'onore di quella giornata, ma
que momento temporis fortuna pugnae est, terga eziandio alla somma totale della guerra. Ora, po
dantibus, qui modo secuti erant. Multi cominus stisi per avidità di strage ad inseguire troppo
congressi, multi fugientes interfecti; nec ferro sfrenatamente, caddero nelle squadre Romane,
tantum periere, sed in paludes quidam conjecti, ch'erano precorse innanzi coi tribuni de'soldati,
profundo limo cum ipsis equis hausti sunt. Rex e il cavaliere, che fuggiva, appena ebbe viste le
quoque in periculo fuit; nam, ruente saucio equo bandiere de'suoi, voltò i cavalli contro il nemico
praeceps ad terram datus, haud multum abfuit, sbandato, e in un momento si cangiò la fortuna
quin jacens opprimeretur. Saluti fuit eques, qui della battaglia, voltando le spalle quelli, che
raptimipse desiluit, pavidumque regem in equum poc'anzi inseguivano. Molti, o combattendo da
subjecit. Ipse, quum pedes aequare cursu fugien vicino, o fuggendo, furon morti; nè solamente
tes non posset equites, ab hostibus ad casum re perirono di ferro, ma cacciati alcuni nelle paludi,
gis concitatis confossus periit. Rex, circumvectus profondati nel fango coi cavalli, vi lasciaron la
paludes pervias inviasque trepida fuga, in castra vita. Il re stesso corse pericolo; perciocchè, ca
tandem, jam desperantibus plerisque incolumem dutogli sotto il cavallo ferito, giù ruinando, poco
evasurum, pervenit. Ducenti Macedonum equites mancò che giacendo a terra non rimanesse so
eo proelio periere, centum ferme capti; octoginta praffatto. Fu sua salute un cavaliere, il quale, sceso
589 TITI I,IVII LIBER XXXI. 59o
admodum ornati equi, spoliis simul armorum in tutta fretta dal suo cavallo, vi ripose sopra il
relatis, abducti. re spaventato; se non che quegli, non potendo a
piede adeguare il corso del cavalli, che fuggivano,
perì trafitto dai nemici, accorsi alla caduta del re.
Egli, aggiratosi per le paludi, per vie fatte e non
fatte, fuggendo a precipizio, finalmente giunse al
campo, mentre disperavano quasi tutti, che potes
se trarsi in salvo. Perirono in quel fatto dugento
cavalieri Macedoni; ne furon presi da cento, e si
menarono via da ottanta cavalli molto bene ad
dobbati, insieme con le spoglie dell'armi.
XXXVIII. Fuerunt, qui hoc dieregem temeri XXXVIII. Vi fu chi accusò in quel giorno il
tatis, consulemsegnitiae accusarent consulem; nam re di temerità, il console di lentezza. Perciocchè
et Philippo quiescendum fuisse, quum paucis die Filippo dovea starsi quieto, sapendo che i nemici
bus hostes, exhausto circa omni agro, ad ultimum tra pochi giorni, esaurita intorno tutta la campa
inopiae venturos sciret; et consulem, quum equi gna, sarebbono venuti all'estremo della inopia; e
tatum hostium levemque armaturam fudisset, ac il console, poi ch'ebbe sbaragliata la cavalleria
prope regem ipsum cepisset, protinus ad castraho nemica e gli armati alla leggera, e quasi preso il
stium ducere debuisse; nec enim mansurosita per re, avrebbe dovuto subito condurre i suoi ed as
culsos hostes fuisse, debellarique momento tempo saltare gli accampamenti del nemico; chè questi
ris potuisse. Id dictu, quam re,utpleraque, facilius: spaventato non sarebbe rimasto ad aspettarlo, e
nam si omnibus peditum quoque copiis rex con si sarebbe potuto in un momento metter fine alla
gressus fuisset, forsitan inter tumultum quum guerra. Questo era più agevole a dirsi, che a far
omnes victi metuque perculsi ex proelio intra val si, come il più delle cose: perciocchè, se il re si
lum, protinusinde supervadentem munimenta vi fosse azzuffato con tutta la fanteria, forse tra il
ctorem hostem fugerent, exui castris potueritrex: bollor della mischia, mentre tutti già vinti e so
qnum vero integrae copiae peditum in castrisman praffatti da terrore si sarebbon primieramente
sissent,stationesante portaspraesidiaque disposita dalla battaglia ricoverati nello steccato, indi su
essent,quid, nisi ut temeritatem regis, effuse paul bito fuggito avrebbon il nemico vincitore, già
lo ante secuti perculsos equites, imitaretur, pro soverchiante i trinceramenti, avrebbe il re potuto
fecisset? Neque enim ne regis quidem primum essere spogliato del suo campo. Ma essendo ri
consilium, quo impetum in frumentatores palatos masta intatta nel campo tutta la fanteria, le poste
per agros fecit, reprehendendum foret, si modum alle porte, i presidii a luogo, che avrebbe fatto
prosperae pugnae imposuisset. Eo quoque minus altro, se non se imitare la temerità del re, che
est mirum, tentasse eun fortunam, quod fama avea poc'anzi sbandatamente inseguiti i cavalli?
erat, Pleuratum Dardanosque, ingentibus copiis Perciocchè non sarebbe nè anche da riprendersi
profectos domo, jam in Macedoniam transcen il primo partito del re, quando die'addosso ai
disse. Quibus si undique circumventus copiis fo fuggitivi dispersi per la campagna, se avesse messo
ret, sedentem Romanum debellaturum, credi po un termine al felice successo. Ed è tanto meno
terat. Itaque, secundum duas adversas equestres ancora da maravigliarsi, ch'egli abbia tentata la
pugnas, multo minus tutam moram in iisdem fortuna, perchè correva voce che Pleurato e i
stativis fore Philippus ratus, quum abire inde et Dardani, partiti di casa con grandi forze, già
fallereabiens hostem vellet, caduceatore sub occa entrati fossero in Macedonia; dalle quali se fos
sum solis ad consulem misso, qui inducias ad se stato da ogni parte avviluppato, si poteva
sepeliendos equites peteret, frustratus hostem, se credere che il console, senza muoversi di luogo,
cunda vigilia, multis ignibus per tota castra reli terminata avrebbe la guerra. Stimando pertanto
ctis, silenti agmine abiit. Filippo che dopo due battaglie equestri con
trarie, gli sarebbe stato molto men sicuro lo
stanziare ne' medesimi quartieri, volendo di là
partire, e partendo dare lo scambio al nemico,
mandato sul tramontare del sole un araldo al
console, che chiedesse una tregua per seppelli
re i cavalieri uccisi, gabbato il nemico, sulla
seconda veglia, lasciati accesi per tutto il cam
po molti fuochi, si partì con l'esercito cheta
mente.
591 TITI LIVII LIBER XXXI. 592
XXXIX. Corpus jam curabat consul, quum, XXXIX. Già il console attendeva a curarsi
venisse caduceatorem, et quid venisset, nuncia la persona, quando gli fu recato esser venuto un
tum est. Responso tantum dato, mane postero araldo, e a che venuto; e dettogli solamente che
die fore copiam conveniendi, id quod quaesitum la mattina seguente avria potuto dargli udienza,
erat, nox dieidue insequentis pars ad praecipien il che appunto si ricercava, Filippo impiegò
dum iter Philippo data est. Montes, quam viam quella notte e parte dell'altro giorno a vantag
non ingressurum gravi agmine Romanum sciebat, giarsi di cammino. Si drizza verso i monti, la
petit. Consul, prima luce caduceatore datis indu quale strada sapeva chè il Romano non avreb
ciis dimisso, haud ita multo post abisse hostem be presa con l'esercito, gravato d'impacci. Il
quum sensisset, ignarus qua sequeretur, iisdem console, sul far del giorno, licenziato l'araldo
stativis frumentando dies aliquot consumpsit. con la tregua assentita, non molto di poi essen
Stuberam deinde petit, atque ex Pelagonia fru dosi accorto che il nemico era partito, non sa
mentum, quod in agris erat, convexit: inde ad pendo per qual via inseguirlo, consumò alquanti
Pluvinam est progressus, nondum comperto, quam giorni in quella stazione medesima, raccoglien
regionem hostes petissent. Philippus, quum primo do frumenti. Indi si reca a Stubera, e fe'traspor
ad Bryanium stativa habuisset, profectus inde tare da Pelagonia le biade, ch'erano per la cam
transversis limitibus, terrorem praebuit subitum pagna. Di là inoltrossi sino a Pluvina, ignorando
hosti. Movere itaque ex Pluvina Romani, et ad ancora a qual parte andati fossero i nemici. Filip
Osphagum flumen posuerunt castra. Rex haud po, essendosi dapprima fermato a Brianio, di là
proculinde et ipse, vallo super ripam amnis ducto partitosi per vie traverse, pose all'improvviso
(Erigonum incolae vocant), consedit. Inde satis i nemici in gran terrore. Mossero pertanto i
comperto, Eordaeam petituros Romanos, ad oc Romani da Pluvina, e si accamparono sul fiume
cupandas angustias, ne superare hostes arctis fau Osfago. Il re fermossi anch'egli non lunge di là,
cibus inclusum aditum possent, praecessit: Ibi piantato lo steccato sopra la riva di un fiume,
alia vallo, alia fossa, alia lapidum congerie, ut che gli abitanti chiamano Erigono. Indi accertato
pro muro essent, alia arboribus objectis, ita ut abbastanza che i Romani sarebbono andati a
locus postulabat, aut materia suppeditabat, per Eordea, gli avanzò di cammino per occupare
muniit; atque (ut ipse rebatur) viam suaptema gli stretti, onde non potessero i nemici superare
tura difficilem, objectis per omnes transitus ope quel passo tra gole anguste rinchiuso. Quivi altri
ribus, inexpugnabilem fecit. Erant pleraque sil siti fortificò con steccato, altri con fossa, altri
vestria circa, incommoda phalangi maxime Mace con ammontamento di pietre, che facevano le
donum; quae, nisi ubi praelongis hastis velut val veci di muro, altri con alberi attraversati, se
lumanteclypeos objecit (quod ut fiat libero campo condo che il luogo richiedeva, o abbondava il
opus est), nullis admodum usus est. Thracas materiale, e opponendo lavori di mano ad ogni
quoque romphaeae ingentis et ipsae longitudinis, imboccatura, la via, ch'era di sua natura dfficile,
inter objectos undigue ramos impediebant. Cre la rendette, siccome ei credeva, inespugnabile.
tensium una cohors non inutilis erat, sed ea quo Era il paese all'intorno la maggior parte selvoso;
que ipsa, ut, si quis impetum faceret, in patentem per ciò specialmente incomodo alla falange dei
vulneri equum equitemque sagittas conjcere pote Macedoni, la quale, se colle aste assai lunghe non
rat,ita adversus scuta Romana nec ad trajiciendum oppone quasi uno steccato davanti agli scudi (al
satis magnam vim habebat, nec aperti quidquam che fare occorre uno spazio libero) è di nessun
erat, quod peteret. Itaque id ut vanum teli genus uso del tutto. Anche le ronfee dei Traci, lunghe
senserunt esse, saxis passim tota valle jacentibus esse pure moltissimo, eran loro d'impaccio tra
incessebant hostem: ea, majore cum sonitu, quam quel intralciamento di rami. La sola coorte dei
vulnere ullo, pulsatio scutorum parumper succe Cretesi non era disutile; ma essa pure, siccome
dentes Romanos tenuit. Deinde, iis quoque spre poteva, se alcuno l'assaltava, scagliar le saette
tis, partim, testudine facta, per adversos vadunt contro il cavallo e il cavaliere esposto alle ferite,
hostes; partim, brevi circuitu quum in jugum così d'altra parte nè aveva forza bastante a tra
collis evasissent, trepidos ex praesidiis stationi passare gli scudi Romani,nè c'era luogo scoperto,
busque Macedonas deturbant; et, ut in locis cui colpire. Quindi, come si accorsero che que
“impeditis difficili fuga, plerosque etiam obtrun sta sorta d'arme era inutile, travagliavano il neº
cant. mico con sassi, che qua e là giacevano per tutta
la valle. Codesto percotimento degli scudi, piut
tosto con grande strepito, che con alcuna ferita
tenne alcun po' di tempo i Romani indietro.
Poscia, beffandosi anche de sassi, parte, fatta una
593 TITI LIVII LIBER XXXI.
594
testuggine, vanno di fronte incontro a nemici,
parte con breve giro sboccati essendo sulla vetta
della collina, buttan giù i Macedoni dai presidii
e dalle poste, e siccome la fuga era difficile in
luoghi impediti, molti anche ne ammazzano.
XL. Ita angustiae minore certamine, quam XL. Così superate furono quelle strettezze
quod animis proposuerant, superatae, et in Eor con manco difficoltà, che non avevan pensato, e
daeam perventum; ubi pervastatis passim agris, si giunse in Eordea; dove saccheggiato il paese
in Elimeam se recepit. Inde impetum in Oresti all'intorno, si ridusse poi in Elimea. Di là si
dem fecit, et oppidum Celetrum est aggressus, scagliò sopra Orestide ed assaltò il castello di
in peninsula situm. Lacus moenia cingit: angu Celetro, posto nella penisola. Un lago cinge
stis faucibus unum ex continenti iter est. Primo le mura: non v'ha che un'angusta strada da parte
situ ipso freti, clausis portis, imperium abnuere; di terra. Dapprima fidatisi nel sito, chiuse le por
deinde postouam signa ferri, ac testudine succedi te, ricusarono di obbedire; indi, poi che videro
ad portam obsessasque fauces agmine hostium farsi innanzi le bandiere, e i soldati sotto la te
viderunt, priusquam experirentur certamen, me stuggine accostarsi alla porta, e la strada di terra
tu in deditionem venerunt. Ab Celetro in Dassa occupata da gran numero di nemici, prima che
retios processit, urbemque Pelium vi cepit: ser si venisse all'assalto, per paura si arrendettero.
vitia inde cum cetera praeda abduxit, et libera Da Celetro passò ai Dassareti, e prese di forza
capita sine pretio dimisit; oppidumque iis reddi Pelio: me menò via tutti gli schiavi con l'altra
dit, praesidio valido imposito; nam et sita op preda, e gli uomini di condizione libera li lasciò
portune urbs erat ad impetus in Macedoniam andare senza prezzo, e restituì loro il castello,
faciendos. lta peragratis hostium agris, consul in messovi dentro forte presidio; chè era quella
loca jam pacata ad Apolloniam , unde orsus città opportunamente situata per farsi addosso
bellum erat, copias reduxit. Philippum averte alla Macedonia. Corse in questa guisa le terre
rant Aetoli et Athamanes et Dardani, et tot bella de'nemici, il console per luoghi debellati ricon
repente alia ex aliis locis exorta. Adversus Dar dusse l'esercito in Apollonia, donde avea comin
danos, jam recipientes ex Macedonia sese Athe ciata la guerra. Richiamato aveano ad altra parte
magoram cum expeditis peditibus ac majore parte Filippo e gli Etoli e gli Atamani e i Dardani,
equitatus misit, jussum instare ab tergo abeun e tante guerre improvvisamente sorte in più luo
tibus, et, carpendo postremum agmen, segniores ghi l'una dall'altra. Contro i Dardani, che già si
eos ad movendos domo exercitus efficere. Aeto ritiravano dalla Macedonia, mandò Atenagora
los Damocritus praetor, qui morae ad decernen co'fanti leggeri, e con la maggior parte della ca
dum bellum ad Naupactum auctor fuerat, idem valleria, datogli ordine d'incalzarli alle spalle
proximo concilio ad arma conciverat: post fa nel lor cammino, e travagliando la retroguardia,
mam equestris ad Octolophum pugnae, Darda renderli più lenti a muovere gli eserciti di casa.
norumque et Pleurati cum Illyriis transitum in Quanto agli Etoli, il pretore Damocrito, il quale
Macedoniam; ad haec classis Romanae adventum a Naupatto avea dato il consiglio, che s'indu
in Oreum; et, super circumfusas tot Macedoniae giasse a decretare la gaerra, egli stesso nell'ulti
gentes, maritimam quoque instantem obsidionem. ma assemblea gli aveva eccitati a prender l'armi,
poi ch'ebbe notizia e della battaglia equestre
presso Octolofo, e del passaggio in Macedonia ,
dei Dardani, e di Pleurato con gl'Illirici; più
della venuta in Oreo della flotta Romana; ed
anche, oltre le tante nazioni, che investivano
la Macedonia, dell'imminente assedio per mare.
XLI. Hae causae Damocritum Aetolosque XLI. Eran queste le cagioni, che aveano re
restituerant Romanis; et Amymandro rege Atha stituito Damocrito e gli Etoli ai Romani; e
manum adjuncto, profecti Cercinium obsedere. quindi, avendosi aggiunto Aminandro, re degli
Clauserant portas, incertum vi, an voluntate; Atamani, partitisi assediarono Cercinio. Aveano
quia regium habebant praesidium. Ceterum intra chiuse le porte, non si sa se sforzati, o di lor
paucos dies captum est Cercinium, atque incen volontà; perciocchè aveano presidio regio. Del
sum : qui superfuerante magna clade, liberi ser resto, Cercinio fu preso in pochi dì ed abbru
vique, interceteram praedam abducti. Is timor ciato, e gli avanzati da tanta strage, sì liberi,
omnes, qui circumcolunt Boeben paludem, reli che schiavi, furon menati via con l'altra preda.
ctis uti" montes coegit petere. Aetoli, ino
iv 1o 2
Questo spavento costrinse º", quelli, che abi
595 TITI LIVII LIBER XXXI. 596
pia praedaeinde aversi, in Perrhaebiam ire per tano intorno alla palude Bebe, lasciate le città,
gunt. Cyretias ibi vi capiunt, foedeque diripiunt; a rifuggirsi ne'monti. Gli Etoli, voltisi ad altra
qui Malloeam incolunt voluntate in deditionem parte per la scarsezza della preda, si mettono
societatemque accepti. Ex Perrhaebia Gomphos alla volta di Perrebia. Quivi prendono Cirezia
petendi Amymanderauctor erat; et imminet Atha con la forza, e la saccheggiano crudelmente; gli
mania huic urbi,videbaturque expugnari sine ma abitanti di Mallea si danno volontarii e si colle
gno certamine posse. Aetoli campos Thessaliae gano. Aminandro proponeva che da Perrebia
opimos ad praedam petiere; sequente, quamquam si andasse a Gomfo: l'Atamania sovrasta a questa
non probante, Amynandro, neceſſusas populatio città, e pareva che questa si potesse espugnare
nes Aetolorum, nec castra, quo fors tulisset loco, senza grande contrasto. Gli Etoli si voltarono
sine ullo discrimine accura muniendi, posita. lta alle grasse pianure della Tessaglia, avidi di pre
que, ne temeritas eorum negligentiaque sibi ac da; seguendoli Aminandro, ma non approvando
suis etiam cladis alicujus causa esset, quum cam nè le larghe scorrerie degli Etoli, nè l'accamparsi
pestribus locis subjicientes eos castra Phecado in qualsivoglia luogo alla ventura, senza consi
urbi videret, ipse paullo plus quingentorum pas derazione alcuna, senza badare a trincerarsi.
suum indetumulum suis, quamvis levi munimento Quindi, acciocchè la loro temerità e negligenza
tutum, cepit. Quum Aetoli, nisi quod populaban non fosse cagione di qualche sconcio anche a lui
tur, vix meminisse viderentur, se in hostium agro ed a suoi, vedendo ch'essi mettevano il lor campo
esse, alii palati semiermes vagarentur, alii in in luoghi piani sotto la città di Fecado, prese
castris sine stationibus per somnum vinumque egli co'suoi un poggio, distante poco più di cin
dies noctibus aequarent, Philippus inopinanti quecento passi, con ogni piccolo riparo bastante
bus advenit. Quem quum adesse refugientes ex mente sicuro. Mentre pareva che gli Etoli ap
agris quidam pavidi munciassent, trepidare Da pena per altro si ricordassero d'essere su le terre
mocritus ceterique duces; et erat forte meridia de'nemici, che perchè le saccheggiavano; altri
num tempus, quo plerique graves cibo sopiti ja vagando sbandati quasi senz'armi, altri standosi
cebant. Excitare igitur alii alios, jubere arma nel campo senza poste, pareggiando i giorni e
capere, alios demittere ad revocandos, qui palati le notti tra il sonno ed il vino, Filippo, non sel
per agros praedabantur: tantaque trepidatio fuit, pensando essi, sopraggiunge: la cui venuta es
ut sine gladiis quidam equitum exirent, loricas sendo rapportata da alcuni, che si fuggivano
plerique non induerent. Ita raptim educti, quum dalla campagna spaventati, vennero in paura
universi sexcentorum aegre simul equites pedi Damocrito e gli altri capitani. Ed era a caso
tesque numerum explessent, incidunt in regium il mezzodì, tempo, nel quale la maggior parte,
equitatum, numero, animis, armisque praestan gravati dal cibo, giacevansi a terra addormentati.
tem. Itaque primo impetu fusi, vix tentato cer Gli uni dunque svegliare gli altri, far che pren
tamine, turpi fuga repetunt castra: caesi captique dano l'armi, mandare a richiamar quelli, che
quidam, quos equites ab agmine fugientium in predavano dispersi pe' campi, e tanta si fu la
terclnsere,
confusione, che alcuni cavalieri uscirono senza
spada, i più non si misero le corazze. Tratti
fuori in tanta fretta, mentre tutti insieme, tra
fanti e cavalli, non compievano il numero di sei
cento, si abbattono nella cavalleria del re, che
gli avanzava per numero, per valore e per armi.
Quindi al primo impeto sbaragliati, appena pro
vatisi a combattere, vilmente fuggendo, tornano
a loro alloggiamenti. Ne rimasero alcuni presi
ed uccisi, che avea la cavalleria chiusi fuori dal
la turba dei fuggitivi.
XLII. Philippus, suisjam vallo appropinquan XLII. Filippo, mentre, i suoi già si accosta
tibus, receptui cani jussit: fatigatos enim equos vano allo steccato, fe” sonare a raccolta, chè avea
virosque non tam proelio, quam itineris simul straccati uomini e cavalli non tanto pel combat
longitudine, simul praepropera celeritate, habe tere, quanto per la lunghezza, e ad un tempo
bat. Itaque turmatim equites, in vicemque ma frettolosa velocità del cammino. Ordina pertan
nipulos levis armaturae aquatum ire et prandere to che i cavalieri a bande a bande, e a vicenda
jubet: alios in statione armatos retinet, opperiens le compagnie de fanti leggeri vadano per acqua,
agmen peditum tardius ductum propter gravita e pranzino: ritiene gli altri armati alle poste,
tem armorum. Quod nbi advenit, et ipsis impe attendendo la squadra de pedoni, che camminava
597 TITI LIVII LIBER XXXI. 598
ratum, ut, statutis signis armisque ante se positis, più lenta per la gravezza delle arme. Venuti i
raptim cibum caperent, bimis ternisve summum quali, ordinò similmente ad essi, che piantate
ex manipulis aquandi causa missis: interim eques le bandiere e deposte le armi avanti di sè, in
cum levi armatura paratus instructusque stetit, fretta pigliassero il cibo, mandati a prender
si quid hostis moveret. Aetoli (jam enim et quae acqua due o tre al più di ciascuna compagnia:
per agros multitudo sparsa fuerat, receperat se intanto la cavalleria co'fanti leggeri stette appa
incastra), ut defensuri munimenta, circa portas recchiata e in ordinanza, se il nemico facesse
vallumque armatos disponunt, dum quietos hostes alcun movimento. Gli Etoli (perciocchè anche
ipsi feroces ex tuto spectabant. Postguam mota la moltitudine, già dispersa per la campagna,
signa Macedonum sunt, et succedere ad vallum s'era ricovrata negli alloggiamenti), come se vo
parati atque instructi coepere, omnes repente, lessero difendere il campo, mettono armati alle
relictis stationibus, per aversam partem castro porte e intorno lo steccato, standosi intanto a
rum ad tumulum, ad castra Athamanum perfu guardare con fierezza da luogo sicuro i nemici,
giunt. Multi in hac quoque tam trepida fuga ca che si stavan quieti. Poi che si furono mosse
pti caesique sunt Aetolorum. Philippus, si satis le bandiere dei Macedoni, e cominciaron essi ad
diei superesset, non dubius, quin Athamanes accostarsi pronti e in ordinanza allo steccato,
quoque exui castris potuissent, die per proelium, abbandonate le poste, per la parte opposta del
deinde per direptionem castrorum absumpto, sub campo fuggonsi al poggio, agli alloggiamenti
tumulo in proxima planitie consedit, prima luce degli Atamani. Anche in questa fuga paurosa
insequentis diei hostem aggressurus. Sed Aetoli molti degli Etoli furono presi e trucidati. Filip
eodem pavore, quo sua castra reliquerant, nocte po, se gli fosse avanzato giorno, che bastasse,
proxima dispersi fugerunt. Maximo usui fuit A non dubitando che si sarebbe potuto spogliare
mynander, quo duce Athamanes, itinerum periti, anche gli Atamani del loro campo, consumata
summis montibus per calles ignotos sequentibus la giornata nel combattere, poi nel saccheggiare
eos hostibus in Aetoliam perduxerunt. Non ita gli alloggiamenti, si fermò sotto il poggio nella
multos in dispersa fuga error intulit in Macedo vicina pianura, per assaltare il nemico all'alba
num equites, quos luce prima Philippus, ut deser del dì seguente. Ma gli Etoli, per quella stessa
tum tumulum vidit, ad carpendum hostium ag paura, per cui abbandonato avevano i loro allog
men misit.
giamenti, nella seguente notte dispersi fuggiro
no. Fu loro grandemente utile Aminandro, sotto
la cui scorta gli Atamani, pratici delle strade fra
alte montagne, per ignoti sentieri li ricondussero
in Etolia, sempre inseguiti dal nemico. Lo sbaglio
della strada nel fuggire sbandati ne fe' dare non
però molti nella cavalleria de' Macedoni, che
Filippo sul far del giorno, come vide abbando
nato il poggio, avea spediti a molestar la coda
del nemico. -

XLIII. Per eos dies et Athenagoras regius XLIII. In quel medesimi giorni anche Atena
praefectus, Dardanos recipientes se in fines ade gora, prefetto regio, raggiunti i Dardani, che si
ptus, postremumagmen primo turbavit: dein, post ritiravano ne'lor confini, dapprima scompigliò
quam Dardani conversis signis direxere aciem, la loro retroguardia: indi, poi che i Dardani,
aequa pugna justo proelio erat; ubi rursus pro voltate le bandiere, presentarono la fronte, si
cedere Dardani coepissent, equite et levi armatura combatteva come in giusta battaglia. Come i
regii, nullum talis auxilii genus habentes Darda Dardani cominciavano a mettersi nuovamente
nos, oneratos immobilibus armis vexabant: et loca in cammino, le genti del re con la cavalleria e
ipsa adjuvabant. Occisi perpauci sunt, plures vul co'fanti leggeri li travagliavano, non avendo
nerati, captus memo, quia non excedunt temere essi nessun aiuto di tal genere, ed essendo carichi
ordinibus suis, sed confertim et pugnant, et ce d'arme pesanti; e i luoghi stessi li giovavano.
dunt. Ita damna Romano accepta bello, duabus Pochissimi furono gli uccisi, più i ſeriti; nessuno
per opportunas expeditiones coercitis gentibus, preso, perchè non escono a capriccio dagli ordini
restituerat Philippus, incepto forti, non prospero loro, ma serrati combattono, serrati cedono. In
solum eventu. Minuit deinde ei forte oblata res questa guisa Filippo, frenati due popoli con
hostium Aetolorum numerum. Scopas princeps opportune spedizioni, avea ristorati i danni sof
gentis, ab Alexandria magno cum pondere auri ferti dai Romani, con impresa pigliata con ardi
abrege Ptolemaeo missus, sex millia peditum et mento, non che con prospero successo. Poscia
TITI LIVII LIBER XXXI. Goo
599
equites mercede conductos Aegyptum avexit: una cosa offertagli dal caso gli scemò il numero
mec ex juventute Aetolorum quem quam reliquis degli Etoli nemici. Scopa, capo della nazione,
set, mi Damocritus, nunc belli, quod instaret, nunc spedito da Alessandria dal re Tolommeo con
futurae solitudinis admomens (incertum cura gen grande quantità d'oro, trasportò in Egitto con-.
tis, an ut adversaretur Scopae.parum donis cultus), dotti a prezzo sei mila tra cavalli e fanti; nè
partem juniorum castigando domi continuisset. lasciato avrebbe nessuno della gioventù degli
Haec ea aestate ab Romanis Philippoque gesta Etoli, se Damocrito, facendolo avvertito ora
erant. della guerra, che sovrastava, ora della mancanza
d'uomini, che ne verrebbe (non si sa bene, se
per cura che si prendesse della nazione, ovvero
per opporsi a Scopa, che lo avea poco blandito
con doni), ritenuto non avesse a casa una parte
di giovani, a forza di riprensioni. Quest'erano
le cose fatte in quella state dai Romani e da
Filippo.
XLIV. Classis a Corcyra ejusdem principio XLIV. La flotta, sul principio di quella state
aestatis cum L. Apustio legato profecta, Malea su medesima, partita da Corcira col legato Lucio
perata, circa Scyllaeum agri Hermionici Attalo Apustio, oltrepassata Malea, si congiunse col re
regi conjuncta est. Tum vero Atheniensium ci Attalo nelle vicinanze di Scilleo promontorio
vitas, cui odio in Philippum per metum jam diu del contado Ermionico. Allora sì la città di Ate
moderata erat, id omne in auxilii praesentis spem ne quell'odio verso Filippo, ch'ella avea mode
effudit: nec umquam ibi desunt linguae prom rato lungo tempo per paura, tutto lo versò fuori
ptae ad plebem concitandam; quod genus, quum su la speranza del presente soccorso. Nè colà
in omnibus liberis civitatibus, tum praecipue mancan giammai lingue pronte a concitare la
Athenis, ubi oratio plurimum pollet, favore mul plebe; razza di gente, che, come in tutte le città
titudinis alitur. Rogationem extemplo tulerunt, libere, così specialmente in Atene, dove il parlare
plebesque scivit, « ut Philippi statuae, imagines ha grande possanza, si nutre del favore della
omnes, nominaque earum, item majorum eius moltitudine. Proposero subito, e la plebe appro
virilis ac muliebris sexus omnium tollerentur, vò, « che le statue, le imagini tutte e le iscrizioni
delerenturque: dies festi, sacra, sacerdotes, quae di quelle, non che ogni altra de'di lui maggiori
ipsius majorumve ejus honoris causa instituta es dell'uno e dell'altro sesso, si togliessero via e si
sent, omnia profanarentur. Loca quoque, in qui annientassero; che i dì festivi, le sagre cerimonie
bus positum aliquid inscriptumve honoris ejus e i sacerdoti, che fossero stati instituiti in onore
causa fuisset, detestabilia esse, neque in iis quid di lui o de'suoi maggiori, si profanassero; che
quam postea poni dedicarique placere eorum, i luoghi stessi, dove fosse stata posta o scritta
quae in loco puro poni dedicarique fas esset. Sa alcuna cosa in di lui onore, fossero maladetti; e
cerdotes publicos, quotiescumque pro populo volersi che dappoi non vi si possa mettere o de
Atheniensi, sociisque et exercitibus et classibus dicare niente di ciò, che mettere o dedicare
eorum precarentur, toties detestari atque exsecra si suole in luogo puro. Che i pubblici sacer
ri Philippum, liberos ejus, regnumque, terrestres doti, quante volte pregassero pel popolo Ate
navalesque copias, Macedonum genus omne no niese, pegli alleati, pegli eserciti e per le flotte
menque.» Additum decreto: «Si quis quid postea, loro, altrettante detestassero ed esecrassero Fi
quod ad notam ignominiamoue Philippi perti lippo, i di lui figli, il regno, le forze di terra
neret, ferret, id omne populum Atheniensiem e di mare, e tutta la stirpe e nome dei Macedoni.
jussurum: si quis contra ignominiam, prove ho Si aggiunse al decreto: « Se alcuno di poi propo
nore ejus dixisset, fecissetve, qui occidisset eum, nesse alcuna cosa, che tendesse all'onta ed igno
jure caesurum.» Postremo inclusum, « Ut omnia, minia di Filippo, il popolo Ateniese l'avrebbe
quae adversus Pisistratidas decreta quondam approvata; e se alcuno dicesse o facesse cosa
erant. eadem in Philippo servarentur.» Athenien diretta a torgli l'ignominia, o a fargli onore,
ses quidem literis verbisque, quibus solis valent, chiunque l'uccidesse, l'avrebbe ucciso a buon
bellum adversus Philippum gerebant. dritto. In fine vi fu inserito, a che tutti i decreti,
ch'erano stati fatti altre volte contro la famiglia
di Pisistrato, si avessero ad osservare contro
Filippo. » In questo modo gli Ateniesi facean
la guerra contro Filippo con gli scritti e con le
parole, nel che solo sono valenti.
6o I TITI LIVII LIBER XXXI. Go2

XLV. Attalus Romanique, quum Piraeeum XLV. Attalo ed i Romani, andati primiera
primo ab Hermione petissent, paucos ibi morati mente da Ermione al Pireo, fermatisi quivi po
dies, oneratique aeque immodicis ad honores so chi dì, dov'erano stati caricati dai decreti degli
ciorum, atque in ira adversus hostem fuerant, Ateniesi, egualmente smodato sì nell'onorare
Atheniensium decretis, navigant a Piraeeo An gli alleati, che nell'inveire contro il nemico, dal
drum : et quum in portu, quem Gaureleon vo Pireo navigano ad Andro; ed essendosi fermati
cant, constitissent, missis, qui tentarent oppida nel porto, che chiamano Gaureleo, mandati al
norum animos, si voluntate tradere urbem, quam cuni, che tentassero gli animi de terrazzani, se
vim experiri, mallent; postguam praesidio regio volessero piuttosto rendere la terra di buona
arcem teneri, nec se potestatis suae esse respon voglia, che provare la forza, rispondendo essi
debant; expositis copiis, omnique apparatu ur che la rocca era tenuta dalle genti del re, e che
bium oppugnandarum, diversis partibus rex et non potevano disporre di sè medesimi, sbarcati
legatus Romanus ad urbem subeunt. Plus aliquan i soldati e tutto l'apparecchio da combattere le
to Graecos Romana signa armadue non ante visa città, il re ed il legato Romano, da diverse
animique militum, tam prompte succedentium parti si accostano alla terra. Spaventò alquanto
muros, terruere. Itaque fuga extemplo in arcem i Greci, più ch'altro, la vista delle Romane ban
facta est; urbe hostes potiti. Et in arce quum diere, e l'armi non più vedute, ed il coraggio
biduum loci se magis, quam armorum, fiducia de'soldati nel farsi francamente sotto le mura.
tenuissent, tertio die pacti ipsi praesidiumque, Quindi si fuggiron tosto nella rocca; i nemici
ut cum singulis vestimentis Delium Boeotiae trans s'impadronirono della città. Ed essendosi tenuti
veherentur. Ea ab Romanis regi Attalo conces nella rocca due giorni, fidandosi più nel luogo,
sa: praedam ornamentaque urbis ipsi avexerunt. che nell'armi, il terzo di pattuirono d'essere
Attalus, ne desertam haberet insulam, et Mace trasportati essi ed il presidio, con una veste per
donum fere omnibus, et quibusdam Andriorum, ciascuno, a Delio nella Beozia. I Romani diedero
utmanerent, persuasit. Postea et ab Delio, qui Andro al re; essi portaron via la preda e gli
ex pacto transvecti eo fuerant, promissis regis, ornati della città. Attalo, per non possedere
quum desiderium quoque patriae facilius ad cre un'isola deserta, persuase a quasi tutti i Mace
dendum inclinarent animos, revocati. Ab Andro doni e ad alcuni degli Andrii, che rimanessero;
Cythmum trajecerunt: ibi dies aliquot oppugnan poi anche quelli, ch'erano stati per patto tras
da urbe nequidquam absumpti; et, quia vix ope portati da Delio, richiamati furono sotto la fede
rae pretium erat, abscessere. Ad Prasias (conti del re, anche il desiderio della patria piegando
nentis Atticae is locus est) Issaeorum viginti lem gli animi a credere più facilmente. Da Andro
bi classi Romanorum adjuncti sunt: ii missi ad fecero tragitto a Citno: quivi consumarono inu
populandos Carystiorum agros, cetera classis Ge tilmente alquanti giorni a combatter la terra; e
raestum, nobilem Euboeae portum, dum a Ca perchè non era il pregio dell'opera, se ne parti
rysto Issaei redirent, tenuit. Inde omnes, velis in rono. A Prasia (luogo dell'Attica in terra ferma)
altum datis, maris medio praeter Scyrum insu venti schifi degl'Issei si unirono alla flotta Ro
lam Icum pervenere: ibi paucos dies, saeviente mana. Furono mandati a saccheggiar le terre
Borea, retenti; ubi prima tranquillitas data est, de Caristii ; il restante della flotta si stette a
Sciathum trajecere, vastatam urbem direptamque Geresto, bel porto dell'Eubea, sino a tanto che
nuper a Philippo. Per agros palati milites fru gli Issei tornassero da Caristo. Poscia tutti, date
mentum, et si qua alia usui esse ad vescendum le vele in alto mare, attraversandolo, oltrepassata
poterant, ad naves retulere: praedae nec erat l'isola di Sciro, giunsero ad Ico: quivi, infu
quidquam, nec meruerant Graeci, cur diriperen riando Borea, furon trattenuti pochi di : al primo
tur. Inde Cassandream petentes, primo ad Men tranquillarsi del mare, tragittarono a Sciato, città
din, maritimum civitatis ejus vicum, tenuere; in devastata e spogliata poc'anzi da Filippo. I sol
de quum, superato promontorio, ad ipsa moenia dati sparsi per la campagna riportarono alle navi
urbis circumagere classem vellent, saeva coorta e frumento, e quant'altro potea servire di cibo :
tempestate, propeobruti fluctibus, dispersi, ma non c'era che predare, nè i Greci avean fatto
gma ex parte amissis armamentis, in terram effu cosa, per cui meritassero d'essere saccheggiati.
gerunt. Omen quoque ea maritima tempestas ad Di là voltisi a Cassandra, prima si ancorarono
rem terra gerendam fuit: nam, collectis in unum a Mendi, borgo di quella terra sul mare. Poi
navibus, expositisque copiis, aggressi urbem, cum volendo, superato il promontorio e girando
multis vulneribus repulsi (et erat validum ibi la flotta, accostarsi alla città, insorta fiera bur
regium praesidium), irrito incepto regressi Ca rasca, quasi soverchiati dai flutti, dispersi, per
nastraeum Pallenes trajecere. Inde, superato To duta la maggior parte degli attrezzi, fuggironsi
6o3 TITI LIVII LIBER XXXI. 6o 4
romae promontorio, navigantes Acanthum petie a terra. Quella fortuna di mare fu quasi un augu
re. Ibi primo ager vastatus, deinde ipsa urbs vi rio per l'impresa di terra. Perciocchè, messe in
capta ac direpta: nec ultra progressi (jam enim uno le navi, e sbarcate le genti, dato l'assalto
et graves praeda naves habebant), retro, unde alla città, respinti da molte ferite (ch'era quivi
venerant, Sciathum, et ab Sciatho Euboeam un forte presidio del re), andato a vòto il tenta
repetunt. -
tivo, tornando indietro passarono a Canastreo
di Pallene. Di là, superato il promontorio di To
rona, vennero navigando ad Acanto. Quivi prima
si diede il guasto al contado, poi la città stessa
fu presa e saccheggiata. Nè andati più oltre (chè
avean le navi cariche di preda) retrocedendo
tornano, ond'erano partiti, a Sciato, e da Sciato
in Eubea.
XLVI. Ibi relicta classe, decem navibus expe XLVI. Lasciata quivi la flotta, entrarono con
ditissimum Maliacum intravere, ad colloquendum dieci navi leggere nel golfo Maliaco, per abboc
cum Aetolis de ratione gerendi belli. Sipyrrhicas carsi cogli Etoli intorno al governo della guerra.
Aetolus princeps legationis ejus fuit, quae ad Sipirrica, Etolo, fu capo dell'ambasciata, che
communicanda consilia Heracleam cum rege et venne ad Eraclea a conferire col re e collegato
cum Romano legato venit. Petitum ex foedere ab Romano. Fu chiesto ad Attalo, che desse in virtù
Attalo est, ut mille milites praestaret; tantum della lega mille soldati; ch'era debitore di tal
enim numerum bellum gerentibus adversus Phi numero a quelli, che guerreggiavano contro Fi
lippum debebat. Id negatum Aetolis; quod illi lippo. Il che fu negato agli Etoli dal re, perchè
quoque gravati prius essent ad populandam Ma anch'essi aveano innanzi ricusato di uscire a sac
cedoniam exire, quo tempore, Philippo circa Per cheggiare la Macedonia nel tempo, in cui, abbru
gamum urente sacra profanaque, abstrahere eum ciando Filippo quanto c'era di sacro e di profa
inde respectu rerum suarum potuissent. Ita Ae no intorno a Pergamo, avrebbono potuto distor
toli cum spe magis, Romanis omnia pollicentibus, nelo per salvare le cose proprie. Così gli Etoli
quam cum auxilio dimissi. Apustius cum Attalo furono licenziati, più modriti di speranze, avendo
ad classem rediit; inde consultari de Oreo oppu fatte loro i Romani larghe promesse, che prov
gnando coeptum. Valida ea civitas et moenibus, veduti di soccorso. Apustio ritornò con Attalo
et, quia ante fuerat tentata, firmo erat praesidio. alla flotta; poi si cominciò a far consulta intorno
Conjunxerant se iis post expugnationem Andri all'assediare Oreo. Era quella città forte e per le
cum praefecto Agesimbroto viginti Rhodiae naves, mura, e perchè tentata già innanzi, avea grosso
tectae omnes: eam classem in stationem ad Zela presidio. Dopo la presa di Andro, si erano unite
sium miserunt (Isthmiae id super Demetriadem ai Romani venti navi de' Rodiani col prefetto
promontorium est peropportune objectum), ut, Agesimbroto, tutte con la coperta: mandarono
si quid inde moverent Macedonum naves, in quella flotta a stanziare a Zelasio (è questo il
praesidio essent. Heraclides praefectus regius clas promontorio d'Istmia sopra Demetriade, messo
sem ibi tenebat, magis per occasionem, si quam opportunamente di rincontro), acciocchè stessero
negligentia hostium dedisset, quan aperta vi quivi in guardia, se le navi de'Macedoni facesse
quidquam ausurus. Oreum diversi Romani et rex ro alcun movimento. Eraclide, prefetto del re,
Attalus oppugnabant; Romani a maritima arce, teneva a Demetriade la flotta, più per valersi
regii adversus vallem inter duas jacentem arces, dell'occasione, se la negligenza de'nemici ne
qua et muro intersepta urbs est: et ut loca diver offerisse alcuna, che perchè osasse di tentar nulla
sa, sic dispari modo etiam oppugnabant; Romani a forza aperta. Combattevan Oreo da due bande
testudinibus et vineis et ariete admovendo mu diverse i Romani e il re Attalo; i Romani dalla
ris; regii ballistis catapultisque, et alio omnige parte della rocca sul mare, quelli del re dirim
nere tormentorum tela ingerentes. Et pondere petto alla valle, che giace tra le due rocche, dove
ingenti saxa jaciebant et cuniculos, et quidquid anche la città è circondata da muro. E come era
aliud priore oppugnatione expertum profuerat. no diversi i luoghi, così la combattevano in ma
Ceterum non plures tantum Macedones, quam niera diversa; i Romani, accostando alle mura
ante, tuebantur urbemarcesque, sed etiam prae le testuggini, i graticci, l'ariete; quelli del re,
sentioribus animis, et, castigationibus regis in scagliando dardi con le balliste, le catapulte e con
admissa culpa, simul minarum, simul promissio ogni altra sorte di macchine, e lanciavan sassi di
num in futurum memores, ita ut parum in expu enorme peso, e facean mine e quant'altro avean
gnatione celeri spei esset. Interim et aliud agi provato giovare nell' assedio precedente. Del
6o5 TITI LIVII LIBER XXXI. 6,6

posse ratus legatus, relictis, quod satis videban resto, i Macedoni non solamente difendevano in
tur adopera perficienda, militibus, trajicit in pro maggior numero, che prima, la città e le rocche,
xima continentis; Larissamque (non illam in ma eziandio con maggior gagliardia, ricordevoli,
Thessalia nobilem urbem, sed alteram, quan pe'rimproveri dati loro dal re per la colpa com
Cremasten vocant) subito adventu, praeter ar messa, delle minacce, e insieme delle promesse
cem, cepit. Attalus quoque Aegeleon, nihil minus fatte pel tempo avvenire, sì che non era da spe
quam tale quidquam in alterius oppugnatione rare gran fatto, che si avesse presto ad espugnare.
urbis timentibus, oppressit. Et jam quum opera Stimando il legato che intanto si potesse fare
in effectu erant circa Oreum, tum praesidium, altra cosa, lasciati tanti soldati, quanti parevano
quod intus erat, labore assiduo, vigiliis diurnis bastanti a compiere i lavori, passa ne' vicini luo
pariter nocturnisque, et vulneribus confectum. ghi di terra, e con la subita venuta prese Larissa,
Muri quoque pars, ariete incusso subruta, multis eccetto la rocca (non Larissa, città celebre della
jam locis prociderat; perque apertum ruina iter Tessaglia, ma l'altra, che chiamano Cremaste ).
nocte Romani, quodque super portum est, in ar Sforzò Attalo anche Egeleo, tutt'altro temendo
eem perruperunt. Attalus luce prima, signo ex i terrazzani, mentre che si combatteva un'altra
arce dato ab Romanis, et ipse urbem invasit, stra città. E già compiuti erano i lavori intorno ad
tis magma ex parte muris: praesidium oppidani Oreo, e il presidio di dentro rifinito era dalle
que inalteram arcem perfugere, unde biduo post continue fatiche, dal vegghiare dì e notte, e dalle
deditio facta : urbs regi, captiva corpora Roma ferite. Anche parte del muro, dicrollata dai colpi
n1s cessere,
dell'ariete, era già caduta in molti luoghi; e la
notte i Romani per la strada aperta dalle ruine, e
per la parte ch'è sopra il port», gettaronsi nella
rocca. Attalo esso pure sul far del giorno, dato dai
Romani il segno dalla rocca, assaltò la città, diroc
cata essendo la maggior parte dei muri: il presi
dio e i terrazzani rifuggironsi nell'altra rocca,
dalla quale due giorni dopo Oreo si arrendette.
La città fu ceduta al re, i prigioni ai Romani.
XLVII. Jam autumnale aequinoctium insta XLVII. Era già imminente l'equinozio del
bat; et est sinus Euboicus, quem Coela vocant, l'autunno; e il golfo Euboico, che chiamano Cela,
suspectus nautis: itaque, ante hiemales motus è sospetto ai marinai. Quindi bramando di uscir
evadere inde cupientes, Piraeeum, unde profecti ne avanti il mal tempo dell'inverno, tornano al
ad bellum erant, repetunt. Apustius, triginta ma Pireo, dond'erano partiti a far la guerra. Apu
vibus ibi relictis, super Maleam navigat Corcy stio, lasciate quivi trenta navi, oltrepassando
ram. Regem spatium Initiorum Cereris, ut sacris Malea, naviga a Corcira. Il re si trattenne tutto il
interesset, tenuit: secundum Initia et ipse in tempo delle Iniziazioni di Cerere per assistere a
Asiam se recepit, Agesimbroto et Rhodiis do quelle cerimonie. Dopo le Iniziazioni, anch'egli
mum remissis. Haec ea aestate terra marique ad si ritrasse in Asia, rimandati a casa Agesimbroto
versus Philippum sociosque ejus a consule et le e i Rodiani. Queste son le cose fatte in quella
gato Romanis, adjuvantibus rege Attalo et Rho state per terra e per mare contro Filippo e con
diis, gesta. Consul alter C. Aurelius ad confectum troi di lui alleati dal console e dal legato Ro
bellum quum in provinciam venisset, haud clam mano, aiutati dal re Attalo e dai Rodiani. L'altro
tulit iram adversus praetorem, quod absente se console Caio Aurelio, andato alla sua provincia
rem gessisset: misso igitur eo in Etruriam, ipse a guerra già terminata, non celò il suo sdegno
in agrum hostium legiones induxit; populando contro il pretore, perchè avesse in assenza sua
que, cum praeda majore, quam gloria, bellum combattuto. Mandatolo adunque nella Toscana,
gessit. L. Furius, simul quod in Etruria nihil erat trasse egli le legioni nel paese de'nemici, e ſe la
rei, quod gereret, simul Gallico triumpho im guerra saccheggiando, più con guadagno di pre
minens, quem, absente consule irato atque invi da, che di gloria. Lucio Furio, sì perchè non
dente, facilius impetrari posse ratus, Romam ino c'era in Toscana che fare, sì perchè vagheggiava
pinato quum venisset, senatum in aede Bellonae di trionfare de' Galli, il che stimava di ottenere
habuit; expositisque rebus gestis, ut triumphan più felicemente nell'assenza del console adirato ed
fisibi in urbem invehi liceret, petit. invidioso, venuto improvvisamente a Roma,
convocò il senato nel tempio di Bellona, ed espo
ste le cose fatte, chiede che gli sia permesso di
entrare in Roma trionfando.
6o7 I l l'I ll VII LIBER XXXI. 6,8

XLVIII. Apud magnam partem senatus et XIVIII. Poteva egli molto presso una gran
magnitudine rerum gestarum valebat, et gratia. parte del senato sì per la grandezza delle sue
Majores natu negabant triumphum, « et quod imprese, sì pel favore, di cui godeva. I più vecchi
alieno exercitu rem gessisset, et quod provinciam gli negavano il trionfo, « e perchè avea combat
reliquisset aviditate rapiendi per occasionem tri tuto con l'esercito d'altri, e perchè abbandona
umphi; id vero eum nullo exemplo fecisse. Con ta aveva la sua provincia per avidità di strappare
sulares praecipue, « exspectandum fuisse consu occasionalmente il trionfo; il che avea fatto senza
lem, dicebant: potuisse enim castris prope ur nessun esempio altrui. " I consolari specialmente,
bem positis, tutanda colonia, ita ut acie non de avrebbe dovuto, diceano, aspettare il console;
cerneret, in adventum eius rem extrahere ; et, perciocchè avea potuto, accampandosi vicino alla
quod praetor non fecisset, senatui faciendum esse. città, difendendo la colonia in modo da non
Consulem exspectarent; ubi coram disceptantes venire a battaglia, indugiare sino alla sua venuta,
consulem et praetorem audissent, verius de causa e ciò che il pretore non avea fatto, doverlo fare
existimaturos esse. » Magna pars senatus nihil il senato. Aspettassero dunque il console; quando
praeter res gestas, et an in magistratu suisque avessero udito disputare insieme di presenza il
au ,iciis gessisset, censebant spectare senatum console ed il pretore, allora avrebbono giudicato
debere. « Ex duabus coloniis, quae velut claustra della causa più rettamente. - Gran parte del se
ad cohibendos Gallicos tumultus oppositae fuis nato era di avviso, ch' esso non altro dovesse
sent, quum una direpta et incensa esset, trajectu considerare, che le imprese fatte, e se le avesse
rumque id incendium, velut ex continentibus fatte essendo pretore, e sotto i proprii auspizii.
tectis, in alteram tam propinquam coloniam es « Delle due colonie, che quasi bastie, opposte
set, quid tandem praetori faciendum ſuisse? Nam, erano a frenare i movimenti de'Galli, una essen
si sine consule geri nihil oportuerit, aut senatum do già presa ed abbruciata, e minacciando quel
peccasse, qui exercitum praetori dederit (potuis l'incendio di passare, quasi da tetto a telto, al
se enim, si non cum praetoris, sed consulis exer l'altra colonia vicina tanto, che finalmente dove
citu rem geri voluerit, ita finire senatusconsul va fare il pretore ? Perciocchè, se non si doveva
tum, ne per praetorem, sed per consulem gere far nulla senza il console, o aveva errato il senato,
retur), aut consulem, qui non, quum exercitum dando l'esercito al pretore (poichè avea potuto
ex Etruria transire in Galliam jussisset, ipse Ari il senato, se voleva che non il pretore, ma il con
mini occurrerit, ut bello interesset, quod sine eo sole si valesse dell'esercito, finire il decreto dicen
geri fas non esset. Non exspectare belli tempora do, che se ne valesse il console, non il pretore), o
moras et dilationes imperatorum; et pugnandum errato aveva il console, il quale avendo ordinato
esse interdum, non quia velis, sed quia hostis co che l'esercito passasse dalla Toscana nella Gallia,
gat. Pugnam ipsam eventumque pugnae spectari non gli era corso incontro a Rimini, per trovarsi
oportere: fusos caesosque hostes; castra capta ac a quella guerra, che non era lecito fare senza
direpta; coloniam liberatam obsidione; alte di lui. Le circostanze della guerra non aspet
rius coloniae captivos recuperatos restitutosque tano gl'indugi e le dilazioni dei comandanti, e
suis; debellatum uno proelio esse. Non homines bisogna talvolta combattere, non perchè tu voglia,
tantum ea victoria laetatos, sed diis quoque im ma perchè vi ti sforza il nemico. Conviene guar
mortalibus per triduum supplicationes habitas, dare la battaglia stessa, e l'esito della medesima.
quod bene ac feliciter, non quod male ac temere, I nemici erano stati sbaragliati e messi in pezzi;
respublica a L. Furio praetore gesta esset. Data gli alloggiamenti presi e saccheggiati; la colonia
fato etiam quodam Furiae genti Gallica bella. » liberata dall'assedio; ricuperati i prigioni del
l'altra colonia, e restituiti ai lor parenti; con una
o
sola battaglia s'era messo fine alla guerra. Per
quella vittoria non si erano allegrati gli uomini
solamente, ma erano state pur anche per tre gior
mi rendute grazie agli dei immortali, perchè aves
se il pretore Lucio Furio bene e felicemente, non
male e temerariamente amministrata la cosa pub
blica. Oltre di che per una sorta di destino le
guerre contro i Galli toccano sempre alla famiglia
de' Furii. »

XLIX. Hujus generis orationibus ipsius ami XLIX. Per sì fatti discorsi di lui e degli amici
corumque victa est, praesentis gratia praetoris, potè la grazia del pretore presente soperchiare
absentis consulis majestas ; triumphumque fre il rispetto dovuto alla maestà del console assente;
to9 TITI LIVII LIBER XXXI. 61 o

quentes L. Furio decreverunt. Triumphavit de ed in buon numero decretarono il trionfo a


Gallis in magistratu L. Furius praetor. In ae Lucio Furio. Adunque il pretore Lucio Fu
rarium tulit trecenta viginti millia aeris, argenti rio, essendo tuttavia nel magistrato, trionfò dei
centum septuaginta millia pondo; neque captivi Galli. Portò al tesoro trecento e venti mila libbre
ulli ante currum ducti, neque spolia praelata, me di rame, cento e settanta mila d'argento. Non
que milites secuti. Omnia, praeter victoriam, pe prigioni, non nemiche spoglie che precedessero
mes consulem esse apparebat. Ludi deinde a P. il carro; non soldati che lo seguitassero: si vede
Cornelio Scipione, quos consul in Africa voverat, va tutto essere presso il console, eccetto la vitto
magno apparatu facti. Et de agris militum eius ria. Poi furon dati da Publio Cornelio Scipione
decretum, ut, quot quisque eorum annos in His con grande apparato i giuochi, de quali avea
pania aut in Africa militasset, in singulos annos console in Africa fatto voto. E quanto a suoi
bina jugera acciperet; eum agrum decemviri as soldati fu decretato, che ciascun d'essi, per ogni
signarent. Triumviri inde creati ad supplendum anno che avesse militato in Ispagna o in Africa,
Venusinis colonorum numerum, quod bello Han ricevesse due giugeri di terra; dieci cittadini
nibalis attenuatae vires ejus coloniae erant, C. deputati fossero ad assegnarli. Indi creati furono
'l'erentius Varro, T. Quintius Flamininus, P. triumviri a supplire il numero dei coloni Venosi
Cornelius Cn. F. Scipio: hi colonos Venusiam ni, perchè la guerra di Annibale scemate avea le
adscripserunt. Eodem anno C. Cornelius Cethe forze di quella colonia, Caio Terenzio Varrone,
gus, qui proconsul Hispaniam obtinebat, magnum Tito Quinzio Flaminino e Publio Cornelio Sci
bostium exercitum in agro Sedetano fudit: quin pione, figlio di Gneo. Arrolaron essi i nuovi co
decim millia Hispanorum eo proelio dicuntur cae loni per Venosa. In quel medesimo anno Caio
sa, signa militaria capta octo et septuaginta. C. Cornelio Cetego, ch'era proconsole in Ispagna,
Aurelius consul, quum ex provincia Romam co sconfisse un grande esercito di nemici nel contado
mitiorum causa venisset, non id, quod animis Sedetano: diconsi tagliati a pezzi quindici mila
praeceperant, questus est, « Non exspectatum se Spagnuoli, prese settantotto bandiere. Il console
ab senatu, neque disceptandi cum praetore con Caio Aurelio, dalla provincia venuto a Roma per
suli potestatem factam; º sed a ita triumphum de tenere i comizii, non si dolse, come s'era pensato
cresse senatum, ut nullius, nisi ejus, qui trium comunemente, « che il senato non lo avesse aspet
phaturus esset, haud eorum, qui bello interfuis tato, e che non si fosse lasciato che il console
sent, verba audiret. Majores ideo instituisse, ut disputar potesse col pretore, ma sì, che il senato
legati, tribuni militum, centuriones, milites de decretato avesse il trionfo, senza udir parola di
nique triumpho adessent, ut veritas rerum gesta chicchessia, che di colui, che bramava trionfare,
rum ejus, cui tantus honos haberetur, publice non di coloro, che s'eran trovati a quella guerra.
videretur. Ecquem ex eo exercitu, qui cum Gal Aveano istituito i maggiori che i legati, i tribuni
lis pugnaverit, si non militem, lixam saltem fuis de'soldati, i centurioni, i soldati stessi fossero
se, quem percunctari posset senatus, quid veri presenti al trionfo, acciocchè la verità delle im
praetor vanive referret ? , Comitiis deinde diem prese fatte da quello, a cui s'impartiva cotanto
edixit: quibus creati sunt consules L. Cornelius onore, fosse pubblicamente manifesta. Qual uomo
Lentulus, P. Villius Tappulus. Praetoresinde facti c'era di quell'esercito, che avea combattuto coi
I. Quintius Flamininus, L. Valerius Flaccus, L. Galli, non dirò soldato, ma nè anche saccomanno,
Villius Tappulus, Cm. Baebius Tamphilus. cui potesse ifsenato dimandare, cosa avea di vero
o di falso la riferta del pretore ? “ Poscia intimò
il giorno dei comizii; ne' quali creati furono
consoli Lucio Cornelio Lentulo e Publio Villio
Tappulo. Dappoi si son fatti pretori Lucio Quin
zio Flaminino, Lucio Valerio Flacco, Lucio Villio
Tappulo, Gneo Bcbio Tanfilo.
L. Ammona quoque eo anno pervilis fuit. Fru L. Anche in quell'anno i viveri furono a
menti vim magnam ex Africa advectam aediles prezzo vilissimo. Gli edili curuli Marco Claudio
curules M. Claudius Marcellus et Sex. Aelius Pae Marcello e Sesto Elio Peto divisero al popolo
tus bimis aeris in modios populo diviserunt: et una quantità grande di frumento, trasportato
ludos Romanos magno apparatu fecerunt; diem dall'Africa, in ragione di due assi al moggio: e
unum instaurarunt: signa aenea quinque ex mul fecero i giuochi Romani con grande apparato:
ctaticio argento in aerario posterunt. Plebeji ludi li rinnovarono per un altro giorno; e del danaro
ab aedilibus L. Terentio Massiliota et Cn. Baebio delle multe posero nelle stanze del tesoro cinque
rari, quem praetorem designavcrant, ter statue di rame. I giuochi ri furono tre volte
al V I tº 2 3 )
6I 1 TITI LIVII LIBER XXXI. 612

toti instaurati. Et ludi funebres eo anno per qua rinnovati per intero dagli edili Lucio Terenzio
triduum in foro, mortis M. Valerii Laevini causa, Massilota e Gneo Bebio Tanfilo, già disegnato
a P. et M. filiis ejus facti; et munus gladiatorium pretore. In quell'anno, in su la piazza, per quat
datum ab iis: paria quinque et viginti pugna tro giorni furon fatti giuochi funebri, per la
runt. M. Aurelius Cotta, decemvir sacrorum, morte di Marco Valerio Levino, da Publio e
mortuus: in eius locum M.' Acilius Glabrio suf Marco suoi figliuoli. E diedero eziandio lo spet
fectus. Comitiis aediles curules creati sunt forte tacolo del gladiatori: furono venticinque le cop
ambo, qui statim occipere magistratum non pos pie de'combattenti. Morì Marco Aurelio Cotta,
sent; nam C. Cornelius Cethegus absens creatus uno dei decemviri deputati a sagrifizii; fu sur
erat, quum Hispaniam obtineret provinciam ; C. rogato in suo luogo Manlio Acilio Glabrione.
Valerius Flaccus, quem praesentem creaverant, Ne' comizii furono a caso creati due edili, che
quia flamen dialis erat, jurare in leges non po non potevano pigliare subito il magistrato. Per
terat; magistratum autem plus quinque dies, nisi ciocchè Caio Cornelio Cetego era stato creato,
qui jurasset in leges, non licebat gerere. Petente mentre si stava al governo della Spagna; e Caio
Flacco, ut legibus solveretur, senatus decrevit, ut, Valerio Flacco, che creato avevano presente, non
si aedilis, qui pro se juraret arbitratu consulum poteva, essendo sacerdote di Giove, giurare l'os
daret, consules, si eis videretur, cum tribunis ple servanza delle leggi. Non era poi permesso di
bis agerent, uti ad plebem ferrent. Datus qui tenere il magistrato più di cinque giorni, se non
juraret pro fratre, L. Valerius Flaccus, praetor se a quello, che giurato avesse. Su la inchiesta
designatus.Tribuniad plebemtulerunt, plebesque di Flacco di essere dispensato dalle leggi, il se
scivit, ut perinde esset, ac si ipse aedilis jurasset. nato decretò, che se l'edile desse a piacimento
Et de altero aedile scitum plebis est factum, de'consoli uno che giurasse in sua vece, i con
rogantibus tribunis, quos duos in Hispaniam soli, se così paresse loro, trattassero coi tribuni
cum imperio ad exercitus ire juberent, ut C. della plebe, onde l'affare si portasse al popolo.
Cornelius aedilis curulis ad magistratum geren Fu nominato a giurare, invece del fratello, Iucio
dum veniret, et L. Manlius Acidinus decederet Valerio Flacco, pretore designato. I tribuni
de provincia multos post annos. Plebes Cm. Cor portarono al popolo, e la plebe deliberò che
nelio Lentulo et L. Stertinio pro consulibus im fosse lo stesso, come se l'edile in persona giurato
perium esse in Hispania jussit, avesse. E quanto all'altro edile, domandando
i tribuni, quai due nuovi proconsoli piacesse al
popolo, che si mandassero a comandare gli eser
citi in Ispagna, la plebe ordinò che Caio Corne
lio, edile curule, venisse a esercitare la sua carica,
e Lucio Manlio Acidino lasciar dovesse, dopo
molti anni, la provincia. La plebe nominò pro
consoli a comandare in Ispagna Gneo Cornelio
Lentulo e Lucio Stertinio.
TITI LIVII PATAVINI

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AB URBE CONDITA LIBRI

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EPITOMIE

ILIBRI TRIGESIMI SECUNDI

Complara prodigia ex diversis regionibus nunciata Si rapportano parecchi prodigii, annunziati da diversi
referunturs inter quae, in Macedonia in puppi longae paesi, tra quali, ch'era nata in Macedonia una pianta
navis lauream esse natam. T. Quintius Flamininus di alloro sulla poppa di una nave lunga. Il cansole
consul adversus Philippum feliciter pugnavit in fau Tito Quinzio Flaminino combattè prosperamente contro
cibus Epiri, fugatumque coegit in regnum reverti. Filippo alle foci dell'Epiro, e messolo in fuga l'ob
Ipse Thessaliam, quae est vicina Macedoniae, sociis bligò a rientrare nel suo regno. Indi, insieme con gli
Aetolis et Athamanibus, vexavit. L. Quintius Fla Etoli e gli Atamani travagliò la Tessaglia, ch'è vici
mininus consulis frater, Attalo rege et Rhodiis adju na alla Macedonia. Lucio Quinzio Flaminino, fratello
vantibus, in Euboeam et maritimam oram trajectus, del console, aiutato dal re Attalo e dai Rodiani,
Eretriam expugnavit. Achaei in amicitiam reeepti passato nell'Eubea e sulla costa marittima, espugnò
sunt. Comiuratio servorum, facta de soleendis Car Eretria. Gli Achei son ricevuti in amicizia. La con
thaginiensium obsidibus, oppressa est; duo millia ne giura fatta dagli schiavi per mettere in libertà gli
cati sunt. Praetorum numerus ampliatus est, ut seni ostaggi Cartaginesi, fu spenta, se ne son messi a
crearentur Cornelius Cethegus consul Gallos Insubres morte due mila. Si accresce il numero dei pretori, si
proelio fudit. Cum Lacedaemoniis et tyranno eorum che s'abbia a crearne sei. Il console Cornelio Cetego
Avabide amicitia juncta est. Praeterea expugnationes sconfisse i Galli Insubri. Si stringe amicizia co La
urbium in Macedonia reſeruntur, cedemoni e con Nabide lor tiranno. Inoltre si narrano
le città espugnate nella Macedonia,

TITI IL IV II
L IB E R TIR I G E S I MIU S S E C UN D U S

I. (Anno U. C. 553. – A. C. 199) Canale I. (Anni D. R. 553. – A. C. 199.) I consoli e i


Praetoresque, quum Idibus Martiis magistratum pretori, pigliato il magistrato a quindici di Marzo,
inissent, provinciassortiti sunt. L. Cornelio Len si divisero a sorte le province. Toccò a Lucio
tulo Italia, P. Villio Macedonia; praetoribus, L. Cornelio Lentulo l'Italia, a Publio Villio la Ma
Quintio urbana, Cn. Baebio Ariminum, L. Vale cedonia, e quanto a pretori, la giurisdizione ur
rio Sicilia, L. Villio Sardinia evenit. Lentulus bana a Lucio Quinzio, Rimini a Gneo Bebio, la
consul novas legiones scribere jussus; Villius a P. Sicilia a Lucio Valerio, a Lucio Villio la Sarde
Sulpicio exercitum accipere; in supplementum gna. Il console Lentulo ebbe ordine di arrolare
ejus, quantum militum videretur, ut scriberet, nuove legioni; Villio di ricevere l'esercito da
ipsi permissum. Praetori Baebio legiones, quas C. Publio Sulpicio, ed a supplirlo gli fu permesso
Aurelius consul habuisset, ita decretae, ut retine di levar tanta gente, quanta gli paresse. Si asse
ret eas, donec consul novo cum exercitu succede gnarono al pretore Bebio le legioni, ch'erano
ret. In Galliam ubi is venisset, omnes milites state del console Caio Aurelio, così però, che le
exauctorati domum dimitterentur, praeter quin ritenesse solamente sino a tanto, che venisse a
que millia sociùm : his obtineri circa Ariminum succedergli il console col nuovo esercito. Come
Provinciam satis esse. Prorogato imperio praeto questi fosse arrivato nella Gallia, tutti i soldati
ribus prioris anni (Cn. Sergio, ut militibus, qui si rimandassero a casa, sciolti dal giuramento,
in Hispania, Sicilia, Sardinia stipendia per multos eccetto cinque mila degli alleati; che questi sa
annos fecissent, agrum assignandum curaret; Q. rebbono bastati a guardar le province intorno
Minucio, ut in Bruttiis idem de conjurationibus Rimini. Prorogato il comando ai pretori dell'an
quaestiones, quas praetor cum fide curaque exer no antecedente (a Gneo Sergio, perchè attendesse
cuisset, perficeret, eteos, quos sacrilegii comper che consegnate fossero le terre ai soldati, che
tos in vinculis Romam misisset, Locrosmitteret avean militato da molt'anni nella Spagna, nella
ad supplicium, quaeque sublata ex delubro Pro Sicilia e nella Sardegna; a Quinto Minucio, per
serpinae essent, reponenda cum piaculis curaret), chè terminasse nel paese de Bruzii le perquisi
feriae Latinae pontificum decreto instauratae zioni, che, essendo pretore, avea fatte con dili
sunt; quod legati ab Ardea questi in senatu erant, genza e con fede intorno le congiure, e quelli
sibi in monte Albano Latinis carnem, ut assolet, che convinti di sacrilegio avea mandati a Roma
datam non esse. Ab Suessa nunciatum est, duas in catene, li mandasse a Locri al supplizio, e fa
portas, quod due inter eas muri erat, de coelo cesse che le robe tolte dal tempio di Proserpina,
tactum; et Formiani legati aedem Jovis, item vi fossero riposte con le dovute espiazioni), le
Ostienses aedem Jovis, et Veliterni Apollinis et ferie Latine per decreto del Pontefici furono rin
Sanci aedes, et in Herculis aede capillum ena novate, perchè gli ambasciatori venuti da Ar
tum: et ex Bruttiis ab Q. Minucio propraetore dea s'eran doluti in senato, che non s'era nel
scriptum, equuleum cum quinque pedibus, pullos monte Albano data ad essi Latini la carne, che si
619 TITI LIVII LIBER XXXII. 62o

gallinaceos tres cum ternis pedibus natos esse. suole. Da Suessa fu riferito che due porte ed il
Inde a P. Sulpicio proconsule ex Macedonia lite muro, ch'era tra quelle, era stato colpito da ful
rae allatae, in quibus inter cetera scriptum erat, mine; e lo stesso riferirono i legati di Formio
lauream in puppi navis longae enatam. Priorum del tempio di Giove, e similmente del tempio di
prodigiorum causa senatus censuerat, ut consules Giove i legati d'Ostia, e dei tempii di Apollo e
majoribus hostiis, quibus diis videretur, sacrifi di Sanco quelli di Veliterno, e che nel tempio
e carent. Ob hoc unum prodigium aruspices in di Ercole gli era nato in testa un capello. E il
senatum vocati, atque ex responso eorum suppli propretore Quinto Minucio avea scritto dalla
catio populo in diem unum edicta, et ad omnia provincia de'Bruzii, ch'eran nati colà un caval
pulvimaria res divinae factae. lo con cinque piedi, e tre pulcini con tre piedi
per ciascuno. Poscia vennero lettere dalla Ma
cedonia del proconsole Publio Sulpicio, nelle
quali tra le altre cose era scritto, esser ivi na
ta sulla poppa di una nave lunga una pianta
di alloro. Rispetto a primi prodigii il senato
aveva ordinato che i consoli sacrificassero con
le vittime maggiori, a quegli dei, che pares
se loro; quanto però a questo solo prodigio gli
aruspici furon chiamati in senato, e secondo la
lor risposta, furono intimate pubbliche preci
per un giorno, e fatti sagrifizii a tutti gli altari.
II. Carthaginienses eo anno argentum in sti II. In quest'anno i Cartaginesi per la prima
pendium impositum primum Romam advexerunt. volta portarono a Roma in argento il tributo
Id quia probum non esse quaestores renunciave loro imposto. Avendo riferito i questori, che
rant, experientibusque pars quarta decocta erat, l'argento non era di giusta lega, e che dal cemen
pecunia Romae mutua sumpta, intertrimentum to risultava la perdita di un quarto, supplirono
argenti suppleverunt. Petentibus deinde, ut si al difetto con danaro preso a prestito in Roma.
jam videretur senatui, obsides sibi redderentur, Indi avendo chiesto che, se paresse al senato,
centum redditi obsides; de ceteris, si infide per renduti lor fossero gli ostaggi, renduti ne furo
manerent, spes facta. Petentibus iisdem, qui non no cento; degli altri si disse che potevano spe
reddebantur obsides, ut ab Norba, ubi parum rare, se rimasti fossero in fede. E chiedendo po
commode essent, alio traduceremtur, concessum, scia che gli ostaggi, che non si restituivano, da
ut Signiam et Ferentinum transirent. Gaditanis Norda, dove stavano con disagio, tradotti fossero
item petentibus remissum, ne praefectus Gades altrove, fu permesso che si traducessero a Signa
mitteretur, adversus quod iis, in fidem populi e a Ferentino. Così ai Gaditani, i quali chiede
Romani venientibus, cum L. Marcio Septimo con vano che più non si mandasse un prefetto a Ca
venisset. Et Narniensium legatis, querentibus ad dice, fu fatta la grazia contro quello, che aveano
numerum sibi colonos non esse, et immixtos pattuito con Lucio Marcio Settimo, quando si
quosdam non sui generis pro colonis se gerere, diedero al popolo Romano. E lagnandosi i legati
earum rerum causa tresviros creare L. Cornelius di Narni, che non aveano bastante numero di
consul jussus: creati P. ex Sex. Aelii (Paetis fuit coloni, e che alcuni d'altra origine mescolatisi
ambobus cognomen) et C. Cornelius Lentulus: tra'suoi, si spacciavano per coloni, si commise
quod Narniensibus datum arat, ut colonorum al console Lucio Cornelio, che creasse per que
numerus cogeretur, id Cosani petentes non impe sto de' triumviri: creati furono Publio e Sestio
traverunt. Elii (ambedue cognominati Peti), e Caio Cor
nelio Lentulo. Quello che s'era conceduto a quei
di Narni, che il numero de'lor coloni fosse ac
cresciuto, chiesto avendo lo stesso quei di Cosa,
non l'ottennero.
III. Rebus, quae Romae agendae erant, per IlI. Terminate le cose, ch'erano da farsi in
fectis, consules in provincias profecti. P. Villium, Roma, i consoli andarono alle loro province.
in Macedoniam quum venisset, atrox seditio mi Arrivato Publio Villio in Macedonia, vi trovò una
litum, jam ante irritata, nec satis in principio fiera sedizione de'soldati, già da qualche tempo
compressa, excepit. Duo millia ea militum fuere, attizzata, nè da principio bastantemente repressa;
qui ex Africa post devictum Hannibalem in Sici perciocchè da due mila di essi, ch'erano stati,
liam, inde anno fere post in Macedoniam pro vo vinto Annibale, trasportati come volontarii dal
621 TITI LlVII LIBER XXXII. 622
luntariis trasportati erant. Id voluntate factum l'Africa nella Sicilia, e quasi un anno di poi in
negabant: « Ab tribunis recusantes in navesim Macedonia, negavano che si fosse fatto di loro
positos; sedutcumque, seu injuncta, seu suscepta volontà: “ I tribuni gli aveano obbligati contro
foret militia, eteam exhaustam, et finem aliquem lor voglia ad imbarcarsi; ma comunque abbiano
militandi fieri aequum esse. Multis annis sese militato o sforzati, o volontarii, essere già spirato
Italiam non vidisse; consenuisse sub armis in Si
il tempo, ed essere giusto che si metta qualche
cilia, Africa, Macedonia. Confectos jam se labore, termine alla loro milizia. Non avean veduto l'Ita
opere, exsangues tot acceptis vulneribus esse. » lia da parecchi anni; s'erano invecchiati sotto
Consul, a causam postulandae missionis probabi l'armi nella Sicilia, nell'Africa, nella Macedonia;
lem, si modeste peteretur, videri, dixit: seditio essere già rifiniti dalle fatiche e dai lavori, e fatti
nis neceam, necullam aliam satis justam causam esangui dalle ferite. » Il console disse, a parergli
esse. Itaque si manere ad signa, et dicto parere onesta la cagione di chiedere la licenza,
purchè
velint, sede missione eorum ad senatum scriptu questa si richieda con la dovuta moderazione;
rum. Modestia facilius, quam pertinacia, quod che nè questo, nè altro qualsiasi era motivo ba
velint, impetraturos. » stante di sedizione. Se volessero pertanto rima
nersi sotto le bandiere, e mostrarsi obbedienti,
egli avrebbe scritto al senato per la loro licenza,
e l'avrebbono più tosto ottenuta con la modera
zione, che con la pertinacia.
IV. Thaumacos eo tempore Philippus summa IV. Filippo in quel tempo combatteva Tau
vi oppugnabataggeribus vineisque; et jam arie maco fieramente con argini e con mantelletti, e
tem muris admoturus erat. Ceterum incepto absi già stava per accostare l'ariete alle mura; se non
stere eum coegit subitus Aetolorum adventus, che la subita venuta degli Etoli l'obbligò a de
qui, Archidamo duce inter custodias Macedonum sistere dall'impresa. Perciocchè entrati nella ter
moenia ingressi, nec die, nec nocte finem ullum ra sotto la condotta di Archidamo, per mezzo
erumpendi, nunc in stationes, nunc in opera Ma alle guardie de Macedoni, non mai finivano nè
cedonum, faciebant. Et adjuvabateos natura ipsa dì, nè notte di sortire assaltando ora le poste, ora
loci; namque Thaumaci a Pylis sinuque Maliaco i lavori de' Macedoni. E gli aiutava la natura
per Lamiam eunti loco alto siti sunt, ipsis fauci stessa del luogo. In fatti Taumaco, a chi viene
bus imminentes, quas Coela vocant: Thessaliae da Pilo e dal golfo Maliaco per Lamia, è posto
que transeunti confragosa loca implicatasque fle in una eminenza, soprastante alle gole, che chia
xibus vallium vias, ubi ventum ad hanc urbem mano Celi; e a chi va pe luoghi montuosi della
est, repente, velut maris vasti, sic immensa pan Tessaglia e per vie intrigate me'rigiramenti delle
ditur planities, ut subjectos campos terminare valli, giungendo a questa città, si apre all'improv
oculis haud facile queas. Ab eo miraculo Thau viso, qual vasto mare, una pianura immensa così,
maci appellati: nec altitudine solum tuta urbs, che non puoi coll'ochio facilmente vedere il ter
sed quod, saxo undique absciso, rupibus imposita mine de'campi sottoposti. Da codesta maraviglia
est. Hae difficultates, et quod haud satis dignum venne il nome di Taumaco; nè la città è soltanto
tanti laboris periculique pretium erat, ut absiste sicura per l'altezza sua, ma perchè è piantata
ret incepto Philippus, effecerunt. Hiems quoque sulle rupi, sopra sasso da ogni parte dirupato.
jam instabat, quum inde abscessit, et in Macedo Queste difficoltà, e perchè non era cosa, che me
miam in hiberna copias reduxit. ritasse tanta fatica e tanto pericolo, fecero che
Filippo cessasse dall'impresa. Era anche presso
l'inverno, quando ne partì, e ritrasse i suoi in
Macedonia nel quartieri.
V. Ibi ceteri quidem, data quantacumque V. Quivi tutti gli altri, datisi per quel qua
quiete temporis, simul animos corporaque remi lunque tratto di tempo alla quiete, si aveano ri
serant. Philippum quantum ab assiduis laboribus storato l'animo ed il corpo. Filippo, quanto la
itinerum pugnarumque laxaverat annus, tanto stagione gli avea permesso di respirare dalle con
magis intentum in universum eventum belli cu tinue fatiche del camminare e del combattere,
rae angunt, non hostes modo timentem, qui terra altrettanto più gagliardamente il travagliava il
marique urgebant; sed nunc sociorum, nunc pensiero della somma della guerra, temendo egli
etiam popularium animos, ne et illi ad spem ami non solamente dei nemici che lo incalzavano per
citiae Romanorum deficerent, et Macedonas ipsos terra e per mare, ma degli alleati, ed eziandio
cupido novandi rescaperet. Itaque et in Achajam de' suoi medesimi, dubitando che quelli non lo
legatos misit, simul qui jusjurandum (ita enim abbandonassero sperando nell'amicizia de'Ro
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pepigerant, quotannis iuraturos in verba Philip mani, e che a Macedoni stessi non venisse bra
pi) exigerent, simul qui redderent Achaeis Or ma di novità. Mandò pertanto delegati nell'Acaia,
chomenon et Heraeam et Triphyliam, Eleis Ali che ad un tempo e ricevessero il giuramento (chè
pheram, contendentibus, nunquam eam urbem aveano pattuito di giurare ogni anno fedeltà a
fuisse ex Triphylia, sed sibi debere restitui, quia Filippo), e restituissero agli Achei Orcomeno ed
una esset ex iis, quae ad condendam Megalopolim Erea e Trifilia; agli Elei Alifera, sostenendo essi,
ex concilio Arcadum contributae forent. Et cum che quella città non aveva appartenuto giammai
Achaeis quidem per haec societatem firmabat Ma a Trifilia, ma che la si doveva render loro, per
cedonum animos sibi conciliavit cum Heraclide; chè una di quelle, che pel convenuto nella dieta
mam quum eum maximae invidiae sibi esse cer degli Arcadi avea contribuito alla edificazione di
meret, multis criminibus oneratum in vincula con Megalopoli. In tal maniera assodava eziandio l'al
jecit, ingenti popularium gaudio. Bellum, si leanza cogli Achei. Si conciliò l'animo dei Ma
quando umquam ante alias, tum magna cura ap cedoni, mediante Eraclide. Perciocchè vedendo
paravit, exercuitoue in armis et Macedonas, et che colui gli creava odio grande, lo cacciò in
mercenarios milites : principio que veris cum prigione, carico com'era di molti delitti, con
Athenagora omnia externa auxilia, quodque levis immensa gioia del popolo. Allestì la guerra, se
armaturae erat, in Chaoniam per Epirum ad occu in altro tempo giammai, allora sì con la massima
pandas, quae ad Antigoniam fauces sunt (Stena diligenza, ed esercitò nell'armi i Macedoni e i
vocant Graeci), misit. Ipse post paucis diebus soldati mercenarii; e sul principio della prima
graviore secutus agmine, quum situm omnem re vera spedì con Atenagora tutti gli aiuti forestie
gionis adspexisset, maxime idoneum ad munien ri, e quanto avea di soldati armati alla leggera,
dum locum credidit esse praeter amnem Aoum: is nella Caonia per l'Epiro ad occupare le gole,
intermontes, quorum alterum Aeropum, alterum che son presso Antigonia (i Greci le chiamano
Asnaum incolae vocant, angusta valle fluit, iter Stena). Egli, seguendoli da lì a pochi di colle
exiguum super ripam praebens. Asnaum Athena genti di grave armatura, esaminato all'intorno
goram cum levi armatura tenere ac communire tutto il paese, credette, che il luogo più oppor
jubet: ipse in Aeropo posuit castra. Qua abscisae tuno ad essere fortificato, fosse di là del fiume
rupes erant, statio paucorum armatorum tenebat; Aoo. Scorre questo per una valle stretta tra i
quae minus tuta erant, alia fossis, alia vallis, alia monti, l'uno de' quali è chiamato dagli abitanti
turribus muniebat. Magna tormentorum etiam Eropo, l'altro Asnao, e la quale non offre che un
vis, ut missilibus procul arcerent hostem, idoneis piccolo sentiero sulla riva. Ordina ad Atenagora
locis disposita est. Tabernaculum regium pro val che occupi e fortifichi Asnao co'soldati leggeri;
lo, in conspecto maxime tumulo, ut terrorem egli si accampa sull'Eropo. Dove le rocce eran
hostibus, suisque spem ex fiducia faceret, po dirupate, una posta di pochi uomini guardava il
situm.
luogo ; i siti meno sicuri eran difesi, altri da
fossa, altri da steccato, altri da torri. Fu anche
disposta in luoghi opportuni una quantità gran
de di macchine, per tener lontano il nemico con
armi da getto. La tenda reale fu eretta dinanzi
allo steccato, sopra un'eminenza massimamente
in vista, onde con codesto tratto di fiducia gene
rar terrore nei nemici, e speranza ne' suoi.
Vl. Consul, per Charopum Epiroten certior VI. Il console, informato da Caropo Epiro
factus, quos saltus cum exercitu insedisset rex, ta quai passi occupato avesse il re con l'esercito,
ct ipse, quum Corcyrae hibernasset, vere primo avendo egli pure svernato in Corcira, all'aprirsi
in continentem trajectus, ad hostem ducere per della stagione passato sul continente, si mette
git. Quinque millia ferme ab regiis castris quum alla volta del nemico. Arrivato alla distanza a un
abesset, loco munito relictis legionibus, ipse cum dispresso di cinque miglia dal campo del re, la
expeditis progressus ad speculanda loca, postero sciate le legioni in luogo ben difeso, inoltratosi
die consilium habuit, utrum per insessum ab ho cogli armati alla leggera a spiare il paese, il dì
ste saltum, quam quam labor ingens périculum seguente tenne consiglio, se dovesse tentare il
que proponeretur, transitum tentaret, an eodem passo attraverso le gole occupate dai memici,
itinere, quo priore anno Sulpicius Macedoniam benchè si oſferisse gran fatica e gran pericolo, o
intraverat, circumduceret copias. Hoc consilium girando condurre l'esercito per quella strada,
per multos dics agitanti nuncius venit, T. Quin per la quale l'anno innanzi Sulpicio era entrato
tium consulem factum, sortitumque provinciam in Macedonia. Mentre stassi per molti giorni
625 TITI LIVII LIBER XXXII. 626

Macedoniam, maturato itinere jam Corcyram tra dibattendo tra sè l'uno e l'altro partito, gli viene
jecisse. Valerius Antias intrasse saltum Villium avviso che Tito Quinzio fatto console, e cui toc
tradit, quia recto itinere nequierit, omnibus a cata era la Macedonia, accelerando il cammino,
regeinsessis, secutum vallem, per quan mediam era di già arrivato a Corcira. Valerio Anziate
fertur Aous amnis; ponte raptim facto, in ripam, racconta, che Villio entrò nello stretto, non po
in qua erant castra regia, transgressum acie con tendo pel cammino diritto, perchè il re gli avea
flixisse, fusum fugatumque regem, castris exu presi tutti, seguendo la valle, per mezzo a cui
tum ; duodecim millia hostium eo proelio caesa, scorre il fiume Aoo; che, fabbricato un ponte
capta duo millia et ducentos, et signa militaria in fretta, passato sulla riva, dov'era alloggiato
centum triginta duo, equos ducentos triginta: il re, gli avea dato battaglia, e sbaragliatolo e
eadem etiam Jovi in eo proelio votam, si res pro messo in fuga, lo avea spogliato de suoi alloggia
spere gesta esset. Ceteri Graeci Latinique aucto menti; che dodici mila nemici eran morti in
res, quorum quidem ego legi annales, nihil me quel fatto, e se n'eran presi due mila e dugento,
morabile a Villio actum, integrumque bellum non che cento e trentadue bandiere e dugento
insequentem consulem T. Quintium accepisse e trenta cavalli, e che avea pur anche nel forte
tradunt. della mischia fatto voto a Giove di un tempio,
se fosse rimasto vincitore. Gli altri autori Greci
e Latini, de'quali ho letto gli annali, riportano
che Villio non fe” impresa alcuna memorabile, e
che al console Tito Quinzio rimase intatta tutta
la guerra.
VII. Dum haec in Macedonia geruntur, consul VII. Mentre si fanno queste cose in Macedo
alter L. Lentulus, qui Romae substiterat, comi nia, l'altro console Lucio Lentulo, ch'era rima
tia censoribus creandis habuit. Multis claris pe. sto a Roma, tenne i comizii per creare i censori.
tentibus viris, creati censores P. Cornelius Sci Chiedendosi codesto onore da molti chiari per
pio Africanus et P. Aelius Paetus. Hi, magna in sonaggi, furono creati censori Publio Cornelio
ter se concordia, et senatum sine ullius nota lege Scipione Africano e Publio Elio Peto. Essi, con
runt, et portoria venalium Capuae Puteolisque, grande concordia tra loro, e rielessero il senato,
item Castrorum portorium, quo in loco nunc senza notare alcuno d'infamia, ed allogarono le
oppidum est, fruendum locarunt ; colonosque eo gabelle di Capua, di Pozzuoli, e del Porto di
trecentos (is enim numerus finitus ab senatu erat) Castro, dov'è ora un castello, e vi mandarono
adscripserunt, et sub Tifatis Capuae agrum ven trecento coloni (che tanto era il numero deter
diderunt. Sub idem tempus L. Manlius Acidinus, minato dal senato), e vendettero il terreno di Ca
ex Hispania decedens, probibitus a P. Porcio pua intorno a Tifata. Verso quel tempo medesimo
Laeca tribuno plebis, ne ovans rediret, quum ab Lucio Manlio Acidino, partendo dalla Spagna,
senatu impetrasset, privatus urbem ingrediens avendogli vietato Publio Porcio Leca, tribuno
mille ducenta pondo argenti, triginta pondo fer della plebe, ch'entrasse ovante in città come ot
me auri in aerarium tulit. Eodem anno Cn. Bae tenuto aveva dal senato, recandosi privato in città
bius Tamphilus, qui ab C. Aurelio consule anni portò nell'erario mille e dugento libbre d'ar
prioris provinciam Galliam acceperat, temere gento, e intorno a trenta d'oro. L'anno stesso
ingressus Gallorum Insubrium fines, prope cum Gneo Bebio Tranfilo, il quale avea ricevuta la
toto exercitu est circumventus: supra sex millia Gallia da Caio Aurelio console dell'anno antece
et sexcentos milites amisit. Tanta ex eo bello, dente, entrato imprudentemente ne'confini dei
quod jam timeri desierat, clades accepta est. Ea Galli Insubri, fu quasi avviluppato con tutto l'e
res L. Lentulum consulem ab urbe excivit; qui, sercito: perdette più di sei mila e seicento solda
ut in provinciam venit plenam tumultus, trepido ti; sì grande sconfitta s'ebbe da quella guerra,
exercitu accepto, praetorem multis probris incre che ormai più non si temeva. Questa sventura
pitum provincia decedere, atque abire Romam fe'muovere da Roma il console Lucio Lentulo, il
jussit. Neque ipse consul memorabile quidquam quale, appena venne nella provincia piena di
gessit, comitiorum causa Romam revocatus; quae scompiglio, ricevuto l'esercito sgomentato, ri
ipsa per M. Fulvium et M. Curium tribunos ple preso il pretore con molti vituperii, gli comandò
bis impediebantur, quod T. Quintium IVlamini che partisce dalla provincia, e si recasse a Roma.
num consulatum ex quaestura petere non patie Ma nè anche lo stesso console fe' cosa degna di
bantur. «Jam aedilitatem praeturamque fastidiri: memoria, richiamato a Roma a tenere i comizii,
nec per honorum gradus, documentum sui dan ch'erano impediti da Marco Fulvio, e da Manio
tes, nobiles homines tendere ad consulatum, sed, Curio, tribuni della plebe, i quali non permette
Livio 2 To
627 TlTI LlVII LIBER XXXII. 628

transcendendo media, summa imis continuare. » vano che Quinzio Flaminino dalla questura do
Rex ex campestri certamine in senatum venit. mandasse il consolato. « Già viene a schifo l'edi
Patres censuerunt, « Qui honorem, quem sibi lità e la pretura; nè più i nobili, facendo la scala
capere per leges liceret, peteret, in eo populo degli onori, dando saggio di sè medesimi, tendo
creandi, quem velit, potestatem fieri aequum no al consolato, ma trapassando le cariche di
esse. " In auctoritate Patrum fuere tribuni. Creati mezzo, connettono le infime colle supreme. » La
consules Sex. Aelius Paetus et T. Quintius Fla questione dal campo di Marte passò ad essere
mininus. Inde praetorum comitia habita: creati dibattuta in senato. I Padri furono d'avviso, « che
L. Cornelius Merula, M. Claudius Marcellus, M. se taluno domandasse un magistrato, che la legge
Porcius Cato, C. Helvius, qui aediles plebis fue non gli vietasse di pigliare, fosse il popolo in li
rant. Ab iis ludi plebeji instaurati: et epulum bertà di creare chi gli piacesse. ” I tribuni stet
Jovis fuit ludorum causa. Et ab aedilibus curuli tero all'autorità del senato. Furono creati consoli
bus C. Valerio Flacco Flamine diali et C. Corne Sestio Elio Peto e Tito Quinzio Flaminino. Indi
lio Cethego ludi Romani magno apparatu facti. si tennero i comizii del pretori: furono creati
Ser. et C. Sulpicii Galbae pontifices eo anno mor Lucio Cornelio Merula, Marco Claudio Marcello,
tui sunt: in eorum locum M. Aemilius Lepidus Marco Porcio Catone, Caio Elvio, ch'erano stati
et Cn. Cornelius Scipio pontifices suſſecti sunt. edili della plebe. Essi rinnovarono i giuochi plebei,
e per occasione di questi vi fu il banchetto di
Giove. Anche gli edili curuli Caio Valerio Flacco,
sacerdote di Giove, e Caio Cornelio Cetego fecero
i giuochi Romani con grande apparato. Moriro
no in quell'anno i pontefici Sergio e Caio Sulpicii
Galbe; in loro luogo furon fatti Marco Emilio
Lepido e Gneo Cornelio Scipione.
V Ill. ( Anno U. C. 554. – A. C. 198.) Sex. VIII. (Anni D. R. 554. – A. C. 198.) I con
Aelius Paetus, T. Quintius Flamininus consules, soli Sesto Elio Peto e Tito Quinzio Flaminino,
magistratu inito, senatum in Capitolio quum ha preso il magistrato, avendo tenuto il senato in
buissent, decreverunt Patres, «ut provincias Ma Campidoglio, i Padri decretarono, a che i con
cedoniam atque Italiam consules compararent soli si spartissero tra loro d'accordo, ovvero a
inter se, sortirenturve. Utri eorum Macedonia sorte, la Macedonia e l'Italia. Quegli cui toccasse
evenisset, in supplementum legionum tria millia la Macedonia, levasse per compiere le legioni tre
militum Romanorum sciberet, et trecentos equi mila soldati Romani e trecento cavalieri, e così
tes; item sociorum Latini nominis quinque millia degli alleati del nome Latino cinque mila fanti e
peditum, quingentos equites. , Alteri consulino cinquecento cavalieri. All'altro console si decretò
vus omnis exercitus decretus. L. Lentulo prioris un esercito tutto nuovo. Fu prorogato il coman
anni consuli prorogatum imperium est; vetitus do a Lucio Lentulo, console dell'anno antecedente,
que aut ipse provincia decedere prius, aut vete e gli fu commesso di non partirsi dalla provincia,
rem exercitum deducere, quam cum legionibus nè trarne fuori il vecchio esercito, se prima venuto
novis consul venisset. Sortiti consules provincias; non fosse il console colle nuove legioni. I consoli
Aelio Italia, Quintio Macedonia evenit. Praeto trassero a sorte le province; ad Elio toccò l'Italia,
“res, L. Cornelius Merula urbanam, M. Claudius a Quinzio la Macedonia. Quanto a pretori, toccò
Siciliam, M. Porcius Sardiniam, C. Helvius Gal a Lucio Cornelio Merula l'urbana giurisdizione,
liam est sortitus. Delectus indehaberi est coeptus; a Marco Claudio la Sicilia, a Marco Porcio la
mam, praeter consulares exercitus, praetores quo Sardegna, a Caio Elvio la Gallia. Indi si cominciò
que jussi scribere milites erant. Marcello in Sici a far la leva; chè oltre gli eserciti consolari, s'era
liam quatuor millia peditum sociùm Latini no commesso anche ai pretori di arrolar gente: a
minis et trecentos equites; Catoni in Sardiniam Marcello per la Sicilia quattro mila fanti degli
ex eodem genere militum tria millia peditum, alleati del nome Latino, e trecento cavalieri; a
ducentos equites: ita ut hi praetores ambo, quum Catone per la Sardegna del medesimo genere tre
in provincias venissent, veteres dimitterent pedi mila fanti e dugento cavalieri; così che questi
tes equitesque. Attali deinde regislegatos in sena due pretori, come tosto giunti fossero nelle loro
tum consules introduxerunt. Hi, regem classe sua province, licenziassero i vecchi fanti e cavalli. Po
copiisque omnibus terra marique Romanam rem scia introdussero in senato gli ambasciatori del
juvare, quaeque imperarent Romani consules, re Attalo. Avendo essi esposto, che il re aiutava
impigre atque obedienter ad eam diem fecisse, ia repubblica con la flotta e con tutte le sue forze
quum exposuissent, - Vereri, dixeruni, ne id di terra e di mare, e che sino a quel dì egli avea
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praestare ei per Antiochum regem ultra non lice fatto prontamente e di buon grado tutto quello,
ret: vacuum namque praesidiis navalibus terre che gli era stato imposto dai consoli Romani,
stribusque regnum Attali Antiochum invasisse. « temeva, dissero, che il re Antioco non gli per
Itaque Attalum orare Patres conscriptos, si sua mettesse più oltre di poter fare lo stesso. Per
classe, suaque opera uti ad Macedonicum bellum ciocchè Antioco aveva invaso il regno di Attalo,
vellent, mitterent ipsi praesidium ad regnum spogliato d'ogni presidio di mare e di terra. At
ejus tutandum: si id nollent, ipsum ad sua defen talo adunque scongiurava i Padri coscritti, se vo
denda cum classe ac reliquis copiis redire pate leano valersi della sua flotta e dell'opera sua
rentur. » Senatus legatis ita responderi jussit, nella guerra di Macedonia, mandassero essi gente
c: Quod rex Attalus classe copiisque aliis duces a difendere il di lui regno; se non volevano far
Romanos juvisset, id gratum senatui esse. Auxilia questo, soffrissero ch'egli tornasse con la flotta
nec ipsos missuros Attalo adversus Antiochum, e con l'altre forze a difendere le cose sue. - Il
socium et amicum populi Romani; nec Attali au senato ordinò che risposto fosse agli ambasciato
xilia retenturos, ultra quan regi commodum es ri: . Esser cosa grata al senato, che il re Attalo
set. Semper populum Romanum alienis rebus, abbia coadiuvati i Romani con la flotta, e con
arbitrio alieno, usum : et principium et finem in l'altre sue forze; ch'essi però nè mandato avreb
potestate ipsorum, qui ope sua velint adjutos Ro bono soccorsi al re Attalo contro Antioco, amico
manos, esse. Legatos ad Antiochum missuros, qui ed alleato del popolo Romano, nè ritenuto avreb
nuncient, Attali naviumque ejus et militum opera bono gli aiuti di Attalo più oltre, che non fosse
adversus Philippum communem hostem uti po comodo al re medesimo. Avea sempre il popolo
pulum Romanum. Gratum eum facturum et se Romano fatto uso delle cose altrui ad arbitrio al
natui, si regno Attali abstineat, bello que absistat. trui. Il cominciare ed il cessare starsi in potere di
Aequum esse, socios et amicos populi Romani quelli, cui piace somministrare aiuti ai Romani.
reges inter se quoque ipsos pacem servare. » Avrebbono mandati ambasciatori ad Antioco,
che gli dicessero, valersi il popolo Romano del
l'opera di Attalo e delle navi e del soldati di lui
contro Filippo, lor comune nemico. Farebbe cosa
grata al senato, se non toccasse il regno di Attalo,
e cessasse di travagliarlo: esser cosa conveniente,
che i re alleati ed amici del popolo Romano si
mantenessero in pace anche tra loro. »
IX. Consulem T. Quintium, ita habito dele IX. Il console Tito Quinzio, fatta la leva in
ctu, ut eos fere legeret, qui in Hispania aut Afri guisa, che si tolse quasi tutti i soldati di provato
ca meruissent spectatae virtutis milites, prope valore, che avean militato nella Spagna o nell'A
rantem in provinciam prodigia munciata, atque frica, mentre facea fretta per andare alla sua pro
eorum procuratio Romae tenuerunt. De coelo vincia, fu ritenuto in Roma dai prodigii, che si
tacta erant via publica Vejis, forum et aedes Jovis annunziavano, e dalla cura di espiarli. A Veia era
Lanuvii, Herculis aedes Ardeae, Capuae murus et stata colpita da fulmine la via pubblica, a Lanuvio
turres, et aedes, quae Alba dicitur: coelum ardere il foro e il tempio di Giove, in Ardea il tempio
visum erat Arretii: terra Velitris trium jugerum di Ercole, a Capua il muro e le torri e il tempio,
spatio caverna ingenti desederat:Suessae Aurun chiamato Albo. In Arezzo era sembrato che il
cae nunciabant agnum cum duobus capitibus na cielo ardesse; a Velletri la terra s'era sprofonda
tum, et Sinuessae porcum humano capite. Eorum ta in grande caverna per lo spazio di tre giugeri.
prodigiorum causa supplicatio unum diem habi Riferivano che a Suessa Arunca era nato un
ta: et consules rebus divinis operam dederunt, agnello con due teste, e a Sinuessa un porco con
placatisque diis, profecti in provinciassunt. Ae testa d'uomo. A cagione di codesti prodigii si
lius cum C. Helvio praetore in Galliam: exerci fecero pubbliche preghiere per un giorno, e i
tumdue ab L. Lentulo acceptum, quem dimittere consoli attesero a fare i sagrifizii; e placati gli
debebat, praetori tradidit; ipse novis legionibus, dei, andarono alle loro province. Elio andò nella
quas secum adduxerat, bellum gesturus: neque Gallia col pretore Caio Elvio, e ricevuto l'esercito
memorabilis rei quidquam gessit. Et T'. Quintius da Lucio Lentulo che lo doveva lasciare, conse
alter consul maturius, quam priores soliti erant gnollo al pretore perchè Elio avrebbe fatta la guer
consules, a Brundisio quum transmisisset, Corcy ra con le nuove legioni che avea menate seco. Non
ram tenuit cum octo millibus peditum, equitibus fe però cosa alcuna memorabile. E l'altro conso
octingentis. Ab Corcyra in proxima Epiri quin le Tito Quinzio, partito essendo da Brindisi più
queremi trajecit, et in castra Romana magnis presto, che non solevano gli altri consoli, appro
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itineribus contendit: inde Villio dimisso, paucos dò a Corcira con otto mila fanti e con ottocento
moratus dies, dum se copiae ab Corcyra asseque cavalli. Da Corcira con una quinquereme passò a
rentur, consilium habuit, utrum recto itinere per sbarcare ne' luoghi vicini dell'Epiro, e a gran
castra hostium vim facere comaretur; am, ne ten giornate avviossi al campo Romano. Quivi, licen
tata quidem re tanti laboris ac periculi, per Das ziato Villio, fermatosi pochi dì, sino a tanto che
saretios potius Lycumque tuto circuitu Macedo l'altre genti venissero da Corcira, tenne consi
miam intraret. Vicissetgue ea sententia, nitimuis glio, se avesse a tentare di assalire il campo nemico
set, me, quum a mari longius recessisset, misso e per la via diritta, ovvero, senza far prova di cosa
manibus hoste, si (quod antea fecerat) solitudini di tanta fatica e tanto rischio, facendo un giro si
bus silvisque se tutari rex voluisset, sine ullo curo, entrar piuttosto nella Macedonia pe'Dassa
effectuaestas extraheretur.Utcumque esset igitur, reti e pel fiume Lico. E questo parere avrebbe
illo ipso tam iniquo loco aggredi hostem placuit; vinto, se, come si fosse dilungato molto dal mare,
sed magis fieri id placebat, quam, quomodo fie lasciatosi uscir di mano il nemico, non avesse
ret, satis expediebat. temuto di consumare la state senza pro, qualora
il re voluto avesse difendersi, come avea fatto per
l'innanzi, colle solitudini e con le selve. Comun
que però fosse, prese il partito di assaltare il neº
mico in quello stesso luogo tanto svantaggioso.
Ma si avea più piacere che ciò seguisse, di quel
che si avesse riguardo al modo più espediente per
l'esecuzione.
X. Dies quadraginta sine ullo conatu sedentes X. Aveano consumato quaranta giorni standosi
in conspectu hostium absumpserant. Inde spes oziosi, senza tentar nulla, in faccia al nemico. Indi
data Philippo est, per Epirotarum gentem ten venne Filippo nella speranza di poter fare la pace
tandae pacis; habitoque consilio delecti ad eam col mezzo degli Epiroti, e tenuto consiglio, il pre
rem agendam, Pausanias praetor, et Alexander tore Pausania, e Alessandro maestro de'cavalieri,
magister equitum, consulem et regem, ubi in ar eletti a quella trattativa, trassero il console ed il
ctissimas ripas Aous cogitur amnis, in colloquium re ad abboccarsi là, dove il fiume Aoo più si strin
adduxerunt. Summa postulatorum consulis erat, ge tra le sue rive. La somma delle domande del
praesidia ex civitatibus rex deduceret: iis quo console era, che il re togliesse via i presidii dalle
rum agros urbesque populatus esset, redderet città; restituisse le robe, che si trovassero, a
res, quae comparerent: ceterorum aequo arbitrio quelli, de'quali avea saccheggiati i contadi e le
aestimatio fieret. Philippus - aliam aliarum civi terre; dell'altre si facesse una giusta stima ad
tatium conditionem esse respondit. Quas ipse arbitrio. Filippo rispose, a ch'era diversa la con
cepisset, eas liberaturum. Quae sibi traditae a ma dizione delle diverse città; restituirebbe quelle,
joribus essent, earum hereditaria ac justa posses che avesse prese: quanto alle altre, che avea rice
sione non excessurum. Si quas querentur belli vute da suoi maggiori, non ne avrebbe lasciato
clades eae civitates, cum quibus bellatum foret; l'ereditario e giusto possedimento. Se alcune
arbitrio, quo vellent, populorum, cum quibus pax delle città, colle quali avea guerreggiato, si doles
utrisque fuisset, se usurum. " Consul, « nihil ad sero dei danni sofferti dalla guerra, egli si sarebbe
id quidem arbitro aut judice opus esse, dicere. rimesso all'arbitrio di qualunque popolo volesse
Cui enim non apparere, ab eo, qui prior arma ro, di quei però, che rimasti fossero in pace
intulisset, injuriam ortam ? nec Philippum ab cogli uni e cogli altri. » ll console rispondeva,
ullis bello lacessitum, ipsum priorem vim omni a non esserci bisogno in ciò di arbitro o di giu
bus fecisse. » Inde quum ageretur, quae civitates dice. Perciocchè, chi non vede starsi il torto dalla
liberandae essent, Thessalos primos omnium no parte di colui, che primo era venuto ad assalire ?
minavit consul. Ad id vero adeo accensus indi Nè Filippo era stato provocato in guerra da nes
gmatione est rex, ut exclamaret, « quid victo gra suno, ed egli primo avea fatto violenza a tutti. "
vius imperares, T. Quinti? » atque ita se ex Indi trattandosi quali città si avrebbe a mettere
colloquio proripuit. Et temperatum aegre est, in libertà, il console nominò primi di tutti i Tes
quin missilibus, quia dirempti medio amni fue sali; al che si accese d'ira Filippo sì fattamente,
rant, pugnam inter se consererent. Postero die che gridò: « Che più dura legge m'imporresti,
per excursiones ab stationibus primo in planitie, o Tito Quinzio, se mi avessi vinto? » e così ratto
satis ad id patenti, multa levia commissa proelia si tolse dal parlamento. E a gran pena si astenne
sunt: deinde recipientibus se regiis in arcta et ro, non essendo divisi che dal fiume, dall'appic
confragosa loca, aviditate accensi certaminis eo care insieme battaglia a colpi di saette. Il dì
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quoque Romani penetravere. Pro his ordo et seguente, dapprima facendo scorrerie dalle poste
militaris disciplina, et genus armorum erat, alla pianura, bastantemente larga a tal uopo, vi
aptum urgendis regiis; pro hoste loca, et cata furono molte piccole zuffe; indi, ritirandosi le
pultae ballistaeque, in omnibus prope rupibus, genti del re ne' luoghi stretti e montuosi, i Ro
quasi in muris, dispositae. Multis hinc atque illinc mani, infiammati dalla voglia di combatttere, pe
vulneribus acceptis, quum etiam, ut in proelio netraron anche colà. Stava per questi l'ordine, la
justo, aliquot cecidissent, nox pugnae finem disciplina militare e la qualità dell'armi atte ad
fecit. incalzare quei del re; stavano pel nemico i luo
ghi, le catapulte e le balliste disposte presso che
su tutte le rupi, quasi su muri. Ricevute d'ambe
le parti molte e molte ferite, essendone morti
alquanti, come in battaglia ordinata, la notte pose
fine al combattere.
XI. Quum in hoc statu res esset, pastor qui XI. Essendo la cosa in questo stato, certo
dam, a Charopo principe Epirotarum missus, pastore mandato da Caropo, uno de primi Epi
deducitur ad consulem. Is « se in eo saltu, qui roti, vien tratto dinanzi al console. Costui disse,
regiis tunc oneratus castris erat, armentum pa a ch'egli soleva pascolare l'armento in quegli
scere ait: omnes montium eorum anfractus cal stretti medesimi, ch'erano ingombrati allora
lesque mosse. Si secum aliquos mittere velit, non dagli alloggiamenti del re; ch'egli conosceva
iniquo nec perdifficili aditu supra caput hostium tutte le giravolte e i sentieri di quel monti. Se
deducturum. » « Haec, Charopus renunciari ju volesse mandar seco alcuni soldati, li condurrebbe
bet, ita crederet, ut suae potius omnia, quam per via non aspra, nè difficile troppo sin sopra il
illius potestatis essent. n. Quum magis vellet cre capo de'nemici. ” E Caropo mandava a dire,
dere, quan auderet, consul, mixtumque gaudio a che il console prestasse pur fede a questi detti,
ac metu animum gereret, auctoritate motus Cha in maniera però, che la cosa stesse interamente
ropi, experiri spem oblatam statuit; et, ut aver nella sua, piuttosto che nell'altrui mano. » Il
teret rem a suspicione, biduo insequenti la cessere console, piuttosto volendo, che osando credere,
hostem, dispositis ab omni parte copiis, succe e sentendosi in cuore gioia ad un tempo, e te
dentibusque integris in locum defessorum, non menza, mosso dall'autorità di Caropo, stabilì di
destitit. Quatuor millia indelecta peditum et mettere a prova la speranza, che gli era offerta,
trecentos equites tribuno militum tradit. Equites, e per deviare il sospetto della cosa, non cessò mai
quoad locapatiantur, ducere iubet: ubi ad invia ne'due giorni susseguenti di provocare il nemico,
equiti ventum sit, in planitie aliqua locari equi avendo disposte genti in ogni parte, e i freschi
tatum; pedites, qua dux monstraret viam, ire: succedendo agli stanchi. Indi consegna al tribu
ubi, ut polliceretur, super caput hostium perven no de'soldati quattro mila fanti scelti, e trecento
tum sit, fumo dare signum; nec ante clamorem cavalli. Gli ordina di condurre i cavalli, sin dove
tollere, quanab se signo accepto pugnam coe il luogo permetta: come giunga dove i cavalli
ptam arbitrari posset. Nocte itinera fieri jubet non potessero andare, li collochi in qualche pia
(et pernox forte luna erat), interdiu cibi quietis mura; i fanti andassero per la strada, che la guida
que sumeret tempus. Ducem promissis ingenti mostrasse. Quando giunto fosse sulla cima sovra
bus oneratum, si fides exstet, vinctum tamen tri stante al nemico, come veniva promesso, ne desse
buno tradit. His copiis ita dimissis, eo intentius segno col fumo; nè levasse il grido, innanzi che
Romanus undique instat capi stationes. potesse dal segnale avuto giudicare che la batta
glia già fosse incominciata. Ordina che si cam
mini di notte ( e ci era a caso chiaro di luna),
nel giorno si prenda il tempo per cibarsi, e ripo
sare. La guida, caricata di grandi promesse,
qualora non avesse tradito, però incatenata la
consegna al tribuno. Mandata codesta gente in sì
fatta guisa, con tanto maggior vigore insiste il
Romano per isforzare le poste.
XII. Interim die tertio quum verticem, quem XII. Intanto al terzo dì, avendo i Romani
petierant, Romani cepisse ac tenere se fumosi fatto segno col fumo, che avean preso e tenevano
gnificarent; tum vero, trifariam divisis copiis, la cima, a cui s'erano indirizzati; allora il conso
consul valle media cum militum robore succedit; le, divise le sue genti in tre squadre, per mezzo
cornua dertralaevaque admovet castris. Nec se alla valle si fa innanzi col nerbo dell'esercito,
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gnius hostes obviam eunt; et dum, aviditate cer e avvicina le due ale al campo nemico a destra ed
taminis provecti, extra munitiones pugnant, haud a sinistra. Nè i nemici van loro incontro meno

paullo superior est Romanus miles, et virtute, et arditamente, e mentre, inoltratisi per avidità di
scientia, et armorum genere. Postduam, multis combattere, pugnano fuori dei ripari, è di non
vulneratis interfectisque, recepere se regii in lo poco superiore il Romano per coraggio, per
ca, aut munimento, aut natura tuta, verterat pe scienza e per qualità d'armi. Poi che le genti del
riculum in Romanos, temere in loca iniqua, nec re, molti essendone feriti e morti, si ritrassero
faciles ad receptum angustias progressos. Neque ne' luoghi difesi dall'arte o dalla natura, il peri
impunita temeritate inde recepissent sese, ni cla colo si era volto dalla banda dei Romani, sconsi
mor primum ab tergo auditus, dein pugna etiam deratamente cacciatisi in luoghi svantaggiosi e in
coepta, amentes repentino terrore regios fecisset. tali stretti, da non potere ritrarne il piede facil
Pars in fugam eſfusi sunt; pars magis, quia locus mente. Nè se ne sarebbon tratti fuori senza pagare
fugae deerat, quam quod animi satis esset ad pu il fio della temerità, se dapprima il grido uditosi
gnam, quum substitissent, ab hoste, et a fronte alle spalle, poi anche la zuffa incominciata non
et ab tergo urgente, circumventi sunt. Deleri avesse col repentino terrore messe quasi fuor di
totus exercitus potuit, si fugientes persecuti victo senno le genti del re. Parte si die'a fuga precipito
res essent: sed equitem angustiae locorumque sa; un'altra parte, più perchè mancava il luogo
asperitas, peditem armorum gravitas impediit. a fuggire, che perchè avesse bastante animo a
Rex primo effuse ac sine respectu fugit; dein, combattere, fermatisi, incalzati dal nemico alla
quinque millium spatium progressus, quum ex fronte ed alla schiena, furono avviluppati. Si sa
iniquitate locorum, id quod erat, suspicatus es rebbe potuto spegnere tutto l'esercito, se i vin
set, sequi non posse hostem, substitit in tumulo citori avessero inseguito i fuggitivi; ma la stret
quodam, dimisitque suos per omnia juga valles tezza e l'asprezza de'luoghi nol permise alla
que, qui palatos in unum colligerent. Non plus gente a cavallo, la gravezza dell'armi alla gente
duobus millibus hominum amissis, cetera omnis a piede. Il re da principio fuggì sbrigliatamente,
multitudo, velut signum aliquod secuta, in unum e senza rispetto alcuno; poi, corso uno spazio di
quum convenisset, frequenti agmine petunt Thes cinque miglia, avendo sospettato quel ch'era,
saliam. Romani, quoad tutum fuit insecuti, cae che il nemico per la malagevolezza del paese non
dentes spoliantesque caesos, castra regia, etiam gli potesse tener dietro, si fermò sopra una certa
sine defensoribus difficili aditu, diripiunt, atque eminenza, e mandò de' suoi per tutti i gioghi e
ea nocte in suis castris manserunt. - le valli, che raccogliessero i dispersi. Perduti non
più di due mila uomini, tutta l'altra moltitudine,
quasi seguito avesse un segnale, raccoltasi in
grossa schiera, si avvia verso la Tessaglia. I Ro
mani, avendoli inseguiti sino a tanto, che si potè
senza pericolo, uccidendo, e gli uccisi spogliando,
saccheggiano gli alloggiamenti del re, di non fa
cile accesso anche senza chi li difendesse, e quel
la notte rimasero nel proprio campo.
XIII. Postero die consul per ipsas angustias, XIII. Il dì appresso il console per quegli
qua se intervalles flumen insinuat, hostem sequi stretti medesimi, dove il fiume s'insinua tra le
tur. Rex primo die ad castra Pyrrhi pervenit: valli, insegue il nemico. Il re giunse il primo
docus, quem ita vocant, est in Triphylia terrae giorno al campo di Pirro. Questo luogo così
chiamato è nella Trifilia di Melotide. Il dì se
Melotidis: inde postero die (ingens iter agminis,
sed metus urgebat) in montem Lingon perre guente arrivò (cammino grandemente lungo per
xit. Ipsi montes Epiri sunt, interjecti Macedo l'esercito, ma la paura incalzava) al monte Lin
niae Thessaliaeque. Latus, quod vergit in Thes go; sono montagne queste dell'Epiro, poste tra
saliam, oriens spectat: septemtrio a Macedonia la Macedonia e la Tessaglia. Il fianco, ch'è verso
objicitur. Vestiti frequentibus silvis sunt: juga la Tessaglia, guarda il levante; a tramontana
summa campos patentes aquasque perennes ha hanno di fronte la Macedonia. Sono vestite di
bent. Ibi stati vis rex per aliquot dies habitis, molte boscaglie: v'ha nella cima pianure aperte
fluctuatus animo est, utrum protinus in regnum ed acque perenni. Il re, quivi fermatosi alquanti
se reciperet, an reverti in Thessaliam posset: in giorni, stette dubbioso se avesse a ricovrarsi
clinavit sententia, suum in Thessaliam agmen de tosto nel regno, o se potesse tornare in Tessaglia:
mittere, Triccamque proximis limitibus petit; inclinò al partito di calare in Tessaglia coll'eser
inde obvias urbes raptim peragravit. Homines, cito, e va a Tricca per la più breve; indi trascor
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qui sequi possent, sedibus excibat; oppida in se in fretta le città, in cui s'incontrava. Staccava
cendebat; rerum suarum, quas possent, ferenda dalle lor case tutti gli uomini, che potevano se
rum secum dominis jusfiebat: cetera militis prae guitarlo; abbruciava i castelli; permetteva agli
da erat. Nec, quod ab hoste crudelius pati pos abitanti, che seco portassero delle robe loro
sent, reliqui quidquam fuit, quam quae ab sociis quante più potevano; il rimanente era preda
patiebantur. Haec etiam facienti Philippo acerba de soldati. Nè fuvvi trattamento, che gli alleati
erant; sede terra, mox futura hostium, corpora non soffrissero crudele ancor più, che non avreb
saltem eripere sociorum volebat. Ita evastata bon potuto soffrire dal nemico. Erano queste co
sunt oppida, Phacium, Iresiae, Euhydrium, Ere se acerbe anche a Filippo, che le faceva ; ma vo
tria, Palaepharus. Pheras quum peteret, exclusus, leva dal paese, che tra poco dovea cadere in mano
quia res egebat mora, si expugnare vellet, nec del nemico, trarre almeno le persone degli alleati.
tempus erat, omisso incepto, in Macedoniam tran In cotal guisa devastati furono i castelli di Facio,
scendit. Nam etiam Aetolos appropinquare fama d'Iresia, di Euidrio, di Eretria, di Palefaro. Re
erat; qui, audito proelio, quod circa amnem candosi a Fera, ne fu escluso, e perchè se avesse
Aoum factum erat, proximis prius evastatis circa voluto combatterla avrebbe dovuto tardare, nè
Sperchias et Macram (quam vocant) Comen,trans c'era tempo, lasciata l'impresa, passò in Macedo
gressi inde in Thessaliam, Cymines et Angeas nia. Perciocchè si diceva che anche gli Etoli si
primo impetu potiti sunt; a Metropoli, dum va avvicinavano; i quali, udita la battaglia che s'era
stant agros, concursu oppidanorum ad tuenda fatta presso al fiume Aoo, devastato prima il pae
moenia facto, repulsi sunt. Callithera inde aggres se, ch'è tra Sperchia e Macrane-Come (così lo
si, similem impetum oppidanorum pertinacius chiamano), indi passati in Tessaglia, s'impadro
sustinuerunt; compulsisque intra moenia, qui nirono al primo assalto di Cimine e di Angea.
eruperant, contenti ea victoria, quia spes nulla Da Metropoli furono respinti, essendo corsi gli
admodum expugnandi erat, abscesserunt. Theu abitanti, mentre gli Etoli si stanno saccheggian
ma inde et Calathana vicos expugnant diripiunt do il paese, a difendere le mura. Poscia, dato
que. Acharras per deditionem receperunt; Xyniae l'assalto a Callitera, sostennero con più fermez
simili metu a cultoribus desertae sunt. Hoc sedi za un impeto consimile dai terrazzani, e ricacciati
bus suis extorre agmen in praesidium incidit, dentro le mura quelli, che n'erano sortiti, paghi
quod Thaumacum, quotutior frumentatio esset, di quella vittoria, poi che non aveano buona
ducebatur: incondita inermisque multitudo, mix speranza di pigliarla, se ne partirono. Indi
ta imbelli turba, ab armatis caesa est. Xyniae de espugnano e saccheggiano le borgate di Teuma
sertae diripiuntur. Cyphara inde Aetoli capiunt, e di Calatana; Acarra l'ebbero a patti. Ximia
opportune Dolopiae imminens castellum. Haec per la stessa paura fu abbandonata dagli abitanti.
raptim intra paucos dies ab Aetolis gesta; nec Questa torma di gente, che si fuggiva dalle sue
Amymander atque Athamanes, post famam pro case, si abbattè nel presidio, che andava a Tauma
sperae Pugnae Romanorum, quieverunt. co a proteggere la ricolta del frumenti; moltitu
dine, che incomposta e disarmata, mista a turba
imbelle, fu tagliata a pezzi dagli armati. Ximia
rimasta vota fu saccheggiata. Indi gli Etoli pren
dono Cifara, castello, che sovrasta opportunamen
te a Dolopia. Son queste le cose fatte dagli Etoli
in pochi dì. Nè Aminandro e gli Atamani, udita la
vittoria riportata dai Romani, stettersi quieti.
XIV. Ceterum Amymander, quia suo militi XIV. Del resto Aminandro, perchè fidava
parum fidebat, petito ab consule modico praesi poco ne' suoi, chiesta al console una piccola ban
dio, quum Gomphos peteret, oppidum protinus da, avviatosi verso Gonfi, prese per forza il ca
nomine Phecam, situm inter Gomphos faucesque stello nominato Feca, posto tra Gonfi e le angu
angustas, quae ab Athamania Thessaliam diri ste gole, che dividono la Tessaglia dall'Atamania:
munt, vi cepit: inde Gomphos adortus, et per indi dato l'assalto a Gonfi, e difendendosi i ter
aliquot dies summa vi urbem tuentes, quum sca razzani per alquanti dì gagliardamente, appog
las ad moenia erexisset, eodem metu perpulit ad giate le scale al muro, gli obbligò essi pure ad
deditionem. Haec traditio Gomphorum ingentem arrendersi. Questa caduta di Gonfi grande terro
terrorem Thessalis intulit: dedidere deinceps se re incusse ne' Tessali. Indi si arrendettero quelli,
se, qui Argenta, quique Pherinum, et Thimarum, che abitano Argenta, Ferino, Timaro, Lisina,
et Lisinas, et Stimonem, et Lampsum habent, Stimone e Lampso ed altri simili castelli di poco
aliaque castella juxta ignobilia. Dum Athamanes conto. Mentre gli Atamani e gli Etoli, senza
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Aetolique, submoto Macedonum metu, in aliena temer nulla dai Macedoni, van raccogliendo pre
victoria suam praedam faciunt, Thessaliaque a da dall'altrui vittoria, e la Tessaglia è devastata
tribus simul exercitibus, incerta quem hostem. ad un tempo da tre eserciti, incerta qual d'essi
quemve socium crederet, vastatur; consul fauci debba credere amico, quale nemico, il console
bus, quas fuga hostium aperuerat, in regionem dalle gole, che la fuga de'nemici gli aveva aperte,
Epiri transgressus, etsi probe scit, cui parti, Cha passato in Epiro, benchè sa di certo, qual parte
ropo principe excepto, Epirotae favissent; tamen, favoreggiato abbiano gli Epiroti, tranne Caropo
quia ab satisfaciendi quoque cura imperata enise lor capo, nondimeno perchè li vede obbedire in
facere videt, ex praesenti eos potius, quam ex tutto agli ordini suoi anche per voglia di rifarlo.
praeterito, aestimat habitu, et ea ipsa facilitate li considera piuttosto quali sono in presente, che
veniae animos eorum in posterum conciliat. Mis quali furono in passato; e con la stessa facilità
sis deinde nunciis Corcyram, ut onerariae naves del perdono si concilia gli animi loro per l'avve
in simum venirent Ambracium ; ipse, progressus nire. Indi, mandati messi a Corcira, perchè le
modicis itineribus, quarto die in monte Cercetio navi da carico venissero nel golfo Ambracio, egli
posuit castra, eodem Amynandro cum suis auxi passato innanzi a piccole giornate, il quarto gior
liis accito; non tam virium eius egens, quam ut no si accampò sul monte Cercezio, chiamato colà
duces in Thessaliam haberet: ab eodem consilio anche Aminandro co'suoi; non tanto perchè ab
et plerique Epirotarum voluntarii inter auxilia bisognasse delle forze di lui, quanto per avere
accepti. chi lo guidasse in Tessaglia. Per la medesima
ragione anche parecchi degli Epiroti furono ac
cettati volontarii tra gli aiuti.
XV. Primam urbium Thessaliae Phaloriam XV. La prima città di Tessaglia, che il con
est aggressus. Duo millia Macedonum in praesi sole assaltò, fu Faloria. Avea di presidio due mila
dio habebat, qui primo summa vi restiterunt, Macedoni, i quali da principio resistettero ga
quantum arma, quantum moenia tueri poterant: gliardamente, quanto l'armi poteano difenderli,
sed oppugnatio continua, non die, non nocte re quanto le mura; ma il continuo batterla, senza
missa (quum consul in eo verti crederet cetero allentare mai nè dì, nè notte (stimando il console
rum Thessalorum animos, si primi vim Roma che il far voltare gli animi de'Tessali stesse in
nam non sustinuissent), vicit pertinaciam Mace questo, se i primi non avessero sostenuto l'im
donum. Capta Phaloria, legati a Metropoli et a peto dei Romani) vinse in fine la pertinacia dei
Piera dedentes urbes venerunt: venia eisdem pe Macedoni. Presa Faloria, vennero ambasciatori
tentibus datur; Phaloria incensa ac direpta est. da Metropoli e da Piera a dar le loro città; chie
Inde Aeginium petit; quem locum quum vel mo sto perdono, l'ottennero. Faloria fu abbruciata
dico praesidio tutum ac prope inexpugnabilem e saccheggiata. Di là passò ad Eginio; ed avendo
vidisset, paucis in stationem proximam telis con veduto essere quel luogo anche con piccolo pre
jectis, ad Gomphorum regionem agmen vertit: sidio sicuro e quasi inespugnabile, scagliati alcuni
degressusque in campos Thessaliae, quum jam pochi dardi contro la posta vicina, si voltò verso
omnia exercitui deessent, quia Epirotarum pe il contado di Gonfi; e disceso nelle pianure del
percerat agris, explorato ante, utrum Leucadem, la Tessaglia, già mancando l'esercito di tutto,
an sinum Ambracium onerariae tenuissent, fru perchè avea risparmiate le terre degli Epiroti,
mentatum Ambraciam in vicem cohortes misit: avendo prima indagato se le navi da carico
et est iter a Gomphis Ambraciam, sicut impedi giunte fossero a Leucade, ovvero nel golfo Am
tum ac difficile, ita spatio perbrevi. Intra paucos bracio, spedì l'una dopo l'altra le coorti ad Am
itaque dies, transvectis a mari commeatibus, re bracia a provvedersi di grano. La strada da Gonfi
pleta omni rerum copia sunt castra. Inde Atra ad Ambracia, quant'è intrigata e difficile, altret
cem est profectus: decem ferme millia ab Larissa tanto è brevissima. In pochi giorni pertanto,
abest: ex Perrhaebia oriundi sunt : sita est urbs trasportate le vettovaglie dal mare, il campo si
super Peneum amnem. Nihil trepidavere Thessali trovò fornito abbondantemente d'ogni cosa. Di
ad primum adventum Romanorum. Et Philip là n'andò ad Atrace: è distante da Larissa dieci
pus, sicut in Thessaliam ipse progredi non aude miglia: sono oriondi da Perrebia; la città è po
bat, ita, intra Tempe stati vis positis, ut quisque sta sul fiume Peneo. I Tessali non si spaventarono
locus ab hoste tentabatur, praesidia per occasio punto alla prima venuta dei Romani. Filippo,
nes submittebat. siccome non ardiva inoltrarsi nella Tessaglia,
così, accampatosi nella vallata di Tempe, secondo
che qualche luogo era tentato dai nemici, all'oc
casione mandava gente a rinforzarlo.
64 - TITI LIVII LIBER XXXII. 642
XVI. Sub idem ferme tempus, quo consulad XVI. Verso quel tempo medesimo, in cui si
versus Philippum primum in Epiri faucibus ca accampò il console dapprima contro Filippo nel
stra posuit, et L. Quintius, frater consulis, cui le gole dell'Epiro, anche Lucio Quinzio, fratello
classis cura maritimaeque orae imperium manda del console, cui commesso aveva il senato la cura
tum ab senatu erat, cum duabus quinqueremibus della flotta e il comando della costa marittima,
Corcyram transvectus, posto uam profectam inde passato a Corcira con due quinqueremi, poi che
classem audivit, nihil morandum ratus, quum ad udì esserne partita la flotta, stimando che non
Zamam insulam assecutus esset, dimisso L. Apu fosse da indugiare, avendola raggiunta a Zama,
stio, cui successerat, tarde inde ad Maleam, tra licenziato Lucio Apustio, a cui era succeduto,
hendis plerumque remulco navibus, quae cum giunse tardi a Malea, per lo più rimorchiando
commeatu sequebantur, pervenit. A Malea, jussis le navi che gli venivan dietro con le vettovaglie.
ceteris, quantum maxime possent maturate, sequi, Da Malea, ordinato agli altri legni che il segui
ipse tribus quinqueremibus expeditis Piraeeum tassero quanto più velocemente potessero, egli
praecepit, accepitoſue navesibirelictas ab L. Apu con tre quinqueremi spedite corse innanzi al
stio legato ad praesidium Athenarum. Eodem tem Pireo, e ricevette le navi quivi lasciate dal legato
pore duae ex Asia classes profectae, una cum At Lucio Apustio alla difesa di Atene. Nello stesso
talo rege (eae quatuor et viginti quinqueremes tempo partirono dall'Asia due flotte, una col re
erant); Rhodia altera, viginti navium tectarum : Attalo (erano ventiquattro quinqueremi), l'altra
Agesimbrotus praeerat. Hae circa Andrum insu de' Rodiani di venti navi coperte; le comandava
lam classes conjunctae Euboeam, inde exiguo di il re Agesimbroto. Unitesi queste due flotte al
stantem freto, trajecerunt. Carystiorum primum l'isola d'Andro, passarono all'Eubea, che n'è
agros vastarunt; deinde, ubi Carystus, praesidio distante per breve tratto di mare. Primieramente
a Chalcide raptim misso, firma visa est, ad Ere devastarouo le terre dei Caristii; poi, parendo
triam accesserunt. Eodem et L. Quintius cum iis che Caristo fosse ben guardato pel presidio man
navibus, quae Piraeei fuerant, Attali regis ad datogli in fretta da Calcide, si accostarono ad
ventu audito, venit, jussitoſue, ut, quae ex sua Eretria. Giunse colà pure Lucio Quinzio, udita
classe venissent naves, Euboeam peterent. Ere la venuta del re Attalo, con quelle navi ch'erano
tria summa vi oppugnabatur: mam et trium jun state ancorate nel Pireo, ed ordinò che i legni,
ctarum classium naves omnis generis tormenta che venissero della sua flotta, andassero in Eubea.
machinasque ad urbium excidia secum portabant, Si combatteva Eretria con tutta la forza; per
et agri affatim materiae praebebant ad nova mo ciocchè le navi delle tre ſlotte, unitesi insieme,
lienda opera. Oppidani primo haud impigre tue portavano con sè ogni maniera di macchine e
bantur moenia; deinde fessi vulneratique aliquot. stromenti guerreschi da ruinare le città; e i
quum et muri partem eversam operibus hostium campi intorno davano abbondante materia ad
cernerent, ad deditionem inclinarunt. Sed prae ogni nuova sorte di lavori. I terrazzani da prin
sidium erat Macedonum, quos non minus, quam cipio difendevano coraggiosamente le mura; poi
Romanos, metuebant; et Philocles regius prae alquanti già stanchi e feriti piegarono al pen
fectus a Chalcide nuncios mittebat, se in tempore siero di arrendersi, vedendo parte del muro
adfuturum, si sustinerent obsidionem. Haec mix rovinata per opera de'nemici. Ma c'era il presidio
ta metu spes ultra, quam vellent, aut quam pos dei Macedoni, dei quali non temevano manco,
sent, trahere eos tempus cogebat: deinde, post che dei Romani; e Filocle, prefetto del re, man
quam Philoclem repulsum trepidantemdue refu dava a dire da Calcide, che sarebbe venuto a
gisse Chalcidem acceperunt, oratores extemplo tempo, se volessero sostenersi. Questa speranza,
ad Attalum, veniam fidemgue ejus petentes, mi mescolata con la paura, li faceva differire più,
serunt. Dum in spem pacis intenti segnius mune che non volevano, o non potevano. lndi, poi che
rabelli obeunt, et ea modo parte, qua murus di seppero che Filocle, respinto e sbigottito, s'era
rutus erat ceteris neglectis, stationes armatas op rifuggito a Calcide, tosto mandarono oratori ad
ponunt ; Quintius, noctu ab ea parte, quae mi Attalo, chiedendogli perdono e protezione. Men
mime suspecta erat, impetu facto, scalis urbem tre, coltivando la speranza della pace, si rallen
cepit. Oppidanorum omnis multitudo cum con tano nelle incombenze della guerra, ed oppon
jugibus ac liberis in arcem confugit; deinde in gomo gente armata in quella parte soltanto, dove
deditionem venit. Pecuniae aurique et argenti era il muro diroccato, Quinzio, di notte dato
haud sane multum fuit: signa, tabulae priscae l'assalto all'altra parte, che non era punto sospet
artis, ornamentaque ejus generis plura, quam ta, con le scale prese la città. La torma dei ter
pro urbis magnitudine autopibusceteris, inventa razzani si rifuggì nella rocca, con le mogli ed
i figliuoli; indi si arrendette, patti. Non v'ebbe
Livio 2 il 1
643 TI'l'I LIVII LIBER XXXII. G44
per verità gran che di danaro, d'oro e d'argento;
vi si trovarono bensì statue e pitture antiche, ed
ornamenti di cotal genere, più che non era da
sperarsi dalla grandezza della città, nè dall'altra,
sue ricchezze.
XVII. Carystus inde repetita; unde, prius XVII. Poi si tornò alla volta di Caristo;
quam e navibus copiae exponerentur, omnis mul donde, innanzi che la gente sbarcasse a terra,
titudo, urbe deserta, in arcem confugit : inde ad tutti gli abitanti, lasciata la città, si rifuggirono
fidem ab Romano petendam oratores mittunt. alla rocca: di là mandano oratori a implorare
Oppidanis extemplo vita ac libertas concessa est: la pietà dei terrazzani. Fu subito conceduta ai
Macedonibus treceni nummi in capita statutum Romani e vita e libertà: a Macedoni fu stabilito
est pretium, et ut armis traditis abirent. Hac il prezzo del riscatto in trecento nummi per te
summa redempti, in Boeotiam inermes trajecti. sta, e che, consegnate le armi, se ne andassero.
Navales copiae, duabus claris urbibus Euboeae Riscattatisi a tal prezzo, furono trasportati in
intra dies paucos captis, circumvectae Sunium Beozia disarmati. Le forze di mare, prese in po
Attica e terrae promontorium, Cenchreas Corin chi di due città illustri dell'Eubea, girato Sunio,
thiorum emporium petierunt. Consul interim promontorio dell'Attica, andarono a Cencrea,
omnium spe longiorem atrocioremdue oppugna emporio de' Corintii. Il console intanto ebbe un
tionem habuit; et ea, qua minimum credidisset, contrasto più lungo e più fiero di quel che nes
resistebant hostes: nam omnem laborem in muro suno temesse; i nemici resistevano là, dove manco
diruendo crediderat fore; si aditum armatis in aveva egli creduto: perciocchè avea stimato che
urbem pateſecisset, fugam indecaedemogue ho la maggior fatica sarebbe stata nel demolire il
stium fore, qualis captis urbibus fieri solet. Cete muro, e che se avesse aperto agli armati il varco
rum postguam, parte muri arietibus decussa, per nella città, tal fuga e strage ne sarebbe accaduta,
ipsas ruinas transcenderunt in urbem armati, il quale suol essere nelle città, che son prese. Ma,
lud principium velut movi atque integri laboris poi che atterrata cogli arieti una parte del muro,
fuit ; nam Macedones, qui in praesidio erant et gli armati penetrarono in città per mezzo alle
multi et delecti, gloriam etiam egregiam rati, si stesse ruine, fu questo quasi il principio d'altra
armis potius et virtute, quan moenibus, urbem nuova ed intatta fatica. Perciocchè i Macedoni,
tueremtur, conferti, pluribus introrsus ordinibus ch'erano dentro, e molti e scelti stimando bella
acie firmata, quum transcendere ruinas sensissent gloria difendere la città piuttosto con l'armi e
Romanos, per impeditum ac difficilem ad re col valore, che con le mura, strettisi insieme,
ceptum locum expulerunt. Id consul aegre pas formata internamente una forte schiera di più
sus, mec eam ignominiam ad unius modo expu ordini, come si accorsero che i Romani travar
gnandae moram urbis, sed ad summam universi cavano le ruine, per quel luogo medesimo imba
belli, pertinere ratus, quod ex momentis parva razzato, e donde non era facile ritrarre il piede,
rum plerumque rerum penderet, purgato loco, li respinsero. Il console, soffrendo ciò di mal
qui strage semiruti muri cumulatus erat, turrem animo, e giudicando che un tale scorno ritardava
ingentis altitudinis, magnam vim armatorum non solamente l'espugnazione di una sola città,
multiplici tabulato portantem, promovit, et co ma nuoceva pur anche alla somma della guerra,
hortes in vicem sub signis, quae cuneum Mace che pende per lo più da momenti di cose picco
donum (phalangem ipsi vocant), si possent, vi lissime, espurgato il luogo, ch'era ingombro dal
perrumperent, emittebat. Sed ad loca angusta, le ruine del muro abbattuto, cacciò innanzi una
haud late patente intervallo diruti muri, genus torre di grande altezza, che portava su palchi
armorum pugnaeque hosti aptius erat. Ubi con moltiplicati gran numero di gente armata; di là
ferti hastas ingentis longitudinis prae se Macedo spingeva fuori una ad una le coorti in ordinanza,
mes objecissent, velut in constructam densitate che potendo rompessero il cuneo de'Macedoni
clypeorum testudinem Romani, pilis me quidquam (lo chiaman essi falange). Ma nell'angustia del
emissis, quum strinxissent gladios; neque con luogo, non essendo gran fatto largo lo spazio
gredi propius, meque praecidere hastas poterant; del muro diroccato, la qualità dell'armi e della
et, si quas incidissent, aut praefregissent, hastilia pugna era più favorevole ai nemici. Come i Ma
fragmento ipso acuto, inter spicula integrarum cedoni affollati aveano spianate innanzi a sè le
hastarum, velut vallum explebant. Ad hoc et lor aste di grande lunghezza, i Romani, scagliati
muri parsadhue integra utraque tuta praestabat in vano i giavellotti contro una specie di testug
latera: nec ex longo spatio aut cedendum, aut gine formata dall'addensamento degli scudi,
impetus faciendus erat; quae resturbare ordines dando di piglio alle spade, nè potevano azzuf
645 TITI LIVII LIBER XXXII. 646
solet. Accessit etiam fortuita res ad animos eorum farsi da vicino, nè tagliar l'aste; e tagliandone
firmandos: nam quum turris per aggerem parum pur anche alcune, gli acuti tronconi intromessi
densati soli ageretur, rota una in altiorem orbi tra le punte delle aste intere, riempievano il voto
tam depressa ita turrim inclinavit, ut speciem di codesta sorta di steccato. Inoltre, anche la
ruentis hostibus, trepidationemdue insanam su parte del muro rimasta intera assicurava l'un
perstantibus armatis praebnerit. fianco e l'altro; nè bisognava correre grande
spazio per ritirarsi o per assalire; il che suole
scompigliare gli ordini. Si aggiunse eziandio cosa
fortuita a incoraggiarli: perciocchè spingendo
avanti la torre per un argine di terreno poco
addensato, una ruota, pressochè tutta sprofon
datasi, fe' piegar la torre sì fattamente, che la
stimavano i nemici in procinto di cadere, e gli
armati, che v'eran sopra, n'ebbero una strana
paura.
XVIII. Quum parum quidquam succederet, XVIII. Ogni prova poco riuscendogli, non
consul minime aequo animo comparationem mi soffriva il console di buon animo, che si facesse
litum generis armorumque fieri patiebatur: simul codesta comparazione di soldati a soldati, e d'ar
nec maluram ex pugnandi spem, nec rationem mi ad armi; e parimenti non vedeva speranza
procul a mari et in evastatis belli cladibus locis di presto espugnare la terra, nè modo nessuno di
libernandi ullam cernebat: itaque relicta obsi svernare in luoghi discosti dal mare, e devastati
dione, quia nullus in tota Acarnaniae atque Aeto dalle calamità della guerra. Quindi, tralasciato
liae ora portus erat, qui simul et omnes onerarias, l'assedio, non vi essendo in tutta la spiaggia
quae commeatum exercitui portabant, caperet, dell'Acarnania e dell'Etolia un porto, che ad un
et tecta ad hibernandum legionibus praebe tempo e contenesse tutte le navi da carico, che
ret, Anticvra in Phocide, in Corinthium versa portavano viveri all'esercito, e desse ricetto alle
simum, ad id opportunissime sita visa; quia nec legioni per isvernare, parve che Anticira nella
procul Thessalia hostiumque locis abibant, et ex Focide, rivolta verso il golfo di Corinto, fosse
adverso Peloponnesum exiguo maris spatio divi a ciò molto opportuna; perchè così nè si disco
sam, ab tergo Aetoliam Acarnaniamoue, ab late stavano dalla Tessaglia e da luoghi de' nemici,
ribus Locridem ac Boeoliam habebant. Phocidis ed avevano in faccia il Peloponneso, diviso per
primo impetu Phanoteam sine certamine cepit. breve tratto di mare, alle spalle l'Etolia e l'Acar
Anticyra haud multum in oppugnando praebuit nania, ai lati Locride e la Beozia. Prese di primo
morae. Ambrysus inde Hyampolisque receptae. assalto Fanotea di Focide senza contrasto. Anti
Daulis, quia in tumulo excelso sita est, nec scalis, cira non ſe' molto indugiare nel pigliarla. lndi
nec operibus capi poterat; lacessendo missilibus si ebbero Ambriso e Iampoli. Dauli, perchè è
eos, qui in praesidio erant, quum ad excursiones posta sopra un'eminenza, non si poteva pren
elicuissent, refugiendo in vicem insequendoque, dere nè con le scale, nè con opere. Provocando
et levibus sine effectu certaminibus, eo negligen col saettare quelli, ch'eran dentro a guardarla,
tiae et contemptus adduxerunt, ut cum refugien avendoli allettati a fare scorrerie, fuggendo a
tibus in portam permixti impetum Romani face vicenda ed inseguendo, e con leggere scaramucce
rent. Sex alia ignobilia castella Phocidis terrore senza effetto, li condussero a tanta negligenza
magis, quam armis, in potestatem venerunt. Ela e non curanza, che i Romani, mescolati a quielli,
tia clausit portas; nec, nisi vi cogerentur, rece che rifuggivansi alla porta, la sforzarono. Altri
pturi moenibus videbantur aut ducem, aut exer sei castelli della Focide di poco conto, più per
citum Romanum. paura, che per forza d'armi, vennero in potere
dei Romani. EIazia chiuse le porte; nè pareva
che avrebbono ricevuto dentro nè il comandante,
nè l'esercito Romano, se non se sforzati.
XIX. Elatiam obsidenti consuli rei majoris XIX. Mentre il console assediava Elazia, gli
spes affulsit, Achaeorum gentem ab societate si offerse speranza di maggior cosa, di trarre
regia ad Romanam amicitiam avertendi. Cyclia gli Achei dall'alleanza del re all'amicizia de'Ro
dam, principem factionis ad Philippum trahen mani. Aveano scacciato Cicliada, capo della fa
tium res, expulerant. Aristaenus, qui Romanis zione di coloro, che favoreggiavano Filippo. Era
gentem jungi volebat, praetor erat. Classis Ro pretore Aristeno, il quale bramava di unire la
mana cum Attalo et Rhodiis Cenchreis stabat, nazione con i Romani, Ia flotta Romana stava
647 TITI LIVII LIBER XXXII. 648

parabantque communi omnes consilio Corinthum con Attalo e coi Rodiani a Cencrea, e si apparec
oppugnare. Optimum igitur ratus est, priusquam chiavano tutti di comune consiglio ad espugnare
eam rem aggrederentur, legatos ad gentem Corinto. Parve dunque ottimo partito, innanzi
Achaeorum mitti, pollicentes, si ab rege ad Ro che si mettessero a quella impresa, mandare am
manos defecissent, Corinthum iis contributuros basciatori alla nazione degli Achei a promettere,
in antiquum gentis concilium. Auctore consule, se dal re volti si fossero ai Romani, che si sarebbe
legati a fratre ejus L. Quintio, et Attalo, et Rho dato loro Corinto a tenervi l'antica dieta della
diis, et Atheniensibus, ad Achaeos missi. Sicyone nazione. A proposta del console furono mandati
datum iis est concilium. Erat autem non admo oratori agli Achei a nome di Quinzio, fratello
dum simplex habitus animorum inter Achaeos: del console, di Attalo, dei Rodiani e degli Ate
terrebat eos Lacedaemonius, gravis et assiduus niesi. Ebbero udienza in Sicione. Non erano però
hostis; horrebant Romana arma ; Macedonum gli Achei compresi da un solo e semplice senti
beneficiis et veteribus et recentibus obligati erant; mento. Lo Spartano gli atterriva, nemico grave
regem ipsum suspectum habebant pro eius cru e continuo ; paventavano l'armi Romane; erano
delitate perfidiaque, neque ex iis, quae tum ad legati a Macedoni per antichi e recenti benefizii;
tempus faceret, aestimantes, graviorem post bel non si fidavano di Filippo per la di lui crudeltà
lum dominum futurum cernebant. Neque solum, e perfidia, e non giudicandolo da ciò, ch'egli
quid in senatu quisque civitatis suae, aut in com faceva allora in grazia della circostanza, vedeva
munibus conciliis gentis pro sententia dicerent, no che dopo la guerra esercitato avrebbe più
ignorabant, sed ne ipsis quidem secum cogitan grave signoria. E non solamente ciascuno ignora
tibus, quid vellent, aut quid optarent, satis con va che dir dovesse o nel senato della sua propria
stabat. Ad homines ita incertos introductis legatis città, o nelle generali assemblee della nazione,
potestas dicendi facta est. Romanis primum lega ma nè anche, pensando tra sè, ben sapevano, che
tus L. Calpurnius, deinde Attali regislegati, post si volessero o si bramassero. Innanzi ad uomini
eos Rhodii disseruerunt. Philippi deinde legatis involti in tanta incertezza i legati introdotti
dicendi potestas facta est: postremi Athenienses, ebbero facoltà di parlare. Perorò primo il legato
ut reſellerent Macedonum dicta, auditi sunt. li Romano Lucio Calpurnio; poscia i legati di At
fere atrocissime in regem, quia mulli nec plura, talo; indi quelli dei Rodiani. Poi si disse a quei
mec tam acerba passi erant, invecti sunt. Et illa di Filippo, che parlassero: ultimi uditi furono
quidem concio sub occasum solis, tot legatorum gli Ateniesi, acciocchè ributtassero i detti dei
perpetuis orationibus die absumpto, dimissa est. Macedoni. Questi si scagliarono con la massima
ferocia contro il re, perchè niun altro popolo
avea sofferto nè tanti, nè tanto crudeli oltraggi.
E questa seduta, consumato il giorno nell'ascol
tare l'una dopo l'altra le dicerie di tanti oratori,
sul tramontare del sole fu licenziata.
XX. Postero die advocatur concilium ; ubi XX. Il dì seguente si chiama nuovamente il
quum per praeconem, sicut Graecis mos est, sua consiglio, nel quale poi ch'ebbero i magistrati,
dendi, si quis vellet, potestas a magistratibus col mezzo del banditore, come usano i Greci,
facta esset, nec quisquam prodiret; diu silentium invitato a parlare chi volesse, e nessuno facendosi
aliorum alios intuentium fuit. Neque mirum, si, innanzi, v'ebbe lungo silenzio, guardandosi in
quibus sua sponte, volutantibus res inter se pu viso l'un l'altro. Nè maraviglia, se coloro, che
gnantes, obtorpuerant quodammodo animi, eos tra sè ravvolgendo in mente cose tanto contrarie
orationes quoque insuper turbaverant, utrimogue s'erano per così dire istupiditi, ora si trovavano
quae difficilia essent, promendo admonendoque, anche maggiormente confusi dai ragionamenti per
per totum diem habitae. Tandem Aristaemus un giorno intero tenuti, i quali e da una parte e
praetor Achaeorum, ne tacitum concilium dimit dall'altra metteano innanzi e mostravano le diffi
terent, « Ubi, inquit, illa certamina animorum, coltà di ciascun partito. In fine Aristeno, pretore
Achaei, sunt, quibus in conviviis et circulis, quum degli Achei, per non licenziare l'assemblea, senza
de Philippo et Romanis mentio incidit, vix ma che si fosse udita parola, «Dove sono, disse, quelle
nibus temperabatis? Nunc in concilio, ad eam rem vostre dispute, o Achei, per le quali e nei banchetti
umam indicto, quum legatorum utrimdue verba e nei circoli, quando cadeva menzione di Filippo
audieritis, quum referant magistratus, quum e dei Romani, appena potevate frenarvi da non
praeco ad suadendum vocet, obmutuistis. Si non usare le mani? Adesso, in un'assemblea a questo
cura communis salutis, ne studia quidem, quae solo oggetto convocata, avendo udito d'ambe
in hanc aut illam partem animos vestros inclina le parti i discorsi dei legati, mentre i magistrati
649 TITI LIVlI LIBER XXXII. 05o

runt, vocem cuiquam possunt exprimere? quum vi chiamano a deliberare, il banditore a parlare,
praesertim nemo tam hebessit, qui ignorare pos vi siete ammutoliti. Se non la cura della comune
sit dicendiac suadendi, quod quisque aut velit, salute, nè anche gli affetti, che piegarono gli
aut optimum putet, nunc occasionem esse, prins animi vostri a questo o a quel partito, possono
quam quidquam decernamus. Ubi semel decre a nessun di voi trar di bocca una parola ? Tanto
tum erit, omnibus id etiam quibus ante displi più, che non v'ha chi sia così balordo, che igno
cuerit, pro bono atque utili foedere defenden rar possa questa essere l'occasione di dire e
dum. » Haec adhortatio praetoris non modo suggerire quello che ciascun vuole, e stima il
quemduam unum elicuit ad suadendum, sed ne meglio, innanzi che prendiamo nessuna delibe
fremitum quidem aut murmur concionis tantae, razione. Come questa sarà presa, converrà che
ex tot populis congregatae, movit. tutti, anche quelli, a cui non fosse piaciuta, la
difendano qual partito saggio e vantaggioso. »
Questa esortazione del pretore non solamente
non eccitò alcuno ad arringare, ma non destò
nè anche fremito o mormorio in un'adunanza sì
numerosa, e di tanti popoli composta.
XXI. Tum Aristaemus praetor rursus: « Non XXI. Allora nuovamente il pretore Aristeno,
magis consilium vobis, principes Achaeorum, «Non è, disse, o principi degli Achei, che vi man
deest, quam lingua; sed suo quisque periculo in chi nè il consiglio, nè la lingua: ma nessuno vuole
commune consultum non vult. Forsitan ego quo col proprio pericolo metter fuori il suo parere.
que tacerem, si privatus essem : nunc praetor vi lo stesso forse tacerei, se fossi privato; pretore
deo, aut non dandum concilium legatis fuisse, aut vedo che o non si doveva dare udienza ai legati,
indesime responso eos dimittendos non esse. Re o non s'ha a licenziarli senza risposta. Ora, come
spondere autem, nisi ex vestro decreto, qui pos posso risponder loro senza un vostro decreto ?
sum? Et quando nemo vestrùm, qui in hoc con E poi che nessuno di voi, che chiamati siete a
cilium advocati estis, pro sententia quidquam di questa dieta, vuole o ardisce dare il suo avviso,
cere vult, aut audet; orationes legatorum, hester invece di questo, riandiamo i discorsi fatti ieri
no die dictas, pro sententiis percenseamus, perinde dai legati, come se non avessero chiesto quello,
ac non postulaverint, quae e re sua essent, sed ch'è ad essi vantaggioso, ma consigliato quello,
suaserint, quae nobis censerent utilia esse. Romani che stimaron utile a noi. I Romani, i Rodiani ed
Rhodiique et Attalus societatem amicitiamoue no Attalo chiedono la nostra alleanza ed amicizia, e
stram petunt, et in bello, quod adversus Philip reputan cosa giusta che gli aiutiamo nella guer
pum gerunt, se a nobis adjuvari aequum censent. ra, che fanno a Filippo. Filippo ci ricorda l'al
Philippus societatis secum admonet et jurisjuran leanza, che abbiam con lui e il nostro giuramen
di , et modo postulat, ut secum stemus, modo, to, ed ora chiede che stiamo con lui, ora dice
ne intersimus armis, contentum ait se esse. Nul esser pago, se non prendiamo parte nella guerra.
line venit in mentem, cur, qui nondum socii sunt, Non venne in mente a nessuno per qual ragione
plus petant, quam socius? Non fit hoc neque mo più chiedono coloro, che non sono ancora nostri
destia Philippi, medue impudentia Romanorum. alleati, che l'alleato medesimo ? Non avviene
Achaei portus et dant fiduciam postulantibus, et questo nè per la moderazione di Filippo, nè per
demunt. Philippi praeter legatum videmus nihil. l'arroganza de'Romani. Sono i porti degli Achei,
Romana classis ad Cenchreas stat, urbium Eu che a codesti, che dimandano, danno e insieme
boeae spolia praese ferens: consulem legionesque tolgono la fiducia. Di Filippo altro qui non ve
ejus, exiguo maris spatio disjunctas, Phocidem ac diamo, che il suo legato. La flotta Romana sta a
Locridem pervagantes videmus. Miramini, cur Cencrea, sfoggiando le spoglie delle città del
diffidenter Cleomedon legatus Philippi, ut pro l'Eubea ; vediamo il console e le sue legioni, se
rege arma caperemus adversus Romanos modo parate per breve tratto di mare, scorrere vagan
egerit; qui, si ex eodem foedere ac jurejurando, do per la Focide e la Locride. Maravigliatevi
cuius nobis religionem injiciebat, rogemus eum, ora, perchè Cleomedonte, oratore di Filippo, ci
ut nos Philippus et ab Nabide ac Lacedaemoniis abbia proposto con diffidenza d'impugnare l'armi
et ab Romanis defendat, non modo praesidium, contro i Romani a favore del re, egli, a cui se
quo nos tueatur, sed ne quid respondeat quidem chiedessimo che in forza dell'alleanza e del giu
nobis, sit in venturus: non, hercle, magis, quam ramento, di cui ci rammenta la santità, Filippo
ipse Philippus priore anno, qui, pollicendo se ci difendesse da Nabide e dai Lacedemoni e dai
adversus Nabidem bellum gesturum, quum ten Romani, non saprebbe trovare non solamente
tasset nostram juventutem hinc in Eubocam con che difenderci, ma nemmeno che risponderci:
t5 i TITI I,IVII LIBER XXXII. 652

extrahere; postquam nos neque decernere id sibi niente più, in fede mia, che lo stesso Filippo,
praesidium, neque vele illigari Romano bello il quale avendo l'anno passato tentato di trar di
vidit, oblitus societatis ejus, quam nunc iactat, qua in Eubea la nostra gioventù, promettendo
vastandos depopulandosque Nabidi acLacedae che avrebbe fatto la guerra a Nabide, come vide
moniis reliquit. Ac mihi quidem minime conve che non volevamo nè concedergli codesto aiuto,
niens inter se oratio Cleomedontis visa est. Ele nè invilupparci nella guerra de' Romani, dimen
vabat Romanum bellum, eventumque ejuseum tico dell'alleanza, che adesso vanta, ci lasciò in
dem fore, qui prioris belli, quod cum Philippo preda alle devastazioni ed ai saccheggiamenti di
gesserint, dicebat. Cur igitur nostrum ille auxi Nabide e dei Lacedemoni. E invero, a me non è
lium absens petit potius, quam praesens nos ve sembrato che il discorso di Cleomedonte si accor
teres socios simulab Nabide ac Romanis tueatur? di punto con sè stesso. Attenuava la guerra dei
Nos, dico ? quid ita passus est Eretriam Cary Romani, e diceva che avrebbe avuto l'esito me
stumque capi? quid itatot Thessaliae urbes? quid desimo, che aveva avuto l'altra che fecero con
ita Locridem Phocidem que ? quid ita nunc Ela Filippo. Perchè adunque chiede egli il nostro
tiam oppugnari patitur ? cur excessit faucibus aiuto, standosi assente, piuttosto che presente di
Epiri claustrisque illis inexpugnabilibus super fenderci, noi suoi vecchi alleati, da Nabide insie
Aoum amnem, aut vi, aut metu, aut voluntate, me e dai Romani? Noi, dico ? perchè lasciò che
relictoque, quem insidebat, saltu, penitus in re così fosse presa Eretria e Caristo? perche così
gnum abiit? Si sua voluntate tot socios reliquit tante città della Tessaglia? perchè così Locride e
hostibus diripiendos, quid recusare potest, quin Focide? perchè lascia ora che Elazia sia combat
et socii sibi consulant ? si metu, nobis quoque tuta? perchè partissi o per forza, o per paura, o
ignoscattimentibus: si victus armis cessit, Achaei per volontà dalle gole dell'Epiro e da que clau
arma Romana sustinebimus, Cleomedon, quae vos stri inespugnabili sul fiume Aoo, e lasciato lo
Macedomes non sustinuistis? An tibi potius creda stretto passo che occupava, si ritirò ben addentro
mus, Romanos non majoribus copiis nec viribus nel suo regno? Se per propria volontà lasciò tanti
nunc bellum gerere, quam res ipsas intueamur? alleati in preda a nemici, come può ricusare che
Aetolos tum classe adjuverunt; necduce consulari, anche gli alleati provvedano a casi loro ? se per
nec exercitu bellum gesserunt. Sociorum Philippi timore, perdoni pur anche a noi, se temiamo. Se
maritimae urbes in terrore ac tumultu erant: cedette vinto dall'armi, sosterremo, o Cleome
mediterranea adeo tuta ab Romanis armis fue donte, noi Achei l'armi Romane, che voi Mace
runt, ut Philippus Aetolos, nequidquam opem doni non poteste sostenere ? O crederemo piut
Romanorum implorantes, depopularetur. Nunc tosto a te, che i Romani non faccian ora la guerra
autem defuncti bello Punico Romani, quod per con maggiori eserciti e forze, che non fecero
sexdecim annos velut intra viscera Italiae tolera innanzi, invece che credere a ciò, che cogli occhi
verunt, non praesidium Aetolis bellantibus mise nostri vediamo ? Soccorsero allora gli Etoli con
runt, sed ipsi duces belli arma terra marique si la flotta, fecero la guerra senza console, senza
mul Macedoniae intulerunt. Tertius jam consul esercito consolare ; le città marittime, alleate di
summa vi gerit bellum. Sulpicius, in ipsa Mace Filippo, erano in timore, in iscompiglio; i luoghi
donia congressus, fudit fuga vitaue regem, par entro terra erano così sicuri dall'armi dei Ro
tem opulentissimam regni eius depopulatus: nunc mani, che potè Filippo saccheggiare gli Etoli,
Quintius tenentem claustra Epiri, natura loci, che invocavano invano il soccorso dei Romani.
munimentis exercitudue fretum, castris exuit: Ma ora i Romani, liberati dalla guerra Punica,
fugientem in Thessaliam persecutus, praesidia che sostennero sedici anni quasi nelle viscere
regia sociasque ejus urbes prope in conspecture dell'Italia non mandarono a soccorrere gli Etoli,
gis ipsius expugnavit. Ne sint vera quae Athe che guerreggiavano, ma essi stessi, fattisi capitani
mienses modo legati de crudelitate, avaritia, libi della guerra, mossero l'armi contro la Macedonia
dime regis dixerunt; nihil ad nos pertineant, per terra ad un tempo e per mare. Egli è già
quae in terra Attica scelera in superos inferosque questo il terzo console, che guerreggia con somma
deos sunt admissa; multo minus, quae Ciani Aby forza. Sulpicio, venuto a giornata con Filippo
denique, qui procul a nobis absunt, passi sunt: nel cuore stesso della Macedonia, lo ruppe e mise
nostrorum ipsi vulnerum, si vultis, obliviscamur; in fuga; pose a sacco la più ricca parte del suo
caedes direptionesque bonorum Messanae in me regno: in questi dì Quinzio l'ha spogliato degli
dia Peloponneso factas; et hospitem Cyparissiae alloggiamenti, benchè tenesse le gole dell'Epiro,
Garitenem contra ius omne ac fas inter epulas e fosse forte per la natura del sito, pe'ripari e
prope ipsas occisum ; et Aratum patrem filium per l'esercito: lo inseguì fuggitivo nella Tessa
que Sicyonios, quum senem infelicem parentem glia, espugnò quasi sugli occhi del re i regii pre
G53 TITI LIVII LIBER XXXII.
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etiam appellare solitus esset, interfectos; filii sidii e le città sue confederate. Sieno pure non
etiam uxorem libidinis causa in Macedoniam as vere le cose dette testè dai legati Ateniesi, della
portatam : cetera stupra virginum matronarum crudeltà, avarizia e libidine del re; non ci ri
que oblivioni dentur: ne sint cum Philippo res, guardino punto le scelleraggini commesse nel
cujus crudelitatis metu obmutuistis omnes; (nam l'Attica contro gli dei celesti ed infernali; molto
quae alia tacendi advocatis in concilium causa manco tutto quello, che hanno sofferto i Ciani e
est?) cum Antigono, mitissimo acjustissimo rege, gli Abideni, che sono da noi lontani: dimenti
et de nobis omnibus optime merito, existimemus chiamo, se volete, le nostre piaghe medesime,
disceptationem esse : num id postularet facere le stragi e le rapine di beni fatte in Messena in
nos, quod tum fieri non posset ? Peninsula est mezzo del Peloponneso, e quel suo ospite di Ci
Peloponnesus, angustis Isthmi faucibus continenti parissia, Garitene, trucidato contro ogni legge e
adhaerens nulli apertior neque opportunior, quam diritto quasi tra il banchettare; e i due Arati di
navali, bello. Si centum tectae naves, et quinqua Sicione, padre e figlio, mentre pur solea chiama
ginta le viores apertae, et triginta Issaici lembi re l'infelice vecchio padre suo, uccisi; anche la
maritimam oram vastare, et exposita, prope in moglie del figliuolo per isfogo di libidine tra
ipsis litoribus urbes coeperint oppugnare, in me sportata in Macedonia; mettansi in obblivione
diterraneas scilicet nos urbes recipiemus? tam gli altri stupri delle donzelle e delle matrone;
quam non intestino et haerente in ipsis visceribus non si tratti di Filippo, per timore della cui cru
uramur bello ? Quum terra Nabis et Lacedaemo deltà tutti vi siete ammutoliti ; (perciocchè qual
nii, mari Romana classis urgebunt; unde regiam avvi altro motivo di tacere, chiamati, come siete,
societatem ei praesidia Macedonum implorem ? a concilio?) fingiamo di disputare con Antigono,
an ipsi nostris armis ab hoste Romano tutabi re dolcissimo e giustissimo e tanto benemerito
mur urbes, quae oppugnabuntur? egregie enim verso tutti noi: chiederebbe egli forse che faces
Dymas priore bello sumus tutati. Satis exemplo simo quello, che sarebbe impossibile a farsi ? Il
rum nobis alienae clades praebent; ne quaere Peloponneso è una penisola, attaccata al conti
mus, quemadmodum ceteris exemplo simus. No nente mediante le strette gole dell'Istmo, a non
lite, quia ultro Romani petunt amicitiam, id, quod altra cosa atta e comoda tanto, quanto ad una
optandum vobis ac summa ope petendum erat, guerra navale. Se cento navi coperte, se cinquan
fastidire: metu enim videlicet compulsi in aliena ta più leggere scoperte, se trenta lembi Issaici
terra, quia sub umbra auxilii vestri latere vo cominceranno a devastare le spiagge marittime,
lunt, in societatem vestram confugiunt, ut por e combattere le città quasi poste sul lido, ci riti
tubus vestris recipiantur, ut commeatibus utan reremo adunque nelle città entro terra ? come se
tur. Mare in potestate habent; terras, quascumque non ci ardesse una guerra intestina, e infitta
adeunt, extemplo ditionis suae faciunt. Quod ro quasi nelle viscere? Quando Nabide e i Lacede
gant, cogere possunt; quia pepercisse volunt, moni c'incalzeranno per terra, e la Romana
committere vos, cur pereatis, non patiuntur. Nam flotta per mare, come potrò implorare l'alleanza
quod Cleomedon modo, tamquam mediam et del re, ed il soccorso dei Macedoni? Difenderemo
tutissimam vobis viam consilii, ut quiesceretis noi stessi colle nostrº armi le città combattute
abstineretisque armis, ostendebat; ea non media, dall'inimico Romano? Sì, perchè nella guerra
sed nulla via est. Etenim, praeterquam quod aut precedente difendemmo Dima egregiamente. As
accipienda, aut aspernanda vobis Romana socie sai esempii ci han dato le stragi altrui, per non
tas est, quid aliud quan nusquam gratia stabili, avere a cercare d'essere noi pure esempio agli
velut qui eventum exspectaverimus, ut fortunae altri. Non vogliate, perche i Romani vengon primi
applicaremus nostra consilia, praeda victoris eri a chiedere amicizia, disdegnare quello, che avre
mus? Nolite, si, quod omnibus votis petendum ste dovuto bramare e premurosamente chiedere
erat, ultro offertur, fastidire. Non, quemadmodum voi stessi. Certo, colpiti da paura in terra stra
hodie utrumque vobis licet, sic semper liciturum niera, perchè vogliono celarsi sotto l'ombra del
est; nec saepe, nec diu eadem occasio erit. Libe vostro aiuto, ricorrono alla vostra alleanza per
rare vos a Philippo jamdiu magis vultis, quam essere ricevuti ne' vostri porti, per usar le vostre
audetis Sine vestro labore et periculo qui vos vettovaglie. Son padroni del mare; le terre qua
in libertatem vindicarent, cum magnis classibus lunque, dove sbarcano, subito le fanno sue.
exercitibusque mare trajecerunt. Hos si socios Chiedono, mentre possono sforzare; perchè vo
aspernamini vi» sanae mentis estis, sed, aut socios gliono risparmiarvi, non soffrono che facciate
aut hostes habeatis, oportet. , cosa, per cui corriate a rovina. Perciocchè, quanto
a quel partito, che testè Cleomedonte vi mostra
va qual via di mezzo e sicurissima, che stiate
655 TITI LIVII LIBER XXXII. 65G

quieti e vi asteniate dall' armi, quella , non


che via di mezzo, non è neppur via. In fatti,
oltre che vi è forza o accettare, o ricusare l' al
leanza de Romani, che altro otterremo, se non
è, che non ben accetti a nessuna delle parti, come
quelli, che avremo aspettato l'esito della guerra,
onde determinarci a seconda della fortuna, di
verremo preda del vincitore? Non vogliate, se
quello ch'era da bramarsi con tutti i voti, spon
taneamente vi viene offerto, disdegnarlo. Ma
sempre, come oggi il siete, sarete liberi di sce
gliere; nè spesso, nè lungamente l'occasione sarà
la stessa. Egli è gran tempo che avete piuttosto
la voglia, che l'ardimento di liberarvi da Filippo.
Senza vostra fatica, senza vostro pericolo han già
passato il mare, con grandi flotte e grandi eser
citi quelli, che vengono a liberarvi. Se li ricusate
per alleati, siete poco in cervello; v'è però forza
di averli o per alleati, o per nemici.
XXI1. Secundum orationem praetoris mur XXII. Dopo l'orazione del pretore levossi un
mur ortum aliorum cum assensu, aliorum incle mormorio d'altri, che assentivano, d'altri, che
menter assentientes increpantium : et jam non fortemente riprendevano chi assentiva. E già
singuli tantum, sed populi universi, inter se al non i singoli soltanto, ma tutti i popoli l'un con
tercabantur. Tum inter magistratus gentis (da tro l'altro altercavano tra loro; nè ci era lotta
miurgos vocant: decem numero creantur) certa men calda tra i magistrati della nazione (li chia
men nihilo segnius, quam inter multitudinem, mano damiurgi; se ne creano dieci), che tra la
esse: quinque relaturos se de societate Romana moltitudine. Cinque dicevano che avrebbono
ajebant, suffragiumque daturos: quinque lege proposta l'alleanza co Romani e chiamati voti;
cautum estabantur, ne quid, quod adversus Phi cinque sostenevano esser vietato dalla legge che
lippi societatem esset, autreferre magistratibus, i magistrati proponessero, o il consiglio delibe
aut decernere concilio jus esset. Hic quoque dies rasse cosa alcuna, che fosse contro l'alleanza di
jurgiis est consumptus. Supererat unus justi con Filippo. Anche questo giorno fu consumato in
cilii dies (tertio enim lex jubebat decretum fieri), aspre contese. Restava al consiglio un solo giorno
in quem adeo ex arsere studia, ut vix parentes ab legale (chè la legge ordinava che il terzo dì si
liberis temperaverint. Rhisiasus (Pellenensis erat) dovesse deliberare); e in questo sì fattamente si
filium damiurgum, nomine Memnonem, habe accesero le gare dei partiti, che appena si asten
bat, partis ejus, quae decretum recitari, perroga nero i genitori dal metter le mani addosso a fi
rique sententias prohibebat. ls, diu obtestatus gliuoli. Risiaso (era di Pelleme) aveva un figlio
filium, ut consulere Achaeos communi saluti pa damiurgo, chiamato Memnone, di quella parte,
teretur, neu pertinacia sua gentem universam che vietava il proporre alcun decreto, e chiamare
perditum iret, postguam parum proficiebant a suffragii. Avendo per buona pezza scongiurato
preces, juratus se eum sua manu interempturum, il figliuolo, perchè lasciasse che gli Achei prov
mec pro filio, sed pro hoste, habiturum, minis vedessero alla comune salute e con la sua perti
pervicit, ut postero die conjungeret iis se, qui nacia non traesse la nazione a rovina, poi che
referebant. Qui quum plures facti referrent, poco giovavano le preghiere, giurato avendo che
omnibus fere populis haud dubie approbantibus l'avrebbe ucciso di sua mano, nè il terrebbe più
relationem, ac praese ferentibus, quid decreturi per figlio, ma per nemico, vinse in fine colle mi
essent; Dymaei ac Megalopolitani, et quidam Ar nacce, che colui il dì seguente si unisse a quelli,
givorum, priusquam decretum fieret, consurre che proponevano il decreto. I quali, fatti superio
xerunt, ac reliquerunt concilium, neque mirante ri di numero, già quasi tutti i popoli approvando
ullo, neque improbante. Nam Megalopolitanos, chiaramente la proposta, e mostrando qual decreto
avorum memoria pulsos ab Lacedaemoniis, re avrebbon fatto, i Dimei e i Megalopolitani ed al
stituerat in patriam Antigonus; et Dymaeis, ca cuni degli Argivi, innanzi che si facesse il decreto,
ptis muper direptisque ab exercitu Romano, qunm si levarono e partironsi dal consiglio, senza che
redimi eos, ubicumque servirent, Philippus ius alcuno si maravigliasse della cosa, o la disappro
sisset, non libertatem modo, sed etiam patriam, vasse. Perciocchè i Megalopolitani, al tempo degli
657 TITI LIVII LIBER XXXII, 658

reddiderat. Jam Argivi, praeterquam quod Ma avi loro, cacciati di patria dai Lacedemoni, vi
cedonum reges ab se oriundos credunt, privatis erano stati rimessi da Antigono, e a'Dimei, presi
etiam hospitiis familiarique amicitia plerique il testè e saccheggiati dai Romani, Filippo, avendo
ligati Philippo erant. Ob haec concilio, quod in ordinato che fossero, dovunque si trovavano in
clinaverat ad Romanam societatem jubendam, servitù, riscattati, avea restituita non solamente
excesserumt; veniaque iis hujus secessionis fuit, la libertà, ma eziandio la patria. E gli Argivi,
et magnis et recentibus obligatis beneficiis. oltre che credono che da loro discendano i re della
Macedonia, erano la maggior parte legati a Fi
lippo per dritto di ospitalità e per privata amici
zia. Per questo partironsi essi pure dal consiglio,
ch'era già inclinato a stringere alleanza co'Ro
mani, e furono scusati di codesta loro partenza,
perchè obbligati al re con grandi e recenti be
nefizii.
XXIII. Ceteri populi Achaeorum, quum sen XXIII. Gli altri popoli dell'Acaia, chiamati
tentias perrogarentur, societatem cum Attalo ac a suffragii, confermarono con decreto l'alleanza
Rhodiis praesenti decreto confirmarunt: cum Ro con Attalo e co'Rodiani: quella co'Romani, per
manis, quia injussu populi non poterat rata esse, chè non poteva esser valida senza l'assentimento
in id tempus, quo Romam mitti legati possent, del popolo, fu differita sino al tempo, in cui si
dilata est. In praesentia tres legatos ad L. Quin potessero mandare ambasciatori a Roma. Bensì
tium mitti placuit, et exercitum omnem Achaeo piacque che di presente si mandassero tre legati
rum ad Corinthum admoveri; captis Cenchreis, a Lucio Quinzio, e che tutto l'esercito degli Achei
jam urbem ipsam Quintio oppugnante. Et hi si avvicinasse a Corinto; città, che già, presa
quidem e regione portae, quae fert Sicyonem, po Cencrea, Quinzio combatteva. E gli Achei si ac
suerunt castra. Romani ad Cenchreas versam par camparono verso la porta che mette a Sicione.
tem urbis, Attalus, traducto per Isthmum exer I Romani combattevano la città dalla parte verso
citu, ab Lechaeo, alterius maris portu, oppugna Cencrea; Attalo, passato l'istmo con l'esercito,
bant; primo segnius, sperantes seditionem intus dalla parte di Lecheo, porto dell'altro mare. E
fore inter oppidanos ac regium praesidium. Post dapprima debolmente, sperando, che sarebbe
quam uno animo omnes, et Macedones tamquam insorta dentro sedizione fra i terrazzani e il re
communem patriam tuebantur, et Corinthii du gio presidio. Ma poi che tutti d'un animo, e i
cem praesidii Androsthenem, haud secus quam Macedoni difendevano la città, quasi patria co
civem et suffragio creatum suo, imperio justo pa mune, e i Corintii obbedivano di buon grado ad
tiebantur; omnis inde spes pugnantibus in vi et Androstene, comandante del presidio, non altri
armis et operibus erat: undigue aggeres haud menti che se fosse un loro concittadino, e dai lor
facili aditu ad moenia admovebantur. Aries ex ea
suffragii creato, tutta la speranza degli assedianti
parte, quam Romani oppugnabant, aliquantum stava nella forza, nell'armi e nelle opere. Da ogni
muri diruerat: in quem locum, quia nudatus mu parte si accostavan argini alle mura, che non
nimento erat, protegendum armis quum Mace erano di facile accesso. Alla parte, ch'era combat
dones concurrissent, atrox proelium inter eos ac tuta dai Romani, l'ariete avea diroccato alquanto
Romanos ortum est. Ac primo multitudine facile tratto di muro; al qual luogo, perchè rimasto
expellebantur Romani: assumptis deinde Achae senza ripari, essendo accorsi i Macedoni, fiera
orum Attalique auxiliis, aequabant certamen, battaglia appiccossi tra questi ed i Romani. E i
nec dubium erat, quin Macedonas Graecosque Romani dapprima erano facilmente respinti dal
facile loco pulsuri fuerint. Transfugarum Italico gran numero ; indi, chiamati in soccorso gli
rum magna multitudo erat; pars ex Hannibalis Achei e le genti di Attalo, pareggiavano la zuf
exercitu metu poenae a Romanis Philippum se fa; nè c'era dubbio che avrebbono senza fatica
cuti, pars navales socii, relictis muper classibus, sloggiati di là i Macedoni ed i Greci. V'avea
ad spem honoratioris militiae transgressi: hos dentro un gran numero di disertori Italiani, par
desperata salus, si Romani vicissent, ad rabiem te, che stati dell'esercito di Annibale, per tema
magis, quam audaciam, accendebat. Promonto d'essere puniti dai Romani, avean seguito Filip
rium est adversus Sicyonem Junionis, quam vo po, parte, che già ciurme navali, abbandonate le
cant Acraeam. in altum excurrens: trajectus inde flotte, s'erano dati a lui con la speranza di più
Corinthum septem millia ferme passuum. Eo Phi onorevole milizia. La disperazione di salvarsi, se
locles, regius et ipse praefectus, mille et quin i Romani vincessero, spingeva costoro a combat
gentos milites per Boeotiam duxit. Praesto fuere tere con rabbia piuttosto che con ardire. V'ha in
Livio 2 12
C59 TITI LIVII LIBER XXXII, 60o

al Corintho lembi, qui praesidium id acceptum faccia a Sicione un promontorio sacro a Giunone
Lechaeum trajicerent. Auctor erat Attalus, incen chiamata Acrea, il quale sporge molto addentro
sis operibus, omittendae extemplo oppugnatio in mare; di là a Corinto il tragitto è di quasi
nis. Pertinacius Quintius in incepto perstabat. sette miglia. Filocle, prefetto anch'egli del re,
Is quoque ut pro omnibus portis disposita vidit colà condusse per la Beozia mille e cinquecento
praesidia regia, nec facile erumpentium impetus soldati. Da Corinto presti furono alquanti legni
sustineri posse, in Attali sententiam concessit. Ita leggeri a traghettare quel soccorso al porto di
irrito incepto, dimissis Achaeis, reditum ad na Lecheo. Attalo proponeva che, messo il fuoco ai
ves est; Attalus Piraeeum, Romani Corcyram ripari, si levasse subito l'assedio. Quinzio più
petierunt. ostinato perseverava nella impresa; ma egli pu
re, come vide a tutte le porte disposte le genti
del re, e che non si poteva resistere facilmente
alle sortite, si unì al parere di Attalo. Così, an
dato a voto il tentativo, licenziati gli Achei, si
tornarono alle navi . Attalo andò al Pireo, i
Romani a Corcira.
XXIV. Dum haec ab navali exercitu gerun XXIV. Mentre si fan queste cose dall'esercito
tur, consul, in Phocide ad Elatiam castris positis, di mare, il console, messo il campo sotto Elazia
primo colloquiis rem per principes Elatiensium nella Focide, tentò dapprima la cosa, parlamen
tentavit: postguam, nihil esse in manu sua, et tando co principali della città: poi ch'ebbero
plures validioresque esse regios, quam oppidanos, risposto nulla poter essi di per sè, ed essere in
respondebatur, tum simulab omni parte operi più numero le genti del re, che non i terrazzani,
bus armisque urbem est aggressus. Ariete admo allora assaltò la città da ogni parte con le armi
to, quantum inter turres muri erat prorutum, insieme e con le opere. Accostato l'ariete, il mu
quum ingenti fragore ac strepitu nudasset urbem, ro, quanto ve n'avea tra le torri, caduto con
simul et cohors Romana per apertum recenti grande strepito e fracasso, snudata avendo da
strage iter invasit ; et ex omnibus oppidi parti quella parte la città nello stesso tempo e la coor
bus, relictis suis quisque stationibus, in eun, qui te Romana si scagliò dentro pel varco aperto
premebaturimpetu hostium, locum concurrerunt. dalla recente ruina, e da tutte le parti della terra,
Eodem tempore Romani et ruinas muri super lasciata ognuno la sua posta, tutti corsero al luo
vadebant, et scalas ad stantia moenia inferebant; go ch'era fieramente assaltato dal nemico. I Ro
et, dum in unam partem oculos animosque ho mani ad un tempo e salivano su per le ruine del
stium certamen averterat. pluribus locis scalis ca muro e portavano le scale a'muri ch'erano in
pitur murus, armatique in urbem transcenderunt. piedi, e mentre la zuffa avea volti gli animi e gli
Quo tumultu audito, territi hostes, relicto quem occhi de'nemici ad una sola banda, il muro e
con ferti tuebantur, loco, in arcem omnes metu, preso in più luoghi e gli armati entrarono in
inermi quoque insequente turba, confugerunt. città. I nemici udito quel trambusto, atterriti,
Ita urbe potitur consul; qua direpta, missis in lasciato il luogo, che affollati difendevano, tutti
arcem, qui vitam regiis. si abire vellent inermes, per la paura si fuggirono nella rocca, seguiti an
libertatem Elatiensibus pollicerentur, fideque in che dalla moltitudine disarmata. In questa guisa
haec data, post paucos dies arcem recepit. il console s'impadronisce della città, saccheg
giata la quale, mandato alla rocca a promettere
la vita alle genti del re. se uscir volessero senza
armi e la liberta ai terrazzani, data su di ciò la
sua parola, pochi giorni di poi ebbe la rocca.
XXV. Ceterum adventu in Achaiam Philoclis XXV. Del resto, per la venuta nell'Acaia di
regii praefecti non Corinthus tantum liberata ob Filocle, prefetto del re, non solamente fu libera
sidione, sed Argivorum quoque civitas per quos ta Corinto dall'assedio, ma venne in poter di lui
dam principes Philocli prodita est, tentatis prius la città degli Argivi col mezzo di alcuni de'prin
animis plebis. Mos erat, comitiorum die primo cipali cittadini, saggiati prima gli animi della
velut ominis causa praetores pronunciare Jovem. plebe. Era costume, che nel primo di de'comizii,
Apollinemdue et Herculem : additum legi erat, quasi per buon augurio, i pretori pronunziassero
utiis Philippus rex adjiceretur. Cuius nomen post i nomi di Giove, di Apollo e di Ercole: s'era poi
pactam cum Romanis societatem quia praeco non statuito con legge che vi si aggiungesse il re Fi
adjecit, fremitus primo multitudinis ortus, dein lippo. Il cui nome, perchè il banditore, dopo
de clamor subjicientium Philippi nomen, juben l'alleanza stretta coi Romani, non l'aggiunse,
661 l'ITI LIVII LIBER XXXII. 662

tiumque legitimum honorem usurpare ; donec prima si levò un fremito nella moltitudine, indi
cum ingenti assensu nomen recitatum est. Hujus un gridare di quelli, che aggiungevano il nome
fiducia favoris Philocles arcessitus nocte occupat di Filippo, e volevano che ritenesse l'onore da
collem imminentem urbi (Larissam eam arcen togli dalla legge; sino a che fu finalmente recita
vocant), posito que ibi praesidio, quum lucis to il nome con grande applauso. Filocle, invitato
principio signis infestis ad subjectum arci forum sulla fiducia di questo favore, occupa la notte il
vaderet, instructa acies ex adverso occurrit. Prae poggio sovrastante alla città, e posto quivi un
sidium erat Achaeorum muper impositum, quin presidio nella rocca (la chiamano Larissa), sul far
genti fere juvenes delecti omnium civitatium. del dì avviatosi a bandiere spiegate verso la piaz
Aenesiderous Dymaeus praeerat. Adhortator a za sottoposta alla rocca, gli si fa incontro una
praefecto regio missus, qui excedere urbe juberet squadra in ordinanza. Era il presidio degli
(neque enim pares eos oppidanis solis, qui idem Achei, messo colà da pochi giorni, cinquecento
quod Macedones sentirent, nedum adjunctis Ma giovani a un dipresso, scelti da tutte le città ;
cedonibus, esse, quos ne Romani quidem ad Co n'era capitano Enesidemo Dimeo. Il messaggio,
rinthum sustinuissent), primo nihil, nec ducem, mandato dal prefetto del re a intimar loro che
nec ipsos movit: post paullo, ut Argivos quoque uscissero dalla città (poichè non eran pari ai ter
armatos ex parte altera venientes magno agmine razzani soli, che si accordavano co' Macedoni,
viderunt, certam perniciem cernentes, omnem molto meno aggiuntivi i Macedoni, a quali non
tamen casum, si pertinacior dux fuisset, videban avean potuto resistere i Romani nè anche a
tur subituri. Aenesi demus, ne flos Achaeorum Corinto), da principio non mosse nè il coman
juventutis simul cum urbe amitteretur, pactus dante, nè i soldati; poco di poi quando s'accor
cum Philocle, ut abire illis liceret, ipse, quo loco sero venire da un'altra parte anche gli Achivi
steterat armatus, cum paucis clientibus non exces con grossa banda, vedendo certa la rovina, pur
sit. Missus a Philocle, qui quaereret, quid sibi pareva che incontrato avrebbono ogni rischio,
vellet? Nihil fatus, tantummodo, quum projecto se il comandante fosse stato più ostinato. Enesi
praese clipeo staret, « in praesidio creditae urbis demo, acciocchè non si perdesse insieme con la
moriturum se armatum, º respondit. Tum jussu città il fiore dell'Achea gioventù, pattuito aven
praefecti a Thracibus conjecta tela, interfectique do con Filocle, che li lasciasse andare, egli ar
omnes. Et post pactam interAchaeos et Romanos mato con pochi de' suoi più fidi non si mosse
societatem duae nobilissimae civitates, Argi et dal luogo, dove s'era fermato. Mandato un messo
Corinthus, in potestate regis erant. Haec ab Ro da Filocle a ricercarlo che si volesse, egli, stan
manis ea aestate in Graecia terra marique gesta. dosi con lo scudo dinanzi al petto, non altro ri
spose, se non che «sarebbe morto armato, difen
dendo la città, che gli era stata affidata. Allora
per ordine del prefetto i Traci scagliarono i lor
dardi, e quelli furono tutti morti. Dopo l'allean
za fatta tra gli Achei ed i Romani, due nobilissi
me città, Argo e Corinto, erano tuttavia in pote
re del re. Queste sono le cose fatte quella state
in Grecia dai Romani per mare e per terra.
XXVI. In Gallia nihil sane memorabile ab XXVI. Nella Gallia non fece il console Sesto
Sex. Aelio consule gestum. Quum duos exercitns Elio cosa degna di memoria. Avendo avuto nella
in provincia babuisset, unum retentum, quem di sua provincia due eserciti, uno che si ritenne, e
mitti oportebat, cui L. Cornelius proconsul prae che si doveva licenziare, stato già del proconsole
fuerat (ipse ei C. Helvium praetorem praefecit ), Lucio Cornelio (al quale egli propose il pretore
alterum, quem in provinciam adduxit; totum Caio Elvio), l'altro, che avea condotto con sè,
prope annum Cremonensibus Placentinisque co consumò quasi tutto l'anno ad obbligare i Cre
gendis redire in colonias, unde belli casibus dissi monesi e i Piacentini a tornarsi alle loro colonie,
pati erant, consumpsit. Quemadmodum Gallia donde erano stati dispersi pe' casi della guerra.
praeter spem quieta eo anno fuit, ita circa urbem Siccome la Gallia in quell'anno fu quieta fuori
servilis prope tumultus excitatus est. Obsides Car d'ogni speranza, così nelle vicinanze di Roma
thaginiensium Setiae custodiebantur: cum iis, ut quasi scoppiò una sedizione di schiavi. Gli ostag
principum liberis, magna vis servorum erat. Au gi Cartaginesi erano custoditi a Sezia: era con
gebant eorum numerum, ut ab recenti Africo essi, come figli delle prime famiglie, gran frotta
bello, et ab ipsis Setinis captiva aliquot nationis di schiavi. Ne accrescevano il numero altri schiavi
ejus ex praeda empta mancipia. Quum conjura della medesima nazione, comperati dagli stessi
663 l'ITI LIVII LIBER XXXII. 664
tionem fecissent, missis ex eo numero, qui in Se Setini della preda fatta nella guerra ultima
tino agro, deinde circa Norbam et Circejos, ser d'Africa. Costoro, tramata una congiura, man
vitia sollicitarent ; satis jam omnibus praeparatis, dati alcuni de'loro, i quali e nel contado Setino,
ludis, qui Setiae propediem futuri erant, specta ed anche intorno a Norba ea Circeio sommoves
culo intentum populum aggredi statuerant: Se sero altri schiavi; essendo già tutto in pronto,
tia per caedem et repentinum tumultum capta, aveano stabilito di assaltare il popolo, mentre si
Norbam et Circejos occupare. Hujus rei tam foe stava intento a giuochi, che si dovevano cele
dae indicium Romam ad L. Cornelium Merulam brare il giorno appresso; presa Sezia nel bollor
praetorem urbis delatum est. Servi duo ante lu della strage, e nel repentino tumulto, occupare
cem ad eum venerunt, atque ordine omnia, quae Norba e Circeio. L'indizio di questa orribile
acta futuraque erant, exposuerunt. Quibus domi trama fu rapportato a Roma a Lucio Cornelio
custodiri jussis, praetor, senatu vocato edocto Merula, pretore urbano. Due schiavi innanzi
que, quae indices afferrent, proficisci ad eam con giorno vennero a lui, e gli narrarono per ordine
jurationem quaerendam atque opprimendam jus le cose fatte e che far si dovevano. Ritenuti in
sus, cum quinque legatis profectus, obvios in casa gli schiavi sotto custodia, il pretore, chia
agris sacramento rogatos arma capere et sequi mato il senato ed informatolo di quanto gli
cogebat. Hoc tumultuario delectu duobus milli avean costoro denunziato, avuta commissione di
bus ferme hominum armatis, Setiam, omnibus, portarsi a riconoscere ed a spegnere quella con
quo pergeret, ignaris, venit. Ibi raptim principi giura, partitosi con cinque legati, quanta gente
bus conjurationis comprehensis, fuga servorum incontrava per la campagna, la obbligava, dato
ex oppido facta est; dimissi deinde per agros, il giuramento, a pigliar l'armi e seguitarlo. Ar
qui vestigarent. Egregia duorum opera servorum mati con questa leva tumultuaria da due mila
indicum et unius liberi fuit. Ei centum millia gra uomini, ciascuno ignorando dov'egli andasse ,
vis aeris dari Patres jusserunt: servis vicena qui venne a Sezia. Quivi, arrestati in fretta i capi
ma millia aeris, et libertatem : pretium eorum ex della congiura, gli altri schiavi fuggirono dal ca
aerario solutum est dominis. Haudita multo post, stello; quindi mandò gente sulle lor tracce per
ex ejusdem conjurationis reliquiis, nunciatum le campagne. Avvenne questo per l'opera egre
est, servitia Praeneste occupatura. Eo L. Corne gia di due schiavi e di un uomo di libera condi
lius praetor profectus, de quingentis fere homi zione. Ordinarono i Padri che si dessero a lui
mibus, qui in ea noxa erant, supplicium sumpsit. cento mila assi; agli schiavi venticinque mila e
In timore civitas fuit, obsides captivosque Poe la libertà; il prezzo che valevano, fu dall'erario
morum ea moliri. Itaque et Romae vigiliae per sborsato a padroni. Non molto di poi fu riferito
vicos servatae; jussidue circumire eas minores che gli schiavi, reliquie di detta congiura, dove
magistratus, et triumviri carceris lautumiarum vano occupare Preneste. Recatosi colà il pretore
intentiorem custodiam haberejussi; et circa no Lucio Cornelio, ne fe morire da cinquecento
men Latinum a praetore literae missae, ut et ob trovati colpevoli. Fu Roma in timore che fosse
sides in privato servarentur, neque in publicum questa una macchinazione degli ostaggi e depri
prodeundi facultas daretur, et captivi ne minus gioni Cartaginesi. Pertanto furono poste guardie
decem pondo compedibus vincti in nulla alia, per le contrade della città, e i magistrati minori
quam in carceris publici, custodia essent. ebber ordine di andar girando per esse, e i trium
viri della carcere delle Lautomie di custodirla più
gelosamente; e il pretore scrisse intorno alle città
del nome Latino, che gli ostaggi custoditi fossero
nelle case private, nè si lasciassero uscire in pub
blico, e che i prigioni, carichi di catene del peso
non minore di dieci libbre, non si custodissero
altrove, che nella pubblica prigione.
XXVII. Eodem anno legati ab rege Attalo co XXVII. L'anno stesso i legati del re Attalo
ronam auream ducentùm quadraginta sex pondo deposero nel Campidoglio una corona d'oro del
in Capitolio posuerunt, gratiasque senatui ege peso di dugento quarantasei libbre, e grazie ren
runt, quod Antiochus, legatorum Romanorum dettero al senato, che Antioco, mosso dall'auto
auctoritate motus, finibus Attali exercitum de rità degli ambasciatori Romani, avesse ritirato
duxit. Eadem aestate equites ducenti, et ele l'esercito dai confini di Attalo. Nella state mede
phanti decem, et tritici modiòm ducenta millia, sima dugento cavalieri e dieci elefanti e dugento
ab rege Masinissa ad exercitum, qui in Graecia mila moggi di grano furono mandati dal re Ma
erat. pervenerunt. Item ex Sicilia Sardiniaque sinissa all'esercito, ch'era nella Grecia. E simil
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magni commeatus et vestimenta exercitui missa. mente dalla Sicilia e dalla Sardegna mandate
Siciliam M. Marcellus, Sardiniam M. Porcius Cato furono all'esercito vettovaglie e vestimenti. Go
obtinebat, sanctus et innocens, asperior tamen in vernava la Sicilia Marco Marcello, la Sardegna
foenore coercendo habitus: fugatique ex insula Marco Porcio Catone, uomo virtuosissimo e senza
foeneratores, et sumptus, quos in cultum praeto macchia, riputato però aspro alquanto troppo
rum socii facere soliti erant, circumcisi, aut su nel raffrenare le usure. Furono scacciati dall'isola
blati. Sex. Aelius consul ex Gallia comitiorum tutti gli usurai, e le spese ch'eran soliti fare gli
causa Romam quum redisset, creavit consules C. alleati per onorare i pretori o di molto scemate,
Cornelium Cethegum et Q. Minucium Rufum. o levate del tutto. Essendo tornato a Roma dalla
Biduo post praetorum comitia habita. Sex prae Gallia il console Sesto Elio per tenere i comizii,
tores illo anno primum creati, crescentibus jam nominò consoli Caio Cornelio Cetego e Quinto
provinciis, et latius patescente imperio: creati Minucio Rufo. Due giorni da poi si tennero i
autem hi, L. Manlius Vulso, C. Sempronius Tu comizii, de'pretori. Se ne crearono sei in quel
ditanus, M. Sergius Silus, M. Helvius, M. Minu l'anno per la prima volta, cresciuto essendo il nu
cius Rufus, L. Atilins. Sempronius et Helvius ex mero delle province, e dilatatosi l'impero. I creati
iis aediles plebis erant. Curules aediles Q. Minu furono Lucio Manlio Vulsone, Caio Sempronio
cius Thermus et Ti. Sempronius Longus. Ludi Tuditano, Marco Sergio Silo, Marco Elvio, Mar
Romani eo anno quater instaurati. co Minucio Rufo e Lucio Atilio. Sempronio ed
Elvio erano edili della plebe, Quinto Minucio
Termo e Tito Sempronio Longo edili curuli. I
giuochi Romani furono in quell'anno rinnovati
quattro volte.
XxVIII. ( Anno U. C. 555. – A. C. 197.) XXVIII. (Anni D. R. 555. – A. C. 197.)
C. Cornelio et Q. Minucio consulibus, omnium Nel consolato di Caio Cornelio e di Quinto
primum de provinciis consulum praetorumque Minucio, innanzi ad ogni altra cosa si trattò
actum. Prius de praetoribus transacta res, quae di assegnare le province ai consoli ed ai pre
transigi sorte poterat: urbana Sergio, peregri tori. In primo luogo si spicciò l'affare dei pre
ma jurisdictio Minucio obtigit. Sardiniam Ati tori, che si potea spicciare mediante la sorte. La
lius, Siciliam Manlius, Hispaniam Sempronius giurisdizione urbana toccò a Sergio, la forestiera
citeriorem, Helvius ulteriorem est sortitus. Con a Minucio. Atilio ebbe la Sardegna, Manlio la
sulibus Italiam Macedoniamoue sortiri paran Sicilia, Sempronio la Spagna di qua, Elvio quella
tibus, L. Oppius et Q. Fulvius tribuni ple di là. Mentre i consoli si apparecchiavano a trar
bis impedimento erant, a quod longinqua pro re a sorte l'Italia e la Macedonia, i tribuni della
vincia Macedonia esset, neque ulla alia res majus plebe Lucio Oppio e Quinto Fulvio si oppone
bello impedimentum ad eam diem fuisset, quan vano, allegando, a che la Macedonia era lontana;
quod, vixdum inchoatis rebus, in ipso conatu nè altro sino a quel dì avea cotanto impedito l'esi
gerendi belli prior consul revocaretur. Quartum to di quella guerra, quanto che il vecchio conso
jam annum esse ab decreto Macedonico bello. le appena principiate le operazioni, in sulle prime
Quaerendo regem et exercitum eius Sulpicium mosse del guerreggiare veniva richiamato. Già
majorem partem anni absumpsisse: Villium, con correva l'anno quarto della guerra Macedonica.
gredientem cum hoste, re infecta revocatum. Sulpizio avea consumata la maggior parte dell'an
Quintinm, rebus divinis Romae majorem par no nell'andare in traccia del re e del suo esercito.
tem anni retentum, ita gessisse tamen res, ut, si Villio mentre stava per azzuffarsi col nemico, in
aut maturius in provinciam venisset, aut hiems manzi di far nulla era stato richiamato. Quinzio,
magis sera fuisset, potuerit debellare. Nunc prope ritenuto a Roma la maggior parte dell'anno dalle
in hiberna profectum, ita comparare dici bellum, cure di religione, s'era poi diportato in guisa,
ut, nisi successor impediat, perfecturus aestate che avrebbe potuto metter fine alla guerra, se o
proxima videatur. » His orationibus pervicerunt, fosse arrivato più presto nella provincia, o il
ut consules in senatus auctoritate fore dicerent verno avesse tardato. Ora, passato a quartieri
se, si idem tribuni facerent. Permittentibus utris d'inverno, si dice che allestisca in modo la guer
que liberam consultationem, Patres consulibus ra, che pare doverla terminare nella prossima
ambobus Italiam provinciam decreverunt. T. state, se non glielo vieti il successore. » Con co
Quintio prorogarunt imperium, donec successor desti discorsi ottennero che i consoli dicessero
ei venisset. Consulibus binae legiones decretae, d'esser pronti a rimettersi all'autorità del senato,
et ut bellum cum Gallis Cisalpinis, qui defecis qualora i tribuni facessero lo stesso. Consentendo
sent a populo Romano, gererent. Quintio in gli uni e gli altri che il senato liberamente con
667 TITI LIVII LIBER XXXII. 668

Macedoniam supplementum decretum, peditum sultasse, i Padri decretarono l'Italia ad amendue


quinque millia et trecenti equites, et sociorum i consoli. Fu prorogato il comando a Tito Quin
navalium tria millia. Praeesse idem, qui praeerat, zio, sino a tanto che gli venisse il successore. Si
classi L. Quintius Flamininus jussus. Praetori assegnarono ai consoli due legioni, onde facesser
bus in Hispanias octona millia peditum sociùm guerra con queste ai Galli Cisalpini, che si fos
ac Latini nominis data, et quadringenti equites, sero ribellati dal popolo Romano. Fu pur decre
ut dimitterent veterem ex Hispaniis militem ; et tato un supplemento a Quinzio per la Macedonia
terminare jussi, qua ulterior citeriorve provincia di cinque mila fanti e trecento cavalli, non che
servaretur. Macedoniae legatos P. Sulpicium et tre mila soldati da mare. Lucio Quinzio Flami
P. Villium, qui consules in ea provincia fuerant, nino che comandava la flotta, ebbe ordine di
adjecerunt. continuare in quel comando. Si diedero ai pretori
per la Spagna otto mila fanti degli alleati e del
nome Latino e quattrocento cavalli, acciocchè
licenziassero di Spagna i vecchi soldati. Ed eb
bero commissione di stabilire i confini, che di
videssero la Spagna di qua da quella di là. Ag
giunsero alla Macedonia due legati Publio
Sulpicio e Publio Villio, ch'erano stati consoli
in quella provincia.
XXIX. Priusquam consules praetoresque in XXIX. Innanzi che i consoli ed i pretorian
provincias proficiscerentur, prodigia procurari dassero alle province, si volle ch'espiati fossero
placuit; quod aedes Vulcani Summanique Romae, i prodigii. Perciocchè i tempi di Vulcano e di
et quod Fregellis murus et porta de coelo tacta Summano in Roma, e in Fregelle il muro e la
erant; et Frusinone inter noctem lux orta; et porta erano stati percossi da fulmine, e a Frusi
Asculo agnus biceps cum quinque pedibus natus; none di notte le vossi un gran chiarore, e in Ascoli
et Formiis duo lupi, oppidum ingressi, obvios era nato un agnello con due teste e cinque piedi,
aliquot laniaverant: Romae non in urbem solum, e in Formio due lupi, entrati nella terra, aveano
sed in Capitolium penetraverat lupus. C. Acilius sbranato alcuni, che incontrarono; a Roma un
tribunus plebis tulit, ut quinque coloniae in oram lupo era penetrato non solo in città, ma sino nel
maritimam deduceremtur; duae ad ostia flumi Campidoglio. Il tribuno della plebe Caio Acilio
num Vulturni Liternique, una Puteolos, una propose che si mandassero cinque colonie nella
ad castrum Salerni. His Buxentum adjectum : tre spiaggia marittima, due alle foci dei fiumi Vul
cenae familiae in singulas colonias jubebantur turno e Literno, una a Pozzuolo, una al castello
mitti. Triumviri deducendis iis, qui per trien di Salerno; se ne aggiunse un'altra per Buxento.
nium magistratum haberent, creati, M. Servilius Si ordinava che si mandassero trecento famiglie
Geminus, Q. Minucius Thermus, Ti. Sempronius per ciascheduna colonia. Creati furono triumviri
Longus. Delectu rebusque aliis divinis humanis a condur queste colonie, e i quali durassero nel
que, quae per ipsos agenda erant, perfectis, con magistrato tre anni, Marco Servilio Gemino,
sules ambo in Galliam profecti. Cornelius recta Quinto Minucio Termo, Tito Sempronio Longo.
ad Insubres via, qui tum in armis erant, Ceno Terminata la leva e le altre cose divine ed umane
manis assumptis, Q. Minucius in laeva Italiae ad che far dovevano, ambedue i consoli se n'anda
inferum mare ſlexit iter, Genuamdue exercitu rono alla volta della Gallia. Cornelio per la via
abducto, ab Liguribus orsus est bellum. Oppida diritta si voltò verso gl'Insubri, ch'erano allora
Clastidium et Litubium, utraque Ligurum, et in arme in compagnia de'Cenomani. Quinto Mi
duae gentisejusdem civitates, Celelates Cerdicia nucio piegò a sinistra dell'Italia verso il mare di
tesque, sese dediderunt. Et jam omnia cis Padum, sotto, e menato l'esercito a Genova, cominciò la
praeter Gallorum Bojos, Ilvates Ligurum, sub guerra dai Liguri. I castelli di Clastidio e di Litu
ditione erant: quindecim oppida, hominum vi bio, ambedue dei Liguri, e i Celelati e i Cerdiciati,
gintimillia esse dicebantur, quae se dediderant. città della stessa nazione, si arrendettero. E già
Inde in agrum Bojorum legiones duxit. tutto il paese di qua dal Po, eccetto i Boi de Galli -
e gl'Ilvati dei Liguri, erano assoggettati. Si di
ceva esser quindici i castelli, e venti mila gli
uomini, che s'erano renduti. Di là condusse le le
gioni nel territorio de Boi.
XXX. Bojorum exercitus haud ita multo ante XXX. L'esercito de Boi avea non molto tem
trajecerat Padum, junxeratoſue se Insubribus et po innanzi passato il Po, e si era congiunto agli
G69 TITI LIVII LIBER XXXII. 67o
Cenomanis, quod ita acceperant, conjunctis le lnsubri ed ai Cenomani, onde, avendo udito
gionibus consules rem gesturos, ut et ipsi collatas che i consoli avrebbon fatto la guerra con gli
in unum vires firmarent. Postguam fama accidit, eserciti uniti, anch'essi, unendo le loro forze,
alterum consulem Bojorum urere agros, seditio vie più assodarle. Poi ch'ebbero inteso, che l'uno
extemplo orta est. Postulare Boji, ut laborantibus dei consoli abbruciava le terre dei Boi, subito
opem universi ferrent; Insubres negare, se sua insorse una contesa. Chiedevano i Boi che tutti
deserturos. lta divisae copiae, Bojisque in agrum insieme andassero a soccorrere il paese trava
suum tutandum profectis, Insubres cum Ceno gliato; gl'Insubri ricusavano di abbandonare
manis super amnis Mincii ripam consederunt. il proprio. Così divise le forze, e partiti i Boi
Infraeum locun quinque millia passuum, et con a difendere il lor contado, gl'Insubri coi Ceno
sul Cornelius eidem flumini castra applicuit: inde mani si fermarono su la riva del Mincio. Più
mittendo in vicos Cenomanorum Brixiamogue, sotto a quel luogo alla distanza di cinque miglia
quod caput gentis erat, ut satis comperit, non anche il console Cornelio si accampò sul fiume
ex auctoritate seniorum juventutem in armis stesso. Di là mandando nelle borgate dei Ceno
esse, nec publico consilio Insubrium defectioni mani, e a Brescia, capo-luogo di quella nazione,
Cenomanos se adjunxisse; excitis ad se principi come fu accertato non essere in arme la gioventù
bus, id agere ac moliri coepit, ut desciscerent ab per autorità de'vecchi, nè i Cenomani essersi
Insubribus Cenomani, et, signis sublatis, autdo uniti per pubblico consiglio agl'Insubri ribella
mos redirent, aut ad Romanos transirent. Et id tisi, chiamati a sè i principali, cominciò a tratta
quidem impetrari nequiit: in id data fides consuli re e tentare che i Cenomani si staccassero dagli
est, utin acie aut quiescerent, aut, si qua etiam Insubri, e levate le insegne, o si tornassero a
occasio fuisset adjuvarent Romanos. Haec ita casa, o passassero alla parte dei Romani. Non si
convenisse Insubres ignorabant; suberat tamen potè ottener questo ; bensì promisero al console
quaedam suspicio animis, labare fidem sociorum. che o non piglierebbon parte alla battaglia, ov
Itaque, quum in aciem eduxissent, neutrum iis vero anche, se si offerisse alcuna occasione, aiute
curnu committere ausi, me, si dolo cessissent, rem rebbono i Romani. Gl'Insubri non sapevano di
totam inclinarent, post signa in subsidiis eos lo questo accordo; pur era entrato loro qualche
caverunt. Consul principio pugnae vovit aedem sospetto che la fede degli alleati vacillasse. Quin
Sospitae Junoni, si eo die hostes fusi fugatique di, usciti a combattere, non osando confidar loro
essent. A militibus clamor sublatus, compotem nessuna delle ale, acciocchè, se per tradimento
voti consulem se facturos, et impetus in hostes cedessero, non guastassero tutto l'affare, li collo
est factus. Non tulerunt Insubres primum con carono dietro le bandiere nella retroguardia. Il
cursum : quidam et a Cenomanis, terga repente console, sul principio della battaglia fe' voto
in ipso certamine aggressis, tumultum ancipitem di un tempio a Giunone Sospita, se i nemici
injectum auctores sunt, caesaque in medio quin in quel dì fossero stati rotti e messi in fuga.
que et triginta millia hostium, quinque millia I soldati con un grido promisero al console, che
et septingentos vivos captos: in iis Hamilcarem gli farebbero adempiere il suo voto; e si scaglia
Poenorum imperatorem, qui belli causa fuisset: rono contro il nemico. Non sostennero il primo
signa militaria centum triginta, et carpenta supra urto gl'Insubri: alcuni scrivono che anche i
ducenta. Oppida, quae defectionem secuta erant, Cenomani avendoli nel bollor della mischia as
dediderunt se Romanis. saltati alle spalle, gl'Insubri furono percossi da
doppio terrore; e che ne furono uccisi trenta
cinque mila, e presi vivi cinque mila e settecen
to; tra questi Amilcare, comandante dei Carta
ginesi, ch'era stato promotore della guerra. Si
son pur prese cento e trenta bandiere, e oltre a
dugento carri. Le città, che aveano seguitata la
ribellione, si arrendettero ai Romani.
XXXI. Minucius consul primo effusis popu XXXI. Il console Minucio avea dapprima
lationibus paragraverat fines Bojorum ; deinde, corso il paese de Boi largamente devastandolo;
ut, relictis Insubribus, ad sua tuenda receperant indi, siccome abbandonati gl'Insubri, s'erano
sese, castris se tenuit, acie dimicandum cum ho ritirati addentro a difendere le cose proprie, egli
steratus. Nec Boji detrectassent pugnam, ni fama si tenne nel suo campo, pensando che si avesse
victos Insubres allata animos fregisset. Itaque, a fare giornata. Nè i Boi schivata avrebbero
relicto duce castrisque, dissipati per vicos, sua ut la battaglia, se la nuova della rotta degl'Insubri
quisque defenderent, rationem gerendi belli hosti non gli avesse affatto scoraggiati. Quindi, abban
671 TITI LIVII LIBER XXXII. 672
mutarunt. Omissa enim spe per unam dimicatio donato e campo, e comandante, dispersi per le
nem rei decernendae, rursus populari agros, et borgate a difendere ognuno da sè le cose sue,
urere tecta, vicosque expugnare coepit. Per eos fecero che il nemico cangiasse il modo della
dem dies Clastidium incensum : inde in Ligusti guerra. Lasciata pertanto la speranza di spicciar
mos Ilvates, qui soli non parebant, legiones ductae. la cosa con un solo fatto, cominciò nuovamente
Ea quoque gens, ut Insubres acie victos, Bojos, a devastare il paese, arder le case e invader le
ita ut tentare spem certaminis metuerent, terri borgate. In que dì medesimi Clastidio fu dato
tos audivit, in ditionem venit. Literae consulum in preda alle fiamme: di là le legioni condotte
a Gallia de gestis prospere sub idem tempus Ro furono contro i Liguri Ilvati, che erano i soli
mam allatae. M. Sergius praetor urbis in senatu che non ubbidivano. Anche questa nazione, co
eas, deinde ex auctoritate Patrum ad populum m'ebbe inteso gl'Insubri essere stati vinti, e i
recitavit: supplicatio in quatriduum decreta. Boi sì fattamente atterriti, che temettero di ar
Hiems jam eo tempore erat. rischiarsi a un fatto d'arme, si sottomise. Ven
nero lettere in quel tempo de'consoli a Roma
colla notizia delle cose fatte prosperamente nella
Gallia. Il pretore urbano Marco Sergio recitolle
in senato, poi per ordine dei Padri al popolo.
Si decretarono pubbliche preci per quattro gior
ni. Allora era già verno.
XXXII. Quum T. Quintius, capta Elatia, in XXXII. Mentre Tito Quinzio, presa Elazia,
Phocide ac Locride hiberna disposita haberet, avea stabiliti i suoi quartieri d'inverno nella
Opunte seditio orta est. Factio una Aetolos, qui Focide e nella Locride, insorse a Opunte una
propiores erant; altera Romanos arcessebat. Ae sedizione. Una fazione chiamava gli Etoli, che
toli priores venerunt, sed opulentior factio, ex erano più vicini; l'altra i Romani. Primi ven
clusis Aetolis, missoque ad imperatorem Roma nero gli Etoli, ma la fazione più potente, scac
num nuncio, usque in adventum eius tenuit ur ciatili, e mandato un messo al console Romano,
bem. Arcem regium tenebat praesidium, neque, tenne la città sino alla sua venuta. La rocca era
ut descenderent inde, aut Opuntiorum minis, aut occupata da quei del re, nè poterono indurli ad
auctoritate imperantis consulis Romani, perpelli uscire non le minacce degli Opuntini, non l'auto
potuerunt. Mora, cur non extemplo oppugnaren rità del console e comandante Romano. Il ritar
tur, ea fuit, quod caduceator ab rege venerat, lo do, perchè non si andasse subito a combatterla,
cum ac tempus petens colloquio. Id gravate con venne dall'essere arrivato un araldo del re, a
cessum regi est: non quin cuperet Quintius per chiedere tempo e luogo ad un abboccamento.
se partim armis, partim conditionibus confectum Il che gli fu conceduto con qualche pena; non
videri bellum : necdum enim sciebat, utrum suc che Quinzio non bramasse, che paresse aver egli
cessor sibi alter ex nobis consulibus mitteretur ; terminata la guerra parte con l'armi, parte coi
an, quod, summa vi ut tenderent, amicis et pro trattati; perciocchè non sapeva ancora, se si
pinquis mandaverat, imperium prorogaretur; mandasse a succedergli uno de'nuovi consoli,
aptum autem fore colloquium credebat, ut sibi ovvero se gli si prorogasse il comando, il che
liberum esset, vel ab bellum manenti, vel ad pa avea raccomandato agli amici e parenti che con
cem decedenti rem inclinare. In sinu Maliaco pro ogni sforzo procurassero; credeva poi, che code
pe Nicaeam litus elegere: eo rex ab Demetriade sto abboccamento sarebbe atto a lasciargli liber
cum quinque lembis et una nave rostrata venit. tà o di piegare verso la guerra, se rimanesse,
Erant cum eo principes Macedonum, et Achaeo ovvero, se partisse, verso la pace. Elessero una
rum exsul vir insignis Cycliadas. Cum imperato spiaggia nel golfo Maliaco presso Nicea; colà
re Romano res Amynandererat, et Dionysodorus venne il re da Demetriade con cinque legni leg
Attali legatus, et Agesimbrotus praefectus Rho geri, e con una nave rostrata. Erano con lui
diae classis, et Phaeneas princeps Aetolorum, et alcuni de'principali Macedoni, e Cicliade fuor
Achaei duo, Aristaeus et Xenophon. Inter hos uscito dell'Acaia uomo di gran nome. Erano col
Romanus, ad extremum litus progressus, quum comandante Romano il re Aminandro, e Dioni
rex in proram navisin anchoris stantis processis sodoro legato di Attalo, e Agesimbroto prefetto
set, a Commodius, inquit, si interram egrediaris, della flotta Rodiana, e Fenea principe degli
et ex propinquo dicamus in vicem, audiamus Etoli, e due Achei, Aristeno e Senofonte. Accer
que. » Quum rex facturum se id negaret; « Quem chiato da costoro inoltratosi il Romano sino alla
tandem, inquit Quintius, times? » Ad hoc ille sponda ultima del mare, e il re fattosi innanzi
superbo et regio animo: «Neminem equidem ti sulla prora della nave quivi ancorata, « Se vor
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meo, praeter deos immortales: non omnium au rai, disse Quinzio, metter piede a terra, potremo
tem credo fidei, quos circa te video, atque om più comodamente e più dappresso parlare a vi
nium minime Aetolis.» « Istud quidem, ait Roma cenda ed ascoltare. » Il che negando il re di
nus, par omnibus periculum est, qui cum hoste voler fare, « Ma, e di che temi º o disse Quinzio.
ad colloquium congrediuntur, ut nulla fides sitº E Filippo con orgoglio e fierezza da re, « Non
s. Non tamen, inquit rex, T. Quinti, par perfidiae temo, disse, nessuno, tranne gli dei immortali;
praemium est, si fraude agatur, Philippus et ma non mi fido di tutti costoro, che ti veggio
Phaeneas: neque enim aeque difficulter Aetoli intorno, e degli Etoli manco di tutti. » « Quest'è,
praetorem alium, ac Macedones regem in meum rispose il Romano, un pericolo eguale per tutti
locum substituant. » Secundum haec silentium quelli, che si abboccano col nemico, il non potersi
fuit. fidare. » « Ma, soggiunse il re, non sarebbero,
o Tito Quinzio, se si usasse la frode, Filippo e
Fenea un premio eguale della perfidia; chè non
sarebbe egualmente difficile agli Etoli sostituire
un altro pretore, che ai Macedoni un altro re in
luogo mio. » Dopo queste parole vi fu silenzio.
XXXIII. Quum Romanus eum aequum cen XXXlll. Stimando il Romano esser cosa
seret priorem dicere, qui petisset colloquium; conveniente, che primo parlasse colui, che avea
rex, ejus esse priorem orationem, qui daret pacis chiesto l'abboccamento; il re, anzi quegli, che
leges, non qui acciperet ; tum Romanus, « Sim dettava le condizioni della pace, non quegli,
plicem suam orationem esse; ea enim se dictu che le riceveva, allora il Romano: « Essere sem
rum, quae ni fiant, nulla sit pacis conditio. De plice il suo discorso; perciocchè direbbe cose,
ducenda ex omnibus Graeciae civitatibus regi le quali non si facendo, non vi sarebbe via di far
praesidia esse: captivos et transfugas sociis populi la pace. Doveva il re ritirare i presidii da tutte
Romani reddendos: restituenda Romanis ea Illy le città della Grecia, restituire agli alleati del po
rici loca, quae post pacem in Epiro factam occu polo Romano i prigionieri e i disertori; resti
passet. Ptolemaeo regi Aegypti reddendas urbes, tuire ai Romani que paesi dell'Illirio, che avea
quas post Philopatoris Ptolemaei mortem occu occupati dopo la pace fatta in Epiro; e così a
passet. Suas populique Romani conditiones has Tolomeo, re dell'Egitto, le città, che gli avea
esse: ceterum et sociorum audiri postulata ve prese dopo la morte di Tolomeo Filopatore,
rum esse. » Attali regislegatus, «Naves captivos Queste erano le condizioni, che proponeva egli
que, quae ad Chium navali proelio captam es ed il popolo Romano: esser però giusto, che si
sent, et Nicephorium, Venerisque templum, quae ascoltino anche le condizioni degli alleati. »
spoliasset evastassetgue, pro incorruptis restitui.» Chiedeva il legato del re Attalo, « che si rendes
Rhodii Paraeam (regio est continentis adversus sero le navi e i prigioni, ch'erano stati presi
insulam, vetustae eorum ditionis) repetebant, po a Chio nella battaglia navale, non che il Nicefo
stulabantque a praesidia deduci ab Jasso, et Bar rio e il tempio di Venere, che avea spogliati
gyliis, et Euromensium urbe, et in Hellesponto e devastati; il tutto com'era innanzi. - I Rodiani
Sesto atque Abydo, et Perinthum Byzantiis in ripetevano Perea (paese del continente dirimpetto
antiqui formulam juris restitui, et liberari omnia all' isola di loro antica appartenenza), e chiede
Asiae emporia portusque. » Achaei Corinthum vano, e che si ritirassero le guernigioni da Jasso
et Argos repetebant. Praetor Aetolorum Phae e da Bargilia, e dalla città degli Euromensi, e da
neas quum eadem fere, quae Romani, ut Graecia Sesto e da Abido nell'Ellesponto; e si restituisse
decederetur, postulasset, redderenturque Aetolis pur anche Panopoli ai Bizantini colla forma antica
urbes, quae quondam juris ac ditionis eorum delle lor leggi, e che tutti i mercati e porti dell'Asia
fossero liberi. » Gli Achei ridomandavano Corin
fuissent; excepit orationem eius princeps Aeto
lorum Alexander, vir, ut inter Aetolos facundus. to ed Argo. Il pretore degli Etoli Fenea avendo
a Jamdudum se reticere, ait, non quo quidquam chiesto a un dipresso le cose stesse, che i Romani,
agi putet eo colloquio, sed ne quem sociorum di cioè che si lasciasse la Grecia, e si rendessero agli
centem interpellet. Neque de pace cum fide Phi Etoli le città, ch'erano già state di loro giurisdi
lippum agere, neque bella vera virtute unquam zione e dominio, sottentrò nel discorso Alessan
gessisse. In colloquiis insidiariet captare; in bello dro, capo degli Etoli, uomo, per quanto si può
non congredi aequo campo, neque collatis signis tra gli Etoli, assai facondo. » Taceva egli da
dimicare, sed refugientem incendere ac diripere buona pezza, disse, non perchè pensi che si con
urbes, et vincentium praemia victum corrumpere. chiuda alcuna cosa in quel colloquio, ma per
At non sic antiquos Macedonum reges, sed acie non interrompere il discorso di nessuno degli
Invio 2 43
675 TITI LIVII LIBER XXXII, 676
bellare solitos, urbibus parcere, quantum pos alleati. Nè Filippo trattar della pace con buona
sent, quo opulentius imperium haberent. Nam fede, nè aver egli mai fatto la guerra con vero
de quorum possessione dimicetur, tollentem nihil valore. Negli abboccamenti tendeva insidie e
sibi praeter bellum relinquere, quod consilium trappole; nella guerra non veniva a giornata
esse? Plures priore anno sociorum urbes in Thes campale, non combatteva a bandiere spiegate,
salia evastasse Philippum, quam omnes, qui um ma ritraendo il piede abbruciava e saccheggiava
quam hostes Thessaliae fuerint: ipsis quoque le città; e vinto guastava i premi del vincitore.
Aetolis eum plura socium, quam hostem, ademis Non così usavano gli antichi re di Macedonia;
se. Lysimachiam, pulso praetore et praesidio Ae ma soliti azzuffarsi in campo aperto, risparmia
tolorum, occupasse cum. Cium item suae ditio vano, quanto più potevano, le città, onde avere
mis urbem funditus evertisse ac delesse. Eadem uno stato più dovizioso. Perciocchè spogliando
fraude habere eum Thebas Phthias, Echinum, il paese, del cui possedimento si contrasta, non
Larissam et Pharsalum. » altro riservare per sè, che la guerra, che senno
è questo? Ha devastate Filippo l'anno scorso più
città alleate nella Tessaglia, che non han mai
fatto quanti ebbe ella nemici in addietro; ed agli
Etoli stessi tolse più cose, come alleato, che come
nemico. Scacciato il pretore ed il presidio degli
Etoli, aveva occupata Lisimachia; Chio, pari
menti di loro giurisdizione, l'avea da' fonda
menti smantellato e distrutto. Colla stessa frode
s'era insignorito di Tebe, di Ptia, di Echino,
di Larissa e di Farsalo. »
XXXIV. Motus oratione Alexandri Philippus XXXIV. Punto dal discorso di Alessandro,
navem, utexaudiretur, propius terram applicuit. Filippo accostò la nave più presso a terra per
Orsum eum dicere, in Aetolos maxime, violenter essere inteso. Avendo cominciato a scagliarsi con
Phaeneas interfatus, « Non in verbis rem verti, violenza, massimamente contro gli Etoli, Fenea
ait: aut bello vincendum, aut melioribus paren interrompendolo, « Non si tratta, disse, di pa
dum esse.» «Apparetid quidem, inquit Philippus, role; o bisogna vincere, ovvero ubbidire ai più
ctiam caeco; » jocatus in valetudinem oculorum valenti. » « La cosa è chiara, disse Filippo, anche
Phaeneae. Et erat dicacior natura, quam regem ad un cieco, º motteggiando il mal d'occhi di
decet, et ne inter seria quidem risu satis tempe Fenea; ch'egli era più mordace, che non si con
rans. Indignari inde coepit, « Aetolos, tamquam viene a re, e nè anche tra gli affari serii si aste
neva dal beffare. Poi cominciò a mostrarsi sde
Romanos, decedi Graecia jubere; qui, quibus
finibus Graecia sit, dicere non possint. Ipsius gnato, a che gli Etoli, quasi fossero Romani, gli
enim Aetoliae Agraeos, Apodotosque et Amphi ordinassero di partire dalla Grecia, essi, che non
lochos, quae permagna eorum pars sit, Grae sanno dire quali sieno i confini della Grecia.
ciam non esse. An, quod a sociis eorum non Perciocchè gli Agrei, gli Apodoti e gli Anfilochi,
abstinuerim, justam querelam habent, quum ipsi popoli dell'Etolia, che ne formano una gran
pro lege hunc antiquitus morem servent, ut ad parte, non sono nella Grecia. Hanno essi forse
versus socios ipsi suos, publica tantum auctori dritto di querelarmi, perchè non ho rispettato
tate dempta, juventutem suam militare sinant, et i loro alleati, quando essi da tempo antico man
contrariae persaepe acies in utraque parte Aeto tengono, quasi legge, il costume di lasciare che
lica auxilia habeant? Neque ego Cium expugnavi, la lor gioventù, benchè non per pubblica delibe
sed Prusiam socium et amicum oppugnantem razione, militi contro i loro stessi alleati, e spes
sissimo i due contrarii eserciti abbiano da una
adjuvi; et Lysimachiamab Thracibus vindicavi:
sed, quia me necessitas ad hoc bellum a custodia parte e dall'altra gli aiuti degli Etoli ? Nè ho io
ejus avertit, Thraces habent. Et Aetolis haec. preso Chio, ma ho soccorso Prusia, alleato ed
Attalo autem Rhodiisque nihil jure debeo: non amico, che la combatteva ; e tolsi Lisimachia
enim a me, sed ab illis, principium belli ortum dalle mani de'Traci: se non che i Traci la ten
est. Romanorum autem honoris causa Peraeam gono ancora, perchè la necessità di accorrere a
Rhodiis, et naves Attalo cum captivis, qui com questa guerra mi distolse dal custodirla. Questo
parebunt, restituam. Nam quod ad Nicephorium è per gli Etoli. Ad Attalo poi ed ai Rodiani nulla
Venerisque templi restitutionem attinet; quid debbo di ragione; perciocchè il principio del
ca restitui postulantibus respondeam ? nisi, quo la guerra non venne da me, ma sì da loro. Però
uno modo luci silvacque caesae restitui possunt, ad onorare i Romani, renderò Perca a quei di
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euram impensamgue sationis me praestaturum; Rodi, e ad Attalo le navi coi prigioni, che si
quoniam haec inter se reges postulare et respon troveranno. Perciocchè quanto al Niceforio ed
dere placet. - Extrema eius oratio adversus A al tempio di Venere, che posso rispondere a
chaeos fuit: in qua, orsus ab Antigoni primum, quelli, che me ne chiedono la restituzione ? se
suis deinde erga eam gentem meritis, recitari non se, che in quel modo solo, con cui si possono
decreta eorum jussit, omnes divinos humanosque rimettere i boschi e le selve tagliate, sosterrò
honores complexa; atque ad ea adjecit recens de la cura e la spesa della piantagione; giacchè
exercitu, quo ab se descivissent. Invectusque si vuol pure tra re fare e chiedere di simili do
graviter in perfidiam eorum, « Argos tamen se mande e risposte.» L'ultima parte del suo discor
redditurum eis, dixit. De Corintho cum impera so fu contro gli Achei, nella quale, cominciando
tore Romano deliberaturum esse; quaesiturumque primieramente dai meriti di Antigono; poscia
simulab eo, utrum iis tantum urbibus decedere da'suoi verso quella nazione, fe” recitare i loro
se aequum censeat, quas a se ipso captas jure decreti contenenti tutti i divini ed umani onori
belli habeat, an iis etiam, quas a majoribus suis impartitigli; a quali aggiunse il recente decreto
accepisset. » intorno all'esercito, per cui si son ribellati con
tro lui. Ed avendo acremente inveito contro
la loro perfidia, «pur, disse, avrebbe a'medesimi
restituito Argo. Quanto a Corinto, ne terrebbe
consulta col comandante Romano, e insieme gli
chiederebbe, se stimasse giusto ch'egli avesse
a lasciare solamente le città, che possedeva per
dritto di guerra, ovvero eziandio quelle, che
aveva ereditate da suoi maggiori. »
XXXV. Parantibus Achaeis Aetolisque ad ea XXXV. Apparecchiandosi gli Achei e gli Eto
respondere, quum prope occasum sol esset, di li a rispondergli, essendo il sole presso all'occaso,
lato in posterum diem colloquio, Philippus in differito il parlamento al dì seguente, tornò Fi
stationem, ex qua profectus erat, Romani socii lippo alle stanze, dond'era venuto; i Romani e
que in castra redierunt. Quintius postero die gli alleati a loro alloggiamenti. Quinzio il dì poi
ad Nicaeam (is enim locus placuerat) ad consti venne a Nicea (quest'era il luogo convenuto) al
tutum tempus venit. Philippi nullus usquam nec tempo stabilito. Di Filippo per alquante ore non
nuncius ab eo per aliquot horas veniebat; et jam veniva nè anche messo, e già disperandosi che
desperantibus venturum repente apparuerunt più venisse, ecco improvvisamente apparire le
naves. At ipse quidem, a quum tam gravia et navi. Ed egli diceva, a che essendogli state impo
indigna imperarentur, inopem consilii diem se ste sì gravi ed indegne condizioni, povero di
consumpsisse deliberando, aiebat. » Vulgo crede consiglio, avea consumato tutto il giorno delibe
batur, de industria rem in serum tractam, ne rando. » Credevasi comunemente ch'egli avesse
tempus dari posset Achaeis Aetolisque ad respon tardato a posta, onde non si desse tempo agli
dendum. Eteam opinionem ipse affirmavit, pe Achei ed agli Etoli di rispondere, ed egli stesso
tendo, ut, submotis aliis, ne tempus altercando confermò questa opinione chiedendo che, rimossi
tereretur, et aliquis finis rei imponi posset, cum tutti gli altri, acciocchè non si consumasse il
ipso imperatore Romano liceret sibi colloqui. Id tempo altercando, e si potesse condursi a qualche
primo non acceptum, ne excludi colloquio vide fine, che gli fosse dato di trattare collo stesso
rentur socii: deinde, quum haud absisteret pete comandante Romano. Da principio la domanda
re, ex omnium consilio Romanus imperator cum non fu accettata, perchè non paresse che si esclu
Ap. Claudio tribuno militum, ceteris submotis, dessero gli alleati; poscia, non cessando egli
ad extremum litus processit. Rex cum duobus, d'insistere, coll'assentimento di tutti il coman
quos pridie adhibuerat, in terram est egressus. dante Romano insieme con Appio Claudio, tri
Ibi quum aliquamdiu secreto loculi essent, quae buno de'soldati, rimosso ogni altro, si fece in
acta ad suos Philippus retulerit, minus comper manzi sul lido estremo. Il reco'due, che aveva
tum est. Quintius haec retulit ad socios. « Ro seco il dì avanti, scese a terra. Quivi essendosi
manis eum cedere tota Illyrici ora, perfugas re intrattenuti alquanto segretamente, non ben si
mittere, ac si qui essent captivi. Attalo naves, et seppe quello, che Filippo riferisse a suoi. Quinzio
cum iis captos navales socios; Rhodiis regionem, riferì questo agli alleati; « ch'egli cedeva ai
quam Peraeam vocant, reddere: Jasso et Bargy Romani tutta la spiaggia dell'Illirico, consegnava
.liis non cessurum. Aetolis Pharsalum Larissam i disertori ed i prigioni, se ve ne fossero; rende
quereddere, Achaeis non Argis modo, sed etiam va ad Attalo le navi, e con esse le genti di mare,
679 TITI LIVII LIBER XXXII. 68o

Corintho cessurum. » Nulli omnium placere par che avea prese; ai Rodiani il paese, che chiamano
tium, quibus cessurus, aut non cessurus esset, Perea: non cederebbe nè Jasso, nè Bargilia; .
destinatio: « plus enim amitti in iis, quam ac rendeva agli Etoli Farsalo e Larissa; non rende
quiri: nec umquam, nisi tota deduxisset Grae va Tebe; ceduto avrebbe agli Achei non solamen
cia praesidia, causas certaminum deponere. » te Argo, ma eziandio Corinto. » A nessuna delle
parti piaceva ch'egli destinasse ciò, che voleva
cedere, o non voleva; « perciocchè in codesta
destinazione si perdeva più, che non si acquista
va; nè mai, se non toglieva da tutta la Grecia i
presidii, si sarebbon deposte le cagioni di contra
stare. º
XXXVI. Quum haec toto ex concilio certa XXXVI. Gridandosi a gara le cose stesse da
tim omnes vociferarentur, ad Philippum quoque tutta l'adunanza, ne giunse la voce sino a Filip
procul stantem vox est perlata: itaque a Quin po, ch'era lontano. Quindi chiede a Quinzio che
tio petit, ut rem totam in posterum diem differ differisca la cosa sino al di seguente; che certo o
ret; profecto aut persuasurum se, aut persuaderi li farebbe persuasi, o si persuaderebbe egli stesso.
sibi passurum. Litus ad Thronium colloquio de Si destina all' abboccamento il lido presso a
stimatur: eo mature conventum est. lbi Philippus Tronio: vi si recarono assai per tempo. Quivi
primo et Quintium et omnes, qui aderant, ro Filippo dapprima cominciò a pregare Quinzio e
gare, ne spem pacis turbare vellent. Postremo tutti quelli ch'eran presenti, che non volessero
petere tempus, quo legatos Romam ad senatum turbare la speranza della pace; indi chiese tempo,
mittere posset. - Aut his conditionibus se pacem onde poter mandare ambasciatori a Roma al
impetraturum, aut, quascumque senatus dedis senato. « O avrebbe ottenuta la pace a queste
set, leges pacis accepturum. » Id ceteris haud condizioni, o avrebbe accettate quelle qualun
quaquam placebat: mec enim aliud, quam moram que, che gli avesse imposte il senato. » Questo
et dilationem ad colligendas vires, quaeri. Quin agli altri non piaceva; chè non altro si cercava,
tius, « verum id futurum fuisse, dicere, si aestas che dilazione e ritardo a raccogliere nuove forze.
et tempus rerum gerendarum esset; nunc hieme Quinzio, « sarebbe vero, disse, qualora fossimo
instante, nihil amitti, dato spatio ad legatos mit di state, in tempo di operare; ma ora, soprastan
tendos. Nam neque sine auctoritate senatus quid do il verno, nulla si perdeva, dandogli tempo di
quam eorum ratum fore, quae cum rege ipsi pe mandare un'ambasciata. Perciocchè, nè senza
pigissent; et explorari (dum bello necessariam l'autorità del senato non varrebbe nessuna delle
quietem ipsa hiems daret) senatus auctoritatem cose, che pattuito avessero col re, e in questo
posse. » ln hanc sententiam et ceteri sociorum modo (mentre il verno portava necessariamente
principes concesserunt; induciisque datis in duos il riposar dalla guerra) si poteva esplorare la
menses, et ipsos mittere singulos legatos ad edo volontà del senato. » Accostaronsi a questo parere
cendum senatum, ne fraude regis caperetur, pla anche gli altri capi degli alleati, e datagli una
cuit. Additum induciarum pacto, ut regia prae tregua di due mesi, si trovò opportuno che
sidia Phocide ac Locride extemplo deducerentur. anch'essi mandassero ciascuno un ambasciatore
Et ipse Quintius cum sociorum legatis Amyman ad informare il senato, acciocchè non fosse preso
drum Athamanum regem, ut speciem legationi dalle frodi di Filippo. Fu aggiunto al patto della
adjiceret, Q. Fabium (uxoris Quintii sororis tregua, che si levassero subito dalla Focide e
filius erat ), et Q. Fulvium et Ap. Claudium mi dalla Locride i presidii del re. E Quinzio stesso
sit.
mandò cogli ambasciatori degli alleati Aminan
dro, re degli Atamani, per aggiungere deco
ro all'ambasceria, e insieme Quinto Fabio (era
questi figliuolo della sorella della moglie di
Quinzio), e Quinto Fulvio ed Appio Claudio.
XXXVII. Ut ventum Romam est, prius socio XXXVII. Come furono a Roma, fu data
rum legati, quam regis, auditi sunt: cetera eo udienza prima agli ambasciatori degli alleati, che
rum oratio conviciis regis consumpta est. Move a quelli del re: la maggior parte del lor discorso
runt eo maxime senatum, demonstrando maris fu consumata in invettive contro Filippo. Mossero
terrarumque regionis ejus situm: ut omnibus il senato particolarmente col dimostrare la posi
appareret, si Demetriadem in Thessalia, Chalci zione del mare e della terra di que paesi; sì che
dem in Euboea, Corinthum in Achaja rex tene fu chiaro ad ognuno che se il re tenesse Deme
set, non posse liberam Graeciam esse; et ipsum triade nella Tessaglia, Calcide nell'Eubea, Corinto
68 i TITI LIVII LIBER XXXII. 682

Philippum, non contumeliosius, quam verius, nell'Acaia, non poteva esser libera la Grecia,
compedes eas Graeciae appellare. Legati deinde e lo stesso Filippo non tanto con insolenza, quanto
regis intromissi: quibus, longiorem exorsis ora con verità le chiamava i ceppi della Grecia. Indi
tionem, brevis interrogatio, cessurusne iis tribus furono introdotti i legati del re, a quali, mentre
urbibus esset, sermonem incidit, quum mandati ordinavano un lungo ragionamento, una breve
sibi de his nominatim negarent quidquam : sic interrogazione interruppe il discorso, se avrebbe
infecta pace, regii dimissi. Quintio liberum ar cedute quelle tre città, sì o no; di che dissero
bitrium pacis ac belli permissum. Quod ut satis non aver essi nominatamente nessuna commissio
apparuit, non taedere belli senatum, et ipse vi me. Così, senza concluder la pace, i legati del re
etoriae, quam pacis avidior, neque colloquium furono licenziati. Il far la guerra o la pace fu
postea Philippo dedit, neque legationem aliam, rimesso al libero arbitrio di Quinzio. E come si
quam quae omni Graecia decedi nunciaret, ad vide chiaro non ispiacer la guerra al senato,
missurum dixit. Quinzio, più avido della vittoria, che della pace,
non consentì ad altri abboccamenti con Filippo,
e disse, che altra ambasceria non avrebbe ammes
sa, che quella, la quale gli annunziasse che si
lasciava tutta la Grecia.
XXXVIII. Philippus, quum acie decernen XXXVIII. Filippo vedendo che gli bisogna
dum videret, et undique ad se contrahendas vires, va pure venire a giornata, e da ogni parte racco
maxime de Achajae urbibus, regionis ab se diver gliere le forze presso di sè, inquieto specialmente
sae, et magistamen de Argis, quam de Corintho, per le città dell'Acaia, paese remoto, più però
sollicitus, optimum ratus Nabidi eam Lacedaemo per Argo, che per Corinto, stimò meglio conse
niorum tyranno velut fiduciarium dare, ut victori gnarla a Nabide, tiranno de'Lacedemoni, quasi
sibi restitueret; si quid adversi accidisset, ipse in deposito, acciocchè gliela restituisse, se fosse
haberet: Philocli, qui Corinthò Argisque praee egli vincitore, e se avvenisse alcun sinistro, la
rat, scribit, ut tyrannum ipse conveniret. Philo ritenesse per sè. Scrive a Filocle, ch'era alla cu
cles, praeterquam quod jam veniebat cum mune stodia d'Argo e di Corinto, che vada al tiranno.
re, adjicit ad pignus futurae regi cum tyranno Filocle, oltre che veniva con codesto regalo, ag
amicitiae, filias suas regem Nabidis filiis matri giunse in pegno della futura amicizia, che Filippo
monio conjungere velle. Tyrannus primo negare volea dare in matrimonio le sue figliuole ai
aliter urbem eam se accepturum, nisi Argivorum figliuoli di Nabide. Il tiranno negò dapprima di
ipsorum decreto arcessitus ad auxilium urbis es accettare quella città altrimenti, che chiamato
set. Deinde, ut frequenti concione non asper da decreto degli stessi Argivi a soccorrerla. Po
matos modo, sed abominatos etiam momen tyran scia, avendo inteso che gli Argivi in piena
mi audivit, causam se spoliandi eos nactum ratus, assemblea non solo aveano disprezzato, ma pur
tradere, ubi vellet, urbem, Philoclem jussit. No anche esecrato il nome del tiranno, parendogli
cte, ignaris omnibus, acceptus in urbem est ty aver trovata occasione di spogliarneli, disse a
ramnus: prima luce occupat superiora omnia lo Filocle, che gli consegnasse pure, quando volesse,
ca; portaeque clausae. Paucis principum tumul la città. ll tiranno, di notte, senza saputa di
tum inter primum elapsis, eorum absentium di nessuno, è introdotto in città. Sul far del giorno
reptae fortunae ; praesentibus aurum atque ar occupa egli tutte le eminenze; e si chiudono tutte
gentum ablatum ; pecuniae imperatae ingentes. le porte. Fuggiti sul primo tumulto alcuni pochi
Qui non cunctanter contulere, sine contumelia et de' principali, si confiscano agli assenti le sostan
laceratione corporum sunt dimissi; quos occulere ze; si toglie ai presenti tutto l'oro e l'argento;
aut retrahere aliquid suspicio fuit, in servilem si mettono grosse taglie. Quelli, che le pagano
modum lacerati atque extorti. Concione indead senza ritardo, son licenziati senza oltraggi, senza
vocata, rogationem promulgavit ; unam de tabu strazii delle persone; quelli, che caddero in
lis novis, alteram de agro viritim dividendo ; sospetto di occultare o sottrarre alcuna cosa,
duas faces novantibus res ad plebem in optima furono a guisa di schiavi lacerati e torturati,
tes accendendam. Indi, chiamato parlamento, propone due leggi;
una di abolire i debiti vecchi, l'altra di dividere
i terreni per testa; due fiaccole, di cui si servono
i novatori per infiammare la plebe contro gli
ottimati.
XXXIX. Postduam in potestate Argivorum XXXIX. Il tiranno, poi ch'ebbe in suo potere
civitas erat, nihil ejus memor tyrannus, a quo la città degli Argivi, niente ricordandosi da chi,
G83 TITI LIVII LIBER XXXII. 684
eam civitatem, et quam in conditionem accepis e a quali patti l'avesse ricevuta, manda legati a
set, legatos Elatiam ad Quintium et Attalum Quinzio in Elazia e ad Attalo, che svernava in
Aeginae hibernantem mittit, qui nunciarent, Egina, a dir loro, « ch'egli era padrone di Argo,
a Argos in potestate sua esse: eo si veniret Quin e se Quinzio venisse quivi ad abboccarsi con lui,
tius ad colloquium, non diffidere, sibi omia non dubitava egli che si sarebbero convenuti del
cum eo conventura. o Quintius, ut eo quoque tutto. » Quinzio, per ispogliare Filippo anche di
praesidio Philippum nudaret, quum admuisset se quel presidio, avendo consentito di venirvi,
venturum, mittit ad Attalum, utab Aegina Sicyo manda ad avvisare Attalo che da Egina venga
mem sibi occurreret: ipse ab Anticyra decem ad incontrarlo a Sicione: egli da Anticira con
quinqueremibus, quasiis forte ipsis diebus L. dieci quinqueremi, che a caso in quel dì medesimi
Quintius frater ejus adduxerat ex hibernis Cor gli avea condotte suo fratello Lucio Quinzio
cyrae, Sicyonem transmisit. Jam ibi Attalus erat; dalla stazione di Corcira, passa a Sicione. E già
qui, quam tyranno ad Romanum imperatorem, Attalo ci era; il quale dicendo che dovea il
non Romano ad tyrannum, eundum diceret, in tiranno venire al comandante Romano, non il
sententiam suam Quintium traduxit, ne in ur Romano al tiranno, trasse Quinzio nel suo parere,
bem ipsam Argos iret. Haud procul urbe Myce ch'egli non andasse ad Argo. Si convenne di
nica vocatur: in eo loco ut congrederentur, con abboccarsi in un luogo, non discosto da Argo,
venit. Quintius cum fratre et tribunis militum detto Micenica. Quinzio vi andò col fratello e con
paucis, Attalus cum regio comitatu, Nicostratus pochi tribuni de'soldati; Attalo con la sua corte,
Achaeorum praetor cum auxiliaribus paucis ve Nicostrato pretore degli Achei con pochi ausilia
nit. Tyrannum ibi cum omnibus copiis opperien ri. Trovaron quivi il tiranno, che aspettava con
tem invenerunt: progressus armatus cum satel tutte le sue genti: si fe'egli innanzi armato
litibus armatis est in medium fere interjacentis co' suoi satelliti armati quasi nel mezzo della
campi: inermis Quintius cum fratre et duobus circostante pianura: Quinzio vi venne disarmato
tribunis militum : inermi item regi praetor A col fratello e con due tribuni de'soldati, e così
chaeorum et unus ex purpuratislatus cingebant. Attalo, pur disarmato, con a fianchi il pretore
Initium sermonis ab excusatione tyranni ortum, degli Achei ed uno de' suoi principali cortigiani.
« quod armatus ipse armatisque septus, quum Il discorso cominciò dall'escusazione del tiranno,
inermes Romanum imperatorem regemdue cer « perchè fosse venuto armato e cinto di armati,
neret, in colloquium venisset: meque enim se illos mentre vedeva disarmati e il comandante Roma
timere, dixit, sed exsules Argivorum. » Inde, no e il re; chè non temeva di loro, ma de fuor
ubi de conditionibus amicitiae coeptum agi est, usciti Argivi. » Indi, come si cominciò a trattare
Romanus duas postulare res: unam, ut bellum delle condizioni della lega, il comandante Roma
cum Achaeis finiret: alteram, ut adversus Philip no chiese due cose: una, che Nabide finisse la
pum mitteret secum auxilia. Ea se missurum di guerra cogli Achei; l'altra, che gli mandasse
xit: pro pace cum Achaeis, induciae impetratae, soccorsi contro Filippo. Il tiranno disse che gli
donec bellum cum Philippo finiretur. avrebbe mandati: invece della pace con gli Achei,
si ottenne una tregua sino a che fosse finita la
guerra con Filippo.
XL. De Argis quoque disceptatio ab Attalo XL. Nacque eziandio disputa per parte del re
rege est mata, quum fraude Philoclis proditam Attalo intorno ad Argo, dicendo che il tiranno,
urbem vi ab eo teneri argueret; ille, ab ipsis avutala per frode da Filocle, la teneva forzata
Argivis, ut se defenderet, accitum. Concionem mente; ed egli, ch'era stato chiamato dagli stessi
Argivorum rex postulabat, utid sciri posset. Nec Argivi a difenderla. Il re domandava un'assem
tyrannus abnuere; sed deductis ex urbe praesi blea di Argivi, onde sapere il vero. Nè il tiranno
diis, liberam concionem, non immixtis Lacedae ricusava; ma il re diceva dover essere libera
moniis, declaraturam, quid Argivi vellent, prae l'assemblea, trattone fuori il presidio, senza me
beri debere dicebat rex. Tyrannus megavit dedu scolanza di Locedemoni, e così allora dichiarereb
cturum. Haec disceptatio sine exitu fuit. Decol be, cosa volessero gli Argivi. Il tiranno negò di
loquio discessum, sexcentis Cretensibus ab tyran ritrarne il presidio. Questa disputa finì in nulla.
no datis Romano, induciisque inter Nicostratum Partironsi dall'abboccamento, dando il tiranno
praetorem Achaeorum et Lacedaemoniorum ty seicento Cretesi al Romano, e fatta tregua di
rannum in quatuor menses factis. Inde Quintius quattro mesi tra Nicostrato, pretore degli Achei e
Corinthum est profectus, et ad portam cum Cre il tiranno dei Lacedemoni. Di là Quinzio andò a
tensium cohorte accessit, ut Philocli praefecto Corinto, e si accostò alla porta colla coorte dei
urbis appareret, tyrannum a Philippo descisse. Cretesi, onde Filocle, prefetto della città, cono
685 TITI LIVII LIBER XXXII.
686
Philocles et ipse ad imperatorem Romanum in scesse che il tiranno s'era staccato da Filippo.
colloquium venit; hortantique, ut extemplo Anche Filocle venne ad abboccarsi col comandan
transiret, urbemque traderet, ita respondit, ut
te Romano, ed esortato a subito passare alla
distulisse rem magis, quam negasse videretur. A
parte dei Romani e a consegnare la città, rispose
Corintho Quintius Anticyram trajecit: indefra
in maniera, che parve piuttosto differire, che
trem ad tentandam Acarnanum gentem misit. negare la cosa. Da Corinto Quinzio passò ad
Attalus ab Argis Sicyonem est profectus. Ibi et Anticira: di là mandò il fratello a tentare la
civitas movis honoribus veteres regis honores au nazione degli Acarnani. Attalo da Argo passò a
xit; et rex ad id, quod sacrum Apollinis agrum Sicione. Quivi la città accrebbe con nuovi onori
grandi quondam pecuniaredemerateis,tum quo gli antichi onori del re, e il re, oltre che avea
que, ne sine aliqua munificentia praeteriret civi nel tempo scorso ricuperato loro con grossa
tatem sociam atque amicam, decem talenta argenti somma il terreno sacro ad Apollo, anche allora,
dono dedit, et decem millia medimnum frumenti:
per non lasciare partendo una città alleata ed
atque ita Cenchreas ad naves rediit. Et Nabis, amica senza qualche munificenza,le diede in dono
firmato praesidio Argis Lacedaemonem regressus, dieci talenti d'argento e dieci mila misure di
quum ipse viros spoliasset, ad feminas spoliandas grano, e quindi tornò alle navi a Cencera. E
uxorem Argos remisit. Ea nunc singulas illustres,
Nabide, rinforzato il presidio di Argo, tornato a
munc simul plures genere inter se junctas domum Lacedemone, poi ch'ebbe egli spogliati gli uomi
arcessendo, blandiendoque ac minando, non au
ni, mandò sua moglie a spogliare le donne Argi
rum modo iis, sed postremo vestem quoque mun ve. Costei ora invitando le signore più illustri
dumque omnem muliebrem ademit. una ad una, ora ad un tempo parecchie insieme
unite di parentado, accarezzando e minacciando,
tolse ad esse non solamente l'oro, ma infine anche
le vesti ed ogni donnesco addobbamento.
TITI LIVII PATAVINI

H I S T O R I A R U MI

AB URBE CONDITA LIBRI

- +8; 69 o 3i

EPITOMIE

LIBRI TRIGESIMI TERTII

T Quintius Flamininus proconsuleum Philippo ad Ii proconsole Tito Quinzio Flaminino, vinto Filip
Cynoscephalas in Thessalia acie victo debellavit. L. po in giornata campale presso Cinosceſala nella
Quintius Flamininus, frater proconsulis, Acarnanes, Tessaglia, pose fine a quella guerra. Lucio Quinzio
Leucade urbe, quod caput est Acarnanum, expugnata, Flaminino, fratello del proconsole, presa Leucade,
in deditionem accepit. C. Sempronius Tuditanus città capitale degli Acarnani, li sottomise. Il pretore
praetor a Celtiberis cum exercitu caesus est. Attalus, Caio Sempronio Tuditano fu tagliato a pezzi con
a Thebis ob subitam valetudinem Pergamum transla l'esercito dai Celtiberi. Attalo, da Tebe traspor
tus, decessit. Pax petenti Philippo, Graeciae libertas tato a Pergamo per subitana malattia, vi morì. Si
data est. L. Furius Purpureo et Claudius Marcellus die' la pace a Filippo, che la chiedeva : alla Gre
consules Bojos et Insubres Gallos subcgerunt. Marcel cia la libertà. I consoli Lucio Furio Purpureone e
lus triumphavit. Hannibal, frustra in Africa bellum Claudio Marcello soggiogarono i Boi e i Galli Insubri.
molitus, et ob hoc Romanis per epistolas adversae Marcello trionfò. Annibale, avendo tentato invano di
factionis principum delatus, propter metum Romano riaccendere la guerra in Africa, e per questo denun
rum, qui legatos ad Carthaginiensium senatum de eo ziato ai Romani per lettere dei capi della contraria
miserani, profugus ad Antiochum regem Syriae se fazione, temendo dei Romani, che aveano mandati
contulit, bellum contra Romanos parantem. ambasciatori al senato di Cartagine sul di lui conto,
profugo si recò ad Antioco, re della Siria che si ap
parecchiava a far la guerra contro i Romani.

Livio 2
44
TITI LIVII
L I B E R TR I G E s 1 M Us T E RTI Us

:> 3G

I. (Anno U. C. 555. – A. C. 197.) Haee per I. (Anni D. R. 555. – A. C. 197) Queste s0n

hiemem gesta. Initio autem veris, Quintius, le cose fatte nella vernata. Quinzio poi sul prin
Attalo Elatiam excito, Boeotorum gentem, in cipio della primavera, chiamato Attalo ad Elazia,
certis ad eam diem animis fluctuantem, ditionis bramando di soggiogare la nazione dei Beozii
suae facere cupiens, profectus per Phocidem, sino a quel dì incerti, fluttuanti, attraversata la
quinque millia ab Thebis, quod caput est Boeo Focide, si accampò a cinque miglia da Tebe,
tiae, posuit castra. Inde postero die cum unius città capitale della Beozia. Il dì seguente, con una
signi militibus, et Attalo, legationibusque, quae sola compagnia di soldati, con Attalo e con le
frequentes undigue convenerant, pergit ire ad ambascerie, che gli si erano raccolte intorno da
urbem, jussis legionis hastatis, (ea duo millia ogni parte, si avvia verso la città, dato ordine
militum erant) sequi se, mille passuum intervallo agli astati di una legione (erano da due mila
distantes. Ad medium ferme viae Boeotorum soldati) di seguitarlo alla distanza di mille passi.
praetor Antiphilus obvius fuit: cetera multitudo Alla metà circa della strada gli si fe” incontro An
e muris adventum imperatoris Romani regisque tifilo, pretore de Beozii; l'altra moltitudine
prospeculabatur. Rara arma paucique milites circa contemplava dalle mura la venuta del comandan
eos apparebant: hastatos, sequentes procul, an te Romano e del re. Vedeansi d'intorno a loro
fractus viarum vallesque interjectae occulebant. poche armi e pochi soldati; gli astati che segui
Quum jam appropinquaret urbi, velut obviam vano di lontano, erano occultati dalle svolte delle
egredientem turbam salutaret, tardius incede strade e dalle valli frapposte. Nell'avvicinarsi
bat: caussa erat morae,ut hastati consequerentur. alla città, quasi per salutare la turba che gli ve
Oppidani, ante lictorem turba acta, insecutum niva incontro, camminava più lentamente; la
confestim agmen armatorum non ante, quam cagione della lentezza era, perchè gli astati il se
ad hospitium imperatoris ventum est, conspexe-. guitassero. I terrazzani, mentre il littore sospin
re. Tum, velut prodita dolo Antiphili praetoris geva innanzi la turba, non si accorsero della
urbe captaque, obstupuerunt omnes. Et appare gente armata, che veniva seguitando in gran
bat, nihil liberae consultationis concilio, quod fretta, se non se quando si fu presso all'alloggia
in diem posterum indictum erat Boeotis, reli mento del comandante. Allora tutti rimasero sba
ctum. Texerunt tamen dolorem, quem et nequid lorditi, quasi la città fosse stata presa per frode
quare., et non sine periculo ostendissent. del pretore Antifilo. E si vedeva che non re
stava nessuna libertà di consultare all'assemblea,
ch'era stata intimata ai Beozii pel dì seguente.
Celarono la doglia, che mostrata avrebbero inu
tilmente, e non senza pericolo.
II. In concilio Attalus primus verba fecit. II. Nell'assemblea Attalo si fe' primo a par
Orsus a majorum suorum suisque, et communi lare. Dato principio dai meriti de'suoi maggiori
bus in omnem Graeciam, et propriis in Boeoto e dai proprii, sì generalmente verso la Grecia,
695 TITI LIVII LIBER XXXIII. 696
rum gentem meritis, segnior jam et infirmior, che particolarmente verso la nazione de'Beozii,
quam ut contentionem dicendi sustineret, obmu già fatto tardo e infievolito tanto da non poter
tuit et concidit. Et, dum regem auferunt perfe reggere alla veemenza del discorso, si tacque, e
runtgue parte membrorum captum, paullisper stramazzò. E intanto che levano e trasportano
concio intermissa est. Aristaemus inde, Achaeo altrove il re, perduto di parte delle membra, per
rum praetor, eo cum majore auctoritate auditus, alcun po' di tempo il parlamento fu interrotto.
quod non alia, quam quae Achaeis suaserat, Poscia Aristeno, pretore degli Achei, fu ascoltato
Boeotis suadebat. Pauca ab ipso Quintio adje con tanto maggior favore quanto che non altro
cta, fidem magis Romanam, quam arma aut consigliava ai Beozii, che quello stesso, che avea
opes, extollente verbis. Rogatio inde, a Plataeensi consigliato agli Achei. Poche cose aggiunse Quin
Dicaearcho lata recitataque, de societate cum zio, più esaltando la fede, che l'armi e la poten
Romanis jungenda, nullo contra dicere audente, za Romana. Indi fatta e recitata da Dicearco di
omnium Boeotiae civitatium suffragiis accipitur Platea la proposta di stringersi in lega coi Ro
jubeturque. Concilio dimisso, Quintius tantum mani, nessuno osando contraddire, fu dai voti di
Thebis moratus, quantum Attali repens casus tutte le città della Beozia accettata e comandata.
coégit, postguam non vitae praesens periculum Licenziata l'assemblea, Quinzio, fermatosi a Tebe
vis morbi attulisse, sed membrorum debilitatem solamente per quanto ve l'obbligò l'improvviso
visa est, relicto eo ad curationem necessariam accidente di Attalo, poi che parve che il colpo
corporis, Elatiam, unde profectus erat, redit; non gli apportasse pericolo in presente della vita,
Boeotis quoque, sicut prius Achaeis, ad societa ma soltanto debolezza delle membra, lasciatolo
tem adscitis, et, quando tuta ea pacataque ab quivi alla necessità della cura, tornò ad Elazia,
tergo relinquebantur, omnibus jam cogitationi dond'era partito; toltisi ad alleati anche i Beozii,
bus in Philippum, et quod reliquum belli erat, come già prima gli Achei; e poi che tutto alle
conversis. spalle rimaneva quieto e sicuro, volgendo ogni
pensiero contro Filippo, e verso quanto gli re
stava a terminare la guerra.
III. Philippus quoque primo vere, postguam III. Anche Filippo, sul principio della prima
legati ab Roma nihil pacati retulerant, delectum vera, poi che gli ambasciatori non gli recavan
per omnia oppida regni habere instituit in ma di Roma speranza alcuna di pace, cominciò a far
gna inopia juniorum. Absumpserantenim per leve per tutte le città del regno, scarseggiando
multas jam aetates continua bella Macedonas: assai di gioventù. Perciocchè le guerre per molti
ipso quoque regnante, et navalibus bellis adver e molti anni continuate aveano esauste le forze
sus Romanos ceciderat magnus numerus. Ita et dei Macedoni, e n'era perito un gran numero,
tirones ab sedecim annis milites scribebat, et anche durante il suo regno sì nelle guerre navali
emeritis quidam stipendiis, quibus modo quid contro i Rodiani, contro Attalo, sì nelle terrestri
quam reliqui roboris erat, ad signa revocaban contro i Romani; quindi levava i giovanetti dai
tur. Ita suppleto exercitu, secundum vernum ae sedici anni in su; e si richiamavano sotto le inse
quinoctium omnes copias Dium contraxit; ibique gne anche alcuni de'già congedati, perchè restava
stativis positis, exercendo quotidie milite, hostem loro qualche vigore. Così messo a compimento
opperiebatur. Et Quintius per eosdem ferme l'esercito, verso l'equinozio di primavera rac
dies, ab Elatia profectus, praeter Thronium et colse tutte le forze a Dio; e posti quivi i quartieri,
Scarpheam ad Thermopylas pervenit. Ibi conci ogni dì esercitando il soldato, aspettava il nemico.
lium Aetolorum, Heracleam indictum, tenuit, In que'dì medesimi anche Quinzio, partito da
consultantium quantis auxiliis Romanum ad bel Elazia, oltrepassato Tronio e Scarfea, giunse alle
lum sequerentur. Cognitis sociorum decretis, ter Termopile. Quivi il ritenne l'assemblea degli
tio die ab Heraclea Xynias progressus, in confi Etoli, intimata in Eraclea, che consultava quante
mio Aenianum Thessalorumque positis castris, genti mandar dovesse a far la guerra in società
Aetolica auxilia opperiebatur. Nihil morati Aetoli co Romani. Intesi i decreti degli alleati, porta
sunt: Phaenea duce, duo millia peditum cum equi tosi il terzo giorno da Eraclea a Xinia, accarapa
tibus quadringentis venerunt: ne dubium esset, tosi ne' confini degli Eniani, e dei Tessali, atten
quid exspectasset, confestim Quintius movit ca deva i soccorsi degli Etoli. Nè gli Etoli tardarono.
stra. Transgresso in Phthioticum agrum quin Vennero, condotti da Fenea, due mila fanti con
genti Gortynii Cretensium, duce Cydante, et tre quattrocento cavalli. Perchè non fosse dubbio
centi Apolloniatae, haud dispari armatu, se con qual cosa avesse aspettato, mosse subito Quinzio
junxere: nec ita multo post Amymander cum il campo. Passato nel territorio Ftiotico, gli si
Athamanum peditum ducentis et mille. Philippus, unirono cinquecento Gortinii di Creta sotto la
697 TITI LIVII LIBER XXXIII. 698
cognita profectione ab Elatia Romanorum, ut condotta di Cidante, e trecento Apolloniati, ar
cui de summa rerum adesset certamen, adhortan mati alla stessa guisa ; e non molto di poi il re
dos milites ratus, multa jam saepe memorata de Aminandro con mille e dugento fanti degli Atama
majorum virtutibus, simul de militari laude Ma ni. Filippo, saputa la partenza dei Romani da
cedonum, quum disseruisset, ad ea, quae tum Elazia, stimando, come quello, cui sovrastava il
maxime animos terrebant, quibusque erigi ad ali dover combattere per la somma delle cose, che
quam spem poterant, venit. fosse bene incoraggiare il soldato, poi ch'ebbe
più volte rammentate loro le virtù del maggiori,
non che la gloria militare dei Macedoni, venne a
quello, che allora specialmente gli atterriva, e con
che poteva rialzarli alquanto a speranza.
IV. Acceptae ad Aoum flumen in angustiis IV. Alla rotta avuta nelle strettezze presso il
cladi, territa Macedonum phalange, ad Atracem fiume Aoo, per lo spavento messosi nella falange
vi pulsos Romanos opponebat: « et illic tamen, dei Macedoni, opponeva egli i Romani respinti di
ubi insessas fauces Epiri non tenuissent, primam viva forza presso Atrace; « ed anche colà, dove
culpam fuisse eorum, qui negligenter custodias non avean tenute salde le gole dell'Epiro, la
servassent; secundam, in ipso certamine, levis prima colpa fu di quelli che negligentemente le
armaturae mercenariorumque militum. Macedo custodirono; la seconda, nella stessa mischia, de
num vero phalangem et tunc stetisse, et loco ae gli armati alla leggera e dei soldati mercenarii.
quojustaque pugna semper mansuram invictam.» Ma la falange dei Macedoni e tenne allora piè
Decem et sex millia militum haec fuere, robur fermo, e in luogo non isvantaggioso e in giusta
omne virium et regni: ad hoc duo millia caetra battaglia rimarrebbe sempre invincibile. “ L'e
torum, quos peltastas appellant, Thracumque et sercito di Filippo era di sedici mila soldati, in
Illyriorum (Trallis nomen est genti) par nume che stava tutto il nerbo delle sue genti e del
rus bina millia erant, et mixti ex pluribus gen regno. Si aggiungevano due mila cetrati, che
tibus mercede conducti auxiliares mille ferme, et chiamano peltasti, e simil numero di Traci e d'll
duo millia equitum. Cum iis copiis rex hostem lirici (nazione detta dei Tralli), e a un dipresso
opperiebatur. Romanis ferme par numerus erat, mille ausiliarii condotti a prezzo, mescuglio di
equitum copiis tantum, quod Aetoli accesserant, tutte le nazioni, e due mila cavalli. Con queste
superabant. forze il re aspettava il nemico. Era eguale all'in
circa il numero dei Romani; solamente supera
vano in cavalli, per la unione degli Etoli.
V. Quintius ad Thebas Phthioticas castra V. Quinzio, mosso il campo presso Tebe nella
quum movisset, spem mactus per Timonem prin Ftiotide, venuto a speranza d'impadronirsene
cipem civitatis prodi urbem, cum paucis equitum per tradimento di Timone, uno de' primi della
levisque armaturae ad muros successit. Ibi adeo città, si fe” sotto le mura con pochi cavalli e po
frustrata spes est, ut non certamen modo cum chi armati alla leggera. Quivi la speranza gli andò
erumpentibus, sed periculum quoque atrox su fallita sì fattamente, ch'ebbe non solamente a
biret; ni castris exciti repente pedites equitesque combattere contro una sortita de terrazzani, ma
in tempore subvenissent. Et postauam nihil con corse anche pericolo gravissimo, se non si fossero
ceptae temere spei succedebat, urbis quidem am mossi in fretta dal campo fanti e cavalli a soccor
plius tentandae in praesentia conatu absistit: ce rerlo. E poi che non gli riusciva punto la spe
terum satis gnarus, jam in Thessalia regem esse, ranza leggermente concepita, si astenne in pre
nondum comperto, quam in regionem venisset, sente da ogni altro tentativo contro la città; ben
milites per agros dimissos vallum caedere et pa sapendo del resto, che Filippo era di già in Tes
rare jubet. Vallo et Macedones et Graeci usi sunt; saglia; però tuttora ignorando in qual parte
sed usum nec ad commoditatem ferendi, nec ad fosse andato, ordina a soldati che vadano per
ipsius munitionis firmamentum aptaverunt. Nam la campagna a tagliar pali ad uso di steccato. Usa
et majores et magis ramosas arbores caedebant, rono lo steccato anche i Macedoni ed i Greci,
quam quas ferre cum armis miles posset; et ma non seppero usarne nè quanto alla comodità
quum castra his ante objectis sepsissent, facilis del trasporto, nè quanto alla solidità della difesa.
molitio eorum valli erat: nam et quia rari stipi Perciocchè tagliavano gli alberi più grandi e più
tes magnarum arborum eminebant, multique et ramosi di quello, che portar potesse il soldato
validi rami praebebant, quod recte manu cape insieme coll'armi, e quando piantatili dinanzi al
retur, duo, aut summum tres juvenes connisi ar campo, ne lo avean tutto accerchiato, era facile
borem unam e vellebant. Qua evulsa, portae in demolire codesta sorta di steccato. In fatti, e per
699 TITI LIVII LIBER XXXIII. 7oo

star extemplo patebat, nec in promptu erat, quod chè i rari tronchi degli alberi sopravanzavano, e
obmolirentur. Romanus leves et bifurcos pleros molti e robusti rami offerivano, con che pigliarli
que, et trium, aut, quum plurimum, quatuor ra forte con le mani, due o al più tre giovani facen
morum vallos caedit, ut et suspensis ab tergo ar do forza, spiantavano un albero; spiantato il
mis ferat plures simulapte miles; etita densos quale, c'era subito quasi una porta spalancata,
obfigunt implicantaue ramos, ut neque, quae cu nè si aveva in pronto, con che rinturarla. Il Ro
jusque stipitis palma sit, pervideri possit; et adeo mano taglia i pali liscii, la maggior parte bifor
acuti, aliusque per alium immissi radii locum ad cati, e di tre o al più di quattro rami, onde il
inserendam manum non relinquunt, ut neque soldato, appese l'armi dietro la schiena, portar
prehendi, quod trahatur, neque trahi, quum in ne possa comodamente un maggior numero. E sì
ter se innexi rami vinculum in vicem praebeant, fitti li piantano, e ne intrecciano i rami, che non
possit ; et si evulsus forte est unus, nec loci mul si può scorgere a qual tronco ciascun ramo ap
tum aperit, et alium reponere perfacile est. partenga ; e questi pali acuti, e gli uni frammessi
negli altri non lascian luogo d'inserirvi la mano,
sì che nè si può afferrare ciò, che pur si vorrebbe
trarre, nè trarlo, stringendosi a vicenda i rami
gli uni tra gli altri intrecciati; e se a caso un palo
fosse divelto, nè fa grande apertura, ed è assai
facile riporvene un altro.
VI. Quintius postero die, vallum secum fe VI. Quinzio il dì seguente, portando il soldato
rente milite, ut paratus omni loco castris ponen i pali con seco per esser pronto a piantare il
dis esset, progressus modicum iter, sex ferme campo in ogni luogo, inoltratosi per poco tratto,
millia a Pheris quum consedisset, speculatum in fermatosi alla distanza quasi di sei miglia da Fere,
qua parte Thessaliae hostis esset, quidve pararet, mandò a spiare in qual parte della Tessaglia fosse
misit. Circa Larissam erat rex, qui certior jam il nemico, e che macchinasse. Stava il re presso
factus, Romanum ab Thebis Pheras movisse, de a Larissa, e già accertato che il Romano s'era
fungi quamprimum et ipse certamine cupiens, mosso da Tebe inverso Fere, bramando esso pure
ducere ad hostem pergit, et quatuor millia fere di venire quanto prima a giornata, si mette alla
a Pheris posuit castra. Inde postero die quum volta del nemico; e si accampò a quattro miglia
expediti utrimogue ad occupandos super urbem circa da Fere. Poscia il dì seguente, essendosi
tumulos processissent, pari ferme intervallo ab mossi d'ambe le parti alcuni armati alla leggera
jugo, quod capiendum erat, quum inter se con ad occupare le alture sovrastanti alla città, vedu
specti essent, constiterunt; nuncios in castra re tisi gli uni e gli altri a distanza quasi eguale dal
missos, qui, quid sibi, quum praeter spem hostis giogo, che si doveva pigliare, fecer alto, quivi
occurrisset, faciendum esset, consulerent, quieti aspettando i messi mandati al campo a chiedere
opperientes. Etillo quidem die, nullo inito cer che dovessero fare, essendosi fuori d'aspettazio
tamine, in castra revocati sunt. Postero die circa ne trovati a fronte del nemico. E in quel dì,
eosdem tumulos equestre proelium fuit; in quo senza appiccare battaglia, furono richiamati al
non minimum Aetolorum opera regii fugati, at campo. L'altro giorno vi fu uno scontro di ca
que in castra compulsi sunt. Magnum utrisque valli intorno a quelle stesse colline; nel quale
impedimentum ad rem gerendam fuit ager consi specialmente per opera degli Etoli le genti del
tus crebris arboribus, hortique, ut in suburbanis re furono messe in fuga, e respinte negli allog
locis, et coarctata itinera maceriis, et quibusdam giamenti. Fu grande impedimento a combattere
locis interclusa. Itaque pariter ducibus consilium sì per gli uni, che per gli altri il terreno piantato
fuit excedendi ea regione, et, velut ex praedicto, tutto di spessi alberi, e gli orti, come ce n'ha
ambo Scotussam petierunt; Philippus, spe fru ne' luoghi suburbani, e le strade angustiate dalle
mentandi inde; Romanus, ut praegressus cor macerie, e in certi luoghi ostrutte affatto. Si
run peret hosti frumenta. Per diem totum, quia consigliarono adunque ad uno stesso modo i co
colles perpetuo jugo intererant, nullo conspecta mandanti di uscire da quel sito; ed ambedue,
inter se loco agmina ierunt. Romani ad Eretriam quasi di concerto, si avviarono a Scotussa, Filip
Phthiotici agri, Philippus super amnem Onche po per isperanza di mieter biade, il Romano per
stum posuit castra. Ne postero quidem die, quum guastarle, correndo innanzi, al nemico. Tutto
Philippus ad Melambium, quod vocant Scotussaei quel giorno, perchè v'era di mezzo una continua
agri, Quintius circa Thetidium Pharsaliae terrae corona di colline, le schiere camminarono senza
posuisset castra, authi, aut illi, ubi hostis esset, mai vedersi in nessun luogo. I Romani presero
satis compertum habuerunt. Tertio die primo il campo presso Eretria nel territorio Ftiotico,
7o I TITI LIVIl Lllil, R XXXll I. 7o2

nimbus effusus, dein caligo noctis simillima Ro Filippo sul fiume Onchesto. Nè anche il dì se
manos metu insidiarum tennit. guente, Filippo essendosi accampato presso il così
detto Melambio, nel territorio di Scotussa, Quin
zio ne' contorni di Tetidio, appartenente a Far
salo, nè gli uni, nè gli altri seppero con certezza
dove fosse il nemico. Il terzo giorno dapprima
un nembo dirottissimo, poi una caligine, fitta co
me notte, trattenne i Romani per tema di ag
guati.
VII. Philippus maturandi itineris causa, post VII. Filippo per accelerare il cammino, niente
imbrem nubibus in terram demissis nihil deter spaventato, dopo la pioggia, de nugoli calati a
ritus, signa ferri jussit: sed tam densa caligo ob terra, fe” levare il campo. Ma sì densa caligine
caecaverat diem, ut neque signiferi viam, mec ottenebrato aveva il giorno, che nè i porta inse
signa milites cernerent; agmen ad incertos cla gne vedevano la strada, nè i soldati le insegne;
mores vagum velut errore nocturno turbaretur. e le schiere, vagando dietro ad incerti clamori,
Supergressi tumulos, qui Cynoscephalae vocan quasi in notturno smarrimento, si scompigliava
tur, relicta ibi statione firma peditum equitum no. Oltrepassate le alture, che si chiamano Cino
que, posuerunt castra. Romanus eisdem ad The scefale, messa quivi una grossa posta di fanti e
tidium castris quum se tenuisset, exploratum ta di cavalli, si accamparono. Il Romano, restato
men, ubi hostis esset, decem turmas equitum et essendo in quel suo campo a Tetidio, spedì però
mille pedites misit, monitos, ut ab insidiis, quas dieci squadre di cavalli e mille fanti ad esplorare
dies obscurus apertis quoque locistecturus esset, dove fosse il nemico, ammonitili a guardarsi da
praecaverent. Ubi ventum ad insessos tumulos gli agguati, che coperti avrebbe l'oscurità del
est, pavore mutuo injecto velut torpentes quie giorno, anche ne'luoghi più aperti. Come s'ebbe
verunt: dein, nunciis retro in castra ad duces messo il piede sulle alture occupate, colti ambe
missis, ubi primus terror abnecopinato visu con due da reciproca paura, quasi intorpiditi si re
sedit, non diutius certamine abstinuere. Principio staron quieti. Indi spediti de' messi indietro ai
a paucis procurrentibus lacessita pugna est, dein comandanti, come il primo terrore per l'impen
de subsidiis tuentium pulsos aucta: in qua quum sata vista si calmò, non si astennero più a lungo
haudquaquam pares Romani alios super alios dal venire alle mani. Da principio la pugna fu
nuncios ad ducem mitterent, premi sese; quin provocata da alcuni pochi scagliatisi innanzi;
genti equites et duo millia peditum, maxime Ae indi crebbe per quelli, che accorrevano a sostenere
tolorum, cum duobus tribunis militum propere i respinti: nella qual lotta i Romani non punto
missa, rem inclinatam restituerunt ; versaque pari mandato avendo messi sopra messi al coman
fortuna Macedones laborantes opem regis per dante, a dirgli ch'erano in grande travaglio,
nuncios implorabant. Sed, ut qui nihil minusillo cinquecento cavalli e due mila fanti, la maggior
die propter offusam caliginem, quam proelium, parte Etoli, spediti in fretta con due tribuni dei
exspectasset, magna parte hominum omnis ge soldati, ristabilirono la battaglia; e cangiatasi la
neris pabulatum missa, aliquamdiu inops consilii fortuna, i Macedoni travagliati chiedevano per
trepidavit; deinde, postoluam nuncii instabant, messi soccorso al re. Ma il re, come quegli, che
et jam juga montium detexerat nebula, et in con in quel dì per la diffusa caligine niente manco
spectu erant Macedones, in tumulum maxime edi si aspettava, che di aver a combattere, avendo
tum inter alios compulsi, loco se magis, quam mandata gran parte de' suoi d'ogni genere a
armis, tutantes; committendam rerum summam foraggiare, balenò alcun tempo, privo di consi
in discrimen utcumque ratus, ne partis indefensae glio; poi, perchè i messi instavano, e già la nebbia
jactura fieret, Athenagoram ducem mercede mi diradatasi avea scoperte le vette dei monti, e i
litantium cum omnibus, praeter Thracas, auxi Macedoni erano a vista, spinti a forza sopra un
liis et equitatu Macedonum ac Thessalorum mit monticello elevato sopra gli altri, più difenden
tit. Eorum adventu depulsi ab jugo Romani non dosi col sito, che coll'armi, stimando il re di
ante restiterunt, quam in planiorem vallem per dover tutto comunque arrischiare, onde non
ventum est. Ne effusa detruderentur fuga, pluri perdere una parte, lasciandola indifesa, spedisce
mum in Aetolis equitibus praesidii fuit : is longe Atenagora, comandante dei mercenarii, con tutti
tum optimus eques in Graecia erat: pedite inter gli ausiliarii, eccetto i Traci, e con la cavalleria
finitimos vincebanlur. de' Macedoni e dei Tessali. Alla loro venuta i
Romani, giù cacciati dalla vetta, non si arresta
rono, che quando furon giunti nel piano della
7o3 TITI LIVII LIBER XXXIII. 7o4
valle. Perchè non fossero giù cacciati con fuga
precipitosa, grande fu l'aiuto de'cavalli degli
Etoli; era questa a quel tempo la migliore caval
leria della Grecia; nella fanteria i confinanti li
vincevano.

VIII. Laetiorres, quam pro successu pugnae, VIII. La cosa narrata a Filippo in più lieto
nunciata, quum alii super alios recurrentes ex aspetto di quel che meritasse il successo della
proelio clamarent, fugere pavidos Romanos, in zuffa, venendo dalla battaglia messi sopra messi
vitum et cunctabundum, et dicentem temere fieri, gridando che i Romani spaventati fuggivano, lo
non locum sibi placere, non tempus, perpulit, ut indusse, benchè suo malgrado, benchè esitasse e
educeret omnes copias in aciem. Idem et Roma dicesse esser mal cauto consiglio, non piacergli
nus, magis necessitate, quan occasione pugnae il luogo, non il tempo, a trar fuori le genti in
inductus, fecit : dextrum cornu, elephantis ante ordine di battaglia. Fe'lo stesso il Romano, tratto
signa instructis, in subsidiis reliquit: laevo cum più da necessità, che da buona occasione di com
omni levi armatura in hostem vadit; simul ad battere. Messi gli elefanti in sulla fronte, lascia
momens, a cum iisdem Macedonibus pugnaturos, l'ala destra nella retroguardia: colla sinistra, con
quos ad Epiri fauces, montibus fluminibusque tutti gli armati alla leggera va ad incontrare il
septos, victa naturali difficultate locorum, expu nemico, ricordando loro, « che andavano a com
lissent, acieque expugnassent; cum iis, quos P. battere con quegli stessi Macedoni, che nelle gole
Sulpicii prius ductu obsidentes Eordaeae aditum dell'Epiro, chiusi com'erano da monti e da
vicissent. Fama stetisse, non viribus, Macedoniae fiumi, pure, vinta la naturale difficoltà de'luoghi,
regnum : eam quoque famam tandem evanuisse.” aveano discacciati e sconfitti; con quelli, che,
Jam perventum ad suos in ima valle stantes erat, benchè tenessero le strettezze di Eordea, pur
qui adventu exercitus imperatorisque pugnam aveano poc'anzi vinto sotto la condotta di Pu
removant, impetugue facto rursus avertunt ho blio Sulpicio. S'era sostenuto il regno di Mace
stem. Philippus cum caetratis et cornu dextro pe donia sino a questo dì, più per fama, che per
ditum, robore Macedonici exercitus, quam pha forze; e questa fama medesima s'era finalmente
langem vocabant, propero cursu ad hostem vadit. dileguata. m Ed era di già arrivato a suoi, che si
Nicanori, ex purpuratis uni, ut cum reliquis co stavano a fondo della valle, i quali alla venuta
piis confestim sequatur, imperat. Primo, ut in dell'esercito e del comandante rinnovano la bat
jugum evasit, et, jacentibus ibi paucis armis cor taglia; e piombando addosso al nemico, lo met
poribusque hostium, proelium eo loco fuisse, tono in volta nuovamente. Filippo coi cetrati e
pulsosque inde Romanos, et pugnari prope castra coll'ala destra dei fanti, nerbo dell'esercito Ma
hostium vidit, ingenti gaudio est elatus: mox, cedonico, che chiamavano falange, corre veloce
refugientibus suis, et terrore verso, paullisper, addosso al nemico. Ordina a Nicanore, uno dei
incertus an in castra reciperet copias, trepidavit ; suoi cortigiani, che tosto gli venga dietro col ri
deinde, ut appropinquabat hostis, et, praeter manente delle forze. Dapprima, come fu salito
quam quod caedebantur aversi, mec, nisi defen sull'altura, e dalle poche armi e corpi de'nemici
derentur, servari poterant, ne ipsi quidem in tuto distesi a terra vide che si avea quivi combattuto,
jam receplus erat; coactus, nondum assecuta che i Romani n'erano stati scacciati, e che si
parte suorum, periculum summae rerum facere, pugnava presso al campo de'nemici, ne sentì
equites levemque armaturam, qui in proelio fue gioia grandissima; da lì a poco, rifuggendo i suoi,
rant, dextro in cornu locat. Caetratos et Mace e passato essendo il terrore dagli uni agli altri,
donum phalangem, hastis positis, quarum longi esitò alquanto, incerto se ritrar dovesse le sue
tudo impedimento erat, gladiis rem gererejubet: genti al campo; poscia, siccome il nemico si av
simul, ne facile perrumperetur acies, dimidium vicinava, e, oltre che eran tagliati a pezzi alla
de fronte demptum introrsus porrectis ordinibus schiena, e non era possibile salvarli che difen
duplicat, ut longa potius, quam lata, acies esset: dendoli, già non avendo egli stesso sicura la riti
simul et densari ordines jussit, ut vir viro, arma rata, costretto, benchè gli mancasse ancora una
armis jungerentur. parte de' suoi, a tutto rischiare, mette i cavalli
e la leggera armatura nell'ala destra. Ordina
ai cetrati e alla falange Macedonica, che, deposte
le aste, la cui lunghezza era loro d'impedimento,
dieno di piglio alle spade. Nel tempo stesso, per
chè non riuscisse facile lo sfondarli, scemata la
fronte per metà, duplica internamente le file, sì
765 TITI LIVII LIBER XXXIII. 7o6

che l'ordinanza fosse più profonda, che larga; e


insieme fa che si serrino gli uni presso agli altri
così, che uomo sia stretto ad uomo, arma ad
arma,

1X. Quintius, his, qui in proelio fuerant, in IX. Quinzio, accolti tra le bandiere e le file
ter signa et ordines acceptis, tuba dat signum. quelli, che s'erano azzuffati, fa dare il segno colla
Raro alias tantus clamor dicitur in principio pu tromba. Di rado altre volte dicesi che levato
gmae exortus: nam forte utraque acies simul con siasi grido più grande sul principio della pugna;
clama vere; nec solum qui pugnabant, sed subsi chè a caso allora l'uno e l'altro esercito ad un
dia etiam, quique tum maxime in proelium ve tempo stesso gridarono; nè quelli solamente,
niebant. Dextro cornu rex, loci plurimum auxi che combattevano, ma eziandio le genti di riser
lio, ex jugis altioribus pugnans, vincebat; sini va, e quelli, che si avviavano allora alla batta
stro, tum cum maxime appropinquante phalangis glia. Sull'ala destra il re, specialmente col van
parte, quae novissimi agminis fuerat, sine ullo taggio del sito, combattendo dalle alture, vinceva;
ordine trepidabatur. Media acies, quae propior sulla sinistra, massimamente all'avvicinarsi di
dextrum cornu erat, stabat spectaculo velut nihil una parte della falange, che era nelle ultime
ad se pertinentis pugnae intenta: phalanx, quae file, senza nessun ordine si vacillava. La schiera
venerat, agmen magis, quam acies, aptiorque iti di mezzo, ch'era più vicina all'ala destra, stava
neri, quam pugnae, vivdum in jugum evaserat. intenta a mirar la pugna, quasi cosa, che punto
In hos incompositos Quintius, quamquam pedem non la riguardasse: la falange allora arrivata,
referentes in dextro cornu suos cernebat, ele frotta piuttosto di gente, che ordinato esercito,
phantis prius in hostem actis, impetum facit; e più atta a marciare che a combattere, aveva
ratus partem profligatam cetera tracturam. Non appena messo piede sull'altura. Quinzio, benchè
dubia res fuit: extemplo terga vertere Macedo vedeva i suoi sull'ala destra ritirarsi indietro,
nes, terrore primo bestiarum aversi. Et ceteri pure, scagliati prima gli elefanti contro il nemico,
quidem hos pulsos sequebantur: unus e tribunis piomba addosso a codesti ch'erano ancora scom
militum, extemplo capto consilio, cum viginti si pigliati, pensando che la parte sconfitta trarrebbe
gnorum militibus, relicta ea parte suorum, quae seco il rimanente. Non s'ingannò. Tosto i Mace
haud dubie vincebat, brevi circuitu dextrum cor doni voltarono le spalle, spaventati al primo scon
nu hostium aversum invadit. Nullam aciem ab tro delle bestie; gli altri seguitavano i fuggitivi.
tergo adortus non turbasset; ceterum ad commu Un tribuno de'soldati, preso consiglio dalla cir
nem omnium in tali re trepidationem accessit, costanza, con venti compagnie, lasciata la parte
quod phalanx Macedonum, gravis atque immo de' suoi che manifestamente vinceva, fatta una
bilis, nec circumagere se poterat, nec hoc, qui a breve giravolta, assalta alle spalle l'ala destra
fronte, paullo ante pedem referentes, tunc ultro de'nemici. Egli avrebbe scompigliata qualunque
territis instabant, patiebantur. Ad hoc, loco etiam schiera, assaltandola alle spalle; del resto, alla
premebantur, quia jugum, ex quo pugnaverant, generale costernazione in così fatto frangente si
dum per proclive pulsos insequuntur, tradiderant aggiunse, che la falange dei Macedoni, pesante ed
hosti ad terga sua circumducto. Paullisper in me immobile, nè potea rigirarsi, nè il permettevano
dio caesi; deinde omissis plerique armis capes quelli, che poc'anzi dando di volta, ora essi stessi
sunt fugam. - incalzavano di fronte le torme sbigottite. Oltre
di che, anche il luogo gli angustiava, perchè,
mentre inseguono pel pendio la gente, che dava
di volta, avean ceduto al nemico, venuto loro
alla schiena, l'altura, da cui prima combattevano.
Quindi per alcun po'di tempo son tagliati a pezzi
combattendo; poi la maggior parte, gettate l'armi,
si danno alla fuga.
X. Philippus cum paucis peditum equitumque X. Filippo dapprima con pochi ſanti e caval
primo tumulum altiorem interceteros cepit, ut li prese la collina più alta, donde osservare qual
specularetur, quae in laeva parte suorum fortuna si fosse la fortuna de' suoi alla parte sinistra;
esset; deinde, postguam fugam effusam animad indi, poi che li vide dirottamente fuggire, e che
vertit, et omnia circa iuga signis atque armis ful tutte intorno le alture brillavan d'armi e di ban
gere, tum et ipse acie excessit. Quintius, quum diere, uscì egli pure dal campo di battaglia.
institisset cedentibus, repente quia erigentes ha Quinzio, incalzando i fuggitivi, avendo scorto
stas Macedomas conspexerat, quidnam pararent che i Macedoni rizzavano le aste, incerto che si
Livio 2 45
7o7 TITI LIVII LIBER XXXIII. 7o8

incertus, paulisper novitate rei constituit signa; volessero, per la novità della cosa si fermò al
deinde, ut accepit hunc morem esse Macedonum quanto; indi, come seppe tal essere il costume
tradentium sese, parcere victis in animum habe dei Macedoni, quando si arrendono, aveva in
bat. Ceterum ab ignaris militibus omissam ab animo di perdonare ai vinti. Se non che i soldati
hoste pugnam, et quid imperator vellet, impetus ignorando che il nemico lasciato avesse di com
in eosdem factus, et, primis caesis, ceteri in fu battere, e qual fosse l'intenzione del comandante,
gam dissipati sunt. Rex effuso cursu Tempe petit. diedero loro addosso; tagliati a pezzi i primi, gli
Ibi ad Gonnos diem unum substitit ad excipien altri si dispersero fuggendo. Il re di pien galoppo
dos, si qui proelio superessent. Romani victores corse a Tempe. Si fermò quivi un giorno a Gonno
in castra hostium spe praedae irruunt: verum ea a raccogliere gli avanzi della battaglia. I Romani
magna jam ex parte direpta ab Aetolis inveniunt. vincitori piombano sul campo nemico per ispe
Caesa eo die octo hostium millia, quinque capta. ranza di preda; ma lo trovano in gran parte
Ex victoribus septingenti ferme ceciderunt. Si saccheggiato dagli Etoli. Furono morti in quel
Valerio quis credat, omnium rerum immodice dì da otto mila nemici, presi da cinque mila; dei
numerum augenti, quadraginta millia hostium eo vincitori ne caddero a un dipresso settecento. Se
die sunt caesa; capta, ubi modestius mendacium taluno creda a Valerio, il quale tutto esagera
est, quinque miliia septingenti, signa militaria smodatamente, furono in quel fatto tagliati a
ducenta unum et quadraginta. Claudius quoque pezzi quaranta mila nemici; presi, bugia più
duo et triginta millia hostium caesa scribit, capta modesta, cinque mila e settecento, e bandiere
quatuor millia et trecentos. Nos non minimo dugento e quarant'una. Anche Claudio scrive
potissimum numero credidimus, sed Polybium esser morti trenta due mila nemici, presi quattro
secuti sumus, non incertum auctorem quum om mila e trecento. Io non mi sono attenuto al nu
nium Romanarum rerum, tum praecipue in Grae mero positivamente più piccolo, ma ho seguito
cia gestarum. - Polibio, scorta sicura sì per le cose tutte dei Ro
mani, sì massimamente per quelle accadute nella
Grecia.
XI. Philippus, collectis ex fuga, qui, variis ca XI. Filippo, raccolti dalla fuga tutti quelli,
sibus pugnae dissipati, vestigia eius secutifuerant, che, dispersi dai varii casi della pugna, avean se
missisque Larissam ad commentarios regios com guite le sue tracce, e mandata gente a Larissa ad
burendos, ne in hostium venirent potestatem, in abbruciar le regie scritture, onde non cadessero
Macedoniam concessit. Quintius, captivis prae in mano del nemico, passò in Macedonia. Quinzio,
daque venumdatis, partim militi concessis, Laris venduti i prigioni e la preda, e parte concessame
sam est profectus, haud dum satis gnarus, quam al soldato, andò a Larissa, non ben certo a qual
regionem petisset rex, quidve pararet. Caducea luogo il re fosse andato, nè che disegnasse. Venne
tor eo regius venit, specie ut induciae essent, do in quel dì stesso un araldo regio per trattare in
nec tollerentur ad sepulturam qui in acie ceci apparenza di una tregua sino a tanto che si sep
dissent; re vera ad petendam veniam legatis pellissero i morti, ma in fatto per chiedere di
mittendis. Utrumque ab Romano impetratum. poter mandare ambasciatori. Ottenne dal Romano
Adjecta etilla vox, « bono animo esse regem ut l'una cosa e l'altra. Fu anche udito aggiungere,
iuberet: » quae maxime Aetolos offendit, jam « che il re stesse di buon animo: » voce che spia
tumentes querentesque, « mutatum victoria im cque specialmente agli Etoli, già fatti baldanzosi,
peratorem. Ante pugnam omnia magna parvaque e lagnantisi « che il Romano dopo la vittoria si
communicare cum sociis solitum; nunc omnium fosse cangiato. Avanti la pugna soleva comunicare
expertes consiliorum esse: suo ipsum arbitrio coi sozii ogni cosa, grande o picciola che fosse ;
cuncta agere: cum Philippo jam gratiae privatae ora non son messi a parte di nessuna deliberazio
locum quaerere; ut dura atque aspera belli Aetoli ne: fa egli tutto di proprio arbitrio: già cerca di
exhauserint, pacis gratiam et fructum Romanus conciliarsi da sè solo l'animo di Filippo; sì che
in se vertat. » Et haud dubie decesserat iis ali gli Etoli s'abbiano ingoiato tutto il duro e l'aspro
quantum honoris; sed cur negligerentur, igno della guerra, e il Romano tragga a sè tutto il
rabant. Donis regiis imminere credebant invicti merito e il frutto della pace. » E senza dubbio
ab ea cupiditate animi virum; sed et succensebat erano alquanto meno onorati, ma ignoravano
non immerito Aetolis, ob insatiabilem aviditatem perchè fossero negletti. Credevano che Quinzio
praedae et arrogantiam eorum, victoriae gloriam amelasse ai regali del re, Quinzio d'animo invitto
in se rapientium, quae vanitate sua omnium au contro sì fatta sorte di cupidigia; ma egli era non
res offendebat; ei, Philippo sublato, fractis opi immeritamente corrucciato contro gli Etoli, e per
bus Macedonici regni, Aetolos habendos Graeciae la loro insaziabile avidità di preda, e per l'arro
7o9 TITI LIVII LIBER XXXIII. 71o
dominos cernebat. Ob eas causas multa sedulo, ganza, con cui traevano a sè tutto il merito della
ut viliores levioresque apud omnes essent et vi vittoria, offendendo gli orecchi di tutti con co
derentur, faciebat. desta loro vanità; e rimosso Filippo, infrante le
forze dell'impero Macedonico, vedeva che gli
Etoli senza dubbio padroneggiato avrebbono la
Grecia. Per questi motivi faceva ogni opera,
perchè fossero e comparissero presso tutti di
poco conto e leggeri.
XII. Induciae quindecim dierum datae hosti XII. Era stata conceduta al nemico una tre
erant, et cum ipso rege constitutum colloquium ; gua di quindici giorni e stabilito un abboccamen
cujus priusquam tempus veniret, in consilium to col re; e innanzi che ne venisse il tempo,
advocavit socios. Retulit, quas leges pacis place chiamò gli alleati a consiglio. Propose quali
ret dici. Amynander Athamanum rex paucis sen condizioni di pace si dovessero dettare. Aminan
tentiam assolvit; «ita componendam pacem esse, dro, re degli Atamani, diede il suo parere in
ut Graecia, etiam absentibus Romanis, satis po poche parole: « doversi tal pace stabilire, per
tens tuendae simul pacis libertatisque esset. º cui la Grecia, anche in assenza dei Romani, fosse
Aetolorum asperior oratio fuit, qui pauca prae da sè potente abbastanza a difendere la pace in
fati, « recte atque ordine imperatorem Romanum sieme e la libertà. » Fu più violento il discorso
facere, quod, quos belli socios habuisset, cum iis degli Etoli, i quali, premesse alcune poche cose,
communicaret pacis consilia: falli autem eum tota a bene, dissero, e rettamente fare il comandante
re, si aut Romanis pacem, aut Graeciae liberta Romano, comunicando agli alleati, ch'ebbe com
tem satis firmam se credat relicturum, nisi Phi pagni nella guerra, le proposizioni della pace.
lippo aut occiso, aut regno pulso; quae utraque Ingannarsi però egli del tutto, se si crede di
proclivia esse, si fortuna uti vellet. " Ad haec lasciare ai Romani una pace solida, ed alla Grecia
Quintius negare, « Aetolos aut moris Romanorum una ben ferma libertà, senza che abbia ucciso
memores, aut sibi ipsis convenientem sententiam Filippo, o cacciatolo dal regno; due cose facilis
dixisse; etillos prioribus omnibus conciliis collo me, quando usar voglia della fortuna. » Quinzio
quiisque de conditionibus pacis semper, non ut rispose, a che gli Etoli avean messo fuori cotal
ad internecionem bellaretur, disseruisse, et Ro parere, o scordatisi del costume dei Romani, o
manos, praeter vetustissimum morem victis par poco d'accordo con sè medesimi; ch'essi stessi
cendi, praecipuum clementiae documentum de in tutte le adunanze e colloquii precedenti aveano
disse, pace Hannibali et Carthaginiensibus data. sempre parlato di condizioni di pace, non che si
Omittere se Carthagimienses: cum Philippo ipso dovesse guerreggiare sino allo sterminio, e i
quoties ventum in colloquium ? nec umquam, ut Romani, oltre il loro uso antichissimo di perdo
cederet regno, actum esse. An, quia victus proe nare ai vinti, aveano offerto un esempio egregio
lioforet, inexpiabile bellum factum ? Cum armato di clemenza, dando la pace ad Annibale ed ai
hoste infestis animis concurri debere: adversus Cartaginesi. Ma lasciamo i Cartaginesi. Quante
victos mitissimum quemdue animum maximum volte non si venne a colloquio con lo stesso Filip
habere. Libertati Graeciae videri graves Mace po, nè mai si propose che cessasse di regnare?
donum reges: si regnum gensque tollatur, Thra Forse perchè fu vinto in battaglia, non avrà
cas, Illyrios, Gallos deinde, gentes feras et indo confini la guerra? si deve combattere accanita
mitas, in Macedoniam se et in Graeciam effusuras. mente contro un nemico armato; verso i vinti
Ne, proxima quaeque amoliendo, majoribus gra ognuno che abbia l'animo grande deve esser
vioribusque aditum ad se facerent. » Interfanti mite. Sembra che i re Macedoni minaccino la
deinde Phaeneae praetori Aetolorum, testificanti libertà della Grecia; ma se si spegne questo
que, si elapsus eo tempore Philippus foret, mox regno, questa nazione, i Traci, gl'Illirici, poscia
graviuseum rebellaturum, « desistite tumultuari, i Galli, genti fiere ed indomite, si riverseranno
inquit, ubi consultandum est. Non iis conditioni sulla Macedonia e sulla Grecia. Non vogliate,
bus illigabitur pax, ut movere bellum possit. » rimovendo quanto vi sta d'intorno, spalancare
la porta a maggiori e più tremendi nemici. Indi
a Fenea, pretore degli Etoli, che lo interruppe, e
protestò che se si lasciasse adesso Filippo scap
par di mano, da qui a poco rinnoverebbe la guer
ra, « cessate, disse, di destar tumulti, dove si deve
deliberare. Non si legherà la pace a tali condizio
ni, ch'egli possa poi rinnovare la guerra. »
7i 1 TITI LIVII LIBER XXXIII. 712

XIII. Hoc dimisso concilio, postero die rex XIII. Licenziata l'assemblea, il di seguente il
ad fauces, quae ferunt in Tempe (is datus erat re venne alle gole, che mettono a Tempe (era
locus colloquio), venit: tertio die datur ei Ro questo il luogo convenuto): il terzo giorno egli
manorum ac sociorum frequens concilium. Ibi è ammesso alla numerosa assemblea dei Romani
Philippus perquam prudenter, iis, sine quibus e degli alleati. Quivi Filippo con moltissima
pax impetrari non poterat, sua potius voluntate prudenza, ommesse di sua volontà, piuttosto che
omissis, quam ut altercando extorquerentur, gli fossero estorte altercando, le cose, senza le
« quae priore colloquio aut imperata a Romanis, quali non si poteva impetrare la pace, disse a che
aut postulata ab sociis essent, omnia se concedere; egli consentiva a tutto ciò, che gli era stato impo
de ceteris senatui permissurum dixit. Quamquam sto dai Romani, o chiesto dagli alleati nel primo
vel inimicissimis omnibus plaeclusisse vocem vi abboccamento; quanto al rimanente, ne lasciava
debatur, Phaeneas tamen Aetolus, cunctis tacen l'arbitrio al senato. . Benchè sembrasse ch'egli
tibus, « Quid ? nobis, inquit, Philippe, reddisne avesse chiusa la bocca a suoi nemici più accaniti,
tandem Pharsalum, et Larissam Cremasten, et nondimeno l'Etolo Fenea, tacendo tutti gli altri,
Echinum, et Thebas Phthias? » Quum Philip « E che? disse, ci rendi dunque finalmente,o Filip
pus nihil morari diceret, quo minus reciperent; po, e Farsalo e Larissa Cremaste e Echino e Tebe
disceptatio inter imperatorem Romanum et Ae Ftia ? » Rispondendo Filippo non metter egli
tolos orta est de Thebis: nam, eas populi Romani alcun ostacolo, perchè non gli abbiano, sorse
jure belli factas esse Quintius dicebat, quod, in contesa tra il comandante Romano e gli Etoli
tegris rebus, exercitu ab se admoto, vocati in a intorno a Tebe. Perciocchè Quinzio diceva ap
micitiam, quum potestas libera desciscendi ab partener essa al popolo Romano per dritto di
rege esset, regiam societatem Romanae praepo guerra, perchè, a cosa ancora indecisa, avvicinato
suissent. Phaeneas, et pro societate belli, quae l'esercito alla città, invitati a stringer seco amici
ante bellum habuissent, restitui Aetolis aequum zia, poi che già potevano liberamente staccarsi
censebat, et ita in foedere primo cautum esse, ut dal re, aveano i Tebani preferita l'alleanza Ro
belli praeda, rerumque, quae ferri agique pos mana. Fenea sosteneva che si avesse a restituire
sent, Romanos ; ager urbesque captae Aetolos Tebe agli Etoli per giustizia, sì a cagione del
sequerentur. « Vos, inquit, ipsi, Quintius, socie trattato di guerra fatto innanzi la guerra stessa,
tatis istius leges rupistis, quo tempore, relictis sì perchè nella prima alleanza era detto che la
nobis, cum Philippo pacem fecistis: quae si ma preda, che si facesse, e le cose tutte che si potesse
neret, captarum tamen urbium illa lex foret. ro comunque portar via, fossero de Romani; il
Thessaliae civitates sua voluntate in ditionem
territorio e le città prese, degli Etoli. « Voi stessi,
mostram venerunt. - Haec cum omnium sociorum
disse Quinzio, rompeste i patti di quella lega,
assensu dicta, Aetolis non in praesentia modo quando lasciati noi, faceste la pace con Filippo;
gravia auditu, sed mox belli etiam causae magna e se anche quella lega durasse, non riguarderebbe
rumque ex eo cladium, iis fuerunt. Cum Philippo quel patto, che le città conquistate; ma le città
ita convenit, ut Demetrium filium et quosdam ex della Tessaglia vennero volontariamente in poter
amicorum numero obsides, et ducenta talenta nostro. Queste parole, accolte con assentimento
daret; de ceteris Romam mitteret legatos; ad eam da tutti gli alleati, non solo in presente riusciro
rem quatuor mensium induciae essent. Si pax no agli Etoli gravi ad udirsi, ma poco di poi
non impetrata ab senatu foret, obsides pecuniam furon anche cagione di guerra, e quinci di grandi
que reddi Philippo receptum est. Causa Romano loro sconfitte. Si convenne con Filippo, che desse
imperatori non alia major fuisse dicitur pacis in ostaggio il figlio Demetrio, e alcuni de' suoi
maturandae, quam quod Antiochum bellum tran consiglieri, o dugento talenti; per le altre cose
situmque in Europam moliri constabat. mandasse ambasciatori a Roma; al quale oggetto
gli si diedero quattro mesi di tregua. Se non si
ottenesse dal senato la pace, si stipulò, che si re
stituissero a Filippo gli ostaggi ed il denaro.
Dicesi che non avesse il comandante Romano
altro più possente motivo di affrettare la pace,
quanto che si sapeva di certo, che Antioco si
disponeva a far la guerra ed a passare in Europa.
XIV. Eodem tempore, atque, ut quidam tra XIV. In quel tempo, anzi, come alcuni scris
didere, eodem die ad Corinthum Achaei ducem sero, in quel giorno medesimo, gli Achei sconfis
regium Androsthenem justo proelio fuderunt. sero presso Corinto in ordinata battaglia Andro
Eam urbem pro arce habiturus Philippus adver stene, regio comandante. Filippo, mirando a farsi
713 TITI LIVII LIBER XXXIII. 7i4
sus Graeciae civitates, et principes inde evocatos di quella città una rocca contro le città della
per speciem colloquendi, quantum equitum dare Grecia, chiamati fuori i principali cittadini sotto
Corinthii ad bellum possent, retinuerat pro ob pretesto di trattare quanti cavalli fornir potes
sidibus, praeter quingentos Macedonas mixtosque sero i Corinti per la guerra, gli avea ritenuti per
ex omni genere auxiliorum octingentos, quod ostaggi; e oltre cinquecento Macedoni e ottocento
jam ante ibi fuerat, mille Macedonum eo miserat, ausiliarii, misti d'ogni sorta di gente, che già vi
et mille ac ducentos lllyrios, Thracasque, et Cre erano, avea colà mandati altri mille Macedoni e
tenses, qui in utraque parte militabant, octingen mille dugento Illirii, e ottocento fra Traci e
tos. His additi Boeoti, l'hessalique et Acarnanes Cretesi, che militavano presso ambedue i partiti.
mille, scutati omnes, et ex ipsorum Corinthiorum Aggiunti mille tra Beozii, Tessali ed Acarnani,
juventute, impleta ut essent sex millia armatorum, tutti armati di scudi, ed anche parecchi giovani
fiduciam Androstheni fecerunt acie decernendi. di Corinto, sì che facessero il compiuto numero
Nicostratus praetor Achaeorum Sicyone erat cum di sei mila armati, trassero Androstene alla fidu
duobus millibus peditum, centum equitibus, sed, cia di venire a un fatto d'arme. Nicostrato, pre
imparem se et numero et genere militum cernens, tore degli Achei, stava in Sicione con due mila
moenibus non excedebat. Regiae copiae peditum fanti e cento cavalli, ma scorgendosi diseguale
equitumque vagae Pellenensem, et Phliasium, et per numero e qualità di soldati, non usciva dalle
Cleonaeum agrum, depopulabantur. Postremo, mura. Le genti del re, sì a piedi, che a cavallo,
exprobrantes metum hosti, in fines Sicyoniorum saccheggiavano vagando i contadi di Pellene,
transcendebant: navibus etiam circumvectiomnem di Fliasio e di Cleone. In fine, rinfacciando al
oram Achajae vastabant. Quum id effusius hostes, nemico la sua paura, passavano nelle terre dei
et, ut fit ab nimia fiducia, negligentius etiam fa Sicionii, e corseggiando colle navi destavano tutta
cerent, Nicostratus, spem mactus necopinantes eos la costa dell'Acaia. Facendo i nemici codeste cose
aggrediendi, circa finitimas civitates nuncium sbandati, e come accade per troppa fiducia, con
occultum mittit, quo die, et quot ex quaque alquanta negligenza, Nicostrato, venuto a speran
civitate armati ad Apelaurum (Stymphaliae ter za di assaltarli, senza che sel pensassero manda
rae is locus est) convenirent. Omnibus ad diem occultamente un messo per tutte le città finitime
edictam paratis, profectus inde extemplo, per d'intorno, a dire in qual giorno e quanti di cia
Phliasiorum fines nocte Cleonas, insciis omnibus, scuna città dovessero trovarsi in arme presso
quid pararet, pervenit. Erant autem cum eo Apelauro (è questo un luogo appartenente al
quinque millia peditum, ex quibus armaturae territorio di Stinfalia). Tutti essendo in pronto
levis, et trecenti equites. Cum iis copiis dimissi, al dì stabilito, Nicostrato, mossosi di là subitamen
qui specularentur, quam in partem hostes effun te, attraversando il paese de' Fliasii, giunse di
derent sese, opperiebantur. notte a Cleone, tutti ignorando che macchinasse.
Avea seco cinque mila fanti, tra quali parecchi
armati alla leggera, e trecento cavalli. Con queste
forze, mandata gente ad osservare in qual parte
i nemici si diffondevano, stava apparecchiato.
XV. Androsthenes omnium ignarus Corintho XV. Androstene ignaro di tutto questo,
profectus, ad Nemeam (amnis est Corinthium et partito da Corinto, si accampa presso Nemea
Sicyonium interfluens agrum) castra locat. Ibi (fiume, che attraversa il territorio di Corinto e
parte dimidia exercitus dimissa, dimidiam trifa di Sicione). Quivi rimandata la metà dell'esercito,
riam divisit, et omnes equites discurrere ad po divise l'altra metà in tre parti, ed ordina a tutte
pulandos simul Pellenensium Sicyoniumque agros le genti a cavallo, che scorrendo mettano a guasto
et Phliasium, jubet. Haec tria diversa agmina ad un tempo le terre di Pellene, di Sicione e di
discessere. Quod ubi Cleonas ad Nicostratum Fliasi. Partironsi queste squadre per tre vie di
perlatum est, extemplo validam mercenariorum verse. Il che come fu riferito a Nicostrato a Cleo
manum praemissam ad occupandum saltum, per ne, egli, mandata subito innanzi una forte banda
quem transitus im Corinthium est agrum, ante di mercenarii ad cccupare lo stretto, per cui si
signa equitibus, ut praegrederentur, locatis, ipse passa nel territorio di Corinto, messi i cavalieri
confestim agmine duplici sequitur. Parte una dinanzi alle insegne, onde precedessero, tosto
mercenarii milites ibant cum levi armatura, al viene lor dietro con doppia schiera. Una parte
tera clypeati, dein aliarum gentium exercitus ro era di mercenarii armati alla leggera ; nell'altra
bur erat. Jam haud procul castris abierant pedi c'erano i soldati scutati, non che il fiore dell'eser
tes equitesque, et Thracum quidam in vagos pa cito degli altri popoli. Già non erano lontani i
latosque per agros hostes impetum fecerunt, fanti ed i cavalli dagli alloggiamenti del nemico,
715 TITI LIVII LIBER XXXIII, 716
quum repens terror castris infertur. Trepidare e già alcuni Traci son piombati addosso a soldati
dux, ut qui hostes nusquam, nisi raro in collibus vaganti e dispersi per la campagna, quando im
ante Sicyonem, non audentes agmen demittere provviso terrore invase il campo. Esitava incerto
in campos vidisset; ad Cleonas quidem accessuros il comandante, come quello che non avea veduti
numquam credidisset. Revocari tuba jubet vagos i nemici in nessun luogo, tranne di rado sulle
a castris dilapsos. Ipse, raptim capere arma jussis colline davanti a Sicione, e che non osavano
militibus, infrequenti agmine porta egressus, su scendere al piano, e certo non avrebbe creduto
per flumen instruit aciem. Ceterae copiae, vix mai, che si accostassero a Cleone. Ordina che si
colligi atque instrui quum potuissent, primum richiamino a suon di tromba quelli, che divagavan
hostium impetum non tulerunt. Macedones et lungi dal campo. Egli in fretta chiamati all'armi
maxime omnium frequentes ad signa fuerant, et i soldati, uscito dalla porta con poca gente, gli
diu ancipitem victoriae spem fecerunt: postremo schiera sulle sponde del fiume. Gli altri, avendo
fuga ceterorum nudati, quum duae jam acies ho potuto appena raccogliersi ed ordinarsi, non res
stium ex diverso levisarmatura ab latere, clypeati sero al primo impeto de'nemici. I Macedoni e
caetratique a fronte urgerent; et ipsi, re incli raccolti s'erano sotto le insegne in maggior nu
nata, primo retulere pedem; deinde impulsi ter mero, che gli altri, e lungo tempo tennero sospesa
gavertunt, et plerique, abjectis armis, nulla spe la speranza della vittoria; infine, rimasti scoperti
castrorum tenendorum relicta, Corinthum petie per la fuga degli altri, essendo già da due bande
runt. Nicostratus mercenariis militibus ad hos incalzati da due diverse schiere dei nemici, a
persequendos, equitibus Thracumque auxiliis in fianco, dagli armati alla leggera, di fronte dagli
populatores agri Sicyonii missis, magnam ubique scutati e cetrati, anch'essi, visto l'affare spac
caedem edidit; majorem prope, quam in proelio ciato, dapprima si ritrassero indietro, poi sospinti
ipso. Ex iis quoque, qui Pellenen Phliuntaque voltan le spalle, e i più, gettate l'armi, lasciata
depopulati erant, incompositi partim omnium ogni speranza di poter difendere gli alloggia
que ignari, ad castra revertentes, in hostium sta menti, si mossero alla volta di Corinto. Nicostrato,
tiones, tamquam in suas, illati sunt; partim, ex spediti i mercenarii ad inseguirli, mandata la
discursu id, quod erat, suspicati, ita se in fugam cavalleria e i Traci ausiliarii contro quelli, che
passim sparserant, ut ab ipsis agrestibus errantes saccheggiavano il contado di Sicione, fe” grande
circumvenirentur.Ceciderunteo die mille et quin strage da per tutto, e forse maggiore, che nella
genti, capti trecenti, Achaja omnis magno libera pugna stessa. Anche di quelli, che avean devastate
ta metu.
le terre di Pellene e di Fliunte, parte disordinati
e ignari della cosa, nel rimettersi al campo
diedero nelle poste de'nemici, credendole le sue;
parte dal discorrimento sospettando ciò ch'era,
s'erano dispersi fuggendo sì fattamente, che
furono errando avviluppati dagli stessi contadini.
Furono i morti in quel dì mille cinquecento; i
presi trecento. Tutta l'Acaia rimase allora libe
rata da grande spavento.
XVI. Priusquam dimicaretur ad Cynoscepha XVI. Innanzi che si combattesse a Cinosce
las, L. Quintius, Corcyram excitis Acarnanum fala, Lucio Quinzio chiamato avendo a Corcira i
principibus, quae sola Graeciae gentium in so principali cittadini dell'Acarnania, sola nazione
cietate Macedonum manserat, initium quoddam di tutta la Grecia, ch'era rimasta alleata de'Mace
ibi motus fecit. Duae autem maxime causae eos doni, vi fece quasi nascere una sommossa. Due
tenuerant in amicitia regis; una fides insita gen cagioni particolarmente li ritenevano nell'amici
ti, altera metus odiumque Aetolorum. Concilium zia del re; una la fede, qualità propria della
Leucadem indictum est. Eo neque cuncti conve nazione, l'altra il timore e l'odio contro gli Etoli.
mere Acarnanum populi, nec ipsis, qui convene S'intimò una dieta a Leucade; ma nè vi venne
rant, idem placuit; sed et principes et magi ro tutti i popoli dell'Acarnania, nè a quegli stes
stratus pervicerunt, ut privatum decretum Ro si, ch'eran venuti, piacque la cosa stessa; i capi
manae societatis fieret. Id omnes, qui abſuerant, però della nazione e i magistrati giunsero ad
aegre passi; et in hoc fremitu gentis a Philippo ottenere che si facesse un decreto particolare di
missi duo principes Acarnanum, Androcles et alleanza co Romani. Se ne offesero gli assenti, e
Echedemus, non ad tollendum modo decretum in codesto ribollimento della nazione, due dei
Romanaesocietatis valuerunt, sed etiam ut Archeprincipali Acarnani, Androcle ed Echedemo,
laus et Bianor, principes gentis ambo, quod au mandati da Filippo, ebbero tanta forza non sola
717 TITI LIVII I,IBER XXXIII.
718
ctores ejus sententiae fuissent, proditionis in con mente di far sì, che si annullasse il decreto di
cilio dammarentur, et Zeuxidae praetori, quod alleanza co Romani, ma eviandio che Archelao e
de ea re retulisset, imperium abrogaretur. Rem Bianore, ambedue de'primi della nazione, perchè
temerariam, sed eventu prosperam, damnati fe avean dato quel consiglio, condannati fossero
cerunt. Suadentibus namque amicis, cederent dalla dieta, quali traditori, e che fosse tolta la ca
tempori, et Corcyram ad Romanos abirent, sta rica al pretore Zeuxide, che lo aveva proposto. I
tuerunt offerrese multitudini, et aut eo ipso le condannati fecero un passo temerario, ma quan
mire iras, aut pati, quod casus tulisset. Quum se to all'esito, fortunato. Perciocchè consigliati da
frequenti concilio intulissent, primo murmur ac
fremitus admirantium, silentium mox a verecun gli amici di cedere al tempo, e recarsi a Corcira
dia simul pristinae dignitatis, ac misericordia
presso i Romani, stabilirono di prodursi dinanzi
praesentis fortunae ortum est. Potestate quoque
al popolo, e con ciò ammollirne lo sdegno, o pu
re soffrire checchè portasse il caso. Presentatisi
dicendi facta, principio suppliciter, procedente
autem oratione, ubi ad crimina diluenda ventum
alla numerosa assemblea, vi fu dapprima un fre
est, cum tanta fiducia, quantam innocentia dabat, mito, un mormorio prodotto dalla maraviglia;
disseruerunt: postremo, ultro aliquid etiam que indi un silenzio cagionato ad un tempo e da ri
ri, et castigare iniquitatem simul in se crudelita verenza per l'antica loro dignità, e da compassio
temque ausi, ita affecerunt animos, ut omnia, ne per la presente loro fortuna. Avuta licenza di
quae in eos decreta erant, frequentes tollerent; parlare, cominciarono a modo di supplicanti, poi
usque eo minus redeundum in societatem Philip procedendo col discorso, come vennero a pur
pi, abnuendamque Romanorum amicitiam, cen garsi dalle accuse, con tanta fermezza parlarono,
serent. quanta ne inspirava loro l'innocenza: in fine
osando eziandio querelarsi ed inveire contro
l'altrui ingiustizia e crudeltà, colpirono gli animi
sì fattamente, che a pluralità di voci annullati
furono i decreti fatti contro di loro; ma non si
stimò per questo di dover tornare a collegarsi
XVII. Leucade haec sunt decreta: id caput
con Filippo, e rigettare l'amicizia dei Romani.
Acarnaniae erat, eoque in concilium omnes po XVII. Queste son le cose decretate a Leucade:
era essa la città capitale dell'Acarnania, e colà ra
puli conveniebant. Itaque, quum haec repentina dunavasi la dieta di tutti i popoli. Quindi, tosto
mutatio Corcyram ad legatum Flamininum perlata
che questo improvviso cangiamento fu riferito a
esset, extemplo cum classe profectus, Leucade ad
Corcira al legato Flaminino, partito egli subito
Heraeum, quod vocant, naves applicuit. Inde cum
con la flotta, approdò a Leucade nel porto detto
omni genere tormentorum machinarumque, qui
Ereo. Indi si accostò alle mura con ogni sorta di
bus expugnantur urbes, ad muros accessit, ad pri macchine e di strumenti, con che si sogliono
mum terrorem ratus inclinari animos posse. Post combattere le città, stimando che colpiti al pri
quam pacati nihil ostendebatur,tum vineasturres
mo terrore potessero ravvedersi. Dopo che non
que erigere, et arietem admovere muris coepit.
Acarnania universa, inter Aetoliam atque Epirum vide egli alcuna disposizione, cominciò a metter
posita, solem occidentem et mare Siculum spectat. in ordine i graticci, ad eriger torri e ad avvici
nare l'ariete alle mura. Tutta l'Acarnania, posta
Leucadia nunc insula, et vadoso freto, quod per
fossum manu est, ab Acarnania divisa, tum pe tra l'Etolia, e l'Epiro, guarda l'occidente e il
mare di Sicilia. La Leucadia, ora isola, e divisa
ninsula erat, occidentis regione arctis faucibus dall'Acarnania mediante uno stretto fatto da mano
cohaerens Acarnaniae. Quingentos ferme passus
d'uomo, era allora una penisola, attaccata verso
longae fauces erant; latae haud amplius centum occidente all'Acarnania per via di una stretta
et viginti: in his angustiis Leucas posita est, colli lingua di terra, lunga quasi cinquecento passi,
applicata verso in orientem et Acarnaniam. Ima
larga non più di cento e venti. In codesto stretto
urbis plana sunt, jacentia ad mare, quo Leucadia
è posta Leucade, appoggiata ad un colle verso
ab Acarnania dividitur. Inde terra marique ex oriente e l'Acarnania. La parte bassa della città
pugnabilis est; nam et vada sunt stagno similiora,
è piana, stendentesi al mare, là dove la Leucadia
quam mari; et campus terrenus omnis operique si divide dall'Acarnania. Quindi si può prender
facilis. Itaque multis simul locis aut subruti, aut
la e per terra e per mare; perciocchè i guadi
ariete decussi ruebant muri. Sed quam urbs ipsa più somigliano ad uno stagno che al mare, e il
opportuna oppugnantibus erat, tam inexpugna piano è tutta terra, e facilmente si lavora. Quin
biles hostium animi. Die ac nocte intenti reficere
di da molte parti ruinavano a un tratto le mura,
quassata muri; obstruere, quae patefacta ruinis o scavate di sotto, o atterrate dall'ariete. Ma
7 io TITI LIVII LIBER XXXIII. 72o

erant; proelia impigre inire, et armis magis mu quanto la città si mostrava opportuna a chi la
ros, quam se ipsos moenibus, tutari: diutiusque combatteva, tanto era più inespugnabile il corag
spe Romanorum obsidionem eam extraxissent, gio de'nemici, intenti dì e notte a riparare i mu
mi exsules quidam Italici generis Leucade habi risconquassati e a turare i luoghi aperti dalle
tantes, ab arce milites accepissent, Eos tamen, ex ruine, a combattere con valore, e a più difende
superiore loco magno cum tumultu decurrentes, re le mura con l'armi, che se medesimi con le
acie in foro instructa, justo proelio aliquamdiu mura. E protratto avrebbono quell'assedio oltre
Leucadii sustinuerunt. Interim et scalis capta la speranza dei Romani, se alcuni fuorusciti di
multis locis moenia, et per stragem lapidum ac mazione Italica, che abitavano in Leucade, non
ruinas transcensum in urbem ; jamque ipse le avessero introdotti i nemici dalla parte della roc
gatus magno agmine circumvenerat pugnantes. ca; nondimeno i terrazzani, giù correndo dalle
Pars in medio caesi; pars, armis abjectis, dedide alture con gran tumulto, schieratisi in sulla piaz
runt sese victori. Et post dies paucos, audito za in ordine di battaglia, ne sostennero l'impeto
proelio, quod ad Cynoscephalas pugnatum erat, alquanto tempo. Intanto e le mura furon prese
omnes populi Acarnaniae in deditionem legati con le scale in parecchi luoghi, e si penetrò nella
venerunt. città tra rottami di pietre e per le brecce, e già
lo stesso legato avea con grossa schiera circon
dati i combattenti. Parte furono tagliati a pezzi
sul luogo, parte, gettate le armi, si arrendettero
al vincitore. E pochi giorni di poi, udita la bat
taglia che s'era fatta a Cinoscefala, tutti i popoli
dell'Acarnania vennero in potere del legato.
XVIII. Iisdem diebus, omnia simul inclinante XVIII. In que” dì medesimi, la fortuna dando
fortuna, Rhodii quoque ad vindicandam a Philip di crollo ad ogni cosa, anche i Rodiani mandaro
po continentem regionem (Peraeam vocant), pos no il pretore Pausistrato con ottocento fanti Achei
sessam a majoribus suis, Pausistratum praetorem e quasi mille e novecento armati, ausiliarii raccolti
cum octingentis Achaeis peditibus, mille et non da vari paesi; erano Galli, Nisveti e Pisveti, Ta
gentis fere armatis, ex vario genere auxiliorum miani e Arei dall'Africa e Laodiceni dall'Asia, a
collectis, miserunt. Galli et Pisuetae et Nisue ritorre a Filippo il paese di terra ferma, che
tae, Tamiani et Arei ex Africa, et Laodiceni chiamano Perea, posseduta da lor maggiori. Con
ex Asia erant: cum his copiis Pausistratus Ten queste forze Pausistrato occupò Tendeba nel
deba in Stratonicensi agro locum peropportu contado di Stratonicea, luogo molto opportuno,
num, ignaris regiis, qui tenuerant, occupavit. In senza che il sapessero le genti del re, che l'avea
tempore et ad id ipsum excitum auxilium, mille no avuto in lor potere. A tempo sopraggiunsero
Achaei pedites centum cum equitibus supervene mille fanti Achei con cento uomini a cavallo, rin
runt. Theoxenus iis praeerat. Dinocrates, regius forzo, che s'era chiesto per quella impresa mede
praefectus, recuperandi castelli causa, primo ca sima. N'era il condottiere Toxeno. Dinocrate,
stra ad ipsa Tendeba movit, inde ad alterum ca prefetto del re, per ricuperare quel castello,
stellum, item Stratonicensis agri; Astragon vo mosse dapprima il campo verso Tendeba stessa;
cant; omnibusque ex praesidiis, quae multifariam indi verso l'altro castello, pur nel contado di
disjecta erant, devocatis, et ab ipsa Stratonicea Stratonicea; lo chiamano Astragone; e richia
Thessalorum auxiliaribus, Alabanda, ubi hostes mata gente da tutti i presidii, ch'erano in varie
erant, ducere pergit. Nec Rhodii pugnam detre parti dispersi, non che dalla stessa Stratonicea i
ctaverunt; atque, castris in propinquum collatis, soldati ausiliarii dei Tessali, li guida verso Ala
extemplo in aciem descensum est.Dinocrates quin banda, dov'erano i nemici. Nè i Rodiani schivaro
gentos Macedonas destro cornu, laevo Agrianas no la battaglia; e ravvicinati i campi, si venne
locat: in medium accipit contractos ex castello tosto al cimento. Dinocrate colloca cinquecento
rum (Cares maxime erant) praesidiis: equites Macedoni sull'ala destra; sulla sinistra gli Agria
cornibus circumdat, et Cretensium auxiliares ni; raccoglie nel centro quei tratti dalle guarni
Thracumque. Rhodii Achaeos dextro cornu, si gioni de'castelli (erano specialmente Carii) e con
nistro mercenarios milites, lectam peditum ma la cavalleria, e con gli ausiliarii Cretesi e Traci
num, habuere; medios mixta ex pluribus genti accerchia le ale. 1 Rodiani ebbero gli Achei sul
bus auxilia: equites levisque armaturae quod l'ala destra, sulla sinistra i soldati mercenarii,
erat, cornibus circumjectum. Eo die steterunt banda scelta di fanti; nel mezzo gli ausiliarii
tantum acies utraeque super ripam, qui tenui tratti da diverse nazioni; i cavalli, e quanto
aqua interfluebat, torrentis; paucisque telis emis aveano di leggera armatura, lo rimandano dietro
721 TITI LIVll Ll13ER XXX11I. 722

sis, in castra receperunt sese. Postero die eodem le ale. In quel dì le due schiere stettersi solamen
ordine instructi majus aliquanto proelium, quan te ferme sulla riva del torrente, che scorreva nel
pro numero, edidere, pugnantium : nec enim mezzo con poca acqua, e lanciati alcuni pochi
plus terna millia peditum fuere, et centeni ferme dardi, si ritirarono nel lor campo. Il dì seguente
equites : ceterum non numero tantum, nec armo schierati nel modo medesimo diedero una batta
rum genere, sed animis quoque paribus, et aequa glia grande più di quello, che si potesse aspettare
spe pugnarunt. Achaei primi, torrente superato, dal numero de'combattenti; chè non erano più
in Agrianas impetum fecere; deinde tota prope di tre mila fanti, e a un dipresso cento cavalli.
cursu transgressa amnem acies est. Diu anceps Del resto combatterono pari non solamente di
pugna stetit: numero Achaei mille et ipsi qua numero e di qualità d'armi, ma eziandio di co
dringentos loco expulere: inclinat dein dextrum raggio e di speranza. Primi gli Achei, varcato il
omme cornu. Macedones, usdue dum ordine et torrente, si scagliarono contro gli Agriani; po
velut stipata phalanx consistebat, moveri nequi scia tutti gli altri ad un tempo, quasi di corso,
verunt: postguam, laevo latere nudato, circum valicarono il fiume. Stettesi dubbia lungo tempo
jacere hastas in venientem ex transverso hostem la pugna: mille Achei cacciaron di luogo quattro
conati sunt, turbati extemplo tumultum primo cento Agriani: quindi piega tutta l'ala destra. I
inter se fecerunt; terga deinde vertumt; postre Macedoni, sino a tanto che la lor falange stette
mo, abjectis armis, in praecipitem fugam effusi, in ordinanza e quasi stivata, non fu possibile
Bargylias petentes fugerunt. Eodem et Dinocra smuoverli; ma poi che, snudato il fianco sinistro,
tes perfugit. Rhodii, quantum diei superfuit se furono obbligati a lanciare le lor aste contro il
cuti, receperunt se ad castra. Satis constat, si con nemico, che veniva di traverso, subito sbigottiti
festim victores Stratoniceam petissent, recipi eam dapprima si scompigliaron tra loro; indi volta
urbem sine certamine potuisse. Praetermissa ejus no le spalle; in fine, gettate l'armi, datisi a fuga
rei occasio est, dum in castellis vicisque Peraeae precipitosa, corsero alla volta di Bargilia, dove
recipiendis tempus teritur. Interim animi eorum, fuggì pure Dinocrate. I Rodiani, inseguitili per
qui Stratoniceam praesidio obtinebant, confirma tutto il resto del giorno, si restituirono al cam
ti sunt: mox et Dinocrates cum iis, quae proelio po. Pare ben certo, che se i vincitori fossero an
supererant, copiis intravit muros. Nequidquam dati subito a Sratonicea, avrebbon potuto ricu
inde obsessa oppugnataque urbs est: recipi, misi perare quella città senza contrasto. Si perdette
aliquanto post, per Antiochum non potuit. Haec quella occasione, mentre si consuma il tempo nel
in Thessalia, haec in Achaja, haec in Asia per eos riavere i castelli e i borghi intorno Perea. Intan
dem dies ferme gesta. to quelli che guardavano Stratonicea, ripresero
animo, e vi entrò Dinocrate con quelli, ch'erano
avanzati dalla battaglia. Invano di poi fu asse
diata e combattuta quella città: non si potè ri
prendere, se non dopo alquanto tempo per ope
ra di Antioco. Queste son le cose accadute in
que'dì nella Tessaglia, nell'Acaia e nell'Asia.
XIX. Philippus quum audisset, Dardanos, XIX. Filippo, avendo udito che i Dardani,
transgressos fines ab contemptu concussi tum re varcati i lor confini, beffandosi di un regno scom
gni, superiora Macedoniae evastare, quamvis toto quassato, devastavan le parti superiori della Ma
prope orbe terrarum, undi que se suosque proſli cedonia, benchè la mala fortuna travagliasse
gante fortuna, urgebatur, tamen morte tristius crudelmente da per tutto lui ed i suoi, e oppres
ratus, Macedoniae etiam possessione pelli, delectu sato fosse quasi in ogni angolo della terra, non
raptim per urbes Macedonum habito, cum sex dimeno, stimando peggio che morte l'essere
millibus peditum et quingentis equitibus circa discacciato anche dal possesso della Macedonia,
Stobos Paeoniae improviso hostes oppressit. Ma fatta in fretta una leva per la città dei Macedoni,
gna multitudo hominum in proelio, major prae con sei mila fanti e cinquecento cavalli schiacciò
dandi cupidine palata per agros caesa est; quibus all'improvviso i nemici nelle vicinanze di Stobo
fuga expeditior fuit, ne tentato quidem casu pu nella Peonia. Gran numero d'uomini fu tagliato
gnae, in fines suos redierunt. Ea una expeditione a pezzi sul campo; maggiore ancora tra quegli
non pro reliquo statu fortunae facta, refectis suo sparsi per la campagna per avidità di predare:
rum animis, Thessalonicam sese recepit. Non tam quelli che poteron fuggire più facilmente, senza
in tempore Punicum bellum terminatum erat, me nemmen provarsi a combattere, si tornarono al
simul et cum Philippo foret bellandum, quam lor paese. Fatta questa sola spedizione, dissomi
opportune, jam Antiocho in Syria moliente bel gliante dal resto di sua fortuna, rianimati gli
I.Ivio 2 46
TI l'I LIVII LIBER XXXIII. 724
723
lum, Philippus est superatus: mam, praeterquam animi de' suoi, ritirossi a Tessalonica. Non s'era
quod facilius cum singulis, quam si in unum am così a tempo terminata la guerra Punica, onde
bo simul contulissent vires, bellatum est; Hispa non si avesse eziandio a guerreggiare contro Fi
mia quoque sub idem tempus magno tumultu ad lippo, come fu superato a tempo Filippo, mentre
bellum consurrexit. Antiochus quum priore ae già Antioco nella Siria stava allestendo la guerra.
state omnibus, quae in Coele-Syria sunt, civitati Imperciocchè oltre che fu più facile il guerreg
bus Ptolemaei in suam potestatem redactis, in giare contro ciascun d'essi separatamente, che

hiberna Antiochiam concessisset; nihilo quietio se ambedue unite avessero le forze loro, anche
res postea res habuit. Omnibus enim regni viri la Spagna verso quel tempo levossi in arme con
bus connisus, quum ingentes copias terrestres gran tumulto. Antioco, nella state ridotte in po
maritimasque comparasset, principio veris prae ter suo tutte le città di Tolomeo, che sono nella
missis terra cum exercitu filiis duobus, Ardyeac Cele-Siria, passato essendo a svernare in Antio
Mithridate, jussisque Sardibus se opperiri; ipse chia, non ebbe a godersi gran quiete. Perciocchè,
cum classe centum tectarum navium, ad hoc le mettendo in opera le forze tutte del suo regno,
vioribus navigiis cercurisque ac lembis ducentis, raccolto avendo gran numero di genti terrestri e
proficiscitur; simul per omnem oram Ciliciaeque marittime, sul principio di primavera, mandati
et Cariae tentaturus urbes, quae in ditione Ptole innanzi con l'esercito i suoi due figli Ardie e Mi
maei essent, simul Philippum (necdum enim de tridate, e detto che lo aspettassero a Sardi, parte
bellatum era t) exercitu navibusque adjuturus. egli con una flotta di cento navi coperte, e con
inoltre dugento tra cercuri e legni più leggeri;
ad oggetto di andar tentando lungo tutta la costa
della Cilicia e della Caria, le città ch'erano in
potere di Tolomeo, e insieme di soccorrere con
l'esercito e con le navi Filippo; (chè durava an
cora la guerra).
XX. Multa egregia Rhodii pro fide erga po XX. Molte egregie cose osaron fare i Rodiani
pulum Romanum, produe universo nomine Grae per mare e per terra in prova di fede verso il
corum, terra marique ausi sunt: nihil magnifi popolo Romano, e a pro di tutta la Grecia: nes
centius, quam quod ea tempestate non territi suna però più magnifica, quanto l'aver mandato
tanta mole imminentis belli, legatos ad regem in quel tempo, non punto atterriti da tanta mole
miserunt Nephelida (promontorium Ciliciae est, di guerra sovrastante, ambasciatori al re a Ne
inclytum foedere antiquo Atheniensium), si eo felida (è questo un promontorio della Cilicia,
non contineret copiassuas, se obviam ituros; non celebre per l'antica alleanza degli Ateniesi), a
ab odio ullo, sed ne conjungi cum Philippo pa dirgli, che se oltrepassasse pel confine, gli si fa
terentur, et impedimento esse Romanis liberanti rebbero incontro, non per alcun odio, ma per
bus Graeciam. Coracesium eo tempore Antiochus non soffrire che si unisse a Filippo, e fosse
operibus oppugnabat. Zephyrio, et Solis, et d'impedimento a Romani, intenti a liberare la
Aphrodisiade, et Coryco, et, superato Anemurio Grecia. Antioco in quel tempo assediava Corace
(promontorium id quoque Ciliciae est), Seli sio con ogni sorta di lavori. Preso Zefirio e Sola
munte recepto, omnibus his aliisque ejus orae ca e Afrodisiade e Corico, e superato Anemurio
stellis, aut metu aut voluntate, sine certamine, in (promontorio pur questo della Cilicia), ed anche
deditionem acceptis, Coracesium praeter spem Selinunte, e avuti in poter suo tutti codesti ca
clausis portis tenebat eum. Ibi legati Rhodiorum stelli ed altri di quella costa senza verun contrasto,
auditi; et quam quam ea legatio erat, quae accen altri per paura, altri per volontà, Coracesio,
dere regium animum posset, temperavit irae, et, chiuse le porte, fuor di sua credenza lo trattene
... legatosse Rhodum missurum, respondit, iisque va. Quivi diede udienza agli ambasciatori dei
mandaturum, ut renovarent vetusta jura, cum ea Rodiani; e benchè quell'ambasceria fosse tale da
civitate, sua majorumque suorum, et vetarent poter accendere l'animo del re, pur compresse
eos adventum pertimescere regis; nihil his aut l'ira, e rispose, e che avrebbe mandati oratori a
sociis eorum noxae futurum fraudive: nam, Ro Rodi, a rinnovare con quella città gli antichi
manorum amicitiam se non violaturum, argumen trattati suoi e de' suoi maggiori, e ad accertarli
to et suam recentem ad eos legationem esse, et che non aveano di che temere la venuta del re,
senatus honorifica in se decreta responsaque. » la quale non avrebbe recato alcun danno o frode
Tun forte legati redierant ab Roma, comiter au nè ad essi, nè a loro alleati. Perciocchè, ch'egli
diti dimissidue, ut tempus postulabat, incerto non volesse violare l'amicizia dei Romani, n'era
adbuc adversus Philippum eventu belli. Quum argomento la sua recente ambasciata colà spedita,
725 TITI LIVII LIBER XXXIII. 726
haec legati regis in concione Rhodiorum agerent, e i decreti e risposte onorifiche del senato a suo
nuncius venit, debellatum ad Cynoscephalas esse. riguardo. - Erano allora tornati a caso da Roma
Hoc muncio accepto, Rhodiis, dempto metu a gli ambasciatori di Antioco, amorevolmente uditi
Philippo omni, erat consilium obviam eundi clas e congedati; che così il tempo chiedeva, essendo
se Antiocho. lllam alteram curam non omiserunt, tuttora incerto l'esito della guerra contro Fi
tuendae libertatis civitatium sociarum Ptolemaei, lippo. Mentre i legati di Antioco esponevan co
quibus bellum ab Antiocho imminebat: nam alias deste cose nell'assemblea de' Rodiani, venne un
auxiliis juverunt, alias providendo ac praemonen messo recando, che la guerra s'era finita a Cino
do conatus hostis; causaque libertatis fuerunt Cau scefala. Avuta questa nuova, i Rodiani, liberi da
niis, Myndiis, Halicarnassensibus, Samiisque. Non ogni timore per parte di Filippo,aveano in pensie
operae est persequi, ut quaeque acta in his locis ro di farsi incontro ad Antioco con la flotta; non
sint, quum ad ea, quae proprie Romani belli sunt, però lasciarono l'altra cura di proteggere la li
vix sufficiam. bertà delle città alleate di Tolomeo, cui sovra
stava la guerra con Antioco; perciocchè altre ne
aiutarono con soccorsi di gente, altre con la pre
visione, e coll'avvertirle dei tentativi del nemico,
e furon cagione, che salvassero la libertà i Cauni,
i Mindi, gli Alicarnassei ed i Samii. Non è il pregio
dell' opera ch'io vada seguendo tutte le cose
accadute in que luoghi, mentre appena basto a
quelle, che della Romana guerra son proprie.
XXI. Eodem tempore et Attalus rex, aeger XXI. A quel tempo medesimo anche il re
Thebis Pergamum advectus, moritur altero et Attalo, trasportato infermo da Tebe a Pergamo,
septuagesimo anno; quum quatuor et quadra gin si muore di anni settant'uno, avendone regnato
ta annos regnasset. Huic viro, praeter divitias, quarantaquattro. Non altro gli avea dato la for
mihil ad spero regni fortuna dederat: his simul tuna, onde sperar potesse regnare, che le ricchez
prudenter, simul magnifice utendo, effecit, pri ze; ma usando di queste con prudenza insieme
mum ut sibi, deinde ut aliis non indignus vide e con magnificenza, fece sì che prima a sè, poscia
retur regno. Victis deinde proelio uno Gallis, agli altri non parve indegno di regnare. Indi in
quae tum gens recenti adventu terribilior Asiae una sola battaglia vinti i Galli, nazione, che ve
erat, regium adscivit nomen, cujus magnitudini nuta di fresco avea messo lo spavento in tutta
semper animum aequavit. Summa justitia suos l'Asia, assunse il nome di re, titolo, alla cui gram
rexit : unicam fidem sociis praestitit: uxorem ac dezza ebbe sempre l'animo pari. Resse i suoi con
liberos quatuor superstites habuit: mitis ac mu somma giustizia; fu mirabilmente fedele agli
nificus amicis fuit; regnum adeo stabile ac fir alleati; gli sopravvissero la moglie e quattro
mum reliquit, ut ad tertiam stirpem possessio figli; fu dolce e munifico cogli amici; lasciò il
ejus descenderit. Quum is status rerum in Asia regno così stabile e fermo, che ne pervenne il
Graeciaque et Macedonia esset, vixdum termi possesso fino alla terza generazione. Tal essendo
nato cum Philippo bello, pace certe nondum per lo stato delle cose nell'Asia, nella Grecia e nella
petrata, ingens in Hispania ulteriore coortum est Macedonia, terminata appena la guerra con Fi
bellum. M. Helvius eam provinciam obtimebat. lippo, nè stabilita ancora una certa pace, gran
Is literis senatum certiorem fecit, . Colcam et guerra levossi nella Spagna ulteriore. Marco El
Luscinum regulos in armis esse. Cum Colca de vio governava quella provincia. Egli per lettere
cem et septem oppida, cum Luscino validas ur fe sapere al senato, « che i due piccioli re Colca
bes, Cardonem et Bardonem; et maritimam oram e Luscino erano in arme; che diciassette castelli
omnem, quae nondum animos nudaverat, ad fi tenevano per Colca, e le città forti di Cardone
nitimorum motus consurrecturam. ” His literis a e di Barbone per Luscino; e che tutta la costa
M. Sergio praetore, cujus jurisdictio inter cives marittima, che non s'era ancora manifestata, ai
erat, recitatis, decreverunt Patres, ut, comitiis movimenti dei confinanti sarebbe insorta. » Re
praetorum perfectis, cui praetori provincia Hispa citate queste lettere dal pretore Marco Sergio,
mia obvenisset, is primo quoque tempore de bel al quale toccata era la giurisdizione urbana, i
lo Hispaniae ad senatum referret. Padri decretarono che terminati i comizii dei
pretori, quel d'essi, cui toccata fosse la Spagna,
proponesse al senato al più presto la delibera
zione di quella guerra.
XXII. Sub idem tempus consules Romam ve XXII. Verso quel tempo medesimo i consoli
727 TITI LIVII LIBER XXXIII. 728
merunt: quibus in aede Bellonae senatum haben vennero a Roma; i quali, tenendo il senato nel
tibus, postulantibusque tiumphum ob res prospe tempio di Bellona, e chiedendo il trionfo per le
re bello gestas, C. Atinius Labeo et C. Ursanius egregie imprese fatte nella guerra, i tribuni della
tribuni plebis, ut separatim de triumpho agerent plebe Caio Atinio Labeone e Caio Ursanio do
consules, postularunt: . communem se relatio mandarono che i consoli trattassero separata
nem de ea re fieri non passuros, ne par honos in mente del trionfo; . perciocchè non avrebbon
dispari merito esset. , Quumque Minucius utri sofferto che se ne facesse la proposta in comune,
que provinciam Italiam obtigisse diceret, commu onde in disparità di merito pari non fosse l'ono
ni animo consilioque se et collegam res gessisse; re. » E dicendo Minucio che l'Italia era toccata
Cornelius adjiceret, Bojos adversus se transgre ad ambedue, e ch'egli e il suo collega aveano am
dientes Padum, ut Insubribus Cenomanisque au ministrata la guerra di volontà e consiglio comu
xilio essent, depopulante vicos eorum atque agros ne; aggiungendo Cornelio, che avendo i Boi
collega, ad sua tuenda aversos esse; tribuni « res passato il Po in faccia sua per soccorrere gl'In
tantas bello gessisse Cornelium fateri, ut non ma subri e i Cenomani, avean dovuto per opera del
gis de triumpho ejus, quam de honore diis im suo collega, che devastava le loro terre e bor
mortalibus habendo dubitari possit. Non tamen gate, rivolgersi a difendere le cose proprie, i
mec illum, nec quem quam alium civem tantum tribuni confessavano « aver Cornelio in quella
gratia atque opibus valuisse, ut, quum sibimet guerra fatte cose sì rilevanti, che non si potea
triumplum impetrasset, collegae eumdem hono dubitare del di lui trionfo niente più, che dei
rem impudenter petenti daret. Q. Minucium in dovuti ringraziamenti agli dei immortali. Ma non
Liguribus levia proelia, vix digma dictu, fecisse : per ciò nè egli, nè altro qualsivoglia cittadino
in Gallia magnum numerum militum amisisse. tanto aver di credito e di possanza, che avendo
Nominabant etiam tribunos militum T. Juven ottenuto il trionfo per sè medesimo, valesse a da
tium, et C. Labeonem eius fratrem, qui adversa re lo stesso onore al collega, che impudentemente
pugna cum multis aliis viris fortibus, civibus ac lo chiedeva. Quinto Minucio avea dato nei Liguri
sociis, cecidissent. « Oppidorum paucorum ac vi battaglie di poco conto, degne appena d'essere
corum falsas, et in tempus simulatas, sine ullo pi rammentate, e nella Gallia avea perduto gran
gnore deditiones factas esse. » Hae inter consules gente. “ Nominavano eziandio Tito Juvenzio, e
tribunosque altercationes biduum tenuerunt, vi il di lui fratello Caio Labeone, tribuni de' sol
ctique perseverantia tribunorum consules sepa dati, ch'eran periti in una sconfitta con molti
ratim retulerunt. altri prodi, sì cittadini, che alleati; c. s'eran
fatte dedizioni false e simulate pel momento di
castelli e borgate, senza nessun pegno di sicu
rezza. » Durarono codeste altercazioni tra i

consoli ed i tribuni due giorni, e i consoli, vinti


dalla perseveranza dei tribuni, proposero sepa
rata la domanda del trionfo.
XXIII. C. Cornelio omnium consensu decre XXIII. A Caio Cornelio fu decretato il
tus triumphus; et Placentini Cremonensesque trionfo con unanime consentimento; e i Piacen
addiderunt favorem consuli, gratias agentes com tini e i Cremonesi gli accrebbero favore, ringra
memorantesque, obsidione se esse ab eo liberatos, ziandolo, e rammemorando che gli avea egli li
plerosque etiam quum apud hostes essent, servi berati dall'assedio, e parecchi eziandio di loro,
tute exceptos. Q. Minucius, tentata tantum rela ch'erano in poter del nemico, tratti di schiavitù.
tione, quum adversum omnem senatum videret, Quinto Minucio, avendo tentato solamente che
in monte Albano se triumphaturum, et jure im se ne facesse la proposta, vedendo essergli con
perii consularis, et multorum clarorum virorum trario tutto il senato, disse che avrebbe trionfato
exemplo, dixit. C. Cornelius de Insubribus Ce sul monte Albano, e per diritto della podestà
nomanisque in magistratu triumphavit: multa consolare, e coll'esempio di molti illustri perso
signa militaria tulit, multa Gallica spolia captivis naggi. Caio Cornelio trionfò, essendo ancora nel
carpentis transvexit: multi nobiles Galli ante magistrato, degl'Insubri e dei Cenomani; vi
currum traducti; inter quos, quidam, Hamilca portò molte insegne militari, e trasse su carri
rem ducem Poenorum fuisse, auctores sunt. Ce presi al nemico molte Galliche spoglie; molti
terum magis in se convertit oculos Cremonen Galli di famiglie illustri furon menati dinanzi al
sium Placentinorumque colonorum turba pilea carro; tra quali alcuni scrivono che ci fosse
torum, currum sequentium. Tulit in triumpho Amilcare, capitano dei Cartaginesi. Ma quello
ducenta triginta septem millia quingentos aeris, che più attrasse gli occhi di tutti, si fu una turba
729 -
TITI LIVII LIBER XXXIII. 73o
argenti bigati septuaginta novem millia. Septua di coloni Cremonesi e Piacentini, col berretto
genos aeris militibus divisit: duplex equiti, tri in testa, che seguivano il carro. Portò pure nel
plex centurioni. Q. Minucius consul de Liguribus trionfo dugento trentasette mila e cinquecento
Bojisque Gallis in monte Albano triumphavit. Is assi, settantanove mila bigati d'argento, e divise
triumphus, ut loco et fama rerum gestarum, et a soldati settanta assi per ciascuno; il doppio
quod sumptum non erogatum ex aerario omnes al cavaliere, il triplo al centurione. Il console
sciebant, imhonoratior fuit, ita signis, carpentis Quinto Minucio trionfò sul monte Albano dei Li
que, et spoliis ferme aequabat. Pecuniae etiam guri, de'Boi e de'Galli. Questo trionfo, ch'ebbe
prope par summa fuit: aeris translata ducenta et minor lustro sì in ragione del luogo, sì in ragione
quinquaginta quatuor millia, argenti bigati quin delle imprese, e perchè tutti sapevano che la
quaginta tria millia et ducenti. Militibus centu spesa non era fatta dall'erario, così quanto alle
rionibusque et equitibus item in singulos datum, insegne, ai carri ed alle spoglie pareggiava quasi
quod dederat collega. l'altro. Anche la somma del danaro fu quasi la
stessa: vi furono portati dugento e cinquanta
quattro mila assi, cinquantatrè mila e dugento
bigati d'argento, e ai soldati, ai centurioni, ai
cavalieri fu dato per ciascuno lo stesso che dato
aveva il collega.
XXIV. Secundum triumphum consularia co XXIV. Dopo il trionfo si son tenuti i comizii
mitia habita: creati consules L. Furius Purpureo consolari. Furono creati consoli Lucio Furio Pur
et M. Claudius Marcellus. Praetores postero die pureone e Marco Claudio Marcello. Il dì seguen
facti, Q. Fabius Buteo, Ti. Sempronius Longus, te furon fatti pretori Quinto Fabio Buteone, Tito
Q. Minucius Thermus, M. Acilius Glabrio, L. Sempronio Longo, Quinto Minucio Termo, Ma
Apustius Fullo, C. Laelius. Exitu ejus anni literae nio Acilio Glabrione, Lucio Apustio Fullone e
a T. Quintio veherunt, se signis collatis cum rege Caio Lelio. Sul fine di quest'anno vennero lettere
Philippo in Thessalia pugnasse: hostium exerci da Tito Quinzio colla notizia, ch'egli aveva com
tum fusum fugatumque. Hae literae prius in sena battuto a bandiere spiegate in Tessaglia contro
tu a Sergio praetore, deinde ex auctoritate Pa il re Filippo, e che l'esercito nemico era stato
trum in concione sunt recitatae. Ob res prospere sbaragliato e messo in fuga. Queste lettere furon
gestas in dies quinque supplicationes decretae. lette primieramente in senato dal pretore Ser
Brevi post legati et a T. Quintio, et ab rege ve gio, poi d'ordine de'Padri nell'assemblea del
merunt. Macedones deducti extra urbem in vil popolo. Si decretarono cinque giorni di pubbli
lam publicam, ibique iis locus et lautia praebita; che preghiere pe felici avvenimenti. Poco appres
et ad aedem Bellonae senatus est habitus. Haud so vennero ambasciatori da Tito Quinzio e dal
multa verba facta, quum Macedones, quaecumque re. I Macedoni furon condotti fuori di Roma
senatus censuisset, id regem facturum esse, dice nella pubblica villa, e quivi si diede loro alloggio
rent. Decem legati more majorum, quorum ex e trattamento del pubblico. Il senato si raccolse
consilio T. Quintius imperator leges pacis Philip nel tempio di Bellona. Non si fecero molte parole,
po daret, decreti; adjectumque, utin eo numero dicendo i Macedoni che il re avrebbe fatto tutto
legatorum P. Sulpicius et P. Villius essent, qui quello che il senato avesse deliberato. Si decreta
consules provinciaIn Macedoniam obtinuissent. rono dieci legati, secondo l'uso de'maggiori, col
Cosamis eo die postulantibus, ut sibi colonorum consiglio de'quali il comandante l'ito Quinzio
numerus augeretur, mille adscribi jussi; dum desse a Filippo le condizioni della pace, e si ag
ne quis in eorum numero esset, qui post P. giunse, che in quel numero di legati si compren
Cornelium et Ti. Sempronium consules hostis dessero Publio Sulpicio e Publio Villio che avea
fuisset. no consoli guerreggiato in Macedonia. Ai Cosani
che in quel di medesimo chiesero che fosse accre
sciuto loro il numero de'coloni, si ordinò che
ne fossero mandati mille; purchè in quel numero
nessuno fosse di quelli, ch'erano stati nemici dopo
i consoli Publio Cornelio e Tito Sempronio.
XXV. Ludi Romani eo anno in circo scenaque XXV. I giuochi Romani in quell'anno furono
ab aedilibus curulibus, P. Cornelio Scipione et Cm. celebrati nel circo e nel teatro dagli edili curuli
Manlio Vulsone, et magnificentius, quam alias, fa Publio Cornelio Scipione e Gneo Manlio Vulsone
cti, et laetius propter resbello bene gestas spectati, più magnificamente che per l'addietro, e visti
totique ter instaurati; plebei septies instaurati. lietamente più che mai pe'successi prosperi della
73 i T'ITI I,l VII LIBER XXXIII. 732
Acilius Glabrio, C. Laelius eos ludos fecerunt. Ex guerra, e si son rinnovati per intero tre volte;
argento muletaticio triasigna aenea, Cereri Libe i plebei sette. Questi furon fatti da Acilio Gla
roque et Liberae posuerunt. (Anno U. C. 556. – brione e da Caio Lelio. Del danaro delle multe
A. C. 196) L. Furius et M. Claudius Marcellus, si dedicarono tre statue di bronzo a Cerere, a
consulatu inito, qunm de provinciis ageretur, et Bacco e a Proserpina. (Anni D. R. 556. – A.
Italiam utrique provinciam senatus decerneret, C. 196.) Lucio Furio e Marco Claudio Marcello,
ut Macedoniam cum Italia sortirentur, petebant. preso il consolato, trattandosi delle province, ed
Marcellus, provinciae cupidior, pacem simula assegnando il senato l'Italia all'uno ed all'altro,
tam ac fallacem dicendo, et rebellaturum, si exer chiedevano che si traessero a sorte l'Italia insie
citus inde deportatus esset, regem, dubios senten me e la Macedonia. Marcello, che bramava que
fiae Patres fecerat. Et forsi tan obtinuissent con sta ardentemente, dicendo che la pace era simu
smles. mi Q. Marcius Rex et C. Atinius Labeo, lata e menzognera, e che il re si sarebbe ribellato,
tribuni plebis, se intercessuros dixissent, ni prius tosto che si levasse l'esercito di colà, avea messo
ipsi ad plebem tulissent, vellent juberentne cum i Padri in qualche dubbiezza. E forse i consoli
rege Philippo pacem esse. Ea rogatio in Capito avrebbon vinto, se Quinto Marcio Re e Caio Ati
lio ad plebem lata est: omnes quinque et tri nio Labeone, tribuni della plebe, non avessero
ginta tribus, uti rogatae, jusserunt. Et quo magis protestato che si sarebbero opposti, qualora essi
pacem ratam esse in Macedonia vulgo laetaren prima non avessero proposto al popolo, se volesse
tur, tristis ex Hispania nuncius allatus effecit, la pace con Filippo. Ne fu fatta la proposizione
vulgataeque literae, « C.Sempronium Tuditanum alla plebe nel Campidoglio: tutte le trentacinque
proconsulem in citeriore Hispania proelio victum: tribù approvarono la proposta. E un disgustoso
exercitum eius fusum fugatumque, et illustres messo venuto dalla Spagna fece che tanto più la
viros in acie cecidisse: Tuditanum, cum gravi gente si allegrasse della pace ratificata nella Ma
vulnere latum ex proelio, haud ita multo post cedonia, e si pubblicarono le lettere, che recavano,
expirasse. - Consulibus ambobus Italia provincia « come Caio Sempronio Tuditano, proconsole,
cum his legionibus, quas superiores consules ha era stato nella Spagna citeriore disfatto in batta
buissent, decreta, et ut quatuor legiones novas glia, il di lui esercito sbaragliato e fugato, ed esser
scriberent: duas, quae, quo senatus censuisset, morti sul campo parecchi illustri personaggi:
mitterentur. Et T. Quintius Flamininus cum dua Tuditano, portato fuori della mischia gravemente
bus legionibus provinciam eodem exercitu obti ferito, esser da lì a poco spirato. » Si assegnò
nere jussus: imperium ei prorogatum satis jam l'Italia ad ambedue i consoli con quelle legioni
ante videri esse. ch'erano state de'consoli antecedenti, e si decre
tò che levassero quattro nuove legioni; due da
mandarsi dove il senato ordinasse. E si commise
a Tito Quinzio Flaminino che con l'esercito,
che aveva, aggiuntevi le altre due legioni, si
mantenesse nella Spagna, e quanto al comando si
credeva che gli fosse stato l'anno innanzi ba
stantemente prorogato.
XXVI. Praetores deinde provincias sortiti, XXVI. Indi i pretori, tratte a sorte le provin
L. A pustius Fullo urbanam jurisdictionem, M.' ce, ebbero Lucio Apustio Fullone la giurisdizione
Acilius Glabrio inter cives et peregrinos, Q. Fa urbana, Manio Acilio Glabrione quella tra citta
bius Buteo Hispaniam ulteriorem, Q. Minucius dini e forestieri, Quinto Fabio Buteome la Spagna
Thermus citeriorem, C. LaeliusSiciliam, Ti. Sem ulteriore, Quinto Minucio Termo la citeriore,
pronius Longus Sardiniam. Q. Fabio Buteoni et Caio Lelio la Sicilia, Tito Sempronio Longo la
Q. Minucio, quibus Hispaniae provinciae evene Sardegna. Si decretò che a Quinto Fabio Buteo
rant, consules legiones singulas ex quatuor ab se ne e a Quinto Minucio, a quali eran toccate le
scriptis, quasvideretur, uti darent, decretum est; Spagne, delle quattro legioni, che s'erano levate,
sociùm ac nominis Latini quaterna millia pedi se ne desse una per ciascuno, quali più piacesse
tum, trecenos equites: hique primo quoque tem a'consoli, e quattro mila fanti e trecento cavalli
pore in provincias ire jussi. Bellum in Hispania degli alleati e del nome Latino; ed ebber ordine
quinto post anno exortum est, quam simul cum di andare quanto prima alle loro province. Sorse
Punico bello fuerat finitum. Priusquam hi prae la guerra in Ispagna l'anno quinto, da che era
tores ad bellum prope novum, quia tum primum stata terminata insieme con la guerra Cartaginese.
suo nomine, nullo Punico exercitu aut duce, ad Avanti che questi pretori partissero per questa
arma ierant, proficiscerentur, aut ipsi consules guerra quasi nuova, perch'era la prima volta,
733 TITI LIVII LIBER XXXIII. 734
ab urbe moverent, procurare, ut assolet, prodi che s'erano levati in arme col proprio nome,
gia, quae nunciabantur, jussi. L. Julius Seque senza aver esercito o comandante Cartaginese,
stris, in Sabinos proficiscens, fulmine ipse equus e avanti che i consoli stessi si movessero di Roma,
que exanimati fuerant: aedes Feroniae in Cape fu lor commesso di espiare, come si suole, i pro
nate de coelo tacta erat; ad Monetae duarum ha digii, che si annunziavano. Lucio Giulio Seque
starum spicula arserant: lupus, Esquilina porta stre, andando al paese de'Sabini, era stato ucciso
ingressus, frequentissima parte urbis, quum in da un fulmine, egli ed il cavallo; il tempio della
forum decurrisset, Tusco vico atque Intemelio, dea Feronia nel territorio di Capena era stato
per portam Capenam prope intactus evaserat, pure colpito da fulmine; nel tempio della dea
Haec prodigia majoribus hostiis sunt procurata. Moneta s'eran viste sprizzar fiamme dalle punte
di due aste; un lupo, entrato per la porta Esqui
lina, parte frequentatissima della città, sceso di
corsa nel foro, trapassato il borgo Tosco e l'Inte
melio, era uscito quasi illeso per la porta Capena.
Si sono espiati questi prodigii con le vittime
maggiori.
XXVII. lisdem diebus Cn. Cornelius Lentu XXVII. In que” di medesimi Gneo Cornelio
lus, qui ante Sempronium Tuditanum citeriorem Lentulo, che aveva avuto, avanti Sempronio Tu
Hispaniam obtinuerat, ovans ex senatusconsulto ditano, il governo della Spagna citeriore, entrò
urbem est ingressus. Tulit praese auri mille et per decreto del senato ovante in Roma. Portò
quingenta quindecim pondo, argenti viginti mil dinanzi a sè mille cinquecento e quindici libbre
lia, signati denarios triginta quatuor millia et d'oro, venti mila di argento coniato, trentaquat
quingentos quinquaginta. L. Stertinius ex ulte tromila cinquecento e cinquanta danari. Lucio
riore Hispania, ne tentata quidem triumphi spe, Stertinio dalla Spagna ulteriore, non fatta nè
quinquaginta millia pondo argenti in aerarium anche pruova se gli riuscisse di trionfare, portò
tulit: et de manubiis duos fornices in foro Boario all'erario cinquanta mila libbre d'argento, e delle
ante Fortunae aedem et matris Matutae, unum spoglie eresse due archi nel foro Boario, davanti
in maximo circo fecit ; et his fornicibus signa al tempio della Fortuna e della madre Matuta,
aurata imposuit. Haec per hiemem ferme acta. ed uno nel circo Massimo, e vi pose sopra alcune
Hibernabat eo tempore Athenis Quintius, a quo statue indorate. Queste son le cose a un dipresso
quum multa socii peterent, Boeoti petierunt fatte nella vernata. In quel tempo svernava Quin
impetraveruntdue, ut hi, qui suae gentis militas zio in Atene, a cui chiedendo gli alleati molte
sent apud Philippum, sibi restituerentur. Id a cose chiesero i Beozii ed ottennero, che quelli di
Quintio facile impetratum ; non quia satis dignos lor nazione, che avean militato con Filippo, fos
eos credebat, sed quia, Antiocho rege jam suspe sero restituiti loro. E l'impetrarono facilmente
cto, favor conciliandus nomini Romano apud ci da Quinzio, non che ne gli credesse bastantemente
vitates erat. Restitutis, confestim apparuit, quam meritevoli, ma perchè già sospettando del re
nulla inita apud Boeotos gratia esset; nam et ad Antioco, bisognava conciliare al popolo Romano
Philippum gratias agentes pro redditis homini il favore delle città. Appena furono restituiti, ap
bus, perinde atque ipsi id a Quintio et Roma parve subito quanto ne fosser poco riconoscenti
mis datum esset, miserunt; et comitiis proximis i Beozii. Perciocchè mandarono a ringraziare
Boeotarchen nullam aliam ob causam Brachyl Filippo per codesta restituzione, come se fosse
lam quemdam, quam quod praefectus Boeoto stato regalo fatto a lui da Quinzio e dai Romani,
rum apud regem militantium fuisset, fecerunt, e ne prossimi comizii fecero Beotarche un certo
praeteritis Zeuxippo et Pisistrato, aliisque, qui Brachilla, non per nessun altro motivo, se non
Romanae societatis auctores fuerant. Id aegre et perchè era stato prefetto dei Beozii, che avean
in praesentia hi passi, et in futurum etiam me militato con Filippo, lasciati da parte Zeusippo e
tum ceperunt, quum ad portas prope sedente Pisistrato ed altri, che avean proposta la lega coi
exercitu Romano ea fierent, quidnam se futurum Romani. Di mal grado il soffriron questi in pre
esset, profectis in Italiam Romanis, Philippo ex sente, ed anche m'ebber tema per l'avvenire,
propinquo socios adjuvante, et infesto his, qui pensando, se si faccian tali cose, standosi quasi
partis adversae fuissent. ancora in sulle porte l'esercito Romano, che
avverrebbe, tornando i Romani in Italia, e Filip
po aiutando dappresso i suoi partigiani, e perse
guitando quelli, ch'eran del contrario partito.
XXV ill. Dum Romanu arma propinqua ha XXVIII. Stabilirono adunque, sino a tantº
735 TITI LIVII LIBER XXXIII, 736
bebant, tollere Brachyllam, principem fautorum ch'eran vicine l'arme Romane, di torsi dagli oc
regis, statuerunt, et tempore ad eam rem capto, chi Brachilla, capo dei fautori del re, e preso
quum in publico epulatus reverteretur domum tempo acconcio a ciò, mentre quegli, stato ad un
temulentus, prosequentibus mollibus viris, qui pubblico banchetto, si tornava a casa avvinazzato,
joci causa convivio celebri interfuerant, ab sex accompagnato da gente di poco spirito, ch'erano
armatis, quorum tres Italici, tres Aetolici erant, intervenuti al banchetto per allegrare i convitati,
circumventus occiditur. Fuga comitum et quiri assalito da sei armati, de'quali tre Italiani e tre
tatio facta, et tumultus tota urbe discurrentium Etoli, viene ucciso. I compagni fuggono, si grida
cum luminibus: percussores provina porta evase all'assassinio, si corre tumultuariamente per tutta
runt. Luce prima concio frequens, velut exstante la città con fiaccole: gli uccisori per la vicina
indicio, ad vocem praeconis convocata in thea porta scamparono. Sul far del giorno alla voce
tro erat. Palam ab suo comitatu et obscoemis illis del banditore s'era adunata nel teatro numerosa
viris fremebant interfectum ; animis autem Zeu assemblea, come se si avesse scoperto alcun indi
xippum auctorem destinant caedis. In praesentia zio. In pubblico dicevano ch'era stato ucciso dai
placuit comprehendieos, qui simul fuissent, quae suoi compagni e da quegli uomini infami; in cuo
stionemque ex his haberi. Qui dum quaeruntur, re poi disegnavano Zeusippo come autore del
Zeuxippus, consimili animo avetendi ab se cri l'assassinio. Piacque intanto, che si pigliassero
minis causa in concionem progressus, errare ait quelli, ch'erano stati con lui, e che si esaminas
homines, qui tam atrocem caedem pertinere sero. Mentre si va in traccia di coloro, Zeusippo,
ad illos semiviros crederent; multaque in eam nell'intenzione anch'esso di divertire da sè il
partem probabiliter argumentatus, quibus fidem sospetto della colpa, fattosi innanzi a parlare,
apud quosdam fecit, numquam, si conscius esset, disse ingannarsi coloro, che credevano sì atroce
oblaturum se multitudini, mentionemve caedis, misfatto appartenere a que mezzi-uomini, e ad
nullo lacessente, facturum ſuisse. Alii non dubi dusse in quel senso molti argomenti probabili,
tare, obviam eundo impudenter criminis suspi co'quali fe'credere a taluni, che se fosse complice,
cionem averti. Torti post paullo insontes, quum non si sarebbe mai presentato al pubblico, nè
scirent ipsi opinionem omnium, ea pro indicio fatto avrebbe, non provocato da alcuno, menzio
usi, Zeuxippum et Pisistratum nominaverunt ; ne di codesto ammazzamento. Altri non dubita
nullo adjecto, cur scire quidquam viderentur, vano, che facendosi innanzi impudentemente,
argumento. Zeuxippus tamen cum Stratonida non mirasse a divertire i sospetto, ch'ei fosse
quadam nocte perfugit Tanagram, suam magis reo. Poco di poi messi i non colpevoli alla tortu
conscientiam, quam indicium hominum nullius ra, sapendo essi la comune opinione, valendosi
rei consciorum, metuens. Pisistratus, spretis in di questa come d'indizio, nominarono Zeusippo
dicibus, Thebis mansit. Servus erat Zeuxippo, e Pisistrato, senza però aggiungeraltro argomen
totius internuncius et minister rei; quem indi to, perchè dicessero di saperne alcuna cosa. Zeu
cem Pisistratus timens, eo ipso timore ad indi sippo però fuggì la notte a Tamagra con certo
cium protraxit. Literas ad Zeuxippum mittit, Stratonida, temendo più la propria coscienza,
a servum conscium tolleret: non tam idoneum che l'indicazione di gente, che nulla sapeva. Pi
ad celandam rem eum videri sibi, quam ad agen sistrato, non curando sì fatti accusatori, rimase
dam fuerit. º Has qui tulit literas, jussit Zeuxippo a Tebe. Avea Zeusippo uno schiavo, mezzano e
dare quamprimum. Is, quia non sibi conveniendi ministro di tutto l'affare, e temendo Pisistrato
ejus copia fuit, ipsi illi servo, quem ex omnibus che costui rivelasse la cosa, con questo stesso ti
domino fidissimum credebat, tradidit, et adje more l'indusse a rivelarla. Scrive a Zeusippo,
cit, a Pisistrato de re magnopere pertinente ad c. che tolga dal mondo lo schiavo consapevole
Zeuxippum esse. Conscientia ictus, quum extem di tutto; non parergli che costui atto sia tanto
plo traditurum eas affirmasset, aperit. Perlectis a nasconderla, quanto era stato atto ad eseguir
literis, pavidus Thebas refugit : et Zeuxippus la. » Quegli che portò la lettera ebbe ordine di
quidem, fuga servi motus, Athenas, tutiorem e consegnarla subito a Zeusippo; egli, perchè non
silio locum ratus, concessit. De Pisistrato aliquae potè darla in persona, la consegnò a quello stesso
quaestiones tormentis habitae, et sumptum sup schiavo, che credeva più di tutti fido al padrone,
plicium est. ed aggiunse esser di Pisistrato per cosa, che
grandemente importava a Zeusippo. Colui, tocco
dalla coscienza, promettendo che l'avrebbe su -
bito consegnata, l'apre. Letta che l'ebbe, spaurito
corre a Tebe; e Zeusippo, colpito dalla fuga del
lo schiavo, ritirossi in Atene, luogo di esiglio
I l l'I LIVII LIBER XXXIII. 738
stimato più sicuro. Quanto a Pisistrato, fu al
quanto esaminato colla tortura, indi mandato a
morte.
XXIX. Efferavit ea caedes Thebanos Boeotos XXIX. Quell'assassinio inferoci l'animo dei
que omnes ad exsecrabile odium Romanorum; Tebani e de Beozii, spingendoli a esecrabil odio
Zeuxippum principem gentis id facinus conscis contro i Romani; dolevansi che Zeusippo, dei
se. Ad rebellandum neque vires, neque ducem primi di lor nazione, commesso avesse un tal mis
habebant. Proximum bello quod erat in latroci fatto. Non avevano a ribellarsi nè forze, nè capo.
mium versi, alios hospites, alios vagos per hiberna Voltisi a quello, che più a guerra somigliava, a
milites, ad varios commeantes usus, excipiebant. farla a guisa di masnadieri, qui uccidevano i sol
Quidam in ipsis itineribus, ad notas latebras in dati stessi che albergavano, là quelli, che vaga
sidiantibus, pars in deserta per fraudem dever vano pe'quartieri andando alle lor diverse biso
soria devecti deductidue opprimebantur. Po gne; alcuni erano oppressi sulle strade medesime,
stremo non tantum odio, sed etiam aviditate insidiati da noti nascondigli, altri eran condotti
praedae, ea facinora faciebant; quia, negotiandi e tratti per frode in luoghi sviati e deserti. In
ferme causa argentum in zonis habentes, in com ultimo commettevan sì fatte scelleraggini non so
meatibus erant. Quum primo pauci, deinde in dies lamente per odio, ma eziandio per ingordigia di
plures desiderarentur, infamis esse Boeotia omnis preda; ch'eran soldati in congedo, che portavan
coepit; et timidius, quam in hostico, egredica seco danari nella cintura per far qualche traffico.
stris miles. Tum Quintius legatos ad querendum Dapprima pochi, indi ogni dì mancandone più,
de latrociniis per civitates mittit. Plurimi pedi tutta la Beozia cominciò ad essere infamata, e il
tes circa Copaidem paludem inventi: ibi ex limo soldato usciva del campo con più timore, che se
eruta extractaque ex stagno cadavera, saxis aut fosse in terra nemica. Allora Quinzio manda le
amphoris, ut pondere traberentur in profundum, gati per le città a conoscere di codesti assassinii.
adnexa. Multa facinora Acraephiae et Coroneae Moltissimi pedoni furon trovati morti nelle vici
facta inveniebantur. Quintius primo nozios tradi nanze della palude Copaide, parecchi cadaveri
sibi jussit, et pro quingentis militibus (totenim furon cavati dal fango e tratti fuor dello stagno,
intercepti erant) quingenta talenta Boeotos con legati a sassi, o ad anfore, acciocchè il peso li
ferre. Quorum neutrum quum fieret, verbistan tirasse al fondo; molte di queste iniquità si tro
tum civitates excusarent, nihil publico consilio vavan fatte in Acrefia e in Coronea. Quinzio or
factum esse; missis Athenas et in Achajam lega dinò prima, che gli si consegnassero i rei, e che
tis, qui testarentur sociis, justo pioque bello se pe' cinquecento soldati (chè tanti erano gli uc
persecuturum Boeotos, et cum parte copiarum cisi) i Beozii pagassero cinquecento talenti. E non
P. Claudio Acraephiam ire jusso, cum parte Co facendosi nè l'una cosa, nè l'altra, scusandosi le
roneam circumsedit; evastatis prius agris, quam città solamente col dire, che in ciò il pubblico
ab Elatia duo diversa agmina iere. Hac perculsi non ci aveva parte nessuna, mandati legati in
clade Boeoti, quum omnia terrore ac fuga com Atene e nell'Acaia, che protestassero agli alleati,
plessent, legatos mittunt : qui quum in castra non com'egli avrebbe perseguitati in guerra giusta e
admitterentur, Achaei Atheniensesque supervene pia i Beozii, commesso a Publio Claudio che an
runt. Plus auctoritatis Achaei habuerunt, depre dasse con parte delle forze ad Acrefia, egli con
cantes; ac, mi impetrassent pacem Boeotis, bel l'altra parte assediò Coronea, dato prima il
lum simul gerere decreverunt. Per Achaeos et guasto alle campagne, per le quali i due diversi
Boeotis copia adeundi alloquendique Romanum eserciti passarono partendo da Elazia. Sgomen
facta est, jussisque tradere nozios, et mulctae no tati i Beozii da questo devastamento, non altro
mine triginta talenta conferre, pax data, et ab offrendosi intorno, che terrore e fuga, mandano
oppugnatione recessum. ambasciatori: i quali non essendo ammessi nel
campo, sopraggiunsero gli Achei e gli Ateniesi.
Più forza ebbero le preghiere degli Achei, e qua
lora non avessero impetrata la pace ai Beozii,
deliberarono di far la guerra insieme con essi.
ottennero i Beozii col mezzo degli Achei di pre
sentarsi, e parlare al comandante Romano, ed
avendo avuto ordine di consegnare i colpevoli e
di pagare trenta talenti a titolo di multa, si diede
loro la pace e fu levato l'assedio.
XXX. Post paucos dies decem legati ab Roma XXX. Da lì a pochi giorni rie da Roma
Livio 2 7
739 TITI LIVII LIBER XXXIII. 74o
venerunt, quorum ex consilio pax data Philippo i dieci legati, col consiglio de'quali fu data a Fi
in has leges est. «Omnes Graecorum civitates quae lippo la pace con queste condizioni: a che tutte
in Europa, quaeque in Asia essent, libertatem ac le città della Grecia, che in Europa fossero ed in
suas leges haberent. Quae earum sub ditione Phi Asia, fossero libere, e si reggessero colle lor leggi;
lippi fuissent, praesidia ex his Philippus deduce che da quelle, che state fossero sotto la domina
ret; his, quae in Asia essent, Euromo Pedasis zione di Filippo, egli ne levasse le guernigioni;
que et Bargyliis et Jasso et Myrina et Abydo, così da quelle, ch'erano in Asia, da Euromo,
et Thaso et Perintho: eas quoque enim placere Pedaso, Bargilia, Jasso, Mirina, Abido, Taso e
liberas esse. De Cianorum libertate, Quintius Perinto: volersi, che queste pure sien libere.
Prusiae Bithynorum regiscriberet, quid senatui et Quanto alla libertà de' Ciani, Quinzio scrivesse
decem legatis placuisset. Captivos transfugasque a Prusia re di Bitinia, qual era il desiderio del
reddere Philippum Romanis, et naves omnes senato e dei dieci legati. Filippo rendesse ai Ro
-tectas tradere, quin et regiam unam inhabilis mani i prigioni e i disertori, e consegnasse tutte
prope magnitudinis, quam sexdecim versus re le navi coperte, e quella stessa regia nave, quasi
morum agebant. Ne plus quingentis armatorum fuor d'uso per la sua grandezza, cui moveano
haberet, neve elephantum ullum. Bellum extra sedici ordini di remi. Non avesse più di cinque
Macedoniae fines ne injussu senatus gereret. cento uomini in arme e nessun elefante. Non
Mille talentùm daret populo Romano: dimidium guerreggiasse fuori della Macedonia senza licen
praesens,dimidium pensionibus decemannorum.” za del senato. Pagasse al popolo Romano mille
Valerius Antias, quaternum millium pondo ar talenti: la metà subito, l'altra metà in altrettante
genti vectigal in decem annos, triginta quaterna pensioni nello spazio di dieci anni. Valerio An
millia pondo ct ducenta, praesens viginti millia ziate scrive, che gli s'impose un annuo tributo
pondo. Idem nominatim adjectum scribit, ne di quattro mila libbre d'argento per dieci anni,
cum Eumene, Attali filio (novus is tum rex e nel presente trentaquattro mila dugento e venti,
erat), bellum gereret. In haec obsides accepti, ed essersi nominatamente aggiunto, che non fa
inter quos Demetrius Philippi filius. Adjicit Va cesse guerra con Eumene, figlio di Attalo (era
lerius Antias, Attalo absenti Aeginam insulam questi il nuovo re). A garanzia si presero ostaggi,
elephantosque dono datos, et Rhodiis Stratoni tra quali Demetrio figlio di Filippo. Aggiunge
ceam Cariae, atque alias urbes, quas Philippus lo stesso Valerio Anziate, che ad Attalo assente
tenuisset ; Atheniensibus insulas datas Paron, si regalò l'isola di Egina ed alcuni elefanti, ed
-Imbrum, Delum, Scyrum. ai Rodiani Stratonicea nella Caria, ed altre città
ch'erano state occupate da Filippo, e che si do
narono agli Ateniesi le isole di Paro, Imbro, Delo
e Sciro.
XXXI. Omnibus Graeciae civitatibus hanc XXXI. Mentre tutte le città della Grecia ap
pacem approbantibus, soli Aetoli id decretum provavano questa pace, i soli Etoli secretamente
decem legatorum clam mussantes carpehant: mormorando censuravano il decreto dei dieci
literas inanes vana specie libertatis adumbra legati. « Si erano usate vaghe espressioni adom
tas esse. Cur enim alias Romanis tradi urbes, brate di una vana apparenza di libertà. Percioc
nec nominari eas, alias nominari, et sine traditio chè a qual fine si consegnarono a Romani alcune
ne juberi liberas esse? misi ut, quae in Asia sint, città senza nominarle, altre si nominavano, e,
liberentur, longinquitate ipsa tutiores; quae in senza consegnarle, si ordinava che fosser libere ?
Graecia sint, ne nominatae intercipiantur, Corin se non è, perchè sien libere quelle, che sono in
thus et Chalcis et Oreum cum Eretria et Deme Asia, più sicure per la stessa loro lontananza; e
triade. - Nec tota ex vano criminatio erat: dubi quelle, che son nella Grecia, Corinto, Calcide,
tabatur enim de Corintho et de Chalcide ct De Oreo con Eretria e Demetriade, non essendo
triade, quia in senatusconsulto, quo missi decem nominate, sieno escluse. “ Nè vana era del tutto
legati ab urbe erant, ceterae Graeciae atque Asiae codesta accusa; perciocchè c'era dubbio, quanto
haud dubie liberabantur: de his tribus urbibus a Corinto ed a Calcide e a Demetriade, perchè
legati, quod tempora reipublicae postulassent, id nel decreto del senato, in forza del quale erano
e republica fideque sua facere, statuerejussi erant. stati mandati da Roma i dieci legati, le altre
Antiochus rex erat, quem transgressurum in Eu città della Grecia e dell'Asia erano fuor di dub
ropam, quum primum ei res suae placuissent, bio messe in libertà, e quanto a queste tre avean
non dubitabant: ei tam opportunas ad occupan ordine di considerare le circostanze della repub
dum patere urbes nolebant. Ab Elatia Antic, ram blica, e far quello che in fede loro stimassero es
cum decem legatis, inde Corinthum trajecit: ibi ser utile alla medesima. C'era il re Antioco, il
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consilia decem legatorum tractabantur. Identi quale non dubitavano, che come avesse assestate
dem Quintius, « liberandam omnem Graeciam, le cose sue, sarebbe passato in Europa; quindi
si Aetolorum linguas retundere, si veram carita non volevano che fossero a sua discrezione città
tem, majestatem, apud omnes nominis Romani così opportune ad essere occupate. Poscia Quinzio
vellentesse: si fidem facere, ad liberandam Grae da Elazia passò ad Anticira co'dieci legati, indi
ciam, non ad transferendum a Philippo ad se a Corinto: quivi tenevano le lor conferenze.
imperium, se mare trajecisse. » Nihil contra ea Quinzio ripeteva, a doversi liberare tutta la Gre
de libertate urbium alii dicebant. Ceterum a ipsis cia, se volevano rintuzzar le lingue degli Etoli,
tutius esse, manere paulisper sub tutela praesidii se render caro e rispettabile il nome Romano a
Romani, quam pro Philippo Antiochum dominum tutti i popoli, se far fede, che valicato avessero il
accipi. » Postremo ita decretum est: a Corinthus mare per liberare la Grecia, non per trasferirne
redderetur Achaeis, ut in Acrocorintho tamen il dominio da Filippo a sè medesimi. » Niente
praesidium esset: Chalcidem ac Demetriadem aopponevan gli altri a così fatto discorso, quanto
retineri, donec cura de Antiocho decessisset. » alla libertà di queste città; a esser però più sicuro
per loro stesse lo starsi alcun po' di tempo sotto
la tutela di presidio Romano, di quello che avere
a signore Antioco invece di Filippo. In ultimo fu
decretato, che Corinto fosse renduto agli Achei,
con questo però, che ci fosse presidio Romano
nell'Acrocorinto; che si ritenessero Calcide e
Demetriade sino a che cessasse Antioco di dar
-
pensiero. »
XXXII. Isthmiorum statum ludicrum aderat; XXXll. Era venuto il tempo stabilito a giuo
semper quidem et alias frequens, quum propter chi Istmici, festa anche altre volte sempre fre
spectaculi studium insitum genti, quo certamina quentata, sì per l'affetto, che portava la nazione
omnis generis artium, viriumque ac pernicitatis a codesto spettacolo, nel quale vedonsi gare d'arti
visuntur; tum quia propter opportunitatem loci, d'ogni sorte, gare di forza e di velocità; sì per
per duo diversa maria, omnium Graecorum un chè per l'opportunità del luogo, per due mari
dique conventus erat. Sed exspectatione erecti, diversi, vi concorrevan da ogni parte i Greci
qui deinde status futurus Graeciae, quae sua for tutti. Ma levatisi in aspettazion di sapere qual
tuna esset: alii non taciti solum opinabantur, sed fosse per essere in avvenire lo stato della Grecia,
sermonibus etiam serebant. Romani ad spectacu quale la sua fortuna, alcuni non solamente nera
lum consederunt; et praeco cum tubicine, ut mos gionavan seco tacitamente, ma ne parlavano
est, in mediam arenam, unde solemni carmine eziandio pubblicamente. I Romani sedettero allo
ludicrum indici solet, processit, et tuba silentio spettacolo, e il banditore col trombettiere, com'è
facto, ita pronunciat: seNATUs RoMANUs ET T. l'usanza, si fe innanzi nel mezzo dell'arena, là
QUINTIUs IMPERAToR, PHILIPPo REGE MACEDoNI dove con solenni parole si bandisce la festa, e im
Busque devictis, LIBERos, IMMUNEs, suis LEGIBUs posto silenzio, così pronunzia : « IL seNATo RoMA
Esse JUBET CoRINTHIos, PHocENsEs, LocRENsEsque No e TiTo QUINzio, CAPITANo GENERALE, visto II,
oMNes, ET INsULAM EUBoeAM, ET MAGNETAs, THEs RE FILIPPo ED I MACEDoNI, oaDINA CHE SIENo
sAlos, PERRHAEBos, AchAeos PHTHIotAs. Percen LIBERI, IMMUNI E vivANo con LE LoR LEGGI I CoRuN
sueratomnes gentes, quae sub ditione Philippi re TII, 1 FocesI ED I LocREsI TUTTI, NoN CHE L'Isola
gis fuerant. Audita voce praeconis, majus gaudium EUBEA E 1 MAGNETI, 1 TEssALI, 1 PERREBI, GLI ACHEi
fuit, quam quod universum homines caperemt. FTIoTI. Avea noverate tutte le nazioni, ch'erano
Vix satis credere se quisque audisse: alii alios state sotto la dominazione di Filippo. Udita la
intueri, mirabundi velut somnii vanam speciem: voce del banditore, la gioia fu grande più di quel
quod ad quemque pertineret, suarum aurium fi che potessero gli uomini capirla tutta. Ognuno
dei minimum credentes, proximos interrogabant. appena credere di aver udito; altri guardarsi l'un
Revocatus praeco, quum unusquisque non audire, l'altro maravigliando, quasi fosse illusion vana
sed videre libertatis suae muncium averet, ite di sogno, e ognuno, in quello che il riguardava,
rum pronunciare eadem. Tum ab certo jam non prestando fede ai proprii orecchi, interroga
gaudio tantus cum clamore plausus est ortus va i vicini. Si richiama il banditore a nuovamente
totiesque repetitus, ut facile appareret, nihil ripetere le stesse cose, bramando ognuno non
omnium bonorum multitudini gratius, quam li tanto di udire, quanto di vedere il messaggero
bertatem esse. Ludicrum deinde ita raptim pera della propria libertà. Levossi allora nella cer
ctum est, ut nullius nec animi, nec oculi spectacu tezza del gaudio un grido di tanto, e tante volte
743 TITI LIVII LIBER XXXIII. 744
lo intenti essent: adeo unum gaudium praeoccu ripetuto applauso che facilmente si scorse, di tutti
paverat omnium aliarum sensum voluptatum! i beni non altro esser più caro alla moltitudine,
che la libertà. Indi si terminò la festa con tanta
fretta, che nessuno più volse nè l'attenzione, nè
gli occhi allo spettacolo; tanto una sola gioia
preoccupato aveva il senso per ogni altra sorta
di piacere.
XXXIII. Ludis vero dimissis, cursu prope om XXXIII. Finita poi la festa, quasi tutti anda
nes tendere ad imperatorem Romanum, ut, ruen romo di corso al comandante Romano, in guisa
te turba in unum, adire, contingere de» tram cu che, piombandogli addosso tutta insieme la calca
pientium, coronaslemniscosque jacientium, haud di coloro, che bramavano accostarsegli, toccargli
procul periculo fuerit. Sed erat trium ferme et la destra, che gittavano ghirlande e nasi ri, ebbe
triginta annorum ; et quum robur juventae, tum quasi a correr pericolo. Ma contava a un dipresso
gaudium ex tam insigni gloriae fructu, vires sup trentatrè anni, e sì il vigore della gioventù, sì la

peditabant. Nec praesens omnium modo effusa gioia d'aver colto sì egregio frutto della sua glo
laetitia est; sed per multos dies gratis et cogita ria, gli davan forze bastanti. Nè la comune alle
tionibus, et sermonibus revocata: « Esse aliquam grezza di tutti si spiegò solamente di presente,
in terris gentem, quae sua impensa, suo labore ma rinnovossi per parecchi giorni con grati senti
ac periculo bella gerat pro libertatealiorum ; nec menti e discorsi: « Esserci al mondo una nazione,
hoc finitimis, aut propinquae vicinitatis homini che a proprie spese, con sua fatica e pericolo,
bus, aut terris continenti junctis praestet; maria combatte per l'altrui libertà; nè per darla a po
trajiciat, ne quod toto orbe terrarum injustum poli confinanti, o non discosti di troppo, o a
imperium sit, et ubique jus, fas, lex potentissima paesi annessi al continente; ma valica i mari,
sint. Una voce praeconis liberatas omnes Graeciae acciocchè non siavi in nessuna parte del mondo
atque Asiae urbes. Hoc spe concipere, audacis un'ingiusta dominazione, e regni da per tutto
animi fuisse: ad effectum adducere, virtutis et possentemente l'equità, la giustizia e la legge. Ad
fortunae ingentis. n una sola voce del banditore tutte le città della
Grecia e dell'Asia son fatte libere. Concepir co
desta speranza, sarebbe stato d'animo oltre modo
ardimentoso; trarla ad effetto era cosa di valore
e di fortuna immensa. »
XXXIV. Secundum ista jam Quintius et de XXXIV. Dopo questo Quinzio ei dieci legati
cem legati legationes regum, gentium, civitatium diedero udienza agli ambasciatori dei re, delle
que audivere. Primi omnium regis Antiochi vo nazioni e delle città. Primi furono introdotti
cati legati sunt. His eadem, quae fere Romae quelli del re Antioco. Tennero a un dipresso gli
erant, verba sine fide rerum jactata: nihil jam stessi discorsi, che a Roma, senza inspirare mag
perplexe, utante, quum dubiae resincolumi Phi gior fede. Non fu risposto loro ambiguamente,
lippo erant, sed aperte pronunciatum, ut excede come innanzi, quando le cose eran dubbie a Filip
ret Asiae urbibus, quae aut Philippi, aut Ptole po ancora intatto, ma detto apertamente, che
maei regum fuissent: abstineret liberas, omnes uscisse dalle città dell'Asia, ch'erano state di
que Graecas. Ante omnia denunciatum, ne in Eu Filippo, o di Tolomeo; non toccasse nessuna
ropam aut ipse transiret, aut copias trajiceret. delle città libere della Grecia. Sopra tutto gli si
Dimissis regis legatis, conventus gentium civita intimò che non passasse in Europa, nè vi man
tiumque est haberi coeptus; eoque maturius per dasse genti. Licenziati i legati del re, si cominciò
ragebatur, quod decreta decem legatorum civita a tenere la dieta delle nazioni e città, e si faceva
tes nominatim pronunciabant. Orestis (Macedo ciò tanto più prestamente, quanto che i decreti
num ea gens est), quod primi ab rege deſecissent, dei dieci legati nominatamente indicavano le
suae leges redditae. Magnetes et Perrhaebi et Do città. Agli Oresti (son popoli della Macedonia)
lopes, liberi quoque pronunciati. Thessalorum gen perchè primi si ribellarono da Filippo, restituite
ti, praeter libertatem concessam, Achaei Phthiotae furono le lor leggi. Anche i Magneti, i Perrebi e
dati, Thebis Phthioticis et Pharsalo excepto. Ae i Dolopi furono dichiarati liberi. Alla nazione
tolos de Pharsalo et Leucade postulantes, ut ex dei Tessali, oltre la libertà, furon dati gli Achei
foedere sibi restituerentur, ad senatum rejece Ftioti, eccetto Tebe di Ftia e Farsalo. Gli Etoli,
runt. Phocenses, Locrenses, et quae sicut ante che domandavano che fosse loro restituito Farsa
fuerant adjecta, decreti auctoritate his contribue lo e Leucade pel trattato, li rimandarono al sena
runt. Corinthus et Triphylia et Heraea (Pelo to; bensì in forza del decreto assegnaron loro i
745 TITI LIVII LIBER XXXIII. 746

ponnesi et ipsa urbs est) reddita Achaeis. Oreum Focesi, i Locresi e tutto quello ch'era stato loro,
et Eretriam decem legati Eumeni regi, Attali fi come innanzi, aggiunto. Corinto e Trifilia ed
lio, dabant. Dissentiente Quintio, venitres in ar Erea (città anche questa del Peloponneso) resti
bitrium senatus: senatus libertatem his civitatibus tuite furono agli Achei. Davano i dieci legati
dedit, Carysto adjecto. Pleurato Lycus et Parthi Oreo ed Eretria al re Eumene, figlio di Attalo ;
ni dati: Illyriorum utraque gens sub ditione Phi ma non consentendo Quinzio, la cosa fu rimessa
lippi fuerat. Amymandrum tenere jusserunt ca all'arbitrio del senato; il senato diede la libertà
stella, quae per belli tempus Philippo capta ade a codeste città, aggiungendovi Caristo. A Pleurato
misset. - si diede Lico e i Partini; ambedue nazioni Illiri
che, e ch'erano state sotto la dominazione di
Filippo. Dissero ad Aminandro che si tenesse i
castelli, che avesse presi a Filippo durante la
guerra.
XXXV. Dimisso conventu, decem legati, par XXXV. Licenziata la dieta, i dieci legati,
titi munia inter se, ad liberandas suae quisque divise tra loro le incombenze, partironsi ognuno
regionis civitates discesserunt: P. Lentulus Bar a liberare le città del proprio ripartimento : Pu
gylias, L. Stertinius Hephaestiam et Thasum et blio Lentulo a Bargilia, Lucio Stertinio ad Efe
Thraciae urbes, P. Villius et L. Terentius ad re stia e Taso e alle città della Tracia, Publio Villio
gem Antiochum, Cn. Cornelius ad Philippum : e Lucio Terenzio al re Antioco, Gneo Cornelio a
qui de minoribus rebus editis mandatis, percun Filippo; al quale, poi che gli ebbe ingiunte alcu
ctatus, si consilium non utile solum, sed etiam ne cose di minor conto, chiesto avendo Cornelio,
salutare, admittere auribus posset, quum rex gra se potesse ammettere un consiglio non solamente
tias quoque se acturum diceret, si quid, quod in utile, ma eziandio salutare, e rispondendo il re,
rem suam esset, expromeret, magnopere ei sua che anzi ne lo avrebbe ringraziato, se gli avesse
sit, quoniam pacem impetrasset, ad societatem mostrata cosa, che profittevol gli fosse, gl'insinuò
amicitiamo ue petendam mitteret Romam legatos; con gran forza, che mandasse, dacchè avea otte
ne, si quid Antiochus moveret, exspectasse, et nuta la pace, ambasciatori a Roma a chiedere
temporum opportunitates captasse ad bellandum, l'amicizia e l'alleanza de' Romani, acciocchè non
videri posset. Ad Tempe Thessalica Philippus est paresse aver aspettato se Antioco facesse alcun
conventus. Qui quum se missurum extemplo le movimento, e cercato tempo opportuno a mover
gatos respondisset; Cornelius Thermopylas, ubi guerra. L'abboccamento con Filippo ebbe luogo
frequens Graeciae statis diebus esse solet conven in Tempe nella Tessaglia. Ed avendo risposto il
tus (Pylaicum appellant), venit: Aetolos praeci re, che spedirebbe subito gli ambasciatori, Cor
pue monuit, ut constanter et fideliter in amicitia nelio venne alle Termopile, dove ne' giorni sta
populi Romani permanerent. Aetolorum princi tuiti suole adunarsi numerosa la dieta della Gre
pes alii interquesti sunt, quod non idem erga cia (la chiamano Pilaica). Ammoni specialmente
suam gentem Romanorum animus esset post vi gli Etoli a starsi fermi e costanti nell'amicizia
ctoriam, qui in bello fuisset: alii ferocius incusa del popolo Romano. I principali tra gli Etoli, altri
runt, exprobraruntque, « Non modo vinci sine si lagnarono che l'animo de Romani verso la
Aetolis Philippum, sed ne transire quidem in lor nazione tale non fosse dopo la vittoria, qual
Graeciam Romanos potuisse. " Adversus ea re si era innanzi nella guerra; altri più inviperiti
spondere (ne in altercationem excederetres) quum accusarono e rinfacciarono, a che senza gli Etoli
supersedisset Romanus, « omnia eos aequa im non solamente non si sarebbe vinto Filippo, ma
petraturos, si Romam misissent, º dixit: itaque che non avrebbon potuto i Romani nè anche
ex auctoritate eius decreti legati sunt. Hunc fi passare in Grecia. » Avendo il Romano soprasse
nem bellum cum Philippo habuit. duto di rispondere a codeste cose (per non venire
all'alterco ), disse, « che se mandassero a Roma,
ottenuto avrebbono ogni cosa, che giusta fosse. ”
Quindi seguendo l'autorevole avviso, si decretò
di mandare ambasciatori. Tal ebbe fine la guerra
con Filippo.
XXXVI. Quum haec in Graecia Macedonia XXXVI. Mentre si fanno queste cose nella
que et Asiagererentur, Etruriam infestam prope Grecia, nella Macedonia e nell'Asia, una congiura
conjuratio servorum fecit. Ad quaerendam op di schiavi mise quasi sossopra la Toscana. ll pre
primendamdue eam M.'Acilius praetor, cui inter tore Manio Acilio, cui toccata era la giurisdizione
eives peregrinosque jurisdictio obtigerat, cum tra cittadini e forestieri, mandato con una delle
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una ex duabus legione urbana missus, alios jam due legioni urbane a riconoscerla e spegnerla,
congregatos pugnando vicit; ex his multi occisi, altri di già raccolti li vinse in battaglia, e di
multi capti: alios verberatos crucibus affixit, qui questi molti furono uccisi, molti presi; altri,
principes conjurationis fuerant: alios dominis ch'erano stati capi della congiura, battuti colle
restituit. Consules in provincias profecti sunt. verghe, gli aſfisse in croce; altri li rendette
Marcellum Bojorum ingressum fines, fatigato per a padroni. I consoli andarono alle lor province.
diem tutum milite via facienda, castra in tumulo Essendo entrato Marcello nelle terre de'Boi, affa
quodam ponentem, Corolamus, regulus Bojorum, ticato il soldato un giorno intero nella lunga via ;
cum magna manu adortus, ad tria millia homi mentre si accampa su certo monticello, Corolamo,
num occidit; et illustres viri aliquot in illo tu picciolo re de'Boi, assalitolo con grossa banda,
multuario proelio ceciderunt, inter quos prae gli uccise da tre mila uomini, e perirono in quella
fecti sociùm, T. Sempronius Gracchus, M. Junius zuffa tumultuaria alquanti illustri personaggi,
Silanus, et tribuni militum de legione secunda, tra quali Tito Sempronio Gracco e Marco Giunio
A. Ogulnius et P. Claudius. Castra tamen ab Ro Silano prefetti degli alleati, e Aulo Ogulnio e
manis impigre permunita retentaque, quum ho Publio Claudio, tribuni de'soldati della seconda
stes a prospera pugna nequidquam oppugnassent. legione. Fu il campo valorosamente munito e
Stativis deinde eisdem per dies aliquot sese te ritenuto dai Romani, avendolo i nemici dopo la
nuit, dum et saucios curaret, et a tanto terrore riportata vittoria vanamente combattuto. Indi per
animos militum reficeret. Boji, ut est gens mini alquanti giorni si tenne Marcello in quegli stessi
me ad morae taedium patiens, in castella sua vi alloggiamenti, sino a che curasse i feriti e ricreas
cosque dilapsi sunt. Marcellus, Pado confestim se gli animi del soldati da cotanto spavento. I
trajecto, in agrum Comensem, ubi Insubres, Co Boi, che mal soffrono il tedio dell'indugiare, si
mensibus ad arma excitis, castra habebant, ducit dispersero pe' loro castelli e ville. Marcello, pas
legiones. In ipso itinere proelium committunt; sato subito il Po, condusse le legioni nel territo
et primo adeo acriter invaserunt, ut antesignanos rio Comasco, dove gl'Insubri, chiamati all'arme
impulerint. Quod ubi animadvertit, veritus ne i Comaschi, avevano il lor campo. Costoro assal
moti semel pellerentur, cohortem Marsorum op tano Marcello per via, e dapprima lo invasero sì
posuit, et equitum Latinorum omnes turmas in fieramente, che ributtarono indietro le prime
hostem emisit. Quorum quum primus secundus file. ll che vedutosi da Marcello, temendo che
que impetus retudisset inferentem se ferociter smossi una volta non cedessero, oppone loro la
hostem, confirmata et reliqua acies Romana re coorte de' Marsi, e scagliò contro il nemico tutta
stitit primo, deinde signa acriter intulit: nec ul la cavalleria latina. Il cui primo e secondo impeto
tra sustinuerunt certamen Galli, quin terga ver avendo rintuzzato il nemico, che si lanciava in
terent, atque effuse fugerent. In eo proelio supra nanzi ferocemente, anche il resto dell'esercito
quadraginta millia hominum caesa, Valerius An Romano rincorato dapprima tenne piè fermo, indi
tias scribit, et quingenta septem signa militaria gagliardamente spinse innanzi le bandiere; nè i
capta, et carpenta quadringenta triginta duo, et Galli sostennero più oltre la battaglia, sì che volta
aureos torques multos, ex quibus unum magni rono le spalle e dirottamente fuggironsi. Valerio
ponderis Claudius in Capitolio Jovi donum in Anziate scrive esser morti in quel fatto quaranta
aede positum scribit. Castra eo die Gallorum ex mila uomini, prese cinquecento e sette bandiere,
pugnata direptaque; et Comum oppidum intra quattrocento e trenta due carri e molte collane
dies paucos captum. Castella inde duodetriginta d'oro, una delle quali di gran peso scrive Clau
ad consulem defecerunt. Id quoque inter scripto dio essere stata collocata in dono nel tempio di
res ambigitur, utrum in Bojos prius, an Insubres, Giove Capitolino. Gli alloggiamenti de' Galli fu
consul exercitum induxerit, adversamque prospe rono in quel dì medesimo espugnati e saccheggia
ra pugna obliteraverit; an victoria, ad Comum ti, e il castello di Como preso tra pochi giorni.
parta, deformata clade in Bojis accepta sit. Indi vent'otto castelli si diedero al console.
Anche di questo si dubita tra gli scrittori, se il
console guidato abbia l'esercito prima contro i
Boi, poscia contro gl'Insubri, ed abbia col buon
successo cancellata l'onta della sconfitta; ovvero,
se la vittoria riportata a Como sia stata deforma
ta dalla rotta ricevuta da Boi.
XXXVII. Sub haec tam varia fortuna gesta, XXXVII. Mentre accadevano queste cose con
L. Furius Purpureo alter consul per tribun Sap tanta varietà di fortuna, l'altro console Lucio
piniam in Bojos venit. Jam castro Mutilo appro Furio Purpureone per la tribù Sappinia venne
749 TITI LIVII LIBER XXXIII. 75o
pinquabat, quum, veritus ne intercluderetur si nelle terre de'Boi. E già si avvicinava al castello
mul a Bojis Liguribusque, eadem via, qua addu Mutilo, quando temendo d'essere tolto in mezzo
xerat, reduxit, et magno circuitu per aperta, ea da Boi ad un tempo e dai Liguri, si ricondusse
que tuta loca, ad collegam pervenit. Dein junctis per la via stessa dond'era venuto, e fatto un gran
exercitibus, primum Bojorum agrum usque ad giro per luoghi aperti, e quindi sicuri, pervenne
Felsinam oppidum populantes peragraverunt. Ea al collega. Poscia, uniti gli eserciti, corsero dap
urbs, ceteraque castella, et Boji fere omnes, prae prima, saccheggiaridolo, tutto il territorio de'Boi,
terjuventutem,praedandi causa in armiserat (tunc sino al castello di Felsina. E questo e gli altri
in devias silvas recesserat), in deditionem vene castelli, e quasi tutti i Boi, eccetto la gioventù,
runt. In Ligures deinde traductus exercitus. Boji ch'era in arme per predare (allora erasi ritira
negligentius coactum agmen Romanorum, quia ta nel fondo delle foreste) si arrendettero. Indi
ipsi procul abesse viderentur, improviso aggres l'esercito fu tradotto nelle terre de'Liguri. I Boi
suros se rati, per occultos saltus secuti sunt. Quos stimando che i Romani, credendoli assai discosti,
non adepti, Pado repente navibus trajecto, Lae andar dovessero trascurati, e poterli quindi assa
vos Libuosque quum pervastassent, redeuntes in lire all'improvviso, li seguitarono per occulte
de Ligurum extremo fine, cum agresti praeda, in boscaglie. Non avendoli raggiunti, passato il Po
agmen incidunt Romanum. Celerius proelium subitamente, dato il guasto alle terre dei Levi e
acriusque commissum, quam si tempore locoque dei Libui, poi ritornando pel confine ultimo dei
ad certamen destinatis, praeparatis animis con Liguri, carichi di preda campestre, si abbattono
currissent. Ibi, quantam vim ad stimulandos ani nell'esercito Romano. Si combattè più presto e
mos ira haberet, apparuit: nam ita caedis magis, più ferocemente, che se si fossero trovati con
quam victoriae, avidi pugnarunt Romani, ut vix l'animo preparato in tempo e luogo destinato a
muncium cladis hosti relinquerent. Ob eas res combattere. Quivi apparve quant'abbia forza lo
gestas, consulum literis Ronam allatis, supplica sdegno a stimolare gli animi degli uomini. Per
tio in triduum decreta est. Brevi post Marcellus ciocchè i Romani combatterono così più avidi di
Romam venit, triumphusque ei magno consensu strage che di vittoria, che appena lasciaron vivo
Patrum est decretus. Triumphavit in magistratu chi recasse nuova della sconfitta. Per codeste
de Insubribus Comensibusque. Bojorum trium imprese, venute a Roma lettere de' consoli, si
phi spem collegae reliquit, quia ipsi proprie ad decretarono pubbliche preci per tre giorni. Da
versa pugna in ea gente e venerat, collegae secun lì a non molto Marcello venne a Roma, e gli fu
da. Multa spolia hostium captivis carpentis tra decretato il trionfo con grande consentimento
ducta, multa militaria signa lata, aeris trecenta dei Padri. Trionfò, essendo in magistrato, degli
viginti millia, argenti bigati ducenta triginta qua Insubri e dei Comaschi. Lasciò al collega la spe
tuor millia. In pedites singulos dati octingenti ranza di trionfare de Boi; ch'egli per verità
aeris; triplex equiti centurionique. combattuto avea svantaggiosamente contro di
loro, il collega prosperamente. Molte spoglie dei
nemici furon portate su carri tolti al medesimi;
molte insegne militari; trecento e venti mila
assi, e dugento trenta quattro mila bigati d'ar
gento. Ebbe ogni fante ottocento assi; il triplo
il cavaliere e il centurione.
XXXVIII. Eodem anno Antiochus rex, quum XXXVIII. L'anno stesso il re Antioco, poi
hibernasset Ephesi, omnes Asiae civitates in anti ch'ebbe svernato ad Efeso, tentò di ridurre tutte
quam imperii formulam redigere est conatus: le città dell'Asia all'antica forma di stato, per
reliquas quidem, aut quia locis planis positae suaso che le altre, o perchè poste al piano, o
erant, aut quia parum moenibus armisque acju perchè poco fidar potessero nelle mura, nell'armi
ventuti fidebant, haud difficulterjugum acceptu e nella gioventù, accetterebbero il giogo facilmen
ras. Smyrna et Lampsacus libertatem usurpa te. Smirne e Lampsaco si levavano a libertà, e
bant; periculumque erat, ne, si concessum his c'era pericolo, se la si concedeva loro, che le città
foret, quasi tabe Smyrnam in Aeolide Ionia dell' Eolide e dell'Ionia quasi infette della stessa
que, Lampsacum in Hellesponto, aliae urbes se peste seguissero Smirne, quelle dell'Ellesponto
querentur. Igitur et ipse ab Epheso ad Smyrnam Lampsaco. Manda egli adunque da Efeso ad asse
obsidendam misit; et, quae Abydi copiae erant, diare Smirne, ed ordina che le genti, ch'erano in
praesidio tantum modico relicto, duci ad Lampsa Abido,lasciatovi soltanto un piccolo presidio,sieno
cum oppugnandum jussit. Nec vi tantum terre condotte a combatter Lampsaco. Nè soltanto atter
bat; sed, per legatos leniter alloquendo casti rivacolla forza, ma col mezzo di legati blandamente
751 TITI LIVII LIBER XX XIII. r-f,
a

gandoque temeritatem et pertinaciam, spem co parlando, e riprendendo la loro temerità e perti


nabatur facere, brevi, quae peterent, habituros; nacia, cercava condurli a speranza, che in breve
sed quum satis et ipsis et omnibus aliis appare avrebbero quello, che bramavano; bastar dovendo
ret, ab rege impetratam eos libertatem, non per a loro e a tutti gli altri che apparisse aver essi
occasionem raptam, habere. Adversus quae respon impetrata la libertà dal re, non aversela, profit
debant, « Nihil neque mirari, neque succensere tando dell'occasione, usurpata. Al che risponde
Antiochum debere, si spem libertatis differri non vano, « Non doversi Antioco maravigliare, nè
satis aequo animo paterentur. » Ipse initio ve sdegnare, se non sopportavano di buon animo
ris, navibus ab Epheso profectus, Hellespontum che fosse lor differita la speranza della libertà. »
petit: terrestres copias Madytum trajicit, Cher Antioco sul principio della primavera, partito
sonesi urbem ; terrestri navalem exercitum jun con le navi da Efeso, va all'Ellesponto: trasporta
xit: et, quia clauserant portas, circumdeditmoe le genti di terra a Madito, città del Chersoneso,
mia armatis, et jam opera admoventi deditio est congiunge le forze terrestri con le marittime, e
facta. Idem metus tum incolentes alias Cherso perchè avean chiuse le porte, circondò le mura
nesi urbes in deditionem dedit. Lysimachiam in di armati, e mentre accostava le macchine, si
de omnibus simul navalibus terrestribusque co arrendettero. Per un consimile spavento gli abi
piis venit. Quam quum desertam ac stratam pro tanti delle altre città del Chersoneso se gli diede
pe ruinis invenisset (ceperant autem, direptam ro. Indi venne a Lisimachia con tutte insieme le
que incenderant Thraces paucis ante annis), cu forze di terra e di mare, ed avendola trovata
pido eum restituendi mobilem urbem, et loco si deserta e quasi un mucchio di ruine (l'aveano
tam opportuno, cepit. ltaque omni cura simul presa pochi anni innanzi i Traci, saccheggiata ed
est aggressus, et tecta murosque restituere, et arsa), gli prese voglia di ristabilire così bella
partim redimere servientes Lysimachienses, par città, e posta in sito così opportuno. Si pose dun
tim fuga sparsos per Hellespontum Chersonesum que con ogni cura a rifar le case e le mura, e
que conquirere contrahereque: partim novos co parte a riscattare i cittadini fatti schiavi, parte a
lonos, spe commodorum proposita, adscribere, cercare e raccogliere quelli, che la fuga avea
et omni modo frequentare: simul ut Thracum dispersi per l'Ellesponto e il Chersoneso; parte
submoveretur metus, ipse parte dimidia terre a chiamar nuovi coloni, data speranza di molti
strium copiarum ad depopulandum proxima Thra comodi, e a farla per ogni modo popolosa. E per
ciae est profectus: partem navalesque socios om allontanare eziandio la paura de'Traci, parte egli
nes reliquit in operibus reficiendae urbis. stesso con la metà delle genti di terra a saccheg
giare i vicini luoghi della Tracia; lascia l'altra
parte e tutte le genti marittime a lavorare nel
ristauro della città.
XXXIX. Sub hoc tempus et L. Cornelius, XXXIX. Intorno a questo tempo anche Lucio
missus ab senatu ad dirimenda inter Antiochum Cornelio, mandato dal senato a comporre le diffe
Ptolemaeumque reges certamina, Selymbriae sub renze tra Antioco e Tolomeo, si fermò a Selim
stitit; et decem legatorum P. Lentulus a Bargy bria, e tre de'dieci legati andarono a Lisimachia,
liis, P. Villius et L. Terentius a Thaso, Lysima Publio Lentulo, partitosi da Bargilia, Publio Vil
chiam petierunt: eodem et a Selymbria L. Cor lio e Lucio Terenzio da Tasso: colà s'eran pur
nelius, et ex Thracia post paucos dies Antiochus anche raccolti Lucio Cornelio da Selimbria, e
convenerunt. Primus congressus cum legatis, et pochi giorni di poi Antioco dalla Tracia. Il primo
deinceps invitatio benigna et ospitalis fuit. Ut congresso fu tra i legati; indi corsero inviti cor
de mandatis statuque praesenti Asiae agi coeptum tesi ed ospitali. Come si cominciò a trattare delle
est, animi exasperati sunt. Romani, omnia acta commissioni de'legati, e del presente stato del
ejus, ex quo tempore e Syria classe solvisset, dis l'Asia, gli animi s'inasprirono. I Romani non
plicere senatui non dissimulabant, restituique dissimulavano ch'erano spiaciuti al senato tutti
Ptolemaeo civitates omnes, quae ditionis ejus gli atti di lui, dacchè avea salpato dalla Siria, e
fuissent, aequum censebant. a Nam quod ad eas stimavano esser giusto, che si rendessero a Tolo
civitates attineret, quas a Philippo possessas An meo tutte le città ch'erano state di sua giurisdie
tiochus per occasionem, averso Philippo in Ro zione. . Perciocchè quanto a quelle che già pos
manum bellum, intercepisset, id vero ferendum sedute da Filippo, aveva Antioco prese all'occa
non esse, Romanos per tot annos terra marique sione che Filippo era volto alla guerra de'Romani,
tanta pericula ac labores exhausisse, Antiochum non era da sopportarsi che i Romani avessero
belli praemia habere. Sed ut in Asiam adventus incontrati per tanti anni pericoli e fatiche per
ejus dissimulari ab Romanis tamquam nihil ad terra e per mare, e che Antioco si godesse i
753 TITI LIVII LIBER XXXIII, 754

eos pertinens, potuerit; quod jam etiam in Eu premii della guerra. Ma comunque abbiam potuto
ropam omnibus navalibus terrestribusque copiis i Romani dissimulare la di lui venuta in Asia,
transierit, quantum a bello aperto Romanis abes quasi non li riguardasse per niente l'esser egli
se ? lllum quidem, etiamsi in Italiam trajiciat, ora passato in Europa con tutte le forze di terra
negaturum. ” e di mare, quanto differiva questo da una guerra
aperta coi Romani? Egli però il negherebbe,
anche se passasse in Italia. »
XL. Ad ea rex, . Satis jam ante videre se, XL. A questo il re; a Già veder egli da gran
Romanos inquirere, quid regi Antiocho facien pezzo, che i Romani andavano ricercando che
dum ; at, quousque terra marique progredien si dovesse fare il re Antioco; ma non pensare
dum fuerit ipsis, non cogitare. Asiam milil ad sin dove si dovesser essi distendere per terra e
populum Romanum pertinere; mec magis illis per mare. Non appartener punto l'Asia ai Ro
inquirendum esse, quid Antiochus in Asia, quam mani, nè più toccare ad essi il cercare che si
Antiocho, quid in Italia populus Romanus faciat. faccia Antioco nell'Asia, di quel che a lui, che
Quod ad Ptolemaeum attineat, cui ademptas ci si faccia il popolo Romano in Italia. Per ciò che
vitates querantur; sibi cum Ptolemaeo et amici riguarda Tolomeo, a cui dolgonsi che sieno state
tiam esse, et id agere se, ut brevi etiam affinitas tolte alcune città, esser egli in amicizia con lui,
jungatur. Nec ex Philippi quidem adversa fortu ed anzi in presente si adoperava per istrignersi
na spolia ulla se petisse; aut adversus Romanos con esso anche con nodo di parentela. Non aver
in Europam trajecisse “ fuerit (quo victo egli cercata nessuna spoglia dalla contraria fortu
omnia, quae illius fuissent, jure belli Seleuci facta ma di Filippo; nè passato era in Europa contro
sint), existimare suae ditionis esse. Occupatis ma i Romani “ vinto Lisimaco, tutto quello
joribus suis rerum aliarum alia cura, primo quae ch'era stato di lui, esser divenuto per diritto di
dam ex his Ptolemaeum, deinde et Philippum, guerra di Seleuco, e quindi di sua giurisdizione.
usurpando aliena, possedisse; sicut quaedam ex Occupati i suoi maggiori in altre cure, prima
proxima Thracia, quae indubitate Lysimachi fue Tolomeo, poscia Filippo, usurpando l'altrui, se
rint. Ad ea facienda in antiquum venisse, et Ly n'erano appropriate alcune porzioni, non che
simachiam, deletam Thracum impetu, de inte alcune altre nella prossima Tracia, ch'erano state
gro condere, ut Seleucus filius eam sedem regni senza dubbio di Lisimaco. Era egli venuto a ri
habeat. » metter le cose nello stato antico, a rifar di nuovo
Lisimachia, smantellata dall'incursione de'Traci,
acciocchè suo figlio Seleuco vi stabilisse la sede
del suo regno. »
XLI. His disceptationibus per dies aliquot ha XLI. Consumati alquanti giorni in così fatte
bitis, rumor sine ullo satis certo auctore allatus dispute, una voce recata, non si sapeva da chi,
de morte Ptolemaei regis, ut nullus exitus impo della morte del re Tolomeo, fece sì, che non ebbe
neretur sermonibus; nam dissimulabat pars utra alcun esito l'abboccamento. Perciocchè l'una e
que se audisse: et L. Cornelius cui legatio ad l'altra parte dissimulava di averla udita, e Lucio
duos reges, Antiochum Ptolemaeumque, mandata Cornelio, cui era stata commessa la legazione ai
erat, spatium modici temporis ad conveniendum due re Antioco e Tolomeo, domandava alcuni
Ptolemaeum petebat, ut, priusquam moveretur pochi giorni, onde recarsi in Egitto, innanzi che
aliquid in nova possessione regni, perveniret in nascesse nessun movimento per la nuova posses
Aegyptum ; et Antiochus suam fore Aegyptum, sione del regno. Ed Antioco stimava, se cogliesse
si tum occasio esset, censebat. Itaque dimissis questa occasione, di potersi impadronire del
Romanis, relictoque Seleuco filio cum terrestri l'Egitto. Quindi licenziatosi dai Romani, e lascia
bus copiis ad restituendam, ut instituerat, Lysi to il figlio Seleuco colle genti di terra a rifare
machiam, ipse omni classe navigans Ephesum, le Lisimachia, come avea principiato, egli con tutta
gatis ad Quintium missis, qui ad fidem de socie la flotta navigando alla volta di Efeso, mandati

tate agerent, oram Asiae legens, pervenit in Ly ambasciatori a Quinzio, che trattassero apparen
ciam; Patarisque cognito, vivere Ptolemaeum, temente dell'alleanza, radendo la costa dell'Asia,
navigandi quidem in Aegyptum omissum consi giunse in Licia; e avendo inteso a Patara, che To
lium est. Cyprum nihilominus tendens, quum lomeo viveva, depose il pensiero di passare in
Chelidonium promontorium superasset, paulli Egitto. Nondimeno, veleggiando verso Cipro,
sper seditione remigum est retentus in Pamphy superato il promontorio Chelidonio, una sedi
lia circa Eurymedontem amnem. Inde profectum zione de remiganti il ritenne alcun poco in
eum ad capita (quae vocant) Sari fluminis ſoeda Panfilia sulla sponda del fiume Furimedonte. Di
livio 2 48
l
TITI LIVII LIBER XXXIII, 756
755
tempestas oborta prope cum omni classe demer là partitosi, una terribil burrasca, insorta ai capi,
sit. Multae naves ejectae; multae ita haustae mari, come li chiamano, del fiume Saro, quasi il som
merse con tutta la flotta. Molte navi furon balza
ut nemo in terram emaverit. Magna vis hominum
ibi interiit, non remigum tantum militumque te qua e là, molte inghiottite dal mare così, che
ignotorum, sed etiam insignium amicorum. Col nessuno salvossi a terra. Vi perì quantità grande
lectis reliquiis naufragii, quum res non in eo es di gente, non solamente di remiganti e di sol
set, ut Cyprum tentaret, minus opulento agmi dati, ma eziandio de' suoi più illustri cortigiani.
ne, quam profectus erat, Seleuciam redit: ibi Raccolti gli avanzi del naufragio, non essendo
subduci navibus jussis (jam enim et hiems insta in istato di tentar l'impresa di Cipro, tornò a
Seleucia con assai men fiorito esercito, che non
bat), ipse in hiberna Antiochiam processit. In hoc
n'era partito. Quivi, tirate le navi a terra (che
statu regum erant res.
già era prossimo il verno), egli andò a quar
tieri in Antiochia. In codesto stato eran le cose
dei re.

XLII. Romae eo primum anno triumviri epu XLII. Furono in quell'anno per la prima
lones facti, C. Licinius Lucullus tribunus, qui volta creati triumviri epuloni Caio Licinio Lucullo
legem de creandis his tulerat, P. Manlius, et P. tribuno, che avea proposto che si creassero, Pu
blio Manlio e Publio Porcio Leca: fu concesso
Porcius Laeca: his triumviris, item ut pontifici
bus, lege datum togae praetextae habendae jus. loro per legge, come ai pontefici, il diritto di
Sed magnum certamen eum omnibus sacerdoti portare la toga pretesta. In quell'anno medesimo
bus eo anno fuit quaestoribus urbanis, Q. Fabio ebbero i questori urbani Quinto Fabio Labeone
Labeoni et L. Aurelio. Pecunia opus erat, quod e Lucio Aurelio grande contrasto con tutti i sa
ultimam pensionem pecuniae in bellum collatae cerdoti. C'era bisogno di danaro, perchè era
persolvere placuerat privatis. Quaestores ab au stato decretato che si facesse ai privati l'ultimo
guribus pontificibusque, quod stipendium per pagamento della somma prestata per la guerra.
bellum non contulissent, petebant: ab sacerdoti I questori ne chiedevano agli auguri, ed ai pon
bus tribuni nequidquam appellati, omniumque tefici, come quelli, che non avean pagata l'impo
annorum, per quos non dederant, exactum est. sta per la guerra. I sacerdoti invocarono invano
Eodem anno duo mortui pontifices, novique in il soccorso dei tribuni, e l'imposta fu riscossa per
eorum locum suflecti, M. Marcellus consul in lo tutti gli anni, ch'erano in difetto. Morirono in
cum C. Sempronii Tuditani, qui praetor in Hi quell'anno medesimo due pontefici, e i nuovi
spania decesserat, et L. Valerius in locum M. sostituiti furono il console Marco Marcello in
Cornelii Cethegi. Et Q. Fabius Maximus augur luogo di Caio Sempronio Tuditano, ch'era man
mortuus est admodum adolescens, priusquam ul cato pretore in Ispagna, e Lucio Valerio in luogo
lum magistratum caperet: neceo anno augur in di Marco Cornelio Cetego. Morì anche l'augure
ejus locum est suffectus. Comitia inde consularia Quinto Fabio Massimo, assai giovine, innanzi che
habita a M. Marcello consule: creati consules L. pigliasse nessun magistrato, nè se gli sostituì
Valerius Flaccus, M. Porcius Cato. Praetores alcun altro in quell'anno. Indi il console Marco
inde facti C. Fabricius Luscinus, C. Atinius La Marcello tenne i comizi consolari: furon creati
beo, Cu. Manlius Vulso, Ap. Claudius Nero, P. consoli Lucio Valerio Flacco e Marco Porcio Ca
Manlius, P. Porcius Laeca. Aediles curules, M. tone. Poscia furon fatti pretori Caio Fabricio
Fulvius Nobilior et C. Flaminius, tritici decies Luscino, Caio Atinio Labeone, Gneo Manlio Vul
centum millia bimis aeris populo diviserunt: id sone, Appio Claudio Nerone, Publio Manlio. Pu
C. Flaminii honoris causa, ipsius patrisque, ad blio Porcio Leca. Gli edili curuli Marco Fulvio
vexerant Siculi Romam. Flaminius gratiam eius Nobiliore e Caio Flaminio divisero al popolo un
communicaverat cum collega. Ludi Romani et milione di moggia di grano, a due assai il mog
apparati magnifice sunt, et ter toti instaurati. gio; lo aveano portato a Roma i Siciliani per
Aediles plebis, Cn. Domitius Ahenobarbus et C. onorare lo stesso Caio Flaminio e il di lui padre:
Scribonius Curio, multos pecuarios ad populi Flaminio accomunò col collega il favore che
judicium adduxerunt. Tres ex his condemnati gliene veniva. Si appararon magnificamente i
sunt; ex eorum mulctaticia pecunia aedem in in giuochi Romani, e si rinnovaron tre volte per
sula Fauni fecerunt. Ludi plebeji per biduum intero. Gli edili della plebe Gneo Domizio Eno
instaurati, et epulum fuit ludorum causa. barbo e Caio Scribonio Curione citarono dinanzi
al popolo molti fittaiuoli del pubblici pascoli:
tre ne furono condannati, e del denaro delle lor
multe fecero un tempio nell'isola di Fauno. I
757 TITI LlVII LIBER XXXIII.
758
giuochi plebei si rinnovarono per due giorni, e
per cagione del giuochi ci fu il banchetto.
XLIII. (Anno U. C. 557. – A. C. 195.) L. XLIII. (Anni. D. R. 557. – A. C. 195)
Valerius Flaccus et M. Porcius quo die magistra Avendo i consoli Lucio Valerio Flacco e Marco
tum inierunt, de provinciis quum ad senatum Porcio, il dì che presero il magistrato, chiamato
retulissent, Patres censuerunt, . Quum in Hispa il senato a deliberare intorno le province, i Padri
mia tantum glisceret bellum, ut jam consulari et decretarono, a che ogni dì più crescendo nella
duce et exercitu opus esset, placere, consules Hi Spagna cotal guerra, che già domandava un con
spaniam citeriorem et Italiam provincias aut sole ed un esercito consolare, i consoli o si
comparare inter se, aut sortiri. Utri Hispania accordassero tra loro, o traessero a sorte la Spa
provincia evenisset, eum duas legiones et quin gna citeriore e l'Italia. Quegli, cui toccata fosse
que millia sociùm Latini nominis et quingentos la Spagna, vi trasportasse con seco due legioni
equites secum portare, et naves longas viginti e cinque mila alleati del nome Latino, e cinque
ducere. Alter consul duas legiones scriberet. His cento cavalli e venti navi lunghe. L'altro con
Galliam provinciam obtineri satis esse, fractis sole levasse due legioni: queste dover bastare a
proximo anno Insubrium et Bojorum animis. ” ritener la Gallia, già franti l'anno scorso gli
Cato Hispaniam, Valerius Italiam est sortitus. animi degl'Insubri e de Boi. » Toccò a Catone
Praetores deinde provinciassortiti, C. Fabricius la Spagna, a Valerio l'Italia. Poscia i pretori
Luscinus urbanam, C. Atinius Labeo peregri trassero a sorte le province: Caio Fabricio Lusci
nam, Cn. Manlius Vulso Siciliam, Ap. Claudius no ebbe la giurisdizione urbana, Caio A timio La
Nero Hispaniam ulteriorem, P. Porcius Laeca beone la forestiera, Gneo Manlio Vulsone la Sici
Pisas, ut ab tergo Liguribus esset: P. Manlius in lia, Appio Claudio Nerone la Spagna ulteriore,
Hispaniam citeriorem adjutor consuli datur. T. Publio Porcio Leca la città di Pisa, acciocchè fosse
Quintio, suspectis non solum Antiocho et Aeto alle spalle dei Liguri; si dà coadiutore al console
lis, sed etiam Nabide Lacedaemoniorum tyranno, nella Spagna citeriore Publio Manlio. Essendovi
prorogatum in annum imperium est, duas legio sospetto non solo di Antioco e degli Etoli, ma
nes ut haberet. In eas si quid supplementi opus eziandio di Nabide, tiranno dei Lacedemoni, si
esset, consules scribere, et mittere in Macedoniam prorogò il comando a Tito Quinzio per un anno,
jussi. Ap. Claudio praeter legionem, quam Q. sì che avesse due legioni. Se queste abbisognas
Fabius habuerat, duo millia peditum et ducen sero di qualche supplemento, i consoli ebber
tos equites novos conscribere permissum. Par ordine di levarlo e mandarlo in Macedonia. Fu
numerus peditum equitumque novorum P. Man permesso ad Appio Claudio di levare, oltre la
lio in citeriorem Hispaniam decretus; et legio ea legione ch'era stata di Quinto Fabio, due mila
dem, quae fuerat sub Minucio praetore, data. Et fanti e dugento nuovi cavalli. Pari numero di
P. Porcio Laecae ad Etruriam circa Pisas duo fanti e di nuovi cavalli fu decretato a Publio
millia peditum et quingenti equites ex Gallico Manlio per la Spagna citeriore, e gli si diede la
exercitu decreti. In Sardinia prorogatum impe legione ch'era stata del pretore Minucio; e così
rium Sempronio Longo. a Publio Porcio Leca due mila fanti e cinque
cento cavalli dell'esercito della Gallia, a starsi
nella Toscana intorno a Pisa. Nella Sardegna fu
prorogato il comando a Sempronio Longo.
XLIV. Provinciisita distributis,consules prius. XLIV. Distribuite per cotal modo le provin
quam ab urbe proficiscerentur, ver sacrum ex ce, i consoli, avanti che partissero di Roma, ce
pontificum jussu fecere, quod A. Cornelius Mam lebrarono d'ordine del pontefici la sacra prima
mula praetor voverat de senatus sententia popu vera, di che avea fatto voto il pretore Aulo
lique jussu, Cn. Servilio, C. Flaminio consulibus. Cornelio Mammula per decreto del senato e
Annis post uno et viginti factum est, quam vo comando del popolo, sotto i consoli Gneo Ser
tum. Per eosdem dies C. Claudius, Ap. filius, vilio e Caio Flaminio. Fu celebrata vent'un anno
Pulcher, augur in Q. Fabii Maximi locum, qui dopo, dacchè n'era stato fatto il voto. In que'di
priore anno mortuus erat, lectus inauguratusque medesimi Caio Claudio Pulcro, figlio di Appio,
est. Mirantibus jam vulgo hominibus, quod Hi fu nominato e consegrato augure in luogo di
spania movisset, bellum negligi, literae a Q. Mi Quinto Fabio Massimo, morto l'anno innanzi.
nucio allatae sunt, « Se ad Turbam oppidum cum Maravigliandosi comunemente la gente, che si
Budare et Besaside, imperatoribus Hispanis, si trascurasse la guerra, che la Spagna avea mossa,
gnis collatis prospere pugnasse: duodecim millia vennero lettere da Quinto Minucio, recandº,
nostium caesa: Budarem imperatorem captum ; a ch'egli avea combattuto prosperamente a ban
759 'l'ITI LIVII LIBER XXXIII. 76o

ceteros fusos fugatosque. » His literis lectis. mi diere spiegate contro Budare e Besaside, coman
nus terroris ab Hispanis erat, unde ingens bellum danti Spagnuoli, presso il castello di Turba; che
exspectatum fuerat. Omnes curae, post adven erano stati tagliati a pezzi dodici mila nemici,
tum utique decem legatorum, in Antiochum re preso il comandante Budare; gli altri sbaragliati
gem conversae. Hi, expositis prius, quae cum e messi in fuga. » Lette queste lettere, si scemò
Philippo acta essent, et quibus legibus data pax, il timore, che si avea della Spagna, donde s'era
non minorem belli molem restare ab Antiocho aspettata grossa guerra. Tutti i pensieri, dopo il
docuerunt. « Ingenti classe, egregio terrestri e ritorno de dieci legati, furon volti verso il re
xercitu, in Europam eum trajecisse. Nisi avertis Antioco. Essi, esposte prima le cose fatte con
set vana spes, ex vaniore rumore orta, Aegypti Filippo, e con quali condizioni gli si avea con
invadendae, mox bello Graeciam arsuram fuisse. ceduta la pace, informarono che non restava
Neque enim ne Aetolos quidem quieturos, quum minor mole di guerra per parte di Antioco. «Era
ingenio inquietam, tum iratam Romanis gentem. egli passato in Europa con grande flotta, con
Haerere et aliud in visceribus Graeciae ingens superbo esercito di terra. Se non lo avesse sviato
malum, Nabin, nunc Lacedaemoniorum, mox, si una vana speranza, nata da romore ancora più
liceat, universae Graeciae futurum tyrannum, vano, di poter invadere l'Egitto, già la Grecia
avaritia et crudelitate omnes fama celebratos ty tutta sarebbe in fiamme; nè sarebbono stati fermi
ramnos aequantem. Cui si Argos, velut arcem Pe nè anche gli Etoli, nazione inquieta per natura,
loponneso impositam, tenere liceat, deportatis in e sdegnata co Romani. Starsi fitto nelle viscere
Italiam Romanis exercitibus, nequidquam libe della Grecia altro gran male, Nabide, ora tiran
ratam a Philippo Graeciam fore, pro rege, si no dei Lacedemoni, e tra poco, se gli riuscirà,
nihil aliud, longinquo vicinum tyrannum domi di tutta la Grecia, uomo, che per avarizia e cru
num habituram. »
deltà pareggia i più rinomati tiranni. Al quale
se riesca di tenersi Argo, quasi rocca imposta so
pra il Peloponneso, come tosto i Romani eserciti
saran tradotti in Italia, sarà stata invano liberata
la Grecia da Filippo, la quale avrà a signore, in
vece di un re, se non altro lontano, un tiranno
vicino. »
XLV. Haec quum jam ab gravibus auctori XLV. Avendo i Padri udito questo da per
bus, tum qui omnia per se ipsos explorata refer sone di autorità, e che aveano osservato il tutto
rent, audirentur, major res, quod ad Antiochum cogli occhi proprii, parve più gran cosa quella che
attineret, maturanda his, quum rex quacumque de riguardava Antioco; se non che essendo egli per
causa in Syriam concessisset, de tyranno consul qualunque cagione passato in Siria, si stimò do
tatio visa est. Quum diu disceptatum esset, utrum versi tener più presto consulta sul proposito del
jam causae satis videretur, cur decerneretur, an tiranno. Essendosi lungamente disputato, se ci
permitterent T. Quintio; quod ad Nabin Lace fosse motivo bastante a deliberare, o se si dovesse
daemonium attineret, faceret quae e republica rimettere la cosa a Tito Quinzio, gli lasciarono
censeret esse, permiserunt; eam rem esse rati, libertà di fare, per quanto si apparteneva a Na
quae maturata dilatave non tam magni momenti bide Lecedemonio, quello che stimasse esser utile
ad summam rem populi Romani esset. Magis id alla repubblica, stimandola cosa, che accelerata
animadvertendum esse, quid Hannibal et Car o differita, non fosse di grande importanza pel
thaginienses, si cum Antiocho ortum foret bel popolo Romano. Ben si dovea maggiormente con
lum, acturi essent. Adversae Hannibali factionis siderare che avrebbon fatto Annibale e i Carta
homines principibus Romanis, amicis quisque ginesi, se scoppiata fosse la guerra con Antioco.
suis, idemtidem scribebant, « Nuncios literasque Quelli della fazione contraria ad Annibale scri
ab Hannibale ad Antiochum missas, et ab rege vevano a principali cittadini di Roma, ciascuno
ad eum clam legatos venisse. Ut feras quasdam a suoi amici, « che Annibale avea mandati messi
numquam mitescere; sic immitem, implacabi e lettere ad Antioco, e ch'eran venuti a lui se
lem ejus viri animum esse . Marcescere olio gretamente ambasciatori del re. Come alcune
situque civitatem, queri eum, et inertia operis; fiere non si ammansano giammai, così l'animo di
nec sine armorum sonitu excitari posse. » Ilaec quell'uomo essere immite, implacabile: lagnarsi
probabilia memoria prioris belli per unum illum egli, che la città marcisse nell'ozio e nella pigri
non magis gesti, quam moti, faciebat. Irritaverat zia, nè potersi altrimenti svegliare, che al suon
etiam recenti facto multorum potentium animos. dell'armi. “ Rendeva più probabili codeste cose
la memoria dell'ultima guerra da lui non tanto
T'll I LIVII LIBER XXXIII. 762
condotta, quanto suscitata; ed aveva anche irri
tati gli animi di molti potenti con un fattore
cente.

XLVI. Judicum ordo Carthagine ea tempe XLVI. Dominava in quel tempo in Cartagine
state dominabatur; eo maxime, quod iidem per l'ordine dei giudici, e tanto più, quanto che era
petui judices erant. Res, fama, vitaque omnium no a vita. Le sostanze, la fama, la vita di tutti
in illorum potestate erat: qui unum eius ordinis, stava nelle lor mani. Chi aveva contrario uno di
idem omnes adversos habebat; nec accusator quell'ordine, gli aveva tutti; nè presso a giudici
apud judices infensos deerat. Horum in tam im mal disposti mancava mai un accusatore. Nella sì
potenti regno (neque enim civiliternimiis opibus prepotente dominazion di costoro (che non usa
utebantur) praetor factus Hannibal vocare ad se vano con discrezione dell'eccessivo potere) An
quaestorem. Isrem pro nihilo habuit; nam et ad nibale fatto pretore fe'a sè chiamare il questore.
versae factionis erat, et, quia ex quaestura in Questi non curò punto la chiamata, e perchè egli
judices, potentissimum ordinem, referebantur, era della fazione contraria, e perchè, passandosi
jam pro futurismox opibus animos gerebat. Enim dall'esser questore ad esser giudice, ch'era l'or
vero indignum id ratus Hannibal, viatorem ad dine il più potente, avea già preso tutto l'orgo
prehendendum quaestorem misit; subductumque glio della carica, ch'era prossimo ad avere. Ma
in concionem, non ipsum magis, quam ordinem veramente Annibale non gli parendo esser cosa
judicum, prae quorum superbia atque opibus nec da soffrire, mandò il ministro a prendere il que
leges quidquam essent, nec magistratus, accusa store, e trattolo dinanzi al popolo, non accusò
vit: et ut secundis auribus accipi orationem ani più lui, che tutto l'ordine delgiudici, per la cui
madvertit, et infimorum quoque libertati gravem superbia e prepotenza erano un nulla le leggi,
esse superbiam eorum, legem extemplo promul nulla i magistrati. E come vide che il suo discor
gavit, pertulitºſue, « Ut in singulos annos judices so era ascoltato con favore, e che l'orgoglio di
legerentur, ne quis biennium continuum judex coloro era molesto anche alla libertà delle infime
esset. ” Ceterum, quantam eo facto ad plebem classi, propose subito e promulgò una legge,
inierat gratiam, tantum magnae partis principum º che si eleggessero i giudici anno per anno, sì
offendebat animos. Adjecit aliud, quod, bono che nessuno fosse giudice due anni continui. »
publico, sibi proprias simultates irritavit. Ve Del resto, quanto si aveva egli con questo fatto
ctigalia publica partim negligentia dilabeban guadagnata la grazia della plebe, altrettanto of
tur; partim praedae ac divisui principum quibus fendeva l'animo della maggior parte de'magnati.
dam et magistratibus erant: quin et pecunia, Aggiunse altra cosa, che insieme col ben pubblico,
quae in stipendium Romanis suo quoque anno gl'irritò contro particolari nimicizie. Le pubbli
penderetur, deerat, tributumque grave privatis che rendite, parte per negligenza si dileguavano,
imminere videbatur.
parte qual preda se le dividevan tra loro alcuni
de' potenti e magistrati; anzi mancava eziandio
il danaro, che si dovea contribuire ogni anno ai
Romani, e si vedeva imminente l'imposizione di
un grave tributo ai privati.
XLVII. Hannibal postduam vectigalia quanta XLVII. Annibale, poi ch'ebbe riconosciuto
terrestria maritimaque essent, et in quas resero quante erano le rendite di terra e di mare, e in
garentur animadvertit, et quid eorum ordinarii che si spendevano, e quanta parte ne consumas
reipublicae usus consumerent, quantum peculatus sero i bisogni ordinarii della repubblica, quanto
averteret; omnibus residuis pecuniis exactis, tri ne distraessero le ruberie, dichiarò in piena as
buto privatis remisso, satis locupletem rempubli semblea, che riscossi i danari, ch'erano in resto,
cam fore ad vectigal praestandum Romanis, pro assolti i privati dal tributo, la repubblica sarebbe
nunciavit in concione, et praestitit promissum. bastantemente ricca per pagare lo stipendio ai
Tum vero isti, quos paverat per aliquot annos Romani; e mantenne la promessa. Allora costo
publicus peculatus, velut bonis ereptis, non furto ro, che il pubblico peculato avea per alquanti
eorum manibus extorto, infensi et irati Roma anni pasciuti, corrucciati e inviperiti contro di
nos in Hannibalem, et ipsos causam odii quaeren lui, come se gli avesse spogliati de'loro beni, e
tes, instigabant. Itaque, diu repugnante Scipione non istrappato loro il furto di mano, istigavano
Africano, quia parum ex populi Romani dignitate contro Annibale i Romani, che già da sè cerca
esseducebat, subscribere odiis accusationibusque vano pretesti all'odio loro. Quindi, sebbene ri
Hannibalis, et factionibus Carthaginiensium in
pugnasse gran tempo Scipione Africano, perchè
serere publicam auctoritatem, nec satis habere diceva mal convenire alla dignità del popolo Ro
TITI LIVII LIBER XXXIII, 764
763
bello vicisse Hannibalem, nisi velut accusatores mano favoreggiare gli odii e le accuse contro An
calumniam in eum jurarent acnomen deferrent, nibale, e intromettere la pubblica autorità nelle
tandem pervicerunt, ut legati Carthaginem mit fazioni dei Cartaginesi, quasi non bastasse averlo
terentur, qui apud senatum eorum arguerent, vinto in guerra, s'essi stessi non si facessero ad
Hannibalem cum Antiocho rege consilia belli acccusarlo e a denunziare il suo nome, finalmen
faciendi inire. Legati tres missi, C. Servilius, M. te si ottenne che si mandassero ambasciatori a
Claudius Marcellus, Q. Terentius Culleo. Qui Cartagine, i quali presso quel senato accusassero
quum venissent, ex consilio inimicorum Hanni Annibale, ch'ei macchinasse con Antioco di mo
balis, quaerentibus causam adventus dici jusse ver guerra ai Romani. Tre ambasciatori furon
runt, venisse ad controversias, quae cum Masi mandati, Caio Servilio, Marco Claudio Marcello
nissa rege Numidarum Carthaginiensibus essent, e Quinto Terenzio Culleone. I quali essendo ar
dirimendas. Id creditum vulgo. Hannibalem u rivati, fecero dire, per consiglio de'nemici di
num se peti ab Romanis non fallebat, et ita pa Annibale, a chi cercava la cagione di lor venuta,
cem Carthaginiensibus datam esse, utinexpiabile ch'eran venuti a conciliare le differenze, ch'era
bellum adversus se unum mameret. Itaque cedere no tra Masinissa, re dei Numidi, e i Cartaginesi:
tempori et fortunae statuit, et, praeparatis jam il che generalmente fu creduto. Al solo Annibale
omnibus ante ad fugam, obversatus eo die in foro
- - - - - -
- non isfuggiva, che da Romani si mirava a lui
avertendae suspicionis causa, primis tenebris ve solamente, e che s'era data la pace ai Cartaginesi,
stitu forensi ad portam cum duobus comitibus in modo però, che rimanesse sempre inespiabil
ignaris consilii est egressus. guerra contro lui solo. Stabilì pertanto di cedere
al tempo e alla fortuna, e preparato innanzi
quanto occorreva alla fuga, passeggiando tutto
quel giorno in sulla piazza, onde rimovere ogni
sospetto, sul far della notte, vestito, come soleva,
uscì della porta con due compagni, che ignora
vano il suo disegno.
XLVIII. Quum equi, quo in loco jussi erant, XLVIII. Essendo pronti i cavalli, dove gli
praesto fuissent, nocte via cita regionem quam aveva ordinati, la notte trapassato rapidamente
dam agri Vocani transgressus, postero die mane un paese del territorio Vocano, la mattina del dì
inter Achollam et Thapsum ad suam turrim per seguente giunse tra Acolla e Tapso alla sua torre.
venit: ibi eum parata instructaque remigio ex Quivi s'imbarcò sopra una nave di già appron
cipit navis. Ita Africa Hannibal excessit: saepius tata e fornita di remiganti. In cotal modo uscì
patriae, quam suorum eventus miseratus. Eo die Annibale dall'Africa, più spesso compassionando
in Cercinam insulam trajecit: ubi quum in portu i mali della patria, che i suoi. Quel giorno stesso
naves aliquot onerarias cum mercibus invenisset, passò all'isola Cercina, dove avendo trovato nel
et ad egressum eum e nave concursus salutantium porto alquante navi da carico piene di mercanzie,
esset factus; percuntantibus legatum se Tyrum essendo accorsi al suo smontare parecchi a salu
dici jussit. Veritus tamen, ne qua earum navis tarlo, fe” rispondere a quei, che ne cercassero,
nocte profecta Thapsum aut Achollam nunciaret, che andava ambasciatore a Tiro. Temendo però,
se Cercinae visum, sacrificio apparari jusso, ma che alcuna di quelle navi, partendo di notte, non
gistros navium mercatoresque invitari jussit, et annunziasse a Tapso e ad Acolla, ch'egli era stato
vela cum antennis ex navibus corrogari, ut um veduto a Cercina, ordinato un sagrifizio, fe” in
bra (etenim media aestas forte erat) coenantibus vitare i capitani delle navi e i mercadanti, e ap
in litore fieret. Quantum res et tempus patieban portar le vele delle navi con le antenne, accioc
tur, apparatae celebrataeque ejus diei epulae sunt, chè cenassero all'ombra (ch'era mezza state) sul
multoque vino in serum noctis convivium pro lido. Quanto la cosa e il tempo il permettevano,
ductum. Hannibal, quam primum fallendi eos, fu allestito in quel giorno e celebrato un convito,
qui in portu erant, tempus habuit, navem solvit. e largamente bevendo, fu protratto a notte inol
Ceteri sopiti quum postero die tandem ex somno trata. Annibale, come vide il momento di deluder
pleni crapulae surrexissent, id quod serum erat, quelli, ch'erano in porto, sciolse le vele. Gli altri,
aliquot horas remis in naves collocandis et aptan che s'erano addormentati pieni di crapola essen
disarmamentis absumpserunt. Carthagine et mul dosi finalmente il dì appresso riscossi dal sonno,
titudinis assuetae domum Hannibalis frequentare consumarono alquante ore, ch'era già tardi, nel
concursus ad vestibulum aedium est factus; et ut collocare i remi sulle navi, ed adattarvi gli altri
non comparere eum vulgatum est, in forum turba attrezzi. A Cartagine fu grande il concorso della
convenit principem civitatis quaerentium, et alii gente al vestibolo della casa di Annibale, cui
765 TITI LIVII LIBER XXXIII. 766
fugam conscisse (id quod erat), alii fraude Ro soleano frequentare, e come si divolgò ch'egli era
manorum interſectum, idque magis, ferebant: sparito, la turba si recò in piazza a chiederne al
variosque vultus cerneres, ut in civitate aliorum capo della città. Ed altri dicevano ch'era fuggito
alias partes foventium factionibus. Visum deinde (com'era il vero), ma molti più ch'era stato
Cercinae eum, tandem allatum est. ucciso per frode de'Romani; e avresti veduto i
varii visi degli uomini, come avviene in città, do
ve altri favoreggiano un partito, ed altri un altro.
Finalmente giunse la notizia ch'era stato veduto
a Cercina.
XLIX. Romani legati quum in senatu expo XLIX. I legati Romani avendo esposto al se
suissent, c. Compertum Patribus Romanis esse, et nato di Cartagine « esser noto ai Padri in Roma,
Philippum regem ante ab Hannibale maxime ac che già innanzi avea Filippo mosso guerra al po
censum, bellum populo Romano fecisse, et nunc polo Romano massimamente suscitato da Anniba
literas nunciosque ab eo ad Antiochum regem le, e che questi ora avea mandato lettere e messi
profectos; haud quieturum ante, quam bellum al re Antioco; che non si sarebbe quetato mai,
toto orbe terrarum conscisset. Ne his debere im sino a che non avesse ridestata la guerra per tutto
pume esse, si satisfacere Carthaginienses populo il mondo; che non dovean lasciare impunite co
Romano vellent, nihil eorum sua voluntate, nec deste trame, se voleano i Cartaginesi giustificarsi
publico consilio factum esse. » Carthaginienses verso il popolo Romano, che nulla di ciò s'era
responderunt, quidquid aequum censuissent Ro fatto col loro assentimento, nè per pubblico con
mani, facturos esse. Hannibal prospero cursu Ty siglio. » I Cartaginesi risposero esser pronti a
rum pervenit, exceptusque a conditoribus Cartha fare tutto quello, che i Romani stimassero di
gimis, ut alia patria, vir tam clarus omni genere ragione. Annibale giunse a Tiro con prospera
honorum, paucos moratus dies, Antiochiam na navigazione, ed accolto dai fondatori di Carta
vigat. Ibi profectum jam regem quum audisset, gine, quasi in altra sua patria, uomo, com'era,
filium eius solemne ludorum ad Daphnen cele chiaro per tanti generi di gloria, dopo esservisi
brantem convenit; et, comiter ab eo exceptus, fermato pochi giorni, naviga in Antiochia. Udito
nullam moram navigandi fecit. Ephesi regem est quivi, che il re n'era di già partito, visitato il di
consecutus, fluctuantem adhuc animo, incertum lui figlio, che celebrava solenni giuochi a Dafne,
que de Romano bello; sed haud parvum momen e graziosamente ricevuto, non tardò a rimbarcar
tum animo eius ad moliendum adventus Hanni si. Raggiunse il re ad Efeso, fluttuante ancora ed
balis fecit. Aetolorum quoque eodem tempore incerto sul conto della guerra Romana; ma non
alienati ab societate Romana animi sunt: quo gli fu la venuta di Annibale di picciolo momento
rum legatos Pharsalum et Leucadem, et quasdam a pigliarla. In quel tempo stesso anche gli Etoli
alias civitates ex primo foedere petentes, senatus cominciarono a staccarsi dalla lega coi Romani;
ad Quintium rejecit. i cui legati andati a Roma a chiedere, in vigor
del primo trattato, Farsalo e Leucade, ed alcu
ne altre città, erano stati dal senato rimessi a
Quinzio.
TITI LIVII PATAVINI

H I s T o R I A R UM
AB URBE CONDITA LIBRI

stº69333e

EPITOME

LIBRI TRIGESIMI QUARTI

Le- Oppia, quam C. Oppius tribumus plebis bello La legge Oppia, ch'era stata proposta durante la

Punico de finiendis matronarum cultibus tulerat, cum guerra Punica dal tribuno della plebe Caio Oppio
magna contentione abrogata est; quum Porcius Cato per limitare il lusso delle matrone, fu dopo grande
auctor fuiset, ne ea lex aboleretur. Is, in Hispaniam contrasto abrogata, opponendosi Marco Porcio Catone,
profectus, bello, quod Emporiis orsus est, citeriorem perchè abrogata non fosse. Questi andato in Ispagna
Hispaniam pacavit. T. Quintius Flamininus bellum alla guerra, cui avea dato principio in Emporia,
adversus Lacedaemonios et tyrannum eorum Nabidem domò la Spagna citeriore. Tito Quinzio Flaminino con
prospere gestum, data iis pace, qualem ipse voluit, prospero successo finì la guerra contro i Lacedemo
liberatisque Argis, qui sub ditione trranni erant, ni e il loro tiranno Nabide, dando ad essi quella
finivit. Senatus tunc primum secretus a populo ludos pace che più gli piacque, e liberato Argo ch'era in
spectavit: ut id fieret, Sex. Aelius Paetus et C. Cor potere del tiranno. A quel tempo il senato per la
nelius Cethegus censores intervenerunt cum indigna prima volta sedette agli spettacoli separatamente dal
tione plebis. Coloniae pleraeque deductae sunt. M. popolo. Che ciò accadesse, fa opera dei censori Sesto
Porcius Cato de Hispania triumphavit. Res praeterea Elio Peto e Caio Cornelio Cetego, non senza gran
in Hispania, et adversus Bojos et Insubres Gallos dispetto del popolo. Si mandarono qua e là parecchie
feliciter gestae referuntur. T. Quintius Flamininus, colonie, Marco Porcio Catone trionfo della Spagna.
qui Philippum Macedonum regem et Nabidem Lace Narransi inoltre le felici imprese fatte nella Spagna
daemoniorum tyrannum vicerat, Graeciamque omnem e contro i Boi e contro i Galli Insubri. Tito Quinzio
liberarerat, ob hanc rerum gestarum multitudinem Flaminino, che avea vinto Filippo, re dei Macedoni,
triduo triumphavit. Legati Carthaginiensium nuncia e Nabide tiranno de' Lacedemoni, e liberata tutta la
verunt, Hannibalem, qui ad Antiochum confugerat, Grecia, per codesta moltitudine di egregi fatti trionfo
bellum cum co moliri. Tentaverat autem Hannibal durante tre giorni. I legati dei Cartaginesi annun
per Aristonem Tyrium, sine literis Cartaginem missum, ziarono che Annibale, il quale rifuggito s'era ad
ad rebellandum Poenos concitare. Antioco, macchinava la guerra insieme con lui. An
nibale poi avea cercato, mandando Aristone Tirio a
Cartagine, però senza lettere, di eccitare i Cartagi
nesi a ribellione,
Livio 2 49
TITI LIVII
LI B E R TR I G E SI M US QUARTUS

I. (Anno U. C. 557. – A. C. 195) Inter bel I. (Anni D. R. 557. – A. C. 195) Tra le cure
lorum magnorum, aut vixdum finitorum, aut di guerre grandi, o appena terminate, o sovra
imminentium, curas intercessit res parva dictu, stanti, venne a frapporsi cosa picciola a dirsi,
sed quae studiis in magnum certamen excesserit. ma che pe'diversi partiti proruppe in grandissi
M. Fundanius et L. Valerius tribuni plebei ad ma contestazione. Marco Fundanio e Lucio Vale
plebem tulerunt de Oppia lege abroganda. Tu rio, tribuni della plebe, proposero al popolo che
lerat eam C. Oppius tribunus plebis, Q. Fabio, si abrogasse la legge Oppia. L'avea proposta, nel
Ti. Sempronio consulibus, in medio ardore Pu maggior bollore della guerra Cartaginese, il tri
nici belli, « Ne qua mulier plus semunciam auri buno della plebe Caio Oppio, sotto i consoli
haberet; neu vestimento versicolori uteretur ; Quinto Fabio e Tito Sempronio. Ordinava, «che
neu juncto vehiculo in urbe oppidove, aut pro niuna donna avesse presso di sè più di mezz'on
pius inde mille passus, nisi sacrorum publicorum cia d'oro ; non usasse vesti di vario colore; non
causa, veheretur. » M. et P. Junii Bruti tribuni andasse in carretto per le vie di Roma, o pe' ca
plebis legem Oppiam tuebantur, nec eam se abro stelli, o ad un miglio all'intorno, se non fosse
gari passuros ajebant. Ad suadendum dissuaden per occasione di sagrificii º Marco e Publio Giu
dumque multi nobiles prodibant. Capitolium nii Bruti, tribuni della plebe, difendevano la leg
turba hominum faventium adversantiumque legi ge Oppia, e dicevano che non avrebbon sofferto,
complebatur. Matronae nulla nec auctoritate, nec che si abrogasse. Molti nobili si facevano innanzi
verecundia, nec imperio virorum contineri li a combatterla o a sostenerla. Il Campidoglio era
mine poterant: omnes vias urbis aditusque in affollato di gente favorevole, o contraria. Nè
forum obsidebant, viros descendentes ad forum autorità, nè verecondia, nè comando de'mariti
orantes, ut, florente republica, crescente in dies valeva a ritener a casa le matrone: imgombra
privata omnium fortuna, matronis quoque pristi vano tutte le vie di Roma e gl'ingressi che met
num ornatum reddi paterentur. Augebatur haec tono in piazza, pregando quelli che vi si reca
frequentia mulierum in dies; nam etiam ex op vano, a consentire che, fiorendo la repubblica,
pidis conciliabulisque conveniebant. Jam et con e ogni dì più crescendo la privata fortuna di tut
sules praetoresque et alios magistratus adire et ti, anche le matrone ricuperassero i pristini or
rogare audebant. Ceterum minime exorabilem namenti. Cresceva ogni giorno più questo affol
alterum utique consulem M. Porcium Catonem lamento delle donne; chè ne accorrevano anche
habebant, qui pro lege, quae abrogabatur, ita da'luoghi e villaggi vicini. E già osavano affron
disseruit. tare e pregare i consoli, i pretori e gli altri ma
gistrati; trovavano però inesorabile l'uno dei
due consoli, Marco Porcio Catone, il quale così
parlò a favore della legge, di cui si voleva l'abro
gazione.
775 TITI LIVII LIBER XXXIV. 776
II. « Si in sua quisque nostràm matre fami II. «Se ciascuno di noi, o Quiriti, avesse fer
liae, Quirites, jus et majestatem viri retinere in mato sin da principio di conservare l'autorità e
stituisset, minus cum universis feminis negotii la dignità di marito rispetto alla propria moglie,
haberemus. Nunc domi victa libertas nostra im non avremmo a soffrir l'impaccio di tutte code
potentia muliebri, hic quoque in foro obteritur ste femmine riunite. Ora la nostra libertà già so
et calcatur; et, quia singulas sustinere non po verchiata in casa dalla donnesca prepotenza, an
tuimus, universas horremus. Equidem fabulam che qui in sulla piazza è calpestata, conculcata ;
et fictam rem ducebam esse, virorum omne genus e perchè non potemmo resistere ciascuno in par
in aliqua insula conjuratione muliebri ab stirpe ticolare alla moglie sua, le paventiamo qui tutte.
sublatum esse. Ab nullo genere non summum pe Io stimava per verità che fosse favola e cosa fin
riculum est, si coetus et concilia et secretas con ta, che in una certa isola fosse stata spenta per
sultationes esse sinas. Atque ego vix statuere apud femminile congiura tutta la razza de'maschi. Ma
animum meum possum, utrum peior ipsa res, an non v'ha pericolo, che non sia grande da qua
pejore exemplo agatur. Quorum alterum ad nos lunque sorta di gente, se lasci fare adunanze,
consules reliquosque magistratus, alterum ad vos, combriccole e segrete consultazioni. E posso ap
Quirites, magis pertineret: nam utrum e repu pena ragionando indurmi a decidere, se codesta
blica sit, mecne, id, quod ad vos fertur, vestra cosa che si fa, sia peggiore per quello ch'è, o
existimatio est, qui in suffragium ituri estis. Haec peggiore per l'esempio; il che per una parte ap
consternatio muliebris, sive sua sponte, sive au parterrebbe a noi consoli e agli altri magistrati,
ctoribus vobis, M. Fundani et L. Valeri, facta est, per l'altra a voi più particolarmente, o Quiriti.
haud dubie ad culpam magistratuum pertinens, Perciocchè il giudicare, se ciò che vi si propone,
nescio vobis, tribuni, an consulibus magis sit sia o non sia vantaggioso alla repubblica, tocca a
deformis: vobis, si feminas ad concitandas tribu voi, che avete a dare il suffragio. Questa tumul
mitias seditiones jam adduxistis; nobis, si, ut ple tuazione donnesca, o insorta da sè medesima, o a
bis quondam, sic nunc mulierum secessione leges vostra istigazione, o Marco Fundanio e Lucio
accipiendae sunt. Equidem non sine rubore quo Valerio, ma sì certo imputabile a colpa de'magi
dam paullo ante per medium agmen mulierum in strati, non so dire se sia più vergognosa per voi,
forum perveni. Quod nisi me verecundia singu o tribuni, o pe'consoli; per voi, se tratte avete
larum magis majestatis et pudoris, quam univer le donne ad aizzare le tribunizie contese; per
sarum, tenuisset, ne compellatae a consule vide noi, se dobbiam ricevere le leggi, come già per
rentur, dixissem : Qui hic mos est in publicum l'ammutinamento della plebe, così ora per quello
procurrendi, et obsidendi vias, et viros alienos delle femmine. In verità, venni poc'anzi in piazza
appellandi ? Istud ipsum suos quaeque domi ro non senza qualche rossore, passando per mezzo
gare non potuistis? An blandiores in publico, ad uno stuolo di donne. Che se un rispetto piut
quam in privato, et alienis, quam vestris, estis? tosto alla dignità ed al pudore di ciascheduna,
quamquam ne domi quidem vos, si sui juris fi che un riguardo a tutte, non mi avesse trattenuto
nibus matronas contineret pudor, quae leges hic perchè non paresse averle il console interpellate,
rogarentur, abrogarenturve, curare decuit. Ma avrei lor detto: Che usanza è codesta di correre
jores nostri nullam, ne privatam quidem rem in pubblico, di assediare le strade e di affrontare
agere feminas sine auctore, voluerunt; in manu gli altrui mariti? Questo stesso nol poteste chie
esse parentum, fratrum, virorum. Nos (si diis dere a casa vostra, ciascuna al marito suo? O sie
placet) iam etiam rempublicam capessere eas pa te più lusinghiere in pubblico, che in privato,
timur, et foro prope et concionibus et comitiis più cogli sposi altrui, che co'vostri? Quantunque
immisceri. Quid enim nunc aliud per vias et nè anche in casa, se il pudore ritenesse le matro
compita faciunt, quam rogationes tribunorum ne nei dovuti confini, non vi starebbe bene cer
plebis suadent, aliae legem abrogandam censent? care, quali leggi qui si badi a proporre o ad
Date frenos impotenti naturae et indomito ani abrogare. I nostri maggiori vollero che le fem
mali, et sperate ipsas modum licentiae facturas, mine non facessero nessuna cosa, nè anche priva
nisi vos feceritis. Minimum hoc eorum est, quae ta, senza l'altrui autorità, e che fossero sotto la
iniquo animo feminae sibi aut moribus aut legi podestà o de'genitori, o de'fratelli, o de'mariti.
bus injuncta patiuntur. Omnium rerum liberta Noi, se così piace agli dei, le lasceremo pur an
tem, immo licentiam (si vera dicere volumus), che pigliar parte nel governo, e mescolarsi nella
desiderant. Quid enim, si hoc espugnaverini, non piazza, nelle concioni e nei comizii. Ed ora ve
tentabunt ? » ramente, che altro fanno per le strade e per le
contrade, se non se persuadere la proposta dei
tribuni e l'abrogazione della legge Oppia? Scio
TITI LIVII LIBER XXXIV. 778
gliete il freno all'indole prepotente di codestoro,
a codesto indomito animale, e sperate che pon
gano un freno alla lor licenza, se voi non cel por
rete. La minima è questa di tutte le cose, che im
poste dalle leggi e dai costumi soffron le femmine
di malanimo: bramano un'intera libertà, anzi,
se vogliamo dire il vero, licenza. E che non ten
teranno, se avverrà che vincano in questo ? »
III. « Recensete omnia muliebria jura, quibus III. « Riandate tutte le leggi che le risguarda
licentiam earum alligaverint majores nostri, per no, colle quali i nostri maggiori hanno accappia
quaeque subjecerint viris: quibus omnibus con ta la lor licenza, e le han soggettate a mariti;
strictas vix tamen continere potestis. Quid ? si pur avvinchiate, come sono, appena le potete in
carpere singula et extorquere, et exaequari ad frenare. E che ? se soffrirete che vi tolgano, che
extremum viris patiemini, tolerabiles vobis eas vi strappin di mano or questa cosa, or quella, e
fore creditis? extemplo, simul pares esse coepe in fine si pareggino agli uomini, stimate che vi
rint, superiores erunt. At, hercule, ne quid no avverrà di poterle più tollerare? Come tosto co
vum in eas rogetur, recusant. Non jus, sed inju minceranno ad essere eguali, saranno superiori.
riam deprecantur: immo ut, quan accepistis, Ma solamente ricusano che non sia fatto nuovo
jussistis suffragiis vestris legem, quam usu tot decreto contro di loro; rispettano il giusto, ma
annorum et experiendo comprobastis, hanc ut gridano contro l'ingiustizia. Anzi si adoperano,
abrogetis, id est, ut umam tollendo legem ceteras perchè abroghiate quella legge, che avete fatta,
infirmetis. Nulla lex satis commoda omnibus est: ordinata co'vostri voti, approvata coll'uso e con
id modo quaeritur, si majori parti et in summam la sperienza di tanti anni, ch'è come a dire, che
prodest. Si, quod cuiquam privatim officietjus, togliendo una legge, diate il crollo a tutte l'altre.
id destruet ac demolietur, quid attinebit univer Nessuna legge riesce comoda a tutti; solo si cer
sos rogare leges, quas mox abrogare, in quos ca, s'ella giova generalmente e alla maggior par
latae sunt, possint? Volo tamen audire, quid sit, te. Se ogni privato distruggerà, annienterà la leg
propter quod matronae consternata e procurre ge, che in particolare gli nuoce, che gioverà che
runt in publicum, ac vix foro se et concione le leggi sieno fatte dal consentimento di tutti,
abstinent. Ut captivi ab Hannibale redimantur quando quelli, contro cui furon fatte, possano da
parentes, viri, liberi, fratres earum? Procul abest, lì a poco abrogarle? Amo però di sentire, che
absitgue semper talis fortuna reipublicae: sed sia quello, per lo che le matrone costernate cor
tamen, quum fuit, megastis hoc piis precibus sero fuori in pubblico, e appena si astengono
earum. At non pietas nec sollicitudo pro suis, sed dalla piazza e dall'arringo. Perchè si riscattino
religio congregavit eas. Matrem Idaeam, a Pessi dalle mani di Annibale i loro genitori, i mariti,
nunte ex Phrygia venientem, accepturae sunt. i figliuoli, i fratelli fatti prigioni? È lontana, e il
Quid honestum dictu saltem seditioni praeten sia pur sempre tale calamità dalla repubblica:
ditur muliebri ? Utauro et purpura fulgeamus, pur, quando fu, negaste questo stesso alle lor
inquit; ut carpentis, festis profestisque diebus, pietose preghiere. Ma non tenero affetto, non sol
velut triumphantes de lege victa et abrogata, et lecita cura de'lor congiunti le radunò; è motivo
captis et ereptis suffragiis vestris, per urbem di religione: vanno a ricevere la madre llea che
vectemur: ne ullus modus sumptibus, ne luxu viene da Pessinunte di Frigia. Qual si adduce
riae sit. ,
pretesto, almeno onesto in parole, di sì fatto am
mutinamento di donne ? Acciocchè, dicono, pos
siamo brillare d'oro e di porpora; acciocchè siam
tratte su cocchio per la città ne dì festivi e non
festivi, quasi menando trionfo di aver vinta ed
abrogata la legge, o di avervi tolti e strappati di
mano i suffragii; acciocchè non sia messo nessun
limite alle spese, nessuno al lusso. »
IV. « Saepe me querentem de feminarum, IV. «Mi avete udito spesso querelarmi delle
saepe de virorum, nec de privatorum modo, sed spese delle femmine, spesso di quelle degli uomi
etiam magistratuum, sumptibus audistis; diver mi, nè solamente deprivati, ma eziandio de'magi
sisque duobus vitiis, avaritia et luxuria, civitatem strati, e che questa città travagliata era da due
laborare: quae pestes omnia magna imperia ever vizii diversi, dall'avarizia e dalla profusione, pe
terunt. Haec ego, quo melior laetiorque in dies sti, che hanno rovesciato i più grandi imperi.
77) TITI LIVIl LIBER XXXIV. 78o
fortuna reipublicae est, imperiumque crescit, et Egli è per questo, che quanto si fa bella e lieta
jam in Graeciam Asiamdue transcendimus, omni ogni dì più la fortuna della repubblica, quanto
bus libidinum illecebris repletas, et regias etiam più cresce l'impero, oggi che già siamo passati
attrectamus gazas, eo plus horreo, ne illae ma in Grecia ed in Asia, piene di ogni sorta di solle
gis res nos ceperint, quam nosillas. Infesta, mihi tichi e di voluttà, e che mettemmo le mani nelle
credite, signa ab Syracusis illata sunt huic urbi. dovizie regali, tanto più temo che codeste cose
Jam nimis multos audio Corinthi et Athenarum abbiam più presto preso noi, che noi quelle. Quegli
ornamenta laudantes mirantesque, et antefixa artifizii, portati da Siracusa, fan guerra,me lo cre
fictilia deorum Romanorum ridentes. Ego hos dete, a questa città, e sento già troppo molti loda
malo propitios deos; et ita spero futuros, si in re ed ammirare gli ornamenti di Atene e di Corin
suis manere sedibus patiemur. Patrum nostrorum to, e farsi beffe di questi nostri dei di terra cotta,
memoria per legatum Cineam Pyrrhus, non vi messi su frontispizii de'tempii. Per me, amo
rorum modo, sed etiam mulierum animos donis piuttosto che ci sien propizii codesti dei, e spero
tentavit. Nondum lex Oppia ad coercendam lu il saranno, se li lasceremo rimanersi nelle sedi
xuriam muliebrem lata erat: tamen nulla accepit. loro. Pirro, a memoria de'nostri Padri, col mez
Quam causam fuisse censetis? Eadem fuit, quae zo del suo ambasciatore Cinea tentò co'donativi
majoribus nostris nihil de hac re lege sanciendi. non solamente gli animi degli uomini, ma quelli
Nulla erat luxuria, quae coèrceretur. Sicut ante eziandio delle donne. Non era ancor fatta la leg
morbos necesse est cognitos esse, quam remedia ge Oppia, per metter freno al lusso femminile;
eorum ; sic cupiditates prius natae sunt, quam pur nessuna ne accettò. Qual vi pensate che ne
leges, quae iis modum facerent. Quid legem Li fosse la cagione? Quella stessa, per cui non fecero
ciniam excitavit de quingentis jugeribus, nisi i maggiori nessuna legge su di ciò. Non c'era lus
ingens cupido agros continuandi? Quid legem so, che dovessero frenare. Siccome è necessario
Cinciam de donis et muneribus, nisi quia vecti che si conoscano prima le malattie, che i lor ri
galis jam et stipendiaria plebes esse senatui coe medii, così le cupidigie son nate prima delle leg
perat? Itaque minime mirum est, nec Oppiam, gi, che le raffrenino. Che altro suscitò la legge
nec aliam ullam tum legem desideratam esse, Licinia de cinquecento giugeri, che l'ingorda
quae modum sumptibus mulierum faceret, quum smania di aggiunger possessioni a possessioni ?
aurum et purpuram data et oblata ultro non acci Che altro la legge Cinzia dei donativi e regali, se
piebant. Si nunc cum illis donis Cineas urbem non se che la plebe era già divenuta tributaria
circumiret, stantes in publico in venisset, quae del senato? Non è dunque maraviglia, che non
acciperent. Atque ego nonnullarum cupiditatum ci fosse allora nè la legge Oppia, nè altra legge
ne causam quidem aut rationem inire possum : qualunque, che ponesse un limite alle spese delle
nam ut, quod alii liceat, tibi non licere, aliquid donne, quand'esse ricusavan l'oro e la porpora,
fortasse naturalis aut pudoris aut indignationis che si dava ed offeriva loro spontaneamente. Se
habeat; sic, aequato omnium cultu, quid una ora Cinea girasse in pubblico per la città con sì
quaeque vestrum veretur, ne in se conspiciatur? fatti doni, ne troverebbe di quelle, che standosi
Pessimus quidem pudor est vel parcimoniae, vel in pubblico gli accetterebbe. E per verità, di al
paupertatis: sed utrumque lex vobis demit, quum cune cupidigie non so trovare nè la cagione, nè
id, quod habere non licet, non habetis. Hanc, in la ragione. Perciocchè, siccome, che non sia leci
quit, ipsam exaequationem non fero, illa locuples. to a te ciò ch'è lecito ad altri, arreca forse alcun
Cur non insignis auro et purpura conspicior? cur poco di naturale vergogna o indignazione, così,
paupertas aliarum sub hac legis specie latet, ut, pareggiate essendo tutte le donne negli ornamen
quod habere non possunt, habiturae, si liceret, ti, qual'è quella di voi, che temer debba d'esser
fuisse videantur ? Vultis hoc certamen uxoribus veduta con questi, invece che con altri? È certo
vestris injicere, Quirites, ut divites id habere mala cosa arrossire della povertà, o della parsi
velint, quod nulla alia possit; pauperes, ne ob hoc monia, ma la legge vi libera da questo doppio
ipsum contemnantur, supra vires se estendant ? rossore, se non avete quello, che non è lecito
Nae, simul pudere, quod non oportet, coeperit; avere. Ed è appunto codesto pareggiamento, che
quod oportet, non pudebit. Quae de suo poterit, io non soffro, dice la ricca; perchè non ho da es
parabit; quae non poterit, virum rogabit. Miserum ser veduta fregiata d'oro e di porpora ? Perchè
illum virum. et qui exoratus, et qui non exoratus la povertà delle altre si cela sotto l'ombra di
erit! quum, quod ipse non dederit, datum ab alio questa legge, sì che quello, che aver non posso
videbit. Nunc vulgo alienos viros rogant, et, no, sembri che il potrebbero avere, se la legge
quod majus est, legem et suffragia rogant, et a il permettesse? Volete, o Quiriti, gettar questa
quibusdam impetrant, adversus te, et rem tuam, gara tra le vostre mogli, che le ricche vogliano
781 TITI LIVII LIBER XXXIV. - 782
et liberos tuos inexorabiles. Simul lex modum avere quel che non può nessun'altra, e le povere,
sumptibus uxoris tuae facere desierit, tu num per non essere dispregiate, si distendano oltre le
quam facies. Nolite eodem loco existimare, Qui loro forze? Badate; come cominceranno a ver
rites, futuram rem, quo fuit, antequam lex de gognarsi di ciò, che non bisogna, cesseranno di
hoc ferretur. Et hominem improbum non accu vergognarsi di ciò, che bisogna; quella che po
sari, tutius est, quam absolvi; et luxuria non trà, si provvederà del suo; quella che non po
mota tolerabilior esset, quan erit nunc ipsis trà, ne pregherà il marito. Infelice il marito, che
vinculis, sicut fera bestia, irritata, deinde emissa. sarà pregato, o non pregato, quando vedrà dato
Ego nullo modo abrogandam legem Oppiam cen da altri ciò, ch'egli non avrà dato! Ora pregano
seo: vos quod faxitis, deos omnes fortunare i mariti altrui pubblicamente, e quel ch'è più, li
velim. »
pregano del voto per l'abrogazione, e da taluni
l'ottengono, nemiche inesorabili di te, della tua
roba, de'tuoi figliuoli. Tosto che la legge avrà
cessato di porre un limite alle spese di tua mo
glie, nè anche tu cel porrai. Non vi pensate, o
Quiriti, che le cose sieno per essere nel grado
stesso, in cui erano innanzi, che la legge fosse
promulgata. È minor male non accusare un mal
vagio, che assolverlo, e il lusso non tocco sarebbe
stato più tollerabile che non sarà qra, come fiera,
prima irritata dalle catene, poscia lasciata andare.
Sono pertanto di avviso, che non si debba per
nessun modo abrogare la legge Oppia. Del resto,
gli dei tutti rivolgano a pro vostro quello che
siete per fare. »
V. Post haec tribuni quoque plebei, qui se V. Dopo questo, i tribuni della plebe, che
intercessuros professi erant, quam pauca in eam avean dichiarato di opporsi a lor colleghi, ag
dem sententiam adjecissent; tum L. Valerius pro giunte avendo poche parole al parere del console,
rogatione ab se promulgata ita disseruit. . Si allora Lucio Valerio a favore della sua proposi
privati tantummodo ad suadendum dissuaden zione così parlò: « Se solamente uomini privati
dumque id, quod a nobis rogatur, processissent, si fossero fatti innanzi a consigliare o sconsiglia
ego quoque, quum satis dictum pro utraque re la mia proposta, io pure, stimando che si
parte existimarem, tacitus suffragia vestra exspe fosse detto abbastanza per l'una parte e per
ctassem. Nunc, quum vir gravissimus consul M. l'altra, avrei aspettato in silenzio il vostro voto.
Porcius, non auctoritate solum, quae tacita satis Ora, che Marco Porcio, console gravissimo, com
momenti habuisset, sed oratione etiam longa et battè la mia proposta non solo coll'autorità sua,
accurata insectatus sit rogationem nostram, ne che anche tacendo lui, sarebbe stata di gran peso,
cessum est paucis respondere. Qui tamen plura ma eziandio con lunga ed accurata orazione, è
verba in castigandis matronis, quam in rogatione necessità, ch'io risponda brevemente. Egli però
mostra dissuadenda, consumpsit; et quidem ut consumò più porole nel riprendere le matrone,
in dubio ponerent, utrum id, quod reprehende che nel dissuadere la mia proposta, e veramente
ret, matronae sua sponte, an nobis auctoribus, in modo da lasciar dubbio, se le matrone abbian
fecissent. Rem defendam, non mos, in quos jecit fatto quello, ch'egli riprende, di loro spontanea
magis hoc consul verbo tenus, quam ut re insi volontà, ovvero istigate da noi. Difenderò la cosa,
mularet. Coetum et seditiones, et interdum seces non noi, contro i quali scagliò il console piuttosto
sionem muliebrem appellavit, quod matronae in parole, che non addusse fatti. Chiamò adunanza,
publico vos rogassent, ut legem, in se latam per ammutinamento, talvolta anche domestica ribel
bellum temporibus duris, in pace et florente lione l'essersi recate le matrone in pubblico a
ac beata republica abrogaretis. Verba magna, pregarvi che quella legge, che fu fatta contro di
quae rei augendae causa conquirantur, et haec, loro ne tempi calamitosi della guerra, vogliate
et alia esse scio; et M. Catonem oratorem non ora in tempo di pace, nel fiorente e beato stato
solum gravem, sed interdum etiam trucem esse della repubblica, abrogarla. So che codeste e si
scimus omnes, quum ingenio sit mitis. Nam quid mili parole grandeggiano, e son quali si cercano
tandem novi matronae fecerumt, quod frequentes per esagerare la cosa; e sappiam tutti, che Marco
in causa ad se pertinente in publicum processe Catone egli è oratore non solamente grave, ma
runi: Numquam ante hoc tempus in publico talvolta eziandio fiero, benchè mite sia di natu
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apparuerunt ! Tuas adversus te Origines revol ra. Perciocchè finalmente, che han fatto di muo
vam. Accipe, quoties id fecerint, et quidem sem vole matrone, se in causa, che le riguarda, sono
per bono publico. Jam a principio, regnante in buon numero uscite in pubblico? Innanzi
Romulo, quum, Capitolio ab Sabinis capto, me questo tempo non si son mostrate in pubblico
dio in foro signis collatis dimicaretur, nonne mai? Svolgerò contro di te lo stesso tuo libro
intercursu matronarum interacies duas proelium delle Origini. Senti quante volte l'han fatto, e
sedatum est ? Quid ? regibus exactis, quum, Co sempre con pubblico vantaggio. Già sin da prin
riolano Marcio duce, legiones Volscorum castra cipio, regnando Romolo, mentre, preso il Cam
ad quintum lapidem posuissent, nonne id agmen, pidoglio da Sabini, si combatteva a bandiere
quo obruta haecurhs esset, matronae averterunt? spiegate nel mezzo della piazza, non fu sedata
Jam, urbe capta a Gallis, quo redempta urbs est? la battaglia dalle matrone corse a frapporsi nel
nempe aurum matromae consensu omnium in mezzo de'due eserciti? E che ? quando, scacciati
publicum contulerunt. Proximo bello (ne anti i re, le legioni del Volsci condotte da Marcio
qua repetam) nonne et, quum pecunia opus fuit, Coriolano vennero ad accamparsi a cinque mi
viduarum pecuniae adjuverunt aerarium, et, glia da Roma, non hanno le matrone stornato
quum dii quoque novi ad operm ferendam dubiis dall'impresa quelle schiere, che schiacciata avreb
rebus arcesseremtur, matronae universae ad mare bono questa città? E quando Roma fu presa dai
profectae sunt ad matrem Idaeam accipiendam ? Galli, con che fu riscattata? Con l'oro, che di
Dissimiles, inquit, causae sunt. Nec mihi causas comune consentimento le matrone contribuirono
aequare propositum est: nihil novi factum, pur al pubblico. Nell'ultima guerra, per non rian
gare satis est. Ceterum, quod in rebus ad omnes dare le cose antiche, quando vi fu bisogno di
pariter viros feminasque pertinentibus fecisse eas danaro, quello delle vedove non venne a soccor
nemo miratus est, in causa proprie ad ipsas so dell'erario? E quando si son chiamati anche
pertinente miramur fecisse? Quid autem fecerunt? nuovi dei a recarci aiuto nelle nostre angustie,
Superbas, medius fidius, aures habemus, si, quum non andarono le matrone tutte insino al mare
domini servorum non fastidiant preces, nos roga a ricevervi la madre Idea? Le cagioni, dirai, son
riab honestis feminis indignamur. » diverse. Nè intendo assimilarle; mi basta giusti
ficare, che non s'è fatto cosa nuova. Del resto,
quello che nessuno maravigliossi aver esse fatto
in cose appartenenti agli uomini egualmente che
alle donne, ci maraviglieremo che l'abbiam fatto
in cosa, che propriamente le risguarda? E che
poi han fatto? Abbiamo, per dio, le orecchie ben
superbe, se mentre i padroni non hanno a schifo
le preghiere degli schiavi, noi sdegniamo d'esse
re pregati da illustri donne. »
VI. «Venio nunc ad id, de quo agitur: in quo VI. « Vengo ora alle cose, di cui si tratta;
duplex consulis oratio fuit. Nam et legem ullam nel che fu doppia l'orazione del console; percioc
omnino abrogari est indignatus, et eam praeci chè e sgridò che si abolisse nessuna legge, e quella
pue legem, quae luxuriae muliebris coercendae massimamente, ch'era stata fatta per infrenare
causa lata esset. Et illa communis pro legibus il lusso donnesco. E quella prima parte, risguar
visa consularis oratio est; et haec adversus luxu dante le leggi in generale, ci è sembrata degna
riam severissimis moribus conveniebat. Itaque di un console, e l'altra contro il lusso si conface
periculum est, misi quid in utraque re vani sit va a severissimi suoi costumi; ci ha per altro
docuerimus, ne quis error vobis obfundatur. Ego pericolo, se non vi mostreremo quanto v'abbia
enim, quemadmodum ex his legibus, quae non di vano nell'una parte e nell'altra, che siate
in tempus aliquod, sed perpetuae utilitatis causa tratti in qualche errore. Io donque, siccome
in aeternum latae sunt, nullam abrogari debere confesso che non si dee abrogare nessuna di
fateor, misi quam aut usus coarguit, aut status queste leggi, che furon fatte non per alcun tem
aliquis reipublicae inutilem fecit; sic quas tem po limitato, ma in eterno per cagione di perpetua
pora aliqua desiderarunt leges, mortales (utita utilità, tranne quelle, che o la sperienza condan
dicam ) et temporibus ipsis mutabiles esse video. na, o alcun nuovo stato della repubblica rendette
Quae in pace latae sunt, plerumque bellum abro inutili, così vedo quelle, che richieste furono da
gat; quae in bello, pax: ut in navis administra alcune circostanze del tempo, essere, per così
tione alia in secundam, alia in adversam tempe dire, mortali e insieme col tempo mutabili. Le
statem usui sunt. Haec quum ita natura distincta leggi fatte in tempo di pace, per lo più la guerra
785 TITl LIVII LIBER XXXIV. 786
sint, ex utro tandem genere ea lex esse videtur, le abroga; le fatte in tempo di guerra, la pace;
quam abrogamus? An vetus regia lex, simul cum come nel governo delle navi altri arnesi ado
ipsa urbe nata ? An (quod secundum est) ab pransi nel buono, altri nel tempo burrascoso.
decemviris ad condenda jura creatis in duodecim Ora essendo queste cose così per natura separate,
tabulis scripta? Sine qua quum majores mostri a qual classe vi sembra appartenere la legge, che
non existimarint decus matronale servari posse, abroghiamo? È ella una vecchia legge fatta al
nobis quoque verendum sit, ne cum ea pudorem tempo dei re, nata insieme con Roma? Ovvero
sanctitatemque feminarum abrogemus? Quisigi (il che viene appresso) sta ella scritta nelle do
tur nescit, movam istam legem esse, Q. Fabio ét dici tavole per mano dei decemviri creati a for
Ti. Sempronio consulibus viginti annis ante la mare le leggi? Legge, senza la quale avendo
tam ? sine qua quum per tot annos matronae creduto i maggiori nostri non potersi conservare
optimis moribus vixerint, quod tandem, ne abro il decoro matronale, abbiam noi pure a temere
gata ea effundantur ad luxuriam, periculum est ? di abrogare insieme con essa il pudore e la santi
Nam si ista lex ideo lata esset, ut finiret libidi tà delle donne? Chi dunque ignora esser questa
nem muliebrem, verendum foret, ne abrogata una legge nuova fatta vent'anni sono, essendo
incitaret: cur sit autem lata, ipsum indicavit consoli Quinto Fabio e Tito Sempronio? Senza
tempus. Hannibal in Italia erat victor ad Cannas: la quale vissute essendo per tant'anni le matro
jam Tarentum, jam Arpos, jam Capuam habebat: ne con ottimi costumi, quale in fine pericolo si
ad urbem Romam admoturus exercitum videba corre, che, come sia abrogata, si abbandonino
tur: defecerant socii: non milites in supplemen esse al lusso sfrenatamente? Perciocchè, se que
tum, non socios navales ad classem tuendam, non sta legge fosse stata fatta perchè mettesse un
pecuniam in aerario habebamus: servi, quibus modo all'intemperanza donnesca, sarebbe a te
arma darentur, ita ut pretium pro iis bello per mersi che il toglierla vie maggiormente la irri
fecto dominis solveretur, emebantur: in eamdem tasse; perchè poi sia stata fatta, il tempo stesso
diem pecuniae, frumentum et cetera, quae belli lo mostra. Annibale in Italia avea vinto a Canne;
usus postulabant, praebenda publicani se condu era già padrone di Taranto, di Arpi, di Capua;
cturos professi erant: servos ad remum, numero pareva che avrebbe avvicinato l'esercito a Ro
ex censu constituto, cum stipendio nostro daba ma; gli alleati ci avevano abbandonato; non
mus: aurum et argentum omne, ab senatoribus avevamo nè soldati a rifare gli eserciti, nè gente
ejus rei initio orto, in publicum conferebamus: di mare a guernir la flotta, nè danaro nell'erario;
viduae et pupilli pecunias suas in aerarium defe si comperavano gli schiavi, onde armarli, da pa
rebant: cautum erat, quo ne plus auri et argenti garne il prezzo a padroni a guerra terminata;
facti, quo ne plus signati argenti et aeris domi i publicani, a patto d'esserne pur allora rimbor
haberemus. Tali tempore in luxuria et ornatu sati, avean promesso di somministrar frumento e
matronae occupatae erant, ut ad eam coèrcen quant'altro occorreva agli usi della guerra; noi
dam lex Oppia desiderata sit? quum, quia Cere davamo schiavi pel remo in numero corrispon
ris sacrificium, lugentibus omnibus matronis, dente al censo di ciascuno, mantenendoli del
intermissum erat, senatus finiri luctum triginta nostro; portavamo all'erario tutto l' oro e
diebus jussit. Cui non apparet, inopiam et mise l'argento, datone dapprima l'esempio dai sena
riam civitatis, et quia omnium privatorum pecu tori; all'erario portavano il lor danaro le vedove
niae in usum publicum vertendae erant, istam ed i pupilli; era ordinato che non si avesse in
legem scripsisse, tamdiu mansuram, quandiu casa più che tanto oro ed argento lavorato, più
causa scribendae legis mansisset? Nam si, quae che tanto argento e rame coniato. In così fatto
tune temporis causa aut decrevit senatus, aut tempo occupavansi forse le matrone di lusso e
populus jussit, in perpetuum servari oportet, cur di ornamenti, si che a metterci freno si avesse
pecunias reddimus privatis? cur publica praesenti bisogno della legge Oppia? E quest'era il tempo,
pecunia locamus? cur servi, qui militent, non in cui, perchè il sagrifizio di Cerere, tutte essen
emuntur ? cur privati non damus remiges, sicut do in pianto le matrone, era stato intermesso, il
tumc dedimus ? » senato ordinò che il lutto finisse in capo a trenta
giorni. A chi non è manifesto che ta povertà e
miseria della città, e perchè bisognava conver
tire tutti i danari deprivati in uso pubblico, avea
no scritto codesta legge, da durar tanto tempo,
quanto sarebbe durata la cagione, per cui si
scriveva? Perciocchè, se quello che il senato
decretò, ed il popolo allora comandò per le cir
1,1v e 2 5o
787 TITI LIVII LIBER XXXIV. -88
/

costanze del tempo, si dee osservare in perpetuo,


ond'è che restituiamo il danaro a privati? che
alloghiamo i lavori pubblici a soldo pronto? che
non comperiamo schiavi per la milizia? che noi
privati non più diamo remiganti, come ne dem
mo allora ? »
VII. « Omnes alii ordines, omnes homines VII. « Tutti gli altri ordini, tutte l'altre
mutationem in meliorem statum reipublicae sen persone sentiranno il cangiamento in meglio della
tient; ad conjuges tantum nostras pacis et tran repubblica; solo alle nostre mogliere non giun
quillitatis publicae fructus non perveniet ? Pur gerà il frutto della pace e della pubblica tran
pura viri utemur, praetextati in magistratibus, quillità? Noi uomini ci serviremo della porpora,
in sacerdotiis; liberi nostri praetextis purpura usando la pretesta nei magistrati, nei sacerdozii;
logis utentur; magistratibus in coloniis munici i nostri figli si serviranno di toghe listate di por
piisque, hic Romae infimo generi magistris vico pora; lasceremo ai magistrati nelle colonie ed ai
rum togae praetextae habendae jus permittemus; municipii, qui in Roma stessa ai capi delle con
nec id ut vivi solum habeant tantum insigne, trade, ultimo grado di onore, il diritto di por
sed etiam ut cum eo crementur mortui; feminis tare la toga pretesta, e che non solamente ne
dum taxat purpurae usum interdicemus? et, quum usino vivi, ma che anche morti sieno abbruciati
tibi viro liceat purpura in veste stragula uti, con quella; alle femmine sole vieteremo l'uso della
matrem familiae tuam purpureum amiculum ha porpora ? E mentre a te, perchè uomo, sarà le
bere non sines ? et equus tuus speciosius instra cito usar della porpora nel mantello, non per
tus erit, quam uxor vestita ? Sed in purpura, metterai alla tua madre di famiglia, che usi nè
quae teritur, absumitur, injustam quidem, sed anche un velo purpureo ? E il tuo cavallo sarà
aliquam tamen causam tenacitatis video ; in auro più vagamente adorno, che non tua moglie
vero, in quo praeter manus pretium nihil inter abbigliata? Ma però, rispetto alla porpora, la
trimenti fit, quae malignitas est? Praesidium quale coll'uso si guasta e si consuma, scorgo, se
potius in eo est et ad privatos, et ad publicos usus, non giusta, almeno una qualche cagione di eco
sicut experti estis. Nullam aemulationem inter se nomia; nell'oro poi, nel quale, tranne la ma
singularum, quando nulla haberet, esse aiebat. nifattura, non si fa alcuna perdita, che malevo
At, hercule, universis dolor et indignatio est, lenza è questa? Avete piuttosto da questo un
quum sociorum Latini nominis uxoribus vident soccorso ne' bisogni pubblici e privati, come ne
ea concessa ornamenta, quae sibi adempta sint, avete fatto prova. Non vi sarà, diss'egli, emula
quum insignes eas esse auro et purpura, quum zione tra le donne, tosto che nessuna ne abbia
illas vehi per urbem, se pedibus sequi, tamquam Anzi, per dio, tutte ne risenton dolore e sdegno,
in illarum civitatibus non in sua, imperium sit. mentre vedono che son permessi alle mogli degli
Virorum hoc animos vulnerare posset; quid alleati Latini quegli ornamenti, che son tolti ad
muliercularum censetis, quas etiam parva mo esse; che quelle vanno adorne d'oro e di por
vent ? Non magistratus, nec sacerdotia, nec pora, quelle son tratte in cocchio per la città, e
triumphi, nec insignia, mec dona, aut spolia bel le nostre le seguono a piedi, quasi la sede del
lica his contingere possunt. Munditiae et ornatus l'impero fosse nelle loro città, e non in Roma,
et cultus, haec feminarum insignia sunt: his Potrebbe questo a buon diritto ferire l'animº
gaudent et gloriantur; hunc mundum muliebrem degli uomini; che vi pensate sia delle donnicciuº
appellarunt majores nostri. Quid aliud in luctu, le, che anche per piccole cose si risentono? Non
quam purpuram atque aurum deponunt? quid, toccano ad esse nè magistrati, nè sacerdozii, nè
quum eluxerunt, sumunt ? quid in gratulationi trionfi, nè decorazioni, nè donativi, nè spoglie di
bus supplicationibusque, nisi excellentiores orma guerra. Delicature, abbellimenti, addobbi, questi
lus, adiiciunt? Scilicet, si legem Oppiam abro sono gli ornamenti delle donne; di questi si
gaveritis, non vestri arbitrii erit, si quid ejus allegrano, e si dan vanto; questo è quello, che i
vetare volueritis, quod nunc lex vetat. Minus nostri maggiori chiamarono il mondo muliebre
filiae, uxores, sorores etiam quibusdam in manu Che altro depongono all'occasione di lutto, se
erunt. Numquam, salvis suis, exsuitur servitus non se l'oro e la porpora ? che altro ripiglianº,
muliebris; et ipsae libertatem, quam viduitas et finito il lutto ? che altro aggiungono nelle pub,
orbitas facit, detestantur. In vestro arbitrio suum bliche allegrezze, nelle solennità, se non se Pº
ormatum, quam in legis, malunt esse. Et vos in splendidi abbigliamenti? Quasi che, abrogandº
manu et tutela, non in servitio, debetis habere la legge Oppia, non sarà sempre in vostro arbi
ea»; ei malie patres vos aut viros, quam dominos, trio vietare, se il vorrete, alcuna delle cose, che
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dici. Invidiosis nominibus utebatur modo consul, ora vieta la legge; come se le figlie, le mogli, le
seditionem muliebrem et secessionem appellando. sorelle stesse saranno meno per ciò sotto la vo
ld enim periculum est, ne Sacrum montem, sicut stra dipendenza. Non escon mai le donne di
quondam irata plebs, aut Aventinum capiant. servitù, vivendo i suoi; ed esse stesse detestano
Patiendum huic infirmitati est, quodcumque vos la libertà, che viene dalla vedovanza o dalla
censueritis. Quo plus potestis, eo moderatius im morte de'loro; amano che il lor modo di ador
perio uti debetis. » narsi più dipenda dall'arbitrio vostro, che da
quello della legge. E voi tener le dovete sotto
la vostra dipendenza e tutela, non però come
schiave; e avete a preferire d'esser chiamati
padri e mariti, piuttosto che padroni. Il console
usava poco fa di nomi odiosi, chiamando questo
concorso di donne sedizione, ribellione: sì certo,
v'ha pericolo che non piglino il Sacro Monte,
come un tempo la plebe corrucciata, o l'Aventi
no. Converrà che la debolezza del sesso soffra
tutto quello che vorrete deliberare; quanto per
rò è maggiore il poter vostro, tanto più mode
ratamente ne dovete usare. »
VIII. Haec quum contra legem proque lege VIII. Essendosi in cotal modo parlato sì in
dicta essent, aliquando major frequentia mulie favore, che contro la legge, si sparse in pubblico
rum postero die sese in publicum effudit, unoque il dì seguente numero ancor maggiore di donne,
agmine omnes tribunorum januas obsederunt, e ridottesi tutte in una sola schiera assediaron
qui collegarum rogationi intercedebant; necante tutte le porte dei tribuni, che si opponevano alla
abstiterunt, quam remissa intercessio ab tribunis proposta de'lor colleghi; nè cessarono d'insi
esset. Nulla deinde dubitatio fuit, quin omnes stere, che quando i tribuni rimossero l'opposi
tribus legem abrogarent. Anno vigesimo post zione. Non s'ebbe più a dubitare, che le tribù
abrogata est quam lata. M. Porcius consul, post tutte non abrogassero la legge. Fu abrogata
quam abrogata est Oppia lex, extemplo viginti l'anno ventesimo, da che era stata promulgata.
quinque navibus longis (quinque sociorum erant) Come fu abrogata la legge Oppia, il console
ad Lunae portum profectus, eodem exercitu con Marco Porcio avviossi subito con venticinque
venire jusso, et, edicto per oram maritimam misso, navi lunghe (cinque erano degli alleati) al porto
navibus omnis generis contractis, ab Luna profi di Luna, commesso avendo all'esercito, che si
ciscens edixit, ut ad portum Pyrenaei sequeren raccogliesse colà, e partendo da Luna, avendo
tur; inde se frequenti classe ad hostes iturum. con editto, mandato per tutta la spiaggia marit
Praetervecti Ligustinos montes sinumque Galli tima, radunati navigli d'ogni sorte, ordinò che
cum, ad diem, quam edixerat, convenerunt: lo seguitassero al porto del Pireneo; che di là
inde Rhodam ventum, et praesidium Hispano andrebbe con flotta numerosa contro il nemico.
rum, quod in castello erat, vi dejectum. Ab Rho Oltrepassati i monti della Liguria, e il golfo
da secundo vento Emporias perventum: ibi copiae Gallico, si trovarono tutti raccolti al giorno co
omnes, praeter socios navales, in terram expo mandato. Poscia si venne a Roda, donde si scacciò
sitae. il presidio Spagnuolo, ch'era nella rocca. Da Roda
con vento prospero si arrivò ad Emporia: quivi
si posero a terra tutte le genti, eccetto quelle di
mare,

1X. Jam tunc Emporiae duo oppida erant IX. Già sin d'allora Emporia era formata di
muro divisa. Unum Graeci habebant, a Phocaea, due città, divise da muro. Una la tenevano i
unde et Massilienses, oriundi , alterum Hispani. Greci, oriondi, come anche i Marsigliesi, dalla
Sed Graecum oppidum in mare expositum, totum Focea; l'altra gli Spagnuoli. Ma la città Greca,
orbem muri minus quadringentos passus paten rivolta al mare, aveva un muro, che girava poco
tem habebat; Hispanis retractior a mari trium meno di quattrocento passi. Dalla parte degli Spa
millium passuum in circuitu murus erat. Ter gnuoli il giro del muro più ritratto dal mare
tium genus, Romani coloni ab divo Caesare, post era di tre mila passi. Vi fu aggiunta in appresso
devictos Pompeji liberos, adjecti. Nunc in cor una terza sorta di abitanti, de'coloni Romani
pus unum confusi omnes; Hispanis prius, postre mandativi dal divo Cesare, poi ch'ebbe vinti i
mo et Graecis in civitatem Romanam adscitis. Mi figli di Pompeo. Ora son tutti confusi insieme,
791 l'ITI LIVII LIBER XXXIV. 792

raretur, qui tum cerneret, aperto mari ab altera datasi la cittadinanza Romana prima agli Spa
parte, ab altera Hispanis, tam ferae et bellicosae gnuoli, pascia a Greci. Dovette destar maraviglia
genti, objectos, quae res eos tutaretur. Disciplina il vedere allora come codesti Greci, da una parte
erat custos infirmitatis, quam inter validiores esposti al mare aperto, dall'altra agli Spagnuoli,
optime timor continet. Partem muri versam in nazione fiera e bellicosa, potessero mantenersi.
agros egregie munitam habebant, una tantum in Guardia della loro debolezza era la disciplina,
eam regionem porta imposita; cujus assiduus cui, se ti trovi in mezzo a gente più poderosa, il
custos semper aliquis ex magistratibus erat. No timore mantiene. La parte del muro verso la
cte pars tertia civium in muris excubabant; ne campagna l'aveano egregiamente fortificata, e
que moris tantum aut legis causa, sed, quanta si non c'era da quella banda, che una sola porta,
hostis ad portas esset, et servabant vigilias, et cir della quale era continuamente custode qualcuno
cumibant, cura. Hispanum neminem in urbem de'magistrati. La notte una terza parte dei citta
recipiebant; ne ipsi quidem temere urbe excede dini facea la guardia sulle mura; nè questo sola
bant: ad mare patebat omnibus exitus. Porta ad mente per obbedire all'usanza, o alla legge, ma
Ilispanorum oppidum versa numquam nisi fre e vegliavano, e facean la ronda con tanta cura,
quentes, pars tertia fere, cujus proxima nocte vi quanta se il nemico fosse alle porte. Non riceve
giliae in muris fuerant, egrediebantur. Causa exe vano in città alcuno Spagnuolo; essi stessi non ne
undi haec erat: commercio eorum Hispani, im uscivano senza molta cautela: dalla parte del
prudentes maris, gaudebant, mercarique et ipsi mare era libera a tutti l'uscita. Non uscivan mai
ea, quae externa navibus inveherentur, et agro dalla porta, che guardava la città degli Spagnuoli,
rum exigere fructus, volebant. Hujus mutui usus se non se in buon numero, la terza parte a un
desiderium, ut Hispana urbs Graecis pateret, fa dipresso, che la notte innanzi avea guardato le
ciebat. Erant etiam eo tutiores, quod sub umbra mura. La cagione dell'uscire era questa. Gli
Romanae amicitiae latebant; quam sicut minori Spagnuoli, non pratici del mare, amavano di far
bus viribus, quam Massilienses, pari colebant fi commercio con essi: volevano e comperare le cose
de. Tunc quoque consulem exercitumque comi che venivan dall'estero sulle navi, e cacciar fuori
ter ac benigne acceperunt. Paucos ibi moratus i frutti delle lor campagne. La brama di questo
dies Cato, dum exploraret, ubi et quantae ho reciproco vantaggio faceva che la citta Spagnuola
stium copiae essent; ut ne mora quidem segnis fosse aperta ai Greci. Eran questi inoltre tanto
esset, omne id tempus exercendis militibus con più securi, quanto che si riparavano all'ombra
sumpsit.ld erat forte tempus anni, ut frumentum dell'amicizia Romana; e benchè con forze mino
in areis haberent. Itaque, redemptoribus vetitis ri di quelle dei Marsigliesi, le coltivavan però con
frumentum parare, ac Romam dimissis, a Bellum, pari fede. E così allora graziosamente, e amore
inquit, se ipsum alet. » Profectus ab Emporiis volmente accolsero il console, e l'esercito. Catone,
agros hostium urit vastatºpue; omnia fuga et ter fermatosi quivi pochi giorni, sino a tanto che
rore complet. spiò dove e quante fossero le forze dei nemici,
perchè la stessa dimora non fosse oziosa, consu
mò tutto quel tempo nell'esercitare i soldati.
Era per avventura la stagione, che avevano i
frumenti sull'aia. Quindi Catone, levato agli ap
paltatori l'ordine di comperarne, e rimandatili
a Roma, la guerra, disse,nodrirà sè stessa.” Partito
da Emporia, arde, saccheggia il paese de'nemici,
e tutto empie di terrore e di fuga.
X. Eodem tempore M. Helvio, decedenti ex X. In quel tempo medesimo, mentre Marco
ulteriore Hispania cum praesidio sex millium, Elvio partiva dalla Spagna ulteriore col presidio
dato ab Ap. Claudio praetore, Celtiberi agmine di sei mila soldati, datogli dal pretore Appio
ingenti ad oppidum Illiturgi occurrerunt. Viginti Claudio, se gli fecero incontro i Celtiberi con
millia armatorum fuisse, Valerius scribit; duode grossa schiera presso il castello d'llliturgo. Va
cim millia ex iis caesa, oppidum llliturgi rece lerio Anziate scrive che fossero venti mila; che
ptum, et puberes omnes interfectos. Inde ad ca ne perirono dodici mila; che fu preso il castello
stra Catonis Helvius pervenit; et, quia tuta jam d'Illiturgo, ed ammazzati tutti gli adulti. Di là
ab hostibus regio erat, praesidio in ulteriorem Elvio giunse agli accampamenti di Catone; e
Hispaniam remisso, Romam est profectus, et ob perchè il paese era già sicuro da nemici, riman
rem feliciter gestam ovans urbem est ingressus. dato il presidio nella Spagna ulteriore, egli andò
Argenti infecti tulit in aerarium quatuordecim a Roma, e pegli egregii suoi fatti entrò ovante
793 TITI I.IVII I.IBER XXXIV. 794
millia pondo septingenta triglnta duo, et signati in città. Pose nell'erario quattordici mila sette
bigatorum septemdecim millia viginti tria, et cento e trenta due libbre d'argento non lavora
Oscensis argenti centum viginti millia quadrin to, e di coniato in bigati diciassette mila ventitrè
gentos triginta octo. Causa triumphi negandi se libbre, e cento venti mila quattrocento trenta
natui fuit, quod alieno auspicio et in aliena pro otto libbre di argento d'Osca. Cagione che il
vincia pugnasset. Ceterum biennio post redierat, senato gli ricusasse il trionfo si fu, che avea
quum, provincia successori Q. Minucio tradita, combattuto sotto gli auspizii altrui, ed in pro
annum insequentem retentus ibi longo et gravi vincia non sua. Del resto, non era tornato che
morbo fuisset. Itaque duobus modo mensibus an due anni dopo; perciocchè, consegnata la pro
te Helvius ovans urbem est ingressus, quam suc vincia al successore Quinto Minucio, fu colà
cessor ejus Q. Minucius triumpharet. Hic quoque ritenuto tutto l'anno seguente da lunga e grave
tulit argenti pondo triginta quatuor millia octin malattia, così che Elvio entrò ovante in città due
genta, bigatorum septuaginta octo millia, et soli mesi innanzi, che il di lui successore Quinto
Oscensis argenti ducenta septuaginta octo millia. Minucio trionfasse. Anche questi recò nell'erario
trentaquattro mila ottocento libbre d'argento,
settanta ottomila di bigati, e dugento settanta
otto mila di argento d'Osca.
XI. In Hispania interim consul haud procul XI. Intanto nella Spagna il console si stava
Emporiis castra habebat. Eo legati tres ab ller accampato non lontano da Emporia. Vennero
getum regulo Bilistage, in quibus unus filius erat, colà tre legati, spediti da Bilistage, piccolo re
venerunt, querentes, « castella sua oppugnari, degl'Ilergeti, tra i quali c'era un di lui figliuolo,
nec spem ullam esse resistendi, nisi praesidio Ro a dolersi, « che le loro castella fossero combattu
manus miles esset. Tria millia militum satis esse; te; nè esservi speranza di resistere, senza- il
nec hostes, si tanta manus venisset, mansuros. » soccorso di presidio Romano: bastare a ciò tre
Ad ea consul, « Moveri quidem se vel periculo mila soldati; e se tanti ne venissero, i nemici se
eorum, vel metu, dicere; sed sibi meduaquam n'andrebbono. » Al che il console, « per verità,
tantum copiarum esse, ut, quum magna vis ho disse, lo moveva o il lor pericolo, o il lor timore;
stium haud procul absit, cum qua mox signis col ma trovandosi non lontana gran frotta di nemici,
latis dimicandum sibi in dies exspectet, dividen con cui si aspettava di dover venire ogni dì a bat
do exercitum minueretuto vires posset. » Legati, taglia campale non aveva egli tal numero di gente
ubi haec audierunt, flentes ad genua consulis pro da potere, dividendo l'esercito, sminuire le sue
volvuntur. Orant, « Ne se in rebus tam trepidis forze con sicurezza. - I legati, udita cotal rispo
deserat. Quo enim se, repulsos ab Romanis, itu sta, si gettano piangendo a piedi del console:
ros ? Nullos se socios, nihilusquam in terris aliud pregano, a che non gli abbandonino in sì duri
spei habere. Potuisse se extra id periculum esse, frangenti. Perciocchè, ributtati dai Romani, dove
si decedere fide, si conjurare cum ceteris voluis andranno a ripararsi? Non avevano alleati, non
sent. Nullis minis, nullis terriculis se motos, spe altra speranza restava loro in sulla terra. Avreb
rantes satis opis et auxilii sibi in Romanis esse. bono potuto mettersi fuori di sì fatto pericolo,
ld si nullum sit, si sibi a consule megetur, deos se avessero voluto romper la fede, e congiurare
hominesque se testes facere, invitos et coactosse, con gli altri. Nessuna minaccia, nessun pericolo
ne eadem, quae Saguntimi passi sint, patiantur, gli smosse, sperando di aver ne'Romani bastante
defecturos, et cum ceteris potius Hispanis, quam aiuto e difesa. Se questo lor manca, se si nega
solos perituros esse. » loro dal console, chiamano testimonii gli dei e
gli uomini, che contro lor voglia, e costretti, per
non patir quello che han patito i Saguntini, si
staccherebbono dai Romani, e piuttosto che soli,
perirebbono con tutti gli altri Spagnuoli.
XII. Et illo quidem die sic sine responso di XII. E quel dì furono licenziati senza rispo
missi. Consulem nocte, quae insecuta est, anceps sta. La notte che seguì, fu travagliato il console
cura agitare: molle deserere socios, nolle minue da doppio pensiero: non voleva abbandonare gli
re exercitum; quod aut moram sibi ad dimican alleati, non iscemare l'esercito; il che gli potrebbe
dum, aut in dimicando periculum afferre posset. o recare indugio a combattere, o nel combattere
Stat sententia, non minuere copias, ne quid inte pericolo. Sta fermo nel non voler scemare le forze,
rim hostes inferant ignominiae: sociis spem pro onde intanto i nemici non gli facessero qualche
re ostendendam censet. Saepe vana pro veris, onta: pensa di offerire agli alleati, invece che
maxime in bello, valuisse; et credentem se ali cosa, speranza. Spesso, e massimamente in guerra,
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quid auxilii habere, perinde atque haberet, ipsa l'apparenza vale quanto il vero; e taluno cre
fiducia, et sperando atque audendo servatum. Po dendosi di aver qualche soccorso, quasi in fatto
stero die legatis respondit, a Quam quam verea lo avesse, con questa fiducia osando, sperando si
tur, ne suas vires, aliis eas commodando, minuat; salvò. ll dì seguente risponde ai legati; . Benchè
tamen illorum se temporis ac periculi magis, quam egli tema di sminuire le sue forze, dividendole
sui, rationem habere.» Denunciari militum parti con altri, nondimeno aveva egli più presto ri
tertiae ex omnibus cohortibus jubet, ut cibum, spetto alle circostanze ed a pericoli loro, che a
quem in naves imponant, mature coquant; na sè medesimo.» Ordina che s'intimi ad una terza
vesque in diem tertium expediri jussit. Duos ex parte del soldati tratti da tutte le coorti, che si
legatis Bilistagi atque Ilergetibus nunciare ea ju affrettino di cuocere i cibi da metter sulle navi;
bet; filium reguli comiter habendo, et muneri e comandò che queste approntate sieno pel terzo
bus apud se retinet. Legati non ante profecti, dì. Commette a due de' legati, che annunzino la
quam impositos in naves milites viderunt: id cosa a Bilistage ed agli Ilergeti; ritien presso di
pro haud dubio jam nunciantes, non suos modo, sè il figlio del re, trattandolo cortesemente, e
sed etiam hostes, fama Romani auxilii adventan regalandolo. l legati non partirono che quando
tis impleverunt. videro i soldati imbarcati; e recando la nuova,
come certa, empierono non i suoi solamente,
ma gli stessi nemici della fama del soccorso Ro
In allo,

XIII. Consul, ubi satis, quod in speciem ſuit, XIII. Il console, com'ebbe dato l'apparenza
ostentatum est, revocari ex navibus milites jubet. quanto bastava, fa richiamare i soldati dalle
Ipse, quum jam id tempus anni appeteret, quo navi; e avvicinandosi di già il tempo, in cui si
geri res possent, castra hiberna tria millia pas poteva dar mano alle operazioni, pose i quar
suum ab Emporiis posuit. Inde per occasiones, tieri d'inverno a tre miglia da Emporia. Di là,
nunc hac parte, nunc illa, modico praesidio castris secondo le occasioni, ora a quella, ed ora a
relicto, praedatum milites in hostium agros edu questa parte, lasciato picciolo presidio nel campo,
cebat. Nocte ferme proficiscebantur, ut et quam mandava fuori i soldati a predare nel territorio
longissime a castris procederent, et inopinatos de' nemici. Camminavano quasi sempre di notte,
opprimerent. Et exercebat ea res novos milites, onde discostarsi maggiormente dal campo, ed
et hostium magna vis excipiebatur; nec jam egre opprimere i nemici alla sprovvista. Questo ser
di extra munimenta castellorum audebant. Ubi viva a esercitare i nuovi soldati, e si prendeva
satis admodum et suorum et hostium animos est gran numero di nemici; nè già osavan più di
expertus, convocari tribunos, praefectosque, et uscire da lor castelli. Poi ch'ebbe saggiato abba
equites omnes, et centuriones jussit. . Tempus, stanza l'animo de' suoi e de'nemici, fe'radunare
inquit, quod saepe optastis, venit, quo vobis po i tribuni, i prefetti, e tutti i cavalieri e centu
testas fieret virtutem vestram ostendendi. Adhuc rioni. « È venuto, disse, il tempo, che spesso
praedonum magis, quam bellantium, militastis avete bramato, in cui vi fosse dato di mostrare
more: nunc justa pugna hostes cum hostibus con il vostro valore. Fino ad ora guerreggiaste più
seretis manum. Non agros inde populari, sed ur da ladroni, che da soldati; ora verrete alle mani
bium opes exhaurire licebit. Patres nostri, quum in giusta battaglia, nemici contro nemici; avrete
Hispania Carthaginiensium, et imperatores ibi et occasione non di saccheggiare le campagne, ma
exercitus essent, ipsi nullum imperatorem, nullos d'ingoiare le ricchezze delle città. I Padri nostri,
in ea milites haberent; tamen addere hoc in foe mentre la Spagna era dei Cartaginesi, dove avevan
dere voluerunt, ut imperii sui lberus fluvius es comandanti ed eserciti, ed essi nessun coman
set finis. Nunc, quum duo praetores, quum con dante, nessun soldato, pur vollero aggiungere
sul, quum tres exercitus Romani Hispaniam ob al trattato questo articolo: che il fiume Ibero
tineant, Carthaginiensium jam prope decem an fosse il confine del loro stato. Ora, mentre due
nis nemo in his provinciis sit, imperium nobis ci pretori, un console, tre Romani eserciti occupano
tra Iberum amissum est. Hoc armis et virtute re la Spagna, e che già da dieci anni nessun Carta
cuperetis oportet; et nationem, rebellantem ma ginese mette piede in queste province, abbiam
gis temere, quam constanter bellantem, jugum, perduta la dominazione di qua dall'Ibero. Questa
quo se exuit, accipere rursus cogatis. . ln hunc vi bisogna ricuperare con l'armi e col valore;
modum maxime adhortatus pronunciat, se nocte e costringere una nazione, che più si ribella paz
ad castra hostium ducturum: ita ad corpora cu zamente, di quel che guerreggi con fermezza
randa dimissi. a ripigliare il giogo, che si scosse dal collo. »
Avendoli in cotal guisa esortati, gli avvisa che
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la prossima notte li condurrebbe ad assaltare il
campo nemico: quindi furon mandati a curarsi
XIV. Nocte media, quum auspicio operam de la persona.
disset, profectus, ut locum, quem vellet, prius XIV. Sul mezzo della notte, poi ch'ebbe
quam hostes sentirent, caperet, praeter castra ho presi gli auspizii, partitosi a pigliare, innanzi
stium circumducit, et prima luce, acie instructa, che i nemici se ne accorgessero, quel luogo, che
sub ipsum vallum tres cohortes mittit. Mirantes voleva, guida i suoi oltre il campo nemico, e al
barbari ab tergo apparuisse Romanum, discur primo albeggiare, messili in ordinanza, manda
rere ipsi ad arma. Interim consul apud suos, tre coorti sin sotto lo steccato. Maravigliandosi
« Nusquam, nisi in virtute, spes est, milites, in i barbari che il Romano si mostrasse alle loro
quit, et ego sedulo, ne esset, feci. Inter castra spalle, corrono anch'essi all'armi. Intanto il
nostra et nos medii hostes: ab tergo hostium ager console a suoi: « Non avete, disse, o soldati,
est: quod pulcherrimum, idem tutissimum est, altra speranza, che nel coraggio; ed io mi ado
in virtute spem positam habere. » Sub haec co perai con ogni possa, perchè altra non ne aveste.
hortes recipi jubet, ut barbaros simulatione fugae I nemici stannosi tra il nostro campo e noi: alle
eliceret. Id, quod crediderat, evenit. Pertimuisse spalle c'è il paese nemico; la cosa ch'è la più
et cedere rati Romanos, porta erumpunt, et, bella, è anche la più sicura, mettere la speranza
quantum inter castra sua et hostium aciem reli nel valore. Ciò detto, fa richiamar le coorti,
ctum erat loci, armatis complent. Dum tripidant onde colla simulazion della fuga attrar fuori i
acie instruenda, consul, jam paratis ordinatisque nemici. Avvenne quello che avea creduto. Sti
omnibus, incompositos aggreditur. Equites pri mando che i Romani temessero e si ritirassero,
mos ab utroque cornu in pugnam educit, sed in si scaglian fuori della porta, ed empiono di ar
dextro extemplo pulsi, cedentesque trepidi etiam mati tutto lo spazio, ch'era rimasto tra il loro
pediti terrorem intulere. Quod ubi vidit consul, campo e l'esercito nemico. Mentre ondeggiano
duas cohortes delectas ab dextro latere hostium nell'ordinare le schiere, il console, che avea già
circumduci jubet, et ab tergo se ostendere, prius approntato ed allestito tutto, gli assalta disordi
quam concurrerent peditum acies. Is terror obº nati, com'erano. Primi condusse alla battaglia i
jectus hosti rem, metu Romanorum equitum in cavalli delle due ale; ma quei della banda destra
climatam, aequavit: tamen adeo turbati erant immantinente respinti, e cedendo spaventati,
dexterae alae equites peditesque, ut quosdam portarono lo spavento tra i fanti. Il che vedutosi
consul manu ipse reprehenderit, et aversos in dal console, ordina che due scelte coorti girasse
hostem verterit: ita, et'quamdiu missilibus pu ro dal fianco destro de'nemici, e si mostrassero
gnatum est, anceps pugna erat; et jam ab dextra alle spalle innanzi che i fanti venissero alle mani.
parte, unde terror et fuga coeperat, aegre Ro Questo spavento offertosi a nemici pareggiò la
manus restabat. Ab sinistro cornu et ab fronte zuffa, ch'era alquanto inclinata pel timore mes
urgebantur barbari, et cohortes ab tergo instan sosi nella cavalleria Romana. Nondimeno i cavalli
tes pavidi respiciebant. Ut, emissis soliferreis fa ed i fanti dell'ala destra erano sì fattamente
laricisque, gladios strinxerunt, tum velut redin scompigliati, che il console ne abbrancò taluni di
tegrata est pugna. Non caecis ictibus procul ex propria mano, e li rivolse contro i nemici. In
improviso vulnerabantur; sed, pedecollato, tota questo modo, e sino a tanto, che si combattè con
in virtute ac viribus speserat. armi da getto, era indecisa la battaglia; e già
dalla parte destra, donde avea cominciato il ter
rore e la fuga, il Romano a gran pena teneva
saldo. Alla parte sinistra, i barbari erano incalzati
di fronte, e riguardavano con paura le coorti,
che stavan loro sopra alle spalle. Ma tosto che, lan
ciati via i giavellotti e le falariche, strinsero gli
acciari, allora si vide rinnovarsi la battaglia. Non
si ferivan più con ciechi colpi di lontano alla
sprovvista, ma uomo ad uomo affrontandosi, non
c'era da sperare, che nel valore e nelle forze.
XV. Fessos jam suos consul, ex secunda acie XV. Il console, tratte a combattere dal secon
subsidiariis cohortibus in pugnam inductis, ac do corpo le sussidiarie coorti, rianimò i suoi già
endit: nova acies facta. Integri recentibus telis stanchi. Si formò una nuova schiera. I soldati
fatigatos adorti hostes primum acri impetu, velut freschi assalendo con nuova copia di giavellotti i
cuneo, perculerunt: deinde dissipatos in fugam nemici stanchi, dapprima con gagliai do impeto,
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averterunt; effusoque per agros cursu, castra re quasi con conio gli sfondarono; poi, disgregatili,
petebantur. Ubi omnia fuga completa vidit Cato, gli volsero in fuga; e già di pien corso per la
ipse ad secundam legionem, quae in subsidio po campagna si tornavano al campo. Come scorse
sita erat, equo revehitur: et signa praese ferri, Catone non altro intorno vedersi, che fuga, torna
plenoque gradu ad castra hostium oppugnanda cavalcando alla seconda legione, ch'era nella
succedere jubet. Si quis extra ordinem avidius retroguardia, ed ordina che le bandiere il pre
procurrit, etipse interequitans sparo percutit, et cedano, e che si vada di gran passo a piombar
tribunos centurionesque castigare jubet. Jam ca sul campo nemico. Se alcuno balza innanzi per
stra hostium oppugnabantur; saxisque, et sudi troppo ardore, egli stesso, qua e là cavalcando,
bus, et omni genere teorum submovebantur a val con l'asta il percuote, ed ordina ai tribuni ed
lo Romani. Ubi recens admota legio est, tum et ai centurioni che li raffrenino. Già s'era dato
oppugnantibus animus crevit, et infensius hostes l'assalto al campo nemico; e i Romani eran te
pro vallo pugnabant. Consul omnia oculis perlu nuti discosti dallo steccato con sassi, con pali, e
strat, ut, qua minima vi restatur, eo parte ir con ogni maniera di saettume. Come si avvicinò
rumpat. Ad sinistram portam infrequentes videt: la fresca legione, allora crebbe l'animo agli as
eo secundae legionis principes hastatosque indu salitori, e i nemici più ostinatamente pugnavano
cit. Non sustinuit impetum eorum statio, quae davanti allo steccato. Il console gira con l'occhio
portae apposita erat; et ceteri, postguam intra da per tutto per piombare a quella parte, dove
vallum hostes vident, ipsis castris exuti, signa ar sia minore la resistenza. Scorge poca gente alla
maque abiiciunt. Caeduntur in portis, suomet ipsi porta sinistra: guida colà i principi e gli astati
agmine in arcto haerentes: secundani terga ho della seconda legione. Non sostenne il loro im
stium caedunt, ceteri castra diripiunt. Valerius peto la guardia, ch'era messa alla porta; e gli
Antias supra quadraginta millia hostium caesa eo altri, poi che vedono il nemico dentro lo steccato,
die scribit. Cato ipse, haud sane detrectator lau perduti gli alloggiamenti, gettan via armi e ban
dum suarum, multos caesos ait; numerum non diere. Son tagliati a pezzi in sulle porte, ritenuti
adscribit. nello stretto dalla lor calca medesima: i secun
dani alle spalle ne fanno strage; gli altri mano
mettono il campo. Scrive Valerio Anziate, che
furon morti in quel di più di quaranta mila ne
mici. Catone stesso, certo non detrattore delle
proprie lodi, dice che ne furon morti molti; ma
non aggiunge il numero.
XVI. Tria eo die laudabilia fecisse putatur: XVI. Tre lodevoli operazioni stimasi aver
unum, quod, circumducto exercitu, procul navi fatto Catone in quel dì. Una, che fatto fare un
bus suis castrisque, ubi spem nisi in virtute ha giro all'esercito, venne a dar battaglia nel mezzo
berent, intermedios hostes proelium commisit ; de'nemici, lontano dalle navi e dal campo, dove
alterum, quod cohortes ab tergo hostibus obje i suoi non avessero a sperare che nel valore ;
cit: tertium, quod secundam legionem, ceteris l'altra, che mandò alcune coorti alle spalle dei
omnibus effusis ad sequendos hostes, pleno gradu nemici; la terza, che mentre tutti gli altri si dif
sub signis compositam instructamque subire ad fondevano ad inseguire i nemici, comandò che
portam castrorum jussit. Nihil deinde a victoria la seconda legione di gran passo, schierata ed
cessatum. Quum, receptui signo dato, suos spoliis ordinata sotto le bandiere, assaltasse la porta del
onustos in castra reduxisset, paucis horis nocti campo nemico. Dopo la vittoria nessuno allenta
ad quietem datis, ad praedandum in agros duxit. mento. Fatto sonare a raccolta, e ridotti negli
Effusius, ut sparsis hostibus fuga, praedati sunt. alloggiamenti i suoi carichi di preda, date poche
Quae res non minus, quam pugna pridie adversa, ore della notte al riposo, li condusse a saccheg
Emporitanos Hispanos accolasque eorum in dedi giare la campagna. Si distesero più largamente
tionem compulit. Multi et aliarum civitatium, qui nel saccheggiare, perchè i nemici eran dispersi
Emporias perfugerant, dedideruntse; quos omnes per la fuga; il che, non meno che la battaglia
appellatos benigne, vinoque et cibo curatos, do perduta il giorno avanti, spinse gli Spagnuoli di
mos dimisit. Confestim inde castra movit; et Emporia, e i lor vicini ad arrendersi. Molti ezian
quacumque incedebat agmen, legati dedentium dio dell'altre città, ch'eran fuggiti ad Emporia,
civitates suas occurrebant. Et quum Tarraconem se gli diedero; i quali tutti, chiamatili benigna
venit, jam omnis cis Iberum Hispania perdomita mente, e ristorati con vino e cibo, rimandoli alle
erat, captivi que et Romani, et sociùm ac Latini lor case. Non tardò a muovere il campo di là; e
nominis, variis casibus in Hispania oppressi, do dovunque passava l'esercito, si facevano incontro
8o 1 TITI LIVII LIBER XXXl V. Bo2

num consuli a barbaris reducebantur. Fama ambasciatori a dar le loro città. E quando fu giun
deinde vulgatur, consulem in Turdetaniam exer to a Tarragona, già era tutta domata la Spagna
citum ducturum, et ad devios montanos profe di qua dall'Ibero; e i barbari rimettevano in
cturum etiam falso perlatum est. Ad hunc vanum dono al console i prigioni sì Romani, che degli
et sine auctore ullo rumorem, Bergistanorum ci alleati, e Latini, rimasti presi in Ispagna pe'varii
vitatis septem castella defecerunt. Eos deducto, casi della guerra. Indi si divulga una voce, che
exercitu, consul sine memorando proelio in po il console condurrebbe l'esercito nella Turdeta
testatem redegit. Haudita multo post iidem, re nia; e si sparse anche falsamente che andrebbe
gresso Tarraconem consule, priusquam inde quo ad assalire certi montanari fuor di nuano. A questo
quam procederet, defecerunt. Iterum subacti; rumore vano, nè si sa donde venuto, sette castelli
sed non eadem venia victis fuit: sub corona ve de Bergistani si ribellarono. Il console, condot
niere omnes, ne saepius pacem sollicitarent. tovi l'esercito, senza memorabile battaglia li
ridusse in suo potere. Gli stessi, non molto di poi,
essendo tornato il console a Tarragona, innanzi
che nessun di là si movesse, si ribellarono. Furon
soggiogati di nuovo; ma non fu perdonato ai
vinti, come prima: furono tutti venduti all'in
canto, onde non turbassero più oltre la pace.
XVII. Interim P. Manlius praetor, exercitu XVII. Intanto il pretore Publio Manlio, rice
vetere a Q. Minucio, cui successerat, adjuncto et vuto il vecchio esercito da Quinto Minucio, a
Ap. Claudii Neronis ex ulteriore Hispania vete cui era succeduto, aggiunto anche il vecchio
re item exercitu, in Turdetaniam proficiscitur. esercito di Appio Claudio Nerone, venuto dalla
Omnium Hispanorum maxime imbelles habentur Spagna ulteriore, move inverso la Turdetania. I
Turdetani: freti tamen multitudine sua obviam Turdetani son riputati i più imbelli di tutta la
ierunt agmini Romano. E quſes immissus turbavit Spagna; pure fidatisi nel numero andarono ad
extemplo aciem eorum : pedestre proelium nul incontrar l'esercito Romano. La cavalleria, sca
lius ferme certaminis fuit. Milites veteres, periti gliata lor contro, immantinente gli scompigliº,
hostium bellique, haud dubiam pugnam fecerunt: I fanti non ebbero quasi a combattere; i vecchi

nec tamen ea pugna debellatum est. Decem millia soldati, pratici del nemico e della guerra fecero
Celtiberùm mercede Turduſi conducunt, alienis che la battaglia non fosse punto dubbiosa. Pure
que armis parabant bellum. Consul interim, re quel fatto non terminò la guerra. I Turduli as
bellione Bergistanorum ictus, ceteras quoque soldano dieci mila Celtiberi, e si apparecchiavano
civitates ratus per occasionem idem facturas, arma a far la guerra con l'armi altrui. Intanto il con
omnibus cis Iberum Hispanis ademit. Quam rem sole, irritato della ribellione dei Bergistani, sti
adeo aegre passi, ut multi mortem sibimet ipsi mando che all'occasione le altre città avrebbon
consciscerent: ferox genus, nullam vitam rati fatto lo stesso, tolse le armi a tutti gli Spagnuoli
sine armis esse. Quod ubi consuli renunciatum di qua dall'Ibero; il che si vivamente gli addo
est, senatores omnium civitatium ad se vocari lorò, che molti si dieron la morte; nazione feroce,
jussit, atque iis, «Non mostra, inquit, magis, quam cui la vita senz'arme non era vita. Il che essendo
vestra, refert, vos non rebellare: si quidem id stato riferito al console, fe' chiamare a sè i sena
majore Hispanorum malo, quam exercitus Ro tori di tutte le città, e disse loro: « Non è più
mani labore, semper adhuc factum est. Id ut ne nostro, che vostro interesse, che non abbiate a
fiat, uno modo arbitror caveri posse, si effectum ribellare; perciocchè si è fatto questo finora più
erit, ne possitis rebellare. Volo id quam mollissi con danno degli Spagnuoli, che con fatica del
ma via consequi: vos quoque in ea re consilio l'esercito Romano. Perchè ciò non accada, non
me adjuvate; nullum libentius sequar, quam quod so trovare altro modo, se non se far sì che non
vosmetipsi attuleritis. “ Tacentibus spatium se ad possiate ribellare. Voglio ottener questo per la

deliberandum dierum paucorum dare dixit. Quum via più blanda: voi stessi aiutatemi in ciò col
revocati secundo quoque concilio tacuissent, uno vostro consiglio; nessun altro ne seguirò più vo
die muris omnium dirutis, ad eos, qui nondum lentieri, fuor che quello, che mi recherete voi
parebant, profectus, ut in quanque regionem medesimi.» Tacendo essi, die loro spazio di pochi
venerat, omnes, qui circa incolebant, populos in giorni a deliberare. Richiamati a un secondo col
deditionem accepit. Segesticam tantum, gravem loquio, e tacendo ancora, Catone, abbattute in uno
atque opulentam civitatem, vineis et pluteis cepit. stesso giorno le mura di tutte le città, recandosi
a quelle, che non ancora ubbidivano, come ve
miva in un paese, riceveva la sommissione di tutti
Livio 2 5i
8o3 TITI LIVII LlEER XXXIV. 8o4
i popoli d'intorno. Prese con le macchine di
guerra la sola Segestica, città d'importanza e
doviziosa.

XVIII. Eo majorem habebat difficultatem in XVIII. Aveva il console nel domare i nemici
subigendis hostibus, quam qui primi venerunt maggiore difficoltà, di quel ch'ebbero i primi ve
in Hispaniam ; quod ad illos taedio imperii Car nuti in Ispagna, perchè gli Spagnuoli si davan
thaginiensium Hispani deficiebant; huic ex usur loro per tedio della dominazione Cartaginese; a
pata libertate in servitutem velut asserendi erant: lui bisognava dall'usurpata libertà ritornarli a
et ita mola omnia accepit, ut alii in armis essent, servitù: e trovò le cose in tale perturbamento,
alii obsidione ad defectionem cogerentur; nec, che altri erano in arme, altri stretti da assedio
misi in tempore subventum foret, ultra sustenta sforzati erano a ribellarsi; e se non fossero stati
turi fuerint. Sed in consule ea vis animi atque soccorsi a tempo, non avrebbono resistito più
ingenii fuit, ut omnia maxima minima que per oltre. Ma tal ebbe il console forza d'animo e di

se adiret atque ageret; nec cogitaret modo impera mente, che da sè volea vedere e fare le cose gran
retolue, quae in rem essent, sed pleraque ipse per di, non meno che le piccole; nè solamente pen
se transigeret; nec in quem quam omnium gravius sava e comandava quant'era d'uopo, ma le più
severusque, quam in semet ipsum, imperium exer egli medesimo le eseguiva; nè usava contro alcun
ceret; parcimonia et vigilis et labore cum ulti altro impero più grave e più severo, che con sè
mis militum certaret; nec quidquam in exercitu stesso: gareggiava in parsimonia, vigilanza e fa
suo praecipui, praeler honorem atque imperium, tica con l'ultimo dei soldati; nè aveva nell'eser
haberel. cito suo null'altra cosa sopra gli altri, fuor che
l'onore ed il comando.
XIX. Difficilius bellum in Turdetania praetori XIX. Al pretore Publio Manlio rendean la
P. Manlio Celtiberi, mercede exciti ab hostibus, guerra più difficile nella Turdetania i Celtiberi,
sicutante dictum est, faciebant. Itaque eo consul, condotti a prezzo dai nemici, come dicemmo.
arcessitus literis praetoris, legiones duxit. Ubi eo Quindi il console, chiamato dalle lettere del pre
venit (castra separatim Celtiberi et Turdetani tore, trasse le legioni a quella volta. Giunto colà
habebant), cum Turdetanis extemplo levia proe (i Celtiberi e iTurdetani accampavano separati),
lia, incursantes in stationes eorum, Romani face i Romani si posero subito a far leggere scara
re; semperque victores ex quamvis temere coe mucce coºTurdetani, dando dentro alle lor poste;
pto certamine abire. Ad Celtiberos in colloquium e uscivan sempre vincitori da qualsivoglia ben
tribunos militum ire consul, atque iis trium con chè temerario cimento. Il console commette ai
ditionum electionem ferre, jubet: primam, si tribuni de'soldati che vadano ad abboccarsi coi
transire ad Romanos velint, et duplex stipendium Celtiberi, e rechin loro la scelta di tre condizioni:
accipere, quam quantum a Turdetanis pepigis la prima, se vogliono passare alla banda de'Ro
sent; alteram, si domos abire, publica fide acce mani, e ricevere doppio soldo di quel che aveano
pta, nihil eam rem noxae futuram, quod hosti pattuito co Turdetani; la seconda, se tornare a
bus se Romanorum junxissent: tertiam, si utique casa, ricevuta la pubblica fede, che non sarebbe
bellum placeat, diem locumque constituant, ubi messo a lor carico l'essersi uniti ai nemici de Ro
secum armis decernant. A. Celtiberis dies ad con mani; la terza, se amano di far la guerra, stabi
sultandum petita. Concilium immixtis Turdeta lissero il giorno e il luogo, in cui venire a bat
mis habitum magno cum tumultu: eo minus de taglia. I Celtiberi chiesero un giorno a deliberare.
cerni quidquam potuit. Quum incertum, bellum La conferenza, per la mescolanza de Turdetani, si
an pax cum Celtiberis esset, commeatus tamen, tenne con gran tumulto; sì che tanto meno si
haud secus quam in pace, ex agris castellisque potè deliberare. Essendo ancora incerto, se ci
hostium Romani portabant: dein saepe muni fosse guerra o pace coi Celtiberi, nondimeno i
menta eorum, velut communi pacto commercio Romani traevano vettovaglie dalla campagna, e
privatis induciis, ingredientes. Consul ubi hostes da castelli de'nemici, come in tempo di pace; indi
ad puguam elicere nequit, primum praedatum anche entravano ne'lor ripari, quasi pattuito aves
sub signis aliquot expeditas cohortes in agrum sero per tregua privata un reciproco commercio.
integrae regionis ducit; deinde audito, Segun Non potendo il console trarre i nemici a batta
tiae Celtiberùm omnes sarcinas impedimentaque glia, prima condusse alquante coorti leggere sot
relicta, eo pergit ducere ad oppugnandum. Post to le insegne a depredare le terre non ancor
quam nulla moventur, re persoluto stipendio,non tocche; poscia, udito che i Celtiberi avean lasciato
suis modo, sed etiam praetoris militibus, reli a Segunzia tutti i loro arnesi e bagagli, si mette
cloque omni exercitu in castris praetoriis, ipse a quella volta per combatterla. Poi che per nes
8o5 TITI LIVII LIBER XXXIV. 8,6

cum septem cohortibus ad Iberum est regres suna cosa si muovono, date le paghe non sola
sus. mente a suoi, ma eviandio a soldati del pretore,
e lasciato nel di lui campo pretorio tutto l'eser
cito, tornò egli con sette coorti all'Ibero.
XX. Ea tam exigua manu oppida aliquot ce XX. Con quella banda sì scarsa prese alcuni
pit. Defecere ad eum Sedetani, Ausetani, Suesse castelli: si dieron a lui i Sedetani, gli Ausetani,
tani. Lacetanos, deviam et silvestrem gentem, i Suessetani. Riteneva in arme i Lacetani, gente
quum insita feritas continebat in armis, tum con fuor di mano e selvaggia, sì l'innata fierezza, sì
scientia, dum consul exercitusque Turdulo bello la coscienza di aver saccheggiati con improvvise
est occupatus, depopulatorum subitis incursioni scorrerie gli alleati de'Romani, nel tempo che il
bus sociorum. lgitur ad oppidum eorum oppu console e l'esercito erano occupati nella guerra
gnandum consul ducit non Romanas modo co co”Turduli. Quindi il console condusse a com
hortes, sed juventutem etiam merito infensorum battere il lor castello non solamente le coorti
iis sociorum. Oppidum longum, in latitudinem Romane, ma eviandio la gioventù degli alleati
haudduaquam tandumdem patens, habebant: meritamente irritati contro di loro. Era il lor

quadringentos inde ferme passus constituit signa. castello disteso in lunghezza, non però largo al
Ibi delectarum cohortium stationem relinquens, trettanto. Fermò le insegne a circa quattrocento
praecepit eis, ne se ex eo loco ante moverent, passi di là. Quivi, lasciando una posta di scelte
quam ipse ad eos venisset. Ceteras copias ad ul coorti, ordinò loro che non si movessero da quel
teriorem partem urbis circumducit. Maximum ex luogo, se prima non fosse egli venuto. Condusse
omnibus auxiliis numerum Suessetanae juventu gli altri con un giro alla parte opposta della città.
tis habebat: eos ad murum oppugnand Im subire Di tutti gli aiuti, che aveva, il maggior numero
jubet. Quorum ubi arma signaque Labetani co era di gioventù Suessetana: commette loro che
gnovere; memores, quam saepe in agro eorum assaltino le mura. Come i Lacetani riconobbero
impune persultassent, quoties ipsos signiscollatis l'armi e le insegne de Suessetani, ricordandosi
fudissent fugassentque, patefacta repente porta, quanto spesso avean cavalcato impunemente sul
universi in eos erumpunt. Vix clamorem eorum, le lor terre, quante volte gli aveano a bandiere
nedum impetum, Suessetani tulere. Quod post spiegate sbaragliati e fugati, all'improvviso, spa
quam, sicut futurum ratus erat, consul fieri etiam lancata la porta, tutti in fretta escono loro ad
vidit; equo citato subter murum hostium ad dosso. l Suessetani, non che l'impeto, appena ne
cohortes advehitur, atque eas arreptas, effusis sostennero il grido; il che veduto il console ac
omnibus ad sequendos Suessetanos, qua silentium cadere, come avea pensato che sarebbe accaduto,
acsolitudo erat, in urbem inducit; priusque omnia a tutta briglia si reca alle coorti lasciate presso
cepit, quam se reciperent Lacetani . Mox ipsos, le mura, e pigliatele in fretta, mentre tutti son
nihil praeter arma habentes, in deditionem ac fuori ad inseguire i Suessetani, le introduce nella
cepit. città dalla parte, dov'era silenzio e solitudine;
ed avea già preso tutto innanzi che i Lacetani
desser di volta; e come non avevan altro che
l'armi, gli ebbe subito anch'essi a discrezione.
XXI. Confestim inde victor ad Vergium ca XXI. Vincitore menò indi subito l'esercito
strum ducit: receptaculum id maxime praedonum al castello di Vergio. Era questo il ricetto spe
erat, et inde incursiones in agros pacatos pro cialmente di ladroni; di là si faceano scorrerie
vinciae ejus fiebant. Transfugit indead consu nelle pacifiche campagne della provincia. Il si
lem princeps Vergestanus, et purgare se ac po gnore del castello si fuggì al console, e cominciò
pulares coepit: « non esse in manus ipsis rempu a scusare sè e i popolani : « non eran essi i pa
blicam: praedones receptos totum suae potestatis droni della terra; que ladroni, una volta rice
id castrum fecisse. - Consuleum domum redire, vuti, s'erano insignoriti del castello. "Il console
conficta aliqua probabili, curabfuisset, causa jus gli ordinò che tornasse a casa, fingendo qualche
sit. . Quum se muros subisse cerneret, intentos probabile ragione, per cui se ne fosse allonta
que praedones ad tuenda moenia esse; tum uti nato. . Quando vedesse i suoi accostarsi alle
cum suae factionis hominibus meminisset arcem mura, e i ladroni essere intenti alla difesa, allo
occupare. » Id, uti praeceperat, factum. Repente ra fosse presto ad occupare la rocca con quelli
anceps terror, hinc muros ascendentibus Roma di sua fazione. » Fu fatto come avea coman
nis, illinc arce capta, barbaros circumvasit. Hu dato. Allora all'improvviso doppio terrore in
jus potius loci consuleos, qui arcem tenuerant, vase i barbari, da una parte scalando le mura i
liberos esse cum cognatis, suaque habere jussit: Romani, dall'altra essendo presa la rocca, il
-
IIII I.lVII LIBER XXXIV. 8o8
8o7
Vergestanos ceteros, quaestori, ut venderet, im console, impadronitosi di quel luogo volle che
peravit: de praedonibus supplicium sumpsit. quelli, che aveano occupata la rocca, liberi fosse
Pacata provincia, vectigalia magna instituit ex ro essi, e i lor congiunti, e riavessero le robe
ferrariis argentariisque; quibus tum institutis, loro: quanto agli altri Vergestani, ordinò al
locupletior in dies provincia fuit. Ob has res ge pretore che li vendesse; mandò i ladroni all'ul
stas in Hispania supplicationem in triduum Pa timo supplizio. Pacificata la provincia, pose in
tres decreverunt. assai valore le miniere di ferro e di argento,
donde la provincia si fe” ogni giorno più ricca.
Per codesti avvenimenti della Spagna i Padri
º
º decretarono tre giorni di pubbliche preghiere. -

XXII. Eadem aestate alter consul L. Valerius XXII. Nella state medesima l'altro console
Flaccus in Gallia cum Bojorum manu propter Lucio Valerio Flacco combattè nella Gallia pro
Litanam silvam, signis collatis, secundo proelio speramente con una banda di Boii presso la selva
conflixit. Gcto millia Gallorum caesa traduntur: Litana. Diconsi morti otto mila Galli; gli altri,
ceteri, omisso bello, in vicos suos atque agros intralasciata la guerra, si dispersero ne' loro
dilapsi. Consul reliquum aestatis circa Padum borghi e villaggi. Il console nel rimanente della
Placentiae et Cremonae exercitum habuit. resti state tenne l'esercito intorno al Po presso Pia
tuitque, quae in iis oppidis bello diruta fuerant. cenza e Cremona, e rifece in quelle due città
Quum hic status rerum in Italia Hispaniaque quanto la guerra avea distrutto. Tale essendo lo
esset, T. Quintio, in Graecia ita hibernis actis, stato delle cose in Italia e nella Spagna, Tito
ut, exceptis Aetolis, quibus mec prospe victoriae Quinzio, avendo passato il verno nella Grecia
praemia contigerant, nec diu quies placere pote comportandosi in tal modo, che tranne gli Etoli,
rat, universa Graecia, simul pacis libertatisque cui non eran toccati que premi della vittoria,
perfruens bonis, egregie statu suo gauderet, nec che aveano sperato, e a quali piacer non poteva
magis in bello virtutem Romani ducis, quam in lungamente il riposo, la Grecia tutta, godendosi
victoria temperantiam justitiam que et modera ad un tempo i beni della pace e della libertà,
tionem miraretur, senatusconsultum, quo bellum s'allegrava grandemente del suo stato, ed ammi
adversus Nabin Lacedaemoniorum decretum erat, rava non tanto il valore in guerra del coman
affertur. Quo lecto Quintius, convectu Corinthum dante Romano, quanto la di lui temperanza,
omnium sociarum civitatium legationibus in diem giustizia e moderazione nella vittoria, Tito Quin
certam edicto, ubi frequentes undigue princi zio, dico, ricevette il decreto del senato, che gli
pes convenerunt, ita ut ne Aetoli quidem abes commetteva la guerra contro Nabide Spartano.
sent, tali oratione est usus : « Bellum adversus Letto che l'ebbe, intimata per un dato giorno
Philippum non magis communi animo consilio una dieta a Corinto delle ambascerie di tutte le
que Romani et Graeci gesserunt, quam utrique città collegate, dove concorsero in gran numero
suas causas belli habuerunt. Nam et Romanorum da ogni parte i capi delle medesime, sì che nè
amicitiam, nunc Carthaginienses hostes eorum anche gli Etoli vi mancarono, parlò Quinzio in
juvando, nunc hic sociis nostris oppugnandis, cotal guisa: « Ilan guerreggiato i Romani ed i
violaverat; et in vos talis fuit, ut nobis, etiamsi Greci contro Filippo non tanto d'uno stesso
mostrarum oblivisceremur injuriarum, vestrae animo e parere quanto perchè ebbe l'una parte
injuriae satis digma causa belli fuerint. Hodierna e l'altra i suoi motivi di guerreggiare. Perciocchè
consultatio tota ex vobis pendet. Refero enim ad aveva egli violata l'amicizia dei Romani, ora
vos utrum Argos, sicut scitis ipsi, ab Nabide oc aiutando i Cartaginesi lor nemici, ora assalendo
cupatos pati velitis sub ditione eius esse, an ae questi nostri alleati; e tale si comportò verso di
quum censeatis, nobilissimam vetustissimamgue voi, che se anche obbliato avessimo le nostre, le
civitatem in media Graecia sitam repeti in liber offese a voi fatte sarebbero state cagione assai
tatem, et eodem statu, quo ceteras urbes Pelo degna di pigliar la guerra. La consulta d'oggi
ponnesi et Graeciae, esse. Haec consultatio ut tutta dipende da voi. Perciocchè propongo al
videtis, tota de re pertinente ad vos est: Roma vostro voto, se soffrir vogliate che Argo occupa
mos mihil contingit, misi quatenus liberatae Grae to da Nabide come sapete, rimanga in poter suo;
ciae, unius civitatis servitus, non plenam, nec in o se stimiate giusta cosa, che una città nobilissi
tegram gloriam esse sinit. Ceterum si vos nec ma ed antichissima, posta nel cuor della Grecia,
cura eius civitatis, nec exemplum, nec periculum sia ridonata a libertà, e a quello stato medesimo,
movet, ne serpat latius contagio eius mali, nos in cui son l'altre città del Peloponneso, e della
aequi bonique facimus. De lac re vos consulo, Grecia. Questa consulta, come vedete, è di cosa,
staturus eo, quod plures censueritis. , che tutta vi appartiene; non tocca punto i Ro
So9 TITI LIVII LIBER XXXIV. 81o

mani, se non in quanto la schiavitù di una sola


città non lascia loro piena ed intera la gloria di
aver liberata la Grecia. Del resto, se non vi
cale di quella città, se non vi muove nè l'esempio,
nè il pericolo che il contagio di questo male più
largamente serpeggi, quanto a noi, ci consentia
mo. Chiedo su di ciò il parer vostro per uni
formarmi a quello, che avrete in maggior numero
deliberato. »
XXIII. Post orationem Romani imperatoris, XXIII. Dopo il discorso del comandante Ro
percenserialiorum sententiae coeptae sunt. Quum mano, si cominciò a raccogliere i pareri. Avendo
legatus Atheniensium, quantum poterat gratiis l'ambasciatore degli Ateniesi esaltato, ringra
agendis, Romanorum in Graeciam merita extu ziando i Romani quanto più poteva, i lor meriti
lisset, «imploratos auxilium, adversus Philippum verso la Grecia, come quelli, « che pregati avean
tulisse opem; non rogatos ultro adversus tyran recato soccorso contro Filippo, e non pregati
num Nabin offerreauxilium; º indignatusque es l'offerivano contro il tiranno Nabide, e cruccian
set, «haec tanta merita sermonibus tamen aliquo dosi che nondimeno alcuni ne'lor discorsi mor
rum carpi, futura calumniantium, quum fateri dessero cotanti meriti, calunniando l'avvenire,
potius praeteritorum gratiam deberent; º appa quando piuttosto confessar dovrebbono i prece
rebat incessi Aetolos. Igitur Alexander princeps denti benefizii, º appariva chiaro, che mirava a
gentis, invectus primum in Athenienses, liberta pungere gli Etoli. Quindi Alessandro, capo della
tis quondam duces et auctores, assentationis pro nazione, scagliossi prima contro gli Ateniesi,
priae gratia communem causam prodentes; que autori un tempo e promotori della libertà, ed
stus deinde, « Ahaeos, Philippo quondam milites, ora ad oggetto di adulare, della comune causa
postremum ab inclinata eius fortuna transfugas, traditori; poscia si dolse, « che gli Achei già un
et Corinthum recepisse, et id agere, ut Argos tempo soldati di Filippo, poi tracollata la di lui
habeant: Aetolos, primos hostes Philippi, semper fortuna, disertori del medesimo, avuto avessero
socios Romanorum, pactos in foedere suas urbes Corinto, e di presente si adoperassero ad aver
agrosque fore devicto Philippo, fraudari Echino Argo; che gli Etoli, primi nemici di Filippo,
et Pharsalo; º insimulavit fraudis Romanos, sempre alleati de Romani, pattuito avendo nella
“ quod, vano titulo libertatis ostentato, Chalci lega, che, vinto Filippo, ne avrebbono avuto le
dem et Demetriadem praesidiis tenerent, qui città e i contadi, fosser defraudati di Echino
Philippo, cunctanti deducere inde praesidia, ob e di Farsalo; » ed accusò pur di frode i Romani,
jicere semper soliti sint, numquam, donec De a come quelli che fatta mostra di un vano titolo
metrias, Chalcisque et Corinthus tenerentur, di libertà, tenessero presidio in Calcide ed in
liberam Graeciam fore: postremo, quia rema Demetriade, quando essi stessi a Filippo, che in
nendi in Graecia retinendique exercitus Argos dugiava a ritrarne i suoi, sempre solevano oppor
et Nabin causam facerent. Deportarent legiones re, che non mai sarebbe libera la Grecia, sino a
in Italiam. Aetolos polliceri, aut conditionibus che egli ritenesse Demetriade, Calcide e Corinto:
et voluntate sua Nabin praesidium Argis dedu in fine, come quelli, che prendevan Argo e
cturum, aut vi atque armis coacturosin potestate Nabide a pretesto, onde rimanersi in Grecia e
consentientis Graeciae esse. » ritenervi l'esercito. Trasportassero le lor legioni
in Italia. Promettevano gli Etoli, che o Nabide
a patti e di volontà caverebbe il presidio d'Argo,
o lo costrignerebbero con la forza e con l'armi
a rimettersi al consentimento della Grecia. ”
XXIV. IIaec vaniloquentia primum Aristae XXIV. Questo vano ciarlamento suscitò dap
num praetorem Achaeorum excitavit. « Ne istuc, prima Aristeno, pretore degli Achei. «Non per
inquit, Jupiter optimus maximus sirit, Junodue mettano, disse, nè Giove ottimo massimo, nè la
regina, cujus in tutela Argi sunt, ut illa civitas regina Giunone, in la cui tutela stassi Argo, che
inter tyrannum Lacedaemoniorum et latrones quella città sia posta quasi premio tra il tiranno
Aetolos praemium sit posita, in eo discrimine, dei Lacedemoni e i ladroni Etoli, col rischio
ut miserius a nobis recipiatur, quam ab illo ca d'essere da noi ricuperata con maggior suo
pta est. Mare interjectum ab istis praedonibus danno di quando fu presa da lui. Il mare frap
non tuetur nos, T. Quinti. Quid, si in media Pe posto non ci difende, o Tito Quinzio, da codesti
loponneso arcem sibi fecerint, futurum nobis pirati. Che avverrà di noi, se si faranno una
8i 1 TITI LIVII LIBER XXXIV. 812

est? Linguam tantum Graecorum habent, sicut rocca nel mezzo del Peloponneso? Di Greci non
speciem hominum. Moribus ritibusque efferatio hanno che la lingua, come anche la figura d'uomo.
ribus, quam ulli barbari, immanes belluae vivunt. Vivono quai fiere belve, con costumi e riti più
Itaque vos rogamus, Romani, ut et ab Nabide efferati, che qualunque altra razza di barbari.
Argos recuperetis, et ita res Graeciae constitua Vi preghiamo adunque, o Romani, che ricupe
tis, ut ab latrocinio quoque Aetolorum satis pa riate Argo da Nabide, e così assestiate le cose
cata haec relinquatis. » Romanus, cunctis undigue della Grecia, che abbiate a lasciar questi luoghi
increpantibus Aetolos, « responsurum se fuisse bastantemente sicuri del ladroneccio degli Etoli.”
iis, dixit, nisi ita infensos omnes in eos videret, Il Romano, scagliandosi tutti da ogni parte contro
ut sedandi polius, quam irritandi, essent. Con gli Etoli, . avrebbe, disse, risposto loro, se non
tentum itaque opinione ea, quae de Romanis Ae li vedesse tutti inviperiti contro i medesimi, sì
tolisque esset, referre se, dixit, quid de Nabidis ch'era più da calmarli, che da irritarli. Contento
bello placeret, nisi redderet Achaeis Argos? Quum adunque di quanto sentiva rispetto ai Romani
omnes bellum decressent, auxilia ut pro viribus ed agli Etoli proponeva, disse, qual fosse il parer
suis quaeque civitatesmitterent, est hortatus. Ad loro rispetto alla guerra con Nabide, qualora
Aetolos legatum etiam misit, magis ut nudaret non restituisse Argo agli Achei º º Avendo tutti
animos, id quod evenit, quam spe impetrari d'accordo decretata la guerra, gli esortò che
posse. ogni città mandasse aiuti secondo le forze sue.
Spedì un legato agli Etoli, più per iscoprire
l'animo loro, come avvenne, che per isperanza
di poter nulla ottenere.
XXV. Tribunis militum, ut exercitum ab E XXV. Commise a tribuni del soldati, che ri
latia arcesserent, imperavit. Per eosdem dieset chiamassero l'esercito da Llazia. In que di me
Antiochi legatis, de societate agentibus, respon desimi rispose eziandio agli ambasciatori di An
dit, « Nihil se, absentibus decem legatis, senten tioco, venuti a trattare della lega, « Non poter
tiae habere. Romam eundum ad senatum iis es egli nulla deliberare nell'assenza del dieci legati;
se. » Ipse copias adductas ab Elatia ducere Argos però andassero a Roma al senato. "Con le genti
pergit; atque ei circa Cleonas Aristaemus praetor venute da Elazia si avvia egli verso Argo; e
cum decem millibus Achaeorum, equitibus mille, ne' dintorni di Cleone venne ad incontrarlo il
occurrit; et haud proculinde junctis exercitibus pretore Aristeno con dieci mila de' suoi, e con
posuerunt castra. Postero die in campum Argi mille cavalli ed uniti gli eserciti, si accamparono
vorum descenderunt, et quatuor ferme millia ab non molto lungi di là. Il dì seguente discesero
Argislocum castris capiunt. Praefectus praesidio nella pianura Argiva, e pongono gli alloggia
Laconum erat Pythagoras, gener idem tyranni menti a quattro miglia a un dipresso da Argo.
et uxoris ejus frater : qui sub adventum Roma Comandante del presidio de Lacedemoni era
norum et utrasque arces (nam duas habent Argi), Pitagora, genero del tiranno, ed anche fratello
el loca alia, quae aut opportuna, aut suspecta della moglie di lui; il quale nell'avvicinarsi dei
erani, validis praesidiis firmavit. Sed interagenda Romani guerni di validi presidii l'una e l'altra
haec pavorem injectum adventu Romanorum dis rocca (chè Argo ne aveva due), non che gli
simulare haudquaquam poterat: et ad extremum altri luoghi, ch'erano opportuni o sospetti. Ma
terrorem intestina etiam seditio accessit. Damo nel fare codeste cose non poteva dissimulare il
cles erat Argivus, adolescens majoris animi, quam timore messogli dalla venuta dei Romani; e al
consilii; qui primo, jurejurando interposito, de timore esterno si aggiunse anche un interna se
praesidio expellendo cum idoneis collocutus, dum dizione. Era Damocle, Argivo, giovane più
vires adjicere conjurationi studet, incautior fidei coraggioso, che prudente; il quale avendo, pre
aestimator fuit. Colloquentem eum cum suis sa vio giuramento, trattato con alcuni stimati idonei
telles a praefecto missus quum arcesseret, sensit di cacciar fuori il presidio, mentre si studia di
proditum consilium esse, hortatusque conjura aggiunger forze alla congiura, fu men cauto
tos, qui aderant, ut potius, quam extorti more estimatore dell'altrui fede. Un satellite mandato
rentur, arma secum caperemt; atque ita cum pau dal prefetto essendo venuto a chiamarlo, mentre
cis in forum pergit, clamitans, ut, qui salvam s'intratteneva co suoi, conobbe egli che il dise
rempublicam vellent, auctorem et ducem se li gno era scoperto, ed esortò i congiurati, ch'eran
berlatis sequerentur. Haud sane movit quem presenti, piuttosto che morire tra i tormenti, a
quam, quia nihil usquam spei propinquae, medum pigliar seco l'armi. E così con pochi si avvia
satis firmi praesidii, cernebant. Haec vociferantem verso la piazza, gridando che chi volesse salva
eum Lacedaemonii, circumventum cum suis, in la repubblica, lui seguissero autore e capitano di
8 13 TITI LIVII LIBER XXXIV. 814
terfecerunt. Comprehensi deinde quidam et alii: libertà. Però non mosse nessuno, che non vede
ex iis occisi plures, pauci in custodiam conjecti. vano nessuna speranza prossima, non che forze
Multiproxima nocte, funibus per murum demissi, valevoli abbastanza. Mentr ei gridava codeste
ad Romanos transfugerunt. cose, i Lacedemoni, circondatolo co' suoi, lo am
mazzarono. Poi ne furono presi alcuni altri: i più
furono uccisi; pochi messi in prigione. Molti la
notte seguente, calatisi con funi dalle mura, si
rifuggiron presso i Romani.
XXVI. Quintius, affirmantibus iis, si ad por XXVI. Quinzio, affermando costoro, che se
tas Romanus exercitus fuisset, non sine effe l'esercito Romano si presentasse alle porte, non
ctu futurum eum motum fuisse, et, si propius sarebbe quel movimento senza effetto, e che se si
castra admoverentur, non quieturos Argivos, mi avvicinasse col campo, gli Argivi non si stareb
sit expeditos pedites equitesque, qui circa Cyla bon quieti, mandò alcuni fanti e cavalli leggeri,
rabin (gymnasium id est minus trecentos passus i quali, intorno a Cilarabi (è questo un ginnasio
ab urbe) cum erumpentibus a porta Lacedaemo distante dalla città meno di trecento passi) venne
miis proelium commiserunt, atque eos haud ma ro alle mani coi Lacedemoni, sboccati fuor della
gno certamine compulerunt in urbem. Et castra porta, e con non molto contrasto li respinsero in
eo ipso loco, ubi pugnatum erat, imperator Ro città; sì che il comandante Romano pose il cam
manus posuit. Diem inde unum in speculis fuit, po nel luogo stesso, dove avea combattuto. Indi
si quid novi motus driretur. Postguam oppres stette un giorno intero a spiare, se nessun nuovo
sam metu civitatem vidit, advocat concilium de moto scoppiasse. Poi che vide la città oppressa
oppugnandis Argis. Omnium principum Grae dal timore, chiama consiglio a deliberare, se si
ciae. praeter Aristaenum, eadem sententia erat; debba, o no, combatter Argo. Tutti i capi della
quum causa belli non alia esset, indepotissimum Grecia, eccetto Aristeno , erano di avviso che
ordiundi bellum. Quintio id nequaquam place non altra essendo la cagione della guerra, si do
bat, sed Aristaenum, contra omnium consensum vesse appunto principiarla di là. Non piaceva
disserentem, cum haud dubia approbatione au questo a Quinzio; ma ascoltò con manifesta ap
divit. Et ipse adjecit, a quum pro Argivis adver provazione Aristeno, che perorava contro il pa
sus tyrannum bellum susceptum sit, quid minus rere di tutti; anzi aggiunse egli stesso, « che es
conveniens esse, quam omisso hoste Argos oppu sendosi pigliata questa guerra in favore degli
gnari? Se vero caput belli Lacedaemonem et tyran Argivi contra il tiranno, qual c'era cosa meno
mum petiturum. » Et, dimisso concilio, frumen conveniente, che, trascurato il nemico, combatter
tatum expeditas cohortes misit. Quod maturi erat Argo? Ch'egli dunque andrebbe ad assaltar la
circa, demessum et convectum est; viride, ne ho sorgente della guerra, Lacedemone e il tiranno. »
stes mox haberent, protritum et corruptum. Ca E licenziato il consiglio, spedì le coorti leggere
stra deinde movit, et, Parthenio superato monte, a far frumento. Tutto quello ch'era maturo al
praeter Tegeam tertio die ad Caryas posuit ca l'intorno, fu mietuto e via condotto. Il verde,
stra. Ibi, priusquam hostium intraret agrum, so acciocchè da lì a poco non lo avessero i nemici,
ciorum auxilia exspectavit. Venerunt Macedones fu pesto e guasto. Indi mosse il campo, e supera
a Philippo mille et quingenti,etThessalorum equi to il monte Partenio, andò il terzo dì ad accam
tes quadringenti. Nec jam auxilia, quorum affa parsi di là da Tegea presso Carie. Quivi, innanzi
tim erat, sed commeatus finitimis urbibus impe di entrare nel territorio nemico, aspettò gli aiuti
rati morabantur Romanum. Navales quoque ma degli alleati. Vennero da Filippo mille e cinque
gnae copiae conveniebant. Jam ab Leucade L. cento Macedoni, e quattrocento cavalli Tessali.
Quintius quadraginta navibus venerat; jam Rho Nè gli aiuti, che erano in abbondanza, ma sì le
diae decem et octo tectae maves, jam Eumenes vettovaglie comandate alle città confinanti, ri
rex circa Cycladas insulas erat cum decem tectis tardavano l'esercito Romano. Si radunavano
navibus, triginta lembis, mixtisque aliis minoris eziandio gran forze di mare. Era già venuto da
formae navigiis. Ipsorum quoque Lacedaemonio Leucade Lucio Quinzio con quaranta navi, e di
rum exsules permulti, tyrannorum injuria pulsi, ciotto navi coperte de'Rodiani; e il re Eumene
stava intorno le isole Cicladi con dieci navi co
spe recuperandae patriae in castra Romana con
venerant. Multi autem erant, jam per aliquot ae perte, con trenta lembi, e con altri misti navigli
tates, ex quo tyranni tenebant Lacedaemonem, di minor forma. Anche moltissimi de'Lacedemo
alii ab aliis pulsi. Princeps erat exsulum Agesi mi stessi fuorusciti, scacciati dalla violenza de'ti
polis, cujus jure gentis regnum Lacedaemone ranni, riparati s'erano nel campo Romano con la
crat, pulsus inſans ab Lycurgo tyranno post mor speranza di ricuperare la patria; ed eran molti,
815 TITI LIVII LIBER XXXIV. 8 16

tem Cleomcnis, qui primus tyrannus Lacedaemo perchè nelle varie età, da che i tiranni occupa
ne fuit. vano Lacedemone, altri erano stati scacciati da
quello, altri da questo. Capo de' fuorusciti era
Agesipoli, cui per dritto di famiglia spettava il
regno de'Lacedemoni, scacciatone infante dal ti
ranno Licurgo dopo la morte di Cleomene, che
fu il primo tiranno di Lacedemone.
XXVII. Quum terra marique tantum belli XXVII. Essendo il tiranno circondato da tan
circumstaret tyrannum, et prope nulla spes esset ta mole di guerra per terra e per mare, e non
vere suas hostiumque aestimanti vires, non tamen avendo nessuna speranza, se stimava dirittamen
omisit bellum; sed et a Creta mille delectos ju te le proprie e le forze del nemico, pur non
ventutis eorum excivit, quum mille jam haberet; ommise di prepararsi alla difesa. Fe' venire di
et tria millia mercenariorum militum, decem mil Creta mille de loro scelti giovani, de'quali ne
lia popularium cum castellanis agrestibus in ar avea altri mille, e pose in armi tre mila soldati
mis habuit, et fossa valloque urbem communivit: mercenarii, e dieci mila popolani con quelli dei
et, ne quid intestini motus oriretur, metu et acer castelli della campagna, e circondò la città di
bitate poenarum tenebat animos, quoniam, ut fossa e di steccato; ed acciocchè dentro nessuno
salvum vellent tyrannum, sperare non poterat. si movesse, atterriva gli animi con lo spavento e
Quum suspectos quosdam civium haberet, eductis con l'acerbità delle pene; poi che sperar non po
in campum omnibus copiis (Dromon ipsi vocant), teva che volessero salvo il tiranno. Avendo so
positis armis, ad concionem vocari jussit Lace spetto di alcuni cittadini, tratte fuori tutte le
daemonios, atque eorum concioni satellites arma forze in sulla piazza (la chiamano Dromone)
tos circumdedit; et pauca praefatus, « Cur sibi fe'convocare a parlamento i Lacedemoni senz'ar
omnia timenti caventique ignoscendum in tali mi, e circondò l'assemblea di satelliti armati, e
tempore foret: et ipsorum referre, si quos suspe fatte poche parole, disse, « ch'egli meritava per
ctos status praesens rerum faceret, prohiberi po dono, se in tali circostanze temeva, e si guardava
tius, ne quid moliri possint, quam puniri molien da tutto; però esser utile a loro medesimi, se il
tes. Itaque quosdam se in custodia habiturum, presente stato rendeva alcuni sospetti, che impe
donecea, quae instet, tempestas praetereat. Hosti diti fossero di nulla macchinare, piuttosto ch'es
bus repulsis (a quibus, si modo proditio intesti ser puniti per aver macchinato. Quindi terrebbe
ma satis caveatur, minus periculi esse), extemplo alcuni sotto custodia sino a tanto che la burra
eos emissurum. » Sub haec citari nomina octo sca, che minacciava, fosse passata; respinti i ne
ginta ferme principum juventutis jussit, atque mici (da'quali c'era men da temere, purchè si
eos, ut quisque ad nomen responderat, in custo potesse guardarsi da tradimenti interni), gli
diam tradidit: nocte insequenti omnes interfecti. avrebbe subito rilasciati. » Dopo ciò, fe'citare da
Ilotarum deinde quidam (hi sunt jam inde anti ottanta nomi del principali giovani; e come cia
quitus castellani, agreste genus), transfugere vo scuno rispondeva al nome, li mise in prigione:
luisse insimulati, per omnes vicos sub verberibus la notte seguente furono tutti ammazzati. Indi
acti necantur. Hoc terrore obstupuerant multitu alcuni degl'Iloti (son costoro già sin da tempo
dinis animi ab omni conatu novorum consilio antico abitanti de'castelli, razza agreste di gente),
rum. Intra munitiones copias continebat, nec pa accusati di aver voluto passare al nemico, frustati
rem se ratus, si dimicare acie vellet; et urbem per tutte le contrade, furon messi a morte. Per
relinquere, tam suspensis et incertis omnium ani così fatto spavento sbalorditi gli animi della mol
mis, metuens. titudine, non pensavano a tentare novità. Nabide
teneva l'esercito dentro le mura, nè si giudicava
pari, se volesse venire a giornata; e temeva di
abbandonare la città in tanta sospensione ed in
certezza degli animi. -

XXVIII. Quintius, satis jam omnibus para XXVIII. Quinzio, preparata ogni cosa, parti
tis, profectus ab stativis, die altero ad Sellasiam to dai quartieri, il dì seguente giunse a Sellasia
super Oenunta fluvium pervenit; quo in loco al di sopra del fiume Enunte, ove dicevasi che
Antigonus, Macedonum rex, cum Cleomene, La Antigono, re dei Macedoni, fosse venuto a gior
cedaemoniorum tyranno, signis collatis dimicasse nata campale con Cleomene, tiranno de' Lace
dicebatur, Inde, quum audisset adscensum diffi demoni. Indi avendo udito che la salita era per
cilis et arctae viae esse, brevi per montes circuitu una via stretta e difficile, mandata gente con un
praemissis, qui munirent viam, lato satis et pa breve giro pe'monti, che appianasse la strada,
9 17 TITI LIVII LIBER XXXIV. 8 18

tenti limite ad Eurotam amnem, sub ipsis prope giunse per un cammino assai largo e sgombrato
fluentem moenibus, pervenit. Ubi castra metan al fiume Eurota, che scorre quasi sotto le stesse
tes Romanos Quintiumque ipsum, cum equitibus mura. Quivi le genti ausiliarie del tiranno, assal
atque expeditis praegressum, auxiliares tyranni tando i Romani, che si trinceravano, e Quinzio
adorti, in terrorem ac tumultum conjecerunt, stesso, ch'era precorso innanzi con cavalli e fan
nihil tale exspectantes, quia nemo his obvius toto ti leggeri, li pose in gran terrore e confusione;
itinere fuerat, ac veluti pacato agro transierant. chè non si aspettavano tal cosa, perchè per tutta
Aliquamdiu peditibus equites, equitibus pedites la via non aveano incontrato nessuno, ed erano
vocantibus, quum in se cuique minimum fiduciae passati quasi per paese amico. Durò lo scompiglio
esset, trepidatum est. Tandem signa legionum alquanto tempo, i fanti chiamando i cavalieri, i
smpervenerunt, et, quum primi agminis cohortes cavalieri i fanti, nessuno fidandosi troppo in sè
inductae in proelium essent, qui modo terrori medesimo. Finalmente sopravvennero le legioni,
fuerant, trepidantes in urbem compulsi sunt. Ro e le coorti della prima schiera entrate essendo in
mani, quum tantum a muro recessissent, ut extra battaglia, quelli che poc'anzi avean messo molto
ictum teli essent, acie directa paullisper steterunt. spavento, spaventati furono respinti nella città. I
Postguam nemo hostium contra exibat, redie Romani, essendosi scostati dal muro solamente
runt in castra. Postero die Quintius prope flu tanto da esser fuori da colpo di freccia, stettero
men praeter urbem, sub ipsas Menelaii montis ra un po'di tempo schierati. Poi che nessuno usciva,
dices, ducere copias instructas pergit. Primae le si tornarono al campo. Quinzio il dì seguente
giomariae cohortes ibant: levis armatura et equi condusse i suoi in ordinanza lungo il fiume di là
tes agmen cogebant. Nabis intra murum instru dalla città sino alle radici stesse del monte Mene
ctos paratosque sub signis habebat mercenarios lao. Andavano innanzi le prime coorti delle le
milites (in quibus omnis fiducia erat), ut ab ter gioni; gli armati alla leggera e la gente a caval
go hostem aggrederetur. Postguam extremum lo formavano la retroguardia. Nabide teneva nei
agmen praeteriit.tum ab oppido,eodem quo pridie ripari pronti schierati sotto le insegne i merce
eruperant tumultu, pluribus simul locis erum narii (ne'quali era tutta la sua fidanza), onde as
punt. Ap. Claudius agmen cogebat; qui ad id, saltare il nemico alle spalle. Poi che l'ultima
quod futurum erat, ne inopinatum accideret, prae squadra fu passata, allora sboccan fuori a un
paratis suorum animis, signa extemplo convertit, tempo da più parti con lo stesso fracasso del
totumque in hostem agmen circumegit. Itaque, giorno avanti. Appio Claudio era alla coda; il
velut rectae acies concurrissent, justum aliquam quale, preparati gli animi de' suoi a quello che
diu proelium fuit. Tandem Nabidis milites in fu dovea succedere, onde non giungesse loro im
gam inclinarunt: quae minus infida ac trepida provviso, voltò subito le insegne, e girò tutta la
fuisset, ni Achaei locorum prudentes institissent. schiera contro il nemico. Quindi, come se si fos
Hi et caedem ingentem ediderunt, et dispersos sero scontrati di fronte, la battaglia durò ordi
passim fuga plerosque armis exuerunt. Quintius nata alquanto tempo: finalmente i soldati di Na
prope Amyclas posuit castra; inde, quum per bide si diedero alla fuga; la quale sarebbe stata
populatus omnia circumjecta urbi frequentis et men travagliosa e scompigliata, se gli Achei pra
amoeni agri loca esset, nullo jam hostium porta tici de luoghi non gli avessero incalzati dap
excedente, movit castra ad flumen Eurotam : in presso; ma ne fecero grande strage, e a molti
de vallem Taygeto subjectam agrosque ad mare qua e là dispersi tolsero l'armi. Quinzio si accam
pertinentes evastat. pò presso Amicla; indi avendo saccheggiato tutti
i luoghi intorno alla città, contado popolato ed
ameno, nessun nemico uscendo dalle porte, mos
se il campo verso il fiume Eurota; poi die'il
guasto alla valle sottoposta al Taigeto, e alle cam
pagne, che guardano il mare.
XXIX. Eodem fere tempore L. Quintius ma XXIX. Quasi a quel tempo medesimo Lucio
ritimae orae oppida, partim voluntate, partim Quinzio s'impadronì parte di volontà, parte per
metu aut vi, recepit. Certior deinde factus, Gy timore e forza, di alcune città marittime. Indi
thium oppidum omnium maritimarum rerum fatto certo che il castello di Gizio era il ricetto
Lacedaemoniis receptaculum esse, nec procul a di tutto ciò, che apparteneva alla marineria dei
mari castra Romana abesse, omnibus id copiis Lacedemoni, e che il campo de'Romani non era
aggredi constituit. Erat eo tempore valida urbs, discosto gran fatto dal mare, stabilì di assaltarlo
et multitudine civium incolarumque et omni bel con tutte le sue forze. Era Gizio in quel tempo
lico ºrri" instructa. In tempore Quintio, rem
città assai forte, fornita di gran numero di citta
alVIO 2 52
819 TITI LlVII Lll I R XXXlV. 82o

haud facilem aggredienti, rex Eumenes et classis dini e di abitanti, e d'ogni guerresco apparato.
Rhodiorum supervenerunt. Ingens multitudo na A tempo sopraggiunsero a Quinzio, che s'era ac
valium sociorum, e tribus contracta classibus, in cinto a non facile impresa, il re Eumene e la
tra paucos dies omnia, quae ad oppugnationem flotta de'Rodiani. Gran moltitudine di gente da
urbis terra marique munitae facienda opera erant, mare, messa insieme dalle tre flotte, fece in po
effecit. Jam testudinibus admotis murus subrue chi di quasi tutti i lavori, che occorrevano per
batur; jam arietibus quatiebatur. Itaque una cre combattere una città forte per terra e per mare.
bris ictibus eversa est turris, quodque circa muri Di già appressate le testuggini si scavava il muro,
erat, casu ejus prostratum ; et Romani simula di già lo si batteva cogli arieti. Quindi a spessi
portu, unde aditus planior erat, ut distenderent colpi fu abbattuta una torre, al cader della quale
ab apertiore loco hostes, simul per patefactum tutto il muro all'intorno ruinò; e i Romani si
ruina iter irrumpere conabantur. Nec multum sforzavano d'entrar dentro ad un tempo stesso
abfuit, quin, qua intenderant, penetrarent: sed e dal porto, dove l'accesso era più piano, onde
tardavit impetum eorum spes objecta dedendae così distrarre il nemico dalla parte ch'era più
urbis, mox deinde eadem turbata. Dexagoridas aperta, e insieme per la breccia fatta dalla ruina;
et Gorgopas pari imperio praeerant urbi. Dexa nè molto mancò che non penetrassero colà, dove
goridas miserat ad legatum Romanum, traditu sforzavano; ma rallentò l'impeto loro prima
rum se urbem ; et quum ad eam rem tempus et l'offerta speranza della dedizione della città, poi
ratio convenisset, a Gorgopa proditor interfici quella speranza medesima andata a vòto. Dexa
tur; intentiusque ab uno urbs defendebatur, et gorida e Gorgopa governavano la città con eguale
difficilior facta oppugnatio erat, ni T. Quintius potere. Dexagorida avea mandato a dire al legato
cum quatuor millibus delectorum militum super Romano, ch'egli consegnerebbe la città; ed es
venisset. Is quum supercilio haud procul distantis sendo convenuti per ciò del tempo e del modo,
tumuli ab urbe instructam aciem ostendisset, et Gorgopa uccide il traditore. E la città era difesa
ex altera parte L. Quintius ab operibus suis ter più validamente da un solo, ed era più difficile
ra marique instaret; tum vero desperatio Gorgo il pigliarla, se non fosse sopravvenuto Tito Quin
pam quoque coegit id consilii, quod in altero zio con quattro mila scelti soldati. Avendo egli
morte vindicaverat, capere: et pactus, ut abdu dall'alto di un poggio poco distante dalla città
cere inde milites, quos praesidii causa habebat, fatto mostra della sua gente schierata, dall'altra
liceret, tradidit Quintio urbem. Priusquam Gy parte Lucio Quinzio incalzando con le operazio
thium traderetur, Pythagoras, praefectus Argis ni per terra e per mare, allora la disperazione
relictus, tradita custodia urbis Timocrati Pelle costrinse anche Gorgopa a prendere quel partito,
nensi, cum mille mercenariis militibus, et duobus che avea punito in altri con la morte. Ed avendo
millibus Argivorum Lacedaemonem ad Nabin pattuito di poter via menare i soldati, che vi ave
venit. va in presidio, consegnò la città a Quinzio. Innan
zi che Gizio fosse consegnato, Pitagora, lasciato
prefetto in Argo, commessa la custodia della cit
tà a Timocrate di Pellene, venne a Nabide a
Sparta con mille soldati mercenarii, e con due -

mila Argivi.
XXX. Nabis, sicut primo adventu Romanae XXX. Nabide, siccome era rimasto atterrito
classis et traditione oppidorum maritimae orae dalla prima venuta della flotta Romana, e dall'es
conterritus erat, sic, parva spe quum acquievisset, sersi rendute le città marittime, così riconforta
Gythio ab suis retento, postguam id quoque tra tosi alcun poco, perchè i suoi avean ritenuto Gi
ditum Romanis audivitesse, quum ab terra, om zio, come udì che questo pure era stato conse
nibus circa l'ostibus, nihil spei esset, a mari quo gnato ai Romani, nulla sperando dalla parte di
que toto se interclusum, cedendum fortunaeratus, terra, accerchiato per ogni parte da nemici, ve
caduceatorem primum in castra misit ad explo dendosi chiuso anche dalla parte di mare, giudi
randum, si paterentur legatos ad se mitti. Qua cando che fosse da cedere alla fortuna, man
impetrata re, Pythagoras ad imperatorem venit, dò dapprima un araldo al campo a spiare, se gli
nullis cum aliis mandatis, quam ut tyranno col si permettesse di mandare un'ambasciata. Otte
loqui cum imperatore liceret. Concilio advocato, nuto che l'ebbe, venne Pitagora al comandante
quum omnes dandum colloquium censuissent, Romano con non altra commissione, che di chie
dies locusque constituitur. In mediae regionis dere, che fosse permesso al tiranno di abboccarsi
tumulos, modicis copiis sequentibus, quum venis con Quinzio. Chiamato dunque consiglio, tutti
seni, relictis ibi in statione conspecta utrimgue avvisando che si concedesse l'abboccamento, si
821 TITI LIVII LIBER XXXIV. 822

cohortibus, Nabis cum delectis custodibus, cor stabilisce il giorno e il luogo. Essendo venuti su
poris, Quintius cum fratre et Eumene rege, et alcuni poggi nel mezzo del paese, accompagnati
Sosilao Rhodio, et Aristaeno Achaeorum praetore, da pochi, lasciate quivi d'ambe le parti alcune
tribunisque militum paucis descendit. poste di coorti a vista, Nabide calò al piano con
alcune guardie del corpo, e Quinzio col fratello,
col re Eumene, con Sosilao Rodiano e con Ari
steno, pretore degli Achei, e con pochi tribuni
de soldati.
XXXI. Ibi permisso, ut, seu dicere prius, seu XXXI. Quivi, essendogli data scelta o di par
audire mallet, ita coepit tyrannus: « Si ipse per lare primo, o se più gli piacesse, di ascoltare,
me, T. Quinti, vosque, qui adestis, causam exco il tiranno così cominciò : « Se potessi io da me,
gitare, cur mihi aut indixissetis bellum, aut infer o Tito Quinzio, o poteste voi qui presenti ima
retis, possem, tacitus eventum fortunae meae ginar la ragione, perchè mi abbiate intimata, o
exspectassem. Nunc imperare animo nequivi, quin, mossa la guerra, avrei aspettato in silenzio
priusquam perirem, cur periturus essem, scirem. l'esito del mio destino. Ma non ho potuto co
Et, hercule, si tales essetis, quales esse Carthagi mandare a me stesso sì fattamente, che non
nienses fama est, apud quos nihil societatis fides volessi, innanzi di perire, sapere perchè pur
sancti haberet, in me quoque vobis quid facere debbo perire. E certo se foste tali, quali è fama
tis minus pensi esse, non mirarer. Nunc, quum che sieno i Cartaginesi, presso cui nulla valesse
vos intueor, Romanos esse video, qui rerum di la santità dei trattati, non mi farebbe maraviglia,
vinarum foedera, humanarum fidem socialem che vi curaste poco del modo, che usate verso
sanctissimam habeatis. Quum me ipse respexi, di me. Ma quando vi guardo, vedo che siete
eum esse spero, cui et publice, sicut ceteris La Romani, i quali nodrite grande rispetto pe' giu
cedaemoniis, vobiscum vetustissimum foedus sit: ramenti fatti agli dei, pe' trattati stipulati con
et meo nomine privatim amicitia ac societas, nu gli uomini. Quando mi volgo a me stesso, spero
per Philippi bello renovata. At enim ego eam esser quello, che ha con voi pubblicamente, come
violavi eteverti, quod Argivorum civitatem teneo. gli altri Lacedemoni, un'antichissima alleanza, e
Quomodo hoc tuear? re, an tempore ? Res mihi privatamente in mio nome un'amicizia e società,
duplicem defensionem praebet; nam et, ipsis vo rinnovata poc'anzi nella guerra di Filippo. Ma
cantibus ac tradentibus, urbem eam accepi, non io l'ho violata e rotta, perchè ritengo la città
occupavi; et accepi, quum Philippi partium, non di Argo. Come sgravarmi di questo ? col fatto,
in vestra societate esset. Tempus autem eo me li o col tempo? Il fatto mi porge doppia difesa;
berat, quod, quum jam Argos haberem, societas perciocchè ho ricevuta, non occupata quella città,
mihi vobiscum convenit; et, ut vobis mitterem chiamatovi dagli stessi Argivi, ed avutala da loro;
ad bellum auxilia, non ut Argis praesidium de e l'ho ricevuta mentr ella era nel partito di Fi
ducerem, pepigistis. At, hercle, in ea controver lippo, non nella vostra lega. Il tempo poi mi
sia, quae de Argis est, superior sum et aequitate assolve, perchè, mentre ch'io già possedeva Argo,
rei, quod non vestram urbem, sed hostium; quod strinsi alleanza con voi, e patteggiaste meco che
volentem, non vi coactam, accepi; et vestra con vi dessi aiuti per la guerra, non che rimovessi
ſessione, quod in conditionibus societatis mihi il presidio da Argo. Quanto dunque alla contesa
Argos reliquistis. Ceterum momen tyranni et facta rispetto ad Argo, sono certo superiore, sì per
me premunt, quod servos ad libertatem voco, l'equità della cosa, perchè non ricevetti una vo
quod in agros inopem plebem deduco. Denomi stra città, ma del nemici, e la ricevetti di sua
ne hoc respondere possum, me, qualiscumque volontà, non costretta dalla forza; sì per vostra
sum, eumdem esse, qui fui, quum tu ipse mecum, confessione, perchè ne' patti della lega mi lascia
T. Quinti, societatem pepigisti. Tum me regem ste Argo. Se non che mi aggravano il nome e
appellari a vobis memini: nunc tyrannum vocari i fatti di tiranno, perchè chiamo gli schiavi a li
video. Itaque si ego nomen imperii mutassem, bertà, perchè assegno terreni alla plebe povera.
mihi meae inconstantiae; quum vos mutetis, vo Posso quanto al nome rispondere, che qualunque
bis vestrae reddenda ratio est. Quod ad multitu io mi sia, son pur quello, ch'io m'era, quando
dinem servis liberandis auctam, etegentibus di tu stesso, o Tito Quinzio, stringesti meco allean
visum agrum attinet, possum quidem et in hoc za. Allora, men' ricordo, mi chiamaste re, ora
me jure temporis tutari, Jam feceram haec, qua sento chiamarmi tiranno. Quindi, se avessi cam
liacumque sunt, quum societatem mecum pepi giato il mio nome, dovrei dar ragione della mia
gistis, et auxilia in bello adversus Philippum ac incostanza; poi che il cangiaste voi, datela del
cepistis. Sed si nunc ea fecissem, non dico, quid la vostra. Quanto all'aver accresciuto il nume
823 TITI LIVII LIBER XXXIV. 824

in eo vos laesissem, aut vestram amicitiam vio ro de cittadini, liberando gli schiavi, e aver
lassem ? sed illud, memore atque instituto majo divise le terre a bisognosi, posso anche in que
rum fecisse. Nolite ad vestras leges atque instituta sto difendermi colla ragione del tempo. Que
exigere ea, quae Lacedaemone fiunt. Nihil com ste cose, quali si sieno, io le avea fatte, quando
parare singula necesse est: vos a censu equitem, vi collegaste meco, quando riceveste gli aiuti,
a censu peditem legitis; et paucos excellere opi che vi diedi contro Filippo. Ma se anche le avessi
bus, plebem subjectam esse illis, vultis. Noster le fatte a questi dì, non dico in che offeso vi avrei,
gumlator non in paucorum manu rempublicam in che violata la vostra amicizia? ma le avrei fatte
esse voluit, quem vos senatum appellatis, nec secondo gli usi ed istituti del nostri maggiori.
excellere unum aut alterum ordinem in civitate; Non vogliate le cose, che si fanno in Lacedemone,
sed per aequationem fortunae ac dignitatis fore tirarle alla norma delle vostre leggi, del vostri
credidit, ut multi essent, qui arma pro patria fer istituti. Non conviene agguagliar le cose in tutti
rent. Pluribus me peregisse, quam pro patriae ser i loro particolari. Voi traete dal censo i cavalieri,
mone brevitatis, fateor. Et breviter peroratum dal censo i fanti; e volete che pochi sieno i po
esse potuit, nihil me, postguam vobiscum ami tenti, e che la plebe sia lor soggetta. Il nostro
citiam institui, cur ejus vos poeniteret, com legislatore non volle che la repubblica stesse
mislsse, 55 in mano di pochi, quali voi chiamate il senato,
nè che nella nostra città questo o quell'ordine
sovrastasse; ma stimò che agguagliando le for
tune e le dignità ne verrebbe, che molti più im
pugnerebbon l'armi per la patria. Confesso di
aver usate più parole, che non comporta la bre
vità del patrio discorso. E avrei potuto dir più
breve, non aver io commessa cosa, poi che strin
gemmo insieme amicizia, di cui abbiate a quere
larvi. »
XXXII. Ad haec imperator Romanus: « Ami XXXII. A questo il comandante Romano:
citia et societas nobis nulla tecum, sed cum Pelo « Non femmo teco nessuna lega e società, ma sì
pe, rege Lacedaemoniorum justo ac legitimo, con Pelope.re giusto e legittimo dei Lacedemoni,
facta est. Cujus jus tyrammi quoque, qui postea i cui diritti usurpati furono dai tiranni, che con
per vim tenuerunt Lacedaemone imperium (quia la forza (mentre ci tenevano occupati ora le
nos bella nunc Punica, nunc Gallica, nunc alia ex guerre Cartaginesi, ora le Galliche, or questa o
aliis occupaverant), usurparunt; sicut tu quoque quella) signoreggiarono Lacedemone; come hai
hoc Macedonico bello fecisti. Nam quid minus tu pur fatto in questa guerra di Macedonia. Per
conveniret, quam nos, qui pro libertate Graeciae ciocchè qual cosa sarebbe meno convenevole, che
adversus Philippum gereremus bellum, cum ty noi, i quali guerreggiavamo contro Filippo per
ranno instituere amicitiam ? et tyranno quan la libertà della Grecia, facessimo amicizia con
qui umquam saevissimo et violentissimo in suos? un tiranno, e tiranno più che altro mai crudelis
Nobis vero, etiam si Argos neccepisses per frau simo e violentissimo contro i suoi ? Era dunque
dem, nec teneres, liberantibus omnem Graeciam, dover nostro, anche se tu non avessi presa per
Lacedaemon quoque vindicanda in antiquam li frode, nè ritenessi Argo, liberando tutta la Gre
bertatem erat atque in legessuas, quarum modo, cia, richiamar anche Lacedemone all'antica liber
tamquam aemulus Lycurgi, mentionem fecisti. tà, ed alle sue leggi, delle quali, quasi emulo
An, ut ab Jasso et Bargyliis praesidia Philippi di Licurgo, hai testè fatta menzione. Ci adopre
deducantur, curae erit nobis? Argos et Lacedae remo, perchè i presidii di Filippo sien tratti
monem, duas clarissimas urbes, lumina quondam fuori da Jasso e da Bargilia? Argo e Lacedemone,
Graeciae, sub pedibus tuis relinquemus, quae due nobilissime città, lumi un tempo della Gre
titulum nobis liberatae Graeciae servientes defor cia, le lasceremo sotto a tuoi piedi, perchè col
ment ? Atenim cum Philippo Argivi senserunt. loro servire ci sformino il merito di aver liberata
Remittimus hoc tibi, ne mostram vicem irascaris. la Grecia? Ma gli Argivi consentirono con Fi
Satis compertum habemus, duorum, aut summum lippo. Ti dispensiamo dal prenderti tal cruccio
trium in ea re, non civitatis culpam esse: tam, in vece nostra. Ci è noto abbastanza non aver
hercle, quam in te tuoque praesidio arcessendo colpa in quella faccenda che due o tre persone
accipiendoque in arcem nihil sit publico consi al più, non tutta la città; come parimenti, che
lio actum. Thessalos et Pocenses et Locrenses nel chiamar te e ricevere il tuo presidio nella
consensu omnium scimus partium Philippi fuis rocca, niente fu fatto per pubblico consiglio.
825 TITI LIVII LIBER XXXIV. 826

se: tamen quum ceteram liberavimus Graeciam, I Tessali, i Focesi, i Locresi, questi sappiamo
quid tandem censes in Argivis, qui insontes pu essere stati del partito di Filippo per consenti
blici consilii sint, facturos? Servorum ad liberta mento generale. Se non che, avendo liberata
tem vocatorum, et egentibus hominibus agri di tutta la Grecia, che pensi tu, che faremo degli
visi crimina tibi objici dicebas. Non quidem nec Argivi, che sono quanto al pubblico innocenti?
ipsa mediocria: sed quid ista sunt prae iis quae Dicevi rimproverartisi gli schiavi chiamati a li
a te tuisque quotidie alia super alia facinora edun bertà, le terre divise alla gente bisognosa ; nè
tur? Exhibe liberam concionem vel Argis, vel certo son colpe mediocri; ma che son esse rispetto
Lacedaemone, si audire juvat vera dominationis alle scelleraggini, che ogni dì l'una dopo l'altra
impotentissimae crimina. Ut omnia alia vetustio da te ammettonsi e da' tuoi? Dacci un'adunanza
ra omittam, quam caedem Argis Pythagoras iste libera o in Argo, o in Lacedemone, se hai va
gener tuus pene in oculis meis edidit? quam tu ghezza di udire i veri delitti della tua violentis
ipse, quum jam prope in finibus Lacedaemonio sima dominazione. Per ommettere tutte l'altre
rum essem ? Agedum, quos in concione com cose più vecchie, quale strage non fece in Argo,
prehensos, omnibus audientibus civibus tuis, quasi in sugli occhi miei, codesto tuo genero
in custodia te habiturum esse pronunciasti, jube Pitagora ? quale non festi tu stesso, quando io
vinctos produci, ut miseri parentes, quos falso era quasi sul confine de' Lacedemoni ? Su via ;
lugent, vivere sciant. At enim, ut jam ita sint quelli che presi nell'assemblea dichiarasti, tutti
haec, quid ad vos, Romani? Hoc tu dicas libe udendo i tuoi cittadini, che gli avresti tenuti in
rantibus Graeciam ? hoc iis, qui, ut liberare pos custodia, ordina che sien qui tratti in catene,
sent, mare trajecerunt, terra marique gesserunt acciocchè i miseri genitori sappiano che son vivi
bellum? Vostamen, inquis, vestramque amicitiam quelli che falsamente piangono per morti. Ma se
ac societatem proprie non violavi. Quoties viste anche ciò fosse, in che vi riguarda, o Romani ?
id arguam fecisse ? Sed molo pluribus: summam Tu dir questo ai liberatori della Grecia, questo
rem complectar. Quibus igitur rebus amicitia a coloro, che per liberarla varcarono il mare, e
violatur? Nempe his maxime duabus, si socios per mare guerreggiarono e per terra? Però, non
meos pro hostibus habeas; si cum hostibus te ho offeso propriamente voi, non violata la vostra
conjungas. Utrum non a te factum est ? nam et amicizia e colleganza. Quante volte ho da pro
Messenen, uno atque eodem jure foederis, quo et varti che l'hai fatto? Ma non voglio parlare a
Lacedaemonem, in amicitiam nostram acceptam, lungo; dirò breve. In quanti modi si viola l'ami
socius ipse sociam nobis urbem vi atque armis cizia? massimamente in questi due; se tratti quai
cepisti; et cum Philippo, hoste nostro, non so nemici i miei alleati, se ti unisci a miei nemici.
cietatem solum, sed, si diis placet, affinitatem Quale non hai fatta di queste due cose? perciocchè
etiam per Philoclem praefectum eius pepigisti; Messene, stretta in amicizia con noi a patti stessi,
et bellum adversus mos gerens mare circa Maleam che Lacedemone, città nostra alleata, l'hai presa
infestum navibus piraticis fecisti; et plures pro con la forza e con l'armi; e con Filippo nostro
pe cives Romanos, quam Philippus, cepisti atque nemico hai patteggiato per opera di Filocle, uno
occidisti; tutiorque Macedoniae ora, quan pro de' suoi prefetti, non società solamente, ma, se
montorium Meleae, commeatus ad exercitus no piace agli dei, anche parentado; e facendoci la
stros portantibus navibus fuit. Proinde parce, sis, guerra infestato hai tutto il mare intorno a Ma
fidem ac jura societatis jactare; et, omissa popu lea con legni di pirati; e presi e uccisi quasi più
lari oratione, tamquam tyrannus et hostis lo cittadini Romani, che non lo stesso Filippo; e
quere. » alle navi, che portavano vettovaglie a nostri eser
citi, furono più sicure le coste della Macedonia,
che il promontorio di Malea. Cessa dunque, cessa
di menar vanto della fede e dei diritti sacri del
l'alleanza; e lasciato codesto tuo discorso popo
lare, parla da tiranno e da nemico. ”
XXXIII. Sub haec Aristaemus nunc monere XXXIII. Aristeno allora si fe” quando ad am
Nabin, nunc etiam orare, ut, dum liceret, dum monire, quando eviandio a pregar Nabide che,
occasio esset, sibi ac fortunis suis consuleret. Re mentre ancora poteva, mentre c'era l'occasione,
ferre deinde nominatim tyrannos civitatium fini a sè pensasse ed alla sua fortuna. Indi ricordogli
timarum coepit, qui, deposito imperio, restituta nominatamente i tiranni delle città convicine,
que libertate suis, non tutam modo, sed etiam che, deposta la signoria, e renduta a suoi la
honoratam inter cives senectutem egissent. His libertà, menata avean tra loro concittadini una
dictis in vicem auditisque, non prope diremit vecchiezza non sicura solamente, ma eviandio
827 TITI LIVII LIBER XXXIV. 828

colloquium. Postero die Nabis, « Argis se cedere onorata. Dette a vicenda, ed udite queste cose,
ac deducere praesidium, quando ita Romanis quasi in sulla notte si sciolse il parlamento. Na
placeret, et captivos et perfugas redditurum. bide il dì seguente disse, « che cedeva Argo, e
dixit. Aliud si quid postularent, scriptum utede ne cavava il presidio, quando così piaceva ai
rent petiit, ut deliberare cum amicis posset. - Romani, e che restituiti avrebbe i prigioni e i
Ita et tyranno ad consultandum tempus datum disertori. Chiese, che se altro bramassero, il des
est; et Quintius, sociorum etiam principibus sero in iscritto, onde potesse consultarne co'suoi. -
adhibitis, habuit concilium. Maximae partissen Così fu dato tempo al tiranno di consultare; ed
tentia erat : « Perseverandum in bello esse, et anche Quinzio, chiamati eziandio i capi degli
tollendum tyrannum : numquam aliter tutam li alleati, tenne consiglio. Era parere della maggior
bertatem Graeciae fore. Satius multo fuisse, non parte, a che si dovesse perseverare nella guerra,
moveri bellum adversus eum, quam omitti mo e si sterminasse il tiranno ; altrimenti non sarà
tum. Et ipsum velut comprobata dominatione fir mai sicura la libertà della Grecia. Sarebbe stato
miorem futurum, auctore injusti imperii assumpto meglio non muovergli guerra, che mossa lasciar
populo Romano; et extemplo multos in aliis ci la; ch'egli, quasi confermato nella sua signoria,
vitatibus ad insidiandum libertati civium suo sarà più forte, assuntosi il popolo Romano a pro
rum incitaturum. » Ipsius imperatoris animus ad tettore dell'ingiusta dominazione; ed ecciterà
pacem inclinatiorerat: videbat enim, compulso coll'esempio suo molti d'altre città ad insidiare
intra moenia hoste, nihil praeter obsidionem re la libertà del loro concittadini. " L'animo però
stare: eam autem fore diuturnam. « Non enim del comandante Romano era più inclinato alla
Gythium, quodipsum tamen traditum, non expu pace; perciocchè vedeva che, respinto il nemico
gnatum esset, sed Lacedaemonem, validissimam dentro le mura, non altro restava, che l'assedio;
urbem viris armisque, oppugnaturos. Unam spem e questo dover esser lungo. « Perciocchè non
fuisse, si qua admoventibus exercitum dissensio avrebbono avuto a combattere Gizio, il quale
inter ipsos ac seditio excitari posset. Quum signa anche fu renduto, non espugnato, ma Lacede
portis prope inferri cernerent, neminem se mo mone, città validissima per uomini e per armi.
visse. Adjiciebat, et cum Antiocho infidam pa C'era stata una sola speranza, se, accostandosi
cem, Villium legatum inde redeuntem nunciare: l'esercito, si fosse potuto eccitar tra loro qualche
multo majoribus, quam ante, terrestribus copiis discordia e sedizione; pur, quando videro spin
in Europam eum transisse. Si occupasset obsidio gersi le insegne sin sotto le porte, nessuno s'era
Lacedaemonis exercitum, quibus aliis copiis ad mosso. Aggiungeva, esser mal sicura la pace con
versus regem tam validum ac potentem bellum Antioco, per quanto riferiva il legato Villio di là
gesturos? » Haec propalam dicebat: illa tacita vegnente; e ch'era passato in Europa con assai
suberat cura, ne novus consul Graeciam provin maggiori forze terrestri e marittime, che prima.
ciam sortiretur, et inchoati belli victoria succes Se l'assedio di Lacedemone tenesse occupato
sori tradenda esset.
l'esercito, con qual altro esercito farebbero la
guerra contro un re forte tanto e potente ? »
Diceva questo pubblicamente; ma in cuor suo
lo travagliava il pensiero, che non toccasse la
Grecia al nuovo console, e non dovesse a guerra
principiata cedere la vittoria al successore.
XXXIV. Quum adversus tendendo nihil mo XXXIV. Non gli riuscendo di muovere gli
veret socios, simulando se transire in eorum sen alleati contraddicendoli, col fingere di unirsi al
tentiam, omnes in assensum consilii sui traduxit. parer loro, li trasse tutti a consentire al suo.
« Bene vertat, inquit, quando ita placet, obsidea « Ben ne avvenga disse, quando così piace; met
mus Lacedaemonem. Illud modo ne fallat cete tiamo l'assedio a Lacedemone. Acciocchè però
rum, quum restam lenta, quam ipsi scitis, oppu l'impresa non ci fallisca, essendo, come sapete,
gnatio urbium sit, et obsidentibus prius saepe, l'assedio delle città cosa lunga, e che spesso reca
quam obsessis, taedium afferat, jam nunc hoc più tedio agli assedianti, che agli assediati, in
ita proponere vos animis oportet, hibernandum nanzi tutto avete a farvi presente, che ci conviene
circa Lacedaemonis moenia esse. Quae mora si svernare sotto Lacedemone. ll quale indugio, se
laborem tantum ac periculum haberet, ut et ani altro in sè non avesse, che fatica e pericolo, vi
mis, et corporibus ad sustinenda ea parati essetis, esorterei a preparare gli animi e i corpi a sop
hortarer vos. Nunc impensa quoque magna eget portarli. Ora ci vuol pure grande spesa nelle
in opera, in machinationes et tormenta, quibus opere, nelle macchine ed attrecci, co' quali si
tanta urbs oppugnanda est; in commeatus vobis dee combattere città sì grande; non che a pro
829 TI l'I LIVlI LIEER XXXIV. - 83o

nobisque in hiemem expediendos. Itaque, ne aut cacciar vettovaglie pel verno ad uso vostro e
repente trepidetis, autrem inchoatam turpiter de nostro. Pertanto, acciocchè non abbiate a sgo
stituatis, scribendum ante vestris civitatibus cen mentarvi all'improvviso, o ad intralasciare ver
seo, explorandumque, quid quaeque animi, quid gognosamente la cominciata impresa, penso che
virium habeat. Auxiliorum satis superque babeo; dobbiate avanti scrivere alle vostre città, ed inda
sed, quo plures sumus, pluribus rebus egebimus. gare che animo s'abbia ciascuna, e quante forze.
Nihil jam praeter nudum solum ager hostium Di aiuti ne ho oltre il bisogno; ma quanti più
habet. Ad hoc hiems accedit, ad comportandum siamo, tante più cose ci bisogneranno. Il paese
ex longinquo difficilis. ” Haec oratio primum nemico non ha, che nuda terra; si aggiunge
animos omnium ad respicienda cuique domestica il verno, troppo difficile pe' trasporti di lontano. »
mala convertit ; segnitiam, invidiam et obtrecta Questo discorso volse subito gli animi di tutti
tionem domi manentium adversus militantes, li a riguardar ciascuno i proprii mali domestici;
bertatem difficilem ad consensum, inopiam pu la pigrizia, la mala disposizione di chi si resta
blicam, malignitatem conferendi ex privato. Ver a casa contro quelli che sono alla guerra, la
sis itaque subito voluntatibus, facere, quod e re libertà, che difficulta l'accordo, la pubblica mi
publica populi Romani sociorumque esse crede seria, la renitenza di pagar del privato. Quindi
ret, imperatori permiserunt. mutatesi subito le volontà, lasciarono al coman
dante Romano il fare quello, ch'egli stimasse
utile alla repubblica del popolo Romano, ed agli
alleati.

XXXV. Inde Quintius, adhibitis legatis tan XXXV. Quinzio pertanto, adoperati sola
tum tribunisque militum, conditiones, in quas mente i legati e i tribuni de'soldati, scrisse le
cum tyranno pax fieret, has conscripsit : « Sex seguenti condizioni, giusta le quali si facesse
mensium induciae ut essent Nabidi Romanisque, la pace col tiranno : « Vi fosse tregua di sei mesi
et Eumeni regi, et Rhodiis. Legatos extemplo tra Nabide, i Romani, il re Eumene ed i Rodiani:
mitterent Romam T. Quintius et Nabis, ut pax Tito Quinzio e Nabide mandassero subito amba
ex auctoritate senatus confirmaretur. Ex qua die sciatori a Roma, acciocchè la pace confermata
scriptae conditiones pacis editae Nabidi forent, ea fusse dall'autorità del senato. Dal dì che le scritte
dies ut induciarum principium esset; et ut ex eo condizioni della pace fossero partecipate a Nabi
die intra decimum diem ab Argis ceterisque op de, quel dì fosse il principio della tregua, e che
pidis, quae in Argivorum agris essent, praesidia tra dieci giorni da quel dì tutti i presidii cavati
omnia deducerentur, vacuaque et libera trade fossero da Argo e dalle altre città, poste nel ter
rentur Romanis; et ne quod inde mancipium ritorio degli Argivi; i quali luoghi vòti e liberi
regium publicumve aut privatum educeretur, et, si consegnassero ai Romani; e che non ne fosse
si qua ante educta forent, dominis recte restitue tratto fuori nessuno schiavo regio pubblico o
rentur. Naves, quas civitatibus maritimis ade privato; e se alcuno ne fosse stato tratto fuori
misset, redderet; neve ipse navem ullam, praeter innanzi, fosse renduto lealmente a padroni. Re
duos lembos, qui non plus quam sexdecim remis stituisse le navi, che avea tolte alle città marit
agerentur, haberet. Perfugas et captivos omnibus time; ed egli non ne avesse nessuna, eccetto due
sociis populi Romani civitatibus redderet, et Mes lembi, che andassero con non più di sedici remi.
seniis omnia, quae compareremt, quaeque domini Restituisse a tutte le città alleate del popolo Ro
cognoscerent. Exsulibus quoque Lacedaemoniis mano i disertori e i prigioni, e ai Messenii tutte
liberos et conjuges restitueret, quae earum viros le robe, che si trovassero di lor ragione, e che
sequi voluissent; invita ne qua exsulis comes i padroni riconoscessero. Restituisse parimenti
esset. Mercenariorum militum Nabidis, qui aut ai fuorusciti Lacedemoni i figli e le mogli, che
in civitates suas, aut ad Romanos transissent, iis seguitar volessero i lor mariti; che però nessuna
res suae omnes recte redderentur. In Creta insu fosse sforzata a seguitar il marito fuoruscito;
la ne quam urbem haberet; quas habuisset, red che a mercenarii di Nabide, i quali passati fossero
deret Romanis. Ne quam societatem cum ullo al lor paese o alla parte de' Romani, tutte le robe
Cretensium aut quoquam alio institueret, neu loro fossero fedelmente restituite; che nell'isola
bellum gereret. Civitatibus omnibus, quas ipse di Creta non possedesse nessuna città; restituisse
restituisset, quaeque se suaque in fidem ac ditio a Romani quelle che possedesse. Non facesse lega
nem populi Romani tradidissent, omnia praesidia con alcuno di Creta, o con altro chicchessia, nè
deduceret; seque ipse suosque ab his abstineret. gli facesse guerra. Cavasse i presidii da tutte le
Ne quod oppidum, ne quod castellum in suo alie città, che restituisse, e da quelle, che avessero
nove agro conderet. Obsides, ea ita futura, daret dato sè e le cose loro in poter del popolo Roma
83 i TITI LIVII LIBER XXXIV. 832

quinque, quos imperatori Romano placuisset; no; e nè egli, nè i suoi ci mettesser mano. Non
filium in his suum : et talenta centum argenti in fabbricasse alcuna città a fortezza nè nel suo, nè
praesenti, et quinquaginta talenta in singulos nel paese altrui. A guarentia di ciò desse cinque
annos per annos octo. » ostaggi a piacimento del comandante Romano ;
tra questi suo figliuolo; e di presente pagasse
cento talenti d'argento, e cinquanta ogni anno
per anni otto. »
XXXVI. Haec conscripta, castris propius ur XXXVI. Queste condizioni scritte, avvicinato
bem motis, Lacedaemonem mittuntur. Nec sane il campo più presso alla città, si mandano a Lace
quidquam eorum satis placebat tyranno, nisi demone. E veramente nessuna di esse piaceva al
quod, praeter spem, reducendorum exsulum tiranno; se non che, fuori di sua speranza, non
mentio nulla facta erat. Maxime autem omnium s'era fatta menzione alcuna di rimettere i fuor
ea res oſſendebat, quod et naves, et maritimae usciti; ma ciò che più di tutto gli doleva, era
civitates ademptae erant. Fuerat autem ei magno il torglisi le navi e le città marittime. Il mare
fructui mare, omnem oram Maleae praedatoriis gli era stato grandemente fruttuoso, perchè infe
navibus infestam habenti: juventutem praeterea stava con legni piratici tutta la costa di Malea:
civitatium earum ad supplementum longe optimi adoperava inoltre la gioventù di quelle città a
generis militum habebat. Has conditiones, quam supplire l'esercito di ottimi soldati. Queste con
quam ipse in secreto voluta verat cum amicis, vul dizioni, bench'egli le esaminasse segretamente
go tamen omnes fama ferebant, vanis, ut ad co” suoi consiglieri, tutti però le ripetevano pub
ceteram fidem, sic ad secreta tegenda, satellitum blicamente, essendo i satelliti de're mal atti per
regiorum ingeniis. Non tam omnia universi, natura a guardare il segreto, come in tutt'altro
quam ea, quae ad quemque pertinerent, singuli la fede. Non tanto tutti tutto disapprovavano,
carpebant. Qui exsulum conjuges in matrimonio quanto ciascuno quello che in particolare lo
habebant, aut ex bonis eorum aliquid possede risguardava. Coloro, che aveano sposate le mogli
rant, tamquam amissuri, non reddituri, indigna de' fuorusciti, o qualche parte possedevano dei
bantur. Servis liberatis a tyranno non irrita modo loro beni, si sdegnavano come se avessero a per
futura libertas, sed multo foedior, quam fuisset dere il proprio, non a restituire l'altrui. A'servi
ante, servitus redeuntibus in iratorum domino liberati dal tiranno si offeriva dinanzi agli occhi
rum potestatem ante oculos obversabatur. Merce non solamente la libertà renduta vana, ma una
marii milites et pretia militiae casura in pace servitù molto più brutta che innanzi, avendo
aegre ferebant, et reditum sibi nullum esse in ci a tornare in potere di padroni corrucciati. I sol
vitates videbant, infensas non tyrannis magis, dati mercenarii e soſfrivano di malanimo, che
quam satellitibus eorum. i premii della milizia andassero a svanire con
la pace, e non vedevano di poter tornare ne' lor
paesi, non tanto avversi a tiranni, quanto a loro
satelliti.

XXXVII. Haec inter se primo in circulis se XXXVII. Di codeste cose dapprima mormo
rentes fremere; deinde ad arma subito discurre raron fremendo ne' circoli, poscia subitamente
runt. Quo tumultu quum per se satis irritatam corsero all'armi. Al quale tumulto scorgendo il
multitudinem cerneret tyrannus, concionem advo tiranno esser di già la moltitudine da sè bastan
carijussit. Ubi quum ea, quae imperarentur a Ro temente irritata, fe'chiamare a parlamento. Dove
manis exposuisset, et graviora atque indigniora avendo esposto le condizioni, che imponevano
quaedam falso affinxisset, et ad singula, nunc ab i Romani, e falsamente aggiuntene anche alcune
universis, nunc a partibus concionis, acclamare più gravi ed indegne, levandosi, all'udir di cia
tur, interrogavit, a Quid se respondere ad ea, scuna, un grido ora da tutta, ora da una parte
aut quid facere vellent? » Prope una voce omnes, dell'assemblea, Nabide gl'interrogò, che voles
a Nihil respondere, bellum geri, º jussernnt, et sero ch'egli rispondesse, o che facesse ? Quasi
pro se quisque, qualia multitudo solet, bonum ad una voce tutti, « Niente, gridarono, si rispon
animum habere, et bene sperare jubentes, « for da, si faccia la guerra. » E ciascuno, come suol
tes fortunam adjuvare, º aiebant. His vocibus in fare la moltitudine, confortandosi l'un l'altro
citatus tyrannus, et Antiochum Aetolosque adju a starsi di buon animo, ed aver buona speranza,
turos pronunciat, et sibi ad obsidionem susti « la fortuna, dicevano, aiuta i forti. " Animato il
mendam copiarum affatim esse. Exciderat pacis tiranno da queste voci, annunzia che si avrebbe
mentio ex omnium animis, et in stationes non l'aiuto di Antioco e quello degli Etoli; e ch'egli
ultra quieturi discurrunt. Paucorum lacessentium avea forze più che bastanti a sostenere l'assedio.
833 TITI LIVII LIBER XXXIV. 834
excursio et emissa jacula extemplo et Romanis Era svanito ogni pensiero di pace; e corrono
dubitationem, quin bellandum esset, exemerunt. alle poste, determinati a non più posare. Una
Levia inde proelia per quatriduum primum sine scorreria di pochi usciti a provocare, e un nembo
ullo satis certo eventu commissa. Quinto die pro di dardi scagliati all'improvviso tolsero anche
pe justa pugna adeo paventes in oppidum Lace ai Romani il dubbio, che più non si avesse a
daemonii compulsi sunt, ut quidam milites Ro guerreggiare. Fecersi poi leggere scaramucce per
mani, terga fugientium caedentes, per intermissa, quattro giorni senza nessun esito ben certo. Il
ut tunc erant, moenia urbem intrarint. quinto giorno in una quasi ordinata battaglia
i Lacedemoni respinti furono dentro le porte
sì fattamente spaventati, che alcuni soldati Ro
mani, incalzando alle spalle i fuggitivi, pegli
spazi interrotti, com'erano allora, delle mura
entrarono in città. -

XXXVIII. Et tunc quidem Quintius, satis eo XXXVIII. Allora Quinzio, frenate abbastanza
terrore coercitis excursionibus hostium, nihil con questo terrore le scorrerie de'nemici, pen
praeter ipsius oppugnationem urbis superessera sando non restar altro, che combattere la città,
tus, missis, qui omnes navales socios a Gythio mandato a chiamare da Gizio tutte le genti di
arcesseremt, ipse interim cum tribunis militum ad mare, va intanto co' tribuni de'soldati caval
visendum urbis situm moenia circumvehitur. cando intorno le mura a visitare il sito della città.
Fuerat quondam sine muro Sparta: tyranni nu Sparta era stata un tempo senza mura: i tiranni
per locis patentibus planisque objecerant murum: poco innanzi avean tirato un muro ne' luoghi
altiora loca, et difficiliora aditu, stationibus ar aperti e piani; i luoghi più alti e più difficili
matorum pro munimento objectis tutabantur. all'accesso li guardavano con poste di armati
Ubi satis omnia inspexit, corona oppugnandum messe lì in vece di ripari. Poi ch'ebbe esaminata
ratus, omnibus copiis (erant autem Romanorum bastantemente ogni cosa, stimando doversi dare
sociorumque, simul peditum equitumque, simul l'assalto da ogni parte ad un tempo, cinse in
terrestrium ac navalium copiarum, ad quinqua torno la città con tutte le sue genti (erano tra
ginta millia hominum) urbem cinxit. Alii scalas, Romani ed alleati, tra fanti e cavalli, tra sol
alii ignem, alii alia, quibus non oppugnarent dati di terra e di mare da cinquanta mila
modo, sed etiam terrerent, portabant. Jussi cla uomini). Altri portavano le scale, altri fuoco,
more sublato subire undigue omnes, ut, qua pri altri altre cose, con che non solamente combat
mum occurrerent, quave opem ferrent, ad omnia tere, ma spaventare. Ebber ordine, levato il
simul paventes Lacedaemonii ignorarent. Quod grido, di farsi innanzi tutti da ogni parte, accioc
roboris in exercitu erat, trifariam divisum: parte chè i Lacedemoni, tutto temendo ad un tempo,
una a Phoebeo, altera a Dictynneo, tertia ab eo non sapessero dove dapprima correre, dove re
loco, quem Heptagonias appellant (omnia au care aiuto. Tutto quant'era il nerbo dell'esercito,
tem haec aperta sine muro loca sunt), aggredi fu diviso in tre parti: ordina che con una parte
jubet. Quum tantus undigue terror urbem cir si assalti dov'è il Febeo, con l'altra dove il Dictin
cumvasisset; primo tyrannus et ad clamores re neo, con la terza al luogo che chiamano Eptago
pentinos, et ad nuncios trepidos motus, ut quisque nie (questi eran tutti luoghi aperti senza muro).
maxime laborarent locus, aut ipse occurrebat, aut Essendo la città da ogni banda investita da così
aliquos mittebat: deinde, circumfuso undigue fatto terrore, dapprima il tiranno, movendosi
pavore, ita obtorpuit, ut mec dicere, quod in rem alle subite grida ed ai messi, che giungevano
esset, nec audire posset; nec inops modo consilii, sbigottiti, secondo che un luogo era più che un
sed vix mentis compos esset. altro travagliato, o accorreva egli in persona, o
ci mandava altri. Poscia, come si diffuse d'ogni
intorno lo spavento, in cotal modo s' istupidì,
che nè dir poteva, nè udire cosa, che fosse al
l'uopo ; nè solamente privo era di consiglio, ma
quasi fuor di senno.
XXXIX. Romanos primo sustin bant in an XXXIX. Da principio i Lacedemoni nella
gustiis Lacedaemonii; termaeque aces tempore strettezza dello spazio sostenevano i Romani; e
uno locis diversis pugnabant: deinde crescente tre schiere ad un tempo combattevano in luoghi
certamine, nequaquam erat proelium par. Missi diversi: indi ognor più crescendo la battaglia,
libus enim Lacedaemonii pugnabant, a quibus la faccenda non andava del pari. Perciocchè i
se et magnitudine scuti perfacile Romanus tue Lacedemoni pugnavano lanciando dardi, da quali
livio 2
835 TI l'I LIVII LIBER XXXIV. 836

batur miles, et quod alii vani, alii leves admodum il soldato Romano facilmente si difendeva con
ictus erant. Nam propter angustias loci confer la grandezza dello scudo; e de'colpi altri eran
tamque turbam non modo ad emittenda cum vani, altri affatto leggeri; chè per l'angustia del
procursu, quo plurimum concitantur tela, spatium luogo e la turba affollata non solamente non
habebant; sed me ut de gradu quidem libero ac aveano spazio a lanciar di corso i giavellotti, con
stabili conarentur. Itaque ex adverso missa tela, che riescono più vibrati, ma non avevan nè anche
nulla in corporibus, rara in scutis haerebant. A il piede libero e fermo, onde scagliarli con forza.
circumstantibus ex superioribus locis quidam vul Quindi de'dardi lanciati di fronte nessuno si
nerati sunt: mox progressos jam etiam ex tectis appiccava alla persona, rari allo scudo. Alcuni
non tela modo, sed tegulae quoque, inopinantes feriti erano da luoghi superiori: indi passati più
perculerunt. Sublatis deinde supra capita scutis, oltre non solamente percossi erano dai dardi,
continuatisque ita inter se, ut non modo ad cae ma eziandio impensatamente dai tegoli. Poscia,
cos ictus, sed ne ad inferendum quidem ex pro levatisi gli scudi sopra la testa, e sì fattamente
pinquo telum loci quidquam esset, testudine facta l'uno con l'altro continuandoli, che non sola
subibant. Et primae angustiae paullisper, sua mente non restava nessun luogo a colpi ciechi,
bostiumque refertae turba, tenuerunt: postduam ma nè anche a ferir da vicino, coperti dalla te
in patentiorem viam urbis paullatim urgentes stuggine s'inoltravano. E le prime strettezze,
hostem processere, non ultra vis eorum atque ingombre dalla calca de' suoi nemici, li tratten
impetus sustineri poterant. Quum terga vertis nero alcun poco; ma poi che, incalzando a poco
sent Lacedaemonii, et effusa fuga superiora pe . a poco il nemico, sboccarono nella strada più
terent loca, Nabis quidem, ut capta urbe trepi larga della città, non si potè quell'urto ed impeto
dans, quanam ipse evaderet, circumspectabat. sostener più oltre dai Lacedemoni. Voltate avendo
Pythagoras quum ad cetera animo officioque du le spalle, e di piena fuga correndo essi a luoghi
cis fungebatur, tum vero unus, ne caperetur più alti, Nabide, spaventato come se presa fosse
urbs, causa fuit: succendi enim aedificia proxima la città, guardava intorno da qual parte scam
muro jussit. Quae quum momento temporis ar par potesse. Pitagora, il quale oltre che in tutto
sissent, ut adjuvantibus ignem, qui alias ad exstin sostenea le parti d'uom coraggioso e di capitano,
guendum open ferre solent, ruere in Romanos allora veramente fu ei solo la cagione che la città
tecta; nec tegularum modo fragmenta, sed etiam non si prendesse. Perciocchè ordinò che si ap
ambustatigna, ad armatos pervenire, et flamma piccasse il fuoco agli edifizii prossimi al muro;
late fundi; fumus terrorem etiam majorem, quam i quali essendosi messi in fiamme in un momen
periculum, facere. Itaque et qui extra urbem to, quegli stessi aiutando il fuoco, che altre volte
erant Romanorum, tum maxime impetus facien aiutano a spegnerlo, cominciarono i tetti a rui
tes, recessere a muro; et, qui jam intraverant, ne nare addosso a Romani; nè solo i frammenti
incendio ab tergo oriente intercluderentur ab delle tegole, ma eziandio le travi semiarse colpire
suis, receperunt sese: et Quintius, postduam, gli armati, e la fiamma dilatarsi largamente, e
quid rei esset, vidit, receptui camere jussit. Ita il fumo far più paura ancora, che il pericolo.
jam a capta prope urbe revocati redierunt in Quindi sì quelli de Romani ch'erano fuori della
castra.
città, e già in atto di far impeto per entrare, si
scostarono dal muro; e sì quelli, ch'erano di già
entrati, acciocchè l'incendio insorto alle spalle
non li separasse da suoi, si ritirarono. E Quin
zio, poi che vide la cosa, com'era, fe' sonare a
raccolta: così richiamati a città poco meno che
presa, si tornarono al campo.
XL. Quintius plus ex timore hostium, quam XL. Quinzio, mettendo più speranza nel ti
ex re ipsa, spei nactus, per triduum insequens more invalso tra nemici, che nella cosa stessa,
territavit eos, nunc proeliis lacessendo, nunc non lasciò di spaventarli ne'tre giorni susse
operibus intersepiendo quaedam, ne exitus ad guenti, ora provocandoli con assalti, ora chiu
fugam esset. His comminationibus compulsus ty dendo con lavori alcuni siti, onde non avessero
rannus Pythagoram rursus oratorem misit, quem uscita a fuggire. Atterrito da queste minacce, il
Quintius primo aspernatum excedere castris tiranno mandò nuovamente qual oratore Pita
jussit: deinde suppliciter orantem, advolutum gora. Quinzio però disdegnatolo, gli ordinò
que genibus, tandem audivit. Prima oratio ſuit di uscire dal campo; poscia, come colui si fece
omnia permittentis arbitro Romanorum ; dein, a pregarlo supplichevole e gittossegli a piedi, lo
quum ea velut vana et sine effectu nihil profi ascoltò. Le prime parole furono, ch'egli rimel
837 TITI LIVII LIBER XXXIV. 838

ceret, eo deducta res est, ut his conditionibus, teva ogni cosa all'arbitrio de'Romani; indi, nulla
quae ex scripto paucis ante diebus editae erant, con ciò profittando, come parole vane e senza
induciae fierent; pecuniaque et obsides accepti. effetto, la cosa fu ridotta a questo, che si facesse
Dum oppugnatur tyrannus, Argivi, nunciis aliis tregua con le condizioni, che pochi dì innanzi
prope super alios afferentibus, tantum non jam s'erano date in iscritto; e quindi fu ricevuto
captam Lacedaemonem esse, erecti et ipsi, simul il danaro e gli ostaggi. Mentre si facea la guerra
eo quod Pythagoras cum parte validissima prae al tiranno, gli Argivi, accertati da messi vegnenti
sidii excesserat, contempta paucitate eorum, qui l'un dopo l'altro, ch'era Lacedemone poco meno
in arce erant, duce Archippo quodam, praesidium che presa, levatisi essi pure in ardire, anche
expulerunt. Timocratem Pellenensem, quia cle perchè n'era uscito Pitagora col nerbo delle genti,
menter praefuerat, vivum fide data emiserunt. beffandosi della pochezza di coloro, ch'erano
Huic laetitiae Quintius supervenit, pace data ty nella rocca, ne scacciarono il presidio sotto la
ranno, dimissisque ab Lacedaemone Eumene, et condotta di certo Archippo. Timocrate di Pelle
Rhodiis, et L. Quintio fratre ad classem. me, perchè avea governato con dolcezza, il man
darono fuori vivo sotto la pubblica fede. Nel
mezzo di codesta allegrezza sopraggiunse Quin
zio, che avea già data la pace al tiranno ed avea
licenziati da Lacedemone Eumene e i Rodiani,
e rimandato il fratello Quinzio alla flotta.
XLI. Laeta civitas celeberrimum festorum XLI. La città tutta allegra fe' bandire per la
dierum ac mobile ludicrum Nemeorum, die stata venuta dell'esercito e del comandante Romano
propter belli mala praetermissum, in adventum la più solenne delle lor feste, il nobile spettacolo
Romani exercitus ducisque indixerunt, praefece de' giuochi Nemei, intralasciato nel dì statuito
runtdue ludis ipsum imperatorem. Multa erant, per le calamità della guerra; e fecero presidente
quae gaudium cumularent: reducti cives ab La de giuochi lo stesso Quinzio. Erano molte le
cedaemone erant, quos nuper Pythagoras, quos circostanze, che mettevano il colmo alla gioia:
que ante Nabis abduxerant: redierant, qui post il ritorno da Lacedemone dei cittadini, che Pita
compertam a Pythagora conjurationem, et cae gora testè, e innanzi Nabide avean menato via;
de jam coepta, effugerant: libertatem ex longo il ritorno di quelli ch'eran fuggiti dopo la con
intervallo, libertatisque auctores Romanos, qui giura scoperta da Pitagora, e a strage già princi
bus causa bellandi cum tyranno ipsi fuissent, cer piata: vedevano dopo tanto tempo ricuperata
nebant. Testata quoque ipso Nemeorum die voce la libertà, e autori della stessa i Romani, a quali
praeconis libertas est Argivorum. Achaeis quan erano stati essi Argivi cagione del guerreggiare
tum restituti Argi in commune Achajae concilium col tiranno; e la libertà degli Argivi era stata
laetitiae afferebant, tantum serva Lacedaemon proclamata dalla voce del banditore nel giorno
relicta, lateri adhaerens tyranni, non sincerum stesso del giuochi Nemei. Ma quanto recava di
gaudium praebebat. Aetoli vero eam rem omni letizia agli Achei Argo restituita alla comune
bus conciliis lacerare : « Cum Philippo non an lega dell'Acaia, altrettanto Lacedemone rimasta
te desitum bellari, quam omnibus excederet schiava, e il tiranno fitto a suoi fianchi guastava
Graeciae urbibus. Tyranno relictam Lacedaemo alcun poco la gioia loro. Gli Etoli poi in tutte
nem ; regem autem legitimum, qui in Romanis le adunanze laceravano la condotta de' Romani.
fuerat castris, ceterosque nobilissimos cives in « Non s'era cessato di guerreggiare con Filippo
exsilio victuros. Nabidis dominantis satellitem sino a tanto, che non uscì da tutte le città della
factum populum Romanum. » Quintius ab Argis Grecia, e si lasciò Lacedemone al tiranno; il re
Elatiam, unde ad bellum Spartanum profectus poi legittimo, ch'era nel campo Romano, e gli
erat, copias reduxit. Sunt, qui non ex oppido altri nobilissimi cittadini doveansi vivere in esi
proficiscentem bellum gessisse tyrannum tradant, glio: il popolo Romano s'era fatto satellite di
sed castris adversus Romana castra positis; diu Nabide dominatore.» Quinzio da Argo ricondusse
que cunctatum, quum Aetolorum auxilia exspe l'esercito ad Elazia, donde s'era partito per
ctasset, coactum ad extremum acie conſligere, la guerra Spartana. V'ha chi scrive non avere il
impetu in pabulatores suos ab Romanis facto; eo tiranno combattuto co' Romani uscendo dalla
proelio victum, castrisque exutum pacem petisse, città, bensì posto il suo campo rimpetto ad essi;
quum cecidissent quindecim milliamilitum, capta e poi ch'ebbe indugiato lungo tempo aspettando
plus quatuor millia essent. il soccorso degli Etoli, essere stato costretto di
venire a giornata, avendo i Romani dato dentro
a suoi foraggieri; che vinto in quel fatto, espo

839 TITI LIVII LIBER XXXIV. 84o
gliato degli accampamenti avea chiesto la pace,
morti da quindici mila soldati, e più di quattro
mila fatti prigioni.
XLII. Eodem fere tempore et a T. Quintio XLII. Intorno a quel tempo vennero lettere
de rebus ad Lacedaemonem gestis, et ab M. Porcio a Roma e da Tito Quinzio delle cose fatte presso
consule ex Hispania literae allatae. Utriusque no Lacedemone, e dal console Marco Porcio dal
mine in dies termos supplicatio a senatu decreta la Spagna. Il senato decretò pubbliche preci a
est. L. Valerius consul, quum post fusos circa nome loro per tre dì. Il console Lucio Valerio,
Litanam silvam Bojos quietam provinciam ha tranquillata la sua provincia dopo la sconfitta
buisset, comitiorum causa Romam rediit ; et de Boi presso la selva Litana, tornò a Roma per
creavit consules P. Cornelium Scipionem Africa cagione dei comizii, e creò consoli Publio Cor
num iterum et Ti. Sempronium Longum. Horum nelio Scipione Africano per la seconda volta, e
patres primo anno secundi Punici belli consules Tito Sempronio Longo : i padri loro erano stati
fuerant. Praetoria inde comitia habita: creati P. consoli il primo anno della seconda guerra Pu
Cornelius Scipio, et duo Cn. Cornelli, Merenda nica. Indi si tennero i comizii de'pretori. Furon
et Blasio, et Cm. Domitius Ahenobarbus, et Sex. creati Publio Cornelio Scipione, i due Gnei Cor
Digitius, et T. Juventius Thalma. Comitiis per nelii, Merenda e Blasione, e Gneo Domizio Aeno
fectis, consul in provinciam rediit. Novum jus barbo, e Sesto Digizio, e Tito Juvenzio Talma.
eo anno a Ferentinatibus tentatum, ut Latini, qui Finiti i comizii, il console tornò alla provincia.
in coloniam Romanam nomina dedissent, cives Tentarono i Ferentinati in quell'anno di otte
Romani essent. Puteolos, Salernumque et Buxen nere un nuovo diritto, che i Latini, i quali avean
tum adscripti coloni, qui nomina dederant, quum dato il lor nome nella colonia Romana, fossero
ob id se pro civitatibus Romanis ferrent: senatus cittadini Romani. Per questo i coloni, che s'eran
judicavit, non esse eos cives Romanos. fatti iscrivere a Pozzuolo, a Salerno, a Buxento,
spacciandosi per cittadini Romani, il senato non
giudicò che fosser tali.
XLIII. (Anno U. C. 558. – A. C. 194.) Prin XLIII. (Anni D. R. 558. – A. C. 194.) Nel
cipio anni, quo P. Scipio Africanusiterum et Ti. principio dell'anno, in cui furono consoli Publio
Sempronius Longus consules fuerunt, legati Na Scipione Africano per la seconda volta, e Tito
bidis tyranni Romam venerunt. lis extra urbem Sempronio Longo, vennero a Roma gli ambascia
in aede Apollinis senatus datus est: pax, quae tori del tiranno Nabide. Ebbero udienza dal se
cum T. Quintio convenisset, ut rata esset petie nato nel tempio di Apollo fuori della città. Chie
runt, impetraveruntgue. De provinciis quum re sero ed ottennero, che la pace convenuta con
latum esset, senatus frequens in eam sententiam Tito Quinzio, fosse ratificata. Essendosi proposta
ibat, ut, quoniam in Hispaniam et Macedonia la distribuzione delle province, la maggior parte
debellatum foret, consulibus ambobus Italia pro del senato era di avviso, che terminata essendo
vincia esset. Scipio, « satis esse ltaliae unum con la guerra nella Macedonia e nella Spagna, l'Italia
sulem, censebat; alteri decernendam Macedoniam fosse assegnata ad ambedue i consoli. Scipione
esse. Bellum grave ab Antiocho imminere, jam opinava, e che bastasse un console in ltalia, e
ipsum sua sponte in Europam transgressum. Quid che si desse all'altro la Macedonia. Sovrastava
deinde facturum censerent, quum hinc Aetoli grave guerra dal re Antioco; era egli di già pas
haud dubie hostes vocarent ad bellum, illinc Han sato spontaneamente in Europa. Che si stimavano
nibal, Romanis cladibus insignis imperator, sti ch'egli avesse a fare, mentre gli Etoli da una
mularet? » Dum de provinciis consulum discepta parte eccitavano apertamente i nemici a far guer
tur, praetores sortiti sunt. Cn. Domitio urbana ra, dall'altra Annibale capitano famoso per le
jurisdictio, T. Juventio peregrina evenit; P. Cor sconfitte Romane, lo stimolava ? » Mentre si
melio Hispania ulterior, Sex. Digitio citerior: disputa delle province da darsi a consoli, i pre
duobus Cn. Corneliis, Blasioni Sicilia, Merendae tori trassero a sorte i lor governi. Toccò a Gneo
Sardinia. In Macedoniam novum exercitum trans Domizio l'urbana giurisdizione, a Tito Juvenzio
portari non placuit: eum, qui esset ibi, reduci la forestiera; la Spagna ulteriore a Publio Cor
in Italiam a Quintio, ac dimitti: item eum exer nelio, la citeriore a Sesto Digizio: de'due Cornelii
citum dimitti, qui cum M. Porcio Catone in Hi toccò la Sicilia a Blasione, la Sardegna a Merenda.
spania esset. Consulibus ambobus Italiam provin Non piacque che si mandasse nuovo esercito in
ciam esse, et duas urbanas eos legiones scribere; Macedonia ; anzi, che quello che c'era, Quinzio
ut, dimissis, quos senatus censuisset, exercitibus, il riconducesse in Italia, e il licenziasse; e così
octo omnino Romanae legiones essent. fosse licenziato l'esercito, ch'era in Ispagna con
-

l
841 TlTI LIVII LIBER XXXIV. 842
Marco Porcio Catone; che l'Italia assegnata fosse
ad ambedue i consoli, e si levassero in città due
legioni; sì che, licenziati gli eserciti, che il se
nato avea deliberato, otto in tutto fossero le
legioni Romane.
XLIV. Ver sacrum factum erat priore anno, XLlV. S'era celebrata l'anno innanzi la sacra
M. Porcio et I... Valerio consulibus. Id quum P. primavera sotto i consoli Marco Porcio, e Lucio
Licinius pontifex non esse recte factum collegio Valerio. Avendo il pontefice Publio Licinio rife
primum, deinde ex auctoritate collegii Patribus, rito prima al collegio, poi per ordine del collegio
renunciasset, deintegro faciendum arbitratu pon ai Padri, che non s'erano debitamente osservati
ficum censuerunt; ludosque magnos, qui una i riti, i Padri decretarono, che si celebrasse di
voti essent, tanta pecunia, quanta assoleret, fa nuovo ad arbitrio del pontefici; e che si facessero
ciendos. Ver sacrum videri pecus, quod natum i giuochi Grandi, de quali insieme s'era fatto
esset inter Kalendas Martias, et pridie Kalendas voto, con quella spesa, che si soleva. Stimarsi
Majas, P. Cornelio Scipione et Ti. Sempronio compreso nella sacra-primavera tutto il bestia
Longo consulibus. Censorum inde comitia habita me, che nato fosse tra le calende di Marzo, e
sunt : creati censores Sex. Aelius Paetus et C. quelle di Maggio, nel consolato di Publio Cor
Cornelius Cethegus principem senatus P. Scipio nelio Scipione e di Tito Sempronio Longo. Poscia
nem consulem, quem et priorescensores legerant, si tennero i comizii de'censori. Creati censori
legerunt. Tres omnino senatores, neminem curuli Sesto Elio Peto e Caio Cornelio Cetego elessero
honore usum, praeterierunt. Gratiam quoque principe del senato il console Publio Scipione,
ingentem apud eum ordinem pepererunt, quod, ch'era stato eletto anche dai censori precedenti.
ludis Romanis, aedilibus curulibus imperarunt, Omisero in tutto tre senatori, nessuno però, che
ut loca senatoria secernerent a populo; nam antea avesse esercitato magistrato curule. E grazia
in promiscuo spectabant. Equitibus quoque per grande si acquistarono presso quell'ordine, per
paucis adempti equi, nec in ullum ordinem sae chè ne' giuochi Romani comandarono agli edili
vitum. Atrium Libertatis et Villa publica ab curuli, che separassero i luoghi del senatori da
eisdem refecta amplificataque. Ver sacrum ludi quelli del popolo ; chè innanzi stavano a guar
que votivi, quos voverat Ser. Sulpicius Galba dare promiscuamente. Anche ad alcuni cavalieri
consul, facti. Quum spectaculo eorum occupati fu tolto il cavallo; ma non si usò rigore eccessivo
animi omnium essent, Q. Pleminius, qui propter contro nessuno degli ordini. L'atrio della Libertà
multa in deos hominesque scelera, Locris admis e la Villa pubblica fu da medesimi rifatta, ed
sa, in carcerem conjectus fuerat, comparaverat ampliata. Si celebrò la sacra-primavera, non che
homines, qui pluribus simul locis urbis nocte i giuochi votivi, de quali avea fatto voto il con
incendia facerent; ut in consternata nocturno sole Sergio Sulpicio Galba. Essendo tutti intenti
tumultu civitate refringi carcer posset. Ea res.in allo spettacolo, Quinto Pleminio, che per molte
dicio consciorum palam facta, delataque ad se scelleratezze commesse in Locri contro gli dei
matum est. Pleminius in inferiorem demissus car e contro gli uomini, era stato messo in prigione,
cerem est, necatusque. aveva appostata gente, che di notte appiccasse
il fuoco in più luoghi ad un tempo della città;
onde in quella notturna costernazione si potesse
rompere la carcere. Scopertasi la cosa per denun
zia di consapevoli, e riferita al senato, Pleminio
fu tradotto nella carcere inferiore, e qui vi am
mazzato.
XLV. Coloniae civium Romanorum eo anno XLV. Quest'anno mandate furono colonie
deductae sunt Puteolos, Vulturnum, Liternum ; di cittadini Romani a Pozzuolo, a Vulturno e
treceni homines in singulas. Item Salernum Bu Literno, trecento uomini per ciascuna. Altre
xentumque coloniae civium Romanorum dedu egualmente a Salerno e Buxento: le condussero º
ctae sunt. Deduxere triumviri, Ti. Sempronius i triumviri Tito Sempronio Longo, allora con
Longus, qui tum consulerat, M. Servilius, Q. Mi sole, Marco Servilio e Quinto Minucio Termo.
nucius Thermus. Ager divisus est, qui Campano Fu ripartito il terreno, ch'era stato de'Campani.
rum fuerat. Sipontum item in agrum, qui Arpi Altri triumviri Decio Giunio Bruto, Marco Bebio
morum fuerat, coloniam civium Romanorum alii Tanfilo e Marco Elvio condussero parimenti una
triumviri, D. Junius Brutus, M. Baebius Tamphi colonia di cittadini Romani a Siponto ne terreni,
lus, M. Helvius deduxerunt. Tempsam item et ch'erano stati degli Arpinati. Altre colonie pure
843 TITI LIVII I,IBER XXXl V. 844

Crotonem civium Romanorum coloniae deductae. mandate furono a Tempsa e a Crotona. Il con
Tempsanus ager de Bruttiis captus erat: Bruttii tado di Tempsa era stato preso a Bruzii: i Bruzii
Graecos expulerant. Crotonem Graeci habebant. ne aveano scacciato i Greci ; questi però posse
Triumviri Cn. Octavius, L. Aemilius Paullus, C. devano Crotoma. I triumviri Gneo Ottavio, Lucio
Plaetorius Crotonem; Tempsam L. Cornelius Me Emilio Paolo e Caio Pletorio condussero i coloni
rula et C. Salonius deduxerunt. Prodigia quoque a Crotona; a Tempsa Lucio Cornelio Merula e
alia visa eo anno Romae sunt, alia nunciata. In foro, Caio Salonio. In quest'anno stesso altri prodigii
etcomitio, et Capitolio sanguinis guttaevisae sunt; furono visti a Roma, altri annunziati. Nella piaz
et terra aliquoties pluit; etcaput Vulcaniarsit. Nun za, nel comizio, nel Campidoglio si son vedute
ciatum est, Nare amni lac fluxisse: pueros ingenuos gocciole di sangue; a alquante volte piovette
Arimini sine oculis ac naso; et in Piceno agro terra; ed arse il capo alla statua di Vulcano. Si
non manus, non pedes habentem matum. Ea pro annunziò ch' era corso latte nel fiume Nare;
digia ex pontificum decreto procurata: et sacri ch'eran nati in Arimini due fanciulli ingenui
ficium novemdiale factum, quod Hadriani mun senz' occhi e senza naso; ed uno nel contado
ciaverant, in agro suo lapidibus pluisse. Piceno senza mani e piedi. Questi prodigii espiati
furono per decreto del pontefici. E fu fatto un
sagrifizio di nove giorni, perchè quelli di Adria
avean recato, che nel loro territorio eran piovute
pietre.
XLVI. In Gallia L. Valerius Flaccus procon XLVI. Nella Gallia il proconsole Lucio Vale
sul circa Mediolanum cum Gallis Insubribus et rio Flacco venne a giornata ne' contorni di Mi
Bojis, qui Dorulaco duce ad concitandos Insubres lano coi Galli Insubri e co' Boi, avendo questi
Padum transgressi erant, signis collatis depugna sotto la condotta di Dorulaco passato il Po per
vit: decem millia hostium sunt caesa. Per eos sollevare gl'Insubri. Furono tagliati a pezzi dieci
dies collega eius M. Porcius Cato ex Hispania mila nemici. In que giorni il di lui collega Marco
triumphavit. Tulit in eo triumpho argenti infecti Porcio Catone trionfò della Spagna. Portò in
viginti quinque millia pondo, bigati centum vi quel trionfo venticinque mila libbre di argento
ginti tria milia, Oscensis quingenta quadraginta; non lavorato, cento ventitrè mila di bigato, e cin
auri pondo mille quadringenta. Militibus ex prae quecento quaranta mila di argento d'Osca; non
da divisit in singulos, ducenos septuagenos aeris, che mille quattrocento libbre d'oro. Della preda
triplex equiti. Ti. Sempronius consul, in provin divise a soldati dugento settanta assi per ciascu
ciam profectus, in Bojorum primum agrum le no; il triplo a cavalieri. Il console Tito Sempro
giones duxit. Bojorix tum regulus eorum, cum nio andato alla provincia, menò dapprima le
duobus fratribus tota gente concitata ad rebel legioni nel territorio de Boi. Boiorige, re loro
landum, castra locis apertis posuit; ut appareret in quel tempo, eccitata coll'opera de' suoi due
dimicaturos, si hostis fines intrasset. Consul ubi, fratelli tutta la nazione a ribellarsi, si accampò
quanta e copiae, quanta fiducia esset hosti, sensit, in luogo aperto; sì che pareva che sarebbono
nuncium ad colloquium mittit, « ut si videretur venuti a battaglia, se il nemico entrasse ne'lor
ei, maturaret venire: se tergiversando in adven confini. Il console, com'ebbe conosciuto quante
tum ejus rem extracturum. ” Quae causa consuli erano le forze de'nemici, quanta la lor fiducia,
cunctandi, eadem Gallis (praeterquam quod manda un messo al collega, « acciocchè, se gli
cunctatio hostium animos faciebat ) rei maturan paresse, si affrettasse di venire; ch'egli tergiver
dae erat, ut, priusquam conjungerentur consu sando trarrebbe in lungo la cosa sino alla sua
lum copiae, rem transigerent. Per biduum ta venuta. - La cagione, che aveva il console d'in
men nihil aliud, quam steterunt parati ad pu dugiare, quella stessa avevano i Galli di affrettarsi
gnandum, si quis contra egrederetur: tertio su (oltre che l'indugio de'nemici dava loro maggior
biere ad vallum, castraque ab omni simul parte animo), onde far la giornata innanzi, che si unis
aggressi sunt. Consul extemplo arma capere mi sero le forze de'consoli. Nondimeno per due
lites jussit; armatos indepaullisper continuit, ut giorni non altro fecero, che starsi preparati a
et stolidam fiduciam hosti augeret, et disponeret combattere, se alcuno uscisse a rincontro. Il terzo
copias, quibus quaeque portis erum perent. Duae di si accostarono allo steccato, e ad un tempo
legiones duabus principalibus portis signa efferre stesso da ogni parte assaltarono il campo. Il con
jussae: sed in ipso exitu ita conferti obstitere sole fe' subito pigliare l'armi a soldati; indi li
Galli, ut clauderent viam. Diu in angustiis pu ritenne alcun poco, onde accrescere la stolida
gnatum est : nec dextris magis gladiisque gere fiducia del nemico, e disporre le schiere da qual
batur res quam scutis corporibusque ipsis obnisi porta ciascuna avesse a sortire. Due legioni ebber
-

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815 TI I l Ll VII LIBER XXXIV. 846
urgebant; Romani, ut signa foras efferrent; Gal ordine di sortire dalle due porte principali; ma
li, ut aut ipsi in castra penetrarent, aut exire in sull' uscita medesima i Galli sì fattamente
Romanos prohiberent. Nec ante in hanc aut il addensati si opposero, che serravano la via. Si
lam partem moveri acies potuerunt, quam Q. combattè lungamente in quella strettezza; nè
Victorius primi pili centurio, et C.Atinius tribu tanto si combatteva con le destre e con l'armi,
nus militum, quartae hic, illesecundae legionis, quanto facendo forza cogli scudi e coi corpi;
( rem in asperis proeliis saepe tentatam) signa i Romani, onde portar fuori le insegne, i Galli
adempta signisferis in hostes injecerunt. Dum onde o penetrar essi nel campo, o impedire ai
repetunt enise signum, priores secundani se porta Romani che ne uscissero. Nè si poteron muovere
ejecere. le schiere a questa, o quella parte, prima che
Quinto Vittorio, centurione del primo pilo, e
Caio Atinio, tribuno de'soldati, questi della quar
ta, quegli della seconda legione, non gettarono
(cosa spesso provata negli ardui cimenti) nel
mezzo de'nemici le insegne tolte di mano a ban
derai. I secondani, mentre fanno ogni sforzo per
riavere la loro insegna, primi si lanciaron fuori
- della porta.
XLVII. Jam hi extra vallum pugnabant, quar XLVII. E già questi combattevano fuori dello
ta legione in porta haerente, quum alius tumul steccato, mentre la quarta legione era ancor ri
tus ex aversa parte castrorum est exortus. In tenuta dentro la porta, quando all'opposta parte
portam quaestoriam irruperant Galli, resisten del campo insorse altro trambusto. Aveano i Galli
tesque pertinacius occiderant L. Postumium quae sforzata la porta questoria, ed ucciso, mentre
storem, cui Tympano fuit cognomen, et M. Ati ostinatamente resistevano, il questore Lucio Po
nium, et P. Sempronium, praefectos sociùm, et stumio, soprannominato Timpano, e Marco Atinio,
ducentos ferme milites. Capta ab ea parte castra e Publio Sempronio, prefetti degli alleati, e da
erant, donec cohors extraordinaria, missa a con dugento uomini. Gli alloggiamenti da quella parte
sule ad tuendam quaestoriam portam, eteos, qui eran presi, insino a tanto che una coorte staor
intra vallum erant, partim occidit, partim expu dinaria, mandata dal console a difendere la porta
lit castris, et irrumpentibus obstitit. Eodem ſere questoria, di quelli ch'eran già nello steccato,
tempore et quarta legio cum duabus extraordi parte ne uccise, parte ne cacciò fuori, e resistette
mariis cohortibus porta erupit. Ita simul tria agli altri, che facean forza d'entrare. Quasi nel
proelia circa castra locis distantibus erant; cla tempo medesimo anche la quarta legione con
moresque dissoni ad incertos suorum eventus a due coorti straordinarie si lanciò fuori della por
praesenti certamine animos pugnantium averte ta. Così c'erano ad un tempo stesso tre combat
bant. Usque ad meridiem aequis viribus, ac prope timenti d'intorno al campo in luoghi distanti
pari spe, pugnatum est: labor et aestus mollia l'uno dall'altro; e le grida discordanti divertiva
et fluida corpora Gallorum, et minime patientia no gli animi de'combattenti dalla zuffa, che soste
sitis, quum decedere pugna coegisset, in paucos nevano, traendoli a pensare all'incerta sorte dei
restantes impetum Romani fecerunt, fusosque suoi. Si combattè sino a mezzo giorno con forze
compulerunt in castra. Signum inde receptui a eguali, e con pari speranza. La fatica ed il caldo
consule datum est, ad quod pars major receperunt avendo costretto i Galli, i cui corpi son molli e
sese; pars, certaminis studio et spe potiundi ca floscii, e intolleranti della sete, a ritirarsi dalla
stris hostium, perstitit ad vallum. Eorum pauci pugna, i Romani diedero addosso a pochi, che
citate contempta, Galli universi ex castris erupe restavano, e sbaragliati li respinsero nel loro al
runt. Fusi inde Romani, quae imperio consulis loggiamenti. Indi il console fe sonare a raccolta;
moluerant, suo pavore ac terrore castra repetunt. al che la maggior parte si ritrasse: un'altra parte
Ita varia hinc atque illimc nunc fuga, nunc victo e per ardore di combattere, e per la speranza di
ria fuit. Gallorum tamen ad undecim millia, Ro pigliare gli allogiamenti de'nemici, si stette salda
manorum quinque millia, sunt occisa. Galli re allo steccato. I Galli, sprezzata la lor pochezza,
cePere in intima finium sese. balzaron tutti fuori dello steccato; quindi i Ro
mani sbaragliati, che non avean voluto tornare
al campo per comando del console, vi tornarono
cacciati dalla paura e dal loro proprio terrore.
Così fu varia d'ambe le parti ora la fuga ed ora
la vittoria. Son però morti de'Galli undici mila,
847 T'ITI LIVII LIBER XXXlV. 848

e de'Romani cinque mila. I Galli si ritrassero ben


addentro ne'lor confini.
XLVIII. Consul Placentiam legiones duxit. XLVIII. Il console condusse le legioni a Pia
Scipionem alii, conjuncto exercitu cum collega, cenza. Altri scrivono che Scipione unitosi con
per Bojorum Ligurumque agros populantem isse, l'esercito al collega, andasse per le terre de Boi
quoad progredi silvae paludesque passae sint, e de'Liguri saccheggiando per quanto tratto i
scribunt: alii, nulla memorabili re gesta, comi boschi e le paludi gli permisero d'inoltrarsi: altri,
tiorum causa rediisse Romam. Eodem hoc anno T. che senza fatto aver cosa d'importanza, tornasse
Quintius Elatiae, quo in hiberna reduxerat co a Roma per cagione de'comizii. In quell'anno
pias, totum hiemis tempus jure dicundo consum stesso Tito Quinzio consumò in Elazia, dove s'era
psit, mutandisque iis, quae aut ipsius Philippi, messo a quartieri con l'esercito, tutta la vernata
aut praefectorum eius licentia in civitatibus facta a render ragione, e a mutar quello che Filippo
erant, quum, suae factionis hominum vires au e i suoi prefetti avean fatto di arbitrio nelle città,
gendo, jus ac libertatem aliorum deprimeret. Ve onde accrescendo le forze della lor fazione de
ris initio Corinthum, conventu edicto, venit. Ibi primere i dritti altrui e la libertà. Sul principio
omnium civitatium legationes in concionismo della primavera, intimata un'assemblea, venne a
dum circumfusas est allocutus; orsus ab inita Corinto. Quivi arringò, standogli intorno le am
primum Romanis amicitia cum Graecorum gente, bascerie di tutte le città quasi a parlamento, fatto
et imperatorum, qui ante se in Macedonia fuis principio da quando i Romani strinsero prima
sent, suisque rebus gestis. Omnia cum approba mente amicizia con la nazione Greca, sceso indi
tione ingenti sunt audita, praeterquam quum ad a comandanti, che innanzi lui furono in Macedo
mentionem Nabidis ventum esset. Id minime con nia, non che alle imprese sue proprie. Tutto,
veniens liberanti Graeciam videbatur, tyrannum quant'ei disse, fu ascoltato con grande approva
reliquisse, non suae solum patria e gravem, sed zione, fuorchè, essendo venuto a far menzione di
omnibus circa civitatibus metuendum, haerentem Nabide, non pareva punto convenire al liberatore
visceribus nobilissimae civitatis. della Grecia, che lasciato avesse un tiranno, grave
non solo alla sua patria, ma spaventevole alle città
tutte d'intorno, fitto nelle viscere di una nobilis
sima città.
XLIX. Nec ignarus ejus habitus animorum XLIX. Non ignaro Quinzio di codesti loro
Quintins, « Sisine excidio Lacedaemonis fieri po sentimenti, confessava, a che se si avesse potuto
tuisset, fatebatur, pacis cum tyranno mentionem fare senza la distruzione di Lacedemone, non si
admittendam auribus non fuisse. Nunc, quum avrebbe dovuto dar orecchio a menzione alcuna
aliter, quam ruina gravissima civitatis, opprimi di pace col tiranno. Ora non potendosi oppri
non posset, satius visum esse, tyrannum debilita merlo altrimenti, che con ruina gravissima della
tum, actotis prope viribus ad nocendum cuiquam città, era sembrato meglio lasciare in piedi il ti
ademptis, relinqui, quan intermori vehementio ranno indebolito e privo di ogni forza a poter
ribus, quam quae pati posset, remediis civitatem nuocere, che lasciar morire quella città, usando
sinere, in ipsa vindicta libertatis perituram. » rimedii gagliardi più di quel ch'ella potesse tol
Praeteritorum commemorationi subjecit, « Pro lerare, certa di perire nello stesso rimettersi in
ſicisci sibi in Italiam, atque omnem exercitum libertà. - Dopo la commemorazione delle cose
deportare, in animo esse. Demetriadis Chalcidis passate, soggiunse, « ch'egli era determinato di
que praesidia intra decimum diem audituros de tornare in Italia, e ricondurvi tutto l'esercito.
ducta; Acrocorinthum ipsis extemplo videntibus Tra dieci giorni udirebbono essersi i presidii
vacuam Achaeis traditurum, ut omnes scirent, tratti fuori da Demetriade e da Calcide; conse
utrum Romanis, an Aetolis, mentiri mos esset; gnerebbe subito, sotto gli stessi lor occhi, la rocca
qui male commissam libertatem populo Romano di Corinto vota agli Achei, acciocchè tutti sapes
sermonibus'distulerint, et mutatos pro Macedo sero se il mentire fosse proprio de'Romani,
nibus Romanos dominos. Sed illis, nec quid di ovvero degli Etoli; i quali spacciavano ne' lor
cerent, nec quid facerent, quidquam umquam discorsi malessersi commessa al popolo Romano
pensi fuisse. Reliquas civitates monere, ut ex fa la libertà, e che s'era cangiata la signoria de'Ma
ctis, non ex dictis, amicos pensent; intelligantgue cedoni in quella de' Romani. Ma coloro non si
quibus credendum, et a quibus cavendum sit. avean mai presa cura alcuna di ciò che dicesse
Libertate modice utantur: temperatam eam, sa ro o facessero. Ammoniva le altre città a valutare
lubrem et singulis, et civitatibus esse; mimiam gli amici dai fatti, e non dalle parole; e badin
et aliis gravem, et ipsis, qui habeant, effrenatam bene a chi si dee credere, da chi guardarsi. Usino
84) TITI LIVII LIBElt XXXIV. 85 o

ct praecipiten esse. Concordiae in civitatibus, della libertà con moderazione; quando sia tem
principes et ordines inter se, et in commune perata è salutare a singoli ad un tempo ed alle
omnes civitates consulerent: adversus consen città, eccessiva è grave agli altri, e a quegli stessi,
tientes nec regem quem quam satis validum, nec che l'hanno, indomabile e ruinosa. I principali
tyrannum fore. Discordiam et seditionem omnia cittadini, e gli ordini tra loro, e tutte in comune
opportuna insidiantibus facere, quum pars, quae le città attendano alla concordia; uniti, non vi
domestico certamine inferior sit, externo potius sarà nè re, nè tiranno forte abbastanza per nuo
se applicet, quam civi cedat. Alienis armis par cer loro. La discordia e la sedizione danno tutte
tam, externa fideredditam libertatem sua cura cu le opportunità a chi tesse insidie, perchè la parte,
stodirent servarentque ; ut populus Romanus che nel domestico conflitto si scorge inferiore,
dignis datam libertatem, ac munus suum bene più tosto che cedere al cittadino, si dedica al
positum sciret. » forestiere. Mettano ogni cura nel custodire e
conservare la libertà conquistata con l'armi
altrui, e restituita loro dalla lealtà di una na
zione straniera; sì che il popolo Romano sappia
di averla data a gente meritevole, e di aver ben
collocato il dono suo. »
L. Has velut parentis voces quum audirent, L. Udendo queste quasi parole di un padre,
manare omnibus gaudio lacrymae, adeo ut ipsum pioveano a tutti le lagrime dagli occhi per alle
quoque confunderent dicentem. Paullisper fre grezza, in modo che scompigliarono quello stesso,
mitus approbantium dicta fuit, monentiumque che parlava. S'udì un breve mormorio di coloro,
aliorum alios, ut eas voces, velut oraculo missas, che approvavano le cose dette, e ricordavano gli
in pectora animosque dimitterent. Silentio deinde uni agli altri, che quelle parole, quasi da oracolo
facto, petiit ab iis, ut cives Romanos, si qui apud proferite, se le scolpissero in petto profonda -
eos in servitute essent, conquisitos intra duos mente. Indi fatto silenzio, chiese loro, che cer
menses mitterent ad se in Thessaliam. « Ne ipsis cando de'cittadini Romani, se ne fossero alcuni
quidem honestum esse, in liberata terra libera presso di essi tuttora in servitù, glieli mandassero
tores ejus servire. » Omnes acclamarunt, a gra tra due mesi in Tessaglia; « che non era nè anche
tias se intercetera etiam ob hoc agere, quod ad del loro onore, che nella terra i liberatori di
moniti esseni, ut tam pio, tam necessario officio quella servissero. - Tutti gridarono ad una voce.
fungerentur. » lngens numerus erat bello Punico « che tra l'altre cose anche di questo lo ringra
captorum, quos Hannibal, quum a suis non re ziavano, che gli avesse ammoniti di compiere si
dimerentur, venundederat. Multitudinis eorum pio e doveroso uffizio. » V'era gran numero di
argumentum sit, quod Polybius scribit, centum prigioni fatti nella guerra Punica, che non essen
talentis eam rem Achaeis stetisse ; quum quinge do riscattati dai loro, Annibale avea venduti.
nos denarios pretium in capita, quod redderetur Prova della moltitudine di essi è quello che
dominis, statuissent. Mille enim ducentos ea ra scrive Polibio, esser costato quell'affare cento
tione Achaja habuit. Adjice nunc pro portione, talenti agli Achei, avendo statuito il prezzo da
quot verisimile sit totam Graeciam habuisse. darsi a padroni, di cinquecento danari per testa;
Nondum conventus dimissus erat, quum respi perciocchè l'Acaia con quel conto n'ebbe mille e
ciunt praesidium, ab Acrocorintho descendens, dugento. Aggiungi ora in proporzione quanti è
protinus ad portam duci atque abire. Quorum verisimile che n'abbia avuti la Grecia tutta. Non
agmen imperator secutus, prosequentibus cunctis, era ancora stata licenziata l'assemblea, quando
servatorem liberatoremque acclamantibus, salu vedono i soldati del presidio discendere dalla
tatis dimissisque eis, eadem, qua venerat, via Ela rocca di Corinto, ed avviarsi subito alla porta,
tiam rediit: indecum omnibus copiis Ap. Clau e partire. Quinzio seguitandoli, accompagnato da
dium legatum dimittit. Per Thessaliam atque E tutti, che il gridavano conservatore e liberatore,
pirum ducere Oricum jubet, atque ibi se opperi salutati che gli ebbe e licenziati, per la stessa via,
ri: indenamoue in animo esse exercitum in Ita dond'era venuto, tornossi in Elazia. Di là fe'
liam trajicere; et L. Quintio fratri, legato et partire il legato Appio Claudio con tutte le genti,
praefecto classis, scribit, ut onerarias ex omni e gli ordina di condurle per la Tessaglia e l'Epi
Graeciae ora eodem contraheret. ro ad Orico, e quivi aspettarlo: chè aveva in
animo di quinci tradurre l'esercito in Italia; e
scrive al fratello Lucio Quinzio, legato e prefetto
della flotta, che colà pure aduni da tutte le coste
della Grecia i legni da trasporto,
Livio 2 5(
8, i TITI LIVII LIBER XXXIV. 852

LI. Ipse, Chalciden protectus, deductis non a LI. Egli andato a Calcide, avendo levati i
Chalcide solum, sed etiam ab Oreo atque Eretria, presidii non solamente da Calcide, ma eziandio
praesidiis, conventum ibi Euboicarum civitatium da Oreo e da Eretria, tenne quivi la dieta del
habuit; commonitosque, in quo statu rerum ac l'Eubea, e ricordato loro in quale stato di cose
cepisset eos, et in quo relinqueret, dimisit. De gli avea ricevuti, in quale li lasciava, li licenziò.
metriadem inde proficiscitur; deductoque prae Di là passa a Demetriade; e levatone similmente
sidio prosequentibus cunctis, sicut Corinthi et il presidio, accompagnato da tutti, come a Co
Chalcide, pergitire in Thessaliam: ubi non libe rinto ed a Calcide, si avvia verso la Tessaglia,
randae modo civitates erant, sed ex omni collu dove bisognava non solamente liberare le città,
vione et confusione in aliquam tolerabilem for ma da ogni sorte di rimescolanza e confusione
mam redigendae, Nec enim temporum modo vi ridurle a qualche forma tollerabile. Perciocchè
tiis, ac violentia et licentia regia turbati erant, scompigliati erano non solamente dalla malvagità
sed inquieto etiam ingenio gentis, nec comitia, de tempi, e dai violenti e licenziosi modi del re,
nec conventum, nec concilium ullum, non per se ma eziandio dall'inquieta indole della nazione,
ditionem ac tumultum, jam inde a principio ad la quale da principio e sino a'dì nostri nè tenne
mostram usque aetatem, traducentes. A censu ma comizii, nè adunanze, nè diete, che non fosse
xime et senatum et judices legit, potentioremdue con sedizione e tumulto. Elesse specialmente i
eam partem civitatium fecit, cui salva tranquilla senatori ed i giudici secondo il censo; e fe più
que omnia magis esse expediebat. potente quella parte delle città, cui più impor
tava che tutto fosse salvo e tranquillo.
LII. Ita quum percensuisset Thessaliam, per LII. Avendo così regolata la Tessaglia, venne
Epirum in Oricum, unde erat traiecturus, venit. per l'Epiro ad Orico, donde dovea traghettare
Ab Orico copiae omnes Brundisium transporta in Italia. Da Orico tutte le genti trasportate furo
tae. Inde per totam Italiam ad urbem prope no a Brindisi; di là, traversando tutta l'Italia,
triumphantes, non minore agmine rerum capta vennero a Roma quasi in aria di trionfanti, me
rum, quam suo, prae se acto, venerunt. Postduam nando dinanzi a sè quantità non minore di robe
Ronam ventum est, senatus extra urbem Quin prese, che di robe loro. Come furono a Roma, il
tio ad res gestas edisserendas datus est, trium senato diede udienza a Quinzio fuori di città,
phusque meritus ab lubentibus decretus. Triduum perchè narrasse le sue geste, e gli fu decretato di
triumphavit. Die primo arma, tela, signaque aerea buon grado il meritato trionfo. Trionfò per tre
et marmorea transtulit, plura Philippo adempta, giorni. Portò nel primo l'armi, i giavellotti, le
quam quae ex civitatibus ceperat: secundo die statue di bronzo e di marmo, le più tolte a
aurum argentumque, factum infectumque et si Filippo, che avute dalle città; nel secondo l'oro
gnatum. Infecti argenti fuit decem et octo millia e l'argento lavorato, non lavorato e coniato.
pondo. et ducenta septuaginta facti: vasa multa L'argento non lavorato fu diciotto mila lib
omnis generis, caelata pleraque, quaedam eximiae bre; il lavorato dugento settanta mila: molti
artis; et ex aere multa fabrefacta: ad hoc clypea vasi di ogni sorte, la maggior parte cesellati, al
argentea decem. Signati argenti octoginta qua cuni di egregio artifizio, e molti di bronzo otti
tuor millia fuere Atticorum ; tetradrachma vo mamente travagliati: inoltre dieci scudi d'argento.
cant: trium fere denariorum in singulis argenti L'argento coniato fu ottantaquattro mila pezzi
est pondus Auri pondo fuit tria millia septingen Attici, che chiamano tetradracmi; hanno ciascuno
ta quatuordecim. et clypeum unum ex auro to a un dipresso il peso di tre danari d'argento. Il
tum : et Philippei nummi aurei quatuordecim peso dell'oro fu di tre mila settecento quattordici
millia, quingenti quatuordecim. Tertio die co libbre, e uno scudo tutto d'oro, e quattordici
romae aureae, dona civitatium, translatae centum mila cinquecento quattordici Filippi d'oro. Nel
quatuordecim; et hostiae ductae, etante currum terzo giorno vennero le corone d'oro, donativi
multi nobiles captivi obsidesque, inter quos De delle città, in numero di cento quattordici; indi
metrius regis Philippi filius fuit, et Armenes, Na le vittime, e dinanzi al carro molti nobili prigio
bidis tyranni filius, Lacedaemonius. Ipse deinde ni ed ostaggi, tra quali Demetrio, figlio del re s
Quintius in urbem est invectus. Milites secuti Filippo, e Armene, figlio del tiranno Nabide,
currun frequentes, ut omni ex provincia exer Lacedemone. Poscia entrò Quinzio in città. Se
citu deportato. His duceni quinquageni aeris in guitarono il carro i soldati in gran numero; per
pedites divisi; duplex centurioni, triplex equiti. ciocchè avea ricondotto l'esercito da ogni pro
Praebuerunt speciem triumpho capitibus rasis se vincia. Si divisero a ciascun de' fanti dugento
cuti, qui servitute exempti fuerant. cinquanta assi; il doppio al centurione, il triplo
al cavaliere. Abbellirono il trionfo, seguendo
TITI LIVII LIBER XXXIV. 854

col capo raso, quelli ch'erano stati tratti di


schiavitù.
LIII. Exitu hujus anni Q. Aelius Tubero tri LIII. Sul finire di quest'anno Quinto Elio
bunus plebis ex senatusconsulto tulit ad plebem, Tuberone, tribuno della plebe, per decreto del
plebesque scivit, «Ut Latina e duae coloniae, una senato propose alla plebe, e la plebe approvò,
in Bruttios, altera in Thurinum agrum deduce e che si mandassero due colonie Latine, una nei
rentur. » His deducendis triumviri creati, quibus Bruzii, l'altra nel contado Turino. A condurle
in triennium imperium esset, in Bruttios Q. Nae creati furono triumviri, che durassero in carica
vius, M. Minucius Rufus, M. Furius Crassipes, tre anni, quanto a Bruzii Quinto Nevio, Marco
in Thurinum agrum Cm. Manlius, Q. Aelius, L. Minucio Rufo e Marco Furio Crassipede; quanto
A pustius. Ea bina comitia Cn. Domitius praetor al contado Turino Gneo Manlio, Quinto Elio,
urbanus in Capitolio habuit. Aedes eo anno ali Lucio Apustio: tenne su di ciò due comizii nel
quot dedicatae sunt: una Junonis Sospitae in fo Campidoglio il pretore urbano Gneo Domizio.
ro olitorio, vota locataque quadriennio ante a C. Furono dedicati in quell'anno alcuni templi :
Cornelio consule Gallico bello (censor idem de uno a Giunone Sospita nel foro degli erbaggi,
dicavit); altera Fauni: aediles eam biennio ante già promesso in voto, e dato a farsi quattrº anni
ex mulctaticio argento faciendam locarant,C. Scri innanzi dal console Caio Cornelio nella guerra
bonius et Cn. Domitius, qui praetor urbanus Gallica; ed egli stesso, fatto censore, il dedicò;
eam dedicavit. Et aedem Fortunae Primigeniae l'altro a Fauno. Questo lo aveano dato a fare
in colle Quirinali dedicavit Q. Marcius Ralla, del denaro delle multe due anni innanzi gli edili
duumvir ad id ipsum creatus. Vovera team decem Caio Scribonio e Gneo Domizio; Domizio, fatto
annis ante Punico bello P. Sempronius Sophus; pretore urbano, il dedicò. Anche il tempio della
locaverat idem censor. Et in insula Jovis aedem Fortuna Primigenia sul colle Quirinale fu dedi
C. Servilius duumvir dedicavit. Vota erat sex an cato da Quinto Marcio Ralla, creato duumviro
nis ante Gallico bello ab L. Furio Purpureone per questo; ne avea fatto voto dieci anni innanzi
praetore; ab eodem postea consule locata. Haec nella guerra Punica Publio Sempronio Sofo, e
eo anno acta. lo avea dato a fare essendo censore. Parimenti
il duumviro Caio Servilio dedicò nell' isola il
tempio di Giove ; ne avea fatto voto sei anni
innanzi nella guerra Gallica il pretore Lucio Fu
rio Purpureone; ed egli stesso, essendo console,
lo avea dato a fare. Son queste le cose accadute
- in quell'anno. -

LIV. P. Scipio ex provincia Gallia ad consu LIV. Publio Scipione dalla provincia della
les subrogandos venit. Comitia consulum fuere, Gallia recossi a Roma per creare i nuovi consoli.
quibus creati sunt L. Cornelius Merula et Q. Mi Si tennero pertanto i comizii, ne' quali creati
nucius Thermus. Postero die creati sunt praeto furono Lucio Cornelio Merula e Quinto Minucio
res L. Cornelius Scipio, M. Fulvius Nobilior, C. Termo. Il dì seguente si son creati pretori Lucio
Scribonius, M. Valerius Messalla, L. Porcius Li Cornelio Scipione, Marco Fulvio Nobiliore, Caio
cinius, et C. Flaminius. Megalesia, ludos scenicos, Scribonio, Marco Valerio Messala, Lucio Porcio
C. Atilius Serranus, L. Scribonius Libo aediles Licino, e Caio Flaminio. Caio Atilio Serrano, e
curules primi fecerunt. Horum aedilium ludos Lucio Scribonio Libone, edili curuli, furono i
Romanos primum senatus a populo secretus spe primi a celebrare le feste Megalesie unitamente
ctavit, praebuito ue sermones, sicut omnis novi a giuochi scenici. A giuochi Romani dati da
tas solet, aliis, « tandem, quod multo ante de codesti edili assistette per la prima volta il senato
buerit, tributum, censentibus, amplissimo ordi in luogo separato dal popolo; il che diede occa
ni; º aliis, « demptum ex dignitate populi, quid sione a discorsi, come far suole ogni novità ;
quid majestati Patrum adjectum esset, interpre altri dicendo a essersi finalmente attribuito a
tantibus; et omnia discrimina talia, quibus or quell'ordine amplissimo ciò che gli si dovea
dines discernerentur, et concordiae et libertatis molto innanzi, altri pensando, che quanto s'era
aeque minuendae esse. Ad quingentesimum quin aggiunto alla maestà del senato, tanto s'era tolto
quagesimum octavum annum in promiscuo spe alla dignità del popolo; e che tutte codeste
ctatum esse. Quid repente factum, cur immisceri differenze, con cui si distinguono gli ordini,
sibi in cavea Patres plebem nollent? cur dives scemano la concordia non meno che la libertà.
pauperem consessorem fastidiret? novam et su Sino all'anno cinquecento e cinquantotto era
perbam libidinem, ab nullius ante gentis senatu stato promiscuo il sedere agli spettacoli. Che
855 TITI LIVII LIBER XXXIV. 85G

neque desideratam, neque institutam. » Postre avvenne sì subitamente, onde i Padri non voles
mo ipsum quoque Africanum, quod consulauctor sero che la plebe si mescolasse tra loro nell'anfi
ejus rei fuisset, poenituisse ferunt. Adeo nihil mo teatro? Perchè il ricco dovea sdegnare che un
tum ex antiquo, probabile est: veteribus, misi quae povero gli sedesse a lato ? Nuova e superba sorte
usus evidenter arguit, stari malunt. di distinzione, non ambita mai, nè istituita sino
a quel dì dal senato di alcun'altra nazione. »
Dicesi che infine l'Africano stesso, che avea
console proposta quella cosa, se ne pentisse;
tanto riesce poco gradito il cangiare gli usi anti
chi: amano meglio starsi alle cose vecchie, tran
ne quelle, cui l'uso evidentemente condanna.
LV. ( Anno U. C. 559. – A. C. 193.) Prin LV. (Anni D. R. 559. – A. C. 193.) Sul prin
cipio anni, quo L. Cornelius, Q. Minucius consu cipio dell'anno, in cui furono consoli Lucio
les fuerunt, terrae motus ita crebrinunciabantur, Cornelio e Quinto Minucio, si annunziavano
ut non rei tantum ipsius, sed feriarum quoque terremoti così frequenti, ch'erano gli uomini
ob id indictarum, homines taederet. Nam neque attediati non tanto della cosa, quanto delle ferie
senatus haheri, neque respublica administrari comandate per questo. Perciocchè nè si poteva
poterat, sacrificando expiandoque occupatis con convocare il senato, nè badare alla pubblica
sulibus. Postremo, decemviris adire libros jussis, amministrazione, essendo i consoli occupati nei
ex responso eorum supplicatio per triduum fuit. sagrifi zii e nelle espiazioni. In fine commesso
Coronati ad omnia pulvinaria supplicaverunt; a decemviri che consultassero i libri, secondo
edictumque est, ut omnes, qui ex una familia es la loro risposta si fecero pubbliche preci per tre
sent, pariter supplicarent. Item ex auctoritate giorni. Pregarono, coronati il capo, a tutti gli
senatus consules edixerunt, ne quis, quo die, ter altari, e si ordinò che tutti quelli, i quali fossero
rae motu nunciato, feriae indictae essent, eo die d'una stessa famiglia, similmente pregassero.
alium terrae motum nunciaret. Provincias deinde Così per comando del senato i consoli ordinaro
consules prius, tum praetores sortiti. Cornelius no che quel giorno, in cui, all'annunzio di un
Galliam, Minucius Ligures sortiti sunt. C. Scri terremoto si fossero intimate le ferie, nessuno
bonius urbanam, M. Valerius peregrinam, L. Cor ne annunziasse un altro. Indi prima i consoli,
nelius Siciliam, L. Porcius Sardiniam, C. Flami poscia i pretori trassero a sorte le province.
mius Hispaniam citeriorem, M. Fulvius Hispaniam Cornelio ebbe la Gallia, Minucio i Liguri; Caio
ulteriorem. Scribonio la giurisdizione urbana, Marco Valerio
la forestiera, Lucio Cornelio la Sicilia, Lucio
Porcio la Sardegna, Caio Flaminio la Spagna
citeriore, Marco Fulvio l'ulteriore.
LVI. Nihil belli eo anno exspectantibus con LVI. Mentre i consoli non si aspettano nessu
sulibus, literae M. Cincii (praefectus is Pisis erat) ma guerra in quell'anno, son portate lettere di
allatae : « Ligurum viginti millia armatorum, Marco Cincio (era egli prefetto in Pisa) che re
conjuratione per omnia conciliabula universae cano, i venti mila Liguri armati, ordita una
gentis facta, Lunensem primum agrum depopu cospirazione in tutte generalmente le adunanze
latos, Pisanum deinde finem transgressos, omnem della nazione, aver dapprima saccheggiato il
oram maris peragrasse. » Itaque Minucius consul, contado di Luna; indi, passati i confini del Pisa
cui Ligures provincia evenerat, ex auctoritate mo, aver corsa tutta la maremma. » Quindi il
Patrum in Rostra ascendit, et edixit, « Ut legio console Minucio, cui toccata era la Liguria, per
nes duae urbanae, quae superiore anno conscriptae decreto de'Padri ascese i rostri, ed ordinò , che
essent, post diem decimum Arretii adessent: in le due legioni urbane, state arruolate l'anno
earum locus se duas legiones urbanas scriptu innanzi, entro dieci giorni fossero in Arezzo :
rum. Item sociis et Latino nomini, magistratibus che levato avrebbe altre due legioni urbane in
legatisque eorum, qui milites dare debebant, luogo di quelle. " Così intimò agli alleati del
edixit, ut in Capitolio se adirent. Iis quindecim nome Latino, ed ai magistrati e legati de popoli,
millia peditum et quingentos equites, pro numero che dovean fornire soldati, che si presentassero a
cujusque juniorum, descripsit, et inde e Capito lui nel Campidoglio; e impose loro la leva di
lio protinus ire ad portam, et, ut maturaretur quindici mila fanti e cinquecento cavalli, in
res, proficisci ad delectum jussit. Fulvio Flami proporzione del numero de giovani di ogni città;
mioque terna millia Romanorum peditum et cen e comandò che subito dal Campidoglio si recas
teni equites in supplementum, et quina millia sero alla porta, e per dar fretta alla cosa andas
857 TITI LIVII LIBER XXXIV. 858

sociùm Latini nominis et duceni equites decreti; sero essi stessi a far la leva. A Fulvio ed a
mandatumque praetoribus, ut veteres dimitterent Flaminio decretarono tre mila fanti Romani, e
milites, quum in provinciam venissent. Quum mi cento cavalli a supplemento, non che cinque mila
lites, qui in legionibus urbanis erant, frequentes fanti e dugento cavalli degli alleati del nome
tribunos plebis adissent, uti causas cognoscerent Latino; e fu commesso a pretori, che arrivati
eorum, quibus aut emerita stipendia, aut morbus alle lor province, licenziassero i vecchi soldati.
causae essent, quo minus militarent; eam rem li Essendo andato buon numero di soldati, ch'era
terae Ti. Sempronii discusserunt, in quibus scri no nelle legioni urbane, a tribuni della plebe,
ptum erat, « Ligurum decem millia in agrum Pla acciocchè riconoscessero le ragioni di quelli che
centinum venisse, et eum usque ad ipsa coloniae spacciavan titoli di esenzione, o per aver compiuti
moenia et Padi ripas cum caedibus et incendiis gli anni della milizia, o per cagione di malattia;
perpopulatos esse: Bojorum quoque gentem ad le lettere di Tito Sempronio tolsero via ogni
rebellionem spectare. » Ob eas res a tumultum indugio. Recavano a che dieci mila Liguri eran
esse º decrevit senatus; a tribunos plebei non venuti nel contado di Piacenza, ed eran corsi
placere causas militares cognoscere, quo minus ad saccheggiando con incendii e stragi sino alle
edictum convenirent. » Adjecerunt etiam, ut so mura stesse della colonia ed alle rive del Po;
cii nominis Latini, qui in exercitu P. Cornelii, che anche la nazione de Boi parea nodrir pen
Ti. Sempronii fuissent, et dimissi ab iis consuli siero di ribellarsi. - Per queste notizie il senato
bus essent, ut, ad quam diem L. Cornelius con decretò, a esservi guerra; non piacergli, che i
sul edixisset, etin quem locum edixisset Etruriae, tribuni della plebe dessero orecchio alle istanze
convenirent; et uti L. Cornelius consul, in pro de' soldati, sì che non si raccogliessero, com'era
vinciam proficiscens, in oppidis agrisque, qua itu prescritto. » Aggiunsero eziandio, che gli alleati
rus esset, si quos ei videretur, milites scriberet, del nome Latino, che fossero stati nell'esercito
armaretque, et duceret secum, dimettendique ei, di Publio Cornelio e di Tito Sempronio, e poscia
quos eorum, quando que vellet, jus esset. licenziati dagli stessi consoli, dovessero racco
gliersi in quel giorno e luogo dell'Etruria, che
il console Lucio Cornelio avesse indicato ; e che
lo stesso console Lucio Cornelio, andando alla
provincia, levasse que soldati, che gli paresse
ne castelli e terre, dove passasse, e gli armasse e
menasse seco; e gli fosse libero di licenziare chi
e quando volesse.
LVII. Posto uam consules, delectu habito, pro LVII. Andati i consoli, compiuta la leva, alle
fecti sunt in provincias, tum T. Quintius postu loro province, allora Tito Quinzio domandò,
lavit, « ut de his, quae cum decem legatis ipse « che il senato lo volesse udire di quelle cose,
statuisset, senatus audiret; eaque, si videretur, ch'egli col consiglio de'dieci legati avea stabilite;
auctoritate sua confirmaret. Id eos facilius factu e se così gli paresse, con l'autorità sua le confer
ros, si legatorum verba, qui ex universa Graecia masse. E il farebbero più facilmente, se innanzi
et magna parte Asiae, quique ab regibus venis udito avessero i legati, ch'eran venuti a Roma da
sent, audissent. » Hae legationes a C. Scribonio tutta la Grecia, da gran parte dell'Asia e dai re. »
praetore urbano in senatum introductae sunt; Queste ambascerie introdotte furono in senato
benigneque omnibus responsum. Cum Antiocho dal pretore urbano Caio Scribonio; e fu data
quia longior disceptatio erat, decem legatis, quo a tutti benigna risposta. Perchè la discussione
rum pars in Asia, aut Lysimachiae apud regem con Antioco richiedeva più tempo, fu rimessa
fuerant, delegata est. T. Quintio mandatum, ut, a dieci legati, una parte de' quali era stata in
adhibitis iis, legatorum regis verba audiret, re Asia, o a Lisimachia presso il re. Fu commesso a
sponderetTue iis, quae ex dignitate atque utilita Tito Quinzio, che alla presenza di essi legati desse
te populi Romani responderi possent. Menippus ascolto agli ambasciatori del re, e rispondesse
et Hegesianax principes regia e legationis erant. loro quello, che risponder si poteva secondo la
Ex iis Menippus, « Ignorare se, dixit, quidnam dignità e l'utilità del popolo Romano. Capi della
perplexi sua legatio haberet, quum simpliciter ad regia ambasceria erano Menippo ed Egesianace;
amicitiam petendam jungendamdue societatem de'quali Menippo così disse: « non intender
venissent. Esse autem tria genera foederum, qui egli, che dubbietà rechi in sè la loro ambasceria,
bus inter se paciscerentur amicitias civitates re essendo semplicemente venuti a chiedere amici
gesque. Unum, quum bello victis dicerentur le-. zia, e stringere alleanza. Esserci tre sorta di con
ges; ubi enim omnia ei, qui armis plus posset, venzioni, con le quali le città ed i re si legano
859 TITI LIVII LIBER XXXIV. 86o

dedita essent, quae ex iis habere victos, quibus insieme. Una, quando si dettano le gia' popoli
mulctari eos velit, ipsius jus atque arbitrium esse. vinti in guerra; chè allora, caduta e sendo ogni
Alterum, quum pares bello aequo foedere in pa cosa in mano di quello, che più otette con
cem atque amicitiam venirent; tunc enim repeti l'armi, sta in arbitrio e facoltà di lui letermina
reddique per conventionem res, et, si quarum re che lasciar voglia a' vinti, e che to r loro. La
turbata bello possessio sit, eas aut ex formula seconda, quando pari in guerra ver ſono a far
juris antiqui, aut ex partis utriusque commodo pace ed amicizia a patti eguali, e allo per via di
componi. Tertium esse genus, quum, qui hostes convenzione si ripetono e restituiscono gli acqui
numquam fuerint, ad amicitiam sociali foedere sti fatti, e se alcuna delle parti fosse tata per la
inter se jungendam coeant: eos neque dicere, ne guerra turbata nel suo possesso, si compongono
que accipere leges; id enim victoris et victi esse. o secondo le forme del dritto antico o secondo
Ex eo genere quum Antiochus esset, mirari se, il comodo rispettivo. La terza sort è quando
quod Romani aequum censeant, ei leges dicere, quelli, che non furono mai nemici, si accordano
quas Asiae urbium liberas et immunes, quas sti a strignere insieme amica colleganza, nè danno,
pendiarias esse velint; quas intrare praesidiare nè ricevon leggi; chè questa è cosa ti a vincitore
giaregemoue vetent. Cum Philippo enim hoste e vinto. Essendo Antioco di quest'ultima sorte,
pacem, non cum Antiocho amico societatis foe si maravigliava egli che i Romani stimassero
dus ita sanciendum esse. » cosa giusta imporgli la legge, quali città dell'Asia
volessero che si restino libere ed immuni, quali
tributarie, e in quali vietassero ai pr sidii regii
ed al re stesso d'entrare. Perciocchè ben era
questa la pace da farsi con Filippo nemico, non
l'alleanza da strignersi con Antioco amico. »
LVIII. Ad ea Quintius: « Quoniam vobis di LVIII. Al che Quinzio: « Poi che, disse, vi
stincte agere libet, et genera jungendarum amici piace far uso di distinzioni, e annoverare le ma
tiarum enumerare, ego quoque duas conditiones niere di far lega, porrò anch'io due condizioni,
ponam, extra quas mullam esse reginuncietis ami fuor delle quali annunzierete al re non altra es
citiae cum populo Romano jungendae. Unam, si serne, onde collegarsi col popolo Romano. Una,
nos mihil, quod ad urbes Asia e attinet, curare se non vuole che ci prendiamo alcun pensiero
velit, ut et ipse omni Europa abstineat. Alteram, delle città dell'Asia, che anch'egli si astenga da
si se illeAsiae finibus non contineat, et in Euro tutta l'Europa. L'altra, che s'egli non si ristà den
pam transcendat, ut et Romanis jus sit, Asiae ci tro i confini dell'Asia, e passa in Europa, sieno in
vitatium amicitias et tueri, quas habeant, et no dritto anche i Romani di conservarsi le amicizie
vas complecti. » Enimvero id audito etiam,dicere, contratte colle città dell'Asia, o di contrarne di
« indignum esse, Hegesianax,Thraciae et Cherso nuove. Al che disse Egesianace: « esser cosa fin
nesi urbibus arceri Antiochum ; quae Seleucus anche indegna ad udirsi, che si ritolgano ad An
proavus ejus, Lysimacho rege bello victo et in tioco le città della Tracia e del Chersoneso, che
acie caeso, per summum decus parta reliquerit; gli avea lasciate Seleuco suo bisavolo, con tanta
pari cum laude partim ab Thracibus possessa ar gloria conquistate, vinto avendo ed ucciso il re
mis receperit Antiochus, partim deserta, sicut Lisimaco in battaglia; e parte delle quali, già oc
ipsam Lysimachiam, et revocatis cultoribus fre cupate dai Traci, Antioco le avea con pari lode
quentaverit, et, quaestrata ruinis atque incendiis ricuperate, parte deserte, come la stessa Lisima
erant, ingentibus impensis aedificaverit. Quid igi chia, le avea, richiamati gli abitanti, rendute po
tur simile esse ex ea possessione, ita parta, ita re polose, e quelle ch'erano state smantellate ed
cuperata, deduci Antiochum, et Romanos abstine arse, con grandi spese rifabbricate. Come regge
re Asia, quae numquam eorum fuerit? Amicitiam va adunque il paragone, che sia tolto ad Antioco
Romanorum expetere Antiochum; sed quae im un possedimento acquistato e ricuperato in quel
petrata gloriae sibi, non pudori sit. » Ad haec modo, e che i Romani si astengano dall'Asia, che
Quintius, « Quandoquidem, inquit, honesta pen non fu a loro giammai ? Bramava Antioco l'ami
samus, sic ut aut sola, aut prima certe, pensari cizia de'Romani, ma tale, che gli facesse onore,
decet principi orbis terrarum populo et tanto re non vergogna. " Al che Quinzio rispose: « Poi
gi; utrum tandem videtur honestius, liberas velle che cerchiamo l'onesto, la sola, o almeno la pri
omnes, quae ubique sunt, Graeciae urbes, an ser ma cosa, che si conviene cercare al maggior po
vas et vectigales facere? Si sibi Antiochus pul polo dell'universo e a re sì grande, qual ti sem
crum esse censet, quas urbes proavus belli jure bra più onesta cosa, o volere libere quante sono
habuerit, avus paterque numquam usurpaverint le città della Grecia, o farle schiave e tributarie?
-
86 i Tl.TI LIVII LIBER XXXIV. 802

pro suis, eas repetere in servitutem; et populus Se Antioco stima esser bello, quelle città, che il
Romanus, susceptum patrocinium libertatis Grae suo bisavolo ebbe per dritto di guerra, e che nè
corum non deserere, fidei constantiaeque suae du l'avolo, nè il padre suo non mai ritennero per
cit esse. Sicut a Philippo Graeciam liberavit, ita sue, ritrarle a servitù, anche il popolo Romano
et ab Antiocho Asiae urbes, quae Graji nominis giudica convenirsi alla lealtà e costanza sua non
sint, liberare in animo habet. Neque enim in abbandonare l'assunto patrocinio della libertà
Aeolidem Ioniamoue coloniae in servitutem re de'Greci. Siccome ha liberata la Grecia da Filip
giam missae sunt; sed stirpis augendae causa, po, così ha in animo di liberare da Antioco le
gentisque vetustissimae per orbem terrarum pro città dell'Asia, che son di origine greca; chè cer
pagandae. » to non si son mandate colonie nell'Eolide e nella
lonia, perchè servissero a re, ma sì per moltipli
care la schiatta, e propagare per tutto il mondo
una delle più antiche nazioni. »
LIX. Quum haesitaret Hegesianax, nec infi LIX. Standosi Egesianace esitante, nè poten
ciari posset, honestiorem causam libertatis, quan do negare trarsi titolo più onesto dalla causa del
servitutis, praetexi titulo; « Quin mittimus am la libertà, che da quella della servitù, « Eh lascia
bages, º inquit P. Sulpicius, qui maximus natu mo le aggirandole, disse Sulpicio, ch'era de'dieci
ex decem legatis erat. « Alteram ex duabus con legati il maggiore di età, scegliete o l'una o l'al
ditionibus, quae modo diserte a Quintio datae tra delle due condizioni, che vi sono state or
sunt, legite; aut supersedete de amicitia agere. » ora proposte chiaramente da Quinzio, o cessate
« Nos vero, inquit Menippus, nec volumus, nec di parlare di amicizia. » « Ma noi, disse Menip
possumus pacisci quidquam, quo regnum Antio po, non vogliamo, e non possiamo pattuir chec
chi minuatur. » Postero die Quintius legationes chessia, per cui si scemi il regno di Antioco.
universas Graeciae Asiaeque quum in senatum Quin-io il dì seguente, introdotte avendo in se
introduxisset, ut scirent quali animo populus nato le ambasce ie della Grecia e dell'Asia, ac
Romanus, quali Antiochus erga civitates Graeciae ciocchè sapessero di qual animo fosse il popolo
essent; postulata et sua, et regis exposuit. « Re Romano, di quale Antioco verso le città della
nunciarent civitatibus suis, populum Romanum, Grecia, espose le sue domande e quelle del re;
qua virtute quaque fide libertatem corum a Phi indi i Padri risposero: « che rapportassero alle
lippo vindicaverit, eadem ab Antiocho, nisi de loro città, che il popolo Romano con quella vir
cedat Europa, vindicaturum. » Tum Menippus tù e fede, con cui gli avea sottratti dal giogo di
deprecari et Quintium et Patres institit, « Ne fe Filippo, con quella stessa gli sottrarrebbe da
stinarent decernere, quo decreto turbaturi orbem quello di Antioco, se non uscisse di Europa.
terrarum essent. Tempus et sibi sumerent, et regi Allora Menippo si fe' a scongiurare Quinzio ed i
ad cogitandum darent: cogitaturum, quum re Padri, « perchè non si affrettassero a pigliar de
nunciatae conditiones essent; et impetraturum creto, con cui metterebbono sossopra il mondo
aliquid, aut pacis causa consensurum. » Ita inte tutto. Prendessero tempo a pensare, e ne dessero
gra dilatares est. Legatos mitti ad regem eosdem, al re: quando riferite gli fossero le condizioni,
qui Lysimachiae apud eum fuerant, placuit, P. si consiglierebbe, e allora o alcuna cosa otter
Sulpicium, P. Villium, P. Aelium. rebbe, o per aver pace consentirebbe. m Così fu
differita la cosa per intero, e piacque a Padri
che andassero ambasciatori al re quegli stessi,
ch'erano stati in Lisimachia presso di lui, Publio
Sulpicio, Publio Villio e Publio Elio.
LX. Vixdum ii profecti erant, quum a Car LX. Erano appena partiti, quando ambascia
thagine legati, bellum haud dubie parare Antio tori venuti da Cartagine recarono che Antioco,
chum, Hannibale ministro, attulerunt, injece valendosi di Annibale, si apparecchiava chiara
runtdue curam, ne simul et Punicum bellum ex mente a guerreggiare, e fecero temere che non si
citaretur. Hannibal, patria profugus, pervenerat ridestasse ad un tempo stesso la guerra Punica.
ad Antiochum, sicutante dictum est; et erat apud Annibale, fuggito dalla patria, era venuto, come
regem in magno honore, nulla alia arte, nisi quod s'è detto, ad Antioco, ed era in grande onore
volutanti diu consilia de Romano bello nemo presso il re, non per altra arte sua, che perchè
aptior super tali re particeps sermonis esse pote Antioco ravvolgendo in mente da gran tempo il
rat. Sententia eius una atque eadem semper erat, pensiero di mover guerra a Romani, non ci po
º ut in Italia bellum gereretur. Italiam et com teva essere persona più atta, con cui ragionare
meatus et militem praebituram externo hosti. di questo. Uno era e sempre lo stesso il parere
863 TITI LIVII LIBER XXXIV. 864
º
Si nihil ibi moveatur, liceatgue populo Romano di Annibale, e che si facesse la guerra in Italia:
viribus et copiis Italiae extra Italiam bellum ge l'Italia avrebbe dato e vettovaglie e soldati al ne.
rere; neque regem, neque gentem ullam parem mico straniero. Non destando colà nessuna mos
Romanis esse. » Sibi centum tectas naves, et de sa, ed essendo libero al popolo Romano il guer
cem millia peditum, mille equites deposcebat. reggiare fuori d'Italia con le forze e genti d'Ita
« Ea se classe primum Africam petiturum : ma lia, nessun re, nessuna nazione poteva stare a
gnopere confidere, et Carthaginienses ad rebel petto de Romani. » Domandava che se gli desse
landum ab se compelti posse. Si illi cunctentur, rocento navi coperte, dieci mila fanti e mille ca
se aliqua parte Italiae bellum excitaturum Ro valli. «Con questa flotta egli sarebbe dapprima
manis. Regem cum ceteris omnibus transire in andato in Africa: confidava grandemente di po
Europam debere, et in aliqua parte Graeciae co ter sospingere anche i Cartaginesi a ribellarsi. Se
pias continere, neque trajicientem, et (quod in questi tardassero, egli sveglierebbe guerra a Ro
- speciem famamque belli satis sit) paratum tra mani in qualche parte d'Italia. Il re dovea con
jicere. » tutte l'altre sue forze passare in Europa, e rite
nerle in qualche parte della Grecia, senza passar
oltre, però sempre apparecchiato (il che bastava
per dar rilievo e credito alla guerra) a passare. »
LXI. ln hanc sententiam quum adduxisset LXI. Annibale, avendo tratto il re nel parer
regem, praeparandos sibi ad id popularium ani suo, stimando che occorresse disporre a ciò gli
mos ratus, literas, ne quo casu interceptae palam animi de'suoi popolani, non osò scriver lettere,
facerent conata, scribere non est ausus. Aristo acciocchè per avventura intercettate non mani
nem quemdam Tyrium nactus Ephesi, expertus festassero i suoi disegni. Avendo trovato in Efeso
que solertiam levioribus ministeriis, partim do un certo Aristone di Tiro, e fatta prova della di
nis, partim spe praemiorum oneratum, quibus lui destrezza in affari di minor conto, lusingato
etiam ipse rex annuerat, Carthaginem cum man lo parte con donativi, parte con la speranza di
datis mittit; edit nomina eorum, quibus conventis gran premi, al che il re stesso avea consentito,
opus esset; instruit etiam secretis notis, per quas lo manda a Cartagine con sue commissioni; gli
haud dubie agnoscerent sua mandata esse. Hunc rivela i nomi di coloro, co quali doveva abboc
AristonemCarthagine obversantem non prius ami carsi; lo fornisce anche di segreti contrassegni,
ci, quam inimici Hannibalis, qua de causa venisset, mediante i quali conoscessero fuor d'ogni dubbio
cognoverunt. Et primo in circulis conviviisque ch'era mandato da lui. Aggirandosi questo Ari
celebrata sermonibus res est: deinde in senatu stone per Cartagine, non prima gli amici che i
quidam, a Nihil actum esse, dicere, exilio Han nemici di Annibale scoprirono perch'era venuto.
nibalis, si absens quoque novas moliri res, solli E dapprima se ne parlò molto ne'circoli e nei
citandoque animos hominum turbare statum ci banchetti; indi alcuni in senato, «Non s'era, dis
vitatis posset. Aristonem quemdam, Tyrium ad sero, fatto nulla esigliando Annibale, s'egli anche
venam, instructum mandatis ab Hannibale et ab assente poteva tentar cose nuove, e sollecitando
Antiocho rege, venisse: certos homines quotidie gli animi degli uomini perturbare lo stato della
cum eo secreta colloquia serere, et in occulto col città. Era venuto certo Aristone, straniero di Ti
loqui, quod mox in omnium perniciem eruptu ro, con commissioni di Annibale e del re Antio
rum esset. Conclamare omnes, Vocari Aristonem co. Alcuni tali ogni giorno aver con lui segreti
debere, et quaeri, quid venisset, et, nisi exprome colloquii, e intrattenersi occultamente di cose,
ret, cum legatis Romam mitti. Satis pro temerita che scoppierebbono tra poco alla ruina di tutti. »
te unius hominis suppliciorum pensum esse. Pri Levossi un grido generale; « che si dovesse chia
vatos suo periculo peccaturos: rempublicam non mar codesto Aristone, e ricercarlo che fosse ve
extra noxam modo, sed etiam extra famam noxae nuto a fare; se non palesasse, s'inviasse a Roma
conservandam esse. Vocatus Aristo purgare sese, con ambasciatori. S'ebbero assai pene per la te
et firmissimo propugnaculo uti, quod literarum merità di un uomo solo; i privati peccherebbono
nihil ad quem quam attulisset. Ceterum nec cau a lor danno: la repubblica doversi conservare
sam adventus satis expediebat, et in eo maxime non solamente libera da colpa, ma eziandio da
haesitabat, quod cum Barcinae solum factionis sospetto di colpa.» Aristone chiamato si scusava,
hominibus collocutum eum arguebant. Orta e usava una fortissima difesa, che non avea recato
deinde altercatio est, aliis pro speculatore com lettere a chicchessia. Del resto, nè giustificava
prehendi jam et custodirijubentibus, aliis negan abbastanza la cagione di sua venuta, e in questo
tibus, tumultuandi causam esse. « Mali rem exem specialmente s'imbrogliava, che lo convincevano
pli esse, de nihilo hospites corripi. Idem Cartha di aver parlato solamente con persone della fa
l
865 TITI LIVII LIBER XXXIV. 866

giniensibus, et Tyri, et in aliis emporiis, in quae zione Barcina. Indi sorse un'altercazione, altri
frequenter commeent, eventurum. » Dilata eo volendo che si pigliasse colui, e si custodisse, co
die res est. Aristo, Punico ingenio inter Poenos me spia; altri negando che ci fosse ragione di
usus, tabellas conscriptas celeberrimo loco supra così scompigliarsi: « esser cosa di mal esempio,
sedem quotidianam magistratuum prima vespera che si arrestino i forestieri per niente; lo stesso
suspendit: ipse de tertia vigilia navem conscendit avverrebbe a Cartaginesi e in Tiro, e sugli altri
et profugit. Postero die, quum Suffetes ad ius di mercati, che frequentano. º Quel dì non si fece
cendum consedissent, conspectae tabellae, dem altro. Aristone, usando tra Cartaginesi un'astu
ptaeque et lectae. Scriptum erat, ARIsToNEM PRI zia Cartaginese, sul far della notte appiccò in
vATIM AD NEMINEM, PUBLICE AD seNIoRes (ita sena luogo frequentatissimo sopra il seggio ordinario
tum vocabant) MANDATA HABUisse. Publicato cri de'magistrati una tabella scritta, ed egli sulla ter
mine, minus intenta depaucis quaestio erat. Mitti za veglia montò in nave e fuggì. Il dì seguente,
tamen legatos Romam, qui rem ad consules et ad essendo andati i Suffeti a sedere per render ra
senatum deferrent, placuit, simul qui de injuriis gione, fu veduta la tabella, e di là levata e letta:
Masinissae quererentur. ARIsToNE NoN AvevA Avuto con Missioni PER NEs
su No PRIvATAMENTE, MA sì PUBBLICAMENTE PE'se
Nioni (così chiamano il senato). Riversata l'accusa
su tutti, si rallentò l'inquisizione contro i pochi.
Piacque nondimeno che si mandassero ambascia
tori a Roma, i quali riferissero la cosa a consoli
ed al senato, e insieme si querelassero delle so
perchierie di Massinissa.
LXII. Masinissa, postguam et infames Cartha LXII. Masinissa, poi che sentì correre in
ginienses, et interse ipsos discordes sensit, prin Roma mala voce dei Cartaginesi, e ch'erano
cipes propter colloquia Aristonis senatui, senatum discordi tra loro, venuti essendo in sospetto al
propter indicium eiusdem Aristonis populo su senato i principali cittadini pe'colloqui avuti con
spectum ; locum injuriae esse ratus, agrum mari Aristone, al popolo il senato per quell'indizio
timum eorum et depopulatus est, et quasdam ur dato da Aristone, stimando esser questo il tempo
bes vectigales Carthaginiensium sibi coegit sti di poterli offendere, e saccheggiò la loro costa
pendium pendere. Emporia vocant eam regio marittima, e costrinse le città a pagare a lui quel
nem. Ora est minoris Syrtis, et agri uberis; una tributo, che pagavano ai Cartaginesi. Chiamano
civitas ejus Leptis : ea singula in dies talenta ve Emporia quel tratto di paese. E sul lembo della
ctigal Carthaginiensibus dedit. Hanctum regio Sirte minore, e di terreno grasso, non v'è altra
nem et totam infestam Masinissa, et ex quadam città, che Lepti, e questa sola fruttava ai Cartagi
parte dubiae possessionis, sui regni, an Cartha mesi un talento al giorno. Aveva allora Masinissa
giniensium esset, effecerat: et quia simul ad invaso tutto quel paese, e di alcuna parte mosso
purganda crimina, et questum de se Romam questione, se appartenesse al suo regno, ovvero
eos ituros comperit; qui et illa onerarent su ai Cartaginesi; e come seppe che andar dovevano
spicionibus, et de jure vectigalium disceptarent, a Roma a purgarsi dell'apposta colpa, e a quere
legatos et ipse Romam mittit. Auditi de Tyrio larsi di lui, mandò egli pure ambasciatori colà,
advena primum Carthaginienses curam injecere che aggravassero que sospetti, e difendessero le
Patribus, ne cum Antiocho simul et Poenis sue ragioni su quelle rendite. I Cartaginesi, che
bellandum esset. Maxime ea suspicio crimen primi uditi furono sul proposito di quel forestie
urgebat, quod, quem comprehensum Romam re di Tiro, posero i Padri in pensiero, che non
mitti placuisset, nec ipsum, nec navem ejus cu si avesse a far guerra ad un tempo e con Carta
stodissent. De agro deinde cum regis legatis di gine e con Antioco. Rinforzava massimamente il
sceptari coeptum. Carthaginienses jure finium sospetto, che colui, che pur voleano mandare a
causam tutabantur, « quod intra eos terminos Roma in catene, non lo aveano poi custodito, nè
esset, quibus P. Scipio victor agrum, qui iuris lui, nè la nave sua. Indi si cominciò a disputare
esset Carthaginiensium, finisset ; et confessione coi legati del re sul conto del territorio. I Carta
regis, « qui, qun Aphirem profugum ex regno ginesi difendevano la lor causa, prima colla ra
suo, cum parte Numidarum vagantem circa Cy gion de'confini, dicendo « che quel territorio
renas, persequeretur, precario ab se iter per eun stava ne' termini, dentro i quali Publio Scipione
ipsum agrum, tamquam haud dubie Carthagi vincitore avea circoscritto il possesso dei Carta
niensium juris, petisset. Numidae et de termina ginesi; poi colla stessa confessione del re, il quale
tione Scipionis mentiri eos arguebant; et, si quis inseguendo A fire, fuggito dal suo regno, ed er
Livio a 55
867 TITI LIVII LIBER XXXIV. 868

veram originem juris exigere vellet, quem pro rante con parte de Numidi ne' contorni di Cire
prium agrum Carthaginiensium in Africa esse? ne, avea chiesto loro il passo per quello stesso
Advenis, quantum secto bovis tergo amplecti territorio, come chiaramente appartenente ai
loci potuerint, tantum ad urbem communiendam Cartaginesi. » I Numidi gli accusavano - di men
precario datum. Quidquid Byrsam sedem suam tire, quanto ai confini segnati da Scipione; e se
excesserint, vi atque injuria partum habere. Neque si avesse a rintracciare l'origin vera del diritto,
eum, de quo agatur, probare eos posse, non modo qual avrebbero i Cartaginesi paese proprio nel
semper, ex quo coeperint, sed me diu quidem l'Africa ? Stranieri ottennero per grazia, onde
eos possedisse. Per opportunitates, nunc illos, fabbricarsi una città, tanto terreno solamente,
munc reges Numidarum, usurpasse jus ; semper quanto ne potessero abbracciare con un coio di
que penes eum possessionem fuisse, qui plus ar bue tagliato in fettucce; tutto il più, ch'era fuori
mis potuisset. Cujus conditionis res fuerit, prius di Birsa, loro stanza, averlo usurpato colla forza,
quam hostes Romanis Carthaginienses, socius at e ingiustamente. E il paese stesso, di cui si tratta,
que amicus rex Numidarum esset, eius sinerent non solamente non potevano provare di averlo
esse; nec se interponerent, quo minus qui possent, sempre sin da principio, ma nè anche di poi lun
tenerent. » Responderi legatis utriusque partis gamente posseduto. Secondo le opportunità, ora
placuit, missurosse in Africam, qui interpopulum lo avean tenuto i Cartaginesi, ora i re de'Numidi;
Carthaginiensem et regem in re praesenti disce e lo avea sempre posseduto chi più poteva nel
ptarent. Missi P. Scipio Africanus et C. Cornelius l'armi. Lasciassero dunque stare il possesso qual
Cethegus et M. Minucius Rufus ; audita inspe era innanzi che i Cartaginesi fossero nemici dei
ctaque re, suspensa omnia, neutro inclinatis sen Romani, e il re de' Numidi loro amico ed alleato;
tentiis, reliquere. Id utrum sua sponte fecerint, nè vietassero che chi poteva sel ritenesse. ”
an quia mandatum ita fuerit, non tam certum est, Piacque al senato che risposto fosse agli amba
quam videtur tempori aptum fuisse, integro cer sciatori dell'una parte e dell'altra, che si sareb
tamine eos relinqui. Nam, ni ita esset, unus Sci bono mandati in Africa del commissarii, i quali
pio, vel notitia rei, vel auctoritate, ita de utris sul luogo esaminassero le ragioni del popolo
que meritus, finire nutu disceptationem potuis Cartaginese, e quelle del re. Furono mandati
set.
Publio Scipione Africano, Caio Cornelio Cetego,
e Marco Minucio Rufo. Udita e veduta la cosa,
non inclinando più a questa parte, che a quella,
lasciaron tutto in sospeso. Se abbiano ciò fatto da
sè, o perchè tali fossero le loro commissioni, non
è tanto certo, quanto pare bensì che fosse op
portuno alla circostanza del tempo, lasciarli così
a questione indecisa. Che se fosse stato diversa
mente, il solo Scipione, o per la cognizion della
cosa, o per l'autorità che gli davano i suoi meriti
verso ambedue, potuto avrebbe d'un cenno
terminare la differenza.
TITI LIVII PATAVINI

HI I S T O R I A R U MI
AB URBE CONDITA LIBRI

48 º 33

EPITOMIE

LIBRI TRIGESIMI QUINTI

P. scipio Africanus legatus ad Antiochum Ephesi Publio Scipione Africano, andato ambasciatore ad
cum Hannibale, qui se Antiocho junarerat, collocutus Antioco, abboccossi in Efeso con Annibale, che s'era
est; ut, si fieri posset, metum ei, quem ex populo unito a quel re, onde, se gli riuscisse, torgli il timo
Romano conceperat, ex imeret. Inter alia quum quae re che avea concepito del popolo Romano. Chiestolo
re ret, quem fuisse maximum imperatorem Hannibal tra l' altre cose, qual giudicasse che fosse stato il
crederet, respondit: «Alexandrum Macedonum regem, capitano più grande, rispose, « Alessandro, re dei
quod parva manu inumerabiles exercitus fudisset, Macedoni, perchè con poca gente avea sconfitti in nu
guodque ultimas oras, quas visere supra spem huma merevoli eserciti e corse le più remote contrade, dove
nam esset, peragrasset. » Quaerenti deinde, quem se uomo appena potuto avrebbe sperare di porre il
cundum poneret, « Pyrrum. inquit, castra metari piede. - Chiestolo di poi, chi stimasse secondo, « Pirro,
primum docuisse: ad hoc neminem elegantius loca disse, che primo insegnata avea l'arte di accam
cepisse, praesidia disposuisse. » Ea seguenti, quem parsi; inoltre nessuno meglio di lui seppe pigliare i
tertium diceret, semetipsum dixit. Ridens Scipio, luoghi e disporre le sue forze. » E continuando a
« Quidnam tu diceres, si me, inguit, vicisses º Tunc chiederlo, chi fosse il terzo, nominò sè stesso. Scipione
vero, inguit, me etante Alexandrum, et ante Pyrrhum ridendo, « E che diresti, se mi avesti vinto ? Allora,
et ante alios posuissem.» Inter cetera prodigia, quae disse, mi avrei posto avanti Alessandro, avanti Pirro,
plurima fuisse traduntur, bovem Cn. Domitii consulis avanti ogni altro. » Tra gli altri prodigii, che si
locutum, a Roma cave tibi, » refertur. Apparant in dicono essere stati moltissimi, narrasi che un bue
Antiochum bellum Romani. Nabis Lacedaemoniorum di Gneo Domizio console pronunziò, a Roma, ti
tyrannus, incitatus ab Aetolis, qui et Philippum et guarda. » I Romani preparano la guerra contro An
Antiochum ad inferendum bellum populo Romano tioco. Nabide, tiranno dei Lacedemoni, suscitato
sollicitabant, a populo Romano descivit: et, bello ad dagli Etoli, che sollecitavano Filippo ed Antioco a
versus Philopoemenem Achaeorum praetorem gesto, mover guerra a Romani, si ribellò dal popolo Romano,
ab Aetolis et ab Alexaneno duce eorum interfectus e guerreggiando contro Filopomene, pretore degli
871 TITI LIVII EPITOME LIBRI TRIGESIMI QUINTI 872
est. Aetoli quoque ab amicitia populi Romani deſe Achei, è ucciso dagli Etoli e da Alexameno lor ea
cerunt: cum guibus societate juncta, Antiochus Syriae pitano. Anche gli Etoli si distaccarono dall'amicizia
rex, guum bellum Graeciae intulisset, complures urbes del popolo Romano. Collegatosi con essi Antioco, re
occupa it, inter quas Chalcidem, et totam Euboeam. della Siria, mossa guerra alla Grecia, occupò pa
Res praeterea in Liguribus gestas et apparatum belli recchie città, tra le quali Calcide e tutta l'Eubea.
ab Antiocho continet. Il libro inoltre contiene le cose fate nella Liguria,
ed i guerreschi apparati di Antioco
TITI LIVI I
L I B E R TR I G E SI M US Q U IN TU S

I. (Anno U. C. 559. – A. C. 193.) Principio I. (Anni D. R. 559. – A. C. 193.) Sul princi


anni, quo haec gesta sunt, Sex. Digitius praetor | pio dell'anno, in cui si son fatte codeste cose, Se
in Hispania citeriore cum civitatibus iis, quae | sto Digizio, pretore nella Spagna citeriore, essen
post profectionem M. Catonis permultae rebella- dosi ribellate dopo la partenza di Marco Catone
verant, crebra magis, quam digma dictu, proelia | parecchie città, fece con esse piuttosto numerose,
fecit, et adeo pleraque adversa, ut vix dimidium | che memorabili battaglie, e la maggior parte con
militum, quam quod acceperat, successori tradi- esito sì infelice, che appena consegnò al successo
derit. Nec dubium est, quin omnis Hispania sub- re la metà del soldati, che avea ricevuti. E non
latura animos fuerit, ni alter praetor P. Corne- v'ha dubbio, che tutta la Spagna si sarebbe levata
lius Cn. F. Scipio trans Iberum multa secunda in ardimento, se l'altro pretore Publio Cornelio
proelia fecisset: quo terrore non minus quinqua- Scipione, figlio di Gneo, non avesse date di là
ginta oppida ad cum defecerunt. Praetor haec dall'Ibero molte prospere battaglie; di che spa
gesserat Scipio. Idem pro praetore, Lusitanos, ventati si diedero a lui non meno di cinquanta
pervastata ulteriori provincia, cum ingenti prae- castelli. Avea Scipione fatte queste imprese, essen
da domum redeuntes, in ipso itinere agressus, ab | do pretore; il medesimo essendo propretore,
hora tertia diei ad octavam incerto eventu pu- avendo assaltati per via i Lusitani, che messa a
gnavit, numero militum impar, superior aliis: guasto la provincia di là dal fiume, si tornavano
nam et acie frequenti armatis adversus longum a casa con gran bottino, combattè all'ora terza
et impeditum turba pecorum agmen, et recenti del giorno sino all'ottava con esito incerto, infe
milite adversus fessos longo itinere concurrerat. | riore in numero di soldati, superiore nel resto,
Tertia namque vigilia exierant hostes. Huic no- | Perciocchè con un esercito ben agguerrito e ser
cturno itineri tres diurnae horae accesserant; mec | rato, ne aveva assaltato uno disteso in lunga fila
ulla quiete data, laborem viae proelium excepe- ed impacciato dalla quantità del bestiame, e con
rat. Itaque principio pugnae vigoris aliquid in un soldato fresco soldati stanchi dal lungo cam
corporibus animisque fuit, et turbaverant primo | mino. Di fatto i nemici s'erano messi in via sulla
Romanos; deinde aequata paullisper pugna est. terza veglia; ed al viaggio di notte s'erano ag
In hoc discrimine ludos Jovi, si vi fudisset ceci- | giunte tre ore di giorno; e senza aver preso ripo
dissetgue hostes, propraetor vovit. Tandem gra- so, alla fatica del camminare succeduta era subito
dum acrius intulere Romani, cessitgue Lusitanus; | quella del combattere. Quindi sul principio della
deinde prorsus terga dedit: et, quum institissent pugna spiegarono alquanta vigoria d'animo e di
fugientibus victores ad duodecim millia hostium | corpo, ed avean dapprima scompigliati i Romani;
sunt caesa; capti quingenti quadraginta, omnes | indi pareggiossi alcun poco la battaglia. In questo
fere equites; et signa militaria capta centum tri- frangente il propretore fe' voto di celebrare i
ginta quatuor De exercitu Romano septuaginta giuochi in onore di Giove. se sconfiggesse e ta
et tres amissi, Pugnatum haud procul llipa urbe | gliasse a pezzi il nemico. Finalmente i Romani
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est. Fo victorem opulentum praedae exercitum diedero dentro più risoluti, e il Lusitano cedette;
P. Cornelius reduxit. Ea omnis ante urbem ex indi voltò le spalle del tutto: e avendo i vincitori
posita est; potestasque dominis suas res cogno inseguito il nemico, ne restaron morti da dodici
scendi facta. Cetera vendenda quaestori data: mila, prigioni cinquecento quaranta, quasi tutti
quod inde refectum est militi divisum. cavalieri, e prese cento trentaquattro bandiere ;
non si perdette dell'esercito Romano, che settan
la tre uomini. Si combattè non lontano dalla città
d'Ilipa. Colà Publio Cornelio condusse l'esercito
vittorioso, ricco di gran preda: questa tutta fu
esposta davanti alla città, e si lasciò libero a pa
droni di riconoscere le robe loro. Il rimanente
fu consegnato al questore per essere venduto ;
quanto se ne ritrasse, fu diviso a soldati.
ll. Nondum ab Roma profectus erat C. Fla II. Quando si facevano in Ispagna codeste co
minius praetor, quum haec in Hispania gereban se, non era partito ancora di Roma il pretore
tur. Itaque tam adversae, quam secundae res per Caio Flaminio. Quindi così gli avversi, come i
ipsum amicosque eius magnis sermonibus cele prosperi successi eran disseminati a talento da lui
brabantur; et tentaverat, quoniam bellum ingens e dagli amici suoi. E poichè s'era accesa sì gran
in provincia exarsisset, et exiguas reliquias exer guerra nella provincia, e non dovea ricevere che
citus ab Sex. Digitio, atque eas ipsas plenas pa pochi avanzi dell'esercito di Sesto Digizio, e
voris ac fugae accepturus esset, ut unam sibi ex questi stessi pieni di terrore e già datisi alla fuga,
urbanis legionibus decernerent: ad quan quum avea tentato che gli si decretasse una delle ur
militem ab se ipso scriptum ex senatusconsulto bane legioni; a cui aggiungendo egli i soldati da
adjecisset, eligeretex omni numero sex millia et lui stesso levati per ordine del senato, avrebbe
quingentos pedites, et equites trecentos. « Ea scelto da tutto questo numero sei mila cinque
se legione (mam in Sex. Digitii exercitu haud mul cento fanti e trecento cavalli. «Con questa legio
tum spei esse) rem gesturum. “ Seniores negare, ne (che non c'era molto da sperare nell'esercito
« ad rumores, a privatis temere in gratiam magi di Sesto Digizio) avrebbe fatta la guerra. » « Non
stratuum confictos, senatusconsulta facienda esse; si doveano, dissero i Padri, fare i decreti secondo
nisi quod aut praetores ex provinciis scribereni, le ciarle inventate a capriccio dai privati per
aut legati renunciarent, nihil ratum haberi debe corteggiare i magistrati; nè si dovea tenere per
re. Si tumulus in Hispania esset, placere tumul certo, che quanto scrivevano i pretori dalle pro
tuarios milites extra Italiam scribi a praetore. - vince, o riferivano i lor legati. Se nella Spagna ci
Mens ea senatus fuit, ut in Hispania tumultuarii fosse vera sommossa, il pretore facesse in fretta
milites legerentur. Valerius Antias et in Siciliam una leva fuori d'Italia. » Ed era mente del senato,
navigasse delectus causa C. Flaminium scribit, et che questa leva si facesse in Ispagna. Valerio An
ex Sicilia Hispaniam petentem, tempestate in ziate scrive che Caio Flaminio navigò in Sicilia
Africam delatum, vagos milites exercitu P. Afri ad arrolare soldati, e che andando dalla Sicilia in
cani sacramento rogasse: his duarum provincia Ispagna, balzato dalla burrasca in Africa, quivi ne
rum delectibus tertium in Hispania adjecisse. arrolò di quelli dispersi dall'esercito di Publio
Africano, e che a queste due leve fatte nelle pro
vince una terza ne aggiunse in Ispagna.
IlI. Nec in Italia segnius Ligurum bellum Ill. Nè in ltalia cresceva meno lentamente la
crescebat. Pisas jam quadraginta millia homi guerra de' Liguri. Già quaranta mila uomini,
num, affluente quotidie multitudine ad famam ogni dì accorrendo quantità grande di gente alla
belli spemdue praedae, circumsedebant. Minu fama di quella guerra, e per la speranza della
cius consul Arretium die, quem dixerat ad con preda, assediavano Pisa. Il console Minucio ven
veniendum militibus, venit. Inde quadrato agmi ne ad Arezzo il dì, che intimato aveva a soldati
ne ad Pisas duxit; et, quum hostes mille passuum di quivi raccogliersi. Di là in ordinanza quadrata
ab oppido trans fluvium movissent castra, consul li condusse a Pisa; ed avendo i nemici trasporta
urbem, haud dubie servatam adventu suo est in to il campo oltre il fiume a mille passi dalla città,
gressus. Postero die et ipse trans fluvium fere il console vi entrò dentro, salvatala senza dubbio
quingentos passus ab hoste posuit castra. Inde con la sua venuta. Il dì seguente si accampò egli
levibus proeliis a populationibus agrum socio pure di là dal fiume, distante all'incirca cinque
rum tutabatur. In aciem exire non audebat, cento passi dal nemico. Quindi con leggere sca
novo milite, et ex multis generibus hominum ramucce difendeva il paese degli alleati dai sac
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collecto, necdum noto satis inter se, ut fidere cheggiamenti. Non osava uscire a giornata, aven
alii aliis possent. Ligures multitudine freti et in do soldati nuovi, raccolti da molta sorte di gente,
aciem exibant, parati de summa rerum decerne nè bastantemente noti tra loro, sì che l'uno po
re; et abundantes militum numero passim multas tesse aver fede nell'altro. I Liguri confidando
manus per extrema finium ad praedandum emit del numero, ed uscivano in campo pronti a ci
tebant: et, quum coacta vis magna pecorum mentarsi, e abbondando di soldati, mandavano
praedaeque esset, paratum erat praesidium, per qua e là molte bande a far preda sul confine, e
quod in castella eorum vicosque ageretur. quando avean raccolto quantità grande di be
stiame e di bottino, c'era una scorta appronta
ta, che il menasse ne'lor castelli e villaggi.
IV. Quum bellum Ligustinum ad Pisas consti IV. Essendosi la guerra della Liguria fermata
tisset, consul alter L. Cornelius Merula per extre sotto le mura di Pisa, l'altro console Lucio Cor
mos Ligurum fines exercitum in agrum Bojorum nelio Merula, attraversando il confine estremo
induxit, ubi longe alia belli ratio, quum cum Li de'Liguri, condusse l'esercito nel territorio dei
guribus, erat. Consul in aciem exibat, hostes pu Boi, dove la foggia del guerreggiare diversa era
gnam detrectabant; praedatumque, ubi memo molto da quella della Liguria. Il console usciva
obviam exiret, discurrebant Romani: Boji diripi a battaglia; i nemici la ricusavano. I Romani
sua impune, quam tuendo ea conserere certamen, scorrevano il paese depredando, senza che alcuno
malebant. Postguam omnia ferro ignique satis si facesse lor contro: i Boi si lasciavano impune
evestata erant, consul agro hostium excessit, et ad mente portar via le robe, piuttosto che per di
Mutinam agmine incauto, ut inter pacatos, duce fenderle, cimentarsi. Poi che fu tutto messo a
bat. Boji, ubi egressum e finibus suis hostem sen ferro e a fuoco, il console uscì dal contado ne
sere, sequebantur silenti agmine, locum insidiis mico e menava i suoi alla volta di Modena, poco
quaerentes. Nocte praetergressi castra Romana sal guardandosi, come in paese pacato. I Boi, come
tum, qua transeundum erat Romanis, insederunt. sentirono i nemici sortiti dal lor confine, li segui
I d quum parum occulte fecissent, consul, qui mul tavano senza strepito, cercando occasione di trarli
ta nocte solitus erat movere castra, ne nox terro in agguato. Avendo di notte oltrepassato il campo
rem in tumultuario proelio augeret, lucem exspe Romano, occuparono uno stretto, dove bisogna
ctavit ; et, quum luce moveret, tamen turmam va che i Romani passassero. Ma fatto questo poco
equitum exploratum misit. Postguam relatum est, celatamente, il console, ch'era solito muovere il
quanta e copiae, et in quo loco essent, totius agmi campo a notte inoltrata, aspettò il dì chiaro,
mis sarcinas in medium conjici jussit, et triarios acciocchè in una battaglia tumultuaria l'oscurità
vallum circumjicere; cetero exercitu instructo ad non accrescesse il terrore; e movendosi sul far
hostem accessit. Idem et Galli fecerunt, postguam del giorno, pur mandò una banda di cavalli ad
apertas esse insidias, et recto ac justo proelio, ubi esplorare. Poi che gli fu riferito quante e dov'e
vera virtus vinceret, dimicandum viderunt. rano le forze de'nemici, ordinò che tutti i baga
gli gettati fossero insieme nel mezzo, e che i tria
rii li circondassero di steccato; col rimanente
dell'esercito in ordinanza si accostò al nemico. I
Galli fecero lo stesso, poi che videro scoperta
l'imboscata, e che bisognava combattere in giusta
ed ordinata battaglia, dove avrebbe vinto il vero
valore.
V. IIora secunda ferme concursum est. Sini V. Si appiccò la zuffa verso l'ora seconda.
stra sociorum ala et extraordinarii prima in acie L'ala sinistra degli alleati, e i soldati straordinarii
pugnabant: praeerant duo consulares legati, M. combattevano nella prima schiera sotto gli ordini
Marcellus et Ti. Sempronius, prioris anni consul. de due legati consolari Marco Marcello e Tito
Novus consul nunc ad prima signa erat, nunc Sempronio, che fu console l'anno innanzi. Il
legiones continebat in subsidiis, ne certaminis nuovo console ora si stava davanti le prime inse
studio prius procurrerent, quam datum signum gne, ora riteneva le legioni nella retroguardia,
esset. Equites earum extra aciem in locum pa acciocchè per la voglia di combattere non si lan
tentem Q. et P. Minucios tribunos militum edu ciassero innanzi, prima che si desse il segno. Or
cerejussit: inde, quum signum dedisset, impetum dinò a'tribuni de'soldati Quinto e Publio Minucii,
ex aperto facerent. Haec agenti muncius venit a che traessero fuor di schiera la cavalleria in luogo
Ti. Sempronio Longo, « non sustinere exstraor aperto: di là, come avesse dato il segno, corressero
dinarios impetum Gallorum, et caesos permultos dal largo addosso a nemici. Mentre fa questo, gli
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esse; et, qui supersint, partim labore, partim viene un messo a Tito Sempronio Longo, recando,
metu remisisse ardorem pugnae. Legionem alte « che gli straordinarii non sostenevano l'impeto
ram ex duabus si videretur, submitteret, prius dei Galli, e che n'erano stati uccisi molti, e quelli
quam ignominia acciperetur. » Secunda legio che rimanevano, parte per istanchezza, parte per
missa est, et extraordinarii recepti. Tum redin timore allentato avevano il loro ardore. Menasse
tegrata est pugna. Quum et recens miles, et fre a combattere, se gli pareva, una delle due legioni,
quens ordinibus legio successisset, et sinistra ala prima che si patisse un qualche sconcio vergo
ex proelio subducta est; dextra in primam aciem gnoso. » Fu spedita la seconda legione, e ritirati
subiit. Sol ingenti ardore torrebat minime pa furono gli straordinarii. Allora la battaglia si
tientia aestus corpora Gallorum : densis tamen rinnovò. Essendo succeduto il soldato fresco, e la
ordinibus nunc alii in alios, nunc in scuta incum legione in fitta ordinanza, l'ala sinistra fu tratta
bentes, sustinebant impetus Romanorum. Quod fuori della battaglia, la destra sottentrò nella pri
ubi animadverit consul, ad perturbandos ordines ma schiera. Il sole bruciava i corpi de Galli, che
eorum C. Livium Salinatorem, qui praeerat ala non tollerano punto il caldo; nondimeno serrati
riis equitibus, quam concitatissimos equos im nelle file, appoggiandosi ora gli uni sugli altri, ora
mittere jubet; et legionarios equites in subsidiis su loro scudi, sostenevano l'impeto de Romani.
esse. Haec procella equestris primo confudit et Il che vedutosi dal console, ordina a Caio Livio
turbavit, deinde dissipavitaciem Gallorum ; non Salinatore, comandante della cavalleria degli al
tamen, ut terga darent. Obstabant duces, hasti leati, che con quanta possa furia maggiore si scagli
libus caedentes terga trepidantium, et redire in addosso ai nemici, onde mettere in disordine le
ordines cogentes: sed intereguitantes alarii non loro schiere, e che la cavalleria delle legioni si
patiebantur. Consul obtestabatur milites. « Ut metta nella retroguardia. Questa, quasi dissi, pro
paullulum adniterentur: victoriam in manibus cella equestre conturbò dapprima, ed indi scom
esse. Dum perturbatos et trepidantes viderent, pigliò l'esercito dei Galli, non però in modo, che
instarent: si restitui ordines sissent, integro rur voltassero le spalle. Si opponevano i comandanti,
sus eos proelio et dubios dimicaturos. » Inferre percuotendo co' legni delle aste quei, che davano
vexillarios jussit signa. Omnes connisi tandem di volta per lo spavento, ed obbligandoli a rien
averterunt hostem. Postguam terga dabant, et in trar nelle file; se non che la cavalleria degli allea
fugam passim effundebantur, tum ad persequen ti corseggiando nel mezzo non li lasciava riordi
dos eos legionarii equites immissi. Quatuordecim narsi. Il console scongiurava i soldati, a che per
millia Bojorum eo die caesa sunt, vivi capti mille poco ancora facessero uno sforzo: aveano in ma
nomaginta duo: equites septingenti viginti unus, no la vittoria ; caricassero il nemico, mentre il
tres duces eorum, signa militaria ducenta duo vedevano scompigliato, trepidante; se lasciassero
decim, carpenta sexaginta tria. Nec Romanis in che si rimettesse in ordine, dovrebbono di nuovo,
cruenta victoria fuit. Supra quinque millia mili e con dubbio evento combattere. - Fe' cacciare
tum, ipsorum aut sociorum, sunt amissa, centu innanzi le insegne, e finalmente tutti d'accordo
riones tres et viginti, praefecti sociùm quatuor, et sforzando rovesciarono il nemico. Poi che i Galli
M. Genucius, et M. Marcius, tribuni militum se si furono posti in volta, e qua e là sbandati fug
cundae legionis. givano, lanciossi ad inseguirli la cavalleria delle
legioni. Furono uccisi in quel giorno quattordici
mila Boi; presine vivi mille e novanta due; dei
cavalieri settecento e vent'uno, tre loro capitani,
dugento e dodici bandiere, e sessantatrè carriaggi.
Nè la vittoria fu pe'Romani senza sangue. Si son
perduti più di cinque mila soldati o de Romani,
o degli alleati, ventitrè centurioni, quattro capi
tani degli alleati, e Marco Genucio, e Marco Mar
cio, tribuni del soldati della seconda legione.
VI. Eodem fere tempore duorum consulum VI. Quasi nel medesimo tempo vennero lette
literae allatae sunt, L. Cornelii de proelio ad re de'due consoli, di Lucio Cornelio della batta
Mutinam cum Bojis facto, et Q. Minucii a Pisis: glia avuta a Modena co' Boi, e di Quinto Minucio
« Comitia suae sortis esse: ceterum adeo suspensa da Pisa. Questi scriveva « appartenersi a lui il
omnia in Liguribus se habere, ut abscedi inde, tenere i comizii; se non che tutto rimaneva nella
sine pernicie sociorum et damno reipublicae, non Liguria sì fattamente sospeso, che non si poteva
possit. Si ita videretur Patribus, mitterent ad partire di là, senza rovina degli alleati, e danno
collegam, ut is, qui proſligatum bellum haberet, della repubblica. Se così paresse a'Padri, mandas
88 i T l'1 l Ll VII l.ll;El XXXV. 582

ad comitia Romam rediret; si id facere gravare sero al suo collega, che venisse egli a tenere i
tur, quod non suae sortis id negotium esset, se comizii, come quegli, che avea terminata la guer
quidem facturum, quodcumque senatus censuis ra; se ricusasse di ciò fare, perchè cosa, che non
set; sed etiam atque etiam viderent, ne magis e gli appartiene, farebbe egli quello che il senato
republica esset interregnum iniri, quam ab se in ordinasse; ma guardassero molto bene, se non
eo statu relinqui provinciam. » Senatus C. Scri fosse meglio per la repubblica che si venisse al
bonio negotium dedit, ut duos legatos ex ordine l'interregno, piuttosto ch'egli avesse a lasciare
senatorio mitteret ad L. Cornelium consulem, la provincia in quello stato. » Il senato commise
qui literas collegae ad senatum missas deferrent a Caio Scribonio che mandasse due legati del
ad eum, et nunciarent, a senatum, ni is ad magi l'ordine senatorio al console Lucio Cornelio,
status subrogandos Romam venisset potius, quam che gli recassero le lettere scritte dal suo collega
Q. Minucius a bello integro avocaretur, interre al senato, e gli dicessero a che il senato, qualora
gnum iniri passurum. » Missi legati renunciarunt, non venisse egli a Roma a fare i nuovi magistrati,
L. Cornelium ad magistratus subrogandos Ro piuttosto che richiamare Quinto Minucio da una
mam venturum. » De literis L. Cornelii, quas guerra appena principiata, lascerebbe che si ve
scripserat secundum proelium cum Bojis factum, risse all'interregno. » I legati spediti riferirono
disceptatio in senatu fuit, quia privatim pleris che Lucio Cornelio sarebbe venuto a Roma a
que senatoribus legatus M. Claudius scripserat, fare i nuovi magistrati. » Si disputò in senato
« Fortunae populi Romani et militum virtuti sopra le lettere di Lucio Cornelio, nelle quali
gratiam habendam, quod res bene gesta esset. avea scritto di aver combattuto prosperamente
Consulis opera et militum aliquantum amissum, contro i Boi, perchè il legato Marco Claudio avea
et hostium exercitum, cujus delendi oblata for privatamente scritto a parecchi senatori, a dover
tuna fuerit, elapsum. Milites eo plures perisse, si ringraziare la fortuna del popolo Romano ed
quod tardius ex subsidiis, qui laborantibus open il valore del soldati, se la cosa andò a bene. Per
ferrent, successissent. Hostes e manibus emissos, opera del console essersi perduto buon numero
quod equitibus legionariis et tardius datum si di soldati, e che l'esercito nemico, mentre s'era
gnum esset, et persequi fugientes non li cuisset. - offerta bella occasione di sterminarlo, avea potu
to scampare. De'soldati n'eran periti tanti più,
quanto che si mandarono troppo tardi dei sussi
diarii a soccorrerli, travagliando essi grandemen
te. I nemici poi scappati eran di mano, e perchè
si tardò a dare il segno alla cavalleria delle legioni,
e perchè non si lasciò, che inseguisse i fuggitivi. “
VII. De ea re mihil temere decerni placuit: Vll. Non si volle deliberare nulla su di ciò
ad frequentiores consultatio dilata est. Instabat con troppa fretta: la consulta fu rimessa a senato
enim cura alia, quod civitas femore laborabat; più numeroso. Perciocchè altra grave cura so
et quod, quum multis fenebribus legibus con vrastava, travagliando molto la città per le usure,
stricta avaritia esset, via fraudis inita erat, ut in e perchè, sebbene l'avarizia fosse stata infrenata
socios, qui non tenerentur iis legibus, nomina con assai leggi contro gli usurai, s'era trovata
transcriberent; ita libero fenore obruebant de una via alla frode, trasportando i crediti al nome
bitores. Cujus coercendi quum ratio quaereretur, degli alleati, che non erano tenuti a quelle leggi;
diem finiri placuit Feralia, quae proxime fuissent, e così usureggiando liberamente affondavano i
ut, qui post eam diem socii civibus Romanis cre debitori. Al che cercandosi di metter freno,
didissent pecunias, profiterentur, et ex ea die piacque di stabilire un giorno determinato, e fu
pecuniae creditae, quibus debitor vellet legibus, la festa de'Morti ultimamente passata; sì che gli
jus creditori diceretur. Inde, postduam professio alleati, che dopo quel dì prestato avessero dana
nibus detecta est magnitudo aeris alieni, per hano ria' cittadini Romani, ne facessero la denunzia;
fraudem contracti, M. Sempronius tribunus plebis e da quel dì in poi del danaro prestato si ammi
ex auctoritate Patrum plebem rogavit, plebesque nistrasse ragione al creditore secondo quelle leggi,
scivit, ut cum sociis ac nomine Latino pecuniae che volesse il debitore. Ma poi che dalle denunzie
creditae jus idem, quod cum civibus Romanis, si venne a scoprire l'immensa grandezza de'debiti
esset. Haec in Italia domi militiaeque acta. In contratti con quella frode, il tribuno della plebe
Hispania nequaquam tantum belli fuit, quantum Marco Sempronio per autorità de'Padri propose
auxerat fama. C. Flaminius in citeriori Hispania una legge e la plebe l'approvò, che quanto al
oppidum Illuciam in Oretanis cepit; deinde in danaro prestato le leggi fatte pe' cittadini Ro
hiberna milites deduxit; et per hicmem proclia l mani comuni fossero anche agli alleati e soci del
Livio 2 56
883 TITI LIVII LIBER XXXV. 8844

aliquot. nulla memoria digma, adversus latronum nome Latino. Queste son le cose accadute in Italia
magis, quam hostium excursiones, vario tamen a Roma e fuori. Nella Spagna non fu sì grossa
eventu, nec sine militum jactura, sunt facta. Ma la guerra, quanto s'era spacciato. Caio Flaminio
jores res gestae a M. Fulvio. Is apud Toletum nella Spagna citeriore prese il castello d'Illucia
oppidum cum Vaccaeis Vectonibusque et Celti nel contado degli Oretani; poscia ridusse i sol
beris signis collatis dimicavit ; exercitum earum dati a quartieri d'inverno. Anche durante il ver
gentium fudit fugavitgue: regem liilermum vi no ci furono alcuni fatti, nessuno però degno di
vum cepit. memoria, contro scorrerie piuttosto di ladroni,
che di nemici, nondimeno con vario successo, nè
senza perdita di soldati. Maggiori furono le im
prese di Marco Fulvio: venne egli a battaglia
campale presso Toledo co' Vaccei, co Vettoni e
co' Celtiberi; gli sbaragliò e fugò, e prese vivo
il re loro Ilermo.
VIII. Quum haec in Hispania gerebantur, VIII. Mentre si facevano codeste cose in Ispa
comitiorum jam appetebat dies. Itaque L. Corne gna, già si appressava il giorno del comizi, Quin
lius consul, relicto ad exercitum M. Claudio le di il console Lucio Cornelio, lasciato l'esercito al
gato, Romam venit. Is in senatu quum de rebus legato Marco Claudio, venne a Roma, Avendo
ab se gestis disseruisset, quoque in stata provin egli esposto al senato le cose da lui fatte, e in
cia esset; questus est cum Patribus conscriptis, quale stato fosse la provincia, si lagnò co'Padri
quod, tanto bello una secunda pugnatam felici coscritti, che dato fine sì felicemente con una sola
ter perfecto, non esset habitus diis immortalibus giornata a sì gran guerra, non ne avesserº º
honos, Postulavit deinde, ut supplicationem simul dute grazie agli dei. Indi chiese, che decretasserº
triumphumque decernerent. Prius tamen, quam ad un tempo e le supplicazioni agli dei, ed il
relatio fieret, Q. Metellus, qui consul dictatorque trionfo a lui. Innanzi però che se ne facessº la
fuerat, «Literas eodem tempore, dixit, et consu proposta, Quinto Metello, ch'era statº console e
lis L. Cornelii ad senatum, et M. Marcelli ad ma dittatore, « Erano state, disse, portate ad un tem,
gnam partem senatorum, allatas esse, inter se pu po stesso e lettere del console Lucio Cornelio al
gnantes; eoque dilatam esse consultationem, ut senato, e di Marco Marcello alla maggior parte
praesentibus auctoribus earum disceptaretur. Ita de'senatori, che pugnavano tra loro, e s'era di
ferita la consulta, perchè si facesse in presenta di
que exspectasse sese, ut consul, qui sciret ab le
gato suo adversus se scriptum aliquid, quum ipsi quelli, che le aveano scritte: ch'egli si º
veniendum esset, deduceret eum secum Romam; aspettato che il console, il quale sapevº ch'era
quum etiam verius esset, Ti. Sempronio impe stato scritto alcun che contro di lui dal suº lega
rium habenti tradi exercitum, quam legato. Nunc to, l'avrebbe menato seco a Roma, e tantº più,
videri esse amotum de industria, ne ea, quae scri quanto che sarebbe stata cosa più convenienti
psisset, praesens diceret, aut argueret coram, et, si consegnare l'esercito a Tito Sempronio, º
quid vani afferret, argui posset,donec ad liquidum in carica, che ad un legato. Ora pareva che lo si
veritas explorata esset. Itaque nihil eorum, quae fosse tenuto lontano a bella posta, acciocchè non
postularet consul, decernendum in praesentia dicesse presente quello, che aveva scritto, o glielo
censere. » Quum pergeret nihilo segnius referre, rinfacciasse sul viso; nè, se avesse detto la falsitº,
ut supplicatio decerneretur, triumphantique sibi si potesse redarguirlo, insino a tanto che non si
urbem invehi liceret; M. et C. Titinii tribuni fosse depurata del tutto la verità. Era egli dun
piebis, se intercessuros, si de ea re fieretsenatus que di avviso, che nulla si decretasse in presente
consultum, dixerunt. -
di ciò, che il console proponeva. ” Nondimeno
insistendo tuttavia il console, perchè si decretº
sero le pubbliche preci, e che gli fosse lecito en
trare in Roma trionfante, i tribuni della Pº
Marco e Caio Titinii dissero che si sarebberº
opposti, se si facesse alcun decreto su di ciò.
IX. Censores erant priore anno creati Sex. Ix. Erano censori Sesto Elio Peto e Caiº
Aelius Paetus et C. Cornelius Cethegus. Corne Cornelio Cetego, creati nell'anno antecedente
Cornelio compiè
mila,il lustro.
lius lustrum condidit. Censa sunt civium capita Si annoverarono centº
quarantatrè settecento e quattro teste di
centum quadraginta tria millia, septingenta qua
tuor. Aquae ingentes eo anno fuerunt, et Tiberis cittadini. Furonvi in quell'anno grandi escrº
loca plama urbis inundavit. Circa portam Flu scenze di acque, e il Tevere inondò la parte bassa
885 TITI LIVII LIBER XXXV. 886

mentanam etiam collapsa quaedam ruinis sunt ; della città. Intorno alla porta Fiumentana alcuni
et porta Coelimontana fulmine icta est; murusque edifizi rovinarono, e la porta Celimontana fu col
circa multis locis de coelo tactus. Et Ariciae, et pita da fulmine, e così in più luoghi il muro d'in
Lanuvii, et in Aventino lapidibus pluit; et a torno. In Aricia, a lanuvio, e sull'Aventino pio
Capua nunciatum est, examen vesparum ingens in vette sassi, e si ebbe da Capua, che un grosso
forum advolasse, et in Martis aede consedisse: sciame di vespe volò in sulla piazza, e si fermò
eas collectas cum cura, etigni crematas esse. Ho nel tempio di Marte: furono raccolte con gran
rum prodigiorum causa decemviri libros adire cura e bruciate. A motivo di così fatti prodigii
jussi, et novemdiale sacrum factum, et supplica ebbero ordine i decemviri di consultare i libri,
tio indicta est, atque urbs lustrata. Iisdem diebus e si fecero sagrifizii per nove giorni, e s'intima
aediculam Victoriae Virginis,
prope aedem Vi
rono pubbliche preci, e la città fu lustrata. Nei
ctoriae, M. Porcius Cato dedicavit biennio post, giorni stessi Marco Porcio Catone dedicò il tem
quam vovit. Eodem anno coloniam Latinam in pietto della Vittoria Vergine presso il tempio
agrum Thurinum triumviri deduxerunt Cn. Man della Vittoria, due anni, da che ne avea fatto il
lius Vulso, L. Apustius Fullo, Q. Aelius Tubero, voto. L'anno stesso Gneo Manlio Vulsone, Lucio
cuius lege deducebatur. Tria millia peditumiere, Apustio Fullone e Quinto Elio Tuberone, cui la
trecenti equites: numerus exiguus pro copia agri. legge ne avea dato il carico, condussero una colo
Dari potuere tricena jugera in pedites, sexagena mia Latina nel contado Turino. Vi andarono tre
in equites. Apustio auctore, tertia pars agri dem mila fanti e trecento cavalieri; picciolo numero
pta est, quo postea, si vellent, novos colonos ad
rispetto alla quantità del terreno. Si son potuti
scribere possent. Vicena jugera pedites, quadra dare per testa trenta giugeri a fanti, e sessanta
gena equites acceperunt.
a cavalieri; se non che a proposta di Apustio, ne
fu sottratta la terza parte, dove in altro tempo, se
volessero, avrebbono potuto mandare altri coloni.
Ebbero pertanto i fanti venti giugeri, i cavalieri
quaranta.
X. In exitu jam amnus erat, et ambitio magis, X. Era l'anno in sul finire, e ne'comizii con
quam unquam alias, exarserat consularibus comi solari s'era acceso un broglio forte più che in altro
tiis. Multi et potentes petebant patricii plebeji tempo giammai. Domandavano molti e potenti
que: P. Cornelius Cn. filius Scipio, qui ex Hispa patrizii e plebei: Publio Cornelio Scipione, figlio
mia provincia nuper decesserat magnis rebus ge di Gneo, ch'era di fresco venuto di Spagna, fatte
stis, et L. Quintius Flaminius, qui classi in Grae vi grandi imprese, e Lucio Quinzio Flaminio,
cia praefuerat, et Cn. Manlius Vulso; hi patricii. ch'era stato capitano della flotta nella Grecia, e
Plebeji autem C. Laelius, Cn. Domitius, C. Livius Gneo Manlio Vulsone; questi patrizii. I plebei
Salinator, M.'Acilius. Sed omnium oculi in Quin erano Caio Lelio, Gneo Domizio, Caio Livio Sa
tium Corneliumque conjecti: nam et in unum linatore e Manio Acilio. Ma tutti gli occhi rivolti
locum petebant ambo patricii, et rei militaris erano verso Quinzio e Cornelio; perciocchè pa
gloria recens utrumque commendabat. Ceterum trizii ambedue aspiravano allo stesso unico posto,
ante omnia certamen accendebant fratres candi e la recente gloria militare facea commendevole
datorum, duo clarissimi aetatis suae imperatores. l'uno e l'altro. Ma soprattutto accendevano la
Major gloria in Scipione, et, quo major, eo pro gara i fratelli de'candidati, i due maggiori capi
pior invidiam. Quintii recentior, ut qui eo anno tani di quell'età. La gloria di Scipione era più
triumphasset. Accedebat, quod alter decimum grande, e per questo più prossima all'invidia;
jam prope annum assiduus in oculis hominum più recente quella di Quinzio, come quello, che
fuerat, quae res minus verendos magnos homi avea trionfato in quell'anno medesimo. Si aggiun
nes ipsa satietate facit: consul iterum post devi geva, che l'uno già da quasi dieci anni era conti
ctum Hannibalem, censorque fuerat. In Quintio nuamente negli occhi di tutti; il che, generando
nova et recentia omnia ad gratiam erant: nihil sazietà, rende gli uomini meno riveriti; era stato
nec petierata populo post triumphum, nec ade console un'altra volta dopo ch'ebbe vinto Anni
ptus erat: «pro fratre germano, non patruele, bale, ed anche censore. In Quinzio, a procurargli
se petere aiebat: pro legato et participe admini favore, tutto era nuovo e fresco: dopo il trionfo
strati belli: se terra, fratrem mari, rem gessisse.» non avea nè chiesto, nè avuto nulla dal popolo;
His obtinuit, ut praeferretur candidato, quem A «domandava, diceva egli, per un fratello carnale,
fricanus frater ducebat; quem Cornelia gens, non per un cugino; per un suo legato, e coope
Cornelio consule comitia habente ; quem tantum ratore nella guerra; ch'egli l'aveva fatta per
praejudicium senatus, virum e civitate optimum terra, quegli per mare » Con questo discorso
887 TITI LIVII LIBER XXXV. 888

judicatum, qui matrem Idaeam Pessinunte ve ottenne, che Quinzio fosse preferito al candidato.
nientem in urbem acciperet. L. Quintius et Cn. ch'era sostenuto da suo fratello Africano, dalla
Domitius Ahenobarbus consules facti: adeo ne famiglia Cornelia, tenendo un Cornelio i comizii,
in plebejo quidem consule, quum pro C. Laelio e di cui avea dato il senato sì onorevole giudizio,
miteretur, Africanus valuit. Postero die praetores quando l'ebbe dichiarato l'uomo il più degno
creati L. Scribonius Libo, M. Fulvius Centuma tra tutti i cittadini di accogliere la madre Idea,
lus, A. Atilius Serranus, M. Baebius Tamphilus, che da Pessinunte veniva a Roma. Furono dun
L. Valerius Tappo, Q. Salonius Sarra. Aedilitas que eletti consoli Lucio Quinzio e Gneo Domizio
insignis eo anno fuit M. Aemilii Lepidi et L. Ae Aenobardo; sì poco potè l'Africano, anche ri
mili Paulli. Multos pecuarios damnarunt: ex ea spetto al console plebeo, adoperandosi egli per
pecunia clypea inaurata in fastigio Jovis aedispo Caio Lelio. Il dì seguente furon creati pretori
suerunt. Porticum unam extra portam Trigemi Lucio Scribonio Libone, Marco Fulvio Centu
mam, emporio ad Tiberim adjecto; alteram a malo, Aulo Atilio Seranno, Marco Bebio Tanfilo,
porta Fontinali ad Martis aram, qua in Campum Lucio Valerio Tappone e Quinto Salonio Sarra.
iter esset, perduxerunt. Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo illu
strarono in quell'anno l'edilità. Condannarono
molti appaltatori de'pubblici pascoli; di quel da
naro posero alcuni scudi indorati sulla sommità
del tempio di Giove. Alzarono un portico fuori di
porta Trigemina, aggiuntavi una piazza sul Te
vere e un altro dalla porta Fontinale sino all'ara
di Marte, per cui si passasse nel campo Marzio.
XI. Non s'è fatta per assai tempo nella Ligu
XI. Diu nihil in Liguribus dignum memoria ria cosa degna di memoria. Sulla fine di questo
gestum erat. Extremo eius anni bis in magnum anno due volte si venne a grande pericolo; per
periculum res adducta est : nam et castra consulis ciocchè e gli alloggiamenti del console combat
oppugnata, aegre sunt defensa; et non ita multo tuti furono a gran pena difesi; e non molto di
post per saltum angustum quum ducereturagmen poi, mentre l'esercito Romano vien condotto per
Romanum, ipsas fauces exercitus Ligurum inse uno stretto, quello de'Liguri ne occupò l'imboc
dit. Qua quum exitus non pateret, converso ag catura; sì che non essendovi uscita, il console,
mine redire institit consul. Et ab tergo fauces fatto dar volta a suoi, si pose a tornare indietro
saltus occupatae a parte hostium erant, Caudi ed anche alle spalle parte de'nemici occupato
naeque cladis memoria non animis modo, sed aveano gli sbocchi; e non soltanto alla mente, ma
prope oculis obversabatur. Numidas octingentos si oſferiva quasi in sugli occhi la memoria delle
ferme equites inter auxilia habebat: eorum prae Forche Caudine. Aveva il console tra gli aiuti da
fectus consuli pollicetur, « Se parte, utra vel circa ottocento cavalieri Numidi; il loro condot
let, cum suis erupturum. Tantum uti diceret, tiere promette al console, « che egli si sarebbe
utra pars frequentior vicis esset: in eos se impe lanciato fuori da qual volesse delle due parti; solo
tum facturum, et mihil prius quam flammam gli dicesse qual parte fosse più spessa di villaggi;
tectis injecturum, ut is pavor cogeret Ligures piomberebbe addosso a questi, e non altro prima
excedere saltu, quem obsiderent, et discurrere farebbe, che appiccare il fuoco alle case, onde
ad opem ferendam suis. “ Collaudatum eurm con quella paura costringesse i Liguri a lasciare lo
sul spe praemiorum onerat. Numidae equos con stretto, che ingombravano, e correre a dar soc
scendunt, et obequietare stationibus hostinm, corso a suoi. “ Lodatolo, il console gli promette
neminem lacessentes, coeperunt. Nihil primo ad gran premii. I Numidi montano a cavallo, e co
spectu contemptius: equi hominesque paulluli et minciano a volteggiare intorno, alle poste de'ne
graciles: discinctus et inermiseques, praeterquam mici, però senza provocare nessuno. Niente di
quod jacula secum portat: equisine frenis, de più spregevole al primo aspetto; pochi uomini
formis ipse cursus rigida cervice et extento capite e gracili; il cavaliere discinto e disarmato, ec
currentium. Hunc contemptum de industria au cetto un giavellotto, che porta seco; i cavalli
gentes, labi ex equis, et per ludibrium spectaculo senza freno; brutta foggia di correre col collo
esse. Itaque, qui primo intenti paratique, si la stirato, e col capo disteso. E per accrescere av
cesserentur, in stationibus fuerant, jam inermes vertitamente il dispregio, si lasciavano cader di
sedentesque pars maxima spectabant. Numidae cavallo, e si facevano oggetto di ludibrio e di ri
adequitare, dein refugere, sed propius saltum sata. Quindi coloro, ch'eran dapprima alle poste
paullatim evehi; velut quos impotentes regendi attenti e pronti, se fossero provocati, già disar
889 TITI LIVII LIBER XXXV. 89o
equi invitos efferrent. Postremo subditis calca mati, e la maggior parte sedendo si stavano a
ribus inter medias stationes hostium erupere; et guardare. I Numidi cavalcare un po'innanzi, poi
in agrum latiorem evecti, omnia propinqua viae rifuggire indietro, ma a poco a poco farsi alquan
tecta incendunt. Proximo deinde vico inferunt to più presso allo stretto, come se impotenti a reg
ignem, ferro flammaque omnia pervastant. Fumus gere il cavallo balzati fossero più oltre contro lor
primo conspectus, deinde clamor trepidantium voglia. In fine, dato di sprone a cavalli scagliaronsi
in vicis auditus, postremo seniores puerique re per mezzo alle poste de'nemici, e portati in cam
fugientes tumultum in castris fecerunt. Itaque po più aperto abbruciamo tutte le case lungo la
sine consilio, sine imperio, pro se quisque curre strada; indi appiccano il fuoco al borgo vicino, e
read sua tutanda; momentoque temporis castra mettono tutto a ferro e fiamma. Primieramente
relicta erant, et obsidione liberatus consul, quo il fumo veduto, indi le grida udite da villaggi
intenderat, pervenit. sbigottiti, poscia i vecchi ed i fanciulli, che fug
givano, portarono lo scompigliamento nel campo.
Quindi senza prender consiglio, senza aspettare
comando, corre ognuno a difendere le cose sue,
e in un momento il campo fu abbandonato, e il
console liberato dall'assedio giunse al luogo, dove
s'era avviato.
XII. Sed neque Boji, neque Hispani, cum XII. Ma nè i Boi, nè gli Spagnuoli, co' quali
quibus eo anno bellatum erat, tam inimici infe s'era in quell'anno guerreggiato, eran nemici ed
stique erant Romanis, quam Aetolorum gens. Ii avversi tanto a Romani, quanto la nazione degli
post deportatos ex Graecia exercitus primo in Etoli. Dopo che si partirono gli eserciti dalla
spe fuerant, et Antiochum in vacuam Europae Grecia, avean essi dapprima sperato che Antioco
possessionem venturum ; mec Philippum, aut si sarebbe impadronito dell'Europa, vota d'ar
Nabin quieturos. Ubi nihil usquam moveri vide mati, e che nè Filippo, nè Nabide si sarebbono
runt, agitandum aliquid miscendumque rati, ne rimasti quieti. Quando videro non farsi alcun
cunctando senescerent consilia, concilium Naupa movimento, stimando che bisognasse destare
ctum indixerunt. Ibi Thoas praetor eorum, con qualche agitazione e scompiglio, acciocchè indu
questus injurias Romanorum statumque Aetoliae, giando il risentimento non si allentasse, intima
« quod omnium Graeciae gentium civitatiumque rono una dieta a Naupatto. Quivi Toante, loro
inhonoratissimi post eam victoriam essent, cujus pretore, dolendosi dell'ingiustizia de'Romani, e
causa ipsi fuissent, º legatos censuit circa reges della condizione degli Etoli, come quelli, «che di
mittendos, qui non solum tentarent animoseorum, tutti i popoli e città della Grecia avean tratto me
sed suis quemque stimulis moverent ad Roma no onore da quella vittoria, della quale eran essi
mum bellum. Damocritus ad Nabin, Nicander ad stati la cagione, º fu di avviso che si mandassero
Philippum, Dicaearchus frater praetoris ad An intorno ambasciatori ai re, non solamente a sag
tiochum est missus. Tyranno Lacedaemonio Da giare gli animi loro, ma ad usare degli stimoli
mocritus, « ademptis maritimis civitatibus ener convenienti a ciascuno, onde eccitarli a mover
vatam tyrannidem, dicere. Inde militem, inde guerra a Romani. Furono mandati Damocrito a
naves navalesque socios habuisse. Inclusum suis Nabide, Nicandro a Filippo, Dicearco fratello del
prope muris Achaeos videre dominantes in Pe pretore ad Antioco. Disse Damocrito al tiranno
loponneso. Numquam habiturum recuperandi di Sparta, « che coll'avergli tolte le città marit
sua occasionem, si eam, quae tum esset, praeter time s'era snervata la sua dominazione, percioc
misisset. Nullum exercitum Romanum in Graecia chè di là traeva soldati, di là navi e genti di ma
esse; nec propter Gythium, aut maritimos alios re. Quasi rinchiuso nelle proprie mura vedeva
Laconas, dignam causam existimaturos Romanos, gli Achei padroneggiare nel Peloponneso. Non
cur legiones in Graeciam rursus transmittant. » mai se gli offrirebbe altra occasione di ricuperare
Haec ad incitandum animum tyranni diceban il suo, se lasciava andar la presente; non esservi
tur, ut, quum in Graeciam Antiochus trajecisset, in Grecia nessun esercito Romano; nè stimereb
conscientia violatae per sociorum injurias Roma bero i Romani che Gizio e gli altri paesi marit
nae amicitiae, conjungeret se cum Antiocho. Et timi della Laconia fossero cagione bastantemente
Philippum Nicander haud dissimili oratione in degna, perchè mandassero nuovamente in Grecia
citabat: erat etiam major orationi materia, quo le lor legioni. Queste cose dicevansi per eccita
ex altiore fastigio rex, quam tyrannus, detractus re l'animo del tiranno, acciocchè, quando Antio
erat, quoque plures ademptae res. Ad hoc vetu co fosse passato in Grecia, egli, per la coscienza
sta regum Macedoniae fama, peragratusque orbis di aver violata l'amicizia de Romani insultando
891 TITI LIVII LIBER XXXV. 892
terrarum victoriis ejus gentis referebatur. « Et i loro alleati, si unisse con Antioco. Con non dis
tutum vel incepto, vel eventu se consilium affer simile discorso Nicandro suscitava Filippo, ed
re. Nam neque, ut ante se moveat Philippus, avea materia tanto più ampia a discorrere, quanto
quam Antiochus cum exercitu transierit in Grae che il re era stato balzato da maggior altezza, che
ciam, suadere ; et, qui sine Antiocho adversus il tiranno, e toltegli più cose. Si ricordava per
Romanos Aetolosque tam diu sustinuerit bellum, giunta l'antica fama dei re Macedoni, e il mondo
ei, adjuncto Antiocho, sociis Aetolis, qui tum tutto corso dalle vittorie di quella nazione. «L'im
graviores hostes, quam Romani, fuerint, quibus presa, ch'egli consigliava, era sicura quanto al
tandem viribus resistere Romanos posse? » Ad principio e quanto all'esito; nè chiedeva che
jiciebat deduce Hannibale, nato adversus Roma Filippo si movesse innanzi che Antioco passato
nos hoste, qui plures et duces et milites eorum fosse in Grecia con l'esercito, e s'egli senza An
occidisset, quam quot superessent. Haec Philippo tioco sostenne tanto tempo la guerra contro i
Nicander. Alia Dicaearchus Antiocho, et omnium Romani e gli Etoli, aggiungendo Antioco, avendo
primum, a praedam de Philippo Romanorum a compagni gli Etoli, che gli erano stati allora
esse dicere, victoriam Aetolorum, et aditum in nemici più terribili, che gli stessi Romani, questi
Graeciam Romanis nullos alios, quam Aetolos con quali forze avrebbono potuto resistere ? »
dedisse; et ad vincendum vires eosdem praebuis Ricordava per ultimo Annibale, capitano dell'im
se. ” Deinde quantas peditum equitumque co presa, nemico nato dei Romani, il quale aveva
pias praebituri Antiocho ad bellum essent; quae ucciso loro più comandanti e soldati, che non ne
loca terrestribus copiis, quos portus maritimis. avanzavano. Così Nicandro a Filippo. Altre cose
Tum de Philippo et Nabide libero mendacio diceva Dicearco ad Antioco e prima di tutto, «che
abutebatur: « paratum utrumque ad rebellandum la preda fatta sopra Filippo era stata de'Romani,
esse; et primam quamque occasionem recupe la vittoria degli Etoli, e nessuno aver dato a Ro
randi ea, quae bello amisissent, arrepturos. » Ita mani l'ingresso nella Grecia, fuor che gli Etoli;
per totum simul orbem terrarum Aetoli Romanis essi avean dato loro le forze a vincere. º Indi
concitabant bellum : reges tamen aut non moti, annoveravano quanti fanti e cavalli avrebbon
aut tardius moti sunt.
dati ad Antioco per la guerra, quali stanze per le
genti da terra, quali porti per quelle di mare.
Poscia spacciava franche bugie quanto a Nabide
ed a Filippo; «esser pronti l'uno e l'altro a ribel
larsi, e che avrebbono afferrata la prima occasione
di ricuperare quello, che avean perduto nella
guerra.» Così gli Etoli suscitavano tutto il mondo
a guerreggiar co' Romani; i re però non si son
mossi, o solamente mossi più tardi.
XIII. Nabis extemplo circa omnes vicos ma XIII. Nabide mandò subito per tutti i luoghi
ritimos dimisit, ad seditiones in iis miscendas; marittimi a suscitarvi sedizioni, ed altri de'prin
et alios principum donis ad suam causam perdu cipali cittadini li trasse al suo partito con dona
xit, alios pertinaciter in societate Romana ma tivi, altri, che rimanevansi pertinaci nell'amicizia
nentes occidit. Achaeis omnium maritimorum de'Romani, gli uccise. Avea Tito Quinzio affidata
Laconum tuendorum a T. Quintio cura mandata la cura di difendere tutti i Laconi situati presso
erat. Itaque extemplo et ad tyrannum legatos mi al mare agli Achei. Quindi tosto mandarono am
serunt, qui admonerent foederis eum Romani, basciatori al tiranno, che gli ricordassero l'allean
denunciarentgue, ne pacem, quam tantopere pe za fatta co'Romani e lo avvertissero di non tur
tisset, turbaret; et auxilia ad Gythium, quod jam bare la pace, ch'egli stesso avea chiesta con tanta
oppugnabatura tyranno, et Romam, qui ea num istanza, e mandarono aiuti a Gizio ch'era com
ciarent, legatos miserunt. Antiochus rex, ea hie battuto dal tiranno, e insieme ambasciatori a
me Raphiae in Phoenice Ptolemaeo regi Aegypti Roma, che riferissero lo stato delle cose. Il re
filia in matrimonium data, quum Antiochiam se Antioco, avendo data in quel vermo in Rafia,
recepisset, per Ciliciam, Tauro monte superato, città della Fenicia, sua figlia in matrimonio a
extremo jam hiemis Ephesum pervenit: inde Tolomeo re di Egitto, rimessosi in Antiochia sul
principio veris, Antiocho filio misso in Syriam finire della vernata, attraversando la Cilicia, vali
ad custodiam ultimarum partium regni, ne quid, cato il monte Tauro, giunse in Efeso: di là sul
absente se, ab tergo moveretur, ipse cum omni principio della primavera, mandato suo figlio
bus terrestribus copiis ad Pisidas, qui circa Si Antioco nella Siria a custodire le parti estreme
dam incolunt, oppugnandos est profectus. Eo del regno, acciocchè in assenza sua non gli venisse
893 Tl'I'l LIVII LIBER XXXV. - 894

tempore legati Romani P. Sulpicius et P. Villius, fatto qualche movimento alle spalle, egli con
qui ad Antiochum (sicutante dictum est) missi tutte le genti di terra andò a combattere i Pisidi,
erant, jussi prius Eumenem adire, Elaeam vene che abitano ne contorni di Sida. In quel tempo
re; inde Pergamum (ibi regia Eumenis fuit) i legati Romani Publio Sulpicio e Publio Villio,
escenderunt. Cupidus belli adversus Antiochum ch'erano andati, come s'è detto, ambasciatori ad
Eumenes erat, gravem, si pax esset, accolam tam Antioco, avuta commissione di prima visitare
to potentiorem regem credens; eumdem, si mo Eumene, vennero ad Elea; indi salirono a Per
tum bellum esset, non magis parem Romanis fo gamo, dov'era la reggia di quel re. Era voglioso
re, quam Philippus fuisset, et aut funditus su Eumene che si movesse guerra ad Antioco, sti
blatum iri, aut, si pax victo daretur, multa illi mando che se ci fosse pace, un re sì potente gli
detracta sibi accessura; ut facile deinde se ab eo sarebbe grave vicino, e se avesse luogo la guerra,
sine ullo Romano auxilio tueri posset. Etiam, si non sarebbe stato Antioco pari a Romani niente
quid adversi casurum foret, satius esse Romanis più, che non era stato Filippo, e che o sarebbe
sociis quamcumque fortunam subire, quam solum stato annientato del tutto, o se vinto ottenesse la
aut imperium pati Antiochi, aut abnuentem vi pace, molto di ciò, che si torrebbe ad Antioco,
atque armis cogi. Ob haec, quantum auctoritate, sarebbe dato a lui, sì che in appresso avrebbe
quantum consilio valebat, incitabat Romanos ad potuto difendersi da quel re, senza alcun soccorso
bellum.
Romano. E quand'anche accadesse alcun sinistro,
esser meglio correre qualunque fortuna in col
leganza co Romani, che o solo sofferire il dominio
di Antioco, o ricusando di piegare, esservi astretto
dall'armi e dalla forza. Per questo Eumene,
quanto poteva con l'autorità, quanto col consiglio,
eccitava i Romani alla guerra.
XIV. Sulpicius aeger Pergami substitit. Vil XIV. Sulpicio ammalatosi si fermò a Perga
lius, quum Pisidiae bello occupatum esse regem mo. Villio, avendo udito essere occupato il re nel
audisset, Ephesum profectus, dum paucos ibi mo combattere Pisida, andato ad Efeso, mentre quivi
ratur dies, dedit operam, ut cum Hannibale, qui indugia alcuni giorni, cercò di spesso abboccarsi
tum ibi forte erat, saepe congrederetur; ut ani con Annibale, ch'era a caso colà, sì per cono
mum ejus et tentaret, si qua posset, et metum scere, se gli riuscisse, qual fosse il suo pensiero,
demeret periculi ei quidquam a Romanis esse. sì per torgli la paura, che gli sovrastasse alcun
His colloquiis aliud quidem actum nihil est: se pericolo dalla parte de' Romani. Con questi ab .
cutum tamen sua sponte est, velut consilio peti boccamenti non si ottenne nulla; nondimeno ne
tum esset, ut vilior ob ea regi Hannibal et suspe venne da sè, quasi cerco si fosse, che per essi
ctior ad omnia fieret. Claudius, secutus Graecos Annibale cadde assai di credito presso il re, e gli
Acilianos libros, P. Africanum in ea fuisse lega divenne sospetto in tutto. Claudio, seguitando i
tione tradit,eumque Ephesi collocutum cum Han libri Greci di Acilio, dice che fu di quella lega
nibale. Et sermonem etiam unum refert, quo zione anche Publio Africano, e ch'egli si abboccò
quaerenti Africano, a quem fuisse maximum im in Efeso con Annibale. Ed anzi ne riferisce un
peratorem Hannibal crederet ? respondisse, Ale ragionamento, nel quale l'Africano ricercando
xandrum Macedonum regem ; quod parva manu Annibale « quale, a parer suo, fosse il più grande
innumerabiles exercitus fudisset, quodque oras, capitano ? quegli rispondesse, Alessandro, re
quas visere supra spem humanam esset, peragras de' Macedoni, perchè con poca gente avea sbara
set. - Quaerenti deinde, a quem secundum po gliati innumerabili eserciti, e perchè avea corsi
neret? Pyrrhum, dixisse: castra metari primum paesi, dove appena uomo sperar potea di penetra
docuisse: ad hoc neminem elegantius loca cepis re; º che chiestolo poscia, «chi mettesse secondo?
se, praesidia disposuisse, artem etiam conciliandi l'irro, dicesse: aver egli primo insegnata l'ar
sibi homines eam habuisse, ut Italicae gentes re le di accampare ; inoltre, nessuno meglio di lui
gis externi, quam populi Romani, tam diu prin aver saputo pigliare i luoghi opportuni, disporre
cipis in ea terra, imperium esse mallent. » Exse le poste; aver avuto exiandio tale arte di conci
quenti, quem tertium duceret? haud dubie se liarsi gli uomini, che i popoli d'Italia preferiva
metipsum dixisse. Tum risum obortum Scipioni, no il dominio di un re straniero a quello del
et subjecisse: « Quidnam tu diceres, si me vicis popolo Romano, che signoreggiava da tanto
ses. ? «Tum me vero, inquit, etante Alexandrum, tempo quel paese. ” E continuando l'Africa
et ante Pyrrhum, et ante omnes alios imperato mo, chi stimasse terzo? nominasse francamente
res esse. “ Et perplexum Punico astu responsum, se medesimo; che allora Scipione sogghignando
TITI LIVII LIBER XXXV. 896
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et improvisum assentationis genus Scipionem aggiungesse: « E che diresti dunque, se tu mi
movisse, quod e grege se imperatorum velutinae avessi vinto? » Allora, disse,mi avrei messo avanti
stimabilem secrevisset. Alessandro, avanti Pirro, avanti ogni altro capi
tano; º e che codesta risposta così aggirata con
Punica malizia, codesto inaspettato modo di
adulazione avea commosso alquanto Scipione,
vedendosi in questa guisa segregato dagli altri
capitani, quasi al di sopra d'ogni paragone.
XV. Villius ab Epheso Apameam processit. XV. Villio da Efeso andossene ad Apamea.
Eo et Antiochus, audito Romanorum legatorum Colà gli si fe” incontro Antioco, udita la venuta
adventu, occurrit. Apameae congressis discepta degli ambasciatori Romani. Abboccatisi in Apa
tio eadem ferme fuit, quae Romae inter Quin mea, l'alterco fu a un dipresso lo stesso, ch'era
tium et legatos regis fuerat. Mors nunciata An stato in Roma tra Quinzio e gli ambasciatori del
tiochi, filii regis, quem missum paullo ante dixe re. La nuova della morte di Antioco, figlio del
ram in Syriam, diremit colloquia. Magnus luctus re, che dissi poc'anzi spedito in Siria, ruppe le
in regia fuit, magnumque ejusjuvenis desiderium: conferenze. Fu grande il compianto nella reggia,
id enim jam specimen sui dederat, ut, si vita lon grande il dolore per la perdita di quel giovane;
gior contigisset, magnijustique regis in eo indo perciocchè avea dato di sè tal prova, che certo,
lem fuisse appareret. Quo carior acceptiorque se gli fosse toccata vita più lunga, sarebbe riusci
omnibus erat, eo mors ejus suspectior fuit, gra to un grande e giusto re. Quant'era più caro a
vem successorem eum instare senectuti suae pa tutti ed accetto, tanto più fu sospetta la di lui
trem credentem, per spadones quosdam, talium morte, taluni pensando che il padre, temendo
ministeriis facinorum acceptos regibus, veneno in lui un successore grave alla sua vecchiezza, lo
sustulisse. Eam quoque causam cladestino faci avesse fatto morir di veleno per opera di certi
nori adjicebant, quod, quum Seleuco filio Lysi eunuchi, che son grati a re per codesta sorte
machiam dedisset, Antiocho quam similem daret d'infame ministeri. Aggiungevano anche questa
sedem, ut procul ab se honore eum quoque able cagione del clandestino misfatto, che avendo il
garet, non habuisset. Magnitamen luctus species re data Lisimachia all'altro figlio Seleuco, non
per aliquot dies regiam tenuit; legatusque Ro aveva altra simile residenza da dare ad Antioco,
manus, ne alieno tempore incommodus obversa onde allontanarlo da sè sotto onorevole pretesto.
retur, Pergamum concessit. Rex Ephesum, omis Nondimeno per alquanti giorni grande apparenza
so, quod inchoaverat, bello, rediit. Ibi, per lu di lutto ingombrò la reggia, ed il legato Romano,
ctum regia clausa, cum Minione quodam, qui per non rendersi incomodo standosi lì in tempo
princeps amicorum eius erat, secreta consilia agi non opportuno, passò a Pergamo. Il re, abban
tavit. Minio, ignarus omnium externorum, vires donata la guerra, che avea principiata, tornossi
que aestimans regis ex rebus in Syria aut Asia ad Efeso. Quivi, chiusa la reggia per cagione del
lutto, si fe a consultare segretamente con certo
gestis, non causa modo superiorem esse Antio
chum, quod nihil aequi postularent Romani, sed Minione, ch'era il primo tra suoi consiglieri,
bello quoque superaturum credebat. Fugienti Minione, non conoscendo punto le cose esterne,
regi disceptationem cum legatis, seu jam experto e valutando le forze del re da quanto avea questi
fatto in Siria ed in Asia, era di avviso che An
eam minus prosperam, seu moerore recenti confu
so, professus Minio, se, quae pro causa essent, di tioco non solamente fosse superiore nella ragion
cturum, persuasit, ut a Pergamo arcesserentur della causa, non chiedendo i Romani nulla di
legati. giusto, ma che sarebbe stato eviandio superiore
nella guerra. Fuggendo Antioco di entrare in
disputa co' legati, o perchè l'avea di già provata
poco profittevole, o perchè il recente dolore lo
travagliava, Minione, avendosi assunto di dire
tutto quello, che giovar potesse alla causa, per
suase al re, che si richiamassero da Pergamo gli
ambasciatori Romani.
XVI. Jam convaluerat Sulpicius: itaque ambo XVI. Era Sulpicio già tornato sano: quindi
Ephesum venerunt. Rex a Minione excusatus, et ambedue vennero ad Efeso. Minione fece le scuse
absente eo resagi coepta est. lli praeparata ora del re; assente il quale si cominciò a trattar della
tione Minio; « Specioso titulo, inquit, uti vos, cosa. Quindi Minione con preparato discorso ;
Romani, Graccarum civitatium liberandarum vi Veggo, disse, o Romani, che usate lo specioso
897 TITI LIVII LIBER XXXV. 898

deo: sed facta vestra orationi non conveniunt; titolo di liberatori della Grecia: ma i fatti non
et aliud Antiocho juris statuistis, alio ipsi utimini. corrispondono alle parole, ed altra è la legge, che
Qui enim magis Smyrnaei Lampsacenique Graeci vorreste imporre ad Antioco, altra quella, di cui
sunt, quam Neapolitani et Rhegini et Tarentini, vi servite. Perciocchè son forse più Greci quelli
a quibus stipendium, a quibus naves ex foedere di Smirne e di Lampsaco, che quelli di Napoli,
exigitis? Cur Syracusas, atque in alias Siciliae di Reggio e di Taranto, da'quali esigete tri
Graecas urbes praetorem quotannis, cum imperio buto, esigete per patto navi ? Perchè mandate
et virgis et securibus, mittitis? Nihil aliud pro ogni anno un pretore con autorità, con le ver
fecto dicatis, quam armis superatis vos iis has le ghe e con le scuri a Siracusa e nell'altre cit
ges imposuisse. Eamdem de Smyrna et Lampsaco tà greche della Sicilia? Non altro certo direte,
civitatibusque, quae Joniae aut Aeolidis sunt, cau se non se, che avendole superate con l'armi,
sam ab Antiocho accipite. Bello superatas a ma avete loro imposto queste leggi. Accettate dun
joribus, et stipendiarias ac vectigales factas, in que questa stessa ragione da Antioco, quanto
antiquum jus repetit. Itaque ad haec ei respon a Smirne, a Lampsaco e alle città, che sono
deri velim, si ex aequo disceptatur, et non belli della Ionia o dell' Eolide. Egli le richiama al
causa quaeritur. “ Ad ea Sulpicius, a Fecit vere l'antica soggezione, già vinte in guerra da'suoi
cunde, inquit, Antiochus, qui, si alia pro causa maggiori, e fatte suddite e tributarie. Adunque
ejus non erant, quae dicerentur, quemlibet ista, vorrei che si rispondesse a questo, se pur si vuo
quam se, dicere maluit. Quid enim simile habet le disputare con la ragione, e non si cerca un
civitatium earum, quas comparasti, causa? Ab pretesto di guerra. Al che Sulpicio: « Fece An
Rheginis et Neapolitanis et Tarentinis, ex quo tioco da uomo pudibondo, se non c'era altro da
in nostram venerunt potestatem, uno et perpetuo dire a pro della sua causa, volendo, che qualun
tenore juris, semper usurpato, numquam inter que altro il dicesse, fuor che lui. E in fatto, che
misso, quae ex foedere debent, exigimus. Potesne hanno di simile tra loro codeste città, che mette
tandem dicere, ut ii populi non per se, non per sti a paragone? Dai Reggiani, dai Napoletani e
alium quemquam foedus mutaverint, sic Asiae dai Tarentini sin da quando vennero in poter
civitates, ut semel venerunt in majorum Antio nostro, esigiamo con un titolo costante, perpetuo,
chi potestatem, in perpetua possessione regni ve sempre conservato, non mai interrotto, quello
stri permansisse, et non alias earum in Philippi, che ci debbono per patto convenuto. Puoi forse
alias in Ptolemaei fuisse potestate, alias per mul dire, che come quei popoli non mai cangiarono
tos annos nullo ambigente libertatem usurpasse ? alleati nè da sè, nè per opera altrui, egualmente
Nam si, quod aliquando servierunt, temporum le città dell'Asia, come una volta caddero in
iniquitate pressi, jus post tot secula asserendi eos mano dei maggiori di Antioco, sieno rimaste
in servitutem faciet; quid abest, quin actum no perpetuamente sotto la dominazione del re vo
bis nihil sit, quod a Philippo liberavimus Grae stro, e che non sieno state, altre in poter di
ciam, et repetant posteri eius Corinthum, Chal Filippo, altre di Tolomeo, ed altre per molt'anni,
cidem, Demetriadem, et Thessalorum totam gen senza opposizione di chicchessia, non si sieno
tem ? Sed quid ego causam civitatium ago, quam, messe in libertà? Perciocchè, se per la ragione,
ipsis agentibus, et nos et regem ipsum cognoscere che qualche volta servirono, sforzate dalle imi
aequius est ? » quità dei tempi, ne venisse il dritto di ritornarle
dopo tanto tempo in servitù, che manca a dire
non aver noi fatto nulla liberando la Grecia da
Filippo, e poter un giorno i posteri di lui ripetere
Corinto, Calcide, Demetriade e tutta la nazione
de'Tessali? Ma perchè tratto io la causa delle cit
tà, la quale, da esse medesime trattata, dobbiamo
anzi noi ed il re stesso giudicare ? »
XVII.Vocari deinde civitatium legationes jus XVII. Poscia fe' chiamare le ambascerie delle
sit, praeparatas jam ante et instructas ab Eume città, preparate già innanzi ed istrutte da Eume
ne, qui, quantumcumque virium Antiocho deces ne, il quale, tutto quel più di forze, che si fosse
sisset, suo id accessurum regno ducebat. Admissi detratto da Antioco, stimava che sarebbe per
plures, dum suas quisque nunc querelas, nunc aggiungersi al regno suo. Ammessi tutti in una
expostulationes inserit, et aequa iniquis miscent, volta, mentre ognuno quando espone le sue
e disceptatione altercationem fecerunt. Itaque, querele, quando le sue domande, e l'ingiusto
neque remissaullare, neque impetrata, aeque ac mescola col giusto, tramutarono la disputa in al
venerant, omnium incerti legati Romam redie terco. Così, senza nulla acconsentire, nulla otte
Livio 2 57
899 TI I I LIVII LIBER XXXV. 9oo

runt. Rex, dimissis iis, consilium de bello Roma nere, i legati Romani, incerti del tutto, com'eran
no habuit. Ibi alius alio ferocius (quia quo quis venuti, se ne tornarono a Roma. ll re, licenziati
que asperius adversus Romanos locutus esset, eo li, tenne consiglio intorno la guerra co Romani.
spes gratiae major erat); alius superbiam postu Quivi, l'uno più ferocemente che l'altro (per
latorum increpare, tamquam Nabidi victo, sic An chè quanto più aspramente inveito avesse contro
tiocho, maximo Asiae regum, imponentium le i Romani, tanto maggior favore si prometteva);
ges: « Quamquam Nabidi tamen dominationem chi si scagliava contro l'insolenza delle doman
in patriam suam, et patriam Lacedaemonem, re de, con le quali si voleva, come a Nabide vinto,
missam; Antiocho si Smyrna et Lampsacus impe imporre leggi ad Antioco, il più potente dei re
rata faciant, indignum videri. Alii, parvas et vix dell'Asia, a quantunque s'era lasciato che Nabi
dictu dignas belli causas tanto regi eas civitates de signoreggiasse la patria sua, e una patria
esse; sed initium semper a parvis injusta impe quale era Sparta, mentre si stima indegna cosa
randi fieri: nisi crederent, Persas, quum aquam che Smirne e Lampsaco obbediscano ad Antio
terramque ab Lacedaemoniis petierunt, gleba ter co. “ Altri dicevano. « essere veramente quelle
rae et haustu aquae eguisse. Per similem tentatio città cagione poco degna di guerra per un tanto
nem Romanis de duabus civitatibus agi: et alias re; se non che si cominciava sempre dalle picco
civitates, simul duas jugum exuisse vidissent, le cose per condursi a comandare le ingiuste; se
ad liberatorem populum defecturas. Si non li però non vogliamo credere, che i Persiani, quan
bertas servitute potior sit, tamen omni praesenti do han chiesto ai Lacedemoni acqua e terra,
statu spem cuique movandi res suas blandiorem abbisognassero di una zolla di terra, di un sorso
esse, º -
d'acqua. Fanno lo stesso tentativo i Romani,
trattando delle due città; perciocchè le altre,
come avran veduto che due si avranno scosso il
giogo dal collo, darannosi in braccio al popolo
liberatore. Quand'anche la libertà non fosse
migliore, che la servitù, nondimeno la speranza
di cose nuove lusingava ognuno assai più, che il
qualunque stato presente. » -

XVIII. Alexander Acarnan in consilio erat, XVIII. Assisteva al consiglio Alessandro di


Philippi quondam amicus, nuper relicto eo secu Acarnania, amico già di Filippo, ora, lasciato
tus opulentiorem regiam Antiochi; et, tamquam quello, venuto alla reggia più doviziosa di Antio
peritus Graeciae, mec ignarus Romanorum, in co, e come uomo pratico della Grecia, nè ignaro
eum gradum amicitiae regis, ut consiliis quoque delle cose de' Romani, era sì fattamente entrato
arcanis interesset, acceptus erat. Is, tamquam non, nell'amicizia del re, che veniva ammesso anche
utrum bellandum esset, nec ne, consuleretur, sed ne' consigli segreti. Costui, quasi non si discutes
ubi et qua ratione bellum gereretur, a Victoriam se, se si avesse a fare la guerra o no, ma bensì
se haud dubiam proponere animo affirmabat, si dove, ed in qual modo, affermava, a ch'egli si
in Europam transisset rex, et in aliqua Graeciae vedeva dinanzi agli occhi certa la vittoria, se il
parte sedem bello cepisset. Jam primum Aetolos, re fosse passato in Europa, e facesse centro della
qui umbilicum Graeciae incolerent, in armiseum guerra qualche parte della Grecia. Primieramen
inventurum, antesignanos ad asperrima quaeque te avrebbe trovato in arme gli Etoli, che son
belli paratos. In duobus velut cornibus Graeciae nel cuore della Grecia, avanguardia pronta a più
Nabin a Peloponneso concitaturum omnia, repe rischiosi cimenti. Su le due ale, per così dire,
tentem Argivorum urbem, repetentem maritimas della Grecia, dal Peloponneso Nabide mettereb
civitates, quibus eum depulsum Romani Lace be tutto a sommossa per riavere Argo e l'altre
daemonis muris inclusissent; a Macedonia Phi città marittime, dalle quali lo aveano scacciato i
lippum, ubi primum bellicum cani audisset, arma Romani, serrandolo tra le mura di Lacedemone;
capturum. Nosse se spiritus ejus, nosse animum : dalla Macedonia Filippo, come tosto avesse udito
scire, ferarum modo, quae claustris aut vinculis il suon della tromba, piglierebbe l'armi. Cono
teneantur, ingentes jam diu iras eum in pectore sceva egli i di lui spiriti, conosceva quel cuore:
volvere. Meminisse etiam se, quoties in bello sapeva che a guisa delle fiere, che si tengono
precari omnes deos solitus sit, ut Antiochum sibi chiuse o incatenate, ire grandi in petto ravvol
darent adjutorem. Cujus voti si compos nunc geva; si ricordava ancora, che quante volte,
fiat, nullam moram rebellandi facturum. Tantum durante la guerra, solea pregare gli dei, li prega
non cunctandum, neque cessandum esse. In eo va tutti, che gli dessero Antioco ad alleato, e se
enim victoriam verti, si et loca opportuna, et so. ora veda esaudito il suo voto, non tarderà a
9o 1 'l'ITI Ll VII LIBER XXXV. 902
cii praeoccuparentur. Hannibalem quoque sine staccarsi dai Romani. Solamente non bisogna in
mora mittendum in Africam esse ad distringen dugiare, nè perder tempo; chè la vittoria di
dos Romanos.
pende da questo, dall'impossessarsi avanti ogni
altro de'luoghi opportuni, e degli alleati. Biso
gnava pur anche spedire senza ritardo Annibale
in Africa, onde distrarre i Romani. -
XIX. Hannibal non adhibitus in consilium, XIX. Annibale, non invitato al consiglio,
propter colloquia cum Villio suspectus regi, et venuto in sospetto al re pe'colloqui avuti con
in nullo postea honore habitus, primo eam con Villio, e di poi in nessun onore tenuto, dapprima
tumeliam tacitus tulit; deinde melius esse ratus, sopportò in silenzio quest'onta; poscia stimando
et percunctari causam repentinae alienationis, et esser meglio e domandare il motivo dell'improv
purgare se tempore apto, quaesita simpliciter visa alienazione, e giustificarsi, scelto il tempo
iracundiae causa auditaque, a Pater Hamilcar, opportuno, ricercata semplicemente ed udita la
inquit, Antioche, parvum admodum me, quum cagione del risentimento, « Mio padre Amilcare,
sacrificaret, altaribus admotum jurejurando ade disse, o Antioco, mentre sagrificava, accostatomi
git, numquam amicum fore populi Romani. Sub agli altari, picciolo fanciullo, com'io era, mi
hoc sacramento sex et triginta annos militavi : fe giurare, che non sarei stato amico mai del
hoc me in pace patria mea expulit: hoc patria popolo Romano. Fedele a questo giuramento ho
extorrem in tuam regiam adduxit: hoc duce, si militato trentasei anni; questo è quello, che nella
tu spem meam destitueris, ubicumque vires, ubi pace mi cacciò fuori della mia patria; che sban
arma esse sciam, huc veniam, toto orbe terra dito dalla patria m'ha condotto alla tua reggia:
rum quaerens aliquos Romanis hostes. ltaque, si scorto da questo, se tu abbandonerai la mia
quibus tuorum meis criminibus apud te crescere speranza, dove armi, colà n'andrò, cercando pel
libet, aliam materiam crescendi ex me quaerant. mondo tutto qualche nemico a Romani. Quindi
Odi odioque sum Romanis: id me verum dicere, se ad alcuni de' tuoi piace di crescere in favore
pater Hamilcar et dii testes sunt. Proinde, quum presso di te col calunniarmi, cerchino materia di
de bello Romano cogitabis, inter primos amicos crescere d'altronde, che da me. Odio e sono in
Hannibalem habeto. Si qua restead pacem com odio a Romani: che io dica il vero, mi son testi
pellet, in id consilium alium, cum quo deliberes, monii Amilcare e gli dei. Quindi, quando pense
quaerito. » Non movit modo talis oratio regem, rai di mover guerra a Romani, abbiti Annibale
sed etiam reconciliavit Hannibali. Ex consilio tra primi amici. Se alcun caso ti spingerà verso
ita discessum est, ut bellum gereretur. la pace, allora cercati altri, con cui tu ti consigli.»
Questo discorso non solamente mosse il re, ma
eziandio riconciliollo con Annibale. Il consiglio
si sciolse in modo, che fu deliberato di far la
guerra.
XX. Romae destinabant quidem sermonibus XX. In Roma ne'discorsi ben disegnavano
hostem Antiochum, sed nihildum ad id bellum Antioco qual nemico, ma fuori che il coraggio,
praeter animos parabant. (Anno U. C. 56o. – A. null'altro aveano ancora preparato per codesta
C. 192.) Consulibus ambobus Italia provincia de guerra. (Anni D. R. 56o. – A. C. 192.) L'Italia
creta est, ita ut inter se compararent, sortiren fu assegnata ad amendue i consoli; con questo,
turve, uter comitiis ejus anni praeesset: ad utrum che si accordassero, ovvero traessero a sorte, chi
ea non pertineret cura, ut paratus esset, si quo di loro avesse a tenere i comizii di quell'anno;
eum extra Italiam opus esset ducere legiones. quegli dei due, cui non toccasse questa cura, stesse
Huic consuli permissum, ut duas legiones scribe pronto, se occorresse menar le legioni in alcun
ret novas, et sociùm Latini nominis vigintimillia, luogo fuori d'Italia. A questo console fu permes
et equites octingentos. Alteri consuli duae legio so, che levasse due nuove legioni, e venti mila
nes decretae, quas L. Cornelius consul superioris alleati del nome Latino, ed ottocento cavalli. Si
anni habuisset, et sociùm ac Latini nominis ex assegnarono all'altro console le due legioni ch'e
eodem exercitu quindecim millia, et equites quin rano state l'anno innanzi del console Lucio Cor
genti. Q. Minucio cum exercitu, quem in Liguri nelio, e dello stesso esercito quindici mila alleati,
bus habebat, prorogatum imperium. Additum, cinquecento cavalli. Si prorogò il comando a
in supplementum ut quatuor millia peditum Ro Quinto Minucio con l'esercito, che aveva nella
manorum scriberentur, et centum quinquaginta Liguria. Si aggiunse, che per supplemento sile
equites, et sociiseodem quinque millia peditum vassero quattro mila fanti Romani, e cento cin
imperarentur, ducenti quinquaginta equites. Cn. quanta cavalieri, non che cinque mila fanti degli
T ITI LIVII LIBLR XXXV. 9o4
9o3
Domitio extra ltaliam, quo senatus censuisset, alleati, e dugento cinquanta cavalli. Toccò a Gneo
provincia evenit, L. Quintio Gallia et comitia Domizio quella provincia fuori d'Italia, che il
habenda. Praetores deinde provinciassortiti; M. senato stimasse di assegnargli; a Lucio Quinzio
Fulvius Centumalus urbanam, L. Scribonius Libo la Gallia, e il dover tenere i comizii. Poscia i
peregrinam, L. Valerius Tappo Siciliam, Q. Salo pretori trassero a sorte le province loro: ebbe
nius Sarra Sardiniam, M. Baebius Tamphilus Hi Marco Fulvio Centumalo la giurisdizione urba
spaniam citeriorem, A. Atilius Serranus ulterio na, Lucio Scribonio Libone la forestiera, Lucio
rem. Sed his duobus primum senatusconsulto, Valerio Tappone la Sicilia, Quinto Salonio Sarra
deinde plebis etiam scito permutatae provinciae la Sardegna, Marco Bebio Tanfilo la Spagna cite
sunt. Atilio classis et Macedonia, Baebio Bruttii riore, Aulo Atilio Serrano l'ulteriore. Ma a que
decreti. Flaminio Fulvioque in Hispaniis proro sti due furon tramutate le province prima per
gatum imperium. Baebio Tamphilo in Bruttios decreto del senato, poi per deliberazione della
duae legiones decretae, quae priore anno urbanae plebe. Fu data ad Atilio la flotta e la Macedonia,
fuissent; et ut sociiseodem millia peditum quin a Bebio la provincia de'Bruzii. Si prolungò il
decim imperarentur, et quingenti equites Atilius comando a Flaminio ed a Fulvio nella Spagna.
triginta naves quinqueremes facere jussus, et ex Si decretarono a Bebio Tanfilo ne'Bruzii le due
navalibus veteres deducere, si quae utiles essent, legioni, che l'anno innanzi erano rimaste a Ro
et scribere navales socios. Et consulibus impera ma, e gli fu commesso di levare quindici mila
tum, ut ei duo millia sociùm ac Latini nominis, fanti degli alleati, e cinquecento cavalli. Atilio
et mille pedites darent Romanos. Hiduo prae ebbe ordine di fabbricare trenta quinqueremi, e
tores et duo exercitus, terrestris navalisque, ad di trar fuori dagli arsenali le vecchie, se alcune
versus Nabin, aperte jam oppugnantem sociospo atte fossero, e di arrolar genti pel servizio delle
puli Romani, dicebantur parari. Ceterum legati navi. Si commise a consoli, che gli dessero due
ad Antiochum missi exspectabantur ; et, prius mila fanti degli alleati e del nome Latino, e mille
quam ii redissent, vetuerat Cn. Domitium consu Romani. Questi due pretori, e questi due eserciti,
lem senatus ab urbe discedere, quello di terra e quello di mare era voce che si
apparecchiavano contro Nabide, che già scoper
tamente assaltava gli alleati del popolo Romano.
Del resto, si aspettavano gli ambasciatori spediti
ad Antioco, e il senato avea vietato al console
Gneo Domizio, che si partisse di Roma innanzi
che fossero tornati.
XXI. Praetoribus Fulvio et Scribonio, qui XXI. Ai pretori Fulvio e Scribonio, che do
bus, ut jus dicerent Romae, provincia erat, nego vevano render ragione in Roma, fu data l'incom
gotium datum, ut, praeter eam classem, cui Ati benza di allestire, oltre la flotta, di cui Atilio
lius praefuturus erat, centum quinqueremespa doveva avere il comando, altre cento quinquere
rarent. Priusquam consul praetoresque in pro mi. Innanzi che il console ed i pretori andassero
vinciasproficiscerentur, supplicatio fuit prodigio alle loro province, ci furon pubbliche preci per
rum causa. Capram sex hoedos uno foetu edidisse, cagione del prodigii. Venne annunziato dal Pice
ex Piceno munciatum est; et Arretii puerum na no avere una capra partoriti sei capretti ad un
tum unimanum: Amiterni terra pluisse : Formiis portato ; esser nato in Arezzo un bambino con
portam murumque de coelo tacta; et (quod ma una sola mano; in Amiterno esser piovuto terra;
xime terrebat) consulis Cn. Domitii bovem locu a Formio aver il fulmine colpito la porta e il mu
tum, c. Roma cave tibi » Ceterorum prodigiorum ro; e quello che più atterriva, un bue del console
causa supplicatum est: bovem cum cura servari Gneo Domizio aver pronunziate queste parole:
alique aruspices jusserunt. Tiberis, in festiore a Roma, ti guarda. ” Quanto agli altri prodigii
quam priore impetu illatus urbi, duo pontes, si fecero le dette pubbliche preci; ma il bue co
aedificia multa, maxime circa portam Flumenta mandarono gli aruspici, che fosse custodito con
nam, evertit. Saxum ingens, sive imbribus, sive cura e nodrito. Il Tevere, straripatosi con mag
motu terrae leviore, quam ut alioqui sentiretur, gior impeto, che l'anno innanzi, abbattè in Roma
labefactatum, in vicum Jugarium ex Capitolio due ponti, molti edifizii, specialmente presso la
procidit, et multos oppressit. In agris passim inun porta Flumentana. Un sasso enorme, smosso o
datis pecua ablata, villarum strages facta est. dalle piogge, o da un terremoto leggero più di
Priusquam L. Quintius consul in provinciam per quel che si potesse sentire, cadde dal Campido
veniret, Q. Minucius in agro Pisano cum Liguri glio nel borgo Giogario, e uccise parecchie per
lous signis collatis pugnavit: novem millia hostium sone. Nella campagna qua e là inondata ſu via
9o5 TITI LIVII LIBER XXXV. 9oti
occidit; ceteros fusos fugatosque in castra com portato il bestiame, e ruinate furono molte ville.
pulit. Ea usque in noctem magno certamine op Innanzi che il console Lucio Quinzio giungesse
pugnata defensaque sunt. Nocte clam profecti alla sua provincia, Quinto Minucio venne a gior
Ligures: prima luce Romanus vacua castra inva nata co'Liguri nel territorio Pisano: uccise nove
sit. Praedae minus inventum est, quod subinde mila uomini; gli altri, sbaragliati e fugati, li ri
spolia agrorum capta domos mittebant. Minucius cacciò nel lor campo. Questo fu sino a notte com
nihil deinde laxamenti hostibus dedit. Ex agro batutto e difeso con gran contrasto. La notte i
Pisano in Ligures profectus, castella vicosque Liguri celatamente se n'andarono: sul far del
eorum igmi ferroque pervastavit: ibi praeda Etru giorno il Romano occupò gli alloggiamenti rima
sca, quae missa a populatoribus fuerat repletus sti voti. Si trovò non molta preda, perchè lo
est miles Romanus, spoglio fatto ne'campi lo mandavano a mano a
mano alle lor case. Da quel dì Minucio non die'
più riposo a nemici. Dal territorio Pisano passò
ne'Liguri, pose a ferro e fuoco i lor castelli e vil
laggi: quivi il soldato Romano si empiè di botti
no, che vi aveano mandato i Liguri, saccheggian
do la Toscana.
XXII. Sub idem tempus legati ab regibus XXII. Tornarono in quel tempo a Roma gli
Romam reverterunt. Qui quum nihil, quod sa ambasciatori, ch'erano stati spediti a re. I quali
tis maturam causam belli haberet, nisi adversus non recando cosa, che avesse in sè cagione abba
Lacedaemonium tyrannum, attulissent, quem et stanza urgente di guerra, fuor che contro il ti
Achaei legati nunciabant contra foedus mariti ranno di Lacedemone, il quale, secondo anche
mam oram Laconum oppugnare; Atilius praetor quanto riferivano i legati Achei, contro il tenore
cum classe missus est in Graeciam ad socios tuen de'patti invadeva la costa marittima della Laco
dos. Consules, quando nihil ab Antiocho instaret, mia, si spedì in Grecia il pretore Atilio con la flot
proficisci ambo in provincias placuit. Domitius ra a difendere gli alleati. Si ordinò che poi che
ab Arimino, qua proximum fuit, Quintius per nulla sovrastava dalla parte di Antioco, ambedue
Ligures in Bojos venit. Duo consulum agmina i consoli andassero alle loro province. Domizio
diversa late agrum hostium pervastarunt. Primo da Rimini, ch'era la via più corta, Quinzio at
equites eorum pauci cum praefectis, deinde uni traversando la Liguria, vennero nel paese de'Boi.
versus senatus, postremo in quibus aut fortuna I due eserciti de'consoli da diverse bande die
aliqua, aut dignitas erat, ad mille quingenti ad dero largamente il guasto alle terre de'nemici.
consules transfugerunt. Et in utraque Hispania Dapprima pochi loro cavalli coi comandanti, in
eo anno res prospere gestae. Nam et C. Flaminius di tutto il senato, in fine tutti quelli, che aveano
oppidum Litabrum, munitum, opulentumque, qualche fortuna o dignità, da mille cinquecento
vineis expugnavit, et nobilem regulum Corribi si rifuggirono a consoli. In quell'anno anche nel
lonem vivum cepit; et M. Fulvius proconsul l'una e nell'altra Spagna s'ebbero prosperi suc
cum duobus exercitibus hostium duo secunda cessi. Perciocchè e Caio Flaminio s'impadronì
proelia fecit: oppida duo Hispanorum, Vesce con le macchine di Litabro, forte e ricco castello,
liam Holonemdue, et castella multa expugnavit: e prese vivo Corribilone, re loro assai rinomato;
alia voluntate ad eun defecerunt. Tum in Oreta e il proconsole Marco Fulvio ebbe due prosperi
nos progressus, et ibi duobus potitus oppidis, combattimenti contro due eserciti nemici; prese
Noliba et Cusibi, ad Tagum amnem ire pergit. due città Spagnuole Vescellia, e Olone, e parec
Toletum ibi parva urbs erat, sed loco munito: chi castelli; altri se gli diedero di volontà. Poscia
eam quum oppugnaret, Vectonum magnus exer andato innanzi nel paese degli Oretani, quivi
citus Toletanis subsidio venit. Cum his signis pure presi due castelli, Noliba e Cusibi, si av
collatis prospere pugnavit: et, fusis Vectonibus, viò verso il fiume Tago. Era quivi Toledo, città
operibus Toletum cepit. picciola, ma posta in sito forte: mentre la com
batteva, venne in soccorso de'Toletani un grosso
esercito di Vettoni: combattè contro di essi feli
cemente, e sbaragliatili, con le macchine prese
Toledo.
XXIII. Ceterum eo tempore minus ea bella, XXIII. Del resto in quel tempo davano meno
quae gerebantur, curae Patribus erant, quam da pensare a Padri le guerre che si facevano,
exspectatio nondum coepti cum Antiocho belli. che l'aspettazione di quella non ancora cominciata
Nam etsi per legatos identidem omnia explora con Antioco. Perciocchè, quantunque si spiasse
907 TITI LIVII LIBER XXXV. 9o8
bantur, tamen rumores, temere sine ullis aucto ogni cosa col mezzo de' legati, nondimeno le vo
ribus orti, multa falsa veris miscebant. Inter quae ci che nascevano a caso, senza saperne gli autori,
allatum erat, quum in Aetoliam venisset Antio mescolavano insieme il vero ed il falso. Una di
chus, extemplo classem eum in Siciliam missurum. queste recava che Antioco, come venuto fosse in
Itaque senatus, etsi praetorem Atilium cum classe Etolia, immantinente spedito avrebbe una flotta
miserat in Graeciam, tamen, quia non copiis in Sicilia. Pertanto il senato, benchè avesse man
modo, sed etiam auctoritate opus erat ad tuendos dato in Grecia il pretore Atilio con le navi, non
sociorum animos, T. Quintium, et Cn. Octavium, dimeno, perchè c'era d'uopo a sostenere gli ani
et Cn. Servilium, et P. Villium legatos in Grae mi degli alleati non solamente di forze, ma ezian
ciam misit; et, ut M. Baebius ex Bruttiis ad dio di persone di autorità, mandò legati in Gre
Tarentum et Brundisium promoveret legiones, cia Tito Quinzio, Gneo Ottavio, Gneo Servilio
decrevit, ut inde, si res posceret, in Macedoniam e Publio Villio, e decretò che Marco Bebio dai
trajiceret; et ut M. Fulvius praetor classem na Bruzii inoltrasse legioni sino a Taranto e Brin
vium triginta mitteret ad tuendam Siciliae oram; disi, onde di là, se abbisognasse, traghettasse in
et ut cum imperio esset, qui classem eam duceret Macedonia; e che il pretore Marco Fulvio man
(duxit L. Oppius Salinator, qui priore anno ae dasse trenta navi a guardar la costa della Sicilia;
dilis plebis fuerat); et ut idem praetor L. Valerio e che colui, che conducesse la flotta, ne avesse
collegae scriberet, a Periculum esse, ne classis re anche il comando (la condusse Lucio Oppio Sa
gis Antiochi ex Aetolia in Siciliam trajiceret: ita limatore, ch'era stato edile della plebe l'anno
que placere senatui, ad eum exercitum, quem avanti); e che il pretore stesso scrivesse al colle
haberet, tumultuariorum militum ad duodecim ga Lucio Valerio, « Esserci pericolo, che la flotta
millia, et quadringentos equites scribere eum, del re Antioco dall'Etolia voglia passare in Sici
quibus oram maritimam provinciae, qua vergeret lia: quindi esser volontà del senato, che per
in Graeciam, tueri posset. - Eum delectum prae giunta all'esercito, che aveva, levasse in fretta
tor non ex Sicilia ipsa tantum, sed etiam ex cir dodici mila fanti e quattrocento cavalli, con le
cumjacentibus insulis habuit ; oppidaque omnia quali forze potesse difendere la spiaggia maritti
maritima, quae in Graeciam versa erant, praesi ma della sua provincia, che guarda la Grecia. ”
diis firmavit. Addidit alimenta rumoribus adven
Il pretore fe'quella leva non solamente dalla Si
tus Attali, Eumenis fratris, qui nunciavit, Antio cilia, ma eviandio dalle isole d'intorno, e fornì
chum regem Hellespontum cum exercitu trans di presidii tutte le città marittime, ch'eran volte
isse, et Aetolos ita se parare, ut sub adventum verso la Grecia. Alle voci, che correvano, aggiun
ejus in armis essent. Et Eumeni absenti, et prae se alimento la venuta di Attalo, fratello di Eu
senti Attalo gratiae actae; et aedes liberae, locus, mene, il quale riferì aver di già Antioco passato
lautia decreta, et munera data, equi duo, bina l'Ellesponto con l'esercito, e gli Etoli far cotali
equestria arma, et vasa argentea centum pondo, apparecchi da poter essere in sull'arme alla sua
et aurea viginti pondo. venuta. Furono ringraziati ed Eumene assente,
ed Attalo presente, e si decretò loro allog
giamento franco, luogo agli spettacoli, tratta
mento, e in dono due cavalli, due armature di
cavaliere, e vasi d'argento del peso di cento lib
bre, e d'oro di venti.
XXIV. Quum alii atque alii nuncii bellum XXIV. Recando parecchi messi l'uno dopo
instare afferrent, ad rem pertinere visum est, l'altro, esser imminente la guerra, parve oppor
consules primo quoque tempore creari. Itaque tuna cosa, che si creassero i consoli quanto pri
senatusconsultum factum est, ut M. Fulvius prae ma. Fu adunque decretato che il pretore Marco
tor literas extemplo ad consulem mitteret, qui Fulvio scrivesse subito al console, avvisandolo,
bus certior fieret, senatui placere, provincia exer essere mente del senato, che consegnata la pro
cituque tradito legatis, Romam reverti eum, et vincia e l'esercito a legati, egli tornasse a Roma,
ex itinere praemittere edictum, quo comitia con e facendo strada premettesse un editto, col quale
sulibus creandis ediceret. Paruit his literis consul, intimasse i comizii per la creazione de'consoli.
et praemisso edicto, Romam venit. Eo quoque Obbedì il console alle lettere di Fulvio, e, pre
anno magna ambitio fuit, quod patriciitres in messo l'editto, venne a Roma. Anche in questo
umum locum petierunt, P. Cornelius Cn. F.Scipio, anno fu assai viva la concorrenza, domandando
qui priore anno repulsam tulerat, et L. Cornelius tre patrizii uno stesso unico posto, Publio Cor
Scipio, et Cn. Manlius Vulso. P. Scipioni, ut dila nelio Scipione, figlio di Gneo, il quale avuta
tum viro tali, non negatum honorem appareret, aveva l'anno innanzi la repulsa, e Lucio Corne

º
909 TITI LIVII LIBER XXXV. 91 o

consulatus datus est. Additur ei de plebe collega, lio Scipione, e Gneo Manlio Vulsone. Fu dato il
M.' Acilius Glabrio. Postero die praetores creati, consolato a Publio Scipione, acciocchè si scorges
L. Aemilius Paullus, M. Aemilius Lepidus, M. Ju se, che gli era stato differito, non negato l'onore.
mius Brutus, A. CorneliusMammula,C. Livius, et L. Gli si aggiunge a collega della plebe Manio Aci
Oppius; utrique eorum Salinator cognomen erat. lio Glabrione. Il dì seguente creati furono pre
Oppius is erat, qui classem triginta navium in tori Lucio Emilio Paolo, Marco Emilio Lepido,
Siciliam duxerat. Interim dum novi magistratus Marco Giunio Bruto, Aulo Cornelio Mammula,
sortirentur provincias, M. Baebius a Brundisio e Caio Livio e Lucio Oppio, l'uno e l'altro co
cum omnibus copiis transire in Epirum est jussus, gnominato Salinatore. Oppio era quegli, che
et circa Apolloniam copias continere, et M. Ful avea condotto in Sicilia la flotta di trenta navi.
vio praetori urbano negotium datum est, ut quin Intanto, mentre che i nuovi magistrati traevano
queremes novas quinquaginta faceret. a sorte le province, Marco Bebio ebbe ordine di
passare con tutte le forze da Brindisi nell'Epiro,
e tenerle ne'contorni di Apollonia; e fu commes
so al pretore urbano Marco Fulvio, che facesse
fare cinquanta nuove quinqueremi.
XXV. Et populus quidem Romanus ita se ad XXV. In questo modo il popolo Romano si
omnes conatus Antiochi praeparabat. Nabis jam preparava a far fronte a tutti i tentativi di Antio
non differebat bellum, sed summa vi Gythium co. Già Nabide non metteva indugio alla guerra,
oppugnabat; et, infensus Achaeis, quod miserant ma combatteva gagliardamente Gizio; e irritato
obsessis praesidium, agros eorum vastabat. Achaei, contro gli Achei, perchè avean mandato soccorso
non antea ausi capessere bellum, quam ab Roma agli assediati, saccheggiava le lor terre. Gli Achei,
revertissent legati, ut, quid senatui placeret, sci non avendo osato d'intraprender la guerra in
rent, post reditum legatorum et Sicyonem conci nanzi che i legati tornassero da Roma, onde
lium edixerunt, et legatos ad T. Quintium mise sapere prima qual fosse la volontà del senato,
runt, qui consilium ab eo peterent. In concilio come furono tornati, intimarono una dieta a
omnium ad bellum extemplo capessendum incli Sicione, e mandarono ambasciatori a Tito Quin
matae sententiae erant: literae T. Quintii cun zio, i quali lo ricercassero di consiglio. Nella dieta
ctationem injecerunt, quibus auctor erat prae tutti i pareri erano inclinati a pigliar subito la
torem classemque Romanam exspectandi. Quum guerra: la ritardarono le lettere di Tito Quinzio,
principum alii in sententia permanerent; alii colle quali consigliava di aspettare il pretore e
utendum eius, quem ipsi consuluissent, consilio la flotta Romana. Mentre altri de principali
censerent; multitudo Philopoemenis sententiam cittadini stavansi fermi nel lor parere, ed altri
exspectabat. Praetoristum erat, et omnes eo tem pensavano che si dovesse attenersi al consiglio
pore et prudentiam et auctoritate anteibat. ls di colui, ch' essi stessi avevano consultato, il
praefatus, « Bene comparatum apud Achaeos maggior numero stava attendendo l'avviso di
esse, ne praetor, quum debello consuluisset, ipse Filopemene. Era egli allora pretore, ed in quel
sententiam diceret, º statuere quamprimum ipsos, tempo avanzava tutti in prudenza ed autorità.
quid vellent, jussit. « Praetorem decreta eorum Avendo egli premesso a essere stato sapientemente
cum fide et cura exsecuturum, admisurumque, instituito dagli Achei, che il pretore, quando si
ut, quantum in consilio humano positum esset, trattasse di far la guerra, non dicesse opinione;
nec pacis eos poeniteret, nec belli. » Plus ea ora gli eccitò a quanto prima determinare ciò, che
tio momenti ad incitandos ad bellum habuit, volessero; che il pretore eseguirebbe i loro decreti
quam si aperte suadendo cupiditatem res gerendi con fede ed esattezza, e farebbe ogni sforzo, ac
ostendisset. Itaque ingenti consensu bellum de ciocchè quanto dipendesse da umano consiglio,
cretum est: tempus et ratio administrandi eius non si avessero a pentire nè della pace, nè della
libera praetori permissa sunt. Philopoemen, prae guerra. » Fu più valevole questo discorso ad
terquam quod ita Quintio placeret, et ipse existi eccitarli alla guerra, che se, apertamente consi
mabat classem Romanam exspectandam, quae a gliandola, mostrato avesse brama di farla. Quindi
mari Gythium tueri posset; sed metuens, ne dila fu decretata di unanime consentimento; e il
tionem res non pateretur, et non Gythium solum, tempo e la maniera di governarla fu lasciata al
sed praesidium quoque missum ad tuendam urbem libero arbitrio del pretore. Filopemene, oltre che
amitteretur, naves Achaeorum deduxit. così piaceva a Quinzio, anch'egli era di avviso
che si aspettasse la flotta Romana, la quale potesse
difender Gizio dalla parte di mare; se non che
temendo che la cosa non patisse dilazione, e che
TITI LIVII LIBER XXXV. 912

si avesse a perdere non solamente Gizio, ma


eziandio il presidio spedito a difenderlo, trasse
fuori le navi degli Achei.
XXVI. Comparaverat et tyrannus modicam XXVI. Anche il tiranno allestito aveva una
classem ad probibenda, si qua obsessis mari sub picciola flotta ad impedire i soccorsi, che gli
mitterentur, praesidia, tres tectas naves, et lem assediati potessero ricevere per mare, composta
bos pristesque, tradita vetere classe ex foedere di tre navi coperte, di alcuni lembi e brigantini,
Romanis. Harum novarum tum navium agilita avendo consegnata a Romani per forza dell'ac
tem ut experiretur, simul ut omnia satis apta ad cordo la vecchia flotta. E per far prova dell'agilità
certamen essent, provectos in altum quotidie re di questi navigli, e insieme acciocchè tutto fosse
migem militemque simulacris navalis pugnae pronto al caso di battaglia, ogni giorno esercitava
exercebat, in eo ratus verti spem obsidiomis, si i soldati e le ciurme in alto mare con simulacri
praesidia maritima interclusisset. Praetor Achaeo di navale combattimento, mettendo in questo la
rum, sicut terrestrium certaminum arte quem vis speranza della buona riuscita dell'assedio, se im
clarorum imperatorum vel usu vel ingenio aequa pedito avesse i marittimi soccorsi. Il pretore degli
bat, ita rudis in re navali erat; Arcas, mediterra Achei, siccome e per pratica e per scienza aggua
neus homo, externorum etiam omnium, nisi quod gliava qualunque più chiaro capitano nell'arte
in Creta praefectus auxiliorum militaverat, igna delle battaglie terrestri, così era inesperto nelle
rus. Navis erat quadriremis vetus, capta annis cose di mare; nato in Arcadia, in paese fra terra,
octoginta ante, quum Crateri uxorem Nicaeam ignaro eziandio delle cose esterne, se non che in
ab Naupacto Corinthum veheret. Hujus fama quanto avea militato in Creta, comandando una
motus (fuerat enim nobile in classe regia quon squadra di ausiliarii. C'era una vecchia quadri
dam navigium) deduci ab Aegio putrem jam ad reme, già presa ottant'anni innanzi, quando
modum et vetustate dilabentem jussit. Hac tum condusse la moglie di Cratero da Naupatto a
praetoria nave praecedente classem, quum in ea Corinto. Mosso dalla fama, che ne correva (ch'era
Patrensis Tiso praefectus classis veheretur, oc già stata naviglio celebre nella ſlotta del re) la fe”
currerunt a Gythio Laconum naves: et primo sta venire da Egio, quasi putrefatta, e dissolventesi
tim incursu ad novam et firmam navem vetus, per vecchiezza. Precedendo questa nave capitana,
quae per se ipsa omnibus compagibus aquam ac sulla quale montato era Tisone da Patrasso,
ciperet, divulsa est; captique omnes, qui in nave comandante della flotta, le vennero incontro da
erant. Cetera classis, praetoria nave amissa, quan Gizio le navi de Laconi; e subito al primo urto
tum quaeque remis valuit, fugerunt. Ipse Philo di un naviglio nuovo e robusto, il vecchio, che
poemen in levi speculatoria nave fugit; nec già da sè faceva acqua da tutte le commessure, si
ante fugae finem, quam Patras ventum est, fecit. spaccò; e tutti quelli ch'eran dentro furon presi.
Nihil ea res animum militaris viri, et multos Gli altri legni, perduta la nave capitana, quanto
experti casus, imminuit. Quin contra, si in re più poteron fare co' remi, si fuggirono. Fuggì
navali, cujus esset ignarus, offendisset, eo plus in lo stesso Filopemene in un leggero schifo; nè
ea, quorum usu calleret, spei mactus, breve id finì di fuggire sino a che non fu a Patrasso. Que
tyranno gaudium se effucturum affirmabat. sto accidente non iscemò punto l'animo ad uomo
avvezzo alla guerra, e già provato in molti casi :
anzi all'opposto, se gli era andata male la faccenda
in cosa di mare, che ignorava, tanto più sperando
in quello, ch'era pratico, affermava che avrebbe
fatta breve la gioia del tiranno.
XXVII. Nabis, quum prospera elatus re, tum XXVII. Nabide, gonfiatosi pel buon successo,
spem etiam haud dubiam nactus, nihil jam a mari e venuto a certa speranza che non c'era da
periculi fore, et terrestres aditus claudere op temer nulla dalla parte di mare, volle anche
portune positis praesidiis voluit. Tertia parte co chiudere gli accessi di terra, mettendo buone
piarum ab obsidione Gythii abducta, ad Pleias guardie in luoghi opportuni. Levata via la terza
posuit castra. Imminet islocus et Leucis, et Acriis, parte delle sue genti dall'assedio di Gizio, si ac
quavidebantur hostes exercitum admoturi. Quum campò presso a Pleia. Sovrasta quel luogo a
ibi stativa essent, et pauci tabernacula haberent, Leuci e ad Acri, dove pareva che i nemici si
multitudo alia casas ex arumdine textas fronde, sarebbono accostati con l'esercito. Messi quivi i
quae umbram modo praeberet, texissent; prius quartieri di state, pochi solamente forniti essendo
quam in conspectum hostium veniret Philopoe di tende, il resto dell'esercito avendosi fabbricato
men, nec opinantem eum improviso genere belli baracche intessute di canna, che con le foglie
913 "I'l'l'I LlVII LIBER XXXV. 914
aggredi statuit. Navigia parva in stationem occul facesse ombra, Filopemene, innanzi di venire in
tam agri Argivi contraxit: in ea expeditos milites, presenza del nemico, stabilì di assaltare Nabide,
caetratos plerosque, cum fundis et jaculis, et alio che tutt'altro si pensava, con improvviso strata
levi genere armaturae, imposuit. lnde litorale gemma. Radunò alcuni piccioli navigli in un'oc
gens, quum ad propinquum castris hostium pro culta stazione nel contado degli Argivi : sopra
montorium venisset, egressus callibus notis, nocte v'imbarcò de soldati leggeri, la maggior parte
Pleias pervenit; et, sopitis vigilibus, ut in nullo provveduti di piccioli scudi, con frombole, dardi
propinquo metu, ignem casis ab omni parte ca ed altre fogge di leggera armatura. Poscia radendo
strorum injecit. Multi prius incendio absumpti il lido, come fu venuto al promontorio vicino al
sunt, quam hostium adventum sentirent; et qui campo nemico, sbucato fuori per sentieri a lui
senserant, nullam opem ferre potuerunt. Ferro noti, giunse di notte a Pleia, ed essendo addor
flammaque omnia absumpta : perpauci tamen ex mentate le sentinelle, come quelle, ch'eran
tam ancipiti peste ad Gythium in majora castra lontane da qualsivoglia timore, mise il fuoco alle
perfugerunt. Ita perculsis hostibus, Philopoemen trabacche da ogni parte del campo. Molti perirono
protinus ad depopulandam Tripolim Laconici nell'incendio, innanzi che sentissero la venuta
agri, qui proximus finem Megalopolitarum est, del nemico, e quelli che sentirono, non potettero
duxit; et, magna vi pecorum hominumque inde arrecare alcun soccorso. Tutto fu distrutto dal
arrepta, priusquam a Gythio tyrannus praesidium ferro e dal fuoco; pochissimi però, scampando
agris mitteret, discessit. Inde Tegeam exercitu dal doppio guasto, fuggironsi nel campo maggiore
contracto, concilioque eodem et Achaeis et sociis di Gizio. Percossi in tal guisa i nemici, Filope
indicto, in quo et Epirotarum et Acarnanum mene condusse subito i suoi a saccheggiare Tripoli
fuere principes, statuit, quoniam satis et suorum nel contado della Laconia, ch'è vicino al confine
a pudore maritimae ignominiae restituti animi, de'Megalopolitani,e via menatane quantità grande
et hostium conterriti essent, ad Lacedaemonem d'uomini e di bestiami, innanzi che il tiranno
ducere: eo modo uno ratus ab obsidione Gythii mandasse genti da Gizio a difendere il paese, se
hostem abduci posse. Ad Caryas primum in ho ne partì. lndi, raccolto l'esercito a Tegea, e colà
stium terra posuit castra. Eo ipso die Gythium intimata una dieta agli Achei ed agli alleati, alla
expugnatum est. Cujus rei ignarus Philopoemen, quale intervennero anche i principali Epiroti ed
castra ad Barbosthenem (mons est decem mulia Acarnani, deliberò, poi che gli animi de' suoi
passuum ab Lacedaemone) promovit. Et Nabis, s'erano abbastanza rimessi dall' onta sofferta in
recepto Gythio, cum expedito exercitu inde pro mare, e s'era il nemico non poco sbigottito, di
fectus, quum praeter Lacedaemonem raptim du condur l'esercito a Lacedemone, stimando quello
xisset, Pyrrhi (quae vocant) castra occupavit ; essere il solo modo di ritrarre il nemico dall'asse
quem peti locum ab Achaeis, non dubitabat. In dio di Gizio. Dapprima accampossi a Caria, terra
de hostibus occurrit. Obtinebant autem longo nemica. In quel dì stesso Gizio fu preso. Il che
agmine propter angustias viae prope quinque ignorando Filopemene inoltrò il campo sino a
millia passuum. Cogebatur agmen ab equitibus, Barbostene (è questo un monte distante dieci mi
et maxime a parte auxiliorum; quod existimabat glia di Lacedemone). Anche Nabide, preso Gizio,
Philopoemen, tyrannum mercenariis militibus, partitosene con l'esercito libero da bagagli, aven
quibus plurimum fideret, ab tergo suos aggressu dolo condotto in tutta fretta oltre Lacedemone,
rum. Duae res simul inopinatae perculerunt eum : occupò il così detto campo di Pirro, luogo, dove
una, praeoccupatus, quem petebat, locus: altera, non dubitava che si sarebbono recati gli Achei ,
quod primo agmini occurrisse hostem cernebat, di là si fece incontro a'nemici. Occupavano questi
ubi, quum per loca confragosa iter esset, sine con lunga fila, per l'angustia della strada, uno
levis armaturae praesidio signa ferri non videbat spazio di quasi cinque miglia: chiudeva l'ordi
posse. nanza la cavalleria, specialmente dalla parte, ove
erano gli aiuti; perchè pensava Filopemene, che
il tiranno avrebbe assaltato i suoi alle spalle e i
soldati mercenarii,ne quali moltissimo confidava.
Due cose ad un tempo improvvisamente lo colpi
rono; una, il luogo, dove mirava di andare, pre
occupato dal nemico; l'altra, che scorgeva il neº
mico essersi messo di fronte alla prima schiera,
dove, avendosi a camminare per luoghi scabrosi,
non vedeva di poter spingere innanzi le bandiere
senza il presidio de'soldati armati alla leggera.

livio 2 58
o 5 TITI LIVII LIBER XXXV. 916
XXVIII. Erat autem Philopoemen praecipuae XXVIII. Era poi Filopemene di singolare
in ducendo agmine locisque capiendis solertiae avvedutezza ed esperienza nel condurre un eser
atque usus; nec belli tantum temporibus, sed cito, e nel pigliare i luoghi più acconci; ed era si
etiam in pace, ad id maxime animum exercuerat. particolarmente esercitato in ciò non solo nei
Ubi iter quopiam faceret, et ad difficilem transitu tempi di guerra, ma in quelli ancora di pace. Se
saltum venisset, contemplatus ab omni parte loci andava a qualche luogo, ed arrivava a un passo
maturam, quum solus iret, secum ipse agitabat difficile a varcarsi, esaminata da ogni parte la
animo; quum comites haberet, ab iis quaerebat, natura del sito, essendo solo, ne discorreva tra
c. Si hostis eo loco apparuisset, quid, si a fronte, sè; avendo compagni, chiedeva loro, e se il ne
quid, si ab latere hoc aut illo, quid, si ab tergo mico si mostrasse da quel luogo, qual consiglio
adoriretur, capiendum consilii foret? Posse in sarebbe da pigliare, quale, se assaltasse di fronte,
structos recta acie, posse inconditum agmen, et quale, se da questo, o quel fianco, quale, se alle
tantummodo aptum viae, occurrere. Quem locum spalle ! Potevano presentarsi in ordinanza, pote
ipse capturus esset, cogitando aut quaerendo ex vano disordinati, e solamente atti a camminare.
sequebatur, aut quot armatis, aut quo genere Pensando e ruminando tra sè determinava qual
armorum (plurimum enim interesse) usurus; luogo avrebbe egli preso; di quanti soldati, di
quo impedimenta, quo sarcinas, quo turbam iner qual sorta d'armi (chè questo importa moltissi
mem rejiceret: quanto ea. aut quali praesidio mo) si varrebbe, dove avrebbe collocati gl'impe
custodiret; et utrum pergere, qua coepisset ire dimenti, i bagagli, la turba inerme; quale e quan
via, an eam, qua venisset, repetere melius esset; to presidio messo alla custodia, e se fosse meglio
castris quoque quem locum caperet, quantum andar innanzi per la strada che avea preso, o ri
munimento amplecteretur loci, qua opportuna tessere quella, per cui era venuto, ed eziandio
aquatio, qua pabuli lignorumque copia esset: qua qual luogo prendere per accamparsi, quanto spa
postero die castra moventi tutum maxime iter, zio abbracciare con lo steccato, dove fosse l'op
quae forma agminis foret. - His curis cogitatio portunità dell'acqua, dove il bisogno del forag
nibusque ita ab ineunte aetate animum agitave gio e delle legne; a qual parte, movendo il cam
rat, ut nulla ei nova in tali re cogitatio esset. Et po il dì seguente, più sicuro fosse il cammino,
tum omnium primum agmen constituit: dein qual forma dare alle schiere. Con questi studii e
Cretenses auxiliares, et quos Tarentinos voca ragionamenti si aveva sin da giovanetto esercita
bant, equites, binos secum trahentes equos ad ta la mente in cotal guisa, che in codesto propo
prima sigma misit; et, jussis equitibus subsequi, sito non gli riusciva nuovo nessun pensiero. E
super torrentem, unde aquari possent, rupem allora prima di tutto fe far alto alle sue genti;
occupavit. Eo impedimenta omnia et calorium poi mise sul davanti gli aiuti Cretesi, e i cavalieri,
turbam conjectam armatis circumdedit, et pro che chiamavano Tarentini, traenti seco due ca
natura loci castra communivit. Tabernacula sta valli; e ordinato al resto della cavalleria che lo
tuere in aspretis et inaequabili solo difficile erat. seguitasse, occupò una roccia sopra un torrente,
Hostes quingentos passus aberant. Ex eodem rivo donde potessero trar acqua. Qui vi raccolti tutti
utrim ſue cum praesidio levis armaturae aquati gl'impedimenti e la turba de saccomanni, gli ac
sunt; et, priusquam (qualia in propinquis castris cerchiò di armati, e secondo la natura del luogo,
solent) contraheretur certamen, now intervenit. fortificò il campo. Era difficile piantar le tende
Postero die apparebat pugnandum pro aquato in terreno cotanto aspro e disuguale. I nemici
ribus circa rivum esse. Nocte in valle a conspe non erano lontani, che cinquecento passi. Dall'u
ctu hostium aversa, quantam multitudinem locus na e dall'altra parte si andava a pigliar acqua al
occulere poterat, condidit, caetratorum. medesimo rivo con la scorta di gente armata alla
leggera, e innanzi che si appiccasse la zuffa (come
avviene in accampamenti così vicini), sopraggiun
se la notte. Ben si scorgeva che il dì seguente
bisognava combattere presso il fiume a difesa di
quelli, che andavano a trar acqua. Quindi Filo
pemene la notte appiattò in una valle, fuor della
vista de'nemici, tanta moltitudine di soldati ar
mati alla leggera, quanti il luogo ne poteva
occultare.
XXIX. Luce orta, Cretensium levis armatura XXIX. Fattosi giorno, i Cretesi di leggera ar
et Tarentini equites super torrentem proelium matura, e i cavalieri Tarentini si azzuffarono sul
commiserunt. Telemnastus Cretensis popularibus torrente. Telemnasto di Creta comandava a suoi
917 TITI LIVII LIDER XXXV. 918
suis, equitibus Lycortas Megalopolitanus praee popolani, Licorta Megalopolitano a cavalli. I
rat. Cretenses et hostium auxiliares equitumque Cretesi, e gli aiuti de'nemici, e i cavalli simil
idem genus Tarentini, praesidio aquatoribus mente detti Tarentini stavano alla difesa della
erant. Aliquamdiu dubium proelium ſuit, ut eo lor gente andata a trar acqua. L'esito fu per al
dem ex parte utraque hominum genere, et armis cun tempo dubbioso, come quei, ch'eran gente
paribus. Procedente certamine, et numero vicere dall'una e dall'altra parte dello stesso paese, e
tyranni auxiliares, et quia ita praeceptum a Phi armati ad egual modo. Continuando la pugna, i
lopoemene praefectis erat, ut, modico edito proe soldati ausiliarii del tiranno vinsero sì pel nume
lio, in fugam inclinarent, hostemdue ad insidia ro, sì perchè Filopemene avea ordinato a capi
rum locum pertraherent. Effuse secuti fu gientes tani, che dopo breve combattimento cominciasse
per convallem, plerique et vulnerati, et interſecti ro a dar di volta, e tirassero il nemico al luogo
sunt, prinsquam occultum hostem viderent. Cae dell'imboscata. Inseguendo essi a briglia sciolta i
trati ita, quantum latitudo vallis patiebatur, in fuggitivi per la vallata, molti furono e feriti e
structi sederant, ut facile per intervalla ordinum uccisi, innanzi che scoprissero il nemico appiat
fugientes suos acciperent. Consurgunt deinde ipsi tato. Gli Achei s'erano fermati in ordinanza,
integri, recentes, instructi; et in hostesinordi quanto il permetteva l'ampiezza della valle, in
natos, effusos, labore etiam et vulneribus fessos, guisa che ricevevano agevolmente negl'intervalli
impetum faciunt, Nec dubia victoria fuit: extem delle file i loro, che fuggivano. Poscia levansi ad
plo terga dedit tyranni miles; et haud paullo un tratto freschi, nuovi, schierati, e si scagliano
concitatiore cursu, quam secutus erat, fugiens, contro i nemici disordinati, sbandati, e stracchi
ad castra est compulsus: multi caesi captique in inoltre per la fatica e le ferite. Nè la vittoria ri
ea fuga sunt. Et in castris quoque foret trepida mase dubbia: il soldato del tiranno si die' subito
tum, ni Philopoemen receptui cani jussisset; loca alla fuga, e fuggendo di corso assai più precipita
magis confragosa, et, quacumque tenere proces to, che quando s'era messo ad inseguire, fu re
sisset, iniqua, quam hostem, metuens. Inde et ex spinto nei suoi alloggiamenti. Nella fuga molti ne
fortuna pugnae, et ex ingenio ducis conjectans, furon presi, molti ammazzati; ed anche nel campo
in quotum is pavore esset, unum de auxiliaribus ci sarebbe stato grande scompigliamento, se Fi
specie transfugae mittita deum, qui pro comperto lopemene non avesse fatto sonare a raccolta, te
afferret: Achaeos statuisse postero die Eurotam mendo più di quei luoghi dirupati, e dovunque
amnem, qui prope ipsis aſluit moenibus, progre si fosse per avventura inoltrato, svantaggiosi, che
di ut intercluderent iter ; ne aut tyrannus, quum degli stessi nemici. Indi congetturando e dall'esi
vellet, receptum ad urbem haberet, aut commea to della battaglia, e dall'indole del tiranno in
tus ab urbe in castra portarentur; simul etiam che spavento egli fosse, manda uno de' suoi au
tentaturus, si quorum animi sollicilari ad deſe siliari sotto figura di disertore, che gli annunzi
ctionem a tyranno possent. Non tam fidem dictis per cosa certa, avere gli Achei stabilito il dì se
pertuga fecit, quam perculso metu relinquendi guente di portarsi al fiume Eurota, che scorre
castra causam probabilem praebuit. Postero die quasi sotto le mura di Lacedemone, onde chiu
Pythagoram cum auxiliaribus et equitatu statio dergli la via, sì che il tiranno, quando volesse,
nein agere pro vallo jussit. Ipse, tamquam in non potesse ritirarsi alla città, nè da questa si
aciem cum robore exercitus egressus, signa ocius potesse tradurre vettovaglie al campo, ed anche
ſerri ad urbem jussit. per tentare, se gli riuscisse di muovere alcuni
de' suoi a ribellarsi. Non tanto le parole ottenne
ro credenza dal tiranno, quanto, sbigottito, co
m'era, gli diedero speciosa cagione di abbandonare
il campo. Ordinò che Pitagora il di seguente coi
soldati ausiliarii e con la cavalleria stesse di guar
dia davanti allo steccato. Egli, quasi uscito fosse a
battaglia, col nerbo dell'esercito mosse in fretta
le bandiere verso la città.
XXX. Philopoemen, postduam citatum ag XXX. Filopemene come vide l'oste andarsene
men per angustam et procliven viam duci rapim frettoloso per via angusta e proclive, mandò tutta
vidit, equitatum omnem et Cretensium auxiliares la cavalleria e gli ausiliarii Cretesi ad assaltar la
in stationem hostium, quae pro castris erat, emit posta de'nemici, che stava dinanzi al campo. Que
tit. Illi, ubi hostes adesse, et a suisse desertosvi sti vedendo il nemico dappresso, e ch'erano ab
derunt, primo in castra recipere se conati sunt; bandonati da suoi, dapprima tentarono di ritirarsi
nel campo; indi poi che si accostava tutta la schiera
deiude, postguam instructa acies tota Achaeorum
o 19 TITI LIVII LIBER XXXV. 92o

admovebatur, metu ne cum ipsis castris caperem degli Achei in ordinanza, temendo d'esser presi
tur, sequi suorum agmen aliquantum praegres insieme col campo, mettonsi a seguitare il loro
sum insistunt. Extemplo caetrati Achaeorum in esercito, andato alquanto innanzi. Immantinente
castra impetum faciunt, et diripiunt; ceteri ad i così detti cetrati degli Achei danno l'assalto agli
persequendos hostes ire pergunt. Erat iter tale, alloggiamenti, e li saccheggiano; gli altri inse
per quod vix tranquillum ab hostili metu agmen guono il nemico. La strada era tale, che anche
expediri posset. Ut vero ad postremos proelium un esercito, che non temesse di nemico, poteva
ortum est, clamorgue terribilis a tergo paventium appena uscirne fuori. Ma come la battaglia co
ad prima signa est perlatus, pro se quisque, armis minciò ad appiccarsi alla retroguardia, e dalle
abjectis, in circumjectas itineri silvas diffugiunt, spalle un terribile grido di spavento s'inoltrò
momentoque temporis strage armorum septa via sino alle prime insegne, tutti, ognuno da sè, get
est, maxime hastis; quae, pleraeque adversae ca tate l'armi, fuggonsi nelle selve, che fiancheg
dentes, velut vallo objecto iter impediebant. Phi giano la strada; e questa in un momento fu
lopoemen, utcumque possent, instare et persequi ingombrata da un monte d'armi, specialmente
auxiliaribus jussis (utique enim equitibus haud di aste, le quali, cadendo la maggior parte di
facilem futuram fugam), ipse gravius agmen via fronte, quasi opposto steccato, impacciavano il
patentiore ad Eurotam amnem deduxit. Ibi ca cammino. Filopemene, dato ordine agli ausiliarii
stris sub occasum solis positis, levem armaturam, che come meglio potessero, incalzassero ed inse
quam ad persequendum reliquerat hostem, op guissero il nemico (chè nè anche i cavalli avreb
periebatur. Qui ubi prima vigilia venerunt, num bono potuto facilmente fuggire), egli per più
ciantes, tyrannum cum paucis ad urbem pene larga strada condusse i suoi gravemente armati
trasse, ceteram multitudinem inermem toto spar al fiume Eurota. Quivi, accampatosi sul tramon
sam vagari saltu, corpora curare eos jubet. Ipse tare del sole, aspettava quelli armati alla leggera,
ex cetera copia militum (qui, qui a priores in ca che avea mandati ad inseguire il nemico. I quali,
stra venerant, refecti et cibo sumpto, et modica venuti in sulla prima veglia, riferito avendo che
quiete erant) delectos, nihil praeter gladios se il tiranno era con pochi penetrato in città, che
cum ferentes, extemplo educit; et duarum por l'altra moltitudine vagava senz'armi dispersa
tarum itineribus, quae Pheras, quaeque Barbo per le boscaglie, ordina che prendano riposo.
sthenem ferunt, eos instruxit; qua ex fuga rece Del rimanente del soldati (i quali, perchè primi
pturos sese hostes credebat. Nec eum opinio fe venuti al campo, s'erano ristorati, prendendo
fellit: nam Lacedaemonii, quoad lucis superfuit un po' di cibo e di riposo), ne trae fuori subito
quidquam, deviis callibus medio saltu se recipie alquanti scelti, non altro seco portando, che le
bant. Primo vespere ut lumina in castris hostium spade, e gli apposta in ordinanza sulle strade
conspexere, e regione eorum occultis semitis se delle due porte, che mettono a Fera e a Barbo
tenuerunt: ubi ea sunt praegressi, jam tutum stene là, dove credeva che i nemici si sarebbo
rati, in patentes vias descenderunt. Ibi excepti no ritratti dalla fuga. Nè s'ingannò nel pensiero.
ab insidente hoste passim ita multi caesi captique Perciocchè i Lacedemoni, sino a tanto che v'eb
sunt, utvix quarta pars de toto exercitu evaserit. be un resto di luce, per istrade traverse si ritira
Philipoemen, incluso tyranno in urbem, inse vano intermandosi nel bosco. Sul far della notte,
quentes dies prope triginta vastandis agris Laco come videro i lumi accesi nel campo nemico, per
num absumpsit, debilitatisque ac prope fractis sentieri occulti lo andarono costeggiando di
tyranni viribus, domum rediit, aequantibus eum lontano; e poi che l'ebbero oltrepassato, creden
gloria rerum Achaeis imperatori Romano, et, dosi al sicuro, discesero sulle strade maestre. Qui
quod ad Laconicum bellum attineret, praeferen vi abbattutisi nel nemico appostato, ne furono uc
tibus etiam. cisi e presi tanti, che appena di tutto l'esercito la
quarta parte scampò. Filopemene, standosi il
tiranno chiuso nella città, consumò i quasi trenta
giorni seguenti a devastare il contado de'Laconi;
e indebolite e presso che infrante le forze del
tiranno, tornossi a casa, gli Achei pareggiandolo
in gloria al comandante Romano, e per quanto
apparteneva alla guerra Laconica, eziandio pre
ferendolo.
XXXI. Dum inter Achaeos et tyrannum bel XXXI. Mentre durava la guerra tra gli Achei
lum erat, legati Romanorum circumire sociorum ed il tiranno, i legati de Romani andavano gi
urbes, solliciti, ne Aetoli partis alicujus animos rando per le città degli alleati, per timore che
92 I TITI LIVII LIBER XXXV. 922

ad Antiochum avertissent. Minimum operae in gli Etoli non ne rivolgessero qualcuna alla parte
Achaeis adeundis consumpserunt; quos, quia Na di Antioco. Pochissima opera consumarono nel
bidi infesti erant, ad cetera quoque satis fidos visitare gli Achei, riputandoli, poi che nemici
censebant esse. Athenas primum, inde Chalcidem, erano a Nabide, anche in ogni altra cosa fidatis
inde in Thessaliam iere; allocutique concilio fre simi. Andarono prima in Atene, poi a Calcide, di
quenti Thessalos, Demetriadem iter flexere. Eo là in Tessaglia; e avendo parlamentato co'Tessali
Magnetum concilium indictum est. Accuratior in una dieta numerosa, piegarono verso Deme
ibi habenda oratio fuit, quod pars principum alie triade. Colà fu intimata un'assemblea de Magneti.
nati a Romanis, totique Antiochi et Aetolorum Bisognò quivi tenere un discorso più elaborato,
erant; quia, quum reddi filium obsidem Philip perchè una parte dei cittadini principali alienata
po allatum esset, stipendiumque impositum re era dai Romani, e tutta addetta ad Antioco ed
mitti, intercetera vana allatum erat, Demetria agli Etoli, a motivo che, essendo stato riferito
dem quoque ei reddituros Romanos esse. Id ne che si sarebbe renduto a Filippo il figliuolo dato
fieret, Eurylochus princeps Magnetum, factionis in ostaggio, e rimessogli lo stipendio imposto,
que ejus quidam, omnia novari Aetolorum Antio tra l'altre vane dicerie s'era spacciato che i Ro
chique adventu, malebant. Adversus eosita disse mani gli avrebbono restituito anche Demetriade.
rendum erat, ne, timorem vanum iis demendo, Acciocchè questo non accadesse, Euriloco, capo
spes incisa Philippum abalienaret; in quo plus ad de Magneti, e alcuni altri di quella fazione, ama
ormnia momenti, quam in Magnetibus, esset. Illa van meglio che si scompigliasse ogni cosa per
tantum commemorata, a quum totam Graeciam la venuta degli Etoli e di Antioco. Bisognava
beneficio libertatis obnoxiam Romanis esse, tum con questi favellare in maniera, che togliendo loro
eam civitatem praecipue. 1bi enim non praesi un vano timore, d'altra parte la speranza troncata
dium modo Macedonum fuisse, sed regiam exae non alienasse Filippo, nel quale c'era assai più da
dificatam, ut praesens semper in oculis habendus far conto in ogni cosa, che ne'Magneti. Non altro
esset dominus. Ceterum nequidquam ea facta, si si rammemorò, se non che, a se tutta la Grecia
Aetoli Antiochum in Philippi regiam adducerent, si professava obbligata a Romani del benefizio di
et novus et incognitus pro vetere et experto ha sua libertà, avea lor obbligo massimamente quella
bendus rex esset. - Magnetarchen summum ma città; perciocchè quivi non solamente c'era stato
gistratum vocant. Is tum Eurylochus erat ; ac presidio di Macedoni, ma vi si aveva eziandio
potestate ea fretus, negavit dissimulandum sibi fabbricata una reggia, onde avesse sempre pre
et Magnetibus esse, quae fama vulgata de redden sente in sugli occhi il suo signore. Se non che
da Demetriade Philippo foret. Id ne fieret, omnia tutto esser opera perduta, se gli Etoli chiama
et comanda et audenda Magnetibus esse. Et inter vano Antioco nella reggia di Filippo, e per un re
dicendi contentionem inconsultius evectus proje vecchio e provato ne volessero avere uno nuovo
cit, « Tum quoque specie liberam Demetriadem e sconosciuto. » Chiamano Magnetarche il loro
esse: re vera omnia ad nutum Romanorum fieri.» sommo magistrato. Questi allora era Euriloco, e
Sub hanc vocem fremitus variantis multitudinis inanimito dalla sua carica, disse non dissimular
fuit, partim assensum, partim indignationem, di egli nè i Magneti la voce sparsa della restituzio
cere id ausum eum. Quintius quidem adeo exar ne di Demetriade a Filippo; perchè ciò non
sit ira, ut, manus ad coelum tendens, deos testes accadesse, certo i Magneti avrebbono tentato e
ingrati ac perfidi animi Magnetum invocaret. Hac osato tutto. E nel calore del discorso portatosi
voce perterritis omnibus, Zeno, ex principibus innanzi troppo sconsigliatamente, si lasciò fug
unus, magnae tum ob eleganter actam vitam au gire di bocca, « che anche allora Demetriade era
ctoritatis, tum quod semper Romanorum haud libera soltanto in apparenza, ma che in fatto vi si
dubie partis fuerat, ab Quintio legatisque aliis faceva ogni cosa ad arbitrio de' Romani. » A
flens petiit, a me unius amentiam civitati assigna questa voce destossi un vario fremito nella mol
rent. Suo quem que periculo furere. Magnetas non titudine, parte approvando, parte sdegnandosi
libertatem modo, sed omnia, quae hominibus san che avesse osato dir questo. Quinzio veramente
cta caraque sint, T. Quintio et populo Romano di tanta ira si accesse, che levando le mani al
debere. Nihil quemquam ab diis immortalibus pre cielo, invocò gli dei a testimoni dell'animo in
cari posse, quod non Magnetes ab illis heberent; grato e perfido de Magneti. A questo tratto
et in corpora sua citius per furorem saevituros, essendo tutti colpiti da spavento, Zenone, uno
quam ut Romanam amicitiam violarent. » de'principali del paese, di grande autorità sì per
la vita sempre nobilmente condotta, sì perchè fu
sempre indubitatamente del partito de Romani,
domandò piangendo a Quinzio ed agli altri legati,
3 TITI LIVII LIBER XXXV. 924
e che non imputassero a tutta la città la pazzia
di un solo; quegli, che dà nelle furie, quegli
solo n'abbia il danno. I Magneti si dichiarano
debitori a Tito Quinzio ed al popolo Romano
della libertà non soltanto, ma di quanto v'ha
pegli uomini di più caro e di più sacro. Non v'ha
cosa, che si possa chiedere agli dei immortali,
che non l'abbiano i Magneti ricevuta da essi; e
infieriranno contro le proprie persone più pre
sto, che violare l'amicizia de'Romani. »
XXXII. Hujus orationem subsecutae multitu XXXII. A codeste parole tennero dietro le
dinis preces sunt. Eurylochus ex concilio itineri preghiere della moltitudine. Euriloco dall'assem
bus occultis ad portam, atque inde protinus in blea per occulte vie recossi alla porta, e di là
Aetoliam profugit. Jam enim, et id magis in dies, subito fuggissi in Etolia. Perciocchè gli Etoli di
Aetoli defectionem nudabant; eoque ipso forte già ogni giorno più manifestavano di volersi
tempore Thoas, princeps gentis, quem miserant ribellare; e a caso in quel medesimo tempo era
ad Antiochum, redierat, indeque Menippum se tornato Toante, capo della nazione, che spedito
cum adduxerat, regis legatum. Qui, priusquam avevano ad Antioco, ed avea condotto seco di là
concilium iis daretur, impleverant omnium aures Menippo, legato del re. I quali, innanzi che
terrestres navalesque copias commemorando ; avessero udienza, riempiuto avevano gli orecchi
« ingentem vim peditum equitumque venire: ex di tutti, rammemorando le forze di terra e di
India elephantos: ante omnia (quo maxime mo mare; a venire immensa torma di fanti e di
veri credebant multitudinis animos.) tantum ad cavalli; elefanti dall'India, ma soprattutto (con
vehi auri, ut ipsos emere Romanos possit. » Ap che massimamente speravano di muovere gli
parebat, quid ea oratio in concilio motura esset. animi della moltitudine) portarsi tanto oro, da
Nam ei venisse eos, et, quae agerent, omnia Ro poter comperare gli stessi Romani. " Si vedeva
manis legatis deferebantur; et quamquam prope chiaramente qual effetto avrebbe prodotto sì fatto
abscisa res erat, tamen non ab re esse Quintio discorso nell' assemblea; perciocchè e la loro
visum est, sociorum aliquos legatos interesse ei venuta, e quello che andavano spacciando, tutto
concilio, qui admonerent Romanae societatis Ae si riportava esattamente a legati Romani. E
tolos, qui vocem liberam mittere adversus re quantunque la cosa fosse quasi affatto decisa, pure
gis legatum auderent. Athenienses maxime in eam non parve a Quinzio fuor di proposito, che alcuni
rem idonei visi sunt, propter et civitatis dignita legati degli alleati intervenissero a quella dieta, i
tem, et vetustam societatem cum Aetolis. A b iis quali ricordassero agli Etoli la loro alleanza coi
Quintius petiit, ut legatos ad Panaetolicum conci Romani, e osassero parlare francamente a fronte
lium mitterent. Thoas primus in eo concilio re del legato del re. A ciò si stimarono esser atti
nunciavit legationem. Menippus post eum intro specialmente gli Ateniesi, e per la dignità della
missus, . Optimum fuisse omnibus, qui Graeciam loro patria, e per l'antica loro colleganza cogli
Asiam que incolerent, ait, integris rebus Philippi Etoli. Quinzio dunque li ricercò, che mandassero
potuisse intervenire Antiochum : sua quem que ambasciatori alla dieta Panetolica. Primo Toante
habiturum fuisse, neque omnia sub nutum ditio vi espose l'operato nella legazione. Indi Menippo
nemque Romanam perventura. Nunc quoque, in introdotto, . Sarebbe stata, disse, ottima cosa per
quit, si modo vos, quae inchoastis. consilia con tutti quelli, che abitano la Grecia e l'Asia, che
stanter perducitis ad exitum, poterit, diis juvan Antioco avesse potuto intervenire negli affari,
tibus et Aetolis sociis, Antiochus quamvis incli quando quelli di Filippo erano ancora intatti; chè
natas Graeciae res restituere in pristinam digni ognuno avrebbe conservato il suo, nè tutto sareb
tatem. Ea autem in libertate posita est, quae suis be passato in mano ed in potere dei Romani. Ed
stat viribus, non ex alieno arbitrio pendet. » anche in presente, aggiunse, qualora vogliate con
Athenienses, quibus primis, post regiam legatio la fermezza condurre a fine i comincianti disegni,
nem, dicendi, quae vellent, potestas facta est, potrà Antioco, col soccorso degli dei, e coll'allean
mentione omni regis praetermissa, Romanae socie za degli Etoli, le cose della Grecia, sebbene alquan
tatis Aetolos, meritorumque in universam Grae to inclinate, restituirle alla primiera dignità.
ciam T. Quintii, admonuerunt, « ne temere eam Questa poi consiste nella libertà, che si regge
celeritate nimia consiliorum everterent. Consilia con le proprie forze, e non dipende dall'arbitrio
calida et audacia prima specie laeta, tractatu du altrui. Gli Ateniesi, a quali primi dopo la regia
ra, eventu tristia esse. Legatos Romanos, et in iis ambasceria fu data facoltà di esporre ciò che
925 TITI LIVII LIBER XXXV.
92G
T. Quintium, haud proculinde abesse. Dum in volessero, tralasciata ogni menzione del re, ricor
tegra omnia essent, verbis polius de iis, quae am darono agli Etoli l'alleanza Romana, e gli obbli
bigerentur, disceptarent, quam Asiam Europam ghi, che aveva tutta la Grecia a Tito Quinzio,
que ad funestum armarent bellum. » ammonendoli « a non volerla trarre a rovina con
troppo precipitati consigli. I consigli fervidi, e
ardimentosi a primo aspetto son lieti, duri quan
do si trattano, tristi nell'esito. I legati Romani,
e tra questi Tito Quinzio, non sono quinci molto
lontani. Mentre tutto è intatto ancora, trattino
a parole di ciò che fosse controverso, piuttosto
che armare l'Asia e l'Europa in funestissima
guerra. ”
XXXIII. Multitudo avida novandi res, Antio XXXIII. La moltitudine, avida di novità,
chi tota erat; et ne admittendos quidem in con stava tutta per Antioco, ed avvisavano che non
cilium Romanos censebant. Principum maxime si dovesse nemmeno ammettere i Romani all'as
seniores auctoritate obtinuere, ut dareturiis con semblea; ottennero però i più vecchi con la loro
cilium. Hoc decretum Athenienses quum retulis autorità, che vi fossero ammessi. Avendo gli Ate
sent, eundum in Aetoliam Quintio visum est. Aut niesi rapportato a Quinzio questo decreto, gli
enim moturum aliquid, aut omnes homines testes parve ch'ei dovesse recarsi in Etolia. Perciocchè,
fore, penes Aetolos belli culpam esse: Romanos o avrebbe prodotto qualche effetto, o tutti sareb
justa ac prope necessaria sumpturos arma. Post bono stati testimoni starsi la colpa della guerra
quam ventum est eo, Quintius in concilio, orsus presso gli Etoli; i Romani aver dovuto a buon
a principio societatis Aetolorum cum Romanis, dritto, e quasi necessariamente pigliar l'armi.
et quoties ab iis fides mota foederis esset pauca Quinzio, giunto colà, introdotto nel consiglio,
de jure civitatium, de quibus ambigeretur, disse cominciando dal principio dell'alleanza degli
ruit. « Si quid tamen aequi se habere arbitraren Etolico Romani, e quante volte crollata avessero
tur, quanto esse satius Romam mittere legatos, la fede dei trattati, disputò con poche parole dei
seu disceptare, seu rogare senatum mallent; quam diritti delle città, che davan soggetto di contro
populum Romanum cum Antiocho, lanistis Ae versia. « Nondimeno se credono di aver qualche
tolis, non sine motu magno generis humani, et ragione, quanto non sarebbe meglio che spedis
pernicie Graeciae dimicare? necullos prius cla sero ambasciatori a Roma, o vogliano disputare,
dem ejus belli sensuros, quam qui movissent » o pregare il senato, piuttosto che volere che il
Haec nequidquam velut vaticinatus Romanus. popolo Romano venga alle prese con Antioco, gli
Thoas deinde ceterique factionis ejusdem cum Etoli facendola da capi di gladiatori, non senza
assensu omnium auditi per vicerunt, ut, ne dilato grande sconvolgimento di tutto il genere umano,
quidem concilio, et absentibus Romanis, decre e rovina della Grecia ? E nessuno sentirebbe più
tum fieret, quo arcesseretur Antiochus ad libe presto i pesi di quella guerra, che coloro stessi,
randam Graeciam, disceptatumque inter Aetolos che l'avrebbono suscitata. - Fu vana del tutto
et Romanos. Huic tam superbo decreto addidit questa profezia del Romano. Toante di poi e gli
propriam contumeliam Damocritus praetor eo altri di quella fazione, uditi con assentimento ge
rum : nam quum id ipsum decretum posceret nerale, ottennero che senza differire il consiglio,
eum Quintius, non veritus maiestatem viri aliud presenti tuttavia i Romani, si facesse un decreto,
in praesentia, quod magis instaret, praeverten con cui Antioco chiamato fosse a liberare la
dum sibi esse, dixit: decretum responsumque Grecia, e a finir le contese tra gli Etoli ed i Ro
brevi in Italia, castris super ripam Tiberis posi mani. A così superbo decreto il loro pretore Da
tis, daturum: º tantus furor illo tempore gen mocrito aggiunse un tratto di sua particolare
tem Aetolorum, tantusque magistratus eorum insolenza. Perciocchè avendo Quinzio richiesto
cepit. un esemplare di quel decreto, non avendo que
gli rispetto alcuno alla dignità del personaggio,
gli rispose, a che aveva innanzi da far cosa di
maggior urgenza, e che gli avrebbe dato in breve
il decreto e la risposta in Italia, mettendo il
campo sulla riva del Tevere; º sì pazzo furore
invase a quel tempo la nazione degli Etoli, invase
i loro magistrati.
XXXIV. Quintius legatique Corinthum redie XXXIV. Quinzio e i legati tornarono a Co
927 TITI LIVII LIBER XXXV. 928
runt. Inde, ut quaeque de Antiocho, nihil per rinto. Poscia, quasi parer potesse che senza punto
se ipsi moti, et sed entes exspectare adventum vi muoversi essi stessi, tutto aspettassero da Antioco,
derentur regis, concilium quidem universae gen e seduti attendessero la di lui venuta, licenziati i
tis post dimissos Romanos non habuerunt: per Romani, per verità non tennero una dieta di tutta
apocletos autem (ita vocant sanctius consilium : la nazione; ma col mezzo degli apocleti (è questo
ex delectis constat viris) id agitabant, quonam il consiglio più venerando, composto di scelte
modo res in Graecia novarentur. Inter omnes persone) consultarono in che modo scompigliar
constabat, in civitatibus principes,optimum quem potessero le cose della Grecia. Tutti erano con
que, Romanae societatis esse, et praesenti statu vinti, che nella città i principali ed ogni uomo
gaudere; multitudinem, et quorum res non ex dabbene tenevano per l'alleanza Romana, ed era
sententia ipsorum essent, omnia novare velle. Ae no lieti dello stato presente; e che la moltitudine,e
toli consilium uno die spei quoque non audacis quelli, a cui grado non andavano le cose, volevan
modo, sed etiam impudentis, ceperunt, Demetria tutto innovare. Gli Etoli presero una determina
dem Chalcidem et Lacedaemonem occupandi. zione non soltanto audace, ma eziandio impuden
Singuli in singulas missi sunt principes; Thoas te; e fu di occupare in uno stesso giorno Deme
Chalcidem, Alexamenus Lacedaemonem, Diocles triade, Calcide e Lacedemone. Ad ognuna di
Demetriadem. Hunc exsul Eurylochus, de cuius queste città si mandò uno de principali cittadini;
fuga causaque fugae ante dictum est, quia reditus Toante a Calcide, Alexameno a Lacedemone,
in patriam nulla spes alia erat, adjuvit. Literis Diocle a Demetriade. Diocle fu aiutato dal fuor
Eurylochi admoniti propinqui amici que, et qui uscito Euriloco, della cui fuga e cagion della
ejusdem factionis erant, liberos et coniugem ejus fuga si è detto sopra, poi che gli mancava ogni
cum sordida veste, tenentes velamenta supplicum, altra speranza di tornarsi in patria. Avvisati per
concionem frequentem adire jubent, singulos lettera di Euriloco i di lui parenti ed amici, e
universosque obtestantes, ne insontem, indemna quelli, ch'erano della stessa fazione, fanno che
tum consenescere in exsilio sinerent. Et simplices sua moglie ei suoi figliuoli, vestiti a lutto, velati
homines misericordia, et improbos seditiososque a foggia di supplicanti, si presentino al popolo
immiscendi restumultu Aetolico spes movit: pro congregato, tutti e uno ad uno scongiurando, che
se quisque revocare jubebant. His praeparatis, non lasciassero invecchiar nell'esiglio un uomo
Diocles, cum omni equitatu (et erat tunc prae non colpevole, non condannato. La compassione
fectus equitum) specie reducentis exsulem hospi mosse gli uomini semplici, e la speranza di rime
tem profectus, die ac nocte ingens iter emensus. scolare le cose nella sommossa degli Etoli, destò
quum millia sex ab urbe abesset, luce prima tri gli scellerati ed i faziosi; ognuno gridava che
bus electis turmis, cetera multitudine equitum fosse richiamato. Preparate in questo modo le
subsequi jussa, praecessit. Postguam portae ap cose, Diocle, partitosi con tutta la cavalleria (chè
propinquabat, desilire omnes ex equisiussit, et n'era egli il condottiero) sotto apparenza di
loris ducere equos, itineris maxime modo, solutis ricondurre in patria l'ospite suo fuoruscito, fatto
ordinibus; ut comitatus magis praefecti videre di giorno e di notte lunghissimo cammino, come
tur, quam praesidium. Ibi una ex turmis ad por fu a sei miglia dalla città, sul far del giorno si
tam relicta, ne excludi subsequens equitatus pos recò innanzi con tre bande di gente scelta, detto
set, media urbe ac per forum, manu Eurylochum al resto della cavalleria che lo seguitasse. Nel
tenens, multis occurrentibus gratulantibusque, l'avvicinarsi alla porta, ordinò che tutti scen
domum deduxit. Mox equitum plena urbs erat, dessero da lor cavalli, e li guidassero a mano,
et loca opportuna occupabantur. Tum in domos senza nessuna ordinanza, come gente che fa
missi, qui principes adversae factionis interfice cammino; sì che sembrasse essere piuttosto un
rent. Ita Demetrias Aetolorum facta est. corteggio, che una scorta del prefetto. Lasciata
quivi alla porta una delle bande, onde non si
potesse schiuder fuori l'altra cavalleria, che
seguitava, Diocle per mezzo alla città ed alla
piazza, tenendo Euriloco per mano, a cui si face
vano incontro molti, e seco lui congratulavansi,
lo condusse alla sua casa. In un batter d'occhio
la città fu tutta piena di cavalli, ed eran presi i
luoghi più opportuni. Allora si spedì gente arma
ta per le case ad ammazzare i capi della contraria
fazione. In questo modo Demetriade venne in
potere degli Etoli.
929 TITI LIVII LIBER XXXV. 93o
XXXV. Lacedaemone non urbi vis afferenda, XXXV. Quanto a Lacedemone, non bisogna
sed tyrannus dolo capiendus erat; quem, spolia va far forza alla città, ma prendere per frode il
tum maritimis oppidis a Romanis, tunc intra moe tiranno; il quale, già spogliato dai Romani delle
mia etiam Lacedaemonis ab Achaeis compulsum, città marittime, ed allora cacciato eziandio dagli
qui occupasset occidere, eum totius gratiam rei Achei dentro le mura di Sparta, chiunque fosse
apud Lacedaemonios laturum. Causam mittendi stato il primo ad ucciderlo, avrebbe avuto un
ad eum habuerunt, quod fatigabat precibus, ut merito presso gli stessi Lacedemoni. Ebbero un
auxilia sibi, quum illis auctoribus rebellasset, mit pretesto di mandar gente alla sua volta, perchè
terentur. Mille pedites Alexameno dati sunt, et non cessava egli mai di pregare che gli si invias
triginta delecti ex juventute equites. lis a praeto sero soccorsi, essendosi ribellato a istanza loro.
re Damocrito in concilio arcano gentis, de quo Si diedero pertanto mille fanti ad Alexameno, e
ante dictum est, denunciatum, « Ne se ad bellum trenta cavalieri scelti da tutta la gioventù. Il
Achaicum aut remullam, quam sua quisque opi pretore Damocrito nel consiglio della nazione,
nione praecipere posset, crederent missos esse. di cui s'è detto più sopra, fa loro intendere, « che
Quidquid Alexamenum res monuisset subiti con non si credessero mandati alla guerra Acaica, o
silii capere, ad id, quamvis inopinatum, temera ad altra impresa, che si potessero ragionando
rium, audax, obedienter exsequendum parati es imaginare. Qualunque subito partito la circo
sent, ac pro eo acciperent, tamquam ad id unum stanza consigliasse Alexameno di prendere, stieno
agendum missos ab domo se scirent. » Cum his pronti a seguirlo con obbedienza, per quanto fos
ita praeparatis Alexamenus ad tyrannum venit, se impensato, temerario, audace, e quello piglias
quem adveniens extemplo spei implevit: « Antio sero, come se sapessero d'essere stati mandati per
chum jam in Europam transisse, mox in Graecia questo solo. m Con questa banda sì fattamente
fore; terras, maria, armis, viris completurum. disposta venne Alexameno al tiranno, e venendo
Non cum Philippo rem esse credituros Romanos: lo riempiè subito di speranza: « essere Antioco
numerum imiri peditum equitumque ac navium di già passato in Europa, e tosto sarebbe in Gre
non posse: elephantorum aciem conspectu ipso cia; empierebbe d'armi e d'armati le terre è i
debellaturam. Aetolos toto suo exercitu paratos mari; s'accorgerebbono i Romani che non aveano
esse venire Lacedaemonem, quum res poscat; sed a fare con Filippo; non potersi dire il numero
frequentes armatos ostendere advenienti regivo di fanti, di cavalli, di navi; la torma degli ele
luisse. Nabidi quoque et ipsi faciendum esse, ut, fanti col solo mostrarsi porrebbe fine alla guerra.
quas haberet copias, non sineret sub tectis mar Gli Etoli esser pronti di venire a Lacedemone
cescere otio, sed educeret, et in armis decurrere con tutto l'esercito, quando il bisogno lo chieg
cogeret, simul animos acueret, et corpora exerce ga, se non che avean voluto alla venuta del re
ret. Consuetudine leviorem laborem fore; et co mostrargli le numerose schiere in sull'armi. An
mitate acbenignitate ducis etiam non injucundum che Nabide dovea fare lo stesso, nè lasciare che
fieri posse. » Educi inde frequenter ante urbem marcissero nell'ozio sotto i tetti le genti, che
in campum ad Eurotam amnem coepere. Satelli aveva; ma trarle fuori, e farle destreggiare sul
tes tyranni media fere in acie consistebant; tyran campo, e ad un tempo aizzare gli animi ed eser
nus cum tribus summum equitibus, inter quos citare i corpi. La fatica coll'abitudine sarebbe
plerumque Alexamenus erat, antesigna vectaba diventata più leggera, e colla dolcezza e affabi
tur, cornua extrema invisens: in dextro cornu lità del capitano si poteva anche renderla dilette
Aetoli erant, et qui ante auxiliares tyranni fue vole. » Si cominciò dunque a trar fuori sovente
rant, et qui venerant mille cum Alexameno. Fe i soldati davanti alla città nella pianura sul fiume
cerat sibi morem Alexamenus, nunc cum tyranno Eurota. I satelliti del tiranno si piantavano
inter paucos ordines circumeundi, monendique quasi nel centro delle schiere. Il tiranno al più
eum, quae in rem esse videbantur; nunc in dex con tre cavalieri, tra quali c'era d'ordinario Ale
trum cornu ad suosadequitandi; mox inde, velut xameno, cavalcava davanti alle bandiere, visitan
imperato, quod res poposcisset, recipiendi se ad do le ale estreme: nella destra ala stavano gli
Etoli, sì quelli ch'eran già primi venuti in aiuto
tyrannum. Sed, quem diem patrando facinori
statuerat, eo paullisper cum tyranno vectatus, del tiranno, sì gli altri mille condotti da Alexa
quum ad suos concessisset, tum equitibus ab do meno. Aveva quivi Alexameno presa l'usanza ora
mo secum missis, « Agenda, inquit, res est, juve di girare col tiranno intorno a poche file, ed
nes, audendaque, quam me duce impigre exsequi ammonirlo di ciò che gli pareva opportuno, ora
jussi estis. Parate animos dextrasque, ne quis in di cavalcare all'ala destra verso i suoi, indi subito,
eo, quod me viderit facientem, cesset. Qui cum quasi avesse già dati gli ordini, che occorrevano,
ctatus fuerit, et suum consilium meo interponet,
tornarsi al tiranno. Ma in quel r", che avea
Livio 2 9
931 TITI LIVII LIBER XXXV. 93:
sciat sibi reditum ad penates non esse. m Horror destinato a commettere il fatto, poi ch'ebbe girato
cunctos cepit, et meminerant, cum quibus man alquanto a cavallo col tiranno, tornato a suoi,
datis exissent Tyrannus ab laevo cornu veniebat. voltosi a cavalieri, ch'erano stati mandati seco
Ponere hastas equites Alexamenus iubet, et se in lui, « È tempo, disse, o giovani, di fare ed osar
tueri. Colligit et ipse animum confusum tantae l'impresa, che fu imposto di coraggiosamente
cogitatione rei. Postguam appropinquabat, im eseguire sotto la mia condotta. Apparecchiate gli
petum facit, et, transfixo equo, tyrannum detur animi e le destre, onde nessuno si resti di far
bat. Jacentem equites confodiunt. Multis frustra quello, che vedrà farsi da me. Colui, che sarà
in loricam ictibus datis, tandem in nudum corpus tardo, ed al mio anteporrà il parer suo, sappia
vulnera pervenerunt; et, priusquam a media acie ch'egli non rivedrà più mai la patria sua.» Tutti
succurreretur, exspiravit. compresi furono da orrore, e richiamavano alla
mente con quali commissioni eran partiti. Il
tiranno veniva dalla parte dell'ala sinistra. Ale
xameno comanda a cavalieri che spianin l'aste e
guardino lui; egli stesso raccoglie l'animo, con
fuso dal pensiero di sì gran colpo. Avvicinandosi
Nabide, Alexameno se gli scaglia addosso, e pas
sato da parte a parte il cavallo, giù ne trabalza
il tiranno. Come fu a terra, i cavalieri lo trafig
gono: dati inutilmente molti colpi contro la
corazza, finalmente le ferite arrivarono al corpo
ignudo, e innanzi che soccorso fosse da suoi, che
stavansi nel centro, egli spirò.
XXXVI. Alexamenus cum omnibus Aetolis XXXVI. Alexameno corre di galoppo co'suoi
citato gradu ad regiam occupandam pergit. Cor ad occupaare la reggia. Le guardie del corpo, in
poris custodes, quum res in oculis gereretur, pa sugli occhi delle quali si faceva la cosa, furon
vor primo cepit; deinde, postguam abire Aeto dapprima colpite da paura. Indi, poi che videro
lorum agmen videre, concurrunt ad relictum partirsi la squadra degli Etoli, corrono al corpo
morto e abbandonato del tiranno; e di custodi,
tyranni corpus, et spectatorum turba ex custo
ch'esser doveano della vita, e vendicatori della
dibus vitae mortisque ultoribus est facta. Nec
movisset se quisquam; si extemplo, positis armis, morte sua, son fatti turba di spettatori. Nè si
vocata in concionem multitudo fuisset, et oratio sarebbe mosso alcuno, se incontamente, deposte
l'armi, fosse stata chiamata la moltitudine a par
habita tempori conveniens, frequentes inde re
tenti in armis Aetoli sine injuria cujusquam .
lamento, e si fosse fatto un discorso conveniente
Sed, ut oportuit in consilio fraude coepto, omnia al tempo; o ritenuti si fossero gli Etoli in arme
in maturandam perniciem eorum, qui fecerant, in buon numero, senza però offendere chicchessia
sunt acta. Dux regia inclusus diem ac noctem in
Ma come accader doveva in impresa cominciata
serutandis thesauris tyranni consumpsit: Aetoli, con la frode, tutto fu condotto in guisa da più
affrettar la rovina di chi l'aveva fatta. Alexameno,
velut capta urbe, quam liberasse videri volebant,
in praedam versi. Simul indignitas rei, simul con chiusosi nella reggia, consumò un giorno ed una
temptus, animos Lacedaemoniis ad coeundum fe
notte intera a ricercare i tesori del tiranno : gli
cit. Alii dicere, exturbandos Aetolos, et liberta Etoli si volsero a saccheggiare, quasi presa aves
sero d'assalto la città, che volevano parere di
tem, quum restituivideretur, interceptam repe
tendan. Alii, ut caput agendaerei esset, regii ge aver liberata. E l'indegnità della cosa, e il dispre
neris aliquem in speciem assumendum. Laconicus
gio, in cui eran tenuti, fece animo ai Macedoni
di raccozzarsi insieme. Altri dicevano che biso
ejus stirpis erat puer admodum, educatus cum
gnava scacciare gli Etoli, e ricuperare la libertà,
liberistyranni: eum in equum imponunt, et, ar
che si faceva mostra di restituir loro, mentre la
mis arreptis, Aetolos vagos per urbem caedunt.
Tum regiam invadunt. Ibi Alexamenum cum si toglieva; altri, acciocchè l'impresa avesse un
paucis resistentem obtruncant. Aetoli circa Chal capo, doversi assumere per apparenza qualcuno
cioecon (Minervae est templum aereum) congre della regia stirpe. V'era di questa uno ancora
gati caeduntur. Pauci, armisabjectis,
parsTegeam, assai fanciullo, nato in Laconia, allevato insieme
Pars Megalopolim perfugiunt. Ibi, comprehensi co figliuoli del tiranno. Lo mettono a cavallo, e
a magistratibus, sub corona venierunt. dato di piglio all'armi, tagliano a pezzi gli Etoli
vaganti per la città. Poscia invadono la reggia.
Quivi ammazzano Alexameno, che resisteva cou
933 'l'l'II LIVII LIBER XXXV. 934
pochi. Gli Etoli raccoltisi presso Calcieco (è
questo un tempio di bronzo sacro a Minerva)
son trucidati. Pochi, gettate l'armi, parte fuggono
a Tegea, parte a Megalopoli. Quivi, presi dai
magistrati, furono venduti all'asta.
XXXVII. Philopoemen, audita caede tyranni, XXXVII. Filopemene, udita la morte data al
profectus Lacedaemonem, quum omnia turbata tiranno, recatosi a Lacedemone, avendovi trovato
metu invenisset, evocatis principibus, et oratione tutto in iscompiglio per la paura, chiamati a sè i
habita, qualis habenda ab Alexameno fuerat, so principali cittadini, e tenuto un discorso, quale
cietati Achaeorum Lacedaemonios adjunxit; eo avria dovuto tenere Alexameno, aggiunse i
etiam facilius, quod forte ad idem tempus A. Ati Lacedemoni alla lega degli Achei, e tanto più
lius cum quatuor et viginti quinqueremibus ad facilmente, che per avventura in quel tempo
Gythium accessit. Iisdem diebus circa Chalcidem medesimo Aulo Atilio approdò a Gizio con
Thoas, per Euthymidam principem, pulsum opi ventiquattro quinqueremi. In que giorni stessi
bus eorum, qui Romanae societatis erant, post T. Toante, valendosi di Eutimida, uno de principali
Quintii legatorumque adventum, et Herodorum cittadini di Calcide, scacciatone dalla forza di
Cianum mercatorem, sed potentem Chalcide pro coloro, che dopo la venuta di Quinzio e dei le
pter divitias, praeparatis ad proditionem iis, qui gati s'erano stretti in alleanza co Romani, non
Euthymidae factionis erant, nequaquam eamdem che di Erodoro Ciano, mercadante, ma potente
fortunam, qua Demetrias per Eurylochum occu in Calcide per le sue ricchezze, approntati a se
pata erat, habuit. Euthymidas ab Athenis (eum condare il tradimento tutti quelli, ch'erano della
domicilio delegerat locum) Thebas primum, hinc fazione di Eutimida, pure non ebbe rispetto a
Salganea processit; Herodorus ad Thronium. Calcide quella fortuna, che aveva avuto Euriloco
Inde haud procul in Maliaco simu duo millia pe nell'occupare Demetriade. Eutimida da Atene
ditum Thoas et ducentos equites, onerarias leves (ch'egli avea scelto quel luogo a domicilio) venne
ad triginta habebat. Eas cum sexcentis peditibus prima a Tebe, poi a Salganea; Erodoro a Tronio.
Herodorus trajicere in insulam Atalantam jussus; Avea Toante poco lungi di là nel golfo Maliaco
ut inde, quum pedestres copias appropinquare due mila fanti, dugento cavalli, e da trenta legni
jam Aulidi atque Euripo sensisset, Chalcidem piccioli da trasporto. Erodoro ebbe ordine di
trajiceret. Ipse ceteras copias, nocturnis maxime far passare su questi nell'isola di Atalanta sei
itineribus, quanta poterat celeritate Chalcidem cento fanti, acciocchè di là, come sentisse venirsi
ducebat. avvicinando le genti di terra all'Aulide ed al
l'Euripo, s'inoltrasse a Calcide: le altre forze le
conduceva egli con la maggior celerità, cammi
nando specialmente la notte, alla volta stessa di
Calcide.
XXXVIII. Mictio et Xenoclides, penes quos XXXVIII. Mictione e Xenoclide, che a quel
tum summa rerum, pulso Euthymida, Chalcide tempo, scacciato Eutimida, avevano in Calcide il
erat, seu ipsi per se suspicati, seu indicta re, pri poter sommo, o ne sospettassero da sè, o avessero
mo pavidi, nihil usquam spei, nisi in fuga, pone avuto indizio della cosa, dapprima impauriti non
bant: deinde, postduam resedit terror, et prodi mettevano speranza che nella fuga. Poscia si
et deseri non patriam modo, sed etiam Romano calmò alquanto il terrore, e vedevano ch'egli era
rum societatem, cernebant, consilio tali animum un tradire e abbandonare non solamente la patria,
adjecerunt. Sacrum anniversarium eo forte tempo ma eziandio la lega de'Romani; quindi si appi
re Eretriae Amarynthidis Dianae erat, quod non gliarono a questo partito. Ricorreva a caso in
popularium modo, sed Carystiorum etiam coetu quel tempo in Eretria la festa annuale di Diana
celebratur. Eo miserunt, qui orarent Eretrienses Amarintide, la quale è frequentata dal concorso
Carystiosque, « ut et suarum fortunarum in eadem non solamente de terrazzani, ma eziandio dei
insula geniti misererentur, et Romanam societatem Caristii. Mandarono colà del loro a pregare gli
respicerent. Ne sinerentAetolorum Chalcidem fie Eretriesi ed i Caristii, «che nati seco nella stessa
ri: Euboeam habituros, si Chalcidem habuissent. isola si movessero a compassione del loro stato,
Graves fuisse Macedonas dominos; multo minus ed avessero presente l'alleanza Romana; non
tolerabiles Aetolos. » Romanorum maxime re soffrissero che Calcide cadesse in mano degli
spectus civitates movit, et virtutem muper in Etoli: se avessero Calcide, avrebbon anche l'Eu
bello, et in victoria justitiam benignitatem que bea. Era stata grave la signoria de'Macedoni; più
expertas. Itaque, quod roboris in juventute erat, intollerabili ancora sarebbero stati gli Etoli.”
TITI LIVII LIBER XXXV. 936
935
utraque civitas armavit misitgue. His tuenda Mosse massimamente quelle città la considerazio
Chalcidis oppidani quum tradidissent, ipsi omni ne de Romani, di cui avean provato poc'anzi il
bus copiis transgressi Euripum, ad Salganea po valore nella guerra, e la giustizia e clemenza nella
suerunt castra: indecaduceator primum, deinde vittoria. Adunque l'una e l'altra città armò e
legati ad Aetolos missi percunctatum, quo suo spedì tutto quant'era il nerbo della gioventù.
dicto factove socii atque amici ad se oppugnan Avendo i terrazzani consegnata a questi la difesa
dos venirent? Respondit Thoas dux Aetolorum, delle mura di Calcide, essi, passato l'Euripo con
« Non ad oppugnandos, sed ad liberandos ab Ro tutte le genti, si accamparono a Salganea. Di là
manis, venire sese. Splendidiore nunc eos cate prima un araldo, poi mandati furono de' legati
na, sed multo graviore, vinctos se, quan quum agli Etoli a domandare per qual detto o fatto loro
praesidium Macedonum in arce habuissent. Se alleati ed amici, com'erano, venissero ad assal
vero, negare Chalcidenses, aut servire ulli, aut tarli. Rispose Toante, capitano degli Etoli, «ve
praesidio cujusquam egere. » Ita digressi ex col nir essi non ad assaltarli, ma sì a liberarli dai
loquio legati ad suos. Thoas et Aetoli, ut qui Romani. Eran essi legati ora con più splendida
spem omnem in eo, ut improviso opprimerent, sì, ma però con più grave catena, che quando
habuissent, ad iustum bellum oppugnationem que avevansi nella rocca il presidio de' Macedoni. »
urbis mari ac terra munitae huadquaquam pares, Dicevano quei di Calcide, « che non servivano
domum rediere. Euthymidas, postguam castra chicchessia, nè abbisognavano del soccorso di al
popularium ad Salganea esse, profectosque Ae cuno.» Così partitisi dall'abboccamento i legati
tolos audivit, et ipse a Thebis Athenas rediit. Et tornarono a suoi. Toante e gli Etoli, che avean
Herodorus, quum per aliquot dies intentus ab messa tutta la speranza nel potergli opprimere
Atalanta signum nequidquam exspectasset, missa all'improvviso, non trovandosi a pari per soste
speculatoria nave ut quid morae esset, sciret, nere una guerra formale, e per assediare una
postguam rem omissam a sociis vidit, Thronium, città forte per terra e per mare, tornaronsi a casa.
unde venerat, repetit. Eutimida, come seppe che i suoi compatrioti ac
campavano a Salganea, e che gli Etoli s'eran
partiti, anch'egli da Tebe tornossi in Atene. Ed
Erodoro, avendo per alquanti di aspettato invano
nell'isola Atalanta il segnale, mandato uno schifo
a sapere la cagione del ritardo, poi che vide ab
bandonata l'impresa dagli alleati, si rimise a Tro
nio, dond' era venuto.
XXXIX. Quintius quoque, his auditis, ab Co XXXIX. Anche Quinzio, avute queste noti
rintho veniens navibus, in Chalcidis Euripo Eu zie, venendo per mare da Corinto, s'incontrò
meni regi occurrit. Placuit, quingentos milites nell'Euripo di Calcide col re Eumene. Conven
praesidii causa relinqui Chalcide ab Eumene, nero, che Eunene lasciasse in Calcide per presi
rege; ipsum Athenas ire. Quintius, quo profectus dio cinquecento soldati; egli andasse in Atene.
erat, Demetriadem contendit; ratus Chalcidem Quinzio si pose alla volta di Demetriade, dove
liberatam momenti aliquid apud Magnetas ad già s'era dapprima avviato, stimando che la libe
repetendam societatem Romanam facturam: et, razione di Calcide sarebbe stata di qualche peso
ut praesidii aliquid esset suae partis hominibus, presso i Magneti, perchè tornassero alla lega dei
Eunomo praetori Thessalorum scripsit, ut ar Romani. Ed a far cuore agli uomini del suo par
maret juventutem, et Villium ad Demetriadem tito, scrisse ad Eunomo, pretore de'Tessali, che
praemisit ad tentandos animos: non aliter, nisi armasse la gioventù, e mandò innanzi Villio a
pars aliqua inclinaret ad respectum pristinae Demetriade a saggiare gli animi, fermo di non
societatis rem, aggressurus. Villius quinqueremi mettersi all'impresa, se qualche parte de terraz
zani non inclinasse a rannodar l'antica alleanza.
nave ad ostium portus est invectus. Eo multitudo
Magnetum omnis quum se effudisset, quaesivit Villio si portò con una quinquereme alla bocca
Villius, utrum ad amicos, an ad hostes, sese ve del porto. Essendo quivi accorsa tutta la molti
nisse mallent? Respondit Magnetarches Eurylo tu line de'Magneti. Villio domandò, « s'egli era
chus, « Ad amicos venisse eum : sed abstineret venuto ad amici, ovvero a nemici ? » Rispose il
portu, et sineret Magnetas in concordia et liber Magnetarche Euriloco, a ch'era venuto ad amici;
tate esse, nec per colloquii speciem multitudinem ma non entrasse in porto, e lasciasse che i Ma
sollicitaret. , Altercatio inde, non sermo, fuit, gneti si stessero in concordia e libertà, nè sotto
quum Romanus ut ingratos increparet Magnetas, colore di abboccamento sommovesse la plebe. »
imminentesque praediceret clades; multitudo ob Fu di poi un altercare, non un parlamentare,
937 TITI LIVII LIBER XXXV. 938
streperet, nunc senatum, nunc Quintium accu mentre il Romano rampognava i Magneti come
sando. Ita irrito incepto Villius ad Quintium ingrati, e prediceva loro imminenti stragi, e d'al
sese recepit. At Quintius, nuncio ad praetorem tra parte la moltitudine strepitava, ora accusan
misso, ut reduceret- domum copias, ipse navibus do il senato ed ora Quinzio. Così, senza far nul
Corinthum rediit. la, Villio tornossi a Quinzio. E Quinzio, mandato
dire al pretore che rimenasse le genti a casa,
imbarcatosi tornò a Corinto.
XL. Abstulerunt me velut de spatio Graeciae XL. Mi trassero come fuor di via le cose del
res immixtae Romanis; non quia ipsas operae la Grecia mescolate con quelle de'Romani; non
pretium esset perscribere, sed quia causae fue che fosse il pregio dell'opera narrarle, ma per
runt cum Antiocho belli. Consulibus designatis chè furono la cagione della guerra con Antioco.
(inde mamque diverteram ), L. Quintius et Cn. Disegnati i nuovi consoli (ch'io m'era quinci
Domitius consules in provincias profecti sunt ; partito), i consoli Lucio Quinzio e Gneo Domizio
Quintius in Ligures, Domitius adversus Bojos. andarono alle lor province; Quinzio ne'Liguri,
Boji quieverunt, atque etiam senatus eorum cum Domizio contro i Boi. I Boi non si mossero, ed
liberis, et praefecticum equitatu (summa omnium anzi i senatori co'lor figliuoli, e i prefetti con la
mille et quingenti) consuli dediderunt sese. Ab cavalleria (in tutto mille e cinquecento uomini)
altero consule ager Ligurum late est vastatus, ca si diedero al console. L'altro console ſe largo
stellaque aliquot capta; unde non praeda modo guasto nel contado de'Liguri, e prese alquanti
omnis generis cum captivis parta, sed recepti castelli, onde non solamente ne menò preda d'ogni
quoque aliquot cives sociique, qui in hostium sorte con parecchi prigioni, ma ricuperò ezian
potestate fuerant. Eodem hoc anno Vibonem co dio alquanti cittadini ed alleati, ch'eran caduti
lonia deducta est ex senatusconsulto plebeigue in potere del nemico. In quest'anno medesimo
scito. Tria millia et septingenti pedites ierunt, per decreto del senato approvato dalla plebe fu
trecenti equites. Triumviri deduxerunt eos, Q. condotta una colonia a Vibone. Vi andarono tre
Naevius, M. Minucius, M. Furius Crassipes. Qui mila e settecento fanti e trecento uomini a caval
ma dena iugera agri data in singulos pedites sunt, lo: furono condotti dai triumviri Quinto Nevio,
duplex equitibus Bruttiorum proxime fuerat ager: Marco Minucio, Marco Furio Crassipede. Ebbero
Bruttii ceperant de Graecis. Romae per idem tem i fanti quindici ingeri per testa, il doppio i cava
pus duo maximi fuerunt terrores ; diutimus alter, lieri. Era stato ultimamente quel paese contado
sed segnior. Terra dies duodequadra ginta movit: de'Bruzii; questi l'aveano tolto a Greci. Furonvi
per totidem dies feriae in sollicitudine ac metu a quel tempo in Roma due grandissimi spaventi;
fuere: in triduum eius rei causa supplicatio ha uno più lungo, ma più tardo. Tremò la terra per
bita est. Ille non pavor vanus, sed vera multo trentotto giorni: per altrettanti v'ebbero ferie
rum clades fuit . Incendio a foro Boario orto, tra l'angoscia ed il timore; per questa stessa
diem noctem que aedificia in Tiberim versa arse cagione si fecero preghiere per tre dì. L'altro
re, tabernaeque omnes cum magni pretii merci non fu vano spavento, ma rovina vera di molti.
bus conflagraverunt. Scoppiato un incendio nel foro Boario, arsero dì
e notte gli edifizii rivolti verso il Tevere, e vi si
abbruciarono tutte le botteghe con merci di gran
valore.
XLI. Jam fere in exitu annus erat; ei in XLI. Era l'anno quasi in sul finire, e ogni dì
dies magis fama de Antiochi bello, et cura Patri più cresceva la fama della guerra di Antioco, ed
bus crescebat. Itaque de provinciis magistratuum il pensiero de'Padri. Quindi si cominciò a trattare
designatorum, quo intentiores essent omnes, agi delle province de'nuovi magistrati acciocchè tutti
tari coeptum est. Decrevere, ut consulibus Italia, ci dessero maggiore attenzione. Decretarono che
et quo senatus censuisset (jam esse bellum adver i consoli avessero l'Italia, e quelle altre province,
sus Antiochum regem omnes sciebant), provin che il senato giudicasse (chè già ormai tutti
ciae essent. Cujus ea sors esset, quatuor millia sapevano esserci guerra con Antioco). A quello,
peditum civium Romanorum, et trecenti equites, cui toccasse il governo di quella guerra, si
sex millia sociùm Latini nominis cum quadrin decretarono quattro mila fanti e trecento cavalieri
gentis equitibus sunt decreta. Eorum delectum Romani, e sei mila alleati del nome Latino con
habere L. Quintius consul jussus ne quid mora quattrocento cavalieri. Fu commesso al console
retur, quonimus consul movus, quo senatus cen Lucio Quinzio di farne la leva, acciocchè niente
snisset, extemplo proficisci posset. Item de pro mettesse ritardo, sì che il nuovo console potesse
vinciis praetorum decretum est: prima ut sors partire subito, dove il senato comandasse. Si
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duae, urbanaque et inter cives ac peregrinos fece un simile decreto per le province de'pretori;
jurisdictio esset; secunda, Bruttii; tertia, classis, che la prima sorte fosse le due giurisdizioni,
ut navigaret, quo senatus censuisset; quarta Sici l'urbana e la forestiera; la seconda i Bruzii; la
lia; quinta, Sardinia; sexta, Hispania ulterior. terza la flotta, che navigasse dove il senato
Imperatum praeterea L. Quintio consuli est, ut ordinerebbe; la quarta la Sicilia; la quinta la
duas legiones civium Romanorum novas conscri Sardegna; la sesta la Spagna ulteriore. Inoltre
beret, et sociùm ac Latini nominis viginti millia fu commesso al console Lucio Quinzio che levasse
peditum, et octingentos equites. Eum exercitum due nuove legioni di cittadini Romani, e venti
praetori, cui Bruttii provincia evenisset, decreve mila fanti ed ottocento cavalli degli alleati e del
runt. Aedes duae Jovi eo anno in Capitolio dedica nome Latino; questo esercito lo assegnarono a
tae sunt. Voverat L. Furius Purpureo praetor Gal quel pretore, a cui fossero toccati i Bruzii. In
lico bello unam, alteram consul. Dedica vitQ. Mar quell'anno furono consegrati due tempietti a Gio
cius Ralla duumvir. Judicia in feneratores eo an
ve sul Campidoglio. Ne avea fatto voto Lucio
no multa severe sunt facta, accusantibus privatos Furio Purpureone, uno essendo pretore nella
aedilibus curulibus, M. Tuccio et P. Junio Bruto.
guerra Gallica, l'altro, essendo console. Li con
De mulcta damnatorum quadrigae inauratae in sagrò il duumviro Quinto Marcio Ralla. Si son
Capitolio positae in cella Jovis supra fastigium fatti in quell'anno molti severi giudizii contro
aediculae, et duodecim clypea inaurata; et iidem gli usurai, accusati da Marco Tuccio e da Publio
porticum extra portam Trigeminam inter ligna Giunio Bruto, edili curuli. Della multa de'con
rios fecerunt.
dannati furono poste in Campidoglio quadrighe
indorate nella cella di Giove sulla sommità del
la cappella, e inoltre dodici scudi pur indorati.
Gli stessi alzarono un portico fuori della porta
Trigemina, nella piazza de legnaiuoli.
XLII. Intentis in apparatum novi belli Ro XLII. Mentre i Romani erano intenti agli
manis, ne ab Antiocho quidem cessabatur. Tres apparecchi della nuova guerra, nè anche Antioco
eum civitates tenebant, Smyrna, et Alexandria si stava ozioso. Tre città lo tenevano occupato,
Troas, et Lampsacus; quas neque vi expugnare Smirne, Alessandria di Troade e Lampsaco; le
ad eam diem poterat, neque conditionibus in quali sino a quel dì non avea potuto nè vincere
amicitiam perlicere, neque a tergo relinquere, con la forza, nè trarre a patti in amicizia; nè
trajiciens ipse in Europam, volebat. Tenuit eum voleva, passando in Europa, lasciarsele alle spalle.
et de Hannibale deliberatio. Et primo naves aper Gli die da pensare anche il partito da prendersi
tae, quas cum eo missurus in Africam fuerat, rispetto ad Annibale. E primieramente le galere,
moratae sunt ; deinde, an omnino mittendus es che dovea mandare in Africa con lui, tardarono;
set, consultatio mota est, maxime a Thoante Ae poi fu mossa questione, se veramente fosse da
tolo, qui, omnibus in Graecia tumultu completis, mandarlo, e mossa specialmente dall'Etolo Toan
Demetriadem afferebat in potestate esse, et, qui te, il quale asseriva che tutta essendo in iscom
bus mendaciis de rege, multiplicando verbis co piglio la Grecia, Demetriade stavasi in potere
pias ejus, erexerat multorum in Graecia animos, degli Etoli, e con quelle bugie, con le quali,
iisdem et regis spem inflabat: a omnium votis moltiplicando a parole le forze del re, avea nella
eum arcessi: concursum ad litora futurum, unde Grecia infiammato l'amimo di molti, con quelle
classem regiam prospexissent. » Hic idem ausus stesse gonfiava la speranza di Antioco: a esser
de Hanibale est movere sententiam prope jam egli chiamato dal voto di tutti i popoli; ognuno,
regis. Nam « neque dimittendam partem navium come avesse veduto comparire la regia flotta,
a classe regia censebat ; neque, si mittendae na sarebbe corso al lido. » Questo stesso Toante osò
ves forent, minus quempiam ei classi, quan Han smuovere il re dalla sua pressochè ferma risolu
nibalem, praeficiendum. Exsulem illum et Poe zione sul conto di Annibale. Perciocchè stimava
num esse, cui mille in dies nova consilia vel for egli, a che non si dovesse staccare una parte delle
tuna sua, vel ingenium possit facere. Et ipsam navi dalla flotta regia, e quand'anche si avesse a
eam gloriam belli, qua velut dote Hannibal con spedirne alcune, a nessun altro meno se ne doveva
cilietur, nimiam in praefecto regio esse. Regem dare il comando, che ad Annibale. Esser egli e
conspici, regem unum ducem, unum imperatorem fuoruscito e Cartaginese, cui potean suggerire
videri debere. Si classem, si exercitum amittat ogni dì mille nuovi consigli o lo stato di sua for
Hannibal, idem dammi fore, ac si per alium du tuna, o il naturale suo talento. Quella sua stessa
cem amittantur. Si quid prospere eveniat, Han gloria militare, che quasi propria dote il racco
nibalis eam, non Antiochi, gloriam fore. Si vero manda, era soverchia in un regio comandante :
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universo bello vincendi Romanos fortuna detur, non doversi altri ammirare che il re, non vedersi
quam spem esse, sub rege victurum Hannibalem altro capitano, altro comandante, che il re. Se
uni subjectum, qui patriam prope non tulerit? Annibale avesse a perdere la flotta, se l'esercito,
Non ita se a juventa eum gessisse, speanimoque il danno sarebbe lo stesso, come se perduti si
complexum orbis terrarum imperium, ut in sene fossero sotto qualunque altro condottiero; ma se
ctute dominum laturus videatur. Nihil opus esse accadesse alcun che di prospero, la gloria ne sa
regi Hannibale duce; comite et consiliario eodem rebbe di Annibale, non di Antioco. Che se nel
ad bellum uti posse. Modicum fructum ex inge l'esito finale della guerra, la fortuna desse di
mio tali medue gravem, neque inutilem fore. Si vincere i Romani, come sperare che Annibale
summa petantur, et dantem, et accipientem prae vivrebbe sotto un re, soggetto ad un solo, egli,
gravatura. » che potè appena tollerare la patria sua º Non s'era
Annibale da giovane, abbracciando con la spe
ranza e col pensiero la dominazione di tutto il
mondo, comportato in guisa da lasciar credere,
che in sua vecchiezza sopporterebbe un padrone.
Non ha bisogno il re di Annibale, come capitano;
può valersi di lui nella guerra, qual di compagno
e consigliere. Da cotal fatta d'indole si può trarre
un frutto discreto, che non sia nè pericoloso, nè
inutile; se si voglia trarne un maggiore, se ne
troverebbe aggravato e chi lo desse, e chi lo
ricevesse. -
XLIII. Nulla ingenia tam prona ad invidiam XI,III. Di nessun altro la natura è inclinata
sunt quam eorum, qui genus ac fortunam suam tanto all'invidia, quanto quella di coloro che non
animis non aequant; quia virtutem et bonum agguagliano coll'animo la propria nascita e for
alienum oderunt. Extemplo consilium mittendi tuna; perciocchè odiano la virtù e il bene altrui.
Hannibalis, quod unum in principio belli utili Incontamente fu dimesso il pensiero di spedire
ter cogitatum erat, abjectum est. Demetriadis Annibale, ch'era il solo sul principio della guer
maxime defectione ab Romanis ad Aetolos elatus, ra utilmente immaginato. Salito Antioco in boria
non ultra differre profectionem in Graeciam con massimamente per la defezione di Demetriade
stituit. Priusquam solveret naves, Ilium e mari voltatasi da Romani alla parte degli Etoli, stabilì
adscendit, ut Minervae sacrificaret. Inde ad clas di non differire più oltre la sua andata in Grecia.
sem regressus, proficiscitur quadraginta tectis na Innanzi che sciogliesse le vele, dal mare salì ad
vibus, apertis sexaxinta; et ducentae onerariae Ilio per offerire un sagrifizio a Minerva. Indi
cum omnis generis commeatu bellicoque alio ap tornato alla flotta, parte con quaranta navi co
paratu sequebantur. Imbrum primo insulam te perte, e con sessanta galee; lo seguitavano du
nuit: inde Scyathum trajecit; ubi, collectis in gento legni da carico con vettovaglie d'ogni
alto, quae dissipatae erant, navibus, ad Pteleum sorte, e con militari attrecci. Prima si fermò al
primum continentis venit, ibi Eurylochus ei Ma l'isola d'Imbro; poi passò a Sciato, dove rac
gnetarches principesque Magnetum ab Demetria colte le navi, ch'erano sparse pel mare, approdò
de occurrerunt. Quorum frequentialaetus, die po a Pteleo, prima terra del continente. Quivi gli
stero in urbis portum navibus est invectus. Co furono incontro da Demetriade il Magnetarche
pias haud proculinde exposuit: decem millia pe Euriloco ed altri del principali Magneti, e lieto
ditum fuere, et quingenti equites, sex elephanti, per sì fatto concorso, il dì seguente entrò con le
vix ad Graeciam nudam occupandam satis copia navi nel porto della città, e poco lontano da essa
rum, medum ad sustinendum Romanum bellum. sbarcò le sue genti. Erano dieci mila fanti, cin
Aetoli, postguam Demetriadem venisse Antiochum quecento cavalli e sei elefanti; numero appena
allatum est, concilio indicto, decretum, quo ar bastante ad occupare la Grecia spoglia d'armati,
cesserent eum, fecerunt. Jam profectus ab Deme non che a sostenere la guerra contro i Romani.
triade rex, quia ita decreturos sciebat, Phalara Gli Etoli poi, avuta la notizia che Antioco era
in sinum Maliacum processerat. Inde, decreto giunto a Demetriade, radunato il consiglio, fecero
accepto, Lamiam venit exceptus ingenti favore un decreto, con cui lo invitarono a recarsi presso
multitudinis, cum plausibus clamoribusque, et di loro. Il re, già partito da Demetriade, perchè
quibus aliis laetitia effusa vulgi significatur. sapeva che avrebbono così decretato, da Falara
s'era inoltrato nel golfo Maliaco. Di là, ricevuto
il decreto, venne a Lamia, accolto con gran favore
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dalla moltitudine, con applausi e grida, e con


quanti altri segni suole il volgo esprimere la
pienezza della sua gioia.
XLIV. In concilium ut ventum est, aegre a XLIV. Come il consiglio fu radunato, il re vi
Phaenea praetore principibusque introductus, in fu introdotto con fatica dal pretore Fenea e
de facto silentio, rex dicere orsus. Prima eius da capi della nazione; indi, fatto silenzio, prese
oratio fuit excusantis, « Quod tanto minoribus egli a favellare. Il suo primo discorso fu di scu
spe atque opinione omnium copiis venisset. Id sarsi, « se venuto era con forze tanto minori
suae impensae erga eos voluntatis maximum de della speranza ed opinione di tutti. Dover esser
bere indicium esse, quod nec paratus satis ulla questo un massimo indizio della sua grande affe
re, et tempore ad navigandum immaturo, vocan zione verso di loro, se non provveduto ancora
tibus legatis eorum, haud gravate obsecutus esset, bastantemente di tutto, e in una stagione non
credidissetaue, quum se vidissent Aetoli, omnia ancora propria del tutto a navigare, chiamato
vel in se uno posita praesidia existimaturos esse. da loro ambasciatori, gli avea di buon grado
Ceterum eorum quoque se, quorum exspectatio compiaciuti, ed era stato di avviso che come gli
destituta in praesentia videatur, spem abunde Etoli lo avessero veduto, avrebbero stimato starsi
expleturum. Nam simul primum anni tempus in lui solo ogni sorte di appoggio. Del resto, ri
navigabile praebuisset mare, omnem se Graeciam colmerebbe egli abbondantemente anche la spe
armis, viris, equis, omnem oram maritimam clas ranza di quelli, la cui aspettazione sembra in
sibus completurum. Nec impensae, nec labori, presente delusa. Perciocchè tosto che la stagione
nec periculo parsurum, donec, depulso cervicibus rendesse il mare navigabile, empierebbe tutta
eorum imperio Romano, liberam vere Graeciam, la Grecia d'armi, d' uomini, di cavalli, tutta la
atque in ea principes Aetolos fecisset. Cum exer spiaggia marittima di navigli. Non perdonerebbe
citibus commeatus quoque omnis generis ex Asia a spesa, non a fatica, non a pericolo, sino a tanto
venturos. In praesentia curae esse Aetolis debere, che strappato dal loro collo il giogo de Romani,
mt copia frumenti suis, et annona tolerabilis re renduta non avesse veramente libera la Grecia, e
rum aliarum suppeditetur. » primi gli Etoli nella Grecia. Cogli eserciti ver
rebbero dall'Asia vettovaglie d'ogni sorte. Do
vere intanto gli Etoli aver cura, che somministra
to fosse a suoi il grano occorrente e ogni altra
cosa a prezzi tollerabili. »
XLV. In hanc sententiam rex cum magno XLV. Il re, tenuto così fatto discorso con
omnium assensu locutus discessit. Post discessum grande assentimento di tutti, si partì. Dopo la di
regis, inter duos principes Aetolorum, Phaeneam lui partenza v'ebbe un alterco tra i due capi
et T'hoantem, contentio fuit. Phaeneas, reconcilia degli Etoli, Fenea e Toante. Era Fenea di parere
tore pacis et disceptatore de iis, quae in contro che si dovesse valersi di Antioco piuttosto come
versia cum populo Romano essent, utendum po di conciliatore di pace, e mediatore nelle cose
tius Antiocho censebat, quan duce belli. « Adven controverse co Romani, che come condottiere
tum ejus et majestatem ad verecundiam facien della guerra. . La di lui venuta e maestà avreb
dam Romanis vim majorem habituram, quam ar bono avuto maggior forza, che l'armi sue, a
ma. Multa homines, ne bellare necesse sit, volun generare ne' Romani un non so quale rispetto.
tate remittere, quae bello et armis cogi non pos Gli uomini, piuttosto che guerreggiare, cedono
sint. » Thoas negare, a paci studere Phaeneam; volontariamente molte cose, che non si potrebbe
sed discutere apparatum belli velle, ut taedio et indurli a cedere colla forza e con l'armi. - Toante
impetus relanguescat regis, et Romani tempus ad diceva, « che Fenea non già mirava alla pace, ma
comparandum habeant. Nihil enim aequi ab Ro bensì voleva stornare gli apparecchi di guerra,
manis impetrari posse, toties legationibus missis onde pel tedio s'illanguidisse l'ardore del re,
Romam, toties cum ipso Quintio disceptando, sa ed i Romani avessero tempo di allestrirsi. Per
tis expertum esse: nec, nisi abscissa omni spe, au ciocchè s'era già fatta sperienza non potersi
xilium Antiochi imploraturos fuisse. Quo celerius ottener patti ragionevoli da Romani, mandando
spe omnium oblato, non esse elanguescendum, tante volte ambasciatori a Roma, tante volte di
sed orandum potius regem, ut, quoniam, quod sputando con lo stesso Quinzio : nè, se non fosse
maximum fuerit, ipse vindex Graeciae venerit, stata troncata ogni speranza, implorato avrebbe
copias quoque terrestres navalesque arcessat. Ar ro l'aiuto di Antioco. Era questo venuto più
matum regem aliquid impetraturum; inermem presto che non si sperava, tanto meno bisognava
non pro Aetolis modo, sed ne pro se quidem ipso, illanguidirsi; ma si doveva piuttosto pregare il
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momenti ullius futurum apud Romanos. » Haec re, che, poi che aveva fatto il più, venendo egli
vicit sententia, imperatoremque regem appellan stesso in persona a liberare la Grecia, chiamasse
dum censuerunt; et triginta principes, cum qui eziandio tosto tutte le sue forze di terra e di
bus, si qua vellet, consultaret, delegerunt, mare. Il re armato forse otterrebbe alcun che;
disarmato non farebbe nessuno effetto non sola
mente a pro degli Etoli, ma nemmeno a pro di
sè medesimo. “ Questo parere la vinse, e decre
tarono che il re fosse nominato capitano genera
le, ed elessero trenta del principali della nazione,
co' quali, quando gli occorresse, consultasse.
XLVI. Ita, dimisso concilio, multitudo omnis XLVI. Così licenziata l'assemblea, tutta la
in suas civitates dilapsa est. Rex postero die cum moltitudine si tornò alla sua patria. Il dì seguen
Apocletis eorum, unde bellum ordiretur, consul te il re s'era messo a consultare co' loro Apocle
tabat. Optimum visum est, Chalcidem, frustra nu ti, donde si avesse a cominciare la guerra. Parve
per ab Aetolis tentatam, primum aggredi; et ce esser meglio primieramente assaltare Calcide,
leritate in eam rem magis, quan magno conatu tentativo poc'anzi fatto inutilmente dagli Etoli, e
et apparatu, opus esse. Itaque cum mille peditibus abbisognava a questa impresa piuttosto celerità,
rex, qui ab Demetriade secuti erant, profectus che grande sforzo ed apparato. Quindi il re con
per Phocidem est; et alio itinere principes Aetoli, mille fanti, che lo aveano seguitato da Demetria
juniorum paucis evocatis, ad Chaeroneam occur de, si avviò per la Focide; e i capi degli Etoli per
rerunt, et decem constratis navibus secuti sunt. altra via, tolto seco poco numero di giovani, lo
Rex ad Salganea castris positis, navibus ipse cum incontrarono a Cheronea, e quivi imbarcatisi
principibus Aetolorum Euripum trajecit, et, quum sopra dieci grosse navi, lo seguitarono. Il re,
haud proculportuegressus esset, magistratus quo messo il campo presso Salganea, passò co' capi
que Chalcidensium et principesante portam pro
degli Etoli l'Euripo, ed essendo sbarcato non
cesserunt Pauciutrimgue ad colloquium congres molto lungi dal porto di Calcide, anche i magi
si sunt. Aetoli magnopere suadere, a ut, salva Ro strati e i principali cittadini gli si fecero incon
manorum amicitia, regem quoque assumerent tro davanti alla porta. Pochi da una parte e dal
l'altra vennero ad abboccarsi. Gli Etoli instava
socium atque amicum. Neque enim eum inferen
di belli, sed liberandae Graeciae causa in Euro no grandemente, « acciocchè, salva l'amicizia
Pam trajecisse; et liberandae re, non verbis et si de' Romani, si prendessero anche il re ad alleato
mulatione, quod fecissent Romani. Nihil autem ed amico. Non era egli passato in Europa ad
utilius Graeciae civitatibus esse, quam utramque apportare la guerra, ma sì a liberare la Grecia, e
liberarla veramente, non con parole simulate, il
complecti amicitiam. Ita enim ab utriusque inju che aveano fatto i Romani. Non altra cosa sareb
ria tutam alterius semper praesidio et fiducia fo .
be stata più utile alle città della Grecia, quanto
re. Nam si non recepissent regem, viderent, quid abbracciare l'una e l'altra amicizia ; chè così
patiendum iis extemplo foret, quum Romanorum
procul auxilium, hostis Antiochus, cui resistere sarebbe stata sempre, coll'aiuto e difesa di una,
viribus suis non possent, ante portas esset. » Ad
sicura dalle avanie di ambedue. Perciocchè pen
haec Mictio, unus ex principibus, « Mirari se, sassero, non ricevendo il re, quanti mali dovreb
bono subito incontrare, essendo lontano il soc.
dixit, ad quos liberandos Antiochus, relicto re
corso de'Romani, e avendo in sulle porte Antioco
gno suo, in Europam trajecisset. Nullam enim ci
irritato, alle cui forze non potevano resistere. »
vitatem se in Graecia nosse, quae aut praesidium
habeat, aut stipendium Romanis pendat, aut foe Al che rispose Mizione, uno de loro capi : « che
ei si maravigliava, non sapendo intendere a
dere iniquo alligata, quas nolit, leges patiatur.
Itaque Chalcidenses neque vindice libertatis ullo liberar quali popoli Antioco, lasciato il regno
egere, quum liberi sint. neque praesidio, quum
suo, fosse passato in Europa. Perciocchè non
conosceva egli in tutta la Grecia città, che avesse
pacem eiusdem populi Romani beneficio et liber
tatem habeant. Amicitiam regis non aspernari, presidio Romano, o pagasse tributo a Romani, o
che legata con ingiuste condizioni soffrisse leggi,
neque ipsorum Aetolorum. Id primum eos pro che non volesse. Quei di Calcide adunque non
amicis facturos, si insula excedant, atque abeant:
han bisogno nè di chi li rimetta in libertà,
nam ipsis certum esse, non modo non recipere essendo liberi, nè di presidio, godendosi e pace
moenibus, sed ne societatem quidem ullam paci
sci, nisi ex auctoritate Romanorum. » e libertà per benefizio dello stesso popolo Roma
no. Non ispregiavano l'amicizia del re, nè quella
degli Etoli; e questi ute" loro un primo
i
Livio 2
947 TITI LIVII LIBER XXXV. 948

saggio di amicizia, se uscissero dall'isola, e se


n'andassero. Perciocchè aveano fermamente de
liberato non solamente di non riceverli dentro
le mura, ma di non fare nè anche alcuna società,
se non se col consentimento dei Romani. »
XLVII. Haec renunciata regi ad naves, ubi XLVII. Essendo state rapportate queste cose
restiterat, quum essent, in praesentia (neque al re alle navi, dove s'era fermato, volle in pre
enim iis venerat copiis, ut vi agere quidquam sente (poi che non era venuto con tante genti da
posset) reverti Demetriadem placuit. Ibi, quo poter usare la forza) tornarsene a Demetriade.
niam primum vanum inceptum evasisset, consul Quivi essendo riuscita vana la prima impresa, si
tare cum Aetolis rex, quid deinde fieret. Placuit, fe a consultare gli Etoli intorno a quello, che si
Achaeos et Amynandrum, regem Athamanum, avesse a fare in appresso. Convennero che si
tentare. Boeotorum gentem aversam ab Romanis tentasse gli Achei, e Aminandro re degli Atama
jam inde a Brachyllae morte, et quae secuta eam ni. Stimavano la nazione de'Beozii essere contra
fuerant, censebant. Achaeorum Philopoemenem ria a Romani sin dal tempo della morte di Bra
principem, aemulatione gloriae in bello Laco chilla, e per le cose che ne son venute dappoi.
num, infestum invisumque esse Quintio crede Credevano che Filopemene, capo degli Achei,
bant. Amynander uxorem Apamiam, filiam Ale per rivalità di gloria nella guerra Laconica, fosse
xandri cujusdam Megalopolitani, habebat; qui, avverso e nemico a Quinzio. Aminandro avea
se oriundum a Magno Alexandro ferens, filiis per moglie Apamia, figliuola di certo Alessandro
duobus Philippum atque Alexandrum, et filiae Megalopolitano, il quale, spacciandosi discenden
Apamiam nomina imposuerat: quam, regiis in te di Alessandro il Grande, aveva imposto ai
clytam nuptiis, major ex fratribus Philippus se suoi due figli i nomi di Filippo e di Alessandro,
cutus in Athamaniam fuerat. Humc, forte ingenio ed alla figlia quello di Apamia, la quale, illustra
vanum, Aetoli et Antiochus impulerant in spem, tasi con le regie mozze, Filippo, suo fratello
quod is vere regum stirpis esset, regni Macedo maggiore, avea seguitata in Atamania. Questi,
niae, si Amymandrum Athamanesque Antiocho vano per natura, lo avean levato gli Etoli ed An
conjunxisset: et ea vanitas promissorum non tioco, poichè egli era veramente di regia stirpe,
apud Philippum modo, sed etiam apud Amyman alla speranza del regno Macedonico, se gli fosse
drum valuit. riuscito di unire Aminandro e gli Atamani al re
Antioco. E codeste vane promesse fecero effetto
non solamente su Filippo, ma sullo stesso Ami
nandro.

XLVIII. In Achaja legatis Antiochi Aetolo XLVIII. Nell'Acaia si diede udienza in Egio
rumque, coram T. Quintio, Aegii datum est con ai legati di Antioco e degli Etoli, presente Tito
cilium. Antiochi legatus prior, quam Aetoli, est Quinzio. E prima che gli Etoli, fu udito il legato
auditus. Is, ut plerique, quos opes regiae alunt, di Antioco. Questi, come soglion coloro, che
vaniloquus. maria terrasque inani sonitu verbo vivono del soldo dei re, ciarlatore ampolloso,
rum complevit: « Equitum innumerabilem vim empiè la terra e il mare del vano strepito di sue
trajici Hellesponto in Europam, partim loricatos, parole. « Stuolo innumerabile di cavalieri dal
quos cataphractos vocant; partim sagittis ex equo l'Ellesponto traghettava in Europa, parte armati
utentes, et, a quo nihil satistecti sit, aversos re di corazza, che chiamano catafratti, parte destri
fugiente equo certius figentes. » His equestribus a saettare dal cavallo, da quali non c'è cosa che
copiis quam quam vel totius Europae exercitus in salvi, perciocchè dando di volta fuggendo colpi
unum coacti obrui possent, adjiciebat multiplices scono più sicuramente. Quantunque con queste
copias peditum, et nominibus quoque gentium sole forze gli eserciti di tutta Europa messi insie
vix fando anditis terrebat; Dahas, Medos, Ely me avrebbero potuto essere schiacciati, pure
maeosque et Caddusios appellans: « Navalium ve aggiungeva molte altre genti di terra, e mettea
ro copiarum, quas nulli portus capere in Graecia terrore co nomi di nazioni di rado udite altre
possent, destrum cornu Sidonios et Tyrios, si volte, citando i Dai, i Medi, gli Elimei, i Caddu
mistrum Aradios, et ex Pamphylia Sidetas tenere; sii. . Quanto alle genti di mare, cui non potean
quasgentes nullae umquam nec arte, nec virtute capire tutti i porti della Grecia, stavansi all'ala
navali aequassent. Jam pecuniam, jam alios belli destra i Sidonii ed i Tirii, alla sinistra gli Aradii
apparatus referre.supervacaneum esse. Scire ipsos, e i Sideti della Panfilia; popoli, cui nessun altro
abundasse semper auro regna Asiae. Itaque non avrebbe mai pareggiato nè per arte, nè per bra
cum Philippo, nec Hannibale rem futuram Ro vura di navigare. Era superfluo raccontare il
949 TITI LIVII LIBER XXXV. 95o
manis, principe altero civitatis, altero Macedoniae danaro e gli altri apparecchi di guerra. Non
tantum regni finibus incluso; sed cum magno ignoravano essere sempre stati i regni dell'Asia
Asiae totius partisque Europae rege. Eum tamen, abbondantissimi di oro. Non avrebbero dunque
quamquam ab ultimis Orientis terminis ad libe avuto a fare i Romani nè con Flippo, nè con An
randam Graeciam veniat,nihil postulare ab Achae nibale, uno capo di una repubblica, l'altro ristret
is, in quo fides eorum adversus Romanos, prio to ne' soli confini della Macedonia, ma bensì con
res socios atque amicos, laedatur. Non enim, ut un grande re, signore di tutta l'Asia e di parte
secum adversus eos arma capiant, sed ut neutri dell'Europa. Egli poi, benchè venga dagli ultimi
parti sese conjungant, petere. Pacem utrique par confini dell'Oriente a liberare la Grecia, nulla
ti, quod medios deceat amicos, optent: bello se chiede agli Achei, per cui offenda la fede, che
non interponant. » Idem ferme et Aetolorum le debbono ai Romani, loro primi alleati ed amici.
gatus Archidamus petiit, ut, quae facillima et tu Perciocchè non dimanda che seco piglino l'armi,
tissima esset, quietem praestarent, spectatoresque ma che non si accostino ad alcuna delle parti.
belli, fortunarum alienarum eventum sine ullo Facciano voti, acciocchè amendues'abbian la pace,
discrimine rerum suarum opperirentur. Prove il che conviene ad amici neutrali; non si frammi
ctus deinde est intemperantia linguae in male schino nella guerra. » La stessa domanda fece
dicta, nunc communiter Romanorum, nunc pro anche Archidamo, legato degli Etoli, che si stes
prie ipsius Quintii : « ingratos appellans, et ex sero quieti, ch'era pure la cosa più facile e più
probrams non victoriam modo de Philippo virtu sicura, e spettatori della guerra attendessero,
te Aetolorum partam, sed etiam salutem; ipsum senza alcun proprio rischio, gli eventi dell'altrui
que et exercitum sua opera servatos. Quo enim fortuna. Indi per intemperanza di lingua trascorse
illum umquam imperatoris functum officio esse ? a brutte invettive, ora in generale contro i Roma
Auspicantem, immolantemdue, et vota nuncu ni, ora particolarmente contro Tito. Quinzio,
pantem sacrificuli vatis modo in acie vidisse, chiamandoli a ingrati, rinfacciando loro non sola
quum ipse corpus suum pro eo telis hostium mente la vittoria riportata sopra Filippo pel
objiceret. » valore degli Etoli, ma la salvezza medessima;
perciocchè egli e l'esercito s'erano salvati per
opera loro, e veramente qual aveva egli fatto
uffizio di capitano? Lo avean veduto nel campo
badare agli auspizii, ai sagrifizii, a far voti, come
un sacerdotuccio, mentre ch'egli, Archidamo,
offeriva per lui il proprio corpo alle saette
de'nemici. » -

XLIX. Ad ea Quintius, a Coram quibus ma XLIX. Al che Quinzio, t. Pensò, disse, Archi
gis, quanapud quos, verba faceret, dicere, Ar damo piuttosto in presenza di chi parlava, che a
chidamum rationem habuisse. Achaeos enim pro chi parlava; perciocchè sanno ottimamente gli
be scire, Aetolorum omnem ferociam in verbis, Achei starsi tutta la fierezza degli Etoli nelle
non in factis esse, et in conciliis magis concioni parole e non nei fatti, e far mostra di sè più nelle
busque, quam in acie, apparere. Itaque parvi assemblee e ne parlamenti, che nel campo. Fe'
Achaeorum existimationem, quibus motos esse se quindi poco conto degli Achei, a quali sapeva gli
scirent, fecisse: legatis regis, et per eos absenti Etoli essere ben noti ; ma voluto aveva darsi
regi eum se jactasse. Quod si quis antea ignoras vanto presso i legati del re, e col mezzo loro
set, quae res Antiochum et Aetolos conjunxisset, presso il re assente. Che se alcuno innanzi avesse
ex legatorum sermone potuisse apparere: men ignorato per qual cagione si fossero Antioco e gli
tiendo in vicem jactandoque vires, quas non ha Etoli congiunti insieme, avrebbe potuto chiarire
berent, inflasse vana spe, atque inflatos esse; dum sene dal discorso de legati: col mentire scambie
ii ab se Philippum victum, sua virtute protectos volmente, e vantar le forze che non avevano,
Romanos, et quae modo audiebatis, narrant; vos aveano gonfiato il re, e s'erano essi stessi gonfiati
ceterasque civitates et gentes suam sectam esse di vana speranza, mentre narrano di aver essi
secuturos: rex contra peditum equitumque nubes vinto Filippo, e salvati col lor valore i Romani e
jactat, et consternit maria suis classibus Est au tutto il resto, che or ora udiste, e che voi e tutte
tem res simillima coenae Chalcidensis hospitis l'altre città e nazioni siete per seguire il lor
mei, hominis et boni, et sciti convivatoris. Apud partito. E d'altra parte il re vanta nugoli di
quem solstitiali tempore comiter accepti quum armati e di cavalli, e ingombra i mari delle sue
miraremur, unde illi eo tempore anni tam multa flotte. Ella mi par cosa somigliantissima alla cena
et varia venatio; homo non, quam isti sunt, glo di un Calcidense, ospite mio, uomo dabbene e
95 TITI LIVII LIBER XXXV. 952

riosus, renidens, condimentis, ait, varietatem il convitatore saputo, appresso il quale invitati noi
lam et speciem ferinae carnis ex mansueto sue fa gentilmente nel cuor della state, mentre facevamo
clan. Hoc dici apte in copias regis, quae paullo le maraviglie, donde avesse potuto trarre in quella
ante jactat e sini, posse. Varia enim genera armo stagione tanta e sì varia cacciagione, l'uomo non
rum, et multa nomina gentium inauditarum, Da punto vantatore, come sono bensì costoro, sorri
has, et Medos, e Caddusios, et Elymaeos, Syros dendo, a questa, disse, varietà e somiglianza di
omnes esse: haud paullo mancipiorum melius, salvaggina non è che carne di porco domestico,
propter servilia ingenia, quam militum genus. Et così ridotta a forza di condimenti. » Lo stesso
utinam subjicere oculis vestris, Achaei, possem può dirsi acconciamente delle forze del re, che
concursationem regis magni ab Demetriade, nunc poc'anzi si sono tanto vantate. Perciocchè codesta
Lamiam in concilium Aetolorum, nunc Chalci varietà d'armi, codesti tanti nomi di nazioni
dem ! Videretis vix duarum male plenarum le non più sentite, e Dai e Medie Caddusii ed Eli
giuncularum instar in castris regis: viderelis re mei, non altro sono, che Siri, assai migliori per
gem, nunc mendicantem prope frumentum ab la loro indole servile come schiavi, che come
Aetolis, quod militi admetiatur; nunc mutuas soldati. E potess'io pure, o Achei, sottoporre agli
pecunias tenore in stipendium quaerentem, nunc occhi vostri il discorrimento di questo gran re da
ad portas Chalcidis stantem: et mox inde exclu Demetriade ora a Lamia alla dieta degli Etoli,
sum, nihil aliud quam Aulide atque Euripo spe ora a Calcide ! Vedreste nel campo del re appena
ctatis, in Aetoliam redeuntem. Male crediderunt due non intere legioncine: vedreste un re ora
et Antiochus Aetolis, et Aetoli regiae vanitati. quasi mendicare il formento dagli Etoli da misu
Quo minus vos decipi debetis, sed expertae toties rarsi al soldato; ora cercando danari ad usura
spectataeque Romanorum fidei credere. Nam per pagare gli stipendii, ora fermarsi alle porte
quod optimum esse dicunt, non interponi vosbel di Calcide; e poscia schiusone fuori, non altro
lo, nihil immo tam alienum rebus vestris est. avendo fatto, che veder l'Aulide e l'Euripo, tor
Quippe sine gratia, sine dignitate, praemium vi nossi in Etolia. Male credette Antioco agli Etoli,
ctoris eritis. » male gli Etoli alla vanità del re. Ond'è, che tanto
meno dovete lasciarvi ingannare, ma sì piuttosto
credere alla già spesso provata e conosciuta fede
de Romani. Perciocchè il partito, che vi dicono
essere il migliore, che non vi meschiate in questa
guerra, è anzi la cosa più aliena dal vostro inte
resse; perciocchè senza merito, senza dignità,
sarete il premio del vincitore. »
L. Nec absurde adversus utrosque respondisse L. Parve che Quinzio risposto avesse ade
visus est; et facile erat orationem apud faventes guatamente all'uno e all'altro legato, ed era ben
aequis auribus accipi. Nulla enim nec disceptatio, facile che così fatto discorso udito fosse con pia
mec dubitatio fuit, quin omnes, eosdem genti cere da persone già favorevolmente disposte.
Achaeorum hostes et amicos, quos populus Roma Quindi non ci fu nè disputa, nè dubitazione al
nus censuisset, judicarent, bellumque et Antio cuna, sì che tutti unanimi non deliberassero, che
cho, et Aetolis nunciari juberent. Auxilia etiam, la nazione degli Achei aver dovesse ad amici e
quo censuit Quintius, quingentorum militum nemici quegli stessi, che avesse il popolo Romano,
Chalcidem, quingentorum Piraeeum extemplo e che s'intimasse la guerra ad Antioco ed agli
miserunt. Erat enim haud procul seditione Athe Etoli. Mandarono eziandio subito un soccorso di
nis res, traentibus ad Antiochum quibusdam spe gente, dove piacque a Quinzio, cinquecento sol
largitionum venalem pretio multitudinem; donec dati a Calcide, e cinquecento al Pireo. Perciocchè
ab iis, qui Romanae partis erant, Quintius est ac stava per iscoppiare una sedizione in Atene, cer
citus, et, accusante Leonte quodam, Apollodorus cando alcuni, con la speranza di largizioni, di
auctor defectionis damnatus, atque in exsilium trarre al partito di Antioco la moltitudine, che
est ejectus. Et ab Achaeis quidem cum tristi re si vende per prezzo ; insino a tanto che Quinzio
sponso legatio ad regem rediit. Boeoti nihil certi fu chiamato da quelli del partito Romano, e che
responderunt: a quum Antiochus in Boeotiam Apollodoro, istigatore della ribellione, accusato
venisset, tum, quid sibi faciendum esset, se deli da certo Leonte, venne condannato e cacciato in
beraturos esse. » Antiochus, quum ad Chalcidis bando. Anche dagli Achei l'ambasceria tornossi
praesidium, et Achaeos et Eumenem regem mi al re con trista risposta. I Beozii nulla risposero
sisse audisset, maturandum ratus, ut et praeveni di certo: « quando Antioco fosse venuto in Beozia,
rent sui, et venientes, si possent, exciperent, Me allora avrebbono deliberato quello che avessero
953 TITI LIVII LIBER XXXV. 954
nippum cum tribus ferme millibus militum, et a fare. » Antioco avendo inteso che gli Achei ed
cum omni classe Polyxenidam mittit. Ipse pau il re Eumene aveano spedito a rinforzare il pre
cos post dies sex millia suorum militum, et ex ea sidio di Calcide, pensando che bisognasse usar
copia, quae Lamiae repente colligi potuit, non ita fretta, sì perchè i suoi prevenissero, sì perchè,
multos Aetolos ducit. Achaei quingenti, et ab Eu potendo, sorprendessero i nemici, spedisce Menip
mene rege modicum auxilium missum, duce Xe po con quasi tre mila soldati, e Polixenida con
noclide Chalcidensi, nondum obsessis itineribus, tutta la flotta, ed egli da lì a pochi giorni, con
tuto transgressi Euripum, Chalcidem pervene dusse seco sei mila de' suoi, ed alquanti Etoli di
runt. Romani milites, quingenti ferme et ipsi, quel numero, che potè in fretta radunare a Lamia.
quum jam Menippus castra ante Salganea ad Her Cinquecento Achei, e il picciolo soccorso mandato
maeum, qua transitus ex Boeotia in Euboeam dal re Eumene, condotti da Xenoclide Calcidense,
insulam est, haberet, venerunt. Mictio erat cum non essendo ancora occupate le strade, passato
iis, legatus a Chalcide ad Quintium, ad id ipsum senza ostacolo l'Euripo, giunsero a Calcide. Colà
praesidium petendum, missus. Qui postduam ob giunsero anche i soldati Romani, da cinquecento
sessas ab hostibus fauces vidit, omisso ad Auli essi pure, nel tempo che già Menippo s'era ac
dem itinere, Delium convertit, utinde in Euboe campato dinanzi a Salganea presso l'Ermeo, là
am transmissurus. dove dalla Beozia si traghetta all'isola di Eubea.
Era con essi il legato Mizione da Calcide spedito
a Quinzio a chiedere questo soccorso; il quale
come vide quelle gole prese da'nemici, lasciato
l'andare in Aulide, si rivolse a Delio, per poi di
là recarsi in Eubea. -

LI. Templum est Apollinis Delium, imminens LI. Delio è un tempio di Apollo, che sovrasta
mari: quinque millia passuum a Tanagra abest: al mare; è distante da Tanagra cinque miglia:
minus quatuor millium inde in proxima Euboeae da Tanagra alle coste vicine dell' Eubea ci ha
est mari trajectus. Ubi et in fano lucoque, ea re meno di quattro miglia. Quivi nel tempio e nel
ligione eteo jure sancto, quo sunt templa, quae bosco, ch'eran protetti dalla religione e dal drit
asyla Graeci appellant, et nondum aut indicto to, che protegge i tempii, detti da Greci asili,
bello, aut ita commisso, ut strictos gladios, aut mentre i soldati, non essendo ancora nè intimata
sanguinem usquam factum audissent, quum per nè cominciata la guerra, sì che potessero aver
magnum otium milites, alii ad spectaculum tem udito essersi sguainate le spade e versato il san
pli luci que versi, alii in litore inermes vagarentur, gue in nessun luogo, stannosi in bell'ozio, altri
magna pars per agros lignatum pabulatumque contemplando quel tempio e quel bosco, altri
dilapsa esset; repente Menippus, palatos passim vagando pel lido senz'armi, gran parte dispersi
aggressus, eos cecidit, ad quinquaginta vivos ce per la campagna per legne e foraggio; Menippo
pit. Perpauci effugerunt, in quibus Mictio parva all'improvviso assaltandoli qua e colà sbandati,
oneraria nave exceptus. Ea res Quintio Romanis tagliolli a pezzi, e ne prese vivi da cinquanta.
que, sicut jactura militum molesta, ita ad ius Pochi fuggirono, tra quali Mizione, ricevuto so
inferendi Antiocho belli adjecisse aliquantum vi pra un picciolo legno da carico. Questo avveni
debatur. Antiochus admoto ad Aulidem exercitu, mento, siccome fu spiacevole a Quinzio ed ai
quum rursus oratores, partim ex suis, partim Romani per la perdita del soldati, così parve
Aetolos, Chalcidem misisset, qui eadem illa, quae aggiungere alquanto peso alla ragion di mover
muper, cum minis gravioribus agerent, nequid guerra ad Antioco. Questi, avvicinato l'esercito
quam contra Mictione et Xenoclide tendentibus, ad Aulide, avendo nuovamente mandati oratori a
facile tenuit, ut portae sibi aperirentur. Qui Ro Calcide, in parte de' suoi, in parte degli Etoli,
mamae partis erant, sub adventum regis urbe ex che facessero le stesse proposizioni fatte poc'anzi,
cesserunt. Achaeorum et Eumenis milites Salga però con più gravi minacce, opponendosi invano
nea tenebant. Et in Euripo castellum Romani Mizione e Xenoclide, ottenne senza difficoltà, che
milites pauci custodiae causa loci communiebant. gli si aprissero le porte. Quelli ch'erano del
Salganea Menippus, rex ipse castellum Euripi op partito Romano, in sulla venuta del re uscirono
pugnare est adortus. Priores Achaei et Eumenis dalla città. I soldati degli Achei e di Eumene te
milites pacti, ut sine fraude liceret abire, praesi nevano Salganea. E sull'Euripo pochi Romani
dio excesserunt. Pertinacius Romani Euripum fortificavano il castello per custodire quel luogo.
tuebantur. Hi quoque tamen, quum terra mari Menippo cominciò a combattere Salganea, il re
que obsiderentur et jam machinas tormentaque in persona il castello dell'Euripo. Primi gli Achei
comportari viderent, non tulere obsidionem. ed i soldati di Eumene, avendo pattuito di po
955 TITI LIVII LIBER XXXV. 956

Quum id, quod caput erat Euboeae, teneret rex, tersene andare liberamente, uscirono dalla città;
ne ceterae quidem ejus insulae urbes imperium i Romani più ostinatamente difendevano l'Euripo.
abnuerunt; magnoque principio sibi orsus bel Anche questi però, essendo assediati per mare e
lum videbatur, quod tanta insula et tot opportu per terra, e vedendo che già si accostavano le
nae urbes in suam ditionem venissent. macchine e gli altri ordigni da guerra, non
sostennero l'assedio. Impadronitosi il re della
città capitale dell'Eubea, nè anche le altre città
dell'isola ricusarono di assoggettarsi ; e pareva
ad Antioco di aver cominciata la guerra con bel
principio, essendo un'isola sì grande, e tante op
portune città venute in poter suo.
TITI LIVII PATAVINI

H I S T O R I A R U MI

AB URBE CONDITA LIBRI

etºo6983 e

EPITOMIE

LIBRI TRIGESIMI SEXTI

Ii ſerata, apparatus Romanorum contra Antiochum Riferisconti gli apparecchi de' Romani contro An
regem, et Antiochi contra Romanos. Hannibalis de tioco, e di Antioco contro i Romani. Parere di
administrando bello sententia. Man. Acilius Glabrio Annibale sulla condotta della guerra. Il console
consulAntiochum, apud Termopylas, Philippo rege adju Manio Acilio Glabrione, vinto Antioco alle Termo
vante, victum, Graecia expulit, idem que Aetolos subegit. pile, coll'aiuto del re Filippo lo scacciò dalla Grecia:
P. Cornelius Scipio Nasica consul aedem matris deim, il medesimo soggiogò gli Etoli. Il console Publio
quam ipse in Palatium intulerat, vir optimus a senatu Cornelio Scipione Nasica, giudicato dal senato il
judicatus, dedicavit; idemque Bojas Gallos victos in miglior uomo di Roma, dedicò il tempio della madre
deditionem accepit, et de iis triuphavit. Praeterea na degli dei, ch'egli stesso avea trasportata sul monte
valia certamina prospera adversus praeſectos Antiochi Palatino; egli medesimo, vinti i Boi Galli, li sottomise
regis referuntur. e ne trionfò. Narransi inoltre le vittorie navali
riportate contro i prefetti del re Antioco.
TITI LIVII

LIB ER TR I G E S I MI US S E X TUS

I. (Anno U. C.561. – A. C. 191.) P. Corne I. (Anni D. R. 561. – A. C. 191.) I Padri


lium Cn. filium Scipionem et M.' Acilium Gla ordinarono a consoli Publio Cornelio Scipione,
brionem consules, inito magistratu, Patres prius figlio di Gneo, e Manio Acilio Glabrione che,
quam de provinciis agerent, res divinas facere pigliato il magistrato, innanzi di proporre la di
majoribus hostiis jusserunt in omnibus fanis, in stribuzione delle province, facessero sagrifizii
quibus lectisternium majorem partem anni fieri con le vittime maggiori in tutti i templi, ne'quali
solet; precaridue, quod senatus de novo bello in si suol fare per la maggior parte dell' anno il
animo haberet, ut ea res senatui populoque Ro lettisternio, e pregassero gli dei, che quello che
mano bene ac feliciter eveniret. Ea omnia sacri aveva in animo il senato rispetto alla nuova guer
ficia laeta fuerunt, primisque hostiis perlitatum ra, bene e felicemente riuscisse al senato ed al
est: etita aruspices responderunt, eo bello ter popolo Romano. Tutti questi sagrifizii furon di
minos populi Romani propagari, victoriam ac lieto presagio, e s'ebbero dalle prime vittime
triumphum ostendi. Haec quum renunciata es lieti augurii, e gli aruspici risposero che per
sent, solutis religione animis, Patres rogationem quella guerra i confini del popolo Romano si
ad populum ferri jusserunt: a Vellentiuberentne, sarebbono dilatati ; tutto annunziare vittoria e
cum Antiocho rege, quique sectam ejus secuti trionfo. Fatta riferta di tutto ciò, soddisfatti i
essent, bellum iniri ? » si ea rogatio perlata es doveri di religione, i Padri ordinarono che si
set, tum, si ita videretur consulibus, rem inte proponesse al popolo: « Se gli piacesse, che si
gram ad senatum referrent. P. Cornelius eam pigliasse la guerra col re Antioco e con quelli,
rogationem pertulit: tum senatus decrevit, ut con che avessero seguitato la parte sua. » Se la pro
sules Italiam et Graeciam provinciassortirentur; posizione fosse adottata, allora i consoli, se così
cui Graecia evenisset, ut praeter eum numerum loro paresse, riportassero di nuovo la cosa al
militum, quem L. Quintius in eam provinciam senato. Publio Cornelio portò al popolo quella
ex auctoritate senatus scripsisset imperassetve, proposta. Allora il senato decretò che i consoli
ut eum exercitum acciperet, quem M. Baebius traessero a sorte le province dell'Italia e della
praetor anno priore ex senatusconsulto in Mace Grecia; quegli, cui toccasse la Grecia, oltre il
doniam trajecisset. Et extra Italiam permissum, numero de' soldati, che Lucio Quinzio avea per
ut, si res postulasset, auxilia ab sociis, ne supra autorità del senato levati e comandati per quella
quinque millium numerum acciperet. L. Quin provincia, prendesse eziandio l'esercito, che il
tium superioris anni consulem legari ad id bel pretore Marco Bebio avea l'anno innanzi per
lum placuit. Alter consul, cui ltalia provincia decreto del senato trasportato in Macedonia. E
evenisset, cum Bojis jussus bellum gerere, utro gli fu permesso, se la circostanza il chiedesse, di
exercitu mallet ex duobus, quos superiores con pigliar soccorsi fuori d'Italia dagli alleati, non
sules habnissent ; alterum ut mitteret Romam, però più di cinque mila soldati. Piacque che si
eaeque urbanae legiones esseni paratae, quo se destinasse a quella guerra Lucio Quinzio console
natus censuisset. dell'anno antecedente. L'altro console, cui toc
Livio a 61
963 TITI LIVII LIBER XXXVI. 964
cata fosse l'Italia, ebbe ordine di far la guerra
co' Boi, con quale più volesse de'due eserciti, che
avuto aveano i consoli antecedenti, e di spedire
l'altro a Roma, e fossero queste le legioni urba
ne, preste a militare dove il senato giudicasse
necessario.

II. His ita in senatu ad id, quae cujus pro II. Fatti questi decreti in senato rispetto a ciò
vincia foret, decretis, tum demum sortiri consu che riguardava le incombenze di ciascheduno,
les placuit. Acilio Graecia, Cornelio Italia evenit. allora finalmente si ordinò che i consoli traessero
Certa deinde sorte senatusconsultum factum est; a sorte le province. La Grecia toccò ad Acilio,
a quod populus Romanus eo tempore duellum l'Italia a Cornelio. Accertata così la sorte, il se
jussisset esse cum rege Antiocho, quique sub im nato decretò, « che avendo or ora il popolo Ro
perio eius essent, ut ejus rei causa supplicatio mano comandato che si facesse la guerra col re
mem imperarent consules: utique M.'Acilius con Antioco e con quelli che gli prestano ubbidienza,
sul ludos magnos Jovi voveret, et dona ad omnia per questo i consoli ordinassero pubbliche preci,
pulvinaria. » ld votum in haec verba, praeeunte e inoltre il console Manio Acilio facesse voto a
P. Licinio pontifice maximo, consul nuncupavit: Giove di celebrare i giuochi grandi, e di mandar
« Si duellum, quod cum Antiocho regesumi po doni a tutti i pulvinari. Il console pronunciò il
pulus jussit, id ex sententia senatus populique voto con le seguenti parole, dettandole il pon
Romani confectum erit; tum tibi, Jupiter, po tefice massimo Publio Licinio: « Se la guerra,
pulus Romanus ludos magnos dies decem conti che il popolo comandò che si pigliasse col re
nuos faciet, donaque ad omnia pulvinaria da Antioco, avrà un esito conforme al desiderio del
buntur de pecunia, quantam senatus decreverit. senato e del popolo Romano, allora, o Giove, il
Quisquis magistratus eos ludos quando ubique popolo Romano farà i giuochi grandi per dieci
faxit, hi ludi recte facti, dona que data recte sun giorni continui, e si offriranno doni a tutti i
to. » Supplicatio inde ab duobus consulibus edi pulvinari, per quella somma di danaro, che il
cta per biduum fuit. Consulibus sortitis provin senato decreterà. Qualunque magistrato quando
cias, extemplo et praetores sortiti sunt. M. Junio e dovunque sia per fare codesti giuochi, sieno
Bruto jurisdictio utraque evenit, A. Cornelio essi fatti a dovere, e così a dovere offerti i
Mammulae Bruttii, M. Aemilio Lepido Sicilia, L. doni. » Indi ordinate furono a due consoli pub
Oppio Salinatori Sardinia, C. Livio Salinatori bliche preci per due giorni. Tratte ch'ebbero i
classis, L. Aemilio Paullo Hispania ulterior. His consoli le province a sorte, subito anche i pretori
ita exercitus decreti. A. Cornelio novi milites, trassero le loro. Toccò a Marco Giunio Bruto
conscripti priore anno ex senatusconsulto a L. l'una e l'altra giurisdizione, ad Aulo Cornelio
Quintio consule, dati sunt; jussusque tueri om Mammula i Bruzii, a Marco Emilio Lepido la
mem oram circa Tarentum Brundisiumque. L. Sicilia, a Lucio Oppio Salinatore la Sardegna,
Aemilio Paullo in ulteriorem Hispaniam praeter a Caio Livio Salinatore la flotta, a Lucio Emilio
eum exercitum, quem a M. Fulvio propraetore Paolo la Spagna ulteriore. Furon loro assegnati
accepturus esset, decretum est, ut novorum mili gli eserciti in questo modo. Si diedero ad Aulo
tum tria millia duceret, et trecentos equites; ita Cornelio i soldati novelli, levati l'anno antece
ut in iis duae partes sociùm Latini nominis, ter dente per decreto del senato dal console Lucio
tia civium Romanorum esset. Idem supplementi Quinzio, e gli fu imposto di guardare tutta la
ad C. Flaminium, cui imperium prorogabatur, costa da Taranto a Brindisi. A Lucio Emilio
in Hispaniam citeriorem est missum. M. Aemilius Paolo, destinato per la Spagna ulteriore, oltre
Lepidus a L. Valerio, cui successurus esset, si l'esercito, che dovea ricevere dal propretore
mul provinciam exercitumque accipere jussus: Marco Fulvio, si decretò che levasse tre mila
L. Valerium, si ita videretur, pro praetore in pro nuovi soldati e trecento cavalli, in modo che di
vincia retinere, et provinciam ita dividere, ut questi due parti fossero degli alleati Latini, la
una ab Agrigento ad Pachynum esset, altera a terza del cittadini Romani. Si mandò la stessa
Pachyno Tyndarium. Eam maritimam oram L. quantità di rinforzo a Caio Flaminio, a cui si
Valerius viginti navibus longis custodiret. Eidem prolungava il comando, nella Spagna citeriore.
praetori mandatum, ut duas decumas frumenti Marco Emilio Lepido ebbe ordine di ricevere da
exigeret: id ad mare comportandum devehen Lucio Valerio, a cui stava per succedere, e la
dumque in Graeciam curaret. Idem L. Oppio de provincia e l'esercito, e di ritenere, se così gli
alteris decumis exigendis in Sardinia imperatum: piacesse, Lucio Valerio nella provincia in qualità
ceterum non in Graeciam, sed Romam id fru di pretore, e di dividere in modo la provincia,
965 TITI LIVII LIBER XxxVI. 966
mentum portari placere. C. Livius praetor, cui che una parte si distendesse da Agrigento a
classis evenerat, cum triginta navibus paratis tra Pachino, l'altra da Pachino a Tindario; Lucio
jicere in Graeciam primo quoque tempore jus Valerio custodisse questa spiaggia marittima
sus, et ab Atilio naves accipere: veteres naves, con venti navi lunghe. Fu commesso allo stesso
quae in navalibus erant, ut reficeret et armaret, pretore, che riscuotesse due decime di grano,
M. Junio praetori negotium datum est, et in eam e il facesse tradurre al mare, e trasportare in
classem socios navales libertinos legeret. Grecia. Similmente fu commesso a Lucio Oppio
di esigere due decime nella Sardegna: questo
grano però si volle trasportato a Roma, non
in Grecia. Il pretore Caio Livio, cui toccata era
la flotta, ebbe ordine di passare quanto prima
con trenta navi guernite in Grecia, e di riceverle
da Atilio: al pretore Marco Giunio si diede la
cura di rifare ed armare le vecchie mavi, ch'erano
negli arsenali, e di levare per servizio di quella
flotta uomini di libera condizione.
III. Legati terni in Africam ad Carthaginien III. Si spedirono tre ambasciatori in Africa ai
ses et in Numidiam ad frumentum rogandum, Cartaginesi, e tre in Numidia a chieder grano da
quod in Graeciam portaretur, missi; pro quo mandarsi in Grecia, il quale sarebbe pagato dal
pretium solveret populus Romanus. Adeoque in popolo Romano. E la città si diede tanto pensiero
apparatum curamque ejus belli civitas intenta dell'apparecchio e governo di quella guerra, che
ſuit, ut P. Cornelius consul ediceret, « Qui sena il console Publio Cornelio fe” un editto, a che
tores essent, quibusque in senatu sententiam di nessuno del senatori, e di quelli, che avean voce
cere liceret, quique minores magistratus essent, in senato, e de'minori magistrati, si discostasse
ne quis eorum longius ab urbe Roma abiret, quam da Roma, se non quanto potesse nel giorno stesso
unde eo die rediret posset; neve uno tempore tornarvi, e che cinque senatori non fossero mai
quinque senatores ab urbe Roma abessent. » In in un medesimo tempo assenti dalla città. » Una
comparanda impigre classe C. Livium praeto contesa insorta coi coloni marittimi trattenne al
rem contentio, orta cum colonis maritimis, paul quanto il pretore Caio Livio, mentr'egli allestiva
lisper tenuit. Nam, quum cogerentur in classem, senza darsi posa la flotta. Perciocchè, chiamati
tribunos plebei appellarunt: ab iis ad senatum essendo a montarla, si appellarono a tribuni della
rejecti sunt. Senatus ita, ut ad unum omnes con plebe, e questi li rimisero al senato. Il senato,
sentirent, decrevit, vacationem rei navalis his senza che neppur uno dissentisse, decretò non
colonis non esse. Ostia et Fregenae et Castrum aver quei coloni diritto di esimersi dal servigio
novum et Pyrgi et Antium et Tarracina et Min di mare. Ostia e Fregene e Castro-nuovo e Pir
turnae et Sinuessa fuerunt, quae cum praetore go e Anzio e Terracina e Minturno e Sinuessa
de vacatione certaverunt. Consul deinde M. Aci furono le colonie, che contrastarono per l'esen
lius ex senatusconsulto ad collegium Fecialium zione col pretore. Indi il console Manio Acilio
retnlit: « Ipsime utique regi Antiocho indiceretur per decreto del senato propose al collegio dei
bellum, an ad praesidium munciaretur ? et num Feciali, a se si dovesse intimar la guerra al
Aetolis quoque separatim indici iuberent bellum? la persona stessa del re Antioco, ovvero alla
et num prius societas eis et amicitia renuncianda guarnigione, e se volessero che la s'intimasse
esset, quam bellum indicendum ? » Feciales re separatamente anche agli Etoli, e se innanzi
sponderunt: a Jam ante sese, quum de Philippo d'intimar loro la guerra, si avesse a rinunziare
consuleremtur, decresse, nihil referre, ipsi coram, alla loro amicizia ed alleanza ? » l Feciali rispo
an ad praesidium, nunciaretur. Amicitiam remun sero; « Aver essi già decretato, quando furono
ciatam videri, quam legatis, toties repentibus res, consultati nella guerra contro Filippo, non esser
mec reddi, nec satisfieri aequum censuissent. Ae vi nessuna differenza, se l'intimazione si facesse
tolos ultro sibi bellum indixisse, quum Demetria alla persona del re, ovvero alla sua guarnigione.
dem, sociòrum urbem, per vim occupassent; L'amicizia pareva rinunziata, tosto che i nemici
Chalcidem terra marique oppugnatum issent; re non aveam trovato giusto di dare alcuna soddifa
gem Antiochum in Europam ad bellum populo zione agli ambasciatori per le cose tolte, i quali
Romano inferendum traduxissent.” Omnibus jam l'avean tante fiate richiesta. Gli Etoli aver primi
satis comparatis, M.' Acilius consul edixit: « Ut, intimata la guerra, quando occuparono colla forza
quos L. Quintius milites conscripsisset, et quos Demetriade, città degli alleati; quando andarono
sociis nominique Latino imperasset, quos secum ad assediare Calcide per terra e per mare, quandº
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in provinciam ire oporteret, et tribuni militum chiamarono Antioco in Europa a mover guerra
legionis primae et tertiae, uti omnes Brundisium al popolo Romano. » Fatti tutti questi prepara
ldibus Majis convenirent. m Ipse ante diem quin menti, il console Manio Acilio ordinò, a che tutti
tum Nonas Majas paludatus urbe egressus est. i soldati già levati da Lucio Quinzio, e quelli,
Per eosdem dies et praetores in provincias pro che aveva il medesimo comandati agli alleati e ai
fecti sunt. popoli del nome Latino, e i tribuni del soldati
della prima e terza legione, tutti si raccogliessero
a Brindisi agl'idi di Maggio. ” Egli, vestito del
paludamento, uscì di Roma il terzo giorno di
Maggio. A que” di medesimi i pretori partirono
per le loro province.
IV. Sub idem tempus legati ab duobus regi IV. Verso quel tempo medesimo vennero a
bus, Philippo Macedoniae et Ptolemaeo Aegypti, Roma ambasciatori dai due re, Filippo di Mace
Romam venerunt, pollicentes ad bellum auxilia donia e Tolommeo di Egitto, offerendo aiuti per
et pecuniam et frumentum. Ab Ptolemaeo eliam la guerra, e danaro e frumento; e da Tolommeo
mille pondo auri, viginti millia pondo argenti furono anche mandate mille libbre d' oro e venti
allata. Nihil ejus acceptum. Gratiae regibus actae: mila d'argento. Nulla fu accettato di tutto ciò. I
et, quum uteroue se cum omnibus copiis in Ae re ne furono ringraziati, e poichè l'uno e l'altro
toliam venturum, bello que interfuturum pollice prometteva che sarebbe venuto con tutte le sue
retur, Ptolemaeo id remissum : Philippi legatis forze nell'Etolia, e assisterebbe in persona a quella
responsum, gratum eum senatui populoque Ro guerra, Tolommeo ne fu dispensato: agli amba
mano facturum, si M.' Acilio consuli non defuis sciatori di Filippo fu risposto, che farebbe cosa
set. Item ab Carthaginiensibus et Masinissa rege grata ed al senato ed al popolo Romano, se non
legati venerunt. Carthaginienses tritici moditim negasse favore al console Manio Acilio. Così ven
mille, hordei quingenta millia ad exercitum, di nero ambasciatori dai Cartaginesi e dal re Masi
midium eius Roman apportaturos polliciti sunt: nissa. I Cartaginesi promisero di spedire mille
id ut ab se munus Romani acciperemt, petere se ; moggi di grano e cinquecento mila di orzo al
et classem suorum suo sumptu comparaturos; et l'esercito, e di portarne la metà a Roma: prega
stipendium, quod pluribus pensionibus in multos vano che i Romani accettassero da loro questo
annos deberent, praesens omne daturos. Masinis dono, e che allestirebbero una flotta loro a pro
sae legati quingenta millia modiim tritici, tre prie spese; e che darebbero di presente tutto lo
centa hordei ad exercitum in Graeciam ; Romam stipendio, che dovean pagare in più rate per
trecenta millia modiòm tritici, ducenta quinqua molti anni. Gli ambasciatori di Masinissa promi
ginta hordei; equites quingentos, elephantos vi sero che il re spedirebbe cinquecento mila moggi
ginti regem ad M.' Acilium consulem missurum. di grano, e trecento mila di orzo all'esercito in
De frumento utrisque responsum, ita usurum eo Grecia; a Roma trecento mila moggi di grano,
populum Romanum, si pretium acciperent. De dugento e cinquanta mila di orzo; e cinquecento
classe Carthaginiensibus remissum ; praeterquam cavalli, e venti elefanti al console Manio Acilio.
si quid navium ex foedere deberent: de pecunia Fu risposto ad ambedue che, quanto al grano, se
item responsum, nullam ante diem accepturos. ne varrebbe il popolo Romano, qualora ne rice
vessero il prezzo. I Cartaginesi furono dispensati
dalla flotta, eccetto che se dovessero alcun nu
mero di legni in forza dell'accordo. Quanto al
danaro, risposero che non ne avrebbono ricevuto
innanzi la scadenza.

V. Quum haec Romae agebantur, Chalcide V. Mentre si facevano a Roma codeste cose,
Antiochus, ne cessaret per hibernorum tempus, Antioco, standosi a Calcide, per non restarsi
partim ipse sollicitabat civitatium animos mitten ozioso nel verno, parte sollecitava egli stesso gli
dis legatis, partim ultro ad eum veniebant; sicut animi delle città mandando loro ambasciatori,
Epirotae communi gentis consensu, et Elei e parte ne venivano a lui spontaneamente; come
Peloponneso venerunt. Elei auxilium adversus gli vennero quei degli Epiroti per comune con
Achaeos petebant, quos, post bellum non ex sua sentimento della nazione, e quelli degli Elei dal
sententia indictum Antiocho, primum civitati Peloponneso. Chiedevano gli Elei soccorso contro
suae arma illaturos credebant. Mille iis pedites gli Achei, credendo che dopo la guerra intimata ad
cum duce Cretensi Euphane sunt missi. Epirota Antioco contro il loro parere avrebbon essi pri
rum legatio erat minime in partem ullam liberi mieramente mosse l'armi contro la loro città. Si
969 TITI LIVIl LIBER XXXVI. 97o

aut simplicis animi. Apud regem gratiam initam spediron loro mille fanti sotto la condotta di
volebant cum eo, ut caverent, ne quid offende Eufane di Creta. L'ambasceria degli Epiroti non
rent Romanos. Petebantenim, a me se temere in partiva punto da animo libero e schietto. Vole
causam deduceret, expositos adversus Italiam pro vano conciliarsi la grazia del re, in modo però
omni Graecia, et primos impetus Romanorum di guardarsi dall'oſfender punto i Romani. Per
excepturos. Sed, si ipse posset terrestribus nava ciocchè domandavano, a che non gl'involgesse
libusque copiis praesidere Epiro, cupide eum leggermente in codesta contesa, situati, com'era
omnes Epirotas et urbibus et portubus suis ac no, di fronte all'Italia al dinanzi di tutta la
cepturos. Si id non posset, deprecari, ne se nudos Grecia, ed esposti a primi impeti de Romani. Ma
atque inermes Romano bello objiceret. » Hacle s'egli in persona potesse con le sue forze di terra
gatione id agi apparebat, ut, sive (quod magis e di mare starsi dinanzi all' Epiro, tutti gli Epiro
credebant) abstinuisset Epiro, integra sibi omnia ti l'avrebbono accolto con gran piacere nelle
apud exercitus Romanos essent, conciliata satis città e ne porti loro. Se non potesse ciò fare, il
apud regem gratia, quod accepturi fuissent ve pregavano che non volesse esporli nudi ed iner
nientem ; sive venisset, sic quoque spes veniae mi all'invasione de' Romani. » Era chiaro che
ab Romanis foret, quod, non exspectato longiquo con codesta ambasceria miravano a questo, che o
auxilio ab se, praesentis viribus succubuissent. astenendosi il re dal venire in Epiro (il che più
Huic tam perplexae legationi, quia non satis in ch'altro credevano) sarebbono rimasti liberi di
promptu erat, quid responderet, legatos se mis condursi a lor talento verso gli eserciti Romani,
surum ad eos dixit, qui de iis, quae ad illos se avendosi conciliata bastevolmente la grazia del re,
que communiter pertinerent, loquerentur. che accettato avrebbono, se fosse venuto; ovvero
se il re venisse, anche in questo caso speravano
perdono dai Romani, se non aspettato il lontano
aiuto loro, avean dovuto cedere alle forze del re
presente. A codesta ambasceria così raggirata
non avendo Antioco in pronto che rispondere
sull'istante, disse che spedirebbe loro suoi am
basciatori, i quali avrebbon trattato delle cose,
che riguardavano lui ed essi in comune.
VI. In Boeotiam ipse profectus est, causas in VI. Egli se n'andò in Beozia, la quale aveva
speciem irae adversus Romanos eas, quas ante contro i Romani quelle cagioni in apparenza di
dixi, habentem, Brachyllae necem, et bellum a sdegno, che dissi di sopra; l'uccisione di Bra
Quintio Coroneae, propter Romanorum militum chilla, e l'armi portate da Quinzio contro Coronea
caedes, illatum; re vera per multa jam secula pu per vendicare la strage de'soldati Romani; ma
blice privatim Iue labante egregia quondam di veramente, perchè veniva mancando da molti e
sciplina gentis, et multorum eo statu, qui diutur molti secoli e in pubblico e in privato la una volta
nus esse sine mutatione rerum non posset. Ob egregia disciplina della nazione, non che lo stato
viam effusis undidue Boeotiae principibus, The di molti cittadini, che, non potea durare lunga
bas venit. Ibi in concilio gentis, quam quam et mente, se non si mutavan le cose. ll re venne a
ad Delium, impetu in praesidium Romanum facto, Tebe, fattiglisi incontro da ogni parte i princi
et ad Chalcidem commiserat nec a parvis nee du - pali della Beozia. Quivi nella dieta della nazione,
biis principiis bellum, tamen eamdem orationem benchè avesse e a Delio, piombando addosso al
exorsus, qua in colloquio primo ad Chalcidem, presidio Romano, e a Calcide incominciata la
quaque per legatos in concilio Achaeorum usus guerra da non dubbii nè piccioli principii, non
erat, ut amicitiam secum institui, non bellum in dimeno facendosi a tener lo stesso discorso, che
dici Romanis postularet; neminem, quid agere usato aveva nel primo colloquio a Calcide, non
tur, fallebat. Decretum tamen sub levi verborum che col mezzo de' suoi ambasciatori nella dieta
praetextu pro rege adversus Romanos factum est. degli Achei, nel quale chiedeva che si stringesse
Hac quoque gente adjuncta, Chalcidem regres amicizia seco lui, non che si facesse guerra ai
sus, praemissis inde literis, ut Demetriadem con Romani; a nessuno sfuggiva di che si trattasse.
venirent principes Aetolorum, cum quibus de Nullostante sotto lieve pretesto di parole fu fatto
summa rerum deliberaret, navibus eo ad diem il decreto a favore del re contro i Romani.
indictam concilio venit. Et Amynandcr accitus Aggiuntasi anche questa nazione, tornato a Cal
ad consultandum ex Athamania; et Hannibal Poe cide, e di là premesse lettere a principali del
nus, jam diu non adhibitus, interfuit ei concilio. l'Etolia, perchè si radunassero a Demetriade,
Consultatum de Thessalorum gente est, quorum co'quali deliberare della somma delle cose, si
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omnibus, qui aderant, voluntas tentanda vide recò sulle navi a quella dieta il dì convenuto. Fu
batur. ln eo modo diversae sententiae erant; chiamato a consulta anche Aminandro dall'Ata
quod alii extemplo agendum; alii ex hieme, quae mania; ed anche Annibale Cartaginese, già non
tum ferme media erat, differendum in veris prin adoperato da gran tempo, intervenne a quella
cipium ; et alii legatos tantummodo mittendos; adunanza. Si consultò sulla nazione de'Tessali,
alii cum omnibus copiis eundum censebant, ter la cui volontà, a tutti quelli ch'eran presenti,
rendosque metu, si cunctarentur. parve che si dovesse tentare. Erano in ciò solo
discordanti i pareri, che altri pensavano doversi
subito dar mano all'opera; altri, che dal verno,
allora quasi alla sua metà, si differisse sino al
principio di primavera; altri, che solamente si
mandassero ambasciatori; altri, che si andasse con
tutte le forze per metter loro paura, se indu
giassero.
Vll. Quum circa hanc fere consultationem Vll. Aggirandosi tutta la disputa quasi sola
disceptatio omnis verteretur, Hannibal, nomina mente su questo punto, Annibale interrogato
tim interrogatus sententiam, in universi belli co nominatamente del suo parere, rivolse il re e
gitationem regem atque eos, qui aderant, tali tutti quelli ch'eran presenti, alla considerazione
oratione avertit: «Si, ex quo trajecimus in Grae della somma generale della guerra con così fatto
ciam, adhibitus essem in consilium, quum de discorso: «Se quando passammo in Grecia, fossi
Euboea, de Achaeis, de Boeotia agebatur, eam stato chiamato a consiglio, allorchè si trattava
dem sententiam dixissem, quam hodie, quum de dell'Eubea, degli Achei e della Beozia, avrei detto
Thessalis agitur, dicam. Ante omnia Philippum quello ch'oggi dirò, trattandosi dei Tessali. Pri
et Macedonas in societatem belli quacumque ra ma di tutto son di parere, che si debba trarre
tione censeo deducendos esse. Nam quod ad Eu per ogni via Filippo ed i Macedoni ad esserci
boeam Boeotosque et Thessalos attinet, cui du compagni nella guerra. Perciocchè per quello,
bium est, quin, ut quibus nullae suae vires sint, che appartiene all'Eubea, ai Beozii ed ai Tessali,
praesentibus adulando semper, quem metum in chi può dubitare che adulando essi sempre i pre
consilio habeant, eodem ad impetrandam veniam senti, come quelli che non han forza da sè, non
utantur ? simulac Romanum exercitum in Grae abbiano, onde impetrar perdono da Romani, a
cia viderint, ad consuetum imperium se avertant? valersi di quello stesso timore, che apportano
nec iis noxae futurum sit, quod, quum Romani nelle diete? che come tosto vedranno in Grecia
procul abessent, vim tuam praesentis exercitusque un esercito Romano, non si volgano alla consueta
tui experiri noluerint? Quanto igitur prius po obbedienza? e che non sarà messo a lor carico,
tiusque est, Philippum nobis conjungere, quam se discosti essendo i Romani, non abbiamo voluto
hos ? cui, si semel in causam descenderit, nihil far prova delle forze e del re presente, e del
integri futurum sit, quique eas vires afferat, l'esercito suo? Quanto dunque non importa pri
quae non accessio tantum ad Romanum esse bel ma e piuttosto unire a noi Filippo che costoro?
lum, sed per se ipsae nuper sustinere potuerint il qual Filippo, se una volta discende a questa
Romanos, Hoc ego adjuncto (absit verbo invidia) lotta, non è più libero di ritrarsene, e tali forze
qui dubitare de eventu possim ? quum, quibus arreca, che non solamente sarebbono gran giunta
adversus Philippum valuerint Romani, iis nunc in questa guerra, ma che testè han potuto esse
fore videam utipsi oppugnentur. Aetoli, qui Phi sole sostenersi incontro i Romani. Aggiunto Fi
lippum (quod inter omnes constat) vicerunt, cum lippo, mi si permetta il dirlo, come potrei dubi
Philippo adversus Romanos pugnabunt. Amyman tare dell'esito ? vedendo che i Romani sarebbero
deratoue Athamanum gens, quorum secundum combattuti da quel medesimi, co'quali avean essi
Aetolos plurima fuit opera in eo bello, nobiscum soverchiato Filippo. Gli Etoli, i quali, come
stabunt. Philippus tum, te quieto, totam molem nessuno ne dubita, vinsero Filippo, combatte
sustinebat belli: nunc duo mavimi reges, Asiae ranno con Filippo contro i Romani. Aminandro
Europaeque viribus, adversus unum populum e la nazione degli Atamani, che dopo gli Etoli
(ut meam utramque fortunam taceam ), patrum prestarono la maggior opera in quella guerra,
certe aetate ne uni quidem Epirotarum regi pa staranno con noi. Allora Filippo, mentre tu ti
rem (quid tandem erit vobiscum comparatus?) stavi quieto, sosteneva tutta la mole della guerra;
geretis bellum. Quae igitur res mihi fiduciam ora due potentissimi re, colle forze dell'Europa
praebet, conjungi nobis Philippum posse? Una, e dell'Asia, farete guerra ad un popolo solo, certo
communis utilitas, quae societatis maximum vin (per tacere dell'una e dell'altra mia fortuna) non
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culum est: altera, auctores vos Aetoli. Vester l pari al tempo de'nostri padri nemmeno ad un
enim legatus hic Thoas inter cetera, quae ad ex solo re degli Epiroti: or che sarà egli paragonato
ciendum in Graeciam Antiochum dicere est soli con ambi voi? Ma qual cosa mi desta la fiducia,
tus, ante omnia hoc semper affirmavit, fremere che ci possiamo congiungere Filippo? Una è
Philippum, et aegre pati, sub specie pacis leges l'utilità comune, la quale è vincolo grandissimo
servitutissibi impositas. llle quidem ſerae bestiae di società; l'altra quello che ne pensate, o Etoli,
vinctae aut clausae, et refringere claustra cupien voi stessi. Perciocchè questo vostro oratore
ti, regis iram verbis aequabat. Cujus si talis ani Toante tra l'altre cose, che fu solito dire per
mus est, solvamus nos ejus vincula, et claustra attrarre Antioco in Grecia, questo sopra tutto
refringamus, ut erumpere diu coèrcitam iram in sempre affermò, che Filippo fremeva e di mal
hostes communes possit. Quod si nihil eum lega cuore sofferiva, che sott'ombra di pace gli fossero
tio nostra moverit, at nos, quoniam nobis eum imposte leggi di servitù. Egli assomigliava l'ira
adjungere non possumus, ne hostibus nostris ille del re a quella di fiera incatenata, o rinchiusa, e
adjungi possit, caveamus. Seleucus filius tuus Ly bramosa di rompere le sue chiostre. Ma se tal è
simachiae est; qui si eo exercilu, quem secum l'animo suo, spezziamo noi le sue catene, la sua
habet, per Thraciam proxima Macedoniae coepe chiusura, sì che scagliar possa l'ira lungamente
rit de populari, facile ab auxilio ferendo Romanis rattenuta contro i comuni nemici. Che se non
Philippum ad sua potissimum tuenda avertet. De varrà punto a muoverlo la nostra ambasceria,
Philippo meam sententiam habes. De ratione uni guardiamo poi che non ci riesce di unirlo a noi,
versi belli quid sentirem, jam ab initio non igno ch'ei non possa aggiungersi a nostri nemici. Tuo
rasti. Quod si tum auditus forem, non in Euboea figlio Selenco è in Lisimachia, il quale se con
Chalcidem captam, et castellum Euripi expugna quell'esercito, che ha seco, attraversando la Tra
tum Romani, sed Etruriam Ligurumque et Gal cia, comincierà a saccheggiare i luoghi vicini
liae Cisalpinae oram bello ardere, et qui maxi alla Macedonia, otterrà facilmente che Filippo
mus iis terror est, Hannibalem in Italia esse au dal recar soccorso a Romani si volga a difendere
dirent. Nunc quoque arcessas censeo omnes na le cose proprie. Hai quanto a Filippo il parer
vales terrestresque copias. Sequantur classem one mio. Quanto alla somma di tutta la guerra, già
rariae cum commeatibus: nam hic sicut ad belli non hai sin da principio ignorato, com'io la
munera pauci sumus, sic nimis multi pro inopia pensassi. Se fossi stato ascoltato a quel tempo,
commeatuum. Quum omnes tuas contraxeris vi non udrebbon ora i Romani Calcide presa nel
res, divisam classem partim Corcyrae in statione l'Eubea, e il castello dell'Euripo sforzato, ma la
habebis, ne transitus Romanis liberac tutus pa Toscana e tutta la spiaggia de' Liguri e della
teat; partim ad litus Italiae, quod Sardiniam Gallia Cisalpina arder di guerra, e, ciò che più
Africamdue spectat, trajicies: ipse cum omnibus ch'altro gli atterrisce,esserAnnibale in Italia. Sono
terrestribus copiis in Byllinum agrum procedes. di avviso, anche in presente, che tu faccia venire
Inde Graeciae praesidebis, et speciem Romanis tutte le forze di terra e di mare; che legni da
traiecturum te praebens, et, si res poposcerit, tra carico seguano con vettovaglie la flotta. Percioc
iecturus. Haec suadeo, qui, ut non omnis peritis chè siccome qui siamo pochi per la guerra, così
simus sim belli, cum Romanis certe bellare bonis pe' viveri siamo troppi. Quando avrai raccolte
malisque meis didici. In quae consilium dedi, in tutte le tue forze, divisa la flotta, parte la terrai
eadem nec infidelem, nec segnem operam polli ferma a Corcira, acciocchè non abbiano i Roma
ºor. Dii approbent eam sententiam, quae tibi ni il passo libero e sicuro; parte la spedirai ai
ºptima visa fuerit. n confini dell'Italia, dove guarda la Sardegna e
l'Africa: tu con tutte le genti di terra t'inoltre
rai nel contado Billino. Di là sovrasterai alla
Grecia, facendo mostra a Romani di voler passa
re, e se l'occasione richiederallo, passerai. Questo
è quello, che consiglio io, il quale, se non esperto
moltissimo in ogni sorte di guerra, certo appresi
con mio bene e mio male a guerreggiare co'Ro
mani. In ciò che ho consigliato, prometto l'opera
mia, fedele certo e zelante. Approvino gli dei
quel parere, che ti sarà sembrato il migliore. »
VIII. Haec ferme Hannibalis oratio fuit; quam VIII. Questo fu a un dipresso il discorso di
lºdarunt magis in praesentia, qui aderant, quam Annibale, cui piuttosto sul momento lodaron
º ipsis exsecuti sunt. Nihii enim eorum est quelli, ch'eran presenti, che il mettessero in ese
975 TITI LIVII LIBER XXXVI. 976
factum, nisi quod ad classem copiasque arcessen cuzione col fatto. Perciocchè nulla si fece di tutto
das ex Asia Polyxenidam misit. Legati Larissam ciò, se non che il re spedì Polissenida a far veni
ad concilium Thessalorum sunt missi, et Aetolis re la flotta e le genti dall'Asia. Si mandarono
Amynandroque dies ad conveniendum exercitui ambasciatori a Larissa alla dieta de'Tessali, e
Pheras est dictus: eodem et rex cum suis copiis agli Etoli e ad Aminandro fu assegnato il giorno
confestim venit.lbi dum opperitur Amynandrum di radunarsi con l'esercito, a Fere e vi si recò
atque Aetolos, Philippum Megalopolitanum cum subito anche il re con le sue forze. Mentr'egli si
duobus millibus hominum ad legenda ossa Ma sta quivi aspettando Aminandro e gli Etoli, spedì
cedonum circa Cynoscephalas, ubi debellatum Filippo Megalopolitano con due mila soldati a
erat cum Philippo, misit; sive ab ipso, quaerente raccogliere l'ossa de' Macedoni ne' contorni di
sibi commendationem ad Macedonum gentem Cinoscefala, dov'era stato vinto Filippo; o ciò
et invidiam regi, quod insepultos milites reliquis sia stato per suggestione dello stesso Filippo
set, monitus; sive ab insita regibus vanitate ad Megalopolitano voglioso di farsi merito colla
consilium specie amplum, re inane, animo adje nazione de Macedoni, e procacciare carico al re,
cto. l'umulus est, in unum ossibus, quae passim perchè lasciati avesse i suoi senza sepoltura; o
strata erant, coacervatis, factus; qui nullam gra siasi egli, per boria innata nei re, da sè solo volto
tiam ad Macedonas, odium ingens ad Philippum a pensiero magnifico in apparenza, vano in fatto.
movit. Itaque, qui ad id tempus fortunam esset Di tutte le ossa, ch'erano sparse qua e colà, am
in consilio habiturus, is extemplo ad M. Baebium montate insieme, si fece un tumulo; il che non gli
propraelorem misit, « Antiochum in Thessaliam fruttò punto di grazia presso i Macedoni, bensì
impetum fecisse. Si videreturei, moveret ex hi odio grande presso Filippo. Quindi questi, che
bernis: se obviam processurum, ut, quid agen sino a quel dì aspettato avea di consigliarsi colla
dum esset consultarent. » fortuna, mandò subito ad avvisare il propretore
Marco Bebio, « che Antioco aveva invaso la Tes
saglia; uscisse, se gli pareva, da quartieri d'in
verno; sarebbe egli venuto a suo rincontro per
consultare intorno a ciò, che far si dovesse. »
IX. Antiocho, ad Pheras jam castra habenti, IX. Antioco, accampatosi presso a Fere, dove
ubi conjunxerant ei se Aetoli et Amynander, le se gli erano uniti gli Etoli ed Aminandro, ven
gati ab Larissa venerunt, quaerentes, quod ob nero ambasciatori da Larissa ricercando per qual
factum dictumve Thessalorum bello lacesseret detto o fatto dei Tessali venisse egli ad assaltarli?
eos ? simul orantes, ut, remoto exercitu, per le pregandolo insieme, che allontanato l'esercito, se
gatos, si quid ei videretur, secum disceptaret. alcun che gli occorresse, trattasse seco loro per
'Eodem tempore quingentos armatos, duce Hip via di ambasciatori. Nel tempo stesso mandarono
polocho, Pheras in praesidium miserunt. Hi ex cinquecento armati sotto la condotta d'Ippoloco
clusi aditu, jam omnia itinera obsidentibus regiis, a presidio di Fere; i quali, esclusi dall'entrare,
Scotussam se receperunt. Legatis Larissaeorum avendo di già le genti del re occupate tutte le
rex clementer respondit, « Non belli faciendi, sed strade, si ritirarono a Scotussa. Agli ambasciatori
tuendae et stabiliendae libertatis Thessalorum de' Larissei rispose il re con clemenza, a esser
causa, se Thessaliam intrasse. Similia his qui egli entrato nella Tessaglia, non per fare la guer
cum Pheraeis ageret, missus. Cui nullo dato re ra, ma per difendere ed assodare la libertà dei
sponso Pheraei ipsi legatum ad regem, princi Tessali. » Fu mandato altro ambasciatore a Ferei,
pem civitatis Pausaniam, miserunt. Qui quum che dicesse loro la stessa cosa; al quale non essen
haud dissimilia his, ut in causa pari, quae pro dosi data veruna risposta, mandarono essi stessi
Chalcidensibus in colloquio ad Euripi fretum ambasciatore al re Pausania, il più ragguarde
dicta erant, quaedam etiam ferocius, egisset; rex vole de' cittadini. Il quale, avendo in parità di
etiam atque etiam deliberare eos jussos, ne id con causa, dette cose non dissimili da quelle, ch'erano
silii caperent, cujus, dum in futurum nimis cauti già state dette a pro de' Calcidiesi nel colloquio
et providi essent, extemplo poeniteret, dimisit. tenuto presso lo stretto dell'Euripo, ed alcune
Haec renunciata Pheras legatio quum esset, ne altre anche con maggior franchezza, il re, poi
paullum quidem dubitarunt, quin pro fide erga che gli ebbe avvertiti a ben bene guardare che,
Romanos, quidquid fors belli tulisset, paterentur. mentre erano troppo cauti e antiveggenti nel fu
Itaque et hi summa ope parabant se ad urbem turo, non pigliassero tal consiglio, di che si
defendendam; et rex ab omni parte simul oppu avessero di subito a pentire, li licenziò. Riportata
gnare moenia est aggressus, et, ut qui satis in a Fere questa risposta, non dubitarono un istante
telligeret (neque enim dubium erat), in eventu di esporsi a sofferire per la fede loro verso i
977 TI l'I LIVII LIBER XXXVI. 975
ejus urbis positum esse, quam primam aggressus Romani quanto recar potesse la sorte della guerra,
esset, aut sperni deinde ab universa gente Thes Quindi ed essi si apparecchiavano con ogni
salorum, aut timeri se, omnem undique terrorem sforzo a difendere la città, e il re si fece a com
obsessis injecit. Primum impetum oppugnationis battere le mura da ogni parte ad un tempo, e
satis constanter sustinuerunt: dein, quum multi come quegli, che conosceva abbastanza (percioc
propugnantescaderent, aut vulnerarentur, labare chè non era da dubitarsi dipendere dall'esito
animi coepere. Revocati deinde castigationibus dell'impresa contro la prima città, che avesse
principum ad perseverandum in proposito, reli assediata, ch'egli fosse di poi o disprezzato da
cto exteriore circulo muri, deficientibus jam co tutta la nazione de'Tessali, ovvero temuto) per
piis, in interiorem partem urbis concesserunt, ogni via gettò il terrore nell'animo degli asse
cui brevior orbis munitionis circumjectus erat . diati. Sostennero questi con bastante fermezza
Postremo victi malis, quum timerent, ne vi captis il primo impeto dell'assalto; poscia, cadendo
nulla apud victorem venia esset, dediderunt sese. morti, o essendo feriti molti difenditori, comin
Nihil inde moratus rex, quatuor millia armato ciò il coraggio a vacillare. Indi richiamati dai
rum, dum recens terror esset, Scotussam misit . rimprocci de' principali cittadini a perseverare
Nec ibi mora deditionis est facta, cernentibus nel proposito, abbandonato il recinto esterno
Pheraeorum recens exemplum : qui quod perti delle mura, cominciando a scarseggiare di gente,
naciter primo abnuerant, malo domiti tandem si ritirarono nella parte interna della città, cui
fecissent. Cum ipsa urbe Hippolochus Larissaeo cingeva più breve circuito di munizioni. In fine,
rumque deditum est praesidium. Dimissi ab rege vinti dai mali, temendo di non trovare, presi
inviolati omnes; quod eam rem magni momenti di forza, perdono dal vincitore, si arrendettero.
futuram rex ad conciliandos Larissaeorum animos Il re, senz'altro indugiare, finchè il terrore era
credebat.
fresco, mandò quattro mila armati a Scotussa.
Nè si tardò quivi ad arrendersi, vedendo il
recente esempio de' Ferei, i quali ciocchè avean
da prima pertinacemente negato, domi dai mali
in fine lo avevan fatto. Colla città si arrendette
Ippoloco, ed il presidio de'Larissei. Furono tutti
lasciati andare senza offesa; cosa, che il re cre
deva dover essere di gran momento a conciliarsi
gli animi de' Larissei.
X. Intra decimum diem, quam Pheras vene X. Fatto tutto questo in dieci giorni, da che
rat, his perfectis, Cranonem, profectus cum toto egli era venuto a Fere, partitosi con tutto l'eser
exercitu, primo adventu cepit. Inde Cypaeram cito, al primo giungere prese Cranone. Poscia
et Metropolim, et iis circumjecta castella recepit; s'impadronì di Cipera e di Metropoli e de'ca
omniaque jam regionis ejus, praeter Atracem et stelli, che son loro d'intorno; ed avea già in
Gyrtonem, in potestate erant. Tum aggredi La
poter suo tutto il paese, eccetto Atrace e Girtone.
rissam constituit: ratus vel terrore ceterarum Allora deliberò di assediare Larissa, stimando
expugnaturum, vel beneficio praesidii dimissi, che i Larissei, o pel terrore degli altri luoghi
vel extemplo tot civitatium dedentium sese, non presi, o pel benefizio del presidio licenziato,
ultra in pertinacia mansuros. Elephantis agiante o per l'esempio di tante città arrendutesi, non
signa terroris causa jussis, quadrato agmine ad si sarebbon ostinati più lungamente. Fatti an
urbem incessit; ut incerti fluctuarentur animi dare gli elefanti dinanzi alle insegne per incu
magnae partis Larissaeorum inter metum prae ter più terrore, si accostò alla città in ordine
sentem hostium et verecundiam absentium socio quadrato, in modo che gli animi della maggior
parte dei Larissei fluttuavano incerti tra il timo
rum. Per eosdem dies Amymander cum Athama
num juventute occupat Pellinaeum ; et Menippus,
re de'nemici presenti, e il riguardo dovuto agli
alleati lontani. In que di medesimi Aminandro
cum tribus millibus peditum Aetolorum et ducen
colla gioventù degli Atamani occupa Pellineo; e
tis equitibus in Perraebiam profectus, Malloeam
et Cyretias vi cepit, depopulatusque est agrum
Menippo con tremila fanti degli Etoli e dugento
Tripolitanum. His raptim peractis, Larissam ad cavalli andato nella Perrebia, prese per forza
regem redeunt: consultanti, quidnam agendum Mallea e Cirezia, e saccheggiò il contado Tripo
esset de Larissa, supervenerunt. Ibi in diversum litano. Ciò fatto in tutta fretta, tornano al re
sententiae tendebant; aliis vim adhibendam, et presso Larissa: sopraggiunsero mentr'egli con
sultava che si avesse a fare. Quivi i pareri eran
non differendum censentibus, quin operibus ac diversi; altri opinando che si dovesse usar la
machinis simul undique moenia aggrederentur 62
Livio 2
979 TITI LIVII LIBER XXXVI. 98o
urbis sitae in plano, apertae, campestri undigue forza, nè tardare a combattere da ogni parte con
aditu; aliis nunc vires urbis, nequaquam Pheris le opere e con le macchine le mura di una città,
conferendae, memorantibus, nunc hiemem et posta al piano, aperta ed accessibile da tutti i
tempus anni nulli bellicae rei, minime obsidioni lati; altri ricordando ora le forze di Larissa non
atgue oppugnationi urbium, aptum. Incerto regi paragonabile a Fere, ora il verno e la stagione
inter spem metumque legati a Pharsalo, qui ad non atta a nessuna impresa di guerra, e molto
dedendam urbem suam forte venerant, animos meno agli assedii e agli assalti. Standosi il re
auxerunt. M. Baebius interim, cum Philippo in incerto tra la speranza ed il timore, gli ambascia
Dassaretiis congressus, Ap. Claudium ex com tori di Farsalo, venuti per avventura a dargli la
muni consilio ad praesidium Larissae misit, qui città loro, gli crebbero l'ardimento. Intanto
per Macedoniam magnis itineribus in jugum Marco Bebio, abboccatosi con Filippo nel paese
montium, quod super Gonnos est, pervenit. Op de Dassareti, mandò di comune consiglio Appio
pidum Gonni viginti millia ab Larissa abest, in Claudio al soccorso di Larissa; il quale, attraver
ipsis faucibus saltus, quae Tempe appellantur, si sando la Macedonia a gran giornate, arrivò a
tum. Ibi castra metatus latius, quan pro copiis, quel giogo di monti, che sta sopra Gonni. Il
et plures, quam quot satis in usum erant, ignes castello di Gonni è distante venti miglia da La
quum accendisset, speciem, quam quaesierat, ho rissa, posto nelle gole stesse dello stretto, che si
sti fecit, omnem ibi Romanum exercitum cum chiama Tempe. Quivi, disegnato un campo, largo
ege Philippo esse. Itaque hiemem instare apud più che non portava il numero de' suoi, ed accesi
nos causatus rex, unum tantum moratus diem, più fuochi, che non occorreva, fece credere al
b Larissa recessit, et Demetriadem rediit; Ae nemico, siccome appunto bramava, che ivi fosse
olique et Athamanes in suos receperunt se fines. tutto l'esercito Romano insieme col re Filippo.
Appius, etsi, cuius rei causa missus erat, solutam Quando Antioco, pigliando il pretesto co'suoi
cernebat obsidionem, tamen Lasissam ad confir che soprastasse il verno, fermatosi un solo gior
mandos in reliquum sociorum animos descendit; no, si partì da Larissa e tornò a Demetriade; e
duplexque laetitia erat, quod el hostes excesse gli Etoli e gli Atamani ritornarono al lor paese.
rant finibus, et intra moenia praesidium Roma Appio, benchè vedesse levato l'assedio, pel quale
num cernebant, era stato spedito, nondimeno discese a Larissa
per incoraggiare gli animi degli alleati nell'avve
mire; e ci era doppia allegrezza, sì perchè il me
mico era uscito da lor confini, sì perchè vedeva
no nella città loro il presidio Romano.
X1. Rex Chalcidem a Demetriade profectus, XI. Il re da Demetriade passato a Calcide,
amore captus virginis Chalcidensis Cleoptolemi invaghitosi di una fanciulla Calcidiese, figlia di
filiae, quum patrem, primo allegando, deinde Cleoptolemo, poi ch'ebbe prima cogli uffizii,
coram ipse rogando fatigasset, invitum se gravio poi pregando egli stesso, stancato il padre, che
risfortunae conditioni illigantem, tandem impe di mala voglia si legava a condizione di troppo
trata re, tamquam in media pace nuptias celebrat; alta fortuna, ottenutone finalmente l'assenso,
et reliquum hiemis, oblitus quantas simul duas celebrò le nozze, quasi fosse in mezzo alla pace;
res suscepisset, bellum Romanum et Graeciam e dimenticatosi a quali due grosse imprese si
liberandam, omissa omnium rerum cura, in con fosse messo ad un tempo, a far la guerra coi
viviis et vinum sequentibus voluptatibus, ac Romani, e a liberare la Grecia, abbandonata
deinde, ex fatigatione magis, quam satietate ea ogni altra cura, passò il restante del verno nei
rum, in somno traduxit. Eadem omnes praeſe banchetti e nelle voluttà, che accompagnano il
ctos regios (qui ubique, ad Bocotiam maxime, vino; e poscia, più per esserne stanco, che sazio,
praepositi hibernis erant) cepit luxuria; in cam nel sonno. Dieronsi alla medesima dissolutezza
dem et milites effusi sunt : nec quisquam eorum tutti i prefetti del re, che da per tutto, e massi
aut arma induit aut stationem, aut vigilias ser mamente nella Beozia, presedevano a quartieri
vavit ; aut quidquam, quod militaris operis, aut d'inverno: abbandonaronsi alla stessa anche i
mumeris esset, fecit. Itaque principio veris, quum soldati; nè alcuno d'essi si vestì l'armi, o ſe la
per Phocidem Chaeroneam, quo convenire omnem guardia, o si tenne alle poste, o cosa altra eseguì,
undique exercitum jusserat, venisset, facile ani che appartenesse ad opera ed uffizio di soldato,
madvertit, nihilo severiore disciplina milites, Quindi nel principio della primavera, essendo
quam ducem, hibernasse. Alexandrum inde Acar per la Focide venuto a Cheronea, dove avea
nana et Menippum Maccdoncm Stratum Actoliae comandato che da ogni parte l'esercito si racco
e piasducereiussi Ipse Delphissacrificio Apollini gliesse, facilmente conobbe non avere i soldati
931 TITI LIVII LIBER XXXVI. 962
facto, Naupactum processit. Consilio principum svernato con punto più di disciplina, che i co
Aetoliae habito, via, quae praeter Calydonem et mandanti. Poscia ordinò ad Alessandro di Acar
Lysimachiam fert ad Stratum, suis, qui per Ma mania ed a Menippo Macedone di guidare l'eser
liacum sinum veniebant, occurrit. Ibi Mnesilochus cito a Strato nell'Etolia. Egli, fatto un sagrifizio
princeps Acarnanum, multis emptus donis, non in Delfo ad Apollo, avviossi a Naupatto; e fatta
ipse solum gentem regi conciliabat, sed Clytum consulta co principali dell'Etolia, per la via, che
etiam praetorem, penes quem tum summa pote lungo Calidone e Lisimachia mena a Strato, si
staserat, in suam sententiam adduxerat. Is quum fe'incontro a suoi, che venivano pel golfo di
Leucadios, quod Acarnaniae caput est, non fa Malea. Quivi Mnesiloco, uno de primi dell'Acar
cile ad defectionem posse cerneret impelli, pro nania, comperato con molti doni, non solamente
pter metum Romanae classis, quae cum Atilio, conciliava al re la sua nazione, ma tratto aveva
quaeve circa Cephaleniam erat, arte eos est ag nel parer suo anche il pretore Clito, in cui mano
gressus. Nam quum in concilio dixisset, tuenda stava a quel tempo il poter sommo. Questi,
mediterranea Acarnaniae esse, et omnibus, qui ar vedendo non potersi così facilmente indurre gli
ma ferrent, exeundum ad Medionem et Thyrium, abitanti di Leucade, città capitale dell'Acarnania,
ne ab Antiocho aut Aetolis occuparentur; fuere, a ribellarsi per paura della flotta Romana, ch'era
qui dicerent, nihil attinere omnes tumultuose con Atilio, e ne contorni di Cefalenia, si fece a
concitari ; satis esse quingentorum hominum vincerli coll'arte. Perciocchè avendo detto nel
praesidium. Eam juventutem mactus, trecentis consiglio che bisognava difendere i luoghi entro
Medione, ducentis Thyrii in praesidio positis, id terra dell'Acarnania, e che quanti portavan l'ar
agebat, ut pro obsidibus futuri venirent in pote mi doveano uscire a presidiare Medione e Tirio,
statem regis. onde non fossero occupati da Antioco, nè dagli
Etoli; fuvvi chi disse non occorrere che tutti
tumultuariamente si levassero in armi; bastare
un presidio di cinquecento uomini. Avuta ch'egli
ebbe questa gioventù, mettendone trecento a
Medione, dugento a Tirio, mirava a questo, che
cadassero in mano del re, onde gli servissero di
ostaggi.
XII. Per eosdem dies legati regis Medionem XII. In quel dì medesimi vennero a Medione
venerunt: quibus auditis, quum in concione, quid ambasciatori spediti dal re; uditi i quali, mentre
nam respondendum regiesset, consultaretur, et alii si consultava nell'assemblea quello che gli si
manendum in Romana societate, alii non asper dovesse rispondere, altri stimando che si durasse
mandam amicitiam regis censerent; media visa nell'alleanza de'Romani, altri che non si trascu
est Clyti sententia eoque accepta, ut ad regem rasse l'amicizia del re; parve un parere di mezzo
mitterent legatos, peterent Iue ab eo, ut Medio quello di Clito, e perciò fu accettato, di mandare
nios super tanta re consultare in concilio Acarna cioè ambasciatori al re, e di pregarlo di permette
num pateretur. In eam legationem Mnesilochus, re che i Medionii consultassero di affare tanto
et qui ejus factionis erant, de industria conjecti, importante nella dieta degli Acarnani. Fatti en
clam missis, qui regem admovere copiasjuberent, trare a bella posta in quella ambasceria Mnesilo
ipsi terebant tempus. Itaque vixdum iis egressis co ed altri di quella fazione, spediti nascosta
legatis, Antiochus in finibus mox ad portas erat, mente alcuni, che avvisassero il re di accostare
et trepidantibus, qui expertes proditionis fuerant, l'esercito, così intanto andavano procrastinando.
tumultuoseque juventutem ad arma vocantibus, Quindi, essendo appena usciti gli ambasciatori,
ab Clyto et Mnesilocho in urbem est inductus; et Antioco era già dentro a confini e poco di poi alle
aliis sua voluntate affluentibus, metu coacti etiam porte; e mentre quelli, che ignoravano il tradi
qui dissentiebant, ad regem convenerunt. Quos mento, si dimenavano e tumultuariamente chia
placida oratione territos quum permulsisset, ad mavano all'armi la gioventù, il re fu introdotto
spem vulgatae clementiae aliquot populi Acarna in città da Clito e da Mmesiloco; e concorrendo
niae defecerunt. Thyrium a Medione profectus altri di loro volontà, anche quelli, che dissenti
est, Mnesilocho eodem et legatis praemissis. Cete vano, costretti dalla paura si raccolsero presso il
rum detecta Medione fraus cautiores, non timi re; il quale avendo con placide parole blandito
diores, Thyrierises fecit, dato ei haud perplexo gli animi atterriti, alla speranza della rinomata
responso, nullam se novam societatem, nisi ex au clemenza alquanti popoli dell'Acarnania dieronsi
ctoritate Romanorum imperatorum, accepturos, a lui. Da Medione andò a Tirio, avendo mandato
portisque clausis, armatos in muris disposuerunt. innanzi lo stesso Mnesiloco e gli ambasciatori.
TITI LIVII LIBER XXXVI. 984
963
Et peropportune ad confirmandos Acarnanum Del resto la frode, che si scoperse usata in Medio
animos Cm. Octavius missus a Quintio, quum ne, fece i Tiriesi più cauti, non più timidi,
praesidium et paucas naves ab A. Postumio, qui avendogli risposto francamente, che non avreb
ab Atilio legato Cephaleniae praepositus fuerat, bon accettata nessuna nuova amicizia, se non se
accepisset, Leucadem venit, implevitgue spei so coll'assentimento de'comandanti Romani; e chiu
cios, M'. Acilium consulem jam cum legionibus se le porte guernirono le mura di gente armata.
mare trajecisse, et in Thessalia castra Romana es E Gneo Ottavio, mandato assai opportunamente
se. Hunc rumorem quia similem veri tempus anni da Quinzio a tener fermi gli animi degli Acarna
maturum jam ad navigandum faciebat; rex, prae ni, poi ch'ebbe ricevuto il presidio e poche navi
sidio Medione imposito, et in quibusdam aliis A da Aulo Postumio, che dal legato Atilio era stato
carnaniae oppidis, Thyrio abscessit, et per Aeto messo alla guardia di Cefalenia, venne a Leucade,
liae ac Phocidis urbes Chalcidem rediit. ed empiè gli alleati di speranza, accertando che
il console Manio Acilio avea già passato il mare
con le legioni, e che i Romani s'erano accampati
in Tessaglia. Perchè la stagione, già fatta oppor
tuna a navigare, rendeva questa voce verisimile,
il re, messo presidio a Medione e in alcuni altri
luoghi dell'Acarnania, partitosi da Tirio, e pas
sando per le città dell'Etolia e della Focide,
tormossi a Calcide.

XIII. Sub idem tempus M. Baebius et Philip XIII. Verso quel tempo medesimo Marco
pus rex, jam ante per hiemem in Dassaretiis con Bebio e il re Filippo, di già nel verno abboccatisi
gressi, quum Ad. Claudium, ut obsidione Laris nel paese de'Dassareti, avendo mandato Appio
sam eximeret, in Thessaliam misissent; quia id Claudio in Tessaglia per liberar Larissa dall'as
tempus rebus gerendis immaturum erat, in hiber sedio; perchè la stagione non era ancor propria
na regressi, principio veris conjunctis copiis in all'operare, tornatisi a quartieri d'inverno, sul
Thessaliam descenderunt. In Acarnania tum An principio poi di primavera, unite le forze, disce
tiochus erat. Advenientes Philippus Malloeam sero nella Tessaglia. Aniioco era allora nell'Acar
Perrhaebiae, Baebius Phacium est aggressus, quo mania. Al lor venire Filippo assediò Malea nella
primo prope impetu capto, Phaestum eadem ce Perrebia, Bebio assediò Facio; preso il quale
leritate capit. Inde Atracem quum se recepisset, quasi di primo impeto, prese pure con la stessa
Cyretias hinc et Eritium occupat; praesidiisque celerità Festo. Indi ritrattosi in Atrace, occupa
per recepta oppida dispositis, Philippo rursus Cirezia ed Erizio ; e messo presidio ne presi
obsidenti Malloeam se conjungit. Sub adventum castelli, si unisce nuovamente a Filippo, che
Romani exercitus, seu ad metum virium, seu ad assediava Malea. Alla venuta del Romano esercito,
spem veniae, quum dedissent sese; adea recipienda essendosi renduti o per timore delle forze, o per
oppida, quae Athamanes occupaverant, uno ag isperanza di perdono, si mossero congiuntamente
mine ierunt. Erant autem haec, Aeginium, Erici a ricuperare le terre, che gli Atamani avevano
mium, Gomphi, Silana, Tricca, Meliboea, Phalo occupate. Eran queste Eginio, Ericinio, Gonfi,
ria. Inde Pellinaeum, ubi Philippus Megalopoli Silana, Tricca, Melibea, Faloria. Poscia circonda
tamus cum quingentis peditibus et equitibus qua no Pelineo, ch'era guardato con cinquecento
draginta in praesidio erat, et circumsidunt, et. fanti e con quaranta cavalli da Filippo Megalo
priusquam oppugnarent, mittunt ad Philippum politano, e innanzi di assaltarlo mandano a dire
qui moneret, ne vim ultimam experiri vellet. a Filippo che non si volesse mettere all'ultimo
Quibus illesatis ferociter respondit, vel Roma cimento. Al che rispose egli assai fieramente, che
nis, vel Thessalis se crediturum fuisse; in Philip si sarebbe commesso ai Romani, ed anche ai
pise potestatem commissurum non esse. Post Tessali, ma non mai si darebbe in mano a Filippo.
quam apparuit vi agendum, quia videbatur et Poi che si vide doversi usare la forza, parendo
Limnaeam eodem tempore oppugnari posse, re che si potesse nel tempo stesso combattere anche
gem ad Limnaeam ire placuit; Baebius restitit ad Limnea, si convenne che il re andasse a Limnea,
Pellinaeum oppugnandum. Bebio rimanesse ad assediare Pelineo.
XIV. Per eos forte dies M.' Acilius consul, XIV. In que” dì medesimi il console Manio
cum decem millibus peditum, duobus millibus Acilio per avventura, passato il mare con dieci
equitum, quindecim elephantis, mari trajecto, pe mila fanti e due mila cavalli e quindici elefanti,
destres copias Larissam ducere delectos militum ordinò ad alquanti scelti tribuni de' soldati di
tribunos jussit. Ipse cum equitatu Limnaeam condur le genti di terra a Larissa. Egli venne
985 TITI LIVII LIBER XXXVI. 986
ad Philippum venit. Adventu consulis deditio colla cavalleria a Limnea a Filippo. Alla venuta
sine cunctatione est facta, traditumque praesi del console la terra si arrendette senza ritardo,
dium regium, et cum iis Athamanes. Ab Limnaea e fu consegnato il regio presidio, e insieme gli
Pellinaeum consul proficiscitur. Ibi primi Atha Atamani. Da Limnea il console si reca a Pelineo.
manes tradiderunt sese, deinde et Philippus Quivi prima si diedero gli Atamani, poscia anche
Megalopolitanus: cui, decedenti de praesidio, Filippo Megalopolitano, nel quale, mentr'egli
quum obvius forte fuisset Philippus rex, ad ludi usciva dalla città, essendosi abbattuto a caso il re
brium regem eum consalutarijussit; ipse congres Filippo, comandò che per ischerno lo salutassero
sus fratrem, haud sane decoro majestati suae jo re; ed egli medesimo, fattosegli dappresso, con
co, appellavit. Deductus inde ad consulem custo beffa poco convenevole alla regale maestà, salu
diri jussus, et haud ita multo post in vinculis tollo fratello. Indi condotto al console, fu messo
Romam missus. Cetera multitudo Athamanum sotto guardia, e da lì a non molto spedito a Ro
aut militum Antiochi regis, quae in praesidiis ma in ferri. La restante moltitudine degli Ata
deditorum per eos dies oppidorum fuerat, Phi mani, o dei soldati del re Antioco, che s'era
lippo tradita regi est. Fuere autem ad tria millia trovata ne' presidii delle terre arrendutesi in
hominum. Consul Larissam est profectus, ibi que giorni, fu consegnata al re Filippo: furono
de summa belli consultaturus. In itinere ab da tre mila uomini. Il console andò a Larissa per
Pieria et Metropoli legati tradentes urbes suas ivi consultare della somma della guerra. In
occurrerunt. Philippus, Athamanum praecipue cammino gli si fecero incontro ambasciatori da
captivis indulgenter habitis, ut per eos consi Pieria e da Metropoli a dargli in mano le lor
liaret gentem, nactus spem Athamaniae potium città. Filippo, accolti con indulgenza i prigionieri
dae, exercitum eo duxit, praemissis in civita massimamente degli Atamani, onde conciliarsi
tes captivis. Et illi magnam auctoritatem apud per via di questi la nazione, entrato in isperanza
populares habuerunt, clementiam erga se regis d' impadronirsi dell'Atamania, vi menò l'eser
munificentiamo ue commemorantes; et Amyman cito, mandati innanzi i prigionieri alle lor case.
der, cuius praesentis maiestas aliquot in fide con Ebber essi gran forza sull'animo de loro concit
tinuisset, veritus me traderetur Philippo jam pri tadini, rammemorando la clemenza e munificen
dem hosti, et Romanis merito tunc propter de za del re verso di loro; e Aminandro, la cui
fectionem infensis, cum coniuge ac liberis regno presenza ritenuti avrebbe alquanti in fede per
excessit, Ambraciamoſue se contulit. Ita Athama rispetto, temendo di essere consegnato a Filippo
mia omnis in jus ditionemdue Philippi concessit. già suo nemico, ed ai Romani allora meritamen
Consul, ad reficienda maxime jumenta, quae et te sdegnati per la di lui ribellione, uscì del regno
navigatione, et postea itineribus fatigata erant, colla moglie e co' figliuoli, e si recò in Ambracia.
paucos Larissae moratus dies, velut removato mo Così tutta l'Atamania venne in poter di Filippo.
dica quiete exercitu, Cramonem est progressus. Il console, fermotosi alcuni pochi giorni in
Venienti Pharsalus, Scotussa et Pherae, quaeque Larissa, specialmente a ristorare i giumenti,
in eis praesidia Antiochi erant, deduntur. Ex iis ch'erano stanchi dalla navigazione, e poi dal
interrogatis, qui manere secum vellent, mille cammino, avendo quasi rinnovato con quella poca
volentes Philippo tradit: ceteros inermes Deme quiete l'esercito, andò a Cramone. Alla sua ve
triadem remittit. Proèrnam inde recepit, et quae nuta Farsalo, Scotussa e Fere, e i presidii, che
circa eam castella erant. Ducere tum porro in si vi erano di Antioco, si arrendettero. Di questi,
num Maliacum coepit. Appropinquante faucibus, interrogati quali d'essi restar volessero seco, ne
super quas siti Thaumaci sunt, deserta urbe, ju diede a Filippo mille volontarii ; rimandò gli
ventus omnis armata silvas et itinera insedit, et altri disarmati a Demetriade. Indi prese Proerna
in agmen Romanum ex superioribus locis incur e i castelli d'intorno. Allora cominciò ad avviarsi
savit. Consul primo mittere, qui ex propinquo verso il golfo Maliaco. Nel suo approssimarsi alla
colloquentes deterrerent eos a tali furore: post foce, sulla quale è posto Taumaco, tutta la gio
quam perseverare in incepto vidit, tribuno cum ventù in arme, abbandonata la città, occupò le
duorum signorum militibus circummisso, inter selve e le strade, e da luoghi eminenti corse
clusitad urbem iterarmatis, vacuamdue eam cepit. addosso all'esercito Romano. Il console spedì
Tum, clamore ab tergo captae urbis audito, refu dapprima chi parlando loro da vicino, gli stor
gientium undigue ex silvis insidiatorum caedes nasse da codesto furore: poi che li vide perseve
facta est. A. Thaumacis altero die consul ad Sper rare ostinati, mandato intorno un tribuno con
chium amnem pervenit: inde Hypataeorum agros due compagnie, chiuse agli armati il ritorno alla
vastavit. città, e vota, com'era, la prese. Allora, mentre
gl'insidiatori, udito alle spalle il grido della città
987 l'l'I I LIVII LIBER XXXVI. 988
presa, dalle selve a quella rifuggono, grande
strage ne fu fatta. Da Taumaco il console giunse
nel dì seguente al fiume Sperchio; di là diede il
guasto al paese degli Ipatei.
XV. Quum haec agebantur, Chalcide erat XV. Mentre accadevano codeste cose, Antioco
Antiochus: qui, jam tum cernens, nihil se ex Grae era in Calcide; il quale oramai chiaro scorgendo
cia, praeter amoena Chalcide hiberna et infames non altro aversi egli procacciato in Grecia, che il
nuptias, petisse, Aetolorum vana promissa incu tempo amenamente passato in Calcide durante il
sare ct Thoantem; Hannibalem vero, non ut pru verno, e quelle non commendabili sue nozze, si
dentem tantum virum, sed propevatem omnium, pose ad accusare le vane promesse degli Etoli, e
quae tum evenirent, admirari. Ne tamen temere Toante, e insieme ad ammirare Annibale, non
coepta, segnitia insuper everteret, nuncios in Ae solamente come uomo assennato, ma quasi come
toliammittit, ut, omni contracta juventute, con indovino di tutto ciò, che accadeva. Nondimeno,
venirent Lamiam: et ipse eo decem millia fere pe per non rovinare maggiormente colla pigrizia
ditum ex iis, qui postea venerantex Asia, expleta, un'impresa mattamente assunta, spedì messi in
et equites quingentos duxit. Quo quum aliquanto Etolia, perchè, raccolta tutta la gioventù, si met
pauciores, quam umquam antea, convenissent, tessero insieme ; ed egli stesso vi condusse da
et principes tantummodo cum paucis clientibus dieci mila fanti, compiuti con quelli ch'eran di
essent, atque ii dicerent, omnia sedulo ab se facta, poi venuti dall'Asia, e cinquecento cavalli. Dove
ut quam plurimosex civitatibus suis evocarent; essendosi raccolti in alquanto minor numero,
nec auctoritate, nec gratia, nec imperio adversus che per l'addietro giammai, venutivi soltanto i
detrectantes militiam valuisse; destitutus undi principali del paese con pochi loro clienti, dicen
que et ab suis, qui morabantur in Asia, et ab so do di aver fatta ogni maggior diligenza per trarre
ciis, qui ea, in quorum spem vocaverant, non dalle città quanta più gioventù potevano, ma che
praestabant, intra saltum Thermopylarum sese nè l'autorità, nè il credito, nè il comando non
recepit. Id jugum, sicut Apennini dorso Italia di valse punto sopra gente, che ricusava di militare;
viditur, ita mediam Graeciam dirimit. Ante sal Antioco, abbandonato da ogni parte da suoi, che
tum Thermopylarum in septemtrionem versa Epi non si movevano dall'Asia, non che dagli alleati,
rus et Perrhaebia et Magnesia et Thessalia est, che non mantenevano quello, che gli avean pro
et Phthiotae Achaei, et sinus Maliacus. Intra fau messo chiamandolo, si ritirò allo stretto delle
ces ad meridiem vergunt Aetoliae pars maior et Termopile. Questa giogaia di monti, come l'Ita
Acarnania, et cum Locride Phocis et Boeotia lia è divisa dal dorso degli Apennini, così essa
adjunctaque insula Euboea, et, excurrente in al taglia la Grecia per mezzo. Dinanzi allo stretto
tum, velut promontorio, Attica terra, sita ab ter delle Termopile evvi l'Epiro, volto a settentrione,
go et Peloponnesus Hoc jugum, ab Leucate et la Parrebia, la Magnesia, la Tessaglia, la Ftiotide
mari ad occidentem verso per Aetoliam ad alte d'Acaia, e li golfo Maliaco. Più addentro della
rum mare orienti objectum tendens, ea aspreta foce son volte a mezzogiorno la maggior parte
rupesque interiectashabet, ut non modo exercitus, dell' Etolia, l'Acarnania, la Focide con la Locride,
sed ne expediti quidem facile ullas ad transitum la Beozia, aggiunta l'isola Eubea, e a tergo,
calles inveniant. Extremos ad orientem montes stendendosi nel mare quasi un promontorio,
Oetam vocant, quorum quod altissimum est, Cal l'Attica e il Peloponneso. Questa giogaia, che da
lidromon appellatur; in cujus valle ad Maliacum Leucade e dal mare volto all'occidente tende per
sinum vergente iter est non latius, quam sexa mezzo all'Etolia all'altro mare opposto all'orien
ginta passus. Haec una militaris via est, qua tra te, ha tratti cotanto aspri e rupi frapposte, che
duci exercitus, si non prohibeantur, possint. Ideo non solo gli eserciti, ma nè anche gente sciolta
Pylae, et ab aliis, quia calidae aquae in ipsis fau da impacci non vi trova facilmente sentieri da
cibus sunt, Thermopylae locus appellatur, nobilis passare. I monti ultimi verso l'oriente li chiama
Lacedaemoniorum adversus Persas morte magis no l'Oeta; il più alto de quali si chiama Calli
memorabili, quam pugna. dromo, nella cui valle volta verso il golfo Maliaco,
v' ha una strada non larga più di sessanta passi.
Questa è la sola strada militare, per cui tradursi
possono gli eserciti, purchè non trovino opposi
zione. Chiamasi il luogo Pile, e da altri Termo
pile, perche sonvi nelle foci acque calde; luogo
celebre per la memorabile morte piuttosto che
per la pugna de'Lacedemoni contro i Persiani.
989 Tl'l'I LIVII LIBER XXXVI. 90o

XVI. Haudduaquam pari tum animo Antio XVI. Antioco, non armato di egual coraggio,
chus, intra portas loci eius castris positis, muni messo il campo tra le bocche di quel luogo, ne
tionibus insuper saltum impediebat; et, quum impediva il passo anche con munizioni; e avendo
duplici vallo fossaque, et muro etiam, qua res fortificato ogni sito con doppio steccato e fossa,
postulabat, ex multa copia passim jacentium la ed anche con muro, dove occorreva, valendosi
pidum, permunisset omnia, satis fidens, numquam delle pietre, che qua e colà giacevano in abbon
ea vim Romanum exercitum facturum, Aetolos danza, assecuratosi bastantemente che per quella
ex quatuor millibus (tot enim convenerant) par via non avrebbe mai fatto forza l'esercito Roma
tim ad Heracleam praesidio obtimendam, quae no, de quattro mila Etoli (che tanti n'erano
ante ipsas fauces posita est, partim Hypatam mit venuti) parte ne manda a guardare Eraclea, ch'è
tit, et Heracleam haud dubius consulem oppugna posta davanti alla foce dello stretto, parte ad Ipata,
turum, et jam multis nunciantibus, circa Hypatam non dubitando che il console avrebbe assediata
omnia evastari. Consul, depopulatus Hypatensem Eraclea, e già fatto certo da molti messi, che si
primo, deinde Heracleensem agrum, inutili utro dava il guasto a tutto il paese posto intorno Ipata.
bique auxilio Aetolorum, in ipsis faucibus prope Il console, devastato prima il contado d'Ipata,
fontes calidarum aquarum adversus regem castra poi quello d'Eraclea, riuscendo inutile e nell'un
posuit. Aetolorum utraeque manus Heracleam luogo e nell'altro il soccorso degli Etoli, si ac
sese incluserunt. Antiochum, cui, priusquam campò alla stessa imboccatura dello stretto presso
hostem cerneret, satis omnia permunita et prae le sorgenti delle acque calde in faccia al re. Am
sidiis obsepta videbantur, timor deinde incessit, bedue le bande degli Etoli si rinchiusero in Era
me quas per imminentia juga calles inveniret ad clea. Antioco, al quale, innanzi che vedesse il
transitum Romanus. Nam et Lacedaemonios quon nemico, pareva che ogni luogo fosse bastantemen
dam ita a Persis circumitos fama erat, et nuper te munito e ben provvisto di difesa, fu poi colto
Philippum ab iisdem Romanis. Itaque nuncium da timore, che il Romano per avventura non
Heracleam ad Aetolos mittit, ut hanc saltem sibi trovasse per mezzo a gioghi soprastanti qualche
operam eo bello praestarent, ut vertices circa sentiero, dove passare; perciocchè si narrava che
montium occuparent obsiderentoue, ne qua tran anche i Lacedemoni erano già stati egualmente
sire Romanus posset. Hoc muncio audito, dissen circondati dai Persiani, e recentemente Filippo
sio inter Aetolos orta est. Pars imperio paren dai Romani. Manda pertanto un messo ad Eraclea
dum regis atque eundum censebant, pars sub a dire agli Etoli che in questa guerra gli prestino
sistendum Heracleae ad utramque fortunam ; ut, almeno l'opera di occupare e tener le cime delle
sive victus a consule rex esset, in expedito habe montagne, onde non trovi il Romano via di pas
rent integras copias ad open propinquis feren sare. Udito tale messaggio, insorse dissensione tra
dam civitatibus suis; sive vinceret, ut dissipatos gli Etoli; parte voleva che si obbedisse agli or
in fugam Romanos persequerentur. Utraque pars dini del re e si andasse, parte, che si rimanesse
non mansit modo in sententia sua, sed etiam ex in Eraclea, apparecchiati all'una e all'altra for
secuta est consilium. Duo millia Heracleae sub tuna; in modo che, se il re fosse stato vinto dal
stiterunt: duo trifariamn divisa Callidromum et console, avessero pronte le loro forze, onde recar
Rhoduntiam et Tichiunta (haec nomina cacumi soccorso alle lor vicine città ; e se il re vincesse,
nibus sunt) occupavere. potessero inseguire i Romani dispersi nella fuga.
L'una parte e l'altra stette ferma nel suo pare
re non solamente, ma lo pose anche in esecu
zione. Due mila rimasero in Eraclea ; due mila
divisi in tre corpi occuparono Callidromo e
Rodunzia e Tichiunta: son questi i nomi di quel
le sommità.
XVII. Consul postouam insessa superiora loca XVII. Il console. poi che vide presi dagli
ab Aetolis vidit, M. Porcium Catonem et L. Va Etoli i luoghi superiori, spedì Marco Porcio Ca
lerium Flaccum, consulares legatos, cum bimis tone e Lucio Valerio l'lacco, legati consolari,
millibus delectorum peditum, ad castella Aetolo con due mila scelti fanti, a Rodunzia e l'ichiunta
rum, Flaccum in Rhoduntiam et Tichiunta, Ca Flacco, a Callidromo Catone, là dove s'erano
tonem in Callidromum mittit. Ipse, priusquam appostati gli Etoli. Egli poi, innanzi di acco
ad hostem copias admoveret, vocatos in concio stare l'esercito al nemico, chiamati i soldati a
nem milites paucis cst allocutus: « Plerosque parlamento, tenne lor poche parole: « Vedo es
omnium ordinum, milites, inter vos esse video, serci tra voi, o soldati, parecchi di tutti gli or
qui in hac cadcm provincia T. Quintii ductu au dini, che in questa stessa provincia avete già
TI'l'I LIVll LIBER XXXVI. 902
991

spicioque militaveritis. Macedonico bello inexsu militato sotto la condotta e gli auspizii di Tito
perabilis magis saltus ad amnem Aoum fuit, quam Quinzio. Nella guerra Macedonica il passo presso
hic. Quippe portae sunt hae, et unus, inter duo il fiume Aoo fu più difficile a superarsi, che que
maria clausis omnibus, velut naturalis transitus sto. Perciocchè son queste quasi porte, ed es
est. Munitiones et locis opportunioribus tunc sendo tutto chiuso all'intorno da due mari, que
fuerunt,et validiores impositae: exercitus hostium sto è il solo passo quasi naturale. Le fortificazio
ille et numero major, et militum genere aliquan ni d'allora erano e in luoghi più opportuni e
to melior. Quippe illic Macedones Thracesque et più robuste: era quell'esercito nemico e mag
Illyrii erant ferocissimae omnes gentes; hic Syri giore di numero, e per qualità di soldati miglio
et Asiatici Graeci sunt, levissima genera homi re alquanto. V'eran colà e Macedoni e Traci e
num et servituti nata. Rex ille bellicosissimus, Illirii, tutte nazioni ferocissime; qui non ci so
exercitatus jam inde ab juventa finitimis Thra no che Siri e Greci Asiatici, razza d'uomini
cum atque Illyriorum, et circa omnium accola leggerissima e nata al servaggio. Era quel re
rum bellis; hic, ut aliam omnem vitam omittam, sommamente bellicoso, sin dalla sua giovanezza
is est, qui, quum ad inferendum populo Romano esercitato nelle guerre de'Traci, degl'Illirii, e
bellum ex Asia in Europam transisset, nihil me degli altri confinanti; questi all'incontro è quel
morabilius toto tempore hibernorum gesserit, re, per tacere il resto della sua vita, il quale,
quam quotamoris causa ex domo privata, et ob passato essendo dall'Asia in Europa per far la
scuri etiam inter populares generis, uxoreni du guerra al popolo Romano, in tutto il tempo, che
xit, et novus maritus, velut saginatus nuptiali stette a'quartieri, non fe'altra cosa più memoran
bus coenis, ad pugnam processit. Summa virium da, che pigliar moglie per innamoramento da
speique ejus in Aetolis fuit; gente vanissima et casa privata, e di famiglia oscura anche tra i po
ingratissima, ut vos prius experti estis, nunc An polani; e novello marito, quasi nelle nuziali cene
tiochus experitur. Nam nec convenerunt frequen impinguato, uscì a battaglia. La somma delle
tes, nec contineri in castris potuerunt, et in se forze e speranze sue fu negli Etoli, nazione va
ditione ipsi inter se sunt; et quum Hypatam nissima ed ingratissima, come la provaste voi
tuendam Heracleamque depoposcissent, neutram dapprima, come ora Antioco la prova. Percioc
tutati, refugerunt in juga montium, pars Ilera chè nè concorsero in buon numero, nè si potè
cleae incluserunt sese. Rex ipse confessus, nus ritenerli nel campo, e sono in sedizione tra loro;
quam aequo campo non modo congredi se ad e avendo chiesto di difendere Ipata ed Eraclea,
pugnam audere, sed ne castra quidem in aperto non difendendo nè l'una, nè l'altra, rifuggironsi
ponere, relicta omni ante se regione ea, quam se ne'gioghi de'monti, e parte si chiuse in Eraclea.
nobis ac Philippo ademisse gloriabatur, condidit Lo stesso re, confessando non solo che non ose
se intra rupes; ne ante fauces quidem saltus, ut rebbe mai di venire a battaglia campale, ma nep
quondam Lacedaemonios fama est, sed intra pe pure di accamparsi in luogo aperto, abbandonato
nitus retractis castris. Quod quantum interest tutto il paese dinanzi a sè, che pur si gloriava di
ad timorem ostendendum, an muris alicujus ur aver tolto a noi ed a Filippo, si nascose infra le
bis obsidendum sese incluserit? Sed neque An rupi, non mettendo il campo nemmeno alla boc
tiochum tuebuntur angustiae, mec Aetolos verti ca dello stretto, come si dice aver già fatto i La
ces illi, quos ceperunt. Satis undique provisum cedemoni, ma ritraendolo ben addentro ; nel
atque praecautum est, ne quid adversus vos in che mostra egli forse minor timore, che se si fos
pugna praeter hostes esset. Illud proponere ani se rinchiuso tra le mura di qualche città, dove
mo vestro debetis, non vos pro Graecia e liberta essere assediato? Ma nè le strettezze de'luoghi
te tantum dimicare (quamquam is quoque egre Antioco, nè la sommità de'gioghi, che hanno
giustitulus esset, liberatam a Philippo ante, nunc occupato, varrà a difendere gli Etoli. Si son pre
ab Aetolis et ab Antiocho liberare), neque ea tan se assai provvidenze e cautele, acciocchè non ab
tum in praemium vestrum cessura, quae nunc in biate nel combattere altro contro di voi, che il
regiis castris sunt, sed illum quoque omnem ap nemico. Dovete mettervi questo dinanzi agli oc
paratum, qui in dies ab Epheso exspectatur, prae chi, che non combattete solamente per la libertà
dae futurum; Asiam deinde Syriamoſue, et om della Grecia (benchè sarebbe pur questo solo un
mia usque ad ortus solis ditissima regna imperio egregio titolo, come prima da Filippo, così ora
Romano aperturos. Quid deinde aberit, quin ab liberarla dagli Etoli e da Antioco), che non sola
Gadibus ad mare rubrum Oceano fines termine mente diverrà vostro premio tutto quello che si
mus, qui orbem terrarum amplexu finit, et omne trova ne'regii accampamenti, ma tutto eziandio
humanum genus secundum deos nomen Roma quell'apparecchio, che ogni dì si aspetta da Efe
num veneretur ? In haec tanta praemia dignos so, tutto sarà vostra preda, e che d'indi in poi
993 TITI LIVII LIBER XXXVI. 994
parate animos, ut crastino die, bene juvantibus spalancherete alla vostra dominazione l'Asia e
diis acie decernamus. » la Siria, e tutti i regni doviziosissimi sin dove
nasce il Sole. Allora che mancherà, perchè da
Cadice al mar Rosso chiudansi i nostri confini
coll'Oceano, il quale abbraccia il circuito della
terra, e perchè tutto il genere umano, dopo gli
dei, veneri unicamente il nome Romano ? appa
recchiate gli animi vostri a farli degni di sì gran
premii, acciocchè domani, col favore degli dei,
usciamo a combattere.
XVIII. Ab hac concione dimissi milites, prius XVIII. I soldati, licenziati dopo questo di
quam corpora curarent, arma telaque parant. scorso, innanzi di curarsi la persona, allestiscon
Luce prima, signo pugnae proposito, instruit l'armi e i giavellotti. Spuntato il giorno, dato il
aciem consul, arcta fronte, ad naturam et angu segno della battaglia, il console dispone l'ordi
stias loci. Rex, postduam signa hostium conspe nanza colla fronte stretta, secondo la natura e
xit, et ipse copias eduxit. Levis armaturae partem l'angustia del luogo. Il re, poichè vide le insegne
ante vallum in primo locavit: tum Macedonum de'nemici, esso pure trasse fuori le sue genti.
robur, quos Sarissophoros appellabant, velut fir Parte degli armati alla leggera li pose in sulla
mamentum circa ipsas munitiones constituit. prima linea davanti allo steccato; poscia il nerbo
His ab sinistro cornu jaculatorum sagittariorum de'Macedoni, che chiamavano Sarissoſori, quasi
que et funditorum manum sub ipsis radicibus baloardo intorno le munizioni. Dietro a questi
montis posuit, ut ex altiore loco nuda latera ho a sinistra pose una banda di arcieri e frombo
stium incesserent. Ab dextro Macedonibus ad lieri alle radici stesse del monte, onde da luogo
ipsum munimentorum finem, qua loca usque ad più elevato colpissero i fianchi ignudi de'nemici.
mare invia palustri limo et voraginibus clau Alla destra de'Macedoni sino al terminare delle
dunt, elephantos cum assueto praesidio posuit ; munizioni, dove le chiudono insino al mare luo
post eos, equites; tum, modico intervallo relicto, ghi inaccessibili per palustre limo e per voragi
ceteras copias in secunda acie. Macedones, pro ni, pose gli elefanti con la solita guardia; dopo
vallo locati, primo facile sustinebant Romanos, di essi la cavalleria; poi, lasciato piccolo inter
tentantes ab omni parte aditus; multum adiuvan vallo, mise le restanti forze nella seconda schie
tibus, qui ex loco superiore fundis, velut mim ra. I Macedoni, collocati dinanzi allo steccato,
bum, glandes et sagittas simulac jacula ingere dapprima sostenevano facilmente i Romani, che
bant. Deinde, ut major, mec jam toleranda vis tentavano da ogni parte di entrare; molto gli
hostium inferebatse, pulsi loco intra munimenta, aiutando coloro, che da luoghi superiori lancia
subductis ordinibus, concesserunt: inde ex vallo vano colle fionde quasi un membo di sassi, e dar
prope alterum vallum, hastis praese objectis, fe di e frecce. Poscia, siccome una già sempre mag
cerunt. Et ita modica altitudo valli erat, ut et giore, e non già più tollerabil forza de'nemici,
locum superiorem ad pugnandum suis praeberet, vieppiù premendo, incalzava, cacciati da luogo,
et propter longitudinem hastarum subjectum ha ritirati gli ordini, si ritrassero dentro le muni
beret hostem. Multi, temere subeuntes vallum, zioni: quindi da uno steccato, spianate le aste
transfixi sunt ; et aut incepto irrito recessissent, dinanzi a sè, un altro quasi ne fecero; ed era sì
aut plures cecidissent, ni M. Porcius ab jugo Cal poca l'elevazione del ripari, che lasciava luogo
lidromi, dejectis inde Aetolis, et magna ex parte a suoi a combattere dall'alto, e per la lunghezza
caesis (incautos enim et plerosque sopitosoppres delle aste teneva il nemico sotto di sè. Molti, im
serat) super imminentem castris collem appa prudentemente appressandosi allo steccato, cad
ruisset. dero trafitti; e o ritirati si sarebbono senza far
nulla, o ne sarebbe morto un gran numero, se
Marco Porcio, dal giogo di Callidromo, scaccia
time gli Etoli, ed uccisili in gran parte (chè gli
avea sopraffatti all'improvviso, e coltime parecchi
addormentati), non si fosse mostrato sulla collina,
che sovrastava al campo.
XIX. Flacco non eadem fortuna ad Tichiunta XIX. Non era toccata la stessa fortuna a Flac
et Rhoduntiam, nequidquam subire ad ea castella co, il quale avea tentato invano di accostarsi
conato, fuerat. Macedones, quique alii in castris a castelli di lichiunta e di Rodunzia. l Macedo
regiis erant, primo, dum procul nihil aliud, quam
Livio 2
mi e quei ch'eran nel campº la re,
C
dapprima,
995 TITI LIVII LIBER XXXVI. 996
turba et agmen apparebat, Aetolos credere, visa mentre non altro compariva da lungi, che frotta
procul pugna, subsidio venire: ceterum, ut pri e stuolo, credettero essere gli Etoli, che scorta
mum signaque et arma ex propinquo cognita er da lontano la battaglia, venissero in lor soccorso;
rorem aperuerunt, tantus repente pavor omnes se non che, come tosto le insegne e l'armi rico
cepit, ut, abjectis armis, fugerent. Et munimenta nosciute più d'appresso manifestarono l'errore,
sequentes impedierunt, et angustiae vallis, per furon tutti da tal paura di subito compresi, che
quam sequendi erant, et maxime omnium, quod gettate l'armi si diedero a fuggire. Le munizioni
elephanti novissimi agminis erant, quos pedes fecero impaccio a chi gl'inseguiva, non che le
aegre praeterire, eques nullo poterat modo, ti strettezze della valle, per cui bisognava inseguirli,
mentibus equis, tumultumque inter se majorem, e sopra tutto, che gli elefanti stavansi nell'ultima
quam in proelio, edentibus. Aliquantum tempo schiera, per mezzo a quali il fante poteva a mala
ris et direptio castrorum tenuit. Scarphiam ta pena passare, il cavaliere in nessun modo, spa
men eo die persecuti sunt hostem. Multis in ipso ventandosi i cavalli, e facendo maggiore scompi
itinere caesis captisque, non equis virisque tan glio tra sè, che nella stessa battaglia. Anche il
tum, sed etiam elephantis, quos capere non po saccheggiamento del campo li trattenne alcun
tuerant, interfectis, in castra reverterunt; quae tempo; nondimeno in quel giorno inseguirono
tentata eo die inter ipsum pugnae tempus ab Ae il nemico insino a Scarfia. Uccisi e presine molti
tolis, Heracleam obtinentibus praesidio, sine ullo nello stesso cammino, nè cavalli soltanto ed uo
haud parum audacis incepti effectu, fuerant. Con mini, ma eziandio elefanti, ammazzati quelli che
sul noctis insequentis tertia vigilia praemisso non poteron pigliare, tornarono agli alloggia
equitatu ad persequendum hostem, signa legio menti, ch'erano stati in quel dì medesimo, du
num prima luce movit. Aliquantum viae praece rante la battaglia, assaliti dagli Etoli, che guarda
perat rex, ut qui non ante, quam Elatiae, ab vano Eraclea, però senza nessun effetto del non
effuso constiterit cursu; ubi primum reliquiis poco audace tentativo. Il console, alla terza ve
pugnaeque et fugae collectis, cum perexigua ma glia della notte susseguente, mandata innanzi la
nu semiermium militum Chalcidem se recepit. cavalleria ad inseguire il nemico, sul far del gior
Romanus equitatus ipsum quidem regem Elatiae no mosse le insegne delle legioni. Aveva il re
assecutus non est, sed magnam partem agminis, sopravanzato alquanto di strada, siccome quegli,
aut lassitudine subsistentis, aut errore, ut qui si che non avea cessato di correre sbrigliatamente,
ne ducibus per ignota itinera fugerent, dissipatos se non fu ad Elazia; dove raccolte avendo subito
oppresserunt: nec praeter quingentos, qui circa le reliquie della battaglia e della fuga, con picco
regem fuerunt, ex toto exercitu quisquam effu lissima banda di soldati mezzo disarmati si ri
git : eliam ex decem millibus militum, quos, Po trasse a Calcide. La Romana cavalleria non rag
lybio auctore, trajecisse secum regem in Grae giunse per verità il re in Elazia, ma oppresse
ciam scripsimus, exiguus numerus. Quid si An gran parte delle sue genti, o per lassezza ferma
tiati Valerio credamus, sexaginta millia militum tesi, o per ismarrimento sbandatesi, come quelle
fuisse in regio exercitu scribenti, quadraginta che fuggivano senza guide per ignote strade. Nè
inde millia cecidisse, supra quinque millia capta di tutto l'esercito scampò altri, fuor che i cin
cum signis militaribus ducentis triginta? Roma quecento ch'erano intorno al re; e piccolo nu
norum centum quinquaginta in ipso certamine mero eziandio di que'dieci mila soldati, che, se
pugnae, ab incursu Aetolorum se tuentes non guendo Polibio, dicemmo essere passati in Grecia
plus quinquaginta interfecti sunt. col re. E che, se crediamo a Valerio Anziate, il
quale scrive essere stato l'esercito del re compo
sto di sessanta mila soldati, de'quali ne restaron
morti quaranta mila, e presi più di cinque mila
con dugento trenta insegne militari? de Romani
cento cinquanta ne furono uccisi nella mischia;
e non più di cinquanta nel difendersi dall'assalto
degli Etoli.
XX. Consule per Phocidem Boeotiam exerci XX. Mentre il console guidava l'esercito per
tum ducente, consciae defectionis civitates cum la Focide e la Beozia, le città, che sapevan d'es
velamentis ante portasslabant, metu ne hostiliter sersi ribellate, stavansi davanti alle lor porte
diriperentur. Ceterum per omnes dies haud se colle teste velate per tema di non essere poste a
cus, quan in pacato agro, sine violatione ullius sacco, quasi terre nemiche. Se non che l'esercito
rei agmen processit, donec in agrum Coronaeum camminò tutti i giorni non altrimenti, che in
ventum est. lli statua regis Antiochi, posita in paese amico, senza recar nessun danno, sino a
907 TITI LlVII LIBER XXXVI.
998
templo Minervae Itoniae, iram accendit; permis tanto che si venne nel contado di Coronea. Quivi
sumque militiest, ut circumjectum templo agrum la statua del re Antioco, posta nel tempio di Mi
popularetur. Deinde cogitatio animum subiit, nerva Itonia, accese l'ira ; e si permise al soldato
quum communi decreto Boeotorum posita esset che saccheggiasse le terre circostanti al tempio.
statua, indignum esse, in unum Coronensem Poi sottentrò il pensiero, ch'essendo stata quivi
agrum saevire. Revocato extemplo milite, finis posta quella statua per comun decreto di tutti i
populandi factus: castigati tantum verbis Boeoti Beozi, non era dicevole che s'infierisse contro
ob ingratum in tantis tamque recentibus benefi il solo contado Coroneo. Richiamati subito i sot
ciis animum erga Romanos. Inter ipsum pugnae dati, si cessò di saccheggiare; e i Beozi furon
tempus decem naves regiae cum praefecto Isido castigati solamente con parole per la loro ingra
road Thronium in sinu Maliaco stabant. Eo gra titudine verso i Romani dopo tanti e sì recenti
vis vulneribus Alexander Acarnan, nuncius ad benefizii. Nel tempo stesso che si combatteva,
versae pugnae, quum perfugisset, trepidae inde dieci navi del re stavansi a Tronio nel golfo
recenti terrore naves Cenaeum Euboeae petie Maliaco capitanate da Isidoro. Essendo colà
runt. Ibi mortuus sepultusque Alexander. Tres, fuggito carico di ferite Alessandro d'Acarnania,
quae ex Asia profectae eumdem portum tenue recando la nuova della sconfitta, le navi, colte da
rant, naves, audita exercitus clade, Ephesum re nuovo spavento, andarono a Ceneo d' Eubea.
dierunt. lsidorus ab Cenaeo Demetriadem, si for Quivi morì e fu sepolto Alessandro. Altre tre
te eo deferret fuga regem, trajecit. Per eosdem navi, che partite dall'Asia avean preso lo stesso
dies A. Atilius, praefectus Romanae classis, ma porto, udita la rotta dell'esercito, tornaronsi ad
gnos regios commeatus, jam fretum, quod ad An Efeso. Isidoro da Ceneo passò a Demetriade, se
drum insulam est, praetervectos, excepit; alias mai la fuga portasse il re a quella parte. In quei
mersit, alias cepit naves: quae novissimae agmi dì medesimi Aulo Atilio, prefetto della flotta
mis erant, cursum in A siam verterunt. Atilius Pi Romana, raggiunse molti regi navigli carichi di
raeeum, unde profectus erat, cum agmine capti vettovaglie, che aveano già oltrepassato lo stretto
varum navium revectus, magnam vim frumenti presso l'isola d'Andro; altri ne prese, altri ne
et Atheniensibus et aliis ejusdem regionis sociis colò a fondo: quelli ch'erano nella retroguardia
divisit. voltarono il corso verso l'Asia. Atilio, tornato al
Pireo, dond'era partito, con la frotta del legni
predati, distribuì quantità grande di grano agli
Ateniesi e ad altri alleati del paese.
XXI. Antiochus, sub advemtum consulis a XXI. Antioco alla venuta del console parti
Chalcide profectus, Tenum primo tenuit: inde tosi da Calcide, dapprima giunse a Teno, poi
Ephesum transmisit. Consuli Chalcidem venienti passò ad Efeso. Al venire del console gli si aper
portae patuerunt, quum, appropinquante eo, Ari sero le porte, essendo uscito, al di lui avvicinarsi,
stoteles, praefectus regis, urbe excessisset: et ce dalla città Aristotele prefetto del re. Anche tutte
terae urbes in Euboea sine certamine traditae, le altre città dell'Eubea si arrendettero senza con
post paucosque dies, omnibus perpacatis, sine ul trasto; e pochi giorni dappoi, tutto essendo tran
lius nova urbis exercitus Thermopylas reductus, quillo, l'esercito, senza che si recasse verun danno
multo modestia post victoriam, quan ipsa victo a nessuna città, fu ricondotto alle Termopile, più
ria, laudabilior. Inde consul M. Catonem, per commendevole per la moderazione usata dopo la
quem, quae gesta essent, senatus populusque Ro vittoria, che per la vittoria medesima. Indi il con
manus haud dubio auctore sciret, Romam misit. sole spedì Marco Catone a Roma, per cui mezzo il
Is a Creusa (Thespiensium emporium est, in in senato ed il popolo Romano sapessero da certo
timo sino Corinthiaco retractum) Patras Achajae fonte le cose, che s'eran fatte. Catone da Creusa (è
petit: a Patris Corcyram usque Aetoliae atque questo un emporio dei Tespiesi ritratto ben ad
A carnaniae litora legit, atque ita ad Hydruntum dentro nel golfo di Corinto) se n'andò a Patra nel
Italiae trajecit. Quinto die inde pedestri itinere l'Acaia: da Patra costeggiò sino a Corcira i lidi
Romam ingenti cursu pervenit. Ante lucem in dell'Etolia e dell'Acarnania, e così venne a Idrun
gressus urbem, a porta ad praetorem M. Junium to in Italia. Il quinto dì, viaggiando per terra
iter intendit. Is prima luce senatum vocavit: quo arrivò di corso a Roma. Entrato in città innanzi
L. Cornelius Scipio, aliquot diebus ante a consu giorno, dalla porta si recò diritto alla casa del
le dimissus, quum adveniens audisset, praegres pretore Marco Giunio. Questi convocò il senato
sum Catonem in senatu esse, supervenit expo sul far del dì: in questo stesso giorno Lucio
menti, quae gesta essent. Duo inde legati jussu Cornelio Scipione spedito alquanti giorni prima
senatus in concionem sunt producti; atque ibi dal console, com'ebbe udito alla sua venuta, che
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eadem. quae in senatu, de rebus in Aetolia gestis Catone, corso innanzi, era di già in senato, il
exposuerunt. Supplicatio in triduum decreta est; sopraggiunse, mentre quegli esponeva le cose
et ut quadraginta hostiis majoribus praetor, qui fatte. Indi per ordine del senato i due legati si
bus diis ei videretur, sacrificaret. Per eosdem presentarono al popolo, e quivi esposero le cose
dies et M. Fulvius Nobilior, qui biennio ante stesse, che avean dette in senato riguardo a fatti
praetor in Hispaniam erat profectus, ovans ur occorsi nell'Etolia. Si decretarono preghiere per
bem est ingressus: argenti bigati prae se tulit tre giorni; e si ordinò che il pretore sacrificasse
centum triginta millia, et extra numeratum duo quaranta vittime maggiori a quegli dei, che gli
decim millia pondo argenti; auri pondo centum paresse. A que'dì medesimi anche Marco Fulvio
viginti septem. Nobiliore, il quale due anni innanzi era andato
pretore nella Spagna, entrò ovante in città, e fe'
portare dinanzi a sè cento e trenta migliaia di
bigati, e oltre a danari dodici mila libbre di ar
gento, e cento ventisette di oro.
XXII. Acilius consul ab Thermopylis Hera XXII. Dalle Termopile il console Acilio
cleam ad Aetolos praemisit, . ut tunc saltem ex mandò avanti in Eraclea a dire agli Etoli, a che
perti regiam vanitatem, resipiscerent; traditaque almeno allora, provata la vanità delle promesse
Heraclea, cogitarent de petenda ab senatu seu del re, facessero senno, e ceduta Eraclea, pen
furoris sui, seu erroris venia. Et ceteras Graeciae sassero di domandar perdono al senato del lor
civitates defecisse eo bello ab optime de se meri furore, o del loro traviamento. Anche le altre
tis Romanis: sed, quia post fugam regis, cujus città della Grecia essersi ribellate in quella guerra
fiducia officio decessissent, non addidissent perti da Romani, che le aveano tanto beneficate; ma
naciam culpae, in fidem receptas esse. Aetolos perchè dopo la fuga del re, in cui fidando s'erano
quoque, quamduam non secuti sint regem, sed scostati dal dovere, non aveano aggiunto alla
arccssierint, et duces belli, non socii, fuerint, si colpa la pertinacia, erano state ricevute in grazia.
poenitere possint, posse et incolumes esse. - Ad Così anche gli Etoli, benchè non abbian seguito,
ea quum pacati nihil responderetur, appareret ma anzi chiamato il re, e sieno stati autori, non
que, armis rem gerendam. et, rege superato, bel compagni della guerra, nondimeno, se possono
lum Aetolicum integrum restare; castra ab Ther pentirsi, possono ancora salvarsi. Al che non
mopylis ad Heracleam movit ; eoque ipso die, ut essendo data risposta di pace, e vedendosi che
situm nosceret urbis, ab omni parte equo moenia bisognava usar l'armi, e che, superato il re, pur
est circumvectus. Sita est Heraclea in radicibus restava ancora intera la guerra cogli Etoli, il con
Oetaemontis : ipsa in campo, arcem imminentem sole mosse il campo dalle Termopile verso Era
loco alto et undidue praecipiti habet. Contempla clea; e quell'istesso giorno, onde riconoscere il
tus omnia, quae noscenda erant, quatuor simul sito della città, ne girò intorno a cavallo tutte le
locis aggredi urbem constituit: a flumine Asopo, mura. È posta Eraclea alle radici del monte
qua et gymnasium est, L. Valerium operibus at Oeta: piantata al piano, ha una rocca soprastante
que oppugnationi praeposuit: arcem extra mu in luogo alto, e da ogni parte dirupato. Esami
ros, quae frequentius prope, quam urbs, habita mato tutto ciò ch'era da osservarsi, stabilì di
tur, Ti. Sempronio Longo oppugnandam dedit: assaltare la città da quattro punti ad un tempo.
a sinu Maliaco, quae aditum haud facilem pars Dalla parte del fiume Asopo, dove c'è anche il
habebat, M. Baebium; ab altero amniculo, quem ginnasio, pose Lucio Valerio a presedere a lavori
Melana vocant, adversus Dianae templum, Ap. ed all'assedio; la rocca fuor delle mura, luogo
Claudium opposuit. Horum magno certamine in quasi più frequente d'abitanti, che la stessa città,
tra paucos dies turres, arietesque, et alius omnis diella a combattare a Tito Sempronio Longo.
apparatus oppugnandarum urbium perficitur; et Verso il seno Maliaco, sito che non aveva facile
quum ager Heracleensis, paluster omnis frequens accesso, pose Marco Bebio; all'altro fiumicello,
que proceris arboribus, benigne ad omne genus che chiamano Melana, di rincontro al tempio di
operum materiam suppeditabat; tum, quia refu Diana, Appio Claudio. Gareggiando essi in fer
gerant intra moenia Aetoli, deserta, quae in ve vore, in pochi dì e le torri e gli arieti ed ogni
stibulo urbis erant, tecta in varios usus non tigna altro apparecchio da combattere una città fu ter
modo ettabulas, sed laterem quoque et caementa, minato ; e il contado di Eraclea, tutto palustre e
et saxa variae magnitudinis, praebebant. fornito d'alberi altissimi somministrava materia
largamente ad ogni genere di lavori; e perchè
gli Etoli ricovrati s'erano dentro le mura, le case
che si trovavan sulla soglia della città, abbando
100 I TITI LIVII LIBER XXXVI. I OO2

nate somministravano a varii usi non solo travi


e tavole, ma eviandio mattoni e cementi e sassi
di qual si voglia grandezza.
XXIII. Et Romani quidem operibus magis, XXIII. Così i Romani combattevano la città
quam armis, urbem oppugnabant: Aetoli contra più co'lavori che coll'armi; gli Etoli all'opposto
armis se tuebantur. Nam, quum ariete quateren si difendevan con l'armi. Perciocchè quando
tur muri, non laqueis, ut solet, exceptos decli l'ariete sconquassava i muri, non ne declinavano,
nabant ictus; sed armati frequentes, quidamignes come si suol fare, i colpi con gli uncini, ma
etiam, quosaggeribusinjicerent, ferebant. Forni accorrevano armati in buon numero; alcuni
ces quoque in muro erant apti ad excurrendum: anche recavan fiaccole accese per gettarle negli
et ipsi, quum pro dirutis reficerent muros cre argini. V'eran anche nel muro alcune porticine
briores eos, ut pluribus erumperetur in hostem a volta da correr fuori; e quando rifacevano i
locis, faciebant. Hoc primis diebus, dun integrae muri in luogo de'diroccati, le faceano più spesse,
vires erant, et frequentes et impigre fecerunt: in onde uscir addosso al nemico da più luoghi.
dies deinde, pauciores et signius. Etenim, quum Fecero questo ne' primi giorni, mentre le forze
multis urgerentur rebus, nulla eos res aeque ac eran fresche, adoprandosi in buon numero e
vigiliae conficiebant; Romanis in magna copia gagliardamente: poscia ogni dì più pochi, e più
militum succedentibus aliis in stationem aliorum, languidamente. Perciocchè essendo travagliati
Aetolos propter paucitatem eosdem dies noctes da molte e molte faccende, nessuna cosa tanto più
que assiduo labore urente. Per quatuor et viginti li rifiniva, quanto le veglie; i Romani, nella
dies, ita ut nullum tempus vacuum dimicatione molta copia del soldati, succedendo gli uni alle
esset, adversus quatuor e partibus simul oppu poste degli altri, gli Etoli all'incontro per la loro
gnantem hostem nocturnus diurno continuatus pochezza consumati essendo dall'assiduo dì e
labor est. Quum fatigatos jam Aetolos sciret con notte travagliare. Per venti quattro giorni, in
sul et ex ratione temporis, et quod ita transfugae modo che non vi fu tempo, in cui si cessasse di
affirmabant, tale consilium iniit. Media nocte re combattere, ebbero dì e notte a sempre affati
ceptui signum dedit, et ab oppugnatione simul carsi contro un nemico, che gli assaltava ad un
omnes mitites deductos usque ad tertiam diei tempo da quattro lati. Il console, come seppe
horam quietos in castris tenuit. Inde coepta op essere gli Etoli di già stanchi e per ragione del
pugnatio ad mediam rursus noctem perducta est: tempo, e perchè i fuggitivi me lo accertavano,
intermissa deinde usque ad tertiam diei horam. prese il seguente partito. A mezzanotte fe” soma
Fatigationem rati causam esse Aetoli non conti re a raccolta, e ritratti tutti i soldati dal combat
nuandae oppugnationis, quae et ipsos aſſecerat, tere, li tenne quieti nel campo sino all'ora terza
ubi Romanis datum receptui signum esset, velut del giorno; indi ripigliato l'assalto, lo protrasse
ipsi quoque hoc revocati, pro se quisque ex sta nuovamente sino alla mezza notte; poi lo so
tionibus decedebant; nec ante tertiam diei ho spese sino all'ora terza del giorno. Stimando gli
ram armati in muris apparebant. Etoli, che la cagione del non continuare l'assalto
fosse la stanchezza, che travagliava essi pure,
quando s'era dato il segno a Romani di ritirarsi,
come se questo li richiamasse essi pure, ognuno
si partiva dalle sue poste; nè comparivano armati
in sulle mura prima dell'ora terza del giorno.
XXIV. Consul, quum nocte media intermi XXIV. Il console, avendo sospeso il combat
sisset oppugnationem, quarta vigilia rursus ab tere a mezzanotte, alla quarta veglia dato nuo
tribus partibus summa vi aggressus, ab una Ti. vamente un gagliardo assalto da tre parti, ordinò
Sempronium tenere intentos milites signumque a Tito Sempronio che da una parte tenesse i
expectantes jussit, ad ea in nocturno tumultu, soldati attenti ad aspettare il segno, pensando
unde clamor exaudiretur, haud dubie ratus ho egli che senza dubbio i nemici nel tumulto
stes concursuros. Aetoli pars sopiti affecta labore notturno sarebbono accorsi là, donde si udissero
ac vigiliis corpora ex somno moliebantur; pars le grida. Gli Etoli, parte addormentati penavano
vigilantes adhuc ad strepitum pugnantium in te a ridestare i corpi dal sonno travagliati dalla fa
nebris currunt. Hostes partim per ruinas jacentis tica e dalle veglie; parte vegghiando ancora cor
muri transcendere conantur, partim scalis ascen rono fra le tenebre allo strepito de'combattenti.
sus tentant. Adversus quos undi que ad opem fe l Romani, parte tentano di montare per le ruine
rendam occurrunt Aetoli. Pars uma, in qua aedificia del muro abbattuto, parte di salire con le scale;
extra urbem erant, neque defenditur, neque op contro a quali fannosi innanzi da ogni parte gli
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pugnatur: sed, qui oppugnarent, intenti signum Etoli a recar soccorso. Una sola parte, quella
exspectabant; defensor nemo aderat. Jam diluce che aveva gli edifizii fuori della città, non è nè
scebat, quum signum consul dedit; et sine ullo combattuta, nè difesa; ma quelli che la dovean
certamine partim per semiruta, partim scalis inte combattere, stavansi attenti aspettando il segno:
gros muros transcendere. Simul clamor, index ca non c'era nessuno alla difesa. Già faceva chiaro,
pti oppidi, est exauditus, undigue Aetoli, desertis quando il console diede il segno; e senza alcun
stationibus, in arcem fu giunt. Oppidum victores contrasto parte per le ruine, parte si fe” a sa
permissu consulis diripiunt; non tam abira, nec ab lire colle scale per le mura intatte. Appena si
odio, quam ut miles, coercitus in tot receptis ex udirono le grida, indizio che la terra era presa,
potestate hostium urbibus, aliquo tandem loco gli Etoli da tutte le parti, abbandonate le po
fructum victoriae sentiret. Revocatos inde a me ste, fuggono nella rocca. I vincitori con per
dio ferme die milites quum in duas divisisset missione del console mettono a sacco la città,
partes, unam radicibus montium circumduci ad non tanto per ira o per odio, quanto perchè il
rupem jussit, quae, fastigio altitudinis par, media soldato, tenuto a freno in tante città ricuperate
valle velut abrupta ab arce erat; sed adeo prope dalle mani del nemico, gustasse almeno in qual
geminata cacumina eorum montium sunt, ut ex che luogo il frutto della vittoria. Indi il console
vertice altero conjici tela in arcem possint: cum richiamati verso il mezzo giorno i soldati, aven
dimidia parte militum consul, ab urbe escensurus doli divisi in due bande, ordinò che una si faces
in arcem, signum ab iis, qui ab tergo in rupem se girare per le radici dei monti sino alla rupe,
evasuri erant, exspectabat. Non tulere, qui in arce che, pari per altezza alla rocca, n'era come spic
erant, Aetoli primum eorum, qui rupem cepe cata dalla valle intermedia; se non che i due
rant, clamorem, deinde impetum ab urbe Roma cucuzzoli di que monti son sì presso l'uno al
norum, et fractis jam animis, et nulla ibi praepa l'altro, che dall'uno d'essi si posson lanciare
rata re ad obsidionem diutius tolerandam: utpote dardi nella rocca: con l'altra metà de'soldati,
congregatis feminis, puerisque, et imbelli alia il console, che dalla città stava per salire alla
turba in arcem, quae vix capere, nedum tueri, rocca, attendeva il segno di quei che alle spalle
multitudinem tantam posset. Itaque, ad primum doveano sbucare in sulla rupe. Gli Etoli, ch'era
impetum abjectis armis, dediderunt sese. Tradi no nella rocca, nè sostennero le prime grida di
tus inter ceteros princeps Aetolorum Damocri quelli, che avean presa la rupe, nè di poi l'im
tus est, qui principio belli decretum Aetolorum, peto de Romani dalla parte della città; già per
quo arcessendum Antiochum censuerant, T. Quin duti d'animo, e non avendo fatto alcun provve.
tio poscenti responderat: « in Italia daturum, dimento per sostener lungo tempo un assedio,
quum castra ibi Aetoli posuissent. » Ob eam fe avendo congregato e femmine e fanciulli e l'altra
rociam majus victoribus gaudium traditus fuit. imbelle turba in una rocca, atta appena, non
che a difendere, a contenere tanta moltitudine.
Quindi al primo assalto, gettate l'armi, si arren
dettero. Tra gli altri cadde in potere il capo
degli Etoli Damocrito, quegli, che sul principio
della guerra, a Quinzio, che chiedeva il decreto
degli Etoli, con cui aveano deliberato di chia
mare Antioco, avea risposto, a che glielo avrebbe
dato in Italia, quando gli Etoli si sarebbono
XXV. Eodem tempore, quo Romani Hera quivi attendati. » Per quella sua tracotanza fu
cleam, Philippus Lamiam ex composito oppugna di maggior gaudio a' vincitori l'averlo preso.
bat, circa Thermopylas cum consule, redeunte XXV. In quel tempo medesimo, in cui i Ro
ex Boeotia, ut victoriam ipsi populoque Romano mani Eraclea, Filippo d'accordo combatteva
gratularetur, excusaretdue, quod morbo impedi Lamia, dopo d'essersi abboccato presso le Ter
tus bello non interfuisset, congressus. Inde di mopile col console, che tornava dalla Beozia,
versi ad duas simul oppugnandas urbes profecti. onde congratularsi con lui e col popolo Romano
Intersunt septem millia ferme passuum; et quia della vittoria, ed iscusarsi, se impedito da malat
Lamia quum posita est in tumulo, tum regionem tia non era in persona intervenuto alla guerra.
ea maxime despectat, oppido qua breve inter indi per vie diverse andarono a combattere ad
vallum videtur, et omnia in conspectu sunt. un tempo le due città. Sono distanti l'una dal
Quum enise, velut proposito certamine, Romani l'altra sette miglia a un dipresso, e perchè Lamia
Macedonesque diem ac noctem aut in operibus, è posta sopra un monticello, e guarda la campa
aut in proeliis essent, hoc major difficultas Mace gna massimamente dalla parte, dove pare meno
1 oo5 'l'ITI LIVII LIBER XXXVI. 1 oo6

donibus erat, quod Romani aggere et vineis, et discosta da Eraclea, e tutta si para dinanzi alla
omnibus supra terram operibus, subtus Macedo vista. Mentre i Romani ed i Macedoni, quasi in
nes cuniculis oppugnabant, et in asperis locissi proposta gara, stavansi intensamente dì e notte
lex saepe impenetrabilis ferro occurrebat: et travagliando o ne' lavori, o ne'combattimenti,
quum parum procederet inceptum, per colloquia provavano i Macedoni maggiore difficoltà per
principum oppidanos tentabat rex, ut urbem de questo, perchè i Romani combattevano Eraclea
derent; haud dubius, quin, si prius Heraclea ca cogli argini, e co'mantelletti, e con ogni altra sorte
pta foret, Romanis se potius, quam sibi, dedituri di opere sopra terra, e i Macedoni all'opposto
essent, sua mque gratiam consul in obsidione li sotto terra con le mine; e in luoghi aspri cotan
beranda facturus esset. Necdum opinio est frustra to s'incontrava spesso un selce impenetrabile al
ta: confestim enim ab Heraclea capta nuncius ve ferro: e andando poco innanzi l'impresa, il re,
nit, ut oppugnatione absisteret: « aequius esse, parlamentando col principali, tentava l'animo dei
Romanos milites, qui acie dimicassent cum Aeto terrazzani, perchè arrendessero la città; non du
lis, praemia victoriae habere. » Ita recessum ab bitando che se Eraclea fosse presa prima, si sareb
Lamia est, et propinquae clade urbis ipsi, ne quid bon dati piuttosto a Romani, che a lui, e che il
simile paterentur, eſſugerunt. console si sarebbe fatto merito con essi di libe
rarli dall'assedio. Nè punto s'ingannò; percioc
chè presa Eraclea, venne subito un messo a dirgli,
che cessasse di combatter Lamia: «essere più con
venevole che i soldati Romani, i quali combattuto
aveano cogli Etoli, cogliessero essi il frutto della
vittoria. » Così Filippo partissi da Lamia, ed essi,
avvertiti dalla ruina della vicina città, scansarono
XXVI. Paucis, priusquam Heraclea caperetur, di sofferire un simile trattamento.
diebus, Aetoli, concilio IIypatam coacto, legatos XXVI. Pochi dì innanzi che fosse presa Era
ad Antiochum miserunt: inter quos et Thoas clea, gli Etoli, radunata una dieta ad Ipata,
idem, qui antea, missus est. Mandata erant, ut mandarono ambasciatori ad Antioco; tra quali
ab rege peterent primum, ut ipse, coactis rursus fu mandato quel medesimo Toante di prima.
terrestribus navalibusque copiis, in Graeciam Era la commissione, che chiedessero al re pri
trajiceret; deinde, si qua ipsum teneret res, ut mieramente ch'egli, raccolte nuove forze di terra
pecuniam et auxilia mitteret. « Id quum ad di e di mare, passasse in Grecia; indi, se alcun
gnitatem eius fidemdue pertinere, non prodi so impedimento il ritenesse, mandasse danari e
cios, tum etiam ad incolumitatem regni, non si soccorsi. - Appartenere alla dignità e fede sua
nere Romanos omni cura vacuos, quum Aetolo che gli alleati suoi non perissero, ed eziandio
rum gentem sustulissent, omnibus copiis in Asiam alla salvezza del suo regno il non permettere che
trajicere. » Vera autem, quae dicebantur: eoma i Romani, liberi da ogni altra cura, poi che aves
gis regem moverunt. Itaque in praesentia pecu sero distrutta la nazione degli Etoli, passassero in
miam, quae ad usus belli necessaria erat, legatis Asia con tutte le loro forze. - Eran vere le cose,
dedit: auxilia terrestria navaliaque affirmavit che dicevano; e tanto maggiormente mossero il
missurum. Thoantem unum ex legatis retinuit, re. Quindi per lo presente diede agli ambasciatori
et ipsum haud invito morantem, et exactor prae il danaro, ch'era necessario agli usi della guerra,
sens promissorum adesset. e promise che manderebbe aiuti di terra e di ma
re. Ritenne Toante, uno degli ambasciatori, cui
non dispiacque rimanere, onde sollecitare colla
presenza l'adempimento delle promesse.
XXVII. Ceterum Heraclea capta fregit tan XXVII. Se non che la presa di Eraclea franse
dem animos Aetolorum ; et post paucos dies, finalmente il coraggio degli Etoli; e pochi di
quam ad bellum renovandum acciendumque re dappoi che avean mandato ambasciatori per
gem in Asiam miserant legatos, abjectis belli rinnovare la guerra, e richiamare in Asia il re,
consiliis, pacis petendae oratores ad consulem mi via gettato ogni pensiero di guerra, mandarono
serunt. Quos dicere exorsos consul interfatus, oratori al console a chieder pace. I quali comin
quum alia sibi praevertenda esse dixisset, redire ciato avendo a parlare, il console, interrottili
lly patam eos, datis dierun decem induciis, et L. dicendo, che avea previamente a badare ad altre
Valerio Flacco cum iis misso, jussit; ei, quae cose, ordinò che tornassero ad Ipata, avendo loro
secum acturi fuissent, exponere, et si qua vellent conceduta una tregua di dieci giorni, e spedito
alia. Hypatam ut est ventum, principes Aetolo con essi Lucio Valerio Flacco, perchè a lui espo
1oo7 TITI LIVII LIBER XXXVI. 1oo8

rum apud Flaccum concilium habuerunt, consul nessero quello che intendevano di trattar seco,
tantes quonam agendum modo apud consulem e tutt'altro che volessero. Come furono in Ipata,
foret. His parantibus antiqua foederum ordiri, i capi degli Etoli tennero conferenza presso
meritaque in populum Romanum, « absistere iis, Flacco, consultando in qual modo trattar doves
I laccusjussit, quae ipsi violassent ac rupissent. sero col console. Disponendosi essi a cominciare
Confessionem iis culpae magis profuturam, et to dalle antiche alleanze e da loro meriti verso
tam in preces orationem versam. Nec enim in il popolo Romano, Flacco disse loro, a che si
causa ipsorum, sed in populi Romani clementia astenessero dal ricordare i trattati, ch'essi stessi
spem salutis positam esse. Et se suppliciter agen violati avevano e rotti; giovato avrebbe lor più
tibus iis affuturum, et apud consulem, et Romae la confession della colpa e un'orazione tutta
in senatu : eo quoque enim mittendos fore lega volta alle preghiere: chè non è riposta la spe
tos. » Haec una via omnibus ad salutem visa est, ranza di lor salute nella loro causa, ma sì nella
a ut in fidem se permitterent Romanorum. Ita clemenza del popolo Romano. Egli, se useranno
enim et illis violandi supplices verecundiam se modi supplichevoli, gli assisterà e presso il con
imposituros, et ipsos nihilominus suae potestatis sole, e a Roma nel senato; perocchè doveano
fore, si quid melius fortuna ostendisset. » spedire oratori anche colà. - La sola via dunque
di salute a tutti parve che fosse l'abbandonarsi
alla fede dei Romani; chè col supplicare avreb
bero imposto a Romani una tal qual vergogna
di nuocer loro, ed essi nulla di meno sarebbero
stati liberi, se mostrato avesse la fortuna altro
migliore partito. »
XXVIII. Postguam ad consulem ventum est, XXVIII. Come gli oratori furono dinanzi
Phaeneas legationis princeps longam orationem, al console, Fenea capo dell'ambasceria terminò
et varie ad mitigandam iram victoris compositam, il lungo suo discorso, e variamente intessuto per
ita ad extremum finivit, ut diceret : « Aetolos se mitigare l'ira del vincitore, dicendo; e che gli
suaque omnia fidei populi Romani permittere. » Etoli commettevano sè e tutte le cose loro alla
Id consul ubi audivit: « Etiam atque etiam vi fede del popolo Romano. » Come il console udì
dete, inquit, Aetoli, ut ita permittatis. » Tum questo: t. Badate ben bene, disse, o Etoli, come
decretum Phaeneas, in quo id diserte scriptum vi commettete. Allora Fenea mostrò il decreto,
erat, ostendit, « Quando ergo, inquit, ita permit nel quale questo stesso era scritto chiaramente.
titis, postulo, ut mihi Dicaearchum civem ve « Poichè, disse il console, vi mettete affatto nel
strum, et Menestam Epirotam (Naupactum is le mie mani, domando che immantinente mi sia
cum praesidio ingressus ad defectionem compu consegnato Dicearco, vostro concittadino, e Me
lerat) et Amynandrum cum principibus Athama nesta Epirota (questi entrato in Naupatto con
num, quorum consilio ab nobis defecistis, sine una scorta di soldati lo aveva indotto a ribellarsi)
mora dedatis. º Prope dicentem interfatus Ro e Aminandro coi capi degli Atamani, per consi
manum Phaeneas, « Non in servitutem, inquit, glio de'quali vi siete ribellati da noi. " Fenea,
sed in fidem tuam nos tradidimus ; et certum quasi in sul suo dire, interrompendo il Romano,
habeo, te imprudentia labi, qui nobis imperes, « Non ci siamo, disse, dati in servaggio, ma sì
quae moris Graecorum non sint. » Ad haec con commessi alla tua fede; ed ho per certo, che tu
sul, « Nec, hercle, inquit, magnopere nunc curo, sbagli per inscienza, imponendoci tal cosa, che
quid Aetoli satis ex more Graecorum factum esse non è nel costume de' Greci. Al che il console:
censeant, dum ego more Romano imperium in « Nè, per verità, curo troppo checchè stimino gli
hibeam in deditos modo decreto suo, ante armis Etoli averio fatto o non fatto secondo il costume
victos. Itaque, ni propere fit, quod impero, vin de'Greci, purchè io usi del mio dritto sopra
ciri vos jam jubeo: » afferrique catenas, et cir gente a me ora soggetta e pel loro stesso decreto,
cumsistere lictores jussit. Tum fracta Phaeneae e prima vinta coll'armi. Pertanto, se non si ese
ferocia, Aetolisque aliis est; et tandem, cujus con guisce tosto quello che comando, vi fomettere
ditionis esset, sensere. Et « se quidem, Phaeneas, in ferri; - e ordinò che si portassero le catene,
et qui adsint Aetolorum, scire facienda esse, quae e che i littori gli accerchiassero. Allora fu doma
imperentur, dixit; sed ad decernenda ea concilio la ferocia di Fenea e degli altri Etoli; e alla fine
Aetolorum opus esse. Ad id petere, ut decem
dierum inducias daret. » Petente Flacco pro Ae
tolis, induciae datae; et Hypatam reditum est.
Ubi quum in consilio delectorum, quos Apoele
conobbero qual era la loro condizione. E Fenea
disse, « ch'egli e gli altri Etoli presenti ben sa
pevano doversi fare quanto era loro comandato;
ma che a deliberare di ciò ci era d'uopo della dieta
|
Io lo
TITI LIVII LIBER XXXVI.
Ioo9

tos vocant, Phaeneas, et quae imperarentur, et degli Etoli; e che perciò domandava una tregua
quae ipsis prope accidissent.exposuisset; ingemue di dieci giorni. La tregua fu data, intercedendo
runt quidem principes conditioni suae, parendum Flacco per gli Etoli; e tornarono in Ipata. Dove
tamen victori censebant, et ex omnibus oppidis avendo Fenea nel consiglio degli scelti, che chia
convocandos Aetolos ad concilium. mano Apocleti, esposto quanto fu lor comandato,
e quanto era a loro stessi accaduto, gemettero
bensì i principali di lor condizione, nondimeno
stimarono che si dovesse obbedire al vincitore,
e da tutte le città chiamar gli Etoli alla dieta.
XXIX. Postguam vero omnis coacta multi XXIX. Ma poichè tutta la moltitudine raccol
tudo eadem illa audivit, adeo saevitia imperii at ta udì quelle stesse condizioni, furon così esaspe
que indignitate exasperati animi sunt, ut, si in rati gli animi dalla durezza e indegnità del co
pace fuissent, illo impetu irae concitari potuerint mando, che se anche fossero stati in pace, avreb
ad bellum. Ad iram accedebat et difficultas eorum, be quel solo impeto d'ira potuto muoverli a
quae imperarentur: a quonam modo enim utique guerra. Aggiungevasi all' ira anche la difficoltà
regem Amynandrum se tradere posse? » Et spes di eseguir le cose comandate; . perciocchè in
forte oblata, quod Nicander, eo ipso tempore ab qual modo potevano consegnare il re Aminan
rege Antiocho veniens, implevit exspectatione dro?» E si offerse loro a caso una speranza, per
vana multitudinem, terra marique ingens parari chè Nicandro, tornando in quel tempo medesimo
bellum. Is duodecimo die, quam conscenderat da Antioco, empiè la moltitudine della vana
navem, in Aetoliam, perfecta legatione, rediens aspettazione, che grande guerra si allestisse per
Phalara in sinu Maliaco tenuit. Inde Lamiam pe terra e per mare. Questi, finita la sua legazione,
tornando in Etolia il duodecimo giorno, da che
cuniam quum devexisset, ipse cum expeditis ve
spera prima inter Macedonum Romanaque castra s'era imbarcato, prese terra a Falara nel golfo
Maliaco. Di là trasportato avendo il danaro a
medio agro, dum Hypatam notis callibus petit,
in stationem incidit Macedonum, deductusque Lamia, mentre accompagnato da alcune guar
ad regem est, nondum convivio dimisso. Quod die in sulla prima sera, camminando alla larga
ubinunciatum est, velut hospitis, non hostis, ad tra il campo de' Macedoni e quello de Romani,
ventu motus Philippus, accumbere eum epulari si avvia per noti sentieri verso Ipata, s'abbattè
quejussum, atque inde, dimissis aliis, solum re in una posta di Macedoni, e fu condotto al re, a
tentum, ipsum quidem de se timere quidquam cena non per anche finita. Il che annunziato a
vetuit. Aetolorum prava consilia, atque in ipso Filippo, e mosso questi dalla venuta di un ospite,
non di un nemico, il fe” sedere alla sua tavola e
rum caput semper recidentia, accusavit, qui pri
mum Romanos, deinde Antiochum in Graeciam cenare; poscia, licenziati gli altri, e ritenuto lui
adduxissent. « Sed praeteritorum, quae magis solo, gli disse, che non temesse nulla per sè. Ac
reprehendi, quan corrigi possint, oblitum se, cusò i pravi consigli degli Etoli, che sempre ri
non facturum, ut insultet adversis rebus eorum. cadevano sulla lor testa, avendo essi chiamato in

Aetolos quoque finire tandem adversus se odia Grecia prima i Romani, poscia Antioco. «Ma
debere, et Nicandrum privatim eius diei, quo dimenticando egli il passato, che si può più ri
servatus a se foret, meminisse. º Ita datis, qui in prendere, che correggere, non sarà che insulti
tutum eum prosequerentur, Hypatam Nicander alle loro calamità. Dovevano anche gli Etoli por
consultantibus de pace Romana supervenit. fine all'odio loro contro di lui, e Nicandro, nel
suo particolare, ricordarsi di questo giorno, in
cui lo aveva egli salvato. » Datagli dunque una
scorta, che lo accompagnasse sino a luogo sicuro,
Nicandro giunse ad Ipata nel tempo, che si con
sultava della pace coi Romani.
XXX. M'. Acilius. vendita aut concessa militi XXX. Manio Acilio, venduta o distribuita al
circa Heracleam praeda, postduam nec Hypatae soldato la preda fatta in Eraclea, poi che udì
pacata esse consilia, et Naupactum concurrisse che in Ipata non si pensava punto alla pace, e
Aetolos, utinde totum impetum belli sustinerent, che gli Etoli eran concorsi a Naupatto, onde
audivit; praemisso Ap. Claudio cum quatuor mil quindi sostener tutto l'impeto della guerra, pre
libus militum ad occupanda juga, qua difficiles messo Appio Claudio con quattro mila soldati ad
transitus montium erant, ipse Oetam ascendit, occupare i gioghi, dov'eran difficili i passi dei
Herculioue sacrificium fecit in eo loco, quem Py monti, egli salì l'Oeta, e fece un sagrifizio ad
ram, quod ibi mortale corpus ejus dei sit crema Ercole in quel luogo, che chiamano Pira, perchè
Livio 2
64
1 o 1 i TITI LIVII LIBER XXXVI. I OI2

tum, appellant. lnde toto exercitu profectus re fu quivi arso il mortale corpo di quel dio. Di là
liquum iter satis expedito agmine fecit. Ut ad partitosi con tutto l'esercito, fece il restante cam
Coracem est ventum (mons est altissimus inter mino con sufficiente agevolezza. Come si venne
Callipolin et Naupactum) ibi et jumenta ex ag a Corace (è questo un monte altissimo tra Calli
mine praecipitata cum ipsis oneribus sunt, et ho poli e Naupatto), quivi dello stuolo de'giumenti
mines vexati. Et facile apparebat, quan cum iner molti ne precipitaron giù colle loro some, e pa
ti hoste res esset, qui tam impeditum saltum nul recchi uomini rimasero malconci. E ben di leg
lo praesidio, ut clauderet transitum, insedisset. geri appariva con che inerte nemico si avesse a
Tum quoque vexato exercitu, ad Naupactum de fare, il quale non avea guernito di nessun presi
scendit, et uno castello adversus arcem posito,
dio un sito così intrigato, onde chiuderne il pas
ceteras partes urbis, divisis copiis pro situ moe so. Però coll'esercito anche così tribolato scese a
mium, circumsedit: nec minus operis laborisque Naupatto ; ed eretto un fortino di rincontro alla
ea oppugnatio, quam Heracleae, habuit. rocca, divise le genti secondo la situazion delle
mura, circondò le altre parti della città; nè quel
l'assedio costò men lavori e fatiche, che quello
di Eraclea. -

XXXI. Eodem tempore et Messene in Pelo XXXI. In quel tempo medesimo cominciaro
ponneso ab Achaeis, quod concilii eorum recusa no anche gli Achei a combatter Messene nel Pe
ret esse, oppugnari coepta est. Etenim duae civi loponneso, perchè ricusava di entrare nella lega
tates, Messene et Elis, extra concilium Achaicum Achea. Perciocchè le due città di Messene e di
erant; cum Aetolis sentiebant. Elei tamen, post Eli eran fuori della lega Achea, e tenevano cogli
fugatum ex Graecia Antiochum, legatis Achaeo Etoli. Gli Elei però, dopo la fuga di Antioco dal
rumleniusresponderant; «dimissopraesidio regio, la Grecia, avean risposto più blandamente ai le
cogitaturosse, quid sibi faciendum esset.» Mesenii, gati degli Achei, a che come fosse licenziato il
sine responso dimissis legatis, moverant bellum; presidio regio, avrebbon dato pensiero a quello
trepidique rerum suarum, quum jam ager effuso che far dovessero. » I Messenii, rimandati i legati
exercitu passim ureretur, castraque prope urbem senza risposta, avean mossa la guerra; se non
poni viderent, legatos Chalcidem ad T. Quintium, che temendo per sè medesimi, perchè l'esercito
auctorem libertatis, miserunt,quinunciarent,Mes qua e là diffuso avea già messo in fiamme il lor
semios Romanis, non Achaeis, et aperire portas, et contado, e vedendo che si piantava il campo
dedereurbem paratos esse. Auditis legatis, extem presso alla città, spedirono ambasciatori a Calci
plo profectus Quintius, Megalopoli ad Diopha de a Tito Quinzio, liberatore della Grecia, che
nem praetorem Achaeorum misit, qui extemplo gli dicessero esser pronti i Messenii ad aprire le
reducere eum a Messene exercitum, et venire ad porte, e consegnare la città ai Romani, non agli
se iuberet. Dicto paruit Diophanes, et, soluta ob Achei. Quinzio, uditi gli ambasciatori, subito
sidione, expeditus ipse, praegressus agmen, circa partitosi, spedì da Megalopoli a Diofane, pretore
Andaniam, parvum oppidum, inter Megalopolim degli Achei, a commettergli che ritirasse imman
Messenenque positum, Quintio occurrit; et quum tinente l'esercito da Messene, e venisse a lui. Ob
causas oppugnationis exponeret, castigatum leni bedì Diofane, e sciolto l'assedio, precedendo le
ter, quod tantam rem sine auctoritate sua conatus sue genti, si fe'soletto incontro a Quinzio nei
esset, dimittere exercitum jussit, nec pacem om contorni di Andania, piccolo castello tra Megalo
mium bono partam turbare. Messeniis imperavit, poli e Messene; ed esponendogli i motivi, per
ut exsules reducerent, et Achaeorum concilii es chè avea combattuto Messene, Quinzio, rimpro
sent. Si qua haberent, de quibus aut recusare, veratolo blandamente che si fosse messo a tale
aut in posterum caveri sibi vellent, Corinthum impresa senza sua licenza, gli ordinò di riman
ad se venirent. Diophanem concilium Achaeorum dare l'esercito, e di non turbare la pace acqui
extemplo sibi praebere jussit. Ibide Zacyntho stata per comun benefizio. Comandò a Messenii
intercepta per fraudem insula questus, postulavit, che richiamassero i fuorusciti, ed entrassero nel
ut restitueretur Romanis. Philippi Macedonum la lega Achea. Se avessero cosa, cui ricusare, o
regis Zacynthus fuerat: eam mercedem Amyman bramassero alcun provvedimento per l'avvenire,
dro dederat, ut per Athamaniam ducere exerci venissero a lui a Corinto; ed ordinò a Diofane
tum in superiorem partem Aetoliae liceret. Qua che gli facesse subito convocare la dieta degli
expeditione fractis animis, Aetolos compulit ad Achei. Quivi lagnatosi che intercetta avessero
petendam pacem. Amymander Philippum Mega per frode l'isola di Zacinto, chiese che renduta
lopolitanum insulae praefecit: postea per bellum, fosse a Romani. Era stata Zacinto di Filippo re
quo se Antiocho adversus Romanos conjun,it, di Macedonia: l'aveva egli data in premio ad
1 o 13 'l'ITI LIVIl LIBER XXXVI. 1 o 14
Philippo ad munia belli revocato, Hieroclem A Aminandro, acciocchè il lasciasse per l'Atamania
grigentinum successorem misit. condur l'esercito nella parte superiore dell'Eto
lia; con la quale spedizione abbattuto il corag
gio degli Etoli gli avea costretti a domandare la
pace. Aminandro pose a guardia dell'isola Filip
po Megalopolitano; poscia, all'occasione della
guerra, nella quale s'era unito ad Antioco contro
i Romani, richiamato Filippo al campo, gli man
dò a successore Ierocle Agrigentino.
XXXII. Is, post fugam ab Thermopylis An XXXII. Questi, dopo la fuga di Antioco dalle
tiochi, Amynandrumque a Philippo Athamania Termopile, e poi che Filippo ebbe scacciato Ami
pulsum, missis ultro ad Diophanem praetorem nandro dall'Atamania, spediti di suo arbitrio
Achaeorum nunciis, pecuniam pactus, insulam messi a Diofane, pretore degli Achei, pattuita
Achaeis tradidit. Id praemium belli suum esse, certa somma di danari, consegnò l'isola agli
aequum censebant Romani: « non enim M'. Aci Achei. Stimavano giusto i Romani che Zacinto
lium consulem legionesque Romanas Diophani fosse loro ceduta in premio della guerra, e per
et Achaeis adThermopylas pugnasse.» Diophanes ciocchè nè il console Manio Acilio, nè le Romane
adversus haec purgare interdum sese gentemdue; legioni avean certo combattuto alle Termopile
interdum de jure facti disserere. Quidam Achae per Diofane e pegli Achei. » Diofane rispondeva
orum et initio eam se rem aspermatos testabantur, ora scusando sè e la sua nazione, talvolta dispu
et tunc pertinaciam increpitabant praetoris; au tando del diritto. Alcuni Achei attestavano che
ctoribusque iis decretum est, ut T. Quintio ea res avean sin da principio disapprovata la cosa, ed
permitteretur. Erat Quintius, sicut adversantibus anche condannavano la pertinacia del pretore,
asper, ita, si cederes, idem placabilis. Omissa igi e a loro proposta fu decretato che l'affare si ri
tur contentione vocis vultusque, « Si utilem, in mettesse a Tito Quinzio. Era Quinzio, siccome
quit, possessionem eius insulae censerem Achaeis aspro contro chi se gli opponeva, così, se cedevi,
esse, auctor esserm senatui populoque Romano, ut facile a placarsi. Quindi deposta l'austerità del
eam vos habere sinerent. Ceterum sicut testudi viso e della voce, « Se io stimassi, disse, che il
nem, ubi collecta in suum tegumen est, tutam ad possedimento di quell'isola fosse utile agli Achei,
omnes ictus video esse, ubi exserit partes aliquas, proporrei io stesso al senato ed al popolo Ro
quodcumque nudavit, obnoxium atque infirmum mano che vi permettesse di tenerla. Ma siccome
habere; haud dissimiliter vos, Achaei, clausos vedo la testuggine, quand'è raccolta sotto il suo
undique mari, quae intra Peloponnesi sint termi coperchio, esser sicura incontro tutti i colpi, e
nos, ea et jungere vobis, et junctatueri facile; quando fuor mette alcune parti, quelle, che de
simul aviditate plura amplectendi hinc excedatis, nudò, rimanere esposte ed indifese; non altri
nuda vobis omnia, quae extra sint, et exposita ad menti voi, o Achei, chiusi per ogni banda dal
omnes ictus esse. . Assentiente omni concilio nec mare, tutto quello ch'è dentro i termini del
Diophane ultra tendere auso, Zacynthus Romanis Peloponneso potete unirvelo, e unito facilmente
traditur. difenderlo; ma se uscite di questi termini per
abbracciare più cose, tutto quello che ne sia
fuori, sarà senza difesa ed esposto a tutti i colpi. »
Al che assentendo tutta la dieta, nè osando Dio
fane più oltre insistere, Zacinto fu consegnata ai
Romani.
XXXIII. Per idem tempus Philippus rex pro XXXIII. A que dì medesimi il re Filippo,
ficiscentem consulem ad Naupactum percuncta chiesto avendo al console, che andava a Naupat
tus, si se interim, quae defecissent ab societate to, se volesse ch'egli intanto ricuperasse le città,
Romana, urbes recipere vellet, permittente eo, che s'erano staccate dall'alleanza Romana, ot
ad Demetriadem copias admovit, haud ignarus, tenutane la permissione, accostò le sue genti a
quanta ibitum perturbatio esset. Destituti enim Demetriade, non ignorando il grande scompiglia
ab omni spe, quum desertos se ab Antiocho, spem mento, che c'era dentro. Perciocchè destituti di
nullam in Aetolis esse cernerent, dies noctesque ogni speranza, vedendosi abbandonati da An
aut Philippi hostis adventum, aut infestiorem tioco, nè potendo nulla promettersi dagli Etoli,
etiam, quo justius irati erant, Romanorum ex aspettavansi dì e notte la venuta ostile di Filippo,
spectabant. Turba erat ibi incondita regiorum, o quella tanto più spaventosa de Romani, quanto
qui, primo pauci in praesidio relicti, postea plu ch'eran essi più giustamente corrucciati. Ci era
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res, plerique inermes, ex proelio adverso fuga quivi una incomposta turba di soldati del re, i
delati, nec virium, nec animi satis ad obsidionem quali, rimasti prima pochi a presidio, poscia
tolerandam habebant. Itaque praemissis a Phi cresciuti di numero, la maggior parte disarmati,
lippo, qui spem impetrabilis veniae ostendebant. balzati quivi dalla fuga dopo la sconfitta, non
responderunt patere portas regi. Ad primum avean nè forze, nè coraggio bastevole a sostenere
ejus ingressum principum quidam urbe excesse un assedio. Quindi a messi mandati da Filippo
runt: Eurylochus mortem sibi conscivit. Antio a mostrar loro la speranza di perdono, risposero
chi milites (sic enim pacti erant) per Macedo che le porte erano schiuse al re. Al primo ingresso
niam Thraciamoue, prosequentibus Macedonibus. di lui alcuni de principali uscirono dalla città ;
ne quis eos violaret, Lysimachiam deducti sunt. Euriloco si die egli stesso la morte. I soldati di
Erant et paucae naves Demetriade, quibus praee Antioco (chè così s'era pattuito), attraversando
rat Isidorus: eae quoque cum praefecto suo di la Macedonia e la Tracia, scortati da Macedoni,
missae sunt. lnde Dolopiam et Aperantiam, et acciocchè nessuno gli offendesse, condotti furono
Perrhaebiae quasdam civitates recepit. a Lisimachia. C'eran anche poche navi a Deme
triade capitanate da Isidoro: anche queste furo
no lasciate andare col loro comandante. Poscia
ricuperò Dalopia e Aperanzia, e alcune altre città
della Perrebia.
XXXIV. Dum haec a Philippo geruntur, T. XXXIV. Mentre queste cose son fatte da Fi
Quintius, recepta Zacyntho ab Achaico concilio, lippo, Tito Quinzio, riavuta Zacinto dalla dieta
Naupactum trajecit; quae jam per duos menses degli Achei, passò a Naupatto; la quale era già
(sed prope excidium erat) oppugnabatur, et, si da due mesi combattuta. ma stava già per cadere,
capta vi foret, omne ibi nomen Aetolorum ad
e se fosse stata presa di viva forza, pareva che
internecionem videbatur venturum. Ceterum,
quivi tutta la nazione degli Etoli sarebbe venuta
quamquam merito iratus erat Aetolis, quod solos a spegnersi. Del resto, quantunque fosse sdegnato
obtrectasse gloriae suae, quum liberaret Grae meritamente cogli Etoli, ricordandosi ch'essi
ciam, meminerat, et nihil auctoritate sua motos
soli aveano fatto insulto alla sua gloria, quando
esse, quum, quae tum maxime acciderant, casura egli s'era accinto a liberare la Grecia, e che non
praemonens, a furioso incepto eos deterreret; gli avea punto mossi l'autorità sua, quando pre
tamen, sui maxime operis esse credens, nullam dicendo loro precisamente tutto quello, che ac
gentem liberatae a se Graeciae funditus everti, cadeva, tentò distorgli dalla loro pazza impresa,
obambulare muris ut facile nosceretur ab Aeto
nondimeno stimando dover essere massimamente
lis, coepit. Confestim a primis stationibus cogni opera sua, che nessuna nazione della Grecia, che
tus est, vulgatumque per omnes ordines, Quin egli avea liberata, fosse interamente distrutta,
tium esse. Itaque, concursu facto undique in mu cominciò a cavalcare intorno alle mura, onde
ros, manus pro se quisque tendentes, consonante
fosse dagli Etoli facilmente riconosciuto. Le pri
clamore nominatim Quintium orare, utopem fer me poste subito il riconobbero, e divulgossi fra
ret ac servaret. Et tum quidem, quamquam mo tutti gli ordini che c'era Quinzio. Quindi fattosi
veretur his vocibus, manu tamen abnuit, quid
quam opis in se esse. Ceterum, postduam ad con
da ogni parte gran concorso alle mura, ciascuno
alto levando le mani, con mille concordi grida
sulem venit; «Utrum fefellit, inquit, te, M.'Acili, pregavano Quinzio, che gli aiutasse e salvasse.
quid agatur? an, quum satis pervideas, nihil id Egli allora, quantunque codesta cosa il movesse,
magnopere ad summam rem pertinere censes? » fe' segno colla mano, non essere in suo potere il
Erexerat exspectatione consulem; et, « Quin ex
soccorrerli. Ma poi che venne al console ; « Ti
promis, inquit, quid rei sit? º Tum Quintius: sfugge, disse, o Manio Acilio, di che si tratta?
“ Ecquid vides, te, devicto Antiocho, in duabus
ovvero, essendo tu veggente assai, non avvisi
urbibus oppugnandis tempus terere, quum jam quanto la cosa importi all'interesse della re
prope annus circumactus sit imperii tui ? Philip
pum autem, qui non aciem, non signa hostium
pubblica ? “ Il cenno avea desta l'aspettazione
del console; e, « A che, disse, non palesi chiara
vidit, non solum urbes, sed tot jam gentes, Atha
mente qual sia codesta cosa ? » Allora Quinzio :
maniam, Perrhaebiam, Aperantiam, Dolopiam sibi « Non vedi, che, vinto Antioco, consumi il tuo
adjunxisse? Atgui non tantum interest nostra,
tempo nel combattere due città, mentre si sta
Aetolorum opes ac vires minui, quantum, non su
quasi vicino a spirare l'anno del tuo consolato ?
pra modum Philippum crescere, et victoriae tuae
E Filippo intanto, che non vide la faccia, non le
praemium te militesque tuos nondum duas urbes,
Philippum tot gentes Graeciae habere. »
insegne del nemico. aversi aggiunte non soltanto
alcune città, ma di già tante nazioni, l'Atamania,
1 o 17 TlTI LIVII LIBER XXXVI. 1 o 18

la Perrebia, l'Aperanzia, la Dolopia ? Pure non


è tanto giovevole a noi che si scemino le forze
e la potenza degli Etoli, quanto che non cresca
Filippo oltre modo, e che i tuoi soldati non ab
biano ancora in mano due città, premio della tua
vittoria, e Filippo s'abbia tante nazioni della
Grecia. - -

XXXV. Assentiebatur his consul: sed pudor, XXXV. Non dissentiva il console, ma gli si
si irrito incepto abscederet obsidione, occurrebat. parava innanzi vergogna, se andata a voto l'im
Tota inde Quintio res permissa est. Is rursus ad presa, levasse l'assedio. Di poi tutta la cosa fu
eam partem muri, qua paullo ante vociferati Ae rimessa a Quinzio. Questi tornò di nuovo a quella
toli fuerant, rediit. Ibi quum impensius orarent, parte di muro, dove gli Etoli poco innanzi avean
ut misereretur gentis Aetolorum, exire aliquos messo quelle grida. Quivi, scongiurandolo essi
ad se jussit. Phaeneas ipse principesque alii ex più intensamente, che avesse compassione della
templo egressi sunt. Quibus provolutis ad pedes, nazione degli Etoli, ordinò che alcuni di loro
« Fortuna, inquit, vestra facit, ut et irae meae et uscisser fuori. Lo stesso Fenea, ed altri capi
orationi temperem. Evenerunt, quae praedixi uscirono subito; i quali gittatisi a di lui piedi.
eventura. Et ne hoc quidem reliqui vobis est, ut « Lo stato, ei disse, in cui siete, fa ch'io temperi
indignis accidisse ea videantur. Ego tamen, sorte l'ira e le parole. Accadde quanto predissi che
quadam nutriendae Graeciae datus, ne ingratis sarebbe accaduto; e nemmeno questo vi resta,
quidem benefacere absistam. Mittite oratores ad che abbia a parere che siavi tutto ciò immerita
consulem, qui inducias tantum temporis petant, mente accaduto. Io però, da non so qual sorte
ut mittere legatos Romam possitis, per quos se dato a nodrire la Grecia, non cesserò di bene
natui de vobis permittatis. Ego apud consulem ficare nemmeno gl'ingrati. Spedite oratori al
deprecator defensorque vobis adero. » Ita, ut console, i quali chiedano una tregua di tanto
censuerat Quintius, fecerunt: nec aspernatus tempo, quanto vi occorre a mandare ambascia
est legationem consul; induciisque in diem cer tori a Roma, col mezzo de' quali vi mettiate in
tam datis, qua legatio renunciari ab Roma posset, balia del senato. Io vi sarò presso il console in
soluta obsidio est, et exercitus in Phocidem mis tercessore e difensore. » Fecero secondo l'avviso
sus. Consul cum T. Quintio ad Achaicum conci di Quinzio; nè il console sdegnò la legazione, e
lium Aegium trajecit. Ibi de Eleis et de exsulibus conceduta la tregua sino ad un giorno statuito,
Lacedaemoniorum restituendis actum : et neutra in cui la legazione tornar potesse da Roma,
perfecta res, quia suae gratiae reservari eam l'assedio fu sciolto, e l'esercito mandato nella
Achaei, Elei per se ipsi, quam per Romanos, ma Focide. Il console passò con Tito Quinzio ad
luerunt Achaico contribui concilio. Epirotarum Egio alla dieta degli Achei. Quivi si trattò degli
legati ad consulem venerunt, quos non sincera Elei, e di richiamare i Lacedemoni fuorusciti;
fide in amicitia fuisse satis constabat : militem e non ebbe effetto nè l'una cosa, nè l'altra,
tamen nullum Antiocho dederant. Pecunia juvisse perchè gli Achei amaron meglio di riservare a
eum insimulabantur; legatos ad regem ne ipsi sè tal atto di grazia, e gli Elei preferirono di
quidem misisse inficiabantur. Iis petentibus, ut unirsi alla lega Achea piuttosto da sè medesimi,
in amicitia pristina esse liceret, respondit consul, che col mezzo de' Romani. Vennero al console i
« Se, utrum hostium, an pacatorum, eos numero legati degli Epiroti, i quali si sapeva non essere
haberet, nondum scire. Senatum ejus rei judicem stati gran fatto fidi e sinceri nell'amicizia; non
fore. Integram se causam eorum Romam rejicere. avean però dato soldati ad Antioco. Ben erano
Inducias ad id dierum nonaginta dare.» Epirotae accusati che gli avessero somministrato danaro;
Romam missi senatum adierunt. Iis magis quae non negavano però di aver mandato ambascia
non fecissent hostilia referentibus, quam pur tori al re. Chiedendo essi di rimanersi in amici
gantibus ea, de quibus arguebantur, responsum zia, come prima, il console rispose loro: «Non
datum est, quo veniam impetrasse, non causam saper egli ancora se gli avesse a tenere nel nu
probasse, videri possent. Et Philippi regis legati mero de' nemici, o non nemici: saranne giudice
sub idem tempus in senatum introducti, gratu il senato: rimandar egli la loro causa intatta a
lantes de victoria. Iis petentibus, ut sibi sacrifi Roma: a tal effetto concedere loro una tregua di
care in Capitolio, domumque ex auro liceret po novanta giorni. - Gli Epiroti mandati a Roma
nere in aede Jovis Optimi Maximi, permissum si presentarono al senato, narrando le cose, che
ab senatu. Centum pondo coronam auream po non aveano fatte ostilmente, piuttosto che scu
suerunt. Non responsum solum benigne legatis sando quelle, di cui erano incolpati: n'ebbero
1o 19 TITI LIVII LIBER XXXVI. I 020

est; sed Philippi quoque filius Demetrius, qui tal risposta, dalla quale potevan credere di aver
obses Romae erat, ad patrem reducendus legatis più presto ottenuto il perdono, che l'approva
datus est. Bellum, quod cum Antiocho rege in zione di lor condotta. Anche i legati del re Fi
Graecia gestum est a M.' Acilio consule, hunc lippo verso quel tempo medesimo introdotti
finem habuit. furono in senato a congratularsi della vittoria.
Avendo essi chiesto che fosse lor lecito di sagri
ficare sul Campidoglio, e riporre un donativo
d'oro nel tempio di Giove Ottimo Massimo, il
senato acconsentì ; vi posero una corona d'oro
del peso di cento libbre. Non solo fu risposto
benignamente ai legati; ma fu lor consegnato
Demetrio, figlio di Filippo, ch'era ostaggio a
Roma, onde fosse ricondotto al padre. Tal ebbe
fine la guerra, che fu fatta in Grecia dal console
Manio Acilio contro il re Antioco.
XXXVI. Alter consul P. Cornelius Scipio, XXXVI. L'altro console Publio Cornelio
Galliam provinciam sortitus, priusquam ad bel Scipione, cui toccata era la Gallia, innanzi che
lum, quod cum Bojis gerendum erat, proficisce andasse alla guerra, che doveasi fare co Boi,
retur, postulavit ab senatu, ut pecunia sibi de chiese al senato che gli si decretasse il danaro
cerneretur ad ludos, quos propraetor in Hispania pe' giuochi, de'quali, essendo propretore nella
inter ipsum discrimen pugnae vovisset. Novum Spagna, avea nel bollor della mischia fatto voto.
atque iniquum postulare est visus. Censuerunt Parve che chiedesse cosa nuova ed ingiusta.
ergo, a quos ludos inconsulto senatu ex sua unius Decretarono adunque, a che quel giuochi, dei
sententia vovisset, eos uti de manubiis, si quam quali, senza consultare il senato, aveva egli di
pecuniam ad id reservasset, vel sua ipse impensa suo solo avviso fatto voto, gli facesse del ritratto
faceret. » Eos ludos per dies decem P. Cornelius delle spoglie, se avea riservata alcuna somma a
fecit. Per idem fere tempus aedes Matris Magnae tale oggetto, ovvero a sue proprie spese. ” Fece
Idaeae dedicata est; quam deam is P. Cornelius, Publio Cornelio quel giuochi per dieci giorni.
advectam ex Asia P. Cornelio Scipione, cui post Verso quel tempo medesimo fu consegrato il
Africano fuit cognomem, P. Licinio consulibus in tempio della gran madre Idea ; la quale questo
Palatium a mari detulerat. Locaverant aedem fa stesso Publio Cornelio, avendola trasportata dal
ciendam ex senatusconsulto M. Livius, C. Clau l'Asia nel consolato di Publio Cornelio Scipione,
dius censores, M. Cornelio, P. Sempronio consu poi cognominato Africano, e di Publio Licinio,
libus: tredecimannis post, quam locata erat, de l'avea dal mare fatta tradurre sul monte Palati
dicavit eam M. Junius Brutus, ludique ob dedi no. Avean dato a fare quel tempio per decreto
cationem eius facti, quos primos scenicos fuisse, del senato i censori Marco Livio e Caio Claudio,
Antias Valerius est auctor, Megalesia appellatos. nel consolato di Marco Cornelio e di Publio
Item Juventutis aedem in circo maximo C. Lici Sempronio: tredici anni dappoi ch'era stato
nius Lucullus duumvir dedicavit. Voverat eam dato a fare, lo consagrò Marco Giunio Bruto:
sexdecim amnis ante M. Livius consul, quo die per quella consagrazione furono fatti i giuochi,
Hasdrubalem exercitumque ejus cecidit: idem che Valerio Anziate scrive essere stati i primi
censor eam faciendam locavit, M. Cornelio, P. giuochi Scenici, detti Megalesi. Così il duumviro
Sempronio consulibus. Hujus quoque dedicandae Caio Licinio Lucullo consagrò il tempio della
causa ludi facti: eteo omnia cum majore religio gioventù nel circo massimo. Ne avea fatto voto
ne facta, quod novum cum Antiocho instabat sedici anni innanzi il console Marco Livio in
bellum. quel giorno, in cui sconfisse Asdrubale ed il suo
esercito; egli stesso, essendo censore, il diede a
fare sotto i consoli Marco Cornelio e Publio Sem
pronio. Anche per questa consegrazione si son
fatti i giuochi, e si celebrò tutto con cura tanto
più religiosa, quanto che sovrastava nuova guer
ra con Antioco.
XXXVII. Principio eius anni, quo haec, jam XXXVII. Nel principio di quell'anno, in cui,
profecto ad bellum M.' Acilio, manente adhuc essendo di già andato Manio Acilio alla guerra,
Romae P. Cornelio consule, agebantur, boves e rimanendo a Roma tuttavia il console Publio
duos domitos in Carinis per scalas pervenisse in Cornelio, si facevan codeste cose, si trova scritto
102 I TITI LIVII LIBER XXXVI. 1022

tegulas aedifici, proditum memorlae est. Eos che nel quartiere delle Carine due buoi domati
vivos comburi, cineremoue eorum dejici in Ti salirono per le scale insino alle tegole della casa.
berim, aruspicesjusserunt. Tarracinae et Amiter Gli aruspici ordinarono che fossero abbruciati
mi nunciatum est aliquoties lapidibus pluisse; vivi, e le lor ceneri gettate nel Tevere. Fu annun
Minturnis aedem Jovi et tabernas circa forum de ziato che a Tarracina e in Amiterno piovette
coelo tactas esse; Vulturni in ostio fluminis duas sassi alquante volte; che a Minturno il tempio di
naves fulmine ictas conflagrasse. Eorum prodi Giove, e le botteghe intorno alla piazza furon
giorum causa libros Sibyllinos ex senatusconsulto colpite da fulmine; che a Vulturno sulla foce del
decemviri quum adissent, renunciarunt, a Jeju fiume due navi pure da fulmine percosse s'eran
nium instituendum Cereri esse, etid quinto quo bruciate. A cagione di così fatti prodigii, avendo
que anno servandum : et ut novemdiale sacrum i decemviri per decreto del senato consultati i
fieret. et unum diem supplicatio esset: coronati libri Sibillini, risposero a che si istituisse un di
supplicarent; et consul P. Cornelius, quibus diis, giuno in onore di Cerere, e si osservasse ogni
quibusque hostiis edidissent decemviri, sacrifica cinque anni, e si facessero sagrifizii per nove gior
ret. » Placatis diis, nunc votis rite solvendis, nunc ni, e preci per un giorno: pregassero con corona
prodigiis expiandis, in provinciam proficiscitur sul capo; e il console Publio Cornelio sagri
consul, atque inde Cn. Domitium proconsulem, ficasse a quegli dei, e con quelle vittime, che i
dimisso exercitu, Romam decedere jussit: ipse decemviri avessero detto. » Placati gli dei, ora
in agrum Bojorum legiones induxit. sciogliendo piamente i voti, ora espiando i prodi
gii, il console parte per la sua provincia, ed or
dinò al proconsole Gneo Domizio, che licenziato
l'esercito, andasse a Roma: egli tradusse le legioni
nel contado de Boi.
XXXVIII. Sub idem fere tempus Ligures, XXXVIII. Verso quel tempo medesimo i Li
lege sacrata coacto exercitu, nocte improviso ca guri, raccolto un esercito in vigor della legge
stra Q. Minucii proconsulis aggressi sunt. Minu sacrata, assaltaron di notte all'improvviso l'ac
cius usque ad lucem intra vallum militem instru campamento del proconsole Quinto Minucio.
ctum tenuit; intentus, ne qua transcenderet ho Tenne Minucio il soldato in sull'arme dentro lo
stis munimenta. Prima luce duabus simul portis steccato, attento che il nemico da nessuna banda
eruptionem fecit: nec primo impetu, quod spe varcasse le munizioni; e appena fu dì chiaro,
raverat, Ligures pulsi sunt: duas amplius horas balzò fuori ad un tempo da due porte. Nè furono
dubium certamen sustinuere. Postremo, quum i Liguri, com'egli avea sperato, al primo impeto
alia atque alia agmina erumperent, et integri fes respinti; sostennero dubbia per più di due ore
sis succederent ad pugnam, tandem Ligures, in la zuffa. Poscia, uscendo sempre altre ed altre
tercetera etiam vigiliis confecti, terga dederunt. squadre, e i freschi succedendo nel combattere
Caesa supra quatuor millia hostium; ex Romanis agli stanchi, i Liguri infine, rifiniti tra le altre
sociisque minus trecenti perierunt. Duobus fere cose anche dalle veglie, voltarono le spalle. Si
post mensibus P. Cornelius consul cum Bojorum tagliarono a pezzi più di quattro mila nemici;
exercitu signis collatis egregie pugnavit. Duode de' Romani e degli alleati ne perirono meno di
triginta millia hostium caesa, Antias Valerius scri trecento. Quasi due mesi di poi il console Publio
bit, capta tria millia et quadringentos; signa Cornelio, venuto a giornata coll'esercito de'Boi,
militaria centum viginti quatuor, equos mille ne riportò bella vittoria. Scrive Valerio Anziate
ducentos triginta, carpenta ducenta quadraginta che restaron morti da venti otto mila nemici,
septem: ex victoribus mille quadringentos octo presi tre mila e quattrocento,cento e ventiquattro
ginta quatuor cecidisse. Ubi utin numero scripto bandiere, mille dugento e trenta cavalli, dugento
riparum fidei sit (quia in augendo eo non alius e quarantasette carriaggi; e de vincitori esserne
intemperantior est), magnam victoriam fuisse ap rimasti sul campo mille quattrocento ottanta
paret, quod et castra capta sunt, et Boji post eam quattro. Dal che, quand'anche si presti poca fede
pugnam extemplo dediderunt sese, et quod sup allo scrittore quanto al numero (chè nell'accre
plicatio eius victoriae causa decreta ab senatu, scerlo nessuno suol essere più di lui intemperan
victimaeque majores caesae. te), certo si scorge ch'ella fu grande vittoria, e
perchè il campo fu preso, e perchè dopo quella
battaglia i Boi subito si arrendettero, e perchè
a cagione di quella vittoria si decretarono dal
senato pubbliche preci, e s'immolaron le vittime
maggiori.
--
1o23 TITI LIVII LIBER XXXVI. 1 o24
XXXIX. Per eosdem dies M. Fulvius Nobi XXXIX. A que'dì medesimi Marco Fulvio
lior ex ulteriore Hispania ovans urbem est in Nobiliore, tornato dalla Spagna ulteriore, entrò
gressus. Argenti transtulit duodecim millia pon ovante in città. Portò seco dodici mila libbre di
do; bigati argenti centum triginta, auri centum argento, cento e trenta di argento bigato, e cento
viginti septem pondo. P. Cornelius consul primo, venti sette di oro. Il console Publio Cornelio pri
obsidibus a Bojorum gente acceptis, agri parte mieramente, ricevuti ostaggi dalla nazione de'Boi,
fere dimidia eos mulctavit; quo, si vellet, populus tolse loro quasi la metà del contado, dove potesse
Romanus colonias mittere posset. Inde Romam, il popolo Romano, volendo, mandar colonie. Indi
ut ad triumphum haud dubium, decedens, exer mettendosi alla volta di Roma, come a non dub
citum dimisit, et adesse Romae ad diem triumphi bio trionfo, licenziò l'esercito, e gli ordinò che si
jussit. Ipse, postero die, quam venit, senatu in recasse a Roma pel giorno del trionfo. Egli il dì
aedem Bellonae vocato, qunn de rebus ab se ge dopo la sua venuta, chiamato il senato nel tempio
stis disseruisset, postulavit, ut sibi triumphanti di Bellona, poi ch'ebbe raccontate le imprese sue,
liceret in urbem invehi. P. Sempronius Blaesus domandò « che gli fosse permesso di entrare in
tribunus plebis, a non negandum Scipioni, sed Roma trionfante. " Publio Sempronio Bleso, tri
differendum honorem triumphi, censebat. Bella buno della plebe, era di avviso, a non che si doves
ligurum Gallicis semper juncta fuisse: eas inter se negare il trionfo a Scipione, ma sì differire. Le
se gentes mutua ex propinquo ferre auxilia. Si P. guerre de'Liguri andar sempre legate con quelle
Scipio, devictis acie Bojis, aut ipse cum victore de'Galli; che quelle due nazioni per la vicinanza
exercitu in agrum Ligurum transisset, aut par si porgono sempre mutui soccorsi. Se Publio Sci
tem copiarum Q. Minucio misisset, qui jam ter pione, vinti in battaglia i Boi, o passato fosse col
tium ibi annum dubio detineretur bello, debel l' esercito vincitore nel contado de Liguri, o
lari cum Liguribus potuisse. Nunc ad triumphum mandato avesse parte delle sue genti a Quinto
frequentandum deductos esse milites, qui egre Minucio, ch'era quivi da tre anni trattenuto in
giam navare operam reipublicae potuissent: pos lotta d' esito incerto, si sarebbe potuto metter fine
sent etiam, si senatus, quod festinatione trium alla guerra de'Liguri. Ma invece si son tratti a far
phi praetermissum esset, id restituere differendo più solenne il trionfo que soldati, che avrebbono
triumpho vellet. Juberent consulem cum legio potuto prestare opera egregia alla repubblica: e il
mibus redire in provinciam ; dare operam, ut Li potrebbero ancora, se il senato col differire il
gures subigantur. Nisiilli cogantur in ius judi trionfo, rimetter volesse quello che per troppa
ciumque populi Romani, ne Bojos quidem quie fretta di trionfare s'era tralasciato. Ordinassero
turos: aut pacem, aut bellum utrobique haben quindi che il console tornasse colle legioni nella
da. Devictis Liguribus, paucos post menses provincia, e si adoperasse a soggiogare i Liguri.
proconsulem P. Cornelium multorum exemplo, Se non son questi sforzati di obbedire al popolo
qui in magistratu non triumphaverunt, trium Romano, nè anche i Boi rimarransi quieti: biso
phaturum esse. » gna avere cogli uni e cogli altri o guerra, o pace.
Domati i Liguri, potrà Publio Cornelio pochi
mesi di poi trionfare in qualità di proconsole,
secondo l'esempio di molti, che non trionfarono
essendo in magistrato. ”
XL. Ad ea consul, a Neque se Ligures provin XL. Al che il console, « Nè essergli, disse, toc
ciam sortitum esse, ait, neque cum Liguribus bel cati in sorte i Liguri, nè aver guerreggiato co' Li
lum gessisse, neque triumphum de iis postulare. guri, nè chiedere di trionfare de'Liguri. Confi
Q. Minucium confidere brevi, subactis iis, meri dava che tra poco Quinto Minucio, come gli
avrà debellati, chiederà ed otterrà meritamente di
tum triumphum postulaturum atque impetratu
rum esse. Se de Gallis Bojispostulare triumphum, trionfarne Chieder egli di trionfare de' Boi, che
quos acie vicerit, castris exuerit; quorum gentem vinti aveva in battaglia campale, a cui tolse gli
biduo post pugnam totam acceperit in deditio alloggiamenti; la cui nazione due dì dopo la
nem ; a quibus obsides abduxerit, pacis futurae battaglia ebbe tutta a discrezione; de'quali trasse
pignus. Verum enimvero illud multo majus esse, seco ostaggi, pegno della pace futura. Esser però
quod tantum numerum Gallorum occiderit in cosa molto maggiore l'aver egli lasciato morti
acie, quod cum tot millibus certe Bojorum nemo sul campo tanto numero di Galli con quante mai
ante se imperator pugnaverit: plus partem dimi migliaia di Boi non combattè innanzi lui altro

diam ex quinquaginta millibus hominum caesam, comandante Romano: di cinquanta mila uomini
multa millia capta: senes puerosque Bojis super più della metà nè fu tagliata a pezzi; molte mi
esse. Itaque id quemquam mirari posse, cur vi gliaia prese: non esser loro avanzati che vecchi e
1 o 25 TITI LIVII LIBER XXXVI. 1 o 26

ctor exercitus, quum hostem in provincia nemi fanciulli. Vi sarà dunque chi faccia le maraviglie,
nem reliquisset, Romam venerit ad celebrandum perchè un esercito vittorioso, non avendo lasciato
consulis triumphum ? Quorum militum si et in nessun nemico nella provincia, sia venuto in Ro
alia provincia opera uti senatus velit, utro tan ma a festeggiare il trionfo del console? E se piac
dem modo promptiores ad aliud periculum no cia al senato valersi dell'opera di questi soldati
vumque laborem ituros credat, si persoluta iis medesimi in altra impresa, in qual modo crederà
sine detrectatione prioris periculi laborisque mer che sieno più pronti ad incontrar nuovi pericoli
ces siglan si spem pro referentes dimittant, jam e nuove " paghi loro senza soperchieria
semel in prima spe deceptos? Nam, quod ad se la marcede deiericoli e delle fatiche già soste
attineat, sibi gloriae in omnem vitamillo diesa nuteo se li rimandi, invece che fatti, riportando
tis quaesitum esse, quo se virum optimum judi solo speranza, e già della speranza prima delusi?
catum ad accipiendam matrem Idaeam misisset Perciocchè, per quanto spetta a lui, si ha egli
senatus. Hoc titulo, et si nec consulatus nec trium acquistata gloria bastante per tutta la vita sua in
phus adjicitur, satis honestam honoratamque P. quel giorno, in cui, avendolo il senato giudicato
Scipionis Nasicae imaginem fore. » Universus se migliore de' cittadini, l'avea mandato a ricevere
natus non ipse modo ad decernendum triumphum la madre Idea. Da questo solo titolo, anche se
consensit, sed etiam tribunum plebis auctoritate non si aggiunga nè il consolato, nè il trionfo,
sua compulit ad remittendam intercessionem. P. sarà l'immagine di Publio Scipione Nasica baste
Cornelius consul triumphavit de Bojis. In eo volmente onorata ed illustrata. Tutto il senato si
triumpho Gallicis carpentis arma signaque et spo accordò non solamente a decretargli il trionfo,
lia omnis generis transvexit, et vasa aenea Galli ma coll'autorità sua indusse eziandio il tribuno
ca; et cum captivis nobilibus equorum quoque della plebe a rimovere l'opposizione. Trionfò il
captorum gregem traduxit. Aureos torques trans console Publio Cornelio de Boi. Portò in quel
tulit mille quadringentos septuaginta unum : ad trionfo sopra carri Gallici armi e bandiere e
hoc auri pondo ducenta quadra ginta septem, ar spoglie d'ogni genere, e vasi Gallici di bronzo;
genti infecti factique in Gallicis vasis, non infa e con parecchi nobili fatti prigioni menò anche
bre suo more factis, duo millia trecenta quadra buon numero di cavalli presi, non che collane
ginta pondo, bigatorum nummorum ducenta tri d' oro mille quattrocento settant'una: inoltre
ginta quatuor. Militibus, qui currum secuti sunt, dugento quaranta sette libbre d'oro, due mila
trecenos vicenos quinos asses divisit; duplex cen trecento e quaranta libbre di argento sodo e lavo
turioni, triplex equiti. Postero die, concione ad rato in vasi Gallici, non fatti indottamente alla
vocata, de rebus ab se gestis, et de injuria tribuni lor foggia, e dugento trenta quattro mila nummi
Ibello alieno se illigantis, ut suae victoriae fructu bigati. A'soldati, che seguirono il carro, divise
se defraudaret, quum disseruisset, milites e Aau per testa trecento venticinque assi; il doppio al
ctoratos dimisit.
centurione, il triplo al cavaliere. Il dì seguente,
chiamato il popolo a parlamento, poi ch'ebbe
favellato delle cose da lui fatte, e della soperchie
ria del tribuno, che s'intrigava in cose di guerra,
che non gli spettano, per rapirgli il frutto della
sua vittoria, sciolti i soldati dal giuramento, li
licenziò. -

XLl. Dum haec in Italia geruntur, Antiochus XLI. Mentre si fanno in Italia codeste cose,
Ephesi securus admodum de bello Romano erat, Antioco si stava in Efeso, securo affatto della
tamquam non transituris in Asiam Romanis. guerra de' Romani, come se questi non fossero
Quam securitatem ei magna pars amicorum aut per passare in Asia; sicurezza, che gl'ispirava la
per errorem, aut assentando facielbat. Hannibal maggior parte de' suoi consiglieri o per errore,
unus, cujuseo tempore vel maxima apud regem o per adulazione. Il solo Annibale, la cui autorità
auctoritas erat, « Magis mirari se, ajebat, quod grandissima era a quel tempo presso il re, . Si
non jam in Asia essent Romani, quam venturos maravigliava, dicea, piuttosto, che i Romani di
dubitare. Propius esse, in Asiam ex Graecia, già non fossero in Asia, di quello che dubitasse
quam ex Italia in Graeciam trajicere; et multo non vi avessero a venire. Era viaggio più breve
majorem causam Antiochum, quam Aetolos, esse. passare dalla Grecia in Asia, che dall'Italia in
Neque enim mari minus, quam terra, pollere Ro Grecia; ed esserne cagione più forte Antioco, che
mana arma. Jampridem classem circa Maleam gli Etoli. Perciocchè l'armi Romane non sono
esse. Audire sese, nuper novas naves novumque meno possenti in mare, che in terra: starsi da
imperatorem rei gerendae causa ex Italia venisse. gran tempo una lor flotta ne contorni di Malea.
Livio 2 65
1 o 27 TITI LIVII ilBER XXXVI. Io28

Itaque desineret Antiochus pacem sibi ipse spe Udiva essere testè venute dall'Italia nuove navi
vana facere. In Asia, et de ipsa Asia, brevi terra e nuovo comandante a guerreggiare; lasciasse
marique dimicandum ei cum Romanis esse; et dunque Antioco di fabbricarsi con vana speranza
aut imperium adimendum orbem terrarum affe la pace. In Asia e per l'Asia stessa gli bisognerà tra
ctantibus, aut ipsi regnum amittendum. » Unus breve combattere co Romani e per terra e per
vera et providere, et fideliter praedicare visus. mare, e o togliere l'impero ad essi, che aspirano
Itaque ipse rex navibus, quae paratae instructae alla dominazione del mondo tutto, o perder egli il
queerant, Chersonesum petit, ut ea loca, si forte proprio regno. Parve ch'egli solo prevedesse e
terra venirent Romani, praesidiis firmaret. Cete fedelmente presagisse il vero. Quindi il re sulle
ram classem Polyxenidam parare et deducere navi, ch'erano già in pronto ed armate, si reca a
jussit; speculatorias naves ad omnia exploranda Chersoneso, per guernire di presidio que luoghi,
circa insulas dimisit. se a caso i Romani venissero per terra. Ordinò a
Polissenida che allestisse e mettesse fuori il resto
della flotta, e mandò altri legni d'intorno alle
isole ad esplorare ogni cosa.
XLII. C. Livius praefectus Romanae classis, XLII. Caio Livio, prefetto della ſlotta Roma
cum quinquaginta navibus tectis profectus, ab na, partitosi con cinquanta navi coperte, da Roma
Roma Neapolim, quo ab sociis ejus orae convenire si reca a Napoli, dove aveva ordinato, che si rac
jusserat apertas naves, quae ex foedere debeban cogliessero dagli alleati di quelle spiagge tutte le
tur, Siciliam indepetit; fretoque Messanam prae navi senza coperta,ch'eran tenuti dare pe'trattati:
tervectus, quum sex Punicas naves ad auxilium di là passa in Sicilia, e varcato lo stretto oltre
missas accepisset, ab Rheginis Locrisque et ejus Messina, avendo ricevuto sei navi Cartaginesi
dem juris sociis debitas exegisset naves, lustrata mandategli in aiuto, e ritratto dai Regini, dai
classe ad Lacinium, altum petit. Corcyram, quam Locresi e dagli altri obbligati alle stesse condi
primam Graeciae civitatium adiit, quum venisset, zioni le navi, ch'erangli dovute, fatta a Lacinio
percunctatus de statu belli (necdum enim omnia la rassegna dell'armata, si mise in alto mare.
in Graecia perpacata erant), et ubi classis Romana Venuto a Corcira, prima città della Grecia, dove
esset, postduam audivit, circa Thermopylarum approdò, domandato in che stato fosse la guerra
saltum in statione consulem ac regem esse, classem (chè in Grecia non era ancora quieta ogni cosa),
Piraeci stare, maturandum ratus omnium rerum e dove fosse la flotta Romana, com'ebbe udito
causa, pergit protinus navigare Peloponnesum. starsi il console ed il re appostati allo stretto del
Samen Zacynthumque, quia partis Aetolorum le Termopile, la flotta al Pireo, stimando che si
maluerant esse, protinus depopulatus, Maleam dovesse per ogni ragione sollecitare, si mette
petit, et, prospera navigatione usus, paucis diebus subito a veleggiare alla volta del Peloponneso.
Piraeeum ad veterem classem pervenit. Ad Scyl Saccheggiate immantinente Samo e Zacinto, per
laeum Eumenes rex cum tribus navibus occurrit; chè avean preferito di seguire le parti degli
quum Aeginae diu incertus consilii fuisset, utrum Etoli, vassene a Malea, e con prospera navigazione
ad tuendum rediret regnum (audiebat enim An giunse in pochi giorni al Pireo alla vecchia flotta.
tiochum Ephesi navales terrestresque parare co Presso a Scilleo gli si fe incontro il re Eumene
pias) an musquam abscederet ab Romanis, ex con tre navi, essendo rimasto in Egina lungo
quorum fortuna sua penderet. A Piraeeo A. Ati tempo incerto se dovesse tornare a difendere il
lius, traditis successori quinque et viginti navibus suo regno (perciocchè udiva farsi da Antioco
tectis, Romam est profectus. Livius una et octo grandi apparecchi in Efeso da terra e da mare),
ginta rostratis navibus, multis praeterea minori o piuttosto non mai scostarsi dai Romani, dalla
bus, quae aut apertae rostratae, aut sine rostris cui fortuna la sua pendeva. Dal Pireo Aulo Atilio,
speculatoriae erant, Delum trajecit. consegnate al successore venticinque navi co
perte, andossene a Roma. Livio con ottant'una
navi rostrate, inoltre con parecchie minori, che
erano o aperte e rostrate, o senza rostri fatte
per esplorare, passò a Delo.
XLIII. Eo ſere tempore consul Acilius Nau XLIII. Quasi nel tempo medesimo il console
pactum oppugnabat. Livium Deli per aliquot Acilio combatteva Naupatto. I venti contrarii
dies (et est ventosissima regio inter Cycladas, tennero Livio per alquanti giorni a Delo (è ven
fretis alias majoribus, alias minoribus divisas) tosissima quella piaggia posta tra le Cicladi, di
adversi venti tenuerunt. Polyxenidas, cerlior per vise altre da maggiori, altre da seni minori).
dispositas speculatorias navcs factus, Deli stare Polissenida, accertato da legni qua e colà disposti
1 o 29 TITI LIVII LI BER XXXVI. 1 o 3o

Romanam classem, nuncios ad regem misit; qui, ad esplorare, che la flotta Romana era ancorata
omissis, quae in liellesponto agebat, cum rostra a Delo, mandò ad avvisarne il re; il quale, la
tis navibus, quantum accelerare potuit, Ephesum sciata ogni altra cosa, che faceva sull'Ellesponto,
rediit, et consilium extemplo habuit, faciendumne quanto più potè celeramente, tornossi ad Efeso
periculum navalis certaminis foret. Polyxenidas colle navi rostrate, e tenne subito consiglio se
negabat cessandum, « et utique prius confligen arrischiar dovesse una battaglia navale. Polisse
dum, quam classis Eumenis et Rhodiae naves nida sosteneva che non si dovesse indugiare;
conjungerentur Romanis. Ita numero non ferme « ma si avesse a combattere innanzi che la flotta
impares futuros se, ceteris omnibus superiores, di Eumene e le navi Rodiane si unissero ai Ro
et celeritate navium, et varietate auxiliorum. Nam mani. Così sarebbon essi non diseguali di numero,
Romanas naves, quum ipsas inscite factas immo e superiori a tutti e per la celerità delle navi,
biles esse, tum etiam, ut quae in terram hostium e per la varietà degli aiuti. Perciocchè le navi
veniant, oneratas commeatu venire: suas autem, Romane, fabbricate inscientemente, eran tarde
ut pacata omnia circa se relinquentes, nihil prae al moto; inoltre, venendo in terra nemica, veni
ter militem atque arma habituras. Multum etiam van cariche di vettovaglie: le sue all'opposto,
adjuturam notitiam maris terrarumque et ven lasciandosi d'intorno ogni cosa quieta, sarebbero
torum ; quae omnia ignaros turbatura hostes es state cariche soltanto d'armi e di soldati. Avrebbe
sent. » Movit omnes auctor consilii, qui et re porto grande aiuto anche la pratica di quel mare
consilium exsecuturus erat. Biduum in apparatu e delle terre e dei venti; cose tutte, le quali
morati: tertio die centum navibus, quarum se scompigliato avrebbono il nemico, che le igno
ptuaginta tectae, ceterae apertae, minoris omnes rava.» L'autore di tal consiglio, che il dove a pur
formae, erant, profecti Phocaeam petierunt. Inde, anche eseguire, mosse ciascuno. Stettero due
quum audisset, appropinquare jam Romanam giorni nel mettersi ad ordine: partitisi il terzo,
classem, rex, quia non interfuturus navali certa giorno con cento navi, settanta delle quali co
minierat, Magnesiam, quae ad Sipylum est, con perte, le altre senza coperta, tutte di forma mi
cessit ad terrestres copias comparandas. Classis nore, portaronsi a Focea. Di là il re, udito aven
ad Cyssuntem portum Erythraeorum, tamquam do che già la flotta Romana si avvicinava, poi
ibi aptius exspectatura hostem, contendit. Roma chè non doveva intervenire alla battaglia navale,
mi, ubi primum aquilones (iinamdue per aliquot andò a Magnesia, ch'è presso a Sipilo, a raccoglier
dies tenuerant) cecidere, ab Delo Phamas, portum gente da terra. La flotta si volse a Cissunte, porto
Chiorum in Aegaeum mare versum, petunt: inde degli Eritrei, come ad aspettar quivi più van
ad urbem circumegere naves, commeatuque sum taggiosamente il nemico. I Romani, come tosto
pto, Phocaeam trajiciunt. Eumenes Elaeam ad gli aquiloni si allentarono (chè n'erano stati al
suam classem profectus, paucis post inde diebus, quanti di trattenuti), da Delo vanno a Fane,
cum quatuor et viginti navibus tectis, apertis plu porto de'Chii volto verso il mare Egeo: indi
ribus, paullo a Phocaea ad Romanos, parantes in girarono colle navi intorno alla città, e fornitisi
struentesque se ad navale certamen, rediit. Inde di vettovaglie, traghettano a Focea. Eumene
centum quinquagintatectis navibus, apertis ferme andato ad Elea alla sua flotta, da lì a pochi
quinquaginta, proſecti, primo aquilonibus trans giorni con ventiquattro navi coperte, con al
versis quum urgerentur in terram, cogebantur quante più senza coperta, tornò in poca distanza
tenui agmine prope in ordinem singulae naves da Focea ai Romani, che si allestivano ed ap
ire; deinde, ut lenita paullum vis venti est, ad prontavano alla battaglia navale. Di là partitisi
Corycum portum, qui super Cyssuntem est, co con cento cinquanta navi coperte, con quasi cin
mati sunt trajicere. quanta senza coperta, dapprima, essendo sospinti
verso terra dagli aquiloni, che soffiavano di
traverso, eran costretti di andare sottilmente
schierati, quasi in fila una nave dopo l'altra;
indi, come fu rimessa alcun poco la forza del
vento, passarono al porto di Corico, ch'è sopra
Cissunte.
XLIV. Polyxenidas, ut appropinquare hostes XLIV. Polissenida, come gli fu riferito che
allatum est, occasione pugnandi laetus, sinistrum il nemico si avvicinava, lieto dell'occasione di
ipse cornu in altum extendit, destrum cornu combattere, distende egli stesso l'ala sinistra in
praefectos navium ad terram explicare jubet, et alto mare, e commette ai prefetti delle navi, che
aequa fronte ad pugnam procedebat. Quod ubi spieghino la destra verso terra; e già veniva di
vidit Romanus, vela contrahit, malosque inclinat, tutta fronte a dar battaglia. Il che vedutosi dal
1o3 I TITI LIVII LIBER XXXVI. Io32

et, simul armamenta componens, opperitur inse Romano, raccoglie le vele, e abbassa gli alberi,
quentes naves. Jam ferme triginta in fronte erant, e mettendo in assetto tutti gli armamenti, atten
quibus ut aequaret laevum cornu, dolonibus ere de le navi, che seguivano. Erano già quasi trenta
ctis altum petere intendit; jussis, qui sequeban in sulla fronte; per pareggiare con le quali l'ala
tur, adversus dextrum cornu prope terram pro destra del nemico, alzate le vele del trinchetto,
ras dirigere. Eumenes agmen cogebat: ceterum, si drizza in alto mare, con ordine a quelle che
ut demendisarmamentis tumultuari primum coe seguivano, di volger le prore presso terra incon
ptum est, et ipse, quanta maxima celeritate po tro all'ala destra. Eumene chiudeva l'ordinanza.
test, concitat naves. Jam omnibus in conspectu Del resto, come tosto si principiò, levando gli
erant: duae Punicae naves antecedebant Roma armamenti, a mettersi in movimento, anch'egli
nam classem, quibus obviae tres fuerunt regiae con quanta potè maggiore celerità spinge innanzi
naves: et, utin numero impari, duae regiae unam le navi. Ed erano di già a vista le une delle altre.
circumsistunt; et primum ab utroque latere re Due navi Cartaginesi precedevano la flotta Ro
mos detergunt; deinde transcendunt armati, et, mana, di rincontro alle quali si trovavan essere
dejectis caesisque propugnatoribus, navem ca tre navi regie, ed essendo dispari di numero, due
piunt. Una, quae compari marte concurrerat, delle regie mettonsi attorno ad una Cartaginese,
postduam caplam alteram navem vidit, priusquam e primieramente dall'uno e dall'altro fianco via
a tribus simul circumveniretur, retro ad classem le spazzano i remi; poi ci saltan sopra armati, e
refugit. Livius, indignatione accensus, praetoria rovesciati ed uccisine i difensori, la prendono.
nave in hostes tendit. Adversus quam eadem spe L'altra, che s'era scontrata da pari a pari, vista
duae, quae Punicam unam navem circumvene quella esser presa, avanti d'essere avviluppata da
rant, quum inferrentur, demittere in aquam re tre navi ad un tempo, fuggissi indietro alla flotta.
mos ab utroque latere remiges stabiliendae navis Livio, acceso d'ira, si spinge contro i nemici colla
causa jussit, et in advenientes hostium naves fer nave capitana; contro la quale scagliandosi colla
reas manus injicere, et, ubi pugnam pedestri si stessa speranza le due, che aveano avviluppata la
milem fecisset, meminisse Romanae virtutis, mec Cartaginese, Livio ordinò che i rematori calas
pro viris ducere regia mancipia. Haud paullo fa sero i remi in acqua d'ambe le parti per tener
cilius, quam ante duae unam, tunc una duas na ferma la nave, e che gettassero i graffi di ferro
ves expugnavit, cepitoſue. Et jam classes quoque sulle navi nemiche, che veniamo loro addosso, e
undi que concurrerant, et passim permixtis navi come il combattere si fosse ridotto quasi a guisa di
lus pugnabatur. Eumenes, qui extremus com battaglia terrestre, si ricordassero del Romano
misso certamine advenerat, ut animadvertit lae valore, nè stimassero valenti uomini que vili
vum cornu hostium ab Livio turbatum, dextrum schiavi di re. Quasi colla stessa facilità, colla
ipse, ubi aequa pugna erat, invadit. quale innanzi due navi ne avean presa una, ora
una ne vinse e prese due. E già da ogni parte
tutti i legni s'erano affrontati, e mescolatisi insie
me, qua e colà si combatteva. Eumene, ch'era
venuto ultimo a battaglia già principiata, come
vide l'ala sinistra de'nemici scompigliata da Li
vio, assale egli la destra, dove la zuffa durava
eguale.
XLV. Nec ita multo post primum ab laevo XLV. E da lì a non molto cominciò la fuga
cornu fuga coepit. Polyxenidas enim, ut virtute dell'ala sinistra. Perciocchè Polissenida, poi che
militum haud dubie superari se vidit, sublatis si vide superato dal valore del soldati lì omani,
dolonibus effuse fugere intendit: mox idem et alzate le vele de' trinchetti, si pose a fuggire
qui prope terram cum Eumene contraxerant cer dirottamente, e tosto fecero lo stesso anche quel
tamen, fecerunt. Romani et Eumenes, quoad suf li, che aveano appiccata la zuffa con Eumene
ficere remiges potuerunt, et in spe erant extremi presso terra. I Romani ed Eumene, quanto po
agminis vexandi, satis pertinaciter secuti sunt. terono far di forza i remiganti, e finchè v'ebbe
Postguam celeritate navium, utpotelevium, suas speranza di poter travagliare la retroguardia,
commeatu onustas eludi frustra tendentes vide inseguirono ostinatamente i fuggitivi. Ma poi
runt, tandem abstiterunt; tredecim captis navi che videro che la celerità de'legni nemici, come
bus cum milite ac remige, decem demersis. Ro più leggeri, vani rendeva gli sforzi delle navi,
manae classis una Punica navis, in primo certa cariche, com'erano, di vettovaglie, si fermarono,
mine ab duabus circumventa, periit. Polyxenidas avendo presi tredici legni co' loro soldati e re
non prius, quam in portu Ephesi, fugae finem miganti, e dieci affondatine. Della flotta Romana
1 o 33 TITI LIVII LIBER XXXVI. 1034
fecit. Romani eo die, unde egressa regia classis una sola nave Cartaginese, circondata da due
erat, manserunt: postero die hostem persequi navi nel principio della zuffa, perì. Polissenida
intenderunt. Medio fere in cursu obviae fuere non pose fine alla fuga, che come fu nel porto
iis quinque et viginti tectae Rhodiae naves, cum di Efeso. I Romani in quel giorno rimasero nel
Pausistrato praefecto classis.lis adjunctis, Ephe luogo stesso, dond'era già uscita la regia flotta:
sum hostem persecuti, ante ostium portus acie il dì seguente si misero ad inseguire il nemico.
instructa steterunt. Postguam confessionem victis Quasi a mezzo il corso si fecero loro incontro
satis expresserunt, Rhodii et Eumenes domos venticinque navi Rodiane coperte con Pausistra
dimissi: Romani, Chium petentes, Phoenicuntem to, capitano della flotta. Con questa giunta
primum portum Erythraeae terrae praetervecti, avendo inseguito il nemico sino ad Efeso, si
nocte anchoris jactis, postero die in insulam ad fermarono in ordinanza davanti alla bocca del
ipsam urbem trajecerunt: ubi paucos dies remige porto. Poi ch'ebbe costretto bastantemente il
maxime reficiendo morati, Phocaeam transmit nemico a confessarsi vinto, i Rodiani ed Eumene
tunt. lli relictis ad praesidium urbis quatuor rimandati furono a casa: i Romani, avviatisi a
quinqueremibus, ad Canas classis venit; et, quum Chio, oltrepassato prima Fenicunte, porto degli
jam hiems appeteret, fossa valloque circumdatis Eritrei, la notte gittate l'ancore a fondo, il dì
naves subductae. Exitu anni comitia Romae ha seguente passarono nell'isola alla città stessa, dove
bita, quibus creati sunt consules L. Cornelius essendosi fermati pochi dì, specialmente a risto
Scipio et C. Laelius, intuentibus cunctis ad fi rare le ciurme, poi tragittano a Focea. Quivi,
niendum cum Antiocho bellum. Postero die prae lasciate quattro quinqueremi a presidio della
tores creati, M. Tuccius, L. Aurunculejus, Cn. città, la flotta venne a Cane; e di già approssiman
Fulvius, L. Aemilius, P. Junius, C. Atinius dosi il verno, le navi furono tirate in secco, cir
Labeo. -

condatele di fossa e steccato. Sul finire dell'anno


si tennero a Roma i comizii, ne'quali creati furo
no consoli Lucio Cornelio Scipione e Caio Lelio,
tutti gli animi essendo volti a terminar la guerra
con Antioco. Il dì seguente furon creati pretori
Marco Tuccio, Lucio Aurunculeio, Gneo Ful
vio, Lucio Emilio, Publio Giunio e Caio Atinio
Labeone.
TITI LIVII PATAVINI

H I s T O R I A R U M
AB URBE CONDITA LIBRI

«ttº (96333

EPITOMIE

LIBRI TRIGESIMI SEPTIMI

L. Cornelius Scipio consul, legato P. Scipione Afri Il console Lucio Cornelio Scipione, avendo a legato
cano, qui legatum fratris futurum diserat, si ei Publio Scipione Africano (il quale avea dichiarato,
Graecia et Asia provincia decerneretur, guum C. Lae che andrebbe legato del fratello, se a questo assegna
lio, qui multum in senatu poterat, ea provincia dari ta fosse la Grecia, la quale pareva, che darsi volesse
videretur; proſectus ad bellum adversus Antiochum a Caio Lelio, che molto poteva in senato), partitosi
gerendum, in Asiam primus omnium Romanorum per far la guerra con Antioco, primo di tutti i co
ducum trajecit. Aemilius Regillus adversus regiam mandanti Romani passò in Asia. Emilio Regillo
clarssem Antiochi feliciter pugnavit ad Myonnesum, coll'aiuto de'Rodiani combattè prosperamente contro
Rhodiis adiuvantibus. Filius Africani, ab Antiocho la flotta di Antioco presso Mionneso. Il figlio del
captus, patri remissus est. M.' Acilius Glabrio de l'Africano, preso da Antioco, è restituito al padre.
Antiocho, quem Graecia expulerat, et de Aetolis Manio Acilio Glabrione trionfo di Antioco, che avea
triumphavit. Victo deinde Antiocho a L. Cornelio scacciato dalla Grecia, non che degli Etoli. Vinto
Scipione, adiuvanta Eumene rege Pergami, Attali poscia Antioco da Lucio Cornelio Scipione col soc.
filio, pax data est ea conditione, ut omnibus provinciis corso di Eumene, re di Pergamo, figlio di Attalo,
citra Taurum montem cederet. Eumeni, quo juvante gli fu data la pace colla condizione, che si ritirasse
Antiochus victus erat, regnum ampliatum. Rhodis da tutte le province, che son di qua del monte Tauro.
quoque, qui et ipsi juverant, quaedam civitates con Si accrebbe il regno ad Eumene, col cui aiuto era
cessae. Colonia deducta est Bononia. Aemilius Regil stato vinto Antioco. Anche a Rodiani si concedettero
lus, qui prefectos Antiochi navali certamine vicerat, alcune città, perchè essi pure avean somministrato
navalem triumphum duxit. L. Cornelius Scipio, qui cum aiuti. Si condusse una colonia a Bologna. Emilio
Antiocho debellaverat, cognomine fratri ex aequatus, Regillo, che avea vinti in battaglia navale i prefetti
Asiaticus appellatus est. di Antioco, menò un trionfo navale. Lucio Cornelio
Scipione, che avea messo fine alla guerra con An
tioco, pareggiato nel cognome al fratello, fu chiamato
l'Asiatico.
TITI LIVII

L I B E R T R I G E S I M U S S E P T I MI U S

attº 333 - –

I. (Anno U. C. 562. – A. C. 19o.) L. Cor I. (Anni D. R. 562. – A. C. 19o.) Essendo


nelio Scipione, C. Laelio consulibus, nulla prius consoli Lucio Cornelio Scipione e Caio Lelio,
secundum religiones acta in senatures est, quam niun'altra cosa, dopo gli uffizii di religione, si
de Aetolis. Et legati eorum institere, quia bre trattò in senato prima dell'affare degli Etoli. E
vem induciarum diem habebant; et ab T. Quin i loro legati instarono molto, perchè il termine
tio, qui tum Romam ex Graecia redierat, adjuti della tregua era breve, e Tito Quinzio, tornato
sunt Aetoli, ut quibus plus in misericordia sena allora dalla Grecia a Roma, gli aiutò. Gli Etoli,
tus, quam in causa, spei esset, suppliciter egerunt, come quelli che più confidavano nella miseri
veteribus benefactis nova pensantes maleficia. cordia del senato, che nella loro causa, usaron
Ceterum et praesentes interrogationibus undigue modi supplichevoli, mettendo a scarico de'recen
senatorum, confessionem magis noxae, quam re ti loro demeriti le antiche benemerenze. Del
sponsa exprimentium, fatigati sunt, et, excedere resto e presenti furono travagliati molto da ogni
curia jussi, magnum certamen praebuere. Plus parte dalle interrogazioni del senatori, che strap
ira, quam misericordia in causa eorum valebat; pavan loro più tosto la confession della colpa,
quia non ut hostibus modo, sed tamquam indo che altra risposta, e fatti uscir della curia diede
mitae et insociabili genti, succensebant. Per ali ro motivo di gran lotta. Prevaleva in codesta
quot dies quum certatum esset, postremo neque causa più l'ira, che la misericordia; ch'erano
dari, neque negari pacem placuit. Duae conditio sdegnati non solamente come contro a nemici,
nes eis latae sunt: vel senatui liberum arbitrium ma come contro gente indomita ed insociabile.
de se permitterent; vel mille talentùm darent, Essendosi disputato alquanti dì, in fine piacque,
eosdemque amicos atque inimicos haberent. che nè si desse, nè si negasse loro la pace. Si
Exprimere cupientibus, quarum rerum in se ar proposero loro due condizioni, o si rimettessero
bitrium senatui permitterent, nihil certi respon del tutto all'arbitrio del senato, o consegnassero
sum est. Ita infecta pace dimissi, urbe eodem mille talenti, e avessero ad amici e nemici gli
die, ltalia intra quindecim dies excedere jussi. amici e i nemici de Romani. Cercando essi pur
Tum de consulum provinciis coeptum est agi. di ritrarre di che avessero a lasciare il pieno
Ambo Graeciam cupiebant. Multum Laelius in arbitrio al senato, non n'ebbero certa risposta.
senatu poterat: is, quum senatus aut sortiri, aut Così lasciati senza aver conchiusa la pace, ebbero
comparare interse provincias consules jussisset, ordine di uscir di Roma quel giorno medesimo,
elegantius facturos dixit, si iudicio Patrum, quam dall'Italia tra quindici giorni. Indi si cominciò a
si sorti, eam rem permisissent. Scipio, responso trattare delle province de' consoli. Ambedue bra
ad hoc dato, a cogitaturum, quid sibi faciendum mavano la Grecia. Lelio poteva molto nel senato.
esset, º cum fratre suo focutus, jussusque ab eo Egli, avendo il senato ordinato che i consoli o
permittere audacter senatui, renunciat collegae, traessero a sorte, o tra loro si dividessero le pro
t facturum se, quod is censeret. » Quum res, aut
Livio 2
vince, disse a Scipione che gº fatto più
1 o 41 TITI Ll VII LIBER XXXVII. 1 o 42
nova, aut vetustate exemplorum memoriae jam bellamente, se rimessa avessero la cosa piuttosto al
exsoletae, relata exspectatione certaminis sematum giudizio de' Padri, che alla sorte. Al che avendo
erexisset; P. Scipio Africanus dixit, « Si L. Sci Scipione risposto, « che avrebbe pensato quello
pioni fratri suo provinciam Graeciam decrevis che avesse a fare, º abboccatosi col solo suo fra
sent, se legatum iturum. « Haec vox, magno as tello, e dettogli da questo, che si rimettesse pure
sensu audita, sustulit certamen. Experiri libebat, coraggiosamente al senato, risponde al collega,
utrum plus regi Antiocho in Hannibale victo, an a che starebbe alla volontà del senato. » La cosa
in victore Africano consuli legionibusque Roma proposta al senato avendo, o perchè nuova, o
nis, auxilii foret; ac prope omnes Scipioni Grae perchè di esempio per vetustà dimenticato, mes
ciam, Laelio Italiam decreverunt. so il senato in aspettazione di gran lotta, Publio
Scipione Africano dichiarò, « che, se decretasse
ro la Grecia al fratello suo Lucio Scipione, egli
andrebbe suo legato. " Questa dichiarazione,
udita con grande assentimento, tolse ogni conte
sa. Piaceva sperimentare, se più aiuto troverebbe
Antioco in Annibale vinto, che il console e le
Romane legioni nell'Africano vincitore, e con
quasi tutti i suffragii decretarono a Scipione la
Grecia, a Lelio l'Italia.
II. Praetores inde provinciassortiti, L. Au II. Poscia i pretori trassero a sorte le provin
runculejus urbanam, Cn. Fulvius peregrinam, ce loro: ebbe Lucio Aurunculeio l'urbana giu
L. Aemilius Regillus classem, P. Junius Brutus risdizione, Gneo Fulvio la forestiera, Lucio
Tuscos, M. Tuccius Apuliam et Bruttios, C. Ati Emilio Regillo la flotta, Publio Giunio Bruto i
nius Siciliam. Consuli deinde, cui Graecia pro Toscani, Marco Tuccio la Puglia e i Bruzii, Caio
vincia decreta erat, ad eun exercitum, quem a Atinio la Sicilia. Indi al console, cui toccata era
M'. Acilio (duae autem legiones erant) acceptu la Grecia, in supplemento all'esercito, che dovea
rus esset, in supplementum addita peditum ci ricevere da Manio Acilio (erano due legioni), si
vium Romanorum tria millia, equites centum, unirono tre mila fanti di cittadini Romani e
et sociùm, Latini nominis quinque millia, equites cento cavalli, e degli alleati del nome Latino
ducenti; et adjectum, ut, quum in provinciam cinque mila fanti e dugento cavalli, e si aggiunse
venisset, si e republica videretur esse, exercitum nel decreto, che com'egli fosse giunto alla sua
in Asiam trajiceret. Alteri consuli totus novus provincia, passasse coll'esercito in Asia, se sti
exercitus decretus; duae legiones Romanae, et masse venirne utile alla repubblica. Si decretò
sociùm Latini nominis quindecim millia peditum, all'altro console un esercito tutto nuovo ; due
equites sexcenti. Exercitum ex Liguribus Q. Mi legioni Romane, e degli alleati del nome Latino
nucius (jam enim confectam provinciam scripse quindici mila fanti e seicento cavalli. Ebbe ordi
rat, et Ligurum omne nomen in deditionem ve ne Quinto Minucio di tradurre dalla Liguria
nisse) traducere in Bojos, et P. Cornelio procon (chè avea scritto esser già tutta doma quella
suli tradere jussus. Ex agro, quo victos bello provincia, e tutta la nazione de'Liguri essersi
mulctaverant Bojos, deductae urbanae legiones, arrenduta) l'esercito ne' Boi, e di consegnarlo a
quae priore anno conscriptae erant, M. Tuccio Publio Cornelio. Le legioni urbane, levate l'anno
praetori datae, et sociùm ac Latini nominis pedi antecedente, tratte via dal contado che s'era
tum quindecim millia, equites sexcenti, ad Apu tolto a Boi vinti in guerra, si diedero al pretore
liam Bruttiosque obtinendos. A Cornelio superio Marco Tuccio con quindici mila fanti e seicento
ris anni praetori, qui Bruttios cum exercitu ob cavalli degli alleati del nome Latino, a guardare
tinuerat, imperatum, si ita consuli videretur, ut la Puglia ed i Bruzii. Ad Aulo Cornelio, pretore
legiones in Aetoliam trajectas M.'Acilio traderet, dell'anno antecedente, che avea comandato l'e
si is mamere ibi vellet: si Acilius redire Romam sercito nei Bruzii, fu commesso, quando così pia
mallet, ut A. Cornelius cum eo exercitu in Aeto cesse al console, di consegnare a Manio Acilio, se
lia remaneret. C. Atinium Labeonem provinciam questi rimaner volesse nell'Etolia, le legioni, che vi
Siciliam exercitumque a M. Aemilio accipere pla erano di già passate, e se Acilio amasse di tornare
cuit, etin supplementum scribere ex ipsa provin a Roma, Aulo Cornelio rimanesse egli nell'Etolia
cia, si vellet, peditum duo millia.etcentum equites. con quell'esercito medesimo. Si volle che Caio
P. Junius Brutus in Tuscos exercitum novum, le Atinio Labeone ricevesse da Marco Emilio la Si
gionem unam Romanam, et decem millia sociùm cilia e l'esercito, e levasse nella stessa provincia
acLatini nomini scribere, et quadringentos equi a supplemento, se gli piacesse, due mila fanti e
1 o43 TlTI LIVII LIBER XXXVII. 1 44
tes; L.Aemilius cui provincia maritima erat,viginti cento cavalli; che Publio Giunio Bruto levasse
naves longas, et socios navales a M. Junio prae contro i Toscani un esercito di una legione Ro
tore superioris anni accipere jussus, et scribere mana, dieci mila fanti, e quattro cento cavalli
ipse mille navales socios, duo millia peditum; degli alleati del nome Latino. Lucio Emilio, cui
cum iis navibus militibusque in Asiam proficisci, era toccato il mare, ebbe ordine di ricevere da
et classem a C. Livio accipere. Duas Hispanias Marco Giunio, pretore dell'anno antecedente,
Sardiniamoue obtinentibus prorogatum in annum venti galere colle lor ciurme, e levare altri mille
imperium est, et iidem exercitus decreti. Siciliae uomini di mare, e due mila fanti; con questi
Sardiniaeque binae eo anno decumae frumenti legni e soldati andasse in Asia, e ricevesse da
imperatae: Siculum omne frumentum in Aeto Caio Livio la flotta. Si prorogò il comando per
liam ad exercitum portari jussum : ex Sardinia un anno a quelli, che occupavano le due Spagne
pars Romam, pars in Aetoliam, eodem quo Sicu e la Sardegna, e si decretaron loro gli stessi eser
lum.
citi. Furono imposte in quell'anno due decime
di grano alla Sicilia ed alla Sardegna: quello
della Sicilia si comandò che tutto portato fosse
nell'Etolia all'esercito; quello della Sardegna
parte a Roma, parte nell'Etolia, là istessamente,
dove quello di Sicilia.
III. Priusquam consules in provincias profi III. Innanzi che i consoli andassero alle lor
ciscerentur, prodigia per pontifices procurari province, si volle che i Pontefici espiassero i
placuit. Romae Junonis Lucinae templum de coelo prodigii. A Roma il tempio di Giunone Lucina
tactum erat, ita ut fastigium valvaeque deforma era stato colpito da fulmine in guisa, che il comi
rentur. Puteolis pluribus locis murus et porta gnolo e le porte n'erano state deformate. Simil
fulmine icta, et duo homines exanimati. Nursiae mente a Pozzuoli in più luoghi il muro e la
sereno satis constabat nimbum ortum: ibi quoque porta erano stati colpiti, e due uomini uccisi. Si
duos liberos homines exanimatos. Terra apud se accertava che a Nurzia era insorto un temporale
pluisse Tusculani nunciabant, et Reatini mulam a ciel sereno: anche quivi essere stati morti due
in agro suo peperisse. Ea procurata Latinaeque uomini di libera condizione. I Toscolani annun
instauratae, quod Laurentibus carnis, quae dari ziavano esser piovuta terra appo loro, e i Reatini
debet, data non fuerat. Supplicatio quoque ea una mula aver partorito nel loro contado.Si espia
rum religionum causa fuit, quibus diis decemviri rono questi prodigii, e si rinnovarono le feste
ex libris ut fieret, ediderunt. Decem ingenui, Latine a motivo che non s'era data a Laurentani
decem virgines, patrimi omnes matrimigue, ad la carne, che si deve dar loro. Pegli stessi motivi
id sacrificium adhibiti; et decemviri nocte lacten di religione si fecero pubbliche preci: i decem
tibus rem divinam fecerunt. P. Cornelius Scipio viri dichiararono, secondo i libri Sibillini, a
Africanus, priusquam proficisceretur, fornicem quali dei si dovesse sagrificare. Furono adoperati
in Capitolio adversus viam, qua in Capitolium a codesto sagrifizio dieci giovani nobili e dieci
ascenditur, cum signis septem auratis, et duobus nobili vergini tutti aventi padre e madre, e i de
equis, et marmorea duo labra ante fornicem po cemviri fecero il sagrifizio la notte con vittime lat
suit. Per eosdem dies principes Aetolorum tres tanti. Publio Cornelio Scipione Africano innanzi
et quadraginta, inter quos Damocritus et frater di partire eresse un arco nel Campidoglio di fron
ejus erant, ab duabus cohortibus, missis a M'. A te alla strada, per cui si sale ad esso, con sette
cilio, Romam deducti, et in Lautumias conjecti statue indorate e due cavalli, e posevi avanti due
sunt. Cohortes inde ad exercitum redire, L. Cor tinozze di marmo. A que dì medesimi quaranta
nelius consul jussit. Legati ab Ptolemaeo et Cleo tre de' principali capi degli Etoli, tra quali c'eran
patra, regibus Aegypti, gratulantes quod M'. Aci Damocrito e suo fratello, tradotti furono a Roma
lius consul Antiochum regem Graecia expulisset, da due coorti, mandate da Manio Acilio, e messi
venerunt, adhortantesque, ut in Asiam exercitum nelle pubbliche prigioni; avendo il console Lucio
trajicerent, « omnia perculsa metu non in Asia Cornelio ordinato che di poi le coorti tornasse
modo, sed etiam in Syria, esse: reges Aegypti ad ro all'esercito. Vennero ambasciatori da Tolomeo
ea quae censuisset senatus, paratos fore. » Gratiae e da Cleopatra, ambedue re dell'Egitto, a con
regibus actae; legatismunera dari jussa, in singulos gratularsi che il console Manio Acilio scacciato
quaternàm millium aeris. avesse dalla Grecia il re Antioco, e ad esortare i
Romani a tradurre l'esercito in Asia; a tutti
essere già colti da paura, e non solamente nel
l'Asia, ma eviandio nella Siria: i re dell'Egitto
1 o45 TITI LIVIl LIBER XXXVII. 1o46
esser presti a tutto ciò che volesse il senato. » I
re furono ringraziati, e si ordinò che gli amba
sciatori fossero regalati, ciascuno di quattro
mila assi.
IV. L. Cornelius consul, peractis quae Romae lV. Il console Lucio Cornelio, terminato
agenda erant, pro concione edixit, ut milites, quello che si aveva a fare in Roma, pubblicò
quos ipse in supplementum scripsisset, quique in nell'adunanza del popolo che i soldati, ch'egli
Bruttiis cum A. Cornelio propraetore essent, ut avea levati a supplemento, e che fossero ne'Bru
hi omnes Idibus Quinctilibus Brundisium conve zii col propretore Aulo Cornelio, tutti questi
mirent. Item tres legatos nominavit, Sex. Digi agl'Idi di Luglio si raccogliessero a Brindisi.
tium, L. Apustium, C. Fabricium Luscinum, qui Così pure nominò tre legati, Sesto Digizio, Lucio
ex ora maritima undigue naves Brundisium con Apustio e Caio Fabrizio Luscino, i quali da tutte
traherent; et, omnibus jam paratis, paludatus le parti della costa marittima radunassero le
ab urbe est profectus. Ad quinque millia volun navi a Brindisi; e apparecchiata ogni cosa, uscì
tariorum ex Romanis sociisque, qui emerita sti paludato di Roma. Cinque mila volontarii a un
pendia sub imperatore P. Africano habebant, dipresso tra Romani ed alleati, i quali, fatta la
praesto fuere exeunti consuli, et nomina dederunt. guerra sotto il comando di Publio Africano,
Per eos dies, quibus est profectus ad bellum con aveano avuto il lor congedo, all'uscire del con
sul, ludis Apollinaribus, ante diem quintum Idus sole se gli fecero incontro, e gli diedero il nome.
Quinctiles, coelo sereno interdiu obscurata lux In que dì medesimi, nei quali il console andò
est, quum luna sub orbem solis subisset; et L. alla guerra, mentre si celebravano i giuochi
Aemilius Regillus, cui navali provincia evenerat, Apollinari, avanti il dì undici di Luglio, a cielo
eodem tempore profectus est. L. Aurunculejo sereno per alquanto tempo oscurossi il giorno,
negotium ab senatu datum est, ut triginta quin la luna essendo frapposta tra il sole e la terra.
queremes, viginti triremes faceret; quia fama Anche Lucio Emilio Regillo, a cui era toccato il
erat, Antiochum post proelium navale majorem mare, partì in quel tempo medesimo. Il senato
classem aliquanto reparare. Aetoli, postguam incaricò Lucio Aurunculeio della costruzione di
legati ab Roma retulerunt, nullam spem pacis trenta quinqueremi e venti triremi, perchè corre
esse, quamquam omnis ora maritima eorum, quae va fama che Antioco, dopo la battaglia navale,
in Peloponnesum versa est, depopulata ab Achaeis rifacesse altra flotta alquanto maggiore. Gli Etoli,
erat, periculi magis, quam damni, memores, ut poi che i legati tornati da Roma riferirono non
Romanis intercluderent iter, Coracem montem vi essere speranza di pace, quantunque tutte le
occupaverunt: neque enim dubitabant, ad oppu loro coste marittime, che son volte verso il
gnationem Naupacti eos principio veris redituros Peloponneso, fossero devastate dagli Achei, non
esse. Acilio, qui id exspectari sciebat, satius vi dimeno facendo più conto del pericolo che del
sum est, inopinatam aggredirem, et Lamiam op danno, per chiudere il passo a Romani occupa
pugnare. Nam et a Philippo prope ad excidium rono il monte Corace ; non dubitando che non
adductos esse; et tunc eo ipso, quod nihil tale fossero per tornare sul principio della primavera
timerent, opprimi incautos posse. Profectus ab a combattere Naupatto. Acilio, il quale sapeva
Elatia primum in hostium terra circa Sperchium che gli Etoli si aspettavan questo, stimò meglio
amnem posuit castra; inde nocte motis signis, far cosa impensata, e combatter Lamia; sì perchè
prima luce corona moenia est aggressus, Filippo gli avea quasi tratti all'estremo, sì perchè
non temendo essi punto di ciò, si poteva oppri
merli alla sprovvista. Partitosi da Elazia, prima
si accampò nella terra nemica sul fiume Sperchio;
poi, levate di notte le insegne, sul far del giorno,
circondate d'ogni intorno le mura, die'l'assalto.
V. Magnus pavor actumultus, utin re impro V. Fu grande la paura e lo scompigliamento,
visa, fuit: constantiustamen, quam quis facturos come da cosa non preveduta; pure con più fer
crederet, in tam subito periculo, quum viri pro mezza, che non si sarebbe creduto in così subito
pugnarent, feminae tela omnis generis saxaque pericolo, mentre gli uomini combattevano, le
in muros gererent, jam multifariam scalis appo donne portando sulle mura armi d'ogni sorte e
sitis, urbem eo die defenderunt. Acilius, signo sassi, benchè drizzate fossero in più luoghi le
receptui dato, suos in castra medio ferme die re scale, difesero in quel giorno la terra. Acilio,
corporibus,
duxit ; et tunc cibo et quiete refectis fatto sonare a raccolta, sul mezzo di richiamò i
priusquam praetorium dimitteret, denunciavit, suoi al campo, e come gli ebbe ristorati col cibo
1 o47 TI l'I LIVII LIBER XXXVII. 1o45
« ut ante lucem armati paratique essent: nisi ex e colla quiete, innanzi di chiudersi nella tenda,
pugnata urbe, se eos in castra non reducturum. » fe pubblicare, a che si stessero avanti giorno in
Eodem tempore, quo pridie, pluribus locis aggres arme e pronti; non gli avrebbe ricondotti negli
sus, quum oppidanos jam vires, jam tela, jam ante alloggiamenti, se prima la terra non fosse presa.»
omnia animus deficeret, intra paucas horas urbem Avendo assalita da più luoghi la città nel tempo
cepit. Ibi, partim divendita, partim divisa prae medesimo che il giorno innanzi, già mancando
da, consilium habitum, quid deinde faceret. Ne a terrazzani le forze e i dardi, e più ch'altro, il
mini ad Naupactum iri placuit, occupato ad Co coraggio, in poche ore la prese. Quivi in parte
racem ab Aetolis saltu. Ne tamen segnia aestiva venduta, in parte divisa la preda, tenne consulta
essent, et Aetoli non impetratam pacem ab senatu che avesse a fare appresso. Nessuno fu di avviso
nihilominus per suam cunctationem haberent, che si andasse a Naupatto, avendo gli Etoli occu
oppugnare Acilius Amphissam statuit. Ab Hera pato il passo del Corace; nondimeno, acciocchè
clea per Oetam exercitus eo ductus. Quum ad non si passasse la state senza far nulla, e intanto
moenia castraposuisset, non corona, sicut Lamiam, gli Etoli per codesto suo cessare si godessero la
sed operibus oppugnare urbem est adortus. Plu pace, che non aveano impetrata dal senato, Acilio
ribus simul locis aries admovebatur; et quum pensò di assaltare Anfissa. Da Eraclea si condusse
quaterentur muri, nihil adversus tale machina l'esercito pel monte Oeta. Accampatosi presso le
tionis genus parare, aut comminisci oppidani mura, si fe' a combattere la città, non come La
conabantur. Omnis spes in armis et audacia erat. mia, tutta all'intorno investendola, ma invece
Eruptionibus crebris et stationes hostium, et eos co'lavori. Si accostava l'ariete alle mura da più
ipsos, qui circa opera et machinas erant, turba parti ad un tempo, e crollandole qua e colà, non
bant. s'ingegnavano i terrazzani di nulla opporre, o
imaginare contro sì fatto genere di macchine.
Tutta la loro speranza era nell'armi e nel corag
gio, e con frequenti sortite scompigliavano le
poste de'nemici, e quegli stessi, che si stavano
presso alle macchine ed ai lavori.
VI. Multis tamen locis murus decussus erat, VI. Era però il muro in parecchi luoghi at
quum allatum est, successorem, Apolloniae expo terrato, quando venne avviso ad Acilio, che il
sito exercitu, per Epirum ac Thessaliam venire. suo successore, sbarcato l'esercito in Apollonia,
Cum tredecim millibus peditum et quingentis se ne veniva per l'Epiro e la Tessaglia. Veniva il
equitibus consul veniebat. Jam in sinum Malia console con tredici mila fanti e cinquecento ca
cum venerat, et praemissis Hypatam, qui tradere valli, ed era di già arrivato al golfo Maliaco, ed
urbem juberent, postguam responsum est, nihil, avendo mandato innanzi ad Ipata ad intimarle
nisi ex communi Aetolorum decreto, facturos; che si arrendesse, come gli fu risposto che non
ne teneret se oppugnatio Hypatae, nondum Am farebbero nulla senza un decreto della dieta de
phissa recepta, praemisso fratre Africano, Am gli Etoli, perchè il combattere Ipata nol facesse
phissam ducit. Sub adventum eorum oppidani, indugiare, non essendo ancor presa Anfissa, spe
relicta urbe (jam enim magna ex parte nudata dito avanti il fratello Africano, si drizza alla vol
moenibus erat ) in arcem, quam inexpugnabilem ta di Anfissa. Alla lor venuta i terrazzani, abban
habent, omnes armati atque inermes concessere. donata la città (ch'era già in gran parte rimasta
Consul sex millia ferme passuum inde posuit ca senza mura), tutti armati e disarmati si ritiraro
stra. Eo legati Athenienses primum ad P. Sci no nella rocca, che si stimava inespugnabile. Il
pionem, praegressus agmen (sicut ante dictum console si accampò quindi discosto sei miglia a
est) deinde ad consulem venerunt, deprecantes un dipresso. Colà vennero gli ambasciatori Ate
pro Aetolis. Clementius responsum ab Africano niesi, e prima a Publio Scipione, che avea prece
tulerunt; qui, causam relinquendi honeste A eto duto l'esercito, come si è detto, poi al console, a
lici belli quaerens, Asiam et regem Antiochum intercedere per gli Etoli. Ebbero dall'Africano
spectabat, jusseratoueAthenienses, non Romanis risposta alquanto benigna; il quale cercando pu
solum, ut pacem bello praeferrent, sed etiam Ae re di lasciare senza disdoro la guerra Etolica,
tolis persuadere. Celeriter, auctoribus Athenien mirava all'Asia e al re Antioco, ed esortava gli
sibus, frequens ab Hypata legatio Aetolorum ve Ateniesi a consigliar non solo i Romani, ma
nit; et spem pacis eis sermo etiam Africani, quem eziandio gli Etoli a preferir la pace alla guerra.
priorem adierunt, auxit, commemorantis, multas Subito per consiglio degli Ateniesi una nume
gentes populosque in Hispania prius, deinde in rosa ambasciata degli Etoli parte da Ipata, ed
Africa in fidem suam venisse. In omnibus se anche il discorso dell'Africano, che primo visita
1 o 49 'l'ITI LIVII LIBER XXXVII. 1 o5o

majora clementiae benignitatisque, quam virtutis rono, accrebbe in essi la speranza della pace,
bellicae, monumenta reliquisse. " Perfecta vide avendo ricordato loro, e che molte nazioni, e
batur res, quum aditus consul idem illud respon molti popoli prima in Ispagna, poscia in Africa
sum retulit, quo fugati ab senatu fuerant. Eo s'erano rimessi alla sua discrezione, e che da per
tamquam novo quum icti Aetoli essent, (nihil tutto egli avea lasciati maggiori monumenti di
enim nec legatione Atheniensium, nec placido clemenza e di bontà, che di guerriero valore. -
Africani responso profectum videbant) referre Pareva certa la cosa, quando venuti al console,
ad suos dixerunt velle. questi diede loro la risposta medesima, con cui
gli aveva il senato scacciati da Roma. Gli Etoli,
quasi da nuovo fulmine colpiti (vedendo di non
aver tratto verun profitto nè dall'ambasciata de
gli Ateniesi, nè dalla benigna risposta dell'Afri
cano), dissero di volerne riferire a'suoi.
VII. Reditum inde Hypatam est, nec consi VII. Tornaron dunque ad Ipata; nè sapevano
lium expediebatur. Nam neque, unde mille talen a che determinarsi. Perciocchè nè avevan modo
tùm daretur, erat; et, permisso libero arbitrio, di dare i mille talenti; e arrendendosi a discre
ne in corpora sua saeviretur, metuebant. Redire zione, temevano che s'infierisse contro le per
itaque eosdem legatos ad consulem Africanum sone. Commisero pertanto agli stessi ambascia
jusserunt, et petere, ut, si dare vere pacem, non tori, che tornassero al console e all'Africano, e
tantum ostendere, frustrantes spem miserorum, chiedessero che se veramente avessero intenzio
vellent, aut ex summa pecuniae demerent, aut ne di dare, non di soltanto mostrar la pace, pren
permissionem extra civium corpora fieri jube dendosi gioco della speranza de'miseri, o mino
rent. Nihil impetratum, ut mutaret consul, et ea rassero la somma del danaro, o lasciassero che si
quoque irrita legatio dimissa est. Secuti et Athe dessero a discrezione, salve le persone. Non po
nienses sunt ; et princeps legationis eorum Eche terono ottenere che il console cangiasse punto
demus fatigatos tot repulsis Aetolos, et complo parere, ed anche questa ambasciata fu rimandata
rantes inutili lamentatione fortunam gentis, ad senza effetto. Tornarono gli Ateniesi: Echedemo,
spem revocavit ; auctor inducias sex mensium capo dell'ambasceria, richiamò a speranza gli
petendi, ut legatos Romam mittere possent. . Di Etoli ormai stanchi di tante repulse, e che con
lationem nihil ad praesentia mala, quippe quae inutili lamenti compiangevano la trista sorte di
ultima essent, adjecturam: levari per multos ca lor nazione, suggerendo che si chiedesse una
sus tempore interposito praesentes clades posse. » tregua di sei mesi, onde mandar potessero amba
Auctore Echedemo iidem missi, prius P. Scipione sciatori a Roma. «Non avrebbe la dilazione ag
convento, per eun inducias temporis ejus, quod giunto nulla ai mali presenti, poi ch'eran giunti
petebant, a consule impetraverunt; et, soluta obsi all'estremo; potrebbe per molti casi col frap
dione Amphissae, M.'Acilius, tradito consuli exer porsi del tempo alleviarsi l'attuale calamità. »
citu, provincia decessit; etconsulab AmphissaThes Furono spediti gli stessi ambasciatori secondo
saliam repetit, ut per Macedoniam Thraciamoue l'avviso di Echedemo: recatisi prima a Publio
duceretin Asiam.Tum Africanusfratri,alter quod Scipione, col di lui mezzo ottennero dal console
insistis, L. Scipio, ego quoque approbo; sed totum la tregua che chiedevano, e levato l'assedio da
id vertitur in voluntate Philippi. Qui, si imperio Anfissa, Manio Acilio, consegnato l'esercito al con
nostro fidus est, et iter et commeatus et omnia, sole, partì dalla provincia, e il console da Anfissa
quae inlongo itinere exercitus aluntjuvantaue, no tornò in Tessaglia, onde per la Macedonia e la
bis suppeditabit: si is destituat, nihil per Thraciam Tracia condursi in Asia. Allora l'Africano al fra
satistutum habebis. ltaque prius regis animum tello: « Il cammino, che prendi, o Lucio Scipio
explorari placet: optime explorabitur, si nihil ex ne, lo approvo ancor io; ma tutto sta nella vo
praeparato agentem opprimet, qui mittetur. » lontà di Filippo, il quale, se si mantiene fido al
Ti. Sempronius Gracchus, longe tum acerrimus nostro impero, ci darà e passo e vettovaglia, e
juvenum adid delectus, per dispositos equos prope quanto in lungo cammino mantiene e giova ad
incredibili celeritate ab Amphissa (inde enim est un esercito. Se egli ci abbandoni, non avrai, pas
dimissus) die tertio Pellam pervenit. In convivio sando per la Tracia, nulla che ti assecuri. Sono
rex erat, et in multum vini processerat: ea ipsa pertanto di avviso che in prima esplorarsi deb
remissio animi suspicionem dempsit, novare eum ba l'animo del re, e ottimamente lo esploreremo,
quidquam velle. Et tum quidem comiter acce se quegli, che sarà spedito, gli sarà addosso in
ptus hospes. Postero die commeatus exercitui nanzi ch'egli abbia nulla preparato. Scelto a
paratos benigne, pontes in fluminibus factos, tal uopo Tito Sempronio Gracco, uno de giovani
to5 i TITI LIVll Ll Bl.lì XXXVII. 1 o 32

vias, ubi transitus difficiles erant, munitas vidit. più gagliardi di quel tempo, col mezzo di cavalli
Haec referens eadem, qua ierat, celeritate Thau disposti, con incredibile celerità giunse il terzo
macis occurrit consuli. Inde certiore et majore di da Anfissa (era stato di là spedito) a Pella. Il
spe laetus exercitus ad praeparata omnia in re banchettava, e s'era alquanto immerso nel vi
Macedoniam pervenit. Venientes regio apparatu no: quel suo darsi bel tempo tolse il sospetto,
et accepit, et prosecutus est rex. Multa in eo et ch'egli volesse nulla innovare. Fu quindi l'ospite
dexteritas et humanitas visa, quae commendabilia ricevuto cortesemente. Il dì appresso vide appa
apud Africanum erant; virum, sicut ad cetera recchiate amichevolmente le vettovaglie per l'e
egregium, ita a comitate, quae sineluxuria esset, sercito, i ponti fatti su fiumi, le strade, dove
non aversum. Inde non per Macedoniam modo, c'eran passi difficili, racconcate. Riportando que
sed etiam Thraciam, prosequente et praeparante ste notizie, il giovane colla stessa celerità, con
omnia Philippo, ad Hellespontum perventum cui era andato, si fe incontro al console in Tau
est.
maco. Di là l'esercito, lieto per maggiore e più
secura speranza, giunse in Macedonia a cose tut
te preparate. Alla lor venuta il re gli accolse, e
li trattò con regia magnificenza. Si ravvisò in
lui molta desterità, molta umanità, doti, che l'A
fricano molto pregiava, uomo, come in ogni altra
cosa egregio, così non punto avverso a gentilez
za, che fosse senza lusso. Di là, attraversata la
Macedonia non solo, ma eziandio la Tracia, ac
compagnandoli Filippo, e preparando loro ogni
cosa, giunsero all'Ellesponto.
VIII. Antiochus post navalem ad Corycum VIII. Antioco, dopo la battaglia navale pres
pugnam, quum totam hiemem liberam in appa so a Corico, avendo avuto libero tutto il verno
ratus terrestres maritimosque habuisset, classi pegli allestimenti di terra e di mare, avea special
maxime reparandae, ne tota maris possessione mente data cura a riparare la flotta, onde non
pelleretur, intentus fuerat. Succurrebat, « supe essere scacciato del tutto dal possedimento del
ratum se, quum classis abfuisset Rhodiorum: quod mare. Gli tornava a mente, a ch'era stato supe
si ea quoque (nec commissuros Rhodios ut iterum rato, quando si trovava esser ancora lontana la
morarentur) certamini adesset, magno sibi na flotta de'Rodiani; che se anche questa (nè i Ro
vium numero opus fore, ut viribus et magnitudi diani farebbero in guisa di nuovamente indugia
ne classem hostium aequaret. - Itaque et Hanni re) intervenisse alla battaglia, tanto più gli era
balem in Syriam miserat ad Phoenicum arcessen d'uopo aver gran numero di navi, onde pareg
das naves, et Polyxenidam, quo minus prospere giare colle forze e colla grandezza del legni la
gesta res erat, eo enixius et eas, quae erant, refi flotta nemica. Quindi ed avea spedito Annibale
cere, et alias parare naves jussit. Ipse in Phrygia in Siria a far venire le navi de'Fenici, e quanto
hibernavit, undidue auxilia arcessens: etiam in meno prosperamente andata era la faccenda, tan
Gallograeciammiserat. Bellicosioresca tempestate to più caldamente raccomandò a Polissenida
erant, Gallicos adhuc, nondum exsoleta stirpe che riparasse le navi, che ci erano, ed altre ne
gentis, servantes animos. Filium Seleucum in Aeo allestisse. Svernò egli nella Frigia, chiamando
lide reliquerat cum exercitu ad maritimas conti aiuti da tutte le parti: avea spedito sino nella
mendas urbes; quas illimc a Pergamo Eumenes, Gallogrecia. Erano bellicosi alquanto a quel tem
hinc a Phocaea Erythrisque Romani sollicitabant. po, conservando ancora lo spirito de'Galli; chè
Classis Romana, sicut ante dictum est, ad Canas non s'era ancora imbastardita la nazione. Avea
hibernabat. Eo media ferme hieme rex Eumenes lasciato in Eolide il figlio Seleuco con esercito a
cum duobus millibus peditum, equitibus centum, tener in soggezione le città marittime, cui solle
venit. Is, quum magnam praedam agi possedi citava quinci da Pergamo Eumene, quinci dalla
xisset ex hostium agro, qui circa Thyatira esset, Focea e da Eritre i Romani. La flotta Romana, co
hortando perpulit Livium, ut quinque millia mi me si è detto sopra, svernava a Cane. Colà verso
litum secum mitteret. Missi ingentem praedam la metà del verno giunse Eumene con due mila
intra paucos dies averterunt. fanti e cento cavalli. Avendo questi detto, che si
poteva trarre gran preda dal contado nemico
intorno a Tiatira, indusse co' suoi discorsi Livio
a mandar seco cinque mila soldati; mandati
portaron via in pochi giorni gran preda.
1 o53 TITI LIVII LIBLR XXXVII. 1o54
IX. Inter haec Phocaeae seditio orta, quibus IX. In questo mezzo scoppiò a Focea una se
dam ad Antiochum multitudinis animos avocan dizione, cercando alcuni di trarre la moltitudine
tibus. Gravia hiberna navium erant; grave tribu al partito di Antioco. Pesava lo svernar delle ma
tum, quod togae quingentae imperatae erant, cum vi; pesava il tributo, perchè s'erano imposte
quingentis tunicis; gravis etiam inopia frumenti, cinquecento toghe con cinquecento tuniche; pe
propter quam naves quoque et praesidium Ro sava lo scarseggiare di grano; il che avea fatto
manum excessit. Tum vero liberata metu factio uscire le navi ed il presidio Romano. Allora la
erat, quae plebem in concionibus ad Antiochum fazione, che ne parlamenti tirava la plebe alla
trahebat. Senatus et optimates in Romana socie parte di Antioco, si trovava libera da timore. Il
tate perstandum censebant: defectionis auctores senato e gli ottimati eran di avviso che si duras
plus apud multitudinem valuerunt. Rhodii, quo se nell'alleanza Romana. I promotori della ribel
magis cessatum priore aestate erat, eo maturius lione ebbero più forza presso la moltitudine. I
aequinoctio verno eundem Pausistratum classis Rodiani, quanto erano stati più lenti nella scorsa
praefectum cum sex et triginta navibus miserunt. state, tanto più presto all'equinozio di primavera
Jam Livius a Canis cum triginta navibus et se mandarono lo stesso Pausistrato, capitano della
ptem quadriremibus, quassecum Eumenes rex flotta, con trenta sei navi. Già Livio si drizzava
adduxerat, Hellespontum petebat, ut ad transi da Cane verso l'Ellesponto con trenta navi e
tum exercitus, quem terra venturum opinabatur, sette quadriremi, che il re Eumene avea condot
praepararet quae opus essent. In portum, quem te seco, onde preparar l'occorrente alla passata
vocant Achaeorum, classem primum advertit. dell'esercito, che sapeva dover venire per terra.
Inde Ilium ascendit. sacrificio que Minervae fa Dapprima rivolse la flotta al porto, che chiamano
cto, legationes finitimas ab Elaeunte et Dardano degli Achei: poi salì all'Ilio, e fatto un sagrifizio
et Rhoeteo, tradentes in fidem civitates suas, be a Minerva, ascoltò benignamente le legazioni
nigne audivit. Inde ad Hellesponti fauces navigat, venute dalle città confinanti di Eleunte, di Dar
et, decem navibus in statione contra Abydum dano e di Reteo che si mettevano in balia di lui.
relictis, cetera classe in Europam ad Sestum op Di là navigò alle foci dell'Ellesponto, e lasciate
pugnandam trajecit. Jam subeuntibus armatis dieci navi a stanziare in faccia ad Abido, col re
muros, fanatici Galli primum cum solemni habitu sto della flotta passò in Europa a combatter Se
ante portam occurrunt. Jussu se matris deim sto. Fattisi di già gli armati sotto le mura, i Galli
famulos deae venire memorant, ad precandum fanatici primieramente si fanno ad incontrarli
Romanum, ut parceret moenibus urbique. Nemo alla porta nel loro abito solenne. Dicono che
eorum violatus est: mox universus senatus cum ministri della dea vengono per comando della
magistratibus addedendamurbem processit. Inde madre degl'iddii a pregare il Romano che rispar
Abydum trajecta classis: nbi quum, tentatis per mi le mura e la città. Non si fe' offesa a nessun
colloquia animis, nihil pacati responderetur, ad d'essi; poi tutto il senato coi magistrati uscì fuo
oppugnationem sese expediebant. ri a consegnare la città. Indi la flotta passò ad
Abido, dove co' parlari tentati gli animi, non
dandosi risposta di pace, si metteano in ordine
per assediarlo.
X. Dum haec in Hellesponto geruntur, Poly X. Mentre si facevano codeste cose nell'Elle
xenidas regius praefectus (erat autem exsul Rho sponto, Polissenida, prefetto regio (era egli stato
dius), quum audisset, profectam ab domo popu bandito da Rodi), avendo udito che la flotta
larium suorum classem, et Pausistratum praeſe de' suoi concittadini era uscita dal porto, e che
ctum superbe quaedam et contemptim in se con Pausistrato, che n'era il comandante, avea pub
cionantem dixisse, praecipuo certamine animi blicamente sparlato di lui con arroganza e disprez
adversus eum sumpto, nihil aliud dies noctes zo, messosi in animo di vendicarsene altamente,
que agitabat animo, quan ut verba magnifica non altro dì e notte ravvolgeva nel pensiero, che
ejus rebus confutaret. Mittit ad eum hominem di confutare co'fatti le boriose parole di colui. Gli
et illi notum, qui diceret, « et se Pausistrato manda un uomo, ed uomo, che gli era noto, il
patriaeque suae magno usui, si liceat, fore; et quale gli dicesse, a poter egli, Polissenida, esser
a Pausistrato se restitui in patriam posse. » molto utile a Pausistrato ed alla patria sua, se il si
Quum, quonam modo ea fieri possent, mirabun consenta ; e d'altra parte poter Pausistrato lui ri
dus Pausistratus percunctaretur, fidem petenti mettere in patria. - Interrogato da Pausistrato,
dedit agendae communiter rei, aut silentio te maravigliato in che modo si potesse ciò fare, ebbe
gendae. Tum internuncius, « regiam classem la promessa, come me lo ricercò, o che si sarebbe
aut totam, aut majorem eius partem, Polyxeni fatta la cosa d'accordo, o che si seppellirebbe nel
1 o57 l'ITI LIVII LIBER XXXVII. 1 o58

dam traditurum ei: pretium tanti meriti nullum silenzio. Allora l'intramesso: « Polissenida gli
aliud pacisci, quam reditum in patriam. » Ma darebbe in mano o tutta, o la maggior parte della
gnitudo rei, nec ut crederet, nec ut aspernare flotta regia: non altra mercede ne chiedeva, che
tur dicta, effecit. Panormum Samiae terrae petit; il suo ritorno in patria. - L'importanza della
ibique ad explorandam rem, quae oblata erat, cosa fece sì, che Pausistrato nè credesse, nè di
substitit. Ultro citroque nuncii cursare, nec fides sprezzasse il detto. Va a Panormo nelle terre
ante Pausistrato facta est, quam coram nuncio de Samii, e quivi si fermò per esaminare l'offer
ejus Polyxenidas sua manu scripsit, « se ea, quae ta, che gli era fatta. Corsero messi da una parte
pollicitus esset, facturum, º signoque suo impres e dall'altra; nè mai ci prestò fede Pausistrato,
sas tabellas misit. Eo vero pignore velut aucto che quando in presenza del di lui messo Polisse
ratum sibi proditorem ratus est. Neque enim nida scrisse, « che farebbe quello, che avea pro
eum, qui sub rege viveret, commissurum fuisse, messo; - e mandò lo scritto fermato col suo
ut adversus semetipsum indicia manu sua testata sigillo. Si credette Pausistrato con questo pegno
daret. Inde ratio simulatae proditionis composi di essersi impadronito del traditore; chè certo
ta. « Omnium se rerum apparatum omissurum, nessuno, che vivesse sotto un re, si sarebbe in
dotto mai a dare contro sè stesso un indizio
Polyxenidas dicere; non remigem, non socios
navales ad classem frequentes habiturum : subdu firmato di propria mano. Indi si venne ad ordi
cturum per simulationem reficiendi quasdam na nare il piano del simulato tradimento. Polisseni
ves, alias in propinquosportus dimissurum: pau da disse a che avrebbe lasciato di far nessun ap
cas ante portum Ephesi in salo habiturum: quas, parecchio; che non avrebbe provveduta la flotta
si exire res cogeret, objecturus certamini foret. » di copia di rematori, nè di soldati, che a pretesto
di racconciarle, avrebbe ritratte in terra alcune
Quam negligentiam Polyxenidam in classe sua
habiturum Pausistratus audivit, eam ipse extem
navi ; altre le avrebbe mandate ne' porti vicini:
plo habuit. Partem navium ad commeatus arces poche ne terrebbe in acqua nel porto di Efeso,
le quali, se costrette fossero di uscire, le avrebbe
sendos Halicarnassum, partem Samum ad urbem
esposte a combattere. Come udì Pausistrato la
misit, ut paratus esset, quum signum aggrediendi trascuranza che userebbe Polissenida nella sua
a proditore accepisset. Polyxenidas augere simu
lando errorem: subducit quasdam naves, alias ve flotta, quella stessa usò egli subito nella propria.
lut subducturus esset, navalia reficit: remiges ex Mandò parte delle navi ad Alicarnasso a trarne
hibernis non Ephesum arcessit, sed Magnesiam vettovaglie, parte a Samo alla città, per essere
occulte cogit. pronto, quando il traditore gli desse il segno di
assaltare. Polissenida col simulare accresceva l'er
rore: tira a terra alcune navi; quasi avesse ad
altre tirarne, ristaura gli arsenali: non richiama
le ciurme da quartieri d'inverno ad Efeso, ma
le raccoglie segretamente a Magnesia.
XI. A caso un certo soldato di Antioco essen
XI. Forte quidam Antiochi miles, quum Sa
do venuto a Samo per affari suoi privati, preso
mum rei privatae causa venisset, pro speculatore
deprehensus deducitur Panormumad praefectum. quale spia, vien condotto a Panormo al prefetto
Pausistrato. Interrogato che si facesse in Efeso,
Is percunctanti, quid Ephesi ageretur, incertum
metri, an erga suos haud sincera fide, omnia egli, non si sa se per timore, o per mancanza di
aperit: classem instructam paratamque in portu fede inverso i suoi, discopre il tutto: flotta starsi
stare: remigium omne Magnesiam ad Sipylum in porto allestita ed in pronto; tutte le ciurme
missum : perpaucas naves subductas esse. et na essere state spedite a Magnesia presso Sipilo: non
valia tegi; numquam intentius rem navalem essere che pochissime le navi tirate a terra; non
lasciarsi vedere a chicchessia gli arsenali ; non
administratam esse. Haec ne pro verisaudirentur,
mai essersi data maggior cura alle cose di mare.
animus errore et spe vana praeoccupatus fecit.
Polyxenidas, satis omnibus comparatis, nocte L'animo preoccupato dall'errore e dalla vana
remige a Magnesia arcessito, deductisque raptim, speranza fece sì, che le cose dette non si tenessero
per vere. Polissenida, fatti i necessarii allestimenti,
quae subductae erant, navibus, quum diem non
richiamata di notte la ciurma da Magnesia, e
tam in apparatu absumpsisset, quam quod con
spici proficiscentem classem nolebat: post solis prestamente rimesse in acqua le navi ch'erano a
occasum profectus septuaginta navibus tectis, terra, avendo consumato il giorno non tanto ne
vento adverso, ante lucem Pygela portum tenuit: gli apparecchi, quanto che non voleva che si
ubi quum interdiu ob eamdem causam quiesset. vedesse la flotta partire dopo il tramontare del
nocte in proxima Samiae terrae trajecit. Hinc sole, mossosi con settanta navi coperte, avendo
finvio a 67
1 o 59 TITI LIVII LIBER XXXVII. 1 o Go

Nicandro quodam archipirata quinque navibus il vento contrario, innanzi giorno prese porto a
tectis Palinurum jusso petere, atque inde arma Pigela; dove essendosi fermato tutto quel dì per
tos, qua proximum per agros iter esset, Panor la stessa ragione, la notte passò alle vicine coste
mum ad tergum hostium ducere; ipse interim, de Samii. Quindi, dato ordine a certo Nicandro,
classe divisa, ut ex utraque parte fauces portus capo del pirati, che andasse a Palinuro con cin
teneret, Panormum petit. Pausistratus primo, ut que navi coperte, e che di là, per la più prossima
in re mecopinata, turbatus parumper, deinde via di terra conducesse i soldati a Panormo alla
vetus miles, celeriter collecto animo, terra melius schiena de'nemici, divisa la flotta, onde occupar
arceri, quam mari, hostes posse ratus, armatos da due bande la bocca del porto, si mette alla
duobus agminibus ad promontoria, quae cor volta di Panormo. Pausistrato dapprima, come
nibus objectis ab alto portum faciunt, ducit ; in cosa non pensata, smarritosi alquanto; indi
inde facile telis ancipitibus hostem submoturus. qual vecchio soldato ripreso prestamente l'animo,
Id inceptum ejus Nicander a terra visus quum stimando di poter meglio respingere il nemico
turbasset, repente mutato consilio, naves con dalla parte di terra, che da quella del mare, con
scendere omnes jubet. Tum vero ingens pariter duce in due schiere i suoi ai promontorii, che
militum nautarumque trepidatio orta, et velut d'alto sporgendo in fuori formano il porto, onde
fuga in naves fieri, quan se mari terraque simul di là co' giavellotti cacciar indietro il nemico fa
cernerent circumventos. Pausistratus, unam viam cilmente. Nicandro, visto da terra, sconcertato
salutis esse ratus, si vim facere per fauces portus, avendo cotal disegno, Pausistrato, mutato imman
atoue erumpere in mare apertum posset, postguam tinente partito, ordina che tutti montino sulle
conscendisse suos vidit, sequi ceteris jussis, ipse navi. Se non che allora grande scompigliamento
princeps concitata nave remis ad hostium portus insorse tra i soldati non meno, che tra le ciurme,
tendit. Superantem jam fauces navem ejus Po e corsero quasi fuggendo alle navi, vedendosi
lyxenidas tribus quinqueremibus circumsistit. presi in mezzo per terra ad un tempo e per mare.
Navis rostris icta supprimitur: telis obruuntur Pausistrato, non altra via scorgendo a salvezza,
propugnatores : inter quos et Pausistratus impi che se potesse sforzare la bocca del porto e lan
gre pugnans interficitur. Navium reliquarum ciarsi in alto mare, poi che vide i suoi saliti sulle
ante portum aliae, aliae in portu deprehensae, navi, dato ordine a tutti, che il seguissero, egli
quaedam a Nicandro, dum moliuntur a terra, primo, fatta forza di remi, si drizza alla bocca del
captae. Quinque tantum Rhodiae naves cum porto. E l'avea già quasi varcato; se non che Polis
duabus Cois effugerunt, terrore flammae micantis senida se gli ſe intorno con tre quinqueremi. La
via sibi inter confertas naves facta. Contis enini nave colpita dai rostri è affondata: un nembo di
binis a prora prominentibus trullis ferreis mul giavellotti opprime i difensori, tra quali coraggio
tum conceptum ignem prae se portabant. Ery samente combattendo rimane ucciso anche Pau
thraeae triremes, quum haud procul a Samo sistrato. Delle altre navi parte ne fu presa davanti
Rhodiis navibus, quibus ut essent praesidio, ve al porto, parte nel porto, alcune da Nicandro,
miebant, obviae fugentibras fuissent, in Hellespon mentre tentano scostarsi da terra. Solo cinque navi
tum ad Romanos cursum averterunt. Sub idem Rodiane con due di Coo scamparono fattasi strada
tempus Seleucus proditam Phocaeam, porta una tra la folta de legni col terrore di fiaccole ardenti,
per custodes aperta, recepit; et Cyme aliaeque perciocchè portavano dinanzi a sè gran fuoco
ejusdem orae urbes ad eum metu defecerunt, acceso in vasi di ferro sopra due pertiche spor
genti fuor della prora. Le triremi Eritree, che
venivano non lungi da Samo alle navi Rodiane,
onde recar loro soccorso, avendole incontrate,
come fuggivano, si voltarono verso l'Ellesponto
ad unirsi ai Romani. Verso quel tempo medesimo
Seleuco s'impadronì per tradimento di Focea,
avendogliene i custodi aperta una porta, e Cime
e le altre città di quella costa per timore si
diedero a lui.
XII. Dum haec in Aeolide geruntur, Abydus XII. Mentre si fanno codeste cose in Eolide,
quum per aliquot dies obsidionem tolerasset, avendo Abido tollerato per alquanti giorni l'as
praesidio regio tutante moenia, jam omnibus sedio, difendendo il regio presidio le mura,
fessis, Philota quoque praefecto praesidii permit essendo ormai tutti rifiniti, e acconsentendo lo
tente, magistratus eorum cum Livio de conditio stesso Filota, comandante del presidio, i loro
nibus tradendae urbis agebant. Rem destinebat. magistrati trattavano con Livio delle condizioni
1 oti i "I'l'l'I LIVII LIBI.R XXXVII. 1 o 62

quod, utrum armati, an inermes, emitterentur per arrendere la città. Ritardava la conclusione
regii, parum conveniebat. Haec agentibus quum il non convenire, se i soldati del re si avessero
intervenisset nuncius Rhodiorum cladis, emissa a lasciar uscire armati o disarmati. Durante que
de manibus res est: metuens enim Livius, ne sto trattato, essendo sopravvenuta la notizia
successu tantae rei elatus Polyxenidas classem, della rotta de' Rodiani, la cosa gli scappò di ma
quae ad Canas erat, opprimeret, Abydi obsidione no. Perciocchè temendo Livio che Polissenida,
custodiaque Hellesponti extemplo relicta, naves, gonfiatosi per sì importante successo, non desse
quae subductae Canis erant, deduxit. Et Eume addosso alla flotta, ch'era a Cane, lasciato subita
nes Elaeam venit. Livius omni classe, cui adjun mente l'assedio di Abido e la custodia dell'Elle
xerat triremes duas Mitylenaeas, Phocaeam petit. sponto, trasse fuori le navi, ch'erano in secco
Quam quum teneri valido regio praesidio audis a Cane. Anche Eumene venne ad Elea, e Livio
set, nec procul Seleuci castra esse ; depopulatus con tutta la flotta, cui aveva aggiunto due tri
maritimam oram, et praeda maxime hominum remi di Mitilene, va a Focea: la quale avendo
raptim in naves imposita, tantum moratus, dum udito esser difesa da valido presidio del re, e
Eumenes cum classe assequeretur, Samum pe non esser lontano il campo di Seleuco, saccheg
tere intendit. Rhodiis primo audita clades simul giata ch'ebbe la spiaggia marittima, e imbarcata
pavorem, simul luctum ingentem fecit. Nam, in fretta la preda, d'uomini specialmente, tanto
praeter navium militumque jacturam, quod floris, solo indugiando, che Eumene il seguisse colla
quod roboris in juventute fuerat, amiserant; flotta, si drizzò alla volta di Samo. La notizia
multis nobilibus secutis inter cetera auctoritatem della rotta recò dapprima a Rodiani alquanta
Pausistrati, quae inter suos merito maxima erat. paura, e insieme gran doglia; perciocchè, oltre
Deinde, quod fraude capti, quod a cive potissi la perdita delle navi e de'soldati, avean perduto
mum suo forent, in iram luctus vertit. Decem tutto il fiore, tutto il nerbo della gioventù;
extemplo naves, et diebus post paucis decem alias, avendo tra le altre cose molti nobili seguita la
praefecto omnium Eudamo, miserunt; quem, riputazione di Pausistrato, ch'era meritamente
aliis virtutibus bellicis haudduaquam Pausistrato grandissima tra suoi. Poscia, perchè erano stati
parem, cautiorem, quo minus animi erat, ducem presi per frode, e presi specialmente da un loro
futurum credebant. Romani et Eumenes rex in concittadino, la doglia si volse in ira. Mandarono
Erythraeam primum classem applicuerunt. Ibi subito dieci navi, e da lì a pochi giorni altre
noctem unam morati, postero die Corycum Te dieci ad Eudamo, capitano della flotta, il quale
jorum promontorium tenuerunt. Inde quum in credevano che se non pari a Pausistrato nell'altre
proxima Samiae vellent trajicere, non exspectato belliche virtù, sarebbe stato tanto più cauto,
solis ortu, ex quo statum coeli notare guberna quant'era meno ardimentoso. I Romani e il re
tores possent, in incertam tempestatem miserunt. Eumene approdarono prima colla flotta in Eri
Medio in cursu, aquilone in septentrionem verso, trea. Fermatisi quivi una notte, il dì seguente
exasperato fluctibus mari jactari coeperunt. giunsero a Corico, promontorio de'Teii. Di là
volendo tragittare alle vicine coste de Samii,
non avendo aspettato il levar del sole, dal quale
i piloti notar potessero lo stato del cielo, si mi
sero in mare a tempo assai dubbio. A mezzo
il corso, mutatosi l'aquilone in vento settentrio
nale, cominciarono ad essere travagliati dalle
sdegnate onde del mare.
XIII Polyxenidas, Samum petituros ratus XIII. Polissenida, stimando che i nemici sa
hostes, ut se Rhodiae classi conjungerent, ab rebbero andati a Samo per quivi unirsi alla flotta
Epheso profectus, primo ad Myonnesum stetit; Rodiana, partitosi da Efeso, primieramente si
inde ad Macrin (quam vocant) insulam trajecit, fermò a Mionneso; poi traghettò all'isola, che
ut praetervehentis classis si quas aberrantes ex si chiama Macri, onde se alcune navi si sbandas
agmine naves posset, aut postremum agmen op sero dal corpo della flotta, poter o queste, o la
portune adoriretur. Postguam sparsam tempesta retroguardia assaltare. Poi che vide la ſlotta
te classem vidit, occasionem primo aggrediendi dispersa dalla burrasca, stimando da principio
ratus, paullo post increbrescente vento, et ma aver occasione di assaltarla, poco dipoi crescendo
jores jam volvente fluctus, quia pervenire se ad il vento, e maggiori flutti sollevando, perchè
eos videbat non posse, ad Aethaliam insulam vedeva di non poterli raggiungere, passò all'isola
trajecit, ut inde postero die Samum ex alto pe. Etalia, per indi il dì seguente piombare addosso
tentes naves aggrederetur. Romani, pars exigua, alle navi, che dall'alto mare si recassero a Samo.
Io63 TITI I,l VII LIBER XXXVII. 1o64

primis tenebris portum Samiae desertum tenue I Romani, una picciola parte di loro, all'imbru
runt: classis cetera, noctem totam in alto jactata, nir della sera presero il deserto porto di Samia:
in eumdem portum decurrit. Ibi ex agrestibus il resto della flotta, balzata qua e là pel mare
cognito, hostium naves ad Aethaliam stare, con tutta la notte, rifuggissi nello stesso porto. Quivi,
silium habitum, utrum extemplo decernerent, an udito avendo dai contadini, che le navi de'ne
Rhodiam exspectarent classem. Dilata re (ita mici erano ancorate all'isola Etalia, si tenne
enim placuit ), Corycum, unde venerant, traie consiglio, se dovessero subito venir a battaglia,
cerunt. Polyxenidas quoque, quum frustra stelis ovvero aspettare la flotta Rodiana. Differita la
set, Ephesum redit: tum Romanae naves vacuo cosa (chè così fu preso), ripassarono a Corico,
ab hostibus mari Samum traiecerunt. Eodem et donde erano venuti. Anche Polissenida, avendo
Rhodia classis post dies paucos venit: quam ut inutilmente aspettato, tormossi ad Efeso. Allora
exspectatam esse appareret, profecti extemplo le navi Romane, essendo il mare sgombro di ne
sunt Ephesum, ut aut decernerent navali certa mici, passarono a Samo. Pochi dì di poi venne
mine, aut, si detrectaret hostis pugnam (quod colà anche la flotta Rodiana, e per far mostra
plurimum intererat ad animos civitatium), ti ch'era aspettata, andarono subito ad Efeso, o
moris confessionem exprimerent. Contra fauces per venire a pugna navale, o se il nemico la ricu
portus instructa in frontem navium acie stetere. sasse, per istrappargli la confession del timore,
Postduam nemo adversus ibat, classe divisa, pars il che importava grandemente a inanimire gli
in salo ad ostium portus in anchoris stetit ; pars alleati. Stettersi dirimpetto alle foci del porto
in terram milites exposuit. In eos, jam ingentem schierati a fronte delle navi nemiche. Poi che
praedam late depopulato agro agentes, Andro nessun nemico usciva, divisa la flotta, parte si
nicus Macedo, qui in praesidio Ephesi erat, jam pose in sull'ancora in faccia al porto, parte mise
moenibus appropinquantes eruptionem fecit, exu a terra i soldati. Contro questi, che saccheggiato
tosque magna parte praedae ad mare ac naves il contado, menavan seco gran preda, e già
redegit. Postero die, insidiis medio ferme viae veniansi accostando alle mura di Efeso, fe'una
positis, ad eliciendum extra moenia Macedonem, sortita Andronico di Macedonia, ch'era nel pre
Romani ad urbem agmine iere: inde, quum ea sidio, e ritolto loro in gran parte il bottino, li
ipsa suspicio, ne quis exiret, deterruisset, redie
respinse alle navi ed al mare. Il dì appresso i
runt ad naves; et, terra marique fugientibus Romani, messa un'imboscata quasi a mezzo
certamen hostibus, Samum, unde venerat, classis il cammino, si avviarono in ordinanza verso
repetit. Inde duas sociorum ex Italia, duas Rho la città, onde trar fuori dalle mura il Macedone:
dias triremes cum praefecto Epicrate Rhodiorum indi il sospetto appunto dell'imboscata avendo
ad fretum Cephalleniae tuendum praetor misit. ritenuto il nemico dall'uscire, i Romani torna
Infestum id latrocinio Lacedaemonius Hybristas rono alle navi, e visto che i nemici schivavano
cumjuventute Cephallenum faciebat; clausumque di azzuffarsi sì per terra, che per mare, la flotta
jam mare commeatibus Italicis erat. ritornò a Samo, dond'era partita. Di là il pre
tore spedì due triremi degli alleati d'Italia, e
due Rodiane con Epicrate loro comandante a
guardare lo stretto di Cefallenia. Lo infestava
colle piraterie lo Spartano Ibrista colla gioventù
de'Cefalleni, e già il mare era chiuso ai convogli
vegnenti dall'Italia.
XIV. Piraeei L. Aemilio Regillo, succedenti XIV. Epicrate si riscontrò al Pireo con Lucio
ad navale imperium, Epicrates occurrit: qui. Emilio Regillo, che succedeva al comando del
audita clade Rhodiorum, quum ipse duas tantum mare; il quale, udita la sconfitta de'Rodiani,
quinqueremes haberet, Epicratem cum quatuor non avendo che due sole quinqueremi, condusse
navibus in Asiam secum reduxit, Prosecutae seco Epicrate in Asia con quattro navi: lo segui
etiam aperta e Atheniensium naves sunt. Aegeo rono eziandio le navi scoperte degli Ateniesi.
mari trajecit. Eodem Timasicrates Rhodius cum Passò l'Egeo. Colà giunse Timasicrate Rodiano
duabus quadriremibus ab Samo nocte intempesta con due quadriremi, partitosi da Samo in una
venit; deductusque ad Aemilium, praesidii causa notte burrascosa, e tratto davanti Emilio, disse,
se missum, ait, quod eam oram maris infestam ch'era stato mandato a starvi di guardia, perchè
onerariis regiae naves excursionibus crebris ab le navi del re, con frequenti scorrerie dall'Elle
Hellesponto atque Abydo facerent. Trajicienti sponto e da Abido, facevano infesta alle navi
Aemilio a Chio Samum duae Rhodiae quadrire da carico quella costa di mare. Mentre Emilio
mes missae obviam ab Livio, et rex Eumenes traghetta da Clio a Samo, se gli fecero innanzi
-
1 o 05 TITI LIVII LIBER XXXVII. 1 o66

cum duabus quiqueremibus occurrit. Samum i due quadriremi Rodiane, speditegli incontro da
postouam ventum est, accepta a Livio classe, et Livio, ed il re Eumene con due quinqueremi.
sacrificio, ut assolet, rite facto, Aemilius consi Poi che furono giunti a Samo, ricevuta da Livio
lium advocavit. Ibi C. Livius (is enim est primus la flotta, e fatto piamente, come si suole, il sa
rogatus sententiam), « Neminem fidelius dare grifizio, Emilio convocò il consiglio. Quivi Caio
posse consilium, dixit, quam eum, qui id alteri Livio (che fu pregato primo del suo parere)
suaderet, quod ipse, si in eodem loco esset, t. Nessuno, disse, poteva dare un consiglio più
facturus fuerit. Se in animo habuisse, tota classe sincero di colui, che insinuerebbe ad altri quello,
Ephesum petere, et onerarias ducere multa sa che avrebbe fatto egli, se si fosse trovato nel
burra gravatas, atque eas in faucibus portus sup luogo stesso. Aveva egli avuto in animo di recarsi
primere; et eo minoris molimenti ea claustra es in Efeso con tutta la flotta, e condur seco alcune
se, quod, in fluminis modum, longum, et angu navi da carico, piene di molta zavorra, e colarle
stum et vadosum ostium portus sit. Ita ademptu a fondo nella bocca del porto; e riuscire quella
rum se maris usum hostibus fuisse, inutilemque chiusura di tanto minor fatica, quanto che la
classem facturum. » bocca del porto è, a guisa di fiume, lunga, stretta
e poco profonda. Così si torrebbe a nemici l'uso
del mare, e si renderebbe inutile la lor flotta. ”
XV. Nulli ea placere sententia. Eumenes rex XV. Questo parere non piacque a nessuno.
quaesivit, « Quid tandem? ubi demersis mavibus Il re Eumene domandò, « A che tutto questo?
frenassent claustra maris, utrum libera sua classe Quando avessero chiuso il mare affondandovi
abscessuri inde forent ad opem ferendam sociis, de'legni, sarebbero di là partiti con tutta la flotta
terroremdue hostibus praebendum ? an nihilo a recar soccorso agli alleati e spavento a'nemici?
minus tota classe portum obsessuri? Sive enim o avrebbero tuttavia con tutta la flotta tenuto
abscedant, cui dubium esse, quin hostes extractu assediato il porto ? perciocchè se partono, chi
ri demersas moles sint, et minore molimento dubita che i nemici non abbiano ad estrarre le
aperturi portum, quam obstruatur ? Sin autem moli affondate, e riaprire il porto con manco
manendum ibi nihilominus sit, quid attinere difficoltà, che non se n'ebbe nell'ostruirlo ? se
claudi portum? Quin contra, illos, tutissimo por poi debbono ad ogni modo restarsi quivi, a che
tu, opulentissima urbe fruentes, omnia Asia prae chiudere il porto? anzi all'opposto i nemici,
bente, quieta aestiva acturos: Romanos, aperto stando in porto sicurissimo, godendosi una città
in mari fluctibus tempestatibusque objectos, ricchissima, somministrando l'Asia tutto il biso
omnium inopes, in assidua statione futuros; ipsos gnevole, passerebbero quieta la state: i Romani,
magis alligatos impeditosque, ne quid eorum, esposti in un mare aperto ai flutti ed alle tem
quae agenda sint, possintagere, quam ut hostes peste, mancanti di tutto, avrebbero a starsi con
clausos habeant. » Eudamus, praefectus Rhodiae tinuamente alla vedetta, più legati ed impediti
classis, magis eam sibi displicere sententiam a non poter far quello, che avrebbe a farsi, che
ostendit, quan ipse, quid censeret faciendum, occupati a tener chiuso il nemico. - Eudamo,
dixit. Epicrates Rhodius, « Omissa in praesentia prefetto della ſlotta Rodiana, mostrò che quel
Epheso, mittendam navium partem in Lyciam, parere non gli andava a grado, piuttosto che di
censuit, et Patara, caput gentis, in societatem cesse qualcosa si avesse a fare. Epicrate Rodiano
adjungenda. In duas res magnas id usui fore: et fu di avviso, a che lasciato Efeso in presente, si
Rhodios, pacatis contra insulam suam terris, totis mandasse parte delle navi in Licia, e si strignesse
viribus incumbere in unius belli, quod adversus alleanza con Patara, città capitale del paese: ciò
Antiochum sit, curam posse; et eam classem, darebbe due grandi vantaggi; i Rodiani, nulla
quae in Lycia compararetur, intercludi, ne Po temendo dalle terre che hanno di rincontro alla
lyxenidae conjungatur. » Haec maxime movit loro isola, avrebbon potuto con tutte le forze
sententia: placuit tamen, Regillum tota classe badare alla guerra di Antioco, e si chiuderebbe
evehi ad portum Ephesi, ad inferendum hostibus il passo alla flotta, che si allestisce in Licia, sì che
terrorem.
non si unisse a Polissenida. » Questo fu il parere,
che più d'ogni altro fe'colpo: nondimeno si
volle che Regillo si tenesse con tutta la flotta
in faccia al porto di Efeso, a mettere spavento
a'nemici.

XVI. C. Livius cum duabus quiqueremibus XVI. Caio Livio fu mandato in Licia con due
Romanis, et quatuor quadriremibus Rhodiis, et quinqueremi Romane e quattro quadriremi Ro
duabus apertis Smyrnaeis, in Lyciam est missus, diane e due navi aperte di Smirne, commessogli
1o67 TITI LIVII LIBER XXXVII. 1 o 68

Rhodum prius jussus adire, et omnia cum iis che poi n'andasse a Rodi, e comunicasse loro
communicare consilia. Civitates, quas praeter tutto il disegno. Le città, che oltrepassò, Mileto,
vectus est, Miletus, Myndus, Halicarnassus, Cni Mindo, Alicarnasso, Cnido, Coo eseguirono gli
dus, Cous, imperata emixe fecerunt. Rhodum ut ordini premurosamente. Come Livio fu a Rodi,
est ventum, simul et ad quan rem missus esset espose loro a quale oggetto era stato mandato, e
iis exposuit, et consuluit eos. Approbantibus li consultò. Tutti approvando la cosa, aggiunte
cunctis, et ad eam, quam habebat, classem as tre quadriremi alla flotta, che aveva, naviga
sumptis tribus quadriremibus, navigat Patara. alla volta di Patara. Dapprima il vento favore
Primo secundus ventus ad ipsam urbem ferebat vole lo portava direttamente alla città; e spera
eos; sperabantgue, subito terrore aliquid motu vano, che col subito terrore svegliato avrebbono
ros. Postguam, circumagente se vento, fluctibus un qualche movimento. Poscia come, mutandosi
dubiis volvi coeptum est mare, pervicerunt qui il vento, cominciò il mare a scompigliarsi, ben
dem remis, ut tenerent terram: sed neque circa riuscirono a forza di remi a pigliar terra, ma
urbem tuta statio erat, nec ante hostium portus non era securo stanziare intorno alla città, nè
in salo stare poterant, aspero mari, et nocte im potevano starsi in mare in faccia al porto de'ne
minente. Praetervecti moenia portum Phoeni mici, a onde agitate e a notte imminente. Oltre
cunta, minus duùm millium spatio inde distan passate le mura, andarono al porto di Fenicunte,
tem, petiere, navibus ab maritima vi tutum ; sed distante meno di due miglia, stanza secura per
altae rupes insuper imminebant, quas celeriter le navi dalla violenza del mare; se non che gli
oppidani, assumptis regiis militibus, quos in stavam sopra alte rupi, le quali tosto i terrazzani,
praesidio habebant, ceperunt. Adversus quos presi seco i soldati del re, ch'erano di presidio,
Livius, quamquam erant iniqua ac difficilia ad occuparono. Contro codesti Livio, benchè fossero
exitus loca, Issaeos auxiliares et Smyrnaeorum luoghi svantaggiosi e difficili a uscir di nave,
expeditos juvenes misit. Ii, dum missilibus primo. spedì gl'Issei ausiliarii, e alcuni giovani Smirnei,
et adversus paucos levibus excursionibus lacesse armati alla leggera. Sino a tanto che dapprima
batur magis, quam conserebatur pugna, susti co' giavellotti e con lievi scorrerie contro pochi
nuerunt certamen : postduam plures ab urbe si van essi piuttosto provandosi, che combat
affluebant, et jam omnis multitudo effundebatur, tendo, sostenner essi la pugna; ma poi che in
timor incessit Livium, ne et auxiliares circum maggior numero accorrevano dalla città, e già
venirentur, et navibus etiam ab terra periculum ne balzava fuori tutta la moltitudine, venne Livio
esset. Ita non milites solum, sed etiam navales in timore e che gli ausiliarii fossero tolti in
socios, remigum turbam quibus quisque poterat mezzo, e che le navi corresser pericolo anche
telis, armatos in proelium eduxit. Tum quoque da terra. Quindi trasse fuori a battaglia non solo
anceps pugna fuit; neque milites solum aliquot. i soldati, ma eziandio le genti di mare e la turba
sed L. Apustius tumultuario proelio cecidit. de'remiganti, armandosi ognuno come potè me
Postremo tamen fusi fugatique sunt Lycii, atque glio. Ed anche così la pugna fu dubbia, e in quel
in urbem compulsi; et Romani cum haud in conflitto tumultuario caddero non solamente al
cruenta victoria ad naves redierunt. lnde in cuni soldati, ma eviandio Lucio Apustio. Non
Telmissicum profecti sinum, qui latere uno dimeno in fine i Licii furono sbaragliati, fugati
Cariam, altero Lyciam contingit, omissa Patara e respinti in città, e i Romani, riportata non
amplius tentandi spe, Rhodii domum dimissi incruenta vittoria, tornarono alle navi. Indi inol
sunt. Livius, praetervectus Asiam, in Graeciam tratisi nel golfo Telmissico, che tocca da un lato
trasmisit, ut, conventisScipionibus, qui tum circa la Caria, dall'altro la Licia, abbandonata la spe
Thessaliam erant, in Italiam trajiceret. ranza di più oltre tentare Patara, i Rodiani fu
rono rimandati a casa. Livio, costeggiata l'Asia,
passò in Grecia, onde abboccatosi cogli Scipioni,
ch'erano allora ne contorni della Tessaglia, tra
gittare in Italia.
XVII. Aemilius, post puam omissas in Lycia XVII. Emilio, poi che seppe abbandonata
res, et Livium profectum in Italiam cognovit, l'impresa della Licia, e Livio essere passato in
quum ipse ab Epheso, repulsus tempestate, irrito Italia, essendo da Efeso tornato a Samo, respinto
incepto Samum revertisset, turpe ratus, tentata dalla tempesta, e andato a voto il suo disegno, A
frustra Patara esse, proficisci eo tota classe, et stimando esser onta, che si fosse tentata Patara
Bari
summa vi aggredi urbem statuit. Miletum et inutilmente, deliberò di recarsi colà con tutta
ceteram oram sociorum praetervecti, in Bargy la flotta, e di assaltare con ogni sforzo la città. iti
lietico sinu exscensionem ad Jassum fecerunt. Costeggiato Mileto e le altre spiagge degli al
1 o 69 TlTI LIVII LIBER XXXVII. 1 o7o

Urbem regium tenebat praesidium: agrum circa leati, sbarcarono a Jasso nel golfo Bargilietico.
Romani hostiliter depopulati sunt. Missis deinde, Un regio presidio teneva la città : i Romani sac
qui per colloquia principum et magistratuum cheggiarono ostilmente il paese d'intorno. Indi
tentarent animos, postguam nihil in potestate sua mandati alcuni, che abboccandosi tentassero gli
responderunt esse, ad urbem oppugnandam ducit. animi dei capi e dei magistrati, poi che risposero,
Erant Jassensium exsules cum Romanis: ii fre non esser essi in balia di sè medesimi, trasse i
quentes Rhodios orare institerunt, a Ne urbem, suoi a combattere la città. Eranvi co' Romani
et vicinam sibi, et cognatam, innoxiam perire alcuni fuorusciti di Jasso: questi si posero tutti
sinerent. Sibi exsilii nullam aliam causam esse, a pregare istantemente i Rodiani, a che non
quam fidem erga Romanos. Eadem vi regiorum, lasciassero perire una città innocente, loro vicina,
qua ipsi pulsi sint, teneri eos, qui in urbe ma e congiunta di sangue: non altra essere la cagione
neant. Omnium Jassemsium unam mentem esse, del loro bando, che la lor fede verso i Romani.
ut servitutem regiam effugerent. » Rhodii, moti La medesima violenza del partito regio, che gli
precibus, Eumene etiam rege assumpto, simul aveva scacciati, tiene ora oppressi quelli, che son
suas necessitudines commemorando, simul obses rimasti in città. Erano i Jassesi di una sola mente,
sae regio praesidio urbis casum miserando, per quella di sottrarsi alla regia servitù. » I Rodiani,
vicerunt, ut oppugnatione absisteretur. Profecti mossi da codeste preghiere, preso seco anche
inde, pacatis ceteris, quum oram Asiae legerent, Eumene, e rammemorando i vincoli che gli lega
Loryma (portus adversus Rhodum est) perve vano a Jasso, e insieme compassionando il caso
nerunt. Ibi in principiis sermo primo inter tri di una città tenuta a forza del regio presidio,
bunos militum secretus oritur, deinde ad aures ottennero che si cessasse di combatterla. Partitisi,
ipsius Aemilii pervenit, abduci classem ab Epheso, essendo quieto tutto il paese d'intorno, costeg
ab suo bello, ut ab tergo liber relictus hostis in giando l'Asia, giunsero a Lorima, porto dirim
tot propinquas sociorum urbes omnia impune petto a Bodi. Quivi dapprima cominciò un segre
conari posset. Movere ea Aemilium, vocatosque to discorso nelle tende tra i tribuni de'soldati,
Rhodios quum percunctatus esset, utrummam che poi giunse agli orecchi dello stesso Emilio,
Pataris universa classis in portu stare posset, allontanarsi di troppo la flotta da Efeso, dallo
quum respondissent, non posse; causam nactus scopo della guerra, sì che il nemico, lasciato
omittendae rei, Samum reduxit naves. libero alle spalle, potrebbe impunemente far dei
tentativi contro tante città vicine degli alleati.
Mossero questi discorsi Emilio, e chiamati i Ro
diani, chiesto loro se il porto di Patara capir
potesse tutta la flotta, avendo essi risposto che
non poteva, trovata l'occasione di lasciar l'im
presa, ricondusse le navi a Samo.
XVIII. Per idem tempus Seleucus, Antiochi XVIII. A quel tempo medesimo Seleuco,
filius, quum per omne hibermorum tempus exer figlio di Antioco, avendo ritenuto tutto il verno
citum in Aeolide continuisset, partim sociis fe l'esercito nell'Eolide, parte soccorrendo gli al
rendo open, partim, quos in societatem perlicere leati, parte saccheggiando quelli, che non poteva
non poterat, depopulandis, transire in fines regni trarre in alleanza, deliberò di entrare ne' confini
Eumenis, dum is procul ab domo cum Romanis del regno di Eumene, mentre questi, lontano
et Rhodiis Lyciae maritima oppugnaret, statuit. da casa, in compagnia de'Romani e de' Rodiani
Ad Elaeam primo infestis signis accessit; deinde, assaliva le coste della Licia. Primieramente spinse
omissa oppugnatione urbis, agros hostiliter de l'esercito contro Elea; poi, lasciando di combat
populatus, ad caput arcemdue regni Pergamum tere la città, saccheggiato ostilmente il contado,
ducit oppugnandum. Attalus primo, stationibus si move ad assediare Pergamo, città capitale, e
ante urbem positis, et excursionibus equitum le fortezza prima del regno. Attalo da principio,
visque armaturae, magis lacessebat, quam sustine messe alquante poste davanti alla città, con varie
bat hostem: postremo, quum, per levia certa scorrerie di cavalli e di armati alla leggera pro
mina expertus, nulla parte virium se paremesse, vocava piuttosto che sostenesse il nemico. In fine,
intra moenia se recepisset, obsideri urbs coepta avendo sperimentato con questi lievi combatti
est. Eodem ferme tempore et Antiochus, ab menti, che non era in nessuna parte eguale di
Apamea profectus, Sardibus primum, deinde, forze al nemico, ritiratosi dentro le mura, si
haud procul Seleuci castris, ad caput Caici ammis cominciò ad assediare la città. Quasi al tempo
stativa habuit cum magno exercitu mixto variis medesimo anche Antioco partito da Apamea
ex gentibus. Plurimum terroris in Gallorum venne a mettersi prima a Sardi, poi non molto
1 o71 TITI LIVII LIBER XXXVII. 1 o72

mercede conductis quatuor millibus erat. Hos, discosto dal campo di Seleuco, alla sorgente del
paucis admixtis, ad pervastandum passim Perga fiume Caico, con grosso esercito misto di varie
menum agrum misit. Quae postguam Samum sunt nazioni. Grande spavento mettevano quattro
nunciata, primo Eumenes, avocatus domestico mila Galli presi al soldo. Mandò questi, mesco
bello, cum classe Elaeam petit ; inde, quum lati con altri pochi a qua e colà devastare il
praesto fuissent equites peditumque expediti, contado di Pergamo. Il che essendo stato rap
praesidio eorum tutus, priusquam hostes senti portato a Samo, Eumene primieramente, richia
rent, aut moverentur, Pergamum contendit. lbi mato indietro dalla domestica guerra, viene colla
rursus levia per excursiones proelia fieri coepta, flotta ad Elea; di là, trovati in pronto e cavalli
Eumene summae rei discrimen haud dubie de e fanti leggeri, sicuro colla scorta di questi,
trectante. Paucos post dies Romana Rhodiaque innanzi che il nemico se n'accorgesse o si moves
classis, ut regi operm ferrent, Elaeam ab Samo se, giunse a Pergamo. Quivi si rinnovarono per
venerunt. Quos ubi exposuisse copias Elaeae, et via di scorrerie leggeri combattimenti, ricusando
tot classes in unum convenisse portum, Antiocho Eumene chiaramente di commettere la somma
allatum est, et sub idem tempus audivit, consu delle cose al rischio di una battaglia. Pochi
lem cum exercitu jam in Macedonia esse, parari giorni dipoi la flotta Romana e la Rodiana da
que, quae ad transitum Hellesponti opus essent; Samo vennero ad Elea per soccorrere il re. Come
tempus venisse ratus, prius quam terra marique fu rapportato ad Antioco che avean messo a
simul urgeretur, agendi de pace, tumulum terra le genti ad Elea, e che flotte sì poderose
quemdam adversus Elaeam castris cepit. Ibi raccolte s'erano in un porto solo, e come udì
peditum omnibus copiis relictis, cum equitatu al tempo medesimo, che il console era già col
(erant autem sex millia equitum) in campos sub l'esercito in Macedonia, e che si stava apparec
ipsa Elaeae moenia descendit, misso caduceatore chiando quanto occorreva per passare l'Ellespon
ad Aemilium, velle sede pace agere. to, stimando essere venuto il tempo, innanzi
d'essere assalito per terra insieme e per mare,
di trattar della pace, prese cogli alloggiamenti
un picciolo poggio dirimpetto ad Elea. Lasciati
quivi tutti i fanti, colla cavalleria (erano da sei
mila cavalli) discese al piano sin sotto le mura
di Elea, spedito un araldo ad Emilio a dirgli
che bramava trattare della pace.
XIX. Aemilius, Eumene a Pergamo accito, XIX. Emilio, fatto venire Eumene da Perga
adhibitis et Rhodiis, consilium habuit. Rhodii mo, invitati anche i Rodiani, tenne consiglio.
haud aspernari pacem: Eumenes, a Nechonestum l Rodiani non ricusavan la pace. Eumene diceva,
esse, dicere, eo tempore de pace agi; mec exitum « Non essere convenevol cosa trattar di pace in
rei imponi posse. Qui enim, inquit, authoneste, questo momento, nè potersi trar a fine la cosa.
inclusi moenibus et obsessi velut, leges pacis acci Perciocchè, come potremo onorevolmente, chiusi
piemus? aut cui rata ista pax erit, quam sine nelle mura, come siamo, e assediati, ricever con
consule, non ex auctoritate senatus, non jussu dizioni di pace? o chi si terrà obbligato a tal
populi Romani pepigerimus ? Quaero enim, pace pace, che pattuita avremo senza il console, senza
per te facta, rediturusne extemplo in Italiam sis, l'autorità del senato, senza l'assentimento del
classem exercitumque deducturus ? an exspecta popolo Romano. Perciocchè dimando, quando
turus, quid de eare consuli placeat, quid senatus avrai fatta la pace, tornerai subito in Italia, teco
censeat, aut populus jubeat? Restat ergo, ut menando l'esercito e la flotta ? o aspettarai sul
maneas in Asia, et rursus in hiberna copiae re proposito ciò che piaccia al console, ciò che
ductae, omisso bello, exhauriant commeatibus deliberi il senato, ciò che ordini il popolo? Resta
praebendis socios; deinde (si ita visum sit iis, dunque che tu rimanga in Asia, e che le genti
penes quos potestas fuerit) instauremus novum rimesse nuovamente a quartieri d'inverno, la
de integro bellum : quod possumus, si ex hoc sciata la guerra, smungano gli alleati tenuti a
impetu rerum nihil prolatando remittitur, ante somministrar le vettovaglie; poi (se così parrà
hiemem, diis volentibus, perfecisse. » Haec sen º
a coloro, presso a quali sta il potere) torniamo
tentia vicit, responsumque Antiocho est, ante a ripigliare la guerra, la quale or possiamo, se
consulis adventum de pace agi non posse. Antio non si rallentino indugiando i nostri sforzi, in
chus, pace nequidquam tentata, evastatis Elaeen nanzi il verno col favor degli dei terminare. »
sium primum, deinde Pergamenorum agris, re Vinse questo parere, e fu risposto ad Antioco
licto ibi Seleuco filio, Adramytteum hostiliter che non si poteva trattar di pace prima della
ºa
1 o 73 TITI LIVII LIBER XXXVII. 1 o74
itinere facto, petit agrum opulentum, quem nuta del console. Antioco, tentata invano la pace,
vocant Thebes campum, carmine Homeri nobili dato il guasto prima alle terre degli Eleensi, poi
tatum. Neque alio ullo loco Asiae major regiis de Pergameni, lasciato colà il figlio Seleuco,
militibus parta est praeda. Eodem Adramytteum, attraversando ostilmente Adramitteo, mettesi
ut urbi praesidio essent, navibus circumvecti, alla volta di un territorio assai ricco, detto la
Aemilius et Eumenes venerunt. pianura di Tebe, nobilitato dai versi di Omero.
Nè mai fecero i soldati di Antioco in altro paese
dell'Asia preda maggiore. Colà pure, costeg
giando con le navi Adramitteo, vennero Emilio
ed Eumene a soccorso della città.
XX. Per eosdem forte dies Elaeam ex Achaja XX. In quel dì medesimi per avventura giun
mille pedites cum centum equitibus, Diophane sero a rinforzo dall'Acaia ad Elea mille fanti con
omnibus his copiis praeposito, accesserunt. Quos cento cavalli, genti tutte comandate da Diofane;
egressos navibus obviam missi ab Attalo nocte le quali, uscite di nave, la notte condotte furono
Pergamum deduxerunt. Veterani omnes et periti a Pergamo da quelli che Attalo mandato aveva
belli erant, et ipse dux Philopoemenis, summi ad incontrarle. Erano tutti veterani e pratici
tum omnium Graecorum imperatoris, discipulus. di guerra, e il loro comandante era discepolo di
Qui biduum simul ad quietem hominum equo Filopemene, a quel tempo il maggior capitano
rumque, et ad visendas hostium stationes, quibus di tutta Grecia. Si presero essi due giorni, sì
locis temporibusque accederent reciperentolue per dar riposo agli uomini ed ai cavalli, sì per
sese, sumpserunt. Ad radices fere collis, in quo conoscer le poste de'nemici, e in quali luoghi e
posita est urbs, regii succedebant. Ita libera ab tempi avessero a farsi innanzi, o trarsi indietro.
tergo populatio erat, nullo ab urbe, ne in statio Le genti del re si facean quasi presso alle radici
nes quidem qui procul jacularetur, excurrente. del colle, dov'è posta la città. Così era libero
Postquam semel compulsi metu se moenibus in alle spalle il saccheggiare, nessuno uscendo dal
cluserunt, contemptus eorum, et inde negligen la città, neppure per iscagliar da lontano qualche
tia apud regios oritur. Non stratos, non infre dardo contro le poste. Come una volta si furono
matos magna pars habebant equos. Paucis ad ar rinchiusi per timore dentro le mura, sorse dap
ma et ordines relictis, dilapsi ceteri sparserant se prima tra le genti del re un disprezzo verso
toto passim campo, pars in juvenales lusus lasci coloro, poi la negligenza. Una gran parte non
viamdue versi, pars vescentes sub umbra, quidam aveva i cavalli nè bardati, nè imbrigliati: lasciati
somno etiam strati. Haec Diophanes ex alta urbe pochi sotto l'armi e presso le insegne, gli altri
Pergamo contemplatus, arma suos capere, et ad dilungatisi, s'erano qua e colà sparsi per tutta
jussa praesto esse jubet: ipse Attalum adiit, et la pianura, parte voltisi a giuochi giovanili, a
in animo sibi esse dixit, hostium stationem ten insolentire, parte cibantisi all'ombra, alcuni an
tare. Aegre id permittente Attalo, quippe qui che prostesi a terra in braccio al sonno. Avendo
centum equitibus adversus trecentos, mille pedi veduto questo Diofane dalle alture di Pergamo,
tibus cum quatuor millibus pugnaturum cerneret, ordina a suoi che piglin l'armi e stiensi pronti
porta egressus, haud procul statione hostium, oc al cenno: egli recossi ad Attalo, e gli disse aver
casionem opperiens, censedit. Et qui Pergami in animo di assaltar le poste de'nemici. Avutane
erant, amentiam magis, quam audaciam credere a stento la permissione da Attalo, il quale vedeva
esse; et hostes, paullisper in eos versi, ut nihil ch'egli avrebbe dovuto con cento cavalli affron
moveri viderunt, nec ipsi quidquam ex solita tarne trecento, e con mille fanti quattro mila,
negligentia, insuper etiam eludentes paucitatem, Diofane, uscito dalla porta, si fermò non lungi
mutarunt. Diophanes quietos aliquamdiu suos, dalla posta de'nemici, aspettando l'occasione.
velut ad spectaculum modo eductos, continuit: Quelli, ch'erano a Pergamo, la credettero piut
postguam dilapsos ab ordinibus hostes vidit, pe. tosto follia, che ardimento, e i nemici, voltisi
ditibus, quantum accelerare possent, sequi jussis, alquanto inverso coloro, come videro che punto
ipse princeps inter equites cum turma sua, quam non si movevano, essi pure non mutaron punto
posset effusissimis habenis, clamore ab omni simul della solita negligenza, ridendosi anche del loro
pedite atque equite sublato, stationem hostium poco numero. Diofane tenne i suoi alquanto
improviso invadit. Non homines solum, sed equi tempo quieti, quasi non gli avesse tratti fuori,
etiam territi, quum vincula abrupissent, trepida che a farne mostra; ma poi che vide i nemici
tionem et tumultum inter suos fecerunt; pauci dilungatisi dalle poste, dato ordine a fanti che
stabant impavidi equi: eos ipsos non sternere, seguissero con quanta velocità potessero mag
non infrenare, aut ascendere facile poterant, giore, egli alla testa de'cavalieri colla sua squa
Livio 2 t;8
TITI LIVII LIBER XXXVII. 1o76
1o75
multo majorem, quam pro numero equitum, ter dra, correndo a tutta briglia, levato un grido
rorem Achaeis inferentibus. Pedites vero ordinati dalla fanteria ad un tempo, e dalla cavalleria,
et praeparati sparsos per negligentiam et semi piomba improvvisamente sopra le poste de'ne
somnos prope adorti sunt: caedes passim fuga mici. Spaventati non solamente gli uomini, ma
que per campos facta est. Diophanes, secutus eſ eziandio i cavalli, rotte le cavezze, fecero tra
fusos, quoad tutum fuit, magno Achaeorum genti i suoi gran confusione e tumulto : pochi erano i
decore parto (spectaverantenim e moenibus Per cavalli, che non fossero spaventati; nè potevano
gami non viri modo, sed feminae etiam ), in prae facilmente bardarli, imbrigliarli e montarli, met
sidium urbis rediit. tendo gli Achei spavento assai maggiore, ch'esser
dovesse pel poco numero di cavalli. I fanti poi
pronti e preparati assalirono i nemici, sparsi
negligentemente e quasi mezzo addormentati:
non vi fu per tutta la pianura che strage e fuga.
Diofane, inseguiti gli sbandati, insino che il potè
fare con sicurezza, procacciato grande onore
alla nazione degli Achei (erano stati spettatori
dalle mura di Pergamo non solo gli uomini,
ma eziandio le donne) rientrò a difendere la
città.

XXI. Postero die regiae, magis compositae et XXI. Il dì seguente le regie poste, più rac
ordinatae, stationes quingentis passibus longius colte ed ordinate, si posero alla distanza di cin
ab urbe posuerunt castra; et Achaei eodem ferme quecento passi dalla città, e gli Achei si fecero
tempore, atque in eumdem locum processerunt. innanzi quasi nel tempo e luogo medesimo. ln
Per multas horas intenti utrimoue velut jam fu tenti per molte ore d'ambe le parti aspettarono,
turum impetum exspectavere: postduam haud quasi esser vi dovesse un assalto: poi che, poco
procul occasu solis redeundi in castra tempus erat, mancando al tramontare del sole, era già tempo di
regii signis collatis abire agmine, ad iter magis, tornare al campo, le genti del re, levate le insegne,
quam ad pugnam composito, coepere. Quievit cominciarono a partirsi, a guisa piuttosto di chi si
Diophanes, dum in conspectu erant: deinde eo mette in cammino, che di chi va a battaglia. Stet
dem, quo pridie, impetu in postremum agmen tesi quieto Diofane sino che furono a vista; indi
incurrit, tantumque rursus pavoris ac tumultus diede nella retroguardia coll'impeto stesso, che il
incussit, ut, quum terga caederentur. nemo pu dì innanzi, e nuovamente tanto indusse di confu
gnandi causa restiterit: trepidantesque, et vix sione e di terrore, che mentre grande strage c'era
ordinem agminis servantes, in castra compulsi alle spalle, nessuno si arrestò per combattere, e
sunt. Haec Achaeorum audacia Seleucum ex agro spaventati e appena conservando l'ordinanza, fu
Pergameno movere castra coegit. Antiochus, post rono cacciati ne'loro alloggiamenti. Codesto ardi
quam Romanos et Eumenem ad tuendum Adra mento degli Achei costrinse Seleuco a rimovere
mytteum venisse audivit, ea quidem urbe absti il campo dal contado Pergameno. Antioco, poi
nuit, depopulatus agros. Peraeam inde, coloniam che udì esser venuti i Romani ed Eumene a di
Mitylenaeorum, expugnavit. Cotton et Coryle fendere Adramitteo, saccheggiato il paese, non
nus et Aphrodisias et Crene primo impetu ca però accostossi alla città. Indi espugnò Perea,
ptae sunt : inde per Thyatira Sardes rediit. Se colonia de'Mitileni. Cotone e Corileno e Afrodi
leucus, in maritima ora permanens, aliis terrori, sia e Crene furono presi di primo impeto: poi
aliis praesidio erat. Classis Romana cum Eumene per Tiatira tornò a Sardi. Seleuco, restandosi
Rhodiisque Mitylenen primo, inde retro, unde nella spiaggia marittima, era ad altri di spaven
profecta erat, Elaeam rediit. Inde Phocaeam pe to, ad altri di difesa. I,a flotta Romana tornò
tentes ad insulam, quam Bachium vocant (immi primieramente con Eumene e co Rodiani a Mi
net urbi Phocaeensium), appulerunt, et quibus tilene: poi retrocedendo, ad Elea, dond'era
ante abstinuerant templis signisque (egregie au partita. Indi drizzatisi verso la Focea, approda
tem exornata insula erat), quum hostiliter diri rono all'isola, che chiamano Bachio (sovrasta
puissent, ad ipsam urbem transmiserunt. Eam essa alla città de Focesi), e avendo manomesso
divisis inter se partibus quum oppugnarent, et ostilmente i tempii e le statue, di che s'eran
viderent, sine operibus, armis scalisque capi non prima astenuti (e n'era l'isola egregiamente ador
posse; missum ab Antiocho praesidium trium mil na), si mossero verso la stessa città. Assediandola
lium armatorum quum intrasset urbem, extem coll'aversi divise tra loro le diverse parti, cre
plo, oppugnatione omissa, classis ad insulam se dendo esser impossibile il prenderla senza lavori,
1 o77 TITI LIVII LIBER XXXVII, io78
recepit, nihil aliud quam depopulato circa urbem colle sole armi e le sole scale, essendo entrato in
hostium agro. città un presidio di tre mila armati spedito da
Antioco, all'improvviso, lasciato l'assedio, la flotta
ripassò nell'isola, non altro avendo fatto che sac
cheggiare i contorni della città.
XXII. Inde placuit Eumenem domum dimitti, XXII. Piacque di poi che Eumene se n'an
et praeparare consuli atque exercitui, quae ad dasse a casa ad allestire quanto occorreva al
transitum Hellesponti opus essent; Romanam console ed all'esercito per passare l'Ellesponto,
Rhodiamoſue classem redire Samum, atque ibi in e che la flotta Romana e Rodiana tornasse a Sa
statione esse, ne Polyxenidas ab Epheso moveret. mo, e stesse quivi a guardia che Polissenida
Rex Elaeam, Romani et Rhodii Samum redie non si movesse da Efeso. Il re tornò ad Elea, i
runt. Ibi M. Aemilius, frater praetoris, decessit. Romani ed i Rodiani a Samo. Quivi Marco Emi
Rhodii, celebratis exsequiis, adversus classem, lio, fratello del pretore, morì. I Rodiani, celebra
quam fama erat ex Syria venire, tredecim suis te le esequie, recaronsi con tredici delle loro navi
navibus, et una Coa quinqueremi, altera Gnidia, e con una quinquereme da Coo, e con altra da
Rhodum, ut ibi in statione essent, profecti sunt. Gnido a Rodi, per ivi starsi in posta contro la
Biduo ante, quam Eudamus cum classe a Samo flotta, che si diceva venire dalla Siria. Due giorni
veniret, tredecim a Rhodo naves cum Pamphilida innanzi che Eudamo venisse colla flotta da Samo,
praefecto adversus eamdem Syriacam classem tredici navi partite da Rodi, spedite sotto la
missae, assumptis navibus quatuor, quae Cariae condotta del prefetto Panfilida contro la stessa
praesidio erant, oppugnantibus regiis, Daedala et ſlotta Siriaca, tolte con sè quattro navi ch'erano
quaedam alia parva castella obsidione exemerunt. di presidio a Caria, liberarono dall'assedio che vi
Eudamum confestim exire placuit. Additae huic avean posto quelli del re, Dedalo ed alcuni altri
quoque sunt ad eam classem, quam habebat, sex piccioli castelli. Si ordinò che subito Eudamo
apertae naves. Profectus quum, quantum accele uscisse in mare: all'armata, ch'egli aveva, gli si
rare poterat, maturasset, ad portum, quem Megi aggiunsero anche sei navi senza coperta. Uscito,
sten vocant, praegressos consequitur. Inde uno avendo accelerato il cammino quanto più poteva,
agmine Phaselidem quum venissent, optimum vi raggiunse al porto, che chiamano Megiste, quelli
sum est, ibi hostem opperiri. ch'erano passati innanzi; indi venuti di conserva
a Faselide, parve ottimo partito aspettar quivi il
nemico.

XXIII. In confinio Lyciae et Pamphyliae Pha XXIII. Faselide è posta sul confine della
selis est: prominet penitus in altum, conspicitur Licia e della Panfilia: sporge in fuori sul mare,
que prima terrarum Rhodum a Cilicia petenti ed è la prima terra, che si vede da chi dalla
bus, et procul navium praebet prospectum. Eo Cilicia si drizza a Rodi, e scorge le navi assai da
maxime, ut in obvio classi hostium essent, electus lontano. Per tal ragione massimamente fu scelto
locus est. Ceterum, quod non providerunt, et questo luogo, donde scoprire agevolmente la
loco gravi, et tempore anni (medium enim aesta flotta nemica. Del resto, cosa che non previdero,
tis erat), ad hoc insolito odore ingruere morbi e per la malsania del luogo, e per la stagione
vulgo, maxime in remiges, coeperunt. Cujus pe (era il mezzo della state), e inoltre per l'insolito
stilentiae metu profecti, quum praeterveherentur puzzo, cominciarono le malattie a diffondersi
Pamphylium sinum, ad Eurymedontem amnem largamente, massime tra le ciurme. Temendo di
appulsa classe, audiuntab Aspendiis, ad Sidam questa pestilenza, partitisi, oltrepassando il golfo
jam hostes esse. Tardius navigaverant regii, ad Panfilio, approdati colla flotta al fiume Eurime
verso tempore Etesiarum, quod velut statum Fa donte, odono dagli Aspendii che i nemici erano
voniis ventis esset. Rhodiorum duae et triginta di già a Sida. L'armata del re avea navigato
quadriremes, et quatuor triremes fuere. Regia alquanto lentamente, contrariata dai venti Etesii,
classis septem et triginta majoris formae navium come che fosse il tempo, in cui sogliono spirare
erat, in quibus tres hepteres et quatuor hexeres i Favonii. Ebbero i Rodiani trentadue quadrire
habebat; praeter has decem triremes erant: et mi e quattro triremi. La flotta del re era di
hi adesse hostes ex specula quadam cognovere. trenta sette navi, di forma maggiore, tra le quali
ne aveva tre a sette remi, e quattro a sei: c'erano
Utraque classis postero die luce prima, tamquam
eo die pugnatura, e portu movit; et, postguam oltre queste dieci triremi, e questi avean da certa
superavere Rhodii promontorium, quod ab Sida vedetta scoperti i nemici. Sul far del giorno ap
prominet in altum, extemplo et conspecti ab ho presso, l'una e l'altra armata uscì dal porto,
stibus sunt, et ipsi eos viderunt. Ab regiis sini quasi avesse a combattere quel dì stesso; e poi
io7) TITI LIVII LIBER XXXVII. 1o8o

stro cornu, quod ab alto objectum erat, Hanni ch'ebbero i Rodiani superato il promontorio, che
bal, dextro Apollonius, purpuratorum unus, da Sida sporge in mare, subito e videro, e veduti
praeerat ; et jam in frontem directas habebant furono da nemici. L'ala sinisra dell'armata del
naves. Rhodii longo agmine veniebant. Prima re, che guardava l'alto mare, comandata era da
praetoria navis Eudami erat ; cogebat agmen Annibale, la destra da Apollonio, uno de primi
Chariclitus; Pamphilidas mediae classi praeerat. consiglieri, ed avean già schierate le navi di
Eudamus, postduam hostium aciem instructam et fronte. Venivano i Rodiani in longa fila: prima
paratam ad concurrendum vidit, et ipse in altum la capitana di Eudamo; chiudeva l'ultima schiera
evehitur, et deinceps, quae sequebantur, servan Cariclito; Panfilida comandava il centro. Euda
tes ordinem in frontem dirigere jubet. Ea res mo, poi che vide la flotta nemica schierata e in
primo tumultum praebuit: nam mec sic in altum ordine per combattere, anch'egli s'inoltra in
evectus erat, ut ordo omnium navium ad terram alto mare; poscia impone alle navi, che seguiva
explicari posset; et festinans ipse praepropere no, che mantenendo l'ordinanza, vadano a met
cum quinque solis navibus Hannibali occurrit. tersi di fronte. Questo movimento generò da
Ceteri, quia in frontem dirigere jussi erant, non principio qualche disordine; perciocchè nè egli
sequebantur. Extremo agmini loci nihil ad ter s'era tanto inoltrato in alto mare, che la fila di
ram relicti erat, trepidantibusque iis inter se, tutte le altre navi potesse distendersi verso terra;
jam in dextro cornu adversus Hannibalem pu ed egli troppo affrettatosi si fe” incontro ad An
gnabatur. nibale con sole cinque navi. Gli altri, perche
erano stati comandati di mettersi in sulla fronte,
non lo seguivano. All' ultima squadra non era
rimasto punto di spazio verso terra, e mentre
s'imbarazzavano l'un l'altro, già si combatteva
all'ala destra contro Annibale.
XXIV. Sed momento temporis et navium vir XXIV. Ma in un momento e la bravura delle
tus, et usus rei maritimae terrorem omnem Rho navi, e la pratica delle cose di mare tolse ogni
diis dempsit: nam et in altum celeriter evectae timore a Rodiani; perciocchè le navi, allargatesi
naves locum post se quaeque venienti ad terram prestamente in alto mare, diedero luogo ad ogni
dedere; et, si qua concurrerat rostro cum hostium altra, che venìa lor dietro verso terra ; e se
navi, aut proram lacerabat, aut remos deterge alcuna investiva col rostro una nave nemica, o
bat, aut, libero inter ordines discursu praeterve ne spezzava la prora, o ne abradeva i remi, o
cta, in puppim impetum dabat. Maxime exter passando oltre con libero corso tra le file, si
ruit hepteris regia, a multo minore Rhodia nave scagliava contro la poppa. Mise, più ch'altro,
uno ictu demersa. Itaque jam haud dubie dexte spavento la nave regia a sette remi, affondata di
rum cornu hostium in fugam inclinabat. Euda un sol colpo da una Rodiana molto minore.
mum in alto multitudine navium maxime Bian Quindi già chiaramente l'ala destra de'nemici
nibal, ceteris omnibus longe praestantem, urge piegava a fuggire. Annibale, in alto mare, special
bat; et circumvenisset, mi signo sublato ex prae mente col gran numero delle navi, incalzava
toria nave (quo dispersam classem in unum col Eudamo, più valente di tutti, e lo avrebbe avvi
ligi mos erat), omnes, quae in dextro cornu vi luppato, se ad un segno dato dalla nave capitana
cerant, naves ad opem ferendam suis concurris (segno, col quale si soleva raccogliere l'armata
sent. Tum et Hannibal, quaeque circa eum erant dispersa) tutte le navi, che aveano vinto sull'ala
naves, capessunt fugam; nec insequi Rhodii, ex destra, non fossero corse a soccorrere i suoi.
magna parte aegris, et ob id celerius fessis remi Allora Annibale e le navi che gli erano intorno,
gibus, potuerunt. Quum in alto, ubi substiterant, prendono la fuga; nè i Rodiani poterono inse
cibo reficerent vires, contemplatus Eudamus ho guirli, essendo i remiganti parte ammalati, e
stes, claudas mutilatasque naves apertis navibus perciò stancatisi più facilmente. Mentre i nemici
remulco trahentes, viginti paullo amplius inte si ristoravan col cibo in alto mare, dove s'erano
gras abscedentes, e turri praetoriae navis silen fermati, Eudamo, come li vide rimorchiare colle
tio facto « Exsurgite, inquit, et egregium specta navi aperte i legni malconci e mutilati, poco più
culum capessite oculis! » Consurrexere omnes, di venti andarsene illese, intimato silenzio dalla
contemplatique trepidationem fugamgue hostium, torre della capitana, « Levatevi su, disse, e gode
prope una voce exclamavere omnes, ut sequeren tevi l'egregio spettacolo! » Levaronsi tutti, e
tur. Ipsius Eudami multis ictibus vulnerata navis mirando il disordine e la fuga de' nemici quasi
erat. Pamphilidam et Chariclitum insequi, quoad ad una voce gridarono, che s'inseguano. La nave
putarent tutum, jussit. Aliquamdiu secuti sunt: dello stesso Eudamo era stata ferita da molti colpi;
Io81 TITI LlVII LIBER XXXVII, Io82

postouam terrae appropinquabat Hannibal, ve diede perciò ordine a Panfilida ed a Caricli


riti ne includerentur vento in hostium ora, ad to, che gl'inseguisse per quanto spazio si potesse
Eudamum revecti, hepterem captam, quae primo fare sicuramente. Gl'inseguirono per alquanto
concursu icta erat, aegre Phaselidem pertraxe tratto; ma poi che Annibale si avvicinava a ter
runt. Inde Rhodum, non tam victoria laeti, quam ra, temendo che il vento non li chiudesse tra la
alius alium accusantes, quod, quum potuisset, spiaggia nemica, tornatisi ad Eudamo, trassero
non omnis submersa aut capta classis hostium fo a gran pena a Faselide la nave a sette remi, che
ret, redierunt. Hannibal, ictus uno proelio ad avean presa, colpita nel primo scontro. Di là
verso, ne tum quidem praetervehi I.yciam aude tornaronsi a Rodi, non tanto lieti per la vittoria,
bat, quum conjungi veteri regiae classi quanpri quanto accusandosi l'un l'altro, che come si po
mum cuperet. Et, id ne ei facere liberum esset, teva, non si fosse sommersa o presa tutta la flotta
Rhodii Chariclitum cum vigintimavibus rostratis nemica. Annibale, perduta questa sola battaglia,
ad Patara et Megisten portum miserunt. Euda pure non osava ancora di passare lungo la costa
mum cum septem navibus maximis ex ea classe, della Licia, benchè bramasse di unirsi alla vec
cui praefuerat, Samum redire ad Romanos jusse chia armata del re. Ed acciocchè non gli fosse
runt, ut, quantum consilio, quantum auctori libero di ciò fare, i Rodiani spedirono Cariclito
tate valeret, compelleret Romanos ad Patara op con venti navi rostrate a Patara e a Megiste.
pugnanda. Ordinarono ad Eudamo che con sette grosse
navi della flotta, che avea comandata, tornasse a
Samo ai Romani, onde quanto col consiglio e
coll'autorità valeva, spingesse i Romani all'espu
gnazione di Patara.
XXV. Magnam laetitiam Romanis jam prius XXV. Gran letizia recò a Romani prima la
nuncius victoriae, deinde adventus attulit Rho nuova della vittoria, poi la venuta de' Rodiani,
diorum: et apparebat, si ea cura Rhodiis dempta e ben si vedeva che se si togliesse loro la pre
esset, vacuos eos tuta eius regionis maria praesta sente cura, disimpacciati avrebbero tenuto netti
turos. Sed profectio Antiochi ab Sardibus, ne que'mari. Ma la partenza di Antioco da Sardi,
opprimerentur urbes maritimae, abscedere cu onde sopraffatte non fossero le città marittime,
stodia Joniae atque Aeolidis prohibuit. Pamphi non permise che abbandonassero la custodia
lidam cum quatuor navibus tectis ad eam clas della lonia e dell'Eolide. Mandarono Panfilida
sem, quae circa Patara erat, miserunt. Antiochus con quattro navi coperte a quella flotta, ch'era
non civitatium modo, quae circa se erant, con intorno Patara. Antioco non solamente raccoglie
trahebat praesidia; sed ad Prusiam, Bithyniae va i presidii delle città, che gli erano intorno;
regem, miserat legatos literasque, quibus trans ma spediti aveva a Prusia, re di Bitinia, e legati
itum in Asiam Romanorum increpabat: « Ve e lettere, colle quali rampognava acremente il
nire eos ad omnia regna tollenda, ut nullum passaggio de Romani in Asia: «Venivan essi a
usquam orbis terrarum, nisi Romanum, im rovesciar tutti i troni, sì che in tutto il mondo
perium esset. Philippum et Nabin expugnatos; non altro impero ci fosse, che il Romano. Ave
se tertium peti: ut quisque proximus ab oppres van domato Filippo e Nabide; ora si scagliavan
so sit, per omnes velut continens incendium per contro di lui, terzo: secondo che ciascuno si
vasurum. Ab se gradum in Bithyniam fore, quan troverà vicino all' oppresso, verrà a mano a
do Eumenes in voluntariam servitutem concessis mano codesto incendio a invader tutti. Dopo lui,
set. ” His motum Prusiam literae Scipionis con Antioco, non v'ha che un passo in Bitinia, poi
sulis, sed magis ejus fratris Africani, ac suspicio che Eumene si è piegato a volontaria servitù. »
ne tali averterunt ; qui, praeter consuetudinem Prusia colpito da queste riflessioni, fu distolto
perpetuam populi Romani augendi omni honore da così fatto sospetto dalle lettere del console
regum sociorum majestatem, domesticis ipse Scipione, e più da quelle di suo fratello Africa
exemplis Prusiam ad promerendam amicitiam no, il quale, oltre allegare la perpetua usanza
suam compulit. « Regulos se acceptos in fidem del popolo Romano di accrescere con ogni sorta
in Hispania reges reliquisse. Masinissam non in di onore la maestà de're alleati, valendosi dei
patrio modo locasse regno, sed in Syphacis, a quo domestici esempii, indusse Prusia a cercar di
ante expulsus fuisset, regnum imposuisse; et esse acquistarsi l'amicizia sua. « l piccioli sovrani,
eum non Africae modo regum longe opulentissi che s'eran commessi in Ispagna alla sua fede, gli
mum, sed toto in orbe terrarum cuivis regum vel avea lasciati re. Avea rimesso Masinissa non so
majestate, vel viribus parem. Philippum et Na lamente nel patrio regno, ma l'avea posto in
bin, hostes bello superatos ab T. Quintio, tamen quello di Siface, dal quale era stato innanzi scac
1 o83 TITI LIVII LIBER XXXVII. 1o84
in regno relictos. Philippo quidem anno priore ciato, ed era diventato già non solamente il più
etiam stipendium remissum, et filium obsidem dovizioso di tutti i re dell'Africa, ma pari a
redditum ; et quasdam civitates extra Macedo qualunque altro del mondo di maestà e di forze.
niam, patientibus Romanis imperatoribus, rece Filippo e Nabide, nemici superati in guerra da
pisse eum. Id eadem dignitate et Nabin futurum Tito Quinzio, pur erano rimasti in trono. Allo
fuisse, nisi eum suus primo furor, deinde fraus stesso Filippo, l'anno innanzi, era stato condona
Aetolorum absumpsisset. - Maxime con firmatus to il tributo, e restituito il figlio ch'era ostaggio,
est animus regis, post ſuam ad eum C. Livius, ed avea egli conquistate alcune città fuori della
qui praetorante classi praefuerat, legatus ab Ro Macedonia, comportandolo i comandanti Romani.
ma venit, et edocuit, quanto et spes victoriae cer Anche a Nabide si sarebbe conservata la stessa
tior Romanis, quam Antiocho, et amicitia sanctior dignità, se non lo avesse rovinato prima il suo
firmiorque apud Romanos futura esset. pazzo furore, poi la perfidia degli Etoli. » Ma
più che per altro, si assicurò l'animo del re
poi che venne a legato da Roma Caio Livio, il
quale avea pretore comandata in addietro la
flotta, e lo chiarì quant'era più certa la speran
za della vittoria stando coi Romani, che con An
tioco, e quanto sarebbe più rispettata e più ferma
l'amicizia sua co Romani.
XXVI. Antiochus, postguam a spe societatis XXVI. Antioco, poi che decadde dalla spe
Prusiae decidit, Ephesum ab Sardibus est profe ranza di collegarsi con Prusia, passò da Sardi ad
ctus ad classem, quae per aliquot menses instru Efeso alla flotta, che in alquanti mesi era stata
cta ac parata fuerat, visendam ; magis quia ter allestita e messa in ordine, più perchè vedeva di
restribus copiis exercitum Romanum et duos Sci non poter sostenere colle forze di terra l'esercito
piones imperatores videbat sustineri non posse, Romano ei due comandanti Scipioni, che perchè
quam quod res navalis ipsa per se aut tentata le cose di mare gli fossero riuscite a bene, o gli
sibi umquam feliciter, aut tunc magnae et certae dessero allora grande e certa fiducia. V'era però
fiduciae esset. Erat tamen momentum in praesen in presente un raggio di speranza e perchè gran
tia spei, quod et magnam partem Rhodiae classis parte dell'armata Rodiana si stava intorno a Pa
circa Patara esse, et Eumenem regem cum omni tara, e perchè aveva udito che il re Eumene se
bus navibus suis consuli obviam in Hellespontum n'era andato con tutte le navi ad incontrare il
profectum audierat: aliquid etiam inflabat ani console all'Ellesponto. Gli aggiungeva qualche
mos classis Rhodia, ad Samum per occasionem po'di ardimento la flotta Rodiana distrutta presso
fraude praeparatam absumpta. His fretus, Poly Samo nell'occasione del preparato tradimento. In
xenida cum classe ad tentandam omni modo cer che confidando, mandato Polissenida coll'armata
taminis fortunam misso, ipse copias ad Notium a tentare in ogni modo la fortuna d'una batta
ducit: id oppidum Colophonium, mari imminens, glia, egli condusse l'esercito a Nozio. Questo
abest a vetere Colophone duo ferme millia pas castello dei Colofonii soprastante al mare è
suum: et ipsam urbem suae esse potestatis vole distante dal vecchio Colofone quasi due miglia,
bat, adeo propinquam Epheso, ut nihil terra ma e voleva impadronirsi di questa città, così vicina
rive ageret, quod non subjectum oculis Colopho ad Efeso, che non si faceva cosa per terra e per
niorum, ac per eos notum extemplo Romanis esset: mare, che non fosse esposta agli occhi de'Colo
quos, audita obsidione, non dubitabat ad open fe fonii, e per loro mezzo nota subito ai Romani; i
rendam sociae urbi classem a Samo moturos; eam quali non dubitava che udito l'assedio, avreb
occasionem Polixenidae ad rem gerendam fore. bon mossa la flotta da Samo per soccorrere la
Igitur, operibus oppugnare urbem aggressus, et città alleata; il che avrebbe porta occasione a
ad mare partibus duabus pariter munitionibus Polissenida di venire a giornata. Quindi, dato
deductis, utrimdue vineas et aggerem muro in mano a lavori, e messosi a combattere la città, e
junxit, et testudinibus arietes admovit. Quibus tirate al pari le munizioni da due parti insino al
territi malis Colophonii oratores Samum ad L. mare, quinci e quindi distese le gallerie e il
Aemilium, fidem praetoris populi ſue Romani im terrapieno insino al muro, e coperto dalle testug
plorantes, miserunt. Aemilium et Sami segnis gini, vi accostò gli arieti. Spaventati i Colofoni i
diu mora offendebat, nihil minus opinantem, da questi mali, spedirono oratori a Samo a Lucio
quam Polyxenidam, bis nequidquam ab se pro Emilio ad implorare la protezione del pretore
vocatum, potestatem pugnae facturum esse; et e del popolo Romano. Anche Emilio era di già
turpe existimabat, Eumenis classem adjuvare con infastidito della sua lunga dimora a Samo, e
I o 65 TITI LIVII LIBER XXXVII. Io80

sulem ad trajiciendas in Asiam legiones; se Co tutt'altro pensava, fuorchè Polissenida, da lui


lophonis obsessae auxilio, incertam finem habi provocato invano due volte, fosse per venire a
turo, alligari. Eudamus Rhodius, qui et tenuerat battaglia, e gli pareva cosa indecorosa che la
eum Sami, cupientem proficisci in Hellespontum, flotta di Eumene aiutasse il console a tragittare
cunctique instare et dicere, « Quanto satius esse, in Asia le legioni, e ch'egli si stesse avvinto a
vel socios obsidione eximere, vel victam jam se soccorrere, chi sa poi con qual esito, Colofone
mel classem iterum vincere, totamque maris pos assediato. Eudamo Rodiano, che l'avea ritenuto
sessionem hosti eripere, quam, desertis sociis, tra a Samo quand'egli pur bramava di passare al
dita Antiocho Asia terra marique, in Hellespon l'Ellesponto, e tutti gli altri il pressavano e gli
tum, ubi satis esset Eumenis classis, ab sua parte dicevano, « Quanto sarebbe più vantaggioso o
belli discedere ? » liberare gli alleati dall'assedio, o vincere nuo
vamente una flotta già vinta innanzi, e to
gliere del tutto a nemici la possessione del
mare, che, abbandonati gli alleati, messa tutta
l'Asia per mare e per terra in mano di Antioco,
lasciare la parte di guerra aſfidatagli per andare
all'Ellesponto, dov'era bastante l'armata d'Eu
mene ? »

XXVII. Profecti ab Samo ad petendos com XXVII. Partitisi i Romani da Samo a cercar
meatus, consumptis jam omnibus, Chium para vettovaglie, avendole già tutte consumate, dise
bant trajicere. Id erat horreum Romanis, eoque gnavano di recarsi a Chio. Era questo il granaio
omnes ex Italia missae onerariae dirigebant cur de' Romani, e tutti i legni da carico, spediti
sum. Circumvectiab urbe ad aversa insulae (obje dall'Italia, drizzavano colà il loro corso. Mentre,
cta aquiloni ad Chium et Erythras sunt), quum fatto il giro della città ai la parte opposta del
pararent trajicere, literis certior fit praetor, fru l'isola (è questa volta a settentrione in faccia
menti vim magnam Chium ex Italia venisse; vi Chio ed Eritra), si preparavano a tragittare, il
num portantes naves tempestatibus retentas esse. pretore riceve avviso per lettere, ch'era venuta
Simul allatum est, Tejos regiae classi benigne a Chio dall'Italia grande quantità di frumento,
commeatus praebuisse; quinque millia vasorum ma che i legni, che portavano vino, erano stati
vini esse pollicitos. Teum ex medio cursu clas ritenuti da venti contrarii. Nel tempo stesso fu
sem repente avertit, autvolentibus iis usurus com riferito che i Teii aveano somministrato amica
meatu parato hostibus, aut ipsos pro hostibus mente vettovaglie alla flotta del re, ed avean
habiturus. Quum direxissent ad terram proras, promesso cinque mila vasi di vino. Il pretore
quindecim ferme eis naves circa Myonnesum ap improvvisamente a mezzo il corso volta la flotta
paruerunt, quas primo ex classe regia praetor verso Teio, o per valersi col loro consentimento
esse ratus, institit sequi: apparuit inde, piraticas delle vettovaglie preparate pel nemico, o per
celoces et lembos esse. Chiorum maritimam oram trattarli essi come nemici. Avendo rivolte le
depopulati, cum omnis generis praeda reverten prore verso terra, apparvero loro da quindici
tes, postguam videre ex alto classem, in fugam legni presso a Mionneso; i quali stimando il pre
verterunt: et celeritate superabant, levioribus et tore dapprima che fossero della flotta regia, si
ad id fabrefactis navigiis, et propiores terrae pose ad inseguirli: si conobbe poi, ch'erano
erant. Itaque, priusquam appropinquaret classis, lembi e piccioli legni di corsari. Costoro, sac
Myonnesum perfugerunt: unde se a portu ratus cheggiata la costa marittima di Chio, tornandosi
abstracturum maves,ignarus loci sequebatur prae carichi di ogni sorta di preda, come videro dal
tor. Myonnesus promontorium inter Teum Sa l'alto la flotta Romana, si diedero alla fuga, e
mumque est. Ipse collis est in modum metae in vincevano di celerità, avendo legni leggerissimi,
acutum cacumen a fundo satis lato fastigatus: a e appositamente fatti per ciò, ed erano più presso
continenti arctae semitae aditum habet: a mari a terra. Quindi, immanzi che la flotta li raggiun
exesae ſluctibus rupes claudunt; ita ut quibusdam gesse, fuggirono a Mionneso, dove il pretore,
locis superpendentia saxa plus in allum, quam, stimando che gli avrebbe strappati a forza dal
quae in statione sunt, naves, promineant. Circa porto, non conoscendo i luoghi, gl'inseguiva.
ea appropinquare non ausae naves, ne sub ictu È Mionneso un promontorio tra Teo e Samo.
superstantium rupibus piratarum essent, diem Il colle si solleva dal fondo con base alquanto
trivere. Tandem, sub noctem vano incepto quum larga, e con punta aguzza, a guisa di meta: ha
abstitissent, Teum postero die accessere; et, in l'ingresso da terra per angusto sentiero: dal
portu, qui ab tergo urbis est (Geraesticum ipsi mare il chiudono rupi scavate dai flutti; sì che
io87 TITI LIVII LIBER XXXVII. 1 o88

appellant), navibus constitutis, praetor ad depo in alcuni luoghi i sassi sovrapendenti sporgono
pulandum circa urbem agrum milites emisit. in sul mare più, che non le navi stanziate sotto.
Non osando i navigli Romani appressarsi a quel
sito, per non mettersi sotto i colpi de'pirati,
che stavan sopra le rupi, consumarono la gior
nata. Finalmente, sulla notte, lasciata la vana
impresa, il dì seguente si accostarono a Teio, e
collocate le navi nel porto, ch'è dietro la città
(lo chiamano Gerestico), il pretore mandò i sol
dati a saccheggiare il paese d'intorno.
XXVIII. Teji, quum in oculis populatio esset, XXVIII. I Teii, vedendosi in sugli occhi co
oratores cum infulis et velamentis ad Romanum desto guasto, spedirono oratori al console, cinti
miserunt. Quibus purgantibus civitatem omnis il capo d'infule e di bende. I quali adoperandosi
facti dictique hostilis adversus Romanos, « et ju a purgare la città da ogni detto o fatto ostile
visse eos commeatu classem hostium arguit, et contro i Romani, il pretore rinfacciò loro « e il
quantum vini Polyxenidae promisissent: quae si soccorso di vettovaglie dato alla flotta nemica,
eadem classi Romanae darent, revocaturum se a e la quantità di vino, che avevan promessa a
populatione militem ; sin minus, pro hostibus eos Polissenida: se però dessero a Romani le robe
habiturum. » Hoc tam triste responsum quum stesse, richiamerebbe il soldato dal predare; di
retulissent legati, vocatur in concionem a magi versamente, li tratterebbe da nemici. » Avendo
stratibus populus, ut, quid agerent, consultarent. gli oratori riportata così dolente risposta, il po
Eo forte Polyxenidas cum regia classe a Colo polo è chiamato a parlamento dai magistrati per
phone profectus, postduam movisse a Samo Ro consultare di ciò, che si avesse a fare. A caso
manos audivit, et, ad Myonnesum piratas perse andato a quella volta Polissenida colla regia
cutos, Tejorum agrum depopulari, naves in Ge flotta, partitosi da Colofone, poi che udì essersi
raestico portu stare, ipse adversus Myonnesum i Romani mossi da Samo, ed inseguiti i pirati
in insula (Macrin nautici vocant) anchoras portu sino a Mionneso, saccheggiare il contado de'Teii,
occulto jecit. Inde ex propinquo explorans quid e starsi le navi ancorate nel porto Gerestico,
hostesagerent, primo in magna spe fuit, quem venne egli a mettersi occultamente nel porto in
admodum Rhodiam classem ad Samum, circum faccia a Mionneso nell'isola, che i marinai chia
sessis ad exitum faucibus portus, expugnasset, sic mano Macri. Di là spiando che si facessero i
et Romamam expugnaturum. Nec est dissimilis nemici, ebbe dapprima molta speranza che, come
matura loci. Promontoriis coeuntibus inter se ita avea già distrutta la ſlotta Rodiana presso a Sa
clauditur portus, ut vix duae simul inde naves mo, chiudendole l'uscita alla bocca stessa del
possint exire. Nocte occupare fauces Polyxeni porto, così distruggerebbe la flotta Romana. Nè
das in animo habebat, et, denis navibus ad pro la natura del luogo è dissomigliante. Il porto è
montoria stantibus, quae ab utroque cornu in chiuso così dai promontorii, che si raccozzano
latera exeuntium navium pugnarent, ex cetera insieme, che possono appena uscirne due navi
classe, sicut ad Panormum fecerat, armatis in li ad un tempo. Aveva in animo Polissenida la notte
tora expositis, terra marique simul hostes oppri di occuparne le foci, e mettendo dieci navi ai
mere. Quod non vanum ei consilium fuisset, ni, promontorii, che di qua e di là percuotessero
quum Teji facturos se imperata promisissent, ad i fianchi delle navi, che uscivano, sbarcati dalla
accipiendos commeatus aptius visum esset Ro restante flotta i soldati, come avea fatto a Panor
manis, in eun portum, qui ante urbem est, clas mo, opprimere i nemici ad un tempo dalla parte
sem transire. Dicitur et Eudamus Rhodius vitium di terra e di mare. Nè gli sarebbe riuscito vano
alterius portus ostendisse, quum forte duae naves il disegno, se avendo i Teii promesso di eseguire
in arcto ostio implicitos remos fregissent: et inter gli ordini ricevuti, non avessero i Romani sti
alia id quoque movit praetorem, ut traduceret mato più comodo a ricevere le vettovaglie il tra
classem, quod ab terra periculum erat, haud pro ghettare la flotta nel porto, ch'è dinanzi alla
culinde Antiocho stativa habente. città. Dicesi che anche Eudamo Rodiano avesse
dimostrato il difetto dell'altro porto, avendo due
navi a caso infranti i lor remi, implicatili nella
strettezza della bocca. E tra l'altre cose fu mosso
il pretore a traghettare l'armata anche da questo,
che c'era pericolo dalla banda di terra, non es
sendo lontani gran fatto i quartieri di Antioco.
1 o89 T l'1'I LlVII LIBER XXXVII. Io9o

XXIX. Traducta classe ad urbem, ignaris XXIX. Tradotta la flotta dinanzi alla città,
omnibus, egressi milites nautaeque sunt ad com nessuno sapendo come la cosa si stesse, i soldati
meatus et vinum maxime dividendum in naves; e le ciurme uscirono a prender le vettovaglie, e
quum medio forte diei agrestis quidam, ad prae specialmente a ripartire il vino tra le navi;
torem adductus, nunciat, - alterum jam diem quando verso il mezzo dì a caso un certo conta
classem stare ad insulam Macrin, et paullo ante dino, tratto dinanzi al pretore, riferisce, « che
visas quasdam moveri, tamquam ad profectionem, già da due giorni una flotta si stava all'isola
naves. » Re subita perculsus praetor tubicines di Macri; e che poc'anzi s'eran vedute muoversi
camere jubet, ut, si qui per agros palati essent, alcune navi, come in atto di partire. » Il pretore,
redirent; tribunos in urbem mittit ad cogendos colpito dall'inaspettata novella, ordina che si
milites nautasque in maves. Haud secus, quam in dia nelle trombe, onde se alcuni fossero dispersi
repentino incendio aut capta urbe, trepidatur, per la campagna, tornassero; manda i tribuni
aliis in urbem currentibus ad suos revocandos, alla città a raccogliere i soldati e i marinai alle
aliis ex urbe maves cursu repetentibus; incertis navi. Non fu minore lo scompiglio, che in subito
que clamoribus (quibus ipsis tubae obstreperent) incendio, o in terra presa d'assalto, altri cor
turbatis imperiis, tandem concursum ad naves rendo alla città a richiamare i suoi, altri dalla
est. Vix suam quisque moscere, aut adire prae città tornando di corso alle navi; e mal udendosi
tumultu poterat; trepidatumque cum periculo et gli ordini per le grida incerte, cui si aggiungeva
in mari et in terra foret, ni, partibus divisis, lo strepitar delle trombe, finalmente tutti si af
Aemilius, cum praetoria nave primus e portu in follarono alle navi. Appena poteva ciascuno cono
altum evectus, excipiens insequentes, suo quam scere la sua, e pel grande scompigliamento salirvi
que ordine in frontem instruxisset; Eudamus sopra, e la confusione sarebbe stata pericolosa e
Rhodiaque classis substitissent ad terram, ut et per terra e per mare, se, divise le parti, Emilio,
sine trepidatione conscenderent, et, ut quaeque primo colla capitana spiccatosi dal porto in alto
parata esset, exiret navis. Ita et explicuere ordi mare, accogliendole secondo che venivano, non
nem primae in conspectu praetoris, et coactum le avesse una ad una disposte in ordine sul da
agmen ab Rhodiis est; instructaque acies, velut vanti, e se Eudamo e l'armata Rodiana non si
cerneret regios, in altum processit. Inter Myon fossero fermati presso terra, onde la gente s'im
nesum et Corycum promontorium erant, quum barcasse senza disordine, e ciascuna nave, come
hostem conspexere. Et regia classis, bimis in or era in pronto, uscisse. Così le prime spiegaronsi
dinem navibus longo agmine veniens, et ipsa in fila a vista dello stesso pretore, e i Rodiani
aciem adversam explicuit; tantum laevo evecta chiusero l'ordinanza; e la flotta schierata, come
cornu, ut amplecti et circumire dexterum cornu se vedessero quella del re, si fe' innanzi in alto
Romanorum posset. Quod ubi Eudamus, qui mare. Erano arrivati tra i promontorii di Mion
cogebat agmen, vidit, non posse aequare ordinem neso e di Corico, quando scorsero il nemico.
Romanos, et tantum non jam circumiri a destro E la flotta del re, venendo colle navi a due a due
cornu, concitat naves (eterant Rhodiae longe in lunga fila, schierossi anch'essa a rincontro,
omnium celerrimae tota classe); aequatoque però tanto distendendosi coll'ala sinistra, che
cornu, praetoriae navi, in qua Polyxenidas erat, abbracciar potesse, e circondar la destra de'Ro
suam objecit. mani. Il che avendo veduto Eudamo, il quale
chiudeva l'armata, che i Romani non potevano
pareggiare l'ordinanza nemica, e solamente non
essere circondati alla destra, caccia innanzi le
sue navi (erano navi Rodiane, le più veloci di
tutte), e pareggiata la schiera, alla capitana, in
cui era Polissenida, oppone la sua,
XXX. Jam totis classibus simulab omni parte XXX. Già s'era appiccata la zuffa da ogni
pugna conserta erat. Ab Romanis octoginta naves parte tra tutte le navi. Dalla banda dei Romani

pugnabant, ex quibus Rhodiae duae et viginti combattevano ottanta navi, delle quali ventidue
erant. Hostium classis undemonaginta navium erano Rodiane. La flotta de'nemici era di ottan
fuit, et maximae formae naves tres hexeres habe tanove legni, e ne aveva cinque di grandissima
bat, duas hepteres. Robore navium et virtute forma, tre a sei ordini di remi, e due a sette.
militum Romani longe regios praestabant; Rho I Romani superavano di gran lunga la flotta
diae naves agilitate, et arte gubernatorum, et regia e per la forza de legni, e pel valore del sol
scientia remigum. Maximo tamen hostibus terrori dati, e la superavano i Rodiani per agilità, per
fuere, quae ignes praese portabant; et, quod arte dei comandanti, e per i" delle ciurme.
Livio 2
TITI LIVII I,IBER XXXVII. 1 o!)2
1o

unum iis ad Panormum circumventis saluti fucrat, Di questi però grande terrore diedero a nemici
id tum maximum momentum ad victoriam ſuit. massimamente que legni, che portavano fuoco
Nam metu ignis adversi regiae naves, ne prora in sulle prore; e la cosa, che tolti in mezzo a
concurrerent, quum declinassent, neque ipsae Panormo sola valse a salvarli, ora eziandio ſu
ferire rostro hostem poterant, et obliquas se di momento grandissimo alla vittoria. Perciocchè
ipsae ad ictus praebebant: et, si qua concurrerat, le navi regie, schivando per paura del fuoco
obruebatur infuso igni; magisque ad incendium, d'incontrarsi colla prora, nè potevano col rostro
quam ad proelium, trepidabant. Plurimum ta percuotere i legni nemici, ed esse stesse si pre
men, quae solet, militum virtus in bello valuit. sentavano di traverso a loro colpi, e se alcuna
Mediam namque aciem hostium Romani quum vi si cimentava, era sopraffatta da un torrente
rupissent, circumvecti ab tergo pugnantibus ad di fuoco, e più li travagliava l'incendio, che la
versus Rhodios regiis sese objecere; momento pugna. Ma più che altro, come suole sempre
que temporis et media acies Antiochi, et laevo in nelle battaglie, più potè il valore del soldati.
cornu circumventae naves mergebantur. Dextera Perciocchè avendo i Romani rotto il centro dei
pars integra sociorum magis clade, quam suo nemici, assalirono, girando, alle spalle quei
periculo, terrebatur. Ceterum, postguam alias del re, che combattevano co' Rodiani, e in un
circumventas, praetoriam navem Polyxenidae, istante le navi di Antioco, sì del mezzo, che del
relictis sociis, vela dantem videre, sublatis raptim l'ala sinistra, rimasero affondate. La parte destra
dolonibus (eterat secundus petentibus Ephesum ancora intatta, si sgomentava più del danno
ventus) capessunt fugam, quadra ginta duabus de compagni, che del proprio pericolo. Del re
navibus in ea pugna amissis, quarum decem et sto, poi che videro l'altre navi avviluppate, la
tres captae in potestatem hostium venerunt, ce capitana di Polissenida, abbandonate le compa
terae incensae aut demersae. Romanorum duae gne, scioglier le vele, alzati i trinchetti, dansi
alla fuga (ed era propizio il vento per andare
naves fractae sunt, vulneratae aliquot. Rhodia
una capta memorabili casu: mam, quum rostro ad Efeso), perdute in quel conflitto quarantadue
percussisset Sidoniam navem, anchora, ictu ipso navi; delle quali tredici caddero in potere del
excussa e nave sua, unco dente, velut manu nemico, le altre furono o abbruciate, o sommer
ferrea injecta, alligavit alterius proram: inde se. Di quelle de Romani due furono fracassate,
tumultu injecto, quum, divellere se ab hoste alquante altre malconce. Una Rodiana fu presa
cupientes, inhiberent Rhodii, tractum anchorale per un caso assai memorabile. Perciocchè, avendo
et implicitum remis latus alterum detersit, et de percosso col rostro una nave Sidonia, l'ancora
bilitatam ea ipsa, quae icta cohacserat, navim per la violenza del colpo lanciata fuori dalla na

cepit. Hoc maxime modo ad Myonnesum navali ve, col dente acuto, quasi con uncino di ferro,

proelio pugnatum est, si aggrappò alla prora della nave nemica; quindi
nella confusione insorta, volendo i Sidonii libe
rarsi dal nemico, e vietandolo i Rodiani, la fune
dell'ancora, tirata a forza ed implicatasi ne'remi.
ne snudò uno de fianchi; così la Rodiana debi
litata fu presa dalla Sidonia, che dianzi colpita
era rimasta aggrappata. Questo fu precisamente
il modo, con cui si combattè per mare a Mion
meso.

XXXI. Quo territus Antiochus, quia. posses XXXI. Antioco atterrito, poichè, scacciato
sione maris pulsus, longinqua tueri diffidebat se dalla possessione del mare, diffidava di poter
posse, praesidium ab Lysimachia, ne opprimere difendere i luoghi lontani, ordinò che si levasse
tur ibi ab Romanis, deduci pravo, ut res ipsa
il presidio da Lisimachia, onde quivi non rima
nesse oppresso dai Romani, però con mal inteso
postea docuit, consilio jussit. Non enim tueri
consiglio, come poi l'esito dimostrò. Perciocchè
solum Lysimachiama primo impetu Romanorum
facile erat, sed obsidionem etiam per totam hie non solo era facile difendere Lisimachia da un
mem tolerare, et obsidentes quoque ad ultimam
primo impeto de Romani, ma eziandio tollerare
inopiam adducere extrabendo tempus et interim un assedio per tutto il verno. ed anche, allun
spem pacis per occasiones tentare. Nec Lysima gando il tempo, trarre gli assedianti a penuria
chiam tantum hostibus tradidit post adversam estrema, e intanto cogliere le occasioni di trattar
navalem pugnam, sed etiam Colophonis obsidio la pace. Nè solamente dopo la sconfitta navale
ne abscessit, et Sardes recepit se; atque inde in abbandonò Lisimachia a nemici, ma sì partì an
Cappadociam ad Ariarathen, qui auxilia arcesse che dall'assedio di Colofone, e si ritirò a Sardi,
Io93 l'ITI LIVII LIBER XXXVII. Io94
rent, et quocumque alio poterat ad copias con e di là spedì in Cappadocia ad Ariarate a chie
trahendas, in unum jam consilium, ut acie dimi dere aiuti, e a radunar gente in qualunque modo
caret, intentus, misit. Regillus Aemilius, post potesse, già non ad altro inteso, che a venire a
victoriam navalem profectus Ephesum, directis giornata. Regillo Emilio, andato ad Efeso dopo
ante portum mavibus, quum confessionem con la vittoria navale, schierate le navi innanzi al
cessi maris ultimam hosti expressisset, Chium, porto, avendo strappato al nemico l'ultima con
quo ante navale proelium cursum a Samo inten fessione, ch'ei rinunziava al mare, naviga a Chio,
derat, navigat. Ibi naves in proelio quassatas dove, avanti il fatto, avea drizzato il corso da
quum refecisset, L. Aemilium Scaurum cum tri Samo. Quivi avendo racconciati i legni conquas
ginta navibus Hellespontum ad exercitum tra sati nella pugna, spedì Lucio Emilio Scauro con
jiciendum misit: Rhodias, parte praedae et spoliis trenta navi all'Ellesponto a traghettare l'esercito,
navalibus decoratas, domum redire iubet. Rhodii ed ordina alle navi Rodiane, decoratele di parte
impigre praevertere, ad trajiciendasque copias della preda e delle spoglie navali, che tornino
consulis iere; atque eo quoque functi officio, a casa. I Rodiani, lungi dallo stancarsi, scorsero
tum demum Rhodum rediere. Classis Romana ab innanzi, e andarono a traghettar le genti del
Chio Phocaeam trajecit. In sinu maris intimo console, e adempiuto eziandio questo uffizio,
posita haec urbs est, oblonga forma: duòm mil allora finalmente tornaronsi a casa. La flotta
lium et quingentorum passuum spatium murus Romana passò da Chio a Focea. È posta questa
amplectitur: coit deinde ex utraque parte in città, di forma oblunga, in un seno intimo del
arcliorem velut cuneum, Lamptera ipsi appellant. mare: il muro abbraccia lo spazio di due mila e
Mille et ducentos passus ibi latitudo patet: inde cinquecento passi; indi viene ad unirsi dall'una
in altum lingua mille passuum excurrens medium parte e dall'altra quasi in un conio alquanto
fere simum velut nota distinguit; ubi cohaeret stretto, ch'essi chiamano Lamptera. Quivi la lar
faucibus angustis, duos in utramque regionem ghezza è di mille e dugento passi: di là una
versos portus tutissimos habet. Qui in meridiem lingua di mille passi scorrendo nel mare, divide,
vergit, ab re appellant Naustathmon, quia ingen quasi con segno, il seno stesso per metà. Dove
tem vim navium capit: alter prope ipsum Lam la città con anguste foci si unisce al continente,
ptera est. quivi ha due porti sicurissimi, volti all'una e
all'altra regione. Quello che guarda il mezzo
giorno, lo chiamano dal fatto Naustatmo, perchè
capisce gran numero di navi; l'altro è propria
mente presso a Lamptera.
XXXII. Hos portus tutissimos quum occupas XXXII. Avendo occupato la flotta Romana
set Romana classis; priusquam aut scalis, aut questi porti sicurissimi, pensò il pretore, innanzi
operibus moenia aggrederetur, mittendos censuit di assaltare le mura colle scale e co' lavori, di
praetor, qui principum magistratuumque animos mandare a tentare gli animi de'principali citta
tentarent. Postguam obstinatos vidit, duobus dini e del magistrati. Poi che gli ebbe scorti
simul locis oppugnare est adortus. Altera pars ostinati, si pose a combatterli da due parti ad
infrequens aedificiis erat; templa deiùm aliquan un tempo. Una parte era poco abitata; chè i tem
tum tenebant loci. Ea prius ariete admoto, qua pii degli dei vi occupavano alquanto spazio.
tere muros turresque coepit: deinde, quum eo Quivi accostato l'ariete, cominciò a battere le
multitudo occurreret ad defendendum, altera mura e le torri: poscia, colà correndo la molti
quoque parte admotus aries; et jam utrimoue tudine alla difesa, accostò l'ariete anche all'altra
sternebantur muri. Ad quorum casum quum parte, e già di qua e di là si atterravan le mura.
impetum Romani milites per ipsam stragem rui Al cader delle quali scagliandosi i soldati Romani
narum facerent, alii scalis etiam ascensum in per quelle stesse rovine, altri tentando di salir
muros tentarent, adeo obstinate restiterunt op colle scale, sì ostinatamente resistettero i terraz
pidani, ut facile appareret, plus in armis et vir zani, che facilmente si scorgeva far essi più conto
tute, quam in moenibus, auxilii esse. Coactus dell'armi e del valore, che delle mura. Il pretore
ergo periculo militum praetor receptui cani jussit, adunque, costretto dal pericolo, fe” sonare a rac
ne objiceret incautos furentibus desperatione ac colta per non esporre i suoi malcauti a gente
rabie. Dirempto proelio, ne tum quidem ad quie furibonda per disperazione e per rabbia. Cessata
tem versi; sed undidue omnes ad munienda et la battaglia, nè anche allora i nemici si riposa
obmolienda quae ruinis strata erant, concurre rono; ma tutti da ogni parte corsero a rifare e
runt. Huic operi intentis supervenit Q. Antonius, rinforzare i muri abbattuti. Mentre sono intenti
a praetore missus, qui, castigata pertinacia eo a questi lavori, venne ad essi Quinto Antonio,
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rum, a Majorem curam Romanis, quam illis, spedito dal pretore, il quale, ripresa la loro per
ostenderet, esse, ne in perniciem urbis pugnare tinacia, mostrasse loro, a Star a cuore più a Ro
tur: si absistere furore vellent, potestatem iis mani, che ad essi medesimi, che non si combat
dare eadem conditione, qua prius C. Livii in tesse a distruzione della città. Se volevan cessare
fidem venissent, se tradendi. » Haec quum audis da tal furore, permetteva loro di arrendersi alla
sent, quinque dierum spatio ad deliberandum stessa condizione, con cui s'eran dati dapprima
sumpto, tentata interim spe auxilii ab Antiocho, a Caio Livio. » Udito questo, preso lo spazio
postduam legati missi ad regem, nihil in eo esse di cinque giorni a deliberare, avendo tentato se
praesidii retulerant, tum portas aperuerunt, ci fosse da sperare aiuto da Antioco, poi che
pactine quid hostile paterentur. Quum signa in i legati spediti al re ebbero rapportato, ch'egli
urbem inferrentur, et pronunciasset praetor, non poteva soccorrerli, aprirono le porte col
parci se deditis velle, clamor undidue est subla patto, che non fossero trattati ostilmente. Mentre
tus, « indignum facinus esse, Phocaeenses, num le bandiere entravano in città, e avendo il pre
quam fidos socios, semper infestos hostes, impune tore pronunziato voler egli che si rispettino gli
eludere. “ Ab hac voce, velut signo a praetore abitanti, che si erano volontariamente arrendnti,
dato, ad diripiendam urbem passim discurrerunt. levossi da ogni parte un grido, « essere indegna
Aemilius primo resistere et revocare, dicendo, cosa che i Focesi, alleati non fidi mai, nemici
c. captas, non deditas, diripi urbes; et in his ta
sempre accaniti, la scampassero impunemente. »
men arbitrium esse imperatoris, non militum. ” Dietro questa voce, quasi il pretore ne avesse
Postguam ira et avaritia imperio potentiora erant, dato il segno, corrono a saccheggiare alla distesa
praeconibus per urbem missis, liberos omnes in la città. Emilio da principio si fe a resistere, a
forum ad se convenire jubet, ne violarentur; et richiamarli, dicendo a mettersi a sacco le città
in omnibus, quae ipsius potestatis fuerunt, fides prese di forza, non le arrendutesi, ed anche ri
constitit praetoris. Urbem, agrosque et suas spetto a quelle essere l'arbitrio del comandante,
leges iis restituit; et, quia jam hiems appetebat, non de'soldati. » Poi che l'ira e l'avidità poteron
Phocaeae portus ad hibernandum classi delegit. più del comando, mandati banditori per la città,
ordinò che tutti gli uomini liberi si radunassero
in sulla piazza, onde non ricevessero offesa, e in
tutto ciò che fu in poter suo, mantenne il pre
tore la data fede. Restituì loro la città, il contado
e le lor leggi, e poi che si aprressava il verno,
elesse per isvernare la flotta i porti della Focea.
XXXIII. Per idem fere tempus consuli, trans XXXIII. Verso quel tempo medesimo giunge
gresso Aeniorum Maronitarumque fines, nuncia avviso al console, che avea passati i confini degli
tur, victam regiam classem ad Myonnesum, re Enii e dei Maroniti, che la vinta regia flotta era
lictamque apraesidio Lysimachiamesse. Id multo, a Mionneso, e che Lisimachia era stata abbando
quam de navali victoria, laetius fuit; utique post mata dal presidio. Questo gli recò assai più pia
quam eo venerunt, refertaque urbs omnium re cere, che la vittoria navale, specialmente poi che
rum commeatibus, velut in adventum exercitus giunsero colà, e che la città, piena di ogni sorte
praeparatis, eos excepit; ubi inopiam ultimam di vettovaglie, quasi le avesse preparate per la
laborem que in obsidenda urbe sibi proposuerant. venuta dell'esercito, gli ebbe accolti dentro le
Ibi paucos dies stativa habuere, ut impedimenta mura; quando invece non s'era affacciato alla
aegrique consequerentur, qui passim per omnia lormente, che penuria estrema e fatica nell'as
Thraciae castella, fessi morbis ac longitudine sediarla. Quivi sistettero alcuni pochi dì, accioc
viae, relicti erant. Receptis omnibus, ingressi che i bagagli e gli ammalati li raggiungessero,
rursus iter per Chersonesum, Hellespontum per i quali erano rimasti indietro, sparsi per tutti i
veniunt; ubi, omnibus cura regis Eumenis ad castelli della Focea, abbattuti dalle malattie e
trajiciendum praeparatis, velut in pacata litora, dalla lunghezza della via. Riavutili tutti, avviatisi
nullo prohibente, aliis alio delatis navibus, sine nuovamente pel Chersoneso, giungono all'Elle
tumultu trajecere. Ea vero res Romanis auxit sponto; dove preparata essendo ogni cosa, per
animos, concessum sibi transire cernentibus in cura del re Eumene, a traghettare, approdati
Asiam ; quam rem magni certaminis futuram i navigli quale in uno, e quale in altro luogo,
crediderant. Stativa deinde ad Hellespontum passarono quasi in terra amica, senza tumulto,
aliquamdiu habuerunt, quia dies forte, quibus senza opposizione di nessuno. La qual cosa certo
ancilia moventur, religiosi ad iter inciderant. accrebbe l'animo ai Romani, vedendosi conce
lidem dies P. Scipionem propiore etiam religione, duto di passare in Asia; il che avean creduto
1 o 07 TITI LIVII LIBER XXXVII. 1 o98
quia Salius erat, disiunxerant ab exercitu; cau che dovesse costar loro grande travaglio. Indi
saque et is ipse morae erat, dum consequeretur. stettero alquanti dì presso l'Ellesponto, perchè
venuti erano i giorni religiosi, ne'quali si muo
vono gli ancilii; questi stessi giorni avean anche
staccato Publio Scipione dall'esercito, legato da
più stretto dovere, perchè era egli uno de' Salii;
ed egli stesso era cagione del ritardo, aspettan
dosi che venisse.
XXXIV. Per eos forte dies legatus ab Antio XXXIV. A que'dì stessi era a caso venuto al
cho in castra venerat Byzantius Heraclides, de campo, spedito ambasciatore da Antioco, Eracli
pace afferens mandata: quan impetrabilem fore, de Bizantino, recando commissioni di pace; e gli
magnam ei spem attulit mora et cunctatio Ro die' grande speranza d'impetrarla l'indugio e la
manorum; quos, simul Asiam attigissent, effuso lentezza de' Romani, i quali aveva creduto che,
agmine ad castra regia ituros crediderat. Statuit appena toccata l'Asia, sarebbero andati di tutto
tamen non prius adire consulem, quam P. Sci corso alla volta degli accampamenti del re. Deli
pionem ; et ita mandatum ab rege erat. In eo berò nondimeno di non prima recarsi al console,
maximam spem habebat, praeterquam quod et che a Publio Scipione, e tali erano gli ordini del
magnitudo animi et satietas gloriae placabilem re. Metteva in questo la massima fiducia: oltre
eum maxime faciebat, motumque erat gentibus, che e la grandezza dell'animo, e la sazietà della
qui victor ille in Hispania, qui deinde in Africa gloria rendevano Publio più facilmente placabile,
fuisset, etiam quod filius ejus captus in potestate ed era noto al mondo, come s'era diportato vinci
regis erat. Is ubi, et quando, et quo casu captus tore nella Spagna, come di poi nell'Africa; si
sit, sicut pleraque alia, parum inter auctores aggiungeva che il di lui figlio era prigione nelle
constat: alii principio belli, a Chalcide Oreum mani del re. Dove questi, e quando, e per qual
petentem, circumventum ab regiis navibus tra caso fosse preso, come di tante altre cose, poco
dunt; alii, postduam transitum in Asiam est, cum convengono gli scrittori. Altri dicono ch'era
turma Fregellana missum exploratum ad regia stato tolto in mezzo dalle regie navi nell'andare
castra, effuso obviam equitatn, quum reciperet da Calcide ad Oreo; altri, che dopo il passaggio
sese, in eo delapsum tumultu ex equo, cum duo in Asia de' Romani, spedito con una banda di
bus equitibus oppressum, ita ad regem deductum Fregellani ad esplorare il campo del re, uscitagli
esse. Illud satis constat, si pax cum populo Ro addosso la cavalleria, nel ritirarsi, caduto in quel
mano mameret, hospitiumque privatim regi cum lo scompigliamento da cavallo, fu sopraffatto con
Scipionibus esset, neque liberalius, neque be due altri cavalieri, e quindi condotto al re. Quello
nignius haberi colique adolescentem, quam cultus ch'è ben certo, si è, che se Antioco fosse stato
est, potuisse. Ob haec quum adventum P. Sci tuttavia in pace col popolo Romano, e s'egli fosse
pionis legatus exspectasset, ubi is venit, consulem stato co legami di ospitalità privatamente stretto
adit, petitgue, ut mandata audiret. cogli Scipioni, non avrebbe potuto il giovane
esser tenuto nè trattato più liberalmente, più
benignamente, che il fu. Per questi motivi l'am
basciatore, aspettato il ritorno di Publio Scipio
ne, come questi fu venuto, si presentò al console
e chiese che udisse le sue commissioni.
XXXV. Advocato frequenti consilio, legati XXXV. Convocata numerosa assemblea, si
verba sunt audita. Is, a multisante legationibus diede udienza allegato. « Essendosi, egli disse, spe
nequidquam ultro citroque de pace missis, eam dite innanzi dall'una parte e dall'altra inutilmente
ipsam fiduciam impetrandi sibi esse, dixit, quod parecchie ambascerie per la pace, aveva egli con
priores legati nihil impetrassent. Smyrnam enim cepita speranza di ottenerla, appunto perchè i
et Lampsacum, et Alexandriam Troadem, et Ly precedenti ambasciatori non l'avean potuta ot
simachiam in Europa, jactatas in illis discepta tenere. Perciocchè in quelle discussioni s'era as
tionibus esse: quarum Lysimachia jam cessisse sai parlato di Smirne, di Lampsaco, di Alessan
regem, ne quid in Europa habere eum dicerent: dria, di Troade e di Lisimachia in Europa. Delle
eas, quae in Asia sint, civitates tradere paratum quali avea già il re ceduta Lisimachia, acciocchè
esse, et si quas alias Romani, quod suarum par non dicessero che ritenesse alcuna cosa in Euro
tium fuerint, vindicare ab imperio regio velint. pa. Quanto alle altre città, che sono in Asia, esser
Impensae quoque, in bellum factae, partem di egli disposto a consegnarle, e se alcun'altra i
midiam regem praestaturum populo Romano. » Romani staccar volessero dalla dominazione del
Io99 TITI LIVII LIBER XXXVII. l loo

Hae conditiones erant pacis. Reliqua oratio fuit, re, perchè avessero seguito le parti loro. Il re
« Ut, memores rerum humanarum, et suae for pagherebbe anche al popolo Romano la metà
tunae moderarentur, et alienam ne urgerent. delle spese, che avesse fatte per la guerra. . Tali
Finirent Europa imperium : id quoque immen erano le condizioni della pace. Il resto dell'ora
sum esse. Et parari singula acquirendo facilius zione si fu, « che ricordevoli delle cose umane e
potuisse, quan universa teneri posse. Quod si moderassero la loro fortuna, e non dessero il
Asiae quoque partem aliquam abstrahere velint, crollo all'altrui. Limitassero il loro impero col
dummodo non dubiis regionibus finiant, vinci l'Europa: era ancora immensa cosa. Era stato
suam temperantiam Romana cupiditate, pacis et più facile conquistare uno ed un altro paese, di
concordiae causa, regem passurum. " Ea quae quel che sia poterli tutti conservare. Che se anche
legato magna ad pacem impetrandam videbantur, stralciar volessero qualche parte dell'Asia, pur
parva Romanis visa. Nam, « et impensam, quae chè la serrimo tra non dubbii confini, il re per
in bellum facta esset, omnem praestare regem, amor della pace e della concordia soffrirebbe che
aequum consebant, cujus culpa bellum excitatum la sua moderazione fosse vinta dall'avidità dei
esset; et non Jonia modo atque Aeolide deduci Romani. Queste ragioni, che grandi parevano
debere praesidia regia, sed, sicut Graecia omnis al legato per impetrare la pace, parvero piccole
liberata esset, ita, quae in Asia sint, omnes libe a Romani. Perciocchè stimavano cosa giusta,
rari urbes. Id aliter fieri non posse, quam ut cis che il re pagasse tutta la spesa di una guerra,
Taurum montem possessione Asia e Antiochus ch'egli aveva il torto di avere suscitata, e che
cedat. º
si dovessero levare i presidii regii non solo dalla
lonia e dall' Eolide, ma che, siccome tutta la
Grecia era stata liberala, così si avessero a libe
rare tutte le città, ch'erano in Asia. Questo non
si poteva fare altrimenti, che cedendo Antioco
tutti gli Asiatici possedimenti di qua dal monte
Tauro. » -

XXXVI. Legatus, postduam nihil aequi in XXXVI. L'ambasciatore, scorto che non
consilio impetrare se censebat, privatim (sic avrebbe impetrato patti migliori nel consiglio,
enim imperatum erat) P. Scipionis tentare ami cercò privatamente (chè così gli era stato impo
mum est conatus. Omnium primum, filium ei sto) di tentar l'animo di Publio Scipione. Prima
sine pretio redditurum regem, dixit; deinde, di tutto disse che il re gli avrebbe restituito il
ignarus et animi Scipionis, et moris Romani, auri figliuolo senza prezzo; poscia, non conoscendo
pondus ingens est pollicitus, et, nomine tantum la grandezza d'animo di Scipione ed il costume
regio excepto, societatem omnis regni, si per eun Romano, gli promise gran somma d'oro, e tran
pacem impetrasset. Ad ea Scipio: « Quod Roma ne solamente il nome di re, di associarlo a tutti
nos omnes, quod me, ad quem missus es. ignoras, i dritti del trono, se ottenesse col di lui mezzo la
minus miror, quum te fortunam ejus, a quo ve pace. Al che Scipione : « Che tu non abbi cono
nis, ignorare cernam. Lysimachia tenenda erat, scenza de' Romani, non di me, al quale sei stato
ne Chersonesum intraremus, aut ad Hellespon spedito, non mi fa gran fatto maraviglia, veden
tum obsistendum, ne in Asiam trajiceremus; si do che non conosci la fortuna di quello stesso, da
pacem tamquam ab sollicitis de belli eventu pe cui vieni. Bisognava difender Lisimachia, accioc
tituri eratis. Concesso vero in Asiam transitu, et clrè non entrassimo nel Chersoneso; o resistere
non solum frenis, sed etiam jugo accepto, quae all'Ellesponto, acciocchè non passassimo in Asia,
disceptatio ex aequo, quum imperium patiendum se volevate chiedere la pace, come se fossimo in
sit, relicta est? Ego ex munificentia regia maxi quieti intorno l'esito della guerra. Ma lasciatoci
mum donum filium habebo: aliis, deos precor, il passaggio in Asia, e ricevuto non solo il freno,
ne umquam fortuna egeat mea; animus certe ma il giogo, qual via v'è rimasta di trattare al
non egebit. Pro tanto in me mumere gratum me pari, quando soffrir dovete d'essere comandati ?
esse in se sentiet, si privatam gratiam pro privato Io riceverò il figlio, qual grandissimo dono, dalla
beneficio desiderabit: publice nec habeo quid regia munificenza: quanto agli altri doni, prego
quam ab illo, nec dabo. Quod in praesentia dare gli dei che la mia fortuna non ne abbisogni giam
possim, fidele consilium est. Abi, nuncia meis mai; l'animo certo non mai ne avrà bisogno.
verbis, bello absistat, pacis conditionem nullam Per sì gran dono farò che il re conosca quanto
recuset. - Nihil ea moverunt regem, tutam fore gli son grato, se per un privato benefizio si ap
belli aleam ratum, quando perinde ac victo jam pagherà di una privata riconoscenza: pubblica
sibileges dicerentur. Omissa igitur in praesentia mente nè ricevo nulla da lui, nè gli do nulla.
i 1 o1
TITI LIVlI LIBER XXXVII. I l 02

mentione pacis, totam curam in belli apparatum Quello che gli posso dare in presente egli è un
intendit.
consiglio amichevole. Va, digli a mio nome che
cessi dalla guerra, che non ricusi nessuna condi
zione di pace. » Tutto ciò non valse punto a
muovere il re, stimando più sicuro partito correre
i rischi della guerra, quando gli si voleva impor
re, come a vinto, la legge. Ommessa dunque al
lora ogni menzione di pace, drizzò tutte le sue
cure agli apparecchi di guerra.
XXXVII. Consul, omnibus praeparatis ad XXXVII. Il console, fatti tutti i preparativi
proposita exsequenda, quum ex stativismovisset, per eseguire il proposto disegno, mossosi dai
Dardanum primum, deinde Rhoeteum, utraque quartieri, prima venne a Dardano, poscia a Reteo,
civitate obviam effusa, venit. Indellium proces tutta uscita gli incontro l'una e l'altra città. Indi
sif, castristiue in campo, qui est subjectus moe s'inoltrò sino ad Ilio, ed accampatosi nel piano,
nibus, positis, in mrbem arcemque quum escen ch'è sotto le mura, entrato in città e salito alla
disset, sacrificavit Minervae praesidi arcis; et rocca, sagrificò a Minerva, che n'è la preside,
lliensibus in omni rerum verborumque honore gloriandosi gl'Iliesi con ogni onorevole maniera
ab se oriundos Romanos praeferentibus, et Ro di detti e fatti, che i Romani oriondi fossero da
manis laetis origine sua: inde profecti sextis loro, e rallegrandosi i Romani di codesta origine.
castris ad caput Caici amnis per venerunt. Eo et Di là partiti, giunsero il sesto giorno alla sorgen
Eumenes rex, conatus primo ab Hellesponto te del fiume Caico. Il re Eumene, avendo prima
reducere classem in hiberna Elaeam, adversis tentato di ricondurre la flotta dall'Ellesponto a
deinde ventis quum aliquot diebus superare Le svernare in Elea, poi non avendo potuto per al
cton promontorium non potuisset, in terram quanti giorni pe' venti contrarii superare il pro
egressus, ne deesset principiis rerum, qua proxi montorio di Lecto, uscito a terra, per la via più
mum fuit, in castra Romana cum parva manu corta, onde non mancare al principiar de'fatti,
contendit. Ex castris Pergamum remissus ad avviossi con picciola banda agli accampamenti
commeatus expediendos, tradito frumento, qui Romani. Da questi rispedito a Pergamo a solleci
bus jusserat consul, in eadem stativa rediit. Inde, tare le vettovaglie, consegnato il frumento, a cui
plurium dierum praeparatis cibariis, consilium il console gli aveva imposto, tornò a medesimi
eratire ad hostem, priusquam hiems opprimeret. quartieri. Di là era disegno del console, preparati
Regia castra circa Thyatira erant. Ibi quum i viveri per molti giorni, di andare al nemico,
audisset Antiochus, P. Scipionem aegrum Elaeam innanzi che il verno sopravvenisse. Era accampa
delatum, legatos, qui filium ad eum reducerent, to il re ne' contorni di Tiatira. Avendo quivi
misit. Non solum animo patrio gratum munus, udito Antioco che Publio Scipione era stato tra
sed corpori quoque salubre gaudium fuit; satia sportato infermo ad Elea, spedì ambasciatori, che
tusque tandem complexu filii, « Renunciate, gli riconducessero il figliuolo. Fu il dono grato
inquit, gratias regi me agere: referre gratiam non solamente al cuor di padre, ma fu anche di
aliam nunc non posse, quam ut suadeam, ne gioia salutare al corpo, e poi che s'ebbe finalmen
ante in aciem descendat, quam ut in castra me te saziato nell'abbracciare il figlio, a Riportate,
redisse audierit. » Quamquam sexaginta duo disse, i miei ringraziamenti al re: non posso per
millia peditum, plus duodecim millia equitum ora mostrarmegli grato altrimenti, che esortan
animos interdum ad spem certaminis faciebant; dolo a non venire a giornata, innanzi che m'ab
molus tamen Antiochus tanti auctoritate viri, in bi udito tornato al campo. » Quantunque ses
quo ad incertos belli eventus omnis fortunae santa due mila fanti, e più di dodici mila cavalli
posuerat subsidia, recepit se, transgressus Phry incoraggiassero Antioco a sperar bene nella bat
gium amnem, circaque Magnesiam , quae ad taglia, mosso nondimeno dall'autorità di sì
Sipylum est, posuit castra : et me, si extrahere grand'uomo, nel quale pe' casi incerti della
tempus vellet, munimenta Romani tentarent, guerra messa avea speranza di aiuto in qual si
fossam sex cubita altam, duodecim latam quum fosse per essere la sua fortuna, si ritirò, passando
duxisset, extra duplex vallum fossae circumde il fiume Frigio, e pose il campo ne' dintorni di
dit: interiore labro murum cum turribus crebris Magnesia, la quale è presso al monte Sifilo, ed
objecit; unde facile arceri transitu fossae hostis acciocchè, se gli piacesse tirar in lungo la guerra,
posset. non tentassero i Romani di assaltargli le muni
zioni, tirata una fossa profonda sei cubiti e lar
ga dodici, la circondò fuori di doppio sicccato :
1 io3 TITI LIVII LIBER XXXVII. 1 1o4

sul labbro interno vi oppose un muro con ispesse


torri, donde si potesse facilmente impedire ai
nemici il passare la fossa.
XXXVIII. Consul, circa Thyatira regem esse XXXVIII. Il console stimando, che il re fosse
ratus, continuis itineribus quinto die ad Hyrca ne' contorni di Tiatira, camminando senza posa
num campum descendit. Inde quum profectum discese il quinto dì nella pianura d'Ircania,
audisset, secutus vestigia citra Phrygium amnem, dove udito avendo ch'era partito, seguendone
quatuor millia ab hoste posuit castra. Eo mille l'orme di qua dal fiume Frigio, si accampò quat
ferme equites (maxima pars Gallograeci erant, tro miglia discosto dal nemico. Colà da circa
et Dahae quidam, aliarumque gentium sagittarii mille cavalli (erano la maggior parte Gallogreci,
equites intermixti), tumultuose amme trajecto, e alcuni Dai, frammisti con arcieri d'altre nazio
in stationes impetum fecerunt. Primo turbave ni) tumultuariamente passato il fiume, piomba
runt incompositos: deinde, quum longius certa rono addosso alle poste de'nemici. Dapprima,
men fieret, Romanorumque,ex propinquis castris trovatili non ordinati, gli scompigliarono; poi,
facili subsidio, cresceret numerus, regii, fessi durando alquanto la mischia e crescendo il nu
jam et plures non sustinentes, recipere se conati, mero de Romani pel facile aiuto del campo vi
circa ripam amnis, priusquam ſlumen ingrede cino, quei del re, già stanchi, nè reggendo in
rentur, ab instantibus tergo aliquot interfecti contro a molti più, mentre cercano di ritirarsi,
sunt. Biduum deinde silentium fuit, neutris trans alquanti ne rimasero uccisi sulla riva, innanzi
gredientibus amnem. Tertio post die Romani ch'entrassero nel fiume, da quelli che gl'insegui
simul omnes transgressi sunt, et duo millia fere vano alle spalle. Poscia stettersi quieti per due
et quingentos passus ab hoste posuerunt castra. giorni, non passando nè gli uni, nè gli altri il
Metantibus et muniendo occupatis, tria millia fiume; il terzo giorno i Romani passarono tutti
delecta equitum peditumque regiorum magno ad un tratto e si accamparono quasi due miglia
terrore ac tumultu advenere. Aliquanto paucio e mezzo distanti dal nemico. Mentre si stanno
res, qui in statione erant, duo tamen millia, per occupati a piantare il campo ed a fortificarlo,
se, nullo a munimento castrorum milite avo sopraggiunsero con gran terrore e tumulto tre
cato, et primo aequum proelium sustinuere, et, mila tra cavalieri e pedoni scelti del re. Pochi,
crescente certamine, pepulerunt hostes, centum ch'erano di stazione, però da due mila, soli da
ex his occisis, centum ferme captis. Per qua sè, senza distorre un soldato dal lavoro, e prima
triduum insequens instructae utrimo,ue acies si sostennero al pari, e crescendo la pugna, re
pro vallo stetere: quinto die Romani processere spinsero i nemici, avendone uccisi da cento, e
in medium campi. Antiochus nihil promovit cento presi. Ne'quattro giorni susseguenti gli
signa, ita ut extremi minus mille pedes a vallo eserciti da una parte e dall'altra sistettero schie
abessent. rati dinanzi allo steccato. Il quinto giorno i
Romani s'inoltrarono nel mezzo della pianura.
Antioco non mosse punto innanzi le insegne,
tanto che gli ultimi eran discosti meno di mille
piedi dallo steccato.
XXXIX. Consul, post puam detrectari certa XXXIX. Il console, visto che si schivava di
men vidit, postero die in consilium advocavit, combattere, il dì seguente chiamò consulta, do
«Quid sibi faciendum esset, si Antiochus pugnan mandando, « Che avrebbe egli a fare, se Antioco
di copiam non faceret? Instare hiemem: aut sub non venisse a battaglia? Era presso l'inverno:
pellibus habendos milites fore, aut, si concedere bisognava o tenere il soldato sotto le tende, o se
in hiberna vellent, differendum esse in aestatem andar volevano a'quartieri d'inverno, differir la
bellum. » Nullum umquam hostem Romani aeque guerra alla state. Non altro mai nemico fu
contempserunt. Conclamatum undique est, a du disprezzato tanto dai Romani. Levossi da ogni
ceret extemplo, et uteretur ardore militum; º parte un grido; « li menasse subito all'assalto, e
qui, tamquam non pugnandum cum tot millibus approfittasse dell'ardore de'soldati; - i quali, non
hostium, sed par numerus pecorum trucidandus come se avessero a combattere con tante migliaia
esset, per fossas, per vallum castra invadere di nemici, ma sì a trucidare altrettanto numero
parati erant, si in proelium hostis non exiret. di pecore, pronti erano, se il nemico non usciva
Cn. Domitius, ad explorandum iter, et qua parte a battaglia, ad assaltare il campo, varcando la
adiri vallum hostium posset, missus, postguam fossa e lo steccato. Poi che Gneo Domizio, spe
omnia certa retulit, postero die propius castra dito ad esplorare il cammino e da qual parte
admoveri placuit. Tertio sigma in medium campi assalir si potesse lo steccato de' nemici, ebbe
I 1 o5 TITI LIVII LIBER XXXVII. 1 Io6

prolata, et instruiacies coepta est. Nec Antiochus recate certe notizie, il dì seguente il console volle
ultra tergiversandum ratus, ne et suorum animos che l'accampamento si facesse più dappresso. Il
minueret detrectando certamen, et hostium spem terzo giorno le bandiere s'inoltrarono nel mezzo
augeret, et ipse copias eduxit; tantum progressus della pianura, e si cominciò a schierare l'esercito.
a castris, ut dimicaturum appareret. Romana E Antioco stimando che non fosse da tergiver
acies unius prope formae fuit, et hominum et sare più oltre, ed anche perchè ricusando la bat
armorum genere. Duae legiones Romanae, duae taglia, non si scemasse il coraggio de' suoi, e si
sociùm ac Latini nominis erant: quina millia et accrescesse la fidanza del nemici, anch'egli trasse
quadringenos singulae habebant. Romani me fuori le sue genti; tanto scostandosi dal suo
diam aciem, cornua Latini tenuerunt: hastato campo, che ben si vedeva ch'egli verrebbe a
rum prima signa, deinde principum erant; triarii giornata. L'esercito Romano non offeriva quasi
postremos claudebant. Extra hanc veluti justam che una sola forma sì per la qualità degli uomini,
aciem, a parte dextera consul Achaeorum cae che dell'armi. Eranvi due legioni Romane, due
tratis immixtos auxiliares Eumenis, tria millia degli alleati Latini, composta ognuna di cinque
ferme peditum, aequata fronte instruxit: ultra mila e quattrocento uomini. I Romani tenevano
eos equitum minus tria millia opposuit; ex qui il centro, i Latini le ale: venian prime le ban
bus Eumenis octingenti, reliquus omnis equita diere degli astati, poi quelle dei principi; i triarii
tus Romanus erat: extremos Tralles et Cretenses chiudevano la retroguardia. Oltre questa quasi
(quingentorum utrique numerum explebant) compiuta ordinanza, il console schierò alla destra,
statuit. Laevum cornu non videbatur egere tali di pari fronte, gli aiuti di Eumene misti ai ce -
bus auxiliis, quia ſlumen ab ea parte ripaeque trati degli Achei; in tutti quasi tre mila fanti:
deruptae claudebant: quatuor tamen inde tur più innanzi pose meno di tre mila cavalli, dei
mae equitum oppositae. Haec summa copiarum quali ottocento di Eumene, gli altri tutti Roma
erat Romanis, et duo millia mixtorum Macedo ni: collocò all'estremità i Tralli ed i Cretesi,
num Thracumque, qui voluntate secuti erant. che insieme formavano il numero di cinquecento.
Iii praesidio relicti sunt castris. Sexdecim ele Non pareva che l'ala sinistra abbisognasse di
phantos post triarios in subsidio locaverunt: codesti aiuti, perchè da quella parte il fiume e
nam, praelerquam quod multitudinem regiorum le rive dirupate li chiudevano; però furon poste
elephantorum (erant autem quatuor et quinqua anche colà quattro compagnie di cavalli. Questa
ginta) sustinere non videbantur posse, ne pari era la somma delle forze de'Romani, oltre a due
quidem numero Indicis Africi resistunt; sive mila tra Macedoni e Traci, che avean seguito vo
qui a magnitudine (longe enim illi praestant), lontariamente l'esercito. Questi lasciati furono
sive robore animorum vincuntur. a guardare gli alloggiamenti. Posero sedici ele
fanti dietro a triarii in aiuto; perciocchè, oltre
che pareva che non avrebbon potuto sostenere
la moltitudine degli elefanti del re (erano cin
quanta quattro), gli elefanti Africani, nemmeno
pari di numero resistono agli elefanti Indiani, o
perchè sono vinti in grandezza, essendo questi
di gran lunga maggiori, ovvero in coraggio.
XL. Regia acies varia magis multis gentibus, XL. L'esercito del re era svariato per molte
dissimilitudine armorum auxiliorumque erat. più nazioni, e per dissomiglianza d'armi e di
Decem et sex millia peditum more Macedonum genti ausiliarie. Eranvi sedici mila fanti armati
armati fuere, qui phalangitae appellabantur: alla maniera de' Macedoni, i quali chiamavansi
haec media acies fuit in fronte, in decem partes falangiti. Questa schiera fu messa nel mezzo di
divisa. Partes eas interpositis bimis elephantis fronte ed era divisa in dieci parti: due elefanti
distinguebat: a fronte introrsus in duos et tri frapposti separavano una parte dall'altra; la
ginta ordimes armatorum acies patebat. Hoc et schiera, dalla fronte tirandosi in dietro, si di
roboris in regiis copiis erat, et, perinde quum stendeva in trenta due file di armati. Quest'era
alia specie, tum eminentibus tantum inter arma il nerbo delle genti del re, e metteva grande
tos elephantis, magnum terrorem praebebat. In spavento sì per ogni altra apparenza, sì per gli
gentes ipsi erant: addebant speciem frontalia, et elefanti, che soverchiavan di molto in altezza gli
cristae, et tergo impositae turres, turribusque armati. Eran essi della massima grandezza: ag
superstantes, praeter rectorem, quaterni armati. giungevano vistosità le testiere e i pennacchi,
Ad latus dexterum phalangitarum mille et quin e le torri imposte sul dorso; e sopra le torri,
gentos equites Gallograecorum opposuit. His oltre il conduttore, c'eran messi quattro armati.
Livio a 7o
1 Io7 TITI LIV ll L. BER XXXVII. 1 Io8

tria millia equitum loricatorum (cataphractos Al lato destro de' falangiti pose mille e cinque
ipsi appellant) adjunxit: additas his ala mille cento cavalli de'Gallogreci; a questi aggiunse
ferme equitum: agema eam vocabant. Medi erant tre mila cavalli loricati (li chiamano catafratti),
lecti viri, et ejusdem regionis mixti multarum a quali pur aggiunse una banda di quasi mille
gentium equites. Continens his grex sedecim cavalli, che chiamavano agema. Erano gente
elephantorum est oppositus in subsidiis: ab eadem scelta della Media, ed altri cavalieri dello stesso
parte, paullulum producto cornu, regia cohors paese misti di più nazioni. Fu messa presso a
erat; Argyraspides a genere armorum appella questi una squadra di sedici elefanti a rinforzo.
bantur. Dahae deinde, equites sagittarii, mille et Dalla medesima parte, prolungando alquanto
ducenti: tum levis armatura trium millium, pari l'ala, stava la coorte regia; si chiamavano Argi
ferme numero pars Cretenses, pars Tralles. Duo raspidi dalla qualità dell'armi. Indi venivano
millia et quingenti Mysi sagittariis adjuncti erant. mille e dugento Dai, arcieri a cavallo; poi tre
Extremum cornu claudebant quatuor millia mixti mila armati alla leggera, parte Cretesi, parte
Cyrtaei funditores, et Elymaei sagittarii. Ab lae Tralli in numero pressochè eguale. Erano ag
vo cornu phalangitis adjuncti erant Gallograeci giunti agli arcieri due mila e cinquecento Misi.
equites mille et quingenti: et similiter his armati Chiudevano l'ala mescolati insieme quattro mila
duo millia Cappadocum; ab Ariarathe missi erant frombolieri Cirtei, e arcieri Elimei. All'ala sini
regi. Inde auxiliares mixti omnium generum stra s'erano aggiunti ai falangiti mille e cinque
duo millia et septingenti, et tria millia cataphra cento cavalieri Gallogreci, e a questi due mila
ctorum equitum, et mille alii equites, regia ala Cappadoci, armati ad egual modo (gli avea man
levioribus tegumentis suis equorumque,alio haud dati Ariarate al re). Indi ci erano due mila sette
dissimili habitu : Syri plerique erant, Phrygibus cento ausiliarii, misti d'ogni razza, e tre mila cava
et Lydis immixti. Ante hunc equitatum falcatae lieri catafratti, con altri mille, banda regia, ve
quadrigae et cameli, quos appellant dromadas. stiti essi ei cavalli di più leggera armatura, simili
His insidebantArabes sagittarii, gladios habentes quanto all'altro abbigliamento; erano la maggior
tenues, longos quaterna cubita, ut ex tanta alti parte Siri mescolati con Frigii e con Lidii. Da
tudine contingere hostem possent. Inde alia vanti a questa cavalleria erano i carri falcati a
multitudo, par ei, quae in dextro cornu erat; quattro cavalli, e i cammelli, che chiamano dro
primi Tarentini, deinde Gallograecorum equi madi. Sopra questi stavansi degli arcieri Arabi,
tum duo millia et quingenti, inde Neocretes portanti spade strette e lunghe quattro cubiti,
mille, eteodem armatu Cares et Cilices mille et onde da tanta altezza poter colpire il nemico.
quingenti, et totidem Tralles, et tria millia cae Indi altra moltitudine, eguale a quella, ch'era
tratorum (Pisidae hi erant, et Pamphylii, et nell'ala destra; prima i Tarentini, poi due mila
Lycii); tum Cyrtaeorum et Elymaeorum paria e cinquecento cavalieri Gallo greci, indi mille
in dextro cornu locatis auxilia, et sexdecim ele Neocreti, e mille tra Cari e Cilici armati ad una
phanti modico intervallo distantes. foggia, e altrettanti Tralli, e tre mila cetrati (eran
costoro della Pisidia, della Panfilia e della Licia),
poi gli aiuti de'Cirtei e degli Elimei, pari in
numero a quelli posti nell'ala destra, e sedici
elefanti, messi a poca distanza.
XLI. Rex ipse in dextero cornu erat: Seleu XLI. Era il re nell'ala destra. Prepose alla
cum filium et Antipatrum fratris filium in laevo sinistra Seleuco, suo figlio, e Antipatro figlio di
praeposuit: media acies tribus permissa, Minioni fratello. Il centro fu affidato a tre, a Minione, a
et Zeuxidi et Philippo magistro elephantorum. Seuside e a Filippo, maestro degli elefanti. Una
Nebula matutina, crescente die levata in nubes, nebbia mattutina, sul crescere del giorno levatasi
caliginem dedit: humor inde, ab austro velut, in alto, produsse la caligine; indi una pioggetta,
perfudit omnia. Quae nihil admodum Romanis, vegnente come dalla parte australe, bagnò ogni
eadem perincommoda regiis erant: nam et obscu cosa. Ciò non recava grande incomodo ai Ro
ritas lucis in acie modica Romanis non adimebat mani, ma sì grandissimo a quei del re; perciocchè
in omnes partes conspectum; et humor, toto l'oscurità della luce non toglieva a Romani,
fere gravi armatu, nihil gladios aut pila helbeta che avevano un picciolo esercito, di vedere da
bat. Regii, tam lata acie, ne ex medio quidem ogni banda, e la pioggia, armati com'erano quasi
cornua sua circumspicere poterant, nedum extre tutti di grave armatura, non ismussava nè le
mi inter se conspicerentur; et humor arcus fun spade, nè i giavellotti. Quei del re, occupando
dasque et jaculorum amenta emollierat. Falcatae tanto spazio, non potevano nemmeno dal centro
quoque quadrigae, quibus se perturbaturum vedere le loro ale, ben lungi che gli ultimi si
I 1 og
TITI LIV 11 LlBER XXXVII. I l I lo

hostium aciem Antiochus crediderat, in suoster vedessero tra loro, e la pioggia aveva rammolliti
rorem verterunt: armatae autem in hunc maxime gli archi e le fiombe e le coregge del giavellotti.
modum erant. Cuspides circa temonem ab jugo Anche i carri falcati a quattro cavalli, co'quali si
decem cubita exstantes, velut cornua, habebant; avea creduto di scompigliare l'ordinanza de'ne
quibus, quidquid obvium daretur, transfigerent: mici, portaron anzi il terrore tra suoi. Questi
et in extremis jugis binae circa eminebant falces; carri erano armati in tal modo. Avevano alcune
altera aequata jugo, altera inferior in terram cuspidi intorno al timone sporgenti in fuori dal
devexa: illa, ut, quidquid ab latere objiceretur, giogo dieci cubiti, come altrettante corna, colle
abscinderet; haec, ut prolapsos subeuntesque quali trafiggere tutto quello, in che s'imbattes
contingeret: item ab axibus rotarum utrimogue sero, e all'estremità del giogo sporgevano pure in
binae eodem modo diversa e deligabantur falces. fuori di qua e di là due falci, una all'altezza del
Sic armatas quadrigas, quia, si in extremo, aut giogo, l'altra più bassa verso terra; quella, per
in medio locatae forent, per suos agendae erant, chè tagliasse tutto ciò, che le si opponeva di fian
in prima acie, utante dictum est, locaverat rex. co; questa, perchè colpisse i caduti, o chi si faces
Quod ubi Eumenes vidit, haud ignarus pugnae, se sotto. Similmente agli assi delle ruote d'ambe
et quam anceps esset auxilii genus, si quis pavo le parti eran legate allo stesso modo due falci di
rem magis equis injiceret, quam justa adoriretur vergenti l'una dall'altra. Il re avea collocato co
pugna, Cretenses sagittarios, funditoresque, et deste quadrighe nella prima fila, come s'è detto,
jaculatores equitum, non confertos, sed quam perchè se si fossero poste nell'estremità, o nel
maxime possent dispersos, excurrere jubet; si mezzo, sarebbe stato d'uopo condurle a traverso
mul omnibus partibus tela ingerere. Haec velut de' suoi. Il che avendo veduto Eumene non
procella,partim vulneribus missilium undique ignaro di quella foggia di combattere, e quanto
conjectorum, partim clamoribus dissonis, ita fosse dubbia codesta sorte di aiuto, se si mettesse
consternavit equos, ut repente, velut effremati, spavento ne'cavalli, piuttosto che assalirli a giusto
passim incerto cursu ferremtur: quorum impetus modo di guerra, ordina che gli arcieri Cretesi, i
et levis armatura, et expediti funditores, et velox frombolieri e i lancitori a cavallo mettansi a
Cretensis momento declinabant; et eques inse scorrere non in folto drappello, ma quanto più
quendo tumultum ac pavorem equis camelisque, possono dispersi, e che ad un tempo stesso da
et ipsis simul consternatis, augebat, clamore et tutte le parti saettino. Questa quasi procella at
ab alia circumstantium turba multiplici adjecto. terrì sì fattamente i cavalli, parte per le ferite
Ita medio inter duas acies campo exiguntur qua de'dardi da ogni parte scagliati, parte collo stre
drigae: amotoque imami ludibrio, tum demum pito delle grida dissonanti, che incontamente, co
ad justum proelium, signo utrimque dato, con me se fossero senza freno, per ogni dove dieronsi
cursum est. disperatamente a correre qua e colà; l'impeto
de'quali e il soldato armato alla leggera, e il
fromboliere lesto, e il veloce Cretese in un mo
mento declinando schivavano; e il cavaliere,
inseguendoli, accresceva lo scompiglio ed il ter
rore a cavalli ed ai cammeli, costernati essi pure,
aggiuntovi il moltiplice gridare dell'altra turba
circostante. Così son cacciate le quadrighe nel
mezzo della pianura tra l'un esercito e l'altro,
e rimosso quel vano gioco, dato il segnale d'am
be le parti, si venne a giusta battaglia.
XLII. Ceterum vana illa res verae mox cladis XLII. Del resto, quel vano spauracchio fu
causa fuit: auxilia enim subsidiaria, quae proxi ben subito occasione di vera sconfitta. Percioc
ma locata erant, pavore et consternatione qua chè le genti ausiliarie, ch'erano state messe lì
drigarum territa, et ipsa in fugam versa, nuda presso, colpite dalla paura e costernazione delle
runt omnia usque ad cataph ractos equites: ad quadrighe, messesi anch'esse a fuggire, snudaro
quos quum, dissipatis subsidiis, pervenisset equi no tutto lo spazio sino ai cavalli catafratti, i quali,
tatus Romanus, ne primum quidem impetum come, dissipati gli aiuti, fu loro addosso la ca
pars eorum sustinuerunt. Alii fusi sunt; alii valleria Romana, parte non ne sostennero nemme
propter gravitatem tegumentorum armorumque no il primo impeto; altri furono sbaragliati; altri
oppressi sunt. Totum deinde laevum cornu in per la gravezza dell'armatura e dell'armi restaron
clinavit; et, turbatis auxiliaribus, qui inter equi morti. Indi tutta l'ala sinistra piegò, e disordinati
tes, et quos appellant phalangitas, erant, usque gli ausiliarii, ch'erano tra i cavalieri, e quelli
I I I I TITI LIVII LIBER XXXVII.

ad mediam aciem terror pervenit. Ibi simul che chiamano falangiti, lo spavento giunse sino
perturbati ordines, et impeditus intercursu suo al centro. Quivi, scompaginate le file, ed impe
rum usus praelongarum hastarum (sarissas Mace dito loro, pel frequente intrapporsi de'suoi, il
domes vocant), intulere signa Romanae legiones, valersi di quelle lor aste lunghissime (i Macedoni
et pila in perturbatos conjecere: ne interpositi le chiamano sarisse) cacciaronsi dentro le Roma
quidem elephanti militem Romanum deterre ne legioni, e disordinati, com'erano, scagliarono
bant, assuetum jam ab Africis bellis et vitare loro addosso un nembo di giavellotti. Nè gli ele
impetum belluae, et ex transverso aut pilis inces fanti qua e là frapposti trattenevano il soldato
sere, aut, si propius subire posset, gladio nervos Romano, avvezzo già sin dalle guerre d'Africa a
incidere. Jam media acies fere omnis a fronte scansare l'impeto di sì fatte bestie, e o colpirle
prostrata erat, et subsidia circumita a tergo di fianco co'giavellotti, o potendo farsi più pres
caedebantur; quum in parte alia fugam suorum, so, tagliar loro i garretti colla spada. Già la schie
et prope jam ad ipsa castra clamorem paventium ra di mezzo era quasi tutta in sulla fronte atter
accepere. Namgue Antiochus a dextro cornu, rata, e gli aiuti, circondati alle spalle, erano ta
quum ibi fiducia fluminis nulla subsidia cerneret, gliati a pezzi; quando i Romani sentirono nel
praeter quatuor turmas equitum, et eas, dum l'altra parte i suoi fuggire, e le grida degli spa
applicant se suis, ripam nudantes, impetum in ventati già venirsi accostando quasi agli stessi al
eam partem cum auxiliis et cataphracto equitatu loggiamenti. Perciocchè Antioco sull'ala destra,
ſecit; nec a fronte tantum instabat, sed, circu vedendo che per la fiducia nel fiume non vi avea
mito a flumine cornu, jam ab latere urgebat . no i Romani altre forze, che quattro squadre di
donec fugati equites primum, deinde proximi cavalli, e che queste, accostandosi a suoi, lascia
peditum effuso cursu ad castra compulsi sunt. van nuda la riva, scagliossi contro quella parte
cogli aiuti e coi catafratti. Nè solamente facea
forza alla fronte, ma girando verso il fiume, gli
incalzava eziandio per fianco sino a tanto, che
prima le genti a cavallo, poscia i vicini pedoni
respinti furono a tutto corso insino al campo.
XI.lll. Praeerat castris M. Aemilius tribunus XLIII. Era messo alla guardia del campo
militum, M. Lepidi filius, qui post paucos annos Marco Emilio, tribuno de'soldati, figlio di Marco
pontifex maximus factus est. Is, qua fugam Lepido, che pochi anni di poi fu fatto pontefice
cernebat suorum, cum praesidio omni occurrit; massimo. Egli alla parte, dove scorgeva fuggire
et stare primo, deinde redire in pugnam jube i suoi, si fece loro incontro con tutto il presidio.
bat, pavorem et turpem fugam increpans. Minae E prima intimava loro che si arrestassero, poi
exinde erant, in perniciem suam caecos ruere, che tornassero alla battaglia, rinfacciando loro
mi dicto parerent: postremo dat signum suis, ut la paura e la fuga vergognosa. Indi li minacciava
primos fugientium caedant, turbam insequentium coll'avvertirli, che correvano a certa rovina, se
ferro et vulneribus in hostes redigant. Hic major non ubbidivano. In fine fa segno a suoi che am
timor minorem vicit: ancipiti coacti metu primo mazzino i primi che fuggissero, e col ferro e
constiterunt; deinde et ipsi redierunt in pugnam, colle ferite respingan contro il nemico la frotta,
et Aemilius cum suo praesidio (erant autem duo che pur fuggendo gli seguiva. Quivi il maggior
millia virorum fortium) effuse sequenti regi acri timore vinse il minore. Colpiti dal doppio spa
ter restitit. Et Attalus, Eumenis frater, a destro vento dapprima si arrestarono ; indi anche tor
cornu, a quo laevum hostium primo impetu fu narono alla battaglia, ed Emilio col suo presidio
gatum fuerat, ut ab sinistro fugam suorum et (erano due mila bravi) resistette gagliardamente
tumultum circa castra vidit, in tempore cum al re, che inseguiva a briglia sciolta i fuggitivi. Ed
ducentis equitibus advenit. Antiochus, postduam Attalo, fratello di Eumene, all'ala destra, dalla
et eos, quorum terga modo viderat, repetentes quale la sinistra de'nemici stata era al primo scon
pugnam, et aliam et a castris et ex acie affluen trofugata, come vide alla sinistra la fuga de'suoi,
tem turbam conspexit, in fugam vertit equum. e lo scompigliamento intorno agli alloggiamenti,
Ita utroque cornu victores Romani per acervos giunse a tempo con dugento cavalli. Antioco, poi
corporum (quos in media maxime acie cumula che vide e quelli, che gli avean testè mostrate le
verant, ubi et robur fortissimorum virorum, et spalle, tornarsi alla pugna, e che altra turba in
arma gravitate fugam impedierant) pergunt ad gran frotta accorreva dagli alloggiamenti e dalla
castra di ripienda. Equites primi omnium Eume stessa battaglia, volse il cavallo alla fuga. Così i
nis, deinde et alius equitatus toto passim campo Romani, vincitori all'una ala ed all'altra, sopra
sequuntur hostem, et postremos, ut quosque monti di corpi trucidati (ch'erano massimamente
1 1 13 l'I'l I LI VIl LIBER XXXVII. 1 i 14
adepti sunt, caedunt. Ceterum fugientibus major accumulati nel centro, dove e il nerbo de'più va
pestis, intermixtis quadrigis elephantisque et lenti, e la gravezza dell'armi aveano impedito il
camelis erat, et sua ipsorum turba; quum, solutis fuggire), spingonsi a manomettere gli alloggia
ordinibus, velut caeci super alios alii ruentes, menti. Primi di tutti i cavalli di Eumene,in appresº
incursu belluarum obtererentur. In castris quo so anche l'altra cavalleria inseguono alla distesa il
que ingens, et major prope quam in acie, caedes nemico per tutta la campagna, e tagliano a pezzi
est edita: mam et primorum fuga in castra maxi gli ultimi, secondo che li raggiungono. Del resto,
me inclinavit, et hujus fiducia multitudinis, qui maggior danno venne a fuggitivi dall'inframet
in praesidio erant, pertinacius pro vallo pugna tersi delle quadrighe, degli elefanti e de'cavalli,
runt: retenti in portis valloque, quae se impetu e dalla calca de'suoi, che, sciolte le file, rovinan
ipso capturos crediderant, Romani, postouam do quasi ciechi gli uni sopra gli altri, perivano
tandem perruperunt, ab ira graviorem edide schiacciati dalle bestie. Anche negli alloggiamenti
runt caedem. fu la strage quasi maggiore, che nella stessa bat
taglia; perciocchè e la fuga dei primi si drizzò
specialmente verso il campo, e quelli ch'eran di
presidio, presa fiducia in codesta moltitudine,
più ostinatamente pugnarono davanti allo stec
cato: i Romani, ritenuti in sulle porte, ed alle
sbarre, che s'eran creduto di pigliare di primo
assalto, poi che finalmente l'ebbero sforzate, vi
fecero per ira strage maggiore.
XLlV. Ad quinquaginta millia peditum caesa XLIV. Dicono esser morti in quel dì de'ne
eo die dicuntur, equitum tria millia ; mille et mici cinquanta mila fanti e tre mila cavalli; pre
quadringenti capti, et quindecim cum rectoribus si mille quattrocento e quindici elefanti co' loro
elephanti. Romanorum aliquot vulnerati sunt: condottieri. De Romani alquanti furon feriti:
ceciderunt non plus trecenti pedites, quatuor et caddero non più di trecento fanti e ventiquattro
viginti equites; et de Eumenis exercitu quinque cavalieri, e venticinque dell'esercito di Eumene.
et viginti. Et illo quidem die victores, direptis E quel dì stesso i vincitori, saccheggiati quelli
hostium castris, cum magna praeda in sua rever de'nemici, tornarono a proprii alloggiamenti ca
terunt; postero die spoliabant caesorum corpora, richi di gran preda ; il dì appresso spogliarono i
et captivos contrahebant. Legati ab Thyatira et corpi degli uccisi, e raccolsero i prigioni. Ven
a Magnesia ad Sipylum ad dedendas urbes vene nero da Tiatira e da Magnesia ambasciatori a Si
runt. Antiochus, cum paucis fugiens, in ipso pilo a dare le lor città. Antioco, fuggendo con
itinere pluribus congregantibus se, modica manu pochi, alquanti più raccozzandosi per via d'in
armatorum media ferme nocte Sardes contendit: torno a lui, con piccola banda di armati verso la
inde, quum audisset, Seleucum filium et quosdam mezza notte si recò a Sardi. Indi avendo udito
amicorum Apameam praegressos, e ipse quarta che suo figlio Seleuco, e alcuni de'consiglieri
vigilia cum conjuge ac filia petit Apameam, Ze erano precorsi innanzi ad Apamea, egli pure nel
moni tradita custodia urbis, Timone Lydiae prae la quarta veglia colla moglie e la figlia si pose a
posito: quibus spretis, consensu oppidanorum quella volta, affidata a Zenone la difesa di quella
et militum, qui in arce erant, legati ad consulem città, e messo al governo della Lidia Timone;
missi sunt. senza però curarsi di costoro, spediti furono di
consentimento de'terrazzani e de'soldati, ch'era
no nella rocca, ambasciatori al console.
XLV. Sub idem fere tempus et ab Trallibus, XLV. Verso quel tempo medesimo vennero e
et a Magnesia, quae super Maeandrum est, et ab da Tralle e da Magnesia, che sta sopra il Meandro,
Epheso legati ad dedendas urbes venerunt. Re e da Efeso ambasciatori a consegnare le lor città.
liquerat Ephesum Polyxenidas, audita pugna, Avea Polissenida, udito l'esito della pugna, lascia
et, classe usque ad Patara Lyciae pervectus, metu to Efeso, e inoltratosi colla flotta sino a Patara
stationis Rhodiarum navium, quae ad Megisten di Ilicia, per paura delle navi Rodiane ch'erano
erant, in terram egressus, cum paucis itinere pe a Megiste, sbarcato, andò con pochi in Siria per
destri Syriam petiit. Asiae civitates in fidem terra. Le città dell'Asia si commettevano alla
consulis ditionemdue populi Romani sese trade fede del console e al dominio del popolo Roma
bant. Sardibus jam consulerat: eo et P. Scipio no. Il console era di già arrivato a Sardi: colà
ab Elaea, quam primum pati laborem viae potuit, venne da Elea anche Publio Scipione, tosto che
venit. Sub idem fere tempus caduceator ab An potè tollerare il disagio della via. Quasi al tempo
1 I 15 TITI I,IVII LIBER XXXVII. 1 i 16

tiocho per P. Scipionem a consule petiit, impe stesso un araldo per parte di Antioco chiese al
travitgue, ut oratores mittere liceret regi. Paucos console col mezzo di Publio Scipione, ed otten
post dies Zeuxis, qui praefectus Lydiae fuerat, ne che il re potesse mandargli ambasciatori. Po
et Antipater fratris filius venerunt: hi, prius chi giorni di poi vennero Seusi, ch'era stato pre
Eumene convento, quem propter vetera certa fetto della Lidia, e Antipatro, figlio di un fratello
mina aversum maxime a pace credebant esse, et di Antioco. Essi, avendo prima visitato Eumene,
placatiore eo et sua et regis spe invento, tum che credevano per le antiche dissensioni grande
P. Scipionem, et per eum consulem adierunt; mente avverso alla pace, e trovatolo placato più,
praebitoque iis petentibus frequenti consilio ad che non era stata la speranza loro e quella del re,
mandata edenda, « Non tam, quid ipsi dicamus, allora si recarono a Publio Scipione, e col di lui
habemus, inquit Zeuxis, quam ut a vobis quae mezzo al console; e chiesta ed ottenuta solenne
ramus, Romani, quo piaculo expiare errorem udienza, ond'esporre le loro commissioni, « Non
regis, pacem veniamoue impetrare a victoribus abbiamo, disse Seusi, tanto che potervi dire,
possimus. Maximo semper animo victis regibus quanto che domandarvi, o Romani, con qual sa
populisque ignovistis: quanto id majore et pla grifizio espiare per noi si possa l'error del re,
catiore animo decet vos facere in hac victoria, ed impetrare dai vincitori pace e perdono. Avete
quae vos dominos orbis terrarum fecit? Positis sempre con grandezza d'animo perdonato ai re
jam adversus omnes mortales certaminibus, haud ed ai popoli vinti: quanto più vi conviene ciò
secus quam deos, consulere et parcere vos generi fare, e con animo più grande e più placato in
humano oportet. Jam antequam legati venirent, codesta vittoria, che vi fa padroni del mondo!
decretum erat, quid responderetur: respondere Deposte già l'armi contro tutti i mortali, vi bi
Africanum placuit. Is in hunc modtim locutus sogna non altrimenti, che gli dei, provvedere e
fertur: « Romani ex iis, quae in deum immor giovare all'uman genere. » Già innanzi che ve
talium potestate erant, ea habemus, quae dii nissero i legati, era stabilito che si avesse a ri
dederunt. Animos, qui nostrae mentis sunt, eos spondere: si volle che rispondesse l'Africano,
dem in omni fortuna gessimus, gerimusque; Dicesi ch'egli parlasse in questo modo: « Delle
neque eos secundae res extulerunt, nec adversae cose, ch'erano in potere degli dei, noi Romani
minuerunt. Ejus rei, ut alios omittam, Hanniba abbiamo quelle che gli dei ci han dato; l'ani
lem vestrum vobis darem testem, nisi vos ipsos mo, ch è in poter nostro, l'avemmo e l'abbia
dare possem. Postguam Hellespontum trajecimus, mo sempre lo stesso in qualunque fortuna; nè il
priusquam castra regia, priusquam aciem vide gonfiarono le prosperità, nè le avversità lo ab
remus, quum communis Mars et incertus belli batterono ; di che, per tacere d'ogni altro, vi
eventus esset, de pace vobis agentibus, quaspares darei per testimonio il vostro Annibale, se non
paribus ferebamus conditiones, easdem nunc potessi dare voi stessi. Dacchè abbiam passato
victores victis ferimus. Europa abstinete; Asiaque l'Ellesponto, avanti che vedessimo il campo del
omni, quae cis Taurum montem est, decedite. re, avanti che vedessimo il suo esercito, quando
Pro impensis deinde in bellum factis quindecim era comune il rischio e incerto l'esito della guer
millia talentùm Euboicorum dabitis : quingenta ra, le condizioni, che trattando voi della pace,
praesentia; duo millia et quingenta, quum sena vi offerimmo da pari a pari, quelle stesse offe
tus populusque Romanus pacem comprobaverint; riamo ora vincitori a'vinti. Abbandonate l'Euro
millia deinde talentùm per duodecim annos. pa, e partite da tutta l'Asia, ch'è di qua dal
Eumeni quoque reddi quadringenta talenta, et monte Tauro. Per le spese fatte nella guerra, da
quod frumenti reliquum ex eo, quod patri debi rete quindici mila talenti Euboici: cinquecento
tum est, placet. Haec quum pepigerimus, facturos al presente; due mila cinquecento quando il se
vos et pro certo habeamus, erit quidem aliquod nato ed il popolo Romano avranno approvata la
pignus, si obsides viginti nostro arbitratu dabitis: pace; poi talenti mille ogni anno per anni dodi
sed numquam satis liquebit nobis, ibi pacem esse ci. Vogliamo pure che si rendano ad Eumene
populo Romano, ubi Hannibal erit: eum ante quattrocento talenti, e il rimanente del frumento,
omnia deposcimus. Thoantem quoque Aetolum, ch'era dovuto a suo padre. Quando avremo con
concitorem Aetolici belli, qui etillorum fiducia venuti questi patti, acciocchè siamo certi che
vos, et vestra illos in nos armavit, dedetis, et gli eseguirete, ci sarà una qualche sorte di pegno
cum eo Mnasilochum Acarnana, ct Chalcidenses se darete venti ostaggi a nostra scelta; ma non
Philonem et Eubulidam. In deteriore sua fortuna potremo creder mai che abbia pace il popolo
pacem faciet rex, quia serius facit, quam facere Romano colà, dove sarà Annibale; lui doman
potuit. Si nunc moratus fuerit, sciat, regum diamo innanzi a tutt'altra cosa. Consegnerete
majestatem difficilius ab summo fastigio ad me pure Toante Etolo, suscitatore della guerra Eto
11 17 TITI LIVIl LIBER XXXVII. 1 i 18

dium detrahi, quam a mediis ad ima praecipi lica, il quale seppe colla fiducia degli Etoli arma
tari. » Cum his mandatis ab rege missi erant re voi, e colla fiducia vostra gli Etoli armare con
legati, ut omnem pacis conditionem acciperent: tro di noi, e insieme con lui Mnasiloco Acarma
itaque Romam mitti legatos placuit. Consul in no e i Calcidiesi Filone ed Eubulida. Il re farà
hiberna exercitum Magnesiam ad Maeandrum la pace in più malconcio stato di fortuna, perchè
et Tralles Ephesumque divisit. Ephesum ad con la fa tardi più di quello, che l'avrebbe potuta
sulem paucos post dies obsides ab rege adducti fare. Se indugia ancora, sappia ch'è più diſficile
sunt; et legati, qui Romam irent, venerunt. trarre la maestà dei re dal sommo grado al mez
Eumenes quoque eodem tempore profectus est zano, che dal mezzano all'infimo precipitarla. »
Romam, quo legati regis: secutae eos sunt lega I legati erano stati spediti dal re colla commissio
tiones omnium Asiae populorum. ne di accettare qualunque condizione di pace;
perciò piacque che si mandassero ambasciatori a
Roma. Il console divise l'esercito ne' quartieri
d'inverno tra Magnesia al Meandro e Tralle ed
Efeso. Pochi giorni di poi furono spediti dal re
ad Efeso al console gli ostaggi, e giunsero i le
gati, che andar doveano a Roma. Anche Eumene
amdossene a Roma nel tempo stesso che i legati
del re: tennero lor dietro le legazioni di tutti i
popoli dell'Asia.
XLVI. Dum haec in Asia geruntur, duo fere XLVI. Mentre che accadevano in Asia codeste
sub idem tempus cum triumphi spe proconsules cose, due proconsoli quasi al tempo stesso tor
de provinciis Romam redierunt; Q. Minucius ex narono a Roma dalle lor province colla speranza
Liguribus, M.'Acilius ex Aetolia. Auditis utrius del trionfo, Quinto Minucio dai Liguri, Manio
que rebus gestis, Minucio negatus triumphus, Acilio dall' Etolia. Udite le cose fatte dall'uno e
Acilio magno consensu decretus; isque trium dall'altro, a Minucio fu negato, ad Acilio fu con
phans de rege Antiocho et Aetolis urbem est in grande consentimento decretato il trionfo; ed
vectus. Praelata sunt in eo triumpho signa mili egli entrò in Roma trionfando del re Antioco e
taria ducenta triginta, et argenti infecti tria mil degli Etoli. Portaronsi in quel trionfo dugento
lia pondo; signati tetradrachmùm Atticàm cen e trenta insegne militari; di argento non lavora
tum tredecim millia, cistophorüm ducenta qua to tre mila libbre; di coniato cento tredici mila
draginta octo; vasa argentea caelata multa, ma tetra dracmi Attici, dugento quaranta otto mila
gnique ponderis. Tulit et supellectilem regiam cistofori; molti vasi d'argento cesellati e di
argenteam, ac vestem magnificam ; coronas au gran peso. Vi si portò eviandio la regia suppellet
reas, dona sociarum civitatium, quadraginta quin tile d'argento ed il magnifico vestiario; qua
que; spolia omnis generis: captivos nobiles, Ae rantacinque corone d'oro, già doni delle città
tolos et regios duces, sex et triginta duxit. Da alleate ; spoglie d'ogni genere, e trentasei nobili
mocritus Aetolorum dux paucos ante dies, quum prigioni, Etoli e regii capitani . Damocrito,
e carcere nocte effugisset, in ripa Tiberis conse comandante degli Etoli, pochi di innanzi fuggito
cutis custodibus, priusquam comprehenderetur, essendo la notte di prigione, inseguito dai custodi
gladio se transfixit. Milites tantum, qui sequeren sulla riva del Tevere, prima che fosse preso, colla
tur currum, defuerunt; alioqui magnificus et spe propria spada si uccise. Mancarono solamente i
ctaculo et fama rerum triumphus fuit. Hujus soldati, che seguitassero il carro ; nel resto il
triumphi minuit laetitiam nuncius ex Hispania trionfo fu magnifico e per lo spettacolo e per
tristis, adversa pugna in Vastetanis, ductu L. la fama delle imprese. Scemò la gioia di questo
Aemilii proconsulis, apud oppidum Lyconem cum trionfo la notizia venuta di Spagna, che in un
Lusitanis sex milliade exercitu Romano cecidisse. sinistro fatto d'arme, accaduto contro i Lusitani
Ceteros, paventes intra vallum compulsos, aegre ne' Vastetani presso il castello di Licone, sotto la
castra defendisse, et in modum fugientium ma condotta del proconsole Lucio Emilio, eran periti
gnis itineribus in agrum pacatum reductos. Haec sei mila uomini dell'esercito Romano; gli altri
ex Hispania nunciata. Ex Gallia legatos Placen sbigottiti, respinti dentro lo steccato, aveano a
tinorum et Cremonensium L. Aurunculejus prae gran pena difeso il campo, e a guisa di fuggitivi
tor in senatum introduxit: iis querentibus ino s'erano ritirati precipitosamente in terra amica.
piam colonorum, aliis belli casibus, aliis morbo Tali erano le nuove di Spagna. Il pretore Lucio
absumptis, quosdam taedio accolarum Gallorum Aurunculeio introdusse in senato, vegnenti dalle
reliquisse colonias, decrevit senatus, t. Uti C. Gallie, i legati del Piacentini e de'Cremonesi.
1 i 19 TITI LIVII LIBER XXXVII. I 20

Laelius consul, si ei videretur, sex millia familia Dolendosi essi della scarsezza de'coloni, altri
rum conscriberet, quae in eas colonias divideren essendo periti ne' casi della guerra, altri di ma
tur; et ut L. Aurunculejus praetor triumviros lattia, alcuni avendo abbandonato le colonie,
crearet ad eos colonos deducendos. - Creati M. noiatisi della vicinanza de' Galli, il senato decre
Atilius Serranus, L. Valerius P. F. Flaccus, L. tò, « che il console Caio Lelio, se così gli paresse,
Valerius C. F. Tappus. facesse una leva di sei mila famiglie da ripartirsi
in quelle colonie, e che il pretore Lucio Aurun
culeio nominasse tre cittadini a condurvele. »
Nominati furono Marco Atilio Serrano, Lucio
Valerio Flacco, figlio di Publio, e Lucio Vale
rio Tappo, figlio di Caio.
XLVII. IIaudita multo post, quum jam con XLVII. Non molto dopo, avvicinandosi di
sularium comitiorum appeteret tempus, C. Lae già il tempo de'comizii consolari, il console
lius consulex Gallia Romam rediit: is non solum, Caio Lelio tornò dalla Gallia a Roma. Egli, in
ex facto absente se senatusconsulto, in supple vigor del decreto fatto dal senato in sua assenza,
mentum Cremonae et Placentiae colonos scripsit; non solamente levò i coloni in supplemento di
sed, ut novae coloniae duae in agrum, qui lojo Cremona e Piacenza, ma propose, e a di lui pro
rum fuisset, deducerentur, et retulit, et auctore posta i Padri decretarono, che si mandassero due
eo Patres censuerunt. Eodem tempore L. Aemi nuove colonie nel contado, ch'era stato de Boii.
lii praetoris literae allatae de navali pugna ad Al tempo medesimo vennero lettere dal pretore
Myonnesum facta, et L. Scipionem consulem exer Lucio Emilio della battaglia navale presso Mion
citum in Asiam trajecisse. Victoriae navalis ergo neso, e che il console Lucio Scipione avea tragit
in unum diem supplicatio decreta est: in alterum tato l'esercito in Asia. Si decretò un giorno di
diem, quod exercitus Romanus tum primum in preghiere per la vittoria navale, ed un altro in
Asia posuisset castra, ut ea res prospera et laeta appresso, perchè, essendosi l'esercito Romano
eveniret : vicemis majoribus hostiis in singulas allora per la prima volta accampato in Asia, ciò
supplicationes sacrificare consul est jsusus. Inde gli riuscisse a prospero e lieto fine. Fu commesso
consularia comitia magna contentione habita. M. al console che sagrificasse in ognuno di detti
Aemilius Lepidus petebat adversa fama hominum, giorni venti vittime maggiori. Indi si tennero i
quod provinciam Siciliam petendi causa, non con comizii consolari non senza grande contrasto.
sulto senatu, ut sibi id facere liceret, reliquisset: Chiedeva Marco Emilio Lepido, contro l'opinion
petebant cum eo M. Fulvius Nobilior, Cn. Man pubblica, perchè avea, per chiedere, lasciata la
lius Vulso, M. Valerius Messalla. Fulvius consul Sicilia sua provincia, senza averne avuta licenza
unus creatur, quum ceteri centurias non exples dal senato : chiedevano parimenti Marco Fulvio
sent; isque postero die Cn. Manlium, Lepido Nobiliore, Gneo Manlio Vulsone, Marco Valerio
dejecto (mam Messalla tacuit), collegam dixit. Messalla. Fu creato console il solo Fulvio, non
Praetores exinde facti, duo Q. Fabii, Labeo et avendo gli altri ottenuto il numero legittimo di
Pictor (flamen Quirinalis eo anno inauguratus voti delle centurie; ed egli nominò il dì seguen
fuerat), M. Sempronius Tuditanus, Sp. Postu te suo collega Gneo Manlio, rigettato Lepido ;
mius Albinus, L. Plautius Hypsaeus, L. Baebius Messalla si tacque. Indi si son fatti i pretori; i
Dives. due Quinti Fabii, Labeone e Pittore (questi era
stato inaugurato in quell'anno stesso sacerdote
Quirinale), Marco Sempronio Tuditano, Spurio
Postumio Albino, Lucio Plauzio Ipseo e Lucio
Bebio Divite.

XLVIII. (Anno U. C. 563. – A. C. 189.) XLVIII. (Anni D. R. 563. – A. C. 189.)


M. Fulvio Nobiliore et Cn. Manlio Vulsone con Scrive Valerio Anziate, che nel consolato di
sulibus, Valerius Antias auctor est, rumorem Marco Fulvio Nobiliore e di Gneo Manlio
celebrem Romae ſuisse, et pene pro certo ha Vulsone si diffuse per tutta Roma una voce, e
bitum, recipiendi Scipionis adolescentis causa, fu quasi tenuta per vera, che il console Lucio
consulem L. Scipionem, et cum eo P. Africa Scipione, e insieme Publio Africano, invitati ad
num, in colloquium evocatos regis, et ipsos abboccarsi col re per riavere il giovanetto Sci
comprehensos esse, et, ducibus captis, confestim pione, anch'essi erano stati arrestati; e che pre
ad castra Romana exercitum ductum, eaque ex si i comandanti, tosto era stato condotto l'eser
pugnata, et deletas omnes copias Romanorum cito ad assaltare il campo Romano; che lo avean
esse. Oh haec Aetolos sustulisse animos, et abnu preso, ed annichilate tutte le forze de' Romani,
TITI LIVII LIBER XXXVII. 1 i sa a

isse imperata facere, principesque eorum in Ma Per questo gli Etoli aver ripreso coraggio, e
cedoniam, et in Dardanos, et in Thraciam, ad ricusato di obbedire; ed esser andati i loro
conducenda mercede auxilia profectos. Haec qui capi in Macedonia, ai Dardani e in Tracia a
nunciarent Romam, A. Terentium Varronem et soldar gente; che a recare queste notizie a
M. Claudium Lepidum ab A. Cornelio proprae Roma avea il pretore Aulo Cornelio spediti dal
tore ex Aetolia missos esse. Subtexit deinde fa l'Etolia Aulo Terenzio Varrone e Marco Clau
bulae huic, legatos Aetolos in senatu intercetera dio Lepido. Indi aggiunge a questa storiella,
boc quoque interrogatos esse, unde audissent, che gli ambasciatori degli Etoli, tra l'altre
imperatores Romanos in Asia captos ab Antiocho cose, interrogati anche in senato, da chi aves
rege, et exercitum deletum esse? Aetolos respon sero udito che i comandanti Romani fossero
disse, ab suis legatisse, qui cum consule fuerint, stati presi in Asia dal re Antioco, e l'esercito
certiores factos. Rumoris hujus quia neminem distrutto, rispondessero esserne stati fatti certi
alium auctorem habeo, neque affirmata res mea da' loro legati, che si erano trovati presso il
opinione sit, nec provana praetermissa. console. Non avendo io nessun altro scrittore,
che guarentisca la verità di codesto rumore, non
sia nè ch'io affermi la cosa, nè ch'io la rigetti
come falsa.
XLIX. Aetoli legati in senatum introducti, XLIX. Gli ambasciatori degli Etoli intro
quum et causa eos sua et fortuna hortaretur, ut dotti in senato, quando la causa e la fortuna
confitendo seu suae culpaeseu errori veniam pe loro gli consigliava di chiedere supplichevoli,
terent supplices; orsi a beneficiis in populum confessando, il perdono della colpa o dell'er
Romanum, et prope exprobrantes virtutem suam rore, invece cominciando dai benefizii fatti al
in Philippi bello, et offenderunt aures insolentia popolo Romano, e quasi rinfacciandogli il valo
sermonis, et eo, vetera et obliterata repetendo, re, che aveano usato a pro suo nella guerra con
rem adduxerunt, ut haud paullo plurium male tro Filippo, offesero gli orecchi coll'insolenza
ficiorum gentis, quam beneficiorum, memoria di così fatto parlare, e ripetendo cose vecchie,
subiret animos Patrum, et, quibus misericordia obliterate, a tale si spinsero, che si risvegliò
opus erat, iram et odium irritarent. Interrogati nell'animo de'Padri assai più la memoria dei
ab uno senatore, « permitterentne arbitrium de torti, che del benefizii loro; e mentre avean
se populo Romano ? » deinde ab altero, « habi bisogno di misericordia, irritarono invece l'odio
turine eosdem, quos populus Romanus, socios et e lo sdegno. Interrogati da un senatore, a se si
hostes essent ? º nihil ad ea respondentes, egredi rimettessero alla discrezione del popolo Roma
templo jussi sunt. Conclamatum deinde propeab no? » poscia da un altro, « se avrebbono avuto i
universo senatu est, « Totos adhuc Antiochi Ae medesimi amici e nemici, che il popolo Romano?»
tolos esse, et ex unica ea spe pendere animos eo nulla a ciò rispondendo, ebber ordine di uscire
rum. Itaque bellum cum baud dubiis hostibus dal tempio. Indi levossi un grido da quasi tutto
gerendum, perdomandosque ferocesanimosesse.” il senato; . Essere gli Etoli ancora ligii di Antio
Etiam illa res accendit, quod eo ipso tempore, co, e gli animi loro pendere da quella unica
quo pacem ab Romanis petebant, Dolopiae atque speranza; doversi quindi far la guerra contro
Athamamiaebellum inferebant. Senatusconsultum codesti non dubbii nemici, e domarne la fierez
in M.' Acilii sententiam, qui Antiochum Aeto za. » Ed anche accese maggiormente il sapere,
losque deviceret, factum est, a Ut Aetoli eo die che nel tempo stesso che chiedevano la pace
juberentur proficisci ab urbe, et intra quintum a Romani, portavano la guerra nella Dolopia e
decimum diem Italia excedere. » A. Terentius nell'Atamania. Fu quindi decretato, secondo la
Varro ad custodiendum iter eorum missus, de proposta di Manlio Acilio, il quale avea vinto
nunciatumque, « Si qua deinde legatio ex Aeto Antioco e gli Etoli, « che fosse ordinato agli
lis, nisi permissu imperatoris, qui eam provin Etoli di partire in quel dì medesimo da Roma, e
ciam obtineret, et cum legato Romano, venisset di uscir dall'Italia tra quindici giorni. - Fu
Romam, pro hostibus omnes futuros. » Ita dimis mandato a scortarli nel lor cammino Aulo Teren
si Aetoli. zio Varrone, e fa loro intimato, a che se in ap
presso alcuna ambasceria degli Etoli venisse a
Roma senza licenza del comandante, che gover
masse quella provincia, e senza essere accompa
gnata da un legato Romano, si sarebboro tenuti
quai nemici, º in questa guisa licenziati furono
gli Etoli.
-
Livio 2 a l
1 123 TITI LIVII LIBER XXXV Il. 1 124
L. De provinciis deinde consules retulerunt: L. Poscia i consoli proposero l'affare delle
sortiri eos Aetoliam et Asiam placuit: qui Asiam province: l'avviso fu, che sortissero tra loro
sortitus esset, exercitusei, quem L. Scipio habe l'Etolia e l'Asia. A quello, cui fosse toccata
ret, est decretus, et in eum supplementum qua l'Asia, si decretò l'esercito, che aveva Lucio
tuor millia peditum Romanorum. ducenti equites, Scipione, e in supplemento quattro mila fanti
et sociorum ac Latini nominis octo millia pedi Romani, duecento cavalli, otto mila fanti degli
tum, et quadringenti equites: his copiis ut bel alleati Latini e quattrocento cavalli; con queste
lum cum Antiocho gereret. Alteri consuli exerci forze guerreggiasse contro Antioco. All'altro
tus, qui erat in Aetolia, est decretus; et, ut sup console si assegnò l'esercito, ch'era in Etolia; e
plementum scriberet, permissum, civium socio gli fu permesso di levare in supplemento lo
rumque eumdem numerum, quem collega: na stesso numero di cittadini e di alleati, che il col
ves quoque idem consul, quae priore anno para lega. Ebbe pur ordine lo stesso console di arma
tae erant, ornare jussus, ac ducere secum ; nec re le navi, ch'erano state l'anno innanzi appa
cuin A etolis solum bellum gerere, sed etiam in recchiate, e seco condurle ; e non solamente di
Cephalleniam insulam trajicere. Mandatum ei guerreggiare con gli Etoli, ma eziandio traghet
dem, ut, si per commodum reipublicae facere tare nell'isola Cefallenia. Gli fu pur detto, che se
posset, ad comitia Romam rediret: nam, prae il potesse, senza danno della cosa pubblica, tor
terquam quod magistratus annui subrogandi es nasse a Roma a tenere i comizii; perciocchè,
sent, censores quoque placere creari: si qua res oltre il doversi sostituire i nuovi annui magistra
eum teneret, sematum certiorem faceret, se ad co ti, si voleva eziandio creare i censori; e se alcu
mitiorum tempus occurrere non posse. Aetolia ma cosa il ritenesse, avvisasse il senato che non
M. Fulvio, Asia Cn. Manlio sorte evenit. Praeto poteva venire al tempo dei comizii. L'Etolia
res deinde sortiti sunt, Sp. Postumius Albinus toccò a Marco Fulvio, l'Asia a Gneo Manlio.
urbanam et inter peregrinos, M. Sempronius Tu Indi i pretori ebbero a sorte, Spurio Postumio
ditanus Siciliam, Q. Fabius Pictor flamen Quiri Albino la giurisdizione urbana e forestiera, Mlar
nalis Sardiniam, Q. Fabius Labeo classem, L. co Sempronio Tuditano la Sicilia. Quinto Fabio
Plautius Hypsaeus Hispaniam citeriorem, L. Bae Pittore, sacerdote Quirinale la Sardegna, Quinto
bius Dives Hispaniam ulteriorem. Siciliae legio Fabio Labeone la flotta, Lucio Plauzio lpseo la
una et classis, quae in ea provincia erat, decreta; Spagna citeriore, Lucio Bebio Divile l'ulteriore,
et ut duas decumas frumenti novus praetor im Alla Sicilia fu assegnata una legione e la flotta,
peraret Siculis; earum alteram in Asiam, alteram ch'era nella provincia; e si commise al nuovo
in Aetoliam mitteret. Idem ab Sardis exigi, atque pretore che imponesse a Siciliani due decime di
ad eosdem exercitus id frumentum, ad quos Sicu frumento, una ne mandasse in Asia, l'altra in
lum, deportari jussum. L. Baebio supplementum Etolia. Altrettanto se ne esigesse dai Sardi, e si
in Hispaniam datum mille Romani pedites, equi mandasse a medesimi eserciti, come quello di
tes quinquaginta, el sex millia peditum Latini Sicilia. A Lucio Bebio si diedero in supplemento
nominis, ducenti equites. Plautio Hypsaeo in Hi per la Spagna mille fanti Romani, cinquanta ca
spaniam citeriorem mille Romani dati sunt pedi valli e sei mila fanti degli alleati Latini, e du
tes, duo millia sociùm Latini nominis, et ducen gento cavalli. A Plauzio Ipseo per la Spagna
ti equites: cum his supplementis ut singulas le citeriore furono dati mille fanti Romani, due
giones duae Hispaniae haberent. Prioris anni ma mila degli alleati Latini, e dugento cavalli, sì che
gistratibus, C. Laelio cum suo exerci tu proroga con questi supplementi le due Spagne avessero,
tum in annum imperium est: prorogatum et P. ciascuna una legione. Quanto ai magistrati del
Junio propraetori in Etruria cum eo exercitu, l'anno antecedente, si prorogò a Caio Lelio il
qui in provincia esset; et M. Tuccio propraetori comando per un anno col suo esercito, come fu
in Bruttiis et Apulia. egualmente prorogato e a Publio Giunio propre
tore nella Toscana coll'esercito ch'era colà ;
e a Marco Tuccio propretore ne' Bruzii e nella
Puglia. -

LI. Priusquam in provincias praetores irent, LI. Innanzi che i pretori andassero alle loro
certamen inter P. Licinium pontificem maximum province, insorse tra Publio Licinio, pontefice
fuit et Q. Fabium Pictorem flaminem Quirina massimo e Quinto Fabio Pittore, sacerdote
lem, quale patrum memoria inter L. Metellum et Quirinale, una contesa, qual era già stata a
Postumium Albinum fuerat. Consulem illum, cum memoria del nostri padri tra Lucio Metello e
C. Lutatio collega in Siciliam ad classem profici Postumio Albino. Postumio, mentre console
scentem, ad sacra retinuerat Metellus pontifex stava per andare col collega Caio Lutazio in
1 i 25 - l'ITI LIVII LIBER XXXVII. I | 26

maximus; praetorem hunc, ne in Sardiniam pro Sicilia alla flotta, era stato ritenuto da Metello,
ficisceretur, P. Licinius tenuit. Et in senatu, et pontefice massimo, ai doveri del sagro mini
ad populum magnis contentionibus certatum est; stero, e Publio Licinio ritenne il pretore Quin
et imperia inbibita ultro citroque, et pignora to Fabio, che non andasse in Sardegna. Vi fu
capta, et mulctae dictae, et tribuni appellati, et grande dibattimento e nel senato e davanti al
provocatum ad populum est. Religio ad postre popolo, e corsero interdetti da una parte e dal
mum vicit. ut dicto audiens esset Flamen pontifi l'altra, e si presero sicurtà, e s'imposero multe,
ci, et mulctae ex jussu populi remissae. Ira pro e si appellò a tribuni, si appellò al popolo. In
vinciae ereptae praetorem magistratu abdicare ultimo vinse la religione, e fe' che il sacerdote
se conantem Patres auctoritate sua deterruerunt; stesse all'obbedienza del pontefice, e le multe,
et, ut jus inter peregrinos diceret, decreverunt. per comando del popolo, furono rimesse. Cer
Delectibus deinde intra paucos dies (neque enim cando il pretore, per ira di aversi veduta tolta
multi milites legendi erant) perfectis, consules la provincia, di rinunziare al magistrato, i Padri
praetoresque in provincias proficiscuntur. Fama colla loro autorità me lo stornarono, e decre
deinde de rebus in Asia gestis temere vulgata si tarono che amministrasse ragione ai forestie
ne auctore; et post dies paucos nuncii certi lite ri. Indi compiute tra pochi dì le leve (chè non
raeque imperatoris Romam allatae ; quae non eran molti i soldati da levare ) i consoli ed i
tantum gaudium ab recenti metu attulerunt (de pretori vanno alle lor province. Poscia corse
sierantenim victum in Aetolia metuere), quam quella vaga fama intorno le cose accadute in
averterunt famam ; quod ineuntibus id bellum Asia, senza che ne apparisse l'autore, e pochi
gravis hostis et suis viribus, et quod Hannibalem giorni di poi vennero a Roma sicuri messi e
rectorem militiae haberet, visus fuerat: nihil ta lettere del comandante; le quali non tanto re
men aut de consule mittendo in Asiam mutan carono di gioia per la paura avutane testè (per
dum, aut minuendas ejus copias, censuerunt; me ciocchè, come tosto fu vinto Antioco in Etolia,
tu, ne cum Gallis foret bellandum. avean cessato di temerlo), quanto valsero a dis
sipare quella voce, che in sul principio della
guerra facea credere che Antioco fosse nemico
da temersi e per le sue forze, e perchè aveva
Annibale a direttore della milizia. Non però sti
marono di mutar nulla, nè quanto al mandare
il console in Asia, nè quanto al diminuirgli l'e
sercito per timore che si avesse a guerreggiare
anche coi Galli.
LII. Haud multo post M. Aurelius Cotta, le LII. Da lì a non molto Marco Aurelio Cotta,
gatus L. Scipionis, cum Antiochi regis legatis, et legato di Lucio Scipione, coi legati del re Antio
Eumenes rex Rhodiique Romam venerunt. Cotta co, il re Eumene ed i Rodiani vennero a Roma.
in senatu primum, deinde in concione jussu Pa Cotta primieramente in senato, poi per ordine
trum, quae acta in Asia essent, exposuit. Suppli de' Padri nell'assemblea del popolo espose le cose
calio inde in triduum decreta est, et quadraginta fatte in Asia. Si decretarono tre giorni di pub
majores hostiae immolari jussae. Tum omnium bliche preci, e si ordinò che s'immolassero
primum Eumeni senatus datus est. Is quum bre quaranta vittime maggiori. Allora, prima che ad
viter et egisset gratias Patribus, a quod obsidio ogni altro, si diede udienza ad Eumene. Egli, poi
ne se ac fratrem exemissent, regnumque ab inju ch'ebbe brevemente ringraziato i Padri, a che
riis Antiochi vindicassent; º et gratulatus esset, avessero lui ed il fratello dall'assedio, ed il suo
a quod mari terraque prospere res gessissent, regno dalle sopercherie di Antioco liberato, e si
quodque regem Antiochum, fusum fugatumoſue fu con loro congratulato che guerreggiato aves
et exutum castris, prius Europa, post et Asia, sero prosperamente per terra e per mare, sconfit
quae cis Taurum montem est, expulissent; sua to e fugato Antioco, e, spogliatolo degli alloggia
deinde merita malle eos ex imperatoribus suis le menti, lo avessero scacciato prima dall'Europa,
gatisque, quam se commemorante, cognoscere, º poi dall'Asia, ch'è di qua del monte Tauro;
dixit. Haec approbantibus cunctis, jubentibusque soggiunse, amar egli che i suoi meriti sieno
dicere ipsum, omissa in id verecundia, quid manifestati da loro comandanti e legati, piutto
sibi a senatu populoque Romano tribui aequum sto che rammemorargli egli stesso. » Al che tutti
censeret: « propensius cumulatiusque, si quo pos facendo plauso ed eccitandolo, lasciata a parte la
sit, prout ejus merita sint, senatum facturum ; º modestia, a dire egli stesso a ciò che stimasse
ad ea rex: « Si ab aliis sibi praemiorum optio doversegli retribuire dal senato e dal popolo
1 i 27 TITI LIVI l I.I BFR XXXVII. i 128

deferretur, libenter, data modo facultate consu Romano, perciocchè il senato, come meglio po
lendi senatum Romanum, consilio amplissimi or tesse, farebbe ancor più di buon grado e più
dimis usurum fuisse, ne quid aut immoderate cu compiutamente, secondo ch'erano i di lui meri
pisse, aut petisse parum modeste videri posset: ti; º il re disse: « se da altri gli fosse data la
verum enimvero, quum ipsi daturi sint, multo scelta libera del premio, volentieri, purchè gli si
magis munificentiam eorum in se fratesque suos concedesse di consultare il senato Romano, si
ipsorum arbitrii debere esse » Nihilhac oratione varrebbe del consiglio di quell'ordine amplissi
ejus Patres conscripti deterriti sunt, quo minus mo, onde parer non potesse, ch'egli avesse o
dicere ipsum juberent; et quum aliquamdiu, hinc troppo smodatamente bramato, o poco mode
indulgentia, hinc modestia, inter permittentes in stamente richiesto; ma essendo essi medesimi
vicem, non magis mutua, quam inexplicabili fa quelli, che dovean donare, tanto più dovea star
cilitate, certatum esset, Eumenes templo excessit. si in loro arbitrio la munificenza, che usar
Senatus in eadem perstare sententia, ut « absur volevano inverso lui e i suoi fratelli. » Non
dum esse diceret, ignorare regem, quid sperans, valse punto questo discorso a stornare i Padri
aut petens venerit: quae accommodata regno suo coscritti dall'insistere, perchè parlasse. Ed es
sint, ipsum optime scire: Asiam longe melius, sendosi per alquanto tempo gareggiato quinci
quam senatum, nosse: revocandum igitur et co di liberalità, quinci di modestia, largheggiando
gendum, quae vellet, quaeque sentiret, expro a vicenda l'un verso l'altro con iscambievole
mere, º non meno, che con interminabile facilità, Eu
mene uscì dal tempio. Il senato rimase fermo nel
suo parere, dicendo, a essere assurdo che il re
non sappia con che speranze, e a chieder che
sia venuto: conoscer egli ottimamente ciò che
conviene al suo regno: essergli nota l'Asia più
assai, che al senato ; si dovea quindi richia
marlo, e sforzarlo a manifestare ciò che volesse,
ciò che pensasse. "
LIII. Reductus a praetore in templum rex. et LIII. Eumene, ricondotto dal pretore nel
dicere jusus . Perseverassem, inquit, tacere, Pa tempio, e invitato a parlare: « Avrei, disse, per
tres conscripti, misi Rhodiorum legationem mox severato, o Padri coscritti, nel mio silenzio, se
vocaturos vos scirem; et, illis auditis, mihi neces non sapessi che avete a chiamar dentro tra poco
sitatem fore dicendi. Quae quidem eo difficilior l'ambasceria de' Rodiani, e che, quelli uditi, mi
oratio erit, quod ea postulata eorum futura sint, sarebbe stato forza parlare. E questo discorso
ut non solum nihil, quod contra me sit, sed ne tanto più difficile mi fia, quanto che tali esser
quod ad ipsos quidem proprie pertineat, petere debbono le lor dimande, che non solamente non
videantur. Agent enim causam civitatium Grae parran chiedere cosa, che sia contro di me, ma
carum, et liberari eas dicent debere: quo impe nemmeno cosa, che li riguardi. Perciocchè trat
trato, cui dubium est, quin et a nobis aversuri terranno la causa delle città greche, e diranno
sint non eas modo civitates, quae liberabuntur, che si debbe rimetterle in libertà. Come abbian
sed etiam veteres stipendiarias mostras; ipsi au questo ottenuto, e chi non dubita che non ab
tem tanto obligatos beneficio verbo socios, re vera biano a staccare da noi non solamente le città,
subjectos imperio et obnoxios habituri sint? Et che saranno liberate, ma eviandio le antiche no
(si diis placet) quum has tantas opes affectabunt, stre tributarie; e ch'essi poi obbligandosi con sì
dissimulabunt ulla parte id ad se pertinere; vos grande beneficio quelli in parole loro alleati, non
modo id decere, et conveniens esse antefactis di gli abbiano in fatto a tenerli sudditi e dipendenti?
cent. Haec vos ne decipiat oratio, providendum e (se non disgrada gli dei) vagheggiando tanta
vobis erit; neve non solum inaequaliter alios ni potenza, simuleranno che ciò per nulla li riguar
mium deprimatis ex sociis vestris, alios praeter di ; diranno che ciò bensì conviene a voi, con
modum extolIatis; sed etiam ne, qui adversus viene alle cose, che avete fatte. Badate che questo
vos arma tulerunt, in meliore statu sint, quam discorso non v'inganni, e che non solo altri dei
socii et amici vestri. Quod ad me attinet, in vostri alleati abbassiate, altri oltre misura innalzia
aliis rebus cessisse intra finem juris mei cui te; ma eziandio, che coloro i quali portaron l'armi
libet videri malim, quam nimis pertinaciter in contro di voi, non sieno in migliore stato, che gli
obtinendo eo tetendisse; in certamine autem alleati vostri ed amici. Per quello che mi appartie
amicitiae nostrae, benevolentiae erga vos, ho ne, amerei meglio che sembrasse d'aver io in ogni
noris, qui a vobis habebitur, minime aequo altra cosa ceduto a qualsiasi porzione alcuna del
1 I 29 TITI I,l Vll LIBER XXXVII. 1 13o

animo vinci possum. Hanc ego maximam hae mio diritto, piuttosto che pertinacemente aver
reditatem a patre accepi, qui primus omnium insistito per conservarlo; ma nel contendere con
Asiam Graeciamque incolentium in amicitiam altri della nostra amicizia, della benevolenza mia
vestram venit, eamque perpetua et constanti fide versò di voi, dell'onore, che vi piace altrui con
ad extremum finem vitae perduxit; nec dumta ferire, non posso esser vinto di buon grado da
xat animum vobis bonum ac fidelem praestitit, nessuno. Quest'è la massima eredità, ch'ebbi dal
sed omnibus interfuit bellis, quae in Graecia ges padre mio, il quale, primo di quanti abitan
sistis, terrestribus, navalibus; omni genere com l'Asia e la Grecia, si strinse in amicizia con voi,
meatuum ita, ut nemo sociorum vestrorum ae e la mantenne con perpetua e costante fede sino
quari ulla parte posset, vos adjuvit. Postremo all'ultimo termine della sua vita; nè solamente
quum Boeotos ad societatem vestram hortaretur, vi serbò animo buono e fedele, ma intervenne a
in ipsa concione intermortuus, haud multo post tutte le guerre, che faceste in Grecia per mare e
exspiravit. Hujus ego vestigia ingressus, voluntati per terra, e vi aiutò con ogni genere di vettova
quidem et studio in colendis vobis adjicere (ete glie, così che nessuno degli alleati vostri se gli
nim inexsuperabilia haec erani) nihil potui; re può in nessun modo agguagliare. Ultimamente
bus ipsis meritisque et impensis officiorum, ut nell' atto che si stava esortando i Beozii a colle
superare possem, fortuna, tempora, Antiochus et garsi con voi, nello stesso arringare venuto meno,
bellum in Asia gestum praebuerunt materiam. da lì a poco spirò. Messomi a calcare le sue peda
Rex Asiae et partis Europae Antiochus et filiam te, per verità non potei nulla aggiungere alla
suam in matrimonium mihi dabat; restituebat volontà ed affezione sua verso di voi (nel che
extemplo civitates, quae defecerant a mobis; spem m'era impossibile superarlo); ma che superare
magnam in posterum amplificandi regni faciebat, il potessi col fatti e coi meriti e con ogni sorta di
si secum adversus vos bellum gessissem. Non glo uffizii, me m'han dato materia la fortuna, i tem
riaboreo, quod nihil in vos deliquerim : illa po pi, Antioco e la guerra fatta nell'Asia. Antioco
tius, quae vetustissima domus nostrae vobiscum re dell'Asia e di una parte dell'Europa mi offe
amicitia digna sunt, referam. Pedestribus navali riva in matrimonio sua figlia; mi restituiva subi
busque copiis, ut nemo vestrorum sociorum me to le città, che ribellate s'eran da noi; mi porgeva
aequiparare posset, imperatores vestros adjuvi; grande speranza di accrescere in appresso il mio
commeatus terra marigue suppeditavi ; navalibus regno, se avessi seco lui guerreggiato contro di
proeliis, quae multis locis facta sunt, omnibus voi. Non mi darò lode dell'esservi stato fedele;
adfui ; nec labori meo, nec periculo usquam pe riferirò piuttosto le cose, che son degne dell'an
perci. Quod miserrimum est in bello, obsidionem tichissima amicizia della casa nostra con voi. Ho
passus sum, Pergami inclusus cum discrimine soccorso i vostri comandanti di forze terrestri e
ultimo simul vitae regnique. Liberatus deinde marittime in modo, che nessuno de' vostri alleati
obsidione, quum alia parte Antiochus, alia Seleu si può meco agguagliare; somministrai vettovaglie
cus circa arcem regni mei castra haberent, reli per terra e per mare; mi son trovato in persona
ctis rebus meis, tota classe ad Hellespontum L.Sci a tutte le battaglie navali, che si son date in mol
pioni consuli vestro occurri, uteum in trajiciendo ti luoghi; non mi son mai sottratto nè a fatiche,
exercitu adjuvarem. Postquam in Asiam exercitus nè a pericoli. Quello ch'è più calamitoso nella
vester est transgressus, numquam a consule ab guerra, ho sofferto un assedio, rinchiuso in Per
scessi: nemo miles Romanus magis assiduus in gamo, nel rischio estremo di perdere e vita e re
castris vestris fuit, quan ego fratresque mei: nulla gno. Poscia liberato dall'assedio, mentre Antioco
expeditio, nullum equestre proelium sine me fa da una parte e Seleuco dall'altra stavansi accam
ctum est. In acie ibi steti, eam partem sum tuta pati davanti alla maggior fortezza del mio regno,
tus, in qua me consul esse voluit. Non sum hoc lasciata ogni cosa, venni nell'Ellesponto con tut
dicturus, Patres conscripti, quis hoc bello meritis ta la flotta incontro al vostro console Lucio Sci
erga vos mecum comparari potest? Ego nulli pione, per aiutarlo a tragittare l'esercito. Come
omnium neque populorum, megue regum, quos il vostro esercito fu in Asia, non mi son mai di
in magno labore habetis, non ausim me compa partito dal fianco del vostro console; nessun sol
rare. Hostis Masinissa ante vobis, quam socius dato Romano fu più assiduo di me e de'miei fra
fuit; nec incolumi regno cum auxiliis suis, sed telli nel vostro campo; nessuna spedizione, nes
extorris, expulsus, amissis omnibus copiis, cum sun incontro di cavalleria si è fatto senza di me.
turma equitum in castra confugit vestra: tamen In un dì di battaglia colà stetti, e quella parte
eum, quia in Africa adversus Syphacem et Car difesi, dove volle il console ch'io fossi. E non
thaginienses fideliter atque impigre vobiscum oserò dire, o Padri coscritti, chi può in questa
stetit, non in patrium solum regnum restituistis, guerra venir meco a guerreggiare di merito verso
I 13 I TITI LIVII I,IBER XXXVII. 1 132

sed, adjecta opulentissima parte Syphacis regni, di voi? Non temo certo di paragonarmi a qua
praepotentem inter Africae reges fecistis. Quo lunque de popoli, o dei re, che più tenete in
tandem igitur nos praemio atque honore digni pregio. Masinissa vi fu prima nemico che alleato,
apud vos sumus, qui numquam hostes, semper nè venne ad unirsi al vostro campo, a regno
socii fuimus ? Pater, ego, fratresque mei non in tuttavia intero, con tutte le sue forze, ma ramin
Asia tantum, sed etiam procul ab domo in Pelo go, scacciato, perdute tutte le sue genti, con
ponneso, in Boeotia, in Aetolia, Philippi, Antio picciola banda di cavalli; nondimeno, perchè
chi, Aetolico bello, terra marique pro vobis arma fedele e valoroso stette con voi nell'Africa contro
tulimus. Quid ergo postulas ? dicat aliquis. Ego, Siface ed i Cartaginesi, non solo il rimetteste nel
Patres conscripti, quoniam dicere utique volenti paterno soglio, ma coll' aggiungergli la ricca
bus vobis parendum est, si vos ea mente ultra parte del regno di Siface, lo faceste il re più po
Tauri juga emostis Antiochum, ut ipsi teneretis tente di tutta l'Africa. Qual dunque non ci me
eas terras, nullos accolas, nec finitimos habere, ritiamo da voi premio ed onore noi, che non
quam vos, malo; neculla alia retutius stabilius fummo mai vostri nemici, e sempre vostri al
que regnum meum futurum spero. Sed si vobis leati? Mio padre, io ei miei fratelli portammo
decedere inde, atque exercitus deducere in animo l'armi per voi non solamente in Asia, ma evian
est, neminem digniorem esse ex sociis vestris, qui dio lungi da casa nel Peloponneso, nella Beozia,
bello a vobis parta possideat, quam me, dicere nell'Etolia, nella guerra con Filippo, con Antio
ausim. At enim magnificum est liberare civitates co, cogli Etoli, per mare e per terra. Che dun
servas. Ita opinor, si nihil hostile adversus vos fece que chiedi, dirà taluno? Io, Padri coscritti,
runt: sin autem Antiochi partis fuerunt; quanto poi che, volendo pure ch'io parli, mi bisogna
est vestra prudentia et aequitate dignius, sociis ubbidire, io, se avete respinto Antioco di là del
bene meritis, quam hostibus, vos consulere ? » monte Tauro colla mente di ritenere per voi
stessi quelle terre, non altri abitatori vicini o
confinanti più bramo, che voi; nè spero ch'es
ser possa per altra guisa più difeso e più stabile
il mio regno. Ma se avete in animo di partirvi
di là, e di via levarne gli eserciti, oserò dire,
nessuno degli alleati vostri essere più degno di
me di posseder le vostre conquiste. Ma è cosa
magnifica far libere le città schiave; e così penso
anch'io, se mai non commisero contro di voi atto
ostile; ma se si stettero dalla parte di Antioco,
quanto è cosa più degna della prudenza ed equità
vostra l'aver piuttosto riguardo a benemeriti
alleati, che a nemici ? »
LIV. Grata oratio regis Patribus fuit; et fa IlV. Fu grata a Padri l'orazione di Eumene,
cile apparebat, munifice omnia et propenso ani e si scorgeva chiaro che avrebbero fatto tutto
mo facturos. Interposita Smyrnaeorum brevi le con munificenza e pienezza di volontà. Non es
gatio est, quia non aderant quidam Rhodiorum. sendo presenti alcuni de'Rodiani, fu nell'inter
Collaudatis egregie Smyrnaeis, quod omnia ulti vallo introdotta la legazione degli Smirnei, ed
ma pati, quam se regi tradere maluissent, intro ebbero breve udienza. Lodatili egregiamente, co
ducti Rhodii sunt; quorum princeps legationis, me quelli, che vollero piuttosto i mali estremi
expositis initiis amicitiae cum populo Romano, sopportare, che darsi al re, furono introdotti i
meritisque Rhodiorum Philippi prius, deinde Rodiani, il capo de'quali, esposti i principii del
Antiochi bello, « Nihil, inquit, nobis tota nostra l'amicizia loro col popolo Romano, e i meriti
actione, Patres conscripti, neque difficilius, ne de'Rodiani nella guerra prima contro Filippo,
que molestius est, quam quod cum Eumene nobis poi contro Antioco, « Non v'ha cosa, disse, o Pa
disceptatio est, cum quo uno maxime regum et dri coscritti, che in tutta questa nostra azione
privatum singulis, et, quod magis nos movet, più difficile ci riesca e più molesta, quanto l'aver
publicum civitati nostrae hospitium est. Ceterum a contendere con Eumene, col quale, solo di tut
non animi nostri, Patres conscripti, nos, sed re ti i re, e ciascun di noi privatamente, e quello
rum natura, quae potentissima est, disjungit; ut che più ci move, la città nostra è stretta pubbli
mos liberi etiam aliorum libertatis causam aga camente coi vincoli sacri di ospitalità. Del resto,
mus; reges serva omnia et subjecta imperio suo non gli animi nostri, o Padri coscritti, ma la na
esse velint. Utcumque tamen resse habet, magis tura stessa delle cose, la quale è potentissima, ci
a 133 l'ITI I,l VII LIBER XXXVII. i 134
verecundia nostra adversus regem nobis obstat, disgiunge; che a noi liberi tocca trattar la causa
quam ipsa disceptatio aut nobis impedita est, dell'altrui libertà; i re all'opposto vogliono che
aut vobis perplexam deliberationem praebitura tutto sia schiavo e soggetto al lor dominio. Co
videtur. Nam, si aliter socio atque amico regi, et munque però sia la cosa, ci fa maggiore ostacolo
bene merito hoc ipso in bello, de cuius praemiis la riverenza nostra verso il re, piuttosto che la
agitur, honos haberi nullus posset, nisi liberas trattazione ci riesca imbarazzata, o sembri dover
civitates ei in servitutem traderetis, esset delibe rendere dubbiosa la vostra deliberazione. Percioc
ratio anceps; ne aut regem amicum inhonoratum chè, se non si potesse onorare altrimenti un re
dimitteretis, aut decederetis instituto vestro, et amico ed alleato e benemerito in questa stessa
gloriam Philippi bello partam, nunc servitute guerra, del premii della quale si tratta, che col
tot civitatium deformaretis. Sed ab hac necessi dargli in mano schiave le città libere, potrebbe
tate, aut gratiae in amicum minuendae, aut glo la deliberazione esser dubbia; o per non riman
riae vestrae, egregie vos fortuna vindicat. Est dare senza onore un re amico, o per non dipar
enim deiùm benignitate non gloriosa magis, quam tirsi dall'istituto vostro, e deformare la gloria
dives, victoria vestra, quae vos facile isto velut acquistata nella guerra di Filippo, colla servitù
aere alieno exsolvat. Nam et Lycaonia, et Phrygia di tante città. Ma da sì fatta necessità di scemare
utraque, et Pisidia omnis, et Chersonesus, quae o i vostri favori verso un amico, o la gloria vo
que circumiacent Europae, in vestra sunt pote stra, vi scioglie eccellentemente la fortuna. Pe
state: quarum una quaelibet regi adjecta multi rocchè per benignità degli dei la vittoria vostra
plicare regnum Eumenis potest; omnes vero da non è men ricca, che gloriosa; sì che può facil
tae maximiseum regibus aequare. Licet ergo vo mente da questo quasi contratto debito liberarvi.
bis, et praemiis belli ditare socios, et non decedere Sono in poter vostro la Licaonia, l'una e l'altra
instituto vestro, et meminisse, quam titulum prae Frigia, tutta la Pisidia e il Chersoneso e quanti
tenderitis prius adversus Philippum, nunc ad son paesi intorno l'Europa; delle quali province
versus Antiochum, belli; quid feceritis Philippo una sola qualunque, aggiunta al re, basta ad in
victo; quid nunc a vobis, non magis quia feci grandire il regno di Eumene; dandogliele poi
stis, quam quia id vos facere decet, desideretur tutte, ad agguagliarlo a più gran re. Vi è dunque
atque exspectetur. Alia enim aliis et honesta est libero e di arricchire gli alleati co'premii della
et probabilis causa armorum. Illi agrum, hi vicos, guerra e di non iscostarvi dal vostro istituto, e
hi oppida, hi portus, oramque aliquam maris ut insieme aver presente qual titolo avete sfoggiato
possideant. Vos nec cupistis haec, antequam ha per la guerra primieramente con Filippo, ed ora
beretis; nec nunc, quum orbis terrarum in ditio con Antioco; che cosa avete fatto, vinto Filippo;
ne vestra sit, cupere potestis. Pro dignitate et che cosa si brama e si aspetta da voi, non tanto
gloria apud omne genus humanum, quod vestrum perchè l'avete di già fatto, quanto perchè il deco
nomen imperiumque juxta ac deos immortales ro vostro il richiede. Perciocchè altri una, altri
jam pridem intuetur, pugnastis: quae parare et han altra onesta e plausibile ragione d'impugnar
quaerere arduum fuit, nescio an tueri difficilius l'armi; questi per possedere un contado, quegli
sit. Gentis vetustissimae nobilissimaeque, vel fama una borgata, chi un castello, chi un porto, o
rerum gestarum, vel omni commendatione hu qualche spiaggia di mare. Voi nulla di ciò bra
manitatis doctrinarumque, tuendam ab servitio maste, quando n' eravate privi; nè potete ora
regio libertatem suscepistis: hoc patrocinium bramarlo padroni, come siete, del mondo tutto.
receptae in fidem et in clientelam vestram uni Avete combattuto per la dignità e per la gloria
versae gentis perpetuum vos praestare decet. con tutto il genere umano, il quale già da gran
Non, quae in solo modo antiquo sunt, Graecae tempo il nome e l'impero vostro, come quello
magis urbes sunt, quam coloniae earum, illinc degli dei immortali, riverisce. Nè so, se ciò che
quondam profectae in Asiam. Nec terra mutata fu ardua cosa pigliare e conquistare, non sia cosa
mutavit genus aut mores: certare pio certamine ancor più difficile il conservarlo. Avete intrapre
cujuslibet bonae artis ac virtutis ausi sumus cum so di sottrarre dalla regia servitù la libertà di
parentibus quaeque civitas et conditoribus suis. una nazione antichissima e nobilissima non meno
Adistis Graeciae, adistis Asiae urbes plerique: per la fama delle sue geste, che pel vanto di uma
misi quod longius a vobis absumus, nulla vinci nità e di moltiplice dottrina. Egli è dell'onor vo
mur alia re. Massilienses, quos, si natura insita stro patrocinare in perpetuo tutta questa nazione,
velut ingenio terrae vinci posset, jam pridem ef che avete ricevuta nella fede e clientela vostra.
ferassent tot indomitae circumfusae gentes, in eo Le città, che stansi nel suolo antico, non sono
honore, in ea merito dignitate audimus apud niente più città greche, che le loro colonie, già di
vos esse, ac si medium umbilicum Graeciae inco Grecia passate in Asia. Ne la terra mutata muto
i 135 TITI LIVII LIBER XXXVII. 1 1 3G

lerent: non enim sonum modo linguae vestitum la stirpe e i costumi. Osammo piamente gareg
que et habitum, sed ante omnia mores, et leges, giare nelle buone arti e nella virtù, ciascuna città
et ingenium sincerum integrumque a contagione co'suoi progenitori e fondatori. Visitò la mag
accolarum, servarunt. Terminus est nunc imperii gior parte di voi le città della Grecia e dell'Asia;
vestri mons Taurus: quidquid intra eum cardi se non è che siamo troppo discosti da voi, in nes
nem est, nihil longinquum vobis videri debet: sun'altra cosa siam superati. I Massiliesi, i quali,
quo arma vestra pervenerunt, eodem jus hinc se si potesse vincere la natura, insita quasi nel
profectum perveniat. Barbari, quibus pro legi l'indole primitiva della terra, già si sarebbero
bus semper dominorum imperia fuerunt, quo da gran tempo imbarberiti per tante indomite
gaudent, reges habeant: Graeci suam fortunam, nazioni che li circondano, udimmo dire che li
vestros animos gerunt. Domesticis quondam tenete meritamente in quel grado di onore e di
viribus etiam imperium amplectebantur; nunc, stima, come se abitassero nel cuore della Grecia;
imperium ubi est, ibi ut sit perpetuum, optant: perciocchè conservarono non solamente il suono
libertatem vestris tueri armis satis habent, quo della lingua, il vestito, le maniere, ma eziandio
miam suis non possunt. Atenim quaedam civitates le leggi, i costumi e la stessa indole intatta ed
cum Antiocho senserunt. Et aliae prius cum Phi illesa dalla eontagione de'vicini. Presentemente
lippo, et cum Pyrrho Tarentini. Ne alios popu il monte Tauro è il confine del vostro impero:
los enumerem, Carthago libera cum suis legibus tutto ciò ch'è dentro questo limite, non vi dee
est. Huic vestro exemplo quantum debeatis, vi parere punto lontano. Dove l'armi vostre son
dete, Patres conscripti. Inducetis in animum ne giunte, fate che sin là, di qua partendo, giunga
gare Eumenis cupiditati, quod justissimae irae ve la vostra giurisdizione. I barbari, a quali il co
strae megastis. Rhodii et in hoc, et in omnibus mando de'lor signori furono sempre in luogo di
bellis, quae in illa ora gessistis, quam forti fide leggi, abbiansi i re, com'è il piacer loro: i Greci
lique opera vos adjuverimus, vestrojudicio relin nella lor fortuna nutrono i vostri stessi senti
quimus: nunc in pace id consilium afferimus; menti. Fuvvi un tempo, in cui abbracciarono
quod si comprobaveritis, magnificentius vos vi colle domestiche lor forze un'ampia dominazio
ctoria usos esse, quam vicisse, omnes existimaturi me; ora bramano che dov'ella si è, quivi perpe
sint. » Apta magnitudini Romanae oratio visa est. tua si stia: son paghi di difendere la libertà col
l'armi vostre, poi che non possono colle loro. Ma
alcune città stettero con Antioco. Anche altre
prima stettero con Filippo, e così i Tarentini con
Pirro. Per non annoverare gli altri popoli, Car
tagine vive libera colle sue leggi. Considerate, o
Padri coscritti, quanto vi stringa codesto vostro
esempio. V' indurrete a negare alla cupidigia
di Eumene quanto avete negato alla giustissima
ira vostra. Con quanto forte e fedele opera vi
abbiamo noi Rodiani aiutato in questa ed in
tutte le guerre, che faceste in quei paesi, il
lasciamo al giudizio vostro: in tempo di pace,
quest'è il consiglio che vi offeriamo; se lo ap
proverete, tutti giudicheranno che avrete con più
magnificenza usato dalla vittoria, che vinto. »
Parve codesto discorso corrispondere alla gran
dezza Romana.
LV. Post Rhodios Antiochi legati vocati sunt. LV. Dopo i Rodiani furono chiamati i legati
Ii, vulgato petentium veniam more, errorem fassi di Antioco. Questi, coll'usata sembianza di chi
regis, obtestati sunt Patres conscriptos, « Ut suae domanda perdono, confessando l'errore del re,
potius clementiae, quam regis culpae, qui satis scongiurarono i Padri coscritti, a che nel delibe
superque poenarum dedisset, memores consule rare si ricordassero piuttosto della loro clemen
rent: postremo pacem datam a L. Scipione im za, che della colpa del re, il quale ne avea già
peratore, quibus legibus dedisset, con firmarent portata pena più che bastante; in fine, che colla
auctoritate sua. - Et senatus eam pacem servan loro autorità confermassero la pace data dal co
dam censuit, et paucos post dies populus jussit. mandante Lucio Scipione colle condizioni stesse,
Foedus in Capitolio cum Antipatro principe le con che l'avea data. » Il senato pertanto giudicò
gationis, et eodem fratris filio regis Antiochi, est che si tenesse ferma quella pace, e pochi giorni
1137 TITI LIVII LIBER XXXVII. I 136

ictum. Auditae deinde et aliae legationes ex Asia di poi il popolo l'approvò. Fu segnata alleanza
sunt. Quibus omnibus datum est responsum, nel Campidoglio con Antipatro, capo dell'amba
« Decem legatos more majorum senatum missu sceria e figlio del fratello di Antioco. Indi si die
rum ad res Asiae disceptandas componendasque. de udienza alle altre legazioni venute dall'Asia;
Summam tamen hanc fore, ut cis Taurum mon alle quali tutte fu risposto, e che il senato, secon
tem, quae intra regni Antiochi fines fuissent, do il costume de'suoi maggiori, spedito avrebbe
Eumeni attribuerentur, praeter Lyciam Cariam dieci legati a trattare e comporre le cose dell'A
que usque ad Maeandrum amnem : ea civitatis sia. Tale però ne sarebbe la somma, che tutto il
Rhodiorum essent. Ceterae civitates Asiae, quae paese di qua dal monte Tauro, ch'era innanzi
Attali stipendiariae fuissent, eaedem Eumeni ve compreso nel regno di Antioco, fosse attribuito
ctigal penderent: quae vectigales Antiochi fuis ad Eumene, tranne la Licia e la Caria sino al
sent, eae liberae atque immunes essent. “ Decem fiume Meandro; queste fossero de Rodiani: che
legatos hos decreverunt, Q. Minucium Rufum, le altre città dell'Asia, ch'erano state tributarie
L. Furium Purpureonem, Q. Minucium Ther di Attalo, pagassero tributo ad Eumene; quelle,
mum, Ap. Claudium Neronem, Cn. Cornelium ch'erano state tributarie di Antioco, fossero libe
Merulam, M. Junium Brutum, L. Aurunculejum, re ed immuni. » I dieci legati nominati furon
L. Aemilium Paullum, P. Cornelium Lentulum, questi: Quinto Minucio Rufo, Lucio Furio Pur
P. Aelium Tuberonem. pureone, Quinto Minucio Termo, Appio Claudio
Nerone, Gneo Cornelio Merula, Marco Giunio
Bruto, Lucio Aurunculeio, Lucio Emilio Paolo,
Publio Cornelio Lentulo, Publio Elio Tube
l'Olle.

LVI. His, quae praesentis disceptationis essent, LVI. Ebbero essi libero mandato per le
libera mandata: de summa rerum senatus con questioni del momento: quanto alla somma delle
stituit: « Lycaoniam omnem, et Phrygiam utram cose, il senato determinò a tutta la Licaonia,
que, et Mysiam, regias silvas, et Lydiae Joniaeque, l'una e l'altra Frigia, la Misia, i regii boschi, le
extra ea oppida, quae libera fuissent, quo die terre della Lidia e della Ionia, eccetto i castelli,
cum rege Antiocho pugnatum est, et nominatim ch'eran liberi il dì che si combattè con Antioco,
Magnesiam ad Sipylum, et Cariam, quae Hydrela e nominatamente Magnesia presso al monte Sipi
appellatur, agrumque IIydrelatanum ad Phrygiam lo, e la Caria, che si chiama Idrela, e il contado
vergentem, et castella vicosque ad Maeandrum Idrelatano, che guarda la Frigia, e i castelli e le
amnem, et oppida, nisi qua e libera ante bellum borgate, che guardano il fiume Meandro, e le
fuissent; Telmissum item nominatim, et castra altre terre, purchè non fossero libere avanti la
Telmissium, praeter agrum, qui Ptolemaei Tel guerra; così nominatamente Telmisso ed i castelli
missii fuisset: haec omnia, quae supra scripta de' Telmissii, eccetto il contado, ch'era stato di
sunt, regi Eumeni jussa dari. Rhodiis Lycia data, Tolomeo Telmissio: tutti questi luoghi fossero
extra eunmdem Telmissum, et castra Telmissium, dati al re Eumene. Ai Rodiani fu data la Licia,
et agrum, qui Ptolemaei Telmissii fuisset: haec eccettuato Telmisso ed i castelli de' Telmissii ed
et ab Eumene, et ab Rhodiis excepta. Ea quoque il contado ch' era stato di Tolomeo Telmissio:
his pars data Cariae, quae propior Rhodum in Eumene ed i Rodiani accettarono i luoghi loro
sulam trans Maeandrum amnem est; oppida, vici, assegnati. A Rodiani fu anche data quella parte
castella, agri, qui ad Pisidiam vergunt; nisi quae della Caria, ch'è la più vicina all'isola di Rodi
eorum oppida in libertate ſuissent, pridie quam di là del fiume Meandro, non che le città, le ville,
cum Antiocho rege in Asia pugnatum est. , Pro i castelli, i terreni che guardano la Pisidia,
his quum gratias egissent Rhodii, de Solis urbe, eccettuati però tra questi i paesi, che fossero stati
quae in Cilicia est, egerunt: « Argis et illos, sicut liberi il dì innanzi che si combattè in Asia col
sese, oriundos esse: ab ea germanitate fraternam re Antioco. Di che avendo i Rodiani ringrazia
sibi cum iis caritatem esse. Petere hoc extraordi to il senato, trattarono della città di Soli, ch'è
marium munus, uteam civitatem ex servitute re nella Cilicia: « Esser eglino, com'essi Rodiani,
gia eximerent. » Vocati sunt regis Antiochi le oriondi da Argo: per codesta comune derivazio
gati, actumque cum iis est; nec quidquam im me nodrivan verso di essi una fratellevole carità ;
petratum, testante foedera Antipatro, adversus chiedevano questo dono straordinario, che ritor
quae ab Rhodiis non Solos, sed Ciliciam peti, et volessero questa città dalla regia servitù. » Furon
juga Tauri transcendi. Revocatis in senatura Rho chiamati i legati di Antioco, e si trattò con loro
diis, quum, quantopere tenderet legatus regius, della cosa; nè si potè nulla ottenere, invocan
exposuisient Patres, adiecerunt; « Si utique eam
Livio 2
do Antipatro i trattati, contro la fede de quali
72
I 139 TITI LIVII LIBER XXXVII. 1 14o

rem ad civitatis suae dignitatem pertinere cense miravano i Rodiani non tanto a Soli, quanto
rent Rhodii, senatum omni modo expugnaturum alla Cilicia ed a varcare il monte Tauro. Ri
pertinaciam legatorum. » Tum vero impensius, chiamati i Rodiani in senato, i Padri avendo
quam ante, Rhodii gratias egerunt, cessurosque esposto con quanta forza resistesse il regio le
se potius arrogantiae Antipatri, quan causam tur gato, aggiunsero, a che se veramente i Rodia
bandae pacis praebituros, dixerunt: ita nihil de mi stimassero appartenersi questa cosa alla di
Solis mutatum cst. gnità del loro stato, avrebbe il senato fatto
ogni sforzo per vincere la pertinacia dei legati. ”
Allora i Rodiani ringraziarono più caldamente
che prima, e dissero che piuttosto cedevano
all'arroganza di Antipatro, che dar cagione di
perturbare la pace. Così non fu mutato nulla
rispetto a Soli.
LVII. Per eos dies, quibus haec gesta sunt, LVII. In quel dì medesimi, ne' quali si son
legati Massiliensium nunciarunt, « L. Baebium fatte codeste cose, i legati de' Marsigliesi annun
praetorem, in provinciam Hispaniam profici scen ziarono, e che il pretore Lucio Bebio, andando
tem, ab Liguribus circumventum; magna parte al suo governo in Ispagna, era stato avviluppato
comitum caesa, vulneratum ipsum, cum paucis, dai Liguri ; ch'egli, uccisa gran parte della sua
sine lictoribus, Massiliam perfugisse, et intra tri scorta, ferito lui medesimo, era fuggito con poca
duum expirasse. - Senatus, ea reaudita, decrevit, gente, senza littori, a Marsiglia ed era morto in
«uti P. Junius Brutus, qui propraetor in Etruria tre dì. » Il senato, udita tal cosa, decretò a che
esset, provincia exercituque traditis uni, cui vi Publio Giunio Bruto, ch'era propretore nella
deretur, ex legatis, ipse in ulteriorem Hispaniam Toscana, consegnata la provincia e l'esercito a
proficisceretur, eaque ei provincia esset. - Hoc quel de legati, che gli paresse, si recasse nella
senatusconsultum literaeque a Sp. Postumio prae Spagna ulteriore, e questa fosse la sua provincia.”
tore in Etruriam missae sunt ; profectusque in Questo decreto e le lettere spedite furono in To
Hispaniam est P. Junius propraetor. In qua pro scana dal pretore Spurio Postumio, e il propre
vincia prius aliquanto, quam successor veniret, tore Publio Giunio andò in Ispagna. Quivi al
L. Aemilius Paullus, qui postea regem Persea quanto prima che venisse il successore, Lucio
magna gloria vicit, quum priore anno haud pro Emilio Paolo, quegli che vinse poi con tanta sua
spererem gessisset, tumultuario exercitu collecto, gloria il re Perseo, non avendo l'anno innanzi
signis collatis cum Lusitanis pugnavit. Fusi fuga guerreggiato troppo felicemente, raccolto tumul
tique sunt hostes: caesa decem et octo millia ar tuariamente un esercito, venne a giornata co'Lu
matorum ; tria millia trecenti capti, et castra sitani. I nemici furono sbaragliati e messi in
expugnata. Hujus victoriae fama tranquilliores fuga: furono uccisi diciotto mila armati, presi
in Hispania res fecit. Eodem anno ante diem tremila e trecento, e saccheggiati gli alloggia
tertium Kalendas Januarias Bononiam Lalinam menti. La fama di questa vittoria rendette al
coloniam ex senatusconsulto L. Valerius Flaccus, quanto più tranquille le cose di Spagna. L'anno
M. Atilius Serranus, L. Valerius Tappus triumviri istesso, tre giorni avanti le calende di Gennaio,
deduxerunt: tria millia hominum sunt deducta: i triumviri Lucio Valerio Flacco, Marco Atilio
equitibus septuagena jugera, ceteris colonis quin Serrano e Lucio Valerio Tappo condussero a
quagena sunt data. A ger captus de Gallis Bojis Bologna una colonia di Latini. Furono tre mila
fuerat: Galli Tuscos expulerant. Eodem anno uomini: si diedero a cavalieri settanta iugeri
censuram multi et clari viri petierunt: quae res, per testa, cinquanta agli altri coloni. Il con
tamquam in se parum magni certaminis causam tado era stato tolto ai Galli Boi; i Galli ne
haberet, aliam contentionem multo majorem aveano innanzi scacciati i Toscani. In quell'anno
excitavit. Petebant T. Quintius Flamininus, P. medesimo molti ed illustri personaggi chiesero
Cornelius Cn. F. Scipio, L. Valerius Flaccus, la censura; il che, quasi non avesse in sè cagione
M. Porcius Cato, M. Claudius Marcellus, M. Aci bastevole di gran contesa, un'altra eccitonne
lius Glabrio, qui Antiochum ad Thermopylas assai maggiore. Chiedevano Tito Quinzio Flami
Aetolosque devicerat: in hunc maxime, quod nino, Publio Cornelio Scipione, figlio di Gneo,
multa congiaria habuerat, quibus magnam par Lucio Valerio Flacco, Marco Porcio Catone,
tem hominum obligaverat, favor populi se incli Marco Claudio Marcello, Manio Acilio Glabrione,
nabat. Id quum aegre paterentur tot nobiles, quegli che avea vinto Antioco e gli Etoli alle
novum sibi hominem tantum praeferri; P. Sem Termopile. Verso questo specialmente, perchè
pronius Gracchus et C. Sempronius Rutilus, tri avea avuto molti congiarii da distribuire, co'quali
1 141 l'ITI LIVlI LIBER XXXVII. 1 142
buni blebis, ei diem dixerunt, quod pecuniae si aveva obbligato gran numero di gente, inclina
regiae praedaeque aliquantum, captae in Antiochi va il favore del popolo. Soffrendo di malanimo
castris, negue in triumpho tulisset, negue in i tanti nobili, che si preferisse loro non altri, che
aerarium retulisset. Varia testimonia legatorum un uomo nuovo, Publio Sempronio Gracco e
tribunorumque militum erant. M. Cato ante alios Caio Sempronio Rutilo, tribuni della plebe, lo
testes conspiciebatur; cujus auctoritatem, perpe accusarono che alquanta parte dei regii tesori
tuo tenore vitae partam, toga candida elevabat. e della preda fatta nel campo di Antioco, nè
Is testis, quae vasa aurea atque argentea, captis l'avesse egli portata nel suo trionfo, nè deposta
castris, inter aliam praedam regiam vidisset, ea nell'erario. Ci erano varie testimonianze dei
se in triumpho negabat vidisse. Postremo in hujus legati e del tribuni del soldati. Innanzi a tutti
maxime invidiam desistere se petitione Glabrio gli altri testimonii vedevasi Marco Catone, la
dixit; quando, quod taciti indignarentnr nobiles cui autorità, acquistata con un perpetuo tenore
homines, id aeque novus competitor inaestima di vita lodevole, era però alquanto indebolita
bili perjurio incesseret. dalla sua toga di candidato. Egli attestava di
non aver veduto nel trionfo que vasi d'oro e
d' argento, che, presi gli alloggiamenti, avea
veduti tra l'altra regia preda. In ultimo Gla
brione, specialmente per dar carico a Catone,
dichiarò che desisteva del chiedere, poi che,
mentre gli altri nobili si covavano in silenzio
il lor dispetto, codesto suo competitore, uomo
egualmente nuovo, ardiva far uso del più ine
spiabile spergiuro.
LVIII. Centum millium mulcta irrogata erai: LVIII. Era proposta una multa di cento mila
bis de ea re certatum est; tertio, quum de peti assi: l'affare fu trattato due volte; il terzo gior
tione destitisset reus, nec populus de mulcta suf no, avendo l'accusato cessato di chiedere, nè il
fragium ferre voluit, et tribuni eo negotio desti popolo volle dare il suffragio sul proposito della
terunt. Censores T. Quintius Flamininus, M. multa, e i tribuni desistettero dal proceder oltre.
Claudius Marcellus creati. Per eosdem dies L. Furon creati censori Tito Quinzio Flaminino
Aemilio Regillo, qui classe praefectum Antiochi e Marco Claudio Marcello. In quel dì medesimi
regis devicerat, extra urbem in aede Apollinis avendo data udienza il senato nel tempio di
quum senatus datus esset, auditis rebus gestis Apollo fuori di Roma a Lucio Emilio Regillo,
ejus, quantis cum classibus hostium dimicasset, che avea vinto in mare il prefetto del re Antioco,
quot inde navés demersisset aut cepisset, magno udite le cose da lui fatte, con quanti legni nemici
consensu Patrum triumphus navalis est decretus. avea combattuto, quante navi sommerse, o prese,
Triumphavit Kalendis Februariis: in eo trium gli fu decretato il trionfo navale con grande
pho undequinquaginta coronae aureae translatae consentimento de' Padri. Trionfò nelle calende
sunt: pecunia nequaquam tanta, pro specie regii di Febbraio: furon portate in quel trionfo qua
triumphi; tetradrachma Attica triginta quatuor ranta nove corone d'oro; non tanta copia di
millia septingenta, cistophori centum triginta danaro, quanta ne prometteva il trionfare di un
unum millia trecenti. Supplicationes deinde fue re; trenta quattro mila settecento tetradracmi
runt ex senatusconsulto, quod L. Aemilius in Attici, cento trenta un mila trecento cistofori.
Hispania prospere rempublicam gessisset. Haud Indi il senato decretò pubbliche preci pe pro
ita multo post L. Scipio ad urbem venit; qui, speri successi riportati da Lucio Emilio nella
ne cognomini fratris cederet, Asiaticum se ap Spagna. Da lì a non molto Lucio Scipione venne
pellari voluit. Et in senatu, et in concione de a Roma; il quale, per non cedere al fratello nel
rebus ab se gestis disseruit. Erant, qui fama id cognome, volle farsi chiamare l'Asiatico. Parlò
majus bellum, quam difficultate rei, fuisse inter in senato e davanti al popolo delle cose da lui
pretarentur; uno memorabili proelio debellatum, fatte. Eranvi taluni, che stimavano quella guerra
gloriamolue ejus victoriae praeſloratam ad Ther essere stata più di gran nome, che di grande
mopylas esse. Ceterum vere aestimanti Aetolicum difficoltà; erasi terminata con un solo fatto im
magis ad Thermopylas bellum, quan regium fuit. portante, e il vanto di quella vittoria era stato
Quota enim parte virium suarum ibi dimicavit sfiorito da quella delle Termopile. Se non che, a
Antiochus ? In Asia totius Asiae steterunt vires, pensar giusto, alle Termopile la battaglia fu piut
ab ultimi Orientis partibus omnium gentium tosto cogli Etoli, che col re; perciocchè con
contractis auxiliis. -

quanta parte delle sue forze ha quivi Antioco


1 143 TITI LIVII LIBER XXXVII. 1144
combattuto? In Asia ci furono in campo tutte le
forze dell'Asia, poichè raccolti s'erano dalle
parti estreme dell'oriente gli aiuti di tutte le
nazioni.
LIX. Merito ergo et diis immortalibus, quan LIX. Meritamente adunque e si rendettero
tus maximus poterat, habitus est honos, quod grazie, quante si potè maggiori, agli dei immor
ingentem victoriam facilem etiam fecissent, et tali, che così grande vittoria la rendettero anche
imperatori triumphus est decretus. Triumphavit facile, e si decretò il trionfo al comandante.
mense intercalario pridie Kalendas Martias: qui Trionfò Lucio Scipione il giorno antecedente alle
triumphus spectaculo oculorum major, quam calende di Marzo, nel mese intercalare. Questo
Africani fratris ejus. fuit; recordatione rerum trionfo presentò agli occhi spettacolo più grande,
et aestimatione periculi certaminisque non magis che quello del di lui fratello Africano; ma per la
comparandus, quam si imperatorem imperatori, ricordanza delle cose e per la considerazione del
aut Antiochum ducem Hannibali conferres. Tulit pericolo e della difficoltà non più da essergli pa
in triumpho signa militaria ducenta triginta ragonato, che se tu mettessi a confronto coman
quatuor ; oppidorum simulacra centum triginta dante con comandante, o Antioco capitano con
quatuor, eburneos dentes mille ducentos triginta Annibale. Portò nel trionfo dugento trentaquat
unum ; aureas coronas ducentas triginta quatuor; tro bandiere, cento trentaquattro immagini di
argenti pondo centum triginta septem millia et città, mille ducento trenta un denti di avorio,
quadringenta viginti; tetra drachmùm Atticorum ducento trenta quattro corone d'oro, cento
ducenta viginti quatuor millia; cistophoràm tre trentasette mila quattrocento venti libbre d'ar
centa triginta unum millia et septuaginta; num gento, duecento ventiquattro mila tetra dracmi
mos aureos Philippeos centum quadraginta mil Attici, trecento trenta un mila e settanta cistofo
lia; vasorum argenteorum (omnia caelata erant) ri, cento quaranta mila Filippi d'oro; vasi d'ar
mille pondo et quadringenta viginti quatuor, au gento (erano tutti cesellati) del peso di mille
reorum mille pondo viginti quatuor. Et duces quattrocento e ventiquattro libbre, e vasi d'oro
regii, praefecti, et purpurati duo et triginta ante del peso di libbre mille e ventiquattro. Si tras
currum ducti. Militibus quini viceni demarii dati; sero davanti al carro trenta due tra cartani
duplex centurioni, triplex equiti: et stipendium del re, prefetti e baroni. Si diedero a sc dati
militare et frumentum duplex post triumphum venticinque danari per testa, il doppio a cen
datum: proelio in Asia facto, duplex dederat. turioni, il triplo a cavalieri. Dopo il trionfo
Triumphavit anno ſere post, quam consulatu si distribuì doppia paga e doppio frumento:
abiit. s'era pur dato doppio in Asia dopo la battaglia.
Trionfò quasi un anno dopo, ch'egli era uscito
dal consolato.
LX. Eodem fere tempore et C. Manlius consul LX. Quasi nel tempo medesimo e il console
in Asiam, et Q. Fabius Labeo praetor ad classem Gneo Manlio giunse in Asia, e il pretore Quinto
venit. Ceterum consuli non deerat cum Gallis Fabio Labeone alla flotta. Del resto, non manca
belli materia: mare pacatum erat, devicto Antio va al console materia di guerra co Galli. Vinto
cho. Cogitanti Q. Fabio, cui rei potissimum in Antioco, il mare era libero. Pensando Quinto
sisteret, ne otiosam provinciam habuisse videri Fabio a qual impresa accingersi massimamente,
posset, optimum visum est, in Cretam insulam onde non sembrasse ch'ei si fosse rimasto ozioso
trajicere. Cydoniatae bellum adversus Gortynios nel suo governo, gli parve ottimo partito passare
Gnossiosque gerebant, et captivorum Romano all'isola di Creta. I Cidoniati erano in guerra coi
rum atque llalici generis magnus numerus in Gortinii e coi Gnossii, e si diceva che gran nume
servitute esse per totam insulam dicebatur. Classe ro di prigionieri Romani ed Italiani sparso fosse
ab Epheso profectus, quum primum Cretae litus per tutta l'isola in ischiavitù. Partitosi colla
attigit, muncios circa civitates misit, ut armis flotta da Efeso, com'ebbe toccato il lido di Creta,
absisterent, captivosque in suis quaeque urbibus mandò messaggi alle città d' intorno con ordine,
agrisque conquisitos reducerent, et legatos mit che posassero l'armi, e ognuno cercando nel
terent ad se, cum quibus de rebus ad Cretenses contado e per le campagne i prigioni, li ricondu
pariter Romanosque pertinentibus ageret. Nihil cessero a lui, e gli mandassero ambasciatori,
magnopere ea Cretenses moverunt: captivos, co” quali tratterebbe di cose egualmente apparte
praeter Gortynios, nulli reddiderunt. Valerius nenti ai Cretesi ed ai Romani. Quest'ordine non
Antias ad quatuor millia captivorum, quia belli mosse gran fatto i Cretesi: nessuno, tranne i
minas timuerunt, ex tota insula reddita scripsit; Gortinii, restituì i prigioni. Valerio Anziate
1 145 TITI LIVIl LIBER XXXVII. 1 146
eamque causam Fabio, quum rem nullam aliam | scrive, che per paura delle minacce di guerra,
gessisset, navalis triumphi impetrandi ab senatu furono restituiti da tutta l'isola intorno a quattro
fuisse. A Creta Ephesum Fabius rediit: inde tri mila prigioni, e che questo solo (non avendo
bus navibus in Thraciae oram missis, ab Aeno et Fabio fatta altra cosa) fu cagione, ch'egli im
Maronea praesidia Antiochi deduci jussit, ut in petrasse dal senato il tionfo navale. Fabio da Cre
libertate eae civitates essent. ta ripassò ad Efeso; poscia, mandate tre navi
alle spiagge della Tracia, ordinò che fossero
levati i presidii di Antioco da Eno e da Maronea,
acciocchè quelle città rimanessero libere.
TITI LIVII PATAVINI

H I S T O R I A R U MI

AB URBE CONDITA LIBRI

et:8o 3c333e

EPITOME
LIBRI TRIGESIMI OCTAVI

M. Puleius consul in Epiro Ambracienses obsessos Il console Marco Fulvio, assediata Ambracia nel
in deditionem accepit, Cephalleniam subegit, Aetolis l'Epiro, l'ebbe a patti, soggiogò Cefallenia, e die la
perdomitis pacem dedit. Cn. Manlius consul, collega pace agli Etoli domati. Il console Gneo Manlio, suo
ejus, Gallograecos Tolistobojos et Tectosagos et Troc collega, vinse i Gallogreci Tolistoboi, Tectosagi e
mos, qui Brenno duce in Asiam transierant, quum Trocmi, i quali passati erano in Asia sotto la con
soli citra Taurum montem non parerent, vicit. Eo dotta di Brenno, e soli di qua del monte Tauro
rum origo, et quemadmodum ea loca, quae tenent, ricusavano di obbedire. Si riferisce la loro origine, e
occupaverint, refertur. Exemplum quoque virtutis et come occupassero i luoghi, che abitano. Si offre
pudicitiae in femina traditur: nam quum Ortiagon eziandio un bell'esempio di coraggio e di pudicizia
tis regis Gallograccorum uxor captiva esset, centu in una donna: perciocchè la moglie dl Ortiagonte,
rionem custodem, qui ei vim intulerat, occidit. re de' Gallogreci, essendo prigioniera, uccise il cen
Lustrum a censoribus conditum est: censa sunt civium turione messole a guardia, il quale aveala violen
capita ducenta quinquaginta octo millia et trecenta tata. I censori chiusero il lustro: si son noverati

viginti octo. Cum Ariarathe, rege Cappadociae, ami dugento cinquanta otto mille trecento vent' otto
citia juncta est. Cn. Manlius, contradicentibus decem cittadini. Si stringe amicizia con Ariarate, re dei
legatis, ex quorum consilio foedus cum Antiocho Cappadoci. Gneo Manlio, malgrado i dieci legati,
conscripserat, de Gallograecis, acta pro se causa in col cui consiglio avea segnata la pace con Antioco,
senatu, triumphavit. Scipio Africanus, die ei dicta, trattata la propria causa in senato, trionfo dei
ut quidam aiunt, a Q. Petilio tribuno plebis, ut Gallogreci. Scipione Africano, accusato, come voglio
guidam, a Naevio, quod praeda ex Antiocho capta no alcuni, dal tribuno della plebe Quinto Petilio,
aerarium fraudasset, postguam is dies venit, evoca come altri, da Nevio, che avesse defraudato l'erario
tus in Rostra, a Hac die inguit, Quirites, Cartha di parte della preda fatta sopra Antioco, comparso
ginem vici: » et, proseguente populo, Capitolium il di stabilito, chiamato a Rostri, « In questo giorno,
ascendit. Inde, ne amplius tribuniciis injuriis vexa disse, o Quiriti, ho vinto Cartagine, º eseguitato
retur, in voluntarium exsilium Liternum concessit: da tutto il popolo, sali al Campidoglio. Indi per non
incertum ibi, an Romac, defunctus; nam eius monu essere più oltre vessato dalla tribunizia violenza,
mentum utrobigue ſuit. L. Scipio Asiaticus, frater andò in volontario esiglio a Literno: non si sa, se
I 15 r TITI LIVII EPITOME LIBRI TRIGESIMI OCTAVI I 152

Africani, eodem peculatus crimine accusatus damna morisse quivi, o a Roma; chi si vedeva il di lui
tusque, quum in vincula et carcerem duceretur, Ti. monumento nell'uno e nell'altro luogo. Mentre Lucio
Sempronius Gracchus, tribunus plebis, qui antea Scipione Asiatico, fratello dell'Africano, accusato e
Scipionibus inimicus fuerat, intercessit, et ob id condannato per la medesima colpa di peculato, veniva
beneficium Africani filiam durit. Quum quaestores tratto in prigione, si oppose Tito Sempronio Gracco,
in bona eius publice possidenda missi essent, non tribuno della plebe, che innanzi era stato nemico
modo in iis ullum vestigium pecuniae regiae apparuit, degli Scipioni: per questo benefizio ottenne in moglie
sed neguaguam tantum redactum, quantae summa e la figlia dell'Africano. Essendo stati spediti i que
crat damnatus. Collatam a cognatis et amicis innu stori a invadere i di lui beni a nome pubblico, non
merabilem pecuniam accipere noluit, quae necessaria solo non vi si trovò vestigio di denaro regio, ma
ei «rant ad cultum, redempta. non si potè tanto accozzarne, che bastasse alla
somma, in che era stato condannato. Non volle ri
cevere nè dai parenti, nè dagli amici le fattegli
innumerevoli offerte di denaro: non fu redento che
quanto gli era necessario per vivere decentemente.
TITI LIVII

L I B E R TR I G E S I M US O C TA VUS

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I. ( Anno U. C. 563. – A. C. 189.) Dum in I. (Anni D. R. 563. – A. C. 189) Mentre si


Asia bellum geritur, ne in Aetolis quidem quietae guerreggia in Asia, non eran quiete le cose nè
res fuerant, principio a gente Athamanum orto. anche in Etolia, nato il principio del movimento
Athamania ea tempestate, pulso Amynandro, sub dalla nazione degli Atamani. L'Atamania a quel
praefectis Philippi regio tenebatur praesidio; qui tempo, scacciato Aminandro, avea regio presidio
superbo atque immodico imperio desiderium A sotto i prefetti di Filippo; i quali per la loro
mymandri fecerant. Exsulanti tum Amynandro superba e sfrenata dominazione avean fatto na
in Aetolia literis suorum, indicantium statum scere la brama di ricevere nuovamente Aminan
Athamamiae, spes recuperandi regni facta est: dro. Standosi questi in bando nell'Etolia, le
remissidue nuncii ab eo ad principes Argitheam lettere de' suoi, che gli accennavano lo stato del
(id enim caput Athamaniae erat), si popularium l'Atamania, gli destarono in cuore la speranza
animos satis perspectos haberet, impetrato ab di ricuperare il regno; e mandò messi a princi
Aetolis auxilio, in Athamaniam se venturum cum pali di Argitea (era questa la città capitale del
delectis Aetolorum, quod consilium esset gentis, l'Atamania), avvisandoli, che qualora conoscesse
et Nicandro praetore. Quos ubi ad omnia para abbastanza gli animi de'cittadini, chiesto aiuto
ratos esse vidit, certiores subinde facit, quo die agli Etoli, verrebbe in Atamania cogli eletti loro,
cum exercitu Athamaniam ingressurus esset. Qua che così chiamano il consiglio della nazione, e
tuor primo fuere conjurati adversus Macedonum col pretore Nicandro. E vedutili pronti a fare
praesidium. Hi senos sibi adjutores ad rem ge ogni cosa, fe poscia loro sapere il giorno, in cui
rendam assumpserunt: deinde, paucitate parum sarebbe entrato coll'esercito nell'Atamania. Quat
freti, quae celandae rei, quam agendae, aptior tro furono dapprima i congiurati contro il pre
erat, parem priori numerum adjecerunt. Ita duo sidio de' Macedoni. Questi si presero ciascuno sei
et quinquaginta facti, quadrifariam se diviserunt: coadiutori nell'impresa; indi non confidando
pars una Heracleam, alteram Tetraphyliam petit, gran fatto nella pochezza, più atta a celarla cosa,
ubi custodia regiae pecuniae esse solita erat, ter che ad eseguirla, si aggiunsero un numero eguale
tia Theudoriam, quarta Argitheam. Ita inter al primo. Così diventati cinquantadue si divisero
omnes convenit, ut primo quieti, velut ad pri in quattro parti: una si reca ad Eraclea, un'altra
vatam rem agendam venissent, in obversarentur; a Tetrafilia, dove si soleva custodire il regio te
die certa multitudinem omnem convocarent ad soro, la terza a Teudoria, la quarta ad Argitea.
praesidia Macedonum arcibus expellenda. Ubi ea Convennero tra loro, che dapprima si stessero
dies advenit, et Amymander cum mille Aetolis in quieti aggirandosi per la piazza, quasi fossero
finibus erat; ex composito quatuor simul locis venuti per private faccende; che poi in un dato
praesidia Macedonum expulsa, literaeque in alias dì convocassero tutta la moltitudine a scacciare
urbes passim dimissae, ut vindicarent sese ab im
livio 2
i presidii de' Macedoni dalle rosi Venuto quel
7
1155 'l'l'l'I LIVII LIBER XXXVIll. I 156

potenti dominatione Philippi, et restituerent in tal giorno, anche Aminandro era già sul confine
patrium ac legitimum regnum. Undique Macedo con mille Etoli; e, secondo il convenuto, da quat
nes expelluntur. Theium oppidum, literis a Ze tro luoghi ad un tempo si scacciarono i presidii
none praefecto praesidii interceptis, et arce ab de' Macedoni, e si spedirono da ogni parte let
regiis occupata, paucos dies obsidentibus restitit: tere alle altre città, perchè si ritogliessero dalla
deinde id quoque traditum Amynandro est; et violenta dominazione di Filippo, e ritornassero
omnis Athamania in potestate erat praeter Athe al regno patrio e legittimo. I Macedoni son da
naeum castellum, finibus Macedoniae subjectum. per tutto scacciati. Il castello di Teio, perchè
Zenone comandante del presidio intercettò le
lettere, e quei del re occuparono la rocca, re
sistette alcuni pochi di agli assedianti; indi
anche questo fu consegnato ad Aminandro, e
tutta l'Atamania cadde in poter suo, eccetto
il castello Ateneo, posto ai confini della Mace
donia.

II. Philippus, audita defectione Athamaniae, II. Filippo, udita la ribellione dell'Atamania,
cun sex millibus armatorum profectus, ingenti partitosi con sei mila armati, giunge con grande
celeritate Gomphos pervenit. Ibi relicta majore celerità a Gonfi. Lasciata quivi la maggior parte
parte exercitus (neque enim ad tanta itinera suf dell'esercito (che non avrebbe potuto reggere
fecissent), cum duobus millibus Athenaeum, quod a così lungo cammino), arrivò con due mila sol
unum a praesidio suo retentum fuerat, pervenit. dati ad Ateneo, il solo castello ritenuto dal suo
Inde, proximis tentatis, qun facile animadver presidio. Di là, tentati gli animi de'vicini, aven
tisset, cetera hostilia esse, Gomphos regressus, do scorto facilmente che tutto il restante segnava
omnibus copiis simul in Athamaniam rediit. Ze disposizioni ostili, rimessosi a Gonfi, tornò con
nonem inde, cum mille peditibus praemissum, tutte insieme le sue genti nell'Atamania. Indi,
Ethopian occupare jubet, opportune Argitleae mandato innanzi Zenone con mille fanti, gli or
imminentem. Quem ubi teneri a suis locum vidit, dina di occupare Etopia, luogo opportunamente
ipse circa templum Jovis Acraei posuit castra. sovrastante ad Argitea; e come vide che i suoi
1bi unum diem foeda tempestate retentus, postero di già il tenevano, egli si accampò presso al tem
dieducere ad Argitheam intendit. Euntibus ex pio di Giove Acreo. Ritenuto quivi un giorno
ºplo apparuere Athamanes, in tumulos immi intero dal pessimo tempo, il dì seguente si move
nentes viae discurrentes. Ad quorum conspectum alla volta di Argitea. Nel cammino comparvero
constitere prima signa, totoque agmine pavor et loro subito gli Atamani, che discorrevano sopra
trepidatio erat; et pro se quisque, quidnam fu le alture sovrastanti alla via. Alla vista de'quali
turum esset, cogitare, si in valles subjectas rupi si fermarono le prime insegne, e fu colta tutta
bus agmen foret demissum. Haec tumultuatio re la schiera da trepidazione e paura; e ognuno si
gem, cupientem, si se sequerentur, raptimevadere die'a pensare che sarebbe avvenuto, se l'esercito
angustias, revocare primos, et eadem, qua venerat, si fosse calato nelle vallate sottoposte a quelle
via referre coegit signa. Athamanes primo exin rupi. Codesto scompigliamento obbligò il re,
tervallo quieti sequebantur: postquam Aetoli se che pur bramava, se lo avessero seguitato, di var
cºniunxerunt, hos, ut ab tergo agmini instarent, care in fretta quelle strettezze, a richiamare i
reliquerunt ; ipsi a lateribus se circumfuderunt. primi, e a ritornare per la stessa via ch'era ve
Quidam, per notos calles breviore via praegressi, nuto. Gli Atamani da principio lo seguivano
transitus insedere; tantumque tumultus Macedo quieti a qualche distanza: poi che gli Etoli si
nibus est injectum, ut fugae magis effusae, quam unirono seco loro, lasciaron questi, perchè incal
itineris ordinati modo, multis armis virisque re zassero il nemico alle spalle; essi si sparsero in
lictis, flumen trajecerint: hinc finis sequendi torno a fianchi. Alcuni, andati innanzi per noti
fuit. Inde tuto Macedones Gomphos, et a Gom sentieri alla più breve, occuparono i passi; e tal
phis in Macedoniam redierunt. Athamanes Aeto disordine si mise tra Macedoni, che piuttosto
lique Ethopiam, ad Zenonem ac mille Macedonas a foggia di fuga dirotta, che di cammino ordi
ºpprimendos, undidue concurrerunt. Macedones nato, lasciate per via molte armi e molti uomini,
Parum loco freti, ab Ethopia in altiorem deru ripassarono il fiume, nè più oltre furono inse
ptioremque undi que tumulum concessere. Quo guiti. Di là i Macedoni se ne tornarono sicuri a
pluribus locis aditu invento, expulere eos Atha Gonfi, e da Gonfi in Macedonia. Gli Atamani
manes; dispersosque, ei per invias atque ignotas e gli Etoli corsero da tutte le parti ad Etopia
ºpes iter fugae non expedientes, partim cepe per opprimervi Zenone e i suoi mille Macedoni.
157 TITI LIVII LIBER XXXVIII, v 158

runt, partim interfecerunt. Multi pavore in de Questi, poco fidandosi nel luogo, si ritirarono
rupta praecipitati, per pauci cum Zenone ad re da Etopia in una eminenza più rilevata, e da ogni
gem evaserunt. Postero die per inducias sepe parte scoscesa; se non che, trovatovi l'accesso
liendi caesos potestas facta est. in più luoghi, gli Atamani negli scacciarono; e
i Macedoni dispersi, non trovando via a fuggire
per balze dirupate e mal note, parte furono
presi, parte uccisi; molti per la paura precipi
tando giù pe dirupi, pochissimi con Zenone tor
narono al re. Il dì seguente si potè, fatta una
tregua, seppellire i morti.
III. Amynander, recuperato regno, legatos IlI. Aminandro, ricuperato il regno, spedì
et Romam ad senatum, et ad Scipiones in Asiam, legati a Roma al senato, non che agli Scipioni
Ephesi post magnum cum Antiocho proelium in Asia, che si stavano in Efeso dopo la gran
morantes, misit. Pacem petebat, excusabatoſue battaglia avuta con Antioco. Chiedeva egli la
sese, quod per Aetolos recuperasset paternum re pace, e si scusava di aver adoperato gli Etoli per
gnum. Philippum incusabat. Aetoli ex Athama ricuperare il regno paterno; accusava Filippo.
mia in Amphilocos profecti sunt, et majoris partis Gli Etoli dall'Atamania passarono agli Anfilochi,
voluntate in jus ditionem que totam redegerunt e di volontà della maggior parte della nazione,
gentem. Amphilochia recepta (nam fuerat quon la ridussero tutta sotto la loro obbedienza. Ricu
dam Aetolorum), eadem spe in Aperantiam tran. perata Anfilochia (ch'ella era stata un tempo
scenderunt: ea quoque magna ex parte sine cer degli Etoli), colla stessa speranza si mossero verso
tamine in deditionem venit. Dolopes numquam Aperanzia. Anche questa, in gran parte senza
Aetolorum fuerant: Philippi erant. Hi primum contrasto, venne in poter loro. I Dolopi non
ad arma concurrerunt: ceterum, postguam Am erano mai stati degli Etoli; appartenevano a Fi
philochos cum Aetolis esse, fugamque ex Atha lippo. Questi dapprima corsero all'armi; se non
mania Philippi, et caedem praesidii ejus accepe che, come seppero che gli Anfilochi tenevamo
re, et ipsi a Philippo ad Aetolos deficiunt. Quibus cogli Etoli, e che Filippo fuggito era dall'Atama
circumjectis gentibus jam undigue se a Macedo mia, e che n'era tagliato a pezzi il presidio,
nibus tutos credentibus esse, Aetolis fama affer anch'essi da Filippo volgonsi alla parte degli
tur, Antiochum in Asia victum ab Romanis: nec Etoli. E già, mentre si credono, per codeste
ita multo post legati ab Roma rediere sine spe nazioni poste all'intorno, sicuri del tutto dai
pacis, Fulviumque consulem nunciantes jam cum Macedoni, vien recata agli Etoli la notizia, che
exercitu trajecisse. His territi, prius ab Rhodo Antioco era stato in Asia vinto dai Romani.
et Athenis legationibus excitis, ut per auctorita E non molto di poi tornarono i legati da Roma
tem civitatium earum suae preces nuper repudia senza speranza di pace, ed annunziando che il
tae faciliorem aditum ad senatum haberent, prin console Fulvio avea di già passato il mare col
cipes gentis ad tentandum ultimam spem Romam l'esercito. Atterriti da queste novelle, eccitate
miserunt; nihil, ne bellum haberent, prius quam prima le legazioni di Rodi e di Atene, perchè
pene in conspectu hostis erat praemeditati. Jam coll'autorevole mediazione di quelle città aves
M. Fulvius, Apolloniam exercitu trajecto, cum sero le lor preghiere, testè ripudiate, più facile
Epirotarum principibus consultabat, unde bellum accesso al senato, mandarono a Roma, a tentar
inciperet. Epirotis Ambraciam placebat aggredi, l'ultima speranza, i capi della nazione, non es
quae tum contribuerat se Aetolis: « sive ad tuen sendosi preparati punto alla guerra, innanzi di
dam eam venirent Aetoli, apertos circa campos aver quasi a vista il nemico. Già Marco Fulvio,
ad dimicandum esse; sive detrectarent certamen, tragittato l'esercito ad Apollonia, consultava coi
oppugnationem fore haud difficilem. Nam et co capi degli Epiroti, donde avesse a cominciare
piam in propinquo materiae ad aggeres excitan la guerra. Piaceva agli Epiroti che si assediasse
dos et cetera opera esse; et Arethontem, naviga Ambracia, la quale s'era unita allora cogli Etoli;
bilem amnem, opportunum ad comportanda « o venissero gli Etoli a difenderla, si aveva
quae usui sint, praeter ipsa moenia fluere; et un'aperta pianura, dove combattere; o schivas
aestatem aptam rei gerendae adesse. ” His per sero la battaglia, non sarebbe stato difficile
suaserunt, ut per Epirum duceret. l'espugnarla; perciocchè si avea vicino ed ab
bondante il materiale per inalzare argini, e fare
altri lavori; e l'Aretonte, fiume navigabile, atto
a trasportar l'occorrente, scorreva sotto le mura,
e la state era opportuna all'impresa. » Con
1 159 TITI LIVII LIBER XXXVIII. I 16o

queste ragioni persuasero al console, che menasse


l'esercito per l'Epiro ad Ambracia.
IV. Consuli ad Ambraciam advenienti magni IV. Al console, nell'accostarsi ad Ambracia,
operis oppugnatio visa est. Ambracia tumulo a parve l'espugnarla cosa di grande lavoro. È posta
spero subjecta est, Perranthem incolae vocant. Ambracia appiè d'un poggetto alquanto aspro,
Urbs, qua murus vergit in campos et flumen.occi che gli abitanti chiamano Perrante. La città,
dentem; arx, quae imposita est tumulo, orientem dove il muro è volto alla campagna ed al fiume,
spectat. Amnis Aretho, ex Athamania fluens, ca guarda il Ponente; la rocca, posta sopra il pog
dit in sinum maris, ab nomine propinquae urbis getto, l'Oriente. Il fiume Aretonte, uscendo dal
Ambracium appellatum. Praeterquam quod hinc l'Atamania, sbocca in un seno di mare, detto
amnis munit, hinc tumuli, muro quoque firmo Ambracio dal nome della vicina città. Oltre che
septa erat, patente in circuitu paullo amplius tria la difende quinci il fiume, quinci i monticelli,
millia passuum. Fulvius bina a campo castra, mo era eziandio cinta da forte muro, il cui circuito
dico inter se distantia intervallo, unum castellum gira poco più di tre miglia. Fulvio piantò due
loco edito contra arcem objecit. Ea omnia vallo campi verso la pianura, distanti poco spazio l'uno
ac fossa ita jungere parat, ne exitus inclusis ab dall'altro, ed un fortino in luogo rilevato dirim
urbe, neve aditus foris ad auxilia intromittenda petto alla rocca; ed intende ad unire insieme
esset. Ad famam oppugnationis Ambraciae Stra il tutto con fossa e steccato, acciocchè nè ci fosse
tum jam edicto Nicandri praetoris convenerant uscita pe'rinchiusi nella città, nè accesso di fuori
Aetoli. Inde primo copiis omnibus ad prohiben ad introdurre soccorsi. Alla fama dell'assedio di
dam obsidionem venire in animo fuerat: deinde, Ambracia gli Etoli, per editto del pretore Nican
postduam urbem jam magna ex parte operibus dro, s'erano di già radunati a Strato. Indi il loro
septam viderunt, Epirotarum trans flumen loco primo pensiero era stato di venir con tutte le
plano castra posita esse, dividere copias placuit. forze a far levare l'assedio; poscia, come videro
Cum mille expeditis Eupolemus Ambraciam pro la città in gran parte circondata dai lavori, e che
fectus, per nondum commissa inter se munimenta gli Epiroti accampavano nella pianura di là del
urbem intravit. Nicandro cum cetera manu primo fiume, pensarono di dividere le loro forze.
Epirotarum castra nocte aggredi consilium fue Eupolemo, fattosi alla volta di Ambracia con
rat, haud facili ab Romanis auxilio, quia flumen mille armati alla leggera, per le munizioni non
intererat. Deinde, periculosum inceptum ratus, ancora tra sè legate, entrò in città. Nicandro
ne qua sentirent Romani, et regressus inde in avea dapprima disegnato di assaltare di notte,
tutum non esset, deterritus ab hoc consilio ad col rimanente delle genti, gli accampamenti de
depopulandam Acarnaniam iter convertit. gli Epiroti, non facili ad essere soccorsi dai
Romani, perchè c'era il fiume di mezzo. Poscia,
stimandolo ardimento pericoloso, se per avven
tura i Romani se ne accorgessero, e non si po
tesse ritrarsi indietro al sicuro, abbandonato cotal
pensiero, si volse a saccheggiare l'Acarnania.
V. Consul, jam munimentis, quibus sepienda V. Il console, già condotte a termine le ope
urbs erat, jam operibus, quae admovere muris re, con che dovea serrare la città, già finiti i
parabat, perfectis, quinque simul locis moenia lavori, con che voleva accostarsi alle mura, die'
est aggressus. Tria paribus intervallis faciliore l'assalto da cinque luoghi ad un tempo. Tre ne
aditu a campo adversus Pyrrheum, quod vocant, fece, a pari intervallo, dov'era più facile l'accesso
admovit ; unum e regione Aesculapii ; unum dalla parte della pianura, contro il così detto
adversus arcem. Arietibus muros quatiebat asse Pirreo; uno in faccia al tempio di Esculapio,
ribus falcatis detergebat pinnas. Oppidanos primo uno contro la rocca. Cogli arieti ne sconquassava
et ad speciem et ad ictus moenium, cum terribili le mura, con travi armate di falci ne scopava le
sonitu editos, pavor ac trepidatio cepit: deinde, merlature. Dapprima a tale aspetto, e a colpi,
ut praeter spem stare muros viderunt, collectis che con terribile fracasso battevano i muri, paura
rursus animis, in arietes tellenonibus libramenta e trepidazione invase i terrazzani; di poi, come
plumbi aut saxorum stipitesve robustos incutie videro oltre la speranza reggere i muri, ripreso
bant: falces anchoris ferreis injectis in interiorem animo nuovamente, lanciavano con altalene con
partem muri trabentes asserem, praefringebant: tro gli arieti grandi masse di piombo e di sassi
ad hoc eruptionibus, et nocturnis in custodias e stipiti robusti; rompevano le falci, gettando
operum, et diurnis in stationes, ultro terrorem ancore di ferro, con cui tiravano le travi nel
inferebant. In hoc statu res ad Ambraciam quum l'interiore parte del muro: oltre ciò con sortite
I 161 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 1 i C2

essent, jam Aetoli a populatione Acarnaniae Stra e di notte contro i custodi de lavori, e di giorno
tum redierant. Inde Nicander praetor, spem contro le poste, mettevano essi stessi spavento.
nactus solvendae incepto forti obsidionis, Ni Essendo questo lo stato delle cose presso Am
codamum quemdam cum Aetolis quingentis bracia, erano di già tornati gli Etoli dal saccheg
Ambraciam intromittit. Noctem certam tempus giamento dell'Acarnania a Strato. Indi il pretore
que etiam noctis constituit, quo et illi ab urbe Nicandro, venuto a speranza di far levare l'asse
opera hostium, quae adversus Pyrrheum erant, dio con ardito colpo di mano, introduce in
aggrederentur, et ipse ad castra Romana terro Ambracia certo Nicodamo con cinquecento Etoli.
rem faceret; posse ratus, ancipiti tumultu et Stabilì la notte e l'ora etiandio della notte, in cui
nocte augente pavorem, memorabilem rem geri. e quelli dalla città assaltassero le opere de'nemici
Et Nicodamus intempesta nocte, quum alias cu erette contro il Pirreo, ed egli portasse il terrore
stodias fefellisset, per alias impetu constanti nel campo Romano, sperando di poter fare im
erupisset, superato brachio in urbem penetrat; presa memorabile, destando in un luogo e nel
animique aliquantum ad omnia audenda et spei l'altro grande scompigliamento, e la notte accre
obsessis adjecit; et, simul constituta nox venit, scendo la paura. E Nicodamo, in una notte tene
ex composito repente opere est aggressus. Id brosa, avendo ingannate altre delle guardie, altre
inceptum conatu, quam effectu, gravius fuit, sforzate con impeto risoluto, superata la linea,
quia nulla ab exteriore parte vis admota est; seu penetra nella città, e aggiunse agli assediati al
metu deterrito praetore Aetolorum, seu quia quanto di coraggio a tutto osare e di speranza;
potius visum est, Amphilochis open ferre nuper e come fu la notte stabilita, giusta il convenuto,
receptis; quos Perseus Philippi filius, missus ad all'improvviso assaltò i lavori. Questo colpo fu
Dolopiam Amphilochosque recipiendos, summa più osservabile per l'arditezza, che pel frutto;
vi oppugnabat. perchè non si usò nessuna forza dalla parte ester
na; o che il pretore degli Etoli ne fosse stornato
da paura, o che gli paresse cosa più pressante
recar soccorso ad Anfilochia di fresco ricuperata,
e cui Perseo, figlio di Filippo, spedito a riavere
Dolopia ed Anfilochia, terribilmente combat
teva.
VI. Tribus locis, sicut ante dictum est, ad VI. I lavori fatti dai Romani erano, come
Pyrrheum opera Romana erant: quae omnia si s'è detto, in tre luoghi dirimpetto al Pirreo: ad
mul, sed nec apparatu, mec vi simili, Aetoli ag assaltare i quali tutti ad un tempo si mossero
gressi sunt. Alii cum ardentibus facibus, alii stup gli Etoli, ma nè con apparecchio, nè con forza
pam picemque et malleolos ferentes, tota collu eguale. Altri vennero con fiaccole ardenti, altri
cente flammis acie, advenere. Multos primo im portando seco stoppa e pece e magliuoli accesi,
petu custodes oppresserunt: deinde, postguam tutta rilucendo la schiera di fiamme. Al primo
clamor tumultusque in castra est perlatus, datum impeto uccisero parecchi custodi: indi, poi che
que a consule signum, arma capiunt, et omnibus le grida ed il tumulto giunsero sin dentro il cam
portis ad opem ferendam effunduntur. Uno in po, ed ebbe il console dato il segno, i Romani
loco ferro ignique gesta res est. A duobus irrito prendono l'armi, e sboccan fuori da tutte le porte
incepto, quum tentassent magis, quam inissent a recar soccorso. In uno solo de luoghi si pugnò
certamen, Aetoli abscesserunt. Atrox pugna in col ferro e col fuoco. Dagli altri due, gli Etoli,
unum inclinaverat locum : ibi diversis partibus andato il colpo a vòto, avendo piuttosto fatto
duo duces Eupolemus et Nicodamus pugnantes prova di combattere, che combattuto, si ritira
hortabantur, et prope certa fovebant spe, jam romo. La battaglia s'era inasprita in un luogo
Nicandrum ex composito adfore, et terga hostium solo: quivi i due comandanti Eupolemo e Nico
invasurum. Haec res aliquamdiu animos pugnan damo esortavano da due diverse parti i combat
tium sustinuit. Ceterum, postduam nullum ex tenti, e gl'incoraggiavano quasi colla certa spe
composito signum a suis accipiebant, et crescere ranza, che già Nicandro, secondo il convenuto,
numerum hostium cernebant, destituti segnius stava per giungere, ed assaltare i nemici alle
instare : postremo, re omissa, jam vix tuto rece spalle. Questa fiducia sostenne alquanto tempo
ptu, fugientes in urbem compelluntur, parte o gli animi de'combattenti; se non che, poichè
perum incensa, et pluribus aliquanto, quam ipsi non ricevevan da' suoi nessuno segno, giusta il
ceciderant, interfectis. Quod si ex composito acta convenuto, e vedevan crescere il numero de'ne
res fuisset, haud dubium erat, expugnari una mici, cominciarono, abbandonati, a rallentare
utique parte opera cum magna caede hostium gli sforzi: in fine lasciata l'impresa, avendo
I 163 TITI LIVIl LIBI.R XXXVIII. I 164

potuisse. Ambracienses, quique intus erantAetoli, appena sicura la ritirata, sono respinti fuggendo
non ab ejus solum noctis incepto recessere, sed nella città, abbruciata bensì una parte de lavori,
in reliquum quoque tempus, velut proditi a suis. e rimasti morti alquanti più de'nemici, che dei
segniores ad pericula erant. Jam nemo eruptioni loro. Che se la cosa fosse stata eseguita, com'era
bus, ut ante, in stationes hostium, sed, dispositi il convenuto, non era dubbio che si avrebbe
per muros et turres, ex tuto pugnabant. potuto distruggere da una parte i lavori con
grande strage dei nemici. Quelli di Ambracia, e
gli Etoli ch'eran dentro, non solamente abban
donarono l'impresa di quella notte, ma eviandio
nel tempo rimanente, quasi traditi fossero dai
suoi, furon più lenti ad incontrare i pericoli.
E già non più alcuno, come innanzi, col sortire
contro le poste del nemici, ma invece disposti
sulle mura e sulle torri, combattevano al sicuro.
VII. Perseus, ubi adesse Aetolos audivit, omis VII. Perseo, come udì arrivati gli Etoli, la
sa obsidione urbis, quam oppugnabat, depopu sciato l'assedio della città, che combatteva, sac
latus tantum agros, Amphilochiam excessit, atque cheggiato solamente il contado, uscì d'Anfilo
in Macedoniam rediit. Et Aetolos inde avocavit chia, e tornò in Macedonia. Ed anche gli Etoli
populatio maritimae orae. Pleuratus lllyriorum furon di colà richiamati dal guasto, che si dava
rex, cum sexaginta lembis Corinthium sinum in alla costa marittima. Pleurato, re degl'Illirii,
vectus, adjunctis Achaeorum, quae Patris erant, entrato nel golfo di Corinto con sessanta brigan
navibus, maritima Aetoliae vastabat. Adversus tini, aggiuntesi le navi degli Achei, ch'erano
quos mille Aetoli missi, quacumque se classis cir a Patri, devastava le spiagge marittime dell'Eto
cumegerat per litorum anfractus, brevioribus lia. Contro i quali essendosi spediti mille Etoli,
semitis occurrebant. Et Romani ad Ambraciam, dovunque la flotta girava lungo le sinuosità del
pluribus locis quatiendo arietibus muros. aliquan la costa, essi per più brevi sentieri se le facevano
tum urbis nudaverant: nec tamen penetrare in incontro. Anche i Romani intorno ad Ambracia,
urbem poterant. Nam et pari celeritate novus crollando in più luoghi le mura cogli arieti,
pro diruto murus objiciebatur, et armati, ruinis aveano aperta qualche po' di breccia ; pure non
superstantes.instar munimenti erant. Itaque quum potevano penetrare nella città. Perciocchè con
aperta vi parum procederet consuli res, cuniculum eguale celerità un nuovo muro si opponeva in
occultum, vineis ante contecto loco, agere insti luogo dell'abbattuto; e gli armati, standosi sulle
tuit: et aliquandiu, quum dies noctesque in opere ruine, faceano le veci di riparo. Quindi poco
essent, non solum sub terra fodientes, sed ege riuscendo al console la forza aperta, si die'a sca
rentes etiam humum, fefellere hostem. Cumulus vare una mina occulta, avendo prima coperto
repente terrae eminens index operis oppidanis il luogo co mantelletti; e per alquanto tempo,
ſuit: pavidique, ne jam subrutis muris, facta in lavorando dì e notte, non solamente cavando
urbem via esset, fossam intramurum e regione sotto, ma eziandio portandone fuori la terra, in
ejus operis, quod vineis contectum erat, ducere gannarono il nemico. Un cumulo di terra al
instituunt. Cujusubi ad tantam altitudinem,quan quanto rilevato indicò ad un tratto a terrazzani
tae esse solum infimum cuniculi poterat, perve il lavoro; e temendo che, rovesciati i muri, non
merunt, silentio facto, pluribus locis aure admota, si fosse aperta una via nella città, si mettono a
sonitum fodientium captabant. Quem ubi accepe tirare un fosso di dentro al muro in faccia al
runt, aperiunt rectam in cuniculum viam. Nec luogo del lavoro, ch'era coperto da mantelletti.
ſuit magni operis; momento enim ad inane, su Come furon giunti a tanta profondità, quanta
spenso furculis ab hostibus muro pervenerunt. esser poteva il fondo della mina, fatto silenzio,
Ibi commissis operibus, quum e fossa in cunicu accostato l'orecchio in più luoghi, sentivano
lum pateret iter, primo ipsis ferramentis, quibus lo strepito de minatori. Udito che l'ebbero,
in opere usi erant, dein celeriter armati etiam su apersero una via diritta alla mina: nè fu opera
beuntes occultam sub terram ediderunt pugnam. di gran travaglio; chè in un momento giunsero
Segnior deinde ea facta est, intersepientibus cuni al vòto, avendo i nemici sospesa la volta con
culum, ubi vellent, nunc ciliciis praetentis, nunc puntelli. Quivi, incontratisi i lavori, essendo
foribus raptim objectis. Nova etiam haud magni dalla fossa aperta la via alla mina, dapprima
operis adversus eos, qui in cuniculo erant, exco co” ferramenti, che adoprati aveano nel lavo
gitata res est. Dolium a fundo pertusum, qua fi ro, poi sottentrando prestamente anche gli ar
stula modica inseri posset, et fistulam ferream mati, si ſe' battaglia occulta sotto terra; la
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operculumque dolii ferreum, et ipsum pluribus quale indi rallentossi, otturando essi la mina,
locis perforatum, fecerunt. Hoc tenui pluma com dove volevano, ora opponendo sacchi di terra,
pletum dolium ore in cuniculum verso posuerunt. ora barricate costrutte in fretta. Fu trovato
Per operculi foramina praelongae hastae, quas eziandio nuovo ingegno, nè di grande travaglio,
sarissas vocant, ad submovendos hostes emine contro quelli ch'erano nella mina. Fecero una
bant. Scintillam levem ignis inditam plumae, folle botte, forata nel fondo, dove si potesse inserire
fabrili ad caput fistulae imposito, stando accende un picciolo cannello, e questo di ferro, ed il co
runt. Inde non solum magna vis fumi, sed acrior perchio della botte pur di ferro, ed esso pure
etiam foedo quodam nidore ex adusta pluma, traforato in più luoghi. Posero questa botte
quum totum cuniculum complesset, vir durare piena di finissima piuma colla bocca verso la
quisquam intus poterat. mina. Pe' fori del coperchio sporgevansi in fuori
aste lunghissime, che chiamano sarisse, con che
tener lontano il nemico. Messa una lieve scintilla
di fuoco nella piuma, soffiando con mantice
adattato alla bocca del cannello, l'accesero; don
de una copia di fumo non solamente grande, ma
eziandio insopportabile per certo puzzo deri
vante dall'abbruciarsi della piuma riempiuta
avendo tutta la mina, appena c'era chi potesse
dentro durare.
VIII. Quum in hoc statu res ad Ambraciam VIII. Essendo in codesto stato le cose presso
esset, legati ab Aetolis Phaeneas et Damoteles, Ambracia, vennero dagli Etoli, per decreto del
cum liberis mandatis, decreto gentis, ad consu la nazioni, ambasciatori al console con illimitata
lem venerunt. Nam praetor eorum, quum alia facoltà Fenea e Damotele. Perciocchè il loro
parte Ambraciam oppugnari cerneret, alia infe pretore, vedendo da una parte assediarsi Am
stam oram navibus hostium esse, alia Amphilo bracia, dall'altra i legni nemici infestare la costa,
chos Dolopiam ſue a Macedonibus vastari, nec Ae altrove l'Anfiiochia e la Dolopia esser manomesse
tolos simul ad tria diversa bella occursantes suf dai Macedoni, nè bastare gli Etoli a far fronte ad
ficere, convocato concilio, Aetolos principes, quid un tempo a tre guerre diverse, radunato il con
agendum esset, consuluit. Omnium eo sententiae siglio, consultò i principali tra gli Etoli intorno
decurrerunt, « ut pax, si posset, aequis; si mi a ciò che fosse a farsi. Questo fu il parere di tut
nus, tolerandis conditionibus peteretur. Antiochi ti, a che si dimandasse la pace a condizioni eque,
fiducia bellum susceptum. Antiocho terra mari potendo ottenerla; quando che no, a condizioni
que superato, et prope extra orbem terrae ultra tollerabili. S'era pigliata la guerra sulla fiducia
juga Tauri exacto, quam spem esse sustinen di di Antioco: vinto Antioco per mare e per terra,
belli? Phaeneas et Damoteles, quod e re Aeto e scacciato quasi fuori dal mondo di là dalle
lorum, ut in tali casu, fideque sua esse censerent, vette del monte Tauro, quale speranza restava
agerent. Quod enim sibi consilium, aut cujus rei di poterla sostenere? Fenea e Damotele facessero
electionem a fortuna relictam ? » Cum his man quel che stimassero in tal caso, e secondo la fede
datis legati missi orare consulem, « ut parceret loro, più vantaggioso agli Etoli. Perciocchè qua
urbi, misereretur gentis quondam sociae, molle le consiglio, quale scelta ha lasciato agli Etoli la
dicere injuriis, miseriis certe coactae insanire. Non fortuna? » I legati, spediti con sì fatte commis
plus mali meritos Aetolos Antiochi bello, quan sioni a pregare il console, e che volesse perdo
boni ante, quum adversus Philippum bellatum mare alla città, e aver misericordia di una nazio
sit, fecisse. Nectum large gratiam relatam sibi, ne, già in addietro alleata, costretta, non volevan
nec nunc immodice poenam injungi debere. » dire dalle avanie, ma certo dalle miserie ad im
Ad ea consul respondit: - Magis saepe, quam vere pazzare. Non aveano più mal meritato gli Etoli
umquam, Aetolos pacem petere. Imitarentur An nella guerra di Antioco, che non avessero innanzi
tiochum in petenda pace, quem in bellum traxis più ben meritato, quando si combattè contro
sent. Non paucis urbibus eum, de quarum liber Filippo; nè allora furono troppo largamente
tate certatum sit, sed omni Asia cis Taurum mon ricompensati, nè ora si deve punirli smodata
tem, opimo regno, excessisse. Aetolos, nisi iner mente. » Al che rispose il console: « Gli Etoli
mes, de pace agentes non auditurum se. Arma chiedon la pace più spesso di quel che mai la
illis prius equosolue omnes tradendos esse, deinde chiedano di vero cuore. Nel chiederla imitino
mille talentùm argenti populo Romano dandum : Antioco, che pur essi stessi trassero alla guerra.
eujus summae dimidium praesens numeraretur. Non cedette egli solamente le poche città, per
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si pacem habere vellent. Ad ea adjccturum etiam la cui libertà si è conteso, ma tutta l'Asia di qua
in foedus esse, ut eosdem, quos populus Roma dal monte Tauro, parte ricchissima del suo re
nus, amicos atque hostes habeant. “ gno. Non darebbe egli ascolto agli Etoli, trat
tanti della pace, se non se disarmati. Dovevan
prima consegnare tutte l'armi, tutti i cavalli,
indi mille talenti d'argento al popolo Romano;
la metà della qual somma si avesse a contare in
presente, se volessero aver la pace. A questo sa
rebbe pur anche aggiunto nel trattato, che aver
debbano gli stessi amici e nemici, che il popolo
Romano. »

IX. Adversus quae legati, et quia gravia erant, IX. I legati, nulla rispondendo a codeste
et quia suorum animos indomitos ac mutabiles proposizioni, e perchè erano gravose, e perchè
noverant, nullo reddito responso, domum regres conoscevano gli animi indomiti e mutabili dei
si sunt, ut etiam atque etiam, quid agendum es suoi, tornaronsi a casa, onde consultar muova
set, re integra, praetorem et principes consule mente a causa intatta il pretore e i capi della na
rent. Clamore et jurgio excepti, a quan diu rem zione intorno a quello, che si avesse a fare.
traherent, qualemcumque pacem referrejussi ? » Accolti furono con fischiate e rimproveri:
quum redirent Ambraciam, Acarnanum insidiis a quanto andassero differendo, poi che fu lor
prope viam positis, quibuscum bellum erat, cir commesso di recar la pace, qualunque essa si
cumventi Thyrium custodiendi deducuntur. Haec fosse? » Tornando eglino ad Ambracia, tolti in
mora injecta est paci. Quum iam Atheniensium mezzo lungo la via da un agguato teso dagli
Rhodiorumque legati, qui ad deprecandum pro Acarnani, co'quali erano in guerra, son condotti
his venerant, apud consulem essent; Amymander a Tirio in prigione. Questo avvenimento ritardò
quoque, Athamanum rex, fide accepta, venerat di poco la pace. Trovandosi di già presso il con
in castra Romana, magis pro Ambracia urbe, ubi sole i legati degli Ateniesi e dei Rodiani, che
majorem partem temporis exsulaverat, quam pro eran venuti ad intercedere per gli Etoli, era pur
Aetolis, sollicitus. Per hos certior factus consul anche sotto la data fede venuto al campo Roma
de casu legatorum, adduci eos a Thyrio jussit: no Aminandro, re degli Atamani, più sollecito
quorum post adventum agi coeplum est de pa della sorte di Ambracia, dov'era stato il più del
ce. Amynander, quod sui maxime operis erat, tempo del suo esiglio, che di quella degli Etoli.
impigre agebat, ut Ambracienses compelleret ad Informato il console da questi del caso dei le
deditionem. Id quum per colloquia principum, gati, ordinò che gli fossero mandati da Tirio e
succedens murum, parum proficeret; postremo, come furon venuti, si cominciò a trattare della
consulis permissu ingressus urbem, partim con pace. Aminandro, come s'era egli massimamente
silio, partim precibus, evicit, ut permitterent se proposto, si adoperava con ogni sforzo per
Romanis. Et Aetolos C. Valerius Laevini filius, indurre quelli di Ambracia ad arrendersi; nel
qui cum ea gente primum amicitiam pepigerat, che poco profittando abboccandosi co' loro capi
consulis frater, matre genitus eadem, egregie sotto le mura, in fine entrato in città con licenza
adjuvit. Ambracienses, prius pacti, ut Aetolorum del console, parte col consiglio, parte co' preghi
auxiliares sine fraude emitterent, aperuerunt por gl'indusse a mettersi alla discrezione de'Romani.
tas. Dein (Aetoli), « ut quingenta Euboica darent Aiutò egregiamente gli Etoli il fratello del con
talenta; ex quibus ducenta praesentia, trecenta sole Caio Valerio, nato della stessa madre, figlio
per annos sex pensionibus aequis: captivos per di Levino, il quale avea già tempo innanzi stretta
fugasque redderent Romanis: urbem ne quam amicizia cogli Etoli. Gli Ambraciesi, avendo pri
formulae sui juris facerent, quae post id tempus, ma pattuito che gli ausiliarii degli Etoli fossero
quo T. Quintius trajecisset in Graeciam, aut vi liberamente lasciati uscire senza offesa, apersero
capta ab Romanis esset, aut voluntate in amici le porte. Indi, quanto agli Etoli, fu proposto
tiam venisset: Cephallenia insula ut extra jus foe e che dessero cinquecento talenti Euboici, du
deris esset. - Haec quamquam spe ipsorum ali gento subito, trecento in sei anni a quote eguali;
quanto le viora erant, petentibus Aetolis, ut ad che restituissero i prigioni e i fuggitivi ai Ro
concilium referrent, permissum est. Parva disce mani; che non soggettassero alla loro giurisdi
ptatio de urbibus tenuit. Quae quum sui juris zione nessuna di quelle città, che dopo il passaggio
aliquando fuissent, avelli velut a corpore suo in Grecia di Tito Quinzio o fosse stata presa di
aegre patiebantur: ad unum tamen omnes accipi viva forza dai Romani, o si fosse data loro
pacem jusserunt. Ambracieuses coronam auream volontaria; e che l'isola di Cefallenia non ſosse
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consuli centum et quinquaginta pondo dederunt. compresa nell'accordo. » Sebbene codesti patti
Signa aenea marmoreaque et tabulae pictae, qui fossero più leggeri, che non aveano sperato,
bus ornatior Ambracia (quia regia ibi Pyrrhi pure chiedendo gli Etoli di riferirli al lor con
fuerat), quam ceterae regionis ejus urbes erant, siglio, fu loro permesso. V'ebbe alcun po' di
sublata omnia avectaque. Nihil praeterea tactum disputa rispetto alle città, le quali essendo state
violatumve. un tempo di loro giurisdizione, soffrivano con
dolore che quasi fossero divelte dal loro corpo:
tutti però ad una voce deliberarono che si
accettasse la pace. Quelli di Ambracia regalarono
al console una corona d'oro del peso di cento
cinquanta libbre. Le statue di bronzo e di marmo,
le pitture, di che più ch'altra qualunque città
del paese andava adorna Ambracia, perchè era
stata la residenza di Pirro, tutto fu levato e
portato via: eccetto questo, null'altra cosa fu
tocca o guasta.
X. Profectus ab Ambracia consul in mediter X. Il console da Ambracia internatosi nel
ranea Aetoliae, ad Argos Amphilochium (viginti l'Etolia, si accampò ad Argo degli Anfilochi,
duo millia ab Ambracia abest) castra positit. Eo distante ventidue miglia da Ambracia. Colà
tandem legati Aetoli, mirante consule, quod mo finalmente vennero i legati degli Etoli, maravi
rarentur, venerunt. Inde, postduam approbasse gliandosi il console del lor ritardo. Indi, poi che
paeem concilium Aetolorum accepit, jussis profi si seppe avere il consiglio degli Etoli approvata
cisci Romam ad senatum, permissoque, ut et Rho la pace, detto loro che andassero a Roma al
dii, et Athenienses deprecatores irent, dato, qui senato, e permesso che andassero anche i Ro
simul cum iis proficisceretur, C. Valerio fra tre, diani e gli Ateniesi a pregare per essi, dato loro
ipse in Cephalleniam trajecit. Praeoccupatas au in compagnia il fratello Caio Valerio, egli passò
res animosque principum Romae criminibus Phi a Cefallenia. I legati trovarono a Roma preoccu
lippi invenerunt; qui, per legatos, per literas, pati gli orecchi e gli animi de principali dalle
Dolopas Amphilochosque et Athamaniam ereptas accuse di Filippo; il quale, dolendosi per mezzo
sibi querens, praesidiaque sua, postremo etiam de' legati e di lettere, che gli fosse tolta la Dolo
filium Persea ex Amphilochis pulsum, averterat pia, l'Anfilochia e l' Atamania, e insieme i suoi
senatum ab audiendis precibus eorum. Rhodii ta presidii, e che ultimamente gli Anfilochi scaccia
men et Athenienses cum silentio auditi sunt. Athe to avessero suo figlio Perseo, avea stornato il
niensis legatus Leon, Icesiae filius, eloquentia senato dal dare ascolto ai loro preghi. Nondimeno
etiam dicitur movisse; qui vulgata similitudine, i Rodiani e gli Ateniesi furono ascoltati con si
mari tranquillo, quod ventis concitaretur, aequi lenzio. Dicesi che Leone, legato degli Ateniesi,
parando multitudinem Aetolorum, usus, a quum figlio d'Icesia, gli abbia anche mossi colla forza
in fide Romanae societatis mansissent, insita gen dell'eloquenza; il quale valendosi di una trita
tis tranquillitate quiesse eos ajebat: postduam comparazione, assomigliando la moltitudine
stare ab Asia Thoas et Dicaearchus, ab Europa degli Etoli al mar tranquillo, cui mettono i venti
Menestas et Damocritus doepissent; tum illam in burrasca, diceva - che gli Etoli, sino a tanto
tempestatem coortam, quae ad Antiochum eos, si che stettero fermi nell'alleanza Romana, erano
cuti in scopulum, intulisset. - stati quieti nella naturale loro tranquillità; poi
che cominciarono a soffiare Toante e Dicearco
dall'Asia, Menesta e Damocrito dall'Europa,
allora essere insorta quella tempesta, che li balzò
verso Antioco, quasi ad urtare in uno scoglio. ”
XI. Diu jactati Aetoli, tandem ut conditiones XI. Gittati gli Etoli lunga pezza di qua, di
pacis convenirent, effecerunt. Fuerunt autem hae: là, finalmente fecero che si convenisse delle con
« Imperium majestatemdue populi Romani gens dizioni della pace. E furono queste: - Rispetti la
Aetolorum conservato sine dolo malo. Ne quem nazione degli Etoli di buona fede l'impero e la
exercitum, qui adversus socios amicosque eorum maestà del popolo Romano. Non lasci passare
ducetur, per fines suos transire sinito, neve ulla pc lor confini nessun esercito, che fosse condot
ope juvato. Hostes eosdem habeto, quos populus to contro gli amici ed alleati del popolo Romano,
Romanus, armadue in eos ferto, bellumque pari nè gli dieno aiuto in checchessia. Abbia i nemici
ter geriº, Perfugas, fugitivos captivosque rcd stessi, che il popolo Romano e porti l' arme
al v 1 o 2 7 |
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dito Romanis sociisque; praeterquam si qui ca contro di essi, e guerreggi insieme con lui. Renda
pti, quum domos redissent, iterum capti sunt; ai Romani ed alleati loro i disertori, i fuggitivi,
aut si qui eo tempore ex iis capti sunt, qui tum i prigioni, eccetto quelli, che presi una volta,
hostes erant Romanis, quum intra praesidia Ro poi che tornarono a casa, furono presi nuova
mana Aetoli essent. Aliorum qui comparebunt, mente, o se alcuni furono presi tra quelli, che
intra dies centum Corcyraeorum magistratibus eran nemici de Romani, quando gli Etoli eran
sine dolo malo tradantur: qui non comparebunt, nel campo Romano. Gli altri, che compariranno,
quando quisque eorum primum inventus fuerit, sieno consegnati con buona fede ai magistrati
reddantur, Obsides quadraginta arbitratu consu de'Corcirei nello spazio di cento giorni: quelli
lis Romani dato, ne minores duodecim annorum, che non compariranno, si consegnino tosto che
neu majores quadraginta. Obses ne esto praetor, ciascuno venisse ad essere trovato. Dia quaranta
praefectus equitum, scriba publicus; neu quis, ostaggi ad arbitrio del console Romano, non
qui ante obses fuerit apud Romanos. Cephallenia minori di anni dodici, non maggiori di quaranta.
extra pacis leges esto. ” De pecuniae summa, Non sia ostaggio nè il pretore, nè il prefetto
quam penderent, pensionibusque ejus, nihil ex della cavalleria, nè il pubblico scrivano; nè
eo, quod cum consule convenerat, mutatum, Pro altri, che fosse stato innanzi ostaggio presso i
argento si aurum dare mallent, darent, convenit; Romani. Cefallenia sia fuori dell'accordo. » Quan
dum pro argenteis decem aureus unus valeret. to alla somma del denaro, che dovessero pagare,
« Quae urbes, qui agri, qui homines Aetolorum ed alle rate del pagamenti, non si muta nulla del
juris aliquando fuerunt, qui eorum T. Quintio, già convenuto col console. Se invece di argento
Cn. Domitio consulibus, postve eos consules, aut volessero dare oro, si consente che il dieno;
armis subacti, aut voluntate, in ditionem populi purchè una moneta d'oro ne valesse dieci d'ar
Romani venerunt, ne quem eorum Aetoli rece gento. «Le città, i contadi, gli uomini che furono
pisse velint. Oeniadae cum urbe agrisque Acar un tempo della giurisdizione degli Etoli, e quelli
nanum sunto. « His legibus foedus ictum cum tra questi, che sotto i consoli Tito Quinzio e
Aetolis est. Gneo Domizio, o dopo questi consoli vennero
in poter de'Romani o per forza dell'armi, o per
volontaria dedizione, non vogliano più mai gli
Etoli riaverle. Gli Eniadi colla città e contado
sieno degli Acarnani.» Con questi patti si ſe la
pace cogli Etoli.
XII. Eadem non aestate solum, sed etiam iis Xll. Non solamente nella state medesima,
dem prope diebus, quibus haec a M. Fulvio con ma eziandio quasi ne'medesimi giorni, ne quali
sule in Aetolia gesta sunt, consul alter Cn. Man furon fatte codeste cose nell'Etolia dal console
lius in Gallograecia bellum gessit, quod nunc or Marco Fulvio, l'altro console Gneo Manlio fece
diri pergam. Vere primo Ephesum consul venit, la guerra nella Gallogrecia, che comincerò
acceptisque copiis a L. Scipione, et exercitu lu adesso a narrare. Sul principio della primavera
strato, concionem apud milites habuit; qua, col il console venne ad Efeso, ed avuto l'esercito da
laudata virtute eorum, quod cum Antiocho uno Lucio Scipione, e fattane la rassegna, arringò i
proelio debellassent, adhortatus eos ad novum suoi soldati. Quivi, lodato il loro valore, perchè
cum Gallis suscipiendum bellum, qui et auxiliis con una sola battaglia debellato avessero Antioco,
Antiochum juvissent, et adeo indomita haberent gli esortò ad imprendere la nuova guerra co'Calli,
ingenia, ut nequidquam Antiochus emotus ultra che avean porto aiuto ad Antioco, ed erano
juga Tauri montis esset, nisi frangerentur opes d'indole cotanto indomita, che invano avrebbo
Gallorum, de se quoque pauca, nec falsa, nec im no cacciato Antioco di là dai gioghi del monte
modica, adjecit. Laeti milites cum frequenti as Tauro, se non si frangevano le forze dei Galli;
sensu consulem audiverunt, partem virium An aggiunse pure pochi cenni di sè, nè falsi, nè
tiochi fuisse Gallos credentes; rege superato, esagerati. Ascoltaron lieti i soldati con ripetuti
nullum momentum in solis per se Gallorum co applausi il console, stimando che i Galli facessero
piis fore. Eumenem haud in tempore abesse (Ro parte delle forze di Antioco, e che, superato il
mae tunc erat) credere consul, gnarum locorum re, non sarebbono state di nessun momento le
hominumque et cujus interesset frangi Gallorum sole forze de'Galli. Credeva il console, che Eu
opes Attalum igitur fratrem ejus arcessit a Per mene si trovasse assente fuor di tempo (era egli
gamo,hortatusque ad capessendum secum bellum, allora a Roma) conoscitore, com'era, degli uomi
pollicentem suam suorumque operam domum ad ni e dei luoghi, e cui doveva importare che
comparandum dimittit. Paucos post dies profecto infranta fosse la potenza de'Galli. Chiamò dun
1 173 l'ITI LIVII LIBER XXXVIII. 1 174
ab Epheso consuli ad Magnesiam occurrit Atta que da Pergamo Attalo di lui fratello, ed esorta
lus cum mille peditibus, equitibus ducentis, Athe tolo a pigliar secolui quella guerra; promessagli
naeo fratrejusso cum ceteriscopiis subsequi, com l'opera sua e de' suoi, lo rimandò a casa ad
mendata iis custodia Pergami, quos fratri regno allestirsi. Da lì a pochi dì Attalo si recò ad in
que fidos credebat. Consul, collaudato juvene, contrare a Magnesia il console partito da Efeso
cum omnibus copiis ad Maeandrum progressus, con mille fanti e dugento cavalli, commesso
castra posuit, quia vado superari amnis non po avendo al fratello Ateneo, che il seguitasse col
terat, et contrabendae naves erant ad exercitum restante delle forze, raccomandando la custodia
trajiciendum. Transgressi Maeandrum ad Hieran di Pergamo a coloro, che stimava fedeli al fra
Comen pervenerunt. tello ed al regno. Il console, lodato il giovane,
inoltratosi con tutte le genti sino al Meandro,
quivi si accampò, perchè il fiume non era gua
dabile, ed era d'uopo raccorde navigli, onde
traghettare l'esercito. Passato il Meandro, giun
sero a Sacro-Villaggio.
XIII. Fanum ibi augustum Apollinis et ora XIII. C'era quivi un augusto tempio e un
culum : sortes versibus haud inconditis dare va oracolo di Apollo: dicesi che i sacerdoti ne pro
tes dicuntur. Hinc alteris castris ad Harpasum flu nunzino i vaticinii in versi non ispregevoli. Di là
men ventum est: quo legati ab Alabandis vene si venne la seconda giornata al fiume Arpaso,
runt, ut castellum, quod ab ipsis nuper descisset, dove giunsero gli ambasciatori degli Alabandi,
aut auctoritate, aut armis, cogeret jura anti pregando che il console o con l'autorità, o con
qua pati. Eodem et Athenaeus, Eumenis et At l'armi costrignesse un castello, che s'era di fresco
tali frater, cum Cretensi Leuso et Corrago Ma loro ribellato, a tornare all'obbedienza di prima.
cedone venit. Mille pedites mixtarum gentium Venne colà pure anche Ateneo, fratello di Eume
et trecentos equites secum adduxerunt. Con ne e di Attalo con Leuso di Creta e con Corraso
sul, tribuno militum misso cum modica manu, di Macedonia; menarono seco mille fanti di di
castellum vi captum Alabamdensibus reddit. Ipse, verse nazioni e trecento cavalli. ll console, spedi
nihil via digressus, ad Antiochiam super Maean to un tribuno de'soldati con poca banda, preso
drum amnem posuit castra. Hujus amnis fontes di viva forza il castello, il rendette agli Alabandi.
Celaenis oriuntur. Celaenae urbs caput quondam Egli senza distorsi di via, si accampò presso An
Phrygiae fuit. Migratum inde haud procul vete tiochia sul fiume Meandro. Le sorgenti di questo
ribus Celaemis, novaeque urbi Apameae momen fiume nascono a Celene. Celene fu un tempo città
inditum ab Apamea, sorore Seleuci regis. Et Mar capitale della Frigia: indi gli abitanti si discosta
syas amnis, haud procul a Maeandri fontibus rono alquanto dalla vecchia Celene, ed alla nuova
oriens, in Maeandrum cadit: famaque ita tenet,Ce città fu imposto il nome di Apamea, da Apamea,
laenis Marsyam cum Apolline tibiarum cantu cer sorella del re Seleuco. E il fiume Marsia, che
tasse. Maeander, ex arce summa Celaenarum ortus, scaturisce non molto lontano dalle sorgenti del
media urbe decurrens, per Caras primum, deinde Meandro, cade in questo. Onde la fama tiene che
lonas, in simum maris editur, qui inter Priemen abbia Marsia gareggiato a Celene con Apollo nel
et Miletum est. Ad Antiochiam in castra consulis suono della sampogna. Il Meandro, nato dalla
Seleucus, Antiochi filius, ex foedere icto cum Sci sommità di Celene, scorrendo per mezzo alla
pione, ad frumentum exercitui dandum venit. città, prima per la Caria, poi per l'Ionia, sbocca
Parva disceptatio de Attali auxiliaribus orta est; nel seno del mare, ch' è tra Priene e Mileto.
quod, Romano tantum militi, pactum Antiochum, Seleuco, figlio di Antioco, venne al campo del
ut daretur frumentum, Seleucus dicebat. Discussa console presso Antiochia a dare il frumento al
ea quoque est constantia consulis, qui dimisso l'esereito, secondo l'accordo fatto con Scipione.
tribuno edixit, me Romani milites acci perent, Insorse picciola questione quanto agli aiuti di
priusquam Attali auxilia accepissent. Inde ad Attalo ; perchè Seleuco diceva che Antioco avea
Gordiutichos, quod vocant, processum est: ex eo promesso di somministrare il grano ai soli soldati
loco ad Tabas tertiis castris perventum. In fini Romani. Fu però terminata dalla fermezza del
bus Pisidarum posita est urbs, in ea parte, quae console, il quale commise al tribuno incaricato,
vergit ad Pamphilium mare. Integris viribus re che i soldati Romani non ne ricevessero, se prima
gionis ejus, feroces ad bellandum habebat viros. non ne avessero avuto quei di Attalo. Di là s'inol
Tum quoque equites, in agmen Romanum eru trarono sino a Gordiutico, come lo chiamano;
ptione facta, haud modice primo impetu turba donde giunsero il terzo di a Taba. È città questa
vere deinde, ut apparuit, nec numero se, nec posta sul confine dei Pisidi in quella parte, che
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virtute pares esse, in urbem compulsi, veniam guarda il mare di Panfilia: a forze ancora intere
erroris petelbant, dedere urbem parati. Quin della nazione aveva uomini assai valenti in guerra.
que et viginti talenta argenti, et decem milia Anche allora i lor cavalli, fatta una sortita sopra
medimnùm tritici imperata. Ita in deditionem l'esercito Romano, mossero nel primo impeto
accepti. qualche scompigliamento ; poscia, come videro
che non erano pari nè in valore, nè in numero,
respinti nella città, si posero a chiedere perdono
del trapasso, pronti a consegnare la città. Fu loro
imposto di dare venticinque talenti d'argento, e
dieci mila medimni di grano: a questo patto ne fu
accettata la dedizione.
XIV. Tertio inde die al Chaum amnem per XIV. Poscia il terzo giorno giunsero al fiume
ventum : inde profecti Erizam urbem primo Cao: partitisi di là presero di primo impeto la
impetu ceperunt. Ad I habusion castellum, im città di Eriza. Indi si venne a Tabusione, castello
minens flumini Indo, ventum est, cui fecerat che sovrasta al fiume Indo, cui dato avea codesto
nomen Indus, ab elephanto dejectus. Ilaud pro nome un certo Indo, statovi gettato dentro da un
cul a Cibyra aberant; nec legatio ulla a Moa elefante. Non erano lontani da Cibira, nè si vedea
gete, tyranno civitatis ejus, homine ad omnia che venisse ambasciata alcuna da Moagete, tiran
infido atque importuno, veniebat. Ad tentan no di quella città, uomo di poca fede e inospitale.
dum ejus animum C. Helvium cum quatuor mil A saggiarne le disposizioni il console mandò in
libus peditum et quingentis equilibus consul nanzi Caio Elvio con quattro mila fanti e cinque
praemittit. Iluic agmini, jam fines ingredienti, cento cavalli. All'entrar di questa squadra nei
legati occurrerunt, nunciantes, paratum esse confini, se le fecero incontro alcuni deputati an
1yrannum imperata facere. Orabant, ut pacatus nunziando che il tiranno era presto ad eseguire
fines iniret, cohiberet Iue a populatione agri i comandi. Pregavano che entrassero nel paese
militem ; et coronan auream quindecim talen pacificamente, e ritenessero i soldati dal predare:
tùm aſſerebant. Helvius, integros a populatione portavano in dono una corona d'oro di quindici
agros servaturum pollicitus, ire ed consulem talenti. Elvio, promesso avendo che preservereb
legatos jussit. Quibus eadem referentibus, con be il contado dal saccheggio, disse a deputati
sul, « Neque Romani, inquit, bonae voluntatis che andassero al console. I quali tenendo lo stesso
ullum signum erga nos tyranni habemus; et discorso, il console, « Non abbiamo, rispose, al
ipsum talem esse inter omnes constat, ut de cun segno della buona volontà del tiranno, e tutti
poena eius magis, quam de amicitia, nobis cogi ritengono ch'egli sia tale, che dobbiamo piutto
tandum sit. º Perturbati hac voce legati nihil sto prendersi pensiero del suo castigo, che della
aliud petere, quam ut coronam acciperet, ve sua amicizia. » Sbigottiti i deputati da codeste
niendique ad eum potestatem tyranno, et copiam parole, non altro chiesero, se non che accettasse
loquendi ac purgandise, faceret. Permissu con la corona, e permettesse che il tiranno venisse a
sulis postero die in castra tyrannus venit; vesti lui, e potesse parlare e scusarsi. Il dì seguente il
tus comitatusque vix ad privati modice locupletis tiranno, con la permissione del console, venne al
habitum ; et oratio fuit submissa et infracta, campo, vestito e accompagnato appena a foggia
extenuantis opes suas, urbiumque suae ditionis di privato poco dovizioso, e il suo discorso fu
egestatem querentis. Erant autem sub eo, prae sommesso e spezzato, estenuando le sue facoltà,
ter Cibyram, et Syleum, et Alimne quae appel e dolendosi della miseria del suo dominio. Avea
latur. Ex his, ut se suosque spoliaret, quinque nondimeno sotto di sè, oltre Cibira, Sileo, e quella
et viginti talenta se confecturum, prope ut diffi che si chiama Alimne. Da queste, come se avesse
dens, pollicebatur. « Enimvero, inquit consul. a spogliare sè ed i suoi, prometteva quasi diffidan
ferri jam ludificatio ista non potest. Parum est. do, che avrebbe raccolti venticinque talenti. Ve
non erubuisse absentem, quum per legatos fru ramente, disse il console, non è più oltre soppor
strareris mos: praesens quoque in eadem impu tabile codesto dileggio. È poco che tu non abbia
dentia persistis. Quinque et viginti talenta tyran avuto assente il rossore di schernirci col mezzo
midem tuam exhaurirent? Quingenta ergo talenta de' tuoi deputati; anche presente persisti nella
nisi triduo numeras populationem in agris, obsi stessa impudenza. Venticinque talenti darebbon
dionem in urbe exspecta. ” Hac denunciatione fondo all'usurpata tua dominazione. Se adunque
conterritus, perstare tamen in pertinaci simula non consegni entro tre giorni cinquecento talenti,
tione inopiae; et paullatim illiberali adjectione, aspettati il saccheggiamento del paese e l'assedio
nunc per cavillationem, nunc precibus et simu della città. » Spaventato da questa intimazione
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latis lacrymis, ad centum talenta est perductus: continuò nondimeno a persistere nella simulata
adjecta decem millia medimnùm frumenti. Haec povertà, e sgarbatamente, a poco a poco, ora con
omnia intra sex dies exacta. cavillazioni, ora con preghiere e finte lagrime fu
tirato sino a cento talenti, aggiuntivi dieci mila
medimni di grano. Tutto questo fu esatto tra sei
giorni.
XV. A Cibyra per agros Sindensium exercitus XV. Da Cibira l'esercito fu condotto a tra
ductus, transgressusque Caularem amnem, posuit verso il paese de' Sindesii, e valicato il fiume
castra. Postero die est praeter Caralitin paludem Caulare, si accampò. Il dì seguente fu tratto oltre
agmen ductum. Ad Mandropolim manserunt: la palude Caraliti. Si fermarono a Mandropoli:
inde progredientibus ad Lagon, proximam ur indi inoltratisi verso Lagone, città vicina, gli abi
bem, metu incolae fugerunt. Vacuum hominibus, tanti se ne fuggiron via per paura. Fu dato il
et refertum rerum omnium copia, oppidum diri sacco alla terra vota di uomini, e piena di ogni
puerunt. Inde ab Lysis ſluminis fonte, postero sorta di robe. Poscia partitisi dalla sorgente del
die ad Cobulatum amnem progressi. Termessen fiume Lisi, il dì seguente s'inoltrarono sino al
ses eo tempore Isiondensium arcem, urbe capta, fiume Cobulato. I Termessesi in quel tempo com
oppugnabant: inclusi, quam alia spes auxilii battevano la rocca degli Isiodesi, avendone già
nulla esset, legatos ad consulem, orantes opem, presa la città: chiusi dentro le mura, rſon avendo
miserunt: a cum conjugibus ac liberis in arce altra speranza di aiuto, mandarono ambasciatori al
inclusos se mortem in dies, aut ferro aut fame console a chiedere soccorso; a chiusi nella rocca
patiendam, exspectare. - Volenti consuli causa colle mogli e co'figliuoli non altro si aspettavano
in Pamphyliam divertendi oblata est. Adveniens ogni dì, che di perire o di fame, o di ferro. » Fu
obsidione Isiondenses exemit. Termesso pacem questa una ragione al console, che il bramava,
dedit, quinquaginta talentis argenti acceptis: per volgersi alla Panfilia. Venendo liberò gl'Isio
item Aspendiis ceterisque Pamphvliae populis, desi dall'assedio. Diede la pace a Termesso, avu
Ex Pamphylia rediens ad fluvium Taurum primo time cinquanta talenti d'argento, e così agli
die, postero ad Xylinen, quam vocant, Comen Aspendii, ed agli altri popoli della Panfilia. Tor
posuit castra. Profectus inde continentibus itine nando nel primo giorno dalla Panfilia al fiume
ribns ad Cormasa urbem pervenit. Darsa proxi Tauro, il dì seguente si accarmpò a Xiline, che
ma urbs erat: eam, metu incolarum desertam, chiamano Come. Di là continuando seguitamente
plenam omnium rerum copia invenit. Progre il cammino, giunse alla città di Cormasa. Erale
dienti praeter paludes legati ab Lysinoé, dedentes vicina la città di Darsa: abbandonata per paura
civitatem, venerunt. Inde in agrum Sagalasse dagli abitanti, la trovarono piena abbondante
num, uberem fertilem ſue omni genere frugum, mente di tutto. Oltrepassate le paludi, vennero
ventum est. Colunt Pisidae, longe optimi bello ambasciatori da Lisinoe ad offerirgli la città.
regionis ejus: qunm ea res animos facit tum Indi si venne nel territorio Sagalasseno, grasso
agri foecunditas et multitudo hominum, et situs e fertile d'ogni sorta di biade. È abitato da Pi
inter paucas munitae urbis. Consul. quia nulla sidi, i migliori uomini di guerra di tutto il paese,
legatio ad finem praesto fuerat, praedatum in e questo dà loro animo, e insieme la fecondità
agros misit: tum demum fracta pertinacia est. del suolo, la moltitudine della gente e il sito del
ut ferri agique ressuas viderunt. Legatis missis, la città tra altre poche fortissimo. Il console, poi
pacti quinquaginta talentis, et viginti millibus che nessuna ambasceria s'era veduta a confini,
medimnùm tritici, viginti hordei, pacem impe mandò a saccheggiare il paese. Allora finalmente,
traverunt. Progressus inde ad Obrimae fontes, come si videro rapire e portar via le robe, la
ad vicum, quem Aporidos Comen vocant, posuit pertinacia loro fu vinta. Mandati ambasciatori,
castra. Eo Seleucus ab Apamea postero die venit. promesso avendo cinquanta talenti e venti mila
Aegros inde et inutilia impedimenta qun Apa medimmi di grano, venti mila di orzo, ottennero
meam dimisisset, ducibus itinerum ab Seleuco la pace. Di là inoltratosi sino alle sorgenti del
acceptis, profectus eo die in Metropolitanum l'Obrima, si accampò presso alla borgata, che
campum, postero die Dinias Phrygiae processit. chiamano Aporido. Venne colà Seleuco da Apa
Inde Symnada venit, metu omnibus circa oppi mea il dì seguente. Indi avendo mandati gli am )
dis desertis: quorum jam praeda grave agmen malati e gl'impedimenti inutili ad Apamea,
trahens, vix quinque millium die toto itinere avute da Seleuco guide pel cammino, andato
perfecto, ad Beudos, quod vetus appellant, per quel dì sino alla pianura Metropolitana, il di
venit. Ad Anabura inde, et altero die ad Alandri di poi s'inoltrò sino a Dinia di Frigia. Poscia
fontes, tertio ad Abbassum posuit castra: ibi venne a Sinnada, trovate tutte le terre d'intorno
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plures dies stativa habuit, quia perventum erat abbandonate per la paura; della cui preda grave
ad Tolistobojorum fines. traendo l'esercito, fatto in tutto il giorno solo
il cammino di cinque miglia, arrivarono, come
il chiamano, al vecchio Beudo. Passò indi ad
Anabura, e l'altro dì alle sorgenti dell'Alandro;
e il terzo si accampò ad Abbasso. Quivi stettesi
fermo più giorni, perchè giunto era ai confini
de' Tolistoboi.

XVI. Galli, magna hominum vis, seu inopia XVI. I Galli, stormo grande di gente, mossi
agri, seu praedae spe, nullam gentem, per quan o da scarsezza di terreni o da speranza di preda,
ituri essent, parem armis rati, Brenno duce in stimando che non potrebbe pareggiarli in arme
Dardanos pervenerunt. Ibi seditio orta, et ad nessuna nazione, per la quale fossero passati,
vigintimillia hominum, cum Leonorio ac Lutario giunsero sotto la condotta di Brenno nel paese
regulis, secessione facta a Brenno, in Thraciam de' Dardani. Quivi insorse una sedizione, e da
iter averterunt. Ubicum resistentibus pugnando, venti mila uomini staccati da Brenno sotto la
pacem petentibus stipendium imponendo, Byzan condotta di Leonorio e di Lutario, torsero il cam
tium quum pervenissent, aliquamdiu oram Pro mino verso la Tracia; dove combattendo con
pontidis vectigalem habendo, regionis ejus orbes chiunque resisteva, mettendo imposte a quelli
obtinuerunt. Cupido inde eos in Asiam transeun che chiedevan pace, come furon giunti a Bisan
di, audientes ex propinquo, quanta ubertas ter zio, facendosi per alquanto tempo tributaria la
rae ejus esset, cepit; et Lysimachia fraude capta, spiaggia della Propontide, occuparono le città
Chersonesoque omni armis possessa, ad Helle di quella contrada. Indi lor prese voglia di pas
spontum descenderunt. Ibi vero exiguo divisam sare in Asia, udendo dai vicini quanto fosse
freto cernentibus Asiam multo magis animi ad ubertosa quella terra; e presa per frode Lisima
transeundum accensi; nunciosque ad Antipa chia, e ritenendo coll'armi tutto il Chersoneso,
trum, praefectum ejus orae, de transitu mitte discesero all'Ellesponto. Quivi scorgendo l'Asia
bant. Quae res quum lentius spe ipsorum trahe divisa soltanto da breve tratto di mare, molto
retur, alia rursus nova inter regulos orta seditio più s'infiammarono a passar oltre; e mandarono
est. Leonorius retro, unde venerat, cum majore intanto a trattare del passaggio con Antipatro,
parte hominum repetit Byzantium : Lutarius prefetto del paese. La qual cosa andando più in
Macedonibus, per speciem legationis ab Antipa lungo di quello che pensavano, insorse di nuovo
tro ad speculandum missis, duas tectas maves et tra que capitani altra sedizione. Leonorio, retro
tres lembos adimit. His, alios atque alios dies cedendo là, dond'era venuto, colla maggior parte
noctesque transvehendo, intra paucos dies omnes delle genti torna a Bisanzio: Lulario toglie ai
copias trajecit. Haud ita multo post Leonorius, Macedoni, mandati da Antipatro sotto aspetto
adjuvante Nicomede Bithyniae rege, a Byzantio di ambasceria a spiare, due navi coperte, e tre
transmisit. Coéunt deinde in unum rursus Galli, lembi. Con questi legni, trasportando dì e
et auxilia Nicomedi dant, adversus Zy boetam, notte gli uni dopo gli altri, tra pochi giorni
partem tenentem Bithyniae, gerenti bellum. traghettò tutte le sue genti. Nè molto di poi
Atque eorum maxime opera devictus Zyboeta Leonorio, coll'aiuto di Nicomede, re di Bitinia,
est, Bythiniaque omnis in ditionem Nicomedis passò pur egli da Bisanzio in Asia. Indi i Galli
concessit. Profecti ex Bithynia in Asiam proces nuovamente si raccozzano insieme, e danno aiuto
serunt. Non plus ex viginti millibus hominum, a Nicomede, che avea guerra con Zibeta, il quale
quam decem armata erant: tamen tantum terro riteneva parte della Bitinia. E fu per opera loro
ris omnibus, quae cis Taurum incolunt, gentibus massimamente vinto Zibeta, e quindi tutta la
injecerunt, ut, quas adissent, quasque non adis Bitinia venne in potere di Nicomede. Partitisi
sent, pariter ultimae propinquis, imperio pare dalla Bitinia s'inoltrarono nell'Asia. Di venti
rent. Postremo, quum tres essent gentes, Toli mila uomini non n'erano di armati più che dieci;
stoboji, Trocmi, Tectosagi, in tres partes, qua nondimeno tanto spavento misero a tutte le na
cuique populorum suorum vectigalis Asia esset, zioni, che abitano di qua dal monte Tauro, che
diviserunt. Trocmis Hellesponti ora data; To o visitate da Galli o non visitate, le lontane
listoboji Aeolida atque Joniam, Tectosagi medi egualmente, che le vicine ubbidivano a lor co
terranea Asiae sortiti sunt, et stipendium tota mandi. Infine, essendo tre nazioni distinte i To
cis Taurum Asia exigebant. Sedem autem ipsi listoboi, i Trocmi e i Tectosagi, si divisero in
sibi circa Halyn flumen ceperunt; tantusque tre parti l'Asia, onde ciascuna parte a ciascun
terror eorum nominis erat, multitudine etiam popolo pagasse tributo. Ai Trocmi fu data la
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TITI LIVII LIBER XXXVIII. I 182

magna sobole aucta, ut Syriae quoque ad postre spiaggia dell'Ellesponto; ai Tolistoboi toccò per
mum reges stipendium dare non abnuerent. Pri sorte l'Eolide e la Ionia; ai Tectosagi i paesi del
mus Asiam incolentium abnuit Attalus, pater regis l'Asia infra terra: questi esigevan tributo da tutta
Eumenis; audacique incepto, praeter omnium l'Asia di qua del monte Tauro. Si presero poi a
opinionem, adfuit fortuna, et signiscollatis supe principale stanza le vicinanze del fiume Hali, ed
rior fuit. Non tamen ita infregit animos eorum, era sì grande il terrore del nome loro, cresciuta
ut absisterent imperio: eaedem opes usque ad anche di molto la lor generazione, che in fine
bellum Antiochi cum Romanis manserunt. Tum gli stessi re della Siria non ricusavano di pagar
quoque, pulso Antiocho, magnam spem habue tributo a medesimi. Primo a ricuperarlo di
runt, quia procui mari incolerent, Romanum quanti abitano l'Asia fu Attalo, padre del re
exercitum ad se non perventurum. Eumene, e la fortuna, contro l'opinione di tutti,
arrise al di lui ardimento, e venuto a giornata,
rimase superiore; non però franse gli animi loro
sì fattamente, che cessassero di dominare. Con
servarono la stessa potenza sino alla guerra di
Antioco coi Romani, ed anche allora, scacciato
Antioco, ebbero grande speranza, perchè abita
vano lungi dal mare, che non sarebbe l'esercito
Romano giunto sino a loro.
XVII. Cum hoc hoste, tam terribili omnibus XVII. Avendo a combattere contro codesti
regionis ejus, quia bellum gerendum erat, pro nemici, tanto terribili a tutti quei del paese, il
concione milites maxime in hunc modum allo console, chiamati i soldati a parlamento, a un
cutus est consul : « Non me praeterit, milites, dipresso così loro parlò: « Non ignoro, o soldati,
omnium, quae Asiam colunt, gentium Gallos che di tutte le nazioni, che abitano l'Asia, i più
fama belli praestare. Inter mitissimum genus riputati in guerra sono i Galli. Questa nazione
hominum ferox natio, pervagata bello prope feroce, scorso guerreggiando quasi il mondo in
orbe terrarum, sedem cepit. Procera corpora, tero, prese stanza in mezzo ad uomini d'indole
promissae et rutilatae comae, vasta scuta, prae mansuetissima. Corpi grandi, chioma lunga e
longi gladii: ad hoc cantus ineuntium proelium, rosseggiante, scudi vasti, spade lunghissime: in
et ululatus, et tripudia, et quatientium scuta in oltre canzoni al principio dell'assalto, ululi e
patrium quemdam modum horrendus armorum tripudii, e nello scuotere degli scudi a certa lor
crepitus: omnia deindustria composita ad terro foggia nazionale, orrendo strepito d'arme, tutto
rem. Sed haec, quibus insolita atque insueta questo appositamente fatto per atterrire. Ma ne
sunt, Graeci et Phryges et Cares timeant: abbian tema coloro, cui son codeste cose inusi
Romanis Gallici tumultus assuetis etiam vani tate e nuove, i Greci, i Frigii, i Carii; i Romani,
tates notae sunt. Semel primo congressu ad avvezzi a Gallici tumulti, conoscono anche questi
Alliam olim fuderunt majores nostros: ex eo vani spauracchi. Costoro una sola volta nel primo
tempore per ducentos jam annos pecorum in scontro all'Allia sbaragliarono i nostri maggiori:
modum constermatos caedunt fugantgue; et plu da quel tempo in qua i nostri, già pel corso di
res prope de Gallis triumphi, quam de toto orbe dugent'anni, li tagliano a pezzi costernati quai
terrarum, acti sunt. Jam usu hoc cognitum est, pecore, e li mettono in fuga; e si son menati
si primum impetum, quem fervido ingenio et quasi più trionfi de Galli, che di tutto il resto
caeca ira effundunt, sustinueris, fluunt sudore del mondo. Già è noto per esperienza, che qua
et lassitudine membra, labant arma: mollia cor lora se ne sostenga il primo impeto, che caccian
pora, molles, ubi ira consedit, animos sol, pulvis, fuori per fervidezza d'indole e cieca ira, cascan
sitis ut ferrum non admoveas, prosternunt. Non loro le membra per sudore e lassezza, cascano
legionibus legiones eorum solum experti sumus, l'armi: que corpi, que loro animi molli, come
sed virunus cum viro congrediendo, T. Manlius, l'ira si sedò, il sole, la polvere, la sete, senza che
M. Valerius, quantum Gallicam rabiem vinceret tu adoperi il ferro, gli abbattono. Non solamente
Romana virtus, docuerunt. Jam M. Manlius unus abbiam messo alla prova le loro legioni colle
agmine scandentes in Capitolium Gallos detrusit: nostre, ma in singolare tenzone uomo con uomo;
et illis majoribus nostris cum haud dubiis Gallis e Tito Manlio e Marco Valerio han dimostrato
in terra sua genitis res erat. Hi jam degeneres quanto il Romano valore la rabbia Gallica supe
sunt, mixti, et Gallograeci vere, quod appellan rasse. Ne'tempi addietro il solo Marco Manlio
tur; sicut in frugibus pecudibusque non tantum precipitò al basso i Galli, che in frotta salivano
semina ad servandam indolem valeni, quantum al Campidoglio: ed aveano a fare que nostri mag
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terrae proprietas coelique, sub quo aluntur, giori con veri Galli, nati nel lor paese. Codesti
mutat. Macedones, qui Alexandriam in Aegypto, nostri già sono ormai degenerati, mescolati, e
qui Seleuciam ac Babyloniam, quique alias spar veramente, come si chiamano, Gallogreci, sicco
sas per orbem terrarum colonias habent, in Syros, me avviene delle biade e de'bestiami, ne' quali
Parthos, Aegyptios degenerarunt. Massilia, inter a serbar l'indole primiera non tanto valgono i
Gallos sita, traxit aliquantum ab accolis animo semi, quanto vale a mutarli la qualità propria
rum. Tarentinis quid ex Spartana, dura illa et del suolo e del cielo, sotto il quale si nutrono.
horrida, disciplina mansit? Generosius in sua I Macedoni che possedono Alessandria in Egitto,
quidquid sede gignitur; insitum alienae terrae, e Seleucia e Babilonia ed altre colonie sparse per
in id, quo alitur, natura vertente se, degenerat. tutto il mondo, sono degenerati da Siri, Parti,
Phrygas igitur Gallicis oneratos armis, sicut in Egiziani. Marsiglia, situata in mezzo a Galli,
acie Antiochi cecidistis, victos victores caedetis. trasse alquanto spirito dai vicini. Che rimase
Magis id vereor, ne parum inde gloriae, quam a Tarentini di quella dura ed aspra disciplina
me mimium belli sit. Attalus eos rex saepe fudit Spartana? Ogni cosa nasce più generosa nel pro
fugavitdue. Nolite existimare, belluas tantum prio suolo; quello che si trapianta in altro ter
recens captas feritatem illam silvestrem primo reno, tramutandosi la natura, degenera in ciò,
servare, deinde, quum diu manibus humanis donde trae il nodrimento. I Frigii adunque, gra
alantur, mitescere; in hominum feritate mul vati del peso dell'armi Galliche, voi vincitori li
cenda non eamdem naturam esse. Eosdemne tagliarete vinti a pezzi, come già li tagliaste
hos creditis esse, qui patres eorum avique fue nella pugna con Antioco. Ho più paura che non
runt? Extorres inopia agrorum profecti domo ve ne venga assai lode, di quello che abbiate a
per asperrimam Illyrici oram ; Paeoniam inde sostenere troppo gran lotta. Il re Attalo spesso
et Thraciam, pugnando cum ferocissimis gentibus, gli sconfisse e fugò. Non vogliate credere che
emensi, has terras ceperunt. Duratos eos tot le sole belve, prese di fresco, dapprima conser
malis exasperatosque accepit terra, quae copia vino quella loro selvaggia fierezza, indi, nodrite
rerum omnium saginaret: uberrimo agro, mi per qualche tempo dalla mano dell'uomo, si
tissimo coelo, clementibus accolarum ingeniis, mansuefacciano; e che nel mitigare la fierezza
omnis illa, cum qua venerant, mansuefacta est degli uomini non adoperi egualmente la natura.
feritas. Vobis, mehercule, Martis viris, cavenda Stimate forse che sien costoro i medesimi, che
ac fugienda quanprimum amoenitas est Asiae: i padri e gli avi loro? Erranti per penuria di
tantum hae peregrinae voluptates ad exstinguen terreni, partitisi di casa, attraversando la costa
dum vigorem animorum possunt; tantum con asprissima dell'Illirico, indi oltrepassata la Peo
tagio disciplinae morisque accolarum valet ! Hoc nia e la Tracia, combattendo con popoli fieris
tamen feliciter evenit, quod, sicut vim adversus simi, s'impadronirono di queste terre. Indurati
vos nequaquam, ita famam apud Graecos parem ed in forzati da tanti mali, gli accolse un suolo,
illi antiquae obtinent, cum qua venerunt; belli che gl'impinguò coll'abbondanza d'ogni cosa.
que gloriam victores eamdem inter socios habe In un terreno grassissimo, sotto un mitissimo
bitis, quam si servantes antiquum specimen cielo, tra gente d'indole mansueta, tutta quella
animorum Gallos vicissetis. » fierezza, con cui eran venuti, si mansuefece. Voi
sì, voi, figli di Marte, avete a guardarvi e fuggir
quanto prima l'amenità dell'Asia; tanto sono
possenti queste voluttà straniere ad estinguere
la vigoria degli animi; tanto ha di forza il con
tagio della disciplina e de'costumi degli abitanti.
Questa però è vostra buona ventura, che siccome
costoro non certo la forza stessa contro di voi,
così conservano presso i Greci la fama pari al
l'antica, con cui son venuti; e vincitori otter
rete presso gli alleati la stessa lode di valore,
come se aveste vinto i Galli nel colmo tuttavia
dell'antica lor gloria militare. ”
XVIII. Concione dimissa, missisque ad Epo XVIII. Licenziato il parlamento, e mandati
sognatum legatis, qui unus ex regulis et in Eume de' legati ad Eposognato, il solo di quel prin
mis amicitia manserat, et negaverat Antiocho ad cipi ch'era rimasto fido all'amicizia di Eumene,
versus Romanos auxilia, castra movit. Primo die ed avea ricusato di soccorrere Antioco contro
ad Alandrum ſlumen, postero ad vicum, quem i Romani, il console mosse il campo. Il primo
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vocant Tiscon, ventum. Eo legati Oroandensium dì giunse al fiume Alandro, il secondo alla terra,
quum venissent, amicitiam petentes, ducenta ta che si chiama Tiscone. Essendo venuti colà i
lenta iis sunt imperata, precantibusque, ut do legati degli Oroandesi a chiedere amicizia, fu
mum renunciarent, potestas facta. Ducere inde loro messa l'imposta di dugento talenti; ed
exercitum consulad Plitendum: deinde ad Alyat avendo essi pregato che ne potessero fare la
tos castra posita. Eo missi ad Eposognatum re riferta a casa, fu conceduto. Indi il console trasse
dierunt, et legati cum illis reguli orantes, ne l'esercito a Plitendo; poi si accampò nel paese
Tectosagis bellum inferret: « ipsum in eam gen degli Aliatti. Colà sopravvennero i legati man
tem iturum Eposognatum, persuasurumque, ut dati ad Eposognato, e insieme quelli di lui:
imperata faciant. » Data venia regulo, duci inde questi pregando il console, che non movesse
exercitus per Axylon (quam vocant) terram guerra a Tectosagi, a ch'egli stesso, Eposogna
coeptus. Ab re nomen habet: non ligni modo to, andrebbbe colà, e persuaderebbe quel popolo
quidquam, sed ne spinas quidem, aut ullum aliud ad ubbidire. » Accettata l'istanza, si cominciò
alimentum fert ignis. Fimo bubulo pro lignis a condurre l'esercito pel paese detto Assilo; no
utuntur. Ad Cuballum, Gallograeciae castellum, me, che gli viene dal fatto; perciocchè non solo
castra habentibus Romanis apparuere cum magno non produce legne, ma nè anche spine, o altro
tumultu hostium equites; nec turbarunt tantum qualsiasi alimento di fuoco. Usano invece di lei
stationes Romanas, repente invecti, sed quosdam gne sterco bovino. Essendo i Romani accampati
etiam occiderunt: qui tumultus quum in castra a Cuballo, castello della Gallo grecia, comparve
perlatus esset, effusus repente omnibus portis con gran tumulto la cavalleria nemica; e scaglia
equitatus Romanus fudit fugavitdue Gallos, et tasi all'improvviso, non solamente scompigliò
aliquot fugientes occidit. Inde consul, ut qui jam le poste de Romani, ma eziandio ne uccise al
ad hostes perventum cerneret, explorato deinde quanti. Propagatosi il romore insino al campo,
et cum cura coacto agmine procedebat; et conti sboccata fuori ad un tratto da tutte le porte la
mentibus itineribus quum ad Sangarium flumen cavalleria Romana, sbaragliò e fugò i Galli, e
pervenisset, pontem, quia vado nusquam tran alquanti nella fuga ne uccise. Poscia il console,
situs erat, facere instituit. Sangarius ex Adoreo vedendo di essere già arrivato al nemico, andava
monte per Phrygiam fluens, miscetur ad Bithy procedendo coll'esercito diligentemente raccolto,
niam Tymbreti fluvio. Inde major jam geminatis e preceduto dagli esploratori; ed essendo giunto
aquis per Bithyniam fertur, et in Propontidem con continuato cammino al fiume Sangario, si
sese effundit; non tamen tam magnitudine me pose a fabbricare un ponte, non vi essendo guado
morabilis, quam quod piscium accolis ingentem in nessun luogo. Il Sangario dal monte Adoreo
vim praebet. Transgressis ponte perfecto flumen, scorrendo per la Frigia va a mescolarsi presso
praeter ripam euntibus Galli Matris Magnae a alla Bitinia col fiume Timbreto. Di là già per
Pessimunte occurrere cum insignibus suis, vatici acque addoppiate fatto maggiore attraversa la
mantes fanatico carmine, deam Romanis viam belli Bitinia e sbocca nella Propontide, non tanto
et victoriam dare, imperiumque ejus regionis. rinomato per grandezza, quanto perchè sommi
Accipere se omen quum dixisset consul, castra nistra agli abitanti gran copia di pesce.Terminato
eo ipso loco posuit. Postero die ad Gordium il ponte, e passato il fiume, camminando lungo
pervenit. Id haud magnum quidem oppidum la riva, si fecero incontro all'esercito da Pessi
est, sed plus, quam mediterraneum, celebre et munte i Galli, sacerdoti della gran Madre con
frequens emporium.Tria maria pari ferme distan le loro insegne, vaticinando a foggia d'ispirati,
tia intervallo habet, Hellespontum, ad Sinopen, et che la diva spianava a Romani la via della guer
alterius orae litora, qua Cilices maritimi colunt. ra, e dava loro la vittoria e la signoria di quel
Multarum magnarumque praeterea gentium fines paese. Avendo detto il console che accettava
contingit, quarum commercium in eum maxime l'augurio, accampossi in quel luogo medesimo.
locum mutui usus contraxere. Id tum desertum Il dì seguente giunse a Gordio. E questo un
fuga incolarum oppidum, refertum idem copia castello, non grande per verità, ma è celebre e
rerum omnium, invenerunt. Ibi stativa habenti frequentato emporio, più che non suol essere
bus legati ab Eposognato venerunt, nunciantes, luogo infra terra. Ha, quasi ad eguale distanza,
« Profectum eum ad regulos Gallorum nihil aequi tre mari, l'Ellesponto, Sinope e l'altra spiaggia
impetrasse: ex campestribus vicis agrisque fre abitata dai Cilici delle maremme: inoltre tocca
quentes demigrare, et cum conjugibus ac liberis, i confini di molte e grandi nazioni, il cui com
quae ferre atque agere possint, prae se agentes mercio avviene che i reciproci bisogni contrag
portantesque Olympum montem petere, ut inde gano in quel punto. I Romani trovarono allora
armis locorumque situ sese tueantur. » quel castello abbandonato per la fuga degli abi
Livio 2 7o
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tanti, pieno e ribocco d'ogni sorta di robe. Quivi


accampatisi, vennero i legati spediti da Fposo
gnato ad annunziare, a che andato egli a trovare
i capi de Galli, non avea ottenuto cosa soddisfa
cente; che dalle campagne e dalle borgate par
tonsi a gran torme, e colle mogli e co figli,
conducendo e portando seco quel più che pote
vano, si drizzavano inverso il monte Olimpo ;
onde di là coll'armi e col vantaggio del sito
difendersi. »

XIX. Certiora postea Oroandensium legati XIX. Di poi i legati degli Oroandesi arreca
attulerunt: « Tolistobojorum civitatem Olym ron nuove più certe: « i Tolistoboi aver occu
pum montem cepisse; diversos Tectosagos alium pato il monte Olimpo; per altra via i Tectosagi
montem, qui Magaba dicatur, petisse. Trocmos, essersi drizzati verso un altro monte, che si chia
conjugibus ac liberis apud Tectosagos depositis, ma Magaba. I Trocmi, depositate le mogli ed
armatorum agmineTolistobojis statuisse auxilium i figliuoli in mano de'Tectosagi, aver deliberato
ferre. » Erant autem tunc trium populorum re di soccorrere co' loro armati i Tolistoboi. » Era
guli Ortiagon, et Combolomarus, et Gaulotus. no allora capi di questi tre popoli Ortiagone,
lis haec maxime belli ratio sumendi fuerat, quod, Combolomaro e Gauloto. La ragione che gli
quum montes editissimos ejus regionis tenerent, avea indotti a pigliar la guerra, era stata massi
convectis omnibus, quae ad usum quamvis longi mamente questa, che occupando i più alti monti
temporis sufficerent, taedio se fatigaturos hostem del paese, ed avendovi trasportato quanto potea
censebant. « Nam neque ausuros per tam ardua bastare al bisogno per qualsiasi tempo lunghis
atque iniqua loca subire eos; et, si conarentur, simo, si pensavano che avrebbono col tedio
vel parva manu prohiberi ac deturbari posse; stancato il nemico; « che questi non oserebbe
nec quietos, in radicibus gelidorum montium salire ad essi per luoghi così scoscesi e svantag
sedentes, frigus aut inopiam laturos. » Et quum giosi, e se il tentasse, si sarebbe potuto anche
ipsa altitudo locorum eos tutaretur, fossam quo con poca gente respingerlo e ripiombarlo al
que et alia munimenta verticibus iis, quos inse basso, e se si stesse quieto a sedere alle radici
derant, circumjecere. Minima apparatus mis di quelle fredde montagne, non avrebbe tolle
silium telorum cura fuit, quod saxa affatim prae rato la penuria e il freddo. » E benchè difesi
bituram asperitatem ipsam locorum credebant. fossero dall'altezza de'luoghi, pure circondarono
di fossa e d'altre munizioni le vette, che avean
prese. Poco curaronsi di apparecchiare armi da
lanciare, credendo che la stessa asprezza de' luo
ghi darebbe sassi in abbondanza.
XX. Consul, quia non cominus pugnam, sed XX. Il console, che avea già col pensiero
procul locis oppugnandis, futuram praeceperat antiveduto non aversi a combattere da vicino,
animo, ingentem vim pilorum, velitarium hasta ma sì assaltare luoghi da lontano, avea preparata
rum, sagittarum, glam disque, et modicorum, qui quantità grande di giavellotti, di aste, come le
funda mittit possent, lapidum paraverat; instru usano i veliti, di saette e ghiande di piombo e di
ctusque missilium apparatu ad Olympum mon picciole pietre da scagliarsi con le fionde, e for
tem ducit, et a quinque ferme millibus locat nito di ogni arme da lanciare conduce l'esercito
castra. Postero die cum quadringentis equitibus al monte Olimpo, e si avanza alla distanza di
et Attalo progressum eum, ad naturam montis cinque miglia. Il dì appresso essendosi inoltrato
situmque Gallicorum castrorum visendum, equi con quattrocento cavalli e con Attalo a esami
tes hostium, duplex numerus, effusi castris in nare la qualità del monte e il sito de Galli,
fugam averterunt: occisi quoque pauci fugien venutagli addosso una banda di cavalli nemici
tium, vulnerati plures. Tertio die cum omnibus doppia di numero, lo volsero in fuga: alcuni
ad loca exploranda profectus, quia nemo hostium pochi nella fuga furono uccisi, alquanti più
extra munimenta processit, tuto circumvectus feriti. Il terzo giorno, andato con tutta la caval
montem animadvertit.meridiana regione terrenos leria ad esplorare i luoghi, poichè nessun dei
et placide acclivos ad quemdam finem colles nemici uscì da trinceamenti, girato securamente
esse, ad septemtrionem arduas et rectas prope ru tutto il monte, osservò che dalla parte di mez
pes; atque, omnibus ferme aliis inviis, itinera zodì i colli appianati e dolcemente declivi veniamo
tria esse: unum medio monte, qua terrena erant; come a finire a terra, e non esservi a settentrione,
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duo difficilia ab hiberno solis ortu, et ab aestivo che rupi scoscese ed erte, e chiusa quasi del
occasu. Haec contemplatus, eo die sub ipsis radi tutto ogni altra via, esservene tre sole: una a
cibus posuit castra. Postero die, sacrificio facto, mezzo il monte, dove c'era qualche strato di
quum primis hostiis litasset, trifariam exercitum terra; due difficili al levante d'inverno ed al
divisum ducere ad hostem pergit. Ipse cum ma ponente di state. Fatte queste osservazioni, il di
xima parte copiarum, qua aequissimum aditum medesimo si accampò alle radici del monte. Il di
praebebat mons, ascendit. L. Manlium fratrem seguente, fatto il consueto sagrifizio, avuti lieti
ab hiberno ortu, quoad loca patiantur, et tuto segni subito dalle prime vittime, diviso l'esercito
possit, subire iubet: si qua periculosa et praerupta in tre parti, lo guida al nemico. Egli colla urag
occurrant, non pugnare cum iniquitate locorum, gior parte delle genti ascende il monte, dov'era
neque inexsuperabilibus vim afferre; sed obliquo più facile la salita. Ordina al fratello Lucio
monte ad se declinare, et suo agmini conjungi. Manlio che quanto glielo permettano i luoghi, e
C. Helvium cum tertia parte circumire sensim possa egli farlo con sicurezza, vada salendo al
per infima montis, deinde ab aestivo occasu eri levante d'inverno: se si abbatta in siti perico
gere agmen. Et Attali auxilia trifariam aequo losi e dirupati, non contrasti collo svantaggio
numero divisit: secum esse ipsum juvenem jussit; del terreno, nè voglia sforzare passi insupera
equitatum cum elephantis in proxima tumulis bili; ma seguendo obliquamente il monte pieghi
planitie reliquit. Edictum praefectis, ut intenti, verso di lui, e si unisca alla sua gente. Commette
quid ubique geratur, animadvertant, opemque, a Caio Elvio, che colla terza parte dell'esercito
ſerre quo postulent res, properent. insensibilmente giri attorno il piede del monte,
indi si drizzi verso al ponente estivo. E pari
menti divise in tre parti eguali gli aiuti di Atta
lo: volle però che il giovanetto si stesse con
lui; la cavalleria cogli elefanti lasciolla al piano,
ch'era vicino ai colli. Fu dato ordine ai prefetti,
che osservino attenti checchè si facesse da per
tutto, e si affrettassero di dar soccorso dove
- occorresse.
XXI. Galli, duobus lateribus satis fidentes XXI. I Galli, bastantemente fidando che da
invia esse, ab ea parte, quae in meridiem vergeret, due lati non vi fosse via da salire, per chiudere
ut armis clauderent viam, quatuor ferme millia l'accesso alla parte volta a mezzo dì, mandano
armatorum ad tumulum, imminentem viae minus da quattro mila armati ad occupare il poggio
mille passuum a castris, occupandum mittunt; eo soprastante alla strada, discosto dal campo meno
se rali velut castello iter impedituros. Quod ubi di mille passi, stimando che quivi, quasi posti
Romani viderunt, expediunt sese ad pugnam. in fortezza, impedirebbero il passo. Il che visto,
Antesigna modico intervallo velites eunt, et ab i Romani si allestirono alla pugna. I veliti pre
Attalo Cretenses sagittarii et funditores et Tralli cedono le bandiere a picciola distanza, e della
et Thraces; signa peditum, ut per arduum, leni gente d'Attalo gli arcieri Cretesi, i frombolieri,
gradu ducuntur, ita praese habentium scuta, ut i Tralli e i Traci; i fanti, andando all'erta, son
missilia tantum vitarent, pedecollato non vide guidati a passo lento, tenendo gli scudi in modo
rentur pugnaturi. Missilibus ex intervallo loci da solamente garantirsi dai dardi, non che sem
proelium commissum est, primo par, Gallos loco brassero di voler combattere dappresso. La zuffa
adjuvante, Romanos varietate et copia telorum. si appiccò saettando da lungi, ed eran pari dap-
Procedente certamine, nihil jam aequi erat. prima, il sito aiutando i Galli, la varietà e copia
Scuta longa, ceterum ad amplitudinem corporum de'dardi i Romani. Procedendo innanzi la pugna,
parum lata, et ea ipsa plana, male legebant Gallos: spariva la parità; gli scudi lunghi, ma poco
nec jam tela alia habebant, praeter gladios: quo larghi rispetto all'ampiezza de'corpi ed anche
rum, quum manum hostis non consereret, nullus piani, coprivano malamente i Galli. E di già
usus erat. Saxis, nec modicis, ut quae non prae non avevano altr'armi, che le spade, che non
parassent, sed quod cuique temere trepidanti ad potevano usare, perchè non si combatteva da
manum venisset, ut insueti, nec arte nec viribus vicino. Si valevano di sassi, e non già mezzani,
adjuvantes ictum, utebantur: sagittis, glande, che non se ne avevano apparecchiati, ma di
jaculis incauti ab omni parte configebantur ; mec, quelli, che a caso nel trambusto veniamo alle
quid age ent, ira et pavore obcaecatis animis, mani di ciascuno, qual gente non avvezza, che
cernebant; et erant deprehensi genere pugnae, non aiuta il colpo nè coll'arte, nè colla forza.
in quod minime apti sunt. Nam quemadmodum Male guardandosi eran trafitti da ogni parte da
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cominus, ubi in vicem pati et inſerre vulnera saette, da ghiande, da giavellotti, e accecati dal
licet, accendit ira animos eorum ; ita, ubi ex oc l'ira e dal timore non vedevano che si facessero,
culto et procul levibus telis vulnerantur, mec, quo ed eran sopraffatti da una foggia di combattere,
ruant caeco impetu, habent, velut ferae transfixae a cui non son atti. Perciocchè siccome da vicino,
in suos temere incurrunt. Detegebat vulnera dove si può dare a vicenda e ricever ferite, lo
eorum, quod nudi pugnant, et sunt fusa et can sdegno infiamma gli animi loro, così laddove
dida corpora, ut quae numquam, nisi in pugna, son colpiti da saette occultamente e da lungi, nè
nudentur: ita et plus sanguinis e multa carne hanno dove possano lanciarsi con cieco impeto,
fundebatur, et foediores patebant plagae, et can quasi belve trafitte, contro i suoi stessi si scaglia
dor corporum magis sanguine atro maculabatur. no pazzamente. Mostrava le lor ferite quel lor
Sed non tam patentibus plagis moventur. Inter combattere ignudi, e que loro corpi grandi e
dum insecta cute, ubilatior quam altior plaga bianchi, come quelli, che non si snudano mai,
est, etiam gloriosius se pugnare putant. Iidem, se non se quando combattono: così e più sangue
quum aculeus sagittae aut glandis, abditae in colava dalla molta carne, e più sconce apparivano
trorsus, tenui vulnere in speciem urit, et scrutan le aperte piaghe, e la candidezza de'corpi più
tes, quae vellant, telum non sequitur, tum, in s'insozzava dal nero sangue. Ma non gli spaventa
rabiem et pudorem tam parvae perimentis pestis gran fatto la piaga larga; che talvolta tagliata
versi, prosternunt corpora humi, sic ut passim la cute, dove la piaga è appunto più larga che
procumberent. Alii, ruentes in hostem, undique profonda, par loro di combattere con maggior
configebantur, et, quum cominus venerant, gla gloria. I medesimi, se la punta del dardo o della
diis a velitibus trucidabantur. Hic milestripeda ghianda addentro penetrata li cruccia con ferita
lem parmam habet, et in dextra hastas, quibus piccola in apparenza, e se lo strale, che van cer
eminus utitur: gladio Hispaniensi est cinctus; cando di estrarre, non segue la mano, allora
quod si pede collato pugnandum est, translatis voltisi a rabbia ed a vergogna di dover
perire
in laevam hastis, stringit gladium. Pauci supere per sì picciolo malore si gettano a terra così,
rant jam Gallorum; qui, postguam ab levi arma che gli vedi qua e colà distesi. Altri scagliandosi
tura superatos se viderunt, et instare legionum ciecamente addosso al nemico, erano da ogni
signa, effusa fuga castra repetunt, pavoris et tu parte trafitti, e quando venivano alle mani, i
multus jam plena, ut ubi feminae, puerique, et veliti li trucidavano colle spade. Questa maniera
alia imbellis turba permixta esset. Romanos vi di soldati porta uno scudo di tre piedi, e nella
ctores deserti fuga hostium acceperunt tumuli mano destra le aste, di cui si serve da lontano :
pende loro alla cintura una spada alla Spagnuo
la. Se ha da combattere corpo a corpo, passata
l'asta nella mano sinistra, impugna il ferro. Già
non restavano che pochi Galli; i quali, poi che
si videro superati dalla leggera armatura, ed
appressarsi le insegne delle legioni, fuggendo
alla dirotta, tornano agli alloggiamenti, già pieni
di confusione e di paura, come quelli, dov'erano
mescolati insieme donne e fanciulli ed altra tur
ba imbelle. I Romani vincitori presero i poggi
abbandonati dalla fuga dei nemici.
XXII. Sub idem tempus L. Manlius et C. XXII. A quel tempo medesimo Lucio Manlio
Helvius, quum, quoad viam colles obliqui dede e Caio Elvio essendo saliti all'erta insino a tanto
runt, escendissent, postguam ad invia ventum est, che l'obliquità de'colli il permise, come furon
flexere iter in partem montis, quae una habebat giunti dove non c'era più via, piegarono il cam
iter, et sequi consulis agmen, modico uterque mino a quella parte del monte, che sola mostra
intervallo, velut ex composito, coeperunt; quod va un sentiero, e cominciarono a tener dietro
primo optimum factu fuisset, in id necessitate alle genti del console a picciola distanza l'uno
ipsa compulsi. Subsidia enim in talibus iniquita dall'altro, quasi per fatto accordo; dalla neces
tibus locorum maximo saepe usui fuerunt ; ut, sità spinti a far quello, che si saria fatto ottima
primis forte deturbatis, secundi et tegant pulsos, mente dapprima. Perciocchè ne luoghi a questo
et integri pugnam excipiant. Consul, postguam modo svantaggiosi furon sovente di grande uti
ad tumulos, ab levi armatura captos, prima signa lità gli aiuti per l'effetto, che a caso respinti
legionum pervenerunt, respirare et conquiescere i primi, i secondi coprano gli scacciati, e sotten
paullisper militem jubet; simul strata per tumu trino freschi alla pugna. Il console, poi che le
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los corpora Gallorum ostentat; a Et, quum levis prime insegne delle legioni furono giunte ai
armatura tale proelium ediderit, quid ab legioni poggi presi dalla leggera armatura, ordina che
bus, quid ab justis armis, quid ab animis fortis il soldato respiri alcun poco e riposi, e nel tempo
simorum militum ex spectari? Castra illis capien stesso gli addita i corpi morti de'Galli distesi
da esse, in quae compulsusab levi armatura hostis al suolo qua e colà per le colline; « E quando,
trepidet. » Praecedere tamen jubet levem arma disse, gli armati alla leggera combatterono a
turam; quae, quum staret agmen, colligendis per questa guisa, che si debbe aspettarsi dalle legio
tumulos telis, ut missilia sufficerent, haud segne ni, che da squadre ordinate, che dal coraggio
id ipsum tempus consumpserat. Jam castris ap di soldati valorosissimi º Bisogna che prendano
propinquabant; et Galli, ne parum se munimenta gli alloggiamenti, ne' quali il nemico respinto
sua tegerent, armati pro vallo constiterant. Obru dall'armatura leggera trema di spavento. » Non
ti deinde omni genere telorum, quum, quo plures dimeno fa che gli armati alla leggera preceda
ac densiores erant, eo minus vani quidquam in no, i quali, mentre i legionarii sostavano, non
tercideret teli, intra vallum momento temporis aveano consumato oziosi quel tempo stesso, rac
compelluntur, stationibus tantum firmis ad ipsos cogliendo le frecce sparse pe'colli, onde non
aditus portarum relictis. In multitudinem, com mancarne. Già si accostavano agli alloggiamenti,
pulsam in castra, vis ingens missilium telorum e i Galli, acciocchè le lor munizioni meglio li
conjiciebatur; et, vulnerari multos, clamor, per difendessero, s'erano piantati in arme davanti
mixtus mulierum atque puerorum ploratibus, allo steccato. Indi oppressi sotto un nembo di
significabat. In eos, qui portas stationibus suis frecce e di dardi d'ogni sorte, perciocchè quanti
clauserant, legionum antesignani pila conjecerunt. più erano, e quanto più folti, tanto meno cadeva
Hi vero non vulnerabantur, sed, transverberatis a vòto nessun colpo, sono in un momento ricac
scutis, plerique inter se conserti haerebant; nec ciati dentro lo steccato, lasciate solamente alcune
diutius impetum Romanorum sustinuerunt. valide poste agl'ingressi. Pioveva addosso alla
moltitudine respinta negli alloggiamenti una
quantità infinita di saettume, e che molti ne
fossero feriti, lo palesavan le grida mescolate ai
pianti dei fanciulli e delle donne. I legionarii
delle prime file scagliarono i lor giavellotti con
tro quelli, che colle poste tenevan chiuse le porte.
Nè questi eran feriti, ma, trapassati da banda a
banda i loro scudi dalle frecce, la più parte si
trovavano appiccati insieme tra loro; nè sosten
nero più a lungo l'impeto de Romani.
XXIII. Patentibus jam portis, priusquam XXIII. Spalancate di già le porte, innanzi
irrumperent victores, fuga e castris Gallorum in che i vincitori vi si scagliassero dentro, i Galli
omnes partes facta est. Ruunt caeci per vias, per da tutte le parti fuggono in frotta dal campo. Si
invia: nulla praecipitia saxa, nullae rupes obstant: lancian ciechi per le vie, per le non vie: non gli
nihil praeter hostem metuunt. Itaque plerique arrestan nè balze precipitose, nè dirupi: non
praecipites per vastam altitudinem prolapsi aut d'altro han tema, che de'nemici; ond'è, che mol
debilitati exanimantur. Consul, castris captis, di tissimi rovinando giù per profondissimi abissi, o
reptione praedaque abstinet militem: sequi pro se smarrite le forze, perdono la vita. Il console,
quemque et instare, et perculsis pavorem addere presi gli alloggiamenti, ritiene il soldato dal sac
jubet. Supervenit et alterum cum L. Manlio cheggiare e depredare, e comanda che ognuno
agmen; nec eos castra intrare sinit. Protinus ad insegua e stringa, e vie maggior timore aggiunga
persequendos hostes mittit; et ipse paullo post, al costernato nemico. Sopravvenne anche l'al
tradita captivorum custodia tribunis militum, tra schiera con Lucio Manlio; nè gli lascia en
sequitur; debellatum ratus, si in illo pavore trare nel campo. Li manda subito ad inseguire i
quam plurimi caesi forent, aut capti. Egresso fuggitivi, ed egli poco di poi, consegnata la guar
consule, C. Helvius cum tertio agmine advenit; dia de'prigionieri a tribuni de'soldati, tien loro
mec continere suos a direptione castrorum valuit, dietro, pensando che finirebbe la guerra, se in
praedaque eorum, iniquissima sorte, qui pugnae quel trambusto assai fossero i morti, o presi.
non interfuerant, facta est. Equites diu, ignari Partito il console, venne Caio Elvio colla terza
et pugnae et victoriae suorum, steterunt: deinde squadra; nè pote ritenere i suoi dal saccheggiare
et ipsi, quantum equis subire poterant, sparsos il campo, il quale per ingiustissima sorte divenne
fuga Gallos circa radices montis consectati ceci preda di coloro, che non erano intervenuti alla
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dere, aut cepere. Numerus interfectorum haud battaglia. La cavalleria stette lungo tempo immo
facile iniri potuit, quia late inter omnes anfractus bile, ignara della pugna e della vittoria de'suoi ;
montium fugaque et caedes fuit, et magna pars indi essi pure, quanto potean salire in alto coi
rupibus inviis in profundae altitudinis convalles lor cavalli, dieron si inseguendo ad ammazzare,
delapsa est; pars in silvis vepribusque occisa. o pigliare i Galli sparsi dalla fuga per le radici
Claudius, qui bis pugnatum in Olympo monte del monte. Non si potè sapere agevolmente il nu
scribit, ad quadraginta millia hominum caesa, mero de'morti, perchè la fuga e la strage si di
auctor est: Valerius Antias, qui magis immodi stese largamente per tutti gli anfratti delle mon
cus in numero augendo esse solet, non plus de tagne, e gran parte rovinò da rupi scoscese in
cem millia. Numerus captivorum haud dubie profondissime valli; parte furono uccisi nelle
millia quadraginta explevit, quia omnis generis selve e tra le macchie. Claudio, il quale scrive
aetatisque turbam secum traxerant, demigran essersi combattuto due volte sul monte Olimpo,
tium magis, quam in bellum euntium, modo. mette morti da quaranta mila uomini; Valerio
Consul, armis hostium in uno concrematis cu Anziate, che suol essere più smodato nell'accre
mulo, ceteram praedam conſerre omnes jussit, scere il numero, non ne conta più di dieci mila.
et aut vendidit, quod eius in publicum redigen Il numero de prigioni fu indubitatamente di
dum erat, aut cum cura, ut quam aequissima quaranta mila, perchè avean tratto seco una tur
esset, per milites divisit. Laudati quoque pro ba immensa di gente d'ogni sesso, d'ogni età, più
concione omnes sunt, donatique pro merito quis a foggia di chi abbandona la patria, che di chi
que; ante omnes Attalus, summo ceterorum as si reca alla guerra. Il console, abbruciate in un
sensu : nam singularis ejusjuvenis quum virtus solo monte tutte le armi de'nemici, ordinò che
et industria in omnibus laboribus periculisque, tutti mettessero in comune l'altra preda, e o ne
tum modestia etiam fuerat. vendette quello che si aveva a portare nel pu
blico tesoro, o la divise tra soldati, dando molta
cura perchè la distribuzione riescisse giustissima.
Fmron anche lodati in pubblico parlamento e re
galati, ciascuno secondo il merito; innanzi a tut
ti Attalo, con sommo applauso degli altri; per
ciocchè s'era segnalato in tutte le fatiche e peri
coli il coraggio e l'abilità di quel giovane, e pari
menti la sua modestia.
XXIV. Supererat bellum integrum cum Tecto XXIV. Restava intatta la guerra co'Tectosagi.
sagis. Ad eos profectus consul, tertiis castris An Andato il console alla lor volta, il terzo giorno
cyram, nobilem in illis locus urbem, pervenit, giunse ad Ancira, città rinomata in quel paese,
unde hostes paullo plus decem millia aberant. dalla quale eran discosti i nemici poco più di die
Ubi quum stativa essent, facinus memorabile a ci miglia. Dove essendosi acquartierati i Romani,
captiva factum est. Ortiagontis reguli uxor forma occorse un memorabile fatto di una prigioniera.
eximia custodiebatur inter plures captivos, cui Era custodita tra parecchi altri prigioni la mo
custodiae centurio praeerat, et libidinis et avari glie di Ortiagonte, uno de'capi de'Galli, di bel
tiae militaris.Isprimo eiusanimum tentavit: quem lissima forma, alla cui custodia presedeva un
quum abhorrentem a voluntario videret stupro, centurione, libidinoso ed avido, quanto suol es
corpori, quod servum fortuna erat, vim fecit. sere soldato. Egli dapprima tentò l'animo della
Deinde, ad leniendam in dignitatem injuriae, spem donna, e vedendo ch'ella abborriva di consentire
reditus ad suos mulieri facit, et ne eam quidem, allo stupro, fe'violenza al corpo, che fortuna avea
ut amans, gratuitam. Certo auri pondere pactus, fatto schiavo. Indi a mitigare l'indegnità dell'af
ne quem conscium suorum haberet, ipsi permit fronto, porge alla donna speranza di tornare ai
tit, ut, quem vellet, unum ex captivis nuncium suoi, nè questa però, come addicevasi ad amante,
ad suosmitteret. Locum prope ſlumen constituit; gratuita; ma patteggiata certa somma di oro, ac
quo duo, ne plus, necessarii captivae cum auro ciocchè nessuno de'suoi fosse consapevole della
venirent nocte insequenti ad eam accipiendam. cosa, permette alla stessa di mandare messo alla
Forte ipsius mulieris servus inter captivos ejus sua famiglia uno de'prigioni, che già volesse.
dem custodiae erat: hunc nuncium primis tene Stabilisce il luogo presso al fiume, ove due e non
bris extra stationes centurio educit. Nocte inse più de'congiunti della prigioniera venissero col
quenti et duo necessarii mulieris ad constitutum l'oro a riceverla la notte seguente. A caso tra i
locum, et centurio cum captiva venit. Ubi quum prigioni sotto la medesima guardia c'era uno
aum um ostenderent, quod summam talenti Attici schiavo di lei. Il centurione sul primo far della
1 197 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 1198
(tanti enim pepigerat) expleret; mulier lingua notte trae codestui fuor delle porte, perchè vada
sua, a stringerent ferrum, et centurionem pen a portare il messaggio. La notte appresso e i
santem aurum occiderent, º imperavit. Jugulati due congiunti della donna, e il centurione colla
praecisum caput ipsa involutum veste ferens, ad prigioniera vennero al luogo appostato, dove
virum Ortiagontem, qui ab Olympo domum re mostrando essi l'oro, che ascendeva alla somma
fugerat, pervenit: quem priusquam complectere di un talento Attico (chè tanto era il pattuito),
tur, caput centurionis ante pedes ejus abjecit, la donna lor disse in suo linguaggio, e che impu
mirantique, cujusnam id caput hominis, aut quod gnassero il ferro ed uccidessero il centurione,
id facinus haudquaquam muliebre esset, et inju che contava l'oro. ” Ed ella stessa portando rav
riam corporis, et ultionem violatae per vim pu volto nella veste il capo mozzato di colui, venne
dicitiae confessa viro est; aliaque (ut traditur) al marito Ortiagonte, il quale dall'Olimpo s'era
sanctitate et gravitatae vitae hujus matronalis fa fuggito a casa, e innanzi di abbracciarlo gettò
cinoris decus ad ultimum conservavit. a di lui piedi la testa del centurione, e maravi
gliando questi di chi ella si fosse, e qual si fosse
questo non guari fatto di donna, confessò la stessa
al marito e la sofferta ingiuria nel corpo, e la
vendetta, che trasse di sua pudicizia sforzata
mente violata, e colla esemplarità e gravità del
la restante sua vita conservò, come raccontano,
sino all'ultimo dì l'onore di codesta impresa ma
tronale.

XXV. Ad Ancyram in stativa Tectosagum XXV. Gli oratori de'Tectosagi vennero in


oratores ad consulem venerunt, petentes, ne ante Ancira a quartieri del console, chiedendo che
ab Ancyra castra moveret, quam collocutus cura non volesse muovere il campo da Ancira, se non
suis regibus esset: nullas conditiones pacis iis si fosse innanzi abboccato col loro capi: non vi
non bello fore potiores. Tempus in posterum sarà condizione di pace, che non preferiscano al
diem constituitur, locusque, qui maxime medius la guerra. Si stabilisce il tempo pel dì seguente,
inter castra Gallorum et Ancyram est visus. Quo e parve acconcio il luogo, ch'era di mezzo tra il
quum consul ad tempus cum praesidio quingen campo de'Galli ed Ancira. Dove essendo venuto
torum equitum venisset, nec ullo Gallorum ibi il console al tempo fissato con una guardia di
viso, regressus in castra esset, oratores iidem re cinquecento cavalli, poi che non v'ebbe trovato
deunt, excusantes, religione objecta, venire reges nessun de'Galli, essendosi restituito al campo,
non posse: principes gentis, per quos aeque res tornano gli stessi oratori a chiedere scusa, se i
transigi posset, venturos. Consulse quoque Atta loro capi per impedimento di religione non po
lum missurum dixit. Ad hoc colloquium utrimdue tevan venire; verrebbero alcuni de principali
ventum est. Trecentos equites Attalus praesidii della nazione, col mezzo de' quali si poteva com
causa quum adduxisset, jactae sunt pacis condi porre egualmente la cosa. Il console disse che
tiones. Finis rei quia absentibus ducibus imponi anch'egli vi avrebbe mandato Attalo. Si venne
non poterat, convenit, uti consul regesque eo loco dunque a parlamento d'ambe le parti. Avendo
postero die congrederentur. Frustratio Gallorum Attalo condotta seco una guardia di trecento
eo spectabat, primum ut tererent tempus, donec cavalli, si proposero le condizioni della pace.
res suas, quibus periclitari nolebant, cum conju Perchè non si poteva ultimare il trattato in as
gibus ac liberis trans Halyn flumen trajicerent: senza de'capi, si convenne che questi ed il con
deinde quod ipsi consuli, parum cauto adversus sole il dì seguente si sarebbono abboccati insie
colloqui fraudem, insidiabantur. Mille ad eam me. La furberia de' Galli mirava a questo pri
rem ex omni numero audaciae expertae delege mieramente, a consumare il tempo sino a tanto
runt equites. Et successisset fraudi, nipro jure che avessero mandato le robe loro, che non
gentium, cujus violandi consilium initum erat, voleano mettere a pericolo, di là dal fiume Ali
stetisset fortuna. Pabulatores lignatoresque Ro insieme colle mogli ei figliuoli; poi perchè mac
mani in eam partem, in qua colloquium futurum chinavano insidie allo stesso console, poco guar
erat, ducti sunt; tutius id futurum tribunis ratis, dingo contro il frodolento colloquio. Elessero a
quia consulis praesidium et ipsum pro statione tal uopo mille uomini a cavallo del più segnato
habituri erant, hosti oppositum : suam tamen al coraggio sopra tutti. E la frode sarebbe riuscita,
teram stationem propius castra sexcentorum equi se la fortuna non avesse protetto il diritto delle
tum posuerunt. Consul, affirmante Attalo, ventu genti, che si avea disegnato di violare. I soldati
ros reges, et transigi rem posse, profectus e castris, Romani, destinati a far legne e foraggio, furon
1 199 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 12oo

quum eodem, quo antea, praesidio equitum quin mandati a quella parte, dove si dovea tenere
que millia fere processisset, nec multum a consti l'abboccamento; stimando i tribuni che così
tuto loco abesset, repente concitatis equis cum sarebbero più sicuri, perchè avrebbono a difesa
impetu hostili videt Gallosvenientes. Constituit la guardia del console, e lui stesso di fronte al
agmen, et expedire tela animosque equitibus jus nemico: nondimeno posero anche un'altra loro
sis, primo constanter initium pugnae accepit, nec posta di seicento cavalli più presso al campo.
cessit: dein, quum praegravaret multitudo, cedere Il console, accertato da Attalo che i capi de'Galli
sensim, nihil confusis turmarum ordinibus, coepit. sarebbono venuti, e che si conchiuderebbe l'af
Postremo, quum jam plus in mora periculi, quam fare, partitosi dal campo, essendosi inoltrato,
in ordinibus conservandis praesidii esset, omnes colla stessa scorta di cavalli, che prima, quasi
passim in fugam effusi sunt. Tum vero instare dis a cinque miglia, nè trovandosi molto lontano
sipatis Galli, et caedere; magnaque pars oppressa dal luogo stabilito, vede all'improvviso i Galli
foret, ni statio pabulatorum, sexcenti equites, oc venirgli addosso a spron battuto in aria ostile.
currissent. Ii, procul clamore pavido suorum exau Fe' far alto a suoi, e detto a cavalieri che si ap
dito, quum tela equosque expedissent, integri parecchiassero a combattere da valorosi, ricevette
profligatam pugnam acceperunt. Itaque versa il nemico con fermezza, nè punto cedette. Indi
extemplo fortuna est, versus in victores a victis aggravato dalla moltitudine cominciò a ritirarsi
terror, et primo impetu fusi Galli sunt; et ex indietro a poco a poco senza scompigliare l'ordi
agris concurrebant populatores, et undigue obvius nanza. In fine, essendovi più pericolo nell'indu
hostis Gallis erat, ut ne fugam quidem facilem giare, che profitto nel conservare gli ordini, tutti
aut tutam haberent, quia recentibus equis Roma si danno a fuga precipitosa. Allora i Galli si
mi fessos sequebantur. Pauci ergo effugerunt: feron sopra gli sbandati, e parecchi ne uccisero,
captus est memo; major multo pars per fidem e ne sarebbe rimasta morta gran parte, se i fo -
violati colloquii poenas morte luerunt. Romani, raggiatori ed i seicento cavalli non si fossero
ardentibus ira animis, postero die omnibus copiis fatti innanzi. Essi, udito da lungi il gridar dei
ad hostem perveniumt. suoi per la paura, prese l'armi ed i cavalli, freschi
sottentrarono alla ormai spacciata battaglia; così
cangiossi subitamente la fortuna, e dai vinti passò
il terrore ai vincitori. I Galli furono di primo
impeto sbaragliati, ed accorrevano dalla campa
gna i foraggiatori, e i Galli si vedean nemici
intorno da ogni parte, in guisa che non era nè
anche facile o sicura la fuga, perchè i Romani
inseguivano con cavalli freschi cavalli stanchi.
Pochi dunque ne scamparono: nessun fu fatto
prigione; la maggior parte pagò il fio della vio
lata fede del parlamento. Il dì seguente i Roma
ni, bollenti d'ira, giunsero con tutte le forze sin
presso al nemico.
XXVI. Biduum natura montis per se jam XXVI. Consumò il console due giorni a
exploranda, ne quid ignoti esset, absumpsit com riconoscere in persona la natura del monte, onde
sul : tertio die, quum auspicio operam dedisset, non gli fosse nessuna cosa celata : il terzo dì,
deinde immolasset, in quatuor partes divisas co avendo presi gli auspizii, indi fatto il sagrifizio,
pias educit; duas ut medio monte duceret, duas trae fuori le sue genti divise in quattro parti;
ab lateribus ut adversus cornua Gallorum erigeret. due per condurle di mezzo al monte, due per
Hostium quod roboris erat, Tectosagi et Trocmi drizzarle dai lati contro i fianchi del Galli. I
mediam tenebant aciem, millia hominum quin Tectosagi ei Trocmi, ch'erano il nerbo dell'eser
quaginta. Equitatum (quia equorum nullus inter cito nemico, stavansi nel centro in numero di
inaequales rupes usus erat) ad pedes deductum, cinquanta mila. La cavalleria (non essendo ella
decem millia hominum, ab dextro locaverunt di alcun uso tra quelle balze ineguali ), fatta
cornu. Ariarathis Cappadoces et Morzi auxilia smontare, la posero sull'ala destra in numero di
res in laevo quatuor ferme millium numerum dieci mila. I Cappadoci di Ariarate e gli aiuti di
explebant. Consul, sicut in Olympo monte, pri Morzo empierono sulla sinistra a un di presso il
ma in acie locata levi armatura, telorum omnis numero di quattro mila. Il console, come già sul
generis ut aeque magna vis ad manum esset, cu monte Olimpo, messa la leggera armatura nella
ravit. Ubi appropinquarunt, omnia eadem utrim prima linea, provvide che similmente avesse alle
-
, 12o1 TITI LIVII LIBER XXXVIII. la n.2

que, quae fuerant in priore proelio, erant, prae mani copia grande di saettume d'ogni sorte.
ter animos, et victoribus ab re secunda auctos, Come furon presso, tutto era d'ambe le parti ad
et hostibus fractos; quia, etsi non ipsi victi erant, una stessa guisa, come già nel fatto antecedente,
suae gentis hominum cladem pro sua ducebant: fuor che il coraggio per la prosperità cresciuto
itaque a paribus initiis coepta res eunmdem exi ne' vincitori, ne'nemici abbattuto; perciocchè
tum habuit. Velut nubes levium telorum conjecta sebbene non erano stati propriamente vinti essi
obruitaciem Gallorum; nec aut procurrere quis stessi, sua nondimeno riputavano la rotta avuta
quam ab ordinibus suis, ne nudarent undi que da quelli di lor nazione; quindi la cosa comincia
corpus ad ictus, audebant; et stantes, quo den ta co medesimi principii ebbe il medesimo suc
siores erant, hoc plura, velut destinatum petenti cesso. Le Galliche schiere furono quasi affogate
bus, vulnera accipiebant. Consul, jam per se tur sotto un nembo di strali; nessuno ardiva uscir
batis si legionum signa ostendisset, versuros delle file per non isnudare il corpo da ogni parte
extemplo in fugam omnes ratus, receptis inter ai colpi, e standosi fermi, quanto eran più fitti,
ordines velitibus et alia turba auxiliorum, aciem tante più ferite ricevevano, fatti quasi bersaglio
promovit. a chi saettava. Il console giudicando che se a nc
mici già scompigliati mostrasse le bandiere delle
legioni, gli avrebbe subito volti in fuga, ritratti
i veliti nelle file, non che l'altra turba degli
aiuti, spinse innanzi tutto l'esercito.
XXVII. Galli, et memoria Tolistobojorum XXVII. I Galli, e atterriti dalla ricordanza
cladis territi, et inhaerentia corporibus gerentes della sconfitta de'Tolistoboi, e portando gli strali
tela, fessique et stando et vulneribus, ne primum infitti nella persona, rifiniti e dallo stare in piedi
quidem impetum et clamorem Romanorum tule e dalle ferite, non sostennero nè anche il primo
runt. Fuga ad castra inclinavit; sed pauci intra impeto e grido de Romani. La fuga si diresse
munimenta sese recepere: pars major, dextra verso gli alloggiamenti; ma pochi si ricovraron
laevaque praelati, qua quemque impetus tulit, dentro le munizioni: la maggior parte, lanciati
fugerunt. Victores, usque ad castra secuti, cecide dosi a destra ed a sinistra, dove ciascuno l'im
runt terga: deinde in castris cupiditate praedae peto portava, fuggirono. I vincitori, inseguendoli
haeserunt, nec sequebatur quisquam. In cornibus sin dentro il campo, li tagliuzzarono alle spalle;
Galli diutius steterunt, quia serius adeos perven indi per avidità di preda si fermarono nel campo
tum est: ceterum ne primum quidem conjectum stesso, e già nessuno più gl'inseguiva. I Galli
telorum tulerunt. Consul, qui ingressos in castra stettero saldi più lungo tempo sulle ale, perchè
ab direptione abstrahere non poterat, eos, qui in si giunse ad essi più tardi; del resto non sosten
cornibus fuerant, protinus ad sequendos hostes nero nè anche il primo scagliare de dardi. Il
misit. Per aliquantum spatium secuti, non plus console, che non poteva distorre dal saccheggia
tamen octo millia hominum in fuga (nam pugna mento i soldati entrati negli alloggiamenti, man
nulla fuit) ceciderunt: reliqui flumen Halyn tra dò subito ad inseguire il nemico quelli ch'erano
jecerunt. Romanorum magna pars ea nocte in sulle ale. Avendolo inseguito per alquanto spazio,
hostium castris mansit; ceteros in sua castra con pure non ne uccisero più di otto mila nella fuga
sul reduxit. Postero die captivos praedamque (perciocchè non s'ebbe a combattere); gli altri
recensuit; quae tanta fuit, quantam avidissima passarono il fiume Ali. La maggior parte de' Ro
rapiendi gens, quum cis montem Taurum omnia mani rimase quella notte nel campo del nemici;
armis per multos tenuisset annos, coacervare po il console ritrasse gli altri nel suo. Il dì seguente
tuit. Galli, ex dissipata passim fuga in unum lo riscontrò i prigioni e la preda; la quale fu tanta,
cum congregati, magna pars saucii aut inermes, quanta ne avea potuto ammassare una nazione
nudati omnibus rebus, oratores de pace ad con ingordissima di rapire, che avea per molt'anni
sulem miserunt. Eos Manlius Ephesum venire dominato tutto il paese, ch'è di qua del monte
jussit. Ipse (jam enim medium autumni erat), Tauro. I Galli, qua e colà dispersi dalla dirotta
locis gelidis propinquitate Tauri montis excedere fuga, raccozzatisi in un luogo, gran parte feriti o
properans, victorem exercitum in hiberna mari disarmati, mancanti di tutto, mandarono oratori
timae orae reduxit. al console a chieder pace. Manlio comandò loro,
che venissero ad Efeso. Egli (perchè già era il
mezzo dell'autunno ) dandosi fretta di uscire
da luoghi gelati per la vicinanza del monte Tau
ro, rimenù l'esercito vittorioso a svernare lungo
la costa marittima.
Livio 2 76
12o3 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 12o4
XXVIII. Dum haec in Asia geruntur, in ce XXVIII. Mentre si fanno codeste cose nell'A
teris provinciis tranquillae res fuerunt. Censores sia, tutto era tranquillo nelle altre province. A
Romae T. Quintius Flamininus et M. Claudius Roma i censori Tito Quinzio Flaminino e Marco
Marcellus senatum perlegerunt: princeps in se Claudio Marcello rielessero il senato. Fu eletto
natu tertium lectus P. Scipio Africanus: quatuor per la terza volta principe del senato Publio Sci
soli praeteriti sunt, nemo curuli usus honore. Et pione Africano. Quattro soli furono gli ommessi,
in equitatu recensendo mitis admodum censura nessun de' quali fregiato dell'onor curule. Anche
fuit. Substructionem super Aequimaelium in Ca nella rivista della cavalleria fu mite molto la
pitolio, et viam silice sternendam a porta Capena censura. Diedero i censori alcune fabbriche a fare
ad Martis locaverunt. Campani, ubi censerentur, sopra l'Equimelio in Campidoglio, non che il
senatum consuluerunt: decretum, uti Romae pavimento della strada dalla porta Capena al
censerentur. Aquae ingentes eo anno fuerunt. Ti tempio di Marte. I Campani chiesero al senato
beris duodecies campum Martium planaque urbis in qual luogo avessero ad essere censiti: si decre
inundavit. Ab Cn. Manlio consule bello in Asia tò che fossero censiti a Roma. Grande furono in
cum Gallis perfecto, alter consul M. Fulvius, per quest'anno le inondazioni. Il Tevere allagò do
domitis Aetolis, quum trajecisset in Cephalle dici volte il campo Marzio e i luoghi piani della
miam, circa civitates insulae misit percunctatum, città. Terminata dal console Gneo Manlio la guer
utrum se dedere Romanis, an belli fortunam ra co' Galli nell'Asia, l'altro console Marco Ful
experiri, mallent? Metus ad omnes valuit, ne de vio, domati gli Etoli, passato essendo a Cefalle
ditionem recusarent: obsides inde imperatos pro mia, mandò intorno a chiedere alle città dell'isola,
viribus inopis populi, vicenos Nesiotae, Cranii, se volessero darsi a Romani, o tentar la sorte
Palenses et Samaei dederunt. Insperata pax Ce della guerra. La paura fe' tal colpo presso tutti,
phalleniae affulserat; quum repente una civitas, che non ricusarono di darsi. Poscia, secondo le
incertum quam ob causam, Samaei desciverunt. forze povere di que popoli, diedero ostaggi, venti
Quia opportuno loco urbs posita esset, timuisse ciascuno, i Nesioti, i Cranii, i Palesi e i Samei.
se ajebant, ne demigrare cogerenturab Romanis. Avea balenato agli occhi de'Cefalleni la pace fuor
Ceterum ipsine sibi eum finxerint metum, et ti di loro speranza, quando all'improvviso, ed è
more vano quietem exuerint, an jactata sermoni incerto per qual cagione, una città ribellossi,
bus res apud Romanos perlata ad eds sit, nihil quella de' Samei. Perchè la lor terra era posta in
comperti est; nisi quod, datis jam obsidibus, re luogo opportuno, dicevano aver temuto che i
pente portas clauserunt, et ne suorum quidem Romani non gli obbligassero a lasciarla. Del resto
precibus (miserat enim sub muros consul ad ten o si abbiano essi infinta questa paura, sagrifican
tandam misericordiam parentum populariumque) do per vano timore la quiete, o la cosa discorsa
desistere ab incepto voluerunt. Oppugnari dein tra Romani giunta sia agli orecchi loro, non se
de, postguam nihil pacati respondebatur, coepta ne sa il vero; se non che, avendo già consegnati
urbs est. Apparatum omnem tormentorum ma gli ostaggi, all'improvviso chiusero le porte, e
chimarumque transvectum ab Ambraciae oppu nè anche alle preghiere de' suoi (chè il console
gmatione habebat; et opera, quae facienda erant, avea mandati gli ostaggi medesimi sotto le mura
impigre milites perfecerunt. Duobus igitur locis a tentar di destare la compassione del congiunti
admoti arietes quatiebant muros, e de terrazzani) vollero desistere dall'impresa,
Quindi non venendo risposte pacifiche, si comin
ciò a combattere la città. Aveva il console tutto
l'apparato degli stromenti e delle macchine tras
portate dall'assedio di Ambracia, ei soldati com
pierono indefessamente tutti i lavori, che occor
revano. In due luoghi pertanto gli arieti accostati
squassavano le mura.
XXIX. Nec ab Samaeis quidquam. quo aut XXIX. Nè tralasciarono i Samei tutto ciò, con
opera, aut hostis arceri posset, praetermissum est. che si potesse nuocere alle opere ed ai nemici.
Duabus tamen maxime resistebant rebus: una, Resistevano però con due cose massimamente:
interiorem semper juxta validum pro diruto no una costruendo sempre internamente un valido
vum obstruentes murum ; altera, eruptionibus muro in luogo dell'abbattuto; l'altra, con su
subitis, nunc in opera hostium, nunc in stationes: bitane sortite ora contro i lavori, ora contro
et plerumque iis proeliis superiores erant. Una le poste nemiche, e in codesti combattimenti
ad coercendos inventa haud magna memoratures per lo più rimanevano superiori. Si inventò a
est Centum funditores ab Aegio et Patris et Dy frenarli cosa appena degna di ricordanza. Si
12o5 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 1a 6

mis acciti. A pueris ii, more quodam gentis, saxis fe' venire da Egio, da Patri e da Dime cento
globosis, quibus ferme arenae immixtis stratali frombolieri. Costoro sin da fanciulli, per cotale
tora sunt, funda mare apertum incessentes, exer usanza del paese, si esercitavano a scagliar colla
cebantur. Itaque longius certiusque et validiore fionda su pur l'aperto mare de'ciottoli rotondi,
ictu, quam Baliaris funditor, eo telo usi sunt: et di che mescolatamente alla sabbia son pieni quei
est non simplicis habenae, ut Baliarica aliarumque lidi; ond'è che traggono più lontano, più giusto,
gentium funda, sed triplex scutale, crebris sutu con più valido colpo, che lo stesso fromboliere
ris duratum, ne fluxa habena volutetur in jactu Balearico, e la lor fionda non è di una semplice
glans; sed, librata qun sederit, velut nervo coreggia, come la Balearica e quella d'altri po
missa excutiatur. Coronas modici circuli magno poli, ma lo scudicciuolo è triplice, assodato con
ex intervallo loci assueti trajicere, non capita so ispesse cuciture, acciocchè per avventura floscia
lum hostium vulnerabant, sed quem locum desti essendo la coreggia, la ghianda nel gittarla non
massent oris. Eae fundae Samaeos cohibuerunt, giri, ma poi che librossi fermamente, scocchi
ne tam crebro, neve tam audacter erumperent; quasi scagliata da corda. Avvezzi a trapassare
adeo ut precarentur ex muris Achaeos, utparum un cerchio di piccola grandezza anche da molta
per abscederent, et se, cum Romanis stationibus lontananza, non solamente colpivan nel capo
pugnantes, quiete spectarent. Quatuor menses a nemici, ma in qualunque parte del viso, a cui
obsidionem Same sustinuit. Quum ex paucis quo mirassero. Codeste fionde ritennero i Samei, che
tidie aliqui eorum caderent, aut vulnerarentur, non uscisser fuori nè sì spesso, nè sì arditamen
et, qui superarent, fessi et corporibus et animis te; a segno che dalle mura pregarono gli Achei,
essent; Romani nocte per arcem, quam Cyatidem che si ritirassero alquanto e stessero quieti a
vocant (nam urbs, in mare deveva, in occidentem vederli combattere colle poste de'nemici. Quat
vergit ), muro superato, in forum per venerunt. tro mesi sostenne Same l'assedio. Ogni dì rima
Samaei, postduam captam urbis partem ab hosti nendo morti o feriti alcuni di loro già ridotti
bus senserunt, cum conjugibus ac liberis in ma a poco numero, e quelli che restavano rifiniti
jorem refugerunt arcem. Inde postero die dediti, essendo d'animo e di corpo, i Romani una notte,
direpta urbe sub corona omnes venierunt. superato il muro, per la rocca detta Ciatide
(perciocchè la città, dove cala verso il mare,
guarda il ponente), giunsero in sulla piazza.
I Samei, poi che sentirono presa dal nemico una
parte della città, con le mogli e co' figliuoli si
ricoverarono nella rocca maggiore; poscia il dì
seguente arrendulisi, messa a sacco la città,
furono tutti venduti all'asta.
XXX. Consul, compositis rebus Cephalleniae, XXX. Il console, composte le cose di Cefal
praesidio Samae imposito, in Peloponnesum, jam lenia, messo presidio a Same, passò nel Pelopon
diu arcessentibus Aegiensibus maxime ac Lace neso, chiamatovi specialmente da gran tempo
daemoniis, trajecit. Aegium, a principio Achaici da quelli d'Egio e di Sparta. In Egio sempre,
concilii, semper conventus gentis indicti sunt; sin dal principio della lega Achea. si radunaron
seu dignitatis urbis id, seu loci opportunitati le diete della nazione; o si desse questo alla no
datum est. Hunc morem Philopoemen eo pri biltà della terra, o alla comodità del luogo. Il
mum anno labefactare conatus, legem parabat qual uso tentando in quest'anno per la prima
ferre, ut in omnibus civitatibus, quae Achai volta Filopemene di alterare, meditava di pro
ci concilii essent, in vicem conventus ageren porre una legge, che le diete si tenessero a vi
tur: et sub adventum consulis, Damiurgis civi cenda in tutte le città appartenenti alla lega
tatium, qui summus est magistratus, Aegium Achea, e in sulla venuta del console, avendo
evocantibus, Philopoemen (praetortum erat) Ar i Damiurgi, che sono il primo magistrato delle
gos conventum edixit. Quo quum appareret città, intimata la dieta in Egio, Filopemene
omnes fere conventuros, consul quoque, quam (allora pretore) la intimò in Argo. Dove scor
quam Aegiensium favebat causae, Argos venit: gendosi che si sarebbon tutti recati, anche il
ubi quum disceptatio fuisset, et rem inclinatam console, quantunque favorisse le ragioni di Egio,
cerneret, incepto destitit. Lacedaemonii deinde venne ad Argo, e quivi essendosi disputato, e
eum in sua certamina averterunt. Sollicitam eam vedendo egli che la cosa piegava al parere di
civitatem exsules maxime habebant, quorum ma Filopemene, cessò d'insistere. Poscia i Lacede
gna pars in maritimis Laconicae orae castellis, moni lo rivolsero alle lor contese. I fuorusciti
quae omnis adempta erat, habitabant. Id aegre tenevano in travaglio quella città; la maggior
TITI I,l VII LIBER XXXVIII. I 2o8
12o7

patientes Lacedaemonii, ut aliqua liberum ad parte de quali abitava nel castelli marittimi del
mare haberent aditum, si quando Romamaliove la Laconia, che aveano sottratta a Sparta. Il che
quo mitterent legatos, simulque ut emporium et mal soffrendo i Lacedemoni, ed anche per avere
receptaculum peregrinis mercibus ad necessarios da qualche parte un accesso libero al mare, se
usus esset, nocte adorti vicum maritimum, nomi accadesse di mandare ambasciatori a Roma o
ne Lan, improviso occupavere. Vicani, quique ibi altrove, e insieme per avere un emporio e ricetto
exsules habitabant, primo inopinata re territi delle merci forastiere per gli usi necessarii,
sunt ; deinde, sub lucem congregati, levi certa avendo di notte assalita la borgata marittima,
mine expulerunt Lacedaemonios: terror tamen detta Lan, improvvisamente la occuparono.
omnem maritimam oram pervasit ; legatosque I borghigiani ei fuorusciti, che qui vi abitavano,
communiter, et castella omnia vicique, et exsules, rimasero dapprima pel subito caso atterriti;
quibus ibi domicilia erant, ad Achaeos miserunt. poscia, radunatisi sul far del giorno, scacciarono
con leggero sforzo i Lacedemoni. Nondimeno
tutta la costa marittima fu colta da terrore, e
tutti i castelli e borghi, non che i fuorusciti
quivi alloggiati, spedirono ambasciatori agli
Achei.

XXXI. Philopoemen praetor, jam inde ab XXXI. Il pretore Filopemene, già sin da
imitio exsulum causae et amicus, et auctor semper principio amico della causa del fuorusciti e sem
Achaeis minuendi opes et auctoritatem Lacedae pre autore agli Achei che scemassero la potenza
moniorum, concilium querentibus dedit; decre e l'autorità de Lacedemoni, diede udienza nella
tumque, eo referente, factum est, « Quum in fi
dieta agli ambasciatori venuti a querelarsi, e a
dem Achaeorum tutelamdue T. Quintius et Ro di lui riferta fu decretato, a che avendo Tito
mani Laconicae orae castella et vicos tradidissent, Quinzio ed i Romani consegnato alla fede e tu
et, quum abstinere his ex foedere Lacedaemonii tela degli Achei i castelli e i borghi della spiag
deberent, Las vicus oppugnatus esset, caedesque gia Laconica, e mentre dovevano i Lacedemoni,
ibi facta; qui eius rei auctores affinesque essent, secondo il convenuto, astenersi dal molestarli,
misi dederentur Achaeis, violatum videri foedus.” essendo stato invece espugnato il borgo Lan e
Ad exposcendos eos legati extemplo Lacedaemo commessevi parecchie stragi, se gli autori e com
nem missi sunt. Id imperium adeo superbum ei plici di quel fatto non fossero consegnati agli
indignum Lacedaemoniis visum est, ut, si antiqua Achei, si terrebbe come rotto l'accordo. » E su
civitatis fortuna esset, haud dubie arma extem bito a chiederne la consegna si spedirono amba
plo capturi fuerint. Maxime autem consternavit sciatori a Lacedemone. Questo comando parve
eos melus, si semel primis imperiis obediendo così superbo ed oltraggiante ai Lacedemoni, che
jugum accepissent. ne, id quod jam diu moliretur, se Sparta fosse stata nell'antico suo vigore, avreb
Philopoemen exsulibus Lacedaemonem traderet. bono senza dubbio preso di subito l'armi; ma
Furentes igitur ira, triginta hominibus ex factio quel che più costernolli si fu il timore, che se
ne, cum qua consiliorum aliqua societas Philo accettassero il giogo, cominciando ad ubbidire
poemeni atque exsulibus erat, interfectis decreve a primi comandi, Filopemene, cosa che già da
runt, renunciandam societatem Achaeis, legatos gran tempo meditava, non consegnasse Lacede
que extemplo Cephalleniam mittendos, qui con mone a fuorusciti. Furenti dunque per lo sde
suli M. Fulvio, quique Romanis Lacedaemonem gno, uccisi trenta cittadini della fazione, che
dederent; orarentque eum, ut veniret in Pelo avean tenuto qualche pratica con Filopemene e
ponnesum ad urbem Lacedaemonem in ſidem di co' fuorusciti, decretarono che si rinunziasse
tionemque populi Romani accipiendam. all'alleanza cogli Achei e si mandassero subito
-.
ambasciatori a Cefallenia, i quali dessero Lace
demone al console Marco Fulvio ed ai Romani,
e lo pregassero che venisse nel Peloponneso a
ricevere Lacedemone sotto la dominazione e fede
del popolo Romano. -

XXXII. Id ubi legati ad Achaeos retulerunt, XXXII. Com'ebbero gli ambasciatori ripor
omnium civitatium, quae ejus concilii erant, con tata la cosa agli Achei, per consentimento di tutte
sensu bellum Lacedaemoniis indictum est. Ne ex le città, ch'erano intervenute alla dieta, s'intimò
templo gereretur, hiems impediit. Incursionibus la guerra ai Lacedemoni. Il verno impedì che
tamen parvis, latrocinii magis quam belli modo, non la si facesse subito. Nondimeno fu dato il
non terra tantum, sed etiam navibus a mari fines guasto ai lor confini con piccole scorrerie, a guisa
rao9 TITI LIVII LIBER XXXVIII. I a Io

eorum vastati. Hic tumultus consulem in Pelo


più di ladroneccio che di guerra; nè per terra
ponnesum adduxit; jussuque ejus Elin concilio solamente, ma eziandio per mare. Questa som
indicto, Lacedaemonii ad disceptandum acciti. mossa trasse il console nel Peloponneso, ed inti
Magna ibi non disceptatio modo, sed etiam alter mata d'ordine suo una dieta ad Eli, i Lacede
catio fuit: cui consul, quum alia, satis ambitiose moni vi furono chiamati a dir loro ragioni. Fu
partem utramque fovendo, incerta respondisset, quivi grande disputa non solamente, ma eziandio
una denunciatione, ut bello abstinerent, domec alterco; su di che avendo il console, accarezzando
Romam legatos ad senatum misissent, finem im destramente l'una parte e l'altra, detto cose va
posuit. Utrimgue legatio missa Romam est. Ex ghe soltanto, però con una sola intimazione fece
sules quoque Lacedaemoniorum suam causam le fine, che si astenessero dalla guerra sino a che
gationemque Achaeis injunxerunt. Diophanes et avessero spedito ambasciatori a Roma al senato.
Lycortas, Megalopolitani ambo, principes lega Si mandarono ambasciatori d'ambe le parti; an
tionis Achaeorum fuerunt. Qui, dissidentes in re che i fuorusciti Lacedemoni raccomandarono la
publica, tum quoque minime interse convenien loro causa ed ambasciata agli Achei. Capi del
tes orationes habuerunt. Diophanes senatui disce l'ambasceria degli Achei furono Diofane e Licor
ptationem omnium rerum permittebat: eos opti ta, ambedue di Megalopoli. I quali, già discordi
me controversias inter Achaeos ac Lacedaemonios
tra loro negli affari della repubblica, anche in
finituros esse. Lycortas ex praeceptis Philopoe questo caso tennero discorsi, che non si accor
menis postulabat, ut Achaeis ex foedere ac legi davano punto. Diofane rimetteva al senato la
bus suis, quae decressent, agere liceret; liberta decisione di ogni cosa, persuaso che i Padri
temque sibi illibatam, cujus ipsi auctores essent, avrebbon finito egregiamente ogni contesa tra
praestarent. Magnae auctoritatis apud Romanos gli Achei e i Lacedemoni. Licorta, secondo le
tum gens Achaeorum erat: novari tamen nihil istruzioni di Filopemene, chiedeva che fosse
de Lacedaemoniis placebat. Ceterum responsum permesso agli Achei, secondo l'accordo e le lor
ita perplexum fuit, ut et Achaei sibi de Lacedae leggi, dar corso a quanto avevano deliberato, e
mone permissum acciperent; et Lacedaemonii che i Romani mantenessero illibata quella liber
non omnia concessa iis interpretarentur. Hac tà, che aveano essi stessi data loro. La nazione
potestate immodice Achaei ac superbe usi sunt. degli Achei era a quel tempo di grande antorità
presso i Romani: pure non piaceva che si faces
se novità rispetto a Lacedemoni. La risposta
del resto fu cotanto ambigua, che gli Achei si
ritenevano liberi affatto di condursi a lor modo
rispetto ai Lacedemoni, e i Lacedemoni inten
devano che non si fosse conceduto agli Achei
sopra d'essi un illimitato potere: ne usarono
però gli Achei superbamente e fuori d'ogni
m1stlra.

XXXIII. Philopoemeni continuatur magistra XXXIII. Filopemene è continuato nella pre


tus; qui veris initio, exercitu indicto, castra in tura; il quale sul principio della primavera,
finibus Lacedaemoniorum posuit: legatos deinde adunato l'esercito, si accampò a confini de La
misit ad deposcendos auctores defectionis, etci cedemoni. Indi mandò ambasciatori a chiedere
vitatem in pace futuram, si id fecissent, pollicens, gli autori della ribellione, promettendo che se
et illos nihil indicta causa passuros. Silentium li consegnassero, non sarebbe molestata la città.
prae metu ceterorum fuit. Quos nominatim de e che coloro non soffrirebbero nulla senza essere
poposcerat, ipsi se ituros professi sunt; fide ac ascoltati. Tutti gli altri stettersi in silenzio per
cepta ab legatis, vim abfuturam, donec causam la paura. Quelli che avea nominatamente richie
dixissent. Ierunt alii etiam illustres viri, et advo sti, da sè dichiararono d'esser pronti ad andare,
cati privatis, et quia pertinere causam eorum ad avuta la fede dei legati che non si farebbe uso
rempublicam censebant. Numquam alias exsules della forza, sino a che non fossero ascoltate le
Lacedaemoniorum Achaei secum adduxerant in lor difese. Andarono con essi anche altri illustri
fines, quia nihil aeque alienaturum animos civi personaggi e per esser loro avvocati, e perchè
tatis videbatur: tunc exercitus totius prope ante stimavano che la causa loro fosse la causa della
signani exsules erant. Ii venientibus Lacedaemo repubblica. Non aveano gli Achei per innanzi
niis ad portam castrorum agmine facto occurre tratto mai secoloro i fuorusciti sulle terre dei
runt; et primo lacessere jurgiis, deinde, alterca Lacedemoni, stimando che nessuna cosa potesse
tione orta, quum accenderentur irae, ferocissimi alienare maggiormente gli animi di tutta la città:
12 i 1 TITI LIVII LIBER XXXVIII. i 21 a

exsulum impetum in Lacedaemonios fecerunt. presentemente i fuorusciti formavano quasi


Quum illi deos et fidem legatorum testarentur, soli la vanguardia di tutto l'esercito. Costoro,
et legati et praetor submoveret turbas, et prote strettisi insieme, si fecero incontro ai Lacede
geret Lacedaemonios, vinculaque jam quosdam moni che venivano, alla porta del campo, e dap
injicientes arceret, crescebat tumultu concitato prima gli provocarono con improperii, poscia,
turba. Et Achaei ad spectaculum primo concur insorto un altercare, infiammandosi gli sdegni,
rebant: deinde vociferantibus exsulibus, quae i più feroci de fuorusciti si scagliarono addosso
passi forent, et orantibus opem, affirmantibusque ai Lacedemoni. Invocando questi gli dei e la fede
simul, « Numquam talem occasionem habituros, dei legati, e i legati e il pretore rimovendo la
si eam praetermisissent: foedus, quod in Capito turba e proteggendo i Lacedemoni e allonta
lio, quod Olympiae, quod in arce Athenis sacra nando alcuni de fuorusciti, che già cominciavano
tum fuisset, irritum per illos esse: priusquam a legarli, vie più cresceva il disordine ed il tu
alio de integro foedere obligarentur, noxios pu multo. E gli Achei da principio correvano sola
niendos esse; o accensa his vocibus multitudo ad mente a vedere: indi gridando i fuorusciti: quan
vocem unius, qui, ut ferirent, inclamavit, saxa to avean dovuto soffrire, e chiedendo aiuto e
conjecit: atque ita septemdecim, quibus vincula dicendo, « che mai non avrebbono una simile
per tumultum injecta erant, interfecti sunt: se occasione, se lasciassero questa: per colpa di co
xaginta tres postero die comprehensi, a quibus storo essersi renduto vano l'accordo, che si era
praetor vim arcuerat, non quia salvos vellet, sed giurato sul Campidoglio, in Olimpia, sulla rocca
qui a perire causa indicta nolebat, objecti multi di Atene; innanzi che si avesse a strignerli con
tudini iratae, quum aversis auribus pauca locuti nuovo accordo, doversi punire i rei; º la molti
essent, damnati omnes, et traditi sunt ad sup tudine accesa da queste parole, alla voce di talu
plicium. no, che gridò, si uccidano, die' di piglio a sassi;
e in cotal guisa diciassette, ch'erano già stati
nella mischia legati, furono uccisi; sessantatrè
arrestati il giorno seguente e che il pretore avea
sottratti alla furia de' fuorusciti, non perchè ti
volesse salvi, ma perchè non intendeva che per
rissero indifesi, lasciati in balia dell'adirata mol
titudine, avendo invano dette parole ad orecchi
ch'eran chiusi, furono tutti condannati e mandati
al supplizio.
XXXIV. Hoc metu injecto, Lacedaemoniis im XXXIV. Messo così fatto spavento ne Lace
peratum primum ut muros diruerent: deinde, demoni, fu loro primieramente ingiunto che
ut omnes externi auxiliares, qui mercede apud atterrassero le loro mura: indi, che tutti gli
tyrannos militassent, terra Laconica excederent: esterni aiuti, i quali avean militato al soldo dei
tum, utiquae servitia tyranni liberassent (ea magna tiranni, uscissero dalla Laconia; poi, che gli
multitudo erat), ante diem certam abirent; qui ibi schiavi ch'erano stati liberati dai tiranni (ed
mansissent,eosprehendendi,vendendi, abducendi, erano in gran numero) avanti un giorno deter
Achaeis jus esset. Lycurgi leges moresque abroga minato si partissero; quelli che fossero rimasti,
rent.Achaeorum assuescerentlegibusinstitutisque: potessero esser presi, venduti, menati via dagli
ita unius eos corporis fore, et de omnibus rebus Achei. Abrogassero le leggi e gli usi di Licurgo;
facilius consensuros. Nihil obedientius fecerunt, si avvezzassero alle leggi e agl'istituti degli Achei:
quam ut muros diruerent; nec aegrius passi sunt, così formerebbero un solo corpo con essi e si
quam exsules reduci. Decretum Tegeae in conci accorderebbero più facilmente in ogni cosa. Non
lio communi Achaeorum de restituendis iis fa si prestarono ad altro più volentieri, quanto ad
ctum est: et, mentione illata, externos auxiliares abbattere le loro mura, nè altro di più malgrado
dimissos, et Lacedaemoniis adscriptos (ita enim soffrirono, quanto il ritorno de' fuorusciti. Il
vocabant, qui a tyrannis liberati erant) urbe decreto di rimetterli fu fatto in Tegea nell'adu
excessisse, in agros dilapsos; priusquam dimitte nanza generale degli Achei, ed essendo caduta
retur exercitus, ire praetorem cum expeditis, et menzione, che gli aiuti esterni licenziati e quelli
comprehendere id genus hominum, et vendere ch'erano stati ascritti tra i Lacedemoni (così
jure praedae placuit. Multi comprehensi venie chiamavano gli schiavi già liberati dai tiranni)
runt: porticus ex ea pecunia Megalopoli permis erano usciti dalla città, ma vagavano sparsi pel
su Achaeorum refecta est, quam Lacedaemonii contado, si ordinò che prima di licenziare l'eser
diruerant. Et ager Belbinates, quem injuria ty cito, il pretore andasse con lesta squadra e
12 13 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 12 i 4
ranni Lacedaemoniorum possederant, restitutus pigliasse codesta genia e la vendesse a guisa di
eidem civitati, ex decreto vetere Achaeorum, preda. Molti furono i pigliati e venduti; di quel
quod factum erat, Philippo Amyntae filio re danaro, con permissione degli Achei, fu rifatto
gnante. Per haec velut enervata civitas Lacedae a Megalopoli il portico, che vi avean rovinato
moniorum diu Achaeis obnoxia fuit: nulla tamen i Lacedemoni. E il contado Belbinate, che i ti
restanto erat damno, quam disciplina Lycurgi, ranni de Lacedemoni avean posseduto contro
cui per septingentos annos assueverant, sublata. ogni dritto, fu restituito alla medesima città,
secondo l'antico decreto degli Achei, ch'era stato
fatto a tempi di Filippo, figlio di Aminta. Per
codesti provvedimenti snervata in certo modo
la città de Lacedemoni, fu lungo tempo soggetta
agli Achei; non le fu però nessuna cosa di tanto
danno, quanto lo averle tolta la legislazione di
Licurgo, alla quale s'erano assuefatti pel corso
di settecent'anni.

XXXV. A concilio, ubi apud consulem inter XXXV. Dopo la dieta, dove s'era disputato
Achaeos Lacedaemoniosque disceptatum est, M. avanti il console tra gli Achei e i Lacedemoni,
Fulvius, quia jam in exitu annus erat, comitio Marco Fulvio, essendo già l'anno in sul finire,
rum causa profectus Romam, creavit consules M. andato a Roma a causa de'comizii, nominò con
Valerium Messallam et C. Livium Salinatorem, soli Marco Valerio Messalla e Caio Livio Salina
quum M. Aemilium Lepidum inimicum, eo quo tore, avendo negato il consolato a Marco Emilio
que anno petentem, dejecisset. Praetores inde Lepido suo nemico, che anche quell'anno il do
creati Q. Marcius Philippus, M. Claudius Marcel mandava. Indi creati furono pretori Quinto
lus, C. Stertinius, C. Atinius, P. Claudius Pul Marcio Filippo, Marco Claudio Marcello, Caio
cher, L. Manlius Acidinus. Comitiis perfectis, Stertinio, Caio Atinio, Publio Claudio Pulcro e
consulem M. Fulvium in provinciam ad exerci Lucio Manlio Acidino. Terminati i comizii, si
tum redire placuit; eique et collegae Cn. Manlio volle che il console Marco Fulvio tornasse nella
imperium in annum prorogatum est. Eo anno in provincia all'esercito, e a lui ed al collega suo
aedem Herculis signum dei ipsius ex decemviro Gneo Manlio fu prorogato il comando per un
rum responso, et sejuges in Capitolio aurati a P. anno. In quell'anno medesimo fu riposta nel
Cornelio positi. Consulem dedisse inscriptum est. tempio di Ercole la di lui statua secondo la ri
Et duodecim clypea aurata ab aedilibus curulibus, sposta dei decemviri, non che da Publio Cornelio
P. Claudio Pulchro et Ser. Sulpicio Galba, sunt sul Campidoglio un carro dorato tirato da sei
posita ex pecunia, qua frumentarios ob annonam cavalli coll' iscrizione: dono del console. Così vi
compressam damnarunt. Etaediles plebis Q. Ful furon messi dodici scudi dorati dagli edili curuli
vius Flaccus duo signa aurata, uno reo damnato Publio Claudio Pulcro e Sergio Sulpicio Galba,
(mam separatim accusaverant), posuit. Collega del denaro, di cui multarono i monopolisti per
ejus A. Caecilius neminem condemnavit. Ludi la biada occultata. E l'edile della plebe, Quinto
Romani ter, plebeji quinquies toti instaurati. M. Fulvio Flacco, vi pose due statue dorate, del
Valerius Messalla inde et C. Livius Salinator con denaro tratto da un solo reo; chè gli aveano
sulatum Idibus Martiis quum inissent, de repu accusati separatamente. ll di lui collega Aulo
blica, deque provinciis et exercitibus senatum Cecilio non condannò nessuno. I giuochi Romani
consuluerunt. De Aetolia et Asia nihil mutatum si rinnovarono tre volte, i plebei cinque. Indi
est. Consulibus, alteri Pisae cum Liguribus, alte avendo Marco Valerio Messalla e Caio Livio Sa
ri Gallia provincia decreta est: comparare inter linatore pigliato il consolato agl'idi di Marzo,
se, aut sortiri jussi, et novos exercitus, binas le consultarono il senato intorno a pubblici affari,
giones, scribere, et ut sociis Latini nominis quina intorno alle province ed agli eserciti. Non si
dena millia peditum imperarent, et mille et du fe' nessuna mutazione quanto all'Etolia ed al
centos equites. Messallae Ligures, Salinatori ob l'Asia. All'uno de'consoli fu assegnata Pisa coi
tigit Gallia. Praetoresinde sortiti sunt. M. Clau Liguri, all'altro la Gallia. Fu commesso a mede
dio urbana, P. Claudio peregrina jurisdictio eve simi di accordarsi tra loro o di trarre a sorte
mit. Q. Marcius Siciliam, C. Sterlinius Sardiniam, queste due province, e di levare nuovi eserciti,
L. Manlius Hispaniam citeriorem, C. Atinius ul cioè due legioni, e di ordinare agli alleati del
teriorem est sortitus. nome Latino quindici mila fanti e mille e due
cento cavalli. Toccò a Messalla la Liguria, a Sali
natore la Gallia. Indi i pretori trassero a sorte
12 15 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 1216

i loro governi. Toccò a Marco Claudio la giudi


catura urbana, a Publio Claudio la forestiera;
Quinto Marcio ebbe a sorte la Sicilia, Caio Ster
tinio la Sardegna, Lucio Manlio la Spagna cite
riore, Caio Atinio l'ulteriore.
XXXVI. De exercitibus ita placuit: e Gallia XXXVI. Quanto agli eserciti, si decretò che
legiones, quae sub C. Laelio fuerant, ad M. Tuc le legioni, ch'erano state di Caio Lelio, si tras
cium propraetorem in Bruttios traduci; et, qui portassero dalla Gallia a Marco Tuccio propre
in Sicilia esset, dimitti exercitum ; et classem, tore ne' Bruzii e si licenziasse l'esercito ch'era
quae ibi esset, Romam reducere M. Sempronium in Sicilia, e che il propretore Marco Sempronio
propraetorem. Hispaniis legiones singulae, quae riconducesse a Roma la flotta, ch'era quivi sta
tum in iis provinciis erant, decretae, et ut terna zionata. A ciascuna delle Spagne fu assegnata
millia peditum, ducenos equites ambo praetores una legione delle due, che allora erano colà, e
in supplementum sociis imperarent, secumque che ambedue i pretori ordinassero agli alleati in
transportarent. (Anno U. C.564. – A. C. 188) supplemento tre mila fanti e duecento cavalli,
Priusquam in provincias novi magistratus profi e secoli trasportassero. (Anni D. R. 564 –
ciscerentur, supplicatio in triduum pro collegio A. C. 188.) Innanzi che i nuovi magistrati si
trasferissero nelle province, furono ordinate dal
decemvirorum imperata fuit in omnibus compi
tis, quod luce inter horam tertiam ferme et quar collegio del decemviri pubbliche preci di tre
tam tenebrae obortae fuerant: et novemdiale sa giorni per tutte le contrade, perchè di giorno,
crificium indictum est, quod in Aventino 'apidi. quasi tra la terza ora e la quarta, s'era oscurato
bus pluisset. Campani, quum eos ex senatuscon il sole, e fu intimato che si facessero sagrifizi
sulto, quod factum erat priore anno, censores per nove giorni, perchè piovute erano pietre
Romae censeri coegissent (nam antea incertum sull'Aventino. I Campani, essendo stati obbligati
fuerat, ubicenserentur), petierunt, ut sibi cives dai censori, per decreto del senato, che s'era
Romanas ducere uxores liceret; et, si qui prius fatto l'anno innanzi, a farsi iscrivere nel censo
duxissent, ut habere eas, et ante eam diem nati, di Roma (chè non si sapeva dove fossero stati
uti justi sibi liberi heredesque essent: utraque censiti prima), chiesero che fosse loro permesso
res impetrata. De Formianis Fundanisque muni di sposarsi a cittadine Romane, e se alcuni ne
cipibus et Arpinatibus C. Valerius Tappus tribu avessero pigliate, le ritenessero, e che i figli nati
mus plebis promulgavit, uti iis suffragii latio innanzi a quel dì, fossero loro figliuoli ed eredi
(mam ante sine suffragio habuerant civitatem ) legittimi: ottennero l'una cosa e l'altra. Quanto
esset. Huic rogationi quatuor tribuni plebis, quia ai municipii di Formio, di Fondi e di Arpino,
non ex auctoritate senatus ferretur, quum inter Caio Valerio Tappo, tribuno della plebe, pro
cederent, edocti, populi esse, non senatus jus, mulgò una legge, che avessero dritto di suffragiº
suffragium quibus velit, impartiri, destiterunt (perciocchè innanzi non ne godevano). Essendosi
incepto. Rogatio perlata est, ut in Aemilia tribu opposti a codesta proposizione quattro tribuni
Formiani et Fundani, in Cornelia Arpinates fer della plebe, perchè non s'era fatta per autorità
rent: atque in his tribubus tum primum ex Va del senato, informati che toccava al popolo, non
lerio plebiscito censi sunt. M. Claudius Marcellus al senato, concedere il dritto del suffragio a chi
censor, sorte superato T. Quintio, lustrum con volessero, si rimossero dall'assunto. Fu quindi
didit. Censa sunt civium capita ducenta quinqua adottata la legge, che i Formiani e i Fondani
ginta octo millia trecenta decem et octo. Lustro dessero il suffragio nella tribù Emilia, gli Arpi
perfecto, consules in provincias profecti sunt. nati nella Cornelia, e allora per la prima volta
annoverati furono in quelle tribù per la legge
Valeria. Il censore Marco Claudio Marcello, supe
rato col favor della sorte Tito Quinzio, chiusº
il lustro. Si contarono duecento cinquanta ottº
mila trecento diciotto cittadini. Terminato il
lustro, i consoli andarono alle loro province. -

XXXVII. Hieme ea, qua haec Romae gesta XXXVII. In quell'inverno medesimo, in cui
sunt, ad Cn. Manlium, consulem primum, deinde si son fatte a Roma codeste cose, venivano da ºg"
pro consule, hibernantem in Asia, legationes un parte a Gneo Manlio, prima console, poscia prº
dique ex omnibus civitatibus gentibusque, quae console, che svernava in Asia, ambascerie da tutº
cis Taurum montem incolunt, conveniebant; et le città e nazioni, che sono di qua dal monte Tau
ut clarior nobiliorgue victoria Romanis de rege ro; e come la vittoria, riportata sopra Antioco, fu
1 217 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 1 2 18

Antiocho fuit, quam de Gallis, ita laetior sociis più chiara ed illustre pe' Romani, che quella ri
erat de Gallis, quam de Antiocho. Tolerabilior portata sopra i Galli, così pegli alleati fu più lieta
regia servitus fuerat, quam feritas immanium bar questa, che quella. Avrebbon tollerato più age
barorum, incertusque in dies terror, quo velut volmente la regia servitù, che la fierezza di co
tempestas eos populantes inferret. Itaque, ut qui desti barbari crudeli e il dover temere ogni dì,
bus libertas, Antiocho pulso, pax, Gallis domitis, nè mai sapere sin dove, quasi infuriata procella,
data esset, non gratulatum modo venerant, sed si sarebbono spinti a saccheggiare. Quindi come
coronas etiam aureas, prosuis quaeque facultati gente, cui, scacciando Antioco, s'era data la liber
bus, attulerant. Et ab Antiocho legati, et ab ipsis tà, e, domando i Galli, la pace, non eran venuti
Gallis, ut pacis leges dicerentur, et ab Ariarathe soltanto a congratularsi, ma avean recato seco
rege Cappadocum venerunt, ad veniam petendam, corone d'oro, ogni città secondo sua possa. E
luendamque pecunia noxam, quod auxiliis Antio vennero pur anche ambasciatori da Antioco e
chum juvisset, Huic sexcenta talenta argenti sunt dagli stessi Galli a riceverle leggi della pace, e
imperata. Gallis responsum, quum Eumenes rex da Ariarate, re de' Cappadoci, a chiedere perdo
venisset, tum daturum iis leges : civitatium lega no e a fare ammenda pecuniaria per aver dato
tiones cum benignis responsis, laetiores etiam aiuto ad Antioco. Ad Ariarate furono imposti sei
quam venerant, dimissae. Antiochi legati pecu cento talenti. A Galli fu risposto che quando
niam in Pamphyliam, frumentumque ex pacto fosse tornato il re Eumene, si darebbon loro le
cum L. Scipione foedere jussi advehere; eo se condizioni della pace. Le ambascerie delle città,
cum exercitu venturum. Principio deinde veris, licenziate con benigne risposte, se ne tornarono
lustrato exercitu, profectus, die octavo Apameam più liete, che non eran venute. I legali di Antio
venit. Ibi triduum stati vis habitis, tertiis rursus co ebbero ordine di trasportare il danaro e il
ab Apamea castris in Pamphyliam, quo pecuniam grano convenuto con Lucio Scipione nella Pan
frumentumque regios convehere jusserat, perve filia; il proconsole si sarebbe colà recato coll'eser
nit. Mille et quingenta talenta argenti accepta cito. Indi partitosi sul principio della primavera,
Apameam deportantur: frumentum exercitui di fatta la rassegna delle sue genti, giunse l'ottavo
viditur. Inde ad Pergam ducit; quae una in iis giorno ad Apamea. Fermatosi quivi tre dì, dopo
locis regio tenebatur praesidio. Appropinquanti tre altri da Apamea si recò nuovamente nella
praefectus praesidii obvius fuit, triginta dierum Panfilia, dove avea comandato che le genti del
tempus petens, ut regem Antiochum de urbe tra re trasportassero il danaro ed il grano. I mille e
denda consuleret. Dato tempore, ad eam diem cinquecento talenti d'argento, che avea ricevuti,
praesidio decessum est. A Perga, L. Manlio fratre son portati ad Apamea: il grano è diviso all'eser
cum quatuor millibus militum Oroanda, ad reli cito. Indimena i suoi a Perga, la sola città che
quum pecuniae ex eo, quod pepigerant, exigen in que luoghi fosse tenuta da presidio regio. Al
dum, misso. ipse, quia Eumenem regem et decem suo avvicinarsi, il comandante del presidio se gli
legatos ab Roma Ephesum venisse audierat, jus fe' incontro, chiedendo il tempo di trenta giorni
sis sequi Antiochi legatis, Apameam exercitum per consultare il re sulla consegna della città,
reduxit.
Concedutogli questo tempo, come fu spirato, il
presidio si ritirò. Da Perga, mandato il fratello
Lucio Manlio con quattro mila uomini ad Oroan
da a riscuotere il rimanente danaro pattuito, egli,
udito avendo ch'erano giunti da Roma ad Efeso
il re Eumene e i dieci legati, detto agli ambascia
tori di Antioco che il seguitassero ricondusse
l'esercito ad Apamea.
XXXVIII. Ibi ex decem legatorum sententia XXXVIII. Quivi col parere dei dieci legati fu
foedus in haec verba fere cum Antiocho conscri conchiusa l'alleanza con Antioco a un di presso
ptum est: « Amicitia regi Antiocho cum populo con queste parole: « Vi sarà amicizia tra il re
Romano his legibus et conditionibus esto. Ne Antioco ed il popolo Romano con queste leggi e
quem exercitum, qui cum populo Romano sociisve condizioni. Il re non lasci passare pe' confini del
bellum gesturus erit, rex per fines regni sui, suo regno, o di quei che saranno sotto il suo
eorumve, qui sub ditione eius erunt, transire dominio, nessun esercito, il quale sia per fare
sinito; neu commeatu, neu qua alia ope juvato. guerra al popolo Romano, o suoi alleati; nè gli
Idem Romani sociique Antiocho, et iis, qui sub soccorra con vettovaglie, od altro checchessia. Lº
imperio eius erunt, praestent. Belli gerendi jus stesso usino i Romani ei loro alleati con Antiocº
Antiocho me esto cum iis, qui insulas colunt, e con quelli, che saranno sotto di lui. Nºn abbia
Livio 2 77
1 2 10 'l'ITI LIVII LIBER XXXVIII. I 22 o

neve in Europam transeundi. Excedito urbibus, Antioco facoltà di muover guerra a quelli, che
agris, vicis, castellis cis Taurum montem usque abitan le isole, nè di passare in Europa. Esca dalle
ad Halyn amnem, et a valle Tauri usque ad città, terre, borghi, castella di qua dal monte
jnga, qua in Lycaoniam vergit. Ne qua arma Tauro sino al fime Tanai, e dalla valle del Tauro
efferto, ex iis oppidis, agris, castellisque, quibus sino alla sua cima, che guarda la Licaonia. Non
excedat: si qua extulit, quae quoque oportebit, asporti nessuna sorte di armi dalle fortezze, terre
recte restituito. Ne militem, neu quem alium ex e castelli, da'quali uscirà; e se n'avranno asporta
regno Eumenis recipito. Si qui earum urbium to, di buona fede le rimetta dove occorrerà. Non
cives, quae regno abscedunt, cum rege Antiocho dia ricetto a nessun soldato, nè a nessun altro del
intraque fines ejus regni sunt, Apameam omnes regno di Eumene. Se alcuni cittadini delle città,
ante diem certam redeant. Qui ex regno Antio che si stralciano dal regno di Antioco, fossero
chi apud Romanos sociosque sunt, iis jus abeundi con lui, o nelle sue terre, tutti tornino ad Apamea
manendique esto. Servos, seu fugitivos, seu bello a un tempo determinato. Quelli del regno di An
captos, seu qui liber captus aut transfuga erit, tioco, i quali sono presso i Romani e loro alleati,
reddito Romanis sociisque. Elephantos tradito possano a lor piacimento rimanere o andarsene.
omnes, neque alios parato. Tradito et naves lon Gli schiavi o i fuggitivi o i presi in guerra, e gli
gas armamentaque earum : neve plures, quam uomini liberi o presi o fuggitivi sieno restituiti
decem naves actuarias, nulla quarum plus quam ai Romani e loro alleati. Consegni tutti gli ele
triginta remis agatur, habeto; neve monerem fanti, nè altri se ne procacci. Consegni anche le
ex belli causa, quod ipse illaturus erit. Neve ma navi lunghe e i loro attrecci, nè abbia più di
vigato citra Calycadnum, neve Sarpedonem, pro dieci legni da trasporto, nessuno de' quali ado
montoria; extra quam, si qua navis pecuniam, peri più di trenta remi; nè altro legno minore,
stipendium, aut legatos, aut obsides porta bit. per occasione di guerra, che intendesse egli di
Milites mercede conducendi ex iis gentilus, quae muovere. Non navighi di qua dai promontorii
sub ditione populi Romani sunt, Antiocho regi Calicadno o Sarpedone, eccetto se in alcun luogo
jus ne esto; ne voluntarios quidem recipiendi. portasse danaro, stipendio, ambasciatori o stati
Rhodiorum sociorumve quae aedes aedificiaque chi. Non abbia dritto Antioco di trar soldati
intra fines regni Antiochi sunt, quo jure ante da paesi, che sono sotto il dominio de' Romani,
bellum fuerunt, eo Rhodiorum sociorumvesunto. nè anche di accettarli, se volontarii. Le case ed
Si quae pecuniae debentur, earum exactio esto. altre fabbriche de' Rodiani o loro alleati, che so
Si quid ablatum est, id conquirendi, cognoscendi, no dentro i confini del regno di Antioco, godano
repetendique jus item esto. Si quas urbes, quas gli stessi dritti, che godevano avanti la guerra.
tra di oportet, ii tenent, quibus Antiochus dedit, Se son lor dovuti danari, possano riscuoterli. Se
et ex iis praesidia deducito; utique recte tradan fu loro tolto checchessia, abbian dritto di ricer
tur, curato. Argenti probi duodecim millia Attica carlo, riconoscerlo e ripeterlo. Se vi sono alcune
talenta dato intra duodecim annos pensionibus città, di quelle che si debbono consegnare, che
aequis (talentum ne minus pondo octoginta Ro ritenute sieno da coloro, a quali Antioco le diede,
manis ponderibus pendat), et tritici quingenta ne tragga fuori i presidii e si adopri, perchè sieno
quadra ginta millia modim. Eumeni regi talenta lealmente restituite. Dia in dodici anni, in rate
trecenta quinquaginta intra quinquennium dato; eguali, dodici mila talenti Attici di buon argento
e pro frumento, quod aestimatione fiat, talenta (il talento non pesi meno di ottanta libbre Ro
centum viginti septem. Obsides Romanis viginti mane) e cinquecento quaranta mila moggia di
dato, et triennio mutato; ne minores octonum grano. Dia pure al re Eumene, in cinque anni,
denùm annorum, neu majores quinòm quadra trecento cinquanta talenti e cento ventisette ta
genùm. Si qui sociorum populi Romani ultro lenti pel frumento, secondo la stima da farsi.
bellum inſerent Antiocho, vim vi arcendi jus Consegni a Romani venti ostaggi, e ogni tre anni
esto; dum ne quam urbem aut belli jure teneat, li cambi, non minori di diciotto anni, non mag
aut in amicitiam accipiat. Controversias inter se giori di quarantacinque. Se alcuno degli alleati
jure ac judicio disceptanto, aut, si utrisque pla del popolo Romano movesse guerra ad Antioco,
cebit, bello. ” De Hannibale Poeno, et Aetolo gli sia lecito respingere la forza con la forza,
Thoante, et Mnasilocho Acarnane, et Chalciden purchè non ritenga nessuna città per dritto di
sibus Eubulida et Philone dedendis, in hoc quo guerra, o la riceva in amicizia. Le controversie
que foedere adscriptum est; et ut, si quid postea tra loro sieno discusse per via di ragione e ci -
addi, demi, mutarive placuisset, ut id salvo vilmente, ovvero, qualora così piacesse ad ambe
foedere ficrct. le parti, per via di guerra. » Anche in questo
trattato fu stipulata la consegna di Annibale Car
I 22 I TITI LIVII LIBER XXXVIII. i 22 e

taginese, di Toante Etolo, di Mnasimaco Acarna


no e dei Calcidiesi Eubolida e Filone, e checchè
in appresso piacesse di aggiungere, levare o mu
tare, si facesse, fermo il trattato.
XXXIX. Consul juravit in hoc foedus: ab XXXIX. Il console giurò l'osservanza del
rege qui exigerent jusjurandum, profecti Q. Mi trattato. A ricevere il giuramento del re partiro
nucius Thermus et L. Manlius, qui tum forte ab no Quinto Minucio Termo e Lucio Manlio, il
Oroandis rediit. Et Q. Fabio Labeoni, qui classi quale a caso in quel tempo tornato era dagli
praeerat, scripsit, ut Patara extemplo proficisce Oroandi. E scrisse a Quinto Fabio Labeone, co
retur, quaeque ibi naves regiae essent, conci mandante della flotta, che andasse subito a Patara
deret cremaretoue. Profectus ab Epheso, quin e mettesse in pezzi e bruciasse le navi regie, che
quaginta tectas naves aut concidit, aut incendit. vi fossero. Partitosi Labeone da Efeso ruppe o
Telmissum eadem expeditione, territis subito bruciò cinquanta navi coperte: in quella stessa
adventu classis oppidanis, recepit. Ex Lycia pro spedizione, spaventati i terrazzani dalla subita
tinus, jussis ab Epheso sequi, qui ibi relicti erant, comparsa della flotta, ricuperò Telmisso. Incon
per insulas in Graeciam trajecit. Athenis paucos tanente dalla Licia, dato ordine a quanti rimasti
moratus dies, dum Piraeeum ab Epheso naves erano in Efeso che il seguitassero, attraversando
venirent, totam inde classem in Italiam reduxit. le isole, passò in Grecia. Fermatosi pochi dì in
Cm. Manlius quum intercetera, quae accipienda Atene, sino a che le navi da Efeso venissero al
ab Antiocho erant, elephantos quoque accepisset, Pireo, ricondusse indi tutta la flotta in Italia.
donoque Eumeni omnes dedisset; deinde causas Gneo Manlio avendo tra l'altre cose, che ritrar
civitatium, multis inter novas res turbatis, co doveva da Antioco, ricevuto anche gli elefanti e
gnovit. Et Ariarathes rex, parte dimidia pecuniae regalatili tutti ad Eumene, si die' di poi a cono
imperatae, Eumenis beneficio, cui desponderat scere le cause delle città, molte delle quali erano
per eos dies filiam, remissa, in amicitiam est scompigliate per le accadute novità. E il re Aria
acceptus. Civitatium autem cognitis causis, decem rate, rilasciatagli per amore di Eumene la metà
legati aliam aliarum fecerunt conditionem. Quae del danaro impostogli, al quale avea quel re
stipendiariae regi Antiocho fuerant, et cum po sposata in que” dì la figliuola, fu accettato nel
pulo Romano senserant, iis immunitatem dede l'amicizia de' Romani. Riconosciute pertanto le
runt: quae partium Antiochi fuerant, aut stipen cause delle città, dieci legati regolarono diversa
diariae Attali regis, eas omnes vectigal pendere mente la sorte di quelle e di queste. A quelle,
Eumeni jusserunt. Nominatim praeterea Colo che avean pagato tributo al re Antioco ed erano
phoniis, qui in Notio habitant, et Cymaeis, et state del partito Romano, diedero l'immunità :
Mylasenis immunitatem concesserunt. Clazome quelle che avean seguito Antioco, o avean pagato
miis, super immunitatem, et Drymusam insulam tributo al re Attalo, vollero che tutte queste il
dono dederunt; et Milesiis, quem sacrum appel pagassero ad Eumene. Inoltre concedettero no
lant, agrum restituerunt; et Iliensibus Rhoeteum minatamente l'immunità ai Colofonii che abita
et Gergithum addiderunt, non tam ob recentia no in Nozio, ai Cimei ed ai Milasenii. Oltre l'im
ulla merita, quam originum memoria. Eadem et munità diedero in dono ai Clazomenii anche l'iso
Dardanum liberandi causa fuit. Chios quoque et la Drimusa, e restituirono ai Milesii, il territorio
Smyrnaeos et Erythraeos, pro singulari fide, che chiamano sacro, ed aggiunsero gli Iliesi Reteo
quam eo bello praestiterunt, et agro donarunt, e Gergito, non tanto pe' recenti loro meriti,
et in omni praecipuo homore habuerunt. Pho quanto in memoria della comune origine. Questa
caeensibus et ager, quem ante bellum habuerant, stessa fu la cagione di liberare Dardano. Anche
redditus ; et, ut legibus antiquis uterentur, per a Chii, agli Smirnei ed Eritrei, per la singolare
missum. Rhodiis affirmata, quae data priore de lor fede in questa guerra, donarono alquante
creto erant; Lycia et Caria datae usque ad Mae terre, e gli onorarono quanto mai. Si restituì ai
andrum amnem, praeter Telmissum. Regi Fiume Focesi il territorio, che aveano avuto avanti la
ni Chersonesum in Europa et Lysimachiam, ca guerra, e si permise che usassero le antiche lor
stella, vicos, agros, quibus finibus tenuerat An leggi. Si confermò a Rodiani tutto quello, ch'era
tiochus, adjecerunt: in Asia Phrygiam utramque stato lor conceduto nell'antecedente decreto, e
(alteram ad Hellespontum, majorem alteram vo furon date la Licia e la Caria sino al fiume
cant), et Mysiam, quam Prusias rex ademerat,Meandro, escluso Telmisso. Aggiunsero al re Eu
ei restituerunt; et Lycaoniam, et Milyada, et
mene il Chersoneso in Europa, e Lisimachia e i
castelli, borghi, terreni dentro i confini, ne' quali
Lydiam, et nominatim urbes Tralles, atque Ephe
sum et Telmissum. De Pamphylia disceptatum, gli avea posseduti Antioco: gli restituirono in
1 223 T ITI LIVII LIBER XXXVIII. 1224
inter Eumenem et Antiochi legatos quum esset, Asia l'una e l'altra Frigia, ( una presso all'El
quia pars ejus citra, pars ultra Taurum est, in lesponto, l'altra detta maggiore) non che la Mi
tegra res ad senatum rejicitur. sia, che gli avea tolta il re Prusia, e parimenti la
Licaonia e Miliada e la Lidia e nominatamente
le città di Tralle, di Efeso e Telmisso. Essendo
insorta questione rispetto alla Panfilia tra Eume
ne e i legati di Antioco, perchè una parte stava
di qua e una parte di là dal monte Tauro, ne fm
rimessa la decisione al senato.
XL. His foederibus decretisque datis, Manlius, XL. Firmati questi trattati e decreti, Manlio
cum decem legatis omnique exercitu ad Helle partitosi alla volta dell'Ellesponto co'dieci legati
spontum profectus, evocatis eo regulis Gallorum, e con tutto l'esercito, chiamati colà i capi
leges, quibus pacem cum Eumene servarent, de Galli, dettò le leggi, secondo le quali si stes
dixit; denunciavitdue, ut morem vagandi cum sero in pace con Eumene, e intimò loro che
armis finirent, agrorumque suorum terminis se mettessero fine all'usanza di andar vagando in
continerent. Contractis deinde ex omni ora na arme e si stessero dentro i confini delle lor terre.
vibus, et Eumenis etiam classe per Athenaeum Indi raccolti navigli da tutta la costa e venuta
fratrem regis ab Elaea adducta, copias omnes in anche da Elea la ſlotta di Eumene, condotta da
Europam trajecit. Inde, per Chersonesum modi Ateneo, fratello del re, trasportò tutte le sue
cis itineribus grave praeda omnis generis agmen genti in Europa. Di là traendosi dietro a piccole
trahens, Lysimachiae stativa habuit; ut quam giornate pel Chersoneso l'esercito grave d'ogni
maxime recentibus et integris jumentis Thraciam, sorta di preda, si fermò alcun poco in Lisimachia,
per quan iter vulgo horrebant, ingrederetur. onde entrar nella Tracia, per cui comunemente
Quo profectus est ab Lysimachia die, ad amnem, abborrivano i suoi di passare, co giumenti freschi
Melama quem vocant, inde postero die Cypsela e vegeti più che potesse. Il giorno che partì da
pervenit. A Cypselis via decem millium fere Lisimachia, arrivò al fiume detto Melana; il dì
silvestris, angusta, confragosa excipiebat: propter seguente a Cipsela. Da Cipsela entrarono in una
cujus difficultatem itineris in duas partes divisus via di quasi dieci miglia, selvosa, angusta e rotta,
exercitus: et praecedere una jussa, altera magno per la cui malagevolezza l'esercito fu diviso in
intervallo cogere agmen, media impedimenta in due parti, e fatto che una precedesse, l'altra a
terposuit; plaustra cum pecunia publica erant, grande intervallo chiudesse l'ordinanza, frappo
pretiosaque alia praeda. Itaque, quum per saltum se nel mezzo gl'impedimenti ; ci erano i carri
iret, Thracum decem haud amplius millia ex col pubblico danaro e l'altra preda di gran va
quatuor populis, Astii, et Caeni, et Maduatemi, et lore. Camminando per codeste strettezze, dieci
Coreli, ad ipsas angustias viam circumsederunt. mila uomini e non più, dei quattro popoli della
Opinio erat, non sine Philippi regis Macedonum Tracia, Asti, Ceni, Maduateni e Coreli, fecero
fraude id factum : eum scisse, non alia, quam per un'imboscata presso le strettezze medesime. Era
Thraciam, redituros Romanos, et quantam pe opinione che ciò si fosse fatto non senza intelli
cuniam secum portarent. In primo agmine im genza di Filippo re'de' Macedoni: aver egli sa
perator erat, sollicitus propter iniquitatem loco puto che i Romani non sarebbon tornati per
rum. Thraces nihil se moverunt, donec armati altra via che per la Tracia, e quanto gran danaro
transirent. Postguam primos superasse angustias seco portavano. Nella prima schiera stava il su
viderunt, postremos nondum appropinquantes, premo comandante, non senza pensiero per la
impedimenta et sarcinas invadunt ; caesisque difficoltà del cammino. I Traci non si mossero
custodibus, partim ea, quae in plaustris erant, punto sino a tanto che gli armati passarono. Come
diripere, partim sub oneribus jumenta abstrahere. videro che i primi avean superate le strettezze, e
Unde postguam clamor primum ad ecs, qui, jam che gli ultimi non ancora si avvicinavano, piom
ingressi saltum, sequebantur, deinde etiam ad bano addosso agl'impedimenti e bagagli, e am
primum agmen est perlatus, utrimoue in medium mazzatine i custodi, mettonsi parte a saccheggiare
concurritur, et inordinatum simul pluribus locis i carri, parte a menar via i giumenti colle lor
proelium conseritur. Thracas praeda ipsa impedi some. Quindi, poi che le grida giunsero primie
tos oneribus, et plerosque (ut ad rapiendum ma ramente a quelli, che seguivano, indi eziandio
nus vacuas haberent) inermes ad caedem praebet; agli altri della prima schiera, da una parte e dal
Romanos iniquitas locorum, barbaris per calles l'altra si corre al mezzo e si appicca in più luo
notos occursantibus, et latentibus interdum per ghi ad un tempo disordinata battaglia. La stessa
cavas valles, prodebat. Ipsa etiam onera plaustra preda offre alla strage i Traci, impacciati, come
i 225 TITI LIVII LIBER XXXVITI. 1226

que, ut fors tulit, his autillis incommode objecta, erano, dai charichi e la maggior parte disarmati,
pugnantibus impedimento sunt: alibi praedo, onde aver le mani vote a rapire; facea danno
alibi praedae vindex cadit. Prout locus iniquus a Romani la malvagità de'luoghi, correndo loro
aequusve his aut illis, prout animus pugnantium addosso i barbari da noti sentieri e talvolta ap
est, prout numerus (alii enim pluribus, quam piattati nelle cavità delle valli. Le some e i carri
ipsi erant, alii paucioribus occurrerant), varia stessi, frapposti come vuole il caso, tra questi e
pugnae fortuna est: multi utrimogue cadunt. Jam quelli, sono d'impaccio ai combattenti: qui cade
nox appetebat, quum proelio excedunt Thraces, chi fe' la preda, colà chi vuole riceverla. Secon
non fuga vulnerum aut mortis, sed quia satis do che il luogo è svantaggioso o favorevole a
praedae habebant. questi o a quelli, secondo il coraggio de'combat
tenti, secondo il numero (che altri s'imbatteva
no in maggiore, altri in minor numero di nemi
ci, ch'essi non erano ) varia è la sorte della pu
gna: molti però ne cadono d'ambe le parti. Già
la notte si avvicinava, quando i Traci si ritirano,
non per tema di ferite o di morte, ma perchè
già paghi della preda fatta.
XLI. Romanorum primum agmen extra sal XLI. La prima schiera de' Romani, uscita dal
tum circa templum Bendidium castra loco aperto le strettezze, si accampò in luogo aperto presso al
posuit: pars altera ad custodiam impedimento tempio Bendidio: l'altra parte rimase nel mezzo
rum medio in saltu, duplici circumdata vallo, del bosco a custodire i bagagli, circondata da dop
mansit. Postero die, prius explorato saltu, quam pio steccato. Il dì seguente, esplorato tutto il bo
moverent, primis se conjungunt. In eo proelio, sco innanzi che si movessero, si riuniscono a pri
quum et impedimentorum pars et calonum, et mi. Essendosi perduta in quella zuffa parte dei
milites aliquot, quum passim toto prope saltu bagagli e del saccomanni ed alquanti soldati, poi
pugnaretur, cecidissent, plurimum Q. Minucii chè bisognò combattere qua e colà sparsamente
Thermi morte dammi est acceptum, fortis ac per tutta la boscaglia, il maggior danno s'ebbe
strenui viri. Eo die ad Hebrum ſlumen perven dalla morte di Quinto Minucio Termo, uomo ga
tum est: inde Aeniorum fines praeter Apollinis, gliardo e coraggioso. In quel dì si venne al fiume
Zerynthium quem vocant incolae, templum su Ebro: indi superano i confini degli Eni di là dal
perant. Aliae angustiae circa Tempyra excipiunt tempio di Apollo, detto da paesani Zerintio. Al
( hoc loco nomen est), nec minus confragosae, tre strettezze trovarono intorno a Tempira (così
quam priores ; sed, quia nihil silvestre circa est, chiamano quel luogo), nè men aspre delle prime;
ne latebras quidem ad insidiandum praebent. ma perchè non ci son boscaglie d'intorno, non
Huc ad eamdem spem praedae Thrausi (gens et danno opportunità agli agguati. Quivi accorsero
ipsa Thracum) convenere: sed, quia nudae valles, colla stessa speranza di predare, i Trausi, popoli
procul ut conspicerentur angustias obsidentes, anch'essi della Tracia; ma perchè le valli ignude
efficiebant, minus terroris tumultusque fuit apud facevano che si potesse vederli da lungi appostati
Romanos: quippe etsi iniquo loco, proeliotamen ne passi stretti, fu assai minore la paura e lo scom
justo, acie aperta, collatis signis dimicandum erat. pigliamento dei Romani; perciocchè quantunque
Conferti subeuntes cum clamore, impetu facto, in luogo svantaggioso, pure si aveva a combattere
primum expulere loco hostes; deinde avertere: in battaglia ordinata, a schiere distese, a bandiere
fuga inde caedesque, suis ipsos impedientibus spiegate. I Romani, procedendo stretti insieme,
angustiis, fieri coepta est. Romani victores ad piombando addosso a costoro con grandi grida,
vicum Maronitarum (Saren appellant) posue primieramente li cacciaron di luogo, poi li misero
runt castra: postero die patenti itinere Priaticus in volta: indi si cominciò a farne strage, impediti
campus eos excepit; triduumque ibi, frumentum nella fuga dalle angustie stesse de luoghi. I Ro
accipientes, manserunt, partim ex agris Maroni mani vincitori si accamparono presso alla borgata
tarum, conferentibus ipsis, partim ex navibus de' Maroniti, che chiamano Sare. Il dì seguente
suis, quae cum omnis generis commeatu seque per aperto cammino la pianura Priatica gli accol
bantur. Ab stativis diei via Apolloniam fuit: hinc se, e stettersi quivi tre giorni a ricevere il fru
per Abderitarum agrum Neapolim perventum est. mento, parte somministrato dagli stessi Maroniti,
Hoc omne per Graecorum colonias pacatum iter parte dalle loro navi, che li seguitavano con ogni
fuit: reliquum inde per medios Thracas, dies sorte di vettovaglie. Da questo luogo ad Apollo
noctesque, etsi non infestum, suspectum tamen, mia non fuvvi che una giornata: indi a traverso
donecin Macedoniam per venerunt, Mitiores Thra del contado degli Abderiti si venne a Neapoli.
i 227 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 1223

cas idem exercitus, quan a Scipione eadem via Tutto questo cammino per le colonie greche fu
duceretur, habuerat, nullam ob aliam causam, tranquillo: il rimanente, di dì e di notte per
quam quod praedaemimus, quod peteretur, fuerat. mezzo a Traci, benchè non molestato, fu però
Quamquam tum quoque Claudius auctor est, ad sospetto sino a che giunsero in Macedonia. Questo
quindecim millia Thracum, praecedenti ad explo stesso esercito, condotto da Scipione per la me
randa loca agmen Mutini Numidae occurrisse: desima strada, avea trovato i Traci più miti, non
quadringentos equites fuisse Numidas, paucos per altra ragione, se non se perchè c'era allora
elephantos. Mutinis filium per medios hostes cum manco preda da sperare. Sebbene Claudio scrive
centum quinquaginta delectis equitibus perrupis essersi anche allora da quindici mila Traci fatti
se: eumdem mox, quum jam Mutines, in medio incontro al Numida Mutina, che precedeva l'eser
elephantis collocatis, in cornua equitibus dispo cito a riconoscere i luoghi: non essere stati i Nu
sitis, manum cum hoste conseruisset, terrorem midi più di quattrocento cavalli e pochi elefanti.
ab tergo praebuisse; atque inde turbatos equestri Il figlio di Mutina essersi scagliato in mezzo a ne
velut procella hostes ad peditum agmen non mici con cento e cinquanta scelti cavalieri: poco
accessisse. Cm. Manlius per Macedoniam in Thes di poi, come Mutina, posti nel centro gli elefanti
saliam exercitum traduxit: inde per Epirum e disposti sulle ale i cavalli, ebbe appiccata la
Apolloniam quum pervenisset, nondum adeo zuffa, aver egli assaltato i Traci alle spalle; e che
hiberno contempto mari, ut trajicere auderet, quindi i nemici, scompigliati da questa quasi
Apolloniae hibernavit. equestre procella, non eransi accostati alle schiere
de'fanti. Gneo Manlio, passando pel mezzo della
Macedonia, condusse l'esercito in Tessaglia: indi
essendo giunto per l'Epiro in Apollonia, non
disprezzando ancora il mare iemale sì fattamente,
che osasse passarlo, svernò in Apollonia.
XLII. Exitu prope anni M. Valerius consul XLII. Quasi sul finire dell'anno il console
ex Liguribus ad magistratus subrogandos Romam Marco Valerio dalla Liguria venne a Roma a fare
venit, nulla memorabili in provincia se gesta, ut i nuovi magistrati, non avendo fatto cosa nel suo
ea probabilis morae causa esset, quod solito se governo, che gli valesse di lodevole scusa, perchè
rius ad comitia venisset. (Anno U. C. 565. – A. venuto fosse così tardi a comizii. (Anni D. R.
C. 187.) Comitia consulibus rogandis fuerunt 565. – A. C. 187.) Si tennero i comizii per la
ante diem duodecimum Kalendas Martias: creati elezione del consoli avanti il giorno duodecimo
M. Aemilius Lepidus, C. Flaminius. Postero die delle calende di Marzo. Furono eletti Marco Emi
praetores facti Ap. Claudius Pulcher, Ser. Sulpi lio Lepido e Caio Flaminio. Il dì seguente creati
cius Galba, Q. Terentius Massiliota, Q. Fulvius furono pretori Appio Claudio Pulcro, Sergio
Flaccus, M. Furius Crassipes. Comitiis perfectis, Sulpicio Galba, Quinto Terenzio Culleone, Lu
quas provincias praetoribus esse placeret, retulit cio Terenzio Massiliota, Quinto Fulvio Flacco e
ad senatum consul: decreverunt duas Romae, ju Marco Furio Crassipede. Finiti i comizii, il con
ris dicundi causa; duas in Italia Tarentum et Gal sole propose al senato quali province assegnar
liam. Et extemplo, priusquam inirent magistra volesse a pretori. Due ne decretarono a Roma a
tum, sortiri jussi. Ser. Sulpicius urbanam, Q. Te render ragione; due fuori d'Italia, la Sicilia e la
rentius peregrinam est sortitus. L. Terentius Si Sardegna; due in Italia, Taranto e la Gallia, e fu
ciliam, Q. Fulvius Sardiniam, Ap. Claudius Taren loro ingiunto che subito, prima che pigliassero
tum, M. Furius Galliam. Eo anno L. Minucius il magistrato, le tirassero a sorte. Ebbe quindi
Myrtilus et L. Manlius, quod legatos Carlhagi Sergio Sulpicio la giurisdizione urbana, Quinto
nienses pulsasse dicebantur, jussu M. Claudii prae Terenzio la Sicilia, Quinto Fulvio la Sardegna,
toris urbis per Feciales traditi sunt legatis, et Car Appio Claudio Taranto, Marco Furio la Gallia.
thaginem e vecti. In Liguribus magni belli, et gli In quest'anno Lucio Minucio Mirtilo e Lucio
scentis in dies magis, fama erat: itaque consulibus Manlio, perchè si diceva che avessero percosso
novis, quo die de provinciis et de republica retu gli ambasciatori Cartaginesi, per ordine del pre
lerunt, senatus utrisque Ligures provinciam de tore urbano Marco Claudio consegnati furono
crevit. Huic senatusconsulto Lepidus consulin dai Feciali ai legati Cartaginesi e trodotti a Car
tercedebat, « Indignum esse praedicans, consules tagine. Si parlava di una guerra grande e ogni dì
ambos in valles Ligurum includi. M. Fulvium et più minacciosa nella Liguria; ond'è che il senato
Cn. Manlium biennium jam, alterum in Europa, il dì che fu consultato dai nuovi consoli intorno
alterum in Asia, velut pro Philippo atque Antio alle province ed allo stato della repubblica,
cho substitutos, regnare. Si exercitus in his terris assegnò ad ambedue la Liguria. Si opponeva a
1229 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 123o

esse placeat, consules iis potius, quan privatos, questo decreto il console Lepido, dicendo, «Esser
praeesse oportere. Vagari eos cum belli terrore cosa indegna, che ambedue i consoli confinati
per nationes, quibus bellum indictum non sit, fossero nelle valli della Liguria. Già da due anni
pacem pretio venditantes. Si eas provincias e Marco Fulvio e Gneo Manlio, quasi sostituiti in
xercitibus obtinere opus esset, sicut M.'Acilio luogo di Filippo e di Antioco, regnavano uno in
L. Scipio consul, L. Scipioni M. Fulvius et Cn. Europa e l'altro in Asia. Se si vuole che gli eser
Manlius successissent consules; ita Fulvio Man citi si rimangano in que paesi, debbono essere
lioque C. Livium et M. Valerium consules de comandati piuttosto dai consoli, che da uomini
buisse succedere. Nunc certe, perfecto Aetolico privati; andavan essi col terrore dell'armi va
bello, recepta ab Antiocho Asia, devictis Gallis, gando per nazioni, alle quali non fu intimata la
aut consules ad exercitus consulares mitti, aut guerra, vendendo la pace a prezzo. Se fosse
reportari legiones inde, reddique tandem reipu d'uopo ritenere cogli eserciti quelle province,
blicae debere. » Senatus, his auditis, in sententia avrebbon dovuto succedere i consoli Caio Livio
perseveravit, ut consulibus ambobus Ligures pro e Marco Valerio a Fulvio ed a Manlio, com'era
vincia esset: Manlium Fulviumque decedere de succeduto a Manio Acilio il console Lucio Scipio
provinciis, et exercitus inde deducere, ac redire ne, e a Lucio Scipione i consoli Marco Fulvio
Romam, placuit, e Gneo Manlio. Ora certamente finita la guerra
Etolica, avuta l'Asia da Antioco, vinti i Galli, o
si doveano mandare i consoli agli eserciti conso
lari, o richiamar le legioni e restituirle finalmente
alla repubblica. Il senato, udito questo, perseve
rò nondimeno nel parere, che ambedue i consoli
comandassero nella Liguria: piacque bensì che
Manlio e Fulvio si partissero dalle loro province,
ne ritraessero gli eserciti e tornassero a Roma.
XLIII. Inimicitiae inter M. Fulvium et M. XLIII. Era inimicizia tra Marco Fulvio e il

Aemilium consulem erant: et super cetera Aemi console Marco Emilio, e tra le altre cagioni Emi
lius, serius biennio se consulem factum M. Fulvii lio stimava d'essere stato fatto console due anni

opera, ducebat. Itaque ad invidiam ei faciendam più tardi per opera di Marco Fulvio. Quindi a
legatos Ambracienses in senatum, subormatos cri suscitargli odio introdusse in senato gli ambascia
minibus, introduxit. Qui a sibi, quum in pace tori di Ambracia, avendoli subornati ad accusar
essent, imperataque a prioribus consulibus fecis lo. Lagnavansi e che essendo in pace, ed avendo
sent, et eadem praestare obedienter M. Fulvio eseguito gli ordini de consoli antecedenti, ed
parati essent, bellum illatum questi, agros primum essendo presti egualmente a quelli di Marco Ful
depopulatos, terrorem direptionis et caedis urbi vio, questi avea primieramente a mano armata
injectum, ut eo metu claudere cogerentur portas: devastate le campagne e messa la città in paura di
obsessos deinde et oppugnatos se, et omnia exem saccheggiamenti e di stragi, onde per tal modo
pla belli edita in se, caedibus, incendiis, ruinis, obbligarli a chiuder le porte; che poscia avendoli
direptione urbis: conjuges, liberos in servitium assediati e vinti, avea lor fatto provare tutti gli
abstractos: bona adempta, et quod se ante omnia orrori della guerra cogli ammazzamenti, coglin
moveat, templa tota urbe spoliata ornamentis: cendii, colle rovine, col sacco della città: tratte
simulacra deiùm, deos immo ipsos, convulsos ex in ischiavitù le mogli ed i figliuoli, rapite le so
sedibus suis, ablatos esse; parietes postesque nu stanze, e ciò che maggiormente lor duole, spo
datos, quos adorent, ad quos precentur et suppli gliati degli ornamenti i tempii tutti della città,
cent, Ambraciensibus superesse. ” Haec queren via portate le statue degli dei, anzi gli dei mede
tes, interrogando criminose ex composito, consul simi strappati dalle lor sedi; non altro rimanere
ad plura, velut non sua sponte dicenda, eliciebat. agli Ambraciesi che le nude mura e le porte dei
Motis Patribus, alter consul C. Flaminius M. Ful loro tempii, dove recare le loro adorazioni, dove
vii causam excepit; qui, a veterem et obsoletam orare e supplicare. “ Dietro sì fatte querele, il
viam ingressos Ambracienses, dixit. Sic M. Mar console interrogandoli, giusta il concertato, in
cellum a Syracusamis, sic Q. Fulvium a Campa sembianza di redarguirli, li tirava a dire, quasi
mis accusatos. Quin eadem opera T. Quintium a contro lor voglia, più altre cose. Essendo i Padri
Philippo rege, M.'Acilium et L. Scipionem ab commossi, l'altro console Caio Flaminio assunse
Antiocho, Cn. Manlium a Gallis, ipsum M. Ful la difesa di Marco Fulvio dicendo, a che s'eran
vium ab Aetolis et Cephalleniae populis accusari messi gli Ambraciesi per antica via e già da gran
paterentur. Ambraciam oppugnatam et captan, tempo abbandonata. Nella stessa guisa erano già
123 i TITI LIVII LIBER XXXVIII. 1232

et signa inde ornamentaque ablata, et cetera fa stati accusati Marco Marcello dai Siracusani,
cta, quae captis urbibus soleant, negaturum aut nella stessa Quinto Fulvio dai Campani. Anzi
me pro M. Fulvio, aut ipsum M. Fulvium cense perchè non soffrirebbono che nella stessa guisa
tis, Patres conscripti? qui ob has res gestas trium il re Filippo accusasse Tito Quinzio, Antioco
phum a vobis postulaturus sit, Ambraciam ca Manio Acilio e Lucio Scipione, i Galli Gneo Man
ptam, signaque, quae ablata criminantur, et cete lio, gli Etoli ei popoli della Cefallenia lo stesso
ra spolia ejus urbis ante currum laturus, et fixu Marco Fulvio º Vi pensate, o Padri coscritti, che
rus in postibus suis. Nihil est, quod se ab Aetolis io per Marco Fulvio, o Fulvio stesso sia per ne.
separent: eadem Ambraciensium et Aetolorum gare, che Ambracia fu combattuta e presa, che se
causa est. Itaque collega meus vel in alia causa ne sono portate via le statue e gli ornamenti e
inimicitias exerceat, vel si in hac utique mavult, quant'altro si suol fare pigliando le città ? Egli,
retineat Ambraciensessuos in adventum M. Ful che appunto per queste imprese verrà a chieder
vii. Ego nec de Ambraciensibus, nec de Aetolis vi il trionfo, e porterà davanti al carro l'immagi
decerni quidquam, absente M. Fulvio, patiar. » ne della presa Ambracia e le statue, che gli si dà
carico di aver tolte, e le altre spoglie di quella
città, onde appenderle alle porte della sua casa.
Non v'ha di che si dividano dagli Etoli; è una
stessa causa quella degli Ambraciesi e degli Etoli.
Quindi il mio collega o eserciti in altro soggetto
la sua mimicizia; ovvero, se vuole in questo, riser
bi i suoi Ambraciesi alla venuta di Marco Fulvio.
Quanto a me, non soffrirò che sia fatto alcun
decreto in assenza di Marco Fulvio, nè in propo
sito degli Ambraciesi,nè in proposito degli Etoli.”
XLIV. Quum Aemilius callidam malitiam ini XLIV. Emilio, accusando la fina malizia del
mici, velut omnibus notam, insimularet, et tem suo avversario, come cosa già nota a tutti, e di
pus eum morando extracturum diceret, ne con cendo ch'egli trarrebbe indugiando l'affare in
sule inimico Romam veniret; certamine consu lungo per non venire a Roma sino a tanto che vi
lum biduum absumptum est: nec praesente Fla fosse il console suo avversario; la lotta de'conso
minio decerniquidquam videbatur posse. Captata li consumò due giorni: e pareva che presente
occasio est, quum aeger forte Flaminius abesset; Flaminio, non si sarebbe potuto decretarnulla.
et, referente Aemilio, senatusconsultum factum Fu colta l'occasione che Flaminio era a caso
est, a Ut Ambraciensibus omnes suae res redde assente per malattia, e a proposta di Emilio fu
rentur: in libertate essent, ac legibus suis ute decretato, a Che si rendessero agli Ambraciesi
rentur: portoria, quae vellent, terra marique tutte le robe loro; fossero liberi e vivessero con
caperent, dum eorum immunes Romani ac socii le loro leggi; esigessero per mare e per terra
Latini nominis essent. Signa aliaque ornamenta, tutte le gabelle che volessero, purchè ne andasse
quae quererentur ex aedibas sacris sublata esse, ro esenti i Romani e i loro alleati. Quanto alle
deiis, quum M. Fulvius Romam revertisset, pla statue ed agli altri ornamenti, che si lagnavano
ceread collegium pontificum referri, et, quod ii essere stati levati dai tempii, piacere al senato
censuissent, fieri. » Neque his contentus consul che come Fulvio fosse tornato a Roma, se ne
fuit, sed postea per infrequentiam adjecit sena facesse riferta al collegio del pontefici, e se ne di
tusconsultum, « Ambraciam non videri vi captam sponesse secondo il lor parere. » Nè fu contento
esse. » Supplicatio inde, ex decemvirorum decre il console di tutto ciò, ma poi, colta l'occasione
to, pro valetudine populi fuit per triduum, quia di scarso numero, aggiunse altro decreto, se non
gravis pestilentia urbem atque argos vastabat. parere che Ambracia sia stata presa di viva for
Latinaeinde fuerunt. Quibus religionibus liberati za. » Indi per ordine dei decemviri si son fatte
consules, et delectu perfecto (novis enim uterque per tre giorni pubbliche preci per la salute del
maluit uti militibus), in provinciam profecti popolo Romano; perciocchè grande pestilenza
sunt, veteresque omnes dimiserunt. Post consu disertava la città e la campagna. Di poi si cele
lum profectionem Cn. Manlius proconsul Romam brarono le feste Latine. I consoli, soddisfatto
venit; cui quum ab Ser. Sulpicio praetore senatus ch'ebbero a religiosi doveri, compiuta la leva
ad aedem Bellonae datus esset, et ipse, commemo (chè l'uno e l'altro preferì di usare soldati nuo
ratis rebus ab se gestis, postulasset, ut ob eas vi), andarono alla loro provincia e licenziarono
diis immortalibus honos haberetur, sibique trium tutti i veterani. Dopo la partenza del consoli, il
phanti urbem invehi liceret; contradixerunt pars proconsole Gneo Manlio venne a Roma; al quale
1233 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 1234
major decem legatorum, qui cum eo fuerant, et avendo data udienza il senato, convocato da Ser
ante alios L. Furius Purpureo, et L. Aemilius gio Sulpicio pretore nel tempio di Bellona, ed
Paullus. avendo egli, rammentate le imprese sue, doman
dato che si facessero per quelle ringraziamenti
agli dei immortali e gli fosse conceduto di entrare
trionfante in città, se gli oppose la maggior parte
dei dieci legati, ch'erano stati con lui, e tra gli
altri Lucio Furio Purpureone e Lucio Emilio
Paolo.
XLV. « Legatos sese Cn. Manlio datos pacis XLV. « Eran eglino stati dati legati a Gneo
cum Antiocho faciendae causa, foederisque et le Manlio ad oggetto di far la pace con Antioco e
gum, quae cum L. Scipione inchoatae fuissent, stabilire i patti e l'accordo, ch'era già stato inta
perficiendarum. Cn. Manlium summa ope telen volato con Lucio Scipione. Avea Gneo Manlio
disse, ut eam pacem turbaret, et Antiochum, si fatto ogni sforzo per turbare codesta pace e co
sui potestatem fecisset, insidiis exciperet; sed gliere in agguato Antioco, se questi si fosse lascia
illum, cognita fraude consulis, quum saepe collo to attrappare; ma egli, scoperta la frode del
quiis petitis captatus esset, non congressum modo, console, essendo stato parecchie volte uccellato
sed conspectum etiam ejus vitasse. Cupientem con ricercati abboccamenti, e questi avea schivati
transire Taurum aegre omnium legatorum preci ed eziandio la vista di lui. Bramoso di passare il
bus, ne carminibus Sibyllae praedictam superan monte Tauro, a gran pena n'era stato ritenuto
tibus terminos fatales cladem experiri vellet, re dalle preghiere di tutti i legati, acciocchè non
tentum: admovisse tamen exercitum, et propeipsis volesse, varcando i termini fatali, provarla rovi
jugis ad divortia aquarum castra posuisse. Quum ma predetta da versi Sibillini : vi si era però
nullam ibi causam belli invenirent, quiescentibus accostato con l'esercito e s'era accampato quasi
regiis, circumegisse exercitum ad Gallograecos: sulla vetta, donde le acque si dividono. Non tro
cui nationi non ex senatus auctoritate, non po vando quivi cagione alcuna di guerra, standosi
puli jussu, bellum illatum. Quod quem umquam del tutto quiete le genti del re, avea rivolto
de sua sententia facere ausum ? Antiochi, Philip l'esercito contro i Gallogreci, alla cui nazione
pi, Hannibalis et Poenorum recentissima bella portò la guerra senza l'autorità del senato, senza
esse: de omnibus his consultum senatum, popu il comandamento del popolo. Chi osò far questo
lum jussisse: saepe legatos ante missos, res re mai di suo solo parere? Sono recentissime le
petitas, postremo, qui bellum indicerent, missos. guerre di Antioco, di Filippo, di Annibale e dei
Quid eorum, Cn. Manli, factum est, ut istud pu Cartaginesi; per tutte queste fu consultato il
blicum populi Romani bellum, et non tuum pri senato, il popolo le comandò. Sovente si son
vatum latrocinium ducamus? At eo ipso conten mandati innanzi legati; fu chiesta soddisfazione:
tus fuisti; recto itinere duxisti exercitum ad eos, in fine si mandò ad intimare la guerra. Che fu
quos tibi hostes desumpseras; an et per omnes fatto di tutto questo, o Gneo Manlio, sì che pos
anfractus viarum, quum ad bivia consisteres, siamo dire questa essere stata guerra pubblica
ut, quo flexisset agmen Attalus Eumenis frater, del popolo Romano, e non tuo privato ladroneo
eo consul mercenarius cum exercitu Romano cio? Ma fosti pago di questo ? guidasti diretta
sequereris, Pisidiae, Lycaoniaeque, et Phrygiae mente l'esercito contro coloro, che ti avevi scelti
recessus omnes atque angulos peragrasti, stipem a nemici? o non piuttosto, girando per tutte le
a tyrannis castellanisque deviis colligens? Quid svolte delle strade, fermandoti ai bivii, perse
enim tibi cum Oroandis ? quid cum aliis aeque guire coll'esercito Romano, console mercenario,
innoxiis populis? Bellum autem ipsum, cujus dove Attalo, fratello di Eumene, piegasse il cam
nomine triumphum petis, quo modo gessisti ? mino, visitasti tutti i recessi, tutti gli angoli
Loco aequo, tempore tuo pugnasti ? Tu vero della Pissidia, della Licaonia e della Frigia, rac
recte, ut diis immortalibus honos habeatur, po cogliendo danari dai tiranni e dai castellani fuori
stulas: primum, quod pro temeritate imperato di strada? E in fatti, che avevi a fare cogli
ris, nullo jure gentium bellum inferentis, poenas Oroandi? che con altri popoli egualmente inno
luere exercitum noluerunt; deinde, quod belluas, centi? E la guerra stessa, per la quale chiedi il
non hostes, nobis objecerunt. n trionfo in qual modo l'hai fatta? Hai scelto per
combattere luoghi vantaggiosi, tempo opportu
no? Per verità chiedi giustamente, che si ringra
zino gli dei immortali, primieramente perchè
non vollero che l'esercito pagasse º fio della te
Livto 2 7
TITI LIVII LIBER XXXVIII. 1236

merità del suo comandante, che portava la guerra


altrui contro il dritto delle genti; indi perchè ci
hanno messo a fronte non uomini, ma bestie. »
XLVI. « Nolite nomen tantum existimare XLVI. « Non vogliate credere che ne' Gallo
mixtum esse Gallograecorum : multo ante et greci sia meschiato il solo nome; già da molto
corpora et animi mixti ac vitiati sunt. An, si illi tempo sono viziati e meschiati d'animo e di cor
Galli essent, cum quibus millies vario eventu in po. Forse che se coloro, co' quali si è pugnato
Italia pugnatum est, quantum in imperatore no mille volte in Italia con vario evento, fossero stati
stro fuit, nuncius illincredisset? Bis cum iis pu veri Galli, per quanto stette nel nostro coman
gnatum est, bisloco iniquo subiit, in valle infe dante, sarebbe tornato nessun de'nostri a recarci
riore pedibus pene hostium aciem subjecit: ut nuove del fatto ? Due volte combattemmo con
non tela ex superiore loco mitterent, sed corpora loro; due volte s'inoltrò egli in luogo svantag
sua nuda injicerent, obruere nos potuerunt. Quid gioso e calò l'esercito in profonda valle, quasi
igitur incidit? Magna fortuna populi Romani est, sotto a piedi del nemico, in guisa che, se sca
magnum et terribile momen. Recenti ruina Han gliato avessero dall'alto, non dirò frecce, ma
nibalis, Philippi, Antiochi, prope attoniti erant, soltanto i loro corpi ignudi, ci potevano schiac
tantae corporum moles. Fundis sagittisque in fu ciare. Che dunque ne avvenne? È grande la for
gam consternati sunt : gladius in acie cruentatus tuna, grande e terribile il nome del popolo Ro
non est Gallico bello: velut avium examina, ad mano. Dalla recente ruina di Annibale, di Filippo
crepitum primum missilium avolavere. At, her e di Antioco rimasero quasi istupidite quelle
cule, nos iidem (admonente fortuna, quid, si immense corporature. Le sole fionde e saette li
hostem habuissemus, casurum fuisset), quum volsero in fuga spaventati: non insanguinossi
redeuntes in latrunculos Thracas incidissemus, l'acciaro in codesta Gallica guerra; volaron via
caesi, fugati, exuti impedimentis sumus. Q. Mi come stuolo d'augelli, al primo strepito del saet
nucius Thermus, in quo haud paullo plus damni tume. Ma noi, per fede mia (ammonendoci la
factum est, quam si Cn. Manlius, cujus temerita fortuna di ciò che ci sarebbe accaduto, se aves
te ea clades inciderat, perisset, cum multis viris simo avuto a rincontro un degno nemico), es
fortibus cecidit; exercitus, spolia regis Antiochi sendo nel ritorno caduti in una banda di pochi
referens, trifariam dissipatus, alibi primum, alibi Traci ladroncelli, siamo stati tagliati a pezzi,
postremum agmen, alibi impedimenta, interve messi in fuga, spogliati de'bagagli. Cadde con
pres in latebris ferarum noctem unam delituit. molti altri valorosi Quinto Minucio Termo, la
Pro his triumphus petitur? Si nihil in Thracia cui perdita ci recò poco minor danno, che se
cladis ignominiaeque foret acceptum, de quibus perito fosse Gneo Manlio, la di cui temerità
hostibus triumphum peteres? de iis, utopinor, ci avea tratto in quella sciagura; l'esercito tor
quos tibi hostes senatus aut populus Romanus nando carico delle spoglie di Antioco, diviso
dedisset. Sic huic L. Scipioni, sicilli M'. Acilio in tre parti, qua la prima schiera, l'ultima colà,
de rege Antiocho, sic paullo ante T. Quintio de i bagagli altrove, si appiattò una notte intera
rege Philippo, sic P. Africano de Hannibale et tra le macchie ne' covili delle fiere. E per code
Poenis et Syphace, triumphus datus: et minima ste imprese si chiede il trionfo ? Se anche non
illa, quum jam senatus censuisset bellum, quaesita si fosse ricevuta in Tracia nessun'onta, nessun
tamen sunt, quibus nunciandum esset: ipsis uti danno, di quai nemici però chiederesti di trion
queregibus nunciaretur; an satis esset ad praesi fare? di quelli, penso, che ti furono assegnati
dium aliquod nunciari? Vultis ergo haec omnia dal senato o dal popolo Romano. Così fu dato
pollui et confundi? tolli Fecialia jura? nullos esse il trionfo a questo Lucio Scipione, così a quel
Feciales? Fiat (pace deim dixerim) jactura reli Manio Acilio del re Antioco, così poco innanzi
gionis; oblivio deorum capiat pectora vestra. a Tito Quinzio del re Filippo, così a Publio
Num senatum quoque de bello consuli non pla Africano di Annibale e dei Cartaginesi e di Si
cet? non ad populum ferri, velint, jubeamtne cum face. Ed avendo il senato già decretata la guerra.
Gallis bellum geri ? Modo certe consules Grae pure non ommisero quelle piccole avvertenze,
ciam atque Asiam volebant: tamen perseveran a chi si dovesse denunziarla, se veramente a quei
tibus vobis, Ligures provinciam decernere, dicto re medesimi in persona, o se bastasse ad alcun
audientes fuerunt. Merito ergo a vobis, prospere nemico presidio vicino. Volete dunque guastare
bello gesto, triumphum petent, quibus auctoribus e confondere tutte codeste cose ? annientar le
gesserunt. » leggi Feciali ? che più non sianvi Feciali ? via,
dirollo con pace degli dei, si sagrifichi la reli
gione; dimenticatevi degli dei. Non volete ne
1237 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 1238

anche che si consulti il senato, se si abbia a far


guerra ? che non si proponga al popolo, se gli
piace che si guerreggi coi Galli? Certo ultima
mente i consoli bramavano la Grecia e l'Asia;
nondimeno, perseverando voi nell'assegnar loro
la Liguria, ubbidirono. Meritamente bensì, come
abbian essi finita prosperamente la guerra, vi
chiederanno il trionfo, come quelli, che per
comando vostro l'avran fatta. »
XLVII. Talis oratio Furii et Aemilii fuit. Man XLVII. Tale si fu l'orazione di Furio e di
lium in hunc maxime modum respondisse acce Emilio, alla quale dicesi che rispondesse Manlio
pimus : « Tribuni plebis antea solebant trium a un di presso in codesta guisa: « Solevano nei
phum postulantibus adversari, Patres conscripti. tempi andati, o Padri coscritti, essere i tribuni
Quibus ego gratiam habeo, quod seu mihi, seu della plebe quelli che si opponevano a chi do
magnitudini rerum gestarum hoc dederunt, ut mandava il trionfo. Ai quali porgo i miei ringra
non solum silentio comprobarent honorem meum, ziamenti, perchè, o abbiano ciò fatto a mio riguar
sed referre etiam, si opus esset, viderentur parati do, o a riguardo delle grandi imprese da me ese
esse. Ex decem legatis, si diis placet, quod consi guite, non solo col silenzio assentirono all'onore,
lium dispensandae cohonestandaeque victoriae che domando, ma si son mostrati anche pronti, se
imperatoribus majores dederunt nostri, adversa fosse occorso, a farne essi medesimi la proposta.
rios habeo. L. Furius, L. Aemilius currum trium Ma trovo, così piacendo al cielo, gli avversarii
phalem me conscendere prohibent, coronam in miei tra i dieci legati, che i nostri maggiori asse
signem capiti detrahunt; quos ego, si tribuni me gnarono sempre ai supremi comandanti onde
triumphare prohiberent, testescitaturus fui rerum trar profitto e dare più lustro alla vittoria. Lucio
a me gestarum. Nullius equidem invideo honori, Furio e Lucio Emilio mi vietano di ascendere
Patres conscripti. Vos tribunos plebei nuper, vi il carro trionfale, e mi strappano dalla fronte la
ros fortes ac strenuos, impedientes Q. Fabii La nobile corona; che son pur quelli, la cui testi.
beonis triumphum, auctoritate vestra deterrui monianza, se i tribuni mi contendessero il trion
stis: triumphavit, quem non bellum injustum ges fo, avrei ricercata. Quanto a me, non porto
sisse, sed hostem omnino non vidisse, inimici ja invidia, o Padri coscritti, all'onore di nessuno.
ctabant. Ego, qui cum centum millibus ferocis Voi, non ha molto, colla vostra autorità disto
simorum hostium signis collatis toties pugnavi, glieste dall'impresa i tribuni della plebe, uomini
qui plus quadraginta millia hominum cepi aut fermi e coraggiosi, che si opponevano al trionfo
occidi, qui bina castra eorum expugnavi, qui di Quinto Fabio Labeone: trionfò quegli, il
citra juga Tauri omnia pacatiora, quam terra Ita quale, secondo dicevano gli avversarii suoi, non
lia est, reliqui, non triumpho modo fraudor, sed avea fatto una guerra ingiusta, ma non avea
causam apud vos, Patres conscripti, accusantibus veduto mai la faccia del nemico. Io che tante
meis ipse legatis, dico. Duplex eorum, ut ani volte ho combattuto a bandiere spiegate contro
madvertistis, Patres conscripti, accusatio fuit: cento mila ferocissimi nemici, che ne ho presi
nam, nec gerendum mihi fuisse bellum cum Gal o ammazzati più di quaranta mila, che ho tolto
lis, et gestum temere atque imprudenter, dixe loro due alloggiamenti, che ho lasciati i paesi
runt. Non erant Galli hostes, sed tu eos pacatos di qua dal monte Tauro più tranquilli, che non
imperata facientes violasti. Non sum postulaturus è la stessa Italia, io non solamente son frodato
a vobis, Patres conscripti, ut, quae communiter del trionfo, ma debbo difendermi dinanzi a voi,
de immanitate gentis Gallorum, de in festissimo o Padri coscritti, accusato da miei stessi legati.
odio in nomen Romanum scitis, ea de illis quo Ha due capi, come vedete, o Padri coscritti, la
que, qui Asiam incolunt, existimetis Gallis. Re loro accusa; perciocchè dissero, ch'io non dovea
mota universae gentis infamia atque invidia, per pigliar guerra coi Galli, e che la fu da me scon
se ipsos aestimate. Utinam rex Eumenes, utinam sigliatamente e imprudentemente amministrata.
Asiae civitates omnes adessent, etillos potius que Non erano i Galli nostri nemici, ma tu, mentre
rentes, quam me accusantem, audiretis ! Mittite, quieti si prestavano ai comandi, gli hai contro
agedum, legatos circa omnes Asiae urbes, et quae ragione assaltati. Non vi chiederò, Padri coscritti,
rite, utra graviori servitute, Antiocho ultra Tau che quanto comunemente vi è moto della crudele
riiuga emoto, an Gallis subactis, liberati sint? fierezza de'Galli, dell'odio loro atrocissimo con
Quoties agri eorum vastati sint, quoties praedae tro il nome Romano, quello stesso pensar vogliate
abactae, reſerant; quum vix redimendi captivos anche de' Galli, abitatori dell'Asia. Lasciata a
1239 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 124o
copia esset, et mactatas humanas hostias immola parte l'infamia e la malevolenza di tutta intera
tosque liberos suos audirent. Stipendium, scito la nazione, giudicateli soltanto in sè stessi. Pia
te, pependisse socios vestros Gallis, et nunc, li cesse al cielo, che fossero pur presenti e il re
beratos per vos regio imperio, fuisse pensuros, si Eumene e le città tutte dell'Asia, e che gli udiste
a me foret cessatum ». essi piuttosto, che me loro accusatore. Su via
mandate legati per tutte le città dell'Asia e cer
cate da qual più pesante servitù sieno stati sgra
vati, cacciato Antioco di là dal monte Tauro,
ovvero domati i Galli? Dicano quante volte le
loro terre furono devastate, quante volte depre
date, potendosi a gran pena redimere i prigioni,
e udendo sagrificate umane vittime ed immolati
i loro figliuoli. Sappiate che i vostri alleati han
pagato tributo ai Galli, ed ora che gli avete
liberati dalla regia dominazione, il pagherebbero
ancora, se io mi fossi rimasto ozioso. »
XLVIII. « Quo longius Antiochus emotus es XLVIII. «Quanto Antioco fosse stato mandato
set, hoc impotentius in Asia Galli dominarentur; più lungi, tanto più prepotentemente avrebbono
et, quidquid est terrarum citra Tauri juga, Gal i Galli signoreggiato nell'Asia, e tutto quant'è
lorum imperio, non vestro, adiecissetis. Atenim il paese di qua dal monte Tauro, l'avreste aggiun
sunt quidem ista vera: etiam Delphos quondam, to al dominio de' Galli, non al vostro. Sì, questo
commune humani generis oraculum, umbilicum senza dubbio è tutto vero: i Galli spogliarono
orbis terrarum, Galli spoliaverunt; mec ideopo anche Delfo, oracolo un tempo comune a tutte le
pulus Romanus his bellum indixit, aut intulit. nazioni, bellico di tutto il mondo; non però per
Equidem aliquid interesse rebar inter id tempus, questo il popolo Romano intimò, o mosse loro
quo nondum in jure ac ditione vestra Graecia la guerra. Veramente io mi credeva che ci fosse
atque Asia erat, ad curandum animadvertendum qualche differenza tra il tempo, nel quale la Gre
que, quid in his terris fieret; et hoc, quo finem cia e l'Asia non erano ancor in poter vostro, per
imperii Romani Taurum montem statuistis, quo ciò che risguarda il badare ed osservare quello,
libertatem immunitatemve civitatibus datis, quo che si facesse in que paesi, ed il tempo presente,
aliis fines adjicitis, alias agro mulctatis, aliis vecti nel quale segnaste a confine del Romano impero
gal imponitis; regna augetis, minuitis, donatis, il monte Tauro, nel quale date ad altre città la
adimitis; curae vestrae censetis esse, ut pacem libertà e l'immunità, ed altre ampliate i confini,
terra marique habeant. An, nisi praesidia dedu ad altre in pena togliete parte delle terre, ad al
xisset Antiochus, quae quieta in suisarcibus erant, tre imponete tributo, accrescete, diminuite, dona
non pntaretis liberatam Asiam? si Gallorum exer te, levate i regni, e vi credete in dover di badare
citus effusi vagarentur, rata doma vestra, quae de che stiansi in pace per mare per terra. Se Antioco
distis, regi Eumeni, rata libertas civitatibus esset? non avesse levati i presidii, che pure stavansi
Sed quid ego haec ita argumentor, tamquam quieti nelle città loro assegnate, non credereste
non acceperim, sed fecerim hostes Gallos? Te, liberata ? l'Asia e se gli eserciti de'Galli andassero
L. Scipio, appello, cuius ego mihi, succedens in qua e là sparsi vagando, credereste stabili e fermi
vicem imperii tui, virtutem felicitatemque pari i doni che faceste al re Eumene, stabile la libertà
ter non fràstra ab diis immortalibus precatus che deste alle citta ? Ma a che vo io argomentan
sum; te, P. Scipio, qui legati jus, collegae maje do in questa guisa, quasi che io non abbia rice
statem, et apud fratrem consulem, et apud exer vuti, ma io stesso m'abbia fatto i Galli nemici?
citum habuisti; sciatisme, in exercitu Antiochi A te mi appello, o Lucio Scipione, la cui virtù e
Gallorum legiones fuisse ? videritis in acie eos, felicità, succedendoti nel comando, ho chiesta, e
in cornu utroque (id enim roboris esse videba non invano, agli dei immortali ; a te, o Publio
tur) locatos? pugmaveritis, ut cum hostibus ju Scipione, che avesti e presso il fratello console e
stis? cecideritis? spolia eorum retuleritis ? Atqui presso l'esercito i dritti di legato e la dignità
cum Antiocho, non cum Gallis, bellum et senatus rispettabile di collega, se sappiate essere state
decreverat, et populus jusserat. Sed simul, ut nell'esercito di Antioco le legioni de' Galli ? se
opinor, cum his decreverant jusserantgue, qui gli abbiate veduti collocarsi nell'una e nell'altra
intra eius praesidia fuissent: ex quibus, praeter ala, dove appunto si scorgeva il maggior nerbo ?
Antiochum, cum quo pacem pepigerat Scipio, et se abbiate combattuto contro i medesimi, come
cum quo nominatim foedus ut fieret, mandavera con nemici dichiarati ? se gli tagliaste a pezzi e
1241 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 1242
tis, omnes hostes erant, qui pro Antiocho arma ne riportaste le loro spoglie? Ma il senato avea
adversus mostulerunt. In qua causa quum Galli decretata, il popolo comandata la guerra contro
ante omnes fuissent, et reguli quidem et tyranni; Antioco, non contro i Galli; ma certo, penso,
ego tamen et cum aliis, pro dignitate imperii l'aveano decretata contro tutti quelli, che fossero
vestri coactis luere peccata sua, pacem pepigi; et stati con lui; tra quali, oltre Antioco, col quale
Gallorum animos, si possent mitigari a feritate avea Scipione pattuita la pace, e col quale avevate
insita, tentavi; et, postouam indomitos atque im ordinato che si facesse nominatamente accordo,
placabiles cernebam, tum demum vi atque armis eran tutti nostri nemici quelli, che avean portate
coércendos ratus sum. Nunc, quoniam suscepti l'armi contro di noi a favore di Antioco. Nel cui
belli purgatum est crimen, gesti reddenda est partito essendo stati i Galli innanzi a tutti, ed al
ratio: in quo confiderem equidem causae meae, cuni altri piccoli principi e tiranni, nondimeno
etiamsi non apud Romanum, sed apud Carthagi cogli altri, sforzatili per la dignità del vostro
niensem senatum agerem; ubi in crucem tolli im impero a pagar la debita pena, ho conchiusa la
peratores dicuntur, si prospero eventu, pravo pace, e quanto a Galli, ho saggiato gli animi loro,
consilio rem gesserunt. Sed ego in ea civitate, se mitigar si potesse quell'innata loro fierezza, e
quae ideo omnibus rebus incipiendis gerendisque poi che gli ebbi scorti indomiti ed implacabili,
deos adhibet, quia nullius calumniae subjicit ea, allora finalmente ho pensato che si dovesse
quae dii comprobaverunt, et in solemnibus ver frenarli colla forza e coll'armi. Ora, poi che mi
bis habet, quum supplicationem aut triumphum sono purgato d'aver pigliata questa guerra, debbo
decernit, a Quod bene ac feliciter rempublicam render ragione del modo, con cui l'ho ammini
administrarit; » si mollem, si grave ac superbum strata; su di che confiderei del tutto nella mia
existimarem virtute gloriari, pro felicitate mea causa, se avessi a trattarla, non presso il Romano,
exercitusque mei, quod tantam nationem sine ulla ma presso il senato Cartaginese, dove pur si dice
militum jactura devicimus, postularem, ut diis mettersi in croce i comandanti, se guerreggiaro
immortalibus honos haberetur, et ipse trium no con prospero evento, ma con mal sano consi
phans in Capitolium ascenderem, unde, votis glio. Io però in quella città, che nel dar mano e
rite muncupatis, profectus sum: negaretis hoc corso a qualsiasi impresa invoca gli dei per que
mihi cum diis immortalibus ? » sto, perchè non sottomette a censura quelle, che
approvate furono dagli dei, e quando decreta o
pubbliche preci, ovvero il trionfo, usa le solenni
parole, « perchè ha egli bene e felicemente am
ministrata la repubblica; º se non volessi, se
stimassi invidiosa e superba cosa gloriarmi del
mio valore, pur chiederei che in vista della mia
e della felicità dell'esercito mio, per aver noi
vinto sì grande nazione senza alcun danno de'no
stri, che se ne rendesse onore agli dei immortali,
e salirei trionfante al Campidoglio, donde, com
piuti debitamente i riti, mi son dapprima partito:
ricusereste questo a me, questo agli dei im
mortali ? »

XLIX. « Iniquo enim loco dimicavi. Dic igi XLIX. « Ma ho combattuto in luogo svantag
tur, quo aequiore potuerim dimicare? Quum gioso. Mi si dica adunque in qual altro più van
montem hostes cepissent, loco munito se tenerent, taggioso avrei potuto combattere ? Poi che i
nempe eundum ad hostes erat, si vincere vellem. nemici avean pigliato il monte, si tenevano chiusi
Quid ? si urbem eo loco haberent, et moenibus in luogo fortificato, certo, se io voleva vincere,
se tenerent? nempe oppugnandi erant. Quid ? ad dovetti andare a nemici. E che ? se avessero
Thermopylas aequone loco M.' Acilius cum rege avuto in quel luogo una città, se si fossero tenuti
Antiocho pugnavit? Quid ? Philippum non eo dentro le mura? Era pur forza combatterli. Di
dem modo super Aoum amnem juga tenentem grazia, alle Termopile Manio Acilio combattè
montium T. Quintius dejecit? Equidem adhuc, forse con Antioco in luogo vantaggioso ? Tito
qualem aut sibi fingant, aut vobis videri velint Quinzio non cacciò egli similmente al basso
hostem fnisse, non invenio. Si degenerem et emol Filippo, che occupava presso al fiume Aoo le
litum amoenitate Asiae, quid periculi vel iniquo alture de' monti? Per verità, fin'ora non veggo
loco subeuntibus fuit? si timendum et feritate quale si fingano, o quale vogliano che vi sembri
animorum, et robore corporum, huicne tantae essere stato codesto nemico. Se degenere ed am
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victoriae triumphum negatis? Caeca invidia est, mollito dall'ameno clima dell'Asia, v'ebbe peri
Patres conscripti, nec quidquam aliud scit, quam colo a salire all'erta per combatterlo ? se fu ter
detrectare virtutes, corrumpere honores ac prae ribile per la fierezza degli animi e la robustezza
mia earum. Mihi, quaeso, ita ignoscatis, Patres de'corpi, a codesta cotanto insigne vittoria ne
conscripti, si longiorem orationem non cupiditas gate il trionfo? È cieca, Padri coscritti, l'invidia,
gloriandi de me, sed necessaria criminum defen nè altro sa che dispregiare la virtù, guastare le
sio fecit. An etiam per Thraciam saltus patentes, belle imprese ei premii, che si hanno meritato.
qui augusti erant, et plana ex arduis, et culta ex Deh perdonatemi, o Padri coscritti, se non la
silvestribus facere potui, et praestare, necubi no brama di darmi vanto, ma la necessità di difen
tis sibi latebris delitescerent latrones Thraces, ne dermi dalle accuse, ha fatto essere alquanto lunga
quid sarcinarum raperetur, me quod jumentum la orazion mia. Ho anche forse potuto i passi,
ex tanto agmine abstraheretur, ne quis vulnera ch'erano nella Tracia angusti, farli larghi ed
retur, ne ex vulnere vir fortis ac strenuus Q. Mi aperti, piani i luoghi dirupati, coltivatili selvosi,
nucius moreretur ? In hoc casu, quo infeliciter e provvedere che i ladroni Traci non si appiat
incidit, ut talem civem amitteremus, haerent. tassero nelle ad essi note latebre, che non ci
Quod saltu iniquo, loco alieno, quum adortus fosse rapita qualche parte del bagaglio, che di
hostis nos esset, duae simulacies primi etnovis tanta frotta non si menasse via qualche giumento,
simi agminis haerentem ad impedimenta nostra che nessuno fosse ferito, che Quinto Minucio,
exercitum barbarorum circumvenerunt, quod uomo gagliardo e valente, non morisse di sue
multa millia ipso die, plura multo post dies pau ferite? Insistono su questo accidente, per cui
cos ceciderunt et ceperunt; hoc, si ipsi tacuerint, sventuratamente accadde che perdessimo un
vos scituros, quum testis orationis meae totus tanto cittadino; ma che avendoci assalito i nemi
exercitus sit, non credunt? Si gladium in Asia ci in un passo angusto, in luogo disacconcio,
non strinxissem, si hostem non vidissem, tamen l'avanguardia e la retroguardia nostra ad un tem
proconsul triumphum in Thracia duobus proeliis po stesso abbiano avviluppato l'esercito del bar
merueram. Sed jam dictum satis est: quin pro bari, che s'eran fatti addosso a nostri bagagli;
eo, quod pluribus verbis vos, quam volui, fatiga ne abbian ucciso, o preso in quel dì stesso parec
vi, veniam a vobis petitam impetratamque velim, chie migliaia, e da lì a pochi di molte più; que
Patres conscripti. » sto, anche se altri il tacesse, credono che voi nol
sapreste, avendo testimonio dell'orazion mia
tutto l'esercito? Se non avessi sguainato il ferro
nell'Asia, se non avessi veduto in faccia il nimi
co, avrei nondimeno proconsole meritato il trion
fo per le due battaglie della Tracia. Ma il detto
già basta; anzi per quello che vi ho stancati con
più parole che non avrei voluto, e vi chieggo, o
Padri coscritti, e spero impetrar perdono da voi.»
L. Plus crimina eo die, quam defensio, valuis L. Sarebbono più valute in quel giorno le
sent. ni altercationem in serum perduxissent: di accuse che la difesa, se non avessero protratta
mittitur senatus in ea opinione, ut negaturus l'altercazione sino a sera. Il senato fu licenziato
triumphum fuisse videretur. Postero die et co in così fatta opinione, che pareva determinato a
gnati amicique Cn. Manlii summis opibus adnisi negare il trionfo. Il dì seguente i congiunti e gli
sunt, et auctoritas seniorum valuit, negantium, amici di Gneo Manlio si adoprarono con ogni
exemplum proditum memoriae esse, ut impera sforzo, e prevalse l'autorità de' più vecchi, i quali
tor, qui, perduellibus devictis, confecta provin negavano trovarsi esempio che un capitano, il
cia, exercitum reportasset, sine curru et laurea, quale, vinti i ribelli, compiuta la sua missione,
privatus inhonoratusque, urbem iniret. Hic pu ricondotto avesse l'esercito, entrato fosse in città
dor malignitatem vicit, triumphumque frequen senza cocchio, senza corona d'alloro, privato e
tes decreverunt. Oppressit deinde mentionem inonorato. Questo rispetto vinse la malevolenza,
memoriamoue omnem contentionis hujus majus e i Padri con pienezza di suffragii decretarono
et cum majore et clariore viro certamen ortum. il trionfo. Valse in appresso a sopprimere ogni
P. Scipioni Africano (ut Valerius Antias auctor menzione e memoria di codesta contesa altra
est) duo Q. Petillii diem dixerunt. Id, prout cu lotta maggiore e con maggiore e più chiaro uomo
jusque ingenium erat, interpretabantur. Alii non insorta. I due Quinti Petillii (come scrive Valerio
tribunos plebis, sed universam civitatem, quae Anziate ) accusarono Publio Scipione Africano;
id pati posset, incusabant. « Duas maximas orbis il che veniva da ciascheduno interpretato secondo
1245 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 1246
terrarum urbes ingratas uno prope tempore in la diversa maniera di pensare. V'era chi accusava
principes inventas; Romam ingratiorem, si qui non solamente i tribuni della plebe, ma la città
dem victa Carthago victum Hannibalem in exsi tutta, che potesse questo comportare. « Le due
lium expulisset, Roma victrix victorem Africa più grandi città del mondo essersi trovate quasi
num expellat. , Alii, a Neminem unum civem ad un tempo stesso ingrate verso i più illustri
tantum eminere debere, ut legibus interrogari loro cittadini; Roma però più ingrata, percioc
non possit: nihil tam aequandae libertatis esse, chè Cartagine vinta mandò in esiglio Annibale
quam potentissimum quem que posse dicere cau vinto; Roma vincitrice scacciava da sè l'Africa
sam. Quid autem tuto cuiquam, medum summam no vincitore. » Altri, a nessun cittadino dover
rempublicam, permitti, si ratio non sit redden di tanto avanzare gli altri, che non possa essere
da ? Qui jus aequum pati non possit, in eun vim citato dinanzi al tribunali, giusta le leggi; non
haud injustam esse. » Haec agitata sermonibus, v'esser cosa, che più valga a pareggiare la liber
donec dies dicendae causae venit: mec alius antea tà, quanto che qualsiasi più potente possa esser
quisquam, nec ille ipse Scipio consul censorve tratto in giudizio. Qualcosa, non che la somma
majore omnis generis hominum frequentia, quam della repubblica, potrassi a qualsivoglia affidare
reus illo die, in forum est deductus. Jussus dice con sicurezza, s'egli non abbia a rendere ragio
re causam, sine ulla criminum mentione oratio ne? Chi non sa tollerare l'eguaglianza, non ha
nem adeo magnificam de rebus ab se gestis est dritto di lagnarsi che se gli usi violenza. » Cor
exorsus, ut satis constaret, neminem umquam revano così i discorsi insino a tanto, che venne il
meque melius, neque verius laudatum esse. Dice giorno della trattazione della causa. Nè altri mai
bantur enim ab eodem animo ingenioque, a quo ne'tempi immanzi, nè il medesimo Scipione, con
gesta erant; et aurium fastidium aberat, quia pro sole e censore, fu scorto in piazza da maggior
periculo, non in gloriam, referebantur. frequenza di persone d'ogni sorte, come il fu
l'accusato in quel giorno. Intimatogli che si
difendesse, egli, senza far moto dell'accusa, si po
se a tessere sì magnifica orazione delle imprese
sue, che ben appariva nessuno essere stato mai nè
meglio, nè più veracemente lodato. Perciocchè le
narrava con quella grandezza d'animo e di spi
rito, con cui le aveva fatte; nè se ne infastidivano
gli orecchi, perchè si raccontavano a scampo di
pericolo, non a vanto.
LI. Tribuni plebis vetera luxuriae crimina Ll. I tribuni della plebe, avendo a conciliar
Syracusanorum hibernorum, et Locris Pleminia fede alla presente accusa, ripetute le antiche im
num tumultum, quum ad fidem praesentium cri putazioni della morbidezza de'quartieri d'inver
minum retulissent; suspicionibus magis, quam no in Siracusa, del tumulto suscitato in Locri da
argumentis, pecuniae captae reum accusarunt. Pleminio, lo accusaron di aver preso danari ;
c. Filium captum sine pretio redditum, omnibus questo però più con presunzioni, che con prove
que aliis rebus Scipionem, tamquam in eius unius manifeste. « Essergli stato restituito il figlio sen
manu pax Romana bellumque esset, ab Antiocho za prezzo, e aver Antioco in ogni altra cosa ca
cultum. Dictatorem eum consuli, non legatum, reggiato Scipione, come se nelle sole di lui mani
in provincia fuisse; nec ad aliam rem eo profe fosse stata posta la pace, o la guerra col popolo
ctum, quam ut, id quod Hispaniae, Galliae, Sici Romano: esser egli stato al console nella sua
liae, Africae jampridem persuasum esset, hoc provincia dittatore, non legato; nè per altro mo
Graeciae Asiaeque et omnibus ad orientem ver tivo essersi colà recato, se non se perchè, come
sis regibus gentibusque appareret; unum homi già innanzi avea persuaso alla Spagna, alla Gallia,
nem caput columenque imperii Romani esse: alla Sicilia ed all'Africa, così questo stesso appa
sub umbra Scipionis civitatem dominam orbis risse alla Grecia ed all'Asia e a tutti i monarchi
terrarum latere: nutum ejus pro decretis Patrum, e popoli dell'Oriente, un uomo solo essere il
pro populi jussis esse. » Infamia intactum, invi capo e la colonna del Romano impero. La città,
dia, qua possunt, urgent. Orationibus in noctem regina del mondo, starsi appiattata sotto l'ombra
perductis, prodicta dies est. Ubi ea venit, tribuni di Scipione: il cenno di lui tener luogo dei de
in Rostris prima luce consederunt. Citatus reus creti del senato, dei comandamenti del popolo. ,
magno agmine amicorum clientiumque per me Intangibile nell'onore lo premono quanto più
diam concionem ad Rostra subiit, silentioque possono coll'invidia. Protratti i discorsi insino a
facto, « Hoc, inquil, die, tribuni plebis, vosque notte, si differì ad altro giorno. Come questo fu
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Quirites, cum Hannibale et Carthaginiensibus venuto, i tribuni di buon mattino pigliaron posto
signis collatis, in Africa bene ac feliciter pugnavi. alla tribuna. L'accusato, scortato da grande
Itaque, quum hodie litibus et jurgiis supersederi stuolo di amici e di clienti, attraversata la folla,
aequum sit, ego hinc extemplo in Capitolium ad salì a Rostri, e intimato silenzio: « In questo gior
Jovem optimum maximum Junonem que et Mi no, disse, o tribuni della plebe, e voi tutti, o Qui
nervam ceterosque deos, qui Capitolio atque arci riti, ho bene e prosperamente combattuto in
praesident, salutandosibo; hisque gratias agam, Africa a bandiere spiegate con Annibale e coi
quod mihi et hoc ipso die, et saepe alias, egregie Cartaginesi. Laonde essendo conveniente di so
reipublicae gerendae mentem facultatemque de prastare oggi da piati e contese, io me ne andrò
derunt. Vestrum quoque quibus commodum est, incontamente al Campidoglio a salutare Giove
ite mecum, Quirites, et orate deos, ut mei similes ottimo massimo, Giunone, Minerva e gli altri dei,
principes habeatis. 1ta, si ab annis septemdecim che presiedono al Campidoglio ed alla rocca, e
ad senectutem semper vos aetatem meam hono ringrazierolli, che in questo dì medesimo ed
ribus vestris anteistis, ego vestros honores rebus altre fiate sovente m'abbiano dato animo e pote
gerendis praecessi. “ Ab Rostris in Capitolium re di amministrare ottimamente la repubblica.
ascendit. Simul se universa concio avertit et se Chiunque eziandio di voi, cui non sia di disagio,
cuta Scipionem est; adeo ut postremo scribae venite, o Quiriti, e pregate gli dei di aver de'pro
viatoresque tribunos relinquerent, nec cum iis, di cittadini, che mi somiglino; perciocchè se voi,
praeter servilem comitatum et praeconem, qui da miei diciassett'anni sino alla mia vecchiezza,
reum ex Rostris citabat, quisquam esset. Scipio avete sempre precorsa l'età mia co' vostri onori,
non in Capitolio modo, sed per totam urbem ho io pure col far cose grandi gli onori vostri
omnia templa deim cum populo Romano circu precorsi.» Dai Rostri salì al Campidoglio. Tutta
miit. Celebratior is prope dies favore hominum insieme l'assemblea die' di volta e seguitò Sci
et aestimatione verae magnitudinis ejus fuit, pione, in modo che in fine gli scrivani stessi e i
quam quo triumphans de Syphace rege et Car ministri lasciaron soli i tribuni, nè rimase chic
thaginiensibus urbem est invectus. chessia con essi, eccetto la compagnia del loro
schiavi e il banditore, che dai rostri citava l'ac
cusato. Scipione non solamente sul Campidoglio,
ma girando per tutta la città col popolo Romano,
visitò tutti i tempii degli dei. Fu questo giorno
pel favore degli uomini e per così solenne atte
stazione di sua vera grandezza più glorioso per
Scipione che quello stesso, in cui entrò egli in
Roma trionfando del re Siface e di Cartagine.
LII. Hic speciosus ultimus dies P. Scipioni LII. Questo fu l'ultimo giorno che rilusse
illuxit: post quem quum invidiam et certamina glorioso a Publio Scipione. Dopo il quale non
cum tribunis prospiceret, die longiore prodicta, vedendo che morsi dell'invidia e lotte coi tri
in Literninum concessit; certo consilio, ne ad buni, assegnatogli un termine più lungo, si ritirò
causam dicendam adesset. Major animus et natu a Literno, con ferma risoluzione di non più
ra erat, ac majori fortunae assuetus, quam ut comparire a difendersi. Era d'animo e d'indole
reus esse sciret, et submittere se in humilitatem assai maggiore, ed a maggiore fortuna avvezzo
causam dicentium. Ubi dies venit, citarique ab ch'ei si potesse credere accusato e si assoggettasse
sens est coeptus, L. Scipio morbum causae esse, alla bassezza di quelli che si difendono. Come
curabesset, excusabat. Quam excusationem quum fu venuto il giorno e si cominciò a citarlo assente,
tribuni, qui diem dixerant, non acciperent, et ab Lucio Scipione allegava a scusa dell'assenza la
eadem superbia non venire ad causam dicendam malattia; la quale scusa non ammettendo i tri
arguerent, qua judicium et tribunos plebis et con buni accusatori, e dicendo che il non venire a
cionem reliquisset, et, quibus jus de se dicendae difendersi procedeva dalla stessa superbia, colla
sententiae et libertatem ademisset, his comitatus, quale aveva abbandonato il giudizio e i tribuni
velut captos trabens, triumphum de populo Ro della plebe e l'assemblea, e accompagnato da
mano egisset, secessionemdue eo die in Capito quegli stessi, a quali avea tolto il dritto e la liber
lium a tribunis plebis fecisset: a Habetis ergo tà di giudicarlo, quasi traendoli prigioni, avea
temeritatis illius mercedem: quo duce et auctore trionfato del popolo Romano, e s'era in quel di,
nos reliquistis, ab eo ipsi relicti estis: et tantum recandosi al Campidoglio, ribellato dai tribuni
animorum in dies nobis decrescit, ut, ad quem della plebe : « Eccovi, dissero, il frutto della
ante annos septemdecim, exercitum et classem di lui temerità: siete stati abbandonati da quello,
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habentem, tribunos plebis aedilemque mittere in colla cui scorta e consiglio ci avete abbandonati;
Siciliam ausi sumus, qui prehenderent eum, et e di tanto ci viene ogni dì scemando l'animo, che
Romam reducerent, ad eum privatum ex villa sua quegli, al quale osammo, diciassett'anni sono,
extrahendum, ad causam dicendam, mittere non mentre aveva in mano l'esercito e la flotta, man
audeamus ? » Tribuni plebis, appellati ab L. Sci dare in Sicilia i tribuni della plebe e un edile
pione, ita decreverunt, « Si morbi causa excusa ad arrestarlo e ricondurlo a Roma, non abbiamo
retur, sibi placere, accipi eam causam, diemque oggi l'ardire, privato com'egli è, di mandare a
a collegis prodici. » Tribunus plebis eo tempore trarlo fuori della sua villa a dire di sue ragioni? ,
Ti. Sempronius Gracchus erat, cui inimicitiae I tribuni della plebe, invocati da Lucio Scipione,
cum P. Scipione intercedebant. Is, quum vetuisset decretarono, « Poi che si allega la scusa della ma
nomen suum decreto collegarum adscribi, tristio lattia, si debba questa accettare, e che i colleghi
remdue omnes sententiam exspectarent, ita de prolunghino il termine. Era tribuno della plebe
crevit: « Quum L. Scipio excuset morbum esse in quel tempo Tito Sempronio Gracco, il quale
causae fratri, satis id sibi videri. Se P. Scipionem, avea mimicizia con Publio Scipione. Avendo egli
priusquam Romam redisset, accusari non passu vietato che si apponesse il suo nome al decreto
rum: tum quoque, si se appellet, auxilio ei futu de'colleghi, e tutti aspettandosi un più severo
rum, ne causam dicat. Ad id fastigium rebus ge parere, egli così pronunziò: « Adducendo Lucio
stis, honoribus populi Romani, P. Scipionem deo Scipione la malattia a scusa del fratello, questo
rum hominumque consensu pervenisse, ut sub gli pareva bastare. Egli non avrebbe mai per
Rostris reum stare, et praebereaures adolescen messo che Publio Scipione fosse accusato, in
tium conviciis; populo Romano magis deforme, manzi che tornasse a Roma, ed anche allora, se
quam ipsi, sit. » appellerassi a lui, verrà in aiuto suo, onde non
fosse obbligato a difendersi. Era salito Publio
Scipione a tale altezza per le imprese sue, pegli
onori avuti dal popolo Romano, pel consenti
mento unanime degli dei e degli uomini, che
l'obbligarlo a starsi sotto i Rostri in figura di reo
e porgere gli orecchi alle invettive de giovina
stri, cosa era più sconcia e brutta al popolo
Romano, che a lui stesso. »
LIII. Adjecit decreto indignationem : « Sub LIII. Aggiunse a codesto suo decreto un im
pedibus vestris stabit, tribuni, domitor ille Afri peto d'indignazione: « E che ? starassi sotto ai
cae, Scipio? Ideo quatuor nobilissimos duces Poe vostri piedi, o tribuni, Scipione, quel domatore
morum in Hispania, quatuor exercitus fudit fu dell'Africa? Avrà egli per questo sconfitti, volti
gavitdue: ideo Syphacem cepit, Hannibalem de in fuga nella Spagna quattro nobilissimi capitani,
vicit, Carthaginem vectigalem nobis fecit, Antio quattro eserciti dei Cartaginesi ? per questo prese
chum (recepit enim fratrem consortem hujus Siface, vinse Annibale, ci fe tributaria Cartagine,
gloriae L. Scipio) ultra Tauri juga emovit, ut cacciò Antioco (perciocchè Lucio Scipione pigliò
duobus Petilliis succumberet, vos de P. Africano il fratello a compagno di questa sua gloria) di là
palmam peteretis? Nullisne meritis suis, nullis dai gioghi del monte Tauro, acciocchè il soper
vestris honoribus umquam in arcem tutam et ve chiassero i due Petillii, e voi cercaste di trionfare
lut sanctam clari viri pervenient, ubi, si non ve di Publio Scipione? Non fia dunque giammai
nerabilis, inviolata saltem senectus eorum consi che per nessun merito proprio, per nessun onore
dat ? » Movit et decretum, et adjecta oratio non da voi conseguito gli uomini insigni pervengano
ceteros modo, sed ipsos etiam accusatores; et, de a ricovrarsi in sicura e quasi sagrosanta rocca,
liberaturos se, quid sui juris et officii esset, dixe ove se non veneranda, almeno inviolata si riposi
runt. Senatus deinde, concilio plebis dimisso, ha la lor vecchiezza? E il decreto e le aggiunte
beri est coeptus. Ibi gratiae ingentes ab univer parole commossero non solamente gli altri, ma
so ordine, praecipue a consularibus senioribusque, eziandio gli stessi accusatori, e dissero che avreb
Ti. Graccho actae sunt, quod rempublicam pri bono deliberato quel che fosse di lor diritto e
vatissimultatibus potiorem habuisset; et Petillii dovere. Indi, licenziata l'assemblea del popolo,
vexati sunt probris, quod splendere aliena invidia si cominciò a tener il senato. Quivi infinite grazie
voluissent, et spolia ex Africani triumpho pete rendute furono da tutto l'ordine e specialmente
rent. Silentium deinde de Africano fuit: vitam dai consolari e dai seniori a Tito Gracco, perchè
Literni egit sine desiderio urbis. Morientem rure avesse fatto più conto della repubblica, che del
eo ipso loco sepeliri se jussisse ferunt, monumen la sua priva nimicizia; e i Petillii furono inalme
Livio 2 7r)
I 25 i TITI LlVII LIBER XXXVIII. 1252

tumque ibi aedificari, ne funus sibi in ingrata pa nati con vituperii, perchè aveano voluto illustrarsi
tria fieret. Vir memorabilis: bellicistamen, quam coll'altrui carico e cercato di trarre spoglie dal
pacis artibus memorabilior prima pars vitae, trionfo dell'Africano. Indi non si fe più parola
quam postrema fuit: quia in juventa bella assi dell'Africano: passò egli sua vita a Literno senza
due gesta ; cum senecta res quoque defloruere, che Roma il bramasse. Dicesi che venuto a morte
nec praebita est materia ingenio. Quid ad primum nella sua villa, ordinò di esser quivi seppellito, e
consulatum secundus, etiam si censuram adjicias? che qui vi pure se gli ergesse la tomba, acciocchè
quid Asiatica legatio, et valetudine adversa inu non gli fosse fatto nell'ingrata patria il funerale.
tilis, et filii casu deformata, et post reditum ne Uomo degno di eterna ricordanza, più però nel
cessitate aut subeundi judicii, aut simul cum pa la prima parte della sua vita, che nella seconda,
tria deserendi? Punici tamen belli perpetrati, e più per le arti della guerra, che per quelle
quo nullum neque majus neque periculosius Ro della pace: perchè ebbe nella gioventù a guer
mani gessere, unus praecipuam gloriam tulit. reggiar di continuo; con la vecchiezza anche
i suoi fatti sfiorirono, nè fu porta materia all'al
tezza della sua mente. Che ebbe a fare il primo
col secondo consolato, anche se tu ci aggiunga
la censura? Che trasse da quella sua legazione
Asiatica e inutile per la di lui mala salute e scon
ciata dalla sventura del figliuolo, e dopo il ritor
no, dalla necessità o d'incontrare il giudizio, o
di abbandonare la patria? Egli solo però ebbe
la massima gloria di aver messo fine alla guerra
Cartaginese, della quale altra mai non fecero nè
maggiore, nè più pericolosa i Romani.
LlV. Morte Africani crevere inimicorum ani LIV. Per la morte dell'Africano crebbe mag
mi: quorum princeps fuit M. Porcius Cato, qui, giormente l'ardimento de suoi nemici; de'quali
vivo quoque eo, allatrare ejus magnitudinem fu il principale Marco Porcio Catone, il quale
solitus erat. Hoc auctore existimantur Petillii et, anche in vita di lui soleva latrando insultare
vivo Africano, rem ingressi, et, mortuo, rogatio alla sua grandezza. Si crede che ad istigazion
nem promulgasse. Fuit autem rogatio talis: . Ve di Catone avessero i Petillii e vivo l'Africano,
litis, jubeatis, quaeratur quae pecunia capta, reso quell'assunto, e come fu morto, proposta
ablata, coacta ab rege Antiocho est, quique sub una legge, che fu del seguente tenore: « Vi pia
ejus imperio fuerunt; quod eius in publicum re ce, o Quiriti, che si ricerchi, se sia stato preso
latum non est, utide ea re Ser. Sulpicius praetor danaro, o via portato, o estorto dal re Antioco
urbanus ad senatum referatº quem eam rem velit e da suoi dipendenti, il quale non sia stato messo
senatus quaerere deiis, qui praetores nunc sunt?» nel pubblico erario, e che il pretore urbano Ser
Huic rogationi primo Q. et L. Mummii interce gio Sulpicio ne faccia riferta al senato ? e che
debant: senatum quaerere de pecunia non rela il senato dichiari quale dei pretori voglia che
ta in publicum, ita ut antea semper factum esset, proceda sul proposito ? » Dapprima si opposero
aequum censebant. Petillii nobilitatem et regnum a codesta proposta i due Mummii Quinto e Lu
in senatu Scipionum accusabant. L. Furius Pur cio: stimavano però giusto, che il senato cercasse
pureo consularis, qui in decem legatis in Asia fue del danaro non riportato nell'erario nel modo,
rat, latius rogandum censebat: non quae ab An come fu sempre praticato. I Petillii accusavano
tiocho modo pecuniae captae forent, sed quae ab la nobiltà e la dominazione degli Scipioni nel
aliis regibus gentibusque, Cm. Manlium inimicum senato. Il consolare Lucio Furio Purpureone,
incessens. Et L. Scipio, quem magis pro se, quan ch'era stato uno de'dieci legati in Asia, stimava
adversus legem, dicturum apparebat, dissuasor che la proposta dovesse essere più larga, abbrac
processit Is post mortem P. Africani fratris, viri ciando non il solo danaro preso da Antioco, ma
omnium fortissimi clarissimique, eam exortam quello eziandio tolto agli altri popoli e re, mi
rogationem est conquestus. « Parum enim fuis rando a colpire il suo nemico Gneo Manlio.
se, non laudari pro Rostris P. Africanum post E Lucio Scipione che si vedeva chiaramente muo
mortem. misi etiam accusaretur. Et Carthaginien versi a parlare più per sè, che contro la legge,
ses essilio Hannibalis contentos esse: populum si fece innanzi a dissuaderla. Si dolse egli che
Romanum ne morte quidem P. Scipionis exsatia insorgesse codesta proposizione dopo la morte
ri, nisi etipsius fama sepulti laceretur, et frater del fratello Publio Africano, uomo sopra ogni
insuper, accessio invidiae, mactetur, , M. Cato altro chiarissimo e valentissimo. . Essere stato
I 253 TlTI LIVII LIBER XXXVIII.
suasit rogationem (exstat oratio eius de pecunia poco che non sia stato lodato dopo la morte
regis Antiochi), et Mummios tribunos auctoritate Publio Africano da Rostri, se pur anche nol si
deterruit, ne adversarentur rogationi, Remitten accusava. Gli stessi Cartaginesi s'erano appagati
tibus ergo his intercessionem, omnes tribus, uti dell'esiglio di Annibale; il popolo Romano non
rogassent, jusserunt. è sazio della morte di Publio Africano, se non è
pur anche lacerata la fama del sepolto, se non
è per giunta di odio sagrificato anche il fratello. ,
Marco Catone parlò a favore della legge (abbia
mo il discorso, che tenne sul danaro del re An
tioco), e coll'autorità sua distolse i Mummii tri
buni dall'ostare alla proposta. Quindi abbando
nando essi l'opposizione, tutte le tribù approva
rono la legge.
LV. Ser. Sulpicio deinde referente, quem ro LV. Indi a proposta di Sergio Sulpicio, a
gatione Petillia quaerere vellent, Q. Terentium quale dei pretori volessero commettere l'inqui
Culleonem Patres jusserunt. Ad hunc praetorem, sizione secondo la legge Petillia, i Padri deputa
adeo amicum Corneliae familiae, ut, qui Romae rono Quinto Terenzio Culleone. Dinanzi a que
mortuum elatumque P. Scipionem (est enim ea sto pretore, amico tanto della famiglia Cornelia,
quoque fama) tradunt, pileatum, sicut in trium che coloro, i quali scrivono Publio Scipione esser
pho ierat, in funere quoque ante lectum isse, me morto in Roma e quivi seppellito (perciocchè
moriae prodiderint, et ad portam Capenam mul anche questo si racconta), narrano ch'egli andò,
sum prosecutis funus dedisse, quod ab eo inter come innanzi nel trionfo, anche davanti al cata
alios captivos in Africa ex hostibus receptus esset; letto col berretto in capo, e che alla porta Ca
aut adeo inimicum eumdem, ut propter insignem pena distribuì vino con mele a quelli che aveano
simultatem ab ea factione, quae adversa Scipio accompagnato il mortorio, perchè Scipione l'avea
nibus erat, delectus sit potissimum ad quaestio tra gli altri prigioni riscattato in Africa dalle
nem exercendam ; ceterum ad hunc nimis ae mani de'nemici; o al contrario, nemico tanto a
quum aut iniquum praetorem reus extemplo fa quella famiglia, che sia stato scelto sopra ogni
ctus L. Scipio; simul et delata et recepta nomina altro a far codesta inquisizione dalla fazione av
legatorum eius, A. et L. Hostiliorum Catonum, versa agli Scipioni: comunque sia, dinanzi a que
et C. Furii Aculeonis quaestoris: et, ut omnia sto o troppo avverso o troppo parziale pretore
contacta societate peculatus viderentur, scribae fu subito denunziato Lucio Scipione, e simil
quoque duo et accensus. L. Hostilius et scribae mente furono denunziati e compresi nell'accusa
et accensus, priusquam de Scipione judicium i nomi de' suoi legati Aulo e Lucio Ostilio Catoni
fieret, absoluti sunt: Scipio et A. Hostilius le e Caio Furio Aculeone questore; e perchè tutti
gatus et C. Furius damnati: « Quo commodior paressero intinti della stessa pece, anche i due
pax Antiocho daretur, Scipionem sex millia pon scrivani ed il ministro. Lucio Ostilio, gli scrivani
do auri, quadringenta octoginta argenti plus ac e il ministro, innanzi che seguisse il giudizio di
cepisse, quam in aerarium retulerit; A. Hostilium Scipione, furono assolti; Scipione, il legato Aulo
octoginta pondo auri, argenti quadringenta tria; Ostilio e Caio Furio condannati: . Scipione,
Furium quaestorem auri pondo centum triginta, perchè si dessero ad Antioco patti più vantag
argenti ducenta. » Has ego summas auri et ar giosi, aver avuto sei mila libbre di oro, quattro
genti relatas apud Antiatem inveni. In L. Sci cento e ottanta di argento più di quello che avea
pione malim equidem librarii mendum, quam portato nell'erario; Aulo Ostilio ottanta libbre
mendacium scriptoris, esse in summa auri atque d'oro, quattrocento e tre d'argento; il questore
argenti. Similius enim veri est, argenti, quam Furio cento e trenta libbre di oro e duecento
auri, majus pondus fuisse; et potius quadragies, di argento. Queste sono le somme d'oro e d'ar.
quam ducenties quadragies, Iitem aestimatam: eo gento, che trovo registrate presso Anziate. Quan.
magis, quod, tantae summae rationem etiam ab to a Lucio Scipione credo esservi piuttosto errore
ipso P. Scipione requisitam esse in senatu, tra- del copista, che menzogna dello scrittore rispetto
dunt; librumque rationis ejus, quum Lucium alla somma dell'oro e dell'argento, essendo più
fratrem afferrejussisset, inspectante senatu suis verisimile che maggiore fosse quella dell'argento
ipsum manibus concerpsisse, indignantem, quod, che dell'oro, e che l'ammenda sia stata piuttosto
quum bis millies in aerarium intulisset, quadra giudicata in quaranta, che in duecento quaranta
gies ratio ab se posceretur: ab eadem fiducia mila sesterzii; e tanto più probabilmente, che
animi, quum quaestores pecuniam ex aerario di quella somma fu riconvenuto, dicesi, Publio
I 255 T ITI I,VII LIBER XXXVIII. i 256

contra legem promere non auderent, poposcisse Scipione in senato, e che avendo egli fatto recare
claves, et se aperturum aerarium dixisse, qui, ut il libro de' suoi conti dal fratello Lucio, colle
clauderetur, effecisset. proprie mani lacerollo in presenza del senato,
sdegnandosi che se gli chiedesse conto di quattro
milioni; a lui, che ne avea portato nell'erario
duecento. Colla stessa fermezza d'animo, mentre
i questori non osavano trar fuori il danaro dal
l'erario contro la legge, ne avea chiesto le chiavi,
dicendo che lo aprirebbe egli, poi che avea fatto
sì che fosse chiuso.

LVI. Multa alia, in Scipionis exitu maxime LVI. Molte altre cose trovo dette in modo
vitae, dieque dicta, morte, funere, sepulcro, in diverso massimamente intorno agli ultimi di
diversum trahunt; ut, cui famae, quibus scriptis della vita di Scipione, intorno all'accusa, alla
assentiar, non habeam. Non de accusatorc con morte, a funerali, al sepolcro, in guisa che non
venit: alii M. Naevium, alii Petillios diem dixisse so a qual voce, a quali scritti assentire. Non si
scribunt: non de tempore, quo dicta dies sit: va d'accordo rispetto all'accusatore; altri scri
non de anno, quo mortuus sit: non ubi mortuus, vono averlo accusato Marco Nevio; altri i Petillii,
aut elatus sit. Alii Romae, alii Literni et mor non rispetto al tempo, in cui sia stato accusato,
tuum, et sepultum: utrobique monumenta osten non all'anno, in cui sia morto, nè dove sia morto
duntur et statuae. Nam et Literni monumentum, o sepolto. Altri lo fanno morto e sepolto a Roma,
monumentoque statua superimposita fuit, quam altri a Literno; nell'uno e nell'altro luogo si
tempestate disiectam nuper vidimus ipsi. Et Ro mostra il suo monumento, la sua statua. Percioc
mae extra portam Capenam in Scipionum monu chè gli fu eretto a Literno un monumento, e
mento tres statuae sunt; quarum duae P. et posta sopra il monumento una statua, che noi
L. Scipionum dicuntur esse, tertia poétae Q. En stessi poco fa vedemmo atterrata da una burrasca.
nii. Nec inter scriptores rerum discrepat solum, E a Roma, fuori della porta Capena, sono tre
sed orationes quoque, si modo ipsorum sunt, statue sul monumento degli Scipioni, due delle
quae feruntur, P. Scipionis et Ti. Gracchi abbor quali diconsi essere di Publio e Lucio Scipione,
rent interse. Index orationis P. Scipionis nomen la terza del poeta Quinto Ennio. Nè v” ha diver
M. Naevii tribuni plebis habet: ipsa oratio sine sità tra gli scrittori soltanto; ma le orazioni
nomine est accusatoris: nebulonem modo, modo eziandio, che si spaccian essere, se pur sono,
nugatorem appellat. Ne Gracchi quidem oratio di Publio Scipione e di Tito Gracco, non si ac
aut Petilliorum, accusatorum Africani, aut diei cordano punto. Il titolo dell'orazione di Publio
dictae Africano ullam mentionem habet. Alia Scipione porta il nome di Marco Nevio, tribuno
tota serenda fabula est Gracchi orationi conve della plebe : l'orazione stessa non reca il nome
niens; et illi auctores sequendi sunt, qui, quum dell'accusatore; ora lo chiama tristo, ora cian
L. Scipio et accusatus, et damnatus sit pecuniae ciatore. Nè anche l'orazione di Gracco fa men
captae ab rege, legatum in Etruria fuisse Africa zione de' Petillii, accusatori dell'Africano, nè del
num tridunt: quo post famam de fratris casu l'accusa data al medesimo. Bisogna innestare un
allatam, relicta legatione, cucurrisse eum Ro tutt'altro racconto che si accordi coll'orazione
mam ; et, quum a porta recta ad forum se con di Gracco, e seguire quegli scrittori, i quali mar
tulisset, quod in vincula duci fratrem dictum rano che quando lucio Scipione fu accusato e
erat, repulisse a corpore eius viatorem, et tri condannato di aver presi danari dal re Antioco :
bunis retinentibus, magis pie, quam civiliter, allora l'Africano era legato in Toscana; donde,
vim fecisse. Hinc enim ipse Gracchus queritur, poi che riseppe il caso del fratello, lasciata la
dissolutam esse a privato tribuniciam potestatem; legazione, era corso a Roma, ed essendosi dal
et ad postremum, quum auxilium L. Scipioni la porta recato dirittamente al foro, perchè gli
pollicetur, adjicit, tolerabilioris exempli esse, era detto strascinarsi in prigione suo fratello,
a tribuno plebis potius, quam a privato, victam averlo strappato di mano al ministro, e più con
videri et tribuniciam potestatem, et rempublicam tratto di fratello amoroso che di buon cittadino,
esse. Sedita hanc unam impotentemejus injuriam aver usata violenza a tribuni che il ritenevano.
invidia onerat, ut, increpando quod degenerarit Ond'è che lo stesso Gracco si lagna cha la tribu
tantum a se ipse, cumulatas ei veteres laudes mo mizia podestà sia stata annientata da uomo pri
derationis et temperantiae pro reprehensione vato, e verso il fine, là dove promette il suo
praesenti reddat. Castigatum enim quondam ab aiuto a Lucio Scipione, aggiunge essere di esem
eo populum, ait, quod e un perpetuum consulem pio più tollerabile che la podestà tribunizia e
1257 TITI LIVII LIBER XXXVIII. I 258

et dictatorem vellet facere: prohibuisse statuas la repubblica si vegga vinta da un tribuno della
sibi in comitio, in Rostris, in curia, in Capitolio, plebe, che da un privato. Gli dà però carico
in cella Jovis poni: probibuisse, ne decerneretur, di codesta sua unica prepotente superchieria in
ut imago sua triumphali ornatu e templo Jovis guisa, che rimproverandolo di aver tanto degene
optimi maximi exiret. rato da sè medesimo, contrappone a così fatta
riprensione le di lui cumulate antiche lodi di
moderazione e temperanza. Perciocchè dice aver
Scipione una volta sgridato il popolo, perchè
lo avesse voluto far console e dittatore perpetuo;
non aver tollerato che se gl'innalzassero statue
nel comizio, ne' Rostri, nella curia, sul Campido
glio, nella cella di Giove, e aver impedito che si
decretasse che la sua immagine uscisse dal tempio
di Giove ottimo massimo in abito trionfale.
LVII. Haec, vel in laudatione posita, ingen LVII. Codesti tratti che l'avversario nell'atto
tem magnitudinem animi moderandis ad civilem stesso di rimproverare confessa, basterebbero,
habitum honoribus significarent, quae expro anche posti in un elogio, a significare una somma
brando inimicus fatetur. Huic Graccho minorem grandezza d'animo nel temperare gli onori a
ex duabus filiis (nam major P. Cornelio Nasicae forma di civile eguaglianza. A questo Gracco
haud dubie a patre collocata erat) nuptam fuisse tutti convengono che la minore delle due figlie
convenit. Illud parum constat, utrum post mor di Scipione (chè la maggiore fu senza dubbio
tem patris et desponsa sit, et nupserit; an verae allogata dal padre a Publio Cornelio Nasica) fu
illae opiniones sint, Gracchum, quum L. Scipio sposata. Questo non si sa bene, se sia stata sposata
in vincula duceretur, mec quisquam collegarum e maritata dopo la morte del padre, o se sia vero
auxilio esset, jurasse, « Sibi inimicitias cum Sci quello che altri riferisce, che Gracco, quando si
pionibus, quae fuissent, manere, nec se gratiae traeva in prigione Lucio Scipione e nessuno
quaerendae causa quidquam facere; sed, in quem de'colleghi lo aiutava, giurasse, « Che durava,
carcerem reges et imperatores hostium ducentem come innanzi, la sua mimicizia cogli Scipioni, e
vidisset P. Africanum, in eum se fratrem ejus ch'egli non faceva checchessia per acquistarsi la
duci non passurum. » Senatum, eo die forte coe loro benevolenza, ma che non soffrirebbe che
mantem in Capitolio, consurrexisse, et petisse, ut in quella prigione, dove avea veduto trarsi
inter epulas Graccho filiam Africanus despon da Publio Africano i re e capitani nemici, in
deret: quibus ita inter publicum solemne spon quella fosse tratto il di lui fratello, º e che il se
salibus rite factis, quum se domum recepisset, nato, cenando a caso in quel giorno sul Campi
Scipionem Aemiliae uxori dixisse, filiam semi doglio, s'era levato in piedi ed avea chiesto che
norem despondisse. Quum illa, muliebriter in l'Africano tra il banchettare promettesse la figlia
dignabunda, nihil de communi filia secum con a Gracco, che fatti secondo il rito gli sponsali
sultatum, adjecisset, non, si Ti. Graccho daret, in quella pubblica solennità, Scipione, tornato
expertem consilii debuisse matrem esse; laetum a casa, avea detto a sua moglie Emilia che avea
Scipionem tam concordi judicio, ipsi desponsam sposata la figlia minore; ch'ella, accesa di sdegno
respondisse. Haec de tanto viro, quamduam et femminile per non essere stata consultata, trat
opinionibus, et monumentis literarum variarent, tandosi della comune figliuola, aggiungesse che
proponenda erant. non si avrebbe dovuto celar la cosa alla madre,
anche se la desse in isposa a Tito Gracco; allora
lieto Scipione di sì conforme giudizio, averle
risposto che appunto l'avea sposata a Gracco
stesso. Non erano da ommettersi codeste cose
di personaggio sì grande, benchè variassero per
la diversità delle opinioni e degli scritti.
LVIII. Judiciis a Q. Terentio praetore per LVIII. Terminati dal pretore Quinto Teren
fectis, Hostilius et Furius damnati, praedes eodem zio i giudizii, Ostilio e Furio condannati diedero
die quaestoribus urbanis dederunt. Scipio, quam il giorno stesso mallevadori a questori urbani.
contenderet, omnem, quam accepisset, pecuniam Scipione, sostenendo, tutto il danaro, che avea
in aerario esse, nec se quidquam publici habere, ricevuto, essere nell'erario, nè ritener egli chec
in vincula duci est coeptus. P. Scipio Nasica tri chè si fosse di pubblica ragione, veniva di già
bunos appellavit, orationem que habuit plenam tratto in carcere. Publio Scipione Nasica si ap
a
1259 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 126o

veris decoribus, non communiter modo Corneliae pellò a tribuni, e fece un'orazione piena dei
gentis, sed propriae familiae suae. « Parentessuos giusti elogii non solamente di tutto il casato
et P. Africani ac L. Scipionis, qui in carcerem de Cornelii, ma della propria sua famiglia:
duceretur, fuisse Cn. et P. Scipiones, clarissimos a Genitori di lui e di Publio Africano e di Lucio
viros. Eos, quum per aliquot annos in terra Scipione, che si traeva in carcere, erano stati
Hispania, adversus multos Poenorum Hispano Gneo e Publio Scipioni, uomini preclarissimi.
rumque et duces et exercitus, nominis Romani Essi, poi ch'ebbero nella Spagna per alouanti
famam auxissent, non bello solum, sed quod anni ampliata la fama del nome Romano com
Romanae temperantiae fideique specimen illis battendo contro molti capitani ed eserciti Car
gentibus dedissent, ad extremum ambo pro re taginesi e Spagnuoli, nè solamente con la guerra,
publica morte occubuisse. Quum illorum tueri ma col dare a quelle nazioni un'idea della mo
gloriam posteris satis esset, P. Africanum tantum derazione e fede Romana, in fine ambedue per
paternas superavisse laudes, ut fidem fecerit, non dettero la vita per la repubblica. Quando avrebbe
sanguine humano, sed stirpe divina satum se bastato a loro posteri conservar la gloria di
esse. L. Scipionem, de quo agatur (ut, quae in quelli, Publio Africano superò di tanto le pa
Hispania, quae in Africa, quum legatus fratris terne lodi, che fece credere non di umano sangue,
esset, gessisset, praetereantur), consulem et ab ma di divina stirpe esser nato; e Lucio Scipione,
senatu dignum visum, cui extra sortem Asia pro del quale si tratta (ommettendo ciò che avea
vincia et bellum cum Antiocho rege decernere fatto essendo legato del fratello in Ispagna e
tur, et a fratre, cui post duos consulatus censu in Africa), eletto console, parve degno al senato
ramque et triumphum legatus in Asiam iret. Ibi, che se gli decretasse straordinariamente la pro
ne magnitudo et splendor legati laudibus con vincia dell'Asia e la guerra con Antioco; degno
sulis officeret, forte ita incidisse, ut, quodie ad al fratello che questi, dopo due consolati e la
Magnesiam signis collatis L. Scipio Antiochum censura e il trionfo, andasse suo legato in Asia.
devicisset, aeger P. Scipio Elaeae dierum aliquot Quivi, acciocchè la grandezza e lo splendor del
via abesset. Non fuisse minorem eum exercitum, legato non offuscasse le lodi del console, era per
quam Hannibalis, cum quo in Africa esset pugna avventura accaduto che il giorno, in cui Lucio
tum: Hannibalem eumdem fuisse inter multos Scipione vinse Antioco in battaglia campale pres
alios regios duces, qui imperator Punici belli so Magnesia, Publio Scipione fosse lontano al
fuerit. Et bellum quidem ita gestum esse, ut ne quante giornate, ammalato in Elea. Non era stato
fortunam quidem quisquam criminari possit. In quell'esercito minore di quello di Annibale, col
pace crimen quaeri: eam dici venisse. Hic decem quale si è combattuto in Africa: tra i molti capi
legatos simulargui, quorum ex consilio data pax tani del re s'era trovato lo stesso Annibale, che
esset: quin exstitisse ex decem legatis, qui Cn. avea comandato le genti Cartaginesi. E fu quella
Manlium accusarent; tamen non modo ad cri guerra governata sì fattamente, che nessuno ebbe
minis fidem, sed ne ad moram quidem triumphi occasione di accusare nè anche la fortuna. Si
eam accusationem valuisse. " andò rintracciando le accuse in tempo di pace;
si disse, che questa fu venduta. Qui si accomu
nava la colpa anche ai dieci legati, col consiglio
de quali era stata data la pace; anzi alcuni di
quegli stessi dieci legati si fecero accusatori di
Gneo Manlio ; il che però non solamente non
valse ad accreditare l'accusa, ma nè anche a
ritardare il trionfo. -
LIX. « At, hercule, in Scipione ipsas leges LIX. « Ma veramente quanto a Scipione, le
pacis, ut nimium accommodatas Antiocho, suspe stesse condizioni della pace sono sospette, come
ctas esse. Integrum enim ei regnum relictum : troppo vantaggiose ad Antioco. Gli si lasciò tutto
omnia possidere eum victum, quae ante bellum intero il suo regno, ed egli vinto possede tutto
ejus fuerint: auri et argenti quum vim magnam quello che avanti la guerra era suo, e benchè
habuisset, nihil in publicum relatum, omne in avesse quantità grande d'oro e d'argento, non
privatum versum. An non praeter omnium oculos se n'era versato niente nel pubblico tesoro, ma
tantum auri argentique in triumpho L. Scipionis, sì tutto rivolto al privato. Ma nel trionfo di Lu
quantum non decem aliis triumphis, si omne in cio Scipione forse che non fu portata davanti
unum conferatur, sit latum ? Nam quid de fini agli occhi di tutti tanta quantità d'oro e d'ar
bus regni dicam ? Asiam omnem et proxima gento, quanta non mai, se tutta insieme si metta,
Europae tenuisse Antiochum ? Ea quanta regio in altri dieci trionfi ? Che dirò de'confini del
1261 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 1262

orbis terrarum sit, a Tauro monte in Aegaeum regno ? non teneva Antioco tutta l'Asia e le con
usque prominens mare, quot non urbes modo, trade vicine all'Europa? Tutti sanno che im
sed gentes amplectatur, omnes scire. Hanc regio menso tratto di paese sia quello, che dal monte
nem, dierum plus triginta in longitudinem, de Tauro si stende sino al mare Egeo, quante città
cem inter duo maria in latitudinem patentem, non solamente, ma quante nazioni abbraccia,
usque ad Tauri montis juga Antiocho ademptam, Tutta questa regione, lunga più di trenta gior
expulso in ultimum angulum orbis terrarum. nate, larga più di dieci tra i due mari sino alla
Quid, si gratuita pax esset, plus adimi ei potuis cima del monte Tauro, fu tolta ad Antioco, e
se? Philippo victo Macedoniam, Nabidi Lacedae lo si confinò in un angolo estremo della terra.
monem relictam; nec Quintio crimen quaesitum: Che si avrebbe potuto torgli di più, se la pace
non enim habuisse eum Africanum fratrem ; non fosse stata comperata ? Fu lasciata a Filippo
cujus quum gloria prodesse L. Scipioni debuisset, vinto la Macedonia, a Nabide Lacedemone, nè
invidiam nocuisse. Tantum auri argentique judi se ne diede carico a Quinzio; ch'egli non aveva
catum esse in domum L. Scipionis illatum, quan a fratello l'Africano, la cui gloria dovuto avrebbe
tum, venditis omnibus bonis, redigi non posset. giovare a Lucio Scipione, e l'invidia invece che
Id ubi ergo esse regium aurum ? ubi tot haeredi quello persegue, nocque a questo. Fu giudicato
tates acceptas ? In domo, quam sumptus non tanta somma di danaro esser entrata nella casa
exhauserint, exstare debuisse novae fortunae cu di Lucio Scipione, quanta non si potrebbe trarne
mulum. Atenim, quod ex bonis redigi non possit, venduti tutti i beni ch'egli possede. Dov'è ito
ex corporeet tergo per vexationem et contume dunque codest'oro del re ? Dove tante eredità
lias L. Scipionis petituros inimicos; ut in carce conseguite? Avrebbe pur dovuto questa nuova
rem inter fures nocturnos et latrones vir claris fortuna trovarsi in una casa, cui le spese non
simus includatur, et in roboreet tenebris exspiret, hanno esaurita. Ma quello che non puossi trarre
deinde nudus ante carcerem projiciatur. Non id dai beni, trarranlo i nemici tra le vessazioni e
Corneliae magis familiae, quam urbi Romanae, le contumelie della persona stessa di Lucio Sci
fore erubescendum. » pione; sì che uomo sì chiaro sia chiuso in car
cere coi ladri notturni e cogli assassini, e lasci
la vita nelle tenebre e nei ferri, e sia poscia il suo
cadavere gettato ignudo davanti alle porte del
la prigione; il che non fia certo di scorno mag
giore alla famiglia dei Cornelii, che alla città
stessa di Roma. »
LX. Adversus ea Terentius praetor rogatio LX. In risposta all'orazione di Nasica il pre
nem Petilliam, et senatusconsultum, et judicium tore Terenzio recitò la legge Petillia, il decreto
de L. Scipione factum recitavit: se, mi referatur del senato e il giudizio pronunziato contro Lucio
pecunia in publicum, quae judicata sit, nihil Scipione: non altro potersi fare da lui, se non è
habere, quod faciat, nisi ut prehendi damnatum, rimesso nell'erario il danaro che fu giudicato,
et in vincula duci jubeat. Tribuni quum in con se non se ordinare che il condannato sia preso
silium secessissent, paullo post C. Fannius ex sua e tradotto in prigione. Essendosi i tribuni riti
collegarumque aliorum, praeter Gracchum, sen rati per consultare, poco di poi Caio Fannio per
tentia pronunciavit, « praetori non intercedere suo e per parere de'colleghi, eccetto Gracco, così
tribunos, quo minus sua potestate utatur. » Ti. decretò : « non impedire i tribuni al pretore
Gracchus ita decrevit : « Quo minus ex bonis di far uso del suo potere. » Il decreto di Tito
L. Scipionis, quod judicatum sit, redigatur, se Gracco fu del seguente tenore: « Ch'egli non si
non intercedere praetori. L. Scipionem (qui re oppone al pretore, perchè de'beni di Lucio Sci
gem opulentissimum orbis terrarum devicerit, pione sia tratta la somma giudicata; ma quanto
imperium populi Romani propagaverit in ultimos a Lucio Scipione, il quale avea vinto il più potente
terrarum fines, regem Eumenem, Rhodios, alias monarca del mondo, dilatati i confini dell'impero
tot urbes Asiae devinxerit populi Romani bene Romano sino ai limiti estremi della terra, obbli
ficiis, plurimos duces hostium in triumpho ductos gati coi benefizii del popolo Romano il re Eume
carcere incluserit) non passurum inter hostes ne, i Rodiani e tante altre città dell'Asia, condotti
populi Romani L. Scipionem in carcere et in in trionfo e imprigionati moltissimi capitani dei
vinculis esse, mittique eum se jubere. » Tanto nemici, non avrebbe sofferto ch'egli fosse messo
assensu auditum est decretum, adeo dimissum in ferri ed in carcere insieme coi nemici del po
L. Scipionem laeti homines viderunt, ut vix in polo Romano, anzi ordinava che fosse rilasciato.»
eadem civitate videretur factum judicium. In Questo decreto fu udito con sì generale approva
1263 TITI LIVII LIBER XXXVIII. 1264
bona deinde L. Scipionis possessum publice zione, e con tanta letizia fu visto Scipione messo
quaestores praetor misit: neque in iis non modo in libertà, che appena si sarebbe creduto nato
vestigium ullum comparuit pecuniae regiae, sed quel giudizio in una medesima città. Indi il pre
nequaquam tantum redactum est, quantae sum tore mandò i questori a prendere pubblicamente
mae damnatus fuerat. Collata pecunia a cognatis possesso de beni di Lucio Scipione; nè sola
amicisque et clientibus est L. Scipioni; ut, si mente non apparve tra quelli orma di regio
acciperet eam, locupletior aliquanto esset, quan danaro, ma non si potè nè anche trarne tutta
ante calamitatem fuerat. Nihil accepit: quae ne la somma, in che era stato condannato. Il denaro
cessaria ad cultum erant, redempta ei a proximis recato a Lucio Scipione dai congiunti, dagli amici
cogmatis sunt: verteratque Scipionum invidia in e clienti fu tale, che se lo avesse ricevuto, sarebbe
praetorem et consilium eius et accusatores. stato alquanto più ricco, che non fu innanzi la
sventura. Ma egli non prese niente: le cose che
gli eran necessarie a vivere decentemente gli
furono ricomperate da suoi più prossimi con
giunti. E l'odio suscitato contro gli Scipioni s'era
tutto volto contro il pretore, il di lui consiglio
e gli accusatori.
TITI LIVII PATAVINI

EI I S T O R I A R U MI
AB URBE CONDITA LIBRI

-23n
etº - >T

EPITOME

LIBRI TRIGESIMI NONI

M. Aemilius consul, Liguribus subactis, viam a Il console Marco Emilio, domati i Liguri, la strada
Placentia usque Ariminum perductam Flaminiae da Piacenza condotta sino a Rimini, la unì alla
iunxit. Initia luxuriae, introducta ab exercitu Asia strada Flaminia. Si riferiscono i principii di lusso
tico, referuntur Ligures, quicumque citra Apenninum introdotti dall'esercito Asiatico. Tutti i Liguri, quanti
erant, subacti sunt. Bacchanalia, sacrum Graecum, erano di qua dall'Apennino, furono assoggettati. I
et quidem nocturnum, scelerum omnium seminarium, Baccanali, festa Greca religiosa, che si celebrava di
quum ad ingentis turbae conjurationem pervenisset, notte, seminario d' ogni sorta di delitti, giunta ad
a consule investigatum, et multorum poena sublatum esser centro di una vastissima congiura, fu dal con
est. A censoribus L. Valerio Flacco et M. Porcio sole scrupolosamente investigata, e col supplizio di
Catone, et belli et pacis artibus maximo, motus est molti annientata. I censori Lucio Valerio Flacco e

senatu L. Quintius Flamininus, T. Quintii frater, eo Marco Porcio Catone, uomo sommo nelle arti della
guod, quum Galliam provinciam consul obtinuerat, guerra e della pace, rimovono dal senato Lucio
rogatus in convivio a Philippo Poeno, quem amabat, Quinzio Flaminino, fratello di Tito Quinzio, perchè,
scorto nobili, Gallum quemdam sua manu occiderat: amministrando console la provincia della Gallia,
sive, ut quidam tradiderunt, unum ex damnatis pregato in un banchetto da certo Filippo Cartagine
securi percusserat, rogatus a meretrice Placentina, se, donzello diffamato, ch'egli amava, ucciso avea di
cuius amore deperibat. Exstat in eum M. Catonis sua mano un cotal Gallo; ovvero, come alcuni hanno
oratio. Scipio Literni decessit. Et, tamquam jun scritto, perchè avea percosso colla scure un condan
gente fortuna circa idem tempus duo funera maxi nato ad istanza di una meretrice Piacentina, di cui
morum virorum, Hannibal, a Prusia Bithyniae rege, era perdutamente invaghito. Si ha il discorso di
ad quem, victo Antiocho, confugerat, quem dedere Marco Catone contro di lui. Scipione muore a Li
tur Romanis, qui ad exposcendum illum T. Quintium terno. E quasi che la fortuna voluto avesse unire
Plamininum miserant, veneno sibi mortem conscivit. insieme i funerali di due grandissimi uomini, Anni
Philopoemen quogue, dux Achaeorum, vir maximus, a bale, che, vinto Antioco, rifuggito s'era presso Pru
Messeniis interemptus veneno, quum ab iis bello capºs sia, re della Bitinia, in pericolo d'essere cosegnato
esset. Coloniae Potentia et Pisaurum et Mutina ct a Romani, che aveano mandato Tito Quinzio Flami
Parma deductae sunt. Praeterea res adversus Celti nino a ricercarlo, si dia la morte col veleno. Anche
livio 2 8o
TITI LIVII EPITOME LIBRI TRIGESIMl NONI 1268
1267
beros prospere gestas, et initia causasque belli Mace Filopomene capitano degli Achei, uomo di gran
donici continet; cujus origo indefluxit, quod Philip vaglia, peri avvelenato dai Messenii, che aveanlo
pus aegre ferebat, regnum suum imminui a Romanis, preso in guerra. Si son mandate colonie a Potenzia,
et quod cogeretur, a Thracibus aliisque locis prae a Pisauro, a Mutina e a Parma. Il libro inoltre
sidia deducera. contiene le imprese fatte contro i Celtiberi, i prin
cipii e le cagioni della guerra Macedonica, l'origine
della quale da ciò procedette, che Filippo soffriva di
mal animo che l'suo regno fosse decurtato dai Ro
mani, e di essere obbligato a ritrarre i suoi presidii
dalla Tracia e da altri luoghi.
TITI LIVII
L I B E R T R I G E S I M US N O N U S

etº 63 33 -

I. (Anno U. C. 565. – A. C. 187.) Dum haec I. (Anni D. R. 565. – A. C. 187.) Mentre si


(si modo hoc anno acta sunt ) Romae aguntur, facevano a Roma, se pur si son fatte in quest'an
consules ambo in Liguribus gerebant bellum. no, codeste cose, ambedue i consoli guerreg
Is hostis velut natus ad continendam inter ma giavano contro i Liguri. Parea codesto nemico
gnorum intervalla bellorum Romanis militarem quasi nato a mantener viva tra i Romani negl'in
disciplinam erat; nec alia provincia militem ma tervalli delle grandi guerre la militare disciplina;
gis ad virtutem acuebat. Nam Asia, et amoenitate nè alcun'altra provincia affinava meglio il valore
urbium, et copia terrestrium maritimarumque del soldato. Perciocchè l'Asia coll'amenità delle
rerum, et mollitia hostium regiisque opibus, di città, coll'abbondanza delle cose tutte di terra e
tiores, quam fortiores, exercitus faciebat. Prae di mare, colla mollezza de'nemici e colla regia
cipue sub imperio Cn. Manlii solute ac negligen opulenza rendeva gli eserciti piuttosto ricchi
ter habiti sunt. Itaque asperius paullo iter in che prodi. Specialmente sotto il comando di
Thracia, et exercitatior hostis magma clade eos Gueo Manlio tenuti furono con negligenza e
castigavit. In Liguribus omnia erant, quae mili rilassatezza ; donde avvenne che il cammino
tem excitarent: loca montana et aspera, quae et alquanto più aspro nella Tracia, ed il nemico più
ipsis capere laborerat, et ex praeoccupatis dejice esercitato li punì con grande strage. Nella Ligu
ve hostem : itinera ardua, angusta, infesta insi ria tutto tenea svegliato il soldato: luoghi mon
diis: hostis levis et velox et repentinus, qui tuosi ed aspri che richiedean fatica a pigliarli ea
nullum usquam tempus, nullum locum quietum disturbarne il nemico, che gli avesse pigliati;
aut securum esse sineret: oppugnatio necessaria strade erte, strette, piene d'agguati; un nemico
munitorum castellorum, laboriosa simul periculo snello e veloce e su litano, che non mai lasciava
saque: inops regio, quae parcimonia adstringeret alcun tempo, alcun luogo quieto o securo; la
milites, praedae hand multum praeberet. Itaque necessità di combattere castelli fortificati, neces
non lixa sequebatur, non iumentorum longus sità laboriosa ad un tempo e pericolosa; paese
ordo agmen extendebat: nihil, praeter arma et povero che obbligava il soldato alla parsimonia,
virosommem spem in armis habentes, erat. Nec nè solaministrava gran preda. Quindi non c'era
deerat umquam cum iis vel materia belli, vel seguito di saccomanni, non lunga fila di giumenti;
causa ; quia propter domesticam inopiam vicinos non c'erano che armi ed uomini aventi ogni
agros incursabant: nec tamen in discrimen sum loro speranza nell'armi. Nè mai mancava materia
mae rerum pugnabatur. o cagione di guerra con costoro, perchè per la
domestica inopia le vicine terre inondavano: non
mai però si combatteva in modo da perder tutto.
II.C. Flaminius consul, cum Friniatibus Li Il. Il console Caio Flaminio, avendo più volte
guribus º agro eorum pluribus proeliis secundis pugnato prosperamente coi Liguri Friniati nel
factiº, in deditionem gentem accepit, et arma loro stesso paese, li ricevette a patti e tolse loro
1271 TITI LIVII LIBER XXXIX. 1272

ademit. Ea quia non sincera fide tradebant, quum le armi, ed essendo minacciati di castigo, perchè
castigarentur, relictis vicis, in montem Auginum non le consegnavano di buona fede, abbandonate
confugerunt. Confestim secutus est consul. Ceteri le loro borgate, fuggirono al monte Augino. Il
effusi rursus, et pars maxima inermes, per invia console immantinente li seguì. Altri sbandandosi
et rupes deruptas praecipitantes fugerunt, qua nuovamente, e la maggior parte disarmati, ſug
sequi hostis non posset: ita trans Apenninum gironsi a precipizio per vie non battute e balze
abierunt: qui castris se tenuerant, circumsessi dirupate, ove il nemico non li potesse inseguire:
expugnati sunt. Inde trans Apenninum ductae così recaronsi di là dell'Apennino: quelli che si
legiones. lbi montis, quem ceperant, altitudine tennero chiusi nel campo, furono assediati e
paullisperse tutati, mox in deditionem concesse sforzati. Poi si condussero le legioni di là dell'A
runt: tum conquisita cum intentiore cura arma, pennino. Quivi essendosi difesi alquanto coll'al
et omnia adempta. Translatum deinde ad Apua tezza del monte, che avean pigliato, da lì a poco
mos Ligures bellum, qui in agrum Pisanum Bo si arrendettero: allora si son cercate le armi con
noniensemque ita incursaverant, ut coli non maggior diligenza, e furon tolte loro. Indi si
posset. His quoque perdomitis, consul pacem trasportò la guerra contro i Liguri Apuani, i qua
dedit finitimis; et, quia a bello quieta ut esset li avean fatto tale discorrimento sulle terre Pisane
provincia, effecerat, ne in otio militem haberet, e Bolognesi, che non si avea potuto coltivarle.
viam a Bononia perduxit Arretium M. Aemilius Domati anche questi, il console diede la pace agli
alter consulagros Ligurum vicosque, qui in cam altri Liguri confinanti. E perchè avea fatto sì,
pis aut vallibus erant, ipsis montes duos Balistam che la provincia fosse pacificata, per non tenere il
Suismontiumque tenentibus, deussit depopula soldato in ozio, gli ſe costruire la strada che da
tusque est: deinde eos, qui in montibus erant, Bologna mette ad Arezzo. L'altro console Marco
adortus, primo levibus proeliis fatigavit; postre Emilio abbruciò e devastò le terre e borgate dei
mo coactos in aciem descendere justo proelio Liguri, che abitavano la pianura o le valli, men
devicit: in quo et eadem Dianae vovit. Subactis tr'essi tenevano i due monti Balista e Svismon
cis Apenninum omnibus, tum transmontanos zio; indi assaltati quelli ch'erano sui monti,
adortus (in his et Friniates Ligures erant, quos dapprima gli andò stancando con leggere scara
non adierat C. Flaminius) omnes Aemilius su mucce, in fine avendoli costretti a venire a gior
begit, armaque ademit, et de montibus in cam nata, li vinse in battaglia campale ; nella quale
pos multitudinem deduxit. Pacatis Liguribus, in eziandio fe” voto a Diana di un tempio. Domati
agrum Gallicum exercitum duxit; viamoue ab tutti i Liguri di qua dell'Apennino, assaltati
Placentia, ut Flaminiae committeret, Ariminum allora quei di là da' monti (tra questi erano
perduxit. Proelio ultimo, quo cum Liguribus que'Liguri Friniati, a quali non era andato Caio
signis collatis conflixit, aedem Junoni Reginae Flaminio) Emilio tutti li soggiogò e spogliolli
vovit. Haec in Liguribus eo anno gesta. dell'armi, e dai monti trasse la moltitudine al
piano. Pacificata la Liguria, condusse l'esercito
sulle terre de' Galli, e tirò una strada da Piacenza
a Rimini, onde congiungerla alla Flaminia. Nel
l'ultima battaglia, in cui pugnò coi Liguri a
bandiere spiegate, fe'voto di un tempio a Giuno
ne Regina. Tali son le cose fatte in quest'anno
nella Liguria.
III. In Gallia M. Furius praetor insontibus IlI. Nella Gallia il pretore Marco Furio, cer
Cenomanis, in pace speciem belli quaerens, ade cando nella pace pretesto di guerra, tolse le armi
merat arma. Id Cenomani conquesti Romae apud a Cenomani innocenti. Di ciò lagnatisi i Ceno
senatum, rejectique ad consulem Aemilium, cui, mani al senato in Roma, e rimessi al console
ut cognosceret statueretgue, senatus permiserat, Emilio, al quale il senato avea data facoltà di
magno certamine cum praetore habito, tenuerunt conoscere e deliberare, avuto gran contrasto col
causam : arma reddere Cenomanis, decedere pro pretore, vinsero la causa: fu ordinato al pretore,
vincia praetor jussus. Legatis deinde sociorum che restituisse la armi ai Cenomani e lasciasse la
Latini nominis, qui toto undigue ex Latio fre provincia. Poscia il senato diede udienza agli
quentes convenerant, senatus datus est. His que ambasciatori degli alleati Latini, ch'erano venuti
rentibus, magnam multitudinem civium suorum a Roma in gran numero da tutte le parti del
Romam commigrasse, et ibi censos esse, Q. Te Lazio. Lagnandosi essi, che una gran moltitudine
rentio Culleoni praetori negotium datum est, ut de' suoi fosse venuta a mettersi a Roma, e qui vi
eos conquireret, et, quem C. Claudio, M. Livio fossero censiti, fu commesso al pretore Quinto
1273 TITI LIVII LIBER XXXIX. 1274
censoribus, postve eos censores, ipsum parentem Terenzio Culleone che ne facesse ricerca, e che
ve ejus apud se censum esse, probassent socii, ut quelli che gli alleati provassero o essi o i padri
redire eo cogeret, ubi censi essent. Hac conquisi loro essere stati censiti nel Lazio sotto i censori
tione duodecim millia Latinorum domos re Caio Claudio e Marco Livio, o dopo, gli obbligas
dierunt, jam tum multitudine alienigenarum ur se a tornare donde erano usciti. Con questa
bem onerante. inquisizione dodici mila Latini si tornarono a
casa, già sin d'allora la moltitudine de'forestieri
aggravando la città.
IV. Priusquam consules redirent Romam, IV. Innanzi che i consoli si rimettessero a
M. Fulvius proconsul ex Aetolia rediit, isque, Roma, il proconsole Marco Fulvio tornò dall'E
ad aedem Apollinis in senatu quum de rebus in tolia. Avendo egli narrato al senato, raccolto nel
Aetolia Cephalleniaque ab se gestis disseruisset, tempio di Apollo, le cose da lui fatte nell' Etolia
petiit a Patribus, ut aequum censerent, ob rem e nell'isola di Cefallenia, chiese a Padri, che
publicam bene ac feliciter gestam, et diis immor volessero ordinare che si rendessero grazie agli
talibus honorem haberi jubere, et sibi triumphum dei immortali per la repubblica bene e felicemen
decernere. M. Aburius tribunus plebis, si quid te amministrata, e che gli decretassero il trionfo.
de ea re ante M. Aemilii consulis adventum de Il tribuno della plebe Marco Aburio dichiarò
cerneretur, intercessurum se ostendit: « eum ch' egli si sarebbe opposto, se si fosse nulla deli
contradicere velle, proficiscentem que in provin berato intorno a ciò avanti la venuta del console
ciam ita sibi mandasse, ut ea disceptatio integra Marco Emilio: a voleva questi contraddire, e
in adventum suum servaretur. Fulvium temporis partendo per la provincia, gli avea commesso che
jacturam facere : senatum etiam praesente con questa deliberazione si riserbasse intatta sino al
sule, quod vellet, decreturum. » M. Fulvius: suo ritorno. Fulvio con ciò non fare alcuna per
«Si aut simultas M. Aemilii secum ignota homi dita, fuor che di tempo, e il senato, anche pre
nibus esset, aut quam is eas inimicitias impotenti sente il console, avrebbe decretato quello che gli
ac prope regia ira exerceret; tamen non fuisse piacesse. ” Marco Fulvio rispondeva: « Se gli
ferendum, absentem consulem et deorum immor uomini ignorassero la nimicizia di Marco Emilio
talium honori obstare, et meritum debitumque con lui, o quanto questi esercitasse gli odii suoi
triumphum morari: imperatorem, rebus egregie con prepotente e quasi regia iracondia, pur non
gestis, victoremdue exercitum cum praeda ac sarebbe da tollerarsi che un console assente im
captivis ante portas stare, donec consuli, ob hoc pedisse di onorare gli dei immortali e ritardasse
ipsum moranti, redire Roman libitum esset. meritato e dovuto trionfo; sì che un supremo
Verum enimvero, quum sint nobilissimae sibi comandante, fatte egregie imprese, ed un esercito
cum consule inimicitiae, quid ab eo quemduam vittorioso si stessero con la preda e co' prigioni
posse aequi exspectare, qui per infrequentiam in sulle porte, sino a tanto che piacesse al conso
furtim senatusconsultum factum ad aerarium le, il quale a bella posta indugerebbe di tornare
detulerit, Ambraciam non videri vi captam ; a Roma. Ma essendo notissima l'inimicizia che
quae aggere ac vineis oppugnata sit; ubi, incen tra lui corre ed il console, che mai di giusto si
sis operibus, alia de integro facta sint; ubi circa poteva aspettare da colui, il quale avea recato al
muros supra subterque terram per dies quinde l'erario un decreto del senato fatto furtivamen
cim pugnatum; ubi a prima luce, quum jam te nella pochezza del numero, in cui si diceva,
transcendisset muros miles, usque ad noctem diu non parere che Ambracia fosse stata presa di viva
anceps proelium tenuerit; ubi plus tria millia forza, essa che fu combattuta con argine e man
hostium sint caesa. Jam de deorum immortalium telletti; dove, abbruciate le prime opere, altre se
templis, spoliatis in capta urbe, qualem calum ne son fatte da capo; dove si combattè per quin
niam ad pontifices attulerit? Nisi Syracusarum dici giorni intorno le mura e sopra e sotto terra;
ceterarumque captarum civitatium ornamentis dove dal far del giorno insino a notte, avendo il
urbem exornari fas fuerit, in Ambraciam unam soldato di già varcato il muro, sì combattè lunga
captam non valuerit belli jus. Se et Patres con mente con esito incerto; dove si son ammazzati
scriptos orare, et ab tribunis petere, ne se super più di tre mila nemici? E quale accusa calunnio
bissimo inimico ludibrio esse sinant. » sa non portò al collegio del pontefici quanto ai
tempii degli dei immortali spogliati, allorchè fu
presa la città ? Quasi che fosse stato lecito ador
nare Roma degli ornamenti di Siracusa e delle
altre città prese, e contro la sola Ambracia con
quistata non avesse dovuto valere il dritto di
1275 TI'l'I LIVII LIBER XXXIX. 1276
guerra. Pregava egli i Padri coscritti, e chiedeva
ai tribuni che non volessero lasciare ch'ei fosse
schermo e ludibrio di un superbissimo nemico. »
V. Undique omnes, alii deprecari tribunum, V. Tutti da ogni parte si fecero, altri a prega
alii castigare. Ti. Gracchi collegae plurimum re il tribuno, altri a riprenderlo. Più ch'altro,
oratio movit: « Ne suas quidem simultates pro fece gran colpo il discorso del collega Tito Grac
magistratu exercere boni exempli esse: aliena co: « Non essere di buon esempio che taluno,
rum vero simultatium tribunum plebis cognito essendo in magistrato, sfoghi le proprie inimi
rem fieri, turpe et indignum collegii ejus pote cizie; che poi un tribuno della plebe si faccia
state et sacratis legibus esse. Suo quem que judi sostenitore delle inimicizie altrui, essere cosa
cio et homines odisse aut diligere, et res probare sconcia ed indegna della podestà e delle sacre
aut improbare debere; non pendere ex alterius leggi di quel collegio. Dover ognuno odiare altri
vultu ac nutu, nec alieni momentis animi circu od amare a scelta sua, approvar le cose o ripro
magi, adstipularique irato consuli tribunum varle; non dipendere dal volto, dal cenno altrui,
plebei: et, quid privatim M. Aemilius manda nè lasciarsi raggirare da impressioni straniere;
verit, meminisse: tribunatum sibi a populo Ro nè dover un tribuno della plebe servire allo
mano mandatum oblivisci, et mandatum pro sdegno di un console adirato, nè ricordarsi ciò
auxilio ac libertate privatorum, non pro consu che gli commise Marco Emilio privatamente, nè
lari regno. Ne hoc quidem cernere eum ; fore, dimenticare il tribunato commessogli dal popolo
ut memoriae ac posteritati mandetur, ejusdem Romano e commessogli pel soccorso e per la
collegii alterum e duobus tribuni plebis suasini libertà de privati, non per favorire la consolare
micitias remisisse reipublicae, alterum alienas et dominazione. Non avvedersi neppure, che si
mandatas exercuisse. ” His victus castigationibus sarebbe tramandato alla memoria de' posteri, di
tribunus, quum templo excessisset, referente Ser. due tribuni della plebe dello stesso collegio uno
Sulpicio praetore, triumphus M. Fulvio est de aver donato alla repubblica le proprie nimicizie,
cretus. Is quum gratias Patribus conscriptis egis aver l'altro le non sue, ma sì le commessegli
set, adjecit; a Ludos magnos se Jovi optimo ma esercitato. » Il tribuno, vinto da codeste ripren
ximo eo die, quo Ambraciam cepisset, vovisse: sioni, essendo uscito dal senato, a riferta del pre
in eam rem sibi centum pondo auri a civitatibus tore Sergio Sulpizio si decreta il trionfo a Marco
collatum. Petere, ut ex ea pecunia, quam in Fulvio. Poi ch' egli ebbe rendute grazie a Padri
triumpho latam in aerario positurus esset, id coscritti, aggiunse ; « aver egli nel dì che prese
aurum secerni juberent. - Senatus pontificum Ambracia, fatto voto a Giove ottimo massimo dei
collegium consuli jussit, num omne id aurum in giuochi grandi: avea per questi raccolto dalle cit
ludos consumi necessum esset ? Quum pontifices tà cento libbre d'oro; chiedeva che ordinassero
negassent, ad religionem pertinere, quanta im che quell'oro separato fosse dal danaro, che por
pensa in ludos fieret; senatus Fulvio, quantum tato nel trionfo, avrebbe egli poi riposto nell'era
impenderet, permisit, dum ne summam octoginta rio. - Il senato fe consultare il collegio de' pon
millium excederet. Triumphare mense Januario tefici, se fosse necessario consumare tutto quel
statuerat; sed quum audisset, consulem M. Aemi denaro ne' giuochi ? I pontefici dichiarando che
lium, literis Aburii tribuni plebis acceptis de non risguardava punto la religione con quanta
remissa intercessione, ipsum ad impediendum spesa si facesseso i giuochi, il senato lasciò in ar
triumphum Romam venientem, aegrum in via bitrio di Fulvio la quantità della spesa, purchè
substitisse, ne plus in triumpho certaminum, non eccedesse la somma di ottanta mila assi.
quam in bello, haberet, praetulit triumphi diem: Avea Fulvio stabilito di trionfare nel mese di
triumphavitante diem decimum Kalendas Janua Gennaio; ma udito avendo che il console Marco
rias de Aetolis et de Cephallenia. Aureae coronae, Emilio, ricevute le lettere del tribuno della ple
centum duodecim pondo, ante currum latae sunt: be Aburio della cessata opposizione, venendo a
argenti pondo millia octoginta tria; auri pondo Roma per impedire il trionfo, s'era fermato
ducenta quadra ginta tria; tetradrachmùm At per via ammalato, anticipò il giorno, per non
ticùm centum octodecim millia: Philippei num aver a combattere più nel trionfo, che nella
mi duodecim millia quadringenti viginti duo: guerra. Trionfò dieci giorni avanti le calende
signa aenea ducenta octoginta quinque; signa di Gennaio degli Etoli e dei Cefalleni. Si son
marmorea ducenta triginta: arma, tela, cetera portate dinanzi al carro corone d'oro, del peso
spolia hostium, magnus numerus. Ad hoc cata di cento dodici libbre ; mille ottanta tre libbre
pultae, ballistae, tormenta omnis generis: duces, d'argento; duecento quaranta tre libbre di oro;
aut Aetoli et Cephallenes, aut regii ab Antiocho cento diciotto mila tetra dracmi Attici; dodici
1277 TITI LIVII LIBER XXXIX. 1278
ibi relicti, ad septem et viginti. Multos eo die, mila quattrocento ventidue Filippi; duecento
priusquam in urbem inveheretur, in circo Fla ottantacinque statue di bronzo, duecento trenta
minio tribunos, praefectos, equites, centuriones, di marmo; armi, giavellotti, altre spoglie nemi
Romanos sociosque, donis militaribus donavit. che, gran numero. Inoltre catapulte, balliste,
Militibus ex praeda vicenos quinos denarios di macchine da guerra d'ogni sorte; ventisette co
visit, duplex centurioni, triplex equiti. mandanti, o Etoli, o Cefalleni, o del re Antioco
colà lasciati. Nel giorno innanzi ch'entrasse in
città, distribuì nel circo Flaminio doni militari a
molti tribuni, prefetti, cavalieri, centurioni, sì
Romani, che alleati. Della preda divise a soldati
venticinque denari per testa; il doppio al centu
rione, il triplo al cavaliere.
VI. Jam consularium comitiorum appetebat VI. Già si avvicinava il tempo de'comizii
tempus: quibus quia M. Aemilius, cujus sortis ea consolari; a quali, perchè Marco Emilio, cui toc
cura erat, occurrere non potuit, C. Flaminius cava, non potè presedere, venne a Roma Caio
Romam venit. Ab eo creati consules Sp. Postu Flaminio. Nominò egli consoli Spurio Postumio
mius Albinus, Q. Marcius Philippus. Praetores Albino e Quinto Marcio Filippo.Indi furon fatti
inde facti T. Maenius, P. Cornelius Sulla, C. Cal pretori Tito Menio, Publio Cornelio Sulla, Caio
purnius Piso, M. Licinius Lucullus, C. Aurelius Calpurnio Pisone, Marco Licinio Lucullo, Caio
Scaurus, L. Quintius Crispinus. Extremo anni, Aurelio Scauro, Lucio Quinzio Crispino. Sul
magistratibus jam creatis, ante diem tertium finire dell'anno, di già creati i magistrati, Gneo
Nonas Martias Cn. Manlius Vulso de Gallis, qui Manlio Vulsone, tre giorni avanti le nome di
Asiam incolunt, triumphavit. Serius ei trium Marzo, trionfò de'Galli, che abitavano l'Asia. La
phandi causa fuit, ne, Q. Terentio Culleone ragione del trionfare sì tardi fu per non aversi a
praetore, causam lege Petillia diceret, et incen difendere, in forza della legge Petillia, davanti
dio alieni judicii, quo L. Scipio damnatus erat, al pretore Quinto Terenzio Culleone, e non ca
conflagraret; eo infensioribus in se, quam in dere egli pure vittima del giudizio, nel quale
illum, judicibus, quod disciplinam militarem, stato era condannato Lucio Scipione, abbatten
severe ab eo conservatam, successor ipse omni dosi in giudici tanto più severi contro di lui, che
genere licentiae corruperat. Neque ea sola infa contro Lucio, quanto che succedendogli aveva
miae erant, quae in provincia procul ab oculis egli guasta con ogni genere di licenza la militar
facta narrabantur; sed ea etiam magis, quae in disciplina, che quello avea severamente mante
militibus ejus quotidie conspiciebantur. Luxuriae muta. Nè solamente gli tornavano a disonore le
enim peregrinae origo ab exercitu Asiatico in cose che si narravan fatte lungi dagli occhi nella
vecta in urbem est: ii primum lectos aeratos, provincia, ma quelle ancor più, che si vedevan
vestem stragulam pretiosam, plagulas, et alia farsi ogni dì da suoi soldati. Perciocchè l'origi
textilia, et, quae tum magnificae supellectilis ne del lusso straniero venne a Roma dapprima
habebantur, monopodia et abacos Romam ad dall'esercito Asiatico. Essi primi vi recarono i
vexerunt. Tunc psaltriae sambucistriaeque, et letti ornati di bronzi, i tappeti preziosi, veli ed
convivalia ludionum oblectamenta addita epulis; altri tessuti finissimi, e quello che allora si tenea
epulae quoque ipsae et cura et sumptu majore per magnifica suppellettile, mense a un solo pie
apparari coeptae: tum coquus, vilissimum anti de e buffetti. Allora pure si aggiunsero a 'conviti
quis mancipium et aestimatione et usu, in pretio le sonatrici, le cantatrici, i giocolieri a diletto dei
esse; et, quod ministerium fuerat, ars haberi commensali: ed anche le vivande si cominciò ad
coepta. Vix tamen illa, quae tum conspicieban apprestarle con maggior cura e dispendio: allo
tur semina erant futurae luxuriae. ra il cuoco ch'era il più vile schiavo presso gli
antichi quanto all'estimazione ed all'uso, co
minciò ad essere in pregio, e ciò ch'era mestiere,
principiò ad aversi quale arte. Pur tutto quello
che si vedeva in quel tempo, altro non era che il
germe del lusso che dovea venire di poi.
VI1. In triumpho tulit Cn. Manlius coronas VII. Portò Gneo Manlio nel trionfo dugento
aureas, ducentas duodecim pondo; argenti pondo corone d'oro, del peso ciascuna di dodici libbre ;
ducenta viginti millia; auri pondo duo millia dugento venti mila libbre di argento; due mila
centum tres ; tetradrachmùm Atticàm centum cento e tre libbre di oro; cento ventisette mi
viginti septem millia; cistophorum ducenta quin la tetradracmi Attici; dugento cinquanta mila
-
1279 TITI LIVII LIBER XXXIX. 128o

quaginta; Philippeorum aureorum nummorum cistofori; sedici mila trecento venti Filippi d'oro,
sedecim millia trecentos viginti, et arma spolia e molte armi e spoglie Galliche sopra carri. Prece
que multa Gallica, carpentis transvecta: duces devano il cocchio trionfale cinquanta due capi
hostium duo et quinquaginta ducti ante currum. tani del nemici. Divise a soldati quarantadue
Militibus quadragenos binos denarios divisit, du danari per ciascuno : il doppio al centurione, e
plex centurioni; et stipendium duplex in pedites diede doppia paga a soldati, tripla a cavalieri.
dedit, triplex in equites, Multi omnium ordinum, Molti di tutti gli ordini, regalati di doni militari,
donati militaribus donis, currum secuti sunt ; seguitarono il cocchio, e tai versi cantaronsi in
carminaque a militibus ea in imperatorem dicta, onore di Manlio da soldati, che facilmente appa
ut facile appareret, in ducem indulgentem ambi riva esser detti a comandante indulgente ed
tiosumque ea dici; triumphum esse militari ma ambizioso, e che il suo trionfo si segnalava più
gis favore, quam populari, celebrem. Sed ad po pel favore dell'esercito, che per quello del po
puli quoque gratiam conciliandam amici Manlii polo. Ma riuscirono gli amici di Manlio a conci
valuerunt: quibus adnitentibus senatusconsul liargli pur anche la grazia del popolo, per insi
tum factum est, a Ut expecunia, quae in trium stenza de'quali il senato decretò : « che dell'im
pho translata esset, stipendium, collatum a po posta, che doveva il popolo contribuire in co
pulo in publicum, quod eius solutum antea non mune, quello che non fosse stato pagato, il fosse
esset, solveretur. » Vicenos quinos et semisses in del denaro portato nel trionfo. " Quindi i que
millia aeris quaestores urbani cum fide et cura stori urbani pagarono esattamente e con fede
solverunt. Per idem tempus tribuni militum duo venticinque assi e mezzo per ogni mille. A quel
ex duabus Hispaniis cum litteris C. Atinii et tempo medesimo due tribuni del soldati vennero
L. Manlii, qui eas provincias obtinebant, vene dalle due Spagne con lettere di Caio Atinio e di
runt. Ex iis litteris cognitum est, Celtiberos Lucio Manlio, i quali governavano quelle pro
Lusitanosque in armis esse, et sociorum agros vince. Si seppe da queste che i Celtiberi e i Lusi
populari: de ea re consultationem integram se tani s'erano messi in arme e devastavano le terre
matus ad novos magistratus rejecit. Ludis Roma degli alleati. Il senato rimandò interamente la
nis eo anno, quos P. Cornelius Cethegus, A. Po consulta di ciò a nuovi magistrati. In quell'anno
stumius Albinus faciebant, malus in Circo insta ne' giuochi Romani, che si facevano da Publio
bilis in signum Pollentiae procidit, atque id Cornelio Cetego e da Aulo Postumio Albino, un
dejecit. Ea religione moti Patres, et diem unum perticone, piantato nel circo poco stabilmente,
adjiciendum ludorum celebritati censuerunt, et cadde sopra la statua della dea Pollenzia, ed at
signa duo pro uno reponenda, et novum auratum terrolla. I Padri, mossi da scrupolo religioso,
faciendum. Et plebeji ludi ab aedilibus C. Sem decretarono che si aggiungesse un giorno alla
pronio Blaeso et M. Furio Lusco diem unum in celebrazione di quel giuochi, e si rimettessero
staurati sunt. due statue in vece di una, e che la nuova fosse
indorata. Anche i giuochi plebei furono dagli
edili Caio Sempronio Bleso e Marco Furio Lusco
2 rinnovati per un giorno.
VIII. (Anno U. C.566. – A. C. 186.) Inse VIII. (Anni D. R. 566. – A. C. 186.) L'an
quens annus Sp. Postumium Albinum et Q. Mar no seguente rivolse i consoli Spurio Postumio
cium Philippum consules, ab exercitu bellorum Albino e Quinto Marcio Filippo dall'esercito e
que et provinciarum cura ad intestina e comiura cura delle guerre e delle province alla punizione
tionis vindictam avertit Praetores provincias di una specie d'intestina congiura. I pretori tras
sortiti sunt, T. Maenius urbanam, M. Licinius sero a sorte le province; ebbe Tito Menio la giu
Lucullus inter cives et peregrinos, C. Aurelius risdizione urbana, Marco Licinio Lucullo quella
Scaurus Sardiniam, P. Cornelius Sulla Siciliam, tra cittadini e forestieri, Caio Aurelio Scauro
L. Quintius Crispinus Hispaniam citeriorem, la Sardegna, Publio Cornelio Sulla la Sicilia,
C. Calpurnius Piso Hispaniam ulteriorem. Con Lucio Quinzio Crispino la Spagna citeriore, Caio
sulibus ambobus quaestio de clandestinis conin Calpurnio Pisone l'ulteriore. Ad ambi i consoli
ratio il rs decreta e Graecis igno oilis in Etru fu commesso con decreto d' inquisire intorno
riam primum venit, nulla cum arte earum, quas alle società clandestine. Un Greco, di nascita
multas ad animorum corporumque cultum nobis oscura, venne dapprima in Etruria, non però
eruditissima omnium gens invexit, sacrificulus et istrutto in nessuna delle molte arti, che ad ingen
vates; nec is, qui aperta religione, propalam et tilire gli animi e i corpi recate ci furono da quel
quaestum et disciplinam profitendo, animos hor la dottissima nazione, ma in qualità di sacerdote
rore imbueret, sed occultorum et nocturnorum e d'indovino, e nemmeno tale, che con dogmi
128 i TITI LIVII LIBER XXXIX. 1 282

antistes sacrorum. Initia erant, quae primo paucis manifesti, e professando pubblicamente l'arte
tradita sunt; deinde vulgari coepta sunt per viros sua per guadagno, le menti empiesse di religioso
mulieresque: additae voluptates religioni vini et terrore, ma ministro di occulti e notturni sagri
epularum, quo plurium animi illicerentup. Quum fizii. I misterii da principio comunicati furono a
vinum animos, et nox, et mixti feminis mares, pochi; poi cominciarono divolgarsi tra uomini e
aetatis tenerae majoribus, discrimen omne pudo donne. Alle cerimonie religiose si aggiunsero i
ris exstinxissent; corruptelae primum omnis ge piaceri del vino e dei cibi, onde adescare maggior
neris fieri coeptae, quum ad id quisque, quo ma numero di persone, Poichè il vino avea guaste
tura pronioris libidinis esset, paratam voluptatem le menti, e la notte e la mescolanza de maschi
haberet. Nec unum genus moxae, stupra pro e delle femmine, de'maggiori co' minori di età,
miscua ingenuorum feminarumque, erant: sed spento aveva ogni senso di pudore, si cominciò
falsi testes, falsa signa testimoniaque et indicia primieramente a praticare ogni sorta di laidezze,
ex eadem officina exibant. Venema indidem in trovando ognuno presti quel piaceri, a cui più
testinaeque caedes; ita ut ne corpora quidem natura lo inclinava. E non erano il solo genere
interdum ad sepulturam exstarent Multa dolo, d'infamia gli stupri promiscui d'uomini liberi e
pleraque per vim audebantur: occulebat vim, di donne; ma uscivano dalla stessa officina i falsi
quod, prae ululatibus, tympanorumque et cym testimonii, le false segnature, le attestazioni, gli
balorum strepitu, nulla vox quiritantium inter indizii falsi e similmente i veleni e gli occulti
stupra et caedes exaudiri poterat. ammazzamenti in sì fatta guisa, che non si tro
vavano talvolta nè anche i corpi per seppellirli.
Molte cose si facevano coll'inganno, molte più si
osavano colla violenza, e questa rimaneva occulta
perchè a motivo degli ululi e dello strepito dei
timpani e de'cembali non si poteva udir la voce
di chi tra gli stupri e le stragi si lamentava.
IX. Hujus mali labes ex Etruria Roman, IX. Codesta infamia dall'Etruria passò a
velut contagione morbi, penetravit. Primo urbis Roma, quasi per forza di contagio. Da principio
magnitudo capacior patientiorque talium malo la grandezza della città, più capace e più soffe
rum ea celavit: tandem indicium hoc maxime rente di così fatti guai potè celarli; finalmente
modo ad Postumium consulem pervenit. P. Aebu ne venne dato indizio al console Postumio in
tius, cujus pater publico equo stipendia fecerat, questo modo. Publio Ebuzio, il cui padre avea
pupillus relictus, mortuis deinde tutoribus, sub militato con pubblico cavallo, rimasto pupillo,
tutela Duroniae matris et vitrici T. Sempronii mortigli in appresso i tutori, era stato educato
Rutili educatus fuerat. Et mater dedita viro erat; sotto la tutela di Duronia sua madre e del patri
et vitricus, quia tutelam ita gesserat, ut rationem gno Tito Sempronio Rutilo. La madre era tutta
reddere non posset, aut tolli pupillum, autobno addetta al marito, ed il patrigno, perchè ammi
xium sibi vinculo aliquo fieri cupiebat. Via una mistrato avea la tutela in modo da non poterne
corruptelae Bacchanalia erant. Mater adolescentu render conto, bramava o che il pupillo fosse tolto
lum appellat, « Se pro aegro eo vovisse, ubi pri dal mondo, o di tenerselo imbrigliato con qual
mum convaluisset, Bacchis eum se initiaturam: che vincolo. Non c'era altra via d'impadronirse
damnatum voti, dedm benignitate, exsolvere id ne, che i Baccanali. La madre chiama a sè il gio
velle. Decem dierum castimonia opus esse: de vanetto; « Aveva ella, disse, essendo egli infermo,
cimo die coematum, deinde pure lautum in sa fatto voto per lui, che come tosto si fosse riavuto,
crarium deducturam. - Scortum nobile libertina l'avrebbe iniziato ne' misterii di Bacco: esau
Hispala Fecenia, non digna quaestu, cui ancillula dita per bontà degli dei, voleva sciogliere code
assuerat, etiam postguam manumissa erat, eodem sto voto. Bisognava conservarsi casti per dieci
se genere tuebatur. Huic consuetudo juxta vici giorni; il giorno decimo, com'egli avrà cenato e
nitatem cum Aebutio fuit, minime adolescentis si sarà puramente lavato, introdurrallo nel sacra
aut rei aut famae damnosa: ultro enim amatus rio. » Una famosa meretrice, libertina di condi
appetitusque erat; et, maligne omnia praebenti zione, di nome Ispala Fecenia, degna di non far
bus suis, meretriculae munificentia sustinebatur. quel mestiere, a cui, schiava essendo, s'era assue
Quin eo processerat consuetudine capta, ut post fatta, con quello stesso, anche poi che fumano
patroni mortem, quia in nullius manu erat, tu messa, si sostentava. Per cagione della vicinanza
tore a tribunis et praetore petito, quum testa ebbe ella pratica con Ebuzio, pratica non punto
mentum faceret, unum Aebutium institueret nocevole nè alla roba, nè alla fama del giovanet
heredem. to, ch'era egli di buon cuore amato e accarezzato,
Livio a 8

r
i 283 TITI LIVII LIBER XXXIX, 1284
e i suoi provvedendolo magramente, la muni
ficenza della donna il sosteneva. Anzi andò tanto

innanzi presa da cotal pratica, che dopo la morte


di quello che l'avea manomessa, non essendo ella
più sotto la podestà di alcuno, chiesto un tutore
ai tribuni ed al pretore, fatto testamento, istituito
aveva erede il solo Ebuzio.
A X. Iſaec amoris pignora quum essent, mec X. Tali essendo tra loro i pegni di amore, nè
quidquam secretum alterab altero haberent, per avendo l'uno cosa che fosse all'altro segreta, il
jocum adolescens vetateam mirari, si per aliquot giovanetto in aria di scherzo le disse che non si
noctes secubuisset. « Religionis se causa, ut voto avesse a maravigliare, s'egli per alquante notti
i pro valetudine sua facto liberetur, Bacchis initia avesse dormito a parte. « Voleva per motivo di
ri velle. º lo ubi mulier audivit, perturbata, religione, onde soddisfare ad un voto fatto per la
« di meliora! inquit: mori et sibi et illi satius sua guarigione, iniziarsi ne' misterii di Bacco. »
esse, quam id faceret; et in caput eorum detesta Come la donna udì questo, sbigottita, a non
riminas periculaque, qui id suasissent. » Admi piaccia, disse, agli dei; meglio a lui tornerebbe ed
ralus quum verba, tum perturbationem tantam a lei morire, che far cotal cosa; ed imprecava mali
adolescens, « parcere exsecrationibus jubet: ma e pericoli sul capo di coloro, che gli aveano con
trem id sibi, assentiente vitrico, imperasse. m «Vi sigliato questo.» Maravigliandosi il giovane delle
tricus ergo, inquit, tuus (matrem enim insimula parole e della tanta perturbazione di lei, la prega
re forsitan fas non sit) pudicitiam, famam, spem, di « astenersi dalle imprecazioni; era questo un
vitamque tuam perditum ire hoc facto properat. » comando datogli dalla madre coll'assenso del suo
Eo magis mirabundo, quaerentique quid rei esset, patrigno. » « Il tuo patrigno adunque, diss'ella,
pacem veniamoue precata deorum dearumque, con questo fatto (chè non conviene forse accu
si, coacta caritate eius, silenda enunciasset, «an sarsene la madre) si affretta di farti perdere e
cillam se, ait, dominae comitem id sacrarium pudicizia e fama e fortuna e vita. m Essendo egli
intrasse, liberam numquam eo accessisse. Scire sempre più sbalordito e cercando ragione di ciò,
corruptelarum omnis generis eam officinam esse; avendo ella chiesto perdono agli dei ed alle dee,
et jam biennio constare neminem initiatum ibi se costretta dall'amor suo pel giovanetto, rivela
majorem annis viginti. Ut quisque introductus va cose ch'eran da tacersi, a essendo ancora schia
sit, velut victimam tradi sacerdotibus: eos de va, era ella, disse, entrata in compagnia della
ducere in locum, qui circumsonet ululatibus, can padrona in quel sacrario, ma fatta libera, non
tuque symphoniae, et cymbalorum et tympano c'era andata più mai. Sapeva esser quella un'offi
rum pulsu, ne vox quiritantis, qunm per vim cina di ogni sorta di laidezze, ed esser certa che
stuprum inferatur, exaudiri possit. » Orare dein da due anni in qua non s'era quivi iniziato alcu
de atque obsecrare, ut eam rem quocumque no che maggiore fosse di vent'anni. Come uno
discuteret modo, nec se eo praecipitaret, ubi v'era introdotto, lo si consegnava quasi vittima
omnia infanda patienda primum, deinde facienda ai sacerdoti: questi lo conducevano in luogo, che
essent: neque ante dimisit eum, quam fidem de risonava intorno d'urli, di canti e sinfonie, di
dit adolescens, ab his sacris se temperaturum. strepito di cembali e di timpani, acciocchè la
voce di chi si lamentava, mentr'era per forza
stuprato, non fosse udita. » Indi il pregava e scon
giurava, che in qualunque modo si distogliesse
da ciò fare, nè andasse a precipitarsi colà, dove
avrebbe dovuto prima soffrire e poscia commet
tere ogni più sconcia nefandità; nè il lasciò an
dare, se prima non le ebbe data il giovane paro
la di astenersi da così fatti misterii.
XI. Postguam domum venit, et mater men XI. Poi che fu tornato a casa, e che la madre
tionem intulit, quid eo die, quid deinceps ceteris, gli rammentò quello che si aveva a fare in quel
quae ad sacra pertinerent, faciendum esset, negat, giorno, e quello che negli altri di poi, relativa
eorum se quidquam facturum, nec initiari sibi in mente a quel misterii, protesta egli che niente
animo esse. Aderat sermoni vitricus. Confestim avrebbe fatto di tutto ciò, e che non aveva in
mulierexclamat, « Hispalae cuncubitu carere eum animo di volervisi iniziare. Era presente al di
decem noctes non posse;illius excetraedelinimen scorso il patrigno. Allora la donna si mette a
tis et venenis imbutum, nec parentis, nec vitrici, gridare. « che non poteva colui starsi dieci notti
1285 TITI LIVII LIBER XXXIX. I 286

mec deorum verecundiam habere. » Jurgantes senza dormire con Ispala; che ammaliato e imbe
hinc mater, hinc vitricus, cum quatuor eum servis vuto del veleno di quella maga non portava
domo exegerunt. Adolescens inde ad Aebutiam rispetto nè alla madre, nè al patrigno, nè agli
se amitam contulit, causamgue ei, cur esset a dei; » e sgridandolo quinci la madre, quinci il
matre ejectus,marravit: deinde ex auctoritate eius patrigno, lo cacciaron di casa con quattro schiavi.
postero die ad consulem Postumium, arbitris re Di là il giovine si recò ad Ebuzia, sua zia paterna,
motis, rem detulit. Consul post diem tertium ad e le marrò il motivo, perchè la madre lo avesse
se jussum redire dimisit: ipse Sulpiciam, gra scacciato; indi il giorno appresso per consiglio
vem feminam, socrum suam, percuntatus est, della medesima denunziò in segreto la cosa al
a ecquam anum Aebutiam ex Aventino nosset? console Postumio. Questi, dettogli che tornasse da
quum eam mosse, probam et antiqui moris fe lì a tre giorni, lo licenziò; poi domandò a Sulpi
minam, respondisset; opus esse sibi ea conventa cia, sua suocera, donna rispettabile, « se avesse
dixit. Mitteret nuncium ad eam, ut veniret. » conoscenza di certa vecchia Ebuzia, abitante,
Aebutia accita ad Sulpiciam venit; et consul sull'Aventino? Avendo ella risposto di cono
paullo post, velut forte intervenisset, sermonem scerla, ed essere donna saggia e di costumi anti
de Aebutio fratris ejus filio infert. Lacrymae mu chi, disse aver bisogno di abboccarsi seco lei;
lieri obortae, et miserari casum adolescentis mandasse ad avvertirla che venisse. " Ebuzia,
coepit, qui spoliatus fortunis, a quibus minime chiamata venne a casa di Sulpicia, e il console
oporteret, apud se tunc esset, eiectus a matre, poco di poi, come se a caso fosse intervenuto,
quod probus adolescens (dii propitii essent!) introdusse il discorso di Ebuzio, figliuolo di un
obscoenis, ut fama esset, sacris initiari nollet. fratello di lei. La donna cominciò a lagrimare e
a compiangere la sorte del giovane, il quale,
spogliato di sue sostanze da cui manco doveva, si
trovava ora presso di lei, scacciate dalla madre,
perchè il giovine virtuoso non voleva (perdoni
mogli dei) iniziarsi a certi misterii osceni, come
n'era la fama.
XII.Satis de Aebutio exploratum ratus consul, XII. Parendo al console di aver lumi bastanti
non vanum auctorem esse, dimissa Aebutia, so quanto alla persona di Ebuzio, onde non creder
crum rogat, ut Hispalam, indidem ex Aventino lo bugiardo, licenziata Ebuzia, prega la suocera
libertinam, non ignotam viciniae, arcesseret ad che chiami a se Ispala, libertina che abitava
sese: eam quoque esse quae percumctari vellet. essa pure sull'Aventino, nè ignota al vicinato:
Ad cujus nuncium perturbata Hispala, quod ad aver alcune cose da ritrarre anche da questa.
tam mobilem et gravem feminam ignara causae Ispala, perturbata a codesto messaggio, perchè
arcesseretur; postouam lictores in vestibulo tur ignara del motivo, per cui fosse chiamata a casa
bamque consularem et consulem ipsum conspexit, di matrona sì nobile e sì grave, poi che vide nel
propeexanimata est. In interiorem partemaedium vestibolo i littori e la scorta consolare ed il con
abductam socru adhibita consul, « Si vera dicere sole istesso, quasi tramorti. Il console, fattala
inducere in animum posset, negat, perturbari condurre dalla suocera nelle stanze più interne,
debere. Fidem vel a Sulpicia, tali femina vel ab le disse, « che non aveva ella di che scompigliar
se acciperet: expromeret sibi, quae in luco Si si, se poteva indursi a dire la verità; ne ricevesse
milae Bacchanalibus in sacro nocturno solerent la fede o da Sulpicia, donna di quella fatta, o da
fieri. » Hoc ubi audivit, tantus pavor tremorque lui medesimo: gli manifestasse quello che far si
omnium membrorum mulierem cepit, ut diu soleva di notte sul bosco di Simila, celebrandosi
hiscere non posset: tandem confirmata, a puel i Baccanali. » La donna, com'ebbe udito questo,
lam admodum se ancillam initiatam cum domina, da tanto spavento fu presa e tremor di tutte le
ait: aliquot annis, ex quo manumissa sit, nihil, membra, che per buona pezza non potè aprir
quid ibi fiat, scire. » Jam id ipsum consul lau bocca; finalmente, ripreso animo, disse, e che
dare, « quum initiatam se non inficiaretur; sed assai fanciulla, essendo ancora schiava, era stata
et cetera eadem fide expromeret. Neganti ultra iniziata insieme colla padrona: da alquanti anni,
quidquam scire, non eamdem, dicere, si coargua poi che fu manomessa, non sapeva nulla di ciò,
tur ab alio, ac per se fatenti, veniam aut gratiam che vi si facesse. - Cominciò il console a lodarla
fore: eum sibi omnia exposuisse, qui ab illa per quello a che confessava d'essere stata inizia
audisset. n ta; ma dicesse il restante colla stessa sincerità. »
Negando ella di saper più oltre, il console ag
giunge, « ch'ella non avrebbe ottenuto la stessa
TITI LIVII LIBER XXXIX. 1 283
1287
grazia, o perdono, se invece che confessare essa
stessa, stata fosse convinta da altri; gli avea nar
rato ogni cosa persona, che l'avea udita da lei.”
XIII. Mulier haud dubie, id quod erat, Aebu XIII. La donna giudicando, com'era vero,
tium indicem arcani rata esse. ad pedes Sulpiciae che avesse Ebuzio rivelato l'arcano, cadde ai
procidit, eteam primo orare coepit, « Ne mulie piedi di Sulpicia,e dapprima cominciò a pregarla,
ris libertinae cum amatore sermonem in rem non a che un discorso tenuto da donna libertina col

seriam modo, sed capitalem etiam, verti vellet: l'amante non si volesse torcerlo in affare non
se terrendi eius causa, non quo sciret quidquam, solamente serio, ma capitale: aver ella parlato
ea locutam esse. » Hic Postumius accensus ira, per atterrirlo, non perchè ne sapesse checches
a Tum quoque, ait, eam cum Aebutio se amato sia. » Postumio acceso di collera, « Sì certo,
re cavillari credere, non in domo gravissimae disse, crede ella di cianciare tuttavia coll'amante
feminae et cum consuleloqui. - Et Sulpicia at Ebuzio, e non di parlare nella casa di matrona
tollere paventem ; simul illam adhortari, simul gravissima e col console. » E Sulpicia rilevar
iram generi lenire. Tandem confirmata, multum da terra la spaurita, e lei ad un tempo confortare
incusata perfidia Aebutii, qui optimi in eo ipso e raddolcire l'ira del genero. Finalmente Ispala,
meriti talem gratiam retulisset, a Magnum sibi fatto cuore, accusando assai la perfidia di Ebuzio,
metum deorum, quorum occulta initia enuncia che di tanto merito tal grazia le avea renduta,
ret, majorem multo, dixit, hominum esse, qui se « Grande spavento, disse, le veniva dagli dei nel
indicem manibus suis discerpturi essent. Itaque rivelare i loro occulti misterii, più grande ancora
hoc se Sulpiciam, hoc consulem orare, ut se extra dagli uomini, che per averli rivelati l'avrebbono
Italiam aliquo amandarent, ubi reliquum vitae colle proprie lor mani messa in pezzi. Perciò
degere tuto posset. Bono animo esse jubere eam pregava Sulpicia, pregava il console, che la rile
consul, et, sibi curae fore, dicere, ut Romae tuto gassero in qualche luogo fuori d'Italia, dove
habitaret. » Tum Hispala originem sacrorum potesse vivere secura il resto de' suoi giorni. »
ll console confortolla « ad essere di buon ani
expromit. « Primo sacrarium id feminarum fuis
se, nec quem quam virum eo admitti solitum. mo, e disse che sarebbe suo pensiero, ch'ella si
Tres in anno statos dies habuisse, quibus inter stesse in Roma securamente. - Allora Ispala
diu Bacchis initiarentur. Sacerdotes in vicem ma palesa l'origine di così fatti misterii. « Dapprima
tronas creari solitas. Pacullam Anniam Campa fu questo un sacrario aperto alle sole femmine,
nè si soleva ammettervi alcun maschio. C'erano
nam sacerdotem omnia, tamquam deiùm monitu,
immutasse: nam et viros eam primam suos filios tre dì all'anno stabiliti, ne' quali s'iniziava di
initiasse, Minium et Herennium Cerrinios, et giorno. Le matrone solevan essere a vicenda
sacerdotesse. La sacerdotessa Paculla Annia del
nocturnum sacrum ex diurno, et pro tribus in
anno diebus quinos singulis mensibus diesini la Campania mutò ogni cosa, quasi per celeste
tiorum fecisse. Ex quo in promiscuo sacra sint, rivelazione; perciocchè fu la prima ad iniziare
et permixtiviri feminis, et noctis licentia acces i suoi due figli Minio ed Erennio Cerrinii, e tra
serit, nihil ibi facinoris, nihil ſlagitii praetermis mutare le adunanze dal dì alla notte, e fare che
sum: plura virorum intersese, quam feminarum, le iniziazioni, invece di tre all'anno, fossero di
esse stupra. Si qui minus patientes dedecoris sint, cinque giorni per ogni mese. Dal tempo, in cui
et pigriores ad facinus, pro victimis immolari: si accomunarono le adunanze e si trovarono me
nihil nefas ducere, hanc summam inter eos reli scolati maschi e femmine e vi si aggiunse la
gionem esse. Viros, velut mente capta, cum jacta licenza della notte, non vi fu ribalderia, non
tione fanatica corporis vaticinari; matronas Bac delitto che si ommettesse. Sono in maggior nu
charum habitu crinibus sparsis cum ardentibus mero gli stupri de'maschi tra loro, che delle
facibus decurrere ad Tiberim, demissasque in femmine. Se alcuni sono men tolleranti del dis
aquam faces (quia vivum sulphur cum calce insit) onore e più tardi alle scelleratezze, sono immo
integra flamma efferre. Raptosa diis homines dici, lati quali vittime: stimare che tutto sia lecito,
quos machinae illigatos ex conspectu in abditos questa è la somma della religione di costoro.
specus abripiant. Eos esse, qui aut conjurare, aut I maschi, quasi usciti di senno, agitando fanati
sociari facinoribus, aut stuprum pati noluerint. camente le membra, profetavano, e le matrone,
Multitudinem ingentem, alterum jam prope po a guisa di Baccanti, co'capegli sparsi, correvano
pulum esse: in his nobiles quosdam viros femi al Tevere con fiaccole accese, e tuffandole nel
nasque. Biennio proximo institutum esse, ne quis l'acqua (perch'erano impregnate di vivo zolfo e
major viginti annis initiaretur: captari aetates et di calce) ne le ritraevano ardenti tuttavia. Spac
erroris et stupri patientes. ciano che gli dei rapiscono quelli che legati
TITI LIVII LIBER XXXIX. 129o

ad una macchina, tolti indi alla vista, gettano in


recondite spelonche: esser costoro di quelli che
ricusarono di giurare, o associarsi ai delitti, o
patire lo stupro. Il numero degl'iniziati è grande
e quasi un altro popolo: tra questi alcuni uomini
e donne mobili. Negli ultimi due anni s'era isti
tuito che non s'iniziasse alcuno che fosse mag
giore di anni venti; cercarsi l'età più tollerante
dell'inganno e dello stupro.
XIV. Peracto indicio, advoluta rursus genibus XIV. Finita la manifestazione, gettatasi nuo
preces easdem, ut se ablegaret, repetivit. Consul vamente a piedi del console, ripetè la stessa
rogat socrum, ut aliquam partem aedium vacuam preghiera, che la volesse rilegare. Il console
faceret, quo Hispala immigraret; coenaculum prega la suocera che votasse qualche parte di sua
super aedes datum est, scalis ferentibus in publi casa, dove Ispala si ricoverasse; le fu assegnato
cum obseratis, aditu in aedes verso. Res omnes il cenacolo superiore, fermate le scale che met
Feceniae extemplo translatae, et familia arcessita: tono in pubblico, aperta l'entrata verso le stanze
et Aebutius migrare ad consulis clientem jussus. interne. Le robe di Fecenia vi furon subito tras
Ita quum indices ambo in potestate essent, rem portate e si son fatti venire i di lei schiavi. Anche
ad senatum Postumius defert, omnibus ordine Ebuzio ebbe ordine di passare presso un cliente
expositis, quae delata primo, quae deinde ab se del console. Quindi Postumio, avendo in poter
inquisita forent. Patres pavor ingens cepit, quum suo i due denunzianti, rapporta la cosa al senato,
publico nomine, ne quid eae conjurationes coe ordinatamente esponendo tutto quello che dap
tusque nocturni fraudis occultae aut periculi im prima gli fu riferito, e quello ch'egli avea di poi
portarent, tum privatim suorum quisque vicem, scoperto. I Padri furono colti da grande spavento
ne quis affinis ei noxae esset. Censuit autem se sì rispetto al pubblico per tema che quelle asso
matus, gratias consuli agendas, quod eam rem et ciazioni e notturne adunanze non covassero qual
cum singulari cura, et sine ullo tumultu investi che occulto tradimento o pericolo, sì privata
gasset. Quaestionem deinde de Bacchanalibus sa mente ciascuno in rispetto a suoi, dubitando che
crisque nocturnis extra ordinem consulibus man qualche congiunto non fosse implicato in quella
dant: indicibus, Aebutio ac Feceniae, ne fraudi colpa. Indi il senato decretò che si rendessero
ea ressit, curare, et alios indices praemiis invi grazie al console, perchè avesse scoperta cotal
tare jubent: sacerdotes eorum sacrorum, seu viri cosa con diligenza singolare e senz'alcun tumulto.
seu feminae essent, non Romae modo, sed per Indi straordinariamente commette a consoli, che
omnia fora et conciliabula conquiri, ut in con facciano inquisizione intorno al fatto de' Bacca
sulum potestate essent: edici praeterea in urbe nali e a que” notturni sagrifizii; che proveggano,
Roma, et per totam Italiam edicta mitti, . Ne acciocchè la cosa non torni a danno di Ebuzio
quis, qui Bacchis initiatus esset, coisse aut con e di Fecenia che l'aveano manifestata, e s'invi
venisse causa sacrorum velit, meu quid talis rei tino altri a manifestare con premii; che si vada
divinae fecisse. - Ante omnia, ut quaestio de his in traccia del sacerdoti di quel misterii, sieno
habeatur, qui coierint, conjuraverintve, quo stu maschi o femmine, nè solamente a Roma, ma
prum flagitiumve inferretur. Haec senatus decre per tutti i borghi e mercati, onde vengano in
vit. Consules aedilibus curulibus imperarunt, ut poter de'consoli: inoltre si pubblichi per tutta
sacerdotes ejus sacri omnes conquirerent, com Roma e si mandino editti per l'Italia tutta, e che
prehensosque libero conclavi ad quaestionem nessuno, il quale fosse iniziato ne' misterii di
servarent; aediles plebis videre, me qua sacra in Bacco, voglia raccogliersi e radunarsi per cele
operto fierent. Triumviris capitalibus mandatum brarli, nè attendere ad alcuna di quelle cerimo
est, ut vigilias disponerent per urbem, serva nie. » Sopra tutto si faccia indagine di quelli che
rent Iue, ne qui nocturni coetus fierent; utque si erano raccolti e radunati, onde commettere
ab incendiis caveretur, adjutores triumviris quin stupri o altre scelleratezze. Il senato così decretò.
queviri uti cis Tiberim suae quisque regionis I consoli comandarono agli edili curuli che ricer
aedificiis praessemt. cassero tutti i sacerdoti di quel culto, e pigliati
li tenessero in privata prigione, riserbandoli agli
esami; agli edili della plebe che badassero che
non si facessero sagrifizii in segreto. Ai triumviri
capitali fu commesso che distribuissero guardie
per tutta la città, ed osservassero che non si
1291 TITI LIVII LIBER XXXIX. 1292

tenesse nessuna adunanza notturna, e per guar


darsi dagl'incendii, si dessero cinque coadiutori
ai triumviri, onde ognun d'essi presedesse agli
edifizii del suo quartiere di qua del Tevere.
XV. Ad haec officia dimissis magistratibus, XV. Mandati i magistrati alle commesse in
consules in Rostra escenderunt; et, concione cumbenze, i consoli salirono i Rostri, e chiamato
advocata, quum solemne carmen precationis, il popolo a parlamento, il console Postumio, com
quod praefari, priusquam populum alloquantur, piuta ch'ebbe la solenne preghiera solita farsi
magistratus solent, peregisset consul, ita coepit: dai magistrati prima di parlare al popolo, comin
« Nulliumquam concioni, Quirites, tam non solum ciò in questa guisa: « A nessuna aringa, o Qui
apta, sed etiam necessaria haec solemnis deorum riti, fu mai più a proposito, anzi più necessaria
comprecatio fuit, quae vos admoneret, hos esse questa solenne preghiera inverso gli dei, come
deos, quos colere, venerari, precaridue majores quella che vi ricorda, questi essere gli dei che
vestri instituissent; non illos, qui pravis et exter i maggiori vostri istituirono che si dovessero
nis religionibus captas mentes, velut furialibus onorare, venerare e pregare; non quelli che
stimulis, ad omne scelus et ad omnem libidinem allucinando le menti con prave e straniere super
agarent. Equidem, nec quid taceam, nec quate stizioni, le spingevano, quasi con infuriati stimoli,
nus proloquar, invenio. Si aliquid ignorabitis, ad ogni sorta di scelleratezze e libidini. Non
ne locum negligentiae dem; si omnia nudavero, trovo per verità nè che mi debba tacere, nè sino
ne mimium terroris obfundam vobis, vereor. a qual segno parlare; temo, se vi lascerò igno
Quidquid dixero, minus, quam pro atrocitate et rare alcun che, di darvi cagione d'essere negli
magnitudine rei, dictum scitote esse: ut ad ca genti, e se vi scopro ogni cosa, di troppo spaven
vendum satis sit, dabitur opera a nobis. Baccha tarvi. Checchè nondimeno dirovvi, sappiate che
malia tota jam pridem Italia, et nunc per urbem sarà sempre meno di quel che cºnvenga all'atro
etiam multis locis esse, non fama modo accepisse cità e grandezza della cosa; fa però vostra cura
vos, sed crepitibus etiam ululatibusque nocturnis, far sì, che basti a mettervi in guardia. Che si
qui personant tota urbe, certum habeo; ceterum, celebrino da gran tempo in tutta Italia ed ora
quae ea res sit, ignorare, alios deorum aliquem pur anche in molti luoghi di Roma i Baccanali,
cultum, alios concessum ludum et lasciviam esse sono certo che ve l'avrà detto non solamente
credere, et, qualecumque sit, ad paucos perti la fama, ma eziandio gli strepiti ed urlamenti
nere. Quod ad multitudinem eorum attinet, si notturni, che s'odono rimbombare per tutta la
dixero, multa millia hominum esse, illico necesse città; del resto credo che ignoriate ciò che sia.
est, exterreamini; misi adjunxero, qui qualesque Altri credonsi che sia qualche culto particolare
sint. Primum igitur mulierum magna pars est, et degli dei, altri un giuoco, un divertimento per
is fons mali hujusce fuit: deinde simillimi feminis messo, e sia che si voglia, esser cosa apparte
mares, stuprati etconstupratores, fanatici vigiles; mente a pochi. Quanto al loro numero, se dirò
vino, strepitibus, clamoribusque nocturnis atto che sono molte migliaia d'uomini, è forza che
miti. Nullas adhuc vires conjuratio, ceterum in subito vi spaventiate, se non aggiungerò chi
crementum ingens virium habet, quod in dies sien costoro e quali. Primieramente adunque
plures fiunt. Majores vestri, ne vos quidem, nisi gran parte sono femmine, e questa fu la sorgente
quum aut, vexillo in arce posito, comitiorum di sì fatto disordine: gli altri son maschi, somi
causa exercitus eductus esset, aut plebi concilium gliantissimi a femmine, stuprati e stupratori,
tribuni edixissent, aut aliquis ex magistratibus fanatici veglianti, sbalorditi dal vino, dagli stre
ad concionem vocasset, forte temere coire volue piti e da notturni clamori. Codesta cospirazione
runt; et, ubicumque multitudo esset, ibi et legiti non ha ancora nessuna forza, se non che grande
mum rectorem multitudinis censebant debere incremento acquista di forze, perchè cresce in
esse. Quales primum nocturnos coetus, deinde numero ogni dì più. I vostri maggiori non vol
promiscuos mulierum ac virorum, esse creditis? lero che nè anche voi stessi vi radunaste a caso,
Si, quibus aetatibus imitientur mares, sciatis, non di vostro capriccio, se non quando, o innalzato
misereat vos eorum solum, sed etiam pudeat. Hoc lo stendardo sulla rocca, si traesser fuori le cen
sacramento initiatos juvenes milites faciendos turie a dare il voto ne'comizii, o i tribuni convo
censetis, Quirites? iis ex obscoemo sacrario eductis cassero la plebe, o qualche magistrato chiamasse
arma committenda? hi, cooperti stupris suis alie il popolo a parlamento, e dove ci fosse moltitu
misque, pro pudicitia conjugum ac liberorum dine di gente, stimarono ch'esser vi dovesse un
vestrorum ferro decernent ? » legittimo rettore. Quali vi credete che sieno
codeste adunanze, tenute primieramente di notte,
1 293 TITI LIVII LIBER XXXIX. 1294
poi mescolatamente di maschi e femmine ? Se
sapeste di quale età sono iniziati i maschi, non
solo ve ne verrebbe compassione, ma rossore.
Pensate, o Quiriti, che de giovani iniziati in
questa milizia sia da farne soldati? che a codesti,
tratti fuori da quell'osceno sacrario, affidarsi
debbano l'armi? Costoro, coperti degli stupri
loro e degli altrui, combatteranno per l'onore
delle vostre mogli, de' figliuoli vostri? »
XVI. a Minustamen esset, si flagitiis tantum XVI. « Pur sarebbe minor male, se fossero
effeminati forent (ipsorum id magna ex parte solamente stemprati nelle dissolutezze (il vitu
dedecus erat), a facinoribus manus, mentem a pero in gran parte non sarebbe che loro proprio),
fraudibus abstinuissent. Numquam tantum ma se astenuto avessero le mani dai delitti, la mente
lum in republica fuit, nec ad plures, mec ad plura dalle frodi. Non vi fu mai nella repubblica male
pertinens. Quidquid his annis libidine, quidquid più grande, nè a maggior quantità di persone e
fraude, quidquid scelere peccatum est, ex illo uno di oggetti appartenente. Tutto quanto s'è fatto
sacrario scitote ortum esse. Necdum omnia, in in questi anni per libidine, per frode, per ini
quae conjuraverunt, edita facinora habent: adhuc quità, sappiate che tutto ebbe origine da quel
privatis noxiis, quia nondum ad rempublicam ridotto. Nè hanno commesso ancora tutti i delitti
opprimendam satis virium est, conjuratio sese che si son proposti di commettere: l'empia con
impia tenet. Crescit et serpit quotidie malum: giura si attiene ancora alle colpe private, perchè
jam majus est, quam ut capere id privata fortuna non ha per anche forze bastanti per opprimere
possit: ad summam rempublicam spectat. Nisi la repubblica. Cresce e ogni dì più serpeggia
praecavetis, Quirites, jam huic diurnae, legitime codesto male: è già più grande di quel che possa
ab consule vocatae, par nocturna concio esse capire privata fortuna; già mira a rovesciare la
poterit. Nunc illi vos singuli universos concio repubblica. Se non vi mettete in guardia, o Qui
nantes timent: jam, ubi vos dilapsi domos et in riti, dietro a questa adunanza di giorno, convo
rura vestra eritis, illi coierint, consultabunt de cata legittimamente dal console, potrà esserne
sua salute simulac vestra pernicie; tum singulis convocata altra simile di notte. Ora essi, ciascuno
vobis universi timendi erunt. Optare igitur unus da sè, vi temono qui raccolti a parlamento; dove
quisque vestràm debet, ut bona mens suis omni voi partendo sarete andati alle vostre case, alle
bus fuerit. Si quem libido, si furor in illum gur vostre ville, essi raduneransi e consulteranno
gitem abripuit, illorum eum, cum quibus in omne ad un tempo della loro salute e della vostra
flagitium et facinus conjuravit, non suum judicet rovina; allora tutti insieme faran tremare ciascun
esse. Ne quis etiam errore labatur, vestràm quo di voi. Deve adunque ognuno bramare che nes
que non sum securus: nihil enim in speciem fal suno de'suoi caduto sia in quel delirio. Se libidi
lacius est, quam prava religio. Ubi deorum nu ne, se furor cieco ne avesse tratto alcuno in
men praetenditur sceleribus, subit animum timor, quella voragine, non lo reputi suo, ma sì attinente
ne fraudibus humanis vindicandis divini juris a coloro, co quali cospirò colui in ogni sorta
aliquid immixtum violemus. Hac vos religione d'infamia e di delitto. Non sono certo nemme
innumerabilia decreta pontificum, senatusconsul no che alcun di voi fallir non possa per errore;
ta, aruspicum denique responsa liberant. Quoties chè non v'ha cosa, la cui apparenza sia più falla
hoc patrum avorumque aetate negotium est ma ce, quanto una storta religione. Quando si copro
gistratibus datum, ut sacra externa fieri veta no le scelleraggini col santo nome degli dei,
rent, sacrificulos vatesque foro, circo, urbe pro sorge nell'animo timore che nel punire le umane
hiberent, vaticinos libros conquirerent combu frodi, non ci avvenga di violare alcun che di
rerentolue, omnem disciplinam sacrificandi, prae ragion divina frammista. Vi liberano da codesto
terquam more Romano, abolerent ? Judicabant timore gl'innumerevoli decreti dei pontefici, i
enim prudentissimi viri omnis divini humanique decreti del senato, le risposte in fine degli aru
juris, nihil aeque dissolvendae religionis esse, spici. Quante volte nell'età de' padri ed avoli
quam ubi non patrio, sed externo ritu sacrifica nostri non s'è data incumbenza ai magistrati, che
retur. Haec vobis praedicenda ratus sum, ne qua proibissero i sagrifiizii stranieri; che scacciassero
superstitio agitaret animos vestros, quum demo codesta sorta di sacerdoti ed indovini dal foro,
lientes nos Bacchanalia discutientesque nefarios dal circo, dalla città; che ricercassero i libri delle
coetus cerneretis. Omnia, diis propitiis volenti sorti e gli abbruciassero, e che abolissero ogni
busque, ea faciemus; qui, quia suum numen sce maniera di sagrificare, eccetto che secondo l'uso
1295 TITI LIVII LIBER XXXIX. 1296
leribus libidinibusque contaminari indigne fere Romano? Perciocchè stimavano quegli uomini,
bant, ex occultis ea tenebris in lucem extraxe d'ogni divino ed umano dritto egregi conoscito
runt, nec patefieri, ut impunita essent, sed ut tori, non per altro modo più corrompersi la reli
vindicarentur et opprimerentur, voluerunt. Se gione, che col sagrificare non co patrii, ma
natus quaestionem extra ordinem de ea re mihi co” riti stranieri. Ho stimato dovervi dir queste
collegaeque meo mandavit: nos, quae ipsis nobis cose, acciocchè nessuna superstizione turbasse gli
agenda sunt, impigre exsequemur. Vigiliarum animi vostri, quando ci vedrete abbattere i Bacca
nocturnarum curam per urbem minoribus ma nali e le scellerate adunanze dissipare. Faremo
gistratibus mandavimus. Vos quoque, aequum est, tutto colla protezione e col favore degli dei; i
quae vestra munia sunt, quo quisque loco positus quali, perchè si sdegnavano che la santità del loro
erit, quod imperabitur, impigre praestare, et nome contaminata fosse dalle libidini e scellera
dare operam, ne quid fraude noziorum periculi tezze, le trasser fuori dalle tenebre alla luce; nè
aut tumultus oriatur. » vollero che diventasser manifeste, perchè rima
nessero impunite, ma sì vendicate e punite. Il
senato straordinariamente commise a me ed al
mio collega, che per noi si faccia inquisizione di
cotal fatto. Noi eseguiremo con forza quello che
tocca a noi. La cura della guardia notturna per
la città l'abbiamo affidata ai minori magistrati.
Conviene che voi pure vi prestiate con zelo a
quello che v'incombe, dovunque ognuno di voi
sarà collocato e secondo vi sarà comandato, ed
attendiate che non insorga tumulto o pericolo
per frode de'colpevoli. »
XVII. Recitari deinde senatusconsulta jus XVII. Poscia ordinarono che si leggessero i
serunt, indicique praemium proposuerunt, si quis decreti del senato, e proposero premii a chi desse
quem ad se deduxisset, nomen ve absentis detulis notizie, o conducesse a consoli alcun de rei, o
set. « Qui nominatus profugisset, diem certam se denunziasse il nome di taluno assente. « Chiun
finituros, ad quam nisi citatus respondisset, que denunziato fuggisse, gli assegnerebbono un
absens damnaretur. Si quis eorum, qui tum extra dato giorno a comparire, nel quale, se citato non
terram Italiam essent, nominaretur, ei laziorem comparisse, sarebbe condanato in assenza. Se fos
diem daturos, si venire ad causam dicendam se denunziato alcuno di quelli che fossero a quel
vellet. ” Edixerunt deinde, a me quisquid fugae tempo fuori d'Italia, gli darebbono un termine
causa vendidisse, neve emisse vellet: ne quis re più largo, se venir volesse a difendersi. » Indi
ciperet, celaret, ope ulla juvaret fugientes. ” pubblicarono un editto, a che nessuno vendesse
Concione dimissa, terror magnus urbe tota fuit; o comperasse checchessia per fuggire, e che nes
nec moenibus se tantum urbis aut finibus Ro suno ricoverasse, celasse, o giovasse di socorso i
manis continuit, sed passim per totam Italiam, fuggitivi. - Licenziato il parlamento, fu grande
literis hospitum de senatusconsulto, et concione, il terrore per tutta la città ; nè si ritenne soltan
et edicto consulum acceptis, trepidari coeptum to dentro le mura della città, o ne' confini Ro
est. Multi ea nocte, quae diem insecuta est, quo mani, ma come si venne a sapere dalle lettere
in concione res palam facta est, custodiis circa di quelli ch'erano in Roma, e del decreto del
portas positis, fugientes a triumviris comprehensi senato e dell'aringa e dell'editto del consoli, si
et reducti sunt: multorum nomina delata: qui cominciò a temere per tutta Italia. Nella notte
dam ex iis viri feminaeque mortem sibi consci che venne dietro al giorno, in cui la cosa fu fatta
verunt. Conjurasse supra septem millia virorum manifesta nel parlamento, molti che fuggivano,
ac mulierum dicebantur. Capita autem conjura messe guardie alle porte, furono presi e rimenati
tionis constabat esse, M. et C. Atinios de plebe indietro dai triumviri: molti nomi furono de
Romana, et Faliscum L. Opiternium, et Minium nunziati: alcuni di questi, uomini e donne, si
Cerrinium Campanum: ab his omnia facinora et diedero la morte. Si diceva che i congiurati
flagitia orta: eos maximos sacerdotes conditores erano più di sette mila tra maschi e femmine. Si
que eius sacri esse. Data opera est, ut primo quo sapeva poi, ch'erano capi della congiura Marco
que tempore comprehenderentur. Adducti ad e Caio Atinii della plebe Romana, e Lucio Opi
consules, fassique de se, nullam moram judicio ternio Falisco e Minio Cerrinio Campano: da
fecerunt. costoro esser nate tutte le infamie, tutti i delitti:
esser essi i grandi sacerdoti e fabbricatori di
i 297 l'ITI LIVII LIBER XXXIX. 1298
quel culto. Si ebbe quindi cura che quanto prima
fossero restati. Tratti davanti a consoli e confes
satisi rei, non tardaron punto la sentenza.
XVIII. Ceterum tanta fuga ex urbe facta erat, XVIII. Del resto, tanta si fu la fuga da Roma,
ut, quia multis actiones et resperibant, cegeren- . che i pretori Tito Menio e Marco Licinio, perchè a
tur praetores T. Maenius et M. Licinius per se molti andavano a perire le azioni e la roba, furono
natum res in diem trigesimum differre, donec obbligati, mediante il senato, a protrarre il ter
quaestiones a consulibus perficerentur. Eadem mine de' piati a trenta giorni, insino a tanto che
solitudo, quia Romae non respondebant, nec in i consoli avessero terminate le inquisizioni. Que
veniebantur, quorum nomina delata erant, coegit sto stesso disertamento, perchè in Roma nè ri
consules circa fora proficisci, ibique quaerere et spondevano, nè si trovavan coloro, i cui nomi
judicia exercere. Qui tantum initiati erant, et ex erano denunziati, obbligò i consoli ad andare al
carmine sacro, praeeunte verba sacerdote, pre le piazze vicine e quivi inquisire e giudicare.
cationes fecerant, in quibus nefanda conjuratio Coloro, ch'erano stati solamente iniziali, ed
in omne facinus ac libidinem continebatur, nec avean pregato dietro la formola esecranda, det
earum rerum ullam, in quasiurejurando obligati tata dal sacerdote, nella quale si conteneva
erant, in se aut alios admiserant, eos in vinculis l'empia cospirazione in ogni sorta di libidini e
relinquebant: qui stupris aut caedibus violati di misfatti, nè però avean commessa nè in sè, nè
erant, qui falsis testimoniis, signis adulterinis, in altri alcuna delle cose, alle quali s'erano im
subjectione testamentorum, fraudibus aliis con pegnati col giuramento, questi li lasciavano in
taminati, eos capitali poena afficiebant. Plures prigione; quelli ch'eran macchiati di stupri e di
necati, quam in vincula conjecti sunt: magna vis “omicidii, di false testimonianze, di segnature
in utraque causa virorum mulierumque fuit. adulterate, di testamenti supposti e d'altre frodi,
Mulieres damnatas cognatis, aut in quorum ma questi li punivano con pena capitale. Furon più i
mu essent, tradebant, ut ipsi in privato animad puniti di morte, che di prigione. Grande fu il nu
verterent in eas. Si nemo erat idoneus supplicii mero degli uomini e delle donne che si trovarono
exactor, in publico animadvertébatur. Datum essere nell'uno e nell'altro caso. Le donne con
deinde consulibus negotium est, ut omnia Bac dannate le consegnavano ai parenti o a loro tu
chanalia Romae primum, deinde per totam Ita tori, acciocchè essi privatamente le giustiziassero.
liam, diruerent; extra quam si qua ibi vetusta Se non si trovava chi volesse assumersi tal carico,
ara aut signum consecratum esset. In reliquum erano giustiziate in pubblico. Indi fu commesso
deinde senatusconsulto cautum est, « Ne qua a consoli che distruggessero tutti i ridotti dei
Bacchanalia Romae, neve in Italia essent. Si quis Baccanali primieramente a Roma, poi per tutta
tale sacrum solemne et necessarium duceret, nec l'Italia, eccetto che se si trovasse quivi qualche
sine religione et piaculo se id omittere posse, ara o statua consacrata a Bacco. Per l'avvenire
apud praetorem urbanum profiteretur, praetor fu provveduto con decreto del senato, «che non
senatum consuleret. Si ei permissum esset, quum più ci fossero nè in Roma, nè in Italia ricetti di
in senatu centum non minus essent, ita id sacrum Baccanali. Se stimasse alcuno solenne essere e
faceret, dum ne plus quinque sacrificio interes necessaria sì fatta foggia di sagrifizii, e non po
sent, neu qua pecunia communis, neu quis ma terli in tralasciare senza scrupolo o peccato, lo
gister sacrorum, aut sacerdos esset. - dichiarasse al pretore di Roma, e il pretore ne
consultasse il senato. Se il senato gliene desse
licenza, però convocato in numero non minore
di cento membri, facesse pur cotali sagrifizii,
purchè non vi assistessero più di cinque persone,
nè vi fosse cassa comune, nè alcun preside o sa
cerdote del medesimi. » - -

XIX. Aliud deinde huic conjunctum, refe XIX. A questo fu unito altro decreto a pro
rente Q. Marcio consule, senatusconsultum factum posta del console Quinto Marcio, e che per quel
est, a Ut de iis, quos pro indicibus consules lo spetta a coloro che aveano denunziata la cosa
habuissent, integra res ad senatum referretur, a consoli, se ne facesse riferta al senato solamen
quum Sp. Postumius, quaestionibus perfectis, te poi che Spurio Postumio, terminate le inquisi
Romam redisset. » Minium Cerrinium Campa zioni, fosse tornato a Roma. - Decretarono che
mum Ardeam in vincula mittendum censuerunt, si mandasse in prigione ad Ardea Minio Cerrinio
magistratibusque Ardeatium praedicendum, ut Campano, e si ordinasse ai magistrati degli Ardea
intentiore eum custodia asservarent, non solum ti che lo guardassero colla maggiore gelosia, non
Livio 2 82
1299 l'ITI LIVII LIBER X XXl X. 13oo

me effugeret, sed ne mortis consciscendae locum solamente perchè non fuggisse, ma eviandio per
haberet. Sp. Postumius aliquanto post Romam chè non avesse modo di darsi la morte. Alquanto
venit. Eo referente, de P. Aebatii et Hispalae tempo di poi Spurio Postumio venne a Roma.
Feceniae praemio, quod eorum opera indicata A di lui proposta il senato fe un decreto in
Bacchanalia essent, senatusconsultum factum est, torno a premii di Publio Ebuzio e di Ispala
« Ut singulis his centena millia aeris quaestores Fecenia, per opera de'quali s'era avuta notizia
urbani ex aerario darent; utique consul cum de' Baccanali ; c. che a ciascuno d'essi dessero
tribunis plebisageret, ut ad plebem primo quo i pretori urbani del pubblico tesoro cento mila
que tempore ferrent, ut P. Aebutio emerita sti assi, e che il console si eoncertasse co'tribuni
pendia essent, ne invitus militaret, neve censor della plebe, acciocchè quanto prima propones
ei equum publicum assignaret. Utique Feceniae sero al popolo che Publio Ebuzio esente fosse
Hispalae datio, deminutio, gentis enuptio, tutoris dalla milizia, nè avesse a militare contro sua vo

optio item esset, quasi ei vir testamento dedisset. glia, nè i censori gli assegnassero il pubblico ca
Utique ei ingenuo mubere liceret; neu quid ei, vallo; che Fecenia Ispala dispor potesse de' suoi
qui eam duxisset, ob id fraudi ignominiaeve beni a grado suo, imparentarsi con qualunque
esset. Utique consules praetoresque, qui nunc famiglia, scegliersi un tutore, come se le fosse
essent, quive postea futuri essent, curarent, ne stato dato dal marito per testamento; che le fos
quid ei mulieri injuriae fieret, utique tuto esset: se permesso di sposarsi ad uomo di libera condi
id senatum velle, et aequum censere, utita fie zione, e a chi la prendesse per moglie non ne
ret. - Ea omnia lata ad plebem, factaque sunt ex venisse danno o disonore, e che i consoli ed i
senatusconsulto; et de ceterorum indicum impu pretori che sono o fossero per l'avvenire, atten
nitate praemiisque consulibus permissum est. dessero che non fosse recata offesa alla donna,
e vivesse sicura. Così volere il senato e trovar
giusto che così fatto sia. Tutto questo fu portato
al popolo ed approvato secondo il decreto del
senato. E della impunità e del premii degli altri
denunziatori ne fu rimesso l'arbitrio ai consoli.
XX: Et jam Q. Marcius, quaestionibus suae XX. E già Quinto Marcio, terminate le inqui
regionis perfectis, in Ligures provinciam profi sizioni del suo ripartimento, si disponeva a pas
cisci parabat; tribus millibus peditum Romano sare alla sua provincia dei Liguri, presi a sup
rum, centum quinquaginta equitibus, et quinque plemento tre mila fanti Romani, cento cinquanta
millibus Latini nominis pèditum, ducentis equi cavalli e cinque mila fanti e dugento cavalli de
tibus in supplementum acceptis. Eadem provin gli alleati Latini. La stessa provincia, lo stesso
cia, idem numerus peditum equitumque et col numero di fanti e di cavalli era stato decretato
legae. decretus erat. Exercitos acceperunt, quos eziandio al suo collega. Ricevettero gli eserciti
priore anno C. Flaminins et M. Aemilius consules che aveano avuto l'anno antecedente i consoli
habuerunt: duas praeterea legiones novas ex Caio Flaminio e Marco Emilio. Fu loro inoltre
senatusconsulto scribere jussi sunt: et viginti commesso dal senato di levar due nuove legioni,
millia peditum sociis et nomini Latino impera e comandarono venti mila fanti e mille trecento
runt, et equites mille trecentos, et tria millia cavalli agli alleati Latini e tre mila fanti e dugen
peditum Romanorum, ducentos equites. Totum to cavalli Romani. Si voleva che tutto questo
hunc exercitum praeter legiones, in supplemen esercito, tranne le legioni, si mandasse in sup
tum Hispaniensis exercitus duci placebat. Itaque plemento all'esercito di Spagna. Quindi, mentre
consules dum ipsi quaestionibus impediebantur, i consoli occupati erano personalmente nelle in
T. Maenium delectui habendo praefecerunt. Per quisizioni, destinarono Tito Menio a far la leva.
fectis quaestionibus, prior Q. Marcius in Ligures Terminate le inquisizioni, primo Quinto Marcio
Apuanos est profectus. Dum penitus in abditos andò a combattere i Liguri Apuani. Mentre gli
saltus, quae latebrae receptaculaque semper illis insegue ben addentro nelle fitte boscaglie ch'era
fuerant, persequitur, in praeoccupatis angustiis, no sempre state i loro ricetti e nascondigli, fu
loco iniquo est circumventus. Quatuor millia avviluppato in sito svantaggioso tra certe stret
militun amissa; et legionis secundae signa tria, tezze già preoccupate. Si son perduti da quattro
undecim vexilla sociùn Latini nominis in pote mila soldati, e caddero in poter de'nemici tre
statem hostium venerunt, et arma multa, quae, bandiere della seconda legione, undici insegne
quia impedimento fu gientibus per silvestresse degli alleati Latini e molte armi, le quali qua e
mitas erant, passim jactabantur. Prius sequendi là si gettavan via perchè impacciavano la fuga per
ligures finem, quam fugae Romani, fecerunt, imboscati sentieri e cessarono prima i Liguri di
13o 1 TITI LIVII illel XXXIX. I 3o2

Consul, ubi primum ex hostium agro evasit, ne, inseguire, che i Romani di fuggire. Il console,
quantum deminutae copiae forent, appareret, come tosto uscì dalle terre de nemici, acciocchè
in locis pacatis exercitum dimisit. Non tamen non si vedesse quanto scemato fosse di forze,
obliterare famam rei male gestae potuit: mam fe passare l'esercito in paese amico. Non potè
saltus, unde eum Ligures fugaverani, Marcius però cancellar la memoria dell' bnta ricevuta,
est appellatus. perciocchè l'angusto passo, donde lo aveano i
Liguri volto in fuga, fu chiamato Marcio.
XXI. Sub hunc nuncium ex Ligustinis vul XXI. Dietro a questa novella divulgata dalla
gatum literae, ex Hispania mixtam gaudio tristi Liguria, si son recitate lettere dalla Spagna, re
tiam afferentes, recitatae sunt. C. Atinius, qui canti gioia insieme e tristezza. Caio Atinio, il
biennio ante praetor in eam provinciam profe quale due anni innanzi era andato pretore a
ctus erat, cum Lusitanis in agro Astensi signis quella provincia, venne a giornata campale coi
collatis pugnavit. Ad sex millia hostium sunt Lusitani nel contado Astense. Furono uccisi da
caesa: ceteri fusi, fugati, castris ſue esuti. Ad sei mila nemici, gli altri sbaragliati, messi in fuga
oppidum deinde Astam oppugnandum legiones e spogliati degli alloggiamenti. Indimena egli le
ducit: id quoque haud multo majore certamine legioni ad assediare Asta: prese anche questa con
cepit, quam castra; sed, dum incautius subit fatica non molto maggiore che gli alloggiamenti:
muros, ictus ex vulnere post dies poucos mori ma mentre si avvicina alle mura troppo incauta
tur. Literis de morte propraetoris recitatis, sena mente, riportatane una ferita, da lì a pochi gior
tus censuit mittendum, qui ad Lunae portum ni muore. Recitate le lettere che recavano la
C. Calpurnium praetorem consequeretur, num morte del propretore, il senato decretò che si
ciaretgue, senatum aequum censere, ne sine im mandasse un messo al porto di Luna a raggiun
perio provincia esset, maturare eum pro ſicisci. gere il pretore Caio Calpurnio, e gli dicesse, tro
Quarto die, qui missus erat, Lunam venit: paucis var conveniente il senato, acciocchè la provincia
ante diebus Calpurnius profectus erat. Et in non rimanesse senza chi la comandasse, ch'egli
citeriore Hispania L. Manlius Acidinus, qui affretti la sua partenza. Il messo arrivò a Luna
eodem tempore, quo C. Atinius, in provinciam quattro di dopo: Calpurnio n'era partito pochi
ierat, cum Celtiberis acie conflixit. Incerta vi di innanzi. Anche nella Spagna citeriore Lucio
ctoria discessum est, nisi quod Celtiberi castra Manlio Acidino, ch'era andato a quella provincia
inde nocte proxima moverunt; Romani et suos. nel tempo stesso che Caio Atinio, venne alle
sepeliendi, et spolia legendi ex hostibus potestas mani coi Celtiberi. Si separarono a vittoria inde
facta est. Paucos post dies, majore coacto exerci cisa; se non che i Celtiberi la notte seguente
tu, Celtiberi ad Calagurrim oppidum ultro la ces levarono il campo, e fu dato a Romani di seppel
si verunt proelio Romanos. Nihil traditur, quae lire i suoi e di raccogliere le spoglie del nemici.
causa numero aucto infirmiores eos fecerit: supe Pochi giorni di poi, radunato un esercito più
rati proelio sunt: ad duodecim millia hominum grosso, i Celtiberi provocarono a battaglia i Ro
caesa, plus duo capta; et castris Romanus potitus: mani presso il castello di Calagurri. Non ci vien
et, misi sucessor adventu suo inhibuisset impetum detto qual cagione, benchè cresciuti fossero di
victoris, subacti Celtiberi forent. Novi praetores numero, gli abbia renduti più deboli: rimasero
ambo exercitus in hiberna deduxerunt. vinti; si sono uccisi da dodici mille uomini, presi
più di due mila, e il Romano s'impadronì degli
alloggiamenti; e se la venuta del successore non
avesse ritenuto l'impeto del vincitore, i Celtiberi
sarebbono stati soggiogati. I nuovi pretori tras
sero ambedue gli eserciti a quartieri d'inverno.
XXII. Per eos dies, quibus haec ex Hispania XXII. Intorno a quel medesimi dì, ne' quali
nunciata sunt, ludi Taurii per biduum facti reli vennero queste novelle di Spagna, si celebrarono
gionis causa. Per dies decem apparatos deinde per due giorni i giuochi Taurii per oggetto di
ludos M. Fulvius, quos voverat Aetolico bello, religione. Indi per altri dieci giorni Marco Ful
fecit. Multi artifices ex Graecia venerunt honoris vio diede i giuochi, de'quali avea fatto voto nella
ejus causa. Athletarum quoque certamen tum guerra Etolica. Molti artefici vennero di Grecia
primo Romanis spectaculo fuit, et venatio data per fargli onore. Anche lo spettacolo del certame
leonum et pantherarum; et prope hujus seculi degli atleti fu allora per la prima volta offerto
copia ac varietate ludricum celebratum est. No a Romani; si diede una caccia di leoni e di pan
vemdiale deinde sacrum tenuit, quod in Piceno tere, e la festa fu celebrata quasi colla pompa e
per triduum lapidibus pluerat, ignesque coelestes varietà del nostro secolo. Indi succedettero nove
13o3 TlTI LIVII LIBER XXXIX. 13o4
multifariam orti adussisse complurium levi af giorni di sagrifizii, perchè piovute eran pietre
flatu vestimenta maxime dicebantur. Addita et nel contado Piceno per tre dì, e si diceva che
unum diem supplicatio est ex decreto pontificum, vampe celesti, spiccatesi da varie parti, aveano,
quod aedes Opis in Capitolio de coelo tacta erat: leggermente lambendo, arso specialmente le vesti
hostiis majoribus consules procurarunt, urbem di parecchi. Si aggiunse anche un giorno di
que lustraverunt. Sub idem tempus et ex Umbria preghiere per decreto del pontefici, perchè il
nunciatum est, semimarem duodecim ferme an tempio di Opi nel Campidoglio era stato percos
nos natum inventum. Id prodigium abominan so da fulmine. I consoli sagrificarono con le
tes, arceri Romano agro necarique quamprimum grandi vittime e purificaron la città. In quel
jusserunt. Eodem anno Galli Transalpini, trans tempo medesimo anche dall'Umbria fu recato
gressi in Venetiam sine populatione aut bello, essersi trovato un ermafrodito dell'età quasi di
haud procul inde, ubi nunc Aquileia est, locum anni dodici. Destando orrore così fatto prodigio,
oppido condendo ceperunt. Legatis Romanis, de si ordinò che fosse quanto prima portato fuori
ea re trans Alpes missis, responsum est, a Neque del territorio Romano ed ammazzato. Nell'anno
profectos ex auctoritate gentis eos, mec, quid in stesso i Galli transalpini, penetrati essendo nella
Italia facerent, se scire. L. Scipio ludos eo Venezia senza far guasto, nè guerra, presero un
tempore, quos bello Antiochi vovisse sese dice luogo per fabbricare una città, non discosto dal
bat, ex collata ad id pecunia ab regibus civitati sito, dove ora è Aquileia. Ai legati Romani, ch'e
busque per dies decem fecit. Legatum eum post rano stati mandati per questo oltre l'Alpi, fu
damnationem et bona vendita missum in Asiam, risposto: «Non esser coloro partiti col consenti
ad dirimenda inter Antiochum et Eumenem reges mento della nazione, nè sapersi che si facessero
certamina, Valerius Antias est auctor: tum col in Italia.» Lucio Scipione celebrò in quel tempo
iatas ei pecunias, congregatosque per Asiam arti per dieci giorni i giuochi, de quali diceva aver
fices; et, quorum ludorum post bellum, in quo fatto voto nella guerra di Antioco, col danaro
votos diceret, mentionem non fecisset, de iis che raccolto aveva a tal fine dai re e dalle città.
post legationem demum in senatu actum. Valerio Anziate scrive che dopo la condanna e
la vendita de'suoi beni, Lucio fu mandato legato
in Asia a comporre le differenze tra Antioco ed
Eumene; che allora gli furon fatte volontarie
contribuzioni, e che radunò artefici da tutta
l'Asia, e che solamente allora, dopo il suo ritor
no, si trattò in senato del giuochi, de quali non
aveva egli fatto menzione dopo la guerra, nella
quale diceva di averne fatto il voto.
XXIII. Quum jam in exitu annus esset, XXIII. Essendo già l'anno in sul finire, Quinto
Q. Marcius absens magistratu abiturus erat. Sp. Marcio assente stava per uscire di magistrato. Spu
Postumius, quaestionibus cum summa fide cu rio Postumio, compiute con somma diligenza e
raque perfectis, comitia habuit. (Anno U. C. fede le inquisizioni, tenne i comizii. (Anni D. R.
567. – A. C. 185.) Creati sunt consules Ap. 567. – A. C. 185.) Furono creati consoli Appio
Claudius Pulcher, M. Sempronius Tuditanus. Claudio Pulcro e Marco Sempronio Tuditano. Il
Postero die praetores facti P. Cornelius Cethe dì appresso furon fatti pretori Publio Cornelio
gus, A. Postumius Albinus, C. Afranius Stellio, Cetego, Aulo Postumio Albino, Caio Afranio Stel
C. Atilius Serranus, L. Postumius Tempsanus, lione, Caio Atilio Serrano, Lucio Postumio Tem
M. Claudius Marcellinus. Extremo anni, quia psano, Marco Claudio Marcellino. Alla fine dell'an
Sp. Postumius consul renunciaverat, peragran no, perchè il console Spurio Postumio avea riferito
tem se propter quaestiones utrumque litus Ita che percorrendo egli, per motivo delle inquisizio
liae desertas colonias, Sipontum supero, Buxen ni, l'uno e l'altro lido d'Italia, avea trovate deserte
tum infero mari, invenisse; triumviri ad colonos le due colonie di Siponto sul mare di sopra, e di
eo scribendos ex senatusconsulto ab T. Maenio Bussento su quello di sotto, furon per decreto
praetore urbano creati sunt, L. Scribonius Libo, del senato dal pretore urbano Tito Menio nomi
M. Tuccius, Cn. Baebius Tamphilus. Cum Perseo nati triumviri a condurvi de'coloni Lucio Scri
rege et Macedonibus bellum, quod imminebat, bonio Libone, Marco Tuccio e Gneo Bebio Tan
non unde plerique opinantur, nec ab ipso Perseo filo. La guerra col re Perseo e co Macedoni, che
causas cepit. Inchoata initia a Philippo sunt: et sovrastava, non trasse origine di là, donde stima
is ipse, si diutius vixisset, id bellum gessisset. no i più, nè da Perseo stesso. I principii vennero
Una eum res, quum victo leges imponerentur, da Filippo, ed egli stesso, se vivuto fosse più
13o5 TITI LIVII LIBER XXXIX. i 3oG

maxime angebat: quod, qui Macedonum ab se lungamente, l'avrebbe comandata. Una cosa
defecerant in bello, in eos jus saeviendi adem sopra tutto, quando vinto ebbe a ricevere la leg
ptum ei ab senatu erat; quum, quia rem inte ge, massimamente lo crucciava, che il senato gli
gram Quintius in conditionibus pacis distulerat, avea levato il dritto di punire que' Macedoni che
non desperasset impetrari posse. Antiocho rege nella guerra s'eran da lui ribellati; mentre che,
deinde bello superato ad Thermopylas, divisis avendo Quinzio differito d'inserir questa tra le
partibus, quum per eosdem dies consul Acilius condizioni della pace, non avea Filippo disperato
Heracleam, Philippus Lamiam oppugnasset; ca di ottenere l'intento. Poscia, superato alle Ter
pta Heraclea, quia jussus abscedere a moenibus mopile il re Antioco, avendo a quel dì medesimi,
Lamiae erat, Romanisque oppidum deditum est, spartitesi tra loro le operazioni, il console Acilio
aegre eam rem tulerat. Permulsit iram ejus con assediata Eraclea, Filippo Lamia, perchè, come
sul, quod, ad Naupactum ipse festinans, quo se fu presa Eraclea, gli fu comandato di partirsi da
ex fuga Aetoli contulerant, Philippo permisit, Lamia, e la terra era stata consegnata a Romani,
ut Athamaniae et Amynandro bellum inferret, avea sofferto questo di malavoglia. Nondimeno il
et urbes, quas Thessalis Aetoli ademerant, regno console avea raddolcito il di lui sdegno, perchè,
adjiceret. Haud magno certamine et Amyman affrettandosi egli di andare a Naupatto, dove
drum Athamamia expulerat, et urbes aliquot dopo la fuga portati s'erano gli Etoli, permise a
receperat. Demetriadem quoque, urbem validam Filippo che andasse a combattere l'Atamania e
et ad omnia opportunam, et Magnetum gentem Aminandro, ed al suo regno aggiungesse le città
suae ditionis fecit: inde et in Thracia quasdam che gli Etoli avean tolte ai Tessali. Avea Filippo,
urbes, novae atque insuetae libertatis vitio, sedi senza grande contrasto, scacciato Aminandro
tionibus principum turbatas, partibus, quae do dall'Atamania e ricuperate alquante terre. S'im
mestico certamine vincerentur, adjungendo sese, padronì anche di Demetriade, città forte, oppor
cepit. tuna a tutto, non che della nazione de'Magneti.
Indi anche nella Tracia prese alcune città, scom
pigliate dalle sedizioni de'capi per abuso della
nuova inusitata libertà, aggiungendosi alla parte
che nella domestica lotta rimaneva al di sotto.
XXIV. His sedata in praesentia regis ira in XXIV. Tutto questo potè calmar di presente
Romanos est: numquam tamen remisit animum l'ira del re contro i Romani: non però allentossi
a colligendis in pace viribus, quibus, quandoque egli mai dal raccogliergenti in tempo di pace,
data fortuna esset, ad bellum uteretur. Vectigalia delle quali, quando gli venisse il destro, valersi
regni non fructibus tantum agrorum portoriis nella guerra. Accrebbe le rendite del regno non
que maritimis auxit, sed metalla etiam et vetera solamente coi frutti della terra e con le gabelle
intermissa recoluit, et nova multis locis instituit. de porti, ma ripigliò il lavoro delle vecchie mi
Ut vero antiquam multitudinem hominum, quae niere abbandonate, e ne fe' lavorar di nuove in
belli cladibus amissa erat, restitueret, non sobo molti altri luoghi. Per poi rimettere l'antico
lem tantum stirpis parabat, cogendis omnibus numero degli uomini, perduti per le sciagure
procreare atque educare liberos, sed Thracum della guerra, non solamente procurava di conser
etiam magnam multitudinem in Macedoniam tra var le famiglie, obbligando tutti a procreare ed
duxerat, quietusque aliquamdiu a bellis, omni allevare figliuoli, ma eziandio tratto aveva in
cura in augendas regni opes intentus fuerat. Macedonia gran moltitudine di Traci, e riposan
Rediere deinde causae, quae de integro iram do alquanto tempo dalle guerre, s'era messo con
moverent in Romanos. Thessalorum et Perrhae ogni studio ad accrescere le forze del regno. Indi
borum querelae de urbibus suis ab eo possessis, insorsero nuove cagioni che gli ridestaron l'ira
et legatorum Eumenis regis de Thraciis oppidis contro i Romani. Le querele dei Tessali e dei
per vim occupatis, traductaque in Macedoniam Perrebi per le loro città, ch'egli possedeva, e
multitudine, ita auditae erant, ut eas non negligi quelle dei legati del re Eumene pe' castelli della
satis appareret. Maxime moverat senatum, quod Tracia, che occupati aveva colla forza, e per la
jam Aeni et Maroneae affectari possessionem moltitudine de'Traci trasportati nella Macedo
audierant; minus Thessalos curabant. Athama nia, erano sentite in modo da lasciar conoscere
nes quoque venerunt legati, non partis amissae, che non erano trascurate. Avea specialmente
non finium jacturam querentes, sed totam Atha mosso il senato l'aver udito ch'egli di già mira
maniam sub jus judiciumque regis venisse. Et va a impadronirsi di Eno e di Maronea: quanto
Maronitarum exsules (erant pulsi, quia libertatis a Tessali, non se ne curavano i Romani gran
causam defendissent ab regio praesidio) ii non fatto. Vennero eziandio i legati degli Atamani a
13o7 “l'ITI LIVII LIBER XXXIX. 13o8

Maroneam modo, sed etiam Aenum in potestate dolersi non della perdita di una parte del terri
nunciabant Philippi esse. Venerantet a Philippo torio, non dei confini invasi, ma sì che tutta
legati ad purganda ea ; qui nihil, nisi permissu l'Atamania fosse caduta nelle mani ed in potere
Romanorum imperatorum, factum affirmabant. del re. E i fuorusciti di Maronea ( n' erano stati
« Civitates Thessalorum et Perrhaeborum et scacciati perchè avean difesa la causa della liber
Magnetum, et cum Amynandro Athamanum gen tà contro il presidio del re) annunziavano che
tem, in eadem causa, qua Aetolos, fuisse. Antiocho non solamente Maronea, ma Eno pur anche era
rege pulso, occupatum oppugnandis Aetolicis già in potere di Filippo. Eran venuti ambasciato
urbibus consulem ad recipiendas eas civitales tori anche da Filippo a purgarsi di ciò, i quali
Philippum misisse: armis subactos parere. “ Se affermavano niente essersi fatto senza la permis
natus, ne quid absente rege statueret, legatos ad sione del comandanti Romani. . Le città de'Tes
eas controversias disceptandas misit, Q. Caeci sali, de Perrebi e dei Magneti e la nazione degli
lium Metellum, M. Baebium Thamphilum, Ti. Atamani con Aminandro, essere state dello stesso
Sempronium. Quorum sub adventum ad Thessa partito che gli Etoli. Scacciato il re Antioco, il
lica Tempe omnibus iis civitatibus, quibus cum console, occupato a combattere le città dell'Eto
rege disceptatio erat, concilium indictum est. lia, avea mandato Filippo a conquistar quelle
terre: sottomessi coll'armi ubbidivano. » Il se
nato, per non prendere alcuna deliberazione in
assenza del re, mandò legati a conoscere di quel
le differenze Quinto Cecilio Metello, Marco Bebio
Tanfilo e Tito Sempronio; alla venuta de quali
fu intimata una dieta in Tempe di Tessaglia di
tutte quelle città che aveano controversie con
Filippo.
XXV. Ibi quum Romani legati disceptatorum XXV. Quivi essendosi messi a sedere i legati
loco, Thessali Perrhaebique et Athamanes haud Romani come arbitri, i Tessali, i Perrebi e gli
dubii accusatores, Philippus ad audienda crimina Atamani, come non dubbii accusatori, e Filippo,
tamquam reus, consedissent; pro ingenio quis come reo, ad udire la accuse, ciascuno di quelli
que eorum, qui principes legationum erant, et ch'eran capi delle legazioni, arringò più acerba
gratia cum Philippo autodio, acerbius leniusve mente o più dolcemente, secondo l'affezione o
egerunt. In controversiam autem veniebant, l'odio che portava a Filippo. Eran soggetto di
Philippopolis, Tricca, Phaloria, et Eurymenae, controversia Filippopoli, Tricca, Faloria ed Eu
et cetera circa eas oppida; utrum Thessalorum rimene e le altre terre d'intorno, se elle fossero
juris, quum vi ademptae possessaeque ab Aetolis di appartenenza de'Tessali, essendo state loro
forent (mam Philippum Aetolis ademisse eas con tolte per forza e possedute dagli Etoli (chè Fi
stabat), an Aetolica antiquitus ea oppida fuissent. lippo le avea fuor di dubbio tolte agli Etoli ), o
« Ita enim Acilium regi concessisse, si Aetolorum se fossero state anticamente degli Etoli. « Percioc
fuissent, et si voluntate, non si vi atque armis chè Acilio le avea al re concedute, purchè fossero
coacti, cum Aetolis essent. » Ejusdem formulae state degli Etoli, e si fossero ad essi unite per
disceptatio de Perrhaeborum Magnetumque op genio, non costrette dalla forza e dalle armi. »
pidis ſuit. Omnium enim jura possidendo per Era dello stesso tenore la disputa intorno alle
occasiones Aetoli miscuerant. Ad haec, quae terre de' Perrebi e de'Magneti; perciocchè gli
disceptationis erant, querelae Thessalorum adje Etoli, all'occasione di possederle, aveano rime
ctae, a quod ea oppida, si iam redderentur sibi, scolati e confusi tutti i diritti. A tutto questo, che
spoliata ac deserta redditurus esset. Nam, praeter cadeva in questione, si aggiungevano le querele
belli casibus amissos, quingentos principes juven dei Tessali, « perchè, quando pure si rendesser
tutis in Macedoniam abduxisse, et opera eorum loro quelle terre, Filippo le renderebbe deserte
in servilibus abuti ministeriis: et, quae reddide e spogliate; perciocchè, oltre la gente perduta
rit coactus Thessalis, inutilia utredderet, curasse. in guerra, aveva egli tratti in Macedonia cinque
Thebas Phthias unum maritimum emporium fuis cento del principali giovani, e si valeva della lor
se, quondam Thessalis quaestuosum et frugife opera in ministeri servili; ed avea posto cura,
rum. ibi navibus onerariis comparatis, regem, acciocchè quello che fosse costretto restituire ai
quae praeter Thebas Demetriadem cursum diri Tessali, il restituisse di nessun uso. Tebe Ftia era
gerent, negotiationem maritimam omnem eo stata una volta il solo emporio marittimo, frut
avertisse. Jam ne a legatis quidem, qui jure tuoso ed utile ai Tessali. Filippo, procacciatesi
gentium sancti sint, violandis abstinere: insidias quivi alquante navi da carico, le quali, oltrepas
13o0 TITI LIVII LIBER XXXIX. 131 o

positas euntibus ad T. Quintium. Itaque ergo in sando Tebe, si dirigessero a Demetriade, aver
tantum metum omnes Thessalos conjectos, ut divertito colà tutto il commercio marittimo. E
non in civitatibus suis, non in communibus gentis già nemmeno si astiene dal violare gli ambascia
conciliis, quisquam hiscere audeat: procul enim tori, che per diritto delle genti sono inviolabili :
abesse libertatis auctores Romanos: lateri adhae erano stati tesi agguati a quelli, che andavano a
rere gravem dominum, probibentem uti benefi Tito Quinzio. Quindi tutti i Tessali erano stati
ciis populi Romani. Quid autem, si vox libera messi in tal paura, che nelle loro città, nelle as
non sit, liberum esse ? Nunc se fiducia et praesi semblee generali nessuno osava zittire, perciocchè
dio legatorum ingemiscere magis, quam loqui. i Romani, autori della loro libertà, eran lontani
Nisi provideant aliquid Romani, quo et Graecis di troppo: avean fitto ne' fianchi un imperioso
Macedoniam accolentibus metus, et audacia Phi padrone, che gl'impediva di valersi del benefizii
lippi minuatur, nequidquam et illum victum, et del popolo Romano. E se la voce non è libera,
se liberatos esse. Ut equum tenacem, non paren che c'è di libero mai? Ora mettendo lor fidanza
tem, frenis asperioribus castigandum esse. ” Haec nel presidio de legati vengono piuttosto a geme
acerbe postremi; quum priores leniter permul re, che a parlare. Se non proveggono in qualche
sissent iram ejus, petentes, a Ut ignosceret pro modo i Romani, onde si scemi il timore ai Greci
libertate loquentibus; et ut, deposita domini vicini alla Macedonia, ed a Filippo l'audacia, in
acerbitate, assuesceret socium atque amicum sese darno fu egli vinto, indarno essi liberati. Biso
praestare, et imitaretur populum Romanum, qui gna ritenerlo con più aspro freno, come caval
caritate, quam metu, adjungere sibi socios mal lo disobbediente e caparbio. » Con codesta acer
let. ” Thessalis auditis, Perrhaebi Gonnocondy bità parlarono gli ultimi; mentre i primi avean
lum, quod Philippus Olympiadem appellaverat, dolcemente rammollita l'ira del re, pregandolo,
Perrhaebiae fuisse, et ut sibi restitueretur, age « Che perdonasse a chi parlava in difesa della
bant: et de Malloea et Ericinio eadem postulatio libertà, e che, deposto il tuono aspro di padrone,
erat. Athamanes libertatem repetebant, et castella si avvezzasse a comportarsi quale alleato ed ami
Athenaeum et Poetneum. A co; ed imitasse il popolo Romano, il quale
preferiva di guadagnarsi i popoli più coll'affe
zione, che col timore. º Uditi i Tessali, i Perrebi
sostenevano che Gonnocondilo, che Filippo avea
chiamato OIimpiade, era stato una volta dipen
denza della Perrebia, e che fosse loro renduto : si
facea la stessa richiesta quanto a Mallea ed Erici
nio. Gli Atamani ridomandavano la libertà e i
castelli di Ateneo e di Petneo.
XXVI. Philippus, ut accusatoris potius, quam XXVI. Filippo, per assumere la sembianza
rei, speciem haberet, et ipse a querelis orsus, piuttosto di accusatore, che di accusato, comin
c. Menelaidem in Dolopia, quae regni sui fuisset, ciando anch'egli dalle querele, si lagnò, « Che i
Thessalos vi atque armis expugnasse, questus Tessali pigliato avessero colla forza dell'armi
est: item Petram in Pieria ab iisdem Thessalis Menelaide nella Dolopia, che già apparteneva al
Perrhaebisque captam. Xynias quidem, haud suo regno, e che similmente gli stessi Tessali
dubie Aetolicum oppidum, sibi eos contribuisse; co Perrebi presa avessero Petra nella Pieria.
et Paracheloida, quae sub Athamania esset, nullo Eransi pur anche attribuita Xinia, castello senza
jure Thessalorum formulae factam. Nam quae dubbio degli Etoli; e Paracheloida, ch'era nel
sibi crimina objiciantur de insidiis legatorum, l'Atamania, era stata senza diritto alcuno asso
et maritimis portubus frequentatis aut desertis, ciata a Tessali. Perciocchè quanto alle imputazio
alterum deridiculum esse, se reddere rationem, ni, che gli si fanno, delle insidie tese ai legati e
quos portus mercatores aut nautici petant; alte dei porti marittimi o frequentati, o desertati, era
rum mores suos respuere. Tot annos esse, per l'una ridicola, ch' egli abbia a render ragione a
quos numquam cessaverint legati, nunc ad impe quali porti vadano i mercatanti, o i marinai ,
ratores Romanos, nunc Romam ad senatum cri l'altra era convinta dalla sua costante condotta,
mina de se deferre. Quem umquam verbo viola Non avean mai cessato i lor legati da tant'anni
tum esse ? Semel ad Quintium euntibus insidias di portar accuse contro di lui, ora ai comandanti
dici factas: sed, quid iis acciderit, non adjici. Romani, ora al senato in Roma. Qual d'essi fu
Quaerentium, quod falso objiciant, quum veri violato mai pur d'una parola ? Si dice che una
nihil habeant, ea crimina esse. Insolenter et im volta furono tese insidie ai legati, che andavano
- modice abuti Thessalos indulgentia populi Ro a Quinzio; ma non si aggiunge che ne sia avve
131 1 TITI LIVII LIBER XXXIX. 13 t 2

mani, velut ex diutina siti nimis avide meram nuto. Son queste le false imputazioni, che cercan
haurientes libertatem. Itaque, servorum modo di fare, non avendo niente di vero da opporre.
praeter spem repente manumissorum, licentiam Si abusano i Tessali con impudenza e smodatezza
vocis et linguae experiri, et jactare sese insecta dell'indulgenza del popolo Romano, quasi dopo
tione et convitiis dominorum. " Elatus deinde lunga sete tracannando troppo ingordamente la
ira adjecit, « Nondum omnium dierum solem coppa della libertà. Quindi a guisa degli schiavi
occidisse. » Id minaciter dictum, non Thessali repente fuor di loro speranza liberati, fan prova
modo in sese, sed etiam Romani acceperunt: et di licenza di voce e di lingua, e dansi bell'aria,
quum fremitus post eam vocem ortus, et tandem scagliando invettive e villanie contro i lor padro
sedatus esset, Perrhaeborum inde Athamanum ni. » Indi trasportato dall'ira aggiunse, « Non
que legatis respondit, « Eamdem, de quibus illi essere ancora tramontato l'ultimo sole de'giorni
agant, civitatium causam esse: consulem Acilium suoi. » Questo detto minaccioso non solamente i
et Romanos sibi dedisse eas, quum hostium es Tessali, ma i Romani exiandio il tennero scaglia
sent. Si suum munus, qui dedissent, adimere to contro di loro. Ed essendo insorto dopo quelle
velint, scire se, cedendum esse; sed meliori ac parole un fremito, ed infine quetatosi, Filippo
fideliori amico, in gratiam levium et inutilium rispose ai legati de'Perrebi e degli Atamani:
sociorum, injuriam eos esse facturos. Nec enim « La causa delle città, delle quali parlano, era la
ullius rei minus diuturnam esse gratiam, quam medesima: il console Acilio e i Romani le aveano
libertatis; praesertim apud eos, qui male utendo cedute a lui nel tempo, ch'eran esse in mano
eam corrupturi sint. » Causa cognita, pronun de' nemici. Se gli vogliono ritorre il dono, che
ciaverunt legati, a Placere, deduci praesidia Ma avean fatto, ben sapeva di dover cedere; ma fa
cedonum ex iis urbibus, et antiquis Macedoniae rebbono torto al migliore e più fedele amico, che
terminis regnum finiri. De injuriis, quas ultro s'abbiano, per gratificare alleati leggeri e disuti
citroque illatas querantur, quo modo inter eas li. Perciocchè non v'ha cosa, di cui duri meno
gentes et Macedonas disceptetur, formulam juris la riconoscenza, quanto della libertà; specialmen
exsequendi constituendam esse. » te presso coloro, che vanno a guastarla col mal
uso. Intese le ragioni delle parti, i legati pro
nunziarono : « Essere di avviso, che si levino i
presidii de Macedoni dalle dette città, e che il
regno di Filippo sia circoscritto negli antichi
termini della Macedonia. Quanto ai torti, che
l'una e l'altra parte si lagna essere stati rispetti
vamente fatti, sarebbe stabilita una norma di
procedere, secondo la quale tra que popoli ed
i Macedoni si sarebbono discusse le rispettive
ragioni. »
XXVII. Inde, graviter offenso rege, Thessa XXVII. Di là, essendo rimasto gravemente
lonicen ad cognoscendum de Thraciae urbibus offeso Filippo, andarono a Tessalonica a conoscer
proficiscuntur. ibi legati Eumenis: « Si liberas delle cause delle città della Tracia. Quivi i legati
esse Aenum et Maroneam velint Romani, nihil di Eumene: « Se vogliono i Romani che Eno e
sui pudoris esse ultra dicere, quam ut admo Maronea sien libere, non osino parlar più oltre,
neant, re, non verbo, eos liberos relinquant, nec se non ammonirli che le lascino libere in fatto,
suum munus intercipi ab alio patiantur. Sin non in parole, nè soffrano ch'altri renda vano
autem minor cura sit civitatium in Thracia posi il lor dono. Se poi si pigliano minor cura delle
tarum, multo verius esse, quae sub Antiocho città poste nella Tracia, essere molto più conve
fuerint, praemia belli Eumenem, quam Philip niente, che quelle, ch'erano di Antioco, se le
pum, habere; vel pro patris Attali meritis bello, abbia in premio della guerra piuttosto Eumene,
quod adversus Philippum ipsum gesserit populus che Filippo, o pe' meriti di Attalo suo padre
Romanus; vel suis, quod Antiochi bello terra nella guerra, che fece il popolo Romano contro
marique laboribus periculisque omnibus inter lo stesso Filippo, o pe' meriti suoi, come quegli
fuerit. Habere eum praeterea decem legatorum che s'era trovato in tutte le fatiche e pericoli di
in eam rem praejudicium; qui quum Chersone terra e di mare nella guerra contro Antioco.
sum Lysimachiamdue dederint, Maroneam quo Avere inoltre Eumene il giudizio già dato innan
que atque Aenum profecto dedisse, quae ipsa zi su di ciò dai dieci legati ; i quali quando gli
propinquitate regionis velut appendices majoris hanno conceduto il Chersoneso e Lisimachia,
muneris essent. Nam Philippum quidem quo aut gli avean certo data anche Maronea ed Eno, città,
1 3 13 TITI LIVIl LIBER XXXIX. 13 14

merito in populum Romanum, aut jure imperii, che per la vicinanza del territorio erano come
quum tam procul a finibus Macedoniae absint, appendici al dono maggiore. Perciocchè per qual
civitatibus his praesidia imposuisse? Vocari Ma suo merito verso il popolo Romano, o per qual
ronitas juberent: ab iis certiora omnia de statu dritto di stato avea Filippo messo presidii in
civitatium earum scituros. - Legati Maronitarum quelle città, che son pure così lontane dai confini
vocati, « Non uno loco tantum urbis praesidium della Macedonia? Facessero chiamare i Maroniti;
regium esse, sicut in aliis civitatibus, dixerunt, avrebbono da essi le più accertate notizie intorno
sed pluribus simul, et plenam Macedonum Maro allo stato di que paesi. " I legati de' Maroniti
neam esse: itaque dominari assentatores regios: chiamati, « Non in un luogo solo, dissero, come
his solis loqui et in senatu et in concionibus in altre terre, ma in più luoghi ad un tempo
licere: eos omnes honores et capere ipsos, et della stessa città c'era presidio del re; ed era
dare aliis. Optimum quemque, quibus libertatis, piena di Macedoni Maronea: quindi non altri vi
quibus legum cura sit, aut exsulare pulsos patria, dominavano, che gli adulatori del re: essi soli
aut in honoratos et deterioribus obnoxios silere. »
avean la libertà di parlare e nel senato e nelle
De jure etiam finium pauca adjecerunt: « Q. Fa assemblee; pigliavan essi tutti gli onori, essi gli
bium Labeonem, quum in regione ea fuisset, davano agli altri. Tutte le persone dabbene, cui
direxisse finem Philippo veterem viam regiam, stava a cuore la libertà, a cuore le leggi, o esula
quae ad Thraciae Paroreiam subeat, nusquam vano scacciati dalla patria, o si tacevano disomo
ad mare declinantem. Philippum novam postea rati e schiavi de' peggiori. Aggiunsero eziandio
deflexisse viam, qua Maronitarum urbes agrosque pochi cenni intorno al dritto de'confini: « Quan
amplectatur. » -

do Quinto Fabio Labeone fu nel loro paese, avea


segnato per confine a Filippo l'antica strada
regia che costeggia le montagne della Tracia,
senza mai che declinasse verso il mare, e Filippo
s'era di poi piegato per l'altra via, nella quale
abbruciare le città e le terre de Maroniti. ”
XXVIII. Ad ea Philippus Ionge aliam, quan XXVIII. Filippo, attenendosi ad altra manie
adversus Thessalos Perrhaebosque nuper, ingres ra di ragionare che a quella testè usata contro i
sus disserendi viam; . Non cum Maronitis, inquit, Tessali ed i Perrebi, « Non ho, disse, a disputare
mihi aut cum Eumene disceptatio est, sed jam coi Maroniti, o con Eumene, ma sì con voi, o
vobiscum, Romani; a quibus nihil aequi me Romani, dai quali veggo da gran tempo che non
impetrare jam diu animadverto. Civitates Mace so impetrare cosa, che giusta sia. Io stimava che
donum, quae a me inter inducias defecerant, fosse giusto che mi si rendessero le città de'Ma
reddi mihi aequum censebam; non quia magna cedoni, che s' erano da me ribellate durante la
accessio ea regni futura esset (sunt enim et parva tregua; non perchè ciò fosse una gran giunta al
oppida, et in finibus extremis posita), sed quia mio regno (chè sono piccole terre e situate negli
multum ad reliquos Macedonas continendosexem ultimi confini), ma perchè l'esempio valeva mol
plum pertinebat: negatum est mihi. Bello Aeto to a contenere gli altri Macedoni. Mi fu nega
lico Lamiam oppugnare jussus a consule M.'Aci to. Nella guerra Etolica comandato dal console
lio, quum diu fatigatus ibi proeliis operibusque Manio Acilio di assediare Lamia, essendomi qui
essem, transcendentem me jam muros a capta vi affaticato assai nelle battaglie e nei lavori,
Prope urbe revocavit consul, et abducere copias quando io già trascendeva le mura, il console
inde coegit. Ad hujus solatium injuriae permis mi richiamò dalla città quasi presa e mi obbligò
sum est, ut Thessaliae Perrhaebiaeque et Atha a ritrarre le genti. A consolarmi di codesta
manum reciperem quaedam castella magis, quan ingiustizia mi fu permesso di pigliare alcuni piut
urbes. Ea quoque ipsa vos mihi, Q. Caecili, pau tosto castelli che città della Tessaglia, della Per
cos ante dies ademistis. Pro non dubio paullo rebia e degli Atamani, e questi pure, o Quinto
ante, si diis placet, legati Eumenis sumebant, Cecilio, pochi dì sono, mi ritoglieste. Poco fa i
quae Antiochi fuerunt, Eumenem aequius esse, legati di Eumene ponevan fuori d'ogni dubita
quam me, habere. Id ego aliter longe judico zione, se così piace agli dei, esser cosa più giusta
esse. Eumenes enim, non nisi vicissent Romani, che i possedimenti di Antioco se gli abbia Eume
sed nisi bellum gessissent, manere in regno suo ne, che non io, ed io ne giudico assai diversa
non potuit. Itaque ille vestrum meritum habet, mente. Perciocchè Eumene non potea stare nel
non vos illius. Mei autem regni, tantum aberat, suo regno, se i Romani non avessero vinto, anzi
utulla pars in discrimine fuerit, ut tria millia se non avessero guerreggiato. Egli ha dunque ob
talentùm, et quinquaginta tcctas naves, et omnes bligo a voi, non voi a lui. E poi tanto lontº
Livio a 8,
l 3i5 T 11 I LIVII Illi.it XXXIX. 13 i 6

Graeciae civitates, quas antea tenuissem, polli ch'io rischiassi di perdere alcuna parte del mio
centem ultro Antiochum in mercedem societatis regno, che non ho dato ascolto ad Antioco, il
sim aspernatus: hostemdue ei me esse prius quale a mercede di alleanza mi prometteva tre
etiam, quam M.' Acilius exercitum in Graeciam mila talenti, cinquanta navi coperte e tutte le
trajicerel, praeme tuli; et cum eo consule belli città Greche ch'io dapprima possedeva, e me gli
partem, quamcumque mihi delegavit, gessi. Et sono dichiarato nemico innanzi che Manio Acilio
insequenti consuli L. Scipioni, quum terra sta trasportasse l'esercito in Grecia, e feci con quel
tuisset ducere exercitum ad Hellespontum, non console quella qualunque parte di guerra che mi
iter tantum per regnum nostrum dedi, sed vias assegnò, ed al console Lucio Scipione che gli
etiam munivi, pontes feci, commeatus praebui; succedette, avendo egli deliberato di condurre
nec per Macedoniam tantum, sed per Thraciam l'esercito all'Ellesponto per terra, non solamen
etiam, ubi intercetera pax quoque praestanda te gli diedi il passo pel mio regno, ma racconciai
a barbaris erat. Pro hoc studio meo erga vos, ne le strade, feci ponti, somministrai vettovaglie;
dicam merito, utrum adjicere vos, Romani, ali nè solamente per la Macedonia, ma eziandio per
quid, et amplificare et augere regnum meum la Tracia, dove tra l' altre cose bisognava pur
munificentia vestra oportebat, an, quae haberem anche tenergli quieti que barbari. Per questo
aut meo jure, aut beneficio vestro, eripere? id mio zelo, per non dirlo merito, verso di voi, o
quod nunc facitis. Macedonum civitates, quas Romani, dovevate per vostra munificenza ampli
regni mei fuisse fatemini, non restituuntur. ficare alcun poco ed aumentare il mio regno, o
Eumenes, tamquam ad Antiochum, ad spolian tormi quello, ch'io già possedeva per mio diritto
dum me venit, et, si diis placet, decem legatorum o per vostro benefizio ? Il che appunto fate in
decretum calumniae impudentissimae praetendit; presente. Non mi si rendono le città della Mace
quo maxime et refelli et coargui potest. Disertis donia, che confessate essere state appartenenza
sime enim planissimeque in eo scriptum est, del mio regno. Eumene viene a spogliarmi, quasi
Chersonesum et Lysimachiam Eumeni dari. Ubi fossi un altro Antioco, e, se così piace agli dei,
tandem Aenus, et Maronea, et Thraciae civitates ammanta la sfacciatissima calunnia col decreto dei
adscriptae sunt? Quod ah illis ne postulare qui dieci legati, col quale si può anzi massimamente
dem est ausus, id apud vos, tamquam ab illis convincerlo e redarguirlo. Perciocchè sta scritto
impetraverit, obtimebit ? Quo in numero me solennemente e dichiarato in quello, darsi il
apud vos esse velitis, refert. Si tamquam inimi Chersoneso e Lisimachia ad Eumene. Dove c'è
cum et hostem insectari propositum est, per gite, parola di Eno, di Maronea e delle città della Tra
ut coepistis, facere. Sin aliquis respectus est mei, cia? Quello ch'egli non osò nemmen chiedere ai
ut socii atque amici regis, deprecor, ne me tanta dieci legati, l'otterrà da voi, come se l'avesse
iniuria dignum judicetis. » già da essi ottenuto? Importa sapere in qual nu
mero vi piace ch'io sia presso di voi. S'egli è
vostro proposito perseguitarmi, come avversario
e nemico, seguitate a fare, come avete comincia
to. Se poi mi avete ancora qualche rispetto, co
me a re alleato ed amico, vi prego che non mi
riputiate degno di tanta ingiuria. »
XXIX.Movit aliquantum oratio regis legatos. XXIX. L'orazione di Filippo mosse alquanto
Itaque medio responso rem suspenderunt: . Si i legati. Quindi in sul mezzo della risposta sospe
decem legatorum decreto Eumeni datae civitates sero la decisione: «Se quelle città date si erano
eae essent, nihil se mutare: si Philippus bello per decreto de' legati ad Eumene, non immuta
cepisset eas, praemium victoriae jure belli habi van nulla: se Filippo le avea prese in guerra, le
turum: si neutrum eorum foret, placere cogni avrebbe per dritto di guerra in premio della
tionem senatui reservari, et, ut omnia in integro vittoria: se nessuna di queste cose fosse, eran di
manerent, praesidia, quae in iis urhibus sint, avviso che se ne rimettesse la cognizione al se
deduci. » Hae causae maxime animum Philippi mato, ed acciocchè tutto restasse com'era prima,
alienaverunt ab Romanis: ut non a Perseo filio si levassero i presidii ch'erano in quelle città »
ejus novis causis motum, sed ob has a patre bel Queste erano le cagioni, che massimamente alie
lum relictum filio videri possit. Romae nulla narono Filippo dai Romani: sì che può sembra
belli Macedonici suspicio erat. L. Manlius pro re che la guerra non sia stata mossa da Perseo
consulex Hispania redierat: cui postulanti ab suo figliuolo per nuove cagioni, ma piuttosto per
senatu in aede Bellonae triumphum rerum gesta le anzidette lasciata dal padre al figliuolo. Non
rum magnitudo impetrabilem faciebat, exem c' era a Roma nessun sospetto di guerra colla
13 17 TITI LIVII LIBER XXXIX. I3i8

plum obstabat; quod ita comparatum more majo Macedonia. Il proconsole Lucio Manlio era tor
rum erat, ne quis, qui exercitum non deportasset, mato dalla Spagna. Chiedendo egli il trionfo al
triumpharet, nisi perdomitam pacatamque pro senato raccolto nel tempio di Bellona, me lo facea
vinciam tradidisset successori: medius tamen degno la grandezza delle imprese; ostava l'esem
honos Manlio habitus, ut ovans urbem iniret. pio, perciocchè l'uso costante degli antichi era che
Tulit coronas aureas quinquaginta duas; auri nessuno, il quale non rimenasse seco l'esercito,
praeterea pondo centum triginta duo: argenti trionfasse, se non avesse consegnata al successore
sedecim millia trecenta: et pronunciavit in sena doma e tranquilla la provincia. Fu però conce
tu, decem millia pondo argenti, et octoginta auri duta a Manlio la metà dell'onore, col permetter
Q. Fabium quaestorem advehere: id quoque se gli che entrasse ovante in Roma. Portò cinquan
in aerarium illaturum. Magnus motus servilis eo tadue corone d'oro; inoltre cento trentadue lib
anno in Apulia fuit. Tarentum provinciam L. Po bre di oro, sedici mila trecento di argento, e di
stumius praetor habebat. Is de pastorum conju chiarò in senato, che il questore Quinto Fabio
ratione, qui vias latrociniis pascuaque publica ne traeva seco dieci mila di argento e ottanta di
infesta habuerant, quaestionem severe exercuit. oro: riporrebbe anche questo nel tesoro. V'ebbe
Ad septem millia hominum condemnavit: multi in quest'anno grande sommossa di schiavi nella
indefugerunt, de multis sumptum est suppli Puglia. Il pretore Lucio Postumio aveva il gover
cium. Consules, diu retenti ad urbem delectibus, no di Taranto. Egli fe severe inquisizioni della
tandem in provincias profecti sunt. congiura di que pastori, che aveano infestato coi
latrocinii le strade ed i pubblici pascoli. Ne con
dannò sette mila: molti fuggirono ; molti furon
tratti al supplizio. I consoli, ritenuti a Roma
buona pezza per le leve, se n'andarono final
mente alle loro province.
XXX. Eodem anno in Hispania praetores XXX. In quell'anno medesimo nella Spagna
C. Calpurnius et L. Quintius, quum primo vere i pretori Caio Calpurnio e Lucio Quinzio, aven
ex hibernis copias eductas in Baeturia junxissent, do nel principio della primavera unite le loro
in Carpetaniam, ubi hostium castra erant, pro genti nella Beturia, trattele da quartieri d'inver
gressi sunt, communi animo consilioque parati no, s'inoltrarono nella Carpetania, dove accam
rem gerere. Haud procul Hippone et Toleto ur pava il nemico, determinati di far la guerra di
bibus inter pabulatores pugna orta est: quibus volontà e consiglio comune. Si appiccò la zuffa
dum utrimolue subvenitur a castris, paullatim non lungi da Ippone e da Toleto tra quelli che
omnes copiae in aciem eductae sunt. In eo tumul foraggiavano; a soccorso de'quali mentre l'una e
tuario certamine et loca sua et gemus pugnae pro l'altra parte accorre dal campo, a poco a poco
hoste fuere: duo exercitus Romani fusi atque tutte le genti furon tratte a battaglia. In quella
in castra compulsi sunt: non institere perculsis mischia tumultuaria la cognizione de luoghi e il
hostes. Praetores Romani, ne postero die castra modo del combattere furono pel nemico; i due
oppugnarentur, silentio proximae noctis tacito eserciti Romani furono sbaragliati e respinti ne
signo exercitum abduxerunt. Luce prima Hispani gli alloggiamenti; non però, sbigottiti com'erano,
acie instructa ad vallum accesserunt, vacuaque inseguilli il nemico. I pretori Romani, acciocchè
praeter spen castra ingressi, quae derelicta inter non fosse il campo nel dì seguente assalito, nel
nocturnam trepidationem erant, diripuerunt; silenzio della notte susseguente tacitamente slog
regressi ſue in sua castra, paucos dies quietis sta giarono. Sul far del giorno gli Spagnuoli in or
tivis manserunt. Romanorum sociorumque, in dinanza si accostarono allo steccato, ed entrati
proelio fugadue, ad quinque millia occisa: quo negli alloggiamenti fuor di loro speranza voti,
rum se spoliis hostes armarunt. Inde ad Tagum saccheggiarono tutto quello che nel notturno
flumen profecti sunt. Praetores interim Romani trambusto era stato abbandonato, e tornati al
omne id tempus contrahendis ex civitatibus sociis loro campo vi stettero quieti pochi giorni. Dei
Hispanorum auxiliis, reficiendisque ab terrore Romani e degli alleati, tra nella pugna e nella
adversae pugnae militum animis, consumpserunt. fuga, ne rimasero uccisi da cinque mila, e di
Ubi satis placuere vires, et jam miles quoque, ad quelle spoglie armaronsi i nemici. Indi si recaro
delendam priorem ignominiam, hostem poscebat; no al fiume Tago. Intanto i pretori Romani con
duodecim millia passuum ab Tago flumine po sumarono tutto quel tempo nel raccogliere aiuti
suerunt castra. Indetertia vigilia sublatis signis, dalle città alleate della Spagna e nel rimettere
quadrato agmine principio lucis ad Tagi ripam gli animi del soldati dal terrore della rotta avuta.
per venerunt. Trans fluvium in colle hostium Com'ebbero di che esser paghi delle lor forze, e
13 19 TITI LIVII LIBER XXXIX. 1 32o

castra erant. Extemplo, qua duobus locis vada poi che il soldato stesso chiedeva di andare al me
nudabat amnis, destera parte Calpurnius, laeva mico per cancellare l'onta precedente, posero il
Quintius exercitum traduxerunt; quieto hoste, campo a dodici miglia dal fiume Tago. Di là, le
dum miratur subitum adventum, consultatºſue, vate le insegne in sulla terza vigilia, giunsero in
qui tumultum injicere trepidantibus in ipso quadrata schiera sul far del giorno alla sponda
transitu amnispotuisset. Interim Romani, impedi del Tago. Il campo del nemico era sopra un colle
mentis quoque omnibus traductis contractisque di là del fiume. Incontamente, dove il fiume offe
in unum locum, quia jam moveri tidebant ho riva il guado in due luoghi, Calpurnio a destra,
stem, nec spatium erat castra communiendi,aciem Quinzio a sinistra passarono l'esercito, standosi
instruxerunt. In medio locatae quinta Calpurnii quieto il nemico, maravigliato della subita venu
legio et octava Quintii: id robur toto exercitu ta, e tra sè consultando come potesse nella stessa
erat. Campum apertum usque ad hostium castra confusione del passare mettere lo scompiglio tra
habebant, liberum a metu insidiarum. i Romani. Questi intanto, passati e raccolti in
un luogo solo tutti i bagagli, poi che vedevano
già muoversi il nemico, nè c'era tempo di forti
ficare il campo, si posero in ordinanza. Nel mez
zo furon poste la legione quinta di Calpurnio
e l'ottava di Quinzio; quest'era il nerbo di tutto
l'esercito. Aveano il piano aperto dinanzi sino al
campo de'nemici, libero da timore d'imboscate.
XXXI. Hispani, postguam in citeriore ripa XXXI. Gli Spagnuoli, come videro le due
duo Romanorum agmina conspexerunt, ut prius schiere de Romani già sulla riva di qua del fiume,
quam se jungere atque instruere possent, occu per prevenirli innanzi che si potessero unire ed
parenteos, castris repente effusi cursu ad pugnam ordinare, sboccando fuori all' improvviso dal
tendunt. Atrox in principio proelium fuit, et campo, si lanciano di corso alla battaglia. Fu
IIispanis recenti victoria ferocibus, et insueta atroce da principio la pugna, fieri essendo per la
ignominia milite Romano accenso. Acerrime me recente vittoria gli Spagnuoli, inviperito il soldato
dia acies, duae fortissimae legiones, dimicabant; Romano per l'onta, cui non era avvezzo. Le due
quas quum aliter moveri loco non posse hostis legioni nel centro valorosissime combattevano
cerneret, cuneo institit pugnare: et usque plures fieramente, le quali vedendo il nemico non poter
confertioresque medios urgebant. Ibi post quan le in altro modo smuover di luogo, si mise a
laborare aciem Calpurnius praetor vidit, T. Quin combattere in forma di comio; e sempre più in
tilium Varum et L. Juventium Thalmam legatos maggior numero e più addensati facean forza
ad singulas legiones adhortandas propere mittit. contro il centro. Quivi, poi che il pretore Calpur
Docere et monere jubet, « in illis spem omnem nio s'accorse che si travagliava grandemente,
vincendi et retinendae Hispaniae esse. Si illi loco manda in fretta Tito Quintilio Varo e Lucio Giu
cedant, neminem eius exercitus non modo Ita venzio Talma ad esortare l'una e l'altra legione.
liam, sed neTagi quidem ulteriorem ripam, un Dicano e ricordin loro: a starsi in essi soli ogni
quam visurum. ” Ipse, cum equitibus duarum speranza del vincere e poter conservare la Spa
legionum paullulum circumvectus, in cuneum gna. Se non resistono, niuno di quell'esercito
hostium, qui mediam urgebat aciem, ab latere non rivedrà più mai non solamente l'Italia, ma
incurrit. Quintius cum suis equitibus alterum nè anche la ripa di qua del Tago. - Egli con la
hostium latus invadit; sed longe acrius Calpur cavalleria delle due legioni, girando alcun poco,
miani equites pugnabant, et praetor ipse ante investe per fianco il conio de' nemici che facea
alios: nam et primus hostem percussit, etita se contro il centro. Quinzio co' suoi cavalli piomba
immiscuit mediis, ut vix, utrius partis esset, sull'altro fianco del nemici; ma ben più feroce
mosci posset. Et equites praetoris eximia virtute, mente combattevano i cavalieri di Calpurnio, e il
et equitum pedites accensi sunt. Pudor movit pretore stesso innanzi a tutti gli altri. Perciocchè
primos centuriones, qui inter tela hostium prae e primo percosse il nemico, e sì fattamente rime
torem conspexerunt. Itaque urgere signiferos scolossi con quei del mezzo, che appena si poteva
pro se quisque, jubere inferre signa, et confeslim discernere a qual parte appartenesse. Il coraggio
militem sequi. Renovatur ab omnibus clamor: esimio del pretore infiammò i cavalieri, quello
impetus fit velut ex superiore loco. Haud secus de cavalieri i ſanti. La vergogna punse i primi
ergo, quam torrentis modo, fundunt sternuntdue centurioni, come videro il pretore in mezzo alle
perculsos, nec sustineri alii super alios inferentes armi nemiche. Quindi ognun d'essi si fe” a so
sese possunt. Fugientes in castra equites perse spingere gli alfieri, a pressarli che cacciassero
ri: 132 i - TITI LIVII LIBER XXXIX. 1 322

cuti sunt, et permixti turbae hostium intra val innanzi le insegne,e che i soldati subito seguitasse
lum penetraverunt; ubi ab relictis in praesidio ro. Si ripete da tutti il grido, e fanno tal impeto,
castrorum proelium instauratum: coactique sunt quale da luogo eminente. Non altrimenti adunque
Romani equites descendere ex equis. Dimicanti che a foggia di torrente, sbaragliano ed atterrano
bus iis, legio quinta supervenit; deinde, ut quae il nemico già rotto ; nè regger possono gli altri
que potuerant, copiae affluebant, Caeduntur pas che via via sopraggiungono. I cavalieri insegui
sim Hispani per tota castra; nec plus quam rono i fuggitivi insino al campo, e penetrarono
quatuor millia hominum effugerunt. Inde tria mescolati colla frotta del nemici nello steccato ;
millia fere, qui arma retinuerant, montem pro dove quelli ch'eran rimasti alla guardia, innova
pinquum ceperunt: mille semiermes maxime per rono la pugna, e dovettero i cavalieri Romani
agros palati sunt. Supra triginta quinque millia metter piede a terra. Mentre questi combattono,
hostium fuerant, ex quibus tam exigua pars pu sopravvenne la quinta legione; indi, come più si
gnae superfuit. Signa capta centum triginta tria. potea per ognuno, vi accorrevano le altre genti.
Romani sociique paullo plus sexcenti, et provin Gli Spagnuoli sono tagliati a pezzi alla distesa
cialium auxiliorum centum quinquaginta ferme per tutto il campo; nè scamponne più di quattro
ceciderunt. Tribuni militum quinque amissi, et mila. Poscia tre mila a un di presso che aveano
pauci equites Romani, cruentae maxime victoriae ritenute l'armi, presero il monte vicino ; gli al
speciem fecerunt. In castris hostium, quia ipsis tri mille disarmati si dispersero massimamente
spatium sua communiendi non fuerat, manserunt. per la campagna. Erano i nemici più di trenta
Pro concione postero die laudati donatique a cinque mila, de'quali sì piccola parte avanzò dalla
C. Calpurnio equites phaleris; pronunciavitdue, pugna. Si son prese cento trentatrè bandiere.
eorum maxime opera hostes fusos, castra capta De Romani e degli alleati pochi più nè perirono
et expugnata esse. Quintius alter praetor suos di seicento, e a un di presso centocinquanta de
equites catellis ac filoulis donavit: donati et cen gli aiuti provinciali. Cinque tribuni del soldati e
turiones ex utriusque exercitu permulti; maxime pochi cavalieri Romani perduti parer fecero la
qui mediam aciem tenuerunt. vittoria sanguinosa. Rimasero nel campo nemico,
perchè non ebbero tempo di fare il proprio. Il
dì seguente nel parlamento i cavalieri lodati fu
rono da Caio Calpurnio e regalati di bei forni
menti, e dichiarò egli che erano stati per opera
loro massimamente sbaragliati i nemici, presi ed
espugnati gli alloggiamenti. L'altro pretore Quin
zio donò a suoi cavalieri catenelle e fibbie : anche
molti de'centurioni dell'uno e dell'altro esercito
furono regalati; quelli specialmente che avean
tenuto fermo nel centro.
XXXII. Consules, delectibus aliisque, quae XXXII. I consoli, compiute le leve e l'altre
Romae agendae erant, peractis rebus, in Ligures cose che far si dovevano a Roma, condussero
provinciam exercitum duxerunt. Sempronius, a l'esercito nella Liguria, provincia loro assegnata.
Pisis profectus in Apuanos Ligures, vastando Sempronio, mossosi da Pisa contro i Liguri
agros, urendoque vicos et castella eorum, aperuit Apuani, devastando le campagne ed abbruciando
saltum usque ad ſluvium Macram et Lunae por i loro borghi e castelli, si aperse il varco sino
tum. Hostes montem, antiquam sedem majorum al fiume Macra e al porto di Luna. I nemici
suorum, ceperunt; et inde, superata locorum presero il monte, antica sede de lor maggiori;
iniquitate, proelio dejecti sunt. Et Ap. Claudius donde poi, superata la difficoltà de luoghi, fu
felicitatem virtutemdue collegae in Liguribus rono discacciati combattendo. Anche Appio Clau
Ingaunis aequavit secundis aliquot proeliis. Sex dio ne'Liguri Ingauni agguagliò con alcuni pro
praeterea oppida eorum expugnavit: multa millia speri fatti la virtù e felicità del collega. Espugnò
hominum in iis cepit; belli auctores tres et qua inoltre sei de loro castelli: vi prese molte mi
draginta securi percussit. Jam comitiorum appe gliaia d'uomini e ſe troncare il capo a quaranta
tebat tempus: prior tamen Claudius, quam Sem trè autori della guerra. Già si avvicinava il tempo
pronius, cui sors comitia habendi obtigerat, de'comizii; nondimeno venne a Roma prima
Romam venit; quia P. Claudius frater ejus com Claudio, che Sempronio, al quale era toccato per
sulatum petebat. Competitores habebat patricios sorte di tenere i comizii, e fu, perchè il di lui
L. Aemilium, Q. Fabium, Ser. Sulpicium Galbam, fratello Publio Claudio chiedeva il consolato.
veteres candidatos, et ab repulsis eo magis debi Aveva competitori i patrizii Lucio Emilio, Quinto
1323 l'ITI LIVII LIBER XXXIX. 1324
tum, quia primo negatus erat honorem repeten Fabio, Sergio Sulpicio Galba, antichi candidati
tes. Etiam, quia plus quam unus ex patriciis e che ridonandavano dopo le ripulse un onore
creari non licebat, arctior petitio quatuor peten tanto più loro dovuto, quanto che era stato loro
tibus erat. Plebeji quoque gratiosi homines pe innanzi negato, e la domanda era tanto più stret
tebant, L. Porcius, Q. Terentius Culleo, Cm. ta pe'quattro concorrenti, quanto che non si
Baebius Tamphilus. Ethi repulsi, in spem impe poteva creare che un solo del patrizii. De'plebei
trandi tandem aliquando honoris dilati. Claudius domandavano il consolato uomini assai graditi,
unus ex omnibus novus candidatus erat. Opinio Lucio Porcio, Quinto Terenzio Culleone, Gneo
ne hominum haud dubie destinabantur Q. Fabius Bebio Tanfilo; essi pure, già stati repulsi, no
Labeo et L. Porcius Licinus: sed Claudius consul
drivano speranza di ottener pure una volta il
sine lictoribus cum fratre toto foro volitando, differito onore. Claudio solo di tutti era nuovo
clamitantibus adversariis et majore parte senatus, candidato. Nella comune opinione si destinavano
« meminisse eum debere prins, se consulem po senza dubbio Quinto Fabio Labeone e Lucio
puli Romani, quam fratrem P. Claudii, esse: Porcio Licino. Ma il console Claudio qua e là
quin ille, sedens pro tribunali, aut arbitrum, aut ratto senza littori discorrendo col fratello per
tacitum spectatorem comitiorum se praeberet; º tutto il foro, pur gridando gli avversarii e la
coèrceri tamen ab effuso studio nequiit. Magnis maggior parte del senato, a che si avesse a ricor
contentionibus tribunorum quoque plebei,qui aut dare d'esser console del popolo Romano innanzi
contra consulem, aut pro studio eius pugnabant, che fratello di Publio Claudio; che anzi, sedendo
comitia aliquoties turbata; donec pervicitAppius, in tribunale, si comportasse qual arbitro, o quale
ut, dejecto Fabio, fratrem traheret. Creatus P. tacito spettatore de'comizii, pure non si potè
Claudius Pulcher praeter spem suam et ceterorum. frenarlo da codesto suo smodato impegno. I co
Locum suum tenuit L. Porcius Licinus, quia mo mizii furono alquante volte scompigliati anche
deratis studiis, non vi Claudiana, inter plebejos dalle grandi contese de'tribuni della plebe, i
certatum est. Praetorum inde comitia sunt habita.
quali combattevano o contro, o a favore del con
C. Decimius Flavus, P. Sempronius Longus, P. sole; insino a tanto che Appio vinse la lotta, ed
Cornelius Cethegus, Q. Naevius Matho, C. Sem atterrato Fabio, attrasse il fratello. Fu creato
pronius Blaesus, A. Terentius Varro, praetores anche Publio Claudio Pulcro, oltre la speranza
facti. Haec eo anno, quo Ap. Claudius, M. Sem
di lui e degli altri. Ritenne il suo posto Lucio
pronius consules fuerunt, domi militiaeque gesta. Porcio Licino, perchè si combattè tra i plebei
con moderazione, e non colla violenza Claudiana.
Poscia si tennero i comizii de'pretori: furono
eletti Caio Decimio Flavo, Publio Sempronio
Longo, Publio Cornelio Cetego, Quinto Nevio
Matone, Caio Sempronio Bleso, Aulo Terenzio
Varrone. Queste sonosi le cose fatte a Roma e
fuori l'anno, in cui furono consoli Appio Claudio
e Marco Sempronio.
XXXIII. (Anno U. C. 568. – A. C. 184.) XXXIII. (Anni D. R. 568. – A. C. 184.)
Principio insequentis anni P. Claudius, L. Por Sul principio dell'anno seguente Publio Claudio
cius consules, quum Q. Caecilius, M. Baebius, et e Lucio Porcio consoli, avendo Quinto Cecilio,
Ti. Sempronius, qui ad disceptandum inter Phi Marco Bebio e Tito Sempronio, i quali erano
lippum et Eumenem reges Thessalorumque civi stati spediti a conoscer delle differenze tra i re
tates missi erant, legationem renunciassent, re Filippo ed Eumene e le città della Tessaglia,
gum quoque eorum civitatiumque legatos in renduto conto della loro legazione, introdussero
senatum introduxerunt. Eadem utrimolue iterata, eziandio in senato gli ambasciatori di quei re e
quae dicta apud legatos in Graecia erant. Aliam di quelle città. Si son ripetute da una e dall'altra
deinde legationem novam Patres, cujus princeps parte le cose medesime ch'eransi già dette in
Ap. Claudius fuit, in Macedoniam et in Graeciam Grecia davanti a legati. Poscia decretarono i Pa
decreverunt ad visendum, redditaene civitates dri altra nuova legazione, di cui fu capo Appio
Thessalis et Perrhaebis essent. lisdem mandatum, Claudio, nella Macedonia e nella Grecia a vedere
utab Aeno et Maronea praesidia deducerentur, se fossero state restituite le città ai Tessali ed ai
maritimaque omnis Thraciae ora a Philippo et Perrebi. Fu commesso al medesimi che si dovesse
Macedonibus liberaretur. Peloponnesum quoque tor via i presidii da Eno e da Maronea e liberare
adire jussi, unde prior legatio discesserat incer tutte le coste marittime della Tracia da Filippo
tiore statu rerum, quam si non venissent. Nam e dai Macedoni. Ebber ordine etiandio di recarsi
1325 TlTI LIVII LIBER XXXIX. 1326

super cetera etiam sine responso dimissi, nec nel Peloponneso, donde la prima legazione s'era
datum petentibus erat Achaeorum concilium. partita, lasciandolo in uno stato più incerto che
De qua re querente graviter Q. Caecilio, simul se non ci fosse venuta. Perciocchè oltre l'altre
Lacedaemoniis deplorantibus, moenia diruta, cose furon anche licenziati senza risposta, nè
abductam plebem in Achajam et venumdatam, avean ottenuto dagli Achei la dieta domandata.
ademptas, quibus ad eam diem civitas stetisset, Di che dolendosi gravemente Quinto Cecilio, e
Lycurgi leges; Achaei maxime concilii negati lagnandosi in pari tempo i Lacedemoni delle
crimen excusabant, recitando legem, quae, nisi mura abbattute, della plebe condotta in Acaia
belli pacisve causa, et quum legati ab senatu cum e venduta, delle leggi di Licurgo, per le quali
literis aut scriptis mandatis venirent, vetaret s'era conservata fino a quel dì la loro città, state
indici concilium. Ea ne postea excusatio esset, lor tolte, gli Achei si scusavano, massimamente
ostendit senatus, curae iis esse debere, ut Roma della dieta ricusata, recitando la legge, la quale
mis legatis semper adeundi concilium gentis po vietava che si convocasse la dieta, tranne per
testas fieret; quemadmodum et illis, quoties cagione di pace o di guerra, o quando venissero
vellent, senatus daretur. ambasciatori dal senato con lettere o commissioni
scritte. Acciocchè non valesse in avvenire codesta
scusa, il senato fe lor presente, che dovessero
aver cura che i legati Romani potessero aver
sempre accesso alla dieta della nazione, come
sarebbe pur dato sempre a medesimi il senato,
quante volte volessero.
XXXIV. Dimissis iis legationibus, Philippus, XXXIV. Licenziate codeste ambascerie, Fi
a suis certior factus, cedendum civitatibus, dedu lippo, informato da suoi, che gli bisognava lasciare
cendaque praesidio esse, infensus omnibus, in le città e trarne fuori i presidii, corrucciato con
Maronitas iram effundit. Onomasto, qui praeerat tutti, disfogò l'ira sua contro i Maroniti. Com
maritimae orae, mandat, ut partis adversae prin mette ad Onomasto, il quale guardava la costa
cipes interficeret. Ille per Cassandrum quemdam, marittima, che uccidesse tutti i capi del partito
unum ex regiis jam diu habitantem Maroneae, contrario. Colui, introdotti di notte alcuni Traci
nocte Thracibus intromissis, velut in bello capta per opera di certo Cassandro, uno dei sudditi
urbe, caedem fecit. Id apud Romanos legatos del re, che da gran tempo abitava in Maronea,
querentes tam crudeliter adversus innoxios Ma vi fe' immensa strage, quanta si farebbe in città
ronitas, tam superbe adversus populum Roma presa d'assalto. Egli appresso i legati Romani,
num factum, ut, quibus libertatem restituendam che si lagnavano essersi proceduto tanto crudel
senatus censuisset, ii pro hostibus trucidarentur, mente contro i Maroniti innocenti e tanto super
abnuebat, « quidquam eorum ad se, aut quem bamente contro il popolo Romano, sì che stati
quam suorum pertinere. Seditione inter ipsos fossero trucidati quali nemici, quelli, cui avea
dimicatum, quum alii ad se, alii ad Eumenem voluto il senato restituire la libertà, negava,
civitatem traherent. Id facile scituros esse: per a che il fatto appartenesse punto a lui, o ad al
cunctarentur ipsos Maronitas: » haud dubius, cuno de' suoi. Esser essi per sedizione venuti a
perculsis omnibus terrore tam recentis caedis, conflitto; altri la città traendo al partito di lui,
neminem hiscere adversus se ausurum. Negare altri a quello di Eumene. Se ne potrebbono
Appius, « Rem evidentem pro dubia quaeren facilmente chiarire, se interrogassero i Maro
dam : si ab se culpam removere vellet, Onoma niti; º tenendo per fermo, che essendo tutti
stum et Cassandrum, per quos acta res diceretur, smarriti per la strage di fresco fatta, nessuno
mitteret Romam, ut eos senatus percunctari pos oserebbe fiatare contro di lui. Appio rispondeva,
set. - Primo adeo perturbavit ea vox regem, ut « che una cosa evidente non era da cercarsi più
non color, non vultus ei constaret. Deinde, col oltre, come se fosse dubbia: se voleva rimovere
lecto tandem animo, «Cassandrum, qui Maroneae da sè l'imputazione, mandasse a Roma Onoma
fuisset, si utique vellent, se missurum dixit. Ad sto e Cassandro, per opera de'quali si dicea com
Onomastum quidem quid eam rem pertinere, messo quel fatto, acciocchè il senato potesse
qui non modo Maroneae, sed ne in regione qui interrogarli. » Dapprima questa risposta scom
dem propinqua fuisset ? » Et parcebat magis pigliò sì fattamente il re, che cangiò di colore e
Onomasto, honoratiori amico, et eumdem indi di viso. Indi finalmente, ripreso animo, disse,
cem haud paullo plus timebat; quia et ipse ser « che se volevano, spedirebbe Cassandro ch'era
monem cum eo contulerat, et multorum talium stato in Maronea. Quanto ad Onomasto, che avea
ministrum et conscium habebat. Cassander quo egli a fare in quella cosa, che non solamente non
1327 TITI LIVII LIBER XXXIX. I 328

que, missis, qui per Epirum ad mare proseque era stato in Maronea, ma nè anche in paesi
rentureum, ne qua indicium emanaret, veneno vicini? ” E rispettava maggiormente Onomasto,
creditur sublatus. consigliere tenuto in maggior pregio, e del quale
temeva alquanto più le dichiarazioni, perchè avea
tenuto con lui discorso di ciò e lo aveva avuto
di altri molti fatti consimili ministro e confiden
te. Anche Cassandro, mandata gente per l'Epiro
che lo accompagnassero al mare, acciocchè non
trapelasse alcun indizio della cosa, si crede che
-
perisse avvelenato.
XXXV. Et legati a Philippi colloquio ita XXXV. I legati di Filippo partironsi dal par
digressi sunt, ut praese ferrent, nihil eorum sibi lamento in guisa che mostravano ad evidenza
placere; et Philippus, minime, quin rebellandum non andar loro a grado nulla di tutto ciò; e Fi
esset, dubius, quia tamen immaturae ad id vires lippo, fermo in cuor suo di volersi ribellare,
erant, ad moram interponendam Demetrium, perchè le forze non erano ancora pronte all'uopo,
minorem filium, mittere Romanº, simul ad pur onde frapporre alcun ritardo, stabilì di mandare
ganda crimina, simul ad deprecandam iram se a Roma Demetrio, suo figliuolo minore, a pur
natus, statuit; satis credens, ipsum etiam juve garsi dalle imputazioni ed a placare l'ira del se
nem, quod Romae obses specimen regiae indolis nato; credendo non senza qualche fondamento,
dedisset, aliquid momenti facturum. Interim per che quello stesso giovane, il quale ostaggio a
speciem auxilii Byzantiis ferendi, re ipsa ad ter Roma avea dato segni d'indole reale, avrebbe
rorem regulis Thracum injiciendum, profectus, fatto qualche impressione. Intanto sotto pretesto
perculsis iis uno proelio, et Amadoco duce capto, di recare aiuto ai Bizantini, ma in fatto per atter
in Macedoniam rediit, missis ad accolas Istri rire i piccoli principi della Tracia, avendoli scon
fluminis barbaros, ut in Italiam irrumperent, fitti in una sola battaglia e preso il lor capitano
sollicitandos. Et in Peloponneso adventus Roma Amadoco, tornò in Macedonia, mandate persone
norum legatorum, qui ex Macedonia in Achajam a sollecitare i barbari abitanti lungo il fiume
ire jussi erant, exspectabatur: adversus quos ut Istro, onde piombassero in Italia. Anche nel Pe
praeparata consilia haberent, Lycortas praetor loponneso si aspettava la venuta dei legati Ro
concilium indixit. Ibi de Lacedaemoniis actum. mani, cui era stato commesso di recarsi dalla
« Ex hostibus cos accusatores factos; et pericu Macedonia nell'Acaia; in faccia a quali per aver
lum esse, ne victi magis timendi forent, quam pronto il consiglio, il pretore Licorta convocò
bellantes fuissent. Quippe in bello sociis Romanis la dieta, dove si trattò dei Lacedemoni. « Eran
Achaeos usos: nunc eosdem Romanos a equiores essi di nemici divenuti accusatori, e c'era peri
Lacedaemoniis, quan Achaeis, esse; ubi Areus colo che non si avesse a temerli maggiormente
etiam et Alcibiades, ambo exsules, suo beneficio vinti, che quando erano in arme. Perciocchè gli
restituti, legationem Romam adversus gentem Achei nella guerra ebbero alleati i Romani: ora
Achaeorum ita de ipsis meritam suscepissent, gli stessi Romani più favoreggiano i Lacedemoni
adeoque infesta oratione usi essent, ut patria che gli Achei; dove anche Areo ed Alcibiade,
pulsi, non restituti in cam, viderentur. » Clamor ambedue banditi e rimessi in patria per benefizio
undique ortus, referret nominatim de iis; et, degli Achei, aveansi preso di andare ambasciatori
quum omnia ira, non consilio, gererentur, capitis a Roma contro la nazione Achea pur tanto bene
damnati sunt. Paucos post dies Romani legati merita del medesimi, ed avean tenuto così rab
venerunt. His Clitore in Arcadia datum est con bioso discorso, che parea che stati fossero scac
cilium.
ciati, non restituiti alla patria. - Levossi un grido
da tutte le parti, chiedendo che il pretore facesse
nominatamente riferta sul conto loro; e facendosi
tutto per ira, non per maturo consiglio, furono
condannati a morte. Pochi giorni di poi giunsero
i legati Romani. Fu loro data udienza in Clitore
nell'Arcadia.

XXXVI. Priusquam agerent quidquam, terror XXXVI. Innanzi che si trattasse di altro,
Achaeis injectus erat et cogitatio, quam non ex vennero gli Achei in grande paura e pensiero,
aequo disceptatio futura esset, quod Areum et quanto sarebbono al di sotto nella discussione,
Alcibiadem, capitis ab se in concilio proximo vedendo in compagnia de' legati Areo ed Alcibia
damnatos, cum legatis videbaut, nec hiscere quis de, che avean nell'ultimo parlamento condannati
1329 TI'll LIVIl LIBER XXXIX. 133o

quam audebat. Appius ea, quae apud senatum a morte; nè c'era chi osasse aprir bocca. Ap
questi erant Lacedaemonii, displicere senatui pio significò, spiacere al senato le cose, di che
ostendit: « caedem primum ad conflictum factam presso il medesimo s'eran doluti i Lacedemoni;
eorum, qui a Philopoemene ad causam dicendam « primieramente l'uccisione tumultuariamente
evocati venissent: deinde, quum in homines ita fatta di coloro ch'erano stati da Filopemene
saevitum esset, ne in ulla parte crudelitas eorum chiamati a difendersi: in appresso, che, dopo
cessaret, muros dirutos urbis nobilissimae esse, tanta sevizie contro le persone, acciocchè nessuna
leges vetustissimas abrogatas, incly tamque per parte fosse illesa dalle loro crudeltà, si fossero
gentes Lycurgi disciplinam sublatam. » Haec atterrate le mura di una città nobilissima, abro
quum Appius dixisset, Lycortas, et quia praetor, gate leggi antichissime e tolta la disciplina di
et quia Philopoemenis, auctoris omnium, quae Licurgo, riputata tanto da tutte le nazioni. »
Lacedaemone acta fuerant, factionis erat, ita Come Appio ebbe dette queste cose, Licorta, e
respondit: « Difficilior nobis, Ap. Claudi, apud perchè era pretore, e perchè della fazione di Fi
vos oratio est, quam Romae nuper apud senatum lopemene, autore di tutto quello ch'era accaduto
fuit. Tunc enim Lacedaemoniis accusantibus re a Lacedemone, così rispose: « Ci riesce più dif
spondendum erat: nunc a vobis ipsis accusati ficile, o Appio Claudio, favellare dinanzi a voi,
sumus, apud quos causa dicenda est; quam ini che non ci fu poco fa a Roma dinanzi al senato.
quitatem conditionis subimus illa spe, judicis Perciocchè allora bisognava rispondere ai Lace
animo le auditurum esse, posita contentione, demoni che ci accusavano ; ora siamo accusati
qua paullo ante egisti. Ego certe, quum ea, quae da voi stessi, davanti i quali dobbiamo difender
et hic antea apud Q Caecilium, et postea Romae ci; incontriamo però questa svantaggiosa condi
questi sunt Lacedaemonii, a te paullo ante relata zione con la speranza che ascoltar ci vorrai con
sint, non tibi, sed illis me apud te respondere animo di giudice, deposta quella irritazione,
credam. Caedem objicitis eorum, qui a Philopoe colla quale hai poc'anzi favellato. Io certo, poi
mene praetore evocati ad causam dicendam in chè hai testè rammentate soltanto le doglianze
terfecti sunt. Hoc ego crimen non modo a vobis, che fecero i Lacedemoni prima qui davanti a
Romani, sed ne apud vos quidem nobis objicien Quinto Cecilio e poscia a Roma, stimerò di ri
dum fuisse arbitror. Quid ita? quia in vestro spondere non a te, ma sì ad essi dinanzi a te.
foedere erat, ut maritimis urbibus abstinerent Ci rimproverate l'uccision di coloro che chiamati
Lacedaemonii. Quo tempore armis captis urbes, dal pretore Filopemene ad iscolparsi, furono
a quibus abstinere jussi erant, nocturno impetu ammazzati. Io son d'avviso che tal fatto non
occupaverunt, si T. Quintius, si exercitus Roma solamente non ci dovesse essere messo a colpa
mus, sicut antea, in Peloponneso fuisset, eo mimi da voi, o Romani, ma nè anche da altri presso
rum capti et oppressi confugissent. Quum vos di voi. Perchè così? perchè nel vostro trattato di
procul essetis, quo alio, nisi ad nos sociosvestros, alleanza era scritto che i Lacedemoni non s'im
quos antea Gythio opem ferentes, quos Lacedae pacciassero nelle città marittime. Nel tempo,
monem vobiscum simili de causa oppugnantes ch'essi, prese l'armi, invasero con notturno as
viderant, confugerent? Pro vobis igitur justum salto le città, dalle quali avean ordine di aste
piumque bellum suscepimus. Quod quum alii nersi, se Tito Quinzio, se l'esercito Romano
laudent, reprehendere ne Lacedaemonii quidem fosse stato, come innanzi, nel Peloponneso,
possint, dii quoque ipsi comprobaverint, qui sopraffattiEssendo
rifuggiti. ed oppressi, là certo
voi lontani, a chi sialtri
sarebbono
potevan l
nobis victoriam dederunt; quonam modo ea,
quae belli jure acta sunt, in disceptationem ve ricorrere, se non a noi, vostri alleati, i quali
niunt? quorum tamen maxima pars nihil perti avean già veduto recar soccorso a Gizio e seco
net ad mos. Nostrum est, quod evocavimus eos voi combattere Lacedemone per simigliante ca
ad causam dicendam, qui ad arma multitudinem gione? Abbiamo dunque per voi pigliato una
exciverant, qui expugnaverant maritima oppida, guerra giusta e pia. La quale altri lodando, nè
qui diripuerant, qui caedem principum fecerant. potendola gli stessi Lacedemoni biasimare, ed
Quod vero illi, venientes in castra, interfecti avendola approvata gli stessi dei, che ce ne die
sunt, vestrum est, Areu et Alcibiade, qui nunc dero la vittoria, con che titolo si mette in di
nos, si diis placet, accusatis, non nostrum. Exsu sputa quello che per dritto di guerra si è fatto?
les Lacedaemoniorum (quo in numero hi quoque Di che eziandio la massima parte non ci appar
duo fuerunt) et tunc nobiscum erant, et, quod tiene. Spetta a noi l'aver chiamato ad iscolparsi
domicilium sibi delegerant maritima oppida, se coloro che avean suscitata la moltitudine a pigliar
petitos credentes, in eos, quorum opera patria l'arme, che avean espugnate le città marittime,
extor res ne in 2 autoidem exsilio posse conse che le avean saccheggiate, che ne avean trucidati
Livio 84
133 i TITI LIVII LIBER XXXIX. 1932

mescere se indignabantur, impetum fecerunt. i principali cittadini. Che poi coloro, come veni
Lacedaemonii igitur Lacedaemonios, non Achaei vano al campo, sieno stati uccisi, è cosa vostra,
interfecerunt: nec, jure an injuria caesi sint, o Areo, o Alcibiade, che ora, se così piace agli
argumentari refert. » dei, ce ne accusate, non nostra. Erano allora
presso di noi i fuorusciti Lacedemoni (tra'quali
eziandio codesti due), e perchè si aveano eletto
a domicilio le città marittime, stimandosi assaliti,
si scagliarono addosso a quelli, per opera de'quali
sdegnavansi di non poter nè anche invecchiare
in bando sicuramente. Furono dunque i Lacede
moni che uccisero i Lacedemoni, non gli Achei,
nè importa sapere, se sieno stati uccisi a buon
dritto o no. »
XXXVII. « At enim illa certe vestra sunt, XXXVII. « Ma certo viene da voi, o Achei,
Achaei, quod leges disciplinamdue vetustissimam l'aver abolite le leggi e l'antichissima disciplina
Lycurgi sustulistis, quod muros diruistis. Quae di Licurgo, l'aver atterrate le mura di Sparta;
utraque ab iisdem objici qui possunt? quum le quali due cose, come posson essi rimproverar -
muri Lacedaemoniis non ab Lycurgo, sed paucos cele? Perciocchè le mura non furono edificate
ante annos ad dissolvendam Lycurgi disciplinam da Licurgo, ma pochi anni sono, onde annientare
exstructi sint. Tyranni enim nuper eos, arcem la disciplina di Licurgo; chè le innalzarono
et munimentum sibi, non civitati, paraverunt. poc'anzi i tiranni a propria, non a difesa del
Et, si exsistat hodie ab inferis Lycurgus, gaudeat la città. E se risorgesse ora Licurgo dal soggiorno
ruinis eorum, et nunc se patriam et Spartam de'morti, gioirebbe della loro ruina e direbbe
antiquam agnoscere dicat. Non Philopoemenem di riconoscer ora la patria e l'antica Sparta. Non
exspectare, nec Achaeos, sed vos ipsi, Lacedae avreste dovuto aspettare nè Filopemene, nè gli
monii, vestris manibus amoliri et diruere omnia Achei, ma sì voi stessi, o Lacedemoni, colle vo
tyrannidis vestigia debuistis. Vestrae enim illae stre mani atterrare e distruggere tutti i vestigii
deformes veluti cicatrices servitutis erant; et, della tirannide; ch'eran quelle vostre mura quasi
quum sine muris per octingentos prope annos deformi cicatrici della vostra servitù, e mentre
liberi, aliquando etiam principes Graeciae fuis siete stati liberi senza mura quasi per ottocento
setis, muris, velut compedibus, circumdatis vincti anni, ed alcuna volta eviandio capi di tutta la
per centum annos servistis. Quod ad leges adem Grecia, avete colle mura quasi da catene intorno
plas attinet, ego antiquas Lacedaemoniis leges annodati servito per cent'anni. Quanto spetta
tyrannos ademisse arbitror, nos non suas ade alle leggi abolite, penso che i tiranni abbian tolte
misse, quas non habebant, sed nostras leges de ai Lacedemoni le antiche lor leggi, e non noi
disse; nec male consuluisse civitati, quum con tolte quelle che non avevano, ma bensì date
cilii nostri eam fecerimus, et nobis miscuerimus, le nostre, e che non s'è da noi mal provveduto
ut corpus unum et concilium totius Peloponnesi allo stato di Sparta, aggregandola al nostro con
esset. Tunc, ut opinor, si aliis ipsis legibus vive siglio e mescolatala con noi, onde fosse tutto il
remus, alias istis injunxissemus, queri, se iniquo Peloponneso un corpo, un consiglio solo. Allora
jure esse, et indignari possent. Scio ego, Ap. potrebbono, cred'io, dolersi d'essere disegual
Claudi, hanc orationem, qua sum adhuc usus, mente trattati, e sdegnarsi, se noi con altre leggi
neque sociorum apud socios, neque liberae gentis vivessimo, altre ne avessimo imposte loro. So
esse, sed vere servorum disceptantium apud bene, o Appio Claudio, questa foggia di favellare,
dominos. Nam, si non vana illa vox praeconis che ho tenuto fifora, non essere quella di alleati
fuit, qua liberos esse omnium primos Achaeos con alleati, nè di una libera nazione, ma vera
jussistis, si foedus ratum est, si societas et amici mente di servi che piatiscono davanti a padroni.
tia ex aequo observatur, cur ego, quid, Capua Perciocchè, se non fu vana quella voce del ban
capta, feceritis Romani, non quaero; vos ratio ditore, con la quale dichiaraste primi di tutti
mem reposcitis, quid Achaei Lacedaemoniis bello esser liberi gli Achei, se l'accordo è fermo, se
victis fecerimus ? Interfecti aliqui sunt; finge, l'alleanza e l'amicizia d'ambe le parti egualmente
a nobis. Quid ? vos senatores Campanos securi si osserva, perchè non domando io che avete
non percussistis? Muros diruimus: vos non mu fatto, o Romani, presa Capua; e voi ci doman
ros tantum, sed urbem et agros ademistis. Specie, date conto di quello che abbiam fatto noi Achei
inquis, aequum est foedus; re apud Achaeos ai Lacedemoni vinti in guerra? Ne abbiamo,
precaria libertas, apud Romanos etiam imperium ponete, uccisi al quanti. E che? Non colpiste voi
1333 TITI LIVII LIBER XXXIX. i 334
est. Sentio, Appi, et, si non oportet, non indi di scure i senatori Campani? Atterrammo le
gnor; sed, oro vos, quantumlibet intersit inter mura; voi toglieste loro non solamente le mura,
Romanos et Achaeos, modo ne in aequo hostes ma la città e il territorio. In apparenza, tu dici,
vestri nostrique apud vos sint, ac nos socii; im il trattato è pari, in sostanza la libertà degli Achei
mone meliore jure sint. Nam, ut in aequo essent, è precaria; sta presso i Romani anche il coman
nos fecimus, quum leges iis nostra dedimus; dare. Lo sento, o Appio; nè, poichè non fa
quum, ut Achaei concilii essent, effecimus. Parum d'uopo, me ne sdegno; ma la differenza tra i
est victis, quod victoribus satis est: plus postu Romani e gli Achei sia pure qual più vi piace,
lamt hostes, quam socii habent. Quae jurejuran purchè, ve ne prego, i vostri e nostri nemici non
do, quae monumentis literarum in lapide inscul sieno presso di voi in grado eguale che noi, vo
ptis in aeternam memoriam sancta atque sacrata stri alleati; anzi purchè non sieno in condizione
sunt, ea cum perjurio nostro tollere parant. migliore. Perciocchè noi abbiam fatto che ci
Veremur quidem vos, Romani, et, si ita vultis, fossero in pari grado, quando diemmo loro le
etiam timemus: sed plus et veremur et timemus nostre leggi, quando gli abbiamo aggregati alla
deos immortales. » Cum assensu maximae partis lega Achea. È poca cosa a vinti quello che basta
est auditus, et locutum omnes pro majestate ma a vincitori. Nemici chiedon più di quello che
gistratus censebant; ut facile appareret, molliter hanno gli alleati. Si attentano di tor via con
agendo dignitatem suam tenere Romanos non nostro spergiuro quanto fu confermato con giu
posse. Tum Appius, a suadere se magnopere ramenti, quanto fu sanzionato e consecrato ad
Achaeis, dixit, ut, dum liceret voluntate sua face eterna memoria con lettere in marmo scritte e
re, gratiam inirent, ne mox invicti et coacti face scolpite. Vi rispettiamo certo, o Romani, e se
rent. » Haec vox audita quidem cum omnium pure il volete, vi temiamo, ma più rispettiamo
gemitu est, sed metum injecit imperata recusandi: e temiamo gli dei immortali. - Fu ascoltato Li
id modo petierunt, « ut Romani, quae videren corta con assentimento della maggior parte degli
tur, de Lacedaemoniis mutarent, nec Achaeos uditori, e ognuno giudicava ch'egli avesse parlato
religione obstringerent irrita ea, quae jureju secondo la dignità della sua carica; sì che facil
rando sanzissent, faciendi. » Damnatio tantum mente appariva non potere i Romani, compor
Arei et Alcibiadis, quae nuper facta erat, su tandosi mollemente, la dignità propria ritenere,
blata est. Appio allora a consigliava, disse, gli Achei, men
tre potevano usare ancora della loro volontà,
a darsi il merito di cedere, onde nol facessero
tra poco costretti e sforzati. Udita fu questa
voce con un gemito universale, se non che destò
paura, qualora si ricusasse di ubbidire. Questo
solo domandarono, a che i Romani facessero, ri
spetto a Lacedemoni, que cangiamenti che lor
paresse, ma non obbligassero gli Achei ad an
nientare contro coscienza quello che aveano
fermato con giuramento. “ Fu solamente annul
lata la sentenza poc'anzi pronunziata contro
Areo ed Alcibiade,
XXXVIII. Romae principio eius anni, qunn XXXVIII. A Roma nel principio di quest'an
de provinciis consulum et praetorum actum esset, no, quando si trattò delle province del consoli e
consulibus Ligures, quia bellum nusquam alibi dei pretori, la Liguria fu assegnata a'consoli,
erat, decreti. Praetores, C. Decimius Flavus ur poichè non c'era guerra altrove. Quanto alle pre
banam, P. Cornelius Cethegus inter cives et pe ture, Caio Decimio Flavo ebbe a sorte l'urbana,
regrinos sortiti sunt; C. Sempronius Blaesus Publio Cornelio Cetego quella tra cittadini e fo
Siciliam, Q. Naevius Matho Sardiniam, et ut restieri; Caio Sempronio Bleso la Sicilia, Quinto
idem de veneficiis quaereret, A. Terentius Varro Nevio Matone la Sardegna ed anche l'inquisizione
Hispaniam citeriorem, P. Sempronius Longus sopra i venefizii; Aulo Terenzio Varrone la Spa
Hispaniam ulteriorem. Deiis duabus provinciis gna citeriore, Publio Sempronio Longo l'ulte
legati per id fere tempus, L. Juventius Thalma et riore. Da queste due province vennero intorno
T'. Quinctilius Varus, venerunt; qui, quantum a que' di due legati, Lucio Giuvenzio Talna e Tito
bellum jam profligatum in Hispania esset, senatu Quintilio Varo; i quali avendo informato il se
edocto, postularunt simul, ut pro rebus tam pro mato quanto gran guerra si fosse finita in Ispa
spere gestis diis immortalibus haberetur honos, gna, chiesero insieme, che grazie rendute fossero
1335 TlTI LIVII LIBER XXXIX. 133G

et ut praetoribus exercitum deportare liceret. agli dei immortali per così prosperi successi, e
supplicatio in biduum decreta est. De legionibus che fosse permesso a pretori di ricondurre l'eser
deportandis, quum de consulum praetorumque cito. Si decretarono pubbliche preci per due
exercitibus ageretur, rem integram referri jus giorni. Quanto al ricondur le legioni, ordinarono
serunt. Paucos post dies consulibus in Ligures che se ne facesse nuovamente riferta, quando si
binae legiones, quasAp. Claudius et M. Sempro sarebbe trattato degli eserciti consolari e del pre
nius habuerant, decretae sunt. De exercitibus tori. Pochi giorni di poi si decretarono a consoli
Hispaniensibus magna contentio fuitinter novos contro la Liguria le due legioni ch'erano state
praetores et amicos absentium, Calpurnii Quin di Appio Claudio e di Marco Sempronio. Rispetto
tiique. Utraque causa tribunos plebis, utraque agli eserciti di Spagna, grande contesa insorse
consules habebat. Hi, se intercessuros senatus tra i nuovi pretori e gli amici degli assenti Cal
consulto, si deportandos censerent exercitus, de purnio e Quinzio. L'una parte e l'altra aveva
nuntiabant; illi, si haec intercessio fieret, nullam per sè de'tribuni della plebe, l'una e l'altra un
rem aliam se decerni passuros. Victa postremo console. I tribuni protestavano che si sarebbono
absentium gratia est, et senatusconsultum factum, opposti al decreto del senato, se ci deliberasse
« Ut praetores quatuor millia peditum Roma di ricondurre gli eserciti; i consoli, che se si
norum scriberent, quadringentos equites, et quin fosse fatta questa opposizione, non lascerebbono
quemillia sociorumpeditum Latininominis, quin che si deliberasse altro checchessia. Fu vinto
gentos equites, quos secum in Ilispaniam porta finalmente il riguardo degli assenti, e si decretò:
rent. Quum eas legiones quatuor descripsissent, « Che i pretori levassero quattro mila fanti Ro
quod plus, quam quina millia peditum, treceni mani, quattrocento cavalli, cinque mila fanti
equites, in singulis legionibus esset, dimitterent; e cinquecento cavalli degli alleati Latini, i quali
eos primum, qui emerita stipendia haberent; si trasportassero nella Spagna. Quando avessero
deinde, ut cujusque fortissima opera Calpurnius levate queste quattro legioni, quel che in cia
et Quintius in proelio usi essent. º scuna legione fosse più di cinque mila fanti e
trecento cavalli, lo licenziassero, e primieramente
quelli che aveano compiuti gli anni della milizia;
poscia ognuno di quelli che combattendo avesse
dato a Calpurnio ed a Quinzio prove maggiori
di valore. »
XXXIX. Hac sedata contentione, alia subinde XXXIX. Sedata questa contesa, altra di poi
C. Decimii praetoris morte exorta est. Cn. Sici ne insorse all'occasione della morte del pretore
nius et L. Pupius, qui aediles proximo anno Caio Decimio. Domandavano di succedergli Gneo
fuerant, et C. Valerius flamen Dialis et Q. Fulvius Sicinio e Lucio Pupio, ch'erano stati edili l'anno
Flaccus (is, quia aedilis curulis designatus erat, innanzi, e Caio Valerio, sacerdote di Giove, e
sine toga candida, sed maxima ex omnibus con Quinto Fulvio Flacco (questi però, perch'era dise
tentione) petebant: certamenque ei cum Flamine gnato edile curule, non in veste di candidato, ma
erat. Et postguam primo aequare, mox superare con maggiore sforzo di tutti) cd egli lottava col
etiam est visus, pars tribunorum plebis negare, sacerdote. E poi che fu visto primamente pareg
rationem eius habendam esse, quod duos simul giarlo, poscia eziandio superarlo, parte dei tribu
unus magistratus, praesertim curules, neque ca ni della plebe si fe'a sostenere, che non si doveva
pere posset, nec gerere; pars legibus eum solvi tener conto di lui, perchè la persona stessa
aequum censere, ut, quem vellet, praetorem non poteva ad un tempo pigliare, nè esercitare
creandi populo potestas fieret. L. Porcius consul due magistrati specialmente curuli; parte stima
primo in ea sententia esse, ne nomen eius accipe va conveniente cosa scioglierlo dalle leggi, accioc
ret: deinde, ut ex auctoritate senatus idem fa chè il popolo fosse libero di crear pretore chi
ceret, convocatis Patribus, a referre se ad ecs, più volesse. Il console Lucio Porcio primiera
dixit, quod nec jure ullo, nec exemplo tolerabili mente era di parere di non ammettere il di lui
liberae civitati aedilis curulis designatus praetu nome; indi, per ciò fare coll'autorità del senato,
ram peteret: sibi, misi quid aliud iis videretur, in convocati i Padri, e gl'interrogava, disse, perchè
animo esse, e lege comitia habere. » Patres cen c'era taluno, che disegnato edile curule, nondi
suerunt, uti L. Porcius consul cum Q. Fulvio meno chiedeva la pretura contro ogni dritto e
ageret, ne impedimento esset, quo minus comitia con esempio non tollerabile in città libera: aver
praetoris in locum C. Decimii subrogandi e lege egli in animo, se non paresse ad essi altrimenti,
haberentur. Agenti consuli ex senatusconsulto di tenere i comizii secondo la legge. I Padri
respondit Flaccus, « nihil, quod se indignum opinarono che il console Lucio Porcio trattasse
-
1337 TITI LIVII LIBER XXXIX. 1338

esset, facturum. » Medio responso spem ad vo con Quinto Fulvio, acciocchè non mettesse egli
luntatem interpretantibus fecerat, cessurum Pa impedimento che i comizii per surrogare un
trum auctoritati esse. Comitiis acrius eliam, quam pretore in luogo di Caio Decimio si tenessero
ante, petebat, criminando, extorqueri sibi a con secondo la legge. Al console, che trattava giusta
sule et senatu populi Romani beneficium, et invi il decreto, Flacco rispose, a che non avrebbe
diam geminati honoris fieri; tamquam non ap fatto cosa che fosse indegna di sè. " Con questa
pareret, ubi designatus praetor esset, extemplo ambigua risposta egli avea messo speranza in chi
aedilitate se abdicaturum. Consul, quum et per la interpretava a modo proprio che ceduto avreb
tinaciam petentis crescere, et favorem populi be all'autorità de' Padri. Se non che ne comizii
magis magisque in eum inclinari cerneret, dimis Flacco istava più vivamente ancora che prima,
sis comitiis, senatum vocavit. Censuerunt fre accusando il console ed il senato che gli toglies
quentes, « quoniam Flaccum auctoritas Patrum sero per forza il benefizio del popolo Romano e
nihil movisset, ad populum cum Flacco agen gl'imputassero di aspirare a doppio onore, come
dum. º Concione advocata, qunn egisset consul, se non fosse chiaro ch'egli, tosto che fosse dise
netum quidem de sententia motus, gratias po gnato pretore, avrebbe rinunziato all'edilità. Il
pulo Romano egit, a quod tanto studio, quo console, vedendo crescere l'insistenza di Flacco
tiescumque declarandae voluntatis potestas facta nel domandare, ed il favore del popolo vieppiù
esset, praetorem se voluisset facere. Ea sibi stu inclinare verso di lui, licenziati i comizii convocò
dia civium suorum destituere non in animo esse.» il senato. I Padri, raccolti in buon numero,
Haec vero tam obstinata vox tantum ei favorem deliberarono, a poi che l'autorità de'Padri non
accendit, ut haud dubius praetor esset, si consul avea punto mosso Flacco, doversi trattar con
accipere nomen vellet. Ingens certamen tribunis, colui dinanzi al popolo. » Chiamato il parlamen
et interse ipsos, et cum consule, fuit; domec se to, avendo il console aringato, Flacco non cessan
natus a consule est habitus, decretumque: « quo do nè anche allora d'insistere, grazie rendette al
miam praetoris subrogandi comitia ne legibus popolo Romano, a che voluto avesse con sì gran
fierent, pertinacia Q. Flacci et prava studia homi de impegno, quante volte gli era stato dato di
num impedirent, senatum censere, satis praeto palesare la sua volontà, farlo pretore: quindi
rum esse: P. Cornelius utramque in urbe juris aver in animo di non lasciar cadere a vòto tanto
dictionem haberet, Apollinique ludos faceret. » amore de' suoi concittadini. » Questa sì risoluta
dichiarazione gli procacciò tanto favore, che
senza dubbio sarebbe stato pretore, se il console
voluto avesse ricevere il di lui nome. Grande
contrasto si accese de' tribuni tra loro medesimi
e col console, insino a tanto che il console con
vocò il senato, e fu decretato: « poi che la perti
nacia di Quinto Flacco e le male arti delle per
sone impedivano che si tenessero i comizii per
surrogare il pretore secondo la legge, il senato
dichiarava, essere i pretori in numero tale, che
bastava: Publio Cornelio avesse in Roma l'una
e l'altra giurisdizione, e celebrasse i giuochi
d'Apollo. ,
XL. His comitiis prudentia et virtute senatus XL. Mandati a vòto questi comizii dalla
sublatis, alia majoris certaminis, quo et majore prudenza e virtù del senato, altri ne insorsero
de re, et inter plures potentioresque viros, sunt tanto più burrascosi, quanto che si lottava per
exorta. Censuram summa contentione petebant cosa di maggiore importanza e tra personaggi
L. Valerius Flaccus, P. et L. Scipiones, Cn. Man più potenti e in maggior numero. Domandavano
lius Vulso, L. Furius Purpureo, patricii: plebeji con sommo calore la censura Lucio Valerio Flacco,
autem, M. Porcius Cato, M. Fulvius Nobilior, Publio e Lucio Scipioni, Gneo Manlio Vulsone,
Ti. et M. Sempronii, Longus et Tuditanus. Sed Lucio Furio Purpureone, patrizii; e de'plebei
omnes patricios plebejosque nobilissimarum fa Marco Porcio Catone, Marco Fulvio Nobiliore,
miliarum M. Porcius longe anteibat. In hoc viro Tito e Marco Sempronii, Longo e Tuditano. Ma
tanta vis animi ingeniique fuit, ut, quocumque questi patrizii e plebei di nobilissime famiglie
loco natus esset, fortunam sibi ipse facturus fuisse tutti Marco Porcio di gran lunga gli avanzava. In
videretur. Nulla ars, neque privatae, neque pu quest'uomo tal'era la vigoria dell'animo e della
blicae rei gerendae, ei deſuit. Urbanas rusticasque mente, che in qualunque luogo nato fosse, pareva
1339 TITI LIVII LIBER XXXIX. a 34o
res pariter callebat. Ad summos honores alios ch'egli si avrebbe fabbricata da sè la fortuna.
scientia juris, alios eloquentia, alios gloria mili Null'arte gli mancò con cui governare le private
taris provexit; huic versatile ingenium sic pariter cose e le pubbliche; conosceva egualmente tutto
ad omnia fuit, ut matum ad id unum diceres, ciò che spetta alla città, o che spetta alla villa. Al
quodcumque ageret. In bello manu fortissimus, tri ai primi onori levò la scienza del diritto, altri
multisque insignibus clarus pugnis. Idem, post la gloria militare; ebbe egli l'ingegno così versa
quam ad magnos honores pervenit, summus im tile e destro a tutto, che l'avresti detto unica
perator: idem in pace, si ius consuleres, peritis mente nato a quella qualunque cosa, che faceva.
simus ; si causa oranda esset, eloquentissimus: In guerra valorosissimo di persona e chiaro per
nec is tantum, cujus lingua vivo eo viguerit, mo molte insigni prodezze. Lo stesso poi che perven
numentum eloquentiae nullum exstet; vivit im ne ai primi onori, sommo capitano; lo stesso in
mo vigetque eloquentia eius, sacrata scriptis pace, se il consultavi, peritissimo delle leggi; se
omnis generis. Orationes et pro se multae, et pro si doveva arringare, eloquentissimo; nè fu tale,
aliis, et in alios : nam non solum accusando, sed che avesse vivo lingua potente, ma di cui non
etiam causam dicendo fatigavit inimicos. Simul restaste monumento di sua eloquenza; chè vive
tates nimio plures et exercuerunt eum, et ipse anzi questa e dura vegeta in ogni sorta di scritti
exercuit eas; nec facile dixeris, utrum magis pres consegrata. Si hanno molte orazioni di lui e in
serit eum nobilitas, an ille agitaverit nobilitatem. difesa propria e a pro d'altri e contro altri; chè
Asperi procul dubio animi, et linguae acerbae et non solamente accusando, ma difendendosi stan
immodice liberae fuit: sed invicti a cupiditatibus cò i suoi nemici. Con troppo molte nimicizie altri
animi, et rigidae innocentiae; contemptor gra il travagliarono, altri egli travagliò , nè sapresti
tiae, divitiarum. In parcimonia, in patientia la dir facilmente, se più la nobiltà strignesse lui, o
boris, periculi, ferrei prope corporis animique; più egli tartassasse la nobiltà. Fu senza dubbio
quem ne senectus quidem, que solvit omnia, d'indole troppo aspra, di lingua acerba e smoda
fregerit; qui sextum et octogesimum annum tamente libera; ma fu d'animo inaccessibile alle
agens causam dixerit, ipse pro se ora verit, scri passioni e di rigida innocenza, spregiator del favo
pseritaue; nonagesimo anno Ser. Galbam ad po re e delle ricchezze. Nella parcimonia, nel sofferir
puli adduxerit judicium. la fatica ed i pericoli ebbe corpo ed anima quasi
ferrea, cui non infranse la vecchiezza stessa, che
tutto dissolve; perciocchè di anni ottantasei fe la
propria difesa, la recitò e la pose in iscritto ;
e di novanta accusò Sergio Galba davanti al
popolo.
XLI. Hunc, sicut omni vita, tum petentem XLI. Strignealo dunque fieramente la nobil
premebat nobilitas: coierantoſue (praeter L. Flac tà, siccome in tutto il tempo di sua vita, così ora
cum, qui collega in consulatu fuerat) candidati in codesta sua dimanda; e i candidati (eccetto
omnes ad dejiciendum honore eum ; non solum Lucio Flacco, ch'era stato suo collega nel conso
ut ipsi potius adipiscerentur, nec quia indigna lato) s'erano accordati di escluderlo da quel
bantur novum hominem censorem videre, sed l'onore, non solamente per conseguirlo essi
etiam quod tristem censuram, periculosamque piuttosto, o perchè sdegnassero di veder censore
multorum famae, et ab laeso a plerisque, et lae un uomo nuovo, ma eviandio perchè si aspettava
dendi cupido exspectabant. Etenim tum quoque no da tale, già stato offeso da molti e desioso pur
minitabundus petebat, « refregari sibi, qui libe egli di offender altri, una censura arcigna e alla
ram et fortem censuram timerent, º criminando; fama di parecchi pericolosa. Perciocchè minac
et simul L. Valerio suffragabatur. « lllo uno col ciava nell'atto stesso, che chiedeva, rinfacciando,
lega castigare se nova flagitia, et priscos mores a che gli fossero avversi coloro, a quali mettea
revocare posse. » His accensi homines, adversa timore una censura libera e rigorosa. » E nel
mobilitate, non M. Porcium modo censorem fe tempo stesso favoreggiava Lucio Valerio; a que
cerunt, sed etiam collegam ei L. Valerium Flac gli essere il solo collega, con cui potuto avrebbe
cum adjecerunt. Secundum comitia censorum castigare i nuovi delitti e richiamare gli antichi
consules praetoresque in provincias profecti sunt, costumi. » Il popolo da cotai parole infiammato,
praeter Q. Naevium, quem quatuor non minus a dispetto della nobiltà, non solamente fece cen
menses, priusquam in Sardiniam iret, quaestio sore Marco Porcio, ma eziandio gli aggiunse a
nes veneficii, quarum magnam partem extra ur collega Lucio Valerio Flacco. Dopo i comizii dei
bem per municipia conciliabulaque habuit, quia censori, i consoli ed i pretori andarono a loro
ita aptius visum erat, tenuerunt. Si Antiati Vale governi, eccetto Quinto Nevio, cui non meno di
1341 TITI LIVII LIBER XXXIX. 1342
rio credere libet, ad duo hominum millia damna quattro mesi, avanti che si recasse in Sardegna,
vit. Et L. Postumius praetor, cui Tarentum pro tennero occupato le inquisizioni sopra i venefizii,
vincia evenerat, magnas pastorum conjurationes una gran parte delle quali dovette fare fuori di
vindicavit, et reliquias Bacchanalium quaestionis Roma pe'municipii e mercati, perchè gli era paru
cum omni executus est cura. Multos, qui aut to più opportuno così. Se si voglia credere a Va
citati non adfuerant, aut vades deseruerant, in ea lerio Anziate, condannò da due mila persone.
regione Italiae latentes, partim noxios judicavit, Anche il pretore Lucio Postumio, cui toccato era
partim comprehensos Romam ad senatum misit. il governo di Taranto, punì le grandi congiure
In carcerem omnes a P. Cornelio conjecti sunt. de'pastori, e terminò con tutta diligenza le inqui
sizioni contro le reliquie de'Baccanali. Molti, che
o citati non erano comparsi, o aveano mancato
a mallevadori, celatisi in quelle contrade, parte
convinti gli colpì, parte arrestati gli mandò a
Roma al senato. Tutti furon cacciati in carcere
da Publio Cornelio.
XLII. In Hispania ulteriore, fractis proximo XLII. Nella Spagna ulteriore, disfatti nell'ul
bello Lusitanis, quietae res fuerunt. In citeriore tima guerra i Lusitani, le cose furon quete. Nella
A. Terentius in Suessetanis oppidum Corbionem citeriore Aulo Terenzio espugnò colle macchine
vineis et operibus expugnavit, captivos vendidit: e co' lavori Corbione appartenente a Suessetani,
quieta deinde hibernaet citerior provincia habuit. e ne vendette i prigioni; poscia anche in questa
Veteres praetores, C. Calpurnius Piso et L. Quin provincia fu queta la stazione d'inverno. Gli
tius, Romam redierunt: utrique magno Patrum antichi pretori, Caio Calpurnio Pisone e Lucio
consensu triumphus est decretus. Prior C. Cal Quinzio, tornarono a Roma: fu a medesimi de
purnius de Lusitanis et Celtiberis triumphavit: cretato il trionfo con unanime consentimento

coronas aureas tulit octoginta tres, et duodecim de' Padri. Primo Caio Calpurnio trionfò de' Lu
millia pondo argenti. Paueos post dies L. Quin sitani e de' Celtiberi; portò ottanta tre corone
tius Crispinus ex iisdem Lusitanis Celtiberisque d'oro e dodici mila libbre di argento. Pochi dì
triumphavit; tamtumdem auri atque argenti in di poi Lucio Quinzio Crispino trionfò degli stessi
eo triumpho translatum. Censores, M. Porcius et Lusitani e Celtiberi; altrettanto oro ed argento
L. Valerius, metu mixta exspectatione, senatum fu portato in quel trionfo. I censori Marco Porcio
legerunt: septem moverunt senatu; ex quibus e Lucio Valerio, con aspettazione mista di paura,
unum insignem et nobilitate et honoribus, nominarono il senato : sette furono i rimossi dal
L. Quintium Flamininum consularem. Patrum grado di senatori, tra quali uno illustre per
memoria institutum fertur, ut censores motis se nobiltà e per onori, Lucio Quinzio Flaminino,
natu adscriberent notas. Catonis et aliae quidem uomo consolare. Dicesi che fosse usanza stabilita
acerbae orationes exstant in eos, quos aut sena sin dal tempo antico, che i censori apponessero
torio loco movit, aut quibus equos ademit: longe alcune note a quelli, che rimovevano dal senato.
gravissima in L. Quintium oratio est, qua si ac E di Catone si hanno anche altre pungenti ora
cusatorante notam, non censor post notam, usus zioni contro quelli, che o rimosse dal grado sena
esset, retinere Quintium in senatu ne frater qui torio, o a quali tolse il cavallo: quella però con
dem T. Quintius, si tum censor esset, potuisset. tro Lucio Quinzio è la più violenta di tutte, la
Inter cetera objecit ei, Philippum Poenum, ca quale se fosse stata tenuta da Catone accusatore
rum ac nobile scortum, ab Roma in Galliam pro avanti la nota, che segnò, non da Catone censore
vinciam spe ingentium donorum perductum: dopo la nota, non avrebbe potuto ritener Lucio
eum puerum, per lasciviam quum cavillaretur, Quinzio in senato nè anche Tito Quinzio suo
exprobrare consuli persaepe solitum, quod sub fratello, se stato fosse della censura. Tra l'altre
ipsum spectaculum gladiatorium abductus ab cose gli rinfacciò, che con la speranza di grandis
Roma esset, ut obsequium amatori venditaret. simi doni avesse tratto seco da Roma nella pro
Forte epulantibus iis, quum jam vino incaluis vincia della Gallia Filippo Peno, caro e famige
sent, nunciatum in convivio esse, nobilem Bojum rato donzello; e che codesto, motteggiando per
cum liberis transfugam venisse; convenire con ghiribizzo, solesse di frequente, per far più
sulem velle, ut ab eo fidem praesens acciperet. valere presso all'amadore l'usatagli compiacen
Introductum in tabernaculum per interpretem za, rimproverare al console, che lo avesse strap
alloqui consulem coepisse. Inter cujus sermonem pato di Roma in sul darsi de'giuochi gladiatorii;
Quintius scorto, « Vis tu, inquit, quoniam gla che un giorno a caso, mentre banchettavano, già
diatorium spectaculum reliquisti, jam hung Gal caldi essendo di vino, gli era stato annunziata
1343 TITI LIVII LIBER XXXIX. 2344

lum morientem videre ? » Et quum is vixdum esser giunto, fuggendo da suoi, un nobile Boio
serio adnuisset, ad nutum scorti consulem stricto insieme co' figliuoli, il quale bramava di parlare
gladio, qui super caput pendebat, loquenti Gallo al console in persona, onde ottenere da lui
caput primum percussisse, deinde fugienti, fidem sicurtà; che, introdotto nel padiglione, avea
que populi Romani, attue eorum, qui aderant, cominciato col mezzo d'interprete a parlare col
imploranti, latus transfodisse. console, quando in mezzo al discorso Quinzio dis
se al donzello: «Vuoi tu, poi che lasciato hai lo
spettacolo de gladiatori, veder questo Gallo mo
rire ? » E che avendo il fanciullo quasi per burla
annuito, il console a quel cenno, impugnata
la spada, che gli pendeva sul capo, dapprima
die d'un colpo sulla testa al Gallo, che parlava,
poscia, fuggendo quegli ed invocando la fede
del popolo Romano e dei circostanti, gli trapas
sasse il fianco.
XLIII. Valerius Antias, ut qui nec Catonis XLIII. Valerio Anziate, come quegli, che non
orationem legisset, et fabulae tantum sine auctore avea letta l'orazione di Catone, e che solamente
editae credidisset, aliud argumentum, simile ta avea prestato fede al racconto senza cercarne
men et libidine et crudelitate, peragit. Placentiae l'autore, narra il fatto diversamente, però somi
famosam mulierem, cujus amore deperiret, in gliante quanto sia a libidine e crudeltà. Scrive
convivium arcessitam scribit. Ibi jactantem sese che Quinzio, essendo a Piacenza, invitato avesse
scorto intercetera retulisse, quam acriter quae ad un banchetto certa famosa meretrice, di cui
stiones exercuisset, et quam multos capitis dam era perdutamente invaghito : che quivi, dandosi
natos in vinculis haberet, quos securi percussu bel vanto con costei, le avea tra le altre cose
rus esset. Tum illam infra eum accubantem me narrato, con quanto rigore proceduto avesse nel
gasse, umquam vidisse quem quam securi ferien l'inquisizione de'rei, e quanto gran numero ne
tem, et pervelle id videre. Hic indulgentem ama tenesse nelle prigioni, già condannati a morte, e
torem, unum ex illis miseris, attrahijussum, se che avrebbe fatto decapitare. Allora colei, che
curi percussisse. Facinus, sive eo modo, quo sedeva sdraiata inferiormente a lui, disse che
censor objecit, sive, ut Valerius tradit, commis non avea veduto mai nessuno colpire altri colla
sum est, saevum atque atrox: interpocula atque scure, il che bramava molto di vedere. Allora
epulas, ubi libare diis dapes, ubi bene precari l'indulgente amadore, fattosi menare innanzi
mos esset, ad spectaculum scorti procacis, in sinu uno di quegli sventurati, gli avea troncato il
consulis recubantis, mactatam humanam victimam capo egli stesso: fatto, o siasi commesso nel
esse, et cruore mensam respersam. In extrema modo rinfacciatogli dal censore, o quale Valerio
oratione Catonis conditio Quintio fertur, ut, si lo scrive, crudele ed atroce: tra i nappi e le
id factum negaret, ceteraque, quae objecisset, vivande, dov'è costume far libagioni in onore
sponsione defenderet sese; sin fateretur, igno degli dei, dove intonare benedizioni, aver immo
miniane sua quemquam doliturum censeret, quum lato, a spettacolo di procace baldracca che gia
ipse, vino et venere amens, sanguine hominis in cevasi in seno del console, una vittima umana e
convivio lusisset? copersa di sangue la mensa. Nel fine dell'orazion
di Catone si propone a Quinzio, che o negando
questo fatto e l'altre cose imputategli, si difenda
col mezzo di mallevadori ; o se confessando,
stima forse che alcuno sia per dolersi dell'igno
minia, che soffre, egli che farnetico per vino e
per libidine s'era in un banchetto fatto gioco del
sangue di un uomo ?
XLIV. In equitatu recognoscendo L. Scipioni XLIV. Nella rivista della cavalleria fu tolto
Asiageni ademptus equus. In censibus quoque il cavallo a Lucio Scipione l'Asiatico. Anche nel
accipiendis tristis et aspera in omnes ordines cen ricevere la dichiarazione della facoltà fu rigorosa
sura fuit. Ornamenta et vestem muliebrem et ed aspra la censura verso tutti gli ordini. Die'de
vehicula, quae pluris, quam quindecim millium bito a ministri, che riportassero nel censo gli
aeris, essent, in censum referre viatores jussit: ornamenti, le suppellettili delle donne e le car
item mancipia minora annis viginti, quae post rette, che valessero più di quindici mila assi:
proximum lustrum decem millibus aeris, auteo parimente, che i servi minori di vent'anni, i
1345 TITI LIVII LIBER XXXIX.
1346
pluris, venissent, uti ea quoque decies tanto plu quali dopo l'ultimo censimento fossero stati ven
ris, quam quanti essent, aestimarentur; et his re duti dieci mila assi, o più, si avessero a stimare
bus omnibus terni in millia aeris attribuerentur.
dieci volte più, che non aveano costato, e che
Aquam publicam omnem, in privatum aedificium a tutte le cose di questo genere s'imponesse tre
aut agrum fluentem, ademerunt ; et, quae in assi per ogni mille. Tolsero tutta l'acqua pubbli
loca publicainaedificata immolitave privati habe ca, che fluisse ad uso di edifizii o terreni privati;
bant, intra dies triginta demoliti sunt. Opera ed atterrarono in trenta giorni tutte le fabbri
deinde facienda ex decreta in eam rem pecunia, che ed ingombri, che avean fatto i privati nel luo
lacus stermendos lapide, detergendasque, qua ghi pubblici. Indi allogarono le opere, che si
opus esset, cloacas; in Aventino et in aliis parti avevano a fare col danaro decretato a tal uopo,
bus, qua nondum erant, faciendas locaverunt: lastricar le piscine, rimondar le cloache, dove
et separatim Flaccus molem ad Neptunias aquas, occorresse, farne sull'Aventino e in altre parti,
ut iter populo esset, et viam per Formianum dove mancavano. E Flacco separatamente fece
montem. Cato atria duo, Maenium et Titium in innalzare un grand'argine presso le acque Net
lautumiis, et quatuor tabernas, in publicum emit; tunie, pel quale potesse il popolo camminare;
basilicamque ibi fecit, quae Porcia appellata est. e aprì una strada pel monte Formiano. Catone
Et vectigalia summis pretiis, ultro tributa infi comperò ad uso pubblico due atrii, il Menio e il
mis locaverunt; quas locationes quum senatus, Tizio nelle Lautumie, e insieme quattro botte
precibus et lacrymis publicanorum victus, induci ghe; e quivi eresse la basilica, che fu chiamata
et de integro locari jussisset, censores, edicto Porcia. Ed allogarono le rendite pubbliche a
submotis ab hasta, qui ludificati priorem locatio prezzi altissimi, già prima deliberate bonaria
nem erant, omnia eadem paullum imminutis pre mente a prezzi vili; le quali allogazioni avendo
tiis locaverunt. Nobilis censura ſuit, simultatium il senato, vinto dalle preghiere e lagrime de'pub
que plena, quae M. Porcium (cui acerbitas ea blicani, ordinato che si annullassero e si rifaces
assignabatur) per omnem vitam exercuerunt. sero di nuovo, i censori, allontanati con editto
Eodem anno coloniae duae, Potentia in Picenum, dall'asta quelli, che avean deluso la prima allo
Pisaurum in Gallicum agrum, deductae sunt. Se gagione, tutte quelle stesse con prezzi poco ab
ma jugera in singulos data: diviserunt agrum, bassati deliberarono. Fu memorabile quella cen
coloniasque deduxerunt iidem tresviri, Q. Fabius sura e partorì molte mimicizie, che travagliarono
Labeo, et M. et Q. Fulvii, Flaccus et Nobilior. Marco Porcio (al quale si attribuiva quella du
Consules ejus anni nec domi nec militiae memo rezza) per tutto il tempo della sua vita. Nell'an
rabile quidquam egerunt. no stesso mandate furono due colonie a Potenza
nel Piceno e a Pisauro nella Gallia. Furono
assegnati sei giugeri per testa. Divisero i terreni
e condussero le colonie i già detti triumviri
Quinto Fabio Labeone, Marco Fulvio Flacco e
Quinto Fulvio Nobiliore. I consoli di quell'anno
non fecero cosa degna di memoria nè dentro,
nè fuori.
XLV. (Anno U. C. 569. – A. C. 183.) In in XLV. ( Anni D. R. 569 – A. C. 183. )
sequentem annum crearunt consules M. Clau Crearono consoli per l'anno seguente Marco
dium Marcellum, Q. Fabium Labeonem. M. Clau Claudio Marcello e Quinto Fabio Labeone. Mar
dius, Q. Fabius ldibus Martiis, quo die consula co Claudio e Quinto Fabio negl'idi di Marzo, il
tum inierunt, de provinciis suis praetorumque dì stesso, in cui presero il magistrato, proposero
retulerunt. Praetores creati erant C. Valerius fla la ripartizione delle province consolari e preto
men Dialis, qui et priore anno petierat, et Sp. rie. Erano stati creati pretori Caio Valerio, sa
Postumius Albinus, et P. Cornelius Sisenna, L. cerdote di Giove, che avea chiesta la pretura
Pupius, L. Julius, Cn. Sicinius. Consulibus Ligu anche l'anno antecedente, Spurio Postumio Al
res cum iisdem exercitibus, quos P. Claudius et bino, Publio Cornelio Sisenna, Lucio Pupio,
L. Porcius habuerant, provincia decreta est. Hi Lucio Giulio e Gneo Sicinio. A consoli fu asse
spaniae extra sortem prioris anni praetoribus gnata la Liguria con quel medesimi eserciti, che
cum suis exercitibus servatae. Praetores ita sor aveano avuto Publio Claudio e Lucio Porcio.
tiri jussi, uti flamini Diali utique altera juris di Le Spagne conservate furono, fuor di sorte, ai
cendi Romae provincia esset: peregrinam est pretori dell'anno innanzi co' loro eserciti i pre
sortitus. Sisennae Cornelio urbana, Sp. Postu tori ebber ordine di trarre a sorte le province in
mio sis" L. Pupio Apulia, L. Julio Gallia, Cn. modo, che una delle due giurisdizioni in Roma
LIV l Us 85
1347 'l'll 1 LIV Il LIBER XXXIX. 1348
Sicinio Sardinia evenit. L. Julius maturare est toccasse al sacerdote di Giove: gli toccò quella
jussus, Galli Transalpini, per saltus ignota e an sopra i forestieri; toccò l'urbana a Cornelio Si
tea viae (utante dictum est) in Italiam trans senna, a Spurio Postumio la Sicilia, a Lucio Pupio
gressi, oppidum in agro, qui nunc est Aquile la Puglia, a Lucio Giulio la Gallia, a Gneo Sicinio
jensis, aedificabant. Ideos ut prohiberet, quod la Sardegna. Fu commesso a Lucio Giulio che si
ejus sine bello posset, praetori mandatum est : affrettasse. I Galli Transalpini passati in Italia,
si armis prohibendi essent, consules certiores fa come s'è detto innanzi, per sentieri angusti
ceret: ex his placere alterum adversus Gallos dapprima ignoti, fabbricavano un castello nel
ducere legiones. Extremo prioris anni comitia contado che ora appartiene ad Aquileia. Fu com
habita erant in demortui Cn. Cornelii locum au messo al pretore che negl'impedisse quanto per
guris sufficiendi. Creatus Sp. Postumius Albinus. lui si poteva senza guerra; se bisognasse costrin
gerli coll'armi, ne informasse i consoli : allora
uno di questi conducesse le legioni contro i Gal
li. Alla fine dell'anno scorso s'eran tenuti i co
mizii per surrogare un augure in luogo del
defunto Gneo Cornelio. Fu creato Spurio Po
stumio Albino.
XLVI. Hujus principio anni P. Licinius Cras XLVI. Nel principio di quest'anno morì il
sus pontifex maximus mortuus est: in cujus lo pontefice massimo Publio Licinio Crasso, in luo
cum M . Sempronius Tuditanus pontifex est go del quale fu sostituito intanto Marco Sempro
cooptatus: pontifex maximus est creatus C. Ser nio Tuditano; fu poi creato pontefice massimo
vilius Geminus. P. Licinii funeris causa visceratio Caio Servilio Gemino. A motivo del mortorio di
data, et gladiatores centum viginti pugnaverunt, Publio Licinio ci fu distribuzione di carne, e cen
et ludi funebres per triduum facti, post ludos to venti gladiatori combatterono, e si fecero i
epulum. In quo, quum toto foro strata triclinia giuochi funebri per tre giorni, e dopo i giuochi
essent, tempestas, cum magnis procellis coorta, banchetto, durante il quale essendo state dispo
coègit plerosque tabernacula statuere in foro. ste tavole per tutto il foro, un temporale insorto
Eadem paullo post, quum undique disserenasset, con grossa procella obbligò parecchi ad ergere
sublata: defunctosque vulgo ferebant, quod in padiglioni in sulla piazza, che poco di poi, rasse
ter fatalia vates cecinissent, necesse esse taberna renatosi il cielo da per tutto, furon levati via, e
cula in foro statui. Hac religione levatis altera si diceva generalmente che aveano scampata una
injecta, quod sanguine per biduum pluisset in trista ventura, perciocchè gl'indovini avean pre
area Vulcani; et per decemviros supplicatio in sagito dover accadere che si piantassero padiglio
dicta erat ejus prodigii expiandi causa. Prius mi in sulla piazza. Sollevati da questa temenza re
quam consules in provincias proficiscerentur, ligiosa, altra ne sopravvenne, essendo piovuto
legationes transmarinas in senatum introduxe sangue per due di nella piazza di Vulcano ed
runt: nec umquam ante tantum regionis ejus aveano i decemviri ordinate pubbliche preci per
hominum Romae fuerat. Nam ex quo fama per espiar quel prodigio. Innanzi che i consoli andas
gentes, quae Macedoniam accolunt, vulgata est, sero alle loro province, introdussero in senato le
crimina querimoniasque de Philippo non negli ambascerie trasmarine; nè innanzi mai erano stati
genter ab Romanis audiri, multis operae pretium in Roma tanti uomini di que paesi. Perciocchè
fuisse queri; pro se quacque civitates gentesque, dappoi che divolgossi la fama tra le nazioni con
singuli etiam privatim (gravis enim accola omni finanti colla Macedonia, che i Romani ascoltava
bus erat), Romam, aut ad spem levandae inju no di buon grado le accuse e doglianze contro
riae, aut ad dellendae solatium, venerunt. Et ab Filippo, e che a parecchi era tornato utile il do
l’umene rege legatio cum fratre ejus Athenaeo lersi; ogni città, ogni popolo da per sè ed ezian
venit ad querendum, simul quod non deduce dio alcuni privati (chè Filippo era un vicino in
rentur ex Thracia praesidia, simul quod in Bi comodo a tutti) vennero a Roma, o per la
thyniam Prusiae bellum adversus Eumenem ge speranza di trovar sollievo dalle avanie, o pel
renti auxilia missa forent, conforto di lagnarsene. Venne anche un'amba
sceria del re Eumene con Ateneo di lui fratello
a querelarsi e che non si cavavano i presidii dalla
Tracia, e che si erano spediti aiuti nella Bitinia
al re Prusia che guerreggiava contro Eumene.
XLVII, Respondendum ad omnia juveni tum XLVII. Toccava rispondere a tutto a Deme
almoduln Demetrio crali quum haud facile es trio, allora giovine assai, benchè non fosse facile
1349 TITI LIVII I,lBER XXXIX. i 25o

set, aut ea, quae objicerentur, aut quae adversus abbracciare con la memoria le cose, che gli si op
ea dicenda erant, memoria complecti. Nec enim ponevano e quelle ch'egli aveva a contrapporre,
multa solum, sed etiam pleraque oppido quan che non solamente eran molte, ma la più parte
parva erant: de controversia finium, de homini eziandio di pochissima entità: della questione dei
bus raptis pecoribusque abactis, de jure aut dicto confini, degli uomini e de'bestiami menati via della
per libidinem aut non dicto, de rebus per vim giustizia non fatta, o fatta a capriccio, di cose o per
aut per gratiam judicatis. Nihil horum medue forza o per favore giudicate. Vedendo il senato
Demetrium docere dilucide, nec se satis liquido non poter Demetrio informare nettamente di tutto
discere ab eo senatus quum cerneret posse, simul ciò, nè trarne da lui chiara cognizione, ed essendo
et tirocinio et perturbatione juvenis moveretur; inoltre tocco della poca pratica e della perturba
quaeri jussit ab eo, ecquem de his rebus com zione del giovine,lo fe'ricercare, se avesse ricevuto
mentarium a patre accepisset ? Quum respondis dal padre nessuna memoria intorno a così fatte
set, a accepisse se ; º nihil prius nec potius vi cose. Avendo egli risposto. « che ne avea ricevute, º
sum est, quam regis ipsius de singulis responsa non altra cosa parve nè più sollecita, nè migliore,
accipere. Librum extemplo poposcerunt; deinde, quanto udire la risposta del re medesimo sopra
ut ipse recitaret, permiserunt. Erant autem de ciascun particolare. Quindi subito gli chiesero la
rebus singulis in breve coactae causae ; ut alia memoria, e permisero al giovine che la leggesse
fecisse se secundum decreta legatorum doceret; pubblicamente. Erano ristrette in breve le ragioni
alia non per se stetisse, quo minus faceret, sed intorno a ciascun proposito, mostrando che alcune
per eos ipsos, qui accusarent. Interposuerat et cose le avea fatte secondo i decreti dei legati, altre
querelas de iniquitate decretorum, et quam non non esser restato da lui che non le facesse, ma sì
ex aequo disceptatum apud Caecilium foret, in da quegli stessi che lo accusavano. Vi avea pur
digneque sibi, nec ullo suo merito, insultatum ab anche frammiste querele della ingiustizia dei de
omnibus esset. Has notas irritati eius animi col creti, e con quanto svantaggio avea disputata la
legit senatus. Ceterum alia excusanti juveni, alia causa davanti a Cecilio, e come senza alcun suo
recipienti, futura ita, ut maxime vellet senatus, demerito era stato indegnamente insultato da
responderi placuit: « Nihil patrem ejus neque tutti. Raccolse il senato codesti indizii dell'ani
rectius, nec magis, quod ex voluntate senatus es mo irritato di Filippo. Del resto fe” rispondere
set, fecisse, quam quod, utcumque ea gesta es al giovine, che alcune cose scusava, altre promet
sent, per Demetrium filium satisfieri voluisset teva che sarebbono acconciate, come parrà me
Romanis. Multa et dissimulare, et oblivisci, et glio al senato: « Non aver potuto suo padre far
pati praeterita senatum posse, et credere etiam, niente di più retto e che andasse più a grado del
Demetrio credendum esse. Obsidem enim se ani senato, quanto volere, comunque sieno state quel
mum ejus habere, etsi patri corpus reddiderit; le cose, che il senato ne ricevesse soddisfazione
et scire, quantum salva in patrem pietate possit, col mezzo del di lui figlio Demetrio: potere il
amicum eum populo Romano esse. Honorisque senato parecchie cose passate dissimulare, obbliare
ejus causa missuros in Macedoniam legatos, ut, e tollerare e credere eziandio che si debba prestar
si quid minus factum sit, quam debuerit, tum fede a Demetrio. Perciocchè il senato, benchè
quoque sine piaculo rerum praetermissarum fiat. renduto avesse al padre la persona del figlio, avea
Velle etiam sentire Philippum, integra omnia nondimeno l'animo di lui per ostaggio, e sapeva
sibi cum populo Romano Demetrii filii benefi esser egli amico del popolo Romano, quanto il
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poteva salva la pietà di figlio verso il padre. A
titolo di onorarlo avrebbono mandato legati in
Macedonia, onde, se alcun che si fosse fatto, che
far non si dovesse, anche allora si facesse, senza
dargli alcun carico di quanto fosse stato preter
messo. Bramava eviandio, che Filippo sentisse,
essere il popolo Romano sempre lo stesso verso di
lui per benefizio di suo figliuolo Demetrio. ”
XLVIII. Haec, quae augendae amplitudinis XLVIII. Tutto questo ch'era stato fatto per
ejus causa facta erant, extemplo in invidiam, mox crescere onore a Demetrio, si rivolse tosto a di
etiam in perniciem adolescenti verterunt. Lace lui carico, e da lì a poco eziandio a rovina. Poscia
daemonii deinde introducti sunt. Multae et par introdotti furono i Lacedemoni. Dibattevansi
vae disceptationes jactabantur; sed, quae maxi molte e piccole controversie; quelle però di più
me rem continerent, erant; utrum restituerentur, deciso interesse erano: se si avesse a richiamare
quos Achaci damnaverant, nec ne; inique, an o no quelli che gli Achei aveano condannato; se
135 i Tiri LIVII LIBER XXXIX. 1 352

jure occidissent, quos occiderant. Vertebatur et, avessero ucciso a torto o a ragione quelli che
utrum manerent in Achaico concilio Lacedae aveano ucciso. Si disputava inoltre, se i Lacede
monii, an, utante fuerat, secretum eius unius in moni rimaner dovessero nella lega Acaica, o se,
Peloponeso civitatis jus esset. Restitui, judicia come innanzi, la sola Sparta in tutto il Pelopon
que facta tolli placuit: Lacedaemonem manere neso dovesse governarsi a parte da sè. Piacque
in Achaico concilio: scribique id decretum, et che i fuorusciti rimessi fossero in patria e i giu
consignari a Lacedaemoniis et Achaeis. Legatus dizii fatti fossero annullati; che Sparta rimanesse
in Macedoniam Q. Marcius est missus: jussus nella lega Acaica; che ne fosse esteso decreto e
idem in Peloponneso sociorum res adspicere. che il segnassero i Lacedemoni e gli Achei. Fu
Namibi quoque et ex veteribus discordiis residui mandato legato in Macedonia Quinto Marcio, e
motus erant, et Messene desciverat a concilio commesso al medesimo di esaminare nel Pelopon
Achaico : cujus belli et causas et ordinem si ex neso gli affari degli alleati: chè quivi pure dalle
promere velim, immemor sim propositi, quo antiche discordie c'erano reliquie di movimenti,
statui non ultra attingere externa, nisi qua Ro e Messene s'era staccata dalla lega Acaica. Della
mamis cobaererent rebus. qual guerra se volessi esporre le cagioni e la sto
ria, avrei scordato il proposito, che mi sono pre
fisso, di niente più toccare le cose estranee, che
in quanto legate fossero alle Romane.
XLIX. Eventus memorabilis est, quod, quum XLIX. Avvenimento memorabile si fu che
bello superiores essent Achaei, Philopoemen essendo gli Achei superiori in guerra, il loro
praetor eorum capitur, ad praeoccupandam Co pretore Filopemene è preso, mentre andava a
ronem (profectus), quam hostes petebant, in preoccupare Coronea, alla cui volta s'eran mossi
valle iniqua cum equitibus paucis oppressus. i nemici, sopraffatto con pochi cavalli in una valle
Ipsum potuisse effugere Thracum Cretensiumque svantaggiosa. Si narra ch'egli potesse fuggire
auxilio tradunt: sed pudor relinquendi equites, coll'aiuto de'Traci e Cretesi, ma il rattenne il
mobilissimos gentis, ab ipso nuper lectos, tenuit. rispetto di non abbandonare quel cavalieri, fiore
Quibus dum locum ad evadendas angustias co della nazione, che scelto aveva egli medesimo
gendo ipse agmen praebet, sustinens impetus poc'anzi. A quali, mentr'egli in persona, soste
hostium, prolapso equo, et suo ipse casu, et nendo l'impeto de'nemici, con vie più serrare
onere equi super eum ruentis, haud multum lo stuolo de' suoi, porge luogo ad uscire dal passo
abfuit, quin exanimaretur, septuaginta annos angusto, cadutogli il cavallo, poco mancò che e
jam natus, et diutino morbo, ex quo tum pri per la propria caduta e pel peso del cavallo, che
mum reficiebatur, viribus admodum attenuatis. gli si rovesciò addosso, non rimanesse morto, uo
Jacentem hostes superfusi oppresserunt, cogni mo già settuagenario e assai scemato di forze per
tumque primum a verecundia memoriaque me lunga malattia, da cui cominciava allora a riaversi.
ritorum, haud secus quam ducem suum, attol Com'egli fu a terra, i nemici da ogni parte gli fu
lunt reficiuntoſue, et ex valle devia in viam rono sopra, e riconosciutolo, dapprima, per rispet
portant, vix sibimetipsi prae mecopinato gaudio to e per la memoria de' suoi meriti, il rilevano
credentes: pars nuncios Messenen praemittunt, e ristorano non altrimenti che fosse il proprio lor
debellatum esse, Philopoemenem captum adduci. capitano, e da quella valle sviata il portano in
Primum adeo incredibilis visa res, ut non pro sulla strada, per l'impensata gioia credendo ap
vano modo, sed vix pro sano nuncius audiretur: pena a sè stessi: parte manda messi a Messene a
deinde, ut super alium alius idem omnes affir dire che la guerra era finita, perciocchè mena
mantes veniebant, tandem facta fides; et, prius vano Filopemene presso. Da principio la cosa
quam appropinquare urbi satis scirent, ad spe parve incredibile, sì che il messo fu riputato non
ctaculum omnes, simul liberi ac servi, pueri solo bugiardo, ma poco meno che pazzo; poscia,
quoque cum feminis, effunduntur: itaque clau come i messi venivano uno sopra l'altro, tutti
serant portam turbae, dum pro se quisque, misi affermando lo stesso, finalmente fu forza credere,
ipse oculis suis credidisset, vix pro comperla e innanzi che sapessero esser egli bastantemente
tantam rem habiturus videretur. Aegre submo presso alla città, liberi e servi, donne insieme e
ventes obvios intrare portam, qui adducebant fanciulli tutti balzan fuori a vedere; a modo che la
Philopoemenem, potuerunt, atque turba conferta calca otturava la porta, mentre che nessuno sti
iter reliquum clauserat; et, quum pars maxima mava, se non se credendo agli occhi proprii, di
exclusa a spectaculo esset, theatrum repente, dover tenere per vero così grande avvenimento.
quod viae propinquum erat, compleverunt, et, Quelli che conducevano Filopemene, poterono a
ut eo in conspectum populi adduceretur, una gran pena, respingendo indietro la turba, entrare
1353 TITI LIVII LIBER XXXIX. 1354
voce omnes exposcebant. Magistratus et princi nella porta, e la calca chiudeva il restante della
pes, veriti, ne quem motum misericordia prae strada; ed essendo la maggior parte esclusa dal
sentis tanti viri faceret, quum alios verecundia poter vedere, in un istante empierono il teatro
pristinae majestatis collata praesenti fortunae, ch'era vicino alla strada, e tutti ad una voce
alios recordatio ingentium meritorum motura chiedevano che lo si traesse colà al cospetto del
esset, procul in conspectueum statuerunt: deinde popolo. I magistrati ed i capi temendo che la
raptim ex oculis hominum abstraxerunt, prae compassione di cotanto personaggio esposto al
tore Dinocrate dicente, esse, quae pertinentia ad pubblico, non destasse qualche movimento, po
summam belli percunctari eum magistratus vel tendo altri essere commossi dal rispetto alla pri
lent. Inde abducto eo in curiam, et senatu vocato, miera sua grandezza paragonata colla presente
consultari coeptum. fortuna, altri dalla ricordanza de grandi meriti
suoi, lo posero da lontano alla vista di tutti: po
scia in fretta lo ritolsero dagli occhi della gente,
dicendo il pretore Dinocrate, esserci cose appar
tenenti alla somma della guerra, di che i magi
strati volevano interrogarlo. Indi trattolo nella
curia e convocato il senato si cominciò a consul
tare.
L. Jam invesperascebat, et non modo cetera, L. Già faceva sera, e non che altro, non pen
sed me in proximam quidem noctem ubi satis savan nè anche dove custodirlo securamente nella
tuto custodiretur, expediebant. Obstupuerant prossima notte. Gli avea sbalorditi la grandezza
ad magnitudinem pristinae ejus fortunae virtu della sua primiera fortuna e virtù, e nè ardivano
tisque; et neque ipsi domum recipere custodien riceverlo in casa a guardarlo; nè si appagavano
dum audebant, mec cuiquam uni custodiam ejus di affidarne la custodia ad un solo, chiunque si
satis credebant. Admoment deinde quidam, esse fosse. Indi alcuni avvisano esservi sotterra un ri
thesaurum publicum sub terra, saxo quadrato cetto del pubblico denaro, rivestito tutto di ma
septum: eo vinctus demittitur, et saxum ingens, cigno. Legatolo, colà il discendono, e con forza
quo operitur, machina superimpositum est. Ita di macchina vi soprappongono un gran sasso,
loco potius, quam homini cuiquam, credendam che gli fa coperchio. Avendo così stimato di affi
custodiam rati, lucem insequentem exspectave darne la custodia piuttosto al luogo, che ad uomo
runt. Postero die multitudo quidem integra, chicchessia, aspettarono il dì seguente. Venuto
memor pristinorum eius in civitatem meritorum, questo, i più ch'erano disappassionati, ricordevo
parcendum, ac per eum remedia quaerenda esse li degli antichi meriti di lui verso la città, eran
praesentium malorum, censebant: defectionis d'avviso che gli si perdonasse, e si cercassero col
auctores, quorum in manu respublica erat, in di lui mezzo rimedii a'mali presenti: ma gli au
secreto consultantes, omnes ad necem ejus con tori della ribellione, nelle cui mani stava la re
sentiebant: sed, utrum maturarent, an differrent, pubblica, consultando segretamente, consentiva
ambigebatur. Vicit pars avidior poenae, missus no tutti a farlo morire; solo si dubitava, se aves
que, qui venenum ferret. Accepto poculo, nihil sero a differire o ad affrettare. Vinse il partito
aliud locutum ferunt, quam quaesisse, « si inco più avido della pena, e gli fu mandato chi gli re
lumis Lycortas (is alter imperator Achaeorum casse il veleno. Preso il nappo, dicesi non altro
erat) equitesque evasissent? » Postquam dictum aver profferito, se non se chiesto, e se Licorta
est, « incolumes esse; Bene habet, º inquit; et, (era questi l'altro capitano degli Achei) e i ca
poculo impavide exhausto, haud ita multo post valieri erano scampati salvi ; º poi che gli fu
exspiravit. Non diuturnum mortis ejus gaudium risposto, esser salvi; « bene sta, º disse, e votato
auctoribus crudelitatis ſuit. Victa namque Mes coraggiosamente il nappo, non molto dopo spirò.
sene bello exposcentibus Achaeis noxios dedidit, Non ebbero lunga gioia gli autori della sua mor
ossaque reddita Philopoemenis sunt ; et sepultus te; chè Messene vinta in guerrra consegnò i col
ab universo Achaico est concilio, adeo omnibus pevoli agli Achei, che li richiesero, e le ossa di
humanis congestis honoribus, ut ne divinis qui Filopemene furon loro restituite, ed assistette ai
dem abstineretur. Ab scriptoribus rerum Graecis funerali tutta la lega Acaica, accumulando sul
Latinisque tantum huic viro tribuitur, ut a qui defunto tutti gli umani onori per modo che non
busdam eorum, velut ad insignem notam hujus si astennero nè anche dai divini. Dagli scrittori
anni, memoriae mandatum sit, tres claros impe delle cose greche e latine tanto si attribuisce a
ratores eo anno decessisse, Philopoemenem, Han quest'uomo, che alcuni d'essi, quasi a memora
nibalem, P. Scipionem: adeo in aequo eum bil nota di quest'anno, ebbero a scrivere, in
1355 TITI LIVII LIBER XXXIX. 1356

duarum potentissimarum gentium summis impe quest'anno appunto esser morti tre chiarissimi ca
ratoribus posuerunt. pitani, Filopemene, Annibale e Publio Scipione;
-
tanto il misero a livello del più grandi capitani di
-
- -

due potentissime nazioni.


LI. Ad Prusiam regem legatus T. Quintius LI. Tito Quinzio Flaminino venne ambascia
Flamininus venit, quem suspectum Romanis et tore al re Prusia, ch'era diventato sospetto ai Ro
receptus post fugam Antiochi Hannibal, et bellum mani e pel ricovero dato ad Annibale dopo la fuga
adversus Eumenem motum faciebat. Ibi, seu di Antioco, e per la guerra che avea mosso ad
quia a Flaminino intercetera objectum Prusiae Eumene. Quivi, o che Flaminino, tra l'altre cose,
erat, hominem omnium, qui viverent, infestissi rimproverato avesse a Prusia che stesse presso di
mum populo Romano apud eum esse, qui patriae lui l'uomo, di quanti vivono, il più nemico
suae primum, deinde, fractis ejus opibus, Antio a Romani, quegli, che prima la sua patria, poscia,
cho regiauctor belli adversus populum Romanum infrante le di lei forze, suscitò Antioco a mover
fuisset; seu quia ipse Prusias, ut gratificaretur guerra al popolo Romano; o che Prusia stesso,
praesenti Flaminino Romanisque, per se necandi per gratificare a Flaminino presente ed ai Roma
aut tradendi eius in potestatem consilium cepit; ni, pigliasse da sè il partito di far perire Anni
a primo colloquio Flaminini milites extemplo bale o di darglielo nelle mani, subito dopo il
ad domum IIannibalis custodiendam missi sunt. primo abboccamento con Flaminino, mandati
Semper talem exitum vitae suae Hannibal pro furono soldati a guardar la casa di Annibale.
spexerat animo,et Romanorum inexpiabile odium Avea sempre questi, conoscendo l'implacabil
in se cernens, et fidei regum nihil sane confisus. odio de'Romani contro di lui, e niente confidan
Prusiae vero levitatem etiam expertus erat. Fla do nella fede dei re, preveduto un cotal fine
minini quoque adventum velut fatalem sibi hor della sua vita. Avea pur anche fatto sperienza
ruerat. Ad omnia undigue infesta, ut iter semper della leggerezza di Prusia, e gli avea destato un
aliquod praeparatum fugae haberet.septem exitus senso di orrore, quasi presagio per lui fatale, la
e domo fecerat; et ex iis quosdam occultos, ne venuta di Flaminino. Circondato d'ogni parte
custodia sepirentur. Sed grave imperium regum da pericoli, onde aver qualche via preparata alla
nihil inexploratum, quod investigari volunt, fuga, avea praticato sette sortite dalla casa e tra
efficit. Totius circuitum domus ita custodiis com queste alcune occulte, onde non fossero assiepate
è
plexi sunt, ut nemo inde elabi posset. Hannibal, da guardie. Ma gli ordini risoluti dei re fanno sì
postquam est nunciatum, milites regios in vesti che nulla sfugga d'inosservato, quando coman
bulo esse, postico, quod devium maxime atque dano di bene investigare. Le guardie accerchia
occultissimi exitus erat, fugere conatus, ut id rono tutta la casa sì fattamente, che niuno ne
quoque occursu militum obseptum sensit, et potesse scampare. Annibale, poi che seppe essersi
omnia circa clausa custodiis dispositis esse, vene nel vestibolo le guardie del re, provatosi a fug
num (quod multo ante praeparatum ad tales gire per un uscio di dietro ch'era affatto fuor di
habebat casus) poposcit. « Liberemus, inquit, mano e dava una uscita occultissima, come sentì
diuturna cura populum Romanum, quando mor che anche questo era assiepato da numero di soldati
tem senis exspectare longum censent. Nec ma e che ogni via d'intorno era chiusa da guardie ap
gnam, nec memorabilem ex inermi proditoque postate, si fe'recare il veleno che teneva già da
Flamininus victoriam feret. Mores quidem populi gran tempo preparato a simili casi. « Liberiamo,
Romani quantum mutaverint. vel hic dies argu disse, da codesto incessante travaglio il popolo
mento erit. Horum patres Pyrrho regi, hosti Romano, poi che stimano lungo troppo l'aspettare
armato, exercitum in Italia habenti, ut a veneno la morte di un vecchio. Non grande, non memo
caveret, praedixerunt: hi legatum consularem, rabil vittoria riporterà Flaminino da un nemico
qui auctor esset Prusiae per scelus occidendi disarmato e tradito. Quanto siensi cangiati i co
hospitis, miserunt. » Exsecratus deinde in caput stumi del popolo Romano, questo giorno medesi
regnumque Prusiae, et hospitales deos violatae mo ne sarà prova. I loro padri avvertirono il re
ab eo fidei testes invocans, poculum exhausit. Pirro, nemico armato, il quale aveva un esercito
Ilic vitae exitus fuit Hannibalis. in Italia, che si guardasse dal veleno; codesti man
darono ambasciatore un uomo consolare, il quale
inducesse Prusia ad uccidere per tradimento l'o
spite suo.» Indi, fatte imprecazioni contro la per
sona ed il regno di Prusia, ed invocando gli dei
ospitali a testimonii della da lui violata fede, votò
il nappo. Tale si fu la fine di Annibale.
1357 TITI LIVII LIBER XXXIX. 1358

LII. Scipionem et Polybius, et Rutilius hoc LII. Polibio e Rutilio scrivono esser morto
anno mortuum scribunt. Ego neque his, neque in quest'anno Scipione. Io non consento nè a
Valerio assentior: his, quod, censoribus M. Por questi, nè a Valerio; non a quelli, perchè nella
cio, L. Valerio, principem senatus ipsum L. Vale censura di Marco Porcio e di Lucio Valerio trovo
rium censorem lectum invenio, quum superiori eletto principe del senato esso Lucio Valerio cen
bus tribus lustris Africanus fuisset; quo vivo, sore, mentre il fu sempre ne'tre lustri precedenti
misi utille senatu moveretur, quam notam nemo l'Africano, vivente il quale, quand'egli non fosse
memoriae prodidit, alius princeps in locum eius stato rimosso dal senato, onta, di cui nessuno fa
lectus non esset. Antiatem auctorem refellit tri menzione, non si sarebbe eletto altro principe
bunus plebis M. Naevius, adversus quem oratio in suo luogo. Valerio Anziate è confutato dal
inscripta P. Africani est. Hic Naevius in magi tribuno della plebe Marco Nevio, contro il quale
stratuum libris est tribunus plebis, P. Claudio, abbiamo l'orazion di Publio Africano. Questo
L. Porcio consulibus: sed iniit tribunatum, Ap. Nevio ne' magistrati è tribuno della plebe nel
Claudio, M. Sempronio consulibus, ante diem consolato di Publio Claudio e di Lucio Porcio;
quartum Idus Decembres: inde tres menses ad ma pigliò il tribunato nel consolato di Appio
Idus Martias sunt, quibus P. Claudius, L. Por Claudio e di Marco Sempronio, avanti li dieci di
cius consulatum inierunt. Ita et vixisse in tribu dicembre, che son tre mesi sino a quindici di
matu Naevii videtur, diesque ei dici ab eo potuis Marzo, quando Publio Claudio e Lucio Porcio
se; decessisse autem ante L. Valerii et M. Porcii pigliarono il consolato. Quindi si vede che l'Afri
censuram. Trium clarissimorum suae cujusque cano era vivo nel tribunato di Nevio, dal quale
gentis virorum non magis tempore congruente potè essere accusato, e che morì prima della
comparabilis mors videtur esse, quam quod nemo censura di Lucio Valerio e di Marco Porcio. La
satis dignum splendore vitae exitum habuit. Jam morte di tre degli uomini più chiari della nazio
primum omnes non in patrio solo mortui, nec ne di ciascuno pare non doversi tanto paragona
sepulti sunt. Veneno absumpti Hannibal et Phi re l'una con l'altra per la congruenza del tem
lopoemen in carcere et in vinculis exspiravit. po, quanto perchè nessun d'essi ebbe un fine
Scipio, etsi non exsul, neque damnatus, die abbastanza corrispondente allo splendore della
tamen dicta, ad quam non adfuerat reus, absens lor vita. Già tutti primieramente non son mor
citatus, voluntarium non sibimet ipse solum, sed ti nè sepolti furono in patria; perirono di vele
etiam funeri suo, exsilium indixit. no Annibale e Filopemene, Annibale bandito
da' suoi, tradito dall'ospite; Filopemene preso
spirò in carcere e tra ceppi. Scipione, benchè nè
bandito, nè condannato, nondimeno accusato e
citato assente, nè comparso il dì assegnato, im
pose a sè non meno che al proprio funerale un
volontario esiglio.
LIII. Dum ea in Peloponneso (a quibus di LllI. Mentre accadono codeste cose nel Pelo
vertit oratio) geruntur, reditus in Macedoniam ponneso (donde s'è spiccata la narrazione), il
Demetrii legatorumque aliter aliorum affecerat ritorno in Macedonia di Demetrio e de'legati
animos. Vulgus Macedonum, quos belli ab Ro avea colpito diversamente gli animi di questi e
manis imminentis metus terruerat, Demetrium, di quelli. La massa dei Macedoni, cui spaventato
ut pacis auctorem, cum ingenti favore conspicie aveva il timore di una imminente guerra da'Ro
bant; simul et spe haud dubia regnum ei post mani, guardavano con gran favore Demetrio,
mortem patris destinabant. a Nam, etsi minor come autore della pace, e insieme con non dubbia
aetate, quan Perseus, esset, hunc tamen justa speranza gli destinavano il regno dopo la morte
matrefamiliae, illum pellice ortum esse: illum, del padre. « Perciocchè, sebbene egli fosse mino
ut ex vulgato corpore genitum, nullam certi re di età rispetto a Perseo, era però nato di mo
patris notam habere; hunc insignem Philippi glie legittima, l'altro da concubina: questi, come
similitudinem prae se ferre. Ad hoc, Romanos generato da corpo prostituito, non avea nessun
Demetrium in paterno solio locaturos; Persei segno di padre certo; quegli si ravvisava somi
nullam apud eos gratiam esse. Haec vulgo loque gliare perfettamente a Filippo. Si aggiunga, che
bantur. Itaque et Persea cura angebat, ne parum i Romani avrebbon messo Demetrio sul paterno
pro se una aetas valeret, quum omnibus aliis soglio; Perseo non lo avevano in nessun conto. -
rebus frater superior esset; et Philippus ipse, Questi erano i comuni discorsi. Quindi Perseo
vix sui arbitrii fore, quem heredem regni relin temeva molto che poco gli valesse il solo vantag
queret, credens, sibi quoque graviorem esse, gio dell'età, mentre che il fratello gli era supe
1359 TITI LIVII LIBER XXXIX. 136o

quam vellet, minorem filium censebat. Offende riore in ogni altra cosa, e Filippo stesso, creden
batur interdum concursu Macedonum ad eum, do che gli sarebbe appena libero lasciar erede
et alteram jam se vivo regiam esse indignabatur. del regno chi più gli piacesse, trovava pesargli
Et ipse juvenis haud dubie inflatior redierat, addosso il figlio minore più che non avrebbe
subnisus erga se judiciis senatus, concessique voluto. L'offendeva talvolta quell'affollarsi de'Ma
sibi, quae patri negata essent ; et omnis mentio cedoni intorno a Demetrio, e si sdegnava che, lui
Romanorum, quantam dignitatem ei apud cete vivente, di già vi fosse un'altra regia. Anche il
ros Macedonas, tantam invidiam, non apud fra giovane stesso era tornato evidentemente più ri
trem modo, sed etiam apud patrem, conciliabat: gonfio, inanimito dalle testimonianze dategli dal
utique postouam alii legati Romani venerunt, senato, e dall'aver egli ottenuto quello ch'era
et cogebatur decedere Thracia, praesidiaque stato negato al padre, ed ogni menzione ch'ei
deducere, et alia, aut ex decreto priorum legato faceva de' Romani, quanto di riputazione gli
rum, aut ex nova constitutione senatus, facere. conciliava presso i Macedoni, altrettanta invidia
Sed omnia moerens quidem et gemens (eo magis, gli generava presso il fratello non solamente, ma
quod filium frequentiorem prope cum illis, quam eziandio presso il padre; specialmente poi che
secum, cernebat), obedienter tamen adversus vennero gli altri legati Romani e che gli era
Romanos faciebat, ne quam movendi extemplo forza lasciare la Tracia e ritornarne i presidii ed
belli causam praeberet. Avertendos etiam animos eseguire le altre cose, o secondo il decreto depri
a suspicione talium consiliorum ratus, mediam mi legati, o secondo la nuova costituzione del
in Thraciam exercitum in Odrysas, et Denthele senato. Tutto però, bensì gemendo e sospirando
tos, et Bessos duxit. Philippopolin urbem, fuga (tanto maggiormente, quanto che vedeva il figlio
desertam oppidanorum, qui in proxima montium frequentare più spesso i legati, che lui medesimo),
juga cum familiis receperant sese, cepit, campe tutto faceva in obbedienza ai Romani, onde non
stresque barbaros, depopulatus agros eorum, in porgere cagione di muovergli incontamente la
deditionem accepit. Relicto indead Philippopo guerra. E per divertire ogni sospetto di così fatti
lin praesidio, quod haud multo post ab Odrysis pensamenti, condusse l'esercito nel mezzo della
expulsum est, oppidum in Deuriopo condere in Tracia contro gli Odrisii, i Denteleti ed i Bessi.
stituit. Paeoniae ea regio est prope Erigonum Prese la città di Filippopoli, abbandonata dalla
fluvium, qui, ex Illyrico per Paeoniam fluens, fuga de terrazzani, ritiratisi colle famiglie sulle
in Axium amnem editur. Haud procul Stobis, cime delle vicine montagne, e saccheggiate le
vetere urbe, novam urbem Perseida, ut is filio terre di que” barbari che abitavano il piano, gli
majori haberetur honos, appellari jussit. ebbe a patti. Poscia lasciato un presidio a Filip
popoli, che poco di poi ne fu scacciato dagli
Odrisii, si pose a fabbricare una città nel Deurio
po. È questa una contrada della Peonia presso

al fiume Erigono, il quale dall'Illirico corren


do per la Peonia, mette nel fiume Axio. Non
molto lungi da Stobi, città antica, ordinò che
la nuova chiamata fosse Perseida, onde così dar
onore al figlio maggiore.
LIV. Dum haec in Macedonia geruntur, con LlV. Mentre succedono queste cose in Mace
sules in provincias profecti. Marcellus nuncium donia, i consoli andarono alle loro province.
praemisit ad L. Porcium proconsulem, ut ad Marcello spedì innanzi a dire al proconsole Lucio
novum Gallorum oppidum legiones admoveret. Porcio che avvicinasse l'esercito alla nuova città
Advenienti consuli Galli sese dediderunt: duo fabbricata dai Galli. Questi, alla venuta del con
decim millia armatorum erant; plerique arma sole, se gli arrendettero. Erano dodici mila arma
ex agris rapta habebant. Ea aegre patientibus iis ti, la maggior parte con armi procacciatesi dalla
adempta, quaeque alia aut populantes agros ra campagna. Queste furon lor tolte colla forza,
puerant, aut secum attulerant: de his rebus qui non che quant'altro aveano o saccheggiando i
quererentur, legatos Romam miserunt. Introdu campi rapito, o con sè portato. Mandarono amba
cti in senatum a C. Valerio praetore exposuerunt, sciatori a Roma a querelarsi di questo. Introdotti
« Se, superante in Gallia multitudine, inopia in senato dal pretore Caio Valerio esposero,
coactos agriet egestate, ad quaerendam sedem « Che nella Gallia soverchiando di troppo la
Alpes transgressos; quae inculta per solitudines moltitudine, costretti dalla scarsezza de terreni
viderunt, ibi sine ulius injuria consedisse. Op e della povertà valicato avevano l'Alpi a cercarsi
pidum quoque aedificarecoepisse; quod indicium altra stanza; dove avean trovati luoghi incolti e
a 361 TITI LIVII LIBER XXXIX. 1362

esset, mec agro, nec urbi ulli vim allaturos venisse. abbandonati, quivi s'eran fermati senza recar
Nuper M. Claudium ad se nuncium misisse, bel danno a chicchessia. Si eran pur messi a fabbri
lum se cum iis, ni dederentur, gesturum. Se care una città, indizio che non eran venuti per
certam, etsi non speciosam, pacem, quam incerta far violenza alle qualunque possessioni e terre
belli, praeoptantes, dedidisse se prius in fidem, altrui. Marco Claudio poc'anzi avea lor fatto
quam in potestatem populi Romani. Post paucos sapere che qualora non se gli arrendessero,
dies, jussos et agro et urbe decedere, sese tacitos avrebbe loro mossa guerra. Essi preferendo una
abire, quoterrarum possent, in animo habuisse: pace certa, benchè non troppo onorevole, alla
arma deinde sibi, et postremo omnia alia, quae sorte incerta della guerra, s'eran sommessi pri
ferrent agerentolue, adempta. Orare se senatum ma alla fede, che alla podestà del popolo Romano.
populumque Romanum, ne in se innoxios deditos Pochi dì di poi, avuto l'ordine di abbandonare
acerbius, quam in hostes, saevirent. » Huic ora il paese e la città, avean fatto disegno di recarsi
tioni senatus ita responderi jussit: « Neque illos tacitamente in altro luogo, dove potessero; ma
recte fecisse, quum in Italiam venerint, oppidum che poi erano state lor tolte l'armi e in fine ogni
que in alieno agro, nullius Romani magistratus, altra cosa che avrebbon voluto portare e condur
qui ei provinciae praeesset, permissu, aedificare seco. Scongiuravano il senato ed il popolo Ro
conati sint; neque senatui placere, deditos spo mano che non volessero incrudelire verso di essi
liari. Itaque se cum iis legatos ad consulem mis innocenti, e che s'erano arrenduti, più acerba
suros, qui, si redeant, unde venerint, omnia iis mente che non si suole contro i nemici. Il sena
sua reddi jubeant, quique protinus eant trans to ſe rispondere a questo discorso: «Non aver
Alpes, et denuncient Gallicis populis, multitudi essi fatto rettamente, quando calarono in Italia e
nem suam domi contineant. Alpes prope inexsu si misero a fabbricare una città nel territorio
perabilem finem in medio esse: non utique iis altrui, senza permissione d'alcun magistrato Ro
melius fore, quam qui eas primi pervias fecis mano, governatore della provincia; nè essere
sent. » Legati missi L. Furius Purpureo, Q. Mi volontà del senato che essendosi arrenduti, fosse
nucius, L. Manlius Acidinus. Galli, redditis omni ro spogliati. Manderebbono in lor compagnia
bus, quae sine cujusquam injuria habebant, Italia legati al console, i quali, quando ritornino donde
excesserunt.
sono partiti, facciano restituir loro tutte le robe,
e poi subito vadano di là dell'Alpi e faccian
sapere ai popoli della Gallia, che ritengano la
loro moltitudine a casa: starsi le Alpi nel mezzo,
quasi insuperabile confine; diversamente tal sa
rebbe di essi, qual si fu di coloro, che primi
osarono valicarle. » I legati spediti furono Lucio
Furio Purpureone, Quinto Minucio e Lucio Man
lio Acidino. I Galli, avute tutte le robe ch'eran
di loro proprietà, uscirono dall'Italia.
LV. Legatis Romanis Transalpini populi be LV. I popoli Transalpini risposero benigna
migne responderunt. Seniores eorum nimiam le mente ai legati Romani, e i loro vecchi biasima
nitatem populi Romani castigarunt; « Quod eos rono la troppa dolcezza del popolo Romano, « di
homines, qui gentis injussu profecti occupare aver lasciati andare impuniti coloro, i quali par
agrum imperii Romani, et in alieno solo aedifica titisi senza licenza della nazione avean osato di
re oppidum conati sint, impunitos dimiserint. occupar terreni appartenenti all'impero Romano
Debuisse gravem temeritatis mercedem statui; e fabbricare una città sul suolo altrui. Avrebbon
quod vero etiam sua reddiderint, vereri, ne tanta dovuto gravemente punirli di tanta temerità;
indulgentia pluresad talia audenda impellantur.» coll'aver poi restituito loro le robe, temevano
Et exceperunt, et prosecuti cum donis legatos che così grande indulgenza non ispronasse molti
sunt. M. Claudius consul, Gallis ex provincia più ad osare altrettanto. » Ed accolsero ed ac
exactis, Istricum bellum moliri coepit, literis ad compagnarono i legati con doni. ll console Marco
senatum missis, ut sibi in lstriam traducere le Claudio, scacciati i Galli dalla provincia, cominciò
giones liceret. ld senatui placuit. Illud agitabant, a macchinar la guerra Istriana, scrivendo al senato
uti colonia Aquileja deduceretur; nec satis con che gli permettesse di tradur le legioni nell'Istria,
stabat, utrum Latinam, am civium Romanorum, Il senato consentì. Si trattava di mandare una
deduci placeret. Postremo Latinam potius colo colonia in Aquileia; nè ben si sapeva, se di Lati
miam deducendam Patres censuerunt. Triumviri mi o di cittadini Romani. In fine i Padri dell'e
creati sunt P. Scipio Nasica. C. Flaminius, I. Man rarono che si mandasse piuttosto una colonia di
la tv: o 2
1363 TITI LIVII LIBER XXXIX. 1364
lius Acidinus. Eodem anno Mutina et Parma co Latini. Furon nominati triumviri a tal uopo Pu
foniae Romanorum civium sunt deductae. Bina blio Scipione Nasica, Caio Flaminio e Lucio
millia hominum in agro, qui proxime Bojorum, Manlio Acidino. In quell'anno medesimo condot
ante Tuscorum fuerat, octona jugera Parmae, te furono a Mutina ed a Parma colonie di citta
quina Mutinae acceperunt. Deduxerunt triumviri dini Romani. Due mila uomini ebbero nel conta
M. Aemilius Lepidus, T.Aebutius Carus, L. Quin do, che ultimamente era stato de Boii e prima
tius Crispinus. Et Saturnia colonia civium Roma dei Toscani, a Parma otto giugeri ciascuno, a
norum in agrum Caletranum est deducta: de Mutina cinque. Le condussero i triumviri Marco
duxerunt triumviri Q. Fabius Labeo, C. Afranius Emilio Lepido, Tito Ebuzio Caro e Lucio Quin
Stellio, Ti. Sempronius Gracchus. Jugera in sin zio Crispino. Fu mandata una colonia di cittadini
gulos data decem. Romani anche a Saturnia nel contado Caletrano:
la condussero i triumviri Quinto Fabio Labeone,
Caio Afranio Stellione e Tito Sempronio Gracco.
Si diedero a ciascun d'essi dieci giugeri.
LVI. Eodem anno A. Terentius proconsul LVI. Nel medesimo anno il proconsole Aulo
haud procul ſlumine Ibero, in agro Ausetano, et Terenzio non lungi dal fiume Ibero, nel terri
proelia secunda cum Celtiberis fecit, et oppida, torio Ausetano, e combattè prosperamente con
quae ibi communierant, aliquot expugnavit. Ul tro i Celtiberi, e prese loro alquanti castelli che
terior Hispania eo anno in pace fuit, quia et vi aveano fortificati. La Spagna ulteriore in
P. Sempronius proconsul diutino morbo est im quest'anno si tenne in pace, sì perchè il procon
plicitus, et, nullo lacessente, peropportune quie sole Publio Sempronio ſu travagliato da lunga
verunt Lusitani. Nec in Liguribus memorabile malattia, sì perchè i Lusitani, non provocati da
quidquam a Q. Fabio consule gestum. M. Mar alcuno, molto opportunamente stettersi tranquil
cellus, ex Istria revocatus, exercitu dimisso, Ro li. Nè il console Quinto Fabio fece nella Liguria
mam comitiorum causa rediit. Creavit consules cosa degna di memoria. Marco Marcello, richia
Cn. Baebium Tamphilum et L. Aemilium Paullum. mato dall'Istria, licenziato l'esercito, tornossi a
Cum M. Aemilio Lepido hic aedilis curulis fuerat: Roma a tenere i comizii. Nominò consoli Gneo
a quo consule quintus annus erat, quum is ipse Bebio Tanfilo e Lucio Emilio Paolo; questi era
Lepidus post duas repulsas consul factus esset. stato edile curule con Marco Emilio Lepido, dal
Praetoresinde facti Q. Fulvius Flaccus. M. Vale cui consolato eran già corsi cinque anni, essendo
rius Laevinus, P. Manlius iterum, M. Ogulnius stato fatto lo stesso Lepido console dopo due ri
Gallus, L. Caecilius Denter, C. Terentius Istra. pulse. Indi eletti furono pretori Quinto Fulvio
Supplicatio extremo anno fuit prodigiorum causa, Flacco, Marco Valerio Levino, Publio Manlio per
quod sanguine per biduum pluisse in area Con la seconda volta, Marco Ogulnio Gallo, Lucio
cordiae satis credebant, nunciatumque erat, haud Cecilio Dentre e Caio Terenzio Istra. Sul finire
procul Sicilia insulam, quae non ante fuerat, no dell'anno ci furon pubbliche preci a cagione
vam editam e mari esse. Hannibalem hoc anno de prodigii; perciocchè si tenne per certo che
Antias Valerius decessisse auctor est, legatis ad fosse piovuto sangue per due giorni sulla piazza
eam rem ad Prusiam missis, praeter T. Quintium della Concordia, ed era stato annunziato, non
Flamininum (cujus in eare celebre est nomen ) lungi dalla Sicilia essere sorta dal mare una nuo
L. Scipione Asiatico et P. Scipione Nasica. va isola che prima non c'era. Valerio Anziate
scrive, esser morto Annibale in quest'anno, es
sendo stati mandati per questo ambasciadori al
re Prusia, oltre Tito Quinzio Flaminino (il cui
nome è celebre per questo fatto), Lucio Scipione
Asiatico e Publio Scipione Nasica.
TITI LIVII PATAVINI

H I S T O R I A R U MI
AB URBE CONDITA LIBRI

=&8 º 33;

EPITOME

LIBRI QUADRAGESIMI

Q. Philippus liberos eorum, quos occiderat, con Arena, Filippo ricercati in ostaggio i figli di coloro,
quiri obsides jussisset, Theoxena, pro liberis suis et che avea messi a morte, Teoxena, temendo molto pei
sororis admodum pueris verita regis libidinem, prola figli proprii e per quelli della sorella, ch'erano an
tis in medium gladiis et poculo, in quo erat venenum, cora in età tenera, la libidine del re, fatti arrecar
suasit iis, ut imminens ludibrium morte effugerent. de pugnali e un nappo pieno di veleno, persuase loro
Quod quum persuasisset, ipsa se cum viro e navi in che scampassero colla morte dall'imminente oltraggio,
mare praecipitavit. Certamina inter Philippi Mace e come furon persuasi, essa col marito da una nave
doniae regis liberos Persen et Demetrium referuntur: precipitossi nel mare. Norransile contese tra i figliuoli
et ut fraude fratris sui Demetrius confictis crimini di Filippo re di Macedonia Perseo e Demetrio, e come
bus, inter quae accusatione parricidii et adfectati ae Demetrio, dapprima accusato di delitti falsamente in
gni, primum petitus, ad ultimum, quoniam populi Ro ventati dal fratello, tra quali quello di meditato par
mani amicus erat, veneno necatus est; regnumque ricidio e di ambito regno, in ultimo, perch'egli era
Macedoniae mortuo Philippo ad Persen divenit. Item amico del popolo Romano, perì di veleno, e quindi,
res in Liguribus et in Hispania contra Celtiberos a morto Filippo, Perseo succedette nel regno di Mace
compluribus feliciter gestas continet. Libri Numae donia. Il libro contiene inoltre le felici imprese di
Pompilii in agro L. Petillii scribae sub Janiculo a parecchi nella Liguria e nella Spagna contro i Celti
cultoribus agri, in arca lapidea clausi, et Graeci et beri. Si son trovati i libri di Numa Pompilio in un
Latini, inventi sunt; in quibus guum plura, quae campo di Lucio Petillio scrivano, presso il Gianicolo,
dissolvendarum religionum, praetor, ad quem delati dai coloni che il lavoravano, chiusi in un'arca di
erant, legisset, juravit senatui, contra rempublicam pietra, Greci e Latini: ne' quali avendo letto il pre
esse, ut legerentur servarenturque; et ex senatuscon tore, a cui erano stati recati, parecchie cose contrarie
sulto in Comitio exusti sunt. Colonia Aquileja deducta alla religione stabilita, giurò egli al senato, esser
est. Philippus, aegritudine animi confectus, quod De dannoso alla repubblica che si legessero e conservas
metrium filium, falsis Persei alterius filii di lationi sero, e per decreto del senato furono abbruciati in
1367 TITI LIVII EPITOME LIBRI QUADRAGESIMI 1368

bus impulsus, veneno sustulisset, et de poena Persei sulla piazza. Si mandò una colonia ad Aquileia. Fi
cogitavit, voluitgue Antigonum potius amicum suum | lippo consumato da tristezza per aver morto di vele
successorem regni sui relinquere. Sed in hac cogita- no il figlio Demetrio, spinto a ciò fare dalle false
tione morte raptus est: regnum Perseus excepit. accuse dell'altro suo figlio Perseo, ebbe pensiero di
punirnelo, e disegnò che succedesse al regno piuttosto
Antigono, amico suo; ma morte il colse in cotal pen
siero. Perseo gli succedette.
TITI LIVII

L I B E R Q U A D R A G E SI MI US

et38 333 -

I. (Anno U. C. 57o. – A. C. 182.) Princi. I. (Anni D. R. 57o. – A. C. 182.) Nel princi


pio insequentis anni consules praetoresque sor pio dell'anno seguente i consoli ed i pretori si
titi provincias sunt: consulibus, nulla, praeter divisero a sorte le province: non ce n'era nes
Ligures, quae decerneretur, erat. Jurisdictio ur sun'altra da darsi a consoli, tranne la Liguria.
bana M. Ogulnio Gallo, inter peregrinos M. Va La giurisdizione urbana toccò a Marco Ogulmio
lerio evenit, Hispaniarum Q. Fulvio Flacco cite Gallo, quella del forestieri a Marco Valerio, delle
rior, P. Manlio ulterior, L. Caecilio Dentri Sici Spagne la citeriore a Quinto Fulvio Flacco, l'ul
lia, C.Terentio Istrae Sardinia. Consules delectus teriore a Publio Manlio, la Sicilia a Lucio Cecilio
habere jussi. Q. Fabius ex Liguribus scripserat, Dentre, la Sardegna a Caio Terenzio Istra. Fu
Apuanos ad rebellionem spectare, periculumque commesso a consoli che facessero le leve. Quinto
esse, ne impetum in agrum Pisanum facerent. Et Fabio avea scritto dalla Liguria che gli Apuani
ex Hispaniis, citeriorem in armis esse, et cum Cel macchinavano di ribellarsi, ed esservi pericolo
tiberis bellari sciebant: in ulteriore, quia diu che piombassero sul contado Pisano. E quanto
aeger praetor esset, luxuria et otio solutam disci alle Spagne sapevano che la citeriore era in arme,
Plinam militarem esse. Ob ea novos exercitus e che c'era guerra coi Celtiberi; nell'ulteriore,
conscribi placuit: quatuor legiones in Ligures, perchè il pretore era stato lungo tempo infermo,
uti singulae quina millia et ducenos pedites, tre l'ozio e la licenza aver disciolta la militar disci
cenos haberent equites: sociorum iisdem Latini plina. Per questi motivi volle il senato che si ar
nominis quindecim millia peditum addita, et rolassero nuovi eserciti: quattro legioni per la
octingenti equites: hi duo consulares exercitus Liguria, ciascuna di cinque mila e duecento fanti
essent. Scribere praeterea jussi septem millia pe. e di trecento cavalli, a quali si aggiunsero quin
ditum sociorum ac Latini nominis et quadrin dici mila fanti degli alleati del nome Latino ed
gentos equites, et mittere ad M. Marcellum in ottocento cavalli: questi fossero i due eserciti
Galliam, cui ex consulatu prorogatum imperium consolari. Fu loro inoltre commesso di levare
erat. In Hispaniam etiam utramque quae duce sette mila fanti degli alleati del nome Latino e
rentur, quatuor millia peditum civium Romano quattrocento cavalli, e di mandarli a Marco Mar
rum et ducenti equites, et sociorum septem mil cello nella Gallia, al quale era stato dopo il con
lia peditum cum trecentis equitibus scribi jussa. solato prorogato il comando; non che quattro
Et Q. Fabio Labeoni cum exercitu, quem habe mila fanti di cittadini Romani e dugento cavalli,
bat in Liguribus, prorogatum in annum impe e degli alleati sette mila fanti con trecento cavalli
r1um est. da mandarsi nelle due Spagne; e fu prorogato il
comando per un anno a Quinto Fabio Labeone
coll'esercito che aveva nella Liguria.
II. Ver procellosum eo anno fuit. Pridie Pa II. La primavera di quell'anno fu assai tem
rilia, medio ferme die, atrox cum vento tempe pestosa. Il dì avanti la festa di Pale, intorno al
1371 TITI LIVII LIBER XI, 1372
stas coorta multis sacris profanisque locis stra mezzo giorno, levatasi con vento una fiera bur
gem fecit; signa aenea in Capitolio dejecit; fo rasca fe'strage in molti luoghi sacri e profani; ab
rem ex aede Lunae, quae in Aventino est, raptam battè alcune statue di bronzo in Campidoglio;
tulit, et in posticis partibus Cereris templi affixit; schiantò una porta dal tempio della Luna sul
signa alia in circo maximo cum columnis, quibus l'Aventino, ed applicolla al muro di dietro del
superstabant, evertit; fastigia aliquot templorum, tempio di Cerere; atterrò altre statue nel circo
a culminibus abrupta, foede dissipavit. Itaque in massimo con le colonne, su cui posavano, e portò
prodigium versa ea tempestas, procurarique aru bruttamente per aria i pinnacoli di alcuni tempii
spices jusserunt, simul procuratum est, quod strappati da colmi. Fu quindi cotal burrasca te
tripedem mulum Reate matum nunciatum erat, nuta in conto di prodigio, e gli aruspici ordina
et a Formiis aedem Apollinis ac Cajetae de coelo rono che si dovesse espiarlo: fu pur commessa
tactam : ob ea prodigia viginti hostiis majoribus altra espiazione, perchè fu riferito essere nato a
sacrificatum est, et diem unum supplicatio fuit. Reate un mulo con tre piedi, e venne da Formio
Per eosdem dies ex literis A. Terentii propraeto che il tempio di Apollo, come anche in Caieta, era
ris cognitum, P. Sempronium in ulteriore pro stato percosso da fulmine. Per codesti prodigii
vincia, quum plus annum aeger fuisset, mortuum furono sagrificate venti vittime maggiori, e si fe
esse. Eo maturius in Hispaniam praetores jussi cero pubbliche preci per un giorno. A quel dì
proficisci, Legationes transmarinae deinde in se medesimi si ebbe dalle lettere del propretore
matum introductae sunt. Prima Eumenis et Phar Aulo Terenzio esser morto nella Spagna ulteriore
nacis regum, et Rhodiorum querentium de Si Publio Sempronio, stato infermo per più di un
nopensium clade. Philippi quoque legati, et anno; onde ebber ordine i pretori di tanto più
Achaeorum, et Lacedaemoniorum, sub idem tem sollecitare la lor partenza. Di poi furono intro
pus venerunt. lis, prius Marcio audito, qui ad dotte in senato le ambascerie marittime. La pri
res Graeciae Macedoniaeque visendas missus erat, ma fu quella dei re Eumene e Farnace, e dei Ro
responsa data sunt. Asiae regibus ac Rhodiis re diani ch'eran venuti a dolersi della rovina dei
sponsum est, legatos ad eas res visendas missu Sinopesi. Vennero a quel tempo medesimo anche
rum senatum. i legati di Filippo e degli Achei e dei Lacedemo
ni. Fu risposto a questi, come s'ebbe udito Mar
cio, il quale era stato spedito a visitare la Grecia
e la Macedonia. Ai re dell'Asia ed ai Rodiani si
rispose che il senato mandato avrebbe a ricono
scere quegli affari.
III. De Philippo auxerat curam Marcius: nam III. Quanto a Filippo, avea Marcio accresciuti
ita fecisse eum, quae senatui placuissent, fateba i sospetti; perciocchè confessava aver quegli ese
tur, ut facile appareret, non diutius, quam me guito quanto era piaciuto al senato, in modo però
cesse esset, facturum; neque obscurum erat re da facilmente comprendere che non avrebbe con
bellaturum, omniaque, quae tunc ageret diceret tinuato di così fare più lungo tempo di quel che
que, eo spectare. Jam primum omnem fere mul fosse necessario, e chiaramente vedersi che già si
titudinem civium ex maritimis civitatibus cum sarebbe ribellato, e che tutto quello ch'egli allora
familiis suis in Emathiam, quae nunc dicitur faceva e diceva a ciò mirava. Primieramente dalle
(quondam appellata Paeonia est), traduxit; Thra città marittime trasportò quasi tutta la moltitu
cibusque et aliis barbaris urbes tradidit habitan dine dei cittadini colle loro famiglie nell' ora
das, fidiora haec genera hominum fore ratus in detta Emazia, innanzi chiamata Peonia ; e diede
Romano bello. Ingentem ea res fremitum tota ad abitare quelle città a Traci e ad altri barbari,
Macedonia fecit ; relinquentesque penates suos pensando che questa sorta di gente gli sarebbe
cum conjugibus ac liberis pauci tacitum dolorem più fida nella guerra co' Romani. Questa cosa
continebant; exsecrationesque in agminibus pro destò fremito grande in tutta la Macedonia, e ab
ficiscentium in regem, vincente odio metum, bandonando coloro le proprie case con le mogli
axaudiebantur. His ferox animus omnes homines, e co' figliuoli, pochi frenavano tacitamente il do
omnia loca temporaque suspecta habebat. Postre lore, e l'odio vincendo il timore, dalla gente che
mo negare propalam coepit, satis tutum sibi si partiva udivansi mille esecrazioni contro il re.
quidquam esse, nisi liberos eorum, quos interfe Di che vieppiù inferocito quell'animo avea so
cisset, comprehensos in custodia haberet, et tem spetto di tutte le persone, sospetto di tutti i luo
pore alium alio tolleret. ghi, di tutti i tempi. Infine cominciò a dire pub
blicamente ch'ei non si crederebbe abbastanza
sicuro, se non tenesse in mano sotto custodia i
1373 l'ITI LIVII LIBER XL. 1374
figli di coloro che avea fatto perire, e non met
tesse a morte ora questo ed ora quello.
lV. Eam crudelitatem, foedam per se, foedio IV. Codesta crudeltà, detestabile di per sè, fe
rem unius domus clades fecit. Herodicum, prin cela più detestabile ancora lo sterminio di una
cipem Thessalorum , multis ante annis occi intera famiglia. Avea Filippo moltº anni innanzi
derat; generos quoque ejus postea interfecit. In messo a morte Erodico, uno de primi della Tes
viduitate relictae filiae, singulos filios parvos ha saglia; uccise dipoi anche i generi di lui. Le figlie
bentes. Theoxena et Archo nomina mulieribus rimasero vedove, ciascuna con un picciol figlio;
erant. Theoxena, multis petentibus, aspernata avean nome Teoxena ed Arco. Teoxena, chiesta
nuptias est. Archo Poridi cuidam, longe princi da molti, non s'era mai curata di nuove nozze ;
pi gentis Aeneatum, nupsit, et, apud eum plu Arco rimaritossi con certo Poride, personaggio
res emisa partus, parvis admodum relictis omni il più distinto tra gli Eneati, ed avuti da lui più
bus, decessit. Theoxena, utin suis manibus liberi figliuoli, morì, lasciandoli tutti in bassa età. Teo
sororiseducarentur, Poridi nupsit: et, tamquam xena, per educare presso di sè i figli della sorella,
omnes ipsa enisa foret, suum sororisque filios in si sposò a Poride, e come se gli avesse ella tutti
eadem habebat cura. Postguam regis edictum de partoriti, dava le stesse cure al proprio ed a fi
comprehendendis liberis eorum, qui interfecti gliuoli della sorella. Poi ch'ebbe udito l'editto
essent, accepit; ludibrio futuros, non regismo del re, che si pigliassero i figli di coloro, ch'era
do, sed custodum etiam libidini, rata, ad rem no stati fatti morire, pensando che que' suoi fan
atrocem animum adjecit; ausaque est dicere, se ciulli sarebbono divenuti ludibrio della libidine
sua manu polius omnes interfecturam, quam in del re non solamente, ma eziandio de loro custo
potestatem Philippi venirent. Poris, abominatus di, concepì nell'animo un atroce disegno, e osò
mentionem tam foedi facinoris, Athenas depor dire che gli avrebbe ella tutti uccisi piuttosto di
taturum eos ad fidos hospites dixit, comitemque sua mano, che venissero in potere di Filippo. Po
ipsum fugae futurum esse. Proficiscuntur ab ride, spaventato dal solo cenno di così atroce
Thessalonica Aeneam ad statutum sacrificium, partito, disse che gli avrebbe trasportati in Ate
quod conditori Aeneae cum magna ceremonia ne presso alcuni suoi fidi amici, e ch'egli stesso
quotannis faciunt, Ibi die per solemnes epulas gli scorterebbe nella fuga. Partono da Tessaloni
consumpto, navem praeparatam a Poride, sopi ca alla volta della città di Enea al sagrifizio che
tis omnibus, de tertia vigilia conscendunt, tam vi si fa ogni anno con grande ceremonia al fon
quam redituri in Thessalonicam: sed trajicere in datore Enea. Quivi consumato un giorno tra i
Euboeam erat propositum. Ceterum in adversum solenni banchetti, nella terza veglia, mentre tutti
ventum nequidquam eos tendentes prope terram dormono, montano sulla nave preparata da Pori
lux oppressit; et regii, qui praeerant custodiae de, come se volessero tornare in Tessalonica, ma
portus, lembum armatum ad pertrahendam eam col disegno di passare in Eubea. Se non che, lot
navim miserunt, cum gravi edicto, ne reverte tando invano col vento contrario, il giorno li col
rentur sine ea. Quum jam appropinquabant, se presso terra, e le guardie che stavano a custo
Poris quidem ad hortationem remigum nauta dia del porto, mandarono un lembo armato, il
rumque intentus erat; interdum manus ad coe quale seco menasse la nave, con ordine severo
lum tendens deos, ut ferrent open, orabat. Fe che non tornassero senza quella. Mentre veniva
rox interim femina, ad multo ante praecogitatum no avvicinandosi, Poride badava a inanimare i
revoluta facinus, venenum diluit, ferrumque pro remiganti e i marinai; talvolta, levando le mani
mit; et, posito in conspectu poculo, strictisque al cielo, pregava gli dei che lo aiutassero. Intanto
gladiis, c. Mors, inquit, una vindicta est. Viae ad la fiera donna, ritornata a quel suo molt' anzi
mortem hae sunt : qua quemque animus fert, fatto pensamento, stempera un veleno e sguaina
effugite superbiam regiam. Agite, juvenes mei, un ferro, e messo dinanzi a fanciulli un nappo ed
primum, qui majores estis, capite ferrum ; aut afferrato il pugnale, . La morte, disse, è la sola
haurite poculum, si segnior morsjuvat. » Et ho nostra difesa: queste son le vie di andare a mor
stes aderant, et auctor mortis instabat. Alii alio te; come più vi dà l'animo, fuggite dalla regia
leto absumpti semianimes e nave praecipitantur: tirannia. Su dunque, o miei giovani, quelli che
ipsa deinde, virum comitem mortis complexa, in son maggiori di età, strignete il ferro; o se più
mare sese dejecit. Nave vacua dominis regii po lenta morte vi aggrada, votate il nappo. ” E già
tili sunt. eran presso i nemici, e la trista consigliera solle
citava. Questi in un modo, e quelli toltasi la vita
in un altro, non ancora ben morti, son buttati
ſuor della nave: ella stessa di poi, abbracciato il
TlTI LIVII LIBER XL. 1376
marito compagno al suo morire, gettossi in mare.
Le genti del re presero la nave vota de' suoi pa
droni.

V. Hujus atrocitas facinoris novam velut flam V. L'atrocità di questo fatto aggiunse quasi
mam regis invidiae adjecit, ut vulgo ipsum libe nuova fiamma all'odio, che già si portava al re,
rosque eius exsecrarentur. Quae dirae brevi ab tanto che non c'era chi non lanciasse impreca
omnibus diis exauditae, ut saeviret ipse in suum zioni contro lui ei suoi figliuoli; e codeste impre
sanguinem, effecerunt. Perseus enim, quum in cazioni, tra breve tempo esaudite dagli dei, fecero
dies magiscerneret favorem dignitatem que De sì ch'egli stesso contro il suo sangue infierisse.
metrii fratris apud Macedonum multitudinem Perciocchè Perseo, scorgendo che il fratello De
crescere, et gratiam apud Romanos, sibi spem metrio cresceva ogni giorno più in favore ed esti
nullam regni superesse, nisi in scelere, ratus, ad mazione presso i Macedoni ed in grazia presso i
id unum omnes cogitationes intendit. Ceterum Romani, pensando che non gli restava altra spe
quum se ne ad id quidem, quod muliebri cogi ranza di regno che nel delitto, a questo solo ri
tabat animo, satis per se validum crederet, sin volse i suoi pensieri. Del resto, non istimandosi
gulos amicorum patris tentare sermonibus per nè anche bastantemente forte da sè ad eseguire
plexis institit. Et primo quidam ex his asper quello che nel dappoco suo cuore meditava, co
nantium tale quidquam speciem praebuerunt, minciò a saggiare uno ad uno i consiglieri di suo
quia plus in Demetrio spei pomebant: deinde, padre con ambigui discorsi, e dapprima alcu
crescente in dies Philippi odio in Romanos, cui ni di essi mostraronsi alieni da così fatta cosa,
Perseus indulgeret, Demetrius summa ope adver perchè confidavano maggiormente in Demetrio.
saretur, prospicientes animo exitum incauti a Indi, crescendo ogni dì più l'odio di Filippo con
fraude fraterna juvenis, adjuvandum, quod fu tro i Romani, odio che Perseo secondava, e che
turum erat, rati, fovendamgue spem potentioris, Demetrio con ogni sua forza combatteva, preve
Perseo se adjungunt: cetera in suum quaeque dendo coloro la rovina del giovine mal guardan
tempus agenda differunt. In praesentia placet, tesi dalle frodi del fratello, stimando di dover
omni ope in Romanos accendi regem, impellique aiutare quel che già sarebbe accaduto, ed appog
ad concilia belli, ad quae jam sua sponte animum giare la speranza del più potente, si uniscono a
inclinasset. Simul, ut Demetrius in dies suspectior Perseo: le altre cose da farsi le rimettono ciascu
esset, ex composito sermones ad spretionem Ro ma a suo tempo. Quanto al presente, convengono
manorum trahebant. Ibi quum alii mores et in d'infiammare con ogni mezzo il re contro i Ro
stituta eorum, alii res gestas, alii speciem ipsius mani e spingerlo a pensieri di guerra, a quali
urbis, nondum exornatae neque publicis neque avea già l'animo naturalmente inclinato. Nel
privatis locis, alii singulos principum eluderent; tempo stesso per fare che Demetrio ogni giorno
Juvenis incautus, et amore nominis Romani, et più diventasse sospetto, tiravano ad industria i
certamine adversus fratrem, omnia tuendo suspe discorsi al disprezzo de Romani. Quivi altri bef
ctum se patri et opportunum criminibus faciebat. fandosi delle usanze e degli istituti loro, altri
Itaque expertem eum pater omnium de rebus delle loro imprese, altri dell'aspetto di Roma
Romanis consiliorum habebat: totus in Persea stessa, disadorna ancora sì ne pubblici che ne pri
versus, cum eo cogitationes ejus rei dies ac noctes vati luoghi, altri or di questo, or di quello dei
agitabat. Redierant, quos forte miserat in Bastar principali personaggi, il giovine incauto, e per
nas ad arcessenda auxilia, adduxerantgue inde amore del nome Romano e per gara contro il fra
nobiles juvenes, et regii quosdam generis: quo tello ogni cosa difendendo, si rendeva sospetto al
rum unus sororem suam in matrimonium Philip padre e agevolava le accuse. Perciò tenevalo il pa
pi ſilio pollicebatur; erexeratoſue consociatio gen dre all'oscuro di ogni disegno suo sul proposito dei
tis ejus animum regis. T'um Perseus, « Quid ista Romani: rivolto tutto a Perseo, con lui di enotte
prosunt? inquit: nequaquam tantum in externis conferiva intorno a ciò. Erano per avventura
auxiliis est praesidii, quantum periculi fraude do tornati quelli ch'egli avea spediti a Bastarni a
mestica. Proditorem nolo dicere, certe speculato chiedere soccorsi, e ne aveano menato seco parec
rem habemus in sinu; cujus, ex quo obses Romae chi nobili giovani ed alcuni di regio sangue; uno
fuit, corpus nobis reddiderunt Romani, animum de quali offeriva sua sorella in moglie al figlio
ipsi habent. Omnium pene Mecedonum in eum ora di Filippo, e il collegarsi con quella nazione avea
conversa sunt ; nec regem se alium rentur habitu rilevato l'animo del re. Allora Perseo: « A che
ros esse, quam quem Romani dedissent. » His disse, giova questo? non ecci tanto di rinforzo
per se aegra mens senis stimulabatur; et animo dagli aiuti esterni, quanto ci ha di pericolo nelle
magis, quam vultu ea crimina accipiebat. domestiche insidie. Non voglio dire un traditore,
1377 TITI LIVII LlBER XL 1378
ma certo abbiamo nel proprio seno un esplora
tore; del quale, dacchè si stette ostaggio in Roma,
ci hanno i Romani renduta la persona, ma di cui
posseggono il cuore. In lui son fisi gli sguardi di
quasi tutti i Macedoni; mè si pensano di aver mai
altro re, che quello, che lor daranno i Romani. »
Così fatti discorsi irritavano la mente inferma
del vecchio, ed a codeste accuse dava egli ricetto
in cuor suo, più che non mostrasse in viso.
VI. Forte lustrandi exercitus venit tempus, VI. Venne per avventura il tempo della rasse
cujus solemne est tale, Caput mediae canis prae gna dell'esercito, che si fa con questa solennità.
cisae et prior pars ad dexteram, cum extis poste Alla destra della strada si mette il capo e la parte
rior ad laevam viae ponitur. Inter hanc divisam anteriore di una cagna, tagliata per mezzo; la
hostiam copiae armata e traducuntur: praeferun posteriore con le interiora a sinistra. Si fan pas
tur primo agmini arma insignia omnium ab ulti sare le genti armate tra questa vittima così divi
ma origine Macedoniae regum: deinde rex ipse sa. La prima schiera porta dinanzi a sè le armi
cum liberis sequitur: proxima est regia cohors cospicue di tutti i re della Macedonia sino dalla
custodesque corporis: postremum agmen Mace prima origine: indi segue il re in persona co'suoi
donum cetera multitudo claudit. Latera regis duo figliuoli: viene appresso la coorte regia e la
filii juvenes cingebant, Perseus jam tricesimum guardia del corpo; la restante moltitudine dei
annum agens, Demetrius quinquennio minori Macedoni chiude l'ultima schiera. Cingevano il
medio juventae robore ille, hic flore; fortunati fianco del re i due suoi giovani figli, Perseo, già
patris matura soboles, si mens sana fuisset. Mos in età di trent'anni, Demetrio, minore di anni
erat, lustrationis sacro peracto, exercitum decur cinque; quegli nel pien vigore della giovinezza,
rere, et divisas bifariam duas acies concurrere questi nel suo fiore; matura schiatta di avventu
ad simulacrum pugnae. Regii juvenes duces ei lu roso padre, s'egli fosse stato in buon senno. Era
dicro certamini dati. Ceterum non imago fuit pu usanza, compiuta la solenne rassegna, che l'eserci
gmae, sed, tamquam de regno dimicaretur, ita to facesse varii esercizii, e che le genti, divise in
concurrerunt, multaque vulnera sudibus facta; due parti, si scontrassero a forma di battaglia.
mec praeter ferrum quidquam defuit ad justam Alla testa di quel finto combattimento eran messi
belli speciem. Pars ea, quae sub Demetrio erat, i figliuoli del re. Del resto, non fu quello un'im
longe superior fuit: id aegre patiente Perseo, magine di pugna, ma si urtarono come se com
laetari prudentes amici eius, eamque rem ipsam battessero del regno, e si feron molte ferite
dicere praebituram causam criminandi juvenis. co” bastoni; nè mancò altro che il ferro a rap
presentare una vera battaglia. La parte ch'era
comandata da Demetrio fu superiore di gran
lunga; il che soffrendo Perseo di malanimo, se
ne allegravano gli amici di lui, e dicevano che
questo stesso avrebbe dato motivo di accagionare
Demetrio.

VII. Convivium eo die sodalium, qui simul VII. L'uno e l'altro in quel dì tenne ban
decurrerant, uter Iue habuit, quum vocatus ad chetto del compagni che aveano insieme corsa
coenam ab Demetrio Perseus negasset. Festo die quella lotta; Perseo, invitato a cena da Demetrio,
invitatio benigna et hilaritas juvenalis utrosque ricusò. Nella festività del giorno, il liberale invi
in vinum traxit. Commemoratio ibi certaminis to e l'ilarità giovanile li trasse ambedue a lar
ludicri et jocosa dicta in adversarios ita ut ne gheggiare alquanto nel vino. Quivi si rinnovò
ipsis quidem ducibus abstineretur, jactabantur. la menzione del giocoso combattimento, e si sca
Ad has excipiendas voces speculator ex convivis gliaron motti schersozi contro gli avversarii in
Persei missus, quum incautior obversaretur, ex modo da non risparmiar nè anche i loro capita
ceptus a juvenibus forte triclinio egressis, male ni. Uno de'convitati di Perseo, mandato ad
mulcatur. Hujus rei ignarus Demetrius, « Quin origliare, raggirandosi qua e colà con poca
comissatum, inquit, ad fratrem imus ? et iram cautela, colto da alcuni giovani, usciti a caso
ejus, si qua ex certamine residet, simplicitate et dalla sala, fu assai malconcio. Demetrio, ignaro
hilaritate mostra lenimus ? “ Omnes se ire con di questo, . Perchè, disse, non andiamo a far
clamarunt, praeter eos, qui speculatoris ab se festa con nostro fratello e a mitigare colla fran
pulsati praesentem ultionem meluebant: quum chezza e ilarità nostra quº" di mal umore,
I Ivro 2 - 7
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eos quoque Demetrius traheret, ferrum veste ad che gli fosse da quella pugna rimasto? ” Tutti
diderunt, quo se tutari, si qua vis fieret, possent. gridarono, andiamo, eccetto quelli, che teme
Nihil occulti esse in intestina discordia potest: vano d'esser ivi puniti delle percosse date a
utraque domus specuiatorum et proditorum ple quella spia; se non che, traendoli pur seco De
na erat. Praecucurrit index ad Persea, ferro suc metrio, si celarono un pugnale sotto la veste,
cinctos nuncians cum Demetrio quatuor adole con cui potersi difendere, se si fosse usata loro
scentes venire. Etsi causa apparebat (mam ab iis violenza. Nelle discordie di famiglia niente può
pulsatum con vivam suum audierat), tamen, in rimanere occulto; l'una e l'altra casa era piena
famandaerei causa, januam obserarijubet, et ex di spie e di traditori. Taluno precorre ad avvisa
parte superiore aedium, versisque in viam fene re Perseo, venirsene con Demetrio quattro gio
stris, comissatores, tamquam ad caedem suam ve vani con l'armi sotto. Benchè la ragione fosse
nientes, aditu januae arcet. Demetrius, per vi chiara (perciocchè avea Perseo saputo, essere i
num, quod excluderetur, paullisper vociferatus, medesimi, che avean battuto il suo convitato),
in convivium redit, totius rei ignarus. nondimeno, per più infamarne la cosa, fa chiuder
la porta, e dalla parte superiore della casa e dalle
finestre volte alla strada, tien lontani dall'ingres
so que convittori, quasi venuti fossero ad ucci
derlo. Demetrio, gridato avendo alcun poco che
coloro lo escludevano perch' erano ubbriachi,
tornò a casa al banchetto, ignaro di tutto.
VIII. Postero die Perseus, quam primum con VIII. Il dì seguente Perseo, come tosto potè
veniendi potestas patris fuit, regiam ingressus, abboccarsi col padre, entrato nella reggia, si fer
perturbato vultu in conspectu patris tacitus pro mò lontano, senza parlare, in presenza di lui e
cul constitit. Cui, cum pater, . Satin'salvae ? et, col volto turbato, e il padre domandatolo: «Se
quaenam ea moestitia esset ? » interrogaret eum, stesse bene e perchè quella mestizia? » « Sappi,
« De lucro tibi, inquit, vivere mescito. Jam non disse, ch'è gran mercè, se mi vedi vivo. Già non
occultisa fra tre petimur insidiis. Nocte cum ar più con occulte insidie mio fratello mi assale;
matis domum ad interficiendum me venit ; clau stanotte venne alla casa mia con gente armata
sisque foribus, parietum praesidio me a furore per ammazzarmi; chiuse le porte, mi son difeso
ejus sum tutatus. . Quum pavorem mixtum ad dal suo furore col presidio delle mura. » Avendo
miratione patri injecisset, « Atqui, si aures prae così messo il padre in ispavento misto a meravi
bere potes, inquit, manifestam rem teneas, fa glia: « E certo, aggiunse, se puoi darmi ascolto,
ciam. » « Enimvero se, Philippus dicere, audi farò che ti sia chiara la cosa. » Filippo rispose,
turum, º vocarique extemplo Demetrium jussit: a che anzi l'avrebbe udita; - e fe' subito chia
et seniores duos amicos, expertes inter fratres mare Demetrio e insieme due vecchi consiglieri,
certaminum, infrequentes jam in regia, Lysima co' quali discuterla cosa, Lisimaco ed Onomasto,
chum et Onomastum arcessit, quos in consilio non consapevoli delle gare del fratelli e poco fre
haberet. Dum veniunt amici, solus, filio procul quentanti la reggia. Frattanto che i consiglieri
stante, multa secum animo volutams, inambula vengono, Filippo solo, standosi il figliuolo disco
vit. Postguam venisse eos nunciatum est, secessit sto, molte cose seco ruminando, si pose a passeg
in partem interiorem cum duobus amicis, toti giare. Poi che gli fu annunciato, ch'eran venuti,
dem custodibus corporis: filiis, ut termos iner ritirossi in una stanza insieme co'due consiglieri
mes secum introducerent, permisit. Ibi quum e con altrettante guardie del corpo: a figliuoli
consedisset: « Sedeo, inquit, miserrimus pater, permise che seco introducessero tre compagni
judex inter duos filios, accusatorem parricidii, et disarmati. Quivi il re postosi a sedere : « Seggo,
reum ; aut conficti, aut ammissi criminis labem disse, il più infelice dei padri, giudice tra due
apud meos inventurus. Jampridem quidem hanc figli, uno accusatore, l'altro accusato di fratrici
procellam imminentem timebam, quum vultus dio, per dover trovare tra miei la turpe macchia
inter vos minime fraternoscernerem, quum vo o di mal imputato, o di commesso delitto. Già è
ces quasdam exaudirem ; sed interdum spes ani gran tempo, ch'io paventava codesta procella,
mum subibat, deflagrare iras vestras, purgari sus che minacciavami, vedendo tra voi visi non pun
piciones posse: etiam hostes, armis positis, foe to fraterni, udendo certe vostre parole; ma tal
dusicisse, et privatas multorum simultates fini volta mi sottentrava la speranza, che potessero le
tas: subituram vobis aliquando germanitatis me ire vostre calmarsi, purgarsi i vostri sospetti,
moriam, puerilis quondam simplicitatis consue pensando, anche i nemici, deposte le armi, essersi
tudinisque inter vos, meorum denique praece stretti in alleanza, e le private nimicizie di molti
I 38 i TITI LIVII LIBER XI,. I 362

ptorum; quae, vereor, ne vana surdis auribus aver avuto fine, e che tal fiata vi sarebbe tornata
cecinerim. Quoties ego, audientibus vobis, dete a mente la memoria della fratellanza, della vostra
status exempla discordiarum fraternarum, hor puerile semplicità e convivenza, in fine de' miei
rendos eventus eorum retuli, quibus se stirpem precetti, i quali temo d'aver commessi a sorde
que suam, domos, regna funditus evertissent? orecchie. Quante volte, udendo voi, ho detestato
Meliora quoque exempla parte altera posni: so gli esempi delle fraterne discordie, ho raccontato
ciabilem consortionem inter binos Lacedaemo gli orribili successi, per cui sè e la loro stirpe, le
niorum reges, salutarem per multa secula ipsis case e i regni distrussero dai fondamenti ? D'al
patriaeque. Eamdem civitatem, postguam mos tra parte ho recato i begli esempii; il socievole
sibicuique rapiendi tyrannidem exortus sit, ever consorzio tra i due re de' Lacedomoni, così salu
sam. Jam hos Eumenem Attalumque fratres, a tare per molti secoli ad essi ed alla patria loro ; e
quam exiguis rebus, prope utpuderet regii no quella Sparta medesima, poi che invalse l'usan
minis, mihi, Antiocho et cuilibet regum huius za che ognuno a sè traesse la signoria, rovescia
aetatis, nulla re magis, quam fraterna unanimita ta; e questi due fratelli Eumene ed Attalo da
te, regnum aequasse. Ne Romanis quidem exem quanto piccoli principii, quasi da venirne vergo
plis abstinui, quae aut visa, aut audita habebam: gna al regio nome, sieno giunti a pareggiare me,
T. et L. Quintiorum, qui bellum mecum gesse Antioco e qualunque altro re dell'età nostra,
runt; P. et L. Scipionum, qui Antiochum devi non con altra cosa più, che colla fraterna con
cerunt; patris patruique eorum, quorum perpe cordia. Non vi ho mè anche taciuto gli esempii
tuam vitae concordiam mors quoque miscuit. Romani, ch'io aveva veduti o uditi, di Tito e
Neque vos illorum scelus similisque sceleri even Lucio Quinzii, che meco guerreggiarono ; di
tus, deterrere a vecordi discordia potuit: neque Publio e Lucio Scipioni che vinsero Antioco, e
horum bona mens, bona fortuna, ad sanitatem del padre e dello zio loro, la cui perpetua con
ſlectere. Vivo et spirante me, hereditatem meam cordia in vita anche nella morte gli accumunò.
ambo et spe et cupiditate improba crevistis. Eo Nè la scelleratezza degli uni e l'evento pari alla
usque me vivere vultis, donec, alterius vestràm medesima potè ritrarvi dalla pazza discordia;
superstes, haud ambiguum regem alterum mea nè la saggezza e la buona fortuna di quelli rido
morte faciam. Nec fratrem, nec patrem potestis narvi il senno. Me vivo e spirante ancora, am
pati: nihil cari, nihil sancti est: in omnium vi bedue coll'empia speranza e cupidigia divorata
cem regni unius insatiabilis amor successit. Agite, avete la mia eredità. Volete ch'io viva insino a
conscelerate aures paternas: decernite crimini tanto, che sopravvivendo ad uno di voi, io faccia
bus, mox ferro decreturi: dicite palam, quidquid morendo necessariamente l'altro re. Non potete
aut veri potestis, aut comminisci libet. Beseratae sopportare nè il fratello, nè il padre; non v'ha
aures sunt, quae posthac secretis alterius ab alte per voi niente di caro, niente di sacro; in luogo
ro criminibus claudentur. " Haec, furens ira, di ogni altra cosa sotteutrò sola l'insaziabil bra
quum dixisset, lacrymae omnibus obortae, et diu ma di regno. Or su via, contaminate le orecchie
moestum silentium tenuit.
paterne, combattete tra voi con le accuse per poi
combattere tra poco con l'armi; dite pubblica
mente quel che di vero potete, o quel che vi pia
ce d'immaginare. Sono aperte le orecchie mie,
che chiuderansi poi alle segrete accuse dell'uno
contro l'altro. . Avendo detto fervente per ira
codeste cose, spuntarono le lagrime in sugli occhi
di tutti, e buona pezza v'ebbe mesto silenzio.
IX. Tum Perseus: « Aperienda nimirum IX. Allora Perseo: « Certo bisognava di notte
nocte janua fuit, et armati comissatores accipien aprire l'uscio e ricever dentro i convitati armati
di, praebendumque ferro jugulum, quando non e offrir la gola ai pugnali, poi che non si crede al
creditur, nisi perpetratum, facinus; et eadem pe delitto, se non è commesso; e assalito dalle insi
titus insidiis audio, quae latro atoue insidiator. die odo dirmisi quello stesso, che si dice all'ag
Non nequidquam istiunum Demetrium filium te gressore, all'insidiatore. Non senza ragione di
habere, me subditum et pellice genitum appellant: cono costoro che non hai altro figlio che Deme
mam, si gradum, si caritatem filii apud te habe trio, e me chiamano suddito e nato di concubina;
rem, non in me, querentem deprehensas insidias, perciocchè se io tenessi presso di te il grado, se
sed in eunm, qui fecisset, saevires; nec adeo tibi la carità di figliuolo, non infieriresti contro di
vilis vita esset nostra, ut nec praeterito periculo me, che mi dolgo delle insidie che ho scoperte,
meo movereris, neque futuro, si insidiantibus sit ma sì contro colui che le avesse fatte; nè la mia
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impune. Itaque, si mori tacitum oportet, tacea vita ti sarebbe sì poco a cuore, che non ti movesse
mus, precati tantum deos, ut a me coeptum scelus nè il passato, nè il futuro mio pericolo, se vadano
in me finem habeat, nec per meum latus tu pe - impuniti gl'insidiatori. Pertanto, se mi conviene
taris. Sin autem (quod circumventis in solitudi morire tacendo, si taccia, solo scongiurando gli
ne natura ipsa subiicit, ut hominum, quos num dei che il delitto principiato contro di me in me
quam viderint, fidem tamen implorent) mihi abbia fine, e che a traverso del fianco mio non si
quoque, ferrum in me strictum cermenti, vocem miri a colpire il tuo. Che se a me (cosa che sug
mittere liceat; per te, patriumque momen, quod gerisce la natura a chi è assaltato in luogo soli
utri nostràm sanctius sit, jampridem sentis, ita tario, d'implorare da quel medesimi soccorso,
meaudias, precor, tamquam si, voce et complora che non si sono veduti mai), che mi scorgo il
tione nocturna excitus, mihi quiritanti interve pugnale inarcato contro, lice mandar fuori una
nisses, Demetrium cum armatis nocte intempesta voce, per te, pel nome di padre, che ben conosci
in vestibulo meo deprehendisses. Quod tum vo da molto tempo qual di noi due l'abbia in mag
ciferarer in re praesenti pavidus, hoc nunc poste giore venerazione, ti prego di ascoltare in guisa,
ro die queror. Frater, non comissantium in vicem come se, destato da voce e lamentazione nottur
jam diu vivimus inter nos. Regnare utique vis: ma, tu fossi accorso alle mie grida e trovato avessi
huic spei tuae obstat aetas mea, obstat gentium Demetrio, di fitta notte, con gente armata nel
jus, obstat vetustus Macedoniae mos, obstat vero vestibolo della mia casa. Quel grido, che spaven
etiam patris judicium. Haec transcendere, nisi tato avrei messo allora in sul caso, il metto ora
per meum sanguinem, non potes; omniamoliris nel giorno appresso. Fratello, non viviamo tra
et tentas; adhuc seu cura mea, seu fortuna, noi già da gran tempo in modo da banchettare
restitit parricidio tuo. Hesterna die, in lustratio insieme. Tu vuoi regnare: a codesta tua speranza
ne et decursu et simulacro ludicro pugnae, fu osta l'età mia, il diritto delle genti, il costume
nestum prope proelium fecisti; nec me aliud a antico di Macedonia, osta eziandio il giudizio del
morte vindicavit, quam quod me acmeos vinci padre. Non puoi superare tutto ciò, se non per
passus sum. Ab hostili proelio, tamquam fraterno mezzo al sangue mio; macchini, tenti ogni cosa;
lusu, pertrahere me ad coenam voluisti. Credis, insino ad ora o la vigilanza o la fortuna mia han
me, pater, inter inermes convivas coenaturum messo ostacolo al fratricidio, che mediti. leri nel
fuisse, ad quem armati comissatum venerunt? la rassegna, in quegli esercizii, di una scherzosa
credis, nihil a gladiis nocte periculum fuisse, foggia di combattere ne hai fatta una pugna
quem sudibus, te inspectante, prope occiderunt? quasi micidiale; nè altro mi scampò dalla morte
Quid hoc noctis, quid inimicus adiratum, quid che l'avermi lasciato vincere, me ed i miei. Dalla
cum ferro succinctis juvenibus venis? Convivam pugna ostile, quasi per fraterna giovialità, hai vo
ne tibi committere ausus non sum; comissatorem luto trarmi a cenar teco. Credi forse, o padre, che
te cum armatis venientemi accipiam? Si aperta avrei cenato tra commensali disarmati io, alla cui
janua fuisset, funus meum parares hoc tempore, casa eran venuti armati a cenare ? Credi, che non
pater, quo querentem audis. Nihil ego, tamquam avrei di notte corso nessun pericolo dall'armi di
accusator, crimimose, nec dubia argumentis colli costoro, mentre mi hanno, te veggente, quasi uc
gendo ago. Quid enim ? negat se cum multitudi ciso col bastoni? A che in ora notturna, a che ne
me venisse ad ianuam meam? an ferro succinctos mico ad uomo irritato, a che venire con giovani
secum fuisse? Quos nominavero, arcesse: possunt armati occultamente di pugnali ? Non osai fidar
quidem omnia audere, qui hoc ausi sunt; non mi di cenar teco, e avrei te ricevuto a cenar meco,
tamen audebunt negare. Si deprehensos intra che venivi con gente armata ? Se l'uscio fosse
limen meum cum ferro ad te deducerem, rem stato aperto, ti occuperesti, o padre, del mio mor
pro manifesto haberes; fatentes pro deprehensis torio in questo istante medesimo, in cui ascolti
habe. »
le mie querele. Non io qui tratto a foggia di ac
cusatore cavillando, nè do per provate le cose
dubbie. E in fatti, nega egli d'esser venuto alla
mia casa con numero di gente? che coloro ve
nuti con lui fossero con l'armi sotto ? Chiama
quelli, che nominerò : possono per verità tutto
osare quelli che osarono tanto; ma non oseranno
negare. Se colti con l'armi dentro alla mia soglia
te li conducessi dinanzi, avresti la cosa per ma
nifesta; poi che confessano, abbili come colti.
X. « Exsecrare nune cupiditatem regni, et X. « Maledici ora la cupidigia di regnare e
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furias fratermas concita. Sed, ne sint caecae, pa suscita le furie fraterne; ma acciocchè le tue ma
ter, exsecrationes tuae, discerne et dispice insi ledizioni, o padre, non sieno cieche, riconosci e
diatorem et petitum insidiis: moxium his incesse discerni l'insidiatore dall'insidiato: cadano sul
caput. Qui occisurus fratrem fuit, habeat etiam capo a lui. Quegli, che volle uccidere il fratello,
iratos paternos deos: qui periturus fraterno provi eviandio lo sdegno degli dei paterni; que
scelere fuit, perfugium in patris misericordia et gli, che fu presso a perire per la fraterna scellera
justitia habeat. Quo enim alio confugiam, cui non tezza, abbia un rifugio nella misericordia e nella
solemne lustrale exercitus tui, non decursus mi giustizia del padre. Perciocchè come rifuggirmi
litum, non domus, non epulae, non noz, ad quie altrove, se non la solenne rassegna del tuo eser
tem data naturae beneficio mortalibus, tuta est? cito, non gli esercizii de soldati, non la casa, non
Si iero ad fratrem invitatus, moriendum est: si il banchetto, non la notte, data per riposo a mor
recepero intra ianuam comissatum fratrem, mo tali dalla benefica natura, mi fan securo? Se an
riendum est. Nec eundo, nec manendo insidias drò invitato al fratello, dovrò morire; se riceve
evito: quo me conferam ? Nihil praeter deos, rò a cena il fratello, morir dovrò ; nè andando,
pater, et te colui: non Romanos habeo, ad quos nè rimanendo, scampo dalle insidie; dove ricor
confugiam; perisse expetunt, quia tuis injuriis rerò? Non altro ho io mai venerato, che gli dei
doleo, quia ademptas tot urbes, tot gentes, modo e te, o padre mio. Non ho i Romani, presso i
Thraciae maritimam oram, indignor: nec me, quali ricoverarmi; bramano ch'io pera, perchè
mec te incolumi, Macedoniam suam futuram spe mi dolgo delle soperchierie che ti fanno, perchè
rant. Si me scelus fratris, te senectus absumpserit, mi sdegno che ti sien tolte tante città, tanti po
autne ea quidem exspectata fuerit, regem regnum poli, ultimamente la costa marittima della Tra
que Macedoniae sua futura sciunt. Si quid extra cia: non isperano, me salvo, salvo te, di far sua
Macedoniam tibi Romani reliquissent, mihi quo la Macedonia ; sanno che se mi torrà dal mondo
que id relictum crederem receptaculum. At in l'empietà del fratello, te la vecchiezza, e nè que
Macedonibus satis praesidii est. Vidisti hesterno sta forse aspetteranno, sarà cosa loro il re ed il
die impetum in me militum. Quid illis deſuit. regno della Macedonia. Se i Romani ti avessero
misi ferrum ? Quod illis defuit interdin, convivae lasciato alcun provvedimento fuori della Mace
fratris noctu sumpserunt. Quid de magna parte donia, mi crederei colà rimasto un ricetto. Ma
principum loquar, qui in Romanis spem omnem sono assai tutelato dai Macedoni. Hai veduto ieri
dignitatis et fortunae posuerunt, et in eo, qui l'impeto del soldati contro di me; che mancò
ommia apud Romanos potest? Neque, hercule, loro, se non è il ferro ? Quello che mancò loro
istum mihi tantum fratri majori, sed prope est, di giorno, i commensali del fratello sel presero
ut tibi quoque ipsi, regi et patri, praeferant. Iste la notte. Che dirò di gran parte del principali cit
enim est, cujus beneficio poenam tibi senatus tadini, che han riposta ogni speranza della lor
remisit, qui nunc te ab armis Romanis protegit, dignità e fortuna ne' Romani ed in colui, che può
qui tuam senectutem obligatam et obnoxiam tutto presso i Romani ? Nè, in fede mia, lui sol
adolescentiae suae esse aequum censet. Pro isto tanto prepongono a me, fratello maggiore, ma
Romani stant, pro isto omnes urbes tuo imperio quasi a te stesso, re e padre. Perciocchè egli è
liberatae, pro isto Macedones, qui pace Romana quello, per cui benefizio il senato ti condonò la
gaudent. Mihi praeter te, pater, quid usquam pena; quello che ora ti difende dalle armi Ro
aut spei, aut praesidii est? » mane; quello che stima giusto, che la tua vec
chiezza obbligata stiasi e dipendente dalla sua
giovanezza. Son per lui i Romani, per lui tutte le
città tolte dalla tua dominazione; per lui i Ma
cedoni che godono di starsi in pace coi Romani.
A me, o padre, dove resta altra speranza, altra
difesa, se non è in te ? »
XI. « Quo spectare illas litteras ad tennnc XI. « Dove pensi che mirino quelle lettere
missas T. Quintii credis, quibus, et bene te con testè mandate da Tito Quinzio, colle quali dice
suluisse rebus tuis, ait, quod Demetrium Romam che hai ben provveduto alle cose tue coll'aver
miseris, et hortatur, ut iterum, et cum pluribus mandato Demetrio a Roma, e ti esorta a riman
legatis et primoribus Macedonum remittas eum ? darlo di nuovo e con più numero di ambasciato
T. Quintius nunc est auctor omnium rerum isti rie de principali della Macedonia ? Tito Quinzio
et magister. Eum sibi, te abdicato patre, in locum gli è presentemente in ogni cosa consigliere e
tuum substituit: illicante omnia clandestina con maestro, e Demetrio, rinunziato te suo padre,
cocta sunt consilia. Quaeruntur adjutores con hallo in luogo tuo sostituito: quivi son prima
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siliis, quum te plures, et principes Macedonum, digeriti tutti i segreti consigli, e si cercano dei
cum isto mittere jubet. Qui hinc integri et sin coadiutori a questi, quando ti si ordina di spedi
ceri Romam eunt, Philippum regem se habere re maggior numero di Macedoni e del principali.
credentes, imbuti illimc et infecti Romanis dele Quelli che di qua partendosi sani e sinceri van
nimentis redeunt. Demetrius iis unus omnia est: no a Roma persuasi che Filippo sia il loro re,
eum jam regem, vivo patre, appellant. Haec si tornano di là imbevuti e guastati dalle lusinghe
indignor, audiendum est statim, non ab aliis so de Romani. Demetrio solo è tutto per essi; già,
lum, sed etiam a te, pater, cupiditatis regni cri vivente ancora il padre, lo chiamano re. Se mi
men. Ego vero, si in medio ponitur, non agnosco: prende sdegno di codeste cose, subito si dee sen
quem enim suo loco moveo, utipse in eius locum tire non dagli altri solamente, ma da te, o padre,
succedam ? Unus ante me pater est, et, ut diu che aspiro al regno. Ma se si accomuna ad ambe
sit, deos rogo. Superstes (etita sim, si merebor, due quest'accusa, non la riconosco. Perciocchè
ut ipse me esse velit) haereditatem regni, si pa chi rimovo io di luogo, per succedere in luo
ter tradet, accipiam. Cupit regnum, et quidem go suo? Non ho davanti a me che il solo padre, e
scelerate cupit, qui transcendere festinat ordinem prego gli dei che ci stia lungo tempo. Sopravvi
aetatis, naturae, moris Macedonum, juris gen vendo (e così sia, se meriterò ch'ei voglia ch'io
tium. Obstat frater major, ad quem jure, volun sopravviva) accetterò l'eredità del regno, se il
tate etiam patris, regnum pertinet. Tollatur: non padre me la darà. Ha bramosia di regno, e certo
primus regnum fraterna caede petiero. Pater se bramosia scellerata colui che si affretta di trapas
mex, et filio solus orbatus, de se magis timebit, sare l'ordine dell'età, della natura, dell'usanza
quam ut filii necem ulciscatur. Romani laetabun de'Macedoni, del diritto delle genti. Osta il fra
tur, probabunt, defendent factum. Hae spes in tello maggiore, al quale per giustizia ed eziandio
certae, pater, sed non inanes sunt. Ita enim se per volontà del padre spetta il regno. Tolgasi
res habet: periculum vitae propellere a me potes, dal mondo: non sarò il primo che abbia invaso
puniendo eos, qui ad me interficiendum ferrum il regno, uccidendo un fratello. Il padre vecchio,
sumpserunt: si facinori eorum successerit, mor rimasto con un solo figliuolo, temerà più per sè,
tem meam idem tu persequi non poteris. ” di quello che pensi a vendicar la morte dell'altro
figlio. I Romani faran festa, approveranno, di
fenderanno il fatto. Queste sue speranze sono in
certe, o padre, ma però non son vane; perciocchè
la cosa sta così: puoi allontanare da me il peri
colo della vita, castigando coloro, che han preso
l'armi per uccidermi; se riuscirà loro il disegno,
non potrai tu medesimo la morte mia vendi
care. º

XII. Postguam dicendi finem Perseus fecit, XII. Poi che Perseo ebbe fatto fine al parlare,
conjecti eorum, qui aderant, oculi in Demetrium gli occhi di quanti eran presenti, si volsero tutti
sunt, velut confestim responsurus esset. Deinde a Demetrio, come se avesse tosto a rispondere.
diu fuit silentium, quum perfusum fletu appare Indi vi fu per buona pezza silenzio, scorgendo
ret omnibus loqui non posse. Tandem vicit dolo ognuno ch'ei non poteva inondato di lagrime
rem ipsa necessitas, quum dicere juberent, atque parlare. Finalmente, impostogli che parlasse, la
ita orsus est : « Omnia, quae reorum antea fue necessità vinse il dolore, e così cominciò: «Tutto
rant auxilia, pater, praeoccupavit accusator. Si quello che solea per innanzi venire in aiuto agli
mulatis lacrymis in alterius perniciem veras meas accusati, tutto, o padre, l'ha di già preoccupato
lacrymas suspectas tibi fecit. Quum ipse, ex quo l'accusatore. Colle lagrime finte a rovina altrui
ab Roma redii, per occulta cum suis colloquia ti ha rendute sospette le vere lagrime mie. Men
dies noctesque insidietur, ultro mihi non insidia tr'egli, da che io tornai da Roma, conferendo
toris modo, sed latronis manifesti et percussoris, segretamente co'suoi, dì e notte mi tende insidie,
speciem induit. Periculo suo te exterret, ut inno egli stesso mi mette addosso la veste non sola
xio fratri per eumdem te maturet perniciem. mente d'insidiatore, ma di manifesto ladrone ed
Perfugium sibi nusquam gentium esse ait, ut ego assassino. Egli ti spaventa coll'idea del suo peri
ne apud te quidem quidquam spei reliquae colo per valersi di te medesimo ad affrettare la
habeam. Circumventum, solum, inopem, invidia rovina dell'innocente fratello: non ha, dice, ri
gratiae externae, quae obest potius, quan prodest, fugio in nessun luogo, acciocchè non mi resti
onerat. Jam illud quam accusatorie, quod noctis punto da sperare nemmeno in te. Circuito, mi
hujus crimen miscuit cum cetera insectatione sero, solo, mi fa carico del favore straniero, il
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vitae meae, ut et hoc, quod jam, quale sit, scies, quale, piuttosto che giovare, mi nuoce. E già co
suspectum alio vitae nostrae tenore faceret, et me diportossi da fino accusatore, mescolando l'av
illam vanam criminationem spei, voluntatis, con venimento di questa notte coll' inveire contro
siliorum meorum nocturno hoc ficto et composi tutta la precedente mia vita? e ciò per renderti
to argumento fulciret? Simul et illud quaesivit, sospetta col rimanente tenore del viver mio co
ut repentina et minime praeparata accusatio vi desta imputazione, che saprai or ora qual ella
deretur, quippe ex noctis hujus metu et tumultu siasi, e per puntellare la calunnia apposta alle mie
repentino exorta. Oportuit autem, Perseu, si speranze, alle brame e disegni miei con questa in
proditor ego patris reguique eram, si cum Ro finta e architettata favola notturna. Ebbe ezian
manis, si cum aliis inimicis patris inieram consi dio nel tempo stesso la mira, che paresse repen
lia, non exspectatam fabulam noctis hujus esse, tina codesta accusa e non punto preparata, ma
sed proditionis meae ante me accusatum: si illa come nata dal timore e dal tumulto improvviso
separata ab hac, vana accusatio erat, invidiamoue di questa notte. Se non che bisognava, o Perseo,
tuam adversus me magis, quam crimen meum se io tradiva il padre ed il regno, se io teneva
indicatura, hodie quoque eam aut praetermitti, pratiche co Romani, se cogli altri nemici del pa
aut in aliud tempus differri; ut perspiceretur, dre, non aspettare il caso di questa notte, ma sì
utrum ego tibi, am tu mihi, novo quidem et sin avermi accusato innanzi di tradimento: e se vana
gulari genere odii, insidias fecisses. Ego tamen, riusciva quella accusa separata da questa, ed avreb
quantum in hac subita perturbatione potero, se be ella palesato più la tua malevolenza contro di
parabo ea, quae tu confudisti, et noctis hujus me, che il mio delitto, oggi ancora pretermetter
insidias, auttuas, aut meas, detegam. Occidendi la, o differirla ad altro tempo, acciocchè si vedes
sui consilium me inisse videri vult; ut scilicet, se chiaro, se io a te, o tu a me, veramente con
majore fra tre sublato, cujusjure gentium, more nuova e strana foggia di odio, tendessi insidie.
Macedonum, tuo etiam, ut ait, judicio, regnum est Io però, quanto per me potrassi in questo subito
futurum, ego minor in eius, quem occidissem, perturbamento, separerò le cose che hai confuse,
succederem locum. Quid ergo illa sibi vult pars e farò palesi le insidie di questa notte, se tue
altera orationis, qua Romanos a me cultos ait, sieno, ovvero mie. Vuole far credere, ch'io abbia
atque eorum fiducia in spem regni me venisse ? fatto disegno di ammazzarlo, acciocchè, tolto dal
nam si et in Romanis tantum momenti esse cre mondo il fratello maggiore, cui spetta il regno
debam, ut, quem vellent, imponerent Macedoniae per dritto delle genti, per usanza de' Macedoni,
regem, et meae tantum apud eos gratiae confide ed eziandio, com'egli dice, per tua volontà, io,
bam, quid opus parricidio fuit? An, ut cruentum fratello minore, succedessi in luogo di quello, che
fraterna caede diadema gererem ? ut illis ipsis, avessi ucciso. Che ha dunque a fare quell'altra
apud quos aut vera, aut certe simulata probitate, parte del discorso, nella quale dice che ho colti
partam gratiam habeo, si quam forte habeo, ex se vati i Romani, e che fidando in loro son venuto
crabilis et invisus essem ? nisi T. Quintium cre in isperanza di regnare ? Perciocchè, se io cre
dis, cujus virtute et consiliis me nunc arguis regi, deva tanta esser la possa de Romani da imporre
quum et ipse tali pietate vivat cum fratre, mihi alla Macedonia quel re che più volessero, e se
fraternae caedis fuisse auctorem. Idem non Ro tanto fidava nel favor loro, che c'era bisogno di
manorum solum gratiam, sed Macedonum judi un fratricidio ? forse per cingere un diadema di
cia, ac pene omnium deorum hominumque con fraterno sangue insozzato, per farmi esecrato ed
sensum collegit, per quae omnia se mihi parem odioso a quegli stessi, la cui grazia, se pur ne ho
in certamine non futurum crediderit. Idem, tam alcuna, ho conquistata con vera, o, se si voglia,
quam in aliis omnibus rebus inferior essem, ad con simulata probità ? se però non credi, o Per
sceleris spem ultimam confugisse me insimulat. seo, che Tito Quinzio, colla virtù e coi consigli
Vis hanc formulam cognitionis esse, ut, uter del quale mi accusi che mi governo, egli, che
timnerit, ne alter dignior videretur regno, is con vive in sì tenera amistà col fratel suo, m'abbia
silium opprimendi fratris cepisse judicetur ? » consigliata l'uccisione del mio. Perseo agglomerò
insieme non solamente la benevolenza de' Roma
ni, ma i suffragii de Macedoni a mio favore e
quasi l'universale consentimento degli dei e degli
uomini; cose tutte, per le quali crede non poter
mi stare a paro nella lotta. Egli poi, quasi gli
fossi inferiore in tutt'altro, mi accusa d'essermi
rivolto, quasi ultima speranza, al pensiero del
fratricidio. Vuoi tu che la formola del processo
1391 TITI LIVII LIBER XL. 1392
sia questa ; che quello dei due, il quale avrà te
muto che l'altro sembri più degno di regnare,
sia egli riputato aver fatto il disegno di opprime
re il fratello ? »
XIII. « Exsequamur tamen quocumque modo XIII. « Nondimeno seguiamo in qualunque
conficti ordinem criminis. Pluribus modis se pe maniera l'ordine dell'accusa. Egli mi accusa di
titum criminatus est, et omnes insidiarum vias in averlo in più modi insidiato, e tutti questi modi
unum diem contulit. Volui interdiu eum post d'insidiare gli accumula in un solo giorno. Ho
lustrationem, quum concurrimus, et quidem, si voluto ucciderlo di giorno dopo la rassegna,
diis placet, lustrationum die occidere: volui, quando femmo gli esercizii, e se piace agli dei,
quum ad coenam invitavi, veneno scilicet tollere: nel dì stesso dei sagrifizii : ho voluto, quando lo
volui, quum comissatum gladiis accinctime secu invitai a cena, torlo dal mondo col veleno: ho
ti sunt, ferro interficere. Tempora quidem qualia voluto, quando gente con l'armi sotto seguitom
sintad parricidium electa, vides: lusus, convivii, mi alla sua casa, ucciderlo col ferro. Vedi tosto
comissationis. Quid ? dies qualis ? quo lustratus quai tempi si sono scelti per un fratricidio; tem
exercitus, quo interdivisam victimam, praelatis pi di giuochi, di banchetti, di tripudii; e qual
omnium, qui umquam fuere, Macedoniae regum giorno? quello, in cui l'esercito fu purificato, in
armis regiis, duo soli tua tegentes latera, pater, cui, camminando tra la vittima in due parti di
praevecti sumus, et secutum est Macedonum visa, portandosi dinanzi a noi le armi di quanti
agmen. Hoc ego, etiam si quid ante admisissem furono i re della Macedonia, noi due soli, proteg
piaculo dignum, lustratus et expiatus sacro, tum gendo i tuoi fianchi, o padre, procedemmo, ve
quum maxime in hostiam itineri nostro circumda nendoci dietro lo stuolo dei Macedoni. Ed io in
tam intuens, parricidium, venena, gladios, in co questo giorno, anche se avessi commessa innanzi
missationem praeparatos, volutabam in animo? alcuna colpa, da quella purgato e rimondato, me
ut quibus aliis deinde sacris contaminatam omni diante il sagrifizio, nel punto stesso ch'io fisava
scelere mentem expiarem? Sed caecus criminandi lo sguardo nella vittima che fiancheggiava il
cupiditate animus, dum omnia suspecta efficere nostro cammino, io ravvolgeva nell'animo il fra
vult, aliud alio confundit. Nam, si veneno te in tricidio, i veleni, i pugnali preparati in mezzo al
ter coemam tollere volui, quid minus aptum fuit, banchettare, per poi con quali altri sagrifizii pur
quam pertinaci certamine et concursu iratum te gar la mente contaminata da cotanto aggregato
efficere, ut merito, sicut fecisti, invitatus ad coe di scelleratezze? Ma l'animo accecato dalla bra
nam abnueres ? Quum autem iratus negasses, ma di calunniarmi, mentre si studia di render so
utrum, ut placarem te, danda opera fuit, ut aliam spetta ogni cosa, l'una confonde con l'altra.
quaererem occasionem, quoniam semel venenum Perciochè, se ho voluto avvelenarti nella cena,
paraveram ? an ab illo consilio velut transilien che v'ebbe di meno acconcio che il farti montare
dum ad aliud fuit, ut ferro te, et quidem eo die, in collera col pertinace combattere e scontrarli,
per speciem comissationis, occiderem ? Quo de sì che meritamente, come fatto hai, ricusassi in
inde modo, si temetu mortis credebam coenam vitato di venire a cenar meco ? E avendo tu in
evitasse meam, non ab eodem metu comissatio collerito ricusato di venire, non doveva io anzi
nem quoque evitaturum existimabam ? » adoperarmi a placarti, onde cercar altra occasio
me, dacchè il veleno era preparato? ovvero balzar
di subito da quello ad altro disegno, per ucciderli
di ferro, e in quel giorno medesimo, sotto sem
bianza di banchettare? Finalmente, per qual ra
gione, se io credeva che tu avessi ricusato di ce
nar meco per paura della morte, non ho dovutº
pensare che tu avresti per la paura medesima
schivato ch'io teco banchettassi ? »
XIV. « Non estres, qua erubescam, pater, si XIV. . Non è cosa di che io arrossisca, o pa
die festo inter aequales largiore vino sum usus. dre, se in dì festivo ho largheggiato alquanto tra
Tu quoque, velim, inquiras, qua laetitia, quo miei compagni nel vino. Vorrei che tu stesso cer
lusu apud me celebratum hesternum convivium cassi con che letizia, con che baldoria s'è ban
sit, illo etiam (pravo forsitan) gaudio provehen chettato ieri in casa mia, balzati dalla gioia forse
te, quod in juvenali armorum certamine pars anche oltre misura, perchè in quella lotta d'ar
nostra non inferior fuerat. Miseria haec et metus mi giovanile non era la parte nostra rimasta al
crapulam facile excusserunt; quaesi non inter di sotto. El'è questa sventura, questo presentº
1393 TITI LIVIl LIBER XL. 1394
venissent, insidiatores nos sopiti jaceremus. Si timore che mi ha tolta di capo facilmente la cra
domum tuam expugnaturus, capta domo, domi pola; se ciò non fosse accaduto, noi insidiatori
num interfecturus eram, non temperassem vino giaceremmo tuttavia addormentati. Se io doveva,
in unum diem ? non milites abstinuissem meos ? o Perseo, sforzare la tua casa, se sforzatala, am
Et, ne ego me solus nimia simplicitate tuear, ipse mazzarne il padrone, non mi sarei astenuto dal
quoque minime malus ac suspicax frater, « Nihil vino per un giorno? non ne avrei fatto astenere
aliud scio, inquit, nihil arguo, nisi quod cum i miei soldati? E per non essere io solo a difen
ferro comissatum venerunt. » Si quaeram, unde dermi colla mia troppa semplicità, lo stesso mio
id ipsum scieris? necesse erit te fateri, aut spe fratello niente cattivo, niente sospettoso, « Non so
culatorum tuorum plenam domum fuisse meam, altro, dice, non d'altro gli do carico, se non che
aut illos ita aperte sumpsisse ferrum, ut omnes vennero in arme a voler meco banchettare. " Se
viderent. Et, ne quid ipse aut prius iniquisisse, domando donde tu l'abbia saputo, bisognerà che
aut nunc criminose argumentari videretur, te tu confessi, o che la mia casa era piena di tue
quaerere ex iis, quos nominasset, jubebat, an spie, o che coloro presero l'armi tanto scoperta
ferrum habuissent ? ut, tamquam in re dubia, mente, che ognuno li vide. E per non parere che
quum id quaesisses, quod ipsi fatentur, pro con egli abbia fatto prima non so quali inquisizioni,
victis haberentur. Quin tu illud quaeri jubes, o che vada ora cavillosamente argomentando, ti
num tui occidendi causa ferrum sumpserint? diceva di ricercare da coloro, che avrebbe nomi
num me auctore et sciente? Hoc enim videri vis, nati, se avevan armi con sè; acciocchè avendo tu,
non illud, quod fatentur et palam est. At sui se come in cosa dubbia, ricercato quello ch'essi
tuendi causa sumpsisse dicunt. Recte, an perpe stessi confessano, si tenessero per convinti. Per
ram fecerint, ipsi sui facti rationem reddent. chè piuttosto non chiedi che sieno ricercati, se
Meam causam, quae nihil eo facto contingitur, abbiano pigliate l'armi per ucciderti? se di mia
ne miscueris: aut explica, utrum aperte, an clam commissione e saputa? Chè questo è ciò che vuoi
te aggressuri fuerimus. Si aperte, cur non omnes far credere, non quello che confessano ed è ma
ferrum habuimus ? cur nemo praeter eos, qui nifesto; perciocchè affermano di averle prese a
tuum speculatorem pulsarunt? Si clam, quis ordo lor difesa. Se abbiano fatto bene, o male, daran
consilii fuit? Convivio soluto, quum comissator no conto essi stessi del fatto loro. Non mescolar
ego discessissem, quatuor substitissent, ut sopi la mia causa con quel fatto che niente la tocca;
tum te aggrederentur? quomodo fefellissent, et ovvero spiega se dovevamo assalirti scoperta
alieni, et mei, et maxime suspecti, quia paullo mente, o nascosamente. Se apertamente, perchè
ante in riva fuerant? quomodo autem, trucidato non avemmo tutti l'arme? perchè nessun altro,
te, ipsi evasuri fuerint? Quatuor gladiis domus eccetto quelli che percossero la tua spia? Se nasco
tua capi et expugnari potuit ? » samente, qual fu l'orditura del disegno? sciolto
il banchetto, poi che io mi fossi partito, quattro
forse sarebbono rimasti per assalirti, mentre dor
mivi? come avrebbono sfuggito lo sguardo altrui,
stranieri, e de'miei, e soprattutto sospetti, perchè
erano stati in rissa poc'anzi ? come poi, ucciso
che ti avessero, sarebbono scampati ? Potè la tua
casa essere pigliata e sforzata da quattro pu
gnali ? »
XV. « Quin tu, omissa ista nocturna fabula, XV. « Perchè, lasciata a parte codesta favola
ad id, quod doles, quod invidiam urit, reverteris? notturna, non torni a quello che ti duole, che
Cur usquam regni tui mentio fit, Demetri ? cur accende il tuo rancore ? Perchè in qualche luo
dignior patris fortunae successor quibusdam vi go si fa menzione, o Demetrio, che dovrai regna
deris, quam ego ? cur spem meam, quae, si tu re? perchè sembri a taluni più degno che non
non esses, certa erat, dubiam et sollicitam facis? son io, di succedere allo stato del padre ? perchè
Haec sentit Perseus, etsi non dicit: haec istum rendi dubbia ed affannosa la mia speranza, che,
inimicum, haec accusatorem faciunt: haec do se tu non fossi, sarebbe certa? Questo è ciò che
mum, haec regnum tuum criminibus et suspicio pensa Perseo, benchè nol dice; questo è ciò che
nibus replent. Ego autem, pater, quemadmodum me lo fa nemico, accusatore; questo è ciò, che
nec nunc sperare regnum, nec ambigere umquam empie la tua casa, il tuo regno di accuse e di
de eo forsitam debeam, quia minor sum, quia tu sospetti. Io poi, o padre, siccome nè debbo ora
me majori cedere vis; sic illud nec debui facere, sperar di regnare, nè forse mai più pensarvi,
nec debeo, ut indignus te patre, indignus omni perchè sono fratello minore, perchè vuoi ch'io
I, Ivio 2
1395 TITI LIVII LIBER XL. 1396
bus videar. Id enim vitiis meis, non cedendo, ceda al maggiore, così d'altra parte non ho do
cui jus fasque est, non modestia, consequar. Ro vuto, nè deggio fare in guisa da parere indegno
manos objicis mihi, et ea, quae gloriae esse de di un tal padre, indegno agli occhi di tutti. E tal
bent, in crimen vertis. Ego, nec obses Romanis parer mi farebbero i vizii miei, se non cedessi a
ut traderer, nec ut legatus mitterer Romam, petii. cui vuole diritto e giustizia, se non usassi mode
A te missus ire non recusavi. Utroque tempore razione. Mi rimproveri i Romani e mi rivolgi a
ita me gessi, ne tibi pudori, ne regno tuo, ne colpa ciò che mi debbe esser messo a lode. Non
genti Macedonum essem. Itaque mihi cum Ro ti ho chiesto io d'essere dato ostaggio a Romani,
manis amicitiae causa tu fuisti, pater. Quoad te nè d'essere mandato ambasciatore a Roma ; da
cum illis pax manebit, mecum quoque gratia te mandato non ho ricusato di andare. Nell' un
erit: si bellum esse coeperit, qui obses, qui lega tempo e nell'altro mi sono condotto in guisa da
tus pro patre non inutilis fui, idem hostis illis non fare vergogna nè a te, nè al regno tuo, nè
acerrimus ero. Nec hodie, ut prosit mihi gratia alla nazione de' Macedoni. Tu dunque fosti, o
Romanorum, postulo; ne obsit, tantum depre padre, cagione dell'amicizia mia co Romani. In
cor: nec in bello coepit, nec ad bellum reserva sino a tanto, che ci sarà pace con essi, durerà la
tur. Pacis pignus fui; ad pacem retinendam lega mia benevolenza; se appiccherassi la guerra, io
tus missus sum: neutra res mihi nec gloriae, nec che ostaggio, io che non fui disutile ambascia
crimini sit. Ego, si quid impie in te, pater, si tore pel padre, io medesimo sarò loro fiero ne
quid scelerate in fratrem admisi, nullam depre mico. Nè oggi chieggo che mi giovi punto la
cor poenam: si innocens sum, ne invidia confla grazia dei Romani, prego solo che non mi muoca;
grem, quum crimine non possim, deprecor. Non non ebb'essa principio nella guerra, non serbe
hodie me primum frater accusat; sed hodie pri rolla allo scoppiar d'altra guerra. Sono stato
mum aperte, nullo meo in se merito. Si mihi pa pegno della pace, sono stato mandato amba
ter succenseret, te majorem fratrem pro minore sciatore a consolidare la pace; nè l'una cosa,
deprecari oportebat, te adolescentiae, te errori nè l'altra mi sia messa a carico o a lode. Io, se
veniam impetrare. In eo, ubi praesidium esse ho commessa empietà alcuna contro di te, o pa
oportebat, ibi exitium est. E convivio et comis dre, se scelleraggine alcuna contro al fratello,
sationibus prope semisomnus raptus sum ad cau non v'ha pena ch'io ricusi: se sono innocente,
sam parricidii dicendam. Sine advocatis, sine pa prego ch' io non abbia a perire, poi che non
tronis, ipse prome dicere cogor. Si pro alio di posso per delitto, nè anche per altrui malevolen
cendum esset, tempus ad meditandum et com za. Non è oggi la prima volta che il fratello mi
ponendam orationem sumpsissem, quum quid accusa; ma oggi la prima volta il fa palesemente
aliud, quam ingenii fama, periclitarer? Ignarus, senza nessun mio demerito inverso lui. Se il pa
quid arcessitus essem, te iratus et jubentem dice dre corrucciato fosse contro di me, toccherebbe
re causam, fratrem accusantem audivi. Ille diu a te, fratello maggiore, pregare pel minore, a te
antepraeparata, meditata in me oratione est usus: implorare perdono alla giovanezza, perdono al
egoid tantum temporis, quo accusatus sum, ad l'errore. In colui, dove bisognava che fosse il
cognoscendum, quid ageretur, habui. Utrum mo mio presidio, quivi è la mia rovina. Dal banchet
mento illo horae accusatorem audirem ? an de to e dalla gozzoviglia son tratto mezzo addor
sionem meditarer? Attonitus repentino atque in mentato ad iscolparmi dell'accusa di un fratrici
opinato malo, viz, quid objiceretur, intelligere dio. Senza avvocati, senza protettori son costret
potui; nedum satis sciam, quo modo me tuear. to a difendermi da me stesso. Se avessi dovuto
Quid mihi spei esset, nisi patrem judicem habe aringare per altri, avrei preso tempo ad aggiu
rem ? apud quem etiamsi caritate a fratre majore star l'orazione; pure, che altro più arrischian
vincor, misericordia certe reus vinci non debeo. do, che la fama dell'ingegno? Non sapendo per
Ego enim, ut me mihi tibique serves, precor: chè fossi chiamato, trovai te sdegnato che mi
ille, ut me in securitatem suam occidas, postulat. comandavi di scolparmi, trovai il fratello che mi
Quid eum, quum regnum ei tradideris, facturum accusava. Egli usò contro di me un'orazione
credis in me esse, qui jam nunc sanguine meo molto innanzi preparata, meditata ; io non ebbi
sibi indulgeri aequum censet? » a conoscere di che si trattava, che il tempo del
l'accusa. Che fare in quel momento d'ora º
ascoltare il mio accusatore, o meditare la mia
difesa? Sbalordito dall'improvvisa ed impensata
sciagura, appena ho potuto intendere quello che
mi si opponeva, ben lungi ch'io sappia abbastan
za come difendermi. Quale speranza mi reste
397 'l'ITI LVIl LiBER XL. 1398
rebbe, se non avessi a giudice il padre? presso il
quale, anche se son vinto nell'affetto dal fratello
maggiore, certo, accusato qual sono, non posso
esser vinto nella pietà. Perciocchè ti prego, o
padre, che tu voglia conservarmi a me ed a te
stesso : egli domanda che tu per sua sicurezza mi
mandi a morte. Che ti pensi, ch'egli abbia ad
usare contro di me, quando gli avrai consegnato
il regno, egli, che sin d'ora trova giusto che tu
il regali del sangue mio ? »
XVI. Dicenti haec lacrymae simul spiritum et XVI. Dicendo queste parole, le lagrime gli
vocem intercluserunt. Philippus, submotis iis, chiusero ad un tempo il respiro e la voce. Filippo,
paullisper collocutus cum amicis, pronunciavit: allontanati i figliuoli, fatta breve conferenza coi
« Non verbis se, nec unius horae disceptatione, consiglieri, pronunziò, « Che non voleva dalle
causam eorum diudicaturum, sed inquirendo in sole parole, nè colla discussione d'un'ora giudi
utriusque vitam, mores; et dicta factaque in ma care della lor causa, ma investigando nella vita e
gnis parvisque rebus observando: » ut omnibus ne” costumi dell'uno e dell'altro, ed osservando
appareret, noctis proximae crimen facile revi i loro detti e fatti nelle cose grandi e nelle picco
ctum ; suspectam nimiam cum Romanis Deme le; » in modo che apparve chiaramente a tutti
trii gratiam esse. Haec, vivo Philippo, velut se che l'accusa della notte antecedente era stata
mina jacta sunt Macedonici belli, quod maxime agevolmente confutata; rimanere però sospetta
cum Perseo gerendum erat. Consules ambo in la troppa amistà di Demetrio co'Romani. Que
Ligures, quae tum una consularis provincia erat, sti furono i semi che si gettarono, vivo ancora
proficiscuntur: et, quia prospere ibi res gesse Filippo, della guerra Macedonica, che dovea poi
runt, supplicatio in unum diem decreta est. Li farsi massimamente con Perseo. I consoli vanno
gurum duo millia fere ad extremum finem pro amendue nella Liguria, sola provincia allora con
vinciae Galliae, ubi castra Marcellus habebat, ve solare, e perchè quivi pugnarono prosperamente,
nerunt, uti reciperentur, orantes. Marcellus, op fu decretato un giorno di preci. Due mille Liguri
periri eodem loco Liguribus jussis, senatum per a un dipresso vennero sino al confine estremo
literas consuluit. Senatus rescribere M. Ogulnium della Gallia, dove Marcello aveva il campo, pre
praetorem Marcello jussit: a Verius fuisse, con gando d'essere ricevuti. Marcello, detto che
sules, quorum provincia esset, quam se, quid e aspettassero nel luogo stesso, consultò per lettere
republica esset, decernere: tum quoque non pla il senato. Il senato ordinò al pretore Marco Ogul
cere, si per deditionem Ligures recipiet, receptis nio, che rispondesse a Marcello: « Avrebbe più
arma adimi; atque eos ad consulem mitti, sena veramente, che al senato, appartenuto a consoli,
tum aequum censere. » Praetores eodem tempo de'quali era la provincia, deliberare ciò che fosse
re, P. Manlius in ulteriorem Hispaniam, quam et utile alla repubblica; del resto, non piacergli che
priore praetura provincia m obtinuerat; Q. Ful e si tolgano le armi ai Liguri, qualora se gli ar
vius Flaccus in citeriorem pervenit, exercitum rendano volontarii, e parere al senato che si deb
que a Terentio accepit. Nam ulterior morte P. ba inviarli al console. » Nel tempo medesimo
Sempronii proconsulis sine imperio fuerat. Ful pretori giunsero in Ispagna. Publio Manlio nella
vium Flaccum oppidum Hispanum, Urbicuam ulteriore, già da lui governata nella pretura pre
nomine, oppugnantem Celtiberi adorti sunt. Du cedente, Quinto Fulvio Flacco nella citeriore,
raibi proelia aliquot facta : multi Romani milites e questi ricevette l'esercito da Terenzio ; chè
et vulnerati, et interfecti sunt. Victi perseveran l'ulteriore per la morte del proconsole Publio
tia Fulvii, quod nulla vi abstrahi ab obsidione Sempronio rimasta era senza governatore. I Cel
potuit,Celtiberi, fessi proeliis variis, abscesserunt. tiberi assaltarono Fulvio Flacco, che assediava
Urbs, amoto auxilio eorum, intra paucos dies un castello della Spagna, chiamato Urbicua. Vi
capta et direpta est: praedam militibus praetor ebbe quivi alquanti aspri combattimenti: molti
concessit. Fulvius, hoc oppido capto, P. Manlius, soldati Romani furono feriti, molti uccisi; i Cel
exercitu tantum in unum coacto, qui dissipatus tiberi, vinti dalla perseveranza di Fulvio, cui
fuerat, nulla alia memorabili gesta re, exercitus nessuna forza potè ritrar dall'assedio, stracchi
in hiberna deduxerunt. Haec ea aestate in Hispa dalle varie battaglie, si partirono. La città, rimos
mia gesta. Terentius, qui ex ea provincia deces so il loro aiuto, in pochi giorni fu presa e sac
serat, ovams urbem iniit. Translatum, argenti cheggiata; il pretore divise la preda a soldati.
pondo novem millia trecenta viginti, auri octo Fulvio, presa ch'ebbe questa terra, Publio Man
TITI LIVII LIBER XL. 14oo
1399
lio avendo solamente raccolto l'esercito ch'era
ginta pondo, et duae coronae aureae pondo sexa
stato qua e là stralciato, non fatta altra impresa
ginta septem.
memorabile, condussero l'esercito a quartieri
d'inverno. Son queste le cose fatte quell'anno in
Ispagna. Terenzio, ch'era partito da quella pro
vincia, entrò ovante in Roma. Fe' portare dinan
zi a lui nove mila trecento venti libbre d'argento,
ottanta libbre d'oro, e due corone pur d'oro del
peso di libbre sessantasette.
XVII. L'anno medesimo i Romani furono
XVII. Eodem anno inter populum Carthagi
niensem et regem Masinissam in re praesenti di eletti arbitri sul luogo stesso tra il popolo Carta
sceptatores Romani deagro fuerunt. Ceperateum ginese ed il re Masinissa per occasione di un certo
ab Carthagimiensibus, pater Masinissae, Gala: contado. L'avea tolto ai Cartaginesi Gala, padre
Galam Syphax inde expulerat: postea, in gratiam di Masinissa: Siface ne avea di poi scacciato Gala,
soceri Hasdrubalis, Carthaginiensibus dono dede indi in grazia del suocero Asdrubale l'avea rega
rat. Carthaginienses eo anno Masinissa expulerat. lato ai Cartaginesi, e questi in detto anno n'erano
stati scacciati da Masinissa. Si trattò l'affare da
Haud minore certamine animorum, quam quum
vanti ai Romani con non minore intensione che
ferro et acie dimicarunt, res acta apud Romanos.
Carthaginienses, quod primo majorum suorum già innanzi col ferro e in campo aperto. I Carta
fuisset, deinde ab Syphace ad se pervenisset, re ginesi ridomandavano quel contado, perch'era
petebant. Masinissa, a paterni regni agrum se et stato primieramente de lor maggiori e perchè
recepisse, et haberejure gentium, ajebat, et cau poi lo aveano riavuto da Siface. Masinissa dice
sa, et possessione superiorem esse: nihil aliud va, « ch'egli lo avea ricuperato, come appartenen
se in ea disceptatione metuere, quan ne pudor te al regno paterno, e che il possedeva per diritto
Romanorum, dum vereantur, ne quid socio atque delle genti; che quindi era superiore per titolo
amico regi adversus communes suos atque illius e per possesso: non altro temer egli in questa
hostes indulsisse videantur, dammo sit. º Legati contesa, se non che gli faccia danno il riguardo
possessionis jus non mutarunt: causam integram che aver possono i Romani di non parere indul
Romam ad sematum rejecerunt. In Liguribus ni genti troppo verso un re amico ed alleato contro
hil postea gestum. Recesserant primum in devios un popolo già loro nemico e suo. » I legati non
saltus: deinde, dimisso exercitu, passim in vicos fecero cangiamento al possesso : rimisero la cau
castellaque sua dilapsi sunt. Consules quoque di sa intatta al senato. In appresso non si fece altro
mittere exercitum voluerunt, ac de ea re Patres contro i Liguri. Dapprima eransi ritirati in luo
consuluerunt. Alterum ex his, dimisso exercitu, ghi inaccessibili; poscia, licenziato l'esercito,
ad magistratus in annum creandos venire Romam vennero qua e colà disperdendosi nel loro bor
jusserunt: alterum cum legionibus suis Pisis hie ghi e castelli. Anche i consoli ebbero in pensiero
mare. Fama erat. Gallos Transalpinosjuventutem di licenziare l'esercito, di che consultarono i
armare; nec, in quan regionem Italiae effusura se Padri. Questi ordinarono che uno d'essi, conge
multitudo esset, sciebatur. Ita inter se consules dato l'esercito, venisse a Roma a creare i magi
compararunt, ut Cn. Baebius ad comitia iret, strati per l'anno prossimo: l'altro svernasse colle
quia M. Baebius frater ejus consulatum petebat. legioni a Pisa. Era fama che i Galli Transalpini
armassero la gioventù, nè si sapeva su qual parte
d'Italia fosse per piombare codesta moltitudine.
Quindi i consoli si accordarono che Gneo Bebio
andasse a tenere i comizii, poichè Marco Bebio,
suo fratello, chiedeva il consolato.
XVIII. (Anno. U. C. 571. – A. C. 181.) Co XVIII. (Anni D. R.571. –A. C. 181.) Si ten
mitia consulibus rogandis fuere. Creati P. Corne nero i comizii per la creazione de'consoli. Creati
lius Cethegus, M. Baebius Tamphilus. Praetores furono Publio Cornelio Cetego e Marco Bebio
inde facti, duo Q. Fabii, Maximus et Buteo, Ti. Tanfilo. Indisi elessero pretori i due Quinti Fa
Claudius Nero, Q. Petillius Spurinus, M. Pina bii, Massimo e Buteone, Tito Claudio Nerone,
rius Posca, L. Duronius. His, inito magistratu, Quinto Petillio Spurino, Marco Pinario Posca e
provinciae ita sorte evenerunt. Ligures consuli Lucio Duronio. Preso ch'ebbero tutti il magi
bus; praetoribus, Q. Petillio urbana, Q. Fabio strato, toccarono loro in sorte le province, come
Maximo peregrina, Q. Fabio Buteoni Gallia, Ti. segue: la Liguria ai consoli; ai pretori, la giu
Claudio Neroni Sicilia, M. Pinario Sardinia, L. risdizione urbana a Quinto Petillio, la forestiera
Tl'i'I LIVII LIBER XL. 14o2
14o 1
Duronio Apulia; et Istri adjecti, quod Tarentini a Quinto Fabio Massimo, la Gallia a Quinto Fabio
Brundisinique nunciabant, maritimos agros infe Buteone, la Sicilia a Tito Claudio Nerone, la Sar
stos transmarinarum navium latrociniis esse. Ea degna a Marco Pinario, la Puglia a Lucio Duro
dem Massilienses de Ligurum navibus quereban mio, al quale aggiunti furono gl'Istriani, perchè
i Tarentini e i Brundisini annunziavano che le
tur. Exercitus inde decreti: quatuor legiones
coste marittime erano infestate dai ladronecci
consulibus (quina millia ducenos Romanos pedi
tes, trecenos haberent equites), et quindecim de'trasmarini. Faceano lo stesso lagno i Massiliesi
millia sociùn ac Latini nominis, octingenti equi dei legni de'Liguri. Poscia si decretarono gli
tes. In Hispaniis prorogatum veteribus praetori eserciti; ai consoli quattro legioni (ciascuna di
bus imperium est cum exercitibus, quos habe cinque mila dugento fanti Romani e trecento ca
rent: et in supplementum decreta tria millia ci valli) e quindici mila fanti e ottocento cavalli
vium Romanorum, ducenti equites, et sociùm degli alleati Latini. Nella Spagna si prorogò il
Latini nominis sex millia peditum, trecenti equi comando ai vecchi pretori con gli eserciti che
tes. Nec rei navalis cura omissa. Duumviros in avevano, e si decretò loro un supplemento di tre
eam rem consules creare jussi, per quos naves mila cittadini Romani con dugento cavalli, e di
viginti deductae navalibus sociis civibus Romanis, sei mila fanti con trecento cavalli degli alleati
Latini. Nè si tralasciò la cura del mare. Fu com
qui servitutem servissent, complerentur; ingenui
messo a consoli che nominassero due cittadini a
tantum utiis praeessent. Inter duumviros ita di
visatuenda denis navibus maritima ora, ut pro tal uopo, i quali, tratte fuori venti navi, le guer
montorium iis Minervae, velut cardo, in medio nissero di cittadini Romani, che però fossero stati
esset: alter in dextram partem usque ad Mas servi; il governo ne fosse dato solamente ad uo
siliam, laevam alter usque ad Barium tueretur. mini nati liberi. La costa marittima, da guardarsi
con dieci navi, fu divisa tra que due in maniera,
che il promontorio di Minerva stesse in mezzo,
quasi cardine: uno guardasse la destra parte sino
a Marsiglia, l'altro la sinistra sino a Bari.
XIX. Prodigia multa foeda et Romae eo an XIX. Molti sconci prodigii si son veduti quel
no visa, et nunciata peregre. In area Vulcani et l'anno in Roma, molti riportati dal di fuori. Sulla
Concordiae sanguinem pluit; et pontifices hastas piazza del tempio di Vulcano e della Concordia
motas nunciavere, et Lanuvii simulacrum Juno piovette sangue, e i pontefici annunziarono es
sersi mosse le aste, e a Lanuvio il simulacro di
mis Sospitae lacrymasse: et pestilentia in agris,
forisque et conciliabulis et in urbe tanta erat, Giunone Sospita aver lagrimato, e tal'era la pe
ut Libitina tunc vix sufficeret. His prodigiis cla stilenza nella campagna, nella piazza e ne'mer
dibusque anxii Patres decreverunt, ut et consu cati e in Roma stessa, che appena c'era gente che
les, quibus diis videretur, hostiis majoribus sa bastasse a seppellire. I Padri, postisi in gran
crificarent, et decemviri libros adirent. Eorum pensiero per codesti prodigii e malori, decreta
rono che i consoli sagrificassero con le vittime
decreto supplicatio circa omnia pulvimaria Ro
mae in diem unum indicta est. Iisdem auctoribus maggiori agli dei che paresse loro, e che i decem
viri consultassero i libri. Per decreto de'medesimi
et senatus censuit, et consules edixerunt, ut per
totam Italiam triduum supplicatio et feriae es s'intimò un giorno di preghiere in tutti i tempii
di Roma, e a loro inchiesta il senato comandò e
sent. Pestilentiae tanta vis erat, ut, quum pro
pter defectionem Corsorum, bellumque ab Ilien i consoli pubblicarono che vi fossero per tutta
sibus concitatum in Sardinia, octo millia pedi Italia tre giorni di preghiere e di ferie. Era tanta
tum ex sociis Latini nominis scribi placuisset, et la violenza della peste, che essendosi ordinato,
trecentos equites, quos M. Pinarius praetor se a motivo della ribellione de Corsi e della guerra
cum in Sardiniam trajiceret, tantum hominum suscitata dagli Iliesi nella Sardegna, che si levas
demortuum esse, tantum ubique aegrorum con sero otto mila fanti e trecento cavalli degli alleati
sules renunciaverint, ut is numerus effici militum Latini, cui il pretore Marco Pinario traghettasse
non potuerit. Quod deerat militum, sumere a in Sardegna, tanto numero d'uomini riferirono
Cn. Baebio proconsule, qui Pisis hibernabat, i consoli esser morto, tanto essere quello degli
jussus praetor, atque inde in Sardiniam trajicere. ammalati, che non si potè compiere quel numero
L. Duronio praetori, cui provincia Apulia eve di soldati, e fu commesso al pretore che pigliasse
nerat, adjecta de Bacchanalibus quaestio est: il numero, che mancava, dal proconsole Gneo
cujus residua quaedam velut semina ex prioribus Bebio che svernava a Pisa, e di là il traghettasse
malis jam priore anno apparuerant: sed magis in Sardegna. Al pretore Lucio Duronio, cui toc
inchoatae apud L. Pupium practor em quaestiones cata era la Puglia, fu aggiunta l'inquisizione
14o3 TITI LIVIl LIBER XI,. 14o4
erant, quam ad exitum ullum perductae. Id per de Baccanali: de quali s'eran veduti l'anno in
secare novum praetorem, ne serperet iterum la nanzi alcuni semi, quasi reliquie del passato
tius, Patres jusserunt. Et leges de ambitu con morbo; chè il pretore Lucio Pupio avea piutto
sules ex auctoritate senatus ad populum tulerunt. sto cominciate, che tratte a termine le perquisi
zioni. I Padri commisero al nuovo pretore che
risecasse il male dalle radici, acciocche non ser
peggiasse di nuovo più largamente. I consoli
eziandio per decreto del senato proposero al
popolo alcune leggi contro le brighe.
XX. Legationes deinde in senatum introdu XX. Poscia introdotte furono in senato le am
xerunt. Regum primas, Eumenis, et Ariarathis bascerie, e prima quelle di Eumene, e di Ariarate
Cappadocis, et Pharmacis Pontici; nec ultra quid re della Cappadocia, e di Farmace re del Ponto;
quam eis responsum est, quam missuros, qui de nè altro a medesimi fu risposto, se non che si
controversiis eorum cognoscerent, statuerentoue. sarebbe spedito chi esaminasse e definisse le loro
Lacedaemoniorum deinde exsulum et Achaeorum differenze. Indi furono introdotti i legati de'La
legati introducti sunt; et spes data exsulibus est, cedemoni fuorusciti e quelli degli Achei, e a' fuor
scripturum senatum Achaeis, ut restituerentur. usciti ſu data speranza che il senato avrebbe
Achaeide Messene recepta, compositisque ibi re scritto agli Achei, perchè fossero rimessi in pa
bus, cum assensu Patrum exposuerunt. Et a tria. Gli Achei, con soddisfazione del senato,
Philippo rege Macedonum duo legati venerunt, rendettero conto di Messene ricuperata e di aver
Philocles et Apelles, nulla super re, quae ab sena quivi assestate le cose. Anche da Filippo, re
tu petenda esset: speculatum magis inquisitum de' Macedoni, vennero due ambasciatori, Filocle
que missi de iis, quorum Perseus Demetrium e Apelle, non che avessero che chiedere al senato,
insimulasset sermonum cum Romanis, maxime ma più per ispiare ed indagare dei discorsi che
cum T. Quintio, adversus fratrem de regno habi Perseo accusava Demetrio di aver tenuto coi
torum. Hos, tamquam medios, nec in alterius Romani intorno al regno, massimamente con
favorem inclinatos, miserat rex. Erant autem et Tito Quinzio contro il fratello. Il re gli avea
hi Persei fraudis in fratrem ministri et participes. spediti, come persone imparziali, nè inclinati a
Demetrius, omnium, praeterquam fraterni scele favorire più l'uno che l'altro. Eran però costoro
ris, quod nuper eruperat, ignarus, primo neque per arte di Perseo complici e ministri suoi con
mullam spem habebat, patrem sibi placari posse. tro il fratello. Demetrio, ignorando ogni cosa,
Minus deinde in dies patris animo fidebat, quum tranne la fraterna scelleratezza testè scoppiata,
obsideri aures a fratre cerneret. Itaque, circum dapprima nè grandemente sperava, nè disperava
spiciens dicta factaque sua, ne cujus suspiciones del tutto che il padre placar si potesse verso
augeret, maxime ab omni mentione et contagione di lui; poscia ogni dì meno confidava nell'animo
Romanorum abstinebat; ut neque scribi sibi paterno, vedendo che il fratello gli assediava
vellet, quia hoc praecipue criminum genere exas sempre gli orecchi. Quindi, badando attenta
perari animum sentiebat. mente ad ogni detto e fatto proprio, per non
accrescere i sospetti a chicchessia, si asteneva
massimamente da ogni menzione e pratica coi
Romani, in modo che non voleva gli fosse nè
anche scritto, sapendo che questo genere di ac
cusa specialmente esasperava l'animo del padre.
XXI. Philippus, simul ne otio miles deterior XXI. Filippo, acciocchè il soldato non si gua
fieret, simul avertendae suspicionis causa quid stasse per l'ozio, e per divertire nel tempo stesso
quam a se agitari de Romano bello, Stobos Paeo il sospetto ch'egli per alcun modo pensasse a
miae exercitu indicto, in Maedicam ducere pergit. mover guerra ai Romani, intimato all'esercito
Cupido eum ceperat in verticem Haemi montis di radunarsi a Stobi di Peonia, si mette a con
ascendendi, quia vulgatae opinioni crediderat, durlo verso la Medica. Gli era venuta la brama
Ponticum simul et Hadriaticum mare, et Istrum di salire sulla vetta del monte Emo, avendo pre
amnem, et Alpes conspici posse: subjecta oculis stato fede alla volgare opinione, che di là si po
ea haud parvi sibi momenti futura ad cogitatio tesse vedere ad un tempo il mare Pontico e
nem Romani belli. Percunctatus regionis peritos l'Adriatico e il fiume Istro e le Alpi; stimava
de ascensu Haemi, quum satis inter omnes con che il potersi vedere tutto ciò schierato dinanzi
staret, viam exercitui nullam esse, paucis et ex agli occhi non gli sarebbe stato di piccolo mo
peditis perdifficillimum aditum, ut sermone fa mento alla guerra che meditava contro i Romani.
14o5 TITI LIVII LIBER XL. 14o6
miliari minorem filium permulceret, quem sta Interrogati i pratici del paese della salita sul
tuerat non ducere secum, primum quaerit ab eo, l' Emo, tutti convenendo nel dire non esservi
« Quum tanta difficultas itineris proponatur, strada nessuna per un esercito, ed essere diffici
utrum perseverandum sit in incepto, an abstinen lissimo l'accesso anche a pochi e comunque liberi
dum ? Si pergat tamen ire, non posse oblivisci se da ogni impaccio, Filippo, per addolcire alquanto
in talibus rebus Antigoni, qui, saeva tempestate con familiare discorso il figlio minore, che avea
jactatus, quum in eadem nave secum suos omnes stabilito di non voler seco menare, primiera
habuisset, praecepisse liberis diceretur, ut et ipsi mente lo domanda, a Poichè vien proposta diffi
meminissent, et ita posteris proderent, ne quis coltà sì grande di cammino, se si debba perse
cum tota gente simul in rebus dubiis periclitari verare nel disegno, o rinunziarvi? S'egli però
auderet. Memorem ergo se praecepti ejus, duos durerà nel partito di andarvi, non potersi di
simul filios non commissurum in aleam ejus, qui menticare in codesta circostanza di Antigono,
proponeretur, casus; et, quoniam majorem filium il quale, travagliato da fierissima burrasca,avendo
secum duceret, minorem ad subsidia spei et custo nella stessa nave tutti i suoi, dicesi aver ammonito
diam regni remissurum in Macedoniam esse. » i figliuoli di ricordarsi essi sempre e di rammen
Non fallebat Demetrium, ablegari se, ne adesset tarlo a loro posteri che nessun di loro osasse mai
consilio, quum in conspectu locorum consultaret, ne'casi dubbii mettersi a pericolo insieme con
qua proxime itinera ad mare Hadriaticum atque tutta la famiglia. Egli pertanto, ricordevole di
Italiam ducerent, quaeque belli ratio esset futura. quel precetto, non avrebbe messi ad un tratto
Sed non solum parendum patri tum, sed etiam i suoi due figliuoli a correre il rischio che si
assentiendum erat, ne invitum parere suspicionem rappresentava, e perchè conduceva seco il figlio
faceret. Ut tamen iter ei tutum in Macedoniam maggiore, avria rimandato il minore in Macedo
esset, Didas, ex praetoribus regiis unus, qui nia a sostegno di sue speranze ed a custodia
Paeoniae praeerat, jussus est prosequi eum cum del regno. “ Non isfuggiva a Demetrio che lo si
modico praesidio. Hunc quoque Perseus, sicut voleva allontanare, acciocchè non fosse presente,
plerosque patris amicorum, ex quo haud dubium quando si consulterebbe sulla faccia de'luoghi
cuiquam esse coeperat, ad quem, ita inclinato qual via più breve conducesse al mare Adriatico
regis animo, hereditas regni pertineret, inter ed in Italia, e come si avesse a governar quella
conjuratos in fratris perniciem habuit. In prae guerra. Ma bisognava allora non solamente ubbi
sentia dat ei mandata, ut per omne obsequium dire al padre, ma eziandio secondarlo, per non
insinuaret se in quan maxime familiarem usum, generare sospetto che si ubbidisse di mala vo
ut elicere omnia arcana, specularique additos glia. Acciocchè per altro andasse securamente
ejus sensus posset. Ita digreditur Demetrius cum in Macedonia, Dida, uno de'regii pretori che
infestioribus, quam si solus iret, praesidiis. comandava nella Peonia, ebbe ordine di accom
pagnarlo con piccola scorta. Anche questo l'ebbe
Perseo tra i congiurati contro il fratello, come
parecchi altri consiglieri del re, tosto che, stante
la propensione evidente del padre, cominciossi
a non più dubitare a chi verrebbe la successione
del regno. Quanto al presente, commette a Dida
che con ogni sorta di ossequio s'insinui nella
maggiore dimestichezza di Demetrio, onde possa
trargli fuori i segreti, e spiarne i sensi più recon
diti. In cotal modo parte Demetrio con più mal
augurata scorta che se andasse solo.
XXII. Philippus, Maedicam primum, deinde XXII. Filippo, oltrepassata primieramente
solitudines interjacentes Maedicae atque Haemo Medica, indi le solitudini che son tra Medica e
transgressus, septimis demum castris ad radices l'Emo, finalmente nella settima stazione giunse
montis pervenit. Ibi unum moratus diem ad de alle radici del monte. Quivi fermatosi un giorno
ligendos, quos duceret secum, terlio die iter est a scegliere quelli che voleva condur seco, il terzo
ingressus. Modicus primo labor in imis collibus dì si rimise in cammino. La fatica nelle colline
fuit : quantum in altitudinem egrediebantur, più basse fu dapprima alquanto lieve; quanto
magis magisque silvestria et pleraque invia loca più sboccavano in alto, sempre più si abbatte
excipiebant. Pervenere deinde in tam opacum vano in luoghi selvaggi e la maggior parte senza
iter, ut, prae densitate arborum immissorumque strade. Indi arrivarono ad un passo opaco tanto,
aliorum in alios ramorum, perspici coelum via che per la foltezza degli alberi e dei rami impli
i 4o7 TITI LIVII LIBER XL. 14o8
posset: ut vero jugis appropinquabant, quod cati gli uni negli altri, appena si poteva scorgere
rarum in aliis locis esset, adeo omnia contecta il cielo: come poi si veniamo accostando alle ci
nebula, ut haud secus quam nocturno itinere me, cosa rara negli altri luoghi, tutto era sì fatta
impedirentur: tertio demum die ad verticem mente ingombro da nebbia, che si trovarono im
perventum. Nihil vulgatae opinioni, degressi inde, pacciati non altrimenti che in viaggio notturno;
detraxerunt; magis, credo, ne vanitas itineris in fine il terzo giorno giunsero alla vetta del
ludibrio esset, quam quod diversa interse maria, monte. Come ne furon partiti, niente detrassero
montesque, et amnes, ex uno loco conspici dalla opinion di volgata, più, credo, perchè la va
potuerint. Vexati omnes, et ante alios rex ipse, mità del viaggio non fosse derisa, che perchè si
quo gravior aetate erat, difficultate viae est. vedesse da un luogo solo mari così tra loro di
Duabus aris ibi Jovi et Soli sacratis quum immo versi e monti e fiumi. Ebbero tutti a soffrire
lasset, qua triduo ascenderat, biduo est degressus, della difficoltà del cammino, e il re sopra tutti,
frigora nocturna maxime metuens, quae caniculae in quanto ch'era più avanzato in età. Avendo
ortu similia brumalibus erant. Multis per eos egli quivi sagrificato sopra due are consegrate
dies difficultatibus conflictatus, nihilo laetiora in a Giove ed al Sole, scese di là in due giorni,
castris invenit; ubi summa penuria erat, ut in dov'era salito in tre, temendo specialmente dei
regione, quam ab omni parte solitudines claude freddi notturni, che allo spuntar della canicola
rent. Itaque unum tantum moratus diem, quietis somigliavano quelli del vermo, Travagliato per
eorum causa, quos habuerat secum, itinere inde que'dì da molte difficoltà, non trovò niente più
simili fugae in Dentheletos transcurrit. Socii liete le cose nel campo, dov'era somma la penu
erant; sed propter inopiam haud secus quam ria, come in paese chiuso da ogni parte da soli
hostium fines Macedones populati sunt. Rapiendo tudini. Fermatosi pertanto un giorno solo per
enim passim villas primum, dein quosdam vicos dar riposo a quelli che aveva seco menato, di là
etiam evastarunt, non sine magno pudore regis, ratto, come chi fugge, corse al paese dei Dente
quum sociorum voces, nequidquam deos sociales leti. Eran costoro alleati, ma i Macedoni per la
momengue suum implorantes, audiret. Frumento penuria saccheggiavano le lor terre, come fossero
inde sublato, in Maedicam regressus, urbem, de' nemici; perciocchè rubando da per tutto
quam Petram appellant, oppugnare est adortus. desertarono prima la campagna, poi eviandio al
Ipse a campestri aditu castra posuit. Perseum fi cune borgate, non senza vergogna grande del re,
lium cum modica manu circummisit, ut a supe che udiva le grida degli alleati vanamente implo
rioribus locis urbem aggrederetur. Oppidani, rare gli dei sociali ed il suo nome. Toltone tutto
quum terror undique instaret, obsidibus datis, in il frumento, ritornato a Medica cominciò ad as
praesentia dediderunt sese. Iidem, postduam sediarvi la città, che chiamano Petra. Egli si ac
exercitus recessit, obliti obsidum, relicta urbe, campò dalla parte della pianura, e mandò il figlio
in loca munita et montes refugerunt. Philippus, Perseo con piccola squadra, il quale, girando
omni genere laboris sine ullo effectu fatigatismi attorno al monte, assaltasse dall'eminenze la città.
litibus, et fraude praetoris Didae auctis in filium I terrazzani, incalzati per ogni parte dal terrore,
suspicionibus, in Macedoniam rediit. consegnati ostaggi, sul momento si arrendettero.
I medesimi, poi che l'esercito si allontanò, di
menticando gli ostaggi, abbandonata la città,
rifuggironsi in luoghi forti e nelle montagne.
Filippo, stancati senza alcun effetto i soldati con
ogni sorta di fatica, e cresciuti per frode del pre
tore Dida i sospetti contro il figlio, tornò in
Macedonia.
XXIII. Missus hic comes (utante dictum est), XXIII. Costui mandato, come innanzi s'è
quum simplicitatem juvenisincauti, e suis haud detto, ad accompagnare Demetrio, uccellando la
immerito succensentis, assentando indignando que semplicità del giovane incauto e meritamente
et ipse vicem eius, captaret, in omnia ultro suam irritato contro i suoi, coll'adularlo e mostrarsi
offerens operam, fide data, arcana eius elicuit. indispettito egli stesso della sorte di lui, offeren
Fugam ad Romanos Demetrius meditabatur. Cui dogli spontaneamente l'opera sua in ogni cosa,
consilio adjutor deim beneficio oblatus videba giuratogli silenzio, gli cavò tutti i segreti. Medi
tur Paeoniae praetor, per cuius provinciam spem tava Demetrio di fuggire a Romani; coadiutore
ceperat elabi tuto posse. Hoc sousilium extemplo al quale disegno gli pareva essergli stato offerto
ct fratri proditur, ct, auctore eo indicaturpatri. dalla beneficenza degli dei il pretore della Peo
Literae primum ad obsidentem Petram allatae nia, per mezzo alla cui provincia avea preso
1 io9 TITI LIVII LIBI,R XL. i 41 o

sunt: inde Herodorus (princeps hic amicorum speranza di poter scampare sicuramente. Questo
Demetrii erat) in custodiam est conjectus, et De disegno vien subito rivelato al fratello, e a sugge
metrius dissimulanter asservari jussus. Haec su stione di lui manifestato al padre. Primieramente
per cetera tristem adventum in Macedoniam regi ne venne lettera a Filippo che assediava Petra ;
fecerunt. Movebant eum et praesentia crimina: poscia Erodoro (era questi il primo tra i confi
exspectandos tamen, quos ad exploranda omnia denti di Demetrio) vien messo in prigione, e si
Romam miserat, censebat. IIis anxius curis quum diede ordine che Demetrio, senza ch'ei se ne av
aliquot menses egisset, tandem legati, jam ante vedesse, guardato fosse. Queste notizie, oltre
praemeditatis in Macedonia, quae ab Roma re l'altre cagioni, intristirono il ritorno del re in
nunciarent, venerunt: qui, super cetera scelera, Macedonia. Lo crucciava il nuovo attentato:
falsas etiam literas, signo adulterino T. Quintii voleva nondimeno aspettare i legati che avea
signatas, reddiderunt regi. Deprecatio erat in li spediti a Roma a investigare ogni cosa. Avendo
teris, si quid adolescens, cupiditate regni prola passato alcuni mesi travagliato da codeste cure,
psus, secum egisset. . Nihil eum adversus suorum tornarono finalmente i legati, i quali avean già
quem quam facturui º ; neque eum sese esse, qui premeditato in Macedonia quello che avessero a
ullius impii consilii auctor futurus videri possit. - rapportare da Roma. Costoro, tra l'altre infamie,
IIae literae fidem Persei criminibus fecerunt. presentarono eziandio al re una falsa lettera col
Itaque Herodorus, extemplo diu excruciatus, sine mentito suggello di Tito Quinzio. Pregava Quin
indicio rei ullius in tormentis moritur. zio Filippo che perdonasse al giovane, se tratto
da mala brama di regnare ne avea tenuto seco
trattato. « Non avrebbe Demetrio fatto checches
sia contro nessuno de'suoi; nè egli, Quinzio, era
tale da potersi credere che fosse per dargli mai
nessun cattivo consiglio. » Questa lettera accre
ditò le accuse di Perseo. Erodoro pertanto, messo
subito alla tortura, senza dare nessun indizio,
muore tra i tormenti.

XXIV. Demetrium iterum ad patrem accusa XXIV. Perseo accusò nuovamente Demetrio
vit Perseus. Fuga per Paeoniam praeparata ar al padre. Gli s'imputava la fuga preparata per
la Peonia e che avesse corrotti alcuni che gli
guebatur, et corrupti quidam, ut comites itineris
essent ; maxime falsae literae T. Quintii urge fossero compagni nella via; gli dava specialmente
bant. Nihil tamen palam gravius pronunciatum gran carico la lettera di Tito Quinzio. Non fu
de eo est, ut dolo potius interficeretur; nec id però contro di lui pronunziata pubblicamente
cura ipsius, sed ne poena ejus consilia adversus pena di morte, bensì che fosse tolto di vita con
Romanos nudaret. Ab Thessalonice Demetriadem inganno; nè ciò in riguardo a lui, ma perchè
ipsi quum iter esset, Aestraeum Paeoniae Deme la sua pena non iscoprisse il disegno fatto contro
trium mittit cum eodem comite Dida, Perseum i Romani. Andando Filippo da Tessalonica a De
Amphipolim, ad obsides Thracum accipiendos. metriade, manda Demetrio ad Astreo nella Peo
Digredienti ab se Didae mandata dedisse dicitur mia in compagnia del medesimo Dida, e Perseo
de filio occidendo. Sacrificium ab Dida seu insti ad Anfilopoli a ricevere gli ostaggi de I raci.
tutum, seu simulatum est. Ad quod celebrandum Dicesi che essendo Dida in sul partire, il re gli
invitatus Demetrius ab Aestraeo Heracleam venit. desse ordine di uccidere il figliuolo. Dida ordinò,
In ea coena dicitur venenum datum. Poculo ovvero infinse un sagrificio; a celebrare il quale
Demetrio invitato recossi da Astreo ad Eraclea.
epoto, ex templo sensit: et mox coortis doloribus,
relicto convivio, quum in cubiculum recepisset Si narra che in quella cena gli fosse dato il vele
sese, crudelitatem patris conquerens, parricidium no. Votato il nappo, subito se ne accorse, e in
fratris, ac Didae scelus incusans, torquebatur. sortigli da lì a poco i dolori, lasciato il convito,
Intromissi deinde Thyrsis quidam Stuberaeus et ritiratosi in una stanza, lagnandosi della crudeltà
Beroeaeus Alexander, injectis tapetibus in caput del padre, accusando l'iniquità del fratello e la
faucesque, spiritum intercluserunt. Ita innoxius perfidia di Dida, si sentia internamente lacerare.
Poscia introdottisi certo Tirsi Stubereo e Ales
adolescens, quum in eo ne simplici quidem ge
nere mortis contenti inimici fuissent, interfi sandro Bereeo, gettatigli de tappeti sul capo e
citur. sulla faccia, lo soffocarono. In cotal guisa all'in
nocente giovine è tolta la vita, non essendosi nè
anche appagati i suoi nemici di farlo perire di un
solo genere di morte.
- l, v lo º 8)
14 i 1 1 1 1 LIVI I Ll 13 E R XL. 1412
XXV. Dum haec in Macedonia geruntur, XXV. Mentre accadono codeste cose in Mace
L. Aemilius Paullus prorogato ex consulatu im donia, Lucio Emilio Paolo, prorogatogli dopo
perio, principio veris in Ligures Ingaunos exerci il consolato il comando, sul principio della pri
tum introduxit. Ubi primum in hostium finibus mavera condusse l'esercito nel paese de'Liguri
castra posuit, legati ad eum, per speciem pacis Ingauni. Appena s'ebbe accampato sulle terre
petendae, speculatum venerunt. Negante Paullo, de'nemici, vennero a lui ambasciatori sotto appa
nisi cum deditis pacisci se pacem, non tam id re renza di chieder pace, ma più veramente per
cusabant, quam tempore opus esse ajelbant, ut ispiare. Dicendo Paolo che non tratterebbe di
generi agresti hominum persuaderetur. Ad hoc pace, se prima non si fossero arrenduti, non tanto
decem dierum induciae quum darentur, petierunt ciò ricusavano, quanto allegavano di aver bisognº
deinde, e ne trans montes proximos castris palu di tempo, onde trarre a persuasione quella razza
latum lignatumque milites irent: culla ea loca d'uomini agreste; ed essendosi conceduta loro
suorum finium esse. ” Id ubi impetravere, post una tregua di dieci giorni, chiesero di poi, “ che
eos ipsos montes, undeaverterant hostem, exer i soldati non andassero al di là dei monti vicini
citu omni coacto, repente multitudine ingenti a loro accampamenti a far legne e foraggi, es
castra Romanorum oppugnare simul omnibus sendo che quelle lor terre eran coltivate. Come
portis aggressi sunt. Summa vi totum diem op ebbero ottenuto questo, radunato tutto l'esercito
pugnarunt, ita ut ne eſſerendi quidem signa Ro dietro quegli stessi monti, donde avean tenutº
manis spatium, nec ad explicandam aciem locus discosto il nemico, all'improvviso con grande
esset. Conferti in portis, obstando magis, quam moltitudine di gente vennero ad assaltare la
pugnando, castra tutabantur. Sub occasum solis tutte le porte gli accampamenti Romani. Li com
quum recessissent hostes, duos equites ad Cm. batterono tutto il giorno con tutto lo sforzo, in
Baebium pronconsulem cum literis Pisas mittit, guisa che nè tempo ebbero i Romani di trar fuori
ut obsesso sibi per inducias quamprimum subsi le insegne, nè luogo da spiegarsi in ordinanza.
dio veniret, Baebius exercitum M. Pinario prae Addensati in sulle porte difendevano il campo
tori, eunti in Sardiniam, tradiderat. Ceterum et più ostando che combattendo. Sul tramontare
senatum literis certiorem fecit, obsideri a Ligu del sole essendosi ritirati i nemici, Lucio Emilio
ribus L. Aemilium, et M. Claudio Miarcello, cujus spedì due cavalieri con lettere al proconsole Gneo
proxima inde provincia erat, scripsit, ut, si vi Bebio a Pisa, perchè, trovandosi assalito in tempo
deretur ei, exercitum ex Gallia traduceret in Li di tregua, lo venisse a soccorrere quanto prima,
gures, et L. Aemilium liberaret obsidione. Haec Bebio avea consegnato l'esercito al pretore Marco
sera futura auxilia erant. Ligures postero die ad Pinario che andava in Sardegna: avvertì però
castra redeunt. Aemilius, quum et venturos scis con lettere il senato che Lucio Emilio era asse
set, et educere in aciem potuisset, intra vallum diato dai Liguri, e scrisse a Marco Claudio Mar
suos tenuit, ut extralberet rem in id tempus, quo cello, la cui provincia era vicina, che, se gli pa
Baebius cum exercitu venire a Pisis posset. resse, trasportasse l'esercito dalla Gallia nella
Liguria e liberasse Lucio Emilio dall'assedio.
Codesti aiuti dovean essere tardi. I Liguri, il
giorno appresso, tornarono ad assaltare il campo,
Emilio, benchè sapesse che sarebbero venuti, ed
avesse potuto trar fuori i suoi, li tenne chiusi
nello steccato, onde tirar innanzi la cosa, sino
a che Bebio venir potesse con l'esercito da Pisa.
XXVI. Romae magnam trepidationem literae XXVI. Le lettere di Bebio posero tutta Roma
Baebii fecerunt; eo majorem, quod paucos post in paura, e tanto più grande, quanto che pochi
dies Marcellus, tradito exercitu Fabio, Romam giorni dopo, Marcello, consegnato l'esercito a
quum venisset, spem ademit, eum, qui in Gallia Fabio, essendo venuto a Roma, tolse la speranza
esset, exercitum in Ligures traduci posse, quia che si potesse trasportare in Liguria l'esercitº
bellum cum Istris esset, probibentibus coloniam ch'era nella Gallia; perciocchè c'era guerra con
Aquilejam deduci: eo profectum Fabiurn, neque quelli d'Istria, i quali impedivano che si condu
inde regredi, bello inchoato, posse. Una, et ea cesse una colonia in Aquileia: nè Fabio, andato
ipsa tardior, quam tempus postulabat, subsidii colà, poteva a guerra principiata partirsene. Era

spes erat, si consules maturassent in provinciam una sola la speranza di soccorso, e questa stessa
ire. Id ut facerent, pro se quisque Patrum voci alquanto tarda, se i consoli si desser fretta di
ferari. Consules, nisi confecto delectu, negare se andare alle province loro, e i Padri tutti quanti
ituros, nec suam seguitiem, sed vim morbi, in gridavano che così facessero. I consoli negavanº
14 13 TITI LIVII LIBER XI, i a , a
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causa esse, quo serius perficeretur. Non tamen di andare, se non a leva compiuta; nè che si
potuerunt sustinere consensum senatus, quin compiesse così tardi, era cagione la loro lentezza,
paludati exirent, et militibus, quos conscriptos ma la violenza della peste. Non poterono però
haberent, diem edicerent, quo Pisas convenirent: resistere all'unanime consentimento de' Padri,
permissum, ut, qua irent, protinus subitarios mi sì che non uscissero col paludamento, ed intimas
lites scriberent, ducerentoue secum. Et praetori sero a soldati, di già arrolati, che si raccogliessero
bus, Q. Petillio et Q. Fabio, imperatum est, ut a Pisa: fu conceduto loro che dove passassero,
Petillius duas legiones civium Romanorum tu quivi arrolassero subito quanti più potessero e
multuarias scriberet, et omnes minores quinqua li menassero seco. E si ordinò a pretori Quinto
ginta annis sacramento rogaret: Fabio, ut sociis Petillio e Quinto Fabio, a Petillio che in fretta
Latini nominis quindecim millia peditum, octin levasse due legioni di cittadini Romani e desse
gentos equites imperaret. Duumviri navales creati il giuramento a tutti i minori d'anni cinquanta;
C. Matienus et C. Lucretius, navesque iis ornatae a Fabio che comandasse agli alleati Latini quin
sunt ; Matienoque, cujus ad Gallicum sinum pro dici mila fanti ed ottocento cavalli. Furono creati
vincia erat, imperatum est, ut classem primo quo duumviri navali Caio Matieno e Caio Lugrezio,
que tempore duceret in Ligurum oram, si quo ed allestite loro le navi ; e si diede ordine a Ma
usui esse L. Aemilio atque ejus exercitui posset. tieno, la cui provincia era presso al golfo Gallico,
che quanto prima conducesse la flotta alle coste
della Liguria, se giovar potesse per alcun modo
Lucio Emilio e l'esercito suo.
XXVII. Aemilius, postguam nihil usquam XXVII. Emilio, poi che non se gli mostrava
auxilii ostendebatur. interceptos credens equites. speranza alcuna di soccorso, credendo che fosse
non ultra differendum ratus, quinper se fortu ro stati intercetti i cavalieri spediti, persuaso di
mam tentaret, priusquam hostes venirent, qui jam non dover più oltre indugiare a far prova da sè
segnius socordiusque oppugnabant, ad quatuor della fortuna innanzi che venisseso i nemici, i
portas exercitum instruxit, ut, signo dato, simul quali già lo assediavano alquanto più lenti e
ex omnibus partibus eruptionem facerent. Qua trascurati, ordinò l'esercito in sulle quattro
tuor extraordinariis cohortibus duas adjunxit, porte, acciocchè al segno dato tutti ad un tratto
praeposito M. Valerio legato: erumpere extraor da ogni parte sboccasser fuori. Alle quattro
dinaria porta jussit. Ad dexteram principalem straordinarie coorti due ne aggiunse, alle quali
hastatos legionis primae instruxit; principes ex prepose il legato Marco Valerio. Gli ordinò che
eadem legione in subsidiis posuit : M. Servilius uscisse dalla porta straordinaria e pose a man
et L. Sulpicius, tribuni militum, his praepositi. destra alla porta detta principale gli astati della
Tertia legio adversus principalem sinistram por prima legione; i principi della medesima legione
tam instructa est. Id tantum mutatum; principes li collocò nel corpo di riserva: a questi prepose
primi, et hastati in subsidiis locati: Sex. Julius Marco Servilio e Lucio Sulpicio, tribuni de' sol
Caesar et L. Aurelius Cotta, tribuni militum. huic dati. La terza legione fu messa in ordinanza
legioni praepositi sunt. Q. Fulvius Flaccuslega dirimpetto alla principale porta della sinistra.
tus cum dextera ala ad quaestoriam portan po Solo fu fatta la differenza, che i principi furon
situs. Duae cohortes et triarii duarum legionum messi sul davanti, e gli astati nel corpo di ri
in praesidio castrorum manere jussi. Omnes por serva : a questa legione preposti furono i tribu
tas concionabundus ipse imperator circumiit, et, mi Sesto Giulio Cesare e Lucio Aurelio Cotta.
quibuscumque irritamentis poterat, iras militum Il legato Quinto Fulvio Flacco coll'ala destra
acuebat; nunc fraudem hostium incusans, qui, fu posto alla porta del questore; due coorti e
pace petita, induciis datis, per ipsum induciarum i triarii di due legioni ebber ordine di stare a
tempus contra jus gentium ad castra oppugnan guardia del campo. Emilio in persona girò arin
da venissent; nunc, quantus pudor esset, edocens, gando intorno a tutte le porte; e con quanti
ab Liguribus, latronibus verius, quam hostibus irritamenti più poteva aizzava l'ira de soldati;
justis, Romanum exercitum obsideri. «Quo ore ora accusando la frode de'nemici, i quali, chiesta
quisquam vestrum, si hinc alieno praesidio, non la pace, ottenuta una tregua, durante la tregua
vestra virtute, evaseritis, occurret, non dico eis medesima eran venuti contro il dritto delle
militibus, qui Hannibalem, qui Philippum, qui genti ad assaltare il campo; ora mostrando
Antiochum, maximos nostrae aetatis reges du quanta vergogna fosse, che un esercito Roma
cesque, vicerunt; sed iis, qui hos ipsos Ligures no si trovasse assediato dai Liguri, ladroni piut
aliquoties, pecorum modo fugientes, per saltus tosto, che veri nemici. « Con qual viso ciascun
invios consectati ceciderunt? Quod Hispani, quod di voi, se quinci uscirete coll'altrui soccorso,
14 15 l'ITI LIVII LIBER XL. 116
non per vostro valore, presenterassi, non dico a
Galli, quod Macedones Poenive non audeant, Li
gustinus hostis vallum Romanum subit, obsidet que soldati, che vinsero Annibale, Filippo, An
ultro, et oppugnat! quem, scrutantesantea devios tioco, i più grandi re e capitani dell'età nostra;
saltus, additum et latentem vix inveniebamus. ” ma a quel medesimi, che inseguendo parecchie
Ad haec consentieus reddebatur militum clamor, volte per balze dirupate questi stessi Liguri,
nullam militum culpam esse, quibus nemo ad fuggenti a guisa di pecore, gli hanno tagliati a
erumpendum signum dedisset. Daret signum; pezzi? Quello, che non oserebbero gli Spagnuo
intellecturum, eosdem, qui antea fuerint, et Ro li, non i Galli, non i Macedoni nè i Cartaginesi,
manos et Ligures esse. ” il Ligure nemico si fa sotto alla steccato Romano,
ardito lo assedia e lo combatte ! quel Ligure
istesso, che frugando innanzi ne' più riposti re
cessi appena ci era dato di rinvenire nascosto ed
appiattato. » A codeste parole rispondeva confor
me il grido del soldati: « non essere colpa loro,
a quali nessuno avea dato il segno di uscire. Lo
desse; conoscerebbe che i Romani e i Liguri
erano quelli stessi di prima. »
XXVIII. Bina cis montes castra Ligurum XXVIII. Erano due gli accampamenti dei
erant. Ex iis, primis diebus, sole orto, pariter Liguri di là dai monti. Ne' primi giorni ne usci
omnes compositi et instructi procedebant: tum, vano a sole già levato, tutti egualmente in ordi
misi exsatiati cibo vino que, arma non capiebant; ne e schierati; in appresso non pigliavan l'armi,
dispersi, inordinati exibant, ut quibus pro spe che saziati di cibo e di vino: uscivano sparsi e
certum esset, hostes extra vallum signa non ela disordinati, come quelli che nodrivan certa
turos. Adversus ita in compositos eos venientes, speranza, che i Romani non avrebbon messo il
clamore pariter omnium, qui in castris erant, piede fuori dello steccato. Contro costoro, che si
calonum quoque et lixarum, sublato, simul omni veniano così disordinati, i Romani, levato insie
bus portis Romani eruperunt. Liguribus adeo me un grido da tutti quelli ch'erano nel campo,
improvisa res ſuit, ut perinde ac si insidiis cir ed anche da' vivandieri e saccomanni, da tutte ad
cumventi forent, trepidarent. Exiguum temporis un tempo le porte balzaron fuori. Giunse la cosa
aliqua forma pugnae ſuit: fuga deinde effusa, et ai Liguri così improvvisa, che furon colti da
fugientium passim caedes erat. Equilibus dato terrore, come se caduti fossero in una imboscata.
signo, ut conscenderent equos, nec effugere Ci fu per breve spazio di tempo qualche forma
quemquam sinerent, in castra omnes trepida fuga di battaglia; indi fuga dirotta ed ampia strage
compulsi sunt ; deinde ipsis exuti castris. Supra de' fuggitivi. Dato il segno a cavalieri, che salis
quindecim millia Ligurum eo die occisa, capta sero a cavallo, nè lasciassero fuggire alcuno, tut
duo millia et quingenti. Triduo post Ligurum ti, fuggendo spaventati, ricacciati furono ne' loro
Ingaunorum omne nomen, obsidibus datis, in alloggiamenti; poscia di questi stessi spogliati.
ditionem venit. Gubernatores naulaeque con Sono uccisi in quel giorno da quindici mila Li
quisiti, qui praedatores fuissent navibus atque guri, presi da due mila e cinquecento. Da lì a tre
omnes in custodiam conjecti. Et a C. Matieno giorni tutta la nazione de Liguri Ingauni, dati
duumviro naves ejus generis in Ligustina ora tri ostaggi, si arrendette. Si fecercare i governatori
ginta duae captae sunt. Haec qui nunciarent, li di nave e i nocchieri, che avean fatto preda di
terasque ad senatum ferrent, L. Aurelius Cotta, legni Romani, e tutti furon posti in prigione.
C. Sulpicius Gallus Romam missi; simul Tue pe Anche il duumviro Caio Matieno sulle coste
terent, ut L. Aemilio con fecta provincia decede della Liguria prese trenta due legni di quella
re, et deducere secum milites liceret, atque di ragione. Ad apportar queste nuove ed a recar
mittere. Utrumque permissum ab senatu, et sup lettere al senato spediti furono Lucio Aurelio
plicatio ad omnia pulvinaria per triduum decreta; Cotta e Caio Sulpicio Gallo; e insieme a chiede
jussique praetores, Petillius urbanas dimittere le re, che fosse permesso a Lucio Emilio, terminata
giones, Fabius sociis atque nomini Latino remit la sua missione, di partire, e menar seco i soldati
tere delectum; et uti praetor urbanus consulibus e licenziarli. L' una cosa e l'altra gli fu conce
scriberet, senatum aequum censere, subitarios duta dal senato, e si decretarono tre giorni di
milites, tumultus causa conscriptos, primo quo preghiere a tutti i tempii; ed i pretori ebber
que tempore dimitti. ordine, Petillio di licenziare le legioni urbane,
Fabio di tralasciare la leva degli alleati, e che il
pretore urbano scrivesse a consoli, parere al
1 4 17 TITI LIVII LIBER XL. 14 18
senato che i soldati tumultuariamente levati, al
più presto fossero licenziati.
XXIX. Colonia Graviscae eo anno deducta est XXIX. Si mandò in quell'anno una colonia
in agrum Etruscum, de Tarquiniensibus quon a Gravisca nel contado Toscano, tolto tempo fa
dam captum. Quina jugera agri data. Tresviril ai Tarquiniesi. Si assegnarono cinque giugeri a
deduxerunt, C. Calpurnius Piso, P. Claudius ciascun colono. Furono condotti da Caio Calpnr
Pulcher, C. Terentius Istra. Siccitate et inopia nio Pisone, Publio Claudio Pulcro e Caio Te
frugum insignis annus fuit. Sex menses numquam renzio Istra. L'anno fu memorabile per la sicci
pluisse, memoriae proditum est. Eodem anno in tà e la scarsezza delle biade. Fu scritto che non
agro L. Petillii scribae sub Janiculo, dum culto piovette mai per sei mesi. L'anno istesso nel
res agri altius moliuntur terram, duae lapideae campo di Lucio Petillio scrivano appiè del Gia
arcae, octonos ferme pedes longae, quaternos nicolo, lavorando i coltivatori il terreno alquan
latae, inventae sunt operculis plumbo devinctis. to profondo, si son trovate due arche di pietra,
Literis Latinis Graecisque utraque arca inscripta lunghe a un dipresso otto piedi, larghe quattro,
erat; in altera Numam Pompilium, Pomponis coi coperchi legati con piombo. In ambedue era
filium, regem Romanorum, sepultum esse; in no scolpite lettere latine e greche; in una esser
altera libros Numae Pompilii inesse. Eas arcas vi seppellito Numa Pompilio, figlio di Pompone,
quum ex amicorum sententia dominus aperuisset, re' de Romani ; nell'altra starsi rinchiusi i libri
quae titulum sepulti regis habuerat, inanis in di Numa Pompilio. Avendo il padrone per avvi
venta, sine ullo vestigio corporis humani, aut so degli amici aperte quelle arche, quella che
ullius rei, per tabem tot annorum omnibus ab portava l'iscrizione del re sepolto, fu trovata
sumptis: in altera duo fasces, candelis involuti, vota, senza alcuna traccia di corpo umano, o
septenos habuere libros, non integros modo, sed d'altro, essendosi consumata ogni cosa per l'in
recentissima specie. Septem Latini de jure pon fracidamento di tanti anni: nell'altra si trovaron
tificio erant; septem Graecide disciplina sapien due fascicoli legati con cordicelle intonacate di
tiae, quae illius aetatis esse potuit. Adjicit Antias pece, che contenevano ciascuno sette libri, non
Valerius, Pythagoricos fuisse, vulgatae opinioni, solamente intatti, ma di apparenza freschissima.
qua creditur, Pythagorae auditorem fuisse Nu Sette erano latini, che trattavano del diritto
mam, mendacio probabili accommodata fide. Pri pontificio; sette greci, di dottrine filosofiche,
mo ab amicis, qui in re praesenti fuerunt, libri quali esser potevano in quell'età. Aggiunge Va
lecti. Mox pluribus legentibus quum vulgaren lerio Anziate, ch'erano Pitagorici, accomodan
tur, Q. Petillius praetor urbanus, studiosus le dosi con iscusabile bugia alla divolgata opinione,
gendi, eos libros a L. Petillio sumpsit. Et erat per cui si crede, che Numa fosse stato uditore di
familiaris usus, quod scribam eum quaestor Q. Pe Pitagora. I libri furon letti primieramente dagli
tillius in decuriam legerat. Lectis rerum summis, amici, ch'eran presenti: poi divulgandosi per la
quum animadvertisset, pleraque dissolvendarum lettura di molti, Quinto Petillio, pretore urbano,
religionum esse. L. Petillio dixit, . Sese eos libros bramoso di leggerli, gli ebbe da Lucio Petillio,
in ignem conjecturum esse: prins quam id fa che gli era dimestico, perchè, essendo Quinto
ceret, se ei permittere, uti, si quod seu ius, seu questore, lo aveva nominato scrivano della decu
auxilium se habere ad eos libros repetendos ria. Lettine i sommi capi, avendo osservato che
existimaret, experiretur: id integra sua gratia molte cose potevano condurre a rovesciare il
eum facturum. » Scriba tribunos plebis adit: ab culto ricevuto, disse a Lucio Petillio, a ch'egli
tribunis ad senatum res est rejecta. Praetor se era risoluto di gettar que libri nel fuoco; ma
iusjurandum dare paratum esse aiebat, libros eos innanzi di ciò fare, gli permetteva, se stimasse
legi servarique non oportere. Senatus censuit, di aver alcun diritto, o titolo a ripeterli, che ne
« Satis habendum, quod praetor jusjurandum facesse l'esperimento; non gli avrebbe scemata
polliceretur. Libros primo quoque tempore in punto perciò la sua benevolenza. Lo scrivano va
comitio cremandos esse: pretium pro libris, ai tribuni della plebe ; l'affare dai tribuni è ri
quantum Q. Petillio praetori majorique parti messo al senato. Il pretore diceva d'esser pronto
tribunorum plebis videretur, domino esse sol a giurare, che non conveniva nè leggere, nè con
vendum. º Id scriba non accepit: libri in comi servarsi que libri. Il senato decretò, « bastare il
tio, igne a victimariis facto, in conspectu populi giuramento offerto dal pretore : doversi quanto
cremati sunt. prima abbruciar que libri sulla piazza e pagar
ne il prezzo al padrone in quella misura, che par
resse al pretore Quinto Petillio e alla maggior
parte dei tribuni della plebe. “ Lo scrivano ricusò
TITI LIVII LIBER XL. 142o
1419
il prezzo: i libri abbruciati furono sulla piazza
alla presenza del popolo nel fuoco acceso dai vit
timarii.

XXX. Magnum bellum ea aestate coortum in XXX. Grande guerra insorse in quella state
Hispania citeriore. Ad quinque et triginta millia nella Spagna citeriore. I Celtiberi avean messo
hominum, quantum numquam ferme antea, Cel insieme da trentacinque mila uomini, quanti
tiberi comparaverant. Q. Fulvius Flaccus eam non mai per lo innanzi. Era al governo di quella
obtinebat provincia.m. Is, quia armare juventu provincia Quinto Fulvio Flacco, ed egli pure,
tem Celtiberos audierat, et ipse, quanta poterat, avendo udito che i Celtiberi armavano la gioven
a sociis auxilia contraxerat, sed nequaquam nu tù, avea raccolti gli aiuti degli alleati, quanti più
mero militum hostem aequabat. Principio veris potè; ma non pareggiava il numero de nemici.
exercitum in Carpetaniam duxit, et castra locavit Sul principio della primavera condusse l'esercito
ad oppidum Aeburam, modico praesidio in urbe nella Carpetania, e si accampò presso al castello
posito. Paucis post diebus Celtiberi, millia duo Ebura, lasciato piccolo presidio nella città. Pochi
ferme inde, sub colle posuerunt castra. Quos ubi giorni dopo i Celtiberi si accamparono appiè di
adesse praetor Roroanus sensit, M. Fulvium fra un colle, distante quasi due miglia. Come il Ro
trem cum duabus turmis sociorum equitum ad mano pretore li seppe venuti, mandò Marco Ful
castra hostium speculatum misit, quam proxime vio suo fratello con due squadre di cavalli degli
succedere ad vallum jussum, ut viseret, quanta alleati ad osservare il campo nemico, con ordine
essent; pugna abstineret, reciperetgue sese, si di accostarsi allo steccato quanto più presso potes
hostium equitatum exeuntem vidisset. Ita, ut se, onde vedere quanto fosse grande: si astenesse
praeceptum erat fecit. Per dies aliquot nihil ultra dal combattere e si ritirasse, se vedesse uscirgli
motum, quam ut hae duae turmae ostenderentur; contro la cavalleria nemica. Così fece, come gli
dein subducerentur, ubi equitatus hostium castris era stato prescritto. Per alquanti giorni non si
procucurrissent. Postremo Celtiberi, omnibus si fe' altro movimento, che far mostra di dette due
mul peditum equitumque copiis castris egressi, squadre, indi ritrarle indietro, tostochè la caval
acie directa medio ferme spatio inter bina castra leria nemica balzava fuori. Infine i Celtiberi,
constiterunt. Campus erat planus omnis et aptus usciti dal campo con tutti ad un tempo i fanti ed
pugnae. Ibistetere Hispani hostem exspectantes. i cavalli, schieratisi a fronte, fermaronsi a un di
Romanus intra vallum suos continuit per quatri presso nello spazio di mezzo tra i due campi. Il
duum continuum ; et illi eodem loco aciem in terreno era tutto pianura ed atto a battaglia cam
structam tenuerunt. Ab Romanis nihil motum. pale. Quivi feron alto gli Spagnuoli aspettando il
Inde quievere in castris Celtiberi, quia pugnae nemico. Il Romano ritenne i suoi quattro giorni
copia non fiebat: equites tantum in stationem dentro lo steccato; e quelli tennero nel luogo
egrediebantur, ut parati essent, si quid ab hoste medesimo l'esercito schierato. Non si fe” alcuna
moveretur. Pome castra utrique pabulatum et li mossa dalla parte de' Romani: indi i Celtiberi
gnatum ibant, neutri alteros impedientes. stettersi quieti nel loro accampamento, poichè si
ricusava di combattere: solamente le genti a ca
vallo uscivano alle poste, onde esser pronti, se il
nemico facesse alcun movimento; e gli uni e gli
altri andavano a far legne e foraggi lungo i lor ac
campamenti, senza che quelgi impedissero questi,
XXXI. Practor Romanus, ubi satis tot dierum XXXI. Il Romano pretore, come tosto credette
quiete credidit spem factam hosti, nihil se prio di aver colla quiete di tanti giorni messo bastan
rem moturum, L. Acilium cum ala sinistra et sex temente il nemico in isperanza che non si sareb
millibus provincialium auxiliorum circumire be mosso egli primo, ordina a Lucio Acilio che
montem jubet, qui ab tergo hostibus erat; inde, con l'ala sinistra e con sei mila aiuti provinciali
ubi clamorem audisset, decurrere ad castra eo prenda la volta del monte, ch'era alla schiena
rum: nocte profecti sunt, ne possent conspici. de'nemici; poscia, come udisse levarsi il gridº
Flaccus luce prima C. Scribonium, praefectum piombasse addosso al loro campo. Partirono di
sociùm, ad vallum hostium cum equitibus ex notte per non essere veduti. Flacco, sul far del
traordinariis sinistrae alae mittit. Quos ubi et giorno, manda Caio Scribonio, prefetto degli al
propius accedere, et plures, quam soliti erant, leati, allo steccato de'nemici colla cavalleria stra
Celtiberi conspexerunt, omnis equitatus eſfundi ordinaria dell'ala sinistra. Come i Celtiberi li
tur castris: simul et peditibus signum ad exeun videro e farsi più dappresso ed essere in maggiºr
dum datur. Scribonius, uti praeceptum erat, ubi numero, che non solevano, tutta la lora cavallº
1421 TITI LIVII LIBER XL. I 422
primum fremitum equestrium audivit, avertit ria balza fuori degli accampamenti; e nel tempo
equos, et castra repetit: eo effusius sequi hostes; stesso si dà il segnale a'fanti di uscire. Scribonio,
primo equites, mox et peditumacies aderat, haud come gli era stato imposto, appena udì il primo
dubia spe, castra eo die se oppugnaturos. Quin annitrire de cavalli, volta le briglie e ritorna al
gentos passus, non plus, a vallo aberant. Itaque, campo: i nemici tanto più vivamente lo inseguo
ubi Flaccus satis abstractos eos a praesidio castro no. Già era a luogo la cavalleria, da lì a poco
rum suorum ratus est, intra vallum exercitu in anche la fanteria, con certa speranza che avreb
structo, tribus partibus simul erumpit, clamore bono in quel dì espugnato il campo Romano.
non tantum ad ardorem pugnae excitandum Erano discosti dallo steccato non più di cinque
sublato, sed etiam ut, qui in montibus erant, cento passi. Pertanto sì tosto che Flacco gli stimò
exaudirent. Nec morati sunt, quin decurrerent, bastantemente allontanati da non poter difendere
sicut imperatum erat, ad castra; ubi quinque il loro campo, messo l'esercito in ordinanza dentro
millium armatorum, non amplius, relictum erat lo steccato, ne balza fuori da tre parti ad un tem
praesidium. Quos quum et paucitas sua, et mul po, levato un grido non tanto per infiammare il
titudo hostium, et improvisa res terruisset, prope soldato alla pugna, quanto eziandio perchè lo
sine certamine capiuntur castra. Castris, quae udissero quelli, ch'erano sui monti; nè questi
pars maxime a pugnantibus conspici poterat, tardarono di correre abbasso, com'era stato loro
injecit Aciliusignem. commesso, ad assaltare gli alloggiamenti de'ne
mici, dove si era lasciato un presidio di non più
di cinque mila soldati. I quali rimasti essendo spa
ventati e della loro pochezza e della moltitudine
de nemici e del caso improvviso, gli alloggia
menti loro son presi quasi senza contrasto. Acilio
vi fe' appiccare il fuoco, a quella parte massima
mente, donde poteva esser veduto dai combattenti.
XXXII. Postremi Celtiberorum, qui in acie XXXII. I Celtiberi, ch'eran ultimi nell'ordi
erant, primi flammam conspexere. Deinde per nanza, primi videro le fiamme; indi si sparse per
totam aciem vulgatum est, castra amissa esse, et
tutto l'esercito, che gli alloggiamenti erano per
tum cum maxime ardere: unde illis terror, inde duti, anzi in quel punto medesimo preda del fuo
Romanis animus crevit. Jam clamor suorum vin co; onde in quelli crebbe il terrore, ne' Romani
centium accidebat jam ardentia hostium castra l'ardimento. E già questi udivan le grida de suoi
apparebant. Celtiberi parumper incertis animis ch'erano vincitori; già si vedevan ardere gli
fluctuati sunt. Ceterum, postguam receptus pulsis alloggiamenti dei nemici. I Celtiberi stettersi al
nullus erat, nec usquam, nisi in certamine, spes, quanto tempo fluttuanti ; se non che, non avendo
pertinacius de integro capessunt pugnam. Acie dove respinti ricoverarsi, nè altra speranza rima
media urgebantur acriter a quinta legione. nendo loro che nel combattere, rinnovano più
Adversus laevum cornu, in quo sui generis pro ostinatamente la pugna. Eran forte incalzati nel
vincialia auxilia instruxisse Romanos cernebant, mezzo dalla quinta legione. Piombarono con
cum majore fiducia intulerunt signa. Jam prope maggior fiducia addosso all'ala sinistra, dove
erat, ut sinistrum cornu pelleretur Romanis, mi scorgevano aver il Romano collocati gli aiuti dei
septima legio successisset: simulab oppido Ae loro stessi connazionali. Già poco mancava che
bura, qui in praesidio relicti erant, in medio ar codest'ala non cedesse, se non fosse sottentra
dore pugnae advenerunt, et Acilius ab tergo erat. ta la settima legione: nel tempo stesso, in sul
Diu in medio caesi Celtiberi; qui supererant, in calor della mischia, sopravvennero da Ebura
omnes passim partes capessunt fugam. Equites, quelli ch'eran rimasti a guardarla, e Acilio era
bipartito in eos emissi, magnam caedem edidere. loro alle spalle. Nel centro i Celtiberi furono per
Ad viginti tria millia hostium eo die caesa: capta assai tempo tagliati a pezzi; quelli che avanzano,
quatuor millia et septingenti, cum equis plus qua e là da tutte le parti prendon la fuga. La ca
quingentis, et signa militaria octoginta octo. valleria, scagliata in due parti contro di loro, ne
Magna victoria, non tamen incruenta fuit. Ro fe' orrendo macello. Restaron morti in quel dì
mani de duabus legionibus milites paullo plus da venti tre mila nemici; presi quattro mila set
ducenti, sociò m Latini nominis octingenti tri tecento, con più di cinquecento cavalli e ottanta
ginta, externorum auxiliarium duo millia ferme otto bandiere. Fu grande la vittoria, non però
et quadringenti ceciderunt. Praetor in castra vi senza sangue. Caddero de Romani poco più di
ctorem exercitum reduxit. Acilius manere in dugento soldati delle due legioni; ottocento e
castris ab se captis jussus: postero die spolia de trenta degli alleati Latini, e degli aiuti esterni da
1423 l'1 l'1 Ll VII LIBER XL. i 24
hostibus lecta, et pro concione donati, quorum due mila quattrocento. Il pretore ricondusse ne
virtus insignis fuerat. gli alloggiamenti l'esercito vincitore. Acilio eb
be ordine di rimaner nel campo nemico da lui
preso. Il dì seguente raccolte furono le spoglie
de nemici, e regalati pubblicamente quelli che
avean date insigni prove di valore.
XXXIll. Sauciis deinde in oppidum Aeburam XXXIII. Indi trasportati in Ebura i feriti, si
devectis, per Carpetaniam ad Contrebiam ductae menarono le legioni per la Carpetania a Contre
legiones. Ea urbs circumsessa, quum a Celtiberis bia. Avendo la città assediata chiesto soccorso ai
auxilia arcessisset, morantibus iis, non quia ipsi Celtiberi, tardando questi, non perchè indugias
cunctati sunt, sed quia profectos a domo inexpli sero, ma perchè partitisi di casa, ritenuti erano
caloiles continuis imbribus viae et inflati amnes dalle strade per le continue piogge impraticabili,
tenebant, desperato auxilio suorum, in deditio e da fiumi rigonfi, disperando dell'aiuto dei suoi,
nem venit. Flaccus quoque, tempestatibus foedis si arrendette. Anche Flacco, costretto dai pessimi
coactus, exercitum omnem in urbem introduxit. tempi, introdusse tutto l'esercito nella città.
Celtiberi, qui a domo profecti erant, deditionis I Celtiberi ch'eran partiti di casa, ignorando
ignari, quum tandem, superatis, ubi primum re la dedizione, essendo finalmente, superati i fiu
miserunt imbres, amnibus, Contrebiam venis mi, come tosto si allentaron le piogge, arrivati
sent, postguam castra nulla extra moenia vide a Contrebia, poi che non videro fuor delle mura
runt, aut in alteram partem translata rati, aut nessuno accampamento, pensando che o l'avessero
recessisse hostes, per negligentiam effusi ad trasportato all'altra parte, o che i nemici si fos
oppidum accesserunt. Ineos duabus portis Romani sero ritirati, spandendosi negligentemente si ac
eruptionem fecerunt, et incompositos adorti fu costarono alle mura. I Romani balzaron fuori
derunt. Quae resad resistendum eos et ad capes contro di loro da due porte, e coltili disordinati
sendam pugnam impediit, quod non uno agmine, gli sbaragliarono. Quella stessa cosa, che gl'im
nec ad signa frequentes veniebant, eadem ma pedì di resistere e far battaglia, poi che non
gnae parti ad fugam saluti fuit. Sparsi enim toto s'erano riuniti sotto le insegne, nè in una sola
passim campo se diſluderunt; nec usquam con schiera, nè in grosso numero, quella fu in gran
fertos eos hostis circumvenit. Tamen ad duodecim parte cagione di salute nella fuga. Perciocchè si
millia sunt caesa; capta plus quinque millia ho diffusero sparsamente per tutta la pianura; nè
minum, equi quadringenti, signa militaria sexa mai trovolli il nemico addensati così da poterli
ginta duo. Qui palati e fuga domum se recipie avviluppare. Nondimeno ne furono uccisi da
bant, alterum agmen Celtiberorum venientium, dodici mila, presi più di cinque mila, con quat
deditionem Contrebiae et suam cladem narran trocento cavalli e sessanta bandiere. Quelli che
do, averterunt. Extemplo in vicos castellaque sua fuggendo si tornavano a casa, fecero retrocedere
omnes dilapsi. Flaccus, a Contrebia profectus, per un'altra schiera di Celtiberi che venivano, rac
Celtiberiam populabundus ducit legioncs: multa contando loro la dedizione di Contrebia e la rotta
castella oppugnavit, donec maxima pars Celtibe avuta. Incontamente tutti si ritirarono a loro
rorum in deditionem venit. borghi e castelli. Flacco, partitosi da Contrebia,
menò saccheggiando le legioni per la Celtiberia:
molti castelli vi prese, insino a tanto che la mag
gior parte de'Celtiberi si arrendette. -

XXXIV. Haec in citeriore Hispania eo anno XXXIV. Queste son le cose fatte in quest'an
gesta: et in ulteriore, Manlius praetor secunda no nella Spagna citeriore. Anche nell'ulteriore
aliquot proelia cum Lusitanis fecit. Aquileja co il pretore Manlio combattè alquante volte pro
lonia Latina eodem anno in agro Gallorum est speramente coi Lusitani. In quell'anno medesimo
deducta. Tria millia peditum quinquagena juge fu condotta una colonia Latina in Aquileia, nel
ra, centuriones centena, centena quadragema equi territorio de Galli. Tre mila fanti ricevettero
tes acceperunt. Tresviri deduxerunt, P. Corne ciascuno cinquanta giugeri, cento i centurioni,
lius Scipio Nasica, C. Flaminius, L. Manlius Aci cento quaranta i cavalieri. Ve li condussero i
dinus. Aedes duae eo anno dedicatae sunt : una triumviri Publio Cornelio Scipione Nasica. Caio
Veneris Erycinae ad portam Collinam : dedica Flaminio e Lucio Manlio Acidino. In quell'anno
vit L. Porcius L. F. Licinus duumvir (vota erat si son dedicati due tempi, uno a Venere Ericina
ab consulè L. Porcio, Ligustino bello): altera, in presso alla porta Collina: lo dedicò il duumviro
in foro olitorio. Pietatis. Eam aedem dedicavit Lucio Porcio Licino, figlio di Lucio; ne avea
M. Acilius Glabrio duumvir: statuam que aura fatto voto il console Lucio Porcio nella guerra
1425 TITI LIVII LIBER XL.
1426
tam, quae prima omnium in Italia statua aurata Ligure: l'altro alla Pietà, sulla piazza degli er
est, patri Glabrioni posuit. Iserat, qui ipse eam baggi; questo lo dedicò il duumviro Manio Aci
aedem voverat, quodie cum rege Antiocho ad lio Glabrione, ed innalzò a Glabrione suo padre
Thermopylas depugnasset; locaveratoue idem ex una statua indorata che fu la prima statua in
senatusconsulto. Per eosdem dies, quibus haeae dorata che si vedesse in Italia. Avea fatto voto
des dedicatae sunt, L. Aemilius Paullus procon di quel tempio lo stesso Glabrione padre il gior
sul ex Liguribus Ingaunis triumphavit. Transtu no, in cui disfece interamente alle Termopile
lit coronas aureas quinque et viginti: nec prae Antioco, e ne avea per decreto del senato allo
terea quidquam auri argentique in eo triumpho gata la costruzione. In quel dì medesimi, nei
latum. Captivi multi principes Ligurum ante quali si son dedicati questi tempi, il proconsole
currum ducti. Aeris trecenos militibus divisit.
Lucio Emilio Paolo trionfò de'Liguri Ingauni.
Auxerunt ejus triumphi famam legati Ligurum, Fe' portare dinanzi a sè venticinque corone d'oro;
pacem perpetuam orantes: «ita in animum in nè altro oro od argento fu portato in quel trion
duxisse Ligurum gentem, nulla umquam arma, fo. Si son tratti davanti al carro molti de'princi
nisi imperata a populo Romano, sumere. » Res pali Liguri prigionieri. Divise a soldati trecento
ponsum a Q. Fabio praetore est Liguribus jussu assi per ciascuno. Accrebbero la celebrità di quel
senatus, « Orationem eam non novam Liguribus trionfo i legati de'Liguri, venuti a chieder pace
esse: mens vero ut nova et orationi conveniens in perpetuo; « che avea deliberato fermamente
esset, ipsorum id plurimum referre. Ad consules la nazione dei Liguri di non mai più pigliare
irent, et quae ab iis imperata essent, facerent. l'armi,se non se comandata dal popolo Romano.»
Nulli alii, quam consulibus, senatum crediturum Fu risposto ai Liguri dal pretore Quinto Fabio
esse, sincera fide in pace Ligures esse. » Pax in per ordine del senato: «Non esser nuovo ai Liguri
Liguribus fuit. In Corsica pugnatum est cum cotal discorso, ma che nuovo sia codesto lor
Corsis. Ad duo millia eorum M. Pinarius praetor sentimento e conforme al discorso, è cosa, che
in acie occidit: qua clade compulsi obsides de importa loro moltissimo. Vadano a consoli ed
derunt, et cerae centum millia pondo. Inde in eseguiscano quanto fosse loro comandato. Non
Sardiniam exercitus ductus, et cum Iliensibus, crederà il senato ad altri, che a consoli, voler
gente me nunc quidem omni parte pacata, secun i Liguri la pace sinceramente. » La Liguria fu
da proelia facta. Carthaginiensibus eodem anno dunque pacificata. Nella Corsica si combattè con
centum obsides redditi, pacemdue cum iis popu tro i Corsi. Il pretore Marco Pinario ne uccise
lus Romanus, non ab se tantum, sed ab rege in un fatto d'arme da due mila: dalla quale
etiam Masinissa, praestitit; qui tum praesidio sconfitta sforzati diedero ostaggi e cento mila
armato agrum, qui in controversia erat, obti libbre di cera. Poscia l'esercito fu condotto nella
nebat, Sardegna, e si combattè prosperamente cogli
Iliesi, nazione nè anche presentemente del tutto
quieta. In quest'anno medesimo restituiti furono
ai Cartaginesi cento ostaggi, e il popolo Romano
li mantenne in pace non solamente con sè, ma
eziandio col re Masinissa, il quale riteneva tutta
via con gente armata il contado ch'era contro
Verso.

XXXV. Otiosam provinciam consules habue XXXV. I consoli non ebbero che fare nella
runt. (Anno U. C. 572. – A. C. 18o) M. Bae loro provincia. (Anni D. R. 572. – A. C. 18o)
bius, comitiorum causa Romam revocatus, con Marco Bebio, richiamato a Roma a cagione dei
sules creavit A. Postumium Albinum Luscum et comizii, creò consoli Aulo Postumio Albino Lu
C. Calpurnium Pisonem. Praetores exinde facti sco e Caio Calpurnio Pisone. Indi furon fatti
Ti. Sempronius Gracchus, L. Postumius Albinus, pretori Tito Sempronio Gracco, Lucio Postumio
P. Cornelius, Mammula, Ti Minucius Mollicu Albino, Publio Cornelio Mammula, Tito Minucio
lus, A. Hostilius Mancinus, C. Maenius. Ii omnes Molliculo, Aulo Ostilio Mancino e Caio Menio.
magistratum Idibus Martiis inierunt. Principio Tutti pigliarono il magistrato agl' Idi di Marzo.
ejus anni quo A. Postumius Albinus et C. Cal Sul principio di quell'anno, in cui furono consoli
purnius Piso consules fuerant, ab A. Postumio Aulo Postumio Albino e Caio Calpurnio Pisone,
consule in senatum introducti, qui ex Hispania il console Aulo Postumio introdusse in senato il
citeriore venerant a Q. Fulvio Flacco, L. Minu legato Lucio Minucio e i due tribuni de'soldati,
cius legatus, et duo tribuni militum, T. Maenius Tito Menio e Lucio Terenzio Massiliota, ch'eran
et L. Terentius Massiliota. rli, quum duo secun venuti dalla Spagna citeriore, mandati da Quinto
Livio a 9o
i 427 Tl ll Ll VII LIBl,R XL. i 428

da proelia, deditionem Celtiberiae, confectam Fulvio Flacco. Avendo essi annunziato il buon
provinciam nunciassent, nec stipendio, quod esito di due battaglie, la dedizione della Celtibe
mitti soleret, nec frumento portato ad exer ria e il fine della guerra, nè più occorrere per
citum in eum annum opus esse, petierunt ab quell'anno lo stipendio che si soleva mandare,
senatu primum, « ut ob res prospere gestas nè il frumento da mandarsi all'esercito, chiesero
diis immortalibus honos haberetur: deinde, ut primieramente al senato, a che si rendessero gra
Q. Fulvio decedenti de provincia deportare in zie agli dei immortali per sì felici successi; poi,
de exercitum, cujus forti opera et ipse et mul che fosse permesso a Quinto Fulvio che partendo
ti ante eum praetores usi essent, liceret. Quod menasse seco l'esercito, della cui opera valorosa
fieri, praeterquam quod ita deberet, etiam pro ed egli e molti pretori innanzi s'erano prevaluti.
pe necessarium esset. Ita enim obstinatos esse ll che fare, oltrechè si doveva, era pur anche
milites, ut non ultra retineri posse in provincia cosa quasi necessaria, essendo i soldati sì fatta
viderentur, injussuque abituri inde essent, si non mente ostinati, che non pareva possibile ritenerli
dimitterentur; aut in perniciosam, si quis im più oltre nella provincia, e qualora non si licen
pensa retineret, seditionem exarsuri. « Consuli ziassero, ne sarebbono partiti senza permissione,
bus ambobus provinciam Ligures esse senatus o se alcuno ritener li volesse colla forza, ne sa
jussit. Praetoresinde sortiti sunt. A. Hostilio ur rebbe scoppiata pericolosa sedizione. - Il senato
bana, T. Minucio peregrina obvenit. P. Cornelio ordinò che ambedue i consoli avessero la Liguria:
Sicilia, C. Maenio Sardinia. Hispanias sortiti, L. indi i pretori interrogarono la sorte. Toccò ad
Postumius ulteriorem, Ti. Sempronius citerio Aulo Ostilio la giurisdizione urbana, a Tito Mi
rem. Is quia successurus Q. Fulvio Flacco erat, nucio la forestiera; la Sicilia a Publio Cornelio,
ne vetere exercitu provincia spoliaretur, « Quae la Sardegna a Caio Menio. Lucio Postumio ebbe
ro, inquit, de te, L. Minuci, quum confectam la Spagna ulteriore, Tito Sempronio la citeriore.
provinciam nuncies, existimesme, Celtiberos per Questi, dovendo succedere a Quinto Fulvio Flac
petuo in fide mansuros, ita ut sine exercitu ea co, temendo che la provincia rimanesse priva
provincia obtimeri possit? Si neque de fide bar del vecchio esercito, « Ti domando, disse, o Lu
barorum quidquam recipere aut affirmare nobis cio Minucio, tu che annunzi terminata la guerra
potes, et habendum illic utique exercitum censes; di Spagna, se pensi che i Celtiberi si rimarranno
utrum tandem auctor senatui sis supplementum perpetuamente in fede, sì che conservarsi possa
in Hispaniam mittendi, ut ii modo, quibus eme quella provincia senza esercito? Se non puoi
rita stipendia sint, milites dimittantur, veteribus nulla di certo promettere ed affermare della fede
militibus tirones immisceantur ? an, deductis de de'barbari, e se stimi che si debba colà ritenere
provincia veteribus legionibus, novas conscri un esercito, perchè non proponi piuttosto al se
bendi et mittendi , quum contemptum tiroci nato che mandi in Ispagna un supplemento,
mium etiam mitiores barbaros excitare ad rebel acciocchè sieno licenziati que soldati solamente,
landum possit? Dictu, quam re, facilius sit, pro che hanno compiuto il tempo de' loro stipendii,
vinciam in genio ferocem, rebellatricem, confe e i novelli si meschino coi veterani ? ovvero che
cisse? Paucae civitates, ut quidem ego audio, ritratte dalla provincia le vecchie legioni, se ne
quas vicina maxime hiberna premebant, in jus arruolino e spediscano delle nuove, poichè il
ditionemque venerunt ; ulteriores in armis sunt. dispregio della novella milizia può eccitare anche
Quae quum ita sint, ego jam hinc praedico, Pa i barbari più mansueti a ribellione? Non è ella
tres conscripti, me exercitu eo, qui nunc est, cosa più facile a dirsi che a farsi, l'aver domata
rempublicam administraturum: si deducat se una provincia d'indole feroce e pronta sempre
cum Flaccus legiones, loca pacata me ad hiber a ribellarsi? Poche città, come vien riferito,
macula lecturum, neque novum militem ferocis strette massimamente dalla vicinanza de'quartieri
simo hosti objecturum. » d'inverno, son venute alla nostra obbedienza;
le più rimote sono in armi. Il che stando così,
ve lo dico innanzi, o Padri coscritti, son pronto
ad amministrar la repubblica coll'esercito ch'è
colà presentemente: che se Flacco partendo ne
menerà seco le legioni, sceglierò pe quartieri
d'inverno luoghi tranquilli; nè esporrò i soldati
di nuova leva a fronte di nemici ferocissimi.
XXXVI. Legatus ad ea quae interrogatus XXXVI. ll legato a così fatte interrogazioni
erat, respondit, . Neque se, neque quem quam rispose, . Nè lui, nè alcun altro poter indovinare
aliun divinare possº, quid in animo Celtiberi qual pensiero s'abbiamo i Celtiberi, o siano per
i 429 TITI LIVII LIBER Xf,. 143o
haberent, aut porro habituri essent. Itaque ne avere in appresso; quindi non sa negare, che
gare non posse, quin rectius sit, etiam ad paca non sia migliore partito mandare un esercito a
tos barbaros, nondum satis assuetos imperio, que'barbari pacificati bensì, ma non però ancora
exercitum mitti. Novo autem, an vetere exercitu bastantemente avvezzi ad ubbidire. Se poi oc
opus sit, ejus esse dicere, qui scire possit, qua corra a tal uopo un nuovo esercito, ovvero un
fide Celtiberi in pace mansuri sint; simul et qui vecchio, tocca dirlo a chi può sapere con che fede
illud exploratum habeat quieturos milites, si diu sieno i Celtiberi per durare in pace, e a chi abbia
tius in provincia retineantur. Si ex eo, quod aut eziandio certezza, che staransi quieti i soldati, se
inter se loquantur, aut succlamationibus apud saranno ritenuti più a lungo nella provincia.
concionantem imperatorem significent, quid sen Se si deve congetturare come la pensino i soldati
tiant, comjectandum sit; palam vociferatos esse, da quello che discorrono tra loro, o palesano
aut imperatorem in provincia retenturos, aut con sordo mormorio nelle aringhe del loro co
cum eo in Italiam venturos esse. » Disceptatio mandante, certo han dichiarato palesemente, che
nem inter praetorem legatum ſue consulum re o nol lasceranno partire dalla provincia, o torne
latio interrupit , qui suas ornari provincias, ranno in Italia con esso lui. - La riferta de'con
priusquam de praetoris exercitu ageretur, ae soli interruppe codesta disputa tra il pretore ed
quum censebant. Novus omnis exercitus consuli il legato: credevan essi conveniente che provve
bus est decretus: binae legiones Romanae cum duto fosse alle loro province innanzi che si trat
suo equitatu, et sociùm Lationi nominis, quan tasse dell'esercito del pretore. A consoli fu de
tus semper numerus, quindecim millia peditum cretato un esercito del tutto nuovo; due legioni
et octingenti equites. Cum hoc exercitu Apuanis Romane con la loro cavalleria, e degli alleati
Liguribus ut bellum inferrent, mandatum est. P. Latini il numero che è sempre di quindici mila
Cornelio et M. Baebio prorogatum imperium, fanti ed ottocento cavalli. Con questo esercito fu
jussidue provincias obtinere, donec consules ve loro ingiunto che facessero la guerra coi Liguri
nissent. Tum imperatum, ut, dimisso, quem ha Apuani. A Publio Cornelio e Marco Bebio fu
berent, exercitu, reverterentur Romam. De Ti. prorogato il comando, con ordine di ritenerlo
Sempronii deinde exercitu actum est. Novam le sino a che venuti fossero i consoli. Allora poi,
gionem ei quinque millium et ducentorum pedi licenziato l'esercito che avevano, tornassero a
tum cum equitibus quadringentis consules scri Roma. Indi si trattò dell'esercito di Tito Sem
bere jussi, et mille praeterea peditum civium pronio. Fu commesso a consoli che levassero per
Romanorum, quinquaginta equites; et sociis e lui una nuova legione di cinque mila e dugento
nomine Latino imperare septem millia peditum, fanti con quattrocento cavalli, e inoltre mille
trecentos equites. Cum hoc exercitu placuit ire in fanti di cittadini Romani e cinquanta cavalli,
Hispaniam citeriorem Ti. Sempronium. Q. Ful e comandassero agli alleati Latini sette mila fanti
vio permissum, ut, qui milites, ante Sp. Postu e trecento cavalli. Questo fosse l'esercito, con
mium, Q. Marcius consules, cives Romani socii cui Tito Sempronio andasse nella Spagna cite
ve, in Hispaniam transportati essent, et praete riore. Fu permesso a Quinto Fulvio che, se gli
rea, supplemento adducto, quot amplius duabus paresse, ne menasse seco que soldati, sì de' Ro
legionibus, quam decem millia, et quadringenti mani, che degli alleati ch'erano stati trasportati
pedites, sexcenti equites essent, et sociùm Lati in Ispagna avanti il consolato di Spurio Postumio
ni nominis duodecim millia, sexcenti equites, e di Quinto Marzio, e inoltre, come fosse giunto
quorum forti opera duobus adversus Celtiberos il supplemento, tutto quel più che nelle due le
proeliis usus Q. Fulvius esset, eos, si videretur, gioni superasse il numero di dieci mila quattro
secum deportaret. Et supplicationes decretae, cento fanti e seicento cavalli, e degli alleati Latini
quod is prospere rempublicam gessiset: et cete quello di dodici mila fanti e seicento cavalli,
ri praetores in provincias missi. Q. Fabio Buteo dell'opera valorosa de quali avesse fatto prova
ni prorogatum in Gallia imperium est. Octo le Quinto Fulvio nelle due battaglie contro i Cel
giones, praeter exercitum veterem, qui in Ligu tiberi. E si decretarono pubbliche preci per aver
ribus in spe propinqua missionis erat, eo anno egli amministrata felicemente la repubblica, e
esse placuit. Et is ipse exercitus aegre expleba gli altri pretori furono mandati alle loro provin
tur propter pestilentiam, quae jam tertium an ce. Fu prorogato il comando nella Gallia a Quinto
mum urbem Romanam atque Italiam vastabat. Fabio Buteone. Si volle avere in quell'anno otto
legioni, oltre l'esercito vecchio nella Liguria, il
quale nodriva speranza d'essere tra breve con
gedato. Se non che questa stessa somma di for
ze si metteva a numero difficilmente a cagione
1431 TITI LIVII LIBER XL. 1432

della pestilenza, la quale già da tre anni devastava


Roma e l'Italia.
XXXVII. Praetor Ti Minucius, et haud ita XXXVII. Muore il pretore Tito Minucio, e da
multo post consul C. Calpurnius moritur, multi lì a non molto il console Caio Calpurnio e molte
que alii omnium ordinum illustres viri: postre altre illustri persone di tutti gli ordini; infine
mo prodigii loco ea clades haberi coepta est. C. si tenne quella calamità come cosa prodigiosa.
Servilius pontifex maximus piacula irae deim Il pontefice massimo Caio Servilio ebbe ordine
conquirere jussus, decemviri libros inspicere, di cercar i modi di placare l'ira degli dei, i de
cemviri di consultare i libri, il console di oſſerire
consul Apollini, Aesculapio, Saluti dona vovere,
et dare signa inaurata; quae vovit deditoue. De doni ad Apollo, ad Esculapio, alla Salute, e di
cemviri supplicationem in biduum valetudinis porre loro statue indorate; e così pose ed offerì.
causa in urbe et per omnia fora conciliabulaque I decemviri ordinarono due giorni di preghiere,
edixerunt: majores duodecim annis, omnes co ad ottenere la sanità, in Roma e per tutte le
ronati et lauream in manu tenentes, supplicave piazze e mercati: pregarono i maggiori di anni
runt. Fraudis quoque humanae insinuaverat su
dodici, tutti con corona sul capo e rami di alloro
spicio animis; et veneficii quaestio ex senatus in mano. Era entrato eziandio il sospetto di frode
consulto, quod in urbe, propiusve urbem decem per parte degli uomini, e per decreto del senato
millibus passuum esset commissum, C. Claudio fu commesso al pretore Caio Claudio, ch'era stato
praetori, qui in locum Ti. Minuci erat suffectus; sostituito al defunto Tito Minucio, di fare inqui
sizione del venefizii che si fossero commessi in
ultra decimum lapidem per fora conciliabulaque
C. Maemio, priusquam in Sardiniam provinciam Roma, o per dodici mila passi intorno a Roma,
trajiceret, decreta. Suspecta consulis erat mors e così a Caio Menio, innanzi che passasse in Sar
maxime. Necatus a Quarta Hostilia uxore dice degna, per tutte le piazze e mercati oltre le dieci
batur. Ut quidem filius ejus Q. Fulvius Flaccus miglia. Era specialmente sospetta la morte del
in locum vitrici consul est declaratus, aliquanto console. Dicevasi che lo avesse avvelenato Quarta
magis infamis mors Pisonis coepit esse; et te Ostilia sua moglie, e come il di lei figlio Quinto
stes exsistebant, qui post declaratos consules Al Fulvio Flacco fu nominato console in luogo del
binum et Pisonem, quibus comitiis Flaccus tu padrigno, cominciò a farsi più sospetta la morte
lerat repulsam, et exprobratum ei a matre dice di Pisone, e ci erano testimonii, i quali dicevano
rent, quod jam ei tertium negatus consulatus che dopo la elezione de'consoli Albino e Pisone
petenti esset, et adjecisse, a pararet se ad peten fatta in quel medesimi comizii, ne'quali Flacco
dum; intra duos menses effecturam, ut consul avea sofferto la ripulsa, la madre avesse rimpro
fieret. Inter multa alia testimonia, ad causam verato al figliuolo che già per tre volte gli fosse
pertinentia, haec quoque vox, nimis vero even stato negato il consolato, ed aggiunto, « che si
tu comprobata, valuit, cur Hostilia damnaretur. preparasse a chiederlo nuovamente, ch'ella tra
due mesi avrebbe fatto in maniera che fosse con
Veris principio,hujus, dum consules novos de
lectus Romae tenet, mors deinde alterius, et cre sole. ” Tra molte altre testimonianze, relative
andi comitia consulis in locum ejus, omnia tar alla causa, anche questa voce, pur troppo com
diora fecerunt: interim P. Cornelius et M. Bae provata dall'evento, contribuì alla condanna di
bius, qui in consulatu nihil memorabile gesse Ostilia. Sul principio di questa primavera, men
rant, in Apuanos Ligures exercitum induxerunt. tre la leva ritiene i nuovi consoli a Roma, la
morte poi dell'uno de'consoli e i comizi per
crearne un altro in suo luogo, rallentarono tutte
le operazioni. Intanto Publio Cornelio e Marco
Bebio che nel lor consolato non avean fatta cosa
degna di memoria, condussero l'esercito sulle
terre de'Liguri Apuani.
XXXVIII. Ligures, qui ante adventum in XXXVIII. I Liguri che non si aspettavan la
provinciam consulum non exspectassent bellum, guerra avanti la venuta de'consoli, oppressi al
improviso oppressi, ad duodecim millia hominum l'improvviso, si arrendettero in numero a un
dediderunt se. Eos, consulto per literas prius se dipresso di dodici mila. Cornelio e Bebio, aven
matu, deducere ex montibus in agros campestres done prima consultato il senato, deliberarono
procul ab domo, ne reditus spes esset, Cornelius di trasportarli dai monti al piano, lungi dalle lor
et Baebius statuerunt, nullum alium ante finem case, onde perdessero ogni speranza di ritorno,
rati fore Ligustini belli. Ager publicus populi persuasi che non avrebbe fine altrimenti la guerra
Romani erat in Samnitibus, qui Taurasinorum, della Liguria. Aveano i Romani nel Sannio un
1433 TITI LIVIl LIBER XI. i 34
(fuerat. In eun quum) traducere Ligures Apua terreno di pubblica ragione ch'era stato dei Tau
mos vellent, edixerunt, Ligures ab Anido monti rasini. Volendo colà tradurre i Liguri Apuani,
bus descendere cum liberis conjugibusque: sua comandarono che discendessero dai monti di Ani
omnia secum portarent. Ligures, saepe per lega do con le loro mogli e figliuoli, e seco portassero
tos deprecati, ne penates, sedem, in qua geniti tutte le robe loro. I Liguri avendo più volte
essent, sepulcra majorum, cogerentur relinquere, pregato col mezzo di ambasciatori che non si
arma, obsides pollicebantur. Postguam nihil im volesse costringerli a lasciare i loro focolari, le
petrabant, neque vires ad bellandum erant, edi stanze, dov'eran nati, i sepolcri degli avi loro,
cto paruerunt. Traducti sunt publico sumptu ad promettevano di consegnare armi ed ostaggi.
quadraginta millia liberorum capitum cum ſemi Poi che non poterono impetrar nulla e manca
nis puerisque. Argenti data centum et quinqua vano le forze a far la guerra, obbedirono al co
ginta millia, unde, in novas aedes, compararent, mando. Furono trasportati a pubbliche spese
quae opus essent. Agro dividendo dando queii quaranta mila teste di libera condizione con le
dem, qui traduxerant, Cornelius et Baebius prae mogli ed i figliuoli. Si diedero loro cento e cin
positi: postulantibus tamen ipsis, quinqueviri ab quanta mila danari d'argento, onde si provve
senatu dati, quorum ex consilio a gerent. Trans dessero di quanto occorresse per le nuove abita
acta re, quum veterem exercitum Romam dedu zioni. A dividere ed assegnare i terreni furono
xissent, triumphus ab senatu est decretus. Hi preposti quegli stessi che gli aveano trasportati,
omnium primi nullo bello gesto triumpharunt. Cornelio e Bebio; però a loro inchiesta il senato
Tantum hostes ducti ante currum; quia, nec quid aggiunse loro cinque persone, del cui consiglio
ferretur, neque quid duceretur captum, neque si valessero. Dato compimento alla cosa, ricon
quid militibus daretur, quidquam in triumphis dotto a Roma il vecchio esercito, il senato decretò
eorum fuerat. loro il trionfo. Furon essi i primi, che senza aver
guerreggiato trionfarono. Davanti al carro si
trassero solamente i nemici presi; chè non avean
altra cosa da portare, o condurre nel trionfo, o.
da donare a soldati.
XXXIX. Eodem anno in IIispania Fulvius XXXIX. L'anno medesimo nella Spagna il
Flaccus proconsul, quia successor in provinciam proconsole Fulvio Flacco, perchè il successore
tardius veniebat, educto exercitu ex hibernis, ul tardava alquanto a venire, tratto l'esercito dai
teriorem Celtiberiae agrum, unde ad deditionem quartieri d'inverno, si pose a dare il guasto alla
non venerant, institit vastare. Qua re irritavit parte ulteriore dalla Celtiberia, donde non era
magis, quam conterruit, animos barbarorum; et, venuto alcuno ad arrendersi; con che irritò più
clam comparatis copiis, saltum Manlianum, per che non atterrì gli animi di quel barbari, e messe
quem transiturum evercitum Romanum satis scie insieme segretamente alquante genti, occuparono
bant, obsederunt. In Hispaniam ulteriorem eunti lo stretto Manliano, pel quale sapevano dover
L. Postumio Albino collegae Gracchus mandave passare l'esercito Romano. Gracco avea commesso
rat, ut Q. Fulvium certiorem faceret, Tarraconem al collega Lucio Postumio Albino, il quale andava
exercitum adduceret : « Ibi dimitti veteranos, nella Spagna ulteriore, che avvisasse Quinto Flac
supplementaque distribuere et ordinare omnem co di condurre l'esercito a Tarracona. « Voleva
exercitum sese velle.» Dies quoque, et ea propin egli quivi licenziare i veterani, distribuire il sup
qua, edita Flacco est, qua successoresset venturus. plemento, ed ordinare tutto l'esercito. Fu anche
Haec nova allata res, omissis, quae agere institue fatto noto a Flacco il giorno, e giorno vicino, in
rat, Flaccum raptim deducere exercitum ex Cel cui sarebbe giunto il successore. Avendo l'annun
tiberia quin coegisset, barbari causae ignari, zio di questa novità obbligato Flacco, lasciata
suam defectionem et clam comparata arma sensisse l'impresa cominciata, a ritirare in fretta l'eser
eum, et pertimuisse rati, eo ferocius saltum in cito dalla Celtiberia, i barbari, ignorandone il
sederunt. Ubi eum saltum prima luce agmen Ro motivo, stimando ch'egli avesse avuto sentore
manum intravit, repente ex duabus partibus si e tema della loro ribellione e delle lor forze
mul exorti hostes Romanos invaserunt. Quod ubi segretamente radunate, tanto più fieramente si
vidit Flaccus, primos tumultus, in agmine per affoltarono in quello stretto. Appena l'esercito
centuriones stare omnes, suo quem que loco, et sul far del giorno v'ebbe messo il piede, i nemici,
arma expedire jubendo, sedavit: et, sarcinis ju insorti all'improvviso da due parti, assaltarono
mentisque in unum locum coactis, copias omnes i Romani. Flacco, veduto questo, calmò i primi
partim ipse, partim per legatos tribunosque mi tumulti, ordinando col mezzo de'centurioni che
litum, ut tempus, ut locus postulabat, sine ulla tutti stessero alle loro schiere, ciascuno al suo
1435 TITI LIVII LIBER XL.
i 36
trepidatione instruxit; a cum bis deditis rem posto, ed approntassero le armi; e raccolti in un
esse admonens. Scelus et perfidiam illis, non vir luogo solo i bagagli ed i giumenti, parte egli,
tutem, nec animum accessisse. Reditum ignobi parte coll'opera de' legati e dei tribuni de'soldati,
lem in patriam, clarum ac memorabilem eos sibi senza nessun timore, pose in ordinanza tutte le
fecisse: cruentos ex recenti caede hostium gladios, sue genti, come il tempo ed il luogo permette
et manantia sanguine spolia, Roman ad trium vano, ricordando loro; « che si aveva a fare con
phum delaturos. - Plura dici tempus non patie nemici già due volte arrendutisi. Non eran cre
batur. Invehebant se hostes, et in partibus ex sciuti nè in valore, nè in coraggio, ma sì in scel
tremis jam pugnabatur: deinde acies concurre leraggine e perfidia. Così avverrebbe che il di
runt.
lui ritorno in patria, d'ignobil ch'era, chiaro
fosse e memorabile; ch'essi riporterebbero in
Roma al trionfo le spade fumanti anora della
strage de'nemici e le spoglie stillanti del sangue
loro. ” Il tempo non permetteva d'aggiunger
altro. I nemici si portavano innanzi e già si com
batteva alle parti estreme; indi ambedue gli
eserciti si scontrarono.
XL. Atrox ubique proelium, sed varia fortu XL. Era atroce da per tutto la battaglia, ma
ma erat. Egregie legiones, nec segnius duae alae n'era varia la fortuna. Le legioni combattevano
pugnabant; externa auxilia ab simili armatura, egregiamente, nè con minor valore le due ale ;
meliore aliquantum militum genere, urgeban gli aiuti esterni eran premuti gagliardamente da
tur, nec locum tueri poterant. Celtiberi, ubi or nemici armati bensì alla foggia medesima, ma
dinata acie et signiscollatis se non esse pares le soldati alquanto migliori, nè potevano mante
gionibus senserunt, cuneo impressionem fecerunt: nersi nel loro posto. I Celtiberi, come si accorse
quo tantum valent genere pugnae, ut quacumque ro che non istavano a paro colle legioni in bat
parte perculere impetu suo sustineri nequeant: taglia ordinata ed a bandiere spiegate, formatisi
Tunc quoque turbatae legiones sunt, prope in in conio, urtaron dentro ferocemente: maniera
terrupta acies. Quam trepidationem ubi Flaccus di combattere, in cui tanto son poderosi, che in
conspexit, equo advehitur ad legionarios equi qualunque parte diano col loro impeto, non c'è
tes, et . Ecquid auxilii in vobis est ? Actum jam via di resistere. Anche allora scompigliaronsi le
de hoc exercitu erit?» quum undi que acclamas legioni, e l'ordinanza fu quasi rotta. Vista ch'eb
sent, a quin ederet, quid fieri velit; non segni be Flacco codesta fluttuazione, corre cavalcando
ter imperium exsecuturos. Duplicate turmas, in alla cavalleria del legionarii e grida: « V ha da
quit, duarum legionum equites, et permittite sperare nessun aiuto da voi? Sarà dunque ormai
equos in cuneum hostium, quo nostros urgent. questo esercito spacciato? » Avendo essi risposto
Id cum majore vi equorum facietis, si effrenatos da ogni parte, a comandasse quello che bramasse;
in eos equos immittitis; quod saepe Romanos lo avrebbono immantinente eseguito. Duplicate,
equites cum magna laude fecisse sua, memoriae disse, o cavalieri delle due legioni, le vostre file,
proditum est. º Dicto paruerunt, detractisque e scagliate i cavalli nel conio de'nemici, col quale
frenis bis ultro citroque cum magna strage ho premono i nostri. Sarà più vigoroso l'urto dei
stium, infractis omnibus hastis, transcurrerunt. cavalli, se gli scaglierete sciolti dalle briglie, il
Dissipato cuneo, in quo omnis spes fuerat, Cel che si narra aver fatto sovente i cavalieri Romani
tiberi trepidare, et, prope omissa pugna, locum con molta lor lode. - Pronti ubbidirono, e detrat
fugae circumspicere. Et alarii equites, postguam te le briglie a cavalli, due volte su e giù trascor
Romanorum equitum tam memorabile facinus vi sero, spezzate tutte le aste con grande strage dei
dere, et ipsi, virtute eorum accensi, sine ulius nemici. Rotto il conio, nel quale tutta era posta
imperio in perturbatos jam hostes equos immit la loro speranza, i Celtiberi cominciarono a ba
tunt. Tunc vero Celtiberi omnes in fugam eſun lenare, e lasciato quasi il combattere, a cercare
duntur, et imperator Romanus, aversos hostes d'ogni intorno cogli occhi la via di fuggire. La
contemplatus, aedem Fortunae Equestri, Jovi cavalleria degli alleati, poi che vide sì memorabil
que optimo maximo ludos vovit. Caeduntur Cel prova de'cavalieri Romani, anch'essi da quel va
tiberi per totum saltum dissipati fuga: decem lore infiammati, senza aspettare il comando, lan
et septem millia hostium caesa eo die traduntur: ciano i cavalli contro i nemici già scompigliati.
vivi capti plus quatuor millia, ducentis septua Allora tutti i Celtiberi si abbandonano alla fuga,
ginta septem cum signis militaribus, equis prope e il comandante Romano, visto i nemici dar di
mille centum. Nullis castris eo die victor exerci volta, ſe voto di un tempio alla Fortuna Equestre
1437 TITI LIVII Lll'El XL. 1438

tus mansit. Victoria non sime jactura militum e di giuochi in onore di Giove ottimo massimo.
fuit: quadringenti septuaginta duo milites Ro I Celtiberi qua e là fuggendo dispersi per tutta
mani, sociùm ac Latini nominis mille decem et la fratta, son tagliati a pezzi: diconsi rimasti
novem, cum his tria millia militum auxiliario morti in quel giorno diciassette mila uomini,
rum perierunt. Ita victor exercitus, renovata presi vivi più di quattro mila, con dugento set
priore gloria, Tarraconem est perductus. Ve tanta sette bandiere e quasi mille e cento cavalli.
nienti Fulvio Ti. Sempronius praetor, qui bi L'esercito vincitore non accampossi quel giorno
duo ante venerat, obviam processit, gratulatus in nessun luogo; nè la vittoria fu senza perdita
que est, quod rempublicam egregie gessisset.Cum di soldati: de Romani ne perirono quattrocento
summa concordia, quos dimitterent, quosque re settanta due, mille e diciannove degli alleati La
tinerent milites, composuerunt. Inde Fulvius, tini, e tre mila degli aiuti. Così l'esercito vitto
exauctoratis militibus in naves impositis, Ro rioso, rinnovata l'antica gloria, fu condotto a
mam est profectus. Sempronius in Celtiberiam Tarracona. Il pretore Tito Sempronio, ch'era
legiones duxit. venuto due giorni innanzi, uscì all'incontro di
Fulvio, e si congratulò seco lui, che avesse go
vernata egregiamente la cosa pubblica. Conven
nero tra loro con somma concordia quai soldati
avessero a licenziarsi, quali a ritenersi. Poscia
Fulvio, fatti imbarcare i soldati licenziati, andos
sene a Roma. Sempronio condusse le legioni
nella Celtiberia.
XLI. Consules ambo in Ligures exercitus in XLI. I consoli ambedue condussero gli eser
duxerunt diversis partibus. Postumius prima et citi nella Liguria da parti diverse. Postumio colla
tertia legione Balistam Suismontiumque montes prima e terza legione occupò i monti Balista e
obsedit, et, premendo praesidiis angustos saltus Svismonzio, e strignendo con le poste i passi an
eorum, commeatus interclusit, inopiaque omnium gusti, serrò loro l'accesso delle vettovaglie e do
rerum eos perdomuit. Fulvius, secunda et quarta molli con la penuria di ogni cosa. Fulvio dalla
legione adortus a Pisis Apuanos Ligures, qui eo parte di Pisa, assaltati con la seconda e quarta le
rum circa Macram fluvium incolebant, in deditio gione i Liguri Apuani, avuti a patti quelli di loro
nem acceptos, ad septem millia hominum in naves che abitavano presso al fiume Macra, fattine im
impositos, praeter oram Etrusci maris Neapolim barcare da sette mila, mandoli a Napoli, costeg
transmisit. Inde in Samnium traducti, agerque giando il mar di Toscana. Di là furon tradotti nel
his inter populares datus est. Montanorum Ligu Sannio, ed ebbono terre in mezzo a quelle del loro
rum ab A. Postumio vineae caesae, frumentaque compatrioti. A Liguri delle montagne furon ta
deusta, donec cladibus omnibus belli coacti in gliate da Aulo Postumio le viti e bruciati i fru
deditionem venerunt, armadue tradiderunt. Na menti insino a tanto che, costretti da quante sono
vibus inde Postumius ad visendam oram Ingau le calamità della guerra, si arrendettero e con
norum Intemeliorumque Ligurum processit . segnaron le armi. Poscia Postumio, imbarcatosi,
Priusquam hi consules venirent ad exercitum, andò a visitare la spiaggia de' Liguri Ingauni ed
qui Pisas indictus erat, praeerant A. Postumius Intemelii. Innanzi che questi consoli venissero
et frater Q. Fulvii M. Fulvius Nobilior. Secundae all'esercito ch'era stato mandato a Pisa, lo co
legionis Fulvius tribunus militum erat. Is men mandavano Aulo Postumio e Marco Fulvio No
sibus suis dimisit legionem, jurejurando adactis biliore, fratello di Quinto Fulvio. Era Fulvio tri
centurionibus, aes in aerarium ad quaestores esse buno dei soldati della seconda legione. Egli, nei
delaturos. Hoc ubi Placentiam (nam eo forte erat suoi due mesi, licenziò la legione, avendo fatto
profectus) Aulo nunciatum est, cum equitibus giurare a centurioni che avrebbono riportate
expeditis secutus dimissos, quos eorum potuit all'erario in mano del questori le paghe ricevute.
assequi, deduxit castigatos Pisas. De ceteris con Come questo fu riferito ad Aulo in Piacenza
sulem certiorem fecit. Eo referente, senatus (ch'egli era andato a caso colà ) fatti inseguire i
consultum factum est, ut M. Fulvius in Hispa soldati licenziati da una banda di spediti cavalie
mian relegaretur ultra novam Carthaginem : ri, quanti se ne potè raggiungere, sgridatili assai,
literaeque ei datae sunt a consule ad P. Manlium rimandoli a Pisa. Degli altri ne rendette inteso
in Hispaniam ulteriorem deferendae. Milites il console. A riferta di questo, il senato decretò
jussi ad signa redire. Causa ignominiae, uti se che Marco Fulvio fosse relegato in Ispagna di là
mestre stipendium in eum annum esset ei le da Nuova-Cartagine. E il console gli die lettere
gioni, decretum : qui miles ad exercitum non da portare a Publio Manlio nella Spagna ulteriore.
TITI LIVII LIBER XI,. 144o
1439
redisset, eum ipsum bonaque ejus vendere con I soldati ebber ordine di tornare alle loro in

sul jussus. segne. Ad infamia del fatto si decretò che la le


gione non avesse in quell'anno che la paga di sei
mesi, e fu commesso al console che qualunque
soldato non tornasse all'esercito, lo facesse ven
dere, lui e i beni suoi.
XLII. Eodem anno L. Duronius, qui praetor XLII. L'anno medesimo Lucio Duronio, il
anno superiore ex Illyrico cum decem navibus quale, essendo pretore l'anno innanzi, tornato
Brundisium redierat, inde, in portu relictis navi era dall' Illirico con dieci navi a Brindisi, poi,
bus, quum venisset Romam, inter exponendas lasciate quelle nel porto, era venuto a Roma,
res, quasibi gessisset, haud dubie in regem Illy nell'esporle cose quivi fatte da lui, rovesciò ma
riorum Gentium latrocinii omnis maritimi cau nifestamente addosso a Genzio, re degli Illirii, la
sam avertit. . Ex regno eius omnes naves esse, cagione di tutta la marittima pirateria. « Parti
quae superi maris oram depopulatae essent: de vano dal di lui regno tutte le navi che aveano
lis rebus se legatos misisse, nec conveniendi re saccheggiata la spiaggia del mare superiore:
gis potestatem factam. » Venerant Romam legati aveva egli spediti legati a dolersi di ciò, nè il re
a Gentio, qui, a quo tempore Romani convenien gli avea voluti ricevere. » Erano venuti a Roma
di regis causa venissent, aegrum forte eum in gli ambasciatori di Genzio, i quali dicevano « che
ultimis partibus fuisse regni dicerent. Petere nel tempo, in cui venuti erano i Romani per ab
Gentium ab senatu, ne crederent confictis crimi boccarsi col re, era egli per avventura ammalato
nibus in se, quae inimici detulissent. » Ad ea Du nelle parti ultime del suo regno. Pregava Genzio
ronius adjecit, multis civibus Romanis et sociis il senato che non prestasse fede alle false accuse
Latini nominis injurias factas in regno eius, et che gli davano i suoi nemici. » Al già detto Du
cives Romanos dici Corcyrae retineri. Eos omnes ronio aggiunse che nel regno di Genzio s'eran
Romam adduci placuit: C. Claudium praetorem fatte parecchie soperchierie a molti cittadini Ro
cognoscere; neque ante Gentio regi legatisve ejus mani ed alleati Latini, e dirsi che alcuni di questi
responsum reddi. Inter multos alios, quos pesti si stavano rinserrati in Corcira. Piacque al se
lentia eius anni absumpsit, sacerdotes quoque nato che fossero tutti condotti a Roma; che il
aliquot mortui sunt. L. Valerius Flaccus pontifex pretore Caio Claudio prendesse cognizione della
mortuus est: in eius locum suffectus est. Q. Fa cosa; nè prima si desse risposta al re Genzio, o
bius Labeo. P. Manlius, qui nuper ex ulteriore a suoi ambasciatori. Tra i molti altri, rapiti dalla
Hispania redierat, triumvir epulo: Q. Fulvius pestilenza di quell'anno, morirono exiandio al
M. F. in locum ejus triumvir cooptatus; tum prae quanti sacerdoti. Morì il pontefice Lucio Valerio
textatus erat. De rege sacrifico sufficiendo in lo Flacco: gli fu sostituito Quinto Fabio Labeone.
cum Cn. Cornelii Dolabellae contentio inter C. Morì Publio Manlio ch'era poc'anzi tornato dalla
Servilium pontificem maximum fuit et L. Cor Spagna ulteriore, uno dei triumviri epuloni; gli
nelium Dolabellam duumvirum navalem. Quem, fu surrogato triumviro Quinto Fulvio, figlio di
ut inauguraret, pontifex magistratu sese abdicare Marco, che portava ancora la pretesta. Trattando
jubebat: recusantique id facere ob eam rem mul si di eleggere il re dei sagrifizii in luogo di Gneo
cta duumviro dieta a pontifice; deque ea, quum Cornelio Dolabella, insorse contesa tra il ponte
fice massimo Caio Servilio e Lucio Cornelio Do
provocasset, certatum ad populum. Quum plu
res jam tribus intro vocatae, dicto esse audien labella, duumviro navale; perchè per inaugurare
tem pontifici duumvirum, juberent, mulctaque lo, voleva il pontefice ch'egli prima rinunziasse
remitti, si magistratu se abdicasset; ultimum de il magistrato; il che ricusando quegli di fare, il
coelo, quod comitia turbaret, intervenit. Religio pontefice gl'impose una multa: della quale essen
inde fuit pontificibus inaugurandi Dolabellae. P. dosi appellato il duumviro, la causa fu trattata
Cloelium Siculum inaugurarunt, qui secundo loco dinanzi al popolo. La maggior parte delle tribù,
inauguratus erat. Exitu anni et C. Servilius Ge chiamate dentro, avendo ordinato che il duum
minus pontifex maximus decessit: idem decemvir viro obbedisse al pontefice, e che se gli condonas
sacrorum fuit Pontifex in locum eius a collegio se la multa, se rinunziasse il magistrato, accadde
cooptatus est Q. Fulvius Flaccus: at pontifex in ultimo uno scoppio di fulmine che disciolse i
maximus M. Aemilius Lepidus, quum multiclari comizii. Dopo ciò i pontefici si fecero coscienza
viri pelissent; et decemvir sacrorum Q. Marcius d'inaugurare Dolabella. Inaugurarono Publio
Philippusin eiusdem locum est cooptatus. Et au Clelio Siculo ch'era stato nominato secondo. Sul
gur Sp. Postumius Albinus decessit. In locum fine dell'anno morì anche il pentefice massimo
ejus P. Scipionem, ſilium Africani, augures co Caio Servilio Gemino, che fu eviandio decemviro
i 44 i TITI LIVII LIBER XL.
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optarunt. Cumanis eo anno petentibus permis dei sagrifizii. Quinto Fulvio Flacco fu eletto dal
sum, ut publice latine loquerentur, et praeconi collegio pontefice in suo luogo. Ma benchè aves
bus latine vendendi jus esset. sero chiesto parecchi illustri personaggi, fu eletto
pontefice massimo Marco Emilio Lepido, e de
cemviro dei sagrifizii in di lui luogo Quinto Mar
cio Filippo. Morì anche l'augure Spurio Postu
mio Albino. Gli auguri elessero in suo luogo
Publio Scipione, figlio dell'Africano. Quell'anno
fu permesso a quei di Cuma che usassero negli
atti pubblici la lingua Latina, ed anche ai bandi
tori che la usassero nelle vendite.
XLIII. Pisanis agrum pollicentibus, quo Lati XLIII. Il senato rendette grazie ai Pisani che
ma colonia deduceretur, gratiae ab senatu actae. offerivano terreni, dove condurre una colonia
Triumviri creati ad eam rem Q. Fabius Buteo, M. Latina. Al qual uopo creati furono triumviri
et P. Popillii Laenates. A. C. Maenio praetore Quinto Fabio Buteone, Marco e Publio Popillii
(cui, provincia Sardinia quum evenisset, additum Lenati. Vennero lettere dal pretore Caio Menio
erat, ut quaereret de veneficiis longius ab urbe (al quale, quando gli toccò la Sardegna, s'era
decem millibus passuum) literae allatae: « Se jam aggiunta la commissione d'inquisire dei venefizii
tria millia hominum damnasse, et crescere sibi alla distanza di dieci miglia da Roma), che reca
quaestionem indiciis. Auteam sibi esse deseren vano, e aver egli di già condannate tre mila per
dam, aut provinciam dimittendam. » Q. Fulvius sone, e che le denunzie ogni dì crescevano; gli
Flaccus ex Hispania rediit Romam cum magna era d'uopo o lasciare andar queste, o abbando
fama gestarum rerum. Qui, quum extra urbean nare la provincia. » Quinto Fulvio Flacco tornò
triumphi causa esset, consul est creatus cum L. a Roma dalla Spagna con grande fama di belle
Manlio Acidino; et post paucos dies cum militi imprese. Mentre si stava fuori di Roma per ca
bus, quos secum deduxerat, triumphans urbem gione del trionfo, fu creato console con Lucio
est invectus. Tulit in triumpho coronas aureas Manlio Acidino, e da lì a pochi giorni co soldati,
centum viginti quatuor ; praeterea auri pondo che avea condotti seco, entrò trionfante in Roma.
triginta unum, et signati Oscensis nummùm cen Portò nel trionfo cento ventiquattro corone d'oro;
inoltre trent'una libbre d'oro e cento settantatrè
tum septuaginta tria millia ducentos. Militibus
de praeda quinquagenos denarios dedit, duplex mila duecento monete d'argento Osco. Della pre
centurionibus, triplex equiti, tantumdem so da diede a soldati cinquanta denari, il doppio ai
ciis Latini nominis, et stipendium omnibus centurioni, il triplo a cavalieri, altrettanto agli
duplex. alleati Latini; e a tutti paga doppia.
XLIV. (Anno U. C. 573. – A. C. 179.) Eo XLIV. (Anni D. R. 573. – A. C. 179.) In
anno rogatio primum lata est ab L. Villio tribu quell'anno fu proposta per la prima volta dal
no plebis, quot annos nati quemque magistratum tribuno della plebe Lucio Villio la legge, che de
peterent caperentolue. Inde cognomen familiae terminava quanti anni aver dovesse chiunque do
inditum, ut Annales appellarentur. Praetores mandava, o pigliava un magistrato; di che ne
quatuor post multos annos lege Baebia creati, venne a quella famiglia il soprannome di Annali.
quae alternis quaternos iubebat creari. Hi facti, Dopo l'uso di molt'anni, in questo creati furono
Cn. Cornelius Scipio, C. Valerius Laevinus, Q. solamente quattro pretori per la legge Bebia, la
et P. Mucii Q. F. Scaevoiae. Q. Fulvio e L. Man quale ordinava che se ne eleggessero quattro
lio consulibus eadem provincia, quae superiori alternativamente. Furono eletti Gneo Cornelio
bus, pari numero copiae peditum, equitum, ci Scipione, Caio Valerio Levino, Quinto e Publio
vium, sociorum decretae. In Hispaniis duabus Mucii Scevole figli di Quinto Scevola. Ai consoli
Ti. Sempronio et L. Postumio cum iisdem exer Quinto Fulvio e Lucio Manlio fu assegnata la
citibus, quos haberent, prorogatum imperium stessa provincia, che a loro antecessori, con egual
est: et in supplementum consules scribere jussi numero di fanti e di cavalli, sì de' cittadini, che
ad tria millia peditum Romanorum, trecentos degli alleati. Nelle due Spagne si prorogò il co
equites, quinque millia sociorum Latini nomi mando a Tito Sempronio e Lucio Postumio cogli
mis, et quadringentos equites. P. Mucius Scaevola stessi eserciti, che avevano; e fu commesso ai
urbanam sortitus provinciam est, et ut idem consoli che levassero a supplemento tre mila
quaereret de veneficiis in urbe, et proprius ur fanti Romani con trecento cavalli, e cinque mila
bem decem millia passuum; Cn. Cornelius Scipio fanti degli alleati Latini con quattrocento ca
peregrinam, Q. Mucius Scaevola Siciliam, C. Va valli. Toccò a Publio Mucio Scevola la giurisdi
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1443 TITI LIVII LIBER XL. 1444
lerius Laevinus Sardiniam. Q. Fulvius consul, zione urbana con ordine, che inquisisse dei vene
« prius quam ullam rem publicam ageret, libe fizii in Roma e dieci miglia all'intorno; a Gneo
rare et se et rempublicam religione votis solven Cornelio Scipione la forestiera, a Quinto Mucio
dis, dixit, velle: vovisse, quo die postremum Scevola la Sicilia, a Caio Valerio Levino la Sar
cum Celtiberis pugnasset, ludos Jovi optimo ma degna. Il console Quinto Fulvio dichiarò, a che
ximo, et aedem Equestri Fortunae sese facturum: innanzi di trattare d'altra cosa pubblica qualun
in eam rem sibi pecuniam collatam esse ab Hispa que, voleva disobbligare sè e la repubblica del
nis. » Ludi decreti, et ut duumviri ad aedem lo contratto impegno religioso, sciogliendo i voti:
candam crearentur. De pecunia finitur, « Ne aveva l'ultimo giorno, in cui combattè contro i
major causa ludorum consumeretur, quam quan Celtiberi, fatto voto di celebrare i giuochi in
ta Fulvio Nobiliori, post Aetolicum bellum ludos onore di Giove ottimo massimo, e d'innalzare un
facienti, decreta esset; neve quid ad ecs ludos tempio alla Fortuna Equestre; il danaro a tal
arcesseret, cogeret, acciperet, faceret, adversus uopo gli era stato contribuito dagli Spagnuoli. »
id senatusconsultum, quod L. Aemilio, Cm. Bae Fu decretato che i giuochi si facessero, e che si
bio consulibus de ludis factum esset. - Decreve nominassero due persone per allogar la fabbrica
rat id senatus propter effusos sumptus, factos in del tempio. Quanto al danaro si determina, «che
ludos Ti. Sempronii aedilis, qui graves non modo pe' giuochi non s'impieghi maggior somma di
Italiae ac sociis Latini nominis, sed etiam provin quella, ch'era stata assegnata a Fulvio Nobiliore,
ciis extermis fuerant, quando celebrò i giuochi dopo la guerra degli
Etoli; e che per occasione de medesimi non
avesse Fulvio a chiedere, raccogliere, prendere, o
far cosa contro il decreto del senato, ch'era stato
fatto in proposito del giuochi nel consolato di Lu
cio Emilio e di Gneo Bebio. » Avea fatto il senato
questo decreto per le profuse spese fatte ne giuo
chi dell'edile Tito Sempronio, i quali erano stati
di grave peso non solamente all'Italia ed agli al
leati Latini, ma eviandio alle province di fuori.
XLV. Hiems eo anno nive saeva et omni tem XLV. Il verno in quell'anno fu crudo assai
pestatum genere fuit: arbores, quae obnoxiae per la neve e per ogni sorta di mal tempo: aveva
frigoribus sunt, deusserat cunctas; et ea tum ali abbrustoliti tutti gli alberi, che son più soggetti
quanto, quan alias, longior fuit. Itaque Latinas al freddo, e fu alquanto più lungo, che altre volte
mox subito coorta et intolerabilis tempestas in mai; onde una subita e intollerabil burrasca scom
monte turbavit; instaurataeque sunt ex decreto pigliò le feste Latine sul monte Albano, e quindi
pontificum. Eadem tempestas et in Capitolio ali furono rinnovate per decreto del pontefici. Quella
quot signa constravit, fulminibusque complura stessa burrasca atterrò alquante statue sul Cam
loca deformavit; aedem Jovis Tarracinae, aedem pidoglio e guastò con fulmini parecchi luoghi, il
Albam Capuae, portamoue Romanam: muri pin tempio di Giove a Tarracina, il tempio Albo in
nae aliquot locis decussae erant. Haec inter pro Capua e la porta Romana: altrove furon gettati
digia nunciatum et ab Reate, tripedem natum a terra i merli delle mura. Tra codesti prodigi fu
mulum. Ob ea decemviri, jussi adire libros, edi egualmente annunziato da Reate, esser nato un
dere, quibus diis et quot hostiis sacrificaretur; mulo con tre piedi. Per lo che i decemviri, co
et ob fulminibus complura loca deformata ad mandati di consultare i libri, pubblicarono a
aedem Jovis ut supplicatio diem unum esset. Lu quali dei e con quali vittime si dovesse sagrifica
di deinde votivi Q. Fulvii consulis per dies de re, e che pel guasto fatto a parecchi luoghi dai
cem magno apparatufacti. Censorum inde comi fulmini ci fosse un giorno di preghiere al tempio
tia habita: creati M. Aemilius Lepidus pontifex di Giove. Poscia si celebrarono per dieci giorni
maximus et M. Fulvius Nobilior, qui ex Aetolis con grande apparato i giuochi votivi del console
triumphaverat. Inter hos viros nobiles inimici Quinto Fulvio. Indi si tennero i comizii de'cem
tiae erant, saepe multis et in senatu et ad popu sori: creati furono il pontefice massimo Marco
lum atrocibus celebratae certaminibus. Comitiis
Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore, quegli
confectis, ut traditum antiquitus est, censores che avea trionfato degli Etoli. Era tra questi no
in Campo ad aram Martis sellis curulibus conse bili personaggi grande nimicizia, rinomata per le
derunt; quo repente principes senatorum cum frequenti ed arrabbiate contese tra loro davanti
agmine venerunt civitatis: inter quos Q. Caeci al senato ed al popolo. Terminati i comizii, i cen
lius Metellus verba fecit. -

sori, secondo l'usanza antica, si posero a sedere


1445 TITI LIVII LIBER XL. 1446
in campo Marzio sulle sedie curuli presso all'ara
di Marte, dove subito accorsero i principali sena
tori con numeroso seguito di cittadini; tra quali
Quinto Cecilio Metello così levossi a parlare.
XLVI. « Non obliti sumus, censores, vos XLVI. « Non ci è uscito di mente, o censori,
paullo ante ab universo populo Romano moribus che voi siete stati poc'anzi preposti da tutto il
nostris praepositos esse; et nos a vobis et admo popolo Romano alla guardia de'nostri costumi, e
neri, et regi, non vos a nobis debere. Indican dover noi esser ammoniti e governati da voi, non
dum tamen est, quid omnes bonos in vobis aut voi da noi. Non è però da tacersi ciocchè in voi
offendat, aut certe mutatum malint. Singulos offende tutti i buoni, o che certo vorrebbero ve
quum intuemur, M. Aemili, M. Fulvi, neminem der cangiato. Quando riguardiamo in particolare
hodie in civitate habemus, quem, si revocemur ciascun di voi, o Marco Emilio, o Marco Fulvio,
in suffragium, velimus vobis praelatum esse. Ambo non abbiamo presentemente nessuno in città, cui,
quum simul adspicimus, non possumus non ve se richiamati fossimo a dare il voto, volessimo
reri, ne male comparati sitis, nec tantum reipu anteposto a voi. Quando vi consideriamo con
blicae prosit, quod omnibus nobis egregie place giuntamente ambedue, non possiamo non temere,
tis, quam, quod alter alteri displicetis, noceat. che non siate male appaiati, e che non tanto sia
Inimicitias per annos multos vobis ipsis graves per giovare alla repubblica, che a tutti noi egre
et atroces geritis; quae periculum est, ne ex giamente piacete, quanto per nuocerle, che l'uno
hac die nobis et reipublicae, quam vobis, gravio all'altro vi dispiacete. Nodrite insieme da molti
res ſiant. De quibus causis hoc timeamus, multa anni gravi ed atroci mimicizie, le quali è pericolo
succurrunt, quae dicerentur; nisi forte implaca che da questo giorno non riescano più dannose
biles vestrae irae implicaverint animos vestros. a noi ed alla repubblica, che a voi medesimi. Per
Has ut hodie, ut in isto templo finiatis simul quali cagioni temiamo questo, molte cose ci sov
tates, quaesumus vos universi, et, quos conjun vengono alla mente, che diremmo, se le ire vostre
xit suffragiis suis populus Romanus, hac etiam per avventura implacabili non vi allacciassero gli
reconciliatione gratiae conjungi a nobis sinatis. animi. Che oggi, che in questo tempio vogliate
Uno animo, uno consilio legatis senatum, equi metter fine a codeste vostre nimicizie, tutti ad
tes recenseatis, agatis censum, lustrum condatis: una voce vi preghiamo, e che vi piaccia lasciare
quod in omnibus fere precationibus nuncupabi che coloro, cui congiunse co' suoi suffragii il po
tis verbis, º Ut ea res mihi collegaeque meo bene polo Romano, per opera nostra vieppiù si strin
et feliciter eveniat, « id ita ut vere, ut ex animo gano insieme anche con questa riconciliazione
velitis evenire: efficiatisque, ut, quod deos pre de' vostri cuori; sì che procediate d'un solo
cati eritis, id vos velle etiam homines credamus. animo, d'un solo parere alla elezione del senato,
T. l'atius et Romulus, in cuius urbis medio foro alla rassegna del cavalieri, alla formazione del
acie hostes concurrerant, ibi concordes regna censo, al compimento del lustro, e che quello che
runt. Non modo simultates, sed bella quoque fi in tutte quasi le preghiere proferirete, e che la tal
niuntur: ex infestis hostibus plerumque socii cosa bene e felicemente a me riesca ed al collega,”
fideles, interdum etiam cives fiunt. Albani, diruta quello stesso vogliate veramente e di cuore che
Alba, Romam traducti sunt: Latini, Sabini in così riesca, e facciate in guisa, che noi pure creder
civitatem accepti. Vulgatum illud, quia verum possiamo voler voi sinceramente quello, di che
erat, in proverbium venit: Amicitias immortales, pregato avrete gli dei. Tito Tazio e Romolo re
inimicitias mortales debere esse. » Fremitus or gnarono concordi in quella città, nel mezzo della
tus cum assensu, deinde universorum voces idem cui piazza s'erano affrontati nemici. Non sola
petentium, confusae in unum, orationem inter mente le mimicizie, ma le guerre istesse hanno
pellarunt. Inde Aemilius questus quum alia, tum fine; più d'una volta nemici accaniti si son fatti
bis a M. Fulvio se certo consulatu dejectum. Ful alleati fedeli, talora eziandio concittadini. Gli
vius contra queri, se ab eo semper lacessitum, et Albani, diroccata Alba, furono trasportati a Ro
in probrum suum sponsionem factam : tamen ma; ai Latini, ai Sabini s'è data la cittadinanza;
ambo significare, si alter vellet, se in potestate diventò proverbio quel detto, perchè vero: Le
tot principum civitatis futuros. Omnibus instan amicizie debbon essere immortali, le nimicizie
tibus, quiaderant, desteras fidemgue dedere, mit mortali. Un mormorio levatosi di assentimento,
tere vere ac finire odium. Deinde, collaudanti indi un rimescolarsi di mille voci confuse insie
bus cunctis, deducti sunt in Capitolium ; et cura me, che tutte chiedevano lo stesso, interruppero
super tali re principum, et facilitas censorum l'orazione. Emilio poscia si fe a lagnarsi tra
egregie comprobata ab senatu et laudata est. Cen l'altre cose, specialmente che Fulvio gli avesse
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soribus deinde postulantibus, ut pecuniae summa due volte strappato di mano il consolato; Fulvio
sibi, qua in opera publica uterentur, attribuere all'incontro, che Emilio lo avesse sempre aggre
tur, vectigal annuum decretum est. dito primo e si fosse fatto mallevadore a scapito
di sua riputazione; ambedue però dichiaravano,
che quando all'altro piacesse, avrebbon fatto la
volontà di tanti illustri personaggi. Instando
adunque tutti coloro ch'eran presenti, si die
dero la destra e la fede di deporre sinceramente
e metter fine agli odii loro. Indi, accompagnati
dagli applausi universali, furono condotti in
Campidoglio. Approvò il senato e lodò somma
mente la cura presasi in questo fatto dai princi
pali uomini della città, non che la facile pieghe
volezza dei censori. Poscia avendo questi richiesto
che fosse loro assegnata una somma, di cui valersi
ne' pubblici lavori, fu decretata una data imposta
per quell'anno.
XLVII. Eodem anno in Hispania L. Postu XLVII. L'anno medesimo nella Spagna i pro
mius et Ti. Sempronius propraetores compara pretori Lucio Postumio e Tito Sempronio si ac
verunt ita inter se, utin Vaccaeos per Lusita cordarono insieme in cotal guisa, che Albino per
niam iret Albinus, in Celtiberiam inde reverte la Lusitania andasse ad assalire i Vaccei, indi tor
retur; Gracchus, si majus ibi bellum esset, in ul masse nella Celtiberia; Gracco, se la guerra fosse
tima Celtiberiae penetraret. Mundam urbem pri quivi più grossa, penetrasse nelle parti estreme
mum vi cepit, nocte ex improviso aggressus. Ac della provincia medesima. Gracco prese primie
ceptis deinde obsidibus, praesidioque imposito, ramente Munda, assaltatala all'improvviso di
castella oppugnare, agros urere, donec ad prae notte; indi, ricevuti alquanti ostaggi, messovi
validam aliam urbem (Certimam appellant Cel presidio, si fe' a combattere i castelli e bruciare
tiberi) pervenit: ubi quum jam opera admove i villaggi sino a che giunse ad un'altra città molto
ret, veniunt legati ex oppido, quorum sermo an forte, detta dai Celtiberi Certima. Quivi, mentre
tiquae simplicitatis fuit, non dissimulantium bel Gracco stava accostando le macchine, vengono
laturos, si vires essent. Petierunt emim, ut sibi in ambasciatori dalla terra, non dissimulando con
castra Celtiberorum ire liceret ad auxilia acci antica semplicità, che avrebbono combattuto, se
pienda: si non impetrassent, tum separatim eos non mancasser loro le forze. Chiesero pertanto
ab illis se consulturos. Permittente Graccho, licenza di recarsi al campo dei Celtiberi a chie
ierunt, et post paucis diebus alios decem legatos dere soccorso; se non l'ottenessero, allora avreb
secum adduxerunt. Meridianum tempus erat : bono da sè soli pensato a casi loro. Avuta la per
nihil prius petierunt a praetore, quam ut bibere missione da Gracco, andarono, e pochi giorni di
sibi juberet dari. Epotis primis proculis, iterum poi menaron seco altri dieci legati. Era l'ora del
poposcerunt; magno risu circumstantium in tam mezzo giorno, nè altro chiesero prima al pretore,
rudibus et moris omnis ignaris ingeniis. Tum ma se non che li facesse bere. Votati i primi bicchieri,
ximus natu ex iis, a Missi sumus, inquit, a gente altri nuovamente ne chiesero, con grande riso dei
nostra, qui sciscitaremur, qua tandem re fretus circostanti alla vista di gente così zotica ed ignara
arma nobis inferres? » Ad hanc percunctatio d'ogni colto costume. Allora il più vecchio di
nem Gracchus, a Exercitu se egregio fidentem coloro, « Siamo, disse, mandati dalla nostra na
venisse, respondit; quem si ipsi visere velint, zione a chiederti in che cosa confidando vieni a
quo certiora ad suos referant, potestatem se muoverci guerra ? » A codesta interrogazione
eis facturum esse: º tribunisque militum im Gracco rispose, « ch'egli era venuto confidando
perat, ut ornari omnes copias peditum equitum in un esercito valoroso, il quale se volessero essi
que, et decurrere jubeant armatas. Ab hoc spe stessi vederlo, onde darne a loro concittadini più
ctaculo legati missi deterruerunt suos ab auxi certa contezza, gli avrebbe appagati: º quindi
lio circumsessae urbi ferendo. Oppidani, quum comanda a tribuni del soldati che faccian met
ignes nocte turribus nequidquam (quod signum tere in assetto tutte le genti a piedi ed a cavallo
convenerat) sustulissent, destituti ab unica spe ed eseguissero armate diversi movimenti. I legati
auxilii, in deditionem venerunt. Sestertiàm qua stati spediti, visto codesto spettacolo, stornarono
ter et vicies ab iis est exactum, quadraginta i loro concittadini dal pensiero di soccorrere la
mobilissimi equites: nec obsidum nomine (mam città assediata. I terrazzani, avendo invano la
i 449 TITI LIVII LIBER XL. 145o
militare jussi sunt), et tamen re ipsa, ut pignus notte accesi fuochi sull'alto delle torri, com'era
fidei essent. il segno convenuto, privati dell'unico soccorso
che speravano, si arrendettero. S'impose loro
ventiquattro migliaia di sesterzi e quaranta
nobili cavalieri; nè questi col nome di ostaggi
(perciocchè dovettero militare), in fatto però,
perchè fossero pegno di fede.
XLVIII. Inde jam duxit ad Alcem urbem, ubi XLVIII. Di là si condusse ad Alce, dove sta
castra Celtiberorum erant, a quibus venerant nu vansi accampati i Celtiberi, dond'eran venuti
per legati. Eos quum per aliquot dies, armatu poc'anzi i legati. Avendoli per alquanti giorni,
ram levem immittendo in stationes, lacessisset mandando la leggera armatura ad insultare le lor
parvis proeliis, in dies majora certamina sere poste, provocati con piccole scaramucce, ogni
bat, ut omnes extra munitiones eliceret. Ubi, giorno rinforza maggiormente la pugna, onde
quod petebatur, sensit effectum, auxiliorum prae trarli tutti fuori dello steccato. Come vide effet
fectis imperat, ut, contracto certamine, tamquam tuato quello che cercava, ordina ai prefetti degli
multitudine superarentur, repente tergis datis, aiuti che rallentando il combattere, quasi fossero
ad castra effuse fugerent. Ipse intra vallum ad soperchiati dal numero, voltate improvvisamente
omnes portas instruxit copias. Haud multum tem le spalle, si fuggissero dirottamente al campo:
poris intercessit, quum ex composito refugien egli intanto dentro lo steccato pose le genti in
tium suorum agmen, post effuse sequentes bar ordinanza a tutte le porte. Non passò molto tem
baros conspexit. Instructam ad hoc ipsum intra po che vide i suoi tornar fuggendo, com'era il
vallum habebat aciem : itaque tantum moratus, convenuto, e poscia i barbari alle spalle che gl'in
utsuos refugere in castra libero introitu sineret, seguivano. Aveva dentro lo steccato ordinata la
clamore sublato, simul omnibus portis erupit. gente a tal uopo. Quindi indugiato solamente
Non sustinuere impetum necopinatum hostes: tanto che potessero i suoi rientrare liberamente
qui ad castra oppugnanda venerant, ne sua qui nel campo, levato un gido, balzò fuori ad un trat
dem tueri potuerunt; nam extemplo fusi, fugati, to da tutte le porte. Non sostennero i nemici
mox intra vallum paventes compulsi, postremo l'urto impensato, e quelli ch'eran venuti ad as
exuuntur castris. Eo die novem millia hostium saltate il campo altrui, non poterono guardare
caesa: capti vivi trecenti viginti, equi centum nè anche il proprio; perciocchè subitamente sba
duodecim,signa militaria triginta septem. De exer ragliati, messi in fuga, poi respinti spaventati
citu Romano centum novem ceciderunt. nello steccato, in fine sono spogliati del loro al
loggiamenti. Furono uccisi in quel giorno nove
mila nemici, presi vivi trecento e venti, cento e
dodici cavalli, trentasette bandiere. Non perirono
dell'esercito Romano che cento e nove uomini.
XLIX. Ab hoc proelio Gracchus duxitad depo XLIX. Dopo questa battaglia Gracco condus
pulandum Celtiberiam legiones; et, quum ferret se le legioni a devastare la Celtiberia, e portan
passim cumcta atque ageret, populique alii volun do il guasto da per tutto, e i popoli, altri di vo
tate, alii metu jugum acciperent, centum tria op lontà, altri ricevendo il giogo per paura, ebbe in
pida intrapaucos dies in deditionem accepit; prae poter suo tra pochi giorni cento e tre castelli, e
da potitus ingenti est. Convertitinde agmen retro, si fe' padrone d'immensa preda. Indi retroce
unde venerat,ad Alcen,atqueeam urbem oppugna dendo, rivolse nuovamente l'esercito ad Alce,
re institit. Oppidani primum impetum hostium donde s'era mosso, e si pose a combatterla. I ter
sustinuerunt: deinde, quum jam non armis modo, razzani sostennero il primo impeto de'nemici;
sed etiam operibus oppugnarentur, diffisi praesi poi combattuti non solamente dall'armi, ma
dio urbis, in arcem universi concesserunt: postre eziandio da lavori, poco fidando nella forza della .
mo et inde, praemissis oratoribus, in ditionem città, si ritiraron tutti nella rocca : in fine anche
se suaque omnia Romanis permiserunt. Magna di là, premessi alcuni ambasciatori, sè diedero ed
inde praeda facta est. Multi captivi nobiles in pote ogni cosa loro in potere de' Romani. Se n'ebbe
statem venerunt; inter quos et Thurri filii duo et gran preda. Molti nobili furon fatti prigionieri,
filia. Regulus hic earum gentium erat,longe poten tra quali anche due figli ed una figlia di Turro.
tissimus omnium Hispanorum. Audita suorum cla Era questi il re di quelle nazioni, il più potente
de, missis, qui fidem venienti in castra ad Grac di tutta la Spagna. Udita la sconfitta de' suoi,
chum peterent, venit; et primum quaesivit ab eo, mandati alcuni che chiedessero a Gracco di po
« ne sibi liceret ac suis vivere ? » Quum praetor ter egli venire al campo in sicurtà, vi venne, e
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victurum respondisset; quaesivititerum, « si cum prima lo domandò, « se lo lasciassero vivere lui


Romanis militare liceret? Id quoque Graccho per ed i suoi 2 º avendo risposto il pretore, a che vi
mittente, a Sequar, inquit, vos adversus veteres vrebbe, o domandò nuovamente, « se gli fosse
socios meos, quoniam illos ad me propiunt suspi permesso di militare coi Romani?» Consentendo
cere. » Secutus est inde Romanos, fortique ac Gracco anche a questo, « Vi seguirò, disse, contro
fideli opera multis locis rem Romanam adjuvit. i miei vecchi alleati, poi che negano di soccor
rermi. » Indi seguì sempre i Romani, e con opera
forte e fedele coadiuvò le imprese Romane.
L. Ergavia inde, nobilis et potens civitas, alio L. Ergavia di poi, città illustre e potente,
rum circa populorum cladibus territa, portas spaventata dalla strage di tutti i popoli d'intorno,
aperuit Romanis. Eam deditionem oppidorum aperse le porte ai Romani. Alcuni scrivono che
haud cum fide factam, quidam auctores sunt: e codesta dedizione di castelli non fu fatta di buo
qua regione abduxisset legiones, extemplo inde ma fede; che come ritirate s'erano da un paese
rebellatum, magnoque eum postea proelio ad le legioni, quello subito si ribellava, e che di poi
montem Chaunum cum Celtiberis a prima luce ebbe un gran fatto d'armi coi Celtiberi a ban
ad sextam horam diei signis collatis pugnasse ; diere spiegate presso al monte Cauno dall'alba
multos utrimogue cecidisse; nec aliud magnope insino all'ora sesta del giorno; che molti furon
re, ne victos crederes, fecisse Romanos, misi quod morti dall'una parte e dall'altra; nè altro aver
postero die lacessierint proelio manentes intra fatto i Romani per non crederli vinti, che il dì
vallum, spolia per totum diem legerint; tertio seguente provocare a battaglia quelli ch'eran ri
die proelio majoreiterum pugnatum, et tum de masti nello steccato, ed averne per tutto quel di
mum haud dubie victos Celtiberos, castraque raccolte le spoglie; che il terzo giorno si com
eorum capta et direpta esse. Viginti duo millia battè ancora più fieramente, e che in fine allora
hostium eo die esse caesa, plus trecentos captos; furon vinti decisamente i Celtiberi, e presi e sac
parem fere equorum numerum ; et signa milita cheggiati i loro alloggiamenti. Essersi uccisi in
ria septuaginta duo. Inde debellatum, veramque quel dì ventidue mila nemici, presine più di tre
pacem, non fluxa, ut ante, fide, Celtiberos fecis cento; un quasi eguale numero di cavalli e settan
se. Eadem aestate et L. Postumium in Hispania tadue bandiere; che da quel giorno ebbe fine la
ulteriore bis cum Vaccaeis egregie pugnasse scri guerra, e che i Celtiberi fecero una pace, non
bunt. Ad triginta et quinque millia hostium oc come innanzi malfida, ma vera. E scrivono aver
cidisse, et castra oppugnasse. Propius vero est, Lucio Postumio nella state medesima combattuto
serius in provinciam pervenisse, quan ut ea ae due volte felicemente contro i Vaccei nella Spa
state potueritres gerere. gna ulteriore, uccisi da trentacinque mila nemici
e preso il loro campo. Sembra più prossimo al
vero ch'egli arrivato sia nella provincia tardi
tanto, che non abbia potuto fare codeste cose in
quella state.
LI. Censores fideli concordia senatum lege LI. I censori, fedeli nella concordia, nomina
runt. Princeps electus est ipse censor M. Aemi rono il senato. Ne fu eletto principe lo stesso
lius Lepidus pontifex maximus: tres ejecti de censore Marco Emilio Lepido, pontefice mas
senatu. Retinuit quosdam Lepidus a collega prae simo: tre senatori furono rimossi; alcuni ne ri
teritos. Opera ex pecunia attributa divisa que in tenne Lepido, ommessi dal collega. I lavori che
ter se haec confecerunt. Lepidus molem ad Tarra fecero del danaro assegnato e ripartitosi tra loro,
cinam, ingratum opus, quod praedia habebatibi, furon questi. Lepido fece un molo a Tarracina,
privatamque publicae rei impensam imposuerat. opera che non piacque, perchè egli avea quivi i
Theatrum et proscenium ad Apollinis, aedem suoi poderi, innestando così la pubblica spesa col
Jovis in Capitolio, columnasque circa poliendas privato vantaggio. Diede a polire ed imbiancare
albos locavit: et ab his columnis, quae incom il teatro ed il proscenio presso al tempio di
mode opposita videbantur, signa amovit; cly Apollo, il tempio di Giove sul Campidoglio e le
peaque de columnis, et signa militaria affixa colonne che sono intorno, e levò via da queste
omnis generis dempsit. M. Fulvius plura et ma colonne le statue, che sembravan torre la vista,
joris locavit usus: portum et pilas pontis in Ti e così gli scudi e le bandiere d'ogni sorta che vi
berim; quibus pilis fornices post aliquot annos erano affisse. Marco Fulvio allogò più altri lavori
P. Scipio Africanus et L. Mummius censores lo e di uso più rilevante: il porto e le pile del ponte
caverunt imponendos: basilicam post argenta sul Tevere, sopra le quali alquanti anni dipoi i
rias novas et forum piscatorium circumdatis ta censori Publio Scipione Africano e Lucio Mum
1 453 TITI LIVII LIBER XL. 1454
bernis, quas vendidit in privatum ; et forum et mio fecero fare gli archi: una basilica, dietro le
porticum extra portam Trigeminam, et aliam botteghe nuove degli orafi, e il mercato del pesce,
post navalia, et ad fanum Herculis, et post Spei con taverne all'intorno, che vendette a privati;
ad Tiberim aedem Apollinis Medici. Habuere et e la piazza e il portico fuori della porta Trige
in promiscuo praeterea pecuniam. Ex ea com mina, e un altro portico dietro l'arsenale, e pres
muniter locarunt aquam adducendam, fornices so al tempietto di Ercole, e dietro a quello della
que faciendos. Impedimento operi fuit M. Lici Speranza sul Tevere, un tempio ad Apollo Medi
nius Crassus, qui per fundum suum duci non est co. Ebbero eziandio altro denaro in comune, con
passus. Portoria quoque et vectigalia iidem mul che uniti allogarono l'acqua da condursi a Roma,
ta instituerunt. Complura sacella publica, quae e la fattura degli acquedotti. Impedì l'opera
fuerant occupata a privatis, publica sacraque ut Marco Licinio Crasso, il quale non permise che
essent, paterent ſue populo, curarunt. Mutarunt la si conducesse pel suo podere. Stabilirono ezian
suffragia; regionatim due generibus hominum, dio molti pedaggi e gabelle. Molte cappelle pub
causisque et quaestibus tribus descripserunt. bliche ch'erano state occupate dai privati, fecero
che ridonate fossero al pubblico e agli usi sacri, e
stessero aperte al popolo. Cangiarono il modo di
dare i suffragii, e descrissero le tribù per quartie
ri secondo la qualità delle persone, i loro mestieri
e guadagni.
LII. Et alter ex censoribus M. Aemilius petit Lll. Il censore Marco Emilio chiese eziandio
ab senatu, ut sibi dedicationis templorum Regi al senato che gli fosse decretato il danaro per ce
nae Junonis et Dianae, quae bello Ligustino ante lebrare i giuochi per la dedicazione dei tempii di
annis octovovisset, pecunia ad ludos decernere Giunone Regina e di Diana, dei quali avea fatto
tur. Viginti millia aeris decreverunt. Dedicavit voto ott'anni innanzi nella guerra della Liguria.
eas aedes, utramque in circo Flaminio; ludosque Gli decretarono ventimila assi. Dedicò egli quei
scenicos triduum post dedicationem templi Ju tempii, l'uno e l'altro nel circo Flaminio, e fece
nomis, biduum post Dianae, et singulos dies fe per tre giorni i giuochi scenici dopo la dedicazio
cit in circo. Idem dedicavitaedem Larium Per ne del tempio di Giunone, per due dopo quella
marinum in Campo. Voverat eam annis undecim di Diana, e sempre nel circo. Il medesimo dedicò
ante L. Aemilius Regillus, navali proelio adver il tempietto dei Lari Permarini in campo Marzio.
sus praefectos regis Antiochi. Supra valvas tem Ne avea fatto il voto undici anni avanti Lucio
pli tabula cum titulo hoc fixa est: « Duello ma Emilio Regillo nella pugna navale contro i pre
gno regibus dirimendo “ caput subigendis pa ſetti del re Antioco. Sopra la porta del tempio fu
trandae pacis haec pugna exeunti L. Aemilio M. apposta una tabella con questa inscrizione: «Per
Aemilii filio auspicio, imperio, felicitate ductu la grande pugna navale, avvenuta sotto il coman
que ejus inter Ephesum, Samum, Chiumque, in do ed i felici auspici di Lucio Emilio, figlio di
spectante cos. Ipso Antiocho, exercitu omni, Marco, tra Efeso, Samo e Chio, nella quale a vista
equitatu, elephantisque, classis regis Antiochi del re Antioco medesimo e di tutto l'esercito suo
antea sic victa, fusa, contusa, fugataque est, ibi la di lui flotta fu vinta, sbaragliata e fracassata,
que eo die naves longae cum omnibus sociis ca e se gli presero sessanta due navi lunghe, ed egli
ptae LXII. Ea pugna pugnata, rex Antiochus re e il regno suo si son fatti tributarii del popolo
gnumque ”. Ejus rei ergo aedem Laribus Per Romano, tempio per voto del vincitore eretto ai
marinis vovit. » Eodem exemplo tabula in aede Lari Permarini. » Altra tavola con simile inscri
Jovis in Capitolio supra valvas fixa est. zione fu posta sopra una delle porte del tempio
di Giove in Campidoglio.
LIII. Biduo, quo senatum legerunt censores, LIII. In que due giorni, ne' quali i censori
Q. Fulvius consul, profectus in Ligures, per in elessero il senato, il console Quinto Fulvio, an
vios montes vallesque saltus cum exercitu trans dato in Liguria, traversando coll'esercito monti
gressus, signiscollatis cum hoste pugnavit: ne e valli e passi quasi insuperabili, venne a giorna
que tantum acie vicit, sed castra quoque eodem ta campale col nemico: nè solamente lo vinse, ma
diecepit.Tria millia ducenti hostium, omnisque lo spogliò degli alloggiamenti nel dì medesimo.
ea regio Ligurum in deditionem venit. Consul Tre mila e duecento nemici si arrendettero e tut
deditos in campestres agros deduxit, praesidia ta quella parte della Liguria. Il console fe scen
que montibus imposuit. Celeriter et ex provin dere al piano tutti costoro e pose qua e colà
cia literae Romam venerunt. Supplicationes ob presidii ne'monti. Presto ne venne a Roma la
eas res gestas in triduum decretae sunt. Praeto notizia, e si decretarono per queste imprese tre
1455 TITI LIVII LIBER XL. 1456
res quadraginta hostiis majoribus per supplica giorni di preghiere. I pretori sagrificarono qua
tiones rem divinam fecerunt. Ab altero consule ranta vittime maggiori. L'altro console Lucio
L. Manlio nihil memoria dignum in Liguribus Manlio non fe” nella Liguria cosa degna di me
est gestum. Galli Transalpini, tria millia homi moria. I Galli Transalpini, in numero di tre mi
num, in Italiam transgressi,neminem bello laces la, calati in Italia, senza offender nessuno coll'ar
sentes, agrum a consulibus et senatu petebant, mi, chiedevano ai consoli ed al senato alquanto
ut pacati sub imperio populi Romani essent. Eos terreno, onde vivere in quiete sotto l'impero
senatus excedere Italia jussit, et consulem Q. del popolo Romano. Ordinò loro il senato che
Fulvium quaerere, et animadvertere in eos, qui uscissero d'Italia, e fu commesso al console
principes et auctores transcendendi Alpes fuis Quinto Fulvio di rintracciare e punire coloro
sent. che gli aveano consigliati ed eccitati a valicare
le Alpi.
LIV. Eodem anno Philippus rex Macedonurn, LIV. L'anno medesimo Filippo re de'Mace
senio et moerore consumptus post mortem ſilii, doni, consumato da vecchiezza e da dolore per la
decessit. Demetriade hibernabat, quum desiderio morte del figlio Demetrio, cessò di vivere. Sver
anxius filii, tum poenitentia crudelitatis suae. nava egli a Demetriade col cuor trafitto per la
Stimulabat animum et alter filius, haud dubie et perdita del figliuolo, e pentito di sua crudeltà. Gli
sua et aliorum opinione rex, conversidue in eun cruciava l'animo anche l'altro figlio, già re sen
omnium oculi, et destituta senectus; aliis exspe za contrasto e nella propria e nell'altrui opinio
ctantibus suam mortem, aliis ne exspectantibus ne, e tutti gli occhi rivolti a lui, e la derelitta vec
quidem. Quo magis angebatur, et cum eo Anti chiezza; altri aspettando, altri nè anche aspettan
gonus Echecratis filius, nomen patrui Antigoni do la sua morte. Di che vieppiù condolevasi con
ferens, qui tutor Philippi fuerat, regiae vir ma lui Antigono, figlio di Echecrate, il quale portava
jestatis, nobili etiam pugna adversus Cleomenem il nome di suo zio, già stato tutore di Filippo;
Lacedaemonium clarus. Tutorem eum Graeci, ut uomo di regia maestà e chiaro per la illustre
cognomine a ceteris regibus distinguerent, ap vittoria riportata contro Cleomene Spartano, e
pellarunt. Hujus fratris filius Antigonus ex ho cui i Greci chiamarono tutore, onde così distin
moratis Philippi amicis unus incorruptus per guerlo dagli altri re. Antigono, figlio di un di lui
manserat; eique ea fides, nequaquam amicum fratello, era il solo del più distinti consiglieri di
Persea, inimicissimum fecerat. ls, prospiciens Filippo rimasto incorrotto, e codesta sua fede,
animo, quanto cum periculo suo hereditas re non che amico, gli avea fatto Perseo nimicissimo.
gni ventura esset ad Persea, ut primum labare Antigono prevedendo con quanto suo pericolo
animum regis, et ingemiscere interdum filii de la successione del regno sarſa venuta in mano di
siderio sensit ; nunc praebendo aures, nunc la Perseo, come tosto si accorse che l'animo del re
cessendo etiam mentionem rei temere actae, sae balenava e che talvolta gemeva egli sulla perdita
pe querenti querens et ipse aderat: et quum mul del figliuolo, ora prestandogli l'orecchio, ora
ta assoleat veritas praebere vestigia sui, omni ope provocandolo a far menzione della poca conside
adjuvabat, quo maturius omnia emanarent. Su ratezza usata in quel fatto, spesso all'affanno del
specti et ministri facinoris, Apelles maxime et re l'affetto proprio meschiava ; e siccome la ve
Philocles, erant; qui Romam legati fuerant, li rità lascia dietro sè parecchi vestigii, si adopera
terasque exitiales Demetrio sub nomine Flamini va in ogni maniera, onde ogni cosa al più presto
mi attulerant. venisse a luce. Eran sospetti, quai ministri del
misfatto, Apelle specialmente e Filocle; i quali
erano stati legati a Roma, ed avean recata la let
tera sotto il nome di Flaminino, che fu cagione
della morte di Demetrio.
LV. Falsas esse, et a scriba vitiatas, signum LV. Nella regia si vociferava comunemente
que adulterinum, vulgo in regia fremebant. Ce che quella era lettera falsa, contraffatta da chi la
terum, quum suspecta magis, quam manifesta scrisse e col suggello adulterato. Del resto, essen
esset res, forte Xychus obvius fit Antigono, com do la cosa più sospetta che evidente, Antigono si
prehensusque ab eo in regiam est perductus. Re abbattè a caso in Xico, ed arrestatolo il condusse
licto eo custodibus, Antigonus ad Philippum pro alla regia. Lasciatolo in mano alle guardie, Anti
cessit. « Multis, inquit, sermonibus intellexisse gono recossi al re. « Parmi, disse, da molti tuoi
videor, magno te aestimaturum, si scire vera discorsi, che ti sarebbe assai caro, se tu potessi
omnia possis de filiis tuis, uter ab utro petitus sapere intieramente il vero de'tuoi figliuoli, qual
fraude et insidiis esset. Hono unus omnium, qui dei due abbia insidiato, tradito l'altro. ll solo
1457 TITI LIVII LIBER XL. 1458
modum hujus erroris exsolvere possit, in pote uomo sopra tutti che possa sciogliere questo
state tua est Xychus. Forte vocatum perductum nodo, è in poter tuo, egli è Xico; fallo chiamare
que in regiam vocari juberet. » Adductus primo e venire alla reggia. - Trattovi cominciò dappri
ita negare inconstanter, ut, parvo metu admoto, ma a negare con così poca fermezza, da vedersi
paratum indicem esse appareret.Conspectum tor chiaramente che atterritolo alquanto, avrebbe
toris verberumque non sustinuit, ordinemque tosto rivelato il tutto. Non sostenne l'aspetto
omnem facinoris legatorum ministeriique sui ex del carnefice e dei tormenti e manifestò tutta
posuit. Extemplo missi, qui legatos comprehen la trama dei legati e dell'opera da lui prestata.
derent, Philoclem, qui praesens erat, oppresse La gente, mandata subito ad arrestare i legati,
runt: Apelles, missus ad Chaeream quemdam colse Filocle ch'era presente: Apelle, spedito
persequendum, indicio Xychi audito, in Italiam ad inseguire un certo Cherea, udita la rivela
trajecit. De Philocle nihil certi vulgatum est. zione fatta da Xico, passò in Italia. Quanto a
Alii primo audaciter negantem, postguam in con Filocle, non se ne seppe altro di certo. Alcuni
spectum adductus sit Xychus, non ultra teten dicono, che avendo da principio sfacciatamente
disse; alii tormenta etiam inficiantem perpessum negato, poi che fu messo a fronte di Xico, non
affirmant. Philippo redintegratus est luctus ge insistette più oltre; alcuni dicono che tollerò
minatusque; et infelicitatem suam in liberis gra anche i tormenti sempre negando. Rinnovossi a
viorem, quod alter perisset, censebat. Filippo e raddoppiossi il dolore, e si stimava egli
tanto più infelice, quanto che gli restava un altro
figliuolo.
LVI. Perseus, certior factus omnia detecta LVI. Perseo, fatto certo che s'era scoperto
esse, potentior quidem crat, quam ut fugam ne il tutto, avea però cotanta potenza che non isti
cessariam duceret: tantum, ut procul abesset, mò necessario punto fuggire: solamente procu
curabat, interim velut ab incendio flagrantis irae, rava di starsi lontano, onde intanto così scher
dum Philippus viveret, se defensurus; qui, spe mirsi, quasi da incendio, dalla bollente ira di
potiundi ad poenam corporis ejus amissa, quod Filippo, sino a tanto ch'egli fosse vivo. Questi,
reliquum erat, id studere, ne super impunitatem perduta la speranza di poter avere Perseo nelle
etiam praemio sceleris frueretur. Antigonuni igi mani per castigarlo, pensava alla sola cosa che gli
tur appellat; cui et palam facti parricidii gratia rimaneva, ed era far sì, che Perseo, oltre l'impu
obnoxius erat, neque pudendum, aut poeniten nità, non avesse eziandio a godersi il premio di
dum eum regem Macedonibus, propter recentem sua scelleratezza. Chiama dunque Antigono, cui
patrui Antigoni gloriam, fore censebat. « Quan era tenuto della scoperta del fratricidio e il quale
do in eam fortunam veni, inquit, Antigone, ut riputava dover riescire a Macedoni re non ispre
orbitas mihi, quam alii detestantur parentes, gevole, nè discaro per la fresca rinomanza di
optabilis esse debeat; regnum, quod a patruo Antigono suo zio. « Poichè, disse, o Antigono, a
tuo forti, non solum fideli, tutela eius custodi tale son venuto di dover bramare quello che gli
tum et auctum etiam accepi, id tibi tradere in altri padri hanno in orrore, di rimanere senza
animo est. Te unum habeo, quem dignum regno figliuoli, ho deliberato di tramandarti quel regno
judicem. Si neminem haberem, perire et exstin che ho ricevuto da tuo zio, dalla forte e fedele
gui id mallem, quam Perseo scelestae fraudis opera sua custodito ed ampliato. Non ho altri
praemium esse. Demetrium excitatum ab inferis che te; tu solo mi sembri degno di regnare. Se
restitutumque credam mili, si te, qui morti in tu mancassi, preferirei che il regno perisse e si
nocentis, qui meo infelici errori umus illacryma annientasse piuttosto che diventasse premio del
sti, in locum ejus substitutum relinquam. ” Ab l'iniqua frode di Perseo. Crederò Demetrio ri
hoc sermone omni genere honoris producere suscitato e rendutomi, se lascerò sostituito in
eum non destitit. Quum in Thracia Perseus abes luogo suo te, che solo piangesti la morte dell'in
set, circumire Macedoniae urbes, principibusque nocente e lo sciagurato error mio. » Dopo queste
Antigonum commendare; et, si vita longior sup parole non cessò mai, ricolmandolo di ogni sorta
petisset, haud dubium fuit, quineum in posses di onori, di metterlo in mostra. Essendo Perseo
sione regni relicturus fuerit. Ab Demetriade pro assente in Tracia, si fe' Filippo a girare per le
fectus, Thessalonicae plurimum temporis mora città della Macedonia ea raccomandare Antigono
tus fuerat: inde quum Amphipolin venisset, gra a que principali cittadini, e se avesse avuto più
vi morbo est implicitus. Sed animo tamen ae lunga vita, non era dubbio che lo avrebbe lascia
grum magis fuisse, quan corpore, constat; cu to in possesso del regno. Partitosi da Demetriade
risque et vigiliis (quum identidem species et avea lungamente soggiornato in Tessalonica, indi
umbrae insontis interempti filii agitarent) exstin essendo venuto in Anfipoli, cadde in grave ma
Livio 2 92
1459 TITI LIVll LIBER XL 146o
ctum esse cum diris exsecrationibus alterius. lattia; ma tiensi per certo ch'egli fosse più infer
T'amen admoneri potuisset Antigonus, si haud mo dell'animo che del corpo, e che le angosce
statim palam facta esset mors regis. Medicus Cal e le veglie (travagliandolo continuamente la im
ligenes, qui curationi praeerat, non exspectata magine e l'ombra dell'ucciso innocente figliuolo),
morte regis, a primis desperationis notis nuncios il misero a morte tra le orribili imprecazioni che
praedispositos, ita ut convenerat, misit ad Per scagliava contro l'altro. Avria potuto Antigono
seum; et mortem regis in adventum eius omnes, averne avviso, se non si fosse inaspettatamente
qui extra regiam erant, celavit. pubblicata la morte del re. Il medico Calligene
che assisteva alla cura, non aspettata la morte di
Filippo, ai primi segni di disperata salute mandò
messi, già predisposti secondo il convenuto, a
Perseo, e sino alla sua vennta, tenne a tutti quelli
ch'eran fuori della reggia, celata la morte del re.
LVII. Oppressit igitur necopinantes ignaros LVII. Potè adunque Perseo coglier tutti al
que omnes Perseus, et regnum scelere partum l'improvviso e ignari dell'accaduto, e invase il
invasit. Peropportuna mors Philippi fuit ad di regno colla scelleraggine conquistato. La morte
lationem, et ad vires bello contrahendas. Nam di Filippo fu molto opportuna ad acquistare
post paucis diebus gens Bastarnarum, diu solli tempo e a raccoglier forze per la guerra. Percioc
citata, ab suis sedibus magna peditum equitum chè da lì a pochi giorni la nazione de'Bastarni,
que manu Istrum trajecit: inde praegressis, qui cui già da gran tempo Filippo sollecitava, parti
nunciarent regi, Antigono et Cottoni (nobilis tasi di casa, passò l'Istro con grande moltitudine
di fanti e di cavalli: indi andati innanzi a recar
erat Bastarna; et Antigonus perinvitus cum ipso
Cottone legatus ad concitandos Bastarnas missus) ne avviso a Filippo Antigono e Cottone (era
haud procul Amphipoli fama, inde certi nuncii questi uno de più illustri Bastarni, e Antigono
occurrerunt, mortuum esse regem : quae res era stato spedito contro sua voglia insieme con
omnem ordinem consilii turbavit. Compositum Cottone a sollevare i Bastarni), non lungi da
autem sic fuerat: transitum per Thraciam tu Anfipoli prima incontraron la fama, poscia sicu
ri messi colla notizia della morte del re. Il che
tum et commeatus l'astarnis ut Philippus prae
staret. Id ut facere posset, regionum principes scompigliò tutto l'ordine del disegno, e l'orditu
donis coluerat, fide sua obligata, pacato agmine ra n'era questa: che Filippo manteneva ai Ba
transituros Bastarnas. Dardanorum gentem de starni il passo sicuro per la Tracia e le vettova
lere propositum erat, inque eorum agro sedes glie; il che a poter fare aveva il re accarezzati
fundare Bastarnis. Duplex inde erat commodum con regali i capi del paese, obbligando la sua fe
futurum, si et Dardani, gens semper infestissi de, che i Bastarni sarebbono passati pacatamente.
ma Macedoniae, temporibus iniquis regum im Erasi proposto di spegnere la nazione dei Dardani
minens, tolleretur ; et Bastarnae, relictis in Dar e nelle loro terre fondare stanze ai Bastarni. Ne
dania conjugibus liberisque, ad populandam Ita sarebbe riuscito doppio vantaggio, se si fossero
liam possent mitti. « Per Scordiscos iter esse ad distrutti i Dardani, nazione sempre nimicissima
mare Hadriaticum Italiamque: alia via traduci dei Macedoni e ne' tempi calamitosi pronta sem
exercitum non posse: facile Bastarmis Scordiscos pre a farsi addosso ai re della Macedonia, e se si
iter daturus. Nec enim aut lingua aut moribus fosse potuto far sì, che i Bastarni, lasciate nella
aequales abhorrere; et ipsos adjuncturos se, Dardania le mogli ed i figliuoli, andassero a sac
quum ad praedam opulentissimae gentis ire vi cheggiare l'Italia. «Pel paese degli Scordisci c'era
dissent. Inde in omnem eventum consilia com il cammino che guidava al mare Adriatico ed all'I
modabantur: sive caesi ab Romanis forent Ba talia; non si poteva condurre l'esercito per altra
starnae, Dardanos tamen sublatos, praedamque via. Avrebbono facilmente gli Scordisci dato il
ex reliquiis Bastarnarum, et possessionem libe passo ai Bastarni che non erano dissimili nè di
ram Dardaniae, solatio fore; sive prospere ges lingua, nè di costumi; anzi si sarebbono uniti ad
sissent, Romanis aversis in Bastarnarum bellum, essi, vedendo che si portavano a depredare una
recuperaturum se in Graecia, quae amisisset. ricchissima nazione. » Poi questo partito si acco
Haec Philippi consilia fuerant. modava ad ogni evento: o i Bastarni sarebbono
stati tagliati a pezzi dai Romani, e nondimeno i
Dardani spenti, la preda delle reliquie de'Bastarni
e il libero possedimento della Dardania avrebbon
dato qualche conforto; o avrebbe la fortuna secon
dato i Bastarni, ed essendo i Romani volti a guer
1461 Tl l I LlVll LIBER XL,
1462
reggiare contro di questi, avrebbe egli ricuperato
tutto quello che avea perduto nella Grecia. Erano
questi i ragionamenti di Filippo.
LVIII. Ingressi sunt pacato agmine, fide Cot LVIII. Entrarono adunque i Bastarni pacifi
tonis et Antigonis. Sed haud multo post famam camente nella Tracia sotto la fede di Cotone e di
mortis Philippi neque Thraces commercio fa Antigono; ma non molto dopo udita la morte di
eiles erant, neque Bastarnae empto contenti esse Filippo, nè i Traci si prestavano ad un facile
poterant, aut in agmine contineri, ne decede commercio, nè i Bastarni potevano contentarsi
rent via. Inde injuriae ultro citroque fieri: qua di quello che comperavano, nè essere sì stretta
rum in dies incremento bellum exarsit. Postre
mente tenuti in ordinanza, che non uscissero di
mo Ihraces, quum vim ac multitudinem susti via. Donde cominciarono gl'insulti da una parte
nere hostium non possent, relictis campestribus e dall'altra; i quali ogni dì crescendo, scoppiaro
vicis, in montem ingentis altitudinis (Donucam
no in guerra. In fine i Traci, non potendo soste
vocant) concesserunt. Quo ubi ire Bastarnae vel nere la forza e moltitudine de'nemici, abbando
lent, quali tempestate Gallos spoliantes Delphos nate le borgate del piano, si ritirarono sopra un
fama est peremptos esse, talis tum Bastarnas, monte di smisurata altezza, che chiamano Donuca.
nequidquam ad juga montium appropinquan Dove salir volendo i Bastarmi, mentre tentano
tes, oppressit. Neque enim imbre tantum effu invano di accostarsi alle cime della montagna, un
so, dein creberrima grandine obruti sunt, cum fiero temporale, simile a quello che si dice aver
ingenti fragore coeli tonitribusque et fulguri distrutto i Galli che spogliavano il tempio di
bus praestringentibus aciem oculorum ; sed ful Delfo, gli oppresse. Perciocchè furono soverchia
mina etiam sic undigue micabant, ut peti vide ti non solamente da diluvio immenso di pioggia,
rentur corpora; mec solum milites, sed etiam poi da foltissima grandine, con gran fragore del
principes, icti caderent. Itaque, quum praecipiti cielo, con tuoni e baleni che toglievano la vista;
fuga per rupes praealtas improvidi sternerentur ma i fulmini eziandio così da per tutto guizzava
ruerentque, instabant quidem perculsis Thraces, no, che parean drizzarsi alle persone, e cadean
sed ipsi deos auctores fugae esse, coelumque in percossi non solamente i soldati, ma eviandio i
se ruere ajebant. Dissipati procella, quum, tam capi loro. Quindi fuggendo precipitosamente per
quam ex naufragio, plerique semiermes in castra, quelle balze dirupate, non pochi cadendo, o giù
unde profecti erant, redissent; consultari, quid tombolando, i Traci gl'incalzavano così, com'era
agerent, coeptum: inde orta dissensio aliis re no sbigottiti; ma i Bastarni dicevano essere autori
deundum, aliis penetrandum in Dardaniam cen di quella fuga gli dei, che rovinavano loro addos
sentibus. Triginta ferme millia hominum (Clon so il cielo. Dispersi dalla procella, tornati essen
dico duce profecti erant) per venerunt. Cetera do, quasi scampati fossero da un naufragio, i più
multitudo retro, qua venerant, transdanubia mezzo disarmati al campo, dond'erano partiti,
nam regionem repetiit. Perseus, potitus regno, cominciarono a consultare che far dovessero.
interfici Antigonum jussit; et dum firmaretres, Poscia insorse questione, altri opinando che si
legatos Romam ad amicitiam paternam renovan tornasse a casa, altri che si penetrasse nella Dar
dam, petendumque, ut rex ab senatu appella dania. Vi andarono da tre mila uomini ch'eran
retur, misit. Haec eo anno in Macedonia gesta. partiti di casa sotto la condotta di Clondico. La
restante moltitudine per la via, dond'erano ve
nuti, tornossi di là dal Danubio. Perseo, insigno
ritosi del regno, fe'uccidere Antigono, e insino
a tanto che si assodasse sul trono, mandò amba
sciatori a Roma a rinnovare l'amicizia paterna, e
a chiedere che il senato lo chiamasse re. Queste
sono le cose fatte quell'anno in Macedonia.
LIX. Alter consulum Q. Fulvius ex Liguri L1X. L'altro console Quinto Fulvio trionfò
bus triumphavit; quem triumphum magisgra de'Liguri, trionfo che si sapeva conceduto piut
tiae, quam rerum gestarum magnitudini, datum tosto al favore, che alla grandezza delle imprese.
constabat. Armorum hostilium magna vin trans Portò in quel giorno grande quantità d'armi
tulit; nullam pecuniam admodum. Divisit ta nemiche, ma nessuna affatto somma di danaro.
men in singulos milites tricenos aeris, duplex Nondimeno divise a soldati trenta assi per ciascu
centurionibus, triplex equiti. Nihil in eo trium
mo, il doppio al centurione, il triplo al cavaliere.
pho magis insigne fuit, quam quod forte evenit, Non altra cosa fu maggiormente da notarsi in
uteodem die triumpharet, quo priore anno ex quel trionfo, che trionfò in quel giorno medesi
1463 TITI LIVII LIBER XL. 1464
praetura triumphaverat. Secundum triumphum mo, in cui trionfato aveva l'anno innanzi all'usci
comitia edixit, quibus creati consules M. Junius re dalla pretura. Dopo il trionfo intimò i comizii,
Brutus, A. Manlius Vulso. Praetorum inde, tri ne'quali furono creati consoli Marco Giunio Bru
bus creatis, comitia tempestas diremit. Postero to ed Aulo Manlio Vulsone. I comizii de'pretori,
die reliqui tres facti ante diem quartum Idus essendone già stati creati tre, furono disciolti
Martias, M. Titinius Curvus, Ti. Claudius Nero. da un temporale. Gli altri tre furono fatti il dì
T. Fontejus Capito, Ludi Romani instaurati ab seguente avanti il quarto giorno degl'Idi di Mar
aedilibus curulibus Cn. Servilio Caepione, Ap. zo, Marco Titinio Curvo, Tito Claudio Nerone
Claudio Centhone, propter prodigia, quae eve e Tito Fonteio Capitone. Gli edili curuli Gneo
nerant. Terra movit: in foris publicis, ubi le Servio Cepione ed Appio Claudio Centone rin
ctisternium erat, deorum capita, quae in lectis novarono i giuochi Romani a cagione dei prodigii
erant, averterunt se; lanaque cum integumentis, ch'erano accaduti. La terra tremò sulle pubbli
quae Jovi opposita fuit, decidit. Demensa oleas che piazze: dove c'era il lettisternio, le teste
quoque praegustasse mures, in prodigium ver degli dei che posavano coricate sui letti, s'erano
sum est. Ad ea expianda nihil ultra, quam ut ludi rivolte ad altra parte, e la lana cogli integumenti,
instaurarentur, actum est. ch'era posta davanti a Giove, cadè, e fu eziandio
stimato prodigio che i topi avessero assaggiate le
ulive in sulla mensa. Ad espiare così fatti prodi
gii non si fe altro che rinnovare i giuochi.
TITI LIVII PATAVINI

H I S T O R I A R U M
AB URBE CONDITA LIBRI

stº69333

EPITOME

LIBRI QUADRAGESIMI PRIMI

Ignis in aede Vestae exstinctus est. Ti. Sempronius Il fuoco nel tempio di Vesta si estinse. Il proconsole
Gracchus proconsul Celtiberos victos in deditionem ac Tito Sempronio Gracco ricevette a patti i Celtiberi
cepit, monumentumque operum suorum, Gracchurim vinti, e diede il suo nome nella Spagna alla città di
oppidum in Hispania constituit. Et a Postumio Albino Graccuri, in memoria delle sue geste. Anche i Vaccei
proconsule Vaccaei ae Lusitani subacti sunt : uterque e i Lusitani soggiogati furono dal proconsole Postu
triumphavit, Antiochus, Antiochi filius, obses Romanis mio Albino. L'uno e l'altro trionfò. Antioco, figlio
a patre datus, mortuo fratre Seleuco, qui patri de di Antioco, dato dal padre ostaggio a Romani, morto
functo successerat, in regnum Syriae ab urbe dimis il fratello Seleuco ch'era al padre succeduto, fu da
sus. Lstrum a censoribus conditum est : censa sunt Roma mandato in Siria a regnare. I censori chiudono
eivium capita ducenta sezaginta tria millia ducenta il lustro: si son moverate ducento sessanta tre mila

nonaginta quatuor Q. Voconius Saxa tribunus plebis ducento novanta quattro teste di cittadini. Il tribuno
legem tulit, ne quis heredem mulierem institueret: della plebe Quinto Voconio Saxa portò la legge, che
suasit legem M. Cato: exstat oratio eius. Praeterea nessuno istituisse erede una femmina: sostenne la
res contra Ligures, Istros, Sardos et Celtiberos, a proposta Marco Catone, si conserva la di lui orazio
compluribus ducibus prospere gestas, et initia belli ne. Il libro inoltre contiene le felici imprese fatte da
Macedonici continet, quod Perseus, Philippi filius, parecchi capitani contro i Liguri, gl'Istriani, i Sardi,
moliebatur: miserat enim ad Carthaginienses legatio i Celtiberi, e i principii della guerra Macedonica, che
nem, et ab iis nocte audita erat : sed et alias Graeciae Perseo, figlio di Filippo, macchinava. Perciocchè avea
eivitates sollicitabat : qui praeter religionem, quod spedita un'ambasciata ai Cartiginesi, alla quale era
guam multa templa magnifica multis locis erezit, stata data udienza di notte, e sollecitava eziandio
Athenis Jovis Olympii, et Antiochiae Capitolini, vilis altre città della Grecia. Tranne la religione, per cui
simum regem egit. eresse molti magnifici tempii in molti luoghi, in Atene
quello di Giove Olimpico, in Antiochia quello di Gio
ve Capitolino, fu re da nulla,
TITI LIVII

L I B E R QU A D R AG E SI MUS PR I MUS

–èº3

I (I) (Anno U. C. 574. – A. C. 178.) Jan [ (I) (Anni D. R. 574. – A. C. 178) Già
per omnes orbis terrarum partes victricia po il popolo Romano avea portate intorno l'armi
pulus Romanus circumtulerat arma, dissitasque sue vittoriose per tutte le parti del mondo,
procul et sejunctas non uno mari regiones lon ed avea corse largamente le regioni più distanti
ge lateque pervaserat. Sed, in tanta fluentium e da più di un mare divise. Nondimeno, in
ex voto rerum felicitate moderationis tamen tanta felicità di cose avvenutegli a grado de' suoi
adeptus laudem, auctoritate magis, quam im voti acquistatasi lode di moderazione, più per
perio, pollebat: et apud exteras gentes plura autorità poteva, che per forza di comando, e
consilio, quan vi et terrore, gerere se gloriaba si gloriava di usare più spesso verso le na
tur. In devictos populos regesque non acerbus, zioni estere il consiglio, che la violenza ed il
munificus erga socios, sibi solum victoriae decus terrore. Non aspro verso i popoli ed i re debel
appetens, suam regibus majestatem, populis, vel lati, liberale verso gli alleati, non aspirando che
in aequo, vel etiam in impari foedere, suastamen all'onore della vittoria, avea conservata a regnanti
leges, sua jura libertatemque servaverat: atque la loro maestà ed ai popoli, ricevuti in lega a
adeo armis utramque maris mediterranei oram patti ed anche non pari, le loro leggi, i diritti e
a Gadibus ad Syriam usque complexus, et per la libertà, e quindi abbracciata con l'armi l'una
immensos terrarum tractus reverentia nomini e l'altra sponda del Mediterraneo da Cadice sino
Romano conciliata, subjectos tamen ditioni solos alla Siria, e conciliata per immensi tratti di paese
habebat Siciliae, et circumjectarum Italiae insu grande riverenza al nome Romano, tenea però
larum, et pleraeque Hispaniae, jugum tamen non soggetti al suo dominio i soli popoli della Sicilia
dum docili ferentis cervice, populos. Augendae e delle circostanti isole dell'Italia e della maggior
dominationi causam materiamoue praebuit potius parte della Spagna, che non sopportava ancora
inconsulta hostium et aemulorum pravitas, quam il giogo docilmente. Diede cagione e materia ad
ipsius ambitio. Persei in primis, Macedoniae re ampliare la dominazione piuttosto la mal consi
gnum per fraudem ac scelus adepti, crudelitas gliata pravità dei nemici e degli emoli, che la sua
in populares omnibus invisa, vesana inter immen propria ambizione. La crudeltà principalmente
sas opes avaritia, inconsiderata in capiendis exse di Perseo verso i suoi sudditi, che il rendeva
quendisque consiliis levitas, et illum pessumde generalmente odioso, di Perseo salito al trono
dere, et quaecumque stante hoc praecipuo Ro di Macedonia per la via della frode e della scelle
manae potentiae velut freno stare poterant. Re raggine, la smisurata avarizia sua in mezzo ad
dundavit enim in alios ejus casus, nec finitimo immense ricchezze, la sua inconsiderata legge
rum tantum; sed eorum etiam, qui longius re rezza nel prendere e nell'eseguire i presi partiti,
moti erant, ruinam traxit. Macedonum exitium tutto questo rovesciò lui e quant'altro potea starsi
secuta cum Achaeis Carthago: atque, horum cla in piedi, stando lui quasi freno principale alla
i 171 TITI LIVII LIBER XLI. 1472
dibus convulso omnium statu, reliqua jam impe Romana potenza. Perciocchè la sua caduta rim
ria, aliquamdiu obnoxia, post paulo eversa, in Ro balzò sopra gli altri e seco trasse la rovina non
manum imperium cuncta cesserunt. Atgue haec, solamente de'confinanti, ma eviandio di quelli
utlocis temporibusque diversa, ita re conjuncta, ch'erano più lontani. Al precipizio de'Macedoni
sub uno aspectu hic ponere libuit, intuenti im tenne dietro quello degli Achei e di Cartagine,
minens mox Romanis a Perseo bellum, unde ini e col perire di questi crollato lo stato di tutti,
tium maxime crescendi res Romanae cepere. Il anche gli altri imperii, per alcun tempo ligii e
lud bellum tumc coquebat occultum Perseus: la poco dopo rovesciati, vennero tutti a rifondersi
cessebant magis, quam exercebant Romana arma nell'impero Romano. Tutti questi avvenimenti,
Ligures et Galli. ] diversi per luoghi e per tempi, ma però uniti
quanto al fatto, mi piacque registrarli qui sotto
un solo aspetto, mentre considero la guerra, che
già sovrasta a Romani per parte di Perseo, donde
le Romane cose trassero massimamente principio
di grande incremento. Covava allora Perseo oc
cultamente codesta guerra, ed i Liguri ed i Galli
piuttosto provocavano,che non esercitavan l'armi
I (II) M. Junio Bruto, A.Manlio Vulsoni consu Romane. ] -

libus decretae ergo provinciae sunt, Gallia et Ligu [ (II) Si assegnarono dunque ai consoli Marco
res: Manlio Gallia, Junio Ligures obtigere. Praeto Giunio Bruto ed Aulo Manlio Vulsone la Gallia ed
ribus, M.Titinio Curvo urbana, Ti. Claudio Neroni i Liguri: toccò la Gallia a Manlio, a Giunio i Ligu
peregrina jurisdictio evenit; P. Aelio Liguri Sici ri. De'pretori ebbe Marco Titinio Curvo la giu
lia, T. Aebutio Caro Sardinia, M. Titinio (duo risdizione urbana, Tito Claudio Nerone la fore
enim M. T'itinii praeturam hoc anno gesserunt.) stiera; Publio Elio Ligure la Sicilia, Tito Ebuzio
Hispania citerior, T. Fontejo Capitoni ulterior. Caro la Sardegna, Marco Titinio (chè in questo
Incendium circa forum ortum est, quo et pluri anno furono pretori due Titinii) la Spagna cite
ma deusta sunt, et Veneris aedes sine ullo vesti riore, Tito Fonteio Capitone la ulteriore. Scoppiò
gio cremata. Vestae penetralis ignis exstinctus. un incendio vicino al foro, che abbruciò parec
Virgo, cujus custodia fuerat, jussu M. Aemilii chi edifizii; il tempio di Venere rimase consunto
pontificis maximi ſlagro caesa, et supplicationes senza lasciare alcun vestigio di sè. In quello di
de more habitae sunt. Lustrum hoc anno a cen Vesta il fuoco sacro si estinse. La vergine, cui ne
soribus M. Aemilio Lepido, M. Fulvio Nobiliore spettava la custodia, fu battuta colle verghe per
conditum est. Censa sunt civium capita ducenta ordine del pontefice Marco Emilio, e si fecero
septuaginta tria millia, ducenta quadraginta qua le consuete preghiere. In quest'anno fu chiuso il
tuor. Legati a Perseo Macedonum rege venerunt lustro dai censori Marco Emilio Lepido e Marco
postulantes, ut rex sociusque et amicus a senatu Fulvio Nobiliore. Si son moverate duecento set
appellaretur, foedusque cum eo, quod cum Phi tanta tre mille duecento quarantaquattro teste
lippo patre ejus fuerat, renovaretur. Suspectus di cittadini. Vennero ambasciatori dal re Perseo
invisusque erat Romanis Perseus, nec dubitabant a chiedere che il senato volesse nomarlo re ed
plerique, quin bellum, a Philippo tot per annos alleato ed amico, e rinnovare con esso lui l'allean
occultis consiliis instructum, ubi primum daretur za ch'era stata con Filippo suo padre. Era Perseo
occasio, viresque ei suae satis placuissent, illatu sospetto e mal veduto dai Romani, e i più non
rus esset. Tamen, me quietum et pacis studiosum dubitavano ch'egli non avesse a muover guerra
lacessisse, belloque causam ipsi dedisse videren al popolo Romano, guerra già per tant'anni oc
tur, postulata ei sua concesserunt. Perseus, hoc cultamente ordita da Filippo, come tosto se ne
accepto responso, firmatum jam omnino sibi re offerisse l'occasione e fosse delle sue forze ba
gnum existimans, opes apud Graecos parare sta stantemente contento. Nondimeno per non parere
tuit. Cupidus ergo comparandae eorum amici di aver provocato un re quieto ed amante del
tiae, quotquot aeris alieni causa aut judicio dam la pace e avergli data cagione di pigliar l'armi,
nati solum verterant, quique ob majestatis cri acconsentirono alle sue domande. Perseo, avuta
mina Macedonia excesserant, universos in Mace questa risposta, stimando d'esser fermamente
doniam revocavit, edictis in insula Delo ac Del assiso sul trono, deliberò di procacciarsi aumento
phis, et in templo Itoniae Minervae palam pro di forze presso i Greci. Voglioso pertanto di
positis, quibus non modo impunitatem, sed etiam acquistarsi la loro amicizia, richiamò in Macedo
bonorum omnium restitutionem, cum fructibus nia tutti quelli che per cagione di debiti, o per
ab eo tempore, ex quo quisque exsularet, rede condannagione avean mutato paese, o ch'erano
-

1473 TITI LIVII LIBER XLI. 1474


untibus concedebat. Sed etiis, qui in Macedonia usciti di Macedonia per delitti di lesa maestà,
degebant, quidquid debebatur fisco, remisit; avendo fatto pubblicare editti nell'isola di Delo
cunctosque ob crimen majestatis vinctos liberavit. e a Delfo e nel tempio di Minerva Itonia, co' quali
His rebus quum multorum animos arrexisset, concedeva a chi tornasse non solo l'impunità,
Graeciam in se convertit omnem, et magna spe ma eziandio la restituzione di tutti i beni co'frutti
implevit. Quin etiam in toto reliquae vitae cultu dal tempo corso dal bando di ciascuno. E a quelli
regiam dignitatem tuebatur. Nam et species erat stessi che vivevano in Macedonia, condonò tutte
honesta, et corpus ad omnia belli pacisque munia le somme, di che erano debitori al fisco, e liberò
obeunda validum et habile, et frontis ac super tutti i detenuti per delitto di lesa-maestà. Avendo
cilii decora maturae jam aetati majestas. Nihil in con ciò rilevata la fiducia di parecchi, rivolse gli
eo paternae lasciviae, effusaeque in Venerem et sguardi di tutta la Grecia verso di sè e riempilla
vina libidimis. His laudibus Perseus initia prin di grandi speranze. Ed anche in tutta la maniera
cipatus commendabat, haud pares inceptis habi del viver suo conservava la regia dignità. Per
tura exitus. ] ciocchè egli era bello di persona ed aveva il corpo
robusto ed abile a tutte le funzioni della guerra
e della pace, e nella fronte e nel ciglio una maestà
conveniente all'età sua di già matura. Niente
in lui della paterna lascivia, niente di sfrenata
intemperanza ne piaceri di Venere e di Bacco.
Con queste qualità rendea Perseo commendabili
i principii del suo regno, a quali poi non dovea
corrispondere il fine. ]
[ (III) Antequam praetores ii, qui Hispanias [ (III) Avanti che i pretori, a quali toccate
sortiti fuerant, in provincias venirent, magnae erano le Spagne, vi fossero arrivati, aveano colà
res ibi gestae sunt a Postumio et Graccho. Sed operate gran cose Postumio e Gracco. Ma la mas
Gracchi praecipua laus fuit, qui aetate florens, sima lode fu quella di Gracco, il quale sul fiore
quum virtute animi et prudentia aequales omnes dell'età, superando tutti gli eguali in valore ed
multum anteiret, et ingenti jam tum fama cele in senno, già sin d'allora godeva gran fama e
brabatur, et majorem in futurum de se spem destava vie maggiori speranze per l'avvenire.
concitabat. Carabin, urbem sociam Romanorum, Venti mila Celtiberi combattevano Carabi, citta
viginti millia Celtiberorum oppugnabant. Grac alleata de' Romani. Gracco corse a soccorrere gli
chus ad opem sociis ferendam properavit. llla alleati. Lo travagliava il pensiero in qual maniera
sollicitudo angebat, quonam modo consilium potesse far conoscere il suo disegno agli alleati,
suum obsessis significaret, tam arcta obsidione cui strigneva sì fortemente il nemico, che parea
prementibus urbem hostibus, ut vix eo nuncius quasi impossibile potervi introdurre un messo.
commeare posse videretur. Arduum negotium L'arditezza di Cominio ci riuscì. Comandante
expedivit Cominii audacia. ls equitum turmae di una banda di cavalleria, ponderata bene tra sè
praefectus, re prius apud se perpensa, et Grac la cosa e messo Gracco a parte del suo pensa
cho, quid pararet, admonito, Hispanico indutus mento, indossato un vestito spagnuolo, si mescolò
sago, pabulatoribus hostium se immiscuit. Cum tra i foraggiatori nemici. Entrato nel campo in
his castra ingressus, hinc cursu ad urbem conten sieme con essi, di corso si lancia nella città e dà
dit, nunciatº ue adventare Tiberium. Oppidani l'avviso che Tiberio veniva. I terrazzani, ritratti
ex ultima desperatione ad alacritatem atque au a questa notizia dall'ultima disperazione alla gioia
daciam hoc nuncio excitati, obfirmatis ad fortiter e all'ardimento, vie più ostinatisi a resistere
repugnandum animis, die tertio, adventu Grac gagliardamente, il terzo di, alla venuta di Grac
chi digressis hostibus, obsidione exempti sunt. co, sciolti furono dall'assedio. Lo stesso Gracco
Ipse postea Gracchus fraude barbarorum appeti dipoi, assalito con frode dai barbari, con le forze
tus, periculum viribus arte adjutis ita discussit, aiutate dall'arte dissipò il pericolo sì fattamente,
ut dolus in auctores verteret. Complega erat urbs che l'inganno ricadde sugli autori. Era Com
aliquot ante amnis condita, sed valida muris et plega una città, fabbricata da alquanti anni in
celeribus incrementis aucta, in quan multi Hispa nanzi, ma forte di mura e rapidamente salita ad
norum concurrerant, qui prius egentes agro huc incremento, essendovi concorsi molti Spagnuoli,
illuc vagari cogebantur. Ex ea urbe prodeuntes i quali, privi di tutto, costretti erano di qua e là
ad viginti hominum millia, supplicum habitu, ra vagare per la campagna. Uscitine da venti mila
mosque oleae porrigentes, in conspectu castro uomini, in atteggiamento di supplicanti, per
l'ullll º" paceum oraturi constiterunt. Mlox, tando alto nelle mani rami "no, fermaronsi
,1 , 10 2 o
14,5 'l'ITI LIVII LIBER XLI. 1476
abjectis precantium insignibus, ex improviso ag dinanzi al campo Romano, quasi a pregar pace.
gressi Romanos, pavore actumultu omnia com Da lì a poco, gettate le mentite insegne, assal
pleverunt. Gracchus sapienti consilio castra per tando all'improvviso i Romani, tutto empierono
simulationem fugae deseruit: quae illidum solita di disordine e di spavento. Gracco, con saggio
barbaris aviditate diripiumt, seseque praeda prae accorgimento, abbandonò il campo, fingendo di
pediunt, reversus subito, et nihil tale metuentes fuggire; ma mentre coloro lo mettono a sacco
adortus, plurimos cecidit, atque etiam ipsa urbe coll'avidità propria de'barbari e si sopraccari
potitus est. Sunt, qui rem aliter narrent: Grac cano di preda, egli, dato di volta subitamente, ed
chum, quum comperisset hostem inopia laborare, assaltandoli alla sprovvista, moltissimi ne uccise,
castra instructissima omnibus esculentis deseruis e s'impadronì eziandio della città. V'ha chi
se: quae adeptum hostem, et repertis intempe narra la cosa diversamente; che Gracco, sapendo
ranter repletum gravemdue, reducto exercitu che il nemico pativa di carestia, abbandonò il
Romano, subito oppressum esse. Ceterum, sive campo pieno d'ogni sorta di vettovaglie, e che
laec diversa est eiusdem rei gestae narratio, sive il nemico, avendolo preso ed essendosi intempe
alia plane res ac victoria, complures certe popu rantemente riempiuto e gravato de'cibi che vi
los Gracchus, atque adeo totam Celtiberorum trovò, tornato indietro l'esercito Romano, fu
gentem perdomuit. Cepisse eum et evertisse tre subitamente oppresso. Del resto, o sia lo stesso
centas ex iilis urbes quamquam Polybius gravis fatto diversamente narrato, o altra diversa im
in primis auctor memorat, haud tamen pro certo presa e vittoria, Gracco certamente soggiogò
affirmare ausim, nisi si urbium nomine turres et parecchi popoli e quasi tutta la nazione de'Cel
castella intelligenda sunt: quo mendacii genere tiberi. Quantunque riferisca Polibio, autore ac
etipsi bellorum duces, et scriptores quoque histo creditato, ch'egli prese loro e smantellò trecento
riarum res gestas exornare amant. Nam Hispania città, non oserei affermarlo, se pure col nome
quidem arido et inculto solo magnam urbium di città non si voglia intendere torri e castelli;
multitudinem alere non potest. Repugnant etiam sorta di mendacii, co' quali egli stessi condottieri
IIispanorum mores, si accolas nostri maris exci d'eserciti, ed anche gli storici sogliono adornare
pias, feri agrestesque, quum civilibus urbium le fatte imprese. Perciocchè la Spagna, di suolo
conventibus mansuetiora fieri soleant hominum arido ed incolto, non può nodrire sì grande
ingenia. Ceterum quidquid statuendum sit de nu moltitudine. Vi ripugnano eziandio i costumi
mero aut genere urbium a Sempronio captarum degli Spagnuoli, se ne eccettui quelli che abitano
( etenim in numero variant quoque scriptores, et le coste del nostro mare, costumi fieri ed agresti,
centum quinquaginta alii, alii centum tria oppida quando l'indole degli uomini nel frequente con
ab eo capta memoravere), magnas certe ille res versare delle città suole farsi più mansueta. Del
gessit; mec bellicis tantum inclaruit laudibus, resto, checchè si voglia affermare del numero o
sed et egregium se pacis legumque moderatorem della qualità delle città prese da Sempronio (chè
et arbitrum devictis gentibus praebuit. Nam et variano gli scrittori anche nel numero, altri no
di visit inopibus agrum, et sedes ad habitandum verandone cento cinquanta, altri cento e tre),
assignavit, et omnibus ea loca incolentibus popu certo grandi furono le imprese sue; nè solamente
lis leges accurate descriptas, ex quibus in amicitia fu chiaro per belliche lodi, ma si mostrò alle
ac societate populi Romani viverent, dato acce vinte nazioni l'arbitro e donatore egregio di pace
ptoque jurejurando firmavit. Atque hujus qui e di leggi. Perciocchè assegnò terre ai poveri e
dem foederis auctoritatem saepius imploravit se stanze, dove abitassero, e dettò a tutti que popoli
quens aetas in bellis, quae postea oria sunt. Grac leggi accuratamente scritte, con le quali vivessero
chus monumentum virtutis operumque suorum in amicizia ed alleanza col popolo Romano, e
Gracchurim urbem suo nomine insignem esse vo raffermolle con giuramento reciprocamente dato
luit. quae antea Illurcis nominabatur. Postumi e ricevuto. E l'autorità di questo trattato ſu spes
rerum fama obscurior est. Vaccaei tamen ab eo
so invocata dall'età posteriore nelle guerre che
et Lusitani subacti sunt, et quadraginta ex his sono insorte di poi. Volle Gracco che a monu
populis hominum millia interfecti. His rebus mento del valore e delle imprese sue insignita
gestis ambo,advenientibus successoribus exercitus fosse del suo nome la città di Graccuri che prima
ac provincias quum tradidissent, ad triumphum era detta Illurci. È più oscura la fama delle cose
decesserunt. I operate da Postumio; nondimeno assoggettò i
Vaccei e i Lusitani, e uccise loro da quaranta
mila uomini. Dopo codesti fatti, ambedue, conse
gnati gli eserciti e le province ai successori, tor
narono a Roma a chiedere il trionfo. I
1 477 TITI LIVII LIBER XI.1. 1478
[ (IV) In Gallia Manlius consul, cui ea pro [ (IV.) Nella Gallia il console Manlio, cui toc
vincia obvenerat, quum triumpho materia dees cata era quella provincia, mancandogli la mate
set, oblatam a fortuna belli adversus Istros mo ria a trionfare, abbracciò avidamente l'occasione
vendi occasionem cupide amplexus est. Aetolos offertagli dalla fortuna di muover guerra agli
pridem bellantes quum adjuvissent Istri, muper Istriani. Avendo questi alcun tempo innanzi dato
quoque tumultuati fuerant. Praeerat tum illis fe aiuto agli Etoli contro i Romani, s'erano anche
rocis ingenii rex Aepulo, qui gentem I a patre di fresco ribellati. Li comandava allora il re
in pace habitam armasse, eoque juventuti prae Epulone, d'indole feroce, il quale l dicevasi, che
dandi cupidae pergratus esse dicebatur. avesse messo in arme [ la nazione, I tenuta in
pace dal padre, con che renduto s'era assai grato
alla gioventù avida di bottino.
I. (V) Consilium de Istrico bello quum ha I. (V) Tenendo il console consulta intorno
beret consul, alii gerendum extemplo, antequam alla guerra Istriana, altri eran d'avviso che
contrahere copias hostes possent, alii consulen s'imprendesse subito, innanzi che i nemici radu
dum prius senatum censebant. Vicit sententia, mar potessero le loro genti, altri che si dovesse
quae diem non proferebat. Profectus ab Aquileia prima interrogare il senato. Vinse il parere che
consul castra ad lacum Timavi posuit (imminet non ammetteva dilazione. Partitosi il console da
mari is lacus); eodem decem navibus C. Furius Aquileia si accampò presso il lago del Timavo
duumvir navalis venit. Adversus Illyriorum clas (sta questo lago quasi sopra al mare). Venne co
sem creati duumviri navales erant, qui tuendam là con dieci legni il duumviro navale Caio Furio.
viginti navibus maris superi ora e Anconam velut Erano stati creati i duumviri navali contro la
cardinem haberent: inde L. Cornelius dextra flotta Illirica, acciocchè guardassero con venti navi
litora usque ad Tarentum, C. Furius laeva usque nel mar di sopra Ancona, come punto di mezzo;
ad Aquilejam tueretur. Eae naves ad proximum sì che da Ancona Lucio Cornelio a destra custo
portum in Istriae fines cum onerariis et magno disse la costa sino a Taranto; Caio Furio a sini
commeatu missae; secutusque cum legionibus stra sino ad Aquileia. Queste navi erano state
consul quique ferme millia a mari posuit castra. spedite al porto vicino sui confini dell'Istria,
In portu emporium brevi per frequens factum, con legni da carico e con molte vettovaglie; e il
omniaque hinc in castra supportabantur. Et, quo console, seguendole colle legioni, pose il campo
id tutius fieret, stationes ab omnibus castrorum quasi a cinque miglia discosto dal mare. Il porto
partibus circumdatae sunt ; in Istriamo ue suum in breve diventò un mercato frequentatissimo, e
praesidium stativum, repentina cohors Placentina di là si trasportava ogni cosa al campo; e per ciò
opposita inter mare et castra: et, ut idem aqua fare con maggior sicurezza, tutte le parti del
toribus ad fluvium esset praesidium, M. Aebu l'accampamento erano circondate da poste; e
tius tribunus militum secundae legionis duos verso l'Istria fu messa a presidio stabile una
manipulos militum adjicere jussus est. T. et C. coorte tratta in fretta da Piacenza, tra il mare e
Aelii tribuni militum legionem tertiam, quae l'accampamento: ed acciocchè la medesima ser
pabulatores et lignatores tueretur, via, quae visse di difesa agli acquaiuoli, Marco Ebuzio,
Aquilejam fert, duxerant. Ab eadem regione tribuno de'soldati della seconda legione, ebbe
mille ferme passuum castra erant Gallorum : ordine di aggiungervi due compagnie. Tito e
Catmelus pro regulo erat tribus haud amplius Caio Elii, tribuni del soldati, aveano per la stra
millibus armatorum. da che mena ad Aquileia, condotta la terza legio
ne che proteggesse quelli che andavano a far
legne e foraggi. Alla medesima parte, distante
all'incirca un miglio, era l'accampamento dei
Galli: v'era Catmelo, luogotenente del re, con
non più di tremila armati.
II. (VI) Istri, ut primum ad lacum Timavi II. (VI) Gl'Istriani, come tosto il campo dei
castra sunt Romana mota, ipsi post collem occul Romani cominciò a muoversi verso il lago del
to loco consederunt, et inde obliquis itineribus Timavo, si piantarono dietro una collina in luogo
agmen sequebantur, in ommem occasionem inten occulto, e di là per nascosti sentieri seguivano
ti; nec quidquam eos, quae terra marique age l'esercito, attenti a cogliere ogni occasione; nè
rentur, fallebat. Postguam stationes invalidas esse sfuggiva loro checchè si facesse per terra o per
pro castris, forum turba inermis frequens inter mare. Poi che videro le poste davanti al campo
castra et mare mercantium, sine ullo terrestri esser deboli, la piazza tra il campo e il mare fre
aut maritimo munimento, viderunt; duo simul quentata da una turba inerme di mercadanti,
1479 TITI LIVII LIBER XLI. 148o

praesidia, Placentinae cohortis, et manipulorum senza nessuna difesa nè terrestre nè marittima,


secundae legionis, aggrediuntur. Nebula matuti danno addosso alla coorte Piacentina e alle due
na texerat inceptum: qua dilabente ad primum compagnie della seconda legione. La nebbia del
teporem solis, perlucens jam aliquid, incerta ta la mattina avea coperto il lor disegno; diradan
men, ut solet, lux, speciem omnium multiplicem dosi la quale al primo tepore del sole, la luce
intuenti reddens, tum quoque frustrata Roma dando alcun po' di chiarore, però incerto, come
nos, multo majorem iis, quam erat, hostium aciem suole, e col moltiplicare allo sguardo gli oggetti
ostendit. Qua territi utriusque stationis milites ingannando anche allora i Romani, fe” parere
ingenti tumultu quum in castra confugissent, l'esercito nemico assai maggiore che non era.
haud paullo ibi plus, quam quod secum ipsi at Di che spaventati i soldati delle due poste, fug
tulerant, terroris fecerunt. Nam neque dicere, gitisi in gran disordine al campo, fecero quivi
quid fugissent, nec percunctantibus reddere res alquanto più di terrore, che non ne aveano seco
ponsum poterant; et clamor in portis (ut ubi recato. Perciocchè nè potevan dire che avessero
nulla esset statio, quae sustineret impetum ) au fuggito, nè rispondere a chi gl'interrogava; e si
diebatur; et concursatio in obscuro incidentium udiva un forte gridare alle porte, dove non c'era
aliorum in alios incertum fecerat, an hostis intra chi sostenesse l'impeto; e il correr della gente
vallum esset. Una vox audiebatur ad mare vocan al buio, gli uni intoppandosi negli altri, metteva
tium. Id forte temere ab uno exclamatum totis dubbio, se il nemico non fosse di già nello stec
passim personabat castris. Itaque primo, velut cato. Una sola voce si udiva che chiamava al ma
jussi id facere, pauci armati, major pars inermes, re, al mare; questo grido, forse levato a caso da
ad mare decurrunt: deim plures, postremo pro taluno, risonava per tutto il campo. Quindi dap
pe omnes, et ipse consul, quum, frustra revoca prima, come se ne avessero avuto l'ordine, pochi
re fugientes conatus, nec imperio, nec auctorita con armi, la maggior parte disarmati, corrono
te, nec precibus ad extremum, valuisset. Unus al mare; poscia in maggior numero, in fine quasi
remansint M. Licinius Strabo, tribunus militum tutti e il console istesso, poichè, fatto invano
tertiae legionis, cum tribus signis ab legione sua ogni sforzo per richiamare i fuggitivi, non gli
relictus. Hunc, in vacua castra impetu facto, Istri, valse nè il comando, nè l'autorità, nè anche in
quum alius armatus iis nemo obviam isset, in ultimo le preghiere. Un solo rimase, Marco Lici
praetorio instruentem atque adhortantem suos mio Strabone, tribuno de'soldati della terza le
oppresserunt. Proelium atrocius, quam pro pau gione, lasciato lì dalla medesima legione con sole
citate resistentium, fuit; nec ante finitum est, tre bandiere. Gl'Istriani, sforzato il campo già
quam tribunus militum, quique circa eun con deserto, non avendo incontrato altri armati,
stiterant, interfecti sunt. Praetorio dejecto, dire piombarono addosso a Strabone, mentre ch'egli
ptis, quae ibi fuerunt, ad quaestorium forum stava ordinando presso al padiglione del coman
quintanamdue hostes pervenerunt. Ibi, quum dante ed esortando i suoi. Fu fiera la zuffa più
omnium rerum paratam expositamque copiam che non portava la pochezza di quelli che resi
et stratos lectos in quaestorio invenisset, regulus stevano, e non ebbe fine, se prima e il tribuno
accubans epulari coepit. Mox idem ceteri omnes, de' soldati e quelli che gli erano intorno non
armorum hostiumque obliti, faciunt; et ut qui furon morti. Atterrato il padiglione del coman
bus insuetus liberalior victus esset, avidius vino dante, saccheggiato quanto v'era dentro, i nemici
ciboque corpora onerant. giunsero alla tenda del questore e alla porta
quintana. Qui vi avendo trovata apparecchiata
ed esposta grande copia di tutto e i letti prepa
rati, il re degl'Istriani si pose a tavola. Indi
fanno lo stesso tutti gli altri, armi obbliando e
nemici, e si caricano avidamente di cibo e di
vino, come quelli che non erano avvezzi a ban
chettare sì lautamente.
III. (VII) Nequaquam eadem est tum rei for III. (VII.) Non erano a questa guisa le cose
ma apud Romanos: terra, mari trepidatur: nau presso i Romani: si teme in terra, si teme in
tici tabernacula detendunt, commeatumque in mare: i marinai ripiegano le tende e ritraggono
litore expositum in naves rapiunt; milites in in fretta alle navi le vettovaglie ch'erano esposte
scaphas et mare territi ruunt; nautae, metu ne sul lido ; i soldati si lanciano atterriti nelle scafe
compleantur navigia, alii turbae obsistunt, alii al mare; i nocchieri per paura che i legni non
ab litore naves in altum expellunt. Inde certa si riempiano di troppo, altri fan fronte alla calca,
men, mox etiam pugna cum vulneribus et caede altri dal lido spingon le navi in alto mare: donde
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in vicem militum mautarumque oritur, domec nasce contesa e da lì a poco zuffa con ferite e
jussu consulis procul a terra classis submota est. morte di soldati e nocchieri, in sino a che per
Secernere inde inermes ab armatis coepit: vix ordine del console la flotta fu fatta scostare da
mille ducenti ex tanta multitudine, qui arma ha terra. Indi cominciò egli a separare gli armati
berent, per pauci equites, qui equos secum edu dai disarmati, e di tanta moltitudine appena si
xissent, inventi sunt. Cetera deformisturba, ve son trovati mille e duecento, che avesser l'armi,
Iut lixarum calonumque, praeda vere futura, si pochissimi cavalieri che avessero condotto seco
belli hostes meminissent. Tunc demum nuncius i cavalli. Il resto non era che deforme turba,
ad tertiam legionem revocandam et Gallorum come di vivandieri e saccomanni che sarebbe ri
praesidium ; et simul ex omnibus locis ad ca masta infallibile preda, se il nemico avesse saputo
stra recipienda demendamque ignominiam rediri fare la guerra. Allora finalmente si mandò a
coeptum est. Tribuni militum tertiae legionis pa richiamare la terza legione ed il presidio de'Galli,
bulum ligna que projicere jubent: centurionibus e si cominciò da tutti i luoghi a ritornare, pen
imperant, ut graviores aetate milites binos in ea sando a riavere il campo e purgare l'onta soffer
jumenta, ex quibus onera deiecta erant, impo ta. I tribuni de'soldati della terza legione coman
nant: equites ut singulos e juvenibus pedites dano che si gettino a terra le legne e i foraggi;
secum tollant. «Egregiam gloriam legionis fore, che i centurioni mettano sui giumenti, già scari
si castra, metu secundanorum amissa, sua virtute cati delle lor some, i soldati più vecchi, due per
recipiant; et recipi facile esse, si in praeda occu giumento; che i cavalieri, ciascuno levi con sè
pati barbari subito opprimantur: sicut ceperint, in groppa un fante del giovani. « Farebbe la terza
posse capi. » Summa militum alacritate ad horta legione gloriosa impresa, se ricuperasse col suo
tio audita est. Ferunt citati signa, nec signiferos valore gli alloggiamenti perduti dalla paura vile
armati morantur; priores tamen consul copiae della seconda, ed esser facile riprenderli, se si
que, quae a mari reducebantur, ad vallum acces piombi subito addosso ai barbari occupati nella
serunt. L. Atius, tribunus primus secundae legio preda; come questi gli avean presi, così potevansi

mis, non hortabatur modo milites, sed docebat prendere. L'esortazione fu accolta dai soldati
etiam, « Si victores Istri, quibus armis cepissent colla maggiore alacrità. Traggon fuori in fretta
castra, iisdem capta retinere in animo haberent, le insegne, nè gli armati tardano a seguirle;
º
primum exutum castris hostem ad mare persecu nondimeno e il console e quelli, che si rimena
turos fuisse, deinde stationes certe pro vallo ha vano indietro dal mare, primi giunsero presso
bituros: vino somnoque verisimile esse mersos allo steccato. Lucio Azio, primo tribuno della se
Jacere. » conda legione, non solamente esortava i soldati,

.
fi
ma eziandio dimostrava loro, a Che se gl'Istriani
vincitori avessero in animo di ritenere gli allog
giamenti con quell'armi medesime, con le quali
gli aveano presi, primieramente avrebbono inse
guito il nemico, spogliatolo del campo, insino
al mare; poscia avrebbon certo messo le poste
davanti allo steccato: essere verisimile che si
giacciano sepolti nel vino e nel sonno. »
IV. (VIII) Sub haec A. Baeculonium signi IV. (VIII) Ciò detto, ordinò ad Aulo Becu
ferum suum, nota e fortitudinis virum, in ſerre si lonio, suo banderaio, uomo di nota intrepidezza,
gnum jussit. Ille, si unum se sequerentur, quo che spingesse innanzi l'insegna. Egli, se lo segui
celerius fieret, facturum dixit: connisusque,quum ranno, disse, farà in modo che la cosa riesca più
trans vallum signum trajecisset, primus omnium presta; e usando tutta la forza, gettata l'insegna
portam intravit. Et parte alia T. et C. Aelii, tri di là dallo steccato, primo di tutti entrò nella
buni militum tertiae legionis, cum equitatu ad porta. Anche dall'altra parte Tito e Caio Elii,
veniunt. Confestim, et quos binos oneraria in tribuni de'soldati della terza legione, arrivano
jumenta imposuerant, secuti, et consul cum toto colla cavalleria. Subito seguitano i soldati che
agmine. At Istrorum pauci, qui modice vinosi avean messi due a due sopra i giumenti, non che
p il console con tutto l'esercito. Ma i pochi Istriani
erant, memores fuerunt fugae; aliis somno mors
continuata est: integra que sua omnia Romani, ch'erano mezzanamente avvinazzati, non si scor
lº praeterguam quod vini cibique absumptum erat, darono di fuggire; agli altri la morte si aggiunse
receperunt. Aegri quoque milites, qui in castris al sonno, e i Romani ricuperarono tutte le cose
relicti fuerant, postguam intra vallum suos sen loro, tranne il cibo ed il vino ch'era stato con
li serunt, armis arreptis, caedem ingentem fecerunt. sumato. Anche i soldati ch'erano stati lasciati
le
TITI LIVII LIBER XI,I. 1484
1483
Ante omnes insignis opera fuit C.Popillii equitis. infermi nel campo, come sentirono i suoi entrati
Sabello cognomen erat. Is, pede saucio relictus, nello steccato, dato di piglio all'armi, grande
longe plurimos hostium occidit. Ad octo millia strage menarono. Fu sopra tutto segnalata l'opera
Istrorum sunt caesa, captus memo, quia ira et in del cavaliere Caio Popillio. Avea nome Sabello.
dignatio immemores praedae fecit. Rex tamen Lasciato nel campo ferito in un piede, uccise egli
Istrorum, temulentus ex convivio, raptim a suis il maggior numero di nemici. Restaron morti da
in equum impositus, fugit. Ex victoribus ducen otto mille Istriani, preso nessuno, perchè l'ira
ti triginta septem milites perierunt, plures in e l'indignazione non lasciò por mente alla preda.
matutina fuga, quam in recipiendis castris. Nondimeno il re degl'Istriani, levato via mezzo
ubbriaco dal banchetto, messo in fretta a cavallo
da' suoi, fuggì. Perirono del vincitori duecento
trenta sette soldati, più nella fuga della mattina,
che nel ricupero degli alloggiamenti.
V. (IX.) Forte ita evenit, ut Cn. et L. Gavil V. (IX) Avvenne a caso che Gneo e Lucio
lii, novelli Aquilejenses, cum commeatu ve Gavillii, nuovi coloni d'Aquileia che venivano
nientes, ignari prope in capta castra ab Istris con vettovaglie, ignorando l'accaduto, quasi ven
inciderent. Ii, quum Aquilejam, relictis impedi nero a dar dentro al campo ch'era già preso dagli
mentis, refugissent, omnia terrore actumultu, Istriani. Essendo essi rifuggiti indietro in Aqui
non Aquilejae modo, sed Romae quoque post leia, abbandonati i bagagli, sparsero da per tutto
º paucos dies, impleverunt; quo, non capta tantum il terrore e lo scompiglio, nè solamente in Aqui
castra ab hostibus, nec fuga, quae vera erant, sed leia, ma eviandio pochi giorni di poi in Roma ;
perditas res deletumque exercitum omnem, alla dove fu recato non solamente degli alloggiamenti
i tum est. Itaque, quod in tumultu fieri solet, de
lectus extra ordinem, non in urbe tantum, sed
presi dai nemici e della fuga, il che era vero, ma
della perdita d'ogni cosa e di tutto l'esercito
º tota Italia, indicti. Duae legiones civium Roma disfatto. Quindi, come si suol fare ne subitani
norum conscriptae, et decem millia peditum cum spaventi, si ordinarono leve straordinarie non so
equitibus quingentis sociis nominis Latini impe lamente in Roma, ma per tutta l'Italia. Furono
rata. M. Junius consul transire in Galliam, et ab arrolate due legioni di cittadini Romani e si son
civitatibus provinciae ejus, quantum quaeque commessi agli alleati del nome Latino diecimila
posset, militum exigere jussus, Simul decretum, fanti con cinquecento cavalli. Il console Marco
ut.Ti. Claudius praetor militibus legionis quar Giunio ebbe odine di passare nella Gallia e di
tae, et sociùm Latini nominis quinque millibus, levar soldati dalle città della sua provincia, quanti
equitibus ducentis quinquaginta, Pisas ut conve più potesse da ciascuna. Nel tempo stesso si de
nirent, ediceret; eamque provinciam, dum con cretò che il pretore Tito Claudio intimasse a sol
sul inde abesset, tutaretur: M. Titinius praetor dati della quarta legione e a cinquemila fanti e
egionem primam, parem numerum sociorum pe duecento cinquanta cavalli degli alleati Latini
ditum equitumque, Ariminum convenire jube che si raccogliessero a Pisa, e ch'egli difendesse
ret. Nero paludatus Pisas in provinciam est pro quella provincia insino a tanto che il console ne
fectus. Titinius, C. Cassio tribuno militum Ari fosse assente, e che il pretore Marco Titinio or
minum, qui praeesset legioni, misso, delectum dinasse alla prima legione e ad egual numero di
Romae habuit. M. Junius consul, ex Liguribus fanti e cavalli degli alleati che si radunassero a
in provinciam Galliam transgressus, auxiliis pro Rimini. Nerone, uscito da Roma paludato, andò
tinus per civitates Galliae militibusque colonis a Pisa, sua provincia. Titinio, mandato a Rimini
imperatis, Aquilejam pervenit, Ibi certior factus, Caio Cassio tribuno del soldati al comando della
exercitum incolumem esse, scriptis literis Ro legione, badò alla leva in Roma. Il console Marco
mam, ne tumultuarentur, ipse, remissis auxiliis, Giunio, passato dalla Liguria nella Gallia, co
mandati aiuti e soldati alle città della Gallia ed
quae Gallis imperaverat, ad collegam est profe
ctus. Romae magna ex mecopinato laetitia fuit: alle colonie, giunse in Aquileia. Quivi fatto certo
delectus omissus est: exauctorati, qui sacramen che l'esercito era salvo, avendo scritto a Roma
to dixerant; et exercitus, qui Arimini pestilen che si mettessero in calma, licenziati gli aiuti che
tia affectus erat, domum dimissus. Istris, ma avea commessi ai Galli, andò al collega. Fu gran
gnis copiis quum castra haud procul consulis de a Roma la gioia per l'impensata novella: si
castris haberent, postguam alterum consulem lasciò di far leve; si sciolsero dal giuramento
cum exercitu novo advenisse audierunt, passim quelli che l'avean dato, e l'esercito ch'era tra
in civitates dilapsi sunt: consules Aquilejam in vagliato a Rimini dalla pestilenza, fu rimandato
hiberna legiones reduxerunt., a casa. Gl'Istriani, essendo accampati con grandi
1485 T'ITI LIVII LlBliR XLI. -- - -
1486
forze non discosti molto dal campo del con
sole, come udirono esser venuto l'altro console
con nuovo esercito, si dispersero a mano a mano
per le loro città: i consoli ricondussero le legioni
a svernare in Aquileia.
VI. (X.) Sedato tandem Istrico tumultu, se VI. (X) Sedata finalmente la sommossa Istria
matusconsultum factum est, ut consules inter se
na, il senato decretò che i consoli tra loro si con
compararent, uter eorum ad comitia habenda certassero, qual d'essi tornar dovesse a tenere in
Romam rediret. Quum absentem Manlium tri
Roma i comizii. I tribuni della plebe, Aulo Lici
buni plebis, A. Licinius Nerva et C. Papirius nio Nerva e Caio Papirio Turdo, lacerando nei
Turdus, in concionibus lacerarent, rogationem
parlamenti Manlio assente, e proponendo al po
que promulgarent, ne Manlius post Idus Martias polo che non avesse Manlio dopo gl'Idi di Marzo
(prorogatae namque consulibus jam in annun (ch erano state prorogate ai consoli le province
provinciae erant) imperium retineret, uti cau per un anno) a ritener più oltre il comando, ac
sam extemplo dicere, quum abisset magistratu, ciocchè potesse, appena uscito di magistrato, com
posset; huic rogationi Q. Aelius collega inter parire in giudizio, si oppose a codesta proposta il
cessit, magnisque contentionibus obtinuit, ne collega Quinto Elio, e dopo grandi sforzi otten
perferretur. Per eos dies Ti. Sempronius Grac
ne che non fosse portata. A quel dì medesimi tor
chus et L. Postumius Albinus ex Iiispania Ro nati essendo a Roma dalla Spagna Tito Sempro
mam quum revertissent, senatus iis a M. Titi nio Gracco e Lucio Postumio Albino, Marco
mio praetore datus in aede Bellonae ad disseren Titinio pretore gl'introdusse in senato nel tem
das res, quas gessissent, postulandosque honores
meritos, ut diis immortalibus haberetur honos.
pio di Bellona a riferire le cose da essi fatte e a
chiedere i meritati onori, e che se ne rendessero
Eodem tempore et in Sardinia magnum tumul
grazie agli dei immortali. In quel tempo medesi
tum esse, literis T. Aebutii praetoris cognitum
mo si seppe da lettere del pretore Tito Ebuzio,
est, quas filius ejus ad senatum attulerat. Ilien recate al senato dal di lui figlio, esser nata gran
ses, adjunctis Balarorum auxiliis, pacatam pro de sommossa nella Sardegna. Gl'Iliesi, unitisi ai
vinciam invaserant; nec eis invalido exercitu, et
Dalavori, aveano invaso quella provincia che si
magna parte pestilentia absumpto, resisti po stava in pace; nè si poteva loro resistere con un
terat. Eadem et Sardorum legati munciabant ; esercito debole
e in gran parte consumato dalla
orantes, ut urbibus saltem (jam enim agros de pestilenza. Riferivan lo stesso gli ambasciatori dei
ploratos esse) opem senatus ferret. Haec legatio,
Sardi, pregando che il senato mandasse a soccor
totumque quod ad Sardiniam pertinebat, ad no
rere almeno le città, poichè le campagne erano
vos magistratus rejectum est. Aeque miserabilis
già spacciate. Questa ambasceria e tutto quello
legatio Lyciorum, qui crudelitatem Rhodiorum,
che spettava alla Sardegna fu rimesso a nuovi
quibus ab L. Cornelio Scipione attributi erant,
magistrati. Fu egualmente lamentosa l'ambasce
querebantur: « Fuisse sub ditione Antiochi:
ria de' Licii, i quali si dolevano della crudeltà dei
eam regiam servitutem, collatam cum praesenti
Rodiani, a quali erano stati assegnati da Lucio
statu, praeclaram libertatem visam. Non publico
Cornelio Scipione: « Erano stati soggetti ad An
tantum se premi imperio, sed singulos justum
tioco: quella servitù sotto un re, paragonata collo
pali servitium. Juxta se conjuges liberosdue ve
stato presente, era sembrata loro una egregia li
xari: in corpus, in tergum saeviri: famam, quod
maculari dehonestarique ; et palam bertà. Non gli opprimeva solamente la pubblica
indignum sit,
dominazione, ma ognuno pativa una vera schia
res odiosas fieri, juris etiam usurpandi causa;
habeant, inter argento vitù. Erano a un modo stesso bersagliate le loro
ne pro dubio nihil se et
s'incrudeliva contro il corpo, la
parata mancipia interesse. ” Motus his senatus, mogli, i figli:
nec Lycios Rho persona: la fama, indegna cosa, era macchiata,
literas Lyciis ad Rodios dedit: «
disonorata, e si commettevano palesemente atti
diis, nec ullos alicuiquam, qui nati liberi sint, in
per crearsi il dritto di padronanza:
servitutem dari placere. Lycios ita sub Rhodio odiosi quasi
tengano per certo, non esserci differenza tra essi
rum simul imperio et tutela esse, ut in ditione
e gli schiavi compri col denaro. Mosso il senato
populi Romani civitates sociae sint. »
da codesti detti, diede a Licii lettere pe Rodiani:
« non piacergli che i Licii, nè altri chicchessia,
nato libero, sia condannato a schiavitù. I Licii
erano sotto il governo e la tutela de Rodiani
nel modo stesso, com'erano le città alleate sotto
la giurisdizione del popolo Romano. »
1487 TITI LIVII LIBER XLI. 1488
VII. (XI) Triumphi deinde ex Hispania duo VII. (XI) Indi si sono celebrati seguitamente
continui acti. Prior Sempronius Gracchus de Cel due trionfi della Spagna. Primo trionfò dei Celti
tiberis sociisque eorum ; postero die L. Postu beri e del loro alleati Sempronio Gracco; il dì
mius de Lusitanis aliisque ejusdem regionis His seguente Lucio Postumio dei Lusitani e degli
panis triumphavit. Quadraginta millia pondo ar altri Spagnuoli di quella contrada. Portò Tiberio
genti Ti. Gracchus transtulit, viginti millia Al Gracco quaranta mille libbre d'argento, Albino
binus. Militibus denarios quinos vicenos, duplex venti mille. Entrambi divisero a soldati venti
centurioni, triplex equiti ambo diviserunt: sociis cinque denari per ciascuno, il doppio a centurio
tantumdem, quantum Romanis. Per eosdem for ni, il triplo a cavalieri; tanto agli alleati, quanto
te dies M. Junius consul ex Istria comitiorum ai Romani. In quel medesimi giorni per ventura
causa Romam venit. Eum quum in senatu fati il console Marco Giunio dall'Istria venne a Roma
gassent interrogationibus tribuni plebis Papirius per cagione del comizii. I tribuni della plebe Pa
et Licinius de his, quae in Istria essent acta, in pirio e Licinio avendolo in senato stancato colle
concionem quoque produxerunt. Ad quae quum interrogazioni intorno alle cose operate nel
consul, « se dies non plus undecim in ea provin l'Istria, lo trassero eziandio dinanzi al popolo.
cia fuisse, responderet; quae se absente acta es Al che rispondendo il console, « ch'egli non era
sent, se quoque, utillos, fama comperta habere»; stato colà più di undici giorni; quello che vi si
exsequebantur deinde quaerentes, Quid ita non era fatto nella di lui assenza, saperlo egli, come
potius A. Manlius Romam venisset, ut rationem essi, non altrimenti che dalla fama; º quelli in
redderet populo Romano, cur ex Gallia provin sistendo domandavano, « Perchè non era piut
cia, quam sortitus esset, in Istriam transisset? tosto venuto a Roma Aulo Manlio a render con
quando id bellum senatus decrevisset, quando to al popolo Romano per qual ragione dalla Gal
id bellum populus Romanus jussisset? At, her lia, che gli era toccata n sorte, passato fosse in
cule, privato quidem consilio bellum susceptum 1stria? Quando mai decretò il senato quella guer
esse, sed gestum prudenter fortiterque. Immo, ra, quando il popolo deliberolla? Se non che
utrum susceptum sit nequius, an inconsultius quella guerra, se fu intrapresa di suo privato ar
gestum, dici non posse. Stationes duas mecopi bitrio, fu però fatta con prudenza e con intrepi
nantes ab Istris oppressas, castra Romana capta, dezza. Anzi non potersi dire, se sia stata intra
quod peditum, quod equitum in castris fuerit. presa con più tristo consiglio, o con minor senno.
Ceteros inermes fusosque, ante omnes consulem Due poste di Romani erano state oppresse all'im
ipsum, ad mare ac naves fugisse. Privatum ratio pensata dagl'Istriani, presi gli accampamenti e
nem redditurum earum rerum esse, quoniam quanti fanti e cavalli erano nel campo. Gli altri,
consul noluisset. - perdute l'armi, sbaragliati, innanzi a tutti il con
sole stesso, erano fuggiti al mare ed alle navi.
Manlio avrebbe renduto conto di tutto ciò pri
vato, poichè non avea voluto farlo console. -
VIII. ( XII.) ( Anno U. C. 575. – A. C. VIII. ( XII. ) ( Anni D. R. 575. – A. C.
177.) Comitia deinde habita. Consules creati, 177.) Indi si tennero i comizii. Furono creati
C. Claudius Pulcher, Ti. Sempronius Gracchus: consoli Caio Claudio Pulcro e Tito Sempro
et postero die praetores facti, P. Aelius Tubero nio Gracco, e il dì appresso si son fatti pre
iterum, C. Quintius Flamininus, C. Numisius, tori Publio Elio Tuberone per la seconda volta,
L. Mummius, Cn. Cornelius Scipio, C. Valerius Caio Quinzio Flaminino, Caio Numisio, Lucio
Laevinus. Tuberoni urbana jurisdictio, Quintio Mummio, Gneo Cornelio Scipione, Caio Valerio
peregrina evenit, Numisio Sicilia, Mummio Sar Levino. A Tuberone toccò l' urbana giurisdizio
dinia; sed ea propter belli magnitudinem pro me, a Quinzio la forestiera, a Numisio la Sicilia, a
vincia consularis facta. Gracchus eam sortitur, Mummio la Sardegna; ma questa per l'impor
Istriam Claudius; Scipio et Laevinus Galliam, tanza della guerra fu fatta provincia consolare.
in duas divisam provincias, sortiti sunt. Idibus Toccò essa per sorte a Gracco, a Claudio l'Istria;
Martiis, quo die Sempronius Claudiusque con Scipione e Levino ebbero la Gallia, divisa in due
sulatum inierunt, mentio tantum de provinciis governi. Agl'Idi di Marzo, il giorno, in cui Sem
Sardinia Istriaque et utriusque hostibus fuit, pronio e Claudio presero il consolato, non si fe”
qui in his provinciis bellum concivissent. Poste altra menzione che della Sardegna e dell'Istria,
ro die legati Sardorum, qui ad novos magistra e dei nemici dell'una e dell'altra che vi aveano
tus dilati erant, L. Minucius Thermus, qui lega accesa la guerra. Il dì seguente gli ambasciatori
tus Manlii consulis in Istria fuerat, in senatum de Sardi, ch'erano stati rimessi a nuovi ma
venit. Ab his edoctus est senatus, quantum bel gistrati, e Lucio Minucio Termo, ch'era stato
1489 TlTI LlVII LIBER XLI. l ſºlo

li eae provinciae haberent. Moverunt senatum legato in Istria del console Manlio, furono intro
et legationes sociùm nominis Latini, quae et cen dotti in senato. Da questi conobbe il senato di
sores et priores consules fatigaverant, tandem in che peso fosse la guerra che pativano quelle pro
senatum intruductae. Summa querelarum erat, vince. Mossero il senato anche le legazioni degli
« Cives suos Romam commigrasse. Quod si per alleati del nome Latino, le quali aveano già stan
mittatur, perpaucis lustris futurum, ut deserta cato e censori e consoli ed erano state finalmente
oppida, deserti agri, nullum militem dare pos ammesse all'udienza. La somma delle loro do
sentº. Fregellas quoque millia quatuor familiarum glianze era, e che parecchi dei loro concittadini,
transisse ab se, Sammites Pelignique quereban ascritti al censo di Roma, eran passati a quivi
tur: neque eo minus aut hos aut illos in dele stanziare; il che se si permetta, avverrà tra pochi
ctum militum dare. Genera autem fraudis duo lustri che i castelli abbandonati, le campagne
mutandae viritim civitatis inducta erant. Lex so deserte non potran più dare soldati. - Anche i
ciis ac nominis Latini, qui stirpem ex sese domi Sanniti ed i Peligni si querelavano che quattro
relinquerent, dabat, ut cives Romani fierent. Ea mila famiglie s'erano trapiantate a Fregelle, nè
lege male utendo, alii sociis, alii populo Romano per questo dovean essi somministrare manco nu
injuriam faciebant. Nam et, ne stirpem domi re mero di soldati. Due maniere poi di frode s'erano
linquerent, liberos suos quibusquibus Romanis introdotte nel cambiar ciascuno di città. La legge
in eam conditionem, ut manumitterentur, man dava agli alleati del nome Latino che coloro, i
cipio dabant, libertinique cives essent; et quibus quali lasciassero a casa stirpe di sè, diventassero
stirpes deesset, quam relinquerent, ut cives Ro cittadini Romani; abusando di questa legge, gli
mani fiebant. Postea, his quoque imaginibus ju uni facean torto agli alleati, gli altri al popolo
ris spretis, promiscue sine lege, sine stirpe, in ci Romano. Perciocchè, per non lasciare de' lor
vitatem Romanam per migrationem et censum figliuoli a casa, li vendevano schiavi a qualsivo
transibant. « Haec ne postea fierent, petebant le glia Romano col patto, che fossero manomessi e
gati, et ut redire in civitates juberent socios; diventassero cittadini libertini; e quelli, cui man
deinde ut lege caverent, ne quis quem civitatis cava figliuolanza da lasciare a casa, eran fatti cit
mutandae causa suum faceret, neve alienaret; et, tadini Romani alla stessa foggia. Poscia, sprez
si quisita civis Romanus factus esset “. » IIaec zate anche queste apparenze di legge, passavano
impetrata ab senatu. promiscuamente senza diritto, senza figliuolanza,
alla cittadinanza Romana col traslocarsi a Roma
e farsi scrivere in quel censo. I legati chiedevano,
a che ciò vietato fosse per l'avvenire, e si coman
dasse agli alleati che tornassero alle loro città, e
poi fosse provveduto con legge, che nessuno com
perasse o vendesse altri ad oggetto di fargli can
giare cittadinanza; e se taluno fosse fatto per
-
--- --- -- quella via cittadino Romano (fosse mal fatto.) »
A E tanto impetrarono dal senato.
1X. (XIII.) Provinciae deinde, quae in bello lX. (XIII) Indi si assegnarono ai consoli le
erant, Sardinia atque Istria decretae. In Sardi due province ch'erano in guerra, la Sardegna e
niam duae legiones scribi jussae; quina millia in l'Istria. Per la Sardegna si ordinò la leva di due
singulas et duceni pedites, treceni equites; et legioni, ciascuna di cinque mila duecento fanti
duodecim millia peditum sociorum ac Latini no e trecento cavalli; e dodici mila fanti degli alleati
minis, et sexcenti equites, et decem quinquere del nome Latino e seicento cavalli, e se il console
mes naves, si deducere ex navalibus vellet. Tan volesse, dieci quinqueremi tratte dagli arsenali.
tumdem peditum equitumque in Istriam, quan Altrettanti ſanti e cavalli furono decretati per
tum in Sardiniam, " legionem unam l'Istria. E fu ingiunto a consoli che mandassero
cum equitibus trecentis et quinque millia pedi in Ispagna a Marco Titinio una legione con tre
tum sociorum, et ducentos quinquaginta mittere cento cavalli e cinque mila fanti degli alleati e
equites in Hispaniam consules ad M. Titinium duecento cinquanta cavalli. Avanti che i consoli
jussi. Priusquam consules provincias sortirentur, traessero a sorte le province, furono annunziati
prodigia nunciata sunt. Lapidem in agro Crustu varii prodigii. Nel contado Crustumino esser
mino in lacum Martis de coelo cecidisse. Puerum caduta dal cielo una pietra nel lago di Marte:
trunci corporis in agro Romano natum, et qua nel contado Romano esser nato un fanciullo col
drupedem anguem visum: et Capuae multa in corpo troncato, ed essersi veduto un serpente
foro aedificia de coelo tacta: et Puteolis duas na con quattro piedi: a Capua sulla piazza molte
Livio 2 oi
1491 TITI LIVII LIBER XLI. 1492
ves fulminis ictu concrematas esse. Inter haec, fabbriche essere state colpite da fulmine, e pur
quae nunciabantur, lupus etiam Romae interdiu colpite da fulmine essersi abbruciate a Pozzuoli
agitatus, quum Collina porta intrasset, per Es due navi. Nel tempo che si annunziavano codeste
quilinam magno consectantium tumultu evasit. cose, anche un lupo in Roma, cacciato a dì chiaro,
Eorum prodigiorum causa consules majores ho entrato per la porta Collina scampò per l'Esqui
stias immolarunt, et diem unum circa omnia pul lina, con gran romore di quelli che l'inseguiva
vinaria supplicatio fuit. Sacrificiis rite perfectis, no. A cagione di codesti prodigii i consoli sagri
provinciassortiti sunt: Claudio Istria, Sempro ficarono con le vittime maggiori, e vi fu un giorno
nio Sardinia obvenit. Legem dein de sociis C. di preghiere a tutti gli altari. Compiuti a dovere
Claudius tulit senatusconsulto, et edixit: a qui i sagrifizii, si trassero a sorte le province: a
socii ac nominis Latini, ipsi majoresve eorum, Claudio toccò l'Istria, a Sempronio la Sardegna.
M. Claudio, T. Quinctio censoribus, postgue ea, Indi Caio Claudio per decreto del senato portò la
apud socios nominis Latini censi essent, ut omnes legge e pubblicò con editto, a che tutti quegli
in suam quisque civitatem ante Kalendas No alleati del nome Latino, essi ei loro maggiori, i
vembres redirent. » Quaestio, qui ita non redis quali nella censura di Marco Claudio e di Tito
sent, L. Mummio praetori decreta est. Ad legem Quinzio e di poi, fossero stati censiti tra gli al
et edictum consulis senatusconsultum adjectum leati del nome Latino, tutti tornassero a casa,
est: « ut dictator, consulus, interrex, censor, ciascuno alla sua città prima delle calende di
praetor qui nunc esset, apud eorum quem ma novembre. » La cognizione contro quelli che
numitteretur, in libertatem vindicaretur, ut non fossero tornati, fu commessa al pretore Lucio
jusjurandum daret, qui eum manumitteret, civi Mummio. Alla legge ed all'editto del console fu
tatis mutandae causa manu non mittere: º qui aggiunto per decreto del senato: « che il ditta
id non juraret, eum manumittendum non cen tore, il console, l'interrè, il censore, il pretore
suerunt. Haec in posterum causa jurisque dictio che fosse a quel tempo, desse il giuramento a
C. Claudio consuli decreta est. colui che voleva essere manomesso, che quegli, il
quale lo manometteva, mol faceva perchè cam
biasse di cittadinanza; º chi non giurasse que
sto, non si dovesse manomettere. La cognizione
e giudizio di che fu rimesso al console Caio
a Claudio.
X. (XIV) Dum haec Romae geruntur, M. X. (XIV.) Mentre si fanno in Roma codeste
Junius et A. Manlius, qui priore anno consules cose, Marco Giunio ed Aulo Manlio, ch'erano
fuerant, quum Aquilejae hibernassent, princi stati consoli l'anno antecedente, avendo svernato
pio veris in fines Istrorum exercitum introduxe in Aquileia, sul principio della primavera intro
runt. Ubi quum effuse popularentur, dolor ma dussero l'esercito ne' confini dell'Istria, dove,
gis et indignatio diripi res suas cernentes Istros, accadendo largo saccheggiamento, più dolore e
quam certa spes, satis sibi virium adversus duos sdegno al vedersi rapire le robe loro, che spe
exercitus, excivit. Concursu ex omnibus popu ranza certa di aver forze bastanti contro due
lis juventutis facto, repentinus et tumultuarius eserciti, fe'insorgere gl'Istriani. Accorsa da tutte
exercitus acrius primo impetu,quam perseveran le città la gioventù, quel subitano e tumultuario
tius, pugnavit. Ad quatuor millia eorum in acie esercito nel primo impeto combattè più con ac
caesa: ceteri, omisso bello, in civitates passim canimento che con perseveranza. Ne restaron
diffugerunt. Inde legatos primum ad pacem pe morti sul campo da quattro mille: gli altri,
tendam in castra Romana, deinde obsides im lasciato di far guerra, si fuggirono sparsamente
peratos, miserunt. Haec quum Romae cognita alle loro città. Indi mandarono al campo Roma
A titeris proconsulum essent, C. Claudius consul, no, prima a chieder pace, poi anche gli ostaggi
veritus, ne forte ea res provinciam exercitum comandati. Avutesi a Roma queste notizie per
que sibi adimeret, non votis nuncupatis, non pa lettere del proconsoli, il console Caio Claudio,
ludatus, sine lictoribus, uno omnium certiore temendo che ciò per avventura non gli togliesse
facto collega, nocte profectus, praeceps in pro e la provincia e l'esercito, non pronunciati i voti,
vinciam abiit: ubi inconsultius, quam venerat, non indossato il paludamento, senza littori, av
se gessit. Nam, quum concione advocata fugam visatone il solo collega, partitosi di notte, corse
e castris A.Manlii adversis auribus militum (quip precipitosamente alla provincia, dove si com
pe qui primi ipsi fugissent) jactasset, ingessis portò con anche maggiore inconsideratezza, che
setque probra M. Junio, quod se dedecorisso non era venuto. Perciocchè, chiamato il parla
cium collegae fecisset, ad extremum utrumque mento, avendo inveito contro la fuga dal campo
1493 TITI LIVII LIBER XLI. 1494

decedere provincia jussit. Quod quum milites di Aulo Manlio, cosa mal sentita dai soldati
consulis imperio dicto audientes futuros esse di (ch'essi medesimi erano stati i primi a fuggire),
cerent, quum is more majorum, secundum vota non che dette molte villanie a Marco Giunio,
in Capitolio muncupata, cum lictoribus, paluda che si fosse associato al vitupero del collega, in
tus profectus ab urbe esset; furens ira, vocatum, fine comandò che l'uno e l'altro uscissero della
qui pro quaestore Manlii erat, catenas poposcit, provincia. Se non che dicendo i soldati che
vinctos se Junium Manliumque minitans Romam avrebbono ubbidito al console, qualora egli usci
missurum. Ab eo quoque spretum consulis impe to fosse di Roma, secondo l'usanza de maggiori,
rium est; et circumfusus exercitus, favens, im pronunciati i voti in Campidoglio, indossato il
peratorum causae, et consuli infestus, animos paludamento, e coi littori; furente per ira, chia
ad non parendum addebat. Postremo fatigatus mato il vice questore di Manlio, gli chiese le ca
consul et contumeliis singulorum, et multitudi tene, minacciando di mandare in ferri a Roma
mis (mam insuper irridebant) ludibriis, nave ea Giunio e Manlio. Anche questi sprezzò il comando
dem, qua venerat, Aquilejam rediit. Inde colle del console, e l'esercito che stava intorno e favo
gae scripsit, ut militum novorum ei parti, quae reggiava la causa dei suoi capitani ed era avverso
scripta in Istriam provinciam esset, ediceret, al console, aggiungeva coraggio a non ubbidire.
Aquilejam ut conveniret; ne quid se Romae te Infine il console, stracco dalle contumelie dei
neret, quo minus, votis muncupatis, paludatus singoli e dagli schermi della moltitudine (che
ab urbe exiret. Haec collegae obsequenter facta, per giunta il dileggiavano), sulla stessa nave, con
brevisque dies ad conveniendum edicta est. Clau cui era venuto, tornossi ad Aquileia. Di là scrisse
dius prope consecutus est literas suas. Concione al collega, che a quella parte di novelli soldati
adveniens de Manlio et Junio habita, non ultra ch'era stata levata per l'Istria, ordinasse di ra
triduum moratus Romae, paludatus, cum licto dunarsi in Aquileia, onde niente il ritenesse in
ribus, votisque in Capitolio nuncupatis, in pro Roma, sicchè non potesse subito, pronunciati
vinciam, aeque ac prius, praecipiti celeritate abit. i voti, uscir di Roma paludato. Il collega vi si
adoperò premurosamente, e fu intimato a soldati
breve termine a radunarsi. Claudio raggiunse
quasi le sue lettere. Arrivato, detto al popolo
alcun che di Manlio e di Giunio, non fermatosi
a Roma più di tre giorni, indossato il paluda
mento, co' littori, e pronunciati i voti in Campi
doglio, andò alla sua provincia con la stessa pre
cipitosa celerità di prima.
XI. (XV) Paucis ante diebus Junius Man XI. (XV.) Pochi giorni innanzi Giunio e
liusque oppidum Nesattium, quo se principes Manlio si posero a combattere gagliardamente
Istrorum et regulus ipse Aepulo receperat, sum Nesazio, dove i capi degl'Istriani e lo stesso re
ma vi oppugnarunt. Eo Claudius duabus legio loro Epulone s'era ritirato. Claudio, tratte colà
nibus novis adductis, vetere exercitu cum suis le due nuove legioni, licenziato il vecchio esercito
ducibus dimisso, ipse oppidum circumsedit, et coi suoi comandanti, assediò in persona la terra,
vineis oppugnare intendit; amnemdue praeter e si fe' a combatterla co mantelletti, e il fiume
fluentem moenia, qui et impedimento oppu che scorreva lungo le mura e faceva ostacolo agli
gnantibus erat, et aquationem Istris praebebat, assedianti e dava acqua agli assediati, coll'opera
multorum dierum opere exceptum novo alveo di molti giorni lo divertì in altro nuovo letto.
avertit. Ea res barbaros miraculo terruit abscis Spaventò i barbari codesto strano incidente del
sae aquae : et ne tum quidem memores pacis, in l'acqua divertita altrove; pur nè anche allora
caedem conjugum ac liberorum versi; etiam, ut pensando alla pace, voltisi ad ammazzare e mogli
spectaculo hostibus tam foedum facinus esset, pa e figliuoli, eziandio perchè l'orrendo fatto fosse
lam in muris trucidatos praecipitabant. Inter si di spettacolo a nemici, scannandoli pubblica
mul complorationem feminarum puerorumque, mente sulle mura, ne li precipitavano a basso.
simul nefandam caedem, milites, transgressi mu Tra insieme il compianto delle femmine e dei
rum, oppidum intrarunt. Cujus capti tumultum fanciulli e insieme la spaventosa uccisione, i sol
ut ex pavido clamore fugientium accepit rex, dati, varcato il muro, entrarono nella terra; la
trajecit ferro pectus, ne vivus caperetur: ceteri quale come il re dalle atterrite grida del fuggitivi
capti, aut occisi. Duo deinde oppida, Mutila et conobbe esser presa, si trapassò il petto coll'accia
Faveria, vi capta et deleta. Praeda, ut in gente ro, per non cader vivo in man de'nemici; gli altri
inopi, spe major fuit, et omnis militibus conces furon presi o uccisi. Poscia due altre terre, Mutila
i 495 TITI LIVII LIBER XLI. i 496

sa est. Quinque millia capitum sexcenta triginta e Faveria, furono prese e smantellate. La preda,
duo sub corona venierunt: auctores belli virgis come in gente povera, fu maggiore della speranza,
caesi, et securi percussi. Istria tota trium oppi e si distribuì tutta a soldati. Cinque milleseicento
dorum excidio et morte regis pacata est; omnes trentadue teste furono vendute all'asta; gli autori
que undi ſue populi, obsidibus datis, in ditionem della guerra battuti colle verghe e decapitati.
venerunt. Sub Istrici finem belli apud Ligures Tutta l'Istria coll'eccidio di tre castelli e colla

concilia debello haberi coepta. morte del re fu pacificata, e tutti all'intorno i


popoli, dati ostaggi, si arrendettero. Sul finir
della guerra Istriana si cominciò presso i Liguri
a tener conventicole di guerra.
XII. (XVI) Ti. Claudius proconsul, qui prae XII. (XVI.) Il proconsole Tito Claudio, che
tor priore anno fuerat, cum praesidio legionis era stato pretore l'anno innanzi, stavasi a Pisa
unius Pisis praeerat. Cujus literis senatus cer con una legione. Dalle cui lettere il senato certi
tior factus, eas ipsas literas ad C. Claudium (nam ficato della cosa, quelle stesse manda a Caio Clau
alter consul jam in Sardiniam traiecerat) defe dio (chè l'altro console era di già passato in
rendas censet, et adjicit decretum; a quoniam Sardegna), aggiungendo, a che poi che non c'era
Istria provincia confecta esset, si ei videretur, altro a fare in Istria, se gli paresse, passasse l'eser
exercitum traduceret in Ligures. - Simul ex li cito nella Liguria. “ Nel tempo stesso, a seconda
teris consulis, quas de rebus in Istria gestis scri delle lettere che il console avea scritto delle cose
pserat, in biduum supplicatio decreta. Etab al da lui operate nell'Istria, si decretarono due
tero consule Ti. Sempronio in Sardinia prospere giorni di preghiere. Ebbe prosperi successi anche
res gestae. Exercitum in agrum Sardorum Ilien l'altro console Tito Sempronio nella Sardegna.
sium induxit. Balarorum magna auxilia Iliensi Condusse l'esercito nelle terre de Sardi Iliesi.
bus venerant. Cum utraque gente signiscollatis Eran loro venuti grandi soccorsi dai Balarori:
conflixit. Fusi fugatique hostes, castrisque exu combattè a bandiere spiegate con l'una e l'altra
ti: duodecim millia armatorum caesa. Postero nazione. I nemici furono sbaragliati, messi in
die arma lecta conjici in acervum jussit consul, fuga e spogliati degli accampamenti; ne restaron
sacrumque id Vulcano cremavit. Victorem exer morti dodici mila. Il dì seguente il console, rac
citum in hiberna sociarum urbium reduxit; et colte l'armi, ne fe' fare un monte e bruciolle in
C. Claudius, literis Ti. Claudii et senatusconsul onore di Vulcano, e ricondusse l'esercito vitto
to accepto, ex Istria legiones in Ligures transdu rioso a svernare nelle città alleate. Anche Caio
xit. Ad Scultennam ſlumen in campos progressi Claudio, ricevute le lettere di Tito Claudio ed
castra habebant hostes. Ibi cum his acie dimica il decreto del senato, dall'Istria trasportò le
tum. Quindecim millia caesa; plus septingenti legioni nella Liguria. I nemici, inoltratisi nella
aut in proelio, aut in castris (nam ea quoque pianura, s'erano accampati sul fiume Scultenna.
expugnata sunt) capti; et signa militaria unum Quivi si venne a giornata: ne furono tagliati a
et quinquaginta capta. Ligures, reliquiae caedis, pezzi quindici mila, presi più di settecento o
in montes refugerunt passim; populantique cam nella battaglia o nel campo (chè anche questo fu
pestres agros consuli nulla usquam apparuerunt espugnato), non che cinquanta una bandiera.
arma. Claudius, duarum gentium uno anno vi I Liguri, avanzo della strage, fuggirono qua e
ctor, duabus, quod raro alius, in consulatu pa colà nei monti; nè al console, saccheggiando la
catis provinciis, Romam revertit. campagna, s'affacciò in alcun luogo gente in ar
me. Claudio, vincitore in un anno stesso di due
nazioni pacificate nel suo consolato due province,
il che rado accadde ad altri, tornossi a Roma.
XIII. (XVII) Prodigia eo anno nunciata. In XIII. (XVII.) In quell'anno si annunziarono
Crustumino avem sangualem (quam vocant) sa alcuni prodigii; che nel contado Crustumino,
crum lapidem rostro cecidisse: bovem in Cam l'uccello che chiamano sanguale, avea col rostro
pania locutum: vaccam aeneamSyracusis ab agre infranta una pietra sacra; che nella Campania
sti tauro, qui pecore aberrasset, initam, ac semi una vacca avea parlato; che a Siracusa una vacca
ne aspersam. In Crustumino diem unum in ipso di bronzo era stata coperta e spruzzata di seme
locum supplicatio fuit; et in Campania bos alen da un toro selvaggio, smarritosi dalla greggia.
da publice data: Syracusanumque prodigium ex Nel Crustumino vi fu un giorno di preghiere sul
piatum, editis ab aruspicibus diis, quibus suppli luogo istesso; alla vacca fu assegnato nella Cam
caretur. Pontifex eo anno mortuus est M. Clau pania l'alimento dal pubblico, e a Siracusa il
dius Marcellus. qui consul censorque fuerat. In prodigio fu espiato, avendo gli aruspici dichia
1497 TITI LIVII LIBER X LI. I 498
ejus locum suffectus est pontifex filius ejus M. rato a quali dei conveniva sagrificare. Morì in
Marcellus. Et Lunam colonia eodem anno duo quell'anno il pontefice Marco Claudio Marcello,
millia civium Romanorum sunt deducta. Trium il quale era stato console e censore; fu surrogato
viri deduxerunt, P. Aelius, L. Egilius, Cn. Sici pontefice in suo luogo il figliuolo Marco Marcel
nius. Quinquagena et singula jugera et semisses lo. L'anno stesso fu mandato a Luna una colonia
agri in singulos dati sunt: de Ligure captus is di due mila cittadini Romani. La condussero i
ager erat. Etruscorum ante, quam Ligurum, fue triumviri Publio Elio, Lucio Egilio, Gneo Sici
rat. C. Claudius consul ad urbem venit:cui, quum mio. Si diedero cinquanta uno giugeri e mezzo
in senatu de rebus in Istria Liguribusque pro per testa: era contado tolto ai Liguri, e prima che
spere gestis disseruisset, postulanti triumphus est d'essi, era stato degli Etruschi. Il console Caio
decretus. Triumphavit in magistratu de duabus Claudio venne a Roma; al quale, poi ch'ebbe
simul gentibus. Tulit in eo triumpho denariùm narrate al senato le imprese fatte nell'Istria e
trecenta septem millia, et victoriatùm octoginta nella Liguria, fu decretato il chiesto trionfo.
quinque millia septingentos duos. Militibus in Trionfò, essendo tuttora console, di due nazioni
singulos quini deni demarii dati: duplex centu ad un tempo. Portò in quel trionfo trecento e
rioni, triplex equiti. Sociis dimidio minus, quan sette mila danari e ottanta cinque mille settecento
civibus, datum. Itaque taciti, ut iratos esse sen e due vittoriali. Ebbero i soldati quindici danari
tires, secuti sunt currum. per testa, il doppio al centurione, il triplo al ca
valiere. Si diede la metà meno agli alleati che
a cittadini: onde accompagnarono il carro in
silenzio così, da poterli conoscere corrucciati.
XIV. (XVIII) Dum is triumphus de Liguri XIV. (XVIII.) Mentre si celebrava questo
bus agebatur, Ligures, postduam senserunt, non trionfo de' Liguri, essi, poi che intesero essersi
consularem tantum exercitum Romam abductum, non solamente condotto a Roma l'esercito conso
sed legionem ab Ti. Claudio Pisis dimissam, so lare, ma exiandio aver Tito Claudio licenziata la
luti metu, clam exercitu indicto, per transversos legione ch'era a Pisa, sciolti dal timore, adunato
limites superatis montibus, in campos degressi, clandestinamente l'esercito, superati per vie tra
agrum Mutinensem populati, repentino impetu verse i monti, discesi al piano, saccheggiato il
coloniam ipsam ceperunt. Id ubi Romam allatum contado di Modena, con impeto subitaneo pre
est, senatus C. Claudium consulem comitia pri sero la stessa colonia. Il che essendo rapportato
mo quoque tempore haberejussit, creatisque in a Roma, il senato commise al console Caio Clau
annum magistratibus in provinciam redire, et dio che quanto prima tenesse i comizii, e creati
coloniam ex hostibus eripere. Ita, uti censuit se gli annui magistrati, tornasse colà e ritogliesse
natus, comitia habita. Consules creati, Cn. Cor la colonia a'nemici. Si tennero i comizii giusta
nelius Scipio Hispallus, Q. Petillius Spurinus. il decreto del senato. I consoli creati furono Gneo
Praetoresinde facti, M. Popillius Laenas. P. Li Cornelio Scipione Ispallo e Quinto Petillio Spu
cinius Crassus, M. Cornelius Scipio, L. Papirius rino. Indi si fecero i pretori, Marco Popillio
Maso, M. Aburius, L. Aquillius Gallus. C. Clau Lenate, Publio Licinio Crasso, Marco Cornelio
dio consuli prorogatum in annum imperium, et Scipione, Lucio Papirio Masone, Marco Aburio
Gallia provincia; et ne Istri quoque idem, quod e Lucio Aquilio Gallo. Al console Caio Claudio
et Ligures, facerent, socios nominis Latini in fu prorogato il comando per un anno e aggiunta
Istriam mitteret, quos triumphi causa de pro la Gallia; ed acciocchè anche gl' Istriani non fa
vincia deduxisset. ( Anno U. C. 576. – A. C. cessero lo stesso che i Liguri, gli si commise di
176.) Cn. Cornelio et Q. Petillio consulibus, quo mandare in Istria gli alleati del nome Latino, che
die magistratum inierunt, immolantibus Jovi avea cavati dalla provincia per cagione del trion
singulis bubus, uti solet, in ea hostia, qua Q. Pe fo. (Anni D. R. 576. – A. C. 176.) Nel giorno
tillius sacrificavit, in jocinore caput non inven che i consoli Gneo Cornelio e Quinto Petillio
tum. Id quum ad senatum retulisset, bove perli presero il magistrato, immolando ciascun d'essi,
tare jussus. De provinciis deinde consultus sena come si suole, un bue a Giove, nella vittima che
tus Pisas et Ligures provincias consulibus decre Quinto Petillio sagrificò, nel fegato non si rin
vit. Cui Pisae provincia obvenisset, quum magi venne il capo; il che riferito essendo al senato,
stratuum creandorum tempus esset, ad comitia gli fu commesso di ripetere il sagrifizio sino a
reverti jussit: additum decreto, ut binas legio trarne miglior augurio. Indi il senato, consultato
nes novas scriberent, et trecenos equites; et de intorno alle province, assegnò Pisa e la Liguria
ma millia peditum sociis nominique Latino, et ai consoli. Quel d'essi, cui fosse toccata Pisa, ve
sexcenos imperarent equites. Ti. Claudio proro nuto il tempo di creare i magistrati, ebbe ordine
1499 TITI LIVII LIBER XLI. 15oo

gatum est imperium in id tempus, quo in pro di tornare a Roma: si aggiunse al decreto che
vinciam consul venisset. levassero due nuove legioni e trecento cavalli, e
comandassero agli alleati del nome Latino dieci
mila fanti e sei cento cavalli. A Tito Claudio fu
prorogato il comando insino al tempo, in cui il
console venuto fosse alla provincia.
XV. (XIX.) Dum de his rebus in senatu agi XV. (XIX) Mentre si trattano queste cose
tur, Cn. Cornelius, evocatus a viatore quum in senato, Gneo Cornelio, essendone uscito chia
templo egressus esset, paullo post rediit confuso mato dal viatore, rientrò poco di poi col volto
vultu, et exposuit Patribus conscriptis, bovis se confuso ed espose a'Padri coscritti che il fegato
scenaris, quem immolavisset, jecur defluxisse. Id del bue di sei anni, che avea sagrificato, s'era
se victimario nuncianti parum credentem, ipsum come disciolto; ch'egli, poco credendo al mini
aquam effundi ex olla, ubi exta coquerentur, stro, aveva ordinato che si votasse l'acqua del
jussisse; et vidisse ceteram integram partem ex vaso, dove si cuocevano le interiora, e che avea
torum, jecur omne inenarrabiliter absumptum. veduto rimasta intera ogni altra parte, ma il fe
Territis eo prodigio Patribus, et alter consul cu gato mirabilmente disfatto. Atterriti i Padri da
ram adjecit, qui se, quod caput jocinori defuis questo prodigio, anche l'altro console aggiunse
set, tribus bubus perlitasse negavit. Senatus ma di che vieppiù pensare, dicendo che non essen
joribus hostiis usque ad litationem sacrificari dosi rinvenuto al fegato il capo, immolati poscia
jussit. Ceteris diis perlitatum ferunt. Saluti Pe altri tre bovi, non ne avea mai tratto buon augu
tillium perlitasse negant. Inde consules praeto rio. Il senato ordinò che si sa grificasse con le
resque provincias sortiti. Pisae Cn. Cornelio, vittime maggiori, sino a che se ne traesse buon
Ligures Petillio obvenerunt. Praetores, L. Papi augurio. Dicono che gli altri dei gradirono i sa
rius Maso urbanam, M. Aburius inter peregrinos, grifizii, ma la dea Salute non mai quello di Pe
sortiti sunt. M. Cornelius Scipio Maluginensis tillio. Indi i consoli ed i pretori trassero a sorte
Hispaniam ulteriorem, L. Aquillius Gallus Sici le province. Toccò Pisa a Gneo Cornelio, la Ligu
liam habuit. Duo deprecati sunt, ne in provin ria a Petillio. De'pretori, ebbe Lucio Papirio
cias irent: M. Popillius in Sardiniam. « Grac Masone la giurisdizione urbana, Marco Aburio
chum eam provinciam pacare, et T. Aebutium la forestiera, Marco Cornelio Scipione Maluginese
praetorem adjutorem ab senatu datum esse. In la Spagna ulteriore, Lucio Aquilio Gallo la Sici
terrumpi tenorem rerum, in quibus peragendis lia. Due de'pretori chiesero di non andare alle
continuatio ipsa efficacissima esset, minime con lor province; Marco Popillio in Sardegna, alle
venire. Inter traditionem imperii novitatem que gando « ch'era Gracco incaricato di pacificare
successoris, quae noscendis prins, quam agendis, quella provincia, e che gli era stato dato a coadiu
rebus imbuenda sit, saepe bene gerendae rei tore dal senato il pretore Tito Ebuzio: non con
occasiones intercidere. » Probata Popillii excu venir punto, che s'interrompa l'andamento delle
satio est. P. Licinius Crassus sacrificiis se impe cose, alla buona riuscita delle quali ha grande
diri solemnibus excusabat, ne in provinciam efficacia la continuazione. Tra la consegna del co
iret. Citerior Hispania obvenerat. Ceterum aut mando e la novità del successore, il quale deve
ire jussus, aut jurare pro concione, solemni sa prima conoscere innanzi che operare, scappano
crificio se prohiberi. Id ubi in P. Licinio ita sta spesso le occasioni di buoni successi. ” Fu am
tutum est, et ab se uti jusjurandum acciperent, messa la scusa di Popillio. Publio Licinio Crasso si
M. Cornelius postulavit, ne in Hispaniam ulte scusava d'essere impedito di andare alla provincia
riorem iret. Praetores ambo in eadem verba ju per certi suoi solenni sagrifizii. Gli era toccata la
rejurarunt. M. Titinius et T. Fontejus procon Spagna citeriore. Del resto gli fu detto che o an
sules manere cum eodem imperii jure in Hispa dasse o giurasse davanti al popolo d'essere impe
nia jussi; et ut in supplementum his tria millia dito dalla solennità di un sagrifizio. Essendo stato
civium Romanorum cum equitibus ducentis, così stabilito rispetto a Publio Licinio, anche Mar
quinque millia sociùm Latini nominis et trecenti co Cornelio domandò di non andare nella Spagna
equites mitterentur. ulteriore, e che si ricevesse il suo giuramento. Am
bedue i pretori giurarono lo stesso. Si ordinò ai
proconsoli Marco Titinio e Tito Fonteio che ri
manessero in Ispagna colla stessa autorità, e che
si mandasse loro un supplemento di tremila cit
tadini Romani con duecento cavalli, e di cinque
mila alleati Latini con trecento cavalli.
15o i TITI LIVII LIBER XLI. 15o2

XVI. (XX.) Latinae feriae fuere ante diem XVI. (XX) Le ferie Latine si celebrarono ai
tertium Nonas Maji, in quibus, quia in una ho cinque di Maggio; nelle quali, perchè il magi
stia magistratus Lanuvinus precatus non erat, strato Lanuvino nel sagrificare una vittima om
« populo Romano Quiritium, º religioni fuit. Id messo aveva nella preghiera « al popolo Romano
quum ad senatum relatum esset, senatusque ad de'Quiriti, º insorse scrupolo di religione. Il che
pontificum collegium rejecisset; pontificibus, essendo riferito al senato e dal senato rimesso al
quia non recte factae Latinae essent, instaura collegio del pontefici, piacque ad essi che, rinno
tis Latinis, placuit Lanuvinos, quorum opera vate le ferie Latine, perchè non si erano cele
instauratae essent, hostias praebere. Accesserat brate a dovere, i Lanuvini, per cagione de quali
ad religionem, quod Cn. Cornelius consul, ex si rinnovavano, somministrassero le vittime. Si
monte Albano rediens, concidit, et, parte mem aggiunse altro scrupolo, che il console Gneo Cor
brorum captus, ad Aquas Cumanas profectus nelio, tornando dal monte Albano, cadde, e per
ingravescente morbo, Cumis decessit. Sed inde duto di parte delle membra, andato alle acque
mortuus Romam allatus, et funere magnifice ela Cumane, aggravatosi il male, morì a Cuma;
tus sepultusque est. Pontifex idem fuerat. Con donde poi morto fu portato a Roma e con ma
sul Q. Petillius, quum primum per auspicia pos gnifico funerale onorato e seppellito. Era egli
set, collegae subrogando comitia haberejussus, stato anche pontefice. Il console Quinto Petillio
et Latinas edicere. Comitia in ante diem tertium ebbe ordine, come tosto gli auspizii il permettes
Nonas Sextiles, Latinas in ante diem tertium sero, di tenere i comizii per surrogare il collega
Idus Sextiles edixit. Plenis religionum animis, ed intimar le ferie Latine. Intimò i comizii pel
prodigia insuper nunciata: Tusculi facem in coe terzo giorno e le ferie Latine per l'undecimo
lo visam; Gabiis aedem Apollinis et privata ae di Agosto. Essendo gli animi ingombri da reli
dificia complura, Graviscis murum portamque gioso terrore, si annunziarono eziandio de' pro
de coelo tacta. Ea Patres procurari, uti pontifi digii: che a Toscolo s'era veduta una fiaccola in
ces censuissent, jusserunt. Dum consules primum aria; che a Gabio il tempio di Apollo e parecchie
religiones, deinde alterum alterius mors, et co fabbriche private erano state colpite da fulmine,
mitia, et Latinarum instaurationes impediunt, non che a Gravisca il muro e le porte. I Padri
interim C. Claudius exercitum ad Mutinam, ordinarono che si facessero le espiazioni, secondo
quam Ligures priore anno ceperant, admovit. paresse a pontefici. Mentre i consoli son ritenuti
Ante triduum, quam oppugnare coeperat, rece a Roma, primieramente dalle cose di religione,
ptam ex hostibus colonis restituit. Octo millia poi un d'essi dalla morte dell'altro e dai comizii
ibi Ligurum intra muros caesa; literaeque Ro e dalla rinnovazione delle ferie Latine, intanto
mam extemplo scriptae, quibus non modo rem Caio Claudio avvicinò l'esercito a Modena, che
exponeret, sed etiam gloriaretur, sua virtute ac l'anno innanzi era stata presa dai Liguri. Avanti
felicitate neminem jam cis Alpes hostem populi tre giorni, dacchè s'era messo a combatterla, tol
Romani, agrique aliquantum captum qui multis tala a'nemici, la rendette ai coloni. Quivi otto
millibus hominum dividi viritim posset. mila Liguri furono tagliati a pezzi dentro le mu
ra, e subito si scrissero lettere a Roma, con le quali
Claudio non solo esponeva il fatto, ma eziandio
si dava il vanto, che per la virtù e felicità sua
non avesse ormai alcun nemico il popolo Romano
di qua dall'Alpi, e che si fosse conquistata tanta
quantità di terreni, da potersi dividere per testa
a molte migliaia di cittadini.
XVII. (XXI) Et Ti. Sempronius eodem tem XVII. ( XXI.) Anche Tito Sempronio nella
pore in Sardinia multis secundis proeliis Sardos Sardegna in que giorni medesimi domò i Sardi
perdomuit: quindecim millia hostium sunt cae in molti fatti d'arme: ne uccise da quindici mila.
sa. Omnes Sardorum populi, qui defecerant, in Tutti i popoli della Sardegna che s'erano ribella
ditionem redacti. Stipendiariis veteribus duplex ti, tornarono all'ubbidienza. Ai tributarii di pri
vectigal imperatum, exactumque : ceteri frumen ma fu imposto un doppio tributo ed esatto: gli
tum contulerunt. Pacata provincia, obsidibusque altri contribuirono frumento. Pacificata la pro
et tota insula ducentis triginta acceptis, legati vincia e presi da tutta l'isola duecento e trenta
Romam, qui ea nunciarent, missi, quique ab ostaggi, si mandarono de' legati a Roma che ne
senatu peterent, ut ob eas res, ductu auspicio recassero la nuova, e chiedessero al senato, che
que Ti. Sempronii prospere gestas, diis immor per codesti fatti felicemente accaduti sotto la
talibus honos haberetur, ipsique decedenti de condotta e gli auspizii di Tito Sempronio, si
- a
15o3 TITI LIVII LIBER XI,I. 1 oot

provincia exercitum secum deportare liceret. Se rendessero grazie agli dei immortali, e a lui si
natus, in aede Apollinis legatorum verbis audi permettesse che partendo dalla provincia menas
tis, supplicationem in biduum decrevit, et qua se con seco l'esercito. Il senato, data udienza ai
draginta majoribus hostiis consules sacrificare legati nel tempio di Apollo, decretò due giorni
jussit; Ti. Sempromium proconsulem exercitum di preghiere ed ordinò ai consoli che sagrificasse
que eo anno in provincia manere. Comitia dein ro con quaranta vittime maggiori, e che il pro
de consulis unius subrogandi, quae in ante diem console Tito Sempronio e l'esercito rimanessero
tertium Nonas Sextiles edicta erant, eo ipso die quell'anno nella provicia. Si tennero i comizii
sunt confecta. Q. Petillius consul collegam, qui per la surrogazione di un console, ch'erano stati
extemplo magistratum occiperet, creavit C. Va intimati pel terzo giorno di Agosto, e si tennero
lerium Laevinum. Is, jam diu cupidus provinciae, in quel giorno medesimo. Il console Quinto Pe
quum opportunae cupiditati eius literae allatae tillio nominò suo collega Caio Valerio Levino, il
essent, Ligures rebellasse, Nonis Sextilibus palu quale pigliasse subito il magistrato. Questi, già
datus, literis auditis, tumultus ejus causa legio da gran tempo avido di comandare, essendo
nem tertiam ad C. Claudium proconsulem in giunte lettere a codesta brama molto opportune,
Galliam proficisci jussit; et duumviros navales che i Liguri si erano ribellati, udite queste, in
cum classe Pisas ire, qui Ligurum oram, mariti dossato il paludamento a cinque di Agosto,ordinò,
mum quoque terrorem admoventes, circumve a cagione di quella sommossa, che la terza legio
ctarentur. Eodem et Q. Petillius consul ad con ne andasse nella Gallia al proconsole Caio Claudio,
veniendum exercitui diem edixerat. Et C. Clau e così i duumviri navali colla flotta a Pisa; i quali
dius proconsul, audita rebellione Ligurum, prae costeggiassero la spiaggia della Liguria, incutendo
ter eas copias, quas secum Parmae habebat, su timore anche dalla parte di mare. Il console Quin
bilariis collectis militibus, exercitum ad fines Li to Petillio aveva anch'egli assegnato all'esercito il
gurum admovit. giorno, in cui si radunasse colà. Il proconsole
Caio Claudio, udita la ribellione de'Liguri, oltre
le genti che aveva seco a Parma, raccolti in fret
ta altri soldati, avvicinò l'esercito ai confini
della Liguria.
XVIII. (XXII.) IIostes sub adventum C. Clau XVIII. ( XXII. ) I nemici, al venire di Caio
dii, a quo duce se meminerant nuper ad Sculten Claudio, capitano, dal quale si ricordavano d'es
mam ſlumen victos fugatosque, locorum magis sere stati poc'anzi presso al fiume Scultenna
praesidio adversus infeliciter expertam vim, quam vinti e fugati, onde difendersi contro la forza
armis, se defensuri, duos montes Letum et Bali già malamente provata col presidio de luoghi,
stam ceperunt, muroque insuper amplexi. Tar piuttosto che con l'armi, presero i due monti
dius ex agris demigrantes oppressi ad mille et Leto e Balista e inoltre li cinsero di muro. Di
quingentos perierunt. Ceteri montibus se tene quelli che furon più tardi a partire dalla campa
bant, et, ne in metu quidem feritatis ingenitae gna, ne furono oppressi da mile e cinquecento
obliti, saeviunt in praedam, quae Mutinae parta Gli altri si tenevano su monti, e non dimentichi,
erat. Captivos cum foeda laceratione interficiunt: nè anche in mezzo alla paura, dell'innata fierez
pecora in fanis trucidant verius passim, quam za, si scagliano contro la preda fatta a Modena.
rite sacrificant. Satiati caede animantium, quae Mettono a morte i prigioni, straziandoli crudel
inanima erant, parietibus affligunt, vasa omnis mente; e ne'tempii trucidano piuttosto che non
generis usui magis, quam ornamento in speciem, sagrificano i bestiami. Sazii della strage degli
facta. Q. Petillius consul, ne absente se debella animali, voltisi contro le cose inanimate, affiggo
retur, literas ad C. Claudium misit, ut cum exer no alle pareti ogni sorta di arnesi, fatti più ad
citu ad se in Galliam veniret: campis Macris se uso, che ad ornamento. Il console Quinto Petillio,
eum exspectaturum. Literis acceptis, Claudius ex acciocchè non si terminasse la guerra in assenza
Liguribus castra movit, exercitumque ad campos sua, spedì lettere a Caio Claudio che venisse a sè
Macros consuli tradidit. Eodem paucis post die nella Gallia con l'esercito: lo avrebbe aspettato
bus C. Valerius consul alter venit. Ibi, divisis ne Campi - Magri. Claudio, ricevute le lettere,
copiis, priusquam digrederentur, communiter mosse il campo dalla Liguria e consegnò ne'Cam
ambo exercitus lustraverunt. Tum sortiti, quia pi - Magri l'esercito al console. Colà pochi dì di
non ab eadem utrumque parte aggredi hostem poi venne anche l'altro console Caio Valerio.
placebat, regiones quas peterent. Valerium auspi Quivi, divise le forze, avanti che si lasciassero,
cato sortitum constat, quod in templo fuisset: in ambedue insieme rassegnarono gli eserciti; indi,
l'etillio id vitio factum, postea augures respon poiche non volevano assaltare il nemico da una
- TITI LIVII LIBER XLI. i 5o6

derunt, quod extra templum sortem in sitellam banda sola, trassero a sorte a qual parte ciascuno
in templum latam foris ipse posuerit. Profecti andasse. Si conviene, che Valerio trasse a sorte
inde in diversas regiones. Petillius adversus Ba secondo gli auspicii, perchè egli era nel tempio:
listae et Leti jugum, quod eos montes perpetuo gli auguri hanno poscia risposto, che vi fu difet
dorso inter se jungit, castra habuit. Ibi adhor to per parte di Petillio, perchè egli pose la sorte
tantem eum pro concione milites, immemorem nell'urna, standosi fuori del tempio. Indi si par
ambiguitatis verbi, ominatum ferunt, « se eo die tirono per diverse bande. Petillio si accampò di
Letum capturum esse. m Duabus simul partibus fronte alla giogaia, che con perpetua catena lega
subire in adversos montes coepit. Ea pars, in qua insieme i due monti Balista e Leto. Quivi, mentre
ipse erat, impigre succedebat. Alteram hostes esorta nel parlamento i soldati, non riflettendo
quum propulissent, ut restitueret rem inclina all'ambiguità della parola, dicesi che presagisse:
tam, consul equo advectus, suos quidem a fuga « se eo die Letum capturum esse. - Cominciò a
revocavit: ipse, dum incautius antesigna obver salire gli opposti monti da due parti ad un tem
satur, missili trajectus cecidit. Nec hostes ducem po; la parte, dove era egli in persona, s'inoltra
occisum senserunt; et suorum pauci, qui vide va bravamente. I nemici avendo respinta l'altra,
rant, haud negligenter, ut qui in eo victoriam il console, accorso a cavallo, onde riparare il dis
verti scirent, corpus occultavere. Alia multitu ordine, bensì ritrasse i suoi dalla fuga; ma egli,
do peditum equitumque, deturbatis hostibus, mentre troppo incautamente si aggira tra primi,
montes sine duce cepere. Ad quinque millia Li cadde trafitto da un giavellotto. Nè i nemici si
gurum occisa: ex Romano exercitu duo et quin accorsero del console ucciso, e i pochi de' suoi
quaginta ceciderunt. Super tam evidentem tri che l'avean veduto cadere, destramente copriro
stis ominis eventum, etiam ex pullario auditum no il corpo, che sapevano in ciò consistere la
est, vitium in auspicio fuisse, nec id consulem vittoria. L'altra moltitudine de'fanti e de'cavalli,
ignorasse. C. Valerius, audita I morte Q. Petillii, scacciatine i nemici, senza che alcuno li coman
exercitum sine duce relictum ad suas copias ad dasse, prese i monti. Rimasero morti da cinque
junxit, iterumque aggressus hostes, eorum san mille Liguri; dell'esercito Romano caddero solo
guine collegae manibus egregie parentavit.Trium cinquantadue uomini. Oltre una sì evidente veri
phavit de Liguribus. In legionem, cujus ante si ficazione del tristo presagio, si riseppe anche dal
gna consul occisus erat, severe ab senatu animad custode de'polli,esservi stato negli auspizii difetto,
versum est. Et universae neque stipendium anni nè averlo il console ignorato. Caio Valerio, udita
procedere, neque aera dari placuit, quia, prosa I la morte di Quinto Petillio, unì l'esercito ri
lute imperatoris, hostium telis se non obtulerant. masto senza comandante alle sue genti, e nuova
Sub haec tempora legati Dardanorum, quo in mente assaltati i nemici, fe del loro sangue grato
gens Bastarnarum exercitus, Clondico duce, ut sagrifizio all'ombra del collega. Trionfò de'Ligu
ante memoravimus, premebat, Romam venere. ri. Il senato punì severamente la legione, davanti
Qui quum de Bastarnis exposuissent, quanta es alle cui bandiere era stato il console ucciso. Volle
set eorum multitudo, quam procera et immania che non le fosse tenuto conto della milizia di
corpora, quanta in periculis audacia, adjecerunt, quell'anno, nè se ne le desse la paga, poi che
societatem iis esse cum Perseo, et vero eun ma non s' erano esposti ai colpi del nemico per sal
jori sibi, quam Bastarnas ipsos, esse terrori: ac vare il loro comandante. Intorno a quel tempo i
proinde ut auxilium sibi ferretur, ab senatupo legati de' Dardani, cui travagliava, come dicem
stularunt. Patres decreverunt, mittendos esse le mo, grosso esercito de'Bastarni sotto la condotta
gatos, qui Macedoniae res inspicerent: et statim di Clondico, vennero a Roma. I quali avendo
A. Postumio negotium datum, ut eo proficisce esposto quanto grande fosse il numero de Ba
retur. Collegas ei adjunxerunt e junioribus, ut starni, quanto alta e colossale la loro statura,
penes eum praecipua esset legationis vis et aucto quanto l'ardimento nei pericoli, aggiunsero ch'e
ritas. Inde actum de comitiis magistratuum in rano in lega con Perseo, che mette a loro più ter
insequentem annum : qua de re non mediocris rore che i Bastarmi stessi, e per ciò chiesero al
disceptatio incidit, quod I periti religionum ju senato che volesse soccorrerli. I Padri decretaro
risque publici, quando duo ordinarii consules no che si mandassero legati in Macedonia a esa
ejus anni, alter morbo, alter ferro periisset, suſ minar lo stato delle cose, e fu commesso subito
fectum consulem negabant recte comitia habere ad Aulo Postumio che si recasse colà. Gli aggiun
posse (Anno U. C. 577. – A. C. 175.) I Res ad sero alcuni giovani colleghi, in modo però, che
interregnum rediit. Creati consules per interre la preminenza ed autorità dell'imbasciata rima
gem P. Mucius Scaevola, M. Aemilius Lepidus nesse presso di lui. Indi si trattò de'comizii
iterum. "e inde facti sunt C. l'opillius de'magistrati per l'anno seguente; il che diede
al vºto e o5
,5o7 'l'I l I LI Vll Ll 13 LR XLI. n.5o8

Laenas, T. Annius Luscus, C. Memmius Gallus, luogo a disputa non mediocre, perchè l i pratici
C. Cluvius Saxula, Ser. Cornelius Sulla, Ap. delle cose religiose e del pubblico diritto, poi
Claudius Centho. Consulibus provinciae obti ch'eran morti in quell'anno i due consoli ordi
gere Gallia et Ligures. Praetorum Cornelius Sul narii, uno di malattia, l'altro di ferro nemico,
la Sardiniam obtinuit, Claudius Centho citerio negavano che il console surrogato tener potesse
rem Hispaniam. Reliquae praetoria e provinciae legittimamente i comizii. I Si venne dunque al
quibus e venerint, non exstat memoria. Annus l'interregno. ( Anni D. R. 577. – A. C. 175. )
hic pestilentia infamis, quae tamen in armenta L'interrè creò consoli Publio Mucio Scevola e
tantum grassata est. Ligures gens semper vi Marco Emilio Lepido per la seconda volta. Indi
cta, semper rebellans, Lunam Pisasque depopu creati furono pretori Caio Popillio Lenate, Tito
lati fuerant. Simul et Gallicus tumultus incre Annio Lusco, Caio Memmio Gallo, Caio Cluvio
puerat. Lepidus Gallorum motu facile compres Saxula, Sergio Cornelio Sulla, Appio Claudio
so, in Ligures transcendit. Aliquot populi sese Centone. Toccò ai consoli la Gallia e la Liguria.
ejus arbitrio permiserunt: quos, ut sunt fere De' pretori, Cornelio Sulla ebbe la Sardegna,
similia locis cultorum in genia, asperis montium Claudio Centone la Spagna citeriore. Le altre
jugis, quae incolebant, efferari ratus, quorumdam province pretorie a chi toccate fossero, non ce ne
ante se consulum exemplo, in planal deduxit, resta memoria. È infame quest'anno per la pe
stilenza, che per altro infierì solamente contro
gli armenti. I Liguri, nazione sempre vinta e
sempre ribellantesi, aveano dato il guasto a Luna
ed a Pisa. S'era eziandio fatta sentire qualche
sommossa de' Galli. Lepido, compressa la facil
mente, passò ne Liguri. Alquanti popoli se gli
diedero a discrezione. Persuaso che, come l'in
dole degli abitanti somiglia d'ordinario quella
de luoghi, così coloro la lor ferocia traessero
dall'asprezza de'monti che abitavano, dietro
l'esempio di alcuno de'consoli precedenti, al
piano I li tradusse.
XIX. (XXIII.) Cis Apenninum Garuli, et La XIX. ( XXIII. J Di qua dall'Apennino sta
picini, et Hercates; trans Apenninum Briniates vano i Garuli, i Lapicini e gli Ercati; di là i
ſuerant. Inter Audenam amnem P. Mucius cum Briniati. Publio Mucio di qua dal fiume Audema
iis, qui Lunam Pisasque depopulati erant, bellum guerreggiò con quelli, che aveano saccheggiato
gessit; omnibusque in ditionem redactis arma Luna e Pisa, e avendoli ridotti tutti all'obbedien
ademit. Ob eas res, in Gallia Liguribusque gestas za, tolse loro le armi. Per queste imprese, fatte
duorum consulum ductu auspicio que, senatus in nella Gallia e nella Liguria sotto la condotta e
triduum supplicationes decrevit, et quadraginta gli auspizii di due consoli, il senato decretò tre
hostiis sacrificari jussit. Et tumultus quidem Gal giorni di preghiere, e ordinò che si sagrificasse
licus et Ligustinus, qui principio eius anni exor con quaranta vittime. E in vero la sommossa del
tus fuerat, haud magno conatu brevi oppressus la Gallia e della Liguria, ch'era insorta sul prin
erat. Belli Macedonici subibat jam cura, miscente cipio di quell'anno, era stata in breve acquetata
Perseo inter Dardanos Bastarnasque certamina ; senza grande sforzo; bensì già sottentrava il
et legati, qui missi ad resvisendas in Macedoniam pensiero della guerra Macedonica, aizzando Per
erant, jam reverterant Romam, renunciaverant seo la guerra tra i Dardani ed i Bastarni; e i lega
que, bellum in Dardania esse. Simul venerant et ti ch'erano stati spediti in Macedonia a far cono
ab rege Perseo oratores, qui purgarent, nec ac scenza delle cose, erano già tornati a Roma, ed
citos ab eo Bastarnas, nec auctore eo quidquam avean riferito che nella Dardania ardeva la guer
tacere. Senatus mec liberavit eius culpae regem, ra. Erano pur allora venuti ambasciatori del re
neque arguit: moneri eum tantummodo jussit, Perseo a scusarlo, che nè avesse egli chiamati i
ut etiam atque etiam curaret, ut sanctum habe Bastarni, nè far essi alcuna cosa per istigazione
ret foedus, quod ei cum Romanis esse videri pos sua. Il senato nè liberò il re da quella accusa, nè
set. Dardani, quum Bastarnas non modo non ex gliela appose: volle solamente che fosse avverti
cedere finibus suis, quod speraverant, sed gravio to di badare attentamente quanto mai a mantene
res fieri in dies cernerent, subnisos Thracum ac re inviolata l'alleanza, che potea credersi aver
colarium et Scordiscorum auxiliis, audendum ali egli stretta co' Romani. I Dardani, vedendo che
quid vel temere rati, omnes undique armati ad i Bastarni non solamente non uscivano da lor
-

1 ooº) TITI LIVII LIBER XLI. 5 i ci

oppidum, quod proximum castris Bastarnarum confini, il che aveano sperato, ma che anzi ogni
erat, conveniunt. Hiems erat, et id anni tempus dì facevansi più gravosi, fortificatisi de soccorsi
elegerant, ut Thraces Scordiscique in fines suos dei Traci conterminanti e degli Scordisci, pensan
abirent. Quod ubi ita factum, et solos jam esse do che si avesse ad osare anche temerariamente
Bastarnas audierunt, bifariam dividunt copias : alcun che, tutti da ogni parte in arme si raccol
pars, ut recto itinere ad lacessendum ex aperto gono presso il castello, ch'era vicino all'accampa
iret; pars, devio saltu circumducta, ab tergo ag mento de'Bastarni. Era il verno, e scelta aveano
grederetur. Ceterum, priusquam circumire castra questa stagione, acciocchè poi i Traci e gli Scor
hostium possent, pugnatum est; victique Darda disci tornassero al lor paese. Ciò fatto, udendo
mi compelluntur in urbem, quae fere duodecim che i Bastarni erano soli, dividono le lor forze
millia ab castris Bastarnarum aberat. Victores in due parti: una che per la via diritta andasse
confestim circumsidunt urbem, haud dubie poste apertamente a provocarli; l'altra, che, fatto un
ro die aut metu dedituris se hostibus, aut vi ex giro per sentieri fuor di mano, gli assaltasse alle
pugnaturi. Interim Dardanorum altera manus, spalle. Se non che, innanzi che potessero attor
quae circumducta erat, ignara cladis suorum, ca miare il campo de'nemici, vennero alle prese ; e
stra Bastarnarum sine praesidio relicta [ nullo i Dardani vinti sono respinti dentro la città,
negotio cepit. Bastarnae, omni et commeatu et distante circa dodici miglia dal campo dei Bastar
apparatu bellico, qui in castris fuerat, exuti, ni. I vincitori subito circondano la città, non
quum eius reparandi facultas ex hostili regione, dubitando, che il dì seguente i nemici o si sareb
et infesto tempore anni, nulla esset, patrias sedes bono arrenduti per paura o l'avrebbon presa
repetere statuerunt. Itaque ad Istrum regressi, per forza. Intanto l'altra banda dei Dardani, che
non sine ingenti laetitia flumen alta concretum avea fatto il giro, non sapendo della rotta de'suoi,
glacie offenderunt, quae nullum onus recusare prese senza contrasto l'accampamento de' Ba
videretur. Verum incumbente festimantium seque starni, lasciato senza presidio. I Spogliati i Bastar
cursu agglomerantium hominum ac jumentorum mi d'ogni sorta di vettovaglie e di guerresco
toto simul agmine, glacies sub immenso pondere apparato, ch'era nel lor campo, non avendo mo
fatiscens subito dissiluit, universumque agmen, do, in paese nemico ed in contraria stagione, di
quod diu sustinuerat, mediis gurgitibus, victa ripararne la perdita, deliberarono di tornarsene
tandem et comminuta, destituit. Plurimi statim alle lor case. Qindi venuti nuovamente all'Istro,
vorticibus hausti sunt. Multos enatare conantes trovarono il fiume, non senza grande letizia, sì
crustae dissolutae fragmina superinducta merse altamente rappreso dal ghiaccio, che non parea
runt. Pauci ex omni populo per utramque ripam ricusare nessun peso. Ma pressandosi affretta
vix concisis visceribus evaserunt. ] tamente ad un tempo e accumulandosi di corso,
gli uni sugli altri, tutta la calca degli uomini e
de giumenti, il ghiaccio sotto l'immenso peso
cedendo squarciossi, e tutto infine rotto e strito
lato, lasciò piombare in mezzo a gorghi tutta la
gente, che avea lungamente sostenuta. La mag
gior parte fu subito inghiottita ne'vortici. Molti
tentando di nuotare furono sommersi dai fram
menti della crosta infranta, che soverchiolli.
Pochi di tanto popolo a gran pena colle viscere
cincischiate, giunsero salvi alle due rive. ]
[ (XXIV) Per ea tempora Antiochus, Magni [ ( XXIV ) Intorno a quel tempo Antioco,
Antiochi filius, qui diu Romae obses fuerat, mor figlio di Antioco il Grande, e ch'era stato lunga
tuo Seleuco fratre, Syriae regnum occupavit. mente ostaggio in Roma, morto il fratello Seleu
Namque Seleucus, quem Philopatora Graeci voca co, salì al soglio della Siria. Perciocchè Seleuco,
vere, quum paternis cladibus fractas admodum che i Greci chiamarono Filopatore, avendo tro
Syriae opes accepisset, post otiosum nullisque vata la Siria assai debilitata per le paternescia
admodum rebus gestis nobilitatum annorum duo gure, dopo un regno di dodici anni ozioso e da
decim regnum, hunc minorem natu fratrem, mis nessuna impresa nobilitato, richiamò questo suo
so Romam in eius locum filio suo Demetrio, re fratello minore, spedito a Roma in d lui vece il
vocavit, ex foederis legibus, quo mutari identi figlio Demetrio, giusta i patti dell'accordo, per
dem obsides oportebat. Vix illeAthenas pervene cui bisognava di tempo in tempo rinnovare gli
rat, quum Seleucus insidiis Heliodori, unius ex ostaggi. Era appena giunto Antioco in Atene,
purpuratis, oppressus interiit. Hunc regnum aſſe quando Seleuco perì sopraffatto dalle insidie di
15 I 1 - 'l'ITI LIVII LIBER XLI. 15 1 2

ctantem Eumenes et Attalus expulerunt, indu Eliodoro, uno de' grandi del regno. Aspirando
xerunt que in eius possessionem Antiochum, quem questi al trono, me lo balzarono Eumene ed At
sibi hoc tanto beneficio devinctum habere magni talo, e vi fecero salire Antioco, cui stimavano util
aestimabant. Jam enim ob quasdam offensiuncu cosa legare a sè con così grande benefizio. Per
las suspectos habebant Romanos. Eorum auxiliis ciocchè sin d'allora per alcune picciole brighe i
regno potitus Antiochus tanto populorum gaudio Romani eran lor venuti sospetti. Antioco, insi
exceptus est, ut ei cognomen indiderint Epipha gnoritosi col loro aiuto del regno, fu accolto con
ni, quod, quum alieni a stirpe regia regnum in tanta gioia de'popoli, che gl' imposero il nome
vaderent, ipse avitae ditionis assertor exortus suis di Epifane, perchè, mentre altri, estranei alla
illuxisset. Neque vero ei ad res bellicas defuit in regia stirpe, invadevano il soglio, egli sorto fosse
doles et vigor animi. Verum ita pravus et incon quasi astro lucente ad assecurare l'avita domina
sultus fuit in tota morum et instituendae vitae zione. Nè gli mancò per le faccende guerresche
ratione, ut brevi, cognomine mutato, pro Epi vigor di mente e di cuore; ma fu di sì strani
phane Epimanes, id est insanus, vocitaretur. Sae costumi e di sì inconsiderata condotta in tutta la
pe enim egressus e regia insciis ministris, uno aut maniera del viver suo, che tra breve, cangiatogli
altero comite, per urbem rosa coronatus et auro il nome, invece di Epifane fu chiamato Epimane,
textam indutus vestem incedebat, interim lapidi cioè forsennato. Perciocchè sovente uscendo dal
bus, quos sub ala gerebat, incessens obvios; in la reggia senza saputa de'ministri, con uno o due
terdum contra nummos in vulgus spargens, vo compagni, passeggiava per la città coronato di
ciferansque, «sumat, cui fortuna dederit. » Alias rose, in veste ricamata d'oro, scagliando pietre, che
vero per aurificum, caelatorumque, et aliorum fa teneva sotto l'ascella, contro quanti s'imbatteva;
brorum officinas discurrebat, de cujusque arte alle volte invece spargeva danari fra il popolo, gri
ambitiose disserems: nunc cum obvio quoque ple dando, a pigli chi può. Altra volta discorrendo
bejorum hominum sermones miscelat in publi per le botteghe degli orafi, degli incisori o d'altri
co; nunc circum popinas oberrans, cum ultimae artefici, dell'arte loro prosontuosamente dispu
sortis peregrinis et advenis compotationi indul tava: ora s'intratteneva pubblicamente con qual
gebat. Si quos forte juvenes tempestivum cele si fosse della plebe, ora errando qua e colà per le
brare convivium senserat, ipse statim cum pocu taverne sbevazzava cogli strani e forestieri della
lo et symphonia improvisus aderat comissabun classe più bassa. Se aveva inteso che alcuni gio
dus et lasciviens; ita ut rei novitate perculsi ple vani a caso dovessero insieme banchettare, egli
rique se in fugam darent, partim metu contice subito giungeva improvviso con coppa in mano
scerent. In publicis quoque balneis cum turba e con banda di suonatori, a stravizzare e folleg
eum lavare solitum fuisse constat. Ibi quum un giare, in modo che i più, colpiti dalla novità
guentis tamen pretiosissimis uteretur, ferunt della cosa, si davano alla fuga, e parte per timore
quemdam ei de plebe hominem dixisse quondam: ammutoliva. Si accerta parimenti. che si soleva
« Beatus es, o rex: unguenta maximi pretii oles. » lavare ne' pubblici bagni mescolatamente con
Cui ille, dicto delectatus, « jam te, inquit, ita l'altra turba. Narrasi che quivi usando unguenti
beabo, ut saturum te esse fateare; º et statim in preziosissimi, un tale della plebe una volta gli
ejus caput ingentem unguenti nobilissimi urnam disse, « Ben sei beato,ore; olezzi unguenti di gran
effundi jussit: ita ut, natante pavimento, in lubri valore; - a cui egli, dilettatosi del detto, a te pure,
co lapsantes tum ceteri, tum ipse rex imprimis disse, farò beato cotanto, che confesserai d'esser
cachinnos tollens concideret. I sazio; º e tosto ordinò che se gli votasse sul capo
una grande urna di mobilissimo unguento, in
modo che, inondatone il pavimento, e gli altri
sdrucciolando sul lubrico, ed il re stesso, sghan
gheratamente ridendo, cadette. I
[ XX. (XXV) Postremo, sumpta loco vestis [ XX. (XXV.) Infine, invece della regia veste
regiae toga, quemadmodum Romae a candidatis presa la toga, come avea veduto farsi a Roma dai
fieri viderat, forum circumibat, singulos e plebe candidati, girava attorno al foro, prendendo per
prensans amplexansque, et modo aedilitatem, mo mano ed abbracciando ciascuno, ora chiedendo
do tribunatum plebis petens: ac denique populi l'edilità, ora il tribunato della plebe; e finalmen
suffragiis magistratum adeptus, Romano i more, te ottenuto il magistrato dai voti del popolo,
sella eburnea posita, jus dicebat, disceptabato,ue all'usanza Romana , posta una sedia d'avorio,
controversias minimarum rerum : adeoque nulli rendeva ragione e decideva le più minute con
fortunae adhaerebat animus, per omnia genera troversie; e sì fattamente in nessuna cosa ferma
vitae errans, uti nec sibi, nec aliis, quinam va l'animo, che nè egli, nè altri sapeva che uomo
15 i 3 TI l'I LIVII LIBER XI,I. 5i4

homo esset, satis constaret. Non alloqui ami egli si fosse. Non parlava cogli amici, sorrideva
cos, vix notis familiariter arridere; munificentia domesticamente a chi gli era appena noto; si
inaequalisese aliosque ludificari: quibusdam ho prendea spasso di sè e degli altri con tratti d'ine
moratis magnoque aestimantibus se puerilia, ut guale munificenza: ad alcuni di grado distinto
escae aut lusus, munera dare ; alios nihil exspe e che si tenevan da molto dava presenti fanciulle
ctantes ditare. Itaque nescire, quid sibi vellet, schi, come cosucce da mangiare e da trastullarsi;
quibusdam videri. Quidam ludere eum simplici arricchiva altri, che meno sel pensavano. Quindi
ter, quidam haud dubie insanire aiebant. In dua parea ad alcuni ch'ei non sapesse quello che si
bus tamen magnis honestisque rebus vere regius volesse. Altri dicevano che si divertiva da sem
erat animus, in urbium donis, et deorum cultu. pliciotto, altri, ch'egli era indubitatamente pazzo.
Megalopolitanis in Arcadia murum se circumda Ma però in due cose grandi ed oneste sfoggiava
turum urbi est pollicitus, majoremdue partem un animo veramente reale, ne'doni alle città, e
pecuniae dedit. Tegeae theatrum magnificum e nel culto degli dei. Promise a quei di Megalopoli
marmore facere instituit. Cyzici in Prytaneum in Arcadia, che avrebbe cinta di muro la loro
(id est penetrale urbis, ubi publice, quibus is ho città, e vi contribuì la maggior parte del danaro.
nos datus est, vescuntur), vasa aurea mensae A Tegea cominciò ad erigere un magnifico teatro
unius posuit. Rhodiis, ut nihil unum insigne, ita di marmo. A Cizico nel Pritanio (è questo un
omnis generis, ut quaeque usus eorum postula ospizio della città, dove si nutrono a spese pub
verunt, dona dedit. Magnificentiae vero in deos bliche quelli, ai quali è conceduto codesto onore)
vel Jovis Olympii templum Athenis, unum in ter appose vasi d'oro ad uso di una mensa. A Rodia
ris inchoatum pro magnitudine dei, potest testis nife'regali, nessuno di gran rilievo, però di ogni
esse. Sed et Delon aris insignibus statuarumque sorte e come richiedevano gli usi loro. Della sua
copia exornavit: et Antiochiae Jovis Capitolini magnificenza poi verso gli dei, il tempio in Atene
magnificum templum, non laqueatum auro tan di Giove Olimpio, unico al mondo, che siasi in
tum, sed parietibus totis lamina inauratum, et trapreso a fare in modo degno del dio, può farne
alia multa in aliis locis pollicitus, quia perbreve testimomianza. Adornò anche Delo d'illustri al
tempus regni eius fuit, non perfecit. Spectaculo tari e di gran copia di statue ; e in Antiochia il
rum quoque omnis generis magnificentia supe tempio magnifico di Giove Capitolino, non sola
riores reges vicit, reliquorum sui moris, et co mente col soffitto d'oro, ma eviandio con tutte le
pia Graecorum artificum. Gladiatorum munus pareti vestite di lamine indorate, e molte altre
Romanae consuetudinis primo majore cum ter cose, che avea promesse in parecchi luoghi, per
rore hominum, insuetorum ad tale spectaculum, chè il tempo del suo regno fu brevissimo, non le
quam voluptate, dedit: deinde saepius dando, et potè trarre a compimento. Anche nella magnifi
modo vulneribus tenus, modo sine missione etiam, cenza di ogni sorte di spettacoli superò i suoi
et familiare oculis gratumque id spectaculum fecit, predecessori per la copia d'artefici greci e del
et armorum studium plerisque juvenum accendit. paese. Diede lo spettacolo de gladiatori all'uso
Itaque, qui primo ab Roma magnis praemiis pa Romano, dapprima con maggior terrore, che
ratos gladiatores arcessere solitus erat, jam suo piacere degli uomini, che non vi erano avvezzi;
I e regno voluntarios facile paravit gladiatores, poscia, dandolo spesso ed ora solamente sino alle
operam ultro ad depugnandum exigua mercede ferite, ora eziandio sino a non far grazia, lo ren
offerentes. Ceterum eamdem in edendis spectacu dette famigliare agli occhi e gradito, e accese in
lis, quam et in cetera vita, pravitatem animile petto a giovani l'amor dell'armi. Quindi quegli,
vitatem que exhibuit, ut ludorum apparatu nihil che solea da principio trarre da Roma a gran
magnificentius, nihil ipso rege vilius aut contem prezzo i gladiatori, già nel proprio [ paese n'eb
ptius videretur. Quod quidem quum saepe alias, be facilmente di volontarii, che si offerivano
tum maxime in iis ludis apparuit, quos, aemula spontaneamente a combattere per picciola merce
tus eorum magnificentiam, qui a Paullo in Mace de. Del resto, nel dare spettacoli mostrò la stessa
donia post devictum Persea dati fuerant, immani stranezza e leggerezza d'animo, che nella restante
sumptu, nec minore suo dedecore, Antiochiae foggia del viver suo, sì che non si vedeva niente
edidit. Verum ad Romanas res revertamur, a qui di più magnifico nel loro apparecchio, e insieme
bus nos longius abstraxit hujus regis mentio. ] niente di più vile o sprezzabile del re medesimo.
Il che e sovente altre volte e allora specialmente
apparve in quel giuochi, che diede in Anticchia
con dispendio strabocchevole e con non minor
suo disonore, emulando la magnificenza di quelli
ch'erano stati dati da Paolo in Macedonia, poi
TITI LIVII LIBER XLI. 15 16

ch'ebbe vinto Perseo. Ma torniamo alle cose Ro


mane, dalle quali ci avea di troppo sviati la men
zione di questo re. ]
I XXI. (XXVI) Ti. Sempronius Gracchus, [ xxi. (XXVI) Tito Sempronio Gracco, il
qui per biennium Sardiniam obtinuerat, tradita quale avea governata la Sardegna per due anni,
Ser. Cornelio Sullae praetori provincia, reversus consegnata la provincia al pretore Cornelio Sulla,
Romam triumphavit de Sardis. Tantam captivo tornato a Roma trionfò de Sardi. Dicono che
rum multitudinem ex ea insula illum abduxisse tanta moltitudine di prigioni condusse da quel
ferunt, ut longa eorum venditione res in prover l'isola, che il lungo tempo occorso alla lor ven
bium venerit, et . Sardi venales » pro rebus vi dita diede occasione ad un proverbio, e con mot
libus vulgari joco celebrati fuerint. Triumphave to scherzevole si soleva dire volgarmente: «Sardi
runt et consules ambo, Scaevola de Liguribus, da vendere º per accennar le cose più vili. Trion
Lepidus de iisdem et Gallis. Tum comitia magi farono anche i due consoli, Scevola dei Liguri,
stratuum in insequentem annum habita. (An Lepido dei Liguri e dei Galli. Poscia si tennero
no U. C. 578. – A. C. 174.) Creati consu i comizii a creare i magistrati per l'anno seguente.
les sunt Sp. Postumius Albinus, Q. Mucius Scae ( Anni D. R. 578. – A. C. 174.) Creati furono
vola. Praetoriis comitiis fortuna inter ceteros consoli Spurio Postumio Albino e Quinto Mucio
candidatos P. Africani filium L. Cornelium Sci Scevola. Ne'comizii de'pretori la fortuna tra gli
pionem, sive is Cnaeus fuit, non sine magna invi altri candidati pose a lottare non senza grave scan
dia in certamen conjecit cum C. Cicerejo, qui dalo, il figlio di Publio Africano Lucio, o se si
patris ejus scriba fuerat. Nam quinque jam nomi voglia Gneo Cornelio Scipione, con Caio Cicereio,
matis praetoribus, C. Cassio Longino, P. Furio ch'era stato scrivano di suo padre. Perciocchè, es
Philo, L. Claudio Asello, M. Atilio Serrano, Cn. sendo già stati nominati cinque pretori, Caio Cas
Servilio Caepione, quum extremo saltem loco sio Longino, Publio Furio Filo, Lucio Claudio
adhaerescere Scipio miteretur, adco a patris vir Asello, Marco Atilio Serrano, Gneo Servilio Cepio
tutibus degenerasse visus est, ut omnium centu ne.adoperandosi Scipione per almeno restare elet
riarum suffragiis ei Cicerejus anteferretur, nisi to in ultimo luogo, parve ch'ei fosse sì degenerato
hic sive fortunae crimen, sive comitiorum erro dal padre, che gli fu anteposto dai voti di tutte le
rem modestia sua emendasset. In hoc campestri centurie Cicereio; se non avesse questi colla sua
certamine patroni sui filium vincere non susti modestia emendata la colpa della fortuna o l'erro
nuit, abjectaque statim candida toga, ex compe re dei comizii. Non tollerò di vincere in codesta
titore de victoria certo gratus cliens et competi pubblica lotta il figlio del suo protettore, e subito
toris sui suffragator factus est. Sic honorem, quem gettata via la toga di candidato, di competitore
a populo impetraturus Scipio non videbatur, ope sicuro della vittoria divenne cliente grato e favo
Cicereji consecutus est, majore Cicereji gloria, reggiatore del suo avversario. Così Scipione con
quam sua. Consulibus provinciae assignatae sunt seguì per opera di Cicereio quell'onore, che non
Gallia et Ligures. Mox sortiti praetores, C. Cas avrebbe ottenuto dal popolo, e con più gloria
sius Longinus urbanam jurisdictionem obtinuit, di Cicereio, che sua. A consoli fu assegnata la
L. Cornelius Sci ] pio inter peregrinos. M. Atilio Gallia e la Liguria. Poscia del pretori ebbe Caio
praetori provincia Sardinia obvenerat; sed cum Cassio Longino la giurisdizione urbana, Lucio
legione nova, quam consules conscripserant, quin Cornelio Sci I pione quella del forestieri. Era
que millibuspeditum, trecentis equitibus, in Cor toccata la Sardegna al pretore Marco Atilio; ma
sicam jussus est transire. Dum is ibi bellum gere ricevette l'ordine di passare in Corsica colla nuo
ret, Cornelio prorogatum imperium, uti obtine va legione, che i consoli avean levata, di cinque
ret Sardiniam. Cn. Servilio Caepioni in Hispa mila fanti e trecento cavalli. Mentre Atilio guer
miam ulteriorem, et P. Furio Philo in citeriorem reggiava colà, fu prorogato a Cornelio il coman
tria millia peditum Romanorum, equites centum do, acciocchè tenesse la Sardegna. A Gneo Servi
quinquaginta, et sociùm Latini nominis quinque lio Cepione per la Spagna ulteriore e a Publio
millia peditum, trecenti equites: Sicilia L. Clau Furio Filo per la citeriore furono assegnati tre
dio sine supplemento decreta. Duas praetereale mila fanti Romani e cento cinquanta cavalli, e
giones consules scribere jussi cum justo numero degli alleati del nome Latino cinque mila fanti
peditum equitumque, et decem millia peditun e trecento cavalli. Lucio Claudio ebbe la Sicilia
sociis imperare, et sexcentos equites. Delectus senza supplemento. Inoltre fu ingiunto a consoli,
consulibus eo difficilior erat, quod pestilentia, che levassero due legioni col giusto numero dei
quae priore anno in boves ingruerat, eo verteret fanti e de'cavalli; e che comandassero agli alleati
in hominum morbos: qui inciderant, haud facile dieci mila fanti e seicento cavalli. La leva riusciva
1517 TITI LIVII LIBER XLI. 15 18

septimum diem superabant. Qui superaverant, tanto più difficile a consoli, quanto che la pesti
longiquo, maxime quartanae, implicabantur mor lenza, che l'anno innanzi aveva infierito ne'buoi,
bo. Servitia maxime moriebantur: eorum strages s'era volta contro gli uomini. Chi cadeva amma
per omnes vias insepultorum erat. Ne liberorum lato, rare volte superava il settimo giorno; chi
quidem funeribus Libitina sufficiebat. Cadavera, lo superava, s'intrigava in lunga malattia, massi
intacta a canibus ac vulturibus, tabes absumebat: mamente di quartana. Morivano specialmente gli
satisque constabat, nec illo, nec priore anno, in schiavi: erano ingombrate tutte le vie di corpi
tanta strage boum hominumque, vulturium us insepolti. Nè bastavano gli ordinarii ministri ai
quam visum. Sacerdotes publici ea pestilentia mortorii della gente libera. I cadaveri, senza esser
mortui sunt, Cn. Servilius Caepio pontifex, pater tocchi nè da cani, nè da avoltoi, eran consunti
praetoris, et Ti. Sempronius Ti. F. Longus de dalla tabe, ed era ben avverato che nè in quello,
cemvir sacrorum, et P. Aelius Paetus augur, et nè nell'anno antecedente, in tanta mortalità di
Ti. Sempronius Gracchus, et C. Mamilius Vitulus buoi e di uomini, non s'era mai veduto in nessun
curio maximus, et M. Sempronius Tuditanus pon luogo un avoltoio. Di quella pestilenza morirono
tifex. Pontifices suffecti sunt, C. Sulpicius Gal i pubblici sacerdoti Gneo Servilio Cepione, pon
ba” in locum Tuditani. Augures suffecti sunt, tefice, padre del pretore, Tito Sempronio Longo
in Gracchi locum T. Veturius Gracchus Sempro figlio di Tito, decemviro de'sagrifizii, Publio
nianus, in P. Aelii Q. Aelius Paetus. Decemvir Elio Peto, augure, Tito Sempronio Gracco, Caio
sacrorum C. Sempronius Longus, curio maximus Mamilio Vitulo, curione massimo, e Marco Sem
C. Scribonius Curio sufficitur. Quum pestilentiae pronio Tuditano, pontefice. Furono surrogati
finis non fieret, senatus decrevit, uti decemviri pontefici Caio Sulpicio Galba” in luogo di Tu
libros Sibyllinos adirent. Ex decreto eorum diem ditano. Gli auguri surrogati furono, in luogo
unum supplicatio fuit; et, Q. Marcio Philippo di Gracco, Tito Veturio Gracco Semproniano,
verba praeeunte, populus in foro votum conce e di Publio Elio, Quinto Elio Peto. Al decemviro
pit: « Si morbus pestilentiaque ex agro Romano dei sagrifizii vien sostituito Caio Sempronio Lon
emota esset, biduum ferias ac supplicationem se go, al curione massimo Caio Scribonio Curione.
habiturum. » In Vejenti agro biceps natus puer, Non cessando la pestilenza, il senato decretò che
et Sinuessae unimamus, et Auximi puella cum i decemviri consultassero i libri Sibillini. Per
dentibus; et arcus interdiu sereno coelo super loro decreto vi fu un giorno di preghiere, e det
aedem Saturni in foro Romano intentus, et tres tando Quinto Marcio Filippo le parole, il popolo
simul soles effulserunt, et faces eadem nocte plu adunato sulla piazza pronunziò il voto seguente:
res per coelum lapsae sunt in Lanuvino: Caeri t. Se il morbo e la pestilenza sarà allontanata dal
tesque anguem in oppido suo jubatum, aureis territorio Romano, farà esso due giorni di ferie e
maculis sparsum, apparuisse affirmabant; et in di pubbliche preci. » Nel contado de Veienti era
agro Campano boven locutum esse, satis con nato un fanciullo con due teste, uno a Sinuessa
stabat. con una sola mano, e ad Auximo una fanciulla
co'denti: a Roma di giorno, a cielo sereno, s'era
osservato sulla piazza sopra il tempio di Saturno
l'arcobaleno, e tre soli ad un tempo fiammeggia
rono, e in una stessa notte molte fiaccole scor
renti per l'aria caddero nel contado Lanuvino;
e i Ceriti affermavano ch'era comparso nelle lor
terre un serpente colla giuba, sparso di macchie
d'oro, e si teneva per certo, che nel contado
Campano un bue avesse parlato.
XXII. (XXVII) Legati Nonis Juniis ex Afri XXII. (XXVII) A'cinque di Giugno torna
ca redierunt, qui, convento prius Masinissa rege, rono dall'Africa i legati, i quali, visitato prima il
Carthaginem ierant: ceterum certius aliquanto, re Masinissa, erano andati a Cartagine: del resto,
quae Carthagine acta essent, ab rege rescierant, tutto quello che s'era fatto a Cartagine, l'avean
quam ab ipsis Carthaginiensibus. Compertum saputo con alquanto più di certezza dal re, che
tamen affirmaverunt, legatos ab rege Perseo ve dagli stessi Cartaginesi. Affermavano però fuor
misse, iisque noctu senatum in aede Aesculapii d'ogni dubbio ch'eran venuti colà ambasciatori
datum esse. Ab Carthagine legatos in Macedo del re Perseo, e che s'era data ndienza a medesimi
miam missos, et rex affirmaverat, et ipsi parum di notte nel tempio di Esculapio. Che da Carta
constanter negaverant. In Macedoniam quoque gine fossero stati mandati ambasciatori in Ma
mittendos legatos senatus eensuit. Tres missi cedonia, e il re lo aveva asserito, e gli stessi
15 19 TITI LIVII LIBER XLI. 152o

sunt, C. Laelius, M. Valerius Messalla, Sex. Di Cartaginesi debolmente negato. Anche il senato
gitius.Perseus per id tempus, quia quidam Dolo decretò che si spedissero ambasciatori in Mace
pum non parebant, et de quibus ambigebatur donia. Se ne spedirono tre, Caio Lelio, Marco
rebus, disceptationem ab rege ad Romanos revo Valerio Messalla, Sesto Digizio. Perseo a quel
cabant, cum exercitu profectus, sub jus judi tempo, perchè alcuni Dolopi non ubbidivano, e
ciumque suum totam coegit gentem. Inde, per di quello ch'era controverso ne rimettevano dal
Oetaeos montes transgressus, religionibus qui re la decisione a Romani, partitosi con l'esercito,
busdam animo objectis, oraculum aditurus Del ridusse tutta la nazione sotto la sua dipendenza.
phos ascendit. Quum in media repente Graecia Indi, attraversando i monti Oetei, sortigli in
apparuisset, magnum non finitimis modo urbi animo alcuni scrupoli, salì a Delfo a consultarvi
bus terrorem praebuit, sed in Asiam quoque ad l'oracolo. Essendo comparso all'improvviso in
regem Eumenem nuncius tumultus ejus venit. mezzo alla Grecia, incusse grande terrore non
Triduum, non plus, Delphis moratus, per Phthio solamente nelle città confinanti, ma ne andò
tidem, Achajam, Thessaliamoue, sine damno in la nuova romorosa sino in Asia al re Eumene.
juriaque agrorum, per quos iter fecit, in re Fermatosi Perseo non più di tre giorni a Delfo,
gnum rediit. Nec earum tantum civitatium, per per l'Acaia Ftiotide e per la Tessaglia, senza recar
quas iturus erat, satis habuit animos sibi con danno alle terre, dove passava, tornossi al regno.
ciliare: aut legatos, aut literas dimisit, petens, Nè si accontentò di conciliarsi gli animi delle cit
c. ne diutius simultatum, quae cum patre suo tà, per le quali doveva andare; mandò legati o
fuissent, meminissent: mec etiam tam atroces lettere, chiedendo, a che non si ricordassero più
fuisse eas, ut non cum ipso potuerint ac debue a lungo delle nimicizie ch'eran corse con suo
rint finiri. Secum quidem omnia illis integra padre, perciocchè non erano state già atroci tanto
esse ad instituendam fideliter amicitiam. Cum da non potere o dover finire con la vita di lui. Se
Achaeorum maxime gente reconciliandae gratiae volevano annodare una fedele amicizia, potevan
viam quaerebat. contare sopra di lui. m Cercava egli ogni via di
riconciliarsi l'affezione massimamente degli Achei.
XXIII. (XXVIII) Haec una ex omni Grae XXIII. (XXVIII.) Di tutta la Grecia questa
cia gens et Atheniensium civitas eo processe sola nazione ed Atene aveano spinto il lor odio
rat irarum, ut finibus interdiceret Macedonibus. sino a vietare a Macedoni l'ingresso nel lor pae
Itaque servitiis ex Achaja fugientibus recepta se. Era quindi la Macedonia divenuta il ricetta
culum Macedonia erat ; quia, quum finibus suis colo degli schiavi, che fuggivano dall'Acaia;
interdixissent, intrare regni terminos ipsi non perchè avendo fatto cotal divieto a Macedoni,
audebant. Id quum Perseus animadvertisset, non osavano essi stessi por piede ne'lor confini.
comprehensis omnibus, literas “ Ceterum, ne Di che accortosi Perseo, fattili tutti pigliare “
similis fuga servorum postea fieret, cogitandum Del resto dover anch'essi cercar modo, che non
et illis esse. Recitatis his literis per Xenarchum avvenisse codesta fuga di schiavi. Lette queste
praetorem, qui privata e gratiae aditum apud re lettere dal pretore Xenarco, che cercava di gua
gem quaerebat, et plerisque moderate et be dagnarsi per sè la grazia del re, stimando i più,
nigne scriptas esse censentibus literas, atque his e quelli specialmente che aveano a ricuperare
maxime, qui praeter spem recepturi essent amis fuor di loro speranza gli schiavi perduti, che
sa mancipia; Callicrates ex iis, qui in eo verti scritte fossero con moderazione e amorevolezza;
salutem gentis crederent, si cum Romanis invio Callicrate, uno di quelli che pensava starsi la
latum foedus servaretur, « Parva, inquit, aut salvezza della nazione nel conservare inviolata
mediocris res, Achaei, quibusdam videtur agi; ego l'alleanza co Romani, « O Achei, disse, piccolo
maxime gravissimam omnium non agique tan o mediocre sembra a taluni l'affare di che si
tum arbitror, sed quodam modo actam esse. Nam tratta; quanto a me, stimo che non solamente
qui regibus Macedonum, Macedonibusque ipsis, si tratti, ma che in qualche modo siasi di già
finibus interdixissemus, mamereque id decretum, fatta cosa della maggiore importanza. Perciocchè
scilicet, ne legatos, me nuncios admitteremus noi, che interdetto abbiamo l'ingresso nei nostri
regum, per quos aliquorum ex nobis animi sol confini ai re Macedoni ed ai Macedoni stessi, e
licitarentur; ii concionantem quodam modo ab mentre sta il decreto che ci vieta di ammettere
sentem audimus regem, et, si diis placet, oratio nè anche i legati, nè anche i messi dei re,
nem ejus probamus. Et, quum ferae bestiae ci onde per opera loro l'animo di taluno di noi
bum ad fraudem suam positum plerumque a non fosse per avventura sollecitato; noi medesimi
spermentur et refugiant, nos caeci, specie parvi il re assente lo ascoltiamo in certo modo favel -
beneficii, inescamur; et, servulorum minimi pre lare, e pressochè approviamo il suo discorso
152 I TITI LIVll LIBER XLI. 1522

tii recipiendorum spe, mostram ipsorum liberta E quando le stesse belve per lo più non curano
tem subrui et tentari patimur. Quis enim non e rifuggono il cibo offerto per ingannarle, noi
videt, viam regiae societatis quaeri, qua Roma ciechi siam presi all'esca di un piccolo benefizio,
num foedus, quo nostra omnia continentur, vio e per la speranza di ricuperare alcuni schiavi
letur ? Nisi hoc dubium alicui est, bellandum Ro di pochissimo prezzo, soffriamo che si tenti di
manis cum Perseo esse, et, quod vivo Philippo rovesciare la nostra propria libertà. Perciocchè
exspectatum, morte eius interpellatum est, id chi non vede che si cerca di farsi strada all'amici
post mortem Philippi futurum. Duos, ut scitis, zia del re, onde violata sia l'alleanza nostra co'Ro
habuit filios Philippus, Demetrium et Persea. mani, nella quale tutto l'esser nostro si contiene?
Genere materno, virtute, ingenio, favore Mace Se però non dubiti qualcuno che non sieno
donum, longe praestitit Demetrius. Sed quia in i Romani per aver guerra con Perseo, e che attesa
Romanos odii regnum posuerat praemium, De già, vivente Filippo, e per la di lui morte inter
metrium nullo alio crimine, quam Romanae ami rotta, non abbia ad aver luogo. Ebbe Filippo,
citiae initae, occidit: Persea, quem populus Ro come sapete, due figliuoli, Demetrio e Perseo.
manus prius poenae, quam regni, heredem fu Avanzava Demetrio di gran lunga per la nobiltà
turum sciebat, regem fecit. Itaque quid hic post della madre, pel valore, ingegno e favore del Ma
mortem patris egit aliud, quam bellum paravit? cedoni. Ma perchè avea messo premio del regno
Bastarnas primum ad terrorem omnium in Dar l'odio contro i Romani, uccise Demetrio non per
daniam immisit; qui si sedem eam tenuissent, altra colpa, che per l'amicizia sua co Romani, e
graviores eos accolas Graecia habuisset, quan fece re Perseo, che il popolo Romano sapeva do
Asia Gallos habeat. Ea spe depulsus, non tamen ver esser più presto erede dell'odio, che del regno.
belli consilia omisit; immo, si vera volumus di Quindi dopo la morte del padre che altro ha fatto
cere, jam inchoavit bellum. Dolopiam armis su egli, se non apparecchiarsi alla guerra? Primie
begit, nec provinciis de controversis ad discepta ramente, a generale spavento, scagliò i Bastarni
tionem populum Romanum adivit. Inde, trans contro la Dardania; i quali se si fossero colà
gressus Oetam, ut repente in medio umbilico mantenuti, gli avrebbe avuti la Grecia più inco
Graeciae conspiceretur, Delphos ascendit. Haec modi vicini, che non ha l'Asia i Galli. Caduto
usurpatio itineris insoliti quo vobis spectare vi di questa speranza, non però depose i pensieri
detur ? Thessaliam deinde peragravit: quod sine della guerra; anzi, se vogliamo dire il vero, l'ha
ullius eorum, quos oderat, noxia, hoc magisten di già cominciata. Soggiogò la Dolopia, e per
tationem metuo. Inde literas ad nos cum muneris le province controverse ricusò il giudizio del
specie misit, et cogitare jubet, quo modo in reli popolo Romano. Indi, passato il monte Oeta per
quum hoc munere non egeamus; hoc est, ut de mostrarsi improvvisamente nel mezzo della Gre
cretum, quo arcentur Peloponneso Macedones, cia, salì a Delfo. Questo prendere un insolito
tollamus; rursus legatos regios, et hospitia cum cammino a che vi sembra mirare ? Poscia n'andò
principibus, et mox Macedonum exercitus, ipsum in Tessaglia: l'aver ciò fatto senza recar danno
quoque a Delphis (quantum enim interluit fre a quelli che odiava, tanto più mi fa sospettare
tum ?) trajicientem in Peloponnesum videamus, la tentazione. Indi ci mandò lettere sotto appa
immisceamur Macedonibus armantibus se adver renza di regalarci, e c'invita a pensare in che
sus Romanos. Ego nihil novi censeo decernen modo non ci occorra in avvenire un così fatto
dum, servandaque omnia integra, donec ad cer regalo, ed è quanto a dire, che rivochiamo il
tum dirigatur, vanusne hic timor noster, an ve decreto ch'esclude i Macedoni dal Peloponneso;
rus fuerit. Si pax inviolata inter Macedonas Ro ed abbiamo a veder nuovamente i regii legati, e
manosque manebit, nobis quoque amicitia et rinfrescarsi le amicizie co'nostri principali citta
commercium sit: nunc de eo cogitare periculo dini, e da lì a poco gli eserciti de' Macedoni e lui
sum et immaturum videtur. »
stesso in persona da Delfo (perciocchè quanto
ci è mare di mezzo?) passare nel Peloponneso, e
che ci mescoliamo co Macedoniarmantisi contro
i Romani. Io son di parere che non si prenda
nessuna nuova deliberazione e, si serbi intatta
ogni cosa, sino a che si volga a certezza, se sia
stato vano o fondato questo nostro timore. Se
durerà inviolata la pace tra i Macedoni ed i Ro
mani, ci sia pur con essi amicizia e commercio;
a ciò pensare in presente mi sembra cosa perico
losa ed immatura. »
Livio a 96
1523 TITI LIVIl LIBER XLI. 1524

XXIV. (XXIX) Post hunc Arco, frater Xe XXIV. (XXIX.) Dopo Callicrate, Arconte,
marchi praetoris, ita disseruit: « Difficilem ora fratello del pretore Xenarco, in questa guisa
tionem Callicrates et mihi, et omnibus, qui ab favellò : « A me rendette Callicrate e a tutti
eo dissentimus, fecit : agendo enim Romanae so quelli, che dissentono da lui, difficile il rispon
cietatis causam ipse, tentarigue et oppugnari di dere; perciocchè, trattando egli la causa dell'al
cendo, quam nemo neque tentat, neque oppu leanza Romana, e dicendo, ch'ella è tentata e
gnat, effecit, ut qui ab se dissentiret, adversus combattuta, quando nessuno nè la tenta, nè la
Romanos dicere videretur. Ac primum omnium, combatte, fece in modo, che quegli che da lui
tamquam non hic nobiscum fuisset, sed aut ex dissentisse, paresse parlare contro i Romani.
curia populi Romani veniret, aut regum arcanis E primieramente, come se non fosse stato qui
interesset, omnia scit et nunciat, quae occulte fa sempre con noi, ma o partisse dalla curia Roma
cta sunt. Divinat etiam, quae futura fuerant, si ma, o fosse intervenuto ai segreti del re, sa ed
Philippus vixisset: quid ita Perseus regni heres annunzia tutto quello che si è fatto occultamente.
sit, quid parent Macedones, quid cogitent Ro Indovina eziandio le cose che sarebbono acca
mani. Nos autem, qui, nec ob quam causam, nec dute, se Filippo fosse vivuto, come sia divenuto
quemadmodum perierit Demetrius, scimus; nec erede del regno Perseo, che apparecchino i Ma
quid Philippus, si vixisset, facturus fuerat, ad cedoni, che pensino i Romani. Ma noi, che non
haec, quae palam geruntur, consilia nostra ac sappiamo nè per qual cagione, nè come perisse
commodare oportet. Ac scimus, Persea, regno Demetrio, nè che avrebbe fatto Filippo, se fosse
accepto, ad legatos Romanos venisse, ac regem vivuto, siamo costretti di adattare i nostri ragio
-
Persea a populo Romano appellatum : audimus, namenti a queste cose, che si fanno pubblica
venisse ad regem, eteos benigne exceptos. Haec mente. Sappiamo che Perseo, salito al trono,
omnia pacis equidem signa legatos Romanos venne ai legati Romani, ch'egli è stato appellato
esse judico, non belli; mec Romanos offendi re dal popolo Romano; e ci vien detto che legati
posse, si, ut bellum gerentes eos secuti sumus, Romani vennero al re, e ne vennero benigna
nunc quoque pacis auctores sequamur. Cur qui mente accolti. Io veramente giudico esser questi
dem nos inexpiabile omnium soli bellum adver tutti segni di pace, non di guerra; nè i Romani
sus regnum Macedonum geramus, non video. potersi dolere, se come li seguimmo, quando
Opportuni propinquitate ipsa Macedoniae su han fatto la guerra, li seguiamo anche in presen
mus; an infirmissimi omnium, tamquam, quos te, come autori della pace. E per verità, non vedo,
nn per subjecit, Dolopes? Immo contra ea, vel perchè abbiamo soli a fare interminabilmente la
viribus nostris, deim benignitate, vel regionis guerra al regno de' Macedoni. Siamo forse per
intervallo tuti. Sed sumus aeque subjectiac Thes la vicinanza facilmente esposti all'armi de'Mace
sali Aetolique; nihilo plus fidei auctoritatisque doni, o forse i più deboli di tutti i popoli, come
habemus adversus Romanos, qui semper socii i Dolopi, ch'egli ha testè soggiogati ? Anzi al
atſue amici fuimus, quam Aetoli, qui paullo an l'opposto e per le nostre forze, così piacendo
te hostes fuerunt. Quod Aetolis, quod Thessalis, agli dei, e per la stessa distanza siamo in sicuro.
quod Epirotis, omni denique Graeciae cum Ma Ma siamo, come i Tessali e gli Etoli, noi pure
cedonibus juris est, idem et nobis sit: et cur exse soggetti; nè abbiamo maggior credito e autorità
crabilis ista nobis solis velut desertio juris hu rispetto a Romani, noi che pur fummo sempre
mani est? Fecerit aliquid Philippus, cur adver loro amici ed alleati, di quel che s'abbiano gli
sus eum armatum et bellum gerentem hoc de Etoli, che non ha guari furon loro nemici. Le
cerneremus: quid Perseus, novus rex, omnis in relazioni, che hanno gli Etoli, i Tessali, gli Epi
juriae insons, suos beneficio paternas simultates roti, tutta in fine la Grecia coi Macedoni, abbia
obliterans, meruit ? cur soli omnium hostes ei mole noi pure. E perchè fare noi soli codesta
sumus? Quamquam et illud dicere poteram, tan quasi esecrabile diserzione dai diritti di umanità?
ta priorum Macedoniae regum merita erga mos Abbia pur fatto Filippo cosa, per la quale,
fuisse, ut Philippi unius injurias, si quae forte quand'egli era armato e ci moveva guerra, do
fuerunt, “ utique post mortem. Quum classis vessimo così decretare; ma che demeriti ha Per
Romana Cenchreis staret, consul cum exercitu seo, re nuovo, innocente di ogni oltraggio, e che
Elatiae esset, triduum in concilio fuimus, con cancella co suoi benefizii le mimicizie paterne ?
sultantes, utrum Romanos, an Philippum, se perchè noi soli gli siamo nemici? Sebbene avrei
queremur. Nonnihil metus praesens ab Romanis potuto aggiungere anche questo, tanti essere stati
sententias nostras inclinarit: fuit certe tamen i meriti dei precedenti re della Macedonia, che
aliquid, quod tam longam deliberationem fece le sole ingiurie di Filippo, se ce ne furono alcu
rat: id quod erat vetusta conjunctio cum Mace ne” dopo la sua morte. Quando la flotta Romana
1525 TITI LIVII LIBER XLI. 1526

donibus, vetera et magna in nos regum merita. stava ancorata a Cencrei ed era il console col
Valeant et nunc eadem illa, non ut praecipue l'esercito in Elazia, consumammo tre giorni nel
amici, sed ne praecipue inimici simus. Ne id, concilio a deliberare, se avessimo a seguire Fi
quod non agitur, Callicrates, simulaverimus. lippo o i Romani. Certo il timor presente dei
Nemo novae societatis aut novi foederis, quo nos Romani fe” piegare alcun poco la bilancia; ci fu
temere illigemus, conscribendi est auctor: sed però qualche cosa, che avea tratta cotanto in
commercium tantum juris praebendi repetendi lungo la nostra deliberazione, e quest'era la no
que sit, ne interdictione finium nostrorum et stra antica unione co' Macedoni e gli antichi
nos quoque regno arceamus, ne servis nostris e grandi meriti loro verso di noi. Valgano gli
aliquo fugere liceat. Quid hoc adversus Romana stessi anche in presente, non perchè siamo loro
foedera est? Quid rem parvam et apertam, ma singolarmente amici, ma perchè non siamo sin
gnam et suspectam facimus ? Quid vanos tumul golarmente nemici. Non c'infingiamo, o Calli
tus ciemus? Quid, ut ipsi locum assentandi Ro crate, ciò di che non si tratta. Nessuno propone
manis habeamus, suspectos alios ac invisos effici che si stipuli una nuova società, una nuova al
mus? Si bellum erit, ne Perseus quidem dubitat, leanza, che imprudentemente ci leghi; ma vi sia
quin Romanos secuturi simus. In pace etiam, si solamente commercio reciproco di chiedere e
non odia finiuntur, intermittantur. » Quum ii render ragione, onde vietando a Macedoni l'in
dem huic orationi, qui literis regis assentierant, gresso ne' nostri confini, non siamo noi pure
assentirentur, indignatione principium, quod, esclusi da quel regno, e non abbiano gli schiavi
quam rem ne legatione quidem dignam judicas nostri dove fuggire. Che v'ha in questo, che sia
set Perseus, literis paucorum versuum impetra contro l'alleanza Romana? perchè una cosa pic
ret, decretum differtur. Legati deinde postea cola e chiara la facciamo grande e sospetta? per
missi ab rege, quum Megalopoli concilium esset; chè svegliar cotanti vani romori ? perchè, per
dataque opera est ab iis, qui offensionem apud aver luogo di compiacere a Romani, rendiamo
Romanos timebant, ne admitteremtur. gli altri sospetti ed odiosi? Se ci sarà guerra,
Perseo stesso non dubita che seguiremo il partito
de Romani. In pace, se gli odii non si spengono,
almeno s'intermettano. » Acconsentendo a que
sta orazione quegli stessi che aveano acconsentito
alle lettere del re, nondimeno per lo sdegno con
cepito dai principali, che ottenesse Perseo con
una lettera di pochi versi quello che non avea
nemmen creduto degno di ambasciata, si differi
sce di decretare. Il re inviò di poi de'legati alla
dieta che si teneva in Megalopoli; se non che
quelli, i quali temevano di offendere i Romani,
si adoperarono perchè non fossero ammessi.
XXV. (XXX) Per haec tempora Aetolorum XXV. (XXX) Intorno a questi tempi mede
in semetipsos versus furor mutuis caedibus ad simi il furore degli Etoli, rivolto contro di loro
internecionem adducturus videbatur gentem. stessi, pareva che colle stragi reciproche fosse
Fessi deinde et Romam utraque pars miserunt per trarre la nazione all'ultimo esterminio. Strac
legatos, et interse ipsi de reconcilianda concor chi alla fine e l'una parte e l'altra, mandarono
dia agebant: quae novo facinore discussa res ve ambasciatori a Roma, ed anche tra loro trattavano
teres etiam iras excitavit. Exsulibus Hypataeis. di ristabilire la concordia; trattato, che svanito
qui factionis Proxeni erant, quum reditus in pa per nuova scelleraggine, vieppiù suscitò gli anti
triam promissus esset, fidesque data per princi chi sdegni. Essendo stato promesso ai fuorusciti
pem civitatis Eupolemum, octoginta illustres ho d'Ipata, ch'erano della fazione di Proxeno, il ri
mines, quibus redeuntibus inter ceteram multi torno in patria, e data loro la fede da Eupolemo,
tudinem Eupolemus etiam obvius exierat, quum capo della città, ottanta uomini illustri, a quali,
salutatione benigne excepti essent, dextraeque tornando, tra l'altra moltitudine, era uscito in
datae, ingredientes portam, fidem datam deosque contro lo stesso Eupolemo, accolti con benigno
testes nequidquam invocantes, interfecti sunt. saluto e col toccar delle destre, nell'entrar den
Inde gravius de integro bellum exarsit. C. Vale tro la porta, invocando invano la data fede e gli
rius Laevinus, et Ap. Claudius Pulcher, et C. dei testimonii, furono trucidati. Quindi si riaccese
Memmius, et M. Popillius, et L. Canulejus missi più rabbiosamente la guerra. Eran venuti colà,
ab senatu venerant. Apud eos quum Delphis spediti dal senato, Caio Valerio Levino ed Appio
1527 TITI LIVII LIBl: R XLI. n.528

utriusque partis legati magno certamine agerent, Claudio Pulcro e Caio Memmio e Marco Popillio
Proxenus maxime, quum causa, tum eloquentia, e Lucio Canuleio. Disputando appo loro in Delfo
praestare visus est; qui paucos post dies ab Or i legati d'ambe le parti con grande forza, parve
thobula uxore veneno est sublatus: damnataque segnalarsi sopra ogni altro sì per la causa, che per
eo crimine, in exsilium abiit. Idem furor et Cre l'eloquenza Proxeno, il quale pochi di poi perì
tenses lacerabat: adventu deinde Q. Minucii le avvelenato dalla moglie Ortobula, che condannata
gati, qui cum decem navibus missus ad sedanda per quel delitto andossene in bando. Un medesi
eorum certamina erat, in spem pacis venerant. mo furore lacerava i Cretesi: poscia alla venuta
Ceterum induciae et antea sex mensium fuerunt: del legato Quinto Minucio, ch'era stato spedito
inde multo gravius bellum exarsit. Lycii quoque con dieci navi a sedar le loro contese, eran venuti
per idem tempus ab Rhodiis bello vexabantur. in speranza di pace. Non ci fu che, come innanzi,
Sed externorum inter se bella, quo quaeque mo una tregua di sei mesi; poscia infierì più cruda
do gesta sunt, persequi non operae est satis su assai la guerra. Anche i Licii a quel tempo eran
perque oneris sustimenti res a populo Romano travagliati dall'armi de' Rodiani. Ma non è mio
gestas scribere. proposito tener dietro alle guerre degli esteri,
aggravato più che occorre dal carico di scrivere
i fatti de Romani.
XXVI. (XXXI) Celtiberi in Hispania, qui XXVI. (XXXI) I Celtiberi nella Spagna, che
bello domiti se Ti. Graccho dediderant, pacati domati in guerra s'erano arrenduti a Tito Grac
manserant M. Titinio praetore obtinente provin co, eransi rimasti quieti durante il governo del
ciam. Rebellarunt sub adventum Ap. Claudii, pretore Titinio. Ribellaronsi alla venuta di Ap
orsique bellum sunt ab repentina oppugnatione pio Claudio, e cominciarono la guerra dall'assal
castrorum Romanorum. Prima lux ferme erat, tare il campo Romano. Era appena dì chiaro,
quum vigiles in vallo, quique in portarum sta quando le guardie dello steccato e quelli ch'era
tionibus erant, quum vidissent procul venientem no alle poste delle porte, avendo veduto venir da
hostem, ad arma conclamaverunt. Ap. Claudius, lungi il nemico, gridarono all'armi. Appio Clau
signo proposito pugnae, ac paucis adhortatus dio, messo fuori il segnale della battaglia, esortati
milites, tribus simul portis eduxit. Obsistentibus con poche parole i soldati, li trasse fuori ad un
ad exitum Celtiberis, primo par utrumque proe tempo da tre porte. Contrastando l'uscita i Cel
lium fuit, quia propter angustias non omnes in tiberi, la pugna da principio si sostenne al pari,
faucibus pugnare poterant Romani: urgentes perchè a cagione dell'angustia del luogo non
deinde aliis alios secuti evaserunt extra vallum, tutti i Romani potevano combattere all'imboc
ut pandere aciem, et exaequari cornibus hosti catura:indi incalzandosi gli uni gli altri e seguen
bus, quibus circumibantur, possent. Ita repen dosi, uscirono dallo steccato, sì che poterono
te eruperunt, ut sustinere impetum eorum Cel distendere l'ordinanza e pareggiare le ale dei
tiberi nequirent. Ante horam secundam pulsi nemici, che gli attorniavano. Sboccaron fuori così
sunt: ad quindecim millia caesa aut capta: si subitamente, che non sostennero i Celtiberi l'im
gna adempta duo et triginta. Castra etiam eo peto loro. Avanti la seconda ora furono respinti:
die expugnata, debellatumque: nam, qui super se ne sono uccisi o presi da quindici mila e tolte
fuere proelio, in oppida sua dilapsi sunt. Quie trentadue bandiere. Anche gli accampamenti fu
ti deinde paruerunt imperio. rono espugnati in quel giorno medesimo, e la
guerra ebbe fine; perciocchè quelli che avanza
rono alla battaglia, se ne andarono alle lor terre.
Indistettersi quietamente all'obbedienza.
XXVII. (XXXII.) Censores eo anno creati XXVII. (XXXII.) I censori, creati in quel
Q. Fulvius Flaccus et A. Postumius Albinus l'anno, Quinto Fulvio Flacco ed Aulo Postumio
legerunt senatem : princeps lectus M. Aemilius Albino, elessero il senato: ne fu nominato prin
Lepidus pontifex maximus. De senatu novem cipe il pontefice massimo Marco Emilio Lepido.
ejecerunt. Insignes notae fuerunt M. Cornelii Nove furono gli espulsi dal senato. Furono spe
Maluginensis, qui biennio ante praetor in His cialmente osservabili le note apposte a Marco
pania fuerat; et L. Cornelii Scipionis praetoris, Cornelio Maluginese, ch'era stato due anni in
cujus tum inter cives et peregrinos jurisdictio nanzi pretore in Ispagna; a Lucio Cornelio Sci
erat; et Cn. Fulvii, qui frater germanus, et, ut pione pretore, che aveva allora la giurisdizione
Valerius Antias tradit, consors etiam censoris tra i cittadini e i forestieri, e a Gneo Fulvio,
.erat. Consules, votis etiam in Capitolio nuncu ch'era fratello germano, e, come scrive Valerio
patis, in provincias profecti sunt. Ex iis M. Ae Anziate, anche coerede col censore. l consoli,
1529 TITI LIVII LIBER XLI. 153o

milio senatus negotium dedit, ut Patavinorum in pronunziati i voti in Campidoglio, andarono alle
Venetia seditionem comprimeret, quos certami lor province. Il senato incaricò l'un d'essi, Marco
ne factionum ad intestinum bellum exarsisse, et Emilio, che comprimesse la sedizione de'Padova
ipsorum legati attulerant. Legati, qui in Aeto ni nella Venezia, i quali s'era inteso da loro
liam ad similes motus comprimendosierant, re stessi legati che dalla lotta delle fazioni eran ve
nunciarunt, coerceri rabiem gentis non posse. nuti a calda guerra intestina. I legali ch'erano
Patavinis saluti fuit adventus consulis; neque andati in Etolia a comprimere simili movimenti,
aliud, quod ageret in provincia, quum habuisset, rapportarono che non era possibile frenar la
Romam rediit. Censores vias stermendas silice rabbia di quella nazione. La venuta del console
in urbe, glarea extra urbem substruendas mar fu la salute de' Padovani; nè avendo egli altro
ginandasque primi omnium locaverunt, pontes che fare nella provincia, tornossi a Roma. I cen
que multis locis faciendos; et scenam aedilibus sori furono i primi che dessero a lastricare le
praetoribusque praebendam ; et carceres in cir strade in Roma di selce e ad assodare con ghiaia
co, et ova ad notas curriculis numerandis, et “ e serrar tra margini quelle di fuori, e a far ponti
dam, et metas trans “ et caveas ferreas pe” in in molti luoghi, a costruire logge per gli spetta
tromitteremtur “ ferreis in monte Albano con coli ad uso degli edili e de'pretori, non che le
sulibus, et clivum Capitolinum silice sternen carceri nel circo e i segnali per notare il numero
dum curaverunt, et porticum ab aede Saturni delle corse, e “ le gabbie di ferro, dove intromet
in Capitolium ad senaculum, ac super id curiam. tere le fiere, e parimenti diedero a lastricare il
Et extra portam Trigeminam emporium lapide poggio del Campidoglio e il portico che dal tem
staverunt, stipitibusque sepserunt; et porticum pio di Saturno va al senacolo in Campidoglio, ed
Aemiliam reficiendam curarunt; gradibusque oltre questo, anche la curia. E fuori della porta
adscensum ab Tiberi in emporium fecerunt. Et Trigemina selciarono di pietra il mercato e lo
extra eamdem portam in Aventinum porticum serrarono di stipiti, e diedero a rifare il portico
silice straverunt, et eo publico ab aede Veneris Emilio, e fecero una scalinata dal Tevere al mer
fecerunt. Iidem Calatiae et Auximi muros facien cato, e fuori della stessa porta lastricarono il por
dos locaveront: venditisque ibi publicis locis, tico sino all'Aventino e la basilica contigua al
pecuniam, quae redacta erat, tabernis utrique tempio di Venere. Gli stessi diedero a fare i muri
foro circumdandis consumpserunt. Et alter ex di Calazia e Auximo, e venduti quivi alcuni luo
iis Fulvius Flaccus (mam Postumius nihil, nisi ghi pubblici, il denaro ritrattone lo impiegarono
senatus Romani populive jussu, se locaturnm nel circondar di botteghe l'una e l'altra piazza.
ipsorum pecunia “) Jovis aedem Pisauri, et Fun E l'altro console Fulvio Flacco (perciocchè
dis, et Pollentiae etiam aquam adducendam, et Postumio diceva che non avrebbe dato a fare nes
Pisauri viam silice stermendam, et Sinuessam a suna cosa a spese publiche, se non se per ordine
ga” aviariae. In his et clo “um circumducendº del senato e del popolo Romano “) diede a fare il
et forum porticibus tabernisque claudendum, et tempio di Giove in Pesaro, a Fondi e in Pollen
Janos tres faciendos. Haec ab uno censore ope zia, e fe' venire l'acqua, e a Pesaro lastricò la
ra locata, cum magna gratia colonorum. Mori strada, e a Sinuessa “ e tra l'altre cose chiuse la
bus quoque regendis diligens et severa censura piazza di portici e botteghe, ed eresse tre porte.
fuit: multis equi adempti. Tutte queste opere furon date a fare da un solo
censore con molto aggradimento del coloni. Fu
eziandio vigilante e severa la censura nel gover
no de'costumi, e a molti si tolsero i cavalli pub
blici.
XXVIII. (XXXIII) Exitu prope anni diem XXVIII. (XXXIII) Quasi in sul finire del
unum supplicatio fuit ob res prospere gestas in l'anno vi fu un giorno di preghiere per le felici
Hispania ductu auspicioque Ap. Claudii procon imprese nella Spagna sotto la condotta e gli auspi
sulis. Et majoribus hostiis viginti sacrificatum. zii del proconsole Appio Claudio, e si sagrificò
Et alterum diem supplicatio ad Cereris, Libe con venti vittime maggiori. E vi fu un altro gior
ri, Libera eque fuit, quod ex Sabinis terrae mo no di preghiere ai tempii di Cerere, di Bacco e di
tus ingens cum multis aedificiorum ruinis nun Proserpina, perchè s'era annunziato un grande
ciatus erat. Quum Ap. Claudius ex Hispania Ro terremoto stato nella Sabina, con molte ruine di
mam redisset, decrevit senatus, ut ovans urbem edifizii. Tornato essendo Appio Claudio dalla
iniret Jam consularia comitia appetebant, qui Spagna, il senato decretò ch'egli entrasse ovante
bus, magna contentione habitis propter multitu in Roma. Già si avvicinava il tempo de'comizii
dinem petentium, creati L. Postumius Albinus consolari, i quali tenutisi con grandi contese per
1531 TITI LIVII LIBER XLI. 1532

et M. Popillius Laenas. Praetores inde facti, N. la moltitudine del concorrenti, rimasero eletti
Fabius Buteo, M. Matienus, C. Cicerejus, M. Fu Lucio Postumio Albino e Marco Popillio Lenate.
rius Crassipes iterum, A. Atilius Serranusiterum, Indi furon fatti pretori Numerio Fabio Buteone,
C. Cluvius Saxula iterum. Comitiis perfectis, Ap. Marco Matieno, Caio Cicereio, Marco Furio Cras
Claudius Centho, ex Celtiberis ovans quum in sipede per la seconda volta, e per la seconda Aulo
urbem iniret, decem millia pondo argenti, quin Atilio Serrano e Caio Cluvio Sassula. Terminati
que millia auri in aerarium tulit. Flamen Dia i comizii, Appio Claudio Centone, entrando ovan
lis inauguratus est Cn. Cornelius. Eodem anno te in Roma per aver vinti i Celtiberi, portò al
tabula in aedem matris Matutae cum indice hoc l'erario dieci mille libbre di argento e cinque
posita est: « Ti. Sempronii Gracchi consulis im mille di oro. Gneo Cornelio fu inaugurato sacer
perio auspicioque legio exercitusque populi Ro dote di Giove. L'anno stesso fu posta nel tempio
mani Sardiniam subegit. In ea provincia hostium della dea Matuta una tavola con la seguente iscri
caesa aut capta supra octoginta millia. Republi zione: «Sotto il comando e gli auspizii del con
ca felicissime gesta, atque liberatis vectigalibus” sole Tito Sempronio Gracco la legione e l'eser
restitutis, exercitum salvum atque incolumen cito del popolo Romano soggiogò la Sardegna;
plenissimum praeda domum reportavit. Iterum vi furono uccisi e presi più di ottanta mila ne
triumphans in urbem Romam rediit. Cujus rei mici. Egli, governata felicemente la repubblica,
ergo hanc tabulam donum Jovi dedit. » Sardi liberati i tributarii e rimessi i tributi, ricondusse
miae insulae forma erat, atque in ea simulacra salvo ed incolume l'esercito, ricchissimo di pre
pugnarum picta. Munera gladiatorum eo anno da, e ritornò trionfante per la seconda volta in
aliquot parva alia data; unum ante cetera insi Roma. Per codeste imprese offerì la presente ta
gne fuit T. Flaminini, quod mortis causa patris vola in dono a Giove. " C'era dipinta la figura
sui, cum visceratione epuloque et ludis scenicis, dell'isola e rappresentate le battaglie. Si son dati
quatriduum dedit. Magni tamen muneris ea sum in quell'anno alcuni piccoli spettacoli di gladia
ma fuit, ut per triduum quatuor et septuaginta tori; uno sopra gli altri si segnalò, quello di Tito
homines pugnarint. Flaminino, che diede per quattro giorni all'oc
casione della morte di suo padre, con distribu
zione di carne, con banchetti e sceniche rappre
sentazioni. La somma però di così grande spet
tacolo sì fu, che per tre giorni combatterono in
sieme settantaquattro uomini.
[XXXIV. Finis hujus anni insignis est nova, [ XXXIV. Fu segnalata la fine di quest'an
eaque magni momenti lege, quae non sine aliquo no per una nuova ed importante legge, che, di
motu animorum agitata civitatem exercuit. Hac scussa non senza qualche agitazione degli animi,
tenus feminas non minus, quam viros, ad he tenne in movimento la città. Sino a quel dì le
reditates admitti jus fuerat. Inde fiebat, ut illu femmine aveano avuto il diritto, non altrimenti
strissimarum saepe familiarum bona in alienas che i maschi, d'essere ammesse alle eredità. Da
domos transfumderentur, magno cum reipubli questo nasceva che sovente i beni delle più illustri
cae damno, cujus interest clarorum nominum famiglie passavano in mani estranee, con danno
heredibus suppetere opes, quibus splendorem grande della repubblica, alla quale importa che
generis, onus alioqui magis, quam decus, tutari agli eredi di nomi cospicui non manchino gli
et exornare possint. Deinde etiam, quum cre averi, co' quali sostener possano ed adornare lo
scentibus jam imperii opibus crescerent quoque splendore della loro nascita, onore sì, ma d'altra
privatorum divitiae, metus erat, ne pronior na parte peso grave. Quindi eziandio si temeva, di
tura in luxum et elegantioris cultus affectatio già crescendo colle ricchezze dell'impero anche
nem muliebris animus, nactus ex affluentia opum quelle de privati, che l'animo donnesco, natural
cupiditatis irritamenta, in sumptus immodicos mente alquanto inclinato al lusso e a ricercare
atque in luxuriam prolaberetur, ac deinde a pri l'eleganza degli ornati, trovando nell'affluenza
sca fortasse sanctitate descisceret, nec minor fie delle dovizie un irritamento alle sue voglie, non
ret morum, quam cultus, mutatio. His incommo trascorresse a spese smisurate e intemperanti e
dis obviam ire statuit Q. Voconius Saxa, tribu poi forse si dipartisse dalla prisca santità, e ne av
nus plebis, tulito,ue ad popolum. « Ne quis, qui venisse cangiamento non tanto di abbellimenti,
post A. Postumium, Q. Fulvium censores census che di costumi. Deliberò di farsi incontro a co
esset, heredem virginem, neve mulierem face desti inconvenienti Quinto Voconio Sassa, tribu
ret: neve ulli virgini, vel mulieri, bona cujus no della plebe, e propose al popolo: « Che nes
quam liceret hereditate percipere ultra centum suno, che fosse stato censito dopo i censori Aulo
1533 TITI LIVII LIBER XLI. 1534
millia sestertium. m Sed et cavendum quoque Postumio e Quinto Fulvio, potesse scrivere erede
duxit Voconius, ne magnitudine legatorum he una vergine o una donna; nè fosse lecito ad al
reditates, quod fiebat interdum, exhaurirentur. cuna vergine o donna ereditare de'beni di chiun
Adjecit igitur rogationi, « Ne quis plus cuiquam que si fosse, oltre cento mila sesterzii. » Ma badò
legaret, quam ad heredem heredesve perveni anche Voconio che le eredità, per la gran mol
ret. » Atque hoc quidem posterius legis caput titudine de' legati, non venissero ad esaurirsi, il
facile se populo probabat, quod et aequissimum che accadeva talvolta. Aggiunse dunque alla sua
videretur, nec cuiquam magnopere grave esset. proposta, « Che nessuno potesse legare ad altri
Depriore, quo removebantur feminae ab omnium più di quello, che pervenisse all'erede o agli
omnino civium hereditatibus, ambigebatur. Du eredi. » E invero quest'ultimo capo della legge
bilationem exemit M. Cato, acerrimus jam olim otteneva falcilmente l'approvazione del popolo
in defendenda lege Oppia mulierum adversarius e perchè sembrava giustissimo, e perchè non
et castigator, qui et hanc quoque majoris mo riusciva gran fatto grave a nessuno. Ma quanto
menti adversus illas legem, annos natus quinque al primo capo, con cui si rimovevano le femmine
et sexaginta, magna voce et bonis lateribus sua dall'eredità di tutti affatto i cittadini, c'era di
sit, pro solita asperitate in muliebrem invectus che dubitare. Levò il dubbio Marco Catone, già
impotentiam, intolerandosque in opulentia spiri in addietro nel difendere la legge Oppia acerri
ritus: quum hic quoque argueret divitum ma mo avversario e castigatore delle donne, il quale
tronarum fastum et arrogantiam, a quod illae, in età di sessanta cinque anni, con voce robusta
magna saepe dote marito allata, magnam sibi pe e con forti lombi persuase contro di esse anche
cuniam reciperent ac retinerent, eamque pecu questa legge di maggior importanza, scagliandosi
miam ita postea viro roganti mutuam darent, ut, con quella sua solita asprezza contro l'orgoglio
quoties iratae essent, statim per receptitium ser femminile e la loro intollerabile albagia nelle
vum consectantem et quotidie flagitantem solu ricchezze; da questo eziandio partendo, per in
tionem,maritum, tanquam debitorem extraneum, veire contro il fasto e l'arroganza delle matrone
importune cogerent. - Hac indignatione commo doviziose, « ch'esse, portata sovente gran dote
ti legem, uti rogabat Voconius, accipiendam cen al marito, raccolgono e ritengono per sè grosse
suerunt.] somme di danaro, e che poscia il danno a presti
to al marito, che le ne prega, in modo che quan
te volte sono sdegnate, tosto col mezzo di servo
confidente, che insegua e ogni dì chiegga il pa
gamento, travagliano importunamente il marito,
quasi come estraneo debitore. » Mossi perciò a
sdegno, adottarono la legge ne' termini, in che
Voconio l'avea proposta. ]
TITI LIVII PATAVINI

H I S T O R I A R U MI

AB URBE CONDITA LIBRI

st& 39 333

EPITOME

LIBRI QUADRAGESIMI SECUNDI

Q Fulvius Flaccus censor templum Jumonis Laciniae Il censore Quinto Fulvio Flacco spogliò il tempio di
tegulis marmoreis spoliavit, ut aedem, quam dedicabat, Giunone Licinia delle tegole di marmo, onde ricoprire
tegeret: tegulae ex senatusconsulto reportatae. Eume quello ch'egli dedicava : per decreto del senato son
nes, Asiae rex, in senatu de Perseo, Macedoniae rege, rimesse al luogo di prima. Eumene, re d'Asia, si
questus est: cujus injuriae in populum Romanum re querelò in senato di Perseo, re di Macedonia, le cui
feruntur: ob quas bello ei indicto, P. Licinius Cras soperchierie ricadono sopra il popolo Romano. Inti
sus consul, cui id mandatum erat, in Macedoniam matagli perciò la guerra, il console Publio Licinio
transiit, levibusque expeditionibus, equestribus proe Crasso, cui ne fu commesso il governo, passò in Ma
liis, in Thessalia cum Perseo parum felici eventu pu cedonia, e con piccole spedizioni, con zuffe equestri
gnavit. Inter Masinissam et Carthaginienses de agro combattè in Tessaglia contro Perseo con poco felice
fuit arbiter ad disceptandum a senatu datus. Legati successo. Lo stesso Crasso fu dal senato dato arbitro
missi ad civitates socias et reges rogandos, ut in fide a terminare le differenze tra Masinissa ed i Cartagi
permanerent, dubitantibus Rhodiis. Lustrum a censo mesi per questione di territorio. Si spedirono legati
ribus conditum est. Censa sunt civium capita ducenta alle città alleate, ed a pregare quei re che stessero
quinquaginta septem millia ducenta triginta unum. fermi nell'alleanza, dubitandosi alquanto dei Rodia
Res praeterea adversus Corsos et Ligures prospere ni. I censori chiusero il lustro. Si son noverate due
gestas continet. cento cinquanta sette mille duecento e treni una
teste di cittadini. Il libro contiene inoltre le felici
imprese fatto contro i Corsi ed i Liguri.

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Livio 2
97
TITI LIVII
LIBER QUADRA GE SIMUS SE CUND US

ºgºs,

I. (Anno U. C. 579. – A. C. 173.) L. Postu I. ( Anni D. R. 579 – A. C. 173. ) Avendo


mius Albinus, M. Popillius Laenas quum omnium Lucio Postumio Albino e Marco Popillio Lenate,
primum de provinciis exercitibusque ad senatum innanzi ad ogni altra cosa, fatto riferta al senato
retulissent, Ligures utrique decreti sunt; ut no delle province e degli eserciti, ad ambedue asse
vas ambo, quibus eam provinciam obtinerent, gnati furono i Liguri con ordine che levassero
legiones (binae singulis decretae) et socim La nuove legioni (ne furono decretate due per cia
tini nominis dena millia peditum et sexcenos scun d'essi), con le quali tenessero quella pro
equites, et supplementum Hispaniae tria millia vincia, e insieme dieci mila fanti e seicento cavalli
peditum Romanorum scriberent, et ducentos del nome Latino, non che tre mila fanti Romani
equites. Ad hoc mille et quingenti pedites Roma e duecento cavalli per supplemento in Ispagna.
ni cum centum equitibus scribi jussi; cum qui In aggiunta fu lor commessa la leva di mille cin
bus praetor, cui Sardinia obtigisset, in Corsicam quecento fanti Romani con cento cavalli, co'quali
transgressus bellum gereret; interim M. Atilius, il pretore, cui toccasse la Sardegna, passando in
vetus praetor, provinciam obtineret Sardiniam. Corsica, facesse la guerra, e intanto il vecchio
Praetores deinde provinciassortiti sunt, A. Ati pretore Marco Atilio tenesse ferma la Sardegna.
lius Serranus urbanam, C. Cluvius Saxula inter Poscia i pretori si son divise a sorte le province,
cives et peregrinos, N. Fabius Buteo Hispaniam Aulo Atilio Serrano la pretura urbana, Caio Clu
citeriorem, M. Matienus ulteriorem, M. Furius vio Sassola quella tra cittadini e forestieri, Nume
Crassipes Siciliam, C. Cicerejus Sardiniam. Prius rio Fabio Buteome la Spagna citeriore, Marco
quam magistratus proficiscerentur, senatui pla Matieno l'ulteriore, Marco Furio Crassipide la
cuit, L. Postumium consulem ad agrum publi Sicilia, Caio Cicereio la Sardegna. Innanzi che i
cum a privato terminandum in Campaniam ire; magistrati partissero, piacque al senato che il
cujus ingentem modum possidere privatos, paul console Lucio Postumio andasse nella Campania
latim proferendo fines, constabat. Hic, iratus a porre i termini tra il terreno del pubblico e
Praenestinis, quod, quum eo privatus sacrificii in quello de'privati, del quale si sapeva che questi,
templo Fortunae faciundi causa profectus esset, estendendo a poco a poco i confini, ne possede
nihil in se honorifice, neque publice, neque pri vano molta quantità. Postumio, adirato contro i
vatim, factum a Praenestinis esset, priusquam Prenestini, perchè quando andò colà privato a
ab Roma proficisceretur, literas Praeneste misit, fare un sagrifizio nel tempio della Fortuna, non
ut sibi magistratus obviam exiret, locum publice gli avean fatto nessun onore nè pubblicamente,
pararet, ubi deverteretur, jumentaque, quum nè privatamente, prima che partisse da Roma,
exiret inde, praesto essent. Ante hunc consulem, mandò lettere a Preneste con ordine che il magi
nemo umquam sociis in ulla re oneri aut sumptui strato gli uscisse incontro, gli allestisse un luogo
fuit. Ideo magistratus mulis tabernaculisque et pubblico, dove alloggiare, e che pronti fossero,
TITI LIVII LIBER XLII. 1544
1543
omni alio instrumento militari ornabantur, ne quando gli piacesse uscire, i giumenti. Avanti
quid tale imperarent sociis. Privata hospitia ha questo console, nessuno avea recato mai nè cari
bebant; ea benigne comiterque colebant; domus co, nè spesa in checchessia agli alleati. Si forni
que eorum Romae hospitibus patebant, apud vano i magistrati di muli, padiglioni e d'ogni
quos ipsis deverti mos esset. Legati, qui repente altro arnese militare, acciocchè non comandasse
aliquo mitterentur, singulajumenta per oppida, ro nulla di simile agli alleati. Alloggiavano ospi
iter qua faciundum erat, imperabant: aliam im talmente presso i privati che coltivavano con
pensam socii in magistratus Romanos non facie amorevolezza e cortesia, e così le loro case in
bant. Injuria consulis, etiam si iusta, non tamen Roma erano aperte agli ospiti, presso i quali era
in magistratu exercenda, et silentium nimis aut no soliti alloggiare. I legati che occorreva di
modestum aut timidum, Praenestinorum, jus, spedir subitamente in qualche luogo, comanda
velut probato exemplo, magistratibus fecit gra vano un giumento in ogni terra, per cui doveva
viorum in dies talis generis imperiorum. no passare; nè gli alleati facevano spesa pe'magi
strati Romani. La collera del console, benchè
giusta, ma che essendo in magistrato non doveva
esercitare, e il silenzio o troppo modesto, o trop
po timido de Prenestini valse, quasi con appro
vago esempio, a creare a magistrati il diritto di
fare agli alleati un cotal genere di comandamenti
ogni dì sempre più gravi.
II. Principio hujus anni legati, qui in Aeto II. Sul principio di quest'anno i legati ch'era
liam et Macedoniam missi erant, renunciarunt, no stati spediti in Etolia e in Macedonia, riferi
si sibi conveniendi regis Persei, quum alii abesse rono, a che non avean potuto abboccarsi con
Perseo, altri fingendo ch'egli fosse assente, altri
eum, alii aegrum esse, falso utrumque, fingerent,
potestatem non factam. Facile tamen apparuisse ammalato, e gli uni e gli altri falsamente. Avean
sibi, bellum parari, nec ultra ad arma ire dilatu però facilmente scoperto che si faceano apparec
rum. Item in Aetolia seditionem gliscere in dies, chi di guerra, e che non avrebbe tardato a pigliar
neque discordiarum principes auctoritate sua l'armi. Così pure in Etolia ogni dì più crescere
coerceri potuisse. º Quum bellum Macedonicum la sommossa, nè aver potuto colla loro autorità
in exspectatione esset, priusquam id susciperetur, frenare gli autori delle discordie. " Mentre si
prodigia expiari, pacemdue deim peti precatio stava in aspettazione della guerra Macedonica,
innanzi di pigliarla, si volie espiare i prodigii ed
nibus, quae editae ex fatalibus libris essent, pla
cuit. Lanuvii classis magnae species in coelo visae implorare il favore degli dei con preghiere tratte
dai libri Sibillini. Dicevasi che a Lanuvio s'era
dicebantur; et Priverni lana pulla terra enata;
et in Vejenti apud Rementem lapidatum ; Pom veduta apparire in cielo una gran flotta; a Priver
no esser nata dalla terra una lana nera; in Ve
ptinum omne velut nubibus locustarum cooper
tum esse; in Gallico agro, qua induceretur ara iento presso Remente esser piovute pietre; che
tutto il contado Pontino era stato coperto quasi
trum, sub exsistentibus glebis pisces emersisse.
Ob haec prodigia libri fatales inspecti, editum da nugoli di locuste; che nel terrritorio Gallico,
que ab decemviris est, et quibus diis quibusque dove s'infossava l'aratro, di sotto alle zolle
hostiis sacrificaretur, et ut supplicatio prodigiis rilevate erano usciti del pesci. Per codesti prodi
expiandis fieret: altera, quae priore anno valetu gii si consultarono i libri Sibillini, e i decemviri
dimis populi causa vota esset, ea utiferiaeque es pronunziarono a quali dei e con quali vittime si
sent. Itaque sacrificatum est, ut decemviri scri avesse a sagrificare, e che si facesse la preghiera
per l'espiazione de prodigii, non che l'altra, di
ptum ediderunt. cui s'era fatto voto l'anno innanzi per la pesti
lenza, e insieme vi fossero ferie. Si fecero perciò
i sagrifici secondo l'editto dei decemviri.
III. Eodem anno aedis Junonis Laciniae dete III. L'anno medesimo fu scoperto il tetto del
cta. Q. Fulvius Flaccus censor aedem Fortunae tempio di Giunone Lacinia. Il censore Quinto
Equestris, quam in Hispania praetor bello Cel Fulvio Flacco fabbricava il tempio della Fortuna
tiberico voverat, faciebat eniso studio, ne ullum Equestre, di cui avea pretore fatto voto in Ispa
Romae amplius aut magnificentius templum es gna nella guerra de'Celtiberi, mettendosi quanto
set. Magnum ornamentum se templq ratus adje potea studio maggiore, acciocchè non ci fosse in
cturum, si tegulae marmorea e essent, profectus Roma tempio nè più grande, nè più magnifico.
in Bruttios, aedem Junonis Laciniae ad partem Stimando che gli avrebbe aggiunto un massimo
TITI LIVII LIBER XLII. 1546
dimidiam detegit; id satisfore ratus ad tegendum, ornamento, se le tegole fossero di marmo, andato
quod aedificaretur. Naves paratae fuerunt, quae ne' Bruzii, scoperse la metà del tempio di Giuno
tollerent atque asportarent, auctoritate censoria ne Lacinia, pensando che tanto sarebbe bastato a
sociis deterritis id sacrilegium prohibere. Post ricoprire quello che fabbricava. Si allestirono le
quam censor rediit, tegulae, expositae de navibus, navi per levare e trasportare que marmi, non
ad templum portabantur: quamquam, unde es osando gli alleati, atterriti dall'autorità censoria,
sent, silebatur, non tamen celari potuit. Fremitus impedir codesto sacrilegio. Come il censore fu
igitur in curia ortus est: ex omnibus partibus tornato, le tegole, tratte fuor de'navigli, si por
postulabatur, ut consules eam rem ad senatum tavano al tempio: benchè si tacesse donde pro
referrent. Ut vero arcessitus in curiam censor venivano, pure non si potè celare. Insorse pertan
venit, multo infestius singuli universique prae to un fremito nella curia: da tutte le parti si
sentem lacerare: « Templum augustissimum re chiedeva che i consoli riferissero la cosa al senato.
gionis ejus, quod non Pyrrhus, non Hannibal Come poi il censore, chiamato, venne alla curia,
violassent, violare parum habuisse, nisi detexisset molti più si fecero a lacerarlo, e ognuno in parti
foede, ac prope diruisset. Detractum culmen colare e tutti insieme: « Gli era paruto poco
templo, nudatum tectum patere imbribus putre violare il tempio più augusto di quel paese,
faciendum. Censorem, moribus regendis creatum, tempio che non avean violato nè Pirro, nè An
cui sarta tecta exigere sacris publicis et loca nibale, se non lo avesse eziandio scoperto e quasi
tuenda more majorum traditum esset; eum per smantellato. Gli avea levato il colmo, e il tetto
sociorum urbes diruentem templa, nudantemdue starsi aperto e snudato a infracidire dalle piogge.
tecta aedium sacrorum, vagari, et quod, si in Un censore, creato a governare i costumi, cui
privatis sociorum aedificiis faceret, indignum vi commesso era dalle usanze de'maggiori di tenere
deri posset, id deum immortalium templa demo in concio gli edifizii sacri e conservarli, andar
lientem facere; et obstringere religione populum vagando per le città degli alleati, diroccando i
Romanum, ruinis templorum templa aedifican tempii e spogliando di tetti i luoghi sacri, e, ciò
tem; tamquam non iidem ubique dii immortales che parrebbe indegna cosa, se il facesse negli
sint, sed spoliis aliorum alii colendi exornandi edifizii privati degli alleati, quello fare smantel
que. » Quum, priusquam referretur, appareret lando i tempi degli dei immortali, e sulle ruine
quid sentirent Patres, relatione facta, in unam di questi altri fabbricandone render colpevole di
omnes sententiam ierunt, ut hae tegulae repor sacrilegio il popolo Romano, quasi che gli dei
tandae in templum locarentur, piaculariaque Ju immortali non fossero da per tutto gli stessi, ma
noni fierent. Quae ad religionem pertinent, cum bisognasse onorare gli uni colle spoglie degli
cura facta: tegulas relictas in area templi, quia altri. » Scorgendosi, anche innanzi la proposta,
reponendarum nemo artifex inire rationem po quello che ne sentissero i Padri, come questa fu
tuerit, redemptores nunciarunt. fatta, tutti convennero in un solo parere, che le
tegole riportate e rimesse fossero a luogo nel
tempio, e che si facessero a Ginnone de'sagrifizii
espiatorii. Quello che apparteneva alla religione,
fu fatto con somma esattezza: i conduttori rife
rirono di aver lasciate le tegole sulla piazza del
tempio, perchè nessun artefice avea saputo trovar
maniera di riporle a luogo.
IV. Ex praetoribus, qui in provincias ierant, IV. Dei pretori ch'erano andati alle province,
IN. Fabius Massiliae moritur, quum in citeriorem Numerio Fabio muore a Marsiglia, mentre si
Hispaniam iret. Itaque, quum id nunciatum a recava al governo della Spagna citeriore. Quindi,
Massiliensibus legatis esset, senatus decrevit, ut avendo ciò riferito i legati del Marsigliesi, il se
P. Furius et Cn. Servilius, quibus succedebatur, nato decretò che Publio Furio e Gneo Servilio,
inter se sortirentur, uter citeriorem Hispaniam a quali si dava il cambio, tra sè tirassero a sorte,
prorogato imperio obtineret. Sors opportuna fuit; quale d'essi ottenesse la Spagna citeriore colla
P. Furius idem, cujus ea provincia fuerat, rema prorogazione del comando. La sorte cadde in
neret. Eodem anno, quun agri Ligustini et Gal bene; facendo che lo stesso Publio Furio, che ne
lici, quod bello capturn erat, aliquantum vacaret, aveva avuto il governo, vi rimanesse. L'anno
senatusconsultum factum, ut is ager viritim divi stesso,essendo avanzato alquanto del territorio
deretur. Decemviros in eam rem ex senatuscon de'Liguri e de'Galli, già tolto a'nemici, il senato
sulto creavit A. Atilius praetor urbanus, M. Ae decretò che fosse diviso per testa, e a tale oggetto
milium Lepidum, C. Cassium, T. Aebutium Ca Aulo Atilio, pretore urbano, per decreto pari
º a
1 o 17 TITI LIVII LIBER XLII. 1548
rum, C. Tremellium, P. Cornelium Cethegum, menti del senato creò decemviri Marco Emilio
Q. et L. Appulejos, M. Caecilium, C. Salonium, Lepido, Caio Cassio, Tito Ebuzio Caro, Caio
C. Mnnatium. Diviserunt dena jugera in singulos, Tremellio, Publio Cornelio Cetego, Quinto e
sociis nominis Latini terna. Per idem tempus, Lucio Appulei, Marco Cecilio, Caio Salonio e
quo haec agebantur, legati ex Aetolia Romam ve Caio Munazio. Divisero dieci giugeri a ciascun
nerunt de discordiis seditionibusque suis, et Romano, tre a ciascun alleato del nome Latino.
Thessali legati, nunciantes quae in Macedonia A quel tempo medesimo, in cui facevansi codeste
gererentur. cose, vennero a Roma legati dall'Etolia per ca
gione delle loro discordie e sedizioni; non che
altri legati dalla Tessaglia a riferire quello che si
faceva in Macedonia.
V. Perseus, jam bellum vivo patre cogitatum V. Perseo, ravvolgendo in mente la guerra,
in animo volvens, omnes, non gentes modo Grae già meditata a padre vivo, mandando ambascerie
ciae, sed civitates etiam, legationibus mittendis, e più promettendo che mantenendo, si conciliava
pollicendo plura, quam praestando, sibi conci tutti non solamente i popoli, ma eziandio le città
liabat. Erant tamen magna ex parte hominum della Grecia. Ed erano in gran parte inclinati gli
ad favorem eius inclinati animi, et aliquanto animi in suo favore, e alquanto più propensi
quam in Eumenem propensiores; quum Eume verso di lui, che verso Eumene, mentre pur
mis beneficiis muneribusque omnes Graeciae ci questi si aveva obbligate coi benefizii e coi doni
vitates et plerique principum obligati essent; et tutte le città della Grecia e moltissimi de princi
ita se in regno suo gereret, ut, quae sub ditione pali, e si diportava nel regno suo sì fattamente,
ejus, urbes nullius liberae civitates fortunam se che le città poste sotto la sua dominazione non
cum mutatam vellent. Contra Persea fama erat avrebbon voluto cangiare con alcun'altra città
post patris mortem uxorem manu sua occidisse; libera la loro sorte. All'incontro, era fama che
Apellem, ministrum quondam fraudis in fratre Perseo, dopo la morte del padre, ucciso avesse
tollendo, atque ob id requisitum a Philippo ad di propria mano la moglie; che indi, richiamato
supplicium, exsulantem, arcessitum post patris Apelle, già suo ministro nella frodolenta uccisio
mortem ingentibus promissis ad praemia tantae ne del fratello, e il quale, cercato da Filippo a
perpetrataerei clam interfecisse. lntestinis exter punirnelo, s'era esigliato, invitatolo dopo la
nisque praeterea multis caedibus infamem, nec morte del padre con grandi promesse a ricevere
ullo commendabilem merito, praeferebant vulgo il premio di cotanto suo merito, lo avesse fatto
civitates tam pio erga propinquos, tam justo in clandestinamente perire; ed oltre ciò diffamato,
cives, tam munifico erga omnes homines regi, com'era, per molte uccisioni e dentro e fuori,
seu fama et majestate Macedonum regum praeoc nè per alcun titolo commendevole, nondimeno
cupati ad spermendam originem movi regni ; seu le città comunemente lo preferivano ad un re
mutationis rerum cupidi; seu quia eum objectum cotanto pio verso i congiunti, cotanto giusto
esse Romanis volebant. Erant autem non Aetoli verso i cittadini, cotanto liberale verso tutti, o
modo in seditionibus, propter ingentem vim aeris che preoccupati dalla fama e maestà di re Mace
alieni, sed Thessali etiam : ea contagione, velut doni fossero tratti a disprezzare l'origine del
tabes, in Perrhaebiam quoque id pervaserat ma nuovo regno, o perchè fossero vogliosi di cangia
lum. Quum Thessalos in armis esse nunciatum mento, o perchè amassero di opporlo ai Romani.
est, Ap. Claudium legatum ad eas res aspiciendas Erano poi straziati dalle sedizioni non solamente
componendasque senatus misit. Qui, utriusque gli Etoli per cagione dei grandi debiti, ma ezian
partis principibus castigatis, quum injusto foeno dio i Tessali; male, che per contagio, quasi tabe,
re gravatum aes alienum, ipsis magna ex parte passato era anche in Perrebia. Come fu riferito
concedentibus, qui onerarant, levasset, justi cre che i Tessali erano in arme, il senato spedì Appio
diti solutionem in “ annorum pensiones distri Claudio a conoscere e compor quelle cose. Il qua
buit. Per eumdem Appium eodemogue modo com le, in frenati i capi dell'un partito e dell'altro,
positae in Perrhaebia res. Aetolorum causas Mar avendo alleggerito il debito raggravato da in
cellus Delphis per idem tempus hostilibus actas giuste usure, concedendolo in gran parte quegli
animis, quas intestino gesserant bello, cognovit. stessi che aggravato l'aveano, distribuì in alquanti
Quum certatum utrimo,ue temeritate atque au anni il pagamento del credito liquidato. Dallo
dacia cerneret, decreto quidem suo neutram par stesso Appio e nello stesso modo furono assestate
tem aut levare, aut onerare voluit: communiter le cose nella Perrebia. A quel tempo medesimo
ab utrisque petiit, abstinerent bello, et oblivione Marcello a Delfo conobbe delle differenze degli
praeteritorum discordias finirent. Hujus reconci Etoli, agitate con ostile accanimento, come già
1549 TITI LIVII LIBER XLII. 155o
Iiationis inter ipsos fides obsidibus ultro citroque innanzi in guerra intestina. Scorgendo che d'ambe
datis firmata est. Corinthum, utibi deponerentur le parti s'era lottato di temerità e di audacia, non
obsides, convenitur. volle veramente con suo decreto nessuna parte
caricare o alleggerire; chiese in comune dagli uni
e dagli altri che si astenessero dall'armi, e termi
nassero le discordie coll'obblivione del passato.
Il patto di questa riconciliazione tra loro fu fer
mato con ostaggi dati reciprocamente. Quindi si
raccolgono a Corinto per depositare gli ostaggi.
VI. A Delphis et Aetolico concilio Marcellus VI. Da Delfo e dalla dieta d'Etolia Marcello
in Peloponnesum trajecit, quo Achaeis edixerat passò nel Peloponneso, dove avea comandata la
conventum. Ubi, collaudata gente, quod constan dieta degli Achei. Avendo quivi lodata la nazio
ter vetus decretum de arcendis aditu finium re ne, perchè avesse costantemente tenuto fermo il
gibus Macedonum tenuissent, insigne adversus vecchio decreto di allontanare da lor confini i re
Persea odium Romanorum fecit : quod ut matu di Macedonia, fe più chiaro apparire l'odio dei
rius erumperet, Eumenes rex, commentarium Romani contro Perseo, ed acciocchè scoppiasse
ferens secum, quod de apparatibus belli omnia più presto, venne a Roma il re Eumene, seco
inquirens fecerat, Romam venit. Per idem tem portando una memoria che, fatte le più diligenti
pus quinque legati ad regem missi, qui res in Ma ricerche, avea scritta intorno gli apparecchi di
cedonia aspicerent. Alexandriam iidem ad Pto Perseo per la guerra. Nel tempo medesimo si
lemaeum renovandae amicitiae causa proficisci sono spediti a Perseo cinque ambasciatori, i quali
jussi. Legati eranthi, C. Valerius, Cn. Lutatius vedessero come si stavano le cose in Macedonia,
Cerco, Q. Baebius Sulca, M. Cornelius Mammu e gli stessi ebbero commissione di recarsi in Ales
la, M. Caecilius Denter. Et ab Antiocho rege sub sandria a Tolommeo, onde rinnovare seco lui
idem tempus legati venerunt ; quorum princeps l'amicizia. Erano gli ambasciatori Caio Valerio,
Apollonius, in senatum introductus, multis justis Gneo Lutazio Cercone, Quinto Bebio Sulca, Mar
que causis regem excusavit, a quod stipendium co Cornelio Mammula, Marco Cecilio Dentere.
serius quoad diem praestaret: id se omne adve E intorno a quel tempo stesso vennero ambascia
xisse, ne cujus, nisi temporis, gratia regi fieret. tori dal re Antioco; il capo de'quali Apollonio,
Donum praeterea afferre, vasa aurea quingentùm introdotto in senato, escusò il re per molte e
pondo. Petere regem, ut, quae cum patre suo giuste cagioni, «perchè avesse tardato a pagare
societas atque amicitia fuisset, ea secum renova lo stipendio: lo aveva egli portato seco tutto, ac
retur; imperaretgue sibi populus Romanus, quae ciocchè non altro si avesse a condonare al re, che
Ibono fidelique socio regi essent imperanda: se il tempo. Apportava inoltre un dono di vasi d'oro
nullo usquam cessaturum officio. Ea merita in del peso di libbre cinquecento. Chiedeva il re,
se senatus fuisse, quum Romae esset, eam comi che l'amicizia ed alleanza ch'era stata col padre
talem juventutis, ut pro rege, non pro obside, suo, fosse con sè rinnovata; e che il popolo Ro
omnibus ordinibus fuerit. - Legatis benigne re mano gli comandasse tutto quello ch'era da co
sponsum, et societatem renovare cum Antiocho, mandarsi a re alleato, buono e fedele: non ci sa
quae cum patre ejus fuerat, A. Atilius praetor rebbe uffizio ch'egli fosse mai per ricusare. Tali
urbanus jussus. Quaestores urbani stipendium, erano stati i meriti del senato verso di lui, quan
vasa aurea censores acceperunt; eisque negotium d'egli era a Roma, era stata sì fattamente acca
datum est, ut ponerentea, in quibus templis vi rezzata la di lui gioventù, che tutti gli ordini lo
deretur: legatoque centum millium aeris munus avean trattato non come ostaggio, ma come re. »
missum, et aedes liberae hospitio datae, sumptus Fu risposto benignamente agli ambasciatori, ed
que decretus, donec in Italia esset. Legati, qui in il pretore urbano Aulo Atilio ebbe commissione
Syria fuerant, renunciaverunt, in maximo eum di rinnovare con Antioco l'alleanza ch'era stata
honore apud regem esse, amicissimumque populo col padre di lui. I questori urbani ricevettero lo
Romano. stipendio; i censori i vasi d'oro, e si lasciò ad
essi la cura di riporli in que tempii che credes
sero, e si mandò all'ambasciatore un regalo di
cento mila assi, datogli gratuito alloggiamento e
spesa del pubblico sino a tanto che stesse in Italia.
I legati ch'erano stati in Siria, riferirono che
Apollonio era tenuto in gran conto dal re, e
ch'era amicissimo del popolo Romano.
i 55 1 TITI LIVII LIBER XLII 1552

VII. In provinciiseo anno haec. C. Cicerejus VII. Le cose delle province in quest'anno son
praetor in Corsica signiscollatis pugnavit: se queste. Il pretore Caio Cicereio venne a giornata
ptem millia Corsorum caesa; capti amplius mille campale nella Corsica: furon tagliati a pezzi
et septingenti. Voveratin ea pugna praetor aedem sette mila Corsi, presine più di mille e settecento.
Junoni Monetae. Pax deinde data petentibus Cor Avea fatto voto il pretore in quella battaglia di
sis, et exacta cerae ducena millia pondo. Ex Cor un tempio a Giunone Moneta. Indi si concedette
sica subacta Cicerejus in Sardiniam transmisit. la pace ai Corsi, che la chiesero, e si esigettero
Et in Liguribus in agro Statiellati pugnatum ad dugento mila libbre di cera. Dalla Corsica sog
oppidum Carystum. Eo se magnus exercitus Li giogata passò Cicereio in Sardegna. Anche nella
gurum contulerat. Primo sub adventum M. Po Liguria si combattè nel contado Statiellate presso
pillii consulis moenibus sese continebant: deinde, al castello Caristo. Il grande esercito de'Liguri
postduam oppidum oppugnaturum Romanum s'era portato colà. Dapprima, all'avvicinarsi del
cernebant, progressi ante portas, aciem struxe console Marco Popillio, si tenevano dentro le
runt: nec consul (ut qui id ipsum oppugnatione mura; indi vedendo che i Romani combattuto
comminanda quaesisset) moram certamini fecit. avrebbono la terra, usciti dalle porte si posero
Pugnatum est amplius tres horas, ita ut neutro in ordinanza; nè il console (come quegli che mi
inclinaret spes. Quod ubi consul vidit, nulla par nacciando di combatter la terra avea cercato la
te moveri Ligurum signa, imperat equitibus, ut cosa medesima) tardò a combattere. Si pugnò
equos conscendant, ac tribus simul partibus in più di tre ore, senza che la speranza piegasse più
hostes, quanto maximo possent tumultu, incur da una parte, che dall'altra. Avendo veduto il
rant. Pars magna equitum mediam trajecitaciem, console che le insegne de'Liguri non si moveva
et ad terga pugnantium pervasit. Inde terror in no da nessuna banda, comanda ai cavalieri che
jectus Liguribus: diversi in omnes partes fuge salgano a cavallo e da tre parti ad un tempo si
runt: perpauci retro in oppidum, quia inde se scaglino contro i nemici, con quanta più furia
maxime objecerat eques; et pugnatam pervicar potessero. Una gran perte de'cavalieri trascorse
multos absumpserat Ligurum, et in fuga passim per mezzo a nemici, e si fe alle spalle de'com
caesi sunt. Decem millia hominum caesa tradun battenti. Allora si mise il terrore ne Liguri:
tur; amplius septingenti passim capti: signa mi sbandati fuggirono in parti diverse; pochissimi
litaria relata octoginta duo. Nec incruenta victo indietro verso la terra, perchè a quella parte spe
riafuit: amplius tria millia militum amissa; quum, cialmente s'era messa di rincontro la cavalleria.
cedentibus neutris, ex parte utraque primores Una zuffa così ostinata avea consumata quantità
caderent. grande di Liguri, ed anche qua e colà nella fuga
se ne sono uccisi parecchi. Diconsi tagliati a pezzi
dieci mila nemici, presi sparsamente più di sette
cento; conquistate ottantadue bandiere. Nè la vit
toria fu senza sangue. Si son perduti più di tre
mila soldati, mentre, non cedendo nè questi, nè
quelli, cadevano d'ambe le parti i principali.
VIII. Post hanc pugnam ex diversa fuga in VIII. Dopo codesta giornata i Liguri dalla
unum collecti Ligures, quum majorem multo sparpagliata fuga raccoltisi in un medesimo luo
partem civium amissam, quam superesse, cerne go, vedendo essere assai maggiore il numero dei
rent (necenim plus decem millia hominum erant), cittadini perduti, che quello degli avanzati (che
dediderunt sese; nihil quidem illi pacti. Spera non erano più di dieci mila), si arrendettero,
veranttamen, non atrocius, quam superiores im senza però fare alcun patto. Nondimeno aveano
peratores, consulem in se saeviturum. At ille ar sperato che il console non gli avrebbe trattati più
ma omnibus ademit, oppidum diruit, ipsos bona duramente che i comandanti precedenti. Ma egli
que eorum vendidit; literasque senatui de rebus tolse l'armi a tutti, smantellò la terra, vendette
ab se gestis misit. Quas quum A. Atilius praetor le persone e i beni loro, e spedì lettere al senato
in curia recitasset (mam consul alter Postumius, delle cose che aveva fatte. Le quali essendo state
agris recognoscendis in Campania occupatus, recitate nella curia dal pretore Aulo Atilio (per
aberat), atrox res visa senatui: « Statiellates, qui ciocchè l'altro console Postumio era assente, oc
uni ex Ligurum gente non tulissent arma adver cupato nel riconoscere i terreni di ragion pub
sus Romanos, tum quoque oppugnatos, non ultro blica nella Campania), parve al senato cosa atroce
in ferentes bellum ; deditos in fidem populi Ro troppo, a che gli Statiellati, i soli di tutti i Ligu
mani onni ultimae crudelitatis exemplo lacera ri che non avean prese l'armi contro i Romani,
tos ac deletos esse : tot millia capitum innoxio che anche assaliti non avean mosso guerra da sè,
n.553
-- Ti l'I LlVil LIBER XLII. 1554
rum, fidem implorantia populi Romani, ne quis datisi alla discrezione del popolo Romano, fossero
umquam se postea dedere auderet, pessimo exem stati lacerati e distrutti con ogni esempio della
plo venisse : et distractos passim justis quondam più inumana crudeltà; che tante migliaia di teste
hostibus populi Romani pacatis servire. Quas ob innocenti, che invocavano la fede del popolo Ro
res placere senatui, M. Popillium consulem Ligu mano, fossero state con pessimo esempio vendute,
res, pretio emptoribus reddito, ipsos restituere sì che in avvenire nessuno più osasse di arren
in libertatem ; bona que utiis, quidquid ejus re dersi, e che qua e là dispersi servissero a popoli
cuperari possit, reddantur curare. Arma primo un tempo nemici del popolo Romano e soggio
quoque tempore fieri in ea gente: consulem de gati. Per le quali cose piacere al senato che il com
provincia decedere, quum deditos in sedem suam sole Marco Popillio, renduto il prezzo a compra
Ligures restituisset. Claram victoriam vincen tori, rimettesse i Liguri in libertà e si adoperasse
do oppugnantes, non saeviendo in afflictos, perchè fossero restituiti loro i beni, quanti se ne
fieri. » potessero ricuperare; che quanto prima si fab
bricassero armi per quella nazione, e che il con
sole, come avesse rimessi i Liguri, che s'erano
assoggettati, alle lor case, si partisse da quella
provincia. Farsi chiara la vittoria vincendo i re
sistenti, non incrudelendo contro gli abbattuti. »
IX. Consul, qua ferocia animi usus erat in IX. Il console, quella fierezza d'animo che
Liguribus, eamdem ad non parendum senatui usato aveva contro i Liguri, l'ebbe egualmente
habuit. Legionibus extemplo Pisas in hibernacu nel disubbidire al senato. Mandate subito le legio
la missis, iratus Patribus, infestus praetori, Ro ni a svernare a Pisa, adirato contro i Padri, istiz
mam rediit; senatuque extemplo ad aedem Bel zito contro il pretore, tornò a Roma, e convocato
lonae vocato, multis verbis invectus est in prae il senato nel tempio di Bellona, scagliossi con
torem, « qui, quum ob rem bello bene gestam, molte parole contro il pretore, il quale, « men
uti diis immortalibus honos haberetur, referre tre avrebbe dovuto proporre al senato, che grazie
ad senatum debuisset, adversus se pro hostibus rendute fossero agli dei immortali per la felicità
senatusconsultum fecisset, quo victoriam suam delle imprese, gli avea dettato un decreto, col
ad Ligures transferret, dedique iis prope consu quale trasferiva ai Liguri la vittoria da lui ripor
lem praetor juberet. Itaque mulctam ei se dicere: tata, e pretore quasi metteva il console nelle lor
a Patribus postulare, ut senatusconsultum in se mani. Quindi egli lo condannava ad una multa, e
factum tolli juberent; supplicationem due, quam domandava a Padri, che annullassero il decreto
absentes ex literis, de bene gesta republica mis fatto contro di lui, e quelle pubbliche preghiere
sis, decernere debuerint, praesentes honoris deo che avrebbon dovuto in assenza sua decretare,
rum primum causa, deinde et sui aliquo tandem dietro le lettere spedite del buon successo, ora,
respectu, decernerent. Nihilo lenioribus, quam presente esso, le decretassero, primieramente in
absens, senatorum aliquot orationibus increpi onore degli dei, poscia eziandio per qualche
tus, neutra impetrata re, in provinciam rediit. rispetto a lui medesimo. m Sgridato da alquanti
Alter consul Postumius, consumpta aestate in re senatori con invettive niente men aspre di quelle
cognoscendis agris, ne visa quidem provincia sua usate nell'assenza sua, non impetrata nè l'una,
comitiorum causa Romam rediit. Consules C. Po nè l'altra cosa, tornossi alla provincia. L'altro
pillium Laenatem, P. Aelium Ligurem creavit. console Postumio, consumata la state nel ricono
Praetores exinde facti C. Licinius Crassus, M. Ju scere i terreni di ragion pubblica, non veduta
nius Pennus, Sp. Lucretius, Sp. Cluvius, Cn. Si nemmeno la sua provincia, ritornò a Roma a te
cinius, C. Memmius iterum. nere i comizii. Nominò consoli Caio Popillio Le
nate e Publio Elio Ligure. Indi furon fatti pre
tori Caio Licinio Crasso, Marco Giunio Penno,
Spurio Lugrezio, Spurio Cluvio, Gneo Sicinio e
Caio Memmio per la seconda volta.
X. Eo anno lustrum conditum est. Censores X. In quell'anno fu chiuso il lustro. Erano
erant Q. Fulvius Flaccus, A. Postumius Albi censori Quinto Fulvio Flacco ed Aulo Postumio
mus. Postumius condidit. Censa sunt civium Ro Albino; lo chiuse Postumio. Si son noverate du
manorum capita ducenta sexaginta novem millia gento sessanta nove mille e quindici teste di cit
et quindecim. Minor aliquanto numerus, quia tadini Romani. Il numero fu alquanto minore,
L. Postumius consul pro concione edixerat, qui perchè il console Lucio Postumio avea proclama
sociùm Latini nominis ex edicto C. Claudii con to nell'assemblea del popolo, ehe di que socii
Luvio 2 98
1555 TITI LIVII LIBER XLII. 15:56

sulis redire in civitates suras debuissent, ne quis del nome Latino, i quali per l'editto del console
eorum Romae, sed omnes in suis civitatibus cen Caio Claudio avrebbon dovuto tornare a lor
serentur. Concors et e republica censura fuit. paesi, nessuno fosse censito in Roma, ma sì tutti
Omnes, quos senatu moverunt, quibusque equos nelle terre loro. La censura fu concorde e gio
ademerunt, aerarios fecerunt et tribu moverunt ; vevole alla repubblica. Tutti quelli che rimossero
neque ab altero notatum alter probavit. Fulvius dal senato e a quali tolsero il cavallo, li sogget
aedem Fortunae Equestris, quam proconsul in tarono al tributo e gli stralciarono dalla tribù;
Hispania, dimicans cum Celtiberorum legioni chiunque fu notato da uno de'censori, fu notato
bus, voverat, annos sex post, quam voverat, de pure dall'altro. Fulvio dedicò il tempio della
dicavit; et scenicos ludos per quatriduum, unum Fortuna Equestre, del quale, proconsole nella
diem in circo fecit. L. Cornelius Lentulus, de Spagna, avea fatto voto, combattendo contro le
cemvir sacrorum, eo anno mortuus est. In locum legioni de'Celtiberi, e ciò sei anni dopo il voto,
ejus suffectus A. Postumius Albinus. Locustarum e celebrò i giuochi scenici per quattro giorni e
tantae nubes a mari vento repente in Apuliam un giorno nel circo. Morì in quell'anno Lucio
illatae sunt, ut examinibus suis agros late ope Cornelio Lentulo, decemviro ai sagrifizii. Gli fu
rirent. Ad quam pestem frugum tollendam Cn. surrogato Aulo Postumio Albino. Il vento portò
Sicinius praetor designatus, cum imperio in Apu dal mare tanti nugoli di locuste nella Puglia, che
liam missus, ingenti agmine hominum ad col col loro sciami copersero largamente la campagna.
ligendas eas coacto, aliquantum temporis ab A distruggere codesta peste delle biade fu man
sumpsit. (Anno U. C. 58o. – A. C. 172.) Prin dato con autorità Gneo Sicinio, pretore designa
cipium insequentis anni, quo C. Popillius et P. to, il quale, radunato gran numero di gente a
Aelius fuerunt consules, residuas contentiones ex raccoglierle, vi consumò alquanto tempo. (Anni
priore anno habuit. Patres referri de Liguribus D. R. 58o. – A. C. 172) Il principio dell'anno
renovarique senatusconsultum volebant, et con susseguente, nel quale furono consoli Caio Po
sul Aelius referebat. Popillius et collegam et se pillio e Publio Elio, ebbe le contese avanzate
natum pro fratre deprecabatur; prae se ferens, dall'anno innanzi. I Padri volevano che si ripro
si qui decernerent, intercessurum, collegam de ponesse l'affare dei Liguri e si rinnovasse il de
terruit. Patres, eo magis utrique pariter consu creto del senato, e il console Elio lo proponeva,
lum infensi, in coepto perstabant. Itaque, quum Popillio pregava il senato ed il collega pel fratel
de provinciisageretur, et Macedonia, jam immi lo; dichiarando pubblicamente che si sarebbe
nente Persei bello, peteretur, Ligures ambobus opposto, se alcuna cosa decretassero, ritrasse il
consulibus decernuntur. Macedoniam decreturos collega. I Padri, tanto più corrucciati sì contro
negant, ni de M. Popillio referretur. Postulanti l'un console, che contro l'altro, persistevano
bus deinde, ut novos exercitus scribere, aut sup nel proposito. Quindi, trattandosi delle province
plementum veteribus liceret, utrumque negatum e chiedendo i consoli la Macedonia per sè, poi
est. Praetoribus quoque in Hispaniam supplemen che soprastava la guerra di Perseo, fu invece as
tum petentibus negatum ; M. Junio in citeriorem, segnata ad ambedue la Liguria, ricusando i Padri
Sp. Lucretio in ulteriorem. C. Licinius Crassus di decretare della Macedonia, se non si propones
urbanam jurisdictionem, Cn. Sicinius inter pere se prima l'affare di Marco Popillio. Chiedendo
grinos erat sortitus, C. Memmius Siciliam, Sp. in appresso gli stessi consoli, che fosse loro per
Cluvius Sardiniam. Consules ob ea irati senatui. messo di levare nuovi eserciti o aggiungere un
Latinis feriis in primam quamque diem indictis,in supplemento ai vecchi, l'una e l'altra cosa fu lor
provinciam abituros esse denunciarunt; nec quid negata. Così fu negato a pretori il supplemento
quam reipublicae acturos, praeterquam quod ad che chiedevano per la Spagna, a Marco Giunio
provinciarum administrationem attineret, per la citeriore, a Spurio Lugrezio per l'ulterio
re. La sorte avea dato a Caio Licinio Crasso la
giurisdizione urbana; a Gneo Sicinio quella tra”
forestieri; a Caio Memmio la Sicilia, a Spurio
Cluvio la Sardegna. I consoli per ciò adirati con
tro il senato, intimate le ferie Latine pel giorno
primo qualunque, dichiararono che sarebbono
andati alle lor province e che non si sarebbono
d'altra cosa pubblica occupati, che di quanto ap
partenesse all'amministrazione delle medesime.
XI. Attalum, regis Eumenis fratrem, legatum XI. Scrive Valerio Anziate, sotto questi con
venisse Romam, Valerius Antias his consulibus soli esser venuto ambasciatore a Roma Attalo,
1557 TITI LIVII LIBER XLII. i 558

scribit, ad deferenda de Perseo crimina, indi fratello del re Eumene, a denunziare i delitti di
candosque apparatus belli. Plurium annales, et Perseo e a manifestare gli apparecchi di guerra
quibus credidisse malis, ipsum Eumenem venisse ch'ei faceva. Gli annali di più altri, e a quali è
tradunt. Eumenes igitur ut Romam venit, exce da prestarsi più fede, narrano esser venuto lo
ptus cum tanto honore, quantum non meritis stesso Eumene. Eumene adunque, come fu giunto
tantum eius, sed beneficiis etiam suis, ingentia a Roma, ricevuto con tutta quella onorevolezza,
quae in eum congesta erant, existimaret deberi che stimava il popolo Romano doversi non tanto
populus Romanus, in senatum est introductus. a meriti di lui, quanto eziandio ai grandi bene
a Causam veniendi sibi Romam fuisse, dixit, fizii, di che avea ricolmato quel re, fu introdotto
praeter cupiditatem visendi deos hominesque, in senato. Disse, a che la cagione del suo venire
quorum beneficio in ea fortuna esset, supra quam a Roma, oltre il desiderio di visitare gli dei e gli
me optare quidem auderet, etiam ut coram mo uomini, per cui benefizio si trovava in tale for
neret senatum, ut Persei conatis obviam iret. » tuna, oltre la quale non oserebbe nemmeno spin
Orsus inde a Philippi consiliis, a necem Deme gere un voto, era stata eziandio per avvertire di
trii filii retulit, adversantis Romano bello; Ba bocca propria il senato, che si facesse incontro
starnarum gentem excitam sedibus suis, quorum a tentativi di Perseo. º Indi cominciando dai di
auxiliis fretus in Italiam transiret. Haec eum vo segni di Filippo, a riferì la morte, che questi avea
lutantem in animo, oppressum fato, regnum ei data al figliuolo Demetrio, il quale si opponeva
reliquisse, quem infestissimum esset sensisset al far la guerra co Romani, e come egli avea
Romanis. Itaque Persea, hereditarium a patre smossi dalle loro stanze i Bastarni, onde, rinfor
relictum bellum, et simul cum imperio tradi zato dal loro aiuto, passare in Italia. Mentr'egli
tum, jamjam primum alere ac fovere omnibus ravvolgeva in mente codeste cose, colpito dal
consiliis. Florere praeterea juventute, quam stir l'ultim'ora avea lasciato il regno a colui, che
pem longa pax ediderit, florere opibus regni, avea riconosciuto essere nimicissimo a Romani.
florere etiam aetate. Quae quum corporis robore Quindi Perseo sin da principio venne nodrendo
ac viribus vigeat, animum esse inveteratum diu e fomentando con ogni studio la guerra, lasciata
tima arte atque usu belli. Jam inde a puero, pa gli in eredità dal padre e trasmessagli insieme
tris contubernio, Romanis quoque bellis, non fi col regno. Fioriva inoltre per gioventù, figlia
nitimis tantum, assuetum, missum a patre in ex della lunga pace, fioriva per ricchezze, fioriva
deditiones multas variasque. Jam ex quo ipse ac eziandio per età, la quale essendo vegeta per
cepisset regnum, multa, quae non vi, non dolo, forza e vigoria di corpo, l'animo era inveterato
Philippus, omnia expertus, potuisset moliri, ad per lung'arte ed uso di guerra. Già sino dalla
mirando rerum successu tenuisse. Accessisse ad
puerizia alla scuola paterna avvezzo alle guerre
vires eam, quae longo tempore, multis magnis non solo del confinanti, ma eziandio de Romani,
que meritis pareretur, auctoritatem. º lo aveva il padre medesimo adoperato in varie e
molte spedizioni. Sin da quando prese a regnare,
molte cose, che a Filippo, fatta ogni prova, non
eran potute riuscire nè colla forza, nè coll'ingan
no, erano a lui maravigliosamente succedute. Alle
forze aggiunta s'era quella autorità che si suole
acquistare colla lunghezza del tempo e con molti
e grandi meriti. »
XII. « Nam apud Graeciae atque Asiae civi XII. « Perciocchè presso le città della Grecia
tates vereri majestatem ejus omnes: mec, pro e dell'Asia tutti hanno in venerazione la di lui
quibus meritis, pro qua munificentia tantum ei persona; nè si sa vedere per quali meriti, per
tribuatur, cernere; nec dicere pro certo posse, quale sua munificenza se gli attribuisca cotanto;
utrum felicitate id quadam eius accidat, an, quod nè poteva egli dire con certezza se ciò gli accada
ipse vereatur dicere, invidia adversus Romanos per una sua certa felicità, ovvero se, il che appe
favorem illi conciliet. Inter ipsos quoque reges ma ardisce proferire, l'odio contro i Romani gli
ingentem auctoritate; Seleuci filiam duxisse eum, concilii favore. E forte anche per autorità tra
non petentem,sed petitum ultro; sororem dedisse gli stessi re. Avea tolta per moglie la figlia di
Prusiae precanti ac oranti: celebratas esse utras Seleuco, non chiedendo egli, ma sì chiesto ; avea
que nuptias gratulatione domisque innumerabi sposata la sorella a Prusia che ne l'avea ricercato
lium legationum, et velut auspicibus nobilissimis e pregato; e le une e le altre nozze s'erano festeg
giate con doni e gratulazioni di innumerabili
populis deductas esse. Boeotorum gentem, capta
tam Philippo, numquam ad scribendum amici ambascerie, e le spose erano state condotte a ma
-
1559 TITI LIVII LIBER XLII. 156o

tiae foedus adduci potuisse: tribus nunc locis rito quasi sotto gli auspizii dei popoli più rino
cum Perseo foedus incisum literis esse: uno The mati. La nazione de Beozii, circuita da Filippo,
bis.altero ad Delum, augustissimo et celeberrimo non era mai stato possibile indurla a segnare un
in templo, tertio Delphis. In Achaico concilio ve trattato d'alleanza: ora questo si legge inciso in
ro, nisi discussa res per paucos Romanum impe lettere in tre luoghi; a Tebe, a Delo, in quel
rium intentantes esset, eo rem prope adductam, tempio augustissimo e celebratissimo, e a Delfo.
ut aditus et in Achajam daretur. At, hercule, Nella dieta Acaica poi, se la cosa non fosse stata
suos honores, cujus merita in eam gentem priva sventata da pochi col mettere innanzi il malcon
tim, an publice, sint majora, vix dici posset, par tentamento de Romani, s'era quasi giunto al
tim desertos per incultum ac negligentiam, par termine di aprirgli l'accesso anche nell'Acaia.
tim hostiliter sublatos esse. Jam, Aetolos, quem Ma all'opposto i monumenti onorifici di lui,
ignorare, in seditionibus suis non ab Romanis, Eumene, i cui meriti appena può dirsi, se mag
sed a Perseo praesidium petiisse? His eum ful giori sieno verso i privati o verso il pubblico,
tum societatibus atque amicitiis eos domesticos parte sono degradati per incuria e negligenza,
apparatus belli habere, ut externis non egeat; parte anche ostilmente distrutti. E chi non sa
triginta millia peditum, quinque millia equitum: avere gli Etoli nelle loro sedizioni chiesto soc
in decem annos frumentum praeparare, ut absti corso a Perseo e non a Romani? Appoggiato
nere et suo et hostium agro frumentandi causa egli a codeste società ed amicizie aveva in casa
possit. Jam pecuniam tantam habere, ut decem tali apparecchi di guerra, da non abbisognare
millibus mercenariorum militum, praeter Mace degli esterni; trenta mille fanti, cinque mille
donum copias, stipendium in totidem annos cavalli: stava preparando frumento per dieci
praeparatum habeat: praeter annuum, quod ex anni, onde potersi, per cagion di vettovaglie,
metallis regiis capiat, vectigal. Arma vel tribus astenere dal suo e dal paese de'nemici. Possedeva
tantis exercitibus in armamentaria congessisse. poi tanta quantità di denaro, che teneva pur
Juventutem, ut jam Macedonia deficiat, velut preparata per altrettanti anni la paga di dieci
ex perenni fonte unde hauriat, Thraciam subje mille mercenarii, oltre i soldati Macedoni; senza
ctam esse. contare l'annua rendita che cava dalle regie mi
niere. Avea raccolto negli arsenali armi per tre
eserciti di quella forza. Quanto alla gioventù,
quand'anche la Macedonia gli mancasse, tiene a
sè soggetta la Tracia, donde, quasi da perenne
º - fonte, ritrarne. -
XIII. Reliquum orationis adhortatio fuit. XIII. ll restante del discorso non fu, che
« Non ego haec, inquit, incertis jactata rumori esortazione. « Codeste cose, che vi reco, o Padri
bus, et cupidius credita, quia vera esse de inimi coscritti, non sono cose spacciate da vani rumori
co crimina volebam, affero ad vos, Patres con e troppo bramosamente credute, perchè io amassi
scripti; sed comperta et explorata, haud secus esser vere le colpe del nemico; ma rintracciate
quam si speculator missus a vobis subjecta oculis e riconosciute non altrimenti, che se da voi spe
referrem. Neque, relicto regno meo, quod am dito a riconoscerle ve le riferissi cogli occhi miei
plum et egregium vos fecistis, mare tantum tra proprii vedute. Nè, lasciato il mio regno, che
jecissem, ut vana ad vos afferendo fidem abro avete fatto sì bello ed ampio, tanto mare avrei
garem mihi Cernebam nobilissimasAsiae et Grae tragittato per iscemarmi la fede presso di voi,
ciae civitates, in dies magis denudantes judicia rapportandovi cose false. Io vedeva le più illustri
sua, mox, si permitteretur, eo processuras, unde città dell'Asia e della Grecia ogni dì più smasche
receptum ad poenitendum non haberent. Cerne rare i loro pensamenti, e pronte, se si lasciassero
bam Persea, non continentem se Macedoniae re fare, a inoltrarsi sino colà, donde non poter poi
gno, alia armis occupantem, alia, quae vi subigi tornare a pentimento. Io vedeva Perseo, non
non possunt, favore ac benevolentia complectem tenendosi ne' confini del suo regno, altri paesi
tem. Videbam, quam impar esset sors, quam ille occupare con l'armi, altri, che non si possono
vobis bellum, vos ei securam pacem praestaretis; soggiogare con la forza, legarli col favore e colla
quamquam mihi quidem non parare, sed gerere benevolenza. Io vedeva quanto fosse diseguale
pene bellum videbatur. Abrupolim,socium atque la sorte, mentr'egli apprestava a voi la guerra e
amicum vestrum, regno expulit. Artetarum Illy voi a lui secura pace; benchè mi paresse ch'egli
rium, quia scripta ab eo quaedam vobis compe non già vi preparasse, ma sì quasi vi facesse la
rit, sociun item atque amicum vestrum, interfe guerra. Scacciò dal regno Abrupoli, vostro alleato
cit. Evercam et Callicritum Thebanos, principes ed amico; mise a morte Artetaro Illirico, pari
I 561 TITI LIVII LIBER XLII. 1562

civitatis, quia liberius adversus eum in concilio menti vostro alleato ed amico, perchè seppe es
Boeotorum locuti fuerant, delaturosque ad vos, servi state scritte da lui alcune cose; fe' perire
quae a gerentur, professi erant, tollendoscuravit. Everca e Callicrito, Tebani, de'primi della città,
Auxilium Byzantiis adversus foedus tulit, Dolo perchè avean parlato alquanto liberamente contro
piae bella intulit, Thessaliam et Doridem cum di lui nella dieta de'Beozii e vi denunzierebbero
exercitu pervasit, ut in bello intestino deterioris tutto quello che si facesse. Diede aiuto ai Bizan
partis auxilio meliorem affligeret. Confudit et zii contro i patti, mosse guerra a Dolopia, entrò
miscuit omnia in Thessalia Perrhaebiaque spe coll'esercito nella Tessaglia e nella Doride, onde
novarum tabularum, ut manu debitorum obno in quella guerra intestina soccorrendo la parte
zia sibi optimates opprimeret. Haec quum vo più debole, soverchiar la migliore. Nella Tessa
bis quiescentibus et patientibus fecerit, et con glia e nella Perrebia mescolò, confuse ogni cosa,
cessam sibi Graeciam esse a vobis videat; pro con la speranza di nuovi registri, onde affezio
certo habet, neminem sibi, antequam in Italiam nandosi la moltitudine dei debitori, con questa
trajecerit, armatum occursurum. Hoc quam vo opprimere gli ottimati. Facendo egli codeste
bistutum aut honestum sit, vos videritis: ego cose, mentre voi vi state quieti e pazienti, e ve
certe mihi turpe esse duxi, prius Persea ad bel dendo che gli lasciate la Grecia in sua balia, tiene
lum inferendum, quam me socium ad praedicen per certo che nessuno gli si farà incontro armato,
dum, ut caveretis, venire in Italiam. Functus ne innanzi ch'egli sia passato in 1talia. Quanto ciò
cessario mihi officio, et quodam modo liberata importi alla vostra sicurezza, all'onor vostro, voi
atque exonerata fide mea, quid ultra facere pos vel vedrete; io certo ho stimato che sarebbe mia
sum, quam uti deos deasque precer, ut vos et vergogna, se Perseo venisse a portarvi guerra
vestrae reipublicae, et nobis sociis atque amicis, in Italia, prima ch'io, vostro alleato, venissi ad
qui ex vobis pendemus, consulatis ? » avvertirvi che vi guardaste. Soddisfatto l'ufficio
ch'io vi doveva, e liberata in certo modo e sca
ricata la fede mia, che altro far posso, se non è
pregare gli dei e le dee, che vogliate provvedere
alla vostra repubblica ed a noi, vostri alleati ed
amici, che dipendiamo da voi ? » -

XIV. Haec oratio movit Patres conscriptos. XIV. Questa orazione fe colpo nell'animo
Ceterum in praesentia nihil, praeterquam fuisse de' Padri coscritti. Del resto nessuno allora potè
in curia regem, scire quisquam potuit: eo silen saper altro, se non che il re era stato in senato;
tio clausa curia erat. Bello denique perfecto, da tal silenzio era chiusa la curia. Terminata
quaeque dicta ab rege, quaeque responsa essent, finalmente la guerra, uscì fuori tutto quello che
emanavere. Persei deinde regis legatis post pau avea detto il re, e tutto quello che gli era stato
cos dies senatus datus est. Ceterum, praeoccupa risposto. Da lì a pochi giorni fu data udienza
tis non auribus magis, quam animis ab Eumene agli ambasciatori di Perseo; se non che, essendo
rege, omnis et defensio et deprecatio legatorum stati preoccupati gli animi, non che gli orecchi
respuebatur; et exasperavit animos ferocia animi del re Eumene, non si dava nessun ascolto alle
Harpali, qui princeps legationis erat. Is, « velle difese ed alle preghiere degli ambasciatori; e la
quidem et laborare, dixit, regem, ut purganti, se fierezza di Arpalo, ch'era capo dell'ambasceria
nihil hostile dixisse aut fecisse, fides habeatur: di Perseo, non fe che esasperare gli animi mag
ceterum, si pervicacius causam belli quaeri vi giormente. « Voleva certo, disse, e si adoperava
deat, forti animo defensurum se. Martem com Perseo, perchè purgandosi di non aver nè detta,
munem esse, et eventum incertum belli.” Omni nè fatta cosa alcuna ostile, se gli prestasse fede:
bus civitatibus Graeciae atque Asiae curae erat, del resto, come gli avvenga di scorgere, che si
quid Persei legati, quid Eumenes in senatu egis cerchi troppo pertinacemente un pretesto di
set: et propter adventum eius, quem moturum guerra, si difenderà egli coraggiosamente: esser
aliquid rebantur, miserant pleraeque civitates, eguale per tutti la fortuna dell'armi ed incerti
alia in speciem praeferentes, legatos. Et legatio egualmente gli avvenimenti della guerra.» Tutte
Rhodiorum erat, ac Satyrus princeps, haud du le città della Grecia e dell'Asia si adoperavano
bius, quin Eumenes civitatem quoque suam Per per sapere, che detto avessero gli ambasciatori
sei criminibus junxisset. Itaque omni modo per di Perseo, che il re Eumene in senato; e per
patronos hospitesque disceptandi cum rege lo la di lui venuta a Roma, che stimavano dover
cum in senatu quaerebat. Quod quum contigis fare qualche movimento, la maggior parte delle
set, libertate intemperantius invectus in regem, città, sotto altra apparenza, vi avea mandato
quod Lyciorum gentem adversus Rhodios con ambasciatori. Ci erano anche quelli dei Rodiani,
1563 l'ITI LIVIl LIBER XLII. 1564
citasset, graviorgue Asiae esset, quam Antiochus il cui capo Satiro non dubitava che non avesse
fuisset; popularem quidem ac gratam populis Eumene involto nelle accuse contro Perseo anche
Asiae (mam eo quoque jam favor Persei venerat) il proprio paese. Quindi per ogni via col mezzo
orationem habuit; celerum invisam senatui, inu de'patroni e degli ospiti cercava luogo di dispu
tilemdue sibi et civitati suae. Eumeni vero con tare in senato col re. Il che avendo conseguito,
spiratio adversus eum, favorem apud Romanos scagliandosi contro Eumene con troppo intem
fecit. lta omnes ei honores habiti, donaque quam perante libertà, dicendo ch'egli avea concitati
amplissima data, cum sella curuli atque eburneo i Licii contro i Rodiani, e che pesava sull'Asia
scipione, più che avea fatto lo stesso Antioco, tenne un
discorso popolare bensì e grato a popoli del
l'Asia (chè il favore verso Perseo s'era esteso sino
colà), non però accetto al senato, ed inutile a lui
ed alla sua patria. Codesta cospirazione poi con
tro Eumene gli creò favore presso i Romani, sì
che renduti gli furono tutti gli onori e dati doni
amplissimi, insieme con la sella curule e col ba
stone d'avorio.
XV. Legationibus dimissis, quum Harpalus, XV. Licenziate le ambascerie, Arpalo, tornato
quanta eximia celeritate poterat, regressus in in Macedonia con quanta potè maggiore celerità,
Macedoniam, nunciasset regi, nondum quidem avendo rapportato al re di aver lasciato i Roma
parantes bellum reliquisse se Romanos, sed ita ni, non già che facessero preparativi di guerra,
infestos, ut facile appareret, non dilaturos; et ma però sì male disposti, che si scorgeva facil
ipse, praeterquam quod etita credebat futurum, mente, che non avrebbono indugiato gran fatto;
jam etiam volebat, in flore virium se credens Perseo stesso, oltrechè credeva che ciò sarebbe
esse. Eumeni ante omnes infestus erat: a cujus avvenuto, di già eviandio il bramava, stimando
sanguine ordiens bellum, Evandrum Cretensem, essere in tutto fiore le forze sue. Odiava sopra
ducem auxiliorum, et Macedonas tres, assuetos tutti Eumene; dal cui sangue meditando di co
ministeriis talium facinorum, ad caedem regis minciare la guerra, suborna Evandro Cretese,
subornat; literasque eis dat ad Praxo hospitam, capitano delle genti ausiliarie, e tre Macedoni,
principem auctoritate et opibus Delphorum. Sa avvezzi ad esser ministri di così fatti delitti,
tis constabat, Eumenem, ut sacrificaret Apollini, all'uccisione di Eumene; e dà loro lettere per
Delphos ascensurum. Progressi cum Evandro certa Praxo, cui stretto era co' vincoli di ospita
insidiatores, nihil aliud ad peragendum ince lità, donna delle principali di Delfo per autorità
ptum quam loci opportunitatem, omnia circum e per ricchezze. Era cosa certa, ch'Eumene sa
euntes, quaerebant. Ascendentibus ad tem rebbe salito a Delfo per sagrificare ad Apollo. Por
plum a Cirrha, priusquarn perveniretur ad fre tatisi innanzi gl'insidiatori insieme con Evandro,
quentia aedificiis loca, maceria erat ab laeva se non altro cercavano girando per tutto intorno
mitae paullum exstans a fundamento, qua singu collo sguardo, che un luogo opportuno a fare
li transirent; dextra pars labe terra e in aliquan il colpo. A chi moveva da Cirra per ascendere al
tum altitudinis diruta erat.Post maceriam se ab tempio, avanti di arrivare a luoghi frequentati
diderunt, gradibus adstructis, ut ex ea, velut e di case, c'era a mano sinistra del sentiero un
muro, tela in praetereuntem conjicerent. Primo muriccio ruinato poco rilevato sopra i fonda
a mari circumfusa turba amicorum ac satellitum menti, pel quale si passava uno ad uno; la parte
procedebat; deinde extenuabant paullatim angu destra per una frana del terreno era dirupata
stiae agmen. Ubi ad eum locum ventum est, qua alquanto profondamente. Si celaron essi dietro
singulis eundum erat, primus semitam ingressus a quel muriccio, fattisi certi scaglioni, onde da
Pantaleon Aetoliae princeps, cum quo institutus quello, quasi da muro, scagliare dardi contro
regi sermo erat. Tum insidiatores exorti saxa Eumene, al suo passare. Dapprima, venendo dal
duo ingentia devolvunt; quorum altero caput mare, precedeva mescolatamente la turba de'cor
ictum est regi, altero humerus sopitus. Ex se tigiani e del satelliti; poscia lo stuolo si andava
mita proclivi in declive multis super prolapsum assottigliando per la strettezza della via. Come
jam saxis congestis, et ceteri quidem etiam ami si venne al luogo, dove bisognava passare uno
corum et satellitum, postquam cadentem videre, ad uno, primo entrò nell'angusto sentiero Panta
diffugiunt: Pantaleon, constanter impavidus leone, uno dei primi dell'Etolia, col quale il re
mansit ad protegendum regem. veniva ragionando. Allora levatisi gl'insidiatori,
rotolan giù due grandissimi sassi, uno de'quali
I 565 TITI LIVII LIBER XLII. 1 566

ferì il re nella testa, l'altro gl'istupidi una spalla,


e caduto essendo e accumulatesegli sopra molte
pietre dall'alto sdrucciolanti alla china, gli altri
cortigiani e satelliti, come il veggono a terra,
fuggono; Pantaleone rimase fermamente intre
pido a proteggere il re.
XVI. Latrones, quum brevi circumitu mace XVI. Gli assassini, che potevano con volta
riae decurrere ad conficiendum saucium possent, breve attorno il muriccio correr giù a finire il re,
velut perfecta re, in jugum Parnasi refugerunt quasi avessero compiuta l'opera, fuggono alle
eo cursu, ut, quum unus non facile sequendo per cime del Parnaso con tanta fretta, che un de'loro
invia atque ardua moraretur fugam eorum, ne compagni, il quale non potendo seguirli per luo
comprehenso indicium emanaret, occiderint co ghi malagevoli e dirupati ritardava la loro fuga,
mitem. Ad corpus regis primo amici, deinde sa lo uccisero, acciocchè essendo preso, non si sco
tellites ac servi concurrerunt, tollentes sopitum prisse la cosa. Accorsero al corpo del re prima
vulnere ac nihil sentientem. Vivere tamen ex ca i cortigiani, poscia i satelliti ed i servi, e il levaron
lore et spiritu remanente in praecordiis sense di terra svenuto per la ferita e privo di senso.
runt ; victurum exigua ac prope nulla spes erat. Conobbero però ch'egli era in vita dal calore
Quidam ex satellitibus, secuti latronum vestigia, e dal respiro che gli restava in petto; ma che
quum usque ad iugum Parnasi, nequidquam fa durasse a vivere picciola era, anzi quasi nulla
tigati pervenissent, re infecta redierunt. Aggres la speranza. Alcuni de'satelliti, seguendo le orme
si facinus Macedones, ut inconsulte, ita audacter degli assassini, essendo giunti con vano affaticarsi
coeptum, nec consulte et timide reliquerunt. alla vetta del Parnaso, tornarono senza effetto.
Compotem jam sui regem amici postero die de I Macedoni che s'erano messi a codesta impresa,
ferunt ad navem ; inde Corinthum : a Corintho, come la pigliarono senza considerazione e con
per lsthmi jugum navibus traductis, Aeginam audacia, così la lasciarono sconsideratamente e
trajiciunt, Ibi adeo secreta eius curatio fuit, ad timidamente. Il dì appresso i cortigiani traspor
mittentibus neminem, ut fama mortuum in Asiam tano il re, già rinvenuto, sopra un naviglio; di
perferret. Attalus quoque celerius, quam dignum là a Corinto: da Corinto, fatte passare le navi
concordia fraterna erat, credidit. Nam et cum per l'Istmo, vanno ad Egina. Quivi fu così se
uxore fratris, et praefecto arci, tamquam jam greta la sua cura, non lasciando entrare nessuno,
haud dubius regni heres, est locutus. Quae po che in Asia corse fama che fosse morto. Attalo
stea non feſellere Eumenem ; et, quamquam dis stesso il credette più presto, che non si conve
simulare et tacite habere id patique statuerat, nisse alla concordia fraterna; perciocchè si ab
tamen in primo congressu non temperavit, quin boccò colla moglie del fratello e col prefetto
uxoris petendae praematuram festinationem fra della rocca, come se di già fosse erede del regno.
tri objiceret. Romam quoque fama de morte Eu Nè ignorollo Eumene di poi, e sebbene avesse
menis perlata est, determinato di tacersi e dissimulare e sopportare
la cosa; nondimeno nel primo abboccamento
non si ritenne di rinfacciare al fratello la prema
tura sua fretta di chiedere la mano di sua moglie.
Anche a Roma andò la fama della morte del re.
XVII. Sub idem tempus C. Valerius ex Grae XVII. A quel tempo tornò dalla Grecia Caio
cia, qui legatus ad visendum statum regionis ejus Valerio, ch'era stato spedito a visitare lo stato
speculandaque consilia Persei regis missus erat, di quel paese ed a spiare i disegni del re Perseo,
redit; congruentiaque omnia criminibus ab Eu e riferiva cose del tutto conformi alle accuse da
mene allatis referebat. Simul et adduxerat secum tegli da Eumene, e menava eziandio seco da Delfo
Praxo a Delphis, cujus domus receptaculum la quella Praxo, la cui casa era stata il ricettacolo
tronum fuerat, et L. Rammium Brundisinum, degli assassini, e Lucio Rammio di Brindisi, che
qui talis indicii delator erat. Princeps Brundisii veniva a denunziare il fatto. Era quel Rammio
Rammius fuit; hospitio quoque et duces Roma uno de principali di Brindisi; alloggiava in sua
nos omnes, et legatos exterarum quoque gen casa tutti i comandanti Romani ed anche i più
tium insignes, praecipue regios, accipiebat. Ex qualificati ambasciatori delle altre città, e special
eo notitia ei cum absente Perseo fuerat; literis mente quei del re. Per questo egli avea contratta
que spem amicitiae interioris magnaeque inde corrispondenza con Perseo assente; le cui lettere
fortunae facientibus, ad regem profectus, brevi destandogli speranza di amicizia più intrinseca,
perfamiliaris haberi, trahique, magis quam vel e quindi di gran fortuna, andato al re, cominciò
1567 TITI LIVII LIBER XLII. 1568

let, in arcanos sermones est coeptus. Promissis in breve tempo ad essere ammesso a grande con
enim ingentibus praemiis petere institit ab eo fidenza, ed esser tratto a colloqui segreti più
rex, « Quoniam duces omnes legatique Romani che non avrebbe voluto. Perciocchè il re, pro
hospitio eius uti assuessent, quibus eorum ipse messigli immensi premii, si fe a chiederlo istan
scripsisset, ut venenum dandum curaret. Cujus temente, a che poi che tutti i comandanti e am
scire se comparationem plurimum difficultatis et basciatori Romani solevano valersi dell'ospizio
periculi habere, pluribus consciis comparari. E suo, procurasse di porgere il veleno a quelli
ventu praeterea incerto esse, ut aut satis effica d'essi, di cui gli avrebbe scritto. Sapeva egli,
cia ad rem peragendam, aut tuta ad rem ce che c'era molta difficoltà e pericolo a procurar
landam dentur. Se daturum, quod nec in dan selo, nè potersi procacciare senza saputa di molti.

do, nec datum, ullo signo deprehendi posset. ” Esser inoltre dubbio l'evento, sì che il veleno
Rammius, veritus me, si abnuisset, primus ipse sia bastantemente efficace a produr l'effetto, o
veneni experimentum esset, facturum pollicitus tale da non temersi che la cosa si manifesti.
proficiscitur; nec Brundisium ante redire, quam Gliene avrebbe egli somministrato un così fatto,
convento C. Valerio legato, qui circa Chalcidem che nè nel darlo, nè dato che fosse, si sarebbe
esse dicebatur, voluit. Ad eum primum indicio potuto per alcun segno scoprire. » Rammio, te
delato, jussu ejus Romam simul venit. Introdu mendo, se avesse ricusato, di non aver egli il
ctus in curiam, quae acta erant, exposuit. primo a sperimentare il veleno, parte promet
tendo che farebbe. Nè volle tornare a Brindisi
innanzi che vedesse il legato Caio Valerio che si
diceva essere ne' contorni di Calcide. Rivelata
a lui primamente la cosa, per suo comando venne
seco a Roma. Introdotto in senato, espose tutto
il fatto. -

XVIII. Haec ad ea, quae ab Eumene delata XVIII. Queste cose aggiunte a quelle ch'erano
erant, accessere, quo maturius hostis Perseus ju state riferite da Eumene, fecero che Perseo fosse
dicaretur; quippe quem non justum modo ap più presto dichiarato nemico, come quello che
parare bellum regio animo, sed per omnia clan scorgevano apparecchiar non tanto una guerra
destina grassari scelera latrociniorum ac venefi in ordine, qual si conviene a re, ma ravvolgersi
ciorum cernebant. Belli administratio ad novos tra tutte le scelleraggini clandestine degli assas
consules rejecta est: in praesentia tamen Cn. sinamenti e dei venefizii. Il governo di questa
Sicinium praetorem, cujus inter cives et pere guerra fu riserbato a nuovi consoli: nondimeno
grinos jurisdictio erat, scribere milites placuit; si volle che di presente Gneo Sicinio, pretore
qui, Brundisium ducti, primo quoque tempore sopra le cause de'cittadini e de'forestieri, facesse
Apolloniam in Epirum trajicerentur ad occu una leva di soldati; i quali, condotti a Brindisi,
pandas maritimas urbes, ubi consul, cui provin come tosto si potesse, trasportati fossero ad
cia Macedonia obvenisset, classem appellere tu Apollonia nell'Epiro ad occupare le città marit
to, et copias per commodum exponere posset. time, dove il console, cui fosse toccata la Mace
Eumenes, aliquamdium Aeginae retentus peri donia, potesse securamente approdar colla flotta
culosa et difficili curatione, quum primum tuto e sbarcar le sue genti comodamente. Eumene,
potuit, profectus Pergamum, praeter pristinum ritenuto alquanto tempo in Egina da cura peri
odium recenti etiam scelere Persei stimulante, colosa e difficile, tosto che il potè senza rischio,
summa vi parabat bellum. Legati eo ab Roma, andato a Pergamo, oltre l'odio antico, stimolato
gratulantes quod e tanto periculo evasisset, ve eziandio dalla recente scelleraggine di Perseo,
merunt. Quum Macedonicum bellum in annum metteva opra grandissima negli apparecchi di
dilatum esset, ceteris praetoribus jam in pro guerra. Vennero ambasciatori da Roma a con
vincias profectis, M. Junius et Sp. Lucretius, qui gratularsi con lui, che scampato fosse da così
bus Hispaniae provinciae obvenerant, fatigato grave pericolo. Essendosi differita la guerra di
saepe idem petendo senatu, tandem pervice Macedonia sino all'anno nuovo, andatisi di già
runt, ut supplementum sibi ad exercitum dare gli altri pretori alle loro province, Marco Giumio
tur tria millia peditum, centum et quinquagin e Spurio Lugrezio, a quali eran toccate le Spa
ta equites in Romanas legiones: in socialem exer gne, stancato ch'ebbero il senato chiedendo sem
citum quinque millia peditum et trecentos equi pre la stessa cosa, finalmente ottennero che si
tes imperare sociis jussi. Hoc copiarum in His desse loro un supplemento di tre mila fanti e
panias cum praetoribus novis portatum est. di cento cinquanta cavalli per le legioni Romane,
ed ebber ordine di comandare per l'esercito degli
1569 TITI LIVII LIBER XLII. 157o
alleati cinque mila fanti e trecento cavalli. Questo
fu il numero di soldati portato nelle Spagne
dai nuovi pretori.
XIX. Eodem anno, quia per recognitionem XIX. L'anno stesso, perchè mediante la rico
Postumii consulis magna pars agri Campani, gnizione del console Postumio una gran parte
quem privati sine discrimine passim possederant, del territorio Campano, che i privati qua e là
recuperata in publicum erat, M. Lucretius tri possedevano senza titolo, era stata ricuperata al
bunus plebis promulgavit, ut agrum Campanum pubblico, Marco Lugrezio, tribuno della plebe,
censores fruendum locarent: quod factum tot ordinò con editto che i censori lo dessero in af
annis post captam Capuam non fuerat, ut in va fitto; il che non s'era più fatto in tanti anni dopo
cuo vagaretur cupiditas privatorum . Quum in la presa di Capua; acciocchè avesse ampia libertà
exspectatione senatus esset, bello etsi non indi di vagare la cupidigia de'privati. Mentre il sena
cto, tamen jam decreto, qui regum suam, Per to, decretata bensì, ma non ancora intimata la
sei qui secuturi amicitiam essent, legati Ariara guerra, stavasi a vedere quali re la sua, quali
this, puerum filium regis secum adducentes, Ro avrebbon seguita l'amicizia di Perseo, vennero
mam venerunt. Quorum oratio fuit, a regem a Roma gli ambasciatori di Ariarate, menando
educandum filium Romam misisse, ut jam inde seco il picciolo figliuolo del re. Dissero, a che
a puero assuesceret moribus Romanis homini Ariarate avea mandato il figliuolino ad essere
busque. Petere, ut eum non sub hospitum modo allevato in Roma, acciocchè sin da fanciullo si
privatorum custodia, sed publicae etiam curae avvezzasse ai costumi ed agli uomini Romani.
ac velut tutelae vellent esse. » Ea regis legatio Chiedeva che volessero che si stesse egli non
grata senatui fuit. Decreverunt, ut Cn. Sicinius solamente sotto la custodia di ospiti privati, ma
praetor aedes instructas locaret, ubi filius regis eziandio sotto la cura e quasi pubblica tutela. »
comitesque ejus habitare possent. Et Thracum Fu grata al senato quella ambasceria. Decreta
legatis, apud se disceptantibus et societatem ami rono che il pretore Caio Sicinio prendesse a pi
citiamoue petentibus, et, quod petebant, datum gione alquante case fornite, dove abitar potesse
est, et munera binàm millium aeris summae in il figliuolo del re e la sua scorta. Anche ai legati
singulos missa. Hos utique populos, quod ab ter della Tracia, che avean disputato in senato e chie
go Macedoniae Thracia esset, assumptos in so sta l'amicizia e l'alleanza del popolo Romano, si
cietatem gaudebant. Sed ut in Asia quoque et in concedette quello che domandavano, e si mandò
sulis explorata omnia essent, Ti. Claudium Ne a ciascun d'essi un regalo di due mila assi. Si
romem, M. Decimium legatos miserunt. Adire eos allegrava il senato di aversi associati questi po
Cretam et Rhodum jusserunt, simul renovare poli, essendo la Tracia alle spalle della Macedo
amicitiam, simul speculari, num sollicitati animi mia. Ma per aver anche ogni notizia dell'Asia e
sociorum ab rege Perseo essent. delle isole, vi spedirono legati Tito Claudio Ne
rone e Marco Decimio. Fu loro commesso di
recarsi a Creta ed a Rodi, e quivi rinnovare l'al
leanza, e ad un tempo stesso investigare se Perseo
avesse tentati gli animi di quegli alleati.
XX. In suspensa civitate ad exspectationem XX. Standosi Roma sospesa nell'espettazione
movi belli, nocturna tempestate columna rostra della guerra Macedonica, per notturno temporale
ta in Capitolio “ bello Punico consulis, cui colle la colonna rostrata, eretta sul Campidoglio nella
ga Ser. Fulvius fuit, tota ad imum fulmine di prima guerra Punica dal console Marco Emilio,
scussa est. Ea res, prodigii loco habita, ad sena ch'ebbe a collega Sergio Fulvio, fu tutta insino
tum relata est. Patres ad aruspices referre, et de al fondo atterrata da un fulmine. Il caso, giudi
cemviros adire libros jusserunt. Decemviri, lu cato prodigioso, fu riferito al senato. I Padri lo
strandum oppidum, supplicationem obsecratio rimandarono agli aruspici, ed ordinarono ai de
memdue habendam, victimis majoribus sacrifi cemviri che consultassero i libri. I decemviri
candum et in Capitolio Romae, et in Campania risposero, che si dovesse purgare con lustrazioni
ad Minervae promontorium, renunciarunt: lu la città, che si facessero processioni e preghiere
dos per decem dies Jovi optimo maximo primo pubbliche, che si sagrificasse con le vittime mag
quoque die faciendos. Ea omnia cum cura facta. giori e a Roma sul Campidoglio e nella Campa
Aruspices, in bonum versurum id prodigium, nia sul promontorio di Minerva, e al più presto
prolationem que finium et interitum perduellium si celebrassero per dieci giorni i giuochi in onore
portendi, responderunt; quod ex hostibus spo di Giove ottimo massimo. Tutto ciò fu fatto a pun
lia fuissent ea rostra, quae tempestas disjecisset. tino. Gli aruspici risposero, che questo prodigio
livio 2 99
i 57 i TITI I LIVII LIBER XLII. 1572

Accesserunt, quae cumularent religiones animis. si convertirebbe in bene, e che presagiva dilata
Saturniae, nunciatum erat sanguine per triduum zione di confini e morte a traditori, perchè i
in oppido pluisse: Calatiae asinum tripedem na rostri dal temporale abbattuti erano spoglie dei
tum, et taurum cum quinque vaccis uno ictu nemici. A ricolmare gli animi di religioso terrore
fulminis exanimatos: Auximi terra pluisse. Ho si aggiunsero altri prodigii. Era stato annunziato,
rum quoque prodigiorum causa res divinae fa a Saturnia nel castello esser piovuto sangue per
ctae, et supplicatio unum diem feriaeque habitae. tre giorni; a Calazia esser nato un asino con tre
piedi; e che un toro con cinque vacche era stato
ucciso da un colpo solo di fulmine: ad Ausimo
esser piovuto terra. Anche per cagion di questi
prodigii si son fatti sagrifizii, e v'ebbe un giorno
di preghiere e di ferie.
XXI. Consules ad id tempus in provincias XXI. I consoli sino a quel dì non erano an
non exierant, quia neque, uti de M. Popillio re dati alle loro province, perchè disobbedivano al
ferrent, senatui obsequebantur, et nihil aliud senato non proponendo l'affare di Marco Popil
decernere prius statutum Patribus erat. Aucta lio e perchè i Padri eran fermi nel non volere
etiam invidia est Popillii literis ejus, quibus ite innanzi decretar altra cosa. S'era anche accre
rum cum Statiellatibus Liguribus proconsul pu sciuto lo sdegno contro Popillio per le sue let
gnasse se scripsit, ac se decem millia eorum occi tere, nelle quali scrisse, ch'egli proconsole avea
disse. Propter cujus injuriam belli ceteri quoque nuovamente combattuto coi Liguri Statelliati, e ne
Ligurum populi ad arma ierunt. Tum vero non aveva uccisi da dieci mille; per la quale ostile
absens modo Popillius, qui deditis contra jus ac prepotenza anche gli altri popoli della Liguria
fas bellum intulisset, et pacatos ad rebellium in corsi erano all'armi. Allora il senato rimbrottò
citasset, sed consules, quod non exirent in pro non solamente Popillio assente, il quale avea
vinciam, in senatu increpiti. Hoc consensu Pa mosso guerra a gente arrendutasi contro ogni
trum accensi M. Marcius Sermo et Q. Marcius dritto e ragione, ed avea concitati a ribellarsi i
Scylla, tribuni plebis, et cousulibus mulctam se popoli pacifici, ma gli stessi consoli, perchè non
dicturos, misi in provinciam exirent, denuncia andassero alle loro province. Accesi da questo
runt; et rogationem, quam de Liguribus deditis consentimento de' Padri i tribuni della plebe
promulgare in animo haberent, in senatu recita Marco Marcio Sermone e Quinto Marcio Scilla
runt. Sanciebatur, « ut qui ex Statiellis deditis protestarono che avrebbono infissa una multa ai
in libertatem restitutus ante Kalendas Sextiles consoli, se non andassero alle loro province, e
primas non esset, cujus dolo malo is in servitu recitarono in senato la proposta che aveano in
tem venisset, ut juratus senatus decerneret, qui animo di fare sul conto de' Liguri, che si erano
eam rem quaereret animadverteretºlue.» Ex au arrenduti. Si stabiliva a che qualunque degli Sta
ctoritate deinde senatus eam rogationem pro tielli, il quale si fosse arrenduto, non fosse stato
mulgarunt. Priusquam proficiscerentur consules, rimesso in libertà avanti le calende di Agosto, il
C. Cicerejo praetori prioris anni ad aedem Bel senato con giuramento decretasse chi avesse a in
lonae senatus datus est. Is, expositis,quas in Cor quisire e punire quello, per colpa del quale fosse
sica res gessisset, postulatoque frustra triumpho, colui venuto in servitù. » Indi con l'autorità del
in monte Albano, quod jam in morem venerat, senato proposero codesta legge. Innanzi che i
ut sine publica auctoritate fieret, triumphavit. consoli partissero, fu data udienza in senato nel
Rogationem Marciam de Liguribus magno con tempio di Bellona a Caio Cicereio, pretore del
sensu plebes scivit jussitgue. Ex eo plebiscito C. l'anno antecedente. Egli, esposto quanto aveva
Licinius praetor consuluit senatum, quem quae operato nella Corsica, e chiesto inutilmente il
rere ea rogatione vellet. Patres ipsum eum quae trionfo, lo celebrò sul monte Albano, essendo di
rere jusserunt. già passato in costume, che così si facesse senza
pubblica autorità. La proposta di Marcio sul
conto de'Liguri fu adottata dalla plebe con
grande consentimento e commessane l'esecuzio
ne; in conformità della quale il pretore Caio Li
cinio domandò al senato, chi gli piacesse desti
nare a quella inquisizione. I Padri comandarono
ch' egli stesso la facesse.
XXII. l'um demum consules in provinciam XXlI. Allora finalmente i consoli andarono
protecti sunt, exercitumque a M. Popillio cepe alle loro province e ricevettero l'esercito da Marco
1573 TITI I,1VII LIBER XLII
i 574
runt. Neque tamen M. Popillius reverti Romam Popillio. Questi però non osava di tornare
audebat, ne causam diceret, adverso senatu, in a Roma per non esser tradotto a difendersi,
festiore populo, apud praetorem, qui de quae avendo avverso il senato e più ancora il popolo,
stione in se posita senatum consuluisset. Huic de davanti a quel pretore, il quale avea consultato
trectationi eius tribuni plebis, alterius rogationis il senato sulla inquisizione contro di lui. A co
denunciatione, occurrerunt: ut, si non ante Idus desto suo sutterfugio si fecero incontro i tribuni
Novembres in urbem Romam introisset, de ab della plebe col pubblicare altra legge: che se non
sente eo C. Licinius statueret ac judicaret. Hoc fosse rientrato in Roma avanti gl'idi di Novem
tractus vinculo quum redisset, ingenti cum invi bre, Caio Licinio in di lui assenza deliberasse
dia in senatum venit. Ibi quum laceratus jurgiis e il giudicasse. Essendo tornato, forzatamente
multorum esset, senatusconsultum factum est, ut, tratto da questo vincolo, venne in senato, carico
qui Ligurum post Q. Fulvium, L. Manlium con dell'odio universale. Quivi, poi che fu lacerato
sules hostes non fuissent, ut eos C. Licinius, Cm. da molti rimproveri, il senato decretò, che quei
Sicinius praetores in libertatem restituendos cu Liguri, i quali non fossero stati nemici dopo i
rarent, agrumque iis trans Padum consul C. Po consoli Quinto Fulvio e Lucio Manlio, fosse cura
pillius daret. Multa millia hominum hoc senatus de' pretori Caio Licinio e Gneo Sicinio, che ri
consulto restituta in libertatem, transductisque messi fossero in libertà, e che il console Caio Po
Padum ager est assignatus. M. Popillius rogatione pillio assegnasse loro de terreni oltre Po. Per
Marcia bis apud C. Licinium causam dixit: tertio questo decreto molte migliaia d'uomini furono
praetor, gratia consulis absentis et Popilliae fa ridonati a libertà, e condotti oltre Po vi ebbero
miliae precibus victus, Idibus Martiis adesse reum de terreni. Marco Popillio, in vigore della legge
jussit, quo die novi magistratus inituri erant ho Marcia, trattò due volte la sua causa davanti Caio
norem; ne diceret jus, qui privatus futurus esset. Licinio: la terza volta il pretore, vinto dalle rac
Ita rogatio de Liguribus arte fallaci elusa est. comandazioni del console assente e dalle pre
ghiere della famiglia Popilia, citò il reo a com
parire agl'idi di Marzo, giorno, in cui i nuovi
magistrati pigliavano la carica, per esimersi,
prossimo a diventare privato, dal giudicare. Così,
colla fallacia di tal'arte, la legge de' Iliguri fu
delusa.

XXIII. Legati Carthaginienses eo tempore XXIII. Erano a quel tempo a Roma gli amba
Romae erant, et Gulussa filius Masinissae. Inter sciatori Cartaginesi ed eziandio Gulassa, figliuolo
eos magnae contentiones in senatu fuere. Car di Masinissa, tra quali furonvi in senato grandi
thaginienses querebantur, a praeter agrum, de contestazioni. I Cartaginesi si lagnavano, « che
quo ante legati ab Roma, qui in re praesenti co oltre il territorio, pel quale erano già stati in
gnoscerent, missi essent, amplius septuaginta op nanzi spediti legati da Roma a riconoscere per
pida castellaque agris Carthaginiensis biennio sonalmente la cosa, avesse Masinissa occupato
proximo Masinissam vi atque armis possedisse. colla forza dell'armi già da due anni più di set
Id illi, cui nihil pensi sit, facile esse: Carthagi tanta terre e castelli di ragione Cartaginese. Esser
nienses foedere illigatos silere; probiberi enim questo facile a lui, il quale non conosceva nessun
extra fines efferre arma. Quamquam sciant, in riguardo; i Cartaginesi, legati dall'accordo, do
suis finibus, si inde Numidas pellerent, se gestu versi tacere, perciocchè si vietava loro portare
ros bellum ; illo haud ambiguo capite foederis l'armi fuori de'confini. Quantunque sappiano,
deterreri, quo diserte vetentur cum sociis populi che sarebbe far la guerra dentro i confini, scac
Romani bellum gerere. Sed jam ultra superbiam ciandone i Numidi, se ne astenevano per quel
crudelitatem que et avaritiam ejus non pati posse l'articolo non dubbio, che proibisce loro chiara
Carthaginienses. Missos esse, qui orarent sena mente di far guerra agli alleati del popolo Ro
tum, ut trium harum rerum unam ab se impe mano. Ma già non potersi dai Cartaginesi tollera
trari sinerent: ut vel ex aequo apud socium po re più oltre la superbia, la crudeltà e l'avarizia
pulum, quid cujusque esset, disceptarent; vel di lui. Essere stati spediti a pregare il senato, che
permitterent Carthaginiensibus, ut adversus in gli piaccia conceder loro una di queste tre cose;
justa arma pio justoque se tutarentur bello: vel o che trattassero da pari a pari dinanzi al popolo
ad extremum, si gratia plus quam veritas, apud Romano, comune alleato, del diritto di ciashedu
eos valeret, semel statuerent, quid donatum ex no, o permettessero che i Cartaginesi si difendes
alieno Masinissae vellent. Modestins certe da tu sero con guerra giusta e pia contro l'ingiusto
roseos, et scituros, quid dedissent: ipsum nullum, attentato; o finalmente, se più valesse presso i
1575 TITI LIVII LIBER XLII. 1576
praeterquam suae libidinis arbitrio, finem factu Romani il favore, che la verità, stabilissero de
rum. Horum si nihil impetrarent, et aliquod suum finitivamente una volta quello che intendessero
post datam a P. Scipione pacem delictum esset, donato delle altrui spoglie a Masinissa. Essi certo
ipsi potius animadverterent in se. Tutam servi sarebbono più ritenuti nel donare, e saprebbero
tutem se sub dominis Romanis, quam libertatem ciò che donano; ch'egli non farebbe mai fine,
expositam ad injurias Masinissae, malle. Perire se non se ad arbitrio del suo smodato capriccio.
mamque semel ipsis satius esse, quam sub acer Se nulla ottengono di tutto ciò, e se han commes
bissimi carnificis arbitrio spiritum ducere. » Sub sa alcuna colpa dopo la pace data loro da Publio
haec dicta lacrymantes procubuerunt; stratique Scipione, piuttosto essi stessi li puniscano. Amavan
humi, non sibi magis misericordiam, quan regi. “ meglio una tranquilla servitù sotto la padronam
za de'Romani, che una libertà esposta alle avanie
di Masinissa. Perciocchè riputavano miglior cosa
perire una volta, che trar la vita miseramente
sotto l'arbitrio di un acerbissimo carnefice. »
A queste parole prosternaronsi lagrimando; e -
stesi a terra non tanto destarono compassione
a lor favore, quanto grave carico al re.” ,
XXIV. Interrogari Gulussam placuit, quid XXIV. Piacque al senato, che fosse interro
ad ea responderet, aut, si prius mallet, exprome gato Gulussa, che avesse a rispondere a questo;
ret, super quare Romam venisset. Gulussa, « Ne ovvero, se amava meglio, esponesse intanto per
que sibi facile esse, dixit, de iis rebus agere, de quale affare foss'egli venuto a Roma. Gulussa
quibus nihil mandati a patre haberet: neque pa disse, « Non poter egli parlar di cose, di che non
tri facile fuisse mandare, quum Carthaginienses, aveva commissione dal padre, nè questa commis
nec de qua re acturi essent, nec omnino ituros se sione avergliela potuto dare il padre, non avendo.
Romam, indicaverint. In aede Aesculapii clam i Cartaginesi dato indizio di che sarebbon venuti
destinum eos per aliquot noctes consilium prin a trattare, e non che d'altro, mè anche se sareb
cipum habuisse, unde praeterea legatos occultis bono venuti a Roma. Avean tenuto per alquante
cum mandatis Romam mitti. Eam causam fuisse notti nel tempio di Esculapio consiglio clandesti
patri mittendi se Romam, qui deprecaretur se no tra principali cittadini, donde in appresso
matum, ne quid communibus inimicis criminan mandaronsi ambasciatori a Roma con segrete
tibus se crederent, quem ob nullam aliam cau commissioni. Questa si fu la cagione, per cui lo
sam, nisi propter constantem fidem erga popu aveva il padre spedito a Roma a pregare il senato
lum Romanum, odissent. » His utrimgue auditis, che non prestasse fede a comuni nemici, non per
senatus, de postulatis Carthaginiensium consul altro venuti a calunniarlo, che per l'odio, che gli
tus, respondere ita jussit : « Gulussam placere portavano per la costante sua fede verso il po
extemplo in Numidiam proficisci, et nunciare polo Romano.» Il senato, udite ambedue le parti,
patri, ut de iis, de quibus Carthaginienses que prese in deliberazione le domande dei Cartagine
rantur, legatos quamprimum ad senatum mittat; si, ordinò che fosse risposto: « Piacergli che
denuncietque Carthaginiensibus, ut ad disceptan Gulussa andasse subito in Numidia e dicesse al
dum veniant. Si aliquid possent Masinissae hono padre, che mandasse immantinente ambasciatori
ris causa, et fecisse et facturos esse: jus gratiae al senato sopra le cose, di cui si lagnavano i Car
non dare. Agrum, qua cujusque sit, possideri vel taginesi, e commettesse ai Cartaginesi che venis
le; nec novos statuere fines, sed veteres observa sero a dire di lor ragioni. Se alcun che potevano,
ri, in animo habere. Carthaginiensibus victis se che tornasse in onore di Masinissa, e lo avean di
et urbes et agros concessisse; non ut in pace già fatto, e il farebbono; ma non darebbero pre
eri perent per injuriam, quae jure belli non ade ferenza al favore sopra la giustizia. Volevano che
missent. » Ita regulus Carthaginiensesque dimis ognuno possedesse il terreno che gli apparteneva,
si. Munera ex instituto data utrisque, aliaque nè pensavamo di stabilire nuovi confini, bensì
hospitalia comiter conservata. che si osservassero gli antichi. Aveano conceduto
ai Cartaginesi vinti e città e terreni; non per poi
tor loro in tempo di pace colla violenza quello
che non aveano lor tolto per dritto di guerra. “
Così furono licenziati il principe ed i Cartagine
si; e agli uni e agli altri furono fatti i consueti
regali, e si osservarono a loro riguardo tutte
l'altre ospitali graziosità.
1577 TITI LIVll LIBER XLII. 1578
XXV. Sub idem tempus Cn. Servilius Caepio, XXV. A quel tempo medesimo tornarono
Ap. Claudius Centho, T. Annius Luscus legati, Gneo Servilio Cepione, Appio Claudio Centone
ad res repetendas in Macedoniam renunciandam e Tito Annio Lusco, spediti in Macedonia a chie
que amicitiam regi missi, redierunt; qui jam dere soddisfazione e a rinunziare all'amicizia del
sua sponte infestum Persi senatum insuper accen re; i quali riferendo ordinatamente le cose che
derunt, relatis ordine, quae vidissent, quaeque avean vedute ed udite, vie più infiammarono il
audissent. « Vidisse se per omnes urbes Macedo senato già da sè mal disposto contro Perseo.
num summa vi parari bellum. Quum ad regem « Avean veduto per tutte le città della Macedonia
pervenissent, per multos dies conveniendi ejus farsi grandi apparecchi di guerra. Giunti alla
potestatem non factam : postremo, quum despe corte, non avean potuto per molti giorni ottenere
rato jam colloquio profecti essent, tum demum udienza: infine essendo partiti disperando di ot
se ex itinere revocatos, et ad eun introductos tenerla, erano allora stati richiamati dal cammino
esse. Suae orationis summam fuisse : foedus cum ed introdotti al re. La somma del lor discorso era
Philippo ictum, cum ipso eo post mortem patris stata, che l'alleanza, già stretta con Filippo,
renovatum ; in quo diserte prohiberi eum, extra l'aveano, morto il padre, rinnovata con esso lui;
fines arma efferre; probiberi, socios populi Ro nella quale gli era chiaramente vietato di portar
mani la cessere bello. Exposita deinde ab se ordi l'arme fuori, vietato di provocare in guerra gli
ne, quae ipsi nuper in senatu Eumenem vera alleati del popolo Romano. Indi gli aveano esposto
omnia et comperta referentem audissent. Samo una ad una le cose tutte, ch'essi stessi aveano udito
thracae praeterea per multos dies occultum con in senato marrarsi da Eumene, come vere e certe.
silium cum legationibus civitatium Asiae regem Aver inoltre il re tenuto in Samotracia per molti
habuisse. Pro his injuriis satisfieri, senatum ae giorni consulta occulta colle ambascerie delle città
quum censere, reddique sibi res sociisque suis, dell'Asia. Per queste ingiurie giudicava il senato
quas contra jus foederis habeat. Regem ad ea pri giusta cosa essere, che il re gli desse soddisfazio
mo accensum ira inclementer locutum, avaritiam ne e rendesse a lui ed a suoi alleati quello ch'egli
superbiamolue Romanis objicientem frequenter; contro i patti dell'alleanza si riteneva. Che a
quod alii super alios legati venirent speculari questa proposta il re dapprima acceso d'ira era
dicta factaque sua, quod se ad nutum imperium trascorso a parole poco civili, rinfacciando spesso
que eorum omnia dicere ac facere aequum cen a Romani l'avarizia e la superbia; che venissero
serent. Postremo, multum ac diu vociferatum, legati sopra legati a spiare tutti i detti e fatti
reverti postero die jussisse: scriptum se respon suoi; che stimassero dover egli dire e fare ogni
sum dare velle. Tum ita sibi scriptum traditum cosa a seconda de'cenni loro. Infine, dopo molto
esse: « Foedus, cum patre ictum, ad se nihil perti e lungo vociferare, avea detto che tornassero il
nere. Id se renovari, non quia probaret, sed quia giorno appresso; che voleva dar loro la risposta
in nova possessione regni patienda omnia essent, in iscritto. Fu dunque consegnato loro lo scritto
passum. Si novum foedus secum facere vellent, del seguente tenore: « L'alleanza fatta col padre
convenire prius de conditionibus debere; et, si suo niente appartenergli: avea sofferto che fosse
in animum inducerent, ut ex aequo foedus fieret, rinnovata, non perchè l'approvasse, ma perchè
et se visurum, quid sibi faciundum esset, et illos nella nuova possessione del regno bisognava tutto
credere reipublicae consulturos. Atgueita se pro tollerare. Se volessero far seco lui nuova alleanza,
ripuisse, et submoveri e regia omnes coeptos. Tum era prima da convenire delle condizioni, e se ver
se amicitiam et societatem renunciasse: qua voce nissero in parere di collegarsi a patti ragionevoli,
eum accensum restitisse, atque voce clara denun egli penserebbe a ciò che avesse a fare, come
ciasse sibi, ut triduo regni sui decederent finibus. d'altra parte stimava che avrebbon essi pure pen
Ita se profectos; nec sibi, aut venientibus, aut sato ai vantaggi della loro repubblica. Così detto,
manentibus, quidquam hospitaliter aut benigne s'era in fretta ritirato, e tutti cominciarono ad
factum. » Thessali deinde Aetolique legati auditi. uscir fuori della reggia. Allora essi rinunziarono
Senatui, utscirent quam primum, quibus ducibus la di lui amicizia ed alleanza. A queste parole ac
usura respublica esset, literas mitti consulibus ceso di sdegno ristette alquanto, ed avea loro ad
placuit, ut, uter eorum posset, Roman ad magi alta voce comandato che uscissero fra tre giorni
stratus creandos veniret. dal suo regno. Così n'erano partiti. Non s'era
usato verso di essi, nè alla venuta, nè durante la
dimora, tratto alcuno di ospitalità, di cortesia. »
Poscia fu data udienza ai Tessali ed agli Etoli.
Acciocchè si sapesse al più presto di quali coman
danti avesse la repubblica a valersi, piacque al
1579 TITI LIVII LIBER XLII. 158o

senato che fosse scritto a consoli, che qual di


loro potesse, venisse subito a Roma a creare i
magistrati.
XXVI. Nihil magnopere, quod memorari at XXVI. Non aveano i consoli operata cosa in
tineat, rei publicae eo anno consules gesserant. quell'anno per la repubblica, che molto importi
Magis e republica visum erat, comprimi ac sedari ricordare. Era scontrato utile più ch'altro, che
exasperatos Ligures. Quum Macedonicum bellum compressi fossero e quietati i Liguri esasperati.
exspectaretur, Gentium quoque Illyriorum re Mentre si stava in aspettazione della guerra Ma
gem suspectum Issenses legati fecerunt; simul cedonica, gli ambasciatori d'Issa rendettero so
questi, fines suos secundo populatum, simul num spetto anche Genzio, re degl'Illirii, dolendosi
ciantes, a uno animo vivere Macedonum atque che il loro contado fosse stato per la seconda
Illyriorum regem : communi consilio parare Ro volta saccheggiato, e al tempo stesso annunziando,
manis bellum ; et specie legatorum Illyrios spe « che il re de' Macedoni e quello degl'Illirii no
culatores Romae esse, Perse auctore missos, ut, drivano lo stesso animo, di comune consiglio si
quid ageretur, scirent. » Illyrii vocati in sena apparecchiavano a far la guerra a Romani, e che
tum. Qui quum legatos se esse missos ab rege di sotto apparenza di ambasceria c'erano a Roma
cerent ad purganda crimina, si qua derege Is-. degli spioni Illirici, mandati ad insinuazione di
senses deferrent; quaesitum, ecquidita non adis Perseo per sapere che vi si facesse. ” Gl'Illirici
sent magistratum, ut ex instituto loca, lautia ac furono chiamati in senato: i quali dicendo ch'e
ciperent? sciretur denique venisse eos, et super rano stati spediti ambasciatori dal re, a purgarlo
quare venissent? Haesitantibus in responso, ut dalle imputazioni, se mai quelli d'Issa gliene
curia excederent, dictum. Responsum tamquam facessero, furono domandati, perchè non si fosse
legatis, ut qui adire senatum non postulassent, ro presentati al magistrato, onde, secondo il co
dari non placuit; mittendosque ad regem legatos stume, avere alloggio e trattamento, indi accioc
censuerunt, qui nunciarent, a qui socii quereren chè si sapesse ch'eran venuti, e a che fare venuti?
tur apud senatum, exustum a rege agrum: non Esitando essi nel rispondere, fu loro intimato,
aequum eum facere, qui ab sociis suis non absti che uscissero dalla curia. Non si volle dar loro
neret injuriam. » In hanc legationem missi, A. risposta, come ad ambasciatori, perciocchè non
Terentius Varro, C. Plaetorius, C. Cicerejus. Ex avean chiesto udienza dal senato, e si pensò di
Asia, qui circa socios reges missi erant, legati re mandare un'ambasceria al re a notificargli i quali
dierunt, qui renunciarunt, a Eumenem in ea, alleati del popolo Romano doluti s'erano in sena
Antiochum in Syria, Ptolemaeum in Alexandria to, che il re arso avesse il loro contado: compor
sese convenisse. Omnes sollicitatos legationibus tarsi egli men bene non si astenendo di offendere
Persei, sed egregie in fide permanere, pollicitos i loro alleati. » Gli ambasciatori mandati finrono
que omnia, quae populus Romanus imperasset, Aulo Terenzio Varrone, Caio Pletorio e Caio
praestaturos. Et civitates socias adisse: ceteras Cicereio. I legati ch'erano stati mandati intorno
satis fidas; solos Rhodios fluctuantes et imbutos ai re confederati dell'Asia, tornarono riferendo,
Persei consiliis invenisse. - Venerant Rhodiile « che aveano visitato colà Eumene, Antioco nella
gati ad purganda ea, quae vulgo jactari de civi Siria e Tolomeo in Alessandria. Tutti essere stati
tate sciebant: ceterum senatum iis dari, quum sollecitati dalle ambascerie di Perseo, ma serbarsi
novi consules magistratum inissent, placuit. essi egregiamente in ſede, ed aver promesso di
esser presti a tutto quello che avesse il popolo
Romano lor comandato. Aver anche visitate le
città confederate; aver trovato le altre tutte
bastantemente ferme: i soli Rodiani essere al
quanto fluttuanti e guasti il capo dai raggiri di
Perseo. » Eran venuti gli ambasciatori de Rodia
ni a purgarsi di ciò che sapevan dirsi comune
mente a carico del lor paese; se non che piacque
al senato che si desse loro udienza quando i nuovi
consoli pigliato avessero il magistrato.
XXVII. Belli apparatum non differendum XXVII. Avvisarono i Padri, che non si aves
censuerunt. C. Licinio praetori negotium datur, se a differire più oltre gli apparecchi della guer
ut ex veteribus quinqueremibus, in navalibus ra. Si commette al pretore Caio Licinio, che delle
Romae subductis, quae possent usui esse, refice vecchie quinqueremi, ritratte negli arsenali di
ret, pararetque naves quinquaginta. Si quid ad Roma, rifacesse quelle che potessero usarsi, e che
1581 TITI LIVll LIBER XLII. 1582

eum numerum explendum deesset, C. Memmio allestisse cinquanta navi. Se ne mancasse alcuna
collegae in Siciliam scriberet, ut eas, quae in Si a compier quel numero, scrivesse al collega Caio
cilia naves essent, reficeret atque expediret, ut Memmio in Sicilia, che racconciasse ed allestisse
Brundisium primo quoque tempore mitti possent. quelle che aveva colà, per poterle quanto prima
Socios navales libertini ordinis in viginti et quin spedire a Brindisi. Lo stesso Caio Licinio ebbe
que naves ex civibus Romanis C. Licinius praetor ordine di levare i marinai per venticinque navi,
scribere jussus: in quinque et viginti parem tratti da cittadini Romani dell'ordine libertino,
numerum Cn. Sicinius sociis imperaret: idem e Caio Sicinio ne comandasse altrettanti per
praetorpeditum octo millia, quadringentos equi altrettante navi agli alleati: lo stesso pretore esi
tes a sociis Latini nominis exigeret. Hunc militem gesse otto mila fanti e quattrocento cavalli dagli
qui Brundisii acciperet, atque in Macedoniam alleati del nome Latino. E scelto a ricevere a
mitteret, A. Atilius Serranus, qui priore anno Brindisi ed a spedire queste genti in Macedonia
praetor fuerat, deligitur: Cn. Sicinius praetor, Aulo Atilio Serrano, ch'era stato pretore l'anno
qui exercitum paratum ad trajiciendum haberet. innanzi. Ed acciocchè il pretore Gneo Sicinio
C. Popillio consuli ex auctoritate senatus C. Li trovasse l'esercito pronto a passare, il pretore
cinius praetor scribit, ut et legionem secundam, Caio Licinio di commissione del senato scrive al
quae maxime veterana in Liguribus erat, et so console Caio Popillio, che comandasse alla legio
cios Latini nominis, quatuor millia peditum, du ne seconda, la quale era la più antica in Liguria,
centos equites ldibus Februariis Brundisii adesse e a quattro mille fanti e duecento cavalli degli
juberet. Hac classe et hoc exercitu Cn. Sicinius alleati del nome Latino, che a mezzo Febbraio
provinciam Macedoniam obtinere, donec succes fossero in Brindisi. Con questa flotta e con questo
sor veniret, jussus, prorogato in annum imperio. esercito ebbe ordine Gneo Sicinio, prorogatogli
Ea omnia, quae senatus censuit, impigre facta per un anno il comando, di mantenersi nella
sunt. Duodequadraginta quinqueremes ex nava Macedonia sino alla venuta del successore. Tutte
libus deductae: qui deduceret eas Brundisium, le cose che il senato decretò, furono fatte senza
L. Porcius Licinius praepositus: duodecim ex Si ritardo. Si trassero fuori degli arsenali trenta otto
cilia missae. Ad frumentum classi exercituique quinqueremi: Lucio Porcio Licino fu incaricato
coémendum in Apuliam Calabriamoue tres legati di condurle a Brindisi; dodici ne vennero dalla
missi, Sex. Digitius, T. Juventius, M. Caecilius. Sicilia. Si spedirono tre legati nella Puglia e nella
Ad omnia praeparata Cn. Sicinius praetor, palu Calabria a comperar frumento per la flotta e per
datus ex urbe proſectus, Brundisium venit. l'esercito, Sesto Digizio, Tito Juvenzio e Marco
Cecilio. Come tutto fu allestito, il pretore Gneo
Sicinio, uscito da Roma col paludamento, venne
a Brindisi.
XXVIII. Exitu prope anni C. Popillius con XXVIII. Quasi in sul finire dell'anno il
sul Romam rediit aliquanto serius, quan sena console Caio Popillio tornossi a Roma alquanto
tus censuerat: cui primo quoque tempore ma più tardi, che non aveva decretato il senato: gli
gistratus creare, quum tantum bellum immineret, era stato ordinato, soprastando guerra di tal mo
jussum erat. Itaque non secundis auribus Pa le, che al più presto si avessero a creare i magi
trum auditus est consul, quum in aede Bellonae strati. Quindi non fu ascoltato il console da'Padri
de rebus in Liguribus gestis dissereret. Succla con orecchie benevole, allorchè nel tempio di
mationes frequentes erant interrogationesque, Bellona rendette conto delle cose operate nella
cur scelere fratris oppressos Ligures in liberta Liguria. Eran frequenti le grida e le interroga
tem non restituisset? Comitia consularia, in zioni, perchè non avesse rimesso in libertà i Li
quam edicta erant diem, ante diem duodeci guri oppressi dalla scelleratezza di suo fratello?
mum Kalendas Martias sunt habita. Creati con I comizii consolari si tennero il giorno stesso
sules, P. Licinius C. Crassus, C. Cassius Lon ch'erano stati intimati, avanti il duodecimo delle
ginus. Postero die praetores facti, C. Sulpicius calende di Marzo. Furono creati consoli Publio
Galba, L. Furius Philus, L. Canulejus Dives, C. Licinio Crasso e Caio Cassio Longino. Il dì se
Lucretius Gallus, C. Caninius Rebilus, L. Vil guente furon fatti pretori Caio Sulpicio Galba,
lius Annalis. His praetoribus provinciae decre Lucio Furio Filo, Lucio Canuleio Divite, Caio
tae: duae jure Romae dicendo, Hispania et Si Lugrezio Gallo, Caio Caninio Rebilo, Lucio Vil
cilia et Sardinia; ut uni sors integra esset, quo lio Annale. Ebbero questi pretori, due il carico
senatus censuisset. Consulibus designatis impe di render ragione in Roma, tre altri i governi
ravit senatus, ut, qua die magistratum inissent, della Spagna, della Sicilia e della Sardegna, in
hostiis majoribus rite mactatis, precarentur, ut, modo che uno restasse senza certa destinazione,
1583 T'ITI LVII LIBER XI,II. 1584
quod bellum populus Romanus in animo habe per andare ove piacesse al senato. Comandò il
ret gerere, ut id prosperum eveniret Eodem die senato ai consoli disegnati che nel giorno, in cui
decrevit senatus, C. Popillius consul ludos per pigliassero il magistato, sagrificate solennemente
dies decem Jovi optimo maximo voveret, dona le vittime maggiori, pregassero gli dei che la
que circa omnia pulvinaria dari, si respublica guerra che il popolo Romano aveva in animo
decem annos in eodem statu fuisset. Ita ut cen di fare, riuscisse prosperamente. Nel giorno
suerat, in Capitolio vovit consul ludos fieri, do stesso il senato decretò che il console Caio Po
nariaque dari, quanta ex pecunia decresset sena pillio facesse voto di celebrare per dieci giorni i
tus, quum centum et quinquaginta non minus giuochi in onore di Giove ottimo massimo, e che
adessent. Praeeunte verba Lepido pontifice ma si offerissero doni a tutti gli altari se la repubbli
ximo, id votum susceptum est. Eo anno sacer ca rimanesse nello stato medesimo per anni dieci.
dotes publici mortui, L. Aemilius Papus decem Il console, come avea decretato il senato, fe”voto
vir sacrorum, et Q. Fulvius Flaccus pontifex, in Campidoglio di celebrare i giuochi e di offeri
qui priore anno fuerat censor. Hic foeda mor re i doni per quella somma di denaro che il se
te periit. Ex duobus filiis ejus, qui tum in Illy nato decretasse, raccolto in numero non minore
rico militabant, nunciatum alterum decessisse, di cento cinquanta senatori. Fu fatto questo voto,
alterum gravi et periculoso morbo aegrum esse. dettando le parole Lepido Pontefice massimo.
Obruit animum simul luctus metusque: mane Morirono in quell'anno i pubblici sacerdoti Lu
ingressi cubiculum servi laqueo dependentem in cio Emilio Papo, decemviro a'sagifizii, e Quinto
venere. Erat opinio, post censuras minus com Fulvio Flacco pontefice, stato censore l'anno
potem fuisse sui: vulgo Junonis Laciniae iram innanzi. Questi morì di brutta morte. De' due
ob spoliatum templum alienasse mentem fere suoi figliuoli, che allora militavano nell'Illirio,
bant. Suffectus in Aemilii locum decemvir M. ebbe avviso che uno era mancato, e che l'altro
Valerius Messalla; in Fulvii pontifex Cn. Domi era colpito da malattia grave e pericolosa. Gli op
tius Ahenobarbus, oppido adolescens sacerdos presse l'anima ad un tempo doglia e timore; i
lectus. servi, entrati la mattina nella sua stanza, lo tro
varono pendente da un laccio. Era opinione che
dopo la censura non più avesse avuto il suo buon
senno: si diceva comunemente, che l'ira di Giu
none Lacinia, pel tempio da lui spogliato, gli
avesse alienata la mente. In luogo di Emilio fu
surrogato il decemviro Marco Valerio Messalla;
in luogo di Fulvio il pontefice Gneo Domizio
Enobarbo, eletto sacerdote in età affatto gio
vanile.
XXIX. P. Licinio, C. Cassio consulibus, non XXIX. Nel consolato di Publio Licinio e di
urbs tantum Roma, mec terra Italia, sed omnes Caio Cassio, non solamente Roma e l'Italia, ma
reges civitatesque, quae in Europa, quaeque in i re e le città tutte, ch'erano in Europa ed in
Asia erant, converterant animos in curam Ma Asia, rivolto avean l'animo al pensiero della
cedonici ac Romani belli. Eumenem quum vetus guerra tra i Macedoni ed i Romani. Stimolava
odium stimulabat, tum recens ira, quod scele Eumene sì l'odio antico e sì lo sdegno recente ;
re ejus prope ut victima mactatus Delphis esset. perciocchè per iniquità di Perseo fu egli a Delfo
Prusias, Bithyniae rex, statuerat abstinere armis, quasi, come vittima, sacrificato. Prusia, re di
eventumque exspectare. Nam neque pro Roma Bitinia, avea stabilito di non prender parte nella
nisse aequum censere adversus fratrem uxoris guerra e di aspettare gli eventi; perciocchè non
arma ferre; et apud Persea victorem veniam per giudicava conveniente pigliare le armi contro il
sororem impetrabilem fore. Ariarathes, Cappa fratello di sua moglie a favore dei Romani, e spe
docum rex, praeterquam quod Romanis suo no rava col mezzo della sorella di ottener perdono
mine auxilia pollicitus erat, ex quo est junctus facilmente da Perseo vincitore. Ariarate, re di
Eumeni affinitate, in omnia belli pacisque se Cappadocia, oltre che avea promessi aiuti a Ro
consociaverat consilia. Antiochus imminebat qui mani, dappoi che s'era unito ad Eumene con
dem Aegypti regno, et pueritiam regis, et iner parentela, s'era associato a lui in ogni pensiero
tiam tutorum spernens; et ambigendo de Coele di guerra e di pace. Antioco per verità mirava al
Syria causam belli se habiturum existimabat, ge regno di Egitto, sprezzando la puerizia del re e
sturumque sine ullo impedimento, occupatis Ro l'inerzia dei suoi tutori; ed avendo questione
manis in Macedonico bello, id bellum : tamen per la Cele-Siria, stimava che avrebbe pretesto
1585 TITI LIVII LIBER XLII. 1586
a

omnia et per suos legatos senatui, et ipse lega di mover guerra e che la farebbe senza impedi
tis eorum eximie pollicitus erat. Ptolemaeus pro mento, essendo i Romani occupati nella guerra
pter aetatem alieni etiam tum arbitrii erat. Tu di Macedonia; nondimeno avea promesso ogni
tores et bellum adversus Antiochum parabant, cosa al senato col mezzo de'suoi ambasciatori, ed
quo vindicarent Coelen Syriam, et Romanis ogni cosa egli stesso agli ambasciatori Romani.
omnia pollicebantur ad Macedonicum bellum. Tolomeo, per cagione dell'età sua, era ancora
Masinissa et frumento juvabat Romanos, et au in balia d'altri. I suoi tutori si apparecchiavano
xilia cum elephantis Misagenemque filium mit a far guerra ad Antioco, onde riavere la Cele-Si
tere ad bellum parabat. Consilia autem in omnem ria, e insieme facean promesse larghissime a Ro
fortunam ita disposita habebat: si penes Ro mani per la guerra di Macedonia. Masinissa soc
manos victoria esset, suas quoque in eodem sta correva di frumento i Romani e si disponeva a
tu mansuras res, neque ultra quidquam moven spedir loro aiuti con elefanti, e insieme il suo
dum; non enim passuros Romanos, vim Cartha figliuolo Misagene. Avea però così acconciati i
giniensibus afferri. Si fractae essent opes Roma suoi disegni ad ogni evento: se la vittoria fosse
norum, quae tum protegerent Carthaginienses, de Romani, anche gli affari suoi sarebbono ri
suam omnem Africam fore. Gentius, rex Illyrio masti nello stesso stato, nè c'era da mover altro;
rum, fecerat potius, cursuspectus esset Romanis, chè non avrebbon sofferto i Romani che si faces
quam satis statuerat, utram foveret partem ; im se violenza ai Cartaginesi. Se poi le forze de'Ro
petudue magis, quam consilio, his aut illis se ad mani, che allora proteggevano i Cartaginesi,
juncturus videbatur. Cotys Thrax, Odrysarum rimanessero infrante, gli sarebbe caduta in mano
rex, evidenter Macedonum partis erat. tutta l'Africa. Genzio, re degl'Illirii, s'era piut
tosto condotto in modo d'esser sospetto ai Roma
ni, di quello che avesse bastantemente stabilito
qual delle due parti volesse favorire, e pareva che
si sarebbe unito a quelli o a questi più per
impeto, che per consiglio. Coti, Trace, re degli
Odrisii, stava evidentemente pe'Macedoni.
XXX. Haec sententia regibus quum esset de XXX. Essendo questo il sentimento dei re
bello, in liberis gentilus populisque plebs ubi sul proposito della guerra, nelle nazioni e popoli
que omnis ferme, ut solet, deterioribus erat ob liberi la plebe quasi tutta in un luogo rivolta,
regem Macedomasque inclinata; principum di come suole, al peggio, era inclinata a favore del
versa cerneres studia. Pars ita in Romanos effusi re e dei Macedoni. Quanto poi a primarii citta
erant, ut auctoritatem immodico favore corrum dini, veduto avresti diversità di affetti. Parte
perent: pauci ex iis justitia imperii Romani ca erano sì strabocchevolmente propensi verso i Ro
pti; pluresita, si praecipuam operam navassent, mani, che guastavano il lor credito collo smodato
potentes sese in civitatibus suis futuros rati. favore: pochi ammiravano la giustizia del Roma
Pars altera regiae adulationis erat, quos aes alie no impero; i più speravano, adoperandosi per
num et desperatio rerum suarum, eodem ma esso con fervore, di divenir potenti nelle loro
nente statu, praecipites ad novanda omnia age città. L'altra parte era degli adulatori del re;
bat; quosdam ventosum ingenium, quia Perseus i quali spinti erano precipitosamente a tentare
magis aurae popularis erat. Tertia pars, optima ogni novità dalla grave somma dei debiti e dal
eadem et prudentissima, si utique optio domini la disperazione delle cose loro, se rimaneva lo
potioris daretur, sub Romanis, quam sub rege stato medesimo; taluni eziandio da leggerezza
malebatesse. Si liberum inde arbitrium fortunae di cervello, perchè Perseo si pasceva facilmente
esset, neutram partem volebant potentiorem, al d'aura popolare. La terza parte, l'ottima e la più
tera oppressa, fieri; sed illibatis potius viribus saggia, se le si fosse data la scelta del miglior
utriusque partis, pacem ex eo mamere. Ita inter padrone, preferiva d'essere sotto i Romani, piut
utrosque optimam conditionem civitatium fore, tosto che sotto il re. Se poi se le fosse lasciato
protegente altero semper inopem ab alterius in libero l'arbitrio di sua fortuna, non volevano
juria. Haec sentientes, certamina fautorum u che nessuna delle parti si facesse più forte col
triusque partis taciti ex tuto spectabant. Consu l'oppressione dell'altra, ma piuttosto che intatte
les, quo die magistratum inierunt, ex senatuscon le forze dell'una e dell'altra, ciò servisse a man
sulto quum circa omnia fana, in quibus lectister tenere la pace. Così, bilanciati i due partiti, sa
nium majorem partem anni esse solet, majoribus rebbe stata ottima la condizione delle loro città,
hostiis immolassent, inde preces suas acceptas uno difendendo sempre il più debole dalle avanie
ab diis immertalibus ominati, senatui rite sa dell'altro. Pensando a questa guisa, standosi al
Livio 2 ioo
1587 TITI LIVII LIBER XLII. 1588

crificatum, precationemque de bello factam re sicuro, miravano taciti le lotte dei fautori d'ambe
nunciarunt. Aruspices ita responderunt, « si quid le parti. I consoli, il dì che pigliarono il magi
rei novae inciperetur, id maturandum esse. Vi strato, poi ch'ebbero, per decreto del senato,
ctoriam, triumphum, prorogationem imperii immolate le vittime maggiori in tutti i tempii,
portendi. ” Patres, « quod faustum felixque po ne' quali suol esservi il lettisternio la maggior
pulo Romano esset, centuriatis comitiis primo parte dell'anno, presone augurio che aggradite
quoque die ferread populum consules, jusserunt, avessero gli dei immortali le loro preci, riferi
ut, quod Perseus, Philippi filius, Macedonum rex, rono al senato che s'eran fatti a dovere i sagri
adversus foedus cum patre Philippo ictum, et fizii e le preghiere per la guerra. Gli aruspici
secum post mortem eius renovatum, sociis po risposero in questo modo: a se si desse mano a
puli Romani arma intulisset, agros vastasset, ur qualche nuova impresa, conveniva affrettarsi;
besque occupasset; quod que belli parandi ad gli augurii promettevano vittoria, tronfo e dila
versus populum Romanum consilia inisset, ar tazione d'impero. - I Padri ordinarono, « il che
ma, milites, classem eius rei causa comparasset; riuscisse fausto e felice al popolo Romano, che i
ut, nisi de iis rebus satisfecisset, bellum cum eo consoli al più presto ne'comizii centuriati pro
iniretur. » Haec rogatio ad populum lata est. ponessero al popolo, che, avendo Perseo, figlio
di Filippo, re di Macedonia, contro il tenore
dell'alleanza col di lui padre stipulata, e, morto
questi, con esso lui rinnovata, portate l'armi
contro gli alleati del popolo Romano, devasta
tene le campagne, occupate le città; ed avendo
formato disegno di mover guerra al popolo Ro
mano, e perciò allestite armi, soldati e flotta,
qualora non avesse data per tutto questo soddis
fazione, si avesse a fargli guerra. " Questa fu
la proposizione portata al popolo.
XXXI. Senatusconsultum inde factum est, XXXI. Indi il senato decretò, « che i consoli
« Un consules inter provincias Italiam et Mace si accordassero tra loro, o traessero a sorte l'Ita
doniam compararent, sortirenturve. Cui Mace lia e la Macedonia; che quegli, cui toccasse la
donia obvenisset, ut is regem Pesea, quique eius Macedonia, perseguitasse con l'armi Perseo e
sectam secuti essent, nisi populo Romano satis quelli del suo partito, se non avesser data sod
fecissent, bello persequeretur. » Legiones qua disfazione al popolo Romano. » Si ordinò la leva
tuor novas scribi placuit, binas singulis consuli di quattro nuove legioni, due per ogni console.
bus. Id praecipue provincia e Macedoniae datum, Per la Macedonia fu fatta questa distinzione,
quod, quum alterius consulis legionibus quina che essendo assegnati per antico istituto alle le
millia et duceni pedites ex vetere instituto da gioni dell'uno de'consoli cinquemila fanti e
rentur in singulas legiones, in Macedoniam sena duecento cavalli per ciascuna legione, si ordinò
millia peditum scribi jussa; equites treceni ae la leva di sei mila fanti per la Macedonia e tre
qualiter in singualas legiones. Et in sociali exer cento cavalli egualmente per ciascuna legione.
citu consuli alteri auctus numerus: sexdecim E all'altro console nell'esercito degli alleati fu
millia peditum, octingentos equites (praeter eos, accresciuto il numero, sì che tragittasse in Mace
quos Cn. Sicinius duxisset, sexcentos equites) in donia sedici mila fanti ed ottocento cavalli, oltre
Macedoniam trajiceret. Italia e satis visa duode i seicento, condotti da Gneo Sicinio. Per l'ltalia
cim millia sociorum peditum, sexcenti equites. parvero bastanti dodici mila fanti e seicento
Illud quoque praecipuum datum sorti Macedo cavalli degli alleati. Fu eziandio data questa di
miae, nt centuriones militesque veteres scriberet, stinzione alla Macedonia; che il console levasse
quos vellet, consul usque ad quinquaginta an de vecchi centurioni e soldati quanti volesse,
nos.ln tribunis militum novatum eo anno pro non più vecchi di cinquant'anni. Una novità fu
pter Macedonicum bellum, quod consules ex se fatta in quell'anno per cagione di questa guerra
natusconsulto ad populum tulerunt, ne tribuni in riguardo a tribuni de'soldati, avendo i consoli
militum eo anno sullragiis crearentur, sed con per decreto del senato portato al popolo, che i
sulum praetorumque in iis faciendis judicium tribuni del soldati creati non fossero in quel
arbitriumque esset. Inter praetores ita partita l'anno per via del suffragii, ma stesse al giudizio
imperia. Praetorem, cuius sors fuisset, ut iret, ed all'arbitrio de'consoli e de' pretori il nomi
quo senatus censuisset, Brundisium ad classem narli. Gli uffizii tra pretori furono divisi in que
ire piacuit, ut 1ue ibi recognosceret socios nava sto modo. Quel pretore, cui toccato fosse per
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les, dimissisque, si qui parum idonei essent, sup sorte di andare dove piacesse al senato, si volle
plementum legeret ex libertinis, et daret ope che andasse a Brindisi alla ſlotta, e che quivi rico
ram, ut duae partes civium Romanorum, tertia noscesse le genti di mare, e licenziati quei che
sociorum esset. Commeatus classi legionibusque fossero malatti, levasse a supplemento altrettanti
utex Sicilia Sardiniaque subveherentur, praeto libertini, e facesse sì, che due parti fossero di cit
ribus, qui eas provinciassortiti essent, mandari tadini Romani, la terza di alleati. Acciocchè di
placuit, ut altéras decumas Siculis Sardisque im Sicilia e di Sardegna si portassero le vettovaglie
perarent, utdue id frumentum ad exercitum in per la flotta e le legioni, fu commesso a pretori,
Macedoniam portaretur. Siciliam C. Caninius Re cui toccate fossero quelle province, che coman
bilus est sortitus, L. Furius Philus Sardiniam, dassero a Siciliani ed a Sardi un'altra de i ma,
L. Canulejus Hispaniam, C. Sulpicius Galba ur e che questo frumento si trasportasse in Mace
banam jurisdictionem, L. Villius Annalis inter donia all'esercito. A Caio Caminio Rebilo toccò
peregrinos. C. Lucretio Gallo, quo senatus cen la Sicilia, a Lucio Furio Filo la Sardegna,
suisset, sors evenit. a Lucio Canuleio la Spagna, a Caio Sulpicio
Galba la giurisdizione urbana, a Lucio Villio
Annale quella tra forestieri. Toccò a Caio Lu
grezio Gallo la sorte di andare dove piacesse al
senato.

XXXII. Inter consules magiscavillatio, quam XXXII. Tra' consoli fuvvi piuttosto un'alter
magna contentio, de provincia fuit. Cassius, a si cazione, che una grande contesa sul proposito
ne sorte se Macedoniam oppugnaturum, dicebat, delle province. Cassio diceva a toccare a lui fuori
nec posse collegam, salvo jurejurando, secum di sorte combattere la Macedonia; nè aver diritto
sortiri. Praetorem eum, ne in provinciam iret, il collega, salvo il suo giuramento, di volerne
in concione jurasse, se stato loco statisque die fare l'esperimento. Essendo egli pretore, avea
bus sacrificia habere, quae, absente se, recte fie giurato dinanzi al popolo, per non andare alla
ri non possent; quae non magis consule, quam sua provincia, che gli occorreva di fare alcuni
praetore, absente recte fieri possent. Si senatus, sagrifi zii in certi luoghi e tempi determinati,
non quid vellet in consulatu potius, quam quid in che non si potevan fare dirittamente, assente lui;
praetura juraverit P. Licinius, animadvertendum nè certo più dirittamente si sarebbon potuti fare,
esse censeat, se tamen futurum in senatus pote assente lui, come console che come pretore. Sia
state. » Consulti Patres, cui consulatum populus pertanto del senato non tanto badare a quello
Romanus non negasset, ab se provinciam negari, che ambiva Licinio console, quanto a quello che
superbum rati, sortiri consules jusserunt. P. Li giurato avea Licinio pretore; quanto a sè sta
cinio Macedonia, C. Cassio Italia obvenit. Legio rebbe agli ordini del senato. " I Padri consultati,
mes inde sortiti sunt. Prima et tertia in Mace stimando che sarebbe atto superbo troppo negar
doniam trajicerentur, secunda et quarta ut in” essi la provincia a colui, al quale non avea negato
Italia remanerent. Delectus consules multo in il popolo Romano il consolato, ordinarono che
tentiorem, quam alias, curam habebant. Licinius i consoli tirassero la sorte, l'occò la Macedonia
veteres quoque scribebat milites centurionesque: a Lucio Licinio, l'Italia a Caio Cassio. Di poi
et multi voluntate nomina dabant, quia locuple tirarono a sorte le legioni. La sorte decise che
tes videbant, qui priore Macedonico bello, aut la prima e la terza fossero trasportate in Mace
adversus Antiochum in Asia stipendia fecerant. donia, la seconda e la quarta rimanessero in lta
Quum tribuni militum centuriones, sed primum lia. I consoli attendevano alla leva con maggior
quem que citarent, tres et viginti centuriones, cura che mai. Licinio arruolava anche i vecchi
qui primos pilos duxerant, citati tribunos plebis soldati ed i centurioni, e molti davano il nome
appellarunt. Duo ex collegio, M. Fulvius Nobilior volontarii, perchè vedevano fatti ricchi quelli
et M. Claudius Marcellus, ad consules rejiciebant: che avean militato nella prima guerra Macedo
a Eorum cognitionemesse debere,quibus delectus, mica, o in Asia contro Antioco. I tribuni de'sol
quibusque bellum mandatum esset.» Ceteri, a co dati citando i centurioni e primieramente i prin
gnituros se, de quo appellati essent, ajebant; et, cipali, ventitrè di questi, ch'erano stati primipi
si injuria fieret, auxilium civibus laturos. » lari, appellaronsi a tribuni della plebe, due del
collegio de' quali, Marco Fulvio Nobiliore e
Marco Claudio Marcello, li rimandarono a con
soli: « Toccava codesta cognizione a quelli, cui
era stata commessa la leva e la guerra. » Gli altri
dicevano, e che volevano conoscere dell'affare
1591 TITI LIVII LIBER XLII. 1592
appellato, e se si usasse violenza, verrebbero a
soccorso del cittadini. -
XXXIII. Ad subsellia tribunorum res ageba XXXIII. La cosa si trattava davanti a tribuni.
tur. Eo M. Popillius consularis, advocatus, cen Vi vennero Marco Popillio, uomo consolare, av
turiones et consul venerunt. Consule inde po vocato, i centurioni ed il console. Indi chiedendo
stulanti, ut in concione eas res ageretur, populus il console che l'affare si trattasse dinanzi al po
in concionem advocatus. Pro centurionibus M. polo, questo fu chiamato a parlamento. Marco
Popillius, qui bennio ante consul fuerat, ita ver Popillio ch'era stato console due anni prima,
ba fecit : « Militares homines et stipendia justa, parlò in tal modo a favore de'centurioni: « Que
et corpora et aetate et assiduis laboribus con sti bravi aveano compiuti gli anni della milizia;
fecta habere. Nihil recusare tamen, quo minus aveano i corpi rifiniti dall'età e dalle assidue
operam reipublicae dent. Id tantum deprecari, fatiche. Non ricusano però di prestar l'opera
me inferiores iis ordines, quam quos, quum mi loro alla repubblica; solo pregano questo, che
litassent, habuissent, attribuerentur. » P. Lici non sieno collocati in gradi inferiori a quelli
nius consul senatusconsulta recitari jussit: pri che aveano, quando militavano. » Il console
mum, quod bellum senatus Perseo jussisset: de Publio Licinio ordinò che si leggessero i decreti
inde, quod veteres centuriones quam plurimum del senato: il primo, col quale il senato avea
ad id bellum scribi censuisset, nec ulli, qui non comandata la guerra contro Perseo; l'altro, col
major annis quinquaginta esset, vacationem mi quale ordinava che si levasse per quella guerra
litiae esse. Deprecatus est deinde, «ne novo bello, quanto maggior numero si potesse di vecchi
tam propinquo Italiae, adversus regem potentis centurioni; nè se ne esentasse alcuno che con
simum, aut tribunos militum, delectum habentes, tasse meno di cinquant'anni. Indi si fe a pregare,
impedirent; aut probiberent consulem, quem a che trattandosi di una guerra nuova, così vicina
cuique ordinem assignari e republica esset, eum all'Italia, contro un re potentissimo, non dessero
assignare. Si quid in ea re dubium esset, ad se travaglio ai tribuni de'soldati, intenti a far la
matum rejicerent. » leva; nè impedissero che il console assegnasse
il grado a ciascuno, come stimasse più vantag
gioso alla cosa pubblica. Se insorgesse in questo
qualche dubbietà, la rimettessero al senato. »
XXXIV. Postduam consul, quae voluerat, XXXIV. Poi che il console ebbe detto ciò che
dixit, Sp. Ligustinus ex eo numero, qui tribunos avea voluto, Spurio Ligustino, uno di quelli che
plebis appellaverant, a consuleet ab tribunis pe s'arano appellati a tribuni della plebe, chiese
tiit, ut sibi paucis ad populum agere liceret. Per al console ed ai tribuni che gli fosse permesso
missu omnium italocutus fertur. « Sp. Ligusti di fare al popolo alcune poche parole. Avutane
nus tribus Crustuminae ex Sabinis sum orium da tutti la licenza, dicesi che così parlasse: « Sono,
dus, Quirites. Pater mihi jugerum agri reliquit o Quiriti, Spurio Ligustino, oriondo Sabino,
et parvum tugurium, in quo natus educatusque della tribù Crustumina. Mio padre mi lasciò un
sum; hodieque ibi habito. Quum primum in ae giugero di terra e un picciolo tugurio, dove son
tatem veni, pater mihi uxorem fratris sui filiam nato, sono stato allevato, e dove abito tuttora.
dedit: quae secum nihil attulit, praeter liberta Come venni in età, mio padre mi die' per moglie
tem pudicitiamoue, et cum his foecunditatem, la figlia di suo fratello, la quale non altro portò
quanta vel in diti domo satis esset. Sex filii no seco, che la libertà e la pudicizia, e insieme tanto
bis, duae filiae sunt: utraeque jam nuptae. Filii di fecondità da bastare eziandio a casa ricca.
quatuor togas viriles habent, duo praetextati Abbiamo sei figli e due figlie, l'una e l'altra già
sunt. Miles sum factus, P. Sulpicio, C. Aurelio maritate. Quattro figli hanno le toghe virili, due
consulibus. In eo exercitu, qui in Macedoniam vestono ancora la pretesta. Fui fatto soldato,
est transportatus, biennium miles gregarius fui essendo consoli Publio Sulpicio e Caio Aurelio.
adversus Philippum regem : tertio anno virtutis In quell'esercito che fu trasportato in Macedonia,
causa mihi T. Quintius Flamininus decumum sono stato due anni soldato gregario contro il re
ordinem hastatum assignavit. Devicto Philippo Filippo; l'anno terzo, in premio di valore, Tito
Macedonibusque, quum in Italiam portati ac di Quinzio Flaminino mi assegnò il comando della
missi essenus, continuo miles voluntarius cum decima compagnia degli astati. Vinto Filippo ed
M. Porcio consule in Hispaniam sum profectus. i Macedoni, come fummo riportati in Italia e
Neminem omnium imperatorum, qui vivant, licenziati, andai tosto volontario in Ispagna col
acriorem virtutis spectatorem ac judicem fuisse console Marcio Porcio. Quelli che han militato
sciunt, qui et illum et alios duces longa militia lungamente sotto di lui e sotto altri, sanno che
1593 l'ITI LIVII LIBER XLII. 1594
experti sunt. Hic me imperator dignum judica di quanti comandanti vivono, niun altro fu più
vit, cui primum haslatum prioris centuriae assi di lui avveduto spettatore e giudice della virtù.
gnaret. Tertio iterum voluntarius miles factus Fu egli che mi reputò degno del grado di primo
sum in eum exercitum, qui adversus Aetolos et centurione nella prima centuria degli astati. La
Antiochum regem est missus. A.M.' Acilio mihi terza volta sono stato volontario in quell'esercito,
primus princeps prioris centuriae est assignatus. che fu spedito contro gli Etoli ed il re Antioco.
Expulso rege Antiocho, subactis Aetolis, repor Manio Acilio mi fe” primo centurione del primo
tati sumus in Italiam; et deinceps bis, quae an manipolo dei principi. Scacciato il re Antioco e
nua merebant legiones, stipendia feci. Bis deinde soggiogati gli Etoli, fummo riportati in Italia,
in Hispania militavi, semel Q. Fulvio Flacco, e dipoi ho servito due anni con le legioni che
iterum Ti. Sempronio Graccho praetore. A Flac servivano un anno solo. Poscia ho militato due
co inter ceteros, quos virtutis causa secum ex volte nella Spagna, una con Quinto Fulvio Flac
provincia ad triumphum deducebat, deductus co, l'altra col pretore Tito Sempronio Gracco.
sum. A Ti. Graccho rogatus, in provinciam ii. Flacco mi condusse tra gli altri, che in premio
Quater intra paucos annos primum pilum duxi: di valore menava seco dalla provincia ad onorare
quater et tricies virtutis causa donatus ab impe il suo trionfo. Pregato da Tiberio Gracco tornai
ratoribus sum: sex civicas coronas accepi. Vi in Ispagna. Nel corso di pochi anni sono stato
genti duo stipendia annua in exercitu emerita quattro volte centurione primipilare; trenta
habeo. et major annis sum quinquaginta. Quod quattro volte sono stato regalato da'miei coman
si milii nec stipendia omnia emerita essent, nec danti per ricompensa di bravura; ottenni sei
dum aetas vacationem daret, tamen, quum qua corone civiche; ho servito negli eserciti venti
tuor milites pro me uno vobis dare, P. Licini, due anni interi, e conto più di cinquant'anni. Ma
possem, aequum erat me dimitti.Sed haec pro cau se anche non avessi compiuti gli anni della mili
sa mea dicta accipiatis velim: ipse me, quoad zia, nè l'età mi esentasse, nondimeno, potendovi
quisquam, qui exercitus scribit, idoneum mili offerire, o Publio Licinio, quattro soldati invece
tem iudicabit, numquam sum excusaturus. Ordi di me solo, pareva conveniente cosa ch'io fossi
mem quo me dignum judicent tribuni militum, dispensato. Ma ciò, che ho detto, pigliatelo, ve
ipsorum est potestatis. Ne quis me virtute in ne prego, come detto solamente a pro della cau
exercitu praestet, dabo operam ; ut semper ita sa; quanto a me, sino a tanto che qualsiasi com
fecisse me et imperatores mei, et qui una stipen messo a far la leva, riputerammi atto a fare il
dia fecerunt, testes sunt. Vos quoque aequum soldato, non sarà mai ch'io me ne scusi. Il giu
est, commilitones, etsi appellationis vobis usur dicare di qual grado io sia degno, sta nel potere
patis jus, quum adolescentes nihil adversus ma dei tribuni del soldati ; sarà mia cura, che nel
gistratuum senatusque auctoritatem usquam fe l'esercito nessuno mi avanzi di valore; il che
ceritis, nunc quoque in potestate senatus ac con aver io sempre fatto, mi sono testimonii i miei
sulum esse, et omnia honesta loca ducere, quibus comandanti e quelli che hanno meco militato.
rem publicam defensuri sitis. Ell'è cosa conveniente, o miei compagni d'arme,
sebbene invochiate il dritto dell'appello, che se
nella vostra gioventù non avete mai fatto nulla
contro l'autorità del magistrati e del senato, così
ora pure stiate all'obbedienza del senato e dei
consoli, e stimiate onorevole ogni grado, in cui
v'avvenga di poter difendere la repubblica. »
XXXV. Haec ubi dixit, collaudatum multis XXXV. Detto ciò, il console, lodatolo gran
verbis consulex concione in senatum duxit. Ibi demente, dall'assemblea del popolo menollo al
quoque ei ex auctoritate senatus gratiae actae, senato. Quivi pure fu ringraziato da Padri, e i
tribunique militares in legione prima primum tribuni militari, in riguardo al suo valore, gli
pilum virtutis causa ei assignarunt. Ceteri cen assegnarono il grado di primipilo nella prima
turiones, omissa appellatione, ad delectum obe legione. Gli altri centurioni, abbandonato l'ap
dienter responderunt. Quo maturius in provin pello, risposero ubbidienti alla chiamata. Accioc
cias magistratus proficisceremtur, Latinae Kalen chè i magistrati andassero più sollecitamente alle
dis Juniis fuere; eoque solemni perfecto, C. Lu loro province, le ferie Latine si celebrarono al
cretius praetor, omnibus, quae ad classem opus le calende di Giugno; e compiuta codesta solen
erant, praemissis, Brundisium est profectus. Prae nità, il pretore Caio Lugrezio, spedito innanzi
ter eos exercitus, quos consules comparabant, C. quanto occorreva alla ſlotta, andò a Brindisi.
Sulpicio Galbae praetori negotium datum, ut Oltre gli eserciti che i consoli allestivano, fu
1595 TITI LIVII LIBER XLII. 1596
quatuor legiones scriberet urbanas justo numero commesso al pretore Caio Sulpicio Galba, che
peditum equitumque; iisque quatuor tribunos arrolasse quattro legioni urbane col consueto
militum ex senatu legeret, qui praeessent: sociis numero di fanti e di cavalli; che dal senato sce
Latini nominis imperaret quindecim millia pedi gliesse a comandarli quattro tribuni de'soldati,
tum, mille et ducentos equites. Is exercitus uti ed ordinasse agli alleati del nome Latino quindici
paratus esset, quo senatus censuisset. P. Licinio mila fanti, mille e duecento cavalli. Questo eser
consuli ad exercitum civilem socialemdue peten cito stesse pronto per dove il senato stimasse.
ti addita auxilia, Ligurum duo milia, Cretenses Al console Publio Licinio, e a sua richiesta, fu
sagittarii (incertus numerus, quantum rogati au rono aggiunti, a rinforzo dell'esercito cittadi
xilia Cretenses misissent), Numidae item equites nesco ed alleato, due mille Liguri, alquanti arcieri
elephantique. In eam rem legati ad Masinissam Cretesi (è incerto quanto numero ne avessero
Carthaginiensesque missi, L. Postumius Albinus, spedito i Cretesi chiesti di aiuto), non che cavalli
Q. Terentius Culleo, C. Aburius. In Cretam item Numidi ed elefanti. A tal effetto mandati furono
legatos tres ire placuit, A. Postumium Albinum, legati a Masinissa ed ai Cartaginesi Lucio Postu
C. Decimium, A. Licinium Nervam. mio Albino, Quinto Terenzio Culleone e Caio
Aburio. Piacque eziandio che andassero legati
a Creta, Aulo Postumio Albino, Caio Decimio e
Aulo Licinio Nerva.
XXXVI. Per idem tempus legati ab rege XXXVI. A quel tempo medesimo venne
Perseo venerunt. Eos in oppidum intromitti non ro ambasciatori del re Perseo. Non si volle am
placuit, quum jam bellum regi eorum et Mace metterli in città, avendo già il senato ed il po
donibus et senatus decresset, et populus jussisset. polo decretata la guerra contro di lui e contro
In aedem Bellonae in senatum introducti ita ver i Macedoni. Introdotti in senato, nel tempio di
ba fecerunt: « Mirari Persea regem, quid in Ma Bellona, così favellarono: «Non saper compren
cedoniam exercitus transportati essent. Si impe dere il re Perseo, perchè si fossero trasportati
irari a senatu posset, ut ii revocentur, regem de eserciti in Macedonia. Se si potesse impetrare
injuriis, si quas sociis factas quererentur, arbi dal senato che fossero richiamati, il re darebbe
tratu senatus satisfacturum esse . » Sp. Carvi soddisfazione ad arbitrio del senato per quelle
lius, ad eam ipsam rem ex Graecia remissus ab qualunque ingiurie, di che gli alleati si quere
Cn. Sicinio, in senatu erat. Is Perrhaebiam ex lassero. . Era presente in senato Spurio Carvilio,
pugnatam armis, Thessaliae aliquot urbes captas, che Gneo Sicinio avea per ciò stesso rimandato
cetera, quae aut ageret, aut pararet rex, quum dalla Grecia. Egli, rinfacciando agli ambasciatori
argueret, respondere ad ea legati jussi. Postguam Perrebia presa di forza, prese pure alquante città
haesitabant, negantes sibi ultra quidquam man della Tessaglia, e tutto quel più che il re faceva,
datum esse, jussi renunciare regi, « Consulem P. o apparecchiava, fu loro intimato che rispondes
Licinium brevi cum exercitu futurum in Mace sero. Poi che esitavano, allegando che non ave
donia esse. Ad eum, si satisfacere in animo es vano ulteriori commissioni, si disse loro che ri
set, mitteret legatos. Romam quod praeterea portassero al re, « Che tra breve il console Publio
mitteret, non esse: neminem eorum per ltaliam Licinio sarebbe coll'esercito in Macedonia. A lui
ire liciturum. » lta dimissis, P. Licinio consuli mandasse ambasciatori, se aveva in animo di dare
mandatum, intra undecimum diem juberet eos soddisfazione: non occorrere che in appresso
Italia excedere, et Sp. Carvilium mitteret, qui, egli mandi più a Roma; sarà vietato a qualsiasi
donec navem conscendissent, custodiret. Haec di loro trapassare l'Italia. » Licenziati i legati
Romae acta, nondum profectis in provinciam in questo modo, fu commesso al console Publio
consulibus. Jam Cn. Sicinius, qui, priusquam ma Licinio che li facesse uscire d' Italia tra undici
gistratu abiret, Brundisium ad classem et ad giorni, e che mandasse Spurio Carvilio a guar
exercitum praemissus erat, trajectis in Epirum darli sino a tanto che si fossero imbarcati. Son
quinque millibus peditum, trecentis equitibus, queste le cose accadute in Roma innanzi che
ad Nymphaeum in agro Apolloniati castra ha i consoli si fossero partiti. Già Gneo Sicinio, il
bebat. lnde tribunos cum duobus millibus mi quale, prima che uscisse di magistrato, era stato
litum ad occupanda Dassaretiorum et lllyriorum spedito innanzi a Brindisi alla flotta ed all'eser
castella, ipsis arcessentibus praesidia, ut tutiores cito, traghettati nell'Epiro cinque mila fanti
a finitimorum impetu Macedonum essent, misit. e trecento cavalli, s'era accampato presso Ninfeo
nel contado di Apollonia. Di là mandò alcuni
tribuni con due mila soldati ad occupare i castelli
dei Dassareti e degl'Illirii, chiedendo essi stessi
1597 TITI LIVII LIBER XIII. 1598
un presidio, ond'essere più sicuri dall'impeto
de' Macedoni confinanti.
XXXVII. Paucis post diebus Q. Marclus, A. XXXVII. Pochi giorni dopo Quinto Marcio,
Atilius, et P. et Ser. Cornelii Lentuli, et L. De Aulo Atilio, Publio e Sergio Cornelii Lentuli e
cimius, legati in Graeciam missi, Corcyram pe Lucio Decimio, spediti legati in Grecia, menaron
ditum mille secum advexerunt: ibi inter se et seco a Corcira mille fanti, e quivi divisero tra
regiones, quas obirent, et milites diviserunt. De sè i paesi, che aveano a visitare, e i soldati. Deci
cimius missus est ad Gentium, regem Illyriorum, mio fu mandato a Genzio, re degl'Illirii, con
quem, si aliquem respectum amicitiae eum ha ordine, che scorgendolo avere alcun rispetto al
bere cerneret, tentare, aut etiam ad belli so l'amicizia de' Romani, lo tentasse, ovvero anche
cietatem perlicerejussus. Lentuli in Cephalleniam il sollecitasse ad entrar compagno nella guerra.
missiut in Peloponnesum trajicerent, oramque i Lentuli furono spediti a Cefallenia, acciocchè
maris, in occidentem versi, ante hiemem circum passassero nel Peloponneso e avanti il verno
irent. Marcio et Atilio Epirus, Aetolia et Thes girassero la costa del mare volto a ponente.
salia circumeundae assignantur. Inde Boeotiam A Marcio e ad Atilio sono assegnati da visitarsi
atque Euboeam aspicere jussi; tum in Pelopon all'intorno l'Epiro, l'Etolia e la Tessaglia. Di
mesum trajicere. Ibi congressuros se cum Len là recar si dovessero in Beozia e nell'Eubea;
tulis constituunt. Priusquam digrederentur a poscia passassero nel Peloponneso. Quivi si fer
Corcyra, literae a Perseo allatae sunt, quibus massero per abboccarsi coi Lentuli. Avanti che
quaerebat, quae causa Romanis aut in Graeciam partissero da Corcira, vennero lettere da Perseo, .
trajiciendi copias, aut urbes occupandi, esset ? con le quali chiedeva egli qual cagione avessero
Cui rescribi nihil placuit; nuncio ipsius, qui li i Romani di traghettar genti in Grecia e di oc
teras attulerat, dici, a praesidii causa ipsarum cuparne le città ? Non piacque che se gli desse
nrbium Romanos facere.» Lentuli, circumeuntes risposta, ma si dicesse al messo, che avea recate
Peloponnesi oppida,quum sine discrimine omnes le lettere, « ciò farsi dai Romani per guardia
civitates adhortarentur, ut quo animo, qua fide di quelle città. » I Lentuli, visitando in giro
adjuvissent Romanos, Philippi primum, deinde le città del Peloponneso, mentre le vanno esor
Antiochi bello, eodem adversus Persea juvarent, tando tutte insieme a volere con quell'animo,
fremitum in concionibus audiebant; Achaeis in con quella fede, con cui aveano aiutato i Roma
dignantibus, eodem se loco esse (qui omnia a ni, prima nella guerra di Filippo, poscia in quella
principiis Macedonici belli praestitissent Roma di Antioco, con quella stessa aiutarli contro Per
nis, et Macedonum Philippi bello hostes fuissent), seo, udivano fremere nelle assemblee, sdegnando
quo Messenii atque Elii, qui pro Antiocho hoste gli Achei (essi, che sin dal principio della guerra
arma adversus populum Romanum tulissent; ac Macedonica avean fatto tutto pei Romani, e nel
muper in Achaicum contributi concilium, velut la guerra di Filippo avean tenuto contro i Mace
praemium belli se victoribus Achaeis tradi que doni), d'essere in quel luogo medesimo, in cui
reremtur, erano i Messenii e gli Elii, che avean portate
l'armi contro il popolo Romano a favore del re
Antioco; mentre questi d'altra parte, inseriti
poco fa nella lega Acaica, querelavansi d'essere
stati dati in mano agli Achei vincitori, come
premio di guerra.
XXXVIII. Marcius et Atilins ad Gitanas, Epi XXXVIII. Marcio ed Atilio, saliti a Gitana,
ri oppidum decem millia ab mari, quum ascen castello dell'Epiro distante dieci miglia dal ma
derent, concilio Epirotarum habito, cum magno re, tenuta una dieta degli Epiroti, furono ascol
omnium assensu auditi sunt: et quadringentos tati con grande consentimento di tutti, e manda
juventutis eorum in Orestas, ut praesidio essent rono quattrocento del loro giovani in Oresta,
liberatis ab se Macedonibus, miserunt. Inde in acciocchè, liberata com'era dai Macedoni, vi stes
Aetoliam progressi, ac paucos ibi morati dies, sero in presidio. Indi passati in Etolia e quivi
dum in praetoris mortui locum alius sufficeretur, fermatisi pochi giorni, sino a tanto che surrogato
et Lycisco praetore facto, quem Romanorum fa fosse altro pretore in luogo del morto, come fu
vere rebus satis compertum erat, transierunt in nominato pretore Licisco, che ben sapevano esser
Thessaliam. Eo legati Acarnanum, et Boeoto favorevole ai Romani, passarono in Tessaglia.
rum exsules venerunt. Acarnanes nunciare jussi, Colà vennero i legati Acarnani e i fuorusciti
e Quae Philippi primum, Antiochi deinde bello, di Beozia. Gli Acarnani ebber ordine di rappor
decepti pollicitationibus regis, adversus populum tare a loro concittadini, - Che si offeriva ad essi
1599 TITI LIVII LIBER XLII. 16oo

Romanum commisissent, ea corrigendi occasio bella occasione di emendare i falli, che, sedotti
nem illis oblatam. Si male meriti clementiam po dalle promesse del re, avean commesso contro
puli Romani experti essent, bene merendo libe il popolo Romano, primieramente nella guerra
ralitatem experirentur. » Boeotis exprobratum, di Filippo, poscia in quella di Antioco. Se mal
societatem eos cum Perseo junxisse. lis, quum meritando, pure avean provato la clemenza del
culpam in Ismeniam, principem alterius partis, popolo Romano, volessero ben meritando pro
con ferrent, et quasdam civitates dissentientes in varne la liberalità. » Fu rinfacciato ai Beozii che
causam deductas, «Appariturum id esse, Marcius si fossero collegati con Perseo, e riversandone
respondit; « singulis enim civitatibus de se ipsis essi la colpa sopra Ismenia, capo della fazione
consulendi potestatem facturos. » Thessalorum contraria, e sopra alcune città contro il lorparere
Larissae fuit concilium. Ibi et Thessalis benigna tratte a quel partito; . Si vedrebbe, rispose Mar
materia gratias agendi Romanis pro libertatis cio; perciocchè a ciascuna si sarebbe lasciata
munere fuit, et legatis, quod et Philippi prins, facoltà di deliberare del loro interessi. » La dieta
et post Antiochi bello, enise adjuti a gente Thes de Tessali si tenne a Larissa. Quivi ebbero i
salorum essent. Hac mutua commemoratione me Tessali largo campo di ringraziare i Romani per
ritorum accensi animi multitudinis ad omnia de la donata libertà, e i legati di ringraziare i Tes
cernenda, quae Romani vellent. Secundum hoc sali che gli avessero gagliardamente aiutati, pri
concilium legati a Perseo rege venerunt, privati ma nella guerra di Filippo, poscia in quella di
maxime hospitii fiducia, quod ei paternum cum Antioco. Codesta mutua commemorazione di me
Marcio erat. Ab hujus necessitudinis commemo riti accese gli animi della moltitudine a segno
ratione orsi, petierunt legati, in colloquium ve di decretare tutto quello che a Romani fosse
niendi regi potestatem faceret. Marcius, « Et se andato a grado. Dopo questa dieta vennero am
ita a patre suo accepisse, dixit, amicitiam hospi basciatori dal re Perseo, specialmente sulla fidan
tiumque cum Philippo fuisse. Minime immemo za della privata amicizia ed ospitalità, che il
rem necessitudinis ejus legationem eam suscepis padre suo avea tenuto con Marcio. Cominciando
se. Colloquium, si satis commode valeret, non dal rammemorar questo vincolo, gli ambasciatori
ſuisse dilaturum: nunc, ubi primum posset, ad chiesero a Marcio, che permettesse al re di venirsi
Peneum flumen, qua transitus ab Homolio Dium ad abboccare secolui. Marcio rispose, « Anch'egli
esset, praemissis, qui nunciarent regi, ven aver udito dal padre suo che ci era stata ospita
turos. » lità ed amicizia tra esso lui e Filippo: aver egli
pigliata quella legazione, non immemore di que
sto vincolo. Non avrebbe differito l'abbocca
mento, se non fosse malconcio alquanto di salute;
come tosto potesse, mandatone prima avviso al
re, verrebbero al fiume Peneo, là dove da Omolio
si varca a Dio. »
XXXIX. Et tum quidem ab Dio Perseus in XXXIX. Perseo si ritira per allora da Dio
interiora regni recipit se, levi aura spei objecta, nell'interno del regno, concepita nell'animo
quod Marcius ipsius causa suscepisse se legatio qualche lieve speranza, perchè Marcio avea detto
nem dixisset. Post dies paucos ad constitutum di aver accettata quella legazione a cagion sua.
locum venerunt. Magnus comitatus fuit regius, Da lì a pochi dì vennero al luogo stabilito. Fu
quum amicorum, tum satellitum turba stipante. grande la comitiva del re, circondato da turba di
Non minore agmine legati venerunt, et ab Laris cortigiani e di satelliti. Non vennero con manco
sa multis prosequentibus, et legationibus civita stuolo i legati, seguiti da molti di Larissa e dalle
tium, quae convenerant Larissam, et renunciare ambascerie delle città, che raccolte s'erano a La
domum certa, quae audissent, volebant. Inerat rissa, e bramavano di mandare a lor paesi notizie
cura insita mortalibus videndi congredientes no certe di ciò che avessero udito. C'era grande cu
bilem regem, et populi principis terrarum om riosità, com'è la natura degli uomini, di vedere
mium legatos. Postguan in conspectu steterunt, insieme abboccarsi un re insigne e gli ambascia
dirimente amme, paullisper internunciando cun tori del primo popolo del mondo. Poi che si fu
ctatio fuit, utri transgrederentur. Aliquid illi re rono a rimpetto, divisi soltanto dal fiume, ci fu
giae-majestati, aliquid hi populi Romani nomini, alquanto di ritardo, andando e venendo messi
quum praesertim Perseus petisset colloquium, a sapere, chi di loro avesse a passare. Gli uni
existimabant deberi. Joco etiam Marcius cunctan pensavano che si dovesse alcun rispetto alla regia
tes movit - Minor, inquit, ad majorem, et (quod maestà, gli altri alcuno al nome del popolo Ro
Philippo ipsi cognomen erat) filius ad patrem mano, massimamente che Perseo avea chiesto egli
1 to I TI'l'I LIVII LIBER XLII. - 16oa

transeat. » Facile persuasum id regi est. Aliud l'abboccamento. Marcio con un motto alquanto
deinde ambigebatur, cum quam multis transiret. scherzoso ruppe l'indugio; « Il minore, disse,
Rex, cum omni comitatu transire, aequum cen passi al maggiore di età; il figlio (ch'egli avea
sebat: legati vel cum tribus venire jubebant, vel, nome Filippo) al padre. - ll re ne fu facilmente
si tantum agmen traduceret, obsides daret, nihil persuaso. Era insorto altro dubbio, con quanta
fraudis fore in colloquio. Hippian et Pantauchum, gente il re dovesse passare. ll re voleva con tutta
quos et legatos miserat, principes amicorum, ob la comitiva; i legati, che o venisse con tre sole
sides dedit. Nec tam in pignus fidei obsides de persone, o se volea menar secotanta turba, desse

siderati erant, quam ut appareret sociis, negua ostaggi, che non ci sarebbe stata soperchieria
quam ex dignitate pari congredi regem cum le nell'abboccamento. Perseo diede ostaggi Ippia e
gatis. Salutatio non tamquam hostium, sed hospi Pantauco, già mandati ambasciatori e i primi di
talis ac benigna fuit; positisque sedibus conse sua corte. Nè si eran bramati gli ostaggi tanto
derunt. - per pegno di sicurtà, quanto perchè apparisse
agli alleati, che nell'abboccamento la dignità del
re non era stata del pari con quella de legati. Il
saluto non fu quale tra nemici, ma ospitale e be
nigno, e messe le scranne, si sedettero.
XL. Quum paullisper silentium fuisset: « Ex X L. Dopo breve silenzio, . Si attende, credo,
spectari nos, inquit Marcius, arbitror, ut respon disse Marcio, che per noi si risponda alle lettere,
deamus literis tuis, quas Corcyram misisti; in che ci hai mandate da Corcira, con le quali do
quibus quaeris, quid ita legati cum militibus ve mandi, perchè noi legati siam venuti così con
nerimus, et praesidia in singulas urbes dimitta gente armata, e perchè mandiamo presidii in
mus? Ad hanc interrogationem tuam et non res tutte le città ? A questa tua interrogazione temo
pondere vereor, ne superbum sit, et vera respon che paia superbia il non rispondere, e che rispon
dere, me nimis acerbum audienti tibi videatur. dere il vero non ti sembri cosa dura ad udire.
Sed quum aut verbis castigandus, aut armis sit, Ma dovendo chi rompe i patti essere castigato
qui foedus rumpit ; sicut bellum adversus te alii, con le parole o con l'armi, siccome vorrei che la
quam mihi, mandatum malim, ita orationis acer guerra contro di te ad altri piuttosto commessa
bitatem adversus hospitem, utcumque est, subibo; fosse, che a me, così, checchè ne sia, non isfug
sicut medici, quin salutis causa tristi ora remedia girò, parlando ad un ospite, l'acerbità del discor
adhibent. Ex quo regnum adeptus es, unam rem so; non altrimenti che i medici, i quali per l'altrui
te, quae facienda fuerit, senatus fecisse censet; guarigione usano rimedii disaggradevoli. Da che
quod legatos Romam ad renovandum ” judi sei salito sul trono, giudica il senato che tu fatto
cat potius, quam, quum renovatum esset, violan abbia una sola cosa, che fosse da fare; e fu quan
dum. Abrupolim, socium atque amicum populi do hai spedito ambasciatori a rinnovare la lega”
Romani, regno expulisti. Artetari interfectores, giudica però, che la non fosse da rinnovarsi, piut
ut caede (ne quid ultra dicam) laetatum appare tosto che rinnovata violarla. Iſai scacciato dal re
ret, recepisti, qui omnium Illyriorum fidissimum gno Abrupoli, alleato ed amico del popolo Ro
Romano nomini regulum occiderant. Per Thes mano. Gli uccisori di Artetaro che aveano messo
saliam et Maliensem agrum cum exercitu contra a morte di tutti gl'Illirici il principe più fido al
foedus Delphos isti: Byzantiis item contra foedus nome Romano, gli hai ricoverati nel tuo regno,
misisti auxilia. Cum Boeotis, sociis nostris, secre mostrando così, per non dir altro, che te n'eri
tam tibi ipsi societatem, quam non licebat, jure allegrato. Attraversando con esercito la Tessaglia
jurando pepigisti. Thebanos legatos, Evercam et e il territorio Maliense, contro i patti dell'ac
Callicritum venientes a nobis, quaerere malo cordo, andasti a Delfo: contro gli stessi patti hai
quis interfecerit, quam arguere. In Aetolia bel mandati soccorsi a quei di Bisanzio. Hai fermata
lum intestinum et caedes principum per quos, con giuramento società separata coi Beozii, nostri
nisi per tuos, factae videri possunt? Dolopes a te alleati, il che non t'era lecito. Chi abbia uccisi
ipso evastati sunt. Eumenes rex, ab Roma quum gli ambasciatori lebani, Everca e Callicrito che
in regnum rediret, prope ut victima Delphis in venivano da Roma, amo piuttosto chiedertelo,
sacrato loco ante aras mactatus, quem insimulet, che rinfacciartelo. La guerra intestina, le tante
piget referre. Quae hospes Brundisinus occulta uccisioni del principali fattesi in Etolia, da chi
facinora indicet, certum habeo, et scripta tibi altri possono sembrar fatte, se non è da' tuoi ?
omnia ab Roma esse, et legatos tuos renunciasse. Tu stesso hai devastata la Dolopia. Il re Eumene,
Ilaec ne dicerentur a me, uno modo vitare po mentre tornava da Roma al suo regno, fu quasi,
tuisti, non quaerendo quan ob causam exercitus come vittima, ammazzato in ipelfo, in luogo sacro,
Livio 2 I 0 1 -
1 Go3 - l'ITI LIVII LlBER XLII. 16o4
in Macedoniam trajicerentur, aut praesidia in davanti agli altari: chi egli ne accagioni, ricuso
sociorum urbes mitteremus. Quaerenti tibi super il dirlo. Quali occulti misfatti riveli quell'ospite
bius tacuissemus, quam vera respondimus. Equi tuo di Brindisi, so di certo e che da Roma ti fu
dem pro paterno nostro hospitio faveo oratio scritto per intero, e che gli ambasciatori tuoi te
mi tuae, et opto, ut aliquam mihi materiam prae lo hanno riportato. Avresti potuto con un solo
beas agendae tuae apud senatum causae. » mezzo schivare ch' io ti dicessi codeste cose, non
cercando per qual cagione si traghettino eserciti
in Macedonia, o perchè si mandino presidii nelle
città alleate. Da te richiesti, saremmo stati più
orgogliosi tacendo, che rispondendo il vero. Io
certo, per l'ospitalità che ti legava a mio padre,
vo' dare favorevole orecchio al tuo discorso, e
bramo che tu mi porga alcun che da poter di
fendere la tua causa presso al senato. »
XLI. Ad ea rex: « Bonam causam, si apud XLI. A questo il re rispose: «Una causa buo
judices aequos ageretur, apud eosdem et accusa ma presso giudici giusti, la tratterò presso i me
tores et judices agam. Eorum autem, quae obje desimi, accusatori ad un tempo e giudici. Delle
cta sunt mihi, partim ea sunt, quibus nescio an cose che mi sono state rinfacciate, parte ve n'ha,
gloriari debeam; partim, quae fateri non erube che non so s'io non debba anzi gloriarmene;
scam ; partim, quae verbo objecta verbo negare parte che non mi vergognerò di confessare i parte
sit. Quid enim, si legibus vestris hodie reus sim, che oppostemi con parole e con parole negherò.
aut index Brundisinus, aut Eumenes mihi obji Perciocchè, quand'anche dovessi essere giudicato
ciat, ut accusare potius vere, quam conviciari, colle vostre leggi, che mi potrebbe opporre il
videantur ? Scilicet, mec Eumenes, quum tam delatore di Brindisi, ovvero Eumene, che non
multis gravis publice ac privatim sit, alium, quam sembrasse volermi essi piuttosto oltraggiare, che
me, inimicum habuit: neque ego potiorem quem seriamente accusare ? Sì certo, nè Eumene, ch'è
quam ad ministeria facinorum, quam Rammium pur grave a tanti pubblicamente e privatamente,
(quem neque umquam ante videram, nec eram non ebbe altro nemico che me ; nè ho potuto io
postea visurus), invenire potui? Et Thebanorum, trovare altro ministro più valente a commetter
quos naufragio perisse constat, et Artetari caedis codeste scelleraggini che queſt'ammio, ch'io non
mihi reddenda ratio est. In qua tamen nihil ul avea veduto innanzi mai, e che io non dovea ve
tra objicitur, quam interfectores ejus in regno ex dere dipoi. Ed ho anche a render ragione di
sulasse mec. Cujus conditionis iniquitatem ita non que' Tebani ch è noto esser periti di naufragio,
sum rccusa urus, si vos quoque accipitis, ut, qui e dell'uccisione di Artetaro, per la quale però di
cumque exsules in Italiam aut Romam se contu null'altro mi si aggrava, se non se dell'essersi
Ierunt, his facinorum, propter quae damnati sunt, gli uccisori di lui ricoverati nel mio regno. Nè
auctores vos fuisse fateamini. Si hoc et vos recu ricuserò di sottostare all'ingiustizia di tale ac
sabitis, et omnes aliae gentes, ego quoque interce cusa, se voi pure confessate egualmente, che
teros ero. Et, hercule, quid attinet cuiquam ex quanti scellerati sbanditi vennero a ricoverarsi
silium patere, si nusquam exsulis futurus locus in Italia, o a Roma, gli avete voi stessi consigliati
est? Ego tamen istos, ut primum in Macedonia a quelle scelleraggini, per cui furono condannati.
esse. admonitus a vobis, comperi, requisitos abire Se ricuserete tal condizione, faran lo stesso tutte
ex regno jussi, et in perpetuum interdixi finibus le altre nazioni, ed io pure tra gli altri. E di fatto,
meis. Et haec quidem mihi, tamquam causam di a che pro che sia libero ad ognuno l'andarsene
centi reo, objecta sunt : illa, tamquam regi, et in bando, se nessun luogo possa accogliere lo
quae de focdere, quod milii est voloiscum, disce sbandito ? Nondimeno, come tosto, avvertito da
ptationem habeant. Nam, si est in foedere ita scri voi, ho saputo essere costoro in Macedonia, cer
pium, ut me, si bellum quidem quis inferal, tu eri catili, gli ho fatti uscire dal regno e gli ho sban
ine regnumque metim liceat, mi hi fa tendum est, diti in perpetuo da miei confini. Queste son le
quod me armis adversus Albrupolim socium po cose che mi sono opposte, quasi a reo chiamato
puli Romani defenderini, focdus violatum esse. a difendersi: discutiamo ora quelle che mi si op
Sin autem hoc et ex foedere licuit, et jure gen pongono, come a re, e che riguardano il trattato
tium ita comparatum est, ut arma armis propul che ho con voi. Perciocchè, se sta scritto in
sentur, quid tandem me facere decuit. quum questo, che se alcuno mi move guerra, non mi sia
Abrupolis fines nei regni usque ad Amphipolim lecito me difendere, nè il regno mio, son forzato
per vastasset, multa libera capito, ulag al via, a confessare che difendendomi con l'armi contro
I Go5 TITI LIVll LIBER XLII. 1606

mancipiorum, multa millia pecorum abegisset? Abrupoli, alleato del popolo Romano, ho violato
Quiescerem et paterer, domec Pellam et in regiam il trattato. Ma se ciò non m'era vietato dal trat
meam armatus pervenisset? At enim bello qui tato, e se il dritto delle genti consente che si
dem justo sum persecutus; sed vinci non opor respinga la forza con la forza, che altro mi resta
tuit eum, neque ea, quae victis accidunt, pati: va a fare, avendo Abrupoli devastate le terre del
quorum casum quum ego subierim, qui sum ar mio regno sino ad Anfipoli, e via menatine molti
mis lacessitus, quid potest queri sibi accidisse, uomini liberi, grande quantità di schiavi e molte
qui causa belli fuit ?- Non sum eodem modo de migliaia di bestiami? Avrei dovuto starmi quieto
fensurus, Romani, quod Dolopas armis coercue e soffrire insino a tanto ch'ei fosse entrato ar
rim, quia, etsi non merito eorum. jure feci meo; mato in Pella e nella mia reggia ? Sì certo, l'ho
quum mei regni, meaeditionis essent, vestro de inseguito con guerra giusta; ma non bisognava
creto patri attributi meo. Nec, si causa reddenda che fosse vinto, nè che patisse le cose che accado
sit, non vobis, nec foederatis, sed iis, qui ne in no a' vinti: ma se ho corso il pericolo io medesi
servos quidem saeva atque injusta imperia pro mo, che pur fui coll'armi provocato, come può
bant, plus aequo et bono saevisse in eos videri dolersi che gli sieno accadute, colui che fu cagion
possum : quippe Euphranorem, praefectum a me della guerra? Non userò lo stesso modo nel di
impositum, ita occiderunt, ut mors poenarum fendermi, o Romani, di aver repressi i Dolopi
ejus levissima fuerit. » coll'armi; perciocchè, quand'anche non lo aves
sero meritato, usai del dritto mio, appartenendo
essi al mio regno, alla mia dominazione, per de
creto vostro assegnati al padre mio. E se anche
dovessi darne conto, non dico a voi, nè a vostri
alleati, ma a quegli stessi che non approvano il
procedere ingiusto e crudele nè anche verso gli
schiavi, certo non dee sembrare ch'io abbia in
fierito contro di essi oltre il dovere ed il giusto.
Perciocchè hanno ucciso Eufranore, ch'io aveva
dato loro a prefetto, in tal maniera che la morte
fu il più leggero de' suoi tormenti. »
XLII. « At, quum processisseminde ad visen XLII. « Essendomi poi di là inoltrato a visi
das Larissam, et Antrona, et Pylleon, quo in pro tare Larissa ed Antrona e Pilleo, a sciogliere da
pinquo multo ante debita vota persolverem, Del vicino un voto, già assai tempo innanzi fatto,
phos sacrificandi causa ascendi. Et hic, criminis sono salito a Delfo per i vi sagrificare. E qui, per
augendi causa, cum exercitu me fuisse adjicitur; maggiormente aggravarmi, si aggiunge che ci
scilicet ut, quod nimc vos facere queror, urbes sono andato coll' esercito. Sì certo, per fare ciò
occuparem, arcibus imponerem praesidia Vocate che mi lagno farsi da voi, per occupare quelle
in concilium Graeciae civitates, per quasiter fe città, per mettere presidii nelle fortezze. Chia
ci; queratur unus quilibet militis mei injuriam ; mate a radunanza le città della Grecia, per le
non recusabo, quin, simulato sacrificio, aliud pe quali sono passato; ognuno si lagni pur delle
tisse videar. Aetolis et Byzantiis praesidia misi ingiurie sofferte da miei soldati, allora non ne
mus, et cum Boeotis amicitiam fecimus. Haec, gherò che sotto l'infinta di un sagrifizio, ebbi
qualiacumque sunt, per legatos meos non solum in mira altra cosa. Ma ho mandati presidii alle
indicata, sed etiam excusata sunt saepe in senatu città dell'Etolia e di Bisanzio, ho stretta amicizia
vestro; ubi aliquos ego disceptatores, non tam co” Beozii. Queste cose, qualunque siensi, le ho
aequos, quam te, Q. Marci, paternum amicum et sovente col mezzo de'miei ambasciatori non solo
hospitem, habebam. Sed nondum Romam accu indicate, ma eviandio giustificate presso il vostro
sator Eumenes venerat; qui calumniando omnia senato, dove io aveva a disputar con alcuni non
detorquendoque suspecta et invisa efficeret, et tanto ragionevoli, quanto sei tu, o Quinto Mar
persuadere vobis conaretur, non posse Graeciam cio, amico ed ospite del padre mio. Ma non era
in libertate esse, et vestro munere frui, quoad re ancora giunto a Roma il mio accusatore Eumene,
gnum Macedoniae incolume esset. Circumagetur il quale calunniando e tutto torcendo in mala
hic orbis: erit mox, qui arguat, nequidquam An parte vi rendesse ogni azione mia sospetta ed
tiochum ultra juga Tauri remotum : graviorem odiosa, e si sforzasse di persuadervi, che non mai
multo Asiae, quam Antiochus fuerit, Eumenem potrebbe la Grecia esser libera e godersi il vostro
esse; nec conquiescere socios vestros posse, quoad benefizio sino a tanto che il regno di Macedonia
regia Pergami sit: eam arcem supra capita finiti si stesse in piede. Qui si ritorca il discorso: vi
16o7 TITI LIVIl LIBER XLII. 16o8

marum civitatium impositam. Ego haec, Q. Marci sarà subito chi mostrerà invano essere stato An
et A. Atili, quae aut a vobis objecta, aut purgata tioco rimosso di là del monte Tauro; essere Eu
a me sunt, talia esse scio, ut aures, ut animi au mene assai più grave all'Asia, che non fu Antioco;
dientium sint; nec tam referre, quid ego, aut nè poter mai riposare i vostri alleati sino a tanto
qua mente fecerim, quam quomodo id vos factum che la reggia di Pergamo starassi in piede; ch'el
accipiatis. Conscius mihi sum, nihil me scientem la è una rocca imposta sopra il capo delle città
deliquisse; et, si quid fecerim imprudentialapsus, confinanti. Tutte codeste cose che mi furono da
corrigi me et emendari castigatione hac posse. voi opposte, o sonosi da me purgale, ben so, o
Nihil certe insanabile, nec quod bello et armis Quinto Marcio ed Aulo Atilio, tali essere, quali
persequendum esse censeatis, commisi: at frustra sono gli orecchi, quale l'animo di chi le ascolta;
clementiae gravitatisque vestrae fama vulgata per nè importar tanto quello ch'io fatto abbia, o con
gentes est, si talibus de causis, quae vix querela qual mente fatto, quanto in qual maniera siate
ot expostulatione dignae sunt, arma capitis, et per prendere ciò che fu fatto. Sono conscio a me
regibus sociis bella infertis. , stesso di non aver peccato scientemente, e se ho
commesso alcun che per inavvertenza, potermi
bastantemente correggere ed emendare codesta
vostra riprensione. Nulla certo ho commesso che
sanar non si possa, e che abbiate a stimar merite
vole d'esser punito con la guerra e con l'armi,
e certo invano si è divolgata per le nazioni la
fama della clemenza e gravità vostra, se per sì
fatte cagioni, che son degne appena di querela
e di rimprovero, pigliate l'armi, ed agli alleati
movete guerra. »
XLIII. Haec dicenti tum assensus Marcius XLIII. Marcio, consentendo alle parole di
auctor fuit mittendi Romam legati, quum ex Perseo, consigliollo di spedire ambasciatori a
perienda omnia ad ultimum, nec praetermitten Roma, persuaso che si dovesse fare un ultimo
dam spem ullam censuisset Reliqua consultatio sperimento, nè si avesse a lasciar cadere alcuna
erat, quonam modo tutum iter legatis esset. Ad speranza. Restava a deliberare, come assecurare
id quum necessaria petitio induciarum videre agli ambasciatori l'andata; al che parendo neces
tur, cuperetque Marcius, neque aliud colloquio sario che si fosse chiesta una tregua, e Marcio
petisset, gravate et in magnam gratiam peten bramandola, nè col conceduto abboccamento
tis concessit. Nihil enim satis paratum ad bel avendo ad altro mirato, pure fe” vista di conce
lum in praesentia habebant Romani, non exer derla a stento, e come grande favore verso chi la
citum, non ducem; quum Perseus (ni spes va chiedeva. Perciocchè non aveano ancor fatto i
na pacis obcaecasset consilia) omnia praepara Romani bastevoli apparecchi di guerra, non ap
ta atque instructa haberet, et suo maxime tem prontato l'esercito, nè il comandante; mentre
pore atque alieno hostibus incipere bellum pos Perseo, se vana speranza di pace non lo avesse
set. Ab hoc colloquio, fide induciarum interpo acciecato, avea preparata, allestita ogni cosa, e
sita, legati Romani in Boeotiam comparati sunt. potea cominciare la guerra in tempo a lui som
Ibi jam motus coeperat esse, discedentibus a mamente opportuno, al nemico svantaggioso.
societate communis concilii Boeotorum quibus Dopo questo abboccamento i legati Romani,
dam populis, ex quo renunciatum erat, respon interpostasi la fede della tregua, si mossero alla
disse legatos, appariturum, quibus populis pro volta della Beozia. Quivi s'era cominciata qualche
prie societatem cum regejungi displicuisset. Pri sommossa, staccandosi alcuni popoli dalla società
mi a Cheronea legati, deinde a Thebis, in ipso de'Beozii, dappoi che fu riferito aver risposto i
itinere occurrerunt, affirmantes non interfuisse legati, che sarebbe apparso chiaro a quali popoli
se, quo societas ea decreta esset, concilio; queis, propriamente fosse spiaciuto collegarsi col re.
legati, nullo in praesentia responso dato, Chal Primi a venir incontro nel cammino furono gli
cidem se sequi jusserunt. Thebis magna conten ambasciatori di Cheronea, poscia quelli di Tebe,
tio orta erat ex alio certamine. Comitiis praeto affermando che non erano intervenuti alla dieta,
riis Beotorum victa pars, injuriam persequens, nella quale era stata decretata quella colleganza:
coacta multitudine decretum fecit Thebis, ne i legati, senza dar loro per allora nessuna risposta,
Boeotarchae urbibus reciperentur. Exsules Thes ordinarono che avessero a seguitarli a Calcide.
pias universi concesserunt: inde (recepti enim Era insorta a Tebe grande contesa per altra
sine cunctatione erant) Thebas, jam mutatis ani cagione. Nei comizi per l'elezione del pretore
16oo l'ITI LIVII LIBER XLII. nG1o

mis, revocati decretum faciunt, ut duodecim, qui la parte de' Beozii rimasta vinta correndo alla
privati coetum et concilium habuissent, exsilio vendetta, radunata la moltitudine, fece un de
mulctarentur. Novus deinde praetor (Ismenias is creto a Tebe, che i Beotarchi non fossero rice
erat, vir nobilis ac potens) capitalis poenae ab vuti nelle città. Gli esiliati si ricoverarono tutti
sentes eos decreto damnat. Chalcidem fugerant: a Tespia, dove furono immediatamente ricevuti;
inde ad Romanos Larissam profecti, causam cum poscia, mutati gli animi e richiamati a Tebe,
Perseo societatis in Ismeniam contulerant. Ex fanno un decreto, che i dodici cittadini, che di
contentione ortum certamen. Utriusque tamen privata autorità convocata aveano l'adunanza
partis legati ad Romanos venerunt, et exsules del popolo, fossero puniti coll'esiglio. Indi il
accusatoresque Ismeniae, et Ismenias ipse. nuovo pretore Ismenia, uomo nobile e potente,
condannò gli assenti a pena capitale. Eransi
fuggiti a Calcide: di là recatisi ai Romani a
Larissa, avean fatto Ismenia autore dell'alleanza
con Perseo. Dalla contesa di parole si venne
a fatti; nondimeno vennero a presentarsi ai Ro
mani i legati delle due parti, gli esuli ed accusa
tori d'Ismenia e Ismenia stesso.
XLIV. Chalcidem nt ventum est, aliarum XLIV. Come tutti furono a Calcide, i capi
civitatium principes, id quod maxime gratum delle altre città, cosa che fu grata sommamente
erat Romanis, suo quique proprio decreto Persei ai Romani, ciascuno da sè con particolare decre
societatem aspernati, Romanis se adjungebant: to rinunziando alla società con Perseo, si univa
Ismenias gentem Boeotorum in fidem Romano no ai Romani. Ismenia era di parere che la
rum permitti aequum censebat. Inde certamine nazione de Beozii si mettesse del tutto alla di
orto, misi in tribunal legatorum perfugisset, haud screzione del popolo Romano; donde insorta
multum abfuit, quin ab exsulibus fautoribusque grande contesa, s'egli non si fosse ricoverato
eorum interficeretur. Thebae quoque ipsae, quod presso al tribunale delegati Romani, poco mancò
Boeotiae caput est, in magno tumultu erant, aliis che non fosse ucciso dagli esuli e da loro fautori.
ad regem trahentibus civitatem, aliis ad Roma A Tebe stessa, ch'è la città capitale della Beozia,
nos.Et turba Coronaeorum Haliartiorumque con c'era grande tumulto, altri tirando la città al
venerant ad defendendum decretum regiae socie partito del re, altri a quello de Romani. Vi si
tatis. Sed constantia principum, docentium cla era pur anche raccolta una turba di Coronei e
dibus Philippi Antiochique, quanta esset vis et di Aliarti a sostenere il decreto dell'alleanza con
fortuna imperii Romani, victa eadem multitudo, Perseo. Ma vinta la stessa moltitudine dalla fer
et, ut tolleretur regia societas, decrevit, eteos, mezza del principali cittadini, ricordandosi dalle
qui auctores paciscendae amicitiae fuerant, ad disfatte di Filippo e di Antioco quanta fosse la
satisfaciendum legatis Chalcidem misit, fideique forza e la fortuna dell'impero Romano, decretò
legatorum commendari civitatem jussit. Theba che si annullasse detta alleanza, e mandò a Calci
mos Marcius et Atilius laeti audierunt, auctores de quelli, che l'avean promossa, a dare soddisfa
que et his separatim singulis fuerant ad reno zione ai legati, ed ordinò che alla lor fede racco
vandam amicitiam mittendi Romam legatos. Ante mandata fosse la città. Furono i Tebani lieta
omnia exsules restitui jusserunt, et auctores re mente ascoltati da Marcio ed Atilio, ed eccitati,
giae societatis decreto suo damnarunt. Ita, quod separatamente ciascuno, a spedire ambasciatori
maxime volebant, discusso Boeotico concilio, Pe a Roma a rinnovare l'amicizia. Prima d'ogni
loponnesum proficiscuntur, Ser. Cornelio Chal altra cosa ordinarono che rimessi fossero i fuor
cidem arcessito. Argis praebitum est iis conci usciti, e con loro decreto condannarono gli
lium : ubi nihil aliud a gente Achaeorum petie autori della lega col re. Sciolta così ( che era
runt, quam ut mille milites darent. Id praesi quello appunto che massimamente volevano ) la
dium ad Chalcidem tuendam , dum Romanus dieta de'Beozii, vanno nel Peloponneso, chiama
exercitus in Graeciam trajiceretur, missum est. to avendo a Calcide Sergio Cornelio. La dieta ſu
Marcius et Atilius, peractis, quae agenda in Grae loro data in Argo, dove non altro chiesero alla
cia erant, principio hiemis Romam redierunt. nazione Achea, se non che dessero mille soldati.
Questo presidio fu mandato alla guardia di Cal
cide, insino a tanto che fu trasportato in Grecia
l'esercito Romano. Marcio ed Atilio, dato fine a
quello ch'era da farsi in Grecia, sul principio
del verno tornaronsi a Roma.
16 I 1 TITI LIVII LIBER XLII. 1612

XLV. Inde legatio sub idem tempus in Asiam XLV. Intorno a quel medesimo tempo si spe
circum insulas missa. Tres erant legati, Ti. Clau dì una legazione a girare le isole dell'Asia. Erano
dius, P. Postumius, M. Junius. li circumeuntes i tre legati Tito Claudio, Publio Postumio,
hortabantur socios ad suscipiendum adversus Marco Giunio. Qua e colà girando esortavano i
Persea pro Romanis bellum; et, quo quaeque popoli alleati a pigliar la guerra contro Perseo a
opulentior civitas erat, eo accuratius agebant, favore de Romani, e quanto ogni città era più
quia minores secuturae majorum auctoritatem potente, tanto più d'opera vi ci mettevano, poi
erant. Rhodii maximi ad omnia momenti habe chè le minori seguitato avrebbono l'autorità
bantur, quia non favere tantum, sed adiuvare delle maggiori. I Rodiani stimati erano della
etiam viribus suis bellum poterant, quadra gin massima importanza per ogni riguardo; perchè
ta navibus auctore Hegesilocho comparatis. Qui non solamente favorire, ma potevano eziandio
quum in summo magistratu esset (Prytanin ipsi colle loro forze aiutare la guerra, avendo messe
vocant) multis rationibus pervicerat Rhodios, ut in pronto quaranta navi per consiglio di Egesi
omissa, quam saepe vanam experti essent, regum loco, il quale, essendo il primo magistrato (essi
fovendorum spe, Romanam societatem (unam lo chiamano Pritani) avea con molte ragioni
tum in terris vel viribus, vel fide stabilem) reti persuaso a Rodiani, che lasciata la speranza, che
nerent. « Bellum imminere cum Perseo: deside avean sì spesso trovata vana, di sostenere i re,
raturos Romanos eumdem navalem apparatum, stessero fermi nell'amicizia de' Romani, la sola
quem nuper Antiochi, quem Philippi ante bel allora nel mondo, che stabile fosse per potenza e
lo vidissent. Trepidaturos tum repente paran per fede: « Essere imminente la guerra con Per
da classe, quum mittenda esset, nisi reficere seo: avrebbon chiesto i Romani quello stesso
naves, nisi instruere navalibus sociis coepissent. apparato di navi che avean veduto poc'anzi nella
Id eo magis enise faciendum esse, ut crimina guerra di Antioco, e prima in quella di Filippo:
delata ab Eumene fide rerum refellerent. - His avrebbe imbarazzati i Rodiani il pensiero di
incitati, quadraginta navium classem instructam allestire all'improvviso la flotta, quando occor
ornatamoue legatis Romanis advenientibus, ut reva mandarla, se non avesser cominciato a rac
non exspectatam adhortationem esse appareret, conciare i legni e fornirli di ciurme. E ciò dovea
ostenderunt. Et haec legatio magnum ad con farsi con cura tanto maggiore, onde colla since
ciliandos animos civitatium Asiae momentum rità dei fatti confutare le accuse date da Eume
fuit. Decimius unus sine ullo effectu, captarum me. » Eccitati da queste parole, alla venuta dei
etiam pecuniarum ab regibus Illyriorum suspi legati Romani, mostraron loro una flotta di qua
cione in famis, Romam rediit. ranta navi allestita e fornita di tutto, sì che
vedessero che non aveano aspettato ch'altri gli
esortasse. E questa legazione ſu di grande mo
mento a conciliarsi gli animi delle città dell'Asia.
Il solo Decimio tormossi a Roma senza nessun
effetto, con mal nome eviandio, per sospetto che
pigliato avesse denaro dai re degl'Illirii.
XLVI. Perseus, quum a colloquio Romano XLVI. Perseo dall'abboccamento coi Romani
rum in Macedoniam recepisset sese, legatos Ro rimessosi in Macedonia, spedì ambasciatori a
mam de inchoatis cum Marcio conditionibus pa Roma pel trattato di pace intavolato da Marcio,
cis misit, et Byzantium et Rhodum literas lega e diede loro lettere da portare a Bisanzio ed
tis ferendas dedit. In literis eadem sententia ad a Rodi. Scriveva a tutti lo stesso; . ch'egli s'era
omnes erat : « collocutum se cum Romanorum abboccato coi legati Romani; º riferendo però
legatis; º quae audisset, quaeque dixisset, ita di quello che avea udito e quello che avea detto
sposita, ut superior fuisse in disceptatione videri in sì fatta guisa, da far credere ch'ei rimasto
posset. Apud Rhodios legati addiderunt, « Con fosse nella disputa superiore. Presso a Rodiani
fide pacem futuram : auctoribus enim Marcio at i legati aggiunsero: « Confidavano che ci sarebbe
que Atilio, missos Romam legatos. Si pergerent pace, perciocchè andavano ambasciatori a Roma
Romani contrafoedus movere bellum, tum omni per consiglio di Marcio e di Atilio. Se i Romani
gratia, omni ope enitendum fore Rhodiis, ut re persistessero contro l'alleanza a mover guerra,
concilient pacem. Si nihil deprecando proficiant, in tal caso toccherebbe a Rodiani adoperare ogni
id agendum, ne omnium rerum jus ac potestas credito e forza loro per riconciliare la pace. Se
ad unum populum perveniat. Quum ceterorum avvenga che nulla profittino con le preghiere,
id interesse, tum praecipue Rhodiorum, qui plus vedano di fare che non ricada in mano di un
inter alias civitates dignitate atque opibus excel popolo solo la signoria del mondo tutto. È que
16 i 3 TITI LIVII LIBER XLII. 1614
lant: quae serva atque obnoxia fore, si nullus sto l'interesse di tutti, ma specialmente de' Ro
alio sit, quam ad Romanos, respectus. ” Magis et diani, i quali avanzano le altre città in dignità
literae et verba legatorum benigne sunt audita, ed in potenza: cose che diverrebbono soggette
quam momentum ad mutandos animos habue e schiave, se non si mirasse ad altro, che a favo
runt: potentior esse partis melioris auctoritas reggiare i Romani. » Le lettere e le parole dei
coeperat. Responsum ex decreto est: « Optare legati udite furono più benignamente di quello
pacem Rhodios. Si bellum esset, ne quid ab che avessero alcuna forza a cangiare gli animi:
Rhodiis speraret aut peteret rex, quod veterem l'autorità della parte migliore avea cominciato
amicitiam, multis magnisque meritis pace bel ad essere più potente. La risposta decretata si fu:
loque partam, disiungeret sibi ab Romanis. s. I Rodiani bramar la pace. Se ci fosse guerra,
Ab Rhodo redeuntes, Boeotiae quoque civita non isperasse il re, nè chiedesse a Rodiani cosa,
tes et Thebas et Coronaearm et Haliartum adie che gli staccasse dall'antica amicizia co Romani,
runt; quibus expressum invitis existimabatur, acquistata con molti meriti loro in guerra ed in
ut, relicta regia societate, Romanis adjungeren pace. » Tornando da Rodi visitarono anche le
tur. Thebani nihil moti sunt : quamquam non città della Beozia e Tebe e Coronea ed Aliarto,
millil, et damnatis principibus, et restitutis ex le quali stimavasi che state fossero tratte contro
sulibus, succensebant Romanis. Coronaei et Ha voglia, lasciata la società col re, ad unirsi ai Ro
liartii, favore quodam insito in reges, legatos mani. Non poterono smuovere quei di Tebe, che
in Macedoniam miserunt, praesidium petentes, pur erano alcun poco sdegnati co' Romani, per
quo se adversus impotentem superbiam Theba chè avessero condannati i loro principali citta
norum tueri possint. Cui legationi responsum dini e rimessi i fuorusciti. I Coronei e gli Aliarti,
ab rege est, .. praesidium se propter inducias per non so quale insita inclinazione verso il regio
cum Romanis factas mittere non posse; tamen nome, mandarono ambasciatori in Macedonia
suadere, ita a Thebanorum injuriis, qua pos a chiedere un presidio, con cui potersi difendere
sent, ut se vindicarent, me Romanis praeberent contro l'insoffribile orgoglio dei Tebani. A quel
causam in se saeviendi. » la ambasceria il re rispose: « Non poter egli
mandar loro gente a motivo della tregua fatta
co Romani; li consigliava però a ripararsi, come
meglio potessero, dalle offese dei Tebani in modo
da non porgere cagione a Romani d'infierire
contro di essi. » -

XLVII. Marcius et Atilius Romam quum XLVll. Marcio e Atilio, tornati a Roma, die
venissent, legationem in Capitolio ita remun dero conto in Campidoglio della loro legazione
ciarunt, ut nulla re magis gloriarentur, quam con così fatte parole, che di nessuna cosa più si
decepto per inducias et spem pacis rege. « Adeo gloriavano, che di aver gabbato il re con la tre
enim apparatibus belli fuisse instructum, ipsis gua e con la speranza della pace. « Perciocchè
nulla parata re, ut omnia opportuna loca prae aveva egli sì fattamente approntato ogni appa
occupariante ab eo potuerint, quam exercitus recchio di guerra, ed essi nessuno ancora, che
in Graeciam trajiceretur. Spatio autem inducia gli sarebbe riuscito facile preoccupare tutti i
rum sumpto, venturum illum nihilo paratiorem; luoghi opportuni, prima che l'esercito Romano
Romanos omnibus instructiores rebus coepturos fosse passato in Grecia. Colto il tempo della tre
bellum. Boeotorum quoque se concilium arte di gua, non verrebbe già egli più agguerrito al ci
straxisse, ne conjungi amplius ullo consensu Ma mento; i Romani sì comincerebbono la guerra
cedonibus possent.» ilaec ut summa ratione acta, più provveduti d'ogni cosa. Avevano eziandio
magna pars senatus approbabat: veteres et moris seminata la discordia nella dieta de' Beozii in
antiqui memores negabant, e se in ea legatione modo, che non avrebbono mai più potuto di co
Romanas agnoscere artes. Non per insidias et mune consentimento unirsi ai Macedoni. ” La
nocturna proelia, nec simulatam fugam improvi maggior parte del senato approvava tutto l'ope
sosque ad incautum hostem reditus, nec ut astu rato, come cose fatte con sommo accorgimento:
magis, quam vera virtute, gloriarentur, bella ma i vecchi e quelli che tenevano a costumi antichi,
jores gessisse. Indicere prius, quam gerere, soli dicevano « di non saper riconoscere in codesta
tos bella, denunciare etiam ; interdum locum fi legazione le arti che son proprie de Romani.
nire, in quo dimicaturi essent. Eadem fide in Non avean fatto la guerra i maggiori loro con
dicatum Pyrrho regi medicum, vitae eius insi agguati, con notturne battaglie, con simulate
diantem: eadem Faliscis vinctum traditum pro fughe e con ritorni improvvisi addosso ad un
ditorem liberorum regis. llaec Romana esse, non incauto nemico, nè in guisa da più gloriarsi del
1 (i i 5 "I'l'l'I LIVIl LIBER XLII. 1616

versutiarum Punicarum, meque calliditatis Grae l'astuzia, che del vero valore. Eran soliti intimare
cae; apud quos fallere hostem, quam vi supe la guerra innanzi che farla, ed anche prenunziar
rare, gloriosius fuerit. Interdum in praesens la; talvolta determinare il luogo, dove si sarebbe
tempus plus profici dolo, quam virtute; sed combattuto. Questa stessa lealtà fe” che rivelas
ejus demum animum in perpetuum vinci, cui sero a Pirro il medico che insidiava la di lui vita:
confessio expressa sit, se neque arte, neque casu, per quella fu consegnato in catene a Falisci il
sed collatis cominus viribus justo ac pio bello traditore de' figliuoli del re. Son queste l'arti
esse superatum. " Haec seniores, quibus nova Romane, e non l'astuzia dei Cartaginesi, non la
haec minus placebat sapientia. Vicit tamen ea versuzia de' Greci, presso i quali è più gloria
pars senatus, cui potior utilis, quam honesti, cu ingannare il nemico, che vincerlo con la forza.
ra erat ut comprobaretur prior legatio Marcii, Talvolta si profitta più pel presente momento
eteodem rursus in Graeciam cum quinqueremi coll'inganno che col valore; ma infine rimane
bus remitteretur, jubereturque cetera, uti e re vinto perpetuamente l'animo di lui, al quale siasi
publica maxime visum esset, agere. A. quoque strappata la confessione d'esser egli stato supe
Atilium miserunt ad occupandam Larissam in rato non per arte o per caso, ma di fronte con
Thessalia, timentes, me, si induciarum dies exisset, l'armi, in guerra giusta e pia. » Così i vecchi,
Perseus, praesidio eo misso, caput Thessaliae in a quali non garbava gran fatto questa novella
potestate haberet. Duo millia peditum Atilius sapienza. Ottenne però quella parte del senato
ab Cn. Sicinio accipere ad eam rem agendam che tenea più conto dell'utile che dell'onesto,
jussus. Et P. Lentulo, qui ex Achaja redierat, che approvata fosse questa prima legazione di
trecenti milites ltalici generis dati, ut Thebis da Marcio, e ch'egli fosse rimandato in Grecia con
ret operam, ut in potestate Boeolia esset. alcune quinqueremi e con ordine di fare tutto
quel più che stimasse vantaggioso alla repubblica.
Mandarono eziandio Aulo Atilio ad occupare
Larissa nella Tessaglia, temendo che se spirasse
il giorno della tregua, Perseo, mandata gente
colà, non s'impossessasse della città capitale del
la Tessaglia. Per questa impresa gli fu commesso
di pigliare duemila fanti da Gneo Sicinio, e si
assegnarono a Publio Lentulo, ch'era tornato
dall'Acaia, trecento soldati Italiani, acciocchè
stando a Tebe desse opera che la Beozia non
si movesse.
XLVIII. His praeparatis, quamquam ad bel XLVIII. Fatti codesti preparamenti, benchè
lum consilia erant destinata, senatum tamen la guerra fosse determinata, nondimeno si volle
praeberi legatis placuit. Eadem fere, quae in dare udienza ai legati di Perseo. Ripeterono essi
colloquio ab rege dicta erant, relata ab legatis. quasi le cose stesse, ch'erano state dette dal re
Insidiarum Eumeni factarum crimen, et maxima nell'abboccamento. L'accusa delle insidie tese ad
cura, et minime tamen probabiliter (manifesta Eumene fu combattuta con grandissima forza,
enim reserat), defensum. Cetera deprecatio erat: non però punto probabilmente, perch'era cosa
sed non eis animis audiebantur, qui aut doceri, manifesta. Il rimanente fu tutto un pregare, ma
aut flecti possent. Denunciatum extemplo moe non era chi gli ascoltava disposto in modo da
nibus urbis Romae, ltalia intra trigesimum diem poter essere convinto o piegato. S'intimò ai lega
excederent. P. Licinio deinde consuli, cui Mace ti, che uscissero subito di Roma e nello spazio
donia provincia obvenerat, denunciatum , ut di trenta giorni dall'Italia. Poscia fu commesso
exercitui diem primam quamque diceret ad con al console Publio Licinio, al quale toccata era
veniendum. C. Lucretius praetor, cui classis pro la Macedonia, che intimasse all'esercito di racco
vincia erat, cum quadraginta quinqueremibus ab gliersi quanto prima. Il pretore Caio Lugrezio,
urbe profectus: nam ex refectis navibus alias in cui era toccato il comando della flotta, partì da
alium usum retineri ad urbem placuit. Praemis Roma con quaranta quinqueremi: chè delle navi
sus a praetore est frater Lucretius cum quinque rifatte si volle ritenerne alcune in città ad altri
reme una, jussusque, ab sociis ex foedere acce usi. ll pretore mandò innanzi il fratello Lugrezio
ptis navibus, ad Cephalleniam classi occurrere. con una quinquereme, dettogli, che pigliate dagli
Ab Rheginis triremi una, ab Locris duabus, ab alleati le navi dovute pe' trattati, venisse ad in
Uritibus quatuor praeter oram Italiae superve contrare la flotta a Cefallenia. Avuta una trireme
ctus Calabriae extreinum promontorium in Jonio dai Reggiani, due da Locri, quattro dagli Uriti,
a 617 TITI LIVII LIBEl XLII. 16 18

mari, Dyrrhachium trajicit. Ibi decem ipsorum passato, costeggiando la spiaggia d'Italia, oltre
Dyrrhachinorum, duodecim Issaeorum, quin l'ultimo promontorio della Calabria nel mare
quaginta quatuor Gentii regislembos nactus, si Jonio, tragittò a Dirrachio. Quivi avendo trovato
mulans se credere, eos in usum Romanorum dieci brigantini degli stessi Dirrachini, dodici
comparatos esse, omnibus abductis, die tertio degl'Issei, cinquanta quattro del re Genzio;
Corcyram, inde protinus in Cephalleniam traji fingendo di credere che gli avessero allestiti ad
cit. C. Lucretius praetor ab Neapoli profectus, uso dei Romani,menatili via tutti, il terzo dì passò
superato freto, die quinto in Cephalleniam trans a Corcira, indi subito a Cefallenia. Il pretore
misit. Ibi stetit classis, simul opperiens, ut ter Caio Lugrezio partitosi da Napoli, superato lo
restres copiae trajicerentur, simul, ut onerariae, stretto, il quinto dì giunse pur egli a Cefallenia.
ex agmine suo per altum dissipatae, conseque Quivi la flotta si ancorò, aspettando che le genti
rentur. da terra fossero tragittate, e che i legni da cari
co, che staccati dal convoglio s'erano dispersi
in alto mare, lo seguitassero.
XLIX. Per hos forte dies P. Licinius consul, XLIX. A un dipresso in questi giorni mede
votis in Capitolio nuncupatis, paludatus ab urbe simi il console Publio Licinio, pronunziati i voti
profectus est. Semper quidem ea res cum magna sul Campidoglio, uscì col paludamento da Roma.
dignitate ac majestate geritur; praecipue tamen È cosa che si fa sempre con grande dignità e
convertitoculos animosque, quum ad magnum maestà; ma che specialmente attrae gli occhi
nobilemque, aut virtute aut fortuna, hostem, e gli animi altrui, quando accompagnano il com
eumtem consulem prosequuntur. Contrahit enim sole, che vada contro un nemico grande e ripu
non officii modo cura, sed etiam studium specta tato o per fortuna o per virtù. Perciocchè chiama
culi, ut videant ducem suum, cujus imperio il concorso non solamente il debito dell'offizio
consilioque summam rempublicam tuendam per sità, ma eziandio la curiosità dello spettacolo,
miserunt. Subit deinde cogitatio animum, qui per vedere il loro capitano, quegli, al cui co
belli casus, quam incertus fortunae eventus, com mando e consiglio hanno affidata la cura di
munisque Mars belli sit: adversa, secunda, quae difendere la repubblica. Indi si offre al pensiero
que inscitia et temeritate ducum clades saepe ac quanti sono i casi della guerra, quanto incerto
ciderint; quae contra bona prudentia et virtus l'evento della fortuna, e la comune sorte dell'ar
attulerit. Quem scire mortalium, utrius mentis, mi, e le cose avverse e le prospere, e le ruine
utrius fortuna e consulem ad bellum mittant? spesso accadute per ignoranza e temerità dei
triumphantemnemox cum exercitu victore scan comandanti; ed all'opposto il bene, che arreca
dentem Capitolium ad eosdem deos, a quibus rono la prudenza e la virtù. Chi è quel mortale
proficiscatur, visuri; an hostibus eam praebituri che saprebbe dire qual sarà il senno, quale la
laetitiam sint? Persi autem regi, adversus quem fortuna del console che mandano alla guerra?
ibatur, famam et bellum clara Macedonum gens, Se il vedranno tra poco salire trionfante al Cam
Philippus pater, inter multa prospere gesta Ro pidoglio coll'esercito vittorioso a ringraziare gli
mano etiam nobilitatus bello, praebebat; tum stessi dei, dai quali s'era poc'anzi licenziato, o se
ipsius Persei numquam, ex quo regnum accepis sieno per dare a nemici codesta stessa letizia?
set, desitum belli exspectatione celebrari momen. Al re Perseo poi, contro il quale si andava, ag
Cum his cogitationibus omnium ordinum homi giungeva fama e la nazione de'Macedoni chiara
nes proficiscentem consulem prosecuti sunt. Duo in guerra, e Filippo il padre, tra molte altre felici
consulares tribuni militum cum eo missi, C. Clau imprese, illustratosi anche nella guerra Romana,
dius, Q. Mucius; et tres illustres juvenes, P. Len ed eziandio il nome dello stesso Perseo, il quale,
tulus, et duo Manlii Acidini. Alter M. Manlii, al da poi che prese a regnare, non avea mai cessato
ter L. Manlii filius erat. Cum iis consul Brundi di aver grido per l'aspettazione di questa guerra.
sium ad exercitum, atque inde cum omnibus Con sì fatte considerazioni accompagnarono il
copiis transvectus, ad Nymphaeum in Apollonia console al suo partire le persone di tutti gli or
ti agro posuit castra. dini. Si mandarono con lui in qualità di tribuni
de' soldati due uomini consolari, Caio Claudio e
Quinto Mucio, e tre illustri giovani, Publio Man
lio e due Manlii Acidini; l'uno figlio di Marco
Manlio, l'altro di Lucio Manlio. Con questi
recossi il console all'esercito a Brindisi, e di là,
passato con tutto l'esercito, si accampò presso
Ninfeo nel contado di Apollonia.
Livio 2 1 () e
1619 TITI LIVII LIBER XLII. 162o

L. Paucos ante dies Perseus, postguam legati L. Pochi dì innanzi Perseo, poi che i legati,
ab Roma regressi, praeciderant spem pacis, con tornati da Roma, troncata aveano ogni speranza
silium habuit. Ibi aliquamdiu diversis sententiis di pace, tenne consiglio. Vi fu per alcun poco
certatum est. Erant, quibus vel stipendium pen contrasto di opinioni. V'eran taluni, a quali
dendum, si injungeretur, vel agri parte ceden sembrava doversi pagare un tributo, se fosse
dum, simulctarent; quidquid denique aliud pacis imposto, o cedere una parte del territorio, se
causa patiendum esset, non tecusandum videre chiesto fosse; non ricusare in fine che altro fosse
tur, nec committendum, utin aleam tanti casus se da patire per conservare la pace; aversi a far sì, che
regnunque daret. « Si possessio haud ambigua egli sè e il regno suo a tanto rischio non mettesse.
regni mameret, multa diem tempusque afferre « Se gli rimanesse non contenziosa la possessione
posse, quibus non amissa modo recuperare, sed del regno, forse l'occasione ed il tempo addur
timendus ultro iis esse, quos nunc timeret, pos rebbono molte cose, per le quali potrebbe non
set. - Ceterum multo major pars ferocioris sen solamente ricuperare il perduto, ma egli stesso
tentiae erat : « Quidquid cessisset, cum eo simul metter timore in quelli, che ora temeva. " Eran
regno protinus cedendum esse, affirmabant. Ne però in numero assai maggiore quelli di un più
que enim Romanos pecunia aut agro egere: sed feroce parere. Sostenevano, « che qualunque cosa
hoc scire, quum omnia humana, tum maxima avesse ceduto, avrebbe insieme con quella dovuto
quaeque et regna et imperia sub casibus multis cedere subito il regno. Perciocchè non avean
esse. Carthaginiensium opes fregisse sese, et cer bisogno i Romani nè di denaro, nè di terre:
vicibus eorum praepotentem finitimum regem questo ben sapevano, tutte le umane cose, e spe
imposuisse: Antiochum progeniem que ejus ultra cialmente i più grandi regni ed imperi essere
juga Tauri remotum. Unum esse Macedoniae re soggetti a molte vicende. Aveano infranta la po
gnum, et regione propinquum, et quod, sicubi tenza dei Cartaginesi, e avean messo loro sul collo
populo Romano sua fortuna labet, antiquos ani un re confinante potentissimo: aveano scacciato
mos regibus suis videatur posse facere. Dum in Antioco e la sua stirpe di là del monte Tauro.
tegrae res “ apud animum suum Persea debere, C'era il solo regno della Macedonia, di situazione
utrum, singula concedendo, nudatus ad extre vicino, il quale, se per avventura traballasse la
mum opibus extorrisque regno, Samothraciam fortuna del Romano impero, pareva che avria
aliamve quam insulam petere ab Romanis, ubi potuto ridestare ne' suoi re l'antico valore. Men
privatus superstes regno suo in contemptu atque tre ancora tutto era salvo, “ dovea Perseo tra sè
inopia consenescat, malit; am, armatus vindex considerare, se preferiva, or questa cosa cedendo
fortunae dignitatisque suae, ita ut viro forti di ed ora quella, denudato infine di forze e sban
gnum sit, patiatur, quodcumque casus belli tu dito dal proprio regno, di chiedere a Romani
lerit ; aut victor liberet orbem terrarum ab im la Samotracia o qualsiasi altra isola, dove privato,
perio Romano. Non esse admirabilius Romanos sopravvivendo al suo regno, invecchiare nel dis
Graecia pelli, quam Hannibalem Italia pulsum prezzo e nell'inerzia; ovvero, difensore armato
esse. Neque, hercule, videre, qui conveniat, fra della propria fortuna e dignità, sofferire, come
tri, affectanti per injuriam regnum, summa vi conviensi ad uomo forte, checchè arrecasse la
restitisse; alienigenis bene parto eo cedere. Po sorte della guerra; o vittorioso liberare il mondo
stremo ita bello et pace quaeri, ut inter omnes dalla dominazione Romana. Non esser cosa più
conveniat, nec turpius quidquam esse, quam sine mirabile scacciare i Romani dalla Grecia, di quel
certamine cessisse regno; nec praeclarius quid che sia stato scacciare Annibale dall'Italia; nè
quam, quam pro dignitate ac majestate omnem certamente vedersi come si accordi insieme l'aver
fortunam expertum esse. » fortemente resistito al fratello, che ingiustamente
aspirava al regno, e poi, coraggiosamente con
quistatolo, cederlo agli stranieri. Finalmente tal
esser lo scopo della guerra e della pace, che tra
tutti si conviene non vi esser cosa più vergogno
sa, quanto cedere il regno senza contrasto; nè
più gloriosa, quanto cimentarsi ad ogni fortuna
per conservare la propria grandezza e maestà. »
LI. Pellae, in vetere regia Macedonum, hoc LI. Tenevasi questo consiglio in Pella, nel-.
l'antica aula dei re di Macedonia. . Facciamo
consilium erat. «Geramus ergo, inquit, diis bene
juvantibus, quando ita videtur, bellum ; - lite dunque, disse Perseo, poichè così piace, la guerra
risque circa praefectos dimissis, Citium (Macedo col favore degli dei; º e, mandate intorno lette
niae oppidum est) copias omnes contrabit. Ipse re ai prefetti, raccoglie tutte le genti a Cizio,
162 i TITI LIVII LIBER XLII. 1622

centum hostiis sacrificio regaliter Minervae, quam castello della Macedonia. Indi egli pure,sagrificate
vocant Alcidem, confecto, cum purpuratorum et con regia larghezza cento vittime a Minerva, che
satellitum manu profectus Citium est. Eo jam chiamano Alcide, accompagnato da un drappello
omnes Macedonum externorumque auxiliorum di cortigiani e di satelliti, recossi a Cizio; dove
convenerant copiae. Castra ante urbem ponit, già s'erano radunate tutte le forze de' Macedoni
omnesque armatos in campo struxit. Summa om e gli esterni aiuti. Mette il campo dinanzi alla
mium quadraginta millia armata fuere: quorum città, e schiera nella pianura tutti gli armati.
pars ferme dimidia phalangitae erant. Ilippias La somma totale fu di quaranta mille uomini;
Beroeaeus praeerat. Delecta deinde et viribus et de'quali quasi la metà erano falangiti: li coman
robore aetatis, ex omni caetratorum numero duo dava Ippia di Berea. Da tutto poscia il numero
erant agemata: hanc ipsi legionem vocabant. de' Cetrati s'erano scelti per nerbo di forza e
Praefectos habebant Leonatum et Thrasippum vigoria di età due agenati; così chiamavano
Eulvestas. Ceterorum caetratorum, trium ferme la legione. Li comandava Leonato e Trasippo di
millium hominum, dux erat Antiphilus Edessae Elimia. Degli altri cetrati, di quasi tre mille
us. Paeones, et ex Parorea et Parstrymonia uomini, era duce Antifilo Edesseo. I Peoni e
(sunt autem ea loca subiecta Thraciae), et Agria quelli di Parorea e di Parstrimonia, luoghi sog
nes, admixtis etiam Thracibus incolis, trium getti alla Tracia, e gli Agriani, frammistivi per
millium ferme et ipsi expleverunt numerum. entro anche alcuni Traci, formarono quasi il nu
Arma verat contraxeratoue eos Didas Paeon , mero di tre mille. Gli avea raccolti ed armati
qui adolescentem Demetrium occiderat. Et ar Dida di Peonia, quegli che avea ucciso il giova
matorum duo millia Gallorum erant, praefe netto Demetrio. Inoltre c'erano in arme due
cto Asclepiodoto. Ab Heraclea ex Sintiis tria mille Galli, comandati da Asclepiodoto. Tre mille
millia Thracum liberorum suum ducem habe Traci, detti Sinzii, di condizione libera, venuti
bant. Cretensium par pene numerus suos duces da Eraclea, avevano il proprio capitano. Un
sequebatur.Susum Phalasarneum et Syllum Gnos numero quasi eguale seguiva i loro duci, Suso
sium. Et Leonides Lacedaemonius quingentis ex Falasarneo e Sillo Gnossio. E Leonida Spartano
Graecia, mixto generi hominum, praeerat. Regii comandava cinquecento Greci, mescuglio di gente
is generis ferebatur; exsul, damnatus frequenti d'ogni sorta. Si diceva che fosse di sangue regio;
concilio Achaeorum, literis ad Persea deprensis. era in bando, condannato dalla piena dieta degli
Aeotolorum et Boeotorum, qui non explebant Achei, intercettate le lettere ch'egli scriveva a
plus quam quingentorum omnes numerum, Lyco Perseo. Licone Acheo comandava gli Etoli ed
Achaeus praefectus erat. Ex his mixtis tot popu i Beozii, che tra tutti non eccedevano il numero
lorum, tot gentium auxiliis, duodecim millia ar di cinquecento. Dalla mescolanza degli aiuti di
matorum ferme efficiebantur. Equitum ex tota tanti popoli e nazioni formavansi dodici mila
Macedonia contraxerattria millia. Venerateodem armati a un dipresso. Da tutta la Macedonia avea
Cotys Seuthae filius, rex gentis Odrysarum, cum messi insieme tre mille cavalli. Eravi pur venuto
mille delectis equitibus, pari ferme peditum nu Coti, figlio di Seuta, re degli Odrisii, con mille
mero. Summa totius exercitus triginta novem scelti cavalieri e con egual numero di fanti. La
millia peditum erant, quatuor equitum. Satis con somma di tutto l'esercito montava a trentanove
stabat, secundum eum exercitum, quem Magnus mille fanti e quattro mille cavalli. Era cosa certa,
Alexander in Asiam trajecit, numquam ullius che dopo quell'esercito, che Alessandro il Grande
Macedonum regis copias tantas fuisse. condusse in Asia, nessun altro re de'Macedoni
ebbe mai tante forze in piede.
LII. Sextus et vicesimus annus agebatur, ex LII. Correva l'anno vigesimo sesto, da che
quo petenti Philippo data pax erat. Per id omne s'era data la pace a Filippo, che l'avea chiesta.
tempus quieta Macedonia et progeniem ediderat, Durante tutto questo tempo la Macedonia quieta
cujus magna pars matura militiae esset, et levi avea procreata una gioventù, la maggior parte
bus bellis Thracum accolarum, quae exercerent della quale era di già matura per la milizia, ed
magis, quam fatigarent, sub assidua tamen militia in guerre leggere co Traci confinanti, le quali
fuerat; et diu meditatum Philippo primo, dein esercitavano più che non istancavano, stata era
de et Persi, Romanum bellum, omnia ut instru assiduamente sotto l'armi; ond'era avvenuto,
cta parataque essent, effecerat. Mota parumper che tutto già fosse pronto ed allestito per la guer
acies (non iusto decursu tamen ), ne stetisse tan ra contro i Romani, guerra meditata lungamente
tum in armis viderentur; armatosque, sicuterant, prima da Filippo, poscia da Perseo. Acciocchè
ad concionem vocavit. Ipse constitit in tribunali, non si dicesse che i soldati erano stati solamente
circa se habens filios duos: quorum major Phi sotto le armi, fatti lor fare alcuni movimenti,
1623 TITI LIVII LIBER XLII. 1624

lippus, natura frater, adoptione filius; minor, non però un compiuto esercizio, armati, come
quem Alexandrum vocabant, naturalis erat. Co erano, chiamolli a parlamento. Egli sedette in
hortatus est milites ad bellum : injuriam populi tribunale, avendo a lato i suoi due figliuoli; il
Romani in patrem seque commemoravit: « Il maggiore de quali, Filippo, gli era per natura
lum, omnibus indignitatibus compulsum ad re fratello, per adozione figliuolo; il minore, chia
bellandum, inter apparatum belli fato oppres mato Alessandro, era figliuolo naturale. Esortò
sum: ad se simul legatos, simul milites ad occu i soldati alla guerra, e rammentò le ingiustizie
pandas Graeciae urbes missos. Fallaci deinde col del popolo Romano verso suo padre e verso di
loquio per speciem reconciliandae pacis extra sè: « Quegli, spinto da ogni sorta di oltraggi a
ctam hiemem, ut tempus ad comparandum habe ribellarsi, tra gli apparati di guerra venne a man
rent. Consulem nunc venire cum duabus legioni care: a lui si erano spediti ambasciatori e ad
bus Romanis, quae “trecenos equites habeant, un tempo stesso soldati ad occupare le città del
et pari ferme numero sociorum peditum equi la Grecia. Indi con insidioso abboccamento, sotto
tumque. Eout accedant regum auxilia Eumenis apparenza di rannodare la pace, aveano tirato
et Masinissae, non plus septem millia peditum, innanzi tutto il verno, onde aver tempo di alle
duo equitum futura. Auditis hostium copiis, res stirsi. Ora venire il console con due legioni Ro
picerent suum ipsi exercitum, quantum numero, mane, le quali “ hanno ciascuna sei mila fanti e
quantum genere militum praestarent tironibus, trecento cavalli, ed un numero quasi eguale di
raptim ad id bellum conscriptis, ipsi, a pueris fanti e cavalli degli alleati; e come si sieno ag
eruditi artibus militiae, tot subacti atque durati giunti gli aiuti di Eumene e di Masinissa, non
bellis. Auxilia Romanis Lydos, et Phrygas, et saran questi più di sette mille fanti e due mille
Numidas esse; sibi Thracas, Gallosque, ferocissi cavalli. Inteso il numero de'nemici, guardino
mas gentium. Arma illos habere ea, quae sibi ora il loro esercito, quanto per numero e per
quisque paraverit pauper miles: Macedones prom qualità di soldati sopravanzino soldati novelli,
pta ex regio apparatu, per tot annos patris sui levati in fretta per quella guerra, essi, ch'educati
cura et impensa facta. Commeatum illis quum furono sin da fanciulli nell'arti della milizia, e
procul, tum omnibus sub casibus maritimis fore: domati ed indurati nelle guerre. Gli aiuti de Ro
se et pecuniam et frumentum, praeter reditus mani sono Lidi e Frigii e Numidi; i nostri son
metallorum, in decem annos seposuisse. Omnia, Galli e Traci, nazioni le più feroci di tutte. Han
quae deorum indulgentia, quae regia cura Prae no coloro quelle qualunque armi, che ciascun
paranda fuerant, plena cumulataque habere Ma povero soldato si provvede; i Macedoni le trag
cedonas. Animum habendum esse, quem habue gono da regii arsenali, fatte fare in tanti anni
rint majores eorum; qui, Europa omni domita, dalla cura e spesa del padre suo. Han essi le loro
transgressi in Asiam, incognitum famae aperue vettovaglie lontane e inoltre soggette a tutti i
rint armis orbem terrarum; necante vincere de rischi di mare; aveva egli messo da canto, oltre
sierint, quam Rubro mari inclusis, quod vince le rendite delle miniere, denaro e frumento per
rent, defuerit. At, hercule, nunc non de ultimis dieci anni. Tutto ciò che s'era potuto preparare
Indiae oris, sed de ipsius Macedoniae possessione dalla bontà degli dei, dall'opera diligente dei re,
certamen fortunam indixisse. Cum patre suo ge tutto tutto lo avevano i Macedoni pienamente,
rentes bellum Romanos speciosum Graeciae libe abbondantemente. Ora bisognava sfoggiare quel
randae tulisse titulum : nunc propalam Macedo coraggio che aveano avuto i lor maggiori; i quali,
miam in servitutem petere, ne rex vicinus imperio domata tutta l'Europa, passati in Asia, si aveano
sit Romano, ne gens bello nobilis arma habeat. aperto con l'armi un mondo ignoto alla fama; nè
Haec enim tradenda superbis dominis esse cum cessarono di vincere, che quando arrestati dal
rege regnoque, si absistere bello et facere impe mar Rosso mancò loro che poter vincere. Ora
rata velint, o però la fortuna gli chiama a combattere non per
le parti estreme dell'India, ma pel possesso della
stessa Macedonia. I Romani guerreggiando col di
lui padre sfoggiato aveano lo specioso titolo di
liberare la Grecia: ora palesemente minacciano
la Macedonia di servitù, acciocchè nessun re sia
vicino al Romano impero, nessuna nazione, chiara
in guerra tratti l'armi; perciocchè converrà che
le consegnino, insieme col re e col regno, a quei
superbi padroni, qualora voglian cessar dalla
guerra e piegarsi al giogo dei Romani. »
i Ga5 TITI LIVII LIBER XLII. 1626

LIII. Quum per ommem orationem satis fre LIII. Essendosi per tutto il corso dell'ora
quenti assensu succlamatum esset; tum vero ea zione udite grida frequenti di generale assenti
vociferatio, simul indignantium minitantiumque, mento, tale poi levossi allora suono alto di voci,
partim jubentium bonum animum habere regem, esprimenti ad un tempo sdegno e minacce, e
exorta est, ut finem dicendi faceret. Tantum jussis parte anche confortanti Perseo a starsi di buon
ad iter parari (jam enim dici, movere castra ab animo, ch'egli pose fine al suo dire. Licenziato
Nymphaeo Romanos), concione dimissa, ad au il parlamento, e detto solamente che si apparec
diendas legationes civitatium Macedoniae se con chiassero a partire (perciocchè già si diceva che
tulit. Venerant autem ad pecunias, pro faculta- i Romani moveano il campo da Ninfeo), si recò
tibus quaeque suis, et frumentum pollicendum ad udire le ambascerie delle città della Macedo
ad bellum. Omnibus gratiae actae, remissum om nia. Eran venute ad offerir denaro e frumento
nibus; satis regios apparatus ad ea dictum suffi per la guerra, ciascuna secondo il poter suo.
cere: vehicula tantum imperata, ut tormenta, A tutte furono rendute grazie, a tutte rimessa
telorumque missilium ingentem vim praeparatam, l'offerta; fu detto loro a ciò bastare i regii prov
bellicumque aliud instrumentum veherent Pro vedimenti: solo si ordinarono cariaggi, con cui
fectus inde toto exercitu, Eordeam petens, ad trasportare le macchine e l'immensa quantità
Begorritem, quem vocant, lacum positis castris, di saettumi già preparata, ed ogni altro bellico
postero die in Elimeam ad Haliacmona fluvium stromento. Indi partito con tutto l'esercito alla
processit. Deinde saltu angusto superatis monti volta di Eordea, accampatosi presso il lago che
bus, quos Cambunios vocant, descendit ad (Tri chiamano Begorrite, il dì seguente s'inoltrò sino
polim vocant) Azorum, Pythium, et Dolichen all'Elimea presso al fiume Aliacmone. Indi, var
incolentes. Haec tria oppida paullisper cunctata, cati per angusto passo i monti, detti Cambunii,
quia obsides Larissaeis dederant, victa tamen prae discese ad Azoro, che chiamano Tripoli, a Pitio
senti metu, in deditionem concesserunt. Benigne e Doliche. Questi tre castelli avendo alquanto
his appellatis, haud dubius Perrhaebos quoque indugiato, perchè avean dati ostaggi ai Larissei,
idem facturos, urbem, nihil cunctatis, qui incole pur vinti in fine dal presente timore, se gli ar
bant, primo adventurecipit. Cyretias oppugnare rendettero. Accolti benignamente, non dubi
coactus, primo etiam die acri concursu ad portas tando che avrebbon fatto lo stesso anche i Per
armatorum est repulsus: postero die omnibus rebii, al suo primo venire, non avendo gli abi
copiis adortus, in deditionem omnes ante noctem tanti punto indugiato, ebbe la città. Costretto
accepit. a dover combattere Cirezia, respinto eziandio
il primo giorno da vigoroso concorso di armati
alle porte, il dì seguente assalitala con tutte le
forze, prima di notte gli ebbe tutti a discre
zione.
LIV. Mylae, proximum oppidum, ita muni LIV. Quei di Mila, castello vicino, forte in
tum, utinexsuperabilis munimenti spes incolas guisa, che la speranza d'insuperabile difesa ne
ferociores faceret, non portas claudere regi satis rendea più feroci gli abitanti, non si accontenta
Habuerunt, sed probris quoque in ipsum Mace rono di chiudere le porte al re, ma scagliarono
domasque procacibus jaculati sunt. Quae res, eziandio le più insultanti villanie contro lo stesso
quum infestiorem hostem ad oppugnandum fe Perseo ed i Macedoni. Il che avendo più invipe
cisset, ipsos desperatione veniae ad tuendos sese rito il nemico nell'assalto, gli accese essi stessi
acrius accendit. Itaque per triduum ingentibus a più gagliarda difesa per la disperazione del per
utrimoue animis et oppugnatae sunt, et defensae. dono. Fu dunque Mila per tre giorni interi
Multitudo Macedonum ad subeundum in vicem combattuta e difesa col massimo vigore d'ambe
proelium haud difficulter succedebat: oppidanos, le parti. Il gran numero de' Macedoni sottentrava
diem, noctem eosdem tuentes moenia, non vul senza difficoltà a sostenere a vicenda la battaglia:
nera modo, sed etiam vigiliae et continens labor i terrazzani, dovendo sempre gli stessi difendere
conficiebat. Quarto die quum et scalae undigue dì e notte le mura, rifiniti erano non solamente
ad muros erigerentur, et porta vi majore oppu dalle ferite, ma eviandio per le veglie e la conti
gnaretur ; oppidani depulsi muris ad portam nuata fatica. Il quarto giorno, di già appostandosi
tuendam concurrunt, eruptionemdue repentinam le scale alle mura e battendosi con maggior furia
in hostes faciunt. Quae quum irae magis incon la porta, i terrazzani scacciati da quelle corrono
sultae, quam verae fiduciae virinm esset, pauci a difender questa, e fanno un'improvvisa sortita
et fessi ab integris pulsi terga dederunt, fugien contro i nemici. La quale procedendo piuttosto
tesque per patentem portam hostes acceperunt. da inconsiderato sdegno, che da vera fiducia nelle
1627 TITI LIVII LIBER XIII, 1628

Ita capta urbs ac direpta est: libera quoque cor proprie forze, essendo pochi e stanchi, respinti
pora, quae caedibus superfuerunt, venumdata. da gente intatta e fresca, voltaron le spalle, e
Diruto magna ex parte et incenso oppido profe fuggendo ricevetter dentro il nemico per la porta
ctus, ad Phalannam castra movit: inde postero spalancata. Così fu presa e messa a sacco la città:
die Gyrtonem pervenit. Quo quum T. Minucium anche le persone libere che avanzarono dalla stra
Rufum et Hippiam, Thessalorum praetorem, cum ge furono vendute. Partitosi Perseo, poi ch'ebbe
praesidio intrasse accepisset, ne tentata quidem smantellata in parte ed arsa la terra, mosse il
oppugnatione, praetergressus, Elatiam et Gon campo verso Falanna; poscia il dì seguente giunse
num, perculsis inopinato adventu oppidanis, re a Girtone. Dove avendo saputo ch'eravi entrato
cepit. Utraque oppida in faucibus sunt, quae dentro con presidio Tito Minucio Rufo ed Ippia,
Tempe adeunt; magis Gonnus. Itaque et firmio pretore de'Tessali, senza nè pur tentare di pren
re id praesidio tutum equitum peditumque, ad derlo, passato avanti s'impadronì di Elazia e di
hoc fossa triplici ac vallo munitum, reliquit. Ipse, Gonno, rimasti sopraffatti i terrazzani dall'im
ad Sycurium progressus, opperiri ibi hostium provvisa venuta. L'una e l'altra terra è posta
adventum statuit; simul et frumentari passim alle gole, che menano a Tempe; Gonno più
exercitum iubet in subjecto hostium agro: nam presso ; sì che lasciò questo difeso da maggior
que Sycurium est sub radicibus Ossae montis. numero di fanti e di cavalli, e inoltre da triplice
Qua in meridiem vergit, subjectos habet Thessa fossa e da steccato. Egli, andato innanzi a Sicu
liae campos: ab tergo Macedoniam atque Magne rio, stabilì di attender quivi il nemico: al tempo
siam. Ad has opportunitates accedit summa salu stesso ordina che l'esercito vada a foraggiare
britas et copia, pluribus circumjectis fontibus, nelle sottoposte terre de'nemici: perciocchè Si
perennium aquarum. curio è posto sotto le radici del monte Ossa.
Dalla parte del mezzodì ha sotto le pianure del
la Tessaglia, alle spalle la Macedonia e la Magne
sia. A codesta comodità si aggiunge una somma
salubrità, e, per le molte sorgenti d'intorno,
copia grande d'acque perenni.
LV. Consul Romanus, per eosdem dies Thes LV. Il console Romano a quel dì medesimi
saliam cum exercitu petens, iter expeditum pri movendosi coll'esercito verso la Tessaglia, cam
mo per Epirum habuit: deinde, postguam in minò dapprima speditamente per l'Epiro ; indi,
Athamaniam est transgressus, asperi ac prope poi che penetrò nell'Atamania, paese aspro e
invii soli, cum ingenti difficultate parvis itineri quasi intransitabile, con grande difficoltà giunse
bus aegre Gomphos pervenit. Cui si, vexatis ho stentatamente a piccole giornate a Gonfi. Al
minibus equisque, tironem exercitum ducenti acie quale, com'egli, travagliando uomini e cavalli,
instructa et loco suo et tempore obstitisset rex, conduceva genti di nuova leva, se si fosse il re
ne Romani quidem abnuunt, magna sua cum opposto a tempo e luogo coll'esercito in ordi
clade fuisse pugnaturos. Postguam Gomphos sine nanza, non negano i Romani stessi che avrebbon
certamine ventum est, praeter gaudium pericu dovuto combattere con assai loro scapito. Poi
losi saltus superati, contemptus quoque hostium, che furono giunti a Gonfi senza contrasto, all'al
adeo ignorantium opportunitates suas, accessit. legrezza di aver superato un passo tanto perico
Sacrificio rite perfecto, consul, et frumento dato loso si aggiunse anche un senso di disprezzo per
militibus, paucos ad requiem jumentorum homi un nemico che conosceva sì male i suoi vantaggi.
numque moratus dies, quum audiret vagari Ma Il console, compiuto religiosamente il sagrifizio,
cedonas effusos per Thessaliam, vastarique socio e distribuito a soldati il frumento, fermatosi po
rum agros, satis jam refectum militem ad Laris chi dì a dar riposo agli uomini ed ai cavalli,
sam ducit. Inde, quum tria millia ferme abesset udendo che i Macedoni erravano sbandati per
a Tripoli (Sceam vocant), super Peneum amnem la Tessaglia e davano il guasto alle terre degli
posuit castra. Per idem tempus Eumenes ad alleati, mena il soldato già ristorato a Larissa.
Chalcidem navibus accessit cum Attalo atque Indi, essendo discosto quasi tre miglia da Tripoli,
Athenaeo fratribus, Philetaero fratre relicto Per si accampò in un luogo detto Scea, sul fiume
gami ad tutelam regni. Inde cum Attalo et qua Peneo. Nel tempo stesso Eumene si accostò a
tuor millibus peditum, mille equitum, ad consu Calcide con le navi, co' fratelli Attalo ed Ateneo,
lem venit. Chalcide relicta duo millia peditum, lasciato l'altro fratello Filetero a Pergamo alla
quibus Athenaeus praepositus. Etalia eodem au difesa del regno. Di là venne al console con At
xilia Romanis ex omnibus undigue Graeciae po talo, e con quattro mille fanti e mille cavalli;
pulis convenerunt, quorum pleraque (adeo parva lasciati a Calcide due mille fanti sotto il comando
1629 TITI LIVII LIBER XLII. - 163o

erant) in oblivionem adducta. Apolloniatae tre di Ateneo. E colà pure vennero a Romani da
centos equites, centum pedites miserunt. Aetolo tutte le parti della Grecia altri aiuti, la maggior
rum alae unius instar, quantum in tota gente parte de' quali (erano così piccioli) caddero in
equitum erat, venerant; et Thessalorum omnis obblivione. Gli Apolloniati mandarono trecento
equitatus separatus erat. Non plus quam trecenti cavalli e cento fanti. Degli Etoli eran venuti
erant equites in castris Romanis. Achaei juven quanti cavalli c'erano in tutto il paese, formanti
tutis suae, Cretico maxime armatu, ad mille de quasi uno intero squadrone, e tutta la cavalleria
derunt. de'Tessali era qua e là sbandata. Nel campo Ro
mano non c'era più di trecento cavalli. Gli Achei
diedero a un dipresso mille de loro giovani,
armati la maggior parte alla foggia dei Cretesi.
LVI. Sub idem tempus et C. Lucretius prae LVI. A quel tempo medesimo anche il pretore
tor, qui navibus praeerat ad Cephalleniam, M. Caio Lugrezio, che comandava le navi a Cefalle
Lucretio fratre cum classe super Maleam Chal nia, ordinato avendo al fratello Marco Lugrezio,
cidem jusso petere, ipse triremem conscendit, si che oltrepassando Malea si recasse con la flotta
num Corinthium petens ad praeoccupandas in a Calcide, egli salì sopra una trireme alla volta
Boeotia res. Tardior ei navigatio propter infir del golfo di Corinto a insignorirsi primo del
mitatem corporis fuit. M. Lucretius, Chalcidem l'animo de Beozii. Ebbe tarda navigazione a
adveniens, quum a P. Lentulo Haliartum oppu motivo di mala salute. Marco Lugrezio, avendo
gnari audisset, nuncium, praetoris verbis, qui udito nell'accostarsi a Calcide, che Aliarto era
abscedere eum inde juberet, misit. Boeotorum combattuto da Publio Lentulo, gli mandò a dire
juventute, quae pars cum Romanis stabat, eam a nome del pretore, che ne partisse. Il legato che
rem aggressus legatus, a moenibus abscessit. Haec s'era messo a quella impresa con quella parte
soluta obsidio locum alteri novae obsidioni de de giovani Beozii che teneva pe Romani, si ri
dit. Namdue extemplo M. Lucretius cum exerci tirò dalle mura. Quest'assedio levato diede occa
tu navali, decem millibus armatorum, ad hoc sione ad altro nuovo assedio. Perciocchè incon
duobus millibus regiorum, qui sub Athenaeo tamente Marco Lugrezio coll'esercito navale di
erant, Haliartum circumsedit; parantibusque jam dieci mila armati, e inoltre con due mille di quelli
oppugnare, supervenit a Creusa praetor. Ad idem di Eumene comandati da Ateneo, investì Aliarto,
fere tempus et ab sociis naves Chalcidem conve e già accingendosi a combatterlo, sopravvenne da
nerunt: duae Punicae quinqueremes, duae ab Creusa il pretore. Verso quel tempo medesimo
Heraclea ex Ponto triremes, quatuor Chalcedo anche le navi degli alleati si raccolsero a Calcide;
ne, totidem Samo, tum quinque Rhodiae qua due quinqueremi Cartaginesi, due triremi da
driremes. Praetor, quia musquam erat maritimum Eraclea di Ponto, quattro da Calcedonia, altret
bellum, remisit sociis; et Q. Marcius Chalcidem tante da Samo, ed eziandio cinque quinqueremi
navibus venit, Alope capta, Larissa, quae Cre da Rodi. ll pretore, non vi essendo in nessun
maste dicitur, oppugnata. Quum hic status in luogo guerra di mare, rimise i legni agli alleati.
Boeotia esset, Perseus, quum ad Sycurium (sicut Anche Quinto Marcio venne a Calcide con le
ante dictum est) stativa haberet, frumento undi navi, presa Alope ed espugnata Larissa, che si
que circa ex agris convecto, ad vastandum agrum chiama Cremaste. Tale essendo lo stato delle cose
Pheraeorum misit; ratus ad iuvandas sociorum nella Beozia, Perseo, standosi accampato a Sicu
urbes longius ab castris abstractos deprehendi rio, come s'è detto innanzi, raccolto da ogni
Romanos posse. Quos quum eo tumultu nihil parte frumento dalle campagne, mandò a deva
motos animadvertisset, praedam quidem, prae stare il contado de Ferei, pensando che col di
terquam hominum (pecora autem maxime omnis strarre i Romani lungi dal loro campo per soc
generis fuere), divisit ad epulandum militibus, correre le città degli alleati, gli sarebbe riuscito
di sorprenderli. Se non che vedendo che non
s'erano punto mossi a quel trambusto, divise
a soldati la preda, eccetto gli uomini (erano
sopra tutto bestiami d'ogni sorte), acciocchè se
me cibassero.
LVII. Sub idem deinde tempus consilium et LVII. Dipoi, ad un tempo stesso e il console
consul et rex habuerunt, unde bellum ordiren ed il re tennero consiglio, da qual parte avessero
tur. Regis creverunt animi vastatione concessa a principiare la guerra. Al re cresciuto era l'ani
sibi ab hoste Pheraei agri. Itaque eundum inde mo per avergli il nemico lasciato devastare im
ad castra, nec dandum ultra spatium cunctandi, punemente il contado de Ferei; onde stimava
103 i TITI LIVII LIBER XLII. 1632

censebat. Et Romani censebant, cunctationem che fosse d'andar subito alla volta del loro cam
suam infamem apud socios esse, maximopere in po, nè si avesse a dargli tempo d'indugiare.
digne ferentes, non latam Pheraeis open. Con E i Romani giudicavano che il loro indugiamento
sultantibus, quid agerent (aderant autem Eume gli screditasse presso gli alleati, soffrendo essi
nes et Attalus in consilio), trepidus nuncius affert, specialmente di mal cuore, che non si fossero
hostem magno agmine adesse. Consilio dimisso, soccorsi i Ferei. Mentre consultano quel che fosse
signum extemplo datur, ut arma capiant. Inte da fare (ed erano presenti in consiglio Eumene
rim placet, ex regiis auxiliis centum equites et ed Attalo), un messo frettoloso arreca che il ne.
parem numerum jaculatorumpeditum exire. Per mico era presso con grosso esercito. Licenziato
seus hora ferme diei quarta, quum paullo plus il consiglio, si dà subito il segnale che si piglin
mille passus abesset a castris Romanis, consistere l'arme. Intanto si ordina che delle genti d'Eume
signa peditum jussit. Praegressus ipse cum equi ne escano cento cavalli e un egual numero di
tibus ac levi armatura, et Cotys cum eo ducesque arcieri a piedi. Perseo, all'ora quarta del giorno,
aliorum auxiliorum praecesserunt. Minus quin essendo discosto dal campo Romano poco più
gentos passus ab castris aberant, quum in con di mille passi, fe far alto ai fanti; ed egli spin
spectu fuere hostium equites: duae alae erant tosi innanzi colla cavalleria e cogli armati alla
magma ex parte Gallorum, (Cassignatus praeera), leggera, anche Coti insieme con lui e i capitani
et levis armaturae centum ſere et quinquaginta degli altri aiuti precedettero. Eran discosti dal
Mysi aut Cretenses. Constitit rex, incertus quan campo Romano meno di cinquecento passi, quan
tum esset hostium. Duas inde ex agmine turmas do scoprirono i cavalli nemici: erano due bande,
Thracum, duas Macedonum, cum binis Creten in gran parte di Galli, comandate da Cassignato,
sium cohortibus et Thracum, misit. Proelium, e quasi cento armati alla leggera e cinquanta
quum pares numero essent, neque ab hac aut Misii o Cretesi. Il re fermossi, incerto quanto
illa parte nova auxilia subvenirent, incerta victo fosse il numero de'nemici; poscia spiccò dal
ria finitum est. Eumenis ferme triginta interfecti; l'esercito ad incontrarli due compagnie di Traci,
inter quos Cassignatus dux Gallorum cecidit: et due di Macedoni, con due coorti di Cretesi e
tunc quidem Perseus ad Sycurium copias redu di Traci. La battaglia, essendo pari di numero,
xit. Postero die circa eamdem horam in eumdem nè succedendosi nuove forze nè dall'una parte,
locum rex copias admovit, plaustris cum aqua nè dall'altra, finì lasciando indecisa la vittoria.
sequentibus. Nam duodecim millium passuum Di quei di Eumene ne restaron morti da trenta,
via omnis sine aqua, et plurimi pulveris erat ; tra quali Cassignato, comandante de' Galli, e
affectosque siti, si primo in conspectu dimicas Perseo per allora ritrasse i suoi a Sicurio. Il dì
sent, pugnaturos fuisse apparebat. Quum Romani appresso, quasi all'ora medesima, il re accostò
quiessent, stationibus etiam intra vallum re l'esercito al luogo stesso, seguitato da carri con
ductis, regii quoque in castra redeunt Hoc per acqua; perciocchè per quasi dodici miglia tutta
aliquot dies fecerunt, sperantes fore, ut Romani la via era senz'acqua e ingombra di grandissimo
equites abeuntium novissimum agmen aggrede polverio; e si vedeva che affrontandosi di primo
rentur. Inde certamine orto, quum longius a ca incontro, avrebbono dovuto combattere trava
stris eos elicuissent, facile, ubiubi essent, se, qui gliati dalla sete. Essendo rimasti quieti i Roma
equitatu et levi armatura plus possent, conver ni, ritirate dentro lo steccato anche le poste,
suros aciem. anche le genti del re si rimettono al loro campo.
Così fecero per alquanti giorni, sperando che
nel loro partire la cavalleria Romana gli assali
rebbe alla coda, e che appiccatasi la zuffa, poi
che gli avessero tirati lungi dal campo, dovunque
fossero, avrebbon potuto facilmente, essi che più
valevano in cavalli ed in armati alla leggera,
voltar la fronte.
LVIII. Postquam inceptum non succedebat, LVIII. Non gli riuscendo il disegno, il re av
castra propius hostem movit rex, et a quinque vicinò il campo più presso al nemico, e fortificol
millibus passuum communiit. Inde, luce prima lo alla distanza di cinque miglia. Indi, sul far del
in eodem, quo solebat, loco peditum acie instru giorno, schierata nel solito luogo la fanteria, gui
cta, equitatum omnem levemque armaturam ad da tutta la cavalleria e gli armati alla leggera alla
castra hostium ducit.Visus et plurium et propior volta del campo nemico. La vista del polverio più
solito pulvis trepidationem in castris Romanis folto e più vicino del solito destò l'allarme nel
fecit. Et primo vix creditum nuncianti est, quia campo Romano, e dapprima appena si prestò fede
1633 TITI LIVII LIBER XLII. 1634

prioribus oontinuis diebus numquam ante horam all'annunzio; perciocchè in tutti i giorni antece
quartam hostis apparuerat. Tum solis ortus erat. denti non mai comparso era il nemico avanti l'ora
Deinde ut plurium clamore et cursu a portis du quarta. Allora il sole spuntava. Indi, poi che il
bitatio exempta est, tumultus ingens oboritur. dubbio fu tolto dal gridare e dal venir di molti
Tribuni praefectique et centuriones in praeto di tutto corso dalle porte, sorse grande tumul
rium; miles ad sua quisque tentoria discurrit. tuazione. I tribuni, i prefetti, i centurioni cor
Minus quingentos passus a vallo instruxerat Per rono alla tenda del comandante, i soldati ciascu
seus suos circa tumulum, quem Callicinum vo no alla sua. Avea Perseo schierata la sua gente di
cant. Laevo cornu Cotys rex praeerat cum omni stante meno di cinquecento passi dallo steccato
bus suae gentis: equitum ordines levis armatura attorno il monticello, che chiamano Callicino.
interposita distinguebat. In dextro cornu Mace All'ala dritta comandava il re Coti con tutti i
domes erant equites: intermixti turmis eorum suoi: gli armati alla leggera interposti distingue
Cretenses. Huic armaturae Milo Beroeaeus equi vano l'uno dall'altro gli ordini della cavalleria.
tibus et summae partis ejus Meno Antigonensis All'ala destra stavano i cavalli Macedoni, fram
praeerat. Proximi cornibus constiterant regii misti alle cui squadre erano i Cretesi. A questa
equites, et mixtum genus, delecta plurium gen sorta d'armatura comandava Milone Bereeo; ai
tium auxilia: Patrocles Antigonensis hic et Pae cavalli e all'intera banda Menone Antigonese.
omiae praefectus Didas erant praepositi. Me Vicini alle due ale stavano postati i cavalli del re,
dius omnium rex erat. Circa eum agema, quod e mescolatamente un corpo scelto di ausiliarii di
vocant, equitumque sacrae alae. Ante se statuit ogni nazione: erano comandati da Patrocle Anti
funditores jaculatoresque: quadringentorum ma gonese e da Dida prefetto della Peonia. Nel mez
nus utraque numerum expleverat. lonem Thes zo di tutti c'era il re. Intorno ad esso la legione
salonicensem et Timanora Dolopem iis praefecit. che chiamano a genna, e le sacre ale dei cavalieri.
Sic regii constiterant. Consul, intra vallum pedi Collocò dinanzi a sè gli arcieri e i frombolieri: gli
tum acie instructa, et ipse equitatum omnem cum uni e gli altri in numero di quattrocento. Pre
levi armatura misit. Pro vallo instructi sunt. De pose ad essi Ione di Tessalonica e Timamora di
xtro cornu praepositus C. Licinius Crassus, con Dolopia. Le genti del re s'erano in questo modo
sulis frater, cum omni Italico equitatu, velitibus piantate. Il console, schierati i fanti dentro lo
intermixtis: sinistro M. Valerius Laevinus so steccato, mandò fuori anch'esso tutta la caval
ciorum ex Graecis populis equites habebat, ejus leria con quei di leggera armatura: gli pose in
dem gentis levem armaturam. Mediam autem ordine sul davanti dello steccato. All'ala destra
aciem cum delectis equitibus extraordinariis te fu preposto Caio Licinio Crasso, fratello del con
nebat Q. Mucius. Ducenti equites Galli antesigna sole, con tutta la cavalleria Italiana, tra cui me
horum instructi, et de auxiliis Eumenis Cyrtio scolò i veliti: alla sinistra Marco Valerio Levino
rum gentis trecenti. Thessali quadringenti equi aveva i cavalli tratti dai popoli della Grecia e gli
tes parvo intervallo super laevum cornu locati. armati alla leggera della stessa nazione. Teneva
Eumenes rex Attalusque cum omni manu sua il centro Quinto Mucio con un corpo scelto di
ab tergo inter postremam aciem ac vallum ste cavalli. Davanti a questi stavano schierati due
terunt. cento cavalli della Gallia, e degli aiuti di Eume
me trecento cavalli della nazione de' Cirti. Quat
trocento cavalli Traci collocati furono a piccola
distanza, superiormente all'ala sinistra. Il re Eu
mene ed Attalo con tutta la loro banda stettero
alle spalle tra la retroguardia e lo steccato.
LIX. In hunc modum maxime instructae acies, LIX. Gli eserciti, ordinati massimamente in
par ferme utrimque numerus equitum ac levis questo modo, pari essendo a un dipresso il nu
armaturae, concurrunt, a funditoribus jacula mero de cavalli e degli armati alla leggera, ven
toribusque, qui praecesserunt, proelio orto. gono ad affrontarsi, cominciatasi la battaglia dai
Primi omnium Thraces, haud secus quam diu frombolieri e dagli arcieri, che precedettero gli
claustris retentae ferae, concitati cum ingenti altri. Primi di tutti i Traci, non altrimenti che
clamore in dextrum cornu, Italicos equites, in fiere ritenute da lungo tempo nelle chiostre, sca
currerunt; ut usu belli et ingenio impavida gens gliandosi con orrende grida, piombarono sull'ala
turbaretur. Gladiis hastas petere pedites, nunc diritta, composta di cavalleria Italiana, a segno
succidere crura equis, nunc ilia suffodere. Per di scompigliare quella gente impavida per lungo
seus, in mediam invectus aciem, Graecos pri uso di guerra e naturale intrepidezza. I fanti
Da O ini" avertit: quibus quum gravis ab spezzano le aste con le spade, ora tagliano i gar
1 o3
al V lº) a
, 635 TITI LIVII LIBER XLII. 1636

tergo instaret hostis; Thessalorum equitatus, qui retti ai cavalli, ora li feriscono al ventre. Perseo,
a laevo cornu brevi spatio disiunctus in sub lanciatosi nella schiera di mezzo, di primo im
sidiis fuerat extra concursum, primo spectator peto pose i Greci in volta; i quali avendo alle
certaminis, deinde, inclinata re, maximo usui spalle grosso peso di nemici, la cavalleria de'Tes
fuit. Cedentes enim sensim integris ordinibus, sali, la quale, per breve spazio disgiunta, rimasta
postguam se Eumenis auxiliis adjunxerunt, et era sull'ala sinistra di riserva, da prima solamente
cum eo tutum inter ordines suos receptum so spettatrice della lotta, fu di poi nel grave rischio
ciis fuga dissipatis dabant, et quum minus con di grandissima utilità. Perciocchè cedendo poco
ferti hostes instarent, progredi etiam ausi, mul a poco senza rompere gli ordini, poi che si uni
tos fugientium obvios exceperunt. Nec regii, rono colle genti di Eumene, con lui insieme da
sparsi jam ipsi passim sequendo, cum ordinatis vano sicuro ricetto tra le lor file ai compagni
et certo incedentibus gradu manus conserere au dispersi per la fuga, ed osando exiandio, come i
debant. Quum, victor equestri proelio rex par nemici allentavano, farsi innanzi, ricevettero mol
vo momento si adjuvisset, debellatum esset, op ti che si fuggivano. Nè quei del re, dispersi ad
portune adhortanti supervenit phalanx, quam inseguire da ogni parte, si arrischiavano di azzuf
sua sponte, ne audaci coepto deessent, Hippias farsi con gente ordinata, e che se ne andava con
et Leonatus raptim adduxerant, postguam pro passo certo e sicuro. Mentre sarebbesi terminata
spere pugnasse equitem acceperunt. Fluctuante la guerra, se il re Perseo, vincitore nella battaglia
rege inter spem metumque tantaerei conandae, equestre, avesse fatto un qualunque piccolo sfor
Cretensis Evander, quo ministro Delphis ad in zo, sopravvenne opportunamente, nell'atto ch'egli
sidias Eumenis regis usus erat, postquam agmen confortava i suoi, la falange che Ippia e Leonato
peditum venientium sub signis vidit, ad regem spontaneamente, per non mancare all'ardito col
accurrit, et monere institit, « ne elatus feli po, aveano in fretta condotta, come tosto seppero
citate summam rerum temere in non necessa aver le genti a cavallo prosperamente combat
riam alcam daret. Si contentus bene regesta qui tuto. Fluttuando il re, nel pensiero d'impresa sì
esset eo die, vel pacis honesta e conditionem ha ardimentosa, tra la speranza e il timore, quel
biturum, vel plurimos belli socios, qui fortunam l'Evandro Cretese, del ministero del quale s'era
sequerentur, si bellare mallet.» In hoc consilium egli servito per tessere a Delfo insidie al re Eu
pronior erat animus regis. Itaque, collaudato mene, poi che vide venir quella torma sotto le
Evandro, signa referri, peditumque agmen redi insegne carica di bagagliume, corse al re e si
re in castra jubet; equitibus receptui camere, pose ad avvertirlo, a che gonfiato dalla prosperi
tà non mettesse la somma delle cose a rischio non
necessario. Se contento di quel successo stesse
quieto tutto quel giorno, o ch'egli otterrebbe la
pace a oneste condizioni, o avrebbe, se preferisse
di guerreggiare, più e più compagni che segui
rebbono la sua fortuna. " L'animo del re pro
pendeva maggiormente a questo partito. Quindi,
lodato Evandro, ordina che si ritraggano le in
segne, che i fanti tornino al loro accampamento,
e che si suoni a raccolta pe' cavalli.
LX. Cecidere eo die ab Romanis ducenti I.X. Caddero in quel dì de Romani duecento
equites, duo millia, haud minus, peditum ; capti cavalieri e non meno di due mille fanti; e da
ferme ducenti equites. Ex regiis autem viginti duecento cavalieri rimasero prigioni. Delle genti
equites, quadraginta pedites interfecti. Postguam di Perseo restaron morti venti cavalieri e qua
rediere in castra victores, omnes quidem laeti, ranta fanti. Poi che i vincitori tornarono al loro
ante alios Thracum insolens laetitia eminebat: campo, tutti certo erano allegri; ma spiccava in
cum cantu enim superfixa capita hostium por solente sopra tutti la letizia dei Traci; percioc
tantes redierunt. Apud Romanos non moestitia chè tornaronsi cantando, portando infisse sulle
tantum ex male gesta re, sed pavor etiam erat , lance le teste de'nemici. C' era presso i Romani
ne extemplo castra hostis aggrederetur. Eume non solamente tristezza pel cattivo successo, ma
nessuadere, ut trans Peneum transferret castra; eziandio paura che immantinente il nemico non
ut pro munimento amnem haberet, dum percul assaltasse il lor campo. Eumene consigliò al con
si milites animos colligerent. Consul moveri fla sole che lo trasportasse di là dal Peneo, acciocchè
gitio timoris fatendi: victus tamen ratione, silen il fiume gli servisse di riparo insino a tanto che
tio noctis transductis copiis, castra in ulteriore i soldati sbigottiti ripigliassero animo. Pesava al
1637 TITI LIVII LIBER XLII. 1638

ripa communit. Rex, postero die ad lacessen console la vergogna di confessare il timore; non
dos proelio hostes progessus, postduam trans dimeno vinto dalla ragione, fatte passare le genti
amnem in tuto posita castra animadvertit, fate nel silenzio della notte, si fortificò sull'altra riva
batur quidem peccatum, quod pridie non insti del fiume. Il re, fattosi innanzi il dì seguente
tisset victis; sed aliquanto majorem culpam esse, a provocare i nemici a battaglia, poi che vide il
quod nocte foret cessatum. Nam ut neminem campo avversario posto in luogo sicuro di là dal
alium suorum moveret, levi armatura immissa, fiume, confessava per verità il fallo di non avere
trepidantium in transitu fluminis hostium deleri il dì innanzi inseguito i vinti; aver però fallato
magna ex parte copias potuisse, Romanis quidem assai più, standosi quieto la notte. Perciocchè,
praesens pavor demptus erat, in tuto castra ha senza muovere alcun altro de' suoi, spediti quei
bentibus: dammum intercetera praecipue famae di leggera armatura, mentre i nemici scompiglia
movebat. Et in consilio apud consulem pro se tamente passavano il fiume, se ne sarebbe potuto
quisque in Aetolos conferebant causam ; . ab iis distruggere gran parte. S'era per verità tolta in
fugae terrorisque principium ortum. Secutos pa presente la paura a Romani, accampati com'era
vorem Aetolorum et ceteros socios Graecorum
no al sicuro; ma tra l'altre cose li crucciava spe
populorum. º Quinque principes Aetolorum pri cialmente il danno della fama, e nel consiglio
mi terga vertentes conspecti dicebantur. Thessali davanti al console ognuno ne attribuiva la colpa
pro concione laudati ducesque eorum etiam vir agli Etoli: « da essi avea principiato la fuga ed il
tutis causa donati. -

terrore; anche gli altri alleati Greci avean segui


tata la paura degli Etoli. » Si diceva che s'eran
visti cinque del principali Etoli voltare primi le
spalle. I Tessali furono lodati pubblicamente, e
i loro capitani anche regalati in premio del lor
valore.
LXI. Ad regem spolia caesorum hostium re LXI. Le spoglie del nemici uccisi erano por
ferebantur. Dona ex his, aliis arma insignia, aliis tate al re. Di queste egli donava ad altri belle
equos, quibusdam captivos dono dabat. Scuta armi, ad altri cavalli, a taluno de'prigioni. C'era
erant supra mille quingenta; loricae thoracesque no più di mille cinquecento scudi; le loriche e le
mille amplius summam explebant; galearum gla corazze facevano la somma di mille e più ; e nu
diorumque et missilium omnis generis major ali mero ancora più grande di celate, spade e giavel
quanto numerus. Haec, per se ampla, pleraque lotti d'ogni sorta. Queste cose, grandi per sè
multiplicata verbis regis, quae ad concionem vo stesse, vennero eziandio fatte maggiori dalle pa
cato exercitu habuit. « Praejudicatum eventum role che il re fece all'esercito, chiamatolo a par
belli babetis. Meliorem partem hostium, equita lamento. « Avete già il presagio dell'esito della
tum Romanum, quo invictos se esse gloriaban guerra. La miglior parte de'nemici, la cavalleria
tur, fudistis. Equites enim illis principes juven. Romana, nella quale si gloriavano d'essere invin
tutis, equites seminarium senatus : indelectos in cibili, l'avete messa in rotta. I cavalieri sono il
Patrum numerum consules, inde imperatores fiore della loro gioventù, il semenzaio del lor se
creant. Horum spolia paullo ante divisimus in nato: di là son tratti i consoli assunti nel numero
ter vos. Nec minorem de legionibus peditum vi de' Padri; di là prendono i supremi comandanti.
ctoriam habetis. Quae, nocturna fuga vobis sub Le spoglie di costoro holle poc'anzi divise tra
tractae, naufragorum trepidatione passim natan voi. Nè avete ottenuta minor vittoria sopra i
tium flumen compleverunt. Sed facilius nobis fanti legionarii; i quali, scappativi di mano nella
sequentibus victos Peneum superare erit, quam fuga notturna, qua e colà per la paura riempie
illis trepidantibus fuit; transgressique extemplo rono il fiume di naufraghi notatori. Ma sarà
castra oppugnabimus, quae hodie cepissemus, mi più facile a noi varcare il fiume Peneo, inseguen
fugissent. Aut, si acie decernere volent, eumdem do i vinti, che nol fu ad essi nel loro sbigottimen
pugnae pedestris eventum exspectate, qui equi to, e appena varcatolo, assalteremo subito il loro
tum in certamine fuerit. “ Et qui vicerant ala campo che avremmo oggi preso, se non fossero
cres, spolia caesorum hostium humeris gerentes, fuggiti. O se vorran venire alle mani, aspettatevi
ante ora sua audivere, ex eo, quod acciderat, nella battaglia de'fanti il medesimo successo che
spem futuri praecipientes: et pedites, aliena glo s'ebbe in quella de cavalli. I soldati vittoriosi,
ria accensi, praecipue qui Macedonum phalan portando sugli omeri le spoglie del nemici, udi
gis erant, sibi quoque et navandae regi ope rono lietamente codeste parole, pigliando da ciò
rae, et similem gloriam ex hoste pariendi, oc ch'era avvenuto, speranza del futuro; e i fanti,
casionem optabant. Concione dimissa, postero infiammati dall'altrui gloria, quegli specialmente
1639 TITI LIVII LIBER XLII. 164o
die profectus inde ad Mopselum posuit ca ch'erano della falange de Macedoni, bramavano
stra. Tumulus hic inter Tempe et Larissam me anch'essi l'occasione di servire egualmente il re,
dius est. e riportare somigliante onore sopra i nemici.
Licenziato il parlamento, partitosi il dì seguente,
andò ad accamparsi presso Mopsio, monticello
posto nel mezzo tra Tempe e Larissa.
LXII. Romani, non abscedentes ab ripa Pe LXlI. I Romani, senza lasciar la riva del
nei, transtulerunt in locum tutiorem castra. Eo Peneo, tra portarono il campo in luogo più sicuro.
Misagenes Numida venit cum mille equitibus, Venne colà Misagene di Numidia con mille ca
pari peditum numero, ad hoc elephantis duobus valli, con egual numero di fanti, e inoltre con
et viginti. Per eos dies consilium habenti regi de ventidue elefanti. Il re, tenendo in que giorni
summa, quum jam consedisset ferocia ab re bene consiglio intorno la somma delle cose, essendosi
gesta, ausi sunt quidam amicorum consilium da già calmata alquanto quella fierezza della vittoria,
re, ut secunda fortuna in conditione honestae alcuni de' suoi cortigiani osarono dargli il consi
pacis uteretur potius, quam, spe vana e vectus, in glio che si valesse della prosperità della fortuna,
casum irrevocabilem se daret. « Modum impo piuttosto ad ottenere onesti patti di pace, che im
nere secundis rebus, nec mimis credere serenita baldanzito da vana speranza mettersi a rischio
ti praesentis fortunae, prudentis hominis et me d'irrevocabile evento. « Imporre una misura alle
rito felicis esse. Mitteret ad consulem, qui foedus cose prospere, nè troppo credere alla serenità
in easdem leges renovarent, quibus Philippus della presente fortuna, ella è cosa d'uomo pru
pater ejus pacem a T. Quintio victore accepisset. dente e meritamente felice. Mandasse al console
Neque finiri bellum magnificentius, quam a tam persone a rinnovare la lega con que patti mede
memorabili pugna; neque spem firmiorem pacis simi, co' quali Filippo suo padre avea ricevuto la
perpetuae dari, quam quae perculsos adverso proe pace da Tito Quinzio vincitore. Nè potersi finire
lio Romanos molliores factura sit ad paciscen più splendidamente la guerra, che con tanto me
dum. Quod si Romani tum quoque insita per morabile combattimento; nè offerirsi più ferma
tinacia aequa aspernarentur, deos hominesque speranza di pace, quanto in presente che i Ro
et moderationis Persei, et illorum pervicacis su mani, percossi dalla rotta avuta, debbon essersi
perbiae futuros testes. » Numquam ab talibus fatti più dolci a patteggiare. Che se i Romani an
consiliis abborrebat regis animus. Itaque plurium che adesso, per la loro innata pertinacia ricusas
assensu comprobata est sententia. Legati, ad sero di aderire a patti onesti, gli dei e gli uomini
consulem missi, adhibito frequenti consilio, au sarebbono testimonii della moderazione di Perseo
diti sunt. « Pacem petere, vectigal, quantum Phi e della superbia loro pervicace. » Non era mai
lippus pactus esset, daturum Persea Romanis l'animo del re alieno da così fatti consigli; quindi
pollicentes. Urbibus, agris, locisque, quibus Phi il parere fu dalla maggior parte approvato. Gli
lippus cessisset, cessurum primum. Haec legati. ambasciatori spediti al console furono ascoltati in
Submotis his, quum consultarent, Romana con pieno consiglio. « Chiedevano la pace, promet
stantia vicit in consilio. Ita tum mos erat, in tendo che Perseo darebbe a Romani lo stesso tri
adversis vultum secundae fortunae gerere, mo buto, ch'era stato pattuito da Filippo, e che ce
derari animos in secundis. Responderi placuit, derebbe le città ei territori e paesi, che Filippo
« Ita pacem dari, si de summa rerum liberum avea ceduti. " Così gli ambasciatori. Fattili riti
senatui permittat rex de se deque universa Ma rare, messa la cosa in consulta vinse nel consiglio
cedonia statuendi jus. » Haec quum renuncias la Romana costanza. Era costume d' allora nelle
sent legati, miraculo ignaris moris pertinacia cose avverse mostrare il viso della prospera for
Romanorum esse; et plerique vetare, amplius tuna, usare nelle prospere moderazione. Piacque
mentionem pacis facere. Ultro mox quaesituros, che fosse risposto: « Concedersi la pace, se il re
quod oblatum fastidiant. Perseus hanc ipsam su lasciasse al senato il pieno arbitrio di disporre di
perbiam, quippe ex fiducia virium esse, timere: lui e di tutta la Macedonia. - ll che avendo rap
et summam pecuniae augens, si pretio pacem portato gli ambasciatori, la pertinacia de' Roma
emere posset, non destitit animum consulis ten mi parve cosa maravigliosa a gente ignara del lor
tare. Postguam nihil ex eo, quod primo respon costume, ei più volevano che non si parlasse altro
derat, mutabat, desperata pace, ad Sycurium, di pace: verrebbero essi stessi tra poco a chiedere
unde profectus erat, rediit, belli casum de inte ciò che ora offerto rigettano. Perseo però paven
gro tentaturus. tava questa stessa superbia, come quella che na
sceva in loro dalla fiducia delle proprie forze,
e non cessò di tentar l'animo del console, se
1641 TITI LIVII LIBER XLII. 1642

accrescendo le offerte di denaro eomperar potesse


la pace. Disperando di conseguirla, poi che il
console niente mutava della sua prima risposta,
tornò a Sicurio, dond'era partito, determinato
di tentar di nuovo la sorte della guerra.
LXIII. Fama equestris pugnae, vulgata per LXIII. La fama di codesta battaglia equestre,
Graeciam, nudavit voluntates hominum. Non divolgatasi per la Grecia, snudò i sentimenti di
enim solum, qui partis Macedonum erant, sed ognuno. Perciocchè non solamente quelli ch'era
plerique, ingentibus Romanorum obligati bene no del partito de' Macedoni, ma parecchi, obbli
ficiis, quidam vim superbiamoue experti, laeti gati dai Romani con grandissimi benefizii, alcuni
eam famam accepere; non ob aliam causam, quam eziandio che avean provato la violenza e l'alteri
pravo studio, quo etiam in certaminibus ludi gia di Perseo, udirono lietamente tal novella;
cris vulgus utitur deteriori atque infirmiori fa non per altra ragione, che per quella prava incli
vendo. Eodem tempore in Boeotia summa vi Ha nazione che porta il volgo, anche negli spettacoli
liartum Lucretius praetor oppugnarat et quam e giuochi, a favoreggiare il più tristo ed il più
quam nec habebant externa auxilia obsessi, prae debole. In quel tempo medesimo nella Beozia
ter Coronaeorum juniores, qui prima obsidione il pretore Lugrezio combatteva gagliardamente
moenia intraverant, neque sperabant; tamen ipsi Aliarto, e quantunque gli assediati non avessero
animis magis, quam viribus, resistebant. Nam et aiuti forestieri, eccetto parecchi giovani Coronei
eruptiones in opera crebro faciebant; et arietem entrati in città sul principio dell'assedio, nè spe
admotum, libramento plumbi gravatum, ad ter rassero soccorso, nondimeno resistevano più col
ram urgebant: et, si qua declinarent, qui age coraggio, che con le forze. Perciocchè faceano
bant, ictum, pro diruto muro novum tumultua frequenti sortite contro i lavori, ed aggravando
rio opere, raptim ex ipsa ruinae strage congestis con grosso contrappeso di piombo l'ariete, co
saxis, exstruebant. Quum operibus oppugnatio m'ei si accostava alle mura, il ribattevano contro
lentior esset, scalas per manipulos dividi praetor terra: e se anche riusciva a quelli che lo scaglia
jussit, ut corona undidue moenia aggressurus; eo vano, di declinare il colpo, in luogo del muro
magis suffecturam ad id multitudinem ratus, diroccato subito con tumultuario lavoro ne rifa
quod, qua parte palus urbem cingit, nec atti cevano un altro nuovo co' sassi tratti dalla mina
nebat oppugnari, nec poterat. Ipse ab ea parte, medesima. Procedendo alquanto lento l'assedio
qua duae turres, quoddue inter eas muri proru con le sole opere, ordinò il pretore che si distri
tum fuerat, duo millia militum delectorum ad buissero le scale per le compagnie, onde assaltar
movit; uteodem tempore, quo ipse transcende le mura d'ogni intorno, stimando che il numero
re ruinas comaretur, concursu adversus se oppi de' suoi tanto più basterebbe all'uopo, quanto
danorum facto, scalis vacua defensoribus moenia che dalla parte, dove la palude cinge la città, nè
capi parte aliqua possent. Haud segniter oppida importava, nè si poteva combatterla. Quindi ſe'
ni vim ejus arcere parant: nam super stratum accostare due mila soldati scelti a quella parte,
ruinis locum, fascibus aridis sarmentorum inje dove c'erano due torri e il muro tra quelle di
ctis, stantes cum ardentibus facibus accensuros roccato; acciocchè nel tempo stesso, in cui ten
ea se saepe minabantur, ut, incendio intersepti terebbe egli di valicar le ruine, accorrendo i ter
ab hoste, spatium ab objiciendum interiorem razzani a fargli fronte, si potesse da qualche altra
murum haberent. Quod inceptum eorum fors banda con le scale prender le mura, vote di di
impediit. Nam tantus repente effusus est imber, fensori. Mettonsi vigorosamente i terrazzani a re
ut nec accendi facile patrretur, et exstingueret spingere la forza. Perciocchè, gittati parecchi fasci
accensa. Itaque et transitus per distracta fuman di aridi sarmenti sopra il luogo ingombro di rui
tia virgulta patuit; et, in unius loci praesidium ne, stando lì con fiaccole accese, minacciavano ad
omnibus versis, moenia quoque pluribus simul ogni tratto di appiccarvi il fuoco, onde aver tem
partibus scalis capiuntur. In primo tumultu ca po, divisi per l'incendio dal nemico, di rilevar
ptae urbis seniores impubesque, quos casus ob altro muro di dentro. Un accidente impedì questo
vios obtulit, passim caesi; armati in arcem con loro disegno; perciocchè cadde all'improvviso
fugerunt ; et postero die, quum spei nihil super sì dirotta pioggia dal cielo, che nè lasciò accen
esset, deditione facta, sub corona venierunt. dere i sarmenti facilmeute, e spense gli accesi.
Fuerunt autemt duo millia ferme et quiugenti. Quindi rimase aperto il transito per mezzo a fu
Ornamenta urbis, statuae et tabulae pictae, et manti virgulti disseminati ; e mentre tutti son
quidquid pretiosae praedae fuit, ad naves de volti a difendere un luogo solo, le mura son
latum: urbs diruta a fundamentis, Inde Thebas prese a un tempo stesso in più luoghi. Nella prima
1643 TITI LIVII LIBER XLII. 1644
ductus exercitus: quibus sine certamine receptis, furia del prendere la città, vecchi e fanciulli,
urbem tradidit exsulibus, et qui Romanorum come il caso gli offeriva, furono tutti indistinta
partis erant: adversae factionis hominum, fauto mente uccisi; gli armati fuggirono alla rocca, e
rumque regis ac Macedonum familias sub corona il dì appresso, non rimanendo altra speranza, ar
vendidit. His gestis in Boeotia, ad mare ac naves rendutisi, furono venduti all'incanto. Erano da
rediit. due mille cinquecento. Gli ornamenti della città,
le statue e le pitture, e quanto s'ebbe di preda
preziosa, tutto fu portato alle navi; la città fu
smantellata dai fondamenti. Indi l'esercito fu
menato a Tebe; occupata la quale senza con
trasto, il console consegnolla ai fuorusciti e a
quelli che tenevano pe Romani, e vendette all'in
canto le famiglie della fazione contraria e dei
fautori del re e de Macedoni. Fatte queste cose
in Beozia, tornarono al mare ed alle navi.
LXIV. Quum haec in Boeotiagererentur, Per LXIV. Mentre facevansi codeste cose in Beo
seus ad Sycurium stativa dierum aliquot habuit. zia, Perseo stettesi acquartierato alquanti giorni
Ubi quum audisset, raptim Romanos circa ex a Sicurio. Dove udito avendo che i Romani tras
agris demessum frumentum convehere, deinde portan via dai campi frettolosamente il frumento
ante sua quemque tentoria spicas fascibus dese mietuto, e che indi tagliando ognuno davanti alla
cantem, quo purius frumentum tereret, ingentes sua tenda le spiche da fasci, onde avere il grano
acervos per tota castra stramentorum fecisse; puro, avean fatto per tutto il lor campo immensi
ratus incendio opportuna esse, facestaedamque monti di strami, stimando che darebbono oppor
et malleolos stuppae illitos pice parari iubet, tunità d'incendio, fa preparar facelle, e torcie e
atque ita media nocte profectus, ut prima luce malleoli con stoppa impiastrata di pece; e così di
aggressus falleret. Nequidquam: primae stationes mezzanotte si parte, onde assaltarli impensata
oppressae tumultu ac terrore suo ceteros excive mente sul far del giorno. La cosa non gli riuscì.
runt, signumque datum est arma extemplo ca Le prime porte, soperchiate dal romore e dallo
piendi; simulque in vallo, ad portas, miles instru spavento, destarono gli altri: fu dato subito il
ctus erat, et intentus propugnationi castrorum. segno di pigliar l'armi; il soldato si pose subito
Perseus et extemplo circumegit aciem, et prima all'ordine dentro lo steccato, alle porte e alla di
impedimenta ire, deinde peditum signa ferri jus fesa del campo. Perseo immantinente fe dar di
sit. Ipse cum equitatu et levi armatura substitit volta alla sua gente, e mandò innanzi prima i
ad agmen cogendum; ratus, id quod accidit, in carriaggi, poscia i fanti; egli con la cavalleria e la
secuturos ad extrema ab tergo carpenda hostes. leggera armatura si fermò a chiudere la schiera,
Breve certamen levisarmaturae maxime cum pro giudicando, come avvenne, che i nemici l'avreb
cursatoribus fuit: equites peditesque sine tumul bono inseguita, onde morderne le spalle. Fu bre
tu in castra redierunt. Demessis circa segetibus, ve la zuffa, specialmente della leggera armatura
Romani ad Cramonium intactum agrum castra con coloro che le corsero addosso: i cavalli ed i
movent. Ibi quum securi, et propter castrorum fanti senza disordine tornarono a loro alloggia
longinguitatem, et viae inopis aquarum difficul menti. Mietute intorno le biade, i Romani muo
tatem, quae inter Sycurium et Cranona est, sta vono il campo verso il contado Cramonio non
tiva haberent; repente prima luce in imminentibus ancor tocco. Essendosi acquartierati quivi, sicuri
tumulis equitatus regius cum levi armatura visus e per la lontananza dal campo nemico e per la
ingentem tumultum fecit. Pridie per meridiem difficoltà della via, povera d'acque tra Cranona
profecti ab Sycurio erant: peditum agmen sub e Sicurio, all'improvviso sul far del giorno, la
lucem reliquerant in proxima planitie. Stetit cavalleria del re cogli armati alla leggera, mo
paullisper in tumulis, elici posse ratus ad equestre stratasi sui colli soprastanti, destò grande scom
certamen Romanos.Qui postguam nihil movebant, pigliamento. Erano partiti da Sicurio il giorno
equitem mittit, qui pedites referre ad Sycurium innanzi sul mezzodì, avean lasciata sull'albeg
signa juberet; ipse mox insecutus. Romani equites, giare la fanteria nella pianura vicina. Fermossi il
modico intervallo sequentes, sicubi sparsos ac re alcun poco sui colli, stimando di poter trarre
dissipatos invadere possent, postduam confertos a battaglia equestre i Romani; i quali però non
abire, signa atque ordines servantes, viderunt, et movendosi, spicca egli un cavaliere con ordine
ipsi in castra redeunt. a fanti che ritornino a Sicurio, e da lì a poco esso
pure li seguitò. La cavalleria Romana, seguen
1645 a - TITI LIVII LIBER XLII. 164G
doli a poca distanza, se mai potesse sparsi e sban
dati investirli, poi che gli vide andar raccolti,
conservando l'ordinanza, anch'essa tornossi ai
suoi accampamenti.
LXV. Inde, offensus longinquitate itineris, rex LXV. Indi, noiato dalla lunghezza del cam
ad Mopsium castra movit ; et Romani, demessis mino, Perseo mosse il campo verso Mopsio; e i
Cranonissegetibus, in Phalannaeeum agrum trans Romani, mietute le biade di Cranona, passano
eumt. lbi quum ex transfuga cognossetrex, sine al contado Falanneo. Quivi avendo il re inteso da
ullo armato praesidio passim vagantes per agros un disertore che i Romani senza nessuna scorta
Romanos metere, cum mille equitibus, duobus armata andavano qua e là vagando per le cam
millibus Thracum et Cretensium profectus,quum, pagne, mietendo i frumenti, partitosi con mille
quantum accelerare poterat, effuso agmine issent, cavalli e due mila Traci e Cretesi, marciando con
improviso aggressus est Romanos.Juncta vehicula, quanta potè maggiore celerità, piombò improv
pleraque onusta, mille admodum capiuntur, sex visamente addosso ai Romani. Prendonsi da mille
centi ferme homines. Praedam custodiendam carri aggiogati, la maggior parte carichi, e quasi
ducendamque in castra trecentis Cretensium de seicento uomini. Consegnò la preda a duecento
dit. Ipse, revocato ab effusa caede equite et reli Cretesi da custodirla e menarla al campo: egli,
quis peditum, ducit ad proximum praesidium, richiamata la cavalleria ed il restante dei fanti
ratus haud magno certamine opprimi posse. L. dall'inseguire ed uccidere, li conduce ad assaltar
Pompejus tribunus militum praeerat, qui perculsos la guardia più vicina, stimando poterla opprime
milites repentino hostium adventu in propinquum re con non grande contrasto. La comandava Lucio
tumulum recepit, loci se praesidio, quia numero et Pompeio, tribuno de soldati, il quale ritrasse sul
viribus impar erat, defensurus. Ibi quum in or vicin poggio i suoi sbigottiti dall'improvvisa ve
bem milites coegisset, ut densatis scutis ab jactu nuta de'nemici, risoluto di difendersi col vantag
sagittarum et jaculorum sese tuerentur, Perseus, gio del sito, poi ch'era inferiore di numero e di
circumdato armatis tumulo, alios ascensum un forze. Avendo quivi raccolti i soldati in cerchio,
dique tentare jubet, et cominus proelium conse acciocchè serrati insieme gli scudi si coprissero
rere, alios eminus tela ingerere. Anceps Romanos dal getto delle frecce e dei giavellotti, Perseo,
terror circumstabat: nam neque conferti pugnare circondato il poggio di armati, ordina ad altri
propter eos, qui ascendere in tumulum cona che tentino da ogni parte di salire, ad altri che
bantur, poterant; et, ubi ordines procursando scaglino dardi da lontano. Doppio timore angu
solvissent, patebant jaculis sagittisve : maxime stiava i Romani; perciocchè nè potevano serrati
cestrosphendonis vulnerabantur. Hoc illo bello insieme combattere a motivo di quelli che tenta
novum genus teli inventum est. Bipalme spicu vano di salire, e dove per correre incontro al ne.
lum hastili semicubitali infixum erat, crassitudine mico sciolta avessero l'ordinanza, aprivano ii
digiti: huic ad libramen pinnae tres, velut sagit varco ai dardi e giavellotti. Eran feriti special
tis solent, circumdabantur: funda media duo mente dai cestrosfendoni, nuova foggia di giavel
funalia imparia habebat. Quum majori sinu libra lotti inventata in questa guerra. Un ferro aguz
tum funditor habena rotaret, excussum, velut zo, della lunghezza di due palmi era fitto ad
glans, emicabat. Quum et hoc, et alio omni ge un'asta lunga mezzo cubito, grosso un dito: a li
nere telorum, pars vulnerata militum esset, nec brarne il volo, se gli mettevano intorno tre pinne,
facile jam arma fessi sustinerent, instare rex, ut come si usa alle frecce ; la fionda nel mezzo aveva
dederent se, fidem dare, praemia interdum polli due corregge diseguali; e rotando il fromboliere
ceri; nec cujusquam ad deditionem flectebatur con grande volta la correggia maggiore, il dardo,
animus ; quum ex insperato jam obstinatis mori quasi palla, ratto partiva come lampo. Essendo
spes affulsit. Nam quum ex frumentatoribus refu da questa e da ogni altra foggia di giavellotti
gientes quidam in castra nunciassent consuli, cir ferita la maggior parte dei soldati e rifiniti,
cumsideri praesidium; motus periculo tot civium a mala pena reggendo l'armi, il re instava chesi
{nam octingenti ferme, et omnes Romani erant) arrendessero, impegnava la sua fede, talora ezian
cum equitatu ac levi armatura (accesserant nova dio prometteva premii; pur nessuno si piegava
auxilia, Numidae pedites equitesque et elephanti) ad arrendersi; quando, già ostinati a morire, ba
castris egreditur, et tribunismilitum imperat, ut lenò agli occhi loro inaspettata speranza. Per
1egionum signa sequantur. Ipse, velitibus ad fir ciocchè alcuni di coloro, ch'erano andati a forag
manda levium armorum auxilia adjectis, ad tu gio, rifuggitisi al campo, rapportato avendo al
mulum praecedit. Consulis laterategunt Eumenes, console che quella posta circondata era dal ne
Attalus, et Misagenes, regulus Numidarum. mico, mosso egli dal pericolo di tanti cittadini
1647 TITI LIVII LIBER XLII. 1648
(ch'erano quasi ottocento, e tutti Romani), esce
dal campo con la cavalleria e gli armati alla leg
gera (se gli erano aggiunti nuovi aiuti, i fanti ed
i cavalli Numidi e i loro elefanti), ed ordina ai
tribuni de'soldati che il vengano seguendo le
legioni. Egli, aggiunti i veliti a rinforzare la leg
gera armatura, si fa innanzi alla volta del poggio.
Gli sono a fianco Eumene, Attalo, e Misagene,
principe de'Numidi.
LXVI. Quum in conspectu prima signa suo LXVI. Quando si offersero agli occhi degli
rum circumsessis fuerunt, Romanis quidem ab assediati le prime insegne dei suoi, riebbesi l'ani
ultima desperatione recreatus est animus: Per mo de' Romani dall'ultima disperazione: Perseo,
seus, cui primum omnium fuerat, ut contentus la cui prima intenzione era stata di non perdere
fortuito successu, captis aliquot frumentatoribus il tempo nell'assediar quel presidio, pago di un
occisisque, non tereret tempus in obsidione prae successo fortuito, prendendo ed uccidendo al
sidii; secundum, ea quoque tentata utcumque, quanti foraggiatori; e per secondo, fatto quel
quum sciret nihil roboris secum esse, dum lice qualunque tentativo, sapendo di aver con seco
ret intacto abire; et ipse hostium adventum, pochissime forze, di andarsene, finchè il poteva,
elatus successu, mansit, et, qui phalangem arces non tocco; pure inanimito dal buon evento ri
serent, propere misit. Qua et serius, quam res mase ad attendere il nemico, e mandò in fretta
postulabat, et raptim acta, turbati cursu adversus a chiamare la falange. Se non che mossasi la me
instructos et praeparatos erant adventuri. Consul desima più tardi che occorreva, e cacciata in tutta
anteveniens extemplo proelium conseruit. Primo fretta, doveva giungere scompigliata dalla corsa
resistere Macedones; deinde, ut nulla re pares ad affrontarnemici ordinati e preparati. Il console,
erant, amissis trecentis peditibus, viginti quatuor venuto primo, appiccò subito la battaglia. Da
primoribus equitum ex ala, quam Sacram vocant, principio i Macedoni resistevano; indi, non es
inter quos Antimachusetiam praefectus alae ce sendo pari in nessuna cosa, perduti trecento fanti
cidit, abire conantur. Ceterum iter prope ipso e venti del principali cavalieri dell'ala, che chia
proelio tumultuosius fuit. Phalanx, abs trepido mano Sacra, tra quali cadde anche Antimaco, che
nuncio accita, quum raptim duceretur, primo in la comandava, tentano di ritirarsi. Se non che l'an
angustiis captivorum agmini oblata vehiculisque dare fu quasi più tumultuoso, che il combattere.
frumento onustis. Iis caesis, ingens ibi vexatio La falange, da pressante messo chiamata, venen
partis utriusque fuit, nullo exspectante, utcum do a tutta furia, da prima s'imbattè in sito an
que explicaretur agmen, sed armatis detrudenti gusto nello stuolo dè prigioni e ne carri carichi
bus per praeceps impedimenta (neque enim ali di frumento. Tagliati a pezzi quelli, fu quivi
ter via aperiri poterat), jumentis, quum stimu grande il travaglio dall'una parte e dall'altra,
larentur, in turba saevientibus. Vix ab incondito nessuno aspettando che per qual si fosse modo
agmine captivorum expedierant sese, quum re l'affollamento si disbrogliasse, ma gli armati giù
gio agmini perculsisque equitibus occurrunt. rovesciando a precipizio gl'impedimenti (chè
Ibi vero clamor jubentium referre signa ruinae non c'era altro mezzo di farsi strada) e le bestie,
quoque prope similem trepidationem fecit ; ut, irritate dagli stimoli, inferocendo contro la tur
si hostes, introire angustias ausi, longius inse ba. Non si erano ancora sbarazzati dalla tumul
cuti essent, magna clades accipi potuerit. Con tuaria folla del prigioni, quando si abbattono
sul, recepto ex tumulo praesidio, contentus nella squadra regia e nella sbigottita cavalleria.
modico successu, in castra copias reduxit. Sunt Quivi poi le voci di chi gridava che dessero volta,
qui eo die magno proelio pugnatum auctores fecero uno scompigliamento quasi simile a rovi
sint: octo millia hostium caesa, in his Sopatrum mio; in guisa tale, che se i nemici, osando entrare
et Antipatrum regios duces; vivos captos circi in quella strettezza, gli avessero inseguiti più
ter duo millia octingentos, signa militaria capta oltre, si sarebbe potuto ricevere gran danno.
viginti septem. Nec incruentam victoriam fuis Il console, ritratto il presidio dal poggio, pago
se: supra quatuor millia et trecentos de exercitu del piccolo successo, ricondusse le sue genti al
consulis cecidisse: signa sinistrae alae quinque campo. Evvi chi scrive essersi data in quel giorno
alnlSSa. grande battaglia, ed esservi morti otto milane
mici, tra questi Sopatro e Antipatro, capitani
regii; presine vivi da circa due mila ottocento
con ventisette bandiere; nè aver costato la vittoria
1649 TITI LIVII LIBER XLII. 165o

poco sangue: dell'esercito del console esser periti


oltre quattro mila e trecento soldati, e perdute
dell'ala sinistra cinque bandiere.
LXVII. Hic dies et Romanis refecit animos, LXVII. Questa giornata ristorò l'animo dei
et Persea perculit, ut, dies paucos ad Mopsleum Romani e percosse quello di Perseo a segno, che
moratus, sepulturae maxime militum amissorum fermatosi pochi dì a Mopselo,specialmente per dar
cura, praesidio satis valido ad Gonnum relicto, sepoltura ai soldati perduti, lasciato a Gonno un
in Macedoniam reciperet copias. Timotheum presidio forte abbastanza, ritrasse le sue genti in
quemdam ex regiis praefectis cum modica manu Macedonia. Lasciò certo Timoteo, uno de' regii
relinquit ad Philan, jussum Magnetas et propin prefetti, con piccola banda a Fila, con ordine di
quos tentare. Quum Pellam venisset, exercitu in tentare i Magneti e i popoli vicini. Come fu ve
hiberna dimisso, ipse cum Cotye Thessalonicam nuto a Pella, messo l'esercito a quartieri d'in
est profectus. Eo fama affertur, Atlesbim regu verno, egli n'andò con Coti a Tessalonica. Colà
lum Thracum, et Corragum Eumenis praefectum, venne la nuova che Atlesbi, piccolo re de'Traci,
in Coty is ſines impetum fecisse, et regionem, e Corrago capitano di Eumene aveano assaltato
Marencn quam vocant, cepisse. ltaque, dimitten il territorio di Coti e preso il paese che chiamano
dum Cotyn ad sua tuenda ratus, magnis profici Marene. Quindi il console stimando di lasciare
scentem donis prosequitur. Ducenta talenta, se andar Coti a difendere le cose sue, lo accompa
mestre stipendium, equitatui numerat, quum gna nel suo partire con molti doni. Fa numerare
primo annuum dare constituisset. Consul, post alla di lui cavalleria duecento talenti per la paga
quam profectum Persea audivit, ad Gonnum ca di sei mesi, quando prima gli avea stabilita quella
stra movet, si potiri oppido posset. Ante ipsa somma per un anno intero. Il console, com'ebbe
Tempe in faucibus situm, Macedoniae claustra udita la partenza di Perseo, si move alla volta di
tutissima praebet, et in Thessaliam opportunum Gonno, se potesse a caso impadronirsene. Posto
Macedonibus decursum. Quum et loco et praesi questo castello nella gola ch'è dirimpetto alla
dio valido inexpugnabilis res esset, abstitit ince stessa Tempe, porge alla Macedonia securissima
pto. In Perrhaebiam flexis itineribus, Malloea bastia, ed ai Macedoni opportunità di scorrere
primo impetu capta ac direpta, Tripoli aliaque nella Tessaglia. Essendo fortezza inespugnabile
Perrhaebia recepta, Larissam rediit. Inde Eume pel sito e pel forte presidio, lasciò l'impresa.
ne atque Attalo domum remissis, Misagenem Nu Piegato il cammino verso la Perrebia, presa di
midasque in hiberna in proximis Thessalis urbi primo impeto e saccheggiata Mallea, insignoritosi
bus distribuit; et partem exercitus ita per totam di Tripoli e dell'altra Perrebia, tornò a Larissa.
Thessaliam divisit, ut et hiberna commoda omnes Là rimandati a casa Eumene ed Attalo, distribuì
haberent, et praesidio urbibus essent. Q. Mucium Misagene ed i Numidi nelle città vicine della Tes
legatum cum duobus millibus ad obtimendam saglia a quartieri d'inverno, e divise in sì fatto
Ambraciam misit. Graecarum civitatium socios modo parte dell'esercito per tutta la Tessaglia,
omnes praeter Achaeos dimisit. Cum exercitus che tutti avessero comodi alloggiamenti e fossero
parte profectus in Achajam Phthiotim, Pteleum di presidio alle città. Spedì il legato Quinto Mucio
desertum fuga oppidanorum diruit a fundamen con due mila soldati ad occupare Ambracia.
tis, Antrona voluntate colentium recepit. Ad La Licenziò tutte le genti alleate delle città greche,
rissam deinde exercitum admovit. Urbs deserta eccetto gli Achei. Passato con parte dell'esercito
erat; in arcem omnis multitudo concesserat; eam a Ftiotide nell'Acaia, smantellò da' fondamenti
oppugnare aggreditur. Primi omnium Macedo Pteleo, rimasto vòto per la fuga de terrazzani,
nes, regium praesidium, metu excesserant: a qui ed ebbe Antrona per consentimento degli abitan
bus relicti oppidani in deditionem extemplo ve ti. Indi accostò l'esercito a Larissa. La città era
niunt. Dubitari inde, utrum Demetrias prius ag stata abbandonata; tutta la moltitudine ritirata
gredienda foret, an in Boeotia aspiciendae res. s'era nella rocca: egli si mette a combatterla.
Thebani, vexantibus eos Coronaeis, in Boeotiam Primi di tutti i Macedoni, presidio messovi dal
arcessebant. Ad horum preces, quia hibernis re, n'eran partiti per paura; i terrazzani abban
aptior regio, quan Magnesia erat, in Boeotiam donati incontamente si arrendono. Di poi sorse
duxit. dubbio, se fosse prima da investire Demetriade,
o da vedere come fossero le cose nella Beozia.
I Tebani, vessati dai Coronei, li chiamavano in
Beozia. Il console a prieghi loro, perchè il paese
era più acconcio a svernare, che la Magnesia,
condusse l'esercito colà.
Livius 1 o4
TITI LIVII PATAVINI

H I S T O R I A R U MI
AB URBE CONDITA LIBRI

-tº 333

EPITOMIE

LIBRI QUADRAGESIMI TERTII

Pastore, aliquot, eo quod avare et crudeliter pro Aicani pretori sono condannati per aver amministra
vincias administrassent, damnati sunt. P. Licinius te le lor province con avarizia e crudeltà. Il procon
Crassus proconsul complures in Graecia urbes expu sole Publio Licinio Crasso espugnò parecchie città
gnavit, et crudeliter diripuit. Ob id captivi, qui abeo nella Grecia e saccheggiolle barbaramente: ond'è,
sub corona venierant, ex senatusconsulto postea resti che i prigioni, ch'egli avea venduti all'incanto, per
tuti sunt. Item a praefectis classium Romanorum decreto del senato furono rimessi in libertà. Anche i
multa impotenter in socios facta. Res praeterea a capitani delle flotte Romane molte violenze usarono
Perseo rege in Thracia prospere gestas continet, victis contro i popoli alleati. Il libro inoltre contiene i suc
Dardanis et Illyrico, cujus rex erat Gentius. Motus, cessi prosperi del re Perseo nella Tracia, vinti i Dar
gui in Hispania ab Olonico factus erat, ipso interempto dani e la nazione Illirica, di cui era Genzio re. I mo
consedit. M. Aemilius Lepidus a censoribus princeps in vimenti che Olonico avea destati nella Spagna, morto
senatu lectus. lui, si acquetarono. I censori eleggono Marco Emilio
Lepido a principe del senato.
TITI LIVII

LIBER QUADR A GESIMUS TERTIUS

- –sº (983

I. (Anno U. C. 581. – A. C. 171.) Eaden I. (Anni D. R. 581. – A. C. 171.) In quella


aestate, qua in Thessalia equestri pugna vicere state istessa, nella quale i Romani furono vinci
Romani, legatus in Illyricum a consule missus, tori nella pugna equestre, il legato (Quinto Mu
opulenta duo oppida vi atque armis coegit in cio), spedito dal console nell'Illirico, costrinse
deditionem ; omniaque iis sua concessit, ut opi con la forza dell'armi due città ricchissime a
nione clementiae eos, qui Carnuntem munitam darsegli a discrezione, e alle medesime conce
urbem incolebant, alliceret. Posto uam nec, ut dette tutte le robe loro, onde allettare con la
dederent se, compellere, neque capere obsidendo fama di clemenza gli abitanti di Carnunte, terra
poterat; ne duabus oppugnationibusnequidquam assai forte. Poichè non potette nè indurla ad ar
fatigatus miles esset, quas prius intactas urbes rendersi, nè pigliarla per assedio, acciocchè non
reliquerat, diripuit. Alter consul C. Cassius nec si fosse il soldato affaticato inutilmente nel pren
in Gallia, quam sortitus erat, memorabile quid dere due città, mise a sacco quelle che avea da
quam gessit, et per Illyricum ducere legiones prima lasciate intatte. Nè anche l'altro console
in Macedoniam vano incepto est conatus. Ingres Caio Cassio, cui toccata era la Gallia, fe'cosa
sum hoc iter consulem senatus ex Aquilejensium degna di memoria, e con vana fatica provossi
legatis cognovit; qui, querentes coloniam suam di condurre per l'Illirio le legioni in Macedonia.
novam et infirmam, necdum satis munitam, in Il senato seppe che il console s'era messo per
ter infestas nationes Istrorum et Illyriorum esse, quella via dai legati di Aquileia; i quali dolen
quum peterent, ut senatus curae haberet, quo dosi che la loro colonia, nuova com'era e debole
modo ea colonia muniretur, interrogati, vellent e non munita abbastanza, posta fosse in mezzo
ne eam rem C. Cassio consuli mandari? respon alle nemiche nazioni degl'Istri e degl'Illirii, e
derunt, Cassium, Aquilejam indicto exercitu, chiedendo che il senato si prendesse pensiero
profectum per Illyricum in Macedoniam esse. Ea di rinforzarla, interrogati se volessero che tal
res primo incredibilis visa, et pro se quisque cura affidata fosse al console Caio Cassio, rispo
credere, Carmis forsitan aut Istris bellum illa sero che Cassio, raccolto l'esercito in Aquileia,
tum. Tum Aquilejenses, nihil se ultra scire, nec s'era mosso per l'Illirio alla volta della Macedo
audere affirmare, quam triginta dierum frumen nia. La cosa parve da prima incredibile, e ognuno
tum militi datum, et duces, qui ex Italia itinera stimò che forse andato ei fosse ad assalire i Carni
in Macedoniam mossent, conquisitos adductos o gl'Istri. Allora quei d'Aquileia, non saper più
que. Enimvero senatus indignari, tantum consu oltre, dissero, nè altro osar affermare, se non
lem ausum, ut suam provinciam relinqueret, in che era stato dato a soldati il frumento per trenta
alienam transiret, exercitum novo periculoso giorni, e che s'eran cercate e con sè tratte guide
itinere inter exteras gentes duceret, viam tot na che conoscessero le strade, che dall'Italia metton
tionibus in Italiam aperiret. Decernunt frequen nella Macedonia. Sdegnossi altamente il senato,
tes, ut C. Sulpicius praetortres ex senatu nomi che avuto avesse il console tanto ardimento di
1650 TITI LIVII LIBER XLIII. 166o

net legatos, qui eo die profciscantur ex urbe; et, lasciare la sua provincia per entrare in quella
quantum accelerare possent, Cassium consulem, d'altri, di menare l'esercito per cammino nuovo
ubicumque sit, persequantur; nuncient, ne bel e pericoloso in mezzo a stranie genti, ed aprire
lum cum ulla gente moveat, nisi cum qua senatus a tante nazioni la via dell'Italia. Decretano a pieni
gerendum censuerat. Legati hi profecti, M. Cor suffragii che il pretore Caio Sulpicio nomini tre
nelius Cethegus, M. Fulvius, P. Marcius Rex. legati, del corpo del senato, i quali in quel giorno
Metus de consule atque exercitu distulit eo tem medesimo partano di Roma, e con quanta più
pore muniendae Aquilejae curam. prestezza possono, raggiungano il console Cassio,
dovunque ei si sia ; gl'intimino che non muova
guerra a qualsiasi gente, eccetto quella, a cui gli
avesse comandato il senato di muoverla. I legati
partiti furono Marco Cornelio Cetego, Marco
Fulvio, Publio Marcio Re. Il timore cagionato
dal console e dall'esercito differì per quel tempo
la cura di fortificare Aquileia.
II. Hispaniae deinde utriusque legati aliquot II. Poscia introdotti furono in senato gli am
populorum in senatum introducti. Ii, de magi basciatori di alquanti popoli di ambedue le Spa
stratuum Romanorum avaritia superbiaque con gne. Lagnatisi questi dell'avarizia e superbia dei
questi, nisi genibus ab senatu petierunt, ne se magistrati Romani, colle ginocchia a terra chie
socios foedius spoliari vexarique, quam hostes, sero al senato che non volesse soffrire ch'essi
patiantur. Quum et alia indigna quererentur, alleati fossero spogliati e vessati peggio che i
manifestum autem esset pecunias captas; L. Ca nemici. Querelandosi di parecchie altre cose, e
nulejo praetori, qui Hispaniam sortitus erat, ne risultando ad evidenza ch'erano stati estorti de
gotium datum est, utin singulos, a quibus His nari, fu commesso al pretore Lucio Canuleio,
pani pecunias peterent, quinos recuperatores ex cui toccata era la Spagna, che a ciascuno, dal
ordine senatorio daret patronosque, quos vellent, quale gli Spagnuoli ripetessero denari, desse cin
sumendi potestatem faceret. Vocatis in curiam que giudici dell'ordine senatorio, e lasciasse gli
legatis recitatum est senatusconsultum, jussique Spagnuoli in libertà di prendersi quegli avvocati
nominare patronos: quatuor nominaverunt, M. che volessero. Chiamati gli ambasciatori nella
Porcium Catonem, P. Cornelium Cn. F. Scipio curia fu recitato loro il decreto del senato, e
nem, L. Aemilium L. F. Paullum, C. Sulpicium detto che nominassero gli avvocati: ne nomina
Gallum. Cum M. Titinio primum, qui praetor rono quattro, Marco Porcio Catone, Publio Cor
A. Manlio, M. Junio consulibus in citeriore His nelio Scipione, figlio di Gneo, Lucio Emilio
pania fuerat, recuperatores sumpserunt. Bis am Paulo, figlio di Lucio, e Caio Sulpicio Gallo.
pliatus, tertio absolutus est reus. Dissensio inter I giudici prima d'ogni altro citarono Marco Titi
duarum provinciarum legatos estorta: citerioris nio ch'era stato pretore nella Spagna citeriore
Hispaniae populi M. Catonem et Scipionem ; ul sotto i consoli Aulo Manlio e Marco Giunio.
terioris L. Paullum et Gallum Sulpicium patro L'accusato, ottenute due dilazioni, la terza volta
nos sumpserunt. Ad recuperatores adducti a ci fu assolto. Insorse disputa tra gli ambasciatori
terioribus populis P. Furius Philus, ab ulterio delle due province: i popoli della Spagna cite
ribus M. Matienus. Ille Sp. Postumio, Q. Mucio riore si presero ad avvocato Marco Catone e
consulibus triennio ante, hic biennio primis, L. Scipione; quelli della Spagna ulteriore Paolo
Postumio M. Popillio consulibus, praetor fuerat. e Sulpicio Gallo. Furono tratti in giudizio dai
Gravissimis criminibus accusati ambo ampliati popoli della Spagna citeriore Publio Furio Filo,
que: quum dicenda de integro causa esset, excu da quelli dell'ulteriore Marco Matieno. Il primo
sati exsilii causa solum vertisse. Furius Praene era stato pretore tre anni innanzi nel consolato
ste, Matienus Tibur exsulatum abierunt. Fama di Spurio Postumio e di Quinto Mucio; il secondo
erat, probiberi a patronis nobiles ac potentes due anni innanzi in quello di Lucio Postumio
compellare; auxitque eam suspicionem Canule e di Marco Popillio. Ambedue furono accusati
jus praetor, quod, omissa ea re, delectum habere di gravissime colpe, ed ottennero varii termini;
instituit. Dein repente in provinciam abiit, ne se non che dovendosi trattare finalmente la causa,
plures ab Hispanis vexarentur. Ita, praeteritis non comparvero, perchè andati in bando. Furio
silentio obliteratis, in futurum consultum ab se andò a Preneste, Matieno a Tivoli. Era fama che
natu Hispanis, quod impetrarunt, me frumenti gli avvocati avessero proibito che si citassero
aestimationem magistratus Romanus haberet; me uomini nobili e potenti, e accrebbe forza a questo
ve cogeret vicesimas vendere Hispanos, quanti sospetto il pretore Canuleio, perchè, lasciato da
1661 l'ITI LIVIl LIBER XLIII. 1662

ipse vellet; et ne praefecti in oppida sua ad per parte questo affare, cominciò a far la leva. Indi
cunias cogendas imponerentur. all'improvviso recossi alla sua provincia, accioc
chè troppi altri più non fossero inquietati dagli
Spagnuoli. Così seppellito il passato nell'oblivio
ne, il senato provvide agli Spagnuoli per l'avve
nire coll'aver essi impetrato che il magistrato
Romano non facesse le stime del frumento, nè
costringesse gli Spagnuoli a vendere le vigesime
al prezzo ch'egli volesse, e che non si mettessero
prefetti nelle loro terre a raccogliere le imposte.
III. Et alia novi generis hominum ex His III. Altra ambasceria venne dalla Spagna
pania legatio venit. Ex militibus Romanis et ex d'uomini d'altra sorta. Dicendo ch'erano da quat
Hispanis mulieribus, cum quibus connubium non tro mila, nati da soldati Romani e da donne
esset, natos se memorantes, supra quatuor millia Spagnuole, con le quali non c'era stato matri
hominum, orabant, ut sibi oppidum, in quo ha monio, pregavano che si desse loro una terra,
bitarent, daretur. Senatus decrevit, « uti nomina dove abitassero. Il senato decretò, « che dichia
sua apud L. Canulejum profiteremtur; eorum rassero i loro nomi presso Lucio Canuleio, e
que si quos manumisisset, eos Carteam ad Oce s'egli ne manomettesse alcuni, questi condotti
anum deduci placere. Qui Cartejensium domi fossero a Carteia sull'Oceano. Quelli tra Carteiami
manere vellent, potestatem fore, uti numero co che rimaner volessero a casa, fossero in facoltà
lonorum essent, agro assignato. Latinam eam di farsi annoverare tra i coloni, con assegnazione
coloniam fuisse, libertinorumque appellari. » di terreni; codesta sarebbe colonia Latina e detta
Eodem tempore ex Africa et Gulussa, Masinis de libertini. » A quel tempo medesimo vennero
sae regis filius, legatus patris, et Carthaginienses dall'Africa e Gulussa, figlio del re Masinissa, am
venerunt. Gulussa prior in senatum introductus, basciatore del padre, e gli ambasciatori Cartagi
et quae missa erant ad bellum Macedonicum a nesi. Primo fu introdotto in senato Gulussa, ed
patre suo, exposuit; et, si qua praeterea vellent espose tutto quello ch'era stato mandato da suo
imperare, praestaturum merito populi Romani padre per la guerra Macedonica, e se altro voles
est pollicitus; et monuit Patres conscriptos, ut a sero comandare, promise che sarebbe fatto pei
fraude Carthaginiensium caverent: « classis eos grandi meriti del popolo Romano verso di lui,
magnae parandae consilium cepisse, specie pro ed avvisò i Padri coscritti che si guardassero
Romanis, et adversus Macedonas: ubi ea parata dalle frodi dei Cartaginesi: « aver essi preso
instructaque esset, ipsorum fore potestatis, quem il partito di metter all'ordine una grossa flotta,
hostem aut socium habeant. [ Egit deinde Ma in apparenza ad uso de'Romani e contro i Mace
sinissae causam de agro, de oppidis, quae ablata doni : come l'avessero approntata e guernita,
sibi ab eo Carthaginienses quererentur, magna sarebbe in poter loro scegliersi qual più volessero
que contentione inter regulum et legatos Car per nemico o per amico. º [Trattò poscia la
thaginienses disceptatum. Quae ultro citroque causa di Masinissa in rispetto alle terre ed a ca
jactata sint, quid a senatu responsum fuerit, in stelli, che i Cartaginesi dolevansi ch'egli avesse
incerto est. Quievit tamen velut sopita haec con lor tolte, e si disputò con gran forza tra il prin
troversia per aliquot annos. Renovata postea in cipe ed i legati Cartaginesi. Non si sa bene quali
acre bellum exarsit, quod adversus Masinissam ragioni sieno state dall'una parte e dall'altra
a Poenis susceptum cum Romanis gerendum fuit, allegate, nè che abbia risposto il senato. Nondi
nec nisi Carthaginis interitu finitum est. Hoc meno stette come sopita questa controversia per
anno invenimus in annalibus, puerum factum ex alquanti anni. Poscia rinnovata scoppiò in quella
virgine sub parentibus, jussuque aruspicum de guerra fierissima, che intrapresa dai Cartaginesi
portatum in insulam desertam. I contro Masinissa dovettesi poi fare contro i Ro
mani, e che non ebbe fine che colla distruzione
di Cartagine. Troviamo negli annali in quest'an
no che sotto l'occhio del genitori una fanciulla
si tramutò in fanciullo, e che per ordine degli
aruspici fu trasportato in un'isola deserta. I
I (IV) (Anno U. C. 582. – A. C. 17o.) [ ( IV. ) ( Anni D. R. 582 – A. C. 17o.)
Habita sunt a C. Cassio consule comitia, quibus Tenne il console Caio Cassio i comizii, ne' quali
creati consules sunt A. Hostilius Mancinus, A. creati furono consoli Aulo Ostilio Mancino ed
Atilius Serranus. Practores inde facti M. Retius, Aulo Atilio Serrano. Si son poi fatti pretori
1663 TITI LIVII LIBER XLIII. 1664

Q. Maenius, L. Hortensius, Q. Aelius Paetus, Marco Rezio, Quinto Menio, Lucio Ortensio,
T. Manlius Torquatus, C. Hostilius. Decretae Quinto Elio Peto, Tito Manlio Torquato e
consulibus provinciae Italia et Macedonia. Italia Caio Ostilio. A consoli assegnate furono l'Italia
Atilio, Hostilio Macedonia obvenit. Praetores e la Macedonia: toccò quella ad Atilio, questa
Retius urbanam jurisdictionem, peregrinam ad Ostilio. De'pretori ebbe Rezio la giurisdizio
Maenius sortitus est. Classis cum ora maritima ne urbana, Menio quella del forestieri. La flotta
Graeciae Hortensio obtigit. Reliquae praetoriae con tutta la spiaggia marittima della Grecia toccò
provinciae fuere procul dubio, quemadmodum ad Ortensio. Le altre province, assegnate a pre
anno priore, Hispania, Sicilia et Sardinia. Sed tori, furono senza dubbio, come nell'anno ante
singulas quinam praetores obtinuerint, silentibus cedente, la Spagna, la Sicilia e la Sardegna. Ma
veterum monumentis, certo sciri non potest. quale toccasse a questo oa quello de'pretori, nel
Interim P. Licinius, quasi ad bellum non cum silenzio degli antichi monumenti, non si può
Perseo, sed cum Graecis gerendum missus esset, sapere di certo. Intanto Publio Licinio, quasi
inanes adversus justum hostem iras in miseros et fosse stato mandato non a guerreggiare contro
viribus impares vertit, compluresque in Boeotia, Perseo, ma contro i Greci, rivolse gli sdegni.
ubi hibernabat, urbes expugnavit, et crudeliter impotenti contro un giusto nemico, a danno di
diripuit. Coronaei maxime vexati quum ad gente misera e diseguale di forze, ed espugnò
senatum confugissent, Patres decreverunt, ut e crudelmente saccheggiò parecchie città nella
captivi, qui sub corona venissent, in libertatem Beozia, dove svernava. I Coronei sopra tutti,
restituerentur. Consulis crudelitatem et avaritiam barbaramente vessati, essendo ricorsi al senato,
imitatus est, aut etiam superavit Lucretius prae i Padri decretarono che i prigioni ch'erano stati
tor, qui classi praeerat, adversus socios ferox, ho venduti all'asta, fossero rimessi in libertà. Imitò
sti spernendus. Siquidem classem ad Oreum stan e forse anche superò la crudeltà e l'avarizia del
tem adortus repente Perseus, naves onerarias console il pretore Lugrezio, il quale comandava
frumentum portantes viginti cepit, reliquas de la flotta, uomo feroce contro gli alleati, sprege
pressit, et quatuor etiam quinqueremibus potitus vole agli occhi del nemico. Perciocchè avendo
est. Res quoque prospere gestae in Thracia a Perseo assalita improvvisamente la flotta che
Perseo, quum eo ad Cotyn defendendum adver stanziava presso Oreo, prese venti navi cariche
sus Atlesbis et Corragi copias divertisset. Nec ve di frumento, affondò le altre e s'impadroni
ro ipse sibi Cotys defuit, vir bello strenuus, con eziandio di quattro quinqueremi. Ebbe Perseo
silio praestans, Thrax genere solo, non moribus. felici successi anche nella Tracia, essendosi cola
Nam et unicae sobrietatis ac temperantiae fuit, recato a difendere Coti contro le forze di Atlesbi
idemque clementia et moderatione animi plane e di Corrago. Nè per verità Coti mancò a sè
amabilis. I stesso, uomo valoroso in guerra, di gran senno,
Trace solamente di nascita, non di costumi. Per
ciocchè fu di esemplare sobrietà e temperanza, e
insieme per clemenza e moderazione amabilis
simo. ]
I(V.) Cuncta Perseo ex voto fluebant. Nam [ (V) Tutto andava a seconda dei voti di
et tunc Epirotarum gens in eius partes transiit, Perseo. Perciocchè allora pure la nazione degli
auctore Cephalo, quem tamen ad defectionem Epiroti passò alla sua parte, a istigazione di
necessitas magis compulit, quam voluntas. Is, Cefalo, cui però spinse a ribellione la neces
singulari prudentia et constantia praeditus, tum sità piuttosto che la volontà. Fornito egli di pru
quoque optima mente erat. Deos enim immorta denza e fermezza singolare, era eziandio otti
les precatus fuerat, ut bellum inter Romanos et mamente intenzionato. Perciocchè pregato aveva
Persea ne conſlaretur, neve de summa rerum gli dei immortali che non si accendesse la guerra
decerneretur. At exorto bello statuerat ex foede tra i Romani e Perseo, nè si mettesse a repen
ris praescripto Romanos juvare: praeter foede taglio la somma delle cose. Ma insorta la guer
ris autem leges nihil ultro facere, neque obsequi ra, avea stabilito di stare co Romani, giusta
indecore et turpiter. Turbavit haec consilia Cha i patti della lega; niente poi fare oltre code
ropus quidam, ejus Charopi, qui saltum ad Aoum sti patti, nè piegarsi a indecorosa e vile con
amnem T. Quintio contra Philippum bellanti discendenza. Sconcertò questo disegno certo
aperuerat, nepos, vilis potentiorum assentator, Caropo, nipote di quel Caropo che aveva aperto
et mirus calumniarum in optimum quemque il passo presso il fiume Aoo a Tito Quinzio nella
artifex. Romae educatus fuerat, missus ab avo guerra contro Filippo, vile adulatore dei potenti
in urbem, utlinguam Romanam literasque per e mirabile artefice di calunnia contro i migliori.
1665 TITI LIVII LIBER XLIII. 1666

disceret. Hinc motus carusque plurimis Romano Era egli stato educato a Roma, speditovi dal
rum, quum revertisset domum, natura levis, et l'avolo, acciocchè apprendesse la lingua e la let
ingenio pravus, quum et Romana ei amicitia teratura Romana. Quindi noto e caro a moltissimi
faceret animos, principes viros usque alla trabat. Romani, tornato a casa, leggero, com'era, di na
Sed primo despiciebatur ab omnibus, nec ulla tura e d'indole prava, levatosi in albagia per
ejus ratio habebatur. Postduam autem bellum l'amicizia de' Romani, abbaiava incessantemente
Persicum conflatum est, quum plena omnia su contro i principali personaggi. Ma da prima tutti
spicionum in Graecia essent, multis palam, plu lo dispregiavano, nè lo si teneva in nessun conto.
ribus occulte Perseo studentibus, non destitit Ma poichè fu accesa la guerra contro Perseo,
Charopus eos, qui auctoritate inter Epirotas essendo la Grecia tutta piena di sospetti, molti
praestabant, apud Romanos criminari. Et speciem palesemente, i più favoreggiando il re segreta
quamdam colorem que dabat eius calumniis ea mente, non cessò Caropo di calunniare presso
necessitudo, quae olim Cephalo caeterisque eam i Romani coloro, che più potevano per autorità
dem sectam sequentibus cum regibus Macedo tra gli Epiroti. Dava qualche apparenza e colore
num fuerat. Jam vero omnia illorum dicta facta alle di lui calunnie quella stretta relazione, che
que maligne explorans, et in pejus semper detor Cefalo un tempo, e gli altri della medesima setta
quens, veritatem que adjectis detractisque, quae aveano avuto coi re di Macedonia. Esplorando
voluerat, adulterans, fidem criminibus faciebat. egli malignamente tutti i loro detti e fatti, e
Neque his tamen commovebantur Cephalus et ii, sempre torcendoli al peggio, e adulterando la
qui eorumdem in republica consiliorum socii verità coll'aggiungere e detrarre, ciò che voleva,
erant, freti egregia conscientia illibatae erga Ro procacciava credenza alle calunnie. Di ciò non
manos fidei. Verum ubi illis criminationibus au dimeno nè Cefalo s'inquietava, nè quelli che
rem praebere Romanos senserunt, et principes nella cosa pubblica sentivano con lui, nella certa
quosdam Aetolorum, quos pariter suspectos fe coscienza della loro illibata fede verso i Romani.
cerant obtrectatorum calumniae, Romam abdu Ma come seppero che questi prestavano orecchio
ctos, tum demum opus esse crediderunt, ut sibi a quelle dicerie, e ch'erano stati tradotti a Roma
ipsi suisque rebus consulerent. Quum autem ni alcuni dei principali Etoli, cui le calunnie degli
hil succurreret praeter regiam amicitiam, cum avversari avean renduti egualmente sospetti,
Perseo societatem inire coacti sunt, eique gen allora finalmente credettero che fosse tempo di
tem suam tradere. Romae A. Hostilius, A. Ati pensare alla loro sicurezza. Nè altro partito offe
lius consules, inito magistratu, et peractis, quae rendosi che l'amicizia del re, si videro obbligati a
divina humanaque in urbe et circa urbem fieri a stringerlega col re e dargli in mano la nazione. A
consulibus mos est, in provincias proſecti sunt. Roma i consoli Aulo Ostilio ed Aulo Atilio, preso
IIostilius, cui Macedonia obtigerat, quum in Thes il magistrato, e compiuti i riti profani e religiosi
saliam ad exercitum properaret, Epirum, quae che sogliono celebrare i consoli dentro e fuori
nondum aperte defecerat, ingressus.parum abfuit, della città, andarono alle loro province. Ostilio, a
quin incideret in Persei manus. Theodotus enim cui toccata era la Macedonia, affrettandosi di rag
quidam et Philostratus, rati sese, si eum regitra giungere l'esercito in Tessaglia, entrato nell'Epi
derent, magnam gratiam apud Persea inituros et ro, che non s'era ancora manifestamente ribellato,
gravissimum in praesentia Romanis damnum il poco mancò che non cadesse in mano di Perseo.
laturos, ad regem literas dedere, ut quanta ma Perciocchè certi Teodoto e Filostrato stimando
xima posset celeritate, accurreret. Quod nisi et che, se lo avessero consegnato al re, somma gra
Perseum objecta a Molossis ad Loum amnem mo zia ne verrebbe loro da Perseo, ed in presente
ra retardasset, et consul, de imminenti pericu gran danno recherebbero ai Romani, gli scrissero
lo monitus, ab instituto itinere deflexisset, viv che accorresse con la maggiore celerità. Che se
videtur effugere potuisse. Igitur relicta Epiro na l'opposizione de Molossi sul fiume Loo non aves
vigavit Anticyram, unde in Thessaliam conten se ritardato Perseo, e se il console, avvertito
dit. Ibi accepto exercitu ad hostem perrexit. Sed dell'imminente pericolo, non avesse lasciata l'in
nihilo felicius bellum administravit, quam priore trapresa via, sembra che avrebbe potuto difficil
anno gestum fuerat. Nam et proelio commisso mente trarsi in salvo. Abbandonato adunque
cum rege pulsus est, et quum primum per Ely l'Epiro, navigò ad Anticira, donde passò in Tes
meam vim facere tentasset, deinde per Thessa saglia. Quivi ricevuto l'esercito, andò difilato al
liam occulte moliri iter, ubique occurrente Per nemico. Ma non governò la guerra punto più
seo, vano conatu absistere coactus est. Nec Hor felicemente di quel che si fosse fatto l'anno in
tensius praetor, cui classis obtigerat, quidquam nanzi. Perciocchè venuto alle mani col re, fu
satis scite aut fortunate egit, cujus ex rebus ge respinto; ed avendo tentato da prima di aprirsi
Livio 2 io5
1667 TITI LIVII I,IBIER XLIII. 1668

stis nihil ad memoriam insignius est, quam cru il passo per Elimea, poscia di occultamente av
delis et perfida urbis Abderitarum direptio, viarsi per la Tessaglia, sempre trovandosi Perseo
quum intoleranda sibi imposita onera depreca a fronte, fu costretto di abbandonare il vano
rentur. Igitur Perseus Romanos jam despiciens, tentativo. Nè il pretore Ortensio, a cui toccata
ac velut otiosus plane et vacuus, corollarii vicem era la flotta, fe' alcuna bastantemente accorta o
in Dardanos excursionem fecit, et, decem mil fortunata impresa, de fatti del quale non altro è
libus barbarorum interſectis, ingentem praedam più memorabile che il crudele e perfido saccheg
abduxit. I giamento dato alla città degli Abderiti, che si
lagnavano degl'intollerabili pesi loro imposti.
Perseo adunque, dispregiando già in cuor suo
i Romani, e come del tutto ozioso e vacuo di
pensieri, quasi per corollario fece una escursione
contro i Dardani, ed uccisi da dieci mila di quei
barbari, ne portò via ricchissimo bottino. ] -

I IV. ( VI.) Movere hoc anno Celtiberi in [ IV. (VI) Mossero i Celtiberi quest'anno
Hispania bellum, instigante novo duce Olonico, guerra nella Spagna, a istigazione del nuovo loro
Salondicum quidam vocant. ls, summa callidita capo Olonico, che alcuni chiamano Salondico.
te et audacia hastam argenteam quatiens velut Costui, con somma scaltrezza ed audacia bran
coelo missam, vaticinanti similis, omnium in se dendo un'asta d'argento quasi mandatagli dal
mentes converterat. Sed quum pari temeritate cielo, in aria di vaticinante, avea rivolti verso
castra praetoris Romani, uno furiosi consilii so di sè gli sguardi di tutti. Ma essendosi con pari
cio assumpto, sub noctem adiisset, praetorem temerità, preso con seco un solo compagno del
videlicet obtruncaturus, juxta tentorium ipsum forsennato disegno, introdotto di notte negli al
pilo vigilis exceptus est: socius pares stolidi in loggiamenti del pretore Romano coll'idea di
incepti poenas luit. Amborum capita praecidi ammazzarlo, una sentinella presso alla tenda
statim jussit praetor, atque hastis suffixa dele stessa il distese a terra d'un colpo di giavellotto.
ctis e numero captivorum tradi ad suos perfe Pagò il compagno con egual pena lo stolido at
renda. Iſi ] tantum pavorem ingressi castra, tentato. Ordinò il pretore che subito troncate
oslela lan lese apita. fecerunt, ut, si admotus extem fossero le loro teste, e che fitte in cima ad asta
plo exercitus foret, capi castra potuerint. Tum si consegnassero ad alcuni scelti prigioni, che le
que fuga ingens facta est: et erant, qui legatos portassero a suoi. Codesti l entrati nel campo,
mittendos ad pacem precibus petendam cense mostrando quelle teste, tanto di spavento desta
rent; civitatesque complures, eo nuncio audito, rono, che se immantinente vi si fosse accostato
in deditionem venerunt. Quibus purgantibus se l'esercito, si sarebbono potuti prendere gli allog
se, culpamque in duorum amentiam conferenti giamenti. Anche allora la fuga fu grande, e c'eran
bus, qui se ultro ad poenam ipsi obtulissent, taluni, i quali stimavano che si avesse a mandare
quum veniam dedisset praetor, profectus extem ambasciatori a chiedere pregando la pace; e pa
plo ad alias civitates, omnibus imperata facienti recchie città, udita tal novella, si arrendettero.
bus, quieto exercitu pacatum agrum, qui paulio Alle quali, mentre si scusavano e riversavano
ante ingenti tumultu arserat, peragravit. IIacc la colpa su que due forsennati, che già s'erano
lenitas praetoris, qua sine sanguine ferocissimam da sè stessi offerti alla pena, avendo il pretore
gentem domucrat, eo gratior plebi Patribusque perdonato, recatosi immantinente alle altre città,
ſuit, quo crudelius avariusque in Graecia bella tutte mettendosi ad obbedienza, trascorse quieta
tum et ab consule Licinio et ab Lucretio prae mente con l'esercito tutto quel paese, ch'era stato
tore erat. Lucretium tribuni plebis absentem poc'anzi in grandissimo trambusto. Questa dol
concionibus assiduis lacerabant, quum reipubli cezza del pretore, con la quale avea domata senza
cae causa abesse excusaretur: sed tum adeo vici sangue una ferocissima nazione, tanto riuscì più
ma etiam inexplorata erant, ut is eo tempore in grata alla plebe ed ai Padri, quanto più aveano
agro suo Antiati esset, aquamque ex manubiis e il console Licinio e il pretore Lugrezio guer
Antium ex flumine Loracina e duceret. Id opus reggiato nella Grecia avaramente e crudelmente.
centum triginta millibus aeris locasse dicitur. Ta I tribuni della plebe laceravano con continue
bulis quoque pictis ex praeda fanum Aesculapii invettive nelle concioni Lugrezio assente, mentre
exornavit. Invidiam infamiamolue ab Lucretio altri ne scusava l'assenza per cagione della repub
averterunt in Hortensium successorem ejus Ab blica; ma in quel tempo eran sì poco note anche
deritae legati flentes ante curiam, querentesque, le cose più vicine, ch'egli allora si stava nella sua
oppidum suum ab II ortensio epugnatum ac villa di Anzio, e col ritratto delle sue rapine, vi
1669 TITI LIVIl LIBER XLIII. 167o

direptum esse. Causam excidii fuisse urbi, quod, conduceva l'acqua dal fiume detto la Loracina.
quum centum millia denariùm et tritici quin Narrasi ch'egli avesse allogato quel lavoro per
quaginta millia modiòm imperaret, spatium pe . cento trenta mila assi. Adornò eziandio il tempio
tierunt, quo de ea re et ad Hostilium consulem, di Esculapio con tavole dipinte, parte della preda.
et Romam mitterent legatos. Vixdum ad consu Da Lugrezio divertirono il carico e l'infamia sul
lem se pervenisse, et audisse oppidum expugna di lui successore Ortensio gli ambasciatori degli
tum, principes securi percussos, sub corona cete Abderiti, piangendo nel vestibolo della curia e
ros venisse. ” Indigna senatui visa; decreverunt querelandosi, a ch'egli avesse espugnata e messa
que eadem de Abderitis, quae de Coronaeis a sacco la lor città. Fu cagione dell'eccidio, che
decreverant priore anno, eadem que pro concione avendo egli imposto cento mila danari e cin
edicere Q. Maenium praetorem jusserunt. Et le quanta mila moggia di frumento, chiesero tempo
gati duo, C. Sempronius Blaesus, Sex. Julius di poter mandare oratori su di ciò al console
Caesar, ad restituendos in libertatem Abderitas Ostilio e a Roma. Erano appena arrivati al con
missi. lisdem mandatum, ut et Hostilio consuli sole, che udirono presa la terra, decapitati i prin
et Hortensio praetori nunciarent, senatum Abde cipali cittadini, tutti gli altri venduti all'asta. »
ritis injustum bellum illatum, conquirique omnes, La cosa parve indegna al senato, e decretarono
qui in servitute sint, et restitui in libertatem, pegli Abderiti quello stesso che l'anno innanzi
aequum censere. avean decretato pe Coronei, e commisero al pre
tore Quinto Menio che ne informasse il popolo
radunato. Si spedirono eziandio due legati, Caio
Sempronio Bleso e Sesto Giulio Cesare, a rimet
tere gli Abderiti in libertà. Fu pure loro com
messo che intimassero al console Ostilio ed al
pretore Ortensio essere avviso del senato che si
fosse mossa guerra ingiustamente agli Abderiti,
e che si avesse a ricercar tutti quelli ch'erano in
servitù, e rimetterli in libertà.
V. (VII) Eodem tempore de C. Cassio, qui V. (VII) In quel tempo medesimo portate
consul priore anno fuerat, tum tribunus militum furono querele al senato contro Caio Cassio, il
in Macedonia cum A. Hostilio erat, querelae ad quale era stato console l'anno innanzi, ed era
senatum delatae sunt, et legati regis Gallorum allora tribuno de soldati in Macedonia con Aulo
Cincibili venerunt. Frater ejus verba in senatu Ostilio, e vennero gli ambasciatori di Cincibilo,
fecit, questus, Alpinorum populorum agros so re de' Galli. Fe parole in senato il di lui fratello,
ciorum suorum depopulatum C. Cassium esse, et dolendosi che Caio Cassio avesse devastate le
inde multa millia hominum in servitutem arri terre dei popoli Alpini, suoi alleati, e ne avesse
puisse. Subid tempus Carmorum Istrorumque tratte a servitù molte migliaia d'uomini. E di
et Iapydum legati venerant: « Duces sibi ab con que'dì pure vennero gli ambasciatori de Carni,
sule Cassio primum imperatos, qui in Macedo degl'Istri e dei Japidi, e dissero: « che da prima
miam ducenti exercitum iter monstrarent: paca il console Cassio avea lor chiesto alcune guide
tum ab se, tamquam ad aliud bellum gerendum, che gli mostrassero il cammino da guidare l'eser
abisse: inde ex medio regressum itinere hostili cito in Macedonia; ch'egli era partito in aria
ter peragrasse fines suos; passim rapinasque et pacifica, come andasse ad altra guerra, che di poi
incendia facta: mec se ad id locorum scire, pro a mezza via retrocedendo avea corso ostilmente
pter quan causam consuli pro hostibus fuerint. » le loro terre, qua e colà commettendo rapine ed
Et regulo Gallorum absenti, et his populis res incendii, nè saper essi ancora per qual cagione
ponsum est, i Senatum ea, quae facta querantur, gli avesse trattati da nemici. » E al re de' Galli
neque scisse futura, neque, si sint facta, probare. assente e a codesti popoli fu risposto: «Le cose,
Sed, indicta causa damnari absentem consularem di cui si dolgono il senato nè aver saputo che
virum, injurium esse, quum is reipublicae causa dovessero accadere, nè se sono accadute, appro
absit. Ubi ex Macedonia redisset C. Cassius, tum, varle. Ma sarebbe cosa ingiusta condannare in
si coram eum arguere vellent, cognita re, senatum assenza un uomo consolare, senza udirlo, e che
daturum operam, uti satisfiat. » Nec responderi si trova assente in servigio della repubblica. Come
tantum iis gentibus, sed legatos mitti, duos ad Caio Cassio tornato fosse dalla Macedonia, se vo
regulum trans Alpes, tres circa eos populos pla lessero presente accusarlo, il senato, fatta cogni
cuit, qui indicarent, quae Patrum sententia esset. zione della causa, si sarebbe adoperato, acciocchè
Munera mitti legatis ex bimis millibus aeris cen fosse data loro soddisfazione. » E si volle non
1671 TITI LIVII LIBER XLIII. 1672

suerunt; duobus fratribus regulis haec praecipua, solamente che fosse risposto, ma che si mandas
torques duo ex quinque pondo auri facti, et vasa sero ambasciatori, due al re di là dalle Alpi, e
argentea quinque ex viginti pondo, et duo equi tre d'intorno a que” I poli, i quali significassero
phalerati cum agasonibus, et equestria arma ac qual era il parere del senato. E decretarono che
sagula; et comitibus eorum vestimenta liberis si mandasse a quegli inviati un regalo di due
servisque. Haec missa: illa petentibus data, ut mila assi, e a due fratelli del re particolarmente
denorum equorum iis commercium esset, educen due collane d'oro del peso di cinque libbre, cin
dique ex Italia potestas fieret. Legati cum Gallis que vasi d'argento di venti libbre, due cavalli
missi trans Alpes, C. Laelius, M. Aemilius Lepi bardati co'loro palafrenieri e armature e manti
dus: ad ceteros populos C. Sicinius, P. Cornelius da cavaliere; non che vestimenti a loro compagni
Blasio, T. Memmius. sì liberi che schiavi. Questi furono i doni man
dati, ed a loro inchiesta fu conceduto che com
perar potessero dieci cavalli, e menarli fuori
d'Italia. Gli ambasciatori spediti coi Galli di là
dall'Alpi furono Caio Lelio e Marco Emilio Lepi
do: agli altri popoli Caio Sicinio, Publio Cornelio
Blasione e Tito Memmio.
VI. (VIII) Multarum simul Graeciae Asiae VI. (VIII) Vennero ad un tempo stesso am
que civitatium legati Romam convenerunt. Primi basciatori di molte altre città dell'Asia e della
Athenienses introducti: ii, « se quod navium Grecia. Primi furono introdotti gli Ateniesi:
habuerint militumque, P. Licinio consuli et C. esposero « di aver mandato al console Publio
Lucretio praetori misisse exposuerunt, quibus eos Licinio ed al pretore Caio Lugrezio quante navi
non usos frumenti sibi centum millia imperasse: ebbero e quanti soldati, dei quali non avendo
quod, quamduam sterilem terram arent, ipsos i medesimi fatto uso, avean loro imposto cento
que etiam agrestes peregrino frumento alerent, mila moggi di frumento, che pure, quantunque
tamen, ne deessent officio, confecisse; et alia, arino un suolo sterile e nutrano gli stessi conta
quae imperarentur, praestare paratos esse. » Mi dini di grano forestiere, aveano somministrato
lesii, nihil praestitisse memorantes, si quid impe per non mancare al debito loro; ed esser pronti
rare ad bellum senatus vellet, praestare se para a dare quant'altro fosse loro comandato. " I Mi
tos esse, polliciti sunt. Alabandenses templum lesii, dicendo di non aver nulla somministrato,
urbis Romae se fecisse commemoraverunt, ludos promisero d'esser presti a contribuire per la
que anniversarios ei divae instituisse; et coronam guerra ciò che piacesse al senato di ordinare.
auream quinquaginta pondo, quam in Capitolio Gli Alabandesi ricordarono di aver eretto un
ponerent, donum Jovi optimo maximo, attulisse, tempio alla città di Roma ed istituiti annui spet
et scuta equestria trecenta; ea, cui jussissent, tacoli in onore di quella dea, e che recavan con
tradituros. Donum ut in Capitolio ponere, et sa seco una corona d'oro del peso di cinquanta
crificare liceret, petebant. Hoc Lampsaceni, octo libbre, che porrebbero nel Campidoglio in dono
ginta pondo coronam afferentes, petebant, com a Giove ottimo massimo, non che trecento scudi
memorantes, « Discessisse se a Perseo, postduam da cavaliere, che darebbero a chi comandassero.
Romanus exercitus in Macedoniam venisset, Chiedevano di riporre quel dono in Campido
quum sub ditione Persei, et ante Philippi fuis glio, e che fosse lor lecito di farvi un sacrifizio.
sent. Pro eo, et quod imperatoribus Romanis Questo stesso domandavano quei di Lampsaco,
omnia praestitissent, id se tantum orare, ut in portando una corona d'oro del peso di ottanta
amicitiam populi Romani reciperentur, et, si libbre, e ricordando, a che s'erano staccati da
pax cum Perseo fieret, exciperemtur, ne in re Perseo, da poi che l'esercito fu venuto in Mace
giam potestatem reciperentur. m Ceteris legatis donia, essendo sotto la dominazione di Perseo, e
comiter responsum ; Lampsacenos in sociorum poscia sotto quella di Filippo. Per questo, e per
formulam referre Q. Maenius praetor jussus: somministrare ogni cosa ai comandanti Romani
munera omnibus in singulos binàm millium aeris non altro pregavano, se non che d'essere ricevuti
data. Alabandenses scuta reportare ad A. Hosti nell'amicizia de'Romani; e, se si fosse fatta la pace
lium consulem in Macedoniam jussi. Et ex Africa con Perseo, ch'essi ne fossero eccettuati, onde
legati simul Carthaginiensium, tritici decies cen non ricadessero in potere del re. m Agli altri
tum millia et hordei quingenta indicantes se ad ambasciatori fu benignamente risposto: quanto
mare devecta habere, ut, quo senatus censuisset, a quei di Lampsaco, il pretore Quinto Menio fu
deportarent. « Id munus officiumque suum scire incaricato d'inserirli nel registro degli alleati.
minus esse, quam pro meritis populi Romani et Si diedero a ciascun d'essi due mila assi. Gli
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voluntate sua; sed saepe alias, bonis in rebus Alabandesi ebber ordine di rimettere gli scudi al
utriusque populi, se gratorum fideliumque so console Aulo Ostilio in Macedonia. Ed allora
ciùm mumeribus functos esse. » Item Masinissae eziandio vennero dall'Africa gli ambasciatori
legati, tritici eamdem summam polliciti, et mille dei Cartaginesi, annunziando di aver condotto
et ducentos equites, duodecim elephantos; et, si al mare dieci centinaia di migliaia di moggi di
quid aliud opus esset, uti imperaret senatus: ae frumento e cinquecento mila di orzo, per tras
que propenso animo, ac quae ipse ultro pollici portarlo dove il senato stimasse. « Ben sapevano
tus sit, prestaturum esse. Gratiae et Carthaginien essere questo dono ed uffizio loro inferiore ai
sibus et regi actae; rogatique, ut ea, quae polli meriti del popolo Romano, e a quello che avreb
cerentur, ad Hostilium consulem in Macedoniam bon essi voluto; ma già sovente altre volte, nei
deportarent. Legatis in singulos binàm millium tempi prosperi dell'un popolo e dell'altro, adem
aeris munera missa. - piute aveano le parti di alleati grati e fedeli.
Parimenti gli ambasciatori di Masinissa promisero
la stessa quantità di grano, mille e duecento ca
valieri, e dodici elefanti, e se altro abbisognasse,
non avea il senato che a comandare; il darebbe
con la stessa propensione d'animo, come ciò che
avea spontaneamente promesso. Grazie rendute
furono a Cartaginesi ed al re, e pregati che
mandassero al console Ostilio in Macedonia le
cose che avean promesse. Ebbe ciascuno degli
ambasciatori il presente di due mila assi.
VII. (IX) Cretensium legatis, commemoran VII. (IX) Agli ambasciatori de'Cretesi, che
tibus, se, quantum sibi imperatum a P. Licinio ricordavano di avere mandato in Macedonia
consule esset sagittariorum, in Macedoniam mi quella quantità di arcieri, che avea loro imposta
sisse, quum interrogati non inficiarentur, « apud il console Publio Licinio, e che interrogati non
Persea majorem numerum sagittariorum, quam negavano, « che maggior numero di arcieri mi
apud Romanos, militare, º responsum est: «Si litavano sotto Perseo, che sotto i Romani, º fu
Cretenses bene ac gnaviter destinarent potiorem risposto: «Se i Cretesi erano veramente e forte
populi Romani, quam regis Persei, amicitiam ha mente risoluti di far più conto dell'amicizia
bere, senatum quoque Romanum iis, tamquam de'Romani, che di quella del re Perseo, anche
certis sociis, responsum daturum esse. Interea il senato Romano risponderebbe loro, come ad
nunciarent suis, placere senatui, dare operam Cre alleati sicuri. Intanto dicessero a suoi, piacere
tenses, ut, quos milites intra praesidia regis Persei al senato che i Cretesi si adoperino a richiamare
haberent, eos primo quoque tempore domum a casa quanto prima i soldati ch'erano sotto le
revocarent. » Cretensibus cum hoc responso di insegne del re Perseo. " Licenziati quei di Creta,
missis, Chalcidenses vocati; quorum legatio ipso con questa risposta, furon chiamati i Calcidiesi;
introitu, ob id quod Mictio princeps eorum pe la cui ambasceria al primo ingresso, per ciò che
dibus captus lectica est introlatus, ultimae neces Miczione, capo della medesima, storpio de'piedi,
sitatis extemplo visa res; in qua ita affecto excu era stato introdotto in lettiga, si riconobbe subito
satio valetudinis, aut ne ipsi quidem petenda procedere da estrema necessità, se nè egli, sì
visa foret, aut data petenti non esset. Quum sibi male affetto, stimò di addurre la scusa della sa
nihil vivi reliquum, praeterquam linguam ad lute, nè, se avendola addotta, non gli fu menata
deplorandas patriae suae calamitates, praefatus buona. Avendo egli premesso, non altro di vivo
esset, exposuit civitatis primum suae benefacta, rimanergli, che la lingua a deplorare le calamità
et vetera, et ea, quae Persei bello praestitissent della sua patria, espose da prima le benemerenze
ducibus exercitibusque Romanis; tum quae pri del suo paese verso i comandanti e gli eserciti
mo C. Lucretius in populares suos praetor Ro Romani, e sì le antiche, come le presenti nella
manus superbe, avare, crudeliter fecisset: deinde guerra con Perseo; indi i tratti di superbia, di
quae tum cum maxime L. Hortensius faceret: avarizia, di crudeltà che avea primamente usati
quemadmodum omnia sibi, etiam iis, quae pa Caio Lugrezio contro i loro popolani; poscia
tiantur, tristi ora patienda esse ducant potius, quelli che di presente usava massimamente Lucio
quam se dedant Persi. « Quod ad Lucretium Ortensio, e come mali anche peggiori stimino
Hortensiumque attineret, scire tutius fuisse clau essi e quel medesimi, che li soffrono, di volerli
dere portas, quam in urbem eos accipere. Qui ex prima soffrire, che darsi a Perseo. « Quanto a
clusissent eos, Emathiam, Amphipolim, Maro Lugrezio ed Ortensio, sapevano che sarebbe
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neam, Aenum, incolumes esse: apud se templa stato più sicuro chiuder loro le porte, che rice
omnibus ornamentis compilata, spoliataque sa verli in città. Emazia, Anfipoli, Maronea, Eno,
crilegiis C. Lucretium navibus Antium deveris che gli aveano esclusi, eran salvi. Nel lor paese
se; libera corpora in servitutem abrepta, fortunas i tempii essere stati spogliati di tutti gli orna
sociorum populi Romani direptas esse, et quoti menti, e averne Caio Lugrezio trasportate ad
die diripi. Nam, ex instituto C. Lucretii, Horten Anzio le sacrileghe spoglie; gli uomini liberi
sium quoque in tectis hieme pariter atque aesta tratti in servitù, le sostanze degli alleati del po
te navales socios habere, et domos suas plenas polo Romano messe e tuttora mettersi a sacco.
turba nautica esse; versari interse, coniuges, li Perciocchè d'ordine di Caio Lugrezio, Ortensio
berosque suos, quibus nihil neque dicere pensi, collocava nel loro tetti, di verno egualmente che
neque facere. ” di state, le genti di mare; eran piene le lor case
di ciurme, che si aggiravano in mezzo ad essi,
alle lor mogli e figliuoli, senza nessun riguardo
nè nel fare, nè nel dire, º
VIII. (X.) Arcessere in senatum Lucretium VIII. (X) Piacque al senato che si chiamasse
placuit, ut disceptaret coram, purgaretſue sese. Lugrezio, acciocchè in presenza degli ambascia
Ceterum multo plura praesens audivit, quam in .tori trattasse la sua causa e si scolpasse. Se non
absenten jacta erant, et graviores potentioresque che udì presente dirsegli contro assai più cose,
accessere accusatores duo tribuni plebis, M'. Ju che non se gli erano lanciate contro in sua assen
ventius Thalma et Cm. Aufidius. li non in senatu za, e si aggiunsero due più acri e più potenti
modo eum lacerarunt, sed in concionem etiam accusatori, Manio Juvenzio Talna e Gneo Aufi
pertracto, multis objectis probris, diem dixerunt. dio, tribuni della plebe. Codesti non solamente
Senatus jussu Chalcidensibus Q. Maenius praetor lo lacerarono in senato, ma trattolo eziandio
respondit: « Quae bene meritos sese, etante, et in dinanzi al popolo, scagliategli addosso molte in
eo bello, quod geratur, de populo Romano dicant, vettive, lo accusarono. Il pretore Quinto Menio,
ca et scire vera eos referre senatum, et, perinde d'ordine del senato, rispose a Calcidiesi: «Quanto
ac debeant, grata esse. Quae facta a C. Lucretio, alle loro benemerenze verso il popolo Romano e
fierique ab L. Hortensio praetoribus Romanis innanzi e nella guerra presente, il senato sapeva
querantur, ea neque facta, neque fieri voluntate benissimo che dicevano il vero, e, come conve
senatus, quem non posse existimare? qui sciat, niva, le avevano in grado. Quanto alle cose che
bellum Persi, etante Philippo patri eius, intulisse si lagnavano essere state fatte da Caio Lugrezio
populum Romanum pro libertate Graeciae, non e farsi da Lucio Ortensio, pretori Romani, chi
ut ea a magistratibus sociis atque amicis pateren può non giudicare che nè furon fatte, nè si fanno
tur. Literasse ad L. Hortensium praetorem da di volontà del senato, sapendo aver il popolo
turos esse: quae Chalcidenses querantur acta, ea Romano bandita la guerra al re Perseo e prima
senatui non placere: si qui in servitutem liberi a Filippo di lui padre per la libertà della Grecia,
venissent, ut eos conquirendos primo quoque e non perchè avessero a soffrire tali avanie dai
tempore, restituendosque in libertatem curaret: magistrati Romani loro alleati ed amici? Sarebbe
sociorum navalium neminem, praeter magistros, scritto al pretore Lucio Ortensio, disapprovare
in hospitia deduci aequum censere. - Haec Hor il senato le cose, di che si lagnavano i Calcidiesi:
tensio jussu senatus scripta. Munera binàm mil se alcune persone libere fossero state fatte schia
lium aeris legatis missa, et vehicula Mictioni pu ve, si adoperasse a ricercarle e rimetterle in
blice locata, quae eum Brundisium commode per libertà ; e trovare il senato conveniente, che del
veherent. C. Lucretium, ubi dies, quae dicta erat, le genti di mare nessuno fosse alloggiato nelle
venit,tribuni ad populum accusarunt, mulctamque case, tranne i capitani delle navi. Così fu scritto
decies centum millium aeris dixerunt. Comitiis ad Ortensio per ordine del senato. Si mandò
habitis, omnes quinque et triginta tribus eum in dono agli ambasciatori due mila assi, e si
condemnarunt. somministrarono a Miczione vetture del pub
blico, che lo trasportassero comodamente a
Brindisi. Come venne il giorno assegnato, i tri
buni accusarono dinanzi al popolo Caio Lugre
zio, proponendo che gli fosse imposta una multa
di un milione di assi. Tenuti i comizii, tutte le
trentacinque tribù lo condannarono.
IX. (XI.) In Liguribus eo anno nihil memo IX. (XI) Nella Liguria in quell'anno non si
rabile gestum ; nam nec hostes moverunt arma, è fatta cosa degna di memoria; perciocchè nè i
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neque consul in agrum eorum legiones induxit; nemici si mossero, nè il console inoltrò le legioni
et, satis explorata pace eius anni, milites duarum nel loro territorio; e, certo abbastanza della quiete
legionum Romanarum intra dies sexaginta, quam di quell'anno, licenziò i soldati di due legioni
in provinciam venit, dimisit. Sociorum nominis Romane tra i sessanta giorni, da che venuto era
Latini exercitu mature in hiberna Lunam et Pi al suo governo. Condotto per tempo l'esercito
sas deducto, ipse cum equitibus Gallia e provinciae degli alleati Latini a Luna ed a Pisa a quartieri
pleraque oppida adiit. Nusquam alibi, quam in d'inverno, egli con la cavalleria visitò parecchie
Macedonia, bellum erat: suspectum tamen et castella della Gallia. Non c'era guerra in nessun
Gentium Illyriorum regem habebant. Itaque et altro luogo, che in Macedonia: aveano però in
octo naves ornatas a Brundisio senatus censuit sospetto Genzio, re degl'Illirii. Quindi il senato
mittendas ad C. Furium legatum Issam, qui cum stimò che si avesse a mandare da Brindisi otto
praesidio duarum Issensium navium insulae prae navi fornite al legato Caio Furio ad Issa, il quale
erat. Duo millia militum in eas naves sunt impo guardava l'isola con due navi degl'Issesi. S'im
sita, quae Q. Maenius praetor ex senatusconsulto barcarono su que legni due mila soldati, che il
in ea parte Italiae, quae objecta Illyrico est, con pretore Quinto Menio, per decreto del senato,
scripsit ; et consul Hostilius Ap. Claudium in avea levati in quella parte d'Italia, che sta di
Illyricum cum quatuor millibus peditum misit, fronte all'Illirico, e il console Ostilio spedì Ap
ut accolas lllyrici tutarentur. Qui, non conten pio Claudio nell'Illirico con quattro mila fanti,
tus iis, quas adduxerat, copiis, auxilia ab sociis che difendessero i popoli convicini, ed egli, non
corrogando, ad octo millia hominum vario gene contento delle forze, che aveva condotte seco,
re armavit, peragrataque omni ea regione, ad qua e colà raccogliendo aiuti dagli alleati, armò
Lychnidum Dassaretiorum consedit. da otto mila uomini d'ogni sorte, e corso tutto
il paese, si fermò a Licnido, terra dei Dassareti.
X. (XII) Haud proculinde Uscana oppidum X. ( XII.) Stava non lungi di là Uscana, ca
finium plerumque Persei erat. Decem millia ci stello il più delle volte appartenente al re Perseo.
vium habebat, et modicum, custodiae causa, Cre Avea dieci mila cittadini, e a guardia uno scarso
tensium praesidium. Inde nuncii ad Claudium presidio di Cretesi. Venivano di là occulti messi
occulti veniebant: « Si propius copias admovis a Claudio, dicendo, che a se avesse accostato
set; paratos fore, qui proderent urbem ; et ope alquanto più l'esercito, c'era in pronto chi gli
rae pretium esse, non se amicosque tantum, sed avrebbe consegnata la terra; ed era pregio dell'o
etiam milites praedae expleturum. » Spes cupi pera, perciocchè arricchirebbe di preda sè non
ditati admota ita obcaecavit animum, ut nec ex solamente e gli amici suoi, ma i soldati eziandio.»
iis, qui venerunt, quemquam retineret; nec ob La speranza unita alla cupidigia gli acciecò sì
sides, pignus futuros furto et fraude agendae rei, fattamente l'animo, che nè ritenne alcuno di
posceret ; nec mitteret exploratum; nec fidem quei ch'eran venuti, nè chiese ostaggi, che pe.
acciperet. Die tantum statuta profectus a Lychni gno fossero contro le frodi e gl'inganni; nè
do, duodecim millia ab urbe, ad quam tende bat, mandò a spiare, nè ricevette la fede. Solamente
posuit castra Quarta. inde vigilia signa movit, nel giorno fissato partitosi da Licnido, si accam
mille ferme ad praesidium castrorum relictis. pò distante dodici miglia dalla città, a cui mira
Incompositi, longo agmine effusi, infrequentes, va. Di là, in sulla quarta veglia mosse le insegne,
quum nocturnus error dissiparet, ad urbem per lasciati da mila uomini alla guardia del campo.
venerunt. Crevit negligentia, postguam nemi Disordinati, distesi in lunga schiera, non punto
nem armatum in muris viderunt. Ceterum, ubi serrati, perchè il vagare incerto della notte gli
primum sub jactuteli fuerunt,duabus simul portis disgregava, giunsero presso alle mura. Crebbe
erumpitur, et ad clamorem erumpentium ingens la negligenza, poichè non videro nessun armato
strepitus e muris ortus ululantium mulierum cum sulle mura. Ma come tosto furono a tiro d'arco,
crepitu undigue aeris; et incondita multitudo, tur sbocca il nemico da due porte ad un tempo, ed
ba immixta servili, variis vocibus personabat. Hic alle grida di quei che si lanciavan fuori, levossi
tam multiplex undique objectus terror eſſecit, d'in sulle mura immenso strepito di ululi di
ne sustinere primam procellam eruptionis Roma donne, collo scrosciar d'ogni parte di vasi di
mi possent. Itaque fugientes plures, quam pu rame percossi; e una scompigliata moltitudine,
gnantes, interempti sunt: vix duo millia homi mescolata a turbe di servi, mille svariate voci
num cum ipso legato in castra perfugerunt. Quo metteva. Un così moltiplice spavento da ogni
longius iter in castra erat, eo plures fessos con parte offertosi a Romani fece sì che non potero
sectandi hostibus copia fuit. Ne moratus quidem no sostenere il primo impeto procelloso della
in castris Appius, utsuos dissipatos fuga collige sortita. Quindi ne rimasero morti molti più nel
TITI LIVII LIBER XLIII. 1 G8o
1679
ret (quae res palatis per agros saluti fuisset), fuggire che nel combattere: appena due mila
ad Lychnidum protinus reliquias cladis reduxit. uomini collo stesso legato ricoveraronsi nel cam
po. Quant'era più lunga la via per arrivarvi,
tanto ebbe il nemico più di tempo ad inseguirli,
stracchi come erano. Appio, senza fermarsi pun
to nel campo a raccogliere i suoi sbandatisi nella
fuga (il che avrebbe salvati i soldati dispersi per
la campagna), ricondusse subito a Licnido le
reliquie della sconfitta.
XI. (XIII) Haec et alia, haud prospere in XI. ( XIII.) Di queste e d'altre cose non fe
Macedonia gesta, ex Sex. Digitio tribuno mili licemente operate in Macedonia s'ebbe la noti
tum, qui sacrificii causa Romam venerat, sunt zia da Sesto Digizio, tribuno del soldati, ch'era
audita. Propter quae veriti Patres, ne quae major venuto a Roma per celebrarvi un sagrifizio.
ignominia acciperetur, legatos in Macedoniam, Ond'è, che dubitando i Padri che non forse si
M. Fulvium Flaccum, et M. Caninium Rebilum, ricevesse alcun'altra ignominia maggiore, spedi
miserunt, qui comperta, quae agerentur, refer rono legati in Macedonia Marco Fulvio Flacco e
rent; et ut A. Hostilius consul comitia consuli Caio Caminio Rebila, i quali, veduto ciò che vi
bus subrogandis ita ediceret, uti mense Januario si facesse, ne riferissero; e comandarono che il
comitia haberi possent, et ut primo quoque tem console Aulo Ostilio intimasse i comizii per la
pore in urbem rediret. Interim M. Raecio prae creazione de'nuovi consoli in modo che si potes
tori mandatum, ut edicto senatores omnes ex sero tenere nel mese di Gennaio, e ch'egli al più
tota Italia (nisi qui reipublicae causa abessent) presto tornasse a Roma. Intanto fu commesso al
Romam revocaret. Qui Romae essent, ne quis pretore Marco Recio, che con editto richiamasse
ultra mille passuum ab Roma abesset. Ea, uti se da tutta Italia a Roma tutti i senatori, eccetto
matus censuit, sunt facta. Comitia consularia ante quelli che fossero assenti in pubblico servigio.
diem quintum Kalendas Septembres fuere. Creati Quelli che fossero in Roma, nessuno se ne disco
consules sunt Q. Marcius Philippus iterum et Cn. stasse oltre a mille passi. Tutto questo fu fatto
Servilius Caepio. Post diem tertium praetores come il senato comandò. I comizii consolari si
sunt facti C. Decimius, M. Claudius Marcellus, tennero il quinto dì avanti le calende di Febbra
C. Sulpicius Gallus, C. Marcius Figulus, Ser. ro. Furono creati consoli Quinto Marcio Filippo
Cornelius Lentulus, P. Fontejus Capito. Designa per la seconda volta e Gneo Servilio Cepione.
tis praetoribus praeter duas urbanas, quatuor Tre dì di poi furon fatti pretori Caio Decimio,
provinciae sunt decretae, Hispania et Sardinia Marco Claudio Marcello, Caio Sulpicio Gallo,
et Sicilia, et classis. Legati ex Macedonia, exacto Caio Marcio Figulo, Sergio Cornelio Lentulo e
admodum mense Februario, redierunt. Hi, quas Publio Fonteio Capitone. Ai pretori designati,
res ea aestate prospere gessisset rex Perseus, re oltre le due giurisdizioni urbane, furono decre
ferebant, quantusque timor socios populi Romani tate quattro province, la Spagna e la Sardegna,
cepisset, tot urbibus in potestatem regis redactis. la Sicilia e la flotta. I legati tornarono dalla Ma
c. Exercitum consulis infrequentem commeatibus cedonia, non ancora spirato il mese di Febbraio.
vulgo datis per ambitionem esse: culpam ejus rei Riferivan essi le imprese felicemente eseguite in
consulem in tribunos militum, contra illos in quella state da Perseo, e quanto grande timore
consulem conferre. Ignominiam, Claudii teme s'era messo negli alleati del popolo Romano per
ritate acceptam, elevare eos Patres acceperunt, le tante città cadute in potere del re. t. L'esercito
qui perpaucos Italici generis, et magna ex parte del console essersi alquanto diradato per le licen
tumultuario delectu conscriptos ibi milites amis ze facilmente accordate al favore: il console ri
sos referebant. » Consules designati, ubi primum versarne la colpa sopra i tribuni de soldati, i
magistratum inissent, de Macedonia reſerre ad tribuni sopra il console. Quanto all'ignominia
senatum jussi: destinataeque provinciae iis sunt sofferta per la temerità di Claudio, ben accorger
Italia et Macedonia. Hoc anno intercalatum est: si i Padri, come intendevano a scusarla coloro,
tertio die post Terminalia Kalendae intercalares che riferivano non essersi quivi perduti che
fuere. Sacerdotes intra eum annum mortui, L. pochissimi Italiani, e la maggior parte di gente
Flaminius “ pontifices duo decesserunt, L. Fu tumultuariamente raccolta. » A'consoli designati
rius Philus et C. Livius Salinator. In locum Furii fu commesso che come tosto pigliato avessero il
T. Manlium Torquatum, in Livii M. Servilium magistrato, riferissero al senato delle cose di
pontifices legerunt. Macedonia, e fu loro assegnata l'Italia e la Mace
donia. Si fece in quest'anno intercalazione, e il
168 i TITI LIVII LIBER XLIII. 1682

terzo dì dopo le feste Terminali s'ebbe le calende


intercalari. Nel corso di quest'anno medesimo
morirono Lucio Flaminio (augure) e i due
pontefici Lucio Furio Filo e Caio Livio Salinato
re. Elessero in luogo di Furio Tito Manlio Tor
quato, di Livio Marco Servilio.
XII. (XIV). (Anno U. C. 583. – A. C. 169) XII. ( XVI.) (Anni D. R.583. – A. C. 169)
Principio insequentis anni quum consules novi Nel principio dell'anno susseguente, avendo i
Q. Marcius et Cn. Servilius de provinciis retulis nuovi consoli proposta al senato la deliberazio
sent, primo quoque tempore aut comparare eos ne delle province, ordinò egli che quanto prima
inter se ltaliam et Macedoniam, aut sortiri pla o si ripartissero tra loro, ovvero traessero a sorte
cuit: priusquam id sors cerneret, in incertum, la Macedonia e l'Italia, e che innanzi che la sorte
ne quid gratia momenti faceret, in utramque decidesse, sul dubbio che il favore non arrecasse
provinciam, quod res desideraret supplementi, per avventura qualche momento, si decretasse
decerni. In Macedoniam peditum Romanorum per l'una e l'altra provincia quel supplemento,
sex millia, sociorum nominis Latini sex millia: che potesse abbisognare: per la Macedonia sei
equites Romanos ducentos quinquaginta, socios mila fanti Romani e sei mila degli alleati Latini;
trecentos. Veteres milites dimitti, ita ut in sin dugento cinquanta cavalieri Romani, trecento
gulas Romanas legiones ne plus sena millia pe. alleati; e che si licenziassero i vecchi soldati, in
ditum, treceni equites essent. Alteri consuli nul modo che ciascuna legione Romana non avesse
lus certus finitus numerus civium Romanorum, più di sei mila fanti e trecento cavalli. All'altro
quem in supplementum legeret. Id modo finitum, console non fu limitato un certo numero di cit
ut duas legiones scriberet, quae quina millia pe tadini Romani, da doversi levare a supplemento;
ditum et ducenos haberent, equites trecenos. La questo solamente fu fermato ch'egli levasse due
tinorum major, quam collegae, decretus nume legioni, le quali avessero cinque mila dugento
rus; peditum decem milla et sexcenti equites. fanti e trecento cavalli. Se gli assegnò un numero
Quatuor praeterea legiones scribi jussae, quae, di alleati Latini maggiore che al collega, dieci
si quo opus esset, educerentur.Tribunos his, non mila fanti e seicento cavalli; inoltre si ordinò la
permissum, ut consules facerent: populus crea leva di quattro legioni da mandarsi fuori, do
vit. Sociis nominis Latini sexdecim millia pedi vunque occorresse. Per queste non fu permesso
tum, et mille equitus imperati. Hunc exercitum che i consoli ne nominassero i tribuni ; li nomi
parari tantum placuit, ut exiret, si quo res po nò il popolo. Agli alleati del nome Latino fu
sceret. Macedonia maxime curam praebebat. In commesso che dessero sedici mila fanti e mila
classem mille socii navales cives Romani libertini cavalli. Vollero che questo esercito fosse solamen
ordinis, ex Italia “ scribi jussi; totidem ut ex te in pronto, perchè uscisse, se il bisogno lo ri
Sicilia scriberentur; et, cui ea provincia evenis chiedesse. La Macedonia sopra tutto metteva
set, mandatum, ut eos in Macedoniam, ubicum pensiero. Si comandò per la flotta la leva di mila
que classis esset, deportandos curaret. In Hispa cittadini Romani della classe dei libertini, e che
niam tria millia peditum Romanorum in supple altrettanti se ne levassero dalla Sicilia; e a chi
mentum, trecenti equites decreti. Finitus ibi toccato fosse quel governo, fu commesso che
quoque in legiones militum numerus, peditum avesse cura di farli trasportare in Macedonia,
quina millia, treceni et triceni equites. Et so ovunque si trovasse la ſlotta. Si decretò per la
ciis imperare praetor, cui Hispania obvenisset, Spagna il supplemento di tre mila fanti Romani
jussus quatuor millia peditum, et trecentos e di trecento cavalli. Anche qui vi fu determinato
equites. il numero de soldati per ciascuna legione; cin
que mila fanti, trecento trenta cavalli. E fu detto
al pretore, cui toccato fosse la Spagna, che coman
dasse agli alleati quattro mila fanti e trecento
cavalli.
XIII. (XV.) Non sum nescius, ab eadem me XIII. (XV.) Non ignoro, che per quella stes
gligentia, qua nihil deos portendere vulgo nunc sa negligenza, per cui ora si crede comunemente
credant, neque nunciari admodum nulla pro che gli dei niuna cosa presagiscono coi prodigii,
digia in publicum, neque in annales referri. Ce niuno più se ne annunzia al pubblico, niuno se
terum et mihi, vetustas res scribenti, nescio quo ne inserisce negli annali. A me però, che scrivo
pacto, antiquus fit animus; et quaedam religio le cose antiche, fassi, non so come, anche l'animo
tenet, quae illi prudentissimi viri publice su
Livio 2
antico, e una specie di religio"
1 oto
obbliga a
i 6'53 TITI LIVII LIBER XLlII. 1684

scipienda censuerint, ea pro dignis habere, quae stimar degni d'essere rapportati ne'miei annali
in meos annales referam. Anagnia duo prodigia que portenti, che quegli uomini prudentissimi
eo anno sunt nunciata; facem in coelo conspe giudicarono doversi pubblicamente espiare. Due
ctam , et bovem feminam locutam publice ali. in quell'anno ne furono annunziati da Anagnia;
Minturnis quoque per eos dies coeli ardentis che s'era veduta una fiaccola in cielo, e che una
species affulserat. Reate imbri lapidavit. Cumis vacca, ch'erano drita dal pubblico, avea parlato.
in arce Apollo triduum actres noctes lacrima vit. Anche a Minturno di quel dì s'era mostrato il
In urbe Romana duo aeditui nunciarunt, alter, cielo arder tutto. A Reate piovvero sassi. A Cu
in aede Fortunae anguem jubatum a compluri ma, nella rocca, Apollo avea lagrimato tre dì e
bus visum esse : alter, in aede Primigeniae For tre notti. In Roma due guardiani annunziarono;
tunae, quae in colle est, duo diversa prodigia; uno, che nel tempio della Fortuna molti avean
palmam in area enatam, et sanguine interdiu veduto un serpente colla giubba; l'altro che in
pluisse. Duo non suscepta prodigia sunt, alterum quello della Fortuna primigenia, che sta sul
quod in privato loco factum esset, palmam ena Quirinale, s'eran veduti due diversi prodigi;
tam impluvio suo T. Marcius Figulus nunciabat: ch'era nata una palma dal pavimento, e ch'era
alterum, quod in loco peregrino, Fregellis in piovuto sangue di giorno. Due altri prodigii non
domo L.Atrei, hasta, quam filio militi emerat, furono accettati; uno perch'era accaduto in luo
interdiu plus duas horas arsisse, ita ut nihil go privato, annunziando Tito Marcio Figulo,
ejus ambureret ignis, dicehatur. Publicorum che gli era nata una palma nel cortile; l'altro,
prodigiorum causa libri a decemviris aditi. Qua perchè in terra forestiera, dicendosi che a Fre
drag inta majoribus hostiis quibus diis consules gelle, in casa di Lucio Atreo, l'asta ch'egli avea
sacrificarent, ediderunt, et, uti supplicatio fie comperata al figliuolo soldato, arse di giorno per
ret, cunctique magistratus circa omnia pulvina più di due ore, senza che il fuoco punto la con
ria victimis majoribus sacrificarent, populusque sumasse. A cagione de'pubblici prodigii i decem
coronatus esset. Omnia, uti decemviri praeie viri consultarono i libri. Dichiararono a quali
runt, ſacta. dei dovessero i consoli sagrificare con quaranta
vittime maggiori; aggiunsero che si facesse so
lenne processione, e che i magistrati sagrificassero
a tutti gli altari con le vittime maggiori, e che il
popolo fosse col capo inghirlandato. Tutto fu
eseguito come i decemviri avvisarono.
XIV. (XVI.) Censoribus deinde creandis co XIV. ( XVI) Poscia intimati furono i comizii
mitia edicta sunt. Petierunt censuram principes per creare i censori. Domandarono la censura i
civitatis, C. Valerius Laevinus, L. Postumius personaggi più riguardevoli di Roma , Caio Va
Albinus, P. Mucius Scaevola, M. Junius lirutus, lerio Levino, Lucio Postumio Albino, Publio
C. Claudius Pulcher, Ti. Sempronius Gracchus. Mucio Scevola, Marco Giunio Bruto, Caio Claudio
IIos duos censores creavit populus Romanus. Pulcro, Tito Sempronio Gracco. Creò il popolo
Quum delectus habendi major, quam alias, pro Romano censori questi due. Il pensiero di far
pter Macedonicum bellum cura esset, consules ple la leva essendo, a motivo della guerra Macedonica,
bem apud senatum accusabant, quod et juniores più grande che in altro tempo giammai, i consoli
non responderent. Adversus quos C. Sulpicius accusavano la plebe presso il senato, che i giovani
et M. Claudius tribuni plebis causam egerunt. non rispondessero alla chiamata. Contro di essi
. Non consulibus, sed ambitiosis consulibus de i tribuni Caio Sulpicio e Marco Claudio tratta
lectum difficilem esse. Neminem invitum mili rono la causa della plebe: « Non riusciva la leva
tem ab iis fieri. Id ita ut esse scirent et Patres difficile a consoli, ma sì a consoli che uccellavan
conscripti, praetores, quibus et vis imperii mi favore. Non arrolavano nessun contro sua voglia.
nor et auctoritas esset, delectum, si ita senatui Ed acciocchè i Padri sapessero starsi la cosa in
videretur, perfecturos esse. ” Id praetoribus ma questo modo, l'avrebbono, se così piacesse al se
gna Patrum “ non sine suggillatione consulum, mato, compiuta i pretori, ne' quali era pur minore
mandatum est. Censores, uteam rem adjuvarent, e l'autorità ed il potere. » Ne fu quindi data la
ita in concione edixerunt, « Legem censui censen commissione ai pretori con grande consentimento
do dicturos esse, ut, praeter commune omnium dei Padri, non senza smacco dei consoli. I cen
civium jusjurandum, haec adjurarent: Tu mi sori, per aiutare la cosa, promulgarono davanti
nor annis sex et quadra ginta es, tuque ex edi al popolo, e che nel fare il censimento avrebbono
cto C. Claudii, l'i. Sempronii censorum ad de imposta la legge, che, oltre il giuramento co
lectum prodito; et, quotiescumque delectus erit, mune a tutti i cittadini, giurassero eaiandio in
1 685 1'ITI LIVII LIBER XLIII. 1656

quem hic censores magistratum habebunt, si mi questo modo: Tu sei minore di anni quarantasei;
les factus non eris, in delectu prodibis. » Item, tu dunque in vigor dell'editto dei censori Caio
qui fama erat, multos ex Macedonicis legioni Claudio e Tito Sempronio devi dare il tuo nome
bus, incertis commeatibus per ambitionem im per la leva, e ogni volta che si farà la leva, du
peratorum ab exercitu abesse, edixerunt de mi rante il magistrato di questi censori, se non sarai
litibus, P. Aelio, C. Popillio consulibus, postve fatto soldato, darai il tuo nome. Parimenti,
eos consules in Macedoniam scriptis, « Ut, qui perchè correva voce che molti soldati delle Ma
eorum in Italia essent, intra dies triginta, censi cedoniche legioni erano assenti dall'esercito per
prius apud sese, in provinciam redirent. Qui in le indefinite licenze ottenute dal favore dei co
patris aut avi potestate essent, eorum nomina mandanti, fecero un editto quanto ai soldati ar
ad se ederentur. Missorum quoque causas sese rolati sotto i consoli Publio Elio e Caio Popillio,
cognituros esse, et, quorum ante emerita sti o di poi, a che quelli d'essi ch'erano in Italia,
pendia gratiosa missio sibi visa esset, eos milites dovessero entro trenta giorni, fattisi prima scri
fieri jussuros. » Hoc edicto literisque censorum vere nel censo, tornare in Macedonia. Quanto
per fora et conciliabula dimissis, tanta multitudo a quelli che fossero sotto la podestà del padre o
juniorum Romam convenit, ut gravis urbi turba dell'avolo, se ne dessero i nomi alla censura.
insolita esset. Conoscerebbero eziandio i censori i titoli dei
congedati, e rimetterebbero sotto le insegue
quelli, i cui congedi si trovassero dati al favore
prima del compimento della milizia. » In vigore
di questo editto e delle lettere spedite dai censori
per le piazze e pe'mercati, tanta moltitudine di
giovani si raccolse in Roma, che l'insolita turba
riuscì alquanto grave alla città.
XV. (XVII) Praeter delectum eorum, quos XV. (XVII) Oltre la leva di quelli che biso
in supplementum mitti oportebat, quatuor a C. gnava mandare in supplemento, il pretore Caio
Sulpicio praetore scriptae legiones sunt, intra Sulpicio arrolò quattro legioni, e tra undici
que undecim dies delectus est perfectus. Com giorni la leva fu compiuta. Indi i consoli trassero
sules deinde sortiti provincias sunt. Nam prae a sorte le province; perciocchè i pretori, dovendo
tores propter jurisdictionem maturius sortiti render ragione, si avean diviso le loro più per
erant. Urbana C. Sulpicio, peregrina C. Deci tempo. La giurisdizione urbana toccata era a
mio obtigerat; Hispaniam M. Claudius Marcel Caio Sulpicio, la forestiera a Caio Decimio, la
lus, Siciliam Ser. Cornelius Lentulus, Sardiniam Spagna a Marco Claudio Marcello, la Sicilia
P. Fontejus Capito, classem C. Marcius Figu a Sergio Cornelio Lentulo, la Sardegna a Publio
lus erat sortitus. Consulum Cn. Servilio Ita Fonteio Capitone, la flotta a Caio Marcio Figulo.
lia, Q. Marcio Macedonia obvenit ; Latinisque Dei consoli toccò l'Italia a Gneo Servilio, la
actis, Marcius extemplo est profectus. Caepione Macedonia a Quinto Marcio, e celebrate le ferie
deinde referente ad senatum, quas ex novis Latine, Marcio immantinente partì. Avendo poi
legionibus duas legiones secum in Galliam duce chiesto Cepione al senato delle nuove legioni ſu li
ret, decrevere Patres, ut C. Sulpicius, M. Clau due avesse a menar seco nella Gallia, decretarono'
dius praetores ex his, quas scripsissent, legio i Padri che i pretori Caio Sulpicio e Marco Clau
nibus, quas videretur, consuli darent. Indigne dio delle legioni che avean levate, quelle dessero
patiente praetorum arbitrio consulem subje al console, che lor paresse. Soffrendo sdegnosa
ctum, dimisso senatu, ad tribunal praetorum mente Cepione, che un console soggetto fosse
stans postulavit, ex senatusconsulto destinarent all'arbitrio de'pretori, licenziato il senato, stan
sibi duas legiones. Praetores consuli in eligen dosi ritto davanti il loro tribunale, domandò che
do arbitrium fecerunt. Sematum deinde censo a tenore del decreto del senato gli destinassero
res legerunt; M. Aemilius Lepidus princeps ab le due legioni. I pretori rimisero l'arbitrio della
tertiis jam censoribus lectus. Septem e senatu scelta al console. Indi i censori elessero il senato;
ejecti sunt. In censu accipiendo populi milites Marco Emilio Lepido ne fu nominato principe
ex Macedonico exercitu, qui quam multi abes per la terza volta da tre mani di censori succes
sent ab signis, census docuit, in provinciam co sivamente. Gli espulsi dal senato furono sette.
gebant: causas stipendiis missorum cognosce Nel ricevere il censo del popolo, i censori obbli
bant : et cujus nondum justa missio visa esset, gavano i soldati, i quali, in quanto gran numero
itajusjurandum adigebant: « Ex tui animi sen assenti fossero dalle insegne, dal censo stesso
tentia, tu ex edicto C. Claudii, Ti. Sempronii appariva, a tornarsene in Macedonia: conosce
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censorum in provinciam Macedoniam redibis, vano degli anni di milizia de'congedati, e quelli,
quod sine dolo malo facere poteris? di cui non pareva ancora legittimo il congedo,
gli obbligavano a giurare in questa guisa; a Giura
in tua coscionza, che di buona fede tornerai in
Macedonia, secondo l'editto de'pretori Caio
Claudio e Tito Sempronio. »
XVI. (XVIII) In equitibus recensendis tri XVI. (XVIII) Nel rassegnare i cavalli fu
stis admodum eorum atque aspera censura fuit: alquanto severa ed aspra la lor censura: tolsero
multis equos ademerunt. In ea re quum eque i cavalli a molti. Avendo con questa operazione
strem ordinem offendissent, flammam invidiae offeso l'ordine equestre, ne accrebbero vie più
adjecere edicto, quo edixerunt, « Ne quis eo il risentimento con l'editto pubblicato, « che
rum, qui Q. Fulvio, A. Postumio censoribus pu nessuno di quelli, i quali nella censura di Quinto
blica vectigalia aut ultro tributa conduxissent, Fulvio e di Aulo Postumio avessero tolto l'ap
ad hastam suam accederet, sociusve aut affinis palto delle pubbliche gabelle o de'pubblici lavori,
ejus conductionis esset. - Saepe id querendo ve si presentasse all'asta loro, nè potesse essere com
teres publicani quum impetrare nequissent ab se pagno o compartecipe di quell'appalto. ” Non
natu, ut modum potestati censoriae imponerent, avendo potuto i vecchi conduttori, con ripetute
tandem tribunum plebis P. Rutilium, ex rei pri doglianze, impetrar giammai dal senato che met
vatae contentione iratum censoribus, patronum tessero un limite alla podestà de'censori, final
causae macti sunt. Clientem libertinum parietem mente trovarono un difensore della lor causa
in Sacra via adversus aedes publicas demoliri jus in Publio Rutilio tribuno della plebe, per private
serant, quod publico inaedificatus esset. Appellati ragioni adirato contro i censori. Avevano ordi
a privato tribuni. Quum praeter Rutilium nemo nato a un suo cliente, di condizione libertino,
intercederet, censores ad pignora capienda mi che demolisse un muro eretto da lui nella via
serunt, mulctamque pro concione privato di Sacra dirimpetto a pubblici edifizii, perchè era
xerunt. Hinc contentione orta, quum veteres stato piantato sul pubblico. Il privato appellò
publicani se ad tribunum contulissent, rogatio ai tribuni. Nessuno di questi accorrendo alla di
repente sub unius tribuni nomine promulgatur: fesa, eccetto Rutilio, i censori mandarono a levare
a Quae publica vectigalia, ultro tributa C. Clau i pegni, e nel parlamento del popolo intimarono
dius et Ti. Sempronius locassent, ea rata locatio a quell'uom privato una multa. Nata quindi
ne esset. De integro locarentur, et ut omnibus contesa, essendo i vecchi conduttori ricorsi al
redimendi et conducendi promiscue jus esset.» tribuno, tosto fu proposta una legge a nome
Diem ad eius rogationem concilio tribunus ple di un solo tribuno: a che l'appalto delle pubbli
bis dixit. Qui postduam venit, ut censores ad che gabelle, e del pubblici lavori stato fatto da
dissuadendum processerunt, Graccho dicente, Caio Claudio e da Tito Sempronio, non sia vali
silentium ſuit. Quum Claudio obstreperetur, do, e si debba nuovamente fare, e tutti sieno
audientiam facere praeconem jussit. Eo facto, liberi di prenderlo e levarlo. » Il tribuno della
avocatam a se concionem tribunus questus, et in plebe annunziò al popolo il giorno, in cui pro
ordinem se coactum, ex Capitolio, ubi erat conci porrebbe l'adozion della legge; venuto il quale,
lium, abiit. Postero die ingentes tumultus ciere. come i censori si presentarono a dissuadere la
Ti. Gracchi primum bona consecravit, quod in legge, insino che parlò Sempronio Gracco, ci fu
mulcta pignoribusque ejus, qui tribunum appel silenzio; ma Claudio, interrotto dallo strepito,
lasset, intercessioni non parendo, se in ordinem ordinò al banditore che facesse fare udienza.
coégisset. C. Claudio diem dixit, quod concio Lagnatosi il tribuno, che per tal fatto gli si fosse
nem ab se avocasset, et utrique censori perduel tolta la presidenza del parlamento, e l'onor suo
lionem se judicare pronunciavit, diemque comi vilipeso, si partì dal Campidoglio, dove si teneva
tiis a C. Sulpicio praetore urbano petiit. Non re l'assemblea. Il dì seguente scoppiaron grandi tu
cusantibus censoribus, qui minus primo quoque multi. Da prima il tribuno consacrò i beni di
tempore judicium de se populus faceret, in ante Tito Gracco, perchè non rispettando la di lui
dies octavum et septimum Kalendas Octobres opposizione nel fatto della multa e de' pegni
comitiis perduellionis dicta dies. Censores ex di colui, che aveva appellato al tribuno, avea
templo in atrium Libertatis ascenderunt, et, vilipesa la dignità tribunizia. Ed accusò Caio
ibi signatis tabellis publicis, clausoque tabulario, Claudio, perchè gli avesse tolta la presidenza
et dimissis servis publicis, negarunt, se prius dell'assemblea, e dichiarò rei di lesa-maestà l'uno
quidquam publici negotii gesturos, quam judi e l'altro censore, e chiese a Caio Sulpicio, pre
cium populi de se factum esset. Prior Claudius tore urbano, che gli assegnasse il giorno per
1689 TITI LIVII LIBER XLIII. 169o
causam dixit; et, quum ex duodecim centuriis portare l'accusa al popolo. Non ricusando i cen
equitum octo censorem condemnassent, mul sori d'essere al più prossimo tempo giudicati dal
taeque aliae primae classis, extemplo principes popolo, furono stabiliti i giorni vigesimo primo
civitatis in conspectu populi, annulis aureis posi e vigesimo terzo di Settembre a trattar la causa
tis, vestem mutarunt, ut supplices plebem circum di lesa-maestà. Saliron tosto i censori alla sala
irent. Maxime tamen sententia vertisse dicitur della Libertà, e quivi, sigillati i pubblici registri
Ti. Gracchus, quod, quum clamor undidue ple e chiusa la cancelleria e licenziati i ministri, pro
bis esset, periculum Graccho non esse, conceptis testarono che non avrebbono atteso a nessuna
verbis juravit, si collega damnatus esset, non pubblica faccenda, se prima non gli avesse il po
exspectato de se iudicio, comitem exsilii eius fu polo giudicati. Primo in giudizio venne Claudio,
turum. Adeo tamen ad extremum spei venit reus, e di dodici centurie di cavalieri essendo già stato
utocto centuriae ad damnationem defuerint.Ab il censore condannato da otto, non che da molte
soluto Claudio, tribunus plebis negavit se Grac altre centurie della prima classe, immantinente
chum morari.
i principali personaggi della città, nel cospetto
del popolo, deposti gli anelli d'oro, mutaron
le vesti per andare intorno a supplicare il popolo.
Nondimeno quegli che fe' mutare i pareri, fu
Tito Gracco, il quale, gridando da ogni lato
la plebe che Gracco nulla temesse per sè, giurò
solennemente, che se il suo collega fosse condan
nato, egli, senza aspettare il giudizio sopra di sè,
si farebbe del di lui esiglio compagno. Nondi
meno venne Claudio a sì estremo termine di pe
ricolo, che sole otto centurie mancarono alla
di lui condannagione. Come Claudio fu assolto,
il tribuno della plebe dichiarò ch'ei licenziava
anche Gracco. -

XVII. (XIX) Eo anno, postulantibus Aqui XVII. (XIX) In quell'anno, chiedendo gli
lejensium legatis, ut numerum colonorum auge ambasciatori di Aquileia che accresciuto fosse
ret, mille et quingentae familiae ex senatuscon il numero de'coloni, vi si sono iscritte, per de
sulto scriptae, triumvirique, qui eas deducerent, creto del senato mille cinquecento famiglie, e si
missi sunt, T. Annius Luscus, P. Decius Subulo, spedirono a condurvele i triumviri Tito Annio
M. Cornelius Cethegus. Eodem anno C.Popillius Losco, Publio Decio Subulone e Marco Cornelio
et Cn.Octavius legati, qui in Graeciammissi erant, Cetego. L'anno medesimo i legati Caio Popillio
senatusconsultum, Thebis primum recitatum, e Gneo Ottavio ch'erano stati spediti in Grecia,
per omnes Peloponnesi urbes circumtulerunt, portarono attorno per tutte le città del Pelopon
« Ne quis ullam rem in bellum magistratibus meso il decreto del senato, avendolo da prima
Romanis conferret, praeterquam quod senatus recitato in Tebe ; « che niuno contribuisse cosa
censuisset. - Hoc fiduciam in posterum quoque alcuna a'magistrati Romani, eccetto quello che
praebuerat, levatos se oneribusque impensisque, il senato deliberasse. " Questo avea dato ad essi
quibus, alia aliis imperantibus, exhauriebantur. fiducia, che anche per l'avvenire sarebbono sol
Achaico concilio Argis agitato, benigne locuti levati dai carichi e dalle spese, che, altri una
auditique, egregia spe futuri status fidissima cosa domandando, ed altri un'altra, gli esauri
gente relicta, in Aetoliam trajecerunt. Ibi non vano. Nella dieta degli Achei tenuta in Argo,
dum quidem seditio erat, sed omnia suscepta, parlarono i legati, ed ascoltati furono benigna
criminumque inter ipsos plena. Ob quae obsidi mente, e lasciata quella fedelissima nazione piena
bus postulatis, neque exitu rei imposito, in Acar di bella speranza del futuro suo stato, passarono
naniam inde profecti legati sunt. Thyrii conci in Etolia. Quivi non c'era ancora sedizione ma
lium legatis Acarnanes dederunt. Ibi quoque in nifesta, ma sì da per tutto sospetti e reciproche
terfactiones erat certamen. Quidam principum accuse; onde, chiesti ostaggi, senza por fine al
postulare, ut praesidia in urbes suas induceren la cosa, di là i legati si recarono in Acarnania.
tur adversus amentiam eorum, qui ad Macedo Gli Acarnani diedero loro udienza in Tirio.
nas gentem trahebant: pars recusare, ne, quod Anche quivi c'era lotta di fazioni. Alcuni de'prin
bello captis et hostibus mos esset, id pacatae et cipali chiedevamo che si mettessero presidii nelle
sociae civitates ignominiae acciperent. Justa de città contro la frenesia di coloro, che volean trarre
precatio haec visa. Larissam ad Hostilium pro la nazione al partito dei Macedoni: parte ricu
1691 TITI LIVII LIBER XI,III. i 692
consulem (ab eo enim missi erant) legati redie sava, acciocchè le loro città quiete e collegate
runt. Octavium retinuit secum. Popillium cum non ricevessero quell'onta,che solea farsi alle città
mille ferme militibus in hiberna Ambraciam prese e nemiche. Codesta preghiera parve giusta.
misit. I legati tornarono a Larissa al proconsole Ostilio,
dal quale erano stati spediti. Egli ritenne seco
Ottavio e mandò Popillio con quasi mille soldati
a svernare in Ambracia.

XVIII. (XX) Perseus, principio hiemis egre XVIII. (XX) Perseo, sul principio del verno
di Macedoniae finibus non ausus, ne qua in re non osando uscire dai confini della Macedonia
gnum vacuum irrumperent Romani, sub tempus per timore che i Romani non si cacciassero entro
brumae, quum inexsuperabiles ab Thessalia mon il vuoto regno da qualche parte, verso la metà
tes nivis altitudo facit, occasionem esse ratus della stagione, quando l'altezza della neve rende
frangendi finitimorum spes animosque, ne quid, insuperabili i monti dalla parte della Tessaglia,
averso se in Romanum bellum, periculi subesset, stimando esser questa l'occasione di atterrare
quum a Thracia pacem Cotys, ab Epiro Cepha le speranze e l'ardimento de popoli confinanti,
lus repentina defectione a Romanis praestarent, onde, mentr'egli volto fosse alla guerra Romana,
Dardanos recens domuisset bello, solum infestum non se gli destasse intorno qualche pericolo,
esset Macedoniae latus, quod ab Illyrico pateret, Coti assecurandolo dalla parte della Tracia, da
cernens, neque ipsis quietis Illyriis, et aditum quella dell'Epiro Cefalo staccatosi improvvisa
praebentibus Romanis, si domuisset proximos mente dai Romani, e domati avendo novellamente
Illyriorum, Gentium quoque regem jam diu du i Dardani coll'armi, vedendo essere esposto il
bium in societatem perlici posse, cum decem mil solo lato della Macedonia, che si apre verso
libus peditum, quorum pars phalangitae erant, l'Illirico, non essendo nè anche quieti gl'Illirii
et duobus millibus levium armatorum, et quin che lasciavano il passo libero a Romani, e che se
gentis equitibus profectus, Stuberam venit.lnde avesse domati i popoli vicini agl'Illirii, si sarebbe
frumento complurium dierum sumpto, jussoque potuto trar nella lega anche il re Genzio già
apparatu oppugnandarum urbium sequi, tertio da gran tempo irresoluto, partitosi con dieci mila
die ad Uscanam (Penestianae terrae ea maxima fanti, una parte de'quali erano falangiti, e con
urbs est) posuit castra: prius tamen, quam vim due mila armati alla leggera e con cinquecento
admoveret, missis, qui tentarent nunc praefecto cavalli, venne a Stubera. Preso quivi frumento
rum praesidii, nunc oppidanorum animos. Erat per parecchi giorni, e dato ordine che tutto
autem ibi cum juventute Illyriorum Romanum l'apparecchio da combattere le città il seguitasse,
praesidium. Postguam nihil pacati referebant, il terzo dì accampossi presso Uscana, città la più
oppugnare est adortus, et corona eam capere grande della contrada Penestiana; spediti però
conatus est. Quum sine intermissione interdiu alcuni, prima di usare la forza, i quali tentassero
noctuque alii aliis succedentes, pars scalas mu gli animi ora dei comandanti del presidio, ora
ris, ignem portis inferrent, sustinebant tamen de terrazzani. C'era quivi un presidio Romano
eam tempestatem propugnatores urbis; quia spes con alquanta gioventù Illirica. Poi che non s'ebbe
erat, neque hiemis vim diutius pati Macedonas risposta punto pacifica, cominciò Perseo a com
in aperto posse, mec ab Romano bello tantum battere la città e tentò d'investirla da ogni par
regi laxamenti fore, ut posset morari. Ceterum, te. Succedendosi i Macedoni gli uni agli altri
postquam vineas agi, turresque excitari viderunt, senza interruzione, parte accostando le scale,
victa pertinacia est. Nam, praeterquam quod parte mettendo il fuoco alle porte, nondimeno
adversus vim pares non erant, ne frumenti qui i difensori sostenevano coraggiosamente quella
dem aut ullius alterius rei copia intus erat, ut burrasca, sperando che nè i Macedoni potrebbono
in necopinata obsidione. Itaque quum spei nihil allo scoperto reggere lungamente all'asprezza
ad resistendum esset, C. Carvilius Spoletinus et del verno, e che la guerra Romana non lasce
C. Afranius a praesidio Romano missi, qui a rebbe al re tanto di agio, ch'ei potesse soffer
Perseo peterent, prinio, ut armatos suaque se marsi. Se non che come videro apprestarsi i man
cum ferentes abire sineret; dein, si id minus im telletti ed innalzarsi le torri, la pertinacia rimase
petrarent, vitae tantum libertatisque fidem acci vinta. Perciocchè, oltre che non eran pari a tanta
perent. Promissum id benignius est ab rege, forza, non avean dentro copia bastevole di fru
quam praestitum. Exire enim sua secum efferen mento o d'altre provvigioni, come avviene in
tibus jussis primum arma ademit. His urbe e assedio non preveduto. Non restando pertanto
gressis, et Illyriorum cohors (quingenti erant) speranza di poter resistere, Caio Carvilio di Spo
et Uscanenses se urbemque dediderunt. leto e Caio Afranio, furono mandati dal presidio
1693 TITI LIVII LIBER XLIII. 1694
Romano a chiedere a Perseo, primieramente che
gli lasciasse uscire armati e portar seco le robe
loro; poscia, se non impetrassero questo, che fosse
assecurata loro e roba e libertà. Il re fu più beni
gno a promettere, che fido a mantenere; percioc
chè, fattili uscire portando seco le robe loro,
prima di tutto spogliolli dell'armi. Come furono
usciti, anche la coorte degl'Illirii, in numero
di cinquecento, e gli abitanti di Uscana sè e la
città loro diedero in potere del re.
XIX. (XXI) Perseus, praesidio Uscanae im XIX. (XXI) Perseo, messo un presidio in
imposito, multitudinem omnem deditorum, quae Uscana, menò a Stubera tutta la moltitudine che
prope numero exercitum aequabat, Stuberam s'era arrenduta, la quale in numero pareggiava
adducit. lbi Romanis (quatuor millia autem quasi l'esercito. Quivi ripartendo per le città
hominum erant) praeter principes, in custodiam i Romani ad esservi guardati (ed erano da quat
civitatium divisis, Uscanensibus Illyriisque ven tromila), oltre i lor capi, venduti quei d'Uscana
ditis, in Penestiam exercitum reducit ad Oaeneum e gl'Illirii, ricondusse l'esercito in Penestia, a
oppidum in potestatem redigendum ; et alioqui impadronirsi del castello Oeneo, e perchè oppor
opportune situm, et transitus ea est in Labea tunamente situato, e perchè di là c'era il passo
tes, ubi Gentius regnabat. Praetereunti frequens nel paese de'Labeati, dove Genzio regnava. Pas
castellum, Draudacum nomine, peritorum qui sando Perseo di là da un castello assai popolato,
dam regionis ejus, « nihil Oaeneo capto opus chiamato Draudaco, un tale, pratico del paese,
esse, ait, nisi in potestate et Draudacum sit. disse, a poco importare la presa di Oeneo, se
Opportunius etiam ad omnia positum esse . » non si avesse anche Draudaco ch'era per ogni
Admoto exercitu, omnes extemplo dediderunt riguardo anche più opportunamente situato. -
sese. Qua spe celeriore deditione erectus, post Quivi accostatovi l'esercito, tutti immantinente
quam animadvertit, quantus agminis sui terror si arrendettero. Inanimito Perseo per codesta
esset, undecim alia castella eodem metu in po dedizione più sollecita che non avea sperato, poi
testatem redigit. Ad perpauca vi opus fuit, ce che s'avvide, quanto terrore messo avesse il suo
tera voluntate dedita ; et in his recepti mille et esercito, si valse di questo stesso per impadro
quingenti dispositi per praesidia milites Romani. nirsi di altri undici castelli. Rispetto a pochi ci
Magno usui Carvilius Spoletinus erat in collo bisognò la forza; gli altri si diedero volontarii,
quiis, dicendo, nihil in ipso saevitum. Ad Oae e tra questi vennero in poter suo mille cinque
neum perventum est, quod sine justa oppugna cento soldati Romani, collocati ne' presidii. Ne
tione capi non poterat; et majore aliquanto, gli abboccamenti era utile grandemente Carvilio
quam cetera, juventute, et validum oppidum Spoletino coll'attestare, com'essi non erano stati
moenibus erat. Et hinc amnis Artatus nomine, punto maltrattati. Si venne ad Oeneo, il quale
hinc mons praealtus et aditu difficilis cingebat. non si poteva pigliare, che assediandolo regolar
Haec spem ad resistendum oppidanis dabant. mente; fortezza valida più che l'altre, per mag
Perseus, circumvallato oppido, aggerem a parte gior numero di gioventù e robustezza di mura,
superiore ducere instituit, cujus altitudine mu e da una parte la cingeva il fiume detto Artato,
ros superaret. Quod opus dum perficitur, cre dall'altra un monte altissimo e di difficile acces
bris interim proeliis, quibus per excursiones et so; il che dava speranza ai terrazzani di poter
moenia sua oppidani tutabantur, et opera ho resistere. Perseo, circondato da ogni banda il
stium impediebant, magna eorum multitudo va castello, si pose ad alzare un argine dalla parte
riis casibus absumpta est; et, qui supererant, la superiore, la cui altezza superasse quella delle
bore diurno nocturnoque et vulneribus inutiles mura. Mentre si compie il lavoro, intanto nei
erant. Ubi primum agger injunctus muro est, frequenti combattimenti, nei quali i terrazzani
et cohors regia, quos Nicatoras appellant, tran scorrendo fuori e difendevano le mura, e frastor
scendit, et scalis multis simul partibus impetus navano i lavori de'nemici, un gran numero di
in urbem est factus. Puberes omnes interfecti loro rimase per varii casi consunto, e quelli che
sunt: conjuges liberosdue eorum in custodiam avanzavano, s'eran fatti disutili per le fatiche
dedit: praedae alia militum cessere. Stuberam diurne e notturne, e per le ferite. Appena l'ar
inde victor revertens ad Gentium legatos, Pleu gine fu applicato al muro, i soldati della coorte
ratum lllyrium, exsulantem apud se, et Aputeum regia, detti Nicatori, vi passaron sopra, e colle
Macedonem a Beroea, mittit. Iis mandat, ut ex scale da molti luoghi ad un tempo si fa impeto
1695 TITI LIVII LIBER XLIII. 1696
ponerent aestatis ejus hiemisque acta sua adver nella città. Tutti gli adulti sono uccisi: le mogli
sus Romanos Dardanosque: adjicerent recentia e i figli loro fatti schiavi; tutto il resto divenne
in Illyrico hibernae expeditionis opera: horta preda del soldato. Indi ritornando vincitore a
rentur Gentium in amicitiam secum et cum Ma Stubera, manda a Genzio ambasciatori Pleurato
cedonibus jungendam. Illirico, che viveva esule in Macedonia e Aputeo
Macedone di Berea. Commette loro che gli mar
rino le imprese da lui fatte in quella state, e in
quel verno contro i Romani ed i Dardani: ag
giungano le recenti operazioni di quella inver
male spedizione, ed esortino Genzio ad unirsi
in amicizia seco lui e co' Macedoni.

XX. (XXII) Hi, transgressi jugum Scordi XX. (XXII) Costoro, valicata la sommità
montis, per Illyrici solitudines, quas de industria del monte Scordo per mezzo alle solitudini del
populando Macedones fecerant, ne transitus fa l'Illirico, che i Macedoni co' saccheggiamenti
ciles Dardanis in Illyricum aut Macedoniam es aveano appositamente desertate, acciocchè non
sent, Scodram labore ingenti tandem pervene fosse facile ai Dardani passare nell'Illirico o nel
runt. Lissi res Gentius erat. Eo acciti legati la Macedonia, finalmente a gran fatica giunsero
mandata exponentes, benigne auditi sunt; qui a Scodra. Era il re Genzio a Lissi. I legati colà
responsum sine effectu tulerunt: « Voluntatem chiamati, esponendo le loro commissioni, furono
sibi non deesse ad bellandum cum Romanis: ce benignamente ascoltati; riportarono però una
terum ad conandum id, quod velit, pecuniam risposta inconcludente: « Non mancare al re la
maxime desse. ” Haec Stuberam retulere regi, volontà di guerreggiare contro i Romani; ad
tuum maxime captivos ex Illyrico vendenti. Ex intraprendere però ciò che vorrebbe, mancargli
templo iidem legati, addito Glaucia ex numero sopra tutto il danaro. » Riportarono codesta ri
custodum corporis, remittuntur sine mentione sposta a Stubera a Perseo, inteso allora massi
pecuniae, qua una barbarus inops impelli ad mamente alla vendita del prigioni dell'Illirico
bellum poterat. Ancyram inde populatus Per Tosto i medesimi legati, aggiuntovi Glaucia, uno
seus, in Penestas rursum exercitum reducit; delle guardie del corpo, son rimandati senza far
firmatisque Uscanae, et circa eam per omnia menzione di danaro, col quale solo si poteva
castella, quae receperat praesidiis, in Macedoniam trarre il barbaro, che ne mancava, a entrare in
sese recipit. guerra. Indi Perseo, saccheggiata Ancira, rimena
di nuovo l'esercito in Penestia, e rinforzati i
presidii in Uscana e in tutti i castelli d'intorno,
che avea presi, si ritira in Macedonia.
XXI. (XXIII) L. Coelius, legatus Romanus, XXI. (XXIII) Lucio Celio, legato Romano,
praeerat Illirico; qui, moveri non ausus, quum comandava nell'Illirico; il quale, non avendo
in iis locis rex esset, post profectionem demum osato di moversi nel tempo che il re si stava in
ejus conatus in Penestis Uscanam recipere, a prae que luoghi, finalmente dopo la di lui partenza
sidio, quod ibi Macedonum erat, cum multis vul provatosi a riavere Uscana, respintone con molte
neribus repulsus, Lychnidum copias reduxit. In ferite dal presidio de Macedoni che colà si stava,
de post dies pancos M. Trebellium Fregellanum rimenò le sue genti a Licmido. Poscia, trascorsi
cum satis valida manu in Penestas misit ad obsi alcuni dì, mandò Marco Trebellio Fregellano
des ab his urbibus, quae in amicitia cum fide con grossa banda a Penestia a ricevervi gli
permanserat, accipiendos. Procedere etiam in ostaggi delle città, ch'eran rimaste fide all'allean
Parthimos (ii quoque obsides dare pepigerant) za. Ingiunse loro d'inoltrarsi insino a'Partini
jussit: ab utraque gente sine tumultu exigi. Pe (chè questi pure avean promesso di dare ostaggi),
mestarum obsides Apolloniam, Parthinorum Dyr e gli esigessero dall'uno e l'altro popolo senza
rhachium (tum Epidamni magiscelebre momen far romore. Gli ostaggi di Penestia furono man
Graecis erat) missi. Ap. Claudius, acceptam in dati in Apollonia, quelli de'Partini a Dirrachio,
Illyrico ignominiam corrigere cupiens, Phano detto allora dai Greci più comunemente Epi
tem Epiri castellum adortus oppugnare, et auxi damno. Appio Claudio, bramando di emendare
lia Athamanum Thesprotorumque, praeter Ro l'onta ricevuta nell'Illirico, postosi a combattere
manum exercitum, ad sex millia hominum secum Fanote, castello dell'Epiro, seco condusse, oltre
adduxit; neque operae pretium fecit, Cleva, qui l'esercito Romano, anche gli aiuti degli Atamani ,
relictus a Perseo erat, cum valido praesidio de e dei Tesproti in numero di sei mila uomini; nè
fendente. Et Perseus, in Elimeam profectus, et l'impresa gli riuscì, difendendo la terra con
1697 TITI LIVII LIBER XLIII. 1698
circa eam exercitulustrato,ad Stratum,vocantibus valido presidio Cleva, che vi era stato lasciato
Epirotis, ducit. Stratus validissima tum urbs da Perseo. E Perseo, andato in Elimea, rasse
Aetoliae erat. Sita est super Ambracium sinum, gnato in que'contorni l'esercito, lo condusse
prope amnem Acheloum. Cum decem millibus a Strato, chiamatovi dagli Epiroti. Era Strato a
peditum eo profectus est et equitibus trecentis; quel tempo la città più forte dell'Etolia; è si
quos pauciores propter angustias viarum et aspe tuato sul golfo Ambracio, presso al fiume Ache
ritatem duxit. Tertio die quum pervenisset ad loo. Vi si recò con dieci mila fanti e trecento
Citium montem, vix transgressus propter altitu cavalli, e di questi ne menò così pochi per
dinem nivis, locum quoque castris aegre invenit. l'angustia e l'asperità delle strade. Essendo arri
Profectus inde, magis quia manere non poterat, vato il terzo giorno al monte Cizio, passatolo
quam quod tolerabilis aut via aut tempestas es a stento per l'altezza della neve, trovò anche
set, cum ingenti vexatione, praecipue jumento difficilmente dove poter mettere il campo. Par
rum, altero die ad templum Jovis, quem Nicaeum titosi di là più perchè non poteva rimanervi, che
vocant, posuit castra. Ad Arachthum inde flu perchè la strada o la stagione fosse tollerabile,
men, itinere ingenti emenso, retentus altitudine il dì seguente, con gran travaglio, particolar
amnis, mansit. Quo spatio temporis ponte per mente de'giumenti, si accampò presso al tempio
fecto, traductis copiis diei progressus iter, obvium di Giove, che chiamano Niceo. Di poi, fatto un
Archidamum principem Aetolorum, per quem ei grandissimo cammino, si fermò presso al fiume
Stratus tradebatur, habuit. Aracto, ritenutovi dalla profondità del suo letto.
In quello spazio di tempo, dato compimento ad
un ponte, e passato l'esercito, dopo una giornata
di cammino, s'incontrò in Archidamo, capo
degli Etoli, che doveva dargli in mano la città
di Strato.
XXII. (XXIV.) Eo die ad finem agri Aetoli XXII. (XXIV.) Quel dì si accampò sul con
castra posita. Inde altero die ad Stratum perven fine del paese degli Etoli. Il dì appresso giungo
tum: ubi, prope Acheloum amnem castris positis, no presso a Strato; dove, accampatosi Perseo
quum exspectaret, effusos omnibus portis Aetolos sulla sponda del fiume Acheloo, mentre si aspet
in fidem suam venturos, clausas portas, atolue tava che gli Etoli, uscendo a torme da tutte le
ipsa ea nocte, qua venerat, receptum Romanum porte, venissero a darsi a lui, trovò le porte chiu
praesidium cum C. Popillio legato invenit. Prin se, e che quella stessa notte, in cui era egli ve
cipes, qui praesentis Archidami auctoritate com nuto, s'era ricevuto dentro un presidio Romano
pulsi regem arcessierant, obviam egresso Archi collegato Caio Popillio. I capi della città, i quali
damo segniores facti, locum adversae factioni mossi dall'autorità di Archidamo presente aveano
dederant ad Popillium cum mille peditibus ab chiamato il re, rallentatisi alquanto, come Archi
Ambracia arcessendum. In tempore et Dinarchus, damo fu uscito ad incontrarlo, diedero luogo alla
praefectus equitum gentis Aetolorum, cum sex fazione contraria di chiamare Popillio con mille
centis peditibus et equitibus centum venit. Satis fanti da Ambracia. Giunse a tempo anche Dinar
constabat, eum, tamquam ad Persea tendentem, co, comandante della cavalleria degli Etoli, con
Stratum venisse : mutato deinde cum fortuna seicento fanti e cento cavalli. Si sapeva di certo
animo, Romanis se, adversus quos venerat, jun ch'egli era venuto a Strato, come alla volta di
xisse. Nec Popillius securior, quam debebat esse, Perseo, e che indi, mutato animo col mutarsi della
inter tam mobilia ingenia erat. Claves portarum fortuna, s'era unito ai Romani, contro i quali era
custodiamoue murorum suae extemplo potestatis venuto. Nè Popillio stavasi securo più ch'ei do
fecit; Dinarchum Aetolosque cum juventute Stra vesse, tra gente di così mobile natura, e imman
tiorum in arcem per praesidii speciem amovit. tinente s'impossessò delle chiavi della città e
Perseus, ab imminentibus superiori parti urbis della custodia delle mura, e allontanò Dimarco e
tumulis tentatis colloquiis, quum obstinatos gli Etoli con la gioventù degli Stratioti, man
atque etiam telis procul arcentes videret, quin dandoli nella rocca sotto pretesto di guardarla.
que millia passuum ab urbe trans Petitarum Perseo, tentato avendo dalle alture sovrastanti
amnem posuit castra. 1bi consilio advocato, alla parte superiore della città di abboccarsi, ve
quum Archidamus Epirotarumque transfugae dendo i terrazzani ostinati, e che eziandio il te
retinerent, Macedonum principes non pugnan nevano, saettando, lontano, si accampò di là dal
dum cum infesto tempore anni censerent, nullis fiume Petitaro, cinque miglia distante dalla città.
praeparatis commeatibus, quum inopiam prius Quivi, chiamato consiglio, mentre Archidamo e
obsidentes, quam obsessi, sensuri essent, maxime gli Epiroti fuorusciti cercavano di ritenerlo, e i
Livio 2 1 o7
1699 TITI LIVII LIBEB XLIII. 17oo

quod hostium haud proculinde hiberna erant; capi de' Macedoni non istimavano che si dovesse
territus in Aperantiam castra movit. Aperantii combattere con la malvagità della stagione, non
eum, propter Archidami magnam in ea gente avendo nè anche fatta provvigione alcuna di vet
gratiam auctoritatemque, consensu omnium ac tovaglie, sì che avrebbon provata la carestia più
ceperunt: is ipse cum octingentorum militum presto gli assedianti che gli assediati, tanto più
praesidio his est praepositus. che il nemico aveva i suoi quartieri d'inverno
non molto lungi di là, Perseo spaventato mosse
il campo verso Aperanzia. Gli Aperanzii, pel fa
vore e per la grande autorità che godeva Archi
damo tra quella gente, di comune consentimento
lo ricevettero. Archidamo stesso fu preposto alla
loro guardia con ottocento cavalli.
XXIII. (XXV.) Rex cum minore vexatione XXIII. (XXV.) Il re tornossi in Macedonia
jumentorum hominumque, quam venerat, in Ma con minor travaglio d' uomini e di giumenti che
cedoniam rediit. Appium tamen ab obsidione non era venuto. La fama però che Perseo si fosse
Phanotis fama ducentis ad Stratum Persei sub mosso alla volta di Strato, rimosse Appio dall'as
movit. Clevas, cum praesidio impigrorum juve sedio di Fanote. Cleva, inseguendolo con una
num insecutus, sub radicibus prope inviis mon banda di giovani coraggiosi, gli uccise alle radici
tium ad mille hominum ex agmine impedito quasi inaccessibili dei monti da mille uomini,
occidit, ad ducentos cepit. Appius, superatis an impacciati col bagagliume, e ne prese da duecen
gustiis, in campo, quem Elaeona vocant, stativa to. Appio, superate le strettezze, fermossi alcuni
dierum paucorum habuit. Interim Clevas, as pochi dì nella pianura, che chiamano Eleona.
sumpto Philostrato, qui Epirotarum gentem ha Intanto Cleva, preso con seco Filostrato, che con
bebat, in agrum Antigonensem transcendit. Ma duceva gli Epiroti, passò nel territorio d'Anti
cedones ad depopulationem profecti; Philostra gonea. I Macedoni andarono a devastare il paese;
tus cum cohorte sua in insidiis loco obscuro con Filostrato con la sua coorte si pose in aguato in
sedit. In palatos populatores quum erupissent ab luogo oscuro. Quelli di Antigonea, uscendo ar
Antigonea armati, fugientes eos persequentes ef mati addosso a predatori qua e là sbandati, ed
fusius in vallem insessam ab hostibus praecipiant. inseguendoli troppo innanzi nella fuga, vanno
lbi ad mille occisis, centum ferme captis, ubique a cadere nella valle, dove si stava appiattato il
prospere gesta re, prope stativa Appii castra mo nemico. Quivi avendo uccisi da mille e presine
vent, ne qua vis sociis suis ab Romano exercitu cento, riuscitagli a bene ogni cosa, movonsi verso
inferri possit. Appius, nequidquam in his locis il campo di Appio, acciocchè non potesse per av
terens tempus, dimissis Chaonumque, et si qui ventura l'esercito Romano recare alcun danno
alii Epirotae erant, praesidiis, cum Italicis mili a loro alleati. Appio, consumando inutilmente il
tibus in Illyricum regressus, per Parthinorum tempo in questi luoghi, licenziati gli aiuti dei
socias urbes in hiberna militibus dimissis, ipse Carni e degli altri Epiroti, se ve n'erano, rimes
Romam sacrificii causa rediit. Perseus ex Pene sosi nell'Illirico co' soldati Italiani, distribuiti i
starum gente mille pedites, ducentos equites re soldati a svernare per le città alleate de'Partini,
vocatos, Cassandriam, praesidio ut essent, misit. tornò egli a Roma a celebrarvi un sagrifizio.
Ab Gentio eadem afferentes redierunt. Nec de Perseo, richiamati da Penestia mille fanti e due
inde alios atque alios mittendo tentare eum de cento cavalli, gli spedì a guardare Cassandria.
stitit, quum appareret, quantum in eo praesidii I legati, tornati da Genzio, recarono la stessa
esset; mec tamen impetrare ab animo posset, ut risposta; nè cessò di poi Perseo di tentarlo,
impensam in rem maximi ad omnia momenti mandando ambasciate sopra ambasciate, ve
faceret, º dendosi chiaro di quanta importanza sarebbe
quell'aiuto; non potè però indursi mai a fare
nessuna spesa per cosa di tanto rilievo, “
TITI LIVII PATAVINI

H I S T O R I A R U MI

AB URBE CONDITA LIBRI

stº69333

EPITOME -

LIBRI QUADRAGESIMI QUARTI

Q Marcius Philippus per invios saltus penetravit in Qae Marcio Filippo per non battuti sentieri pe .
Macedoniam, compluresque urbes occupavit. Rhodii netrò nella Macedonia e vi occupò parecchie città.
misere legatos Romam, minantes, se Perseo auxilio I Rodiani spedirono legati a Roma, minacciando di
futuros, nisi populus Romanus cum eo pacem atque collegarsi con Perseo, se il popolo Romano non gli
amicitiam jungeret. Indigne id latum. Quum id bel ridonasse pace ed amicizia. La cosa fu sentita con
lum L. Aemilio Paullo, seguentis anni consuli iterum, isdegno. Essendo stato commesso il governo di questa
mandatun esset, Paullus, in concione precatus, ut, guerra a Lucio Emilio Paolo, la seconda volta con
quidquid diri populo Romano immineret, in domum sole per l'anno susseguente, egli, pregato avendo in
suam converteretur, et in Macedoniam profectus, vicit pieno parlamento gli dei che qualunque sventura so
Persen, totamque Macedoniam in potestatem redegit. vrastasse al popolo Romano, ricadesse ella sopra la
Antequam confligeret, C. Sulpicius Gallus tribunus sua famiglia, andato in Macedonia, vinto Perseo, la
militum praedixit exercitui, ne miraretur, quod luna ridusse tutta in suo potere. Innanzi che si venisse
nocte proxima defectura esset. Gentius quoque rea a giornata, Caio Sulpicio Gallo, tribuno della plebe,
Illyriorum, guum rebellasset, ab Anicio praetore vi predisse all'esercito che non si sgomentasse, se nella
ctus, venit in deditionem, et cum uxore et liberis et prossima notte la luna venisse meno. Anche Genzio,
propinquis, Romam missus est. Alexandria legati re degli Illirii, ribellatosi, vinto dal pretore Anicio,
a Cleopatra et Ptolemaeo regibus venerunt, querentes si arrendette, e con la moglie, co' figliuoli e parenti
de Antiocho rege Syriae, quod his bellum inferret. fu spedito a Roma. Vennero da Alessandria amba
Perses, sollicitatis in auxilium Eumene rege Pergami, sciatori spediti dai re Cleopatra e Tolomeo, a dolersi
ct Gentio rege Illyriorum, quia his pecuniam, quam che Antioco, re della Siria, movesse lor guerra. Perseo,
promiserat, non dabat, ab iis relictus est. sollecitati i soccorsi di Eumene, re di Pergamo, e di
Genzio, re degli Illirii, poi che non dava loro il da
naro promesso, ne fu abbandonato,
TITI LIVII -

LIBER QUADRA GE SIMIUS QUARTUS

è g) si

I. (Anno U. C. 583. – A. C. 169.) Princi I. (Anni D. R. 583. – A. C. 169) Sul principio


pio veris, quod hiemem eam, qua haec gesta sunt, della primavera, che venne dopo il vermo, in cui
insecutum est, ab Roma profectus Q. Marcius si sen fatte codeste cose, il console Quinto Marcio
Philippus consul cum quinque millibus (quod Filippo, partitosi da Roma con cinque mila
in supplementum legionum secum trajecturus uomini (che dovea seco trasportare a supple
erat), Brundisium pervenit. M. Popillius consu mento delle legioni), giunse a Brindisi. Marco
laris et alii pari nobilitate adolescentes tribuni Popillio, uomo consolare ed altri giovani di pari
militum in Macedonicas legiones consulem secu nobiltà, eletti tribuni de'soldati nelle Macedoni
ti sunt. Per eos dies et C. Marcius Figulus prae che legioni, accompagnarono il console. A quei
tor, cui classis provincia evenerat, Brundisium dì medesimi anche il pretore Caio Marcio Figulo,
venit; et simul ex Italia profecti, Corcyram al a cui toccata era la flotta, venne a Brindisi, e
tero die, tertio Actium Acarnaniae portum te partitisi insieme dall'Italia, il dì seguente appro
nuerunt. Inde consul, ad Ambraciam egressus, darono al porto di Corcira, il terzo dì a quello
itinere terrestri petit Thessaliam. Praetor, supe di Azio nell'Acarnania. Indi il console, sbarcato
rato Leucata, Corinthium sinum invectus, et in Ambracia, s'incamminò per terra verso la
Creusae relictis navibus, terra et ipse per me Tessaglia. Il pretore, oltrepassato Leucade, en
diam Boeotiam diei unius expedito itinere Chal trato nel golfo di Corinto e lasciate le navi
cidem ad classem contendit. Castra eo tempore a Creusa, anch'egli per terra, per mezzo alla
A. Hostilius in Thessalia circa Palaepharsalum Beozia, col rapido cammino di una giornata si
habebat; sicut nulla re bellica memorabili gesta, recò a Calcide alla flotta. Era in quel tempo
ita ad cunctam militarem disciplinam ab effusa Aulo Ostilio accampato nella Tessaglia ne'con
licentia formato milite, et sociis cum fide cultis, torni di Palefarsalo, avendo se non fatta nessuna
et ab omni genere injuriae defensis. Audito suc impresa memorabile, ritratto il soldato da una
cessoris adventu, quum arma, viros, equos cum sfrenata licenza alla piena osservanza della mili
cura inspexisset, ornato exercitu obviam venien tare disciplina, e coltivati fedelmente gli alleati
ti consuli processit. Et primus eorum congressus e difesili da qualsivoglia sorte d'insulto. Udita
ex dignitate ipsorum ac Romani nominis, et in la venuta del successore, poi ch'ebbe fatta dili
rebus deinde gerendis ”. Proconsul enim ad exer gente rivista delle armi, degli uomini e dei ca
citum “. Paucis post diebus consul concionem valli, si recò innanzi coll'esercito in ordine ad
apud milites habuit. Orsus a parricidio Persei incontrare il console. Il primo loro congresso
perpetrato in fratrem, cogitato in parentem, corrispose alla dignità de'medesimi e a quella
adjecit, « post scelere partum regnum, veneficia, del popolo Romano, e Ostilio in appresso giovò
caedes, latrocinio nefando petitum Eumenem, molto nell'amministrazione della guerra; per
injurias in populum Romanum, direptiones so ciocchè rimase con titolo di proconsole presso
ciarum urbium contra foedus, ea omnia quam l'esercito.” Da lì a pochi giorni il console chiamò
diis quoque invisa essent, sensurum in exitu re a parlamento i soldati. Rammentato da principio
17o7 TI'l'I LVll LI BER XLIV. 17o8
rum suarum. Favere enim pietati fideique deos, il parricidio commesso da Perseo nel fratello e
per quae populus Romanus ad tantum fastigii meditato contro il padre, aggiunse, « dopo il
venerit. » Vires deinde populi Romani, jam ter regno acquistato colla scelleraggine, i venefizii,
rarum orbem complectentis, cum viribus Mace le uccisioni, il nefando assassinio tramato contro
doniae, exercitus cum exercitibus comparavit. Eumene, gli oltraggi fatti ai Romani, i saccheg
« Quanto majores Philippi Antiochique opes non giamenti delle città alleate contro i patti della
majoribus copiis fractas esse ? » lega; se non che nell'esito delle cose sue si accor
gerebbe, quanto tutto ciò fosse in odio agli stessi
dei; perciocchè favoriscon essi la pietà e la fede,
per le quali il popolo Romano venuto era a tanta
altezza. “ Poscia paragonò le forze del popolo
Romano, con che di già abbracciava il mondo
tutto, con quelle della Macedonia, non che eser
cito con esercito. « Quanto non era stata mag
giore la potenza di Filippo e di Antioco, che
pur rimase disfatta da forze non maggiori? »
II. Hujus generis adhortatione accensis mili Il. Infiammati gli animi de'soldati con sì fatto
tum animis, consultare de summa gerendi belli genere di esortazione, cominciò a consultare del
coepit. Eo et C. Marcius praetora Chalcide, clas modo di governare la guerra. Venne colà anche
se accepta, venit. Placuit, non ultra morando il pretore Caio Marcio da Calcide, preso il co
in Thessalia tempus terere, sed movere extemplo mando della ſlotta. Si convenne di non perdere
castra, atque pergere inde in Macedoniam ; et più oltre il tempo indugiando nella Tessaglia,
praetorem dare operam, uteodem tempore clas ma subito muovere il campo ed avviarsi verso
sis quoque invehatur hostium litoribus. Praetore la Macedonia, e che il pretore facesse in modo,
dimisso, consul, menstruum jusso milite secum che nel tempo stesso anche la flotta si recasse ai
ferre, profectus decimo post die, quam exercitum lidi del nemico. Il console, licenziato il pretore,
acceperat, castra movit; et, unius diei progressus dato ordine a soldati che portassero con sè i vi
iter, convocatis itinerum ducibus, quum, expo veri per un mese, partitosi mosse il campo il
nerent in consilio, jussisset, qua quisque ductu decimo giorno, da che avea il comando, e fat
rus esset; submotisiis, quam potissimum peteret, to il cammino di una giornata, chiamate a sè
retulit ad consilium. Aliis per Pythium placebat le guide, e detto che ciascun d'essi esponesse
via: aliis per Cambunios montes, qua priore an nel consiglio, qual via intendeva di tenere, fatti
no duxerat Hostilius consul: aliis praeter Ascu gli allontanare, propose al consiglio, quale do
ridem paludem. Restabat aliquantum viae com vesse egli pigliare. Ad altri piaceva andare per
munis: itaque in id tempus, quo prope divortium Pizio; ad altri pe'monti Cambuni, via fatta
itinerum castra posituri erant, deliberatio eius l'anno innanzi dal console Ostilio; ad altri lungo
rei differtur. In Perrhaebiam indeducit, et inter la palude dell'Ascuride. Restava ancora a farsi
Azorum et Dolichen stativa habuit ad consulen alquanto di strada comune: si rimette dunque
dum rursus, quam potissimum capesseret viam. la deliberazione insino al tempo, in cui si sareb
Per eosdem dies Perseus, quum appropinquare bono accampati vicino allo spartirsi delle strade.
hostem sciret, quod iter petiturus esset ignarus, Andò quindi in Perrebia, e pose il campo tra
omnes saltus insidere praesidiis statuit. Injugum Azoro e Doliche, a nuovamente consultare, quale
Cambuniorum montium (Volustana ipsi vocant) strada prender dovesse. A quel dì medesimi Per
decem millia levis armaturae juvenum cum duce seo, sapendo che il nemico si avvicinava, ma
Asclepiodoto mittit: ad castellum, quod super ignorando qual via piglierebbe, stabilì di guer
Ascuridem paludem erat (Lapathus vocaturlo nire i passi tutti di gente. Manda alla sommità
cus), Hippias tenere saltum cum duodecim mil dei monti Cambuni, che chiamano Volustana,
lium Macedonum praesidio jussus. Ipse cum re dieci mila giovani armati alla leggera, sotto il
liquis copiis primo circa Dium stativa habuit: comando di Asclepiodoto. Ippia ebbe ordine
deinde, adeo ut obtorpuisse inops consilii vide di occupare con dodici mila Macedoni lo stretto,
retur, cum equitibus expeditis litore nunc Hera ch'era al castello sopra la palude di Ascuride
cleum, nunc Philam percurrebat, eodem inde nel luogo detto Lapato. Egli da prima col re
cursu Dium repetens. stante delle sue genti si accampò ne' contorni
di Dio; poscia, in maniera che sembrava istupi
dito e privo di consiglio, con la cavalleria leg
gera correva lungo il mare ora verso Eraclea,
17o9 TlTI Ll VII I,IBER X Li V. 171 o

;ora verso Fila, indi alla stessa guisa tornando


a Dio.
III. Interim consuli sententia stetit eo saltu llI. ll console intanto si determinò di tener
ducere, ubi propter Octolophum diximus regis la via, dove abbiam detto essere il campo del re
castra ”. Praemitti tamen quatuor millia armato presso Octolofo. Volle però mandare avanti quat
rum ad loca opportuna praeoccupanda placuit; tro mila soldati a preoccupare i luoghi oppor
quis praepositi sunt M. Claudius, Q. Marcius con tuni; a quali prepose Marco Claudio e Quinto
sulis filius. Confestim et universae copiae seque Marcio, figlio del console: subito appresso segui
bantur. Ceterum adeo ardua et aspera et confra tavano l'altre genti. Del resto, la strada fu così
gosa via fuit, ut praemissi expediti biduo quin ardua, aspra e sassosa, che i soldati mandati
decim millium passuum aegre itinere con fecto innanzi, benchè senza impedimenti, fatte a stento
castra posuerint: turrim Eudieru, quem cepere, in due giorni quindici miglia, ebbero a fermarsi;
locum appellant. Inde postero die septem millia il luogo che pigliarono lo chiamano la torre
progressi, tumulo haud procul hostium castris Eudieru. Poscia il dì seguente inoltratisi sette
capto, nuncium ad consulem remittunt: a per miglia, preso un piccolo poggio non discosto dal
ventum ad hostem esse, loco se tuto et ad omnia campo de'nemici, mandano un messo al console
opportuno consedisse; ut, quantum extendere a dirgli, « ch'erano giunti in vicinanza del me
iter posset, consequeretur. » Sollicito consuli, et mico, e s'erano fermati in luogo opportuno; li
propter itineris difficultatem, quod ingressus erat, seguitasse quanto più celeremente potesse. » Il
et eorum vicem, quos paucos inter media praesi messo incontrò presso alla palude di Ascuride
dia hostium praemiserat, nuncius ad Ascuridem il console, ch'era in travaglio per la difficoltà
paludem occurrit. Addita igitur et ipsi fiducia della via, in cui s'era messo, e pel destino di quei,
est, conjunctisque copiis, castra tumulo, qui te che avea spediti innanzi in poco numero in mezzo
nebantur, qua aptissimum ad loci naturam erat, alle poste del nemici. Riprese dunque anch'egli
sunt acclimata. Non hostium modo castra, quae fidanza, e com'ebbe unite le genti, addossò il suo
paullo plus mille passuum aberant, sed omnis campo al poggio di già preso, secondo che riu
regio ad Dium et Philam, oraque maris, late pa sciva più atta la natura del luogo. Squarciato
tente ex tam alto jugo prospectu, oculis subjici largamente da sì alta cima il prospetto, sottopo
tur. Quae res accendit militi animos, postguam nevasi agli occhi non solamente il campo nemico,
summam belli, ac regias omnes copias, terramque ch'era discosto poco più di un miglio, ma tutto
hostilem tam e propinquo conspexerunt. Itaque il paese insino a Dio ed a Fila, non che la spiag
quum alacres, protinus duceret ad castra hostium, gia del mare. Il che accese l'animo ai soldati, poi
consulem hortarentur; dies unus ſessis labore che si videro sì dappresso la somma della guerra,
viae ad quietem datus est. Tertio die, parte copia tutte le regie forze e la terra nemica. Quindi
rum ad praesidium castrorum relicta, consul ad animosi pregano il console che gli meni subito
bostem ducit. al nemico. Fu assegnato loro un solo giorno a
riposarsi dalla stanchezza del cammino. Il terzo
dì, lasciata parte delle genti a guardare il campo,
il console mena l'esercito ad affrontare il neº
mico.
IV. Hippiasmuper ad tuendum saltum ab rege lV. Ippia era stato mandato poco innanzi
missus erat; qui, ex quo castra Romana in tumu a difendere il passo; il quale, com'ebbe veduto
lo conspexit, praeparatis ad certamen animis suo starsi il campo Romano sul poggio, preparati
rum, venienti agmini consulis obvius fuit. Et Ro alla battaglia gli animi de' suoi, si mosse ad in
mani expediti ad pugnam exierant, et hostes: le contrare le genti del console, che veniva. Erano
vis armatura erat, promptissimum genus ad laces usciti lieti a combattere sì i Romani che i nemici;
sendum certamen. Congressi igitur extemplo, gli uni e gli altri leggera armatura, sorta di com
tela conjecerunt. Multa utrimdue vulnera teme battenti prontissimi ad attaccare la zuffa. Venuti
rario incursu et accepta, et illata: pauci utrius subito alle mani, scagliarono i giavellotti. Furon
que partis ceciderunt. Irritatis in posterum diem molte pel tumultuario assalto le ferite date e ri
animis, majoribus copiis atque infeslius concur cevute d'ambe le parti: pochi caddero di questi
sum ab illis, si loci satis ad explicandam aciem e di quelli. Irritati gli animi pel dì seguente, si
fuisset: jugum montis, in angustum dorsum cu sarebbono azzuffati in maggior numero e più
neatum, vix termis ordinibus armatorum in fron rabbiosamente, se avuto avessero bastante luogo
ie patuit. Itaque, paucis pugnantibus, cetera mul a dispiegare l'ordinanza: la cima del monte, stri
titudo, praecipue qui gravium armorum erani, gnendosi in angusto dorso a guisa di cuneo,
171 1 TITI LIVII LIBER XLIV. 1712

spectatores pugnae stabant. Levis armatura etiam appena offeriva spazio a tre ordini di soldati di
per anfractus jugi procurrere, et ab lateribus fronte. Quindi, combattendo pochi solamente,
cum levi armatura conserere, per iniqua atque la restante moltitudine, specialmante quei di gra
aequa loca pugnam petere: ac, pluribus ea die ve armatura, stavansi spettatori della pugna. Gli
vulneratis, quam interfectis, proelium nocte di armati alla leggera discorrevano eziandio pegli
remptum est. Tertio die egere consilio Romanus anfratti del monte e si azzuffavano dai lati con
imperator: nam neque manere in jugo inopi, la leggera armatura nemica, e cercavano di com
neque regredi sine ſlagitio atque etiam periculo, battere in qualsiasi luogo, vantaggioso o no che
sed cedenti ex superioribus locis instare hostis fosse. Ed essendo anche in quel di più i feriti
poterat: nec aliud restabat, quam audacter com che gli uccisi, la notte die' fine alla battaglia.
missum pertinaci audacia, quae prudens inter Il terzo giorno il comandante Romano si trovò
dum in exitu est, corrigere. Ventum quidem erat in grande pensiero; perciocchè nè poteva rima
eo, ut, si hostem similem antiquis Macedonum nersi su quel giogo privo di tutto, nè tornare
regibus habuisset consul, magna clades accipi indietro senza disonore ed anche senza pericolo;
potuerit. Sed, quum ad Dium per litora cum ma il nemico potea dalle alture incalzarlo, men
equitibus vagaretur rex, et ab duodecim millibus tre si ritirava ; nè restava altro ch'emendare
prope clamorem et strepitum pugnantium audi l'audacia del fatto commesso con quell'audace
ret, nec auxit copias integros fessis submittendo, pertinacia che talvolta, pel successo, diventa pru
neque ipse, quod plurimum intererat, certamini denza. Veramente la cosa era giunta a tal segno
adfuit : quum Romanus imperator, major sexa che, se il console avesse avuto rincontro un ne.
ginta annis, et praegravis corpore, omnia milita mico simile agli antichi re di Macedonia, si
riamunera ipse impigre obiret. Egregie ad ulti sarebbe potuto ricevere grand'onta. Ma vagando
mum in audacter commisso perseveravit; et, Po il re colla cavalleria lungo la costa ne' contorni
pillio relicto in custodia jugi, per invia trans di Dio e distante appena dodici miglia, udendo
gressus, praemissis, qui repurgarent iter, Atta quasi il clamore e lo strepito de'combattenti, nè
lum et Misagenem, cum suae gentis utrumque rinforzò i suoi, alla stanca sostituendo gente
auxiliaribus, praesidio esse saltum aperientibus fresca, nè si trovò presente alla battaglia, il che
jubet. Ipse, equites impedimentaque prae se ha molto importava ; mentre all'opposto il coman
bens, cum legionibus agmen cogit. dante Romano, di anni più che sessanta, e grave
di corpo, tutti i militari uffizii in persona corag
giosamente adempieva. Perseverò egregiamente
sino all'ultimo nell'ardita impresa; e lasciato
Popillio alla custodia del poggio, trapassando per
non battuti sentieri, mandata gente innanzi a
sbarazzare il cammino, ordina che Attalo e Mi
sagene, ambedue co' loro ausiliari, sostengano
quelli che aprivano il passo. Egli, avendo dinanzi
a sè la cavalleria ed i bagagli, serra la retroguar
dia colle legioni.
V. Inenarrabilis labor descendentibus cum V. Ella non è a dirsi la fatica sostenuta nel
ruina jumentorum sarcinarumque. Progressis discendere, ruinando al basso giumenti e some.
vixdum quatuor millia passuum nihil optabilius S'erano appena inoltrati quattro miglia, che non
esse, quam redire, qua venerant, si possent. Ho altro più bramavano che tornar, se potessero,
stilem prope tumultum agmini elephanti praebe dond'erano partiti. Gli elefanti mettevano un
bant; qui, ubi ad invia venerant, dejectis recto disordine nell'esercito, quasi come avrebbe fatto
ribus, cum horrendo stridore pavorem ingentem, il nemico : i quali, come venivano ad un luogo
equis maxime, incutiebant, donec traducendi eos dirupato, gettando a terra i loro conduttori, con
ratio inita est. Per proclive, sumpto fastigio, lon orribili stridi gran terrore incutevano special
gi duo validi asseres ex inferiore parte in terra mente ne cavalli, sino a tanto che fu trovato
defigebantur, distantes inter se paullo plus, quam il seguente modo di farli passare. Dall'alto lungo
quanta belluae latitudo est. In eos transversi in la discesa si ficcavano in terra alla parte inferiore
cumbentes tigni, ad tricenos longi pedes, ut pons due lunghe robuste travi, distanti tra loro poco
esset, injungebantur, humusque insuper injicie più della larghezza del corpo dell'elefante. Si
batur. Modico deinde infra intervallo similis al univano a ridosso di quelle altri legni per tra
terpons: dein tertius, et plures ex ordine, qua verso lunghi trenta piedi, in nodo da farne un
rupes abscisae erant, fiebant. Solido procedcbat ponte, e sopra vi si gettava terra. Poi di sotto a
17 i 3 TITI LIVII LI BER XLIV. 17 14

elephas in pontem: cujus priusquam in extre piccolo intervallo si costruiva altro simile ponte;
mum procederet, succisis asseribus collapsus poi un terzo; e poi altri di mano in mano, dove
pons, usque alterius initium pontis, prolabi eum erano i greppi dirupati. L'elefante dal terreno
leniter cogebat. Alii elephanti pedibus insisten sodo s'inoltrava sul ponte, e innanzi che giun
tes, alii clunibus subsidentes, prolabebantur. gesse alla sua estremità, il ponte, tagliate le travi,
ubi planities altera pontis excepisset eos, rursus obbligava l'elefante a lasciarsi andare dolcemente
simili ruina inferioris pontis deferebantur, domec sino al principio dell'altro ponte. Gli uni sdruc
ad aequiorem vallem perventum est. Paullo plus ciolavano fermi su piedi, altri acculatandosi.
septem millia die Romani processerunt; mini Come il piano di un altro ponte gli aveva accolti,
mum peditibus itineris confectum : plerumque similmente, cadendone la parte bassa, erano por
provolventesse simul cum armis aliisque oneri tati innanzi, insino a tanto che si venne ad una
bus, cum omni genere vexationis, processerunt ; vallata più dolce. I Romani s'inoltrarono in un
adeo ut ne dux quidem et auctor itineris inficia giorno poco più di sette miglia; la minima parte
retur, parva manu deleri omnem exercitum po del cammino si fece a piedi: per lo più, rotolan
tuisse. Nocte ad modicam planitiem per venerunt; dosi giù coll'armi e cogli altri carichi, trava
neque, an infestus is locus esset, septus undigue, gliando d'ogni maniera, si recarono innanzi; in
circumspiciendi spatium fuit. Vix tandem ex in modo che quegli stesso che avea proposta tal via,
sperato stabilem ad insistendum nactis locum, non negava che si avrebbe potuto con pochissima
postero quoque die in tam cava valle opperiri gente distruggere tutto l'esercito. La notte giun
Popillium, ac relictas cum eo copias, necesse fuit; sero ad una poco estesa pianura; nè si potè guar
quos et ipsos, quum ab nulla parte hostis terruis dare intorno, se quel luogo, chiuso com'era da
set, locorum asperitas hostiliter vexavit. Tertio ogni parte, fosse pericoloso: se non che final
die conjunctis copiis eunt per saltum, quem in mente avendo quasi oltre la speranza trovato
colae Callipeucen appellant. Quarto inde die per un sito stabile, dove fermarsi, fu necessario anche
aeque invia, sed assuetudine peritius et meliore l'altro giorno aspettare in sì profonda valle Po
cum spe, quod nec hostis umquam apparebat, et pillio e le genti lasciate con lui; le quali pure,
mari appropinquabant, degressi in campos, inter sebbene non le avesse il nemico in nessuna banda
IIeracleum et Libethrum posuerunt castra pedi atterrite, vessate furono crudelmente dall'asprez
tum ; quorum pars major tumulos tenebat. Ii za del luogo. Il terzo giorno, unite le genti,
vallem, campi quoque partem, ubi eques tende passano lo stretto, che gli abitanti chiamano Cal
ret, amplectebantur. lipeuce. Di là il quarto di per luoghi egualmente
dirupati, ma per l'abitudine più saputamente e
con migliore speranza, perchè nè si scorgeva in
nessuna parte il nemico e veniamo avvicinandosi
al mare, discesi alla pianura, tra Eraclea e Libe
tro posero il campo de' fanti; la maggior parte
de'quali occupava i poggi che abbracciavano la
valle, ed anche una parte della pianura, dove
accamparvi la cavalleria.
VI. Lavanti regi dicitur munciatum, hostes VI. Dicesi che il re fosse al bagno, quando
adesse. Quo nuncio quum pavidus exsiluisset e gli fu annunziato i nemici esser presso. Alla qual
solio, victum se sine proelio clamitans proripuit, nuova balzatone fuori spaventato, gridando d'es
et subinde per alia atque alia pavida consilia et ser vinto senza combattere, si dileguò; e poscia
imperia trepidans, duobus ex amicis Pellam, al trepidante, passando incerto da un partito, da un
terum Asclepiodotum, ubi pecunia deposita erat, ordine ad un altro, comanda a Nicia e ad Andro
ex praesidiis revocat, omnesque aditus aperit nico, due dei suoi consiglieri, a quello che vada
Ibello. Ipse, ab Dio auratis statuis omnibus ra a Pella, dov'era il deposito del danaro, e quanto
ptim, ne praeda hosti essent, in classem conge quivi ne trovasse, il gettasse in mare tutto;
stis, ocius demigrare Pydnam cogit; et, quae te mandò l'altro a Tessalonica ad abbruciare gli
meritas consulis videri potuisset, quod eo proces arsenali. Nel tempo stesso richiama dalle guarni
sisset, unde invito hoste regredi nequiret, eam gioni Ippia ed Asclepiodoto, e schiude tutte le
non inconsultam audaciam fecit. Duos enim sal porte alla guerra. Egli da Dio, tutte le statue do
tus, per quos inde evadere possent, habebant Ro rate messe in fretta su le navi, acciocchè non ca
mani: unum per Tempe in Thessaliam, alterum dessero preda del nemico, ordina che subito sieno
in Macedoniam praeter Dium; quae utraque re trasportate a Pidma, e fe'che apparisse non mal
giis tenebantur praesidiis. Itaque si dux intrepi consigliata audacia del console, quella che avrebbe
livio 2 1 o8
17.15 TITI LIVII LIBER XLIV. 1716
dus decem dies primam speciem appropinquan potuto sembrare temerità, l'essersi inoltrato
tis terroris sustinuisset, neque receptus Romanis in luogo, donde, non volendo il nemico, non
per Tempe in Thessaliam, neque commeatibus potesse ritrarsi. Perciocchè due passi avevano i
pervehendis eo patuisset iter. Sunt enim Tempe Romani, pe quali potevano uscir di là; uno per
saltus, etiamsi non bello fiat infestus, transitu Tempe che mette in Tessaglia, l'altro oltre Dio,
difficilis: nam praeter angustias per quinque mil che sbocca in Macedonia, occupati ambedue dalla
lia, qua exiguum jumento onusto iter est, rupes genti del re. Quindi se un capitano intrepido
utrimogue ita abscisae sunt, ut despici vix sine avesse per dieci giorni sostenuto la prima faccia
vertigine quadam simul oculorum animique pos del terrore che veniva accostandosi, non avreb
sit. Terret et sonitus et altitudo per mediam val bon potuti i Romani nè ritirarsi per Tempe nella
lem fluentis Penei amnis. Hic locus, tam suapte Tessaglia, nè aver libera la strada al trasporto
natura infestus, per quatuor distantia loca prae delle vettovaglie. Perciocchè il passo di Tempe è
sidiis regis fuit insessus: unum in primo aditu difficile, anche se nol fa la guerra più malagevole;
ad Gonnumerat; alterum Condylon castello inex chè oltre le grandi strettezze per cinque miglia,
pugnabili; tertium circa Lapathunta, quem Cha dove un giumento carico non ha che un piccolo
raca appellant; quartum viae ipsi, qua et media sentieruzzo, le roccie d'ambe le parti son dirupa
et angustissima vallis est, impositum, quam vel te in tal modo, che appena si può guardare in giù
decem armatis tueri facile est. Intercluso per senza una certa vertigine d'occhi e di capo; e
Tempe simul aditu commeatibus, simul reditu, mette anche terrore lo strepito e la profondità
ipsi montes, per quos descenderant, repetendi del fiume Peneo che scorre per mezzo alla valle.
erant. Quod ut furto fefellerant, ita propalam, Questo luogo, malagevole tanto per sua natura,
tenentibus superiora cacumina hostibus, non po era guardato in quattro punti, l'uno dall'altro
terant; et experta difficultas spem omnem inci distanti, dalle genti del re: c'era una posta al
disset. Supererat nihil aliud in temere commisso, primo ingresso a Gonno; una seconda a Condi
quam in Macedoniam ad Dium per medios eva lone, castello inespugnabile; la terza intorno
dere hostes; quod, nisi dii mentem regi ademis a Lapatunta, che chiamano Caraca; la quarta era
sent, ipsum ingentis difficultatis erat Nam quum messa sulla stessa via, nel mezzo della valle, e dove
Olympi radices montis paullo plus quam mille questa è angustissima, sì ch'era facile tenerla
passuum ad mare relinquant spatium, cujus di anche con soli dieci uomini. Serrato per la via di
midium loci occupat hostium late restagnans Tempe il passo delle vettovaglie, e serrato insieme
Baphyri amnis, partem planitiae aut Jovis tem il tornare, bisognava rivalicare gli stessi monti,
plum, autoppidum tenet ; reliquum perexiguum pe'quali erano discesi; il che, com'era loro
fossa modica valloque claudi poterat, et saxorum riuscito furtivamente, così non potevano eseguir
ad manum silvestrisdue materiae tantum erat, ut lo alla scoperta, tenendo i nemici le alture; e la
vel murus objici, turresque excitari potuerint. difficoltà già provata troncava ogni speranza.
Quorum nihil quum dispexisset caecata mens su Non altro restava nella commessa temerità, che
bito terrore, nudatis omnibus praesidiis, patefa lanciarsi nella Macedonia di mezzo a nemici ac
ctisque bello, ad Pydnam reſugit. campati a Dio; il che pur era, se gli dei non
avessero tolto il senno al re, d'immensa difficoltà.
Perciocchè le radici del monte Olimpo non la
sciando verso il mare che lo spazio poco più di
un miglio, la cui metà è occupata dalla foce lar
gamente stagnante del fiume Bafiro, e l'altra
parte della pianura dal tempio di Giove e dalla
città di Dio, il restante tratto pochissimo si potea
chiudere con piccola fossa o steccato, e c'era alle
mani tanto di sassi e di legname silvestre che si
saria potuto ergervi un muro e fabbricarvi alcune
torri. Di tutto questo non avendo nulla conosciu
to Perseo da subitano terrore acciecato, sguernite
tutte le poste ed apertele all'impeto della guerra,
fuggì a Pidna.
VII. Consul, plurimum et praesidii et spei VII. Il console scorgendo che c'era molto da
cernens in stultitia et segnitie hostis, remisso confortarsi e sperare nella balordaggine e lentez
nuncio ad Sp. Lucretium Larissam, ut castella, za del nemico, mandato un messo a Spurio Lu
relicta ab hoste, circa Tempe occuparet, praemis grezio, a Larissa, acciocchè occupasse i castelli
1717 TITI LIVII LIBl.R X LIV. 17,5
so Popillio ad explorandos transitus circa Dium, abbandonati dal nemico ne' contorni di Tempe,
postguam patere omnia in omnes partes animad spedito innanzi Popillio ad esplorare i passi in
vertit, secundis castris pervenit ad Dium, meta torno a Dio, poi che vide essere il paese aperto
rique sub ipso templo, ne quid sacro in loco vio da tutte le parti, giunse il secondo giorno a Dio,
1aretur, jussit. Ipse, urbem ingressus, sicut non e fe porre il campo sotto il tempio stesso di Gio
magnam, ita exornatam publicis locis et multitu ve, acciocchè niente violato fosse nel luogo sacro.
dine statuarum, munitamoue egregie, viv satis Egli, entrato nella città, come non grande, così
credere, in tantis rebus sine causa relictis non altrettanto adorna di pubblici edifizii e quantità
aliquem subesse dolum. Unum diem ad explo di statue, e fortificata egregiamente, appena può
randa circa omnia moratus, castra movet; satis persuadersi che nell'abbandono di tante cose
que credens, paratam frumenti copiam fore, eo senza ragione non si celi sotto qualche inganno.
die ad ammem nomine Mityn processit. Postero Fermatosi un dì solo ad esplorare ogni cosa al
die progressus, Agassam urbem, tradentibus sese l'intorno, leva il campo, e stimando che non gli
ipsis, recepit; et, ut reliquorum Macedonum ani sarebbe per mancare l'occorrente di frumento, il
mos sibi conciliaret, obsidibus contentus, sine dì medesimo s'inoltrò sino al fiume Miti. Il gior
praesidio relinquere se eis urbem, immunesque no appresso proseguendo il cammino, occupò la
ac suis legibus victuros, est pollicitus. Progressus città di Agassa, i cui abitanti se gli diedero vo
inde diei iter, ad Alcordum flumen posuit castra, lontarii, e per conciliarsi gli animi degli altri Ma
et, quantum procederet longius a Thessalia, eo cedoni, contento di ricevere ostaggi, promise che
majorem rerum omnium inopiam sentiens, re lascerebbe la città senza presidio e che vivreb
gressus ad Dium est; dubitatione omnibus exem bono colle proprie lor leggi. Indi, fattosi innanzi
pta, quid intercluso ab Thessalia patiendum fuis una giornata, si accampò presso il fiume Alcordo;
set, cui procul inde abscedere tutum non esset. e sentendo, quanto più si scostava dalla Tessaglia,
Perseus, contractis in unum omnibus copiis du farsi vie più maggiore la carestia d'ogni cosa,
cibusque, increpare praefectos praesidiorum, an tornossi a Dio; chiaritosi quindi ognuno quanto
te omnes Asclepio dotum atque Hippiam: ab his si avrebbe avuto a soffrire, serrato il passo della
dicere claustra Macedoniae tradita Romanis esse; Tessaglia, s'era sì poco sicuro il dilungarsene,
cujus culpae reus nemo justius, quam ipse, fuis Perseo, raccolte insieme tutte le genti e i capitani,
set. Consuli postouam ex alto conspecta classis sgridò i comandanti del presidii, e sopra tutti
spem fecit, cum commeatu naves venire (ingens Asclepiodoto ed Ippia, accusandoli di aver essi
enim caritas annonae ac prope inopia erat), ab consegnate a Romani le porte della Macedonia;
invectis jam portum audit, onerarias naves Ma colpa, di cui nessuno era più veramente reo che
gnesiae relictas esse. Incerto inde, quidnam agen egli medesimo. Il console, poi che la flotta scorta
dum foret (adeo sine ulla ope hostis, quae aggra dall'alto gli die' speranza che venissero le navi
varet, cum ipsa difficultate rerum pugnandum cariche di vettovaglia (che c'era gran penuria,
erat), peropportune literae a Sp. Lucretio alla anzi quasi carestia di viveri), udì dai legni en
tae sunt, castella se, quae super Tempe essent trati in porto che i navigli da carico rimasti erano
et circa Philan, tenere omnia, frumentique in iis a Magnesia. Incerto quindi che avesse a fare
et aliarum in usum rerum copiam invenisse, (tanto era difficile la situazion delle cose anche
senza alcun concorso del nemico, che l'aggravas
se), gli vennero opportunamente lettere di Spu
rio Lugrezio, recanti ch'egli aveva occupati tutti
i castelli ch'erano sopra a Tempe e intorno
a Fila, e che ci aveva trovata copia di grano e
d'altre provvigioni d'ogni sorta.
VIII. His magnopere laetus consulab Dio ad VIII. Lieto il console per sì fatto avviso, da
Philan ducit, simul ut praesidium eius firmaret, Dio guida l'esercito a Fila e per rinforzarne la
simul ut militi frumentum, cujus tarda subvectio guardia e per distribuire al soldato il frumento,
erat, divideret. Ea profectio famam haudqua il cui trasporto sarebbe stato lento di troppo.
quam secundam habuit; nam alii, metu recessis Quella andata non fu intesa molto vantaggiosa
se eum ab hoste, ferebant, quia manenti impera mente. Altri spacciavano ch'egli si fosse discosta
tori proelio dimicandum foret: alii ignarum, bel to dal nemico per paura, perciocchè rimanendo
li quae in dies fortuna novaret; ut qui, oſferen avrebbe dovuto venire a giornata; altri che igno
tibus sese rebus, omisisset e manibus ea, quae rasse quante ogni dì recasse cose nuove la fortuna
mox repeti non possent. Simul enim cessit pos della guerra, come quegli che, offertesegli propi
sessione Dii, excitavit hostem, ut nunc tandem zie circostanze, si fosse lasciato scappar di mano
1719 TI I I LIVII LIBI.R X LIV. i 72 o

sentiret, recuperanda esse, quae prius culpa amis quello che riaver di poi non potrebbe. Perciocchè
sa forent. Audita enim profectione consulis, re appena abbandonò il possesso di Dio, destò il me
gressus Dium, quae disiecta ac vastata ab Roma mico e il fece accorto finalmente che dovea ricu
nis erant, reficit: pinnas moenium decussas re perare le cose, che prima avea perdute per colpa
ponit, ab omni parte muros firmat: deinde qnin sua. Perciocchè udita la partenza del console,
que millia passuum ab urbe citra ripam Enipei tornato a Dio, si mette a rifare tutto quello che i
amnis castra ponit, amnem ipsum, transitu per Romani aveano guasto ed atterrato: rimette i
difficilem, pro munimento habiturus. Fluit ex merli delle mura abbattuti, e quelle da ogni parte
valle Olympi montis, aestate exiguus, hibernis rinforza; indi si accampa a cinque miglia della
idem incitatus pluviis: et supra rupes ingentes città sulla riva del fiume Enipeo, scegliendo a ri
gurgitibus facit, et intra prorupta, in mare evol paro il fiume stesso, difficilissimo a passarsi.
vendo terram, praealtas voragines, cavatoque me Scende l'Enipeo da una vallata del monte Olim
dio alveo ripas utrim ſue praecipites. Hoc flumine po, piccolo di state, ma nel verno ingrossato dalle
Perseus septum iter hostis credens, extralbere re piogge, e fa sulle rupi immensi gorghi, e di sotto
liquum tempus ejus aestatis in animo habebat. rotolando la terra divelta al mare, forma profon
Inter haec consula Phila Popillium cum duobus de voragini, e scavando l'alveo nel mezzo, rende
millibus armatorum Heracleum mittit. Abest a le rive d'ambe le parti alte e dirupate. Stimando
Phila quinque millia ferme passuum, media regio Perseo che il fiume serrasse il passo al nemico,
ne inter Dium Tempeque, in rupe amni immi aveva in animo di andar badando per tutto il
mente positum. tempo di quella state. In questo mezzo il console
da Fila manda Popillio con due mila armati ad
Eracleo. È distante Eracleo da Fila cinque miglia,
nel paese di mezzo tra Dio e Tempe, posto su
roccia sovrastante al fiume.
IX. Popillius, priusquam armatos muris ad IX. Popillio, avanti di accostare gli armati
moveret, misit, qui magistratibus principibusque alle mura, spedì alcuni a persuadere a magistrati
suaderent, fidem clementiamo ue Romanorum, ed ai principali della città che provassero piut
quam vim, experiri mallent. Nihil ea consilia tosto la fede e clemenza de Romani, che la forza.
moverunt, quia ignes ad Enipeum ex regis ca Questi eccitamenti non li mossero punto, perchè
stris apparebant. Tum terra marique (et classis scorgevansi presso all'Enipeo i fuochi del campo
appulsa ab litore stabat) simularmis, simul ope del re. Allora si cominciò a stringere la città col
ribus machinisque, oppugnari coepti. Juvenes l'armi ad un tempo, co' lavori e con le macchine,
etiam quidam Romani, ludicro circensi ad usum sì per terra che per mare; perciocchè la flotta
belli verso, partem humillimam muri ceperunt. stava ancorata presso al lido. Ed alcuni giovani
Mos erat tum, nondum hac effusione inducta be Romani, volgendo ad uso della guerra un giuoco
stiis omnium gentium Circum complendi, varia praticato nel Circo, presero la parte più bassa del
speciaculorum conquirere genera; mec, semel qua muro. Si costumava in quel tempo, non essendosi
drigis, semel desultore misso, vi» unius horae ancora sì largamente diffusa l'usanza di riempiere
tempus utrumque curriculum complebat. Inter il circo di fiere tratte da tutte le nazioni, di cercar
cetera sexageni ferme juvenes, interdum plures, varie maniere di spettacoli, e con un solo corso
apparitoribus ludis, armati inducebantur. Horum di quadrighe, un solo di cavalli appena si consu
inductio in parte simulacrum decurrentis exer mava lo spazio di un'ora. Tra gli altri spettacoli,
citus erat; ex parte elegantioris exercitii, quam sessanta giovani, e talvolta più ancora, erano in
militaris artis, propiorgue gladiatorium armorum trodotti armati dai direttori dello spettacolo.
usum. Quum alios decursus edidissent motus, La loro introduzione offeriva in parte l'immagi
quadrato agmine facto, scutis super capita den me di un esercito che armeggiasse, in parte un
satis, stantibus primis, secundis submissioribus, esercizio più elegante degli esercizii militari e
tertiis magis et quartis, postremis etiam genu piuttosto somigliante a giuochi dei gladiatori.
nisis, fastigatam, sicut tecta aedificiorum sunt, Avendo fatti tutti gli altri rivolgimenti, strettisi
testudinem faciebant. Hinc quinquaginta ferme in ischiera quadrata, addensati gli scudi sul capo,
Pedum spatio distantes duo armati procurrebant, stando i primi in piede, i secondi più bassi, e più
comminatigue inter se, ab ima in summam testu i terzi ed i quarti, gli ultimi anche inginocchiati,
dinem per densata scuta quum evasissent, nunc formavano una testuggine, come sono i tetti degli
velut propugnantes per oras extremae testudinis, edifizii. Indi due armati, alla distanza di circa
nunc in media inter se concurrentes, haud secus cinquanta piedi, si scagliavano innanzi, e tra loro
quam stabili solo persultabant. Huic testudini si sfidandosi, com'erano corsi sugli addensati scudi
1721 l'ITI LIVII LIBER XLIV. 172a

millima parti muri admota, quum armati super dalla più bassa alla più alta cima della testuggine,
stantes subissent, propugnatoribus muri fastigio ora quasi difendendone i lembi estremi, ora af
altitudinis aequabantur; depulsisque iis in urbem frontandosi nel mezzo di quella, non altrimenti
duorum signorum milites transcenderunt. Id tan si dimenavano, che se fossero stati su terreno
tum dissimile fuit, quod, et in fronte extrema, et stabile. Accostata ad una parte del muro una così
ex lateribus, soli non ha bebant super capita elata fatta testuggine, poi che gli armati vi furono sa
scuta, ne nudarent corpora ; sed praetecta pu liti sopra, veniamo a pareggiarsi in altezza a di
gnantium more. Ita nec ipsos tela ex muro missa fensori del muro, e come negli ebbero scacciati,
subeuntes laeserunt, et testudini injecta imbris saltaron dentro la città i soldati di due compagnie.
in modum lubrico fastigio innoxia ad imum la La sola dissomiglianza ſu questa, che quelli che
bebantur. Et consul, capto jam Heracleo, castra erano sulla prima fronte e dai lati, erano i soli
eo promo vit, tamquam Dium, atque, inde sub che non avessero gli scudi elevati sul capo, per
moto rege, in Pieriam etiam progressurus. Sed, non denudare i loro corpi, ma imbracciati dinan
hiberna jam praeparans, vias commeatibus sub zi, a guisa di combattenti. Così accostandosi al
vehendis ex Thessalia muniri jubet, et eligi hor muro, nè i dardi scagliati dall'alto gli offesero,
reis opportuna loca, tectaque aedificari, ubi di e quelli che piombavano sulla testuggine, sdruc
versari portantes commeatus possent. ciolandovi sopra cadevano innocui a terra a guisa
di pioggia. Il console, preso Eracleo, vi accostò il
suo campo, quasi pensasse d'inoltrarsi sino a Dio,
e poscia, cacciatone il re, sino in Pieria. Ma già,
preparando i quartieri d' inverno, ordina che si
racconcino le strade pel trasporto delle vettova
glie dalla Tessaglia, e che si scelgano luoghi op
portuni a stabilirvi de magazzini e ad erigervi
de casamenti, dove ricoverare i conduttori di
quelle.
X. Perseus, tandem a pavore eo, quo attoni X. Perseo, rimesso finalmente l' animo da
tus fuerat, recepto animo, malle, imperiis suis quello spavento, che lo avea come sbalordito,
non obtemperatum esse, quum trepidans gazam avrebbe bramato che non si fosse obbedito a suoi
in mare deiici Pellae, Thessalonica e navalia jus comandi, quando ordinò spaventato che a Pella
serat incendi. Andronicus, Thessalonicam missus, si gettassero in mare i suoi tesori e che si brucias
traxerat tempus, id ipsum quod accidit, poemi sero gli arsenali di Tessalonica. Andronico, spe
tentiae relinquens locum. Incautior Nicias Pellae dito a Tessalonica, aveva indugiato, lasciando, il
projiciendo pecuniae partem, quod fuerat nactus; che accadde, tempo al pentimento. A Pella Nicia
sed in rem emendabilem visus lapsus esse, quod era stato più incauto, gettando in mare tutto il
per urinatores omne ferme extractum est. Tan denaro che avea trovato; se non che sembrò ca
tusque pudor regi pavoris ejus fuit, ut urinato duto in errore emendabile, perchè ne fu ritratto
res clam interfici jusserit, deinde Andronicum fuori quasi tutto col mezzo de' tuffatori. E tanta
quoque et Nician, ne quis tam dementis imperii vergogna ebbe il re di quella sua paura, che fe'uc
conscius exsisteret. Inter haec C. Marcius, cum cidere nascosamente quei tuffatori, poi anche
classe ab Heracleo Thessalonicam profectus, et Nicia ed Andronico, acciocchè non vivesse nes
agrum pluribus locis, expositis per litora arma suno che fosse consapevole di così pazzo coman
tis, late vastavit, et procurrentes ab urbe, secun do. In questo mezzo Caio Marcio, recatosi colla
dis aliquot proeliis, trepidos intra moenia com flotta di Eracleo a Tessalonica, sbarcati sul lido
pulit. Jam que ipsi urbi terribilis erat; quum, di parecchi armati, saccheggiò largamente il paese
spositis omnis generis tormentis, non vagi modo in più luoghi, e fattesi da terrazzani alcune sor
circa muros, temere appropinquantes, sed etiam tite, con alquante prospere battaglie li ricacciò
qui in navibus erant, saxis tormento emicantibus spaventati dentro le mura. E già mettea terrore
percutiebantur. Revocatisigitur in naves militibus, alla stessa città; quando, avendo il nemico dispo
omissaque Thessalonicae oppugnatione, Ae sto sulle mura ogni sorta di macchine, venian
miam inde petunt. Quindecim millia passuum ea colpiti da sassi che n'erano lanciati, non sola
urbs abest, adversus Pydnam posita, fertili agro. mente quelli, che sparsamente errando si acco
Pervastatis finibus ejus, legentes oram, Antigo stavano imprudentemente alle mura stesse, ma
neam perveniunt. Ibi, egressi in terram, primo eziandio quelli, che stavansi sulle navi. Rimbarcati
et vasta runt agros passim, et aliquantum praedae adunque i soldati e lasciato l'assedio di Tessalo
contulerunt ad naves. Dein palatos eos adorti nica, se ne vanno ad Enia. E distante questa città
1723 TITI LIVII LIDER XI,IV. 1724
Macedones, mixti pedites equitesque, fugientes quindici miglia da Tessalonica, posta dirimpetto
effusi ad mare persecuti, quingentos ferme occi a Pidna, in suolo fertile. Saccheggiato il paese
derunt, et non minus ceperunt. Nec aliud, quam intorno, sempre costeggiando, giungono ad Anti
ultima necessitas, quum recipere se tuto ad naves gonea. Quivi, discesi a terra, dapprima devasta
prohiberentur, animos militum Romanorum, si rono qua e colà il contado e portarono alle navi
mul desperatione alia salutis, simul indigmitate, alquanta preda; poscia i Macedoni, misti fanti e
irritavit. Redintegrata in litore pugna est. Adju cavalli, avendoli assaliti sbandati com'erano, ed
vere et qui in navibus erant. Ibi Macedonum inseguitili nella lor fuga insino al mare, ne uc
ducenti ferme caesi; par numerus captus. Ab An cisero da cinquecento, e non minor numero ne
tigonea classis profecta, ad agrum Pallenensem presero. E non si potendo i Romani ritrarre se
exscensionem ad populandum fecit. Finium is curamente alle navi, non altro irritò gli animi
ager Cassandrensium erat, longe fertilissimus loro che l'ultima necessità, posti tra la dispera
omnis orae, quam praetervecti fuerant. Ibi Eu zione e l'ignominia. Si rinnovò la battaglia sul
menes rex, viginti tectis navibus ab Elea profe lido. Porsero aiuto anche quelli ch'erano sulle
ctus, obvius fuit; et quinque missae a Prusia re navi. Vi restaron morti da duecento Macedoni,
ge tectae naves. e un egual numero preso. La flotta, partita da
Antigonea, discese sulle terre di Pallene a darvi
il guasto. Confinavan queste col territorio de' Cas
sandresi, fertilissime sopra quante ne avean per
corso. Quivi si fe loro incontro il re Eumene,
partitosi da Elea con venti grosse navi; e altre
cinque simili ne mandò il re Prusia.
XI. Hac virium accessione animus crevit prae XI. Questa giunta di forze inanimì il pretore
tori, ut Cassandream oppugnaret. Condita est a a por l'assedio a Cassandrea. Fabricolla il re
Cassandro rege in ipsis faucibus, quae Pallenen Cassandro nelle stesse gole, che congiungono il
sem agrum ceterae Macedoniae jungunt, hinc To territorio di Palleme col rimanente della Mace
romaico, hinc Macedonico septa mari. Eminet donia; ed è cinta quinci dal mare Toronaico,
namque in altum lingua, in qua sita est: nec mi quinci dal Macedonico. Perciocchè la lingua di
nus, quam in altum magnitudine Atho mons, ex terra, sulla quale è posta, si prolunga nel mare,
currit, obversa in regionem Magnesiae duobus non punto meno di quel che faccia il monte Ato
imparibus promontoriis, quorum majori Posi nella sua grandezza, e guarda la Magnesia con
deum est momen, minori Canastraeum. Divisis due diseguali promontorii, il maggiore de quali
partibus oppugnare adorti: Romanus ad Clitas, chiamasi Posideo, il minore Canastreo. Si posero
quas vocant, munimenta, cervis etiam objectis, ad assediarla da due parti diverse: il Romano
nt viam intercluderet, a Macedonico ad Toronai dal punto che chiamano Clita, tira i trinceamenti
cum mare perducit. Ab altera parte Euripus dal mare Macedonico insino al Toronaico, distri
est: inde Eumenes oppugnabat. Romanis in buendo da per tutto rami d'alberi forcuti ad
fossa complenda, quam nuper objecerat Perseus, impedire il passo: all'altra parte v'ha un Euripo.
plurimum erat laboris. Ibi quaerenti praetori, e quivi combatteva Eumene. I Romani si affati
quia musquam cumuli apparebant, quo regesta cavano assai nel colmare la fossa, che Perseo
e fossa terra foret, monstrati sunt fornices: a non poc'anzi avea fatto scavare di rincontro. Quivi
ad eamdem crassitudinem, qua veterem murum, cercando il pretore, non vedendosi terra ammon
sed simplici laterum ordine, structos esse.» Con tata in nessun luogo, dove si fosse riposta quella
silium igitur cepit, transfosso pariete iter in che s'era scavata, gli vennero mostrate alcune
urbem patefacere. Fallere autem ita se posse, volte a fabbricate non della stessa grossezza del
si, muros a parte alia scalis adortus, tumultu vecchio muro, ma di un semplice ordine di mat
injecto, in custodiam ejus loci propugnatores toni. » Disegnò adunque, forata la muraglia,
urbis avertisset. Erant in praesidio Cassandreae, di aprirsi così l'ingresso nella città. Pensava poi
praeter non contemnemdam juventutem oppida che gli riuscirebbe d'ingannare il nemico, se
norum, octingenti Agrianes, et duo millia Pene assaltando da un'altra parte le mura con le scale,
starum Illyriorum, a Pleurato inde missi, belli levato gran rumore, avesse richiamati i difensori
cosum utrumque genus. His tuentibus muros, a guardare quel sito stesso. Difendevano Cassan
quum subire Romani summa vi miterentur, mo drea, oltre una banda non dispregevole di gio
mento temporis parietes fornicum perfossi ur vani terrazzani, ottocento Agriani e due mila
bem patefecerunt. Quod si, qui irrupere, ar Penesti Illirici, di colà mandati da Pleurato, gli
mati fuissent, extemplo cepissent. Hoc ubi per uni e gli altri gente bellicosa. Mentre costoro
172o TITI LlVII LIBER XLIV. 172G
fectum esse opus militibus nunciatum est, clamo difendono le mura, mentre i Romani fanno ogni
rem alacres gaudio repente tollunt, aliis parte sforzo per superarle, in un istante i muri delle
alia in urbem irrupturis. volte sfondati spalancarono il vano nella città;
che se quelli che gli sfondarono fossero stati ar
mati, immantinente l'avrebbon presa. Come fu
annunziato a soldati che codesta opera era com
piuta, levano subito un grido di gioia, pronti chi
da una parte, chi dall'altra, a lanciarsi nella città.
XII. Hostes primum admiratio cepit, quid XII. Maraviglia dapprima colse i nemici, che
nam sibi repentinus clamor vellet. Postguam pa si volesse quel repentino clamore; ma poi che
tere urbem accepere praefecti praesidii Pytho et Pitone e Filippo, comandanti del presidio, sen
Philippus, pro eo, qui occupasset aggredi, opus tirono essere aperto il varco nella città, stimando
factum esse rati, cum valida manu Agrianum Il che quel lavoro sarebbe riuscito a pro di chi
lyriorumque erum punt, Romanosque, qui alii primo avesse dato l'assalto, si lancian fuori con
aliunde coibant convocabanturque, ut signa in forte mano di Agriani e d'Illirii; e mentre i
urbem interferrent, incompositos atque inordi Romani da diverse bande si univano e raccoglie
natos fugant, persequunturque ad fossam ; in vansi per penetrare nella città, gli assaltano sparsi
quam compulsos ruina cumulant. Sexcenti ferme e disordinati, com'erano, e gl'inseguono sino
ibi interfecti, omnesque prope, qui inter murum alla fossa, nella quale ruinando gli sospingono
fossamdue deprehensi erant, vulnerantur. Ita suo ed ammontano. Quivi da seicento ne furono uc
ipse conatu perculsus praetor, segnior ad alia fa cisi, e quelli quasi tutti, che colti furono tra
ctus consilia erat ; et ne Eumeni quidem, simul il muro e la fossa, rimasero feriti. Così il pretore
a mari, simula terra aggredienti, quidquam sa malconcio dallo stesso suo tentativo, era dive
tis procedebat. Placuit igitur utrique, custodiis nuto più lento ad altre imprese; e nè meno l'as
firmatis, ne quod praesidium ex Macedonia in salto dato da Eumene per mare ad un tempo e
tromitti posset, quoniam vis aperta non proces per terra punto gli riusciva. Piacque pertanto
sisset, operibus moenia oppugnare. Haec paran ad ambedue, rinforzate le porte, acciocchè nessun
tibus his, decem regii lembi, ab Thessalonica soccorso vi potesse entrare nella Macedonia, poi
cum delectis Gallorum auxiliaribus missi, quum che la forza aperta non aveva giovato, di com
in salo stantes hostium naves conspexissent; ipsi, battere la città co lavori. Mentre si mettono a
obscura nocte, simplici ordine, quam poterant ciò fare, dieci lembi, spediti da Tessalonica dal re
proxime litus tenentes, intrarunt urbem. Hujus con una banda scelta di Galli, poi che videro
novi praesidii fama absistere oppugnatione si le navi nemiche starsi in sull'ancore, nel buio
mul Romanos regemdue coegit. Circumvecti della notte, radendo difilati sottilmente il lido
promontorium, ad Toronem classem appulerunt. quanto più presso potevano, entrarono nella
Eam quoque oppugnare adorti, ubi valida de città. La fama di questo nuovo soccorso costrinse
fendi manu animadverterunt, irrito incepto De i Romani e insieme Eumene a cessare dall'asse
metriadem petunt. Ibi quum appropinquantes dio; girato il promontorio, approdarono colla
repleta moenia armatis vidissent, praetervecti ad flotta a Torona. Provatisi ad assaltare anche que
Iolcon classem appulerunt; inde, agro vastato, sta terra, come la videro difesa da gagliardo
Demetriadem quoque aggressuri. presidio, lasciato il vano tentativo, recansi a De
metriade. Quivi nell'accostarvisi veduto avendo
le mura piene di armati, spingendosi avanti
approdarono a Iolco, per poscia, dato il guasto
alla campagna, assaltare Demetriade.
XIII. Inter haec et consul, ne segnis sederet XIII. In questo mezzo anche il console, per
tantum in agro hostico, M. Popillium cum quin non istarsi, non ch'altro, ozioso in sulle terre
que millibus militum ad Meliboeam urbem op de'nemici, manda Marco Popillio con cinque
pugnandam mittit. Sita est in radicibus Ossae mila soldati a combattere la città di Melibea.
montis, qua parte in Thessaliam vergit, oppor È posta questa alle radici del monte Ossa dal
tune imminens super Demetriadem. Primus ad la parte, che guarda la Tessaglia, sovrastando
ventus hostium perculit incolas loci: collectis opportunamente a Demetriade. La prima venuta
deinde ex necopinato pavore animis, discurrunt de'nemici sbigottì fortemente i terrazzani; indi,
armati ad portas ac moenia, qua suspecti adi raccolti gli animi dall'improvviso terrore, cor
tus erant, spemque extemplo inciderunt, capi rono armati alle mura ed alle porte, dove c'era
primo impetu posse. Obsidio igitur parabatur, sospetto d'entrata, e troncarono subito la spe
1727 TITI I,IVILII IBER XLIV. 1728
et opera oppugnationum fieri coepta. Perseus, ranza che la si potesse pigliare di primo assalto.
quum audisset, simul Meliboeam a consulis exer Si preparava quindi l'assedio, e si cominciò a dar
citu oppugnari, simul classem Iolci stare, ut in mano ai lavori. Perseo, udito avendo che Melibea
de Demetriadem aggrederetur, Euphranorem combattuta era dall'esercito del console, e insie
quemdam ex ducibus cum delectis duobus milli me che la flotta stava ancorata a lolco per poi
bus Meliboeam mittit. Eidem imperatum, ut, si assaltare Demetriade, manda a Melibea Eufra
a Meliboea submovisset Romanos, Demetriadem nore, uno de'capitani con due mila soldati. Gli
prius occulto itinere intraret, quam ab Iolco ad ordina che se scacciasse i Romani da Melibea,
urbem castra moverent Romani. Et ab oppu entrasse per occulta via in Demetriade, innanzi
che i Romani vi si recassero da lolco. E come
gnatoribus Meliboeae, quum in superioribus lo
cis repente apparuisset, cum trepidatione multa gli assalitori l'ebbero subitamente scorto da'luo
relicta opera sunt, ignisque injectus. Ita a Meli ghi elevati, abbandonarono con gran paura le
boea abscessum est. Euphranor, soluta uniusur opere incominciate, e vi appiccarono il fuoco.
bis obsidione, Demetriadem extemplo ducit. Nec Così Melibea restò liberata. Eufranore, sciolto
tum moenia modo, sed agros etiam confiderunt l'assedio di una città, tosto si reca ad un'altra,
se a populationibus tueri posse; et eruptiones a Demetriade, i cui abitanti confidarono allora
in vagos populatores non sine vulneribus ho di poter non solamente difendere le mura, ma
stium factae sunt. Circumvecti tamen moenia eziandio la campagna dai saccheggiamenti; e fu
sunt praetor et rex, situm urbis contemplantes, ron fatte parecchie sortite addosso a predatori
si qua parte tentare aut opere aut vi possent. non senza grave lor danno. Nondimeno il pre
Fama fuit, per Cydantem Cretensem et Antima tore ed Eumene fecero il giro delle mura, esami
chum, qui Demetriadi praeerat, tractatas inter mando il sito della città, se da alcuna parte la
Eumenem et Persea conditiones amicitiae. Ab potessero pigliare o con le opere o con la forza.
Demetriade certe abscessum est. Eumenes ad com Corse voce che col mezzo di Cidante Cretese e
sulem navigat; gratulatus, quod prospere Mace di Antimaco, comandante di Demetriade, si fosse
doniam intrasset, Pergamum in regnum abit. trattato accordo tra Perseo ed Eumene; il campo
Marcius Figulus praetor, parte classis in hiberna certo fu levato da Demetriade. Eumene va per
Sciathum missa, cum reliquis navibus Oreum mare al console: congratulatosi ch'egli fosse en
Boeotiae petit, eam urbem aptissimam ratus, un trato felicemente in Macedonia, vassene a Perga
de exercitibus, qui in Macedonia, quique in mo nel regno suo. Il pretore Marcio Figulo,
Thessalia erant, mitti commeatus possent. De spedita una parte della flotta a svernare a Sciato,
Eumene rege longe diversa tradunt. Si Vale recasi con le altre navi in Oreo di Beozia, sti
rio Antiati credas, nec classe adjutum ab eo prae mando quella città comodissima, donde mandar
torem esse, quum saepe eum literis arcessisset, si potessero vettovaglie agli eserciti, ch'erano in
tradit; nec cum gratia ab console profectum in Macedonia ed in Tessaglia. Del re Eumene scri
Asiam, indignatum, quod, ut iisdem castris ten vono cose disparate. Se credi a Valerio Anziate,
deret, permissum non fuerit: ne ut equites qui hai che nè aiutò Eumene il pretore con la flotta,
dem Gallos, quos secum adduxerat, relinqueret, benchè chiamato parecchie volte con lettere; che
impetrari ab eo potuisse. Attalum fratrem ejus partì con mala grazia dal console per recarsi in
et remansisse apud consulem, et sinceram ejus Asia, sdegnato che non gli avesse permesso di at
fidem aequali tenore egregiamque operam in eo tendarsi nello stesso campo con lui; e non essersi
bello fuisse. nè anche potuto impetrare ch'ei lasciasse i cavalli
della Gallia, che avea seco condotti : però suo
fratello Attalo esser rimasto presso il console;
ed essere sempre stata con egual tenore sincera
la fede ed egregia l'opera di lui in quella guerra.
XIV. Dum bellum in Macedonia geritur, le XIV. Mentre si guerreggia in Macedonia,
gati Transalpini ab regulo Gallorum (Balamos vennero a Roma da oltre l'Alpi ambasciatori di
ipsius traditur momen; gentis, ex qua fuerit, non un piccolo re de' Galli (nomato, dicesi, Balano;
traditur) Romam venerunt, pollicentes ad Mace di che nazione fosse, non si dice) promettendo
donicum bellum auxilia. Gratiae ab senatu actae, soccorsi per quella guerra. Il senato gli ringraziò
muneraque missa, torquis aureus duo pondo, et e mandò loro in dono una collana d'oro del peso
paterae aureae quatuor pondo, equus phalera di due libbre, alcune tazze d'oro di quattro, un
tus, armadue equestria. Secundum Gallos Pam cavallo riccamente bardato a ciascuno, e un'ar
phyli legati coronam auream, ex viginti milli matura di cavaliere. Dopo i Galli, gli ambascia
bus Philippeorum factam, in curiam intulerunt; tori della Panfilia recarono alla curia una corona
1729 TITI LIVII LIBER XLIV. 173o
petentibusque iis, ut id donum in cella Jovis d'oro del valore di venti mila Filippi; e avendo
optimi maximi ponere, et sacrificare in Capitolio chiesta la permissione di riporre quel dono nella
liceret, permissum: benigneque amicitiam reno cella di Giove ottimo massimo, e di sagrificare
vare volentibus legatis responsum, et binum mil sul Campidoglio, fu loro conceduto; e bramando
lium aeris singulis missum munus. Tum ab rege di rinnovare l'amicizia, n'ebbero benigna rispo
Prusia, et paullo post ab Rhodiis, de eadem re sta, e a ciascun d'essi fu mandato il dono di due
longe aliter disserentes legati auditi sunt. Utra mila assi. Indi si diede udienza agli ambasciatori
que legatio de pace reconcilianda cum rege Per del re Prusia, e poco dopo a quelli de' Rodiani,
seo egit. Prusiae preces magis, quam postulantio, i quali favellarono assai diversamente sopra lo
fuere, profitentis, « et ad id tempus se cum Ro stesso soggetto. L'una e l'altra ambasceria trattò
manis stetisse, et, quoad bellum foret, staturum. di riconciliare la pace col re Perseo. Quelle di
Ceterum, quum ad se a Perseo legati venissent Prusia furon piuttosto preghiere che domande,
de finiendo cum Romanis bello, et iis pollicitum dichiarando a ch'egli era stato fino a quel dì
deprecatorem apud senatum futurum; petere, si dalla parte de' Romani, e ci starebbe fino a che
possent inducere in animum, ut finiant iram, se durasse la guerra. Se non che essendogli venuti
quoque in gratia reconciliatae pacis posse uti. ambasciatori dal re Perseo, perchè mettesse fine
Haec regii legati ARhodii, superbe commemoratis alla guerra coi Romani, ed avendo loro promesso
erga populum Romanum beneficiis, et pene vi che se ne farebbe intercessore presso il senato,
ctoriae, utique de Antiocho rege, majore parte chiedeva, se potevano indursi a deporre gli sde
ad se vindicata. adiecerunt: « Quum pax inter gni, che volessero valersi anche di lui per ricon
Macedonas Romanosque esset, sibi amicitiam cum iliare la pace. » Così gli ambasciatori di Prusia.
rege Perseo coeptam. Eam se invitos, nullo eius l Rodiani, rammemorati con alterigia i loro
in se merito, quoniam ita Romanis visum sit in benefizii verso il popolo Romano ed attribuitasi
societatem se belli trabere, interrupisse. Tertium la maggior parte della vittoria riportata sopra
se annum multa eius incommoda belli sentire. il re Antioco, soggiunsero, « che aveano comin
Mari intercluso, inopia insulam premi, missis ciata la loro amicizia col re Perseo, durante la
maritimis vectigalibus atque commeatibus. Quum pace tra i Macedoni ed i Romani; che l'avean
id ultra pati non possent, legatos alios ad Persea di mal grado interrotta, senz'alcun demerito di
in Macedoniam misisse, qui ei denunciarent, Rho lui, perchè a Romani era piaciuto di trarli ad es
diis placere, pacem eum componere cum Roma sere compagni della guerra. Sentivano già da tre
mis: se Romam eadem nunciatum missos. Per anni molti incomodi da questa guerra: chiuso
quos stetisset, quo minus belli finis fieret, adver il mare, l'isola pativa di carestia, perdute le
sus eos quid sibi faciendum esset, Rhodios consi gabelle marittime ed il commercio. Non potendo
deraturos esse. Ne nunc quidem haec sine indi più oltre soffrire codesto stato, aveano mandati
gmatione legi audirive posse, certum habeo. Inde altri ambasciatori al re Perseo a dichiarargli,
existimari potest, qui habitus animorum audien come i Rodiani bramavano ch'egli si pacificasse
tibus ea Patribus fuerit. coi Romani, e ch'essi erano stati spediti a Roma
a dichiarare lo stesso. Avrebbono i Rodiani ve
duto in appresso ciò che avessero a fare contro
coloro, pe'quali stesse che non si finisse la guer
ra. ” Tengo per certo che non si possa udire nè
leggere sì fatte cose senza indignazione; donde si
può giudicare qual senso abbiam fatto nell'animo
de'senatori, che le udirono.
XV. Claudius, nihil responsum, auctor est; XV. Claudio scrive che non ſu loro data
tantum senatusconsultum recitatum, quo Ca risposta; solamente che si era letto il decreto,
ras et Lycios liberos esse iuberet populus Roma col quale ordinava il popolo Romano, che quei
nus, literasque extemplo ad utramque gentem” della Caria e della Licia fossero liberi, e che tosto
scirent indicatum mitti. Qua audita re, princi se ne spedissero lettere col decreto all'una e al
pem legationis, cujus magniloquentiam vix curia l'altra nazione. Il che udito, il capo dell'amba
paullo ante ceperat, corruisse. Ali responsum sceria, la cui magniloquenza avea la curia poc'an
esse tradunt, a Populum Romanum et principio zi potuto appena capire, era caduto tramortito.
hujus belli haud vanis auctoribus compertum ha Altri dicono essere stato risposto, a che il popolo
buisse, Rhodios cum Perseo rege adversus rem Romano sin dal principio di questa guerra avea
publicam sua occulta consilia inisse; et, si id an saputo da non dubbii autori, che i Rodiani avean
te dubium fuisset, legatorum paullo ante verba tenuto segreti consigli col re Perseo contro la
Livio 2 1 o9
1731 T'IT I LIVII LIBER XLIV. 1732

ad certum redegisse; et plerumque ipsam se repubblica; e se anche la cosa fosse stata dappri
fraudem, etiamsi initio cautior fuerit, detegere. ma dubbiosa, l'aveano renduta certa poc'anzi
Rhodios nuncio in orbe terrarum arbitria belli le parole degli ambasciatori; che per lo più la
pacisque agere; deorum nutu arma sumpturos frode, anche se sia stata da principio alquanto
positurosque Romanos esse. Jam non deos foe circospetta, in fine scopre sè stessa. Certo i Ro
derum testes, sed Rhodios, habituros. ltane tam diani, mandando messi per tutta la terra, sono
dem iis pareatur, exercitusque de Macedonia de gli arbitri della guerra e della pace: non piglie
portentur? Visuros esse, quid sibi faciendum sit. ranno i Romani, non deporranno l'armi che se
Quid Rhodii visuri sint, ipsos scire. Populum condo il loro cenno; ed avranno a garanti dei
certe Romanum, devicto Perseo, quod prope diem trattati non gli dei, ma i Rodiani. E che final
sperent fore, visurum, ut pro meritis cujusque mente? Qualora non si obbedisca, non si ritrag
in eo bello civitatis gratiam dignam referat. n gano gli eserciti dalla Macedonia, vedranno quel
Munus tamen legatis in singulos binum millium lo che abbiano a fare. Sanno i Romani quello
aeris missum est; quod ii non acceperunt. che i Rodiani avranno a fare. Certo il popolo
Romano, come abbia vinto Perseo, il che spera
sia per essere di giorno in giorno, vedrà che ogni
mazione riporti una ricompensa degna del merito
che si sarà ciascuna acquistato in questa guerra. -
Nondimeno si mandò ad ognuno degli ambascia
tori il regalo di due mila assi, ch'essi non accet
tarono.
XVI. Literae deinde recitatae. Q. Marcii con XVI. Indi si sono recitate le lettere del con
sulis sunt, « Quemadmodum, saltu superato, in sole Quinto Marcio, « com'egli superata l'angustia
Macedoniam transisset ; ibi et ex aliis locis com dei passi, era entrato in Macedonia: qui vi aver
meatus a praetore prospectos in hiemem habe provigioni pel verno, che il pretore presidente
re, et ab Epirotis viginti millia modim tritici, avea pur anche raccolte da altri luoghi; aver
decem hordei sumpsisse: ut pro eo frumento pe presi dagli Epiroti venti mila moggia di frumento
cunia Romae legatis eorum curaretur.Vestimenta e dieci di orzo; si facesse sì che i loro legati a
militibus ab Roma mittenda esse: equis ducentis Roma ne ricevessero il pagamento. Se gli man
ferme opus esse, maxime Numidis; nec sibi in dassero da Roma vestimenti pei soldati: abbiso
his locis ullam copiam esse. ” Senatusconsultum, gnare a un dipresso di duecento cavalli, special
ut ea omnia ex literis consulis fierent, factum est. mente Numidi; che ne mancava affatto in quei
C. Sulpicius praetor sex millia togarum, triginta luoghi. » Il senato decretò che tutto questo fosse
tunicarum, et equos deportanda in Macedoniam, fatto secondo le lettere del console. Il pretore
praebendaque arbitratu consulis locavit, et lega Caio Sulpicio allogò sei mila toghe, trenta mila
tis Epirotarum pecuniam pro frumento solvit; et tuniche e parecchi cavalli, da essere il tutto tras
Onesimum, Pythonis filium, nobilem Macedo portato in Macedonia e distribuito ad arbitrio
nem, in senatum introduxit. Is pacis semper
au del console; e pagò agli Epiroti il valore del fru
ctor regi fuerat, monueratoue, sicut pater ejus mento, ed introdusse in senato Onesimo, figlio
Philippus institutum usque ad ultimum vitae di Pitone, nobile Macedone. Aveva egli al re
diem servabat, quotidie bis in die foederis icti sempre consigliata la pace, e lo aveva avvertito,
cum Romanis perlegendi, ut eum morem, si non come usava il di lui padre Filippo sino all'ultimo
semper, crebro tamen usurparet. Postduam de giorno della sua vita, di leggere due volte al di
terrere eum a bello neguiit, primo subtrahere il trattato di alleanza stretta co Romani, accioc
sese per alias atque alias causas, ne interesset chè, se non sempre, mantenesse pur sovente co
iis, quae non probabat, coepit; postremo, quum desta usanza. Poi che nol potè stornare dalla guer
suspectum se esse cerneret, et proditionis inter ra, cominciò primieramente sotto questo o quel
dum crimine insimulari, ad Romanos transfugit: pretesto a sottrarsi, per non assistere a ciò, che
magno usui consuli fuit. Ea introductus in cu non approvava; in fine, vedendosi caduto in
riam quum memorasset, senatus in formulam sospetto e talvolta essere accusato di tradimento,
sociorum eum referri jussit: locum, lautia prae si fuggì a Romani, e fu al console di grande
beri; agri Tarentini, qui publicus populi Roma utilità. Introdotto nella curia, ricordate sì fatie
ni esset ducenta jugera dari; et aedes Tarenti cose, il senato ordinò che fosse registrato nel
emi. Uti ea curaret, C. Decimio praetori man numero degli alleati; che gli si desse casa cd
datum. Censores censum Idibus Decembribus, i consueti regali; se gli assegnassero dugento
severius quam ante, habuerunt: multis cqui giugeri di terra nel contado Tarentino, di quelli
1733 'l'IT'l LIVII LIBER XLIV. 1734
adempti, inter quos P. Rutilio, qui tribunus ple di pubblica ragione, e gli si comperasse una casa
bis eos violenter accusarat: tribu quoque is mo in Taranto. Fu commesso al pretore Caio Deci
tus, et aerarius factus. Ad opera publica facien mio che si prendesse cura di tutto questo. I cen
da quum eis dimidium ex vectigalibus ejus anni sori fecero il censo negl'Idi di Dicembre più
attributum ex senatusconsulto a quaestoribus severamente che innanzi mai. A molti furon tolti
esset; Ti. Sempronius ex ea pecunia, quae ipsi i cavalli, tra quali a Publio Rutilio, il quale es
attributa erat, aedes P. Africani pone Veteres ad sendo tribuno della plebe gli avea violentemente
Vortumni signum, laniemasque et tabernas con accusati; ed il rimossero anche dalla tribù, e il
junctas in publicum emit, basilicamque facien registrarono tra i contribuenti. Avendo i que
dam curavit, quae postea Sempronia appellata est. stori per decreto del senato assegnata loro la
metà delle gabelle di quell'anno da impiegarsi
ne pubblici lavori, Tito Sempronio, della por
zione di danaro che gli era toccata, comperò
per conto del pubblico la casa di Publio Africano
presso alla statua di Vertumno alle Vecchie, e
insieme le botteghe e taverne attinenti, e vi fe'
costruire una basilica che fu poi detta Sem
pronia. -

XVII. Jam in exitu annus erat, et propter XVII. Era già l'anno in sul finire, e gli uomini,
Macedonici maxime belli curam in sermonibus sul pensiero massimamente della guerra Macedo
homines habebant, quos in annum consules ad nica, non d'altro favellavano, se non se quali
finiendum tandem id bellum crearent. Itaque consoli avessero a nominare per l'anno nuovo
senatusconsultum factum est, ut Cn. Servilius pri a terminar questa guerra. Fu quindi decretato
mo quoque tempore ad comitia habenda veniret. dal senato che Gneo Servilio al più presto venis
Senatusconsultum Sulpicius praetor ad consulem se a Roma a tenere i comizii. Il pretore Sulpicio
* post paucos dies recitavit, quibus ante diem ” mandò il decreto al console e pochi giorni dopo
in urbem venturum. Et consul maturavit, et co recitò le lettere avute, con le quali Servilio signi
mitia eo die, qui dictus erat, sunt perfecta. Con ficava che sarebbe venuto a Roma il giorno in
sules creati L. Aemilius Paullus iterum, septimo manzi; e di fatto il console si affrettò, ed i comizii
decimo anno postduam primo consul fuerat, et furon compiuti nel giorno, ch'era stato annun
C. Licinius Crassus. Praetores postero die facti ziato. Nominaronsi consoli Lucio Emilio Paolo
Cn. Baebius Thamphilus, L. Anicius Gallus, Cn. per la seconda volta, diciasett'anni dopo ch'era
Octavius, P. Fontejus Balbus, M. Aebutius Elva, stato eletto la prima, e Caio Licinio Crasso. Il dì
C. Papirius Carbo. Omnia ut maturius ageren seguente furono eletti pretori Gneo Bebio Tan
tur, belli Macedonici stimulabat cura. Itaque de filo, Lucio Anicio Gallo, Gneo Ottavio, Publio
signatos extemplo sortiri placuit provincia s; ut, Fonteio Balbo, Marco Ebuzio Elva e Caio Papirio
utri Macedonia consuli, cuique praetori classis ve Carbone. Il pensiero della guerra Macedonica
nisset, sciretur: ut jam inde cogitarent pararent stimolava a fare ogni cosa più sollecitamente.
que, quae bello usui forent, senatumque consu Quindi si volle che i consoli disegnati tosto si
lerent, si qua re consulto opus esset. « Latinas, traessero a sorte le province, acciocchè si sapesse
ubi magistratum inissent, quod per religiones a qual d'essi toccasse la Macedonia, a quale dei
posset, primo quoque tempore fieri placere; ne pretori la flotta; onde sin d'allora pensassero ed
que consulem, cui eundum in Macedoniam esset, allestissero tutto quello che occorresse per la
teneri. » His decretis, consulibus Italia et Ma guerra, e consultassero il senato, se abbisognasse
cedonia, praetoribus, praeter duas jurisdictiones per alcun che consultarlo. « Volersi, che come
in urbe, classis, et Hispania, et Sicilia, et Sardi i consoli pigliato avessero il magistrato, celebras
mia provinciae nominatae sunt. Consulum, Aemi sero le ferie Latine al più presto, quanto la reli
lio Macedonia, Licinio Italia evenit. Praetores, gione il permettesse; nè il console, cui toccata
Cn. Daebius urbanam, L. Anicius peregrinan, fosse la Macedonia, patisse ritardo. » Fatti questi
et si quo senatus censuisset, Cn. Octavius clas decreti, a consoli furono assegnate la Macedonia
sem, P. Fontejus Hispaniam, M. Aebutius Sici e l'Italia; ai pretori, oltre le due giurisdizioni
liam, C. Papirius Sardiniam est sortitus. della città, la flotta, la Spagna, la Sicilia e la Sar
degna. De'consoli, toccò ad Emilio la Macedonia,
a Licinio l'Italia. Quanto ai pretori ebbe Gneo
Bebio la giurisdizione urbana, Lucio Anicio la
forestiera e dovunque piacesse al senato di desti
1735 TITI LIVIl LIBER XLIV. 1736
narlo; Gneo Ottavio la flotta, Publio Fonteio
la Spagna, Marco Ebuzio la Sicilia, e Caio Papirio
la Sardegna.
XVIII. Extemplo apparuit omnibus, non se XVIII. Apparve subito a tutti che già Emilio
gniter id bellum L. Aemilium gesturum; prae trattato avrebbe quella guerra con gran rigore;
terquam quod alius virerat, etiam quod dies no oltre che per la ragion ch'egli era ben altro uomo,
ctesque intentus ea sola, quae ad id bellum per eziandio perchè non altro dì e notte ravvolgeva
tinerent, animo agitabat Jam omnium primum in mente, che le cose a quella pertinenti. E già
a senatu petit, ut legatos in Macedoniam mit prima di tutto chiede al senato che mandasse
terent ad exercitus visendos classemque, et com alcuni legati in Macedonia a visitare gli eserciti
perta referenda, quid aut terrestribus aut nava e la flotta, e riferire quanto vedessero abbisognare
libus copiis opus esset: praeterea ut explorarent alle forze di terra e di mare: inoltre riconosces
copias regias quantum possent, quaque provincia sero, quanto meglio si potesse, le forze del re, e
nostra, qua hostium foret; utrum intra saltus qual fosse la nostra, quale la posizione de'nemici;
castra Romani haberent, an jam omnes angustiae se i Romani avessero il loro campo ne' passi an
exsuperatae, et in aequa loca pervenissent: qui gusti, o se avessero superate tutte le strettezze
fideles nobis socii, qui dubii suspensaeque ex e fossero venuti in luoghi piani; quali alleati ci
fortuna fidei, qui certi hostes viderentur: quanti fossero fedeli, quali dubbiosi e di fede pendente
praeparati commeatus, et unde terrestri itinere, dalla fortuna; quali sembrassero nemici certi;
unde navibus supportarentur: quid ea aestate quante fossero le vettovaglie preparate, e donde
terra marique rerum gestarum esset: ex his si potessero trasportare per via di terra, donde
bene cognitis certa in futurum consilia capi posse col mezzo delle navi; che si fosse fatto in quella
ratus. Senatus Cn. Servilio consuli negotium de state per mare e per terra; stimando che cono
dit, ut is in Macedoniam, quos L. Aemilio vide sciute bene codeste cose, si potevano prendere
retur, legaret. Legati biduo post profecti, Cn. sicuri partiti per l'avvenire. Il senato diede la
Domitius Ahenobarbus, A. Licinius Nerva, L. cura al console Gneo Servilio di mandare in Ma
Baebius. Bis in exitu anni eius lapidatum esse cedonia quelli che paresse a Lucio Emilio. Parti
nunciatum est in Romano agro, simul in Vejen rono due giorni dopo in qualità di legati Gneo
tibus. Novemdiale sacrum factum est. Sacerdotes Domizio Enobardo, Aulo Licinio Nerva e Lucio
eo anno mortui sunt, P. Quintilius Varus fla Bebio. Fu riferito che sul fine dell'anno piovette
men Martialis; et M. Claudius Marcellus, decem pietre due volte nel contado Romano, e nello
vir; in cujus locum Cn. Octavius suffectus. Et stesso tempo nel Veientano. Si son fatti sagrifizii
jam magnificentia crescente notatum est, ludis per nove giorni. Morirono in quell'anno due sa
circensibus P. Cornelii Scipionis Nasicae et P. cerdoti, Publio Quintilio Varo, sacerdote di Mar
Lentuli aedilium curulium sexaginta tres Africa te, e Marco Claudio Marcello, decemviro, nel
nas, et quadraginta ursos et elephantos lusisse. luogo del quale fu surrogato Gneo Ottavio. E già
crescendo la magnificenza, fu osservato che nei
giuochi Circensi di Publio Cornelio Scipione
Nasica e di Publio Lentulo, edili curuli, sebbe
lo spettacolo di sessanta tre pantere e di quaranta
tra orsi ed elefanti.
XIX. (Anno U. C. 584. – A. C. 168.) XIX. (Anni D. R. 584. – A. C. 168.) Agl'Idi
L. Aemilio Patillo, C. Licinio consulibus, laibus di Marzo, sul principio dell'anno seguente, es
Martiis principio insequentis anni, quum in ex sendo consoli Lucio Emilio Paolo e Caio Licinio,
spectatione Patres fuissent, maxime quidnam standosi i Padri in aspettazione specialmente del
consul de Macedonia, cuius ea provincia esset, le proposte del console, cui toccata era la Mace
referret; . nihil se habere. Paullus, quod referret, donia, Paolo disse - non aver egli che proporre,
quum nondum legati redissent, dixit. Ceterum non essendo ancora tornati i legati. Essi del resto
Brundisii legatos jam esse, bis ex cursu Dyrrha erano di già arrivati a Brindisi, stati due volte
chium ejectos. Cognitis mox, quae nosci prius respinti dalla burrasca a Durazzo. Come avrà
in rem esset, relaturum: id fore intra perpau conosciuto le cose che occorre prima conoscere,
cos dies. Et, ne quid profectionem suam teneret ne farà la riferta; il che sarà tra pochissimi gior
pridie Kalendas Aprilis Latinis esse constitutam ni. Ed acciocchè nulla ritardasse la sua partenza,
diem. Sacrificio rite perfecto, se et Cn. Octavium, si era stabilita la celebrazione delle ferie Latine
simul senatus censuisset, exituros esse. C. Licinio alle Calende di Aprile. Compiuto debitamente il
collegae suo ſore curae, se absente, ut, si qua sagrifizio, egli e Gneo Ottavio partirebbonsi tosto
1737 TITI LIVII 1,118ER X LIV. 1738
parari mittive ad id bellum opus sit, parentur che il senato lo comandasse in sua assenza avrebº
mittanturque. Interea legationes exterarum na be cura il di lui collega Caio Licinio, se occorresse
tionum audiri posse. » Sacrificio rite perfecto, di provvedere e mandare alcune cose per la guer
primi Alexandrini, legati ab Ptolemaeo et Cleo ra, che provvedute fossero e mandate. Intanto
patra regibus, vocati sunt. Sordidati, barba et potersi dare udienza alle ambascerie delle nazioni
capillo promisso, cum ramis oleae ingressi curiam forestiere. » Compiuto a dovere il sagrifizio, pri
procubuerunt ; et oratio, quam habitus, fuit mi furono chiamati gli ambasciatori Alessandrini,
miserabilior. Antiochus Syriae rex, qui obses spediti da Tolomeo e Cleopatra. Vestiti a cordo
Romae fuerat, per honestam speciem majoris glio, con barba lunga e capelli sparsi, entrati
Ptolemaei reducendi in regnum, bellum cum nella curia con rami di ulivo in mano, si prostra
minore fra tre ejus, qui tum Alexandriam tenebat, rono a terra; e il linguaggio che tennero, fu più
gerens, et ad Pelusium navali proelio victor fue compassionevole del loro stesso atteggiamento.
rat, et, tumultuario opere ponte per Nilum facto, Antioco, re della Siria, ch'era stato ostaggio in
transgressus cum exercitu, obsidione ipsam Ale Roma, sotto lo specioso pretesto di rimettere sul
xandriam terrebat; nec procul abesse, quin po trono il Tolomeo maggiore di età, guerreggiando
tiretur regno opulentissimo, videbatur. Ea legati col di lui fratello minore, che regnava allora in
querentes orabant senatum, ut opem regno re Alessandria, e ch'era rimasto vincitore a Pelusio
gibusque amicis imperio ferrent. « Ea merita in battaglia navale, avendo in gran fretta fatto
populi Romani in Antiochum, eam apud omnes un ponte sul Nilo, passato con l'esercito, strin
reges gentesque auctoritatem esse, ut, si lega geva con assedio terribilmente la stessa Alessan
tos misissent, qui denunciarent, non placere se dria; e sembrava non mancar molto ch'ei s'im
natui, sociis regibus bellum fieri, extemplo ab padronisse di quel regno doviziosissimo. Di che
scessurus a moenibus Alexandriae, abducturus dolendosi essi, scongiuravano il senato che por
que exercitum in Syriam esset. Quod si cum gesse soccorso al regno ed a regii amici dell'im
ctentur facere, brevi extorres regno Ptolemaeum pero Romano. « Ha il popolo Romano tali meriti
et Cleopatram Romam venturos, cum pudore verso Antioco, e tale è la sua autorità verso i re e
quodam populi Romani, quod nullam opem in le nazioni tutte, che se mandassero ambasciatori
ultimo discrimine fortunarum tulissent. » Moti a dichiarargli, non piacere al senato che si guer
Patres precibus Alexandrinorum, extemplo C. reggi contro a re amici suoi, tosto si partirebbe
Popillium Laenatem, et C. Decimum, et C. Ho Antioco dalle mura di Alessandria e riporterebbe
stilium legatos, ad finiendum inter reges bellum, l'esercito nella Siria. Che se tardassero, tra breve
miserunt. Prius Antiochum, dein Ptolemaeum Tolomeo e Cleopatra, sbanditi dal regno, verreb
adire jussi, et nunciare, ni absistatur bello, per bero esuli a Roma, non senza qualche vergogna
utrum stelisset, eum non pro amico, nec pro del popolo Romano, per non aver dato ad essi
socio habituros esse. qualche soccorso nel loro estremo periglio. »
Mossi i Padri dalle preghiere degli Alessandrini,
spedirono subito Caio Popillio Lenate, Caio De
cimio e Caio Ostilio a pacificare codesti re. Ebber
ordine di presentarsi prima al re Antioco, poscia
a Tolomeo, e intimar loro che se non cessassero
dalla guerra, quegli, per cui ciò stesse, molter
rebbe il senato nè per amico, nè per alleato.
XX. His intra triduum simul cum legatis Ale XX. Partitisi codesti nello spazio di tre giorni
xandrinis profectis, legati ex Macedonia Quin insieme con gli ambasciatori Alessandrini, giun
quatribus ultimis adeo exspectati venerunt, uti, sero dalla Macedonica ne'giorni ultimi delle Quin
misi vesper esset, extemplo senatum vocaluri con quatrie i legati tanto aspettati, che se non fosse
sules fuerint. Postero die senatus fuit, legatique stato già sera, avrebbero i consoli convocato su
auditi sunt. Iinunciant, « Majore periculo, quam bito il senato. Lo si tenne il dì dopo, e si udirono
emolumento, exercitum per invios saltus in Ma i legati : « L'esercito essere stato introdotto in
cedoniam inductum. Pieriam, quo processisset, Macedonia con maggior pericolo che guadagno:
regem tenere: castra castris prope ita collata il re teneva Pieria, dove s'era quello inoltra
esse, ut flumine Enipeo interjecto arceantur, ne to; i due campi si erano sì fattamente acco
que regem pugnandi potestatem facere, mec no stati l'uno all'altro, che gli divide il solo fiume
stris vim ad cogendum esse. Hiemem etiam aspe Enipeo; nè il re consentire di venir a batta
ram rebus gerendis intervenisse, in otio militem glia, nè i nostri aver forza di obbligarvelo; esser
ali, nec plus quam sex “ frumentum habere, anche sopravvenuto un inverno malagevole per
1739 TlTI LIVII LIBER XLIV. 174o
tacedonum dici triginta millia armatorum esse. le imprese: il soldato vivere in ozio, e non
Si Ap. Claudio circa Lychnidum satis validus aver frumento che per sei giorni. Dicevasi essere
exercitus foret, potuisse ancipiti bello distinere in arme trenta mila Macedoni. Se Appio Claudio
regem : nunc et Appium, et quod cum eo prae avesse avuto a Licnido un esercito abbastanza
sidii sit, in summo periculo esse, nisi propere forte, si avrebbe potuto tenere il re qua e là di
ant justus exercitus eo mittatur, aut illi inde de stratto: presentemente Appio e la gente ch'è
ducantur. Ad classem se ex castris profectos, socio con lui, corre grande pericolo, se non gli si mandi
rum navalium partem morbo audisse absumptam; sollecitamente un giusto esercito, o nol si ritragga
partem, maxime qui ex Sicilia fuerint, domos di colà. Dal campo passati erano alla flotta; parte
suas abisse, et homines navibus deesse. Qui sint, della ciurma era perita per malattie; parte, e spe
neque stipendium accepisse, medue vestimenta cialmente quei della Sicilia, eransi tornati a casa,
habere. Eumenem classem que ejus,tamquam ven e le navi mancavano di uomini; quelli che avan
to allatas naves, sine causa et venisse, et abisse: zano, nè aveano ricevuto il soldo, nè avean vestiti.
nec animum eius regis constare satis visum. » Eumene e la sua flotta, quasi navi cacciate dal
Sicut omnia de Eumene dubia, Attali egregie vento, erano venute e partite senza cagione; nè
constantem fidem nunciabant. parer l'animo di quel re gran fatto saldo. » Come
annunciavano tutto esser dubbio rispetto ad
Eumene, così essere egregiamente costante la
fede di Attalo.
XXI. Legatis auditis, tunc de bello referre XXI. Uditi i legati, allora Lucio Emilio disse
sese L. Aemilius dixit. Senatus decrevit, « ut in che invitava a deliberar della guerra. Il senato
octo legiones parem numerum tribunorum con decretò - che i consoli ed il popolo creassero per
sules et populus crearent: creari autem neminem le otto legioni un pari numero di tribuni: volersi
eo anno placere, nisi qui honorem gessisset. Tum però che in quell'anno non sia nominato alcuno
ex omnibus tribunis militum uti L. Aemilius in che non abbia avuto un qualche grado; che di
duas legiones in Macedoniam, quos eorum velit, tutti i tribuni del soldati Lucio Emilio elegga
eligat, et ut, solemni Latinarum perfecto, L. Ae quelli di loro che più gli piace, da mandarsi
milius consul, Cn. Octavius praetor, cui classis alle due legioni di Macedonia, e che celebrate
obtigisset, in provinciam proficiscantur. » Addi le ferie Latine, il console Lucio Emilio ed il pre
tus est his tertius L. Anicius praetor, cujus inter tore Gneo Ottavio, cui toccata era la flotta, va
peregrinos jurisdictio erat. Eum in provinciam dano alla loro destinazione. » Terzo fu loro
Illyricum circa Lychnidum Ap. Claudio succedere aggiunto il pretore Lucio Anicio, che aveva la
placuit. Delectus cura C. Licinio consuli imposita. giurisdizione dei forestieri: si volle che succe
Is septem millia civium Romanorum et equites desse ad Appio Claudio in Licnido, nella provin
ducentos scribere jussus; et sociis nominis Latini cia Illirica. La cura della leva fu commessa al
septem millia peditum imperare, quadringentos console Caio Licinio. Egli ebbe ordine di arrolare
cquites; et Cm. Servilio Galliam obtimenti provin sette mila cittadini Romani e duecento cavalli,
ciam literas mittere, ut sexcentos equites conscri e comandare agli alleati del nome Latino sette
beret. Hunc exercitum ad collegam primo quoque mila fanti e quattro cento cavalli; e scrivere a
tempore mittere in Macedoniam jussus. Neque Gneo Servilio, che governava la Gallia, che arro
in ea provincia plus quam duas legiones esse; lasse seicento cavalli. Gli s'impose di mandare
eas repleri utsena millia peditum, trecenos ha al più presto codesto esercito in Macedonia al
berent equites. Ceteros equites peditesque in prae collega; nè che colà ci fossero più di due legioni;
sidiis disponi. Qui eorum idonei ad militandum però si compiessero, sì che avessero sei mila fanti
non essent, dimitti. Decem praeterea millia pe ciascuna e trecento cavalli: gli altri fanti e cavalli
dilum imperata sociis, et octingenti equites. Id si distribuissero ne' presidii; i non atti alla mili
praesidii additum Anicio, praeter duas legiones, zia, si licenziassero. Oltre a ciò, furono comandati
quas portare in Macedoniam est jussus, quina mil gli alleati di dare dieci mila fanti ed ottocento
lia peditum et ducenos habentes, trecenos equi cavalli. Questo fu il rinforzo aggiunto ad Amicio,
tes; et in classem quinque milla navalium sociùm oltre le due legioni, ch'ebbe ordine di mandare
sunt scripta. Licinius consul duabus legionibus in Macedonia, composte di cinque mila fanti e
obtinere provinciam jussus: eo addere sociorum trecento cavalli. Per la flotta si arrolarono cinque
decem millia peditum, et sexcentos equites. mila uomini di mare. Al console Licinio fu in
giunta di guardare la sua provincia con due
legioni, aggiuntivi degli alleati dicci mila fanti
e seicento cavalli.
1741 TITI LIVII LIBER XLIV. 1742
XXII. Senatusconsultis perfectis, L. Aemilius XXII. Fatti questi decreti, il console Emilio
consul e curia in concionem processit, orationem andò dalla curia al parlamento del popolo e così
que talem habuit. « Animadvertisse videor, Qui favellò: « Parmi di avere osservato, o Quiriti,
rites, majorem mihi, sortito Macedoniam provin che mi sieno state fatte maggiori gratulazioni,
ciam, gratulationem factam, quam quum aut con quando mi toccò a sorte la Macedonia, che quan
sul essem consalutatus, aut quodie magistratum do sono stato salutato console, o il giorno che ho
inissem ; neque id ob aliam causam, quam quia pigliato il magistrato; nè ciò per altro motivo,
bello in Macedonia, quod diu trahitur, existima se non se perchè avete giudicato che alla guerra
stis dignum majestate populi Romani exitum per Macedonica, che da assai tempo si tira in lungo,
me imponi posse. Deos quoque huic fa visse sorti si possa per me dare un fine degno della maestà
spero,eosdemdue in rebus gerendisadfuturos esse. del popolo Romano. Spero che anche gli dei fa
Haec partim opinari, partim sperare possum. Illud voreggiato abbiano questa sorte che mi è toccata,
affirmare pro certo habeo audeoque, me omni ope e che saranno in appresso per assistermi nella
admisurum esse, ne frustra vos hanc spem de me impresa. Questo è ciò che posso in parte conget
conceperitis. Quae ad bellum opus sunt, et senatus turare, in parte sperare. Bensì questo posso ed
decrevit, et (quoniam extemplo proficisci placet, oso affermare con certezza, che per me farassi
neque ego in mora sum ) C. Licinius collega, vir ogni sforzo, perchè non abbiate concepita in vano
egregius, aeque enise parabit, ac si ipse id bellum di me così fatta speranza. Quello che occorre per
gesturus esset., Vos, quae scripsero senatui, aut la guerra e il senato lo ha decretato, e (poi che
vobis, credite. Rumores credulitate vestra ne ala vi piace che si parta immantinente, nè io ci metto
tis, quorum auctor nemo exstabit. Nam nunc qui ritardo) il mio collega Lucio Licinio, uomo egre
dem, quod vulgo fieri, hoc praecipue bello, ani gio, appronterallo egualmente, come s'egli me
madverti, nemo tam famae contemptor est, cujus desimo avesse a governar questa guerra. Voi a
non debilitari animus possit. In omnibus circulis, tutto quello che scriverò al senato ed a voi, pre
atque etiam (si diis placet) in conviviis sunt, qui state fede; non modrite con la vostra credulità
exercitus in Macedoniam ducant; ubi castra lo i romori, de quali non si conosce l'autore. Per
canda sint, sciant; quae loca praesidiis occupan ciocche, ciò che accade l'ordinario, e m'è avvenuto
da; quando, aut quo saltu intranda Macedonia; di osservarlo anche di presente, specialmente in
ubi horrea ponenda ; qua terra, mari subvehan questa guerra, nessuno è così sprezzatore della
tur commeatus; quando cum hoste manus con sua fama, che non si possa riuscire a debilitare
serendae; quando quiescendum sit. Nec, quid la sua fermezza. In tutti i circoli ed anche (se
melius faciendum sit, modo statuunt, sed, quid piace agli dei) ne'conviti vi son taluni, che con
quid aliter, quam ipsi censuere, factum est, con ducono gli eserciti in Macedonia; che sanno dove
sulem veluti dicta die accusant. Haec magna im si deve mettere il campo; quai luoghi convien
pedimenta res gerentibus sunt: nec enim omnes fornire di guardie; quando e per qual passo si
tam firmi et constantis animi contra adversum deve entrare in Macedonia; dove piantare i gra
rumorem esse possunt, quam Fabius fuit; qui mai; dove per terra, dove trasportare le vettova
suum imperium minui per vanitatem populi ma glie per mare; quando venire alle prese col ne
luit, quam secunda fama male rem gerere. Non mico, quando posare. Nè solamente stabiliscono
sum is, qui non existimem admonendos duces es quel che sia meglio fare, ma di quel che si è fatto
se: immo eum, qui de sua unius sententia omnia diversamente da quel che pensarono, accusano
gerat, superbum judico magis, quam sapientem. il console, quasi dinanzi a tribunale. Sì fatteocose
Quid ergo est ? Primum a prudentibus, et pro sono di grande impedimento a chi comanda; chè
prie rei militaris peritis, et usu doctis, monendi tutti non possono essere contro le dicerie d'animo
imperatores sunt; deinde ab his, qui intersunt sì costante e fermo, quanto fu Fabio, il quale
gerendis “loco, qui hostem, qui temporum op amò meglio che la leggerezza del popolo Romano
portunitatem vident, qui in eodem velut navigio gli scemasse l'autorità, piuttosto che godendo
participes sunt periculi. Itaque si quis est, qui, buona fama governar male la cosa, Non è ch'io
quod e republica sit, suadere se mihi in eo bello, pensi che non sia lecito ammonire i capitani; anzi
quod gesturus sum, confidat; ne deneget operam colui, che tutto faccia di solo suo capo, il giudico
reipublicae, et in Macedoniam mecum veniat: più superbo che saggio. E che dunque? Primie
nave, equo, tabernaculo, viatico etiam a me juva ramente tocca ammonire i capitani alle persone
bitur. Si quem id facere piget. et otium urbanum prudenti e propriamente pratiche dell'arte mili
militiae laboribus praeoptat, e terra ne guberna tare e istrutte dalla sperienza; indi a quelli, che
verit. Sermonum satis ipsa praebet urbs. Loqua intervengono personalmente a fatti, che vedono
citatem suam contineat: nos castrensibus consiliis i luoghi, il nemico, il tempo opportuno, e che
1743 TITI LIVII LIDER XI EV. 1744
contentos futuros esse sciat. " Ab hac concione, quasi posti nella medesima nave, sono partecipi
Latinis, quae pridie Kalendas Apriles fuerunt, in del pericolo. Quindi, se v'ha alcuno che si con
monte sacrificio rite perpetrato, protinus inde et fidi, nella guerra che vado a governare, di poter
consul et praetor Cn. Octavius in Macedoniam mi avvertire di cosa che torni a pro della repub
profecti sunt. Traditum est memoriae, majore, blica, non le neghi l'opera sua, e venga meco in
quam solita, frequentia prosequentium consulem Macedonia; avrà da me nave, cavallo, alloggia
celebratum ; ac prope certa spe ominatos esse ho mento ed anche viatico. Se a taluno incresce far
mines, finem esse Macedonico bello, maturum questo, e prepone l'ozio cittadinesco alle fatiche
que reditum cum egregio triumpho consulis fore. della milizia, non governi la nave, standosi in
terra. Assai daragli la città stessa di che ragiona
re; metta un freno alla loquacità, e sappia che
noi saremo paghi delle occupazioni del campo.
Dopo codesta concione, celebrate degnamente,
con sagrifizio sul monte Albano, le ferie Latine
che caddero il giorno innanzi alle Calende di
Aprile, tosto e il console ed il pretore Gneo Ot
tavio partironsi alla volta della Macedonia. Avvi
memoria, essere stato il console onorato con fre
quenza di accompagnamento maggiore del solito;
e che gli uomini si avevano augurato quasi con
certa speranza il fine della guerra di Macedonia,
e che sarebbe sollecito il ritorno del console egre
giamente trionfante.
XXIII. Dum haec in Italia geruntur, Perseus, XXIII. Mentre si fanno in Italia codeste cose,
quod jam inchoatum perficere, quia impensa pe. Perseo non si sapeva indurre a compier quello
cuniae facienda erat, non inducebat in animum, che aveva incominciato, perchè gli bisognava
ut Gentium Illyriorum regem sibi adjungeret; sborsar danaro, ed era di congiungersi Genzio,
hoc. postduam intrasse saltum Romanos, et ades re degl'Illirii. Ma poi che vide aver di già i Ro
se discrimen ultimum belli animadvertit, non ul mani superato il passo, e farsi vicino l'ultimo
tra differendum ratus ; quum per Hippiam lega cimento, stimando non doversi più oltre differire,
tum trecenta argenti talenta pactus esset, ita ut avendo pattuito trecento talenti d'argento col
obsides ultro citroque daremtur, Pantauchum mi mezzo d'Ippia suo legato, però col darsi ostaggi
sit, ex fidissimis amicis, ad ea perficienda. Medeo dall'una parte e dall'altra, spedì Pantauco, uno
ne Labeatidis terrae Pantaucos regi lllyrio oc de' suoi fidi consiglieri, a dar compimento alla
currit: ibi et jusjurandum ab rege et obsides ac cosa. Incontrò Pantauco il re d'Illiria a Medeone
cepit. Missus et a Gentio est legatus, nomine sulle terre de Labeati, e quivi ricevette da Gen
Olympio, qui jusjurandum a Perseo obsidesque zio il giuramento e gli ostaggi. Anche Genzio
exigeret. Cum eodem ad pecuniam accipiendam mandò un legato, nomato Olimpio, a ricevere
missi sunt, et auctore Pantaucho, qui Rhodum da Perseo il giuramento e gli ostaggi. Col mede
legati cum Macedonibus irent, Parmenio et Mor simo mandati furono Parmenione e Morco a rice
cus destinantur. Quibus ita mandatum, uti, jure vere il denaro, e per consiglio di Pantauco si
jurando, obsidibusque et pecunia accepta, tum destinano gli stessi a recarsi ambasciatori a Rodi
demum Rhodum proficiscerentur: « duorum si insieme coi Macedoni; a quali fu commesso che
mul regum nomine incitari Rhodios ad bellum come abbiamo ricevuto il giuramento, gli ostaggi
Romanum posse. Adjunctam civitatem, penes ed il danaro, partano alla volta di Rodi: « potersi
quam unam tum rei navalis gloria esset, nec terra col nome dei due re collegati tirare i Rodiani
nec mari spem relicturam Romanis. ” Venienti alla guerra; questa giunta di una nazione che
bus Illyriis Perseus, ab Enipeo amni ex castris sola fioriva allora per grande gloria navale, non
cum onni equitatu profectus, ad Dium occurrit. lascerebbe a Romani speranza alcuna nè per ter
lbi ea , quae con venerant, circumfuso agmine ra, nè per mare. » Perseo, partitosi dal suo campo
equitum facta; quos adesse foederi sancitae cum presso il fiume Enipeo con tutta la cavalleria, si
Gentio societatis volebat rex, aliquantum eam fe ad incontrare gl'Illirii, che venivano, a Dio.
rem ratus animorum iis adjecturan : et obsides in Quivi, fattesi schierare all'intorno le genti a ca
conspectu omnium dati acceptique; et, Pellam ad vallo, si ratificarono le convenzioni; e volle il re
thesauros regios missis, qui pecuniam acciperent, che fossero presenti all'alleanza stretta con Gen
qui Rhodum irent cum Illyriis legatis, Thessalo- zio, pensando che questo avrebbe aggiunto ai
1745 'I'l'l'l Ll VII LIBER XLIV. i 746
nicae oonscendere jussi. Ibi Metrodorus erat, qui petti loro alquanto di coraggio: gli ostaggi furon
nuper ab Rhodo venerat, auctoribusque Dinone dati e pigliati alla presenza di tutti, e mandati
et Polyarato, principibus civitatis ejus, affirmabat, alcuni a Pella a ricevere il danaro dal regio te
Rhodios paratos ad bellum esse. Is princeps jun soro, quelli che dovevano andare a Rodi co' legati
clae cum Illyriis legationis datus est. Illirici, ebbero ordine d'imbarcarsi a Tessalonica.
C'era quivi Metrodoro, pochi dì innanzi venuto
da Rodi, ed affermava sulla fede di Dinone e
Poliarato, capi della città, essere i Rodiani presti
alla guerra. Egli stesso fu destinato capo del
l'ambasceria de' Macedoni insieme e degl'Illirii,
XXIV. Eodem tempore ad Eumenem et ad XXIV. Nel tempo medesimo altre ambascerie
Antiochum communia mandata, quae subjicere mandate furono ad Eumene e ad Antioco con si
conditio rerum poterat. « Natura inimica inter se mili commissioni, quali potea suggerire la con
esse liberam civitatem et regem. Singulos popu dizion delle cose. « Essere per natura inimici tra
lum Romanum aggredi, et, quod indignius sit, loro lo stato libero ed il regno. Il popolo Romano
regum viribus reges oppugnare. Attalo adjutore, assaltare i re l'uno dopo l'altro, e quello ch'era
patrem suum oppressum. Eumene adjuvante, et più indegna cosa, i re combattere colle forze dei
quadam ex parte etiam Philippo patre suo, An re. Coll'aiuto di Attalo aveano oppresso suo pa
tiochum oppugnatum. In se nunc et Eumenem dre; con quello di Eumene e in parte anche con
et Prusiam armatos esse. Si Macedoniae regnum quello di Filippo suo padre aveano soverchiato
sublatum foret, proximam Asiam esse; quam Antioco: ora sono armati contro di lui Eumene e
jam ex parte, sub specie liberandarum civitatium, Prusia. Se il regno di Macedonia cadesse, l'Asia
suam fecerint; deinde Syriam. Jam Prusiam Eu è presso, l'Asia che già in parte fecero sua sotto
meni honore praeferri, jam Antiochum victorem apparenza di liberare le città greche; poscia la
praemio belli ab Aegypto arceri. Haec cogitantem Siria. Di già Prusia è preferito ad Eumene; di
providere jubebat, ut aut ad pacem secum fa già il vincitore Antioco è rimosso dall'Egitto, che
ciendam compelleret Romanos, aut perseverantes gli era premio della guerra. Lo esortava che con
in bello injusto communes duceret omnium re siderando codeste cose, provvedesse in guisa da
gum hostes. Ad Antiochum aperta mandata erant, sforzare i Romani a far seco la pace, ovvero, per
ad Eumenem per speciem captivorum redimen sistendo essi nell'ingiusta guerra, li giudicasse
dorum missus legatus erat: verum occultiora nemici comuni di tutti i re. » Le commissioni per
quaedam agebantur, quae in praesentia invisum Antioco erano aperte; l'ambasceria ad Eumene
quidem et suspectum Romanis Eumenem falsis era stata spedita sotto colore di riscattare i pri
gravioribus “. Proditor enim ac prope hostis gioni; ma si trattavano cose più occulte, che ca
habitus, dum inter se duo reges captantes fraude ricavano Eumene, di già odioso e sospetto ai Ro
et avaritia certant. Cydas erat Cretensis, ex mani, di calunniose accuse gravissime. Perciocchè
intimis Eumenis: hic prius ad Amphipolim cum fu riputato traditore e quasi nemico, mentre i
Chimaro quodam populari suo, militante apud due re si studiano di attrapparsi l'un l'altro con
Persea, inde postea ad Demetriadem, semel cum l'avarizia e la frode. Eravi un Cida Cretese, uno
Menecrate quodam, iterum cum Antimacho, regiis degl'intimi del re. Avea costui da prima favellato
ducibus, sub ipsismoenibus urbis collocutus fue in Anfipoli con certo Chimaro, suo paesano, che
rat. Cryphon quoque, qui tum missus est, duabus militava sotto Perseo, poscia in Demetriade una
ad eumdem Eumenem jam ante legationibus fun volta con certo Menecrate, nuovamente con Anti
ctus erat. Quae colloquia occulta et legationes maco, capitani del re, sotto le mura stesse della
infames quidem erant: sed, quid actum esset, città. Anche Crifonte che fu mandato allora, era
quidve interreges convenisset, ignorabatur. Res già stato due volte ambasciatore allo stesso Eume
autem ita sese habuit.
ne. Quegli occulti parlamenti, quelle ambascerie
erano di mala fama; s'ignorava però che vi si
fosse trattato, e di che i re si fossero convenuti.
La cosa fu a questo modo.
XXV. Eumenes neque favit victoriae Persei, XXV. Nè Eumene favorì Perseo, perchè vin
neque bello eum invadere animo habuit; non cesse, nè ebbe in animo di affrontarlo con la
tam quia paternae inter eos inimicitiae erant, guerra; e ciò non tanto per le inimicizie corse
quam ipsorum odiis inter se accensae. Non ea tra loro padri, quanto per quelle dall'odio acce
regum aemulatio, ut aequo animo Persca tantas sosi tra loro. Non era l'emulazione tra que re di
adipisci " tantamque gloriam, quanta Roma tal genere, che potesse lumene vedere tranquil
al V i U 2 i lt,
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nis victis eum manebat, Eumenes visurus fuerit. lamente che Perseo acquistasse tanto di potenza
Cernebat et Persea, jam inde ab initio belli, omni e di gloria, quanto ne veniva a conseguire, se vin
modo spem pacis tentasse, et in dies magis, quo cesse i Romani. Scorgeva inoltre che Perseo, già
propior admoveretur terror, nihil neque agere sin dal principio della guerra, avea tentato per
aliud, neque cogitare. Romanos quoque, quia ogni via di aver la pace, e ogni dì, quanto più
traheretur diutius spe ipsorum bellum, et ipsos dappresso se gli facea lo spavento, non altro fare
duces, et sematum, non abborrere a finiendo tam e pensare. Anche i Romani, perchè la guerra
incommodo ac difficili bello. Hac utriusque par traeva in lungo più che non aveano sperato, e gli
tis voluntate explorata, quod fieri etiam sua stessi comandanti ed il senato, non erano lontani
sponte taedio validioris, metu infirmioris crede dal voler finire una guerra così molesta e difficile.
bat posse, in eo suam operam venditare concilian Conosciuta questa volontà delle due parti, che
da gratia magis cupiit. Nam, modo me juvaret avrebbe potuto avere l'effetto suo anche da sè
bello Romanos terra marique, modo pacis pa per la stanchezza del più forte e la paura del più
tramdae cum Romanis paciscebatur mercedem; debole, preferì Eumene di vendere l'opera sua,
me bello interesset, mille et quingenta talenta. procurando la riconciliazione. Perciocchè patteg
In utroque non fidem modo se, sed obsides quo giava una mercede da Perseo, ora per non aiutare
que, dare paratum esse, ostendebat. Perseus ad i Romani nè per terra, nè per mare, ora per farsi
rem inchoandam promptissimus erat, cogente mediatore di pace; mille e duecento talenti per
metu, et de obsidibus accipiendis sine dilatione non intromettersi nella guerra, mille per trattare
agebat, conveneratoue, ut accepti Cretam mitte la pace. Mostrava nell'un caso e nell'altro d'es
rentur. Ubi ad pecuniae mentionem ventum erat, ser presto non solamente a dar la sua fede, ma
ibi ha esitabat; et utique alteram in tanti nomi pur anche ostaggi. Perseo, sforzato dalla paura,
mis regibus turpem ac sordidam, et danti, et ma era prontissimo a dar mano alla cosa, e propone
gis accipienti, mercedem esse. Malebat in spem va di ricevere senza dilazione gli ostaggi, ed era
Romanae pacis non recusare impensa, sed eam convenuto che come fossero ricevuti, si spedis
pecuniam perfecta re daturum; interea Samo sero a Creta. Ma quando si veniva a far menzio
thracae in templo depositurum. Ea insula quum ne di danaro, quivi esitava; e certo la mercede,
ipsius ditionis esset, videre Eumenes nihil interes in monarchi di tanto nome, era cosa sordida e
se, an Pellae pecunia esset: id agere, ut partem turpe a chi la dava, e più a chi la riceveva. Pre
aliquam praesentem ſerret. Ita, nequidquam inter feriva però di non ricusare la spesa, se gli riuscis
se captati, nihil praeter infamiam movere, se di far la pace coi Romani; se non che dareb
be il danaro, conchiusa la faccenda ; intanto lo
depositerebbe nel tempio della Samotracia. Es
sendo quell'isola in potere di Perseo, vedeva
Eumene non esservi differenza che il danaro fos
se quivi, o a Pella; e cercava di ritrarne almeno
qualche parte di presente. Così, uccellandosi in
vano l'uno l'altro, non fecero ambedue che pro
cacciarsi infamia.
XXVI. Nec haec tantum Perseo per avari XXVI. Nè solamente si lasciò Perseo sfuggire
tiam est dimissa res, quum pecuniam tutam et per avarizia codesta occasione, quando con poco
pacem habere per Eumenem, quae vel parte danaro poteva per mezzo di Eumene ottenere la
regni redimenda esset, ac receptus protrahere pace, che avria dovuto ricomperare anche con
inimicum mercede onustum, et hostes merito ei parte del regno, o rimanendo ingannato, denun
Romanos posset facere: sed etiam Gentii regis ziare il nemico gravato della ricevuta mercede, e
parata societas, et tum Gallorum, effusorum per inimicargli meritamente i Romani; ma similmente
Illyricum, ingens agmen oblatum avaritia dimis per avarizia lasciò andare il collegarsi col re Gen
sum est. Veniebant decem millia equitum, par zio, ch'era pronto, e col gran numero de'Galli,
numerus peditum, et ipsorum jungentium cur sparsi per l'Illirico, che gli si erano offerti.
sum equis, et in vicem prolapsorum equitum va Venivano dieci mila cavalli, un egual numero di
cuos capientium ad pugnam equos. Hi pacti erant, fanti, che pareggiavano i Galli nel corso, o in
eques denos praesentes aureos, pedes quinos, luogo degli scavalcati salivan essi i cavalli vòti e
mille dux eorum. Venientibus his Perseus ab combattevano. Avea Perseo pattuito dieci monete
Enipeo ex castris profectus obviam cum dimidia d'oro per cavaliere, cinque per ſante, mille pel
copiarum parte denunciare per vicos urbesque, capitano. Perseo alla lor venuta, mossossi dal suo
quae viae propinquae sunt, coepit, ut commeatus campo sull'Enipeo ad incontrarlo con la metà
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expedirent, frumenti, vini, pecorum ut copia delle sue genti, cominciò ad intimare per le città
esset. Ipse equos, phalerasque, et sagula, donum e borgate, ch'eran vicine alla strada, che allestis
principibus ferre, et parum auri, quod inter pau sero le vettovaglie, onde vi fosse abbondanza di
cos divideret, multitudinem credens trabi spe frumento, di vino e di bestiami; e recava egli
posse. Ad Almanam urbem pervenit, et in ripa cavalli, guernimenti e vesti da regalare ai capi, e
fluminis Axii posuit castra. Circa Desudabam in poca somma d'oro da spartire tra pochi, creden
Maedica exercitus Gallorum consederat, merce do di poter allettare la moltitudine con la sola
dem pactam opperiens. Eo mittit Antigonum, ex speranza. Giunse alla città di Almana e accampò
purpuratis unum, qui juberet, multitudinem Gal sulla riva del fiume Axio. L'esercito de Galli
lorum ad Bylazora (Paeoniae is locus est) castra avea fatto alto nella Medica ne' contorni di De
movere, principes ad se venire frequentes.Septua sudaba, aspettando la pattuita mercede. Perseo
ginta quinque millia ab Axio flumine et ca manda colà Antigomo, uno de cortigiani, a dire
stris regis aberant. Haec mandata ad ecs quum che il corpo de'Galli si avanzasse sino a Bilazora,
pertulisset Antigonus, adjecissetque, per viam luogo della Peonia, e che i capi in buon numero
quanta omnium praeparata cura regis copia mul venissero a lui. Non erano discosti dal fiume Axio
titudini foret, quibusque muneribus principes e dal campo del re che settanta cinque miglia.
advenientes, vestis, argenti, equorumque exce Avendo Antigono recati loro questi ordini, ed
pturus rex esset, de his quidem se coram cogni aggiunto quanta abbondanza di ogni cosa stavasi
turos respondent. Illud, quod praesens pepigis per cura del re disposta lungo la via, e con quanti
sent interrogant, ecquid aurum, quod in singulos donativi di vesti, di danari e di cavalli avrebbe
pedites equitesque dividendum esset, secum ad accolta Perseo la venuta de'loro capi, rispondono
duxisset? Quum ad id nihil responderetur, Clon che giunti in presenza avrebbono conosciuto tutto
dicus regulus eorum, « Abi, renuncia ergo, in questo, ma di presente domandano quant'oro
quit, regi, nisi aurum obsidesque accepissent, avesse portato seco da dividersi a ciascun fante e
nusquam inde Gallos longius vestigium motu cavaliere. Ma non rispondendosi nulla a questo,
ros. » Haec relata regi quum essent, advocato Clondico, loro capitano, « Va adunque, disse, e fa
consilio, quum, quid omnes suasuri essent appa sapere al re che i Galli non moveranno un passo
reret, ipse, pecuniae, quam regni melior custos, più innanzi, se non avranno prima ricevuto l'oro
institit de perfidia et feritate Gallorum disserere. pattuito e gli ostaggi. " Come fu questo riferito
a Multorum jam ante cladibus expertum, pericu al re, egli, chiamato consiglio e ben iscorgendosi
losum esse, tantam multudinem in Macedoniam qual fosse il parer comune di tutti, si fe”, miglior
accipere, ne graviores eos socios habeant, quam custode del danaro, che del regno, a dissertare
hostes Romanos. Quinque millia equitun sat della perfidia e ferocia de' Galli; c. Aver già di
esse, quibus et uti ad bellum possent, et quorum mostro la ruina di molti esser cosa pericolosa in
multitudinem ipsi non timeant. trodurre nella Macedonia tanta moltitudine di
gente, onde non ne venga maggior carico dagli
alleati che da'nemici Romani: bastare cinque
mila cavalli, da servirsene nella guerra, e non da
temere del loro numero. »
XXVII. Apparebat in omnibus, mercedem XXVII. Era chiaro ad ognuno che gli facea
multitudinis timere, nec quidquam aliud : sed, paura la mercede da darsi a tanta moltitudine e
quum suadere consulenti nemo auderet, remitti non altro; ma nessuno osando opporsi al parere
tur Antigonus, qui nunciaret, quinque millium del re, si rimanda Antigono a dire che bastava
equitum opera tantum uti regem : contemnere a Perseo l'opera solamente di cinque mila ca
multitudinem aliam. Quod ubi audivere barbari, valli; non curarsi egli del di più. Il che uditosi
ceterorum quidem fremitus fuit, indignantium, dai barbari, gli altri tutti fremettero, sdegnandosi
se frustra excitos sedibus suis : Clondicus rursus d'essere stati mossi inutilmente dalle lor case; e
interrogat, ecquid ipsis quinque millibus, quod Clondico nuovamente dimanda, se aveva seco il
convenisset, numeraret? Quum adversus id quo denaro da contare, secondo il pattuito a quegli
que misceri ambages cerneret, inviolato fallaci stessi cinque mila cavalli. Vedendo che si andava
nuncio ( quod vix speraverat ipse posse contin anche su di ciò tergiversando, i Galli, senza fare
gere), retro ad Istrum, per populati Thraciam, nessun oltraggio al messo fallace, il che aveva egli
qua vicina erat viae, redierunt. Quae manus, appena sperato che accadesse, retrocedettero al
quieto sedente rege ad Enipeum, adversus Ro l'Istro, saccheggiando la Tracia, ch'era vicina alla
manos Perrhaebiae saltum in Thessaliam tradu strada. La qual banda di gente, standosi quieto il
cta, non agros tantum nudare populando potuit, re sulle sponde dell'Enipeo, tradotta pel Paese
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ne quos inde Romani commentus ex spectarent, della Perrebia nella Tessaglia contro i Romani,
sed ipsas exscindere urbes, tenente ad Enipeum poteva non solamente devastare il paese, sì che i
Perseo Romanos, no urbibus sociis opitulari Romani non isperassero di trarne vettovaglie, ma
possent. Ipsis quoque Romanis de se cogitandum smantellare le stesse città, mentre Perseo tenuto
fuisset: quando neque manere, amissa Thessalia, avrebbe i Romani sull' Enipeo, onde non recas
unde exercitus alebatur, potuissent, neque pro sero soccorso alle città alleate. Ed ancora i Ro
gredi, quum ex adverso castra Macedonum [ es mani avrebbon dovuto pensare a sè stessi; chè
sent. Tanta occasione e manibus amissa, Perseus non avrebbon potuto fermarsi colà, perduta la
Romanorum animos confirmavit, Macedonum, Tessaglia, donde si nodriva l'esercito, nè portarsi
qui ea pependerant spe, haud mediocriter debili innanzi, avendo di fronte il campo de' Macedoni.
tavit. Eadem avaritia Gentium regem sibi aliena Perseo, lasciatasi fuggir di mano sì bella occasio
vit. Nam, quum trecenta talenta Pellae missis a ne, raffermò il coraggio de Romani, e indebolì
Gentio numerasset, signare eos pecuniam passus. non mediocremente quello de'Macedoni, che si
Inde decem talenta ad Pantauchum missa, eaque erano fondati in quella speranza. Per la stessa
praesentia dari regi jussit: reliquam pecuniam, avarizia si alienò il re Genzio; perciocchè avendo
signatam Illyriorum signo, portantibus suis prae in Pella contati trecento talenti ai messi di Genzio,
cipit, parvis itineribus veherent; dein, quum ad lasciato che suggellassero il danaro, spedì dieci
finem Macedoniae ventum esset, subsisterent ibi, talenti a Pantauco, con ordine di contarli nelle
ac nuncios ab se opperirentur. Gentius, exigua proprie mani del re; il restante danaro, marcato
parte pecuniae accepta, quum assidue Pantaucho col suggello degl'Illirii, comandò a suoi che il
ad lacessendos hostili facto Romanos stimulare portavano, di condurlo a piccole giornate ; indi,
tur, M. Perpernam et L. Petillium legatos, qui arrivati al confine della Macedonia, quivi si fer
tum forte ad eun venerant, in custodiam conje massero ed aspettassero i suoi messi. Genzio,
cit. Hoc audito, Perseus, contraxisse eum neces avuta quella poca parte di danaro, stimolato as
sitates ratus ad bellum utique cum Romanis, ad siduamente da Pantauco a provocare i Romani
revocandum, qui pecuniam portabat, misit; ve con qualche fatto ostile, fa prigioni Marco Per
lut nihil aliud agens, quam ut, quanta maxima perna e Lucio Petilio, che erano a caso venuti
posset, praeda ex victo Romanis reservaretur. Et a lui. Il che udito, Perseo, stimandolo di già im
ab Eumene Cryphon, ignotis, quae occulte acta pegnato nella necessità di far la guerra a Romani,
erant, redit. De captivis actum esse et ipsi evul spedì a richiamare colui, che portava il danaro,
gaverant, et Eumenes consulem, vitandae suspi come se non avesse ad altro pensato che a riserva
cionis causa, certiorem fecit. re, vinto che fosse, quanta più preda potesse ai
Romani. Crifone tornò da Eumene, ignorandosi,
di che siasi trattato segretamente. I Macedoni
stessi avean divulgato che si era trattato de'pri
gioni; ed Eumene, per evitare ogni sospetto, ne
diede avviso al console.
XXVIII. Perseus, post reditum ab Eumene XXVIII. Perseo, caduto di speranza dopo il
Cryphontis spe dejectus, Antenorem el Callippum ritorno di Crifonte da Eumene, spedisce a Tenedo
praefectos classis cum quadraginta lembis (adje Antenore e Callippo, capitani dell'armata, con
ctae ad hunc numerum quinque pristes erant) quaranta lembi, aggiunte a questo numero cinque
Tenedum mittit; ut inde sparsae per Cycladas pristi, acciocchè spargendosi tra le isole Cicladi,
insulas maves, Macedoniam cum frumento peten proteggessero le navi, che portavano frumento in
tes, tutarentur. Cassandreae deductae naves in Macedonia. Le navi, messe in acqua a Cassandrea,
portus primum, qui sub Atho monte sunt, in andate primieramente ai porti che sono sotto
de Tenedum placido mari quum trajecissent, il monte Ato, indi a Tenedo con tranquilla navi
stantes in portu Rhodias apertas naves Eudamum gazione, trovate quivi ancorate nel porto alquante
que praefectum earum, inviolatas, atque etiam navi scoperte di Rodiani e il loro capitano Euda
benigne appellatos dimiserunt. Cognitio deinde, mo, le lasciarono andare senza offesa, anzi aven
in latere altero quinquaginta onerarias suarum, dole benignamente salutate. Indi avendo saputo
stantibus in ostio portus Eumenis rostratis, qui che al lato opposto c'erano cinquanta legni Mace
bus Damius praeerat, inclusas esse; circumvecti doni da carico, bloccati alla bocca del porto da
propere, ac submotis terrore hostium navibus, alquante navi rostrate di Eumene, comandate
onerarias, datis, qui prosequerentur, decem lem da Damio, circondatele prestamente e fattele spa
bis, in Macedoniam mittunt; ita ut in tutum ventate fuggire, mandano in Macedonia i legni
prosecuti redirent Tenedum. Nono post die ad da carico, accompagnati da cinque lembi, con
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classem, jam ad Sigeum stantem, redierunt. Inde ordine che scortatili in sicuro, tornassero a Te
Subota (insula est interjecta Elaeae et Atho) nedo. Da lì a nove giorni tornarono all'armata,
trajiciunt. Forte postero die, quam Subota classis che già stavasi a Sigeo. Indi passano a Subota,
tenuit, quinque et trigintanaves, quas hippagogos isola tra Elea ed Ato. A caso il dì seguente, poi
vocant, ab Elaea profectae cum equitibus Gallis che l'armata s'era ancorata a Subota, trentacinque
equisque, Phanas promontorium Chiorum pete legni, che chiamano Ippagogi, partitisi da Elea
bant, unde transmittere in Macedoniam possent. con cavalli e cavalieri Galli andavano a Fame,
Attalo ab Eumene mittebantur. Has naves per promontorio de'Chii, per indi poter passare in
altum ferri quum ex specula signum datum Ante Macedonia. Li mandava Eumene ed Attalo. Aven
nori esset, profectus a Subotis, inter Erythra do Antenore avuto segno dalla vedetta che veleg
rum promontorium Chiumque, qua arctissimum giavano codeste navi per l'alto, partitosi da Su
fretum est, iis occurrit. Nihil minus credere prae bota, si fe loro incontro tra il promontorio di
fecti Eumenis, quam Macedonum classem in illo Eritrea e Chio, dov'è maggiore lo stretto. Tutto
vagari mari; nunc Romanos esse, nunc Attalum, altro si pensavano i capitani di Eumene, fuor che
aut remissos aliquos ab Attalo ex castris Romanis una flotta di Macedoni andasse scorrendo quel
Pergamum petere. Sed quum jam appropin mare; ora li stimavano esser Romani, ora esser
quantium forma lemborum haud dubia esset, et Attalo, o alcuni che da Attalo rimandati indietro
concitatio remorum, directaeque in se prorae, dal campo Romano andassero a Pergamo. Ma
hostes appropinquare aperuissent; tunc injecta la forma de'lembi che già si appressavano, non
trepidatio est, qun resistendi spes nulla esset, lasciando più nessun dubbio, il concitamento
imhabilique navium genere, et Gallis vix quietem dei remi e le prore rivolte contro di essi pale
ferentibus in mari. Pars eorum, qui propiores sando che il nemico si accostava ; allora surse
continenti litori erant, in Erythraeam emarunt: grande trepidazione, non essendovi speranza di
pars, velis datis, ad Chium naves ejecere, relictis poter resistere e per la malatta qualità de'navi
que equis, effusa fuga urbem petebant. Sed pro gli, e perchè i Galli appena sopportano un mare
pius urbem lembi accessuque commodiore quum tranquillo. Parte di quelli, ch'erano più presso a
exposuissent armatos, partim in via fugientes Gal terra, nuotarono sino a Eritrea; parte a vele
los adepti Macedones ceciderunt, partim ante spiegate lanciaron le navi alla volta di Chio, e
portam exclusos: clauserant enim Chii portam, abbandonati i cavalli, disperatamente fuggivano
ignari, qui fugerent, aut sequerentur. Octingenti alla città. Ma i lembi avendo messo a terra gli
ferme Gallorum occisi, ducenti vivi capti; equi, armati più vicino alla città e in sito di più facile
pars in mari, fractis navibus, absumpti; partim accesso, i Macedoni, raggiunti i Galli fuggenti,
nervos succiderunt in litore Macedones. Viginti parte ne uccisero per la via, parte coltili schiusi
eximiae equos formae cum captivis eosdem decem fuori delle porte; perciocchè quelli di Chio le
lembos, quos ante miserat, Antenor devehere avean chiuse, non ben sapendo chi fuggisse o chi
Thessalonicam jussit, et primo quoque tempore inseguisse. Furono da ottocento i Galli uccisi e
ad classem reverti: Phanis se eos exspectaturum. duecento i presi vivi. De'cavalli, parte, rotte
Triduum ferme classis ad urbem stetit. Phanas le navi, perirono in mare; a parte i Macedoni
inde progressi sunt, et, spe celerius reversis de tagliarono i garetti sulla riva. Venti cavalli de'più
cem lembis, e vecti Aegaeo mari Delum trajecerunt. belli, insieme co'prigioni, ordinò Antenore a
quegli stessi dieci lembi, che avea mandati prima,
di tradurli a Tessalonica; e subito si tornassero
alla flotta, che gli avrebbe aspettati a Fane. La
flotta si stette quasi tre giorni ferma a Chio. Indi
andarono a Fane; ed essendo i dieci lembi tornati ,
più presto che non s'era sperato, pel mare Egeo
passarono a Delo.
XXIX. Dum haec geruntur, legati Romani, XXIX. Mentre si fanno codeste cose, i legati
C. Popillius et C. Decimius et C. Hostilius, a Romani Caio Popillio, Caio Decimio e Caio Osti
Chalcide profecti, tribus quinqueremibus Delum lio, partitisi da Calcide e venuti a Delo con tre
quum venissent, lembos ibi Macedonum quadra quinqueremi, quivi trovarono quaranta lembi
ginta, et quinque regis Eumenis quinqueremes de' Macedoni e cinque quinqueremi del re Eu
invenerunt. Sanctitas templi insulaeque inviola mene. La santità del tempio e dell'isola offeriva
tos praestabat omnes. Itaque permixti Romani a tutti un inviolabile ricetto. Quindi e Romani e
que et Macedones et Eumenis navales socii in Macedoni, e la gente di mare del re Eumene con
templo, inducias religione loci praebente, versa versavano mescolati insieme nel tempio, quasi in
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bantur. Antenor, Persei praefectus, quum aliquas una tregua comandata dalla religione del luogo.
alto praeferri onerarias naves ex speculis signi Antenore, capitano della flotta di Perseo, tosto
ficatum foret, parte lemborum ipse insequens, che gli era indicato dalle vedette veleggiare per
parte per Cycladas disposita, praeterquam si quae l'alto alcune navi da carico, inseguendole con
Macedoniam peterent, omnes aut supprimebat, parte del lembi e tenendone l'altra parte disposti
aut spoliabat naves. Quibus poterat, Popillius aut per le isole Cicladi, tutte o le colava a fondo, o le
Eumenis naves succurrebat: sed vecti nocte bimis spogliava, eccetto se alcune andavano in Mace
autternis plerumque lembis Macedones fallebant. donia. Popillio, o le navi di Eumene accorrevano
Per id fere tempus legati Macedones Illyriique alla difesa; ma i Macedoni navigando di notte
simul Rhodum venerunt, quibus auctoritatem per lo più con due o tre lembi, gli deludevano.
addidit non lemborum modo adventus, passim A questi giorni medesimi vennero ad un tempo
per Cycladas atque Aegaeum vagantium mare, a Rodi i legati Macedoni e gl'Illirii, a quali ag
sed etiam conjunctio ipsa regum Persei Gentii giunse peso di autorità non solamente la venuta
que, et fama cum magno numero peditum equi dei lembi, che qua e là scorrevano per le isole
tumque venientium Gallorum. Et jam quum ac Cicladi e il mare Egeo, ma eziandio la unione dei
cessissent animi Dinoni ac Polyarato, qui Persei due re, Genzio e Perseo, non che la fama della
partium erant, non benigne modo responsum re venuta de'Galli con grosso numero di cavalli e di
gibus est, sed palam pronunciatum, « bello finem fanti. Ed essendo già cresciuto l'animo a Dinone
se auctoritate sua imposituros esse: itaque ipsi e a Poliarato, ch'erano della parte di Perseo, non
quoque reges aequos adhiberent animos ad pa solamente i Rodiani risposero amicamente ai re,
cem accipiendam.» ma pubblicamente fu detto a che i Rodiani avreb
bono colla loro mediazione imposto fine alla guer
ra; e che quindi anche essi re apportassero mo
derate disposizioni a ricevere la pace. »
XXX. Jam veris principium erat, novique XXX. Era già il principio di primavera, e i
duces in provinciam venerant; consul Aemilius nuovi comandanti erano venuti a loro governi,
in Macedoniam, Octavius Oreum ad classem, Ani il console Emilio in Macedonia, Ottavio in Orea
cius in Illyricum, cui bellandum adversus Gen alla flotta, Anicio nell'Illirico, che dovea combat
tium. Patre Pleurato rege Illyriorum et matre tere Genzio. Nato costui da Pleurato, re degl'll
Eurydica genitus fratres duos, Platorem utroque lirii, e da Euridice ebbe due fratelli, Platore di
parente, Caravantium matre eadem natum, ha padre e madre comuni, Caravanzio della madre
buit. Hoc propter ignobilitatem paternam minus medesima. Essendogli Caravanzio per la ignobiltà
suspecto, Platorem occidit et duos amicos ejus, materna manco sopetto, fa egli uccidere Platore
Ettritum et Epicadum, impigros viros, quo tu e i due amici di lui Etritto e Epicado, uomini di
tius regnaret. Fama fuit, Honuni Dardanorum vaglia, onde regnare più sicuramente. Corse ama
principis filiam Etutam pacto fratri eunm invidis che egli si fosse ingelosito per le nozze dal fratello
se, tamquam his nuptiis adjungenti sibi Darda pattuite con Etuta, figliuola di Onuno, principe
norum gentem. Et similius id vero fecit ducta ea dei Dardani, quasi con queste mirasse a stringersi
virgo, Platore interfecto. Gravis deinde, dempto colla nazione dei Dardani; il che rendette più
fratris metu, popularibus esse coepit; et violen verisimile, poi che fu ucciso Platore, sposata
tiam insitam ingenio intemperantia vini accen quella fanciulla. Da lì in poi, toltogli la paura
debat. Ceterum, sicutante dictum est, ad Roma del fratello, cominciò ad esser grave a suoi po
mum incitatus bellum, Lissum omnes copias con poli; e l'intemperanza del vino gl'infiammava
traxit. Quindecim millia armatorum fuerunt. In il talento naturalmente violento. Del resto, come
de, fratre in Caviorum gentem, vi aut terrore si è detto più sopra, eccitato a guerreggiare con
subigendam, cum mille peditibus et quinquagin tro i Romani, raccolse tutte le sue genti a Lisso,
ta equitibus misso, ipse ad Bassaniam urbem al numero di quindici mila armati. Di poi, spe
quinque millia ab Lisso ducit. Socii erant Roma dito il fratello con mille fanti e cinquanta cavalli
norum. Itaque per missos muncios prius tentati, a sottomettere con la forza, o col terrore la nazio
obsidionem pati, quam dedere sese, maluerunt. ne de' Cavii, egli move da Lisso inverso Bassania,
Caravantium im Caviis Durnium oppidum adve città distante cinque miglia. Eran costoro alleati
nientem benigne accepit: Caravantis altera urbs de' Romani. Quindi avendoli prima tentati per
exclusit.; et, quum agros eorum effuse vastaret, via di messi, preferirono di sostenere l'assedio
aliquot palati milites agrestium concursu interfe più tosto che arrendersi. Ne' Cavii la città di
cti sunt. Jam et Ap. Claudius, assumptis ad eum Durnio accolse benignamente al suo venire Cara
exercitum, quem habebat, Bullinorum et Apol vanzio; ma l'altra città di Caravante lo escluse;
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loniatium et Dyrrhachinorum auxiliis, profectus e devastando egli largamente il paese, alquanti
ex hibernis, circa Genusuum amnem castra ha soldati sbandati furono uccisi dal concorso dei
bebat; audito foedere inter Persea et Gentium, et contadini. Appio Claudio di già, presi con seco
legatorum violatorum injuria accensus, bellum gli aiuti del Bullini, degli Apolloniati e dei Dirra
baud dubie adversus eum gesturus. Anicius prae chini, ed aggiuntili all'esercito che aveva, parti
tor, eo tempore Apolloniae auditis, quae in Illy tosi da quartieri d'inverno, accampava sul fiume
rico gererentur, praemissisque ad Appium literis, Genusuo; e intesa l'alleanza stretta tra Perseo e
ut se ad Genusuum opperiretur, triduo et ipse Genzio, ed infiammato dall'ingiuria, con che
in castra venit; et ad ea, quae habebat, auxilia avea costui violati i legati, moveva senza dubbio
assumptis Parthinorum juventutis duobus milli a fargli guerra. A quel tempo il pretore Anicio,
bus peditum et equitibus ducentis (peditibus udito in Apollonia ciò che succedeva nell'Illirico,
Epicadus, equilibus Agalsus praeerat), parabat premesse lettere ad Appio, perchè io aspettasse
ducere in Illyricum, maxime ut Bassanitas solve a Genusuo, venne anch'egli fra tre giorni al cam
ret obsidione. Tenuit impetum ejus fama lem po, e oltre quelli che aveva, presi anche gli aiuti
borum vastantium maritimam oram. Octoginta della gioventù de'Partini in numero di due mila
erant lembi, auctore Pantaucho missi a Gentio fanti e duecento cavalli (Epicado comandava i
ad Dyrrhachinorum et Apolloniatium agros popu fanti, Agalso i cavalli), si apparecchiava di andare
landos. Tum classis ad [oram haud procul Apol nell'Illirico, specialmente per liberare i Bassaniti
lonia stabat. Huc recurrit Amicius, ac brevi asse dall'assedio; se non che il ritenne la fama dei
cutus Illyrios praedatores, congressusque cum lembi che devastavano la costa marittima. Erano
eis, et perlevi negotio victor, aliquot naves ho ottanta lembi, spediti da Genzio per consiglio di
stium cepit, ceteras repetere Illyricum coegit. Pantauco a saccheggiar le terre de'Dirracchini e
Inde in castra ad Genusuum regressus, ad Bas degli Apolloniati. Allora la flotta [ stavasi non
sanitarum auxilium properavit. Non sustinuit fa lungi da Apollonia. Corse Anicio colà, e tra breve
mam adventantis praetoris Gentius, solutaque raggiunti i corsari Illirii ed affrontatosi con essi,
obsidione, Scodram se contulit tam trepida fuga, riuscito quasi senza fatica vincitore, prese alquanti
ut ne totum quidem exercitum abduceret. Ma legni de'nemici e costrinse gli altri a tornarsi nel
gna pars copiarum, quae, si dux praesens confir l'Illirico. Indi rimessosi al campo a Genusuo, si
masset animos, morari Romanos poterant, amo affrettò di soccorrere i Bassaniti. Non sostenne
to eo, tradiderunt se. Genzio la fama della venuta del pretore, e sciolto
l'assedio, si recò a Scodra fuggendo con tale disor
dine, che non trasse con seco mè anche tutto
l'esercito. Gran parte delle sue genti, le quali se
la presenza del comandante gli avesse incoraggia
ti, avrebbon potuto rattenere i Romani, lontano
lui, J si arrendettero.
XXXI. Deinceps et urbes regionis ejus idem XXXI. Di poi fecero lo stesso altre città di
faciebant, adjuvante inclinationem animorum quel paese, soccorrendo l'inclinazione degli animi
clementia in omnes et justitia praetoris Romani. la clemenza verso tutti e la giustizia del pretore
Ad Scodram inde ventum est, id quod belli ca Romano. Indisi venne a Scodra, principale stanza
put fuerat; non eo solum, quod Gentius eam si della guerra; nè solamente perchè Genzio l'avea
bi ceperat velut regni totius arcem, sed etiam scelta quasi a rocca di tutto il regno, ma perchè
quod Labeatium gentis munitissima longe est et ella è città la più forte del paese de'Labeati e di
difficilis aditu. Duo cingunt eam flumina, Clau difficile accesso. Due fiumi la circondano, bagnan
sala latere urbis, quod in orientem patet, prae dole la Clausala il fianco che guarda l'oriente, e
fluens, Barbana ab regione occidentis, ex Labea la Barbana, che nasce dalla palude Labeatide, quel
tide palude oriens. Hi duo amnes confluentes lo verso l'occidente. I confluenti di questi due
incidunt Oriundi flumini; quod, ortum ex mon fiumi sboccano nel fiume Oriundo, il quale, nato
te Scodro, multis et aliis auctum aquis, mari Ha dal monte Scodro e di molte acque accresciuto,
driatico infertur. Mons Scodrus, longe altissimus mette nel mare Adriatico. Il monte Scodro, il più
regionis ejus, ab oriente Dardaniam subjectam alto di quel paese ha ad oriente sotto di sè la
habet, a meridie Macedoniam, ab occasu Illyri Dardania, a mezzodì la Macedonia, a sera l'Illi
cum. Quamquam munitum situ naturali oppi rico. Quantunque quel castello fosse forte per la
dum erat, gensque id tota Illyriorum et rex natura del sito, e tutta la nazione ed il re stesso
ipse tuebatur, tamen praetor Romanus, quia pri degl'Illirii lo difendesse, nondimeno il Romano
ma successerant prospere, fortunam totius rei pretore, perchè gli erano andate a bene le prime
1759 TITI LIVII LIBER XLlV. 176o

principia secuturam esse ratus, et repentinum imprese, stimando che la fortuna seguirebbe a fa
valiturum terrorem, instructo exercitu ad moenia vorire sì bei principii, e che farebbe gran colpo
succedit. Quod si clausis portis muros porta il repentino terrore, messo l'esercito in ordinan
rumque turres, dispositis armatis, defendissent, za, si fe” sotto alle mura. Che se, chiuse le porte
vano cum incepto moenibus pepulissent Roma e disposti a luogo gli armati, avessero disposte
nos. Nunc, porta egressi, proelium loco aequo le mura e le torri delle porte, avrebbono respinti
majore animo commiserunt, quam sustinuerunt. i Romani nella loro vana impresa. Ora, usciti
Pulsi enim et fuga conglobati, quum ducenti fuori della città, appiccaron la zuffa in luogo pia
amplius in ipsis faucibus portae cecidissent, tan no con assai più coraggio che non la sostennero.
tum intulerunt terrorem, ut oratores extemplo Perciocchè scacciati e agglomeratisi nella fuga,
ad praetorem mitteret Gentius Teuticum et Bel essendone caduti morti più di duecento sul limi
lum, principes gentis, per quos inducias peteret, tare della porta, tanto terrore indussero, che Gen
ut deliberare de statu rerum suarum posset. zio spedì subito oratori al pretore Teutico e Bello,
Triduo in hoc dato, quum castra Romana quin principali della terra, a chiedere una tregua, onde
gentos ferme passus ab urbe abessent, navem potesse deliberare sullo stato delle cose sue. Ac
conscendit, et ſlumine Barbana navigat in lacum consentitigli tre giorni, essendo il campo Romano
Labeatum, velut secretum locum petens ad con distante quasi cento passi dalla città, salì su nave,
sultandum ; sed, ut apparuit, falsa speexcitus, e dal fiume Barbana navigò al lago dei Labeati,
Caravantium fratrem, multis millibus armatorum quasi recandosi in luogo segreto per consultare;
actis ex ea regione, in quan missus erat, ad ma, come apparve di poi, mosso dalla falsa spe
ventare. Qui postguam evanuit rumor, tertio ranza che il fratello Caravanzio venisse con molte
post die navem eamdem secundo amni Scodram migliaia di armati, tratti dal paese, dov'era stato
demisit, praemissisque nunciis, ut sibi appellan mandato. La qual voce poi che svanì, il terzo dì
di praetoris potestas fieret, copia facta, in castra sulla stessa nave pel fiume a seconda scese a Sco
venit. Et principium orationis ab accusatione dra, e mandati innanzi messi per ottenere di ab
stultitiae orsus suae, postremo ad preces lacry boccarsi col pretore, come l'ebbe ottenuto, ven
masque effusus, genibus praetoris accidens, in ne al campo. Ed avendo dato principio al suo
potestatem sese dedit. Primo, bonum animum dire coll'accusare la sua stoltezza, in fine abban
habere jussus, ad coenam etiam invitatus, in donandosi alle preghiere ed alle lagrime, caden
urbem ad suos rediit, et cum praetore eo die do alle ginocchia del pretore, si die per vinto.
honorifice est epulatus: deinde in custodiam Dapprima, esortato a starsi di buon animo, invi
C. Cassio tribuno militum traditus, vix gladia tato anche e cena, tornò in città a suoi; e in quel
torio accepto decem talentis ab rege rex, ut in dì medesimo banchettò onorevolmente col pre
eam fortunam recideret. tore: indi consegnato in custodia al tribuno dei
soldati Caio Cassio, avendo re da re avuti dieci
talenti, mercede appena di gladiatore, per poi
cadere in sì miserabile fortuna.
XXXII. Anicius, Scodra recepta, nihil prius, XXXII. Anicio, conquistata Scodra, fe' prima
quam requisitos Petillium Perpernamque legatos d'ogni altra cosa, cercare e chiamare a sè i legati
ad se duci, jussit: quibus splendore suo restituto, Popillio e Piperna. Restituita loro la pristina di
Perpernam extemplo mittitad comprehendendos gnità, manda subito Piperna ad arrestare i con
amicos cognatosque regis; qui, Medeonem, La siglieri e parenti del re. Egli, andato a Medeone,
beatium gentis urbem, profectus, Etlevam uxo città de Labeati, trasse nel campo a Scodra la
rem cum filiis duobus, Scerdilaedo Pleuratoque, moglie di lui Etleva co' due figliuoli Scerdiledo
et Caravantium fratrem Scodram in castra addu e Pleurato, non che il fratello Caravanzio, Anicio,
xit. Anicius, bello lllyrio intra triginta dies per terminata in trenta giorni la guerra Illirica, man
fecto, nuncium victoriae Perpernam Romam mi dò Piperna a Roma a recar notizia della vittoria;
sit, et post dies paucos Gentium regem ipsum e da lì a pochi giorni, anche lo stesso re Genzio
cum parente, coniuge ac liberis ac fratre, aliis con la madre, la moglie, i figliuoli ed il fratello,
que principibus Illyriorum. Hoc unum bellum non che gli altri principali dell'Illirico. Questa
prius perpetratum, quam coeptum, Romae au fu la sola guerra che a Roma s'intese prima ter
ditum est. Quibus diebus haec agebantur, Per minata che incominciata. Mentre si facevano co
seus quoque in magno terrore erat, propter ad deste cose in que'dì, era anche Perseo in sommo
ventum simul Aemilii novi consulis, quem cum terrore per la venuta del nuovo console Emilio,
ingentibus minisadventare audiebat, simul Octa che gli si diceva giungere con grandi minacce,
vii practoris. Ncc minus terroris a classe Roma non che del pretore Ottavio, Nè meno lo spaven
- sta
1761 Tl.TI LIVII LIBER XLIV. 1762
ma et periculo maritimae orae habebat. Thessalo tava la flotta Romana ed il pericolo della spiaggia
nicae Eumenes et Athenagoras praeerant cum marittima. Eumene ed Atenagora guardavano
parvo praesidio duorum millium caetratorum. Tessalonica con lo scarso presidio di due mila
Eo et Androclem praefectum mittit, jussum sub cetrati. Manda Perseo colà anche il prefetto
ipsis navalibus castra habere. Aeniam mille equi Androcle con ordine di accamparsi presso all'ar
tes cum Antigono misit ad tutamdam maritimam senale. Spedì pure ad Enia mille cavalli con An
oram, ut, quocumque litore applicuisse naves tigono a guardare la costa marittima, acciocchè
hostium audissent, extemplo ferrent agrestibus in qualunque luogo udissero approdare i legni
opem. Quinque millia Macedonum missa ad prae nemici, colà subito accorressero a soccorrere i
sidium Pythii et Petrae, quibus praepositi erant paasani. Cinque mila Macedoni furono mandati
Histiaeus, et Theogenes, et Milo. His profectis, a difendere Pizio e Petra, dov'erano già preposti
ripam munire Enipei fluminis aggressus est, quia Istieo, Teagene e Milone. Partitisi questi, si mise
sicco alveo transiri poterat. Huic ut omnis multi Perseo a fortificare la sponda dell'Enipeo, perchè
tudo vacaret, feminae, ex propinquis urbibus il si poteva passare a letto asciutto. Acciocchè tut
coactae, cibaria in castra afferebant: miles jussus ta la moltitudine attendesse all'opera, le donne,
ex propinquis silvis [ligna petere. Indestructum raccolte dalle vicine città, portavano i cibi cotti
vallum, propugnacula excitata, adjectis turribus al campo: il soldato ebbe ordine di trar I legne
dispositisque ubique tormentis, ita ripam defen dai vicini boschi. Con queste formato uno stec
debant, ut penetrare hostis sine gravi certamine cato, piantati de trinceramenti, aggiuntevi al
et periculo non posset. Sic tutum se adversus quante torri e collocate macchine da per tutto,
omnem Romanorum impetum fore confidebat, difendevano la sponda così, che il nemico non
sedendoque et segni mora languescentes, tum potesse inoltrarsi senza grave contrasto e peri
sumptibus exhaustos hostes tandem taedium tam colo. In questa guisa confida Perseo d'essere si
difficilis belli capturum. Paullus contra quo dili curo da qualsivoglia impeto de' Romani; e che i
gentius et cautius omnia apud Macedonas provisa nemici, standosi fermi e languendo in oziosa di
et custodita cernebat, eo acrius curam intendere, mora, e dalle spese consunti, piglierebbono final
in omnes partes versare animum, si quo consilio mente noia di guerra tanto difficile. Paolo all'op
frustrari hostium spem haud de nihilo sane con posto, quanta più vedeva usata diligenza e cir
ceptam posset. Ceterum praesens tum malum an cospezione dai Macedoni, onde provvedere da
gebat, aquarum penuria. Exaruerat pene proxi per tutto alla difesa, tanto più acremente studiava,
mum flumen, nisi quod juxta ipsum mare exigua ed il pensiero per ogni verso volgeva, se deluder
et corrupta manabat aquula. ] potesse con alcun'arte la speranza de'nemici,
certo non senza fondamento concepita. Del resto,
un malanno di presente il cruciava, la penuria
d'acqua. Il vicin fiume era quasi inaridito; se
non è, che verso il mare poca e corrotta acqua
fluiva. I
I XXXIII. Consul, quum missi circa propin [ XXXIII. Il console, avendo inteso da quelli
qualoca nullam aquam inveniri renunciarent, ch'egli avea spediti ne'luoghi circonvicini, J non
postremo se qui se utrarios ad mare, quod minus vi si trovare alcun'acqua, infine ordinò che i
trecentos passus aberat, jussit, et in litore alios portatori degli otri lui seguissero insino al mare,
alibi modicis intervallis fodere. Montes ingentis ch'era distante appena trecento passi, e che altri
altitudinis spem faciebant, eo magis quia mul qua e colà scavassero sul lido a piccoli intervalli.
los apertos evergerent rivos, occultos contine I monti altissimi d'intorno davano speranza, e
re latices, quorum venae in mare permanantes tanto più che non si vedeva brillar di fuori nes
undae miscerentur. Vix deducta summa arena sun rivolo, che vi si contenessero occulte sorgen
erat, quum scaturiginesturbidae primo et tenues ti, le cui vene colando al mare si mescolassero
emicare, dein liquidam multamque fundere colle onde. Appena s'era levata via la prima arena
aquam, velut deim dono, coeperunt. Aliquan che cominciarono a brulicare scaturigini dap
tum ea quoque res duci famae et auctoritatis apud prima torbide e sottili; indi, quasi per dono
milites adiecit. Jussis deinde militibus expedire degli dei, gettare copia d'acqua molta e scorre
arma, ipse cum tribunis primisque ordinibus va vole. Anche questo avvenimento aggiunse al co
dit ad contemplandos transitus; qua , escensus mandante alquanta fama ed autorità presso i
facilis armatis, qua in ulteriorem ripam minime soldati. Poscia avendo ordinato che allestissero
iniquus ascensus esset. IIis satis exploratis, illa l'armi, va egli coi tribuni e co' primi centurioni
quoque primum, ut ordine ac sine tumultu om a esaminare i passi, dove la discesa fosse facile
- Livio 2 1 1 I
1763 , TITI LIVII LIBER XLIV. 1764

mia in agmine ad nutum imperiumque ducis fie agli armati, nè troppo difficile la salita all'altra
rent, providit. Ubi omnibus simul pronunciare riva. Conosciuto bastevolmente tutto questo,
tur, quod fieret, neque omnes exaudirent; incerto provide primieramente anche questo, che nel
imperio accepto, alios, ab se adjicientes, plus l'esercito tutto si facesse con ordine e senza
eo, quod imperatum sit, alios minus facere: cla tumulto, a cenni ed al comando del capitano.
mores deinde dissonos oriri omnibus locis, et Qualora si comanda a tutti insieme quel ch'è da
prius hostes, quam ipsos, quid paretur, scire. farsi, nè tutti possano intendere, avviene che,
Placere igitur, tribunum militum primo pilole ricevuto un ordine incerto, altri, aggiungendovi
gionis secretum edere imperium : illum, et dein del suo, fanno più, altri meno di quello che si è
singulos, proximo cuique in ordine centurioni comandato; donde poi sorgono da ogni parte
dicere, quid opus facto sit; sive a primis signis clamori dissonanti, ed i nemici più presto che
ad novissimum agmen, sive ab extremis ad primos non i soldati medesimi, sanno quello che si me
perferendum imperium sit. Vigiles etiam novo dita di fare. Vuolsi pertanto che primieramente
more scutum in vigiliam ferre vetuit: non enim il tribuno dei soldati dia l' ordine segreto al
in pugnam vigilem ire, ut armis utatur, sed ad primopilo della legione; che questi e di poi gli
vigilandum, ut, quum senserit hostium adven altri dicano a mano a mano al più vicino centu
tum, recipiat se, excitetque ad arma alios. Scuto rione ciò che debbe farsi, sia che si trasmetta
prae se erecto stare galeatos; deinde, ubi fessi l'ordine dalle prime alle ultime file, sia che dalle
sint, innisos pilo, capite super marginem scuti po ultime alle prime. Anche le sentinelle proibì che
sito, sopitos stare, ut fulgentibus armis procul secondo il nuovo costume portassero lo scudo nel
conspici ab hoste possint, ipsi nihil provideant. far la guardia; chè la sentinella non va a com
Stationum quoque morem mutavit. Armati om battere, sì che abbisogni d'armi, ma sì a vigila
nes, et frenatis equis equites, diem totum persta re, in modo che come senta venire il nemico, si
bant. Id quum aestivis diebus, urente assiduo ripieghi e chiami gli altri all'arme. Stavansi in
sole, fieret, tot horarum aestu et languore ipsos piedi, la celata in testa, con lo scudo elevato di
equosque fessos integri saepe adorti hostes, vel nanzi a sè; indi, poi ch'erano stanchi, appog
pauci plures vexabant. Itaque ex matutina sta giatisi al pilo, riposando il capo sull'orlo dello
tione ad meridiem decedi, et in postmeridianam scudo, si addormentavano ; in guisa che dal ful
succedere alios jussit: ita numquam fatigatos re gore dell'armi poteva il nemico vederli da lungi
cens hostis aggredi poterat. ed essi nol vedevano i primi. Mutò eziandio la
maniera delle poste. Stavasi il soldato a cavallo
armato tutto un intero giorno e co cavalli im
brigliati; il che facendosi ne'dì di state, sotto la
continua sferza del sole, essendo uomini e cavalli
stanchi dal caldo e dalla noia di tante ore, spesso
il nemico fresco assalendoli, anche pochi un mag
gior numero, li mal conciavano. Ordinò dunque
che la posta della mattina si ritirasse a mezzodì,
e altra sottentrasse pel resto del giorno; così
non mai accadeva che il nemico fresco gli as
saltasse stanchi.
XXXIV. Haec quum ita fieri placere, concio XXXIV. Avendo il console, chiamati i soldati
ne advocata, pronunciasset, adjecit urbanae con a parlamento, dichiarato amar egli che così fosse
cioni convenientem orationem. « Unum impera eseguito, aggiunse alcune parole conformi a quel
torem in exercitu providere et consulere, quid le già dette in Roma: « Toccare al solo coman
agendum sit, debere, nunc per se, nunc cum iis, dante dell'esercito il provedere e deliberare ciò
quos advocaverit in consilium : qui non sint ad che era da farsi, ora da sè, ora con quelli ch'egli
vocati, eos nec palam, nec secreto jactare consilia chiami a consulta: i non chiamati non dovere
sua. Militem haec tria curare debere, corpus ut nè palesemente, nè segretamente metter fuori i
quam validissimum et pernicissimum habeat, ar loro pensamenti. A tre cose dee badare il soldato,
ma apta, cibum paratum ad subita imperia: ce ad avere il suo corpo robustissimo ed agilissimo,
tera scire de se diis immortalibus et imperatori l'armi acconce, il cibo presto ad ogni subito
suo curae esse. In quo exercitu milites consulant, comandamento; quanto al resto, esser ella cura
imperator rumoribus vulgi circumagatur, ibi degli dei immortali e del supremo capitano. In
nihil salutare esse. Se, quod sit officium impera quell'esercito, dove i soldati vogliono disporre da
toris, provisurum, ut bene gerenda rei occasio sè, e il comandante si lascia aggirare dalle ciarle
1765 TITI LIVII LIBER XLIV. 1766
nem eis praebeat. Illos nihil, quod futurum sit, della moltitudine, quivi niente riesce a bene.
quaerere: ubi datum signum sit, tum militarem Egli, com'è uffizio del supremo comandante,
operam navare. » Ab his praeceptis concionem provvederà di oſferir loro occasione di riuscir
dimisit, vulgo etiam veteranis fatentibus, se vittoriosi. Essi non cerchino dell'avvenire; come
illo primum die, tamquam tirones, quid agen sia dato il segno, allora faccian mostra del lor
dum esset in re militari, didicisse. Non sermoni valore. Dati questi ordini, licenziò il parlamen
bus tantum his, cum quanto assensu audissent to, confessando pubblicamente gli stessi veterani,
verba consulis, ostenderunt; sed rerum praesens di avere in quel dì, quasi soldati novizii, impa
effectus erat. Neminem totismox castris quietum rato qual debba essere la disciplina militare.
videres: acuere alii gladios; alii galeas bucculas Nè solamente palesarono con questi discorsi,
que, scuta alii loricasque tergere: alii aptare cor quanto volentieri avessero ascoltate le parole del
pori arma, experirique sub his membrorum agi console, ma se ne vide subito l'effetto. Immanti
litatem ; quatere alii pila, alii micare gladiis, mu nente non avresti veduto in tutto il campo nes
cronem que intueri: ut facile quis cerneret, ubi suno che si stesse quieto: altri aguzzare le spade,
primum conserendi manum cum hoste data oc altri forbire le celate, le golette, altri gli scudi e
casio esset, aut victoria egregia, aut morte me le corazze; altri adattarsi l'armi alla persona e
morabili inituros bellum. Perseus quoque quum, con esse indosso far prova di agilità; altri crol
adventu consulis simul et veris principio, strepe lare l'asta, altri brandire la spada ed esaminarne
re omnia moverique apud hostes, velut novo bel il taglio; sì che avrebbe ognuno scorto facilmente
lo, cerneret, nota a Phila castra in adversa ripa che alla prima occasione che si fosse offerta di
posita, nunc ad contemplanda opera sua circum affrontarsi col nemico, avrebbon mostro il lor
ire ducem, haud dubie transitus speculantem, valore o con egregia vittoria o con morte glo
I nunc ea omnia intentissima cura apparare, quae riosa. Anche Perseo, scorgendo alla venuta del
ad vim faciendam oppugnandaque castra usui esse console, e sul principio della primavera tutto ri
possent; nihil omittere, quod sive adversus ho bollire e moversi presso i nemici, quasi in guerra
stem, sive ad suorum adjuvandas vires magno novella, il campo, mosso da Fila essersi trasporta
duci conandum faciendumque esset: etipse, tam to sulla riva opposta, il capitano ora girare intor
quam in summae rei jam discrimen venturus, no a esaminare le opere nemiche specolando
acuere militum animos, firmare opera magis ac senza dubbio dove passare, [ ora approntare con
magis, nunquam satis provisa omnia, tutammu la massima diligenza tutto quello che servir po
nitamque ripam credere. Tamen in acerrimo tesse a far impeto, ed espugnare il campo, e niente
utrimoue ardore quieta per aliquantum temporis ommettere di ciò che dee valente capitano tentare
stativa fuere: nec unquam tantos exercitus tam e fare sia contro il nemico, sia per aiutare le
in propinquum collatis castris tam tranquillos forze de' suoi; anch'egli, quasi fosse per venire
consedisse memoriae proditum est. Interim fama all'estremo cimento, aizzare gli animi de'soldati,
nunciat, victum in Illyrico Gentium regem ab più e più assodare i lavori, non mai credere di
Anicio praetore, ipsumque cum domo tota et avere abbastanza provveduto, nè abbastanza gner
universa ditione in potestate Roma-1 norum esse. nita e assicurata la riva. Nondimeno in così vivo
ardore d'ambe le parti stettersi i quartieri quieti
alcun tempo; nè v'ha memoria, che sì grandi
eserciti, sì da vicino accampati, sieno stati così
tranquilli. Intanto la fama annunzia, che nell'Illi
rico il re Genzio era stato vinto dal pretore Ani
cio, e ch'egli con tutta la famiglia, e con tutto il
paese di già si stava in potere de'Romani. I
XXXV. Quae res Romanis auxit animos, Ma XXXV. Il che accrebbe il coraggio ai Romani,
cedonibus regidue eorum haud mediocrem attu e recò ai Macedoni ed al re loro non mediocre
lit terrorem. Et primo supprimere in occulto terrore. E dapprima tentò Perseo di sopprimere
famam ejus rei est conatus, missis, qui Pantau e tener occulta la cosa, spediti messi a vietare che
chum inde venientem appropinquare castris ve Pantauco, il quale di colà veniva, si accostasse al
tarent. Sed jam et pueri quidam visi ab suis erant campo; ma già erano stati veduti dai suoi alcuni
inter obsides Illyrios ducti; et, quo quaeque ac giovanetti condotti tra gli ostaggi Illirii; e quan
curatius curantur, eo facilius loquacitate regio to maggior cura si adopera,tanto più facilmente le
rum ministrorum emanant. Sub idem tempus cose si propalano per la loquacità de'regii mini
Rhodii legati in castra venerunt cum iisdem de stri. A quel tempo medesimo gli ambasciatori
pace mandatis, quae Romae ingentem iram Pa Rodiani vennero al campo con quelle stessº
1767 TITI LIVII LIBER XLIV. 1768
trum excitavere. Multo iniquioribus animis a proposizioni di pace, che aveano a Roma svegliata
castrensi consilio auditi sunt. Itaque quum alii grandemente l'ira de'Padri. Gli ascoltò il con
praecipites sine responso º agendos castris, pro siglio militare con vie maggiore indegnazione.
nunciavit, post diem quintumdecimum se respon Quindi altri opinando che si scacciassero imman
sum daturum. Interim, ut appareret, quantum tinente dal campo senza risposta, il console di
pacificantium Rhodiorum auctoritas valuisset, chiarò che avrebbe loro risposto tra quindici
consultare de ratione belli gerendi coepit. Place giorni. Intanto a dimostrare di qual peso fosse
bat quibusdam, et maxime majoribus natu, per l'autorità dei pacificatori Rodiani, cominciò
Enipei ripam munitionesque vim facere a con a tener consulta intorno al governo della guerra.
fertis et vim facientibus resistere Macedonas non Piaceva ad alcuni e specialmente a più vecchi,
posse: ex tot castellis aliquanto altioribus ac mu che si sforzasse la riva e le munizioni dell'Eni
nitioribus, quae validis praesidiis insedissent, peo; « non potere i Macedoni resistere ai Roma
priore anno dejectos. » Aliis placebat, Octavium mi, che stretti insieme vigorosamente gli assaltas
cum classe Thessalonicam petere, et populatione sero; ch'eran pure stati l'anno innanzi scacciati
maritimae orae distringere copias regias, ut, al da tanti castelli altissimi e fortissimi, e difesi da
tero ab tergo se ostendente bello, circumactus ad validi presidii.» Piaceva ad altri che Ottavio con
interiorem partem regni tuendam, nudare aliqua la flotta si recasse a Tessalonica, e saccheggiando
parte transitus Enipei cogeretur. Ipsi natura la costa marittima divertisse le forze del re, sì che,
et operibusinexsuperabilis ripa videbatur, et, mostrandosi alle spalle un'altra guerra, per di
praeterquam quod tormenta ubique disposita es fendere l'interno del regno, fosse costretto di
sent, missilibus etiam melius et certiore ictu ho denudare in qualche parte il passo dell' Enipeo.
stesuti audierat. Alio spectabat mens tota ducis, Al console pareva insuperabile la riva per la sua
dimissoque consilio, Perrhaebos mercatores,Schoe natura, e per le opere fatte; e oltre che c'erano
num et Memophilum, notae et fidei jam sibi et macchine disposte da per tutto, aveva udito es
prudentiae homines, arcessitos secreto percuncta sere i nemici più valenti nel saettare e colpire
tur, quales ad Perrhaebiam transitus sint. Quum con più sicurezza. Era tutta intesa ad altro la
loca non iniqua esse dicerent, praesidiis autem mente del capitano; e licenziato il consiglio,
regis obsideri, spem cepit, si nocte improviso chiamati segretamente Scheno e Menofilo, mer
valida manu aggressus necopinantes esset, dejici cadanti della Perrebia, già noti a lui per fede e
praesidia posse. « Jacula enim et sagittas et cete per prudenza, gl'interroga quali passi mettano
ra missilia in tenebris, ubi, quid petatur, procul in Perrebia. Dicendo essi che i luoghi non erano
provideri nequeat, inutilia esse. Gladio cominus gran fatto malagevoli, ma essere guardati dalle
geri rem in permixta turba, quo miles Romanus genti del re, prese speranza, se ne avesse di notte
vincat. » His ducibus usurus, praetorem Octa assaltati all'improvviso i presidii con forte ban
vium arcessitum, exposito quid pararet. Hera da, che gli avrebbe potuto sforzare; « perciocchè
cleum cum classe petere jubet; et mille homini i dardi e le saette e le altre armi da getto nelle
bus decem dierum cocta cibaria habere. Ipse P. tenebre, dove non si può da lontano vedere quel
Scipionem Nasicam, Q. Fabium Maximum filium che si voglia colpire, riescono inutili; hassi
suum cum quinque delectis millibus Heracleum a combattere dappresso mescolatamente, in che il
mittit, velut classem conscensuros ad maritimam Romano è superiore. . Determinato a servirsi di
oram interioris Macedoniae, quod in consilio agi queste guide, chiamato il pretore Ottavio, e det
tatum erat, vastandam. Secreto indicatum, cibaria togli quello che disegnava di fare, gli ordina di
his praeparata ad classem esse, ne quid eos mo recarsi con la flotta ad Eracleo, e portar seco per
raretur. Inde jussi duces itineris ita dividere mille soldati cibi cotti per dieci giorni. E manda
viam, ut quarta vigilia tertio die Pytium adoriri Publio Scipione Nasica, e il proprio figlio Quinto
possent. Ipse postero die, ut distineret regem ab Fabio Massimo con cinque mila soldati ad Eracleo,
circumspectu rerum aliarum, prima luce medio come se s'imbarcassero per devastare la costa in
in alveo cum stationibus hostium proelium com terna marittima della Macedonia, di che s'era
misit: pugnatumque utrimogue est levi armatura: trattato nel consiglio. Segretamente gli ammonì
nec gravioribus armis in tam inaequali alveo esservi sopra la flotta i viveri preparati per essi,
pugnari poterat. Descensus ripae utriusque in onde niente li ritardasse. Poscia fu detto alle
alveum trecentorum ferme passuum erat: me guide, che così ripartissero il cammino, che po
dium spatium torrentis, alibi aliter cavati, paullo tessero il terzo giorno sulla quarta veglia assalta
plus quam mille passus patebat. Ibi in medio, re Pitio. Il dì seguente, per distrarre il re dal
spectantibus utrimque ex vallo castrorum hinc pensare ad altro, sul far del giorno appiccò la
rege, hinc consule cum suis legionibus, pugna zuffa nel mezzo dell' Enipeo colle poste dei
1 769 TITI LIVII LIBER XI,IV. 177o

tum est. Missilibus procul regia auxilia melius nemici, e si combattè da una parte e dall'altra
pugnabant: cominus stabilior et tutior, aut par colla leggera armatura ; nè si potea combattere
ma, aut scuto Ligustino, Romanus erat. Meridie con le armi gravi in letto sì diseguale. La discesa
fere receptui cani suis consul jussit. Ita eo die dell'una e dell'altra riva insino al letto era quasi
diremptum proelium est, haud paucis utrim ſue di trecento passi; lo spazio di mezzo, dove il tor
interfectis. Sole orto postero die, irritatis certa rente qua e colà era diversamente scavato, si allar
mine animis, etiam acrius concursum est: sed gava poco più di mille passi. Quivi appunto nel
Romani, non ab his tantum, cum quibus con mezzo si combattè, stando a vedere dagli steccati
tractum certamen erat, sed multo magis ab ea quindi il re, quinci il console con le sue legioni.
multitudine, quae disposita in turribus stabat, Gli aiuti del re meglio combattevano da lontano
omni genere missilium telorum ac saxis maxi con l'armi da getto; da vicino il Romano era più
me vulnerabantur. Ubi propius ripam hostium stabile e più difeso con la parma, o con lo scudo
subissent, tormentis missa etiam ad ultimos per Ligustino. Verso il mezzodì il console fe'suona
veniebant. Multo pluribus eo die amissis, consul re a raccolta, e così quel giorno fu spartita la
paullo serius recepit suos. Tertio die proelio ab pugna, morti non pochi da una parte e dall'al
stinuit, degressus ad imam partem castrorum, tra. Il dì appresso, levato il sole, irritati più acre
veluti per deve» um in mare brachium transitum mente gli animi dalla lotta precedente, si com
tentaturus. Perseus, quod in oculis erat, [id tan battè più rabbiosamente; se non che i Romani
tum cogitans, ad repellendum ea parte hostem riportavano grandi ferite non solamente da quel
omnem curam itendebat, nihil aliud sollicitus. li, co' quali trovavansi alle mani, ma più assai
Interim P. Nasica cum attributa sibi manu ver da ogni sorta di saettume e di sassi scagliati dalla
sus mare Heracleum profectus, postduam eo per moltitudine, che stavasi disposta sulle torri. Dove
venit, jussis corpora curare militibus, noctem si accostavano più da vicino alla riva de'nemici,
exspectavit. Tum vera consulis mandata praeci i colpi lanciati dalle macchine aggiungevano per
puis ducum exposuit, ac primis se intendentibus sino gli ultimi. Perdutasi in quel giorno molta
tenebris flexo ad montem itinere, ad Pythium, più gente, il console richiamò i suoi alquanto più
ut imperatum erat, copias silentio ducit. Ubi ven tardi. Il terzo dì si astenne dal combattere, di
tum ad summum cacumen est, quod decem am scendendo alla più bassa parte del campo, quasi
plius stadia in altitudinem assurgit, fatigatis mi volesse tentare il passo pel braccio, che si sten
litibus aliquid requietis datum. Hoc jugum, ut deva al mare. Perseo, [ mettendo il pensiero in
ante dictum est, Milo, et Histiaeus, et Theo ciò che solamente avea sotto gli occhi, adope
genes a Perseo missi cum quinque millibus Ma rava ogni cura, onde respingere il nemico da
cedonum obtinebant: sed tanta negligentia re quella parte, non curandosi d'altro. Intanto Pu
giis ducibus erat, ut nemo adventare Romanos blio Nasica, mossosi verso il mare alla volta di
senserit. Sopitos aggressus Nasica de jugo facile Eracleo colla banda assegnatagli, giunto colà,
dejecit, si Polybio fides. Ipse enim Nasica in epi fatti riposare i soldati, aspettò la notte. Allora
stola ad quemdam regum longe aliter rem mar espose le vere commissioni del console ai princi
rat. « Montem arduo ascensu fuisse, sed incusto pali capitani, e al primo sopravvenire delle te
ditum, ita ut saltum occupare nullo negotio po nebre piegando al monte, guida in silenzio i suoi
tuisset, nisi transfuga Cretensis ex iis, quos secum a Pizio, come gli era comandato. Come fu giunto
ducebat, ad Persea cucurrisset, eumque docuis alla cima che si leva all'altezza di oltre dieci
set, quid ageretur. Regem ipsum quidem man stadii, diede alquanto di riposo ai soldati affati
sisse in castris, sed misisse duo Macedonum, de cati. Tenevano questa cima, come si è detto, Mi
cem auxiliarium millia, Milone duce, ad occu lone, Istieo e Teogene, mandati da Perseo con
pandum saltum. Cum his acerrima pugna in sum cinque mila soldati; ma tal era la negligenza dei
mo jugo concursum esse, atque inter alia sese a regii capitani, che nessuno sentì il venire dei Ro
Thrace milite ferro appetitum, quem ipse adacta mani. Nasica collili addormentati, li cacciò giù
per pectus hasta transfixerit. Victos tandem Ma da quella cima, con poca pena, se crediamo a Po
cedonasloco cessisse, Milonemdue ipsum turpis libio; Nasica però in una lettera ad uno di quei
sima fuga abjectis armis saluti consuluisse. » Ro re narra la cosa assai diversamente: . Il monte
manis fugientes persequentibus facilis et sine ullo era di ardua salita, ma non guardato, sì che
periculo in plana descensus fuit. Hoc rerum sta avrebbe potuto occuparlo senza fatica, se un di
tu Perseus ambigere, quid facto opus. Quum,aper sertore Cretese, di que” Cretesi, ch'egli conduce
ta jam per saltum via, metueret, ne circumiretur va seco, non fosse corso a Perseo a dirgli come
a Romanis, omnimo necesse erat, ut aut ad Pyd era la faccenda. Il re era rimasto nel campo, ma
nam recedens hostem ibi exspectaret, sub muris spedito aveva a tenere quel passo due mila
1771 l'ITI LIVII LIBER XLIV. 1772

munitae urbis minore periculo certaturus ; aut Macedoni, e dieci mila aiuti, sotto la condotta di
copiis per urbes Macedonia e dispersis, convectis Milone. Convenne affrontarsi con costoro sulla
que in loca munitiora frugibus atque pecoribus, cima del monte; e tra l'altre cose egli stesso era
populatos agros et nudum hosti relinqueret so stato investito col ferro da un soldato Trace, cui
lum. Anceps fluctuabat inter haec duo consilia però trapassò il petto con l'asta. Finalmente i Ma
regis animus. Amici tutius quoque id, quod ho cedoni vinti si erano ritirati, e lo stesso Milone, via
mestius foret, rati, hortabantur, utpugnae casum gettate l'armi, con ignominiosa fuga s'era salva
experiretur. « Eum et numero praestare militum, to. » Ai Romani, che inseguivano i fuggitivi, fu
et vero etiam virtuti credere debere, quam in facile e senza nessun pericolo discendere al piano.
genitam animis accensura quoque essent illa va Perseo, in questo stato di cose, stavasi incerto
lidissima et sanctissima apud homines ad fortiter che si avesse a fare. Temendo, aperta la via da
pugnandum incitamenta, irae, foci, sacra, inter quella banda, d'essere avviluppato dai Romani,
quae et pro quibus dimicandum esset, et paren gli era affatto necessario o retrocedendo a Pidna
tes ac conjuges; rex denique ipse inspectans, se quivi aspettare il nemico per combattere con
seque in partem discriminis offerens. m His motus manco pericolo sotto le mura di una città ben
rex ad pugnam sese comparavit, et, quum retro munita, o spargendo le sue genti per le città della
cessisset ad Pydnam, simul castra locat, simul in Macedonia e trasportando ne' luoghi più difesi
struitaciem, suum cuique ductorum munus lo biade e bestiami, abbandonare al nemico le cam
cumque assignat, tamquam statim ex itinere di pagne saccheggiate, il nudo suolo. I suoi consi
micaturus. Regio erat hujusmodi: campus expli glieri stimando più sicuro il partito più onore
candae phalangi, cui aperta et aequabili planitie vole, lo esortavano a tentar la sorte dell'armi.
opus est, opportunus; non ita tamen, ut facile « Era egli superiore in numero di soldati; e
promoveri posset: perpetui deinde colles, qui dover eziandio credere al loro valore, che natu
levi armaturae tum refugiendi, tum circumcur rale ne'loro petti sarebbe stato inoltre infiam
sandi copiam praeberent. Amnes duo, Aesonem mato da tutti quegli eccitamenti, che presso gli
alterum, alterum Leucum incolae appellant, uomini sono i più forti e più sacri a gagliarda
quamvis tenui tum fluerent aqua, aliquid tamen mente combattere, le are, i focolari, i tempii, in
negotii facessere Romanis posse videbantur. faccia a quali e pe' quali avrebbon dovuto ci
Aemilius, junctis cum Nasica cupiis, recta ad ho mentarsi, non che i genitori e le mogli, e in fine
stem ire pergit. Verum ad conspectum exercitus lo stesso re spettatore, e sè pure offerendo a parte
et numero et robore militum validissimi, et egre del rischio. » Mosso il re da queste considerazio
gie instructi et parati ad pugnam, stupefactus mi si allestì alla pugna ; ed essendo retroceduto
substitit, multa secum reputans. ] a Pidna, vi si accampa, e nel tempo stesso mette
in ordinanza tutto l'esercito, quasi avesse subito
ad azzuffarsi. Il sito era tale: il luogo opportuno
a dispiegar la falange, che abbisogna di pianura
aperta ed eguale, non però così fatta, che si po
tesse portarsi innanzi ; indi continue colline, che
davano facilità alla leggera armatura, ora di ri
trarsi, ora di correre dattorno. Due fiumi, l'uno
detto dagli abitanti l'Esone, l'altro il Leuco;
benchè allora menassero poca acqua, nondimeno
pareva che avrebbon dato qualche fastidio ai
Romani. Emilio, unite le sue genti a quelle di
Nasica, s'inoltra direttamente al nemico. Al ri
mirare però l'esercito nemico, validissimo per
numero e nerbo di soldati, egregiamente ordina
to e presto a combattere, stupefatto si arrestò,
molte cose seco ruminando. ]
[XXXVI. Tempus | anni post circumactum XXXVI. Era già passato il solstizio; l'ora si
solstitium erat; hora diei jam ad meridiem ver accostava al mezzogiorno; si era fatto il cammi
gebat; iter multo pulvere et incalescente sole mo tra molta polvere, e sotto la sferza del sole.
factum erat. Lassitudo et sitis jam sentiebatur, Si sentiva la lassezza e la sete, e avvicinandosi il
et, meridie instante, magis accessurum utrumque mezzo di, si vedeva che l'una e l'altra si sarebbe
apparebat. Statuit sic affectos recenti atque in di molto accresciuta. Deliberò il console di non
tegro hosti non objicere. Sed tantus ardor in esporre i suoi così mal conci incontro a nemico
1773 TITI LIVII LIBER XLIV. 1774
animis ad dimicandum utrimogue erat ut consu fresco ed integro. Ma dall'una parte e dall'altra
li non minore arte ad suos eludendos, quam ad era sì grande l'ardore di combattere, che non
hostes, opus esset. Nondum omnibus instructis, abbisognò al console manco d'arte per eludere
instabat tribunis militum, ut maturarent in i suoi, che per eludere i nemici. Non essendo an
struere: circumibat ipse ordines, animos militum cora tutti in ordinanza, pressava egli i tribuni
hortando in pugnam accendebat. Ibi primo ala de soldati, perchè si affrettassero a metterli in
cres signum poscebant. Deinde, quantum incre ordine; girava in persona intorno agli ordini, ed
sceret aestus, et vultus minus vigentes et voces esortando infiammava gli animi del soldati alla
segniores erant, et quidam incumbentes scutis, pugna. Quivi dapprima chiedevano baldanzosi il
misique pilis stabant. Tum jam aperte primis or segnale; indi, come più cresceva il caldo, i volti
dinibus imperat, metarentur frontem castrorum, comparivano men risoluti e le voci più tarde, ed
et impedimenta constituerent. Quod ubi fieri alcuni stavansi pendenti sugli scudi, ed appog
milites sensere, alii gaudere palam, quod fessos giati ai pili. Allora comanda egli apertamente ai
viae labore flagrantissimo aestu non coegisset primi ordini, che prendano la misura della fronte
pugnare. Legati circa imperatorem ducesque ex del campo, e depongano i bagagli. Il che come
terni erant, inter quos et Attalus, omnes appro i soldati videro eseguirsi, taluni si allegravano
bantes, quum pugnaturum consulem credebant; palesamente, che non gli avesse obbligati a com
neque enim ne his cunctationem aperuerat suam. battere, stanchi com'erano dalla fatica del cam
Tuncmutatione consilii subita quum alii silerent, mino in quell'ardentissimo bollore. Stavansi
Nasica unus ex omnibus ausus est monere con d'intorno al console i legati e capitani forestieri,
sulem, «Ne hostem quidem ludificatos priores im tra quali anche Attalo, che tutti avevano appro
peratores, fugiendo certamen, manibus emittere. vato, quando credettero che Emilio volesse com
Vereri, ne nocte abeat, sequendus maximo labo battere; perciocchè non avea nemmeno ad essi
re ac periculo in intima Macedoniae; exercitus scoperta la mente sua. Ed allora a quel subito
que, sicut prioribus ducibus per calles saltusque mutamento di parere tutti gli altri tacendo, il
Macedonicorum montium vagando circumaga solo Nasica osò rappresentare al console, « che
tur. Se magnopere suadere, dum in campo pa non si lasciasse sfuggir di mano un nemico, il
tenti hostem habeat, aggrediatur, nec oblatam quale, schivando la battaglia, avea delusi i prece
occasionem vincendi amittat. » Consul, nihil of denti capitani. Egli è a temersi che se ne vada la
fensus libera admonitione tam clari adolescentis, notte, onde si abbia poi ad inseguirlo con gran
s: Et ego, inquit, animum istum habui, Nasica, fatica e pericolo nell'interno della Macedonia; e
quem tu nunc habes; et, quem ego nunc habeo, che, come sotto gli antecedenti comandanti, si
tu habebis. Multis belli casibus didici, quando metta vagando ad aggirarsi per gli stretti e pei
pugnandum, quando abstinendum pugna sit. Non boschi delle montagne della Macedonia. Quindi
operae sit stanti nunc in acie docere, quibus de grandemente lo esortava, che mentre egli ha il
causis hodie quiesse melius sit. Rationes alias re nemico in campo aperto, quivi lo assaltasse, nè
poscito; nunc auctoritate veteris imperatoris perdesse l'occasione che gli si offre di vincere. »
contentus eris. Conticuit adolescens; haud du Il console, non punto offeso dalla rappresentanza
bie videre aliqua impedimenta pugnae consulem, dell'illustre giovanetto, « Anch'io, disse, ebbi un
quae sibi non apparerent. tempo, Nasica codesto animo, che ora hai tu, tu
pure avrai quello, che ora ho io. Ho imparato
da molti casi della guerra, quando si debba com
battere, e quando no. Non è di questo momento,
standosi l'esercito in ordinanza, dirsi per quali
cagioni oggi sia meglio ristarsi. Ne chiederai la
ragione in altro tempo; vorrai per ora appagarti
dell'autorità di un vecchio capitano. » Tacquesi
il giovane, persuaso che vedesse il console alcuni
impedimenti al combattere, che a lui non ap
parivano.
XXXVII. Paullus, postguam metata castra XXXVII. Paolo, poi che vide disegnato l'ac
impedimentaque collocata animadvertit, ex po campamento e messi a luogo i bagagli, ritira
strema acie triarios primos subducit: deinde prin primieramente i triarii dalle ultime file, poscia i
cipes, stantibus in prima acie hastatis, si quid principi, restando sulla prima fila gli astati, se
hostis moveret: postremo hastatos, ab dextro mai facesse il nemico alcun movimento; e final
Primum cornu singulorum paullatim signorum mente gli stessi astati, cominciando dall'ala destra
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milites subtrahens. Ita pedites, equitibus cum a ritirare a poco a poco i soldati d'ogni bandiera.
levi armatura ante aciem hosti oppositis, sine Così i fanti furono ritirati senza tumulto, rimasta
tumultu abducti; nec ante, quam prima trons si in faccia al nemico la cavalleria, e la leggera
valli ac fossa perducta est, ex statione equites re armatura; nè richiamossi la cavalleria, se innanzi
vocati sunt. Rex quoque, quum sine detrectatio non fu tirata la prima fronte dello steccato, e la
ne paratus pugnare eo die fuisset,contentus, quod fossa. Il re, che si era quel dì mostrato risoluta
per hostem moram fuisse pugnae scirent, et ipse mente pronto a combattere, pago che i suoi sa
in castra copias reduxit. Castris permunitis, C. pessero il ritardo alla pugna essere provenuto dal
Sulpicius Gallus tribunus militum secundae nemico, anch'egli ritrasse i suoi negli alloggia
legionis, qui praetor superiore anno fuerat, menti. Come il campo fu fortificato, Caio Sulpicio
consulis permissu ad concionem militibus vocatis Gallo, tribuno de'soldati della seconda legione,
pronunciavit, « nocte proxima, ne quis id pro ch'era stato l'anno innanzi pretore, con licenza del
portento acciperet, ab hora secunda usque ad console, chiamati i soldati a parlamento, annun
quartam horam noctis lunam defecturam esse. Id, ciò loro, « che la notte seguente (perchè taluno
quia naturali ordine statis temporibus fiat, et mol pigliasse per un prodigio ) dall'ora seconda
sciri ante et praedici posse. Itaque quemadmo sino alla quarta la luna verrebbe meno. Accaden
dum, quia certi solis lunaeque et ortus et occasus do questo per ordine naturale in certi tempi
sint, nunc pleno orbe, nunc senescente exiguo determinati, lo si poteva sapere e predire avanti.
cornu fulgere lunam non mirarentur; ita me ob Quindi, siccome, conoscendosi con certezza il
scurari quidem, quum condatur umbra terrae, levare e il tramontare del sole e della luna, non si
trahere in prodigium debere. » Nocte, quam pri maravigliavano ch'ella splendesse or piena, ora,
die Nonas Septembres insecuta est dies, edita ho invecchiando, con corno sottile, così non dove
ra luna quum defecisset, Romanis militibus Galli vano reputar prodigio ch'ella si oscurasse immer
sapientia prope divina videri: Macedonas, ut tri gendosi nell'ombra della terra. » La notte che
ste prodigium, occasum regni perniciemdue gen precedette il primo dì delle None di Agosto,
tis portendens, movit ; nec aliter vates. Clamor all'ora indicata, essendo venuta meno la luna,
ululatusque in castris Macedonum fuit, donec parve a Romani quasi divina la scienza di Sulpi
luna in suam lucem emersit. Postero die tantus cio Gallo; i Macedoni ne furono colpiti, quasi da
utrique ardor exercitui ad concurrendum fuerat, tristo prodigio che indicasse la caduta del regno e
ut et regem et consulem suorum quidam, quod la rovina della nazione; nè altrimenti asserivano
sine proelio discessum esset, accusarent. Regi gl'indovini; e v'cbbe gridi ed urlamenti nel
prompta defensio erat non eo solum, quod ho campo de' Macedoni insino a che la luna ripigliò
stis prior, aperte pugnam detrectans, in castra il suo chiarore. ll dì appresso tanto nell'uno e nel
copias reduxisset; sed etiam , quod eo loco si l'altro esercito era stato l'ardore di combattere,
gna constituisset, quo phalanx, quam inutilem che alcuni d'ambe le parti il re accusarono ed il
vel mediocris inquitas loci efficeret, promove console, perchè non si fosse appiccata la batta
ri non posset. Consul ad id, quod pridie prae glia. Era pronta la difesa del re, non solamante
termisisse pugnandi occasionem videbatur, et perchè il console, schivando manifestamente la
locum dedisse hosti, si nocte abire vellet, tunc pugna, avea primo ritratto i suoi negli accampa
quoque per speciem immolandi terere videbatur menti, ma eziandio perchè avea piantate le ban
tempus, quum luce prima signum propositum diere in luogo, dove la falange, cui rende inutile
pugnae ad exeundum in aciem fuisset. Tertia qualsivoglia anche mediocre svantaggio di terre
demum hora, sacrificio rite perpetrato, ad consi no, non si poteva distendere. Il console, oltre che
lium vocavit; atque ibi, quod rei gerendae tem sembrava che il dì innanzi lasciata avesse l'occa
pus esset, loquendo et intempestive consultan sione di combattere, e dato luogo al nemico, se
do videbatur quibusdam extrahere. Post sermo gli fosse piaciuto, di andarsene la notte, anche
nes tamen consul orationem habuit. allora pareva che sotto pretesto di sagrificare
consumasse il tempo, quantunque sul far del
giorno si fosse messo fuori il segnale di uscire
alla battaglia. Finalmente all'ora terza, compiuto
debitamente il sagrifizio, sembrava a taluni ch'egli
tirasse in lungo intempestivamente parlando e
consultando; se non che dopo sì fatti discorsi,
così prese il console a favellare.
XXXVIII. « P. Nasica, egregius adolescens, XXXVIII. «Di tutti coloro, che avrebbon
ex omnibus unus, quibus hesterno die pugnari voluto combattere ieri, il solo Publio Nasica,
i 777 TITI LIVII LIBER XI,l V.
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placuit, denudavit mihi suum consilium : idem egregio giovanetto, mi palesò il suo pensiero, ed
postea, ita ut transisse in sententiam meam vi egli stesso di poi, sì che lo si avrebbe potuto
deri posset, tacuit. Quibusdam aliis absentem credere venuto al parer mio, si tacque. Ad alcu
carpere imperatorem, quam praesentem monere, ni parve miglior consiglio mordere il comandan
melius visum est. Et tibi, P. Nasica, et quicumque te nell'assenza sua, che presente ammonirlo. E a
idem, quod tu, occultius senserunt, non gra te, o Publio Nasica, ed a qualunque altro, che fu
vabor reddere dilatae pugnae rationem. Nam segretamente del tuo parere, non m'increscerà
tantum abest, ut me hesternae quietis poeniteat, di render ragione della differita battaglia. Per
ut serva tum a me exercitum eo consilio credam. ciocchè tanto è lontano ch'io mi penta della
In qua me opinione esse ne quis sine causa ve dimora d'ieri, che anzi mi credo di aver salvato
strum credat, recognoscat, agedum, mecum, si con tal partito l'esercito. Nella quale opinione
videtur, quam multa pro hoste et adversus nos acciocchè nessuno stimi ch'io mi stia senza ra
fuerint. Jam omnium primum, quantum numero gione, su via, meco, se gli piace, riconosca quante
nos praestent, neminem vestrum nec ante igno e quante cose stavano a favore del nemico e con
rasse, et hesterno die implicatam intuentes aciem tro di noi. Primieramente, di quanto ci avanzino
animadvertisse, certum habeo. Ex hac nostra i Macedoni in numero, sono certo nessuno di voi
paucitate quarta pars militum praesidio impedi averlo ignorato, ed averlo ognuno ieri osservato,
mentis relicta erat ; nec ignavissimum quem que mirando le loro schiere spiegate. Di questa nostra
relinqui ad custodiam sarcinarum scitis. Sed fue pochezza la quarta parte del soldati era lasciata
rimus omnes. Parvum hoc tandem esse credi a guardia del bagagli, e sapete che non si lasciano
mus, quod ex his castris, in quibus hac nocte a sì fatta custodia i soldati più poltroni. Ma fossi
mansimus, exituri in aciem hodierno aut sum mo stati anche tutti: crediamo piccola cosa il
mum crastino die, si ita videbitur, diis bene ju dover noi da questo campo, nel qual stemmo la
vantibus, sumus? Nihilne interest, utrum mili scorsa notte, oggi, o al più tardi domani, se ci
tem, quem neque viae labor hodie, neque ope parrà, col favore degli dei uscirà a battaglia? Non
ris fatigaverit, requietum, integrum in tentorio avvi forse nessuna differenza, che tu faccia piglia
suo arma capere jubeas, atque in aciem plenum re l'armi al soldato, non affaticato in quel giorno
virium, vigentem et corpore et animo educas? nè dal lavoro, riposatosi e rinfrescatosi sotto la
an longo itinere fatigatum, et onere fessum, sua tenda, e il tragga fuori a combattere pien di
madentem sudore, ardentibus siti faucibus, ore vigore e gagliardo d'animo e di corpo? ovvero
atque oculis repletis pulvere, torrentem meridia che stanco dal lungo camminare, stanco del peso
no sole, hosti objicias recenti, quieto, qui nulla addossatogli, molle di sudore, colle fauci ardenti
re ante consumptas vires ad proelium afferat? per la sete, con la bocca e con gli occhi pieni di
Quis, pro deim fidem ! ita comparatus, veliners polvere, bruciato dal sole del mezzodì, tu il
atque imbellis, fortissimum virum non vicerit? mandi ad affrontare un nemico fresco, riposato,
Quid ? quod hostes per summum otium instru che rechi al cimento forze per innanzi in nessun
xerantaciem, reparaverant animos, stabant com modo consunte ? Chi sarà quegli, per la fe' degli
positi suis quisque ordinibus: nobis tunc repen dei, che in cotal guisa atteggiato, anche se inerte
te trepidandum in acie instruenda erat, et in ed imbelle, non abbia a vincere l'uomo il più
compositis concurrendum ? » valente? E nulla importa che i nemici con tutto
il lor agio s'erano messi in ordinanza, aveano
ripreso animo, stavansi ciascuno al luogo suo?
Noi dovevamo subito dimenarci nell' ordinare le
schiere e tumultuariamente correre ad azzuf
farci ? »
XXXIX. « At, hercule, aciem quidem in XXXIX. « Sì certo, avremmo avuto l'esercito
conditam inordinatamque habuissemus: castra incomposto, disordinato; ma forse un campo
munita, provisam aquationem, tutum ad eam fortificato, una buona provigione d'acqua, una
iter praesidiis impositis, explorata circa omnia ; strada per andare ad essa assicurata da guardie a
an nihil nostri habentes praeter nudum campum, luogo a luogo disposte, tutto il paese d'intorno
in quo pugnare mus? Majores vestri castra mu ben conosciuto; o invece avevamo altro di nostro,
nita portum ad omnes casus exercitus ducebant eccetto il nudo terreno sul quale aveasi a combat
esse, unde ad pugnam exirent, quo jactati tem tere? I vostri maggiori un campo fortificato lo
pestate pugnae receptum haberent. Ideo, quum stimavano essere un porto per tutti i casi dell'e
munimentis ea sepissent, praesidio quoque vali sercito, dal quale uscire a battaglia, nel quale
do firmabant, quod, qui castris exutus erat, balzati dalla tempesta della pugna ricoverarsi.
livio 2 I l a
1779 TITI LIVII LIBER XLIV. i 78o
etiamsi pugnando acie vicisset, pro victo habe Ond'è che avendolo assicurato con ripari, il guar,
retur. Castra sunt victori receptaculum, victo nivano eviandio di valido presidio; perciocchè
perfugium. Quam multi exercitus, quibus minus colui ch'era spogliato del campo, anche se vinci
prospera pugnae fortuna fuit, intra vallum com tore nella battaglia, era riputato vinto; chè il
pulsi, tempore suo, interdum momento post, campo è ricetto al vincitore, al vinto refugio.
eruptione facta, victorem hostem pepulerunt ? Quanti e quanti eserciti, a quali fu men prospera
Patria altera est militaris haec sedes, vallumque la sorte nel combattimento, respinti negli steccati,
pro moenibus, et tentorium suum cuique militi colto il tempo, talvolta anche un momento dopo,
domus ac penates sunt. Sine ulla sede vagi dimi fatta impetuosa sortita, scacciarono il nemico
cassemus, ut quo victores nos reciperemus ? His vincitore ? Ell'è codesta stanza militare un'altra
difficultatibus et impedimentis pugnae illud op patria, e lo steccato sta invece delle mura, e ad
ponitur; Quid si hostis hac interposita nocte ogni soldato la sua tenda è la sua casa, i suoi
abisset, quantum rursus sequendo eo penitus in penati. Avremmo dovuto combattere senza sede,
ultimam Macedoniam exhauriendum laboris eratº vaganti, senza saper dove ripararci vincitori ? A
Ego autem, neque mansurum eum, negue in codesta difficoltà e disagio del combattere si op
aciem copias educturum ſuisse, certum habeo, pone questo; E se il nemico nella frapposta notte
si cedere hinc statuisset. Quanto enim facilius si fosse partito, quanta fatica non avremmo do
abire fuit, quum procul abessemus, quam nunc, vuto nuovamente sostenere nell'inseguirlo fin
quum in cervicibus sumus? Nec falleret nos, nec nelle ultime parti della Macedonia? Io poi tengo
interdiu nec nocte abeundo. Quid autem est no per certo che se avesse pensato di ritirarsi, nè
bis optatius, quam ut, quorum castra, praealta sarebbe da principio rimasto fermo, nè avrebbe
ſluminis ripa tuta, vallo insuper septa ac crebris tratto fuori le sue genti a combattere; perciocchè
turribus, oppugnare adorti sumus, eos, relictis quanto non gli sarebbe stato più facile l'andar
munimentis, agmine effuso abeuntes, in patenti sene, quando eravamo ancora lontani, piuttosto
bus campis ab tergo adoriamur ? Hae dilatae che ora, quando gli siamo sul collo? Nè gli riu
pugnae ex hesterno die in hodiernum causae scirebbe d'ingannarci, comunque partisse di
fuerunt. Pugnare enim et ipsi mihi placet ; et giorno o di notte. E che altro meglio bramar
ideo, quia per Enipeum amnem septa ad hostem potremmo, che l'assalire in campo aperto alle
via erat, alio saltu, dejectis hostium praesidiis, spalle, mentre lasciati i ripari via se ne andasse
novum iter aperui; neque prius, quam debella ro disordinati, coloro, il cui campo difeso dalla
vero, absistam. o ripa altissima del fiume, e inoltre cinto di stec
cato e di spesse torri ci siamo messi a combattere?
Queste furono le cagioni della battaglia da ieri
ad oggi differita; chè a me pure aggrada il com
battere; ed è per questo che essendoci chiusa la
via di andare al nemico per l' Enipeo, sforzate le
poste dei nemici, mi sono aperto per altro passo
una nuova strada; nè mi ristarò, sino a tanto
che non avrò finita la guerra. ”
XL. Post hanc orationem silentium fuit, par XL. Dopo questa orazione v'ebbe silenzio,
tim traductis in sententiam ejus, partim verenti parte essendo venuti al suo parere, parte temen
bus nequidquam offendere in eo, quod, utcum do di ritoccare invano ciò che comunque fosse
que praetermissum, revocari non posset. Ac ne stato pretermesso, non si poteva più richiamare.
illo ipso quidem die, aut consule, aut rege (re Ed anche in quel giorno, non lo volendo nè il re,
ge, quod nec fessos, ut pridie, ex via, neque tre nè il console (non il re, perchè avrebbe dovuto
pidantes in acie instruenda et vixdum composi attaccare i Romani, non come il dì innanzi,
tos aggressurus erat; consule, quod in novis ca stanchi dal cammino, affaccendati nell'ordinare
stris non ligna, non pabulum convectum erat, ad l'esercito e a mala pena schierati; non il console,
quae petenda ex propinquis agris magna pars perchè ne nuovi alloggiamenti non si era ancora
militum e castris exierat), neutro imperatorum trasportato nè legne, nè foraggi, in traccia di che
volente, fortuna, quae plus consiliis humanis uscita era dal campo nelle vicine terre gran parte
Pollet, contraxit certamen. Flumen erat haud de soldati), la fortuna, che puote più che gli
magnum propius hostium castris, ex quo et Ma umani consigli, impegnò ella la battaglia. C'era
cedones ei Romani aquabantur, praesidiis ex un fiume non troppo grande, alquanto più vicino
utraque ripa positis, ut id facere tuto possent. al campo de' nemici, dal quale attingevan acqua
1)uae cohortes a parte Romanorum crant, Mar e i Macedoni e i Romani, collocate guardie su
1781 TITI I,IVII LI BER XLIV. i 782
rucina et Peligna; duae turmae Samnitium equi l'una e l'altra riva, onde poter ciò fare secura
tum, quibus praeerat M. Sergius Silus legatus: mente. Eranvi dalla parte de Romani due coorti,
et aliud pro castris stativum erat praesidium sub la Marrucina e la Peligna; due squadre di cavalli
C. Cluvio legato, tres cohortes, Firmana, Vesti Sanniti, condotte dal legato Marco Sergio Silo;
na, Cremonensis; duae turmae equitum, Pla e stavasi dinanzi allo steccato un'altra guardia
centina et Aesernina. Quum otium ad flumen sotto il legato Caio Cluvio, composta di tre coor
esset, neutris lacessentibus, hora circiter quarta ti, la Firmana, la Vestina e la Cremonese; non
jumentum, e manibus curantium elapsum, in ul che due squadre di cavalli, la Piacentina e l'Eser
teriorem ripam effugit. Quod quum per aquam, mina. Tutto essendo tranquillo presso al fiume,
ferme genu tenus altam, tres milites sequerentur, nessuna delle parti provocando l'altra, verso
Thraces duo id iumentum ex medio alveo in l'ora quarta un cavallo, scappato dalle mani di
suam ripam trahentes; altero eorum occiso, re chi il curava, fuggissi inverso l'altra riva, inse
ceptoque eo jumento, ad stationem suorum se guendolo tre soldati per entro all'acqua alta quasi
recipiebant. Octingentorum Thracum praesidium solamente sino al ginochio; e tirandolo due
in hostium ripa erat. Ex his pauci primo, aegre Traci dal mezzo del fiume alla riva loro, i Roma
passi popularem in suo conspectu caesum, ad ni, uccisone uno e riavuto il cavallo, si rimette
persequendos interfectores fluvium transgressi vano a suoi. V'era sulla riva nemica un presidio
sunt ; dein plures, postremo omnes, et cum di ottocento Traci. Dapprima pochi di essi, mal
praesidio, [ quod a parte Romanorum ripam de soffrendo che un lor paesano fosse stato loro
fendebat, manu conserunt. Non desunt auctores, ucciso in sugli occhi, passarono il fiume per inse
qui ipsius Paulli jussu equum detracto freno im guire gli uccisori; indi altri più, e finalmente
pulsum scribant in hostilem ripam, emissosque, tutti; ed appiccaron zuffa col presidio, [che dalla
qui retraherent, ut hostes pugnam priores laces banda de Romani guardavano la riva. Non man
serent. Etenim quum viginti caesis hostiis lita ca chi scrisse essere stato il cavallo, detrattogli il
tum non esset, tandem laeta vigesimae primae freno, spinto per ordine dello stesso Paolo verso
exta aruspices ita renunciaverant, ut, Romanis la riva opposta, e spedita gente a riaverlo, accioc
non lacessentibus, sed defendentibus sese, victo chè primi i nemici provocassero la battaglia.
riam promitterent. Ceterum, sive consilio ducis, Perciocchè, immolate venti vittime senza ottenere
sive casu, ab hoc certe initio commissa pugna, lieti presagi, finalmente gli aruspici annunziaro
aliis super alios ad ferendam suis opem utrim due no così propizie le viscere della ventesima prima,
advolantibus, brevi ita accensa est, ut duces co che promettevano la vittoria, se però i Romani
gerentur descendere in universum summae rei non provocassero, ma si difendessero. Del resto,
discrimen. Aemilius enim, tumultu concurren fosse o per opera del console, o per caso, certo
tium audito, praetorio egressus, postguam cae la battaglia, nata da questo principio, accorrendo
cum ruentium ad arma impetum revocare aut in un subito d'ambe le parti altri sopra altri a
sistere nec facile nec tutum videbatur, utendum soccorrere i suoi, così tra breve infiammossi, che
ardore militum, et casum in occasionem ver i capitani furono costretti di venire a decisivo
tendum putavit. Educit itaque copias castris, et cimento. Perciocchè Emilio, udito il tumulto di
ordines interequitans hortatur, ut expetitam tam quei che correvano a battagliare, uscito dalla sua
topere pugnam pari ardore capesserent. Simul tenda, poichè vide non essere nè facile, nè sicura
Nasica praemissus ad explorandum, quo in sta cosa ritrarre e fermare l'impeto cieco di chi vo
tu res essent inter primam cientes pugnam, ad lava all'armi, stimò dover profittare dell'ardor
ventare instructo exercitu Perseum nunciavit. de'soldati, e far del caso occasione. Trae dunque
Primi Thraces incedebant, truci vultu, corpore i suoi fuori del campo, e tra gli ordini cavalcan
procero, splendentibus miro candore clypeis lae do gli esorta ad incontrar la battaglia, che aveano
vam protecti. Humerum utramque migra vestie sì fortemente bramata. Al tempo stesso Nasica,
bat chlamys; ab dextro immanem pondere fra spedito ad esplorare in che stato fossero le cose
meam identidem coruscabant. Juxta Thracas con tra quelli, che s'eran messi primi a combattere,
stitere mercede conducta auxilia, diverso inter se riferì che Perseo si avvicinava con l'esercito in
pro diversis nationibus armatu habituque ; in ordinanza. Primi venivano i Traci con truce
his et Paeones fuere. Subibat agmen Macedo volto, di alta corporatura, protetti il fianco
num ipsorum, quam Leucaspidem phalangem sinistro da scudi mirabilmente splendenti. Una
appellabant; delecti quotduot robore ac virtute clamide nera vestiva l'un omero e l'altro; bran
praestabant, fulgentes auratis armissagisque pu divano colla destra una lancia enormemente per
niceis. Ea media acies ſuit. Hos sequebantur, sante. Dopo i Traci erano collocati gli aiuti
quos ab aereis lucidisque clypcis Chalcaspidas mercenari, diversamente armati,e vestiti secondº
1783 TITI LIVII LIBER XI.IV. 784

dicebant, aut Aglaspidas. Haec phalanx juxta al le diverse nazioni, c'erano tra questi anche i
teram in dextro cornu locata est. Praeter hanc Peoni. Seguiva un corpo di Macedoni, che chia
utramque phalangem, quod praecipuum robur mavano la falange Leucaspide, scelto da quanti
erat Macedonici exercitus, caetrati Macedones sovrastavano per robustezza e per valore, risplen
et ipsi, sarissas gerentes, quemadmodum pha denti per armi dorate e per vestiti d'infocato
langitae, cetera levius armati, in cornua divisi colore. Quest'era il centro. Li seguivano quelli,
erant, ante reliquam aciem projecti et eminen che dagli scudi di bronzo e rilucenti eran detti
tes. Fulgebat campus armorum splendore: cla Calcaspidi o Aglaspidi; questa falange era collo
moribus cohortantium sese in vicem vicini colles cata presso l'altra sull'ala diritta. Oltre queste
personabant. Harum omnium copiarum prode due falangi, ch'erano il principale nerbo dell'eser
untium in pugnam ea fuit celeritas et audacia, cito Macedonico, i cetrati, Macedoni essi pure,
ut, qui primi interfecti sunt, ad ducentos et armati di sarissa, come i falangiti, però alquanto
quinquaginta passus a Romanis castris caderent. più leggermente, spartiti erano in sulle ale,
Progrediebatur interim Aemilius: utque adspe cacciati al dinanzi delle altre squadre e promi
xit quum reliquos Macedonas, tum eos, qui in nenti. Balenava il campo per lo splendore delle
phalangem contributi erant, partim clypeis, par armi: risonavano i vicini colli delle grida di
tim caetris ex humero detractis, inclinatisque coloro, che si confortavano vicendevolmente alla
uno signo sarissis, excipientes Romanorum im pugna. E di tutte codeste genti uscite a combat
petum, admiratus et illam densatorum agminum tere tal si fu la celerità e l'ardimento, che i primi
firmitatem, et vallum protensis sarissis horrens, uccisi caddero distanti dal campo Romano due
stupore simulac terrore perculsus est, tamquam cento cinquanta passi all'incirca. Emilio intanto
non aliud umquam tam terribile spectaculum si faceva innanzi; e come vide e gli altri Macedo
conspicatus: ac postea id saepius commemorare ni e quelli che formavano la falange, parte cogli
et praese ferre solitus est. Tum vero sedulo dis scudi, parte coi cetri distoltisi dagli omeri, e colle
simulans perturbati animi motum, vultu sereno sarisse ad un sol cenno abbassate accogliere
ac secura fronte, et capite et corpore intecto l'impeto de' Romani, altamente ammirando e la
aciem instruebat. Jam pugnabant Peligni adver robustezza di quelle schiere addensate e quello
sus oppositos sibi caetratos, quumque diu mul steccato orribilmente intessuto di protese sarisse,
tumque connisi perrumpere con fertum agmen come uomo, che sì terribile spettacolo non aveva
non possent, Salius, qui Pelignos ducebat, ar ancora veduto, fu colpito da stupore insieme e
reptum signum in hostes misit. Hic ingens ac da terrore; e fu di poi solito farne sovente cenno
censum certamen est, dum hinc Peligni ad re e ricordanza. Allora poi dissimulando attenta
cipiendum signum, hinc Macedones ad retinen mente la perturbazione dell'animo, con sereno
dum, summa ope nituntur. llli praelongas Ma volto e secura fronte, a capo e corpo scoperto, si
cedonum hastas aut ferro incidere, aut umbone fe'a porre l'esercito in ordinanza. Già combatte
impellere, aut nudis etiam interdum manibus vano i Peligni contro gli opposti cetrati, e non
avertere. Hi ambabus firmiter comprehensas, potendo, dopo molti e lunghi sforzi, romperne
tanta vi adigere in temere ac furore caeco ru il fitto squadrone, Salio che conduceva i Peligni,
entes, ut transfossis scutis loricisque, transfixos afferrata la bandiera, lanciolla nel folto de'nemi
etiam homines super capita projicerent. Sic pro ci. Quivi lotta fiera si accese, mentre si adoperano
fligatis Pelignorum primis ordinibus, caeduntur con ogni sforzo quindi i Peligni a ricuperarla,
quoque, qui post illos steterant ; atque, etsi non quinci i Macedoni a ritenerla. Quelli col ferro
dum confessa fuga, pedem referebant tamen tagliavano le lunghissime aste de' Macedoni, o le
montem versus; Olocrum indigenae vocant. Hic respingevano con lo scudo, e talvolta anche colle
vero exarsit Aemilio dolor, ut etiam ex indigna nude mani le stornavano; questi afferrandole
tione paludamentum scinderet. Nam et in ce fermamente con ambe le mani, con tutta possa le
teris locis videbat cunctari suos, timideque ac vibravano contro gl'incauti e ciecamente infu
cedere ad illam velut ferream sepem, qua un rianti nemici, sì che forati scudi e corazze, tra
dique acies Macedonica in horrebat. Sed animad passavano anche gli uomini e li capovolgevano
vertit peritus dux, non stare ubique confertam gli uni sopra gli altri. Così atterrati i primi ordini
illam hostium velut compagem, eamque dehi de Peligni, sono tagliati a pezzi anche quelli, che
scere idemtidem quibusdam intervallis, sive ob stavansi dietro ad essi; e già, benchè non ancora
inaequalitatem soli, sive ob ipsam porrectae in chiaramente in fuga, nondimeno ritraevano il
immensum frontis longitudinem, dum qui supe piede verso il monte, che quei del paese chiamano
riora occupare conantur ab inferiora tenentibus, Olocro. Or qui fiero cruccio si accese in petto ad
vel tardiores a citatioribus, et progredientes a Emilio, sì che per indignazione lacerossi persino
1785 TITI I,l VII I,IRER XLIV. 1786
subsistentibns, instantes denique hosti ab impul il manto. Perciocchè vedeva i suoi negli altri
sis, inviti licet, necessario divelluntur. Ergo ut luoghi esitare e timidamente avanzarsi a quella
omnino rumperet ordinem hostium, et inexpu quasi ferrea siepe, ond'era da ogni parte l'eser
gnabilem illam universae phalangis vim in multa cito Macedonico orribilmente accerchiato. Se non
minutatim proelia carperet, imperat suis, ut in che osservò il perito capitano non essere quella
tenti quacumque rimas agere hostilem aciem vi massa in ogni parte egualmente compatta, e qua
derint, illuc quisque impetu inferantur, seque e colà ad alcuni intervalli alcun poco squarciarsi,
cuneatim in hiantia vel tantillum spatia insinuan sia per l'ineguaglianza del terreno, sia per la
tes strenue rem agant. Hoc edito imperio, et per lunghezza della fronte immensamente protratta,
totum exercitum circumlato, ipse alteram e le mentre, benchè contro volontà, necessariamente
gionibus in l proelium ducit. trovavansi divelti quelli, che precedevano, da
quelli che seguitavano, i più tardi dai più veloci,
quelli che vanno innanzi da quelli che si arresta
no, quelli che stanno addosso al nemico da quelli
che non sono respinti. A rompere adunque del
tutto codesta ordinanza del nemici e mordere
spezzatamente con parecchi parziali combatti
menti quella inespugnabile forza dell'inerta fa -
lange, comanda a suoi che badando dovunque
veggano rompersi alcun poco la continuità degli
ordini, quivi si scaglino con impeto, ed insinuan
dosi a foggia di cuneo tra gli spazii mezzo aperti,
menino le mani gagliardamente. Dato questo
comando e fattolo girare per tutto l'esercito,
guida egli stesso la seconda legione al l combat
timento.
XLI. Movebat imperii majestas, gloria viri, XLI. Moveva potentemente gli animi la mae
ante omnia aetas, quod major sexaginta annis stà dell'impero, il chiaro nome, e sopra tutto
juvenum munia in parte praecipua laboris pe l'età del personaggio, il quale contando oltre
riculique capessebat. Intervallum, quod inter sessant'anni, si pigliava le incombenze dei giovani
caetratos et phalanges erat, implevit legio, at nella massima parte della fatica e del pericolo.
que aciem hostium interrupit. A tergo caetra La legione riempiè l'intervallo, ch'era tra i ce
tis erat, frontem adversus clypeatos habebat; trati e le falangi, e ruppe la linea de'nemici.
Aglaspides appallabantur. Secundaio legionem L. Instava alle spalle dei cetrati, avea la fronte
Albinus consularis ducere adversus Leucaspidem contro i clipeati, ch'eran detti Aglaspidi. Lucio
phalangem jussus: ea media acies hostium fuit. Albino, uomo consolare, ebbe ordine di condur
In dextrum cornu, unde circa fluvium commis re essa seconda legione contro la falange Leuca
sum proelium erat, elephantes inducti, et ala so spide, che formava il centro de'nemici. Sull'ala
ciorum; et hinc primum fuga Macedonum est destra, donde avea cominciata la zuffa intorno
orta. Nam sicut pleraque nova commenta mor al fiume, furon tratti gli elefanti e le bande de
talium in verbis vim habent, experiendo, quum gli alleati, e di qua ebbe principio la fuga dei
agi, non, quemadmodum agantur, edisseri, opor Macedoni. Perciocchè siccome la maggior parte
tet, sine ullo effectu evanescunt ; ita tum ele dei trovati umani hanno tutta la lor forza nelle
phanti in acie nomen tantum sine usu fuerunt. parole, e poi, mettendole alla prova, quando si
Elephantorum impetum subsecuti sunt socii no dee fare, non disputare come far si debba, svani
minis Latini, pepuleruntdue leavum cornu. In scono senza effetto; così allora gli elefanti non
medio secunda legio immissa dissipavit phalan furono nella battaglia che un nome vano di nes
gem. Neque ulla evidentior causa vicioriae fuit, sun uso. Dietro all'impeto degli elefanti segui
quam quod multa passim proelia erant, quae flu rono gli alleati Latini e cacciarono indietro l'ala
ctuantem turbarunt primo, deinde disjecerunt sinistra dei nemici. La seconda legione, scagliata
phalangem, cujus confertae et intentis horrentis contro il centro, ruppe la falange; nè fuvvi altra
hastis intolerabiles vires sunt. Si carptim aggre più evidente cagione della vittoria, che le molte
diendo circumagere immobilem longitudine et qua e colà parziali battaglie che la stessa falange
gravitate hastam cogas, confusa strue implican dapprima fluttuante scompigliarono, indi sfon
tur: si vero aut ab latere, aut ab tergo aliquid darono; che all'opposto ha ella forze intollerabili
tumultus increpuit, ruinae modo turbantur. Si sino a tanto che può starsi addensata e minacciosa
1787 Tsl l'I LIVII LIBER XLIV. 1788
cut tum adversus catervatim incurrentes Roma colle aste spianate. Se assaltandola spicciolata
nos, et interrupta multifariam acie, obviam ire mente la costringi a girare intorno quell'asta
cogebantur; et Romani, quacumque data inter difficile a muoversi per la lunghezza e gravezza
valla essent, insinuabant ordines suos. Qui, si sua, nel confuso ammassamento s'imbrogliano;
universa acie in frontem adversus instructam se poi dai lati od alle spalle si fa sentire alcun tu
phalangem concurrissent, quod Pelignis, princi multo, si scompigliano a guisa di corpi ruinanti;
pio pugnae incaute congressis adversus caetratos, siccome avvenne allora, che furono costretti, in
evenit, induissent se hastis, nec confertam aciem terrompendo gli ordini in più luoghi, di farsi
sustinuissent. incontro ai Romani, che correvano loro addosso
a bande spezzate; mentre che i Romani s'insi
nuavano dovunque era loro offerto un intervallo.
Che se in vece si fossero mossi con tutto l'esercito
ad assaltar di fronte la falange in sè chiusa e
ristretta, il che avvenne sul principio della pugna
ai Peligni incautamente impegnatisi contro i ce
trati, si sarebbono infilzati nelle picche, nè avreb
bono sostenuto il peso di quella massa affoltata.
XLII. Ceterum sicut peditum passim caedes XLII. Del resto, siccome si faceva da per
fiebant, nisi qui abjectis armis, fugerunt; sic tutto strage de'fanti, eccetto quelli che gettate
equitatus prope integer pugna excessit. Prin l'armi fuggivansi, così la cavalleria uscì quasi
ceps fugae rex ipse erat. Jam a Pydna cum sa intatta dalla battaglia. Fu primo a fuggire lo
scrisalis equitum Pellam pelebat; confestim Co stesso re. Già da Pidna egli s'indirizzava a Pella
tys sequebatur Odrysarumque equitatus. Ce con quelle bande di cavalli, che chiamano Sa
terae quoque Macedonum alae integris abibant cre; lo seguiva subito Coti e la cavalleria degli
ordinibus; quia interjecta peditum acies, cujus Odrisii. Anche le altre squadre dei Macedoni se
caedes victores tenebant, immemores fecerat se ne andavano cogli ordini intatti, perchè il frap
quendi equites. Diu phalanx a fronte, a lateri posto corpo dei fanti, alla cui strage si adopera
bus, ab tergo caesa est: postremo, qui ex ho vano i vincitori, avea fatto obliare d'inseguire
stium manibus elapsi erant, inermes ad mare i cavalli. La falange fu manomessa a fronte, ai
fugientes, quidam aquam etiam ingressi, manus fianchi, alle spalle: in fine quelli ch'erano scap
ad eos, qui in classe erant, tendentes, suppliciter pati dal ferro del nemici, fuggendo al mare
vitam orabant; et quum scaphas concurrere un senz'armi, alcuni eziandio entrati nell'acqua,
dique ab navibus cernerent, ad excipiendossese stendendo le mani a quelli ch'erano sulla ſlotta,
venire rati, ut caperent potius, quam occiderent, chiedevano supplichevolmente la vita; e vedendo
longius in aquam, quidam etiam natantes, pro da ogni parte spiccarsi dalle navi le scafe, sti
gressi sunt. Sed quum hostiliter e scaphis caede mando che venissero a raccoglierli, per prenderli
rentur, retro, qui poterant, mando repetentes piuttosto che per ucciderli, si spinsero più in
terram, in aliam foediorem pestem incidebanti nanzi,taluni anche a nuoto nell'acqua. Ma essendo
elephanti enim, ab rectoribus ad litus acti, exe da quei delle scafe tagliati a pezzi ostilmente,
untes obterebant elidebantque. Facile convenie quelli che potevano, ritornando a nuoto verso
bat, Romanis numquam una acie tantum Mace terra, cadevano in altra più crudele sciagura;
donum interfectum. Caesa enim ad viginti mil perciocchè gli elefanti, cacciati dai lor conduttori
lia hominum sunt; ad sex millia, qui Pydnam ex verso il lido, pestavano e schiacciavano quelli, che
acie perfugerant, vivi in potestatem pervenerunt; fuoruscivano a riva. Tutti convenivano che non
et vagi e fuga quinque millia hominum capta. mai avevano i Romani in una sola battaglia uc
Ex victoribus ceciderunt non plus centum, et ciso tanto numero di Macedoni; perciocchè ne
eorum multo major pars Peligni. Vulnerati ali rimasero uccisi da venti mila: presso a sei mila,
quanto plures sunt. Quod si maturius pugnari che dalla battaglia s'eran fuggiti a Pidna, si arren
coeptum esset, ut satis diei victoribus ad per dettero vivi, e cinque mila se ne son presi dispersi
sequendum superesset, deletae omnes copiae fo nella fuga. De' vincitori non ne cadde più di
rent: nunc imminens nox et fugientes texit, cento; ed anche la maggior parte Peligni; i feriti
et Romanis pigritiem ad sequendum locis igno furono alquanti più. Che se la battaglia si fosse
iis fecit. cominciata più per tempo, sì che fosse avanzato
ai vincitori più lungo spazio di giorno ad inse
guire il nemico, tutto l'esercito sarebbe stato
distrutto; ma la notte che sovrastava, coperse
1789 'l'ITI LlVII LIBER XLIV. 179o

i fuggitivi, e fe'più tardo il Romano ad inseguirli


per luoghi non conosciuti.
Xl.Il I. Perseus ad Prieriam silvam via mi XLIII. Perseo si fuggì alla Selva Pieria per
litari, frequenti agmine equitum et regio comi la via militare con numerosa banda di cavalli e
tatu, fugit. Simul in silvam ventum est, ubi plu con la regia sua guardia. Come fu venuto alla
res diversa e semitae erant, et nox appropinqua selva, dov'erano parecchi diversi sentieri, e già
bat, cum perpaucis maxime fidis via divertit. la notte inoltrandosi, con pochi de' più fidi decli
Equites, sine duce relicti, alii alia in civitates nò dalla strada maestra. La cavalleria, rimasta
suas dilapsi sunt: perpauci inde Pellam celerius, senza capitano, chi dileguando per una e chi per
quam ipse Perseus, quia recta et expedita via ie altra banda, se n'andò ciascuno alle sue case:
rant, pervenerunt. Rex ad mediam ferme noctem pochissimi giunsero a Pella più presto che lo
terrore et variis difficultatibus viae vexatus est. stesso Perseo, perchè erano andati senza intoppi
In regia Perseo, qui Pellae praeerat, Euctus re per la strada diritta. Il re fu quasi insino a mezza
giique pueri praesto erant. Contra ea amicorum, notte travagliato da spavento e da varie difficoltà
qui, alii alio casu servati, ex proelio Pellam ve della via. Nella reggia Eucto, governatore di Pella,
nerant, quum saepe arcessiti essent, nemo ad ed i paggi reali si presentarono a Perseo; ma
eum venit.Tres erant tantum cum eo fugae co de'cortegiani, che per uno o per altro caso salva
mites, Evander Cretensis, Neo Boeotius, et Ar tisi giunti erano a Pella dopo la battaglia, benchè
chidamus Aetolus. Cum iis, jam metuens, ne, qui spesso chiamati, nessuno venne a lui. Non gli
venire ad se abnuerent, majus aliquid mox au erano rimasti che i tre compagni della fuga,
derent, quarta vigilia profugit. Secuti eum sunt Evandro Cretese, Neone Beozio e Archidamo
admodum quingenti Cretenses. Petebat Amphi Etolo. Con questi, temendo che coloro, i quali
polim ; sed nocte a Pella exierat, properans ante ricusavano di venire a lui, non osassero in ap
lucem Axium amnem trajicere, eum finem se presso qualche cosa di peggio, in sulla quarta
quendi, propter difficultatem transitus, forera vigilia se ne fuggì. ll seguitarono al più cinque
tus Romanis. cento Cretesi. Andava Perseo alla volta di Anfi
poli; era però uscito da Pella affrettandosi di
passare avanti giorno il fiume Axio, stimando
che avrebbon quivi i Romani fatto fine d'inse
guirli per la difficoltà del passaggio.
XLIV. Consulem, quum se in castra victor XLIV. Il console, essendosi rimesso vincitore
recepisset, ne sincero gaudio frueretur, cura de nel campo, acciocchè non fosse interamente pura
minore filio stimulabat. Scipio is erat, Africanus la gioia sua, travagliato era dal pensiero del suo
et ipse postea, deleta Carthagine, appellatus, na figlio maggiore. Era questi Publio Scipione,
turalis consulis Paulli, adoptione Africani nepos. detto poi esso pure dalla distruzione di Cartagine
Is, septimumdecimum tunc annum agens, quod Africano, per natura figlio di Paolo e per ado
ipsum curam augebat, dum effuse sequitur ho zione nipote di Scipione l'Africano. Essendo egli
stes, in partem aliam turba ablatus erat; et se in allora in età di anni diciassette, il che accre
rius quum redisset, tunc demum recepto sospi sceva l'inquietezza, mentre insegue a tutta bri
teſilio, victoriae tantae gaudium consul sensit. glia il nemico, era stato dalla folla altrove balza
Amphipolim quum jam fama pugnae pervenis to; ed essendo tornato alquanto più tardi, allora
set, concursusque matronarum in templum Dia finalmente il console, riavuto il figliuolo, sentì
nae, quam Tauropolon vocant, ad opem expo in cuore tutta l'allegrezza di così grande vittoria.
scendam fieret; Diodorus, qui praeerat urbi, Essendo di già arrivata ad Anfipoli la nuova
metuens, ne Thraces, quorum duo millia in prae della battaglia, e concorrendo affollatamente le
sidio erant, urbem in tumultu diriperent, ab matrone al tempio di Diana, detto Tauripoli, ad
subornato ab se per fallaciam in tabellarii speciem implorare misericordia, Diodoro, ch'era governa
literas in foro medio accepit. Scriptum in iis tore della città, temendo che i Traci, ch'eran
crat, « ad Emathiam classem Romanam appul quivi a presidio in numero di due mila, non
sam esse, agrosque circa vexari. Orare praefectos saccheggiassero in quel tumulto la terra, da uno
Emathiae, ut praesidium adversus populatores subornato da lui, sotto la falsa figura di corriere,
mittat. » His lectis, hortatur Thracas, « ut ad ricevette alcune lettere nel mezzo della piazza.
tuendam Emathiae oram proficiscantur. Magnam Scrivevasi in quelle, e che la flotta Romana avea
eos caedem praedamdue, palalis passim per agros preso terra presso Emazia, e che si manometteva
liomanis, facturos. Simul elevat famam adversae tutto il contado: pregavanlo que prefetti che
Pugnae ; quae si vera foret, alium super alium mandasse loro soccorso contro i predatori. »
1791 TITI LIVII LIBER XLIV. 1792

recentes ex fuga venturos fuisse. m Per hanc Lette queste lettere, Diodoro esorta i Traci,
causam Thracibus ablegatis, simul transgressos « che vadano a proteggere la costa di Emazia,
eos Strymonem vidit, portas clausit. che farebbon quivi strage e preda grande, essendo
i Romani qua e colà sparsi per la campagna. Nel
tempo stesso scema la fama della battaglia per
duta; la quale, se vera fosse, sarebbon venuti,
l'un dopo l'altro, sempre nuovi fuggitivi. »
Avendo con questo pretesto via mandati i Traci,
come li vide aver di già passato lo Strimone,
chiuse le porte.
XLV. Tertio die Perseus, quam pugnatum XLV. Perseo, il terzo giorno da che s'era
erat, Amphipolim venit: inde oratores cum ca combattuto, venne ad Anfipoli: di là mandò
duceo ad Paullum misit. Interim Hippias, et Mi oratori a Paolo col caduceo. Intanto Ippia e Mi
lo, et Pantauchus, principes amicorum regis, Be lone e Pantauco, principali consiglieri del re,
roeam, quo ex acie confugerant, ipsi ad consu andati in persona al console, consegnano ai Ro
lem profecti, Romanis dedunt: hoc idem et aliae mani Beroea, dove rifuggiti s'erano dopo la bat
deinceps metu perculsae parabant facere. Consul, taglia: si preparavano a fare poscia lo stesso an
nunciis victoriae Q. Fabio filio et L. Lentulo et che altre città, percosse dallo spavento. Il con
Q. Metello cum literis Romam missis, spolia ja sole, spediti a Roma nunzii della vittoria Quinto
centis hostium exercitus peditibus concessit ; Fabio suo figlio, Lucio Lentulo e Quinto Metel
equitibus praedam circumjecti agri, dum neam lo, concedette ai fanti le spoglie del disfatto eser
plius duabus noctibus a castris abessent. Ipse pro cito nemico, ed alle genti a cavallo la preda delle
pius mare ad Pydnam castra movit. Beroea pri terre d'intorno, ma con patto che non istessero
mum, deinde Thessalonica, et Pella, et deinceps fuori del campo più di due notti. Egli appres
omnis ferme Macedonia intra biduum dedita. sandosi al mare, mosse inverso Pidna. Beroea dap
Pydnaei, qui proximi erant, nondum miserant prima, indi Tessalonica e Pella, e poscia quasi
legatos: multitudo incondita plurium simul gen tutta la Macedonia tra due giorni si arrendette.
tium, turbaque, quae ex acie fuga in unum com I Pidnei, ch'eran vicini, non aveano ancora spe
pulsa erat, consilium et consensum civitatis im diti ambasciatori : la confusa moltitudine di più
pediebat, nec clausae modo portae, sed etiam nazioni, e la turba, che dalla fuga s'era in quel
inaedificatae erant. Missi Milo et Pantauchus sub luogo solo raccolta, impediva alla città il delibe
muros ad colloquium Solonis, qui presidio erat: rare e consentire; e le porte non erano solamente
per eum emittitur militaristurba. Oppidum de chiuse, ma murate. Si spediscono Milone e Pan
ditum militibus datur diripiendum. Perseus, una tauco sotto le mura ad abboccarsi con Solone, che
tantum spe Bisaltarum auxilii tentata, ad quos vi stava a presidio: questi fa uscire tutta la turba
nequidquam miserat legatos, in concionem pro militare; la terra fu data a saccheggiarsi dai sol
cessit, Philippum secum filium habens; ut et dati. Perseo, non rimastagli nemmeno la speran
ipsos Amphipolitanos, et equitum peditumque, za del tentato aiuto de' Bisalti, a quali aveva in
qui aut semper secuti, aut fuga eodem delati vano spediti ambasciatori, uscì a parlamento,
erant, adhortando animos confirmaret. Sed ali avendo seco il figlio Filippo, per confortare gli
quoties dicere incipientem quum lacrymae prae animi degli Anfipolitani e delle genti a piedi e
pedissent, quia ipse dicere nequiit, Evandro Cre a cavallo, che o lo avevan sempre seguitato, od
tensi editis, quae agi cum multitudine vellet, de erano stati quivi balzati dalla fuga. Ma provatosi
templo descendit. Multitudo, sicut ad conspectum più volte a parlare, e sempre essendone dalle la
regis fletumque tam miserabilem et ipsa inge grime impedito, non potendo egli, detto al Cre
muerat lacrymavera toſue, ita Evandri orationem tese Evandro quello di che voleva intrattenere
aspernabatur; et quidam ausi media ex concio la moltitudine, discese dalla tribuna. Il popolo,
me succlamare: « Abite hinc, ne, qui pauci super siccome all'aspetto del re ed a quel suo misera
sumus, propter vos pereamus. » Horum ferocia bile pianto avea pur esso gemuto e lagrimato,
vocem Evandri clausit. Rex in domum se rece così non punto curava le parole di Evandro; ed
pit, pecuniaque et auro argentoque in lembos, anche alcuni nel mezzo del discorso osarono gri
qui in Strymone stabant, delatis, et ipse ad flu dare: « Partitevi di qua, acciocchè que pochi
men descendit. Thraces, navibus se committere che avanziamo, non abbiamo per cagion vostra
non ausi, domos dilapsi, et aliae militaris generis a perire. La ferocia di costoro chiuse la bocca
turbae: Cretenses spem pecuniae secuti. Et, quo ad Evandro. Il re ritirossi in casa, e trasportato
miam in dividendo plus offensionum, quam gra su lembi, che stavansi sullo Strimone, il danaro,
1 793 TITI LIVII LIBER XLIV. 1 794
tiae erat, quinquaginta talenta iis posita sunt in l'oro e l'argento, anch'egli imbarcossi. I Traci,
ripa diripienda. Ab hac direptione quum per tu non osando mettersi sulle navi, se n'andarono
multum naves conscenderent, lembum unum in alle lor case, e così l'altra turba militare; i Cre
ostio amnis multitudine gravatum merserunt. tesi, allettati dalla speranza del danaro, segui
Galepsum eo die, postero Samothracan, quam rono il re; e perchè nella divisione c'era più da
petebant, perveniunt: ad duo millia talentùm disgradarli che da soddisfarli, si depositarono
pervecta eo dicuntur. sulla riva cinquanta talenti, acciocchè se li piglias
sero essi medesimi. Come gli ebbero saccheggiati,
montando tumultuariamente sui legni, fecero
affondare alla bocca del fiume un lembo dal trop
po carico gravato. Giunsero in quel dì a Galepso
e l'altro a Samotraca, dov'erano diretti: dicesi
che vi furono trasportati due mila talenti.
XLVI. Paullus, per omnes deditas civitates di XLVI. Paolo, spediti per tutte le città, che si
missis, qui praeessent, ne qua injuria in nova pa erano arrendute, chi le governasse, acciocchè
ce victis fieret, retentisque apud se caduceatori nella novella pace non fosse fatta ai vinti nessuna
bus regis, P. Nasicam, ignarus fugae regis, Am ingiuria, e ritenuti presso di sè i caduceatori di
phipolim misit cum modica peditum equitumque Perseo, ignorando la di lui fuga, mandò ad An
manu; simul ut Sinticen evastaret, et ad omnes fipoli Publio Nasica con piccola banda di fanti
conatus regis impedimento esset. Inter haec Me e di cavalli, acciocchè ad un tempo e devastasse
liboea a Cn. Octavio capitur diripiturque: ad Sintice, ed impedisse ogni tentativo del re. In
Aeginium, ad quod oppugnandum Cn. Anicius questo mezzo Gneo Ottavio prende e mette
legatus missus erat, ducenti, eruptione ex oppido a sacco Melibea: a Eginio, ad espugnare il quale
facta, amissi sunt, ignaris Aeginiensibus debella era stato spedito il legato Gneo Anicio, si son
tum esse. Consul a Pydna profectus, cum toto perduti duecento uomini per una sortita fatta
exercitu die altero Pellam pervenit; et, quum dalla terra, non sapendo gli Eginesi esser finita
castra mille passus inde posuisset, per aliquot la guerra. Il console, partitosi da Pidna, arrivò
dies ibi stativa habuit, situm urbis undigue ad il dì seguente con tutto l'esercito a Pella ; ed es
spiciens; quam non sine causa delectam esse re sendosi accampate alla distanza quindi di un mi
giam advertit. Sita est in tumulo, vergente in oc glio, stette quivi alcuni giorni ad esaminare da
cidentem hibernum. Cingunt paludes inexsupe ogni parte il sito della città, e conobbe ch'ella
rabilis altitudinis aestate et hieme, quas resta non era stata senza ragione eletta a stanza reale.
gnantes faciunt lacus. In ipsa palude, qua proxi Pella è posta sur un'altura verso il ponente d'in
ma urbi est, velut insula eminet, aggeri operis verno: la cingono paludi d'insuperabile profon
ingentis imposita, qui et murum sustineat, et dità sì di verno che di state, fatte dai laghi in
humore circumfusae paludis nihil laedatur. Muro torno stagnanti. Nella stessa palude, dov'è più
urbis conjuncta procul videtur: divisa est inter vicina alla città, s'erge una fortezza, quasi un'iso
murali ammi, et eadem ponte juncta; ut nec. op la, sopra un argine di sorprendente lavoro, ac
pugnante externo, aditum ab ulla parte habeat; ciocchè sostenga il muro e vieti che faccia danno
mec, si quem ibi rex includat, ullum nisi per fa l'umidità della circostante palude. Questa fortez
cillimae custodiae pontem effugium. Et gaza re za sembra da lontano unita al muro della città;
gia in eo loco erat: sed tum nihil praeter tre n'è però divisa dal canale, che scorre tra le due
centa talenta, quae missa Gentio regi, deinde re mura, ed è congiunta alla città mediante un pon
tenta fuerant, inventum est. Per quos dies ad te; in guisa che battuta all'esterno, non offre
Pellam stativa fuerunt, legationes frequentes, accesso da parte alcuna; e se il re vi faccia chiu
quae ad gratulandum convenerant, maxime ex dere taluno, non v'ha onde fuggire, eccetto che
Thessalia, auditae sunt. Nuncio deinde accepto, pel ponte facilissimo a guardarsi. Era quivi il te
Persea Samothracam trajecisse, profectus a Pella soro del re; allora però non vi si trovarono che
consul quartis castris Amphipolim pervenit. Ef i trecento talenti ch'erano stati mandati al re
fusa omnis obvia turba cuivis indicio erat, non Genzio, indi ritenuti. Ne giorni che il console si
bono ac justo rege orba- [ tos, sed impotenti do stette a Pella, furono udite numerose ambascerie,
mino liberatos sibi Amphipolitanos videri. In specialmente dalla Tessaglia, venute a congratu
gressus urbem Paullus quum divinis rebus ope larsi. Indi, avuto avviso che Perseo passato era
raretur, sacrificiumque solemne faceret, de coelo a Samotraca, il console, partitosi da Pella, giunse
1acta subito ara arsit: sic interpretantibus om il quarto giorno ad Anfipoli. La grande moltitu
mious, acceptissima diis dona consulis esse, quae dine venutagli incontro manifestava [ che gli
Livio 2 I r ,
1795 TITI LIVII LIBER XLIV. 1796
etiam coelesti flamma consecrarentur. Non diu Anfipolitani si credevano non privati di un re
muratus Amphipoli consul, simul ad persequen giusto e buono, ma sì liberati da un prepoten
dum Persea, simul ut per omnes gentes, quae di te padrone. Paolo, entrato in città, mentre atten
tionis ejus erant, victricia arma circumferret, deva alle cose di religione e faceva un solenne
Odomanticen, regionem ultra Strymonem am sagrifizio, l'ara colpita da fulmine subitamente si
nem, petiit, et ad Siras castra posuit. I accese, interpretando ognuno essere i doni del
console accettissimi agli dei, poscia che la stessa
fiamma celeste gli consecrava. Il console, non
fermatosi lungamente in Anfipoli, volendo inse
guire Perseo, non che portare l'armi vittoriose
per tutte le province, ch'eran venute in suo po
tere, recossi a Odomantice, paese di là dello Stri
mone, e pose il campo presso a Sira. ] -

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TITI LIVII PATAVINI

H I ST O R I A R UM
AB URBE CONDITA LIBRI

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EPITOME

LIBRI QUADRAGESIMI QUINTI

Prea, ab Aemilio Paullo in Samothrace captus est. Perseo nella Samotracia è fatto prigione da Paolo
Quum Antiochus, Syriae rer, Ptolemaeum et Cleopa Emilio. Antioco, re della Siria, assediando Tolomeo
tram, Aegypti reges, obsideret, et missis ad eum a se e Cleopatra, re dell'Egitto, essendogli stati spediti
natu legatis, qui iuberent, ab obsidione socii regis legati dal senato con ordine che cessasse di assediare
absisteret, editisque mandatis consideraturum se ille, un re alleato del popolo Romano, com'ebbe udite le
quid faciendum esset, respondisset; unus ex legatis loro commissioni, rispose che avrebbe considerato ciò
Popillius virga regem circumscripsit, jussitgue, ante che gli convenisse di fare, allora Popillio, uno dei
guan circulo ea cederet, responsum daret. Qua aspe legati, rinchiuse Antioco dentro un cerchio segnatogli
ritate effecit, ut Antiochus bellum omitteret. Legatio d'intorno con la verga, che aveva in mano, e gl'inti
nes gratulantium populorum ac regum in senatum mò che rispondesse prima di uscirne; con la quale ri
admissae. Rhodiorum, guia eo bello contra populum solutezza fece sì che Antioco cessasse dalla guerra.
Romanum faverant, exclusa: postero die, quum de eo Sono introdotte in senato le ambascerie dei popoli e
quaereretur, ut iis bellum indiceretur, causam in se dei re, venute a congratularsi: quella de' Rodiani,
natu patriae suae legati egerunt: nec tamquam perchè aveano in quella guerra favoreggiato il nemi
hostes, nec tamquam socii dimissi. Macedonia in co, fu esclusa. Il di appresso, disputandosi se si
provincia e formam redacta est. Aemilius Paullus, avesse ad intimar loro la guerra, i legati trattarono
repugnantibus militibus ejus pronter minorem prae in senato la causa della lor pratica, e furono licen
dam, et contradicente Ser. Sulpicio Galba, triumpha ziati nè come amici, nè come nemici. La Macedonia
vit, et Persen cum tribus filiis ante currum durit. fu ridotta a forma di provincia. Paolo Emilio, con
Cujus triumphi laetitia ne solida ei contingeret, duo traddicendo i di lui soldati per la scarsa preda con
rum filiorum funeribus insignita est: quorum alterius seguita, ed opponendosi Sergio Sulpicio Galba, trionfo,
mors patris triumphum praecessit, alterius secuta est, e trasse dinanzi al carro Perseo co' suoi tre figli.
Lustrum conditum est a censoribus. Censa sunt civium Acciocchè non gli toccasse intera la letizia del trionfo,
1790 TITI LIVII EPITOME LIBRI QUADRAGESIMI QUINTI 18oo

capita trecenta duodecim millia, octingenta quinque. fu ella intristita dalla morte di due figliuoli, mancato
Prusias, Bithyniae rex, Romam, ut senatui gratulare uno prima e l'altro dopo il trionfo. I censori chiusero
tur ob victoriam ex Macedonia partam, venit; et Ni il lustro e si son noverati trecento dodici mila, otto
comedem filium senatui commendavit. Rex, plenus cento e cinque teste di cittadini. Prusia, re della
adulationis, libertum se populi Romani dicebat. Bitinia, venne a Roma a congratularsi col senato
della vittoria riportata sopra la Macedonia, e rac
comandò al senato il figlio Nicomede. Il re con bassa
adulazione s'intitolava liberto del popolo Romano.
TITI LIVII
LIBER QUADRA GE SIMUS QUINTUS
-tg3 333 e –

(Anno U.C.584. – A. C. 168) Viaorie nuncii, I. ( Anni D. R. 584. – A. C. 168.) E io


Q. Fabius et L. Lentulus et Q. Metellus, quanta venuti a Roma, con quanta si potè usare mag
potuit adhiberi festinatio, celeriter Romam quum giore celerità, nunzii della vittoria Quinto Fabio,
venissent, praecerptam tamen eius rei laetitiam Lucio Lentulo e Quinto Metello, nondimeno tro
invenerunt. Quarto post die, quam cum rege est varono già pregustata la notizia di quel fatto.
pugnatum, quum in Circo ludi fierent, murmur Il quarto giorno, da che s'era combattuto col re,
repente populi tota spectacula pervasit; « pu facendosi alcuni spettacoli nel circo, si diffuse
gnatum in Macedonia, et devictum regem esse. all'improvviso tra il popolo spettatore una voce
Dein fremitus increbruit; postremo clamor plau « che si era combattuto in Macedonia, e che
susque, velut certo nuncio victoriae allato, est Perseo era stato vinto. m Indi crebbe il rumore;
exortus. Mirari magistratus, et quaerere aucto finalmente levossi un grido ed un plauso, quasi
rem repentinae laetitiae. Qui postduam nullus giunta fosse certa notizia della vittoria. Maravi
erat, evanuit quidem tamquam incertaerei gau gliaronsi i magistrati e ricercarono l'autore della
dium ; omen tamen laetum insidebat animis. repentina notizia, e non trovatolo, svani, per
Quod postguam veris nunciis Fabii Lentulique vero dire, l'allegrezza, come di cosa ancora in
et Metelli adventu firmatum est, quum victoria certa; nondimeno se ne avea concepito lieto
ipsa, tum augurio animorum suorum, laetaban augurio. Il quale, come fu poi alla venuta di Fa
tur. Et aliter traditur circensis turbae non minus bio, di Lentulo e di Metello da sicure notizie
similis veri laetitia. Ante diem decimum Kalen confermato, si allegravano sì per la vittoria, sì
das Octobres, ludorum Romanorum secundo pel buono augurio, che ne aveano avuto. Rac
die, C. Licinio consuli, ad quadrigas mittendas contasi anche altramente e non meno verisimil
escendenti, tabellarius, qui se ex Macedonia ve mente la gioia sorta tra il popolo adunato nel
mire diceret, º laureatas literas dicitur. Quadrigis circo. Narrasi che a venti Settembre, nel secondo
missis, consul currum conscendit, et, quum per giorno de giochi Romani, un corriere, il quale
circum reveheretur ad foros publicos, laureatas si diceva venire dalla Macedonia, presentò al
tabellas populo ostendit. Quibus conspectis, re console Caio Licinio, mentre scendeva dalla
pente immemor spectaculi populus in medium gradinata per dar la mossa alle quadrighe, alcune
decurrit. Eo senatum consul vocavit, recitatisque lettere fregiate di alloro. Il console, lanciate le
tabellis, ex auctoritate Patrum pro foris publicis quadrighe al corso, salì sul carro e tornandosi
denunciavit populo: « L. Aemilium collegam per mezzo al circo ai seggi pubblici, mostrò al
signis collatis cum rege Perseo pugnasse. Macedo popolo le lettere fregiate di alloro. Vedute le
num exercitum caesum fusumque. Regem cum quali, il popolo incontamente, scordandosi dello
paucis fugisse. Civitates omnes Macedoniae in spettacolo, si slanciò nel mezzo del circo. Quivi
ditionem populi Romani venisse. » His auditis, il console radunò il senato, e recitate le lette
clamor cum ingenti plausu ortus: ludis relictis, re, dai pubblici seggi coll'autorità del Padri
18 o 3 TITI LIVII LIBER XLV. 18o4
domus magna pars hominum ad conjuges libe annunzia al popolo a che il suo collega, Lucio
rosque laetum nuncium portabant. Tertius de Emilio, avea combattuto col re Perseo; che
cimus dies erat ab eo, quo in Macedonia pugna l'esercito de' Macedoni era stato tagliato a pezzi
tum est.
e sbaragliato; che il re fuggito era con pochi ;
che tutte le città della Macedonia eran venute in
potere del popolo Romano. » Udite codeste cose,
levossi un grido di gioia con grande plauso;
lasciati i giuochi, la maggior parte degli uomini
si dava fretta di recare a casa alle mogli ed ai
figli la lieta novella. Era il giorno decimo terzo,
da che s'era combattuto in Macedonia.
Il. Postero die senatus in curia habitus, lI. Il dì seguente si radunò il senato nella
supplicationesque decretae, et senatusconsultum curia, si decretarono pubbliche preci, e si ordi
factum est, ut consul, quos, praeter milites socios nò che il console, tranne i soldati e le genti di
que navales, conjuratos haberet, dimitteret: de mare, licenziasse gli altri, da quali avea preso il
militibus sociisque navalibus dimittendis referre giuramento: quanto al licenziare i soldati e le
tur, quum legati ab L. Aemilio consule, a quibus genti di mare, se ne facesse riferta, quando fos
praemissus tabellarius esset, ”. Ante diem sextum sero giunti i legati spediti dal console Emilio,
Kalendas Octobres, hora fere secunda, legati da quali era stato mandato innanzi quel corriere.
urbem ingressi sunt, ingentem secum occur A ventisei di Ottobre, verso l'ora seconda, i le
rentium, quacumque ibant, prosequentiumque gati entrarono in Roma, traendo seco gran turba
trahentes turbam, in forum ad tribunal per di gente, ch'era loro corsa incontro, e gli accom
rexerunt. Senatus forte in curia erat: eo legatos pagnava dovunque andavano, e di filo drizzaron
consul introduxit. Ibr tantum temporis retenti, si in piazza al tribunale. Il senato per ventura era
dum exponerent, a quanta e regiae copiae peditum raccolto nella curia: il console v'introdusse i le
equitumque fuissent, quot millia ex his caesa, gati, dove furono ritenuti solamente insino a tan
quot capta forent, quan paucorum militum ja to ch'esposero, a quante erano le genti del re
ctura tanta hostium strages facta, quam cum a piedi ed a cavallo, quante migliaia mi erano state
paucis rex fugisset: existimari Samothraciam uccise, quante prese, con quanta poca perdita
petiturum, paratam classem ad persequendum de'nostri s'era fatta cotanta strage dei nemici,
esse; neque terra, neque mari elabi posse: » con quanti pochi il re era fuggito: credersi che
eadem haec paullo post in concionem traducti egli sarebbe andato in Samotracia, e la flotta es
exposuerunt; renovataque laetitia, quum con sere in punto per inseguirlo: non poter egli scap
sul edixisset, « ut omnes aedes sacrae aperiren par di mano, nè per terra, nè per mare º Poco

tur, º pro se quisque ex concione ad gratias agen di poi tradotti dinanzi al popolo, esposero le cose
das ire diis; ingentique turba, non virorum mo medesime; e rinnovatasi l'allegrezza, avendo il
do, sed etiam feminarum, conferta tota urbe deo console ordinato a che tutti i tempi si aprissero º
rum immortalium templa. Senatus, revocatus in ognuno partissi dalla piazza e recossi a ringrazia
curiam, supplicationes, ob rem egregie gestam re gli dei; i tempi de quali per tutta la città si
ab L. Aemilio consule, in quinque dies circa empierono di una infinita moltitudine di uomini
omnia pulvinaria decrevit, hostiisque majoribus ed eziandio di donne. Il senato, richiamato alla
sacrificari jussit. Naves, quae in Tiberi paratae curia, decretò che per le felici imprese del console
instructaeque stabant, ut, si rex posset resistere, Lucio Emilio, si facessero pubbliche preghiere
in Macedoniam mitterentur, subduci, et in nava per cinque giorni a tutti gli altari, e si sagrificas
libus collocari; socios navales, dato annuo sti sero le vittime maggiori; che le navi ch'eranº
pendio, dimitti, et cum his omnes, qui in con nel Tevere apparecchiate e fornite per essere spe
sulis verbajuraverant; et quod militum Corcy dite, se il re avesse potuto resistere, in Macedo
rae, Brundisii, ad mare superum, aut in agro nia, si tirassero in terra e si collocassero negli
Lacinati esset (omnibus his locis dispositus exer arsenali; che le genti di mare, dato loro lo sti
citus fuerat, cum quo, si res posceret, C. Licinius pendio di un anno, si licenziassero e con essi tutti
collegae ferret opem), hos omnes milites dimitti quelli, che avean giurato in mano del console º
placuit. Supplicatio pro concione populi indicta così tutti i soldati ch'erano a Corcira, a Brindisi,
est, ex ante diem quintum Idus Octobres cum nel mare di sopra o nel contado Larinate; (c'erº
eo die in quinque dies. in tutti codesti luoghi disposto un esercito, col

quale, se occorresse, Caio Licinio recasse soccºr


so al collega.) Le pubbliche preghiere furºnº
18o5 TITI LIVII LIBER XLV. 18oG

annunziate nell'assemblea del popolo pel giorno


quarto degl' Idi di Ottobre e per cinque giorni,
compreso quello.
III. Ex Illyrico duo legati, C. Licinius Nerva III. Due legati venuti dall'Illirico, Caio Li
et Decius, nunciarunt, a exercitum lllyriorum cinio Nerva e Publio Decio, arrecarono a che
caesum ; Gentium regem captum, in ditione po l'esercito degl'Illirii era stato tagliato a pezzi,
puli Romani et Illyricum esse. » Ob eas res, ge preso il re Genzio, e tutto l'Illirio caduto in po
stas ductu auspicioque L. Anicii praetoris, sena tere del popolo Romano. » Per questi fatti, acca
tus in triduum supplicationes decrevit, ut Lati duti sotto la condotta e gli auspizii del pretore
nae edictae a consule sunt in ante quartum et Lucio Anicio, il senato decretò tre giorni di pre
tertium et pridie Idus Novembres. Tradidere qui ghiere, le quali, alla foggia delle Latine, intimate
dam, legatos Rhodios, nondum missos, post vi furono dal console pe' giorni dodici, tredici e
ctoriam nunciatam, velut ad ludibrium stolidae quattordici di Ottobre. Alcuni hanno scritto che
superbiae, in senatum vocatos esse. Ibi Agesi gli ambasciatori Rodiani, non ancora licenziati,
polim principem eorum italocutum : « Missos dopo l'annunziata vittoria chiamati furono in
esse legatos ab Rhodiis ad pacem inter Roma senato, quasi a schernire la loro stolida superbia;
nos et Persea faciendam, quod id bellum gra e che quivi Agesipoli, capo della legazione, così
ve atque incommodum Graeciae omni, sumptuo parlò: a Ch'erano stati spediti a conciliar la pace
sum ac damnosum ipsis Romanis esset. Fortu tra i Romani e il re Perseo, per la ragione che
nam perbene fecisse, quando, finito aliter bello, quella guerra grave riusciva ed incomoda a tut
gratulandi sibi de victoria egregia Romanis op ta la Grecia, non che costosa e dannosa agli stessi
portunitatem dedisset. - Haec ab Rhodio dicta. Romani: aver però ben operato la fortuna, poi
Responsum ab senatu esse, « Rhodios nec utili chè, finita in altro modo la guerra, aveva offerto
tatium Graeciae, neque cura impensarum populi ad essi l'occasione di congratularsi coi Romani
Romani, sed pro Perseo legationem eam mi di così egregia vittoria. Così dissero i Rodiani.
sisse. Nam, si ea fuisset cura, quae simularetur, Il senato rispose, « Avere i Rodiani spedita quella
tum mittendos legatos fuisse, quum Perseus, in ambasceria non perchè si curassero dei vantaggi
Thessaliam exercitu inducto, per biennium Grae della Grecia, nè delle spese del popolo Romano,
cas urbes, alias obsideret, alias denunciatione ma sì per favoreggiare Perseo. Perciocchè, se
armorum terreret. Tum nullam pacis ab Rho fosse stato pel riguardo, che simulano, allora si
diis mentionem factam. Postguam superatos sal dovevano spedire ambasciatori, quando Perseo,
tus transgressosque in Macedoniam Romanos tradotto l'esercito nella Tessaglia, venne trava
audirent, et inclusum teneri Persea, tunc Rho gliando per due anni le città greche, altre asse
dios legationem misisse, non ad ullam aliam rem, diando, altre spaventando colla minaccia dell'ar
quam ad Persea ex imminenti periculo eripien mi sue. Allora non fecero i Rodiani menzione
dum. » Cum hoc responso legatos dimissos. alcuna di pace. Poi che udirono superati i passi,
ed i Romani entrati in Macedonia, e Perseo esser
chiuso da ogni parte, allora i Rodiani spedirono
l'ambasceria non ad altro oggetto che a scampare
Perseo dall'imminente pericolo. » Con questa
risposta i legati furono licenziati.
IV. Per eosdem dies et M. Marcellus, ex pro IV. A que dì medesimi Marco Marcello, par
vincia Hispania decedens, Marcolica nobili urbe tendo dal governo della Spagna, presa Marcolica,
capta, decem pondo auri, et argenti ad summam città nobilissima, depositò nell'erario dieci libbre
sestertii decies in aerarium retulit. Paullus Ae d'oro ed il valore in argento di dieci milioni di
milius consul, quum castra, ut supra dictum est, sesterzii. Il console Paolo Emilio, avendo il cam
ad Siras terrae Odomanticae haberet, quum lite po, come di sopra si è detto, a Sira nel paese
ras ab rege Perseo per ignobiles tres legatos cer degli Odomanti, leggendo le lettere del re Perseo,
neret, et ipse illacrymasse dicitur sorti humanae; recategli da tre ignobili legati, dicesi che lagri
quod, qui paullo ante non contentus regno Ma masse sulla sorte umana, considerando che quegli,
cedoniae, Dardanos Illyriosque oppugnasset, Ba il quale poco innanzi, non contento del regno di
starnarum excivisset auxilia, is tum, amisso exer Macedonia, aveva assaltati i Dardani e gl'Illirii
citu, extorris regno, in parvam insulam compul e suscitate l' armi dei Bastarni contro i Romani,
sus, supplex, fani religione, non viribus suis, ora quegli stesso, perduto l'esercito, scacciato
tutus esset. Sed postguam, a Regem Persea con dal suo regno, confinato in una picciola isola,
suli Paullo salutem, o legit; miserationem omnem supplichevole si difendeva colla santità del tem
18o7 TITI LIVII LIBIER XLIV. 18o8

stultitia ignorantisfortunam suam exemit. Itaque pio, non colle forze sue. Ma come ebbe letto,
quam quam in reliqua parte literarum minime ... il re Perseo manda salute al console Paolo, o
regia e preces erant, tamen sine responso ac sine la stoltezza dell'uomo, che ignorava lo stato di
literis ea legatio dimissa est. Sensit Perseus, cu sua fortuna, gli tolse ogni senso di compassione.
jus nominis obliviscendum victo esset ; itaque al Quindi, benchè nella rimanente parte del foglio
terae literae cum privati nominis titulo missae, le preghiere non punto degne fossero dire, non
et petiere, et impetravere, ut aliqui ad eun mit dimeno licenziò l'ambasceria senza risposta e
terentur, cum quibus loqui de statu et conditio senza lettere. Ben s'accorse allora Perseo, qual
ne suae fortunae posset. Missi sunt tres legati, P. . nome doveva vinto obbliare; quindi mandò altre
Lentulus, A. Postumius Albinus, A. Antonius. lettere con titolo di privato, le quali chiesero ed
Nihil ea legatione perfecium est, Perseo regium impetrarono che gli fossero mandati alcuni, coi
nomen omni vi amplectente, Paullo, ut se sua quali trattar potesse dello stato e condizione di
que omnia in fidem et clementiam populi Roma sua fortuna. Furono spediti tre legati, Publio
mi permitteret, contendente, Lentulo, Aulo Postumio Albino, Aulo Antonio.
Non ebbe codesta legazione alcun effetto, Perseo
ostinandosi a ritenere il nome di re, Paolo insi
stendo, perchè sè rimettesse e tutte le cose sue
alla fede e clemenza del popolo Romano.
V. Dum haec aguntur, classis Cn. Octavii Sa V. Mentre accadono codeste cose, la flotta di
mothracam est appulsa. Is quoque, praesenti ad Gneo Ottavio approdò in Samotracia. Intanto
moto terrore, modo minis, modo spe perlicere, che Ottavio, rinforzando colla presenza il terro
ut se traderet, quum conaretur, adjuvit in hoc re, si adoperava per ogni modo, ora colle minac
eum res, seu casu contracta, seu consilio. L. A ti ce, ora colla speranza, onde indurre Perseo ad
lius illustris adolescens, quum in concione esse arrendersi, venne ad aiutarlo in ciò cosa o acci
populum Samothracum animum advertisset, a dentale o meditata. Lucio Atilio, illustre giova
magistratibus petiit, ut sibi paucis alloquendi netto, avendo veduto il popolo di Samotracia
populi potestatem facerent. Permisso, « Utrum raccolto a parlamento, chiese ai magistrati che gli
nos, hospites Samothraces, vere accepimus, an fosse permesso di fare al popolo alcune poche
falso, sacram hanc insulam, et augusti totam at parole. Avutane licenza, « O Samotraci, disse,
que inviolati soli esse? » Quum creditae sancti abbiamo noi, ospiti vostri, inteso per avventura
tati assentirentur omnes, « Cur igitur, inquit, il vero od il falso che questa isola è sacra, e n'è
pollutam homicida sanguine regis Eumenis vio sacro tutto ed inviolabile il suo terreno? » Tutti
la vit? et, quum omnis praefatio sacrorum eos, affermando la da essi creduta santità, « e perchè
quibus non sint purae manus, sacris arceat, vos dunque, aggiunse, osa violarla un omicida tinto
penetralia vestra contaminari cruento latronis del sangue di Eumene? e perchè, quando la for
corpore sinetis? » Nobilis fama erat, apud omnes mola generale che precede i sagrifizii, ne scaccia
Graeciae civitates, Eumenis regis per Evandrum coloro, che non hanno le mani pure, permettete
IDelphis prope perpetrata caedes. ltaque, praeter che i vostri tempii sieno contaminati dalla pre
quam quod in potestate Romanorum sese in senza di un sicario imbrattato di sangue ? » Era
sulamque totam et templum cernebant esse, ne fama sparsa per tutte le città della Grecia che il
immerito quidem ea sibi exprobrari raii, Theon re Eumene fosse stato ne' contorni di Delfo pres-.
dam, qui summus magistratus apud eos erat (re so ad essere trucidato da Evandro. Quindi oltre
gem ipsi appellant), ad Persea mittunt, qui nun che vedevano già starsi in poter de Romani e sè
ciaret, « Argui caedis Evandrum Cretensem . stessi e l'isola tutta ed il tempio, e che non erano
Esse autem judicia apud sese more majorum com punto rinfacciati a torto di tal cosa, mandano
parata de iis, qui incestas manus intulisse intra Teonda, ch'era il loro supremo magistrato e che
terminos sacratos templi dicantur. Si confideret chiamavano re, a dire a Perseo, « essere Evandro
Evander, innoxium se rei capitalis argui, veniret accusato dell'assassinio di Eumene: aver essi una
ad causam dicendam; si committere se judicio maniera di giudizio instituita dai loro maggiori
non auderet, liberaret religione templum, ac si contro quelli, che sono incolpati di aver recate le
bimetipse consuleret. , Perseus, avocato Evan mani contaminate dentro i sagrati termini del
dro, « judicium subeundi nullo pacto auctoresse; tempio. Se confidasse Evandro d'essere innocen
nec causa, nec gratia parem fore. » Suberat et le dell'imputato delitto, venisse a difendersi; se

ille metus, ne damnatus auctorem se nefandi fa non osasse di commettersi al giudizio, liberasse
cinoris protraheret. « Reliqui quid esset, misi ut il tempio della contaminazione, e provvedesse a sè
fortiter moriatur? Nihil palam abnuere Evander; stesso. » Perseo, fatto chiamare Evandro, e lo
18o9 TITI LIVII LIBER XLV. 181 o

sed quum, veneno se malle mori, quan ferro, di sconsiglia dall'incontrare ad ogni patto il giudi
xisset, occulte fugam parabat. Quod quum re zio; che non ne uscirebbe in bene nè per qualità
nunciatum regi esset, metuens, ne, tamquam a se di causa, nè per favore. » Temeva eziandio Perseo
subtracto poenaereo, iram Samothracum in se che Evandro condannato non lo accusasse lui del
converteret, interfici Evandrum jussit. Qua per l'infame attentato. « Che restava, se non è corag
petrata temere caede, subiit extemplo animum, giosamente morire? » Evandro francamente vi
in se nimirum receptam labem, quae Evandri consente; se non che avendo detto che preferiva
fuisset: ab illo Delphis vulneratum Eumenem, morire di veleno piuttosto che di ferro, occulta
ab se Samothracae Evandrum occisum. Ita duo mente macchinava di fuggire; il che essendo sta
sanctissima in terris templa se uno auctore, san to riferito a Perseo, temendo egli di rivolgere
guine humano violata. Hujus rei crimen, corru contro di sè lo sdegno de' Samotraci, quasi esso
pto pecunia Theonda, avertitur, ut renunciaret medesimo costretto avesse il reo a sottostare alla
populo, Evandrum sibi ipsum mortem conscisse. pena, fe'uccidere Evandro. Fatta con poco con
siglio questa uccisione, subito gli venne al pen
siero, aversi egli addossata la colpa ch'era di
Evandro; che avendo Evandro a Delfo ferito
Eumene, aveva egli in Samotracia ucciso Evan
dro. Così i due tempi più venerati in terra,
erano stati per colpa di lui solo, di umano sangue
bruttati. Se non che stornò da sè codesta accusa,
avendo con danaro corrotto Teonda, acciocchè
annunziasse al popolo ch' Evandro s'era da sè
medesimo ucciso.
Vl. Ceterum tanto facinore in unicum reli-. VI. Del resto Perseo, con così grande scelle
ctum amicum, ab ipso per tot casus expertum, ratezza contro l'unico amico rimastogli, amico
proditumque, quia non prodiderat, omnium ab in tanti casi provato, ed ora tradito, perchè non
se abalienavit animos. Pro se quisque transire n'era stato egli tradito, gli alienò gli animi di
ad Romanos; fugaeque consilium capere solum tutti. Ognuno si volse alla parte dei Romani, e
prope relictum coegerunt; Oroandemque Cre lo costrinsero, rimasto quasi solo com' egli era,
tensem, cui nota Thraciae ora erat, quia mer a pensare alla fuga. Chiama egli Oroande Cretese,
caturas in ea regione fecerat, appellat, ut se pratico delle coste della Tracia, come quello che
sublatum in lembum ad Cotym deveheret. Deme avea colà mercanteggiato, perchè, presolo sopra
trium est portus in promontorio quodam Samo un lembo, lo trasportasse al re Coti. V'ha in un
thracae; ibi lembus stabat. Sub occasum solis certo promontorio della Tracia un porto, detto
deferuntur, quae ad usum necessaria erant; defer Porto-Demetrio ; il lembo stava quivi. Al tra
tur et pecunia, quanta clam deferri poterat. Rex montare del sole vi si trasporta quanto era neces
ipse nocte media, cum tribus consciis fugae, per sario all'uso, ed eziandio tutto quel più di da
posticum aedium in propinquum cubiculo hor naro che si poteva celatamente. Lo stesso re, in
tum, atque inde, maceriam aegre transgressus, sulla mezza notte, con tre persone consapevoli
ad mare pervenit. Oroandes jam tum, dum pe della fuga, uscito per l'uscio di dietro nell'orto
cunia deferretur, primis tenebris solverat navem, vicino alla sua stanza, e di là, scavalcata non sen
ac per altum Cretam petebat. Postguam in portu za fatica una muraglia, giunse al mare. Già Oroan
navis non inventa est, vagatus Perseus aliquam de, sin dal primo abbuiarsi della notte, come tosto
diu in litore, postremo timens lucem jam appro il danaro fu imbarcato, avea salpato e veleggiava
pinquantem, in hospitium redire non ausus, in inverso Creta. Poi che non si rinvenne il legno
latere templi prope angulum obscurum delituit. nel porto, Perseo errando alquanto tempo sul
Pueri regii apud Macedonas vocabantur princi lido, infine temendo l'approssimarsi del giorno,
pum liberi, ad ministerium electi regis.Ea cohors, non osando tornare alla sua stanza, si nascose da
persecuta regem fugientem, ne tum quidem ab un lato del tempio in un angolo oscuro. Presso
scedebat, donec jussu Cn. Octavii pronunciatum i Macedoni chiamavansi paggi reali que fanciulli
est per praeconem, « Regios pueros Macedonas de' principali signori ch'erano scelti a servire la
que alios, qui Samotbracae essent, si transirent persona del re; questo drappello, avendo seguito
ad Romanos, incolumitatem, libertatemdue et il re nella sua fuga, non cessava ancora di seguir
sua omnia servaturos, quae aut secum haberent, lo, insino a tanto che Gneo Ottavio fe' bandire,
aut in Macedonia reliquissent. » Ad hanc vocem a che i paggi reali e gli altri Macedoni, i quali
transitio omnium facta est, nominaque dabant fossero in Samotracia, se passassero alla banda
livio 2 1 14
18 i t TITI LIVII LIBER XLV. 1812

ad C. Postumium tribunum militum. Liberos dei Romani, conserverebbero la vita, la libertà e


quoque parvos regios Ion Thessalonicensis Octa tutto ciò che avessero seco, o lasciato avessero in
vio tradidit; nec quisquam, praeter Philippum, Macedonia.» A questa voce tutti passarono, dan
maximum natu e filiis, cum rege relictus. Tum do i loro nomi a Caio Postumio, tribuno de'sol
sese filiumque Octavio tradidit, fortunam deos dati. Jone Tessalonicese consegnò ad Ottavio an
que, quorum in templo erant, nulla ope suppli che i piccoli figli del re; il maggiore di età, Fi
cem juvantes, accusans. In praetoriam navem lippo, rimasto era col padre. Allora Perseo diede
imponi jussus: eodem et pecunia, quae super sè ed il figliuolo ad Ottavio, accusando la fortu
fuit, delata est; extemploque classis Amphipolim na e gli dei, nel tempio de' quali egli era, che
repetit. Inde Octavius regem in castra ad consu supplicati non gli avessero porto nessun soccorso.
lein misit, praemissis literis, ut in potestate eum Fu fatto salire sulla nave capitana, dove traspor
esse et adduci sciret. tossi anche il danaro che gli era rimasto, e im
mantinente la flotta tornò ad Anfipoli. Di là
Ottavio spedì il re al campo del console, premes
se lettere per informarlo che Perseo era preso e
che glielo trasmetteva.
VII. Secundam eam Paullus, sicut erat, vi VII. Stimando Paolo che questa fosse, come
ctoriam ratus, victimas cecidit eo nuncio; et, con era, una seconda vittoria, a tal nuova sagrificò
silio advocato, literas praetoris quum recitasset, parecchie vittime; e chiamato il consiglio, lette
Q. Aelium Tuberonem obviam regi misit; cete le lettere del pretore, mandò Quinto Elio Tube
ros manere in praetorio frequentes jussit. Non rone ad incontrare il re, facendo che gli altri
alias ad ullum spectaculum tanta multitudo oc consiglieri si rimanessero nel suo padiglione.
currit. Patrum aetate Syphax rex captus in ca Non in altro spettacolo mai tanta moltitudine
stra Romana adductus erat praeterquam quod nec corse a vedere. Al tempo dei padri nostri il re
sua, nec gentis fama comparandus, tunc quoque Siface era stato tratto prigione al campo Romano,
accessio Punici belli fuerat, sicut Gentius Mace ma non tale da mettersi al paragone nè per la
donici. Perseus caput belli erat; nec ipsius tan sua, nè per la fama della nazione, che altro egli
tum, patris avique, quos sanguine ac genere con non era stato che una giunta alla guerra Punica,
tingebat, fama conspectum eum efficiebat: sed come di poi Genzio alla guerra Macedonica.
effulgebant Philippus ac Magnus Alexander, qui Perseo era capo di quella guerra, nè solamente il
summum imperium in orbe terrarum Macedo rendea chiaro e cospicuo la fama di lui e del pa
mum fecerant. Pullo amictus illo Perseus ingres dre e dell'avolo, a quali apparteneva e per co
sus est castra, nullo suorum alio comite, qui so gnome e per sangue; ma ne cresceva il lustro
cius calamitatis miserabiliorem eum faceret. Pro
Filippo ed Alessandro il Grande, i quali avean
gredi prae turba occurrentium ad spectaculum fatto della Macedonia il più possente impero del
non poterat, donec consul lictores misisset, qui mondo. Perseo, vestito a bruno, entrò nell'ac
submovendo iter ad praetorium facerent. Con campamento Romano insieme col figlio, senza
surrexit consul, et jussis sedere aliis, progressus aver seco nessun de'suoi, che compagno della scia
que paullum, introeunti regi dertram porrexit, gura gli destasse intorno maggiore compassione.
submittentemdue se ad pedes sustulit; mec attin Non poteva passare innanzi per la calca della
gere genua passus, introductum in tabernaculum gente accorsa a vedere, insino a tanto che il con
adversus advocatos in consilium considere jussit. sole non ebbe mandati i littori che sgombrando
la, gli spianassero la strada al suo padiglione.
Rizzossi il console in piedi, e detto agli altri che
si stessero seduti, fattosi alquanto innanzi, all'en
trare del re gli porse la destra, e come si abbas
sava a' suoi piedi, egli rilevollo, nè sofferse che
gli toccasse le ginocchia, ed introdottolo nel pa
diglione il ſe sedere in faccia a quelli, che avea
chiamati al consiglio.
VIII. Prima percontatio fuit, a qua subactus VIII. La prima domanda si fu: « da quale
injuria contra populum Romanum bellum tam ingiuria sospinto avesse preso di guerreggiare sì
infesto animo suscepisset, quo se regnumque rabbiosamente contro il popolo Romano, onde
suum ad ultimum discrimen adduceret? » Quum, sè condurre ed il regno suo all'estremo cimen
responsum exspectantibus cunctis, terram in to? » Aspettando tutti la risposta, standosi egli,
tuens, diu tacitus fleret, rursum consul: « Si iu cogli occhi fitti in terra, lungamente in silenzio
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TITI LIVII LIBER XLv. 1814
venis regnum accepisses, minus equidem mira lagrimando, di nuovo il console: « Se tu fossi
rer, ignorasse te quam gravis aut amicus, aut salito giovine al trono, mi farebbe manco mara
inimicus esset populus Romanus. Nunc vero, viglia che tu avessi ignorato di che peso fosse
quum et bello patris tui, quod nobiscum gessit, l'amicizia o la mimicizia del popolo Romano;
interfuisses, et pacis postea, quam cum summa ma essendo tu stesso intervenuto nella guerra,
fide adversus eum coluimus, meminisses, quod ch'ebbe il padre tuo contro di noi, e dovendo
consilium, quorum et vim bello, et fidem in pace ricordarti della pace che gli abbiamo osservata
expertusesses, cum iis tibi bellum esse, quam pa con tutta la fedeltà, che pensiero fu il tuo voler
cem, malle? » Nec interrogatus, nec accusatus piuttosto aver guerra che pace con coloro, della
quum responderet; a Utcumque tamen haec, si cui forza in guerra, e della cui fede in pace
ve errore humano, seu casu, seu necessitate inci avevi di già fatto sperimento? Non risponden
derunt, bonum animum habe: multorum regum, do Perseo nè interrogato, nè accusato, a Comun
populorum casibus cognita populi Romani cle que però, soggiunse il console, accadute sieno
mentia non modo spem tibi, sed prope certam codeste cose, o per errore umano, o per caso, o
fiduciam salutis, praebet.» Haec Graeco sermone per forza di necessità, statti, o Perseo, di buon
Perseo; Latine deinde suis, a Exemplum insigne animo; la clemenza del popolo Romano, cono
cernitis, inquit, mutationis rerum humanarum. sciuta per diversi casi di popoli e di re, ti offre
Vobis hoc praecipue dico, juvenes:ideo in secun non solamente speranza, ma eziandio quasi certa
dis rebus nihil in quemquam superbe ac violen fiducia di salute. » Queste cose furon dette a
ter consulere decet, nec praesenti credere fortu Perseo in greco; poscia voltosi a suoi disse in
mae; quum, quid vesper ferat, incertum sit. Is latino : « Vedete un insigne esempio del muta
demum vir erit, cujus animum nec prospera flatu mento delle umane cose; il dico a voi massima
suo efferet, nec adversa infringet. » Consilio di mente, o giovani: per ciò non conviene nella
misso, tuendi cura regis Q. Aelio mandatur. Eo prosperità usar superbia e violenza contro nessu
die et invitatus ad consulem Perseus, et alius no, nè fidarsi della fortuna presente, essendo
omnis ei honos habitus est, qui haberi in tali incerto quel che la sera ci apporti. Uomo in fine
fortuna poterat. sarà colui, il cui animo nè la fortuna prospera
col soffio suo gonfierà, nè l'avversa fiaccherà. »
Licenziato il consiglio, la custodia del re fu
affidata a Quinto Elio. In quel dì medesimo
Perseo fu invitato alla mensa del console, e gli
furono renduti tutti quegli altri onori, che si po
teva rendergli in così fatta sua fortuna.
IX. Exercitus deinde in hiberna dimissus est. .IX. Poscia l'esercito fu mandato ai quartieri.
Maximam partem copiarum Amphipolis, reli La maggior parte delle genti accantonossi in
quas propinquae urbes acceperunt. Hic finis bel Anfipoli, le altre nelle città vicine. Questo fu il
li, quum quadriennium continuum bellatum es fine di quella guerra, che durò per quattro anni
set, inter Romanos ac Persea fuit; idem que finis continui tra i Romani e Perseo; e fu pure il fine
inclyti per Europae plerumque atque Asiam om di uno de più illustri regni che sia fiorito per
nem regni. Vicesimum ab Carano, qui primus una gran parte di Europa e per tutta l'Asia.
regnavit. Persea numerabant. Perseus, Q. Fulvio, Contavano Perseo il re ventesimo da Carano che
L. Manlio consulibus, regnum accepit: a senatu primo regnò. Perseo salì sul trono nel consolato
rex est appellatus, M. Junio, A. Manlio consuli di Quinto Fulvio e di Lucio Manlio: fu appellato
bus: regnavit undecim annos. Macedonum obscu re dal senato sotto i consoli Marco Giunio ed
ra admodum fama usque ad Philippum Amyntae Aulo Manlio: regnò undici anni. La fama dei
filium fuit: inde ac per eum crescere quum coe Macedoni fu assai oscura a Filippo, figlio di
pisset, Europae se tamen finibus continuit, Grae Aminta; indi avendo cominciato a crescere per
ciam omnem et partem Thraciae atque Illyrici opera di lui, stettesi nondimeno tra i confini di
amplexa. Superfudit deinde se in Asiam; et tre Europa, abbracciando tutta la Grecia e parte
decimannis, quibus Alexander regnavit, primum della Tracia e dell'Illirico. lndi si diffuse in Asia,
omnia, qua Persarum prope immenso spatio im e ne tredici anni che regnò Alessandro, primie
perium fuerat, suae ditionis fecit. Arabas hinc ramente s'impadronì egli di quanto era stato
Indiamoue, qua terrarum ultimus finis Rubrum soggetto per immenso spazio di terra alla domi
mare amplectitur, peragravit. Tum maximum in nazione dei Persiani. Indi corse sino agli Arabi
terris Macedonum regnum momenque; indemor ed all'India, dove il mar Rosso abbraccia gli
te Alexandri distractum in multa regna, dum ad ultimi confini del mondo. Allora il regno ed il
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se quisque opes rapiunt, lacerantes viribus: a nome dei Macedoni fu il più grande che si fosse
summo culmine fortunae ad ultimum finem cen in terra. Poscia, dopo la morte di Alessandro,
tum quinquaginta annosstetit. distratto in molti regni, mentre ognuno si ado
pera per trarre a sè violentemente la potenza,
lacerate le forze, dal sommo apice decaduto durò
sino al fine ultimo cento e cinquant'anni.
X. Victoriae Romanae fama quum pervasisset X. Essendosi diffusa per tutta l'Asia la fama
in Asiam, Antenor, qui cum classe lemborum ad della vittoria dei Romani, Antenore, il quale si
Phanas stabat, Cassandriam inde trajecit. C. Po stava a Fane colla flottiglia dei lembi, passò a
pillius, qui ad Delum praesidio navibus Macedo Cassandria. Caio Popillio, che da Delo scortava
miam petentibus erat, postduam debellatum in le navi, che andavano in Macedonia, come ebbe
Macedonia, et statione submotos hostium lembos udito esser finita la guerra di Macedonia e i legni
audivit, dimissis et ipse Atticis navibus, ad su nemici avear lasciata quella stazione, anch'egli,
sceptam legationem peragendam navigare Aegy licenziate le navi Ateniesi, veleggia alla volta
ptum pergit; ut prius occurrere Antiocho pos dell'Egitto per compiere l'intrapresa legazione,
set, quam ad Alexandriae moenia accederet. sì che potesse farsi incontro ad Antioco, innanzi
Quum praeterveherentur Asiam legati, et Lory ch'egli si accostasse alle mura di Alessandria.
ma venissent, qui portus viginti paullo amplius Costeggiando i legati l'Asia, e venuti a Lorima,
millia ab Rhodo abest, ex adverso urbi ipsi posi porto discosto da Rodi poco più di venti miglia
tus, principes Rhodiorum occurrunt (jam enim e che sta di fronte alla stessa città, i principali
eo quoque victoriae fama perlata erat ) orantes, Rodiani (ch'era giunta colà pure la fama della
« ut Rhodum deveherentur. Pertimere id ad fa vittoria) vengono loro incontro pregandoli «che
mam salutemdue civitatis, noscere ipsos omnia, sbarcassero a Rodi e riferissero a Roma quello
quae acta essent, agerenturque Rhodi, et comper che avessero veduto cogli occhi proprii, non
ta per se, non vulgata fama, Romam referre. » quello che avesse la fama vagamente divolgato. »
Diu negantes perpulerunt, ut moram navigatio Avendo i legati lungamente resistito, pure gl'in
nis brevem pro salute sociae urbis paterentur. dussero a frammetter breve dimora al lor viaggio
Postguam Rhodum ventum est, in concionem per la salute di un'amica città. Poi che furono a
quoque eos iidem precibus pertraxerunt. Adven Rodi, gli trassero colle stesse preghiere a interve
tus legatorum auxit potius timorem civitati, quam nire al parlamento. La venuta dei legati accrebbe
minuit: omnia enim Popillius, quae singuli uni più che non scemò il timore della città; percioc
versidue eo bello hostiliter dixerant, fecerantgue, chè Popillio rinfacciò loro tutto quello che avea
retulit: et, virasper ingenio, augebat atrocitatem ciascuno in particolare, e tutti insieme detto ed
eorum, quae dicerentur, vultu truci et accusato operato con animo ostile in quella guerra; ed
ria voce; ut, quum propriae simultatis nulla cau uomo, com'egli era, d'indole aspra, accresceva
sa cum civitate esset, ex unius senatoris Romani col truce volto e colla voce minacciosa l'atrocità
acerbitate, qualis in se universi senatus animus delle cose, che venia dicendo, in guisa che non
esset, conjectarent. C. Decimii moderatior oratio avendo egli nessun motivo proprio di rancore
fuit,qui, «in plerisque eorum,quae commemorata verso la città, dall'acerbità di un solo senatore
a Popillio essent, culpam non penes populum, congetturavano quale fosse l'animo di tutto il
sed penes paucos concitores vulgi esse, dixit. Eos senato verso di loro. Fu più moderato il linguag
venalem linguam habentes, decreta plena regiae gio di Caio Decimio, il quale, « nelle cose, disse,
assentationis fecisse, et eas legationes misisse, rammemorate da Popillio, la colpa era non del
quarum Rhodios semper non minus puderet, popolo intero, ma sì di pochi sommovitori del
quam poeniteret. Quae omnia, si tamen populo volgo. Costoro, che avean la lingua venale, fatto
foret, in capita noxiorum versura. » Cum magno aveano decreti pieni di adulazione del re, ed
assensu auditus est, non magis eo, quod multi aveano spedite ambascerie, delle quali avrebbono
tudinis noxam elevabat, quam quod culpam in avuto sempre i Rodiani non meno vergogna che
auctores verterat. Itaque quum principes eorum pentimento. Il che tutto, se così il popolo volesse,
Romanis responderent, nequaquam tamen tam ricadrebbe sul capo de'colpevoli. » Fu Decimio
grata oratio eorum fuit, qui, quae Popillius obje ascoltato con grande consentimento, nè tanto
cerat, diluere utcumque conati sunt, quam eo perchè scemava la colpa del maggior numero,
rum, qui Decimio in auctoribus ad piaculum no quanto perchè l'avea riversata sul capo degli
xae objiciendis assensi sunt. Decretum igitur ex autori. Quindi avendo i principali cittadini di
templo, ut, qui pro Perseo adversus Romanos Rodi risposto ai Romani, non fu così grato il
dixisse quid, aut fecisse, convincerentur, capitis discorso di quelli, che si erano provati di purgare
1817 TITI LIVII LIBER XLV. 18 18

condemnarentur. Excesserunt urbe sub adventu le obbiezioni fatte da Popillio, come quello degli
Romanorum quidam, alii mortem sibi conscive altri che assentivano a Decimio, perchè gli autori
runt. Legati, non ultra quam quinque dies Rhodi fossero obbligati ad espiare la colpa. Fu dunque
morati, Alexandriam proficiscuntur. Nec eo se subito decretato che coloro, i quali fossero con
gnius judicia ex decreto coram his facto Rhodi vinti di aver detto o fatto alcun che in favore di
exercebantur: quam perseverantiam in exsequen Perseo contro i Romani, fossero puniti capital
da re Decimii lenitas. ” mente. Alcuni, alla venuta de' Romani, uscirono
subito da Rodi, altri si diedero la morte. I legati,
fermatisi a Rodi non più di cinque giorni, vanno
in Alessandria. Nè per questo procedevano a
Rodi meno lentamente i giudizii comandati dal
decreto fatto in loro presenza; la quale perseve
ranza di esecuzione era stata più infiammata dalla
dolcezza stessa di Decimio. *
XI. Quum haec gererentur, Antiochus frustra X1. Mentre accadevano codeste cose, Antioco,
tentatis moenibus Alexandriae abscesserat; cete avendo tentato invano di superar le mura di
raque Aegypto potitus, relicto Memphi majore Alessandria, se n'era levato; e impadronitosi del
Ptolemaeo, cui regnum quaeri suis viribus simu resto dell'Egitto, lasciato a Menfi il maggior
labat, ut victorem mox aggrederetur, in Syriam Tolomeo, a cui simulava di voler acquistare con
exercitum adduxit. Nec hujus voluntatis ejus le sue forze il regno, per poi, come fosse vincitore,
ignarus Ptolemaeus, dum conterritum obsidionis dargli addosso, ritrasse l'esercito in Siria. E non
metu minorem fratrem haberet, possese recipi ignorando Tolomeo codesta intenzione di Antio
Alexandriae, et sorore adjuvante, et non repu co, e pensando che mentre il timore dell'assedio
gnantibus fratris amicis, ratus; primum ad so teneva angustiato il suo fratello minore, potrebbe
rorem, deinde ad fratrem amicosque ejus, non pur essere accettato in Alessandria coll'aiuto della
prius destitit mittere, quam pacem cum iis con sorella e coll'assentimento degli amici del fratello,
firmaret. Suspectum Antiochum effecerat, quod, non cessò di mandare messaggi primieramente
cetera Aegypto sibi tradita, Pelusii validum re alla sorella, poi al fratello ed agli amici di lui
lictum erat praesidium. Apparebat, claustra Ae insino a tanto che non ebbe segnata la pace con
sypti teneri, ut, quum vellet, rursus exercitum loro. Gli era divenuto sospetto Antioco, perchè,
induceret: bello intestino cum fratre eum exi avendogli consegnato il resto dell'Egitto, avea
tum fore, ut victor, fessus certamine, nequaquam ritenuto a Pelusio un valido presidio. Appariva
par Antiocho futurus esset. Haec, prudenterani chiaro ch'ei si teneva in mano la chiave dell'Egit
madversa a majore, cum assensu minor frater, to, per poi, quando volesse, ricondurvi l'esercito
quique cum eo erant, acceperunt: soror plurimum nuovamente; dovendo la guerra intestina col
adjuvit, non consilio modo-, sed etiam preci fratello tal esito avere, che il vincitore, stanco
bus. Itaque, consentientibus cunctis pace facta, della lotta, non avrebbe potuto esser pari ad
Alexandriam recipitur, ne multitudine quidem Antioco. Queste considerazioni, fatte prudente
adversante, quae in bello, non per obsidionem mente dal maggiore, furono di buon grado
modo, sed etiam postguam a moenibus absces accolte dal fratello minore e da quelli ch'erano
sum est, quia nihil ex Aegypto subvehebatur, con lui: la sorella lo giovò moltissimo, nè sola
omnium rerum attenuata inopia erat. His quum mente col consiglio, ma eziandio con le preghiere.
laetari Antiochum conveniens esset, si reducendi Quindi, segnata la pace col consentimento di
ejus causa exercitum Aegyptum induxisset, quo tutti, fu egli ricevuto in Alessandria, senza che
specioso titulo ad omnes Asiae et Graeciae civi vi si opponesse nemmeno la molitudine, la quale
tates, legationibus recipiendis literisque dimit non solamente durante l'assedio, ma eviandio
tendis, usus erat, adeo est offensus, ut multo dopo che fu levato, avea patito inopia di tutto,
acrius infestinsque adversus duos, quam ante ad perchè niente arrivava dall'Egitto. Mentre avreb
versus unum, pararet bellum. Cyprum extemplo be dovuto rallegrarsi Antioco dell'accaduto, se
classem misit: ipse, primo vere cum exercitu Ae avesse veramente tratto l'esercito in Egitto per
gyptum petens, in Coelen Syriam processit. Circa rimetterlo sul trono, titolo specioso, del quale
Rhinocolura Ptolemaei legatis agentibus gratias, s'era servito ricevendo ambascerie o mandando
quod per eum regnum patrium recepisset, peten lettere per tutte le città dell'Asia e della Grecia,
tibusque, ut suum munus tueretur, et diceret m'ebbe invece tal cruccio, che apparecchiossi a
potius, quid fieri vellet, quam, hostis ex socio guerra contro i due fratelli fiera e rabbiosa più
factus, vi atque armis ageret, respondit; « Non che prima contro di un solo. Mandò subito la
1819 T'ITI LIVII LIBER XLV. 182o

aliter neque classem revocaturum, neque exer flotta a Cipro; ed egli sul principio della prima
citum reducturum, nisi sibi et tota Cypro, et Pe vera, mossosi coll'esercito alla volta dell'Egitto,
lusio, agroque, qui circa Pelusiacum ostium Nili s'inoltrò sino in Cele-Siria. Venuti i legati di
esset, cederet: m diemque praestituit, intra quan Tolomeo ne'contorni di Rinocolura a ringraziar
de conditionibus peractis responsum acciperet. lo che avesse egli per opera sua ricuperato il
regno, ed a pregarlo che mantenesse salvo il suo
dono ed esponesse qual cosa amava che fatta
fosse, piuttosto che di alleato divenuto nemico
usare l'armi e la forza; Antioco rispose «ch'egli
non richiamerebbe la flotta, nè ritrarrebbe l'eser
cito, se non se quando Tolomeo gli cedesse tutta
l'isola di Cipro e Pelusio, e le terre, che sono
intorno alla foce Pelusiaca all'imboccatura del
Nilo; e stabilì il giorno, dentro il quale avreb
be attesa la risposta alle proposte condizioni.
XII. Postguam dies data induciis praeteriit, ” XII. Spirato il giorno assegnato alla tregua,
navigantibus ostio Nili ad Pelusium, per deserta mentre i capitani delle sue forze navali, che
Arabiae “ad Memphim incolebant, et ab ceteris accompagnavano l'èsercito di terra, dalla foce
Aegyptiis, partim voluntate, partim metu, ad del Nilo navigavano verso Pelusio, pe' deserti
Alexandriam modicis itineribus descendit. Ad dell'Arabia entrato in Egitto, ed accolto dagli
Leusinem transgresso flumen, qui locus quatuor abitanti di Menfi e dagli altri Egiziani, parte
millia ab Alexandria abest, legati Romani occur per inclinazione, parte per timore, in poche
rerunt: quos quum advenientes salutasset, der giornate accostossi ad Alessandria. Avendo pas
tramque Popillio porrigeret; tabellas ei Popil sato il fiume Leusine, in un luogo distante quat
lius scriptum habentes tradit, atque omnium pri tro miglia da Alessandria, se gli fecero quivi
mum id legere jubet. Quibus perlectis, quum se incontro i legati Romani; ed avendoli Antioco
consideraturum, adhibitis amicis, quid facien salutati e porgendo la destra a Popillio, questi
dum sibi esset, dixisset; Popillius, pro cetera gli consegna le tabelle scritte, dicendogli che
asperitate animi, virga, quam in manu gerebat, innanzi ad ogni altra cosa ne legga il conte
circumscripsit regem ; ac, a Priusquam hoc cir nuto. Antioco, com'ebbe letto, dicendo che avreb
culo excedas, inquit, redde responsum, senatui be considerato co' suoi consiglieri ciò che avesse
quod referam. » Obstupefactus tam violento im a fare, Popillio, per una certa sua natia fierezza,
perio parumper quum haesitasset, « Faciam in colla verga che aveva in mano chiuse il re dentro
quit, quod censet senatus. » Tum demum Popil un cerchio tracciato in terra, e disse, « lnnanzi
lius dextram regi, tamquam socio atque amico, che tu esca da questo cerchio, dammi la risposta,
porrexit. Die deinde finita quum excessisset Ae che ho da recare al senato. » Sbalordito da così
gypto Antiochus, legati, concordia etiam auctori violento comando, avendo alcun poco esitato,
tate sua inter fratres firmata, inter quos vixdum « Farò, disse il re, come piace al senato. » Allora
convenerat, pars Cyprum navigant, et inde, quae finalmente Popillio porse la destra al re, come
jam vicerat proelio Aegyptias naves, classem An alleato ed amico. Uscito Antioco dall'Egitto nel dì
tiocho dimittunt. Clara ea per gentes legatio fuit, convenuto, i legati, rassodata con l'autorità loro
quod haud dubie adempta Antiocho Aegyptus la concordia tra i fratelli, tra quali era appena
habenti jam, redditumque patrium regnum stirpi segnata la pace, fanno vela per Cipro e ne licen
Ptolemaei fuerat. Consulum ejus anni, sicut alte ziano la flotta di Antioco, che avea già superate
rius clarus consulatus insigni victoria, ita alterius in battaglia le navi Egiziane. Fu assai famosa tra
obscura fama, quia materiam res gerendi non le nazioni codesta legazione, per cui fu tolto chia
habuit. Jam primum quum legionibus ad conve ramente l'Egitto ad Antioco, che già il possedeva,
niendum diem dixit, non auspicato templum in e fu restituito il patrio regno alla schiatta di To
travit. Vitio diem dictam esse augures, quum ad lomeo. Dei consoli di quell'anno, come dell'uno fu
eos relatum est, decreverunt. Profectus in Gal illustre il consolato per la riportata egregia vitto
liam circa Macros campos ad montes Sicimimam ria, così dell'altro si rimase oscura la fama, perchè
et Papinum stativa habuit: deinde circa eadem non ebbe occasione di operare. Da principio, as
loca cum sociis nominis Latini hibernabat: le segnato ch'ebbe il giorno, in cui le legioni si rac
giones Romanae, quod vitio dies exercitui ad cogliessero, entrò nel tempio senza prendere gli
conveniendum dicta erat, Romae manserant. Et auspizii: riferita la cosa agli auguri, decretarono
praetores, praeter C. Papirium Carbouem, cui che c'era stato effettivamente difetto nell'assegna
182 I TITI LIVII LIBER XLV. 1822

Sardinia e venerat, in provincias iere. Eum jus zione del giorno. Andato in Gallia, si accampò
dicere Romae (nam eam quoque sortem habe nei contorni dei Campi-Macri presso i monti Sici
bat) inter cives et peregrinos Patres censuerant. mima e Papino; poi svernò ne' luoghi medesimi
cogli alleati del nome Latino: le legioni Roma
me, perchè c'era stato difetto nell'assegnazione
del giorno statuito a radunarsi, erano rimaste
a Roma. Anche i pretori, eccetto Caio Papirio
Carbone, cui toccata era la Sardegna, andarono
alle loro province. I Padri vollero che Papirio
rendesse ragione in Roma tra i cittadini e i fore
stieri; chè egli aveva anche codesta incumbenza.
XIII. Et Popillius, et ea legatio, quae missa XIII. Tornossi a Roma anche Popillio e quella
ad Antiochum erat, Romam rediit; retulit, con legazione ch'era stata spedita ad Antioco, e riferì
troversias inter reges sublatas esse, exercitumque ch'era stata tolta ogni controversia tra quei re,
ex Aegypto in Syriam reductum. Post ipsorum e che l'esercito era stato ritirato dall'Egitto in
regum legati venerunt: Antiochi legati, referen Siria. Vennero poscia i legati di quere medesimi.
tes, a Omni victoria potiorem pacem regi, quae Quelli di Antioco dissero: « Essere sembrata al
senatui placuisset, visam : eumque haud secus, re più bella d'ogni vittoria la pace ch'era piaciuta
quam deorum imperio, legatorum Romanorum al senato; ed aver egli non altrimenti che ad un
jussis paruisse.» Gratulati deinde victoriam sunt, comando degli dei, obbedito agli ordini dei legati
« ad quam summa ope, si quid imperatum foret, Romani. » Indi congratularonsi della vittoria,
adfuturum regem fuisse. » Ptolemaei legati, com « alla quale il re contribuito avrebbe con tutte
muni nomine regis et Cleopatrae, gratias ege le sue forze, se gli fosse stato imposto che che
runt, « Plus eos senatui populoque Romano, sia. » I legali di Tolomeo, a nome in comune del
quam parentibus suis, plus, quam diis immorta re e di Cleopatra, grazie rendettero, protestando
libus, debere; per quos obsidione miserrima li « che dovevano al senato ed al popolo Romano
berati essent, regnum patrium prope amissum più che agli dei immortali; poi ch'erano stati
recepissent. n Responsum ab senatu est: « An liberati da un tristissimo assedio, ed aveano per
tiochum recte atque ordine fecisse, quod legatis opera loro ricuperato il quasi perduto regno
paruisset, gratumque id esse senatui populoque paterno.» Ad Antioco il senato rispose: « Essersi
Romano. Regibus Aegypti, Ptolemaeo Cleopa il re bene e rettamente comportato, avendo
traeque: « Si quid per se boni commodique eve ubbidito ai legati Romani; e ciò riuscire grato
nisset, id magnopere senatum laetari, daturum al senato ed al popolo Romano. " Ai re d'Egitto
que operam, ut regni sui maximum semper prae Tolomeo e Cleopatra: « Grandemente allegrarsi
sidium positum esse in fide populi Romani du il senato, se per opera sua era loro bene o
cant. , Munera legatis ut ex instituto mittenda vantaggio alcuno avvenuto; e ſarebbe in guisa
curaret, C. Papirio praetori mandatum. Literae che avrebbono a stimare starsi riposto il massimo
deinde Macedonia allatae, quae victoriae laetitiam presidio del regno nella fede del popolo Roma
geminarent: a Persea regem in potestatem con no. » Fu commesso al pretore Caio Papirio di
sulis venisse. - Dimissis legatis, disceptatum in provvedere che spediti fossero ai legati i consueti
ter Pisanos Lunensesque legatos, Pisanis queren regali. Poscia recate forono lettere di Macedonia
tibus, agros se a colonis Romanis pelli; Lunensi che addoppiarono la letizia della vittoria, annun
bus affirmantibus, eum, de quo agatur, a trium ziando a esser venuto il re Perseo in potere del
viris agrum sibi assignatum esse. Senatus, qui de console. - Licenziati i legati, si disputò tra i
finibus cognoscerent statuerentque, quinqueviros Pisani ed i Lunesi, lagnandosi i Pisani che i colo
misit, Q. Fabium Buteonem, P. Cornelium Bla ni Romani gli scacciavano dalle lor terre, soste
sionem, T. Sempronium Muscam, L. Naevium nendo i Lunesi che le terre, di cui si tratta, erano
Balbum, C. Appulejum Saturninum. Et ab Eu state loro assegnate dai triumviri. Il senato
mene et ab Attalo et Athenaeo fratribus, com mandò a riconoscere ed a piantare i confini
munis legatio de victoria gratulatum venit. Et Quinto Fabio Buteone, Publio Cornelio Blasione,
Masgabae, regis Masinissae filio, Puteolis navem Tito Sempronio Musca, Lucio Nevio Balbo e Caio
egresso, praesto fuit, obviam missus cum pecunia, Appuleio Saturnino. Anche da Eumene e dai fra
L. Manlius quaestor, qui Romam eum publico telli suoi Attalo ed Ateneo, venne un'ambasceria
sumptu perduceret. Advenienti extempto senatus in comune a congratularsi della vittoria. Ed a
datus est. Is adolescens ita locutus est, ut, quae Masgaba, figlio del re Masinissa, sbarcato a Poz
rebus grata erant, gratiora verbis faceret. Com zuolo, fu spedito incontro con danaro il questore
1823 TITI LIVII LIBER XLV. 1824
memoravit, a quot pedites equitesque, quot ele Lucio Manlio, acciocchè il traducesse a Roma a
phantos, quantum frumenti eo quadriennio pa pubbliche spese. Alla sua venuta fu introdotto
ter suus in Macedoniam misisset. Sed duas res ei subito in senato. Parlò in guisa questo giovanet
rubori fuisse: unam, quod rogasset eum per le to, che le cose di per sè grate, le fe più grate
gatos senatus, quae ad bellum opus essent, et non ancora con le parole. Rammemorò a quanti fanti
imperasset: alteram, quod pecuniam ei pro fru e cavalli, quanti elefanti, quanto frumento aveva
mento misisset. Masinissam meminisse, regnum il padre suo in quei quattr'anni spedito in
a populo Romano partum auctumque et multi Macedonia. Ma due cose gli aveano recato dolo
plicatum habere: usu regni contentum scire, do re; una, che il senato gli avesse chiesto col
minium et jus eorum, qui dederint, esse. Sumere mezzo di legati ciò che facea di mestieri per la
itaque eosdem, non se rogare, aequum esse, ne guerra, e non l'avesse piuttosto comandato; l'al
que emere ea, ex fructibus agri ab se dati, quae tra, che gli avesse spedito il danaro da pagare il
ibi proveniant. Id Masinissae satis esse, et fore, frumento. Masinissa si ricordava che il popolo
quod populo Romano superesset. Cum iis man Romano gli aveva riacquistato, amplificato e
datis a patre profectum postea consecutos equi moltiplicato il regno; contento di averne l'uso,
tes, qui devictam Macedoniam nunciarent, gra saper egli appartenerne il dritto ed il dominio a
tulatumque senatui juberent indicare, tantae eam coloro, che glielo avevano dato. Era dunque
rem laetitiae patri suo esse, ut Romam venire ragione che si prendessero e non che pregassero,
velit, Jovique optimo maximo in Capitolio sacri nè comperassero i frutti che provengono dalle
ficare, et grates agere: id, misi molestum sit, ut terre, ch'essi medesimi avean donate. Era e sa
ei permittatur, ab senatu petere. » rebbe sempre bastante a Masinissa quello che
avanzasse al popolo Romano. Esser egli partito
con queste commissioni del padre; aveanlo però
raggiunto alcuni corrieri, che gli annunziavano
vinta la Macedonia, e gli ordinavan, congratulan
dosi col senato, di manifestargli tanta essere per
cotal fatto la letizia del padre suo, ch'egli voleva
venire a Roma e sagrificare a Giove ottimo
massimo sul Campidoglio e rendergli grazie, e
perciò, se non gli fosse discaro, ne chiedeva al
senato la permissione. »
XIV. Responsum regulo est: « Facere patrem XIV. Fu risposto al giovanetto: « Farsi dal
ejus Masinissam, quod virum gratum bonumque padre suo Masinissa ciò che conviene ad uomo
facere deceat, ut pretium honoremdue debito buono e riconoscente coll'aggiungere onore e
beneficio addat. Et populum Romanum ab eo, pregio al ricevuto benefizio. Era stato il popolo
bello Punico, forti fidelique opera adjutum ; et Romano nella guerra Punica da lui aiutato con
illum, favente populo Romano, regnum ade opera forte e fedele; ed egli col favore del popo
ptum; aequitate sua postea trium regum bellis lo Romano e col suo valore avea riacquistato il
deinceps omnibus functum officiis. Victoria vero proprio regno. In appresso, nelle guerre avute
populi Romani laetari eum regem mirum non esse, contro tre re, avea pienamente soddisfatto ad
qui sortem omnem fortunae regnique sui cum ogni uffizio. Non esser poi maraviglia che si alle
rebus Romanis immiscuisset. Grates diis propo gri della vittoria del popolo Romano quel re, che
puli Romani victoria apud suos penates ageret; avea mescolato il destino della fortuna propria
Romae filium pro eo acturum. Gratulatum quo e del regno suo colla fortuna dei Romani. Ren
que satis suo ac patris nomine esse. Ipsum relin desse quindi Masinissa grazie agli dei per la
quere regnum, et Africa excedere, praeterquam vittoria del popolo Romano, standosi a casa; il
quod illi inutile esset, non esse e republica po figlio suo le renderebbe in Roma; si era egli di
puli Romani, senatum censere. « Petenti Masga già congratulato abbastanza in nome proprio e
bae, ut Hanno Hamilcaris filius obses, in locum ” del padre. Lasciare poi Masinissa il suo regno e
exigeret. Munera ex senatusconsulto emere regu uscire dall'Africa, oltrechè sarebbe cosa inutile
lo quaestor jussus ex centum pondo argenti, et a lui, pensava il senato che non fosse utile nem
prosequi eum Puteolos, omnemdue sumptum, meno alla repubblica. » Chiedendo Masgaba che
quoad in Italia esset, praebere, et duas naves Annone, figlio di Amilcare, fosse chiesto ostaggio
conducere, quibus ipse comitesque regis in Afri invece di un altro, il senato non assentì. Al que
cam deveherentur: et comitibus omnibus, libe store fu commesso con decreto che comperasse
ris servisque, vestimenta data. Haud ita multo regali da farsi al giovine principe per cento
i 825 TiTI 1, l V ll Ll lil it X 1.V. i 826

post de altero Masinissae filio Misagene literae libbre d'argento, e lo accompagnasse sino a
allatae sunt, « missum eum ab L. Paullo post de Pozzuoli; e sino a tanto che fosse in Italia, som
victum Persea in Africam cum equitibus suis; ministrasse ogni spesa e noleggiasse due navi che
navigantem, dispersa classe in Hadriatico mari, trasportassero lui ed i suoi compagni in Africa;
lºrundisium tribus navibus aegrum delatum. e a questi tutti si liberi che schiavi donaronsi
Ad eum cum iisdem muneribus, quae data Ro vestimenti. Poco di poi furono recate lettere
mae fratri eius erant, L. Stertinium quaestor dall'altro figlio di Massinissa Misagene, dov'era
Brundisium missus; jussusque curare, ut aedes detto - che vinto l'erseo, era egli stato spedito
li ospi- I tio reguli, simul omnia, quae ad valetu in Africa co' suoi cavalli: dispersa per la burra
dinem opus essent, praeberentur; impensaeque sca la sua flotta nell'Adriatico, era egli stato
liberaliter quum ipsi, tum toti comitatui prae balzato infermo a Brindisi. Fu spedito a Brin
starentur; naves etiam ut prospicerentur, quibus disi il questore Lucio Stertinio cogli stessi regali
se bene ac tuto in Africam trajiceret. Equitibus ch'erano stati fatti a suo fratello in Roma; e
singulae librae argenti, et quingeni sestertii dari commessogli di provvedere che fosse sommini
jussi. Comitia creandis in insequentem annum strato al principe l'alber- [ go e insieme quanto
consulibus habita sunt a C. Licinio consule. Creati occorresse alla sua salute, e soddisfatto liberal
Q. Aelius Paetus, M. Junius Pennus. Inde prae mente ad ogni spesa sì per lui che per tutta
tores facti Q. Cassius Longinus, M. Juventius la sua comitiva; e che eviandio si allestissero
Thalma, Ti. Claudius Nero, A. Manlius Torqua navi, sulle quali comodamente e securamente
tus, Cn. Fulvius Gillo, C. Licinius Nerva. Eodem passasse in Africa; e fosse data ad ogni cavaliere
anno censores Ti. Sempronius Gracchus et C. una libbra di argento e cinquecento sesterzi. Il
Claudius Pulcher rem diu inter se variis alterca console Caio Licinio tenne i comizii a creare i
tionibus agitatam tandem concordi animo de consoli per l'anno susseguente. Furono creati
creverunt. Gracchus, quum libertini iterum ite Quinto Elio Peto e Marco Giunio Penno. Indi
rumque in quatuor tribus urbanas redacti sese son nominati pretori Quinto Cassio Longino,
rursus per omnes effudissent, repullulans semper Manio Juvenzio l'alma, l'ito Claudio Nerone,
malum radicitus exstirpare voluerat, omnesque, Aulo Manlio Torquato, Gneo Fulvio Gillone e
qui servitutem servissent, censu excludere. Nite Caio Licinio Nerva. In quell'anno medesimo i
batur contra Claudius, et majorum instituta com censori Tito Sempronio Gracco e Caio Claudio
memorabat, qui libertinos coercere saepius, num Pulcro decretarono finalmente di comun parere
quam prohibere omnino civitate tentassent. Quin una cosa con varie altercazioni tra loro lunga
etiam ab censoribus C. Flaminio, L. Aemilio ali mente dibattuta. Essendosi i libertini, già per
quid ex pristina severitate la xatum esse refere ben due volte confinati nelle quattro urbane
bat. Sane quum tunc quoque faexilla populi per tribù, sparsi nuovamente per tutte, Gracco avea
omnes tribus sese divisisset, eamque redigere voluto radicalmente estirpare il male sempre
rursus in antiquam sedem velut necessarium vi rinascente, ed escludere dal censo tutti quelli
deretur, nonnullis tamen eius ordinis aliquid ch'erano stati schiavi. Claudio si opponeva con
praecipuum concessum erat. I forza e ricordava gl'istituti de maggiori, che
aveano tentato spesso di frenare i liberti, non
mai di spogliarli del tutto dei diritti di cittadino.
Anzi allegava che i censori Caio Flaminio e Lucio
Emilio s'erano alquanto rilassati dell'antica seve
rità. Perciocchè essendosi anche allora questa
feccia del popolo sparsa per tutte le tribù, e
parendo necessario confinarla nuovamente nel
l'antica sua posizione, nondimeno era stata con
ceduta ad alcuni di quel ordine qualche distinta
prerogativa. I
[ XV. Nam ab illis censoribus l in quatuor I XV. Perciocchè aveano que censori ] de
urbanas tribus descripti erant libertini, praeter scritti tutti i libertini in quattro tribù, eccetto
eos, quibus filius quinquenni major ex senatus quelli che avessero un figlio maggiore di cinque
consulto esset. Eos, ubi proximo lustro censi es anni, i quali ordinarono che fossero descritti
sent, censeri jusserunt; et eos, qui praedium com'erano nell'ultimo censimento; e quelli che
praediave rustica plurissestertim triginta mil avevano uno o più poderi rustici pel valore di
lium haberent, censendi jus factum est. Iloc quum più di trenta mila sesterzi, furono abilitati ad es
itaservatum esset, negabat Claudius, a suffragii sere descritti nel censo. Essendosi così osservato,
Livio 2 I 15
TITI I. VI l I,I BER XLV. i 8.28
1827
lationem injussu populi censorem cuiquan ho sosteneva Claudio non potersi dal censore, sen
mini, nedum ordini universo, adimere posse. Ne za un comando del popolo, levare a nessun uomo,
que enim, si tribu movere posset, quod sit nihil non che a tutto l'ordine, il diritto di dare il voto;
aliud, quam mutare jubere tribun, ideo omni perciocchè, se egli poteva rimoverlo da una tribù,
bus quinque et triginta tribubus emovere posse, il che altro non era che fargli mutare tribù, non
id est, civitatem libertatem que eripere; non, ubi però poteva rimoverlo da tutte le trentacinque
censeatur, finire, sed censu excludere. ” Haec tribù, ch'è quanto a dire, torgli la cittadinanza
inter ipsos disceptata: postremo eo descensum e la libertà, e non determinare, dov'egli debba
est, ut ex quatuor urbanistribubus unam palam essere censito, ma del tutto escluderlo dal censi
in atrio Libertatis sortirentur, in quan omnes, mento. - Tal era il soggetto dell'altercazione :
qui servitutem servissent, conjicerent. Esquilinae finalmente si venne a questo, che delle quattro
sors exiit: in ea Ti. Gracchus pronunciavit, li urbane tribù una ne fosse estratta a sorte nel -
bertinos omnes censeri placere. Magno ea res l'atrio del tempio della Libertà, nella quale si
honori censoribus apud senatum fuit. Gratiae gettassero tutti quelli che aveano servito. Toccò
actae et Sempronio, qui in bene coepto perseve all'Esquilina: Tito Gracco pronunziò volersi
rasset; et Claudio, qui non impedisset. Plures, che tutti i libertini fossero in quella descritti.
quam a superioribus, et senatu emoti sunt, et Fece codesta cosa grande onore ai censori presso
equos vendere jussi. Omnes iidem ab utroque et il senato; e si rendettero grazie a Sempronio che
tribu remoti, et aerarii facti: neque ullius, quem avesse perseverato nella buona impresa, ed a
alter notaret, ab altero levata ignominia. Peten Claudio che non l'avesse impedita. Alquanti più
tibus, ut ex instituto ad sarta tecta exigenda, et senatori che non dai precedenti censori, furono
ad opera, quae locassent, probanda, anni et bi rimossi dal senato e comandati di vendere il ca
mensis tempus prorogaretur, Cn. Tremellius tri vallo; e tutti dall'uno e dall'altro censore furono
bunus, quia lectus non erat in senatum, interces tolti dalle loro tribù e messi nel numero de con
sit. Eodem anno C. Cicerejus aedem in monte tribuenti; nè l'ignominia di taluno che fosse
Albano dedicavit quinquennio post, quam vovit. stato notato da un censore, fu tolta dall'altro.
Flamen Martialis inauguratus est eo anno L. Po Chiedendo essi che giusta il costume, fosse loro
stumius Albinus, prorogato il tempo di un anno e due mesi, onde
compiere le pubbliche opere ed approvare i la
vori allogati, il tribuno Gneo Trebellio, perchè
non era stato nominato senatore, si oppose.
L'anno medesimo Caio Cicereio dedicò il tempio
sul monte Albano, cinque anni di poi che ne
aveva fatto il voto; e Lucio Postumio Albino fu
inaugurato sacerdote di Marte.
XVI. (Anno U. C. 585. – A. C. 167.) Q. Ae XVI. (Anni D. R. 585. – A. C. 167.) Trat
lio, M. Junio consulibus de provinciis referenti tandosi in senato delle province a proposta dei
bus, censuere Patres, duas provincias IIispaniam consoli Quinto Elio e Marco Giunio, i Padri de
rursus fieri, quae una per bellum Macedonicum cretarono che si facessero nuovamente due pro
fuerat ; et Macedoniam Illyricumque cosdem, L. vince della Spagna, ch'era stata una sola durante
Paullum et L. A nicium, obtinere, domec de sen- . la guerra Macedonica; e che i medesimi Lucio
tentia legatorum et res bello turbatas, et statum Paulo e Lucio Anicio governassero la Macedonia
alium eius regni formando composuissent. Con e l'Illirico, insino a tanto che avessero col pare
sulibus Pisae et Gallia decretae cum binis legio re dei legati ricomposte le cose turbate dalla
nibus pedilum, et equitum quadringentenis. guerra e data nuova forma all'uno e all'altro
Praetorum sortes fuere, Q. Cassi urbana, M. regno. Ai consoli assegnate furono Pisa e la Gallia
Juventii Thalnae inter peregrinos, Ti. Claudii con due legioni di cinque mila e duecento fanti
Lironis Sicilia, Cn. Fulvii Hispania citerior, C. e quattrocento cavalli. La sorte diede ai pretori
Necinii Nervae ulterior. A. Manlio Torquato Sar la giurisdizione urbana a Quinto Cassio, la fo
dinia obvenerat. Nequiit ire in provinciam, ad restiera a Marco Juvenzio l'alma, la Sicilia a Tito
res capitales quaerendas ex senatusconsulto re Claudio Nerone, la Spagna citeriore a Gneo Ful
tentus. De prodigiis deinde nunciatis senatus vio, l'ulteriore a Caio Licinio Nerva. La Sarde
est consultus. Aedes deorum Penatium in Ve gna era toccata ad Aulo Manlio Torquato, che non
lia de coelo tacta erat; et in oppido Minervio vi potè andare, ritenuto per decreto del senato
duae portae et muri aliquantum. Anagniae terra a conoscere di affari capitali. Poscia fu consultato
pluerat, et Lanuvii fax in coelo visa erat ; et il senato intorno ai prodigii stati annunziati. Nella
i 829 TITI I,l VII LIBER XLV. 183o

Calatiae in publico agro M. Valerius civis Ro Velia il tempio degli dei Penati era stato colpito
manus nunciabat e foco suo sanguinem per tri da fulmine, e così due porte e alquanto di muro
duum et duas noctes manasse. Ob id maxime nel castello di Minervio. In Anagnia piovette ter
decemviri libros adire jussi, supplicationem in ra; e in Lanuvio s'era veduta una fiaccola in
diem unum populo edixerunt, et quinquaginta cielo; e in Calazia nel campo pubblico Marco
capris in foro sacrificaverunt. Et aliorum pro Valerio, cittadino Romano, diceva che dal suo
digiorum causa diem alterum supplicatio circa focolare sgorgato era sangue per tre giorni e due
omnia pulvinaria fuit, et hostiis majoribus sa notti. Per questo prodigio massimamente incari
crificatum est, et urbs lustrata. Inde, quod ad cati i decemviri di consultare i libri, ordinarono
honorem deim immortalium pertineret, decrevit al popolo un giorno di preghiere ed immolarono
senatus, « Ut, quoniam perduelles superati, Per in sulla piazza cinquanta capre; e per cagione
seus et Gentius reges cum Macedonia atque Illy degli altri prodigi fuvvi un altro giorno di pre
rico in potestate populi Romani essent, ut quan ghiere a tutti gli altari, e si sagrificarono le vit
ta dona Ap. Claudio, M. Sempronio consulibus, time maggiori e fu purgata la città. Poscia, onde
ob devictum Antiochum regem data ad omnia onorare gli dei immortali, il senato decretò : che
pulvinaria essent, tanta Q. Cassius et Ml'. Ju poi che s'erano vinti i ribelli, ed i re Perseo e
ventius praetores curarent danda. » Genzio venuti erano in potere del popolo Roma
no colla Macedonia e coll'Illirico, quanti doni
nel consolato di Appio Claudio e di Marco Seni
pronio erano stati offerti a tutti gli altari per la
vittoria avuta di Antioco, altrettanti ora simil
mente se ne oſferissero dai pretori Quinto Cassio
e Marco Juvenzio. -
XVII. Legatos deinde, quorum de sententia XVII. Poscia decretarono dieci legati per la
imperatores L. Paullus, L. Anicius componerent Macedonia e cinque per l'Illirico, col consiglio
res, decreverunt decem in Macedoniam, quinque de'quali i comandanti Lucio Paolo e Lucio Ani
in Illyricum. In Macedoniam sunt hi nominati, cio componessero le cose di quel regni. Per la
A. Postumius Luscus, C. Claudius, ambo censo Macedonia nominati furono Aulo Postumio Lusco,
rii, C. Licinius Crassus, collega in consulatu Caio Claudio, ambedue già stati censori, Caio Li
Paulli; tum prorogato imperio provinciam Gal cinio Crasso, collega di Paolo nel consolato e che
liam habebat. His consulari bus addidere Cn. Do prorogatogli il comando, governava la Gallia.
mitium Ahenobarbum, Ser. Cornelium Sullam, A codesti, tutti uomini consolari, aggiunsero
L. Junium, C. Antistium Labeonem, T. Numi Gneo Domizio Enobarbo, Sergio Cornelio Sulla,
sium Tarquiniensem, A. Terentium Varronem. Lucio Giunio, Caio Antistio Labeone, Tito Nu
In Illyricum autem hi nominati, P. Aelius Ligus misio l'arquiniese ed Aulo Terenzio Varrone.
consularis, C. Cicerejus, et Cn. Baebius Tam Per l' Illirico nominati furono il consolare Publio
philus (hic priore anno, Cicerejus multis ante Elio Ligo, Caio Cicereio e Gneo Bebio Tanfilo
annis praetor fuerat), P. Terentius T'usciveica (questi era stato pretore l'anno antecedente, e
nus, P. Manilius. Moniti deinde consules a Patri Cicereio l'anno innanzi), Publio Terenzio Tusci
bus, ut, quoniam alterum ex his succedere C. veicano e Publio Manilio. Indi detto ai consoli che,
Licinio, qui legatus nominatus erat, in Galliam poi che uno di essi dovea succedere nella Gallia
oporteret, primo quoque tempore provincias a Caio Licinio ch'era stato nominato legato, si
aut compararent inter se, aut sortirentur, sor dividessero d'accordo, ovvero tirassero a sorte
titi sunt. M. Junio Pisae obvenerunt (quem prius, le province; le tirarono. Toccò Pisa a Marco
quam in provinciam iret, legationes, quae undi Giunio (si volle che innanzi ch'ei partisse, in
que Romam gratulatum convenerunt, introdu troducesse in senato le ambascerie, che da ogni
cere in senatum placuit), Q. Aelio Gallia. Cete parte erano concorse in Roma a congratularsi);
rum quamquam tales viri mitterentur, quorum a Quinto Elio la Gallia. Del resto, quantunque si
de consilio sperari posset, imperatores nihil in spedissero uomini di quella vaglia, col cui cousi
dignum nec clementia nec gravitate populi Ro glio si poteva sperare che non avrebbono i co
mani decreturos esse, tamen in senatu quoque mandanti decretato nulla che indegno fosse della
agitata est summa consiliorum, utinchoata omnia clemenza e della gravità del popolo Romano,
legati ab domo ferre ad imperatores possent. nondimeno si discusse anche in senato la somma
dei partiti da prendersi, acciocchè i legati recar
ne potessero da Roma ai comandanti i primi
sbozzi di ogni cosa.
1 831 l'ITI LIVI I LII;F lº XI.V. i 832

XVIII. « Omnium primum liberos esse pla XVIII. . Primieramente si voleva che i Ma
cebat Macedonas atque Illyrios, ut omnibus gen cedoni e gl'Illirii fossero liberi, acciocchè ap
tibus appareret, arma populi Romani non liberis parisse a tutto il mondo che le armi del popolo
servitutem , sed contra servientibus libertatem Romano non arrecano la servitù ai popoli liberi,
afferre; ut et, in libertate gentes quae essent, ma sì agli schiavi la libertà; e che le nazioni
tutam eam sibi perpetuamque sub tutela popu ch' erano in libertà, la terrebbono perpetua e
puli Romani esse, et, quae sub regibus viverent, secura sotto la tutela del popolo Romano; e
et in praesens tempus mitiores eos justioresque quelle che vivevano sotto i re, gli avrebbono
respectu populi Romani habere se, et si quan presentemente più benigni e più giusti per ri
do bellum cum populo Romano regibus fuisset guardo al popolo Romano; e se accadesse che i
suis, exitum eius victoriam Romanis, sibi li re loro avessero a guerreggiare coi Romani, te
bertatem allaturum crederent. Metalli quoque nessero per fermo che l'esito ne sarebbe pe' Ro
Macedonici, quod ingens vectigal erat, locatio mani la vittoria, e pei popoli la libertà. Si voleva
nesque praediorum rusticorum tolli placebat. pure che fosse tolta via l'imposta sulle miniere
Nam neque sine publicano exerceri posse, et. della Macedonia ch'era una entrata grossissima,
ubi publicanus est, ibi aut jus publicum va non che le allogagioni delle terre pubbliche;
num, aut libertatem sociis nullam esse. Ne ipsos perciocchè nè si possono amministrare codeste
quidem Macedonas idem exercere posse. Ubi in rendite senza pubblicani, e dove sono i pubbli
medio praeda administrantibus esset, ibi num cani, quivi o le ragioni del pubblico periscono, o
quam causas seditionum et certaminis defore. è tolta agli alleati la libertà. Nè possono i Mace
Commune concilium gentis esset, ne improbum doni stessi impacciarsi in sì fatte amministrazio
vulgus a senatu aliquando libertatem salubri ni; che laddove gli amministratori si vedessero
moderatione datam ad licentiam pestilentem tra offerta una preda, quivi non mancherebbero mai
heret. In quatuor regiones describi Macedoniam, motivi di sedizioni e di contrasti. Non vi fosse
ut suum quaeque concilium haberet, placuit; et un consiglio nazionale, acciocchè il volgo negui
dimidium tributi, quan quod regibus ferre soli toso la libertà datagli dal senato con salutare
ti erant, populo Romano pendere. Similia his moderazione non la traesse un giorno per avven
in Illyricum mandata. Cetera ipsis imperatoribus tura a dannosissima licenza. Piacere per tanto
legatisque relicta, in quibus praesens tractatio che la Macedonia fosse divisa in quattro regioni,
rerum certiora subjectura erat consilia. acciochè avesse ognuna il suo proprio consiglio,
e pagasse al popolo Romano la metà del tributo
ch'era solita pagare a suoi re. “ Simili furono
le commissioni per l'Illirico. Le altre cose lasciate
furono ai comandanti ed ai legati, ai quali il trat
tarle sul luogo porto avrebbe più certi consigli.
XIX. Inter multas regum gentiumque et po XIX. Tra le molte ambascerie di re, di popoli
pulorum legationes Attalus, frater regisLumenis, e di nazioni, Attalo, fratello del re Eumene, at
maxime convertit in se omnium oculos animos trasse massimamente sopra di sè gli animi e gli
que. Exceptus enim est ab his, qui simul eo bello sguardi di tutti. Perciocchè fu ricevuto da quelli
militaverunt.haud paullo benignius, quam si ipse che aveano seco lui militato in quella guerra,
rex Eumenes venisset. Adduxerant eum duae in niente più benignamente che se venuto fosse in
speciem honesta e res ; una, gratulatio, conve persona Eumene stesso. Lo avevano condotto
niens in ea victoria, quam ipse adjuvisset; al a Roma due motivi onorevoli, uno quello di con
tera, querimonia Gallici tumultus. Advertaeque gratularsi per una vittoria, alla quale avea tanto
gladiis regnum in dubium adductum esse. Sube cooperato; l'altro il dolersi della sommossa dei
rat et secreta spes honorum praemiorumque ab Galli e che per le armi di Adverta fosse il suo re
senatu, quae vix salva pietate eius contingere gno tratto in grave rischio. Nodriva eziandio la
poterant. Erantenim quidam Romanorum quo segreta speranza di ottenere onori e premii dal
que non boni auctores, qui specupiditatem ejus senato, quali gli potevano venire, salvo quanto
elicerent: “ Eam opinionem de Attalo et Eume doveva al senato. Perciocchè v'erano, anche tra i
ne Romae esse, tamquam de altero Romanis cer Romani, alcuni pessimi consiglieri che allettava
to amico, altero nec Romanis, nec Persi fido so no con la speranza la sua cupidigia: . Tale essere
cio. Itaque vix statui posse, utrum, quae pro se, in Roma l'opinione di Attalo e di Eumene, che
an, quae contra fratrem petiturus esset, ab sena l'uno tenuto era certo amico dei Romani, l'altro
tu magis impetrabilia forent: adeo universos alleato non fedele nè ai Romani, nè a Perseo -
omnia et huic tribuere, et illi vero negare. » Quindi appena può dirsi con certezza qual cosa
1833 TITI LIVII LIBER XLv. 1834
Eorum hominum, ut res docuit, Attalus erat, gli sarebbe più facile impetrare dal senato, se
qui, quantum spes spopondisset, cuperent, ni quelle che per sè, o quelle che chiedesse contro
unius amici prudens monitio velut frenos animo il fratello ; tanto sono tutti inclinati a tutto con
ejus, gestienti secundis rebus, imposuisset. Stra cedere all'uno, tutto negare all'altro. - Attalo
tius cum eo fuit mediciis, ad id ipsum a non se era, come il fatto dimostrò, uno di quegli uomini,
curo Eumene Roman missus, speculator rerum, i quali bramano tanto, quanto loro la fortuna
quae a fratre agerentur, monitorque fidus, si de promette; se il prudente ammonimento di un
cedi fide vidisset. Is, ad occupatas jam aures sol amico non avesse quasi imposto un freno all'ani
licitatumque jam animum quum venisset, ag mo suo che nella prosperità folleggiava. Aveva
gressus tempestivis temporibus rem prope pro egli seco Strazio medico, per ciò stesso mandato
lapsam restituit, e aliis alia regna crevisse rebus, apposta a Roma dal non tranquillo Eumene, spe
dicendo: regnum eorum novum, nullis vetustis colatore delle cose che il fratello facesse, e fedele
fundatum opibus, fraterna stare concordia; quod ammonitore se il vedesse scostarsi dalla fede.
unus nomen regium et praecipuum capitis insi Costui, accostatosi all'orecchio di Attalo già
gne gerat, omnes fratres regnent. Attalum vero, preoccupato, ed all'animo di lui già fortemente
quia aetate proximus, quis non pro rege habeat? sommosso, pure assaltandolo in tempi opportuni
neque eo solum, quia tantas praesentes ejus opes ristabilì la faccenda omai quasi rovinata, dicendo
cernat, sed quod haud ambiguum prope diem gli: « gli altrui regni essere cresciuti per altre
regnaturum eum infirmitate aetateque Eumenis cagioni; il regno loro nuovo, non piantato su
esset, nullam stirpem liberùm habentis (necdum nessun antico fondamento, starsi in piedi per la
enim agnoverateum, qui postea regnavit). Quid fraterna concordia, un solo d'essi portando il
attineret vim afferre rei sua sponte mox ad nome di re ed il diadema reale, in fatto tutti i
eum adventurae? Accessisse etiam novam tem fratelli regnando. Attalo poi ch'era il secondo
pestatem regno tumultus Gallici, cui vix consen per età, chi già nol tiene per re? Nè solamente
su et concordia regum resisti queat. Si vero ad perchè vegga tanta essere di presente la sua po
externum bellum domestica seditio adjiciatur, tenza, ma perchè non si dubita ch'egli non abbia
sisti non posse; mec aliud eum, quam, ne frater a regnare ben tosto, stante l'infermità e gli anni
in regno moriatur, sibi ipsi spem propinquam di Eumene, il quale non aveva nessun figliuolo
regni erepturum. Si utraque gloriosa res esset, (chè non aveva ancora riconosciuto quello che
et servasse fratri regnum, et eripuisse; servati di poi regnò). Che giovava sforzare una cosa
tamen regni, quae juncta pietati sit, potiorem che veniva tra poco a cadergli in mano da sè?
laudem fuisse. Sed enimvero quum detestabilis Era pur anche sopravvenuta al regno una nuova
altera res et proxima parricidio sit, quid ad de burrasca, l'insorgenza de' Galli, cui appena si
liberationem dubii superesse? Utrum enim par può far fronte col consentimento e colla concor
tem regni petiturum esse, an totum erepturum ? dia di essi re tutti. Che se alla guerra esterna si
Si partem ; ambo infirmos, distractis viribus, et aggiunga la sedizione domestica, egli è impossi
omnibus injuriis obnoxios fore; si totum, pri bile poter durare; nè altro ei farebbe che impe
vatumne ergo majorem fratrem, an exsulem illa dire al fratello che morisse re, e togliere a sè
aetate, illa corporis infirmitate, an ultimum mori stesso la vicina speranza di regnare. Se l'una e
jussurum ? Egregium enim, ut fabulis traditus l'altra cosa fosse egualmente gloriosa, conserva
impiorum fratrum eventus taceatur, Persei exi re o torre il regno al fratello, il conservarglielo
tum videri, qui ex fraterna caede raptum diade più egregia lode gli darebbe, come atto più con
ma in templo Samothracum, velut praesentibus veniente alla fraterna pietà. Ed essendo l'altro
diis exigentibus poenas, ad pedes victoris hostis partito detestabile e somigliante a parricidio,
prostratus posuerit. Eos ipsos, qui non illi ami quale dubbiezza rimane a deliberare? Perciocchè
ci, sed Eumeni infesti, stimulent eum, pieiatem vorrà chiedere una parte del regno o strappar
constantiam pue laudaturos, si fidem ad ultimum glielo tutto ? Se una parte, divise le forze, saran
fratri praestitisset. » no deboli amendue ed esposti a tutti gl'insulti;
se tutto, vorrà egli che il fratello maggiore viva
privato o vada esule in quella età, in quella ca
gionevolezza della persona, o per ultimo che
muoia? Che veramente, per tacere il fine di
quegli empii fratelli rammentatici dalle favole,
bello ed egregio si è quello di Perseo, il quale,
nel tempio di Samotracia, quasi alla presenza
degli dei vendicatori, prostrato al suolo, depose
I b35 TITI LIVII LIBER XLV. i 836

a piedi del nemico vincitore il diadema rapito


coll'uccisione del fratello. Quel medesimi che
non amici a lui, ma nemici ad Eumene il veni
vano stimolando, essi stessi la pietà e costanza
sua loderebbono, se avesse sino all'ultimo ser
bata fede al fratello. »
XX. Haec plus valuere in Attali animo. Ita XX. Queste considerazioni poteron più sul
que introductus in senatum , gratulatus victo l'animo di Attalo. Quindi introdotto in senato,
riam, et sua merita eo bello fratrisque, si qua congratulatosi della vittoria, espose i suoi ed i
erant, et Gallorum defectionem, quae nuper in meriti del fratello in quella guerra, se pur ve
genti motu facta erat, exposuit. Petiit, ut legatos n'ebbe alcuno, e insieme la defezione dei Galli
mitteret ad eos, quorum auctoritate ab armis avvenuta da pochi dì con fierissima sommossa.
avocarentur. His pro regni utilitate editis man Chiese che il senato mandasse loro ambasciatori,
datis, Aenum sibi et Maroneam petiit. Ita desti pel cui autorevole comando ritratti fossero dal
tuta eorum spe, qui, fratre accusato, partitionem l'armi. Esposte codeste commissioni pel vantag
regni petiturum crediderant, curiam excessit. gio del regno, chiese per sè Eno e Maronea. Così
Ut raro alias quisquam, rex aut privatus, tanto troncata la speranza di quelli, i quali credevano
favore tantoque omnium assensu est auditus ; che, accusato il fratello, avrebbe chiesta la metà
omnibus honoribus muneribusque, et praesens del regno per sè, uscì dalla curia. Rade volte al
est cultus, et proficiscentem prosecuti sunt. In cuno, o privato o re, fu ascoltato con sì pieno
ter multas Asiae Graeciaeque legationes, Rho favore, con sì pieno consentimento di tutti :
diorum maxime legati civitatem converterunt. presente fu ricolmato di onori e regali d'ogni
Nam quum primo in veste candida visi essent, sorte, e nel partirsi con altrettanti accompagnato.
quod gratulantes decebat, et, si sordidam vestem Tra le molte ambascerie dell'Asia e della Grecia
habuissent, lugentium Persei casum praebere spe gli oratori dei Rodiani attrassero principalmente
ciem poterant; postduam consulti ab M. Iunio gli sguardi della città. Perciocchè essendo com
consule Patres, stantibus in comitio legatis an parsi dapprima in veste candida, il che conveniva
locum, lautia, senatumque darent, nullum ho come venuti a congratularsi, e se l'avessero avuta
spitale jus in iis servandum censuerunt; egressus bruna, potevano parer dolenti della sciagura di
e curia consul, quum Rhodii, gratulatum se de Perseo, poi che i Padri consultati dal console
victoria purgatumque civitatis crimina dicentes Marco Giunio, standosi fuori gli ambasciatori,
venisse, petissent, ut senatus sibi daretur, pro se si dovesse dar loro l'alloggio ed i consueti
munciat: « Sociis et amicis et alia comiter atque regali ed udienza in senato, ebbero decretato,
hospitaliter praestare Romanos, et senatum dare non doversi usare seco loro nessuno tratto di
consuesse: Rhodios non ita meritos eo bello, ut ospitalità, il console uscito dalla curia, avendo i
amicorum sociorum numero habendi sint. » His Rodiani chiesto d'essere introdotti in senato,
auditis, prostraverunt se omnes humi, consulem dicendosi venuti a congratularsi della vittoria ed
que et cunctos, qui aderant, orantes, ne nova a purgare la città loro dalle false imputazioni,
falsaque crimina plus obesse Rhodiis aequum pronunzia, a essere soliti i Romani benignamen
censerent, quam antiqua merita, quorum ipsi te ed ospitalmente somministrare ogni cosa agli
testes essent. Extemplo, veste sordida sumpta, alleati ed amici, e dar loro udienza in senato ;
domos principum cum precibus ac lacrymis cir ma non essersi i Rodiani in quella guerra com
cumibant, orantes, ut prius cognoscerent causam, portati in guisa da meritarsi d'essere annoverati
quam condemnarentur. nel numero degli alleati e degli amici, º Udito
questo, tutti si gettarono a terra, pregando il
console e quanti erano presenti, a non volere che
le nuove e false imputazioni valessero più a dan
no de' Rodiani, che non a loro pro gli anticli
meriti, de quali erano essi stessi testimonii.
E subito, presa la veste bruna, andavano in giro
con lagrime e preghiere alle case del principali
cittadini, scongiurando che udissero la loro causa
innanzi di condannarli.
XXI. M'. Juventius Thalma praetor, cujus XXI. Il pretore Manio Juvenzio l'alna, cui
inter cives et peregrinos jurisdictio erat populum spettava render ragione tra i cittadini e i fore
adversus Rhodios incitabat; rogationemque pro stieri, eccitava il popolo contro i Rodiani ed
º -
1837 TITI LIVIl LIBER XLV. 1838

mulgaverat, « Ut Rhodiis bellum indiceretur, aveva solennemente proposto a che s'intimasse


et ex magistratibus ejus anni deligerent, qui ad loro la guerra e che dai magistrati di quell'anno
id bellum cum classe mitteretur, se eum sperans si scegliesse chi andasse con la flotta a gover
futurum esse. Huic actioni M. Antonius et M. narla, º sperando ch'egli sarebbe quello. Si op
Pomponius tribuni plebis adversabantur. Sed et ponevano a cotal partito Marco Antonio e Marco
praetor novo maloque exemplo rem ingressus Pomponio, tribuni della plebe. Ma e il pretore
erat, quod, ante non consulto senatu, non con s'era messo a quella impresa con nuovo e pessimo
sulibus certioribus factis, de sua unius senten esempio, perchè, non consultato prima il senato,
lia rogationem ferret, « Vellent, juberentne, non avvisatone i consoli, di suo capo soltanto,
Rhodiis bellum indici ? » quum antea semper proponeva al popolo, e se volessero e comandas
prius senatus de bello consultus esset, deinde sero che s'intimasse la guerra ai Rodiani, »
ad populum latum ; et tribuni plebis, quum ita quando per innanzi il senato fu sempre primo
i raditum esset, ne quis prius intercederet legi, consultato, poscia si andò al popolo; e parimente
quam privatis suadendi dissuadendique legem i tribuni della plebe, essendo così stato osservato,
potestas facta esset; eoque persaepe evenisset, acciocchè nessuno si opponesse alla proposizione
ut, qui non professi essent se intercessuros, ani innanzi che fosse stata data ai privati la facoltà
madversis vitiis legis ex ratione dissuadentium, di persuadere o dissuadere la legge; ond'era
intercederent, et, qui ad intercedendum venis spesso avvenuto che quelli, i quali aveano dichia
sent, desisterent, victi auctoritatibus suadentium rato di non opporsi, scorti i difetti della legge
legem. Tum inter praetorem tribunosque omnia dalle ragioni addotte dagli opponenti, si oppone
intempestive agendi certamen erat. Tribuni fe vano, e quelli ch'eran venuti per opporsi, cessa
stinationem praetoris ante tempus intercedendo, vano vinti dalle ragioni addotte da quelli che
I quum damnarent, imitabantur. Hoc tamen in la legge persuadevano. Ma allora era una specie
tercessioni suae praetendebant, 1 in adventum di gara tra il pretore ed i tribuni, onde fare ogni
im- [peratoris et decem legatorum ex Macedo cosa fuori di misura. I tribuni, mentre condan
mia, qui re diligentissime ex literis tabulisque navano la troppa fretta del pretore, [ la imita
perpensa, certo indicaturi essent, quo quaeque vano opponendosi avanti tempo. Allegavano però
civitas in Persea Romanosve animo fuisset, totam a pretesto della loro opposizione che si dovea
de Rhodiis consultationem rejici opus esse. Sed rimettere ogni deliberazione intorno ai Rodiani
quum nihilo minus praetor propositum urgeret, al ritorno del comandante e dei dieci legati del
eo res processit, ut Antonius tribunus, productis la Macedonia, i quali, esaminata diligentemente
ad populum legatis, procedentem contra Thal la cosa colla scorta delle lettere e dei pubblici
nam et dicere incipientem de Rostris detraheret, registri, avrebbero con certezza indicato, quale
li hodiisque concionem praeberet. Ceterum, etsi fosse stato l'animo di ciascheduna città verso
praecipitem ac fervidum praetoris conatum par Perseo e verso i Romani. Nondimeno insistendo
tribuni pervicacia discusserat, nondum tamen il pretore nel proposito, andò sì oltre la cosa, che
cura discesserat Rhodiorum animis. Patres enim il tribuno Antonio, presentati al popolo i legati,
crant infensissimi; ut imminenti malo levati ma trasse giù dai Rostri Talma, il quale si era fatto
gis in praesens Rhodiis quam omnino liberati innanzi ad opporre e già cominciava ad aprir
essent. Igitur quum diu multumque precanti bocca, e die'licenza ai Rodiani di parlare. Del
bus tandem senatus datus esset, introducti a con resto, benchè al precipitoso e fervido sforzo
sule, primo prostratis humi corporibus diu ſlen del pretore avesse il tribuno con pari pervicacia
tes jacuerunt. Deinde, quum excitatos consul di resistito, non era però tranquillo ancora l'animo
cere jussisset, Astymedes, quam maxime compo de' Rodiani. Perciocchè i Padri duravano tutta
sito ad commovendam miserationem habitu, in via irritatissimi, sì che i Rodiani erano piuttosto
liunc modum verba fecit. I sollevati pel presente da un imminente travaglio,
che da quello interamente liberati. Quindi dopo
molte e lunghe preghiere avendo finalmente im
petrata udienza, introdotti in senato dal console,
primieramente stettersi piangendo lungamente
prostesi al suolo. Poi, fatti rilevare dal console,
Astimede, in atteggiamento grandemente com
posto ad eccitare la compassione, in questa guisa
parlò. ]
I XXII. « Hic luctus et squalor paullo ante [ XXII. « Questo lutto e squallore di un po
florentium amicitia vestra sociorum, Patres con polo alleato poc'anzi per la vostra amicizia lieto
1839 TITI LIVII LIBER XI, V. 184o
scripti, non potest non esse etiam iratis misera e fiorente, non può non destare, o Padri coscritti,
bilis. At quanto justior vestras mentes subibit anche in animi corrucciati un senso di compas
miseratio, si cogitare volueritis, quam dura con sione. Ma quanto non sarà essa più giusta, se
ditione causam hic apud vos prope jam damna vorrete pensare con quanta dura condizione
tae civitatis agamus? Ceteri rei fiunt, antequam trattiamo oggi appresso di voi la causa di una
damnentur; nec prius luunt supplicia, quam de città già presso che condannata ? Gli altri sono
culpa constet. Rhodii ] peccaverimusne, adhuc accusati avanti d'essere condannati, nè soggiac
dubium est; poenas, ignominias omnes jam pati ciono alla pena prima che consti della colpa.
mur. Antea, Carthaginiensibus victis, Philippo, È dubbio ancora, se noi Rodiani l abbiamo pec
Antiocho superatis, quum Romam venissemus, ex cato; e di già le pene, le ignominie tutte soffria
publico hospitio in curiam gratulatum vobis, Pa mo. Ne tempi scorsi, vinti i Cartaginesi, superati
tres conscripti, ex curia in Capitolium ad deos Filippo ed Antioco, venuti a Roma andammo
vestros dona ferentes; nunc ex sordido deverso dall'albergo datoci dal pubblico alla curia, per
rio, vix mercede recepti, ac prope hostium more congratularci con voi, o Padri coscritti, e dal
extra urbem manere jussi, in hoc squalore veni la curia al Campidoglio portando doni ai vostri
mus in curiam Romanam Rhodii, quos provinciis dei; ora da sordido albergo, ricevutivi appena
nuper Lycia atoue Caria, quos praemiis atque per prezzo, e costretti e quasi a guisa di nemici
honoribus amplissimis donastis. Et Macedonas a rimanerci fuori di Roma, vegniamo in questa
Illyriosque liberos esse (ut audimus) jubetis, che vedete squallidezza alla curia Romana noi
quum servierint, antequam vobiscum bellarent Rodiani, cui non ha molto faceste il dono di due
(mec cujusquam fortuna e invidemus, immo agno province, la Lisia e Caria, e ricolmaste di amplis
scimus clementiam populi Romani): Rhodios, qui simi doni ed onori. E volete, come udimmo, che
nihil aliud quam quieverunt hoc bello, hostes ex i Macedoni e gl'Illirii sieno liberi, i quali pure
sociis facturi estis? Certe quidem vos estis Ro servirono avanti che guerreggiassero contro di
mani, qui ideo felicia bella vestra esse, quia justa voi (nè portiamo invidia alla fortuna di chicches
sint, prae vobis fertis; mec tam exitu eorum, quod sia, anzi riconosciamo in ciò la clemenza del po
vincatis, quam principiis, quod non sine causa polo Romano); ed i Rodiani che non altro fecero
suscipiatis, gloriamini. Messana in Sicilia oppu che starsi quieti in questa guerra, di alleati vor
gnata Carthaginienses, Athenae oppugnatae et rete farli nemici? Certo voi siete quei Romani
Graecia in servitutem petita, et adjutus Hannibal che pretendete esser felici le guerre vostre perchè
pecunia, auxiliis, Philippum hostem fecerunt. son giuste, e vi gloriate non tanto del loro esito
Antiochus ipse, ultro ab Aetolis hostibus vestris perchè vincete, quanto dei loro principii perchè
arcessitus, ex Asia classe in Graeciam trajecit; le imprendete non senza ragione. Messana assal
Demetriade et Chalcide, et saltu Thermopyla tata in Sicilia vi fe'nemici i Cartaginesi; Atene
rum occupato, de possessione imperii vos dejice combattuta, e la Grecia che si voleva trarre a
re conatus. Cum Perseo socii vestri oppugnati, servitù, ed Annibale soccorso di danaro, di gente,
alii interfecti reguli principesque gentium aut vi fecero nemico Filippo. Lo stesso Antioco,
populorum, causa belli vobis fuere. Quem tam invitato dagli Etoli vostri nemici, dall'Asia passò
dem titulum nostra calamitas habitura est, si per in Grecia con la flotta, ed occupata Demetriade
rituri sumus? Nondum segrego civitatis causam e Calcide, e lo stretto delle Termopili, tentò di
a Polyarato et Dinone, civibus nostris, et iis, strapparvi la dominazione del mondo. I vostri
quos, ut traderemus vobis, adduximus. Si omnes alleati assaliti, altri signori e principi di nazioni
Rhodii aeque moxii essenus, quod nostrum in e di popoli uccisi furono la cagione della vostra
in hoc bello crimen esset ? Persei partibus favi guerra con Perseo. Ma la nostra calamità, se
mus, et, quemadmodum Antiochi Philippique dovremo perire, qual avrà motivo o pretesto ?
bello pro vobis adversus reges, sic nunc pro re Non separo ancora la causa della città da quella
ge adversus vos stetimus. Quemadmodum solea di Poliarato e di Dinone, nostri cittadini, e da
mus socios juvare, et quam impigre capessere quelli che abbiamo tratti seco noi per consegnar
bella, C. Livium, L. Aemilium Regillum inter veli. Se tutti noi Rodiani fossimo egualmente
rogate, qui classibus vestris in Asia praefuerunt. colpevoli, qual sarebbe in questa guerra il nostro
Numquam vestrae naves pugnavere sine nobis: torto? Abbiamo favoreggiato Perseo; e come
nostra classe pugnavimus semel ad Samum, ite nella guerra di Antioco e di Filippo stemmo per
rum in Pamphylia adversus Hannibalem impe voi contro quei re, così ora per Perseo contro
ratorem. Quae victoria nobis eo gloriosior est, li voi. Qual sia la mostra maniera di aiutare i
quod, quum ad Samum magnam partem navium nostri alleati e di combattere a lor favore, inter
adversa pugna et egregiam juventutem amisisse rogatene Caio Livio e Lucio Emilio Regillo,
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mus, ne tanta quidem clade territi, iterum ausi i quali governarono le vostre flotte in Asia. Non
sumus regiae classi ex Syria venienti obviam ire. mai combatterono le vostre mavi senza di noi; e
Haec non gloriandi causa retuli (neque enim ea noi combattemmo soli colla nostra flotta una vol
numc nostra est fortuna), sed ut admonerem, ta a Samo e nuovamente nella Panfilia contro
quemadmodum adjuvare socios solerent Rhodii.” Annibale; la quale vittoria tanto è più gloriosa
per noi, quanto che avendo perduto a Samo in
un fatto svantaggioso una gran parte delle navi
e una bellissima gioventù, nemmeno spaventati
per codesta sconfitta, osammo nuovamente farci
incontro all'armata del re che veniva dalla Siria.
Non ricordo questo per gloriarcene (chè nol
comporta la presente nostra fortuna), ma per
mostrare come i Rodiani solessero aiutare i loro
alleati. »
XXIII. « Praemia, Philippo et Antiocho de XXIII. « Vinti Filippo ed Antioco, ebbimo
victis, amplissima accenimus a vobis. Si, quae da voi premii grandissimi. Se quale ora è la vo
vestra nunc est fortuna deim benignitate et vir stra, per la benignità degli dei e pel vostro valore,
tute vestra, ea Persei fuisset, et praemia petitum tale fosse la fortuna di Perseo, e fossimo andati
ad victorem regem venissemus in Macedoniam, in Macedonia a chiedere premii al re vincitore,
quid tandem diceremus? Pecuniane a nobis adju che gli avremmo potuto dire? Che lo abbiamo
tum, an frumento? auxiliis terrestribus, an nava aiutato con danaro o con frumento? Con gente
libus? quod praesidium tenuisse nos ? ubi pu di terra o di mare ? Qual posto diremmo di aver
gnasse aut sub illius ducibus, aut per nos ipsos ? guardato? Dove aver combattuto o sotto i suoi
Si quaereret, ubi miles noster, ubi navis intra capitani o da noi soli? Se ci avesse chiesto, dove
praesidia sua fuisset, quid responderemus? Cau si fosse trovato tra suoi alcun de'nostri, dove una
sam fortasse diceremus apud victorem, quemad nostra nave, che avremmo risposto? Forse ci
modum apud vos dicimus. Hoc enim legatos utro sarebbe convenuto difenderci presso il vincitore
que de pace mittendo consecuti sumus, ut ne ab come ora presso di voi. Perciocchè col mandare
utraque parte gratiam iniremus; ab altera etiam ambasciatori all'una parte ed all'altra per trattar
crimen et periculum esset. Quanquam Perseus della pace, abbiamo questo conseguito, che non
vere objiceret, id quod vos non potestis, Patres abbiamo riportato grado nè da questa, nè da
conscripti, nos principio belli misisse ad vos le quella, anzi da una delle due grave accusa e
gatos, qui pollicerentur vobis, quae ad bellum pericolo. Sebbene Perseo a buon dritto ci rinfac
opus essent; navalibus, armis, juventute nostra, cerebbe, il che voi non potete, o Padri coscritti,
sicut prioribus bellis, ad omnia paratos fore. Ne che nel principio della guerra vi abbiamo spediti
praestaremus, per vos stetit, qui de quacumque ambasciatori ad oſferirvi quello che vi bisognasse
causa tum aspermati nostra auxilia estis. Neque a tal uopo, e che saremmo, come nelle altre
fecimus igitur quidquam tamquam hostes, neque guerre, presti a tutto con le navi, con le armi e
bonorum sociorum defuimus officio; sed a vobis con la nostra gioventù. Stette per voi, che nol
prohibiti praestare fuimus. Quid igitur ? nihilne facessimo, i quali allora, qualunque ne sia stata
factum neque dictum est in civitate vestra, Rho la ragione, disprezzato avete i nostri soccorsi.
dii, quod nolletis, quo merito offenderetur po Non abbiamo dunque fatto nulla, come nemici,
pulus Romanus? Hincjam non, quod factum est, nè mancammo all'uffizio di buoni alleati; ma il
defensurus sum (non adeo insanio), sed publi venire ai fatti ci fu impedito da voi. E che? non
cam causam a privatorum culpa segregaturus. si è dunque mai detto, o fatto nulla, o Romani,
Nulla enim est civitas, quae non et improbos ci nella vostra città, che non vorreste, e per cui siasi
ves aliquando, et imperitam multitudinem sem offeso meritamente il popolo Romano ? Qui non
per habeat. Etiam apud vos fuisse audivi, qui as verrò a difendere quello che si è fatto (chè
sentando multitudini grassarentur; et secessisse non sono cotanto fuori di senno), ma sì a sepa
aliquando a vobis plebem, nec in potestate vestra rare la pubblica causa dalla colpa dei privati.
rempublicam fuisse. Si hoc in hac tam bene mo Perciocchè non havvi città nessuna che non abbia
rata civitate accidere potuit, mirari quisquam talvolta de tristi cittadini, e sempre poi una mol
potest, aliquos fuisse apud nos, qui, regis amici titudine ignorante. Anche presso di voi ho udito
tiam petentes, plebem mostram consiliis deprava dire esservi stati taluni che adulando il volgo
rent ? qui tamen nihil ultra valuerunt, quam ut imperversarono, e che un tempo la plebe ribel
in officio cessaremus. Non praeteribo id, quod lossi da voi e venne meno la vostra autorità. Se
Livio 2 I 16
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gravissimum est in hoc bello crimen civitatis no potè questo accadere in città ben costumata, può
strae. Legatos eodem tempore et ad vos, et ad nessuno maravigliarsi che ci sieno stati taluni
Persea de pace misimus: quod infelix consilium presso di noi, i quali per conquistare l'amicizia
furiosus (ut postea audivimus) orator stultissi del re, la plebe nostra coi mali consigli deprava
mum fecit ; quem sic locutum constat, tamquam rono? i quali però non altro ottennero che di far
C. Popillius legatus Romanus, quem ad submo ci stare inoperosi. Nè tacerò quello che ci viene
vendos a bello Antiochum et Ptolemaeum reges imputato in questa guerra quale gravissimo de
misistis, loqueretur. Sed tamen ea, sive superbia litto. Abbiamo spediti nello stesso tempo amba
sive stultitia appellanda est, eadem, quae apud sciatori a voi ed a Perseo per trattar della pace;
vos, et apud Persea fuit. Tam civitatium, quam partito sciagurato che l'insano, il farnetico ora
singulorum hominum mores sunt; gentes quoque tore fece (come seppimo di poi) comparire ancora
aliae iracundae, aliae audaces, quaedam timidae: più pazzo; perciocchè consta aver egli parlato,
in vinum, in venerem proniores aliae sunt. Athe come parlerebbe quel vostro Caio Popillio che
niensium populum fama est celerem et supra vi mandaste ambasciatore a stornar dalla guerra
res audacem esse ad comandum : Lacedaemonio Antioco e Tolomeo. Codesta però, come più vi
rum cunctatorem, et vix in ea, quibus fidit, in piaccia chiamarla, o superbia o pazzia, quale con
gredientem. Non negaverim, et totam Asiae re voi, tale pur anche adoperolla con Perseo. L'in
gionem inaniora parere ingenia, et nostrorum dole degli uomini è simile a quella delle città;
tumidiorem sermonem esse, quod excellere inter altre sono iraconde, altre audaci, alcune timide,
finitimas civitates videamur; et id ipsum non alcune più inclinate al vino o alla libidine. ll
tam viribus nostris, quam vestris honoribus ac popolo di Atene è fama che sia subitano e sopra
indiciis. Satis quidem et tunc in praesentia casti le forze sue ardito ad intraprendere; quello di
gata illa legatio erat, cum tam tristi responso Sparta indugiatore e che a gran pena si mette
vestro dimissa. Si tum parum ignominiae pen in quello stesso, in che più fida. Non negherò
sum est, haec certe tam miserabilis ac supplex che l'Asia generi uomini alquanto vani, e che
legatio etiam insolentioris, quam illa fuit, lega il linguaggio nostro non sia gonfio più del do
tionis satis magnum piaculum esset. Superbiam, vere, perchè ci sembra di maggioreggiare tra
verborum praesertim, iracundi oderunt, pruden le città confinanti, e ciò non tanto per le nostre
tes irrident; utique si inferioris adversus supe forze, quanto pegli onori e per le solenni vostre
riorem est: capitali poena nemo umquam dignam testimonianze. E ben ne fu a quel tempo casti
judicavit. Id enimvero periculum erat, ne Ro gata abbastanza quella ambasceria, rimandata
manos Rhodii contemnerent. Etiam deos aliqui con quella vostra sì umiliante risposta; e se pure
verbis ferocioribus increpant, nec ob id quem poca ne fosse stata allora l'ignominia, certo que
quam fulmine ictum audimus. » sta nostra sì miserevole, sì supplicante ambasceria
sarebbe bastante ad espiarne qualunque altra,
più petulante ancora che quella non fu. Odiano
gl'iracondi la superbia, quella specialmente del
le parole; i saggi se ne ridono, anche se sia da
inferiore a superiore; nessuno la giudicò mai
degna di pena capitale. Certo c'era pericolo che
i Rodiani disprezzassero i Romani. Alcuni invei
scono con le parole anche contro gli dei, nè
sappiamo che nessuno sia stato perciò colpito
da fulmine. »
XXIV. « Quid igitur superat, quod purge XXIV. « Che ci resta dunque da purgare, se
mus, si mec factum hostile ullum nostrum est, et non havvi per parte nostra nessun atto ostile,
verba tumidiora legati offensionem aurium, non se le parole alquanto troppo orgogliose del nostro
perniciem civitatis, meruerunt ? Voluntatis no ambasciatore poterono bensì meritarsi l'offen
strae tacitae velut litem aestimari vestris inter - sione delle vostre orecchie, ma non la ruina
vos sermonibus audio, Patres conscripti: favisse della nostra città? Odo, o Padri coscritti, che
nos regi, et illum vincere maluisse; ideo bello voi ne' vostri ragionamenti fate giudizio, come
persequendos esse credunt. Alii vestràm, voluisse
- -
si suole ne'litigii, della nostra segreta intenzione;
quidem nos hoc, non tamen ob id bello perse aver noi favoreggiato Perseo, bramato che fosse
quendos esse: neque moribus, neque legibus ul egli il vincitore; quindi credono che abbiate ad
lius civitatisita comparatum esse, ut, si quis vel intimarci la guerra. Altri pensano che veramente
Ict inimicum perire, si nihil fcccrit, quo id fiat, così bramassimo, ma che non abbiasi per questo
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capitis damnetur. His, qui mos poena, non crimi a farci la guerra ; non comportare nè l'usanza,
ne, liberant, gratiam quidem habemus ; ipsi no nè le leggi di nessun paese che, se taluno abbia
bis hanc dicimus legem : si omnes voluimus, desiderato che il suo nemico perisca, ma nulla
quod arguimur, non distinguimus voluntatem a abbia commesso onde ciò avvenga, sia mondi
facto: omnes plectamur. Si alii principum no meno capitalmente punito. Rendiamo grazie a
strorum vobis, alii regi faverunt, non postulo, quelli che ci esimono dalla pena, non dal delitto;
ut propter nos, qui partium vestrarum fuimus, ma noi medesimi c'imponiamo questa legge : se
regis fautores salvi sint: illud deprecor, ne mos abbiamo tutti bramato ciò di che siamo incol
propter illos pereamus. Non estis vos illis infe pati, non si separi la volontà dal fatto; la pena
stiores, quam civitas ipsa; et hoc qui sciebant, ci colpisca tutti. Che se altri de'nostri principali
plerique eorum aut profugerunt, aut mortem cittadini favoreggiarono voi, altri il re, non
sibi consciverunt. Alii, damnati a nobis, in pote chiedo che a riguardo di noi che stemmo alla
state vestra erunt, Patres conscripti. Ceteri Rho parte vostra, sieno salvi i fautori del re; chiedo
dii, sicut gratiam nullam meriti hoc bello, ita ne bensì che non ci avvenga di perire per cagion
poenam quidem sumus. Priorum nostrorum be loro. Non siete irritati contro di loro meno che
nefactorum cumulus hoc, quod nunc cessatum in la città nostra medesima; e come il sapevano, la
officio est, expleat. Cum tribus regibus gessistis più parte sono fuggiti o si son data la morte:
bella per hos annos. Ne plus obsit nobis, quod gli altri, condannati da voi, saranno messi, o
uno bello cessavimus, quam quod duobus bellis Padri coscritti, in poter vostro. Noi altri Rodia
pro vobis pugnavimus. Philippum, Antiochum, ni, siccome nessuna grazia, così non abbiam me
Persea, tamquam tres sententias, ponite: duae ritato in questa guerra nessuna pena. Il cumulo
nos absolvunt: una dubia est, ut gravior sit. Illi de' precedenti meriti nostri adempia il presente
de nobis si iudicarent, damnati essenus. Vos ju nostro difetto. Guerreggiaste in questi anni con
dicate, Patres conscripti, sit Rhodus in terris, an tre re: non ci rechi più danno l'aver noi cessato
funditus deleatur. Non enim de bello deliberatis, in una guerra, di quel che ci giova l'aver noi
Patres conscripti, quod inferre potestis, gerere combattuto per voi nelle altre due. Mettete qua
non potestis; quum memo Rhodiorum arma ad Filippo, Antioco, Perseo, come se fossero tre
versus vos laturus sit. Si perseverabitis in ira, pareri; due ci assolvono; uno è dubbio, che
tempus a vobis petemus, quo hanc funestam le mal potrebbe essere più rigoroso. Se quei re
gationem domum referamus: omnia libera capi dovessero giudicarci, saremmo condannati; giu
ta, quidquid Rhodiorum virorum, feminarum dicate voi, o Padri coscritti, se debba Rodi stare
est, cum omni pecunia nostra naves conscende o essere dai fondamenti distrutta. Perciocchè
mus; ac, relictis penatibus publicis privatisque, non avete, o Padri, a deliberare della guerra che
Romam veniemus; et, omni auro et argento, potete bensì moverci addosso, ma non già fare;
quidquid publici, quidquid privati est, in chè non vi sarà Rodiano, il quale pigli l'armi
comitio, in vestibulo curiae vestrae, cumulato, contro di voi. Se persevererete nel vostro sde
corporanostra conjugumque ac liberorum vestrae gno, vi chiederemo tempo, onde rapportare a
potestati permittenus, hic passuri, quodcumque casa codesta nostra infelice ambasceria: tutti gli
patiendum erit. Procul ab oculis nostris urbs uomini liberi, tutti quanti siamo a Rodi maschi
nostra diripiatur, incendatur. Hostes Rhodios e femmine, con tutto il nostro danaro saliremo
esse, Romani judicare possunt: est tamen et in nave, e abbandonati i privati e pubblici edifi
nostrum aliquod de nobis judicium, quo num zii, verremo a Roma, e fatto un monte in sulla
quam judicabimus nos vestros hostes: nec quid piazza, in sul vestibolo della vostra curia, di tutto
quam hostile, etiam si omnia patiemur, facie l'oro e l'argento, quanto ne abbiamo di pubblico
mus, 35 e di privato, metteremo in poter vostro le per
sone nostre, le mogli, i figliuoli, risoluti di qui
patire checchè avremo a patire. La città nostra
sia lungi dagli occhi mostri saccheggiata, abbru
ciata. Possono i Romani giudicare nemici i Ro
diani; abbiamo però dritto anche noi di fare
alcun giudizio di noi medesimi; nè ci avverrà
mai di giudicarci vostri nemici, nè mai faremo,
checchè ci tocchi di soffrire, nessun atto ostile
contro di voi.
XXV. Secundum talem orationem universi XXV. Dopo questa orazione, tutti nuovamen
rursus prociderunt, ramosque oleae supplices te si prosternarono a terra, supplichevoli agitando
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jactantes, tandem excitati. curia excesserunt. colle destre rami di ulivo; e finalmente fatti li
Tune sententiae interrogari coeptae. Infestissimi rialzare, uscirono dalla curia. Allora si cominciò
Rhodiis erant, qui consules praetoresque aut le a chiedere i pareri. Erano mimicissimi ai Rodiani
gati gesserant in Macedonia bellum. Plurimum quelli che aveano guerreggiato in Macedonia iº
causam eorum adjuvit M. Porcius Cato, qui, qualità di consoli, di pretori, di legati. Giovò
asper ingenio, tum lenem mitem que senatorem moltissimo la loro causa Marco Porcio Catone,
egit. Non inseram simulacrum viri copiosi, quae il quale, aspro di sua natura, diportossi allora
dixerit, referendo: ipsius oratio scripta exstat, da mansueto e mite senatore. Non offrirò un
Originum quinto libro inclusa. Rhodiis respon debole sbozzo dell'eloquenza di quest'uomo,
sum ita redditum est, ut mec hostes fierent, nec riferendo ciò che disse: il suo discorso è scritto
socii permanerent. Philocrates et Astymedes prin ed inserito nel quinto libro delle Origini. La
cipes legationis erant. Partem cum Philocrate risposta data ai Rodiani ſu tale che nè furono
renunciare Rhodum legationem placuit, partem dichiarati nemici, nè ritenuti alleati. Erano capi
cum Astymede Romae subsistere, qui,quaeageren dell'ambasceria Filocrate ed Astimede: si volle
tur, sciret, certioresque suos faceret. In praesen che parte andasse con Filocrate a Rodi a render
tia deducere ante certam diem ex Lycia Caria Iue conto dell'ambasceria; parte si rimanesse a Ro
jusserunt praefectos. Haec Rhodum nunciata, ma con Astimede a sapere quello che si facesse, e
quae per se tristia fuissent, quia majoris malile darne avviso a suoi. Al presente ſu loro ingiunto
vatus erat timor, quum bellum timuissent, in di ritirare avanti un giorno determinato i loro
gaudium renunciata verterunt. Itaque extemplo prefetti dalla Caria e dalla Licia. Quest'ordine
coronam viginti millium aureorum decreverunt: annunziato a Rodi, ch'era assai doloroso per sè,
Theodotum, praefectum classis, in eam legatio nondimeno perchè gli alleggeriva del timore di
nem miserunt. Societatem ab Romanis ita vole un male più grande, avendo essi paventato la
bant peti, ut nullum de ea re scitum populi fie guerra, convertissi in gioia; quindi subitamente
ret, aut literis mandaretur; quod, nisi impetra decretarono una corona di venti mila pezzi d'oro,
rent, major repulsis ignominia esset. Praefecti e destinarono a quella ambasciata Teodoto, co
classis id unius erat jus, ut, agere de ea re sine mandante della flotta. Volevano ch'egli chiedesse
rogatione ulla perlata posset. Nam ita per tot l'alleanza de Romani in guisa che non ci fosse
annos in amicitia fuerant, ut sociali foedere se intorno a ciò deliberazione del popolo, nè scritto
cum Romanis non illigarent ob nullam aliam cau alcuno, perchè, se non la impetrassero, sarebbe
sam, quam ne spem regibus abscinderent auxilii la ripulsa più ignominiosa. Si era data questa
sui, si cui opus esset, neu sibi ipsis fructus ex commissione al solo comandante della flotta,
benignitate et fortuna eorum percipiendi. Tunc acciocchè trattasse della cosa senza alcuna pubbli
utique petenda societas videbatur,non quae tutio ca autorizzazione; perciocchè erano stati quei
res eos ab aliis faceret (nec enim timebant quem di Rodi amici per tanti anni, senza però che mai
quam, praeter Romanos), sed quae ipsis Roma si legassero in alleanza scritta coi Romani; e ciò
mis minus suspectos. Sub idem fere tempus et per nessun'altra ragione, che per non togliere ai
Caunii descivere ab his, et Mylasenses Euromen re la speranza del loro soccorso, se alcuno di essi
sium oppida occuparunt. Non ita fracti animi ci - ne abbisognasse, nè a sè medesimi la facoltà di
vitatis erant, ut non sentirent, si Lycia et Caria conseguire il frutto della liberalità e fortuna dei
ademptae ab Romanis forent, cetera aut se ipsa medesimi. Ed anche allora chiedevano l'alleanza
per defecitonem liberarent, auta finitimis occu dei Romani, non perchè questa gli facesse più
parentur, includi se insulae parvae et sterilis agri securi dagli altri (che tranne i Romani non
litoribus, quae nequaquam alere tantae urbis po temevano di nessuno ), ma perchè li rendeva
pulum posset. Missa igituriuventute, propere et meno sospetti ai Romani medesimi. Quasi a quel
Caunios, quamduam Cibyratarum adsciverant tempo stesso i Caunii si ribellarono da loro e
auxilia, coegerunt imperio parere; et Mylasenses quei di Milasso occuparono le città degli Euro
Alabandenosque, qui, Euromensium provincia mesi. Non erano gli animi de' Rodiani così ab
adempta, ad ipsos conjuncto exercitu venerunt, battuti da non sentire che se la Licia e la Caria
circa Orthosiam acie vicerunt. eran lor tolte dai Romani, le altre città ribellan
dosi si sarebbero da sè rimesse in libertà o
verrebbero occupate dai confinanti, o ch'essi
rimanevano rinchiusi tra il litorale di una pic
cola isola e di sterile terreno, nè mai bastante a
nodrire il popolo di così grande città. Spedita
dunque in tutta fretta la loro gioventù, costrin
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sero i Caunii di starsi all'obbedienza, benchè


avessero chiamati i Cibirati in soccorso; e presso
Ortosia vinsero in lattaglia campale quei di
Milasso e di Alabanda, i quali, conquistato il
-
paese degli Euromesi, unite le forze, venuti era
no ad incontrarli.

XXVI. Dum haec ibi, alia in Macedonia, alia XXVI. Mentre sl fanno codeste cose, altre in
Romae geruntur, interim in Illyrico L. Amicius, Macedonia ed altre in Roma, intanto nell'Illirico
rege Gentio, sicutante dictum est, in potestatem Lucio Anicio, avuto in poter suo, come già si è
redacto, Scodrae, quae regia fuerat, praesidio im detto, il re Genzio, messo presidio in Scodra,
posito Gabinium praefecit, Rhizoni et Olcinio già sua regia, vi prepose Galbinio, ed a Rizone
urbibus opportunis C. Licinium. Praepositis his ed Olcinio, città molto opportune, Caio Licinio.
Illyrico, cum reliquo exerci tu in Epirum est pro Lasciati costoro al governo dell'Illirico, andò
fectus: ubi primo Phanota ei dedita, tota mul col resto dell'esercito nell'Epiro; dove primie
titudine cum infulis obviam effusa. Hic praesidio ramente se gli rendette Fanota, venutigli incon
imposito, in Molossidem transgressus: cujus om tro con le infule tutti gli abitanti. Messo quivi
nibus oppidis, praeter Passaronem et Tecmonem presidio, passò nella Molosside, della quale aven
et Phylacen et Horreum, receptis, primum ad do occupate tutte le città, eccetto Passarone, e
Passaronem ducit. Antinous et Theodotus prin Tecmo.e, e Filace ed Orreo, primieramente
cipes ejus civitatis erant, insignes et favore Per guida i suoi contro Passarone. Erano capi di
sei, et odio adversus Romanos : iidem universae quella città Antinoo e Teodoto, rinomati pel
genti auctores desciscendi ab Romanis. Hi con favore di Perseo e per l'odio loro contro i
Romani; autori essi stessi a tutta la nazione di
scientia privatae noxae, quia ipsis nulla spes ve:
miae erat, ut communi ruina patriae opprimeren ribellarsi da Roma. Costoro, spaventati dalla
tur, clauserunt portas, multitudinem, ut mortem coscienza della loro colpa privata, non avendo
servituti praeponerent, hortantes. Nemo adver speranza alcuna di perdono, chiusero le porte
sus praepotentes viros hiscere audebat. Tandem per seppellirsi sotto le ruine della patria, esortan
Theodotus quidam, nobilis et ipse adolescens, do la moltitudine a preferire la morte alla schia
vitù. Nessuno osa fiatare contro uomini così
quum major a Romanis metus timorem a prin
cipibus suis vicisset, « Quae vos rabies, inquit, potenti. Finalmente un certo Teodoto, esso pure
agitat, qui duorum hominum noxae civitatis ac nobile giovanetto, avendo il timore de Romani
cessionem facitis? Equidem pro patria qui letum prevaluto in lui sopra quello di coloro, . Qual
oppetissent, saepe fando audivi: qui patriam pro rabbia, disse, vi agita che involgere volete nella
se perire aequum censerent, hi primi inventi colpa di due uomini tutta la città ? lio bensì
sunt. Quin aperimus portas, et imperium accipi spesso udito di molti che andarono ad incontrare
mus, quod urbis terrarum accepit? » Haec dicen la morte per la patria; ma costoro sono i primi
tem quum multitudo sequeretur, Antinous et a pensare che la patria debba perire per loro.
Theodotus in primam stationem hostium irrupe Perchè non apriamo le porte e non accettiamo
runt, atque, ibi offerentes se ipsi vulneribus, in l'impero che tutto il mondo accetta ? - Così
terfecti: urbs dedita est Romanis. Simili pertina dicendo e tutta la moltitudine seguendolo, Anti
cia Cephali principis clausum Tecmonem, ipso noo e Teodoto si scagliarono contro la prima
interfecto, per deditionem recepit. Nec Phylace, posta de'nemici, e quivi, di per sè offerendosi
nec Horreum, oppugnationem tulerunt. Pacata alle ferite, furono uccisi; la città si arrendette ai
Epiro, divisisque in hiberna copiis per opportu Romani. Così Tecmone, le cui porte erano state
nas urbes, regressus ipse in Illyricum, Scodrae, chiuse per una simile pertinacia di Cefalo, ucciso
quo quinque legati ab Roma venerant, evocatis lui ch'era uno de primi, si diede a discrezione.
ex tota provincia principibus, conventum habuit. Nè Filace, nè Orreo sostennero d'essere assediati.
Ibi pro tribunali pronunciavit de sententia con Pacificato l'Epiro e divise le sue genti a svernare
silii : « Senatum populumque Romanum Illyrios qua e colà per le città più opportune, tornato in
esse liberos jubere. Praesidia ex omnibus oppi Epiro, chiamati i principali capi di tutta la pro
dis, arcibus et castellis sese deducturum. Non vincia, tenne una dieta a Scodra, dov'erano
solum liberos, sed etiam immunes fore Issenses venuti da Roma i cinque legati. Quivi dal tribu
et Taulantios, Dassaretiorum Pirustas, Rhizoni male, col parere del consiglio, pronunziò: « Essere
tas, Olciniatas, quod, incolumi Gentio, ad Ro volontà del senato e del popolo Romano che
manos defecissent. Daorseis quoque immunita gl'Illirii sieno liberi, che perciò torrebbe via i
tem dare, quod, relicto Caravantio, cum armis presidii da tutte le fortezze, rocche e castelli.
1851 TITI LIVII LIBER XLV. 1852

ad Romanos transissent. Scodrensibus et Dassa Liberi non solamente, ma eziandio esenti da


rensibus et Selepitanis, ceterisque Illyriis, vecti tributo sarebbono gli Issesi, i Taulanzii, i Pirusti
gal dimidium eius, quod regi pendissent. » Inde della Dassarezia, i Rizoniti, gli Olciniati, come
in tres partes lllyricum divisit. Unam eam fecit, quelli che, Genzio non ancora caduto, s'erano
quae supra dicta est; alteram Labeatas omnes; volti alla parte de' Romani. Si concedeva l'esen
tertiam Agravonitas et Rhizonitas et Olcinia zione anche ai Daorsei, perchè, abbandonato
tas, accolasque eorum. Hac formula dicta in Caravanzio, passati erano con l'arme ai Romani.
Illyrico, ipse in Epiri Passaronem in hiberna Gli Scodresi, i Dassaresii, i Selepitani e gli altri
rediit. Illirii pagherebbono la metà del tributo, che
avrebbono pagato al re. » Poscia divise l'Illirico
in tre parti; una quella, di cui si è detto di sopra;
l'altra che comprendeva tutti i Labeati; la terza
gli Agravoniti, i Rizoniti, gli Olciniati e loro
vicini. Conformato in questa guisa l'Illirico,
tornò in Epiro a svernare a Passarone.
XXVII. Dum haec in Illyrico geruntur, Paul XXVII. Mentre si fanno codeste cose nell'Il
lus ante adventum decem legatorum Q. Maxi lirico, Paolo, prima che venissero i legati, manda
mum filium, jam ab Roma regressum, ad Aegi il figlio Quinto Massimo, già tornato da Roma,
nium et Agassas diripiendasmittit: Agassos, quod, a saccheggiare Eginio ed Agassa; Agassa perchè,
quum Marcio consuli tradidissent urbem, petita essendosi data al console Marcio, chiesta sponta
ultro societate Romana, defecerant rursus ad neamente l'alleanza Romana, erasi nuovamente
Persea: Aeginiensium novum crimen erant. Fa volta alla parte di Perseo: era più recente il
mae de victoria Romanorum fidem non haben peccato degli Eginesi. Non prestando fede alla
tes, in quosdam militum, urbem ingressos, ho vittoria de' Romani, eransi scagliati ostilmente
stiliter saevierant. Ad Aeniorum quoque hostili addosso ad alcuni soldati, entrati nella loro città.
ter urbem diripiendam L. Postumium misit, Spedì anche Lucio Postumio a mettere a sacco
quod pertinacius, quam finitimae civitates, in la città di Enio, perchè s'erano tenuti in arme
armis fuerant. Autumni fere tempus erat ; cujus più lungo tempo che le altre città confinanti.
temporis initio circumeundam Graeciam, visen Era la stagione dell'autunno; nel principio del
daque, quae nobilitata fama magis auribus acce quale avendo stabilito di fare il giro della Grecia
pta sunt, quam oculis moscuntur, ut statuit, e di vedervi le cose, che celebrate dalla fama
praeposito castris C. Sulpicio Gallo, profectus entrano d'ordinario più pegli orecchi, di quel
cum haud magno comitatu , tegentibus latera che si conoscano cogli occhi, messo a guardia
Scipione filio et Athenaeo Eumenis regis fratre, del campo Caio Sulpicio Gallo, partitosi con
per Thessaliam Delphos petit, inclytum oracu grossa comitiva, avendo a fianco il figlio Scipio
lum: ubi, sacrificio Apollini facto, inchoatas in ne ed Ateneo, fratello del re Eumene, per la
vestibulo columnas, quibus imposituri statuas Tessaglia si reca a Delfo, oracolo famosissimo;
regis Persei fuerant, suis statuis victor destina dove, avendo fatto un sagrifizio ad Apollo, viste
vit. Lebadiae quoque templum Jovis Trophonii nel vestibolo alcune sbozzate colonne, sopra le
adiit. Ibi quum vidisset os specus, per quod quali doveano porsi le statue del re Perseo, vin
oraculo utentes sciscitatum deos descendunt, citore del medesimo destinolle alle sue. A Leba
sacrificio Jovi Hercynnaeque facto, quorum ibi dia entrò anche nel tempio di Giove Trofonio;
templum est, Chalcidem ad spectaculum Euripi ed avendo quivi veduta la bocca dell'antro, pel
Euboeaeque insulae, ponte continenti junctae, quale chi consulta l'oracolo scende ad interroga
descendit. A Chalcide Aulidem trajicit,trium mil re gli dei, fatto un sagrfizio a Giove e ad Ercin
lium spatio distantem, portum inclytum statione na, che hanno quivi un tempio, scese a Calcide
quondam mille navium Agamemnoniae classis, ad osservare l'Epiro e l'isola Eubea, unita con
Dianaeque templum, ubi navibus cursum ad Tro un ponte al continente. Da Calcide passò in Au
jam, filia victima aris admota, rex ille regum pe lide, distante tre miglia, porto rinomato per le
tiit.lnde Oropum Atticae ventum est; ubi pro mille navi di Agamennone, che vi stanziarono
Deo vates Amphilochus colitur, templumque ve un tempo, e pel tempio di Diana, dove quel re
tustum est, fontibus rivisque circa amoenum. dei regi, immolata in sugli altari la propria figlia,
Athenas inde, plenas quidem et ipsas vetustate drizzò il corso inverso Troia. Indi si volse ad
famae, multa tamen visenda habentes ; arcem, Oropo nell'Attica, dove l'indovino Antiloco è
portus, muros Piraeeum urbi jungentes, navalia venerato qual dio, e v'ha un antico tempio,
magnorum imperatorum, simulacra deorum ho ameno all'intorno per fontane e per rivoli. Visitò
1853 TITI LIVII LIBER XLV. 1854

minumque, omni genere et materiae et artium poscia Atene, piena anch'essa di antichissime
insignia. -
memorie, che ha però parecchie cose degne d'es
sere vedute; la rocca, i porti, il muro che unisce
il Pireo alla città, gli arsenali rinomati per illustri
capitani e statue di dei e di uomini preziose per
materia e squisitezza di lavoro.
XXVIII. Sacrificio Minervae praesidi arcis in XXVIII. Fatto in Atene un sagrifizio a Mi
urbe facto profectus, Corinthum altero die per nerva proteggitrice della rocca, giunse il dì
venit. Urbs erat tunc praeclara ante excidium. appresso a Corinto. Era allora città famosa,
Arx quoque et Isthmus praebuere spectaculum : innanzi che fosse smantellata; anche qui la rocca
arx inter omnia in immanem altitudinem edita, e l'istmo offersero un grande spettacolo; la rocca
scatens fontibus; Isthmus duo maria, ob occasu specialmente elevata a sorprendente altezza, ricca
et ortu solis finitima, arctis faucibus dirimens. di sorgenti; e l'istmo che divide con una stretta
Sicyonem inde et Argos nobiles urbes adit: inde foce due mari vicini ad oriente e ad occidente.
haud parem opibus Epidaurum, sed inclytam Poscia recossi a Sicione e ad Argo, città rinoma
Aesculapii nobili templo; quod, quinque milli te; indi ad Epidauro, non egualmente potente,
bus passuum ab urbe distans, nunc vestigiis re ma celebre pel famoso tempio di Esculapio, il
vulsorum donorum, tum donis dives erat, quae quale distante cinque miglia dalla città, ricco
remediorum salutarium aegri mercedem sacra era allora dei doni, ed ora solamente dei vestigii
verant deo. Inde Lacedaemonem adit, non ope dei doni stessi che ne furono strappati via, e
rum magnificentia, sed disciplina institutisque ch'erano stati consegrati al dio in mercede di
memorabilem; unde per Megalopolim Olympiam salutari rimedii. Di poi portossi a Sparta, città
ascendit. Ubi et alia quidem spectanda visa, et, memorabile non per magnificenza di opere, ma
Jovem velut praesentem intuens, motus animo per la disciplina e gl'istituti; e di là per Megalo
est. Itaque, haud secus quam si in Capitolio im poli salì ad Olimpia, dove ed ebbe parecchie cose
molaturus esset, sacrificium amplius solito appa a vedere, e mirando quel Giove sentissi altamente
rari jussit. Ita peragrata Graecia, ut nihil eorum, colpito, quasi lo avesse in presenza. Quindi non
quae quisque Persei bello privatim aut publice altrimenti che se dovesse sagrificare sul Campi
sensisset, inquireret, ne cujus metu sollicitaret doglio, ordinò un sagrifizio più magnifico del
animos sociorum, Demetriadem quum revertit, solito. Corsa così tutta la Grecia, senza però
in itinere sordidata turba Aetolorum occurrit; punto cercare di che animo si fosse stato ciascuno
mirantique et percunctanti, quid esset, defertur, o privatamente o pubblicamente nella guerra di
quingentos quinquaginta principes ab Lycisco et Perseo, per non destar timore negli alleati, tor
Tisippo,circumsesso senatu per milites Romanos, nato a Demetriade, per via se gli fe incontro una
missos a Baebio praeside, interfectos; alios in turba di Etoli vestiti a bruno; e maravigliandosi
exsilium actos esse; bonaque eorum, qui inter egli e chiedendo che fosse stato, gli si racconta
fecti essent, et exsulum possidere, qui arguebant. che cinquecento cinquanta de'principali cittadi
Jussis Amphipolim adesse, ipse, convento Cn. ni erano stati uccisi da Licisco e da Tisippo, che
Octavio Demetriade, postguam fama accidit, tra avevano investito il senato con soldati Romani
jecisse jam mare decem legatos, omnibus aliis spediti dal comandante Bebio; e che altri furono
omissis, Apolloniam ad eos pergit. Quo quum cacciati in bando; e i beni degli uccisi e dei
Perseus obviam Amphipoli mimis soluta custodia banditi essere in mano di coloro che gli accusa
processisset (id diei iter est), ipsum quidem be rono. Detto loro che si trovassero ad Anfipoli,
nigne allocutus est ; ceterum, postguam in castra egli, abboccatosi in Demetriade con Gneo Otta
ad Amphipolim venit, graviter increpuisse tradi vio, poi che fu giunta la notizia avere i dieci
tur C. Sulpicium ; primum, quod Persea tam legati passato il mare, lasciata ogni altra cosa,
procul a se vagari per provinciam passus esset; andò ad incontrarli in Apollonia. Dove essendo
deinde, quod adeo indulsisset militibus, ut nuda gli venuto incontro da Anfipoli (non è che una
retegulis muros urbis ad tegenda hibernacula giornata di cammino) Perseo troppo largamente
sua pateretur; referrique tegulas et resarciri te custodito, lo accolse bensì benignamente; se non
cta, sicut fuerant, jussit. Et Persea quidem cum che venuto al campo in Anfipoli, dicesi che
majore filio Philippo, traditos A. Postumio, in gravemente sgridasse Caio Sulpicio, primiera
custodiam misit; filiam cum minore filio, a Sa mente perchè avesse lasciato Perseo andar va
mothrace accitos Amphipolim, omni liberali cul gando così lontano da sè; poi perchè usasse
tu habuit. cotanta indulgenza co'soldati, sino a soffrire che
spogliassero delle tegole i muri della città per
i 85 , l I l l LlVII LIBER XLV. 1 856

coprirne i loro alloggiamenti; e fece riportare


le tegole e risarcire i tetti, com'erano. E Perseo
col suo figlio maggiore Filippo il consegnò alla
custodia di Aulo Postumio; e la figlia col figlio
minore, fatti venire dalla Samotracia ad Anfipo
li, trattolli co' più dilicati riguardi.
XXIX. Ipse, ubi dies venit, quos adesse Am XXIX. Venuto il giorno, nel quale aveva
phipoli denos principes civitatium jusserat, li ordinato che si trovassero in Anfipoli dieci
terasque omnes, quae ubique depositae essent, et de'primi cittadini d'ogni città, e vi si portassero
pecuniam regiam conferri, cum decem legatis, tutte le pubbliche carte dovunque fossero depo
circumfusa omni multitudine Macedonum, in sitate, non che il tesoro del re, Paolo, co' dieci
tribunali consedit. Assuetis regio imperio tamen legati, circondato da folla immensa di Macedoni,
novum formam terribilem praebuit tribunal, si pose a sedere in tribunale. Avvezzi a curvarsi
submotor aditus, praeco, accensus, insueta omnia davanti ai re, nondimeno questo nuovo tribunale
oculis auribusque; quae vel socios, nedum hostes colpilli di terrore; quel littore che rimove la
victos, terrere possent. Silentio per praeconem. calca, quel banditore, quell'uffiziale; cose tutte
facto, Paullus Latine, quae senatui, quae sibi ex nuove agli occhi, nuove agli orecchi, che avreb
consilii sententia visa essent, pronunciavit: ea bono potuto atterrire non che i nemici vinti, ma
Cn. Octavius praetor, nam et ipse aderat, in gli stessi alleati. Intimato silenzio dal banditore,
terpretata sermone Graeco referebat. « Omnium Paolo pronunziò in latino quello che al senato,
primum liberos esse jubere Macedonas, haben quello ch'era paruto a lui col parere del consi
tes urbes easdem agrosque, utentes legibus suis, glio: il pretore Gneo Ottavio ch'era presente,
annuos creantes magistratus: tributum dimidium interpretando ripeteva le cose stesse in greco :
ejus, quod perpendissent regibus, pendere po « Volersi prima di ogni altra cosa che i Macedoni
pulo Romano. Deinde in quatuor regiones di fossero liberi, possedendo le città, le terre me
dividi Macedoniam. Unam fore et primam par desime che avevano, usando le proprie leggi,
tem, quod agri interStrymonem et Nessum amnem creandosi i loro annui magistrati; e che pagas
sit; accessurum huic parti trans Nessum, ad sero al popolo Roniano la metà del tributo che
orientem versum, qua Perseus tenuisset vicos, pagavano ai re; poi che la Macedonia fosse divisa
castella, oppida, praeter Aenum et Maroneam et in quattro regioni: una e la prima parte tutto il
Abdera; trans Strymonem autem vergentia ad paese compreso tra lo Strimone e il fiume Nesso;
occasum, Bisalticam omnem cum Heraclea, quam si aggiungerebbe a questa parte, di là dal Nesso
Sinticen appellant. Secundam fore regionem , verso oriente, le borgate, i castelli, le terre
quam ab ortu Strymo amplecteretur amnis, prae ch'erano state di Perseo, eccetto Eno e Maro
ter Sinticen Heracleam et Bisaltas: ab occasu qua nea ed Abdera; di là poi dallo Strimone ad occi
Axius terminaret fluvius, additis Paeonibus, qui dente tutta la Bisaltica con Eraclea, che chiamano
prope Axium flumen ad regionem orientis cole Sintice. La seconda regione quella ad oriente,
rent. Tertia pars facta, quam Axius ab oriente, ch'è abbracciata dallo Strimone, eccetto la Sin
Peneus amnis ab occasu, cingunt: ad septemtrio tice-Eraclea e i Bisalti: a ponente, dove confina
nem Bora mons objicitur. Adjecta huic parti col fiume Axio, aggiunti i Peoni che abitano
regio Paeoniae, qua ab occasu praeter Axium presso al fiume stesso all'oriente. La terza parte
amnem porrigitur: Edessa quoque et Beroea fu fatta quella ch'è cinta all'oriente dall'Axio e
eodem concesserunt. Quarta regio trans Boram all'occidente dal Peneo, e che ha di fronte a
montem, una parte confinis Illyrico, altera Epiro. settentrione il monte Bora; si aggiunge a questa
Capita regionum, ubi concilia fierent, primae parte quel tratto della Peonia che a ponente si
regionis Amphipolim, secundae Thessalonicem, distende lungo l'Axio; ed insieme Edessa e Bo
tertiae Pellam, quartae Pelagoniam fecit. Eo con rea. La quarta regione fu quella di là dal monte
cilia suae cuiusque regionis indici. pecuniam con Bora, dove confina da un lato coll'Illirico, dall'al
ferri, ibi magistratus creari jussit. » Pronuncia tro coll'Epiro. Capi-luoghi, dove si tenessero i
vit deinde, « neque connubium, neque commer consigli, nominò per la prima regione Anfipoli,
cium agrorum aedificiorumque inter se placere per la seconda Tessalonica, per la terza Pella,
cuiquam extra fines regionis suae esse. Metalla per la quarta Pelagonia. Quivi s'intimassero i
quoque auri atque argenti non exerceri; ferri consigli di ciascheduna regione, e si facessero i
et aeris permitti. » Vectigal exercentibus dimi pagamenti, si creassero i magistrati. - Indi pro
dium eius impositum, quod pependissent regi. nunziò che nessuno si ammogliasse, nè facesse
Et sale invecto uti vetuit. Dardanis repetentibus commercio di case e campi fuori della sua regione;
1857 TITI LIVII LIBER XLV. i 858

Paeoniam, quod et sua fuisset, et continens esset nè lavorassero le miniere d'oro è d'argento,
finibus suis, « omnibus dare libertatem pronun permettendosi quelle di ferro e di rame; a chi
ciavit, qui sub regno Persei fuissent. » Post non lavorasse queste s'imponeva la metà del tributo
impetratam Paeoniam, salis commercium dedit: che pagavano al re. Si proibì l'uso del sale con
tertiae regioni imperavit, ut Stobos Paeoniae dotto di fuori. Ai Dardani che ripetevano la
deveherent, pretiumque statuit. Navalem mate Peonia, e perchè era stata loro e perchè confina
riam et ipsos caedere, et alios pati vetuit. Regio va con essi, rispose ch'egli a concedeva la libertà
nibus quae affines barbaris essent (excepta au a tutti quelli ch'erano stati sotto la dominazione
tem tertia, omnes erant) permisit, ut praesidia di Perseo. » Poi che non ottennero la Peonia,
armata in finibus extremis haberent. concedette loro il commercio del sale; commise
alla terza regione che lo conducessero a Stobi di
Peonia e ne stabilì il prezzo. Proibì che taglias
sero legni da costruire navi e permettessero
ch'altri ne tagliasse. Alle regioni che confinava
no con popoli barbari (e tali erano tutte, eccetto
la terza) permise che tenessero gente armata sui
confini.
XXX. Haec, pronunciata primo die conven XXX. Queste parole, dette nel primo giorno
tus, varie affecerunt animos. Libertas praeter dell'assemblea, toccarono gli animi diversamente.
spem data arrexit, et levatum annuum vectigal. Gli cresce la libertà conceduta oltre speranza e
Regionatim commerciis interruptis ita videri la l'annuo tributo alleggerito. Se non che, rotta ogni
cerata, tamquam animalia in artus, alterum al corrispondenza tra le parti, pareva loro che il
terius indigentes, distracta: adeo, quanta Ma regno fosse fatto in brani, come corpo d'animale
cedonia esset, quam divismi facilis, et a se ipsa squartato ne' suoi membri che pure han bisogno
quaeque contempta pars esset, Macedones quo l'uno dell'altro; ed i Macedoni stessi ignorava
que ignorabant. Pars prima Bisaltas habet, for no quanto fosse grande la Macedonia, quanto
tissimos viros (trans Nessum amnem incolunt et facile a dividersi, e come ogni parte a sè medesima
circa Strymonem), et multas frugum proprie bastasse. Ha la parte prima i Bisalti, uomini ga
tates, et metalla, et opportunitatem Amphipo gliardi (abitano di là dal fiume Nesso e ne con
lis; quae obiecta claudit omnes ab oriente sole torni dello Strimone), molta abbondanza di gra
in Macedoniam aditus. Secunda pars celeberri ni e di metalli, e la comodità di Anfipoli, che
mas urbes, Thessalonicen et Cassandriam, habet; messa di fronte chiude a levante ogni ingresso
ad hoc Pallenen, fertilem ac frugiferam terram: nella Macedonia. La seconda parte comprende
maritimas quoque opportunitates ei praebent le assai frequentate città di Tessalonica e di Cas
portus ad Toronen ac montem Atho (Aeneaevo sandria; inoltre Palene, territorio fertile e ricco
cant hunc), alii ad insulam Euboeam, alii ad Hel di biade, a cui danno facilità di commercio ma
lespontum opportune versi. Tertia regio nobiles rittimo i porti a Torone e al monte Ato (questo
urbes, Edessam et Beroeam et Pellam, habet, et lo chiamano porto di Enea), gli uni opportu
Vettiorum bellicosam gentem; incolas quoque namente rivolti verso l'isola Eubea, gli altri
permultos Gallos et Illyrios, impigros cultores. verso l'Ellesponto. Ha la terza regione le città
Quartam regionem Eordaei et Lyncestae et Pe illustri di Edessa, di Beroea, di Pella e la bel
lagones incolunt; juncta his Atintamia, et Stym licosa nazione dei Vezii; ed anche molti Galli
phalis, et Elimiotis. Frigida haec omnis, duraque ed Illirii diligenti coltivatori. Gli Eordei, i
cultu, et aspera plaga est; cultorum quoque in Lincesti e i Pelagoni abitano la quarta regio
genia terrae similia habet. Ferociores eos et ac ne, ai quali è congiunta l'Atintamia, la Stin
colae barbari faciunt, nunc bello exercentes, nunc falide e la Elimiotide: è paese questo freddo
in pace miscentes ritus suos. Divisae itaque Ma tutto ed aspro e difficile a coltivarsi; l'indole
cedoniae partium usibus separatis, quanta uni degli abitanti somiglia al terreno; e la vicinanza
versos teneat Macedonas, formula dicta, quum dei barbari li fa ancora più feroci, ora trava
leges quoque se daturum ostendisset. gliandoli con la guerra, ora in tempo di pace
mescolando con essi i riti e costumi loro. Di
visa pertanto la Macedonia in parti separate
l'una dall'altra, pronunziò la generale forma
del governo, comprendente tutti i Macedoni,
dichiarando che avrebbe dato loro in appresso
anche le leggi.
Livio 2 i 17
1859 TITI LIVII I.I lº!.it XLV. nºto

XXXI. Aetoli deinde citati; in qua cognitio XXXI. Furono di poi citati gli Etoli; nella
ne magis, utra pars Romanis, utra regi favisset, quale procedura si andò cercando quali parte
quaesitum est, quam utri fecissent injuriam, aut avesse favoreggiato i Romani, quale il re, piut
accepissent. Noxa liberati interfectores; exsilium tosto che quale avesse fatto, quale ricevuto in
pulsis aeque ratum fuit, ac mors interfectis. A. giuria. Gli uccisori furono esentati da pena;
Baebius unus est damnatus, quod milites Roma l'esiglio del banditi fu tenuto fermo, come la
nos praebuisset ad ministerium caedis. Hic even morte degli uccisi. Il solo Aulo Bebio fu con
tus Aetolorum causae in omnibus Graeciae gen dannato per aver prestato i soldati Romani al
tibus populisque eorum, qui partis Romanorum sanguinoso ministero. Codesto esito della causa
fuerant, inflavit ad intolerabilem superbiam ani degli Etoli in tutte le nazioni e popoli della
mos; et obnoxios pedibus eorum subjecit, quos Grecia levò ad intollerabile superbia gli animi
aliqua parte suspicio favoris in regem contige di coloro, ch'erano stati della parte dei Romani,
rat. Tria genera principum in civitatibus erant; e pose quasi schiavi sotto a lor piedi quelli, che
duo, quae adulando aut Romanorum imperium, erano in qualche parte sospettati di aver favoreg
aut amicitiam regum, sibi privatim opes oppres giato il re. Eranvi nelle città tre principali par
sis faciebant civitatibus: medium unum, utrique titi; due che adulando la dominazione dei Ro
generi adversum, libertatem et leges tuebatur. mani o l'amicizia dei re, si arricchivano coll'op
His ut major apud suos caritas, ita minor apud pressione delle lor patrie; il terzo, nemico del
externos gratia erat. Secundis rebus elati Roma l'uno e dell'altro, difendeva la libertà e le leggi.
norum partis ejus fautores, solitum in magistra Questi, quanto più erano cari a suoi, tanto erano
tibus, soli in legationibus erant. Hi quum fre meno graditi di fuori. Levatisi in orgoglio per la
quentes et ex Peloponneso, et ex Boeotia, et ex prosperità dei Romani, i fautori di quella parte
aliis Graeciae conciliis adessent, implevere aures soli erano nei magistrati, soli nelle ambascerie.
decem legatorum : « Non eos tantum, qui se Accorsi costoro in gran numero dal Peloponneso,
propalam per vanitatem jactassent, tamquam ho dalla Beozia, e da altre città della Grecia, empie
spites et amicos Persei, sed multo plures alios ex rono le orecchie dei dieci legati, non cessando di
occulto favisse. Reliquos per speciem tuendae li ripetere, che non solamente quelli, i quali eransi
!,crtatis in conciliis adversus Romanos omnia in per vanità spacciati quali amici e confidenti di
struxisse; nec aliter eas mansuras in fide gentes, Perseo, ma altri molti più lo aveano favoreggia
nisi, fractis animis partium, aleretur confirmare to segretamente; altri sotto colore di difendere
turque auctoritas eorum, qui nihil praeter im la libertà aveano nelle assemblee macchinato sem
perium Romanorum spectarent. » Ab his editis pre contro i Romani; e che que popoli non mai
nominibus, evocati literis imperatoris ex Aetolia, starebbonsi fermi nella fede, se non se quando,
Acarnaniaque et Epiro et Boeotia, qui Romam atterrata l'albagia delle parti, si nodrisse e raf
ad causam dicendam sequerentur: in Achajam fermasse l'autorità di quelli, che miravano unica
ex decem legatorum numero profecti duo, C. mente alla grandezza Romana. » Dati da costoro
Claudius et Cm. Domitius, ut ipsi edicto evoca i nomi di molti, furon essi con lettere del co
rent. Id duabus de causis factum : una, quod mandante supremo chiamati dall'Etolia, dal
fiduciae plus animorumque esse Achaeis ad non l'Acarnania, dall'Epiro e dalla Beozia a doverlo
parendum credebant, et forsitan etiam in pericu seguire a Roma per quivi difendersi; e Caio
lo fore Callicratem et ceteros criminum auctores Claudio e Gneo Domizio, due del numero dei
delatoresque: altera, cur praesentes evocarent, legati, andarono nell'Acaia a chiamarli con
causa erat, quod ex aliis gentibus principum editto particolare. Questo fu fatto per due ragio
literas deprehensas in commentariis regiis ha mi; una, perchè stimavano che gli Achei avessero
bebant; in Achaeis caecum erat crimen, nullis più ardimento e coraggio a non ubbidire, e che
corum literis inventis. Aetolis dimissis, Acarna forse Callicrate e gli altri accusatori e delatori
num citata gens: in his nihil novatum, nisi quod avrebbon corso pericolo; l'altra, perchè andas
Leucas exempta est Acarnanum concilio. Quae sero in persona a chiamarli, si era, che dei prin
rendo deinde latius, qui publice aut privatim cipali capi degli altri paesi avevano in mano le
partium regis fuissent, in Asiam quoque cogni lettere, trovate tra le scritture del re; la colpa
tionem extendere, et ad Antissam in Lesbo insu degli Achei non era del tutto chiara, non essen
la diruendam , traducendos Methymnam Antis dosi di loro trovata lettera alcuna. Licenziati gli
sacos, Labeonem miserunt, quod Antenorem, Etoli, si citarono gli Acarnani: quivi non fu fatta
vegium praefectum , quo tempore cum lembis nessuna novità, se non che Leucade fu staccata
circa Lesbum est vagatus, portu receptum com da loro. Indi postisi a ricercare più largamente
neatibus juvissent. Duo securi percussi viri in chi fosse stato o privatamente o pubblicamente
1 8C I TITI LIVII LIBER XLV. i 802

signes, Andronicus Andronici filius Aetolus, della parte del re, distesero l'inquisizione sino
quod, patrem secutus, arma contra populum Ro nell'Asia; e spedirono Labeone all'isola di Lesbo
manum tulisset; et Neo Thebanus, quo aucto a smantellare Antissa, e a tradurne gli abitanti
re societatem cum Perseo junxerant. a Metimna, perchè, accolto in porto Anteno
re, ammiraglio del re, nel tempo che questi
andava corseggiando coi lembi nelle vicinanze
di Lesbo, lo aveano sovvenuto di vettovaglie.
Due persone illustri furono decapitate, Andro
nico, figlio di Andronico, Etolo, perchè segui
tando il padre avea portate l'armi contro il
popolo Romano; e Neone di Tebe, a istigazio
ne del quale aveano i Beozii stretta alleanza con
Perseo.
XXXII. His rerum externarum cognitionibus XXXII. Messe di mezzo codeste inquisizioni
Macedonum rursus advocatum concilium : pro rispetto alle cose esterne, si convocò nuovamente
nunciatum, « Quod ad statum Macedoniae per l'assemblea de' Macedoni: si ordinò « che per
tinebat, senatores, quos Synedros vocant, le quanto risguarda lo stato della Macedonia, si
gendos esse, quorum consilio respublica admi dovessero eleggere i senatori ch'essi chiamano
nistraretur. » Nomina deinde sunt recitata prin Sinedri, col consiglio de' quali si governasse la
cipum Macedonum, quos cum liberis, majori repubblica. » Indi furono recitati i nomi de'prin
bus quam quindecim annos natis, praecede cipali Macedoni, cui fu commesso che coi loro
re in Italiam placeret. Id prima specie saevum, figli, nuaggiori di sedici anni, precedessero i le
mox apparuit multitudini Macedonum pro liber. gati in Italia. Questa parve al primo aspetto cosa
tate sua esse factum. Nominati sunt enim regis crudele, poi conobbero i Macedoni che tornava
amici purpuratique, duces exercituum, prae a vantaggio della loro libertà. Perciocchè i no
fecti navium aut praesidiorum, servire regi hu minati erano o consiglieri del re, o baroni del
militer, aliis superbe imperare assueti; praedi regno, o comandanti degli eserciti, o comandanti
vites alii; alii, quos fortuna non aequarent, his di navi e di fortezze, soliti a servire bassamente
sumptibus pares: regius omnibus victus vestitus il re o a comandare superbamente agli altri;
que: nulli civilis animus, neque legum neque alcuni ricchissimi, alcuni che, se non nella for
libertatis aeque patiens. Omnes igitur, qui in ali tuna, gli eguagliavano nelle spese; tutti che vi -
quibus ministeriis regiis, etiam qui in minimis vevano e vestivano da re, nessuno d'animo cit
legationibus fuerant, jussi Macedonia excedere, tadino, nè sofferente delle leggi e di una mode
atque in Italiamire; qui non paruisset imperio, rata libertà. Tutti adunque coloro ch'erano stati
mors denunciata. Leges Macedoniae dedit cum in qualche regio ministero ed anche in qualche
tanta cura, ut non hostibus victis, sed sociis siasi minima legazione, ebbero ordine di uscire
bene meritis, dare videretur ; et quas ne usus dalla Macedonia e recarsi in Italia; a chi non
quidem longo tempore, qui unus est legum cor avesse ubbidito fu dinunziata la morte. Tale si
rector,experiendo argueret. Ab seriis rebus ludi fu la cura di Paolo nel dar le leggi alla Macedonia,
crum, quod ex multo ante preparato, et in Asiae che parve darle non a nemici vinti, ma sì a bene
civitates, et ad reges missis, qui denunciarent, et meriti alleati; e furon tali che neppure dopo
quum circumiret ipse Graeciae civitates, indixe lungo tempo l'uso, ch'è pure il solo correttore
rat principibus, magno apparatu Amphipoli fe delle leggi, non potè sperimentando censurarle.
cit.Nam et artificum omnis generis, qui ludicram Dopo codeste cose serie, celebrò in Anfipoli una
artem faciebant, ex toto orbe terrum multitudo, festa con grande apparato, già molto innanzi al
et athletarum, et mobilium equorum convenit; et lestito, con messi spediti alle città ed ai re del
legationes cum victimis, et quidquid aliud deo l'Asia a bandirla, ed eziandio quando fece il
rum hominumque causa fieri magnis ludis in giro della Grecia, ed alla quale aveva invitati i
Graecia solet. Ita factum, est, ut non magnificen principali cittadini delle diverse nazioni. Percioc
tiam tantum, sed prudentiam in dandis spectacu chè vi si raccolse da tutto il mondo una grande
lis, ad quae rudes tum Romani erant, admira moltitudine di artefici d'ogni sorta, di quelli
rentur. Epulae quoque legationibus paratae et che danno opera agli spettacoli, e di atleti e di
opulentia et cura eadem. Vulgo dictum ipsius cavalli famosissimi; non che parecchie ambascerie
ferebant, et convivium instruere, et ludos parare con vittime: insomma quant'altro si suole fare
ejusdem esse, qui vincere bello sciret. in Grecia ne'solenni spettacoli in onore degli dei
e degli uomini. Quindi avvenne che si ammiro
TITI LIVII LIBER XLV. 1864

non solamente la magnificenza, ma eziandio


la squisitezza del gusto in fatto di spettacoli;
nel che erano i Romani a quel tempo alquanto
rozzi. Colla ricchezza e cura medesima furono
imbanditi i banchetti per gli ambasciatori.
Correva per le bocche un detto di Paolo, do
ver sempre imbandire un banchetto e prepara
re una festa colui stesso, che sapeva vincere in
guerra. -

XXXIII. Edito ludicro omnis generis, clypeis XXXIII. Celebrata ogni sorta di giuochi e
que aereis in naves impositis, cetera omnis ge caricati sulle navi gli scudi di bronzo, tutte le
neris arma, cumulata in ingentem acervum, pre altre armi di qualunque specie, ammontate in un
catus Martem, Minervam, Luamque matrem et gran cumulo, avendo pregato Marte, Minerva e
ceteros deos,quibus spolia hostium dicare jus fas la dea Lua e gli altri dei, a quali è dritto e
que est, ipse imperator, face subdita, succendit. costume di consegrar le spoglie de'nemici, il
Deinde circumstantes tribuni militum pro se console, sottoponendovi con le proprie mani una
quisque ignes conjecerunt. Notata est in illo con fiaccola accesa, abbruciolle ; poscia i circostanti
ventu Europae Asiaeque, undidue partim ad tribuni de'soldati, ognuno da sè, vi pose il fuoco.
gratulationem, partim ad spectaculum contracta Fu osservabile in quel concorso dell'Europa e
multitudine, tantis navalibus terrestribusque dell'Asia, in quella tanta moltitudine di gente
exercitibus, ea copia rerum, ea vilitas annonae, ivi raccolta, parte venuta a congratularsi, parte
ut et privatis, et civitatibus, et gentibus, dona alla festa, con sì grossi eserciti di terra e di mare,
data pleraque eius generis sint ab imperatore, quella abbondanza d'ogni cosa, quel basso prez
non in usum modo praesentem, sed etiam quod zo dei viveri; e tale che il console assai me regalò
domos aveherent Spectaculo fuit ei, quae vene di quel genere ai privati, alle città ed alle nazioni,
rat, turbae, non scenicum magis ludricum, non nè soltanto per l'uso presente, ma eziandio per
certamina hominum , aut curricula equorum, portarne a casa. Fu grande spettacolo alla turba
quam praeda Macedonica omnis, ut viseretur, ch'era venuta, non tanto la pompa de ludisce
exposita statuarum tabularumque textilium, et nici ed i combattimenti degli uomini, quanto
vasorum ex auro et argento et aere et ebore fa tutta la preda Macedonica, esposta agli occhi di
ctorum ingenti cura in ea regia; ut non in prae tutti e le statue, le pitture, le tappezzerie e i vasi
sentem modo speciem, qualibus referta regia d'oro e d'argento, di bronzo e di avorio, lavori
Alexandria erat, sed in perpetuum usum fierent. di eccellente artifizio, dei quali era piena la reggia
Haec, in classem imposita, devehenda Romam di Alessandria, nè soltanto per farne bella mostra,
Cm. Octavio data. Paullus, benigne legatis di ma per continuo uso giornaliero. Tutte codeste
missis, transgressus Strymonem, mille passuum cose, imbarcate sulla flotta, consegnate furono
ab Amphipoli castra posuit: inde profectus, Pel a Gneo Ottavio da portarsi a Roma. Paolo, li
lam quinto die pervenit. Praetergressus urbem, cenziati cortesemente i legati, passato il fiume
ad Spelaeum, quod vocant, biduum moratus, Strimone, accampossi un miglio discosto da An
P. Nasicam et Q. Maximum filium cum parte fipoli; donde partitosi, il quinto giorno giunse
copiarum ad depopulandos Illyrios, qui Persea a Pella. Oltrepassata questa, fermatosi due giorni
juverant bello, misit, jussos ad Oricum sibi oc al così detto Speleo, spedì Publio Nasica e il
currere: ipse, Epirum petens, quintisdecimis figlio Quinto Massimo con parte delle genti a sac
castris Passaronem pervenit. cheggiare gl'Illirii, che aveano in quella guerra
dato aiuto a Perseo, con ordine che gli venissero
incontro ad Orico; ed egli, mossosi alla volta
dell'Epiro, giunse il decimo quinto giorno a Pas
SarOlle.

XXXIV. Haud proculinde Anicii castra abe XXXIV. Non era quinci lontano il campo di
rant. Ad quem literis missis, ne quid ad ea, Amicio, al quale avendo scritto, acciocchè non si
quae fierent, moveretur, a senatum praedam movesse punto per qualsiasi cosa che vedesse
Epiri civitatium, quae ad Persea defecissent, farsi, « che il senato avea donato all'esercito il
exercitui dedisse, º submissis centurionibus in bottino delle città dell'Epiro che si erano volte
singulas urbes, qui se dicerent ad praesidia de alla parte di Perseo, º spediti de'centurioni
ducenda venisse, ut liberi Epirotae, sicut Ma a ciascheduna città che dicessero d'esser venuti
cedones, essent, denos principes ex singulis cov a ritrarne i presidii, acciocchè gli Epiroti fossero
i 805 TITI LIVII LIBER XI,V. I 8GG

cavit civitatibus: quibus quum denunciasset, ut liberi, come i Macedoni, chiamò a sè da ogni
aurum atque argentum in publicum proferretur, città dieci del principali cittadini, ai quali avendo
per omnes civitates cohortes dimisit. Ante in ul intimato che tutto l'oro e l'argento fosse portato
teriores, quam in propiores, profecti, ut uno die in luogo pubblico, spedì poi parecchie coorti per
in omnes perveniretur.Edita tribunis centurioni tutte le città e prima alle più lontane, indi alle
busque erant, quae agerentur. Mane omne au vicine, acciocchè tutte arrivassero nel giorno
rum argentumque collatum: hora quarta signum medesimo. Era stato detto ai tribuni ed ai centu
ad diripiendas urbes datum est militibus; tan rioni quello che avessero a fare. La mattina tutto
taque praeda fuit, ut in equitem quadrigeni de l'oro e l'argento fu apportato : sull'ora quarta
marii, peditibus duceni dividerentur, centum si diede il segno a soldati di saccheggiare; e
quinquaginta millia capitum humanorum abdu tanta fu la preda, che si divisero i cavalieri quat
cerentur. Muri deinde direptarum urbium di trocento danari per testa, i fanti duecento; e se
ruti sunt; ea fuere oppida circa septuaginta.Ven ne menarono via cento cinquanta mila schiavi.
dita praeda omnium, de ea summa militi nume Poscia si smantellarono i muri delle città sac
ratum est. Paullus ad mare Oricum descendit, cheggiate, che furono da circa settanta; e la som
nequaquam, ut ratus erat, expletismilitum ani ma tratta dalla vendita di tutta la preda fu data
mis; qui, tamquam nullum in Macedonia ges al soldato. Paolo scese al mare ad Orico, non
sissent bellum, expertes regiae praedae esse in saziata, come avea creduto, l'avidità del soldati,
dignabantur. Orici quum missas cum Scipione i quali si sdegnavano di non avere partecipato
Nasica Maximoque ſilio copias in venisset, exer della preda regia, quasi come se non avessero
citu in naves imposito, in Italiam trajecit. Et post fatto la guerra nella Macedonia. Avendo trovate
paucos dies Anicius conventu reliquorum Epiro ad Orico le genti spedite con Scipione Nasica e
tarum Acarnanumque acto, jussisque in Italiam col figlio Massimo, imbarcato l'esercito, passò
sequi principibus, quorum cognitionem causae in Italia. Da lì a pochi giorni Anicio, tenuta una
reservarat, et ipse, navibus exspectatis, quibus dieta degli altri Epiroti ed Acarnani, e detto
usus Macedonicus exercitus erat, in Italiam tra a que capi, la cognizione delle cui cause avea ri
jecit. Quum haec in Macedonia Epiroque gesta servata, che il seguitassero in Italia, anch'egli,
sunt, legati, qui cum Attalo ad finiendum bel aspettate le navi, delle quali s'era servito l'eserci
lum inter Gallos et regem Eumenem missi erant, to Macedonico, vi passò. Quando queste cose ac
in Asiam per venerunt. Induciis per hiemem fa caddero nella Macedonia e nell'Epiro, i legati
ctis, et Galli domos abierant, et rex in hiberna ch'erano stati spediti con Attalo a metter fine
concesserat Pergamum, gravi que morbo aeger alla guerra tra i Galli ed il re Eumene, giunsero
fuerat. Ver primum ex domo excivit; jamque in Asia. Fatta una tregua per quel verno, erano i
Synnada pervenerant, quum Eumenes ad Sar Galli andati alle lor case ed il re passato era
des undioue exercitum contraxerat. Ibi et Ro a svernare in Pergamo, gravemente ammalato.
mani Solovettium ducem Gallorum Synmadis La primavera gli fece uscire; e già erano giunti
allocuti, et Attalus curn eis profectus; sed ca a Sinnada, mentre il re avea da ogni parte rac
stra Gallorum intrare eum non placuit, meani colte le sue genti in Sardi. A Sinnada i legati
mi ex disceptatione irritarentur. P. Licinius cum Romani si abboccarono con Solovezio, capitano
regulo Gallorum est locutus, retulitogue, ferocio dei Galli, ed Attalo era andato con loro; ma non
rem eum deprecando factum: ut mirum videri si volle ch'entrasse nel campo dei Galli, accioc
posset, inter tam opulentos reges, Antiochum chè nel calore della disputa gli animi non s'irri
Ptolemaeumque, tantum legatorum Romanorum tassero. Publio Licinio s'intrattenne col capo dei
verba valuisse, ut extemplo pacem facerent; Galli, e riferì che le preghiere lo avean renduto
apud Gallos nullius momenti fuisse. più feroce; cosa mirabile che le parole dei legati
Romani tanto abbiamo potuto presso Antioco e
Tolomeo re potentissimi, da indurli subito a far
la pace, e non sieno stati presso ai Galli di nes
sun momento.
XXXV. Romam primum reges captivi, Per XXXV. Primi furono condotti a Roma i re
seus et Gentius, in custodiam cum liberis addu Perseo e Genzio, messi co' loro figli sotto custo
cti; dein turba alia captivorum : tum quibus dia; poscia l'altra turba dei prigioni, non che
Macedonum denunciatum erat, ut Romam veni quelli de' Macedoni e i capi della Grecia, a quali
rent, principumque Graeciae. Nam hi quoque era stato intimato che si recassero a Roma; per
non solum praesentes exciti erant, sed etiam, si ciocchè anche questi non solamente erano stati
quid apud reges esse dicebantur, literis arcessiti personalmente citati, ma eziandio, se alcuni se ne
1867 TITI LIVII LIBER XLV. i 808

sunt. Paullus ipse post dies paucos regia nave diceva trovarsi presso i re, chiamati per lettere.
ingentis magnitudinis, quam sexdecim versus E Paolo, pochi dì poi, su regia nave di smisurata
remorum agebant, ornata Macedonicis spoliis, grandezza, cui davano moto sedici ordini di
non insignium tantum armorum, sed etiam re remi, ornata delle spoglie Macedoniche, nè sola
giorum textilium, adverso Tiberi ad urbem est mente di armi bellissime, ma eziandio di regie
subvectus, completis ripis obviam effusa multi tappezzerie, pel Tevere a ritroso si condusse in
tudine. Paucos post dies Anicius et Octavius sino a Roma, piene essendo le rive d'immensa
classe sua advecti. Tribus iis omnibus decretus moltitudine fattasi ad incontrarlo. Da lì a pochi
est ab senatu triumphus; mandatumque Q. Cas giorni anche Anicio ed Ottavio giunsero colla
sio praetori, cum tribunis plebis ex auctoritate flotta. Il senato decretò il trionfo a tutti tre; e
Patrum ageret, rogationem ad plebem ferrent, fu commesso al pretore Quinto Cassio che per
utiis, quo die urbem triumphantes inveheren autorità del senato trattasse coi tribuni della ple
tur, imperium esset. Intacta invidia media sunt; be, acciocchè proponessero al popolo che in quel
ad summa ferme tendit. Nec de Amicii, nec de giorno, in cui sarebbono entrati trionfanti in
Octavii triumpho dubitatum est: Paullum, cui Roma, fosse loro continuato il potere. L'invidia
ipsi quoque se comparare erubuissent, obtrecta rispetta gli uomini mediocri; non addenta d'or
tio carpsit. Antiqua disciplina milites habuerat; dinario che i sommi. Non insorse alcun dubbio,
de praeda parcius, quam speraverant ex tantis quanto al trionfo di Anicio, nè quanto a quello
regiis opibus, dederat nihil relicturis, si avidita di Ottavio; la malignità si scagliò contro Paolo,
ti indulgeretur, quod in aerarium deferret. To al quale si sarebbono essi stessi vergognati di
tus Macedonicus exercitus imperatori erat negli pareggiarsi. Aveva egli tenuto i soldati nell'an
genter adfuturus comitiis ferendae legis. Sed eos tica disciplina; avea dato loro della preda più
Ser. Sulpicius Galba, qui tribunus militum se scarsamente che non aveano sperato di tante
cundae legionis in Macedonia fuerat, privatim regie ricchezze; perciocchè se si fosse secondata
imperatori inimicus, prensando ipse, et per suae la loro avidità, nulla sarebbe rimasto da ri
legionis milites sollicitando, stimulaverat, ut fre porre nell'erario. Tutto l'esercito non sarebbe
quentes ad suffragium adessent: « Imperiosum che in poco numero concorso in sulla piazza
ducem et malignum antiquando rogationem,quae a dare il voto pel trionfo del suo capitano; ma
de triumpho ejus ferretur, ulciscerentur. Plebem Sergio Sulpicio Galba ch'era stato in Mace
urbanam secuturam esse militum judicia. Pecu donia tribuno de' soldati della seconda legione,
niam illum dare non potuisse, militem honorem privatamente nemico a Paolo, sollecitandoli egli
dare posse? Ne speraret ibi fructum gratiae, ubi stesso e col mezzo del soldati della sua legione,
non meruisset. -
gli avea stimolati a concorrere in buon numero
a dare il voto; « che si sarebbono vendicati di
un capitano imperioso e maligno, rigettando
la proposta del suo trionfo; la plebe della città
seguiterebbe il parere dell'esercito; s'egli non
avea potuto dar loro di quel danaro, non può
nemmeno il soldato dargli quell'onore; non
isperasse frutto di favore, dove non se lo avea
meritato. -
XXXVI. His incitatis, quum in Capitolio ro XXXVI. Sommossi per cotal guisa i soldati,
gationem eam Ti. Sempronius tribunus plebis Tito Sempronio tribuno della plebe proponendo
ferret, et privatis lege dicendi locus esset, nec in Campidoglio la legge, nè alcuno facendosi
ad suadendum, ut in re minime dubia, quisquam innanzi a persuaderla, come cosa che non pativa
procederet; Ser. Galba repente processit, et a dubbietà, levossi all'improvviso Sergio Galba e
tribuno postulavit, «Ut, quoniam hora jam octa domandò al tribuno a che essendo di già l'ora
va diei esset, nec satis temporis ad demonstran ottava del giorno, nè avanzandogli tempo ba
dum haberet, cur L. Aemilium non juberent stante a dimostrare per quali ragioni non avessero
triumphare, in posterum diem differrent,etmane a concedere il trionfo a Lucio Emilio, si differisse
eam rem agerent. Integro sibi die ad causam eam la cosa all'indomani; gli abbisognava un giorno
orandam opus esse. » Quum tribunus dicere eo intero per parlare su quella causa. » Avendogli
die, si quid vellet, juberet, in noctem rem dicen risposto il tribuno che dicesse in quel dì mede
do extraxit, referendo admonendoque, «Exacta simo quello che aveva a dire, Galba con la sua
acerbe mumia militiae, plus laboris, plus pericu diceria si trasse insino a notte, rapportando e
li, quam desiderasset res, injunctum i contra in ricordando, a avere Emilio esatta troppo dura
186 ) TITI LIVII LIBlilì XLV. 187o

praemiis, in honoribus, omnia arctata; militiam mente la militare disciplina; imposto più fatiche
que, si talibus succedat ducibus, horridiorem e più pericoli che non abbisognava : all'opposto
asperiorem que bellantibus, eamdem victoribus nei premii, negli onori, in ogni altra cosa più
inopem atque in honoratam futuram. Macedonas stitico e magro; la milizia, se si avessero sempre
in meliore fortuna, quam milites Romanos, esse. di così fatti capitani, sarebbe a combattenti aspra
Si frequentes postero die ad legem antiquandam e dura più che non conviene, ed ai vincitori
adessent, intellecturos potentes viros, non omnia povera e inonorata. Sono i Macedoni a miglior
in ducis, aliquid et militum manu esse. ” His vo condizione che i Romani. Se domani verranno
cibus incitati postero die milites tanta frequentia in buon numero a rigettare la legge, conosce
Capitolium compleverunt, ut aditus nulli prae ranno gli uomini potenti non essere ogni cosa
terea ad suffragium ferendum esset. Intro voca in potere del capitano, ed alcuna esserne pure in
tae primae tribus quum antiquarent, concursus mano del soldato. Eccitati da queste parole, il
in Capitolium principum civitatis factus est, « In dì seguente i soldati si affollarono sul Campido
dignum facinus esse, clamitantium, L. Paullum, glio in tanto numero, che nessun altro avrebbe
tanti belli victorem, dispoliari triumpho: obno potuto entrare a dare il voto. Rigettandosi la
xios imperatores tradi licentiae atque avaritiae legge dalle prime tribù che furono chiamate,
militari. In uno nimis se per ambitionem pecca corsero al Campidoglio i più cospicui cittadini,
re. Quid, si domini milites imperatoribus impo gridando a essere cosa indegna che Lucio Paolo,
mantur? » In Galbam pro se quisque probra in vincitore di tanta guerra, fosse privato dell'o
gerere. Tandem, hoc tumultu sedato, M. Servi nore del trionfo; in questa guisa i comandanti
lius, qui consul et magister equitum fuerat, ut si consegnavano, quali vittime, alla licenza ed
de integro eam rem agerent, ab tribunis petere, avarizia militare. Peccan essi anche di trop
dicendigue sibi ad populum potestatem facerent. po per guadagnarsi il favore del soldati; che
Tribuni, quum ad deliberandum secessissent, vi sarebbe, se i soldati si erigessero. in padroni dei
cti auctoritatibus principum, de integro agere loro comandanti? » Non vi fu chi non caricasse
coeperunt, revocaturosque se easdem tribus re Galba d' improperii. Finalmente, sedato il tu
nunciarunt, si M. Servilius aliique privati, qui multo, Marco Servilio, ch'era stato console e
dicere vellent, dixissent. maestro di cavalieri, chiese ai tribuni che si
trattasse nuovamente la cosa, e gli dessero licen
za di parlare al popolo. I tribuni, ritiratisi per
deliberare, vinti dall'autorità del principali cit
tadini, cominciarono a trattare di nuovo, e dis
sero che avrebbono richiamate le stesse tribù,
se Marco Servilio ed altri privati amato avessero
di parlare.
XXXVII. Tum Servilius: « Quantus impera XXXVII. Allora Servilio: «Se non si potesse
tor L. Aemilius fuerit, Quirites, si ex alia re da niun'altra cosa, o Quiriti, giudicare quanto
nulla aestimari possit, vel hoc satis erat, quod, eccellente capitano sia stato Lucio Emilio, era
quum tam seditiosos et leves milites, tam nobi pur questo bastante, che avendo egli soldati co
lem, tam temerarium, tam eloquentem ad insti tanto sediziosi e leggeri; ed un nemico nel pro
gandam multitudinem inimicum in castris habe prio campo così potente, così temerario, così
ret, nullam in exercitu seditionem habuit. Ea eloquente ad istigare la moltitudine, pure non
dem severitas imperii, quam nunc oderunt, tumc fuvvi alcuno ammutinamento nell'esercito. Quella
eos continuit. Itaque, antiqua disciplina habiti, severità di comando che ora detestano, quella
neque fecerunt.Ser. quidem Galba, si in L. Paul stessa li contenne ; quindi frenati coll'antica
lo accusando tirocinium ponere, et documentum disciplina, stettersi quieti. Quanto poi a Sergio
eloquentiae dare voluit, non triumphum impedi Galba, se volle accusando Lucio Paolo fare un
re debuit, quem, si nihil aliud, senatus justum primo esperimento e darci un saggio della sua
esse judicaverat: sed postero die, quam trium eloquenza, non doveva opporsi al trionfo, il
phatum est, privatum eum visurus esset, nomen quale se non altro era stato decretato dal senato;
deferret, et legibus interrogaret; aut serius paul ma il dì dopo il trionfo, come lo avesse visto
lo, quum primum magistratus ipse cepisset, diem privato, denunziarlo e citarlo secondo le leggi;
diceret, inimicum ad populum accusaret. Ita et ovvero alquanto più tardi, com'egli avesse per
pretium recte facti triumphum haberet L. Paul la prima volta preso magistrato, accusare il suo
lus pro egregie bello gesto, et poenam, si quid nemico davanti al popolo. Così avrebbe Lucio
et vetere gloria sua et nova indignum fecissct. | Paolo ottenuto il premio delle sue imprese, il
1871 TITI LIVII LIBER XLV. 18 72

Sed videlicet, cui crimen nullum, nullum pro trionfo per la guerra egregiamente condotta, e
brum dicere poterat, ejus obtrectare laudes vo la pena se avesse commessa cosa alcuna indegna
luit. Diem integrum hesterno die ad accusandum dell'antica e della nuova sua gloria. Ma certa
L. Paullum petiit; quatuor horas, quantum su mente volle denigrare le lodi di colui, cui non
pererat diei, dicendo absumpsit. Quis umquam poteva imputare nessun fallo, nessuna colpa. Ieri
tam nocens reus fuit, cujus vitia vitae tot horis chiese un giorno intero per accusare Lucio Paolo;
expromi non possent? Quid interim objecit, consumò quattr'ore, quante ne avanzavano del
quod L. Paullus, si causam dicat, negatum velit? giorno. Qual fu mai l'accusato tanto colpevole,
Duas mihi aliquis conciones parumper faciat: i vizii della cui vita non si potessero esporre in
unam militum Macedonicorum ; puram alteram, tante ore? E in questo tempo qualcosa gli op
integrioris judicii, et a favore et odio, universo pose, che Paolo, se trattasse la sua causa, negar
judicante populo Romano. Apud concionem to volesse ? Mi si supponga qui da taluno una dop -
gatam et urbamam prius reus agatur. Quid apud pia assemblea, l'una di soldati Macedonici, l'altra
Quirites Romanos, Ser. Galba, diceres? llla enim pura, di giudizio integro, scevera d'odio e di
tibi tota abscisa oratio esset; in statione severius favore, dell'intero popolo Romano. Traducasi
et intentius institisti; vigiliae acerbius et diligen l'accusato primieramente davanti l'assemblea to
tius circumitae sunt; operis plus, quam antea, fe gata, composta di cittadini. Che diresti, o Sergio
cisti, quum ipse imperator et exactor circumires; Galba, davanti i Quiriti Romani ? Perciocchè ti
eodem die et iter fecisti, et in aciem ex itinere sarebbe troncato tutto quel tuo dire: adoprasti
duxisti. Ne victorem quidem te acquiescere pas nelle poste troppa severità e vigilanza; le guardie
sus est; statim ad persequendos hostes duxit. si son fatte troppo aspramente e diligentemente;
Quum te praeda partienda locupletem facere hai fatto lavori.più che non s'è mai fatto per
posset, pecuniam regiam translaturus in trium innanzi, girando attorno tu stesso, comandante
pho est, et in aerarium laturus. Haec sicut ad ad un tempo e punitore; nello stesso giorno e
militum animos stimulandos aliquem aculeum facesti viaggio e dal viaggio menasti l'esercito
habent, qui parum licentiae, parum avaritiae a combattere. Non permise che l'esercito ripo
suae inservitum censent; ita apud populum Ro sasse nemmeno dopo la vittoria, che subito il
manum nihil valuissent; qui, ut vetera atque trasse ad inseguire il nemico; e quando poteva
audita a parentibus suis non repetat, quae am arricchirlo, dividendo la preda, preferisce di
bitione imperatorum clades acceptae sint, quae far mostra delle ricchezze di Perseo nel trionfo
severitate imperii victoriae partae, proximo cer e di riporle nel pubblico erario. Siccome queste
te Punico bello, quid inter M. Minucium magi parole hanno in sè qualche pungolo a stimolare
strum equitum et Q. Fabium Maximum dictato gli animi del soldati, che stimano poco essersi
rem interfuerit, meminit. Itaque accusatorem id conceduto alla licenza ed avarizia loro, così non
scire potuisse, et supervacaneam defensionem avrebbono avuto nessun valore presso il popo
Paulli fuisse. Transeatur ad alteram concionem: lo Romano, il quale, senza richiamare alla me
mec Quirites vos, sed milites videor appellatu moria cose antiche ed udite da suoi maggiori,
rus, si nomen hoc saltem ruborem incutere, et quali sconfitte siensi ricevute per l'ambizione
verecundiam aliquam imperatoris violandi af de'comandanti, quali vittorie riportate per la
ierre possit. » severità del comando, certamente si ricorda nel
l'ultima guerra Cartaginese, quanta fosse la dif
ferenza tra Marco Minucio maestro del cavalieri,
e Quinto Fabio Massimo dittatore. Nè avreb
be ciò potuto ignorare l'accusatore; e sarebbe
stato superfluo che Paolo si difendesse. Passia
mo all'altra assemblea; e parmi dovervi chiama
re non Quiriti, ma soldati, se pur potesse al
meno questo nome farvi arrossire e destarvi nel
l'animo qualche vergogna di far onta al vostro
capitano. " -

XXXVIII. « Equidem ipse aliter affectus ami XXXVIII. «Veramente, parendomi di parlare
mo sum, quid apud exercitum mihi loqui videar, linanzi all'esercito, mi sento l'animo diversa
quam paullo ante eram, quum ad plebem urba mente disposto da quello ch'era poc'anzi, quando
mam spectabat oratio. Quid etiam dicitis, mili era volto il mio discorso all'assemblea de'citta
tes? Aliquis est Romae, praeter Persea, qui lini. Che ne pensate, o soldati? v' ha egli alcuno
triumpharide Macedonibus nolit et cum non in Roma, eccetto Perseo, che non voglia che si
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iisdem manibus discerpitis, quibus Macedonas trionfi de' Macedoni? e non lo sbranate con le
vicistis ? Vincere vos prohibuisset, si potuisset, stesse mani, con le quali avete vinto i Macedoni?
qui triumphantes urbem inire prohibet. Erratis, vi avrebbe, se lo avesse potuto, impedito il vin
milites, si triumphum imperatoris tantum, et cere, colui che v'impedisce di entrare in Roma
non militum quoque et universi populi Romani, trionfanti. Siete in inganno, o soldati, se stimate
esse decus censetis. Non unius hoc Paulli. Multi essere il trionfo gloria solamente del capitano, e
etiam, qui ab senatu non impetrarunt trium non anche gloria dei soldati e di tutto il popolo
phum, in monte Albano triumpharunt. Nemo Romano. No, non è questo il trionfo del solo
L. Paullo magis eripere decus perfecti belli Ma Paolo. Molti eviandio che non ottennero il trionfo
cedonici potest, quam C. Lutatio primi Punici dal senato, trionfarono sul monte Albano. Nes
belli, quan P. Cornelio secundi, quam illis, qui suno può togliere a Lucio Paolo la gloria di aver
post eos triumphaverunt. Nec L. Paullum mi terminata la guerra Macedonica, come nessuno
norem aut majorem imperatorem triumphus fa torralla a Caio Lutazio, nè a Publio Cornelio,
ciet. Militum magis in hoc universique populi quegli che terminò la prima, questi la seconda
Romani fama agitur. Primum ne invidiae et in guerra Cartaginese, nè agli altri che trionfarono
grati animi adversus clarissimum quem que ci dopo di essi. Nè farà il trionfo che Lucio Paolo
vem opinionem habeat, et imitari in hoc popu sia più o men grande capitano. Qui però si tratta
lum Athemiensem, lacerantem invidia principes più che d'altro, della fama dei soldati e di tutto
suos, videatur. Satis peccatum in Camillo a ma il popolo Romano; primieramente acciocchè non
joribus vestris est, quem tamen ante receptam sia tacciato d'invidia e d'ingratitudine verso
per eum a Gallis urbem violarunt: satis insuper i suoi più chiari cittadini, e non sembri imitare
a vobis in P. Africano. Literni domicilium et se il popolo Ateniese, che lacera per gelosia i suoi
dem fuisse domitoris Africae: Literni sepulcrum più cospicui personaggi. Assai peccarono i mag
ostendi ! Erubescamus, gloria si par illis viris giori vostri contro Camillo, cui fecero insulto,
L. Paullus, injuria vestra exaequetur. Haec igi ma però prima che ricuperasse Roma dai Galli:
tur primum infamia deleatur, foeda apud alias assai voi stessi contro Publio Africano. Era Lin
gentes, damnosa apud nostros. Quis enim aut terno il domicilio e la stanza del domatore del
Africani, aut Paulli, similis esse in ingrata etini l'Africa! A Linterno si mostra il suo sepolcro !
mica bonis civitate velit? Si infamia nulla esset, Onta ci prenda che Lucio Paolo, eguale nella
et de gloria tantum ageretur, qui tandem trium gloria a codesti eroi, sia per vostra ingiustizia
phus non communem nominis Romani gloriam parificato al loro destino. Si cancelli adunque
habet? Tot de Gallis triumphi, tot de Hispanis, prima di tutto codesta infamia, che ci disonora
tot de Poenis, ipsorum tanto imperatorum, an presso le altre nazioni e fa danno ai nostri. Per
populi Romani, dicuntur? Quemadmodum non ciocchè chi vorrà esser simile all'Africano, simile
de Pyrrho modo, nec de Hannibale, sed de Epi a Paolo in una città ingrata e nemica a buoni ?
rotis Cartaginiensibusque triumphi acti sunt, Se anche non ci fosse infamia, e si trattasse sola
sic non M'. Curius tantum, nec P. Cornelius, sed mente di gloria, qual v'ha finalmente trionfo,
Romani triumpharunt. Militum quidem propria la cui gloria non ridondi su tutto il nome Roma
est causa, qui et ipsi laureati, et quisque donis, no ? l'anti trionfi che menammo dei Galli, tanti
quibus donati sunt, insignes, triumphum nomine degli Spagnuoli, tanti dei Cartaginesi, diconsi
cient, suasque et imperatoris laudes canentes per forse trionfi soltanto dei capitani,e non del popolo
urbem inceduut. Si quando non deportati ex Romano? Siccome non s'è trionfato di Pirro
provincia milites ad triumphum sint, fremunt; solamente, nè di Annibale, ma degli Epiroti e
et tamen tum quoque se absentes, quod suis dei Cartaginesi; così non Manio Curio, non
manibus parta victoria sit, triumphare credunt. Publio Cornelio solamente, ma trionfarono i Ro
Si quis vos interroget, milites, ad quam rem in mani. Ed è pur anche la causa propria de'soldati;
Italiam deportati, et non statim, confecta pro i quali, essi pure fregiati di alloro ed adorni.
vincia, dimissi sitis? quid Romam frequentes sub ciascuno dei doni ottenuti, fanno eccheggiare
signis veneritis, quid moremini hic et non diversi l'inno trionfale, e vanno per la città cantando
domos quisque abeatis vestras? quid aliud respon le proprie e le lodi del loro capitano. Se avviene
deatis, quam vostriumphantes videri velle? Vos talvolta che i soldati non sieno ricondotti a Roma
certe victores conspici velle debebatis. » pel trionfo, fremono di rabbia; e nondimeno
anche allora, benchè assenti, credono di trion
fare, perchè fu opera la vittoria del lor valore.
Se alcuno v'interrogasse, a che fare, o soldati,
siete stati tradotti in Italia, e non subito, finita
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1875 TIT I LIVII LIBER XLV. 1876
la guerra, licenziati ? perchè siete venuti a Roma
in tanto numero sotto le vostre insegne ? Che
altro rispondereste, se non se che volete far
mostra di voi medesimi nel trionfo ? dovevate
certo, essendo vincitori, aver voglia d'essere
veduti. »
XXXIX. « Triumphatum muper de Philippo, XXXIX. . Si è trionfato testè di Filippo,
patre hujus, et de Antiocho est. Ambo regna padre di Perseo e di Antioco. Ambedue regna
bant, quum de his triumphatum est. De Perseo vano tuttavia, quando se ne trionfò; non si trion
capto, in urbem cum liberis adducto, non trium ferà di Perseo tratto a Roma in catene co' suoi
phabitur? Quod si in curru scandentes Capito figliuoli? Che se Lucio Paolo, solo privato tra
lium, auratos purpuratosque, ex inferiore loco la turba dei togati, vedendo Lucio Anicio o Gneo
L. Paullus in turba togatorum unus privatus in Ottavio d'oro vestiti e di porpora salire in coc
terroget: L. Amici, Cn. Octavi, utrum vos di chio al Campidoglio, gl'interrogasse: vi stimate
gniores triumpho esse, an me, censetis ? currum esser voi più di me degni del trionfo? penso che
ei cessuri, et prae pudore videntur insignia ipsi gli cederebbono il cocchio e per vergogna gli
sua tradituri. Et vos Gentium, quam Persea, consegnerebbono gli ornamenti loro. E voi, o
duci in triumphum ma vultis, Quirites, et de ac Quiriti, amate meglio che sia tratto in trionfo
cessione potius belli, quam de bello, triumphari? piuttosto Genzio che Perseo, e che si trionfi più
Et legiones ex Illyrico laureatae urbem inibunt, della giunta della guerra, che della guerra mede
et navales socii ? Macedonicae legiones, suo sima? E le legioni dell'Illirico e le genti di mare
abrogato, triumphos alienos spectabunt? Quid entreranno in Roma fregiate di alloro; e le legio
deinde tam opimae praedae, tam opulentae vi ni Macedoniche, ripudiato il suo, mireranno gli
ctoriae spoliis fiet? Quonam abdentur illa tot altrui trionfi ? Che poi si farà di tanta preda
millia armorum, detracta corporibus hostium ? doviziosissima? Che delle spoglie di così ricca
an in Macedoniam remittentur? Quo signa aurea, vittoria? Dove nascondere quelle tante migliaia
marmorea, eburnea, tabulae pictae, textilia, tan d'armi, strappate d'indosso ai corpi de'nemici?
tum argenti caelati, tantum auri, tanta pecunia Le rimanderemo in Macedonia? Dove quelle sta
regia? An noctu, tamquam furtiva, in aerarium tue d'oro, di marmo, di avorio, quelle pitture,
deportabuntur? Quid illud spectaculum maxi quelle tappezzerie, que tanti lavori d'oro e d'ar
mum, nobilissimus opulentissimusque rex captus, gento, que tanti tesori del re? Le porteremo
mbi victori populo ostendetur? Quos Syphax di notte, quasi cose involate, al pubblico erario ?
rex captus, accessio Punici belli, concursus fece E quello spettacolo, maggiore di tutti, un re
rit, plerique meminimus. Perseus rex captus, nobilissimo e potentissimo prigioniero, dove il
Philippus et Alexander filii regis, tanta nomina, mostreremo al popolo vincitore? La più parte
subtrahentur civitatis oculis? Ipsum L. Paullum, di noi ci ricordiamo quale attrasse immenso
bis consulem , domitorem Graeciae, omnium concorso il re Siface prigione, benchè non altro
oculi conspicere urbem curru ingredientem fosse che una giunta della guerra Cartaginese.
avent. Ad hoc fecimus consulem, ut bellum, per E il re Perseo preso, i suoi due figli, Filippo
quadriennium ingenti etiam pudore nostro tra ed Alessandro, nomi cotanto illustri, saran sot
ctum, perficeret. Cui sortito provinciam, cui tratti agli occhi di Roma? Tutti gli sguardi sono
proficiscenti praesagientibus animis victoriam avidi di vedere lo stesso Lucio Paolo, due volte
triumphumque destinavimus, ei victori trium console e domatore della Grecia, entrare in città
phum negaturi? et quidem non homines tan sul carro trionfale. Lo abbiamo fatto console per
tum, sed deos etiam suo honore fraudaturi ? diis questo, perchè mettesse fine ad una guerra, pro
quoque emim, non solum hominibus, debetur. tratta per quattr'anni non senza nostra grande
Utrum majores vestri omnium magnarum rerum vergogna. E a quello, al quale, quando gli fu
et principia exorsi ab diis sunt, et finem eum dato quel carico, quando partissi da Roma, pre
statuerunt? Consul proficiscens, praetorve, pa sagimmo la vittoria ed il trionfo, a quello stesso
ludatis lictoribus, in provinciam et ad bellum, vincitore denegheremo il trionfo ? e froderemo
vota in Capitolio nuncupat: victor, perpetrato non gli uomini soltanto, ma eziandio gli dei del
eodem, in Capitolio triumphans ad edsdem deos, loro onore? che certo questo onore si debbe non
quibus vota nuncupavit, merita dona populi Ro agli uomini solamente, ma

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