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Massimo Venuti

Simbolismo e retorica
nelle Szenen aus Goethes
Faust
di Robert Schumann

LeggereLeggere Editore
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Edito a Milano, Marzo 2010
ISBN 978-88-904857- 5-6

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Scritte tra il 1847 e il 1853, le Scene dal Faust di


Goethe di Schumann rappresentano uno spettacolare
esempio di come le forme di trasferimento dall'affetto a
formule tipologiche musicali, che nel pensiero barocco
sono state realizzate in codici retorici standardizzati e in
un certo senso schematici, siano rimaste non solo
presenti, ma addirittura sviluppate nella musica
romantica. Nonostante il suo apparente declino durante il
periodo del classicismo italo viennese, la retorica
musicale barocca non è stata certo soppiantata dalla
nuova dottrina del sentimento -che invece sostituisce la
teoria degli affetti-, ma prosegue il suo cammino senza
subire quella rivoluzione estetica romantica che rimane,
in realtà, più che altro a livello letterario. Per fare un
esempio, se si osservano con attenzione i vari “temi” -i
Grundmotive o Leitmotive- delle opere di Wagner, si
potrà riconoscere che le modalità dinamiche e
geometriche di essi sono tremendamente coincidenti con
le formule che già i G. Dressler, i J. Burmeister, gli A.
Kirchner e J. Nucius avevano codificato tra il XVI e il
XVII secolo. I termini latini che useremo in seguito,
spiegandone il significato musicale, sono tratti da questi
autori.
Il cosiddetto “sentimento” romantico, quello che ancora
oggi costituisce l'asse fondamentale della maggiore parte
della ricezione musicale odierna, pare sostanzialmente
tradotto in musica con le analoghe modalità con le quali
la codificazione traduceva l'affetto. Il che significa che la
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retorica musicale barocca rimane ancora oggi un


riferimento essenziale -anche se non unico- della musica
occidentale, il mezzo con il quale l'ascoltatore può
comprendere il significato emotivo della musica, in
primo luogo quella sentimentale o simbolicamente
significativa.
Le tredici Scene di Schumann rappresentano un esempio
di come i codici retorici siano riproposti in chiave
sentimentale mantenendone però, pur con una fisiologica
approssimazione, la medesima struttura.

De culpa

La composizione si presenta come un Oratorio dove i


quadri sono giustapposti. Non c'è continuità temporale e
spaziale tra di essi, ma una ferrea consequenzialità
psicologica e metafisica, considerando che Schumann è
stato l'unico autore a musicare in così grandi proporzioni
il testo originale del Faust di Goethe (1).
Nel Secondo Quadro Gretchen (Margherita) è di fronte a
una edicola che rappresenta la Mater Dolorosa. Gretchen
è disperata perché aspetta un figlio illegittimo da Faust:
non si rivolge a Dio -il rimorso e il senso di colpa è
troppo grande per lei- ma alla Madonna, anzi alla Madre
di Dio. Tra il suo dolore per il Figlio e il suo si stabilisce
un rapporto più sentito e intimo: il dolore delle madri.
Due sono le terzine:

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“O volgi, o Addolorata/ il tuo volto benigno alla mia


pena/ Con la spada nel cuore, con mille dolori/ levi lo
sguardo verso tuo Figlio, morente in croce/ Tu guardi
verso il Padre, e mandi a Lui sospiri/ per la sua e la tua
pena” (2).
L'inizio, in La minore, rappresenta il pianto e il
singhiozzo della fanciulla disperata:

questa scelta musicale, che intende trasmettere


all'ascoltatore la grande pena e le lacrime della giovane,
è un concentrato di elementi retorici che fanno ormai
parte dell'inconscio musicale collettivo: osserviamo la
pausa in battere (suspiratio), l'alterazione drammatica
(intervallo cromatico discendente, saltus duriusculus), e
l'andamento discendente (catabasis). Tra i molti
antecedenti possibili, se ne scorgono i medesimi codici
nel “Lamento” dal Capriccio sopra la lontananza del
suo fratello dilettissimo, archetipo delle future Cantate e
Passioni (per esempio il coro finale della prima parte
della Matteo) di Bach:

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E che dire dei sospiri dell'orchestra, nella Cantata corale


Herr, wie du willt, so schick's, mit mir n.73, alle parole
“strapperanno sospiri al mio cuore”?

Queste non sono “citazioni” di Schumann, o la


testimonianza del suo studio su Bach, ma rappresentano
archetipi di codificate tipologie musicali cui l'estetica
dell'ascolto si è uniformata nel corso del tempo.
Il canto di Gretchen si snoda attraverso i pilastri delle
due parole: “Noth” (pena) e “Tod” (morte), sempre
ossessivamente ripetute sul duriusculus (semitono
discendente) e su domande angosciate: sono cadenze
sospese sul semitono (interrogatio). Solo per un attimo
Gretchen si porta sulla dominante di La, ma ancora la
parola “Noth” la riporta ai primi gradi del Re minore, e
la riattira così verso la propria tragedia rappresentata
dalla seconda minore. La povera fanciulla si appella alla

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Mater, ricordandole il Suo dolore -“levi lo sguardo verso


tuo Figlio morente in croce”-

per mezzo di una drammatica exclamatio (una quarta


diminuita, alla parola “blickst”) e una catabasis che
tracolla sul semitono (alla parola “Tod”) : l'exclamatio
possiede sia il senso di una ieratica perorazione, sia
quello figurativo dello sguardo che si leva verso l'alto, in
primo luogo della Mater verso il Crocifisso, in secondo
quello della sventurata Gretchen verso l'edicola della
Mater.
La sua anima è confusa, non sa dove andare, non sa cosa
fare, i fiati dell'orchestra la opprimono con le loro
catabasis drammatiche, sempre tra il La e il Re minore, e
lei sembra errare incerta ora di qua e ora di là, per mezzo
di una splendida ipotiposi (la evidente espressività
musicale in relazione al testo: figuralismo o addirittura
madrigalismo). Qui, una eloquente descrizione dello
stato dell'animo: l'incedere della sventurata nel buio della
solitudine e la realizzazione della sua consapevolezza.
Le viole icasticamente procedono in un'alternanza di
movimenti e di cadute, in una processione smarrita:
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Il codice fonde due figure retoriche, l'uno dei passi


erranti del peccatore piangente (cfr. il corale Ach Herr,
mich Armen Sünder della Cantata n.25 Es ist nichts
Gesundes an meinem Leibe di Bach),

l'altro, delle continue cadute di chi ha perso la Grazia.


Cristo stesso se n'è portato il peso, sotto la croce nella
Passione secondo Matteo (recitativo arioso Ja freilich
will..., n.65). Il che, ancora una volta, non significa che
Schumann abbia citato esempi pregressi, ma che
l'exemplum si manifesta in modo trasversale, una volta
stabiliti i codici:

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Il tempo accelera, ciascun verso cade sulla seconda


minore discendente (pathopoeia, dal potente significato
drammatico già dal Musurgia Universalis di A. Kirchner,
1650) e con il silenzio di Gretchen concludono i
clarinetti e gli oboi, nel disperdersi dei singhiozzi, in una
patetica estensione della suspiratio.
Il successivo quadro è la scena del Duomo. La madre di
Gretchen è morta in seguito alla dose di sonnifero
ricevuta da Mefistofele e somministratogli dalla figlia,
per potere ricevere Faust. Faust a sua volta, aiutato dalle
arti diaboliche, uccide in duello Valentino, il fratello
minore di Gretchen, che era sceso in campo per
salvaguardare l'onore della sorella. Non solo la
gravidanza indesiderata dunque, ma anche una
concatenazione di sciagure, causae secundae della sua
condotta, conducono Gretchen alla disperazione. Il
procedimento narrativo ha creato sufficiente materiale,
dalla scena della Mater a ora, per convergere tutto su un
unico punto focale, nella Scena del Duomo.
Il climax scenico è presentato in tutta la sua potenza: il
“fortissimo” dell'orchestra è riempito, nelle proprie
trame, dal tremendo tema discendente in Re minore, una
tonalità ricorrente in queste Scene, densa com'è di
sinistre sfumature che indicano l'immediata presenza del
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Maligno. Il tema è composto da salti duriusculi innervati


da una catabasis, mentre il basso ripete una anaphora
(ripetizione alla voce grave) discendente senza speranza
(3).

I violini, nel secco ritmare dei sedicesimi, diminuiscono


poi fino a un piano e sembrano giocare in amorevoli
terzine, prima sulla quarta e sesta, poi sull'accordo di Fa
maggiore, simbolo perduto di una incontaminata purezza
e medesima tonalità dell'amore semplice e ingenuo di
Faust nella Scena del Giardino. Ma è solo un'illusione,
quasi un artificio del male per il proprio godimento: la
voce si indurisce e con un salto d'ottava sul Mi bemolle
Gretchen è riportata al Sib minore, cioè al richiamo del
Böser Geist -lo Spirito maligno-, che la trascina di nuovo
nell'ineluttabile Re minore. Un'assenza di speranza alla
quale la fanciulla si sottomette, anche se cerca di
intraprendere un'ascesa (anabasis) di angosciate
biscrome fino alla Dominante, per poi ricadere quasi
senza forza, per mezzo di una quinta discendente
(catabasis), sulla tonica del tono minore.
Gretchen, centro di una negatività che si condensa
intorno a lei, ormai conclude ogni frase, come di fronte
alla Mater, in seconde minori alterate (pathopoeia),
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mentre lo Spirito Maligno è sempre accompagnato dai


fagotti, strumenti che avevano introdotto Mefistofele
nella Scena del Giardino: dopo un'inflessione in Do
minore, simbolica tonalità della morte e presagio
dell'infanticidio (c'è infatti, in quel punto, il testuale
riferimento al figlio che dovrebbe nascere) si ritorna
ciclicamente al Re minore, atmosfera generale con cui si
attaccherà il Dies irae.
Occorre precisare che nel corso di queste Scene la
tonalità della morte è Do maggiore. Il motivo risiede nel
fatto che la morte rappresenta un passaggio per Faust, un
momento di liberazione e ulteriore tappa verso la
trasfigurazione che lo vedrà progressivamente accolto
verso i cieli superiori dell'Eterno Femminino, lo spirito
panico che informa l'universo. Qui, invece, la morte ha
per Gretchen una forma tragica, perché in primo luogo
rappresenta la morte del suo nascituro figlio (lei infatti
compirà l'infanticidio che la porterà sul patibolo), in
secondo la prefigurazione della propria dannazione.
L'uso del Do minore, qui, è dunque un simbolo che
sottilmente Schumann ha voluto realizzare mediante la
figura retorica della metàbole, o della mutatio toni: la
stessa morte possiede due significati che sono indicati
dalla contrapposizione dei due modi, pur nella stessa
tonalità.
Il Dies irae è una grandiosa evocazione che è qui resa in
una originale commistione. In primo luogo abbiamo un
andamento per seste e ottave che testimonia il senso
arcaico e medievale del Duomo. Ma essendo questa una

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sezione omoritmica di evidente eccezione rispetto al


contesto più generale della Scena, possiamo definirla
retoricamente un noema, infatti, prima e dopo, i
movimenti scomposti e sulfurei degli archi e dei fiati già
accendono le fiamme dell'inferno: l'aspetto di tale
noema, agli occhi di Gretchen, è terrificante e
implacabile. In secondo luogo, la ripetizione spondaica
accumula su se stessa una gigantesca energia. Alterazioni
momentanee dei bassi conducono licentiae che
sviluppano nel contesto polifonico la figura retorica della
parresia, (alterazioni momentanee all'interno di
consonanze) che indicano la sensazione di frattura che
tutta l'esistenza ha ormai per la sventurata fanciulla.
Già dopo il primo verso lo Spirito Maligno (il Böser
Geist), con icastici salti tra dominante e tonica
commenta: “Ti afferra l'ira! La tromba squilla! Le
trombe tuonano! Ed il tuo cuore risorto dalle ceneri
ripalpita nuovamente/ nei tormenti delle fiamme” (4),
convergendo solo su Gretchen il peso schiacciante del
Dies irae, il giudizio dei giusti da secoli diretto contro
l'intera umanità peccatrice.
Tra accordi perfetti e settime di sensibile sul Do diesis,
lo Spirito maligno unisce il suo canto al coro
prospettando una risurrezione, ma che per lei avrà solo
senso nei tormenti della fornace ardente. Gretchen è
sempre più confusa: riappare il tema dei passi erranti che
si erano visti nella scena della Mater, con sequenze di
suspiratio e di abruptio. Prima in La minore, poi
mediante una catabasis sul Do diesis, infine in Sol

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minore, nel giro di tre battute Gretchen ricade sulla


sensibile mediante la consueta seconda minore
discendente (pathopoeia): “Oh! Fossi via di qui”.
Goethe salta adesso alla sesta strofa dell'inno “Iudex
ergo cum sedebit/ Quidquid latet apparebit/ Nihil
inultum remanebit”. Aumenta il terrore del giudizio. Una
veloce coloritura in Re maggiore (mutatio toni o
metàbole), e in sole undici battute siamo in un oscuro Fa
diesis minore: “Mi manca il respiro/ le colonne mi si
serrano contro/ la volta mi schiaccia! Aria!” (5).
Il moto dello spirito della coscienza della mater in culpa
si capovolge, nella cattedrale, nella fisiologia
dell'allucinazione: la verticalità dell'elevazione gotica si
inverte in un abisso di patologico smarrimento, forse
anche dovuto all'avanzata gestazione. Sempre nel
caratteristico Re minore, tale proiezione è resa con due
giganteschi accordi di sesta sul Si bemolle alla parola
Nil, quasi a simbolo del crollo dell'intera navata sulla
piccola Gretchen, e rende vani i tentativi ascendenti dei
violini, la sua disperata anabasis.
Per la terza volta il coro interviene con le tragiche
domande: “Quid sum miser tunc dicturus? Quem
patronum rogaturus? Cum vix justus tunc securus”,
accompagnate dallo Spirito maligno, che ieraticamente
proietta l'orrore dei puri davanti alla colpevole. Davanti
alla scenografia costruita sulla base di una coscienza
lacerata, lo Spirito termina “...den Reinen! Weh!” con
una imperiosa exclamatio di sesta ascendente,
aggiungendo così il marchio dell'autorità a quello della

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giustizia. Gretchen chiede i sali alla vicina con un salto


di quinta discendente, cade quindi svenuta sull'ossessiva
ripetizione del pedale di tonica, segno della meccanicità
preordinata e senza fine del suo destino.

De redemptione

Ma la redenzione serve appunto a capovolgere la


meccanicità preordinata del destino in speranza, la
speranza di potere cambiare il corso voluto dagli dèi.
Nel poema di Goethe, la scena del ‘Cortile antistante il
palazzo. Fiaccole’ dell'Atto Quinto è quella che ospita il
transito mortale di Faust. Schumann infatti la ribattezza
Faust's Tod. E' qui che comincia la redenzione, perché
tra lui e Mefistofele è ormai evidente la diversità
d'intenti: Faust chiede forza lavoro ai Lemuri -
personaggi dell'oltretomba comandati dal diavolo- per
costruire una diga e avviare il grande progetto di una
società perfetta. Questa sua “buona coscienza” lo
salverà. Si presenta ancora la consueta tonalità di Re
minore, nella quale la densa compattezza del corpus
dell'orchestra si prodiga in concitate terzine su cui le
trombe annunciano l'approssimarsi dei Lemuri, con
sbilenchi salti d'ottava e di quarta dei bassi.
Ci sono tutti gli espedienti retorici per creare il clima: la
pallilogia, ripetizione drammatica dell'insieme; la vera e
propria ipotiposi dei bassi, che indicano l'andatura
ciondolante e traballante dei Lemuri, l'anabasis

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imperiosa di Mefistofele. E' proprio lui che trascinerà il


Re minore di quei semplici spiriti con un salto
d'undicesima sul basso della dominante, il La minore. Il
suo andamento musicale non è più il virile tema
dell'espressione del Male, ma un oscuro serpeggiare che
ordisce in silenzio il danno:

non occorre ricordare l'evidentia, o il vero e proprio


madrigalismo dello strisciamento del diavolo nelle
Cantate (per esempio quella per il Natale Dazu is
erschienen der Sohn Gottes, n. 40) e nelle Passioni di
Bach.
L'equivoco è questo. Mefisto fa lavorare i Lemuri per
scavare la fossa a Faust, che si sta avvicinando al
momento extremo, Faust invece pensa di usare i Lemuri
per costruire gli argini di difesa per proteggere la città
dalle acque furiose del mare. Ciò porta a un'alternanza
narrativa che diventa anche musicale: agli impeti e alla
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gioia (anabasis ed exclamatio), alle tonalità maggiori


(La Bemolle) di uno, corrisponde l'oscura previsione, il
tono minore dell'altro (l'antíthesis, come quando Mefisto
parte dalla nota Re lasciata da Faust e risolutiva dei
lunghi Do diesis e lo trasforma nella dominante di Sol
minore con una conseguente catabasis di quinta, una
splendida syncopatio catachrestica, alle parole “Per noi
soli ti dai da fare...” (6). Il dialogo si fa serrato: Faust,
nella sua gioiosa attività, riprende il controllo
dell'armonia nel “suo” La bemolle maggiore. Dalla
dominante di La, sempre muovendosi attraverso i primi
tre gradi della scala, va al Si, che sul Fa del basso
diventa secondo rivolto di settima artificiale che lo
sposta al Mi bemolle e di nuovo, placidamente, al La.
Notiamo come il tema gioioso di Faust negli archi

richiami il topos ascendente della gioia, per esempio


della Cantata Selig ist der Mann, n.57:
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e di come Mefistofele, rappresentato dai fiati, conduca a


un'anthitesis (coloritura di Fa minore) e a una vera e
propria rottura del disegno melodico, secondo la tecnica
retorica dell'interposizione, la parèmbole.
Con questa ultima interruzione del diavolo si arriva al
definitivo atto che sancisce la chiusura della Seconda
Parte delle Scene, e alla conclusione della esperienza
terrena di Faust. Egli, trascendendo i semplici significati
del suo antagonista la cui dramatis persona va
progressivamente diminuendo di fronte alla sua,
raggiunge la propria redenzione attraverso un lungo
monologo, ovvero il progetto di dedicarsi al bene
dell'umanità. Le tonalità sono Re minore (la morte dal
punto di vista terreno) e il Do maggiore (la morte come
liberazione e salvazione): la celebre conclusione
“Fermati, dunque, tu sei così bello! La traccia dei miei
giorni terreni non potrà svanire in eterno!” (7), diventa il
sigillo della sua volontà altruistica. Mefistofele invece,
intendendo queste parole come sazietà suprema del

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mortale egoismo, farà scattare la mezzanotte per


impossessarsi dell'anima di Faust.
Con un formidabile intreccio armonico vengono dette le
fatali parole, “Du bist so schön”, che sono in realtà una
concatenazione di syncopatio catachrestica: Faust
raggiunge un Mi che sembra essere trattato come quinto
grado di La minore, secondo l'abitudine di Schumann;
invece si trasforma in un accordo di settima di quinta
specie sul Do diesis che sembra raggiungere il Re
minore: così, dopo un terzo rivolto di settima artificiale
sul Fa, entriamo nel terzo grado della tonalità definitiva,
il Do maggiore.
L'orchestra si spalanca verso l'inferno:

la catabasis a duine legate in semitono (saltus


duriusculus o pathopoeia) riprende il topos del dolore,
per esempio nel primo coro della cantata Es ist nichts
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Gesundes an meinem Leibe n.25 (“Tutto il mio corpo è


martirizzato”):

intanto che le trombe ripetono in modo terrificante il


richiamo al patto (pallilogia). Alle ultime parole “Il
vecchio giace sulla sabbia/ L'orologio si ferma/ la
lancetta cade giù/ Tutto è compiuto”, il tempo cessa e si
entra in quello cosmico.

Figuralismo per antíthesis: all'anabasis dell'apparente


vittoria di Mefistofele (“vollbracht”, intervallo di quinta
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ascendente), si contrappone la catabasis del coro (“fällt”,


quarta discendente): la lancetta della pendola, dalla
mezzanotte, cade senza forza sulle sei con una quarta
discendente. Non esiste più energia, il tempo si è
fermato. Siamo quasi nell'àmbito del madrigalismo,
dell'ipotiposi. Faust muore.

De trasfiguratione

I cieli superiori, che vedono la trasfigurazione di


Gretchen e di Faust, possiedono una loro gerarchia non
dissimile a quella di una visione dantesca. Più che di
gironi, i vari livelli sono caratterizzati da personaggi
esemplari: il primo a parlare sarà Pater Ecstaticus, che
con Pater Profundus e Pater Seraphicus costituisce la
prima triade, la seconda è composta da Magna Peccatrix,
Mulier Samaritana, Mulier Aegyptiaca, gli uni sotto
l'ègida del Doctor Marianus, le altre sotto quella della
Mater Gloriosa. Da una parte il Coro dei Fanciulli Beati,
dall'altra il Coro delle Penitenti: le due schiere
confluiranno poi in un'altra triade -Angeli Novizi,
Angeli, Angeli Perfetti- che contemplerà, nell'unità del
Chorus Mysticus, l'Eterno Femminino, (Das
Ewigweibliche).
Solo qualche esempio. Pater Ecstaticus è una figura in
continuo movimento, intermediario tra uomo e Dio,
dominato da una nostalgia che si manifesta in un
doloroso desiderio di fondersi con Lui. E', si può dire,

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infuocato da una sofferenza amorosa e malinconica che


domina il suo incessante volo in alto e in basso. Per
questo la scelta è ancora in Re minore. La sua
inquietudine è data dal tema del violoncello

Molto interessante dal punto di vista dell'analisi retorica:

la prima battuta è in duriusculi (pathopoeia), simbolo del


dolore (cfr. la Scena del Duomo, la morte di Faust), i
bassi che procedono per gradi ascendenti, cioè climax o
gradatio, significano proprio l' “amore divino e il
desiderio della patria celeste” (8), fatto ribadito
dall'anabasis (la scala ascendente) della conseguente del
tema, che in tale disegno tenta di essere assorbito dalla
circolarità della perfezione divina. Tale circolarità -che
corrisponde alla figura retorica della ciclòsi o circulátio-
verrà più compiutamente realizzata dal Doctor Marianus
quando, nell'estasi dell'armatura in Sol maggiore, si
rivolge direttamente alla Madonna con un movimento
dell'arpa che alterna settima di Dominante e accordo
perfetto di tonica:

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e, poco dopo, quando appare la Mater Gloriosa, coronata


di stelle secondo una classica immagine iconografica,

invocata dal coro delle Penitenti.


Le sfere celesti non sono, dunque, meramente
contemplative, ma prevedono dinamiche di diversi
livelli: per esempio Faust, per essere pienamente
giustificato, ha il compito di dare la propria esperienza ai
Fanciulli Beati, morti in tenera età (come quello di
Gretchen) che sono per appunto manchevoli
dell'esperienza per raggiungere la perfezione. Deve
quindi ripercorrere le proprie pene. Ritorna, dunque,
l'immagine del conflitto e della vittoria del Bene sul
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Male. I versi degli Angeli, “Quando spargemmo le rose/ i


malvagi si ritirarono; i demoni fuggirono/ quando li
colpimmo. Non più le pene dell'inferno”, ricordano a
Faust il suo dovere di contribuire, con la propria
esperienza, al Bene, cosa che lui farà perfezionando se
stesso e i Fanciulli. Quei versi del coro, espressi in una
progressione modulante e ripetizioni (pallilogia) che
indicano l'approssimarsi delle schiere celesti, terminano
in Mi bemolle, ma subito si oscurano in Fa minore,
simbolo della presenza del male.

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Qui i malvagi sono incalzati dagli iperbolici intervalli


ascendenti dei bassi, mentre i diavoli cadono (“Böse
wichen, Teufel flohen”) per mezzo di catabasis che
confermano la profonda antíthesis delle due realtà
metafisiche.
Faust, dopo la necessaria espiazione e purificazione, è
ormai pronto a confluire nel Chorus Mysticus. In realtà
non ci arriva sua sponte, o mediante un atto volontario: a
un certo momento pare che sia come risucchiato da Dio
(infatti, l'ultimo verso del poema dice che l'Amore “zieht
uns hinan”, “ci attira” verso di sé). Quale migliore
immagine di una grandiosa e dinamica fuga su ritmo
giambico? I violini s'imitano all'unisono (polyptoton) e
nello sviluppo della fuga realizzano pienamente la
circulátio divina, il coro a intervalli diversi (repetítio o
anaphora) rappresenta le mille voci dell'umanità redenta
che, ormai, vola velocissima, attratta senza rimedio da
una immensa forza cui non può più resistere. Con ciò il
percorso dell'uomo stesso, con tutte le sue oscure e
luminose contraddizioni, si completa, ed egli può dire
veramente, come Gesù in punto di morte e come
recitavano le ultime parole di Mefistofele nel poema di
Goethe: “Tutto è compiuto”.

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Note

(1)Premettendo che nessuno dei riferimenti qui citati ha


messo in relazione le scelte armonico formali di
Schumann con i codici retorici affettivi, riportiamo
alcuni passi nei quali le Scene da Faust di R. Schumann
sono segnalati: J. Chissel, Schumann, ed. J. M. Dent &
Sons Ltd., London 1966, pp. 63, 66, 69, 74, 154, 169,
172, 173, 182; A. Colling, Schumann, ed. Accademia,
Milano 1979, pp. 135-151. T. A. Brown, The Aesthetics
of R. Schumann, ed. Greenwood, Westport, Conn. 1975,
pp. 7-9, 24-33; N. Temperley, Chopin Schumann Liszt:
maestri del romanticismo, ed. Ricordi, Milano 1988, pp.
94, 97, 99, 130-132; J. Daverio, Crossing paths:
Schubert, Schumann and Brahms, Oxford University
Press 2002, pp. 184-188, 243; B. Meissner,
Geschichtsrezeption als Schaffenskorrelat: Studien zum
Musikgeschichtsbild R. Schumann, ed. Francke, Bern
1985, pp. 106, 110; G. Rausa, Invito all'ascolto di
Schumann, ed. Mursia, Milano 1982, pp. 169-175.
Si vedano poi G. Minotti, Die Entratselung des
Schumann schen Sphinx-Geheimnisses, ed. G. Doblinger,
Wien 1924; Ch. Rosen, La generazione romantica, ed.
Adelphi, Milano 1977.
(2) “Ach, neige/ Du Schmerzenreiche/ Dein Antlitz
gnädig meiner Not!/ Das Schwert im Herzen/ Mit
tausend Schmerzen/ Blickst auf zu deines Sohnes Tod”.
(3) “O Gretchen come era diverso per te/ quando tu,
ancora piena d'innocenza/ ti accostavi all'altare e

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balbettavi/ dallo sgualcito libricino/ le tue preghiere, un


po' quasi giocando/ e da bimbetta con Dio in cuore”. Su
Schumann e Faust cfr. ancora L. Torchi, R. Schumann e
le sue Scene tratte dal Faust di Goethe, ed. Bocca,
Milano 1895; W. Boetticher, R. Schumann Leben und
Werk: Quellen, Daten, Dokumente, ed. F. Noetzel,
Wilholmshaven, 2004, pp. 98, 471-477, 567; H. Abert,
R.Schumann, ed. Schlesische, Berlino 1920, pp. 91-
92,114; A. Walker, R.Schumann, The man and his music,
ed. Barrie and Jenkins, London 1976, pp. 324-331; M.
Brion, Schumann e l'anima romantica, ed. Mursia,
Milano 1958, pp. 333-337; A. Boucourechliev,
Schumann, ed. Seuil, Paris 1974, pp. 153-156, 158; F. E.
Jensen, Schumann, University Press, Oxford 2001, pp.
191, 213, 220, 239-242, 268-269, 291, 295, 307, 309.
Si veda inoltre B. Francois-Sappey, R. Schumann, ed.
Fayard, Paris 1999; H. Loos, Interpretationen seiner
Werke, ed. Laaber 2005; A. Edler, Schumann e il suo
tempo, EDT, Torino 1991.
(4) “Grimm faßt dich! Die Posaune tönt! Die Gräben
beben! Und dein Herz/ Aus Aschenruh/ Zu
Flammenqualen/ Wieder aufgeschaffen/ Bebt auf!”.
(5) “Mir wird so eng! Die Mauerpfeiler/ Befangen mich!
Das Gewölbe/ Drängt mich – Luft!”.
(6) Cioè un ritardo non risolto o su consonanza diversa.
Questo procedimento, che sfrutta l'enarmonia o per lo
meno l'ambiguità tonale, è diffusissimo nelle Scene dal
Faust, la vera cifra stilistica dell'armonia di Schumann.
Per il testo: “Per noi soli ti dai da fare con i tuoi argini,

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con i tuoi moli! Poiché tu prepari già, a Nettuno, il


demonio dell'acqua, un grande banchetto”, “Du bist doch
nur für uns bemüth/ Mit deinen Dämmen, deinen
Buhnen; denn du bereitest schon Neptunen/ Dem
Wasserteufel, große Schmaus”.
(7) “Verweile doch, du bist so schön! Es kann die Spur
von meinen Erdetagen/ Nicht in Äonen untergehn”.
(8) “In affectibus amoris divini & desideriis patriae
coelestis”, A. Kircher, Musurgia Universalis, Roma
1650, parte II, lib. VIII, p. 145.

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Massimo Venuti, docente di Estetica della musica


presso il Conservatorio di Milano e presso l’Istituto
Pontificio Ambrosiano di Musica Sacra, ha pubblicato
diversi libri tra i quali, in àmbito filosofico, La retorica
del Logos presentato alla Buchmesse di Francoforte e in
varie città italiane, e Il Vangelo e la storia ( pref. V.
Mathieu, Accademico dei Lincei). In àmbito
musicologico, tra gli altri, Musikgeist e mondo moderno,
Il teatro di Dallapiccola, Stravinsky e, ultimamente,
Musicologia. Ha tenuto corsi presso l’Università di S.
Pietroburgo ed è stato chiamato a elaborare “La carta
intellettuale” (1994) presso il Palazzo delle Nazioni
Unite a Ginevra, nonché il “Projecting culture: the
language of music”, 38th University Congress, Roma
2005.
E' critico musicale da venticinque anni.

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