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PANAYOTIS NELLAS

VOI SIETE DÈI


antropologia dei Padri della Chiesa

Prefazione di Tommaso Federici

città nuova editrice


Prefazione

La teologia e i teologi dell’Ortodossia greca attuale sono re­


lativamente poco conosciuti dal nostro pubblico interessato, e
restano pur sempre noti solo agli specialisti, e ovviamente agli
addetti al lavoro ecumenico. Si tratta di motivi storici e culturali,
che andrebbero superati.
In realtà, il mondo cattolico, e in particolare l’Italia, dedica
la sua attenzione, spesso ammirata, piuttosto alla teologia e ai
teologi dell’Ortodossia russa, tra i quali teologi alcuni sono di
primaria grandezza, ma sono pur sempre pochi tra il 1800 e il
1900. Essi sono assai popolari anche come diffusione delle loro
opere, in specie di piccola mole, tra i lettori cattolici comuni.
Una serie di eventi storici, dopo la rivoluzione bolscevica, hanno
fatto sì che gruppi qualificati di ortodossi russi si siano diffusi in
Occidente, in specie in Paesi francofoni, e negli Stati Uniti
d’America. Lì dettero origine a istituzioni culturali rilevanti, in
campo teologico. Si potrà ricordare come esempio l’Istituto
Saint Serge di Parigi, fucina di studiosi e di studi ortodossi quali­
ficati. L’accoglienza cattolica per le loro persone e per i loro
scritti è stata larga e animata da simpatia. Il fenomeno si coglie
anche in un campo molto importante, quello dell’iconologia e
dell’iconografia, dove larga diffusione hanno studi e presentazio­
ni illustrate. L’«icona russa» ha ottenuto successo, anche in gra­
zia di mostre assai suggestive e ben documentate, tra le quali, tra
tutte, quella celebre e affollatissima tenuta nel Braccio di Carlo
Magno in San Pietro, dal novembre 1989 fino al gennaio 1990.
Del tutto diversa è la situazione «greca» dell’Ortodossia.
Per il nostro pubblico la Grecia richiama la classicità, insegnata

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a scuola in esclusiva, poiché il nostro ordinamento scolastico
ignora del tutto la storia dell’Oriente cristiano dopo Costantino,
o ne ha del tutto vaghe notizie. Nel campo della teologia cattoli­
ca, il «ritorno alle fonti» iniziato alla fine del 1800 e rilanciato e
sanzionato dal Concilio Vaticano II, conosce i Padri greci fino al
sec. V, e la dottrina dei Concilii ecumenici fino al VI, il Costanti­
nopolitano III, e sfuma fino a ignorarla la dottrina fondamentale
del Concilio di Nicea II, Ecumenico VII, sulle «sante icone», che
non ebbe recezione pratica. Se poi qualche raro specialista occi­
dentale conosce il neo-calcedonesimo e san Massimo il Confes­
sore (t 662), in pratica la teologia cattolica da allora respira, co­
me fu detto acutamente, «con un unico polmone»: da sant’Ago­
stino via Medioevo e la Scolastica, la Riforma, giù giù fino alle
questioni moderne. Rarissimi sono gli studiosi occidentali che
possano valutare la profondità e la difficoltà del palamismo, ad
esempio. E finalmente, nei grandi manuali correnti di teologia
cattolica rinnovata dopo il Concilio Vaticano II, le correnti teo­
logiche dell’Ortodossia greca sono praticamente ignorate (se non
volutamente, a causa della disistima ingenua e aprioristica).

Insomma, sfugge quanto si fa in Grecia, che non è affatto


poco, e anzi per certi versi è decisivo, se non altro sul piano ecu­
menico, dove affiorano le difficoltà maggiori. In questo gioca la
stessa situazione politica e sociale della Grecia, sempre molto
difficile, e che trova un’incredibile, assurda, irritante incompren­
sione da parte dell’Occidente. Nonostante le discussioni e i con­
vegni intemazionali che stanno portando alla tribolata e ancora
lontana unità europea, la Grecia è come emarginata, di fatto po­
co presente sulla scena culturale europea, determinata dalla mas­
siccia invadenza anglosassone. Se le reminiscenze classiche gre­
che ancora aleggiano vagamente, pochi si rendono conto di che
cosa abbia significato l’autoliberazione greca dall’oppressione
turca negli anni ’20 del 1800, fino al 1921-1922: realmente, Da­
vid e Golia, esempio straordinario di virtù patriottiche e cristia­
ne. Così la Grecia è conosciuta come «zona turistica», la sua cul­
tura moderna per qualche cantante celebre, per la grande Maria
Callas, per qualche regista e attrice di cinema.
Esistono centinaia di «associazioni per l’amicizia» italiana
verso altre nazioni. Non esiste quella, di grande diffusione, per la

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Grecia. E probabilmente l’Italia, tra tutte le nazioni europee, è
quella più vicina per storia e cultura e simpatia per la piccola im­
mensa Grecia. Ma la teologia italiana in genere non ama quella
greca ortodossa. La nostra esperienza di docente in una Facoltà
teologica è in grado di indicare uno degli elementi assiomatici:
tutti hanno studiato il greco classico, pochi quello biblico, nessu­
no (o quasi) quello medievale e moderno; dunque, la repulsione
è paura culturale. E un altro elemento: la teologia latina, abituata
alle dispute «scolastiche» così tecniche, difficili al limite dell’im­
possibile, chiama le corrispondenti dispute della teologia «gre­
ca» semplicemente «bizantine», ossia assurde e inutili. Terzo ele­
mento, che viene dalla storia dell’arte: la vera arte secondo l’este­
tica occidentale, inficiata di neoplatonismo e di idealismo e di
estetismo del 1800 (il secolo delle ideologie fallite), parla ancora
di «fissismo» dell’arte «bizantina», ché la vera arte sarebbe co­
minciata dopo il 1200, quando scene e figure e panorami e pro­
spettive «di fuga» avrebbero ricevuto «un soffio di vita», il natu­
ralismo pagano.

Come superare queste difficoltà invincibili? Decidendosi,


finalmente, a conoscere la grecità moderna, l’Ortodossia nelle
sue espressioni totali, le persone dell’Ortodossia, i grandi autori,
il loro pensiero, la loro fede, le loro speranze, le loro aperture
benefiche, ma anche le loro legittime chiusure verso quanto sen­
tono di estraneo e di rifiutabile del mondo occidentale politico,
sociale, culturale, religioso e antireligioso.
Se un teologo «latino» osa dire dalla cattedra che in fondo
l’Occidente ha corso tutte le avventure del pensiero, ma la sua
fede (in realtà il teologo vuole dire: certa mia teologia) è uscita
indenne, mentre l’Ortodossia conservando la Tradizione è resta­
ta anchilosata, quel teologo·non ha mai letto un autore «ortodos­
so» antico né moderno. Il quale può obiettare crudamente che
l’Occidente, varcando i limiti della Tradizione, ha «innovato»
sulla fede, e adesso si ritrova con i problemi della scristianizza­
zione. Due posizioni di cui la prima è falsa, la seconda da sfuma­
re alquanto.

Nell’attuale forse irreversibile tendenza della teologia catto­


lica verso le visuali protestanti, è grande merito pubblicare un

9
magnifico testo di un autore greco ortodosso moderno, ed è un
onore poterne redigere una prefazione che aiuti il lettore interes­
sato alla comprensione sia dell’autore in parola, sia della sua po­
sizione, sia dell’importanza nell’àmbito della teologia ortodossa,
e della teologia in genere.

1. A l c u n e c o r r e n t i d e l l ’O r t o d o s s ia o g g i

Se si può guardare all’Ortodossia come alle Chiese che


mantengono inalterata fedeltà alla Tradizione, con speciale ri­
guardo ai Padri, ai Concilii e alla liturgia, e che dunque manten­
gono la fede della Chiesa indivisa, si deve anche osservare una
notevole molteplicità di indirizzi e accentuazioni nella ricerca
propriamente teologica.

Chi vuole documentarsi, trova adesso il recente lavoro di


Yannis Spiteris, cappuccino, greco cattolico di rito latino, che ha
l’accesso di prima mano alle fonti 1. Egli parte dalla condizione
della Chiesa greca sotto l’orribile oppressione turca, e tratteggia il
sorgere impetuoso della nuova coscienza greca, di essere «nazio­
ne» con una lunga storia gloriosa e un avvenire da preparare.
Questo avvenne soprattutto agli inizi del sec. XIX, fino alla libe­
razione nazionale, fin’allora ritenuta da tutti impossibile. Si ebbe­
ro però qui alcune conseguenze decisive per il futuro, che si pos­
sono limitare a questi aspetti: la Grecia come nazione ebbe dalle
potenze protettrici (Russia, Francia, Inghilterra, nel 1833; le se­
conde, in favore della Turchia, fecero guerra alla prima pochi an­
ni dopo, 1854) un sovrano straniero. Si delineava così la massic­
cia intrusione di elementi culturali, politici, religiosi nel tessuto
greco, allora Paese poverissimo e spopolato; inoltre, il Patriarcato
di Costantinopoli e gli altri Patriarchi ortodossi avevano sconfes­
sato la guerra di liberazione greca, il che aveva portato la Chiesa

1 Y. Spiteris, La teologia ortodossa neo-greca, «Collana di Studi Religio­


si», Ed. Dehoniane, Bologna 1992, con Presentazione di Panaghiotis Christou;
bibliografia.

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ortodossa greca alla sua decisa autocefalia, ossia alla netta indi-
pendenza da Costantinopoli, e questo non solo in campo discipli­
nare, ma anche dell’evoluzione teologica, che prese avvio con la
fondazione dell’Università di Atene, con la sua Facoltà di teologia
(1837); il che d’altra parte significava anche l’assoggettamento
della Chiesa allo Stato politico greco. Infine, si produsse in que­
sto momento il triste fenomeno, ben conosciuto negli Stati lutera­
ni, nell’Inghilterra anglicana, nella Francia della rivoluzione bor­
ghese, nella Spagna e Portogallo anticlericali, nell’Italia massoni­
ca, della soppressione dei monasteri sotto vari pretesti (alcuni,
spopolati perché danneggiati dai Turchi, o perché i monaci si era­
no battuti eroicamente, altri per mancanza provvisoria di voca­
zioni), con la loro sottoposizione ad angherie (sequestro del patri­
monio costituito dai lasciti dei fedeli; esose esazioni di tasse). È
appena il caso di ricordare che, come nella Chiesa dei primi 1000
anni, la forza ecclesiastica maggiore era il monacheSimo, e questo
sia per la potenza spirituale, sia per il punto di riferimento co­
stante per il clero e i fedeli, sia per la contemplazione e per la ri­
flessione teologica, sia per l’inesauribile forza culturale. H mona­
cheSimo fu messo così in crisi.

In conclusione, la teologia greca si avviava a subire l’in­


fluenza esterna (occidentale, sia cattolica, sia protestante, sia
ideologica); stava sotto il monopolio universitario, e dunque sot­
to il controllo statale; prendeva le distanze almeno nominalmen­
te dal resto dell’Ortodossia; diventava meno contemplativa e
dossologica come era invece la tradizione monastica e prima an­
cora patristica2.

Fino alla liberazione, la teologia greca aveva certamente


subito l’influsso straniero, in specie dell’illuminismo, ma alcu­
ne correnti avevano saputo controbilanciare quelle tendenze,
rifacendosi alla tradizione monastica e spirituale. Qui vanno se­
gnalati i due grandi nomi di Nicodemo l’Agiorita e Kosmas
Etolos3.

2 Id., op. cit., pp. 19-38.


3 Id., op. cit., pp. 39-87.
Quando la Facoltà teologica di Atene iniziò la sua attività,
nelle sezioni di teologia (dogmatica) e di pastorale, si ebbe una
teologia di tipo «accademico» o «scolastico» in mano a soli laici,
che erano anche predicatori, talora assai apprezzati4. All’inizio
affrontarono gravi difficoltà figure rimaste emblematiche (Co­
stantino Oikonomos, Teoclito Farmakidis, Costantino Kontogo-
nis), ma che aprirono la strada a futuri sviluppi5.
In epoca più vicina, che in pratica si chiude verso la fine de­
gli anni ’40 di questo secolo, la teologia greca si evolve verso for­
me allora necessarie, di solito definite «scolastica greca». Qui i
personaggi universitari principali sono soprattutto Christos An-
druzzos, Gregorio Papamikhail, Costantino Dyovouniotis, che in
qualche modo determineranno l’attuale situazione della teologia
greca, nel senso che in seguito o si proseguirà la loro traccia, o si
dovranno prendere le distanze da loro6.
Accanto ad essi, e spesso in violenta contrapposizione con
loro, si avrà una corrente di «teologia popolare». Alcuni perso­
naggi non si accontentano di strutture accademiche, ma voglio­
no andare verso il popolo, rinnovando le forme della religione e
della devozione. Si tratta, in genere, di predicatori e propagandi­
sti. Uno di essi, l’amato e seguito, ma anche contestato e detesta­
to Eusebios Matthopoulos (1849-1929), in anni di appassionata
propaganda, formerà anche il movimento «Zoì» (Vita), la cui
aspirazione era quella di portare la teologia al popolo: la Scrittu­
ra, i Padri, la santa liturgia, l’omiletica, la predicazione, la medi­
tazione, la morale più profonda, la fedeltà alla Chiesa, insomma,
la «pratica» delle ricchezze spirituali, erano il contenuto del pro­
gramma, che ebbe vivissimo successo, con gruppi, riviste e pub­
blicazioni7.
E finalmente, più vicini a noi, in sostanza contemporanei,
vengono alcuni grandi teologi che segnano il rinnovamento mo­

4 Id., op. cit., pp. 89-106.


5 Id., op. dt., pp. 107-122.
6 Id., op. dt., pp. 123-184. Y. Spiteris traccia una sintesi interessante
sull’attuale stato della teologia greca, anche in rapporto alle difficili vicende
dell’ecumenismo, nel suo articolo L ’appartenenza alla Chiesa secondo la teolo­
gia greco-ortodossa, in «Euntes Docete», 45/3 (1992), pp. 409-440.
7 Id., op. dt., pp. 185-224.

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derno, partecipano al movimento ecumenico, si pongono come
referenti necessari per la conoscenza della teologia greca orto­
dossa oggi. Tra di loro vanno segnalati Panaghiotis Trembelas
(t 1977), con la sua celebre «Dogmatica», Ivannis Karmiris, Pa-
nayotis Nellas8.

Un altro gruppo è detto dei «neo-ortodossi», e di essi van­


no segnalati Ioannis Romanidis e Christos Yannaras, quest’ulti­
mo noto per diverse traduzioni in italiano 9. Il grande Nikos
Nissiotis (t 1986), la cui giusta e suprema preoccupazione era la
teologia dossologica e pneumatologica, e Ioannis Zizioulas, mol­
to noto in Italia, rappresentano aspetti fondamentali della teolo­
gia ortodossa10.

Infine, l’attenzione va prestata alla Facoltà teologica


dell’Università di Tessalonica, fondata nel 1925 ma funzionante
solo dal 1942. Essa è maggiormente sotto l’influsso benefico del
Patriarcato di Costantinopoli, è animata da diverse forze nuove,
cura molto l’aspetto biblico, patristico e liturgico, e ha una mo­
derna ed efficiente Fondazione per la ricerca patristica, intorno
al Monastero Blatadon, con prestigiose pubblicazioni n. I mag­
giori esponenti, tutti viventi, sono Sawas Agouridis, che è un
notevole biblista, Ioannis Fountoulis, celebre liturgista e autore
di edizioni critiche liturgiche e di profondi studi; Panaghiotis
Christou per la patristica, benemerito editore della Collana «Pa­
dri greci nella Chiesa» e notissimo studioso; Georgios Ioannou
Manzaridis, profondo rinnovatore degli studi di teologia morale,
e Nikos Matsoukas, profondo e stimolante studioso, aperto a
grandi recuperi e ad opere di respiro nuovo12.

8 Id., op. cit., pp. 225-277. Di P. Nellas l’autore presenta brevemente la


vita, e poi traccia il profilo dell’opera principale, Zòon theoùmenon, «Vivente
divinizzato», pp. 259-277.
9 Id., op. cit., pp. 279-322.
2. Panayotis N ellas (1936-1986)

È stato notato dagli stessi teologi ortodossi che per circa un


trentennio, tra gli anni ’50 e gli anni ’70, la Grecia ebbe un perio­
do molto fecondo di opere. Quasi tutti gli autori sopra citati, a
partire da Panaghiotis Trembelas, produssero una serie impres­
sionante di opere che sarebbero state di impulso per il futuro. Ta­
le epoca si qualifica per la riscoperta e la riappropriazione soprat­
tutto della dottrina dei Padri, per la sua sistemazione della teolo­
gia in vista della necessaria risposta alle necessità urgenti dei teo­
logi, della cultura, del popolo, dell’incontro con i tempi nuovi.
Ovviamente, i Padri spostavano l’asse dell’attenzione anche verso
la Scrittura, di cui erano stati insuperati maestri, verso la liturgia,
di cui erano stati i massimi mistagoghi, verso la vita spirituale, che
da loro aveva ricevuto approfondimenti imperituri.

Panayotis Nellas vive intensamente quest’epoca feconda.


Nato nel 1936 a Makromi, nel distretto di Lamia, ebbe la prima
formazione dalla madre vedova. Seguì con successo gli studi
universitari alla Facoltà di teologia di Atene (1954-1959), perfe­
zionati poi in Francia, dove potè conoscere all’Istituto Saint
Serge l’impulso e la produzione dei teologi ortodossi russi, e a
Roma per un anno (1966-1967). Desideroso di maggiori ap­
profondimenti, ebbe lunga consuetudine con gli ambienti mo­
nastici della Santa Montagna, il Monte Athos, dove allora rico­
minciava, dopo l’estenuante crisi di vocazioni e di pensiero, un
rinnovamento di uomini, tra i quali diversi notevoli teologi e in­
tellettuali, e non meno di intensa vita monastica, centrata
sulTesicasmo. Benché non fosse professore universitario, ma do­
cente di religione, sapeva formare giovani e fondare centri di
spiritualità e di studi e meditazione. Fu perciò chiamato dal
1968, a 32 anni, a lavorare per la prestigiosa «Fondazione Pa­
triarcale per gli studi patristici» di Tessalonica. Pubblicò così
anche il 1° volume della Collana «Ept tàs Pègàs», «Alle Fonti»,
la quale contiene testi dei Padri con versione a fronte, introdu­
zione e note critiche. Conoscitore eccezionale dei Padri, come
solo un greco può esserlo, le sue preferenze andavano verso al­
cuni di essi, tra i maggiori, come si vede dalle sue opere: Ireneo,

14
Atanasio, Basilio, Gregorio il Teologo e Gregorio il Nisseno, Ci­
rillo Alessandrino, Massimo il Confessore, fino al prediletto
Nikólaos Kabàsilas, a cui dedicò diversi studi molto importanti.
Era il momento in cui il Kabàsilas era riscoperto anche in Occi­
dente, e riceveva un solenne riconoscimento con la pubblicazio­
ne delle sue opere, nella Collana Sources Chrétiennes13. Il Nellas
ebbe così anche l’onore di diverse traduzioni: in francese, in in­
glese, in serbo.

Un’impresa che costò al Nellas difficoltà e fatiche, fu la


pubblicazione della Rivista Synaxé, «Assemblea» (dal 1982), che
ebbe rilevante influsso sulla teologia ortodossa. Lì egli volle co­
niugare, in un tentativo ardito e fecondo, la teologia e la pratica
della vita cristiana, e la teologia e la cultura greca, questa che per
tanti versi tendeva piuttosto a identificarsi con le antiche glorie
della Grecia classica. La Rivista così si rivela un cenacolo nuovo,
dove si possono incontrare le tendenze più diverse: teologi, mo­
naci del Monte Athos, uomini di cultura umanistica, politica, fi­
losofica, possono ridiscutere le loro origini comuni che sono cri­
stiane, i problemi antichi e moderni, le difficoltà della società
moderna. Il Nellas nella sua Rivista profuse alcune delle sue in­
tuizioni migliori.

3. L e o per e

Gli studi principali di Panayotis Nellas mostrano di lui


quanto afferma la Scrittura: teleióthéis en oltgò, eplèròsen cbró-
nous makrous, «giunto in breve alla perfezione, ha compiuto una
lunga carriera» (Sap 4, 13), detto del giusto e buono e pio. La
sua produzione teologica è non numerosissima, ma di peso rile­
vante. Possiamo elencare in ordine cronologico (in greco):

13 Non a caso, la celebre Exègesis eis tèn théian kài hieràn Leitourgian,
pubblicata con la soia versione francese da S. Salaville come N. 4 delle Sources
Chrétiennes, dunque ai primordi della Collezione, fu ripubblicata come N. 4
bis, con il testo greco che prima mancava, a cura di R. Bornert, J. Gouillard, P.
Périchon: Nicolas Cabasilas, Explication de la divine liturgie, Paris 1967.

15
- La Madre di Dio. Tre omelie mariologiche di Nicola Caba­
silas, Atene 1968, 19742, 19893; inaugura la Collana Epi
tàs Pégds;
- Prolegomeni allo studio di Nicola Cabasilas, Atene 1969;
- Ortodossia e politica. Tre presupposti biblici, in «Testimo­
nianza dell’Ortodossia», Atene 1971;
- Cristo e l’uomo. La giustificazione dell’uomo in Cristo se­
condo Nicola Cabasilas, Atene 1974;
- Vivente divinizzato [nell’originale greco, e da noi tradotto
con «Voi siete dèi»]. Prospettive per una comprensione or­
todossa dell’uomo, Atene 1979, 19822. È l’opera qui pub­
blicata. Essa ha avuto traduzioni: in inglese (New York
1987) e francese (Paris 1989);
- articoli numerosi in Synaxè.

La morte prematura ha stroncato un’intelligenza prodigio­


sa, che aveva in programma una serie di studi specialistici sulla
patristica. Non per nulla P. Nellas è considerato esponente di ri­
lievo della corrente neopatristica; non si tratta, a ben vedere, di
specializzazione esasperata, come ormai l’Occidente conosce e
sembra apprezzare.

Come si accennò, il Nellas riscopre nei Padri il coagulo dei


contenuti autentici della fede cristiana, quella che in fondo fu fe­
licemente la «fede della Chiesa unita» durante il 1° millennio, e
dunque anzitutto la preziosa lettura della Scrittura che seppero
condurre i Padri, anche se oggi le esigenze nuove non possono
rinunciare, legittimamente, alle maggiori acquisizioni degli studi
biblici; in secondo luogo, i Padri portavano i contenuti spirituali
della Scrittura alla vita del popolo fedele, dunque alla celebrazio­
ne dei santi Misteri e alla vita di santità comunitaria e personale.
Qui si inserisce l’influsso serio e duraturo della spiritualità mo­
nastica, e l’avvio alla contemplazione, e di nuovo all’inserimento
nel mondo di oggi. In una parola, la grande Tradizione nella vita
corrente.

16
4. I l «V ivente divinizzato », l’uomo

Secondo i critici, è l’opera più rappresentativa di Panayotis


Nellas, scritta nella piena maturità intellettuale, umana, cultura­
le, spirituale.
Il titolo, nei due primi termini, è una teologia della storia:
l’uomo è lo zón, «il vivente» creaturale, che da questo inizio di
grazia è destinato alla théòsis, la divinizzazione per pura Grazia
dello Spirito Santo. La seconda parte del titolo è dichiarativa e
programmatica, non senza una certa risonanza e distacco: solo dal
«vivente divinizzato» si può comprendere come la teologia orto­
dossa, in fedeltà alla Scrittura e ai Padri (ma anche ai grandi Con­
cilii e alla liturgia, e alla stessa vita spirituale e dossologica), conce­
pisca l’uomo, la sua origine e il suo fine, la sua struttura ontologica
e il suo così difficoltoso, anzi tribolato divenire fino alla dimensio­
ne pleromatica, il farsi attrarre e salire a «vivere al modo della Di­
vinità», ricevendo le Energie increate divine comunicabili.
Il libro è sapientemente articolato in tre parti, ben struttura­
te e strettamente connesse:
- l’uomo quale immagine e somiglianza, «icona» di Dio, e
le tuniche di pelle; riflessione biblica e patristica;
- la vita spirituale come «vita in Cristo», secondo il grande
ingegno di Nicola Cabasilas;
- il Grande Canone·, la liturgia come situazione vera del­
l’uomo icona nel suo essere e lungo la via più vera del suo
divenire in pienezza.
H lettore interessato trova nel sistema di pensiero dell’Autore
un sostanzioso corredo di testi esplicativi, una vera preziosa antolo­
gia raramente accessibile, in specie dai Padri, ma anche con diversi
riferimenti a pubblicazioni attuali, sia di P. Nellas, sia di altri autori;
e poi numerosi rimandi, che formano una parte rilevante dell’ope­
ra. Con ciò, l’Autore intende esplicitamente «rivivificare il pensiero
dei Padri», mostrare che in essi non sta solo una dottrina fissata nel
tempo, utile unicamente a letture dotte o devozionali, ma sta piut­
tosto un’attualità cristiana che travalica i secoli per ripresentarsi co­
me acquisizione sempre disponibile per la fedeltà alle generazioni
passate e per l’impegno a vivere intensamente il presente.

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Anzitutto, l’uomo icona. È un fatto serio, come si può di­
mostrare da una prospettiva storica14, che in Occidente si è avu­
ta nei secoli una vera deviazione antropologica, dal centro, che è
biblico, quello dell’«immagine e somiglianza», verso periferie
ideologiche «sull’uomo». Se si eccettua la dottrina realmente bi­
blica che parta da testi come Gen 1, 26-27, ma che spesso è con­
segnata solo in studi specialistici senza grande rilevanza sulla si­
stematica 15, si può dire che la teologia dell’uomo quale creatura
essenzialmente «a immagine e somiglianza di Dio» non abbia
sviluppi fecondi, in teologia come in filosofia16.

14 Una cruda rassegna, giustamente severa, fu condotta da F. Conigliaro,


L ’uomo imago Dei fine della creazione. Antropologia di Tommaso d’Aquino, in
«H o Theológos», 5/18 (1978), pp. 5-100, con ricca bibliografìa. E impressio­
nante l’elenco ragionato che l’autore traccia, di pensatori che dopo san Tom­
maso, perfino mentre lo commentano, hanno trascurato, o omesso, o non
compreso, o disprezzato il massimo tema dell’uomo immagine e somiglianza
di Dio. Per fare, tra quelli, alcuni nomi: il Càjetanus, il Capreolus, Giovanni di
San Tommaso, F. Suàrez, S. Capponi a Porrecta, Nicolai, Sylvii, Billuart, C.J.
Drioux, R. Garrigou-Lagrange, W. Farrel,, Palmieri, A.D. Sertillanges, A. Tan-
queray, Ch. Boyer, R. Jolivet, C. Fabro, E. Gilson, F. Olgiati, S. Vanni Rovi-
ghi, G. Giannini, L. Bogliolo, L.B. Geiger; tratta il tema ma solo in parte, lo
stesso J. Maritain. Gli 8 Congressi Intemazionali dedicati a san Tommaso nel
sec. X X , il II Convegno Nazionale dei Docenti italiani di Filosofia nelle Fa­
coltà, Seminari e Studentati d’Italia (1969), il X X I Convegno del Centro di
Studi Filosofici tra Professori universitari (Gallarate 1976), dedicati rispettiva­
mente alla «ristrutturazione antropologica dell’insegnamento filosofico», e al
«problema filosofico dell’antropologia», ignorano il tema dell’immagine e so­
miglianza. Tuttavia, Francesco Conigliaro cita dovutamente, per giustizia, an­
che gli autori moderni che hanno trattato il tema dell’uomo icona di Dio in
tempi più o meno vicini a noi: H.D. Gardeil, M.J. de Beaurecueil, J. de Finan-
ce, L. Gillon, R. Guindon, Ghislain Lafont, Battista Mondin, E. Przywara. Ta­
li elenchi si trovano alle pp. 7-14. Un aggiornamento delle due liste non dareb­
be, oggi, se non materiale che ingrandisce la prima di esse.
15 Infatti, l’efficacia diffusiva di un tema si vede dall’influsso che esercita
sull’arco della teologia: teologia fondamentale e sistematica, cristologia, eccle­
siologia, sacramentaria, liturgia, antropologia, morale, escatologia, patrologia,
catechesi, pastorale, teologia spirituale, e ovviamente e anzitutto sull’insegna­
mento della Scrittura. Anche qui, il panorama della nostra teologia è del tutto
insensibile al grande tema, come l’arte sacra moderna è insensibile alle sante
icone. Si deve parlare di «iconoclasmo permanente» dell’Occidente in ogni
aspetto della vita intellettuale e morale.
16 L ’articolo documentatissimo di F. Conigliaro tratta sia di filosofi, sia
di teologi, con ovvia prevalenza dei primi, dato l’argomento. Ma il problema

18
L’Autore intende rispondere qui alle supreme domande
sull’uomo, di tutti i tempi e di tutte le latitudini: chi è l’uomo, da
dove viene e dove va, qual è il suo destino, il suo vero e ultimo sta­
tuto ontologico. E trova nella Bibbia e nei Padri il materiale suffi­
ciente per rispondere, per fondare una sintesi personale originale.

Ora, quale immagine, «icona» di Dio, l’uomo creato è es­


senzialmente riferito all’Icona perfetta del Dio Invisibile nello
Spirito Santo, a Cristo Signore, Dio vero e Uomo vero, Potenza
e Sapienza di Dio, Icona di Dio, «il Visibile del Dio Invisibile»,
Splendore della sua Gloria, Impronta della sua Sussistenza, Ver­
bo di Dio, Verbo Dio, Verbo incarnato, Persona divina unica
che sussiste tutto e per intero, per usare le formule prestigiose di
san Massimo il Confessore, «dalle sue due nature, nelle sue due
nature, essendo le sue due nature». Così anzitutto per l’uomo
vengono in questione i principali testi biblici conseguenti a Gen
1, 26-27, che sono 1 Cor 1, 24.30; Col 1, 15; 2 Cor 3, 18 - 4, 6;
Rm 8, 28-30; Eh 1,1-4; Gv 1,1-18; a cui si dovrebbero aggiunge­
re anche Fil 2, 6-11; Gv 10, 30.38; 14, 6-9. Infatti, propriamente,
e per lettura autentica della Scrittura, l’unica Icona di Dio è Cri­
sto Signore. Qui P. Nellas insegna con grande naturalezza quella
che si conviene chiamare la «lettura Omega» della Scrittura, os­
sia la lettura che parte dalla Pienezza escatologica, e risale a con­
templare gli inizi, e di nuovo ridiscende sui testi. Se si deve spie­
gare Gen 1, 26-27, il fatto della creazione dell’uomo a immagine
e somiglianza di Dio, non si deve partire da quel testo, ma dai te­
sti dell’adempimento finale in Cristo Gesù, dall’Incàmazione
«storica» 17, la sola che spiega la protologia, la sola che mostra

sta in questo, che pensatori cristiani non traggano il materiale dalla Rivelazio­
ne biblica. Che sarebbe allora della creazione, della libertà, dell’escatologia
dell’uomo e del mondo, del fine dell’uomo, tutti temi ignoti al pensiero non
biblico?
17 Si chiama «storica», in quanto per i Padri l’Incarnazione, termine sin­
tetico, non indica solo il concepimento e la nascita del Signore dalla Sempre-
vergine Madre di Dio Maria, ma indica tutto l’Evento di Cristo, la Vita storica
dunque, la Croce e la Risurrezione, la Pentecoste, la Parousta ultima. Illumi­
nante a questo proposito è J.-P. Jossua, Le salut incarnation ou mystère pascal
chez les Pères de l’Èglise de saint Irénée à saint Léon le Grand, «Cogitatio Fi-
dei» 28, Paris 1968.

19
come essa stessa fosse contenuta in nuce nei «primordi della no­
stra redenzione», e che quei primordi dunque fossero necessari
al Disegno divino.

Così l’uomo è icona dell’Icona che è il Verbo divino. Anche


l’uomo dunque è creato come lògos umano, «logico» in tutto il
suo essere, non solo dunque «razionale» come per natura, bensì
razionale per la partecipazione originaria, per grazia, ontica, al
Lògos divino. E così si vede assegnato un destino di massima sin­
golarità, «essere in terra quello che Dio è nel cielo», dunque
con-creatore, come Cristo è Creatore con il Padre e con lo Spiri­
to Santo; e sovrano regale sul cosmo, come Sovrano universale è
Cristo Signore.

Come tale, l’uomo non è creato e quasi lasciato ad operare,


bensì riceve di continuo da Dio il suo essere e il suo sussistere, in
una continua provvidenziale creazione. Del resto, san Paolo av­
verte i suoi fedeli Filippesi che «è Dio infatti l’operante {ho
energón) in voi sia il volere, sia l’operare, a causa della (sua) Eu-
dokia» (Fil 2, 13). Perciò l’uomo è un essere «logico», «demiur­
gico» regale, «teologico». Ma non basta. Il suo statuto ontologi­
co non è una generica «salvezza dell’anima». Bensì, come acuta­
mente aveva già rilevato, sulla base della Bibbia e dei Padri pre­
cedenti (in specie sant’Ireneo), il grande «Teologo», san Grego­
rio (Nazianzeno), da Dio l’uomo è creato quale «vivente diviniz­
zato», da cui il titolo del libro18.

Anche la «divinizzazione» non ha molto séguito di riflessio­


ne in Occidente, se non presso i grandi spirituali lungo i secoli19,

18 Che fu tratto da san Gregorio il Teologo, Homilia 45, In s. pascha 7,


PG 36, 632B, che dice: «vivente (zóon) qui oggetto dell’Economia divina e al­
trove trasposto e oltre il Mistero, divinizzato (theoùmenon) dal convergere ver­
so Dio».
19 Come si può constatare dalla grande monografia di AA. W ., art. Divi-
nisation, in Dictionnaire de Spiritualité, 3 (1957), 1370-1459 (giunge agli autori
del sec. XVII; non tratta la parte biblica, ma dall’ellenismo va ai Padri). Però,
la domanda è: la divinizzazione è oggetto dell’insegnamento teologico generale
e particolare, della predicazione e catechesi, della vita spirituale? Non sembra
affatto.

20
e presso qualche teologo attento alla grande Tradizione. Da noi
ormai la crescente ideologia in campo teologico porta a parlare
di «umanizzazione»: l’uomo deve diventare vero uomo. Una tau­
tologia in buona fede, nell’ignoranza della Scrittura?20. P. Nellas
mostra in fedeltà alla Bibbia, che l’uomo deve essere divinizzato
perché il suo modello unico (e qui si potrebbe parlare delle 4
cause: materiale e formale, efficiente e finale) è Cristo Dio. Divi­
nizzazione significa dunque reale totale finale cristificazione ad
opera dello Spirito Santo.
Si dovrà spiegare perciò tutta la storia umana a partire da
Cristo. Egli solo è il Signore della storia: nessun’altra entità, dun­
que né l’uomo come tale (homo faber, e simili), né il male, né il
determinismo biologico, tantomeno il peccato. Se Cristo vince il
peccato, il male, la morte, non è «relativo» ad essi, ma solo alla
propria determinante Sovranità. Sicché si pone come l’unica
Forza, per l’unico Disegno, nonché come il Ricapitolatore uni­
versale (cf. E f 1, 10), in cui tutto ha senso e fine, e in cui e verso
cui l’uomo che lo accetti è portato fino alla sua identificazione
creaturale con la Divinità: all’assimilazione dell’icona con il suo
Prototipo divino che la rende perfetta in eterno.

H lettore si troverà adesso alle prese con un tratto biblico in


genere ignorato del tutto, e che invece per i Padri formò il fecon­
do oggetto di riflessioni determinanti per l’antropologia sopran­

20 Sembra che oggi in campo cattolico vi sia come un ripiegamento su


posizioni prudenti e minimali, al riparo da audacie di pensiero. Il pensiero oc­
cidentale parla oggi non di Vergòttlichung, divinizzazione, ma di Vermànschli-
chung des Menschen, umanizzazione dell’uomo, rendere la vita dell’uomo «ve­
ramente unmana»; è l 'homo curvus della spiriitualità medievale, l’uomo ripie­
gato su se stesso. La risposta della Commissione teologica internazionale (otto­
bre 1982, testo in La Documentation Catholique, 1983, pp. 119-126), Parte I
(cristologica), E 4, mostra un certo imbarazzo: «Si può concludere: corretta-
mente intesa in questo senso, la “deificazione” rende l’uomo perfettamente
umano: la deificazione è la vera e suprema “umanizzazione dell’uomo”». Cri­
sto Signore però ha detto in un lógion difficile: «Non sta scritto nella Legge
vostra: “Io dissi: Voi siete dèi?”. Se (Dio) chiamò “dèi” quelli a cui venne la
Parola di Dio - e non può essere dissolta (lythènai) la Scrittura! -, a Colui che
il Padre santificò e inviò nel mondo voi dite: Tu bestemmi!, poiché io dissi: Fi­
glio di Dio io sono?» (Gv 10, 34-36). «Voi siete dèi» viene dal Sai 81, 6, di­
chiarato qui «Legge» indissolubile.

21
naturale: le «tuniche di pelle». Il tratto proviene da Gen 3, 21:
dopo la caduta di Adamo e di Èva, il Signore fece per essi tuni­
che di pelle animale, e li rivestì. La riflessione di P. Nellas qui è
lunga, accurata, circostanziata. In sostanza, l’uomo creato come
«immagine e somiglianza» di Dio, con la caduta perse la somi­
glianza con il suo Signore e Creatore; tuttavia, conservò indele­
bilmente per grazia divina l’immagine, la base necessaria per la
sua ricostituzione, verso la nuova pienezza che la Misericordia, la
Magnanimità e la Pazienza divine non cessano di offrire alla
creatura amata.

Ora, da una parte le tuniche di pelle sono provvisorie. Esse


consistono nella condizione attuale dell’uomo dopo la caduta.
Dall’altra, il simbolismo delle vesti di pelle indica qualità negati­
ve, ma insieme anche alcuni aspetti positivi. Le tuniche sono
«opacità», desiderio di grandezza ma senza raggiungerla, cadu­
cità, limitatezza insopportabile, tensione senza distensione, vel­
leità, sessualità esasperata; e qui il biologismo, la nascita dolorosa,
la crescita incerta, la maturità senza scopo, l’invecchiare informe
e senza rimedio, la sofferenza, la morte inevitabile. E tuttavia, il
Signore stesso fece per l’uomo le tuniche di pelle, e dunque sa­
pientemente: affinché, rivestito così, l’uomo fosse ancora e so­
stanzialmente immagine di Dio, e attraverso il «peso» della sua
esistenza sapesse partecipare alla propria crescita (grande tema di
sant’Ireneo), superare i propri limiti, giungere alla comprensione
della sua condizione, che è programmaticamente e invariabilmen­
te raggiungere la piena, lenta ma sicura assimilazione al suo Pro­
totipo divino, Cristo, aderire a Lui per l’unione consumante, par­
tecipare all’offerta permanente dell’Esistenza di Lui al Padre. Co­
sì, per la Grazia sapienziale, da terrificante produttore di «frutti
di morte» - poiché non volle mangiare dell’Albero della Vita, ma
gustò quello della morte -, l’uomo è via via tratto ai frutti della vi­
ta, alla liberazione delle tuniche di pelle, a rivestirsi di Cristo, suo
destino ultimo, a partecipare attraverso di Lui e con Lui alla Luce
increata e trasformante e divinizzante del Verbo.

Conseguenze decisive sa trarre P. Nellas da tutto questo in


ordine alla costituzione sociale dell’uomo. La filosofia antica
parlava con giusto compiacimento dell’uomo come «microco­

22
smo», pur ignorando la dottrina della creazione. In effetti, l’uo­
mo è il microcosmo creato. Tutto il cosmo è riferito a lui. È inse­
gnamento apostolico che come l’uomo fece invadere il cosmo
dalla corruzione, così è destinato a liberarlo dalla medesima cor­
ruzione, verso la gloria dei figli di Dio (cf. qui Rm 8, 16-25).
L’uomo è soggetto attivo e dialogante, responsabile di se stesso,
del prossimo, del mondo. È il superamento, questo, dello scisma
adamico. È condizione e agire permanente dell’uomo «teologi­
co», cristifìcato, in sinergia con Cristo, poiché da Dio il mondo è
amato e Dio donò il Figlio per esso (Gv 3, 16); e l’uomo deve an­
che amare il mondo come se stesso e il prossimo, e agire per la
redenzione finale di se stesso, del prossimo e del mondo. E que­
sto il pieno recupero del «più» dell’essere dell’uomo. La sua pre­
senza al mondo conferisce a questo il suo «più» di essere, fino al­
la pienezza del Disegno divino. La società deve dunque essere
oggetto di questo agire cristifìcato, e così lo sono la cultura, la
politica, l’economia. L’insegnamento ortodosso si presenta qui
nella piena programmaticità attuale, pronto per la storia. Come
discende dalla dottrina perenne dei Padri. «Teologia politica»,
come si vede, del tutto originale.

La divinizzazione sta al termine, difficile e agognato, di que­


sto progetto. Essa fa dunque parte della costituzione ontologica
dell’uomo.

5 . N ic o l a C a b a s il a s

La preferenza di P. Nellas per il grande teologo laico (ma fu


perfino candidato al Patriarcato) del sec. XIV, Nikólaos Kabàsi-
las, discende da diversi fattori. Un’affinità spirituale per le gran­
di prospezioni in profondità, la ricchezza dottrinale, ma anche
perché Nicola Cabasilas si trova alla confluenza dell’età patristi­
ca, monastica e medievale, in stretta connessione con il movi­
mento esicasta e con il palamismo che ne fu come il midollo. A
questo proposito va annotato che l’Occidente ha due atteggia­
menti verso il palamismo: uno, generale, di totale trascuranza;
esso non compare quasi mai nei trattati di teologia; uno, più spe­

23
cifico, di polemica e di rigetto, anche a causa della grande diffi­
coltà concettuale, mancando criteri di comparazione occidentali.
Eppure, sarebbe abbastanza agevole dimostrare come il palami-
smo abbia antiche, sia pure remote e poco conosciute radici oc­
cidentali, e si possa ricondurre a tratti dottrinali abbastanza esi­
gui ma certi, cu san Gregorio Magno21.

Nicola Cabasilas fu un autore non prolifico, ma straordina­


rio. Le sue due opere principali, «Sulla vita in Cristo» e «Spiega­
zione della divina Liturgia», sono abbastanza note, diffuse anche
largamente in Occidente da una serie di traduzioni e di studi. P.
Nellas si interessa soprattutto della prima opera, sulla vita cristo­
centrica del fedele cristiano. Egli divide qui la trattazione in 4
momenti: la vita spirituale «in Cristo», i suoi presupposti, la sua
natura, i suoi frutti.

Ora, «vita spirituale» propriamente intesa esiste solo con


Cristo, da quando, incarnandosi, Cristo unisce per sempre le
due nature, e nella sua divina Ipostasi annulla la loro inconcilia­
bile distanza: con l’«unione secondo l’Ipostasi» divina, l’uomo è
ricreato al modo di prima della caduta, anzi in modo infinita­
mente superiore. E questo, attraverso i santi eventi della Vita del
Signore: la sua santa esistenza, l’attività piena d’amore (predica­
zione dell’Evangelo del Regno e i «segni» potenti), la sua rivela­
zione sull’essere vero dell’uomo. Con la Passione vivificante e
l’offerta trasformante della Croce, con la gloriosa Risurrezione,
la carne del Verbo effonde lo Spirito, risana la carne malata del­
l’uomo, il Verbo crea dalla sua beata Carne la sua prima Carne
che è la Chiesa. Nella Chiesa l’uomo è chiamato a «sintonizzare
la sua volontà con la Volontà divina». Solo qui, allora, comincia
la «vita spirituale».
Questa appartiene costitutivamente all’uomo come icona,
persona, libertà sussistente, ma insieme anche come membro
santo del Corpo di Cristo, vivente per la medesima Vita di Cristo

21 Non deve restare inosservata la monografia di E. LANNE, L ’interpréta-


tion palamite de la vision de saint Benoìt, in AA. W ., Le Millénaire du Moni
Athos, 963-1963. Études et Mélanges, II, Chevetogne 1965, pp. 21-47, dove
l’Autore traccia la difficile storia delle origini della «visione della luce».

24
che è lo Spirito Santo. Egli vive per Cristo, per Lui desidera,
opera e spera. Cristo lo rende capace di crescita e di nutrimento,
di luce e di sacrificio. Egli dell’uomo è l’Aroma soave che dona il
respiro della Vita, e l’Abito della gloria.

I mezzi fontali di questo non si riducono, bensì si aprono


tramite l’iniziazione battesimale crismale, con l’introduzióne al
Convito delle Nozze e della gloria. Di lì Cristo vive «in» profon­
dità nell’uomo, e l’uomo diventa cristomorfo, deiforme, portato­
re di Dio. Ciascuno dei Misteri dell’iniziazione partecipa a que­
sto nuovo essere spirituale dell’uomo, a partire dalla natura uma­
na deificata di Cristo, fino ai divini e immacolati Misteri sacrifi­
cali che fanno dell’uomo la «carne dalla carne e le ossa dalle os­
sa» del Signore Risorto: il Pane della Vita non si trasforma in un
uomo, bensì viene a trasformare l’uomo in Se stesso. Qui l’uomo
diventa colui che pensa e vuole come pensa e vuole Cristo. E il
fedele assume connaturalmente la santa condizione di «monaco»
nel mondo.

P. Nellas mostra come i frutti della vita spirituale, secondo


la suggestiva dottrina biblica e patristica di Nicola Cabasilas, de­
rivino dalla vita liturgica sacramentale. Come era insegnamento
comune delle Chiese, ancora vivissimo in san Tommaso d’Aqui­
no 22, Centro e Fonte inesauribile sono i divini Misteri trasfor­
manti dell’altare, che in un certo senso fanno sì che ogni sacra­
mento doni al suo modo la Grazia divina. Qui si riforma la Casa
di Dio, la Famiglia di Dio, ma nel mondo. La Chiesa sta per de­
stino divino nel mondo, è preservata dal mondo, e tuttavia deve
trasformare il mondo in Chiesa. L’aspetto profondo qui è la nuo­
va costituzione che ricevono lo spazio-tempo creati, che così so­
no ricreati in una nuova e finale struttura: le regioni via via sono
organizzate come assemblee sacre, mentre il tempo nuovo è
scandito dalle Domeniche e dalle feste, per assumere il senso ul­
timo: riportare tutto a Cristo.

22 San Tommaso d’Aquino, S. Th., Ili, 9.73, a. 3, mostra l’antica tradizio­


ne: ogni sacramento è finalizzato all’Eucaristia, e per sé conferisce la grazia in
vista dell’Eucaristia, la quale perfeziona (consummatio) la vita sacramentale.

25
Questo segna l’escatologia. Che è l’incontro finale del Cor­
po di Cristo, la Chiesa, con u Corpo ultimo, reale, universale di
Cristo, Signore e Salvatore, che viene per l’unione finale, per
unirsi ai suoi nella Luce. La visione ultima è celestiale: l’immen­
so coro, eucaristico, intorno a Dio: «dèi intorno a Dio», come
«esseri belli intorno al Bello» Unico, familiari «intorno al Sovra­
no», nella gioia eterna. Il Cielo è sceso sulla terra, come la terra è
attratta al Cielo, dove tutto è Luce.

6. I l G r a n d e C a n o n e

Lo studio di P. Nellas, iniziato con considerazioni bibliche e


patristiche sull’uomo, sempre riferite alla liturgia, proseguito con
Nicola Cabasilas, dove ancora Bibbia, Padri e liturgia formano
un’unità dottrinale singolare, termina con l’aspetto antropologi­
co liturgico e cosmologico: l’unione con Dio com’è proposta da
vivere dal Grande Canone. È questo il lunghissimo Ufficio qua­
resimale per il giovedì della 5* settimana di Quaresima23, di not­
te, che si inserisce nell’Ufficio mattutino dopo l 'Exdpsalmos; esso
è caratterizzato dal fatto che ciascuna delle 9 Odi, dopo
YEirmós, riporta - fatto inconsueto - oltre 20 tropari; e inoltre,
un «canone» di santa Maria Egiziaca (con 2 tropari e l’invocazio­
ne del suo aiuto). La santa è presentata la Domenica 5a di Qua­
resima come il tipo perfetto della penitente, che si innalza dalle
estreme bassezze fino alla sublimità della Grazia.

Qui P. Nellas riflette su come il Grande Canone costituisca


un vero contesto, oltre che specificamente liturgico, anche antro­
pologico e cosmologico: tutte le facoltà dell’uomo, tutte le po­
tenzialità del mondo possono e debbono essere ricondotte a
Dio, e il simbolo delle tenebre notturne in cui si celebra l’Uffi­

23 II testo del Grande Canone nel Triódion, in Anthológion toù hólou


eniautoù, Téuchos B’ (con uffici quotidiani deWHorológion, defla Paraklètikè,
del Triódion, e dei Mènàia, dal 15 gennaio fino alla fine del Pentèkostarion), en
Rhòmè 1974, pp. 832-867, con il titolo Tè Pémptè tes E ’ Heldómados, o
Pémptè toù Megàlou Kanonos.

26
ciò, fino alla luce che si leva, mostra questo cammino. I testi so­
no una continua «lamentazione» di tipo biblico rivolta alla divi­
na Misericordia, nella memoria costante della talaipória, la po­
vertà e infelicità della condizione umana umiliata dal peccato. In
essi si effonde l’onda dei sentimenti del fedele, preparato dal di­
giuno, dalla preghiera e dall’elemosina, doni quaresimali. Senti­
menti che sono aiutati ad esprimersi dall’autore, sant’Andrea di
Creta, grande innologo della Chiesa greca. La conversione del
cuore, la metànoia, avviene dentro prospettive originali, lo spa-
zio-tempo nuovi della vita ecclesiale. Essi rendono possibile
l’anamnesi della storia della salvezza, la rievocazione delle grandi
figure dell’Antico come del Nuovo Testamento, una teologia del­
la storia che comprende da Adamo all’Ascensione alla Penteco­
ste alla predicazione degli Apostoli del Signore. Dentro tale im­
menso quadro ogni fedele riconduce la propria vita, sottraendosi
alla «vita corrente» che non porta a nulla, mediante la tensione
che trasporta a Cristo e alle sue Realtà, la creazione nuova.
Si considerano così via via la caduta di Adamo, che è la pro­
pria caduta, l’approfondita conoscenza della propria miseria e
condanna, l’agitarsi nel peccato senza uscita per le forze dell’uo­
mo, le tuniche di pelle, ma anche la possibilità del «ritorno» fi­
nalmente aperto da Cristo, a cui si chiede di essere accettati. Il
ritorno esige l’«operazione» della vita improntata alla Grazia.

Tutto il Grande Canone, del sec. V ili, è di alta consistenza


poetica. È possibile vedere qui come la teologia simbolica possa
essere tradotta in un testo letterario suggestivo. Ma più che testo
letterario, come rileva P. Nellas, è una rilettura fedele della Scrit­
tura applicata ai battezzati che celebrano la propria conversione,
e si appellano all’unico Salvatore: «Tu sei il dolce Gesù, Tu sei il
mio Creatore, in Te io troverò la mia salvezza». La conoscenza di
sé è definita in poche parole, in modo ineguagliabile.

«Voi siete dèi» è un’opera di spicco. Nel quadro della teolo­


gia, oggi, vale come una spinta a far cadere impalpabili muri. Si è
parlato da noi di «svolta antropologica», salutata come una libe­
razione inaudita, quando si dovrebbe più seriamente considerare
che la prima e unica «svolta» per l’uomo fu quando, demitizzan­
do il mondo e i suoi dèi, il Signore creò l’uomo a sua immagine e

27
somiglianza, e lo ricreò a immagine e somiglianza del Figlio suo
incarnato, morto, risorto, divinizzato. Da allora, ogni deviazione
cristiana da questo Statuto perenne è certo una «svolta», che ri­
propone in un certo senso il peccato d’autonomia di Adamo, e
reintroduce gli idoli del mondo, e il più perverso, l’uomo auto­
nomo e borioso. Come si celebra apertamente oggi nel mondo,
da ogni parte.

Non a caso, P. Nellas parla di «apofatismo antropologico»,


come si deve parlare di apofatismo teologico. Si parla troppo
dell’uomo in sé, e dunque si parla male. Un’opera come questa
riporta una freschezza antica e sempre nuova. La Tradizione è ri­
proposta, rinnovata da una riflessione profonda, credente, fede­
le, acuta, completa.
Il lettore potrà fare, se vuole e se può, utili paragoni. Ad
esempio, rilevare i diversi tratti del tutto comuni tra ortodossi e
cattolici (qualcuno è stato accennato), poiché i Padri sono patri­
monio comune delle Chiese della Tradizione. Ovviamente, del
tutto diverso è il modo di considerarli, di leggerli, di porli al giu­
sto posto, così rilevante, per la teologia, non come testimoni mu­
ti di un passato che non torna, ma di una lettura viva, di una
« lectio divina» della Parola che salva. Alcuni appunti teologici
all’Occidente che l’Autore ritiene di muovere, debbono essere
condivisi specie nel campo così importante, e oggi decisivo, che
è l’antropologia soprannaturale e l’ecclesiologia; lo stesso vale
per le ideologie che vanno morendo. Altri appunti fanno parte
di un contenzioso ancora da dirimere.

Da un libro denso di contenuti è possibile esigere di più?


Panayotis Nellas è valido esponente della teologia ortodossa.
Forse, si potrebbe dire che il materiale biblico usato poteva esse­
re più ampio, e trattato più a fondo. Infatti i testi sull’uomo ico­
na nella Bibbia sono molto più numerosi di quelli citati. E i testi
sulla divinizzazione nella Scrittura dei due Testamenti sono nu­
merosissimi; chi scrive ha rilevato oltre 100 semantiche. Però,
contestualmente si può rispondere, rendendo giustizia: il modo
ortodosso di leggere la Scrittura con la mediazione sostanziale
dei Padri e con lo sbocco naturale alla vita liturgica, oltre che es­
sere quello della grande Tradizione, ha una sua validità irrefuta­

28
bile. Infatti i Padri, questi «lettori dell’unico Libro», conoscitori
incredibili della Scrittura, non hanno lasciato un tema, un ango­
lo inesplorati; seguendo la loro traccia, sostanzialmente si domi­
na tutta la Bibbia. Se acquisizioni archeologiche, storiche, filolo-
f;iche, critiche, esegetiche sono fuori delle prospettive dei Padri,
a teologia biblica più completa e profonda è la loro caratteristi­
ca principale.

Panayotis Nellas conosceva bene tutto questo, per lunga e


amorevole e laboriosa consuetudine. La lettura del suo capolavo­
ro è dunque piena di intensità, di suggestione, è fonte di infiniti
riferimenti, apre su approfondimenti possibili. E una lettura in­
dispensabile, e benefica.
Occorre moltiplicare la diffusione di opere come queste,
che riportano al cuore di quanto la Chiesa ortodossa greca oggi è
in grado ancora di donare a tutti noi. E noi ne siamo molto grati.

T o m m a s o F e d e r ic i
Pontificia Università Urbaniana
Roma

29
Premessa

Ci sono momenti in cui ci si sente veramente «gettati in un


angolo dell’universo, costretti a vivere».
Altre volte, ancora, avvertiamo un anelito estraneo, che
però emana dal nostro interno e ci è proprio, elevarci al di sopra
della necessità, donarci una sensazione di vera libertà e di gioia. I
santi Padri della Chiesa parlano diffusamente di questo anelito.
Essi stessi lo collocano al centro della loro vita interiore, rappor­
tano ad esso ogni azione della loro esistenza e si elevano alla con­
dizione della permanente libertà di figli del Re dell’universo. E
da quell’altezza, indagano la natura dell’uomo. Comprendono e
insegnano anche a noi che quell’anelito, quel «tendere verso
Dio», come lo chiamano, si deve al fatto che l’uomo è immagine
di Dio, e cioè che l’uomo è nel contempo terrestre e celeste, effi­
mero ed eterno, visibile e intelligibile, realmente e veramente
«zóon theoumenon»: un essere chiamato a diventare Dio.
Partecipando alla comune ricerca dell’umanità in ordine alla
individuazione della natura e del significato degli enti, i Padri ri­
conoscono che l’uomo è un essere razionale (zóon loghikón) o so­
ciale (politikón), e non hanno difficoltà ad ammettere che l’uomo
è «colui che mangia» o «colui che produce» o «colui che pensa»;
ma aggiungono che la vera grandezza dell’uomo non consiste in
tutto ciò, bensì nel fatto che egli è «chiamato a diventare Dio». I
Padri mettono in rilievo che l’uomo realizza la sua esistenza nella
misura in cui si eleva verso Dio e si unisce con lui. «Chiamo uo­
mo colui che si allontana dall’umano e si avvicina a Dio stesso».
Analogamente, i Padri descrivono in profondità e minuzio­
samente qual è la natura dell’uomo quando egli mantiene il suo

31
rapporto con Dio e come essa si trasformi quando tale rapporto
è dall’uomo stesso interrotto; come funzionino le sue molteplici
attività psicosomatiche nell’una e nell’altra condizione; quale esi­
stenza assapori chi resta unito con Dio e quale invece chi è da
Lui separato: lo studio di tutte queste problematiche costituisce
lo scopo e l’argomento di questo libro.
L’antropologia patristica non costituisce un sistema. Tutta­
via, la rilevante unanimità dei dati patristici sull’argomento po­
trebbe indurre lo studioso contemporaneo all’allettante soluzio­
ne di presentare le esperienze dei Padri quali teorie, elaborando­
ne un ben articolato edificio logico. Ho cercato di ovviare a que­
sto pericolo - «abbi paura del sistema come del leone», insegna­
no i Padri - scomponendo la struttura del libro. Così, tratto
l’unico e singolo argomento in cinque parti l’una dall’altra di­
stinte. Nella prima parte, prendendo in considerazione la lettera­
tura patristica nel suo insieme, esamino in modo sintetico, ma
non sistematico, alcuni aspetti di capitale importanza dell’antro­
pologia dei Padri, e definisco il significato che essi hanno nei
confronti del problema fondamentale dei nostri giorni: il rappor­
to Chiesa-mondo. Nella seconda parte, lo stesso argomento è esa­
minato in relazione a un singolo Padre della Chiesa; mentre, nel­
la terza, in relazione a una funzione religiosa. Nella quarta parte,
sono proposti integralmente alcuni brani patristici d’importanza
nevralgica per il nostro argomento, di modo che il lettore possa
avere un assaggio diretto della testimonianza dei Padri e delle lo­
ro intuizioni divine. Nella quinta, infine, sono corroborate le tesi
di questo libro e, con l’ausilio della scienza teologica contempo­
ranea, sono ulteriormente approfonditi alcuni punti.
Un’altra importante difficoltà metodologica è presentata dal
linguaggio usato dai Padri. Essi formulano le loro esperienze fa­
cendo ricorso alla terminologia loro contemporanea, ma, nel con­
tempo, alterandone il contenuto semantico. Rendendo trasparen­
te, alla luce della loro esperienza personale, la terminologia dei
loro tempi, essi ne rivelano quella verità che i termini stessi erano
in grado già da soli di contenere. Oggi, però, la terminologia è
cambiata. Se ci limitassimo a riprodurre pedantemente i termini
patristici, molto probabilmente ci troveremmo di fronte a parole
oscure e chiuse, e non potremmo adoperarle se non come idee
oggettivate. Ho cercato perciò in questo libro, non senza esitazio­

32
ne e con estrema premura, di affiancare alle formule vecchie alcu­
ne formule nuove, affinché la parola vivificante dei Padri potesse
giungere fino a noi, e i testi patristici potessero parlare oggi. Da
questo punto di vista, il presente libro non è che una semplice
trasposizione nel linguaggio moderno di alcuni elementi centrali
della nostra tradizione, e procede parallelamente con il lavoro
che cerchiamo di realizzare «Sulle Fonti».
Una terza difficoltà, questa volta di carattere sostanziale e
non formale, creerà, forse, quanto è detto a favore dell’uomo, ri­
guardo all’assunzione della natura umana da parte della Persona
del Figlio di Dio, e cioè che essa non è dovuta alla caduta dell’uo­
mo, ma ha bensì realizzato la preetema volontà di Dio in ordine
all'incarnazione o all’«inserimento del Primogenito nell’univer­
so». Sarà spiegato quale importanza capitale abbia questa teoria
per la giusta comprensione e attuazione del cristianesimo, come
pure per quali motivi essa oggi ci sorprenda. Forse, però, bisogna
dire fin da adesso che, già ai tempi di Nicodemo l’Agiorita, taluni
di coloro che «si dedicavano allo studio della teologia» gli aveva­
no mosso l’accusa di basarsi su questa teoria: e nell'Apologià, che
questo santo scrisse in proposito (sarebbe bene che il lettore in­
cominciasse lo studio di questo libro a partire da quel testo), per
prevenire eventuali polemiche, égli dice: «E se taluni... mi accu­
sano, accusino anzitutto san Massimo il Confessore, Gregorio di
Salonicco, il grande Andrea e tutti gli altri Padri, dai quali io ho
appreso questo insegnamento».
Gran parte di questo libro è stato redatto presso la Bibliote­
ca del venerabile Monastero di Stavronikita (Monte Athos): mo­
tivo di un’ulteriore riconoscenza.

Panayotis Nellas

33
IMMAGINE DI DIO E TUNICHE DI PELLE
Indagine intorno ad alcuni punti fondamentali
dell’insegnamento patristico sull’uomo e sul
rapporto Chiesa-mondo
L’Immagine

L’argomento «immagine» ha una lunga storia. Si tratta di un


termine fondamentale nella filosofia greca, in Platone e negli
Stoici e, più tardi, nei Neoplatonici*. Esso costituisce anche il
nucleo centrale dell’antropologia dell’Antico Testamento, spe­
cialmente della Genesi e degli scritti sapienziali2. Tra queste due
tradizioni, Filone usa il termine in modo parimenti fondamenta­
le, attribuendogli un contenuto specifico3.
Nel Nuovo Testamento, il termine è inoltre arricchito di un
contenuto cristologico: il che conferisce all’antropologia nuove
dimensioni. Per l’apostolo Paolo, «Immagine di Dio Invisibile» è
Cristo. E l’uomo, come vedremo, è «immagine di Immagine».
Ma anche l’espressione cristologica giovannea «Verbo di Dio»,
come è noto, ha un contenuto semantico affine, se non affatto
identico, all’espressione paolina «immagine del Dio invisibile»4.
Nella successiva letteratura patristica, sulla quale si basa dal
punto di vista metodologico la presente trattazione, l’argomento
dell’«immagine» funge da perno intorno al quale ruotano la co­
smologia e l’antropologia ortodosse, nonché la stessa cristo­
logia5. Di tutta questa immensa ricchezza dogmatica dei Padri,
noi ci limiteremo a esaminare solo l’aspetto antropologico: cer­
cheremo cioè di vedere come l’espressione «a immagine» possa
costituire la base di una antropologia ortodossa6.

San Gregorio di Nissa, spiegando perché è «inconoscibile la


natura dell’uòmo», scrive che essendo Dio inafferrabile, non può
non essere inafferrabile anche la Sua immagine che si trova insita

37
nell’uom o7 (1). Ecco perché non è possibile trovare nei Padri
della Chiesa una formulazione ben definita dell’immagine o una
sua definizione ben precisa. Resta tuttavia rivelatore u fatto che
nei loro innumerevoli tentativi per arrivare a una soddisfacente
comprensione del problema antropologico, i Padri adoperino
come base d’indagine l’espressione «a immagine».
In questo modo il termine è arricchito dei più vari conte­
nuti semantici, relativamente alle problematiche che di volta in
volta richiedono di essere affrontate. Così, ad esempio,
l’espressione «a immagine» è riferita ora al libero arbitrio del­
l’uomo o alla sua indole razionale e dominante, ora al corpo
unito all’anima, ora alla mente, ora alla distinzione tra natura,
persona, ecc.8, e ora, infine, globalmente all’uomo in quanto
totalità (2).
Non sarebbe male se si riuscisse a elencare tutte queste ac­
cezioni per poi analizzarle. Una simile indagine fenomenologica,
però, nasconde il rischio di trattenere lo studioso alla superficie
del problema. Poiché la mancanza, presso i Padri, di chiare e
precise indicazioni circa il contenuto semantico dell’espressione
«a immagine» non significa che manchi loro una chiara conce­
zione di fondo al riguardo.
Questa concezione di fondo patristica, che funge da deno­
minatore comune dei più diversi impieghi del termine, può illu­
minare dall’interno il termine stesso, di modo che riveli da una
parte la provenienza, struttura e destinazione dell’uomo e, dal­
l’altra, consenta alla teologia contemporanea, dopo che essa stes­
sa abbia compreso e giudicato, di venire efficacemente in soccor­
so al mondo contemporaneo.

(1) Giovanni Damasceno, Sulle due volontà in Cristo, 30 (PG 95, 168B):
«In quanti significati è usata l’espressione “a immagine”? Essa è detta in riferi­
mento alle qualità razionali e spirituali dell’uomo, in riferimento al libero arbi­
trio e al fatto che la mente genera il verbo e lo spirito lo proietta...».
(2) Epifanio di Cipro, Panàrion, 70 (PG 42, 344B): «Bisogna ritenere che
la condizione di immagine riguarda l’uomo intero e non solo una sua parte». E
significativo il seguito di questo brano: «Dove si trova precisamente o dove
trova il suo completamento la condizione di immagine, è noto solo a Dio, che
fece grazia all’uomo del dono della condizione di immagine».

38
I.
L ’ u o m o im m a g in e d e l l ’A r c h e t ip o

Presupposto e centro della teologia dell’«immagine» è, per i


Padri, l’insegnamento dell’apostolo Paolo. È acquisizione erme­
neutica dell’odierna scienza biblica che, per Paolo, «Immagine
di Dio» è Gesù Cristo9. Il relativo insegnamento dell’Apostolo
viene concisamente formulato nel primo capitolo della Lettera ai
Colossesi, ed è opportuno a questo proposito segnalare che tale
insegnamento è presentato non come punto di vista personale di
Paolo, bensì come inno liturgico della prima comunità cristiana:
«Egli è Immagine del Dio Invisibile, generato prima di ogni
creatura; poiché mediante Lui sono state create tutte le realtà,
quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibi­
li: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le realtà sono
state create mediante Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le
realtà e tutte sussistono in Lui. Egli è anche la Testa del corpo,
cioè della Chiesa» (Col 1,15-18)10.
Quel che è significativo in questo testo, è che esso non co­
stituisce insegnamento trinitario, bensì prettamente cosmologico
e antropologico. In altri termini, in questo testo è sottolineata
non tanto la relazione del Verbo con il Padre - relazione, questa,
che si presuppone e che è sviluppata da Paolo in altra sede -
quanto il significato che Cristo ha per l’uomo. Quest’affermazio­
ne racchiude in sé una grande importanza, perché rivela la di­
mensione cristologica dell’antropologia paolina. La medesima
dimensione del termine «immagine» si rivela d’altronde anche
nella dottrina basilare di Paolo, e cioè che l’uomo, per comple­
tarsi, deve rivestire «l’immagine dell’uomo celeste», di Cristo (1
Cor 15, 49), arrivare «nella misura che conviene alla piena matu­
rità di Cristo» (E f 4, 13), e ciò «affinché non siamo più come
fanciulli» {E f 4, 14). In Paolo, la maggiore età dell’uomo coincide
con la sua cristificazione.
L’esegesi contemporanea riterrà forse arbitrario questo
sviluppo interpretativo. Se però volessimo accostarci all’inse­
gnamento di Paolo basandoci non tanto sulla scienza critico­
analitica quanto sugli stessi criteri dell’Apostolo, come essi
furono usati dai Padri che hanno avuto esperienze spirituali

39
identiche alle sue; se cioè volessimo avvicinarci all’insegna­
mento di Paolo dall’interno della Chiesa, basandoci fonda­
mentalmente sulla fede, allora comprenderemmo non solo la
liceità di questa interpretazione, ma anche il suo più profondo
significato.
E infatti i Padri estendono questa linea interpretativa di
Paolo anche alla storia anteriore alla venuta di Cristo, e rappor­
tano l’argomento paolino «Cristo-Immagine di Dio» all’argo­
mento della Genesi «uomo-immagine di Dio». Già in Ireneo,
Clemente, Origene, Atanasio, Gregorio di Nissa e altri - per li­
mitarci solo a coloro per i quali abbiamo studi specifici11 - è
chiara la distinzione secondo cui Cristo costituisce l’Immagine di
Dio e l’uomo l’immagine di Cristo: e cioè che l’uomo è immagine
di Immagine·. «Il primogenito di tutta la creazione infatti è Im­
magine di Dio... e ad immagine di Dio è stato creato l’uomo»
(Origene)12. E ancora: «A immagine di Cristo: questo infatti si­
gnifica l’espressione “a immagine creò”» (Crisostomo)13.
La concezione patristica or ora prospettata, benché il più
delle volte espressa in modo larvato, è tuttavia definitiva e chiara
ed è di un’importanza capitale, perché può concorrere alla defi­
nizione di tre aspetti antropologici cardinali: la struttura dell’uo­
mo, la sua finalità e la sua origine.

a) La struttura cristologica dell’uomo. La concezione pat


ca or ora delineata mette insieme innanzitutto i molteplici impie­
ghi che l’espressione «a immagine»14 ha avuto nel corso dei se­
coli, e permette di coglierne la complementarità, superandone
gli aspetti contraddittori, per l’elaborazione di una antropologia
genuina, vale a dire ortodossa. Cercheremo di presentare al ri­
guardo alcuni esempi.
Assai frequentemente riscontriamo nei testi dei Padri l’af­
fermazione secondo cui l’uomo è «hón logikón» (un essere ra­
zionale) perché è stato creato «a immagine» di Dio. I manuali di
teologia dogmatica, nel tentativo di specificare il contenuto se­
mantico dell’espressione «a immagine», insegnano che è da in­
tendersi in riferimento al lògos dell’uomo, e cioè alla sua com­
ponente razionale15. Sarebbe invece più corretto dire che il lò­
gos dell’uomo (ossia il suo essere razionale) si deve al fatto che
egli è stato creato «a immagine» di Cristo, il quale è il Lògos

40
ipostatico (3) del Padre. Sant’Atanasio, che approfondisce que­
sto argomento, lo puntualizza con estrema chiarezza: «Dio creò
gli uomini secondo la Sua immagine, trasmettendo loro anche la
potenza del Suo proprio Lògos, di modo che, avendo connatu­
rate in sé alcune ombre del Lògos e divenuti logici (razionali),
essi riuscissero a perseverare nella beatitudine»16.
In modo analogo è possibile dedurre che l’uomo è demiurgo

f>erché è immagine del Lògos demiurgico per eccellenza: «In ciò


'uomo diventa immagine di Dio, in quanto egli collabora alla
generazione dell’uomo» (Clemente Alessandrino)17.
L’uomo è dominatore, poiché Cristo, secondo la cui immagi­
ne l’uomo è stato creato, è il Signore onnipotente e Re: «L’essere
immagine della natura che governa tutte le cose, nient’altro si­
gnifica che all’atto della creazione sia stato formato come natura
regale» (Gregorio di N issa)18.
L’uomo è libero, perché è immagine dell’assoluto libero ar­
bitrio: «Nella libertà delle sue scelte, [l’uomo] era simile al pa­
drone di tutte le cose; non era schiavo di nessuna necessità ester­
na, e poteva disporre di sé come voleva secondo il proprio giudi­
zio, giacché aveva la facoltà di scegliere ciò che gli piaceva»
(Gregorio di N issa)19.
L’uomo è responsabile del creato ed è ricapitolazione e coscien­
za del creato intero, perché il suo archetipo (4), Cristo, è Ricapito-
latore e Salvatore di Cristo: «Infine, produsse l’uomo nell’ordine
secondo la Sua immagine, affinché tutta la natura si rivelasse coor­
dinata al servizio dell’uomo» (Teodoro di Mopsuestia)20.
L’uomo si compone di corpo e di anima, si pone al centro
della creazione e riunisce dentro di sé spirito e materia, perché
Cristo, per mezzo del quale e «nel quale» «è stato creato», è
l’ineffabile, ipostatica, indivisibile e, nel contempo, inconfondi­
bile unione dell’increato Fattore e della creata fattura: «Nella
maniera in cui la di Lui divinità operava... in modo teandrico...,
così pure l’anima, che è stata fatta secondo somiglianza dell’invi­
sibile Logos di Dio, opera... in modo psicandrico, vale a dire
corporalmente e spiritualmente, avendo come modello Cristo
Diouomo» (Anastasio Sinaita) 21.

(3) Vedi Lessico.


(4) Vedi Lessico.

41
L’uomo è nel contempo persona e natura, o, per dirla me­
glio, persona che concretizza e rivela la natura, poiché è immagine
del Figlio, il quale costituisce una distinta Ipostasi personale
dell’unica e indivisibile Sostanza comune al Padre, al Figlio e al­
lo Spirito Santo22.
Sarebbe forse opportuno insistere in questa direzione e svi­
luppare tale concetto. Poiché se le connotazioni peculiari
dell’espressione «a immagine», che abbiamo fin qui esposto in
modo sommario, fossero completate e analizzate, potrebbero di
certo concorrere in modo decisivo alla definizione delle princi­
pali dimensioni della struttura dell’uomo, come essa è concepita
dalla tradizione ortodossa.
In verità, la somma di tutti questi elementi - che si potreb­
bero riassumere così: l’uomo, che è nel contempo persona e na­
tura, è fondamentalmente caratterizzato dal mistero dell’amore,
che spinge le persone alla comunione naturale; l’uomo è consa­
pevole esistenza personale nel tempo, inscindibile unità psicoso­
matica, con un’incommensurabile profondità psichica; l’uomo è
libero, dominatore, demiurgo, razionale, sciente, ecc. - possono
rivelare realisticamente la vera struttura dell’uomo. Anzi, occor­
re sottolineare che tutti questi elementi, mentre da una parte co­
stituiscono le dimensioni centrali dell’interpretazione tradiziona­
le dell’espressione «a immagine», dall’altra non sembra che si di­
scostino molto dalle più attendibili conclusioni cui è approdata
la ricerca antropologica contemporanea23.

b) La finalità cristologica dell’uomo. Al di là, però, di qu


analisi statica o anatomica, la realtà dell’«immagine» mette in lu­
ce anche la potenzialità dinamica dell’essere umano, e cioè la sua
finalità. In verità, essendo stato creato «a immagine» del Dio in­
finito, l’uomo è chiamato dalla sua stessa natura - e, da questo
punto di vista, proprio in ciò consiste l’espressione «a immagi­
ne» - a trascendere i limiti finiti del mondo creato e a diventare
infinito. Ciò riguarda tutti gli strati della sua entità, da quelli più
superficiali fino a quello più intimo, concernente la sua stessa
esistenza. Anche a questo proposito offriremo alcuni esempi.
Poiché la sapienza dell’uomo costituisce l’immagine dell’on­
niscienza di Dio, anch’essa ha la possibilità e il dovere di elevarsi
a onniscienza. Scrive sant’Atanasio: «Affinché non esistessero

42
soltanto realtà create... Dio volle rendere partecipi della Sua Sa­
pienza anche le creature... affinché pure queste si rendessero sa­
pienti. Infatti, nel modo in cui il nostro lògos è immagine del ve­
ro Lògos del Figlio di Dio, così pure, essendo Egli Sapienza, ne è
parimenti immagine la sapienza insita in noi, in virtù della quale,
potendo noi conoscere e ragionare, ci rendiamo partecipi della
Sapienza del Creatore»24. Se ne deduce chiaramente che il pro­
gresso scientifico dell’uomo non è un avvenimento casuale o ar­
bitrario. La conoscenza umana si evolve, perché l’evolversi ne è
un elemento costitutivo. La scienza umana è indotta, per sua na­
tura, a elevarsi in onniscienza.
Lo stesso vale per il dominio dell’uomo sul creato. I Padri
considerano l’uomo vero dominatore e signore dell’universo.
Questa dominazione essi la intendono come espressione della
sua regalità25. Così, per il credente che osserva le realtà da un’an­
golazione teologica, nessuna acquisizione o progresso tecnologi­
co costituisce sorpresa. L’uomo, scoprendo i misteri del mondo e
coordinandolo, altro non fa che adempiere a uno dei principali
compiti cui è stato chiamato - quando, ovviamente, questo coor­
dinamento del mondo sia volto alla sua umanizzazione.
Questo modo di vedere le cose si può estendere a tutta la
gamma delle attività umane. Nella prospettiva ortodossa, anche
l’esigenza di giustizia e di pace appare come riflesso e, nel con­
tempo, nostalgico tentativo più o meno consapevole affinché
l’umanità possa raggiungere U meraviglioso modello di vita del
suo Archetipo triadico, secondo la cui immagine è stata plasmata
ed entro cui solo può trovare pace e riposo26. L’uomo, inteso
nella sua pienezza di corpo e di anima e come esistenza persona­
le in naturale comunione con le restanti esistenze umane e in
rapporto con il mondo, in virtù della sua costituzione tende a
sconfinare dai propri limiti, a diventare illimitato e immortale:
«La sete dell’anima umana necessita di un’acqua infinita: come
può soddisfarla questo mondo finito?»27.
Questa verità, la cui constatazione sorprende costantemente
gli studiosi, è spiegata e, nel contempo, completata dall’espres­
sione «a immagine». È questa espressione, infatti, che conduce e
fa convergere efficacemente verso la loro «finalità», ogni fram­
mentario sforzo umano, di per se stesso cieco e, quindi, colmo di
ingenua alterigia.

43
Come si evince chiaramente dalla lettura delle loro opere, i
Padri non esitano a condividere la meraviglia dei filosofi greci
nei confronti di questo microcosmo che è l’uomo2S, nei confronti
cioè del fatto che l’uomo riassume dentro di sé l’intero universo.
Tuttavia, questa realtà, benché grande, nella considerazione dei
Padri è ancora qualcosa di poco. A loro preme aggiungere che la
vera grandezza dell’uomo non consiste nel fatto che egli costitui­
sca la più elevata entità biologica, che egli sia un animale «razio­
nale» o «sociale», bensì nel fatto che l’uomo è uno «zóon...
theoitmenon» (5): e cioè, che costituisca l’entità creata alla quale
«è stato comandato di diventare D io »29 (6). La grandiosità del­
l’uomo non consiste semplicemente nel fatto che egli è un «mi­
crocosmo», ma nel fatto che è chiamato a diventare «tempio mi­
stico» 30: a divenire cioè un mondo grande e nuovo entro un
mondo piccolo e vecchio. «Ciascuno di noi è creato da Dio co­
me un altro universo, un universo grande in questo universo pic­
colo e visibile»31. «In che cosa consiste la grandezza dell’uo­
mo?», chiede san Gregorio di Nissa; e risponde: «Non nella so­
miglianza con il cosmo, ma nell’essere a immagine del Creatore
della nostra natura»32: il che vuol dire che la grandezza dell’uo­
mo riposa nella sua finalità.
Ne modo in cui la verità e le potenzialità del mondo creato
si rivelano e si concretizzano nell’uomo, così pure la verità e le
potenzialità dell’uomo creato si rivelano e si concretizzano nel
Dio increato. Con ciò risulta chiaro che la ragione per la quale
l’uomo rimane e continuerà a rimanere per la scienza un mistero
consiste nel fatto che egli si colloca oltre i confini della scienza e
che, in virtù della sua stessa struttura, egli è nel suo nucleo cen­
trale un «hón theologikón», un essere teologico.

(5) Gregorio Nazianzeno, Omelia 45, Sulla santa Pasqua, 7 (PG 36,
632AB): « L ’artefice Lògos plasma liberamente l’uomo come un essere vivente
composto di entrambe le nature: della visibile e dell’invisibile. Egli ne formò il
corpo adoperando la materia anteriormente creata, introducendovi un soffio
di se stesso... e lo pose in questo mondo come un mondo diverso, mondo
grande in un mondo piccolo, come un altro angelo e adoratore composto, ini­
ziatore del mondo visibile e iniziato a quello invisibile, come un re di tutte le
cose terrestri guidato da un Re dall’alto,... essere vivente collocato in questo
mondo ma destinato ad un altro, e, quale mistero!, chiamato a diventare dio
nel suo tendere verso Dio». Si veda il brano intero più avanti, pp. 215-217.
(6) Ibid.

44
c) L’origine in Cristo dell’uomo. La constatazione or ora
mulata spiana la strada verso la problematica concernente l’ori­
gine dell’uomo, e ci induce a esaminare, oltre che l’analogia
dell’espressione «a immagine», anche la sua ontologia.
Perché l’uomo possa somigliare a Dio e tendere verso di
Lui, occorre che abbia dentro di sé un elemento divino. Qual è,
però, e in che cosa consiste questo elemento? La domanda è di
importanza fondamentale. In realtà, si tratta della grande do­
manda che ha impegnato tutte le importanti correnti filosofiche
e teologiche, concernente la relazione uomo-Dio, Creatore-crea­
to 33. È noto che per la soluzione di questo problema, sono state
formulate diverse teorie: la teoria delle idee (Platone), la teoria
del Lògos (Filone), dell’emanazione (gnostici), della libertà
(atei), ecc.
San Giovanni Damasceno, riassumendo dal punto di vista
cristiano ortodosso tutta la precedente tradizione patristica, in­
segna che «ogni cosa dista da Dio non nello spazio ma per na­
tura»34. Nel commentare questa affermazione, Giorgio Florov-
sky formula la fondamentale teoria secondo cui la distanza so­
stanziale tra la natura umana e quella divina «non è affatto col­
mata; semplicemente, è in qualche modo ammantata dall’im­
menso amore di D io »35. La distanza sostanziale tra la natura in­
creata e quella creata è assoluta e infinita. Ma l’altrettanto infi­
nita bontà di Dio, senza abolire questa sostanziale distanza,
volle sin dall’inizio gettarle un ponte per mezzo delle increate
operazioni divine. L’argomento teologico e cosmologico delle
operazioni divine di Dio e quello antropologico dell’espressio­
ne «a immagine» a questo punto s’incontrano. Le operazioni di
Dio, che sorreggono, conservano e, in relazione col mondo
creato, hanno come finalità di condurlo alla sua perfezione, ac­
quistano nell’uomo un concreto elemento creato, la libertà
dell’uomo, e una finalità concreta, l’unione dell’uomo con il
Dio Logos. Ecco qual è il contenuto dell’espressione «a imma­
gine».

L’uomo fu la prima particella del mondo creato - «polvere


del suolo» (Gn 2, 7) - che, grazie alla sua condizione di «imma­
gine», è stato collegato veramente e realmente con Dio, la prima
forma di vita biologica, verosimilmente la più alta sulla terra nel

45
sesto giorno della creazione36 (7), che, grazie al soffio dello Spiri­
to, è stata elevata a una vita spirituale, vale a dire veramente e
realmente teocentrica. In questo modo, la materia creata, la
«polvere del suolo», è stata per la prima volta modellata in modo
teologico, la materia creata assunse aspetto e struttura «a imma­
gine» di Dio, la vita sulla terra si è resa cosciente, libera, perso­
nale.
Analogamente a quanto detto sopra, occorre segnalare che,
sulla scia di san Giovanni Damasceno37 e di san Gregorio Pala-
mas 38, san Nicodemo l’Agiorita insegna che in Dio esistono tre
modi di unione e partecipazione: quello «secondo sostanza»,
quello «secondo ipostasi» (8) e quello «secondo operazione»39.
In unione secondo sostanza si trovano solo le Tre Persone della
Santissima Trinità; l’unione ipostatica è stata realizzata dal Verbo
quando s’incarnò; quanto invece è stato detto sopra, indica che
l’unione secondo operazione è stata concessa all’uomo all’atto
della sua creazione «a immagine». Pertanto, è chiaro che
quest’ultimo modo di unione - e quanto stiamo per dire è di pri­
maria importanza ai fini della nostra indagine - non è perfetto,
perché non colma la separazione esistente tra la natura umana e
quella divina: potremmo piuttosto dire che getta semplicemente
un ponte da questa verso quella. Il valore di quest’ultima unione
consiste nel fatto che essa prepara e conduce all’unione ipostatica,
la quale è perfetta e definitiva, poiché, essendo la natura umana
e divina una medesima persona in Cristo, è impossibile che vi si
frapponga distinzione alcuna. La comune ipostasi annulla ogni
distanza tra la divinità e l’umanità, perché è termine comune di
entrambe; ché, per realtà distinte, è impossibile che ci sia un ter­
mine comune40.
L’unione «secondo operazione» dell’uomo con Dio, elargita
all’umanità nell’atto della creazione di Adamo «a immagine»,
aveva come finalità di condurre la natura umana alla sua unione
ipostatica con Dio Verbo in Cristo. Questa finalità costituì la
destinazione principale di Adamo, e rimase stabile e inalterabile

(7) Gregorio di Nissa, L ’uomo, 8 (PG 44, 145B): «Per questo, compimen­
to dopo le piante e gli animali, fu creato l’uomo poiché la natura avanza per un
cammino logico verso la perfezione» (trad. B. Salmona).
(8) Vedi Lessico.

46
- «perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» - anche
dopo la sua caduta. La stessa continuò a costituire il punto es­
senziale della pedagogia del popolo ebraico da parte di Dio, il
contenuto e lo scopo non solo delle profezie, ma dell’intera sto­
ria sacra.
In questo modo appare chiaro che l’essenza dell’uomo non
riposa nella materia da cui egli è stato creato, ma nell’archetipo
in riferimento al quale egli è stato plasmato e verso il quale ten­
de. Perciò, nell’ottica patristica concernente l’origine dell’uomo,
la teoria dell’evoluzione non costituisce alcun problema, come
pure non costituisce problema per il credente la qualità del le­
gno su cui è stata dipinta un’icona. La scienza può e deve studia­
re la «materia» dalla quale è stato plasmato l’uomo, ma ogni stu­
dioso che si rispetti è consapevole dell’impossibilità di esamina­
re, tramite l’indagine scientifica oggettiva, l’«archetipo» in riferi­
mento al quale è stato modellato l’uomo. Nella misura in cui la
verità dell’icona si trova nella persona raffigurata, così pure la
verità dell’uomo si trova nel suo Archetipo. E ciò perché è pro­
prio l’Archetipo che conforma, dà l’impronta e modella la mate­
ria e, nello stesso tempo, la attrae. L’Archetipo costituisce il con­
tenuto ontologico dell’espressione «a immagine».
Quest’ultima affermazione significa che la verità ontologica
dell’uomo non riposa in lui stesso, considerato autonomamente
(cioè nelle sue doti naturali, come sostengono le teorie materiali-
ste; nell’anima o nella parte superiore dell’anima, la mente, come
sostengono molti filosofi antichi, o esclusivamente nella persona
dell’uomo, come ammettono alcuni sistemi filosofici contempo­
ranei), ma nell’Archetipo. Poiché l’uomo è immagine, e malgrado
il carattere iconico che possiede lo stesso materiale creato, il suo
essere reale non è determinato dall’elemento creato tramite cui si
concretizza l’immagine, ma dal suo Archetipo increato. L’esi­
stenza biologica non esaurisce l’entità dell’uomo. L’uomo è con­
cepito dai Padri in modo ontologico solo in quanto « hón theolo-
gikón», un essere teologico. La sua ontologia è iconica.
Questi due elementi tramite cui l’Archetipo si trova e opera
realmente nell’uomo e che costituiscono la sua vera realtà, sono
sottolineati con chiarezza in un testo significativo di san Grego­
rio di Nissa: «Come l’occhio è partecipe della luce grazie all’ele­
mento luminoso insito in lui per natura, traendo a sé ciò che gli è

47
connaturale in virtù di quella forma innata, così era necessario
che una qualche affinità col divino fosse innestata nella natura
umana affinché mediante questa corrispondenza avesse in sé la
forza che la muove verso ciò che le è affine... Per questo (l’uo­
mo) fu dotato della vita, della ragione, della sapienza e di tutte le
qualità proprie di Dio, affinché ognuna di esse generasse in lui il
desiderio di tendere verso chi gli è affine... Questo è chiaramen­
te espresso in modo conciso con una sola parola nel racconto
della creazione del mondo, quando dice che l ’uomo è stato crea­
to a immagine di D io »41.
In questo testo risulta chiara, da una parte, la struttura teo­
logica dell’uomo («per questo fu dotato della vita, della ragione,
della sapienza e di tutte le qualità proprie di Dio») e, dall’altra,
l’attrazione che in modo esoterico esercita sull’uomo l’Archetipo
(«traendo a sé ciò che gli è connaturale in virtù di quella forma
innata»).
Quale è, però, più precisamente questo Archetipo? L’argo­
mento è di importanza decisiva e necessita di essere esaminato.

II.
L ’A r c h e t ip o d e l l ’ u o m o , i l V e e b o in c a r n a t o

Abbiamo già detto che per Ireneo, Origene, Atanasio, Gre­


gorio di Nissa e altri Padri, compresi Massimo il Confessore e
Gregorio Palamas, l’archetipo dell’uomo è Cristo. Un testo di
Nicola Cabasilas non lascia spazio, a questo proposito, a nessun
dubbio; piuttosto, trova una certa corrispondenza con il testo su
menzionato di Gregorio di Nissa e, contemporaneamente, lo
spiega in modo inequivocabile: «L a natura umana è stata fatta
fin dall’inizio per l’uomo nuovo. E anche la mente e il desiderio
sono stati creati in prospettiva di Lui. E siamo stati dotati di ra­
ziocinio per conoscere Cristo, di desiderio per tendere verso di
Lui, di memoria per portarLo con noi: ché egli era l’Archetipo di
coloro che ha creato. Non il vecchio Adamo è il modello del Nuo­
vo, ma il Nuovo è il modello del vecchio»42.
L’Archetipo dell’uomo, quindi, non è semplicemente il Lò­
gos, bensì il Lògos incarnato. «L’uomo tende verso Cristo non so­

48
lo per la Sua divinità, la quale è il fine ultimo di tutto, ma anche
per la natura diversa»43.
Il fatto che Cristo non era storicamente presente nel mo­
mento in cui era creato Adamo non ha alcuna importanza. Costi­
tuisce insegnamento fondamentale biblico il fatto che, nella realtà
di Dio che sovrasta i tempi, Cristo è il Primogenito di tutta la
creazione (cf. Col 1, 15-17). Se l’uomo, a favore del quale è stato
creato tutto il mondo materiale, sorse dalla terra ultimo di tutte le
creature, è del tutto ragionevole che Cristo, il quale è il Fine ulti­
mo dell’intera creazione materiale e spirituale, risulti posteriore
ad Adamo, poiché tutte le realtà, da imperfette quali sono, tendo­
no verso la perfezione44. È naturale che Cristo, inteso come su­
prema realizzazione dell’uomo, costituisca il Fine ultimo del cam­
mino ascendente dell’umanità, il Principio e la Fine della storia.
Questa prima verità ne contiene una seconda, parimenti im­
portante. Il fatto che Adamo sia stato creato a immagine di Cri­
sto, implica che egli aveva il compito di elevarsi fino all’Archeti­
po, o, più precisamente, di purificarsi e amare Dio a tal punto,
da far sì che Dio venisse ad abitare in lui, che il Verbo si amalga­
masse ipostaticamente con lui e, quindi, che Cristo si manifestas­
se nella storia rivelandosi Dio-uomo. L’introduzione del Primo­
genito nel mondo (cf. Eb 1,6) costituisce la preeterna volontà di
Dio, il supremo mistero «rimasto nascosto da secoli e da genera­
zioni» (Col 1, 26). Cristo era «la volontà e il desiderio del Pa­
dre»45. Lui era la destinazione e, conseguentemente, il percorso
e punto d’arrivo naturali dell’uomo. Nella prospettiva di Cristo
l’uomo «è stato plasmato fin dall’inizio come verso una legge e
un fine... di modo che egli riuscisse ad accogliere D io»46. La de­
viazione da questo percorso provocò la caduta.
San Gregorio Palamas dice47: «Quindi, la creazione primiti­
va dell’uomo modellata per lui (per Cristo) a immagine di Dio (è
stata fatta) affinché l’uomo potesse un giorno contenere l’Arche­
tipo. E anche la legge che Dio pose in paradiso è stata posta nella
prospettiva di lui (di Cristo)», e cioè per aiutare l’uomo a con­
dursi verso Cristo.
E san Massimo il Confessore dice: «Ecco il grande mistero
rimasto nascosto. Ecco il fine beato, in vista del quale ogni cosa
è stata posta in essere. Ecco la finalità divina precognita che die­
de inizio agli esseri e che, volendola definire, noi diciamo che es­

49
sa è il Fine precognito per la cui causa ogni realtà esiste, mentre
essa stessa rimane libera da ogni necessità. In vista di questa fina­
lità (dell’unione ipostatica delle nature umana e divina, di Cri­
sto) Dio creò le sostanze degli enti»48.
E con maggior chiarezza si pronuncia il divino Cabasilas:
«Dio non creò la natura umana mirando ad altra finalità... Ma la
creò tale per uno scopo ben preciso: ossia, affinché, nel momen­
to in cui Egli doveva nascere, potesse avere una madre di tale na­
tura. E dopo avere stabilito questa precisa finalità (Cristo, l’unio­
ne ipostatica), Dio creò successivamente l’uomo»49.
Di conseguenza, il fatto che Dio creò l’uomo «a immagine»
significa, in ultima analisi, che Egli lo creò in modo tale da poter
tendere verso l’Immagine in virtù della sua stessa natura e del so­
lo fatto che egli è uomo; significa che gli elargì come doni, ma in
modo del tutto concreto da costituirne l’uomo, la possibilità e lo
scopo di servire efficacemente all’incarnazione del Lògos, che è
la perfetta e unica «Immagine del Padre». In questo modo l’uo­
mo, innalzandosi in sommo grado all’ipostasi del Lògos, può ele­
varsi a sua volta in immagine, trasformarsi anch’egli in «immagi­
ne di Dio».
Tutto ciò rende manifesta la verità secondo cui, nell’uomo,
la condizione di «immagine» costituisce nel contempo donazio­
ne e finalità, conquista e prospettiva. In altri termini, questa
espressione costituisce la realtà dell’umano essere, ma solo po­
tenzialmente. L’essere «a immagine» è una potenzialità reale, una
specie di fidanzamento che conduce al matrimonio, vale a dire
all’unione ipostatica, all’inconfondibile e reale unione e fusione
delle nature umana e divina. E solo allora l’iconico e potenziale
essere dell’uomo diviene reale, un realiter esse. L’uomo trova il
suo contenuto ontologico nel suo archetipo.

Questa verità fondamentale presenta alcuni aspetti che van­


no sottolineati.
1. Cristo non è un episodio, un semplice avvenimento
corso della storia. L’incarnazione di Dio Verbo non costituisce
un semplice effetto della vittoria del diavolo sull’uomo. Cristo
non è la conseguenza di un’azione di Satana. L’unione della na­
tura umana con quella divina è potuta avvenire perché essa co­

50
stituiva la preeterna volontà di Dio. È cambiato il modo con cui
fu realizzato questo grande mistero50; l’avvenimento è rimasto
identico. «A tutti è manifesto che il mistero realizzato in Cristo
alla fine dei secoli è indubbiamente la manifestazione e il compi­
mento di quello che era stato annunciato al progenitore all’inizio
dei secoli»51.
2. Prima che la natura divina si unisse ipostaticamente con
quella umana, l’uomo si trovava prospetticamente in una condi­
zione di «avanti Cristo»: il che significa che, pur non avendo anco­
ra peccato, egli aveva bisognò di salvezza, dal momento che egli era
incompiuto e incompleto, «fanciullo». Questo insegnamento co­
stituisce il nucleo centrale della teologia di sant’Ireneo52. La natu­
ra umana non poteva completarsi con un semplice tendere verso
l’Archetipo, bensì con la realizzazione dell’unione con esso. Dal
momento che Cristo «è il Capo del corpo, cioè della Chiesa» (Col
1, 18), che, per il pensiero patristico, significa che Cristo è il Capo
della vera umanità, finché la natura umana non aveva ancora rece­
pito l’ipostasi del Logos, era in un certo qual modo priva di una
reale ipostasi; le mancava un effettivo «sussistere secondo Cri­
sto»53. Era come una donna illibata, sterile e, come dice san Paolo,
«rasata» (1 Cor 11, 5 ) 54. La realizzazione dell’uomo, in quanto
realmente compiuto, in quanto essere «salvo», si concretizzò con
la nascita di Cristo. I realmente uomini «sono stati generati dopo
che Gesù nacque e s’inserì in questo mondo»55. Per questa ragio­
ne, Basilio il Grande chiama il giorno della nascita di Cristo, non
in senso metaforico ma realmente, «giorno natale dell’umanità»56.
3. La destinazione del primo uomo rimane sempre la medesi­
ma. Ogni uomo creato a immagine di Dio è chiamato a trasfor­
marsi in «immagine» in Cristo; «Restituiamo all’immagine la
condizione di immagine», ammonisce Gregorio il Teologo57. Cri­
sto spianò la strada per la realizzazione di questo scopo. In ve­
rità, la nascita di Dio Verbo e la sua vita terrena non si esaurisco­
no nella redenzione, nella rimozione delle conseguenze dell’erro­
re di Adamo. Il Signore ha liberato l’uomo dalla schiavitù del
peccato, dal diavolo e dalla morte. Ma, nel contempo, compì an­
che ciò che Adamo non aveva compiuto: unì l’uomo con Dio,
donandogli il vero «essere in Dio» ed elevandolo a « creatura
nuova»5*. Cristo costituisce la salvezza dell’uomo non solo in

51
modo negativo, per averlo cioè liberato dalle conseguenze del
peccato originale, ma anche in modo positivo: completando il
suo prospettivo iconico essere. La relazione di Cristo con l’uomo
non è solo sanativa. La salvezza dell’uomo è qualcosa di più va­
sto della redenzione: coincide con la divinizzazione.
4. Il vero contenuto antropologico della divinizzazione è la
cristificazione. Non è casuale il fatto che nella Lettera ai Colosse-
si, nella quale celebra Cristo come «Immagine del Dio Invisibile,
generato prima di ogni creatura» (1, 15), l’apostolo Paolo inviti
«ogni uomo» a divenire «perfetto in Cristo» (1, 28), e i credenti
ad avere «parte alla sua pienezza» (2, 10). Paolo, invitando ogni
credente a trasformarsi in «uomo perfetto, nella misura che con­
viene alla piena maturità di Cristo» (E f 4, 13), a possedere «il
pensiero di Cristo» (1 Cor 2, 16), «gli stessi sentimenti che furo­
no in Cristo Gesù» (Fil 2, 5), ecc., non muove da superficiali
motivi di pietismo o di sentimentalismo: piuttosto, egli parla in
modo ontologico. Non invita a un’imitazione superficiale e a un
semplice miglioramento morale, ma ad una vera e propria cristi­
ficazione. Perché, come scrive san Massimo il Confessore, «il
Verbo di Dio e Dio vero... vuole che si attui il mistero della sua
incarnazione sempre e in ogni cosa»59.
5. L’espressione paolina vivere in Cristo è stata resa dai Pa­
dri con il termine divinizzazione, soprattutto per difendere il fine
ultimo e il vero contenuto della vita in Cristo dalle insidie delle
eresie: innanzi tutto daU’arianesimo, che col considerare Cristo
una creatura (9), veniva conseguentemente a limitare al mondo
creato la vita in Cristo, e, successivamente, da tutte le altre eresie
cristologiche (10). I Padri, però, non hanno mai smesso di sotto-

(9) Sant’Atanasio, Contro gli Ariani, Omelia 2, 67 (PG 26, 289C): «Se (il
Lògos) fosse divenuto uomo come creatura, l’uomo sarebbe rimasto inalterato
così com’era, senza potersi congiungere con Dio. Infatti, se egli (il Lògos) fosse
creatura, come avrebbe potuto l’uomo congiungersi col Creatore mediante
una creatura?». E nella stessa omelia, un po’ più avanti, egli aggiunge (70; PG
26, 296A): «Se il Figlio non fosse veramente Dio, l’uomo non avrebbe potuto
divinizzarsi, essendo semplicemente venuto a contatto con una creatura».
(10) Π nestorianesimo, insegnando che le nature umana e divina in Cristo
si toccano ma non si uniscono ipostaticamente, finiva coll’ammettere che l’uo­
mo può avvicinarsi all’infinito, senza però riuscire a penetrarlo. Viceversa, il

52
lineare che il contenuto e la vita della «divinizzazione» è l’unione
con Cristo, perché propriamente questa unione con l’Archetipo
conduce l’uomo al suo compimento60,
6. In un’epoca posteriore (e questa precisazione è necessaria
affinché il lettore, che eventualmente sia rimasto perplesso per le
affermazioni fin qui esposte, possa comprendere il perché delle
sue perplessità), a partire cioè dal sec. XII, incominciò a prender
piede in Occidente una concezione teologica e antropologica, e,
quindi, soteriologica ed ecclesiologica, affatto differente da quel­
la fin qui esposta. A partire dal sec. XIX, poi, cioè da quando
nella ricostituita Università di Atene la teologia fu coltivata e in­
segnata non tanto in base alla tradizione patristica, quanto in ba­
se alla teologia occidentale, questa concezione ha potuto diffon­
dersi anche in Grecia: col risultato che la concezione occidentale
del cristianesimo ha potuto trovare anche qui un’ampia acco­
glienza.
7. Durante questi ultimi decenni, è di nuovo emerso e si
studia sufficientemente l’argomento della divinizzazione. Il fatto
è di buon auspicio; ma reputiamo che occorre fare ancora qual­
che passo in avanti. La «divinizzazione», da predicato spirituale
generale quale è stato reso, deve riacquistare un concreto conte­
nuto antropologico; il che, nel linguaggio dei Padri, vuol dire un
contenuto antropologico e cristologico nel contempo. Occorre che
la divinizzazione sia di nuovo concepita come cristificazione. In­
tesi con questo significato, lo scopo dell’uomo assieme con i
mezzi della realizzazione del medesimo (fede, osservanza dei co-
mandamenti di Dio, ascesi, sacramenti, vita ecclesiale e spirituale
nell’insieme), si illuminano interiormente, trovano un mutuo col-
legamento organico con il mondo e con Cristo, che è inizio e fine
di ogni cosa.
8. In altre parti di questo libro cercheremo di presentare la
concezione per noi nuova, e però patristica, di questa realtà. Tut-

monofisismo, considerando come salvezza dell’uomo il suo assorbimento da


parte di Dio, finiva col predicare l’annullamento dell’uomo piuttosto che la
sua salvezza. La lotta che i Padri hanno sostenuto contro le eresie, non aveva
contenuto soltanto teologico, ma anche antropologico: la loro lotta voleva sal­
vaguardare il fine ultimo dell’uomo e, quindi, la sua sublimazione.

53
tavia, vale la pena di segnalare qui quale liberazione produca
nell’uomo questa divinizzazione.
Anzitutto, liberazione dal male e dal peccato. Per quanto tre­
mendo sia il male, dal momento che questo, e non Cristo, costi­
tuisce un fatto episodico e un avvenimento, in ultima analisi esso
stesso si riduce a cosa da poco. La concezione dell’uomo - della
sua salvezza, della sua vita spirituale, ecc. - spezza i suoi legami
con il male e si lega con Cristo. Il male si relativizza. Nemmeno il
male più profondo riesce a intaccare l’origine e la finalità
dell’uomo. È possibile che l’uomo rimanga servo del peccato, ma
è anche possibile che egli possa liberarsene. Il principio teomor-
fico dell’uomo e la sua finalità teocentrica lo rendono più vasto
del male e del peccato, più potente del diavolo.
Poi, liberazione da una concezione ciclica e, in ultima anali­
si, statica della storia, ma anche liberazione da quell’altra conce­
zione, che considera la storia come evoluzione biologica e dialet­
tica. Dal momento che il principio ontologico dell’uomo non ri­
posa nel suo essere biologico bensì nell’essere in Cristo; e dal
momento che la realizzazione dell’essere in Cristo costituisce un
processo che va dalla condizione di «immagine» verso l’immagi­
ne stessa o dall’essere iconico all’essere reale: la storia può pro­
priamente concepirsi come la realizzazione di questo processo.
In quanto tale, la storia ha il suo principio e la sua fine in Cristo.
E poiché Cristo non è solo «Colui che è, che era», ma anche
«che viene», ne consegue che non è solo il passato e il presente a
muovere e determinare la storia, ma anche il futuro: quando, ov­
viamente, per futuro si intendano non le finalità verso cui con­
duce necessariamente l’evoluzione biologica o l’evoluzione dia­
lettica del creato, ma la Presenza (Farousta) alla fine dei secoli di
Cristo, che ricapitola in sé ogni realtà: vale a dire, del Lògos as­
sieme con il suo corpo - il mondo trasformato. Così, la crescita
ed evoluzione dell’umanità e, in genere, del creato, s’illuminano
interiormente, la sua comprensione non si limita solo ai processi
di mutamento che si osservano nella materia dell’immagine, ma,
pur senza trascurare questa prima dimensione, si estende e si
comprende principalmente come evoluzione o elevazione dell’im­
magine fino all’Archetipo. In tal modo, lo svolgimento dell’im­
magine trascende i confini del creato - confini che necessaria­
mente pongono quanti si limitano a osservare solo la materia

54
dell’immagine, trascurando l’immagine stessa - e raggiunge l’in­
finito. In questo modo, l’evoluzione è concepita in tutte le sue
dimensioni - non solo in quelle determinate dall’osservazione
scientifica - ed è giudicata degna di fede.
9. Queste affermazioni ci conducono al nucleo centrale
problema antropologico come esso è affrontato al giorno d’oggi.
La verità che racchiudono dentro di sé è verità antropologica di
un’importanza nevralgica, dolorosa ma nel contempo salvifica
per l’uomo contemporaneo. E dolorosa, perché sradica anche il
più minuscolo tentativo di autonomia. È salvifica, perché spalan­
ca davanti all’uomo orizzonti grandiosi e infiniti per una attività
ed evoluzione realmente e veramente umane.
Certo, dicendo che questa verità opprime l’autonomia, non
intendiamo dire che legittima l’eteronomia, nel senso filosofico
dei termini. Questi termini sono stati tragicamente fraintesi nel
corso degli ultimi secoli, si trovano sostanzialmente al di fuori
della problematica ortodossa. Il tentativo che facciamo noi qui è
mostrare che Dio non costituisce per l’uomo un «principio»
esterno, da cui l’uomo dipende, ma realmente e veramente il suo
principio ontologico e il suo fine. Essendo stato creato a immagi­
ne di Dio, l’uomo è costituito in modo teologico. E per essere
veramente uomo, in ogni suo istante egli deve esistere e vivere in
modo teocentrico. Quando l’uomo rifiuta Dio, egli rifiuta se
stesso e si autodistrugge. Quando invece l’uomo conduce una vi­
ta teocentrica, egli valorizza se stesso fino all’infinito, si evolve e
si completa fino all’etemità. Su questo punto ritorneremo.

55
Le tuniche di pelle

Abbiamo detto che la nostra indagine vuol chiarire da una


Darte l’origine, la struttura e la finalità dell’uomo, in una parola
a sua natura, e, dall’altra, fissare una base fondandosi sulla qua-
e, la teologia ortodossa possa aiutare efficacemente il mondo
contemporaneo.
Quanto è stato finora detto sul contenuto dell’espressione
«a immagine» risponde al primo punto: indica cioè la condizione
dell’uomo conforme alla sua natura. Tuttavia, non può conside­
rarsi come risposta soddisfacente, perché, come l’esperienza di­
mostra, la realtà storica dell’uomo differisce da quella che noi
abbiamo ipotizzato determinarsi con l’espressione «a immagi­
ne». Dal punto di vista cristiano, ciò si deve al fatto che la realtà
storica si evolve da una condizione contraria alla natura, in cui
venne a trovarsi l’uomo in seguito alla sua caduta. Resta quindi
da esaminare questa condizione.
Anche quanto è stato finora detto riguardo al secondo pun­
to può in parte aiutare l’uomo, perché chiarifica positivamente e
avvalora nel loro nucleo centrale le ricerche fondamentali
dell’uomo d’oggi circa la conoscenza, lo sviluppo, la giustizia, la
libertà, ecc., intese come ricerche della natura iconica. Tuttavia,
anche qui l’esperienza dimostra che l’umanità stenta a trovare
oggi quel che cerca. Per la concezione cristiana, ciò non è dovu­
to al fatto che le manchi la capacità d’indagare o che, quel che
cerca, non le appartenga, ma al fatto che la sua ricerca prende
avvio da un presupposto sbagliato e si muove in direzione sba­
gliata. L’avvio sbagliato consiste nel non aver preso coscienza
della condizione contraria alla natura dell’uomo in cui ci trovia­

56
mo; quanto alla direzione sbagliata, essa consiste nel voler cerca­
re qualcosa di conforme alla nostra natura in ciò che in verità le
è contrario. L’uomo potrà acquisire i beni naturali che gli si ad­
dicono solo se li cercherà nella loro fonte reale e se, per trovarli,
egli si muoverà sfruttando adeguatamente le sue potenzialità na­
turali.
Sia per spiegare la condizione in cui venne a trovarsi l’uomo
dopo la sua caduta, sia per instaurare, in questa condizione con­
traria alla sua natura, il secondo pilastro di quel ponte che, aven­
do come primo pilastro l’espressione «a immagine», permette­
rebbe all’uomo di sopravvivere nella condizione in cui attual­
mente si trova, di far ritorno alla condizione di «immagine» e,
perfezionando lo slancio di quest’ultima condizione, di raggiun-

Ìjere l’immagine stessa, i Padri svilupparono la loro fondamenta-


e teoria concernente le «tuniche di pelle». Con ciò essi non fece­
ro che sviluppare la seconda delle due componenti biblico-patri-
stiche della rivelazione, e cioè che, dopo la caduta degli antenati,
in virtù della Sua misericordia Dio «fece all’uomo e alla donna
tuniche di pelle e li vestì» (Gn 3, 21), affinché essi potessero so­
pravvivere. E chiaro che, per completare la nostra indagine, oc­
corre esaminare da vicino anche questa dottrina dei Padri61.

I.
I l s ig n if ic a t o a n t r o p o l o g ic o

Anzitutto bisogna sottolineare che, come mostra chiara­


mente la narrazione biblica della Genesi, le tuniche di pelle furo­
no aggiunte all’uomo in seguito alla sua caduta, e che esse non si
presentano come elemento costitutivo naturale dell’uomo 62. Ciò
che l’osservazione empirica considera «conforme alla natura»
dell’uomo, per l’insegnamento biblico-patristico è una condizio­
ne posteriore, successiva alla sua caduta: non l’iniziale e, quindi,
la sua vera natura. «È conforme alla natura dell’uomo quella vita
che è conforme alla natura divina»63. Se l’uomo contemporaneo
vuole cogliere appieno la sua esistenza, gli elementi buoni e an­
che quelli cattivi che lo affliggono, egli è chiamato ad ampliare i
suoi orizzonti, a chiedersi se per caso quel che egli considera
«naturale» non sia poi tanto scontato. E occorre manifestare una

57
certa soddisfazione per il fatto che, in questi ultimi tempi, il que­
sito di cui parliamo comincia a rientrare negli interessi clella
scienza antropologica64. Ad ogni modo, per chi voglia muoversi
entro l’ambito dell’antropologia biblico-patristica ortodossa,
questa puntualizzazione ha un significato determinante, che bi­
sogna tenere sempre in mente.
Il secondo punto che fin da ora bisogna chiarire è questo:
non il corpo umano costituisce le tuniche di pelle. I Padri si trova­
rono ben presto nella necessità di ribadirlo (11) per confutare le
eresie degli gnostici (12)65, degradanti per il corpo umano. Non
c’è da stupirsi se Origene, condizionato dalla sua erronea conce­
zione della preesistenza delle anime, si pose il quesito se l’espres­
sione della Scrittura «tuniche di pelle» potesse intendersi in rela­
zione al corpo oppure n o66 (13). Anche di fronte a questo dilem­
ma, i Padri esercitarono una dura critica67 (14), significativa del
loro impegno per sottolineare non solo il valore positivo del cor­
po ma anche la verità cristiana centrale secondo cui, a «compor­
re» l’uomo «conforme alla sua natura» è il corpo insieme con
l’anima. «Si dice veramente uomo conforme alla sua natura non
in quanto anima senza corpo né tanto meno corpo senza anima,
ma ciò che è composto da corpo e anima nell’unica manifesta­
zione del ben e»68. Per la tradizione patristica, questa verità è
fondamentale e indiscutibile. Per cui possiamo esimerci dall’insi-
stere nella sua analisi e nella sua dimostrazione.

Che cosa sono, allora, le tuniche di pelle? Sopra abbiamo fat­


to menzione di un’importante dottrina dei Padri relativa a que­
sto argomento. L’insegnamento dei Padri è davvero importante;

E ur tuttavia, esso non è formulato in modo matematico: come


anno usato l’espressione «a immagine» per esprimere la realtà
della natura conforme all’uomo, senza formulare intorno a que­
sta verità una teoria, nello stesso modo i Padri hanno fatto fre­
quente ricorso al concetto delle «tuniche di pelle» per descrivere

(11) Cf. ad esempio Metodio di Olimpo, Aglaofonte o Sulla Risurrezione


1, 39 (BEPES 18, 129): «Torniamo quindi alla nostra trattazione, una volta
sufficientemente dimostrato che le tuniche di pelle non sono i (nostri) corpi».
(12) Vedi Lessico.
(13) Cf. nota (11).
(14) Cf. nota (11).

58
e interpretare la condizione in cui l’uomo venne a trovarsi suc­
cessivamente alla sua caduta. In questo modo essi formularono
molte verità concernenti le «tuniche di pelle» e fecero molteplici
impieghi del termine.
Un primo punto, su cui concordano tutti questi impieghi, è
che le tuniche di pelle esprimono la condizione mortale, che l’uo­
mo rivestì a guisa di seconda natura dopo la sua caduta. «(Dio)
fece le tuniche di pelli per avvolgerlo (l’uomo) nella condizione
mortale» (Metodio di Olimpo) 69. Mentre prima della sua caduta
l’uomo «non aveva vestiti fatti con pelli m orte»70, in seguito egli
«si coprì di pelli morte» (Gregorio di N issa)71. «La condizione
mortale, pertanto, per analogia con la natura degli esseri irrazio­
nali, fu conferita secondo il piano della provvidenza alla natura
creata per l’immortalità» (Gregorio di Nissa)72.
In questi brani, come pure in alcuni altri che tralasciamo73,
è significativo il fatto che non si parli di morte ma di condizione
mortale: e cioè di una condizione nuova in cui l’uomo venne a
trovarsi, di una «vita in morte»1* (15). Il cambiamento è grande:
si tratta di un capovolgimento totale delle realtà. Contrariamente
al suo stato precedente, l’uomo non trova nella vita il suo ele­
mento costitutivo, egli non esiste in virtù della vita che emana
naturalmente da sé, ma, piuttosto, egli esiste fin tanto che rinvia
la morte. Quel che ora principalmente esiste è la morte: la vita è
stata trasformata in sopravvivenza.
In una sua ispirata teoria «Sulla disobbedienza di Adamo»,
san Massimo il Confessore vede il primogenito impegnato a
creare artificiosamente su di sé la proprietà di Dio, creare dentro
di sé in modo autonomo «senza Dio e al cospetto di Dio e non
secondo Dio» ciò che è caratteristica peculiare di Dio: la vita in
sé. Così, Adamo abbandonò il nutrimento divino75 (16), che si
addiceva alla sua natura, e, per costruire autonomamente la sua
vita, preferì come nutrimento il frutto dell’albero proibito, che,
però, egli conosceva già come frutto di morte, e cioè frutto del
continuo fluire, mutare, alienarsi. In questo modo, compatibil­
mente con il nutrimento, egli rese la sua vita corruttibile: rese vi-

(15) ... che anche allora era «il Pane disceso dal cielo per dare vita al
mondo».
(16) lbid.

59
va dentro di sé la morte. Ché, spiega questo venerabile Padre,
poiché la morte appare come corruzione di ciò che di volta in
volta è creato; e poiché ogni realtà creata si corrompe in modo
naturale mediante l’ingestione e la digestione degli alimenti: ne
consegue che, ciò mediante cui Adamo credette fosse creata la
vita, esso stesso generò dentro di lui e dentro di noi la morte, e la
mantiene florida a tutt’oggi. Fu così che Adamo offrì la natura
intera in pasto alla morte. «E mentre da allora la morte vive ci­
bandosi di noi, noi invece non viviamo mai, in quanto perenne-
mente divorati da lei mediante la corruzione»76. Perciò un po’
più avanti lo stesso Padre sostiene che «la fine di questa vita non
è morte, ma liberazione dalla morte»77.
La condizione mortale, quindi, la privazione di vita, che le
anime sensibili di ogni epoca concepiscono come qualcosa di in­
significante, questa vita «liquida e fluida»78 o «congelata»79, è la
prima dimensione delle tuniche di pelle.
La condizione mortale, nei termini sopra stabilita, è caratte­
ristica propria della natura degli esseri irrazionali. Il fatto quindi
che l’uomo indossò la condizione mortale, null’altro significa che
egli indossò la natura degli esseri irrazionali, e che, quindi, l’uo­
mo vive di conseguenza in conformità con quella vita ed è carat­
terizzato dalle proprietà di essa. San Gregorio di Nissa parla di
quel «mantello inerte e brutto che ci fu gettato addosso e che era
fatto con pelli di animali irrazionali». E spiega: «Quando sento
parlare di pelli mi viene da pensare all’impronta della natura ir­
razionale che assumemmo quando ci unimmo alle passioni». E,
con maggior chiarezza, precisa: «Ciò che abbiamo ricevuto dalla
pelle degli animali irrazionali è rappresentato dagli accoppia­
menti, dai concepimenti, dai parti, dalla sporcizia, dall’allatta­
mento, dal nutrimento, dall’eliminazione degli escrementi, dalla
crescita graduale, dalla giovinezza, dalla vecchiaia, dalle malattie,
dalla m orte»80: in altri termini, da tutto ciò che oggi siamo soliti
chiamare vita biologica.
Sarebbe errato ritenere che in questo testo si parli esclusiva-
mente del corpo, che il discorso sulle tuniche di pelle si esaurisca
in relazione con il corpo. Gli «accoppiamenti», il «concepimen­
to», l’«allattamento» come pure tutte le altre tappe successive
dello sviluppo graduale dell’uomo non si esauriscono nelle sue
attività corporali, ma implicano anche le funzioni e operazioni

60
dell’anima, le quali pure si vestono della «impronta della natura
irrazionale» - è significativo il fatto che egli non parli di corpo
irrazionale -, perdono la loro libertà e razionalità e decadono in
istinti. L’intero organismo psicosomatico dell’uomo subì, con la
caduta, una specie di blocco, fu imprigionato entro le caratteri­
stiche dell’«impronta della natura irrazionale».

Conseguenza di questo imprigionamento è la vita irrazionale


o contro ragione. Le caratteristiche divine e gli impulsi della con­
dizione «a immagine» fuorviarono dalla loro direzione e funzio­
nalità naturali, che andavano in armonia con la loro ragione
conforme, si alterarono, si sottoposero alla natura degli esseri ir­
razionali e, così, le proprietà di quest’ultima vestirono a mo’ di
tuniche irrazionali l’uomo. «Con il coraggio, infatti - scrive san
Gregorio -, i carnivori perseverano nella vita, l’amore del piacere
salva le molte nascite degli animali, la timidità protegge coloro
che sono senza forza, la paura quelli che sono facile preda dei più
forti e la voracità protegge gli animali di grande corpo». Tutte
queste cose e altre «si sono introdotte nella costituzione dell’uo­
mo attraverso la generazione animale»81. Così, «le proprietà della
natura degli esseri irrazionali si mescolarono con l’uom o»82. Più
avanti vedremo in modo più particolare come è potuta avvenire
questa commistione dell’uomo con le proprietà della natura degli
esseri irrazionali, che nell’uomo si manifestano a mo’ di passio­
ni (17). Per il momento ci limitiamo a segnalare che questa com­
mistione è una componente delle tuniche di pelle.

Ma la vita cui le tuniche di pelle costringono l’uomo è una


vita inerte o biologica o irrazionale perché, in ultima analisi, è
una vita materiale. Presso san Gregorio di Nissa, le tuniche di
pelli s’identificano con «le foglie temporanee di questa vita mate­
riale, con cui, denudati delle vesti luminose e proprie, ci siamo
malamente rivestiti»83. Questa materializzazione abbraccia l’inte­
ro organismo psicosomatico dell’uomo: non si riferisce quindi -
vale la pena ribadirlo - esclusivamente al corpo. Nel prosieguo

(17) Gregorio di Nissa, L ’uomo, 18 (PG 44, 192B): «L e protezioni, in


di cui la vita irrazionale è munita per la propria conservazione, passate nella vi­
ta umana, diventano passioni» (trad. B. Salmona).

61
del summenzionato brano, san Gregorio paragona «le foglie del­
la vita materiale» con «la superbia, la gloria e gli onori effimeri e
le informazioni di breve durata della carne»84 e, altrove, con «il

g iacere e l’ira e la golosità e l’insaziabilità e altre cose consimi-


» 85. Gloria, onore, ira: non si può certo dire che trattasi di ca­
ratteristiche del corpo (18).

Il corpo si è certamente rivestito delle tuniche di pelle, è di­


ventato «grasso e duro»86, è caratterizzato «da questa grassa e pe­
sante sua costituzione»87 (19); ma nella risurrezione, quando ritor­
nerà perfezionata la sua natura anteriore alla caduta, esso sarà «di
nuovo tessuto di qualcosa di più sottile ed etereo», sarà restituito
nella condizione «di una migliore e più amabile bellezza»88.
Ma, insieme con le funzioni corporee, anche quelle psichi­
che si trasformeranno in «corporee»89 (20). Secondo san Grego­
rio di Nissa, esse costituiscono insieme con il corpo «l’involucro
del cuore... l’involucro corporeo del vecchio uom o»90 (21). «E
quando io dico carne», precisa il Nisseno con maggior acribia,
«io intendo l’uomo vecchio, di cui il divino Apostolo ci esorta a
spogliarci e che dobbiamo deporre»91, e cioè quell’uomo che
l’Apostolo definisce «carnale» o «naturale», in contrapposizione
con l’uomo «spirituale» (22). Concordemente con questa pun­
tualizzazione dì Gregorio di Nissa, le tuniche di pelle sono «i
pensieri carnali» 92.
Trattasi quindi di una totale congiunzione dell’uomo con la
materialità, con l’eterno flusso degli elementi che compongono il

(18) Giovanni Crisostomo, spiegando il brano paolino «quelli che vivono


secondo la carne non possono piacere a Dio» {Rm 8, 8), scrive: «Anche qui, la
parola carne non si riferisce al corpo, né alla sostanza del corpo, ma alla vita
carnale e mondana, piena di dissolutezza e sregolatezza, che rende l’uomo tut­
to carne»: Omelie sulla Lettera ai Romani, Omelia 13, 7 (PG 60, 517).
(19) 1 C o ri, 14; 3, 3; E f 4, 22; Rm 8, 8. Cf. Giovanni Crisostomo, Omelie
sulla Lettera ai Romani, Omelia 13, 7 (PG 60, 517), ove egli spiega il brano
paolino Rm 8, 8: «Nella misura in cui, coloro che possiedono ali spirituali, ela­
borano un corpo spirituale, così pure, coloro che trascurano quest’ultimo e si
mettono al servizio del ventre e dei piaceri, rendono carne anche la loro anima,
senza alterarne l’essenza, ma annullandone la nobiltà».
(20) lbid.
(21) lbid.
(22) lbid.

62
mondo materiale, il continuo movimento e mutazione, che rende
l’uomo passivo e, nella sua totalità, «carnale». Così comprendia­
mo per quale motivo, per il vescovo di Nissa, in questa carnalità
biologica, irrazionale e materiale, gli «onori» che incontra l’uo­
mo sono irrimediabilmente effimeri, e per quale motivo le
«informazioni», vale a dire i fondamenti, le certezze della carne,
sono «di breve durata», vale a dire mortali e, per ciò stesso, por­
tatrici di morte.

Prima che fosse rivestito delle tuniche di pelle, l’uomo in­


dossava un abito «divinamente tessuto» 93. H suo vestito psicoso­
matico era tessuto con la grazia, la luce e la gloria di Dio. I pro­
genitori «erano rivestiti della gloria dall’alto... la gloria dall’alto
rivestiva loro meglio di qualsiasi altro abito»94. Trattasi dell’abito
della condizione di «immagine», della natura umana anteriore
alla caduta, consolidata con l’alito di Dio e divinamente struttu­
rata. Quell’abito risplendeva «della somiglianza con il divino»,
costituita non da una «forma» o «colore», ma dalla impassibilità
{apatheia), dalla beatitudine e dall’incorruttibilità: e cioè dalle
caratteristiche tramite cui «si rivela lo splendore divino»95.
Come dice molto significativamente san Gregorio il Teolo­
go, il progenitore era « nudo nella semplicità» %. Secondo l’inter­
pretazione di san Massimo il Confessore, ciò che significa che il
suo corpo non racchiudeva «qualità fra sé opposte», che, trasci­
nandolo in diverse direzioni, lo fustigano con la corruzione e lo
corrompono, ma una «diversa e opportuna mescolanza... com­
posta di qualità semplici e non contraddittorie». Il corpo umano
era «alieno di flusso e di deflusso», libero dal «dominio della
continua alterazione, caratteristica di entrambe queste condizio­
ni», e, per ciò stesso, non era impartecipe «dell’immortalità se­
condo la grazia»97. Se volessimo intendere la «nudità» alla stre­
gua di «trasparenza», potremmo dire che il corpo di Adamo era
a tal punto semplice, da risultare nella realtà «diafano», aperto al
mondo materiale, senza presentare alcuna opposizione ad esso.
Né il mondo materiale si opponeva in alcun modo al corpo uma­
no: gli era totalmente donato. Pur conservando, in relazione con
il mondo, la propria costituzione e diversità, il corpo umano non
si trovava, nella realtà, in alcuna distanza da quello.
Anche l’anima dell’uomo era aperta verso le potenze angeli­

63
che e verso Dio, senza presentare la benché minima opposizione:
l’anima comunicava agevolmente sia con il mondo spirituale e
angelico, sia con lo Spirito di Dio. In quei tempi - dice il venera­
bile vescovo di Nissa -, c’era un uniforme accordo tra la natura
razionale, quella angelica e quella umana, «che mirava verso il
Corifeo di questo accordo e verso l’armonia che ne emanava».
Ma venne il peccato a «dissolvere quel divino accordo», a porre
sotto i piedi dei primi uomini, «che comunicavano con le poten­
ze angeliche», lo sdrucciolio dell’inganno. E l’uomo cadde. Si
mescolò con il fango, si autoproiettò verso il serpente, indossò le
pelli morte. E divenne «cadavere». Così, «venne a interrompersi
la congiunzione dell’uomo con gli angeli»98. E, in modo analogo,
si spezzò anche il legame che teneva unito l’uomo con il mondo
creato.
Siamo così giunti a un secondo punto della nostra indagine:
vedere cioè in modo più analitico come si è potuta verificare la
summenzionata disgiunzione e la corrispettiva congiunzione
dell’uomo con la «natura degli esseri irrazionali»; esaminare cioè
in modo più concreto come il beatamente tessuto abito divino,
che l’uomo indossava prima della sua caduta, si trasformò in tuni­
che di pelli. In tal modo saranno forse chiariti alcioni punti del
nostro quesito iniziale, e cioè qual è il reale contenuto antropolo­
gico delle «tuniche di pelle».

II .

L a « s o m ig l ia n z a » p r im a d e l l a c a d u t a

Nei confronti di questo punto, ci baseremo sulla testimo­


nianza di san Massimo U Confessore.
Secondo questo grande Padre della Chiesa, la caratteristica
fondamentale conforme alla natura dell’uomo consiste in una re­
lativa, o, per dirla meglio, virtuale unione che l’uomo, «mediante
il buon uso delle sue qualità naturali» " , è chiamato ad attuare
trasformandola in una effettiva e reale unione di se stesso e del
mondo in Dio.
Massimo il Confessore spiega che questa virtuale unione è
già esistente tra il mondo materiale e il corpo umano, tra il corpo

64
e l’anima, tra l’anima e Dio. Sappiamo bene - egli soggiunge -
«che l’anima si frappone tra Dio e la materia, e ha potenzialità
unificanti verso entrambe le parti» 10°. Usando dovutamente que­
ste potenzialità, Adamo aveva il compito di trasformare l’unifica­
zione virtuale in unificazione effettiva, amalgamando e, quindi,
abrogando le quattro grandi divisioni dell’Universo: la divisione
del genere umano in maschi e femmine; quella della terra in pa­
radiso e mondo abitato (ecumene); la divisione del mondo sensi­
bile in cielo e terra; la divisione della natura creata in realtà intel­
ligibili e realtà sensibili. E, infine, abrogare anche l’inesprimibi­
le e suprema quinta divisione: quella esistente tra creato e Crea­
tore 101.

In un altro testo particolarmente denso, che cercheremo di


presentare e analizzare nelle pagine seguenti102, san Massimo il
Confessore descrive minuziosamente l’originaria unione virtuale
conforme alla natura umana, e illustra con maggior precisione il
modo in cui essa può realizzarsi. Egli insegna che, tra le capacità
dell’anima e le facoltà sensitive del corpo (per esempio tra la ca­
pacità intellettiva dell’anima, della mente \noùs\, e la facoltà della
vista; tra la capacità appetitiva e la facoltà del gusto; tra la capa­
cità vitale e la facoltà del tatto, ecc.) esiste una correlazione «na­
turale». Di queste facoltà sensitive del corpo, che si esplicano ad
extra mediante i loro corrispettivi organi, l’anima «funge da veico­
lo in virtù delle sue capacità» in modo organico: per mezzo delle
facoltà sensitive, infatti, le capacità dell’anima «si trasportano» nel
mondo materiale sensibile. Sicché, qualora l’anima adoperi cor­
rettamente i sensi, essa è in grado, «in virtù delle sue capacità po­
tenziali proprie», non solo di organizzare e governare il mondo,
pur mantenendolo al di fuori di sé, ma, e ciò è basilare, può an­
che attrarre «sapientemente verso di sé ogni realtà visibile, nella
quale si nasconde Dio silenziosamente annunciandosi».
In questo modo sono generate le quattro virtù generali, che
non vanno intese semplicemente come proprietà psichiche, ma
come situazioni concrete e, diremmo, materiali, dal momento
che esse si formano dalla coesione - più precisamente: dalla con­
tessitura (con-giungimento) - delle capacità dell’anima, delle
corrispettive facoltà sensitive e organi delle stesse, e delle attività
sensitive tramite cui l’anima abbraccia il mondo sensibile. La

65
prima virtù è la prudenza (phrónèsis), che si forma dalla contessi­
tura delle capacità noetica (noera) e razionale (logikè) dell’anima
con le facoltà della vista e dell’udito, ma anche con le loro corri­
spettive attività: la percezione, che è l’attività della facoltà cono­
scitiva, e la dimostrazione scientifica, che è l’attività della facoltà
razionale. Con l’intelligenza l’anima accoglie dentro di sé i lógoi
(le «ragioni») degli enti sensibili e, quindi, li amalgama con se
stessa. In modo analogo si sviluppano anche le tre altre virtù ge­
nerali: la giustizia, la fortezza e la temperanza.
Con il congiungimento delle due prime virtù, della pruden­
za e della giustizia, ciascuna delle quali aventi insite dentro di sé,
come abbiamo visto, le relative capacità dell’anima, le corrispet­
tive facoltà sensitive e le attività dei sensi verso le realtà, si forma
in seguito la virtù più generale della sapienza {sophia). Questa ap­
pare come la somma di tutte le attività conoscitive e le facoltà
sensitive - diremmo: somma di tutte le funzioni psicosomatiche
cognitive dell’uomo -, ma anche di tutte le attività di queste ca­
pacità o acquisizioni che scaturiscono dall’incontro delle facoltà
conoscitive con le cose, e cioè le cognizioni (gnóseis). E con la
congiunzione delle altre due virtù generali, della fortezza e della
temperanza, si produce la virtù più generale della mansuetudine.
Essendo, questa, amalgama e somma di tutte le capacità attive
dell’anima, delle corrispettive facoltà sensitive del corpo e delle
attività degli organi sensitivi, si chiama anche impassibilità
[apàtheia), perché null’altro è se non «totale atarassia eli appetito
e di inclinazione verso tutto ciò che non è conforme alla natura
dell’uomo».
Queste due virtù più generali, che potremmo chiamare an­
che situazioni «spiritonaturali» o funzioni psicosomatiche
dell’uomo, assieme a tutto ciò che, come abbiamo visto, real­
mente contengono, si congiungono «nella più generale di tutte le
virtù: l’amore». L’amore, in quanto virtù unificatrice, concentra
su di sé ogni realtà: sia gli elementi primordiali (anima e capacità
dell’anima; corpo e facoltà sensitive del corpo; attività delle sen­
sazioni sulle realtà e sui lógoi [le «ragioni»] delle realtà stesse),
sia il loro movimento verso la propria finalità (le virtù generali e
quelle più generali, che, come abbiamo visto, sono situazioni
reali) in una sintesi unitaria e unione definitiva e semplice, che si
concretizza in Dio. E possibile che l’amore compia tutto ciò per­

66
ché trattasi di una virtù «estatica... e variamente su ogni singola
realtà deificante».
In questo modo - riassume san Massimo il Confessore -
l’anima, usando le facoltà sensitive «come veicoli razionali delle
sue capacità», percepisce per il loro tramite le realtà sensibili e
familiarizza con le loro ragioni conformi (lógoi); quanto poi alle
sue stesse capacità, con tutto ciò che esse contengono, le amalga­
ma con le virtù e con i lógoi divini in esse connaturati, perché le
virtù non sono semplicemente condizioni umane, bensì «divi-
noumane» (teantropiche). E la mente spirituale {ho pneumatikós
nous), che trovasi nei lógoi divini, dal di dentro di ogni cosa
spinge l’anima «a donarsi tutta totalmente a Dio. E, avvolgendo
interamente l’anima insieme con tutto il corpo che quest’ultima
a sua volta avvolge, Dio trasforma analogamente il tutto simile a
se stesso»103.
«Convergendo verso l’una natura dell’uomo», il molteplice
può in questo modo unificarsi in uno, affinché, «analogamente
all’umanità, che domina su tutto, possa rivelarsi un solo Demiur­
go di tutto» e, così, «Dio (diventi) del tutto in tutto, abbraccian­
do tutto e trasformandolo secondo la sua ipostasi» 104.
Ecco qual è l’uomo che conformemente alla sua natura è
immagine cu Dio. Ecco la sua funzionalità naturale, il suo natura­
le agire e la sua finalità. Quando l’uomo devia da questa direzio­
ne, egli decade nella condizione contraria alla sua natura.

Questo è il caso di Adamo. H progenitore non si mosse verso


Dio, verso l’Archetipo e suo principio naturale, ma verso una di­
rezione opposta. H che capovolse, com’era prevedibile, anche la
funzionalità del suo organismo psicosomatico. Una volta spostato
il punto di riferimento o di attrazione dell’uomo, non più le capa­
cità dell’anima utilizzano le facoltà sensitive, ma queste ultime
utilizzano le prime. Anziché essere l’anima a condurre verso di sé
e, quindi, verso Dio tutte le realtà, unificando così tutto ciò che
per natura risulta separato, è essa stessa a condursi verso le realtà
sensibili e, mediante le sensazioni, a rimanere definitivamente im­
prigionata in esse. Così la disgregazione regna sovrana. L’uomo,
questa « specie di laboratorio unificatore di tutto» 105, quel « legame
naturale di tutto» m, rifiutando di agire in conformità con la sua
natura e accettando di sottomettersi, contrariamente alla sua na­

67
tura, al mondo sensibile, finì col decomporre anche quell’unifica­
zione relativa o dinamica che, come abbiamo visto, la sua esisten­
za, in quanto plasmata a immagine di Dio, formava nell’universo.
«Facendo cattivo uso della potenza conforme alla sua natura, che
gli era stata concessa per unire le cose separate, l’uomo produsse
la disgregazione delle realtà unite»107.
Pertanto, l’imprigionamento dell’anima da parte delle realtà
sensibili fa sì che le attività delle facoltà sensitive, le facoltà stesse
e, tramite loro, le corrispettive capacità dell’anima si rivestano
delle sembianze delle realtà sensibili, poiché soccombono a que­
ste, e si trasformano adeguandosi ad esse. «Muovendo l’anima,
contrariamente alla sua propria natura, attraverso la carne verso
la materia, essa è rivestita dalla forma terrena» 108. Trattasi del
medesimo fatto che, studiando san Gregorio di Nissa, abbiamo
sopra chiamato congiunzione con la «natura degli esseri irrazio­
nali». Conseguenza di questa congiunzione è la vita irrazionale
che, secondo l’insegnamento del santo vescovo di Nissa, è carat­
terizzata dalle passioni. San Massimo il Confessore spiega anche
il modo in cui sono generate queste passioni.
Egli infatti scrive: quando la mente (nous) rifiuta il suo na­
turale tendere verso Dio, non avendo un altro punto di riferi­
mento si abbandona ai sensi. E questi lo ingannano senza tregua,
facendolo girovagare alla superficie delle realtà sensibili «me­
diante cui (l’anima), dimenticando i beni conformi alla sua natu­
ra, spreca ogni suo sforzo intorno alle realtà sensibili (23), inven­
tando brame e volontà e piaceri che non le si addicono». Poiché
il piacere nulTaltro è se non una «forma di attività sensitiva, co­
stituita da desideri irrazionali». Quando il desiderio irrazionale

(23) «Il verbo è significativo di un procedimento contrario alla natur


un capovolgimento, come si capovolge una carrozza e le sue ruote si rivolgono
verso l’alto, e, quindi, di una alterazione e distruzione. L ’anima, esplicando la
sua attività in direzione contraria alla natura, e cioè verso le realtà sensibili, ca­
povolge la natura inventando rancori e passioni e piaceri contrari alla natura
stessa. E queste sono forme violente e alterate di agire» (dal commento del
prof. D. Staniloae, in Massimo il Confessore, Questioni filosofiche e teologiche
(«Sulle Fonti», 5 [in greco], Atene 1978, p. 249: in questo libro è edita l’opera
di san Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Gre­
gorio il Teologo, con a fronte una traduzione in neogreco, con introduzione e
note).

68
cavalca le sensazioni, le trasforma in piacere, imprimendo loro
un aspetto, un èidos irrazionale; e la sensazione, che muove in ar­
monia con il desiderio irrazionale, produce, con l’accettazione
del sensibile, il piacere109.
E in un altro testo, parlando esplicitamente di Adamo, dice:
«Resosi in tal modo trasgressore (avendo cioè mutato direzione)
e ignorando Dio con l’aver mescolato l’insieme delle sue capacità
noetiche con la somma delle sensazioni, egli abbracciò la cono­
scenza composta e funesta, che agisce per mezzo delle passioni,
si trascinò verso la natura degli animali irrazionali e assomigliò
ad essi, compiendo e cercando e volendo le stesse realtà con essi,
e trovandosi in uno stato di maggior irrazionalità» (24)no.

(24) A questo punto, mi permetta il lettore di formulare una considera


ne personale. Accostandomi ai summenzionati testi di san Massimo il Confes­
sore, ho dovuto superare una dura prova: non riuscivo a dominare il contenu­
to di questi testi e, quindi, a collocarlo nella linea di questo studio, che, peral­
tro, segue la direzione che promana chiaramente da essi. Questa difficoltà de­
riva dal fatto che il pensiero di questo grande maestro è talmente denso, che ci
rendiamo conto che ogni suo termine può svilupparsi in vari modi, trascinan­
do il lettore nel contempo verso più direzioni e inducendolo a muoversi su più
livelli. Perciò voglio invitare il lettore a non accontentarsi della mia interpreta­
zione, ma ad affrontare egli stesso uno studio personale di questi testi che,
proprio perché di tale portata, sono riprodotti alla fine del libro. Si potrà così
vedere come la cosmologia di Platone e l’antropologia di Aristotele, da cui i
testi di san Massimo sono palesemente influenzati, vengono a perdere la loro
sistematicità, e come gli elementi veritieri che quelle dottrine contengono, una
volta elaborati, contribuiscono alla rivelazione del rapporto reale che esiste tra
gli enti sensibili e le loro ragioni, tra la materia e la forma, ecc. Massimo il
Confessore usa questi elementi a mo’ di predicati o, ancor meglio, come realtà
per edificare pietra su pietra il ponte che collega il mondo creato con quello
increato: egli mette così in evidenza come l’uomo, che virtualmente è già que­
sto ponte, può diventarlo anche realmente. Per quanto ci riguarda, in
nessun’altra parte abbiamo incontrato una più precisa descrizione della con­
giunzione dell’uomo con Dio e con il mondo, un più grande riconoscimento
dell’uomo e una sua più sublime considerazione.
Convincenti nel loro realismo, i testi di san Massimo il Confessore metto­
no bene in luce anche molte altre realtà. Ad esempio, il rapporto esistente tra
la facoltà volitiva dell’uomo con la sensazione dell’olfatto, che abbiamo omes­
so nella summenzionata presentazione, mostra la ragione per cui, nella pratica
della preghiera noetica come pure nell’attività ascetica di altre tradizioni, viene
attribuita un’importanza particolare al ritmo del respiro. San Massimo il Con­
fessore propone il fondamento antropologico della preghiera; nei suoi testi,
tuttavia, il lettore può trovare anche molte altre dimensioni simili.

69
III.
I l d u p l ic e a s p e t t o d e l l e t u n i c h e d i p e l l e

I testi or ora riportati danno, crediamo, una risposta soddi­


sfacente al quesito che ci siamo posti, e cioè come sia potuto av­
venire il congiungimento dell’uomo con la natura degli esseri ir­
razionali e come le capacità e possibilità naturali iconiche
dell’uomo si siano trasformate in tuniche di pelle.
Tuttavia, ci siamo serviti prima di alcuni brani da cui risulta
che Dio rivestì attivamente gli uomini con delle tuniche di pelle.
E non trattasi qui di un semplice modo di dire, dal momento che
il testo della Scrittura è categorico: «Il Signore Dio fece all’uomo
e alla donna tuniche di pelle e li vestì» (Gn 3, 21). Se però le tu­
niche di pelle sono il risultato di quel processo naturale tramite
cui il peccatore si riduce al suo congiungimento con la natura
degli esseri irrazionali e al conseguente rivestimento delle tuni­
che di pelle, com’è possibile che, nel contempo, sia stato Dio a
rivestire l’uomo di quelle pelli? Questa contraddizione cela una
grande verità, che merita eli essere esaminata.
Abbiamo visto che la caratteristica fondamentale delle tuni­
che di pelle è la condizione mortale, la trasformazione della vita
in sopravvivenza. Questa condizione è effettivamente una conse­
guenza fisiologica del peccato: non, quindi, una creazione di
Dio. Dio non crea il male m. Ma Dio tollera (cioè accetta con
comprensione, ammette, sopporta) nel Suo immenso amore an­
che questa nuova condizione, e la trasforma in benedizione. Egli
trasforma ciò che è risultato di negazione e, conseguentemente,
negativo rispetto a qualcosa di positivo, in prospettiva della sua
trasformazione finale. «Per la nostra correzione Dio utilizza an­
che le azioni cattive» 112. Il male, che non è di per sé «né ente» né
tanto meno «costitutivo di ente», per l’amore del Supremo Bene,
che è risolutivo e costitutivo nei confronti di tutto, può divenire,
secondo l’impareggiabile espressione di san Dionigi Areopagita,
«e ente e buono e costitutivo di bene» 113.
In tal modo, Dio onnipotente usa la nuova condizione come
una delle vie infinite, note alla Sua misericordia e alla sua mul­
tiforme sapienza per condurre l’umanità al Bene supremo, Cri­
sto, il quale realizzerà, in modo nuovo e più meraviglioso e divi-

70
no, quella finalità iniziale che, facendo cattivo uso delle sue qua­
lità naturali, Adamo non realizzò1H. Perciò Dio offre questa rela­
tivamente positiva condizione delle tuniche di pelle a mo’ di se­
conda benedizione all’uomo autoesiliato, la aggiunge alla sua na­
tura a mo’ di seconda natura, affinché, usandola correttamente,
possa sopravvivere e realizzare il suo scopo primordiale in Cri­
sto: «In realtà l’indumento fa parte delle realtà che ci sono appli­
cate dall’esterno, e all’occasione fornisce al corpo la sua utilità,
senza appartenere alla natura. La condizione mortale, pertanto,
per analogia con la natura degli esseri irrazionali, fu concepita
secondo il piano della provvidenza (25) alla natura creata per l’im­
mortalità» 115.

D ’altra parte, parallelamente all’aspetto naturale che abbia­


mo studiato sopra, la caduta ha anche un contenuto morale. Il
peccato è tracotante rivolta (hybris) contro la giustizia di Dio.
Come puntualizza nel sec. XIV Nicola Cabasilas, giustizia di Dio
è, secondo l’insegnamento dei Padri, «la suprema misericordia e
benevolenza che Dio ha per il genere umano... il Suo generoso
donare dei Suoi beni a tutti e la comunione alla beatitudine»116.
Secondo Cabasilas, Dio, che è Amore (cf. 1 Gv 4, 8), creò libera­
mente dal nulla il mondo creato. Lo stesso atto della creazione,
essendo buono, aveva prodotto un kósmos (kósmèma, ornamen­
to) (26), cioè un ordine e una armonia, costitutivi della giustizia
del mondo creato. Di conseguenza tra la giustizia/bontà di Dio
e la giustizia/ordine/armonia del creato esiste effettivamente
un’interiore, iconica relazione. Così, la ribellione e l’insolenza
dell’uomo contro Dio, non potendo intaccare assolutamente la
giustizia di Dio - com’è possibile, infatti, che l’Infinito potesse
essere ferito o in un qualche modo offeso da qualcosa di fini­
to? - ferisce realmente l’immagine della divina giustizia che è in­
sita nel creato, distrugge e disorganizza la funzionalità e compo­
sizione psicosomatica iconica dell'uomo nonché l’ordine e armo­
nia del creato. L'insolenza (hybris) è, nella realtà, un « trauma» 117.
Dal momento però che la caduta è effettivamente tracotanza
(hybris), occorre che essa abbia realmente anche un adeguato ca-

(25) Vedi Lessico.


(26) Vedi Lessico.

71
stigo: «Occorreva infatti che il nostro peccato venisse cancellato
per mezzo di un castigo, e, pagando un’adeguata ammenda per
quel che abbiamo peccato contro Dio, ci salvassimo»118. Pertanto,
il castigo, che cade fisiologicamente sull’artefice della hybris, non
proviene dalla giustizia di Dio, il quale né è stato ferito né chiede
soddisfazione, ma dalla giustizia del mondo creato. Le leggi di que­
st’ultimo continuano a funzionare, anche se ora in modo disorga­
nizzato e stravolto, coinvolgendo in questa loro funzionalità capo­
volta anche l’uomo, col risultato di affliggerlo e tormentarlo.
Da questo punto di vista, quindi, il congiungimento dell’uo­
mo con la natura degli esseri irrazionali e la trasformazione delle
sue capacità naturali in passioni (vale a dire: le tuniche di pelle)
costituiscono la dikè (il castigo) che la stessa giustizia del mondo
creato impone all’uomo. Ecco quindi perché l’uomo cercando il
piacere trova il dolore, e cercando la vita trova la morte. Stu­
diando san Massimo il Confessore abbiamo visto come accade
ciò: il venerabile Cabasilas ci spiega anche il perché119.
Il castigo, che l’inesorabile giustizia del mondo creato impo­
ne all’uomo, risulterebbe eterno, insegna Cabasilas, se non inter­
venisse la giustizia/bontà di Dio a correggere la giustizia del
creato e a trasformare misericordiosamente e dal di dentro la
dikè in phàrmakon (farmaco, rimedio), sanando così il «trauma»
e castigando - dissolvendo120- la hybris che è il peccato. «Quan­
to alla ferita e al dolore e alla morte, essi sono stati concepiti fin
dall’inizio contro il peccato... Immediatamente dopo il peccato,
Dio permise la morte e il dolore, non per castigare un peccatore,
ma per offrire un antidoto (phàrmakon) a un infermo»121.
Quanto è stato finora detto rende chiaro - e ciò ha per il no­
stro argomento un significato decisivo e di primaria importanza -
che nell’unica e singolare realtà delle tuniche di pelle noi dobbiamo
riconoscere due aspetti distinti. Diremmo che trattasi di una realtà
biforme, come quelle figurine animate, cui basta un lieve movimen­
to per apparire ora in un modo ora in un altro, ora nell’aspetto, di­
ciamo, tragico ora in quello comico122. All’aspetto ripugnante, che
l’uomo produsse offendendo Dio e ferendo se stesso, all’«orrida
maschera», come dice san Gregorio di N issa123, Dio, usando sem­
pre lo stesso materiale, aggiunge il secondo aspetto, creando così la
funzione positiva delle tuniche di pelle. Da una parte, quindi, le tu­
niche di pelle sono la conseguenza fisiologica del peccato, costitui­

72
scono l’offuscamento della condizione di «immagine» e il decadi­
mento della condizione conforme alla vera natura dell’uomo, sono
nel contempo e hybris e dtkè e trauma-, dall’altra, esse si rivelano
come phdrmakon e come benedizione, costituiscono una nuova
possibilità concessa da Dio all’uomo, affinché questi, dato che ha
perso la vita, possa sopravvivere, e per giunta bene, nella condizio­
ne mortale, di modo che possa ritrovare più completa la vita e più
bello l’aspetto della sua natura in Cristo.
Di fronte a una così concreta manifestazione dell’inenarra­
bile mistero della divina misericordia, l’apostolo Paolo resta in
estatica adorazione: «O profondità della ricchezza, della sapien­
za e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giu­
dizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11, 33).

IV.
D im e n s io n i a n t r o p o l o g ic h e e c o s m o l o g i c h e d e l l e t u n ic h e
DI PELLE

Basteranno alcuni esempi affinché la verità circa la duplice


realtà delle tuniche di pelle diventi più concreta e, parallelamen­
te, risulti più chiaro e concreto il contenuto stesso di queste.

1. L’estrema conseguenza fisiologica della caduta e la p


zione più grave di essa è, come abbiamo visto, la morte. Non ap­
pena però si è introdotta nella storia la morte, Dio, cui alla fin fi­
ne spetta ogni iniziativa, se ne servì a suo piacimento e, facendo­
ne un uso diverso, ne mutò radicalmente l’indole. Consentendo
che l’uomo si rivestisse della vita biologica, frutto del peccato,
Egli pose la morte, anch’essa frutto del peccato, contro la vita
biologica, di modo che con la morte venisse a morire non l’uomo
bensì la corruzione che lo avvolge. La morte distrugge la prigione
della vita corruttibile, e l’uomo, restituendo, mediante la morte,
alla corruzione tutto ciò che da essa ricevette, se ne libera124 (27).

(27) Gregorio Nazianzeno, Omelia 45, Sulla santa Pasqua, 8 (PG


633A): «(L ’uomo) fu esiliato dal paradiso e fu rivestito dalle tuniche di pelle...
Pertanto, egli ottenne qualcos’altro quaggiù: la morte e l’interruzione del pec-

73
In questo modo si manifesta il grande miracolo della sa­
pienza, dell’amore e della potenza di Dio. Il diavolo inganna
l’uomo e lo fa precipitare nell’abisso della corruzione, dove lo
tiene prigioniero mediante la morte. Dio, permettendo dal canto
suo la morte, la ritorce contro la corruzione e contro la causa
della corruzione, vale a dire contro il peccato, ponendo fine e al­
la corruzione e al peccato. In tal modo, Dio delimita il male e re­
lativizza la caduta. Il Suo disegno primordiale, e cioè la vita eter­
na e beata dell’uomo in Lui, resta intatto. I venerabili Padri, illu­
strando questo mistero dell’infinita misericordia di Dio, afferma­
no che Egli accettò e perdonò la morte « affinché il male non ri­
sultasse eterno» 125 (28). E, osservando da questa altezza la morte,
la deridono: «In modo gagliardo noi deridiamo la m orte!»126.
D ’altra parte, il diavolo cercò mediante la caduta di sotto­
mettere l’uomo al mondo creato. E ci riuscì, rivestendo l’uomo
con la forza materiale degli esseri irrazionali. Ancora peggio: me­
diante la morte, il diavolo cerca di annientare l’uomo nella mate­
ria. E apparentemente ci riesce, dal momento che il corpo, resti­
tuendo con la sepoltura alla terra gli elementi costitutivi che ha
preso da questa, si dissolve dentro di essa127. «Questo architettò
il seminatore del peccato...: far sparire le opere di Dio e dissol­
vere quanto era stato composto per la generazione»128.
La Sapienza di Dio, però, intervenendo anche su questo
punto con la sua discrezione, arricchisce l’atto passivo della se­
poltura con un elemento, diremmo, attivo e, in tal modo, la tra­
sforma. La morte diviene il modo con cui il corpo umano s’intro­
duce nel più profondo della terra, raggiungendo così le viscere
della creazione. Con la morte, l’uomo tocca i confini dell’univer­
so, si trasforma in aria e acqua e fuoco, materia e operazione, ele­
mento dello spazio: «Ritorni la polvere alla terra, com’era prima»,
dice l ’Ecclesiaste (12, 7). Ma questa «polvere», ormai non è più
solo materia. Come direbbe san Massimo il Confessore, ha su di
sé veramente e realmente il lògos (la ragion conforme) e l ’èidos (le
sembianze proprie) dell’uomo. Così il mondo creato, che, come
abbiamo visto, rivestì l’uomo con la corruzione in modo organi-

cato, affinché il male non risultasse eterno. E il castigo si trasformò in miseri­


cordia di Dio. Questo è, secondo me, il modo con cui Dio castiga».
(28) Ibid.

74
co, ora si veste diremmo dal di dentro, parimenti in modo organi­
co, grazie all’altro aspetto della duplice realtà che costituisce la
morte stessa, con un elemento nuovo, che, in quanto corpo uma­
no, è suscettibile di incorruttibilità. Perciò, contemporaneamente
con la finale risurrezione dei corpi, che porterà Cristo con la sua
seconda Venuta, porterà anche la trasformazione dell’universo in
una «terra nuova» e in un «cielo nuovo». «Allora... (la natura)
mostrerà incorruttibile la sua bellezza; infatti, poiché è destinata a
ospitare corpi incorruttibili, anch’essa sarà trasformata in me­
glio» 129. «E, insieme con i nostri corpi, il cielo e la terra e tutto il
creato diventeranno incorruttibili» 13°.
La trasformazione escatologica dell’universo non potrà av­
venire in modo magico o meccanico, con il semplice intervento
di una potenza esterna - dato che Dio nulla opera in questo mo­
do - ma in modo organico e naturale e dall’interno: dall’interno
dell’uomo131 (29).

2. Abbiamo detto sopra che, per san Gregorio di N


l’uomo carnale o biologico, congiunto con la «natura degli esseri
irrazionali», s’identifica con ciò che Paolo chiama «uomo vec­
chio» 132, e che, per san Gregorio, le tuniche di pelle corrispon­
dono con « i pensieri carnali» 133. L’apostolo Paolo sostiene che
questi «pensieri» si sono insediati dentro l’uomo vecchio, carna­
le, «venduto come schiavo del peccato» {Rm 7, 14) a mo’ di
«legge del peccato», che sfoggiano dentro le sue «membra» e lo
tengono prigioniero in una seconda natura, dalla quale gli resta
impossibile liberarsi134: «Chi mi libererà da questo corpo votato
alla morte?» (Rm 7 ,2 4 )135 (30).
Certo, Paolo non usa l’espressione della Genesi concer­
nente le tuniche di pelle. Ma l’insegnamento dei Padri riguardo
al contenuto di questa espressione appare manifestamente co­
me lo sviluppo dell’insegnamento paolino sulla condizione del-

(29) Commentando questo brano, san Giovanni Crisostomo sottolinea che


san Paolo non si riferisce qui al corpo in generale, ma «al corpo della morte: va­
le a dire al corpo mortale, che è stato sopraffatto dalla morte... (Dicendo) cor­
po mortale, egli allude, come ho spesso rilevato, al fatto che, divenuto suscetti­
bile di passioni, il corpo si è anche reso più facilmente incline al peccato»: cf.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera ai Romani 13,3 (PG 60,512).
(30) Ibid.

15
l’uomo successivamente alla sua caduta. Le tuniche di pelle, in­
tese come vita irrazionale e inerte e soggetta a passioni, s’iden­
tificano totalmente con i pensieri della carne (Rm 8, 5-8), col
«vivere secondo la carne», che conduce alla morte (Rm 8, 12-
13), con la «legge del peccato e della morte», dalla quale solo
«la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù» (Rm 8, 2)
può liberare (31).
La legge dello Spirito giunse con Cristo, la legge del pecca­
to derivò dalla caduta e, come dice san Giovanni Crisostomo,
opera «mediante la parte irrazionale dell’anim a»136. Fra queste
due leggi si frappone la legge giudaica, della quale, com’è noto,
san Paolo si trovò nella necessità di occuparsi diffusamente.
Paolo distingue la legge giudaica sia dalla legge del peccato
che dalla legge dello Spirito, chiamandola «spirituale» (Rm 7,
14). San Giovanni Crisostomo spiega: «Chiama lo Spirito legge
di Spirito. Come infatti chiama u peccato legge di peccato, così
pure chiama lo Spirito legge di Spirito. Ché, anche nei confronti
della legge di Mosè disse: sappiamo che la legge è spirituale. Lo
spazio che separa queste due leggi è vasto e infinito. La prima è
legge spirituale; la seconda è legge di Spirito... La prima è stata
semplicemente data dallo Spirito; quest’ultima, invece, concede
abbondanza di Spirito a coloro che la accettano»137.
Sviluppando ulteriormente il suo pensiero, san Paolo pone
il seguente quesito: «Perché allora la legge?». E con grande con­
cisione risponde: «Essa fu aggiunta per le trasgressioni, fino alla
venuta della discendenza per la quale era stata fatta la promessa»
(G al 3, 19). L’espressione «fu aggiunta» è indicativa del carattere
cronologicamente posteriore di questa legge e non di un caratte­
re primordiale. Quanto all’espressione «per le trasgressioni»,
non sarebbe difficile comprenderla se, per trasgressioni, noi in­
tendessimo i molteplici peccati successivi alla caduta o anche lo
stesso peccato originale. Ma a questo punto si pone un interro­
gativo molto importante e sotto vari punti di vista cruciale: vi è
per caso una qualche correlazione tra la legge che è stata data -

(31) Spiega Giovanni Crisostomo: «pensiero carnale significa qui il p


siero pingue e secondo la terra, che attende alle necessità del vivere quotidiano
e alle cattive azioni»: cf. Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera ai Romani
13,6 (PG 60,516).

76
«fu aggiunta» - ai Giudei e «la legge del peccato», che risultò
come condizione umana in seguito alla caduta?
La risposta non è facile. È in qualche modo significativa la
parte conclusiva della Prima Lettera ai Corinzi, in cui Paolo
espone il suo pensiero sulla risurrezione dei morti (15, 35-58).
Egli inizia dicendo: «M a qualcuno dirà: “Come risuscitano i
morti? Con quale corpo verranno?”». In seguito spiega che «si
semina un corpo animale» e «risorge un corpo spirituale». Egli
fonda il suo pensiero sulla generazione e la rigenerazione: «Il
primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo
Adamo divenne Spirito vivificante». Paolo garantisce che con la
risurrezione avrà compimento «la parola della Scrittura: “La
morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vitto­
ria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?”»; e conclude con que­
ste parole interessanti: «Il pungiglione della morte è il peccato, e
la forza del peccato è la legge». E ovvio che, a questo punto, Pao­
lo si riferisce alla legge giudaica. Com’è possibile, però, che la
legge che ha dato Dio possa essere forza cfel peccato? Se volessi­
mo intendere queste parole collocandole nel loro contesto, in ri­
ferimento alla morte e alla risurrezione, al primo Adamo, da cui
derivò la morte, e al Secondo, che annulla il «pungiglione» della
morte, il peccato, forse potremmo chiarire il suo significato. Può
darsi che la legge costituisca la forza del peccato perché sotto
certi aspetti essa stessa affonda le sue radici nel peccato, e per­
ché viene data all’uomo proprio in quanto immerso in questa
condizione di peccato e in virtù della stessa, allo scopo di poterla
rettificare.
Intesa in questo senso, la legge, che a mo’ di «condiscen­
denza» 138, «è stata aggiunta» successivamente alla caduta, costi­
tuisce, potremmo dire, il lato positivo della legge del peccato,
mentre quest’ultima, espressione della condizione in cui si è ri­
dotto l’uomo, costituisce il lato qualitativamente negativo. «Che
diremo, dunque? Che la legge è peccato? No certamente! Però
10 non ho conosciuto il peccato se non per la legge» (Rm 7, 7). E
11 lato positivo della realtà, vale a dire la legge che «è stata ag­
giunta» da parte di Dio, a illuminare il lato costituito dalla legge
del peccato e a renderlo «negativo», di modo che si possa rettifi­
care 139. La legge, che è stata aggiunta da Dio, non riuscirebbe a
rettificare in modo giusto la legge del peccato, se non si trovasse

77
in intrinseca connessione con Lui, se non affondasse le sue radici
in Lui. Ché, se così non fosse, la legge che ha dato Dio sarebbe
ingiusta, perché agirebbe dall’estemo e in modo obbligato: ma
Dio non opera mai in modo ingiusto.
Possiamo ora comprendere il tormento dell’apostolo Paolo,
così chiaramente espresso nelle sue epistole ai Romani e ai Gala-
ti, quando s’impegna di mostrare nel contempo i due aspetti di
una stessa realtà. La legge è «santa» (Rm 7, 12), ma costituisce
«maledizione» (G a l 3,13). Noi siamo stati liberati dalla legge (cf.
Rm 7, 6), Cristo dà il suo sangue affinché noi ce ne liberiamo (cf.
G al 4 ,5 ) 140, ma non si creda che, con la fede in Cristo, noi abo­
liamo la legge: «Nient’affatto, anzi confermiamo la legge» (Rm 3,
31). La legge esisteva finché non fosse venuta la discendenza a
cui era stata promessa; ma l’amore che porta il Nunzio non è
abolizione bensì «compimento della legge» (Rm 13, 10): «Noi
sappiamo che la legge è buona», ma essa «non è fatta per il giu­
sto, bensì per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori» (1
Tm 1, 8-9): in altri termini, riguarda tutti coloro trai quali opera
la legge del peccato. E fuori dubbio che la finalità della legge è
Cristo: «Termine della legge, infatti, è Cristo». Il carattere della
legge è chiaramente propedeutico: «Così la legge è per noi come
un pedagogo che ci ha condotto a Cristo» (G al 3 ,2 4 )M1.
Possiamo quindi concludere che la legge è stata data - «ag­
giunta» - affinché l’uomo in quanto singolo, e la società, in
quanto totalità, possano moralmente sopravvivere nella condi­
zione di caduta in cui si trovano142: il contenuto di questa legge è
positivamente utile, dal momento che controbilancia la legge del
peccato, ed è per giunta santo, perché conduce a Cristo. Ma
verrà un giorno in cui, assieme con la legge del peccato, anche
questa legge sarà alla fine superata in Cristo, e, per dirla meglio,
mentre la legge del peccato sarà abolita, questa sarà «completa­
ta»: sarà trasformata nell’amore, nella nuova vita in Cristo.
Essendo infatti l’amore «compimento di legge» (Rm 13,
10), esso oltrepassa ogni limite della legge, conduce l’uomo
nell’ambito della libertà, ove nessuna limitazione o confine esi­
ste, all’infuori del contenuto stesso della libertà. E, d’altra parte,
essendo la libertà perfetta armonia personale e accordo con Dio,
con gli uomini e con il mondo, essa si oppone all’indipendenza
individuale, suo contenuto proprio è l’amore e funziona come

78
amore. Amore e libertà sono funzioni e condizioni dell’uomo,
aventi il medesimo contenuto. Amore uguale libertà. Perciò la li­
bertà non combatte la legge, ma la osserva con amore143 e con
amore la amplia, rende diafani i suoi confini, la trasforma. «La
verità non rifiuta le regole: piuttosto, le rende più evidenti»144. Il
contenuto morale della libertà si fonda sui legami dell’amore.
La legge, quindi, intesa come tunica di pelle, è buona e pre­
ziosa: è un dono che Dio ha concesso all’uomo. Ma l’amore nella
libertà si pone al di sopra della legge. «Solo l’amore rende l’uo­
mo immagine del suo Creatore... L’amore suggerisce alla mente
umana di agire concordemente con la sua natura, senza mai ri­
bellarsi contro la ragion conforme della natura»145.

3. Come abbiamo visto sopra, anteriormente alla cadu


natura conforme all’uomo era finalizzata a concentrare in sé tut­
te le realtà sensibili e, offrendole a Dio, riunire il mondo creato
al suo Creatore. Ciò avrebbe nel contempo comportato la subli­
mazione di tutte le dimensioni umane, ivi compresa quella del
genere, dal momento che, come dice san Massimo il Confessore,
tra tutte le distinzioni, che erano destinate ad essere superate e
che alla fine sono state superate in Cristo, va inclusa anche la di­
stinzione dei sessi.
Abbiamo inoltre visto come l’uomo, invertendo il procedi­
mento naturale delle sue funzioni psicosomatiche, si sia reso
schiavo di un piacere disdicevole alla sua natura, e come la giusti­
zia della natura, nella continua ricerca del piacere da parte
dell’uomo, lo contraccambi adeguatamente e stabilmente con il
dolore. San Massimo il Confessore parla diffusamente del circolo
vizioso che in questo modo si crea nell’uomo, imprigionando il
peccatore. Trattasi di un procedimento circolare irrazionale e le­
tale, dal momento che, quanto più intensa è la ricerca del piacere,
tanto più intenso sarà il sapore del dolore, che trova il suo apice
nella morte: «Con l’introduzione del piacere irrazionale nella no­
stra natura, subentrò anche il corrispettivo dolore» 146. Quanto
all’uomo, accorgendosi che ad ogni piacere segue un dolore,
«mentre da una parte si slancia verso il piacere, dall’altra evita il
dolore: impegnando ogni suo sforzo per l ’ottenimento del primo,
e impiegando ogni mezzo per evitare il secondo. Egli infatti s’illu­
de di poter sopprimere il dolore andando alla ricerca del piacere,

79
convinto di poter acquisire solo il piacere personale, senza prova­
re alcun dolore. Ma egli non sa... che piacere senza dolore non
esiste. Ché, la pena del dolore è mescolata al piacere» U1.
Di questa nuova realtà che produce il peccato, vale a dire
del peccaminoso connubio piacere/dolore, Dio si servì miseri­
cordiosamente dopo la caduta dell’uomo per donare alla razza
umana la sopravvivenza biologica, come con la legge Egli donò
la morale. Con un medesimo gesto, Dio delimitò drasticamente e,
alla fine, annientò in Cristo sia il piacere che il dolore.

Prima però di esaminare in modo più particolare questo mi­


sericordioso intervento di Dio, bisogna ricordare per sommi capi
l’univoco e categorico insegnamento dei Padri secondo cui, ante­
riormente alla caduta dell’uomo, non c’era alcun bisogno del
matrimonio, come noi oggi lo concepiamo nella sua realtà, per la
moltiplicazione del genere umano.
San Giovanni Crisostomo scrive: «Una volta formato, (Ada­
mo) rimase nel paradiso: del matrimonio non si faceva parola.
Aveva bisogno di un aiuto; l’aiuto gli venne, e neanche allora il
matrimonio sembrava necessario... Il desiderio di unione, il con­
cepimento, i dolori del parto, le generazioni e qualsiasi tipo di
corruzione erano banditi dalla loro anima»148.
Questo brano ricorda anche per la sua terminologia quello
di san Gregorio di Nissa, nel quale, come abbiamo visto, sono
elencati come elementi costitutivi delle tuniche di pelle il «con­
giungimento», il «concepimento», il «parto», ecc. L’insegnamen­
to di questi Padri coincide. Ecco perché sopra, parlando del ma­
trimonio, abbiamo sottolineato l’espressione «come noi oggi lo
concepiamo nella sua realtà». Riteniamo infatti che i due brani
sopra citati poggiano sui termini «desiderio di unione», «dolore
del parto», «generazioni» e su tutte le altre forme di corruzione
che, dopo la caduta, sono state aggiunte all’uomo a mo’ di tuni­
che di pelle. Che cosa volesse precisamente significare l’espres­
sione riguardante la condizione dell’uomo anteriore alla caduta:
«(l’uomo) si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne»
(Gn 2, 24), a quale forma e qualità di unione, e cioè di matrimo­
nio, conducesse, non ci è dato di sapere, perché ignoriamo come
era precisamente costituito il corpo umano anteriormente alla
caduta.

80
Il corpo umano esisteva, ed esistevano distintamente l’uomo
e la donna, avendo ciascuno di essi una propria struttura psico-
somatica. Come però attesta in molti suoi scritti il venerabile
Crisostomo - per riferirci sempre allo stesso Padre - è certo che
i progenitori «non soggiacevano alle necessità dei corpi»149: pur
avendo un corpo, tuttavia non avevano bisogno «di nulla concer­
nente il corpo»150; «essi vivevano in paradiso come angeli, né dal
desiderio infiammati né assediati da passioni aliene» 151. Per la
stessa ragione ignoriamo anche come si potesse attuare l’ordine
loro impartito anteriormente alla caduta: «Siate fecondi e molti­
plicatevi» (Gn 1, 28). San Massimo resta nel vago: egli parla
semplicemente di una «crescita in moltitudine spirituale» della
razza umana152.
I santi Padri si limitano a precisare che «le forme della cor­
ruzione» - l’attrazione sessuale, la congiunzione carnale e la nasci­
ta biologica - non esistevano anteriormente alla caduta. Poiché,
però, essi non intendevano rispondere a una domanda che impe­
gna la ragione, rifiutano di prendere qualsiasi posizione positiva
al riguardo. Ci troviamo cioè di fronte a un impiego del metodo
apofatico nell’ambito dell’antropologia. Con le loro insistenti ne­
gazioni, i Padri mirano a creare quella condizione dinamica che,
impedendo all’uomo di arrestarsi in qualsiasi punto prima di ar­
rivare a Dio, lo spinga incessantemente al raggiungimento della
sua finalità153.
In questa prospettiva crediamo vada letto il seguito del testo
di san Giovanni Crisostomo: «Ma dopo aver disobbedito a Dio
ed essere divenuti terra e cenere, persero assieme a quell’esistenza
beata anche la bellezza della verginità... Ma quando, divenuti
prigionieri del diavolo, dovettero deporre questa veste regale e
l’ornamento celeste, attirando su di sé la corruzione propria della
morte, le maledizioni, i dolori e le fatiche della vita, allora assieme
a tutti questi mali sopraggiunge anche il matrimonio... Vedi qual
è l’origine del matrimonio? Perché sembrò necessario? ... Dove
sta la morte, lì sta anche il matrimonio: se la morte non c’è, nean­
che il matrimonio sopravviene... Quale matrimonio, dimmi, ha
fatto nascere Adamo? Quali dolori hanno generato Èva? ...
Un’infinità di angeli serve Dio, ...e nessuno di loro è nato dalla
generazione, dal parto, dai dolori e dal concepimento. Non
avrebbe dunque potuto Dio, a maggior ragione, creare gli uomini

81
prescindendo dal matrimonio?... La nostra razza è conservata
non dalla forza del matrimonio, ma dalla parola del Signore, che
disse all’inizio: “Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra”». Al­
la domanda: Come avrebbe potuto crescere la razza umana? forse
come sono nati Adamo ed Èva?, lo stesso padre risponde: «Se sa­
rebbero nati così o in un altro modo, non sono in grado di dirlo.
Ciò che ora c’importa di stabilire, è che Dio non aveva bisogno
del matrimonio per moltiplicare gli uomini sulla terra» 154. Spie­
gando poi il passo della Genesi che dice: «Adamo si unì a Èva sua
moglie», egli dice: «Bada che ciò è potuto avvenire successiva­
mente alla trasgressione e dopo la cacciata dal paradiso: solo allo­
ra essi incominciarono ad avere unioni coniugali. Anteriormente
alla trasgressione, essi vivevano come angeli, e di unioni coniugali
non si faceva nemmeno parola»155.
Anziché corroborare la nostra tesi facendo ricorso a testimo­
nianze frammentarie, abbiamo preferito presentare esauriente­
mente il pensiero di un singolo Padre, scegliendo, tra i Padri del­
la Chiesa, uno dei più umani e socialmente più impegnati: in que­
sto modo reputiamo d’aver presentato autorevolmente sia la cate­
goricità del loro insegnamento che il contenuto morale di esso156.
Nondimeno, l’insegnamento secondo cui il matrimonio, co­
sì come noi oggi lo concepiamo nella sua realtà, sia un fenomeno
successivo alla caduta dell’uomo e che costituisca elemento della
duplice realtà delle tuniche di pelle, non implica affatto disde­
gno né disprezzo. Ciò infatti che da una parte risulta effettiva­
mente come conseguenza del peccato, dall’altra è trasformato da
Dio in benedizione, in «grande mistero», che, secondo Paolo,
manifesta l’unione di Cristo con la Chiesa, la quale era comun­
que prefigurata dal rapporto Adamo-Eva anteriore alla caduta:
«Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla
Chiesa!» (E f5 , 32).
Questa tesi di Paolo, che è variamente condivisa dalla lette­
ratura patristica157, costituisce il fondamento della funzione litur­
gica del matrimonio158. Durante la celebrazione di questo lieto sa­
cramento, la Chiesa invoca ogni benedizione e augura ai novelli
sposi ogni gioia in questo mondo e in quello futuro: «Benedici lo­
ro, Signore Dio nostro, come benedicesti Abramo e Sara. Conce­
di loro il frutto delle loro viscere, prole buona, armonia nel corpo
e nell’anima. Eleva loro come cedri del Libano, come una vite

82
ben rigogliosa. Concedi loro abbondanza di raccolto, di modo
che, essendo del tutto autosufficienti, abbondino in ogni opera di
bene a Te gradita, e possano vedere i loro figli e i figli dei loro fi­
gli come piante d’olivo appena germogliate attorno alla loro men­
sa. E, resisi graditi a Te, possano risplendere come stelle del fir­
mamento presso Te, che sei il nostro Signore»159.
Ecco perché i Padri, nel formulare in modo concorde e cate­
gorico l’insegnamento summenzionato riguardo al sacramento
del matrimonio, considerano nel contempo eretici e scomunica­
no, vale a dire tagliano fuori dalla comunità della Chiesa, tutti co­
loro che, condannando il matrimonio come peccato (32), hanno
coscientemente scelto di stare dalla parte del diavolo. Il diavolo,
che ingannò una prima volta l’uomo e lo fece allontanare da Dio
e lo spogliò conseguentemente della veste splendente della vergi­
nità, è il medesimo che ora, fon il suo insegnamento eretico se­
condo cui il matrimonio è un peccato, mutando cioè tattica, cerca
di spogliarlo anche della sacra veste del matrimonio, con il quale
in seguito Dio rivestì misericordiosamente l’uomo (33).

(32) «Se un vescovo o un sacerdote o un diacono o chiunque altro del­


l’ambiente ecclesiastico evita il matrimonio... perché lo considera abominevo­
le, e, immemore che ogni realtà è molto bella e che Dio ha creato l’uomo in
maschio e femmina, scredita il creato bestemmiando, sia corretto o deposto e
allontanato dalla Chiesa. Parimenti si comporti se si tratti di un laico» (51° Ca­
none apostolico).
(33) Non riteniamo inopportuno soffermarci ancora un po’ sulle splendide
pagine che i Padri hanno scritto riguardo ai rapporti tra marito e moglie, non
solo a livello dogmatico-ontologico, ma anche pratico-pastorale, dimostrando
così di essere ottimi conoscitori di tutte le dimensioni di questa problematica.
Portiamo a mo’ d’esempio alcuni brani, tratti da un testo di san Giovanni Cri­
sostomo, in cui questo santo, profondo conoscitore dell’uomo e del carattere
delicato dei rapporti matrimoniali, consiglia come si deve comportare il marito
nei confronti della moglie e con quali parole le si deve rivolgere:
«L e devi sempre dire parole d’amore... Le devi dire: “ad ogni altra cosa,
io preferisco il tuo amore per me, e nulla vi è di più sgradevole e tormentoso
della tua lontananza. E se io dovessi perdere ogni bene e se diventassi ancor
più povero di Irò, se anche mi dovessi trovare nel peggiore dei pericoli e mi
dovesse capitare qualsiasi altro fatto ancora, finché tu mi parlerai con dolcez­
za, tutto sarà per me sopportabile e gradito. E, finché tu mi amerai, anche i
nostri figli saranno per me dei tesori”. E se un giorno ti dovesse dire: “Nulla
fino ad oggi ho mai speso dei tuoi beni; e, dei beni datimi dai genitori in dote,
ce n’è rimasto ancora”, tu le devi rispondere: “Ma che cosa stai dicendo, teso­
ro mio? Hai dei tuoi beni? Quale parola può essere peggiore di questa? Il cor-

83
Dopo tutte queste precisazioni, possiamo riprendere il no­
stro discorso concernente il circolo vizioso piacere-dolore.
Intervenendo misericordiosamente in questo circolo vizio­
so, Dio spostò il piacere verso la finalità della procreazione e, co­
sì, lo delimitò e lo domò. Anzi, diede la possibilità di un suo su­
peramento, trasformandolo da finalità a mezzo. E difatti, non
mancano esempi in cui il piacere è stato superato: si ricordi il ca­
so della beata coppia Gioacchino e Anna, la cui prole non fu
frutto di piacere ma di preghiera.
Inoltre, il piacere, come atto egoistico, è superato nel matri­
monio col suo trasformarsi in piacere e gioia spirituale: quando,
ovviamente, l’egoismo lascia il posto all’amore. Scrive il venera­
bile Crisostomo: «Hai moglie e hai dei figli: quale altro piacere
può eguagliarsi a questo?... Dimmi: c’è qualcosa di più dolce
della prole e della moglie, per chi è sano di mente? Nulla vi è di
più gradevole della prole e della moglie, se si vuol vivere moral­
mente» 160. Il Signore avvolge il piacere con l’abito positivo della
gioia, e non è privo di significato il fatto che il Suo primo mira­
colo Egli lo compì in occasione di un matrimonio: Egli volle tra­
sformare l’acqua in vino, affinché non venisse a mancare la gioia
dei partecipanti.
Con il medesimo Suo intervento misericordioso, Dio atte­
nuò il dolore che la corruzione e la morte producono, poiché la
nascita dei figli «è il miglior antidoto contro la m orte»161. Ché,
come scrive san Giovanni Crisostomo, la morte è davvero «un

po che tu hai non è tuo, ed hai dei beni tuoi? Dopo che ci siamo sposati, amo­
re mio, noi non siamo più due corpi distinti, ma uno solo; non possediamo
due proprietà distinte, ma una sola... Tutto quindi ti appartiene: e anch’io, te­
soro mio, ti appartengo. Questo me lo insegna san Paolo quando dice che non
l’uomo è padrone del suo corpo, ma la moglie. Se quindi io non ho potere sul
mio corpo, ma appartengo a te, a maggior ragione apparterranno a te anche i
nostri beni!” ... Non le devi mai parlare in modo banale, ma sempre con deli­
catezza, con rispetto e con tanto amore. La devi sempre rispettare, e vedrai
che non si troverà mai nella necessità di cercare rispetto presso altri; non avrà
mai bisogno delle altrui lodi, se avrà le tue. La devi preferire a tutti per ogni
cosa: per la sua bellezza e per la sua assennatezza. E la devi riempire di com­
plimenti. Falle capire che la sua compagnia ti diletta, e che, piuttosto che an­
dare fuori, preferisci restare a casa accanto a lei. La devi preferire a tutti i tuoi
amici. E, quanto ai tuoi figli, li devi amare perché è stata lei ad averteli dati»
{Omelie sulla lettera agli Efesini, 20,5, PG 62,146-148).

84
male insopportabile»162. E soggiunge: «Ecco perché Dio miseri­
cordioso..., eliminando la maschera tremenda della morte, donò
immediatamente e fin dall’inizio la discendenza della figliolanza:
permettendo che il posto dei defunti fosse sostituito da altri, era
come se Egli volesse configurare la risurrezione»163.
Tutto ciò è avvenuto affinché il piacere e il dolore fossero
definitivamente domati con la Nascita del Signore, la quale potè
avvenire non solo senza piacere né dolori, ma addirittura con
una radicale innovazione di quelle leggi, cui la natura era sotto­
posta: e cioè, con un concepimento «senza seme» e un parto
«senza corruzione» lM\ senza cioè che la verginità di sua Madre
fosse in qualche modo intaccata165.
Anzi: poiché il Signore ebbe una generazione (un inseri­
mento nella vita) radicalmente diversa rispetto alla ben nota ge­
nerazione biologica, che noi chiamiamo «nascita», Egli rimase li­
bero da ogni costrizione biologica conseguente alla caduta
dell’uomo e, quindi, anche dalla morte. Mediante però la sua
nascita reale, epperò nascita libera e non sottoposta alle leggi
conseguenti alla caduta della generazione166 - e cioè libera «dal
concepimento per mezzo del seme e dalla generazione per mez­
zo della corruzione, che dopo la trasgressione la natura umana
fece proprie» 167 - Egli accettò volontariamente queste norme
per annientarle. Dice san Massimo il Confessore: «Il modo di
generazione, che venne a verificarsi da Adamo in poi secondo il
piacere», tramite cui si moltiplica la razza umana, tormentava la
natura offrendola giustamente in «pasto alla morte»; ma «la mi­
sericordiosa nascita del Signore eliminò entrambi i fatti: e il pia­
cere introdotto da Adamo, e la morte che s’inserì mediante
Adamo, e fece scomparire contemporaneamente con il peccato
di Adamo anche il castigo di A dam o»168. In questo modo, il cir­
colo vizioso piacere/dolore è stato annientato, e la natura uma­
na è stata liberata.
Più ampiamente: per via del Suo diverso modo di generazione,
il Signore non solo ricondusse la natura umana allo stato antece­
dente alla caduta, ma, per giunta, la completò. Ciò che costituiva
la finalità di Adamo - «eliminare», cioè, «dalla propria natura...
mediante un rapporto alieno da ogni passibilità per mezzo della
virtù divina» la distinzione dei sessi169 -, la portò a compimento
egli stesso, completando e manifestando libera dalle proprietà di

85
maschio e di femmina la più profonda e comune ad entrambi i
sessi e unificante «ragione» della natura umana170 (34).
Ancora: col Suo divenire veramente uomo, il Signore diede
un principio diverso alla natura umana, «principio di una secon­
da generazione»171: e cioè, la nascita spirituale mediante il battesi­
mo (35). Questa non è solamente liberazione dalle conseguenze
del peccato originale, ma è per i credenti anche compimento di
ciò che Adamo non ha compiuto. Il progenitore è stato plasmato
a immagine di Dio, dice san Massimo172, affinché, in virtù della
sua propria volontà, potesse generarsi in Dio per mezzo dello
Spirito, e «l’uomo potesse essere ad un tempo creazione di Dio
per natura, e figlio di Dio e dio per la grazia dello Spirito». Però,
ciò non poteva realizzarsi senza che fosse nato per mezzo dello
Spirito, e senza che liberamente egli stesso collaborasse mediante
«ì’impulso spontaneo e indomabile» a lui connaturato.
Ma, alla «divina e divinizzante e immateriale nascita» (36),
il primo uomo preferì la «nascita corporea, che è involontaria e
materiale e che subisce patimenti ed è asservita e piena di costri­
zioni». Ad eccezione, come abbiamo visto, dell’inseminazione e
della corruzione173, Dio misericordioso, che è il solo libero e sen­
za peccato, volle accettare, per nascere, proprio questa nascita,
«che includeva dentro di sé la forza della nostra condanna», e
così, spezzando per il nostro beneficio le catene, «diede la possi­
bilità a coloro che credono al suo nome di diventare, per mezzo
della volontaria nascita dello Spirito, figli di Dio anziché figli del­
la carne e del sangue»174.
San Massimo, di cui abbiamo sopra ricordato solo una par­
te delle tesi, procede nei suoi testi ad analisi ancora più profonde
e formula alcune verità più elevate sia in relazione alla condizio-

(34) Massimo il Confessore, A Talassio, 58 (PG 90, 436A): «(Cristo) ha


unificato l’uomo, dopo aver misticamente abolito nello spirito la differenza esi­
stente tra maschio e femmina e dopo aver istituito per entrambi la natura libera
riguardo a particolari passioni».
(35) E questo è ovvio: perché, nella misura in cui «Adamo, con la sua vita
secondo piacere, diede origine alla morte e alla corruzione, così pure Cristo,
con la sua morte in favore di Adamo, morte libera da ogni piacere... divenne
palesemente genitore di vita eterna» {A Talassio, 61, PG 90, 632D).
(36) «Per aver preferito ai beni intelligibili e fino a oggi invisibili quelli
che, nei confronti della sensazione, risultano piacevoli»: ibia.

86
ne dell’uomo antecedente alla sua caduta, che qui ci interessa,
sia in relazione alla realtà biologica in cui venne a trovarsi l’uo­
mo in seguito alla sua caduta, come pure in relazione alla nuova
natura umana rigenerata in Cristo, nella quale, come attesta
l’Apostolo e come spiega diffusamente san Massimo, «non esiste
più né uomo né donna» (G al 3, 28). Ma queste verità superano la
nostra capacità intellettiva. Perciò ci limitiamo qui a segnalare al
lettore, che eventualmente desidera approfondire l’argomento, i
testi cui far ricorso175.

Da quanto abbiamo detto si deduce chiaramente che i vene­


rabili Padri, nelle pur vaste dimensioni naturali entro cui collo­
cano l’uomo inteso come un essere teologico, e nel principio e fi­
nalità teocentrici che gli riconoscono, non esitano a proclamare
senza possibilità di equivoco ciò che per la razionalità dell’uomo
biologico costituisce il grande scandalo, a capovolgere il punto
cardinale di autodeterminazione che l’uomo possiede: la sua na­
scita biologica. Il crollo e la dissoluzione - lo «spogliarsi» 176 -
delle tuniche di pelle o, più precisamente, di un loro aspetto, di
quello generato dal peccato, è realmente il primo e indispensabi­
le passo che potrà condurre l’uomo verso una vita non sottopo­
sta alla corruzione, ma che sin da ora conterrà in nuce i segni
della risurrezione177.
In questa prospettiva, la nascita biologica non è di per sé
condannata. Piuttosto, essa è concepita e accettata come Dio la
vuole: e cioè come un grande dono della generazione (dell’intro­
duzione cioè nell’esistere). Basandosi su questo dono e realizzan­
dolo giustamente, l’uomo può condursi di nuovo alla vera nascita
nello Spirito, può vestire il suo essere biologico con il beato ed
eterno essere in Cristo 178, affinché ogni uomo, di sua propria vo­
lontà, possa diventare ciò che Adamo non volle diventare: «crea­
zione di Dio per natura, figlio di Dio e dio per la grazia dello Spi­
rito». In questo modo il peccato sarà superato nell’oceano del­
l’amore divino e il grande dramma della caduta apparirà in realtà
come un avvenimento temporale di poco conto.
Lo scandalo costituito dall’insegnamento dei Padri circa la
nascita biologica, per la razionalità umana prigioniera dopo la
caduta è maggiore di quello che produce l’insegnamento della ri­
surrezione dei corpi: è infatti più facile ammettere la risurrezio­

87
ne, intesa come prospettiva futura, piuttosto che tentare di con­
cretizzarla hic et nunc, mortificando dentro di sé la dimensione
negativa dell’esistenza biologica - «mortificando le membra ter­
restri», direbbe san Paolo179 (37) - e risuscitando, vale a dire tra­
sformando per mezzo dello Spirito in Cristo, la dimensione posi­
tiva. Pertanto, senza l’attuazione di questa risurrezione, l’uomo
non può liberarsi.
Per questa ragione, i nostri venerabili Padri, che conobbero
la potenza della risurrezione e sperimentarono la libertà che si
addice ai figli di Dio, non esitano a formulare nel loro amore per
l’uomo questa dottrina, malgrado essa a prima vista appaia dura.
E ciò lo fanno per indicare all’uomo la sua vera natura e la sua
vera grandezza in Dio. E anche per suggerirgli contemporanea­
mente le vie che conducono a ciò. Ché il summenzionato inse­
gnamento manifesta in modo radicale il significato ontologico che
na per l’uomo il battesimo e tutta la vita sacramentale, ascetica e
spirituale della Chiesa. Tutto ciò non costituisce elemento ag-

(37) Leggendo queste pagine, forse il lettore si domanderà: ma allor


matrimonio va abolito? La risposta è inequivocabile: assolutamente no! Non
solo il matrimonio non va abolito, ma, specialmente per il giorno d’oggi, in
cui, proprio perché trascurato il suo vero fondamento, esso sta attraversando
un periodo di crisi, il matrimonio va ulteriormente rivalutato. «Aboliamo il
matrimonio? - direbbe san Paolo Assolutamente no, per amor del cielo!
Non lo aboliamo affatto. Piuttosto, lo confermiamo!».
Per evidenziare come nel pensiero dei Padri il matrimonio è confermato
una volta risolti i suoi più intimi problemi morali, quali ad esempio la procrea­
zione e la funzione dei rapporti sessuali, riportiamo qui di seguito tre brani di
san Giovanni Crisostomo, in cui un attento lettore riconoscerà l’indole libera­
toria e correttiva del matrimonio: «Il matrimonio è stato introdotto per due
motivi: per motivi di moderazione e per diventare padri. Di questi due motivi,
quello della moderazione è di primaria importanza: il matrimonio infatti fu in­
trodotto per via dell’appetito sessuale, onde evitarne, cioè, ogni eccesso» (Sul­
la fornicazione, 3, PG 51, 213); «All’inizio, come ho detto, il matrimonio aveva
queste due funzioni; successivamente invece, dopo che la terra, il mare e tutte
le regioni abitabili furono popolate (si tenga conto che Crisostomo scriveva
nel V secolo), rimase solo un motivo per contrarlo, l’eliminazione della sfrena­
tezza e della scostumatezza» (La verginità, 19,1, PG 48,547, trad. S. Lilla); «Il
desiderio (sessuale) non è peccato. Quando però esso travalica ogni limite e,
non accettando di sottostare alle leggi del matrimonio, induce a rapporti con
altre donne, allora si riduce ad adulterio. Quest’ultimo, pertanto, non è conse­
guenza del desiderio, ma della sconfinatezza di esso» (Omelie sulla lettera ai
Romani, Om. 13,1, PG 60,508).

88
giuntivo alla natura dell’uomo, tale che uno può averlo oppure
no secondo le sue preferenze: piuttosto, costituisce e compone il
suo stesso essere secondo natura.
E poiché questo è il loro carattere, gli elementi in discussio­
ne, come vedremo più analiticamente in seguito, hanno anche la
possibilità di trasformare l’essere biologico, la nascita biologica e
tutte le altre espressioni e funzioni del vivere biologico dell’uo­
mo, con a capo la dimensione del matrimonio. (38). Nel sacra­
mento del matrimonio, l’amore che induce due persone a convi­
vere è coronato dall’Amore che unisce le Tre Persone della San­
tissima Trinità - «è incoronato il servo di Dio... la serva di
D io... nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo», re­
cita la celebrazione di questo sacramento - e così la famiglia che
se ne forma non è semplicemente una realtà biologica, un con­
tratto sociale, un’unione psicologica o, se vogliamo, erotica o esi­
stenziale, ma qualcosa di infinitamente migliore: è una particella
della Chiesa, vale a dire veramente e realmente membro vivo e
attivo del santissimo Corpo di Cristo.

4. La disorganizzazione che il peccato produsse nell’uo


portò con sé la disorganizzazione del mondo. Secondo Niceta
Stethatos, nell’atto di creare l’uomo a immagine del Re dei seco­
li, Dio lo rese «re del creato» e «lo fece tale da possedere dentro
di sé le ragioni, le nature e la conoscenza di tutti gli enti»180. Era
quindi inevitabile che la disorganizzazione dell’uomo compor­
tasse la disorganizzazione delle «ragioni» e delle «nature» degli
enti, e cioè la disorganizzazione del creato.
Questo radicale cambiamento, che venne a instaurarsi nel
mondo creato, nella sua dimensione umana, che qui ci interessa,
è espresso da san Gregorio Palamas con l’espressione molto den­
sa «siamo emigrati»: «A causa di esso (del peccato) siamo rivesti­
ti delle tuniche di pelle... e siamo emigrati in questo mondo effi­
mero e caduco, condannati a vivere una vita soggetta a mille for­
me e mille patimenti»181.
In questo brano si fa chiara allusione alla dimensione cosmolo­
gica delle tuniche di pelle. Come abbiamo visto, prima della caduta
il mondo si trovava relativamente unificato dentro l’uomo. Per

(38 ) Ibid.

89
mezzo dell’uomo, il movimento della materia seguiva naturalmente
il suo corso teleologico: grazie all’uomo, anche essa era spirituale.
Ma la trasgressione di Adamo fece sì che il movimento della mate­
ria deviasse. Dal momento che la relazione esistente tra materia e
corpo umano, tra corpo e anima, tra anima e Dio è stata capovolta,
la materia si piegò su se stessa, il suo movimento divenne cieco e
senza uscita. La materialità è quella condizione in cui la materia è
caratterizzata esclusivamente in base ai suoi elementi propri, ed esi­
ste priva di qualsiasi attrazione o movimento verso lo spirito. La ca­
duta implica anche un decadimento della stessa materia. Così, l’im­
prigionamento dell’uomo nella materialità trasformò il mondo da
«molto bello» qual era, in un «mondo caduco», e l’uomo, che in­
dossò la materialità, vive in questo mondo per via della materialità
- vale a dire per via delle tuniche di pelle - una vita multiforme e
soggetta a mille patimenti. Il termine «siamo emigrati» non signifi­
ca quindi uno spostamento nello spazio - dato che anche anterior­
mente alla caduta dell’uomo non si trovava al di fuori di questo
mondo - ma alterazione di rapporti: e noi, che oggi sappiamo bene
che ogni condizione è risultato di una somma ai rapporti, possia­
mo cogliere appieno il significato di questo testo.

Questa dimensione delle tuniche di pelle la troviamo espres­


sa in maniera più chiara in altri Padri.
San Giovanni Crisostomo insegna che, prima della caduta,
l’uomo non aveva bisogno né delle «città» né delle «arti» né di
«indossare abiti». E soggiunge: «In quel tempo, tutto ciò era su­
perfluo; ma per via della nostra debolezza si è reso successiva­
mente necessario non solo questo, ma anche tutto il resto... (tut­
ta) quella moltitudine di necessità. La morte inserendosi nella vi­
ta, vi introdusse con sé tutto ciò» 182. Le tuniche di pelle sono
l’abito con cui l’uomo affronta la morte. Esse si possono conce­
pire come una nuova organizzazione della vita dell’uomo, come
nuove possibilità e un abito nuovo, conveniente e indispensabile,
affinché si possano affrontare quelle condizioni entro cui venne
a trovarsi il nostro pianeta in seguito alla caduta.
San Gregorio di Nissa, per descrivere l’imprigionamento
dell’uomo entro il movimento circolare senza uscita e corruttibi­
le della materialità, adopera l’immagine degli «animali che lavo­
rano nel mulino»: «Con gli occhi bendati, noi giriamo attorno al­

90
la macina della vita, sempre dallo stesso punto partendo e sem­
pre verso lo stesso tornando. Ecco in che cosa consiste questo
movimento circolare: appetito e sazietà, sonno e veglia, evacua­
zione e riempimento. Si passa incessantemente dalla prima con­
dizione alla seconda e dalla seconda alla prima, per poi ancora
ricominciare da capo, in un movimento circolare e senza fine». E
passando dal senso biologico a quello esistenziale, dice: «Fa be­
ne Salomone a definire questa vita “orcio forato” e “dimora al­
trui” ... Vedi come si consumano assieme con gli uomini e l’ono­
re e il potere e la fama e tutto il resto? Ciò che è aggiunto si dile­
gua, e nulla resta a chi lo possiede. La voglia di fama e di potere
e di onori è sempre in atto; ma l’orcio dei desideri rimane sem­
pre incolmabile»183
San Gregorio il Teologo, d’altra parte, con la sua pregnanza
tipica, scrive in relazione alla condizione dell’uomo antecedente
alla caduta: «(l’uomo) viveva senza il bisogno delle arti, e senza
alcun abito o problema: tale infatti doveva essere la sua natura
all’atto della sua creazione»184.
E il filosofo san Massimo il Confessore, spiegando il passo
summenzionato di san Gregorio Nazianzeno, illustra con mag­
gior chiarezza il nostro argomento. Egli infatti dice che il proge­
nitore viveva prescindendo da ogni arte, perché «lo stato di bea­
titudine a lui elargito in modo naturale» era inalterabile, e, quin­
di, egli non sentiva quelle necessità per la cui soddisfazione oggi
si fa ricorso alle arti. «E non aveva bisogno di indumenti», per­
ché l’impassibilità a lui connaturata lo teneva lontano dal pudo­
re, ma anche perché egli non soffriva allora il freddo e il caldo,
per far fronte ai quali l’uomo dovette inventare le abitazioni e gli
indumenti. D ’altra parte - egli soggiunge - l’attività dell’uomo
verte attualmente o intorno alle percezioni fallaci, che, per moti­
vi di piacere, gli sono procurate dalle passioni irrazionali per il
mondo esterno; o intorno alle arti, necessarie per la soddisfazio­
ne delle necessità biologiche; o intorno alle ragioni naturali degli
enti, per motivi di istruzione. Nulla di tutto ciò, però, distoglieva
l’uomo anteriormente alla caduta, perché egli si collocava al di
sopra di tutto. Essendo infatti il progenitore «impassibile per gra­
zia», nulla aveva a che fare con le immaginazioni fallaci che le
passioni producono mediante il piacere; ed essendo « autosuffi­
ciente», egli era immune dal ricorso a quelle arti che permettono

91
di soddisfare le varie necessità; ed essendo veramente «sapiente»,
egli si trovava al di sopra della scienza degli enti, la cui indagine
richiede studio e apprendimento. Tra Dio e l’uomo non si frap­
poneva nulla che dovesse indagarsi o che potesse ostacolare il li­
bero, in virtù dell’amore, movimento dell’uomo verso Dio o la
sua familiarità con Lui. Ecco perché - continua san Massimo -
l’uomo è stato definito dal Nazianzeno «nudo nella semplicità»:
perché si trovava al di sopra di ogni ricerca naturale, perché vi­
veva senza il bisogno delle arti «essendo libero da ogni neces­
sità», e perché nessun indumento e nessun ostacolo gli preclude­
va la realtà, in quanto l’uomo era estraneo al passivo congiungi­
mento dei sensi con le realtà sensibili. In tutto ciò l’uomo venne
a soccombere «posteriormente, per aver peccato per difetto e
per aver arbitrariamente preferito all’essere completo l’essere
completamente vacuo, facendosi così inferiore a quelle realtà
che, all’origine, era stato plasmato a sovrastare»185.
In questo testo sono definite con chiarezza le funzioni cen­
trali della vita a noi note, e cioè quelle concernenti la ricerca di
piaceri, l’indagine del sapere e le attività professionali, in quanto
fenomeni posteriori alla caduta, e cioè in quanto contenuto delle
tuniche di pelle. Le funzioni in discussione e quelle che da esse
derivano sono risultato del capovolgimento che il peccato origi­
nale apportò all’ordine e all’armonia dell’universo.
Più precisamente, il sapere e il lavoro costituiscono in qual­
che modo un ispessimento o, forse meglio, una manifestazione,
rivestita di materialità e funzionalità, delle qualità primitive pos­
sedute dall’uomo in quanto immagine di Dio, e cioè della sapien­
za e del dominio. Queste ultime proprietà, se adeguatamente uti­
lizzate, dovevano condurre l’uomo, e insieme con lui il mondo
intero, a Dio. Ma con il peccato, esse si imprigionarono nel cir­
cuito biologico corruttibile, si materializzarono e si trasformaro­
no in tuniche di pelle.
Il medesimo vale, tanto per fare ancora qualche esempio,
anche nei confronti della profonda e naturale comunione inter­
personale esistente anteriormente alla caduta (abbiamo infatti vi­
sto che la dimensione fondamentale della condizione di immagi­
ne consiste nel fatto che l’uomo costituisce nel contempo perso­
na e natura): decadendo l’uomo in individuo, questa comunione
si è corrosa e sgretolata e, per sopravvivere socialmente, gli uo­

92
mini necessitano di un’organizzazione esteriore, e cioè della
pòlis, la «città», e, per estensione, della vita politica 186 (39).

Il duro lavoro della terra, i vari mestieri, la scienza e le belle


arti, la politica e tutte le altre attività e funzioni con le quali l’uo­
mo conduce in questo mondo la sua esistenza costituiscono
quindi il contenuto delle tuniche di pelle e portano il duplice ca­
rattere di cui abbiamo parlato sopra: mentre da una parte tutto
ciò è conseguenza del peccato e costituisce un degrado delle di­
mensioni della condizione di immagine (40), dall’altra è risultato
dell’intervento sapiente e misericordioso di Dio, e costituisce il
nuovo abito che permette all’uomo di vivere nella nuova condi­
zione instauratasi con la caduta.
Dio, infatti, non ha permesso che fossero completamente
disperse e degradate le qualità della condizione di immagine187.
Intervenendo nel processo di corruzione, le ha trasformate in tu­
niche di pelle, e ha fatto in modo esse ormai donino attualmente
all’uomo la sopravvivenza. San Giovanni Crisostomo, Sostenen­
do che è stato Dio dopo la caduta a modificare lo status e le con­
dizioni di vita dell’uomo, insegna che Dio non privò l’uomo di
tutto il dominio concessogli sul mondo, ma che «gliene tolse una
piccola parte»188. Gli lasciò il potere sugli animali che sono indi­
spensabili al suo sostentamento, e, mediante le arti che egli svi­
luppa in virtù della ragione fin dall’inizio a lui concessa, e di cui
Dio non l’ha completamente privato dopo la caduta, l’uomo può
esercitare una certa potestà anche su tutti gli altri animali, come
pure su tutto il creato. Tramite le arti (41), che dopo la caduta si
svilupparono vieppiù col trascorrere del tempo, «è garantito il
governo del m ondo»189.

(39) Lo stesso carattere ha la divisione del genere umano in razze e nazioni.


(40) Gregorio di Nissa, Le beatitudini 3 (PG 44, 1228AB): «Ciò che è sta­
to fatto a immagine del celeste, è divenuto terrestre. Ciò che era stato fatto per
regnare, si è ridotto in schiavitù. Ciò che era stato creato per l’immortalità, è
stato distrutto con la morte. Ciò che era stato dotato di autonomia e di indi-
pendenza, ora soggiace a tanti e tali mali... Ogni nostra passione, infatti,
quando prende il sopravvento, s’impadronisce di colui che ha asservito e, co­
me un tiranno che è riuscito a conquistare l’acropoli dell’anima, tormenta il
sottomesso mediante tutto ciò che le passa per le mani».
(41) Vedi Lessico.

93
Ma non basta. L’intervento di Dio è ancor più positivo, e fa
sì che le qualità della condizione di immagine che, senza alterarsi
sostanzialmente, si sono trasformate in tuniche di pelle, possano
servire all’uomo non solo per la sua sopravvivenza, ma anche co­
me mezzi per intraprendere di nuovo u suo cammino verso Dio:
il desiderio e la ricerca di piacere, infatti, non trovando appaga­
mento in questo mondo, inducono l’uomo saggio a rivolgersi di
nuovo al Bene inalterabile. Scrive san Gregorio di Nissa: «L’arte­
fice Lògos, la Sapienza che supera ogni intelligenza, ha predispo­
sto anche questo meglio di qualsiasi altra cosa: noi siamo costret­
ti ad ingannarci entro le realtà visibili, che variamente mutano e
fanno mutare, che si elevano e decadono ed errano e scivolano
via e sfuggono... affinché, resici conto della loro instabilità e del
loro disordine, ci rivolgessimo verso le realtà future» 19°. La stessa
peccaminosa ricerca di piacere - che è l’aspetto negativo della
divina possibilità di piacere, vale a dire la naturale elevazione
della nostra mente verso Dio 191 - continua a conservare il suo
principio positivo primigenio, e spetta all’uomo dirigersi di nuo­
vo verso il Bene: farne cioè un uso positivo, non negativo.
Lo stesso si può dire e in maggior misura nei confronti del
sapere, del lavoro, della scienza, delle belle arti, della politica.
Queste attività possono e, quindi, vengono chiamate a divenire i
mezzi nuovi, tramite cui l’uomo potrà esercitare il suo dominio
sul mondo, e trasmettergli la grazia di Dio in cui egli stesso vive:
così, l’uomo potrà modificare le sue condizioni di vita e, ponendo
il Cristo come mèta finale di se stesso, delle sue condizioni di vita
e del mondo intero, potrà non solo sanare le fratture che a tutti i
livelli produsse il peccato, ma addirittura attuare nella storia
l’unità anche delle divisioni preesistenti alla caduta: unità che, a
favore del creato, Cristo ha realizzato in sé. Al di là quindi di una
semplice sopravvivenza, questo è il grande compito cui sono
chiamate a servire la conoscenza umana, il lavoro, l’arte, la politi­
ca e tutte le altre attività dell’esistenza, successive alla caduta.

94
Conseguenze nei rapporti tra Chiesa
e mondo

i.

L a C h ie s a g iu d ic a i l m o n d o

L’insegnamento patristico fin qui esaminato relativo all’im­


magine e alle tuniche di pelle, oltre che offrire una concezione
ortodossa dell’uomo, pone anche la base, fondandosi sulla quale
la teologia ortodossa può offrire un aiuto concreto al mondo
contemporaneo. In seguito a quanto è stato detto nelle pagine
precedenti, la posizione della teologia ortodossa nei confronti
del mondo si può definire radicalmente critica e, nel contempo,
radicalmente positiva.
La teologia ortodossa è anzitutto chiamata a disapprovare e
condannare inappellabilmente l’autonomia in tutti i suoi livelli ed
aspetti. Studiando la dimensione antropologica del peccato, ab­
biamo constatato che l’autonomia ne è la fonte e il contenuto,
perché essa costituisce falsificazione e mutilazione della verità
dell’uomo nonché imprigionamento dello stesso nella vita biolo­
gica. Questo delitto si aggrava ulteriormente quando l’uomo, ri­
vestito delle tuniche di pelle, rende successivamente autonome
anche queste. In quest’ultima eventualità, le tuniche di pelle ri­
velano il loro lato negativo, funzionano come pensiero della car­
ne e, come dice san Paolo, conducono irrimediabilmente alla
morte. Riferito al nostro tempo, ciò significa che quando la leg­
ge, la sessualità, la tecnologia, la vita politica, ecc., si rendono au­
tonome, allora l’uomo rischia di condursi verso una autodistru­
zione morale, culturale e perfino biologica. La teologia cristiana

95
ha il dovere di proclamare con fermezza questa verità, perché è
veramente giunta l’ultima ora.
Ma affinché la teologia contemporanea possa assolvere a
questo suo dovere, occorre che essa stessa ritrovi preventivamen­
te le sue genuinità evangelica e patristica. E impossibile che qua­
lunque persona seria possa ascoltare oggi l’insegnamento teolo­
gico, se il peccato è prospettato come disobbedienza a comanda-
menti esterni, o, ancor peggio, come disobbedienza a un instau­
rato status politico o sociale.
Il travisamento dell’insegnamento biblico-patristico da par­
te della teologia cristiana, inizialmente quella occidentale, ha
avuto proporzioni vaste e ha condotto a conseguenze dolorose.
La teoria secondo cui la natura primigenia di Adamo corrispon­
deva con la sua costituzione biologica, alla quale fu successiva­
mente aggiunta da parte di Dio la grazia a mo’ di dono sopran­
naturale, condusse taluni seri studiosi della natura genuina
dell’uomo - anche se in un panorama di pensiero più generico e
sotto influenze di vario tipo - alla negazione di D io192.
A conseguenze analoghe condusse il postulato di sant’Ago­
stino secondo cui «si homo non periisset, Filius hominis non ve­
nisset (se l’uomo non fosse decaduto, il Figlio dell’uomo non sa­
rebbe venuto)»193. Questa affermazione ha imprigionato Cristo
e, quindi, la vita cristiana (le realtà della Chiesa, dei sacramenti,
della fede ecc.) entro i confini stabiliti dal peccato. Secondo que­
sta prospettiva, Cristo non è il Demiurgo e il Ricapitolatore di
tutto o, come dice la Scrittura, l’Alfa e l’Omega, ma semplice-
mente il Redentore dal peccato; la vita cristiana non è concepita
come realizzazione della destinazione primigenia di Adamo, co­
me trasformazione dinamica dell’uomo e del mondo e come
unione con Dio, ma semplicemente, come un’astensione dal pec­
cato; e i sacramenti non appaiono come la realizzazione hic et
nunc del Regno di Dio e la manifestazione di esso, ma semplice-
mente doveri religiosi, e mezzi per ottenere la grazia. Lo stesso
dicasi delle opere di bene e della fede. In questo modo i confini
si restringono in modo asfissiante. La Chiesa dimentica il suo le­
game ontologico con il mondo, e il mondo, vedendo che la sua
autenticità non si realizza nella Chiesa, parla di alienazione e
rompe ogni tipo di rapporto con essa.
La teologia dell’icona e delle tuniche di pelle supera tutte

96
queste difficoltà e altre consimili, e riesce ad aiutare realmente il
mondo. Considerando l’uomo e il mondo come immagine, la
teologia ortodossa onora l’immagine e il materiale che la rappre­
senta. Quando il materiale si sforza di raggiungere una sua auto­
nomia, quando vuole rappresentare non l’Archetipo, ma se stes­
so, la teologia ortodossa non esita a dichiarare che con questo
suo agire esso si autodistrugge. La teologia condanna radical­
mente l’autonomia, ma continua ad amare il materiale ferito e
corroso, poiché Dio stesso lo ammise e gli elargì con il Suo amo­
re le nuove possibilità e la nuova funzionalità delle tuniche di
pelle. La teologia ortodossa apprezza le tuniche di pelle - il ma­
trimonio, la scienza, la politica, l’arte, ecc. -, senza tuttavia esita­
re ad avvertire gli uomini che l’autonomia di queste cela il finale
consolidamento del peccato e la perdizione dell’uomo. Con que­
sta simultanea concfanna/valorizzazione del mondo, la teologia
ortodossa resta saldamente ancorata all’insegnamento biblico-
patristico concernente il duplice carattere delle tuniche di pelle.
Il contenuto di questa nostra tradizione assume per il mon­
do d’oggi un significato particolare. Da una parte mostra che,
quando l’uomo ripone le sue speranze esclusivamente nelle tuni­
che di pelle, in un loro qualsivoglia aspetto, egli compie non solo
qualcosa di inutile e di utopistico, ma addirittura un tragico er­
rore (42): perché, una volta resesi autonome, le tuniche di pelle
funzionano alla rovescia. Non è perciò casuale, ma del tutto ov­
vio e inevitabile, che in questo rovesciamento della realtà, le ri­
voluzioni avviate col sincero intento di liberare l’uomo, lo con­
ducono, una volta riuscite, alla schiavitù; che l’incremento di

(42) San Giovanni Crisostomo è stato molto duro nei confronti di


cristiani che, sottovalutando l’attività spirituale, concentravano ogni loro sfor­
zo e speranza nelle opere mondane: «Per le cose quotidiane, ciascuno di noi,
sia che eserciti un’arte, sia che si occupi della vita politica, è più tagliente di
una spada; le realtà necessarie e spirituali le prendiamo a cuor leggero, consi­
derando ciò che è accessorio come se fosse necessario, e trattando ciò che è ol­
tremodo necessario come se fosse accessorio» (Omelie sul Vangelo di Giovan­
ni, 30, 3, PG 59, 175). Nel prosieguo della nostra indagine faremo costante ri­
ferimento a san Giovanni Crisostomo, per mettere bene in rilievo il lato positi­
vo delle tuniche di pelle (delle arti, del lavoro, ecc.). Occorre pertanto che il
lettore tenga sempre presente che, quel che sarà successivamente detto, è vali­
do a condizione che esso non esuli dal contesto creato da questa fondamentale
gerarchia iniziale.

97
produzione conduce all’inflazione; che la conservazione della pa­
ce esige l’aumento degli armamenti, vale a dire la preparazione
alla guerra. In base a uno studio approfondito di tutti questi fe­
nomeni, illustri sociologi sostengono che il vero problema
dell’umanità di oggi è un problema morale, grandi economisti
asseriscono che trattasi di un problema di autocontrollo o conte­
nimento della spesa, mentre grandi filosofi affermano che trattasi
di un problema ontologico. Hanno tutti ragione: ma tutte queste
spiegazioni non sono ancora sufficienti. Per la Sacra Scrittura e i
Padri ortodossi, il nocciolo della questione sta nella fede in Dio:
e cioè, se l’uomo vuole riporre oppure no la sua finalità in Dio.
Se la finalità dell’uomo è collocata nell’ambito del mondo
creato, sia ad un livello più basso (benessere), sia più elevato (or­
dine morale); e se ancora l’essere stesso dell’uomo è concepito
come qualcosa di immanente al mondo: allora ci si immette in
una via senza uscita, dal momento che il movimento o sviluppo
verso l’increato s’interrompe e l’uomo, teomorfo per natura, re­
sta mutilato, rimanendo circoscritto entro i confini del mondo.
In questo caso, le forze che muovono l’uomo e il mondo si diso­
rientano, si scontrano a vicenda, si autoannientano. Proprio per
questo motivo, e cioè per amore verso l’uomo, nel condannare
l’autonomia, la teologia ortodossa sente il dovere di assumere un
atteggiamento radicale e implacabile.

II.
A t t e g g i a m e n t o p o s it iv o d e l l a C h ie s a v e r s o i l m o n d o

D ’altra parte, però, lo stesso amore del mondo induce la


teologia ortodossa ad assumere nei confronti di esso un atteggia­
mento positivo con altrettanto irrinunciabile determinazione. Per­
ché il mondo è creazione di Dio, e le tuniche di pelle, o meglio il
loro aspetto positivo, sono benedizione e dono cn Dio.
San Giovanni Crisostomo si pronuncia al riguardo con
estrema chiarezza e decisione. Riferendosi più precisamente
all’argomento delle arti, come noi lo abbiamo sopra delineato,
egli illustra il loro sviluppo sulla terra successivamente alla cadu­
ta 194. In questo progresso scientifico e sociale, come diremmo

98
noi oggi, egli vede agire e svilupparsi positivamente le facoltà di
cui Dio ha dotato la natura umana: «Ora, caro amico, ti esporrò
brevemente come è gestita la costituzione del mondo e come cia­
scuno di noi, per via della sapienza di Dio a noi connaturata, di­
venta inventore di un’arte e introduce nella vita le sue invenzio­
ni. Un primo uomo inventò la coltivazione della terra, un secon­
do la pastorizia, un terzo l’allevamento degli animali, un altro an­
cora la musica, un altro l’arte manuale; questi (Noè), invece, in­
ventò la viticoltura, per via dell’ammaestramento già insito in lui
per natura» 195.
In un’altra sua omelia, egli considera la capacità naturale
dell’uomo a sottomettere e sfruttare le forze della natura irrazio­
nale come dono e benedizione di Dio. H cavallo, egli dice, è più
veloce dell’uomo; ma per quanto possa essere veloce, esso non
può percorrere oltre i duecento stadi al giorno. L’uomo, però,
cambiando cavalli, può percorrere oltre duemila stadi: «Quindi»,
egli conclude, «ciò che è concesso al cavallo dalla sua velocità,
all’uomo concedono abbondantemente la ragione e l’arte... Nes­
suno degli esseri irrazionali», egli soggiunge, «è capace di sotto­
mettere un altro animale a proprio beneficio: l’uomo, invece, può
farlo nei confronti di tutti gli animali e, tramite il versatile inge­
gno elargitogli da Dio, può sottoporre ogni animale alle proprie
esigenze»1%. Non v’è dubbio, a questo punto, che noi siamo in
perfetta armonia con questo insegnamento dei Padri se diciamo
che è dono di Dio l’arte con cui l’uomo sottopone oggi «alle pro­
prie esigenze» la forza del vapore e dell’elettricità e dell’atomo.
Di fronte alle acquisizioni della scienza contemporanea, ad
esempio dell’energia nucleare, si rimane spesso spaventati, così
come rimasero spaventati molti cristiani al tempo di Galileo per­
ché vedevano crollare una ben precisa concezione del mondo su
cui avevano fondato ogni loro certezza. Ma i santi, che non ri­
pongono le loro speranze su nessuna precisa concezione del
mondo e su nessun aspetto particolare del progresso, non si spa­
ventano. Piuttosto, essi gioiscono e lodano il Signore per le arti
nuove, tramite cui gli uomini, nelle necessità che di volta in volta
si presentano nel corso dei tempi, gestiscono la costituzione del
loro mondo197.
San Giovanni Crisostomo, commentando il libro della Ge­
nesi, scrive inoltre che Dio «manifestò la sua immensa filantro­

99
pia» in quanto «depose (nell’uomo successivamente alla caduta)
molte altre e multiformi id ee»198. Si tratta delle nuove funzioni
delle quali Dio ha dotato l’uomo caduto nel peccato, dell’aspetto
positivo delle tuniche di pelle: «Bada» (vale a dire: apri bene gli
occhi, guarda), insiste altrove, «che mediante le arti Dio ha sot­
tomesso al tuo piacere ogni cosa esistente negli abissi dei mari e
nei confini del firmamento» (noi diremmo oggi: ogni potenza
terrestre e marina e sottomarina e cosmica). Tutto ciò costituisce
un buon motivo per lodare il Creatore: «Continuiamo quindi»,
egli aggiunge giustificando la sua insistenza, «a confermare am­
mirazione per la sua potestà, meraviglia per la sua sapienza e fi­
lantropia e provvidenza per il genere umano»199.

Si pone a questo punto il problema, persistente e sempre


più attuale, del modo d’uso delle tuniche di pelle·, la nostra realtà
biologica, infatti, in tutte le sue dimensioni e funzioni, può in un
qualsiasi momento rivelarne, con un semplice nostro atto libero,
ora l’aspetto più negativo, ora quello positivo.
Ma anche quando le tuniche cu pelle manifestano il loro
aspetto negativo, la colpa non è da attribuire ad esse, bensì alla
nostra libertà. Nel prosieguo del testo summenzionato relativo
alle arti, san Giovanni Crisostomo sostiene che Noè «piantò una
vite e bevve del vino e si ubriacò. (Così), poiché il rimedio con­
tro l’angustia, che è costitutivo di benessere, è stato per ignoran­
za assunto in grande quantità, esso non solo non giovò a nulla,
ma addirittura alterò la condizione di Noè». E alla domanda
cruciale: «Ma forse mi si obietterà: perché dunque è stata intro­
dotta nella vita una pianta portatrice di tanti mali?», egli così ri­
sponde: «Non ti soffermare sulle conseguenze cui può portare
questa pianta, o uomo. La vite, infatti, non è un male, né il vino è
qualcosa di malvagio: piuttosto, è male il suo uso smisurato...
Quando (allora) vedrai gli effetti di un simile uso del vino», sog-

fjiunge, «non attribuire ogni colpa al vino, ma alla perversa vo-


ontà che conduce al male. Pensa piuttosto, o uomo, di quale be­
ne è causa il vino, e stupisciti! Il mistero della nostra salvezza,
infatti... si celebra con il vino: e questo, gli iniziati lo sanno
bene!»200.
La dichiarazione di san Giovanni Crisostomo - che in vari
modi potrebbe risultare attuale al giorno d’oggi - secondo cui la

100
viticoltura e il prodotto che ne deriva sono cose buone e che il
male che dal loro uso deriva non dipende da esso ma dal libero
arbitrio dell’uomo, è categorica. Questa medesima e basilare po­
sizione dei Padri è formulata, con pari categoricità, anche da san
Giovanni Damasceno: «Non disprezzare la materia, perché non
è da disprezzare. Nulla vi è di disprezzabile in ciò che Dio ha crea­
to: sono i Manichei a sostenere il contrario. L’unica cosa disprez­
zabile, che però non è stata causata da Dio ma che abbiamo in­
ventato noi dopo aver deliberatamente deviato dalla condizione
conforme alla natura umana, è il peccato»201.

Nel testo qui sopra, san Giovanni Crisostomo procede a un


ulteriore approfondimento. Il vino, che «alterò la condizione di
Noè», non è soltanto «rimedio contro l’angustia» e «costitutivo
di benessere»: è soprattutto ciò tramite cui si celebra «il mistero
della nostra salvezza»: la santa Eucaristia. Non è fuori luogo sot­
tolineare qui che l’affermazione patristica secondo cui il mondo
costituisce un tramite della nostra unione con Dio, è la base di tut­
ta la vita liturgica della Chiesa. Nel Libro delle benedizioni (Agia-
smatàrion) troviamo preghiere concernenti la seminagione, l’av­
vio di un lavoro e tutte le altre forme di gioia e di tristezza
dell’umano esistere. Tutte queste manifestazioni vengono accolte
dalla Chiesa e, una volta benedette, funzionano in modo
corretto, in quanto vengono in soccorso alla vita umana, e in mo­
do completo, in quanto superano i confini concreti spaziotempo­
rali, e iniziano l’uomo all’infinito: in altri termini, si elevano a mi­
steri {mystèria).
Non sarebbe inopportuno approntare uno studio più ap­
profondito ed esauriente in relazione all’uso corretto e completo
delle tuniche di pelle. Ma un simile studio condurrebbe la nostra
indagine oltre i limiti da noi prefissati. Qui ci basta segnalare
che, nella prospettiva patristica, l’uso corretto delle tuniche di
pelle è fondamentalmente stabilito dal principio di misura: «Ciò
che oltrepassa il necessario è inutile e superfluo: se calzi scarpe
più lunghe della pianta dei piedi, ti impediranno di camminare
bene», scrive Giovanni Crisostomo202.
Di contro, il funzionamento completo delle tuniche di pelle
si ottiene con la loro elevazione a sensazioni spirituali, e cioè con
la loro trasformazione in funzioni del Corpo ai Cristo. Le temati­

101
che concernenti le «sensazioni spirituali» e l’«inabitazione di
Cristo», trascurate dalla teologia contemporanea, costituiscono
l’asse intorno al quale ruota l’insegnamento patristico. A partire
da Origene, dai Padri cappadoci e da Macario d’Egitto, questo
insegnamento si sviluppa attraverso Massimo il Confessore, Gio­
vanni Damasceno, Simeone il Nuovo Teologo, Gregorio Palamas
e Nicola Cabasilas, per arrivare fino a Nicodemo l’Agiorita. Se­
condo questo insegnamento, Cristo, inabitando nell’uomo, colle­
ga con le sensazioni e funzioni del suo corpo le molteplici sensa­
zioni e funzioni psicosomatiche dell’uomo, di modo che queste
ultime si trasformano in sensazioni e funzioni del corpo risusci­
tato di Cristo, vale a dire in sensazioni spirituali e immortali203.
Perciò san Gregorio di Nissa, che si occupa diffusamente del­
l’abito delle tuniche di pelle successivo alla caduta, conclude di­
cendo che, nella nuova realtà che crea Cristo, l’abito nuovo
dell’uomo coincide, in ultima analisi, con Cristo stesso: «Egli in­
fatti dice che l’abito è Cristo»204.
Riprendendo ora il nostro discorso, possiamo riassumerlo e
ricapitolarlo come segue. L’insegnamento patristico relativo
all’immagine e alle tuniche di pelle può trasformarsi in tramite
dell’ortodossia con il mondo contemporaneo, perché permette, o
meglio, obbliga il pensiero teologico ad assumere un atteggia­
mento positivo nei confronti dell’uomo e della civiltà. Le acqui­
sizioni della scienza contemporanea, le scoperte della psicologia,
le conquiste della tecnologia e le ricerche della filosofia non sono
cose cattive né semplicemente tollerabili, bensì positivamente
buone e stimabili. La vanagloria però della peccaminosa autono­
mia altera quasi incessantemente la loro indole, le svende alla
corruzione e al diavolo in cambio di un piatto di lenticchie. Sic­
ché le opere dell’uomo, anziché servire alla realizzazione della
propria finalità, servono il diavolo nella sua opera di distruzione
dell’uomo e del mondo.
A questo punto appare in piena luce il significato fonda-
mentale che la penitenza e l’ascesi hanno non solo per l’uomo,
ma anche per la storia e la civiltà. Queste attività spirituali costi­
tuiscono la lotta tramite cui i fedeli mortificano dentro di sé e
dentro le loro opere la peccaminosa autonomia, unico male ed
elemento da rigettare - «tutto ciò che è stato creato da Dio è
buono, e nulla è da scartarsi, quando si prende con rendimento

102
di grazie» (1 Tm 4, 4) -, restituiscono l’uomo e le sue opere alla
bellezza primigenia, inclinano lo specchio verso il sole reale, e
così le conquiste dell’uomo s’illuminano e si vivificano.
Tramite questo metodo liturgico, ascetico ed eucaristico, i
Padri della Chiesa riuscirono a salvare le grandi conquiste sociali
dei loro tempi. Con questo metodo è stato battezzato e cristia­
nizzato il pensiero greco classico, ed è stato trasformato in
espressione della trascendente e irraggiungibile verità divina. Gli
impareggiabili termini della filosofia antica si trasformarono sen­
za alterarsi - i termini infatti restarono identici: lògos, immagine,
archetipo, triade, ecc. - e costituirono l’abito creato della verità
increata. Il che significa che si resero incorruttibili. E a tal punto,
che la nostra Chiesa considera i dogmi incorruttibili alla stessa
stregua delle reliquie dei santi.

III.
L ’ im p e g n o d e l l a t e o l o g i a c o n t e m p o r a n e a

Queste ultime acquisizioni, a cui conduce naturalmente


un’indagine antropologica genuina, vale a dire cristocentrica,
mettono in rilievo il compito principale della teologia ortodossa
contemporanea.
Questo compito non implica, potremmo dire, che i teologi
debbano uniformarsi alla ricerca scientifica né che debbano es­
sere particolarmente impegnati ad avvalorarla o, ancora, che ten­
tino di confutarne le acquisizioni a favore di un ipotetico inse­
gnamento evangelico o patristico. Nella Bibbia infatti c’è scritto
che i credenti non devono lottare «contro creature fatte di san­
gue e di carne» - e cioè lottare entro i confini che pongono la
scienza, la politica e tutte le altre dimensioni delle tuniche di pel­
le, i cui confini non sono di per sé un male - , «ma contro i Prin­
cipati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tene­
bra» (Ε /β, 12): contro il diavolo e il peccato.
Si potrebbe quindi dire che compito principale della teolo­
gia è quello di saper riconoscere gli spiriti. In altri termini, essa
ha il dovere di liberare dalla peccaminosa autonomia (dall’unico
peccato, dalla schiavitù della corruzione e del diavolo) tutto ciò

103
che c’è di bene nelle conquiste della ricerca scientifica e dello
sviluppo tecnologico; collocarlo in seno alla verità universale
(perché lì per sua natura gli spetta di essere collocato: «Ogni ve­
rità, detta da qualsiasi persona, appartiene a noi cristiani 205), e,
«rendendo ogni intelligenza soggetta all’obbedienza al Cristo» (2
Cor 10, 5), inondarlo della gloria dell’immagine, trasformarlo e
redimerlo: «E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno
specchio la gloria del Signore, siamo trasformati in quella mede­
sima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito
del Signore» (2 Cor 3, 18).
Sarebbe davvero utile se la teologia ortodossa contempora­
nea riuscisse a individuare il metodo più adatto per appropriarsi
di tutto ciò che nella filosofia contemporanea (della filosofia del­
la materia, delle idee, della vita, della sostanza, dell’esistenza,
dell’ente, ecc.) appare in armonia con la teologia del Dio-uomo;
se amalgamasse all’esperienza della vita sacramentale e ascetica
ogni valida acquisizione della psicologia; se sfruttasse ogni ele­
mento utile delle varie dottrine sociologiche per la formulazione
di un’ecclesiologia antropologica ortodossa, ecc.206.
È chiaro, però, che una simile indagine supera gli intenti di
questo studio. Qui ci eravamo proposti da una parte di mostrare
che una simile ricerca è possibile e opportuno che si faccia, e,
dall’altra, di determinare l’unico fondamento su cui questa ricer­
ca si deve basare: «Infatti nessuno può porre un fondamento di­
verso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo (1 Cor 3,11).

104
Note

1 Cf. H. Willms, Eikón. Eine begriffsgeschichtliche Untersuchung zum Plato-


nismus. 1. Teii, Philo voti Alexandreia. Mit einer Einleitung iiber Platon und die
Zwischenzeit, Miinster 1935; G. Kittei, Theologisches Wòrterbuch zum Neuen
Testament, 2, pp. 386-387; P. Aubin, L'Image dans l’Oeuvre de Plotin, in «Re-
cherches de Science religieuse», 41 (1953), pp. 348-379; H. Merkl, Ebenbildli-
chkeit, in Reallexikon fiirAntike und Christentum, 4 (1959), pp. 459-479.
2 Gn 1, 26-27; Sap 7,24-28. Cf. K.L. Schmidt, «Homo Imago Dei» im Al-
ten und Neuen Testament, in «Eranos-Jahrbuch», 15 (1947), pp. 149-195; L.
Kòhler, Die Grundstelle der Imago-Dei-Lehere Gn. 1, 126, in «Theologische
Zeitschrift», 4 (1948), pp. 16-22; H.H. Rowley, The Faith o f Israel, London
1956, pp. 74-98; J.J. Stamm, Die Gottebenbildlichkeit des Menschen im A. T.,
Ziirich 1959; J. Jervell, Imago Dei. Gen. 1, 26 im Spàtjudentum, in der Gnosis
und in den paulinischen Briefen, Gòttingen 1960; V. Vellas, L ’uomo secondo
l’Antico Testamento, Atene 19663 [in greco]; N. Bratsiotis, Antropologia
dell’Antico Testamento, I. L ’uomo come creatura divina, Atene 1967 [in greco].
3 Cf. H. Willms, op. cit.·, J. Giblet, L ’homme image de Dieu dans les com-
mentaires littéraux de Philon d’Alexandrie, in «Studia Hellenistica», 5 (1948),
pp. 93-118; I.D. Karavidopoulos, La dottrina intorno a Dio e all’uomo presso
Filone di Alessandria, Atene 1966 (estratto della rivista «Teologia», Atene
1966, pp. 33-53) [in greco]; S. Agouridis, Filone il Giudeo (estratto dalla rivi­
sta «Gregorio Palamas», Salonicco 1967) [in greco],
4 Cf. Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera agli Ebrei, 2 , 2-3, PG 63,
22-23; cf. G. Kittei, Theologisches Wòrterbuch zum Neuen Testament 2, 393-
396; F.W. Eltester, Eikón in Neuen Testament, Berlin 1958; I.D. Karavido­
poulos, «Immagine di Dio» e «Ad immagine di Dio» presso l’apostolo Paolo. I
fondamenti cristologici dell’antropologia paolina [in greco] .^Salonicco 1964.
5 Cf. VI. Losskij, Essai sur la théologie mystique de l’Eglise d’Orient, Paris
1944, pp. 109-129 [trad. it. a cura di Maria Girardet, La teologia mistica della
Chiesa d’Oriente, il Mulino, Bologna 1967] e Id., À l’image et à la ressemblan-
ce de Dieu, Paris 1967, pp. 123-137.
6 E chiaro che, benché fondamentale, l’argomento «immagine» non esau­
risce i dati dell’antropologia ortodossa. Altri argomenti affini, come quelli del­
la «somiglianza», della «parentela», della «grazia», della «adozione», della «di­

105
vinizzazione», ecc., offrono dimensioni complementari ed esauriscono l’inse­
gnamento ortodosso.
7 Gregorio di Nissa, L ’uomo, c. 11 La natura umana è inconoscibile, PG 44,
153D-156B, specialm. 156AB: «Poiché, dunque, tra le proprietà da considerarsi
nella natura divina è l’inconoscibilità dell’essenza, è necessario che anche in ciò
l’immagine abbia somiglianza con l’Archetipo. Se infatti la natura dell’immagine
si potesse comprendere e il prototipo fosse al di sopra della comprensione, que­
sta contraddizione proverebbe lo scadimento dell’immagine. Ma poiché ci sfugge
la conoscenza della natura della nostra intelligenza che è ad immagine del Crea­
tore, ciò dimostra in maniera perfetta la somiglianza con Colui che la domina,
esprimendo attraverso il mistero che è in lui la natura inconoscibile» (trad. B.
Salmona, pp. 52-54]. Si veda anche R. Leys, L ’image de Dieu chez Grégoire de
Nysse. Esquisse d’une doctrine, Bruxelles-Paris 1951, pp. 77-78.
8 Cf. H.C. Graef, L ’image de Dieu et la structure de l’àme chez les Pères
grecs, in «L a Vie Spirituelle» (Supplément), 22 (1952), pp. 331-339; P. Came-
lot, La théologie de l’image de Dieu, in «Revue des sciences philosophiques et
théologiques», 40 (1956), pp. 443-471; G.W.H. Lampe, A Patristic Greek
Lexicon, Oxford 1968, coll. 410-416, specialm. coll. 413-414. Talvolta, i Padri
usano alcune espressioni categoriche, di cui l’una esclude l’altra. Ciò si verifica
quando essi si trovano di fronte a una determinata eresia e la vogliono com­
battere. Si veda, ad esempio, Origene, Omelie sulla Genesi, PG 12, 96: «la
condizione di “immagine” non appartiene al corpo ma all’anima razionale».
Qui Origene combatte coloro che limitavano la somiglianza «a immagine» so­
lo al corpo, «fra cui Melitone, il quale sostenne in molti suoi libri che Dio è
corporeo» (PG 12, 95). Si veda anche più sotto la nota 18.
9 O. Cullmann, Die Christologie des Neuen Testaments, Tubingen 19582,
p. 152.
10 Cf. I.D. Karavidopoulos, Commento ai Colossesi dell’apostolo Paolo, in
«Annali scientifici della Facoltà di Teologia dell’Università di Salonicco», 13
(1969), pp. 383-492 [in greco], dove si trova anche recente bibliografia relati­
vamente al testo. Per gli altri testi basilari concernenti il nostro argomento, co­
me ad es. Rm 8, 29; 2 Cor 4, 4; Eh 1,3; 1 Gv 3, 2, cf. G. Kittei, Theologisches
Wórterbuch zum Neuen Testament 2, pp. 393-396.
11 A. Orbe, Antropologia di Sant’Ireneo, Madrid 1969; E. Peterson, L ’hom-
me image de Dieu chez saint Irénée, in «L a Vie Spirituelle», 100 (1959), pp.
584-594; A. Maver, Das Bild Gottes im Menschen nach Clemens von Alexan-
drien, Romae 1942; C. Mondesert, Vocabulaire de Clément d’Alexandrie: le mot
λογικός, in «Recherches de Science religieuse», 42 (1954), pp. 258-265; H.
Crouzel, Théologie de l’image de Dieu chez Origene, Paris 1956. P. Ch. Dimitro-
poulos, L ’antropologia di Sant’Atanasio, Atene 1954 [in greco]; R. Bernard,
L ’image de Dieu d’après saint Athanase, Paris 1952; J. Roldanus, Le Christ et
l’homme dans la théologie d’Athanase d’Alexandrie. Étude de la conjonction de
sa conception de l’homme avec sa christologie, Leiden 1968; B.J. Schoemann,
Eikón in den Schriften des hi. Athanasius, in «Scholastica», 18 (1943), pp. 31-
53.175-200; I. Moutsoulas, L ’incarnazione del Logos e la divinizzazione dell’uo­
mo secondo Gregorio di Nissa, Atene 1965, pp. 63-76 [in greco], J. Daniélou,
Platonisme et théologie mystique. Doctrine spirituelle de saint Grégoire de Nysse,

106
Nouvelle édition, Paris 1954, pp. 48-60; R. Gillet, L ’homme divinisateur cosmi-
que dans la pensée de saint Grégoire de Nysse, in «Studia Patristica» 6, Berlin
1962, pp. 62-83; B.G. Ladner, The Philosophical Antropologo o f Saint Gregory
of Nyssa, in «Dumbarton Oaks Papers», 12 (1958), pp. 59-94; R. Leys, L'image
de Dieu chez Saint Grégoire de Nysse. Esquisse d’une doctrine, Bruxelles-Paris
1951; A. Lieske, Die Theologie der Christusmystik Gregors von Nyssa, in «Zeit-
schrift fiir Katholische Theologie», 70 (1948), pp. 49-93.129-168.315-340; H.
Merki,' Ομοίωσις Θεφ, Von der platonischen Angleichung an Gott zur Gottàhnli-
chkeit bei Gregor von Nyssa, Freiburg i. B 1952; T.J. Muckle, The Doctrine of
St. Gregory o f Nyssa on Man as thè lmage of God, in «Medieval Studies», 7
(1945), pp. 55-84; J.W. Burkhardt, The lmage ofG od in Man according to Cyril
o f Alexandria, Woodstock, Maryland 1957; R.W. Jenkinson, The lmage and thè
Likeness ofG od in Man in thè Eighteen Lectures on thè Credo o f Cyril ofjerusa-
lem, in «Ephemerides Theologicae Lovanienses», 40 (1964), pp. 48-71; E.
Montmasson, L ’homme créé à l’image de Dieu d’après Théodoret de Cyr et Pro-
cope de Gaza, in «Echos d’Orient», 14 (1991), pp. 334-339; 15 (1912), pp. 154-
162; L. Thunberg, Microcosm and Mediator. The Theological Anthropology of
Maximus thè Confessor, Lund 1965; J.J. Meany, The lmage ofG od in Man ac­
cording to thè Doctrine o f saint John Damascene, Manila 1954.
Si vedano inoltre le seguenti trattazioni più generali, ma parimenti impor­
tanti: D. Caims, The lmage of God in Man, London 1953; P. Camelot, La théo-
logie de l'image de Dieu, in «Revue des sciences philosophiques et théologi-
ques», 40 (1956), pp. 443-471; C.H. Graef, L'image de Dieu et la structure de
l’àme chez les Pères grecs, in «L a Vie Spirituelle» (Supplément), 22 (1952), pp.
331-339; J. Kirchmeyer, Grecque (Église), in Dictionnaire de spiritualité, 6
(1967), pp. 808-872, specialm. 812-822; B.G. Ladner, Eikon, in «Reallexikon
fiir Antike und Christentum», 4 (1954), pp. 777-789; VI. Losskij, À l’image et
à la ressemblance de Dieu, Paris 1967; M. Lot-Borodine, La déification de
l’homme, Paris 1970; A. Slomkowski, L ’état primitif de l’homme dans la tradi-
tion de l'Église avant saint Augustin, Strasbourg-Paris 1928; B. Zenkowsky,
Das Bild von Menschen in der Ostkirche. Grundlagen der Orthodoxen Anthro-
pologie, Stuttgart 1951; I. Romanidis, Il peccato originale, Atene 1957 [in gre­
co]; A. Michel, lmage, in Dictionnaire de Théologie Catholique, Tables généra-
les, fase. 9 (1960), pp. 2181-2186 dove trovasi esauriente bibliografia.
12 Origene, Contro Celso, 6, 63, PG 11,1393.
13 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Colossesi, Om. 8, 2, PG
62, 353; cf. S. Atanasio, Contro i Greci, 2, PG 25, 8: l’uomo «contempla...
l’immagine del Padre, il Verbo di Dio, a immagine del quale è stato creato».
14 Cf. P. Bratsiotis, Gen. 1, 26 nella teologia ortodossa, in «Orthodoxia»
[Atene], 27 (1952), pp. 359-375, specialm. 361-364 [in greco].
15 Cf. ad esempio P.N. Trempelas, Dogmatica della Chiesa cattolica orto­
dossa, voi. I, Atene 1959, pp. 487-494, specialm. p. 487 [in greco].
16 S. Atanasio, L ’incarnazione del Verbo, 3, PG 25, 101B; si veda anche
ibid., 5, PG 25, 104CD: «D io non solo ci ha creati dal nulla, ma ci ha anche
donato di vivere secondo Dio per mezzo della grazia del Verbo» [trad. E. Belli­
ni], p. 45. Si veda anche il Contro i Greci di Atanasio, 2, PG 25, 5C-8A. Cf. R.
Bernard, L ’image de Dieu d’après saint Athanase, Paris 1952, pp. 21-56.91-126.

107
17 Clemente Alessandrino, Pedagogo, 2, 10, P G 8 ,497B; cf. Gn 1,27-31.
18 Gregorio di Nissa, L ’uomo, 4, PG 44, 136BC: «Infatti l’anima mostra
dal di dentro ciò che è regale e sublime, di molto separata dalla privata po­
vertà, e, poiché è senza padrone e in suo arbitrio, si comporta con padronama
di sé. E di chi altro è ciò se non del re? E oltre a ciò, l’essere immagine della
natura che governa tutte le cose, niente altro significa che all’atto della crea­
zione sia stata formata come natura regale» [trad. B. Salmona, p. 36]; Id., La
verginità, 12, PG 46, 369BC; Cf. R. Leys, L ’image de Dieu chez Saint Grégoire
de Nysse. Esquisse d’une doctrine, Bruxelles-Paris 1951, pp. 71-72; cf. Giovan­
ni Crisostomo, A Stagirio 1, 2, P G 47, 427: «Egli manifestò sulla terra quel che
esisteva nei cieli. Infatti, le parole: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, se­
condo la nostra somiglianza” null’altro significano che venivano sottomessi
all’uomo tutti gli enti della terra». Per l’uso dell’espressione «null’altro», si ve­
da sopra, nota 8. Cf. anche Th. Zissis, Uomo e mondo nell’economia di Dio se­
condo Giovanni Crisostomo [in greco], Salonicco 1971, pp. 76-78. Per l’attri­
buzione più generica dell’espressione «a immagine» alla sovranità dell’uomo
da parte della scuola di Antiochia (per esempio da parte di Teodoreto di Tar­
so, Commento alla Genesi 1, 26, P G 33, 1564-1565), cf. K. Kornitseskos,
L ’umanesimo secondo Giovanni Crisostomo [in greco], Salonicco 1971, p. 49.
19 Gregorio di Nissa, La verginità, 12, PG 46, 369C [trad. S. Lilla], Cf. R.
Leys, op. cit., pp. 72-75 e J. Gaith, La conception de la liberté chez Grégoire de
Nysse, Paris 1953, pp. 40-46. Vedi anche Massimo il Confessore, Conversazio­
ne con Pirro, PG 91, 304C: «Se l’uomo è stato fatto a immagine della beata e
soprasostanziale divinità, e se, per natura, la natura divina è dotata di libero
arbitrio, allora anche l’uomo, in quanto effettivamente immagine di essa, sarà
dotato di libero arbitrio». Cf. anche Giovanni Damasceno, La fede ortodossa 2,
12, PG 94,920.
20 Teodoreto di Ciro, Commento alla Genesi, Questione 20, P G 8 0 ,109B,
dove trovasi incluso questo testo di Teodoro di Mopsuestia.
21 Anastasio Sinaita (?), L ’espressione «a immagine», PG 89, 1148D-
1149A; cf. anche PG 89, 1161C; Gregorio Palamas (?), Prosopopea, PG 150,
1361BC: «In base all’insegnamento della Scrittura concernente la creazione
dell’uomo, credo di poter affermare che “uomo” non viene detto in riferimen­
to all’anima né in riferimento al corpo, ma, nel contempo, al corpo e all’anima·,
e proprio in quanto tale si dice che l’uomo è stato creato a immagine di Dio».
Sulla paternità di Prosopopea, che viene attribuita a Michele Acominato, cf. J.
Meyendorff, Introduction à l’étude de Grégoire Palamas, Paris 1959, p. 335 no­
ta 17.
22 E la tesi proposta e difesa da VI. Losskij, Théologie mystique de l’Église
d’Orient, Paris 1944, pp. 109-129: qui si possono leggere anche alcuni signifi­
cativi testi patristici.
23 Cf. per es. J. Mouroux, Sense chrétien de l’homme, Paris 1947; Igor Ca­
ruso, Psicanalisi e sintesi dell’esistenza (Relazione tra analisi psicologica e valori
della vita), trad. A. Karandonis, Atene 1953; P. Teilhard de Chardin, Le phé-
nomène humain, Paris 1955; M. Barthélemy-Madaule, La personne et le drame
humain chez Teilhard de Chardin, Paris 1967; J.E . Jarque, Foi en l’homme, Pa­
ris 1970; Olivier Clément, Questions sur l’homme, Paris 1972; Pierre-P. Gras-

108
sé, «Tot, ce petit Dieu! Essai sur l’histoire naturelle de l’homme», Paris 1971; B.
Hàring Perspective chrétienne pour une médecine humaine, Paris 1975; Cl. Tre-
smontant, La mystique chrétienne et Γavenir de l’homme, Paris 1977.
24 Atanasio il Grande, Contro gli Ariani, 2,28, PG 2 6 ,312BC.
25 Gregorio Nazianzeno, Omelia 45, 7, PG 36, 632AB; Gregorio di Nissa,
L ’uomo, 4, PG 44,136; Giovanni Crisostomo, A Stagirio 1,2, PG 47,427.
26 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 5, 4, PG 56, 475:
«Cosa significa l’espressione “a immagine” ?... Dio è giusto: se noi diventiamo
giusti e benevoli e misericordiosi, siamo immagine di Dio».
27 Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, 2, P G 150, 560D-561A: « ... sin
dall’inizio l’amore dell’uomo è stato predisposto a tendere verso di lui (Cri­
sto), come a sua regola e modello, e, direi, a mo’ di deposito profondo e spa­
zioso, da poter contenere D io... La sete dell’anima necessita di un’acqua infi­
nita: come può soddisfarla questo mondo finito?».
28 Cf. Gregorio di Nissa, L ’uomo, 16, PG 44, 177D-180A. Per la storia
del termine «microcosmo», cf. R. Allers, Microcosmos from Anaximandros to
Paracelsus, in «Traditio», 2 (1944), pp. 319-407.
29 L ’espressione è di Basilio: cf. Gregorio Nazianzeno, Orazione funebre
per la morte del grande Basilio, vescovo di Cesarea in Cappadocia, PG 3 6 ,560A:
«N on ammetto di adorare una creatura, pur essendo io creatura di Dio e chia­
mato a diventare Dio».
30 Massimo il Confessore, Mistagogia, 4, PG 91, 672B: « ... l’uomo è Chie­
sa mistica in quanto accende nel corpo, come se fosse un tempio, la facoltà at­
tiva dell’anima, mediante un comportamento conforme ai precetti etici». Cf.
anche ibid., 6, PG 91, 684A: «Parimenti, per mezzo di una visione anagogica,
diceva che la Chiesa è un uomo spirituale, e che l’uomo è una Chiesa mistica».
31 Simeone il Nuovo Teologo, Discorso etico 4, in Traités théologiques et
éthiques, ed. J. Darrouzès (Sources chrétiennes 129), Paris 1967, p. 64.
32 Gregorio di Nissa, L ’uomo, 16, PG 44,180A.
33 Per la storia più antica di questo problema, cf. P. Des Places, Sygge-
neia. La parenté de l’homme à Dieu d’Homère à la patristique, Paris 1964.
34 Giovanni Damasceno, La fede ortodossa 1,13, PG 94, 853C.
35 G. Florovskij, Tvar i tvarnost [Creazione e creatura], in «Pravoslavnaja
Mysl’» (rivista dell’Istituto Teologico Ortodosso di San Sergio) (1928), pp.
176-212, specialm. pp. 179-181. Cf. anche Atanasio il Grande, Contro gli aria­
ni, Omelia 1,20, P G 26,53; ibid., 1,21, PG 26,56; Omelia 3, 60, PG 26,448.
Macario di Egitto, Omelie spirituali, 49,4, PG 34,816.
36 Ibid., 148BC: «Così convenientemente la natura per gradi,... porta
avanti il cammino dall’inferiore fino al perfetto» (trad. B. Salmona); cf. il testo
intero in 145B-148C. Vedi P. Christou, Il pleroma umano secondo l’insegna­
mento di san Gregorio di Nissa, in «Klironomia», 4 (1972), pp. 41-42 [in gre­
co]; Atanasio il Grande, Contro gli ariani, Omelia 2,19, PG 2 6 ,188B; Nicode-
mo Agiorita, Le feste (Eortodromion), ed. Venezia 1836, p ...: «Come Dio ha
prescelto Abraamo tra la gente dei Caldei,... così pure Egli ha adottato Ada­
mo tra tutto il creato».
37 Giovanni Damasceno, Contro i calunniatori delle sacre immagini, Di­
scorso 3,26, PG 9 4 ,1348AB.

109
38 Gregorio Palamas, Suggrammata, voi. 2, ed. P. Christou, Salonicco
1969, pp. 255.356-357.440.
39 Nicodemo Agiorita, Apologia del brano contestato, contenuto nel libro
«La lotta spirituale», intorno alla Nostra Signora Madre di Dio, in Manuale di
consigli ovvero Sulla tutela dei cinque sensi, ed. S.N. Schoinas, Volos 1958, p.
207 : fl testo in questione viene riproposto nel presente libro.
40 Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, 3, P G 150,572B.
41 Gregorio di Nissa, Catechesi, 5, PG 4 5 ,21CD [trad. M. Naldini],
42 Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, 6, PG 150, 680A.
43 Id., PG 150,681AB.
44 Id., P G 150,681A.
45 Giovanni Damasceno, Discorso sul fico maledetto e la parabola della vi­
gna, 2, PG 9 6 ,580B.
46 Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, 2, PG 150,560D.
47 Gregorio Palamas, Omelia 7 Sull’Epifania, in Gregorio Palamas, Arcive­
scovo di Salonicco. Ventiquattro omelie, ed. S. Ikonomos, Atene 1961, p. 259.
48 Massimo il Confessore, A Talassio, intomo a varie difficoltà concernenti
la Sacra Scrittura, 60, PG 9 0 ,621A.
49 Nicola Cabasilas, La Madre di Dio. Tre omelie mariane. Testo, introdu­
zione, traduzione in neogreco e commento a cura di P. Nellas («Sulle Fonti».
Scelta di testi patristici, 2), Atene 19742, pp. 150-152. Cf. anche Nicodemo
Agiorita, Apologia..., dove si possono leggere anche molte altre testimonianze
patristiche: il testo viene riproposto in questo stesso libro.
50 Cf. Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e
Gregorio il Teologo, P G 9 1 ,1097C: «Affinché l’uomo non fosse allontanato da
Dio, occorreva che venisse introdotto... un modo... tanto più meraviglioso e di­
vino del precedente, quanto il soprannaturale è superiore al naturale».
51 Massimo il Confessore, op. cit., 1097D. Cf. anche ihid., 1092BC.
1280ABC.1308C-1309A; Id., A Talassio, 22, PG 90, 317B-320C; 70, PG 90,
620C-621C.
E nota la tesi, che per primo ha formulato Ruperto di Deutz (sec. XII) e
che successivamente ha sviluppato Duns Scoto (sec. XIII), secondo la quale il
Lògos sarebbe divenuto uomo a prescindere dalla caduta di Adamo. Sono al­
tresì note le lunghe dispute che questa tesi sollevò in Occidente (si veda una
sintesi in G. Florovskij, Cur Deus Homo? Il motivo dell’incarnazione, nel vo­
lume Argomenti di Teologia Ortodossa [in greco], Atene 1973, pp. 33-42).
Dopo aver esaminato seriamente l’intera problematica, molti studiosi occi­
dentali della teologia patristica (cf., per es., H.U. von Balthasar, Liturgie co-
smique. Maxime le Confesseur, Paris 1947, p. 205) ma anche alcuni teologi or­
todossi (cf. G. Florovskij, op. cit., p. 38; N. Nisiotis, Prolegomeni alla gnoseo­
logia teologica [in greco], Atene 1965, p. 67; A. Theodorou, Cur Deus Homo?
Incarnazione intenzionale o non intenzionale del Logos di Dio [in greco], Ate­
ne 1974) trovano una certa perplessità quando cercano di collegare l’insegna­
mento patristico circa la preeterna volontà di Dio di unire nell’ipostasi del
Lògos la natura umana e quella divina, con la summenzionata teoria di Duns
Scoto. Nel clima generale che si è instaurato in seguito alle dispute occidenta­
li, si tende attualmente a concludere che, per la tradizione ortodossa, l’argo­

110
mento in discussione non può considerarsi risolto, ma che resta un semplice
«theologoumenon».
Comunque, riteniamo che tra la problematica di Duns Scoto e l’insegna­
mento dei Padri non esista alcun rapporto intrinseco. I Padri non parlano di
una questione teorica, e cioè che cosa sarebbe potuto accadere qualora Ada­
mo non avesse peccato, né trattano di una questione teologica, e cioè quale in­
tenzione avrebbe potuto avere Dio Lògos: com’è possibile, infatti, che Dio, il
quale è assolutamente semplice, possa avere una qualche intenzione, e per
giunta tale da essere condizionata dalla creazione? L ’insegnamento dei Padri è
prettamente antropologico e cosmologico: esso si riferisce alla finalità del
mondo. San Massimo il Confessore è molto categorico quando insegna che la
finalità del mondo era ed è la sua unione ipostatica con Dio : con la precisazione
che il modo di raggiungimento di essa è mutato. Pertanto, il mutamento del
modo di realizzazione della finalità non implica mutamento della finalità stes­
sa. E, secondo i Padri, il nocciolo della questione consiste proprio in questa fi­
nalità.
Con questa nota non riteniamo d’aver risolto il problema: piuttosto, vo­
gliamo semplicemente spiegare perché l’insegnamento patristico relativo a
questo insegnamento non è qui considerato come un theologoumenon, bensì
come qualcosa di categorico, e precisare che l’insegnamento dei Padri nulla ha
a che rare con la tesi di Duns Scoto. Speriamo di poter approfondire ulterior­
mente l’intera problematica in un lavoro futuro, perché trattasi di una proble­
matica importante: essa costituisce il presupposto basilare del cristianesimo, e
una sua erronea comprensione condurrebbe a una fallace attuazione della fede
evangelica e patristica. L ’insistenza di san Nicodemo Agiorita, percepibile nel
testo che viene riproposto in questa sede (cf. pp. 236-245), è assai significativa.
Si veda anche infra, nota 193.
52 Cf. I. Romanidis, Il peccato originale [in greco], Atene 1957, pp. 113-
140; E. Peterson, L ’homme image de Dieu chez saint Irénée, in «Vie Spirituel­
le», 100 (1959), pp. 584-594; A. Benoit, Saint Irénée. Introduction à l’étude de
sa théologie, Paris 1960, specialm. pp. 227-233; A. Orbe, Antropologia di
sant’Ireneo, Madrid 1969; A. Theodorou, L ’insegnamento di Ireneo sulla rica­
pitolazione [in greco], Atene 1972; H. Lassiat, Promotion de l’homme en Jésus-
Christ d’après Irénée de Lyon, Paris 1977; Id., L ’anthropologie d’Irénée, in
«Nouvelle Revue Théologique», 100/3 (1978), pp. 399-417; cf. un significativo
testo di sant’Ireneo nelle pp. 213-214 di questo libro.
53 Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, 2, PG 150,533D.
54 La teologia della prima Lettera ai Corinzi (11, 1-6) è significativa: l’uo­
mo è capo della donna, Cristo è il capo di ogni uomo e Dio è capo di Cristo.
La linea è continua: se dovesse in qualche modo interrompersi, si creerebbe
una frattura di comunione, mancanza di completezza e sterilità.
55 Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, 4, PG 150, 604A.
56 Basilio il Grande, La nascita di Cristo, 6, PG 31,1473A.
57 Gregorio Nazianzeno, Discorso 1, La Santa Pasqua, 4, PG 35, 397B.
58 Cf. Massimo il Confessore, A Talassio, 63, PG 90, 692B.
59 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Grego­
rio il Teologo, PG 9 1 ,1084D.

I li
60 Cf. Dictionnaire de spiritualité, voi. 3, coll. 1376-1389 (Divinisation, pa­
ragrafo: «Patristique grecque»).
61 Da quanto ci è dato di sapere, non è stato fino ad oggi studiato nel suo
insieme il rapporto esistente tra le tuniche di pelle e l'insegnamento patristico.
Si vedano pertanto alcuni studi di carattere più particolare: E. Stephanou, La
coexistence initiale du corps et de l’àme d'après saint Gregoire de Nysse et saint
Maxime l’Homologète, in «Echos d’Orient», 31 (1932), pp. 304-315; J.W. Mc-
Garry, St. Gregory ofNyssa and Adam’s Body, in «Thought», 10 (1935-36), pp.
81-94; J. Quasten, A Pythagorean idea in ]erome, in «American Journal of Phì-
lology» 73/2 (1942), pp. 207-215; J. Quasten, Theodore o f Mopsuestia on thè
Exorcism of thè Cilicium, in «The Harvard Theological Review», 35 (1942),
pp. 209-219; E. Peterson, Pour une théologie du vètement, Lyon 1944; W.
Burkhardt, Cyril of Alexandria on Wool and Linen, in «Traditio», 2 (1944),
pp. 484-486; J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique. Essais sur la doctri-
ne spirituelle de saint Grégoire de Nysse, Paris 19532, pp. 48-60; G. Ladner,
The Philosophical Anthropology of saint Gregory o f Nyssa in «Dumbarton
Oaks Papers», 12 (1958), pp. 59-94, specialm. pp. 88-89; I. Moutsoulas, L ’in­
carnazione del Logos e la divinizzazione dell’uomo secondo l’insegnamento di
Gregorio di Nissa [in greco], Atene 1965, pp. 87-96; L. Thunberg, Microcosm
and Mediator. The Theological Anthropology of Maximus thè Confessor, Lund
1965, pp. 159-164; J. Daniélou, Les tuniques depeau chez Gregoire de Nysse, in
Glaube Geist Geschichte. Festschrift fùr Ernst Benz, Leiden 1967, pp. 355-367;
K. Skouteris, Conseguenze della caduta e bagno di rigenerazione [in greco],
Atene 1973, pp. 61-68; M. Orfanos, L ’anima e il corpo dell’uomo secondo Didi­
mo di Alessandria (il Cieco) [in greco], Salonicco 1974, pp. 94-102; A. Ranto-
salievic, Il mistero della salvezza secondo Massimo il Confessore [in greco], Ate­
ne 1975, pp. 59-60; Ch. Bernard, Théologie Symbolique, Paris 1978, pp. 207-
210. Qui non affrontiamo il problema come lo hanno affrontato i filosofi non
cristiani: alcuni riferimenti ad essi, come pure al rapporto esistente con l’inse­
gnamento patristico, si possono trovare nella bibliografìa suindicata.
62 Gn 2 , 25 - 3,24; cf. Gregorio di Nissa, Catechesi, 8 PG 4 5 ,33C; Id., La
preghiera, 5, PG 44, 1184B: il significato di questo avvenimento lo spiega J.
Daniélou, Platonisme et théologie mystique, pp. 58-59.
63 Gregorio di Nissa, Omelia sull’Ecclesiaste, 1, PG 44, 624B [trad. S.
Leanza].
64 Cf. H.F. Ellenberger, À la découverte de l’Inconsdent, Villeurbanne
1974; Cl. Tresmontant, Sciences de l’univers et problèmes métaphysiques, Paris
1976; si veda anche sopra, nota 23.
65 Cf. J. Daniélou, Les tuniques de peau chez Grégoire de Nysse, loc. cit., p.
355; K. Skouteris, Conseguenze della caduta e bagno di rigenerazione, p. 62; M.
Orfanos, L ’anima e il corpo dell’uomo secondo Didimo di Alessandria, p. 94 no­
ta 1, dove trovansi anche rinvìi bibliografici.
66 Origene, Omelie sulla Genesi, 3, 2, P G 12, 101A: «Che bisogna inten­
dere con l’espressione “tuniche di pelle”? Sostenere che Dio, dopo aver tolto
la pelle da alcuni animali... si mise a fare delle tuniche ... come se fosse lavo­
ratore di cuoio, è da stolti e rimbambiti, perché si afferma una cosa che non si
addice a Dio. Identificare poi le tuniche di pelle con i corpi, questa interpreta­

112
zione è più probabile e suggestiva, ma non può considerarsi né veritiera né
certa: se infatti le tuniche di pelle corrispondono con la carne e con le ossa,
come ha fatto allora Adamo a dire, prima ancora che esse esistessero: “Questa
Èva, sì, è osso delle mie ossa e carne della mia carne”?» [trad. I. Danieli].
67 Cf. Metodio di Olimpo, Aglaofonte o Sulla Risurrezione, 1, 39 (BEPES
18, p. 129: lo stesso testo si trova anche in Epifanio di Cipro, Panarion, 64, 23,
PG 41, 1105C); Epifanio di Cipro, Panarion, 64, 4, PG 41, 1077; Girolamo,
Contra Johannem Hierosolymitanum, 7, PL 23, 360BC. Ulteriori informazioni
in A. Guillaumont, Les «Kephalaia gnostica» d’Évagre le Pontique et l’histoire
de l’Origénisme chez les Grecs et chez les Syriens (Patristica Sorbonensia), Paris
1962, pp. 89-90: tutti questi Padri attribuiscono a Origene l’errata opinione
secondo cui le tuniche di pelle corrisponderebbero con il corpo: «Egli dice
che l’espressione “il Signore fece per loro (Adamo ed Èva) delle tuniche di
pelle e li rivestì” si riferisce al corpo» (Epifanio, PG 41, 1077B). Tuttavia, essi
(cf. ad es. Metodio, BEPES 18, 129) utilizzano l’argomentazione che per pri­
mo ha formulato Origene («Questa Èva, sì, è osso dalle mie ossa e carne dalla
mia carne: cf. sopra, nota 66) e formulano la teoria, anch’essa risalente a Ori-
gene, secondo cui le tuniche di pelle sono la condizione mortale instauratasi
dopo la caduta (ne daremo indicazioni più precise in seguito). Può darsi che
Origene risulti qui vittima di quelle altre sue opinioni erronee: il suo preciso
punto di vista, quindi, riguardo alle tuniche di pelle resta argomento di studio:
cf. A. Guillaumont, op. cit., p. 109, nota 131 e L. Thunberg, Microcosm and
Mediator, p. 159.
68 Epifanio di Cipro, Panarion, 64, 18, PG 41, 1097D. Cf. Gregorio Na-
zianzeno, Omelia 45, Sulla santa Pasqua, PG 36, 632; Gregorio di Nissa, L ’uo­
mo, 29, PG 4 4 ,233D; si veda anche sopra, nota 21.
69 Metodio di Olimpo, Aglaofonte o Sulla Risurrezione, 1,38 (BEPES 18,
p. 129).
70 Gregorio di Nissa, La Verginità, P G 46, 12, 373C.
71 Gregorio di Nissa, La Verginità, PG 4 6 ,1 2 ,376A; cf. K. Skouteris, Con­
seguenze della caduta e bagno di rigenerazione [in greco], Atene 1973, p. 61.
72 Gregorio di Nissa, Catechesi, 8, PG 4 5 ,33CD [trad. M. Naldini],
73 Cf. Atanasio il Grande, Sulla passione e la croce del Signore, P G 28,
221 A; sull’autenticità di questa omelia, cf. J. Quasten, Patrology, voi. 3, Utre­
cht 1960, p. 50; Gregorio Nazianzeno, Omelia 38, 12, PG 36, 324CD; Nilo,
Lettera a Sosandro, 1, 241, PG 79, 172A; Gregorio Palamas, Omelia 31, PG
151,388C.
74 Gregorio di Nissa, Omelia sul Cantico dei Cantici, 12, PG 44, 1021D:
«E una volta che la morte è stata unita alla natura umana, la condizione morta­
le percorse anche tutte le generazioni degli esseri che successivamente nacque­
ro. Ecco perché ci accolse una vita che è morte: la vita stessa di noi, se così si
può dire, era morte».
75 L ’intercalazione di Massimo il Confessore, che leggiamo nel testo qui
presentato, sorprende per la diversa concezione del tempo che la stessa pre­
suppone: essa quindi assume un significato particolare nei confronti dell’argo­
mento che trattiamo in questa prima parte del nostro studio. Il testo completo
è come segue: «Cibo di quella vita beata è il pane disceso dal cielo per dare la

113
vita al mondo; e, come il Lògos verace dice di se stesso nei Vangeli, per aver il
primo uomo rinunciato di nutrirsene, egli venne a perdere la vita divina dando
origine a una vita di morte»: Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Gregorio
il Teologo, PG 91,1157 A.
76 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Grego­
rio il Teologo, PG 9 1 ,1156C-1157A.
11 Op.cit., 1157C.
78 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera ai Corinzi, Omelia 1,
4, P G 61,387. Lo stesso brano si può leggere anche nelle Omelie sulla Genesi,
Om. 18, PG 53, 150, e, anche qui, in stretta relazione con la condizione di
morte e con le tuniche di pelle: «Poiché, per via della trasgressione, il progeni­
tore divenne responsabile del castigo della morte..., egli (Dio) fece loro delle
tuniche di pelle, insegnandoci ad evitare la vita liquida e fluida».
79 Gregorio di Nissa, Omelie sui Salmi, 12, PG 4 4 ,556B.
80 Gregorio di Nissa, L ’anima e la Risurrezione, P G 4 6 ,148C-149A.
81 Gregorio di Nissa, L ’uomo, 18, PG 4 4 ,192BC.
82 Gregorio di Nissa, Omelia per i defunti, PG 4 6 ,524D.
83 Gregorio di Nissa, La preghiera, 5, PG 44, 1184B.
84 l b i d -
85 Gregorio di Nissa, Omelia per i defunti, PG 4 6 ,524D.
86 lbid., PG 4 6 ,532C.
87 Gregorio di Nissa, L ’anima e la Risurrezione, P G 46, 108A. Queste
espressioni, e altre consimili, inducono quasi la totalità degli studiosi di Gre­
gorio Nisseno a collegare, se non proprio a identificare, le tuniche di pelle con
il corpo umano posteriore alla caduta; però si dimentica che, con l’espressione
«tuniche di pelle», il Nisseno si riferisce all’intero abito psicosomatico dell’uo­
mo. Cf. ad es. G.B. Ladner, The Philosophical Anthropology o f Saint Gregory
ofNyssa, p. 88: «Le tuniche di pelle sono una ben precisa qualità della nostra
natura corporea posteriore alla caduta, una idiosincrasia corporea, molto di­
versa da quella dell’uomo perfetto della prima creazione». Questa tesi, che
esprime chiaramente la dimensione corporea delle tuniche di pelle, disconosce
la loro dimensione psichica.
88 Gregorio di Nissa, L ’anima e la Risurrezione, P G 46, 108A [trad. S.
Lilla], Cf. Omelia per i defunti, PG 46, 532C; Omelia per la morte di Melezio,
PG 46, 861B. Cf. K. Skouteris, Conseguenze della caduta e bagno di rigenera­
zione, p. 67.
89 Gregorio di Nissa, La vita di Mosè, P G 44, 388D. Questo testo invita
«chi s’incammina versa il sacerdozio» a «rendere sottile, attraverso una vita
pura, ogni atto del quotidiano vivere» e a «domare questa natura corporea»
(vale a dire la natura umana nel suo insieme, che è diventata corporea: il testo,
infatti, non dice «il corpo»). Analoga è la sensazione che, nei confronti della
rimodellazione dell’uomo, crea l’innografia della nostra Chiesa, specie quella
relativa ai martiri e ai santi: si veda ad es. l’Inno a sant’Eufemia (11 luglio).
90 Gregorio di Nissa, Omelia sul Cantico dei Cantici, 11, PG 44, 1005A.
Qui Gregorio descrive come la Sposa del Cantico, una volta spogliatasi di
«quella tunica di pelle di cui si era rivestita dopo il peccato», indossò la « tuni­
ca dell’uomo creato a immagine di Dio, nella santità e nella giustizia». Questa

114
nuova tunica, spiega san Gregorio, è la «tunica del Signore, luminosa come il
sole... che egli mostrò durante la Trasfigurazione sulla montagna» [trad. C.
Moreschini], Questo testo è stato molto studiato: cf. K. Skouteris, op. cit., pp.
34.64. Gli studiosi attribuiscono l’espressione «tunica del Signore, luminosa
come il sole» al corpo di Cristo, mentre sarebbe più giusto intenderla in riferi­
mento all’increata gloria della Divinità, che illuminò interiormente il Signore.
Ciò si desume dall’innografia della festività della Trasfigurazione: cf. Ode otta­
va·. Cristo «si riempì di gloria e di luce». Si è altresì discusso sulla dipendenza
del termine «hèlioeidès» (luminoso come il sole) dal corrispettivo termine di
Platone, che è usato anche da Plotino: il Nisseno conosce certamente le opere
di Platone e ne fa uso nelle sue opere, ma qui è meglio supporre che egli abbia
in mente la Trasfigurazione del Signore come è narrata nel Vangelo.
91 Gregorio di Nissa, Omelie sul Cantico dei Cantici, 11, PG 44, 1004D-
1005A.
92 Gregorio di Nissa, La verginità, 13, PG 376B: «uscire dai rivestimenti
della carne togliendoci le tuniche di pelle, vale a dire i pensieri carnali».
93 È il termine che solitamente definisce, nell’innografia, l’abito dell’uo­
mo anteriormente alla caduta: «M i .rivestisti di un abito divinamente tessuto, o
Salvatore» (Tropario primo, Ode sesta della Domenica della Tyrofagia). Cf.
Romano il Melode, Kontakion per la festa dell’Epifania, Stanza seconda; cf. an­
che in questo stesso libro il capitolo concernente il Grande Canone (pp. 175-
212). Per quanto riguarda il pensiero di san Gregorio di Nissa circa la condi­
zione del progenitore anteriormente alla caduta, cf. J. Gaith, La conception de
la liberti chez Grégoire de Nysse, Paris 1953, pp. 52s.
94 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Om. 15, 4, PG 53, 123 e
Om. 16, 5, P G 53, 131; cf. E. Peterson, Tour une théologie du vètement, Lyon
1944, pp. 8-9, dove si possono trovare ulteriori rinvìi alle opere di Ireneo, Am­
brogio e Agostino.
95 Gregorio di Nissa, Omelia per i defunti, P G 46, 521D.
96 Gregorio Nazianzeno, Omelia 45, la santa Pasqua, 8, PG 36, 632C.
97 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Grego­
rio il Teologo, PG 9 1 ,1353AB.
98 Gregorio di Nissa, Omelie sui Salmi, 2 ,6 , PG 4 4 ,508BC. L ’espressione
«(l’uomo) si mescolò con il fango, si autoproiettò verso il serpente» la inseria­
mo nel discorso traendola da un’altra opera di Gregorio: cf. La preghiera, 5,
PG 4 4 ,1184C.
99 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Grego­
rio il Teologo, P G 9 1 ,1097C.
100 Ibid., PG 9 1 ,1193D.
101 Ibid., P G 91, 1304D-1308C. L ’opera che non ha realizzato Adamo,
l’ha realizzata Cristo: si veda il prosieguo del testo 1308C-1313B (esso viene
integralmente riproposto nelle pp. 68, 115, 222-226 di questo libro). Una sin­
tesi dell’insegnamento di Massimo il Confessore concernente le cinque divisio­
ni e il superamento di esse si può leggere in VI. Losskij, Théologie mystique de
l’Eglise d’Orient, Paris 1944, pp. 103-105 (trad. greca S. Plevrakis, Salonicco
1964, pp. 121-124). Un’esposizione più esauriente dell’insegnamento in di­
scussione in relazione con gli altri aspetti del pensiero teologico del santo Con­

115
fessore si può invece leggere in L. Thunberg, Microcosm and Mediator. The
Theological Anthropology o f Maximus thè Confessor, Lund 1965, pp. 351-459.
102 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e. Gre­
gorio il Teologo, PG 9 1 ,1248A-1249C: il testo viene riprodotto in questo libro
(pp. 227ss.).
103 Ibid., PG 91, 1248A-1249C. Questo testo importante non è stato fino­
ra studiato e opportunamente valorizzato dagli studiosi del pensiero teologico
di Massimo il Confessore; nemmeno da L. Thunberg, malgrado che esso abbia
un’importanza centrale per l’argomento del suo studio. Cf. PG 91, 1193C-
1196B.1113C.
104 Ibid, PG 9 1 ,1092C.
105 Ibid., PG 91,1305A.
106 Ibid, PG 9 1 ,1305B.
107 Ibid, PG 9 1 ,1308C.
108 Ibid., PG 9 1 ,1112C.
109 Ibid., PG 91,1112ABC.
110 Massimo il Confessore, A Talassio, PG 9 0 ,253CD.
111 Nei confronti di questa verità centrale della tradizione patristica, cf.
Basilio il Grande, Dio non è causa del male, P G 3 1 ,329A-353A.
112 Massimo il Confessore, Commento sul trattato I nomi divini, 4 , 33, PG
4 ,305D.
113 Dionigi Areopagita, I nomi divini, 4 , 20, PG 3 , 717C.
114 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Gre­
gorio il Teologo, PG 9 1 ,1097CD.
115 Gregorio di Nissa, Catechesi, 8, PG 4 5 ,33CD.
116 Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, 1, P G 150,508A
117 Nicola Cabasilas, op. cit., 516BC: «Quale potrebbe essere il giusto ca­
stigo per il servo cattivo che ha rifiutato l’immagine regale e si è spinto a tal
punto di insolenza?»; cf. Basilio il Grande, L ’invidia, 3, PG 3 1 ,376AB.
118 Nicola Cabasilas, op. cit., 516B.
119 Cabasilas, sottolineando gli elementi già esistenti nella tradizione pa­
tristica a lui anteriore, e presentandoli in modo organico, ha sviluppato la pre­
sente teoria e per via dei sistemi soteriologici, che, a partire dal sec. X II e fino
al XIV, sono stati sviluppati in Occidente, e, soprattutto, per via della teoria di
sant’Anselmo concernente la soddisfazione. Quel che prima circolava diffusa-
mente nella tradizione patristica come elemento vivificante, necessitava di es­
sere sviluppato da Cabasilas come teoria: sui motivi che favorirono lo sviluppo
di essa come pure sui rapporti che la legano con la teoria della soddisfazione,
cf. P. Nellas, L ’insegnamento di Nicola Cabasilas sulla giustificazione
dell’uomo, Pireo 1975 [in greco].
120 L ’espressione è di Nicola Cabasilas: cf. op. cit., 516B.
121 Nicola Cabasilas, op. cit., 513C. Lo stesso insegnamento, anche se non
sistematicamente impostato, trovasi anche in Giovanni Crisostomo, Commen­
to sulle parole «Salutate Priscilla», 1,5, PG 51, 194: «Sembra che trattasi di in­
ferno e di castigo... mentre in realtà trattasi di avvertimento e di correzione e
di farmaco per le ferite causate dal peccato». Per un’analisi antropologica del
modo con cui Dio, per sanare l’uomo, adopera in modo educativo le conse­

116
guenze della giustizia ferita del creato, cf. Massimo il Confessore, Su vari luo­
ghi diffiàli dei santi Dionigi e Gregorio il Teologo, PG 9 1 ,1104A-1105A.
122 Per esprimere un’altra realtà, Gregorio di Nissa adopera l’espressione
«sculture bifronti» che «gli artisti hanno scolpito per lo stupore di coloro che
vi si imbattono, rappresentando con una testa due forme di volto», cf. L ’uomo,
18, PG 4 4 ,192C [trad. B. Salmona].
123 Gregorio di Nissa, L ’uomo, 18, PG 44, 193C.
124 Metodio di Olimpo, Aglaofonte o Sulla Risurrezione, 1, 38 (BEPES 18,
129): «(Dio) ha fatto le tuniche di pelle per avvolgere (l’uomo) nella condizio­
ne mortale, di modo che, con la decomposizione del corpo, trovasse la morte
ogni male in lui generato». Nel prosieguo di questo testo, specialmente nei
capp. 40 e 41, questa verità è esaurientemente sviluppata. Cf. Metodio di
Olimpo, Il banchetto delle dieci vergini, 2; Ireneo, Smascheramento e confuta­
zione della falsa gnosi, 3, 23, 5-6; Gregorio di Nissa, Omelie sul Cantico dei
Cantici, 12, PG 44, 1020B: «Mediante la morte, l’anima si erge dalla morte (se
infatti non muore, essa resta per sempre nella condizione mortale) e, moren­
do, rinasce in vita, deponendo ogni condizione di mortalità».
125 Cf. Massimo il Confessore, A Talassio, 61, PG 90, 633D: «Con la sua
passione, (Cristo) ha capovolto la natura della morte: egli infatti non ha con­
dannato la natura, ma il peccato». In modo analogo «capovolgono» la natura
della morte anche i santi: cf. ibid., 637A. Sicché, come scrive san Giovanni
Crisostomo, «(Dio) ha annientato il peccato mediante queste due realtà (la
morte e la sofferenza) e ha distrutto il genitore per opera dei suoi figli» (Sulle
statue, 5 ,4 , PG 49, 75).
126 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera agli Ebrei, Omelia 4, PG
63, 42; cf. I. Romanidis, Il peccato originale [in greco], Atene 1957, pp. 145-
Ì55.
127 Gregorio di Nissa, Catechesi, 8, PG 4 5 ,33D: «L a parte sensibile si dis­
solve. .. la dissoluzione è il ritorno agli elementi del cosmo dai quali fu costi­
tuita» [trad. M. Naldini].
128 Massimo il Confessore, A Talassio, 61, PG 90, 633BC: «Il seminatore
del peccato ha tramato questo:... rovinare le opere di Dio, disintegrare ciò che
era stato plasmato per la generazione,... spingendo (il peccato) la natura delle
realtà venute in essere verso la disgregazione secondo la morte». Cf. A
Talassio, 61, scolio 1, PG 90, 641B.
129 Giovanni Crisostomo, .<4 Teodoro, 1,11, PG 47,291.
130 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Galati, 6 ,3 , PG 61, 679.
Cf. anche, dello stesso, Omelie sulla Lettera ai Romani, 14, 5, PG 60, 530:
«(La natura) sarà liberata - egli dice - dalla schiavitù della corruzione: vale a
dire che non sarà più corruttibile, ma si conformerà alla bellezza del suo cor­
po».
131 Oltre a quanto detto sopra, alla stessa conclusione conduce anche l’in­
segnamento di Massimo il Confessore concernente l’uomo in quanto « legame
naturale» e « laboratorio contenente ogni cosa», entro cui sono superate le cin­
que divisioni. Cf. Marco Eugenico, La Risurrezione, ed. A. Schmemann, in
«Teologia», 22 (1951), pp. 53-60, specialm. pp. 56-57; Nicola Cabasilas, Pre­
ghiera al Nostro Signore Gesù Cristo, in P. Nellas, Introduzione allo studio di

117
Nicola Cabasilas [in greco], Atene 1968, pp. 58-59: J. Daniélou, La Résurrec-
tion, Paris 1969, pp. 95-98; K. Rahner, Le chrétien et la mort, Paris 1966, pp.
20-21.37-38.71-72. Chi desidera studiare l’intera problematica può leggere
Gregorio di Nissa, L ’uomo, cap. 27 dal titolo: «Come è possibile che, essendo
il corpo umano sciolto negli elementi del tutto, dalla massa ritorni a ciascuno
ciò che gli è proprio» [trad. B. Salmona, pp. 111-114].
132 Cf. sopra, p. 70.
133 Cf. sopra, p. 75 e nota 92.
134 Su quanto concerne questo paragrafo, cf. Giovanni Crisostomo, Ome­
lie sulla Lettera ai Romani, Omelia 13 dal titolo: «Sappiamo, infatti, che la leg­
ge è spirituale, ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato», PG 60, 507-
524, specialm. 512-513.515-517.
135 Abbiamo tralasciato di evidenziare qui, facendo ricorso al metodo
analitico, l’identità d’insegnamento esistente tra i Padri che usano l’espressio­
ne «tuniche di pelle» e quelli che, senza pronunciarla espressamente, si limi­
tano ad esaminare il contenuto di esse (condizione mortale, le passioni, l’irra­
zionalità, la sottomissione alla materialità, ecc.). Ci è sembrato che un simile
studio non avrebbe contribuito allo scopo della presente trattazione - e del li­
bro in generale -, che non è quello di formulare un’analisi storico-filologica
del pensiero dei Padri, ma di contribuire a una rinascita di esso oggi. Lo stes­
so vale anche nei confronti della relazione esistente tra le tuniche di pelle e
l’espressione paolina « pensieri della carne». Oltre alla tesi formulata da Gre­
gorio di Nissa e l’implicita, ma non per questo meno lucida, interpretazione
del Crisostomo, crediamo che, per chi ragiona in modo ortodosso, non sarà
difficile intravedere nella diversità della terminologia la medesima dottrina.
136 Giovanni Damasceno, La fede ortodossa, 4,22, PG 9 4 ,1200B.
137 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Romani, 13,4, PG 60,513.
Cf. anche Id., Omelie sulla seconda lettera ai Corinzi, Omelia 6,2, PG 61,438.
138 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Romani, Om. 13, 4, PG
60,512: La legge «stabiliva tali obblighi, che si potevano adempiere anche sot­
to il dominio del peccato. Quella legge, infatti, non imponeva una condizione
di vita perfetta: non vietava loro di avere molte mogli, permetteva loro di pos­
sedere delle ricchezze, di comportarsi con collera al cospetto di un giusto, di
condurre una vita dissoluta. E la condiscendenza era tale, che la legge scritta
risultava più permissiva di quella naturale». Cf. anche il seguito di questo
scritto. Inoltre, si veda Id., La verginità, 16, P G 48, 545; Gregorio Nazianze-
no, Omelia 45, la santa Pasqua, 12, PG 36, 640B: «L a legge è stata posta a no­
stro beneficio: come muro essa si innalza tra Dio e gli idoli, separandoci da
questi e unendoci a Lui. Essa ci concede inizialmente poco, affinché noi pos­
siamo ottenere di più».
139 Ciò contribuisce a far rivivere il peccato e la pena che ne consegue. Si
tratta di dimensioni nei confronti delle quali l’Apostolo si sofferma, ma che
noi tralasciamo di affrontare in quanto non direttamente attinenti al nostro ar­
gomento. Una dettagliata analisi dell’aspetto della legge si può leggere nel mio
articolo: La giustificazione dell’uomo in Cristo secondo l’apostolo Paolo, in Studi
in onore del Metropolita di Calcedonio Melitone [in greco], Salonicco 1977, pp.
379-400.

118
140 Cf.: «Per mezzo del tuo santo sangue, ci riscattasti dalla maledizione
della legge» (Triódion, Ufficiatura della Santa Passione).
141 Cf. Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Galati, Omelia 3, 5,
PG 61,655.
142 E come la ricetta medica, che prescrive all’ammalato non la dieta
dell’uomo sano, ma quella che gli permetterà di sopravvivere e ritrovare la sa­
lute. Cf. Giovanni Crisostomo, La verginità, 16, PG 48,545-546.
143 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Romani, 12, 6, PG 60,
503: «Per mezzo di tutto ciò egli rivelò la superiorità della grazia nei confronti
della legge: la superiorità, non l'ostilità».
144 Cirillo di Alessandria, Omelia sulla Lettera ai Romani, PG 74, 780D;
cf. anche ibid., 801B-804A.
145 Massimo il Confessore, Epistola seconda a Giovanni Cavicoulario,
Sull’amore, PG 9 1 ,396C.
146 Massimo il Confessore, A Talassio, 61, PG 90, 628B.
147 Massimo il Confessore, A Talassio, PG 90, 256A; cf. anche ibid., 61,
PG 9 0 ,629D-632A.
148 Giovanni Crisostomo, La verginità, 14, PG 48,543.
149 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 18, 4, PG 53, 153;
cf. anche ibid., Omelia 16,1, PG 53, 126.
150 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 16,4, PG 53,130.
151 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 15, 4, PG 53,123.
152 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Gre­
gorio il Teologo, P G 9 1 ,1341C.
153 Siamo del parere che, da questo punto di vista, vengono chiariti due
aspetti della costituzione dell’uomo di difficile interpretazione, che sono stati
ampiamente discussi dagli studiosi. Trattasi del pensiero di san Gregorio di
Nissa relativamente: a) al cosiddetto «uomo primitivo», e cioè alla «prima crea­
zione» dell’uomo, nella quale non c’era diversità di sessi, e b) alla cosiddetta
«seconda creazione.» in cui, prima ancora della caduta, è stata da Dio «stabili­
ta», come dice Gregorio, la distinzione di sessi, affinché il genere umano si po­
tesse moltiplicare dopo la caduta, che Dio aveva previsto, mentre anterior­
mente ad essa il genere umano si moltiplicava «come si è moltiplicata la molti­
tudine degli angeli» (cf. Gregorio di Nissa, L ’uomo, 16, PG 44, 185A e ibid.,
17, P G 44, 189CD). Si veda l’intera discussione e relativa bibliografia in I.
Moutsoulas, L ’incarnazione del Logos e la divinizzazione dell’uomo secondo
l’insegnamento di Gregorio di Nissa [in greco], Atene 1965, pp. 63-96; E. Cor­
sini, Pléròme humain et pléròme cosmique chez Grégoire de Nysse. Écriture et
Culture Philosophique dans la pensée de Grégoire de Nysse, ed. M. Harl, Lei­
den 1971, pp. 111-126; P. Christou, Il pleroma umano secondo l’insegnamento
di Gregorio di Nissa, in «Klironomia», 4 , 1 (1972), pp. 41-62; L. Thunberg, Mi-
crocosm and Mediator. The Theological Anthropology o f Maximus thè Confes­
sor, cit., pp. 155-163 (in relazione all’argomento della «doppia creazione»); F.
Floeri, Le sens de la «division des sexes» chez Grégoire de Nysse, in «Revue des
Sciences Religieuses», 27 (1953), pp. 105-111.
Sarebbe opportuno ampliare la discussione prendendo in considerazione
il pensiero anche di altri Padri della Chiesa, come ad esempio quello di Meto-

119
dio di Olimpo, che nega l’identificazione delle tuniche di pelle con il corpo
umano facendo notare che le espressioni «maschio e femmina Dio li creò» e
«(l’uomo) si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» sono state det­
te con riferimento alla condizione umana anteriore alla caduta (cf. Aglaofonte
o Sulla Risurrezione, 38, BEPES 18, 129), e quello di Giovanni Crisostomo se­
condo cui, dopo la caduta, Dio «indirizzò verso l’utile» il corpo umano, che
«originariamente si trovava in una condizione migliore di quella attuale» (Le
statue, Omelia 11, 4, PG 49, 125): è interessante notare che Crisostomo non
parli di una seconda creazione, anteriore o posteriore alla caduta, ma di una
«trasformazione», e che, descrivendo nella stessa omelia le varie funzioni
dell’occhio, egli asserisce che le lacrime sono una funzione successiva alla ca­
duta (Le statue, 11, 3, PG 49,122), il che, ovviamente, induce a trarre le dovu­
te conclusioni. Ci siamo già sopra riferiti al modo di questa trasformazione e
abbiamo anche esposto in parte il relativo insegnamento di Massimo il Confes­
sore. In base al quale, ci sarebbe da chiedersi se per caso le funzioni dell’orga­
nismo psicosomatico dell’uomo non fossero reali anche anteriormente alla ca­
duta, ma spirituali, e cioè non fossero prive del sentimento del piacere che di­
sorienta, imprigiona, capovolge e, in ultima analisi, trasforma le funzioni psi­
cosomatiche dell’uomo. E sarebbe inoltre utile prendere in seria considerazio­
ne anche le interpretazioni patristiche di Gal 3, 28, vale a dire del fatto stesso
della divisione dell’uomo in maschio e femmina e del superamento di essa: in­
terpretazioni, che sono da noi indicate alla nota 170.
Tuttavia, le interpretazioni patristiche sopra menzionate - e quanto stiamo
per dire riteniamo sia determinante per l’esatta comprensione del pensiero dei
Padri - non vanno intese come affermazioni categoriche, bensì come semplici
allusioni che, in ultima analisi, mirano ad escludere qualsiasi chiara e definitiva
presa di posizione in merito. Voler preferire considerazioni definitive nei con­
fronti dell’uomo significherebbe voler spiegare questo essere, che, per natura, è
un essere teologico, basandosi esclusivamente su dati biologici, mentre invece
per i Padri l’uomo va sempre inteso in modo iconico. Perciò, per comprendere
esattamente le interpretazioni patristiche summenzionate, bisogna collocare le
stesse nell’ambito che noi abbiamo chiamato «apofatismo antropologico». Il si­
curo contesto generale, da tutti sempre condiviso ed entro cui i Padri si collo­
cano nel formulare le loro ricerche sull’uomo, è sinteticamente espresso da Gio­
vanni Damasceno: «Dio, che tutto vede anteriormente alle generazioni, avendo
previsto che (i primogenitori) avrebbero disobbedito e sarebbero stati castigati
con la morte, avendo previsto tutto ciò, creò l’uomo maschio e femmina e or­
dinò loro di crescere e moltiplicarsi» (La fede ortodossa, 4,24, PG 9 4 ,1208D).
Queste nostre considerazioni possono bastare, crediamo, per illuminare,
nei limiti consentiti a una nota, i suindicati passi ambigui di Gregorio di Nissa.
Nel suo libro sopra citato, E. Corsini definisce «enigmatica» la presa di posi­
zione di san Gregorio nei confronti dell’«uomo primitivo» e della «seconda
creazione», e osserva che la comprensione di essa e il suo giusto inquadramen­
to nel pensiero generale del vescovo di Nissa costituisce problema per tutti co­
loro che fino ad oggi si sono occupati della sua filosofia, teologia e insegna­
mento mistico. L ’osservazione di E. Corsini è fondamentalmente giusta. Se­
condo noi, pertanto, il problema è superato se si tiene conto che il punto di vi­

120
sta del Nisseno di cui si parla, non si presenta come risposta a una aporia filo­
sofica, bensì come visione mistica, vale a dire una risposta apofatica e dal con­
tenuto soteriologico, che, in ultima analisi, mira ad evitare l’imprigionamento
di essa in una qualsivoglia presa di posizione categorica.
Lo stesso atteggiamento assume san Gregorio nei confronti dell’asse crea-
zione-caduta-salvezza nella Chiesa-escatologia, dal momento che, come è no­
to, egli tocca l’argomento delVapocatastasi, esimendosi però dal darne una ri­
sposta definitiva (cf. J. Daniélou, L'apocatastase chez saint Grégoire de Nysse,
in «Recherches de Science Religieuse», 30 [1940], pp. 328-347; A.J. Phillips,
The Eschatology o f St. Gregory o f Nyssa, Oxford 1963). Mentre egli spiega
esaurientemente i due stadi intermedi di quest’asse, per quelli estremi, invece,
egli si limita a formulare considerazioni apofatiche, molto utili per la vita spiri­
tuale. Come abbiamo visto nelle prime parti di questo studio, Colui che unisce
l’inizio con la fine è Cristo: il quale costituisce l’Icona del Padre e la realizza­
zione dell’uomo in quanto icona. Perciò, fra tutte le interpretazioni finora for­
mulate nei confronti dell’insegnamento del Nisseno concernente l’«uomo pri­
mitivo» e la «seconda creazione», la più giusta riteniamo sia quella di J. Danié­
lou, perché offre di esso una «interpretazione cristologica», anche se, a nostro
avviso, senza soffermarsi dovutamente su di essa (cf. Platonisme et théologie
mystique, pp. 52-53.56s.167s.).
4 Giovanni Crisostomo, ha verginità, 14-17, PG 48,544-546.
155 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 18, 4, PG 53, 153.
Cf. ibid., Omelia 15,4, PG 53,123-124.
156 San Giovanni Crisostomo è stato felicemente definito «strenuo difen­
sore del matrimonio e apostolo della verginità»: cf. A. Moulard, Saint Jean
Chrysostome, le défenseur du mariage et l’apòtre de la virginité, Paris 1923. Pre­
sentiamo anche l’insegnamento di san Giovanni Damasceno, perché sintetizza
anche su questo punto l’insegnamento patristico: « L ’espressione “crescete e
moltiplicatevi” non si riferisce al moltiplicarsi attraverso l’atto sessuale. Dio
era in grado di moltiplicare il genere umano attraverso anche altri modi, qua­
lora il Suo comandamento fosse stato osservato inalterato fino alla fine» (cf. La
fede ortodossa, 4 ,2 4 , PG 94, 1208B). Si veda anche: D.S. Bailey, The Man-Wo-
man Relation in Christian Thought, London 1959, specialm. pp. 19-102; P.
Evdokimov, Mistero di amore, trad. S. Orfanos, Atene 1967; Ch. Vantsos, Il
matrimonio e la sua preparazione dal punto di vista della pastorale ortodossa [in
greco], Atene 1977, pp. 33-107.
157 Cf. per es. Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Colossesi,
Omelia 12,5, PG 62,387; Omelia 12,6-7, PG 62,389-390; Omelie sulla Lette­
ra agli Efesini, Omelia 20, PG 62, 135-150: cf. Th. Zissis, Uomo e mondo
nell'economia di Dio secondo san Giovanni Crisostomo [in greco], Salonicco
1971, pp. 144-145. Per altri testi patristici, si veda la bibliografia della nota
precedente.
158 «Dio eterno, che ha riunito le realtà divise... e ha condotto come sua
Sposa la Chiesa...» (Eucologio).
139 Si vedano i canoni 1, 4, 9, 10 e 14 del Concilio di Gangra. Cf. G. Ka-
psanis, L ’attività pastorale secondo i santi canoni [in greco], Pireo 1976, pp.
175-184; Ch. Vantsos, Il matrimonio e la sua preparazione, pp. 35-41.

121
160 Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo secondo Matteo, Omelia 38,
6, PG 57,428.
161 Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo secondo Matteo, Omelia 48,
3, PG 58, 490; cf. Gregorio di Nissa, La verginità, 12, PG 4 6 ,376A.
162 Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo secondo Matteo.
163 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 18, 4, PG 53, 154;
cf. l’esposizione di questa tesi, Omelia 17, 7, PG 53,143-144.
164 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Gre­
gorio il Teologo, PG 9 1 ,1341C-1349A.
165 Ibid., 1276A.
166 Cf. la descrizione e la profonda analisi che nei confronti di questa leg­
ge espone Massimo il Confessore in A Talassio, 21, PG 90, 312C-313A. Si ve­
da anche 61, 633B e, Su vari luoghi difficili..., PG 91, 1276ABC; 1316A-
1317C; 1345D-1348A.
167 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Gre­
gorio il Teologo, PG 91, 1341; Id., A Talassio, 61, P G 90, 632B.
168 Massimo il Confessore, A Talassio, 61, PG 90, 632D; cf. ibid., 61, PG
90, 644B e 21, P G 9 0 ,313BC.
169 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Grego­
rio il Teologo, PG 91, 1305CD. Ecco come prosegue il passo: «(L ’uomo) si ri­
veli e diventi, secondo il progetto divino, solamente un unico essere umano, non
diviso dalle denominazioni maschio e femmina, in conformità con la ragione per
la quale anteriormente era esente da queste divisioni mentre adesso ne è sog­
getto, divenendo perfettamente consapevole della ragione per la quale egli è».
170 Cf. Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e
Gregorio il Teologo, P G 91, 1309AB; Il Padre nostro, PG 90, 889C-892A: ri­
guardo a quest’ultimo brano importante, cf. I.H. Dalmais, Un traité de théolo­
gie contemplative: Le commentane du Pater Noster de saint Maxime le Confes-
seur, in «Revue d’Ascetique et de Mystique», 29 (1953), pp. 132-139 e 159,
dove si può trovare la relativa bibliografia. Cf. anche Gregorio Nazianzeno,
Omelia 7, 23, PG 35, 785C: «Affinché non ci siano maschio e femmina... ma
portiamo in noi solo il modello divino, dal quale e per il quale siamo stati fatti».
Evagrio, Capitoli gnostici, 1, 63, PG 40, 1237; Clemente Alessandrino, Stroma-
teis, 3, 13 (BEPES 8, 44). Per una ulteriore indagine circa la posizione di Cle­
mente nei confronti del sesso e del matrimonio, cf. Stromateis, 6, 12 (BEPES
8, pp. 215-216); cf. anche F. Quatemberg, Die christliche Lebenshaltung des
Klemens von Alexandrien nach seinen Paedagogus, Vienna 1946, pp. 137-140,
e, nei confronti della posizione di Clemente circa le coabitazioni nei primi
tempi della Chiesa, cf. D.S. Bailey, The Man-Woman Relation in Christian
Thought, London 1959, pp. 33s.
171 Massimo il Confessore, A Talassio, 61, PG 90, 632A.
172 Presentiamo qui il brano PG 9 1 ,1345D-1348C.
173 Si tratta di una nostra aggiunta al testo.
174 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Gre­
gorio il Teologo, PG 9 1 ,1345D-1348C.
175 Cf. PG 90, 253C-256B; 312B-313D; 628A-645C; PG 9 1 ,1195D-1196B;
1273D-1276D; 1304D-1305A; 1038D-1309A; 1313CD; 1316A-1321D; 1340B-

122
1341C; 1345C-1349A. Da quanto ne sappiamo, il lavoro fino ad oggi più meto­
dico per un accostamento ai testi di Massimo il Confessore è quello di L. Thun-
berg, Microcosm and Mediator. The Theological Anthropology o f Maximus thè
Confessor, Lund 1965: riguardo all’argomento di questa nota, si vedano ivi le
pp. 396-405. Ci sembra pertanto opportuno che il lettore non si accontenti delle
affermazioni di L. Thunberg, ma die affronti anche la lettura dei testi stessi. La
migliore introduzione alla teologia di san Massimo il Confessore e la più fedele
esposizione del suo insegnamento le troviamo nelle note introduttive e nel com­
mento che D. Staniloae ha scritto per l’edizione di: Massimo il Confessore, Mista-
gogia («Sulle Fonti», 1) [in greco], Atene 1973 e Massimo il Confessore, Questio­
ni filosofiche e teologiche («Sulle Fonti», 4) [in greco], Atene 1978.
176 II rapporto con l’insegnamento biblico è evidente: «Vi spogliaste
dell’uomo vecchio» {Col 3,9).
177 «E avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, a
immagine del suo Creatore. Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o
incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti»
{Col 3,10-11).
178 «Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo» {Gal
3,27).
179 Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra... de­
ponete anche voi tutte queste cose» (Col 3,5.8).
180 Niceta Stetato, Centurie, 3, 10, PG 120, 957D-980A.
181 Gregorio Palamas, Omelia 31, PG 151,388C.
182 Giovanni Crisostomo, La verginità, 15, P G 48,545; cf. Id., All’Impera­
tore, 1, PG 63, 474B: «Ti accorgi che nulla c’è in quella vita a simboleggiare
questa? Né le arti e il commercio, né le costruzioni e le vesti e i calzari, né i tet­
ti e le mense, né il dolore e la tristezza e la morte, né alcunché dei nostri pati­
menti: solo luminose prospettive e varchi festosi»; Omelie sulla prima Lettera
ai Corinzi, Omelia 17,3, P G 61, 143: «Adamo non aveva bisogno di vesti né di
dimore né di alcun altro strumento»; La verginità, 14, PG 48, 544; Omelie sul­
la Genesi, Omelia 16,1-5, P G 53,126-131.
All’infuori di queste affermazioni, in altre sue opere (cf. per esempio Le
statue, 19,1, PG 49,188; Omelie sulla seconda Lettera ai Corinzi, 15,3, PG 61,
506), Giovanni Crisostomo parla di un’attività e di certe arti che Adamo eser­
citava in paradiso già anteriormente alla caduta. Da quanto ci è dato di sapere,
la migliore indagine nei confronti di questa apparente contraddizione è stata
condotta in un lavoro di prossima pubblicazione, che l’autore ha avuto la gen­
tilezza di mettere a nostra disposizione: I. Lappas, L ’insegnamento di Giovanni
Crisostomo riguardo al lavoro (Analecta Blatadon), cap. 3, paragrafo 2: «L a de­
rivazione delle arti» [in greco]. Si veda anche più avanti, atta nota 189, una no­
stra proposta per la soluzione dell’apparente contraddizione di cui parliamo.
183 Gregorio di Nissa, A Placilla, PG 4 6 ,888D-889A.
184 Gregorio Nazianzeno, Omelia 45, la Santa Pasqua, 8, PG 3 6 ,632C.
185 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Gre­
gorio il Teologo, PG 9 1 ,1352B-1356A.
186 Cf. Gregorio Nazianzeno, Omelia 7, 23, PG 23, 785C: « ... affinché
tutti diventiamo uno in Cristo... affinché non ci siano maschio e femmina, bar­

ili»
baro e Scita, schiavo e libero: connotati tutti, questi, della carne, ma che portia­
mo in noi solo il modello divino, dal quale e per il quale siamo stati fatti, e sia­
mo stati formati e modellati in modo tale, da essere da lui solo riconosciuti».
Cf. Evagrio Pontico, Capitoli gnostici, 1, 63, PG 40,1237.
187 Epifanio di Cipro, Panarion, 70, PG 42, 344B: « L ’uomo non ha perso
la condizione di immagine; ha semplicemente reso lurida la sua condizione di
immagine, imbrattando se stesso con varie azioni e con peccati irreparabili»;
cf. Gregorio di Nissa, Le beatitudini, PG 44, 1272A e Id., La verginità, 12, PG
4 6 ,373C.
188 Giovanni Crisostomo, Commento al Salmo 8, 7, P G 55, 118; cf. Id., Le
statue, Omelia 11, 4-5, PG 49,124-126.
189 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 29, 3, PG 53, 264-
265; cf. Id., Omelie sulla Genesi, Omelia 20, 2, PG 53, 168. In questa ottica
crediamo che sia risolta l’apparente contraddizione che si riscontra presso Cri­
sostomo riguardo alla derivazione delle arti (cf. sopra, nota 182). Le tuniche di
pelle non sono indipendenti dalle potenze iconiche che l’uomo possedeva an­
teriormente alla caduta: esse costituiscono una funzione rivestita di materia­
lità, delle sue potenze anteriori alla caduta. L ’uomo doveva realizzare in para­
diso un’opera (abbiamo visto una descrizione di essa in Massimo il Confesso­
re) e la realizzazione di quest’opera costituiva una specie di arte: un’arte che,
ovviamente, era di qualità diversa da quelle attuali, ed era esercitata dall’uomo
a un altro livello e verso un’altra direzione. E significativo il fatto che Giovan­
ni Crisostomo parli di quest’arte e di questo lavoro rivolgendosi soprattutto ai
monaci {Le statue, 19, 1, PG 49, 188; Commento al Vangelo di Matteo, 68, 3,
P G 58, 643), che, com’è noto, hanno il compito di percorrere a ritroso il cam­
mino di Adamo: purgare le tuniche di pelle ed elevare le funzioni della loro
esistenza alle funzioni iconiche anteriori alla caduta.
190 Gregorio Nazianzeno, Omelia 14 (L ’amore verso ipoveri), 20, PG 35,
844AB: cf. Massimo il Confessore, Questioni filosofiche e teologiche (Su vari
luoghi difficili dei santi Dionigi e Gregorio il Teologo)·, cf. Gregorio di Nissa, Su
coloro che soffrono, PG 46, 524BCD e l’importante analisi di questo testo in J.
Daniélou, Les tuniques depeau, pp. 359-362.
191 Massimo il Confessore, A Talassio, 61, PG 90, 628.
192 Cf. J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique, pp. 58-59: «Aussi
aboutissons-nous à une conception de l’homme très particulière, inverse de
celle de la théologie occidentale. Dans celle-ci on nous présente un homme
“naturel”, à qui la gràce est surajoutée: par suite, le danger est celui d’un hu-
manisme fermé, qui exclut le surnaturel. Dans la perspective de Grégoire,
c’est l’inverse qui est vrai: ce qui est primitif, c’est “l’image de Dieu” et c’est
l’homme “naturel” qui est surajouté». Cf. ibid., anche la p. 50.
193 Agostino, Enchiridion sive de fide, spe et charitate, V ili, 27-IX, 29. Cf.
J. Rivière, Le dogme de la Rédemption chez saint Augustin, Paris 19333; T.J.
van Bavel, Recherches sur la Christologie de saint Augustin, Fribourg (Suisse)
1954; P. Bergauer, Des Jacobusbrief bei Augustinus und die damit verbundenen
Probleme der Rechtfertigungslehre, Wien 1962. E chiaro che la tesi di Duns
Scoto (cf. sopra, nota 51) è agli antipodi della tesi di sant’Agostino. Non ci in­
teressa qui di esaminare fino a che punto la tesi del primo risulti conseguenza

124
inevitabile di quella del secondo. Crediamo tuttavia che entrambi questi autori
cadano nell’errore fondamentale di attribuire a Dio una intenzione impostagli
dal mondo creato. Questo errore può condurre alla disistima del mondo (qua­
lora si voglia ammettere che il mondo, in quanto radicalmente impotente, si
trovi unilateralmente di fronte alla esclusiva e assoluta disponibilità di Dio) o
alla sopravvalutazione di esso (qualora il mondo si voglia considerare capace-
di imporre a Dio l’Incarnazione). Nel prosieguo del nostro lavoro mostriamo,
molto brevemente, le conseguenze cui conduce la disistima del mondo. Conse­
guenza inevitabile della sopravvalutazione di esso è, crediamo, una concezione
secolarizzata sia dell’Incamazione (cristologia generalizzata), sia di Dio stesso.
Per le conseguenze cui porta questa concezione, si vedano, tra l’altro, anche i
seguenti testi: G. Vahanian, The Death ofGod. The Culture ofO ur Post-Chri-
stian Era, New York 1961; P.M. van Buren, The Secular Meaning o f thè
Gospel, New York, 1963; J.A.T. Robinson, Honest to God, London 1963; D.
Sòlle, Stellvertretung. Ein Kapitel Theologie nach dem «Tode Gottes», Stuttgart
1965; Th.J.J. Altizer, The Gospel o f Christian Atheism, Philadelphia 1966;
Th.J.J. Altizer, Towarda New Christianity, New York 1967, ecc.
194 Più propriamente avremmo dovuto dire: le arti, come noi oggi cono­
sciamo questa realtà. Cf. sopra, nota 189.
195 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 29, 3, PG 53, 264;
cf. anche ibid., Omelia 20, 2, P G 53,168.
196 Giovanni Crisostomo, Le statue, Omelia 11, 4, P G 49, 124. Riteniamo
utile presentare ancora alcuni brani di quest’opera di Giovanni Crisostomo,
per rivelare con quanto discernimento ed entro quale luce i santi vedano le
molteplici funzioni della vita: « ... L ’aquila è dotata di ali leggere, ma io di­
spongo di intelligenza e di altre capacità, tramite cui posso abbattere e sotto­
mettere tutti gli animali... E, tra gli animali, alcuni sono più forti e altri più
belli; alcuni ci rallegrano, altri ci nutrono, altri ci vestono: il pavone, ad esem­
pio, ci rallegra; le galline e i maiali ci nutrono, le pecore e le capre ci vestono,
mentre i buoi e gli asini ci aiutano. Ci sono poi alcuni animali che non hanno
tali utilità, ma sviluppano le nostre forze: le belve feroci, ad esempio, fanno ac­
crescere la forza dei cacciatori... Inoltre, gli animali hanno le armi sul loro
corpo, come il bue ha le corna, il cinghiale ha i denti, il leone gli artigli; Dio,
invece, non ha dotato di armi la natura del mio corpo, ma le ha poste fuori di
esso, volendo significare che l’uomo è un animale mansueto, al quale le armi
non sono costantemente indispensabili: infatti, alcune volte le depongo, altre
le utilizzo...»: ibid., PG 49,125.
197 Cf. Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 29, 3, PG 53,
264; cf. Omelie sul Vangelo di Matteo, Omelia 49, 40 PG 58,501: «organizzare
la nostra vita per mezzo delle arti».
198 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 27, 1, PG 53, 240.
Su questa verità Giovanni Crisostomo torna ripetutamente: cf. Th. Zissis, Uo­
mo e mondo nell’economia di Dio secondo Giovanni Crisostomo [in greco], Sa­
lonicco 1971, pp. 133-188: sotto il titolo generale «Aggiunta di nuovi beni»,
sono qui esaminati gli innumerevoli doni che Dio ha elargito all’uomo dopo la
caduta (matrimonio, arti, mestieri, ecc.).
199 Giovanni Crisostomo, Commento al Salmo 8, PG 55,119.

125
200 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 29, 3, P G 53, 264-
265.
201 Giovanni Damasceno, he sacre immagini, 16, P G 9 4 ,1245C; cf. Massi­
mo il Confessore, Capitoli sull’amore, 3, 4, PG 90, 1017CD: «Non sono un
male i cibi, ma la ghiottoneria; non la procreazione, ma la fornicazione; non i
soldi, ma l’avidità del denaro; non la gloria, ma la vanagloria. Se quindi è così,
nulla di male c’è tra le cose, all’infuori del cattivo uso di esse».
202 Giovanni Crisostomo, Le statue, Omelia 2, 5, P G 49, 42; cf. Id., Ome­
lie sulla seconda Lettera ai Corinti, 19, 3, P G 61, 534: «Superfluo è ciò che si
ha oltre il necessario. Quando, non possedendo una determinata cosa, siamo
egualmente in grado di condurre una vita sana e dignitosa, vuol dire che l’otte­
nimento di essa è superfluo». Cf. Th. Zissis, Uomo e mondo nell’economia di
Dio secondo Giovanni Crisostomo [in greco], Salonicco 1971, pp. 151-161.
203 Dopo la prima parte del libro (immagine di Dio) e la seconda (tuniche
di pelle), sarebbe naturale studiare la restaurazione delle tuniche di pelle in
funzioni della condizione di immagine e la loro trasformazione in sensazioni e
funzioni del Corpo di Cristo, che si può ottenere con l’ascesi, la preghiera e i
sacramenti. In altri termini, sarebbe più naturale studiare prima gli importan­
ti argomenti patristici concernenti «le sensazioni spirituali» e la «inabitazione
di Cristo» nell’uomo, per poi affrontare l’argomento delle tuniche di pelle,
intese come ponte gettato dalla Chiesa verso la realtà del mondo. Poiché,
però, quest’ultimo argomento è d ’importanza cruciale ed è molto urgente per
il giorno d’oggi, abbiamo preferito anticiparne la trattazione. Lo studio degli
altri due argomenti è affrontato nei due saggi che seguono, ed è svolto in rife­
rimento a due ambiti ben precisi della nostra tradizione. Un lavoro sintetico,
relativo all’intera tradizione patristica circa l’insegnamento dell 'immagine e
delle tuniche di pelle nel modo in cui esso è stato qui affrontato, resta ancora
da farsi.
204 Gregorio di Nissa, Il Cantico dei Cantici, Om. 11, PG 44, 1005A. Cf.
Id., A Placilla, PG 46, 889C: «H a indossato Cristo: questi è effettivamente
l’abito regale e onorevole». Quanto è stato detto sopra induce alla formulazio­
ne della fondamentale considerazione secondo cui non è di per sé sufficiente il
corretto uso delle tuniche di pelle; piuttosto, occorre che esso contribuisca al­
lo sviluppo delle stesse, perché solo così la vita semplicemente umana si eleva
a vita teantropica e conduce al Regno di Dio. I beni hanno lo scopo di condur­
re a ciò che è realmente bene. In questa prospettiva, occorre segnalare come
san Giovanni Crisostomo completi il suo insegnamento concernente le arti,
definendo anche i loro limiti. Questo secondo aspetto dell’insegnamento cri-
sostomico deve essere preso in seria considerazione (cf. I. Lappas, L ’insegna­
mento di san Giovanni Crisostomo concernente il lavoro, paragrafo: «Il limite
dell’arte» [in greco]).
205 Giustino, Apologia seconda a favore dei cristiani, 13, PG 6, 465C.
206 Abbiamo cercato di affrontare in modo più specifico alcuni degli argo­
menti qui trattati nei seguenti lavori: Ortodossia e politica: tre presupposti biblici
[in greco], in Testimonianza di Ortodossia, Atene 1971; Uomo e teantropo [in
greco], in «Klironomia», 3 (1971), pp. 111-124; I giovani e iproblemi dell’Orto­

126
dossia [in greco], Atene 1971 (estratto); La pietra della Tomba {Studio sull’espe­
rienza personale della Risurrezione di Cristo) [in greco], in Christianikòn Sympo-
sion, Atene 1972 (estratto); Il Santo e Grande Sinodo della Chiesa Ortodossa.
Considerazioni su una sua preparazione e visualizzazione [in greco], Salonicco
1972; La Madre di Dio e l’umanesimo teocentrico [in greco], Salonicco 1973
(estratto); La Morte di Dio e la risunezione dell’uomo [in greco], Atene 1975
(estratto); Per un ecumenismo ortodosso. Introduzione all’opera omonima di D.
Staniloae [in greco], Pireo 1976; La dottrina cristiana ortodossa riguardo all’in­
segnamento della religione [in greco], Atene 1977 (estratto); Sacerdoce royal. Es­
sai sur le problème du laìcat, in «Klironomia», 8 (1976), pp. 149-162; Les chré-
tiens dans un monde en création, in «Contacts», 99 (1977), pp. 198-217; L ’Égli-
se dans un monde en mutation, in «Contacts», 103 (1978), pp. 231-236; Témoi-
gnage et Service. Propositions pour un congrès, in «Service Orthodoxe de Pres­
se», 36 (1979), pp. 15-17; Il contesto tecnologico occidentale della vita e la Chie­
sa Ortodossa [in greco], in «Epoptéia», 38 (1979), pp. 713-719.
LA VITA SPIRITUALE IN CRISTO
Studio sull’antropologia cristocentrica
di Nicola Cabasilas
Tutta l’opera di Nicola Cabasilas ha per argomento la vita
spirituale. Ciò che rende particolarmente interessanti i testi di
questo mistico bizantino è che, contrariamente alla gran parte di
analoghi testi patristici, essi non descrivono le varie tappe della
vita spirituale né trattano dei metodi e dei mezzi (pentimento,
ascesi, purificazione, ecc.) tramite cui essa si ottiene, bensì, dan­
do per scontata la conoscenza di tutto ciò, studiano la natura
stessa della vita spirituale.
Cabasilas, infatti, esaminando il significato della vita sacra­
mentale, eucaristica e ascetica (ne La vita in Cristo e Spiegazione
della Santa Liturgia), il significato della devozione alla Vergine
(nelle sue omelie Sulla Madre di Dio) nonché il significato della
vita di alcuni illustri santi, di alcune festività centrali della Chiesa
e di determinate funzioni importanti della vita sociale (nelle ri­
manenti omelie), presenta la struttura cristologica ed ecclesiolo­
gica della vita spirituale in Cristo. Da questo punto di vista, il
suo contributo alla teologia ortodossa fa progredire Vantropolo­
gia cristologica.
Di conseguenza, uno studio analitico dell’insegnamento mi­
stico di questo teologo bizantino potrebbe intitolarsi: La vita spi­
rituale in Cristo secondo Nicola Cabasilas (Contributo a una an­
tropologia ortodossa in Cristo). Come schema generale, lo studio
in questione si potrebbe dispiegare nei seguenti capitoli: 1 . 1 pre­
supposti della vita spirituale (La salvezza in Cristo); II. La natura
della vita spirituale (La vita in Cristo); III. 11attuazione della vita
spirituale (La cristificazione dell’uomo mediante la comunione
con Cristo); IV. I frutti della vita spirituale (La trasformazione

131
del creato in Chiesa, nel suo essere in Cristo): una concisa sintesi
di tale studio è offerta nelle pagine che seguono (43).

I.
I PRESUPPOSTI DELLA VITA SPIRITUALE

Come la vita fisiologica, così pure quella spirituale, per esi­


stere, abbisogna di un genitore. Per questo motivo - sostiene Ca-
basilas - prima che la beata carne del Nuovo Genitore dell’uma­
nità fosse concepita nel ventre della Vergine Maria mediante lo
Spirito Santo, nessuno era in grado di condurre una vita spiri­
tuale: «A nessuno era concesso condurre una vita spirituale, prima
che questa beata carne (di Cristo) fosse concepita» (596B).
Nemmeno Adamo anteriormente alla caduta aveva questa
possibilità, perché la sua natura creata era differente dalla natura
di Dio e si trovava in una certa distanza da questa: «L a natura di
Dio faceva differire la natura di Adamo in tutto, senza che nulla
avesse di comune con essa». E ciò, perché «Egli solo è Dio, men­
tre la nostra natura è solo uomo» (572A).
Non v’è dubbio che Adamo era stato creato a immagine di
Dio. Nella misura della condizione di immagine, Adamo aveva ri­
cevuto il soffio dello Spirito ed era stato oggettivamente elevato
alla condizione di «essere vivente» (Gn 2, 7). Ma la sua vita non
era ancora completamente spirituale: e cioè non s’immedesimava
con la vita stessa dello Spirito, la quale fu vissuta dalla beata car-

(43) Le opere di Cabasilas La vita in Cristo e Spiegazione della santa L


gia sono state edite nella Patrologia Graeca del Migne, voi. 150. La prima ope­
ra si trova nelle coll. 493-726, la seconda nelle coll. 368-492. In seguito, faccia­
mo rinvio ad esse segnalando solo il numero delle colonne. Le Omelie sulla
Madre di Dio sono state edite nella collana «Sulle Fonti», n. 2 (Apostoliki
Diakonia), col titolo: La Madre di Dio: nel rinviare ad esse, indichiamo l’opera
con una Θ seguita dal n. di pagina. Riguardo alla rimanente produzione lette­
raria di Cabasilas, come pure alla sua vita e alla sua collocazione nel contesto
storico del sec. XIV, cf. P. Nellas, Introduzione allo studio di Nicola Cabasilas
[in greco], Atene 1968. Alcune omelie, particolarmente interessanti, sono state
edite da V. Pseftongas, Sette omelie inedite di Nicola Cabasilas [in greco], Sa­
lonicco 1976.

132
ne del Nostro Signore, e che, durante la Pentecoste, è stata data
agli uomini nella carne di Cristo: la Chiesa. Come abbiamo visto
esaurientemente, prima della caduta l’uomo aveva il compito di
rendersi degno di ricevere l’unione ipostatica, riconoscendovi il
suo vero essere e la pienezza della sua vita spirituale.
Con la caduta, la distanza e la differenza esistenti tra la na­
tura umana e quella divina hanno assunto dimensioni drammati­
che. L’uomo, preferendo vivere non in base alla vita che il soffio
di Dio gli donava, ma in modo autonomo, diede esistenza e vita
al peccato, che è per sostanza inesistente.
Conseguenza inevitabile di questa autonomia, che costitui­
sce la radice del peccato, sono le azioni peccaminose, che, secon­
do Cabasilas, celano dentro di sé due elementi: l’azione stessa e il
trauma (536A-537B). L’azione peccaminosa produce il trauma-
patimento; quest’ultimo va fortemente in cerca della consolazio­
ne del piacere, che, a sua volta, è risultato dell’atto peccaminoso.
Così si crea l’abitudine (héxis) del peccare, che riveste l’uomo a
mo’ di seconda natura. In quanto seconda natura, il peccato av­
volge l’uomo con le sue tenebre, lo inabissa nelle profondità
delYoblio (413C), lo rende invisibile (Θ 64). L’immagine si offu­
sca, l’aspetto e la forma specifica dell’uomo si corrompono e, se­
condo l’espressione di Cabasilas stesso, la natura umana decade
«a mo’ di materia senza aspetto e senza form a» (537D).
Il susseguirsi delle azioni peccaminose (necessità e soddisfa­
zione di esse col ricorso al peccato; passioni, e soddisfazione di
esse col ricorso al piacere) instaura una certa concatenazione di
avvenimenti nel mondo esteriore e di sensazioni nell’uomo, che
danno l’impressione di essere vita, mentre in realtà null’altro so­
no se non occultamento della mancanza del reale vivere. E que­
sta è la morte spirituale: «Ecco come il peccato risulta senza fine:
l’abitudine genera le azioni peccaminose, e l’accumularsi di que­
ste fa crescere l’abitudine. In questi due mali, che causano vicen­
devolmente il loro accrescimento, “il peccato vive mentre io so­
no morto”» (536B) (44).
Tuttavia questa impressione di vivere, di cui stiamo parlan­
do, non è pura e semplice invenzione. Anche dopo la caduta, la

(44) Cf.: «Il peccato era in vita, e non poteva sorgere per noi la vita e
na» (513 A).

133
«materia» umana in quanto tale ha continuato ad essere organiz­
zata e viva, animata e razionale, perché così l’ha creata Dio: e
nessuno è in grado di distruggere ciò che Dio crea. In questo
senso, l’uomo seguita ad essere reale, a vivere, a muoversi, a
creare nell’universo. Ma la sua vita e il suo agire non sono più
che funzioni biologiche. Le sue «potenzialità di vivere», di cui
era stato dotato e che fino a un certo punto erano spirituali, si
materializzarono, s’imprigionarono nella materialità e, anziché
elevarsi a «sensazioni spirituali», decaddero a semplici funzioni
biologiche psicosomatiche, a «tuniche di pelle». Così, quando
sopravviene la stanchezza fisiologica e il ciclo biologico dell’or­
ganismo umano si conclude, il corpo smette di alimentarsi e di
respirare - funzioni, queste, tramite cui si conservava in questa
vita corruttibile -, si in-abilita a sostenere l’uomo e muore. E
questa è la morte naturale (45).
Da quanto abbiamo detto risulta chiaramente che le realtà
che separano l’uomo da Dio e che ostacolano la vita spirituale
sono tre: la natura, il peccato e la morte.
Tutte queste realtà, però, «sono state successivamente elimi­
nate dal Signore: la natura è stata eliminata con la Sua partecipa­
zione alla vita, il peccato è stato eliminato con la Sua morte sulla
croce e, per quanto riguarda il terzo impedimento, egli eliminò del
tutto la tirannide della morte con la Sua risurrezione» (572CD). E
così, «una volta eliminati tutti questi impedimenti, nulla più impe­
diva che lo Spirito Santo si riversasse su ogni carne» (572C).
Il modo con cui Cristo ha vinto questi tre impedimenti, co­
me pure il significato che ha questa vittoria per la manifestazione
della vera natura dell’uomo, del suo reale vivere e delle sue di­
mensioni reali, sono studiati da Cabasilas in modo approfondito
ed esauriente:
Con la nascita della «carne beata» del Signore si compie
l’unione delle due nature fino ad allora «disunite», è abrogata la

(45) Oltre alla prigionia nella corruzione, il peccato comporta anche


conseguenze: esso è «debolezza» per l’uomo, «anarchia» per il creato, « schia­
vitù» nei confronti del diavolo, « tracotanza» (hybris) e «ostilità» contro Dio.
Tutti questi mali, come pure i modi con cui Cristo ci ha liberati da essi, sono
trattati in un nostro libro dal titolo: L ’insegnamento di Nicola Cabasilas circa la
giustificazione dell’uomo [in greco], Pireo 1975. Perciò, in questo primo para­
grafo, siamo molto schematici. --

134
distanza che le separa, dato che la comune Ipostasi «annulla la
distanza che separa il divino dall’umano, essendo essa termine
comune di entrambe le nature» (572B), ed è eliminata anche la
differenza delle nature, dal momento che Cristo, con la sua na­
scita, «congiunse alla sua natura l’intero genere umano» (681A).
L’unione ipostatica (46) ricrea l’uomo e completa il suo essere
iconico anteriore alla caduta. Perciò, il concepimento della «car­
ne beata» del Signore inaugura la nuova ontologia dell’uomo, e
Cristo si rivela come il reale genitore della nuova umanità.
Mediante la sua santa esistenza, la sua attività filantropica e i
suoi miracoli soprannaturali, Gesù Dio-uomo rivela Dio al mon­
do, poiché è Dio che opera, e, contemporaneamente, rivela la ve­
ra natura dell’uomo, poiché tutte le sue azioni si compiono me­
diante la sua natura umana creata.
Con la passione, le piaghe e il sacrificio sulla croce della beata
carne del Signore, il peccato e il dominio del diavolo sull’uomo
sono annientati, la natura umana si libera dalla sua avversione a
Dio e dalla schiavitù al diavolo, è guarita e restituita alla sua bel­
lezza primigenia, è redenta. Le piaghe del Signore si trasformano
in suoi medicamenti: «D a quando (Cristo) s’innalzò sulla croce e
morì e risuscitò, fu restituita la libertà agli uomini e si ristabiliro­
no la sua forma e la sua bellezza» (537C).
Con la risurrezione della beata carne del Signore, la natura
umana è stata liberata dalla schiavitù della corruzione e dalla
morte. Con la sua nascita, il Signore prese su di sé la corruzione
iniziatasi con Adamo, e proprio per questo morì (680B). La mor­
te del Signore non è solo conseguenza della crocifissione; essa
costituisce il fine ultimo dell’incarnazione. Nel soccombere,
però, insieme con la natura umana da lui assunta e tramite di es­
sa alla morte, il Lògos ha rigenerato l’uomo e lo ha reso incorrut­
tibile. Come la natura umana è stata redenta sulla croce dal pec­
cato con il sangue del Signore, così pure con la deposizione nella
tomba delle tuniche di pelle, vale a dire della condizione morta­
le, l’uomo è stato purificato dalla condizione mortale in modo or­
ganico. Ché, con la sua sepoltura di tre giorni, il Signore pagò
letteralmente alla terra il debito di Adamo, restituì ciò che con la
sua caduta questi ne aveva tratto: la «carne offuscata» (493B), le

(46) Vedi Lessico.

135
tuniche di pelle, la sua complessione e struttura biologica. E
rifondendo la natura umana a mo’ di «statua» (540C) distrutta e
corrotta, Cristo l’ha risuscitata nuova, spirituale, incorruttibile.
Con la sua risurrezione, il corpo realmente umano di Gesù si è
reso e si è manifestato «corpo immortale» (645D) e « spirituale»
(645C), libero dalle limitazioni spaziotemporali, naturalmente
dotato di nuove sensazioni e funzioni spirituali: «Fin dall’origine
la natura bramava l’immortalità. Questa però sopraggiunse po­
steriormente, con l’incarnazione di Nostro Signore: con la risur­
rezione del suo corpo alla vita eterna, egli diede inizio all’immor­
talità del genere umano» (680C).
Così, la risurrezione della beata carne del Signore, in cui
funzionano le nuove sensazioni spirituali teandriche (la vista spi­
rituale, il sapore spirituale, l’udito spirituale, ecc.), forma il nuo­
vo «modello» dell’umanità. La risuscitata beata carne del Signo­
re costituisce la realizzazione e rivelazione dell’uomo perfetto,
del Diouomo: «Primo e solo il nostro Salvatore ha rivelato, me­
diante tutta la sua vita, qual è il vero e perfetto uomo» (680C).
Pertanto, la beata carne del Signore è precisamente la Chie­
sa. Con la venuta dello Spirito, infatti, il «Corpo dominicale» è
stato rivelato come Chiesa e, da allora, costituisce lo spazio entro
cui è vissuta da parte dei fedeli la nuova vita spirituale ed entro
cui si concretizza la salvezza. In questo organismo del Corpo do­
minicale, la vita spirituale del Capo raggiunge tutte le membra e
le vivifica. In questo senso, la formazione defla Chiesa costituisce
il secondo presupposto della vita spirituale, e la Chiesa si mani­
festa come la seconda dimensione della salvezza. Cristo non è
semplicemente un redentore che, dopo aver redento gli uomini,
li abbandona poi a se stessi, affidando loro il suo sapiente inse­
gnamento: molto più radicalmente, egli crea per gli uomini uno
spazio di azione nuovo. E questo spazio è il Suo corpo.

Che l’uomo conosca Dio e sintonizzi la propria volontà con la


Volontà di Dio: questo è il terzo presupposto della vita spirituale
e la terza dimensione della salvezza. La conoscenza di Dio illu­
mina l’uomo e l’amore lo vivifica. Mediante la retta conoscenza e
l’amore spontaneo, l’uomo può in Cristo elevarsi dalla condizio­
ne di immagine all’Immagine stessa: in altri termini, egli può rag­
giungere la Somiglianza.

136
II.
L a NATURA DELLA VITA SPIRITUALE

Cabasilas approfondisce ulteriormente la vera natura del­


l’uomo analizzando la natura della vita spirituale.
La vita dell’uomo differisce radicalmente dalla vita degli al­
tri animali che popolano la terra. L’uomo plasmato a immagine
di Dio è per sua costituzione munito delle inalienabili proprietà
d’intelletto e di libero arbitrio e, quindi, egli può creare un mon­
do proprio: un mondo comune a tutto il genere umano, e cioè la
civiltà, e un mondo individuale, che le persone dotate sviluppa­
no nel loro intimo. A questo secondo livello, la vita può essere
«interiore», come ad esempio l’immaginazione di un artista o di
un filosofo, e può chiamarsi «spirituale», nel senso che essa è at­
tuata mediante le facoltà più elevate e «non materiali» dell’orga­
nismo umano: la mente, Π sentimento, l’immaginazione. Pertan­
to, una tale vita «interiore» o «spirituale», benché non stretta-
mente corporea e malgrado la grandezza e ricchezza da Dio con­
cesse a questi confini biologici, resta senza dubbio entro l’ambi­
to biologico. E per quanto possa elevarsi il mondo psichico
dell’uomo, esso, funzionando autonomamente, non può raggiun­
gere la realtà di Dio e vivere la vita dello Spirito. La vita «spiri­
tuale», quindi, di cui stiamo parlando, nulla ha a che fare con la
vita spirituale cristiana.
D ’altra parte, avendo l’uomo ben radicata dentro di sé la
consapevolezza di essere una creazione, egli può formarsi un
mondo in cui sia seriamente posto il problema dell’esistenza di
Dio, e che sia strutturato con leggi e comandamenti in prospetti­
va di Dio. A questo livello, la vita si chiama «religiosa». Poiché
però questa vita è semplicemente strutturata in vista di Dio e
non ancora concepita come unione con Dio, nemmeno questa
può chiamarsi «spirituale». La vita spirituale, infatti, non è una
vita regolata in base a leggi e comandamenti: piuttosto, è una vi­
ta di amore e di eros verso Dio, di partecipazione, congiunzione
e fusione con Dio.
Quindi: quand’anche l’uomo riuscisse ad elevarsi al sommo
grado della vita «interiore» o «spirituale» o «religiosa», egli non
potrà comunque considerarsi uomo spirituale: ed è molto signifi-

137
cativo che san Paolo chiami questo uomo «psichico» ( 1 Cor 2,
14). Dal punto di vista ontologico, questa constatazione significa
che l’uomo non può considerarsi completo e vero, e ciò perché
l’unione dell’uomo con Dio non è qualcosa di complementare,
bensì un elemento costitutivo dell’uomo: rappresenta l’elemento
fondamentale del suo essere. L’uomo, per essere veramente uo­
mo, deve diventare ciò per cui egli è stato plasmato.
Cabasilas sostiene in modo categorico che l’uomo è stato
creato a immagine di Cristo. Cristo è veramente «generato prima
di ogni creatura» (Col 1, 15), l’Archetipo e la Finalità di Adamo
(680AB). La natura umana è stata creata a immagine di Cristo,
affinché il Lògos potesse riceverne la Madre e potesse introdursi
come uomo nell’universo (Θ 150-152), e Dio divenisse realmente
Diouomo e, per grazia e partecipazione, anche l’uomo divenisse
diouomo. E questi è effettivamente l’uomo compiuto.
Adamo è stato il «modello» naturale dei suoi discendenti.
Con la loro nascita biologica, gli uomini portano le sembianze
adamiche, l’aspetto, la vita, le funzioni biologiche psicosomati­
che di Adamo. Col suo divenire uomo, con la sua sepoltura e ri­
surrezione, il Lògos demiurgo rifuse e rimodellò in sé il modello
adamico, plasmò un nuovo «modello» spirituale d’uomo. Egli fu
il Nuovo Adamo, il Genitore nuovo dell’umanità, il Padre del se­
colo futuro (541A): «Quello (Adamo) introdusse la vita imper­
fetta, che necessita di mille aiuti, mentre questi (Cristo) divenne
per gli uomini il Padre di vita immortale» (680C).
Cabasilas paragona la vita presente con la «vita nell’oscurità
e nella notte» che conduce l’embrione nel ventre materno, pre­
parandosi alla nascita: «Come infatti la natura prepara l’embrio­
ne, che vive nell’oscurità e nella notte, per una vita alla luce, e, in
base a leggi stabilite, esso è formato per ricevere la vita futura,
così pure accade anche nei confronti dei santi... Questo mondo
gestisce nelle doglie l’uomo interiore e nuovo, che è formato in
base ai comandamenti di Dio, e, dopo essere in questo mondo
plasmato e formato, egli nasce perfetto in quel mondo perfetto e
imperituro. E questo è quel che san Paolo dice nella sua lettera
ai Galati (4, 19): “Figli miei, per i quali io soffro di nuovo i dolo­
ri del parto, finché non sia formato in voi il Cristo”» (496BC).
Questa vita costituisce «l’inizio della vita futura»; qui avviene
« l’approvvigionamento delle nuove membra e delle nuove sensa­

138
zioni» e « la preparazione alla vita futura». E questa preparazione
non può realizzarsi se non con il nostro amalgamarci al Corpo di
Cristo, appropriandoci del suo modo di vita e delle sue sensazio­
ni e funzioni: «Come non è possibile condurre questa vita uma­
na senza far ricorso alle sensazioni di Adamo e alle sue potenzia­
lità di vita propriamente umane, così pure non sarà a noi possi­
bile partecipare alla vita beata, senza essere preventivamente
preparati alla vita di Cristo e formati a sua immagine»
(541 A) (47).
Questa constatazione rivela che il vero uomo nasce con la
sua nascita in Cristo, che la nascita biologica costituisce prepara­
zione della reale nascita di Cristo. Quest’ultima è di molto supe­
riore alla prima, perché genera l’uomo in una vita ed esistenza
unite con Dio, rendendolo effettivamente uomo vero. Abbiamo
già riscontrato questo insegnamento presso san Massimo il Con­
fessore. Nicola Cabasilas lo ribadisce, sottolineandolo e spiegan­
dolo.

Nella nascita naturale, egli scrive, il genitore dà «sperma» e


«inizio» di vita a suo figlio, ma, poi, il modo di vita di ogni sin­
golo uomo fa differire piuttosto che assomigliare ogni figlio ri­
spetto al genitore; nella nascita spirituale, invece, Cristo dà
all’uomo la Sua vita, e questa vita di Cristo è la nuova e vera vita
dell’uomo. Nella nascita naturale, il genitore dà a suo figlio la
possibilità di sviluppare occhi e membra simili ai suoi; nella na­
scita spirituale, invece, Cristo offre all’uomo i suoi occhi e le sue
membra. La nascita naturale è una separazione della madre dal
figlio; la nascita spirituale, invece, è una perenne unione, e se
l’uomo si separa da Cristo, egli muore: «Il sangue con cui ora noi
viviamo è sangue di Cristo, e la (nostra) carne è corpo di Cri­
sto... Comuni sono le membra e comune è la vita». Questo con­
temporaneo possesso delle medesime membra e della medesima
vita, costituisce la reale comunione. Non esiste, infatti, reale co­
munione qualora «un bene posseduto da due persone, ora ap­
partiene alla prima, ora alla seconda». Una tale situazione, «piut-

(47) Cf.: «Che ci possono offrire le sante funzioni? Ci preparano alla


futura. Esse, infatti, sono potenze (dynàmeis) del secolo futuro, come dice Pao­
lo» (688D).

139
tosto che comunione è separazione... Parimenti, non si può dire
che uno coabita nella stessa casa con un altro, se poi non condi­
vide lo stesso tetto». La comunione con i genitori naturali è una
forma iconica di comunione; comunione reale, invece, è solo la
comunione con Cristo, «con il quale e il corpo e il sangue e tutte
le membra sono perennemente comuni». Cristo non ci ha dato la
vita per poi separarsi da noi, come avviene con i nostri genitori,
«ma è sempre presente in noi e unito con noi; e le sue azioni vi­
vificanti e costitutive si esplicano propriamente col Suo essere
presente in noi» (600A-604A) (48).
In questo modo avviene la meravigliosa sintesi secondo cui
l’uomo è persona individuale e libera e, nel contempo, membro
indivisibile del Corpo di Cristo, che funziona con le funzioni di
Cristo: «Nulla desiderano i santi che non sia ciò che è Lui stesso.
Egli è infatti colui c le li genera e li fa crescere e li nutre, ed è per
loro luce e respiro; Egli forma i loro occhi e li illumina e li rende
capaci di vederlo. Egli è Colui che nutre ed è il Nutrimento, è
Colui che offre il Pane della Vita ed è il Pane offerto. Egli è Vita
per coloro che vivono, Profumo per coloro che respirano, Abito
per coloro che desiderano essere vestiti» (500BCD) (49).

Analogamente, nella nascita naturale i genitori danno al lo­


ro figlio un organismo capace di vivere questa vita mortale, men­
tre nella nascita spirituale Cristo crea nell’uomo un organismo
spirituale nuovo (occhi spirituali e orecchi spirituali) con cui
l’uomo possa vivere la vita spirituale. Questo organismo, che
corrisponde precisamente all’uomo nuovo, in quanto spirituale,
non soccombe alla corruzione: sopravvivrà dopo la morte e man-

(48) Quando citiamo lunghi brani di Cabasilas, ne diamo il rinvio alla fine
di essi.
(49) Riportiamo anche il seguito del brano: «Mediante Lui, noi possiamo
camminare, Egli è la Via e, nel contempo, il percorso e la meta. Noi siamo le
membra, Egli è la Testa; nella nostra lotta, Egli combatte accanto a noi, dei
nostri progressi Egli è l’Àrbitro, della nostra vittoria, Egli è la Corona. Sicché,
ogni realtà ritorna a lui: Egli non permette a nessuna cosa di distogliere la no­
stra mente né di distrarre il nostro amore da lui stesso. Dovunque noi indiriz­
ziamo il nostro desiderio, ci troviamo lui davanti a soddisfarcelo; e se ci vol­
gessimo altrove, Lo troveremmo anche lì a riempire quest’altra via. Se salgo al
cielo - dice il salmista [Sai 138, 8-10] - là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti»
(500D-501A).

140
terrà viva l’esistenza umana nella vita eterna. Se noi siamo privi
di questo organismo e di queste facoltà sensitive, con quali occhi
- chiede Cabasilas - vedremo il Sole di giustizia che splenderà
nel secolo futuro? Come parteciperemo alla mensa che sarà of­
ferta? In questo caso, l’esistenza umana sarà morta: «Morti e mi­
serabili abiteremo in quel mondo beato» (496A).
E per sottolineare con maggior incisività la realtà del legame
di Cristo con il credente, egli scrive che questa unione è superio­
re a ogni altra unione immaginabile, e non può esprimersi con
nessun paragone. Ecco perché la Sacra Scrittura fa ricorso a più
paragoni. Il legame di Cristo con il credente è più stretto di quel­
lo esistente tra l’affittuario di una casa con la casa stessa, tra la
vite e il grappolo, tra l’uomo e la donna sposati, tra il corpo e le
membra del corpo. Quest’ultimo paragone è stato reso manife­
sto dai martiri, i quali preferirono farsi privare della loro testa
piuttosto che di Cristo. E Paolo, dal canto suo, preferendo esse­
re scomunicato purché ne tornasse gloria a Dio, ha mostrato che
il vero fedele tiene maggiormente all’unione con Cristo piuttosto
che con se stesso (500A).
È questa comunione di Cristo con l’uomo che libera
quest’ultimo dalla vita e dall’esistenza inermi, dalla deformità,
dall’ invisibilità e daH’ignoranza. Questo presupposto è degno di
attenzione. Affrontando le cose dall’angolazione di Dio, Cabasi­
las non esita a sostenere che Dio «conosce le proprie cose», e
cioè che il Padre conosce il Figlio e che appartiene a questi. Ciò
che non esiste in Cristo, non è «manifesto né noto a Dio». Ma
ciò che è ignoto a Dio è oggettivamente ignoto, non esiste davve­
ro: «Nulla fa parte della verità, se non è manifesto alla luce di
Lui» (525BC).
Con il battesimo, la cresima, la santa Eucaristia e tutte le al­
tre forme di vita spirituale, noi ci amalgamiamo con il Corpo di
Cristo, assumiamo l’essere cristiano, vale a dire l’essere cristo­
centrico e cristomorfico, con le corrispettive forma e vita. In
questo modo, «il Padre... riconosce nei nostri volti lo stesso Vol­
to del Figlio» e «riconosce in noi le membra del Figlio Unigeni­
to» (600B). Così, «essendo noi conosciuti... da Colui che cono­
sce le proprie cose» (525B), daU’invisibilità e dall’oscurità del­
l’oblìo {lethè) usciamo alla luce della verità {a-lètheia). L’uomo
«si trasforma in luce, essendo anteriormente tenebre; ed esiste,

141
nulla essendo·, e prende dimestichezza con Dio e diventa figlio di
Dio, elevandosi, dalla condizione di schiavitù, al trono regale»
(532 A).
Il titolo dell’opera fondamentale di Cabasilas non è casuale.
Per il teologo bizantino, la vita spirituale è precisamente la vita
in Cristo, ovvero la vita di Cristo dentro di noi. La sostanza della
vita spirituale è resa con chiarezza con le parole di Paolo {G al i ,
20) se prese alla lettera: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vi­
ve in me».
Da quanto è stato detto sopra, risulta chiaro che la verità
dell’uomo consiste nel suo teomorfismo o, più precisamente, nel
suo cristomorfismo e nella sua cristocentricità. Di conseguenza,
l’antropologia ortodossa deve cercare di strutturarsi mirando
non solo alla sostanza, ma anche al metodo e alla forma, nella
prospettiva di un’antropologia cristologica. L’antropologia cri­
stiana ortodossa è letteralmente una teoantropologia.

III.
L ’ a t t u a z io n e d e l l a v it a s p ir it u a l e

Posto che l’uomo vero è l’uomo in Cristo e che la vita spiri­


tuale è la vita in Cristo, ne consegue che l’attuazione di quest’ul-
tima non può verificarsi se non con l’unione e la comunione
dell’uomo con Cristo: comunione che, se è totale, è chiamata
dalla tradizione ortodossa divinizzazione (théósis) e che, secondo
Cabasilas, ha come suo reale contenuto antropologico la cristifi-
cazione. Nei cinque capitoli principali della sua opera La vita in
Cristo, Cabasilas spiega che l’unione e la comunione dell’uomo
con Cristo si concretizza nell’«essere» dell’uomo, nel «movimen­
to» che questo essere esplica, nella vita, nella conoscenza e nella
volontà·. «Amalgamarsi con Cristo significa passare e patire tutto
ciò che Cristo ha patito e passato, e divenire ciò che lui è divenu­
to» (521 A).

Con il battesimo, 1’«essere», biologico dell’uomo comparte­


cipa realmente alla morte e alla risurrezione di Cristo. Il battesi­
mo costituisce letteralmente una nuova nascita in Cristo e, in

142
quanto tale, una nuova creazione dell’uomo. Questa nuova crea­
zione, però, non è una creazione ex nihilo né, come avviene nei
confronti del primo uomo, una creazione col ricorso alla materia
preesistente, bensì col ricorso al préesistente essere biologico
dell’uomo.
Come abbiamo visto, rimanendo al di fuori di Cristo, l’esse­
re biologico dell’uomo, l’uomo biologico, resta senza «forma» e
senza «nome»: è materia «amorfa». Spiega questo antropologo
bizantino: quando l’oro e il rame sono versati nel crogiuolo, essi
sono ripuliti delle diverse impurità e, una volta versati nello
stampo, assumono la forma di gioiello o di moneta o di statua:
diventano proprio ciò che erano predisposti a divenire, e solo al­
lora è loro attribuito il nome di ciò che essi sono divenuti. Ante­
riormente a questo procedimento, essi avevano il nome generico
di materia. In modo analogo, l’uomo è immerso nell’acqua del
battesimo a mo’ di «materia senza forma e senza aspetto» e ne
emerge con addosso «l’aspetto bello» di Cristo: «Siamo plasmati
e modellati, e la nostra vita senza forma e indefinita assume for­
ma e aspetto» (525A.537D).

La natura dell’uomo assume la forma, vale a dire la struttu­


ra e funzionalità della deificata natura umana di Cristo. Con la
sua Incarnazione, infatti, Cristo non si è limitato a portare al
mondo la luce, «ma creò anche gli occhi» adatti per vederla; non
solo diffuse il profumo della divinità, «ma diede anche l’olfatto»
adatto per sentirlo: in altri termini, Cristo creò nell’organismo
umano da lui assunto tutte quelle nuove dimensioni e funziona­
lità , tramite cui l’uomo può far propria la vita divina. Con il bat­
tesimo, ogni fedele si unisce con il Corpo di Cristo e fa proprie
tutte queste nuove facoltà e funzionalità spirituali: «La santa im­
mersione concede agli immersi tutte queste potenzialità e facoltà
sensitive» (537D). Sicché, «con la nostra emersione dall’acqua
(del battesimo) noi portiamo nell’anima, nel capo, negli occhi,
nelle viscere e in tutte le membra il Salvatore, immacolato da
ogni peccato e libero da ogni corruzione, così come Egli risu­
scitò e si manifestò ai discepoli e salì in cielo, il quale ritornerà a
rivendicare questo tesoro» (517D).
Questa «congiunzione» e il conseguente «rimodellamento»
delle dimensioni e funzioni biologiche dell’uomo in funzioni del

143
corpo di Cristo non avviene mediante la distruzione delle prime,
ma mediante la loro trasformazione. Cristo, spiega Cabasilas, s’in­
troduce in noi in modo reale, corporeo, attraverso le funzioni bio­
logiche «tramite cui, respirando e alimentandosi, soccorriamo la
vita del corpo» (520A). Cristo fa sua («si appropria» di) queste
funzioni, si amalgama e si mescola inconfondibilmente ma real­
mente con tutte le nostre facoltà psicosomatiche (520A) e, in que­
sta naturale e mistica mescolanza e sotto l’influenza attiva della
sua carne risuscitata, trasforma gli elementi, rigenera e rinnova le
nostre funzioni psicosomatiche in funzioni del suo corpo: «Tra le
forze, quelle superiori impediscono alle inferiori di raggiungere il
loro livello: il ferro trattato col fuoco non conserva nulla di ferro, e
la terra e l’acqua trasformano le loro proprietà in proprietà del
fuoco, quando si espongono ad esso. Se dunque nelle forze della
medesima natura quelle più potenti si comportano così nei con­
fronti di quelle più deboli, cosa bisogna dire nei confronti di Colui
che è al di sopra della natura? È evidente che, quando Cristo si ri­
versa su di noi e si mescola con noi, egli muta e trasforma la nostra
indole nella sua a mo’ di una goccia d’acqua inondata da uno
sconfinato pelago di profumo» (593C). E in un altro punto egli di­
ce: «Essendo mescolato e totalmente amalgamato con noi, Cristo
ci trasforma in suo corpo e diviene per noi ciò che è la testa nei
confronti delle membra» (520A). «E anima e corpo e tutte le fa­
coltà spirituali sono confuse: l’anima con l’anima, il corpo con il
corpo, il sangue con il sangue. E qual è il risultato? Ciò che è su­
periore domina su ciò che è inferiore; le facoltà divine, quindi, do­
minano sulle facoltà umane; e, come dice san Paolo parlando della
risurrezione, “ciò che è mortale è assorbito dalla vita” e “Non so­
no già più io che vivo, ma Cristo vive in me”» (584D).
Quest’ultima frase dell’Apostolo, cui Cabasilas attribuisce
un’importanza particolare, mostra che il rinnovamento e la tra­
sformazione dell’uomo nel battesimo non è solo trasformazione
della sua natura, delle sue dimensioni e funzioni fisiche, ma an­
che rinnovamento della persona umana. Nella sua totalità, l’uo­
mo, che è natura e persona, è rigenerato e, in quanto tale, ricrea­
to. L’uomo è rigenerato spiritualmente «non secondo il san­
gue,... né per volontà d’uomo, ma dallo Spirito Santo di Dio»
(601D). Nell’amalgamarsi con Cristo, l’essere biologico dell’uo­
mo trova la sua vera ipostasi spirituale.

144
La natura umana creata, entro cui si struttura la persona
umana e senza cui questa non è concepibile, si trasforma iposta-
ticamente in Cristo e trova la sua verità, integrità, salute e la sua
vera e totale infinita funzionalità. Parimenti, la persona umana
creata, entro cui si concretizza la natura umana e senza cui que­
sta non è concepibile, si trasforma in Cristo e trova la sua eterna
vera ipostasi in Cristo, il quale è l’unico «essere ipostatico»
dell’uomo (533D). In questo modo, Cristo diviene entro l’uomo
letteralmente («in verità», non come si suol dire con una certa
esagerazione tra amici) un altro se stesso (665A).
Il battesimo ha una molteplice funzionalità: esso purifica
l’uomo dai suoi peccati personali, lo libera dalle catene costruite
per il genere umano dal peccato originale e, ancor più radical­
mente, gli dà un essere ipostatico in Cristo·, il che causa l’elargi­
zione di tutti gli altri doni di questo sacramento. Il battesimo co­
stituisce per l’uomo un avvenimento ontologico, plasma di nuovo
e completa il suo essere creato. Perciò esso costituisce il punto di
partenza di ogni accostamento ortodosso alla problematica
dell’ontologia umana. Il battesimo è, quindi, la «radice», la «fon­
te» e il «fondamento» della vita spirituale.

L’uomo, che nel battesimo ha ricevuto il nuovo essere in


Cristo, trova nel sacramento delYunzione (cresima) il nuovo mo­
vimento in Cristo e la funzionalità di questo suo essere: «Con la
nostra formazione spirituale, siamo stati resi atti a ricevere
l’energia conforme a una tale nascita e il suo corrispettivo movi­
mento·. l’attivazione di ciò si ottiene mediante l’impartizione del
santo unguento (myron) (50)» (569A).
Cabasilas espone il modo con cui si realizza questa attiva­
zione. Egli mette in stretto rapporto la dimensione cristologica e
quella spirituale dell’opera della divina Provvidenza. Scrive in­
fatti: anteriormente all’incarnazione del Lògos, Dio «era l’Un­
guento riposto in se stesso». Quando però il Lògos ha assunto la
natura umana, l’Unguento si riversò in essa e si trasformò in un­
zione. «Poiché la carne beata (di Cristo) è stata formata con l’ac­
cogliere in sé la pienezza della divinità... l’Unguento s’inserì in
essa e, perciò, molto opportunamente è detto, ed è, Unzione»

(50) Vedi Lessico.

145
(569C-572A). Con la sua incarnazione, il Lògos ha unto (51)
l’umanità con la divinità.
Lo Spirito Santo s’introduce attualmente nell’umanità non
come durante la prima creazione, ma in modo personale: «Sta
scritto: Egli allora soffiò un soffio di vita; ora invece Egli ci co­
munica il soffio dello Spirito». Si tratta dello Spirito che muove e
vivifica la beata carne del Signore e si riversa su ogni uomo rige­
nerato, che pone la sua finalità in Cristo: Dio mandò lo Spirito
del Figlio suo nei nostri cuori, il quale grida: “Abbai, Padre!”»
(617B). Il sacramento della sacra unzione costituisce la Penteco­
ste di ogni singolo uomo.
Nell’amministrazione di questo sacramento, lo Spirito atti­
vizza e vivifica le nuove funzioni in Cristo dell’uomo: «Essa
(l’Unzione) rende operanti le energie attive - a chi questa, a chi
quest’altra, a chi più energie - in base alla preparazione che cia­
scuno ha nei confronti di questo sacramento» (569A). Si tratta
dei doni dello Spirito, che nei primi anni del cristianesimo erano
trasmessi ai battezzati con l’imposizione delle mani da parte de­
gli apostoli e che ora si concedono mediante il santo Unguento,
e tramite cui la Chiesa si organizza sotto lo slancio divino. Si
tratta inoltre delle virtù, che sono riflessi degli splendori divini,
dei frutti delle operazioni dello Spirito, trasmesse da questo sa­
cramento agli uomini. Così, i doni, come pure le virtù, si posso­
no intendere a mo’ di modo nuovo e trasformato, con cui opera­
no le sensazioni e funzioni psicosomatiche dell’uomo, per coloro
che pongono come finalità Cristo e si lasciano guidare dallo Spi­
rito. «Si tratta di virtù divine e superiori alla legge umana, poiché
Dio le muove» (576B).

La santa Eucaristia è la vita in tutta la sua completezza:


«Dopo (aver ricevuto) l’Unguento, ci muoviamo verso la mensa,
che è il fine ultimo di questa vita, accostandoci alla quale nuli’al­
tro possiamo inoltre bramare» (581A). Con questo sacramento,
infatti, non solo noi partecipiamo alla morte e alla risurrezione
del Signore rigenerandoci, e non traiamo semplicemente il movi­
mento del nostro nuovo essere: nella santa Eucaristia tutto ciò è
ricapitolato e perfezionato, poiché «portiamo dentro di noi il

(51) Vedi Lessico.

146
(Cristo) risuscitato... il benefattore stesso e la nuova arca, che dà
inizio al ciclo di grazie» (581 A).
«Ciclo di grazie» chiama Cabasilas il ciclo liturgico e sacra­
mentale, l’organizzazione intera della vita della Chiesa, intera co­
me Corpo di Cristo. E, in verità, il Corpo di Cristo - più giusta­
mente: Cristo intero, il Lògos con la carne da lui assunta, insieme
con tutte le opere da lui compiute -, esiste e si offre nell’Eucari­
stia: «(Nell’Eucaristia) noi non riceviamo parte di Lui, ma Lo rice­
viamo tutto intero» (584D). Perciò l’Eucaristia «rende perfetti
anche gli altri sacramenti» (585B).
L’Eucaristia è il centro e la fonte della vita spirituale in Cri­
sto. Qui l’unione con Cristo è totale e completa. L’uomo intero,
in tutte le sue dimensioni e con tutte le sue funzioni e sensazioni
psicosomatiche, si unisce in una profonda unione con Cristo, si
trasforma e si cristifica·. «Questo è il tanto celebrato Matrimonio,
in cui il santissimo Sposo prende la Chiesa come una vergine
sposa... Di questo Sposo noi siamo carne dalla carne e ossa dalle
sue ossa» (593D). La santa Eucaristia rende «Cristo un nostro
bene, da prediligere sopra ogni altro bene naturale» (616C).
«Quale magnifico sacramento! La Mente divina sovrasta la men­
te umana, la nostra volontà si rende Volontà divina, la terra è do­
mata dal fuoco» (585A).
La cristificazione dell’uomo non è una semplice illusione,
che il fedele produce a proprio beneficio. L’uomo non è come se
divenisse membro di Cristo: lo diviene realmente. Cabasilas por­
ta come esempio Paolo, presso il quale tutte le funzioni umane
sono state trasformate in funzioni di Cristo: «Infatti, “noi posse­
diamo il pensiero di Cristo”, dice l’Apostolo ( 1 Cor 2, 16), e “voi
volete la prova che in me parla Cristo” (2 Cor 13, 3), e “credo di
avere anch’io lo Spirito di Dio” (1 Cor 7, 40), e “io vi amo tutti
nel cuore di Cristo Gesù” (FU 1, 8) e, sintetizzando in una sola
frase, “Non sono già più io che vivo, ma Cristo vive in me” [Gal
2 ,2 0 ]» (585A).
Cabasilas cerca di descrivere e spiegare in chiave fisiologica
questa trasformazione, che egli chiama anche «cambiamento»
(716A). Nell’mterpretare la celebre espressione «colui che man­
gia di me vivrà per me» (Gv 6, 57), egli ammette che l’uomo, es­
sendo un essere superiore, può assimilare il pane, il pesce e qual­
siasi altro cibo mangiato; ma questi cibi, egli soggiunge ispiran­

147
dosi ancora a san Massimo il Confessore, non hanno di per sé la
vita e, quindi, non possono vivificare. Essi danno semplicemente
rimpressione di offrire la vita, perché alimentano provvisoria­
mente il corpo, ma, in realtà, concedono al corpo una banale so-
Ejrawivenza, che soccombe alla corruzione ed è orientata verso
a morte. Invece, egli continua, il pane dell’Eucaristia, Cristo, è
veramente vivo, e perciò può offrire realmente la vita. Anzi, es­
sendo assolutamente superiore, egli stesso non è trasformato
quando si offre cibo all’uomo, bensì trasforma l’uomo in ciò che
Egli è: «Qualsiasi cibo - pane o pesce o altro -, quando è man­
giato dall’uomo, si trasforma in sangue umano; nell’Eucaristia,
invece, accade il contrario; il Pane stesso della vita muove colui
che lo riceve trasformandolo in se stesso» (597AB). Così l’uomo
è realmente un membro del Corpo di Cristo, che trae alimento e
vita dalla Testa: «Perché occorre che dalla testa si passi al corpo»
(520A). Questa analisi rende chiaro il senso letterale dell’espres­
sione summenzionata di Paolo. Esse infatti mostrano con chia­
rezza l’asse centrale intorno alla quale ruota l’antropologia di
Cabasilas (52).
Ma la santa Eucaristia ha anche una dimensione più genera­
le: una dimensione cosmica. Essa trasforma non solo l’uomo ma
anche le dimensioni dell’universo. Secondo Cabasilas, l’Eucari­
stia costituisce l’ultima realtà, la finalità (il télos) degli enti, lo

(52) Cabasilas insiste nell’affermare che le espressioni bibliche che p


no dell’unione dell’uomo con Cristo, non sono semplici modi di dire, bensì
hanno un contenuto reale. Spesso analizza queste espressioni, collegandole
con il sacramento dalla santa Eucaristia. Diamo a mo’ d’esempio l’analisi che
fa del versetto della lettera agli Ebrei «e la sua casa siamo noi» (3, 6) in relazio­
ne con il versetto di Gv 6, 56: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
dimora in me e io in lui»: La santa Eucaristia, egli dice, è quella che «fa abitare
Cristo in noi, e noi in Cristo... in modo da abitare e da essere abitati divenendo
un solo spirito». E nel caso in cui Cristo restasse dentro di noi come fossimo
sua dimora, di che potremmo avere bisogno? Quale bene potrebbe sfuggirci?
E nel caso in cui noi abitassimo dentro Cristo come dentro la nostra casa, che
potremmo desiderare di più?: «Egli infatti è casa e abitante della casa: e siamo
beati per avere una tale casa, e beati per essere casa di lui». Che altro possia­
mo bramare «qualora Cristo abiti precisamente in noi e penetri tutto il nostro
essere e occupi il nostro mondo interiore e ci avvolga?». Nessun male esterno
può colpirci, perché Cristo, che come casa ci avvolge, lo allontana e ci purifica
da ogni male interiore, dato che abita la nostra casa, e riempie tutta la nostra
esistenza di se stesso (584BCD).

148
scopo della vita terrena e il contenuto di quella celeste, la tra­
sformazione della storia. Il tempo dell’Eucaristia unifica il passa­
to^ il presente e il futuro, rivela e attivizza realmente nella quoti­
dianità l’eternità. Lo spazio dell’Eucaristia è spazio del Regno
celeste, la vera patria dei cristiani.
In quanto assemblea dei cristiani attorno all’altare, l’Eucari­
stia costituisce la ricostituzione dell’antica sede del paradiso. In
quanto piena comunione dei credenti con il loro Dio e tra loro
stessi, l’Eucaristia completa questa sede, unifica assolutamente
l’umanità rendendola Corpo di Dio. In quanto sacrificio e offerta,
essa crea di nuovo e perfeziona il rapporto anteriore alla caduta
esistente tra l’uomo e il creato. Le creazioni, che costituiscono la
ricchezza dell’uomo, sono da questi offerte con amore a Dio. In
questo modo, il creato diviene il tramite che unisce l’uomo con
Dio. La materia si colma di Spirito e la vita spirituale funziona
nell’Eucaristia con compiutezza. Tutto ciò si verifica perché l’Eu­
caristia è il Cristo, che costituisce il passato, il presente e il futuro
dei santi, il reale passato, presente e futuro del mondo.
La santa Eucaristia, tanto in quanto funzione che come atto
di trasformazione del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cri­
sto, come pure in quanto comunione dei fedeli con questo Cor­
po e con questo Sangue, rappresenta e riattivizza nel presente ciò
che per la salvezza dell’uomo Cristo ha compiuto nel passato - la
sua nascita e la sua vita, la passione, la morte, la risurrezione,
l’assunzione in cielo, l’invio dello Spirito: «Il tempo presente
(dell’Eucaristia) rappresenta il tempo passato (della vita di Ge­
sù)». Così, la funzione dell’Eucaristia rende per noi presenti gli
avvenimenti passati e futuri della nostra storia sacra, e la nostra
partecipazione ad essa ci toglie fuori dal movimento circolare e
ci introduce nel nuovo tempo della Chiesa, in cui l’eterno s’inse­
risce nel tempo e funziona come un perenne presente.
H corpo storico di Cristo, così come ha vissuto, è morto ed è
risuscitato, così come splende glorioso alla destra del Padre, è
realmente presente sul santo altare e si offre ai fedeli come ci­
bo (53). Cibandosi di questo, i fedeli si rendono membra di que-

(53) «Una volta che la santa funzione ha avuto compimento... la gra


Vittima sacrificale, che è stata offerta a favore del mondo, si vede giacere
sull’altare. Infatti, il pane del Corpo dominicale non è un simbolo... ma il cor-

149
sto corpo e, quindi, contemporanei del Gesù storico e partecipi
fin da ora dei beni eterni. Questo corpo eucaristico è il corpo della
Chiesa, il corpo dei fedeli, la salvezza del creato, la gloria di Dio e
degli uomini, la libertà, la gioia e il nutrimento dei santi. Questo
corpo, in quanto Eucaristia e comunione, in quanto corpo di Cri­
sto e corpo dei fedeli, è il vero Spazio e il vero Tempo della Chie­
sa: in esso noi viviamo e ci muoviamo e siamo (54).

Nei sacramenti, Dio offre il tutto e nulla vi si può ulterior­


mente aggiungere. Pertanto, occorre che l’uomo valorizzi con la
propria collaborazione (synergta) il tesoro ricevuto dai sacramen­
ti: «Come per le cose di questo mondo, è ovvio e naturale che,
una volta ottenuta la vita... non ce ne restiamo tranquilli, come
se tutto fosse ottenuto, ma ci impegniamo a ottenere ciò tramite
cui si possa conservarla» (641 A) {55).

po stesso di Nostro Signore, che ha realmente subito ogni ingiuria e violenza e


aggressione; è il corpo che è morto sulla croce, e che sotto Ponzio Pilato ha te­
stimoniato la buona novella; è il corpo colpito e aggredito, che ha ricevuto gli
sputi e ha assaporato il fiele. Parimenti, anche il vino è realmente il sangue
zampillato dal corpo martoriato. Questo corpo e questo sangue è stato concepi­
to mediante lo Spirito Santo, è nato dalla Vergine Maria ed è stato sepolto e il
terzo giorno è risuscitato ed è salito al cielo e siede alla destra del Padre»
(425CD).
(54) Va da sé che, in questo nostro studio, noi ci limitiamo ad esporre e
interpretare per sommi capi l’insegnamento di Cabasilas: siamo quindi costret­
ti a trascurarne alcuni punti fondamentali, come ad esempio quello secondo
cui l’Eucaristia costituisce il contenuto reale anche del Regno escatologico.
Avremo una conoscenza più profonda di ciò che si compie nell’Eucaristia e di
ciò che realmente è il regno dei cieli, se diamo il dovuto peso ad alcune affer­
mazioni di Cabasilas, come ad esempio a queste che qui presentiamo: «Ciò
che genera ogni beatitudine e felicità in coloro che si trovano lassù - sia che si
voglia parlare di “Paradiso” o di “seno di Abraamo” o di “luogo senza tristez­
za e dolore, luogo lucente e rigoglioso” o ancora di “Regno” stesso - nuli’altro
è che questo calice e questo pane» (461CD). E ancora: «E stato dimostrato che
ogni riposo dell’anima e ogni progresso in virtù, grande o piccolo che sia,
null’altro è che questo pane e questo calice... Perciò il Signore ha detto che la
futura beatitudine e felicità dei santi è una mensa: per significare che non v’è
nulla al disopra di questa mensa» (465AB).
(55) Gli stessi sacramenti non possono operare senza il concorso umano:
«In due modi si dice che opera la grazia sui doni divini: primo, in quanto questi
sono santificati, e, secondo, in quanto questi santificano noi mediante la grazia.
Nei confronti del primo modo, nessun male umano può costituire ostacolo... Il

150
Per «uomo» si intende fondamentalmente colui che pensa e
colui che vuole. Di conseguenza, non è possibile che l’uomo pos­
sa considerarsi unito con Cristo, senza che queste più elevate
funzioni di pensiero e di volontà risultino unite con Lui: se que­
sto non accade, l’uomo continua ad essere «membro» e «figlio»
di Dio, dato che comunica con Lui nel corpo e nel sangue, ma lo
è in modo «mimico» e «inerte» (641D). Viceversa, qualora il

{>ensiero dell’uomo sia unito con il pensiero di Cristo e la sua vo-


ontà sintonizzata con la volontà di Cristo, ne consegue necessa­
riamente che l’uomo intero risulta unito con Dio e, quindi, trat­
tasi di una unione completa.
Nei due ultimi capitoli de La vita in Cristo, Cabasilas esami­
na il modo con cui l’uomo, facendo buon uso della nuova
nascita, della vita e del movimento ottenuti dai sacramenti, può
operare e ottenere la cristificazione della sua mente e della sua
volontà.

Dando per scontata la conoscenza relativa al metodo asceti­


co della purificazione della mente e dell’unione con Dio, Cabasi­
las non si sofferma su queste, ma orienta i suoi sforzi a mostrare
che Cristo è la sola Verità e che, quindi, è più opportuno e più
conforme alla nostra natura meditare su di Lui.
Cabasilas scrive che è principalmente la meditazione sulla
vita di Cristo che riempie la mente umana della magnificenza e
bellezza di Cristo stesso, impedendo all’uomo di lasciarsi travol­
gere dal male. Com’è possibile incamminarsi verso il male una
volta resisi conto dell '«eros forsennato» (648A) con cui Dio ci
ha amati, che lo ha indotto a scendere tra noi, appropriarsi delle
pene della nostra esistenza, del nostro dolore, della nostra mor­
te, dei nostri peccati, riversarsi completamente dentro di noi e

secondo modo, invece, richiede anche il nostro concorso·, la nostra indolenza,


quindi, può costituire ostacolo. Se la grazia ci trova ben disposti alla sua bene­
dizione, allora ci santifica mediante i suoi doni; se invece la grazia ci trova im­
preparati, allora non solo non giova a niente, ma ci procura grande danno»
(444D-445A). Un’analisi esauriente di questa problematica si trova nel mio li­
bro L'insegnamento di Nicola Cabasilas circa la giustificazione dell’uomo, spe-
cialm. pp. 137-158. Per l’argomento più generale della cooperazione {sinergia),
che, presso Cabasilas, ha un significato centrale e nei confronti del quale egli ha
formulato alcune considerazioni profonde, cf. il libro La Madre di Dio.

151
amalgamarsi con noi, rendendoci templi suoi e sue mem­
bra? (56).

La meditazione sulla vita terrena di Gesù ci permette inol­


tre di prendere coscienza «della dignità della nostra natura»
(652A). Le nostre membra, spiega Cabasilas, sono le membra di
Cristo: «Davanti al Capo di queste membra i Cherubini si pro­
sternano; questi piedi e queste mani dipendono dal cuore... Esi­
ste forse qualcosa di più venerabile di questo corpo, entro cui
Cristo si trova perfettamente connaturato in modo naturale?...
Come (dunque) noi potremmo farne uso cattivo?... Non muo­
viamo, dunque, i piedi, non tendiamo le mani verso il male»
(648B-649A).
Questo comportamento di vita risulterà duraturo «se noi
terremo fissa in mente la ragione di tutto ciò: e cioè, che queste
sono membra di Cristo, e sono membra sacre, contenenti quali
vaso il suo Sangue» (648C). Le parole sottolineate mettono be­
ne in luce che anche qui Cabasilas non parla in modo sentimen­
tale o allegorico. Il lirismo delle sue espressioni e le immagini
cui egli fa ricorso celano l’irremovibile fondamento della nuova
antropologia in Cristo. Nello stesso capitolo, per convalidare ul­
teriormente le sue affermazioni, Cabasilas spiega che l’uomo è
stato creato fin dall’origine «per l’uomo nuovo (Cristo). E an­
che la mente e il desiderio sono stati creati in prospettiva a Lui.
E siamo stati dotati di raziocinio per conoscere Cristo, di desi­
derio per correre verso di lui, di memoria per portarlo con noi:
ché egli è l’archetipo di coloro che ha creato» (680A). E proprio
per questo «l’uomo si conduce, e per natura e per conoscenza e

(56) «Una volta che mente e anima si sono resi conto di queste realtà,
è facile a loro rivolgersi verso un altro pensiero o verso un altro desiderio: ché
quelle realtà sono altamente belle e seducenti. Le elargizioni di Dio, infatti, ec­
cellono e per quantità e per maestosità, e l’amore da cui esse emanano è im­
possibile che sia afferrato dall’intelligenza umana. Nella misura in cui la malìa
d’amore leva il senno agli amanti... così pure l’eros verso gli uomini svuota Dio.
Egli, infatti, non chiama il servo verso di sé restando immobile al suo posto:
piuttosto, Lui che è ricco perviene alla conquista del povero, e, awicinando-
glisi, gli manifesta la sua brama... E se non è corrisposto, non desiste; se di­
sprezzato, non si adira; se respinto, rimane alla porta e fa di tutto per manife­
stare il suo vero amóre e sopporta ogni sofferenza e muore» (644D-645A).

152
per ragionamento, verso Cristo: non solo per via della divinità,
che è il fine ultimo di ogni realtà, ma anche per via della diver­
sità di natura. Egli è infatti il rifugio degli amori umani, è la de­
lizia dei pensieri». Quando il nostro amore o la nostra mente,
egli soggiunge, si rivolgono verso qualsiasi realtà che non è in
Cristo, allora si compie un’evidente «deviazione da ciò che, fin
dall’origine, è stato posto come conforme alla (nostra) natura».
E avviene ciò, perché Cristo è il presupposto (hypó-thesis:
l’espressione più giusta sarebbe l’ipo-stasi, hypó-stasis) dei no­
stri pensieri (681B).
Come abbiamo già detto, Cabasilas non descrive un preciso
modo di vita spirituale né una precisa fase del suo percorso;
piuttosto, egli vuole indicare il fondamento ontologico comune a
tutte le forme e a tutte le fasi di essa. Qui egli presenta il fonda­
mento ontologico di quella «divinizzazione» che, dopo un lungo
esercizio di purificazione e di autoconcentrazione, è raggiunta
dagli esicasti (57). La mente purificata e unita con Dio può ve­
derlo e riposarsi in Lui, poiché Egli è il «presupposto» finale dei
pensieri umani.
Ma, contemporaneamente, egli mostra che sullo stesso prin­
cipio ontologico può basarsi anche la purificazione e trasforma­
zione della mente che, concentrando ogni pensiero in Cristo e in
tutto ciò che struttura il Suo corpo, come pure nei modi tramite
cui ogni cosa può modificarsi in corpo di Cristo, possono pro­
gressivamente attuare tutti i fedeli di questo mondo, raggiungendo
così la pienezza della vita spirituale. Cabasilas propone quindi ai
suoi contemporanei un modo di vita spirituale adatto a loro che,
straordinariamente, risulta attuale anche per il giorno d’oggi.
Esistono, egli insegna, varie condizioni di vita e, conseguen­
temente, varie forme di virtù. Diversamente è vissuta la vita spi­
rituale da coloro che «si occupano delle cose pubbliche», e di­
versamente da coloro «che si occupano delle cose private»; di­
versamente da coloro che non hanno assunto alcun obbligo par­
ticolare dopo il battesimo, e diversamente da coloro che «hanno
fatto voto di verginità e di estrema povertà... che conducono
una vita monastica». Tuttavia, vi è un dovere comune per tutti co­
loro che si proclamano cristiani» (641B): e ciò, nel punto preciso

(57) Vedi Lessico.

153
di cui stiamo trattando, è la concentrazione di ogni pensiero in
Cristo, che si completa nella preghiera.
Per pregare, egli spiega, non è necessario che uno si trovi in
circostanze particolari: «Non c’è bisogno di preparazione parti­
colare per pregare, né di luoghi precisi, né di clamore... Non c’è
caso in cui (Cristo) non v’è presente o che non sia accanto a noi,
Egli che, per coloro che lo invocano, è più vicino del loro cuore
stesso. Né occorre che qualcuno abbia raggiunto le più alte vette
di santità; infatti, non invochiamo il Signore affinché ci incoro­
ni». Perciò, tutti devono pregare. Anche «i malvagi»: poiché
«Colui che è invocato è buono» (681BC). I sacramenti e la pre­
ghiera costituiscono la via comune a tutti, il contenuto comune
di tutte le forme di vita spirituale.
Mediante la preghiera, i pensieri dell’uomo e tutto ciò che li
concerne - persone, cose, situazioni, preoccupazioni - vengano
offerti a Cristo, e Cristo è invocato a scendere in essi. La pre­
ghiera, anche se non raggiunge la divinizzazione, conduce i pen­
sieri e il loro contenuto a Dio, illumina con la luce di Dio la
mente e tutto ciò che la mente comprende e, quindi, conduce
l’uomo alla verità. Ecco perché secondo tutta la tradizione patri­
stica la preghiera dona la vera conoscenza, e l’arte di pregare co­
stituisce la vera scienza e la vera filosofia.
L’insistente e continua comunione della mente umana con
la mente di Cristo, che si ottiene mediante la preghiera, permette
alla prima di osservare la realtà dall’angolazione di Dio e di pen­
sare in sintonia con la mente di Cristo.
Nella sua completezza, la comunione costituisce una reale
trasformazione della mente e una sua cristificazione, che dona la
suprema conoscenza. Il Padre riconosce nella nostra mente la
mente di suo Figlio, e, tramite la mente del Figlio, noi riusciamo
a conoscere il Padre: il che, secondo l’evangelista Giovanni, co­
stituisce il contenuto della vita eterna: «Questa è là vita eterna:
che conoscano te, l’Unico Vero Dio, e colui che inviasti, Gesù
Cristo» (Gv 17,3).

Affine a questa è l’unione e comunione con Cristo mediante


la volontà.
La volontà, spiega Cabasilas, si esprime e si attua con il de­
siderio. Nessuna realtà creata, però, può soddisfare i desideri

154
umani. Qualsiasi bene riesca a ottenere l’uomo, il suo desiderio
10 spinge sempre oltre: «All’uomo tutto è sempre inferiore e ina­
deguato; e per quanto sia alto il numero di beni che egli può rag­
giungere, e quand’anche riuscisse a ottenerli tutti, l’uomo guar­
derebbe sempre oltre, cercherebbe sempre quel che non ha sen­
za badare a quel che ha». Se ciò accade, non è perché, mentre il
bene che l’uomo desidera è infinito, la sua anima appetitiva inve­
ce, e cioè la facoltà di volere e di desiderare, è qualcosa di finito:
se così fosse, il finito non avrebbe potuto tendere verso l’infinito.
Piuttosto, ciò accade perché la facoltà appetitiva dell’uomo «è
stata predisposta· a tendere, ed effettivamente tende, verso l’infi­
nito». E questa capacità dell’uomo «non conosce limiti», perché
11 Creatore anch’essa «ha predisposto in funzione di L u i... affin­
ché solo in Lui si possa godere il Sommo piacere» (708BC) (58).
Ecco verificarsi anche qui il principio basilare della creazione
dell’uomo a immagine di Dio: la volontà dell’uomo tende verso
il Bene infinito perché così è stata modellata fin dall’origine.
Questa predisposizione appare come elemento costitutivo del
suo essere. Questa è la base su cui Cabasilas costruisce il suo in­
segnamento circa la cristificazione della volontà umana.
L’antropologo bizantino completa questa sua prima consi­
derazione ontologica con la formulazione di una seconda che,
come diremo noi oggi, s’inserisce nell’ambito dell’antropologia
fenomenologica. La volontà, egli scrive, costituisce per l’uomo la
forza motrice centrale: «Tutte Te nostre azioni seguono l’impulso
della volontà e vanno dove questa porta». La volontà governa
non solo lo slancio vitale del corpo umano e lo spiegamento dei
ragionamenti, ma anche ogni altro nostro atto e, in una parola,
tutto l’essere umano: «L a volontà ci guida e ci conduce; e se
qualcosa ne causa l’arresto da qualche parte, là resta bloccata
ogni nostra azione» (721C).
Pertanto, egli prosegue collegando le due summenzionate
osservazioni, l’uomo vuol vivere felice. Egli vive per «essere feli-

(58) Sicché, nessuno poteva essere felice prima di Cristo: « l’oggetto de


stri desideri, infatti, non si trovava da nessuna parte». Invece, «a coloro che
hanno assaporato il Signore, l’oggetto dei loro desideri è presente, poiché
l’eros umano è stato fin dall’origine predisposto a tendere verso di lui, come
verso una mèta e termine e come verso un tesoro inestimabile e immenso, al fi­
ne di poter un giorno accogliere Dio dentro di sé» (560D).

155
ce». Tutti i movimenti della sua anima cercano l’esistenza vera e
felice: «Vogliamo essere per un felice essere» (709C). Ora, poi­
ché il vero «essere» umano si trova, come abbiamo visto, nell’es­
sere in Cristo, ne consegue che coloro la cui volontà «è imprigio­
nata in Cristo e dimora in Lui, e ogni realtà da loro voluta o desi­
derata o cercata non è altro che Lui», trovano in Cristo la loro
vera completezza e la loro reale felicità (721C).
In questa prospettiva, la vita spirituale si rivela non come
una vita condizionata da leggi estrinseche all’uomo, ma da una
sua fondamentale esigenza esistenziale per la felicità. La vita spi­
rituale ha un’importanza e utilità capitali per l’uomo, perché
conduce il suo «essere» a un «felice essere». Il suo contenuto
non è di ordine morale (col significato che di questo termine so­
litamente facciamo uso noi oggi) o sociologico o qualsiasi altro
affine, bensì ontologico. Se così non fosse, Cristo non sarebbe
per l’uomo qualcosa di essenziale, quell’«uno di cui si ha biso­
gno»; e la Chiesa cristiana non sarebbe la verità universale
dell’uomo e del mondo, bensì una manifestazione, sotto forma
di religione, delle varie teorie cosmologiche, politiche, sociologi­
che e di altre caratteristiche di questo popolo o di quell’altro.
Né basta: la vita spirituale si rivela come lo sviluppo e l’eser­
cizio supremi delle possibilità e funzionalità umane. Riguardo alla
volontà, che qui ci interessa, Cabasilas scrive con perfetta aderen­
za alla realtà che essa è stata plasmata per tendere verso il bene
che emana da Dio. Quando la volontà, questo organo sensitivo
della felicità, si allontana dal bene, allora soccombe alla necessità,
ed esplica una funzionalità latente o difettosa, come difettosa­
mente funziona l’occhio, l’organo della vista, in assenza della lu­
ce. L’occhio dell’uomo è stato creato in funzione della luce, e la
volontà in funzione del bene. Quando l’occhio è privato della lu­
ce e la volontà è privata del bene, allora essi deviano dalla loro
natura: funzionano in modo non conforme alla loro natura: «La
volontà non può esistere e agire se non dimorando in Cristo: per­
ché ogni bene si trova in Lui, come l’occhio non può adempiere
alla sua funzione senza la luce» (721C). «L’occhio è stato plasma­
to per la luce, l’udito per i suoni, e ogni altro organo per la sua fa­
coltà corrispettiva; il desiderio dell’anima si dirige solamente verso
Cristo. Questi è il suo rifugio perché Lui solo è il bene, la verità e
qualsiasi altra realtà la possa attrarre» (561A).

156
Affrontando un altro aspetto del nostro problema, Cabasi­
las insegna che la chiamata dì Cristo riguarda tutti gli uomini, a
prescindere dalla razza o dalla nazione cui essi appartengono,
dalla loro età o mestiere o condizione sociale, e non tiene conto
se essi abitano nel «deserto» o «fra i rumori della città». E que­
sto invito comune a tutti è: «Non opponetevi alla volontà di Cri-
sto»{641C). L’accettazione di questa chiamata costituisce il con­
tenuto della vita spirituale al suo livello più basso. Nei livelli più
elevati della vita spirituale, la chiamata diventa invece: «Parteci­
pate al pensiero di Dio» (701C) (59). Al di là, però, della diversità
di livello, il contenuto della vita spirituale, in tutti i suoi stadi e
in tutte le sue forme, se considerato dal punto di vista qui studia­
to, risulta sempre il medesimo: la comunione della volontà uma­
na con la Volontà di Cristo.
Poiché la volontà ha un ruolo così decisivo per la vita spiri­
tuale, Dio desidera appropriarsene prima di qualsiasi altra fun­
zione. Egli creò il cielo e la terra e il sole e tutte le altre meravi­
glie del mondo visibile e di quello invisibile; come i più ardenti
amanti quando offrono i loro regali, così pure Lui manifesta
all’uomo la sua sapienza e la sua bontà, «affinché possa attrarlo
verso di sé». E quando l’uomo, piuttosto che concedersi a Lui,
ne fuggì lontano, Dio indossò la natura umana e patì mille pene
«affinché potesse riconquistare il suo amato... lo facesse tornare
in sé e lo convincesse di desiderare solo Lui». E non si limitò so­
lo a questo: Egli offrì se stesso come riscatto sulla croce, al fine
di comprare la volontà dell’uomo: Dio infatti può offrire all’uo­
mo la felicità solo se questi la desidera». «Nei confronti di ogni
altra cosa, (Dio) era rimasto padrone e comandava su tutta la na­
tura». Solo noi sfuggivamo al suo dominio, in virtù del libero ar­
bitrio: «E per poterlo eliminare, Dio fece di tutto. E proprio per­
ché voleva fare sua la nostra volontà, Egli non ci aggredì né si
appropriò di essa prepotentemente: la comprò». Sicché, ricono­
scere Cristo come salvatore significa offrirgli totalmente e assolu­
tamente la propria volontà. La volontà della persona redenta
non appartiene più a se stessa ma al suo Redentore. Questo è, di­
ce Cabasilas, il significato delle parole di Paolo: «Non sapete
che... non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a

(59) Il termine «gnòme» (pensiero), qui significa «volontà».

157
caro prezzo» ( 1 Cor 6, 19.20). Riporre la nostra volontà nella Vo­
lontà di Cristo costituisce la (nostra) salvezza (657C.688BC.716
BCD) (60).
La perfetta comunione della volontà umana con Cristo, la
cristificazione della volontà, costituisce il contenuto della vita spi­
rituale al suo livello più alto, funziona come amore e si chiama
santità. Il santo desidera «non se stesso, ma Cristo... E con tutta
la sua volontà, egli abbandona se stesso per emigrare verso Dio.
E dimentica la propria povertà immergendosi nella ricchezza di
Lui... La forza dell’amore, infatti, sa rendere proprie agli amanti
le realtà delle persone amate. La tensione della volontà e del de­
siderio dei santi verso Dio sono inalterabili. Per i santi, Egli è
l’unico bene che possiedono, e non c’è corpo e anima né alcun­
ché dei parenti o degli amici che può soddisfarli. Piuttosto, essi
ignorano la propria identità come se fossero usciti da loro stessi
e avessero trasferito altrove la loro vita e i loro desideri» (708D-
709A). Così i santi si rallegrano di ciò che rallegra Cristo, si rat­
tristano di ciò che rattrista Cristo, esprimono e attuano nella sto­
ria la Volontà di Cristo. Parlano come se fossero essi stessi la
bocca di Cristo e rivelano la verità. Agiscono come se fossero es­
si stessi le mani di Cristo, e compiono miracoli.
Perseverare nell’amore significa perseverare in Dio: «Chi
sta nell’amore - dice l’apostolo ( 1 Gv 4, 16) - dimora in Dio e
Dio dimora in lui» (721 A). Il nostro mistico antropologo insegna
che la vera vita spirituale consiste nell’amore, proprio perché
Dio è amore: «Se la vita è quella forza che muove ogni essere vi­
vente, ciò che muove gli uomini, in quanto realmente viventi, e il
cui Dio è veramente Dio, che non è un Dio di morti ma di viven­
ti, non può essere nient’altro che l’amore... Esiste dunque un no-

(60) Il verbo particolarmente forte «comprare», cui fanno ricorso Pao


Cabasilas, l’espressione «non appartenete a voi stessi» e quella corrispettiva
«servi di Dio» forse risulteranno dure per il lettore contemporaneo. Non ab­
biamo potuto dilungarci qui in un’esauriente trattazione di esse. Il lettore che
desideri conoscere come queste espressioni siano significative di somma li­
bertà, come la concezione cristiana della salvezza coincida con l’instaurazione
della libertà dell’uomo stesso e in che modo funzioni la libertà nell’ambito so-
teriologico rettamente inteso, può leggere i testi stessi di Cabasilas oppure il li­
bro: L ‘insegnamento à i Nicola Cabasilas circa la giustificazione dell’uomo, [in
greco], specialm. pp. 137-168 e 117-125 (capitolo : «L a liberazione»).

158
me più appropriato alla vita all’infuori di quello dell’amore?»
(725CD).
Ecco perché, riassume Cabasilas, la vita beata, vale a dire
l’inalterabile, unica e perfetta felicità, si ottiene con la volontà
dell’uomo e inabita in questa: «Se noi sviluppiamo la volontà in
conformità col Dio Vivente, troveremo splendere in essa la vita
beata» (689A).

Quanto abbiamo esposto sopra mette bene in luce che è la


comunione con Cristo a rinnovare l’uomo. Il nuovo essere, il
nuovo agire, la vita, la conoscenza e la volontà, tutto il nostro or­
ganismo cristomorfo trasformato, insieme con le sue facoltà spi­
rituali e i doni dello Spirito, che costituiscono i nuovi modi di
funzionalità, formano il nuovo uomo in Cristo. Tutto ciò può co­
stituire, crediamo, materia per i capitoli più importanti di un’an­
tropologia cristologica ortodossa.

IV.
I FRUTTI DELLA VITA SPIRITUALE

Lo Spirito di Dio, che vivifica l’uomo e lo rinnova, elargisce


i suoi doni anche a tutto il mondo creato. A completamento del­
la sua antropologia cristologica, Cabasilas formula una impor­
tante dottrina sul carattere cristocentrico che ha tutto il creato
quando si eleva a Corpo di Cristo.
Nella prima parte di questo studio abbiamo esaminato l’in­
segnamento patristico concernente la relazione organica esisten­
te tra l’uomo e il resto del mondo creato. L’uomo è veramente «il
punto di congiunzione di tutto il creato» (PG 88, 320A), egli
«riassume in sé tutte le parti del tutto» (BEPES 18,160, 4).
Secondo Cabasilas, la porzione di materia creata che il Lò­
gos ha assunto con la sua Incarnazione, non solo è stata liberata
dalla corruttibilità, ma, come abbiamo visto, è stata anche radi­
calmente trasformata. In essa è stata realizzata la finalità per la
quale il mondo era stato fin dall’origine creato: ciò che il Lògos
ha creato, è stato trasformato, con l’Incarnazione, in Corpo del
Lògos: ha trovato la sua «ipostasi» reale e trascendente.

159
Ne consegue che la materia assunta dal Lògos, il Corpo do­
minicale, funge da «unzione» (61) per il resto del creato (572A).
Cabasilas spiega che è avvenuto ciò che può avvenire in un vaso
di alabastro contenente unguento. Se, per un motivo o per un al­
tro, le pareti del vaso si potessero trasformare anch’esse in un­
guento, allora, anziché separare l’unguento dall’atmosfera circo­
stante, esse contribuirebbero positivamente alla sua diffusione:
«In modo analogo, essendo deificata la nostra natura con l’inse­
rimento di essa nel corpo salvifico, non v’è più nulla che separi
Dio e il genere umano» (572B). «(Dopo che) la carne è stata dei­
ficata e la natura umana ha assunto come ipostasi Dio stesso, il
muro di separazione divenne unguento» (572A). Sicché, ciò che
prima separava l’uomo da Dio, ora lo unisce con Lui. La natura
creata, ricevuto il crisma, divenne portatrice della divinità, Cor­
po di Cristo, natura cristificata, Chiesa. E tutto ciò che via via
s’innesta nel Corpo dominicale, è anch’esso realmente trasfor­
mato in Corpo di Cristo: diventa Chiesa. La Chiesa è la creazione
innestata in Cristo e vivificata dallo Spirito.

Il principale e supremo mistero della nostra fede è, secondo


l’apostolo Paolo, l’Incarnazione del Lògos assieme con tutto ciò
che Egli compì per la salvezza del mondo ( 1 Tm 3, 16). Questo
mistero principale, che è Cristo, si rifrange, secondo il mistico
bizantino, diviene concreto e attivo nel tempo mediante i sacra­
menti, tramite cui la Chiesa vive e si organizza. Cabasilas insegna
che esiste un’identità intrinseca tra il corpo storico di Cristo e la
Chiesa, tra le attività del corpo concreto del Signore e i sacra­
menti. Questi ultimi proiettano realmente le funzioni di quel
corpo e trasmettono effettivamente la sua vita: «(I sacramenti)
celebrati sono la mistagogia dell’incarnazione del Signore»
(392D). E per questo la Chiesa si forma, si organizza e vive nei
sacramenti: «La Chiesa è santificata nei sacramenti non rappor­
tandosi ad essi come simboli, ma come le membra si rapportano
al cuore, i rami di una pianta alle radici e, per dirla con Nostro
Signore, come i grappoli d’uva alla vite. Non si tratta di un rap­
porto di nomi o di somiglianze, ma di un rapporto di identità
reale» (452CD).

(61) Vedi Lessico.

160
Questo movimento è duplice: Cristo si proietta nel tempo
mediante le operazioni dello Spirito, e il mondo è da lui accolto.
Cristo stesso si proietta e accoglie il mondo. La Chiesa non è
una condizione statica^ essa costituisce un movimento dinami­
co di trasformazione. E il perenne matrimonio, nello spazio e
nel tempo, del Creatore con la sua creazione, la continua fusio­
ne del creato con l’increato. In questo inconfondibile amalga­
ma in Cristo della natura creata con quella increata, il mondo
creato si rifonde nella carne di Cristo, si ricompone mistica-
mente, si trasforma: diviene Corpo di Cristo e vive come Corpo
di Cristo.

La trasformazione di cui parliamo si realizza mediante i sa­


cramenti perché, come abbiamo visto, questi costituiscono la
proiezione dell’incarnazione del Signore e della sua opera salvifi­
ca. In Cabasilas, i sacramenti costituiscono la base di tutta la sua
dottrina ecclesiologica, vale a dire dell’insegnamento di ciò che
potremmo chiamare cosmologia cristocentrica·, l’insegnamento
concernente la nuova creazione, il mondo che nel suo insieme si
trasforma, che si ricompone ed esiste come Corpo di Cristo.
L’insegnamento cfi Cabasilas concernente i sacramenti è
pertanto molto diverso da quello formulato dalla teologia scola­
stica, secondo cui i misteri sono celebrazioni visibili attraverso
cui viene data la grazia divina invisibile, e che si limitano al nu­
mero di sette.
Cabasilas considera sacramento centrale la divina Eucaristia
- la quale rappresenta, vale a dire rende di nuovo attivamente
presente entro una spaziotemporalità concreta, la vita del nostro
Salvatore - e, assieme con essa, il battesimo e l’unzione, che in­
troducono l’uomo nell’Eucaristia. Quest’ultima, pertanto, dà
origine a una moltitudine di sacri riti, che abbracciano tutta la
vita e tutte le dimensioni che l’uomo esplica nel mondo. E così
creato un nuovo modo di vita e una nuova organizzazione di
rapporti tra gli uomini stessi, tra essi e Dio, e tra essi e il mondo:
una nuova organizzazione in Cristo della comunione degli uomi­
ni e del mondo. La vita nuova, donata da Cristo, è chiamata da
Cabasilas vita sacramentale. E quei segmenti spaziotemporali en­
tro cui la vita divina incontra quella umana e la trasforma - l’av­
venimento stesso dell’incontro e della trasformazione, come pu­

161
re le azioni, vale a dire le celebrazioni o funzioni mediante cui si
realizza la trasformazione - sono chiamati sacramenti (62).
Secondo la teologia scolastica, nei sacramenti c’è un ele­
mento estrinseco, e cioè i segni sensibili, e, in contrapposizione
ad essi, c’è la sostanza stessa dei sacramenti, che è la grazia divi­
na invisibile. Secondo Cabasilas, e, più generalmente, secondo
tutta la tradizione ortodossa, questa distinzione non esiste. Nel
sacramento del battesimo, il sacerdote santifica prima l’acqua e
in quest’acqua santificata l’uomo è battezzato. Nella divina Eu­
caristia, il pane e il vino si trasformano realmente e veramente in
corpo e sangue di Cristo. Nel sacramento dell’unzione, il fedele
è unto con l’olio benedetto. Il corpo dell’uomo e, quindi, l’uomo
stesso, non può concepirsi se non nel suo legame organico con il
resto del creato.
In questa prospettiva, Cabasilas insegna che i sacramenti
costituiscono la «porta» e la « via» da cui la vita di Dio s’introdu­
ce nel mondo creato, lo libera dal peccato e dalla corruzione, lo
vivifica e lo santifica: «Questa via il Signore ha tracciato venendo
presso di noi, e questa porta Egli aprì introducendosi nel mon­
do. E, quando è salito al Padre, egli non ha voluto chiuderla: egli
infatti torna dal Padre presso di noi uomini attraverso questa
porta. Anzi, egli è perennemente con noi, e lo sarà per sempre...
Questo mondo, quindi, null’altro è se non la casa di Dio»
C504CD). E ancora: «Mediante questi divini sacramenti, il sole
della giustizia s’introduce come da finestre in questo mondo te­
nebroso, e mortifica la vita a questo confacente, risuscitando
quella soprannaturale, e la luce del mondo vince il mondo... in­
troducendo in un corpo mortale la vita immortale» (504 BC). Le
due parole sottolineate nei brani surriportati mostrano la conce­
zione di Cabasilas nei confronti del mondo redento: esso è «ca­
sa» e «corpo» di Dio. E i sacramenti sono le finestre tramite cui
il sole di giustizia illumina la dimora, le arterie tramite cui la vita
della Testa vivifica il Corpo.
La perfetta unione del mondo creato con quello increato,
che si realizza attraverso i sacramenti, «vince» gloriosamente,
senza distruggerli, i confini spaziotemporali, dandone nuove di­
mensioni. Il creato, ricomposto e rigenerato attraverso i sacra­

(62) Vedi Lessico.

162
menti, che si chiama Chiesa, assume nuove dimensioni, nuove
funzioni e nuova vita: si tratta delle dimensioni, funzioni e vita
del corpo di Cristo Risorto. Conseguentemente, ogni realtà può
ristrutturarsi ed esistere nel mondo creato in maniera nuova: non
solo umana o solo divina, ma in modo teantropico. Sono così sta­
biliti i limiti spaziotemporali liturgici, ove si concretizza l'in­
confondibile amalgama della vita terrena con quella celeste, della
storia con l’eternità: «Uno è il corpo di Cristo... uno il corpo dei
fedeli... e questo corpo né il tempo né lo spazio può divide­
re» (63). «Ci ha formati Colui che risiede tra gli angeli, ci ha col­
locati nel coro di questi» (413A).
L’unione in questione è talmente radicale e completa, che non
solo riconduce il creato alla sua condizione anteriore alla caduta,
alla dimora paradisiaca, ma crea una nuova dimora e un nuovo pa­
radiso, di molto superiore al primo: la Chiesa. D mondo non è sola­
mente casa dell’uomo, ma la casa del Dio Vivente (409B). Dio, che
anteriormente all’incarnazione era, nei confronti del mondo, «sen­
za casa», trova ora uno spazio creato come permanenza e come di­
mora (Θ 144). Così, dentro il creato non si trova solo l’altare in cui
è venerato Dio, ma Dio stesso; e l’umanità si trasforma in famiglia
di Dio. E la trasformazione è ancora più profonda: la Chiesa non è
solo Dimora e Famiglia, ma Corpo di Dio.

In questa nuova condizione, gli uomini vivono la vita


dell’amore (725D), nella libertà e nella gioia, avendo essi la per­
cezione di Dio (561D), vedendo la sua gloria e il suo splendore e
partecipandone (564B). I santi, che sono figli del Padre e amici e
membra del Figlio e tutori ed eredi della casa, ricevono il raggio
«dello Spirito Santo» e lo riflettono attivamente: «Vuoi che te lo
dimostri?», chiede il venerabile Crisostomo, citato da Cabasilas,
«pensa a Paolo, le cui vesti operavano mirabilia; pensa a Pietro,
di cui perfino l’ombra aveva potere... Loro portavano in sé l’im­
magine del Re, e i loro splendori erano irraggiungibili» (564C).
Il nuovo modo d’essere degli uomini, la nuova moralità cristiana
è una moralità teomorfa e cristomorfa. Più precisamente: mora­
lità teocentrica e cristocentrica.

(63) Giovanni Crisostomo, Omelia sul detto: «Vói potete conoscere in que­
sto», 6, PG 56,277.

163
In verità, la santità non sgorga che da Dio: «I santi sono santi
e beati perché sono uniti al Beato... Nulla proviene da se stessi,
dalla propria natura umana o dai propri sforzi. Piuttosto, essi sono
santi per il Santo, e sono giusti e sapienti per il Giusto e Sapiente
che portano nell’anima» (613A). Qualsiasi virtù umana ha un va­
lore reale nella misura in cui essa è virtù di Cristo: solo ciò che è
incorporato in Cristo e, quindi, spirituale («generato nello Spiri­
to») può superare i limiti biologici della corruzione e della morte,
può vivere e avere un valore reale, «un valore confacente» (616D),
nell’etemità: «Siate dunque misericordiosi come è misericordioso
il Padre vostro e amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato». I fe­
deli sono chiamati ad amare «nella misura in cui amava Paolo: nel
cuore di Cristo Gesù»; e ad avere «la pace di Cristo» e l’amore
«con cui il Padre amò il Figlio». Perché, come la nascita è «divina
e soprannaturale», così pure «la vita e il modo di vita e la sapienza
e ogni altra realtà sono nuove e spirituali» (616A).

L’espressione «ogni altra realtà» si riferisce alle molteplici


dimensioni e funzioni dell’uomo. Queste funzioni sono chiamate
a purificarsi e trasformarsi, a riempirsi dello Spirito di Dio e a
funzionare in un modo nuovo, in sintonia con le funzioni del
Corpo di Cristo. Ciò potrà verificarsi, non mediante l’abbandono
di essa, bensì mediante una precisa procedura di cambiamento e
di trasformazione, che colleghi l’operato dell’uomo con la grazia
di Dio. Il «buon olivo», vale a dire la nuova esistenza e nuova vi­
ta che dona Cristo, è innestata, mediante i sacramenti e la vita
spirituale dell’uomo, nell’«olivo selvatico», nell’esistenza biologi­
ca e nella costituzione psicosomatica umana: il frutto che ne de­
riva, vale a dire il nuovo modo di vita, è conforme a quello
dell’olivo buono (592C).
Il padre, ad esempio, che genera biologicamente suo figlio, è
chiamato a generarlo spiritualmente in seno alla Chiesa. La pa­
ternità spirituale conduce così al suo «fine», dà un valore eterno
e un incorruttibile contenuto spirituale alla paternità biologica e,
in questo modo, la trasforma.
Parimenti, la procedura di costante rinnovamento, in virtù
della quale si mantiene vivo l’organismo biologico umano (il rin­
novamento delle cellule, che mantiene vivo il corpo, e il rinnova­
mento delle esperienze, che impedisce al mondo sentimentale,

164
intellettuale e a tutto il resto del mondo psichico di addormen­
tarsi e perire) si completa e si trasforma radicalmente con la rige­
nerazione reale del battesimo, che dona all’uomo la vita spiritua­
le stabile e incorruttibile.
Uamore esistente tra due persone, che le conduce al matri­
monio, e che, per quanto sincero possa essere, soggiace alla cor­
ruzione essendo creato, si rafforza con il sacramento della Chie­
sa e si dilata alPinfinito, si rende eterno, muta radicalmente e,
senza che sia abrogato, si trasforma nella dimensione dell’amore
di Dio per il mondo. L’unione dell’uomo con la donna si innesta
nel supremo mistero dell’unione di Cristo con il mondo, che
eleva il mondo - assieme con la nuova famiglia che è formata -
in Chiesa.
Come spiega il nostro teologo nei suoi trattati di contenuto
sociologico, la giustizia, che governa le relazioni interpersonali e
regola la vita sociale, è parimenti chiamata a diventare efficace, a
trasformarsi in giustizia teomorfa, vale a dire in giustizia che ri­
flette e rende operante nella società la giustizia di Dio: quella su­
prema armonia e quel supremo amore, entro cui Dio creò all’ori­
gine il mondo e lo ricrea in Cristo.
Questi esempi mettono bene in luce che tutte le dimensioni
e funzioni della vita sono chiamate, perché possono, a trasfor­
marsi in Cristo.
E diventa inoltre chiaro che la vita spirituale non è una fuga
dal mondo, ma una trasformazione di esso. Non è cambiamento
di luogo, ma cambiamento del modo di condotta e di esistenza.
Noi, scrive Cabasilas, viviamo in Dio «in questo modo: avendo
trasferito la nostra vita da questo mondo visibile a quello invisi­
bile, non mutando di luogo, bensì di esistenza e di modo di vi­
ta». E spiega il perché: «Non siamo stati noi a muoverci ed ele­
varci verso Dio, ma è stato Lui a venire e abitare in noi... Egli si
è chinato sulla terra ritrovando l’immagine... e l’ha sollevata
traendola dall’inganno, senza trasferirla di qui, ma facendo in
modo che restassimo, e ci ha resi celesti e ha infuso in noi la vita
celeste senza portarci in cielo, ma piegando e abbassando il cielo
fino a noi» (504AB).

Questa duplice verità conduce alla conclusione secondo


cui, nella nuova situazione delle realtà, che viene a instaurarsi

165
sulla terra attraverso la celebrazione dei sacramenti, i fedeli si
rendono capaci di vivere la pienezza della vita spirituale senza
avere bisogno di fattori esterni·, la vita liturgica e sacramentale
della Chiesa è strutturata in modo tale da poter trasformare
questi fattori.
Cabasilas dice che non occorre che il fedele abbandoni la
sua attività lavorativa: «Nulla vieta che si continui l’esercizio del­
le arti, e nulla impedisce lo svolgimento delle altre consuetudini:
lo stratega potrà guidare il suo esercito, l’agricoltore coltivare la
sua terra, l’architetto sovrintendere alle costruzioni» (657D).
Tutte le dimensioni della vita - quelle sia lavorative, sia artistiche
e intellettuali, come pure quelle altre funzioni che, come abbia­
mo visto, costituiscono le tuniche di pelle - sono chiamate, per­
ché possono, a innestarsi nella vita sacramentale: e allora esse si
trasformano non solo in «forze di vita», ma, ancor più, in «sensa­
zioni e funzioni spirituali», che, anziché ostacolare, favoriscono
la vita spirituale e, per giunta, diventano mezzi tramite cui i fede­
li abbracciano il mondo e lo incorporano nella Chiesa. Così la vi­
ta storica trova il suo epicentro in Cristo e diviene suo corpo. A
questo plinto appare evidente la missione apostolica dell’Orto­
dossia e la sua indole trasformatrice.

E Cabasilas prosegue: «Non occorre che il fedele emigri


nell’estremità del mondo, né che si nutra di chi sa quale cibo, né
che cambi vestiti, né che trascuri la propria salute, né che affron­
ti chi sa quale impresa» (657D-660A). Allontanarsi dalla città e
condurre una «vita monastica» è indubbiamente un modo subli­
me di vita, ma ciò non costituisce prerogativa indispensabile del­
la vita spirituale: il fedele non difetta di nulla se, pur rimanendo
nella città, vive la pienezza della vita sacramentale. Malgrado la
diversità di forma, il contenuto essenziale della vita spirituale è,
in entrambi i casi, il medesimo: la reale partecipazione alla croci-
fissione e risurrezione di Cristo, e cioè la reale morte dell’uomo
nei confronti del peccato, la sua rinascita in quanto membro del
Corpo di Cristo, e la sua pienezza di Spirito Santo, che concede
la vita spirituale.
L’esposizione, concisa ed esauriente, di questa verità costi­
tuisce il grande contributo di Cabasilas alla vita ecclesiologica e
alla teologia del sec. XIV e, più generalmente, alla storia della

166
teologia cristiana. Questo insegnamento di Cabasilas ha contri­
buito positivamente alla confutazione delle teorie che i dòtti
umanisti suoi contemporanei avanzavano contro i monaci: i pri­
mi vedevano il tentativo dei santi di raggiungere l’unione del
corpo con Dio come una grossolana caduta nella materialità; Ca­
basilas, invece, ha mostrato che non solo il corpo può unirsi con
Dio, quando ovviamente le sue funzioni si santificano con l’asce­
si e si ricolmano di Spirito Santo, ma anche la vita del mondo e il
mondo fisico stesso, una volta riabilitate le sue funzioni eucari­
stiche - «tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da
scartarsi, quando si prende con rendimento di grazie» (2 Tm
4, 4) - e ricolmate, attraverso i sacramenti, dello Spirito, può an-
ch’esso unirsi con Dio e trasformarsi in suo corpo, contribuendo
alla formazione della Chiesa.
Nicola Cabasilas si colloca così nella linea di san Gregorio
Palamas e di tutta la tradizione patristico-biblica ortodossa. Egli
ha mostrato con chiarezza che il mondo creato è chiamato, per­
ché può, a unirsi con Dio: purché rinunci totalmente, fino alla
morte, alla sua autonomia, che costituisce il nucleo e la causa ge­
neratrice del peccato. Così, nel bel mezzo della polemica del sec.
XIV e convalidando le posizioni teologiche di Gregorio Pala-
mas, Cabasilas ha rivelato la verità ortodossa, ha contribuito af­
finché l’umanesimo eretico dei suoi contemporanei fosse con­
dannato. Egli inoltre mostrò con pari chiarezza che tutto il crea­
to e, più concretamente, tutte le forme ed espressioni di vita pos­
sono, una volta rinunciato alla loro autonomia, unirsi attraverso i
sacramenti con Dio. Con quest’ultimo elemento del suo insegna­
mento, con cui si appropria di ogni aspetto positivo degli umani­
sti del sec. XTV, Cabasilas pone le basi teologiche di un umanesi­
mo teocentrico.
Parallelamente, mostrando che la pienezza della vita spiri­
tuale può attuarsi anche vivendo nel mondo e nell’indicare le
modalità basilari di questa attuazione, egli spianò la strada affin­
ché la grande rinascita esicasta del sec. XIV si espandesse nel
mondo, in quanto rinascita della vita liturgica e sacramentale. Co­
sì egli pose le basi di una spiritualità sociale ortodossa. Questa
sua opera, la cui importanza è molto evidente per il giorno d’og­
gi, occorre che sia ulteriormente sviluppata.

167
Parimenti prezioso è l’insegnamento di Cabasilas relativo al­
la nuova organizzazione che attinge il mondo quando si trasforma
in Chiesa e, ancora, al ben preciso e cruciale problema dell’orga­
nizzazione della Chiesa stessa. Occorre quindi che siano affron­
tati anche questi problemi.
La ristrutturazione del mondo in seno alla Chiesa si ottiene
con l’estensione della vita liturgica e la riorganizzazione delle di­
mensioni fondamentali che definiscono il mondo: del tempo e
dello spazio.
Le festività liturgiche, distribuite lungo l’anno solare, costi­
tuiscono punti centrali che strutturano il tempo in una nuova di­
mensione. La Pasqua, il Natale, il 15 agosto, la festività dei Santi
Apostoli e tutte le altre festività, assieme con il digiuno che le ac­
compagna e le corrispettive sacre funzioni, danno al tempo un
nuovo orientamento e una dimensione nuova. Senza che sia an­
nullato, il monotono trascorrere del tempo fisico è superato. Alla
stessa finalità, e cioè all’ampliamento e alla nuova organizzazione
del tempo, mirano le commemorazioni quotidiane dei martiri e
dei santi, come pure le sacre funzioni per le diverse parti del
giorno e della settimana. Come abbiamo riferito più in particola­
re nelle pagine precedenti, questa trasformazione del tempo si
realizza e si manifesta soprattutto nella divina Eucaristia, verso
cui tende ogni funzione e digiuno e festività.
In modo analogo si ottiene una nuova organizzazione dello
spazio. Ànch’esso si concretizza principalmente durante la divina
Eucaristia, ma non si esaurisce lì, perché l’Eucaristia stessa non
si esaurisce nello spazio della messa domenicale. Il quartiere do­
ve gli uomini trascorrono la loro quotidianità, se organizzato co­
me parrocchia intorno alla Chiesa, è trasformato e, insieme con
esso, è trasformata anche la vita degli uomini, dal momento che,
in seno alla Chiesa, questi ultimi non vanno considerati in base
alla loro condizione sociale (se cioè sono ricchi o poveri, istruiti
o illetterati, ecc.), ma si conoscono con il loro nome di battesimo
e sono chiamati a vivere come fratelli. In modo analogo si tra­
sforma una provincia, se è organizzata e se vive come diocesi ec­
clesiastica, e può trasformarsi anche tutta l’ecumene, se vorrà vi­
vere e affrontare i suoi problemi avendo come modello il sinodo
degli Apostoli e i Concili ecumenici, vale a dire se vorrà vivere
come assemblea sotto il soffio dello Spirito: «Abbiamo deciso, lo

168
Spirito Santo e noi» (At 15, 28). Ma anche le più umili preoccu­
pazioni umane - costruire una casa, aprire un negozio, coltivare
un terreno, ecc.; - se sono coscientemente collegate dai fedeli
con la santificazione ecclesiastica, si trasformano; la casa, il nego­
zio, il prato non sono più parti dello spazio che noi conosciamo,
ma diventano cellule di un organismo ecclesiastico entro cui
l’uomo, pur non rinnegando le condizioni concrete della vita ter­
rena, può vivere l’infinita vita celeste. Questo altro contenuto e
questa altra organizzazione delle condizioni a noi note, entro cui
scorre la vita umana, è il grande dono della Chiesa al mondo.
Questa è la trasformazione del mondo, cui chiama Cristo.

Ma la Chiesa, in quanto comunità umana e organismo visi­


bile strutturato nel tempo e nello spazio, dispone di alcuni punti
cardinali suoi propri, intorno ai quali si articola la sua organizza­
zione e si sviluppa la vita sacramentale. Secondo Cabasilas, que­
sti punti cardinali sono tre.
Anzitutto, il sacro altare·, all’infuori dell’uomo, solo esso fra
le realtà create è crismato col santo unguento. Come dice san
Dionigi Areopagita, e come ripete Cabasilas, il santo unguento
«introduce Gesù» (633C). In tal modo esiste nel mondo creato
un concreto punto sensibile, in cui risulta certa e stabile la pre­
senza sacramentale del Creatore. Per questo motivo, il santo al­
tare costituisce «l’inizio... di ogni funzione» (625C), il «fonda­
mento» e la «radice» (628A), della Chiesa, il «capitolo dei beni»
(632A). Mediante la santa unzione, la pietra dell’altare si eleva e
costituisce veramente e realmente la mano di Cristo che sorreg­
ge, celebra e distribuisce i sacramenti: «G li altari raffigurano la
mano del Salvatore, ricevendo il pane dalla mensa consacrata, è
come se lo ricevessimo dalla mano immacolata di Cristo, man­
giando il suo corpo e bevendo il suo sangue» (577D-580A).
Sull’altare - o sull'antimension (64), che, talvolta, sostituisce l’al­
tare - Cristo è presente e operante sotto forma di sacramento.
Perciò l’altare «santifica l’offerta» (580AB).
L’altare, a sua volta, è eretto e consacrato dal vescovo. Come
sostiene Cabasilas nel cap. V de La vita in Cristo, l’intero rito
della consacrazione di una Chiesa vuole mostrare che modello

(64) Vedi Lessico.

169
dell’altare è il vescovo e che «tra tutte le realtà visibili, solo la na­
tura umana può diventare tempio e altare di Dio» (629ABC).
Come l’artista possiede prima nella sua mente ciò che crea, così
pure il vescovo, in quanto altare animato di Dio, imprime sulla
pietra ciò che egli stesso è. Anzi, «il vescovo cosparge l’altare coi
nostri odori, col vino e il profumo: questo concede semplice-
mente un diletto... l’altro, soccorre anche la vita», di modo che,
prima della santa unzione, che «introduce Gesù», sia posta
sull’altare «ogni realtà umana» (633AB). Solo una mensa real­
mente umana, infatti, può trasformarsi in altare di Dio. Anche in
questo caso, quindi, risulta chiara la dimensione antropologica e
cosmologica dell’ecclesiologia cabasiliana.
La terza dimensione fondamentale dell’organizzazione del
mondo trasformato in Chiesa è costituita dai santi. Perciò, oltre
all’unguento e al vescovo, nel rito di consacrazione è attribuita
un’importanza particolare alle reliquie dei santi: «La potenza
dell’altare è il santo unguento: occorre quindi che la materia che
riceve questa potenza sia di per sé predisposta allo scopo, di mo­
do che, a sua volta, possa trasmetterla con maggior efficacia; co­
me il fuoco e la luce, che si trasmettono con maggior efficacia at­
traverso corpi atti a riceverli» (636A). Pertanto, «nulla vi è di più
affine ai sacramenti aU’infuori dei santi: questi, infatti, hanno in
comune con Cristo e il corpo e lo spirito e il tipo di morte; Cri­
sto viveva in essi durante la loro vita e la loro morte... ; nella pol­
vere sorda di queste ossa (dei santi), Cristo continua ad essere
presente e intimamente unito» (636B).
Da quanto abbiamo detto finora risulta chiaro che, per Ca­
basilas, esiste una intrinseca relazione tra l’altare, il vescovo e la
santità: questa relazione consiste nel contenuto e punto centrale
comuni: Cristo. Nel modo in cui «l’altare è il Cristo» (580A), così
pure il vescovo, che celebra la santa Eucaristia, è il Cristo: «Co­
lui che celebra questo santo rito è il Cristo» (477A). Ma anche le
reliquie dei santi portano realmente dentro di sé il Cristo e, in
qualche modo, costituiscono altri sacramenti, dato che, «se nelle
realtà visibili è possibile trovare o possedere il Salvatore, ciò av­
viene solo nelle ossa dei santi» (636B).
Questi tre punti cardinali, intorno ai quali si articola l’orga­
nizzazione e l’unione della Chiesa, sono fra loro inscindibili. Il
vescovo ha bisogno dell’altare e dei santi, l ’altare ha bisogno del

170
vescovo e delle reliquie, i santi hanno bisogno del vescovo e
dell’altare. Ciascuno di questi tre punti trova la sua pienezza
all’interno dell’altro e ne è determinato. Tutti e tre costituiscono
presupposti e conducono alla santa Eucaristia, nella quale si rea­
lizza e si rivela nella sua totalità la vita e l’unità della Chiesa. Se
viene a mancare uno di questi tre punti, è impossibile la celebra­
zione dell’Eucaristia.
Il turbamento di questo equilibrio, l’accentuazione unilate­
rale di uno di questi tre punti, conduce alla rottura dell’unità, al­
la disorganizzazione della vita ecclesiale e, quindi, alla decompo­
sizione e disorganizzazione della Chiesa in quanto Corpo indivi­
sibile di Cristo. La gran parte delle eresie e degli scismi verifica-
tisi lungo la storia della Chiesa, come pure molte difficoltà che
nel giorno d’oggi incontra la Chiesa ortodossa per giungere alla
pienezza e organizzazione della sua unità visibile, si devono al
turbamento di questo equilibrio.
Ma nella suindicata prospettiva ecclesiastica universale di
Cabasilas, che è nel contempo prospettiva cristologica, pneuma-
tologica e cosmologica, possono trovare soluzione anche molte
altre problematiche, parimenti importanti, che la Chiesa affronta
oggi: problematiche relative non solo alla sua unità e organizza­
zione, ma anche alla pastorale ed evangelizzazione, nonché ai
suoi rapporti con il mondo e al tentativo di proporre un’attua­
zione oggi della vita ascetica, morale, ecc. Dal momento che, co­
me sottolinea insistentemente Cabasilas, Chiesa è il mondo tra­
sformato in Corpo di Cristo e vivificato dallo Spirito, i problemi
della Chiesa smettono di essere questioni riguardanti una comu­
nità chiusa e, per loro stessa natura, risultano problemi concer­
nenti la strutturazione, l’unità e la vita del mondo intero.
È chiaro che Cabasilas invita la ricerca ecclesiologica e teo­
logica dei nostri giorni a superare il suo carattere storico-filolo-
gico, strettamente confessionale e strettamente canonico, ad ab­
bandonare le biblioteche e a dirigersi verso gli orizzonti aperti
della divina provvidenza: verso l’opera che «fino ad oggi» attua
il Padre, per trasformare, attraverso lo Spirito, il mondo - an­
che il nostro mondo, in cui oggi noi viviamo - in Corpo di suo
Figlio.

171
V.
I l C o r p o t o t a l e d e l S a l v a t o r e a l m o m e n t o d e l l a P a r u sia

La dottrina ecclesiologica di Cabasilas, la sua antropologia e


l’intero suo insegnamento circa la vita spirituale s’illuminano in­
teriormente nell’attesa della Seconda Venuta (Parousia) del Si­
gnore.
Abbiamo visto che il Lògos ha reso divina la natura umana
da Lui assunta, e che la sua Carne beata, che la Vergine Maria ha
concepito per la potenza dello Spirito Santo, costituisce la fonte
e lo spazio entro cui si concretizza la vita spirituale. Parallela-
mente, abbiamo visto che il pane della santa Eucaristia è vera­
mente e realmente il Corpo del Signore, e che verso questo Cor­
po tende, attraverso i sacramenti, il mondo intero e si trasforma
in Chiesa. Nel suo insieme, questo insegnamento di Cabasilas
conduce alla conclusione secondo cui questo unico Corpo, vale a
dire il Corpo del Gesù storico, che è il pane dell’Eucaristia, con­
giuntamente con il Corpo della Chiesa, splenderà nel giorno del
giudizio universale come grande Corpo universale del Cristo Sal­
vatore.
«Questo pane, questo corpo, che porteremo in cielo dopo
averlo preso da questa mensa, è quello che apparirà agli occhi di
tutti scendere sulle nubi e, come un lampo, mostrerà la sua bel­
lezza a oriente e a occidente in un attimo solo». Il raggio della
divinità, entro cui già da ora vivono i santi, non li abbandonerà.
Anzi: quando riapparirà Cristo, «anche questa polvere (i corpi
morti dei santi) svelerà la sua bellezza, quando, divenuta mem­
bro di quel corpo, si rivelerà e assomiglierà al Sole, ed emanerà
un raggio comune». I corpi dei santi splenderanno con la luce
del suo Corpo (624AB).
Cabasilas, seguendo Paolo, chiama la risurrezione universa­
le, che avverrà nel giorno del giudizio universale, «rapimento»:
«Saremo rapiti - egli dice (1 Ts 4, 17) - tra le nubi, per andare
incontro al Signore nell’aria». Perciò il Signore ha chiamato i
santi «avvoltoi»: «Dovunque sarà il cadavere, ivi si raduneranno
gli avvoltoi» (Mt 24, 28). Dice Cabasilas: come nei corpi pesanti
che, una volta tagliati da ciò che li mantiene appesi, cadono con
forza sulla terra, così pure accadrà anche nei confronti dei corpi

172
dei santi: «una volta liberatisi, si slanceranno con incontenibile
forza verso Cristo, acquistando il posto che compete loro»
(624C). H Corpo risuscitato del Demiurgo (65) incarnato splen­
derà come punto di riferimento e d’attrazione mondiale, attraen­
do verso di sé ogni realtà.
Ogni uomo ritroverà allora il suo corpo: «Ossa e parti e
membra incontreranno la loro testa», formeranno la «totalità»
umana. Qualcosa di analogo accadrà «anche nei confronti del
Cristo Salvatore, che è il Capo comune di tutti». Non appena
splenderà il Capo tra le nubi, «accoglierà da ogni parte le pro­
prie membra», per ricomporre quel grande Corpo (624BC).
Pertanto, le membra del corpo universale saranno persone.
Perciò il Corpo sarà nel contempo famiglia, Eucaristia, coro:
«Con l’apparizione del Signore si formerà il coro dei servi buoni;
e questi splenderanno del Suo splendore. Quale spettacolo! Una
moltitudine di splendori, superiore a qualsiasi numero, sarà vista
sulle nubi, uomini rapiti in alto in una impareggiabile festa, molti­
tudine di dèi intorno a Dio, esseri belli intorno al Bello, compo­
nenti della stessa casa intorno al Padrone» (649BC). Nel tempo
futuro, i santi saranno «dèi intorno a Dio ed eredi della sua Casa
e regnanti nello stesso suo Regno» (520C). Diouomo splenderà
come «Dio fra gli dèi», come Π Corifeo dei belli, che guiderà la
bella danza dei santi: «Corifeo meraviglioso di una danza meravi­
gliosa» (624B).
Quest’immagine ricorda l’Apocalisse, la nuova cosmologia
nel Cristo Salvatore: «Scende dal cielo sulla terra Colui che
splende. La terra irradia altri soli verso il Sole di giustizia. E tutto
rifulge di Luce» (649D).

(65) Vedi Lessico.


IL CONTESTO ANTROPOLOGICO E
COSMOLOGICO DELL'UNIONE CON DIO
Studio sull’ufficio del Grande Canone
I.
C o n t e s t o c o s m o l o g ic o

Il mercoledì notte, intorno all’ora quarta, ci raduniamo in chiesa.


Dopo la benedizione deU’officiante, recitiamo i sei Salmi (7Έχàpsal-
mos), l’Alleluia e gli inni triadici... Poi leggiamo la vita di santa
Maria Egiziaca. Dopo aver recitato il Salmo 50, intoniamo, lenta­
mente e devotamente, il Canone, facendo, dopo ogni tropario, tre
prosternazioni e dicendo: Abbi pietà di me, Signore mio Dio, abbi
pietà di me.

Le indicazioni del Triódion, concernenti il modo con cui si


deve celebrare il Grande Canone, non ne definiscono solo il ceri­
moniale, ma anche il contesto antropologico e cosmologico entro
cui va celebrata la funzione. H cerimoniale pone le condizioni en­
tro cui la preghiera può risultare reale, efficace e feconda: e cioè
offre il contesto entro cui l’uomo può concentrare in Dio tutte le
dimensioni della sua esistenza - mente, volontà, coscienza, senti­
menti, sensi, corpo -, e, mediante un’insistente e impegnativa
unione con Lui, le possa purificare e ricomporre e illuminare, e,
quindi, riesca a offrirle a Dio e unificarle con Lui.
Il levarsi prima della quarta ora della notte - intorno a mez­
zanotte -, il raduno in chiesa, la benedizione del sacerdote,
VExàpsalmos (66) (il cui tempo di lettura simboleggia il tempo

(66) Vedi Lessico.

177
della seconda Parousia, e perciò nella chiesa domina il buio e
l’estrema immobilità) e, subito dopo, lo stupore e l’inno del
creato davanti a Dio Trino (l’Alleluia e gli inni triadici), nonché
la recita dei Salmi, che, a mo’ di inno di guerra, preparano i fe­
deli alla lunga lotta notturna: questi sono i primi elementi che,
ristrutturando lo spazio e il tempo corrente, producono quelle
altre condizioni reali entro cui può realizzarsi l’opera suprema
dell’uomo: la preghiera.

Questo contesto basilare, comune a ogni funzione ecclesiasti­


ca mattutina, è in seguito determinato con maggior esattezza in
rapporto alla funzione del Grande Canone·, è letta la vita di santa
Maria Egiziaca, affinché la mente e la volontà dei fedeli abbando­
nino questo mondo e si riconducano, sulle orme della santa, nel
cuore del deserto, nel cuore del mistero della penitenza.
Preparati in questo modo, i fedeli recitano in piedi il Salmo
della penitenza e, subito dopo, affrontano la fatica del Grande
Canone, a cui è invitato a partecipare l’uomo nella sua totalità:

Orsù, povera anima, celebra


insieme con la tua carne il Creatore di tutto
e respingi l’irrazionalità di prima
e offri a Dio lacrime di pentimento.

\lanima trascina il corpo, già preparato mediante il digiuno


e la veglia, in un’interminabile adorazione - tre profonde pro­
sternazioni dopo ciascuno dei 260 tropari del Canone - e in un
pianto del cuore, affinché la preghiera riesca a trasformarsi de
profundis in confessione: grido dell’esistenza umana per la sua ra­
zionalità (67) perduta.
Un altro dato che definisce il nuovo e reale contesto entro
cui si celebra l’officiatura, e cioè le nuove dimensioni assunte dal­
la spaziotemporalità ricomposta, è costituito dalle persone che,
all’mfuori dei fedeli, operano attivamente in questa celebrazione.
Anzitutto, il Dio Triadico. Intorno al suo trono si radunano i
fedeli. La notte, che con le sue tenebre e col suo silenzio attenua
le sensazioni corporali, l’Alleluia, gli inni triadici iniziali, l’icono­

(67) Vedi Lessico.

178
grafìa della chiesa: tutto aiuta l’esistenza umana a rivolgersi verso
fl Dio Triadico e a porsi di fronte a Lui:

A Te io canto l’inno
solenne che, nell’alto,
incessamente è cantato.

Intenzione prima è quella che i fedeli si trovino riuniti in chie­


sa nella Casa patema, che con il pentimento e la preghiera il mon­
do sia trasformato e avvenga dentro la chiesa l’antica agape.

Anzitutto è attivamente presente la seconda Persona della


Santissima Trinità, con un’attività che definiremmo fisica, dal
momento che la parte creata del nostro mondo, che egli ha ac­
colto e reso infinita trasformandola nel suo corpo, è la Chiesa,
entro cui la nostra spaziotemporalità trova le sue nuove dimen­
sioni: quelle che ci permettono di celebrare le sacre funzioni. Il
raduno dei fedeli avviene letteralmente entro il Corpo di Cristo,
il Cristo è la nostra Casa.
Ma il Lògos incarnato, il Signore Gesù, è presente anche in
una dimensione immediata, esistenziale. Egli è il Salvatore mise­
ricordioso, lo Sposo crocifisso che, con fl suo amore, tocca il
cuore dei fedeli e li invita a un’unione amorosa e mistica. La tra­
ma della funzione del Grande Canone, come la vediamo svilup­
parsi nella concatenazione dei tropari, manifesta che la preghiera
dei fedeli non è un monologo, ma la voce di un dialogo che ha
luogo nelle profondità mistiche dell’esistenza umana.

È poi presente, in modo altrettanto attivo, la Madonna. Il


corpo del Dio-uomo, la Chiesa, è suo corpo. Maria è Deipara.
Nelle sue viscere è stato compiuto l’immenso miracolo: l’Uno
della Triade è diventato ciò che siamo noi. Lei è la Porta e la Scala
che unisce il cielo con la terra, che nei nostri limiti spaziotempo­
rali apre una breccia salvifica introducendo fin da adesso in que­
sto mondo ciò che è al di sopra di questo mondo·.

Ti lodiamo, ti benediciamo
ti veneriamo, Madre di Dio,
perché partoristi l’uno dell’indivisibile Trinità

179
e anzitempo apristi a noi, che abitiamo questa terra,
il mondo celeste.

La Madonna è anche l’amorevole consolatrice dei fedeli nel


tempo difficile del digiuno, la loro sostenitrice nella lotta nottur­
na della preghiera; è colei che li riconduce per mano a Cristo,
che intercede per i peccati e conduce le anime nella loro unione
mistica. La Madonna è presente dall’inizio fino alla fine della
funzione. Così come accade con Cristo, i fedeli conversano an­
che con lei.

Ma è anche presente santa Maria Egiziaca. La lettura della


sua vita non mira a commuovere i fedeli. Nel contesto dell’offi-
ciatura, questa lettura s’inserisce in modo profondamente orga­
nico e reale. I fedeli ortodossi sanno molto bene che la festa di
un santo non costituisce un semplice onore nei confronti del
santo stesso o un semplice ricorso della sua vita con finalità di­
dattiche. Piuttosto, è una compartecipazione reale da parte dei
fedeli alla vita, alle lotte, alla vittoria e alla gloria del santo. Sic­
ché la lettura della vita di un santo avviene per riportare vera­
mente e realmente in mezzo a noi il santo stesso, insieme con le
sue azioni e le sue lotte. Perciò, parallelamente, le reliquie del
santo (o, qualora non ve ne fossero, la sua icona) sono collocate,
dopo una processione, in un posto d’onore all’interno della chie­
sa, e i fedeli sono unti dell’olio del lume che arde davanti alle re­
liquie (o all’icona) del santo. La lettura della vita di un santo è
un’azione liturgica-, essa è realizzata in un altro tempo, quello li­
turgico, e, insieme con tutti gli altri elementi della funzione, crea
un altro spazio: quello liturgico.
In questa nuova spaziotemporalità, le azioni e le parole as­
sumono altre dimensioni e funzionalità, altro contenuto e fecon­
dità. Sicché la lettura della vita di questa santa fa sì che, nel ra­
duno dei fedeli, risulti presente in modo mistico anche Maria
Egiziaca, che li accompagni e lotti assieme con loro la lotta della
penitenza e della preghiera. Perciò, alla fine di ogni Ode (68)
del Grande Canone, ci sono due tropari, con cui i fedeli si rivol­
gono a lei:

(68) Vedi Lessico.

180
Colui che amasti e che desiderasti,
o Madre, e di cui seguisti le orme,
egli, che è l’Unico Dio benevolo,
ti elargì il dono della penitenza:
pregalo incessantemente
affinché ci liberi da ogni patimento e ostacolo.

In modo parimenti mistico è presente anche sant’Andrea, il


compositore del Canone. La Chiesa ha accluso nel suo Canone,
alla fine di ogni Ode, un tropario indirizzato allo stesso Andrea.
Certo, la ricerca scientifica, volendo studiare scientificamente il
Canone, lascia da parte questi tropari «postumi» e «spuri»: il
suo scopo principale, infatti, è quello di valorizzare la poesia di
sant’Andrea di Creta e di collocarlo nella storia della letteratura
bizantina. In modo analogo, la scienza teologica cerca di trovare
i concetti teologici che i testi genuini del Canone celano. Per la
scienza è strana e inammissibile la confusione dei tempi, che ca­
ratterizza questo inno.
Per la Chiesa, invece, non esiste alcuna confusione. Con la
lettura del Sinassario che, come in ogni Mattutino, dà motivo do­
po la sesta Ode della ragione, del contenuto e della finalità del ra­
duno liturgico, la Chiesa spiega cos’è il Grande Canone, chi è il
suo autore, per quale motivo esso è stato collegato con la vita di
santa Maria Egiziaca, scritta nel sec. VII dal patriarca di Gerusa­
lemme Sofronio, e, insomma, dà tutte le indicazioni necessarie.
Ma la Chiesa vive e si muove in una profondità diacronica che,
mentre da una parte contiene il tempo unidimensionale determi­
nato dai fatti storici, dall’altra lo supera. In questa profondità dia­
cronica, gli innumerevoli momenti del tempo storico s’incontrano,
e così non vi è assolutamente nulla di strano se sant’Andrea, l’arci­
vescovo di Creta, che nel sec. V ili ha composto il Grande Canone,
risulta presente ogni qualvolta la Chiesa recita questa funzione, e
inizia (69) i fedeli all’opera della preghiera e del pentimento. O,
per dirla diversamente, con questa azione liturgica, come pure con
tutte le altre, i fedeli affondano in questa profondità del tempo (in
cui, secondo la felice espressione òsNEpistola a Diogneto (70), «i

(69) «Tu sei il miglior iniziatore alla penitenza» (Ode 3a).


(70) Epistola a Diogneto 12,9 (BEPES 2,257).

181
tempi coincidono») e, dentro la Chiesa, Corpo di Cristo, in questo
altro spazio, diventano contemporanei di sant’Andrea e di santa
Maria Egiziaca e di tutti i santi, della Madonna e di Cristo, e abita­
no i loro stessi luoghi. In queste altre dimensioni a noi note che as­
sume la spaziotemporalità, le persone si espandono in ampiezza e
profondità, assumono dimensioni infinite senza pertanto perdere
la loro ipostasi concreta, e, parimenti, si espandono in ampiezza e
profondità anche le parole e i fatti narrati, dal momento che si ar­
ricchisce infinitamente il loro significato.
Oggi troviamo difficoltà a comprendere la profonda
logicità (71) delle celebrazioni liturgiche - sacramenti (72), fun­
zioni, cicli liturgici, preghiera, ascesi, pentimento - perché impe­
diti dalla concezione unidimensionale del tempo e dello spazio.
A ll’interno della Chiesa, però, vige un’altra cosmologia. Questa
diversa spaziotemporalità è espressa dall’architettura e dal­
l'iconografia bizantine ed è il presupposto delTinnografia bizan­
tina. I complessi architettonici, le icone, gli inni (Oggi [Cristo] è
messo sulla croce: venite, crocifiggiamoci anche noi insieme con
lui, ecc.) non sono modi di dire o allegorie, creazioni di una fan­
tasia dotata, ma esprimono una realtà. Come la nascita nuova,
concessa dal battesimo, così pure la comunione del Corpo e del
Sangue di Cristo, che avviene durante la santa Eucaristia, non è
metaforica ma reale. Se non prendiamo sul serio l’altro contesto
cronologico e antropologico, entro cui vive e si muove la Chiesa,
è impossibile comprendere l’arte bizantina, i testi biblici, patri­
stici e liturgici, come pure è impossibile comprendere la logicità
e realtà che racchiude in sé il modo concreto con cui è struttura­
ta la vita ecclesiale, in quanto rifondazione e trasformazione atti­
va e decisiva e salvifica delle precedenti dimensioni e funzioni
del mondo creato e dell’essere creato dell’uomo.
In quest’altra prospettiva, quella ecclesiologica, in cui il
mondo creato si eleva in mistero (in cui, cioè, trova in Cristo la
profonda armonia, le vere dimensioni e la sua totale funzionalità),
possiamo capire che il Grande Canone, come è stato composto
dal suo autore e come è celebrato dalla Chiesa, è qualcosa di ra­
dicalmente diverso da un semplice testo letterario, oggetto

(71) Cf. nota (67).


(72) Vedi Lessico.

182
dell’analisi filologica, o da un testo cui la scienza teologica con­
temporanea potrebbe far ricorso per attingere concetti teologici.
Più precisamente, potremmo dire che si tratta di un testo lettera­
rio nella sua completezza, dal momento che con la sua profonda
armonia, le sue dimensioni vere fino all’infinito e la sua teantro-
pica funzionalità, esprime quell’altro tempo e quell’altro spazio
invitando l’uomo a penetrarvi, e del quale la vera arte presuppo­
ne o coglie e cerca di esprimere alcune dimensioni. Ed è un testo
teologico nella sua completezza, dal momento che il pensiero,
l’arte, l’informazione storica, funzionando dentro di esso a mo’
di preghiera, trovano le loro vere dimensioni e la loro completa
funzionalità, diventano mezzi che conducono l’uomo alla metà-
noia·. vale a dire alla trasformazione e ristrutturazione di sé e
dell’ambiente. È un testo teologico nella sua totalità, perché non
è uno scolio scientifico, ma funzione ecclesiologica, vale a dire
azione che trasforma e salva l’uomo e il mondo.

In questa nuova spaziotemporalità della Chiesa dominano


altre memorie·, le persone e gli eventi della storia sacra. Secondo
il Sinassario, il santo redattore del Grande Canone « ha composto
il presente poema tenendo conto di tutto l’Antico e Nuovo Testa­
mento, e cioè a partire da Adamo fino all’Ascensione del Signore
in cielo e alla predicazione degli Apostoli».
È noto che, per la tradizione ortodossa, la linea Adamo-Cri-
sto definisce la verità storica, il contenuto più profondo e la fina­
lità del divenire storico. Così i Sacri Testi, dalla Genesi fino al-
VApocalisse, costituiscono per la Chiesa il libro sacro del mondo,
proprio perché contengono le fasi fondamentali di questo più
profondo divenire storico.
All’interno di questo flusso perenne, che dall’Inizio condu­
ce alla Fine, i fedeli di ogni epoca ri-conducono le cose proprie
e quelle del loro mondo: di modo che, battezzandole in esso, in­
nestandole all’asse portante, riescano a trasportare dalla condi­
zione effimera (dalla «natura corrente del tempo») a quella pe­
renne, dal contesto della quotidianità e periodicità a quello che
trova in Cristo l’eternità e infinitudine. Questa trasposizione (il
testo parla di « passaggio») costituisce il centro della penitenza e
uno degli scopi principali della lettura dei Testi Sacri e della
preghiera.

183
Tutti questi fatti li ha «perfettamente e armoniosamente amal­
gamati il nostro santo padre Andrea, arcivescovo di Creta» nel suo
Grande Canone.
Rievocando la memoria di Salomone, il quale

compiendo atti malvagi contro Dio


si allontanò da Lui,

egli induce il peccatore non ancora pentito a rendersi consape­


vole che, restando lontano da Dio, ha una vita «assorbita» dalla
corruzione.
Prospettando spalancata la porta del Regno, per via dell’in-
camazione di Cristo, e i ladroni e le prostitute, che rispondono
alla sua chiamata, avvicinarsi a ghermire anzitempo il Regno attra­
verso il mutamento radicale - la trasformazione attraverso la peni­
tenza -, egli incoraggia gli scettici ad accantonare ogni riserva e
introdursi in quello spazio ove i peccatori si trasformano in santi:

Cristo si fece uomo


e chiamò al pentimento i ladroni e le prostitute.
Ravvediti, o anima,
la porta del Regno già fu spalancata
e accorrono ad essa
farisei e pubblicani e adulteri
pentendosi.

In tal modo, il fedele preparato è collocato nel coro dei sup­


plici del Signore e, aggiungendo la sua voce a quella degli altri,
esclama:

Come il ladrone, invoco: Ricordati di me.


Come Pietro, verso lacrime amare.
Come il pubblicano, supplico: Salvami, Signore.
Come la prostituta, piango. Accogli il mio pianto,
come una volta accogliesti quello della Cananea.

In questo modo, le memorie della storia sacra si rivivificano.


Gli eventi salvifici si rinnovano nel profondo dei fedeli, i quali
sono all’istante redenti. Questo istante, entro cui prendono di

184
nuovo vita gli eventi salvifici, si dilata, accoglie in sé ogni realtà
incontenibile: i confini del tempo e dello spazio si annullano ed
esso si estende fino all’infinito e vi si immerge.
Questa trasformazione dei dati fisici - o metànoia o ristruttu­
razione, o come la si voglia chiamare -, che conduce all’uomo
nuovo e alla creazione nuova in Cristo, è la salvezza. Essa è con­
cretamente realizzata nella santa Eucaristia, ove ciò che è creato
comunica perfettamente con ciò che è increato ed è deificato:
costituisce il contenuto e la finalità di tutta la vita ecclesiale, sa­
cramentale e ascetica: il contenuto, cioè, dei sacramenti, delle fe­
stività, delle sacre funzioni, della preghiera, del digiuno, della ve­
glia (73).
Questa procedura che, con profonda conoscenza della com­
posizione psicosomatica dell’uomo e delle sue relazioni con il
mondo, è stata stabilita dalla tradizione apostolico-patristica or­
todossa, presuppone un contesto cosmologico e antropologico
ben determinato: si tratta del contesto scaturito dall’origine e
dalla finalità della creazione, dall’insuccesso dell’uomo nel rag­
giungimento della sua finalità e dall’inserimento personale di
Dio nello spazio e nel tempo creati. Questo contesto generale
descrivono limpidamente le Sacre Scritture parlando della gene­
razione del mondo e dell’uomo, della caduta e della pedagogia
dell’umanità, dell’incarnazione di Dio, della crocifissione e risur­
rezione e ascensione del Diouomo, della venuta dello Spirito e
dell’attesa del Regno escatologico.
Tutto ciò non costituisce un insieme di postulati metafisici,
che l’uomo deve ammettere onde evitare un qualche castigo o
per ottenere la salvezza, bensì un insieme di avvenimenti storici,
che determina le coordinate entro cui l’uomo e il mondo sono
stati creati, continuano ad essere in seguito alla caduta, e si ritro­
vano poi in Cristo. Per questo motivo, l’insieme di tutto ciò de­
termina la vera natura dell’uomo e del mondo: la verità della sto­
ria. AU’infuori di questo contesto, il mondo creato è qualcosa di
innaturale; entro questo contesto, il mondo creato trova la sua
vera natura e progredisce nella sua perfezione.
In questo contesto cosmologico e antropologico è struttura­
ta l’intera vita ecclesiale. Tutte le azioni ecclesiali, ivi incluso il

(73) Vedi Lessico.

185
Grande Canone, presuppongono questo contesto. Pertanto, pur
supponendo, ciascuna delle funzioni ecclesiali, l’insieme di tutto
ciò, tuttavia, presa singolarmente ogni funzione sottolinea in mo­
do particolare taluni presupposti, in relazione con la finalità spe­
cifica e con la funzionalità ad essa inerenti. Essendo la celebra­
zione del Grande Canone collocata nel mezzo della Quaresima,
mira ad aiutare l’uomo a rendersi consapevole della tragicità del­
la condizione non conforme alla sua vera natura, entro cui egli
venne a trovarsi in seguito al peccato, e a consolidarlo nella deci­
sione di lottare per la riconquista della sua condizione originaria,
anteriore alla caduta, come essa è stata perfezionata in Cristo.
Ecco perché il corrispettivo contesto risulta maggiormente evi­
dente nel Grande Canone. Cercheremo di descrivere questo con­
testo.

II.
C o n t e s t o a n t r o p o l o g ic o p r im a d e l l a c a d u t a

La natura conforme all’uomo è definita dalla sua condizio­


ne anteriore alla caduta:

Vivificando la creta,
o Vasaio,
ponesti in me
carne e ossa
respiro e vita

Nel donare all’uomo l’esistenza, il Demiurgo la struttura


(ponesti in me) corporalmente (carne e ossa) e psichicamente (re­
spiro e vita). Queste due dimensioni dell’uomo collegano in mo­
do organico la persona umana con la dimensione materiale e spi­
rituale del mondo creato, rendendo l’uomo ricapitolatore
dell’universo: un microcosmo.
La persona strutturata in modo naturale all’interno del
creato - e cioè l’uomo nella sua interezza - ha riposto il suo prin­
cipio ontologico in Dio, perché è stato plasmato a immagine di
Dio. La sua ontologia è iconica. In Dio l’uomo trova la salute,

186
l’armonia, la bellezza, la beatitudine. La grazia di Dio - vale a di­
re l’amore, la vita, la gloria, in una parola: le increate energie - è
stata concessa e amalgamata con l’esistenza e formazione dell’uo­
mo in Dio. Essa costituisce

la tenda divinamente modellata

l’abito primo,
che il Demiurgo all’origine intessé

la bellezza dell’immagine

la bellezza primigenia

la primogenitura
della bellezza prima.

Così, l’uomo assapora nel Paradiso

il nutrimento del Regno perenne,

possiede

dignità regale

diadema e porpora,

egli è

dovizioso e giusto

provvisto di ricchi pascoli.

Bisogna tener conto che il Grande Canone non è un testo


catechistico, che spieghi e analizzi. Piuttosto, esso è una fun­
zione liturgica e, in quanto tale, si limita a rievocare la condi­
zione da cui l’uomo decadde, di modo che il fedele si renda
consapevole della tragica situazione entro cui attualmente si
trova e si rinsaldi nei suoi sforzi di pentimento. La pregnanza e

187
portata dei versi poetici, non disgiunti dal concorso dell’ele­
mento catechistico, indicano come dardo appuntito la condi­
zione umana anteriore alla caduta, da molti testi patristici de­
scritta, e la cui conoscenza costituisce presupposto indispensa­
bile per questa celebrazione liturgica. Così i versi che abbiamo
sopra riportato, sono di per sé sufficienti per rievocare con
chiarezza nel profondo del credente il ben noto insegnamento
della Chiesa concernente la creazione dell’uomo a immagine di
Dio, che, proprio perché fondamentale, è stato da noi analitica-
mente esposto nella prima parte di questo libro. Il Grande Ca­
none, in quanto funzione liturgica, costituisce esperienza per­
sonale e realizzazione di questo insegnamento. D ’altro canto,
esso aiuta decisamente alla perfetta conoscenza dell’insegna­
mento dogmatico, dal momento che, per la dottrina ortodossa,
la conoscenza si ottiene fondamentalmente con l’esperienza
personale.

III.
C o n t e s t o d e l p e n t im e n t o

La trasgressione di Adamo, cui il fedele identifica la propria


trasgressione (io emulai la trasgressione di Adamo) è una volonta­
ria deviazione di percorso e, più propriamente, un cambiamento
di bersaglio.
L’uomo, autoponendosi come mèta e finalità di se stesso,

divenni idolo di me stesso,

interrompe deliberatamente il suo rapporto iconico con Dio e il


suo movimento verso di Lui: si rende autonomo, si circoscrive
entro lo spazio e il tempo creati ed entro la sua natura creata,
con l’inevitabile conseguenza di sentire dentro di sé un’insaziabi­
le fame spirituale:

fame di Dio mi ha colto,

conobbi me stesso denudato di Dio.

188
Vivendo non nella vita di Dio bensì in quella della sua «na­
tura propria» (74), l’uomo conduce fisiologicamente se stesso
verso la morte. La perdita del suo riferimento ontologico com­
porta il discioglimento della sua struttura psicosomatica. La sua
condizione di immagine è ottenebrata, la condizione di somi­
glianza a Dio si trasforma in dissomiglianza, e l’uomo, perdendo
il suo «abito dall’impronta divina», si riveste delle tuniche di
pelle·, dalla sua condizione di «essere teologico» egli decade in
un «essere biologico».
Il contesto antropologico, entro cui si realizza questo pro­
cedimento di disorganizzazione e decomposizione dell’uomo, è
delineato con chiarezza nell’officiatura del Grande Canone·, ne
riparleremo più avanti. Occorre pertanto definire preliminar­
mente il contesto più generale, entro cui viene a collocarsi il
peccato.
È significativo il fatto che fin dall’inizio e fino alla fine del
Grande Canone, i verbi usati per esprimere l’atto peccaminoso o
per definirne le conseguenze non si riferiscono a Dio ma all’uo­
mo, e che, nella maggior parte dei casi, questi verbi norl esprimo­
no sanzioni penali ma mutamento di condizione naturale:

Rivolsi il mio sguardo, fui ingannato, trasgredii,


decaddi.
Fui ottenebrato, mi sporcai e macchiai, sono corrotto e perduto.
Mi ferii, fui colpito, mi dispersi, contrassi la lebbra, fui sporcato e
macchiato, fui trascinato.
Lacerai l’abito primo, mi imbrattai di fango, mi infangai.
Per i miei misfatti corrosi la sostanza dell’anima mia, divenni assas­
sino col consenso dell’anima.
Fui attratto dai peccati, ho vivificato la carne.
Indossai una tunica lacera, giaccio nudo, mi vergogno, soffro la
fame.

Ma anche quando s’incontra un verbo dal contenuto giuri­


dico, nella stessa strofa è definito il contenuto di esso:

(74) L ’espressione è di san Macario d’Egitto, Omelie spirituali 12, 2


3 4 ,557B).

189
Trasgredii, profanai,
mi incamminai tra i peccati:
aggiunsiferite alla mia ferita,

o il suo soggetto:

Fui giudicato e condannato


dalla mia stessa coscienza.

Di analogo contenuto semantico sono anche i sostantivi uti­


lizzati:

Ragionamenti fallaci, appetito irrazionale, nutrimento irrazio­


nale, nutrimento velenoso.
Vita lurida, ondate di misfatti.
Ingordigia di passioni, rabbia di passioni, offuscamento di
passioni.
Ferite nel corpo e nell’anima.
Traumi, piaghe, lacerazioni, spossatezza, ecc. (75).

(75) Proponiamo interamente alcune strofe:


Io perdei la mia bellezza primigenia
e la mia magnificenza
Ora giaccio nudo
pieno di vergogna (Ode 2a).

Io sporcai la bellezza protologica,


Salvatore, con le mie passioni;
ma così come una volta cercasti la dracma,
vienimi a trovare (Ode 2a).

Io abbellii la statua della carne


rivestendola di passioni impure -
e fu i condannato (Ode 2a).

Io macchiai la tunica della mìa carne,


imbrattai la mia condizione di immagine e somiglianza (Ode 2a).

Fui colpito e ferito.


Ecco le frecce del nemico
e le ferite nell’anima e nel corpo.

190
Influenzati dalla teoria occidentale concernente il peccato
originale, di solito attribuiamo al peccato connotati penali: ri­
teniamo che esso sia disobbedienza ai comandamenti di Dio e
che le sue conseguenze siano castighi di Dio. Per la tradizione
biblico-patristica ortodossa, invece, il peccato originale, come
pure ogni peccato, è collocato in un ambito naturale: quando
l’uomo chiude i suoi occhi alla luce, egli piomba nelle tenebre;
quando perde il suo centro di gravità, si disorganizza; quando
si allontana dalla vita, trova la morte. I comandamenti di Dio
non minacciano un castigo che piomberà da un principio
estraneo all’uomo: piuttosto, essi pongono quelle condizioni
entro cui l’esistenza umana può conservarsi in uno stato di sa­
lute. La malattia, il dolore, la morte, che derivano dalla tra­
sgressione delle norme del vivere in salute, non sono castighi
stabiliti dalle leggi; sono conseguenze naturali delle trasgres­
sioni stesse. Non Dio crea il male, ma l’uomo: e questa è ima
verità di importanza fondamentale. Stando così i fatti, il fedele
si pone di fronte a Dio non per stabilire di chi sono le respon­
sabilità, ma in quanto diretto responsabile. Sicché, la strada
della penitenza rimane sempre spianata. Dio misericordioso
non abbandona in nessun caso la sua creatura. È stato l’uomo
ad allontanarsi da Dio: ed è lui che è invitato a farvi ritorno.
Questo ritorno, questa trasposizione nello spazio di Dio, che
va di pari passo con la guarigione, la ristrutturazione e la tra­
sformazione dell’esistenza umana, costituisce il nucleo del

Ecco le piaghe, i traumi, le lacerazioni


colpi inflittimi
dalle mie stesse passioni (Ode 2a).

Io sporcai la tua immagine


trasgredii il tuo precetto.
Si offuscò la mia bellezza,
e, per via delle passioni,
fu spento, Salvatore, il mio splendore.
Ma abbi pietà di me, restituiscimi,
come dice Davide, la mia letizia (Ode 7a).

e. Io annerii la bellezza dell’anima mia


per via delle mie passioni
R esi completamente di terra la mia mente (Ode 2a).

191
pentimento e il contenuto dell’intera lotta spirituale, ivi inclu­
sa la lotta che affronta il fedele nel corso della celebrazione del
Grande Canone.

Entro questo contesto generale della relazione Dio - uomo


si colloca anche il cammino che, lontano da Dio, percorre il pec­
catore nella sua progressiva disorganizzazione e distruzione. Con
sorprendente conoscenza della profondità dell’animo umano e
della composizione psicosomatica dell’umano essere, il Grande
Canone descrive il contesto antropologico della distruzione
dell’uomo. Nell’accingerci ad affrontare questo argomento, ci
preme ribadire ancora una volta che il Grande Canone non è un
testo che analizza, ma che offre possibilità di esperienze persona­
li. Molti dati che stiamo per dire sono diffusamente esposti in al­
tre parti di questo libro. Pur tuttavia, non potevamo non men­
zionarli anche qui senza alterare il quadro generale entro cui
l’ufficiatura del Grande Canone ci invita a collocarci, onde riac­
quistare la vita spirituale. Nella Chiesa, che è spazio di vita, si ri­
conoscono le inevitabili ripetizioni che contraddistinguono la vi­
ta stessa.
Lontano da Dio e dalla sua vita, l' anima cerca di nutrirsi
cibandosi del corpo. Così nascono le passioni dell’anima. Più
propriamente, le facoltà impassibili dell’anima - che nell’uo­
mo creato appaiono come finestre che aprono verso Dio in­
creato, e come contenitori, da cui le funzioni noetiche traggo­
no la grazia di Dio che nutre e vivifica l’uomo intero - con la
loro sottomissione al corpo si trasformano in funzioni passibi­
li, di modo che la vita dell’anima peccaminosa è costituita dal­
la concupiscenza. L’attività concupiscibile divora e indebolisce
le facoltà dell’anima:

Dando forma alle passioni amorfe


per via degli appetiti voluttuosi
distrussi la bellezza dell’anima mia.

Il corpo, da parte sua, non trovando vita nell’anima, si rivol­


ge verso l’esterno e, com’è ovvio, è imprigionato nella materia, si
abbandona nel vortice della corruzione. Così spuntano le passio­
ni del piacere corporali, mediante le quali l’uomo si sforza di

192
trarre dalla materia (76) vita e gioia. E proprio perché le passioni
corporali, per essere soddisfatte, vanno in cerca della materia,
l’uomo che conduce una vita di passioni finisce col considerare
la materia come fonte di vita, e la sostituisce a Dio. Conseguenza
inevitabile della concupiscenza è l’idolatria:

Accumulasti, anima mia, crimini


elevando le tue passioni a idoli
e moltiplicando i simulacri.

In questo modo, l’ordine della natura è capovolto. Mentre


nella condizione conforme alla sua natura la materia trova supre­
ma realizzazione e funzionalità nell’organismo umano, dalle cui
dimensioni spirituali essa si apre verso Dio increato, nella condi­
zione contraria alla natura, invece, che è conseguente alla rinne-
gazione di Dio, l’anima si sottopone al corpo (77) e questo alla
materia. Questo capovolgimento conduce l’uomo verso «una vi­
ta avida di materia e di guadagno», che risulta un « giogo pesante»
per l’uomo, perché costituisce asservimento e imprigionamento
dello stesso entro i dati asfissianti del mondo creato (78).
Questo primo capovolgimento è accompagnato da un altro,
parimenti fondamentale. La tradizione biblico-patristica orto­
dossa considera il cuore come centro dell’organizzazione e della
vita psicosomatica dell’uomo, e come organo entro cui è celebra­
ta la mistica unione di ciò che è spirituale con ciò che è materia­
le, e di ciò che è materiale con ciò che è spirituale. Il cuore è do­
tato non solo di una funzione corporale, ma anche di una spiri­
tuale: secondo la teologia ortodossa, nel cuore hanno secfe le
molteplici facoltà intercomplementari della mente, e da esso sca­
turiscono le energie dell’anima. Parallelamente, chiamiamo cuo-

(76) Le carni porcine e i lebeti,


le golosità egizie
preferisti, anima mia,
al cibo celeste (Ode 5a).
(77) Tu sottomettesti al corpo
la tua indomabile libertà (Ode 7a).
(78) Incappai nell’afflizione delle passioni
e nella corruttibilità materiale —
ora il nemico mi opprime (Ode 2a).

193
re la fonte vitale del corpo e il centro dell’anima. Perciò nel cuo­
re, in quanto intimissimo punto centrale della cosciente, libera e
razionale persona umana, sempre secondo la tradizione ortodos­
sa, Dio incontra l’uomo.
Quando la libera volontà dell’uomo rinnega Dio, e l’uomo,
dalla condizione di essere a immagine di Dio, si riduce a un idolo
di se stesso, il cuore s’indurisce e, secondo il Grande Canone, «di­
venta insolente», l’unità delle funzioni psicosomatiche «si spezza»,
la personalità si decompone. Le funzioni corporali, non alimen­
tandosi della grazia di Dio, si riducono a semplici funzioni biologi­
che. E le facoltà dell’anima, prive della grazia divina, s’indurisco­
no e si materializzano, diventano parvenze di facoltà e, alimentate
dal peccato, perdono la loro giusta funzionalità e si alterano.
La volontà, che quando funziona conformemente alla sua
natura, esplica la sua attività per mezzo della libertà e dell’amore,
si trasforma con il peccato in desiderio, si rende schiava di questo
e «partorisce insolenza». L’intelletto (nous), che nell’uomo confor­
me alla sua natura costituisce la somma delle sue capacità cono­
scitive, il punto verso cui esse convergono unificandosi, l’occhio
dell’anima, la luce della teomorfa ragione umana che illumina e
guida l’uomo, con il suo allontanamento da Dio funziona come
semplice pensiero. Così la conoscenza, che nella funzionalità ad
essa conforme è perfetta comunione tra colui che conosce e ciò
che è conosciuto, nella condizione contraria alla sua natura si ri­
duce a una semplice osservazione, vale a dire a cumulo di infor­
mazioni empiriche relative all’oggetto di conoscenza e semplice
rielaborazione sillogistica dei dati acquisiti. Il contenuto dell’in­
telletto, i pensieri, abbandonando il cuore, loro punto di riferi­
mento naturale, errano per il mondo esteriore e inducono l’uomo
a rinnegare la sua realtà, a divenire assente da se stesso, a insegui­
re all’infuori della sua esistenza idoli inesistenti di se stesso.

In questa loro strutturazione e funzionalità successiva alla


caduta, le funzioni corporali e psichiche dell’uomo sono definite
dalla tradizione biblico-patristica ortodossa «tuniche di pelle».
L’imprigionamento volontario dell’uomo entro lo spazio creato,
ha tessuto su misura per il genere umano queste tuniche di pelle
in sostituzione dell’abito psicosomatico libero da ogni passibi­
lità, tessuto dalla grazia:

194
Rivestì di tuniche di pelle, r
il peccato, anche me, <
dopo avermi denudato della veste divinamente tessuta.
Questo abito psicosomatico della persona, successivo alla
caduta, può certamente diventare di nuovo spirituale mediante
l’ascesi e la vita spirituale, e l’uomo può vivere di nuovo la vita
divina. Ma può anche peggiorare, rendersi
vergognosamente screziato e lordo di sangue
dalflusso della mia vita piena di passioni e voluttà (79).
In verità, vendendo «ad estranei» (vale a dire alle passioni
peccaminose) la primogenitura della sua libertà, la volontà può
ridursi a «impeto irrazionale» e «indomabile» e a «voracità volut­
tuosa», sottomettersi completamente al piacere e trasformarsi in
concupiscenza.
Nello stato avanzato di peccaminosità, anche Xintelletto « è
imbrattato di fango», diventa « terra», sprofonda nella materialità
e, pur compiacendosi di apparire « magniloquente», in realtà, co­
me dice il Grande Canone, risulta « sommerso». I ragionamenti,
dovendo collaborare con le passioni del piacere, si concretizzano
nelle azioni peccaminose, le quali feriscono profondamente l’uo­
mo. Avendo come contenuto il peccato, i sillogismi diventano
« passibili» e « sanguinari», il fedele li percepisce come ladroni
che saccheggiano la sua esistenza:
Sto in preda a ladroni -
ai miei peccati -
sono continuamente percosso da essi,
sono pieno di colpi (80).
Quest’anima « forsennata», dalla quale ha origine ogni pec­
cato, corrompe anche il corpo. Il tempio dello Spirito si riduce a

(79) La mente è ferita, il corpo debole, lo spirito infermo


la voce fiacca, la vita inerte -
mi sento alla soglia della fine.
(80) I versi seguenti esprimono il modo del ferimento:
La mente passionale fingendo dolcezza
e nutrendomi sempre con cibi velenosi.

195
un «albergo di lordure corporee». D fascino del corpo umano, le
molteplici possibilità di comunione che offre alla persona il cor­
po umano, sono bruciate e distrutte dall’amore del piacere: il
corpo e, insieme con esso, l’uomo diventano «scempio di mutabi­
le lascivia».
Con la sua totale sottomissione al peccato, l’uomo raggiun­
ge l’estremo limite dell’autodistruzione. Con il suo libero arbitrio
egli riesce a ridurre a morte la sua coscienza, a dilapidare il corpo,
a uccidere la propria mente:

Volutamente divenni assassino col consenso dell’anima

emulasti, anima mia peccaminosa,


il primo Caino e Lamech
per aver dilapidato il corpo con misfatti,
per aver ucciso la mente con appetiti irrazionali.

Questo percorso che, stando lontano da Dio, conduce il


peccatore verso la sua decomposizione e distruzione, se inserito
nell’ambito del Grande Canone, se cioè ad esso è riconosciuta
una finalità non puramente teorica, bensì di esperienza esisten­
ziale, allora si potrebbe dire che esso ha tutte le caratteristiche di
una rappresentazione drammatica. Il fedele, vedendo che la sua
distruzione è conseguenza del peccato, prende coscienza della si­
tuazione drammatica della condizione peccaminosa in cui si tro­
va. Dentro la Chiesa, davanti al trono di Dio e con attorno lo
splendente corpo dei santi, il fedele si accorge di non indossare
un abito di nozze, di essere nudo. Allora si vergogna, si ripiega
su di sé, si rattrista e piange. Il pianto, che accompagna con insi­
stenza tutte le Odi del Canone:

Da dove iniziare il mio lamento


per p iatti della mia miserabile vita?
Quale preambolo intonare, Cristo,
al lamento di oggi?,

è anch’esso significativo del carattere drammatico di questa fun­


zione religiosa. Trattasi di un dramma struggente, nel quale non
ci sono spettatori ma soltanto attori, e nel quale, coloro che vi

196
partecipano, dopo la situazione tragica e attraverso la catarsi,
raggiungono la redenzione.
In questo contesto in cui viene a trovarsi l’uomo in seguito
alle prospettive nuove dello spazio ristrutturato e in cui, come in
uno scenario, è rappresentata la vita intera ed è celebrato il pas­
saggio dalla condizione tragica alla redenzione, il fedele prende
consapevolezza della reale gravità del peccato. Egli si accorge
che questo non costituisce un semplice offuscamento morale, ma
un degrado totale. Peccare non significa semplicemente compie­
re un numero più o meno alto di azioni peccaminose, ma perde­
re letteralmente la vita. Si tratta di una rovina nel senso più stret­
to del termine, che l’uomo percepisce come assenza di Dio, delle
altre persone, di se stesso e delle creature. In una parola, come
assenza di mèta e di finalità, e, quindi, come solitudine e ango­
scia insopportabili. Sono assai significative a questo punto alcu­
ne espressioni del Grande Canone·.

Sono desolato, senza prole e vagante.


Vita inutile, vita insignificante, afflizione.
Casualità e vanità.
Flutti e tempesta, inondazione e cataclisma.
Profondità senza fondo, caos della terra, abisso.
Fiamma irrazionale, incendio, infiammazione di anima.
Vertigine, offuscamento, disperazione.

La vita nel peccato non è qui determinata dalle singole tra­


sgressioni. Il suo contenuto più intimo e la sua realtà tragica si
manifestano nella vanità: l’irrazionalità e l’insensatezza ne costi­
tuiscono le caratteristiche peculiari.
La più appropriata descrizione del peccato è offerta dalla
parabola del figlio prodigo. Questi non ha deviato solo semplice-
mente e moralmente: si è allontanato dalla casa patema, è spari­
to dal Volto di Dio, si trova immerso nell’oscurità e nell’oblio.
Né il suo datore di lavoro né i suoi amici né i porci lo degnano di
uno sguardo. Si sente perduto perfino nei confronti di se stesso,
letteralmente perduto. Il suo ritorno all’esistenza è espresso nella
parabola con l’espressione: «rientrò in se stesso».
Questo risorgere all’esistenza cosciente è il primo atto della

197
salvezza, il suo punto di partenza. A questo punto conduce l’uo­
mo, prima di qualsiasi altro fatto, il Grande Canone.
Parallelamente, questa funzione liturgica spiana davanti al
fedele la strada del ritorno, lo invita e lo assiste nell’opera con­
creta del pentimento e della trasformazione, vale a dire della
guarigione, ristrutturazione e perfezione di se stesso. La progres­
siva attuazione di quest’opera forma la via del ritorno.
Cercheremo di descrivere il contesto entro cui la celebrazio­
ne del Grande Canone colloca quest’opera.

IV.
C o n t e s t o d e l r it o r n o

Quando l’uomo prende coscienza della sua esistenza, è pos­


sibile che egli scorga dentro di sé e intorno a sé un vuoto, ma è
anche possibile che, nel profondo del suo essere, egli ascolti la
chiamata di Dio e, quindi, si ricordi del Padre dimenticato e ab­
bia nostalgia dell’abbandonata casa paterna. La prima strada
conduce alla disperazione e all’irrazionalità; l’altra, invece, che si
inizia con un pianto colmo di speranza, con un «lutto gioioso»,
trova il suo compimento nella felicità dell’unione con Dio. Nella
prima situazione si trova l’uomo che ha circoscritto la sua esi­
stenza entro i confini del mondo creato e ha volontariamente
soffocato quelle dimensioni del suo essere che tendono natural­
mente verso Dio: vale a dire l’uomo che si è reso autonomo; nel­
la seconda situazione, invece, si trova l’uomo che - in maggiore
o minore misura non ha per noi alcuna importanza - ha comun­
que voluto mantenere rivolta verso Dio la sua esistenza frantu­
mata. Punto di partenza e fondamento della salvezza è il volgersi
dell’uomo verso Dio.
Il peccatore, che si rivolge verso Dio, sente anzitutto la ne­
cessità di invocare la sua misericordia e il suo aiuto. Egli si rende
conto che, da solo, non è in grado di incamminarsi verso di Lui.
L 'implorazione è caratteristica fondamentale non solo dell’inizio,
ma anche di tutto il percorso che porta l’uomo al pentimento e
alla salvezza:

198
Non mi respingere, Salvatore,
mentre mi prosterno davanti alla tua porta

Non mi giudicare,
aprimi la tua porta

Peccai contro di Te: abbi pietà di me

Vengo verso Te: guariscimi.

I peccati sono grandi:

Nessuno tra i discendenti di Adamo


peccò quanto me,

ma la misericordia di Dio per l’uomo è ancora più grande:

Ecco, ammiriamo
la filantropia del nostro Dio e Signore.

Così, l’uomo osa supplicare con fiducia:

Liberami dal giogo pesante


del peccato,
e, Tu che sei misericordioso, concedimi
il perdono dei peccati

Abbi misericordia della tua creazione, o Misericordioso,


abbi misericordia della creazione delle tue mani

Tu sei il Buon Pastore.


Vieni a cercare la tua pecorella
smarrita,
non mi abbandonare

Concedi che io mi nutra


nei pascoli delle tue greggi

Tu sei il dolce Gesù,

199
Tu sei il mio Creatore,
In Te io troverò la mia salvezza.
Ma l’opera della salvezza non la compie esclusivamente la
grazia di Dio. Si richiede anche la collaborazione dell’uomo: una
collaborazione responsabile, concreta, decisiva. Il peccatore che
vuole salvarsi è chiamato a realizzare dentro di sé, attraverso un
risanamento progressivo e una ristrutturazione delle sue funzioni
psicosomatiche, un concreto «rivolgimento» verso la sua comple­
tezza e salute iconiche, affinché possa nel contempo «accedere»
realmente a Dio.
L’accesso a Dio è indispensabile: la salvezza, infatti, - vale a
dire il perfezionamento fino all’infinito dell’uomo, che avviene
con l’aiuto di Dio, e l’ottenimento di quella felicità che è talmen­
te grande da vincere la morte - non può realizzarsi entro lo spa­
zio dell’apostasia. In quest’ultimo spazio, il peccatore sente se
stesso come la perduta « dracma regale». Il suo valore in quanto
uomo è svalutato. Tutto ciò che è, che ha e che fa è insignifican­
te, corruttibile, inutile. Perciò l’uomo volge i suoi occhi e i suoi
passi verso la « terra dell’eredità», chiede di essere trasportato in
questa terra e di divenire, come Àbramo, « emigrante»:
Esci dalla tena di Haran (81),
vieni nella terra dove scorre l’eterna incorruttibilità.
Non si tratta, tuttavia, di una trasposizione nello spazio. La
fuga da « Sodoma e Gomorra» è fuga dalla « fiamma di ogni appe­
tito irrazionale». La salvezza si deve guadagnare su questa terra,
entro questo corpo; è salvezza non solo dello spirito ma anche
del corpo: è salvezza dell’anima, vale a dire salvezza della vita.
Nella funzione del Grande Canone incontriamo l’importantissi­
ma espressione: « Recupera la vita»\

Il primo gradino del rivolgimento e dell’accesso a Dio è la


consapevolezza di sé:
Torna in te, pentiti,
confessa le tue azioni nascoste.

(81) A lzati! Perché dormi? (Kontàkion).

200
Occorre che vengano alla luce non solo le azioni peccami­
nose nascoste, che il peccatore svela nel sacramento della confes­
sione per ottenere il perdono, ma anche le cause nascoste delle
azioni stesse: la malvagità, le passioni, le radici da cui spuntano
le azioni peccaminose:

Ognifatto nascosto del cuore mio


10 confessai a Te, o mio Giudice.

Una volta individuate le radici profondamente nascoste


dentro di noi, è possibile che successivamente, con un compor­
tamento adeguato, le medesime siano sradicate. La peniten­
za (82), che, in base ai canoni della Chiesa, è data alla fine della
confessione, non ha carattere punitivo bensì terapeutico.

11 secondo gradino è l’azione (pràxis). Per «azione» s’intende


fondamentalmente l’ascesi, per il cui tramite sono purificate e sa­
nate le molteplici funzioni dell’uomo. Con l’ascesi, il fedele do­
ma «gli irrefrenabili appetiti del piacere»·, respinge la «furia delle
passioni»·, « lotta» contro gli innumerevoli nemici: l’amore per il
piacere, l’egoismo, le passioni; vince « i ragionamenti fallaci»·, «si
libera dal peccato»·, esce dall’«irrazionalità precedente»·, ottiene
« coraggio» e « costanza di intenzioni»·, «si rinsalda»·, ottiene
un '«anima virile». Attraverso la volontaria povertà, il digiuno, la
veglia e tutte le altre forme di vita ascetica, il corpo smette di di­
pendere servilmente dalla materia, acquista una certa indipen­
denza e libertà nei confronti del mondo materiale, riscopre nel
contempo il suo giusto rapporto con l’anima: così, mediante
questo anello di congiunzione naturale con il mondo creato, la
persona umana è in grado di esercitare nel mondo la sua diaco­
nia sacerdotale, profetica e regale.
Per «azione» s’intendono inoltre le opere ispirate dall’amo­
re per il prossimo e l’osservanza dei comandamenti:

Esplora la terra dell’eredità,


abita in essa con l’osservanza delle leggi.

(82) Vedi Lessico.

201
L’osservanza delle leggi induce l’uomo a prendere le distanze
dalle «azioni impure» e a perseguire le « azioni divine», attraverso
le quali « la vita contagiata di lebbra diviene candida e purificata».
D duro sforzo che richiede l’osservanza delle leggi (83), e gli
inevitabili insuccessi, concedono all’uomo un « cuore in perenne
contrizione» e una «povertà spirituale». Il fedele si rende conto
della sua debolezza e dei grandi pericoli che deve affrontare,
«delle insidie e delle astuzie dell’errore», e, passo dopo passo,
« rafforza» i suoi sforzi « col timore di Dio». Egli si riveste della
« dignità» e della «pietà», che costituiscono la « base stabile» della
scala che conduce in cielo. Quest’opera è propria della volontà,
che, con l’osservanza dei comandamenti, si abitua poco alla volta
a trovarsi in sintonia con la Volontà di Dio, il quale nuli’altro
vuole se non la salvezza dell’uomo.
Il terzo gradino, che, nel tempo, è parallelo al secondo, è co­
stituito dalla conoscenza (gnòsis). L’atto della volontà è pilotato e
rinvigorito dall’attività dell’intelletto. Il risveglio delle facoltà
noetiche e il loro assenso alla chiamata di Dio segnano l’inizio
del «rivolgimento» e «accesso» dell’uomo a Dio:
Ridesta il mio intelletto per un ritorno.
L’attività della purificazione dei ragionamenti (pensieri),
tramite cui l’intelletto esplica la sua attività - attività che costitui­
sce la dimensione basilare della riconquista, da parte dell’uomo,
della sua salute e integrità - richiede un duro sforzo.
Occorre che i pensieri smettano di stare al servizio dei desi­
deri. Fintanto che i pensieri restano asserviti ai desideri, quelli
non fanno altro che inventare modi per soddisfare questi. E
quanto più sofisticati, abili e penetranti sono i pensieri, tanto più
perfetti sono i modi da loro inventati per la soddisfazione dei
piaceri, tanto più essi abbelliscono e perfezionano il male:
Vernasti di costruire un castello, o anima,
di metter su una fortezza
per i tuoi desideri.

(83) «Senza fatica, infatti, non si può ottenere né l’azione né la contem


zione» (Ode 4a).

202
Si ha corretto rapporto tra pensieri e desideri quando i pri­
mi guidano i secondi verso tutto ciò che è vero e, quindi, buono.
Inoltre, occorre che i ragionamenti si liberino dalla schiavitù
delle creature. Fintanto che quelli restano sottomessi a queste, i
ragionamenti non riescono a intravedere né il loro senso né la lo­
ro finalità: diventano servi di uno sviluppo senza via d’uscita, di
cui, a sua volta, l’uomo diventa schiavo, traendo come magra
consolazione la soddisfazione dei loro desideri. I ragionamenti
sono chiamati a illuminare le realtà, a portare in luce il loro si­
gnificato, a sviluppare ed edificare in armonia con la natura ad
essi conforme, vale a dire in armonia con la finalità posta in loro
dal Creatore.
Nella misura in cui i ragionamenti si liberano dai desideri e
dalle creature, essi sono purificati e si concentrano nell’intelletto.
L’uomo fa ritorno in se stesso. D ’ora in poi, l’intelletto governa
ragionevolmente la vita e le azioni dell’uomo. Avendo trovato il
loro punto centrale, le funzioni psicosomatiche dell’uomo non si
combattono a vicenda: l’uomo ritrova la sua unità e semplicità.
Parallelamente, l’intelletto ristrutturato e illuminato dalla

()reghiera è in grado di scrutare oltre la lettera lo spirito della


egge, e di nutrirsi dalla verità vivificante della Parola divina:

Bevi l’acqua della legge


che zampilla dall’eliminazione della lettera.

Così, l’uomo può decifrare la verità che è nascosta dentro di


sé e dentro il mondo, e può diventare «amante della sapienza».
L’esortazione del Grande Canone è: « alleva la sapienza» (vale a
dire: abbine cura, come se tu fossi una balia).
In questo modo, il risanamento iniziale e la trasformazione
dell’intelletto, il pentimento (la metànoia), diventa « consapevo­
lezza» (epignósis). L’uomo conosce la verità degli enti, ragiona
rettamente. Si rende consapevole della realtà e, di conseguenza,
la affronta dal punto di vista di Dio, entro la luce che illumina
sia l’intelletto che capisce, sia l’oggetto che è capito. Questo
nuovo modo di comprendere e di affrontare la realtà; si chiama
fede.
Le funzioni psicosomatiche dell’uomo, una volta purificate
dall’azione e illuminate dalla conoscenza, ricevono dentro di sé

203
la grazia di Dio e funzionano in modo nuovo. Al posto della vo­
luttà subentra la letizia. La libertà, da indipendenza egoistica
qual era, si manifesta, fintanto che l’uomo progredisce, come
amore. Le passioni si liberano dalla passibilità, si esplicano come
funzioni naturali e, secondo il loro grado di unione con Dio, si
elevano a virtù, per giungere, in condizioni di grande santità,
quando cioè l’unione con Dio ha raggiunto una certa completez­
za, a sensazioni e funzioni spirituali. L’uomo esce dalle tenebre,
si rivela «figlio del giorno», ottiene un abito di nozze, mostra
mirabile la bellezza della sposa.

Si hanno così tutti i requisiti per salire sul quarto e più alto
gradino della vita spirituale: la contemplazione (theória) e l ’impas­
sibilità (apàtheia). La mente purificata e illuminata dalla verità
divina discende con grande sforzo di autoconcentrazione nel
cuore, e lì l’uomo puro e unificato contempla le realtà invisibili.
La contemplazione, che è supremo grado di conoscenza, cammi­
na di pari passo con l’impassibilità, la quale si trova agli antipodi
della passibilità, giacché è la sublimazione dell’attività e il som­
mo grado dell’azione:
Hai ottenuto /'apàtheia celeste
attraverso una perfetta condotta sulla terra.

Il fedele, che ha ricevuto il dono dell’impassibilità e della


contemplazione, senza abbandonare il suo corpo e la terra (84),
vive in modo celeste:
Esplicasti con il tuo corpo
un modo di vita incorporeo.

Il che significa che il fedele non si cura più di ciò che è effi­
mero e corruttibile. Come il mercante, che ha scoperto la pietra

(84) Ogni manifestazione di vita del corpo è santificata e degna di onore:


Il matrimonio è degno di onore
il letto nuziale è puro -
entrambe queste realtà benedisse Cristo
nelle nozze di Cana.

204
preziosa, egli vende tutti i suoi averi per ottenere «con amore im­
pareggiabile» ciò che è unico e supremo, « di cui si ha bisogno»:

Ridestati, anima mia, perfezionati,


affinché tu possa ottenere l’azione e la conoscenza,
affinché tu possa diventare intelletto che veda Dio,
e ottenga la contemplazione dell’impareggiabile caligine,
e divenga mercante intraprendente.

Questa progressiva guarigione e ristrutturazione e perfezio­


ne dell’uomo, di cui abbiamo visto sopra il contenuto concreto,
si colloca entro un contesto cosmologico e antropologico più
ampio: quello creato da Dio con il suo inserimento nel mondo.
Nella prima parte di questo studio abbiamo visto come le
dimensioni della natura - il tempo e lo spazio - sono ristruttura­
te e rinnovate nella Chiesa, come le memorie della storia funzio­
nano in essa in modo nuovo, ecc. Questa trasformazione può
realizzarsi perché la Chiesa è la carne del Dio-uomo, entro cui il
Cristo ha rinnovato le leggi, vale a dire le funzionalità della natu­
ra:

Il generato rinnova le leggi della natura

l’ordine della natura è stato domato.

Ma, nella sua carne, Cristo ha rinnovato anche la concreta


funzionalità dell’uomo. Egli ha rimodellato non solo le strutture
cosmologiche ma anche quelle antropologiche. Ha trasformato
le facoltà vitali dell’uomo in funzioni spirituali, le sensazioni fisi­
che in sensazioni spirituali:

Indossò l’impasto umano


il Creatore dei secoli

Unificò con sé la natura degli uomini.

Con questa unione, Cristo ha infuso nella natura umana da


lui assunta la Vita di Dio, l’ha resa nuova e spirituale. Attraverso
i sacramenti e l’ascesi, i fedeli s’innestano nella natura spirituale

205
umana del Dio-uomo, fanno proprie la sua vita e le sue funziona­
lità e si salvano. Questo innestarsi in Cristo costituisce il conte­
nuto reale e lo scopo finale dell’intera vita ecclesiale, sacramen­
tale e ascetica. Il santo diviene « riproduzione di Cristo». Il Gran­
de Canone chiama questo innesto «riconciliazione».
Dal punto di vista antropologico, la salvezza si chiama tra­
sformazione, cambiamento di mentalità (metànoia). Ma la tra­
sformazione dell’uomo è possibile in virtù della sua unione e del­
la sua ri-conciliazione con Dio, che è realizzata nel corpo di Cri­
sto: la Chiesa. Influenzati dalla concezione giuridica della salvez­
za, noi intendiamo la riconciliazione come semplice remissione
dei peccati, mentre si tratta di qualcosa di più vasto. E la remis­
sione dei peccati avviene perché nella ri-conciliazione con Dio
l’oceano della divina misericordia annienta i peccati umani. Nel­
la sua realtà più totale, la riconciliazione è « comunione con
Cristo» e «comunione con il Regno di Cristo».

V
L O SNODARSI DEL DRAMMA

Come abbiamo già sottolineato, essendo il Grande Canone


una funzione religiosa, esso non è un testo che analizzi: piuttosto,
colloca il fedele entro il contesto della salvezza. H compimento
dell’opera salvifica oltrepassa il tempo reale della funzione stessa.
La rivelazione delle realtà nascoste avviene nell’ambito dell’auto-
concentrazione e della confessione; il risanamento e la ristruttura­
zione della volontà e della mente si realizzano con l’ascesi quoti­
diana, che trasforma la vita intera; la contemplazione e l’impassi­
bilità si ottengono mediante l’incessante preghiera. Il testo inno­
grafico offre elementi nei confronti di tutto ciò, e noi abbiamo
preferito non oltrepassare i limiti che l’autore del Grande Canone
ha posto al suo testo. Tutto il resto è presupposto e proposto. H
più grande beneficio che offre l’officiatura liturgica in questione,
è che introduce l’uomo in quello spazio ove tutto ciò che è stato
detto può realizzarsi. E lo spazio in questione è Cristo.
L’officiatura del Grande Canone, essendo collocata nel
mezzo della Quaresima, invita il fedele a incentrare la sua vita

206
spirituale nel cammino di Cristo, che conduce al Golgota e alla
Risurrezione: cammino che racchiude in sé il destino dell’uma­
nità.
Abbiamo detto sopra che il Grande Canone è un dramma.
Ed è noto che, in tutti i veri drammi, la soluzione giunge dal fu­
turo. Nel caso specifico, la soluzione arriverà, e arriva, con la Ri­
surrezione di Cristo, alla quale i fedeli si preparano durante tutta
la Quaresima: con la Risurrezione, che abolisce la corruzione e
distrugge la morte e che porta all’uomo e all’universo la nuova
vita e le nuove dimensioni, proiettate all’infinito.
Ma questa nuova realtà si manifesta fin da adesso davanti
agli occhi dei fedeli in una visione messianica: la profezia cristo­
logica di Isaia, con la cui lettura si conclude la celebrazione del
Grande Canone.
Alla fine della lunga veglia, serena e maestosa come un sole
che sorge, suona nelle parole del profeta la voce di Dio Padre
che manda suo Figlio nel mondo e proclama i fatti meravigliosi
che egli compirà:

Io ti form ai e stabilii come alleanza del popolo e luce delle na­


zioni, affinché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i
prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre... I
primi fatti, ecco, sono avvenuti e i nuovi Io preannuncio... Esulti
con le sue città il deserto, esultino i villaggi dove abitano quelli di
Qedar; acclamino gli abitanti di Seia, dalla cima dei monti alzino
grida. Diano gloria al Signore e il suo onore divulghino nelle isole.
Il Signore si avanza come un prode, come un guerriero eccita il suo
ardore; grida, lancia urla di guerra, si mostra forte contro i suoi ne­
mici. ..
Io farò camminare i ciechi per vie che non conoscono, li gui­
derò per sentieri sconosciuti; trasformerò davanti a loro le tenebre
in luce, i luoghi aspri in pianura. Tali fatti io operai e non cesserò
di operarli (85).

(85) H lettore può trovare ulteriori notizie - da noi non rilevate - di ca


tere filologico e storico concernenti il Grande Canone nello studio di P. Chre-
stou, Il Grande Canone di S. Andrea di Creta [in greco], Salonicco 1952. Cf.
anche la voce Andrea di Creta in Th.E.E., voi. 2, coll. 674-693, specialm. 689-
690; cf. inoltre Le grand Canon de saint André de Créte, introduction de l’évè-
que Pierre, présentation de André Fyrillas, Paris 1979.

207
ANTOLOGIA DI TESTI DEI PADRI
Nota sulla scelta dei testi

I. È qui riproposto un brano, tratto dall’insegnamento di


sant’Ireneo (sec. II), nel quale si parla del «fanciullo» Adamo,
dell’«ordine, ritmo e condotta» tramite cui «l’uomo generato e
creato diviene a immagine e somiglianza del Dio ingenerato... e
del modo in cui egli progredisce gradualmente verso la perfezio­
ne». Inoltre, in esso si afferma che «al compimento dei secoli, il
Signore è sceso presso di noi e ha ricapitolato in sé ogni realtà».

II. Si può considerare una sintesi dell’insegnamento cristia­


no relativo all’uomo. Questo testo di san Gregorio il Teologo
(sec. IV) ha ispirato il titolo di questo libro. A questo testo tor­
niamo spesso, sia citandolo esplicitamente, sia facendo ricorso
all’esegesi che, nei confronti di alcune affermazioni in esso
espresse in modo lapidario, hanno fatto alcuni altri Padri della
Chiesa.

III. Si tratta di un testo fondamentale, in cui san Gregorio


di Nissa (sec. IV) espone il suo insegnamento concernente le
espressioni «a immagine» e «tuniche di pelle». Si può considera­
re riassunto della prima parte di questo libro. Osservi il lettore
che, in questo testo, le tematiche di «immagine» e di «tuniche di
pelle» non sono considerate da san Gregorio come «argomenti
teologici», bensì sono collocate nel contesto globale della vita
spirituale.

IV. a) Si tratta dell’insegnamento di san Massimo il Confes­


sore (sec. VII) relativo alle cinque divisioni; all’uomo che, in

211
quanto «punto di congiunzione naturale» di tutto, aveva il com­
pito di unificare queste divisioni; all’uso non conforme alla sua
natura che Adamo ha fatto della potenza a lui connaturata e alla
conseguente caduta di lui; a Cristo, che, «compiendo in quanto
uomo... quanto era stato prestabilito che egli compisse in quan­
to Dio», ha unificato le divisioni in discussione, ecc.
b) È qui esposto l’insegnamento fondamentale di san Massi­
mo da noi presentato nelle pp. 64ss., 222ss.
c) Si risponde al quesito relativo al rapporto esistente tra
nascita biologica e nascita spirituale; si affronta il problema
dell’origine e della caduta dell’uomo; si espone brevemente il
progetto divino circa la deificazione dell’uomo anteriormente e
posteriormente alla trasgressione. Su questo testo si basa fonda­
mentalmente la seconda parte del paragrafo da noi dedicato al
matrimonio. Occorre che questo testo di san Massimo il Confes­
sore sia messo in relazione con quegli altri brani dello stesso san­
to che, proprio perché contenuti nel testo di san Nicodemo più
avanti presentato, non sono qui riprodotti.

V. È qui riportato il brano fondamentale de La vita in Cri­


sto , dove san Nicola Cabasilas (sec. XTV) presenta Cristo come
l’archetipo dell’uomo, e la deificazione come unione con Cristo.
Non sono qui riprodotti alcuni brani dello stesso santo, pari-
menti importanti, perché si possono facilmente leggere nelle
Omelie sulla Madre di Dio già edite.

VI. «Apologia» di san Nicodemo l’Agiorita (sec. XVIII), sul­


la cui importanza si è parlato nell’introduzione di questo libro.

212
Ireneo

S m a sc h e r a m e n t o e c o n fu t a z io n e d e l l a fa l sa g n o si (dal
Libro IV, 38,1-3: BEPES 5,157-158).

1. Se qualcuno chiede (...): «Non poteva Dio creare l’u


fin dall’origine perfetto?», sappia che a Dio, in quanto eterna­
mente identico a se stesso e in quanto Imprincipiato, di per sé
tutto è possibile (Mt 19, 26); le creazioni, invece, in quanto han­
no posteriormente ricevuto il proprio principio, per forza di co­
se sono inferiori al loro Creatore anche per ciò: esse infatti non
possono essere imprincipiate e, nel contempo, posteriormente
principiate. In quanto non imprincipiate, le creazioni sono prive
di perfezione, in quanto poi posteriormente principiate, esse ap­
paiono come bambini, e, in quanto tali, non ancora atte e prepa­
rate alla condizione di uno status di perfezione. Nella misura in
cui la madre è in grado di offrire un cibo solido al suo bambino,
ma questi non è ancora pronto a ricevere un nutrimento adatto a
una maggiore età, così pure Dio: egli era in grado di offrire
all’uomo fin dall’origine la perfezione, ma l’uomo non era ancora
in grado di riceverla: perché era ancora fanciullo. E per questo
motivo, nel compimento dei secoli, il Signore nostro venne pres­
so di noi, ricapitolando in sé ogni realtà, non come egli era in
grado di venire, ma come era a noi possibile vederlo. Egli infatti
poteva essere rivestito della sua incorruttibile gloria; ma noi non
avremmo mai potuto sopportare la magnificenza di questa glo­
ria. Ecco perché il pane perfetto del Padre, trattandoci come
bambini, si offrì a noi come latte, qual era appunto la sua pre­
senza umana, di modo che, nutriti come dalle mammelle della
sua carne, e, abituati a questo allattamento, riuscissimo a man­

213
giare il corpo e bere il sangue del Lògos di Dio, il pane dell’im­
mortalità, che è lo Spirito del Padre, e potessimo contenerlo
dentro di noi.
2. Perciò san Paolo dice ai Corinzi: «Vi dovetti dare del latte
da bere e non del cibo solido, perché non lo potevate ricevere» (1
Cor 3, 2); e cioè, voi avete appreso la venuta del Signore in quan­
to Uomo, ma lo Spirito del Padre non riposa ancora su di voi, per
via della vostra debolezza... Nel modo in cui Paolo poteva offrire
a loro cibo solido... mentre essi non potevano riceverlo... così
pure Dio era in grado di offrire fin dall’origine la perfezione
all’uomo, ma questi, in quanto posteriormente venuto in essere,
non poteva riceverla, o, una volta ricevuta, non poteva contener­
la, o, una volta contenuta, non poteva conservarla. Ecco perché il
Figlio di Dio, pur essendo perfetto, si rese bambino accanto
all’uomo, non per se stesso, ma per l’uomo, manifestandosi come
bambino, di modo che l’uomo potesse contenerlo...
3. (...) L’ordine, il ritmo e la condotta con cui l’uomo gene­
rato e creato diviene a immagine e somiglianza del Dio ingenera­
to, è questo: il Padre decide e comanda, il Figlio esegue e model­
la, lo Spirito nutre e fa crescere, l’uomo progredisce gradualmen­
te e si eleva verso la perfezione: vale a dire, si avvicina all’Ingene-
rato. Perfetto, infatti, è l’ingenerato; e questi è Dio. Occorreva
quindi che l’uomo fosse prima generato, che una volta generato
crescesse, che una volta cresciuto divenisse adulto, che una volta
divenuto adulto si moltiplicasse, che una volta moltiplicatosi di­
venisse forte, che una volta dotato di forze venisse glorificato, e
una volta glorificato riuscisse a vedere il suo Sovrano. Dio è, in­
fatti, colui che sarà visto nel futuro; e la visione di Dio è costituti­
va di incorruttibilità: «l’incorruttibilità rende simili a Dio».

214
Gregorio il Teologo

O m e l ia 45, l a sa n t a P a sq u a , 7-9, PG 3 6 ,632A-636A


(lo stesso testo trovasi anche nell’omelia 38, Per la Teofania,
11-13, PG 3 6 ,321C-325D).

7. L’artefice Lògos plasma liberamente l’uomo come un es­


sere vivente composto di entrambe le nature, della visibile e
dell’invisibile. Egli formò il suo corpo adoperando la materia an­
teriormente creata, introducendovi il soffio di se stesso (che si è
soliti chiamare anima o immagine di Dio), e lo pose in questo
mondo come un mondo diverso, mondo grande in un mondo
piccolo, come un altro angelo e adoratore misto, iniziatore del
mondo visibile e iniziato di quello invisibile, come un re di tutte
le realtà terrestri guidato da un Re dall’alto, terreno e celeste, ef­
fimero e immortale, visibile e intelligibile, a metà strada tra gran­
dezza e umiltà, spirito e carne nel contempo: spirito in virtù del­
la grazia, carne per essere elevato; spirito affinché esistesse per
sempre a glorificare il Benefattore, carne per soffrire e affinché,
mediante la sofferenza, si ricordasse della magnificenza educan­
dosene; essere vivente collocato in questo mondo ma destinato
ad un altro, e, quale mistero!, chiamato a diventare dio nel suo
tendere verso Dio.
8. Dio pose l’uomo così fatto in paradiso - quel che fu allo­
ra il paradiso -, onorandolo di libero arbitrio, affinché il frutto
del beneficato non fosse inferiore alla semente del Benefattore, e
lo rese coltivatore di piante immortali - di pensieri divini, io cre­
do -, dalle più semplici alle più complesse. E l’uomo era allora
nudo nella sua semplicità, e viveva senza il bisogno delle arti, ed
era privo di qualsiasi abito e di qualsiasi preoccupazione: tale era

215
infatti originariamente la natura conforme all’uomo. E Dio im-

{)ose all’uomo una legge, oggetto del libero arbitrio. E questa


egge era un comandamento, che stabiliva da quali alberi egli po­
teva cogliere e da quale no. E quest’ultimo era l’albero defla co­
noscenza. Quest’albero non era stato fin dall’origine piantato
per il male, né il divieto di coglierne era stato imposto per invi­
dia (non ne approfittino gli empi, non imitino il serpente!): piut­
tosto, esso poteva beneficare se colto nel momento opportuno.
Secondo me, quest’albero era la contemplazione, cui poteva
tranquillamente attingere chi si trovava in un alto grado di perfe­
zione, mentre non era di beneficio per i più semplici e troppo
deboli nei confronti dei desideri: qualcosa di analogo cioè al ci­
bo solido, che non giova ai più semplici, bisognosi di latte. Per
via dell’invidia del diavolo e per l’alterigia della donna, che que­
sta subì essendo più debole e che introdusse in quanto più por­
tata alla seduzione (quale mia debolezza! Ché, mia è stata la de­
bolezza del progenitore!), questi si dimenticò del comandamen­
to a lui imposto e acconsentì a un piccolo assaggio: per questa
sua disobbedienza, egli fu così a un tratto privato e dell’albero
della vita e del paradiso e di Dio, e fu rivestito delle tuniche di
pelle, che si possono identificare con la carne materializzata e
mortale e non conforme al modello originale. E così l’uomo si
avvide per la prima volta della propria nudità, e si nascose dal
Volto di Dio. Pertanto, egli ottenne qualcos’altro: la morte e l’in­
terruzione del peccato, affinché il male non risultasse immortale.
E il castigo si trasformò in misericordia di Dio. Questo è, secon­
do me, il modo con cui Dio castiga.
9. Dopo che, per via degli innumerevoli peccati germog
dalla radice del male, l’uomo era stato in vari tempi e per cause
diverse lungamente provato (per mezzo di parole, della legge e
dei profeti; attraverso benefici e minacce e castighi; con inonda­
zioni e incendi; con guerre e vittorie e sconfitte; attraverso segni
provenienti dal cielo, dall’aria, dalla terra e dal mare; da parte di
uomini e di città e di nazioni, nonché per via d’improvvisi muta­
menti: patimenti tutti, questi, che avevano lo scopo di estirpare il
male), alla fine l’uomo ebbe bisogno di un farmaco potente... E
cioè dello stesso Lògos di Dio: del preetemo e invisibile e ineffa­
bile e incorporeo; del Principio che proviene da Principio, della
Luce che proviene dalla Luce, della Fonte della vita e dell’im­

216
mortalità; di Colui che è l’Impronta del modello, il Sigillo inalte­
rato, l’Immagine perfetta, il Termine e il Verbo del Padre. E il
Lògos di Dio si avvicinò alla sua immagine, indossò la carne a fa­
vore della carne, si mescolò con l’anima noetica a favore della
mia anima, eliminando ogni cosa attraverso il suo simile, e, all’in-
fuori del peccato, diventa del tutto uomo. Concepito nel seno
della Vergine, precedentemente purificata nel corpo e nell’anima
ad opera dello Spirito Santo (occorreva infatti che nel contempo
fosse onorata la nascita e sublimata la verginità), è nato un unico
Dio dopo aver assunto due opposti: la carne e lo spirito: questo
divinizza, l’altra è divinizzata. Quale nuovo amalgama! Quale
miracolosa fusione! Colui che è, diviene; l’Increato è creato;
l’Inafferrabile si rende concreto attraverso un’anima noetica, in­
termediaria tra la divinità e lo spessore della carne. Colui che ar­
ricchisce diventa povero: Egli, assumendo la mia carne, diventa
povero affinché io mi arricchisca della sua divinità. Colui che
tutto contiene si priva di tutto: per un breve periodo Egli si priva
della sua gloria, affinché io ottenga la sua pienezza. Quale la ric­
chezza di questa misericordia! Qual è questo mistero, compiuto
a mio beneficio? Avevo ricevuto la condizione di immagine, e
non ho voluto conservarla: Egli, invece, riceve la mia carne e per
ripristinare la sua immagine e per rendere immortale la mia car­
ne. Egli instaura una seconda comunione molto più straordinaria
della prima: prima Egli aveva elargito il massimo; ora, invece,
Egli riceve il minimo. Ciò è ancor più divino del precedente, e,
agli occhi di chi è sano di mente, più sublime.

217
Gregorio di Nissa

La v e r g in it à , c c . XII-XIII (PG 4 6 ,369B-376C).

XII. (...) L’uomo, quest’essere vivente provvisto di rag


e di pensiero, opera a imitazione della natura divina e pura (...),
non ricevette dunque alla sua nascita, come parte della propria
natura e della propria essenza, la proprietà di essere soggetto alle
passioni e alla morte. Non sarebbe stato possibile infatti salva­
guardare il principio dell’immagine, se la bellezza rappresentan­
te l’immagine fosse risultata contraria al suo Modello. Solo dopo
la sua prima formazione furono introdotte nell’uomo le passioni.
Questo avvenne nel modo seguente. Come si è detto, l’uomo era
l’immagine e l’imitazione della Potenza che su tutto regna (...), e
poteva disporre di sé come voleva secondo il proprio giudizio,
giacché aveva la facoltà di scegliere ciò che gli piaceva. Fu lui ad
attirare volontariamente su di sé, fuorviato da un inganno, la di­
sgrazia in cui ora si trova il genere umano: da sé scoprì il male,
senza averlo visto prodotto da Dio. «Non fu infatti Dio a creare
la morte» (Sap 1, 13), ma fu l’uomo a divenire in un certo senso
il creatore e l’artefice del male. La luce solare può essere perce­
pita da tutti coloro che sono provvisti della facoltà visiva. Chi
vuole può, chiudendo gli occhi, rimanere estraneo a questa per­
cezione (...). Poiché la facoltà visiva non può funzionare a causa
della chiusura degli occhi, è fatale che l’inattività della vista met­
ta in azione la tenebra, che l’uomo fa insorgere deliberatamente
tramite la cecità. Così pure, chi si costruisce una casa senza la­
sciare aperta nessuna via capace di far entrare la luce nell’inter­
no, deve necessariamente vivere nella tenebra, in quanto ha
chiuso di proposito l’ingresso ai raggi solari. Allo stesso modo il

218
primo uomo nato dalla terra, o piuttosto colui che fece nascere il
male nel genere umano, trovava il bello e il buono a portata di
mano in qualsiasi punto del suo ambiente naturale e ne poteva
disporre come voleva; purtuttavia, agendo contro se stesso, in­
trodusse volontariamente delle novità contrarie alla natura e co­
sì, rifiutando la virtù, venne a provare il male di sua libera scelta.
Il male, considerato al di fuori della libera scelta e in se stesso,
non esiste nella natura: «ogni creatura di Dio è bella e non va di­
sprezzata» {1 Tm 4, 4), e «tutte le realtà che Dio ha fatto sono
fin troppo belle» (Gn 1, 31). Ma quando l’ingranaggio del male
s’introdusse nel modo sopra descritto nella vita dell’uomo cor­
rompendola, e quando in seguito al rivelarsi nell’uomo di
un’enorme quantità di vizi originatisi da un piccolo pretesto, an­
che la bellezza della sua anima - simile a Dio a imitazione della
bellezza originaria - fu annerita come un ferro dalla ruggine del
vizio, l’uomo in quelle circostanze non seppe più conservare la
grazia dell’immagine che gli era propria e che era conforme alla
natura, e assunse l’aspetto turpe caratteristico del peccato. Per
questo l’uòmo, «questa realtà grande e preziosa» (Prov 20, 6) -
così la chiama la Scrittura - abbandonò la propria dignità: come
chi scivola e cade nel sudiciume diventa irriconoscibile anche al­
le persone con cui ha familiarità perché tutta la sua figura è spor­
ca di fango, così anche l’uomo, caduto nel sudiciume del pecca­
to, perse l’immagine del Dio incorruttibile e assunse con il pec­
cato un’immagine soggetta a corruzione e fangosa. La Parola di­
vina suggerisce di toglierla lavandola con l’acqua pura della retta
condotta di vita, in modo che una volta eliminato l’involucro di
terra, possa apparire di nuovo la bellezza dell’anima. La deposi­
zione di ciò che è contrario all’uomo consiste nel ritorno a ciò
che gli è proprio e secondo natura: in quest’intento egli non può
riuscire, se non ritorna ad essere quello che era all’inizio, quando
fu creato (...).
Se il ritrovamento di ciò che si cercava significa il ritorno al­
la condizione primitiva dell’immagine divina che ora è nascosta
dalla sporcizia della carne, noi dobbiamo diventare quello che il
primo uomo creato fu all’inizio della sua vita. Com’era dunque?
Non aveva vestiti fatti con pelli morte, poteva guardare con tutta
sicurezza il Volto di Dio, non giudicava il bello mediante il gusto
e la vista, «gioiva solo nel Signore» (Sai 36, 4), e a tale scopo -

219
questo fa capire la divina Scrittura - si serviva dell’aiuto che gli
era stato dato, giacché non conobbe la sua donna prima della
cacciata dal paradiso e prima che essa fosse condannata alla pe­
na del parto per il peccato che aveva commesso lasciandosi in­
gannare.
Possiamo ritornare alla primitiva beatitudine ripercorrendo
in senso inverso quello stesso cammino che ci portò fuori del pa­
radiso, quando ne fummo scacciati insieme al nostro progenito­
re. Di quale cammino si tratta? Allora il piacere, prodotto dal­
l’inganno, diede inizio alla caduta. Alla passione accesa dal pia­
cere seguirono quindi la vergogna, la paura, il non avere più il
coraggio di stare al cospetto del creatore, e il nascondersi tra le
foglie nell’ombra; dopo di che, essi si ricoprirono di pelli morte.
Così furono mandati esuli in questa regione malsana e aspra, nel­
la quale il matrimonio fu concepito come un mezzo di consola­
zione di fronte alla morte.
XIII. Se è dunque nostra intenzione andarcene via di q
unirci a Cristo, è bene cominciare questo distacco dall’ultimo
stadio, così come coloro che sono lontani dai propri familiari,
quando vogliono ritornare al loro punto di partenza, lasciano
per primo l’ultimo posto nel quale sono arrivati. Il matrimonio è
l’ultimo momento della separazione dal soggiorno nel paradiso:
proprio perché rappresenta l’ultima tappa, il nostro scritto sug­
gerisce a coloro che ritornano a Cristo di considerarlo come la
prima realtà da lasciare. Occorre quindi abbandonare le miserie
terrene in cui fu posto l’uomo dopo il peccato e, successivamen­
te, uscire dai rivestimenti della carne togliendoci le tuniche di
pelle, vale a dire i pensieri carnali. Abbandonata «ogni azione
vergognosa fatta di nascosto» (2 Cor 4,2), non dobbiamo più co­
prirci con il fico della vita amara, ma gettare via queste foglie ca­
duche che ricoprono la vita, ritornare al cospetto del Creatore,
rifiutare l’inganno offerto dal gusto e dalla vista, e farci consiglia­
re non più dal serpente velenoso ma dal comandamento di Dio.
Questo ci ingiunge di toccare solo il bene e di rifiutare l’assaggio
del male, giacché tutto il male che ci colpisce si origina proprio
dal nostro desiderio di non ignorarlo. Per questo ai primi uomini
creati fu vietato di conoscere assieme al bene il suo contrario e
ordinato di tenersi lontani dalla conoscenza del bene e del male
e di cogliere il bene puro, non mescolato con il male. A mio awi-

220
so, ciò significa stare soltanto con Dio, gustare questa delizia
all’infinito e ininterrottamente e non mescolare al godimento del
bene ciò che trascina verso il suo opposto. E se si deve parlare
con franchezza, bisogna aggiungere che in tal modo ci si può
forse allontanare da questo mondo sommerso dal male, e tornare
di nuovo in paradiso, giunto nel quale Paolo udì e vide realtà
ineffabili e non contemplabili, di cui non è lecito agli uomini
parlare.

(trad. S. Lilla)
Massimo il Confessore

SU VARI LUOGHI DIFFICILI DEI SANTI DlONIGI E GREGORIO IL


T e o l o g o , PG 9 1 ,1304D-1312B.

... I santi, cui i discepoli e ministri del Lògos affidarono la


trasmissione di numerosi misteri divini, e che, a loro volta, furo­
no direttamente iniziati alla conoscenza degli enti, nel tramanda­
re ciò che dai più antichi era stato fino ad essi tramandato, inse­
gnano che l’ipostasi (86) di tutte le realtà create si ripartisce in
cinque distinzioni.
La prima, essi dicono, riguarda la distinzione della natura
increata dalla natura creata dell’universo, che ha tratto l’essere
per generazione (87) (...). La seconda distinzione concerne pro­
priamente l’insieme della natura creata da Dio, che suddivide in
natura intelligibile e natura sensibile. La terza distinzione riguar­
da la natura sensibile, che si divide in cielo e terra. La quarta di­
stinzione riguarda la terra, che si distingue in paradiso e mondo
abitato {ecumene).
La quinta distinzione, infine, riguarda l’uomo; questi, che, a
mo’ di laboratorio generale, sovrintende a tutto, e che, per sua
natura, appare come punto d’incontro di tutti gli opposti esi­
stenti sulla faccia della terra, si distingue in maschio e femmina.
Egli infatti, essendo naturalmente posto nel punto medio tra tut­
ti gli opposti e potendo stabilire una relazione con tutti gli oppo­
sti nonché con le singole parti di essi, è dotato di capacità uniti­
va, in virtù della quale, una volta completatosi il modo di genera-

(86) Vedi Lessico.


(87) Vedi Lessico.

222
zione degli enti secondo causa, si possa manifestare chiaramente
nell’uomo la finalità del grande mistero del progetto divino: e
cioè che l’uomo, unificando gli uni con gli altri tutti gli opposti, i
più lontani con i più vicini, gli inferiori con i superiori, riesca,
dopo un continuo cammino ascendente, a giungere all’unione
con Dio. L’uomo, quindi, è stato introdotto nel mondo creato ul­
timo fra gli esseri ed è stato posto come punto di congiunzione
naturale e mediatore degli opposti, verso cui convergono unifi­
candosi tutte le cose che per natura si trovano a grande distanza
tra loro, per una finalità precisa: e cioè, cominciando a eliminare
per prima la distinzione che lo concerne e riconducendo, per via
di un procedimento graduale e ordinato, tutte le realtà all’unione
con Dio in quanto loro Causa, l’uomo possa finalmente vedere
realizzato lo scopo del suo cammino ascendente verso Dio - nel
quale non esiste divisione alcuna, poiché egli ha completamente
rigettato la preesistente distinzione di maschio e femmina, la
quale originariamente non rientrava nelle intenzioni della gene­
razione dell’uomo - e, quindi, possa rivelarsi e diventare secon­
do il progetto divino solamente un unico essere umano, non di­
viso dalle denominazioni maschio e femmina, in conformità con
la ragione per la quale anteriormente (alla caduta) era esente da
questa divisione, mentre adesso ne è soggetto, acquistando per­
fetta conoscenza della ragione per la quale egli è. Successivamen­
te, dopo aver unificato, mediante una sua condotta divina, il pa­
radiso e il mondo abitato Q ecumene), l’uomo potrà formare
un’unica terra, non divisa in base alle differenze tra le sue parti,
ma del tutto unita, e senza che nessuna delle sue parti subisca al­
cunché. In seguito, dopo aver unito il cielo e la terra comportan­
dosi, per quanto è possibile all’uomo, in modo angelico, riuscirà
a unificare l’intera natura sensibile in sé, senza che le distanze
spaziali implichino separazioni di sorta, essendo diventato il suo
spirito leggero e libero da ogni peso che lo trattenga verso la ter­
ra e gli impedisca di risalire in cielo: infatti, senza badare alle
realtà di quaggiù, egli s’incammina mentalmente verso Dio, pre­
ferendo sapientemente di tendere verso di Lui e, come percor­
rendo una strada larga, riuscirà ad arrivare direttamente a Dio.
Poi, unificando fra sé gli enti sensibili e quelli intelligibili, egua­
gliando la sua conoscenza a quella degli angeli, renderà un
tutt’uno l’intero mondo creato, senza che vi siano distinzioni tra

223
realtà conosciute e realtà sconosciute: la conoscenza, infatti, del­
le ragioni degli enti acquistata dall’uomo sarà simile a quella de­
gli angeli; in conformità a questa, infatti, a coloro che se ne ren­
dono degni, è elargita direttamente la percezione inconoscibile e
inesplicabile di Dio. E, infine e sopra tutto, unificando mediante
l’amore la natura creata con quella increata (quale miracolo della
misericordia di Dio a favore dell’umanità!), egli risulterà solo e
unico possessore della grazia, in una totale coinsessione (perichó-
rèsis) con Dio e, escludendo un’identità sostanziale, diventerà
del tutto simile a Dio accogliendo in sé la totalità di Dio. E allora
accoglierà Dio stesso come unico e solo premio della sua ascesi
verso di Lui, ché è il fine ultimo di ogni realtà soggetta a moto,
riconoscendolo come Punto stabile e immutabile, Termine e Fi­
ne invisibile e infinito di ogni termine e istituzione e legge e ra­
gione e intellezione e natura.
Poiché quindi l’uomo, anziché muoversi, conformemente
alla natura con cui era stato creato, verso ciò che è immobile (va­
le a dire verso Dio) in quanto verso il proprio principio, si è vol­
to, contrariamente alla sua natura e ad ogni logica, verso le realtà
che, per volontà di Dio, egli doveva dominare; e poiché, facendo
cattivo uso della potenza a lui connaturata, anziché unire le real­
tà che per generazione risultavano separate, ne ha accentuato la
separazione, rischiando così di ridursi miseramente alla condi­
zione di non essere, per questo motivo le nature sono rifondate:
ciò che per natura è in sommo grado immobile, mirabilmente e
ineffabilmente si è mosso, per così dire, senza muoversi verso la
natura mobile: Dio si è fatto Uomo per salvare l’uomo distrutto,
e, sanando in modo soprannaturale le fratture della natura e ri­
velando le ragioni particolari degli enti, per il cui tramite si ottie­
ne l’unione delle cose separate, ha manifestato l’immensa Vo­
lontà di Dio Padre, ricapitolando ogni realtà in sé, nel quale so­
no state create. Mirando all’unione del tutto con se stesso, Egli
ha incominciato da ciò che concerne la divisione dell’uomo: Egli
diviene perfetto Uomo, prendendo da noi e per noi e secondo
noi ogni realtà, tranne che il peccato, e senza che per la sua na­
scita risultasse necessario un atto matrimoniale: e ciò per rivelar­
ci nel contempo, io credo, che nella scienza precognita di Dio
c’era un altro modo per la moltiplicazione del genere umano,
qualora il primo uomo avesse osservato il comandamento e non

224
si fosse spinto verso la condizione animalesca per via della tra­
sgressione delle proprie qualità, spingendosi verso la distinzione
di maschio e femmina e verso la diversità di natura: distinzione
che, come ho già detto, non era indispensabile per la moltiplica­
zione dell’uomo e di cui questi può fare a meno, senza che tale
distinzione debba permanere in eterno: «In Cristo Gesù - dice
infatti l’Apostolo - non c’è né maschio né femmina»... Poi, do­
po aver beatificato il nostro mondo abitato conducendo una vita
conforme alla natura umana, fece ritorno direttamente in paradi­
so, come veracemente ha dichiarato al ladrone... Dopo di che,
come se per Lui non esistesse differenza tra paradiso e mondo
abitato, Egli, dopo la sua Risurrezione dai morti, di nuovo si ma­
nifestò in questa terra ai discepoli e mangiò con loro, mostrando
che c’è una sola terra indivisibile e mantenendo intatta la ragione
della distinzione per diversità. Poi, con la sua ascensione in cielo,
unì il cielo con la terra, e, ritornando nei cieli insieme con questo
corpo materiale, che è della stessa sostanza e natura di quelli no­
stri, rivelò la ragione universale per la quale c’è una sola natura
sensibile, e annullò la qualità per la quale era soggetta a distin­
zioni. Dopo di che, attraversando tutte le potenze celesti con il
corpo e l’anima, vale a dire con la nostra natura perfetta, unificò
tutte le realtà sensibili con quelle intelligibili, rivelando indivisi­
bile e immutabile in se stesso la ragione primissima e universalis­
sima, che induce l’intera natura verso l’uno. E, infine e soprat­
tutto, Egli, pensando al genere umano, vale a dire al nostro bene,
fa ritorno verso Dio, manifestandosi, come è stato scritto, davan­
ti al Padre come vero Uomo, Lui che, in quanto Lògos del Padre,
non può in alcun modo dividersi da questi, avendo come Uomo
portato con obbedienza a termine, per mezzo del suo operato e
in verità, quanto Dio aveva prestabilito, e portando a compimen­
to ogni volontà di Dio Padre a favore di noi che, facendone cat­
tivo uso, abbiamo reso inoperosa la potenza fin dall’origine a noi
connaturata: anzitutto, egli unificò in sé tutta la nostra natura,
eliminando la distinzione maschio e femmina, e, al posto di ma­
schi e femmine, in cui consisteva la distinzione, rivelò prevalen­
temente e prettamente la nostra natura dell’essere umano, affatto
simile a Lui, e ne riprodusse l’immagine, in sommo grado libera
da ogni corruttibilità. E assieme con noi e per noi egli unì, par­
tendo dal centro e fino ai confini estremi, l’intero mondo creato:

225
attirando irrefrenabilmente su di sé il paradiso e il mondo abita­
to {ecumene), il cielo e la terra, le realtà sensibili e quelle intelli­
gibili, come se avesse corpo e sensazioni e anima e intelletto
umani, divinamente ricapitolò in sé ogni realtà. E con ciò mostrò
che tutta la creazione costituisce un tutt’uno a mo’ di un essere
umano: essa è formata dal mutuo compenetrarsi delle sue singo­
le parti e riposa in se stessa nella totalità della sua esistenza, in
virtù dell’unica, semplice, ineffabile e inalterabile Intelligenza
che l’ha creata dal nulla: dalla quale l’intero mondo creato trae
l’unico e identico e indivisibile lògos, poiché il non essere della
creazione è anteriore al suo essere.

226
SU VARI LUOGHI DIFFICILI DEI SANO DÌONIGIE GREGORIO IL
T e o lo g o , PG 91,1248A-1249C.

Nella misura in cui il mondo sensibile è per natura fondato


sui cinque sensi, essendo da questi percepito e, nel contempo,
inducendoli alla comprensione di sé, così pure il mondo spiritua­
le delle virtù, che è soggetto alle facoltà dell’anima, indirizza
queste ultime verso lo spirito, inducendole a muoversi solo in­
torno ad esso e a fondarsi sulle sue percezioni. E si sostiene che
le facoltà sensitive del corpo, in virtù delle ragioni divine ad esse
conformi, concorrono al funzionamento delle facoltà dell’anima:
quelle, infatti, stimolano queste ultime a passare dallo stato di
inattività a quello dell’attività, e permettono a chi è dotato di una
vista acuta nei confronti delle verità di percepire le ragioni
(ilógoi) degli enti alla stregua di lettere, che decifrano Dio Lògos.
Perciò è stato detto che le sensazioni sono immagini che raffigu­
rano le facoltà psichiche come se ad ogni singola facoltà sensiti­
va, assieme con il suo rispettivo organo, vale a dire la sensazione,
fosse misticamente abbinata la corrispettiva facoltà dell’anima. E
si sostiene che alla facoltà noetica, vale a dire alla mente, corri­
sponde la facoltà della vista; alla logica, e cioè al verbo, corri­
sponde l’udito; all’impetuosità l’olfatto; alla facoltà appetitiva il
justo e alla facoltà vitale il tatto. Per dirla meglio: immagine del-
a mente è la vista, vale a dire l’occhio; immagine del verbo è
'udito, vale a dire le orecchie; immagine dell’impetuosità è l’ol­
fatto, vale a dire il naso; immagine dell’appetito è il gusto, e della
vita il tatto. L’anima, seguendo la legge impostale da Dio, che ha
tutto creato in modo sapiente, in vari modi tende verso il mondo
sensibile. Ora, se l’anima fa corretto uso delle facoltà sensitive e,
coordinando le varie ragioni degli enti, riesce a trasferire sapien­
temente in se stessa ogni singola realtà percepita, nella quale si

227
nasconde Dio silenziosamente annunciandosi, allora essa riesce
volontariamente a creare dentro la propria mente (diànoia) un
mondo spirituale: e cioè, combinando le quattro virtù generali,
alla stregua di quattro elementi, per la formazione del mondo in­
telligibile da esse scaturito, riesce ad abbinare ogni singola virtù
alla sua corrispettiva facoltà sensitiva. Quindi: l’intelligenza sca­
turisce dall’attività conoscitiva e scientifica - frutto di combina­
zione della facoltà noetica e logica con le sensazioni ottica e au­
ditiva - sulle realtà da queste percepibili; il coraggio scaturisce
dall’attività estremamente regolare, frutto di combinazione
dell’impetuosità con l’olfatto, vale a dire del naso (infatti, si so­
stiene che il naso sia la sede dell’impetuosità); la moderazione
deriva da un’attività controllata - conseguenza di combinazione
della facoltà appetitiva con la sensazione del gusto - sul corri­
spettivo oggetto sensibile; la giustizia, deriva dall’equa e ordinata
e armoniosa distribuzione della facoltà vitale, attraverso il tatto,
a quasi tutti gli oggetti sensibili. Dalla combinazione di queste
quattro virtù generali, l’anima forma due virtù più generali: la sa­
pienza e la temperanza. La sapienza è il fine ultimo delle realtà
intelligibili, la temperanza delle realtà pratiche. Dalla combina­
zione infatti dell’intelligenza e della giustizia, l’anima produce la
sapienza: questa è conoscenza derivata dal coordinamento delle
acquisizioni intellettive e della scienza della giustizia e, quindi,
come ho detto, è il sommo grado del sapere. Dalla combinazione
della fortezza con la temperanza, invece, si forma la mansuetudi­
ne: quest’ultima nuli’altro è se non estrema impassibilità di tem­
peramento e impassibilità al desiderio contrario alla natura (al­
cuni la chiamano apatheia) e, perciò, risulta come fine ultimo
delle realtà pratiche. Dalla combinazione di queste due ultime
virtù, infine, l’anima produce la virtù più generale dell’amore.
L’amore è estasi e guida e vincolo per chi da esso procede, da es­
so è mosso e in esso approda, e divinizzazione per ciascuno at­
tuata in un modo particolare. Qualora l’anima muova con sa­
pienza e operi secondo la ragione che conduce a Dio, essa perce-
iisce opportunamente, attraverso i sensi, le cose sensibili, fami-
iarizzanao con le loro ragioni spirituali e le adopera come veico-
i delle sue facoltà. Poi, unifica le sue facoltà con le virtù e, attra­
verso le virtù, unifica se stessa con le loro ragioni divine, che, a
loro volta, si unificano con la mente spirituale misticamente na­

228
scosta in esse. Questa, stimolando ogni relazione spontanea o vo­
luta che l’anima instaura, la conduce semplice e completa a Dio.
E Dio, abbracciandola assieme al corpo che la avvolge, rende il
tutto analogicamente simile a se stesso. Sicché, Egli, della cui na­
tura nessuno degli enti può in qualche modo partecipare, riesce
a rivelarsi ineffabilmente e integralmente ad essa.

229
SU VARI LUOGHI DIFFICILI DEI SANTI DlONIGI E GREGORIO IL
T e o lo g o , PG 91,1345C-1349A.

Ora esporrò brevemente e secondo le mie possibilità l’inse­


gnamento che ho appreso (...) circa il motivo e la finalità per cui
u nostro Maestro ha aggiunto alla sua Incarnazione la nascita at­
traverso il battesimo. Coloro che parlano misticamente dei Sacri
Testi e li celebrano dovutamente formulando considerazioni su­
blimi, sostengono che, originariamente, l’uomo è stato creato a
immagine di Dio affinché potesse di propria volontà nascere nel­
lo Spirito e ricevere la condizione di somiglianza (con Dio) a lui
destinata attraverso l’osservanza del comandamento divino im­
postogli, di modo che l’uomo potesse nel contempo risultare
creazione di Dio per natura e figlio di Dio e dio per grazia dello
Spirito. Non era pertanto possibile che l’uomo divenisse figlio di
Dio e dio per grazia dello Spirito se prima non fosse nato nello
Spirito attraverso l’impulso spontaneo e indomabile a lui conna­
turato. Pertanto, per aver preferito ai beni intelligibili e fino ad
oggi invisibili quelli che risultano piacevoli e manifesti ai sensi, il
primo uomo è venuto a perdere la divina e divinizzante e imma­
teriale nascita, ed è stato giustamente condannato alla nascita in­
volontaria e materiale e mortale: e ciò perché Dio ha giustamen­
te ritenuto che, chi alla condizione migliore ha liberamente pre­
ferito quella peggiore, dovesse, parimenti agli animali irrazionali
e inintelligenti, soccombere alla nascita che è causa di patimenti
ed è asservita e piena di costrizioni, piuttosto che fruire di quella
libera e priva di patimenti e autonoma e pura, e che, all’onore
divino e inenarrabile, derivante dalla sua unione con Dio, suben­
trasse una disonorevole collocazione tra gli animali irrazionali.
Volendo liberarci da questo stato e riportarci alla condizione di­
vina, il Lògos, che creò la natura umana, diviene realmente uomo

230
per mezzo di uomini e, a favore degli uomini, nasce corporal­
mente senza peccato, e, Lui che è per natura Dio e per natura Fi­
glio di Dio, è battezzato e, sempre a favore dell’uomo, accetta
volontariamente la nascita spirituale secondo lo Spirito, affinché
venga abolita la nascita per mezzo del corpo. Ora, poiché il Fi­
glio e Lògos che ci creò, che è Dio parimenti al Padre e allo Spi­
rito Santo e della stessa loro dignità, diventò uomo per noi e se­
condo noi e da noi, e nacque corporalmente senza peccato, e,
Colui che è per natura Dio, accettò di ricevere il battesimo della
filiazione spirituale, secondo me volle aggiungere all’Incarnazio­
ne la nascita secondo il battesimo per un motivo preciso: e cioè,
per abrogare la nascita corporale e liberarci da questa. Ciò che,
per essere stato volontariamente rinnegato (e cioè la divinizza­
zione attraverso la nascita per mezzo dello Spirito), condannò
Adamo alla nascita corporale che soccombe alla corruzione, que­
sto stesso, per aver accettato di divenire uomo, Colui che è buo­
no e misericordioso nei confronti del nostro peccato, amalga­
mandosi volontariamente con noi, Colui che è libero e immaco­
lato, e accettando la nascita corporale, che racchiude in sé il mo­
tivo della nostra condanna, misticamente la trasformò in nascita
spirituale; e, spezzando le catene della nascita corporale, dette il
potere a coloro che credono in Lui di divenire attraverso la na­
scita dello Spirito volontariamente figli di Dio piuttosto che esse­
re figli della carne e del sangue. La mia condanna quindi è stata
causa dell’Incarnazione e della nascita corporale del Signore, alla
quale fece seguito la nascita spirituale attraverso il battesimo a
favore della mia salvezza e del mio richiamo o, per dirla meglio,
della mia rifondazione: nascita spirituale, che ha attirato su di
me la predisposizione di Dio nei confronti del mio essere, anzi
del mio felice essere, e ha colmato la precedente distanza e sepa­
razione, riconducendomi sapientemente verso la Ragione eterna:
in virtù della quale non si può più chiedere verso dove l’uomo è
trasportato o verso dove egli stesso tende, dal momento che, per
mezzo della grande risurrezione generale, si è reso noto il fine ul­
timo di tutti i fenomeni: infatti, l’uomo, per il quale la natura dei
fenomeni ebbe origine per generazione, e per mezzo del quale
essa diverrà per grazia incorruttibile di natura, è stato generato
per l’immortalità secondo un’esistenza inalterabile. Ricapitolia­
mo ora quanto abbiamo fin qui esposto. La nascita corporale del

231
Salvatore nostro si può intendere nei modi seguenti: secondo la
ragione della natura umana anteriore (alla caduta) e secondo la
ragione attualmente in vigore, per la quale egli morì; poi, secon­
do la ragione della generazione conforme alla natura umana e se­
condo la modalità (attuale) della nascita; poi, secondo i vari mo­
di della generazione dell’anima e del corpo e, infine, secondo la
concezione senza seme e la generazione senza corruzione. Spetta
ora a voi, in quanto giudici imparziali, giudicare rettamente qua­
le nascita tra queste è da preferire.

232
Nicola Cabasilas

La v ita in C r is t o , PG 150,680A-684B.

La natura umana fu creata fin dall’inizio in prospettiva del­


l’uomo nuovo. E anche la mente e il desiderio furono creati in
prospettiva di Lui. E fummo dotati di raziocinio per conoscere
Cristo, di desiderio per tendere verso di Lui, di memoria per
portarlo con noi: ché Egli era l’archetipo di coloro che creò.
Non il vecchio Adamo è il modello del Nuovo (Cristo), ma il
Nuovo è il modello del vecchio. Se poi sta scritto che il Nuovo
Adamo fu generato a imitazione del vecchio, ciò è stato detto
per via della corruttibilità, la quale ebbe inizio con il vecchio
Adamo e che il Nuovo ereditò, affinché l’infermità della natura
umana fosse guarita mediante i rimedi di questo e, come dice
Paolo, «affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita» (2 Cor
5, 4). Per via quindi di questa natura (corruttibile), il vecchio
Adamo è archetipo rispetto a noi, che lo riconosciamo come no­
stro progenitore; rispetto invece a Colui il quale, prima ancora
che tutte le realtà esistano, le ha davanti agli occhi, è il vecchio
Adamo ad essere generato a immagine elei Nuovo. E infatti,
quello (Adamo) era copia di questo (Cristo) ed era stato creato
secondo l’idea e l’immagine cu questo, senza tuttavia riuscire a
perseverare in questa condizione; che anzi, si lanciò verso l’im­
magine stessa, senza peraltro riuscire a raggiungerla. Per cui, il
vecchio Adamo ha ricevuto la legge, e il Nuovo Adamo l’ha os­
servata; a quello era stata richiesta l’obbedienza, e questo l’ha
compiuta (...). Quello (Adamo) introdusse la vita imperfetta,
che necessita di mille aiuti, mentre questi divenne per gli uomini
il Padre di vita immortale. Fin dall’inizio la natura umana tende­

233
va verso l’immortalità: potè però raggiungerla solo posterior­
mente, mediante il Corpo del nostro Salvatore: con la risurrezio­
ne dai morti per una vita immortale, egli divenne Guida d’im­
mortalità per il genere umano. E, per dirla in breve: primo e solo
il nostro Salvatore ha rivelato, mediante tutta la sua vita, qual è il
vero e perfetto uomo.
Se la finalità dell’uomo, verso cui guardava Dio nell’atto di

F lasmarlo per ultimo, consiste nella vita immutabile (e cioè, che


uomo sia nel corpo libero da ogni corruzione e, nell’anima, pu­
ro da ogni peccato), ne consegue che tale finalità potrà raggiun­
gere il suo compimento qualora il Creatore vorrà completare la
sua opera in conformità alle sue intenzioni originali, come ap­
punto avviene con la bellezza di una statua, che raggiunge la sua
perfezione con l’ultimo ritocco della mano stessa dell’artista. Se
allora l’uno (Adamo) era ben lungi dall’essere perfetto, mentre
l’altro (Cristo) è stato persino in grado di trasmettere anche agli
uomini ogni perfezione, congiungendo alla sua natura l’intero
genere umano, che cosa vieta di reputare questo Secondo Ada­
mo come modello del primo, e considerare il Nuovo Adamo co­
me Archetipo del vecchio? Sarebbe davvero oltremodo assurdo
ritenere che le realtà perfette si riconducano a quelle imperfette,
che i modelli più perfetti siano posti come esempio di quelli per­
fetti, e che i ciechi guidino i vedenti. Non vi è quindi da stupirsi
se le realtà imperfette risultino nel tempo anteriori a quelle per­
fette; piuttosto, bisogna ammettere l’opportunità di considerare
queste ultime come principi delle prime, tenendo bene in mente
che molte realtà sono state anteriormente create a vantaggio
dell’uomo, mentre questi, che è la regola di tutto il creato, è ve­
nuto per ultimo sulla terra.
A causa di tutto ciò, l’uomo tende verso Dio e per natura e
per volontà e per ragionamento non solo per via della divinità di
Lui, la quale è il fine ultimo di ogni cosa, ma anche per via della
natura diversa. Egli è infatti il rifugio degli amori umani, Egli, la
delizia dei pensieri. Amare o pensare qualsiasi altro all’infuori di
Lui, costituisce manifestamente peccato e deviazione da ciò che,
fin dall’origine, fu posto come conforme alla nostra natura. Af­
finché il nostro pensiero sia rivolto sempre e con costante zelo
verso di Lui, invochiamo incessantemente Colui che è l’ipostasi
dei nostri pensieri. Coloro che pregano non necessitano di pre-

234
)arazioni particolari né di luoghi speciali né di clamore. Non c’è
uogo in cui Cristo non sia presente o che non sia accanto a noi,
^ui che, per coloro che Lo cercano, è più vicino del loro cuore
stesso. Di conseguenza, siamo pure certi che egli risponderà alle
nostre preghiere e non ne dubitiamo, per il fatto che noi siamo
cattivi; piuttosto cerchiamo di osare, perché Colui che è invocato
è buono (...). Infatti, noi non invochiamo il Signore affinché ci
incoroni (...) ma affinché abbia misericordia di noi (...). E invo­
chiamo Dio e per mezzo di parole e per mezzo di pensieri e per
mezzo di ragionamenti affinché possiamo applicare su ogni no­
stro peccato l’unico farmaco salutare: «Infatti, non esiste - egli
scrive \At 4, 12] - altro Nome dato agli uomini per mezzo del
quale noi possiamo essere salvati».
A renderci capaci per l’ottenimento di tutto ciò, è sufficien­
te quel Pane (dell’Eucaristia) che sorregge effettivamente il cuo­
re dell’uomo e concede vigore, estirpando dall’anima ogni indo­
lenza. Questo Pane, che è sceso dall’alto dei cieli per portarci la
vita, noi dobbiamo a ogni costo cercare, affinché, cibandoci con­
tinuamente di esso, riusciamo a soddisfare la nostra fame. Né,
col pretesto che non occorre accostarsi ai sacramenti oltre il do­
vuto, è lecito restare lontani dalla mensa, rendendo così la nostra
anima ancor più povera e debole. Piuttosto, dopo aver confessa­
to i nostri peccati al sacerdote, dobbiamo bere il Sangue che pu­
rifica. Ed è certo che se noi coltiviamo questo pensiero, non
commetteremo mai nulla di così grave, da poterci precludere
dalla santa Mensa; piuttosto, nella misura in cui sarebbe empio
accostarsi ai sacri Doni dopo aver commesso un peccato morta­
le, così pure sarebbe inopportuno rifuggirne, se non si è così gra­
vemente infermi.

235
Nicodemo l’Agiorita

A p o l o g ia d e l b r a n o c o n test a t o , c o n t e n u t o n e l l ib r o « L a
LOTTA INVISIBILE», INTORNO ALLA SOVRANA NOSTRA, LA MADRE DI
Dio [in Manuale di consigli ovvero sulla tutela dei cinque sensi,
Ed. S. Schoinas, Volos 1969, pp. 207-216].

Poiché alcuni dotti, e soprattutto alcuni teologi, nel leggere


la nota concernente la Sovrana nostra, la Madre di Dio, da me
esposta nel libro recentemente stampato La lotta invisibile, si
stupiscono di due fatti: a) della mia affermazione secondo cui,
qualora tutti gli uomini e tutte le creature diventassero cattivi,
basterebbe la Sovrana nostra, la Madre di Dio a rendere grazie a
Dio; e b) della mia affermazione secondo cui tutto il mondo sen­
sibile e intelligibile è stato creato per una finalità precisa, e cioè
per la Sovrana nostra, la Madre di Dio, e che la Sovrana nostra,
la Madre di Dio è stata creata per il Nostro Signore Gesù Cristo:
poiché, dicevo, alcuni si sorprendono di queste affermazioni,
espongo qui brevemente la mia difesa, affinché si risolvano le lo­
ro aporie:
(...) Riguardo al secondo punto rispondo: in tanto, ribadi­
sco che tutto il mondo sensibile e intelligibile è stato creato
avendo come finalità la Nostra Signora Madre di Dio, e la Sovra­
na nostra, la Madre di Dio è stata creata per il Signore nostro
Gesù Cristo. E ciò dice espressamente e mirabilmente il sapiente
e provato teologo Giuseppe Briennio con queste precise parole:
«Per dirla in breve, la finalità di questo mondo e di ogni realtà in
esso esistente, come pure di ogni elemento e di ogni generazio­
ne, nonché del genere umano e delle razze umane, di tutti i seco­
li e di tutte le stagioni, è quel fiore che è la Sovrana nostra, la

236
Madre di Dio, e (secondo il ragionamento umano) quel frutto
che è il suo Figlio Unigenito» (Omelia seconda nella festa
dell’Annunciazione, voi. II, p. 143). E da parte mia aggiungo an­
che quanto segue: che tutto il mondo sensibile e intelligibile è
stato precostituito e predisposto proprio per questa finalità.
Vuoi sapere da dove risulta chiaro tutto ciò? Da quanto sto per
esporre. La Sacra Scrittura testimonia che il mistero dell’Incar­
nazione del Dio Lògos è inizio di tutte le vie del Signore, che è il
primo di tutte le creature, e che questo mistero è stato predispo­
sto prima che fosse predisposto ciò che doveva essere redento.
Le frasi della Scrittura, che lo testimoniano, sono: «Dio mi creò
fin dall’inizio dei suoi atti, prima ancora delle sue opere»; «Fin
dall’eternità io fui costituito» (Prov 8, 22.23); «Egli è Icona del­
l’Invisibile Dio, il Primogenito di tutta la creazione» (Col 1, 15: e
bada che qui non si limita a dire della creazione, ma di tutta la
creazione, e cioè di quella sensibile e di quella intelligibile); e
«Poiché coloro che Egli conobbe in antecedenza, li predestinò
ad essere conformi all’Icona del Figlio suo, affinché Egli sia Pri­
mogenito fra molti fratelli» (Rm 8, 29). E fin qui la testimonian­
za di san Paolo.
L’insegnamento poi di molti Padri della Chiesa è in armonia
con i summenzionati detti della Sacra Scrittura. Interpretando
infatti le espressioni «Dio mi creò fin dall’inizio dei suoi atti» e
«Primogenito di tutta la creazione», i Padri sostengono che le
espressioni in questione vanno intese in riferimento a Gesù Cri­
sto: non in relazione alla sua divinità - che, in quanto Dio, egli è
consustanziale e coetemo al Padre, e né è stato creato da Dio né
Egli è il primo della creazione, come sosteneva il blasfemo Ario
- ma in relazione alla sua umanità, che, antecedentemente ad
ogni altra cosa, Dio previde come inizio delle sue eterne previ­
sioni prima di tutta la creazione. I Padri che sostengono ciò so­
no: il Grande Atanasio (nel suo trattato Contro gli ariani), Cirillo
di Alessandria (nel libro IV dei Tesori, capp. 4, 6 e 8) e il divino
Agostino (nel De Trinitate).
Che la predestinazione di Cristo sia principio della predesti­
nazione di tutto ciò che necessita di salvezza, lo testimonia l’apo­
stolo Paolo quando dice: «Poiché coloro che Egli conobbe in an­
tecedenza, li predestinò ad essere conformi all’Icona del Figlio
suo», e lo testimonia anche Ecumenio interpretando questo det­

237
to come segue: «Ciò che il Figlio di Dio è per natura nella sua
Incarnazione (ed è chiaro che egli è santo e senza peccato), lo
stesso sono fatti anche essi per grazia: egli infatti chiama Imma­
gine di Dio il modo di vita di Cristo e, conseguentemente, il suo
corpo». Questa immagine, vale a dire la vita in santità, che tende
verso ogni realtà pura, l’ha espressa in modo analogo ad Ecume-
nio anche san Cirillo di Alessandria. E anche Coressio, nel suo
trattato sulla predestinazione, si occupa di questo dogma in mo­
do ancor più diffuso.
E san Massimo il Confessore, nella 60a aporia sull’Incarna­
zione divina dice: «Ecco il grande mistero rimasto nascosto. Ec­
co il fine beato, in vista del quale ogni realtà fu posta in essere.
Ecco la finalità divina precognita che diede inizio agli esseri e
che, volendola definire, noi diciamo che essa è il Fine precognito
per la cui causa ogni realtà esiste, mentre essa stessa rimane libe­
ra da ogni necessità. In vista di questa finalità Dio creò le sostan­
ze degli enti. Questo è il fine della provvidenza e delle realtà pre­
disposte, per via del quale si realizza la ricapitolazione in Dio.
Questo è il mistero che descrive i secoli e l’inrinitamente infinita
preeterna e immensa Volontà di Dio, che il Lògos di Dio, dive­
nuto uomo, potè annunciare, manifestando l’abisso della bontà
preeterna e indicando se stesso come finalità di tutte le creature
che ebbero sapiente origine». Senti come ogni realtà è stata pre­
cognita e predisposta per questo mistero, mentre quest’ultimo è
libero di ogni precognizione e di creazione e di finalità?
Di parere analogo a quello di san Massimo il Confessore è
anche Gregorio di Salonicco, il quale, nella sua omelia Sull’Epi­
fania, dice testualmente quanto segue: «Il Padre, dicendo nei
confronti di colui che era battezzato secondo la carne: “Questi è
il Figlio mio, il Diletto, nel quale mi compiacqui”, ha mostrato
che ogni fatto precedentemente operata dai Profeti (le Leggi e le
annunciazioni e le adozioni) era rimasta ancora imperfetta, e non
è stato detto e fatto secondo la primitiva volontà di Dio, bensì in
vista di questa finalità attuale, e con il compimento di quest’ulti-
ma sono state compiute anche quelle. E ciò non vale solo per le
leggi, le annunciazioni e le adozioni dei profeti: anche la stessa
fondazione del mondo era sin dall’inizio finalizzata a Cristo, a
Colui che era battezzato quaggiù come Figlio dell’uomo e che
era proclamato lassù come il Figlio, il Diletto del Padre e, come

238
dice l’Apostolo, per il quale e per mezzo del quale ogni realtà è
stata fatta. Ne consegue che anche la creazione dell’uomo è stata
fatta a immagine di Dio per Lui, affinché potesse un giorno con­
tenere l’Archetipo. E anche la legge posta in paradiso era finaliz­
zata a Cristo: Colui infatti che ha posto questa legge, non
l’avrebbe posta se avesse predisposto che l’uomo dovesse restare
imperfetto. E tutte le altre realtà, che Dio pronunciò e compì
posteriormente a Lui, quasi tutto è stato fatto in riferimento a
Cristo. Se così non fosse, si potrebbe dire che tutto ciò che è nel
mondo dell’aldilà e la natura e le potenze angeliche e le leggi di­
vine ivi poste, anch’esse erano fin dall’inizio finalizzate a Lui:
che hanno servito dall’inizio fino alla fine l’economia teandrica.
Compiacenza di Dio, infatti, è l’anteriore e buona e perfetta Vo­
lontà di Dio; e il Figlio è l’Unico in cui Dio si compiace e su cui
riposa e di cui gioisce il Padre; Egli è il suo Mirabile Consigliere,
il Nunzio della sua immensa Volontà, Egli è Colui che ascolta la
Volontà del Padre e la dichiara e, a coloro che l’accettano, con­
cede la vita eterna». Vedi che Dio ha creato l’uomo secondo la
sua Immagine affinché questi potesse un giorno contenere l’Ar­
chetipo mediante l’Incarnazione? Dio creò l’uomo come vincolo
del mondo sensibile e di quello intelligibile, e lo rese ricapitola-
tore e punto terminale di tutte le creazioni per questa finalità: af­
finché, unitosi con Dio, egli potesse unirsi con tutto il creato e,
come dice san Paolo, ogni realtà celeste e terrena si ricapitolasse
in Cristo, e, come dice Massimo il Confessore, Creatore e creatu­
re divenissero ipostaticamente una sola realtà. Che l’Incarnazio­
ne di Dio fosse necessaria, lo testimonia il divino Cirillo di Ales­
sandria (Commento al Vangelo secondo Matteo, cap. 17)... E an­
che il divino Agostino (cf. Enchiridion, cap. 26) dice che Dio ha
assunto corpo affinché l’anima e il corpo dell’uomo fossero bea­
tificati: l’anima per la sua divinità, il corpo per la sua umanità.
E ritengo superfluo sottolineare che anche gli ordini degli
angeli avevano bisogno dell’Incarnazione: non solo per acquisi­
re, mediante questa, l’immutabilità (secondo il parere di molti
teologi, infatti, essi non la possedevano anteriormente all’Incar­
nazione), ma affinché, sempre mediante questa, crescessero in
ampiezza, onde godere in maggior misura degli splendori e mi­
steri tearchici. Perciò il sapiente Teodoreto disse che, in seguito
all’Incarnazione, gli angeli vedono Dio, non in quanto immagine

239
della sua gloria, come accadeva precedentemente, ma Lo vedono
vivo e vero avvolto nella carne. E per questo motivo Paolo ha
detto che Cristo (in quanto Uomo, ovviamente), è la Testa di tut­
to, o, come scrive san Girolamo, «(Cristo) è a capo della Chiesa,
vale a dire degli angeli e degli uomini» (E f 1, 22). E, nei confron­
ti degli angeli, Dionigi l’Areopagita dice: «(le prime essenze: sdì.
gli angeli) sono allo stesso modo ritenute degne di entrare in co­
munione con Gesù; <tale comunione si realizza> non grazie a sa­
cre immagini, che riproducono in figure una parvenza dell’atti­
vità divina, ma perché esse si avvicinano veramente a Lui e par­
tecipano in modo immediato della conoscenza della sua Luce di­
vinamente operante» (Gerarchia celeste, 7,2). E il santo Isacco il
Siro dice: «Anteriormente all’Incarnazione di Cristo, neanche ad
essi (sdì. agli angeli) era consentito avvicinarsi a questi santi mi­
steri; ma dopo che il Lògos s’incarnò, si aprì ad essi la porta in
Cristo Gesù» (Omelia 84).
E il predicatore Miniatis afferma lo stesso nella sua omelia
Sulla domenica che precede il Santo Natale: «Il grande mistero
dell’Incarnazione, essendo l’opera più sublime e più nobile e più
perfetta delle divine sapienza e potenza demiurgiche, è stato pre­
disposto dalla sapientissima mente di Dio ed era precognito ad
essa. Prima ancora che Dio predestinasse il mondo creato o gli
angeli o il genere umano o qualsiasi altra creazione, egli aveva già
prestabilito nella sua preetema Volontà l’Incarnazione del Lògos
divino. Ragion per cui l’Incarnazione del Lògos divino è detta, nei
sacri testi, “Principio delle vie del Signore” e lo stesso Lògos in­
carnato “Primogenito di tutta la creazione”». Dopo di che, così
prosegue: «E opportunamente la divina Incarnazione è stata pre­
stabilita da Dio anteriormente a ogni altra realtà: perché, come
sostengono i venerabili Padri, di tutte le opere di Dio, l’Incarna­
zione rende maggiormente gloria a Lui: tutti gli uomini e gli ange­
li insieme non riescono a rendere tanta gloria a Dio quanto gliene
rende il solo Lògos Diouomo. Il quale, conversando col suo Pa­
dre imprincipiato, dice: “Io ti ho glorificato sulla terra”». Se
quindi, come sostiene questo saggio maestro, il mistero dell’In­
carnazione è stato prestabilito e precognito anteriormente a ogni
altra realtà, ne consegue che esso stesso costituisce la finalità ver­
so cui sono state predestinate e precognite tutte le altre creazioni,
in quanto successivamente a quello predestinate e precognite.

240
E anche Giorgio Coressio, nelle Aporie sull’Incarnazione, di­
ce che presso Cirillo di Alessandria e altri Padri il Cristo è chia­
mato finalità delle opere di Dio. Ora, se l’Umanità di Cristo è la
finalità delle opere di Dio; e se la finalità di ogni singola realtà
precede nel pensiero e nella conoscenza e consegue nell’attuazio­
ne e nel compimento (come dice Aristotele nel libro VII della
Metafisica, e come sostengono tutti i filosofi, antichi e moderni):
allora l’umanità di Cristo, che è la finalità di tutte le opere di Dio,
benché posteriormente compiuta, è stata comunque da Dio ante­
riormente contemplata e conosciuta e determinata: ché, secondo i
filosofi, tutte le realtà intermedie sono modellate in base a una fi­
nalità presupposta nella mente. Inoltre, Isaia dice che il mistero
dell’Incarnazione è l’antica Volontà di Dio. Egli, infatti, dice: «Si­
gnore, tu sei il mio Dio, io ti esalterò e loderò il tuo Nome, per­
ché hai fatto cose stupende: i tuoi antichi disegni sono fedeli» {Is
25,1). Egli chiama «antica» la Volontà di Dio in quanto Principio
principiante di tutte le altre Volontà di Dio: se infatti ci fosse
un’altra volontà conosciuta anteriormente a questa, allora non
l’avrebbe chiamata antica, bensì più recente e conseguente.
Anzi: dirò ancora qualcosa di più sublime e profondo. Tre
realtà si riconoscono in Dio: la sostanza (ousia), le ipostasi (per­
sone) e l’energia. Quest’ultima è la più esterna, ripostasi più
all’interno di Dio e la sostanza in sommo grado all'interno di
Dio. Dice infatti san Basilio: «Le energie di Dio discendono ver­
so di noi, mentre la Sua sostanza rimane ineffabile». In base a
queste tre realtà, Dio ha instaurato fin dall’eternità tre relazioni
universali: la relazione secondo cui il Padre comunica secondo
sostanza con il suo Figlio consustanziale e con lo Spirito Santo,
generando il primo fin dall’eternità ed emanando il secondo: in­
fatti, se Dio restasse assoluto e senza alcuna relazione, Egli non
avrebbe né Figlio né Spirito Santo, né avrebbe trasmesso loro la
sua sostanza: le Tre Persone, pertanto, sono Uno per via del­
l’identità della sostanza. Il Figlio ha instaurato la relazione unen­
dosi per ipostasi con l’umanità, per la quale relazione egli ha
preconosciuto e predeterminato la conseguente, in ordine crono­
logico, reale unione: l’umanità, infatti, non avendo una propria
ipostasi, ha partecipato dell’ipostasi del Figlio, traendo da que­
sto l’essere. Fin dall’eterno Dio (e specificamente lo Spirito San­
to, cui è affidata tutta la comune energia della Santissima Trinità)

241
ha stabilito la relazione basata sulla comunione secondo energia
con il resto del mondo creato, per la quale relazione sono state
precognite e predeterminate tutte le creazioni sensibili e intelligi­
bili. Le creature, infatti, partecipano solo dell’energia e della po­
tenza di Dio, e non anche dell’ipostasi o dell’essenza e natura,
avendo ricevuto l’essere nella divina potenza ed energia. Ora,
poiché, in base a tutto ciò, l’ipostasi è più all’interno di Dio di
quanto lo sia l’energia, ne consegue che la relazione secondo ipo­
stasi è più all’interno della relazione secondo energia; e se questo
è vero, ne consegue che la precognizione e predestinazione della
relazione secondo ipostasi dell’umanità del Dio Lògos è più
all’interno della precognizione e predestinazione della relazione
secondo energia di tutte le altre creature. Se poi la precognizione
dell’Umanità di Cristo è più all’interno di Dio, è chiaro che que­
sta è anteriore anche secondo l’ordine, ed è causa della precogni­
zione delle creature: ché la divina ipostasi, su cui si basano la re­
lazione e la precognizione dell’umanità, è secondo tutti i teologi
la causa effettiva dell’energia divina, sulla quale si basa a sua vol­
ta la relazione e precognizione di tutte le creature.
A quanto fin qui detto si aggiunga anche quanto segue. Le
stesse parole sublimi e divine, mediante cui san Massimo il Con­
fessore espone e celebra il mistero dell’Incarnazione, sono usate
dal grande melode e sommo tra i teologi Andrea di Creta, per
celebrare la persona della Madre di Dio, che è principio di vita e
ha ricevuto dentro di sé Dio ed è strumento e mezzo immediato
e concausa necessaria e conditio sine qua non del mistero dell’In­
carnazione. E tutto ciò perché lei è la Madre del Dio Lògos in­
carnato. Nella seconda delle sue tre Omelie sulla Dormizione,
Andrea di Creta dice nei confronti della Madonna quanto segue:
«Il corpo della Madre di Dio è principio di vita, avendo accolto
dentro di sé la Pienezza della divinità, l’Immagine perfetta della
bellezza primigenia, la materia in sommo grado armoniosa della
divina incorporazione, il mondo immenso in un mondo piccolo,
che ha portato il mondo dal non essere all’essere. Questo corpo
è stato offerto a nostro beneficio dal Dio che è; questo corpo è la
manifestazione dei reconditi abissi della divina insondabilità.
Questo è lo scopo pensato anteriormente ai secoli dal Creatore
dei secoli: Lei è l’apice dei divini oracoli, la Volontà inenarrabile
e ineffabile della provvidenza preetema concernente l’uomo,

242
ecc.». Ora, se la Deipara (Theotókos) è definita da questo teolo­
go «volontà predestinata da Dio»; e se san Massimo il Confesso­
re, nel definire la Volontà predestinata di Dio, ha detto che essa
è la finalità prestabilita: ne consegue necessariamente che la Dei­
para può opportunamente considerarsi finalità prestabilita, mi­
rando alla quale Dio ha posto in essere le sostanze degli enti, va­
le a dire il mondo intelligibile e sensibile... E ciò appare chiaro
dai risultati: il mondo noetico degli angeli, infatti, e quello sensi­
bile degli uomini, hanno ottenuto, mediante la Deipara, il primo
l’immutabilità, l’altro la conoscenza di Dio, come appunto testi­
monia il celebre tra i teologi Giuseppe Briennios dicendo (nella
sua Omelia seconda sulla nascita della Deipara)·. «(Dio) ha creato
un altro cielo, animato e razionale, affinché tramite esso gli uo­
mini acquistino la conoscenza di Dio e gli angeli l’immutabilità»
(voi. Ili, p. 15). E attualmente, trovandosi la Nostra Signora Dei­
para, in quanto Madre di Dio, al secondo posto dopo Dio stesso,
e avendo prevaricato non solo tutti gli uomini, ma anche gli ordi­
ni primi e superiori dei Cherubini e Serafini, distribuisce la ric­
chezza di tutte le grazie e dei divini splendori di Dio a tutti
quanti, sia uomini, sia angeli, come all’unisono proclama tutta la
Chiesa di Cristo.
(...) Perché allora san Massimo il Confessore ha sostenuto
che tutte le creazioni sono state fatte per il mistero dell’Incama-
zione, e che quest’ultimo mistero non è stato fatto per nessuna
finalità, mentre la Sacra Scrittura e tutti i Padri dicono espressa-
mente che questo mistero è stato fatto per la rifondazione e la
salvezza del genere umano? Mi sembra che ciò si spiega perché,
come sostengono i filosofi, alcune realtà sono soltanto mezzi e
non fini, altre sono al contempo mezzi e fini (vale a dire che so­
no fine per ciò che è inferiore a loro, e mezzo per ciò che è supe­
riore a foro), altre invece sono fine e non mezzo, vale a dire che
sono fine di finalità, come sono chiamate in quanto superiori a
tutto. Per questo motivo quindi il divino Massimo sostiene qui
che il mistero dell’Incarnazione del Dio Lògos è fine e non mez­
zo soltanto, essendo l’opera più alta e più sublime della Santa
Trinità, e finalità che svetta sulle finalità, alla cui causa si ricon­
ducono tutte le realtà, mentre questo non si riconduce a nessu­
na: che altro di più sublime può esistere infatti dell’unione ipo­
statica del Fattore con le fatture? Quand’anche si volesse con­

243
templarlo per altri motivi, tuttavia questo mistero è stato fatto
per la rifondazione e la salvezza del genere umano. E per dirla
perfettamente, il mistero dell’Incarnazione divina è principio e
mezzo e fine di tutte le creature: delle noetiche, delle sensibili e
di quelle miste. È principio di tutte le creature, perché la preco­
gnizione e la predestinazione di questo mistero costituiscono
l’inizio e la causa della precognizione e predeterminazione e
creazione di tutto il creato, come si deduce dalle espressioni «Il
Signore mi pose all’inizio delle sue vie», e «Primogenito di tutta
la creazione»: espressioni, queste, che, come abbiamo stabilito,
vanno intese con riferimento al Figlio e Lògos in quanto Uomo.
Dice infatti san Massimo il Confessore nella 60a Aporia: «Per
Cristo Gesù, vale a dire per il mistero che concerne Cristo, han­
no avuto inizio e fine in Cristo tutti i secoli e quanto i secoli con­
tengono. E stata infatti prestabilita un’unione tra secoli ed eter­
nità, tra misura e incommensurabilità, tra limite e infinitudine,
tra Creatore e creatura, tra fissità e mobilità, la quale, al compi­
mento dei secoli, è stata rivelata in Cristo, portando a compi­
mento tramite essa stessa la precognizione di Dio».
Il mistero dell’Incarnazione divina è poi mezzo, perché, co­
me ha detto san Massimo, portò a compimento la precognizione
di Dio. Questo mistero ha concesso l’immutabilità agli angeli e
refrattarietà al male, come abbiamo sopra accennato seguendo
Gregorio di Salonicco, Giuseppe Briennios e Niceta Stetatos.
Nella sua omelia Sulla santa Pasqua, Gregorio Nazianzeno ha
chiamato l’immutabilità degli angeli «salvezza del mondo invisibi­
le». E san Massimo il Confessore dice che il mistero dell’Incarna­
zione è stato precognito «affinché, le realtà che per natura si tro­
vano in movimento, riposino in ciò che per natura è immobile,
abbandonando il proprio e mutuo movimento»: lo scoliaste delle
opere del Confessore spiega: «Nella loro unione con Dio, tutte le
realtà si rendono immobili». Questo mistero ha inoltre donato la
libertà dal peccato originale, porzione di grazia divina, incorrutti­
bilità, immortalità, immutabilità, salvezza e ancor mille altri beni.
E questo mistero dell’Incarnazione è anche fine, in quanto
esso si è rivelato nei confronti degli angeli e nei confronti di tutto
il creato come perfezione e divinizzazione e gloria e beatitudine; e
perché esso risulta come ricapitolazione delle realtà celesti e ter­
restri e come unione ipostatica del Creatore con le creature e co­

244
me gloria del Padre imprincipiato, il quale è stato glorificato non
da parte di una semplice creatura, bensì da parte dell’identico per
sostanza Figlio suo e Lògos: con l’indossare la natura degli uomi­
ni, fine ultimo di ogni realtà e di cui niente di più alto può esiste­
re, e a causa del quale ogni realtà esiste, mentre egli non ha come
causa nessuno, e come dice ancora lo stesso Massimo il Confesso­
re: «affinché, dice l’Apostolo, nel nome di Cristo Gesù pieghi il
ginocchio ogni realtà esistenté in cielo e in terra e negli abissi, e
ogni realtà proclami che Cristo Gesù è il Signore». Perché, e a
che prò? Per la gloria di Dio Padre: «in gloria di Dio Padre».
Da quanto è stato finora detto, ognuno può concludere che
il mistero dell’Incarnazione era necessario: in primo luogo e di
per sé, perché, come abbiamo detto seguendo Gregorio di Salo­
nicco, questo mistero costituisce la Volontà primigenia di Dio,
che trova la sua prima causa motrice nell’infinita e sostanziale e
suprema bontà di Dio, anzi, come dice Massimo il Confessore,
nella profondità più intima della bontà paterna; in secondo luo­
go, perché questo mistero risultava necessario per tutte le crea­
ture, noetiche e sensibili, in quanto, come è stato dimostrato, è
loro principio e mezzo e fine.
Credo che quanto sopra riferito possa bastare ai benevoli
giudici e lettori della mia nota concernente la Sovrana nostra, la
Madre di Dio, che prego di non accusarmi ingiustamente. Infat­
ti, io non ho esposto lì il mio pensiero, ma ho seguito il pensiero
dei Padri suddetti. Se poi ad accusarmi sono dei malevoli (fatto
che non mi auguro), questi accusino non me, bensì Massimo il
Confessore, Gregorio di Salonicco e il grande Andrea e tutti gli
altri, dai quali io ho appreso questa dottrina.

245
Lessico

Antimension - Panno dispiegato sull’altare e contenente frammenti di


reliquie. Le oblate (il pane e il vino offerti nella protesi) vengono
deposte durante l’anafora sull’antimension, e vi rimangono fino al­
la Comunione.

Antropologia - Indica ogni discorso intorno alla natura umana, in parti­


colare la sua creazione, il suo rapporto con Dio, e la vita spirituale.

Archetipo - Indica la forma originale che è rappresentata nelle sue varie


immagini («tipi»).

Arti - Parola usata qui per tradurre di volta in volta il termine greco te-
chne, che rinvia meno alla creatività artistica in senso moderno e
più alla tecnica del bravo artigiano.

Canone - Il poema liturgico così chiamato è uno degli elementi caratte­


ristici dell’ufficio àéNOrthros (vedi). Si compone di quattro «odi».
In origine si trattava di un gruppo di nove cantici della Scrittura. Il
più delle volte, la seconda ode non viene recitata, ma figura nel
«grande Canone». Di solito non ne rimane altro se non i componi­
menti innografici della Chiesa destinati a essere inclusi in alternativa
al testo scritturistico; soltanto la nona ode (il Magnificat) viene reci­
tata oggi col suo proprio testo. Si tratta dunque, attualmente, di
strofe, chiamate «tropari», sempre classificate come odi. L’ultimo
tropario di ciascuna ode, dedicato alla Madre di Dio, è detto Tbeo-
tokion. Vi sono numerosi Canoni, corrispondenti ai diversi tempi li­
turgici: il «grande Canone» è appunto uno di questi, il più esteso.

247
Cosmologia - D iscorso sulla struttura dell’universo così come è stato
creato da Dio.

Demiurgo - N el greco antico, è un artigiano, un fabbricante. Il termine


è usato dai Padri quale sinonim o di Creatore.

Escatologia - Indica la rivelazione intorno agli ultimi tem pi: il secondo


avvento del Salvatore, la risurrezione universale e il giudizio finale.

Esichia, esicasta - Uesichia, vissuta dai m onaci esicasti, è la tranquillità,


la quiete, sia dell’anim a pacificata, sia della vita m onastica in gene­
rale sia, infine, di una vita solitaria all'interno o al di fuori del ceno-
bitism o.

Exapsalmos - G ru p p o fisso di sei salm i la cui recita dà inizio al M attuti­


no (vedi Orthros).

Generazione (genesi) - Il significato etim ologico di questa parola è «n a ­


scita» oppure «origin e». E usata com e titolo del libro della Bibbia
che narra la creazione del m ondo. In com posizione con altri term i­
ni, esprim e il p rocesso prim ordiale della nascita di varie realtà (per
esem pio, «c o sm o gen esi»...).

Gnostici - Insiem e di eretici dei prim i tem pi della Chiesa. Tentavano di


sostituire alla vita e alla fede della Chiesa costruzioni filosofiche
spesso com plicatissim e, spacciate per rivelazioni più alte della rive­
lazione biblica e di quella evangelica, da essi ritenute ingenuità.

Ipostasi - P arola usata dai Padri del prim o Concilio ecum enico (N icea
I) per indicare le tre Persone della indivisa Trinità. O gni Persona
«ipostatizza» la natura divina comune. N ella seconda Persona della
Santissim a Trinità, la natura divina e la natura um ana hanno una
sola ipostasi, quella del Verbo. E l’«unione ip ostatica» delle due
nature.

Kosmos - Q uan do filosofi e teologi greci usano questo termine, gioca­


no spesso sul duplice significato di ordine (in particolare, di ordine
dell’universo) e di ornam ento (specialm ente arm onia e abbiglia­
mento).

248
Logia - Il linguaggio greco filosofico e teologico ricorre spesso ai com ­
p osti in «-logia». M olti sono passati nelle lingue m oderne per indi­
care i vari cam pi delle conoscenze intellettuali. Va rilevato però che
il senso m oderno è leggerm ente diverso da quello antico. Vedi le
singole parole.

Metanoia - O ltre al significato generale di conversione e di pentim ento,


questa parola greca indica le prosternazioni che fanno i fedeli orto­
dossi in varie circostanze.

Myron - Indica l’olio usato per conferire l’unzione dei doni dello Spiri­
to Santo al neo battezzato (equivalente alla conferm azione dei cat­
tolici). Si p u ò anche usare la parola «u n gu en to» (crisma) che serve
per P«un zion e» (crismazione) e che fa di ogni battezzato un «c ri­
sto » (unto).

Ode - Com ponim ento che raggruppa un insieme di strofe o «tropari».


Ontologia - Indica ogni riflessione sull’essere di tutto ciò che è.

Orthros - È il M attutino. Inizia con la recita di un gruppo fisso di sei


salm i (YExapsalmos); seguono, in Q uaresim a (dunque per l’ufficio
del «gran d e C an on e»), il canto deU’«A lleluia» e degli «inni triadi­
ci», che sviluppano l’inno dei cherubini alla Santissim a Trinità (=
Sanctus latino), una lettura dal Salterio, il Salm o 50 (= Miserere la­
tino), p oi il «C an on e (vedi) delle nove od i», le « L o d i» (= Salm i dal
148 al 150) e la dossologia (il Gloria latino).

Padri della Chiesa - Sono gli uom ini che la Chiesa ha riconosciuto - ta­
lora d op o averli perseguitati - quali interpreti dello Spirito, e che
hanno precisato, in genere contro le costruzioni degli eretici, i dati
della Rivelazione.

Penitenza (epitimia) - O p ere (atti o preghiere) che posson o essere im ­


poste con fini terapeutici in seguito a un peccato.

Provvidenza (economia) - I P ad ri indicano con questa parola l’insieme


delle disposizioni divine per salvare il m ondo e l’uom o m ediante
l’incarnazione del Verbo, la m orte e la risurrezione di Cristo, l’in­
vio dello Spirito Santo e la vita della Chiesa (vedi Teologia).

249
R azion alità (logicità, verbeità) - Parola usata per tradurre un derivato
dal termine « L o g o s » (Verbo), e che indica la conform ità di ciascun
essere con la volontà del Verbo.

Sacram enti (m isteri) - Indica le realtà spirituali che la m ente um ana non
pu ò cogliere da sé e che le sono rivelate da Dio. M a questa parola,
nella vita della Chiesa ortodossa, indica anche più concretam ente i
santi misteri celebrati per far m em oria dell’econom ia (vedi provvi­
denza) della salvezza e in obbedienza alla parola del Salvatore, e
principalm ente il santo m istero dell’Eucaristia e quello della nuova
nascita: battesim o e conferm azione.

Soteriologia - Trasm issione, tram ite la parola, di quel che D io ha rivela­


to sul m istero della salvezza.

Teologia - I Padri greci pongono costantemente una distinzione fonda-


mentale tra il cam po «teologico» che trasmette quel che D io ha rive­
lato intorno a se stesso, alla Trinità delle ipostasi (vedi) nell’unità
dell’Essenza, e il cam po «econom ico» (vedi provvidenza, econom ia),
che trasmette quel che D io ha rivelato sull’opera del suo amore, dal­
la creazione del m ondo fino alla divinizzazione dell’uomo. In questo
libro, l’Autore dice che l’uom o è un essere «teologico» per sottoli­
neare che l’intera sua natura è rivolta verso D io, parla di Dio, è im­
m agine di Dio.

Triadologia - Trasm issione, tram ite discorso, della rivelazione intorno


alla Trinità.

Unguento (unzione , unto) - Vedi M yron.

Veglia (agripnia ) - U fficio liturgico che si protrae per tutta la notte. In


certe occasioni solenni, com prende Vespri, M attutino (vedi Orth-
ros), le ore Prim a e Terza e la liturgia eucaristica, celebrata al m atti­
no presto.

250
Indice patristico

A g o s t in o , Enchiridion sive de fide, spe et charitate, V ili, 27 -IX, 29, 96,124


A n a s t a s io S in a it a , L ’espressione «a immagine», PG 89, 1148D-1149A, 41,
108
A t a n a s io i l G r a n d e , Contro gli Ariani, 2,67, PG 2 6 ,289C, 52; 2 , 78, PG 26,
312BC, 42-43, 109-, Contro i Greci, 2, PG 25, 8, 107; 3, P G 25, 101B, 41,
107-, 4, P G 2 5 ,104CB, 107 *
B a s il i o i l G r a n d e , Iddio non è causa del male, PG 31, 329A -353A , 70, 116-,
La nascita diC risto, 6, P G 3 1 ,1473A, 51, 111
C i r i l l o d i A le s s a n d r ia , Omelia sulla Lettera a i Romani, PG 74, 780D, 79,
119
C lemente di Alessandria , Stromates, 6,12, BEPES 8,215-216, 122; Pedago­
go, 2,10, PG 8 ,497B, 108
D iodoro di T arso, Commento alla Genesi, 1 ,26, PG 33,1564-1565, 108
D iogneto , Lettera a Diogneto, 12, 9, BEPES 2 ,2 5 7 , 181
D ionigi Areopagita , I Nomi divini, 4,20, PG 3 ,717C, 70
E pifanio di C ipro, Panarion, 64, 18, PG 4 1 ,1097D, 58,113; 64,23, P G 41,
1105C, 58,113; 70, PG 4 2 ,344B, 38,124; PG 4 1 ,1077B, 113
G iovanni C risostomo , A Stagirio, 1, 2, PG 47, 427, 108; A Teodoro, 1, 11,
PG 47, 291, 75,117; Omelie sulla Lettera ai Colossesi, 12, 5, PG 62, 387,
82, 121; 12, 6-7, P G 62, 389-390, 121; 8, 2, PG 62, 353, 40, 107; Omelie
sulla Lettera agli Efesini, 20, 5, PG 62, 146-148, 83-84; 20, PG 62, 135-
150, 82, 121; Omelia sulla Lettera ai Galati, 6, 3, P G 61, 679, 75, 117;
Omelia sulla Lettera agli Ebrei, 4, P G 63,42, 74,117; Omelia sulla Lettera
a i Romani, 13,1, PG 6 0 ,5 0 8 , 88; 13,3, PG 60,512, 75,118; 13,4, PG 60,
513, 76,118; 13, 6, PG 60,513, 76; 13,7, PG 60,517, 62; 13, PG 60,507-
5 2 4 , 118; 13, PG 60,507-524, 75-79,118; 14,5, P G 6 0 ,5 3 0 , 117; Omelia
sulla prima Lettera ai Corinzi, 17,3, PG 6 1 ,1 4 3 , 123; Omelia sulla seconda
Lettera ai Corinzi, 11, 4, PG 61,387, 60, 114; 15, 3, PG 6 1 ,5 0 6 , 123; 19,
3, PG 6 1 ,5 3 4 , 126; A ll’Imperatore, 1, PG 63, 4 7 4 , 123; Sulla fornicazione,
3, PG 51, 213, 88; Omelia sul detto :«V oi potete conoscere in questo», 6,
P G 56, 211, 163; Commento sulle parole «Salutate Priscilla», 1, 5, PG 51,
194, 116; Omelie sul Vangelo di Giovanni, 30, 3, PG 59, 175, 97; Omelie
sulla Genesi, 15, 4, PG 53, 123, 63, 81, 115, 119; 16, 4, PG 53, 130, 81,

251
119; 16,5, PG 53,131, 63,115; 17,7, P G 53,143-144, 85,122; 18,4, PG
53,153, 81, 82,119,121; 18,4, PG 53,154, 85,122; 18, PG 5 3 ,1 5 0 , 114;
27, 1, PG 53, 2 4 0 , 100,125; 29, 3, PG 53,264-265, 93, 100,124,126; 29,
3, PG 53, 264, 99, 125; La verginità, 14-17, P G 48, 544-546, 78, 119; 14,
PG 48, 543, 80, 119; 15, PG 48, 545, 90, 123; 16, PG 48, 545, 546, 119;
Commento al Salmo 8, 7, PG 5 5 ,1 1 8 , 93,124; 8, PG 5 5 ,1 1 9 , 100,126; Le
statue, 11, 3, P G 49, 122, 120; 11, 4, PG 49, 124, 99, 125; 11, 4, PG 49,
1 2 5 , 120,125; 19, 1, P G 49, 1 8 8 , 124; 2, 5, PG 49, 4 2 , 101,126; 5, 4, PG
49, 75, 117; Omelie sul Vangelo secondo Matteo, 38, 6, PG 57, 428, 84,
122; 48,3, PG 58,490, 84,122; 49,4, P G 5 8 ,5 0 1 , 125; 68,3, PG 58,643,
124
G io v a n n i DAMASCENO, La fede ortodossa, 1, 13, PG 94, 853C, 45,109; 4, 22,
P G 94, 1200B, 76,118; 4, 24, PG 94, 1208D, 120; Le sacre immagini, 16,
PG 94, 1245C, 101, 126; Discorso sul fico maledetto e la parabola della vi­
gna, 2, PG 9 6 ,580B, 49,110; Sulle due volontà in Cristo, 30, PG 9 5 ,168B,
38; Contro i calunniatori delle sacre immagini, discorso 3, 26, PG 94,
1348AB, 46,109
G iustino , Apologia seconda a favore dei cristiani, 13, PG 4 6 ,465C, 104,126
G r e g o r i o d i N issa , L ’uomo, 11, P G 44, 153D-156B, 106; 16, PG 44, 177D-
180A, 44; 16, PG 44, 180A, 44, 109; 16, P G 44, 185A, 119; 17, P G 44,
189CD, 119; 18, PG 44, 192BC, 61; 18, P G 44, 192C, 117; 18, PG 44,
193C, 72, 117; 4, PG 44, 136BC, 41, 108; 8, PG 44, 145B, 46; 8, P G 44,
148BC, 109-110; 21, PG 44, 225A-229A,. 118; La vita di Mosè, P G 44,
388D, 62, 114; Omelia sul Cantico dei Cantici, 11, P G 44, 1004D-1005A,
114,115; 11, PG 44, 1005A, 62,102,114; 12, P G 4 4 ,1020B, 117; 12, PG
44, 1021D, 113; Omelia per i defunti, PG 4 6 ,524D, 62; P G 4 6 ,521D, 63;
PG 4 6 ,532C, 114; Catechesi, 5, PG 45, 21CD, 47; 8, P G 4 5 ,33C, 114; 8,
PG 45, 33CD, 59, 71,116; 8, PG 45, 33D, 117; Omelia sutt’Ecclesiaste, 1,
PG 44, 624B, 57, 112; L ’anima e la Risurrezione, PG 46, 108A, 62, 114;
PG 46, 148C-149A, 60, 80, 114; La preghiera, 5, PG 44, 1184B, 61, 114;
5, PG 44, 1184C, 64, 115; La Verginità, 12, PG 46, 369B-376C, 218-221;
12, P G 4 6 ,369C, 41,108; 12, PG 4 6 ,373C, 59,113; 12, PG 4 6 ,376A, 59,
113; 12, PG 46, 376B, 62, 115; Le beatitudini, 3, PG 44, 1228AB, 93;
Omelie sui Salmi, 12, PG 4 4 ,556B, 60,114; 2, 6, PG 4 4 ,508BC, 64,115;
A Placilla, PG 4 6 ,889C, 126; P G 4 6 ,888D-889A, 91,123
GREGORIO N a z ia n z e n o , A l grande Re, P G 36, 560A, (espressione di Basilio),
109; Discorso 1, la Santa Pasqua, 4, PG 35, 397B, 111; Discorso, 14, 20,
PG 35, 884AB, 124; Omelia 38, la Teofania, 11-13, P G 36, 321C-325D,
215-217; Omelia 45, la santa Pasqua, 12, P G 36, 640B, 118; 1, PG 36,
632AB, 44; 8-9, PG 36, 632A-636A, 215-217; 8, PG 36, 632C, 63, 91,
115,124; Omelia 7 , 23, PG 3 5 ,785C, 122; 23, PG 3 5 ,785C, 124
G r e g o r i o P a la m a s , Suggrammata, 29 (Ed. Christou), II, 356-357, 46, 110;
Omelia 31, PG 151, 388C, 89, 123; Omelia 7 sull’Epifania (Ed. S. Ikono-
mos), 259, 49, 110, 238s.; Prosopopea, PG 150, 1361BC, 108; Théopkane,
21 (Ed. Christou), II, 2 5 5 , 46,110

252
Ieeneo di Lione, Smascheramento e confutazione della falsa gnosi, IV, 38, 1-3,
BEPES 5,157-158, 51,111,213-214
M acahio di E g itto , Omelie spirituali 12,2, PG 3 4 ,557B, 189
Massimo il C on fessore, A Talassio, 21, PG 9 0 ,312C-313A, 85,122; 45, PG
90,436A, 86 ; 60, PG 90, 620D-621C, 238,244; 60, PG 90, 621A, 50,110;
61, PG 9 0 ,628A, 94,124; 61, PG 90, 628B, 79,119; 61, PG 9 0 ,632D, 86;
61, PG 90, 633BC, 74,117; 61, P G 90, 633D, 117; 61, P G 90, 637A, 117;
63, PG 90, 692B, 51, 111; PG 90, 253CD, 116; PG 9 0 ,256A, 80,119; Ca­
pitoli sull’amore, III, 4, P G 90, 1017CD, 126; Conversazioni con Pirro, PG
91, 304C, 108; Epistola seconda a Giovanni Cavicoulario, sull’Amore, PG
91, 396C, 79,119; Mistagogia, 4, P G 91, 672B, 109; 6, PG 91, 684A, 109;
Commento sul trattato I nomi divini, 4, 33, PG 4, 305D, 70, 116; Su vari-
luoghi difficili dei santi Dionigi e Gregorio il Teologo, P G 91, 1084D, 52,
111; P G 91, 1092C, 67, 116; PG 91, 1097C, 51, 64, 110, 115; PG 91,
1097CD, 71,116; PG 9 1 ,1097D, 51,110; PG 9 1 ,1104A-1105A, 116-117;
P G 91,1112ABC, 69,116; PG 9 1 ,1112C, 68,116; PG 9 1 ,1156C-1157A,
60, 114; P G 91, 1157A, 59, 113; P G 91, 1157C, 60, 114; PG 91, 1193D,
65, 115; PG 91, 1248A-1249C,‘ 67, 116, 227-229; PG 91, 1276A, 85, 122;
P G 91, 1304D-1308C, 65, 115; P G 91, 1304D-1312B, 222-226; PG 91,
1305A, 67,116; P G 9 1 ,1305B, 67,116; PG 9 1 ,1305CD, 85,122; PG 91,
1308C, 68, 116; PG 91, 1309AB, 86,122; PG 91, 1341C, 81, 85, 87,119,
122, 123; PG 91, 1345C-1349A, 230-232; PG 91, 1345D-1348C, 86, 123;
P G 91, 1352B-1356A, 80, 124; PG 91, 1353AB, 63, 115; Il Padre nostro,
P G 90, 889C-892A, 122
M etodio DI OLIMPO, Aglaofonte o Sulla Risurrezione, 2, 10, BEPES, 18, 160,
159; 1,39, BEPES, 1 8 ,1 2 9 , 5 8 ,5 9 ,1 1 3 ,1 1 7
N i c e t a S t e t h a t o s , Centurie, 3,10, PG 120, 957D-980A, 89,123
NICODEMO l ’A gio rita, Apologia del brano contestato, contenuto nel libro «La
lotta invisibile»... (Ed. S. Schoinas), pp. 207-216, 33,46,110,236-245
N i c o l a Cabasilas, Spiegazione della santa Liturgia, PG 150, 392D, 160; PG
150, 409B, 163; PG 150, 413A, 163; PG 150, 413C, 133; PG 150, 444D-
445A, 151; PG 150, 452B, 149; PG 150, 452CD, 160; PG 150, 461CD,
150; PG 150, 465AB, 150; P G 150,477A, 170; Omelie sulla Madre di Dio,
p. 144, 163; p. 64, 133; p. 70, 133; p. 150-152, 26, 138; La vita in Cristo,
P G 150, 493B, 135; PG 150, 496A, 141; PG 150, 496BC, 138; PG 150,
500A, 141; PG 150, 500BCD, 140; PG 150, 500D-501A, 140; PG 150,
504AB, 165; PG 150,504BC, 162; PG 150,508A, 71,116; PG 150,513A,
133; PG 150,513C, 72, 116; PG 150, 516B, 7 2 , 116; PG 150,516BC, 71,
116; PG 150, 517D, 143; PG 150, 520A, 144, 148; PG 150, 520C, 173;
P G 150, 521A, 142; PG 150, 525A, 143; PG 150, 525B, 141; PG 150,
525BC, 141; PG 150, 523A, 142; PG 150, 533D, 51, 111, 145; PG 150,
536A-537B, 133; PG 150, 536B, 133; PG 150, 537C, 87, 135, 143; PG
150, 540C, 136; PG 150, 541A, 139; PG 150, 560D-561A, 43, 109; PG
150, 560D, 25, 86, 155; PG 150, 561A, 156; PG 150,564B, 163; PG 150,
564C, 163; PG 150, 569A, 145-146; PG 150, 569C-572A, 145-146; PG

253
150, 572A, 132-159-, PG 150, 572B, 135, 160-, PG 150, 572C, 134; PG
150,572CD, 134; PG 150, 576B, 146; PG 150,577D-580A, 169; PG 150,
580A, 170; PG 150, 580AB, 169; P G 150, 581A, 146; PG 150, 584BCD,
148; P G 150, 584D, 144, 147; P G 150, 585A, 147; PG 150, 585B, 147;
PG 150, 592C, 164; PG 150, 593C, 144; PG 150, 593D, 147; PG 150,
596B, 132; PG 150, 597AB, 148; PG 150, 600A-604A, 140; P G 150,
600B, 141; PG 150, 601D, 144; PG 150, 604A, 51, 111; PG 150, 613A,
164; P G 150, 616A, 164; PG 150, 616C, 147; PG 150, 616D, 164; PG
150, 617B, 146; PG 150, 624AB, 172; P G 150, 624B, 173; PG 150,
624BC, 173; PG 150, 624C, 173; PG 150, 625C, 169; P G 150, 628A, 169;
PG 150, 629BC, 170; PG 150, 632A, 169; PG 150, 633AB, 170; PG 150,
633C, 169; PG 150, 636A, 170; PG 150, 636B, 170; PG 150, 641A, 150;
PG 150, 641B, 153; PG 150, 641C, 157; P G 150, 641D, 151; PG 150,
644D-645A, 152; PG 150, 645C, 136; P G 150, 645D, 136; P G 150, 648A,
151; PG 150, 648B-649A, 152; P G 150, 648C, 152; PG 150, 649BC, 173;
PG 150, 649D, 153; PG 150, 652A, 152; PG 150, 657C, 158; PG 150,
657D-660A, 166; PG 150, 657D, 166; PG 150,665A, 145; PG 150, 680A-
684B, 233-235; PG 150, 680A, 49, 152; PG 150, 680AB, 138; PG 150,
680B, 135; PG 150, 680C, 136, 138; PG 150, 681A, 135, 48-49; P G 150,
681AB, 48-49; PG 150, 681B, 153; PG 150, 681BC, 154; PG 150, 688BC,
158; PG 150, 688D, 139; PG 150, 689A, 159; P G 150, 701C, 157; PG
150, 708BC, 155; PG 150, 716A, 147; PG 150, 716BCD, 158; PG 150,
721A, 158; PG 150,721C, 155; PG 150,725CD, 159; PG 150,725D, 163
O r ig e n e , Contro Celso, 6, 63, PG 11, 1393, 40,107; Omelie sulla Genesi, PG
1 2 ,101A, 57-59; PG 1 2 ,101B, 57-59; PG 12, 9 5 , 106; P G 1 2 ,9 6 , 106
Sim eo n e i l N u o v o T e o l o g o , Discorso etico 4, S C 1 2 9 ,6 4 , 44,109
T e o d o r e t o d i C ir o , Commento alla Genesi, 20, PG 80, 109B (testo di T e o ­
doro di M opsuestia), 41,108

254
Indice tematico

adozione, 86, 87, 105-106, 142, 230- asservimento, 51, 67, 74, 75, 76, 90,
232 93, 97, 134, 135, 192, 194
altare, 169 autonomia, 45, 47, 55, 59, 95, 133,
alterazione, 96, 102 137, 167, 188, 198
amore, 42, 45, 49, 76, 78-79, 83-84, battesimo (cf. nascita spirituale), 86-
87, 89, 92, 97, 98, 137, 158-159, 88,103, 141, 142-145, 165
164, 165,196,228 bene, 57, 70s., 94, 154, 156, 206,216,
amore di Dio (misericordia, amore 220
per l’uomo), 57, 70-71, 74, 80, 87, biologico (cf. nascita biologica), 44,
99-100, 157-158, 198-199, 207, 54, 60, 85, 87, 89, 91, 95, 100, 134,
238, 245, 216-217 136, 137, 142, 189
amore per l’uomo; cf. amore di Dio caduta (cf. peccato), 49, 59-60, 64,
anima, 41-43, 58, 61, 65, 66, 67-69, 67-69, 71-72, 84, 87, 93, 113, 120-
76, 82, 93, 132, 144, 178, 186-187, 121,133,188,198, 231
190-194, 217, 227s. canone, regola, 70-71, 74, 116, 219,
antropologia (apofatica), 81-82, 119- 220s.
121, 191 carne, 62, 75-77, 124, 189, 190, 196,
antropologia (in generale: cristologi­ 215-217
ca, teantropologica), 37, 39, 40, carne (orgoglio della —), 62, 75-76,
54, 55, 57-58, 64, 104, 110-111, 95, 115, 205
131, 148, 152, 156, 159, 170, 177, castigo, 71s, 73, 116, 117, 189-190,
185, 189, 205 216
archetipo, 43, 47, 48, 67, 97, 106, chiesa (ecclesiologia), 44, 51, 53, 82-
138, 152, 169, 216-217, 218, 233, 83, 88-89, 95, 98, 101, 127, 136,
234, 238, 239 146-147, 160-171, 179, 205, 206 ;
arte (professione), 90-94, 98-100, cf. mondo
123-125,126, 166 civilizzazione, 98s., 102, 103, 137
ascesi, 69, 88, 102, 104, 131, 166, condiscendenza, 77, 118
167, 171, 195, 201 conoscenza, 43, 48, 56, 66-92, 94,
aspetto (forma), 69, 74-75, 133, 135, 136, 141, 152, 154, 188, 194, 196,
138, 141, 143-144 205, 222, 233
assenza, 197 contemplazione, 153, 204-205, 216

255
contronatura, 56, 57, 67-69, 79, 101, 95, 97, 101, 102, 119-121, 144,
185,193, 218-219 146, 156, 163, 167
corpo, 41, 58, 60, 62-63, 74, 75, 80s., funzioni (del corpo di Cristo), 101,
87, 112-114, 134, 136, 143, 148, 102, 126, 139, 143-144, 147, 160,
149-150, 155, 160, 162-164, 167, 163, 164, 207
171, 178, 186, 192-194, 195, 204, funzioni (della vita), 89, 92-93, 95, 101,
215, 225, 229 102,118-125, 131, 162, 163,166s.
corpo (spirituale, prima della cadu­ funzioni (psicosomatiche), 31-38, 66,
ta), 62-63, 77, 101-102, 136 71, 72, 73, 79, 101, 102, 134, 138,
creato-increato, 44, 45, 46-47, 64-65, 147, 164, 192, 193, 194, 195, 200,
69, 98, 103, 161, 163, 167, 185, 203
193, 216-217, 222, 224 funzioni (spirituali), 136,153-144, 166
creazione, 47, 52, 64, 71-72, 74-75, furore, 201
89-94, 137, 156, 159-171, 182, fusione, 137, 138, 151s., 163, 217
226-227, 236-237 generazione dei figli, 84, 85, 88, 126
crescita, 43-44, 46-47, 49, 52, 54, 55, genitore, 113, 132, 135, 138, 233
56, 63, 79, 85, 97, 98, 99, 102, 127, giustizia (di Dio, della Creazione), 43,
156, 203, 213-214, 222-223 57-58, 71-73, 78-79, 141, 165, 228
cresima, 141, 145-146, 160, 162, 169 grazia, 94, 96, 118-119, 138, 162, 187,
cristificazione (cf. divinizzazione), 39-
192, 194, 204
40, 52-53, 139s., 141, 142s., 154,
habitus, 133, 216s., 223-224
155, 158s., 164
il sensibile, 65-68, 92, 117, 163, 222,
Cristo, 39-41, 48-49, 50-51, 54, 59,
227-230, 244
77, 102, 104, 120-121, 131, 139,
immagine (ad immagine), 39-54, 61,
141, 143, 145s., 147, 148, 149,
156, 160, 170-171, 179, 205-206, 68, 73, 89, 92, 93, 94, 97, 104, 105-
217, 239-240, 244-245 110, 120, 124-125, 132, 136, 137,
cuore, 52, 62, 193-194, 204, 234 138, 165, 186-189, 190-194, 215,
desiderio, 48, 65, 68, 80, 88-89, 91, 218, 219, 227, 230, 233, 237, 238
94, 109, 136, 140, 152-154, 156, immortalità, 231
157, 158, 181, 202, 203, 227-228, immortalità (incorruttibilità), 59, 63,
233, 234 71, 75, 90, 93, 103, 135-136, 140-
divinizzazione, 52-53, 54, 67, 106- 141, 2 0 0 ,213s., 215, 233, 234
107, 143, 160, 184-185, 217, 224, impassibilità, 63, 66, 91, 194, 198-
244 206, 228
dolore, 72, 79, 80, 84, 85,117 inabitazione di Cristo, 102, 126, 148
eresia, 53, 58, 83, 96, 167, 171, 213 incarnazione (cf. inumanizzazione)
esistenza, 42, 43, 88, 90, 139, 141, incorporazione a Cristo, 94, 126, 138-
179, 186-187, 195, 197, 226, 231 139, 144, 147-148, 160-161, 164,
eucaristia, 101, 103, 142, 146-150, 166s., 172s., 183s., 204s., 206, 216-
160-161, 168, 169-172, 235 217
fede, 53, 96, 98, 203 incorruttibilità; cf. immortalità
filosofia, 45, 55, 69, 102, 103, 104, in-umanizzazione, 51, 52, 138, 160,
137,154 165s., 205, 213s., 218-219, 224-
funzionalità, 61, 67, 71, 72, 88-89, 92, 226, 230s.

256
in-umanizzazione (causa, scopo), 31, morte, 59-60, 73-77, 79, 81, 84, 85,
44-47, 48-51, 54, 96, 143-147; cf. 95, 117-118, 133-136, 200, 216,
inabitazione di Cristo 220; cf. mortalità
inumanizzazione (causa, scopo), 110, movimento, 63, 66, 90, 91, 92, 94, 98,
124-125, 236-245; cf. unione se­ 134, 142, 146, 224, 244
condo nascita (biologica), 51, 60, 82, 85-89,
infanzia, 51, 213-214 137, 138-139, 164, 215, 228-233
infinità, 42, 43, 182, 185, 207 nascita (del Signore), 50, 51, 85-89,
ipostasi, 46, 50, 51, 52, 67, 133, 144, 134
145,153, 159, 182, 241-242 nascita (spirituale), 85-89, 137-139,
irrazionalità (non-senso), 60-61, 68, 1 6 4 ,166s., 228-233
69-70, 76-78, 79, 178, 190, 195, nascita (venuta all’esistenza), 85-89,
196, 197-203, 230 231
lavoro; cf. arte, 92, 93-94, 99, 101, 120 natura (struttura cristologica, ecc.),
legge, 53, 72, 76-79, 95, 104, 118-119, 40-44, 45-48, 56, 57-59, 80, 89,
137-138, 189, 201, 202, 205, 216, 124-125, 134, 135, 137, 142-143,
233, 238 ; cf. funzionalità 152, 185, 189, 205, 218s„ 233; cf.
libertà (libero, liberazione), 31, 41, uomo (persona e natura)
45, 54, 56, 75, 78-79, 88, 92, 100, naturali (forze), 57, 64, 65-69, 99,
103, 135, 145, 150, 157, 172s., 134, 139, 204, 225; cf. sensazioni,
193, 231
funzioni
male, 54, 133, 216, 233
nutrimento, 59, 60, 113-114, 134,
materia, 41, 44, 46, 47, 54, 65, 69,
139-140, 144, 147-148, 150, 193,
117-126, 191s., 211-212
194, 195, 213-214, 216, 235
materialità, 61-62, 68, 89-90, 92, 134,
oblio, 68,133, 141, 197
167, 193, 195, 201
ontologia, 44, 46-47, 50, 52, 54, 55,
matrimonio, 80-82, 83, 89, 97, 118-
66, 88, 96, 98, 135, 138, 140, 144-
123, 141, 147, 161, 165, 204, 220,
224-225; cf. sesso 145,153,156,186, 189, 222-223
maturazione; cf. crescita organismo (psicosomatico), 42, 61,
membra di Cristo, 89, 136, 138-140, 67, 69, 81, 108-109, 119-121, 143-
143, 147, 148, 150, 151, 152, 158, 144, 164, 193, 195; cf. sensazioni,
173 funzioni
metodo (del presente libro), 32, 37, oscurità, 133, 141,197
38, 39-42, 53, 58, 69, 117-126, passione, 60, 61, 62, 68-69, 75-77, 91,
191s., 211-212 93, 133, 134, 190, 192-193, 195,
misericordia; cf. amore di Dio 201, 204, 218
misteri, 44, 52, 82, 100-101, 104, 131, peccato, 54, 55, 72-74, 75-76, 77-78,
139, 147, 154, 160-164, 165, 182 89, 92, 101, 103, 117, 133, 134,
monacheSimo, 123-125, 153, 166, 167 135, 167, 189-192, 197, 216, 234
mondo, 37, 43, 44, 71-72, 89-94, 95- pensieri, 48, 153-154, 190, 194, 200,
104, 159-171, 177, 179, 182; cf. 202, 203, 234, 235; cf. spirito
Chiesa pentimento; cf. trasfigurazione, 102,
mortalità, 59-60, 62, 63, 70, 113-114, 178, 183, 184, 198, 203
135, 140, 152, 162, 216 perdono, 206-207

257
persona; cf. Ipostasi, uomo (persona), somiglianza con Dio, 86, 98, 141s.,
139, 140, 144-145, 186, 194, 195, 165, 200, 219
201 sopravvivenza, 57, 59, 71, 83, 75, 78,
piacere (amore del piacere), 61, 62, 80, 93, 94, 148
68, 72, 79-80, 84, 85, 93, 94, 120, sovranità, 41, 43, 93, 224
133, 155, 189, 192, 195, 196, 220 spazio, 101, 136, 149-150, 161-163,
politica, 93, 94, 95, 96, 97, 126-127 168-169, 172-173, 178, 179, 182,
pratica, 133, 195, 200-202, 203, 2Ò4 197, 205
preghiera, 69, 84, 154, 178, 179, 180, spirito, 47, 62-64, 67-68, 95, 137, 147,
183, 198-199 151-154, 178, 195, 196, 201-203,
razionalità, 41, 99s., 152 205-206, 233s.
religiosità, 137-138, 156 Spirito Santo, 76, 87, 89, 104, 132,
ricapitolazione, 41, 44-45, 54, 186, 134, 136, 137, 144, 146, 150, 163,
213, 224, 226, 238, 244 167, 195, 214, 217, 241
rimedio, 72, 116, 216, 233 sporcizia; cf. morte, 60, 63, 73-74, 84,
risurrezione, 77, 85, 88, 117-118, 126- 85, 103, 135, 184,191, 219, 232
127, 135, 136, 142, 146, 163, 172- storia (divenire storico), 54, 102, 149,
173, 207, 233 152 183 185
ritorno, 156-157, 184s., 191, 198-201, tecnologia, 99, 102, 104,126-127
202, 203, 220 tempo, 6 3 , 103, 136, 149, 150, 162,
saggezza, 42, 43, 48, 66-70, 92, 164, 168, 178, 179, 182
228 teologia, 32, 38-40, 53, 55, 95-98,
salvezza; cf. crescita, trasfigurazione, 102, 103-104, 161, 166-167, 171,
51, 53, 96, 104, 136, 150, 183, 184, 181, 183, 236
198, 199, 206s., 225-227 tessuto da Dio, 63, 64, 115-116, 194
santità, 99,138,158, 164, 170, 204 tipo, 47, 48-49, 50, 51, 52, 102-104,
scienza, 43, 47, 55, 92, 93, 94, 97, 98, 109-110, 133, 138, 239-245; cf. in-
102, 103, 104,154 umanizzazione
secondo natura; cf. uomo prima della trasfigurazione (trasformazione, cam­
caduta, 57-58, 59, 64-67, 86-88, 93- biamento), 54-55, 74, 75, 80, 85,
94, 102, 185s., 191s„ 219s., 227-230 88, 94, 96, 103, 104, 117-118, 143-
sensazione; cf. funzioni, 65-68, 86, 144, 147, 148-149, 160, 161, 162,
92, 102, 139, 164, 178s., 227-229; 164-167, 168, 171, 183, 191, 208,
cf. sensazioni psicosomatiche 243s.; cf. pentimento
sensi spirituali, 102, 117-126, 134, trasparenza, 63
136, 138-139, 140-141, 143-144, tuniche di pelle, 55-94, 112-116, 117-
159, 166, 204, 205; cf. funzioni del 126, 134, 135, 195, 216s„ 220
Corpo umanesimo, 124-125, 167
separazione (differenza, spezzettamen­ unità (unificazione, congiunzione),
to), 45, 46, 64, 65, 67-68, 89-90, 93, 46, 53, 64-68, 80-81, 94, 96, 101,
94, 132, 134, 140, 171, 188s., 191, 135, 137, 138-141, 143, 147-151,
196s„ 222-227 153, 160, 162, 171, 179, 198, 205,
sesso, 118-121 222-229, 241; cf. fusione
sesso; cf. matrimonio, 222-226 uomo (essere teologico), 44, 46, 48,
sinergia, 150, 151, 164s., 200-206 55, 87-88, 120, 186-189

258
uomo (legame naturale dell'univer­ uomo (vocazione), 31, 39-40, 41-45,
so), 41, 67-68, 117-118, 159, 162, 47, 48-55, 67, 71-73, 74, 81, 98,
201, 223 100, 137-138, 159s., 236-245
uomo (microcosmo), 44,109, 186, 215 uso, 64, 67, 68-69, 73, 92, 94, 100-
uomo (nuovo, autentico), 44-48, 120, 101, 102-103, 117-126, 224-225
137-138, 140, 152, 159, Ì85, 225, verbo, 66, 67, 69, 74, 79, 89, 92, 103,
231 152, 223, 224, 225, 227-230, 231
uomo (origine), 44-48, 49, 234 vescovo, 169-170
uomo (persona e natura), 39, 42-48, vestito naturale, 114-116
88, 1 2 0 ,188s. virtù, 67-68
uomo (prima della caduta), 64-65, 80- virtù, 146, 164, 204, 223s., 228
82, 87, 91-92, 114-115, 118-123, vivificare, 53-54, 133, 136, 139-140,
119-121, 132, 186-188, 215s., 219 158, 160, 162
uomo (regola della creazione), 234 volontà, 68, 69, 79, 86, 87, 100, 136,
uomo (vecchio), 75-76, 87-88, 114- 142, 155-159, 177, 194, 195, 201-
115, 120, 138 203

259
Indice

Prefazione (d i TOMMASO FEDERICI) . . . . . . pag. 7


P r e m e ss a ........................................................................ » 31
IMMAGINE DI DIO E TUNICHE DI PELLE
Indagine intorno ad alcuni punti fondamentali dell’insegna-
nento patristico sull’uom o e sul rapporto Chiesa-mondo
L’Im m a g in e ................................................................... » 37
I. L’uomo immagine dell’A rch etip o ..................... » 39
II. L’Archetipo dell’uomo, il Verbo incarnato . . » 48
Le tuniche di p e l l e ......................................................... »56
I. Il significato an tropologico............................... » 57
II. La «somiglianza» prima della caduta . . . . » 66
III. Il duplice aspetto delle tuniche di pelle . . . » 70
IV. Dimensioni antropologiche e cosmologiche
delle tuniche di p e l l e ......................................... » 78
Conseguenze nei rapporti tra Chiesa e mondo . . . » 95
I. La Chiesa giudica il m o n d o ............................... » 95
II. Atteggiamento positivo della Chiesa verso il
m ondo................................................................... » 98
III. L’impegno della teologia contemporanea . . » 103
Note . . . . ..................... » 105

LA VITA SPIRITUALE IN CRISTO


Studio sull’antropologia cristocentrica di N icola Cabasilas
I. I presupposti della vita spirituale . . . . » 132

261
II. La natura della vita s p ir it u a le ................................pag. 137
III. L’attuazione della vita s p i r i t u a l e ........................ » 142
IV. I frutti della vita s p ir it u a le ................................... » 159
V. Il Corpo totale del Salvatore al momento della
Parusia....................................................................... » 172

IL CONTESTO ANTROPOLOGICO E COSM O­


LO GICO DELL’UNIO NE CON DIO
Studio sull’ufficio del Grande Canone
I. Contesto cosmologico............................................. » 177
II. Contesto antropologico prima della caduta . . » 186
III. Contesto del pentimento........................................ » 188
IV. Contesto del r i t o r n o ............................................. » 198
V. Lo snodarsi del d ra m m a ....................................... » 206

ANTOLOGIA DI TESTI DEI PADRI


Nota sulla scelta dei testi . . » 211
I r e n e o ................................................................................. » 213
Gregorio il Teologo . ....................................................... » 215
Gregorio di N i s s a ............................................................. » 218
Massimo il Confessore....................................................... » 222
Nicola Cabasilas ............................................................. » 233
Nicodemo l’A g i o r i t a ....................................................... » 236

L e ssico ...............................................................

Indice patristico . . . . » 251

Indice tematico . . . . . . » 255

262

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