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SI
TRATTA ORA DI MUTARLO”: GRAMSCI E L’EREDITÀ DELLA “FILOSOFIA
DELLA PRAXIS”
Fabio Frosini
1
A. Gramsci, Quaderni del carcere, Vol. 1: Quaderni di traduzioni (1929-1932), a cura di G.
Cospito e G. Francioni, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2007, p. 745.
2
Il testo tedesco è letto da Gramsci in un’antologia: K. Marx, Lohnarbeit und Kapital. Zur
Judenfrage und andere Schriften aus der Frühzeit, ausgewählt und eingeleitet von E. Drahn, Leipzig,
Phil. Reclam jun., [s.d. ma 1919].
3
Su tutte queste vicende cfr. G. Labica, Karl Marx – Les «Thèses sur Feuerbach», Paris, P.U.F.,
1987; e più di recente P. Macherey, Marx 1845. Les «thèses» sur Feuerbach, Paris, Éditions Amsterdam,
2008.
4
Per il testo tedesco cfr. K. Marx, F. Engels, Werke, Vol. 3, Berlin, Dietz, 1958, p. 7 (testo
critico) e p. 535 (ed. Engels). Per la traduzione spagnola cfr. C. Marx, Obras escogidas, Edición del
Instituto Marx-Engels-Lenin, de Moscú, bajo la dirección de V. Adoratsky, trad. de W. Roces, Barcelona
1938, Ediciones Europa-América, p. 445 (testo critico) e F. Engels, L. Feuerbach y el fin de la filosofía
clásica alemana, trad. W. Roces, Barcelona, Ediciones Europa-América, 1936, p. 65 (ed. Engels).
Bisogna dire che nella traduzione di Wenceslao Roces la differenza tra le due versioni va del tutto
perduta.
5
Cfr. F. Engels, Ludwig Feuerbach und der Ausgang der deutschen klassischen Philosophie, in
K. Marx, F. Engels, Werke, Bd. 21, Berlin, Dietz, 1962, p. 307.
2
6
Cfr. K. Marx, F. Engels, Werke, Vol. 3, cit., p. 35.
7
Come è noto, l’espressione utilizzata da Marx, e prima di lui da Hegel, è «bürgerliche
Gesellschaft», che Hegel, come Marx ricorda nella Prefazione del 1859 a Per la critica dell’economia
politica, aveva ripreso dagli autori inglesi e francesi del XVIII secolo (K. Marx, Vorwort a Zur Kritik der
politischen Ökonomie, in K. Marx, F. Engels, Werke, Vol. 13, Berlin, Dietz, 1969, p. 8). Questa
espressione traduce in tedesco l’inglese «civil society», e quindi significa, in modo irriducibile, sia il
terreno della società come distinta dallo Stato, sia – data la particolarità della lingua tedesca (che non
distingue tra burgués y ciudadano, entrambi espressi dal termine Bürger) – una particolare
organizzazione della società.
8
Per questa tesi cfr. E. Kouvélakis, Philosophie et révolution de Kant à Marx, Paris, PUF, 2003,
pp. 404-409.
3
un partito particolare di fronte agli altri partiti della classe operaia»9; essi invece «sono
in pratica la parte più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, quella che sempre spinge
in avanti»10 la lotta. La figura del “proletariato” nasce, si può dire, dall’incontro tra le
diverse e sempre specifiche “classi operaie” e i “comunisti”; esso nasce nel momento in
cui l’oppressione si traduce in un’azione politica il cui soggetto è assegnato solamente
dal tipo di azione svolta, non da caratteristiche pre-esistenti. Ed è anche la critica di ogni
teleologia storica, perché se non esiste un soggetto storico definito, non esiste neanche
una “missione” storica a esso assegnata per definizione, come invece afferma Engels
nell’Evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza e, appunto, nel Ludwig
Feuerbach.
Facciamo ritorno all’undicesima tesi. Come si sarà capito, nella leggera modifica
introdotta da Engels nel testo si può riconoscere la traccia della tendenza a fare del
proletariato una riconoscibile figura sociale, del comunismo come «movimento reale»
una determinata politica di partito, della storia un’evoluzione necessaria. L’opposizione
tra “interpretare” e “trasformare”, che è alla base di questi slittamenti, proviene a sua
volta da una relazione profonda, che struttura tutta l’interpretazione engelsiana della tesi
11: quella tra l’identificazione del soggetto della storia e il passaggio dalla filosofia alla
politica. Questa relazione presuppone una precisa filosofia della storia, secondo la quale
la “filosofia”, in quanto tale, non esiste più, è diventata obsoleta. Della filosofia, come
Engels scrive nell’Antidühring, rimane solamente la «scienza positiva della natura e
della storia»11.
C’è insomma, per Engels, una relazione tra la politica (il “trasformare”) e la
scienza, e tra la scienza e il proletariato tedesco, e infine tra questo e, di nuovo, il
trasformare. Questa triplice relazione istituisce una riflessione reciproca tra il
proletariato come soggetto reale, a cui la scienza si rivolge per “illuminarlo”, e il
proletariato come soggetto storico, “chiamato” (nel senso del Beruf, la vocazione
luterana) a liberare l’umanità intera12. L’uno si riflette nell’altro, grazie alla funzione di
cerniera svolta dalla “scienza”, dalla «espressione teorica del movimento proletario, il
socialismo scientifico»13. La scienza della storia funziona perciò da garanzia del fatto
che questo proletariato, che ho di fronte a me, sarà in grado di incorporare in sé il
Proletariato che ha ricevuto il Beruf di liberare l’umanità.
materialismo storico. Ciò vuole dire che non esiste una scienza che faccia da garante
della corrispondenza tra classe operaia e proletariato, in modo “oggettivo”. Ma se il
passaggio dall’interpretazione alla trasformazione non è condizionato dalla conquista di
una teoria scientifica, allora esso stesso sarà di natura pratica, politica.
All’apparenza abbiamo un paradosso: da una parte la distinzione del presente dal
passato è un fatto politico, dall’altra la filosofia (esponente del “passato”,
dell’interpretazione) rimane un elemento vitale del tempo presente. Questo paradosso
non è però niente altro che l’espressione della necessità – da Gramsci pienamente
avvertita – di eliminare l’opposizione tra teoria e pratica, tra filosofia e politica, non
solamente in linea di principio, ma concretamente, nella definizione dello statuto tanto
della filosofia del passato, quanto dello stesso marxismo. E questo passa anzitutto per la
negazione del carattere “scientifico” del marxismo: il marxismo non è una scienza della
storia, perché il suo punto di vista non è stabilito una volta per tutte. Questo punto di
vista va ogni volta ridefinito in base alle concrete situazioni, ai rapporti di forze.
L’unico elemento di universalità, o se si vuole di invarianza, è il criterio con il quale
questa ridefinizione va fatta, cioè il punto di vista del proletariato come dinamica (non
soggetto) di universalizzazione dei processi di emancipazione all’interno dei rapporti
sociali dati.
“Forzando” la traduzione della tesi 11, Gramsci finisce per ritrovare la versione
originaria della stessa, la ricchezza dell’idea espressa da Marx. Questo ritrovamento non
è del resto casuale. Nella definizione della filosofia della praxis le Tesi su Feuerbach
sono collegate da Gramsci alla Miseria della filosofia («desde el punto de vista teórico,
la Miseria de la filosofía puede ser considerada en parte como la aplicación y el
desarrollo de las Tesis sobre Feuerbach»14), ma questo vuole anche dire imboccare una
strada di interpretazione del marxismo, della sua natura e del suo statuto, che si oppone
non solamente a tutte le interpretazioni dominanti, a cominciare da Engels, ma in parte
anche a quelle date dallo stesso Marx al proprio pensiero.
Non è qui possibile seguire nei dettagli questo percorso15, ma sarà almeno
necessario nominare le sue principali conseguenze. La prima e principale è, come si è
detto, la ridefinizione del concetto di filosofia e di passaggio dalla filosofia alla politica.
In modo perfettamente coerente con la sua traduzione della tesi 11, Gramsci nei
Quaderni del carcere scrive:
La tesi XI [...] non può essere interpretata come un gesto di ripudio di ogni sorta di filosofia, ma
solo di fastidio per i filosofi e il loro psittacismo e l’energica affermazione di una unità tra teoria e pratica.
Questa interpretazione delle Glosse al Feuerbach come rivendicazione di unità tra teoria e pratica, e
quindi come identificazione della filosofia con ciò che il Croce chiama ora religione (concezione del
mondo con una norma di condotta conforme) – ciò che poi non è che l’affermazione della storicità della
filosofia fatta nei termini di un’immanenza assoluta, di una «terrestrità assoluta» – si può ancora
giustificare con la famosa proposizione che «il movimento operaio tedesco è l’erede della filosofia
classica tedesca», la quale non significa già, come scrive il Croce: «erede che non continuerebbe già
l’opera del predecessore, ma ne imprenderebbe un’altra, di natura diversa e contraria», ma
significherebbe proprio che l’«erede» continua il predecessore, ma lo continua «praticamente» poiché ha
dedotto una volontà attiva, trasformatrice del mondo, dalla mera contemplazione e in questa attività
pratica è contenuta anche la «conoscenza» che solo anzi nell’attività pratica è «reale conoscenza» e non
«scolasticismo»16.
14
Quaderno 4, § 38 (A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci a
cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 462).
15
Cfr. F. Frosini, Da Gramsci a Marx. Ideologia, verità e politica, Roma, DeriveApprodi, 2009.
16
Quaderno 10 II, § 31 (Quaderni del carcere, cit., p. 1270).
5
17
B. Croce, Storia d’Europa nel secolo decimonono (1932), a cura di G. Galasso, Milano,
Adelphi, 1991, pp. 28-29.
18
«Bisogna pur raccomandare di non prendere “religione” nel significato materiale degli adepti
delle varie religioni o ristretto degli avversarii filosofici delle religioni, ma, come intendeva il Goethe, in
quello di ogni sistema mentale, di ogni concezione della realtà, che si sia tramutata in fede, diventata base
di azione e lume di vita morale» (B. Croce, Storia economico-politica e storia etico-politica, «La
Critica», a. 22, 1924, pp. 334-341: 341).
19
B. Croce, Contro le sopravvivenze del materialismo storico. Nota letta all’Accademia di
scienze morali e politiche della Società Reale di Napoli dal socio Benedetto Croce, Napoli, 1924.
20
Quaderno 1, § 132 (Quaderni del carcere, cit., p. 119).
6
21
Ristampando nel 1938 i saggi di Antonio Labriola su La concezione materialistica della storia
(Bari, Laterza, 19473), Croce vi aggiunse lo scritto Come nacque e come morì il marxismo teorico in
Italia (1895-1900). Da lettere e ricordi personali (ivi, pp. 265-312), che ad ogni buon conto (perché fosse
tutto chiaro) pose anche in appendice alla quinta edizione (1941) del proprio Materialismo storico ed
economia marxistica (Bari, Laterza, 1968, pp. 253-294).
22
Cfr. R. Lacorte, Translatability, Language and Freedom in Gramsci’s Prison Notebooks, in
Gramsci, Language, and Translation, ed. by P. Ives and R. Lacorte, Lanham (Maryland), Lexington
Books, 2010, pp. 213-224.
7
Riduzione a «politica» di tutte le filosofie speculative, a momento della vita storico-politica; la filosofia
della praxis concepisce la realtà dei rapporti umani di conoscenza come elemento di «egemonia»
politica23.
Nella misura in cui non sono elucubrazioni intellettuali, ma intervengono su
problemi concreti (politicamente concreti), le filosofie tradizionali possono essere
tradotte (ridotte)24 criticamente in rapporti di conoscenza reali, cioè efficaci sul senso
comune, di massa, cioè infine possono essere intese come «elemento di “egemonia”
politica». Tra filosofia ed egemonia c’è dunque un nesso strettissimo, e non
riconoscerlo mette il marxismo in uno stato di perenne subalternità all’interno dei
“rapporti umani di conoscenza”. Infatti, chi oggi, da marxista, è in grado di fare questo
lavoro di comprensione della potenza e allo stesso tempo di critica distruttiva delle
filosofie contemporanee? Questo è il compito che Gramsci ci ha affidato: esso ha a che
fare con la politica – con la politica reale – molto più di quello che appare agli occhi di
chi continua a pensare che i giochi siano già fatti – mentre il mondo va avanti,
tranquillamente “interpretando”.
23
Quaderno 10 II, § 6.IV (Quaderni, cit., p. 1245).
Sul rapporto tra questi due concetti cfr. F. Frosini, On ‘Translatability’ in Gramsci’s Prison
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