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Nuova Umanità

XXXV (2013/3) 207, pp. 283-295

NATURA E SAPIENZA.
Spunti sulla nozione di “natura” presenti in
alcuni scritti di Chiara Lubich

Sergio Rondinara

Pochi concetti sono tanto ricchi di significato e allo stesso tem-


po così poco determinati in se stessi come quello di natura. La
natura, questo immenso essere in cui ogni cosa o persona esiste e
ne è parte integrante.
Della realtà naturale, così come è stata esperita e compresa da
Chiara Lubich nel corso della propria esistenza, vorrei qui presen-
tare sinteticamente alcuni caratteri e la rilevanza che essi possiedo-
no nell’odierno contesto culturale.
Se nel suo significato generale il termine natura sta ad indi-
care l’insieme delle cose esistenti con particolare riferimento sia
alla loro configurazione oggettuale che ai loro principi costitutivi
essenziali, questa stessa connessione tra totalità ed essenzialità –
presente tra l’altro già nell’etimologia del termine1 – la ritroviamo
anche nella riflessione della Lubich. Tale riflessione è segnata da
un pregnante carattere theo-logico inteso non tanto come un parla-
re umano su Dio ed il suo mistero, ma nella sua propria accezione
di genitivo soggettivo2. Dai suoi testi, infatti, traspare con chiarez-

1 
Il termine natura proviene dal latino nasci (nascere), omologo del verbo
greco φύειν (essere generato).Tutte le cose, nascendo, si realizzano sempre secon-
do una loro caratteristica propria e immanente.
2 
La potenza di un tale genitivo soggettivo, inteso come un parlare di Dio,
possiamo coglierlo anche nelle considerazioni semantiche riguardanti il fatto che,
mentre nel contesto del pensiero greco il verbo φύω dice un emergere della natura,
un suo fiorire, nella concezione cristiana la natura è in quanto creata, in quanto è
espressione della Parola di Dio (cf. Gen 1), Parola pronunciata dal Padre per mezzo
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za e incisività, attraverso un linguaggio apparentemente comune,


una visione “da Dio” delle cose e del mondo naturale. Si è come
dinanzi ad uno sguardo contemplativo che – metaforicamente par-
lando – partendo dall’“occhio di Dio” penetra la realtà naturale
fino a posarsi sulla totalità degli oggetti del mondo.
Una visione theo-logica quindi, ma non esclusivamente confes-
sionale, visto il profondo interesse che essa ha suscitato in uomini
e donne di cultura appartenenti a religioni quali l’induismo e il
buddhismo e ad altre tradizioni, ai quali Chiara stessa ha personal-
mente raccontato aspetti, dalla radice mistica, della propria com-
prensione della natura.
In tale visione la realtà naturale è centrata sul concetto della
tradizione ebraico-cristiana di creazione in quanto essa è da Dio,
è da Dio per amore, emerge dal nulla e ne porta la sua impronta
trinitaria. La creazione, inoltre, è qui compresa in Cristo Gesù, e in
modo particolare alla luce del suo evento pasquale.
Un tale discorso teologico sulla realtà naturale ritengo sia oggi
di grande attualità poiché si tratta di una questione che, anche se
raramente è resa esplicita, la ritroviamo come sfondo a tanti quesiti
presenti nella nostra cultura contemporanea.
Si pensi ad esempio a quel recente percorso della filosofia che
partendo da Nietzsche, e passando per Heidegger, giunge infine
ad autori a noi contemporanei i quali, in forma alquanto ridutti-
va, vedono nell’interazione tra dottrina della creazione dal nulla e
metafisica greca dell’essere – contrapposto al divenire – la causa di
quel nichilismo nel quale la cultura dell’Occidentale si è adagiata.
Si pensi, anche, a quel continuo e reciproco interpellare – a
volte non privo di equivoci e ingenuità – esistente tra la teologia
cristiana e le scienze naturali quando si toccano argomenti riguar-
danti questioni di frontiera che investono la cosmologia scientifica,
la biologia evolutiva, la paleoantropologia e i contenuti antropolo-
gici della questione ambientale.

del Cristo (cf. Col 1,16). A riguardo Anselmo d’Aosta afferma che: «Nell’unico e
medesimo Verbo Dio dice se stesso e tutto ciò che ha fatto», in questa prospettiva
le cose della realtà naturale, in quanto create, sono «parole nel Verbo divino e ori-
ginate dal Verbo divino» (Monologion, 33 Bompiani, Milano 2002, pp. 139; 143).
Natura e sapienza 285

Rapporto Dio/natura

Un primo elemento riguardante la visione della realtà naturale


secondo la Lubich è quello relativo al rapporto Dio/natura. Qui,
tale rapporto lo troviamo espresso in stretta conformità con le
grandi figure della tradizione teologica e mistica quali – ad esem-
pio – Tommaso d’Aquino e Ildegarda di Bingen, ma anche in sin-
tonia con il pensiero religioso pubblico di un pensatore e scienzia-
to moderno quale Isaac Newton.
La comprensione del rapporto Dio/natura nella Lubich è in
un’essenziale consonanza con la riflessione teologica sulla creazio-
ne di Tommaso d’Aquino, secondo il quale Dio inabita nel mondo
come l’anima nel corpo, e cioè per mezzo della sua presenza, po-
tenza ed essenza3; ma anche con la concezione mistica di Ildegarda
di Bingen secondo la quale l’inerenza Dio-natura non contraddi-
ce la loro diversità costitutiva. Per Ildegarda, infatti, il fatto che
Dio sia immanente al cosmo – oltre che trascendente – trasmette
alla creazione la capacità d’interagire con Lui e di corrispondere.
Inoltre, poiché Dio è nella natura e la natura è in Dio, risulta im-
portante, per la mistica germanica, lo studio sia della natura (oggi
diremmo delle scienze) che della teologia mistica.
In continuità e sintonia con questi autori del passato, Chiara
supera quella apparente opposizione tra trascendenza ed imma-
nenza di Dio con la natura da Lui creata superando e sintetizzando
allo stesso tempo i due modelli esplicativi che hanno prevalso nella
storia del pensiero religioso:
– il modello dell’immanenza in cui prevale uno schema di iden-
tificazione tra Dio e mondo naturale;
– il modello della trascendenza di Dio rispetto alla sua creazio-
ne dove prevale uno schema di esteriorità o estraneità fino a
raggiungere, a volte, una netta separazione tra Dio e il mondo
naturale.
Secondo tale sintesi Dio ha creato tutta la realtà esistente dal
nulla, mediante un libero atto d’amore. Ha portato all’esistenza un

3 
Tommaso d’Aquino, La Somma Teologica, I, 8, 2 a 3.
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qualcosa – la creatura – che non è della Sua stessa sostanza e che


pertanto Egli continuamente trascende; ma la Sua è una trascen-
denza che non implica necessariamente una lontananza, bensì una
immanente presenza vivificante.
In alcuni appunti personali inediti, stilati tra il 1949 e il 1951,
in cui la Lubich fa riferimento ad una sua esperienza dell’estate del
1949, leggiamo che nel luglio di quell’anno, giunta da Roma a To-
nadico di Primiero – sulle Dolomiti – per riposare, immersa in un
intenso clima spirituale colse sin dai primi momenti la presenza di
Qualcuno che stava sotto le cose e che – scrive Chiara – «faceva sì
che esse non fossero così come – normalmente – noi le vediamo».
Era la scoperta della presenza di Dio sotto le cose:

Avevo l’impressione di percepire, forse per una grazia


speciale di Dio, la presenza di Dio sotto le cose. Per cui,
se i pini erano indorati dal sole, se i ruscelli cadevano
nelle loro cascatelle luccicando, se le margherite e gli al-
tri fiori ed il cielo erano in festa per l’estate, più forte era
la visione d’un sole che stava sotto a tutto il creato. Ve-
devo, in certo modo, credo, Dio che sostiene, che regge
le cose. […]
E la visione di Dio sotto le cose, che dava unità al crea-
to, era più forte delle cose stesse; l’unità del tutto era più
forte che la distinzione delle cose fra loro.

Questo testo, che ha il suo fondamento biblico nei versetti 16


e 17 del capitolo primo della Lettera ai Colossesi e nel versetto 20
del primo capitolo della Lettera ai Romani di Paolo, ci parla di una
presenza di Dio in tutta la realtà naturale a motivo della conser-
vazione e della sussistenza di tutte le cose in Dio stesso, al punto
da poter affermare che dove c’è un elemento naturale lì c’è anche
Dio, distinto di fatto nel suo essere, ma presente fin nel più intimo
dell’essere creaturale.
Questo “conservare” e “sostenere” da parte di Dio non in-
terferisce – secondo il pensiero della Lubich – con quella rego-
Natura e sapienza 287

larità propria della natura che gli scienziati, ad esempio, colgono


ed esprimono in leggi scientifiche. Dio, infatti, è qui inteso come
Causa prima che agisce costantemente nel mondo attraverso le
cause seconde, cioè le cause naturali. In tale concezione Dio non
è un agente cosmico che interviene capricciosamente sul funziona-
mento dell’universo; Egli rispetta la libertà della sua creazione nel
seguire la propria relazionalità interna: ma – allo stesso tempo –
tale relazionalità non costituisce una camicia di forza che limiti o
impedisca il suo agire nella conservazione nell’essere. D’altra parte
un Dio che non svolgesse più alcun ruolo attivo nel mondo non
sarebbe altro che un Dio morto per il mondo.

Creazione come evento

Sempre in questo ambito teologico, un altro elemento che ca-


ratterizza la concezione della Lubich riguardo alla realtà naturale
è l’utilizzo della nozione di creazione intesa come evento. Nozione
che, proprio negli anni in cui lei scriveva le più belle e intense pa-
gine di tale comprensione, la teologia del tempo stava riscoprendo
attraverso gli studi di Antonin Dalmace Sertillanges, secondo il
quale creazione non è soltanto un’azione di Dio, o la realtà pro-
dotta in un tale atto, bensì una relazione, ed è per questo – scrive
Sertillanges – che «la creazione [dell’uomo] ha un carattere im-
manente e non trascendente benché la causa sia trascendente»4.
Questo carattere relazionale del concetto creazione ha il suo fon-
damento biblico nel primo capitolo della Lettera agli Efesini (Ef 1,
3-10) in cui la creazione è intesa come un evento, come storia di
Dio col mondo che copre l’intero arco dell’agire divino, a partire
dalla formazione del cosmo, passando per l’apparire dell’uomo e
l’evento salvifico del Cristo per giungere infine alla ricapitolazione
di tutte le cose in Lui.

4 
A.D. Sertillanges, L’idée de création et ses retentissements en philosophie,
Aubier, Paris 1945, (pubblicato alla fine del 1949), p. 120
288 Sergio Rondinara

Questi due caratteri appena espressi (rapporto Dio/natura e


creazione intesa come evento) hanno una loro rilevanza cultura-
le in quanto – ad esempio – possono guidare correttamente il ra-
gionamento teologico e filosofico in quelle questioni di frontiera
riguardanti il rapporto tra le teorie dell’evoluzione biologica e il
principio di creazione e tra quest’ultimo e l’attuale teoria della co-
smologia scientifica sugli inizi dell’universo.
Ma questi caratteri hanno anche un’altra rilevanza culturale:
se, infatti, le informazioni ottenute dal progresso della conoscenza
scientifica sembrano aver avuto su noi uomini e donne di questo
secolo, e di quello scorso, l’effetto di averci fatto diminuire l’a-
spettativa di un’azione di Dio nel mondo, queste considerazioni
hanno il merito di riproporre la questione se Dio sia realmente e
totalmente fuori del mondo e offrono al pensiero l’ipotesi che Dio
non abbia mai abbandonato il suo mondo, che non abbia lasciato
la sua creazione in balía di se stessa e che Egli sia all’opera con il
suo amore provvidente sotto ogni elemento materiale in quanto lo
accompagna amorevolmente nel suo itinerario verso Sé.

Unitarietà del sapere

Tale lettura theo–logica della realtà naturale, al di là del suo


proprio valore per la disciplina teologica, è stata sempre intesa
dalla Lubich, sul piano epistemico, come una lettura attivamente
interagente con le altre letture del mondo naturale che nel corso
dei secoli l’umanità ha effettuato valorizzandone in questo modo
il contenuto.
La comprensione razionale delle cose costituenti il nostro mon-
do, infatti, è avvenuta nel corso della storia della cultura dell’Occi-
dente (quella a cui farò qui riferimento) secondo una molteplicità
di direttrici, quella filosofica e teologica, alle quali – da quattro
secoli – si è aggiunta quella scientifica. Tutte vie interpretative au-
tonome e lecite a motivo dei diversi metodi usati, ma allo stes-
so tempo formalmente distinte per i diversi scopi che sono stati
Natura e sapienza 289

assegnati allo stesso atto conoscitivo: globale e sapienziale per la


filosofia, articolato secondo la rivelazione divina per la teologia, ed
infine quantitativamente pertinente e circostanziato ai fenomeni
per le scienze naturali.
Possiamo ritenere – utilizzando la metafora del Libro della na-
tura ripresa nel XV secolo dal medico e filosofo catalano Raimon-
do di Sabunde5 – che nella sua intelligibilità il libro della natura
può avere o supportare, oltre alla lettura sapienziale che ne ha
fatto la filosofia sin dai suoi albori, e una lettura matematizzante
come quella proposta da Galileo Galilei ne Il saggiatore6, anche
una lettura teologica. Letture, queste, tra loro incommensurabili,
in quanto ciò che viene affermato dall’una non può essere detto
dalle altre, e per questo motivo tra loro complementari. E in quan-
to complementari – secondo la Lubich – queste letture possono
esprimere al meglio il loro approccio alla verità e i loro contenuti
veritativi in un contesto dialogico.
Contesto dialogico in cui il dialogo autentico cerca di evitare
che ogni singolo sapere resti isolato, e realizzi – attraverso l’oppor-
tuna mediazione filosofica – un’interazione indiretta fra i saperi.
Contesto in cui un corretto dialogo interdisciplinare suppon-
ga la ricerca del vero, esiga apertura e accoglienza della posizione
altrui, richieda che ogni parte conosca e accetti la differenza e la
specificità del contributo dell’altro, ricerchi ciò che è comune e
riconosca l’interdipendenza esistente tra le parti.
Per la Lubich il dialogo tra scienze naturali, filosofia e sapere
della fede7, cioè la teologia, inteso come via verso la conoscenza
dell’unica realtà e dell’unica verità, può contribuire a far tendere la

5 
R. Sabunde, Theologia Naturalis. Sive Liber Creaturarum, 1436.
6 
«La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta
aperto innanzi agli occhi (io dico l’universo), [ ... ]. Egli è scritto in lingua mate-
matica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali
mezzi è impossibile intenderne umanamente parola» (G. Galilei, Il Saggiatore, in
Le opere di Galileo Galilei, Edizione nazionale a cura di A. Favaro, Barbèra Edito-
re, Firenze 1932, VI, p. 232.).
7 
La teologia può essere intesa come un sapere scientifico – in quanto sapere
critico del nostro affidarsi a Dio – e allo stesso tempo sapienziale, in quanto pene-
trazione esistenziale del mistero di Dio derivante dalla sua benevolenza e da tale
affidamento.
290 Sergio Rondinara

coscienza umana verso una unitarietà del sapere e allo stesso tem-
po salvaguardare gli statuti epistemologici e conseguentemente le
autonomie delle varie discipline implicate in tale processo.
In una tale operazione interdisciplinare, le scienze, la filosofia
della natura e la teologia si metterebbero al riparo dal confondere
i propri discorsi e gli oggetti specifici del loro indagare, dall’esclu-
dersi vicendevolmente, e approdare mediante un’accoglienza criti-
ca reciproca ad un’articolazione ermeneutica8 dei saperi.
Qui, l’unitarietà del sapere trova la sua applicazione in prima
istanza proprio nella persona umana che è capace di un molte-
plice approfondimento relativo alla ricerca filosofica e ai saperi
scientifico e teologico e allo stesso tempo capace di raccoglierne e
svilupparne le reciproche provocazioni. È nell’unità della persona
umana che il dialogo interdisciplinare ha le sue condizioni di pos-
sibilità, ed è nelle capacità della stessa che il dialogo può diventare
stile di vita intellettuale in cui l’azione della sapienza anima e fe-
conda i risultati del lavoro scientifico.
Il dialogo, c’insegna Platone, è lo spazio in cui si accende la
scintilla della verità come illuminazione del reale nel suo senso più
profondo. Nella sua Lettera VII così si esprime: «La conoscenza di
tali verità [...] dopo un lungo essere insieme in dialogo su questi
temi, dopo una comunanza di vita, improvvisamente, come luce
che si accende dallo scoccare di una scintilla, essa nasce nell’anima
e da se stessa si alimenta»9.
La centralità della comunanza di vita insieme alla circolarità
tra prassi e pensiero, in una dinamica interdisciplinare dialogica,
sono i tratti caratteristici di quella epistemologia formativa10 della
Lubich che personalmente – insieme ad altri cultori ed esperti di
varie discipline – ho potuto sperimentare a contatto diretto con

8 
J. Ladrière, L’Articulation du sens. Discours scientifique et parole de la foi,
Cerf, Paris 1984, p. 78.
9 
Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Rusconi, Milano 1991, pp.
1819-1822.
10 
Epistemologia formativa che, pur avviandosi attraverso un dialogo inter-
disciplinare, tende ad una posizione transdisciplinare che può far emergere dal
confronto delle singole discipline l’esistenza di nuovi dati i quali, a loro volta,
faranno da giunzione fra le discipline stesse.
Natura e sapienza 291

lei, e che lei stessa ha espresso con chiarezza nel discorso inaugu-
rale11 con cui ha fondato la sua Università: l’Istituto Universitario
Sophia.
Epistemologia formativa in cui la dinamica del dono e dell’ac-
coglienza reciproci della propria intellettualità, con i suoi contenu-
ti e intuizioni, genera un nuovo spazio d’incontro in cui la verità di
tutti i saperi segna fattivamente la via verso la Sapienza.

Questione ambientale

Concludo queste brevi considerazioni presentando un altro


ambito in cui la comprensione theo-logica della natura secondo la
Lubich può fornire un contributo culturale: si tratta della questio-
ne ambientale.
È sotto gli occhi di tutti noi quanto il rapporto persona-natura
abbia assunto ai giorni nostri una configurazione critica a cui è
stato dato il nome di crisi ambientale.
Ma tale crisi rimanda ad una crisi più profonda che investe la
persona umana nella sua interezza; essa è essenzialmente crisi an-
tropologica. È il campanello d’allarme di una profonda crisi antro-
pologica in quanto è figlia di una precisa concezione che noi uo-
mini e donne abbiamo di noi stessi, poiché nell’affannosa ricerca
della nostra affermazione ci siamo autonominati padroni assoluti
della natura e del suo destino.
Tale crisi ambientale non può essere pertanto superata con
provvedimenti esclusivamente tecnico-scientifici o economici poi-
ché, essa, ha le sue radici in alcune direttive dello spirito umano
che hanno condotto la civiltà dell’Occidente a fare propri alcuni
valori e categorie: e non potremo avere un vero e autentico cambia-
mento se non correggendo questi valori e categorie.
Oggi dinanzi ai problemi posti dalla crisi ambientale, si richie-

11 
C. Lubich, Discorso inaugurale della Summer School Sophia “Per una cultu-
ra dell’Unità”, in «Sophia» I (2008-0), pp. 12-18.
292 Sergio Rondinara

de una seria riflessione sull’agire umano. Esso, infatti, si presenta


come causa dei problemi ecologici e allo stesso tempo come luogo e
mezzo necessari per la loro stessa soluzione. Da qui l’importanza di
una riflessione etica poiché la crisi ambientale nasce e s’identifica
con il nostro stesso agire sulla natura. Oggi più che mai, un rappor-
to persona-natura rinnovato ed adeguato alle sfide che ci vengono
lanciate dalla crisi ambientale passa necessariamente attraverso il
recupero del significato delle relazioni che legano ciascuno di noi alla
natura stessa.
Ed è nella prospettiva di un tale recupero che ha indubbio va-
lore culturale la concezione della natura, e del suo rapporto con la
persona umana, espressa da Chiara in alcuni appunti inediti stilati
tra il 1949 e il 1951 a cui abbiamo già fatto riferimento. Al riguardo
è necessario premettere che non ci troviamo dinanzi ad una tratta-
zione sistematica del problema, tra l’altro allora ancora non emer-
so nella sua problematicità almeno in Italia; eppure, esso viene più
volte indirettamente toccato in contesti diversi.
Un elemento che caratterizza tali appunti è il recupero della re-
lazione originaria. In Chiara – conformemente al pensiero biblico e
alla tradizione cristiana – il rapporto persona-natura non è staccato
dal rapporto Dio-uomo e Dio-natura.
La relazione tra persona umana e natura è percepita infat-
ti all’interno di tutta la relazionalità presente nella creazione e,
in più testi, ella presenta tale relazionalità mediante la categoria
“amore”.
Sin dal suo arrivo a Tonadico di Primiero, nel luglio del 1949,
nel suo contatto con una natura maestosa, quale quella dello sce-
nario dolomitico, Chiara ha la percezione dell’amore quale legge
immanente la natura stessa, l’amore come fattore qualitativo che
regola le relazioni tra gli elementi naturali. Così si esprime:

E Dio sotto le cose faceva sì che esse non fossero co-


sì come noi le vediamo; erano tutte collegate fra loro
dall’amore, tutte – per così dire – l’una dell’altra inna-
morate. Per cui se il ruscello finiva nel lago era per amo-
re. Se un pino s’ergeva accanto ad un altro pino era per
amore.
Natura e sapienza 293

Siamo qui dinanzi ad una visione della realtà naturale concepita


alla luce di una pienezza e definitività dal sapore escatologico.
Così si esprime ancora nei giorni successivi:

Io sono stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi


sta vicino è stato creato da Dio in dono per me […].
Sulla terra tutto è in rapporto di amore con tutto: ogni
cosa con ogni cosa. Bisogna essere l’Amore per trovar il
filo d’oro fra gli esseri.

Ci troviamo dinanzi ad una visione religiosa della realtà natu-


rale che presenta dei contributi interessanti per il recupero del si-
gnificato delle relazioni che ci legano alla natura, e che allo stesso
tempo fondano un ethos responsabile nei confronti della natura
stessa. Inoltre in tale visione naturale si ha il superamento di quella
contrapposizione tra valorizzazione della natura e creatività umana
nella quale c’imbattiamo quotidianamente, in quanto nel recupe-
ro della relazione originaria Dio-persona-natura si ha una triplice
valorizzazione:
- viene valorizzata appieno la natura poiché se ne conosce il
fine ultimo;
- viene valorizzata la rete delle relazioni che la lega a noi poiché
si acquisisce la coscienza che siamo compagni di viaggio verso un
destino comune;
- viene valorizzato infine il ruolo creativo che la persona umana
ha nei confronti della natura.
Ma, afferma Chiara, «occorre essere l’Amore», occorre cioè che
impariamo ad autocomprenderci né come dominatori, né come
comuni elementi biotici, ma come soggetti coscienti e responsabili
che sono parte integrante della natura e si realizzano esistenzial-
mente nel loro darsi, nell’attuare cioè il dono-di-sé ai propri simili
e alla realtà naturale di cui anch’essi fanno parte. E questa è una
sfida culturale che esige e sollecita una figura di uomo e di donna,
un tipo di persona, un modello antropologico – per gran parte
oggi ancora inedito – in cui si passi da un’ottica prevalentemente
individuale ad un’ottica di comune-unione, da un’ottica di gruppo
limitato ad un’ottica di famiglia umana globale.
294 Sergio Rondinara

La via della Lubich per la formazione di una matura coscienza


ecologica è dunque l’amore. Quindi non si tratta primariamente
di valutare il problema ecologico nella sua valenza etico-morale,
bensì di entrare in una nuova prospettiva; occorre acquisire un’ot-
tica di comunione (tra noi uomini e donne, con Dio, e con le cose)
e trasfigurazione12 che stimoli e risvegli in ciascuno la dimensione
profonda e misteriosa dell’agire umano.
Interiorizzato questo processo l’etica emergerà conseguente-
mente.
Secondo questa visione quindi non bisogna tanto difendere e
preservare la natura – anche questo ovviamente, quando ciò si ren-
da necessario – ma occorre farla diventare più bella, spiritualizzar-
la, trasfigurarla; in altre parole condurla all’ultimo giorno secondo
il disegno di Dio su di noi e su di essa.
Per Chiara queste convinzioni non sono state tanto delle dedu-
zioni frutto di un ragionamento tematico e astratto, quanto pro-
fonde comprensioni interiori derivanti dalla sua intimità con Dio
e, che sono divenute prassi, stile di vita, che hanno animato i mille
aspetti della sua esistenza quotidiana.
In conclusione, la natura emerge, nella concezione che di essa
ha la Lubich, come un mistero d’amore oltre ogni dire che, sia pur
nelle molteplici forme della sua intelligibilità, rimane sempre un
ambito mai totalmente esprimibile in quanto strettamente legata al
mistero dell’umanità e di Dio.

Summary

This brief essay is a summary of the development of Chiara Lu-


bich’s understanding of natural reality. Some of its characteristics are

Cf. (Mt 17, 2): «E apparve trasfigurato davanti a loro: la sua fac-
12 

cia diventò splendida come il sole e le vesti candide come la luce».


Questo racconto evangelico ci presenta un’anticipazione di come la
materia – chiamata alla gloria finale – sarà trasformata, trasfigurata.
Natura e sapienza 295

presented, with their relevance for contemporary culture. Her under-


standing has a profound theological depth. Using what appears to
be everyday language, her texts communicate a vision of things and
the natural world “from the point of view of God”. This vision is
theological, but not confessional, as can be seen from the great inter-
est it has aroused in men and women scholars belonging to various
non Christian religions. This kind of discourse on natural reality is
of great relevance because it touches on contemporary subjects like
the dialogue between the natural sciences and theology, and the en-
vironment.

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