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Canto 6

Il canto sesto dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nel terzo cerchio,


dove sono puniti i golosi; siamo nella notte tra l'8 e il 9 aprile 1300 (Sabato
Santo), o secondo altri commentatori tra il 25 e il 26 marzo 1300. In questo
canto si affronta un tema politico, come ogni VI canto delle tre cantiche
del poema.

Incipit
« Canto sesto, nel quale mostra del terzo cerchio de l’inferno e
tratta del punimento del vizio de la gola, e massimamente in persona
d’un fiorentino chiamato Ciacco; in confusione di tutt’i buffoni
tratta del dimonio Cerbero e narra in forma di predicere più cose
a divenire a la città di Fiorenza. »
(Anonimo commentatore dantesco del XIV secolo)

I golosi, Cerbero - versi 1-33


Il canto inizia con Dante che si riprende dallo svenimento dopo aver parlato
con i due cognati Paolo e Francesca e già, mentre ancora è confuso dalla
tristezza e l'angoscia (Dante usa il termine pieta, ma con significato,
appunto, di angoscia, secondo altre interpretazioni prova pietà perché
anche lui ha rischiato di cadere nell'amore passionale prima di essere
salvato da Beatrice) per quegli sventurati, vede nuovi dannati e nuove pene
tutto intorno a sé.
Il terzo cerchio dove egli si trova è quello de la piova / etterna, maladetta,
fredda e greve, che cade sempre uguale con la stessa intensità; essa è
composta da grossa grandine mischiata a acqua nera e neve, e si riversa
nell'aria tenebrosa: la terra ricevendo questa pioggia puzza e diventa
fanghiglia.
Qui si trova Cerbero fiera crudele e diversa (strana), che latra con tre
teste sulla gente sommersa nella fanghiglia.
Anche Cerbero è un personaggio dell'Averno di Virgilio (Eneide, libro VI,
v.417) e la descrizione di Dante si basa su quella del suo maestro, ma qui la
bestia è più mostruosa, per una descrizione tra l'umano e il bestiale e per
il fatto che inghiotte il fango gettato da Virgilioe non una focaccia
soporifera, contenente miele e farina "drogata", come accadeva nel viaggio
di Enea. Esso viene descritto con gli occhi rossi, la barba unta e nera, la
pancia gonfia e le mani con unghie (non "zampe e artigli"), con le quali graffia
i dannati e li squarta; inoltre con le sue urla gli 'ntrona (li "rintrona") li fa
impazzire, così che essi vorrebbero essere sordi (vv. 32-33). Nella
mitologia Cerbero è un simbolo di ingordigia (ecco perché lo troviamo in
questo canto) e anche di discordia, per le lotte tra le sue diverse teste: non
a caso nel canto si parlerà proprio delle discordie fiorentine.
Quando Cerbero vede Dante e Virgilio, apre le bocche e mostra loro le
zanne, senza tenere fermo un singolo muscolo. Allora Virgilio distende le
mani e getta nelle sue bramose canne (gole, secondo un linguaggio triviale)
due pugni pieni di terra, che il cagnaccio si affretta a mangiare, come quei
cani che desiderosi del pasto abbaiano e poi si interrompono subito appena
lo ottengono.

Ciacco - vv. 34-93


Ciacco è un personaggio letterario, citato da Dante
Alighieri nell'Inferno tra i golosi (VI, vv. 34-75) e anche da Giovanni
Boccaccio in una novella del Decamerone. La sua figura non è ancora stata
individuata storicamente.
Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: così questo personaggio si presenta a
Dante e Virgilio nel VI canto. Ciacco è un sostantivo al quale si attribuiva
normalmente il significato di "porco"; ma Ciacco era semplicemente da
intendere come il diminutivo dei nomi Jacopo e Giacomo. Non sappiamo quale
dei due significati abbia voluto intendere Dante, ma è probabile che
intendesse entrambe le interpretazioni come valide.

Ciacco nell’ Inferno


Si presenta in questo modo ai viandanti:
« Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:

per la dannosa colpa de la gola,


come tu vedi, a la pioggia mi fiacco. »
(Inferno VI, 52-54)
Lascia spazio a numerose interpretazioni, come ad esempio quella
di Francesco da Buti, uno dei più antichi commentatori della Commedia, che
suggerisce una natura dispregiativa di questo nome: "Ciacco dicono alquanti
che è nome di porco, onde costui era così chiamato per la golosità sua". In
realtà l'uso della parola Ciacco come sinonimo di porco non è documentata
prima del testo dantesco. Dalle parole di Dante sappiamo solo che egli era
ancora in vita quando Dante era nato, per cui si può presumere che sia un
personaggio della generazione precedente a quella del poeta. Generalmente
non accettata, perché senza alcun riscontro plausibile, è l'identificazione
con il poeta Ciacco dell'Anguillara.
Il suo personaggio ha dei tratti grotteschi, per la sua apparizione
improvvisa, per i suoi bruschi silenzi (e più non fe' parola... "Più non ti dico
e più non ti rispondo") e per quel suo modo di guardare Dante storcendo gli
occhi alla fine dell'episodio: forse per lo sforzo di restare seduto mentre
il suo destino lo rispinge in basso, forse perché riassalito dalla bestialità
del suo girone dopo aver conosciuto quei pochi minuti di lucidità che gli erano
stati concessi per parlare con Dante.
La profezia
Ciacco pronuncia la prima profezia sulle vicende politiche di Firenze ai
vv.58-75 (la seconda sarà di Brunetto Latini Inf. XV, 68). Egli risponde
inizialmente in maniera molto asciutta a tre domande di Dante:
« ma dimmi, se tu sai, a che verranno /

li cittadin de la città partita; /


s'alcun v'è giusto; e dimmi la cagione /
per che l' ha tanta discordia assalita »
(VI, 59-63)
Esse significano: 1."A cosa arriveranno i cittadini della città divisa
(partita)? 2.Vi è alcuno giusto? 3.Qual è la ragione di tanta discordia?"
Ciacco risponde con ordine:
« E quelli a me: "Dopo lunga tencione /

verranno al sangue, e la parte selvaggia /


caccerà l'altra con molta offensione. /

Poi appresso convien che questa caggia /


infra tre soli, e che l'altra sormonti /
con la forza di tal che testé piaggia. /

Alte terrà lungo tempo le fronti, /


tenendo l'altra sotto gravi pesi, /
come che di ciò pianga o che n'aonti. /

Giusti son due, e non vi sono intesi; /


superbia, invidia e avarizia sono /
le tre faville c' hanno i cuori accesi". »
(64-75)
 "Essi arriveranno al sangue": egli si riferisce alle lotte tra guelfi
bianchi e neri a Firenze. Per Calendimaggio (1º maggio) del 1300, poco
dopo la data immaginaria del viaggio di Dante (Pasqua 1300), si ebbe
infatti una zuffa tra Cerchi e Donati dove Ricoverino dei Cerchi
ebbe il naso tagliato di netto. "E la parte campagnola (i Cerchi
provenivano dal contado) caccerà l'altra con molto danno": dopo la
scoperta della cosiddetta congiura di Santa Trinita dei Neri essi
furono scacciati dalla città. "Poi accadrà che questa parte
(quella selvaggia) cada entro tre anni e l'altra cresca in potenza
grazie alla forza di colui che ora si tiene in bilico": nel 1302 i Neri
ebbero la rivincita grazie all'intervento di Carlo di Valois, mandato
da Bonifacio VIII, il papa (colui che testé piaggia) che nel 1300
ancora temporeggiava senza schierarsi (è il primo accenno nella
Divina Commedia al papa nemico di Dante). Questa fazione terrà
l'egemonia e schiaccerà l'altra, per quanto essa pianga e si sdegni
(come che di ciò pianga o che n'aonti). Caggia, sormonti e piaggia sono
tre termini che indicano il salire e lo scendere dei piatti di una
bilancia.
 "Ci sono due persone giuste e nessuno le ascolta": non è chiaro se si
riferisca a due vere persone o se sia solo un modo per dire che sono
pochissimi. È stata notata l'eco di un passo del Tresor e dell'episodio
della Genesi dove Abramo cercando di salvare una città corrotta
dalla distruzione fa un patto con Dio, cercando almeno cinquanta
uomini "giusti"; alla fine, nonostante lo sconto a dieci, egli non riesce
a trovare nessuno tranne Lot e le sue figlie.
 "La superbia, l'invidia e l'avarizia sono le tre cause della discordia a
Firenze": accusa che Dante farà ripetere anche a Brunetto Latini.
Dopo queste parole Ciacco torna muto ed è Dante che deve sollecitare
un'altra richiesta: "Qual è la sorte di un gruppo di Fiorentini illustri della
passata generazione, «ch'a ben far puose li 'ngegni» (Inf. VI, 81)? Essi
sono Farinata degli Uberti, Arrigo, non più nominato nella Commedia, Mosca
dei Lamberti, Tegghiaio Aldobrandi, Jacopo Rusticucci. Ciacco dice che essi
sono tra le anime più nere e che si trovano nei cerchi inferiori dell'Inferno.
Qui avviene un'altra tappa del processo di conversione del poeta: dopo aver
visto che anche gli effetti della poesia amorosa, al quale aveva aderito in
gioventù, possono portare alla dannazione, con l'episodio di Paolo e
Francesca, adesso il poeta scopre che anche il valore politico in vita non
garantisce la salvezza divina.
Il fatto che Ciacco non citi a Dante del suo esilio ha fatto pensare ad alcuni
(in particolare a Boccaccio) che queste prime cantiche dell'Inferno fossero
state scritte verso il 1301, prima cioè che il poeta venisse a sapere della
sua condanna. In realtà queste intuizioni si basano su indizi molto flebili (lo
stesso Ciacco cita avvenimenti del 1302 e dice come l'egemonia dei Neri
sarà lunga), e oggi si è propensi a pensare che il poeta volesse
semplicemente sviluppare gradualmente il tema politico e quello delle
profezie, lasciando per più tardi il vaticinio del suo esilio, pronunciato
da Farinata degli Uberti nel X canto.
Mentre Dante e Virgilio attraversano la massa di fango e anime abbattute
("adonate") dalla pioggia calpestandole (questo è uno dei pochi casi
nell'Inferno dove le anime sono solo ombre senza corpo, una condizione
teoricamente generica ma che all'Inferno Dante spesso non considera,
mentre sarà frequente nel Purgatorio) una si alza in piedi appena essi le
passano davanti.
Questi parla a Dante sfidando a riconoscerlo, poiché il poeta era vivo prima
che il dannato fosse disfatto (cioè morto), ma Dante non lo riconosce
perché lo stato angoscioso del dannato gli impedisce di ricordarselo. Allora
Dante gli chiede chi sia e cosa faccia sotto questa pena, che se ne esistono
anche di maggiori, nessuna è così spiacente, sia per chi la subisce che per
chi la vede.
Allora Ciacco si presenta con il suo nome (o nomignolo); non si è certi perché
è un personaggio che non è mai stato identificato esattamente: si pensa che
il nome Ciacco, che, anche se senza fondamento, potrebbe significare
"porco", sia riferito al modo e alla quantità di cibo che assumeva, oppure,
più probabilmente, sia un diminutivo fiorentino di Jacopo, originario della
stessa città di Dante (Firenze), che è piena d'invidia sì che già trabocca il
sacco; è condannato per il peccato della gola, per il quale è fiaccato sotto
la pioggia, ma non è solo, poiché tutte le anime attorno stanno lì per la stessa
pena.E più non fé parola: il tono di questo incontro è ben diverso dal
precedente con Paolo e Francesca ed è caratterizzato dalla grottesca
figura di Ciacco a tratti comico (si pensi alla scelta del linguaggio di Dante
piuttosto popolaresco, con rime su doppie consonanti poco liriche come -
acco, -aggia e -anno) e a tratti inquietante, come dopo le brusche
interruzioni del discorso come questa.
Spinto da una sua intuizione, il poeta gli chiede una profezia sulla sorte
di Firenze (in realtà Dante non sapeva fino ad ora che le anime, anche quelle
dei dannati, potessero profetizzare il futuro) e, dopo una veloce captatio
benevolentiae sulla pietas provata nel vedere la sua pena, pone al dannato
tre domande:
 A cosa arriveranno (verranno) i cittadini della città divisa (partita,
cioè divisa in due parti, Firenze)?
 C'è qualche giusto?
Perché è assalita da tanta discordia?
Ciacco risponde allora con precisione fiscale e alle tre domande nello stesso
ordine nel quale gli sono state poste:
 La prima risposta è la celebre profezia su Firenze, la prima
della Commedia, che tratta delle lotte tra guelfi bianchi e neri tra
il 1300 e il 1302: dopo una lunga tenzone (dopo molte lotte) essi
verranno al sangue (le zuffe del Calendimaggio 1300, dove uno
dei Cerchi venne ferito gravemente in volto) e la parte selvaggia
(rappresentati dai guelfi bianchi, poiché i Cerchi, in quanto capi
fazione, venivano dal contado) caccerà l'altra con molta durezza; poi
sarà questa altra parte a cadere entro tre anni (tre soli) e salirà
l'altra fazione, grazie alla forza di qualcuno che ora sta in bilico (che
testé piaggia, è Bonifacio VIII nel 1300 ancora neutrale); questa
fazione terrà superbamente le fronti alte per molto tempo, tenendo
l'altra sotto gravi pesi, per quanto essa pianga e si indigni.
 Ci sono solo due giusti e nessuno li ascolta: forse più che a due figure
reali si deve pensare all'eco biblico dell'episodio
della Genesi dove Abramo cercando di salvare una città distrutta
dalla corruzione fa un patto con Dio, cercando almeno cinquanta
uomini "giusti"; alla fine, nonostante lo sconto a dieci, egli non riesce
a trovare nessuno tranne Lot e le sue figlie.
 superbia, invidia e avarizia sono le tre scintille che hanno acceso i
cuori (accusa che Dante farà ripetere anche a Brunetto Latini, in Inf.
XV).
Il fatto che Ciacco non parli a Dante del suo esilio ha fatto pensare ad alcuni
(in particolare al Boccaccio) che queste prime cantiche dell'Inferno
fossero state scritte verso il 1301, prima cioè che il poeta venisse a sapere
della sua condanna. In realtà queste intuizioni si basano su indizi molto
flebili (lo stesso Ciacco cita avvenimenti del 1302 e dice quanto l'egemonia
dei Neri sarà lunga), e oggi si è propensi a pensare che il poeta volesse
semplicemente sviluppare gradualmente il tema politico e quello delle
profezie, lasciando per più tardi il vaticinio del suo esilio, pronunciato
da Farinata degli Uberti nel X canto.
Dopo queste parole Ciacco torna muto ed è Dante che deve sollecitare
un'altra richiesta: "Qual è la sorte di un gruppo di fiorentini illustri della
passata generazione, «ch'a ben far puose li 'ngegni?» (v. 81), li addolcisce
il cielo o li avvelena (attosca) l'inferno? Essi sono Farinata degli
Uberti, Arrigo (non più nominato nella Commedia), Mosca dei
Lamberti,Tegghiaio Aldobrandi, Jacopo Rusticucci. Ciacco dice che essi
sono tra le anime più nere e che si trovano nei cerchi inferiori dell'Inferno
per diverse colpe.
Qui avviene un'altra tappa del processo di conversione del poeta: dopo aver
visto che anche gli effetti della poesia amorosa, al quale aveva aderito in
gioventù, possono portare alla dannazione, con l'episodio di Paolo e
Francesca, adesso il poeta scopre che anche il valore politico in vita non
garantisce la salvezza divina.
Infine Ciacco prega Dante di ricordarlo nel mondo dei vivi, poi si interrompe
bruscamente: "più non ti dico e più non ti rispondo". Allora storce
grottescamente gli occhi, forse per lo sforzo di restare seduto mentre il
suo destino lo spinge nuovamente in basso, forse perché riassalito dalla
bestialità del suo girone dopo aver conosciuto quei pochi minuti di lucidità
che gli erano stati concessi per parlare con Dante; china la testa e
sprofonda di nuovo nella fanghiglia, mentre Virgilio assicura che non si
alzerà mai più da lì fino alGiudizio Universale, quando l'angelica tromba
annuncerà la nimica podestade, cioè Dio, nemico dei dannati.
Condizione dei dannati dopo il Giudizio universale - vv. 94-115
Virgilio prosegue dicendo che Ciacco non si risveglierà fino al giorno del
Giudizio universale, nel quale ogni anima riprenderà il suo corpo e udirà quel
ch'in etterno rimbomba, cioè la sua sentenza definitiva di condanna. Nel
frattempo, mentre passano nella sozza mistura di anime e fango, Dante
prende lo spunto per chiedere se i dannati, dopo la gran sentenza, avranno
pene accresciute, minori o tali e quali. Virgilio risponde, ma non prima di aver
invitato Dante a tornare alla sua scienza, ossia ai suoi maestri di filosofia e
di teologia, che sono Aristotele e San Tommaso d'Aquino, secondo i quali,
quanto una cosa è più perfetta, perché unione di corpo e d'anima, tanto più
è destinata a percepire in misura maggiore il bene e il male, perché ogni
sentimento è amplificato. E sebbene questa gente maladetta non sarà mai
in vera perfezion, essa aspetta di miglior grado più il futuro (il di là) che la
loro condizione attuale (di qua).
Così essi girano in tondo lungo il cerchio, parlando di molte altre cose che
Dante non riporta (è già la seconda volta che tace, dopo la conversazione
con i quattro grandi poeti nel Limbo). Arrivano così al punto dove si
digrada e qui trovano il guardiano del cerchio successivo: Pluto, il gran
nemico.
All'interno della Divina Commedia questi passi costituiscono una primizia: è
questo il primo punto in cui Dante tratta di una questione dottrinale. Prende
come riferimento, in questo passo del VI canto della cantica
infernale, Aristotele ("tua scienza" = la scienza che tu hai ben studiato,
della quale sei a conoscenza) e la stessa dottrina di Tommaso d'Aquino

Il contrapasso
La pena dei golosi è una punizione di contrappasso per analogia generica: in
quanto simili a bestie in vita saranno accovacciati per terra come animali,
nella loro sporcizia e flagellati dalle intemperie. Essi infatti sono prostrati
a terra e la pioggia li fa urlare come cani (come bestie); essi si fanno
schermo l'un l'altro (strisciando quindi come vermi) e si rigirano spesso,
questi miseri profani. Ma il contrappasso può essere anche per contrasto:
mentre in vita i golosi sono andati alla ricerca delle più grandi prelibatezze
culinarie, ora all'inferno sono costretti a stare sdraiati nel fango sotto una
pioggia greve e maleodorante; e mentre in vita hanno vissuto per le esigenze
del corpo, ora essi appaiono a Dante come vane ombre, vedendosi negato
l'involucro di carne. Inoltre, la soddisfazione dell'odorato tramite i cibi, è
punita dal fetore della terra, nella quale sono costretti a sprofondare in
eterno.

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