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L' anticonformismo di Satie e Poulenc e

la sospensione del tempo

“L'esperienza è una forma di paralisi”amava dire Satie che, provocatorio, colto e bizzarro, ironico e
sarcastico, conferisce alla sua musica un'ambiguità tale da renderla seria e ludica al tempo stesso.
Egli non venne mai accostato ai grandi compositori della sua epoca, tuttavia diventò esponente di
spicco delle avanguardie parigine di inizio secolo come caposcuola del Gruppo dei Sei,
collaborando con personaggi come Pablo Picasso, René Clair, Jean Cocteau, pur avendo trascorso
la sua giovinezza suonando il pianoforte di un café chantant, lontano dall'accademica aulicità che
lui stesso si divertiva a sbeffeggiare. Amava farsi chiamare “Gymnopediste”, aggettivo riferibile ad
una antica danza spartana, senza una una ragione particolare, ma d'altra parte il nonsense e la
provocazione sono sempre stati suoi caratteri peculiari. Nel 1888 scrisse le tre Gymnopedies,
numero che ricorrerà costantemente nelle sue composizioni, di cui Debussy ne orchestrò la prima e
la terza invertendone l'ordine di esecuzione. Inizialmente trascurati, questi pezzi rappresentano in
tutta la loro semplicità il tratto distintivo dello stile di Satie, ovvero quell'assenza di punti di
riferimento che la rendono fatua ed eterea, con una staticità fuori dal tempo. Il suo umorismo
accattivante è palpabile nella pantomima Jack in the Box, suddiviso in tre brevi movimenti, che
Satie stesso definì clownerie, scritto per uno scenario dipinto dal suo grande amico Depaquit. Il
manoscritto, che Satie pensava di aver perso su un autobus, fu ritrovato dietro al suo pianoforte e
orchestrato da Darius Milhaud e nel 1926, un anno dopo la sua morte, venne messo in scena da
Diaghilev. Anche John Cage ne subì il fascino: “Per interessarsi a Satie occorre cominciare non
avendo interessi, accettare che un uomo sia un uomo, lasciar perdere le nostre illusioni sull’idea di
ordine, di espressione dei sentimenti e tutti gli imbonimenti estetici di cui siamo gli eredi. Non si
tratta di sapere se Satie è valido. Egli è indispensabile”.

Definita dall'autore una tragédie lyrique, La voix Humaine appartiene al genere del monologo
drammatico che Cocteau scrisse e mise in scena già nel 1930, diventando negli anni quasi un testo
da manualedi recitazione, una grande prova attoriale per antonomasia in cui la protagonista è una
donna comune che vive un dolore universale, la fine di una storia d' amore. Amico di lungo corso di
Cocteau e sollecitato dall'editore Dugardin, Poulenc nel 1958 decise di musicare il monologo. Un
colloquio telefonico in cui sentiamo solo la voce femminile che lascia intuire la presenza
dell'amante dai suoi silenzi e dalle sue esitazioni, un colloquio in cui nessuno dei due riesce a dire
la parola definitiva. Un testo che incontrerà anche il pubblico del grande schermo con l'adattamento
cinematografico di Rossellini attraverso l'interpretazione della grande Anna Magnani.
Poulenc invece affidò la sua prima esecuzione a Denise Duval che incarnò la sua donna fragile e già
sconfitta. Lo stesso Cocteau affermò che con la riscrittura di Poulenc il suo dramma affrontava
l'ulteriore sfida dell'integrazione di scena, parola e musica raggiungendo la sua massima
espressività.
La serata si chiude con la Sinfonietta dello stesso autore, composta nel 1947 e definita “musica per
danza senza danzatori” , leggera e satirica propensa a far corrispondere al suono degli strumenti
coinvolti un illusionistico movimento coreografico, quest'opera venne commissionata a Poulenc
dalla BBC per celebrare il primo anniversario della nascita del Terzo Programma.
Tema centrale di questo concerto rimane la percezione del tempo, un tempo che pare arrestarsi nelle
Gymnopedies di Satie e un tempo che si vorrebbe poter arrestare ad ogni costo ne La voix Humaine
di Poulanc, entrambi in una sorta di durée bergsoniana e interconnesso a questo concetto anche il
movimento, ovvero solo un illusione di esso, il solo che può scandire il tempo.

Angela D'Oronzo

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