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Giampaolo Azzoni

Dipartimento di Diritto romano, Storia e Filosofia del diritto


Strada Nuova, 65
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Lex aeterna e lex naturalis: attualità di una distinzione concettuale.1


[In corso di stampa in: Fulvio Di Blasi / Paolo Heritier (eds.), Vitalità del diritto naturale, 2008. ]

Sommario:

1. Una distinzione per ripensare il diritto naturale.

2. La lex aeterna
2.1. Lex aeterna e ragione divina.
2.2. Epistemologia della lex aeterna.
2.3. L’inclinazione naturale verso la lex aeterna.

3. La lex naturalis.
3.1. Fenomenicità e razionalità della lex naturalis.
3.2. Sinderesi come modo di partecipazione della lex naturalis.
3.3. Fondamento e articolazione materiale dei precetti della lex naturalis.
3.4. Precetti primi vs. precetti secondi della lex naturalis.

4. Le caratteristiche distintive della lex naturalis (vs. la lex aeterna).


4.1. Assolutezza e relatività della lex naturalis.
4.2. Immutabilità e mutabilità della lex naturalis.

5. La legge umana.
5.1. La legge umana come integrazione necessaria della lex naturalis.
5.2. Fallibilità della ragione umana e legittimità formale delle fonti normative.
5.3. Limiti strutturali della legge umana e rifiuto del feticismo della legge.
5.4. Varietà dei contesti e diversità delle leggi umane.
5.5. Evoluzione e declino della legge umana.
5.6. Limiti al dovere di mutare la legge umana.

6. Il relativismo culturale e la duplice relatività della lex naturalis.

Bibliografia delle opere citate.

1
Ringrazio Francesco Botturi, Gian Luigi Brena, Angelo Campodonico, Amedeo G. Conte e Carmelo Vigna per gli
utilissimi commenti che hanno voluto fare alla precedente versione del presente saggio.

1
1. Una distinzione per ripensare il diritto naturale.

1.1. Nella ricca letteratura che da oltre vent’anni sta nuovamente mettendo Tommaso d’Aquino al
centro del dibattito filosofico sul diritto e sull’etica, mi sembra che non sia ancora stata
adeguatamente indagata la distinzione tra lex aeterna e lex naturalis, nonostante che sia proprio tale
distinzione a rendere la dottrina tomista peculiare all’interno del giusnaturalismo e, soprattutto, sia
tale distinzione indispensabile per pensare il diritto naturale non certo come un astorico meta-diritto
(tanto più soggettivo quanto più si pretende assoluto), ma come la modalità con cui il diritto è
continuamente chiamato ad adeguarsi alle concrete situazioni sociali per realizzare nella storia la
giustizia umanamente possibile.
La distinzione tra lex aeterna e lex naturalis segna una cesura tra il pensiero di Tommaso ed il
pensiero stoico che, alle leggi positive dei singoli ordinamenti, sostanzialmente contrapponeva la
sola lex aeterna. Si possono ascrivere a tale concezione Crisippo 2 e lo stesso Cicerone 3 (che,
peraltro, contemperava l’assolutezza della lex aeterna con il realismo del diritto romano). Ma, sul
punto specifico, si può ascrivere a tale concezione diadica lo stesso pensiero di Agostino 4, tanto che
Tommaso (nel confronto con Agostino5) si domanda se la lex naturalis non sia un inutile doppione
della lex aeterna.6

1.2. Ma ancora più importante è la cesura che la distinzione tra lex aeterna e lex naturalis segna tra
il pensiero di Tommaso e il giusnaturalismo moderno (che, ai nostri fini, si può à la Villey fare
iniziare dalla seconda scolastica e giungere fino all’odierna concezione dei diritti umani, passando
per il pensiero rivoluzionario del XVIII secolo): infatti il giusnaturalismo moderno abbandonò
progressivamente l’espressione ‘lex aeterna’, ma attribuì alla lex naturalis (o al ius naturale) alcune
delle caratteristiche distintive della lex aeterna (immutabilità, assolutezza, completezza,…). In
questo senso, il giusnaturalismo moderno può essere letto come una secolarizzazione della lex
aeterna e, insieme, una eliminazione della lex naturalis.
Ma ‘lex aeterna secolarizzata’ è un ossimoro. Da qui molte delle aporie del giusnaturalismo
moderno, a cominciare dall’incoerenza pragmatica data da un contenuto contingente in una forma
che si pretende universale. Ciò spiega il destino strutturalmente positivista del giusnaturalismo
moderno (con la conseguente inflazione di “Carte” e “Dichiarazioni”): quando, insieme alla lex
naturalis, fu eliminato il farsi del diritto naturale a partire dalla ragione pratica storicamente situata,
non restò che l’affidarsi ad un legislatore succedaneo di Dio.

1.3. Se il giusnaturalismo moderno può alternamente essere o quasi irrilevante per il diritto (in
quanto limitato alla coscienza individuale), o solidale a progetti totalitari (finalizzati all’attuazione
storica dell’eterno), una concezione del diritto naturale nella quale siano tomisticamente
compresenti lex aeterna e lex naturalis appare coerente con una moderna società liberale. Infatti,
come vedremo di seguito, nella differenza tra lex aeterna e lex naturalis si apre lo spazio per la
libertà dell’uomo e per l’apertura della sua storia (con le relative possibilità di evoluzione o
declino), insieme alla consapevolezza della fallibilità della ragione umana e dei limiti
strutturalmente propri di ogni attività normativa: cioè, nella differenza tra lex aeterna e lex

2
Vedi la sezione dei frammenti morali di Crisippo che Hans von Arnim ha intitolato De lege aeterna et de legibus
singularum civitatum. Ricordo che Crisippo è citato anche dal giurista Marciano in Digesta I, 3, 2.
3
In particolare, cfr. Cicerone, De legibus, II, 8-16.
4
Come scrive Anton-Hermann Chroust, “The most fundamental and far-reaching contribution of St. Augustine to the
history of legal philosophy must be sought in his basic reformulation of the impersonal supreme cosmic reason or
natural order of the Stoics” (Anton-Hermann Chroust, The Function of Law and Justice in the Ancient World and the
Middle Ages, 1946, p. 311).
5
Agostino, De libero arbitrio, I, 6; cfr. Agostino, Contra Faustum Manichaeum, XXII, 27.
6
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 91, a. 2, arg. 1 (tr. it. vol. XII, p. 44). Per quanto riguarda la traduzione italiana delle opere
citate, ho indicato la pagina della traduzione di riferimento, ma ho variato tale traduzione dove lo abbia ritenuto
opportuno. Quando non è indicato l’autore di un’opera, l’autore è Tommaso d’Aquino.

2
naturalis, si apre lo spazio per una iuris-prudentia creativa perché rispettosa dei fenomeni nel loro
mutamento.
Mentre il giusnaturalismo moderno tende ad un modello di ordine che, con le categorie di Enrico di
Robilant, si può definire “statico” (basato sulla “figura normativistica e statica della natura stessa”),
un diritto naturale in cui siano compresenti lex aeterna e lex naturalis conduce ad un ordine
“dinamico” in cui è possibile “sviluppare le potenzialità di uno o più principî senza dover mutare
continuamente le strutture dell’ordine medesimo” così da rispondere sempre meglio “alle esigenze
del conoscere e del cammino verso l’orizzonte della verità e della pienezza di vita, verso il valore
che dà significato a ogni valore”.7
Quanto segue intende presentare i materiali più rilevanti per ripensare la distinzione tra lex aeterna
e lex naturalis e con essa, quindi, ripensare il concetto stesso di diritto naturale quale concetto
interessante per il filosofo e il giurista.

2. La lex aeterna

2.1. Lex aeterna e ragione divina.

Tommaso, riferendosi ad Agostino, così definisce la lex aeterna: “la lex aeterna non è altro che la
ragione [“ratio”] della divina sapienza, in quanto è direttiva di tutti gli atti e movimenti” 8; pertanto
essa è “come la ragione di Dio” 9, “la ragione divina”10, “la ragione di governo sussistente nel
governante supremo”11, “la ragione del governo divino”12, “la ragione della provvidenza divina”13.
Tale legge è eterna perché la ragione divina non concepisce nulla nel tempo [“ex tempore”],
essendo il suo pensiero eterno.14 Dalla lex aeterna consegue la provvidenza di Dio.15
Non solo le creature razionali, ma anche le creature irrazionali e l’intera natura sono soggette alla
lex aeterna, in quanto Dio imprime in tutte le “res naturales” i principî dei propri atti 16; come scrive
Tommaso, “tutte le cose partecipano in qualche modo alla lex aeterna in quanto dalla impronta di
essa [“ex impressione eius”] ricevono le inclinazioni ai propri atti e fini”.17
“La lex aeterna ordina l’uomo prima di tutto e principalmente [“primo et principaliter”] al fine [“ad
finem”], e quindi lo dispone come si conviene all’uso dei mezzi in rapporto al fine”.18

2.2. Epistemologia della lex aeterna.

2.2.1. Il tratto teoreticamente forse più provocante della lex aeterna è quello della sua
inconoscibilità diretta: la lex aeterna, in quanto tale, è per noi ignota poiché essa si trova nella

7
Enrico di Robilant, Aspetti del problema della normazione nella società complessa, 2000, pp. 330, 332, 333.
8
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 1, co. (tr. it. vol. XII, p. 72).
9
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 71, a. 6, co. (tr. it. vol. XI, p. 42).
10
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 19, a. 4, co. (tr. it. vol. VIII, p. 402).
11
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 3, co. (tr. it. vol. XII, p. 78).
12
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 4, co. (tr. it. vol. XII, p. 80).
13
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 5, ad 3 (tr. it. vol. XII, p. 84).
14
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 91, a. 1, co. (tr. it. vol. XII, p. 42).
15
Quaestiones disputatae de veritate, q. 5, a. 1, ad 6 (tr. it. p. 409).
16
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 5, co. (tr. it. vol. XII, p. 84).
17
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 91, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 46). Il tema della partecipazione di tutte le cose alla lex
aeterna è una variazione della più generale partecipazione di ogni ente all’essere: “È necessario affermare che ogni
cosa, in qualsiasi modo esista, viene da Dio. […] Rimane vero perciò che tutti gli enti distinti da Dio non sono il loro
proprio essere, ma partecipano l’essere” (Summa theologiae, Ia, q. 44, a. 1, co.; tr. it. vol. IV, p. 24)
18
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 71, a. 6, ad 3 (tr. it. vol. XI, p. 42).

3
mente divina.19 Quindi solo i beati, che vedono Dio nella sua essenza, possono conoscere la lex
aeterna per ciò che essa è realmente [“secundum quod in se ipsa est”].20
La lex aeterna è conosciuta dalle creature razionali nei suoi effetti nei quali si ritrova una qualche
somiglianza [“aliqua similitudo”] con essa; come chi non vedendo il sole nella sua sostanza, lo
conosce nella sua irradiazione.21 Scrive Sergio Cotta, “la razionalità profonda e costitutiva della lex
aeterna non può essere partecipata ai suoi destinatari, nemmeno a quelli dotati di ragione, i quali
possono solo coglierne una irradiazione nei suoi effetti”.22
Ma la lex aeterna non può manifestarsi totalmente nei suoi effetti: “non [...] totaliter manifestari
potest per suos effectus”.23 La conoscenza delle lex aeterna è dunque analogica e sempre
incompleta (“nullus [...] eam comprehendere potest”), condizionata dalle storiche e contingenti
circostanze dell’azione umana, oltre che variabile da individuo a individuo, in funzione delle sue
capacità.24
Per la conoscenza della lex aeterna vale quanto scrive Paolo, I ad Corinthios, 13:12: “Videmus [...]
nunc per speculum in aenigmate, tunc autem facie ad faciem; nunc cognosco ex parte, tunc autem
cognoscam”; “Ora vediamo in modo confuso, come in uno specchio, allora vedremo faccia a faccia;
ora conosco in parte, allora conoscerò perfettamente”.

2.2.2. D’altra parte ogni creatura razionale, allo stesso modo in cui conosce in qualche modo
[“aliqualiter”] la verità, conosce anche la lex aeterna almeno quanto ai principî comuni della lex
naturalis [“principia communia legis naturalis”].25
Tale conoscenza della lex aeterna (che ogni creatura razionale ha) è poi accresciuta da qualche
rivelazione che vi si aggiunge (tale ulteriore conoscenza, però, è solo per coloro che accedono a tali
rivelazioni).26
Pertanto ogni creatura razionale si trova in una situazione ambigua: non può conoscere pienamente
la lex aeterna, ma non può ignorarla completamente.

2.3. L’inclinazione naturale verso la lex aeterna.

L’osservanza della lex aeterna da parte della creatura razionale non è però limitata all’osservanza
consapevole di essa (correlativa ad una sua conoscenza esplicita). La creatura razionale ha, infatti,
una duplice inclinazione naturale verso l’osservanza della lex aeterna: una prima inclinazione che
potremmo chiamare ontica e una seconda inclinazione che potremmo chiamare propriamente
razionale (e che, per usare le categorie di Michael Polanyi, è una sorta di conoscenza tacita della
lex aeterna).
L’inclinazione ontica è comune a tutti gli enti naturali in quanto tutti gli enti naturali (anche le
creature irrazionali) partecipano alla lex aeterna in ciò che fanno o subiscono, poiché essa opera
come principio loro interno [“per modum interioris principii motivi”].27
L’inclinazione propriamente razionale è specifica delle creature razionali in quanto ogni creatura
razionale ha insita un’inclinazione naturale verso quanto è consono alla lex aeterna.28 Come la
19
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 19, a. 4, ad 3 (tr. it. vol. VIII, p. 402).
20
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 74).
21
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 74).
22
Sergio Cotta, Il concetto di legge nella Summa theologiae di S. Tommaso d’Aquino, 1955, p. 54.
23
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 2, ad 2 (tr. it. vol. XII, p. 76).
24
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 74).
25
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 74).
26
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 19, a. 4, ad 3 (tr. it. vol. VIII, p. 402). Non è pienamente coerente con il pensiero di
Tommaso la Lettera enciclica Veritatis Splendor quando scrive che la “legge eterna è conosciuta [...] in modo integrale
e perfetto [corsivo mio] [...] attraverso la rivelazione soprannaturale di Dio” (Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor,
1993, § 72).
27
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 5, co. (tr. it. vol. XII, p. 86).
28
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 5, co. (tr. it. vol. XII, p. 86).

4
conoscenza esplicita della lex aeterna varia da creatura a creatura in funzione delle capacità della
singola creatura29, anche l’inclinazione propriamente razionale verso la lex aeterna varia da creatura
a creatura (determinando quindi una diversa conoscenza tacita) in funzione del grado di bontà della
singola creatura razionale; e poiché in nessun uomo è interamente assente la bontà naturale
[“bonum naturae”], nessun uomo può ignorare completamente la lex aeterna (almeno nella forma di
una sua parziale conoscenza tacita).30

3. La lex naturalis.

3.1. Fenomenicità e razionalità della lex naturalis.

3.1.1. Utilizzando analogicamente la terminologia kantiana, si può dire che se la lex aeterna è la lex
noumenica, la lex naturalis ne è il correlativo fenomenico. Ma questo scarto tra noumeno e
fenomeno non si traduce, nella dottrina tomista del diritto naturale, in un dato esclusivamente
negativo, cioè in una condizione di strutturale difetto della lex naturalis rispetto alla lex aeterna, e
correlativamente in una secca perdita per l’uomo e la sua città. Come nella lucreziana teoria del
clinamen (dove la deviazione dalla linearità di caduta degli atomi evita il determinismo assoluto) 31,
così nella differenza tra lex aeterna e lex naturalis si apre lo spazio per la libertà dell’uomo e per
l’apertura della sua storia.

3.1.2. Tommaso caratterizza la lex naturalis quale espressione [“expressio”] della lex aeterna.32 In
particolare, definisce la lex naturalis come la partecipazione della lex aeterna nella creatura
razionale, “participatio legis aeternae in rationali creatura”.33
Da notare che la dottrina del diritto naturale di Tommaso è lontana da ogni naturalismo (e
correlativamente da ogni opposizione antitetica di natura e ragione, o di natura e storia): solo la
partecipazione della creatura razionale può essere detta legge in senso proprio [“proprie”] perché
solo la creatura razionale partecipa ad essa con la ragione (ragione che è richiesta perché si possa
parlare di legge in senso proprio).34 Se “tutte le cose partecipano in qualche modo alla lex aeterna in
quanto dalla sua impronta [“ex impressione eius”] ricevono le inclinazioni ai propri atti e fini” 35, la
partecipazione ad essa propria della creatura razionale è la migliore in quanto la creatura razionale
la partecipa con l’intelletto e la ragione [“intellectualiter et rationaliter”] 36. Dalla lex aeterna la
creatura razionale riceve un inclinazione naturale verso l’atto e il fine che (nel suo caso) sono
dovuti.37
Come scrive Angelo Campodonico, “la legge naturale non è per Tommaso qualcosa che giace di
fronte alla ragione, in quanto piuttosto è il principio stesso della ragione pratica, cioè della ragione
quando è diretta a guidare l’azione”.38

3.2. Sinderesi come modo di partecipazione della lex naturalis.

29
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 2, ad 2 (tr. it. vol. XII, p. 76).
30
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 6, ad 2 (tr. it. vol. XII, p. 88).
31
Lucrezio, De rerum natura, II, vv. 216-293.
32
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 2, d. 42, q. 2, a. 5, co. (tr. it. vol. IV, p. 1015). Analogicamente, in un verso
di una poesia di Amedeo G. Conte si legge “il tempo è inscritto nell’intemporale” (Amedeo G. Conte, Il luogo del
tempo, 1981).
33
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 91, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 46).
34
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 91, a. 2, ad 3 (tr. it. vol. XII, p. 46).
35
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 91, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 46).
36
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 91, a. 2, ad 3 (tr. it. vol. XII, p. 46).
37
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 91, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 46).
38
Angelo Campodonico, Integritas: metafisica ed etica in San Tommaso, 1996, p. 180.

5
3.2.1. In Tommaso, la lex naturalis, in quanto partecipazione della legge eterna nella creatura
razionale, “non è concepita più, come nella scolastica precedente, sotto la forma di una disposizione
innata della volontà o di una facoltà speciale dell’anima”. 39 Ogni uomo ha accesso ai precetti primi
della lex naturalis grazie ad un habitus, cioè una costante disposizione, che Tommaso chiama
‘synderesis’, con un termine introdotto da Girolamo probabilmente come calco imperfetto del
termine greco per ‘coscienza morale’.
Pertanto, la sinderesi è l’abito [“habitus”] contenente i precetti della lex naturalis (che sono i
principî primi dell’agire umano [“prima principia operum humanorum”]) e, perciò, la sinderesi è
detta legge dell’intelletto umano [“lex intellectus nostri”].40
Secondo Tommaso, “è chiaro come differiscano la sinderesi, la lex naturalis e la coscienza”: “la lex
naturalis indica gli stessi principî universali del diritto [“universalia principia iuris”], la sinderesi
indica il loro abito, o la potenza con l’abito; la coscienza infine una certa applicazione della lex
naturalis quanto al fare qualcosa al modo di una certa conclusione.” 41 “Per esempio: la sinderesi
propone che ogni male va evitato; la ragione superiore aggiunge che l’adulterio è un male poiché è
proibito dalle legge di Dio (invece la ragione inferiore aggiungerebbe che l’adulterio è un male
poiché è ingiusto o disonesto); la conclusione infine, cioè che questo adulterio va evitato, appartiene
alla coscienza”.42
A differenza di coscienza, ragione (e volontà), la sinderesi non può sbagliare: l’azione che sia in
contrasto con la lex naturalis dipende, pertanto, da un errore di coscienza, ragione (o volontà) nella
individuazione o attuazione di un precetto particolare, non da un errore della sinderesi riguardo ai
principî universali del diritto.

3.2.2. Strettamente dipendente dalla teoria della sinderesi è la tesi tomista riguardo l’incancellabilità
(o inestinguibilità) della lex naturalis dal cuore dell’uomo, che riguarderebbe i principî
universalissimi [“communissima”] e non, invece, i precetti secondi [“secundaria praecepta”].43 È da
notare che Tommaso ha sempre cura di preservare la libertà dell’uomo insieme alla sua permanente
possibilità di partecipare all’intellettualità divina; infatti, qui Tommaso considera aperte alla storia
degli uomini le concrete modalità di determinazione e applicazione dei principî universalissimi, ma,
altresì, considera garantito ad ogni uomo, attraverso la sinderesi, l’accesso a tali principî: dunque,
un uomo libero, ma che, nella sua libertà, ha una possibilità di orientarsi che nessuna colpa può
estinguere.
I principî universalissimi non possono essere cancellati dal cuore dell’uomo, almeno nella loro
formulazione universale [“in universali”]; possono però essere contingentemente disapplicati a
causa delle passioni umane44 (correlativamente, anche l’osservanza dei precetti generali della lex
naturalis non può essere dispensata da nessuna autorità).45
I precetti secondi possono, invece, essere cancellati dal cuore dell’uomo o per ragionamenti
sbagliati, o per consuetudini perverse e per abiti corrotti. È da segnalare l’estensione molto ampia
dei precetti secondi: Tommaso vi ricomprende i precetti contro i furti (che non erano osservati dai
Germani) e anche i precetti relativi ai vizi contro natura di cui riferiva Paolo nell’Epistola ai
Romani (Rm 1:26).46 La persistente consuetudine al peccato può oscurare la lex naturalis nei più; è
proprio l’insufficienza di un’oscurata lex naturalis ad avere reso necessario un successivo diritto
divino positivo.47

39
Cornelio Fabro, Breve introduzione al Tomismo, 1960; 2007, cap. IV.
40
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 1, ad 2 (tr. it. vol. XII, p. 92).
41
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 2, d. 24, q. 2, a. 4, co. (tr. it. vol. IV, p. 185).
42
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 2, d. 24, q. 2, a. 4, co. (tr. it. vol. IV, pp. 183-185).
43
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 6, co. (tr. it. vol. XII, p. 108).
44
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 6, co. (tr. it. vol. XII, p. 108).
45
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 4, ad 3 (tr. it. vol. XII, p. 156); “dispensatio ad ius naturale non pertinet, sed solum
ad positivum” (Quaestiones de quodlibet, IX, q. 7, a. 2, co.).
46
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 6, co. (tr. it. vol. XII, p. 108).

6
3.3. Fondamento e articolazione materiale dei precetti della lex naturalis.

3.3.1. Il primo elemento che la ragione pratica apprende è il bene inteso come ciò che tutte le cose
desiderano [“Bonum est quod omnia appetunt”]; infatti la ragione pratica è orientata all’azione e
ogni agente agisce in vista di un fine che, analiticamente, ha ragione di bene.48
In questo senso il bene è per la ragione pratica ciò che l’ente è per la ragione speculativa. E se per la
ragione speculativa il primo principio indimostrabile (ma universalmente conosciuto) è il principio
di non-contraddizione (che si fonda, appunto, sulla nozione di ente e di non-ente), per la ragione
pratica il primo principio (che si fonda sulla nozione di bene) è il seguente: “il bene deve essere
fatto e ricercato, e il male deve essere evitato” [“Bonum est faciendum et prosequendum, et malum
vitandum”].49
Dunque in Tommaso vi è questa proporzione analogica: la ragione speculativa sta alla ragione
pratica come l’ente sta al bene e come il principio di non-contraddizione sta al principio per cui “il
bene deve essere fatto e ricercato, e il male deve essere evitato”.
I molti precetti della lex naturalis hanno in tale principio un’unica radice [“sunt multa praecepta
legis naturae in seipsis, quae tamen communicant in una radice”].50

3.3.2. Tommaso non deduce la lex naturalis “alla maniera razionalistica ed essenzialistica”, ma
piuttosto “prende atto della presenza nell’uomo di tendenze naturali premorali già orientate a
determinati fini”.51
In particolare, l’ordine dei precetti della lex naturalis segue l’ordine delle inclinazioni naturali:
1) l’inclinazione all’auto-conservazione (comune a tutte le sostanze);
2) l’inclinazione alla riproduzione (comune a tutti gli esseri naturali);
3) l’inclinazione alla conoscenza e alla socialità (inclinazione che è specifica dell’uomo).52
Così appartengono alla lex naturalis:
1) tutti i precetti attraverso la cui osservanza la vita dell’uomo può conservarsi e non distruggersi;
2) tutti i precetti attraverso la cui osservanza l’uomo può riprodursi (ad es. i precetti relativi
all’unione di maschio e femmina, o all’educazione dei figli);
3) tutti i precetti attraverso la cui osservanza l’uomo può evitare l’ignoranza e non danneggiare le
persone con le quali deve convivere.53
Dunque la lex naturalis ha come unica radice il principio del bene da cui si sviluppano i precetti
dell’auto-conservazione, della riproduzione e della cultura (con “precetti della cultura” propongo di
raccogliere i precetti relativi alla conoscenza e alla socialità).

3.4. Precetti primi vs. precetti secondi della lex naturalis.

3.4.1. Una distinzione fondamentale è quella tra precetti primi e precetti secondi della lex naturalis
(tale distinzione è, in un certo senso, la proiezione della distinzione tra lex aeterna e lex naturalis in

47
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 3, d. 1, q. 1, a. 4, co. (tr. it. vol. VI, p. 945). Ma, più in generale, si è reso
necessario un diritto divino positivo perché molti elementi del diritto naturale erano nascosti agli uomini: ius divinum
“partim est de his quae sunt naturaliter iusta, sed tamen eorum iustitia homines latet” (Summa theologiae, IIa-IIae, q. 57,
a. 2, ad 3; tr. it. vol. XVII, p. 34).
48
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 94). Cfr. Sententia libri Ethicorum, lib. 1, l. 1, n. 9 (tr. it.
vol. I, pp. 44-45) dove Tommaso commenta l’incipit dell’Ethica Nicomachea: “a ragione si è affermato che il bene è
“ciò cui ogni cosa tende””.
49
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 94).
50
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 2, ad 2 (tr. it. vol. XII, p. 96).
51
Angelo Campodonico, Integritas: metafisica ed etica in San Tommaso, 1996, pp. 178-180.
52
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, pp. 94-96).
53
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, pp. 94-96).

7
quanto riproduce all’interno della lex naturalis la stessa dialettica che vi è tra lex aeterna e lex
naturalis).
Tommaso ritiene che, mentre i precetti primi [“prima praecepta”] della lex naturalis hanno per sé
stessi forza coattiva di precetto, invece le norme della lex naturalis prescritte in quanto derivate dai
principî primi della lex naturalis [“quasi ex primis principiis legis naturae derivata”] non hanno per
sé stesse forza coattiva di precetto [“non habent vim coactivam per modum praecepti absolute”] se
non dopo che siano state sancite dalla legge divina o umana. 54 E tra queste norme derivate Tommaso
pone anche la norma che prescrive la monogamia 55 e quella che prescrive l’indissolubilità del
matrimonio56.
Nella reazione al volontarismo di impronta scotista, gli interpreti tomisti, come già Caietano (1468-
1534) e Francisco de Vitoria (1483-1546), attenuarono la differenza tra precetti primi e precetti
secondi considerando entrambi come “incondizionatamente valevoli”.57 Tale opinione rappresentò
un grave errore ermeneutico che portò a fare della teoria tomista “una scienza morale deduttiva” 58 e
quindi una forma di “rigorismo”59. Un errore simmetrico, ma opposto, è quello che a me pare sia
stato compiuto da Sergio Cotta (in un libro peraltro originalissimo e che ha anticipato letture di
Tommaso molto successive): negare che i precetti secondi facciano parte della lex naturalis, poiché
essi sono “particolari, mutevoli e contingenti”. 60 Sia l’interpretazione (di Caietano e Vitoria) che
assimila i precetti secondi ai precetti primi, sia l’interpretazione (di Cotta) che considera come
precetti della lex naturalis solo i precetti primi e non i precetti secondi, sono interpretazioni
(erronee) opposte (con esiti opposti sui contenuti normativi della lex naturalis), ma simmetriche,
perché condividono la medesima presupposizione (erronea): una lex naturalis non articolata in
precetti primi e in precetti secondi, quindi assolutamente immutabile, financo “perenne e
universale”61, come condizione necessaria per non cadere “in quel relativismo che la dottrina
giusnaturalistica vuole impedire”62.
Tommaso distingue tra precetti primi della lex naturalis e precetti secondi, che dalla lex naturalis
derivano, sulla base del fatto che il comportamento oggetto del precetto sia (o non sia) condizione
necessaria del conseguimento di un fine naturale primo.
Si ha un precetto primo della lex naturalis se il comportamento prescritto dal precetto è condizione
necessaria del conseguimento di un fine naturale primo (ad es. sono fini naturali primi la
procreazione e l’educazione della prole).
Si ha un precetto secondo, che dalla lex naturalis deriva, in due casi: 1) se il comportamento
prescritto dal precetto non è condizione necessaria del conseguimento di un fine naturale primo, ma
può favorire il suo conseguimento (ad es. un pasto ordinato favorisce il conseguimento del fine
naturale primo consistente nella salute del corpo); 2) se il comportamento prescritto dal precetto è
condizione necessaria (o anche semplice condizionamento agevolante) del conseguimento di un fine
naturale secondo.63
Secondo Tommaso, “dovendo gli atti umani variare secondo le diverse condizioni delle persone, dei
tempi e di altre circostanze”, i precetti secondi della lex naturalis derivano dai precetti primi non
come conclusioni che sono sempre efficaci [“ut semper efficaciam habentes”], ma come conclusioni

54
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 4, d. 33, q. 1, a. 1, ad 1-2 (tr. it. vol. IX, p. 451).
55
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 4, d. 33, q. 1, a. 1, ad 1 (tr. it. vol. IX, p. 451).
56
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 4, d. 33, q. 2, a. 2, qc. 1, co. (tr. it. vol. IX, p. 481).
57
Joseph Arntz, Lo sviluppo del pensiero giusnaturalistico all’interno del tomismo, 1970, p. 131.
58
Joseph Arntz, Lo sviluppo del pensiero giusnaturalistico all’interno del tomismo, 1970, p. 131.
59
Joseph Arntz, Lo sviluppo del pensiero giusnaturalistico all’interno del tomismo, 1970, p. 135.
60
Sergio Cotta, Il concetto di legge nella Summa theologiae di S. Tommaso d’Aquino, 1955, pp. 108-110.
61
Sergio Cotta, Il concetto di legge nella Summa theologiae di S. Tommaso d’Aquino, 1955, p. 112.
62
Sergio Cotta, Il concetto di legge nella Summa theologiae di S. Tommaso d’Aquino, 1955, p. 109. Cotta ha mostrato
analiticamente le caratteristiche di mutabilità dei precetti secondi della lex naturalis, ma, invece di riconsiderare il
concetto di lex naturalis in modo diverso dalle astrazioni del giusnaturalismo moderno, ha espunto i precetti secondi
dalla lex naturalis.
63
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 4, d. 33, q. 1, a. 1, co. (tr. it. vol. IX, pp. 449-451).

8
che sono efficaci nella maggior parte dei casi [“sed in maiori parte”]. 64 Come ha recentemente
scritto Maurizio Chiodi, la distinzione tra precetti primi e precetti secondi “segnala un’istanza
ineludibile, quella dell’universalità e quindi dell’assolutezza della legge morale, che però chiede di
essere ripensata, in modo ermeneutico, non in opposizione, ma in rapporto alla categoria della
storicità delle norme morali e alla loro differenza”.65

3.4.2. Relativamente al c.d. “Codice dell’Alleanza” (Exodus, 20:22-23:19), una distinzione analoga
a quella tra precetti primi e precetti secondi è quella, proposta da Albrecht Alt e ripresa da Joseph
Ratzinger, tra “apodiktisches Recht” e “casuistisches Recht”, tra diritto apodittico e diritto
casuistico.66

3.4.2.1. Così Ratzinger, che si riferisce alle ricerche di Frank Crüsemann e Olivier Artus, scrive che
il “diritto casuistico comporta norme che regolano questioni molto concrete: disposizioni giuridiche
circa il mantenimento e l’affrancamento degli schiavi, circa le lesioni fisiche a opera di uomini o
animali, circa l’indennizzo in caso di furto eccetera”. 67 Il diritto casuistico “serve alla costruzione di
un ordinamento sociale realistico, e si commisura alle possibilità concrete di una società in una
situazione storica e culturale ben determinata”. 68 È dunque “un diritto condizionato storicamente,
che è senz’altro suscettibile di critica, spesso anche - secondo la nostra visione etica - bisognoso di
critica”.69 E, pertanto, “nell’ambito stesso della legislazione veterotestamentaria, è stato
ulteriormente sviluppato: norme più recenti contraddicono norme più antiche sulla stessa materia”. 70
Dunque, il diritto casuistico non è “immediatamente diritto divino, bensì diritto che si è sviluppato a
partire dal criterio di fondo del diritto divino e quindi diritto suscettibile di ulteriore sviluppo e di
correzioni”.71

3.4.2.2. A differenza del diritto casuistico, il diritto apodittico “è pronunciato nel nome stesso di
Dio”.72 Esempi di norme appartenenti al diritto apodittico sono: “Non molesterai il forestiero né lo
opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto”; “Non maltratterai la vedova o
l’orfano”.73 È a partire da tali norme che la critica dei profeti “ha ripetutamente messo in
discussione consuetudini giuridiche concrete per far valere l’essenziale nocciolo divino del diritto
quale criterio e linea d’orientamento per ogni sviluppo del diritto e per ogni ordinamento sociale”.74
Secondo Ratzinger, “[a]ll’interno stesso della Torah e poi nel dialogo tra Legge e Profeti vediamo
già la contrapposizione tra diritto casuistico mutevole, che forma di volta in volta la struttura
sociale, e i princìpi essenziali del diritto divino stesso, alla luce dei quali si devono di continuo
misurare, sviluppare e correggere le norme pratiche”. 75 Dunque, “Gesù non fa niente di inaudito o di
nuovo quando contrappone alle norme casuistiche, pratiche, sviluppate nella Torah, la pura volontà
divina”.76 In tale prospettiva, “anche la cristianità dovrà continuamente rielaborare e riformulare gli

64
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 4, d. 33, q. 1, a. 2, co. (tr. it. vol. IX, pp. 457).
65
Maurizio Chiodi, La tradizione tomista e l’emergenza del moderno, 2007, p. 92.
66
Cfr. Albrecht Alt, Die Ursprünge des israelitischen Rechts, 1934. La distinzione di Alt tra diritto apodittico e diritto
casuistico è celebre nell’ermeneutica biblica; qui non rileva il fatto che sia stata anche criticata dal punto di vista
filologico e linguistico.
67
Joseph Ratzinger / Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, 2007, p. 152.
68
Joseph Ratzinger / Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, 2007, p. 152.
69
Joseph Ratzinger / Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, 2007, p. 152.
70
Joseph Ratzinger / Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, 2007, p. 152.
71
Joseph Ratzinger / Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, 2007, p. 152.
72
Joseph Ratzinger / Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, 2007, p. 153.
73
Joseph Ratzinger / Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, 2007, p. 153.
74
Joseph Ratzinger / Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, 2007, p. 153.
75
Joseph Ratzinger / Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, 2007, pp. 154-155.
76
Joseph Ratzinger / Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, 2007, p. 155.

9
ordinamenti sociali”: “[d]i fronte a nuovi sviluppi la cristianità correggerà ciò che era stato
precedentemente stabilito”.77

3.4.3. Infine segnalo un’analogia che meriterebbe di essere indagata: quella tra il paradigma
tomistico “precetti primi vs. precetti secondi” ed il paradigma kantiano “imperativi categorici la cui
violazione non può neppure essere pensata vs. imperativi categorici la cui violazione non può essere
voluta”.78 In particolare, mi sembra che sussista una duplice analogia:
(i.) l’analogia tra precetti primi e imperativi categorici la cui violazione non può neppure essere
pensata;
(ii.) l’analogia tra precetti secondi e imperativi categorici la cui violazione non può essere voluta.

4. Le caratteristiche distintive della lex naturalis (vs. la lex aeterna).

4.1. Assolutezza e relatività della lex naturalis.

4.1.1. Come scrive Tommaso, “il modo di osservare le cose che sono della lex naturalis non può
essere uniforme [“uniformis”] in tutti i casi [“in omnibus”] per le diversità che accadono nei casi
singolari, come nemmeno si può usare lo stesso tipo di cura per tutti coloro che soffrono della
medesima malattia”.79
Infatti, la proporzione analogica tra ragione speculativa e ragione pratica salta quando si passa dal
piano dei principî universali a quello delle conclusioni particolari. Mentre la ragione speculativa,
trattando prevalentemente di cose necessarie [“necessaria”], riproduce nelle conclusioni particolari
la verità dei principî universali, la ragione pratica, trattando di cose contingenti [“contingentia”]
quali sono le azioni umane, diminuisce la propria capacità di conservare la verità dei principî mano
a mano che dai principî universali si passi a norme d’azione sempre più particolari.80
Ciò non rappresenta un limite della ragione pratica, ma una caratteristica strutturale della materia su
cui verte: pretendere per la ragione pratica gli stessi criteri della ragione speculativa significherebbe
presupporre una natura sottratta al cambiamento e quindi omologa agli enti eterni (e in questo senso
nelle utopie sociali o nella personalità paranoica è all’opera la pericolosa assimilazione della
ragione pratica alla ragione speculativa).

4.1.2. Nella prospettiva di Aristotele e Tommaso, per le realtà contingenti [“in rebus
contingentibus”], quali sono i fenomeni naturali e le cose umane, basta la certezza [“certitudo”] che
qualcosa sia vero nella maggior parte dei casi [“in pluribus”], sebbene in pochi casi [“in
paucioribus”] possa essere inadeguato [“deficiat”]. 81 “Nelle faccende umane [“in negotiis humanis”]
non si può avere una prova apodittica [“probatio demonstrativa”] e infallibile, ma basta una prova
congetturale, simile a quella che usano gli oratori per persuadere” 82; “basta una certezza probabile,
che attinge la verità nella maggior parte dei casi [“in pluribus”], sebbene in pochi casi [“in
paucioribus”] si scosti dalla verità”83.
Tommaso sviluppa il tema della certezza che si può raggiungere nelle questioni normative
commentando il passo di Ethica Nicomachea in cui Aristotele discute la medesima questione
77
Joseph Ratzinger / Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, 2007, pp. 155-156.
78
Sul paradigma kantiano “imperativi categorici la cui violazione non può neppure essere pensata vs. imperativi
categorici la cui violazione non può essere voluta” mi permetto di rinviare al mio Filosofia dell’atto giuridico in
Immanuel Kant, 1998, pp. 1-5.
79
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 4, d. 15, q. 3, a. 2, qc. 1, co. (tr. it. vol. VIII, p. 255).
80
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 4, co. (tr. it. vol. XII, p. 100).
81
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 1, ad 3 (tr. it. vol. XII, p. 128).
82
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 105, a. 2, ad 8 (tr. it. vol. XII, p. 436).
83
Summa theologiae, IIa-IIae, q. 70, a. 2, co. (tr. it. vol. XVII, p. 270).

10
(1094b 11-28). Tommaso scrive che “la certezza non è attingibile, né va cercata allo stesso modo in
tutti i discorsi nei quali si tratta di un determinato argomento” 84: “in una materia variabile e
contingente non ci può essere lo stesso grado di certezza che c’è in una materia necessaria, la quale
si presenta sempre alla stessa maniera”85. E “la materia della scienza morale è tale che sfugge a una
certezza perfetta” [“non est ei conveniens perfecta certitudo”].86 Quindi, in tale materia, “non esiste
un’opinione certa degli uomini, ma si registra una grande differenza nelle valutazioni che ne danno i
singoli individui”.87

4.1.3. Pertanto, la lex naturalis è la medesima presso tutti gli uomini riguardo ai suoi primi principî
comuni [“prima principia communia”], mentre se da questi principî si passa alle loro conclusioni la
lex naturalis (seppure in pochi casi [“in paucioribus”]) può venire meno sia riguardo alla sua
rettitudine, sia riguardo alla conoscenza che di essa hanno gli uomini.88
La strutturale inadeguatezza del principio universale a cogliere le particolarità della fattispecie
concreta era stato già segnalato da Aristotele, il quale aveva sviluppato la proprio teoria
dell’epieíkeia come correttivo di tale inadeguatezza. 89 Infatti, secondo Aristotele “la legge è sempre
una norma universale, mentre di alcuni casi singoli non è possibile trattare correttamente in
universale”.90 “Nelle circostanze, dunque, in cui è inevitabile parlare in universale, ma non è
possibile farlo correttamente, la legge prende in considerazione ciò che si verifica nella
maggioranza dei casi, pur non ignorando l’errore dell’approssimazione. E non di meno la legge è
corretta: l’errore non sta nella legge né nel legislatore, ma nella natura della cosa, giacché la materia
delle azioni ha proprio questa caratteristica intrinseca.”91

4.1.4. Come ho detto, i fallimenti della lex naturalis aumentano quanto più si tenga conto di
circostanze particolari. A tale proposito, Tommaso cita il famoso esempio del dovere del depositario
di restituire al deponente le cose ricevute in deposito 92: un dovere sussistente nella maggiore parte
dei casi, ma che ammette delle eccezioni quanto più si considerino circostanze particolari.93

4.1.4.1. L’esempio del deposito risale alla Repubblica di Platone in cui si legge che, nonostante sia
giusto “restituire ciò che si sia ricevuto da qualcuno”, chiunque direbbe che non sarebbe giusto

84
Sententia libri Ethicorum, lib. 1, l. 3, n. 1 (tr. it. vol. I, p. 57).
85
Sententia libri Ethicorum, lib. 1, l. 3, n. 5 (tr. it. vol. I, p. 59).
86
Sententia libri Ethicorum, lib. 1, l. 3, n. 1 (tr. it. vol. I, p. 57).
87
Sententia libri Ethicorum, lib. 1, l. 3, n. 2 (tr. it. vol. I, p. 57).
88
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 4, co. (tr. it. vol. XII, p. 102).
89
Aristotele, Ethica Nicomachea, 1137a 31-1138a 3 (tr. it. pp. 221-223). Cfr. Amedeo G. Conte, Eikon: filosofia
dell’equità, 2006.
90
Aristotele, Ethica Nicomachea, 1137b 13-14 (tr. it. p. 221).
91
Aristotele, Ethica Nicomachea, 1137b 14-19 (tr. it. pp. 221-222).
92
Sulla fortuna filosofica dell’esempio del deposito (che è stato al centro anche di una celebre critica di Hegel a Kant)
mi permetto di rinviare al mio Filosofia dell’atto giuridico in Immanuel Kant, 1998, pp. 59-94.
93
Per esattezza filologica (e completezza filosofica), va segnalato che in Tommaso l’inadeguatezza strutturale del
dovere generale di restituzione del deposito non è connessa solo alla strutturale insussumibilità di tutte le fattispecie
concrete, ma anche alla mutabilità della natura umana: poiché “la natura dell’uomo è mutevole”, “talora la volontà
dell’uomo si deprava” così “capita il caso in cui non si deve rendere il deposito, affinché chi ha la volontà perversa non
se ne serva malamente, come nel caso in cui richieda le armi depositate un pazzo o un nemico della patria” (Summa
theologiae, IIa-IIae, q. 57, a. 2, ad 1, tr. it. vol. XVII, p. 34; cfr. Sententia libri Ethicorum, lib. 5, l. 12, n. 13, tr. it. vol. I,
p. 601). Mi sembra che in questi due passi la forza dell’esempio del deposito abbia condotto Tommaso ad utilizzarlo in
modo non completamente pertinente: infatti, con l’esempio del deposito è in questione l’assolutezza sincronica ( vs.
relatività) della legge naturale e non la sua immutabilità diacronica (vs. mutabilità). L’utilizzo dell’esempio fatto da
Tommaso non è però ingiustificato perché comune è la tesi di cui le due questioni sono articolazione: la tesi è quella
secondo cui la legge naturale non può essere interamente a priori rispetto alla sua applicazione.

11
restituire le armi ricevute da un amico assennato quando poi questo, impazzito, le richieda 94, poiché
“non tutto va restituito allorché lo richieda chi non è in senno”95.
L’esempio venne poi ripreso e arricchito da Cicerone, nel De Officiis, secondo cui “molte cose che
sembrano oneste per natura, non lo sono più in certe circostanze [“temporibus fiunt non honesta”]:
il mantenere promesse, osservare i patti, rendere un deposito, cessano di essere cose oneste, quando
l’utile si muti in danno”. In particolare, non sarebbe onesto rendere la spada a chi ce l’avesse
consegnata nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, ma poi, impazzito, venisse a richiedercela.
E così non andrebbe neppure restituita la somma di denaro avuta in deposito da chi poi volesse
portare guerra alla patria.96 Dunque, per Cicerone il deposito non va reso quando la restituzione
possa recare danno al deponente o alla patria.
Gli argomenti di Cicerone sono ripresi, in parte, da Seneca: il deposito non va restituito se la
restituzione danneggi il deponente: “Restituire un deposito è una cosa da ricercare di per sé; tuttavia
non restituirò sempre, né in qualunque circostanza. [...] Guarderò all’utilità di colui al quale intendo
restituire, e rifiuterò di restituirgli il deposito, se ciò gli potrà nuocere”.97

4.1.4.2. Tommaso utilizza l’esempio del deposito per mostrare che “rispetto alle conclusioni
particolari della ragione pratica non v’è una verità o una norma identica per tutti”. Infatti dal
principio (che per tutti è sempre giusto e vero) secondo cui si deve agire secondo ragione segue
“quasi come conclusione propria [“quasi conclusio propria”], che si devono restituire le cose
depositate”.98 Ma tale conclusione, se è vera nella maggior parte dei casi [“in pluribus”], non è però
vera sempre. Infatti può capitare in qualche caso [“in aliquo casu”] che la restituzione sia dannosa e
quindi irragionevole, “nel caso, per esempio, che uno richieda il deposito per servirsene contro la
patria”.99 È interessante che Tommaso ritenga che le inapplicazioni del dovere di restituzione
aumentino quanto più si scende a determinare i casi particolari [“ad particularia”], ad esempio
quando si deve specificare con quali cauzioni e in quale modo i depositi vadano restituiti: poiché
più si considerano le condizioni particolari [“conditiones particulares”] e più crescono i casi il cui
principio deve non applicarsi [“deficere”].100

4.1.4.3. Come ho detto sopra (§ 4.1.3.), la strutturale inadeguatezza del principio universale a
cogliere le particolarità della fattispecie concreta era stato già segnalato da Aristotele, il quale aveva
sviluppato la propria teoria dell’epieíkeia come correttivo di tale inadeguatezza. Analogamente,
Tommaso riprende diffusamente l’esempio del deposito proprio in sede di analisi dell’epieíkeia. Il
presupposto di Tommaso è lo stesso di Aristotele: “non è possibile porre una norma che in qualche
caso non sia inadeguata [“deficeret”], perché gli atti umani, che sono oggetto della legge,
consistono in fatti contingenti e singolari, che possono variare in infiniti modi”: necessariamente,
una legge deve considerare “quello che capita nella maggior parte dei casi [“in pluribus”]”. 101 Così
la legge secondo cui i depositi debbano essere restituiti è giusta “nella maggior parte dei casi [“in
pluribus”]”, ma sarebbe male seguire la legge qualora si dovesse “restituire la spada a un pazzo
furioso mentre è fuori di sé, oppure nel caso in cui uno la richieda per combattere contro la
patria”.102

4.2. Immutabilità e mutabilità della lex naturalis.


94
Platone, Res publica, I, 331c (tr. it. p. 267).
95
Platone, Res publica, I, 332a (tr. it. p. 269).
96
Cicerone, De Officiis, III, 95 (tr. it. p. 397).
97
Seneca, De Beneficiis, IV, 10, 1 (tr. it. pp. 405-406).
98
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 4, co. (tr. it. vol. XII, p. 102).
99
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 4, co. (tr. it. vol. XII, p. 102).
100
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 4, co. (tr. it. vol. XII, p. 102).
101
Summa theologiae, IIa-IIae, q. 120, a. 1, co. (tr. it. vol. XIX, p. 274).
102
Summa theologiae, IIa-IIae, q. 120, a. 1, co. (tr. it. vol. XIX, p. 274).

12
4.2.1. Se sotto il profilo dell’assolutezza la lex naturalis mostra fallimenti e deviazioni, ancora più
sorprendente è quanto emerge se la lex naturalis è analizzata sotto il profilo diacronico della sua
mutabilità.
La questione della mutabilità della lex naturalis va inserita nella questione più complessiva di ciò
che può essere mutabile e di ciò che non può essere mutabile.
Tutti gli enti non eterni sono mutabili. Tra gli enti non eterni, gli enti naturali sono quegli enti che
hanno in sé stessi il principio del movimento. In questo senso, gli enti naturali si contrappongono,
anzitutto, a quelli artificiali, prodotti artificialmente, come un letto, un mantello o una casa, che, “in
quanto hanno ciascuno un nome appropriato e una determinazione particolare dovuta all’arte, non
hanno alcuna innata tendenza al mutamento”.103
La originaria e fondamentale connessione tra natura e movimento è asserita da Aristotele: “la
natura, nel suo senso originario e fondamentale [kyríōs], è la sostanza delle cose che posseggono il
principio del movimento [archèn kinéseōs] in sé medesimo e per propria essenza” 104; la natura “è
principio del movimento e del mutamento”105. Come acutamente commenta Michel Villey, è un
senso di ‘natura’ più vicino a quello dei botanici che a quello dei fisici.106
Ma va precisato che naturali non sono solo gli enti o i fenomeni che sarebbero stati oggetto delle
scienze della natura in quanto contrapposte alle scienze dello spirito. Il dinamismo interno (che
caratterizza ciò che, nella prospettiva di Aristotele e Tommaso, è naturale) è proprio anche delle
istituzioni sociali. Come scrive Michel Villey, “si sans doute ce sont les hommes qui ont édifié ces
institutions [cités, empires, familles, groupes sociaux, états modernes, fédérations d’états], ils ne les
ont pas édifiées consciemment et volontairement, mais par la ruse de la nature, à elles conduits par
l’inclination de la nature [...]. Toutes proportions gardées, une société pousse comme une arbre, ou
un organisme animal”.107
In questo senso, il diritto naturale può essere detto quel diritto che ha in sé il proprio dinamismo;
tale dinamismo non è però naturale se attuato dall’esterno con violenza108: dunque diritto naturale è
quel diritto che si genera e sviluppa per un proprio dinamismo non deviato da violenza esterna. Si
tratta di un concetto affine al concetto hayekiano di ordine sociale spontaneo.109

4.2.2. Tommaso asserisce la mutabilità, oltre che di ragione110, intelletto111 e volontà112 umani, anche
della stessa natura umana: “natura [...] hominis est mutabilis”. 113 Mentre ciò che è naturale per chi
ha una natura immutabile, necessariamente è tale sempre e dovunque [“semper et ubique”]. 114 Ecco
103
Aristotele, Physica, 192b 15-19 (tr. it. p. 27).
104
Aristotele, Metaphysica, 1015a 13-15 (tr. it. vol. II, p. 201). Tommaso si riferisce al capitolo nel quale ricorre il passo
di Aristotele citato quando in Summa theologiae, Ia, q. 29, a. 1, ad 4 (tr. it. vol. III, p. 78) scrive: “Come dice il Filosofo,
nel libro V della Metafisica, il nome di natura in origine fu usato per indicare la generazione dei viventi che si dice
nascita [“nativitas”]. E siccome questa generazione procede da un principio intrinseco, fu esteso tale nome ad indicare il
principio intrinseco di qualsiasi moto”.
105
Aristotele, Physica, 200b 12 (tr. it. p. 51). Al passo di Aristotele si riferisce Tommaso in Summa theologiae, Ia, q. 29,
a. 1, ad 4 (tr. it. vol. III, p. 78).
106
Michel Villey, Le droit naturel et l’histoire, 1968, 21969, p. 77.
107
Michel Villey, L’humanisme et le droit, 1966, 21969, p. 64.
108
Aristotele, Physica, 215a 1 (tr. it. p. 91): “ogni movimento è o per violenza o per natura”; cfr. Physica, 230b – 231a
(tr. it. pp. 134-136)
109
Sul concetto di ordine sociale spontaneo in Hayek (e non solo) rinvio a Stefano Moroni, L’ordine sociale spontaneo:
conoscenza, mercato e libertà dopo Hayek, 2005.
110
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 1, ad 1 (tr. it. vol. XII, p. 148).
111
Compendium theologiae, lib. 1, c. 129, co.
112
Compendium theologiae, lib. 1, c. 129, co.; Contra retrahentes, c. 12, co.
113
Summa theologiae, IIa-IIae, q. 57, a. 2, ad 1 (tr. it. vol. XVII, p. 34). Sulla mutabilità della natura in Tommaso, rinvio
all’interessante monografia di Luigi Baldi, Veritas mutabilis: natura umana e ricerca della verità in Tommaso
d’Aquino, 2006.
114
Summa theologiae, IIa-IIae, q. 57, a. 2, ad 1 (tr. it. vol. XVII, p. 34). Analogamente Agostino scriveva “hominis est
natura mutabilis, Dei autem incommutabilis” (Contra Faustum Manichaeum, XXVI, 6).

13
perché quanto è naturale per l’uomo [“quod naturale est homini”] può a volte decadere
[“deficere”].115
E poiché la natura umana “non è immutabile come quella divina”, “le norme di diritto naturale [ea
quae sunt de iure naturali] variano secondo gli stati e le condizioni degli uomini”. 116 Cioè, non solo
“la legge positiva varia secondo le diverse condizioni degli uomini nei vari tempi”, ma anche “la
lex naturalis ammette determinazioni diverse secondo i vari stati”.117

4.2.2.1. Il nesso tra mutabilità della natura umana e correlativa mutabilità della diritto naturale è
stato efficacemente asserito, in riferimento a Tommaso, da Giuseppe Graneris: “fra soggetti
mutevoli dobbiamo attenderci il mutare dei loro rapporti e quindi anche del loro diritto naturale”.118
E non si tratta, secondo Graneris, solo di un’evoluzione apparente, perché “dovuta tutta alla
mutevole cognizione che l’uomo ne acquista”, bensì di un mutamento reale “nelle stesse norme di
natura”119: è “il diritto naturale medesimo che compie l’opera di adattamento […] alle mutevoli
circostanze”120.
Interessante è l’osservazione di Graneris secondo cui è proprio tale mutabilità a segnare una cesura
tra la concezione classica del diritto naturale (propria di Tommaso) e la successiva concezione
moderna e razionalista (propria degli illuministi): “viene posta la scure alla radice del Codice eterno
degli illuministi, perché si nega l’ipotesi su cui esso riposa: l’ipotesi dell’uomo astratto, divelto
dalla storia, ridotto ad un fantasma rigido ed impassibile, sempre uguale a se stesso” 121; “il Codice
eterno ed inflazionistico è fuori del nostro pensiero tradizionale”.122
Molto icastiche sono poi le seguenti parole di Graneris:
“La vita si ride dei castelli di formole, siano essi castelli positivistici o siano
castelli giusnaturalistici. La vita ci offre ogni giorno un imprevisto, a cui è
impossibile applicare le vecchie formole. Per dominare la nuova realtà occorrono
formole nuove, che potranno ancora essere o date o suggerite dalla natura, perché
essa non ha parlato una volta per sempre, ma parla continuamente, e non è
condannata a ripetere sempre la stessa formola”.123

4.2.2.2. Seguendo Aristotele, la mutabilità di ogni creatura ha in Tommaso un fondamento


metafisico connesso al rapporto tra potenza e atto: il cambiamento segue la potenza. 124 In
particolare, secondo Tommaso, “ogni movimento [“motus”] o cambiamento [“mutatio”], in
qualsiasi modo venga detto, consegue a una qualche possibilità, dato che il movimento è l’atto di
ciò che esiste in potenza [“cum motus sit actus existentis in potentia”]”. 125 E “poiché ogni creatura
ha una certa potenza, o qualcosa della potenza, poiché solo Dio è puro atto [“purus actus”], bisogna
che tutte le creature siano mutevoli, e solo Dio immutabile”.126
Tutto ciò che non è puro atto è anche potenza e, dunque, è mutabile, anzi in mutamento.

115
Summa theologiae, IIa-IIae, q. 57, a. 2, ad 1 (tr. it. vol. XVII, p. 34).
116
Summa theologiae, Suppl., q. 41, a. 1, ad 3 (tr. it. vol. XXXI, p. 26).
117
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 4, d. 34, q. 1, a. 2, ad 4 (tr. it. vol. IX, p. 529).
118
Giuseppe Graneris, Contributi tomistici alla filosofia del diritto, 1949, p. 113.
119
Giuseppe Graneris, Contributi tomistici alla filosofia del diritto, 1949, p. 116.
120
Giuseppe Graneris, Contributi tomistici alla filosofia del diritto, 1949, p. 118.
121
Giuseppe Graneris, Contributi tomistici alla filosofia del diritto, 1949, pp. 113-114.
122
Giuseppe Graneris, Contributi tomistici alla filosofia del diritto, 1949, p. 115. Cioè non appartiene al giusnaturalismo
classico “il Codice perfetto, completo, universale, eterno, verboso, indigesto, davanti al quale ogni nuovo Codice deve
tacere, o perché inutile o perché dannoso corruttore” (Giuseppe Graneris, Contributi tomistici alla filosofia del diritto,
1949, p. 112)
123
Giuseppe Graneris, Contributi tomistici alla filosofia del diritto, 1949, pp. 113-114.
124
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 1, d. 8, q. 3, a. 2, co. (tr. it. vol. I, p. 497).
125
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 1, d. 8, q. 3, a. 1, co. (tr. it. vol. I, p. 495). Qui Tommaso parafrasa
Aristotele, Physica, 201a 10 (tr. it. p. 52), che scriveva: “l’atto di ciò che è in potenza, in quanto tale, è il movimento”.
126
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 1, d. 8, q. 3, a. 2, co. (tr. it. vol. I, p. 497).

14
Mentre, come scrive Aristotele, “nulla di ciò che è in potenza è eterno” 127; “nelle cose eterne non vi
è alcuna differenza tra il poter essere e l’essere”128.

4.2.3. Ma che cosa può mutare della lex naturalis? E come può mutare?

4.2.3.1. La lex naturalis può sempre essere mutata mediante l’aggiunta di nuove norme. Come
scrive Tommaso, molte sono le norme utili alla vita umana aggiunte alla lex naturalis sia dalla legge
divina, sia dalle leggi umane. In questo senso, nulla proibisce che la lex naturalis possa essere
mutata [“nihil prohibet legem naturalem mutari”].129
Più complessa è la questione se la lex naturalis possa essere mutata non mediante l’aggiunta di
nuove norme, ma mediante l’abrogazione [“per modum subtractionis”] di norme che appartengono
ad essa. Occorre distinguere, infatti, tra principî primi [“prima principia legis naturae”] e precetti
secondi [“secunda praecepta”]: mentre nessun principio primo può essere abrogato, i precetti
secondi possono mutare in corrispondenza di casi particolari ed eccezionali.130
Va però detto che l’aggiunta di nuove norme non è solo per colmare eventuali lacune, ma anche per
migliorare la lex naturalis; in questo secondo caso l’aggiunta di una nuova norma comporta anche
l’abrogazione della norma pre-esistente. Ad esempio il diritto di proprietà individuale [“distinctio
possessionum”] è stato inserito nella lex naturalis dalla ragione (in quanto utile alla vita umana) al
posto di un immediatamente naturale comunismo dei beni [“communis omnium possessio”] 131, per
tener conto, ad esempio, delle esigenze di coltivazione di un campo e del pacifico uso di esso 132:
perciò la proprietà privata si è aggiunta al diritto naturale [“iuri naturali superadditur”] per uno
sviluppo di esso dovuto alla ragione umana [“per adinventionem rationis humanae”]133.

4.2.3.2. Circa nello stesso periodo in cui Tommaso scrisse la Secunda (e dunque il Trattato sulla
legge ed il Trattato sulla giustizia), scrisse anche un commento all’Ethica Nicomachea che è di
fondamentale importanza non solo per ricostruire la ricezione del pensiero di Aristotele, ma anche
per chiarire ed approfondire le questioni etico-giuridiche della Summa e, quindi, anche il tema della
lex naturalis.
In particolare, relativamente alla questione della mutevolezza della lex naturalis, Tommaso precisa
la tesi di Aristotele secondo cui il giusto naturale è mobile, distinguendo due sensi di ‘naturale’. In
un primo senso ‘naturale’ fa riferimento alla ragione stessa, alla natura, di un qualcosa; in un
secondo senso ‘naturale’ fa riferimento a quanto da quella natura deriva.134
Se inteso nel primo senso, ciò che è naturale, non può mutare [“nullo modo mutatur”]; così non può
mutare il fatto che l’uomo sia un animale, perché ciò appartiene alla sua ragione costitutiva [“quasi
pertinens ad ipsam hominis rationem”]. Mentre, se inteso nel secondo senso, ciò che è naturale può
mutare; così in pochi casi [“in paucioribus”] possono mutare le disposizioni, le azioni ed i
movimenti [“dispositiones, actiones et motus mutantur”] dell’uomo.135 Quindi, secondo Tommaso,
vi sono ragioni non mutevoli anche di ciò che è mutevole: “rationes etiam mutabilium sunt
immutabiles”.136
Questi due sensi di ‘naturale’ (che individuano un naturale mutevole e un naturale non mutevole che
del primo è la ragione) valgono anche quando ‘naturale’ è predicato di ‘legge’ in “lex naturalis”.
127
Aristotele, Metaphysica, 1050b 7-8 (tr. it. vol. II, p. 423). “Est [...] nihil potentia sempiternum”, come leggeva
Tommaso.
128
Aristotele, Physica, 203b 30 (tr. it. p. 60).
129
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 5, co. (tr. it. vol. XII, p. 104).
130
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 5, co. (tr. it. vol. XII, pp. 104-106).
131
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 5, ad 3 (tr. it. vol. XII, p. 106).
132
Summa theologiae, IIa-IIae, q. 57, a. 3, co. (tr. it. vol. XVII, p. 36).
133
Summa theologiae, IIa-IIae, q. 66, a. 2, ad 1 (tr. it. vol. XVII, p. 210).
134
Sententia libri Ethicorum, lib. 5, l. 12, n. 13 (tr. it. vol. I, p. 601).
135
Sententia libri Ethicorum, lib. 5, l. 12, n. 14 (tr. it. vol. I, p. 601).
136
Sententia libri Ethicorum, lib. 5, l. 12, n. 13 (tr. it. vol. I, p. 601).

15
Pertanto, sono assolutamente immutabili [“nullo modo possunt mutari”] i principî che concernono
la natura stessa della giustizia [“illa quae pertinent ad ipsam iustitiae rationem”], come il principio
che non si deve rubare. Mentre le norme che ne derivano [“[i]lla vero quae consequuntur”] nella
minor parte dei casi [“in minori parte”] subiscono un cambiamento, come la norma sul dovere di
restituzione del deposito.137

4.2.3.3. Nello Scriptum super Libros Sententiarum Tommaso affronta una tematica affine a quella
della mutabilità della lex naturalis: la questione se si possa dispensare dall’osservanza della lex
naturalis. Analoga è la tesi: nessuno (tranne Dio) può dispensare dall’osservanza dei precetti primi
della lex naturalis, mentre è possibile la dispensa per i precetti secondi.138
Interessante è l’analogia, instaurata da Tommaso, tra la dispensa dall’osservanza dei precetti e il
mutamento del corso naturale delle cose. Secondo Tommaso, il mutamento del corso naturale delle
cose può avvenire in due modi: o in forza di una causa naturale, o in forza di una causa
soprannaturale: il mutamento in forza di una causa naturale può mutare il corso non di ciò che è
ordinato a realizzarsi sempre, ma solo di ciò che avviene frequentemente; mentre il mutamento in
forza di una causa soprannaturale (come avviene nei miracoli) può mutare il corso non solo di ciò
che avviene frequentemente, ma anche di ciò che è ordinato a realizzarsi sempre. 139 Analogamente
la dispensa dall’osservanza della legge di natura può essere possibile solo per i precetti secondi, ma
non per i precetti primi (per la dispensa dall’osservanza dei quali è richiesto l’intervento
soprannaturale di Dio). 140

4.2.4. La tesi della (relativa) mutevolezza del diritto naturale, prima di Tommaso, era stata asserita
da Aristotele nell’Ethica Nicomachea.141
Secondo Aristotele, “è naturale [“physikón”] il giusto che ha ovunque [“pantachoû”] il medesimo
valore [“dýnamin”] e non dipende dal fatto che l’opinione pubblica gli accordi o non gli accordi tale
valore”.142 Tale definizione potrebbe portare a ritenere che non vi sia un giusto naturale in virtù del
fatto che le cose giuste [“díkaia”] siano mutevoli [“kinoúmena”]. 143 Aristotele si contrappone a tale
tesi (che era propria dei sofisti) e, come avrebbe fatto Tommaso, distingue due piani: quello degli
dèi e quello degli uomini. Tra gli dèi “non è affatto vero” che non vi sia un giusto per natura (e tale
giusto per natura è immutabile)144, tra gli uomini, invece, “c’è una specie di giusto per natura
[“phýsei”] benché sia tutto mutevole [“kinētòn méntoi pân”]”145; infatti, se è vero che “sia la natura
sia la legge sono mutevoli”146, “pur tuttavia, c’è un tipo di giusto che si fonda sulla natura ed uno
che non si fonda sulla natura”147.
Aristotele si contrappone, dunque, alle tesi dei sofisti, ma la sua posizione non ne rappresenta una
semplice antitesi: Aristotele sostiene la mutabilità del diritto naturale, ma, a differenza dei sofisti,
non ritiene che la mutabilità implichi necessariamente arbitrarietà. Con molta efficacia Jean Yves
Jolif ha così parafrasato il pensiero di Aristotele:
“La thèse des Sophistes est vraie en ce qu’elle affirme que les règles déterminant
le juste et l’injuste sont changeantes; elle est fausse en ce qu’elle conclut que

137
Sententia libri Ethicorum, lib. 5, l. 12, nn. 13-14 (tr. it. vol. I, p. 601).
138
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 4, d. 33, q. 2, a. 2, qc. 1, co. (tr. it. vol. IX, pp. 479-481).
139
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 4, d. 33, q. 2, a. 2, qc. 1, co. (tr. it. vol. IX, p. 479).
140
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 4, d. 33, q. 2, a. 2, qc. 1, co. (tr. it. vol. IX, p. 481).
141
Aristotele, Ethica Nicomachea, 1134b 18 - 1135a 5 (tr. it. p. 209 e p. 211)
142
Aristotele, Ethica Nicomachea, 1134b 19-20 (tr. it. p. 209).
143
Aristotele, Ethica Nicomachea, 1134b 27 (tr. it. p. 211).
144
Aristotele, Ethica Nicomachea, 1134b 28-29 (tr. it. p. 211).
145
Aristotele, Ethica Nicomachea, 1134b 29-30 (tr. it. p. 211).
146
Aristotele, Ethica Nicomachea, 1134b 32 (tr. it. p. 211).
147
Aristotele, Ethica Nicomachea, 1134b 30 (tr. it. p. 211).

16
toutes ces règles sont purement conventionnelles et ne peuvent se réclamer de la
nature: ce qui est changeant n’est pas nécessairement arbitraire.”148

4.2.4.1. Leo Strauss è stato tra i primi ad evidenziare che, secondo Aristotele, “ogni diritto naturale
è mutevole”.149 Tale tesi, secondo Strauss, si connetterebbe all’idea aristotelica secondo cui “non c’è
disaccordo sostanziale tra il diritto naturale e le esigenze di una società politica”: “un diritto che
trascende la società politica […] non può essere il diritto naturale dell’uomo, animale politico per
natura”150; dunque, “il diritto naturale è parte integrante del diritto politico” 151. Aristotele si sarebbe
così opposto “alla divina follia di Platone e, in anticipo, ai paradossi degli stoici”. 152 Al tempo stesso
la posizione di Aristotele non è riconducibile a quella di chi, come Machiavelli, nega il diritto
naturale.153

4.2.4.2. Come ha scritto Hans-Georg Gadamer, il nocciolo profondo del pensiero di Aristotele sta
nel caratterizzare il diritto naturale accessibile agli uomini come fondato sulla natura della cosa e al
contempo parzialmente mutevole (limitando l’immutabilità del diritto naturale ai soli dèi).
Infatti, secondo Gadamer, Aristotele conosce “l’idea di un diritto immutabile, ma lo limita
esplicitamente agli dèi, affermando che tra gli uomini non solo il diritto positivo, ma anche il diritto
naturale è mutevole [“veränderlich”]. Questo carattere mutevole è per Aristotele fondato proprio sul
fatto che si tratta di diritto “naturale””.154
È giustificato chiamarlo diritto naturale perché in esso si impone la natura della cosa (e non la
convenzione tra gli uomini).155 Ma, in quanto “la natura della cosa lascia ancora un certo spazio alla
libera convenzione, anche tale diritto, in questa misura, è mutevole”.156 Pertanto, le norme del diritto
naturale non sono “norme scritte nelle stelle o poste in un preteso mondo morale naturale come in
un loro luogo immutabile, che si tratti solo di custodire e difendere”; ma, d’altro lato, “non sono
pure convenzioni, bensì riflettono realmente la natura delle cose”.157
In tale prospettiva va letta la ripresa aristotelica del seguente esempio platonico: “per natura [...] la
mano destra è più forte, eppure è possibile per chiunque diventare ambidestro”. 158 In questa relativa
mutevolezza le norme del diritto naturale si differenziano dalle leggi fisiche come, ad esempio,
quelle per le quali “il fuoco brucia qui da noi come in Persia”.159
Ecco perché, secondo Gadamer, la posizione di Aristotele sul diritto naturale “non può venire
confusa con quella della tradizione giusnaturalistica moderna”.160

148
Il commento è nell’edizione di René Antoine Gauthier / Jean Yves Jolif dell’Ethica Nicomachea, vol. II, 1958; 1970,
p. 394.
149
Leo Strauss, Natural Right and History, 1953 (tr. it. p. 170).
150
Leo Strauss, Natural Right and History, 1953 (tr. it. p. 168).
151
Leo Strauss, Natural Right and History, 1953 (tr. it. p. 169).
152
Leo Strauss, Natural Right and History, 1953 (tr. it. p. 168).
153
Leo Strauss, Natural Right and History, 1953 (tr. it. p. 174).
154
Hans-Georg Gadamer, Wahrheit und Methode: Grundzüge einer philosophischen Hermeneutik, 1960, p. 302 (tr. it. p.
371).
155
Hans-Georg Gadamer, Wahrheit und Methode: Grundzüge einer philosophischen Hermeneutik, 1960, p. 302 (tr. it. p.
371).
156
Hans-Georg Gadamer, Wahrheit und Methode: Grundzüge einer philosophischen Hermeneutik, 1960, p. 302 (tr. it. p.
371).
157
Hans-Georg Gadamer, Wahrheit und Methode: Grundzüge einer philosophischen Hermeneutik, 1960, pp. 303-304
(tr. it. p. 372).
158
Aristotele, Ethica Nicomachea, 1134b 33-35. Cfr. Hans-Georg Gadamer, Wahrheit und Methode: Grundzüge einer
philosophischen Hermeneutik, 1960, p. 302 (tr. it. p. 371).
159
Aristotele, Ethica Nicomachea, 1134b 26. Cfr. Hans-Georg Gadamer, Wahrheit und Methode: Grundzüge einer
philosophischen Hermeneutik, 1960, p. 303 (tr. it. p. 371).
160
Hans-Georg Gadamer, Wahrheit und Methode: Grundzüge einer philosophischen Hermeneutik, 1960, p. 302 (tr. it. p.
370).

17
4.2.5. Se Strauss e Gadamer, partendo dalla caratteristica della mobilità, hanno avuto il merito di
distinguere le tesi di Aristotele sul diritto naturale dalla visione astratta e rigida del giusnaturalismo
moderno, è stato però Michel Villey ad associare Tommaso (e lo stesso diritto romano) ad Aristotele
in una comune costellazione storico-filosofica: il “diritto naturale classico” (contrapposto ad un
diritto naturale moderno). Villey, con lo sviluppo della categoria del diritto naturale classico (che, in
riferimento all’antichità e al medio-evo, era già presente in Leo Strauss 161), ha offerto lo strumento
ermeneutico forse più utile non solo per accostarsi alla storia del diritto naturale (evitando fuorvianti
assimilazioni), ma anche per non considerare confatali la crisi del diritto naturale moderno e
l’irrilevanza teorico-pratica di ogni concezione del diritto naturale.

4.2.5.1. Come per Strauss e Gadamer, anche per Villey, una delle questioni centrali è quella della
(relativa) mutevolezza del diritto naturale.162 Per Villey (che non solo espone, ma anche ripropone le
tesi di Aristotele e Tommaso), il diritto naturale non può che essere (almeno in parte) mutevole,
perché è la natura ad essere (almeno in parte) mutevole; a tale proposito, Villey conferisce un ruolo
centrale all’asserzione secondo cui “natura [...] hominis est mutabilis” 163 e mostra come Tommaso
nella Summa theologiae la reíteri (seppure con qualche variazione lessicale) per ben quindici
volte.164
Bisogna dunque che il diritto naturale “suive les variations de son objet, varie dans le temps et
l’espace”165: non sono le stesse leggi “qui conviennent aux différents états de l’homme; dans le
régime démocratique et dans le régime oligarchique, avant et après l’avènement du Christ (Ia-IIae qu.
104, art. 3)”166; “ici le mariage est incestueux entre cousins même éloignés, là seulement entre
parents proches (S. Th. Suppl. qu. 54) – la monogamie justifiée dans une société chrétienne, ne
l’était pas au temps d’Abraham (ibid., qu. 65)”.167

4.2.5.2. Proprio perché derivato da una natura mutevole, il diritto naturale non può essere (come è
invece nella concezione moderna) un catalogo di soluzioni pre-confezionate: “puisque le principe
de base du droit naturel est de tirer le droit de la nature et que la nature est changeante (au moins en
partie), les solutions du droit ne sont pas arrêtées d’avance”.168 Il diritto naturale “n’est pas fait-
factum - déjà fait - mais toujours en train de se faire et de se défaire” 169; “il est à faire, pour être
vivant et répondre à des situations mouvantes”170.
161
Leo Strauss dedica il capitolo IV del suo Natural Right and History del 1953 al “classical natural right”; ricordo però
che Strauss, proprio sulla questione della mutabilità del diritto naturale, distingue la posizione di Tommaso da quella di
Aristotele.
162
Preciso che, nella sua analisi di Tommaso, Villey attribuisce la caratteristica della mutevolezza al ius naturale e non,
invece, alla lex naturalis che egli ritiene immutabile (vedi, ad esempio, quanto scrive in Mobilité, diversité et richesse
du droit naturel chez Aristote et Saint Thomas, 1984, p. 194) e correlativamente ritiene che la dottrina tomista del diritto
naturale sia contenuta nel solo Trattato sulla giustizia (IIa-IIae qq. 57 ss.) e non, invece, nel Trattato sulla legge (Ia-IIae
qq. 90 ss.) che riguarderebbe la sola legge morale e non, invece, quella giuridica (vedi, ad esempio, Saint Thomas et
l’immobilisme, 1965, 1969, p. 96, n. 2). Personalmente ritengo che l’avere trasformato la complessa e sfumata
distinzione - che per autorevoli studiosi di Tommaso, come John Finnis (Aquinas: Moral, Political, and Legal Theory,
1998, p. 135), è invece una equivalenza - tra ius naturale e lex naturalis in una limpida declinazione dell’opposizione
paradigmatica tra diritto e morale (e in una sostanziale indistinzione tra lex naturalis e lex aeterna) sia stato l’unico
errore ermeneutico compiuto da Villey in un’analisi peraltro esemplare e di importanza fondamentale.
Ricordo che Tommaso (tra le molte citazioni possibili) scrive che la legge [“lex”] non è, propriamente parlando, il
diritto medesimo [“ipsum ius”], ma una sorta di ragione del diritto [“aliqualis ratio iuris”] (Summa theologiae, IIa-IIae, q.
57, a. 1, ad 2; tr. it. vol. XVII, p. 32).
163
Summa theologiae, IIa-IIae, q. 57, a. 2, ad 1 (tr. it. vol. XVII, p. 34).
164
Michel Villey, Abrégé du droit naturel classique, 1961, p. 50.
165
Michel Villey, Une définition du droit, 1959, p. 56.
166
Michel Villey, Abrégé du droit naturel classique, 1961, p. 50.
167
Michel Villey, Une définition du droit, 1959, p. 56.
168
Michel Villey, Le droit naturel et l’histoire, 1968, 21969, pp. 77-78.
169
Michel Villey, Le droit dans les choses, 1989, p. 17.
170
Michel Villey, Le droit dans les choses, 1989, p. 22.

18
4.2.5.3. In questo senso, paradigmatico è il caso del diritto romano classico, che ha saputo
costantemente evolversi, ma non in modo arbitrario, o in applicazione di astratti principî, bensì per
essere plasticamente coerente con la natura delle situazioni sociali in continuo cambiamento.171
Secondo Villey, il diritto romano classico è “tiré de la nature des choses, construit par les
jurisconsultes à partir de l’observation des familles, des groupes de voisins ou des commerçants du
monde romain”, e, come tale, essendo basato sull’osservazione della società, ha saputo evolvere
insieme ad essa modificando nel tempo tutti i suoi istituti: “les conditions de forme et de fond
requises pour aliéner les choses, transmettre ses biens par testament; le statut du fils de famille, de
la femme, des étrangers…”.172 Per Villey il metodo del diritto romano (umilmente attento ai
fenomeni e, al tempo stesso, lontano dall’arbitrarietà del fatto compiuto propria del realismo
giuridico del XX secolo) è ancora il metodo da adottare se si voglia conoscere che cosa sia
realmente il diritto (oltre il tecnicismo e il positivismo che ne hanno prodotto l’oblio): “Pour trouver
le droit il faut encore étudier le monde. Le monde des actes humains et des relations sociales, dans
sa richesse inépuisable et le mystère vivant de son être, le monde riche d’un ordre implicite”.173

4.2.6. Sono, almeno in una certa misura, coerenti con il pensiero di Aristotele e di Tommaso quegli
autori che in epoca moderna non hanno separato naturalità e storicità del diritto. Ad esempio,
Rudolf Stammler (1856-1938) che ha introdotto il concetto di “diritto naturale a contenuto
variabile” (“Naturrecht mit wechselndem Inhalt”), ripreso con originali variazioni da Raymond
Saleilles (1865-1912); Georges Renard (1876-1943) che ha proposto il concetto di “droit naturel à
contenu progressif”; Alfred Verdroß (1890-1980) che ha contrapposto diritto naturale statico
(“statisches Naturrecht”) e diritto naturale dinamico (“dynamisches Naturrecht”) ed ha riproposto la
distinzione tra “diritto naturale primario” (“primäres Naturrecht”) e “diritto naturale secondario”
(“sekundäres Naturrecht”); Paul Foriers (collega e collaboratore di Chaïm Perelman) che ha scritto
di “droit naturel positif”; Giuseppe Capograssi (1889-1956) e altri studiosi raccolti nell’Unione
Giuristi Cattolici Italiani che dedicarono nel 1949 un congresso (e un successivo volume) al “diritto
naturale vigente”; Sergio Cotta (1920-2007) che fece proprio e sviluppò ampiamente il concetto di
“diritto naturale vigente” insieme alla feconda distinzione, da lui proposta, di “diritto naturale
relativo” e “diritto naturale assoluto”.

5. La legge umana.

5.1. La legge umana come integrazione necessaria della lex naturalis.

5.1.1. S’è detto che la lex naturalis è la partecipazione della lex aeterna nella creatura razionale, ma
s’è anche detto che tale partecipazione è necessariamente incompleta: infatti, la ragione umana non
è in grado di partecipare il dettame della ragione divina in modo pieno [“ad plenum”], ma solo a suo
modo e imperfettamente.174 Così l’uomo è partecipe naturalmente della lex aeterna secondo certi
principî universali [“secundum quaedam communia principia”], ma non secondo certe direttive
171
La lettura che del diritto romano diede Michel Villey presenta significativi punti di contatto con quella che, circa
negli stessi anni, diede un altro grande giurista quasi coetano di Villey e per più versi a lui affine: Bruno Leoni. Ad
esempio, Leoni così scriveva in Freedom and the Law, 1961, pp. 83-84: “Private Roman law, which the Romans called
jus civile, was kept practically beyond the reach of legislators during most of the long history of the Roman Republic
and the Empire”; “[...] private Roman Law was something to be described or to be discovered, not something to be
enacted – a world of things that were there, forming part of the common heritage of all Roman citizens.”; “The Roman
jurist was a sort of scientist: the objects of his research were the solutions to cases that citizens submitted to him for
study, just as industrialists might today submit to a physicist or to an engineer a technical problem concerning their
plants or their production”.
172
Michel Villey, Le droit naturel et l’histoire, 1968, 21969, p. 78.
173
Michel Villey, Leçons d’histoire de la philosophie du droit, 1957, 21962, p. 315.
174
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 91, a. 3, ad 1 (tr. it. vol. XII, pp. 48-50).

19
particolari relative a singole materie [“secundum particulares directiones singulorum”], che pur
tuttavia sono contenute nella lex aeterna.175 È dunque necessario che la lex naturalis, comprendendo
solo i principî universali e non le direttive particolari, venga integrata dalla ragione umana
attraverso norme particolari; come scrive Wolfgang Kluxen, qui “la ragione diviene
“inventivamente” attiva”: “la posizione della legge di natura lascia libero lo spazio della condotta
pratico-concreta alla determinazione libera e creativa compiuta dalla ragione”.176

5.1.2. Le norme particolari che integrano la lex naturalis vengono poste dalla ragione umana in due
modi: o come conclusioni [“per modum conclusionum”] dedotte dai principî della lex naturalis o
come determinazioni [“per modum determinationis”] della lex naturalis.177 Nel primo caso la norma
posta è una norma di diritto naturale; mentre nel secondo caso è una norma di diritto positivo.
Tale duplice modo di derivazione delle norme dai principî del diritto naturale è analizzato da
Tommaso anche nel commento all’Ethica Nicomachea. Infatti, Tommaso, dopo avere parafrasato e
commentato le definizioni aristoteliche di giusto naturale e di giusto legale [“iustum legale sive
positivum”], precisa che “il giusto legale o positivo trae sempre le sue origini dal giusto naturale”
avvertendo però che “sono due i modi in cui una norma può derivare dal diritto naturale”.178

5.1.2.1. Il primo modo in cui una norma può derivare dal diritto naturale è “come conclusione
direttamente dedotta dai principî” [“conclusio ex principiis”], ma una norma di diritto positivo non
può derivare dal diritto naturale in tale modo perché altrimenti sarebbe una norma necessitata dalla
premesse e quindi “vincolante sempre e dovunque”; pertanto dal diritto naturale possono derivare
come conclusioni dai principî [“quasi conclusio”] solo altre norme di diritto naturale (ad esempio,
dal principio di diritto naturale che non bisogna danneggiare ingiustamente nessuno segue come
conclusione la norma di diritto naturale che non bisogna rubare). 179 In questo senso, il diritto
naturale è contenuto primariamente nella lex aeterna [“primo in lege aeterna”] e, secondariamente
[“secundario”], nel naturale giudizio della ragione umana [“in naturali iudicatorio rationis
humanae”].180
Affini alle norme che derivano dal diritto naturale come conclusione direttamente dedotta dai
principî sono le norme del diritto delle genti. Infatti, il ius gentium deriva dalla lex naturalis come
una conclusione “non molto remota” dai suoi principî e che quindi è in qualche modo naturale per
l’uomo che è un essere razionale181 (in questo il ius gentium è dettato dalla ragione naturale182). Il
ius gentium (su cui tutti gli uomini si sono trovati facilmente d’accordo 183 e che, come tale, non ha
bisogno di una particolare istituzione184) contiene le norme sulla compravendita e su altre materie di
questo tipo necessarie alla convivenza umana185. A tale proposito, va ricordato il ruolo prototipico
della compravendita nella teoria della giustizia di Tommaso: “la giustizia viene esercitata prima di
tutto [“prius”] e più universalmente [“communius”] nelle permute volontarie dei beni, cioè
compravendite”.186

5.1.2.2. Il secondo modo in cui una norma può derivare dal diritto naturale è “quello della
determinazione” [“per modum determinationis”], e sotto questo aspetto tutti i giusti positivi o legali
175
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 91, a. 3, ad 1 (tr. it. vol. XII, pp. 48-50).
176
Wolfgang Kluxen, Philosophische Ethik bei Thomas von Aquin, 31998; tr. it. p. 331.
177
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 116).
178
Sententia libri Ethicorum, lib. 5, l. 12, n. 8 (tr. it. vol. I, p. 598).
179
Sententia libri Ethicorum, lib. 5, l. 12, n. 8 (tr. it. vol. I, p. 598).
180
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 71, a. 6, ad 4 (tr. it. vol. XI, p. 42).
181
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 4, ad 1 (tr. it. vol. XII, p. 124).
182
Summa theologiae, IIa-IIae, q. 57, a. 3, ad 3 (tr. it. vol. XVII, p. 38).
183
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 4, ad 1 (tr. it. vol. XII, p. 124).
184
Summa theologiae, IIa-IIae, q. 57, a. 3, ad 3 (tr. it. vol. XVII, p. 38).
185
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 4, co. (tr. it. vol. XII, p. 122).
186
Summa theologiae, IIa-IIae, q. 58, a. 11, ad 3 (tr. it. vol. XVII, p. 74).

20
nascono dal giusto naturale (ad esempio, che il ladro vada punito è un giusto naturale, ma che vada
punito con questa pena oppure con quella è stabilito dalla legge). 187 Le norme relative poste
attraverso determinazione hanno vigore soltanto in forza della legge umana [“ex sola lege humana”]
(e non anche della lex naturalis).188
Tali norme poste attraverso determinazione possono dirsi naturali allo stesso modo in cui può dirsi
naturale un prodotto artificiale. Infatti i prodotti artificiali “non si riconducono a quelli naturali nel
senso che la natura sia il loro principio primo e principale, ma in quanto l’arte si serve di strumenti
naturali per il completamento dell’artefatto”.189 Analogamente, anche i precetti del diritto positivo
“non si riconducono a quelli naturali quasi che abbiano la forza di obbligare in base alla natura
stessa, ma hanno tale forza in base alla volontà di chi li ha emanati, che nell’emanarli si serve della
ragione naturale, se li ha emanati rettamente.”190
Appartengono alle norme positive che sono determinazioni della lex naturalis le norme del diritto
civile. Infatti, il ius civile deriva dalla lex naturalis (non come una conclusione dai suoi principî,
ma) come una determinazione particolare di essa.191 Il diritto civile non è comune a tutti gli uomini,
ma viene determinato da ciascuna civitas nel modo ritenuto più adatto.192

5.2. Fallibilità della ragione umana e legittimità formale delle fonti normative.

5.2.1. Il rapporto tra lex aeterna e legge umana passa attraverso il medio della retta ragione: la legge
umana nella misura in cui si uniforma alla retta ragione [“inquantum est secundam rationem
rectam”] deriva dalla lex aeterna [“a lege aeterna derivatur”]. 193 Infatti, il rapporto tra lex aeterna e
ordine della ragione umana è come quello tra l’arte [“ars”] ed il suo prodotto [“artificiatum”].194
Ma per Tommaso è un dato strutturale la possibilità di errore sia per la ragione umana (“mutevole e
imperfetta”195), sia per il successivo atto di volontà (e si tratta di un elemento teorico di grande
attualità: si pensi alle connessioni con le problematiche del fallibilismo popperiano). Infatti, se la
lex aeterna non può sbagliarsi mai, la ragione umana può sbagliare [“ratio humana potest errare”]; e
perciò la volontà che concorda con la ragione umana non sempre è una volontà retta, e quindi non
sempre tale volontà concorda con la lex aeterna.196

5.2.2. Quando la legge umana non si uniforma alla retta ragione, essa non ha ragione di legge [“non
habet rationem legis”], ma piuttosto di una certa violenza [“sed magis violentiae cuiusdam” ], e
quindi essa è iniqua.197 Ma poiché, da un lato, la ragione umana (a differenza della ragione divina)
non sempre è retta e, dall’altro lato, la lex aeterna è conosciuta solo nei principî comuni della lex
naturalis, l’iniquità oggettiva (rispetto alla retta ragione che è interamente solo nella lex aeterna)
non può costituire il criterio per decidere del dovere di osservanza di una legge umana (tranne che
nei casi di antinomia con i principî comuni della lex naturalis da tutti conosciuti o, al più, con le
conseguenze di essi che gli uomini migliori possono trarre con sicurezza). Ecco che allora il criterio
decisivo diventa quello della legittimità della fonte della legge umana: la coerenza con la retta
ragione che è richiesta perché si abbia dovere di osservanza non è, ultimamente, materiale, ma
formale. La stessa legge iniqua è detta derivare dalla lex aeterna [“derivatur a lege aeterna”] nella

187
Sententia libri Ethicorum, lib. 5, l. 12, n. 8 (tr. it. vol. I, p. 598).
188
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 116).
189
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 3, d. 37, q. 1, a. 3, ad 2 (tr. it. vol. VI, p. 945).
190
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 3, d. 37, q. 1, a. 3, ad 2 (tr. it. vol. VI, p. 945).
191
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 4, co. (tr. it. vol. XII, p. 122).
192
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 4, co. (tr. it. vol. XII, p. 122).
193
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 3, ad 2 (tr. it. vol. XII, p. 78).
194
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 71, a. 2, ad 4 (tr. it. vol. XI, p. 28).
195
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 1, ad 1 (tr. it. vol. XI, p. 148).
196
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 19, a. 6, ad 2 (tr. it. vol. VIII, p. 410).
197
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 3, ad 2 (tr. it. vol. XII, p. 78).

21
misura in cui conserva qualche somiglianza di legge [“inquantum servatur aliquid de similitudine
legis”] in virtù dell’ordine dell’autorità che la pone [“propter ordinem potestatis eius qui legem
fert”].198
Questa legittimità della fonte può forse essere più analiticamente specificata come rispetto dei due
requisiti indicati negli aa. 3-4 della quaestio 90 di Ia-IIae: il fatto che la legge sia prodotta dalla
persona pubblica che “totius multitudinis curam habet”199 e il fatto che sia stata resa nota ai
destinatari attraverso la promulgazione200.

5.3. Limiti strutturali della legge umana e rifiuto del feticismo della legge.

5.3.1. Tra lex aeterna e legge umana vi è una strutturale differenza di scala, di capacità di
definizione e differenziazione delle fattispecie. La legge umana non è strutturalmente capace di
regolare alcune fattispecie che, invece, sono regolate dalla lex aeterna. La legge umana permette
più di quanto permetta la lex aeterna (e più di quanto permetta la stessa lex naturalis201), ma ciò non
significa che la legge umana approvi tutti i comportamenti che permette, piuttosto significa che la
legge umana non può fare altrimenti [“lex humana dicitur aliqua permittere, non quasi ea
approbans, sed quasi ea dirigere non potens”].202
Di tale impotenza della legge umana è importante sottolineare il carattere ontologicamente
strutturale e assiologicamente non superabile: un ipotetico legislatore che volesse realizzare una
legislazione con il medesimo grado di completezza della lex aeterna non sarebbe solo velleitario,
ma anche responsabile di volere sovvertire la stessa lex aeterna. Infatti, proviene dall’ordine della
lex aeterna [“ex ordine legis aeternae”] il fatto che la legge umana non si intrometta in ciò che non
può regolare [“non se intromittat de his quae dirigere non potest”]. 203 Anche se il legislatore potesse
considerare tutti i casi, non sarebbe opportuno che li esprimesse tutti, per evitare la confusione
[“propter confusionem vitandam”], ma dovrebbe porre la legge in base a ciò che capita nella
maggior parte dei casi [“in pluribus”].204
È interessante poi che Tommaso motivi ulteriormente il dovere per il legislatore di astenersi dal
perseguire un’impossibile completezza della legge umana utilizzando un argomento epistemologico
analogo ad uno che sarebbe stato utilizzato da Friedrich A. von Hayek nell’evidenziare i limiti
dell’attività legislativa (cioè della hayekiana thésis): “nessun uomo ha tanta sapienza da poter
prevedere tutti i singoli casi [“singulares casus”]: quindi nessuno può esprimere con le sue parole
quanto è richiesto per il fine proposto [“ad finem intentum”]”. 205 Cioè, ogni legislatore umano opera
necessariamente sulla base di conoscenze insufficienti a realizzare un’attività normativa adeguata
alla molteplicità delle fattispecie e alla loro evoluzione nel tempo.

5.3.2. Poiché il legislatore non può contemplare tutti i singoli casi [“omnes singulares casus”],
propone una legge per quanto accade nella maggior parte dei casi [“in pluribus”].206 Per cui se capita

198
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 3, ad 2 (tr. it. vol. XII, p. 78); cfr. John Finnis, Natural Law and Natural Rights,
1980, pp. 363-366. È interessante osservare che il testo dell’ad secundum viene spesso citato (ad es. nel § 30 della
Lettera enciclica Pacem in terris; nel § 72 della Lettera enciclica Evangelium vitae; nel § 1902 del Catechismo della
Chiesa cattolica; nel § 398 del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa) solo nella prima parte (in cui Tommaso
scrive che la legge umana che non si uniformi alla retta ragione non ha ragione di legge ma piuttosto di una certa
violenza) omettendo di citare la seconda parte (in cui Tommaso scrive che la stessa legge iniqua deriva dalla lex aeterna
nella misura in cui conserva qualche somiglianza di legge in virtù dell’ordine dell’autorità che la pone).
199
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 3, co. (tr. it. vol. XII, p. 36).
200
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 4 (tr. it. vol. XII, p. 38).
201
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 2, ad 3 (tr. it. vol. XII, p. 132).
202
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 3, ad 3 (tr. it. vol. XII, p. 78).
203
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 3, ad 3 (tr. it. vol. XII, p. 78).
204
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 6, ad 3 (tr. it. vol. XII, p. 144).
205
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 6, ad 3 (tr. it. vol. XII, p. 144).
206
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 6, co. (tr. it. vol. XII, p. 142).

22
un caso in cui l’osservanza di tale legge positiva sia dannosa alla salute comune [“damnosa
communi saluti”], allora essa non va osservata207; così come è possibile una dispensa quando le
condizioni di una persona richiedono ragionevolmente un trattamento speciale208.
Come gli eventi che raramente si verificano in natura “non si riconducono alle cause naturali se non
tenendo conto del concorso di tutti i fattori per i quali accade un evento raro, così anche i precetti
legali [“legalia”], che sono chiamati diritti positivi, si riconducono alla lex naturalis non in sé in
assoluto [“non secundum se absolute”], ma considerate tutte le circostanze particolari che
rendevano conveniente la loro osservanza”.209
Dunque i limiti delle legge umana si riflettono anche sull’interpretazione che è richiesta al fine di
prevenire la sussunzione della fattispecie reale nella fattispecie astratta qualora comportasse un
danno per la città. La consapevolezza dei limiti della legge umana si traduce cioè nel rifiuto di ogni
feticismo della legge.
Tale sospensione nell’osservanza della legge positiva deve però, nel limite del possibile, rispettare il
requisito formale dell’autorità. Infatti, se l’osservanza letterale [“secundum verba”] della legge non
presenta un pericolo immediato, da fronteggiare subito, non spetta a chiunque interpretare che cosa
sia utile e che cosa sia dannoso alla città, ma spetta solo alle autorità le quali hanno in questi casi il
potere di dispensare dall’osservanza delle leggi. 210 Se però si tratta di un pericolo immediato che
non dà il tempo di ricorrere ad un superiore, allora la necessità stessa comporta la dispensa, poiché
la necessità non è soggetta alla legge [“necessitas non subditur legi”].211

5.4. Varietà dei contesti e diversità delle leggi umane.

5.4.1. La varietà delle cose umane impone differenti applicazioni dei principî universali della lex
naturalis e ciò si riflette nella diversità delle leggi positive presso le diverse società. Come con
grande efficacia scrive Tommaso, “i principî universali [“principia communia”] della lex naturalis
non possono essere applicati a tutti nello stesso modo, per la grande varietà delle cose umane
[“propter multam varietatem rerum humanarum”]. E da qui viene la diversità [“diversitas”] della
legge positiva presso le diverse società [“apud diversos”]”.212 Come scrive Villey, “La méthode du
droit naturel classique donnait des lois souples, adaptées aux circonstances de lieux et de temps.”213
Tommaso, commentando l’Etica Nicomachea, riprende il passo in cui Aristotele scrive che “le
misure per il vino e per il grano non sono uguali dappertutto, ma dove si compra all’ingrosso sono
più grandi, dove si rivende sono più piccole” 214 e ciò a significare, come parafrasa Tommaso, che
“anche i giusti che non sono naturali ma sono posti dagli uomini, non sono gli stessi dappertutto” 215.
Questa relatività delle norme positive è, secondo Tommaso, giustificata dal fatto che “non ovunque
vige lo stesso stile di vita [“urbanitas”] o la medesima convivenza sociale [“politia”]”.216
L’attenzione alla adeguatezza che ogni normazione umana deve avere rispetto ai destinatari
(insieme alla correlativa attenzione per la dimensione sociale del diritto) si declina anche come
importanza della consuetudine quale fonte gerarchicamente sovra-ordinata: la consuetudine ha forza
di legge [“vim legis”], può abrogare le leggi e interpretare le leggi. 217 E, se si tratta di un popolo

207
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 6, co. (tr. it. vol. XII, p. 142).
208
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 4, ad 2. (tr. it. vol. XII, p. 156).
209
Scriptum super Libros Sententiarum, lib. 3, d. 37, q. 1, a. 3, co. (tr. it. vol. VI, p. 945).
210
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 6, co. (tr. it. vol. XII, p. 142).
211
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 6, co. (tr. it. vol. XII, p. 142).
212
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2, ad 3 (tr. it. vol. XII, p. 116).
213
Michel Villey, Abrégé du droit naturel classique, 1961, p. 50.
214
Aristotele, Ethica Nicomachea, 1135a 1-3 (tr. it. p. 211).
215
Sententia libri Ethicorum, lib. 5, l. 12, n. 15 (tr. it. vol. I, p. 602).
216
Sententia libri Ethicorum, lib. 5, l. 12, n. 15 (tr. it. vol. I, p. 602).
217
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 3, co. (tr. it. vol. XII, p. 152).

23
libero [“libera multitudo”], capace di darsi leggi, il consenso di tutto il popolo nell’osservanza di
una consuetudine vale più del potere delle autorità.218

5.4.2. Le leggi positive devono essere dunque adeguate alle capacità dei destinatari [“ad facultatem
agentium”]219, cioè devono essere imposte agli uomini secondo la loro condizione [“secundum
eorum conditionem”]220. Questo significa una triplice adeguatezza:
(i.) adeguatezza alla natura dei destinatari (“poiché non si possono imporre le stesse cose ai bambini
e agli uomini maturi”)221;
(ii.) adeguatezza alle consuetudini della comunità nei quali i destinatari vivono (“poiché un uomo
non può vivere in mezzo alla società come un solitario, senza conformarsi ai costumi degli altri”)222;
(iii.) adeguatezza alle specifiche circostanze di tempo e luogo.223
Tommaso è anche favorevole ad una relativa differenziazione del diritto sulla base dei ruoli sociali
[“secundum proprium officium”] delle persone: ecco perché si parla di un diritto dei militari, di un
diritto dei magistrati o di un diritto dei sacerdoti.224

5.5. Evoluzione e declino della legge umana.

5.5.1. La legge umana intende portare gli uomini alla virtù, però non di colpo [“subito”], ma
gradatamente [“gradatim”].225 Pertanto, Tommaso asserisce il progresso graduale delle leggi umane
positive poiché è naturale per la ragione umana risalire gradatamente [“gradatim”] dalle cose
imperfette a quelle perfette [“ab imperfecto ad perfectum”].226
Coloro che per primi escogitarono qualcosa di utile alla società umana non potendo da soli
considerare ogni cosa, stabilirono delle norme imperfette [“quaedam imperfecta”], manchevoli per
molti lati [“in multis deficientia”]; ed esse furono poi mutate dai loro posteri, che istituirono per il
bene comune delle leggi manchevoli per l’utilità comune solo in pochi casi [“in paucioribus”].227
Questo processo di evoluzione può essere meglio compreso se si utilizzano le categorie di
“narratività” che Pamela M. Hall ha proposto nella sua interpretazione del diritto naturale di
Tommaso:
“the process of discovering the natural law is a gradual one: it is a “historical
narrative” involving reflection on who we are as a species and within community,
reflection that is ongoing and corrigible”.228

5.5.2. Ma, come Kluxen riassume e commenta, “è data anche la possibilità del declino, dello
scadimento, e perciò è necessario che la legge muti, cosicché la moralità della storia è una moralità
sempre diversa”.229
Tale possibile duplicità di esiti mi pare strutturale perché connessa al fatto che la lex naturalis (e, a
fortiori, la legge umana) in quanto potenza è “potenza di ambedue i contrari”. 230 Da qui anche la

218
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 3, ad 3 (tr. it. vol. XII, p. 154).
219
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 3, co. (tr. it. vol. XII, p. 118).
220
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 130).
221
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 3, co. (tr. it. vol. XII, p. 118); Ia-IIae, q. 96, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 130).
222
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 3, co. (tr. it. vol. XII, p. 118).
223
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 3, co. (tr. it. vol. XII, p. 118).
224
Summa theologiae, IIa-IIae, q. 57, a. 4, ad 3 (tr. it. vol. XVII, p. 42).
225
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 2, ad 2 (tr. it. vol. XII, p. 130).
226
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 1, co. (tr. it. vol. XII, p. 146).
227
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 1, co. (tr. it. vol. XII, pp. 146-148).
228
Pamela M. Hall, Towards a Narrative Understanding of Thomistic Natural Law, 1992, p. 68.
229
Wolfgang Kluxen, Philosophische Ethik bei Thomas von Aquin, 31998; tr. it. p. 337.
230
Aristotele, Metaphysica, 1050b 9 (tr. it. vol. II, p. 423): “omnis potentia simul contradictionis est”, come leggeva
Tommaso.

24
“fatica” che è propria di ogni evoluzione della lex naturalis (fatica che invece è assente nel
movimento eterno dei corpi incorruttibili).231

5.6. Limiti al dovere di mutare la legge umana.

5.6.1. Particolarmente significativo per verificare come il giusnaturalismo di Tommaso non sia
razionalista e astratto, bensì attento alle dimensione sociale e concreta del diritto, è l’articolo in cui
si pone la domanda se la legge umana vada sempre mutata quando si prospetta un miglioramento.
Tommaso ritiene che ogni mutamento della legge sia in quanto tale dannoso: la mutazione stessa
delle legge implica di per sé un certo danno [“detrimentum”] della salute comune. 232 E Flavio Lopez
de Oñate commenta: “La risposta al quesito [di Tommaso] era già in Aristotile, come anche
conformemente si era espresso Ulpiano; successivamente la dottrina permane, e rimane anche il
fondamento speculativo della risposta, già indicato da Aristotile: l’obbedienza alla legge trae origine
dal costume e dalla consuetudine, dall’adesione [...], che diviene anche attivo consenso, alla norma
che rappresenta la tradizione. La mutazione continua elide la certezza”.233
Pertanto la legge umana va cambiata solo quando il vantaggio che deriva dalla posizione di una
nuova migliore disciplina compensi almeno il danno che deriva dal mutamento.234

5.6.2. È molto interessante la differenza che, sotto questo profilo, Tommaso individua tra il diritto e
le altre tecniche [“aliae artes”].235 Infatti, pur essendo, sia il diritto sia le tecniche, scoperte della
ragione umana, mentre se nelle tecniche si trova qualcosa di meglio, si abbandonano le acquisizioni
precedenti, questo non succede per il diritto. 236 Le tecniche, infatti, derivano l’intera loro efficacia
dalla ragione [“ex sola ratione”], mentre, come aveva già scritto Aristotele 237, le leggi ottengono il
massimo vigore dalla consuetudine [“ex consuetudine”].238

6. Il relativismo culturale e la duplice relatività della lex naturalis.

6.1. La curvatura storica, situazionale e persino individuale della lex naturalis potrebbe indurre ad
accostare la concezione tomista all’ampio filone del relativismo culturale (ma anche
epistemologico, etico ed ontologico) che sembra caratterizzare la post-modernità (o tarda
modernità, o modernità liquida), ma che è variamente presente in Occidente almeno dal V secolo
a.C., cioè dal celebre resoconto fatto da Erodoto dell’interrogatorio di Dario agli Indiani detti
Callati e ai Greci sulle usanze rispettive di onorare i defunti.239
E di un Tommaso relativista, almeno per quanto riguarda la concezione del diritto naturale, ha
scritto Villey, secondo cui, una volta superati i commenti deformanti (come quelli di Caietano,
Francisco Suárez o Christian Wolff), quella di Tommaso appare come “une leçon de souplesse,
d’humilté et même dans une large mesure de relativisme”.240
Credo che dietro il tono un po’ provocatorio di un “Tommaso relativista” ci sia un’importante
intuizione ermeneutica, ma che va precisata per evitare un completo fraintendimento della
concezione della lex naturalis.
231
Cfr. Aristotele, Metaphysica, 1050b 24 (tr. it. vol. II, p. 423).
232
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 150).
233
Flavio Lopez de Oñate, La certezza del diritto, 1942; 1950, p. 96.
234
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 150).
235
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 2, arg. 1 (tr. it. vol. XII, p. 148).
236
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 2, ad 1 (tr. it. vol. XII, p. 150).
237
Aristotele, Politica, 1269a.
238
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 2, ad 1 (tr. it. vol. XII, p. 150).
239
Erodoto, Historiae, 3, 38.
240
Michel Villey, Saint Thomas et l’immobilisme, 1965, 1969, p. 106; corsivo mio.

25
Infatti, la lex naturalis non si configura come una norma di un kelseniano ordinamento dinamico 241
suscettibile, come tale, di assumere qualsiasi contenuto. La lex naturalis ha un margine
contenutistico di oscillazione che dipende, metafisicamente, dall’essere partecipazione della lex
aeterna nella creatura razionale242 e, analiticamente, in quanto legge, dal possedere i quattro
costitutivi essenziali propri di ogni legge (appartenenza alla ragione; finalizzazione al bene comune;
provenienza dal popolo o da chi ne fa le veci; promulgazione) 243. Pertanto, l’eventuale relativismo
tomista non è certo una forma di quel relativismo per il quale tutti i possibili ordinamenti giuridici
sono allo stesso titolo attuabili nella misura in cui non si può dare di essi comparazione
assiologicamente giustificata.

6.2. Ma allora che tipo di relativismo è l’eventuale relativismo di Tommaso?


Innanzitutto, credo che utilizzare il termine ‘relativismo’ in connessione alla concezione tomista
della lex naturalis abbia una funzione di “profilassi ermeneutica”: sottrarre Tommaso
all’assolutismo proprio del diritto naturale moderno.
Ma credo che ci siano anche ragioni più intrinseche: la lex naturalis è, in Tommaso, duplicemente
relativa:
(i.) relativa a Dio;
(ii.) relativa alla natura delle cose.
Tale duplice relativizzazione può essere detta relativismo (anche se innovando rispetto al senso più
corrente del termine ‘relativismo’) perché, in Tommaso, né Dio, né la natura delle cose si danno
all’uomo come presenze stabili: Dio è stabile, ma non è presente (perché è tale solo per i beati); la
natura delle cose è presente, ma non è stabile (in quanto in continuo mutamento).
Ma, nonostante che non siano presenze stabili, Dio e la natura delle cose sono i due fuochi di
quell’ellisse che è la lex naturalis e che la ragione umana cerca di tracciare sempre meglio, fino al
tempo in cui l’ellisse sarà una circonferenza perché, dei due fuochi, rimarrà solo il centro costituito
da Dio (com’è noto, la circonferenza può essere detta un’ellisse a eccentricità nulla).
Ecco perché il relativismo di Tommaso (a differenza del relativismo post-moderno) è insieme “teo-
centrico” e “rei-centrico”244, senza per questo essere fondamentalista o naturalista.

241
Ovviamente l’ordinamento dinamico kelseniano non è da confondersi con l’ordine dinamico di cui scrive Enrico di
Robilant: la lex naturalis non appartiene al primo, ma, invece, tende al secondo.
242
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 91, a. 2, co. (tr. it. vol. XII, p. 46).
243
Summa theologiae, Ia-IIae, q. 90 (tr. it. vol. XII, pp. 28-40).
244
Il termine ‘reicentrismo’ (nel senso di “centralità della res, della cosa”, “ritrovamento delle dimensioni oggettive di
ogni forma giuridica”) è invenzione felicissima di Paolo Grossi (L’ordine giuridico medievale, 1995, p. 72) per
qualificare la concezione del diritto propria del medio-evo in contrapposizione all’antropocentrismo individualista
(“tutto impegnato nel culto dell’individuo, cioè di un certo individuo ben provveduto, ben pasciuto e voglioso di
dominio”).

26
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