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A cura di Andrea Porcarelli
La ricchezza del pensiero di Tommaso e la grande varietà dei temi affrontati hanno fatto di lui un
autore molto letto e citato, talora da studiosi che si sono addentrati in profondità nello spirito e
nei contenuti del suo pensiero, talora da interpreti più frettolosi che hanno contribuito a
diffondere una visione distorta del tomismo. È bene, in ogni caso, accennare anche solo di
sfuggita al fatto che quando si parla di "tomismo" non ci si riferisce – ovviamente – al solo S.
Tommaso, ma all'insieme di tutti coloro che – nel corso dei secoli – a qualche titolo ne hanno
esplicitamente ripreso l'insegnamento, a partire dai grandi commentatori della "tarda scolastica",
di cui ci limitiamo – in questa sede – citare i principali: Giovanni Capreolo (1380-1444),
Francesco Silvestri da Ferrara, più noto come "Ferrarese" (1468-1528), Tommaso de Vio, più
noto come "Gaetano" (1469-1534), Domenico Bañez (1528-1604), Giovanni di San Tommaso
(1589-1644) che hanno prodotto studi monumentali, sia come commento alle opere di Tommaso,
sia come veri e propri strumenti per lo studio. Alla linea tomista "domenicana" a cui si è appena
fatto riferimento, si affianca la linea "gesuitica", visto che fin dalla "Ratio studiorum" del 1599
(ma anche prima, nella Ratio del Collegio Romano) l'ordinamento degli studi dei Gesuiti prescrive
esplicitamente di attenersi alla dottrina di S. Tommaso; ma tale riferimento comporterà un certo
grado di libertà interpretativa, per cui possiamo di fatto distinguere una linea ermeneutica distinta,
che si esprime attraverso alcuni grandi autori, tra cui citiamo: Pedro Da Fonseca (1528-1599),
Gabriel Vàzquez (1549-1604), Luis de Molina (1536-1600) ed il "doctor eximius" Francisco
Suàrez (1548-1627).
I frutti di tale paziente lavoro di indagine storico-critica confluiscono nella Storia della filosofia
medievale di De Wulf (professore a Lovanio), pubblicata in prima edizione nel 1900 e
costantemente rieditata, tenendo conto degli sviluppi progressivi della ricerca storica.
Étienne Gilson
Nel periodo fra le due guerre la ricerca storica sull'età medievale riceve un grandissimo impulso
dalla fondazione di numerosi istituti di ricerca con questa specifica finalità: si avvia l'edizione
critica dell'opera di molti autori (da Alessandro di Hales ad Alberto Magno, per citarne solo due),
a Parigi inizia ad operare un altro grandissimo studioso, Étienne Gilson, che avvia nel 1926 la
pubblicazione degli Archives d'Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen-Age e, dal 1930, della serie
degli Études de Philosophie Médiévale, raccogliendo attorno a tali organi un cospicuo numero di
collaboratori di grande valore. Gli orizzonti degli studi storici specialistici si aprono oltre oceano,
con la fondazione della Medieval Academy of America, a Cambridge (Massachussetts) nel 1925 e
l'Institute of Medieval Studies, fondato a Toronto nel 1929, con la collaborazione dello stesso Gilson.
Egli si muove ancora come storico della filosofia, ma opera ad un livello diverso rispetto ai suoi
colleghi e predecessori: non si è mai occupato personalmente di ricerca di manoscritti, ma ha
sempre favorito il lavoro erudito e ne ha fatto la base delle sue ricerche, spostando solo l'asse della
domanda storica non tanto sulla constatazione di "quello che è stato detto", quanto sulla ricerca
"di che cosa si stesse veramente parlando", sempre su un piano di ricostruzione storicamente
accurata. Il suo testo sul tomismo (Le Thomisme) appare per la prima volta nel 1919, riceve la
forma attuale nella IV edizione, del 1941, ma la quinta e la sesta apportarono ulteriori
cambiamenti. Lo stesso si dica del suo celebre compendio, La philosophie au moyen-âge (apparso nel
1922 e ripubblicato in diverse edizioni, sempre aggiornate alla luce dei progressi della ricerca
storica). Un discorso a parte merita la sua opera, più filosofica che storica, L'être et l'essence, del
1948, mentre nel 1932 era stata pubblicata un'altra opera fondamentale, L'Esprit de la philosophie
médiévale. Forse in tale opera – dal titolo particolarmente evocativo – risiede la cifra
dell'importanza dell'opera di Gilson e della sua lettura della scolastica in genere e di Tommaso in
particolare: la filosofia medievale si caratterizza in quanto filosofia cristiana, non nel senso che la
ricerca filosofica sia "condizionata" dalla fede cristiana, ma nel senso che le verità della fede
cristiana hanno offerto all'indagine filosofica gli "spunti euristici" (4) per porsi in modo nuovo
alcune domande eterne dell'uomo. È attraverso la ricerca storica che è possibile ricostruire il vero
volto di Tommaso e dunque essere, autenticamente, "tomisti".
Nella sua opera esplicitamente dedicata al profilo speculativo di Tommaso (Le thomisme.
Introduction au système de saint Thomas d'Aquin) in cui si sottolinea come i temi filosofici ed i temi
teologici – nelle opere dell'Aquinate – siano materialmente congiunti e formalmente distinti:
quando Tommaso si occupa di filosofia è sempre anche "teologo", nel senso che non trascura di
mettere in luce i riflessi teologici delle proprie riflessioni, mentre nei passaggi del proprio
ragionamento che non si basano su premesse desunte dal patrimonio della rivelazione egli non
solo argomenta in termini strettamente filosofici, ma si premura di attivare un "dialogo a
distanza" con i filosofi di varie impostazioni e correnti, proprio su quelle tematiche. In altre parole
Gilson osserva come la teologia di Tommaso sia quella di un filosofo e la sua filosofia sia quella di
un santo. Sl libro sul sistema filosofico di Tommaso in generale seguì, nel 1925, un testo sulle
dottrine morali dell'Aquinate (il testo fu pubblicato con il titolo Saint Thomas d'Aquin nella collana
dedicata ai moralisti cristiani), in cui Gilson sottolinea come la morale di Tommaso non sia
separabile dalla sua metafisica, discutendo in particolare la dottrina del Sommo Bene come chiave
di volta dell'edificio etico tomista. Oltre alla controversia sulla filosofia cristiana, di cui si è già
fatto cenno, Gilson fu coinvolto – negli anni Trenta – in un altro dibattito molto vivace, circa la
validità del realismo critico sostenuto da molti neoscolastici. Due sono le opere da lui pubblicate
in tale contesto, Le réalisme méthodique (1936) e Réalism Thomiste et critique de la connaissance (1939), in
cui prende in esame anche le idee di quanti sostenevano che per portare la riflessione scolastica al
livello della discussione filosofica moderna fosse necessario assumere la prospettiva gnoseologica
del dubbio cartesiano e del criticismo kantiano. Gilson afferma che se si parte dal cogito cartesiano
o dal criticismo kantiano non si potrà mai giungere all'affermazione "le cose esistono in sé": il
realismo scolastico è tutt'altro che "ingenuo" (come asseriscono alcuni suoi detrattori), ma si tratta
di "un realismo consapevole, meditato e voluto, che tuttavia non muove dal problema posto
dall'idealismo, poiché i presupposti di questo problema implicano necessariamente l'idealismo
stesso come sua soluzione. In altre parole: anche se questa tesi di primo acchito può sorprendere,
il realismo scolastico non è al servizio del problema gnoseologico - piuttosto sarà vero il contrario
-–bensì la realtà viene vista in esso come indipendente dal pensiero, l''esse' viene posto come
distinto dal 'percipi', e questo sulla base di una certa rappresentazione di che cosa sia la filosofia e
come condizione della sua stessa possibilità. Questo è un realismo metodico" (5).
Le ricerche di Gilson porteranno ad una complessiva revisione della maggior parte dei manuali di
filosofia scolastica circolanti nelle università cattoliche e nei seminari, anche per eliminare le
numerose ingenuità sul piano della ricostruzione storica che non potevano sfuggire a studiosi che
andavano progressivamente maturando una forte sensibilità di tipo storico-critico, pur
mantenendo una costante tensione verso la acquisizione degli elementi teoretici di quella
philosophia perennis, di cui Tommaso veniva – comunque – considerato maestro (anche da studiosi
storicamente attrezzati come Gilson). In tale impostazione emerge una logica per cui da un lato vi
sono dei motivi storici per cui è in un'epoca piuttosto che in un'altra e in un ambiente culturale
piuttosto che in un altro che i filosofi maturano la convinzione della necessità di appellarsi a
determinati principi e giungono – di conseguenza – a determinate conclusioni; dall'altro lato però
il valore teoretico di tali principi e la coerenza logica dei ragionamenti che ad essi si appellano, non
devono necessariamente venire relegati nel tempo in cui i principi ed i percorsi logici vennero – di
fatto - pensati.
Erich Przywara
Erich Przywara (1889-1972) può essere considerato – in questo senso – un autore che segna una
linea di spartiacque: la sua apertura a problemi e pensatori in certo modo "nuovi" dal punto di
vista della tradizione neoscolastica, contribuì a creare un clima culturale diverso, all'interno della
cultura cattolica di area tedesca. Emblematiche le parole con cui annunciò il proprio programma
teoretico in occasione del congresso della Società Accademica Cattolica a Ulma nel 1923: "Ciò di
cui abbiamo bisogno e che quindi oggi ci proponiamo come programma, è una filosofia
dell'equlibrio, un equlibrio non 'oggi per sempre', ma piuttosto 'che procede all'infinito': la
filosofia della polarità, equidistante da una filosofia di inquieti capovolgimenti come da una
filosofia della statica medietà, la filosofia della polarità dinamica" (7). La polarità, come "unità di
tensione", richiama il senso del mistero, con un'apertura che va oltre una prospettiva
riduttivamente immanentistica, senza configurarsi come una fuga immediata in un
trascendentalismo ingenuo, ma si caratterizza come ricerca di risposte alle domande che
provengono dall'abisso degli opposti. Tra le riflessioni di Przywara che più hanno fatto discutere
vi è indubbiamente la sua lettura del tema – tipicamente tomista – dell'analogia entis, a partire dalle
due parti che compongono la parola ana-logia. Il termine logia dice riferimento al nesso tra
"Logos" e "leghein" e viene interpretato da Przywara come il "raccogliersi a formare un senso
nella parola"; il suffisso ana può a sua volta designare un duplice significato. Da un lato può avere
il senso di "conforme a", dall'altro si confonde in tutte le parole composte con anô , nel senso di
"sopra, su, di nuovo". Il mondo può in tal modo manifestarsi secondo un duplice ritmo, sul piano
dell'ana (dimensione orizzontale) e sul piano dell' anô (dimensione verticale) che si incontrano in
quello che sarebbe il "proprium" dell'analogia intesa come "incrocio di coordinate" in una lettura
dinamica di una realtà che si colloca su una pluralità di piani.
Edith Stein
Interessantissima in questo senso è anche Edith Stein (1891-1942) (8), di famiglia ebrea, prima
allieva e assistente di Edmund Husserl, poi avvicinatasi al tomismo dopo la conversione al
cattolicesimo, ha operato profondi tentativi di sintesi tra la fenomenologia husserliana e la
filosofia di Tommaso. Nel 1933 entra nell'Ordine Carmelitano di Colonia, continua i propri studi
filosofici, ma non può pubblicare in quanto ebrea. Viene arrestata dalla Gestapo nel 1942 e
condotta ad Auschwitz-Birkenau, dove troverà la morte nella camera a gas. Nel 1950 inizia
l'edizione delle sue opere a Bruxelles; nel 1962 viene istruita la causa di beatificazione, il 1°
maggio 1987, a Colonia, Giovanni Paolo II ha dichiarato beata la martire Edith Stein. La Stein
abbracciò l'impostazione filosofica husserliana in un contesto culturale in cui il dibattito ruotava
attorno alla fondazione delle scienze dello spirito di contro alle scienze della natura, ed ella si sentì
"corresponsabile" di questa impresa scorgendo il metodo di tali scienze non nella spiegazione
causale, ma nella "comprensione che si immedesima" per cui ogni soggetto spirituale afferra "per
immedesimazione" gli altri soggetti e si rende presente come "datità" il loro agire. L'incontro con
il pensiero scolastico le fece maturare la convinzione che il suo ruolo culturale dovesse proprio
collocarsi in questa area di mediazione tra antico e moderno, attraverso la lettura di Tommaso con
le chiavi interpretative della fenomenologia husserliana.
Jacques Maritain
Una figura del tutto particolare nel panorama del XX secolo è rappresentata da Jacques Maritain
(1882-1973), di cui è davvero interessante seguire le vicende biografiche (9), e il cui pensiero
campeggia nel panorama culturale della rinascita del tomismo per tutta la parte centrale del XX
secolo. Dopo la "conversione" dalla prospettiva bergsoniana (che pure aveva avuto un ruolo
importantissimo nella formazione della sua personalità intellettuale e spirituale) Maritain si
proclama "un fedele seguace di S. Tommaso d'Aquino" e non propriamente un "tomista": la sua
attenzione principale non è centrata sull'analisi ed il commento della dottrina di Tommaso, ma si
preoccupa di riprendere e ri-esprimere secondo il proprio linguaggio e la propria sensibilità alcuni
temi filosofici (talora centrali in Tommaso, talora più marginali) aventi come principale
caratteristica la particolare "attualità" nel tempo in cui si svolge l'avventura intellettuale di
Maritain. I più significativi punti di incontro tra Tommaso e Maritain riguardano il primato
dell'esistente (prendendo le distanze dall'intellettualismo razionalistico che pervadeva anche gli
studi tomistici del tempo), il ruolo decisivo dell'intuizione intellettuale, la pluralità dei gradi del
sapere in funzione metodologica e per un incontro sapienziale tra le diverse discipline, il rapporto
tra individuo e persona, l'elaborazione di un "umanesimo integrale" che possa fungere da
modello, da "ideale storico-concreto" per una nuova umanità ed una nuova cristianità. Se
leggiamo tali tematiche sullo sfondo delle vicende storiche con cui si è intrecciata la vita di
Maritain (le due guerre mondiali, i totalitarismi, l'incontro con il pragmatismo edonistico
americano, la speranza per una giustizia internazionale fondata sui Diritti Umani, il Concilio
Vaticano II), possiamo capire quanto la sua rilettura di Tommaso fosse effettivamente orientata
alla ricerca di risposte profonde alle questioni "epocali" dell'umanità.
Volendo cogliere – a titolo puramente esemplificativo – alcune suggestioni dai numerosi temi
affrontati da Maritain, ci soffermiamo sulla sua idea di un Umanesimo integrale (opera pubblicata nel
1936), in cui – di fronte al volto drammatico dei diversi totalitarismi – si propone una visione
della società che ha al centro un ideale con due punti di riferimento, espressi dalle parole del
titolo: un "umanesimo", perché l'uomo – la persona umana – deve essre posta al centro
dell'organizzazione etico-politica della vita singola e associata; "integrale", perché integrato (nel
senso di completato) da un'apertura alla trascendenza di Dio, contro le varie forme di
"umanesimo riduzionistico" che di fatto costituivano il fondamento teorico dei totalitarismi del
tempo. Nel testo, pubblicato nel 1932, Distinguer pour unir: ou Les degrés du savoir, Maritain offre in
qualche modo i fondamenti della sua rilettura di Tommaso nella cultura del proprio tempo, in
dialogo con il sapere scientifico che – a sua volta – si colloca entro un orizzonte sapienziale più
ampio: "Il filo conduttore ci è fornito dalla dottrina dei tre gradi di astrazione, o dei tre gradi
secondo cui le cose offrono allo spirito la possibilità di cogliere in esse un oggetto più o meno
astratto e immateriale, quanto all'intelligibilità stessa che discende dalle premesse alle conclusioni
e, in ultima analisi, quanto al modo di definire. Lo spirito può considerare oggetti astratti e
purificati solamente dalla materia, in quanto è fondamento della diversità degli individui in seno
alla specie, in quanto, cioè, è principio di individuazione; l'oggetto resta, così, e anche in quanto
presentato all'intelligenza, impregnato di tutte le note derivanti dalla materia, eccettuate solamente
le particolarità contingenti e strettamente individuali che la scienza trascura. (...) Oppure lo spirito
può considerare degli oggetti astratti e purificati dalla materia in quanto essa, in generale, fonda le
proprietà sensibili, attive e passive, dei corpi. Allora lo spirito considera soltanto una proprietà che
isola dai corpi – quella che resta quando tutto il sensibile è caduto – la quantità, numero ed
estensione considerati in sé: oggetto di pensiero che non può esistere senza la materia sensibile,
ma che può essere concepito senza di essa (...). Infine lo spirito può considerare oggetti astratti e
purificati da ogni materia, non conservando nelle cose altro che l'essere stesso di cui sono
penetrate, l'essere in quanto tale e le sue leggi: oggetti di pensiero che non soltanto possono
essere concepiti senza materia, ma che anche possono esistere senza di essa, sia che non abbiano
mai l'esistenza nella materia, come Dio e i puri spiriti, sia che la loro esistenza si dia nelle cose
tanto materiali quanto immateriali, come la sostanza, la qualità, l'atto e la potenza, la bellezza, la
bontà, ecc. (...) Per precisare, notiamo che, poiché tutti i nostri concetti si risolvono nell'essere,
che è il primo oggetto raggiunto (in confuso) dall'apprensione intellettuale, i concetti della
METAFISICA si risolvono nell'essere come tale, ens ut sic, quelli della MATEMATICA in quella
sorta d'essere (isolato dal reale) che è la quantità ideale, quelli della FISICA nell'essere mobile o
sensibile, ens sensibile. Ma per la filosofia della natura, bisognerà, in questa espressione ens sensibile,
mettere l'accento su ens: scienza esplicativa, essa rivela la natura e le ragion d'essere del suo
oggetto. (...) Per la scienza empirica della natura, invece, quando diciamo ens sensibile, essere
sensibile, non sarà su ens, bensì su sensibile che bisognerà porre l'accento" (10). Tra gli altri temi
centrali del pensiero di Maritain segnaliamo ancora la distinzione tra individuo e persona, che
rappresenta un'originale rielaborazione di temi tomisti e viene espressa con chiarezza nell'opera
del 1925 Trois réformateurs: Luther, Descartes, Rousseau, in un percorso che tende a rinvenire le radici
dell'individualismo moderno, in cui si assiste ad un'esaltazione dell'individualità "camuffata da
persona" e – conseguentemente – ad un impoverimento della nozione autentica di persona (che,
come dice Tommaso, è "nome che esprime una dignità", porta l'impronta del divino, un mondo di
valori spirituali e morali, si configura come una singolarità ineffabile e inviolabile). Il tema forse
più caro alla speculazione maritainiana è la proposta di un Umanesimo integrale, capace di reagire alla
"tragedia dell'umanesimo contemporaneo" che si configura come un "umanesimo inumano",
avendo perso il riferimento alla dimensione metafisica della persona umana, che la colloca
all'interno di un quadro di valori che ha Dio al vertice. Un cenno meritano anche le opere
educative di Maritain (11), in cui egli riprende la concezione educativa di Tommaso, sia per quanto
esplicitamente scriveva l'Aquinate nel De Magistro, sia rintracciando nell'antropologia tomista i
fondamenti di una filosofia dell'educazione capace di resistere alle opposte tentazioni del
totalitarismo e del pragmatismo: "Il compito principale dell’educazione è soprattutto quello di
formare l'uomo, o piuttosto di guidare lo sviluppo dinamico per mezzo del quale l'uomo forma se
stesso ad essere un uomo. Questa è la ragione per cui avrei potuto adottare come titolo:
l'educazione dell'uomo. (...) L'educazione è un'arte, un'arte particolarmente difficile. Tuttavia essa
appartiene per la sua natura stessa alla sfera della morale e della sapienza pratica. L'educazione è
un'arte morale (o piuttosto una sapienza pratica in cui è incorporata una determinata arte). Ora
ogni arte è una spinta dinamica verso un oggetto da realizzare che è lo scopo dell'arte stessa. Non
c'è arte senza finalità; la vitalità stessa dell'arte consiste nell'energia con cui tende al suo fine, senza
fermarsi a nessuno stadio intermedio" (12).
Cornelio Fabro
Da istanze simili muove l'opera di Cornelio Fabro (1911-1995) che ha dedicato gran parte della
propria attività al tentativo di riscoprire un tomismo autentico, liberandolo dall'essenzialismo
sistematico della tradizione greco-scolastica e dal soggettivismo immanentistico del pensiero
moderno, per farne emergere i tratti caratteristici di filosofia dell'essere e della libertà. Principio o
"cominciamento" del pensiero è proprio l'ens, l'ente, inteso come "trascendentale fondante" ogni
possibile conoscenza concettuale. Oltre ai suoi contributi fondamentali nel campo dei fondamenti
della metafisica, ci preme segnalare di Fabro le sue riflessioni sull'uomo e la libertà: all'umanesimo
senza fondamento del pensiero moderno, la speculazione tomistica oppone l'idea che l'esse è
implicato nella stessa struttura costitutiva della persona ed è questo il modo più alto di celebrare la
dignità dell'uomo. Ogni uomo, in quanto essere spirituale, è un soggetto libero e intelligente e lo
spirito umano risulta come costituito – nell'ordine etico-esistenziale – da una "libertà assoluta per
partecipazione", la quale, ben lungi dal disperdersi in una cieca indifferenza rispetto agli oggetti da
scegliere, si configura come facoltà autenticamente umana proprio in quanto capace di tendere a
Dio come Sommo Bene.
Josef Pieper
Il contributo di Josef Pieper (1904 - 1997) muove a partire dalle aspre critiche che gli ambienti
esistenzialisti (con particolare riferimento a Heidegger e Jaspers) hanno rivolto contro l'idea di
una "filosofia cristiana" che Heidegger dipingeva come una sorta di "ferro di legno", una
contraddizione in termini. Pieper sottolinea – sulla scorta del pensiero di Tommaso – come il
domandare proprio della filosofia si configuri come una ricerca reale di una risposta: "Nonostante
si sappia che alla fine sta l'incomprensibile, essere alla ricerca di una risposta e tenersi aperti per
essa; mentre per Heidegger 'domandare' sembra piuttosto significare: rifiutare in linea di principio
qualsiasi possibile risposta, e chiudersi di fronte ad essa (perché essa, di fatto, intaccherebbe il
carattere di domanda della filosofia)" (15). Nella filosofia di Pieper si può riscontrare un'indubbia
centralità del problema antropologico, che si dipana in tre filoni essenziali:
1) l'uomo deve lottare per vivere da uomo;
2) l'uomo deve rapportarsi con la realtà (non è l'uomo la misura dell'essere, ma l'essere è misura
dell'uomo);
3) l'uomo ha come fine supremo Dio e realizza pienamente la propria umanità nella misura in cui
partecipa di Dio, conosciuto nell'amore.
L'attualità del tomismo, per Pieper, non risiede tanto nel fatto che esso offra alla modernità ciò
che essa esplicitamente chiede, ma ciò di cui ha profondamente bisogno, come risposta ai propri
problemi irrisolti. Pieper ha costruito una sintesi originale, che assimila in un impianto
autenticamente tomistico elmenti platonici, neoplatonici, agostiniani e aristotelici: fossilizzarsi
nella pura ripetizione di tesi tomistiche sarebbe decisamente "anti-tomistico". Il tomismo infatti –
secondo Pieper – unisce alla capacità di cogliere i valori trascendentali e i principi metafisici della
realtà, la consapevolezza del limite di ogni conoscenza umana, superando tentazioni storiciste o
relativistiche; esso esclude altresì prospettive come quelle hegeliana e marxista che pretendono di
possedere la chiave di lettura dell'Assoluto che si realizza nella storia. In conclusione di un saggio
sulla questione della verità, Pieper scrive che "giammai l'uomo comprenderà – ossia conoscerà
fino in fondo – la natura delle cose. E mai saprà misurare la totalità dell'universo. (...) La
conoscenza dell'essenza delle cose e la conoscenza della totalità delle cose, è stata concessa
all'uomo 'come speranza futura'. Ciò significa: ogni sforzo conoscitivo sarà sì un positivo
progresso, e non sarà per principio inutile; ma avrà anche sempre come risultato un nuovo non-
ancora. (...) L'uomo è capax universi (e a tal punto che lo stesso universo, proprio perché non è
'tutto', non riesce a saziarlo). (...) Perché l'uomo è situato nel centro di un mondo che al di là di
quanto è da noi via via conosciuto tiene sempre pronto l'imprevedibile; perché egli è un essere
che vive al cospetto della totalità delle cose esistenti e la cui interiore sconfinatezza non è che la
risposta alla inesauribile immensità del suo mondo. Questo mondo a sua volta risponde – questa è
la sua natura – al verbo creatore dell'intelligenza divina, nella cui 'arte' gli archetipi del mondo
sono vita. Poiché l'universo delle cose esistenti 'è posto fra due intelletti', il divino e l'umano. E il
ciò, come ben sa la tradizione metafisica occidentale, si fonda la verità delle cose" (16).
Note
(1) L'Accademia tomistica di Bologna fu fondata nel 1853 da Marcellino Venturoli, da Francesco
Battaglini Ufuturo cardinale di Bologna, da Giambattista Corsoni e Achille Sassoli Tomba, per
citare solo i principali.
(2) Possiamo anzi affermare che il "tomismo imposto per decreto" che caratterizza il pontificato
di Pio X e si traduce nella pubblicazione, il 27 luglio 1914, delle 24 tesi tomiste, redatte dal p.
Guido Mattiussi (successore di Billot alla Gregoriana) per conto della Congregazione degli Studi
non ha certamente giovato al progresso dell'autentica riflessione filosofica genuinamente ispirata a
Tommaso. Si trattava di un tomismo semplificato, coartato in formule riduttive, ben lontano
dall'autentica tensione filosofica che caratterizzava gli scritti dell'Aquinate.
(3) A. D. Sertillanges, Le Thomisme, cit. in Aa. Vv., La filosofia cristiana nei secoli XIX e XX, II. Ritorno
all'eredità scolastica, Città nuova, Roma 1994, p. 570.
(4) Può essere utile citare un passaggio cruciale dell'opera del nostro autore: "Il contenuto della
filosofia cristiana è dunque il corpo delle verità razionali che sono state scoperte, approfondite, o
semplicemente salvaguardate, grazie all’aiuto che la rivelazione ha apportato alla ragione. Se
questa filosofia sia realmente esistita, o se essa non sia che un mito, è una questione di fatto che
noi chiederemo alla storia di risolvere. (...) Il filosofo cristiano si domanda semplicemente, se tra le
proposizioni ch’egli crede vere, ce ne sia un certo numero che la sua ragione potrebbe saper vere.
Finché il credente fonda le sue asserzioni sulla persuasione intima, che la sua fede gli conferisce,
egli rimane un puro credente e non è ancora entrato nel dominio della filosofia; ma dal momento
in cui egli trova nel numero delle sue credenze alcune verità che possono divenire oggetto di
scienza, egli diventa filosofo, e se deve questi nuovi lumi filosofici alla fede cristiana, diventa un
filosofo cristiano" [E. Gilson, Lo spirito della filosofia Medievale, trad. it. ed. Morcelliana, Brescia
1983, pag. 42].
(5) E. Gilson, Le réalisme, cit. in Aa. Vv., La filosofia cristiana nei secoli XIX e XX, II. Ritorno all'eredità
scolastica, Città nuova, Roma 1994, p. 618.
(6) Amato Masnovo, Gnoseologia e metafisica, cit. in Aa. Vv., La filosofia cristiana nei secoli XIX e XX,
II. Ritorno all'eredità scolastica, Città nuova, Roma 1994, p. 772.
(7) Cit. in Aa. Vv., La filosofia cristiana nei secoli XIX e XX, II. Ritorno all'eredità scolastica, Città nuova,
Roma 1994, p. 660.
(8) Ci siamo permessi di collocare la figura di Edith Stein nella seconda metà del XX secolo, a
dispetto delle coordinate anagrafiche in cui appare evidente la prematura morte nel 1942, perché
– oltre ad essere contemporanea di altri intellettuali come Przywara (che ella conobbe
personalmente e dal cui pensiero fu profondamente stimolata) e Maritain, il fatto che le sue opere
non potessero essere pubblicate durante gli anni del totalitarismo nazista, ha portato ad una
circolazione delle sue idee (quindi ad un suo influsso reale sulla storia del pensiero) solo nella
seconda metà del secolo.
(9) Nato a Parigi nel 1882 in una famiglia di tradizioni repubblicane e di fede protestante, studiò
filosofia alla Sorbona (in un clima di relativismo e scetticismo, mentre la cultura era dominata
dalla tradizione positivista), visse in modo travagliato la propria esperienza religiosa, frequentò
ambienti socialisti (dove conobbe Raissa, sua futura consorte, a sua volta atea, ma figlia di pii
ebrei russi), finché non ebbe modo di ascoltare le lezioni di Bergson che fecero rinascere – in lui e
molti altri – la fiducia nella verità, nella vita, negli alti ideali. Nel 1904 vi è l'incontro con Léon
Bloy, da cui nasce un'intensa amicizia ed un profondo dibattito interiore che porta i coniugi
Maritain (nel 1906) al battesimo cattolico. Maritain è ancora vicino al bergsonismo, finché
l'incontro con il p. Clérissac lo introduce allo studio di S. Tommaso. La sua riflessione "tomista"
inizia negli anni del primo conflitto mondiale (dove perdono la vita molti suoi cari amici) e
prosegue nel periodo fra le due guerre, finché – nel 1940 – non è costretto a trasferirsi in America
per sfuggire alla persecuzione nazista. Insegna a Princeton ed alla Columbia University. Torna a
Parigi nel 1960, anno in cui muore l'amata consorte Raissa. Maritain si stabilisce presso i Piccoli
Fratelli di Charles de Foucauld, a Tolosa, di cui entrerà a far parte nel 1970. Morirà nel 1973, più
che novantenne.
(10) Jacques Maritain, Distinguere per unire: i gradi del sapere, tr. it. Morcelliana, Brescia 1974, pp. 58-
61.
(11) Si tratta di due opere pubblicate negli anni del secondo conflitto mondiale, durante la
permanenza di Maritain negli Stati Uniti: L'educazione al bivio (tit. originale: Education at the
Crossroads, Yale University Press, New Haven 1943; ed. francese: L’éducation à la croisée des chemins,
Egloff, Paris 1947), ed. it. a cura di A. Agazzi, La Scuola, Brescia 1963; e L'educazione della persona
(tit. originale: Pour une philosophie de l'éducation, Librairie Fayard, Paris 1959), tr. it. di P. Viotto, La
Scuola, Brescia 1962.
(13) Gustavo Bontadini, Conversazioni di metafisica, cit. in Aa. Vv., La filosofia cristiana nei secoli XIX e
XX, II. Ritorno all'eredità scolastica, Città nuova, Roma 1994, p. 805.
(14) Gustavo Bontadini, Metafisica e de-ellenizzazione, cit. in Aa. Vv., La filosofia cristiana nei secoli XIX
e XX, II. Ritorno all'eredità scolastica, Città nuova, Roma 1994, p. 806.
(15) Josef Pieper, Verteidigungsrede für die Philosophie (Monaco, 1966), cit. in Aa. Vv., La filosofia
cristiana nei secoli XIX e XX, II. Ritorno all'eredità scolastica, Città nuova, Roma 1994, p. 760.
(16) Josef Pieper, Verità delle cose. Un'indagine sull'antropologia del Medio Evo (tit. orig. Wahrheit der
Dinge. Eine Untersuchung zur Anthropologhie des Hocmittelaters, Monaco 1944, IV ed. 1966), tr. it. di L.
Frattini, Massimo, Milano 1981, pp. 117-123, passim.
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