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HENRI DE LUBAC S. J.
TITOLO ORIGINALE DELL’OPERA :
C A T H O L IC IS M S
LES ASPECTS SO CIAUX DU DOGME

Traduzioni} dalla I V edizione di

UMBERTO MASSI

CATTOLICISMO
GLI ASPETTI SOCIALI DEL DOGMA

Proprietà letteraria riservata

Stam pato ili Ita lia - P rinto d in Italy
;Ü EDITRICE STVDIVM - ROMA
 142 IL CRISTIANESIMO E LA STORIA

(77) Isaia, XXII, 12; Geremia, XXVII, 5. Cf, Salmo 32, 11; «11 disegno
del Signore in eterno «assiste: j pensieri del suo cuore di generazione in
U; : generazione » ; salmo 33, 9; Apoc. XVII, 17; ecc.
(78) Pei' quest’ultimo punto V. À, Causse, Le problhme sociologique de
la religion d ’Israel, p. 296. (Del resto si potrà constatare che il giudìzio di
valore dato -dall’autore è molto differente dal nostro).
(79) G. 'Catta tit. Instances etIsrael, in- «Le» Jnifs » (1937), p. 266. VI
(80) Cf. P aolo Claudel , Introduction mi livre de Ruth, p. 54; «N on si
fa tutto ciò che si vuole con i testi- della Scritturai Per quanto si. tenti di. rin­
chiuderli nql censo letterale, e d i renderli, per così dire, neutri, essi all’im­ L’INTERPRETAZIONE DELLA SCRITTURA
provviso fermentano, ribollono, e il vecchio invòlucro troppo teso è -pronto
od- aprirsi ». . .
V
*r-■-
/:( STORIA E SPIRITO
■
j
Dio agisce nella storia. Dìo si rivela per mezzo della sto­
ria, Più ancora, pie s’inserisce nella storia conferendole così
una « consacrazione religiosa », che obbliga a prenderla sili
serio. Le realtà storiche hanno dunque una profondità, si
devono 'comprendere spiritualmente: iatoptxà 'rtveupwttxffic;
e, in cambiò, le-realtà spirituali appariscono in divenire, de­
vono comprendersi storicamente: ■jrveopàstxà ìaTojmtòg. La
Bibbia-.che cojpty^iie la rivelazione della salvezza, contiene
dunque, a modo suo, anche hi storia del mondo. Per compren­
derla non basta registrare ogni dettaglio dei fatti che riporta,
: ma bisogna sentirvi la sua ricerca affannosa d’universalità, per
I quanto schematica, parziale e talvolta paradossale ne sia la
!’i■ espressione ( 1). Così la leggevano i Padri della Chiesa; Da Ire­
neo ad Agostino, passando per Clemente Alessandrino e per
: Eusebio, ne traevano un Discorso sulla storia universale. Sen­
za dubbio, se avessero potuto conoscere tutti i fatti di cui oggi
I ■ disponiamo, il loro Discorso sarebbe stato mille; volte più com­
plesso. Ma la forma essenziale sarebbe rimasta la stessa, Per­
:: - ché sarebbero rimasti fedeli, come dobbiamo esserlo noi stessi,
a quel principio fondamentale che inculcava loro la Scrittura :
se la nostra salvezza e essenzialmente sociale, la storia intera
. . -Vi sv .
diviene, tra Dio e ciascuno di noi, ..l’interprete obbligato..
Questo principio dirige tutta la lóro esegesi. Da solo pone
un abisso tra il loro metodo d’interpretazione e quello dei
144 L'INTEKPRET AZIONE »ELLA SCRITTURA
filosofi, allegorizzanti, di cui hanno potuto conoscere le opere,
o anche quello di un Filone. Due fatti sono costanti nell’alle-
gorisrao dei filosofi, qualunque sia il testo che serve loro di
base o il sistema che ne traggono, e qualunque sia anche l’in-
tenzione che li guida e la natura precisa dei procedimenti che
usano. Da una parte rigettano nel « mito » ciò che si presen­
tava come un racconto, negando, nelsenso letterale, quello di
cui pretendono rivelare il significato misterioso : la loro óttóvol«
è, strettamente, una dXXyjYopfa. <<Queste cose non sono mai
accadute », esclamano con Sallustio, Lamico di Giuliano l’A­
postata (2). E d’altra parte, se volatilizzano così tutto quello
che. offriva almeno l’apparenza della storia, non lo fanno a
profitto d’una storia più profonda. I. fatti mitici, non sono ai
loro occhi i simboli d’avvenimenti spirituali, ma sotto il velo
del racconto si nascondono idee di scienza, di morale, o di
metafisica: « Queste cose non sono mai accadute— : sono, così
da tutta l’eternità! » (3). A più forte ragione è totalmente
estranea a questi nostri filosofi l’idea d’un Fatto spirituale,, che
s’incarnerebbe perfino nel sensibile, che avrebbe bisogno del
tempo per compiersi, che, senza pregiudizio della sua interio­
rità, si preparerebbe, si realizzerebbe e si svilupperebbe social­
mente nella storia. Quando s’imbatteranno in quest’idea, sarà
per essi scandalo e follia (4);
Anche Tèsegesi di Filone rimane ben lontana, nélla sua
stessa forma, da ciò che sarà l’esegesi cristiana. Certo questo
autentico ebreo è ben alieno, dal negare abitualmente ia let­
tera dal racconto biblicOi Crede alle grandezze passate del suo
popolo, credè nel suo avvenire ;e nella venuta del Messia. E’
assai duroi anche, per quei suoi compatrioti ebe si dispensa­
no (lairosservanza delle leggi di Mosè,; con il ^pretesto...« che
sono il simbolo, di realtà in telligibil i » ( 5). Tu tlavia ,nelì a: mi­
sura in cui vuol trarre im insegnamento ((.spirituale » dalla
Bibbia, Filone le toglie qualche cosa della sua .portata storica.
Reali o no, i fatti commentati offrono interesse allorai unica­
mente per ciò che simboleggiano :, in particolare la struttura
STORIA E SPIRITO 145
dell’anima individuale — ciò che è ancora oggetto soltanto
d’una «fìsica » (6) ■ —- o le sue avventure alla ricerca di Dio.
Colui che scruta le Scritture abbandona così il piano della re­
ligione per quello delle speculazioni astratte — accade soprat­
tutto, in Filone, nelle Allegorie delle Leggi — o almeno si
smarrisce in una mistica solitaria.
In tutt’altro modo avviene per i Padri. Lungi daH’atte»
uuare il carattere storico e sociale della religione d’Israele, il
loro misticismo lo rinforza, approfondendolo. Tra essi e gli
scrittori che li hanno preceduti, si possono evidentemente ri­
levare molte analogie più o meno superficiali, a cominciare da
quelle del vocabolario: S. Paolo non usava già la parola, così
equivoca, « allegoria » ? Tali procedimenti d’esegesi proven­
gono loro dai Greci; la spiegazione di questo o quel passo è
presa in prestito dagli Ebrei; questo o quel punto- della loro
dottrina <( simbolista » fa parte del patrimonio comune del
loro secolo o del loro ambiente; altri punti si ritrovano anche
nell’induismo, nel buddismo, sotto tutti i cieli dove degli
uomini meditino su un testo sacro. Non è senza interesse fare
questi avvicinamenti, come per tante altre idee, riti o istitu­
zioni del cristianesimo primitivo; e per un lavoro di tal ge­
nere ci si può ripromettere un ricco bottino. Ma se con que­
sto si credesse render conto dell’interpretazione spirituale che
il cristianesimo dà della Bibbia, l’abbaglio sarebbe totale. Nem­
meno distingueremo qui, come si è fatto talvolta in una ma­
niera forse eccessiva, tra Padri greci e Padri latini, tra ales­
sandrini, antiocheni o agostiniani. Infatti ciò che gli antioche-
nij con Diodoro di Taso e Teodoro di Mopsuestia, chiamano,
con una parola' meno tradizionale e più platonica, eopfa, non
è forse quella stessa cosa che Origene, fedele all’idea e al lin­
guaggio di S. Paolo, nominava à\\y]xoploc? Tutti vogliono com­
prendere lo spirito della storia, senza scuoterne la realtà (( stori­
ca » (7). Infatti —■è un greco, e uno dei meno « storicistici »
che ce lo dice —- esiste « una forza spirituale della stòria )) (8);
per la loro finalità i fatti stessi hanno un’anima; sono già nel
io
146 L’ijNTERPKETAZIONE DE3LLA SCRITTURA
tempo carichi d’eternità. E in cambio la realtà di cui l’Antico
Testamento — e anche il Nuovo —■contiene i « tipi », non è
soltanto spirituale, ma incarnata ; non è solamente eterna,, ma
storica, anche. Poiché il Verbo si fa carne, e pianta la sua
tenda in mezzo a noi. Il senso spirituale è dunque sparso ovun­
que, non soltanto, nè soprattutto in un libro, ma dapprima
ed essenzialmente nella realtà stessa: in ipso facto, non solum
in dicto, mysterium requirere debemus (9). Infatti ciò che
chiamiamo oggi l’Antico e il Nuovo Testamento, non è in se
un’opera. E’ un doppio evento, una doppia « Alleanza», una
doppia « disposizione », le cui peripezie si svòlgono e si corri­
spondono nel corso delle età, e il racconto della quale si po­
trebbe concepire non essere stato mai fissato per iscritto.
Quando i Padri "di-cevano che Dio ne è l’Autore — l’unico
Autore dell’uno e dell’altro Testamento, ;— non lo pa­
ragonavano unicamente nè da principio ad uno scrittore, ma
vedevano soprattutto in lui il fondatore, il legislatóre, l’isti­
tutore dei due <( strumenti » di salvezza, delle due « econo­
mie » o « disposizioni » riferite dàlie Scritture e che si divi­
dono tutta la durata del mondo (10). Dell’ima e dell’altra, essi
dicevano, « un solo e medesimo Dio », « Un sólo e medesimo
Padre» (11). — S. Paolo non parlava già delle due alleanze
o dèi due Testamenti prima che il nostro « Nuovo Testamento »
fosse scritto? — E quando, persuasi che ivi tutto era pieno
di misteriose profondità, si chinavano su quelle pagine ispi­
rate ove seguivano nelle sue fasi successive l’alleanza di Dio
con il genere umano, avevano molto meno l’impressione di
commentare un testo o di decifrare degli enigmi verbali, che
d’interpretare una storia. Come la natura, e più della natura,
la storia era per essi un linguaggio. Era già la Parola di Dio.
Ora, ciò che ritrovavano Ovunque in questa storia, era
ancora un Mistero che doveva realizzarsi, compiersi storica­
mente c ' socialmente, benché sempre spiritualmente: il Mi­
stero di Cristo e della sua Chièsa (12)/
I DUE TESTAMENTI 147
I DUE TESTAMENTI
Essendo questo Mistero àncora in via di compiersi, e non
dovendo essere consumato se non alla stessa consumazione
del tempo, il Nuovo Testamento non contiene nella sua let­
tera un senso più completo dell’Antico. Tutti e due compor­
tano dunque un senso spirituale, e questo senso spirituale è
nell’uno e nell’altro ugualmente profetico (13). Dal punto di
vista dell’interprete, la loro situazione rispettiva è pertanto
ben differente. Infatti in seno al Nuovo Testamento è pre­
sente la Verità stessa, benché non vi sia ancora percepita che
in immagine; di guisa che, se la Pasqua cristiana è ancora un
« passaggio », questo passaggio necessario e incessante dal
Vangelo temporale al Vangelo eterno non è affatto un verri
oltrepassare » (14), Poiché se Cristo è al di là delle sue figure,.
10 Spirito di Cristo non potrebbe condurre al di là di Cristo.
11 nuovo Testamento non sarà'mai perento. E’, per definizio­
ne stessa, « il Testamento che non invecchia», il Testamento
ultimo, novissimum Testammtum (15). Si deve dun­
que chiarire — per quanto è possibile farlo, finché vi­
viamo in questo sècolo — secondo i suoi propri prin­
cipi; invece l’Antico Testamento, al di là delle cose e dei
fatti su cui ci intrattiene la sua lèttera, designa un’« altra
cosa » (16), la cui stessa realtà, e non solo la manifestazione,
è ancora da venire. Di esso soprattutto, per conseguenza, sarà
vero dire che i suoi « simboli » sono simboli profetici, rcpocpT)-
CTiipßöXa (17): degli annunci, delle prefigurazioni, npa-cuiuA-
cjsi$ (18) nello stesso tempo delle.preparazioni. Praeparatoria
figurativa, dirà S. Tommaso d’Aquino (19). La legge, dice l’Epi­
stola agli Ebrei/riprendendo una espressione che, con sfu-
màture di senso che qui possiamo trascurare, si trova già nel-
l’Episfola ai 'Romàni e ih quella ai Coìossèsi, la Legge era
l’ombra dei beni futùri (20).
’ ‘ Ci si rende conto dèll’ardire di uria tale espressióne? Si
vede lo sconvolgimento che suppóneva ri.elle idee ricévute drib
l’èsempi ariamo àrdi co e riè! modo* naturale*di pènsarfe^/Eéèri

148 l ’i n t e r p r e t a z i o n e della s c r it t u r a
dunque die il corpo è futuro in relazione alla sua ombra, e
l’esemplare al suo « tipo » : Tòno? toö peXXóvTo?, <mà Tifòv peXAóv-
twv. L’abbozzo prepara Larchetipo, l’imitazione (pipijpa) pre­
cede il modello! I péXXovta sono i «pwrfrcwcal (21). L’originale
diviene la figura ! L’alba è un riflesso del giorno die annuncia !
Ecco che la Verità deve venire e che un giorno s’alzerà dalla
terra: futura Veritas, secutura Veritas (22), - Veritas de terra
orta. Paradosso inaudito: La Verità non è anteriore ad ogni
età, non è quel divino Logos, di cui Filone diceva che è il più
antico dei FigU di Dio? (23). « Mai, dirà ancora Tertullia­
no (24), l’ombra esiste prima del corpo, nè la .copia precede
l’originale ». Ora, tale è l’originalità sconcertante del fatto
cristiano: e la sostanza e il modello, e la Verità la cui ombra
e il cui riflesso si trovano nel fatto ebraico anteriore. Umbra
Evangelii et .Ecclesiae congregationis in Lege (25). E’ che il
Fatto cristiano si riassume in Cristo, il Cristo che, in quanto
Messia, aveva da venire — 6 MéXXwv — e doveva essere sto^
ideamente preparato, come ài capolavoro è preceduto da una
serie di abbozzi (26), ma che, in quanto «Immagine del Dio
invisibile » e « Primo nato di tutta la creazione », è l’Esem­
plare universale (27). Il figlio di David, il Desiderato delle
genti è anche quella misteriosa montagna sulla quale; Mosè
contempla le forme ideali di tutto ciò che doveva istituire
per la formazione del popolo di Dio. In quanto trascendente
e preesistente. Cristo è prima delle sue figure, anche se appa­
risce dopo di esse in quanto essere storico, fatto uomo. E’ tutta
la Legge che dice in Giovanni Battista: <( Colui che viene dopo
di me, fu fatto prima di me ». Ma, vivente sintesi dell’Eterno
e del temporale, nella sua dualità è uiio: non si può
separare il Cristo preesistente dal Cristo nato da don­
na, morto e risuscitato. Nascitur Veritas de terra Chri­
stus Dei virtus, Christus Dei sapientia de carne humana. Dem
Dei Filius de Virgine Maria (28). Colui che il Padre aveva
inviato « in questi ultimi tempi » è quello stesso per mezzo
del quale aveva « fatto i secoli » (29). Posteriore nella durata.
I DUE TESTAMENTI 149
ma anteriore come l’eternità lo è al tempo, Cristo ci apparisce
preceduto dalle ombre e dalle figure che Egli ha proiettato
da se stesso nella storia del popolo ebreo (.30).
Si è tentati di dire che è il tratto di genio della prima
generazione cristiana, aver articolato in tal modo la nuova
religione sull’antica, creando quell’insieme unico dalle due
parti intrecciate, che chiamiamo i due Testamenti. « Quale
concezione di Dio e del mondo ha permesso a degli uomini,
non soltanto di mettere accanto l’uno all’altro l’Antico e il
Nuovo Testamento, ma anche di comprendere l’uno alla luce
dell’altro? » (31). Ma in ciò non sì tratta di genio, e la con­
cezione del mondo qui presènte è una risultante, non un fat­
tore, Non abbiamo a che fare con qualche creazione mera­
vigliosa, con l’invenzione d’un intellettuale o la visione di. un
contemplativo. Fu, in alcune coscienze ebraiche, il contrac­
colpo del fatto dell’Incarnazione. Quindi l’intuizione doveva
prendere corpo in una teoria sapiente, che permise di fron­
teggiare da una parte gli-Ebrei e dall’altra gli Gnostici, for-
nendo il mezzo di conservare le Scritture e di appoggiarsi su
di esse, pur liberandosi dal giudaismo : gladius bis acutus co­
me la stessa Scrittura. Nel vasto campo che gli era offerto, il
ricercatore sagace potè anche esercitarsi a suo agio e scoprire
mille significati, grazie ai più sottili ravvicinamenti; mentre
iP filosofo vi poteva trovare materie di prima scelta per edifi­
care una dottrina di simbolismo universale. Ma, fin dal prin­
cipio, l’essenziale era dato, la sintesi era. fatta nell’evidenza
folgorante e confusa insieme d’una rivelazione. Novum Te­
stamentum in Vetere latebat; V etus nunc in Novo patet (32).
Questo celebre assioma non traduce un’opinione individuale.
Indubbiamente per interpretare la Scrittura, si stabilirono
ben presto delle tradizioni particolari, si formarono delle scuo­
le, alcune più sobrie, altre più inventive, s’affrontarono me­
todi e mentalità diverse. Ma a tutti s’imponeva ugualmente
il principio fondamentale. Fin dal principio « la regola della
Chiesa » fu « l’armonioso accordo della Legge e dei Profeti
150 l ’in t e r p r e t a z io n e della s c r it t u r a
con il Testamento consegnato dal Signore » (33). L’uno e l’al-
tro Testamento, ’nella loro « connessione» (34), tessevano al
Vèrbo una veste unica, erano un solo corpo, e lacerare que-
sto corpo con il rifiuto dei libri ebraici non era meno sacri­
lego che lacerare con lo scisma il corpo della Chiesa (35). Se
d if atti l’avvento di Cristo segnava « la fine della legge », TéXoc,
la Legge stessa testimoniava che aveva per fine Cristo, oxoirig.
La Storia e lo Spirito s’erano definitivamente raggiunti, e nel-
Fabbandono d’una lettera non più valida, la Scrittura intera
diveniva nuova della perpetua novità dello Spirito (36).
Perchè l’antico Testamento potesse essere compreso nel
suo « vero » senso, nel suo senso « assoluto » (37), bisognava
dunque, necessariamente, che i tempi fossero compiuti e che
Cristo fosse venuto. Solo questi poteva « rompere' il miste­
rioso silenzio degli enigmi profetici » (38), solo lui poteva
aprire il libro sigillato con i sette sigilli (39). Unica pietra
d’angolo, solo lui poteva congiungere i due versanti della
storia, e ugualmente i due popoli (40). Per un cristiano,
comprendere la Bibbia è comprenderla nel senso evangelico:
«Nessuno può comprendere l’Antico Testamento senza la
dottrina del Nuovo, dato che l’intelligenza spirituale dell’An­
tico non. è altro che il Nuovo » (41). Se adunque discerniamo
nella Scrittura come un corpo. e un’anima, potremo ugual­
mente dire, •— e sarà la stessa cosa — che questo senso e que­
st’anima sono il senso letterale e il senso spirituale, o che
sono l’Antico e il Nuovo Testamento (42). Il primo chiama
il secondo, sotto pena di non essere più 'che ombra vana e « let­
tera che uccide». Oppure, come diceva Origene: «Noi che
siamo della Chiesa cattolica, non disprezziamo la Legge di
Mosè, ma la riceviamo, purché sia Gesù che ce la legge. Con
questa condizione ne avremo la retta comprensione» (43).
Ma si deve aggiungere che questa lettura non si fa in forma
fìi discorso. La situazione di Gesù in relazione alla Scrittura
non si può affatto paragonare a quella d’un Crisippo o di un
Proclo in relazione a Omero o ai miti orfici. Egli non viene
I DUE TESTAMENTI 151
a spiegarla intellettualmente, ma a compirla effettivamente:
operante Christo, in Novum Testamentum observ'atio vetusta
transfunditur (44). Tale è la vittoria dei Leone di Giuda (45).
Se, secondo un’equivalenza che fu a lungo in uso, e di cui
S. Tommaso testimonia ancora al principio della Somma,, si
chiama Teologia la scienza delle Scritture, allora si può dire
in verità che tutta la Teologia è Theologia Crucis, intendendo
con ciò Theologia a Cruce. EMa Croce che dissipa la nube
di cui fino ad allora la verità era ricoperta (46). Eccola, ab­
bagliante e dipinta di rosso, la grande pagina che separa i du^
Testamenti! » (47). Nel momento in cui Cristo spira, avendo
compiuta la sua opera, il Velo del Tempio è strappato; sim­
bolo ambiguo come la stessa realtà che significa, rilevando nel
medesimo tempo la rovina del culto ebraico nella lettera (48)
■e la rivelazione del Mistero contenuto figurativamente da que-
■sto culto (49).
Ancor più, l’Atto redentore non apre l’Antico Testamento
per farvi apparire un senso che ci si sarebbe trovato già com­
pletamente formato. Questo senso in qualche modo lo crea.
‘Solo per Iddio, dal punto di vista dell’eternità, FAntico Te-
stamento contiene già misteriosamente il Nuovo: semel locu­
tus est Deus, et plum audita sunt (5ÖJ. La Bibbia intera non
contiene alcun altro, logos se non Colui che adoriamo incar­
nato:. tanto che, supponendo per impossibile che Cristo .non
fosse venuto, nessuno avrebbe avuto il diritto, avanti al testo
sacro,:di oltrepassarne la lettera: « Il Signore è lo Spirito ».
Respingendo Cristo, gli Ebrei si privano di questo diritto (51).
Mosè ed Elia sono trasfigurati solo nella gloria del Tabor, e,
come sulla tomba di Cristo i due angeli in vesti bianche, i
due Testamenti appaiono identici solo nella luce che bagna
la domenica della risurrezione (52). Se dunque accade che,
’in un particolare, si trovi la medésima interpretazione « spi­
rituale »tanto in un esegeta ebreo che in un cristiano, questa
coincidenza non impedisce, anche se proviene da un plagio,
che il principio formale d’interpretazione sia differente nelle
v
152 r ’lNTEKPKETAZIONE DELLA SCRITTURA
due parti. Cristo ha preso in un certo modo la Scrittura tra
le sue mani e l’ha riempita di sé, con i misteri della sua incar­
nazione, della sua passione e della sua risurrezione (53). II.
valore che il cristianesimo riconosce «1 tempo, cioè Yatto che
s’iscrive nel tempo, risponde qui in tutta la sua forza:
Prima dell’avvento di Cristo, scrive Origene, la Legge e i Pro­
feti non avevano ancora, si può dire, Fannuncio di ciò ohe s’è com­
piuto nel Vangelo, .poiché Colui che doveva rischiai’iare i loro mi­
steri non era ancora venuto. Ma quando il Salvatore fu venuto fra
noi ed ebbe dato un corpo al Vangelo, allora per mezzo diel Van-
gelo, ha fatto sì che tutto fosse simile al Vangelo (54).
Trasformazione miracolosa, parallela e anche, nel fondo,
identica al miracolo della nostra adozióne filiale (55). Mistero-
di cui, ancora sulle orme di Origene, la tradizione vede un
simbolo in quell’acqua di Mara, che da amara si fa dolce
quando Mosè vi getta il legno che Dio gli aveva indicato : in­
fatti « per mezzo del legno della croce l’amarezza della legge
si cambia nella dolcezza dell’intelligenza spirituale, e il po­
polo di Dio può calmare la sua sete» (56). Con un simbo­
lismo analogo, anche il miracolo di Cana ci addita questo mi­
stero. <( Poiché in verità la Scrittura era acqua :. m a. dopo
Gesù, è divenuta per noi vino » (57).
FIGURAZIONI DELLA CHIESA
Il carattere sociale dell’esegesi cristiana più spirituale è
degno di nota quanto il suo carattere storico. Se questo incide^
soprattutto nei principi, il primo si manifesta abbondante­
mente nel suo oggetto.
Se tutto l’Antico Testamento abitualmente apparisce ai
Padri come una vasta profezia, l’oggetto di questa Profezia
non è altro che il Mistero di Cristo, il quale non sarebbe com­
pleto se non fosse anche il Mistero della Chiesa (58). Per nom
citare ora che un solo esempio, è così che Giobbe nelle sue
prove è insieme Gesù crocifisso e la Chiesa perseguitata (59)..
«Dal principio del mondo, questo Mistero della Chiesa Cat­
tolica non cessa di essere proclamato attraverso i libri della
FIGURAZIONI DELLA CHIESA 153
Scrittura» (60). La Chiesa è raffigurata ovunque (61), sia in
tutta la trama della storia del popolo di Dio — ipsum regnum
iudaicum prophetia fuit (62) — sia in diverse realtà. La Chiesa
è il cielo stellato (63); è il Paradiso, al centro del quale è
piantato Cristo, Albero di Vita (64), e donde sgorga la sor­
gente dei quattro fiumi evangelici (65). E’ l’Arca del dilu­
vio (66) e se quest’arca aveva un doppio scafo, è perchè la
Chiesa è costruita con i due popoli degli Ebrei e dei Gentili;
se in qualche punto lo scafo era triplice, è perchè essa deve
costruirsi con i discendenti dei tre figli di Noè. E’ la Monta­
gna di Sion (67). E’ il luogo santo calpestato da Giacobbe (68)
e da Mosè (69). La si riconosce nel Tabernacolo, nell’Arca del­
l’alleanza, nel Candelabro d’oro (70). Essa è anche la veste
che il figlio di Giuda laverà con il vino (71), la casa di Ilahab
a Gerico, dove brilla sempre la stoffa scarlatta, il segno della
Passione (72). E’ la dimora di Àbimelech la Città di David, il
tempio di Salomone (73), la veste del vero pontefice (74),.,
Essa è il grande albero visto in sogno da Nabuccodo-
nosor (75)... Spesso questi simboli s’ uniscono per una prefi­
gurazione più complessa : è così che nei settantamìla com­
pagni di David, partiti con il loro capo alla ricerca dell’Arca
Santa per portarla nella Città, si possono vedere le settanta
lingue dei popoli diversi che Cristo fonde in un solo popolo
e con cui riempie la Chiesa (76). Da un capo all’altro della
Bibbia, non c’è un personaggio femminile (77) che, per qual­
che tratto, non simboleggi anche questa Chiesa. E’ èssa che
la sagacità dei primi esegeti, stimolata dalle speculazioni rab­
biniche, ha riconosciuto nella moglie di Lot;’ essa che, con
Paolo, hanno riconosciuto in Sara (78); essa ancóra in Ka­
chele e in Rebecca (79), in Debora (80), come in Anna ma­
dre di Samuele (81) o nella vedova di Sarepta (82) o in
Ester (83)... E tutti quei pozzi, accanto ai quali Mosè e i Pa­
triarchi contraggono le loro alleanze, non ci dicono anche che
Cristo troverà la sua Sposa nelle acque del Battesimo? (84).
Le stran iere,sch iav e, le peccatrici disegnano una fi-
 154 l/lNTERPKETAZIONE DELLA SCRITTURA
gura particolarmente eloquente della Ecclesia ex gentibus.
Ecco Giade, questa pagana nelle cui mani stette la vitto­
7
ria (85); ed ecco l’Etiope, la donna cuscita che Mose prende
per sposa: unendosela, fa naturalmente pensare airunioiie
che la sua Legge doveva contrarre un giorno con la Genti­
lità, o ancora alla pianticella selvatica che deve essere inne­
stata sull’olivastro (86). Ecco ora lo strano gruppo delle quat­
tro donne che S. Matteo segnala intenzionalmente —- non ne
nomina alcun’altra — nella genealogia di Gesù: Tamar (87),
la stessa Raub, Rut, e la quarta, Betsabea, che designa sola«
mente come « quella che fu la moglie di Uria » (88). Rut era
una donna povera : Cristo tuttavia non l’ha sdegnata, e que­
sta miserabile umanità gli ha dato una posterità regale (89).
Ecco al contrario la regina di Saba, « che lascia i suoi riti e la
via dell’errore per venire a Gerusalemme ad ascoltare la sa­
pienza di Cristo, rè pacifico, e offrirgli l’oro della sapienza
ù le pietre preziose della virtù» (90); ed ecco la sua emula,
la figlia del Faraone che Salomone sposò: figlia del demonio,
che il « vero )> Salomone seppe attirare nel suo palazzo (91).
Ecco infine la "prostituta che il profeta Osea ricevette ordine
I:.
di prendere in matrimonio: « perchè ciò che Osea aveva fatto
in figura, Cristo l’ha compiuto in realtà » (92).
Quest’ultimo tipo di simboli, che è uno dei più costante-
mente sviluppati (93), è anche uno dei più importanti, in
quanto ci richiama ciò che era la Chiesa nel pensiero dei Pa­
dri, e qual’era l’ampiezza della loro visione. Nella storia, pri­
vilegiata dei Patriarchi e del popolo fedele contemplavano il
lungo fidanzamento di Cristo e della Chiesa, prima delle nozze
mistiche di Nazareth e del Calvario (94). Ma nei Gentili co*
me negli Ebrei, fin dove arrivava il loro sguardo, percepivano,
già in via di formazione, il Corpus Ecclesiae. Per essi infatti
la Chiesa, in un senso, non era altro che Io stesso genere uma­
no, in tutte le fasi della sua storia, in quanto doveva arrivare
a Cristo ed essere vivificato dal suo Spirito. Era «tutta la
condizione umana ». Non perdevano di vista questa immensa
/
■■■Il
FIGLI RAZIONI DELLA CHIESA 155
umanità, da così lungo tempo esiliata, « senza Dio »$- senza
speranza nel mondo, spossantesi in sforzi apparentemente ste­
rili, che Cristo viene a strappare ai suoi idoli, che ama con
un amore del tutto gratuito in quella lamentevole nudità in
cui il peccato l’ha ridotta, che si assume di purificare, di san­
tificare, che da tenebre trasforma in luce (95), che infine fa j
sua sposa sine ruga neque macula (96). Dall’inizio della Scrit­
tura, sul frontespizio della storia, è già il Mistero che appa- |
riva loro nelle relazioni d’Adamo e d’Èva (97). Ed è lo stesso !
Mistero che la Scrittura, all’altro suo estremo, ancora offriva j
loro nella « donna vestita di sole » dell’Apocalisse (98). E’ dun­
que chiaro che non abbiamo qui semplicemente un simbolo fra
altri, simbolo che si distinguerebbe soltanto per la sua fre­
quenza e il suo maggior interesse. Tutti gli altri vi si riferì- ^
scolio più o meno direttamente. E’ il simbolo centrale, e cóme
l’anima che dirige tutta l’interprétàzione dell’Antico Testa­
mento (99). In maniera indissolubile questa interpretazione fv
si presenta insième come spirituale, storica e sociale, ed è at- |j
trihuirle insieme questa triplice nota, dire, con una sola pa- i
rola, che essa ha per oggetto la Chiesa. Prophetia semper fi- j
gliris variantibus loquitur, sed res ima in ominibus inveni- j;
tur ( 100). E’ quello che, senza intenzione esplicita, c’insegnà ;
a modo suo il linguaggio di S. Bario. La « praefigurationis |
significantia » che egli discerne in ogni pagina dei Libri santi, |
equivale alla loro « spiritualis praeformatio », e questa se-
conda espressione alterna con una terza: « Ecclesiae prae- ;
formatio » ( 101). Con questo si trova posta la nostra doppia
equivalenza: il senso spirituale, che è essenzialmente un sen­
so profetico, non è meno essenzialmente un senso « ecclesia­
stico » (102):' . ' ' -ì
Le ali della colomba, dice il salmo, erano argentate, e, al di- ;■
sotto, le sue penne avevano il riflesso dell’oro. ;
----- Questa colomba è la- Scrittura. Per le ali d’argento, bril- If
lami esteriormente, bisogna intendere le parole sacre nel senso
letterale. Quanto al riflesso d’oro, designa i riflessi preziosissimi lì­
di Cristo e della Chiesa, che brillano interiormente (103). !;
156 l ’in t e b p k e t a z io n e della SCMTTUKA
I S A I M I . E XL VANGELO
Come è raffigurata ovunque nelle cose dell’antica Legge
e nei fatti della « Storia sacra », la Chiesa è anche ovunque
annunciata nella visione dei Profeti» E lo è anzi, a dire di
S. Agostino, più chiaramente di Cristo: ((obscurius dixerunt
prophetae de Christo, quam de Ecclesia)) (104). Nei loro ten­
tativi di classificazione metodica, alcuni scrittori cristiani di­
visero le profezie in due parti: quelle che concernono diret­
tamente il Cristo nel suo Capo, e quelle che lo concernono
nel suo Corpo. Così, Isidoro di Siviglia, precedendo Giuni-
lio (105). Così faceva già Tertulliano (106). Ma c’è un libro
particolarmente ricco di misteri, in cui queste due parti sono
intimamente mescolate. Nei Salmi è Cristo che parla costan­
temente, e costantemente anche parla di noi, per mezzo di
noi e in noi, così come noi parliamo in lui: « Egli non ha yo-
luto parlare separatamente, perchè non ha voluto essere sepa­
rato » (107). Da una frase all’altra, e perfino nella medesima
frase, in una specie d’intrecciarsi perpetuo. Cristo talvolta si
esprime a nome suo soltanto, come Salvatore, nato dalla Ver­
gi ne, e talvolta s’identifica con le sue membra, e allora e la
Santa Chiesa che entra in scena, benché sia sempre lo stesso
« io » che si esprime in questa doppia parte (108). Ciò che ha
luogo nei Salmi, si ritrova in altre profezia Le lamentazioni
di Geremia, per esempio, concernono « e le sofferenze di Cri­
sto e le tribolazioni della Chiesa » (109). Il misterioso servi­
tore di Jahvè, per esempio, il cui rilievo personale è così sot­
tolineato in certi passi, fa ugualmente pensare, d’altronde, ad
una collettività (110). Non ce ne sorprendiamo, ma ricordia­
moci qui ancora che <( è un’assoluta necessità, per compren­
dere la Scrittura, pensare al Cristo totale e completo » (111).
Un principio analogo domina l’interpretazione di molti
testi evangelici: « comunicazione degli idiomi » tra la Testa
e le membra dell’unico Corpo di Cristo, come abbiamo visto
che ne esisteva una fra questo Corpo mistico e la Chiesa vi­
sibile. E come l’avevamo notato in quel primo caso, potrem-
1 SALMI E IL VANGELO 157
mo ora rilevare più d’un’intemperanza nell’applicazione del
principio, un vero abuso. Talvolta è stato troppo comoda­
mente utilizzato prima contro l’arianesimo, seguendo Atana­
sio, e dopo contro i Nestoriani — a profitto d’una cristolo­
gia, del resto, tinta di docetismo —, per eludere dei testi che
si credevano incomodi, come la parola sull’ignoranza dell’ul­
timo giorno, l’annunzio della venuta prossima del Figlio del­
l’Uomo (112), il racconto dell’Agonia, o la menzione del grido
d’angoscia gettato dal Crocifisso. Ma quest’abuso (113) fu pos­
sibile unicamente in virtù del principio dottrinale prelimi­
narmente professato. Non vediamo infatti Origene -— il quale
nella sua spiegazione dii S. Matteo non esita a discernere nel-
1’« ut quid dereliquisti me », un lamento del Salvatore a suo
Padre per l’umiliazione a cui era ridotto — riconoscere in
questo stesso grido, nel suo commento dei Salmi, «la voce
dell’umanità che grida la sua angoscia con la bocca del suo
capò e rappresentante »? E non si è potuto dire anche che
S. Agostino, che ritorna più volte su questo stesso soggetto,
non lo fa « in nessun luogo... da polemista nè da apologista,
ma piuttosto da esegeta e teologo? » (114). A,Getsemani come
sul Calvario, Gesù ha potuto parlare a nome proprio: ma ha
parlato anche ugualmente in nome dell’umanità. « Sive ca­
put loquatur, sive membra, unus Christus loquitur. Et capi­
tis proprium est loqui etiam in persona membrorum » (115).
Ma di questo genere non esistono solo alcuni passi ; è tutto
I’insieme del Vangelo che dà luogo, come lo stesso Antico
Testamento, a un’esegesi spirituale, in cui ai manifesta, sem­
pre predominante, la cura del grande Mistero collettivo. Con
quanta ingegnosità si vedono raffigurati in diversi episodi i
due popoli che si dividono il mdndo, i loro diversi destini,
la diversità del loro atteggiamento verso Cristo* la loro unione
finale in una stessa Chiesa! Nazareth rappresenta natural­
mente gli Ebrei increduli, e Cafarnao la folla variopinta dei
Gentili (116). Prima di essere l’azione e la contemplazione,
Marta e Maria sono la Sinagoga e la Chiesa (117). L’asino su

158 l ’i n t e r p r e t a z i o t s 'e b e lla s c rittu ra
cui Gesù entra in Gerusalemme, sono i credenti venuti da
Gerusalemme, e Farinello che cammina accanto, sono coloro
che provengono dalla gentilità (118). I due ladroni sono gli
Ebrei e i « Greci », tutti gli errori dei quali sono crocifissi con
Cristo (119). I due ciechi di Gerico sono anche i due popoli
che devono essere illuminati e riconciliati in Cristo (120), a
meno che non siano Israele e Giuda, o al contrario non siano
tutti e due dei Gentili, Fimo raffigurante la posterità di Cam
e l’altro quella di Japhet (121). In Zaccheo ancora è visto
questo popolo dei Gentili (122), e ugualmente nella Cananea
o in sua figlia (123). Maria di Magdala, la Samaritana, la don­
na adultera,. nella loro conversione (124), sono ciascuna a
modo suo VEcclesia ex gentibus, e similmente la dònna che
tocca ih mantello di Gesù (125), mentre la suocera di Simon
Pietro raffigura nella sua guarigione VEcclesia ex circumci­
sione (126). Il cieco nato di Siloe è il simbolo di tutto il ge­
nere umano, che il Redentore strappa alla dannazione: ecco
resi alla luce i suoi òcchi così belli, specchi della divinità,
ob curati una volta da uno sguardo dato al Principe delle Te­
nebre (127). Gesù nasce a Betlemme, Casa del pane, perchè
non c’è che una Casa in cui possa trovarsi il vero Pane cò­
leste (128). Quando calma la tempesta, viene in soccorso della
sua Chiesa agitata dalle acque contrarie del secolo e dai venti
degli spiriti impuri, per condurla alla pace della patria (129).
Quando Pietro, in nome di Gesù di Nazareth, fa rialzare gli
storpi posti presso la Porta Bella, guarisce la Chiesa stessa,
vale a dire sempre il genere umano che zoppicava nell’ido­
latria; e per mezzo di questa Porta Bella che è Gesù, lo porta
alla conoscenza del vero Dio (130)...
LE ÌP-MtA.lt OLE
Le parabole soprattutto sono oggetto di simili interpreta­
zioni. Abbiamo avuto occasione di vederlo per là pecora smar­
rita e per gli operai mandati nella vigna. Lo stèsso avviene
per gli invitati al banchetto eli nozze (131), -per Làzzaro é il.
IH
I
LE PARABOLE 159
cattivo ricco, per il Fariseo e il Pubblicano (132), per i vi­
gnaiuoli ribelli (133), ecc. In più d’un caso, del resto, l’in­
terpretazione era ovvia, quasi fino ai particolari. Ma gli svi­
luppi allegorici meno obbiettivi non sono qui i meno rive­
latori. Indicano in quale direzione si rivolge spontaneamente
(( l’analogia della fede» (134).
I racconti della dracma smarrita e del figlio! prodigo, in­
sieme con quello della pecora sperduta nel capitolo 15° di
S. Luca, formano il gruppo squisito delle « parabole della
misericordia ». Non saremo sorpresi che siano state commen­
tate spesso insieme e attribuendo lo stesso significato (135).
Si poteva trovare un simbolo del genere umano fatto ad im­
magine di Dio, migliore di quest’umile moneta di rame « che
porta un’effigiè reale»? Poco importa che sia una donna a
cercarla: questa donna è la Sapienza, — incarnata Sapien­
tia (135) — perciò, il Verbo. Tutto il suo tesoro consiste di
dieci monete: poiché con il genere umano ci sono i nove cori
degli angeli. E se essa convoca alla fine i vicini perchè
prendano parte alla sua gioia, non è forse perchè Cri­
sto chiama gli eserciti celesti a festeggiare con lui la sab
vèzza degli uomini? (137). Anche il figliuolo prodigo, agli
occhi di molti, rappresentava l’umanità peccatrice, mentre
nel Trstello maggiore, rimasto sempre a casa, si credeva di
riconoscere gli angeli rimasti fedeli. Quest’ultima interpre­
tazione, che era manifestamente forzata, trovò ben presto con-
Iraditori. Cirillo Alessandrino la segnala per respingerla (138).
Ma già il raccontò di S. Luca aveva trovato un’altra spiega­
zione, àncK’essa collettiva, che doveva essere ritenuta a lungo
dall’esegesi latina (139). Quando si volle applicare la situa­
zione del FigliiioI prodigo alla attuazione dei peccatori pen­
titi nella Chièsa, Tertulliano protestò (14Ö)vera il suo rigori­
smo che si rivoltava, ma poteva richiamarsi, sèmbra, a una spie­
gazione d’allora in poi clàssica, che vedeva nel ritorno deb
l’infelice figlio al focolare paterno là conversione delle na­
zioni piagane; il fratello maggiore rappresentava gli Ebrei,
160 l ’i n t e r p r e t a z i o n e della s c r it t u r a
« non perchè costoro siano innocenti e sottomessi a Dio, ma
perchè invidiano alle nazioni la loro salvezza, essi che avreb­
bero dovuto restare sempre vicino al Padre » (141).
In quei due altri figli che il padre manda al lavoro, e uno
dei quali da principio rifiuta ma finisce poi con l’andarci,
mentre l’altro, protestando la sua sottomissione, è tuttavia in­
fedele; non c’era già la chiara indicazione di riconoscervi i
Gentili e gli Ebrei? Malgrado alcune opposizioni, tale inter­
pretazione s’impose (142). I Gentili erano segnalati per pri­
mi, sia perchè rimontavano a Noè mentre la stirpe degli Ebrei
cominciava solo con Abramo; sia perchè nel pensièro divino
erano eletti per primi, e destinati a credere prima d’Israe­
le (143), Avendo dapprima abbandonato il vero Dio per il
culto degli idoli, avevano infine risposto alla chiamata del
Vangelo; mentre gli Ebrei, corrompendo con le loro inter­
pretazioni carnali ia Legge che pretendevano custodire, ave­
vano preparato il loro presente indurimento. Il figlio vera­
mente obbediente era ài popolo che, dopo aver respinto la spe­
ranza del Messia, s’era ricreduto al momento della sua ve­
nuta, e non il popolo che non aveva voluto ricevere Colui
che diceva di attendere (144)... E quella donna che versava
il iievitó nelle.tre misure di farina, chi era, dunque, se non
la Chiesa, la quale* grazie al lievito del Vangelo, collèga fra
loro i discendenti dei tre figli di Noe, ovvero gli uomini dei
tre tempi che si dividono la storia fino a Cristo, per far cre­
scere così la pasta umana? (145).
Per un prodigio di sottigliezza, unicamente spiegato da
un’abitudine sostenuta di considerare storicamente la vita re­
ligiosa, si notò anche che le sei parabole del 13° capitolo di
S. Matteo «si succedono come le sei età. del mondo : così l’in­
segnamento delle parabole nel suo insieme era, a mòdo suo,
una storia santa. Quelli che sapevano intenderla assistevano
ai destini del Seme divino confidato alla nostra razza dal pa­
radiso terrestre fino al grande Giorno del Giudizio. Il semi­
natore di zizzania svolgeva la sua triste parte con Adamo e
LE PARABOLE 161
Caino. Il piccolo grano di senape era seminato dopo il di­
luvio per divenire l’albero folto dei popoli, il fermento della
fede d’Àbramo, ricevuto prima nella Sinagoga, doveva un gior­
no invadere il mondo intero. Da David in poi, un tesoro era
nascosto nel campo della profezia. La perla più preziosa eli
tutte, che i migliori fra gli Ebrei, spogliati delle loro ricchezze
dopo l’esilio, avevano imparato a desiderare, doveva essere
trovata alla nascita di Gesù. Dopo di allora tutti quelli che
annunciano il Vangelo sono come quel padre di famiglia che
distribuisce senza fine le cose antiche e nuove. La rete del
regno dei cieli si riempie e, quando ài tempo della consu­
mazione sarà venuto, gli angeli faranno la cernita degli
detti (146).
Molto più semplicemente, l’unica parabola del buon Sa­
maritano si prestava ad un’ampia esposizione della nostra
storia Collettiva. Godeva perciò nella tradizione di un favore
particolare. Ciascuno dei suoi tratti ricevette la sua spiega­
zione allegorica, ciò che permise di vedervi in riassunto, con
una precisione nei particolari che fa pensare alle tele dei mae­
stri olandesi, tutto il Mistero della Redenzione. Questa esegesi
fu unanime. Doveva aver corso fin dalla fine del II secolo,
poiché Origene, che la cita prima di aggiungervi il proprio
commento, e che la trova « ragionevole e bella », la attribui­
sce, ad uno di quegli «antichi» di cui ama citare i ragio­
namenti:
L’uomo significa Adamo, con la vita che conduceva in prin­
cipio, poi con la caduta causata dalla disobbedienza. Gerusalemme
significa il Paradiso, o la Gerusalemme del .cielo. Gerico è il mon­
do. .1 ladri sono le forze avverse, ossia i demoni o i falsi maestri
che si presentano in nomo di Cristo. Le ferite sono la disobbe­
dienza e i. peccati. L’uomo è spogliato delle sue vesti, cioè
perde l’incorruttibilità e l’immortalità, ed è privato di ogni
virtù. E’ lasciato mezzo morto, perchè la morte ha conquistato
la metà della natura umana... Il prete è la Legge. Il levita, so­
no i Profeti. Il Samaritano è Cristo che s’e rivestito di carne
per mezzo di Maria, La bestia da soma è il corpo di Cristo,
li
162 L ’lNTEBPKETAZIONE »ELLA SCIUTTURA
Il Tino è la parola d’insegnamento e di ammonimento. L’olio
è la parola di « filantropia » e di pietà o d’incoraggiamento. L’al­
bergo è la Chiesa. L'albergatore è l’insieme degli Apostoli e dei
loro successori, vescovi e didascali delle Chiese, oppure gli Angeli
che presiedono alla Chiesa, I due denari sono i due Testamenti,
l’Antico e il Nuovo, o la carità verso Dio e verso il prossimo, o
ancora la conoscenza del Padre e del Figlio. Il ritorno da Sama­
ria, infine, è il secondo avvento di Cristo (147).
LA CHIESA E L’ANIMA. -
Le realtà della vita interiore, della vita <( spirituale » non
sono dimenticate. Questa esegesi sociale, che ovunque ritrova
il genere umano intero nella sua relazione con il -Salvatore,
e che si mostra come ossessionata dall’opposizione della Chiesa
e della Sinagoga, non s’interessa meno all’anima individuale.
Ma non sono questi due oggetti separati, e nemmeno il loro
ordine— l’ordine stesso della dottrina e della « pratica )) —
è indifferente. Poiché, se tutto ciò che accade a Cristo accade
alla.Chiesa, «tutto ciò che accade alla Chiesa accade anche
a ogni cristiano in particolare ». Pascal, in questa famosa mas­
sima della sna lettera a Mile de Roaiinez (148), riassume la
tradizione unanime. L’anima di cui si tratta è l’anima credente,
è Yanima in Ecclesia ( 149). Siccome solamente profetizzando
^il Mistero del Cristo e della Chiesa, l’Antico Testamento acqui­
sta per così' dire il diritto di significare le cose del mondo
eterno.— infatti dalla Gerusalemme terrena alla Gerusalem­
me celeste non c’è altro passaggio se non quello tracciato da
Colui che prima è disceso —, sarà egualmente solo a, condi­
zione di vedere nell’uno e nell’altro Testamento questo stesso
doppio e unico Mistero, che acquisteremo il diritto di. estrarhe
tutto il significato spirituale. Perchè non c’è vita interióre au­
tenticamente soprannaturale se non in dipendenza del Fatto
storico di Cristo e della Vita collettiva della Chiesa. Niente
sfugge a questa doppia e unica Mediazione, e « dalla sua Pie­
nezza tutto abbiamo ricevuto ».
Si tratti dunque dell’Antico Testamento o del Vangelo e
LA CHIESA E L’ANIMA 163
specialmente delle parabole, la Tradizione mantiene alla pari
ini doppio senso mistico, di cui uno mira ai destini collettivi
del genere umano, e il secondo alla storia intima dell’anima.
Così, in fin dei conti, tutto ciò che ci dice la Scrittura, trova
il suo compimento in ciascuno di noi (150): «Quidquid
illic gestum historialiter legitur, totum in nobis per my­
sterium spiritualis intellectus impletur » (151). E’ « co­
me Lottava è la perfeziqne della nostra speranza,
così l’ottava è la somma delle virtù » ( 152). Il Paradiso, che
è la Chiesa con i suoi santi, è anche l’interno di ciascuno di
questi santi con le sue virtù (153). In ogni uomo c’è una Chiesa
e una Sinagoga, — un Abele e un Caino, un Esaù e un Gia­
cobbe, una Agar e una Sara — .due popoli che s’affrontano
di cui l’uno deve vincere l’altro (154).., I due ladri messi
in croce con Gesù sono figure dei due popoli, ma anche delle
due attitudini dell’anima (155), Le lagrime versate a Babi­
lonia dalla figlia di Sion prigioniera sono insieme quelle della
futura Chiesa e quelle di ogni anima umana, e i richiami al.
pentimento che il, Signore le fa sentire si rivolgono ugualmente
all’una e all’altra (156). I profumi sparsi sui piedi di Gesù
durante il banchetto in casa di Simone il fariseo simboleg­
giano ogni conversioni; sinèera: l’incessante conversione di
ogni cristiano, in cui il pagano non è mai definitivamente
morto, come la conversione della gentilità : « conversam gen­
tilitatem designat..., nos ergo, nos illa mulier expressit ». Co­
me Cristo, nuovo Isacco, è venuto a riscavare i pozzi della
Scrittura che erano stati riempiti dai Filistei, così »cava an­
cora ogni giorno in segreto quel pozzo che è l’anima dei suoi
fedéli (157). La grande notte di Pasqua evoca il passaggio del
Mar Rosso da parte degli Ebrei e ricorda il passaggio defini­
tivo alla vita di Cristo resuscitato: con ciò prima di tutto è
significato il passaggio del mondo intero « alla dignità dTsràe-
le », ina anche il passaggio di ogni convertito alla Vita divina
con il battesimo. Il sepolcro di Cristo, che è l’universo, è an­
che il cuore di ogni fedele (158). I quattro fiumi del paradi-

164 l ’ in t e r p r e t a z io n e della s c r it t u r a
so, che sono i cjuattro vangeli, sono anche le quattro virtù
dell’anima, poiché sia gli uni -che le altre escono dalla stessa
sorgente: il petto aperto del Salvatore (159). Il muro di sepa­
razione fra i due popoli è anche quello che lacera la vita di
ogni giusto nell’opposizione dello spirito e della carne, e la
pace che si stabilisce fra le potenze del cielo e della terra è
quella stessa che la grazia ripone nel suo cuore (160). Dopò
essere stati applicati alla Chiesa, i simboli del Tabernacolo,
della Casa, della Città... si applicano Ugualmente all’ ani­
ma (161). Anche questa è una Gerusalemme che deve lodare
i l signore, « e per parlare in generale, tutto piò che nella
Scrittura conviene alla Chiesa, può essere riferito anche a
lei » (162). UnumquemUbel ex Ecclesiatanquam Ecclesiam
Christus alloquitur (163), , senza sempre osservare ordine apparente, il suo pensiero non
E? così che le speculazioni. antiche, così universalmente
diffuse sul microcosmo è il macrocosmo, divengono, con una
doppia trasposizione su un piano insieme storico e spiritila-.
le, una dottrina sui rapporti della storia sociale e della storia
individuale della salvezza (164). C’c una corrispondenza tra.
la crescita spirituale del mondo e quella dell’anima individua­
le, per effetto d’una stessa illuminazione divina (165). L’ani­
ma è il microcosmo di quel gran mondo che è la Chiesa, e
tutte le tappe sorpassate dalla Chiesa nel suo lungo pellegri­
naggio le ritrova in se stessa, nelle vicissitudini della sua vita
interiore. Come c’è una corrispondenza, nel Corpo di Cristo,
tra la Testa e le membra, ce n’è una anche tra ciascuna di
queste membra e l’insieme del Corpo. S. Bonaventura potrà
dunque tracciare il suo Itinerario spirituale secondo il piano
delle sei epoche bibliche (166). S, Agostino, ispirandosi -a
S* Paolo, spiega le risorse di una psicologia profonda nel de­
scrivere i quattro stati, i quattro momenti essenziali della co­
scienza allo stesso tempo che i quattro «stati successivi dell’u­
manità: Natura, Lex, Grana, Patria, divenire spirituale e.
svolgimento temporale simboleggiandosi così l’un l’altro (167).
L’ontogenesi mistica riproduce la filogenesi.
LA CHIESA E L’ANIMA 165
t
' Di questa specie di registro a partita doppia l’esegesi del
Cantico dei Cantici ci offre una ricca illustrazione. Fondamen­
talmente, la Sposa del Cantico è la Chiesa (168). Dapprima essa
erra, alla ricerca dell’Amato annunziatole dai Profeti; infine
Io trova, riceveva lui mille doni; da allora la sua bellezza è
perfetta, «senza ruga nè macchia)); i due Testamenti sono
le sue due mammelle feconde, donde i suoi numerosi figli at­
tingono un alimento migliore del vino (169)... Ma la Chiesa
è qui il prototipo dell’anima. I due primi commentatori del
Cantico, Ippolito e Origene, già ce lo ricordano. Per Ippo­
lito, se la Sposa è la Chiesa in quanto succede alla Sinagoga,
è anche l’anima che risiede in questa Chiesa come in un giar­
dino (170). Tra Puna e l’altra Origene istituisce un costante
parallelo, Benché applichi il suo testo óra all’ima ora all’altra
è dubbio: tutto ciò che dice dell’anima non le è attribuito se
non in partecipazione della Chiesa. Ama anche paragonare
le anime al gruppo delle giovani che accompagnano la Sposa,
ciò che gli permette di parlarne al plurale e nello stesso tem­
po di mettere in rilievo la loro dipendenza; oppure, in questa
unica Amata « pura e senza macchia )), vede contemporanea­
mente l’insieme delle anime sante « che compongono tutto il
corpo della Chiesa)) (171). Per una precisione di linguaggio
alla quale manifestamente tiene, mentre la Chiesa è unita a
Cristo, l’anima aderisce al Logos: il fatto è che la legge del»
l’inoarna rione, individuale e sociale, comanda tutta la vita
spirituale. Bisógna passare per la carne del Logos per nutrirsi
della sua divinità. L’anima è istruita dal Logos e diviene sua
sposa soltanto nella casa costruita da lui stesso: perchè il Mae­
stro interiore non si rivela «che a colui che riceve la Parola
di Cristo trasmessa dalla predicazione ecclesiastica (172). A
proposito del versetto sullo Sposo che guarda attraverso il
traliccio della finestra, Origene ci spiega ancora che Cristo,
prima della pienezza dei tempi, guardava la stia Chiesa attra­
verso la Legge e i Profeti: ora i due Sposi si contemplano
 166 l ’ in t e b p r e t a z io n e della s c r it t u r a
liberamente sotto la grande luce del Vangelo, il passaggio
dalla lettera allo spirito è consumato, la Sposa ha raggiunto
lo Sposo; mentre il Logos, fino alla fine dei tempi, si terrà
sempre mezzo nascosto dietro il traliccio delle creature: poi­
ché, per guanto perfetta sia divenuta, un’anima non saprebbe
ancora contemplare l’invisibile se non attraverso figure ed
enigmi... (173).
Abbiamo insistito sull’esempio di Origene, perchè la sua
importanza è capitale, non soltanto in questo punto ma in
molti altri analoghi. In materia d’interpretazione della Scrit­
tura, questo grande spirituale, che fu anche un grand’uomo
di Chiesa, indubbiamente non è affatto il novatore che troppo
spesso ci si immagina secondo le testimonianze ingannatrici
di Porfirio e di Fozio, secondo gli attacchi di alcuni avver­
sari fuorviati dalla passione, o anche -secondo certe sue di­
chiarazioni, come .in quei capitoli del Contra Celsum in cui
argomenta ad hominem paragonando l’esegesi cristiana a quel­
la dei letterati pagani. Ma è il grande iniziatore. La sua in­
fluenza sorpassa di molto ciò che si è convenuto chiamare la
scuola alessandrina. Specialmente sul Cantico, la doppia ese­
gesi che fu la sua e quella d’Ippolito, si ritrova, in propor­
zioni varie, nella maggior parte dei loro così numerosi suc­
cessori (174), greci o latini. Nel XII secolo, in quest’età chia­
mata l’epoca d’oro dèi commentatori sul Cantico, essa sarà
ancora quella di S. Bernardo e di Gilberto di Hoiland, di
Guglielmo di Saint-Thierry, di Onorio d’Autun e di Riccardo
di S, Vittore (175). Nel XIII secolo, sarà quella di S. Tomma­
so (176).
Certo, dal senso « sociale » al senso « interiore », dal senso
«ecclesiastico» al senso «individuale», dal senso « allego­
rico » al senso « morale », o dal sacramentum nWexemplum.
il legame non è sempre esplicitamente rilevato, nè l’ordine na­
turale sempre rispettato. Non tutti i nostri esegeti dicono come
S. Greg. Magno: « Hoc quod generaliter de cuncta Ecclesia di­
ximus, nunc specialiter de unaquaque anima sentiamus » (177).
LA CHIESA E l ’ANIMA Ì67
Non tutti mettono la cura che egli pone nel suo commento
su Giobbe nell’« estrarre da principio il senso allegorico dal­
la lettera della storia » per « dare dopo ai sensi allegorici le
loro applicazioni morali » (178). Le due serie d’interpretazioni
appariscono solo di rado, come in Origene, armoniosamente in­
trecciate e tendenti a fondersi per culminare nell’unica con­
siderazione dell’Ànima perfetta. A mano a mano, anche, che
1 secoli passano, e che -si opera la differenziazione normale
tra «teologi» e ■«;spirituali », accade più spesso che costoro,
nella loro meditazione sulla Scrittura, omettano di segnalare,
tra la lettera e lo spirito che ne traggono, che la Chiesa è l’in­
termediaria. Può accadere'che nemmeno ci pensino più, Da
questo punto di vista sarebbe istruttivo stabilire un ,pàragone
tra quei due grandi dottori mistici che sono S. Gregorio e
S. Giovanni della Croce, che s’ispira anche lui dal nostro Can­
tico (179). Oppure, già prima, tra S. Cirillo Alessandrino e
‘S. Nilo, o tra le due opere così differenti, e che devono tanto,
tutte e due, a Origene, di Gregorio Nisseno e di Teodoreto.
Mentre in questi il senso collettivo è predominante da un capo
all’altro, nel primo al contrario l’anima individuale occupa
quasi tutta la scena. Tuttavia, nè Teodoreto trascura l’appli­
cazione spirituale immediata ( 180), nè Gregorio tralascia di
richiamare il fondamento che suppone ovunque: alla fine
delle sue ammirevoli omelie, la Sposa si rivela nella totalità
del suo mistero ; « l’unica, la colomba, la perfetta, l’eletta »
apparisce come l’unità stessa di tutte le membra di Cristo,
il Corpus Christi di cui parla S. Paolo (181). D’altronde, per­
chè ci sarebbe bisogno di ritornare ogni volta -sui fondamenti
dottrinali che permettono a ogni fedele di trovare ovunque
nella Bibbia quelli che S. Ambrogio chiamava i processus
animae? (182). Ma non si dovrebbero disdegnare, se si voglio­
no evitare le deviazioni del senso individuale o le sterilità della
fantasia devota. Nell’interpretazione dell’Antico Testamento,
il punto di vista storico dell’adempimento e il punto di vista
sociale della comunità, punti dì vista che praticamente coin-
 168 7 l 'i n t e r p r e t a z i o n e d e lla s c rittu ra
«dono, sono i principali. Espliciti o impliciti, regolano tutto
ciò che concerne la speranza delle cose celesti e le realtà della
vita interiore. La legge dell’« intelligenza -spirituale )) è la
legge stessa della spiritualità : questa è autentica e sicura solo
se costituisce, non una via solitaria, ma un’interiorizzazione
della Liturgia, cioè un’applicazione del ritmo vitale della Chie­
sa alla vita dell’anima. Uno «tesso essenziale mistero riempie
tutto, nella Scrittura e nella Liturgia (183), fuori del quale
non è possibile partecipazione alcuna al Mistero di Dio-
Anche in questo senso bisogna dunque dire con S. Eugenio:
« Al •principio di tufte le cose è la Santa Chiesa Cattoli­
ca » ( 184). •
NOTE
(11) Notare, per es., l’importanza delle genealogie. I reneo, Adv. Haer., 3,.
22, 3, sulla genealogia di Cristo: « Lucas genealogia-m quae est a generatione
Domini nostri usque ad Adam, septuaginta duas generationes habere ostendit:
finem coniungens initio, et significans, quoniam Ipse est qui omnes gentes
exinde ab Adam dispersas et universas linguas et generationem homlinum cimi
ipso Adam in aemetipso re capitulatus -est». (<P. G. 7, 958),
(2) Degli dèi è del mondo (tr. M. Meunder, p. 63), c. 4, Gf. P latone, R e­
pubblica, I. 2, 378 d.; P lutarco, /sfide e Osiride, c, 11, 20, 64... ecc. Omelie
clementine, om. 6, e. 20; Clemente ad Appione: « coloro che hanno voluto
spiegare i fatti e gesti degli dèi con vergognose allegorie sono caduti neH’im-
haraiizo.,, applicando, agli dèi le loro interpretazioni naturalistiche imfb-ro*
glint e, hanno soppresso ' la loro stessa esistenza e, con l’allegoria, li linnno
fatti svanir« negli elementi del mondo ».
(3) Ibid., P lotino, Enneade 5, tr. 3, c. 9. G iul ia n o , Della Madre degli dèi,
c. 6. Cf. (Platone, Timeo, 22, c*d. B albo, in C icerone, De natura deorum, 1. 2,
c. 24, n. 63 ; ecc. . 16, 94); De excessu fratris, 1. 2, n. 109 (1347). B a ld o v in o di C an torb ery, Li­
(4) C lem ente , Strom. 6, c. 15, n. 127 (St., t. 2, p. 496).
(5) De migratione Abraham, 88-95. De ebrietate, 33-8.
(6) Allegorie delle Leggi, 1, 10, 25 e 3, 5, 16 : qxxnxdrca-ca, qiuaiwi&TaTO» ècviv-
2, 2, 57 : Tatua ipooixtög àXk-qjogeX, ecc. E’ questa la parola usata correntemente
dagli esegeti pagani, e «he riprenderà S. A gostino per indicare le spiegazio­
ni di Yai'rone : De Cìv. Dei, 1. 7, c. 5, 27 o 30 (P. L. 41, 199, 217-, 220). Ugual­
mente F irm -ico- M aterno, De erróre profanarum religionum; designa con la
«pressione «physica sratio » . tanto le interpretazioni «naturalistiche» che
quelle che noi chiame remino piuttosto « spiritualistiche »: confrontare c. 3,.
n. 2 p 4, e c. 7, n. 8 ( H e u t e n , p. 47 e 63).
(7) G reg, -di N tssa , Conira Eunomium, 3. 1 2 (P. G. 45, 940).
(8) M a ssim o , Quaestiones ad Thalassium, q. 17: T ^v 5è xvjg toroptag é y
Tiveópcm Sóvequv, voepolg xaxavozjuop.ev fisi .ytvojtévvjv, x a l T(ji ^Gea-Oai.
teXI ov à«jj,.à^ouoKV (P . G . 90, 3014); « q. 49 (449). E ’ ciò ch e C irillo A l e ss .,
NOTE 169
chiama 1’« utilità della storia» (69, 15; 70, 192). Cf. .Diodoro, In psalm, ('Ma ­
r ie s , Rech. Se. rei,, 1917, p. 88-93). Gregorio, Moralia in Job (P. L, 75, 581 B).
(9) A g o stin o , ln psal. 68, s. 2, n. 6 (P. iL. 36, 858). G regorio -Ni s sen o , E'ita
di Mose (P. G. 44, 368 G). C ir illo di G e ru sa le m m e, I Catechesi mistag., c, 2
(Quasten, p, 72). Ila r io , « mystica /ustoria» (P. L . M , 880 D ). G ero la m o ,
«typicam historiam » (24, 608 A); « q u i per hietoriam prophetatur» (25,
1444 B). Già O rig en e, In htnnnem, t. 10, n. 13 : xdt Eoxoptxà, xonot, vo.^x&v {P.
G. 14, 340 A). P ie r D am iani (P. L, 145, ISO A). E’ Ia dottrina tradizionale
che S. Tommaso riassumerà in formule destinate a diventare classiche: 1 \
q. 1, n. 10; Quodl. 7, a, 4.
(10) Crisostomo , In 2 Cor., 4, 13 (P . G. 61), e In Mat., hom. 16, n.7 (57,
247). I sidoro di P jìlusio , 1. 2, epist. 123, e 1. 4, epist. 209 (78, 576 e 13-04)...
T eo d o reto (83, 508 -C). È s ic h io (93, 789 C), T e r t u l l i a n o , Adv. Marcìonem
(K r. p . 423 « 581, 582). G a u d en zio di B r e sc ia , Tract, g (Gdueck, p. 60).
A m brogio, Apoi. David altera, n . - 71-73 (P. L. 14, 915-9T6); F u lg e n z io , Semi. 1,
n . 10 (65, 724). iLeone, Sem». 75, c. 1 « Aih eodem Spiritu conditum faediis
3ecundum , a q u o -primum fuerat in s titu tu m » (54, 401). Am a la r io (105, 1299
B), A v it , ex sermone die nat., n . 4 (ed. di Berlino, p. 104, 105). Dialogo 'tTAéa-
manzio, disp. I, c. 16 e disp. 2, c. 18 (Van de Sande, p. 34-35 e 98-99); ecc..
Cf. Exod. X-XIY, 8 e Matt., XXVI, 28. « Vetus Sacram ent-um », d ice Z en o n e di
V ero n a : tr. 2, n . 61 >(P. L. Il, 516).
(11) I reneo, A év. Haereses, 1, 20, 1; 4, 32, 2 (P. G.. 7, 1071 B).
• (12) -Cirillo -Aìless. Glaphyra in G>en., 1. 1 (P. G. 69, 14-6). O ricene , In-
Levit, (iß. p. 44C1) ecc. A gostino, C. Faustum, 1. 12, c. 40, opponendo i l Fatto
cristiano «i miti pagani, e nello -stesso tempo l’esegesi cristiana all’esegesi pa­
gana: «Ea qua© praenun-tiata inteìligimus, etiam demonstramus impleta.; cum
fabulas.suas ut aliquo modo -commendent, ad nescio quas -physiologias vel theo-
logias, id est rationes naturales vel divinas, interpretando, referre conantur... i-
(P. iL. 42, 275), Beva, De Tabernaculo et vasis eius, 1. 1, e. 6 : « Allegoria est,
'cum Veilbis, sive robus mysticis, ftraeseiinia ^Christi et Ecclesiae sacramento si­
gnatur » (91, 410).
(13) O rig en e, In Jo ., t. 1, n. 9-10 (Pr,, p. 11-13). M e to d io , Banchetto, disc, 5,.
c, 7^(tr. Fa-rges, p, 89). G regorio N a z., Disc., 45, c. 23: -partecipiamo alla Pasqua,
xum-xfiig Stv (P, G. 36, 656), A m brogio, In psalm. 38, n. 24-26: «Etsi i aul re-.
surrexerit ‘Christus, tamen in evangelio nobis adhuc eius imago monstratur....
Primum igitur umbra .praecessit, secuta est i-mago, erit veritas: umbra in lege,
imago vero in evangelio, veritas in caelestibus, ecc.» ( P et sebeni g, p. 202-4);
In psahn,, 43, n. 59 (p.. 306); De officiis ministrorum, 1, 1, c, 48 e 49 (P. L.
ber de sacramento altaris : « Dominus... non in sola substitutione novi sacra­
menti finem constituit veleria sacrificii, sed jitrumque ad n-mnn finem dirigit,
ultra que-m nullus ©st finis » (204, 673 iB). I la r io , In Matth.: le, gesta di
Cristo .«odo- dell© parabole . (9, 1035). A g o s tin o , C. Faustian, 1. 19, c. 2 (!P. L,-
42;, 347-8). E u c h e h io , Liber formulantm spiritualis intelligentiae (50, .727).-
P ie r CrisoloGo> sermo 95 (52, 467). T e o f i l a t t o , In Mat, (P. G. 123, 446). S.
T om m aso, Quodl. 7, q. 6, a. 15; ecc.
(14) iS. L eone, sermone 68 , n. 3: «Figuras verita» -auferebat, et superflui
©rant -nuntii -sub praesentia nuntiati » (P; L. 54, 375). Al -contrario i fatti
d el Nuovo Testamento: sermone 63, n. 6 : «N on in historia tantum praeteri-
tarum -actionum novimus, sed etiam in praesentium operam virtute senti-
mi!« »; c-f. sermone 64, n. 1 (356 e 358),
(15) Severo . d’À n tio c h ia , hom. 102 (P. O. 22, 288). T e r t u l l i a n o , De pueli-
citili, c. 12, n: 10 (De Labri o l l e , p . 120). G erolam o,. In Isaham: «Et vetus

170 i / INTERPRET AZIONE DELLA SCRITTURA
et novum dicitur Testamentum, non -quo vetus pereat, sed quo novo alius
non succedat » (P. L. 24, 649 C). A g o s tin o , In psalm. 149, n. 1 (P. L. 37.
1949). B ald DiHo di C an torb ery, De sacram, altaris : «Novum enim Testamen limi
est in meo sanguine confirmatum, nullo que ritu deinceps mutandum, ut sit
legitimum, sempiternum» (204, 686). S icard o di C rem on a, Mitrale, 1. 3, c, 6
(213, 130). In n o cen zo MI, De sacro alt. myst. 1. 4, c. 28: « inde probatur 'aeter­
num, id est perpetuum, unde novum asseritur, i. e. ultimum» (217, 875), P se u d o
C riso sto m o , In incam. Domini (P. G. 59, 696).
(16) Galat. TV, 24. C r is o sto m o , in toc. (P, G. 61, 662).
(17) E u seb io , Sulla solennità pasquale, n. 5 (P. G. 24, 700). C le m e n te , Strom.,
1. 5. c. 8 (Si., t, 2, p. 361 e 363). A g o s tin o , De Trinitate, 1. 3, n. 26, (P. L,..
42, 885), E n rico di M arcy, De per, Cii;. Dei, tract. 1 (P. L. 204, 259). G rego­
rio N is s ., Sui! battesimo eli Cristo ■ (P. G. 46, 592). R u p e r to : «Haec gesta...
mysteriis, propheticis plena sunt » OP. L. 167, 1245 D).
(18) Dialogo d’Adumanzìo, disp, 1, c. 11: it poi t’mwpa, KpWTOTÓJttopK (Van
de Sande B,, p, 27); disp. 5, c. 5: 'sX■ 80607)5 Tifjg àAvjO'Slctg ot ttircen (p. 182);
e«e, M elitone di Sardi: Tt'powivuvjp« (C , Bonner, Melanges Cumont, p. H l).
Iueneo, Adv. Haer. 4, 25, 3 (P. G .'7, 105<1), In Pascha sermo 2 (59, 725-30). In
Pascha sermo 6 (59, 738 e 741). Eusebio, Dimostrazióne evangelica, 1. 1, c. 10
(Heikel, p, *16). C ir illo Alessandrino: rcpoavaiüit(berste (P- G. 74, 880 A).
Mktodio, Sermone sulla Vergine, c. 5 (18, 357). Cipriano, Epist. .63, c. 4, n. 3:
«Q uid est plenitudo, veritatem praefiguratae imaginis adimplevit » (Bayard,
t. 2. p. 202; ri. p. 201 e 250). Cromazio, Tract. 6 'in Mat, (P, L. 20, 343).
A gostino,‘ He Civ. Dei 1, 15, 2 «umbra quaedam et imago .prophetica».,
(19) 3 \ q. 70, a. I. • ■p.' 100'e 187); cf. il tìtolo dello scritto d’Ammonio, maestro d’Origene: nspl
(SO) Eebr., X, 1; -cf. V ili, 5, Rom., V, 14. Coloss., Il, 17.
(21) P seu d o C r iso sto m o , In psdl. 102 (P. 'G. 55, 643). «Abbiamo rice­
vuto. dire E u seb io , la verità e l’archetipo delle immagini » : Dim. Evang., 1. 1,
e. 10 (P. G. 22, 89 A).
(22) P er es, O r ic e n e , 7n Levit., horn. 13, if. 3 (Baehrens, p. 471). In Pascha
sermo 6, n. 2 e 3: «$)£ psXXo6c7)g AAvjS'stag (P , G, 59,- 738 e 741). N ovazian o, D e
Trini!., c. 9: « S acram en torum u m bras et figuras de p raesen tia corp oratae V e ­
rita tis im p len tem » (P. L. 3, 900). I l arid, In Mat,, c. 24, n . 1 (9, 1048). G au d en zio
■di B r e sc ia , In Exocl., tract. 3 (G lu e c k , p , 34).. M éssale m o za rab ico, sab ato san to;
« in corpore v erita tis a d v en ien s, a d im p le v it fig u r a s...» (P. L. 85, 474).., C ip rian o,
Epist. 64, c.' 4, n , 3 : « P raecessit in im a g in e. 'Quae im a g o cessavit, su p erv en ien te
p o stm o d u m y evitale » (B ayard , t. 2, p . 215). I la iu o , In Mat., c. 23, n. 6: « (Lex)
,,ad futurorum sp ec iem p raelata, im a g in em con secu tu rae V erita tis con tin eb at »
{P . L. 9, 1046); tutto l ’A n tico T estam en to è « im ita tio p raem issa » : Tractatus
mysteriorum, 1, 22, G ero la m o , Ep. 18, n . 14 (II., t. 1, p , 91). A g o s tin o : « s i m i ­
liin d o p rom itten s v e r ita te m » (P . L . 42, 386). '
(23) '0 npeofiuxaxog; De somniis, 1, 1, 228; De confusione linguarum, 63;
‘Quod Deus sit imtnutabilis, 31.
(24) Apol. , c. 47, n. 14 (Waltzing, p. 100-1).
(25) A mbrogio, In psalm, 38, n, 25 (P., p. 203).
(26) Oricene, In Devita hom. 10, u. 1 0B.(ip . 441). P roclo di C ostantino­
poli, Sulla Pasqua, c. 3 (P. G. 65, 797).
(27) Coloss., 1, 15; 2 Cor., IV, 4; Ilebr., 1, 3. G reg. N az„ Disc. 45,' c. 2:
'Tgv vópoy, oxiày etvat Tröv peXXóvTtav x a l vooopévtov (P. G. 36, '637).
(28) R iccard o di S, V it t o r e , Quomodo Christus .ponitur in signum popu­
lorum (P. L. 196, 525).
(.29) Hebr., 1, 2. Miche», V, 1. Apoc , XXII, 13. P s e u d o P r im a s io , In
11ehr. (P. L. 68, 687 e 747). G keg. N is s ., .Sui halt, d i Cristo (P. G. 46, 580).
NOTE 171
C irillo A l e ss ., Glaphyra in Exod., 1. 2, n, 9 (69, 108). G regorio N azianzeno
(36,. .421 *B). T ertulliano , De carnis resurrectione, .c, '51: « A d a m novissimus,''
etsi Sermo 'primarius », (Kr., p« 105). A mbrogio (iP. L. 16, 323).
(30) I reneo, Adv. Haer., 3, 22, 3 (P, G. 7, 958), E rma , pastore, Simii. 9,
c. 12, C lem ente , Strom., 1. 2, c, 5, n. 20 (St., t. 2, p. 123). C risostomo , Disc,
su Àbramo (P. G. 50, 743), T ertulliano , Àdv, Mar., 1. 5, c, 19 e 20 (Ivr.,
р, 6434 e 646). C irillo A l ess ., Glaphyra in Exod., 1, 1 '{P. G. 69, 412-3). T eo.
DoitETD, Eranisles, dial, 2 (83, 124-5). M assim o di T orino, hom., 13 : « Ipse est
fine temporum natue ex ' Maria,. qui ante omnia; saecula Unigenitus processit a
Patre» (P. 8L. 57, 249). G regorio, 7« evang, hom. 10, n, 6: «(Es qui i» tempore
apparuit, ante tempora exstitit » (76, 1113). Messale imozainabic» (85, col, 226,
234, 239, 358, 389).
(31) K arl B arth , Parole de D im et parole hnmaine, fr. fr. p. 100.
(32) A g o s tin o , Q. -in Heptat., 1. 2, q. 73 (P. L. 34, 623) ; sermo 160, n . 6
(38, 876); De Civ. Dei, 1. 16, c, 2 6: « Q u id est e n im q u o d d icitu r T estam en tu m
vetu s, n isi occu ltatio n o v i? e t q u id est a liu d q u o d d icitu r novuan, n is i veteris
rev ela tio ? » (41, 505); eo e. Tra l e n u m eros e •repliche d i questa fo rm id a , ri­
p ortiam o i l celeb re verso di Sugfai:
«■Quod Moyses velat, 'Christi doctrina revelat»
с, sul portale di S. Trofìmo d ’Arles, questa .iscrizione che si legge su una ban­
deruola tenuta dall’Apostolo Paolo;
« Lex Moysi celat quaé. senno Pauli revelat :
Nunc data grana Sinai per eum sunt facta farina».
(33) C le m e n te , Strom. .6, c. 15, 125 (St., t. 2, p. 495). O r ig e n e , In Mat., t. 14,
n. 4 (KL, p, 280); In Genesim, omelia 10, n. 5; In Exod., omi. 5, n. 3 (B.,
ttJS Mmftaétóg « a l ’Injaoö auptyoivtag (JJusebio, f f . E., 1. 6 , c. 19), M eto d io , De
Atotexusio, intro d. (od. Bonwetsch, p. 146-7). Dialogo d’Adamanzio, disp. I,
c . 12 e 27; disp. % c. 17 (V a n de Sande, p. 28-9, 54-5, 94-5). C i r i l l o di G e r u ­
s a le m m e , Catechesi ( P . G. 33, 388 e 413). C riso sto m o , In 2 Cor,, 4, 13 (51,
285-6 e 291). Isid o ro dt P e l u s i o , 1. 1 , epist. 107 e 147 ( 78, 256 e 281).
Testi innumerevoli bu questa cupqjov(«, questa « consonantia » dei due
Testamenti, ohe è più della loro semplice «concordia». A g o s tin o , De moribus
Eccl. eath,, 1. 1, n. 27, 28, 34 (concinere, consonare, concitare...: P. L. 32, 1322-6).
La paróla stessa « concordia » comporta, come « veritas », una pienezza posi­
tiva ; A g o s tin o , De Musica, 1. 1, c. 12, n, 22 (P. L. 32, 1096) e De Trinitate,
1. 4, c. 2, n . 24 (42, 889) (vedere H. M arron, St. Augustin et' kt fin de la .cul­
lare antique, p, 260 e 450). L eone, s. 60, c. 1, commentando il versetto del
salino: «abyssus abyssum invocat» (54, 343). P. R adrekto, In Mat., 1. 8, c. 18,
(120, 623*4); e 1. 9, c. 21, spiegando il, versetto: «quit .praecedebant et qui se­
quebantur, clamabant dicentes, Hosanna filio 'David » (col. 704; dall’Opus im­
perfectum in Mat., hom, 37, P. G. 56, 838). R aoul de S. G ermer , In Levit,,
1. 17, c. 3; « D u m »enim d electa t n o s Scripturarum co n so n a n tia ...» (M. Bibi. •
vei. Partum, t. 17, p . 212). G reg. d’ElV ira, P'act. 11 (Bat-W ,, p . 117-8). Greg.
i l G rande, i n Ezcch., 1. 1, h . 6, n . 14 (P. L. 76, 835). Ivo d i C h a r tr e s, s . 1 e
5 (162, 506 e. 536). Ruperto (167, 1441 D).
(34) I lArio, 7» psalm, 67, n , 27 (Z in gari e, p . 302).
(35) Gf. Crisostomo , 7re 2 Cor., 4, 13 (P. G. 51, 282).
(36) O rigene , In Nhnn., b. 9, n. 4: «Sic ergo invenitur et evangeli! virtus in
lege, et fundamento legis subnixa intelliguntur evangeli»;' nec vetus testamen­
tum nomino ego légem, si eam spiritaliter intelligam. Illis tantummodo lex
vetUB efficitur testamentum, qui eam carnali* er int eiligere volunt, et necessario
illis vetus effecta est et senuit, quia vires suas non potest oblinere. Nobis autem,
 172 L INTERPRETAZIONE HELLA SCRITTURA
((ili eam spiritaliter et evangelico sensu intelligimiis et exponimus, semper »oyn
eil ; et utr unique nobis novum testamentum est, non temporis aetate, sed intel-
ligentiae novitate ». (B., =p. 59). In Genesim, hom. 6, n. 3 (-B., p. -68*9). C iril ­
lo d’àljìssanuria OF. 'G. €9, 109). P seudo C risostomo , omel. su Lue. 2, 1 (P. G.
. 30, 796). .Agostino, Contra adversarium legis et prophetarum, 1. 2, c. 7, n. 26 (P,
L. 42, 653). iRauano Mauro, Epist. 12: «... Ita historialiter ordinentur vetera,
ut spiritaliter omnia demonstrentur nova, et legis petr figiuram patefaciat
littera, quae sacer eva-ngelii textus in se continet sacramenta » (M. G. H. Epn
stolarum, t. 5, p. 399). R uperto, In Apoc., 1. 9: »« Quasi canticum novum Veius
est Testamentum, quod per quas dann «limili tu dines fignmsquiq multiplices ea­
dem significat quae Novum Testamentum continet. Cantabant igitur « quasi;
canticum novum », id est, mirabili prophetici Spiritus potentia praevidebant
evaugelieae gratiae sacramentum » (P. L. 169, 1092).
(37) I lario, In psalm. 134, n. 6: « Intelligentiam nobis absolutiorem.,,»
(Z,, p, 697). Senza Ia fedo in Cristo, non si comprende la Scrittura: Oricene^
In Exort., hom. 7, n. 3' (B,, p. 208).
(38) 'Clemente, Protreptico, c. 1, n. 10 (6t., t. 1, p. 10); Stromat. 5, c. 8,
55 (t. 2, p . 363). O rigene , Periarchon, 1. 4, c. 1, n . 6: «L’ispirazione delle pa­
role profetiche e il carattere spirituale della Legge di Mose si sono palesati
dopo la venuta di Gesù » (K,, .p. 301).
(39) O r ic e n e , Scolio 20 suWApomlisse (Diob.-IIarnacfc, p. 29). V it to r in o
oi P e t t a u , In Apòc., c, 6 (HanssI., p. 66). G erolam o, In Isaiam, 29 (P. L, 24,
332), Exp. in Apoc., visio 3 (17, 838).
(40) »Pseudo C riso sto m o , Bom. in Luc. 2 (P. G. 5Q, 798).
(41) Exp. in Apoc., visio 7; cf. v. 3 (P. L. 17, 956 e 807). G reg. N az., Disc.
15, c. 23 (P. G. 36 656). Crisostomo , Protfheória (56, 317). P seudo C risostomo ; In
Luc. 2 (501, 796); ecc, Cf. O ricene , In Exod., hoim, 7, w. 3 ó 7 (B., j>. 208 e 213).
In Levit., bom, 4, n. 7 (B., p. 3(26)'. I cario, Tract, stiper psalmos:«secundum
evangeli ca m praedicationem intellegi' » (Zingerle,- -p. 6).
(42) C f. E b . B ar B ahkiz , Exp. officiorum Ecclesiae, tr. 3, c. 8 : «Dum per
vetus Testamentum similitudo corporis ostenditur, p er novum »vero similitudo
animae » (Hr. Connolly, q>. 194). G erolamo, In ZacJutriam (P. L. 2*5, 1446 C
e 1517 C). E*.questa una teoria fondamentale di S . A gostino ; v . specialmente
De Civ. Dèi, 1. 4, e. 33; 1. 5, c. 18; 1. 10, c. 25; -1. 17, c. 7, n. 4; 1. 18, c. 11, ecc.
(43) In Jesu Nave, h. 9, n. 8 (43., p. 353); in Ezeck,, h. 14, n. 2 (B., p. 452),
P. B adberto, in Mat., 1. 8, c. 17 : •« Quidquid lex et prophetia loquitur,.., ' non
lain per Vetus Testamentum, sed .per Novum audiatur» (P. L. 120, 587).
(44) P se u d o A g o s tin o , S. 90, n. 4 (P , L. 39, 1919). N ovazian o, De Trinit„
c.. 9 (3, 900), J ld e f o n s o »i T o led o , De virginitate perpetua S. Mariae, c. 6 (96,.
76). Expositio in Apoc., visio 3: «Christus voro quando ex virgine natus est,
quando paas-ue est, et reewrexit, et in caelum ascendit, librum Veteris Testa--
menti aperuit, quia quae significabantur opere implevit » (P. DL 17, 809).
(45) Exp. in Apocal., v. 3: «V icit ergo Leo de tribu Inda..., quae victoria,,
aper tip fuit Veteria Testamenti,,. Quae redemptio, apertio fuit Veteris Testa- .
m enti» (P, L. 17,-808). ■ '
(46) A gostino, Sermo 352, c. 1, n.-6 (P. L. 39, 1555). ÀMintOGio, In psalm. 43,
n. .58: «Finis legis est Christus,. et mors -eius solvit aenigmata prophetarum,
eaque, quae ante Judaeis erant, incognita, cum prophet arent tir, pioslea manifestata
sunt dominicae passionis effectu» (Petsohenig, p. 302). A ndrea di C reta, Su E
Vesaltazione della. Croce, s. 1 e' 2: «Dopo la croce, noi respingiamo le ombre
dei simboli figurativi, poiché siamo stati resi alla luce della Verità nella gra­
zia,., Con la croce Cristo fu riconosciuto e la Chiesa dei credenti, penetrando­
ti fondo la Scrittura, vede che è il Piglio di Dio, egli stesso Dio e Signore »
NOTE 173
(P, G 97, 10-28 e ÌO'IS). Arnaldo di' Bonneval, De verbis Dopimi in croce, trac. 7
(P. L.' 189, 1701).
(47) P aul Claudel , L'épée et le miro'ir, p . 74,
(48) Crisostomo , in Mat,, hom. 88, n. 2 (P, G* 58, 777). Opus ìmperf. in Mat„
lumi. 47 (56, 897), D. B ar S alibi, Comm. in evangelio : «Scissum est velum
templi, quia non sustinuit passionem archetypi sui, et ad indicandum gratiam
Spiritus sancti ex illo exiisse... » (Tr. Vaschalde, p, 113). G erolamo, Iu lsatam
(P. L. 24, 498 D) ; In Ezech. (25, 428 C-D, e 474 A d ì). A malakio (105, 1028) ;
'R atramno (121, 235-38). Omelia di .M elitone : il velo si scisse e Pungelo di
Dio fuggì, cioè il tempio ha o-rmaì perduto la sua santità e la divina Presenza
(C am Trell B onner , in «The Harvard th,eoi, review'», 1938, 175-190), P seudo
E i'iFANip. T esto 32,
(49) Agostino', In Jo., tir. 28, c. 7, n. 8-9: « Tollatur velum, et appareat quod
erat secretum. Omnia quae dicln sunt antiquo populo Israel in multiplici scrip­
tura... umbrae fuerunt futurorum, quae implentur in Christo » (P. L, 35, 1626),
In psalm, 21, enarr. 2, n. 15, sul versetto «factum est cor meum tamquam cera
liquescens»: «Quomodo cor ipsius Jactum est sicut cera? Cor ipsius, Seriptuia
ipsius, id est, Sapientia ipsius quao erat in Scriptura. Clausa enim erat Scriptu­
ra, nemo illam, intellegebat: cruci fixus eat Dominus, et liquefacta est sicut cera,
■u t omnes infirmi intellegerent Scripturam. Nam inde et velum Templi scissum
esi, quia quod,velabatur revelatum, esi» (36, 176). In ps. 64 'e 68 777-78 e 858.
C. Fauskun, L .12, c. 14 (42, 260). G erolamo, Epist. 120, n. 8 (;H., t, 2, p . 490-91);
In psal. 88 (Murin,, p. 57) P seudo B eda (>P. L. 93, 898 C). Candido m F ulda (106,
98). A ttone di V ercelli (134, 77-6 B). R upert »' (468, 1226 D). Di qui il simbo­
lismo liturgico di «erti medievali: Gum1,'di -Torn, Tract, de opificio episcopi...,
■c. 16. V. tinche la bella pagina di P. R adberto, In Mat., 1. 12, c. 27 (120, 963-4).
Cf. 2 Cor;, 111, 16.
'La Ietterà' morta diviene spirito vivificante per effetto della risurrezione di'
Gesù; donde la metafora di Gregorio di Nisaa: «Chi dunque ci toglierà la
pietra di quest’oscurità?» (In Cant., hom. 15; P. G. 44, 1108), dove si può ve­
dere anche un’allusione alla pietra che ricopriva il pozzo di H aran: O rigene ,
l à Gen., h. 13 (B.,.p. 113-21); P seudo 'Crisostomo , In Rom., 7, 19 (P. G. 59, 670).
A rnaldo di B onneval , Meditationes (P. L. 189, 1751).
(50) A mbrogio, Ih psahn. 61, n. 33: «...Semel locutus est, quando locutu»
'in Filio est, «t- -audita sunt etiam illa, quae ante audita non erant a-b bis quibus
locutus fuerat per prophetas... » (p., p. 397). A gostino, De Civ. Dei, i. 10,
-c. 15 (P. L. 41, 293), O rigene, In Mat,, t. 12, -n. 38 (ICI., p. 155). V ittorino,
Scolia in Apoc, (P. L. 5, 319; of. P. L. 35, 2418), G rec. d’E lvira, Tract, 44, n. 18:
.« Nec'umbra sine corpore esae .potest» (W hm art, B. de litt, eccl., 1906, p'. 243).
(51) Cirillo Alkss., Glaphyra in Exod., l.,3 (P. G. 69, 534); cf. In Luc, (72,
721). Pseudo C risostomo , (59, 807). S evero d’A ntiqchia , Horn. 81 (P. O, 20, 347),
‘Ugualmente gli erètici che non pensano correttamente su Cristo : poiché se
Cristo è la Chiave delle Scritture, essi allora non hanno che una falsa chiave:
C lem ente , Stromut. 7, c. 17 (St., t. 3 ,'p . 74-5).,
(52) E rberto I jDSInga, Sermoms (C oulburn -Symonds, p . 226).
(53) R uperto , In Ioannem, 1. 6: « Time ergo Scripturarum panes in mani-
bus auU accepit Dominus Jesus, quando secundum Scripturas incerno l<us( pa esus
est et resurrexit; tunc inquam, acceptis panibus gratias egit, quando ita Scriptu­
ras implendo, semetipsum obtulit Patri, in eacrìficium gratiae et veritatis »
(P. L. 169, 443). ' .
(54) O rigene, In Jo., t. 1, n. 8 (Pr., p. 11) ; in Mat,, t. 12, «. 43 : « conversi
ambo in evangelium Christi amum sunt facti» (Kl., p. 169); In Levit, hom.
>6, n. 2 (B., p. 361); Contra Celsum, 1, 6, c, 64 (K., p. 139). A ndrea di C reta,
174 l ’ i n t e r p k e t a z io n e della s c r it t u r a
disc, 1, (P. G. 97, 805). V ittoiuno m P ettau , In Àpocal„ 4, 5 (recensione d i
Gerolamo; H., p. 55-7). I lakio, De Triti. 1. 5, n. 17: «Accipit umbra corpus
(e van gelici s temporibus), et species veritatem, et visio naturam » (P. SL. 10, 139).
P seudo A mbrogio, s . 46, n. 3 : « (Ai tempi di Salomone) adhuc non erat tempus,
quo de umbra corpus fieret, aut veritas de figura » (17,. 694). P. R adberto, In
Mat,, 3/8, c. 17 (120, 584). J. B e le ih , Rationale div. officiorum-, c. 134: « ex
veteri et novo Testamento unum factum Evangelium, » (202, 139).
(55) Ivo di 'Chartres , sermo 18 (P. L. 162; 575). R uperto , In J o I. 2 (169,
286-7). C f. M a ssim o di T orino, hom. 33 (5 7,296).
(56) O ricene , In Exod., h . 7, n. 1 (B ., p . '204-6). C irillo A l e s s ., Glaphyra
in Exod., 1. 2 (P . G, 69, 445-8). P rdcopio di G aza, Tn Exod., (87, 588-9). A gosti­
no , Q. in Ileptat., 1. 2, c. 57 (P. L, 34, 615-6). A mbrogio (15, 1434). G ero­
lamo (25, 468 C e 817 B). P seudo A mbrogio, « /1 9 e 20 (17, 640-2). I ldefonso
di T oledo, De itinere deserti, c. 8 (96, 173). B arano 'Mauro , in Num., 1; 4 (108,
813) e In Eccl., c, 13 (109, 1031). R uperto (167-655 B ). P ier D a m ia n i (145,
389). B runone di S egni '(164, 266-7), eoe. Altro simbolo : le acque sterili e m or­
tali die Eliseo cambia1 in acque vivificanti; G erolamo, In Os. (P. L. 25, 817).
Cf. T eodoketo, In Exod., Interi’. 25; -«li legno salutare della croce ha reso
dolce l ’acqua amara dei Gentili » (ip. C. 80, 256).
(57) Questo ‘b el simbolo, venuto da Origene, fn accolto e. sviluppato con
amore nella tradizione latina. I soli 'Greci in 'cui l’abbiamo incontrato sono Ci­
rillo Alessandrino e Teofilatto, mentre in Occidente si trova già in Gaudenzio
di Brescia, poi in Agostino e in molti sermoni pseudo/agostiniani, nel com-T
mento su S. Giovanni dello pseudo Gerolamo, in un’omelia attribuita a Mas-
simo di Torino, in Gregorio; Reda, lo pseudo Alenino, Ivo d i Chartres, Pier
Damiani, Ruperto, Ildeberto (?), Rruno di Segni, Isacco della Stella, Giovanni
lìéleth, Pietro di Capus, Si cardo di Cremona, e ancora in Bonaventura, Tom-
maso d’Aquino....
Non si conosce l a . spiegazione d ’Origen e che per di breve richiamo che ne
fa lui stesso,. In Joantvem, t. 13, n, 62 (Pr., p. .295), essendosi perduto il tomo 9
in cui era contenuta. S. Agostino sa valersi bene della menzione delle sei an­
fore, nelle quali vede l ’immagine delle sei età del mondo, e dell’indicazdoiie
sulla loro capacità d ’una doppia misura, che gli sembra il segno dei due po­
poli, per mostrare come da un capo all’altro la Bibbia è piena di profezie con­
cernenti tanto i Gentili ohe gli Ebrei, e come tutta la.Bioria religiosa dell’uma­
nità inette capo alle nozze di Cristo e della Chiesa. Tutto il medio evo lo ripe­
terà dopo Be da, non senza aggiungere al quadro qualche nuovo tratto. Cf, .Mes­
sale mozarabico, formula di benedizione per l’Epifania: « Det vóbis spiritua­
lem intelligentiam, qui aquarum naturam vini in suavitate fecit esse «apore hi »
(P. L. 85, 238). . (
(58) «Cbristi et Ecclesiae sacramenta continet», oppure: « ad Christum
et Ecclesiam pertinet»; formule frequenti a proposito di molti paesi dell’Ali-
tico Testamento. P a s c a s io R ad b erto, In Mat., 1. 1, c. 1 : ■« ... ut e x toto appa­
reat profunditas «aeramenti seu' quo modo Christus ex ipsa prosapia longe
(linque praesignatu« fuisset, eius Ecclesia in his praefigurata manifestetur »
(P. iL. 120, 59). P ie r Cr i solo go. Sermone 106 ('52, 496). A g o s tin o , De cat. ru­
dibus n. 33 (40, 334-5). h i psal. 79, n. 1 : « totum omnium Scripturairum my­
sterium, id e s t Christum et Ecclesiam » (36, 1021). A n a s t a s io i l S in a itic o ,
(P. G. 89, 860).
(59) G regorio, Moralia in Job,, passim (P, L. 75 e 76).
■(60) P seudo Crisostomo , In Rom., 7, 19: «Tutto ciò che .precedette la' Leg­
ge era figura della Chiesa » (P . G. 59, 667). P seudo A gostino, Sèmi,, 58, n. 1:
« Ecclesia cath. n on solum post, adventum Domini... praedicata est, sed etiam ab
NOTE 175
initio mundi multis figuris et sacramentis secretioribus designata » (P, L, 39,
1854). C esario d’à r l e s , De comparatione Ecclesiae vel Synagogae (Morin, p. 412).
(61) I reneo, Adv. Hueres., 4, 32, 2: «imagines eorum quae sunt in Ecclesia
praefigurans» (P. G. 7, 1071). M etodio, Banchetto, disc, 9, c, 2 (Farges, p. 161-2),
A gostino, Contra Adiinantum, Manichaei discipulum, c. 16, n. 2 (P. L. 42, 156).
P seudo M assim o di T orino, Senn. 19 (57, 883*6). Ivo .di C hartres , Serm. 5 (162,
536). I ldeberto, Serin. 84 (171, 436-9), Sulle figure della Chiesa nella Scrit­
tura: B runone di S egni, Sent. (165, 875-902).
(62) A costino, C. Faustum, 1. 13, c. 25; De C. Dei, 1. 10? c. 32 (41,-314);
In Joannem, tract. 11, n. 9 (35, 1479). G erolamo, In I eremioni (24, 871 A).
C assiodoro, Jf» psalmos (70, 421 B e 581 D). O norio d i A u t u n (Libelli de
Cite, t. 3, p . 39). S. T ommaso , ^ “1, q. 66, a. 2, ad 2m; q. 70, a, 1.
(63) A gostino, .Adnotaliones in Job (P, L, 34, 834).
(64) I reneo, Àdv. llaer,, 5, 20; 2: «'Piantata est Ecclesia, Paradisus in hoc
mundo » (P. G. 7, 1178), P seudo C risostomo , (52, 835; 59, 545), T eodoreto, In
Cant., 1, 3 (81, 145 e 165). C ipriano, Epist. 73, c. 10, n. 3 (Bayard, t. 2, p. 268),
O ttato, De schismate donat., 1. 2, c. ili (P. L. 11, 964). A gostino, De Genesi c.
Man. (34, 207); De Genes, ad litt., 1. 11, n. 32 (.34, 442); In psalm. 47, u, 9. (36,
539). Cesari?, Exp. in Apo-c., visio 3 (17, 778 e 812), P. R adberto, Liber de corpr
et sanguine Dom., c. 7, n, 2: « Arbor quidem ligni vitae Christus nunc in Ec­
clesia est, cuius imago in paradiso arbor illa fuit» (120, 1285); c.'1, n, 6 (1272);
c. 9, n. 3 (1295); De fide, spe et càr., I, 1, c. 9, n. 4 (14*14). B runo di S egni , In
Gen., (164, 163). I ldeberto, sermo 28 (178, 424). O norio d’A u t u n , Speculum Eccl.
(172, 833). P sküdo U go, Alleg. in V . T., 1. 1, c. 6 (175, 639). S icardo di C remona ,
Mitrale, 1. 1, c. 2 (213, 17)i
(65) P seudo E pifanio , hom. l_ in festo palmarum (P, G. 43, 429-32). M a s ­
sima» di T orino, s . 14 (P.' L. 57, 561).
(66) Cf. 1 Petri, 118, 28. Teati riuniti in ITurter , Opuscula Patrum selecta,
t, 3, p. 217-33. Aggiungere: G hec. d’E lvira, De arca Noe (Wilmart, Revue bène-
dicline,. 1909, p. 11). A gostino, De Civ. Dei, 1. 15, c. 26 (P. L. 41, 472-3), U go
» i ,S. V ittore, De Arca Noe morali, 1. 1, c. 4 (176, 629-30), P ietro di C elle , Li­
ber de pànibus, c. 18 (202, 1007).
(67) B a s ilio , In psdlm. 115 (P. G. 30, 01*13). P se u d o B a s ilio , In Isaiam, e. 2;
n. 66 (30, 233). O t t a t ó , De schismate donat,, 1. 3, c. 2 (P. L. 11, 994-7), Ambro­
gio, In.Psalm. 4*7,, n. 5-7. G ero la m o , (P. L. 24, 267 A; 25, 1058 A). R u p e r to , D o
div. officiis, ■],. 9, 'B. 11 (P. L. 170, 261-2), H h rvè d u B o u r c -D ie u , In Isaiam,
1. 2, c. 12 (181 150-1).
(68) R uperto, De Tritt, et op, eius, in Gen., 1. 7, c, 23 (P. L. 167, 468-70),
I ldeberto, sermo 86 (871, 744-5). F ilippo di H arveng, Moral, in Cant. (203, SOI).
(69) Cirillo A less., Glaphyra in Exod,, 1, 1 (P. G. 69, 416). A gostino, s. 101,
n. 7 (P. L. 38, 608). Il Sinai: R ab an o (Mauro, In Num. (106, 589).
(70) O rigene , In Exod., h. 9, n . 3 (B., p, 238-40). G erolamo, I n Zachar.,1. 1,
c. 4 (P. (L. 2i5, 1442), A gostino, De consensu evang., 1. 1, n , 46 (34, 1064); In I Io.,.
tr. 2, n. 3 (35, 8992); In psalm 18, n . 6 (36, 161). R uperto , In Mat., (168, 1399).
I ldeberto, s . 43 (171, 561), O norio d ’A u t u n , Spec, Eccl., (172, 834). P seudo U go,
Alleg. in V. T., L 3, c. 9 (175, 661-2). R iccardo di S. V ittore, In Apoc., 1,- I
(195, 705). S icardo di C remona; Mitrale, 1. 1, c. 13 (213, 49). F ilippo di H arveng,.
De scientia clericorum- (203, 693).
(71) A gostino, De Cw. Dei, 1. 16, c, 41 (P. L. 41, 520).
. (72) ■Cipriano , De cath., Ecele s. unitate, c. 8 .(H.,p. 217). O rigene, 'In 'Jesu
Nave, b. 3, n. 4 (iB., p. 305). Iu Pascha sermo 1 (P. G. 59, 724). T eodoreto,. In
..Cant„ 1, 2 (.81, 129). P seudo A mbrogio, sermo 46, n.15 (P. L. 17, 698-9). G ero­
lamo ; Epist. 22, n , 38 e 'epist, 52, n , ‘ 3 (22, 422 e 530). 'Fulgenzio , De remiss.
'176 l ’i n t e r p r e t a z i o n e della s c r it t u r a
pece,, 1. 1, c. 20 (65, 543). Rufino episeop. De bono pacis, 1. 2, e. 20 (150, 1526).
Ruberto, h i Jos., c. 12 (167, 1008-11). Cf. ‘Clem. Rom., Epist., c. 12 (Hemmer,
p, 28-30), e G iustino, Dialogo, c. I l i , n. 4 (Ardli-am-bault, t. 2, p, 172).
(73) O rigene , ln Isaiam, hont. 2, n. 1 (B., p. 250); In Jo., t. 10, n. 23-5, (Pr.,
р. 215-9). A mbrogio, h i Luc., 1. 2, -n. 89 (P. L. 15, 1585-6), G erolamo, In Zachar.,
с. 14 (25, 1527); In Malach., c. 3 (1566). A cobardo, De iudaicis superstitionibus, ■
,c. 23 (104, 97). R adano M auro, I n Macchab., 1. 1, c. 4 (109, 1162). R uperto , In
Ceti., 1. 6, c. 16 (167, 416). I ldeberto, Sem i. 87 e 94 (171, 748 e 776). B runo di
S egni , In Psalm., 47 (H64, 865). U go di S. V ittore, Adnoi/. in Threnos, (175, 300)
,e in Joelem (338). S u lle -due case di cui p arla Amos, c. 6: G erolamo, in Amos,
(P. L. 25, 1066); eoe.
(74) È terio e R eato, A d Elipandum, 1. 2, c. 49 (P. L. 96, 1006 A).
(75) F ilippo » i II arvenc, Moralttates in Cantica (P. L. 203, 516-17). Gf.
Daniele, IV.
(76) I ppolito , citato sotto il nome d’Ireneo da S evero n’A ntiochia , Liber
•contra im pium grammaticum, orationis 3ae pars posterior, trad. Leb on (Gw* ,
pus scriptorum christianorum orientalium, ai, 102), p . 202. V . G- J ouassard , Une
citation et un ouvruge de St, Hippolyte sous le nom de St. Ir ènee? in «Revue
ties sciences religieuses », p. 295-7, 1937,
(77) Anche alcuni nomini talvolta la prefigurano. Giacobbe ed Esaù sono
la Chiesa e la Sinagoga: A gostino, In psalm, 46, n. 6 e 78, n. 10 (P. L. 36, 527
e 1015); G erolamo, citando I ppolito, Epist. 36 (H ilberc, t. >1, p.. 283-84); ci.
Rom., IX. Sansone è la ‘Chiesa trionfante delle persecuzio-ni : A gostino, in
psalm, .88, n. 10 (37, 1126); R uperto , De incendio o p p id i-Tutiii, «, 20: «E t
quidem una sancta Ecclesia catholica tot-ulna corpus cum suo capite 'Christo
unus est Job,, secundum similitudinem vel typum quem pertulit ille homo bea­
tus Job» (P. L, 170, 353). R aoul d i S. G ermer , In Lenit., 1. 12, c, 1: « In per­
sona Aaron, Christum et Ecclesiam, caput cum corporo, intelligendum est»
(Max. Bibi, vet. Patrum, t. 17, p . '157). Efrem e Manasse: à tto n e di V ercelli
(P. E, 134, 8016 D)', lo b : Epist, de sacramentis haereticorum (Libelli de lite,
t. 3, p. 16).
(73) C risostomo , In Galat., c.j 4, n. 4 (P. G. 61, 662-4). E nella donna sterile
di cui paria .Isaia, LIV, X: I reneo, Dimostrazione, c. 94 (P. O. 12, 797); Criso­
stomo , ibid. 0 nella donna che ricevette Eliseo: P seudo A gostino , Serm. 42,
n. 6 (39, 1829).
(79) B arnaba , c. 13, n . 3 (L au ren t, p . 79). G iu s t in o , Dialogo, c. 134, n . 3
f Areli., t. 2, p. 282). I reneo, A dv, liner.,- 4, 21, 3 (P. G. 7, 1045-6). P seudo Cri­
sostomo , (61, 700). -Cirillo à l e s s ., Glaphyra in Gen., 1. 4, 2 e l. 5, 3 (69, 184,
662-3). C ipriano , Testimonia, I, 20 (H ärtel, .p. 52-3). De montibus, 3 (Hi,
р. 106-7). Ic a rio , In psalm, 37, n . 10 (P., p . 144). AmbRogio, De> Virginitate, c. 14,
» . 91 (P . L . 16, 289); epist. 70, n . 12 (16, .1237); de Abraham, 1. 1, n . 89-90 (14,
453). G ero la m o , Epist. 123, n . 13 (22, 1056); 7 « Osea, 1. 3, c. 12 (25, 930). Ago­
s t i n o , In psalm. 126, n. 8 (37, 1673). P se u d o M a ssim o di T o r in o , C. Jmlaeos
(57, 799). ÀG03T. s. 4 , n . 11 (38, 39); -Gregorio, Moralia in Job, 1. 30, c. 25, n. 72
.
(76, 563). P. R ad b erto, In Mw. (120, 133-4 e 143-7). I ld e b e r to , s 105 (171, 822-
3 ). P s e u d o U g o , Alleg. in V. T. (175, 64 8 ); ccc.
Rachele e Lia eono i due popoli la cui unione forma la Chiesa: G erolamo .
<P. L, 25, 916, 930, 1385); Epist. 123 (II., t. 3, p . 87). R uperto , ln G e n 1. 7,
с. 29 (P. L. 167, 474-5).
(80) A mbrogio, De viduis, c. 8 (P. E. 16, 249). P rospero, Liber de promissis,
p. 2, e . 17 (S I , 785).
(81) C ipriano , De oratione dom., e. 5 (H a rtel, p. 269). -Cf. O dilone m Cl u n y ,
a. 15 (Pi L . 142, 1033). P seudo U go, Alleg. in V. T., 1. 5, c. 3 (175, 682). N i-
NOTE 177
ck ta di R em esia n a , De uHlitate hymnorum (T u r n e r , The J. of th. St., t. 24,
p. 239).
(82) P seudo -Crisostomo , (P . G. 61, 705). I sidoro di Siviglia , Allegoriae,
n. 96 (P. L. 83, 113). -Pseudo U go, Alleg. in V. T„ 1. 7, c. .11 (0.75, 709); cf. c. 2-3-5
(716, 8).
(83) G erolamo, Epist. 53, n. 8 (H., t. 3, p. 461), Le due madri -del giudi-
zio di Salomone sono la Sinagoga e la Chiesa: (Jerolamo, Epist. 74 (-H., t. 2,-
р . 23-29).
(84) P seudo C risostomo , Iti Rom., 7 (P. G. 59, 670).
(85) O rigene, In Judic., h. 5, n . 5 (:B., p. 495-6). E ph r e m , In Indie., 4, 4,
I sidoro di S iviglia , Allegoriae, (P. L. 83, 111), R asano M auro, In Indie,, 1, 1,
с. Ì2 (108, 1136).
(86) I reneo, Adv. Haeres„ 4, 20, 42 (P. G, 7, 1042). O rigene , In Num,, h. 6,
n. 4 e h. 7, n. 1 (B., p , 36-8). Cirillo A l e s s ., Glaphyra in Mum. (P , G. 69, 593-6).
A mbrogio, Epist, 63 (P. L. 16, 1204 A). G erolamo, In Sophonìam (25, 1369
A). P rospero, L. de promissis, p. 2, e. 9 (P. -L. 51, 777). I sidoro di S., Alle­
goriae, (83, 109). R uperto (167, 872).
(87) C risostomo , in Mat,, h. 3, n, 4 (P, G. 57, 35). T eodoreto, In Jos., hit, 2
(80, 461-4). I ppolito, fi*. 12 c 13 in Gen. (Achelis, p. 95-7). R adano M auro, In
Ruth,<c, 14 OP. L. 108, 1220). R uperto , D e divinis officiis, 1. 9, c. 2 (170, 241);
In Genesim (167, 516-517).
(88) Mat. 1. Scholia vetera (P. G. '106, 1078). C ipriano , Epist. 69, c, 4 (Ba­
yard, i. 2, p. 241). P seudo C risostomo , Opus imp. in Mat., h. 1 (P. G. 56, 614-20),
A gostino, C. Faustum, 1. 22, c. 87 (<P. L. 42, 458*9), R abano M auro , horn. 163
in evang. (110, 458), A n selm o d i 'L aon, Enarrationes in Mat., c. 1 (162, 1238-41).
D. B ar iSalibi, Comment, in evangelio (Tr. Sed-lacek, fase. 1, p. 27-8).
-«-Oie significano queste quattro donne, peccatrici o straniere, segnalate tra
■gii antenati del Re d’Israele? Non bì può fare ä .meno di pensare alle quattro
celebri « madri d’Israele- », Sara, R-cbecca, Rachele e Lio, che il Tai'gum 6Ì
r compiace di celebrare»: A. C iia r u e , Vìncrédulìté des Juifs dans le Nouveau
Testament, p. 181 (cf. S t b a c k R ille r b e c k , Kommentar, t. 1, p. 29-30). Nel pen­
siero di Matteo, .piuttosto «träniere che peccatrici (Lagrange); ma nell’esegesi
spirituale -le due qualità ei confonde vano. A m brogio, In Luoam: « Ecclesia ex
gentibus, hoc est ex peccatoribus» (P. L. 15, 1540). O norio d’A u t u n (172,
283).
(89) C riso sto m o , In Mat., li. 3, n. 4 (P, G. 57, 35-6). T e o f i l a t t o , In Mat.,
e, 1 (123, 152). P. R ad b erto, In Mat., 1. 1, c. 1 (P, L. 120, 63). P se u d o U go, Alleg.
in V . T., 1. 4, -C.18 (175, 680). R icca rd o di S. V it t o r e , Beniamin maior (196).
Vedere sopra tutto il lungo commento su Rulli di Rabano Mauro (P. L. 108.
1199-1224), che raccoglie la ma-ggiore parte delle linee -e del simbolismo tradi­
zionale, e ne aggiunge loro alcune altre,, come dice egli stesso nella lettera al
vescovo Umberto: «Opus quod libi transihitto, non tantum ex maiorum dictis
quae in eorum libris conscripta reperì, sed ex nostro labore, quantum divina
gratia nos posse concessit, editum constat; ita u t partim Patrum sententias,
partim etiam et noBtri sensus exiguitatem, ubi necessarium existimavi, profe­
rat » (1109-10).
(90) P aolino » i N ola, Epist. 5, n. 2 (P. L. 61, 168). R adano M auro, In Pa-
ralip., I. 3,- c. 9 (109, 472-4). P . R adberto, In Mat., 1, 6, c. 12 (120, 477), S icardo
di Cremona , Mitrale, 1. 8, e . 11 (213, 394).
(91) R uperto , /« Reg., 1. 3, c. 16 (P. L. 167, 1159). Ugualmente ' qiiell’altra
figlia di Faraone ohe sco p rì il piccolo Mosè: P seudo A gostino, serm, 18, (P .
L, 39, 1776). I sidoro or S iviglìa , Allegoriae, ni 58 (83, 109j . Oricene , In Exod.,
12
178 l ’in t e r p r e t a z io n e deula s c r it t u r a
horn. 2, n. 4 (B ., Ip. 159), Cirillo Al e ssa n d o no (P. G. 69, 397- B ), I larìg,
Tract. Mysteriorum Cp, 23),
(92) Imeneo, A dv. Baer., 4, 20, 0.2 (P. G. 7, 1042). Sulla sposa di Sansone,
A gostino (?), semi. 364, n. 2: «Meretrix quam Samson in conili gium somit,
Ecclesia est, quae ante agnìtionem um us Dei cum idoli» fornicata fuit, quam
postea sibi Christus adiunxit » (-P. E. 39, 1640), Sulla vedova di Sarepta; Si-
cardo di Cremona , Mitrale, 1. 6, c. 8 (213, 286).
(93) Si può citare anche la penitenza di David, che secondo A mbrogio,
prefigura la venuta della Chiesa a Cristo; Apologia David altera, e. 16, 10
(P. L. 14, 899-900) ; o la penitenza di Ninive, secondo G erolamo, In Sophoniam,
c. 2 : ■«Niniven, id' est speciosam, quae ad praedicationem Iona e, id est colum­
bae, egerit poenitentiam. Ecclesiam interpretati sumus de Gentibus congrega­
tam » (25, 1370). In lonam (1152 A), A gostino, De Cw. Dei, 1. 18, c. 44
(41, 605).
(94) B eda, In Exod., c. 24: «Servus iste senior, imaginem Legis habet, per­
quam Ecclesia sponsa Christo despondebatur... » (.P. L. 91, 256).
(95) .Ruperto, In Gen., 1. 4, c. 1:. « Universum quod passionem dominicam
praecessit Ecclesiae corpus...» (P. L. 167, 325); In Exod., 1, 2, «. 21; «A t vero
praesens Ecclesia, quae nox aliquando erat; hac prima resurrectione iit lux,
et sicut dies illuminatur », (167, 629). Cf. Eph., V, 26.
(96) A mbrogio, Apologia David altera, c. 8, n. 41, 44: «N udata est omnis
humana conditio.;. Vidit Ecclesiam suam nudam, vidit, et amavit. Vidit nudam
dilectam, et quasi Filius caritatis adamavit... » (P. E. (14, 903-5). C assiodoro, In
psalm, 50: «ut significaretur Ecclesia Gentium peccatis suis sordida, comune-
tione Domini, esse mundanda » (70, 358). P seudo A mbrogio, s . 46, n. 15 e s. 47,
n. 5 (17, 698 e 702). A gostino , In Jo., tract. 57, ri, 5 (35, 1789). C risostomo , In
Galat., 4 (P . G. 61, 663). ' P rocofio di G aza, In Isaiam (87, 2357), P seudo
B eda (P. L. 93, 715 A-8 ecc.). B runo H erlip (142, 189 À). P ier D am ia ­
ni (145, 470).
(97) 2,tl Clementis , 14, 2. O r ic e n e , In Cant., 1. 2 (p . 133), A m brogio, In
L u e 1. 2, n . 85-88 (P. L. 15 ; 1584:5), A g o stin o , In Jo., tract- 9, n . 10 (35,
1463). In Apoc. expositio, visio- 3 (17, 813). I ld e f o n s o m T o le d o 1, De cogni­
tione baptismi, c. 7 i(96, 1'14). Isa cco d eix a S t e l l a , Sermo 54: «Quasi Patrem,
reliquit et matrem, dum a. Patre descendit et (Synagogam deseruit, ut Ecclesiae.
Gentium adhaereret » (194, 1873).
(98) Ippolito, SadVAnticristo, c. 61 (Arch., p. 41). R uperto, Iu Apoc., 1, 7
(169, 1040-1). Statuà della cattedrale di Reims (facciata). — T esto 33.
(99) Ilauio, Tract, mysteriorum, 1, 1, c. 1 (Feder., p. 34). Remigio d ’à u x e r -
ììe (P. L. 131, 567-68).
(100) Z enone , Tract. 13, c. 1 (P. L. 11, 428). S. A gostino acconsente a
che si trovino delle in te rp re ta z io n i migliori delle sue; ma sempre a condi­
zione che- ai riportino a 'Cristo e alla Chiesa: De Giv. Dei, 1 15, c. 26, n. 2
e 1. 16, e. 2, ai. 3 (P. L. 41, 473 e 479), - . . ' .
(101.)Tract, mysteriorum, 1. 1, n. 6 e 39, 40; 1. 2, n. 2 e 5 (j?., p. 7, 26, 31,
33); In Mat., c. 14, n. 3*4 (iP. L, 9, 997 e 1004). Stessa equivalenza p er Agosti­
no: De cale eh. rudibus, c, 33 (P. L. 40, 334), Origene, In Cmit, cornitileu-., pas*
sim: tutto ciò .che s’intende della Chiesa è già .«interior intellectus»;
(102) Isid o ro d i S iv ig lia , De fide catìk., 1. 1, c. 20 (P. L. 83, 528*9). O rig en e,
In Levit., li. 13, n . 4: « ecclesia stica m ysteria » (® „ p. 471). S u i sim b o li fe m m in ili
d ella Ecclesia ex gentibus, n e il’À. T.: O rig en e, In Cani, com m ., I. 2: sarebbe
trop iio lu n g o e la b o r io so r ilev a rli tutti' (lB., pi. 113-120). V. a n ch e. R a o u l lai
S. G erm er, In Levit., 1. 17, p raef. (Max. Bìbl, vet. Patrum, t. 17, -p. 207-8), e
B r u n o d i-S e g n i, Sententiae, 1. 1, D e figu ri» E cclesia e : « c u m . sin t m u lta e t.p e n e
NOTE 179
-■4 innumerabilia in divinis voluminibus quae Sponsam Christi sanctam Ecclesiam
'i\ significant... » (P. L. 165, 875, 902).
(103) R uperto , In Gen., 1. 6, r. 43 (P. L. 167, 441-2). G erolamo, In Eccles.
(23, 1080); Commentarioìus in ps. 67 (Morin, p. 55).
(104) In psalm, 30, s. 2, n, 8 (iP, L. 35, 224) ; e n, 9: «iCoepit Spiritus Deli,
coepit Deus ad Abraham praedicare velle Ecclesiam... Christum figurate prae­
dicabat, Ecclesiam aperte praedicavit... Et pene ubique Christus aliquo invo­
lucro sacramenti praedicatus est rt prophetis, Ecclesia aperte » (245). De fide
rerum quae non videntur, c. 3-4 (40, 174-B) ; ecc.
(105) G iunilio Africano, Instit. regni. 1. 2, c. 23 (P. L. 68, 38-9). Isidoro, De
fide 'cath. c. Judaeos (93, 449-538). Cf. Agostino, s. 129, n. 4-5, e s. 146 n.. 2
(38, 722 e 797). Bonaventura, In Hexaem., collatio 2, n. 14 (Opere, Quaracchi,
t. 5, p. 338).
(106) Adv. Mardonem, 1. 3 (c. 1-19, e c. 20-24; ef. Kr, p, 410).
(107) Agostino, In psàlm, 56, in 1 (P. L. 36, 662); in ps, 142, n. 3: «N eu
vi meravigliato se sono duo in una sola voce, se sono due in una -sola carne »
(37, 1847); sermo 129 (38, 722-5); De Civ. Dei, 1. 17, c. 15 (41, 548). Bernar­
do, »ulla Chiesa « corius .corpus Christus»; In Cantic.; sermo 12, -n, ..7.(183,'
831), S. Tommaso, In Danidem, prooemium ( Vives, t. 18, p. 230).
(108) A gostino, In >psalm, 37, m 6 (36, 399-400);, in psalm, 138, n, 1, 4 (37,
■-v 1785-6). Qf. T iconio, Liber regularum, reg, 1 ( B urk it t , p . 1-7)., Questo prin.
A) cìpio d’esegesi era comune ad Agostino e a certi d e i. suoi avversari, come
Pariano Mjassimino (sermone per TAacensiqne, pubblicato da T urner , The J.
.■:Jy of theol. Studies, t. 16, p. 171*72). Traduciamo qui con «ufficio » e con «io »
-é. la sola parola personai «die Agostino usa a volta a volta in -due isensi analoghi
ma opporti : te Nun dividuntur personae,,. Aliquando ex person.® s-olius capitis
loquitur, aliquando ex persona corporis su i» ; cf. De doctr. ckristiana, 1. 3,.
c. 31: « Ghristi et Ecclesiae unam personam- nobis intimari... una eademque
& persona » (34, 82); e sermo 364, n. 2: «Quaedam ergo fecit Samson ex per­
sona capitis, quaedam ex ' persona corporis, totum .tame« ex persona Christi »
- .--fi' (39, 1640). Il primo modo d i dire ora corrente prima di À-goetino ; Così T er ­
tulliano , adv. Mure. (Kir., .p. 444); così Cipriano , De oath. Ecclesiae unit. ,c. 4 r
«Quam unam Ecclesiam ex persona Domini designat » ( H ärtel, p. 213; cf.
epist. 69, c. 2, n. 1, B ayard, t. 2, -p; 240); e A mbrogio, In iPsalm. (P etschenig ,
pp, 179, -229, 237, ecc., mn anche p, 311). E’ il -semplice ricalco del greco
‘v>!-| Tipóocoìiov (cf. T eodoreto, In psalm.. 43; P. -G. 80, 1177) ; persona qui equivale
»pesso a typus, species, figura; così nelle trad. d’Origene fatte da RufiJno :
-ì* « perso na-m tonet, .tenet figuram, figmram tenere » (In .Gen,, h-onr. 14-, n. 3,
B aEh k e n s , p. 123 e 125; «f. In Canlic., 1. 2, B ; pag. 113), «haec ergo Ecclesia
sit quasi omnium una persona » (iuCantic., "1. 1, B., p. 90), o uel De Sacramentis
(P. L. 16, 42'5 e 4-26). Cf, 'Gerolamo: «Ex persona humanae sapientiae », «ex
persona. Hierusalem », « sub persona gladii » (P. L. 24, 297 B; 779 C; 25,
298 C). H secondo modo di dire sarà frequentemente in S. 'Gregorio M agno.
Non bisogna d’altronde sottilizzare troppo. V. anche 6. A gostino, Adnot, Job.,
c. 29: teHaec ex persona dici videntur Ecclesiae siuiul' cum capite Clhri-sto»
(P. L. 34, 85'5) ; In psalm. 30, n. 4 : «Fit ergo tamquam, ex duobus una quaedam
persona, ex capite et corpore, ex -sponso et s-pon&a ». (36, 232) ; In Ps/alnv. 61, n.
1: te Debemus Intellig ere per-sonam nostram, personam Ecclesiae nostrae, per­
sonam Corporis Cliristi, Unm enim ihpmo cum capite et corpore suo Jesus Chri­
stus» (36, 730); De perfectione iustitiae (44, 310), eoe. CF. O rigene, In I orninem
t. 32, 15 (P. L. 14, 805 <D).
(109) P ascasio R adberto, Expositio in Lament. (P. L. 120, 1161).
!
9- :
180 UlNTÈltTRET AZIONE DELLA SCRITTURA
(110) A gostino, De Civ. D ei; 1. 18, c. 29 (P. L.' 41, 585-6); Epist. 140, c. 1S
(82, 543-5). Cf, .Remigio di R ione , Liber de Iribus epistolis, c. 17 (121, 1015-17).
(111) A gostino, In psalm, 30, ennrr. 2, n, 4s « In Christo loquitur Eccle­
sia, et in Ecclesia loquitur Chrisms; et eorpus in capite, et caput in corpo-
re» (P. L. 36, 231-2); In psalm. 40, sermo 2, n. 1-2 (37, 1159-61); In psalm.
140, n. 4 (1817); In psalm. 142, n. 3 (1846). 'Gregorio, Moralia in Job, -praef.,
c, 6, n. 14 : « Quia Redemptor noster unam se personam cum sancta Ecclesia
quam assumpsit, exhibuit,... quisquis eum in semel!pso significat, modo hum
ex capite, modo ex corpore designat, ut non solum vocem capibis, sed etiam
corporis teneat» (75, 525). P . R adberto, De corpore et sanguine Domini, .c.
10 : « Ubi mira unitas in hoc, et in aliis quibuslibet locis, 'Christi ct Ecclesiae
declaratur, dum. -quod nos in illo gerimus, et ille in nobiä agere monstratur».
(120, 1306). P seudo Ai m one , Horn. 72 (118, 462 A). R uperto : « Ib i capitis,
hic membrorum mysterium est» (167, 1245 D). O norio d ’à u t u n (172, 272
C e 279 B). E! anche su questi principi che si fonda- tutto il commento dello
P seudo B eda sui Salmi (93, 501 C, 507 A, eoe.).
Stessa dottrina in molti Greci: I reneo, Adv. Ilaer,, 4, 22, 2 (P, G, 7,
1047). A tanasio , Disc, contro gli Ariani (26). C irillo A l e s s ., In Jo., 1. 9 (74,
256);. Quod umis sit Christus, (75, 1325); eoe. A nastasio il S inaitico , In
IJacxem., praef. (89, 854-6). Sulla Chiesa nei salmi; T eodoreto, In psalmos,
praef. (80, 860) e passim. Sulla continuazione -del procedimento d’esegesi qui
segnalato fino al 16° secolo, v. M ersch , t, 2, p. 144-6.
T esto 34.
-(112) Cf. P ascasio R adberto, In Mat. (IP. L. 120, col. 799, 808-9, 819, 827-8).
(113) Abuso inverso in Feli-ce d’Urgel, e messa a punto di A gobardo, A di.
1'elicem, c. 37 e 38: « la ta communio capitis et corporis magis 'est in voci*
bus 'Scripturarum, quam in actibus et rebus» (P. L. 104, 62*5),
(114) Su tutta questa questione, vedi i due dotti articoli di G. J o u Àssard ,
IJabandon du Christ i f apre s S. Augustin, nella « Revue des- Sciences philos.
et tiréol », 1924, p, 310-26, e L’abandon du Christ eit croi« dans la tradition
grccque cfes IF® et Ve siede, nella nt Revue des Sciences Religieusea », 192-5,
р. 609*33.
(115) A gostino In psalm. 140, n. 3 (P. L. 37, 1817). O rigene , In Mat., serie
135 (Kl., p. 278-81); In psalm. 21 ( P . G. 12, 12-53); cf. Periarchón, 2, 8, 5 (11,
225). G regorio N az* (36, 108*9). 'Cf. .Leone, Senn. 67, c. 7 (P. !.. 54, 372). S e ­
vero »’A ntiochia , hom. 64 (P. >0. 8, 318-20). Gerolamo, ln Zach. (P. L, 25,
1438 A). E terio e B eato (96, 985, 986, 1818). 'Guitmondo ' d ’A ver sa (149, 1459
À*B), Caso analogo, più curio-so : un-a- stessa profezia d’Aggeo. secondo l’ebrai­
co si applica alla Teeta, e -secondo i Settanta al -Capo; A gostino , De Giv. Dei,
1. 18, c. 45, n. 1 (P. L. 41, 606).
(116) O ricene , In Lue., h o m . 33 (Rauer, p . 196).
(117) ' P seudo -Crisostomo (P. G. 61, 701). Gf, P ier C risologo, s. 76 (P. L.
52, 414). •
(118) O ricene , In Jo., t. 10, n. 18 (P r, ,201-2). P seudo E pifanio , hom. 6 (P.
G, 43, 504). A mbrogio, Epist. 74, n. 9 (P. L. 16, 1257), P . R adberto, In Mat., 1. 9.
с. 21 (120, 700-1). P seudo A im o n e . hom. 63 (118, 354 D e 356 B - D ) ,T i ,debepto,.
s. 31 e 33 (171, 490 e - 5051. B runo di S egni , Sm t.f 1, 4, -c. 8 (165, 997), S icardo
di -Cremona, Mitrale, 1. 6, c. lft (213, 292).
(119) C irillo A lessandrino , In Jo., 1. 12 (P, G. 74, 653). à m -brocio, In
Lucam (P. L. 15, 1034- C). V. l e -spiegazioni s o t t ili d i P. R adberto, In Mat.,
I 12, c. 27 (P. L. 120, 958*1).
(120) A gostino, s , 88, n 10 (P, L. 38, 544*5). Opus imp. in Mat., hom. 36
i(P, G. 56. 832). C iir . D r u t h m a r , lii Mat. (P. L. 106, 1341). R uperto , De div.
NOTE IBI
officiis, 1. IO1, c. 29 (170, 291), Sicardo di C remona , Mitr„ 1. 7, c. 11 (213, 384).
Cf. I sacco della S tella, e, 28 : « Vidensque Divinitas caecam et sedentem in
tenebria 'humanitatem » (194, 1782),
(121) I lario, In Matr -e. 20, n. 13 (P. L. 9, 1033-4; cf. c. 19, n, -3, col. 1024,
sui bambini respinti dagli apostoli). Interpretazioni esposte e discusse da P.
R adberto, In Mat., 1. 9; c. 20 (120, 6924).
(122) I sidoro di S iviglia, Allegoriae, 226 (P. <L. 83, 127)/
(123) P s e d d o 'C riso sto m o , (P. L. 59, 654). I la r io , In Mat., e. 14, n. 4*5 (P, L.
1004-5). A g o s tin o , S em . 77, n. 9, 12 (38, 487*8). Beda, ln Marc., I. 2 (92, 202),
R adano M a u ro , In Ruth, (108, 1208). P. R adberto, In Mat., 1. 7, c. ìlS (120, 5414).
R a o u l l ’A r d e n te , (155, 1800). P se u d o U go, All. in N. T,, 1, 2, e. 27 (175, 796). 11
munte degli Olivi raffigura la Chiesa, «in qua sunt plantatae oliv-ae » : O rig en e,
In Mat., eerie 32 (Kl., p. 57).
(324) P ier 'Crisologo, Serm. 75 e 76 (P. L, 5'2, 412-5); serm, 95 (467-9). Pag­
lino di N ola, Epist. 53, n. 31-34 (61, 277*80). P seudo G erolamo, In Lm ., (3-0,
572). I sidoro di S iviglia, Alleg., 236 e 238 (83, 128). P. R adberto, I n Mat., b 1,
c, 1 (120, 66). R uperto, De victoria Verbi, 1. 13, c. 18 (169, 14-99); De div. off.,
1. 8, c. 11 (170, 228-9). P seudo U go, Alleg. in TV. T. (175, col. 755*6, 760, 810).
S icardo, Mitr., L i-,, c. 9 (213, 291). La peccatrice presso Simone: A mbrogio,
Epist. 40 e 41 (P. L. 16, 1110 e 1115-19). G erolamo, Epist. 74 (H., t. 2, p. 25).
P seudo A gostino, Sem,, 83, n. 2 (39, 1906-7), ,
.(125) A g o s tin o , Serm. 77, n. 8 (P. L. 38, 486). G regorio, In evang., hom.
31, n. 7, sulla « mulier inclinata » che Cristo raddrizza (P. L. 76, 1231). Rabàwo
M auro, In evang., hom. 87 (110, 313). Concìlio di Toledo (G o n z a le z , p , 469)
ecc. E’ 1’« Ecclesia ex gentibus » che viene a toccare il mantello di Gesù, pina
sotto un altro rapportò la Chiesa è questo «tesso mantello: A g o s tin o , Seri».
78, n..2 (ip. L . 38, 490-1); P . R ad b erto, In Mat., 1. 5, c. 9 (120, 382 e 384).
(126) A nse l m o di L aon, In Mat. (P. L. 162, 1322).
(127) L eone , Sermóne 74, c. 4 (P . L. 54,’ 399). C esario d’A rles, Serm, 172,
n. 3: «'Caecus ille totius -generi« humani imaginem praeferebat. Sputum ergo
Iulo couiunctuim est, et oculatus est caecus: Verbum incarnatum est, et inlu-
minatus est'm undus » (Morin, p. 664). G regorio, In evang., I. 1, hom. 2: « Cae­
cus -quippe est gemue humanum, ecc.» (76, 1082). R uperto , De div, officiis,
L 4, c. 8 e 21: «Genus lianuanum, magnum utique caecum, -qui pulchros oculos
ad videndum Creatorem mundi, ubi fulget imago Factoris, inditos, in primo
parente principe tenebrarum respiciente, perdidit» (170, 95 e 114).
(128) Cria. D r u t h m a r , In Mat., c. 2 ( r . L. 106, 1285). P. R adberto, In Mat.,
I, 2, c. 2 (120, 125-6 e 134). R emigio d’A uxerue , horn. A (131, 903).
(129) -O rigene , In Mat„ t. II, n. 6 (KL, p. 434). I ppolito, De Christo et An-
tiehristo, c. 59 (Aehelis, p. 39*40). I lario, In Mat.., c. 7, n. 9 (P. L. 9, 957). A go­
stino , Serm. 63, n. I e 75, -n. 44Ì (38, 424 e 475*7). Pier C risologo, Serm. 2'1,
(52, 257-8). P seubo G erolamo, In Mare., (36, 561-2). P seudo *A gostino, Serm.
72, n. 2 (39, 1884-5). M assim o di T orino, hom. 108 e Serm. 95 (57, 503 e 723).
P. R adberto, In Mat., 1. 5, c. 8 (120, 360); 1. 7, c. 14 (523-8). R emigio d ’A uxerre ,
hom, 9 (131, 913-7). I sagco della S tella, Serm. 13 (194, 1732*5). R aoul l ’A r ­
dente , hom. 25 e 41 in domin, (155, 1756 e 2090),
, (130) S evero d ’A ntiochia , Horn. 74 (P. O. 12, 102-7). R adano M auro , Hom.
107 in evang. et epist. (P. L. 110, 347-8),
(131) O rigene , In Mat., t, 17, n. 214 (Kl., p. 642-51), C irillo A l e s s ., In Luc.
(P. G. 72, 797). P. R adberto, In Mat., I. 10, c. 22 (P. L. 120, 739-45).
(132) P ier C risologo. Serm. 30 (P . L. 52, 285). G regorio, In evang., L 2, hom.
40 (76, 1304).
(133) Oricene, In Mat., t. 17, n. 6 (Kl., p. 591).
182 L'INTERPRET AZIONE DELLA. SCRITTURA
(13d) T ertulliano , De P,udic., c. 9, n. 1: «Noi interpretiamo le parabole
aeconclo il nostro fondo dottrinale». (‘De Labii olle, p, 100).
(135) V., .per es., À Meno ciò, In Luc, 1. 7, n. 207: '«'Non otiose sanctus Lucas
ex ordine t-res parabolas posuit... Nonne Deus Poter, Christus pastor, mrulier Ec-
desia ?... Prima misericordia, secunda ■suffragatio, tertia reconciliatio. Singula
singulis quadrant: Redemptor subvenit, Ecclesia suffragatur, Auctor re conci-
liatur... Ovis illa quae perierat in Adam, levatur in. Christo... Dives igitur pnstor,
cuius omnes nos centesima portio sumus,.. Non mediocris haec drachma est, in
qua principis est figura.,, Oves sumus, .petamus pascua. Drachmae sumus, habea­
mus pretium. Filii sumus, festinemus ad Patrem » (P. L. 15, 1765-6). Cf. Ge­
rolamo , In Isamm (24, 615 C).
(136) R uperto (P, L. 169, 29 B).
(137) G regorio di N a?., Disc. 38, n. 14 (P . G. 36, 328). P seudo C riso s ., In
Luc. 15 (61, 781), C irillo A l e s s ,, In Luc. (.72, 800). S evero d’A jnxiochia, hom. 81
(P, O, 2Ò, 383-4). T eöiolatto, Dì Luc. (P. G. 132, 949). P ier Crisöloco, Semi. 169
(P; L, 52, 641-3). Geecoiuo, In evang,, 1. 2, hom. 34, n. 6 ( 76, 1249). B eda, In Luc.
(P. L . 92, 519-21). B runo di S egni , In Luc. (165, 4134), -Pseudo U go, A ll. in
N. T.f 1. 4, c. 21 (175, 820). B ernardo, De gratia et libero arbitrio, e. 10, n. 32
(182, 1018), Di qui l ’idea dei dieci cori degli angeli : Ö norio d’A ü t u n , Lìber
'XII quaestìwktm, c. 5 (172, 1160 D).
(138) In Luc. (P. G. 72, 804). . ^ T e o f i l a t t o , In Lue. (123, 848-52). S ev ero d’A n t io c h ia , Hom. 89 (tr. N a u , « Revue
(139) Non abbiamo più l’interpretazione d’Origene, ma potrebbe darsi che
fosse conforme a quella che dovevano adottare i Latini. Non .sarebbe il solo
caso di tal genere, Se i greci,, le cui opere cono arrivate fino a noi, vedono qui
il simbolo dei giusti e dei peccatori, non ignoravano tuttavia l’altra spiegazione,
come fa fede la discussione di' C irillo d ’A lessandria (P. G. 72, 301-3).
(146) Nel De Poenitentia, T ertulliano aveva applicato anche liti la pa­
rola del figliai prodigo, .come quelle delle dracme e della pecorella, al. pec­
catore pentito (C .'8; L abriolle, p. 39), Callisto doveva faire In «tessa cosa nel
suo famoso editto, e Tertulliano, divenuto montami sta, se ne indigna nel De
Pudicitia (C. 8 e 9; L abriolle, p. 94-109), Egli si «degna ugualmente perchè
Callisto aveva fatto (riprodurre su alcuni calici. l ’immagine del buon pastore
che riconduce la pecora all’ovile (p. 86),
(141) G ero la m o , Epist, 21. «... q uod autem ait: d uos filio s , om n es p en e
S crip tu rae de duorum v o c a tio n e p u p u loru m p le n a e sunt sacram en tis... » (H.,
t. I, p . 111, 115, 117, 137). A g o s tin o , Quaest. evang., 1. 2, q. 33 (P. L. 35, 1344*
9). P ro sp ero , In psalm, 139 '(51, 395). 'Pier C riso ló g o , Serm. 5 (52, 197-201),
P se u d o 'G erolam o, In Luc., (30, 574-5). M assim o di T orin o, De capit, evang.,
18' (57, 825), G regorio, Moralia in Job, I. 12, c. 6, n . 9 (75, 990-1). Isid o ro di
S iv ig lia , Alteg. (83, 126). .Beda, In Luc., (92, 522). (Pseudo B eda, Hom. 48 e
107 (92, 375 e 510). P , W inpiuho, Hom, 87 (95, 1257). A tm on e, Hom. 41 de
tempore (118, 247-53). B r u n o di S egn i, In L uc. (165, 414-20), R u p e r to , De Div.
officiis, 1. 7, c. 11 '(170, 191). 'G odefriD, Horn, dominie. 31 (174, 201-101. P s e u ­
do Ugo, AU. in N, T., 1. 4, c. 22 (175, 820). Z accaraia C riso p ., De concordia
evang. (186, 305-10). S ica rd o di C rem on a, Miimle, L 7 (213, 361).
(142) V . Opus ipiperf. in Matthaeum, hom. 40 (>P. G. 56, 849*52). Islario, Zn
Mat., c. 21, n. 111-15 (P. L, 9, 103940). B r u n o d i S egn i, In Mat. (P. L. 165, 247-8).
(143) Si sa che .questi versetti di Mat„ XXI, 28-32, pongono un problema
di critica testuale: quale dei due figli il testo primitivo menzionava .per pri» ,
mo? Noi non prendiamo partito in una questione che ancor oggi specialisti r i ­
solvono in sensi opposti. Ma possiamo osservare che la soluzione suggerita dal*
Pesame della tradizione manoscritta, viene indicala anche dall’esame degli an ­
tichi commenti.
NOTE' 183
(144) O rigene, In Mat., t, 17, n. 4 (K.L, p . 587-9). E usebio , In Luc. (P . G. 24,
540-1). Scholia vet. in evan. (166, 1144.5). T e o f ila t t o , In Mat. (123, 377). P se u d o
G erolamo -, In Mài. (30, 557). Isid o ro di S iv ig lta , Alleg. (83, 122). B eda, In Mat.
(92, 94). C h r, D r u th m a r , Expos, in Mat. (106, 1436). Radano M au ro, In Mat.
(107, 1048). e De Univ„ 1. 4 (111, 78). P a sc a s io iRadbeuto, In Mat., 1. 9, c. 21
(120, 721); ecc. ■ .
(145) C risostomo , In Mat., hom. 46, n. 2 (P. G. 58, 478). P seudo Cr ìs ., In
Rachel. (61, 700). I lariò, In Mat., c. 13, n. 5-6 (P. L. 9, 99445). A mbrogio, In Lue.,
I. 7, n. 187-94 (15, 1749-52). De penitentia, 1. 1, n. 81: « ... ut mundum omne
sum atur» (16, 491 A). iP seudo A m ur ., Semi. 13 (17, 629-30). P ier Crisoloco.
■Sei n». 99 >(52, 478-9). iB eda, In Mat. (92, 68). P. R adberto, In Mat., 1. 7, c. 13
(120, 500). B ru n o di S egni, In Mat. (165, 191), S. T ommaso , In Mat., c. 13
(Vivos, t, 19, p. 439). B. B ar S alici, Comment, in evang.: « ... Ita doctrina mea
dùcei Paganos, Judaeo« et Samaritanos ad unam’.-fidem » (tr. Sedlacek, f. 2.
p. 256). Cf. R asano M auro , In Mal. (P. L. 107, 949-50). In A gostino «tessa
esegesi delle tre misure di fatù-na; ma la donna è ia Sapienza: Sermo 111,
n. 1 (P. L. 38, .641); sermo Denis 3, n. 5 (46, 828).
(146) P ascasio K adberto, In Mai-, 1. 7, c. 13 (P. L. 126, 508-16).
(147) O rig en e, In Lue., hom. 34 (R a u e r , p. 20'0'-2) e In Cant., prolog. (B .,.
p. 170). C i r i l l o A x e s s., In Lieo., (P. G. 72, 690-4). Scholia , vetera (166, 1196),
de l’Orient chrétien», 1929, p. 11-20). Z en o n e, Tract. 13, c. 3 (P. L. 11, 431).
A m brogio, In Luc., 1. 7, n. 73-84 (15, 1718-20) ; De Poenitentia, 1. 1, e. 81 (16,
482); In psalm. 40, n. 31 ('Petech., p. 250-1). P s e u d o G ero la m o , in Lue. (30, 573).
A g o s tin o , Quàesl. evang., 1. 2, q. 19 (P. L. 35, 134Ö-1); Serm. 171, n. 2 (38, 933-4).
P s e u d o A g o s tin o , Serm. 366, n . 2 (39, 1647). (Pseudo F u lg e n z io , S.erm. 61 (65, •
933). I sidoro di S iv ig lia , Alleg. (83, 124), E lic io , Hom. 9 (87, 627). B ed a, in
Lite. (92, 468-70). Sm aragdo, In evang. (102, 446-8). RabÀno M a u ro , I n evang.,
hom.. 158 (HO, 449-50; cf. I l i , 80). B r u n o di S eg n i, In Lite. (165, 387-9). P seu d o
U go, All. in N. T., 1. 4, c. 12 (175, 814-5); Sermo in die Puntec. (177, 1119-20).
G ilb e r to , In Cantic,, s, 7,. n.' 6 (184, 45). Isa cco , d e l l a S t e l l a , Serm. 6 (194,
1708-13). P ie t r o Lombardo, Sermone sull’Avvento (171, 378-80); cf. Sent., 1, 4,
d. 1, c. 1 (applicazione all’istituzione dei «aeramenti).
Un curioso serm one d’O done or C h ateau roux applica la- parabola non già
all’opera idi Cristo, ma a quella di Francesco d’Assisi ( P itra, Analecta novis­
sima, t. 2, p, 270-3). P iero di P oitiers riunisce le due parabole del Samaritano
e della pecora perduta: Sent.,,1. 4 (P. L. 211, 1137); ugualmente, glossa anonima
in loc. (L andgraf, in « Recherche« de théologie ancienne et medievale », 1937,
p. 197).
T esto 35.
(148) Br., n. 209, T homassin, Traiti des. fèles de VEgli se, I. 2, c. 3; .cf.
N ewman, Sermons bearing upon Subjectis on the day (1843) n, 10, p. ’ 132.
(149) Cf. Gerolamo (P. L., 149 A, 235 A, 1565 iB, 1469 C) etc. A mbrogio,
Epist, 71 n. IO: « anima evangelica, filia Ecclesiae » (16, .1243 A),
(150) Ö rigene, In Exod„. h. 3, n, 3: «Et vere illud impletur in nobig, in
quo Moyses dedit figuram... Cum* enim ipse elevaret manus, vincebatur Ama-
led i; si vero velnt lassas deficeret eas, invalescebat Amalech. Ita ergo etiam
nos in virtute cruci« Christi extollamus hrnebia et elevemus in oratione sanctas
manus... » OB., p. 170). In Jesu Nave, h, 4, n. 4 (B., p. 312). In Genes, hom
37 n. 6 ('B. p. 37-38).
(151) P ier D a m iani , O pitsc. 32, n, 2 (P , L. 145, 546 D ),
(152) A mbrogio, In Lucam, 1. 5, c. 49 (P. L. 15, 1649 C).
184
l i INTERPRETAZIONE DELIA SCRITTUR A
(153) A mbrogio ., De Paradiso, c. 1, n. 4-6 (P, L. 14. 276); Epist. 45 ». I
(16, 1142 >C).
(154) O rigene, In Gen., horn. 12, ». 3: «Ego pino quoti et 'de singuli- nobis
ho» dici potest, quia dune gentes et duo populi sint intra nos » (.B„ p. 109).
A mbrogio, De Cain et Abel, 1. 1, c. 2 (P. L.T4, 318); De Abraham, 1. 2, n. 72-3
(491). P seùdo U go, Alleg. in V. T., 1. 1, c. 10 (175, 640).
(155) In Pascha sermo 6 (P. G. 59, 743).
■(156) Ildeuerto, Sermo 26 (P. L. 171, 463).
(157) Origene, In G e n -horn. 10, n. 5 (B., 99-100). G. B el u n i, Rationale,
divinorum ofjic., c .‘106: «Opus vero recreationis fit quotidie» (P. L. 202, 127).
(158) Capitula theologica ei oeconomica, I, 61 i(P. G. 90, 1105).
(159) D rogone, Liber de creatione et redemptione primi hominis (P . L.
160, 1550). - sponsae, ecclesiasticae fidei; et w i sponsi, Domìni Salvatoris» (24, 835 G).
(160) G regorio N isse n o , Sulle beatitudini, d isc. 7 (P. G , 44, 1289'92j,
(161) 'O ricen e, In Exod, h om . 9, n . 4 (B ., p . 240-4); In lesu Nave, h om , 13,
ii. 1 (B., p. 371). G e ro la m o , In Ezech,, 1. 4, c. 16 (P. L. 25, 125); In Jsaiam
(24, 626 C). iRabano M au ro (108, 827 B ). B a ld u in o (204, 748).. P se u d o U go,
All. in V. T., 1. 1, c. 7 e 1. 8, c. Q (175, 639 e 727). R a o u l di S. G erm er, In Levit.,
1. 5, c, 1 (Max. Bibi. Vet, Patrum, t. 17, p, 91). Gf. PRocopio d i G aza, In Isaiam :
naoMv yàp dy£«v eJjox^ v,- KOt^ ’ExitXvjotav öXijv (P, G. 87, 2656).
’(162) E ucherio , Liber jonnul. spirit, intelligenliae, c. 10, (P, L, 50, 766).
Esicuro, In Levit.: «Illud quidem de omini intel-liigas Ecclesiae corpore, ho c.
nutem de anima omni. Quemadmodum enim societas fidelium, sic et anima
uniuscuiusque sponsa Dei et 'Ecclesiae est» (P. G. 93, 1061 B). A mbrogio,
Epist, 29, n. 23 (P. L. 16. 1060).
(163) A gostino, Sermo 46, n. 37 (P, L. 38, 292). p f R abbkrto, In Mat., 1. 5,
c. 9 (120, 387).
(164) La maniera più esteriore ancora di esprime*« 'questi rapporti, è di
porre in Berle parallele le età dell’uomo e quelle del -mondo,- sia che d i ciascuna
se uè contino sette o sei o cinque o soltanto •quattro. La banalità delle esposi­
zioni di questo genere è talvolta rialzata 'dia alcuni tratti ingegnosi, come se
ne potevano trovare in S. A gostino, De Catechizandis rudibus, c. 22, n. 39:
dopo la prima infanzia l’uomo passa attraverso il diluvio dell’oblio, ecc. (P.
L. 40, 338) ; cf. De Gen. contra Maniclmeos, 1. 1, c. 23, ». 35-42 (34, 190-3)1 Eu.
B ar JBahriz (?), Exp. officiorum Ecclesiae, tract. 3, c. 4 (tr. Gonnolly p. 177-8).
B onaventura , Breviloquium, pro log., n. 2 (Q uar ., l 5, p. 204).
(165) Cf. O rigene , In Levit., hòm. 1, n. 4 (B.,_ p. 286).
(166) Q uaracghi, t. 5, p. 295. Gf. P. L. L andsberg, La philosojihio à\tne
experience mystique, L’Itinerarium, in «La Vie spirituelle », maggio 1937, p. 81.
(167) Expositio quamndam propositionum ex. Epist. ad Rom., 13, (iP. L. 35,
2065) ; Enchiridion, e. 117 e 118 (40, 287): Sulle sei età spirituali ; De Gen. c.
Munich., 1. I, n. 43 (34, 193-4). Dopo Agostino, I l d e f o n s o d i T o le d o , G u g lie lm o
d i S. T h ie r r y , U g o di- S. V it t o r e , e altri ancora hanno sviluppato queste corré-
lasùoni. Così, nei semitoni attribuiti a Ildeberto, il sermone 35 : « Scriptum etiam
speculum dicitur, an quo imago comitur, quia per Scripturae sacrae eruditio­
nem, totius nostri status imago, quasi ante oculos nostros -versatur... Quantae
dignitatis fuerit hominis prima conditio, quantae calamitatis hominis praevari­
catio, quanti 'honoris legis promulgatio, quantae gloriae gratiae coruscatio; quid
dederit ac permiserit Deus, quid abstulerit diabolus, quid ostenderit decalogus,
quid reddiderit Christus » (P. L. 171, 515).
I n G. B e leth , Rationale dw. Officiorum, c. 55, ta v o la d e lle quattro età del
m o n d o e d ella vita u m an a, ciascuna d e lle quali si d iv id e an cora in q u attro:
1:
NOTE 185
i
infatti ogni anno comprende quattro stagioni, e ogni giorno quattro ore... (P.-
L. 202, 60-2). Gf. S icardo di G remiina , Mitrale, 1. 5, prologo (213, 191),
(168) T ertulliano , Àdv. Marcione/», 1. 4, c. 11 (Kr., p. 4SI). CassìiTix-oró,
hi Psalterium praefatio, c. 17 (P. L. 70, 23-24); ecc.
(169) Così T eodoreto, / » Cànt. (P. G. 81, 27-214).
(170) Sul Cantico, frammenti, passimi (B onw etsch , n. 343-374),
(171) In Cant., hom. 1, n. 1 (B aeiireN S , p. 29); Comment,, I. 4, (p. 232) ;
■^j1 Scholia in Cant, (P. G. 17, 253); In Exod,, boni, 2, n. 2: « animae quae un-
scuntur in Ecclesia» (B ., p. 157); cf. G reg o rio i l G ra n d e, (raccolta in Cant,,.
prooemium, n. 10 (P. L. 79, 477).
(172) 7» Cant, comm., passim (.p. 89, 102, 108, 218, 223, 333). Cf. Am­
brogio, Epist. 45, n. 4 (P. *L. 16, 1142). G erolamo, In leremidm : .« Vox -quoque
(173) . Ibid., 1. 3 (p. 220). G regorio N isseno , In Cant., hom. 5 : « Dapprima
un raggio di luce era penetrato fino all’anima attraverso la finestra dei Profeti
e l’inferriata -delle prescrizioni legali, ecc. ».
•(174) M etodio D’O lim pio , Banchetto, disc. 17 (tr. Farges, p. 108 ss.), G re­
gorio d ’E lvira, Tract. (Batiffol-Wilmarl). A mbrogio, Epist. 45, n, 4 (P. L. 16,
1142). A gostino, Sermo 46, n. 35-36 (38, 290-1;-sui donatisti e su se stesso), G re­
gorio, In E z e c h 1. 2, hom. 2, n, 15 (76, 957). Anastasio il S inaitico , Quaest. 41
(P. G, 89, 592). Severo d’A ntiochia , Omelia 59 (-P. O. 8, 233). Cf. Cipriano, .De
caffi; Ecclesiae unitate, c. 4 (Härtel, p.-2l2); ecc, -Sui commentatori del Can­
tico: Dictioimaire de Spiritualitc, fase. VII (1937) col. 93d09, di F. Cavallerà,
A . Cabassut, e M . O l p h e -G aillard.
(175) B e r n a r d , In Cant., ß. 1, n. 5 (P. L. 184, 15); e s. 12, n. 11: « Gratias
tibi, Domine lesu, qui nos carissimae Ecclesiae tuae aggregare dignatus es,
non -solum u t fideles essemius, sed ut etiam tihi, vice sponsae, in amplexus
ineundos, caetois, aeternosque copularemur ». G ilb e r to , In Cant,, $. 30, n. 5:
<f Derivamus hunc sensum ad Ecclesiae statum; gratius est enim quod Ec­
clesiae ««numine est; denique nihil sponso .gratili» communitate, invino unitate
credentium et compage Ecclesiae » (184, 157; s. 13, n. 2 (64); eoe'. G ugliel­
mo, dopo aver fatto del 'Cantico ran commento .« ecclesiastico », con estratti
di S. Gregorio, ne compone un secondo più personale in .cui non tratterà più,
dice, « de Christo et Ecclesia », ma « de Christo et de cliiristiaiia anima »
Ciao, 441 ss.) O n o fr io (172, 275 B e 357 ss.). 'Riccardo di S. V it t o r e , In Cant.,.
Prolog. (196, 488-18). Nel sec. XI, S. P ie r D am ia n i, Opusc. 56 . (P, L. 145,
809 C).
(176) 'Se le due «esposizioni» sul Cantico sono Mie (Vivès, t. 18), « Him e .
vi
libellum «Te nuptiis Christi et Ecclesiae.»»; i«adulescentulae dicuntur animae
electorum »; « Sponsus et -Sponsa, id est Christus et Ecclesia, sive Christus et
anima sancta, est materia huius -libri, ut 'Glossa tangit»,.,
(177) Raccolta in Cant., e. 1, n. 3 (P. L, 79, 479)..
(178) «Fratribus placuit... ut libroni boati Job exponere importuna me pe­
titione compellerent; 'et prout verita« vires infunderet, eis mysteriis tantae pro­
funditatis aperirem. Qui hoc quoque milii in Onere suae petitionis addiderunt,
ut, non solum verba historiae .per allegoriarum sensus exenterem, sed allego­
ria rum sensus protinus in exercitium moralitatis inclinarem... ». Moralia in Job,
■Si Epist. missoria, e. il®(P. L, 75, 512);. e c. 3: «Primum quidem fundamenta h i­
storiae ponimus ; deinde per significationem typicam, in arcem fidei fabricam
1 mentis erigimus; ad extremum quoque per mor ali tat is igratiam, quasi superducto
1 aedificium eoiore vestimus » (coi. 513). Ugualmente iCassi ano, Conlatio 14, c. 8'
(Petscbemg, p. 404-7). O, più tardi, U g o di S, V it t o r e , De Scripturis et scripto -
186 l ’i NTERPHETÀZÌONE DELLA SCRITTI}HA

riöii*' sacris, c. 3 (P. L. 175, 11-12); Adnotationes in Threnos, in Joelem, et in

Abttiam U?5, 255-406).
(179) G iovanni della C uoce, prefazione al Cantico Spirituale (ed. Don
■Ghevallier , ip, 5-6). G regorio M agno, frammenti delle opere riuniti do V alerio,
poi da B eda, poi da G uglielmo di S. Thierry (P. L. 180, 441-474),
(180) In Cant. (P. G. 81), per es. col. 104 e 169-72.
(181) In Cant,, bom. 15 (P. G, 44, 1116-20; v. -già col. 801, 904-5, 1048, 1049).
In B onaventura , In H-exaem., collat. 20-23, passaggio perpetuo dall’« Ecclesia
contemplativa » all’« anima contemplativa»; poiché «non differunt nisi qnód
unirne totum habet in se, qno-d Ecclesia in miulUs » (Quaràcchi, t. 5, p. 445).
<182) Kpist. 71, n. 4: .«Omnes isti processus animae nostrae sum » (P. L. LA SALVEZZA MEDIANTE LA CHIESA
16, nii).
(183) I ldebeiìto, sermo 29: «Propter eos qui non legunt aut non dntelligunt
Scripturas, quaedam in officiis suis visibiliter dispensat Ecclesia, per quae mens
iid invisibilia scienda provehatur » (P. L. 171,, 478).
. (184) Panarion, 1. 1, t, 1, e. 5 (P, G. 41, 181), Se fosse stalo possibile nlluii- ' POSIZIONE DEL PROBLEMA
gare un capitolo già troppo lungo, ci sarebbe piaciuto mostrare' come, secondo
la Tradizione, alla Chiesa e all’anima ovunque presenti nella Scrittura e epe- Qasì; torniamo sempre alla Chiesa, senza poter mai disso­
cialmente nel Gamico, «-’aggiunse una terza .«persona» che è. il vincolo della
loro unità: Maria. Si legga almeno, T esto 37, il brano assai bello d’Isacco ciare dalla sua realtà mistica la-sua esistenza visibile e Jeiii-
della Stella. Gl. G uerric , In Assumptione sermo 3, n. 3: «Si quia tamen curiose pofaler Essa è al\piiìH ^pio'e'^là' fine, e tri l’uno e l’altro,
inquirere velit, cuius potissimum vox illa sit: « in omnibus requiem, quaesivi»,
vox est utique Sapientiae, vox est Ecclesiae, vox est Mariae, vox est cuiuslibet tutto è, ancora, pieno di essa: delle sue preparazioni e dei suoi
sapientis animae». Sistematizzazione in D ionigi il C ertosino , Eiiarr. in Cant. sviluppi. Alla luce di questa visione di fede, si riscHfara la.
■cantre. (Opera omnia, t. 7, p. 293-447). Vedi anche A. M. H enry , G. P.: Ève,
FÉglìae et Marie, iCahiers de la vie spirituelle, La Sdinte Vierge figure de . storia religiosa dell’umanità, s’organizza la sua complessità é
■V&gUse, 1916, p. 96-136. si vede dissiparsi la contraddizione che molti erano tentati
di credere irrimediabile tra il dogma della chiamata univer­
sale alla salvezza e il dogma della necessità della Chiesa pei’
questa stessa salvezza.
Posto tragicamente davanti alla coscienza cristiana dalle
scoperte successive della geografia, della storia e della prei­
storia, scoperte che, ingrandendo quasi smisuratamente il fatto
umano, sembravano diminuire in proporzione il fatto di Cri­
sto, il problèma della « salvezza degli infedeli )) è stato risolto
a poco. a poco dalla grande maggioranza dei teologi nel -solo
sènso veramente cattolico. Respinta, condannata, l’angusta so­
luzione di Saint-Cyran — che gridava in una specie d’entu­
siasmo sacro: <( Non cade nemmeno una goccia di -grazia sui
pagani)) , e quella di quei giansenisti i cjuali, concependo
la divinità ad immagine della più meschina umanità, teme­
vano di «avvilire il dono di Dio, prodigandolo)) (1), Re­
spinta ugualmente, come molto inadeguata al problema, la
soluzione del ricorso ai miracoli, la cui legge è la rarità: come
188 LA SALVEZZA MEDIANTE LA CHIESA
poter credere che Dio moltiplichi, contrariamente all’ordine
della sua Provvidenza, le rivelazioni individuali? (2). Respin­
to, infine, l’espediente d’una salvezza naturale, che rigette­
rebbe per l’eternità in opachi Limbi la parte immensa di una
umanità, fatta tuttavia interamente ad immagine di Dio. Espo­
sta nel XYI secolo dall’abate Trithème e dall’arcivescovo Clau­
dio Seyssel, ripresa da numerosi apologisti nei secoli XVIII e-
XIX contro le obiezioni di Jean-Jacques Rousseau, questa tesi
era troppo contraria alla meglio stabilita tradizione, pei* aver
probabilità distrionfare (3). Senza chiudere gli occhi davanti
all’angoscia di tante moltitudini <( sedute all’ombra della mor­
te », pensiamo tuttavia con S. Ireneo, che il Figlio, fin dal­
l’origine e sotto tutti i cieli, più o meno oscuramente rivela
il Padre a ogni creatura, e che egli può essere « la (salvezza
per coloro che sono nati fuori della Via » f(4). Con S. Cipria-
rio, S. Ilàrio e S. Ambrogio crediamo che il divino Sole di Giu­
stizia risplende su tutti e per tutti (5), Professiamo con S. Gio­
vanni Crisostomo che la grazia è diffusa ovunque e che non
eccettua nessun’anima dalla sua sollecitudine (6), Con Orige-
ne, S. Girolamo e S. Cirillo Alessandrino ci rifiutiamo di dire
che qualche uomo possa nascere senza Cristo (7). Infine con S.
Agostino, che pure e il più severo di tutti i Padri (8), ammet­
tiamo volentieri òhe la clemenza divina fu sempre alì’ppera
fra tutti i popoli (9), e che gli stessi pagani hanno avuto i
loro « santi occulti » (10) e i loro a profeti » (11). Nonostante
la diversità delle spiegazioni di dettaglio, e qualunque sia il
grado di ottimismo o di pessimismo pratico al quale ciascuno
è proclive secondo il proprio temperamento, la propria espe­
rienza o le proprie tendenze.teologiche, oggi si è d’accordo'
nel riconoscere, secondo le. suggestioni dei Padri, e secondo i
principi di S. Tommaso d’Aquino, che la grazia di Cristo è
universale e che il mezzo concreto di salvarsi — nel «eliso
pieno di questa parola — non manca a nesmn^animp„di. buo­
na volontà (12). Non c’è un uomo, non c’è un « infedele » la
POSIZIONE DEL PROBLEMA 189
•cui conversione soprannaturale a Dio non sia possibile fin
dall’inizio della sua vita ragionevole (13).
. Ma da questa stessa ' soluzione nasce subito anche un altro
problema, di cui è importante comprendere bene i termini.
Cristo, difatti, non s’è contentato di compiere il Sacrifìcio re­
dentóre, e ^ ’annunciarne come per un di più la buona no­
vella pei* la consolazione anticipata di alcuni. Egli ha predi­
cato una Legge, fondato una Società, e ha ordinato ai suoi
discepoli di diffondere Tuna e l’altra. Ha dichiarato che la
fede nella sua Persona e l’aggregazione alla sua Chiesa erano
le condizioni della salvezza. Ora, se ogni uomo può salvarsi,
sia pure a rigor di termini e in una maniera molto precaria,
perchè questa Chiesa? Il suo ufficio sarebbe dunque solo quel­
lo di procurare, una salvezza migliore e piu sicura a un pic­
colo numero di privilegiati? 0 , almeno, se si suppone che la
sua presenza è necessaria nel mondo, affinchè la grazia, di
cui essa è di diritto depositaria, ridondi misteriosamente in­
torno a lei su quelli stessi che l’ignorano; pèrche quell’ap­
pello alla sua espansione come al compito più urgente fra
tutti, appello continuamente rinnovato da venti secoli? In
ogni ipotesi, come pretendere ancora che la necessità della
Chiesa sia assolutamente vitale?
Il problema non apparisce meno acuto nel suo aspetto
pratico. Nella misura in cui si apre la porta della salvezza a
quelli che, perciò, sono molto impropriamente chiamati
<( infedeli )) non si diminuisce fino a farla -svanire la neces­
sità che eäsi appartengano alla Chiesa visibile? In nome di
che cosa s’imporrà loro ormai l’obbligo di entrarvi? Non è
una risposta sufficiente affermare : l’obbligo non incombe se
■F non a colui che incontra la Chiesa nel suo cammino, Infatti
si potrebbe domandare ancpra su che si fondi questo pre­
t-
cetto positivo. E a questa domanda non basterebbe nemmeno
rispondere che tra 1’« infedele » e il cattolico è considerevole
la differenza, dal punto di vista delle condizioni della salvez­
za. Poiché se questa differenza, non messa in dubbiò da nes-
190 LA SALVEZZA MEDIANTE LA CHIESA
suno, si risolvesse solo, malgrado tutto, in una questione del
più o del meno, come poter concepire che, essendo a rigore
sufficiente il meno, si fosse tuttavia obbligati al più? Certo,
è sempre un’imprüdenza non scegliere le condizioni più fa­
vorevoli, ed è follìa trascurare il mezzo di vivere ili pienez­
za: ma non potrebbe essere un delitto. Il Padre Faber ba po­
tuto dire (non senza qualche eccesso, forse) in un’opera assai
diffusa, che se noi non fossimo abbagliati dalla luce che •c’i­
nonda, « le pretese tenebre del paganesimo » sarebbero agli
occhi nostri « una luce vera illuminante ogni uomo che viene
nel mondo » (14); e in ogni caso niente è più bello dello sforzo
di tanti missionari per farci scoprire, .a forza di simpatia
umana e divina, gli elementi di autentica religione che nobi­
litano perfino il culto delle popolazioni più di-sprezzate. Ma,
se questi elementi possono ritrovarsi ovunque, sebbene sem­
pre mescolati; se queste tenebre, almeno in certi casi, sono
già così luminose, perchè l’pbbligo di cercare quel soprappiù
di luce che la Chiesa apporta ai suoi figli? Se un cristianesimo
implicito hasta alla salvezza di chi non né conosce un altro,
perchè metterci alla ricerca del cristianesimo esplicito? In
breve, se ogni uomo può essere salvato da un soprannaturale
posseduto anonimamente, come potremo stabilire che si ha
il dovere di riconoscere espressamente questo soprannaturale
nella professione della fede cristiana e nella sottomissione alla
Chiesa cattolica?
Per andare sino in fondo al suo sforzo, la Chiesa in cam­
mino non ha, certamente, bisogno che le si fornisca prelimi­
narmente una risposta sistematica alle sue domande. A lei
basta sapere che « per le intenzioni, divine e l’istituzione di
Cristo essa è la sola via normale di salvezza » (15). E questo
basta anche alla nostra fede, così come per sottometterci al
Vicario di Cristo ci basta credere al Tu es Petrus senza cer­
care più lontano. Ma, come dice il P. Charles a proposito eli
questo ultimo esempio^ « un órdine, anche divino, non è mai
la ragione ultima di niente..,.. La ragione ultima del precetto
REDENZIONE E RIVELAZIONE 191
non è il precetto* ma l’armonia » (16);. e il lavoro teologico
non ha sempre consistito, per molta parte, nell’umile ricerca
di questa «armonia))? Non è dunque proibito di provare,
nella misura del possibile, a rendere ragione dell’aifermaziione
di fede che fonda l’attività missionaria della Chiesa, e può
essere utile mostrare al tempo stesso come s’accorda con essa
l’affermazione complementare, non meno certa, della salvezza
possibile per i « pagani ». Non è forse a questo prezzo che
si assicurerà definitivamente il diritto di cittadinanza teologica
alla dottrina, che fortunatamente prevale oggi a loro riguar­
do? Poiché sicuramente è importante non dare il minimo pre­
testo al rimprovero che una volta i giansenisti rivolgevano (il
più spesso a torto) , alla teologia dei gesuiti, accusandoli. di
aver condotto il secolo all’incredulità, con le loro false mas­
sime sulla, possibilità di salvarsi in tutte le religioni (17).
- V i' REDENZIONE E RIVELAZIONE
Ora, la spiegazione desiderata non si trova, almeno in
germe, nei principi tradizionali che i capitoli precedenti han­
no tentato di richiamare? Il genere umano è uno. Per la no­
stra natura prima e più ancora in virtù, del nostro comune
destino, noi siamo le membra di un medesimo corpo. Ora le
membra vivono della vita del corpo. Cóme adunque potrebbe
esistere una salvezza per le membra, se, per impossibile, il cor­
po non fosse lui stesso salvo ?. Mala salvezza per questo corpo
— per l’umanità — consiste nel ricevere la forma di Cristo,
e questo, non può essere se non per mezzo della Chiesa cat­
tolica. Non è costei, di fatto, la sola messaggera integrale e
autorizzata della Rivelazione cristiana? Non si diffonde forse
.nel mondo .per mezzo suo la pratica delle virtù evangeliche?
Infine, non ha forse essa l’incarico di realizzare Firnificazione
spirituale di tutti gli uomini, per quanto vi si presteranno?
Così questa Chiesa, che come Corpo invisibile del Cristo si
identifica con la salvezza finale, è il mezzo provvidenziale di
192 LA SALVEZZA MEDIANTE LA CHIESA
questa salvezza in quanto istituzione visibile e storica. « In
essa solo si rifa e si ricrea il genere umano)) (18).
Fuori del Cristianesimo l’umanità senza dubbio può ele­
varsi., eccezionalmente, a certi culmini spirituali, ed e un do­
vere per noi, dovere troppo spesso trascurato, forse, esplo­
rare questi culmini per lodare il Dio di misericordia : la pietà
cristiana verso gli infedeli, che non procede mai dal disprez­
zo, può nascere talvolta dalì’ammirazione. Ma non è raggiunto
il Culmine supremo, e si rischia anzi di trovarsene tanto pin
lontani quanto più eccentrica sarà l’altezza scambiata per
esso (19). Molti missionari l’hanno osservato: spesso è molto
più difficile — per quanto possa divenire in fin dei conti più
prezioso — fare accogliere la piena Verità da anime domi­
nate da una religione più evoluta, senza che con ciò sia ne­
cessario accusare più particolarmente queste aniime di orgoglio
o di perversione. À giudicare, in ogni caso, non dalle anime
individuali, la cui esatta situazione riguardo al Regno non è
mai conosciuta se non da Dio solo, ma dai sistemi obiettivi
così come si diffondono socialmente e si presentano all’esame
della ragione, a ogni « invenzione » religiosa che non è una
imitazione di Cristo, manca qualche cosa d’essenziale. Qual­
che cosa, per esempio, manca alla carità buddistica : non è
la carità cristiana. Qualche cosa manca alla spiritualità dei
più grandi mistici indù: non è la spiritualità d’un S. Gio­
vanni della Croce... E tuttavia questi sono casi privilegiati.
Non tutto dunque, fuori del cristianesimo, è forzatamente
corrotto, al contrario anzi, e i fatti non confermano quella
pretesa legge di degenerazione, con la quale si è voluto tal­
volta spiegare tutto lo sviluppo religioso dell’umanità abban­
donata, si credeva, a ®è stèssa. Non tutto è corrotto, ma ciò
che non rimane nello stato infantile rischia sempre di devia­
re, oppure, per quanto vada in alto, alla fine ricade impoten­
te. Fuori del cristianesimo niente arriva al Termine, all’unico
Termine a cui tendono, senza saperlo, tutti i desideri umani,
liuti gli sforzi umani, e che è l’abbraccio di Dio in Cristo. I
REDENZIONE E RIVELAZIONE 193
più belli e i più potenti di questi sforzi hanno dunque asso­
latamente bisogno d’essere fecondati dal Cristianesimo per
produrre il loro frutto d’eternità, e finche manca loro il cri­
stianesimo, nonostante apparenze a lungo contrarie, non fan­
no altro che scavare nell’umanità il vuoto di dove s’innalzerà
il grido verso la sola Plenitudine, e-rivelarle più fortemente
la schiavitù da cui essa tenderà le braccia verso il Libera­
tore (20). ‘ .
Similmente, fuori della Chiesa l’umanità tenta di riunire
le sue membra. Da millenni un istinto potente là 'spinge, at­
traversò Un caos apparente di dispersioni e d’incontri, d’urti
e !d’avventure, di costruzioni e di disgregazioni sociali, verso
una «vita comune)) che faccia tralucere al di fuori qualche
còsa di quella Unità, che oscuramente sente in se. Ma e
dobbianio constatarlo troppo spesso — essa non può venire.
a capo di tutte le forze d’opposizione che sono ovunque all’o-
pèra, e che essa stessa genera e rianima perpetuamente. Senza
cessare di essere chiùse le città' si dilatano, non si penetrano
che per meglio urtarsi, è in seno alla loro coesione intèrna
persiste l’ostilità delle anime. Ma ecco la divina Casa costruita^
sulla roccia, « in' qua —■secondo la magnifica formula del
Concilio Vaticano (21) — veluti in domo Dei viventis, fideles
omnes unius fidei et caritatis vinculo continerentur ». Ecco la
casa delle nozze, ove il cielo si uhisce alla terra ( 22). Ecco la
casa di famiglia ove tutti si riuniscono per mangiare l’Agnel­
lo, ecco il luogo del vero sacrificio! (23). Solo l’Ideale che
Cristo ha trasmesso.'alla Chiesa è;tanto purpl e tanto potente-
— non è infatti forgiato dal cervello dell’uomo, ma è vivo e
si chiama lo Spirito di Cristo — da ispirare gli uonrini a la­
vorare per la, loro unità spirituale, come soltanto il Sacrificio
del suo Sangue può dare efficàcia al loro lavoro. E’ dunque
utilizzando il Vangelo in seno alla Comunità cattolica e con
l’assistenza dello Spirito .che si costituisce questa « Umanità
divina », unica dilecta Dei. .
Se. Dio avesse yoìuto salvarci, senza di,noi,.sarebbe bastato
18
194 LÀ SALVEZZA MEDIANTE LÀ CHIESA
il solo sacrificio di Cristo. Ma la stessa esistenza del Salvatore
non suppone già una lunga collaborazione dell’uomo? Una
tale salvezza d’altronde non sarebbe stata degna delle persone
che Dio ha voluto che noi fossimo. Dio non ha voluto operare
il salvataggio deU’umanità, come se fosse stato un rottame;
ha voluto suscitare in essa una vita, la sua Vita. La legge della
Redenzione riproduce qui la legge della Creazione: bisognava
che ritorno concorresse al suo fine sublime, ora bisogna che
concorra al suo riscatto. Cristo non è venuto dunque per so­
stituirsi a noi — o piuttosto quest’aspetto di sostituzione espri­
me solo il primo tempo della sua opera — ma per metterci
in grado d’innalzarci fino a Dio, per mezzo suo. Non per otte­
nerci un perdono esteriore =— era cosa fatta in principio, da
tutta l’eternità, e supposta dall’Incarnazione «tessa, perchè la
Redenzione è un Mistero d’amore e di misericordia (24) -~
ma per trasformarci interiormente. L’umanità quindi deve
cooperare attivamente alla sua salvezza, ed ecco perchè, al­
l’Atto del suo Sacrificio, Cristo ha congiunto la rivelazione
obiettiva della sua Persona e la fondazione della sua Chiesa.
A prendere le cose nel loro insieme, Rivelazione e Reden­
zione sono legate, e la Chiesa è il loro unico Tabernacolo.
COMPITO I>EGLI « INFEDELI *
Ma se la Chiesa — la Chiesa storica, la Chiesa visibile e
gerarchica — è così necessaria per trasformare e compiere lo
sforzo umano, essa «tessa non è compiuta. Non è nemmeno
ancora ovunque al principio dell’opera. Bisogna dunque, —
ed è cosa urgente che essa cresca e che prima la sua sta­
tura esteriore uguagli quella dell’umanità.' Certo, non sap­
piamo a questo riguardo ciò che l’avvenire ci riserva, — e
sappiamo troppo che il giuoco delle nostre libertà si oppone
continuamente al.volere divino: quest’ignoranza e questa cer­
tezza ci preservano da molte illusioni. Ma non possiamo du­
bitare che la missione provvidenziale del tempo, come ima
COMPITO DEGLI « INFEDELI )) 195
volta fu quella di preparare la prima venuta di Cristo, così
ora è di diffondere ovunque la Chiesa per permettere al Re­
gno di Dio di approfondirsi in ogni anima (25).
Per la Chiesa il crescere è una necessità di natura finché
non abbia ricoperto tutta la terra e consolidato tutte le anime.
La storia delle sue « missioni )> è la storia della sua crescita,
la sua storia. Le sue conquiste talvolta sono lente, talvolta.
interrotte da indietreggiamenti, come avvenne nel VII secolo
all’epoca dei fulminei progressi dell’Islam, o nel XVIII secolo
»I tempo della rovina delle cristianità d’Estremo Oriente.
L’illusione d’aver già raggiunto quasi i limiti del mondo abi­
tato, unita alla prossima attesa della fine dei tempi, hanno
potuto rallentare i suoi sforzi. Lo stesso S. Gregorio Magno,
organizzatore della missione inglese, non confessava "forse di
credere la Chiesa ormai vecchia, e di non aver ormai altra
speranza se non quella dèlia conversione finale d’Israele? Se­
condo Ini, pur godendo delle vittorie acquisite, non rimaneva
altro che raccogliersi e fortificare il proprio cuore per gii as­
salti dell’Anticristo (26)... Tuttavia la Chiesa si è riconosciuta
sempre la cura di tutto il genere umano, quel genere umano
che il nostro medioevo riassumeva nella triplice posterità di
Noè sparsa sui tre continenti (27), unita nella prova e nella
lode del Signore come i tre fanciulli gettati nella fornace (28)
e da cui non consentiva l’esclusione nè dei « Pigmei », nè de­
gli Sciti favolosi dalle lunghe orecchie, nè dei fantastici « cino­
cefali.» (29)... Mai, fin dal primo giorno, ha perduto di vista lo.
scopo. Un secolo cristiano che se ne distogliesse deliberatamen­
te sarebbe peggiore d’un secolo eretico, e d’altronde, che in
nessun momento della sua storia essa vi abbia rinunciato, noto
è uno dei segni della vera Chiesa di Cristo, guardiana indefet­
tibile della fede? (30). Sarebbe un rinnegare la suà stessa es­
senza, quello che Nemman avrebbe chiamato la sua «idea»,
La sua cattolicità, che in essa è una forza, è anche una perpe­
tua esigenza. Essa sa di « non essere nata per nessun’altra cosa:
se non per rendere tutti gli uomini partecipi alla salutare re-
 196 LA SALVEZZA MEDIANTE LA CHIESA
delazione, dilatando ovunque il Regno di Cristo », e che questo
non è il solo compito di alcuni -operai specializzati, ma « il prin­
cipale ufficio )) dei suoi pastori (31). Non può dimenticare le
profézic che hanno sempre diretto il suo. cammino e mante­
nuta la sua speranza (32). Finché non avrà guadagnato e pe­
netrato l’umanità intera per farle prendere la forma di Cri­
sto, là Chiesa non può essere in riposo (33).
La Chiesa h usi corpo in crescita. E’ un edificio in costru­
zione (34), L’una e l’altra immagine ci suggeriscono che non
può essere compiuta in U n giorno. Anche supponendo da parte
dell’uomo una corrispondenza totale ai richiami dell’Archi­
tetti divino, l’opera è di lunga mole, e la stessa posa della pri­
ma piètra -r—quella «pietra angolare » che non è altroché
Cristo, « primo nato tra molti fratelli » sappiamo che do­
vette essere preceduta da immensi lavori d’approccio.
Ogni essere creato, difatti, è sottomesso in questo mondo
alla 'legge del divenire.' Sé la salvezza, che è Dip stesso, vi
sfugge, rumanità, per riceverla ; non vi sfugge. In p articolare
*— non è-quésto un parallelo da 'portarè,;fino. in fondo, ina il
■paragone può èssere illuminante (35) P eonie è necessario-,
per ohe il pensiero possa infine farsi strada attraverso um orga­
nismo' corporeo e brillare,-in occhi umani,' che la vita lentd-
mènte,si elèvi é inventi a profusione sistemi di scambio sem­
pre pip perfeàioilatL hénchò il suo ufficio -consista unicamente
nel prepararsi a ricevere questo pensiero, che per lei e incom­
mensurabile é che le sarà'donato come una grazia: così, affin­
ché' l à . Rivelazione di Cristo potesse'un giórno essere-ricevili«
d agli nomini, é- la di vina 'Sornigli anza brilla r e con tutta l a mia
luce, negli occhi dèi Santi, sono state necessarie preparaziorìi
millenàrie:; non solo quelle della Rivelazione ebraica, quale
l'incomparabile solco di luce e di enigmi che va dà Àbramo
a Géèùy ma anche tutteqi ielle altre preparazioni, più oscure,
più esteriori, che l’hanno precèduta o accompagnata nel seno
del-paganesimo; e tutta la lenta ascensione materiale; sociale,
intellettuale dell’uomo decaduto (36). Ora questo mirabile
COMPITO DEGLI (( INFEDELI » 197
spettacolo delle « economie » divine non potrebbe essere, rap­
presentato da uno schema rettilineo. La vita spirituale, come
ogni vita, assume consistenza in un organismo adeguato solo
dopo molte ricerche e tentativi. Alle esplosioni improvvise
succede talvolta u n lungo periodo di sterilità, e non tutte le
promesse di progresso hanno compimento. Per tutte le con­
centrazioni feconde, c’è un mucchio di materia apparente­
mente guastata. Un successo sopravviene al termine di mille
tentativi più o meno abortiti, e suppone intorno a sé un certo;
numero di « mostri ». E giacché la Natura ha dovuto pro­
durre un’incredibile esuberanza di forme vitali perchè po­
tesse apparire un giorno il corpo umano, non ci meravigliamo
della strana molteplicità delle forme religiose che ci scopre
la storia, prima o all’infuori del Cristianesimo, '
Non ci meravigliamo, ma sappiamo trarne le conseguenze
e trovarvi la chiave del nostro problema. Sappiamo che una
grande massa d’« infedeli » ha dovuto compiere nella storia;
della nostra salvezza una funzione necessaria, senza dubbiò
non per la parte d’errore formale ó di degradazione che è in
essi, ma per ciò che di ricerca, di elaborazione penosa; d’an­
ticipazioni parziali, di giuste invenzioni naturali e di solu­
zioni ancora imperfette, si ritrova nelle loro intenzioni e nelle-
loro ricerche; ora questo avviene perchè essi occupano un
posto inevitabile nella nostra umanità, neirumanità tale quale
l’hanno fatta la caduta e insieme la promessa del Redentore.
Non sarebbe giusto paragonare la doro funzione a quella d’ima
semplice impalcatura, necessaria alla costruzione d’un edifi­
cio, ma gettata via appena l’edificio è compiuto, senza inquie­
tarsi di ciò che potrà divenire. Infatti se la Gerusalemme ce­
leste è costruita con pietre.viventi (37), sono anche dei viventi
colorò che vengono usati per le sue impalcature. In altri ter­
mini, l’umànità è fatta di persone le quali, qualunque sia la
categoria o il secolo ove le ha poste la loro nascita, Shamm
tutte un medesimo destino, singolare ed eterno; e non si po­
trebbero concepire le loro relazioni come puramente esterio-
"1.98 LA SALVEZZA MEDIA N IE LA CHIESA
ri, come se le ime dovessero preparare soltanto le condizioni
di sviluppo delle altre, secondo il paradosso di Kenan sul­
l’avvento d’un superuomo. Nell’estrema diversità delle loro
luci e delle loro funzioni, tutti i membri della famiglia uma­
na godono d’un’essenziale uguaglianza davanti a Dio. Prov­
videnzialmente indispensabili all’edificazione del Corpo di
Cristo, gl’« infedeli » devono beneficiare a modo loro degli
scambi vitali di questo Corpo. Per un’estensione del dogma
della comunione dei santi, sembra giusto dunque pensare che,
pur non essendo essi stessi posti nelle condizioni normali della
salvezza, tuttavia potranno ottenere. questa salvezza in virtù
dei vincoli misteriosi che li uniscono ai fedeli. In breve, po­
tranno essere, salvati perche sono parte integrante delPuma-
nìtà che sarà salvata (38). . Evidentemente non può, questo assioma, significare che nes­
Si parla talvolta di. (( supplenze»: tale è in fondo, pare,
la sola supplenza ammissibile, quella che dà il loro pregio a
tutte le altre, in favore di coloro che non hanno ricevuto la
piena luce. Benché — per riprendere i termini dell’obiezione
da enti siamo partiti — in certi casi il «meno » sembri ba­
stare, resta rigorosamente necessario il « p iù » rivelato: poi­
ché precisamente, se questo «, meno » allora basta, se « l’in- '
sufficiente è sufficiente» (39), è perchè il « p iù » esiste, e
supplisce, E più precisamente ancora, questo suppone non
solo la presenza limitata e precaria di questo « più » in qual­
che parte del mondo, ma la sua crescita senza limite e ——in
una forma per noi misteriosa — il suo compimento defini­
tivo. In breve, ciò suppone e l’esistenza della Chiesa, e il suc­
cesso della sua « Missione ». Quando un missionario annun­
cia Cristo a un popolo che.non lo conosceva ancora, non sono
interessati al successo della sua predicazione soltanto, gli
uomini a cui si rivolge, o coloro che nasceranno da questi.
Si può dire in un certo senso che lo sono anche i loro ante­
nati. Indirettamente, ma realmente, è tutta la massa anonima
di coloro che, fin dall’alba della nostra razza, hanno fatto del
loro meglio nell’oscurità o nella mezza luce che furono il loro
L* OBBLIGO CANTHARE NELLA CHIESA. 199
retaggio. Ed è così che, volendo salvi tutti gli uomini, e non
permettendo, praticamente, che tutti siano visibilmente nella
Chiesa, Dio tuttavia vuole che tutti quelli i quali rispondono
alla sua chiamata, siano, in fin dei conti, salvati per mezzo
della Chiesa (40). Sola Eccledm gratia, qua redimimur (41).
L’OBBLIGO D’EN'lUtÀBE NELLA CHIESA
Possiamo ora comprendere in tutta la sua forza, rigorosa
insieme e confortante, l’assioma venerabile che, dal tempo
d’Origene.e di Cipriano fino all’enciclica Mortalium>animos
di Pio XI, non ha cessato d’esprimere sul nostro soggetto la
dottrina ortodossa : « Fuori della Chiesa non c’è salvezza (42),
suno sarà salvato se non appartiene, esteriormente alla Chie­
sa; ed è significativo che i testi in cui s’inserisce, quando non
sono diretti a quelli che hanno fatto/secessione (43), appor­
tano immediatamente.gli attesi correttivi, riservando il caso
dell’ignoranza invincibile agli infedéli di buona volontà (44).
Ma tale spiegazione, che .è stata formulata in quésti ultimi
secoli nella distinzione tra il corpo e l’anima della Chiesa,
.non è nè sufficiente, nè pienamente esatta: perchè nel nostro
assioma, non si- tratta per lo più dell’anima della Chiesa, ma
proprio del suo corpo, del suo corpo sociale e visibile. Pio IX,
dopo Innocenzo-DI, precisa: della Chiesa romana (45). An­
che incompleta ci sembra la spiegazione attinta dal Suarfez,
secondo la quale per salvarsi, bisogna essere presenti almeno
di. cuore e di volontà implicita nella comunione cattolica, voto
saltem oc desiderio (46). Mentre invece queste spiegazioni ri­
prendono tutto il loro valore e possono essere adottale senza"
pericolo, una volta che, con un’interpretazione collettiva, si
è riconosciuto che per l’umanità presa in blocco non poteva
esserci alcuna salyezza fuori della Chiesa, che questa era una
necessità rigorosa, una necessità di mezzo da cui niente^po­
trebbe dispensare (47).
200 LA SALVEZZA MEDIANTE LA CHIESA
Così il problema della « salvezza degli infedeli » riceve
mia soluzione d’un’estrema ampiezza, e nel medesimo tempo
si è allontanato ogni lassismo che la comprometterebbe. Al­
l’indifferenza non è offerto alcun incoraggiamento. Diviene
comprensibile che la Chiesa, secondò un teologo (48), sappia’
<( far grazia al paganesimo senza diminuire il -carattere pro­
prio d’esser sola a salvare le anime )) ; e se si pensa che, mal­
grado tutto, là formula « fuori della Chiesa nessuna salvez­
za » dà un suono piuttosto, rude, niente impedisce di darle
una forma positiva, e di dire, rivolgendosi col pensiero a ogni
uomo di buona volontà, non già : « fuori della Chiesa siete
danilati », ma: « sarete salvi per mezzo della Chiesa, soltanto
per sub mezzo )>. Poiché è per miezzo della Chiesa che la sal­
vezza verrà, che incomincia a venire per l’umanità.
La modalità di questa salvezza, ben inteso, sarà del tuito
differente secondo che l’infedele avrà o no incontrato la Chie­
sa ilei suo cammino. Neh secondo caso, la sola condizione di
salvezza è, per lui, essere già cattolico come per anticipazione,
essendo la Chiesa il « luogo naturale », a cui tende sponta­
neamente l’anima docile alle suggestioni della grazia. Il « me­
no » allora è sufficiente — tanto per riprendere un’ultima
volta questa espressione -— non già in se stesso per il sua.
proprio valore, ma in quanto aspira al «più » , In quanto sa­
rebbe pronto a perdersi in questo « più » , appena fossero'
tolti gli ostacoli esteriori che glielo nascondono. Ben altro è
il caso dell’infedele, che si trova posto di fronte alla Chiesa,
purché questa gli sia presentata con il suo vero volto. Entrare
effettivamente in essa è per lui un obbligo stretto. Poiché se,
per la logica della sua corrispondenza alla grazia, veramente
vi aspirava già in segreto, sottraendosi alla sua chiamata, men­
tirebbe a se stesso. Coloro che non conoscono la Chiesa sono;
dunque salvati da essa in modo tale, che incombe loro l’ob­
bligo di appartenere a lei, anche esteriormente, appena l’ab­
biano conosciuta.
Se la soluzione che abbiamo abbozzato si fonda sui prin-
l ’o b b l ig o d ’e n t s a b e n e l l a c h i e s a 201
dpi dei Padri, permette anche, sembra, d’accordare fra di
esse le loro testimonianze, sia quelle, che abbiamo ora ricor­
dato, sulla Chiesa fuori della- quale non esiste salvezza, sia
quelle citate al principio di .questo capitolo sull’azione univer­
sale del Salvatore. E’ notevole, infatti, che, quando attribui­
scono al mondo pagano qualche luce di Cristo, I Padri la met­
tono generalmente in relazione profetica con la luce piena
del Vangelo, e tanto nella vita dei santi personaggi della gen­
tilità, come in quella dei giusti dell’antica Legge, vedono pre­
parazioni della Chiesa. E’ così che secondo S. Ireneo si deve
dire, in utì certo senso senza eccezione, di tutti i santi che vis­
sero prima del Vangelo, « che annunziarono la venuta di Cri­
sto e Obbedirono alla sua Legge » (49). Secondo Clemente
Alessandrino, « come ha inviato agli Ebrei dei profeti, così
Dio lia suscitato nel seno della Grecia i più virtuosi dei suoi
figli, per costituirli profeti in mezzo alla loro nazione» (50).
Quando S. Agostino, a proposito dell’Idumeo Giobbe, parla
d’una vasta « Gerusalemme spirituale » (51), non usa questo
epitetò per una .specie d’opposizione alla Chiesa visibile, co­
me se si potesse opporre l’anima della Chiesa al suo corpo;
ma soltanto per opposizione alla città carnale che la prefigu­
rava. E quando S. Leone dichiara che dai tempi più antichi
il mistero della salvezza dell’uomo non ha mai conosciuto in­
terruzioni, con ciò stesso rileva mólto fortemente l’unità che
collega tra loro i mille mezzi di salvezza, di cui ammira quin­
di la varietà provvidenziale (52). Non c’è nessun dubbio sulla
continuità storica supposta dalla stessa trasformazione, sul
vincolo visibile e tangibile tra l’Antico e il Nuovo Testamento:
.'.ora, di tutti i Gentili salvati si dirà, come degli Ebrei stessi,
che furono « nell’Antico Testamento » (53), «santi dell’An­
tico Testamento » (54).
Glie la Scrittura ne parli o ne taccia, poco importa: sappia­
mo che ce ne sono molti di cui non dice niente (55). Del re­
sto, per ehi sa leggerla, certe sue pagine sono eloquenti: non
attribuisce essa forge./per esempio, ai Gentili e agli Ebrei, una

202 LA SALVEZZA MEDIANTE LA CHIESA
• V'
parte nella generazione di Cristo? (56). L’insistenza con la
quale questo particolare è constatato, mostra che agli occhi
dei Padri questo era il segno d’ima più fondamentale colla­
borazione tra x due popoli. E difàtti, a ciascuna delle sei età
del mondo, Ebrei e Gentili, non hanno forse riempito le an­
fore -delTmnanità con la stessa acqua, con quell’acqua che-un
giorno doveva1essere cambiata in vino da Cristo? Ebrei o Gen­
tili, gli uni e gli altri hanno avuto relazione con il medesimo
Cristo, hanno atteso il medesimo .Cristo, e il medesimo Cristo
hanno prefigurato, soprattutto con le loro-sofferenze,-quelle,
sofferenze che mai risparmieranno il giusto (57). Tutti prepa­
ravano- così la Chiesa universale,, che ora-^ton esita a ricono­
scere in essi i suoi membri (58). ,t
Possiamo dunque contundere come si deve dire che. Ebrei
o Gentili pur essendo vissuti prima della venuta visibile di
Cristo, tuttavia devono esser salvati da Cristo e non solo dal
Verbo; così, .pur essendo vissuti prima della venuta della Chie­
sa visibile presso di .essi, tuttavia non'sono salvati, apparte­
nendo in un modo puramente spirituale e fuori del tempo,
all’« anima )) della Chiesa, .-ma per effetto: d’un vincolo con il
suo « corpo )), vincolo realissimo, per quanto indiretto e per
Io più nascosto.
B^SFOiNSlABILXTÀ> DEL 'CRISTIANO
In un sìmile contesto dottrinale, apparisce sempre più.
chiaramente che la parola d’ordine del cristiano non può più
essere «evasione», ma « collaborazione ». Si tratta per lui,
di lavorare con Dio e gli uomini all’opera di Dio nel mondo
e nell’umanità. Lo scopo è unico-: egli può ripromettersi d’aver
parte .al trionfo finale, di trovare un posto nella salvezza co­
mune: in redemptione communi (59), solo a condizione di
tendervi con tutti, invece di proseguire nel suo giuoco egoi­
stico. La città degli Eletti non accoglie i «profittatori».
Di qui la responsabilità del cristiano di fronte ai suoi fra­
telli « infedeli ». Ogni grazia è gratia gratis data, cioè, se con-
-Si
Si r e s p o n s a b il it à d e l c r is t ia n o 203
do il ■vecchio significato dell’espressione, data in vista degli
altri (60). La grazia del cattolicesimo non ci h stata data per
noi soli, ma in considerazione di quelli che non l’hanno, co­
me la grazia della vija contemplativa, come l’ha così bene
compreso S. Teresa, è data ad anime scelte in favore di, quelli,
che penano nelle fatiche della vita attiva. La fedeltà a questa
grazia, che ci fa membri della Chiesa, esige dunque da noi
due cose: concorrere alla salvezza del inondo, partecipando,
ognuno secondo la nostra propria vocazione, alla costruzione
del grande Edifìcio di cui. dobbiamo essere gli operai ad un
tempo e le pietre ; concorrere contemporaneamente per effetto
di tutta la nostra, vita cristiana alla salvezza individuale di
quelli che apparentemente xnmangono « infedeli ». Due do­
veri che si compenetrano; due modi dì far maturare la Re­
denzione, se così ci sì può esprimere, f ■ .
Lavorare dapprima, da parte propria,, alla crescita della
Chiesa. « La Chiesa, ha scritto il Padre Charles, è oggi come
un fanciullo, al quale non manca nessun organo, ma che deve
ancora quadruplicare, quintuplicare la sua misura e il suo
peso. Questa legge di crescita, inscritta in un corpo di fan­
ciullo, segreta e agente nel seme di senape, è ugualmente im­
4
periosa nel corpo della Chiesa, e i sovrani Pontefici che eé
la ricordano insistentemente^ non fanno altro che dare .voce
al grido silenzioso della Chiesa che deve crescere. E quando
un organismo vivente si mette a crescere, lo fa in tutte le parti.
Questa funzione non è specializzata pex* nessun organo, non
è monopolizzata da nessun membro.... Tutto deve mettercisi
armoniosamente, seguendo il medesimo ritmo e la medesima
cadenza ». Si può dunque dire in verità che l’opera missio­
oli* naria è un dovere per tutti, senza dubbio .il più indetermi­
nato nel suo principio, ma il più grave e il più universale, e
per lavorare a questa prima estensione del Regno di Dio <( non
è nelle tavole della Legge che andremo a cercarne l’ordine,
ina è nella nostra anima battezzata che ne scopriamo l’esi­
genza » (61),
4
204 LÀ SALVEZZA MEDIANTE LA CHIESA
Meritare quindi, con un’intensa messa in valore del capi­
tale spirituale offerto dalla Chiesa, per coloro che, meno for­
tunati, sono lontani da questo tesoro; per coloro che sono
morti o morranno senza che sia stato loro annunciata la Buo­
na Novella. Quando si riflette a questo dovere stimolante ma
terribile, si è tentati di domandarsi se è proprio sicuro che
all’interno della Chiesa la salvezza sia sempre più facile, se­
condo una formula troppo diffusa. Certo, non è possibile mi­
sconoscere il valore dei mezzi di grazia che sono normalmente
a disposizione di ogni fedele. Ma questa verità, di quale abuso,
diverrebbe pretesto, se se ne profittasse per addormentarcisi*-
come se il fatto di trovarsi situato in Ecclesia, comportasse
automaticamente quello d’essere de Ecclesia? (62). Sicurezza
pericolosa, a cui il credente è inclinato da una naturale di­
sposizione, e che talvolta divenne esplicitamente errore for­
male. Un S. Agostino, un S. Cesario d’Arles dovettero com­
batterla rudemente (63). In ogni caso, il rischio, è più forte
per chi ha più ricevuto; più i talenti confidati sono nume:
rosi, più bisogna temeré di lasciarli improduttivi : « quibus
plus dedit, plus ab éis exacturus)) (64). Siamo solidali con i|
resto del mondo, che non potrà essere salvato senza di noi
La posta della nostra condotta personale non si trova cosi
immensamente aumentata? Paucis humanum vivit genus: Farò
tico assioma è profondamente vero. Tale è la legge di natura,
e il cristiano non può sottovalutarla. Ma la completa, capo:
volgendola, con la legge della grazia. Questa piccola élite, per
la venuta della quale ha concorso il lavoro oscuro di tutta là
massa, non deve godere, solitaria e orgogliosa, della sua prer
caria superiorità. Non appartiene a se stessa, ma deve dedi;
carsi al servizio di tutti. « Che colui che tra voi è il più grande
sia come quegli che serve»: la grande lezione di Cristo non
è diretta soltanto a coloro che detengono una parte qualsiasi
dell’autorità, è il precetto impartito ad ogni grandezza. Quelli
che, ricévendo Cristo, hanno tutto ricevuto, sono stabiliti per
la salvezza-di-coloro ehe-non-hanno-potuto conoscerlo—H-loro
IÌESPONSABIHTÀ DEL CRISTIANO 205
privilegio è una missione. Per essi non ci sono altri mezzi di
'conservare la loro ricchezza, poiché nell’ordine spirituale
« non si possiede se non ciò che si dà », e non lo si mantiene
se non dando ancora; e nessuno sarà trovato più vuoto, l’ul­
timo'.giorno, dello sprecone, che s’era creduto ricolmo. Vide-
lume vacuum, qui sibi abundare omnibus videbatur (65). (di
giudizio, verso i privilegiati sarà dato sul rendimento in bene
comune dei loro privilegi in favore di quelli che né erano
esclusi. Il livellamento dal basso, che i sincretismi avevano
a torto postulato per l’unificazione delle dottrine, sarà realiz­
zato nel Giudizio pei* l’apprezzamento giudiziario delle re­
sponsabilità (66). ■'
! ' :■-.(( Sta a noi profittare del rimediò che Gesù Cristo ci’ha
■portato, — scriveva un giorno Bossuet a suor Cornuàu — ;e
òroii tormentarci di ciò che divengono quelli che,' per' qual­
siasi motivo, non ne usano ; come sarebbe insensato colui che*
in un grande ospedale, vedendo venire da lui il medico con
un rimedio infallibile, invece di profittarne, si tormentasse a
domandargli ciò che farà degli altri malati ». Forse'era que­
sta una saggia direzione, per metter fine all’agitazione d’un’a-
idma’ iùqùietà, e « alla vivacità d’uno spirito, dhé si smarriva
irei suoi perisieri » .(67), Albert Bay et, citando questa letter g, è
'stato un po’ troppo affrettato nell’ihdignarsene. Ma se si doves-’
sero prenderle in un senso dottrinale, per definire teoretica­
mente il mostro atteggiamento di fronte ài problema della sai-
.yezzdr, queste parole sarebbero anticristiane* Nessuno ha il di­
ritto di dire come Càìno : (( Sono forse incaricato di mio. frà-
tellò? ». Nessuno è cristiano per sè solo (68).
. Muros. Ecclesiae .nostrae aedificare debetrius (69)./L ’ave­
vano .ben compreso, quelle grandi sante del medioevo, le quali,
in tempi in cui, là Cristianità. doveva concentrarsi periodica­
mente, raccogliersi, per così dire, in se stessa contro l’urto
delBIslam, contribuivano a mantenere vìvo il puro, ideale, della
6 attolicità : Mechtiìde di Magdeburgo, che vói eva assumer e
-£U-dUsè-i-timori ^.e-le -spera-nzeri-d ol ori-e-ì e -gioie-delPum an ità _
206 LA SALVEZZA MEDIANTE LA CHIESA
intera, e componeva un*« orazione xmiversaìe per la salvez­
za )); un po’ più tardi Angela da Foligno, che ripeteva nella
sua preghiera : « Che il vostro Amore abbracci tutti i po­
poli»*, oppure, all’epoca del grande Scisma, Caterina da Sie­
na, che dichiarava che la sua unica occupazione era la sal­
vezza del mondo, e dopo aver lavorato senza interruzione alla
pace e all’unità dei cristiani, offriva la vita « per il Corpo mi­
stico della santa Chiesa, era rispondere al votò supremo di
Cristo. Era associarsi alla preghiera di quei sacerdoti e di quei
monaci i quali nell’Ufficio del Mattutino, simbolo della sesta
età del mondo, pensavano agli innumerevoli popoli destinati
in quest’ultima età ad essere congregati da tutte le règio ni
dell’universo, prima che la Chiesa entri finalmente nella
pace (70). Facevano proprio, infine, il pensiero di Metodi»
d’Olimpo : <( La Chiesa è nei dolori del parto fino a che tutti
t popoli siano entrati nel suo seno » (71)i
NO TE 12345678
(1) Rimprovero rivolto da Frémont a. Fénelon. i l 7 die. 1690 Alessan­
dro V ili condannava questa proposizione: .«'Pagani, Iudaei, haeretici aliique
huius generis nullum omnino influxum a leau Christo accipiunt».
(2) A gostino, De doctrina christiana, prol., n. 6: «... Abiecta esset humana
conditio, si per homines hominibus Deus verbum suum ministrare nolle vide­
retu r» (P. L. 34, 18). ■ -
(3) La forma rinnovata che le ha dato il Cardinal Billot non le ha con­
quistato m olti suffragi.
(4) Ado. Baer., 2, 22, 4; 3, 18, 7; 4, 20, 6, 7; 4, 22, 2 (P. G. 7, col. 784, 937,
990, 1036*7, 1047). D im ostratane, c. 34: «La presenza invisibile del Logos è
diffusa ovunque... 'Per mezzo suo tutto è sotto l’influsso dell’economia reden-
,trice, e il Figlio di Dio... ha tracciato il segno della croce su ogni cosa » (Pi O.
12, 773). Frammento I (P. O, 12, 732). . .
(5) I lauio, Zi» psalm. 118, lamed, n. 5 (2,, p. 459). Amukogio, In p<salm. 118,
s. 8, n. 57: «My&tkus autem ille Sol institi ae omnibus ortus est, omnibus venit,
omnibus passus est » (P., p. 186) ; cf. s. 19, n. 39 (p. 442),
(6) In Jo„ Itoni. 8, n. 1 (P. G. 59, 65): In Rom., hom. 5 (60, 427).
(7) O bigen E, In Jo., t. 6, n . 15: « C risto ha una ta le p o ten za che, in ri-
s ib ile p e r In sua d iv in ità è p r esen te ad ogn i aioano e si esten d e a tutto l ’u n i­
v erso » (P, G. 4, 252 D) ; e ir. 23 (265-8). G erolamo, In epist, ad Galatas, c, 1
(P. L. 26, 326). C irillo A le ss. Thesaurus (P. G. 75, 294-5), Cf. C lem ente , Pro­
treptico, c. 9, i l 88 (St.,- r. 1, p 65).
(8) Il pensiero dà S, Agostino è studiato sotto i suoi diversi aspetti nella'
NOTE 207
notevole teli del P. J. Wiang Tgh’angtche, S. I.: Saint Augustin et les vertus
des pa'iens (Paris, 1938).
(9) De ordine, 1. 2, c. 10, n. 29 (P. L. 32, 1009). Enchiridion, c. 103, n. 27
(40, 280). In psalmum 88, s. 1, n. 3: «... Non cutem clausit Deus fontem boni­
tatis suae etiam iri alienigenas gentes » (37, 112,1).
(10) «Latentes «ancti»: De catechiz. rudibus, c. 22, n. 40 (P. L. 40, 339).
Contra duas epist. Pelag., 1. 3, c. 4, n, ,8 (44, 593). Epist, 102 ad Deogratias, q, 2,
n. 10 e 15 (33, 374 e 376). Epist. 164, c. 1, n, 2 (33, 709), De perfectione iustitiae
kominis, c, 19, n. 42 (44, 315); ecc.
(.13) C. Faustum, 1. 19, c. 2: Ci sono Ire sorte di Leggi, «item Prophetae,
alii sunt ludaeorum, alii Gentium, alii Veritatis... Dubitandum non est, et Gen­
tes suos habere Prophetas» (P. L. 42, 347-8), De Civ. Dei, 1. 8, e. 23 (41, 247-9);
1. 18, c. 23, «, 2 (5801 e c. 47: «Non incongruenter creditur fuisse et in aliis
gentibus homines, quibus hoc mysterium (de Christo) revelatum est... Nec ipsos
Judaeos existimo audere contendere, neminem pertinuis=e ad Deum, praeter
Israelitas... Populus enim revera, qui proprie Dei populus diceretur, nullus alius
fuit; homines ameni quosdam, non terrena, sed caelesti societate ad veros Israe-
litas supernae cive3 Patriae -pertinentes, etiam in aliis, genti-bus fuisse, negare
non possunt: quia ei negant, facile convincuntur de sancto et m irabili viro
Job... » (609).
>(12) P, R a d b erto , In Mot., 1. 9, c. 20: «Dominus noster leaus. Christus...
totius humani, generis curam gerit, et in omni tempore universos ad culturam
logia divinae conducere numqnam cessai » (P. L. 120, 674), Uco d i S. V it to r e ,
Explan, in cant. B. Mariae: «Nemo a .gratia excluditur, sed in omni gente, qui
timet.Deum et operatur iustitiam, acceptus est illi» (175, 427).
(13) R. P. H u g u e n y , Le scandale édifiant d’ime exposition mission«« im,
(1933), p. 56. L’autore aggiunge: «’Il y a . loin de la poasibilité à la frequence
du fait» , ciò che è incontestabile ; e anche, p. 60: « Pour la plupart (les infi­
deles) n’usent .pas du -peu de lum ière» ohe è loro accordata. Per parte nostra
preferiamo' dire di non saperne niente. Comunque aia, la soluzione che abbia­
mo ora ricordato non pregiudica in niente la questione, del tutto differente,
del numero -degli eletti. Si tratta qui, come in tutto ciò che seguirli, della pos­
sibilità della salvezza, non della sua effettiva realizzazione; della chiamata
divina, non della risposta umana.-
(14) Le Créateur et la créature, tr, fr. (1858), t. 2, p. 112.
(15) « .Bulletin des Missions », marzo-giugno 1934, p, 60.
(16) Christi Vicarkts, in « Nouvelle IR. théologique », 1929, p, 454.
(17) «Nouvelles ecclésiastiquès », 17 febbraio 1768.
(tl8) Agostino, Epist. 118, n. 33: «Totum culmfen auctoritatis lumenque ra­
tionis in illo uno salutari nomine atque in una eius Ecclesia, recreando atque
[‘©formando humano generi constitutum est » (P. L. 33, 448)., E’ forse in que­
sta direzione che lWtoire del De vocatione omnium gentium sfrutta, addol­
cendola, la dottrina agostiniana della grazia, più che per la sua idea, non pie­
namente soddisfacente, d’iana « grazia generale» accordata ai pagani. Cf. G,
De P linval, nella Histoire de TEglise di iMartinLvlighe, t. 4, p. 126: «Cosi
le controversie della grazia non vertono più soltanto sul destino individuale;
l’autore le applica sul piano della storia universale e risolve curi le afferma­
zioni più favorevoli, nel eenso .più generosamente « cattolico », il problema
della predestinazione dei popoli ».
(19) «E coloro che sono più istruiti cadono nei più grandi smarrim enti»:
S, F rancesco S averio, Lettera iti Padri, di Goa, 5 riov. 1549, -Confronta A gostino,
Ijertno 141, c. 4, n. 4: «...Bene cumini, eed in via non cu m int. Quanto plm
m m m t, plus- errant, quia » via recedunt. Si autem tales homines perveniant
 208 LA SALVEZZA MEDIANTE LA CHIESA
sul viam, et tenerent-vini», o quanta securitas est, tinia' et bene ambulant et non
errant»*. (P. L. 38, 778). . . . 1
, (20). CtKMEWR, Protreptico, c. 7 : « Se i Greci; sui quali è caduta qualche
scintilla del Logos divino, hanno, proclamato, una debole parte della Verità,
attestano con ciò stesso che essa contiene ima forza -«Ite è impossibile com­
prim ele; ina nello stesso tempo testimoniano la loro propria debolezza, poiché
hanno manento lo scopo: ofw* 4(ptwó|j,sVot xo0 tì^ o o ? . {St. t. 14 p. 57).
(21) Constitutio dogmatica de Ecclesia Christi, init.
(22) Gregorio, In Evang,, 1. 2, liom. 38 (P.r L. 76, 1287 ■B). Cf. (IIuperto: *
« In monte Visioaiis, i d '-èst, id annetti Catholica -Ecclesia, extra qtiam nemo
unquam Deum videbit » (167, 430 C).
(23) O ricen e, In L eu., horn. 4u C ip rian o, De unit, EccL, c. 8 (H ., p . 217).
P ro sp ero , Sèni. (P. L. 51, 430). G réco rio , Moral, in lob. (76, 756). P s e u d o
B eda, In psalmos (93, 611 ‘-A, ecc.). P a sca S io (120, 1344). RemxgIo d’A u x er^ e
(131, 584 C), O d on e di GamRraì ' (160, 1058 e 1061). B r u n o di S ecn i (164, 261
£>>. O n o rio d 'A u tu n (172, 596 B ). R u p e r to , Iti loco, inquit, u b i offertur hòlò*
cmtsiittrh, id est, in catholica Ecclèsia, extra qiiam non est hahèr'é vel decipòrv
sancti Spiritus incendium » '(177, 7-78 A ; cf.. 763 , C). A lg éiìo bt L ieo / (ISO,
805, ecc. " { *■'' ' . '* ‘ r. ■'*: ' '
(*24) L. iRichard, La ItédemfMon ,(1932); fai Redemption, iivystèré d’aniour,
in Rech. de science relìgìeiisé, 1923. Gf. S. Leone, Do iefùniò decimi mensis
sennò / : . « Càiusa qutem .rapai*atf-opis hosfjràe, fion èst nisi misericòrdia Dei »
■(P. .L, 54, 169. A). S. Gregorio, In Evang., -1. 2j Kom. 38*: « Sola qiiippe dilectio- *
ne .Dei actum est, ut eiips: Ùnigefniuà fùentès sìb.i èlbptorum honiimim ùriket »
(76,1281). •' \ ■; '-v 1 .
(25) Mgr. '.de, SaujkGjsis/i^^^no^iHe éi^ngUisàtrice^ |)euxibme Gongres ,na­
tional de 'PUniott missipnnairé jj»' 4ergé '^e :JFrgnòe, 1933. Alcune precisazio­
ni d i fatto h i !P.. orblàntefi, C o m p te • ro n d a ^ÀtiJdÉeiikièiffe
Cóiigrès. d e VAucain, 193§. . - *, *
(26) Moralia in- Job,. 1 .1 9 ,. e. )2,.ni. 19; (P .L ., 7.6,. '108).;.„episUija. mfssqria,
>. 1 „(75, 511);.), .27, c. 1), n, .J s C tf à -410-Di;. J/ 85,V 15,- n. (55 .(76,-.769);
Horn, 1 iti evang. (76, ‘ 10TÖ-ßl)<. G ià,.pqr., pstj!Ambrogio,. Ili Luc.,. 1. J0, n, ■10 ;
«Ci avviciniamo alla fine’ dei tempi, ed è per, .qiAOstp. ohe, segni precorritori,
certe malattie dell’umanità si ;(manifestano (p. L . 15, 1807)». ;.Ä GiphianQì E pint,
67, c. 7 6 8 (Bayard, t, 2,P< 23^;. cf. ^p. 'löO, .165, J 75)* t, . ,r . e 923);* in psalm. 85, n. 13: «Omnes gentes venient: annuntiavit Ecclesiam»;
(27) P. Radmerto, In Miti:., 1. 8, tc.,..17,..aùi. tre . discepoli scelti, da (Jesìi per
assistere alla Trasfigurazione :■ «.In, bis, regni, caelestis ordo, et numerus' prae­
figuratur, quod fix origine .1VWÓ fìlipruni N o è ,colligenda est omnis 'Ecclesia...
(La pra di razione oli Cristo ri su on a qyunque) ita.ut, concussae" sint ,BÌp.gulae-par­
ies terrarum, quae sub tribus dospribuntiu* nóminibps,. tie aut Asia sola .credi­
disse dicatur, verum et Africa ei-mul atqpe Eurojpa 'CTtris^Ì! Bpnguine redempta,
de iniis ad sùperna pérducitur » (P. J j , , Ì 30». 578).. Ibid-,,1, ! l , c. 24, <dopo :aver
passato in rivista le naziìoqi lontane etje hanno già iricevut,q .il Vangèlo, -V «et
ex .omnibus fàcta est ima - Ecclèsia Christi t— P asc alo aggiunge Et. quae-
cninique -non pèrceperunt? iitique percipient,. u t. perveniat ad omnès, utcumque
crescendo atque ìractificando » (804-EÌ). Cf. B runq; ni Segni, Sententiae j(l65,
989 D), . . ' ;: .. ^ aedificatio estis : quod utique de tota Ecclesia intelHgendum est, quae est Jeru­
(28) O norio d’Auxun, Sacramenìarium,. c. 78 (-P.: L, 172, ,787 A).
(29) - Facciata, della Pentecoste’, a . Vézclay (Émiilf. M ale, Ì/A rt religieqx du
X l l sièclc, .p. 327). AcqstiniBj ÌXe Citi. DM, *1. 16, c.-, 8 (P. L^ 41, 485-87). Isid oro .
di S iv ic iJ a , Etymologiae, (82, 421)...R atm am no,. Epistola de cynocephalis (121,
1353-56). Gli atti orientali.d i S. Andt-ea e. di Bartolomeo parlavano della con-
NOTE 209
vorsiome dei cinocefali, Un’altira leggenda descriveva gli « Etiopici » senza
testa, con enormi occhi sul petto.
(30) Si sa che non fu lo stesso per le Chiese protestanti ai loro inizi. Sto.
rici cattolici e protestanti vanno d’accordo su questo punto. «Non saprei per­
donare queste negligenze agli Inglesi e agli Olandesi », scriveva L eibniz il primo
ott. 1697. Cf. F énelon , sermon pour VEpiphanie (1685). 1° p u n to : «Questa fe­
condità di nostra madre in tutte le parti del mondo, questo zelo apostolico che
risplende nei nostri soli pastori, e ohe quelli delle nuove sette non hanno nem­
meno cominciato ad imitare, imbarazzano i più celebri difensori dello scisma.
L’Ho letto nei loro ultimi libri, non hanno potuto dissimularlo. Ilo visto le per­
sone più sensate e più giuste di questo partito confessare ohe questa luce, no­
nostante tutte le sottigliezze con «ni si cerca di oscurarla, li colpisce fino al
cuore e li attira s noi ».
Si sa anche che lo zelo missionario della Chiesa romana, di fronte alla
minore vitalità espansiva delle comunità ortodosse, fu una delle ragioni che
inclinarono l'anglicano William P almer, amico di Newman, al cattolicesimo.
«Da principio egli non vide.in ciò che un segno esteriore molto raccomanda­
bile, avendo la <Ohie9a orientale a suo favore, pensava allora, la nota dell’orto­
dossia dottrinale; ma a poco a poco dalla cattolicità esterna della Chiesa ro ­
mana arrivò come conclusione alla sua cattolicità interna, e ritrovò in essa la
pienezza stessa della Chiesa » (>P. B aron, Àl.-St. Khomiakov, son eecZésiofogie,
tesi policopiata, p. 215). Cf. W. P almer , Dissertations.,. (1853), d. 2 : Of the .pre­
sent apparent conflict between «Ortodoxy» and «Catholicism» (p. 9 a 31).
Nella sua corrispondenza con Palmer, Khomiaikov non può dissimulare il suo
imbarazizo su questo punto (Baron, p. 212-5; C. T yszicir)w icz , La mission de
William Palmer, in « Etudes», t. 136, p. 190-194).
(31) Pio XI, Rerum .Ecclesiae: «Ncque enim ad aliud nata est Ecclesia, nisi
ut, regno Christi ubique dilatando, universos homines .salutaris redemptionis
participes efficiat: quisquis autem est, qui Jesus Pastorum Principis vices in
terris divinitus «erat, is tantum abest ut dumtaxat in tuendo ac servando, quem
regendum accepit, grege dominico .possit acquiescere, ut, contra, praecipuo mu­
neri suo desit, nisi alienos externosque Christo lucrari atque adiungere omni
contentione nitatur». A. A, Sedis, 1926, (p. 65.
(32) A gostino, Epist. 93, c. 9; n. 31 e Epist. 199, c. 12, n. 48 (P, L. 33, 337
in psalmf 95, n, 2 e 147, n. 19. (37, coi. 1090, 1228 e 1929).
(33) A g o stin o , In psalm. 98, n. 5: « E t si adhuc commoretur particula ter­
rae quae remansit (nondum liberata), noa permaneamus in gemit-u pro ipsis,
ut et illis Deu-s tribuat intellectum, et nobis cum audiant voces istas, de ‘quibus
modo gaudemus» (P, L. 37, 1262). P rospero, Pro Aug, responsiones ad capitula
Gallorum, p. 2; sent, super 10: «... cum tamen con stantissima fide .perceptum
habeamus, in omnes mundi partes JDcclesiam dilatandam; nec ante csße hoc
saeculum finiendum, quam in universos fines terrae Evangelium dirigatur, et
omnis lingua confiteatur quoniam -Dominus Jesus Christus in gloria Dei Patris
est » (P. L. 51. 172).
(34) P rospero, In psalm. 126; «Nisi Dominus aedificaverit domum...,, Dei
salem, in omniu-m compage sanctorum una domus, et unrnn templum, et una
civitas, cuius exstrue!io ah initio uäque ad finem Domino aedificante consurgit »
(P. L. 51, 372). P. Radiesrto, In Mat,, 1. 3* c. 5: «In terris a primordio usquè in
finem saeculi de lapidibus vivis ndhuc politur » (120, 234),
■■(35) Stesso paragone in senso inverso in Sertillanges, Dieu ou Rien?, t. 1,
p. 103-4.
14
 il
210 LA SALVEZZA MEDIANTE LA CHIESA
(36) Ben inteso, noi non vogliamo spiegare, più di S. Paolo e più dei Par
dii, con questo ufficio provvidenziale tutta P« infedeltà », tutto il paganesimo.
La parte del male propriamente detto vi è manifestamente immensa, e quella
parte non era fatale. Secondo il punto di vista, le stesse ascensioni possono tal*
volta apparire come degradazioni: la corruzione di una data epoca e d i una
data società, iper esempio, è solidale con tino sviluppo di civiltà e un approfon­
dimento delle concezioni morali che, in se stesse, sono dei veri progressi. Cor-
ruptio optimi pessima. Non già che la storia permetta di stabilire una legge di
progresso inversamente proporzionale, avendo lo sviluppo della civiltà mate­
riale ed intellettuale la sua contropartita in un movimento -di decadenza reli­
giosa c morale, come certi etnologi hanno sostenuto. Ma il progresso umano
rende sempre ipiù temibili le possibilità del male. La cultura può divenire un
ostacolo alla grazia... Homines iam expolitos et ipsa urbanitate deceptos, dice
T ertulliano (Apologo c. 21, n. 30; ed. Waltzing, p. S3); e nella cultura com-,
prenderemo la stessa «cultura religiosa».
Tuttavia abuseremmo della Scrittura, ci sembra, 'giudicando di tutto il «pa­
ganesimo », fatto imìmenso, purtroppo, .e infinitamente diverso, soltanto secondo
gli anatemi che S. Paolo lancia alla società pervertita ehe aveva'sotto gli ocelli
nelle grandi città del mondo greco romano. «La mitologia cinese, nota per
esempio il Padre H enri B erna«!» seguendo il P.- Ricci, non è stata mai mac­
chiata dai racconti.licenziosi che disonorano il Panteon greco e rom ano»; Su­
gasse- vhinoìse et Philosophie chrétienne, 1935, p. 23 (cf. del medesimo: Le
Pére Matthieu Ricci, t. 1, p. 3334).
(37) 1 P e tr illi, 5: Atfl-ot £6meg.
(38) Non dobbiamo qui trattare il problema delle condizioni oggettive o
soggettive necessarie alla salvezza, nè studiare come l’infedele possa arrivare
alla fede. Y. l ’opera classica dì L. C apéhan : Le problème du salut des infideles,
saggio teologico, 2a ed., 1934.
(39) M. B londel , Lettre sur les exigences,.. (1896), -p. 70.
(40) Per la lo ro . « appartenance invisible à l’Église visible»; « grSce à
TÉglise dont,' par le meilleur d’eiix meines, il font parile sans le savoìr » : M.gr
B esso n , L’appartenance invisible au lloyaume de Dieu, in « Revue apologèti-
qu-e », t. 64 (1937), p, 392 e 399.
(41) A mbrogio , In psalm, 39, n. 1 (;P., p. 218).
(42) I reneo , Adv. Haer,> 4, 13, 3 (P. G. 7, 1009). 'Cipriano , De calli. Reel,
unit., c. è (IL, p. 214). O rigene , In je s u Nave, h. 3, n. 5 (B., p. 306-7). In Pascha,.
s. 1 (P. G. 59, 725). T godoreto, In Jos., interr. 2 (80, 464). -Greg. d’E lvira, De
Arca Noe (ed. Wilmart, in «Revue bénédictine », 1909,.p. 11). L attanzio, De
vera sap. et religione, c. 4 ('P. L. 6, 542). A gostino, Epist. 141; n. 5 e 185, n.- 50
(33, 579 e 815); sermo ad alesar. plebem, n. 6 (43, 695); ecc. De unii. Eccl., n. 49
(43, 429). F ulgenzio , De remiss, pece., 1. 1, c. 18-20 (65, 542-3). (Prospero, . Jn
psalm. 147, n. >13 (51, 420). G erolamo, Epist. 15 (22, 355), Gregorio, Moralia in
Job., 1. 14, c. 5 e 1. 36, c. 13 (75, 1043, e 76, 756). C arlomauno, Admonitio gene­
ralis (97, 241). R u fin o , e-piac., De bono pacis, 1, 2, c. 20 (150, 1626); ecc,
Numerosi documenti ecclesiastici.
(43) Era il caso più frequente nell’antiehitù. Anche il simbolo del diluvio,
che si applicherebbe più -naturalmente alla perdita dell’infedele, lasciato fuori
dell’arca, è applicato soprattutto a quella dello scismatico. Così ancora Ruvs-
BROECK, La fa i chrétienne: «‘L’unità della, santa 'Chiesa .è come l’orca di Noè:
tutti quelli che restarono fuori dell’arca dovettero perire. Ugualmente accade
per tutti quelli che si separano, dall’unità, e si oppongono in un punto o l’altro
alla santa Chiesa...» (CEuvres, ir. fr., t. 5, 1930, -p. 247). 'Cf. A g o s tin o , In psal.
NOTE 211
83, n. 4: «Quisquis inde recedere voluerit, non talis -habetur qualis ille qui
non intravit ».
(44) Concilio Valicano, Constitutio de fide catholica, c. 3.
(45) Alloc, concisi. Singulari quadam, 9 dic. 1854.- Professione di fede per
i Valdesi, 18 die. 1208. Cf. encicl. Quanto conficiamur,' 10 agosto 1863. «La
Chiesa di Pietro », precisava già M assim o Di T orino, senno 114 (P. L. 57, 722).
La stessa espressione ■«anima della Chiesa », dopo aver conosciuto per un
certo tempo un grande successo, è oggi generalmente criticata. La commissione
.dommatica preparatoria al Concilio Vaticano la respinse «nipote scolastica«]
et novam omnino in modo loquendi -conciliorum » (M à Ns i , t. 49 , p. 624-5).
(46) De fide, disp. 12, sect. 4, ni 22.
(47) Vedi in A. L atreille, Lé cathéchismè imperiai de 1806, p. 88, il rac­
conto dell’emozione che s’impadronì dei circoli ecclesiastici quando, al mo­
mento della 'preparazitì-ne del catechismo, si diffuse la notizia che « veniva esclu-
sa dai dogmi la massima: -fuori della chiesa non- vie -salvezza». 11 Cardinal
Fesch se ne lamentò con Napoleone e la formulila fu ristabilita. Sembra clic
sia «tato Portalis- o scartarle, volendo così -respingere ■«uno dei grandi rim­
proveri -che si fanno al cattolicesimo » e che «consìstei nel dice che egli
maledice tutti quelli ehe sorso fuori del suo seno, divenendo così intollerante
e insociabile».
' (48) S tiefelhagen , citato in Capéhan, Essai historique, 2“ ed,, p. 475,
(49) Adv. Haer., 4, 27, 2 (-P. G. 7, -1058-9).
(50) Slromates, 1. 6, c. 5 ( P . G. 9, 261 B). . -
(51) De Civ. Dei, 1. 18, c. 47 ('P, L. 41, 609). Cf. In Pascha s. 4: « Indivisi­
bile è l ’Agnello che è -mangiato in una dimora unica,' quella della Chiesa spiri­
tuale» (-P. G. 59, 731). ,
(52) Nativ. Domini, s. 3, c. 4-5, e s. 4-, c. 1 : « Sacramentum salutis humanae
nulla, um quam antiquitate cessavit... Semper quidem, dilectissimi, diversis -mo­
dis multisque mensuris humano generi bonitas -divina consuluit, et plurima pro­
videntiae suae 'munera omnibus retro saeculis «lemienter im pertuit» (P. L. 54,
203). Pensiero analogo in P rospero, In psalm, 126 (51, 372).
(53) Acobardo, Adv. Eredegisuni, c. 20: «Tn veteri Testamento, non solum
omnes Patriarchas, sed multos etiam in gentilitate positos credimus invisibili
erismate unctos; per quam unctionem membra Christi, et unum corpus cum
ominibus ad aeternam vitam praedestinatis fierent » (P. L. 104, 171-2).
(54) P, R adberto, In Mat., 1. 10, c, 22 : «... Ut, cum venerit, simul collecta
Ecclesia tam de ludaeis quam de Gentibus, una amplectatur sponsa... Omnes
namque sancti Veteris Testamenti, -qizi ab initio saeculi fuerunt ad has pertinent
nuptias» (P. L..120, 741). R uperto, De div. officiis, 1. 4; c . 4: «Tutti i ganti,
ovunque abbiano vissuto dal principio del mondo, «praesenti Ecclesiae con­
cinunt » (170, 89).
(55) Il caso di Giobbe non è che un esempio, intenzionalmente posto da
Dio nella Bibbia: A g o stin o , De Civ. Dei, I. 18, c. 47. P ie tr o i l V e n e r a b ile ,
Tract, contra Judaeos i « ... cum ét ante illam (legem), et eius temipore praeter
illam, et post illam, iustos vocari mullos invenias » (P. L. 189, 584). F ilip p o m
H arven g, De continentia clericorum, c. 61 (203, 745-6), Cf. S. (Francesco 'di
S a le s , Trattato delVamor di Dio, 1. 5: « Questo grande profeta e principe
Giobbe» (p. 242 ed. fr.).
(56) A gostino, Sermo 51, n. 14-5 (P. L. 38, 340-1).
(57) A gostino, Àdnot. in Job : «Personam quam Job gestabat, hoc est Cor­
poris Domini quod est (Ecclesia » (P. L. 34, 885). Secondo Agostino in tutti i
santi prima di Cristo « mysteria spiritualia significabantur, qua-o ad Christum
et Ecclesiam pertinerent», De C Ä rud. c. 33 (40, 335). GnEc. M agno, Moralia
 NOTE 213
212 LA SALVEZZA MEDIANTE LA CHIESA

c. 21*6 (40, 221*8); ecc. Cesario »’A rles, semi. 209 (Morin, p . 791-3). U go di
in Job. praef., c, 2, n. 6; «Noe immerito inter Hebraeorum -vitas in auctoritatis S. V ittore, Adnot. in Thronos (P. L. 175, 292). Superstizione analoga nell’Islam,
reverentiam vita iusti gentilis adducitur, quia Redemptor noster, sicut ad re­ combattuta da una pia minorità: L. M assignón , La Passion de A l Balla}, t. 2,
demptionem Judaeorum et Gentilium venit, ita se Judaeorum et Gentilium pro. p. 671-2.
idietari vocibus voluit; ut per utrumque populum diceretur, qui pro utroque (64) I reneo, Adv. tìa&r., 4, 36, 4 (P. G. 7, 1093); 4, 13, 3, (1009); 4, 27-8
populo quandoque pateretur». E c. 6, n, 14: «(Christum) quem electi omnes (1058-63). F ilastrio, Ilaeresis 110 (Boysen, p. 109). I sidoro d i S ivtclja, Sent.,
dum bene vivendo praeeunt, et rebus et vocibus prophetando promiserunt. Nui. 1. 1, e. 20, n. 3: «Sub Veteri Testamento minoris culpae erant peccala, quia
Ius etenim iustus fuit, qui non eius per figuram nuntius exstiterit. Unde et in eo non ipsa veritas, sed umbra veritatis aderat » (P. L. 83, 586). R aterio di
necosse fuit u t etiam beatus Job, qui tanta incarnationis eius mysteria protulit, V erona (136, 700) A m u lo n e di L ione (M, G, H., Epistolarum, t. .5, p. 371).
eum quem voce diceret ex conversatione signaret » (iP, L, 75, 519 e 524). Jean R igoleuc , S. G. Conditile pour la retraite spirituelle : «Se dunque noi
Ruperto, De div. off. 1. 4, c. 4: «Omnium quippe sanctorum a mundi con­ abbiamo ricevuto dalla sua mano liberale senza paragon« più di tanti altri
stitutione una -fuit salus et exspectatio, Passio Redemptoris, et concordibus popoli, non è evàdente, che gli siamo proporzionatamente tanto pàù obbligati
eorum dictis praenuntiata, gestisque praefigurata est, ac velut uni subrecta soli, e ohe dobbiamo rendere conto molto più di tutti gli altri? » ((Entires spiri-,
diversis licet ex locis, eam dem imaginem multa reddunt specularia: bìc plures tuelles, H am on , p . 413).
sancti diversis temporibus ac meritis venientes, praecurrentes Salvatorem, unam (65) A mbrogio, f u psalm. 48, n . 24 (P., p . 376). Cf. Apoc. I l i , 7.
eamdemque variis, figuris eius praefiguraverunt passionem » (P, L. 1170, 89). (66) L. M assignón , Les trois Prières d’Abraham, 11 (1935), ,p. 47.
Secondo S. T ommaso »’Aquino, come è risaputo, nessun « infedele » fu sal­ (67) B ossuet , 3 luglio 1695 (Correspondence, t. 7. p. 155).
vato «absque fide M ediatoris»: 2a 2ue q, a. 7 ad. 3m e 3a, q. 68, ad Im : (68) Cf. A gostino, serin. 115, n. 4 : «Communis fuit perditio, communis sit
«Nunquam, homines potuerunt saivari, etiam ante -Ghristi adventum, nisi inventio: simul perieramus, simnl inveniamur in Christo» (iP. L, 38, 657).
(rorent 'membra -Christi... Sed ante adventum Christi, homines Christo inoor. (69) D u ra n d o di M ende , Rationale, 1. 1. c. 1, n . 8 (p. 5).
p orabuntur per fidem futuri adventus ». (70) Amalario, De ecclesiasticis officiis, 1. 4, c. 10: «Universaliter colli-
(58) P . R adbeiito, In Mat., 1, 9, c. 20: «Salvator noster», quasi Domina s ac gendi sunt ex Asia, et Europa, et Africa » (P. L. 185, 1189). R eda, In Mare. (92,
paterfamilias habet vineam, universam scilicet Ecclesiam, quae ab Abel insto 196-7). ■ .
usque ad illum ultimum electum, qui in fine mundi venturus est colligitur.,. Ac (71) Banchetto, discorso 8, c. 6 (tr. F arges, .p. 126).
per hoc quicumque ab initio mundi calvati eunt, in hac vere quasi palmites
in vite manserunt.,. Omnes una Ecclesia sunt, un-aque vinea die vite, quae
Christus est, propaginata » (P. L. 120, -674-5).
(59) Gnegorio, Moralia in Job, praef., c. 6, n. 14 : « U t simul omnia saecula .
dicerent quid in redemptione communi sacculorum finis -exhiberet » (P. L.
75, 524).
(60) S, B a s ilio , Regole brevi, 62: « «Chiunque avrà tenuto qualsiasi (gra­
zia di Dio per suo .proprio godimento e senza farne profittare altri, si vedrà
condannato per aver seppellito il suo talento » (-P. G. 31, 1124). U go di S . V et­
tore, De sacramentis, ]. 2, p . 2 , c. 2 :. «In corpore sanctae Ecclesiae dona
gratiarum distributa sunt, et tamen unusquisque non sibi soli habet, etiam id
quod «olus habet, eoe. » (P. U. 176, 416). B r a u lio di S aragozza, Epiet. 5: « Iu.
liemur per caritatem servire invicem, sicut boni dispensatores multiformis gra­
tiae Dei, ecc. » (80, 653 D), Non «gorga forse, effettivamente, ogni grazia dal­
la grazia di -Cristo, e non è essa, forse, 'fatta a sua imagine? Ora « Christo
data est gratia... in quantum est Caput Ecclesiae, ut scilicet ab Jp&o (redunda­
ret ad membra », S. T o m m a so , 3“, q. 48, a. 1.
(61) P. C h a r le s , La priètre apostoliqiee, in •«Xaveriana », die. 1928. M. Le-
drus, in «Nouvelle Revue .théol, », 1929, p. 485'. P. RADBERto, In Mat., 1. 10, .
c. 22: Ognuno ha il suo ufficio'particolare, « omnes tamen una Ecclesia esse
debent, ita ut nemo sit ih ea, qui non vocet se et alios ad convivium nuptiarum »
(P. U. 120, 745). G erolamo,. In Ezechielmn: «O perarii autem, inquit, qui ser­
viunt in operibus civitatis ex omnibus tribubus 'Israel: ub nullus se ab opero
civitatis immunem putet, sed omnes certatim exstruant Ecclesiam (25, 486 C).
ff. Ezech., XLV-III, 19. -
(62) E* Ugo b i S. V ittore, che insiste su questa distinzione, contropartita
di quella ehe avevano posto Agostino o Gregorio a proposito.degli uomini che
vivevano al tempo della Legge antica (-Cf. supra, c. IV). De area Noe mystica,
r. 5 (P. L. 176,-690). ...
(63) A gostino, De Cìv. Dei, 1. 21, c. 25 (P. L. 41, 742); De fide et operibus,
>£I

Vili

PREDESTINAZIONE DELLA CHIESA

RITARDO DELLTNiOARSSrAZIONE

Da venti secoli questi dolori si prolungano, e ancora non

se ne intravede la fine, Ma la, nostra fede non si commuove,
ricordandosi quanti secoli dii più ancora furono necessari per
preparare la culla della Chiesa stessa. Sa trarre le conseguenze
da quella visione sociale e storica del mondo, che il Cristia­
nesimo ci ha comunicato.
Ciò che erano ben incapaci di fare gli spiriti rimasti fe­
deli ai vecchi modi pagani di pensare. La novità del Cristia­
nesimo nel tempo li scandalizzava, perchè non avevano assi­
milato la novità della sua dottrina sul tempo. Così vediamo
questi difensori degli antichi culti riprendere sempre la stessa
obiezione, che giudicano invincibile: Se Cristo, come preten­
dono i suoi fedeli, è il solo salvatore, perche è venuto tanto
tardi, lasciando finora perdersi tanti uomini? «Dove erano,
nei secoli anteriori, le cure (Tuna così grande Provvidenza? )>.
Se la religione cristiana è la sola perfetta, bisogna che Dio
sia ben cattivo, o che sia ben impotente, o ben imprevidente,
per aver rimediato solo così tardi all’imperfezione della sua
prima opera... Così ragionava Celso, poi Porfirio, e poi senza
dubbio Simmaco (1). Così tanti altri nel corso dei secoli e
ancor oggi (2)... Tutti eredi più o meno coscienti di quel prin­
cipio che J. Bidez chiama <( l’immobilismo platonico », e che
Giuliano l’Apostata così formulava nel suo trattato contro i
« Galilei » :
216 PREDESTINAZIONE DELLA CHIESA
Dio è eterno, conviene, quindi, che i suoi ordini siano eterni.
Ora, questi ordini sono la natura delle cose, o sono conformi alla
natura delle cose: e come potrebbe resistere la natura agli ordini
di Dio? (3).
Per respingere tale accusa 1 cristiani non erano ridotti a
dire soltanto che i disegni di Dio sono impenetrabili (4). Ba­
stava che s’ispirassero a S. Paolo, che d’anticipo vi aveva
esplicitamente risposto, quando poneva il principio dell’« eco­
nomia della grazia di Dio » (5), ed evocava le tappe della
Legge naturale e della Legge mosaìca, tutt’e due necessarie
perchè arrivasse infine la pienezza dei tempi. Su questi temi
paolini Ireneo aveva sviluppato le sue grandi visioni ottimi­
stiche, insegnando che Cristo è venuto in realtà per ogni
uomo, di ogni paese e di ogni epoca, poiché è venuto a com­
pletare Fimi unità intera, dopo averla lungamente preparata:
Se qualcuno viene a dirvi: Forse che Dio non. poteva far ap­
parire fin dall’origine l’uomo perfetto? — fategli sapere che Dio,
certo, è onnipotente, ma che non è possibile che la creatura non
sia imperfetta, iper il solo fatto che è creatura. Dio la condurrà
pei* gradi alla perfezione, come una madre che prima deve allat­
tare il suo neonato, e, man mano che cresce, gli 'dà il nutrimento
di cui ha bisogno. Così fece Dio, così fece il Verbo incarnato...
Con questa lenta educazione l’uomo creato si forma, a poco a
poco, secondo l’immagine e la rassomiglianza di Dio increato, ,11
Padre si compiace e ordina, il Figlio opera e crea, lo Spirito nu­
trisce e accresce, e Fuomo dolcemente progredisce e si eleva verso
la perfezione. Solo colui che non è prodotto, è subito perfetto, e
questi è Dio. Bisognava dunque che l’uomo fosse creato, poi che
crescesse, divenisse adulto, si moltiplicasse, prendesse forza, e infine
che arrivasse alla gloria e vedesse il Maestro... Sono dunque del tut­
to irragionevoli quelli che, non aspettando il tempo di progredire,
imputano a Dio Finfermità della loro natura. Non conoscono nè
Dio nè se stessi. Insaziabili e ingrati non vogliono essere, da prin­
cìpio, oiò che li ha fatti la loro creazione: degli uomini capaci
di passioni; ma, oltrepassando la legge della loro natura, vorreb­
bero, prima di divenire uomini, èssere già simili a Dio loro crea­
tore... Più insensati degli animali, eccoli rimproverare a Dio di non
averli fatti dèi fin dal principio (6).
RITARDO DELL’INCARNAZIONE 217
Indubbiamente, in questo come in molti altri passi, è so­
prattutto il desiderio di confutare Marcione che ispira a Ire­
neo ì suoi sviluppi. Marcione vedeva nella creazione d’Adamo
solo l’opera d’un demiurgo inferiore; nella storia del popolo
eli Dio, solo Fazione di questo demiurgo, vendicativo e cru­
dele nella sua giustizia; nèll’Incarnazione, infine, soltanto
l’apparizione inopinata del Dio buono in un dominio stra­
niero. Bisognava stabilire contro di lui che era lo stesso e unico
Dio che, all’origine, aveva creato l’uomo, poi l’aveva lenta­
mente formato, e finalmente gli era apparso nella realtà della
carne per condurlo fino al suo termine, la divina Rassomi­
glianza. Ma questa risposta al marcionismo sorpassa manife­
stamente la controversia che l’ha provocata. Non mette in luce
soltanto l’unità profonda dei due Testamenti, ma tutto il Piano
divino sul mondo, opera d’un’infinita pazienza ma pure d’una
saggezza potente e infallibile. Poiché, insistendo sulla neces­
sità di principi umilissimi, Ireneo non pensa di togliere la
minima cosa alla Onnipotenza: tutto è possibile a Dio, ma
Finfermità congenita della creatura impone un limite al rice­
vimento dei suoi doni (7); è necessario che un primo dono
la dilati per renderla capace d’un secondo, poi d’un terzo...
Il Cristianesimo, religione perfetta, non poteva perciò venire
se non a suo tempo.
E’ così che la difesa delFÀntico Testamento contro lo gno­
sticismo, preparava la difesa del Nuovo Testamento contro il
pensiero pagano. Elaborata contro quelli che respingevano
come indegna la rivelazione mosaica, la dottrina d’Ireneo era
tuttavia cosa ben diversa d’un espediente apologetico. Così
non doveva cadere nell’oblìo, quando fosse stato scongiurato
il pericolo che l’aveva fatta nascere. Dopo essersene Servito
a sua volta contro lo stesso pericolo, Tertulliano, divenuto
montanista, se ne sarebbe fatto un argomento contilo la stessa
tradizione della Chiesa per autorizzare la « nuova profe­
zia )) (8); ma questo abuso non sarebbe bastato per scredi­
tarla. In seguito, quelli stessi che non spingeranno tanto lon-
218 PREDESTINAZIONE DELLA CHIESA
tano, come Ireneo, il suo evoluzionismo soprannaturale, adot­
teranno spesso la parte essenziale del suo punto di vista. Così
da principio Origene, secondo il quale l’uomo non poteva ri­
cevere d’un tratto « i precetti della libertà » (9). Così Gre­
gorio Nisseno, quando parla di quei xpovixà Siacm/pana cbe
deve rispettare la stessa potenza divina per stabilire l’uomo
nel suo bene (10). Così Basilio, quando ammira « questo gran­
de mistero della nostra salvezza », e dichiara che quelli che-
lo misconoscono «danno prova d’uno spirito infantile»:
«Nella religione, come- nelle discipline umane, dobbiamo es­
sere introdotti in modo progressivo, cominciando dalle cose più
accessibili e dai primi elementi. Il Creatore ci viene in aiuto af­
finchè i nostri occhi, abituati alle tenebre, possano a poco a poco
aprirsi alla grande luce della verità. Ha tutto disposto tenendo
conto della nostra debolézza : ci abitua prima a vedere Pombra de­
gli oggetti, e il riflesso del sole nell’acqua, affinchè non siamo ac­
cecati da un’esposizione diretta ai suoi raggi; la Legge mosaica
era l’ombra delle cose futuro, e l’insegnamento dei profeti era la
verità ancora oscura... » (11).
Ugualmente, ä coloro che, « con vana curiosità, « come
se potessero misurare con la loro ragione l’abisso dei misteri
divini )), osano domandare perchè la legge cristiana non fu
promulgata fin dal principio, Teodoreto risponde, in termini
molto vicini a quelli d’Ireneo, che Adamo ricevette un pre­
cetto proporzionato alla sua età — l’età dell’umanità che co­
minciava con lui —, perchè Dio distribuisce à ciascun tempo
ciò che gli conviene, misurando i sitoi insegnamenti con ciò
che l’uomo può portare. Poi espone dettagliatamente, con
compiacenza d’apologista, gli stratagemmi provvidenziali che,
dall’epoca di Abramo, fecero del popolo eletto l’intermedia­
rio e il collaboratore di Dio nella sua opera d’educazione dei
Gentili. Così si preparava la pienezza dei tempi, in cui il Vam
gelo potesse alfine essere annunciato. E’ perciò molto vero,
conchiude Teodoreto, che il Dio dell’universo non ha mai
cessato di provvedere alla salvezza di tutti, preparando per
gradi questo sbocciare ultimo (12). Ambrogio, per rispondere
PEDAGOGIA DIVINA 219
a Simmaco, attinge il suo linguaggio da Tertulliano, e para­
gona la fecondità cristiana alla messe ehe non può maturare
prima del tempo:
Quelli die si lamentano (che la fede non aia stata concessa
più presto), se la prendano con la messe, perchè la sua fecondità
è tardiva; se la prendano con la vendemmia, perchè ha luogo alla
fine dell’anno; se la prendano con l’oliva, perchè è l’ultimo
frutto (13),
La verità deve maturare: era già il pensiero di Minucio
Felice (14). La concezione d’Agostìno, infine, è pochissimo
differente, quando ci dice : « in adventu Domini matura messis
inventa est », o quando commenta l’insegnamento dell’Aposto­
lo sugli «elementi del mondo» (15). Paragonando spesso i
membri delle, sue due Città a due uomini — il vècchio © il
nuovo Adamo — sa discernere, «otto questo dualismo di fatto,
Punita- del primo appello divino : svolge davanti ai nostri occhi,
come in un vasto affresco, la storia del genere umano in cam­
mino verso la sua. salvézza, . come la storia d’un uomo
unico (16), e, contro le obiezioni di Porfirio, ci fa ammirare
la sua educazione progressiva da parte di una Provvidenza
sapientissima, che lo innalza, a passo a passo, « dal tempo al­
l’eternità, e dal visibile all’invisibile » (17).
PEDAGOGIA DIVINA
Soprattutto in seno al popolo ebraico avviene questa lenta
educazione dell’uomo, come Basilio ce lo ha ricordato. Non
che la legge mosaifca fosse abitualmente giudicata senz’altro
superiore alla « legge naturale » che l’aveva preceduta. Tutto
il contrario (18): con una parte delle sue prescrizioni, i ser-
vitutìs praecepta (19), essa segnava piuttosto un regresso. Ma
l’idolatria in cui Puomo era caduto l’aveva resa necessaria (20)
come un’educatrice che doveva prima rialzarlo, poi custodir­
lo, guidarlo, condurlo infine alla soglia della perfezione evan­
gelica (21). Perche il vino della Legge naturale venne a man­
care, a causa dello sciupìo che ne fecero i convitati^ fu loro ne­
cessaria l’acqua della Legge scritta. Questa, presa « in se.stes-
220 PREDESTINAZIONE DELLA CHIESA
sa », può essere ritenuta inferiore alla prima, ma .il suo valore
principale, come si è visto, era figurativo e profetico : un gior­
no doveva essere cambiata nel vino della Legge di grazia, vino
superiore in qualità a quello della Legge di natura (22), Nel­
l’attesa, « appena liberati dai costumi idolatrici e dall’errore
politeistico », non ci meraviglieremo se « Ì beati Patriarchi »
non avevano potuto avere ancora su molti punti « che delle
concezioni del tutto mediocri » (23). I loro discendenti imme­
diati, « che erano cresciuti presso gli Egiziani », s’erano trat­
tenuti anche « in abitudini barbariche » (24). Mose — cioè
Dio stesso che gli dettava la sua Legge — dovette adattarsi a
questa situazione. Gome avrebbe potuto, per esempio, di pri­
mo acchito parlare di vita eterna e di sanzioni d’oltre tomba,
« avendo a che fare ancora con dei fanciulli, con degli esseri
di mentalità servile, che ridevano di ogni castigo lontano e
non temevano che i colpi sospesi sulla loro testa »? (25). Non
crediamo che Dio si compiacesse dei sacrifici di tori, di pe­
core o di capri: li aveva concessi solo per indulgenza verso
l’inclinazione degli Ebrei, « che non finivano di sospirare per
gli altari e le vittime », e <c per allontanarli dalle superstizioni
pagane, come un buon padre, il quale, non volendo che suo
figlio vada a giuocare nella strada, gli permette, per evitar­
gliene la tentazione, di divertirsi a casa » (26). Molti lo dicono
in termini propri: molte altre cerimonie, che Mosè stabilì
« hanno anche origine dalla grossolanità dei Gentili » ; egli
dovette <c contentarsi di perfezionarle un* poco, per elevare
insensibilmente gli uomini a idee più alte » (27). La sua legi­
slazione di purezza mira prima di tutto alla purezza del cor­
po: era la scappatoia necessaria per portare uh giorno a con­
cepire la purezza dello spirito. <( Chi doveva, evitare di insu­
diciare la sua carne, sarebbe arrivato forse infine, avendolo
imparato da sè, a fuggire anche la macchia dell’anima e ad
allontanarsi dalle opere morte » (28). E’ còsi che Cristo, da
buon pedagogo, suscita nell’uomo la riflessione che Io ricon­
duce dal di fuori al di dentro, e l’eleva dal senso allo spi-
PEÖAGOGIA DIVINA 221
rito (29). E’ così che da buon medico adatta i rimedi alla si­
tuazione del malato, e li dosa con saggia progressione (30).
Non conviene, del resto, giudicare del passato secondo le
norme del presente. Aveva ragione Elia d’attirare il fuoco del
cielo sui colpevoli, perche questo rigore era necessario per
colpire l’immaginazione d’nn popolo ancora fanciullo, men­
tre Giacomo e Giovanni, che volevano imitare il profeta, fu­
rono biasimati dal Salvatore (31). Certe cose, che oggi non
convengono più, allora convenivano « pro tempore prophe­
tiae » (32), La poligamia, che òggi sarebbe un male, non lo
era al tempo dei patriarchi (33), e tutto l’insieme della legge
inosaiea deve essere apprezzato non soltanto secondo le cir­
costanze che ne hanno circondato la promulgazione, ma te­
nendo conto di ciò che essa ha permesso e preparato :
Non domandare, ora ohe sono stati aboliti, come possono essere
buoni i precetti dell’Antico Testamento. Domanda se erano buoni
nell’epoca per la quale sono stati fatti. 0 anche, vedi che il loro
merito attuale è di mostrarci che erano deficienti. Se non ci aves­
sero formati in modo tale che ora siamo capaci di ricéverne dei
migliori, non avremmo mai visto quello che manca loro (34).
Tutto l’Antico Testamento, nella sua lunga durata, non
fu di troppo per preparare il grande giorno del Nuovo. IlaiSa-
ywyia, senza la quale non era possibile l’accesso alla yikoaaylai.
E non era forse necessario « che prima venisse l’ombra, per­
chè trovasse credito la Ferità»? Non dobbiamo forse ammi­
rare « come Dio, quando vuole compiere una opera mera­
vigliosa, invia prima delle ombre e delle figure, affinchè,
grazie a questo processo, la Verità trovi una migliore acco­
glienza (35)?
Per non ingannarci qui sul pensiero dei primi secoli cri­
stiani, dobbiamo ricordarci che il lóro punto di vista era ge­
neralmente assai poco intellettualistico. Salvo in casi assai rari,
come quello, così netto, di Gregorio Nazianzeno (36), i Padri
della Chiesa non contano le tappe e non misurano i progressi
soprattutto della « rivelazione » obiettiva. Senza credere che
222 PREDESTINAZIONE DELLA CHIESA
per il comune della gente le ligure abbiano svelato il loro
mistero prima del tempo (37), attribuiscono volentieri agli
« antichi Padri », ai « santi » deìl’una e dell’altra Legge, al­
meno ai piu grandi fra loro, una parte abbondante di luce pro­
fetica sulle verità del Vangelo (38): tanto è vivo il loro de­
siderio di confondere la Sinagoga (39), tanto grande è la loro
cura d’assicurare l’unità del Dio che dette i due Testar
menti (40), o la continuità della sua Chiesa, attraverso quelli
che prima desideravano la venuta di Cristo, e quelli che ora
attendono il suo ritorno (41). Ma sanno anche che il problema
religioso conceime l’insieme degli uomini, e che non è un puro
problema di conoscenza obiettiva. Ciò che considerano prima
di tutto, non è la proclamazione d’una dottrina astratta, ma
l’incontro effettivo dell’uomo e di Dio, l’assuefarsi della na­
tura umana alla divinità (42),. la trasformazione dell’uomo
sotto l’azione della grazia di Dio. E’ l’irruzione dell’« energia
divina » e della «Forza dello Spirito » (43). Ecco di che cosa
studiano le condizioni, di die cosa poi raccontano la storia,
distinguono le tappe, espongono ”le vicissitudini. Ecco su che
sono d’accordo nel dire, nonostante le loro divergenze, che
era necessario del tempo : non pauci gradus qui adducunt ho­
minem cui Deum (44).
Noii tutti.i Padri certamente hanno quell’ampio umane- '
simo dei più grandi fra essi, alessandrini, cappado-eeni, antio­
cheni, o, fra i latini. Agostino stesso ; come non hanno l’otti­
mismo d’Ireneo. Anche qui, evitiamo ogni errore. In molti
si discerne ancora qualche cosa di quel pessimismo antico,
per cui la storia del genere umano non era che una serie di
decadenze (45): dopo ogni intervento salutare, ci fanno, assi­
ster e a una caduta sempre più profonda, che avrà bisogno,
da parte di Dio, di un rimedio sempre più energico e al tempo
stesso sempre meglio adatto alla miseria accresciuta del ma­
lato : è così che agli occhi di Filaströ l’incarnazione del Verbo
apparisce cóme la più efficace, ma anche come la più umile
delle manifestazioni divine (46). E neanche questo punto di
AUTUNNO E PRIMAVERA 223
vista manca di profondità. Mentre gli uni dispongono la
serie delle « economie» in una gradazione del tutto ascen­
dente (47), altri, con una visione molto antropomorfica, ci de­
scrivono queste stesse economie come altrettante riprese del
Piano divino, altrettanti mezzi successivamente immaginati
per rimediare a un male sempre rinascente. Così Metodio
d’Olimpo, quando paragona le quattro leggi successive al fico,
alla vite, all’olivo,.e al cespuglio di spine... (48). Ma alla base
di queste spiegazioni così dissimili, un medesimo dato fonda-
mentale — il solo che qui c’interessa direttamente — è sup­
posto da tutti : l’unità del genere umano nel suo sviluppo tem­
porale! Di qui, sotto una relativa discontinuità, una continuità
reale: se Dio si corregge, in qualche modo, nella sua opera
e inventa mezzi nuovi per farla riuscire, non è che intraprende
una nuova opera. E’ sempre la stessa Città che il Signore cerca
di costruire (49). È sempre la stessa pecora che il Buon Pastore
cerca di ricondurre all’ovile.
AUTUNNO E PRIMAVERA
Quando si deve rendere conto dell’ampiezza del fatto pa­
gano, di quest’apparente abbandono in cui Dio tenne così a
lungo il mondo, diverse tendenze si fanno ugualmente strada.
Certi insistono piuttosto sul fatto . che l’intelligenza umana
doveva aver compiuto grandi progressi per essere capace d’as­
similare l’oggetto dèlia rivelazione. Dicono, per esempio, con
Eusebio: « Perchè il Verho di Dio non fu annunciato una
volta a tutti gli uomini, in tutte le nazioni, come lo è oggi?
Perchè il genere umano, in quegli antichi tempi, non poteva
ricevere ancora la dottrina di Cristo, perfetta per saggezza e
virtù ». Bisognava prima che, a partire dai Patriarchi e quindi
da Mosè, « semi di religióne » si spandessero a poco a poco
per il mondo « come una brezza carica di profumi », fino a
che « tutte le nazioni della tèrra fossero così preparate a con­
cepire l’idea del Padre che stava per esser loro trasmessa :
allora il Verho apparve in persona, in un corpo umano... Que-
224 PREDESTINAZIONE DEULA CHIESA'
sto era al principio dell’Impero » (50). Secondo altri, guidati
da una intuizione religiosamente più profonda, bisognava che
l’umanità « abbandonata a se stessa » avesse fatto una lunga
e molteplice esperienza della sua miseria, e avesse in qualche
modo toccato il fondo dell’abisso, per riconoscere meglio il
bisogno d’un Salvatore e trovarsi pronta, così, ad accoglier­
lo (51). La spiegazione valeva tanto per un popolo che per
l’altro, perchè se nella parte pagana la concezione morale fa­
ceva più guasti, nella parte ebraica la legge mosaica, con il
rigore delle sue prescrizioni, era un meraviglioso strumento
per obbligare l’uomo a scoprirsi peccatore: secondo ufficio
provvidenziale che S. Agostino fa ugualmente spiccare, dopo
lo stesso S. Paolo: « Quid dubitamus ad hoc datam esse Le­
gem, ut inveniret se homo? Invenit ergo se, in malis invenit
se... » (52). Del resto, i due tipi di spiegazione, essendo di due
ordini differenti, non si contraddicono (53). Molti li hanno .
adottati tutti e due, e Mario Vittorino poteva unirli nel suo
commento dell’epistola ai Galati:
Come c’è una pienezza nelle cose, ce n'è una anche nel tempo:
perchè eia&crun ordine ha la sua pienezza... La perfezione e la
pienezza delle cose, è Cristo., La pienezza' dei tempi consuma la
nostra liberazione. Ora, come Cristo, per essere la pienezza totale
e- perfetta, riunisce i membri dispersi..., così nello stesso modo,
ìa pienezza dei tempi fu realizzata quando, essendo maturati tutti
gli uomini in -virtù della fede, ed essendosi alzata fino al culmine
la massa dei peccati, un rimedio dovette essere cercato contro la
morte universale. Allora sopravvenne Cristo, essendo compiuta
la pienezza dei tempi (54). . vero che l’invasione, o piuttosto l’investimento, della natura
In ogni caso, qualunque sia là spiegazione preferita da
ognuno, o l’avversario precisò che voglia confutare, tutti s’in­
tendono nel proclamare lo stesso principio : nihil sine astate,
omnia tempus exspectant (55). Ben più, dell’indugio della ve­
nuta di Cristo, spesso più che constatare una necessità di fatto,
ne celebrano le convenienze. Sono maravigliati da queste lente
(c maturazioni ». Nihil immaturum, nihil non ordinatum. Nihil
non dispositum. Nihil repentinum aut inopinatum (56). Senza
AUTUNNO E PRIMAVERA 225
accecarsi affatto sulle tare del paganesimo o sulle grettezze
della legge di Mose, non possono fare a meno di riportare al-
l’armonia provvidenziale della storia — Deo pulchre omnia
moderante — l’ammirazione che i loro contemporanei pagani
avevano ancora per l’armonia delle sfere. Questa teoria ben
ordinata di leggi adattate a ognitempo, appariva loro, secondo
un’espressione di S. Agostino, veìut magnum carmen cuiusdam
ineffabilis modulatoris (57), e non è più il mondo che imma­
ginano come una grande lira a sette corde, ma è il gran Li­
bro, in cui lo Spirito Santo stesso, Spirito selliforme, canta
le Gesta di Dio (58). L’ottava delle otto sfere (59) diviene
per essi l’ottava delle otto età. Cristo è «il maestro del coro »
intorno al quale si ordina tutta la storia, come la lira cosmica
vibrava tutta sotto il plettro di Apollo. Le cose antiche e le
nuove si rispondono, e, venendo tutte dallo stesso Autore,
formano, nella loro varietà contrastante, una melodia unica,
ex multis et contrariis sonis subsistens (60). Del resto, le
« rivoluzioni » che furono le rivelazioni successive, non
hanno portato seco nessun turbamento totale è subitaneo,
perchè Dio vuole che l’uomo sia persuaso, non violentato (61).
Se l’adesione che gli è domatidata, qualunque sia il suo li­
vello di cultura e qualunque sia anche il grado di lucè na­
turale o soprannaturale che gli è offerta, reclama sempre da
parte dell’uomo una conversione totale, cioè un capovolgi­
mento dal male al bene e dalle tenebre alla luce, non è mén
umana da parte della divinità avviene progressivamente, a
partire da una prima illuminazione naturale fino alla piena
luce dòll’etermtà. Dopo èssere apparso e aver parlato molte
volte e in molti modi, Dio viene lui stesso, nel suo Cristo,
per compiere con noi l’ultima tappa. Dispositionis antiquae
munus explevit (62). Cristo s’è dunque fatto attendere a
lungo (63), è venuto tardi, ma, in fondo, non ha tardato. Era
normale che venisse tardi, L’Incarnazione avvenne all’ora
che bisognava: al principio della sesta ora nella sera del
16
226 PREDE 9 UN A ZI ON E DELLA CHIESA
mondo (64), perchè fosse offerto il vero Agnello, come lo era
l’agnello pasquale, nella . sera del giorno ; nel momento in
cui rUmunità, come Sara, invecchiava (65); non proprio alla
line, certo, ma verso la fine (66), in ultimis temporibus (67),
Altrettanto, difatti, e forse più che un punto di .partenza,
ci si vede un punto d’arrivo. Come l’uomo, creato nel sesto
giorno, era il capolavoro della creazione, l’Incarnazione è il
capolavoro della nuova creazione. E’ il principio della con­
sumazione (68). Dopo il combattimento dai diversi episodi,
essa apre l’èra della vittoria (69). Dopo il lungo fidanzamento,
il tempo delle nozze. Da essa in poi, il genere umano rag­
giunge infine la rassomiglianza divina, fine per il quale fu
creato (70).
Ancora uno di quei rovesciamenti di prospettiva di cùi
abbiamo visto sopra degli esempi. A prenderla alla lettera,
la spiegazione può sembrare eccessiva; e d’altronde non ve­
diamo come conciliare Un tale sentimento di colma maternità
o di vita ricadente salvata appena in tempo, con quell’impres­
sione di freschezza e di giovanile allegria che emana dai primi
scritti.cristiani, o con quel fervore e con qùell’impetuosità
che s’indovinano ài principio di tante conquiste cristiane (71).
Più di Un secolo dopo la jÈoHtxira dei vangeli, questi ultimi
tratti non sono ancora quelli dell’apolpgetica, di Clemente, di
questo greco raffinato, erede d’una vecchia cultura, sorpren­
dentemente erudito e, per giunta, alessandrino d’adozione?
Non cerchiamo un accordo logico. Ammiriamo piuttosto Fin*
comprensibile:. il Cristianesimo, per quelli che lo vissero nella
sua prima epoca, fu insieme un. autunno cuna primavera (:72);
Complexio oppositorum. Era un compimento, ed era una spe­
ranza. Nella, sera del mondo, la croce consumava tutte le cose,
ma nel mattinò di Pasqua un giorno del tutto nuovo sorgeva
sugli .uomini: ßoerificium vespertinum pependit in ligno, et
beneficium matutinum surgens praebuit e sepulcro (78). L’ani­
ma che si volgeva verso Cristo rientrava con lui nel Paradiso,
vù ritrovavo la giovinezza del mondò, '•
227
AUTUNNO E PRIMAVERA
e il primo sole sul primo mattino.
« Le cose antiche sono passate, ecco -che tutto e divenuto nuo­
vo ». «Cristo ha cambiato il Tramonto in Aurora» (74). Il
vecchio uomo è vìnto, ecco che si leva l’Uomo nuovo. La
vetustà è un peccato, anzi ormai è il peccato. E’ il male, è la
notte. E’ l’errore, l’errore essenziale, la mancanza di fede
nella novità totale di Cristo (75). Omnem novitatem attulit.
Quomodo vesperat ubi Christus est? (76). Finalmente e sorto
il giorno eterno, al quale ormai non succede alcuna notte (77).
Le preparazioni erano necessarie, furono lunghe e sapiente-
mente graduate: nondimeno la luce del Verbo fatto carne ha
brillato tutto ad un tratto, principio istantaneo della più pro­
digiosa rivoluzione. (78).
Senza dubbio, all’origine, il pensiero dei Padri potrebbe
comprendersi come un resto dell’idea ebraica sulla fine dei
tempi, che doveva coincidere con l’unico avvento del Messia*
Le immagini della messe c della vendemmia erano tradizio­
nali per simboleggiare il giudizio. S. Paolo, del resto, non
aveva chiamato Cristo « l’ultimo Adamo », cioè l’Adamo degli
ultimi giorni? (79). L’Epistola agli Ebrei non lo mostrava
mentre offre il suo sacrificio alla fine dei secoli? (80). Lo
sdoppiamento operato sin dal principio dalla riflessione cri-
sliana tra la venuta nella carne e la venuta nella gloria, non
ha sviluppato subito tutte le sue conseguenze (81). L’argo­
mentazione che abbiamo riportato si spiega anche con il
desiderio che avevano i Padri d’umiliare gli Ebrei senza
perdere il beneficio della loro tradizione, e di conciliare la
novità del Cristianesimo nella sua forma ■definitiva con la
« maestosa antichità » (82) che rivendicavano per lui. Si può
ritenere che alcuni di essi, come Teodoreto, ci si siano appli­
cati con un’ingegnosità im po’ troppo .■compiacente. Non è
meno vero che nella sua idea principale la risposta opposta
all’obiezione di Celso e di Porfirio (83) non era affatto un
espediente provvisorio, nè uh’artifici osa sottigliezza. Essa ri­
fletteva intellettualmente- con le risorse offerte dalla storia e

228 PREDESTINAZIONE DELLA CHIESA
dall’esegesi di quel tempo, il sentimento vissuto dalla Comu­
nità cristiana. Supponeva veramente un’idea del tutto nuova
del mondo e dell’uomo, e dei loro rapporti con Dio. Ora que­
sta idea è consustanziale al Cristianesimo. 0 Christum et in
novis veterem (84), - et in veteribus novum! Oggi, per noi
ancora, ovunque, la venuta di Cristo nella persona della sua
Chiesa è un autunno insieme e una primavera.
SPES NON €ONFUNlDlT
Ora, come la venuta di Cristo, la venuta della sua Chiesa
è doppia. C’è prima la venuta visibile, predicazione del Van­
gelo e installazione della gerarchia. Ma quando la Ghiesa sarà
ovunque presente, ancora non sarà la fine. Il corpo degli ,eletti
non avrà terminato la sua crescita, quella crescita con la quale
<( il Cristo si edifica e accresce se stesso unendosi i sal­
vati )> (85). Misteriosamente, sotterraneamente, quali che siano
le vicissitudini della storia umana alla superficie, qualunque
sia, anche, il bilancio degli apparenti trionfi o delle apostasie,
deve progredire fino alla stagione che non avrà termine (86):
autunno e primavera definitivi, aurora e messe d’eternità. Al­
lora, essendo compiute le sei età del mondo, si leverà il set­
timo giorno, sabbatum sine vespere. Giorno di Iahvè, che il
vecchio Isaia cantava molto tempo fa, in una profezia già
tutta spirituale d’accento, che bisogna ricevere in un senso
ancora più spirituale :
In quel giorno ci sarà una via
aperta dall’Egitto alTAsaina;
. L’Assiro andrà in Egitto,
e l’Egiziano riell’Asairia:
Egiziani e Assiri uniti serviranno Iahvè.
In quel giorno Israele sarà terzo
con l’Egitto e l’Assiria.
Come una benedizione in mezzo alla terra.
Benedizione di Iahvè degli eserciti, che dice:
SPES NON CONFUNDIT 229
Benedetto il popolo mio d’Egitto,
e l’Assiro, opera delle mie mani,
e Israele mia. eredità! (87).
Pace sul mondo, unità di tutti i popoli nel servizio e nella
lode di Iahvè! Non è un sogno, è la Parola di Dio. Tutte le
miserie, tutte le disdette, non ce ne faranno dubitare. La
Chiesa sa molto bene che quaggiù non trionferà mai piena­
mente del male, cioè della disunione. Sa che lo <( stato di
guerra », avendo il germe nel cuore di noi tutti, sarà lo stato
della nostra condizione terrena fino alla fine. La grande città
costruita da Caino a forza di delitti non sarà mai rovinata
finché il tempo sussisterà (88). Il «mondo» nel senso ma­
ledetto, risale incessantemente da mille sorgenti nell’interno
stesso delle isole conquistate sul suo oceano di fango. A mi­
sura che si diffonde, la Chiesa lo ritrova nell?interno di se
stessa, più sottilmente minaccioso (89). Essa,, lo sa. Sa
anche che i pogressi più certi e le conquiste più ammi­
revoli dell’uomo hanno sempre qualche cosa d’ambiguo, da
cui il male può trar partito. Il a Mistero d’iniquità » senza
dubbio non ha prodotto ancora le sue'peggiori rovine! Come
in quasi tutte le epoche della sua storia, e forse più ehe mai,
essa ne vede oggi salire l’ombra terribile. Ugualmente, nono­
stante le illusioni perpetuamente rinascenti di quelli che ha
conquistato alla sua causa senza che il suo Spirito li abbia
penetrati fino in fondo, essa non attende altro trionfo che
quello stesso del suo Sposo, che regnò con la croce -— e non
c’è un al di là della croce ne! tempo. Ogni suo stabilirsi, che
per molti dei suoi figli è una tentazióne, per essa non può
esser mai,altro che un’apparenza: come la Verità stessa, sa
che, in fin dei conti, è sulla terra una straniera: seit sé pere­
grinam in terris agere (90). La sua prospettiva rimane essen­
zialmente escatologica, come nel suo primo giorno (91). E
tuttavia, da quaggiù, tenta senza stancarsi l’opera impossibile.
E’ già questo lo scopo di coloro che vanno a stabilirla in re­
gioni ostili e lontane, secondo la bella definizione che dava
ri?
■230 ' . PREDESTINAZIONE DELLA CHIESA
del loro lavoro un discepolo del grande Ricci, il P, Manuel
Diaz, Visitatore dei Gesuiti di Macao. Il 26 giugno 1639, quan­
do le dissensioni di metodo fra i missionari della Gina ave­
vano cominciato a venire in luce, ma non avevano ancora rag­
giunto quel parossismo -che rende così penosa ad ogni cuore
cattolico la storia della « Disputa dei Riti », Diaz scriveva al
Provinciale dei Domenicani di Manilla, per esporgli il punto
di vista del suo Ordine. «Siamo venuti, gli diceva, dall’Eu­
ropa a quest’estremo del mondo per unirci con i Gentili cinesi
e fare con essi un medesimo Corpo di Cristianità » (92). Forte
dunque delle promesse divine, questo missionario lavorava
per tradurre in atto la visione del Profeta! Ma supponendo
la sua riuscita, al di là di ogni speranza, l’universale Cristia­
nità non potrebbe essere àncora se non una lontana e pallida
prefigurazione dell’Unità ultima. Nondum apparuit quid en-
mus. « Speriamo ciò che non vediamo, ciò che non è. nem­
meno possibile intravedere — allora aspettiamo con pazien­
za » (93). Lo Spirito che parlava per mezzo1dei Profeti, s’è
spiegato di nuovo per mezzo di Paolo, attribuendo alla Chie­
sa, nella sua missione universale, la funzione d’Israele riguar­
do ai popoli che Io circondavano* e riservando un posto al­
l’Israele carnale, in questa riconciliazione, in questa integra­
zione definitiva, L’universo intero assunto dall’uomo e soli­
dale del suo destino — l’uomo, nella prodigiosa complessità
della sua storia, a sua volta assunto dalla Chiesa; — l’universo
spiritualizzato dall’uomo e l’uomo consacrato dalla Chiesa;
la Chiesa infine, universo spirituale e sacro, -come una grande
nave carica di tutti i frutti della terra, entreranno -nell’Eter­
nità (94).
Spes non confundit. La Chiesa è predestinata. La Chiesa,
cioè in essa tutto l’uomo, e tutto l’universo. Tale è l’afforma-
zi one di Paolo, nel punto culminante della sua grande opera
dottrinale (95). Questo testo dell’Epistola ai Romani sulla pre­
destinazione ha suscitato molti commenti inquietanti e molte
discussioni appassionate. Troppo poco attenti al sno con-
231 i, ;
SPES '"NON CONFUNDIT iI
testo (96), molti hanno creduto di vedervi insegnata la glori­
ficazióne necessaria degli individui che Dio si sarebbe scelti,
e, per conseguenza, la riprovazione positiva degli altri. Que­
sta interpretazione del capitolo 8° dell’Epistola si è ripercossa
talvolta su quella del capitolo 11° (97). Nell’esclamazione: 0
altitudo! si è visto ben più spavento che confidenza. Si è presa
l’abitudine di non pronunciarla se non tremando. Vi si è cer­
cata una risposta — 0 piuttosto un effugium — alle questioni
inestricabili sulla grazia efficace e la grazia sufficiente. In
realtà, il problema da cui sorge quel grido sublime con tali
questioni aveva solo, un rapporto lontano. In quanto al tur­
bamento che vi si manif esta, non è altro che quello che s’im­
padronisce di ogni, creatura all’avvicinarsi del Mistero sacro.
E’ la vertigine che l’afferra davanti alle «Profondità di Dio »,
Come l’ha ben visto S. Ilàrio (98), è un turbamento che non
esclude la pace, una vertigine che non toglie la sicurezza; e,
come l’hanno spiegato Origene e Cirillo Alessandrino (99),
se Paolo insiste sulla sovranità del Signore, i cui giudizi sono
impenetrabili, tuttavia annunzia in primo luogo i tesori della
sua Bontà (100). Il pensiero dßH’ApPstolo del resto mira meno
direttamente al termine che alle vìe sorprendenti con le quali
Iddio ci conduce ad esso. Il motivo del suo grido, grido di
rapimento e d’esiiltàzione (101), è Fingégnosità della Miseri­
cordia universale (102)* che saprà ricondurre gli Ebrei stessi
nell’unità della salvezza finale; dopo aver fatto servire il loro
accecamento per là -conversione dei Gentili: « Poiché Dio
udii si pente dei suoi doni, nè della sua chiamata». Rinchiude
tutti gli uomini nella disobbedienza, per fare misericordia à
lutti » (103). Similmente nel capitolo 8°, Paolo, tutto meravi­
gliato, proclama la sua fede nel successo dèi Piano divino,
nel compimento del Còrpo di Cristo’ In questo capitolo fa èco
alla promessa di Gesù riguardo alla Chiesa. «Le Porte del­
l’Inferno non prevarranno contro di essa », e dà una garanzia
solenne a quanto aveva scritto egli -stesso ai suoi.figli di Co­
rinto: « Dio sarà tutto in tutti » (104). '
I
232 p r e d e s t in a z io n e della c h ie s a
Sa bene che nessuno sarà salvo a suo malgrado, che dopo
essere vissuti dello Spirito si può ricadere sotto il regime della
carne, e non si risparmia di dirlo. Predica lo sforzo e la vigi­
lanza, vuole che ciascuno « lavori per la sua salvezza » (105).
Egli stesso trema in certi momenti, pensando non a Dio, che
è fedele, ma a se stesso. Ha una parola terribile su quelli che,
oggetto della. <( bontà di Dio », rami selvatici innestati sull’o­
livo buono, <( s’abbandonano all’orgoglio » : coloro saranno '
« recisi » (106). E’ la parola che riprenderà Clemente Al essati*
drino, rivolgendosi agli idolatri:
Dio aveva sospeso sulle loro teste le stelle come una strada
per condurli a lui. Ma invece d i attenersi a quei corpi luminosi,
ri discesero dai cieli per inginocchiarsi davanti al legno e alla pie­
tra... e allora, giudicati incapaci di salvezza, come il fuscello che
è strappato al suo fascio, come la goccia d’acqua che cade dal vaso,
sono recisi dal corpo! (107). .
Ma questa immagine del membro reciso (108), — perduto,
morto — mette precisamente in luce la salvezza del corpo in
quanto tale. Subito dopo Paolo aggiunge : la totalità dei Gen­
tili entrerà, 7rX^pw|xc4 -rfiiv Ifrvfòv ; tutto Israele sarà salvo,
MopaVjX- Israele, i Gentili: in questi due popoli, lo sap­
piamo, è tutto il genere umano (109).
In alcune formule piene e precise, S. Ireneo commenta
questo insegnamento. La salvezza del'mondo è confidata alla
Chiesa : « hoc enim Ecclesiae creditum est Dei munus » (110),
Ora, non è questo un decreto arbitrario di Dio. Poiché in de­
finitiva, la Chiesa non è altro che l’umanità stessa, vivificata,
unificata dallo Spirito di Cristo. Essa è stata voluta da Dio
« per animare la creazione ». Guai dunque a colui che sé ne
separa! Se Io scisma è il peccato che va alla morte, è perche
la morte stèssa, là dannazione è uno scisma (111): scisma su­
premo, « alienazione » totale, recisione definitiva, e che può
essere il prodotto dei zelatori apparentemente più ardenti
dell’unità; poiché se « molti sono dentro, che sembrano essere
di fuori », molli possono essere fuori, che passano per i guar-
NOTE 233
diani delFinterno. Novit Dominiis qui sunt eius (112). Ma co­
munque debbano essere a questo riguardo le rivelazioni del-
fultimo Giorno, una cosa è certa : la Chiesa non entrerà mu­
tilata nel Regno. Secondo la leggenda ebraica, alla moglie di
Lot, quando fu cambiata in statua di sale, continuamente
erale strappato un membro o l’altro; tuttavia, per un pro­
digio d’immediata riparazione, essa rimaneva sempre intera.
Così accade alla Chiesa; «sale della terra»: spesso ampu­
tata, ma che ricupera subito le membra (113). Così all’urna*
nità stessa; nessuna defezione lascerà in essa vuoto, alcuno;
niente possono le defezioni contro la sua pienezza (114). Co­
me, nel nostro corpo di carne, le membra sono solidali le une
con le altre, attratte le une dalle altre, essa parteciperà al
destino di Colui che l’ha presa per corpo. Poiché il Capo ha
trionfato; il corpo intero, il « Pleroma » sarà salvo (115).
NOTE
(1) O ricen e. C. Celsiim, I, 4, c. 7 (K o e ts c h a u , i, 1, p. 279), P o r fir io , fram­
ménti 81 e ' 82. Am brogio, Episi, 18, n. 27 (P. L. 46, 4*29). C r iso sto m o , h i Rom.,
bom. 5, n. 5 (P. G. 60, 429), Cf; G iü stin o , 1 Apologia, c. 46, n. 1 ( P a u t ic n y ,
p. 95).
(2) Vedi le conversazioni dell’imperatore K’anc-h i , riferite dal Padre Louis.
Le 'Comte, Nouveaux Mémoires sur l’état present de la Chine, lettre X-I (t. 2,
3" ed. 1697, p. 157-8).
.. - (3) Contro i Galilei, fr. 143 e 178 (cf. P orfirio, fr. 34). C irillo A less ,, The­
saurus, assert. 31 (P. G. 75, 445). Vedi J. B idez , La vie de Vempereur Julien, ■
p. 308, Uguale obiezione fondamentale, a proposito della credenza alla risur­
rezione, nel filosofo, discepolo di Porfirio, che M acario di M agnesiaco mette
in. scena: Apocrìticus, 4, 2 (H arnàckì T. U,, 37, 4, ,p, 72).
(4) Cf. A gostino, De Civ. Dei, 1. 10, c.' 32, n. 2: «... PJec debuit, nec debe­
bit eo dici: Qiiare modo? et quare sero? quoniam mittentis consilium non
est ùhumdho ingenio penetrabile» (P. L. 41, 314).
■(5) Ephes., I l i , !.. ■
(6) Adv. H wr., 4 , 38 (P. G. 7, 11OS-9) ; 4, '11, 2 (1002); 5, 36 (1223-4), e .
passim, (col. 784,; 937, 990, 1011, 1037, 1047, ecc.).
T esto 38.
(7) Principio che piacerà di ricordare ai grandi teologi del medio evo ì
A n s e lm o , Chj* Deus homo, 1. 2, c. 18; De casu diaboli, c. 12 (P . L. 158, 421-2
e 343). B o n a v e n tu r a , In Hexaem., collatio l ì , n. 11. T om m aso d’à q u in o , In 2
Sent., d. 23, q. 1, a. 1; Quod. 9, q. l , :a. *1; De Potentia, q. 1, a. 3, ecc. N ovazian o,
De Trinitate, c. 6 (iP. L. 3, 895-6). Cf. F ra n co , De gratia Dei, 1. 9 (166, 766 B).
(8) De virginibus velandis, c. 1 (P: L. 2, 890).
 234 PREDESTINAZIONE DELLA CHIESA
(9) In Exodum, ham. 8, n. 1 (B.,* p. 218).
(10) Sulla risurrezione, discorso 1 (P. G. 44, 609). L’essere spirimele per
il fatto stesso d’essere creato, ®i trova in una -jtocp«credete, da cui risulta un
certo movimento, una marcia: De mortiti? 3 (46, 520 C).
(11) Dello Spirito Santo, c. 14 (n. 33 (P. G. 32, 125-7). C risostomo , In Gen,
li. 2 e 3 (53, 29 e 34). B onaventura , Breviloquium, p. 4, c. 4: « Opus incarna­
tionis erat perfectissimum inter omnia opera 'divina, et processus debet esse de
imperfecto ad perfectum» (Quaracchì, t. 5, p . 244).
(12) Sulla Provvidenza, disc. IO (P. G. 83, 764-73). Cf. In psalm. 2 (80, 880).
(13) Epist. 18, n. 27: «Ergo et mundi primaeva nutarunt, ut venerabilis
canae fidei sequeretur senectus. Quos hoc. movet, reprehendant messem, quia
sera fecunditas est; reprehendant vindemiam, quia in occasu anni est; repre­
hendant olivam, quia postremus fructus » ( P .\L , 16, 979*80). E nrico de M arcy,
De peregrinante Civ. Dei, tr. 14: « Videns tempus vindemiae advenisse, vestem
sibi huic operi congruam adaptavit » (204, 365). La. Pentecoste, apre il tempo
delle vendemmie dello Spirito': I sacco della Stella , sermo 44 (194, 1839). Idea e
immagine analoghe in una glossa dello P seudo P ietro di P others sul Maestro
delle Sentenze (Landgraf, in Rech. de théol. anc. et Médiév., 1937, p. 169-70).
(14) Octavius, c. 38: «Q uid ingrati Burnus, quid nobis invidemur, si ve­
ritas divinitatis nostri temporis aetate mwluruit? » (M artin , p. 85). V. anche
I ppolito, Sii Daniele, 1,- 4, c. 15. / mani generis infirmitatem, quam elaqueavit abque absolvit»; cf. n. 9 ,,.e 10
(15) Sermo 101, n. 2 (P. L. 38, 607) ; Episf. ad Galat, e x p o s i t n. 29-30 (35,
2126). . ■ ' (21) C assiano , Collatio 8, c. 24: «Nec evnngelicairi perfectionem.tradi ante
(16) Altri l’lmiteranno, per es. S. G iuliano di T oledo: «Fac ergo totos
homines quicnmque ab Adam usque in .-presentem diem fuerunt, quasi unum
hominem esse, et in persona unius homitiis'1totius saeculi tibi figuram- appone,
et per quantas aetates saeculum istud quasi unus homo transierit..,'ratione facil­
lima pervidebis ».. De comprobatione aetatt sextae, 1. 3, n; 3 (P, L. 96, 571).
(17) Epist. 102, ad. Deogratias, q. 2 ('P. L. 33, 373-6). De diversis quaestio-
vibus, q. 53, n. 1 e 4 (40, 34 e 37). De Civ. Dei,, 1. 10, c. .14 ;1 . 12, c. 13, 14 e 20
(41, 360-2 e ,369-72). In psalm. 85, n, 5 e 118 sermo 17 (37, 1085 e 1547),' De vera
religione, c. 17, n. 33-4; etc.; Cf. De Spiritu et Ultera, n. 27 «dispensatio tem­
porum ordinatissima » (44, 217). Vedere J. W ang T c ii ’ang tche , op. laud.,
c. 5. La filosofia della storia che viene fuori dalla Città di Dio, l’impoi'tanza
attribuita da-Agostino alla storia in molte altre delle'èvie opere, sono tanto
piu significative ..in -quanto non sono affatto dovute alla . cultura che egli
aveva ricevuto: « La cultura filosofica dì S. Agostino, nota M. M arrow, .
fi nettamente antistorica » (St. A uguriti et la fin de la culture antique, pi 235,
nota 2). Nel De Doctrina chrisfiana, parlando scolasticamente, se cosi si può
dire, -della storia, e&ìi vi vede, solo .una cronologìa: 1, 2, e. 28, n. 42-44. (P.
L. 34, 55-56).
T esto 39.
(18) M etod io D’O lim p io , Banchetto , 'disc, 7, c. 5 (tr. .Farges,; p . 109-10); Vedi
tuttavia, per' es., Ild r b e r to , Tract, theolog., c. 2 : «... de cognitione fidei quam
antiqui habuerunt, et quomodo, nucfa 'sit per legem Moisì et per legém Evan-,
gelii... P er legem scriptam, caepit crescere cognitio fidei » (P. L. 171, 1071).
(19) Così I reneo stesso. Adv. Ilaer., 4, 16, 5 (P. G . 7, 1018). I l giudizio dei
Padri sul valore comparato della legge naturale e della legge molaica, è p iù
d’una volta influenzato dàlia controversia con gli ebrei. G iu st in o , Dialogo con
Trifone, c. 19-23 (A rcham bàult , t, 1, p . 84*108). T ertulliano , Adv. Jiuìaeos,
C...2 (P. L. 2, 601-2). E usebio , H. E., h 1, c .-4, n. 6-15 (G rap in , t. 1, p . 47*51).
A mbrogio, De Mysteriis, c. 8, n. 44: « et antiquiora sunt sacramenta Ecclesiae
NOTE 235
quam Synagogae, et praestantiora » (P. L. 16, 404). De sacramentis, 1. 1, c, 4,
¥f n. 11 (16, 420); ecc.
Talvolta la controversia si riassume in un duello Mo&e-Àbramo, e tal’altra,
più radicalmente, in un duello Abramo-Melcbisedech, essendo Àbramo allora
considerato, dopo l’Epistola ad Bebr., 7, come l’antenato di Levi (cf. P seu d o
P rim a sio , In Galat, e In Hebr.; P, L. 68, 592 e 727). I commenti su Galal, e. 3
( cobì C riso sto m o , P. G. 61 651; cf. P se u d o C riso sto m o , In Rom., 7, P. G. 59,
667-8), e la tradizione concernente Melchisedech sono interessanti a studiarsi da
questo.punto di vista. (‘Su questa: G. B ardy, in « Revue bibliqne », 1926 e 192.7;
M. S im on , in « Revue d’histoire et de philosophic religieuses », 1937). Cf. A l­
-'f4
in tercatio Simonis et Theophili, c. 5, n. 21 ( H a r n a c k , ,p. 28). P i l a s t r o , Diver-;
‘Iff sarum haeresèon liber, haer. 82 (B,, p. 72-75); A g o s tin o , De Civit. Dei, 1. 16,
■p C.-22 (P. L, 41, 500 ; l’ordine di Melchisedeob, superiore all’ordine di Aronne).
£:
P s e u d o ’ M assim o" di T o rin o , àdv. Judeo’s c. 4 :■ «‘Ante ' Abraham -omnes sancti
ineircmncisi, fuerunt, et puritate .mentis Domino placuerunt, et populum -Chri­
stianum magis ipsi .in se monstrarunt...» (SpacnoiLO-Turnem, . J. pf theol, Stu-’
dies, .p. 16, p. 299).
I (20) A mbrogio , Epist. 73, - n. 2: «Certum est non fuisse legem necessa­
riam, quae per Moyseu data est.. Nam si naturalem legem, quam Deus -creatoT
infudit .singulorum pectoribus homines servare potuissent, non fuerat opus,
en quae, in tabulis «cripta ■ lapideis, -implicavit -atque. innodavit magis'hu*
(P. L. 16, 1251 e 1253).
legis potuisse custodiam » (Petseh., p.244). -Clem ente , Stromat., 1. 6, c. 6,-n. 47
(St., t. 2, p.455) ; Pedagogo^!. .1, c. 6, n. 4-2-3 (St., t. l, p. 115*6). Crisostomo',
ln Galat., cr 3 (P, G. 61, 656); De Chananaea, n. 7 (51, 455). R uperto (P, L.
170, 581). . ; : , •
(22) Questa stessa superiorità è lasciata talvòlta nell’ombra: così -Eusebio ,
Demonstr. evang., 1. 4, c. 10 (P. G. 22, 276), e P ilastro, Haeresìs, 109 (B oysen ,
p. 108.9). ■ .
(23) C irillo Al e s s ., Deadorafioive in spiritu et.ventate, 1. 1 (P, G. 68,-142-3
e 188); Glaphyra in Gè»;, 1. 4 (69, 188).
(24) S evero p ’ÀNHocim, Omelia 79,.(<P. O- 20, 299).- O ricene , In Num., hom. '
17, n. 1 (B„ p. 154). . ‘ -
• (25) Severo- d’A nxtochia , hom. 53: «...Ma a poco, a poco, man mòno che il
tempo s’allungava, i profeti indicavano le pene del supplizio eterno...» (P, O. 4;
31-33). G diberto di N ocknt, De incarnatione àdv. Judaeos, c. 6 (P , L. 156, 519).
S. T ommaso , 1% q. 68, a, 3: «Moyses rudi populo loquebatur, quorum imbecil­
litati condescendens, illa solum, eis proposuit, quae manifeste sensui apparent»;
e q. 61, a. 1 ad 1-m. . • : . •
(26) P s e u d o -C risostom o, S u , Cristo pastore e agnello (P, G . 52, 829). Nu­
merosi testi analoghi |n- tutte le-scuole: G iu s t in o , Dialogo, c. 22-23 (Archam­
bault, t. 1, p . 97-109). Ir e n e o , Adv. Haer., 4, 38, ì (P. G. 7, 1105). T e r t u l l i a n o ,
Adv. Mardonem, 1. 2, c. '19 (ICr,,. p . 360-1), O r ig e n e , C. Getsum, 1. 1, c. 36 (K „
t. 1, p . 87). E u se b io , Dimostrazione evangelica, 1. 1, c, 6 (P. G. 22, 49-68), Èpi-
EAMO, Panarion, haer, 42 (41, 789)-e h aer.-66 (42, 141). C i r i l l o À l k s s ., C. lidia-
num, 1. 4 .(76, 693). F ila s t r o , Haer. 141 (P. L. 12, 1275). G ero la m o , In Ezech.,
1. 6, c, 28 (25, 194), A gostino, In Jo„ tract. 10, -n. .4(35, 1468). R uperto , De vie-
toria Verbi Dei, (169, 1336*8 e 1422).
(27) .C risostomo , In Afuh, hom. 6, n. 3 (P. G. 57, 66); In diem Natalem
Domini, n. 3 (49, 355). C irillo A l e ss ., Contra Julianum, 1. 9 (76, 973). Gero­
lamo , Épist. 73, n . -3 (P- L. 22, 678).
236 PREDESTINAZIONE DELLA CHIESA
(281 S evero » ’A ntiochia , hom. 19 : « Così, cominciando dal comandamento
di Mosè: ” collii che toccherà dei cadaveri sarà im puro”, David progredendo,
uvangando, elevandosi verso .lo spirito di tali comandamenti, cantava: ’’ Lavami
completamente dalla mia iniquità, purificami dal mio peccato, o Dio! crea in-
me un cuore puro...” » (P. O. 20, 30O-1).
(29) I reneo , Adv. 'Haer., 3, 11, 8 (P. G. 7, 899-90); 4, 14, 3 (1012 A). T er -
tu llia n o . A d uxorem, c. 1, n. 2 (P. L, 1, 1277). M etodio, Banchetto, disc. IOl,
c, 2 (tr. Farges, p. 176), V ittorino di F e tta u , In Apoc,, 4, 4 (Haussl,, p. 54).
G erolamo, /» Isaiam: «Hostiae ergo et immolatio victimarum non princi­
paliter a Deo quaerita sunt; sed, ne idolis fierent, et ut de carnalibus victi*
mi s que si per typum et imaginem ad spirituales hostias transiremus » (P. L;
24, 34). E sic h io , In Levit., c. 17: «Secundum humanam possibilitatem, ho­
mine videlicet tradente, (legem) suscipiunt,..ut ad spiritum paulatim ascenda­
tu r» (P. G. 93, 922 D).
(30) Cf. F ilastro, Haer. 110 (138): «Sunt quidam dicentes haeretici: Cur .
non Deus uno modo semper locutus est, sed diversis modis et linguis humano'
generi praedicavit? Cum secundum capacitatem hominum videntium atque ca­
pientium videre atque audire ita sit locutus, et visus hominibus... Quia ergo di­
versa erat capacitas videndi Dominum, ut bonus medicus, sicut infirmitaB exige­
bat, et diversa remedia hominum infirmitatibus conferebat... » (Boysen, p. 108-9).
A gostino., De serm. Domini in monte, I. 1, c, T, n. 2 (P. L. 34, 1231). T eodoreto,
Graec. affecit, curatio, s. 7 (P. G. 83,' 996). Numerosi passi in C risostomo . Il
paragone del medico, ricevuto da ‘Cristo stesso, e così naturale, è usato inces­
santemente dai Padri.
(31) C risostomo , In Mat., hom. 56, n. 2 (P. G .-58, 551).'
(32) A gostino, C, Faustum, 1. 20, c. 13 (P. L. 42, 379).
(32) A gostino, De dìv. quaest., q. 49, q. 53 (P. L, 40, 31 e 34-5); De Civ.
Dei, 1. 15, c. 16 e 1. 18, c. 47 (41, 457-60 e, 609-10); C. Faustum, 1. 22, c. 30 (42,
420); ibid., c. 47 e 48 (428-30); De bono coniugali, c. 13 o 15 (40; 383-5); Con-
fessìoni, 1, 3, c. 7, n. 13 (32, 688-9); De docir, christ., 1. 3, n. 10, 12 e 18 (34,
69, 70, 72-3). ' '515-6). B alduino di C antorbery, Liber de sacramento altaris: -.-grin signis- co­
(34) Crisostomo , In Mat., hom. 07, n. 5*6 (P. G. 57, 260-2).
(35) C r is o sto m o , In 2 Cor., hom. 2, n. 3 (P. G. 51, .284); disc, su Àbramo
(50, 743). G reg. N az ,, Disc. 32, c. 23- naiSay«>y£a - 'teAstìjatg (36, 200). C ir i l l o
A l e s s . , 15“ omelìa pasquale (11, 729). — Su tutto questo paragrafo, v. H. Fi-
NARD, Les infiltrations paiennes dans VancienneLoi <Taprès les Pères de Vfiglise,
in « Recherches de science reljgieuse », 1919, p, 197-221.
(36) Discorso 31,- c. 25-7 (P. G. 36, 1604); disc. 45, c. ,12-3 (639). G regorio
N i s s ., Disc, sullo Spirito Santo (46, 696-7). C irillo d i G e r usa le m m e , .Catechesi
16, c. 24 (33, 953). S evero d’A ntiochia , hom. 70: «...N on era venuto il tempo
d’insesrnare a quei ragazzi la fede in una sola divinità, in tre ipostasi, perchè
sarebbero stati portati di nuovo a pensare che si parlava loro di molti dei...
Che meraviglia, ripeto, se all’epoca di Mosè, in ciii gli uomini avevano dispo­
sizioni imperfette; ciò che concerne la teologia e r a .insegnato in una maniera
molto segreta, quando perfino nel Nuovo Testamento vediamo che tale nozione,
si è insinuata soltanto a poco a poco, con ima sapientissima economia? » \(P. O.
12, 22 e 30). A nselm o d’H avei.berc, Dialoghi, 1. 1, c. 26 (P. L. 188, 1143-9). Sotto
l’antica Legge; i m ùteri dell’incarnazione e della passione rimanevano insospet­
tati: R uperto , De victoria Verhì Dei, 1. 3, c. 27-8 (169, 1292).
T esto 40.
(37) O r ig en e,
In Io., t. 1,- c. 7: «N on dobbiamo ignorare che la ventita tdi ■
Cristo, prima che fosse disceso B u l l a terra, fu compresa solo da a l c u n i uomini
più perfetti, ;già adulti, lìberi dalla tutela dei pedagoghi e dei tutori, che ave*
NOTE 237
vano -davanti agli occhi questa pienezza del tempo che contemplava il loro spi­
rito. Tali furono quei-Patriarchi, e quel grande servitore Mosè, e gli altri Pro­
le:! che contemplarono la Gloria di ‘C ri-to » (Pi., p. 11); t. 6, c. 4 e 6 (p. I l i
■e 113); In Levit., hom. 6, n. 3;. hom. 13, n. 1 e 2: «.Ante adventum Domini
mei Je&u Christi, sol non oriebatur populo Israel, Bed lucernae lumine utebatur,
-ecc.» (B., p. 3-64 e 467-68); in Numeros, hom. 5, n. 1 (B., p. 26), ecc. E usebio , H.
E., 1. 1, c. 2, tl. 21-2 : « Dio dette a-gli antichi Ebrei, per mezzo del profeta Mosè,
come a una. moltitudine ancora imbevuta degli antichi costumi, le figure e i
simboli d’un sabato misterioso, le iniziazioni della circoncisione e d’altri pre­
cetti spirituali, ma non l’intelligenza chiara dei segreti che tutti questi mi­
steri contenevano » (Grapin, t. 1, p. 25-7), Crisostomo , In 2 Cor., 4, hom. 3,
n. 9 (P. G. 51, 298). A gostino, C, adversarium legis et prophetarum, 1. 2, c.
7, n. 27: «Nec sane omnes in illo populo non intelligebant Christum per illas
umbras Testamenti Veteris ' figuratum... » (P. L. 42, 653); De Civ. Dei, 1. 10,
c. 15 (41, 293). R eda, In Levit. (91, 333 D); P seudo B eda, In psal. 39 (93
694 C).
(38) I reneo, Adv, Haer., 4, 20 8 (P. G. 7, 1037); 1, 21, 1: «Che non sol-
- tanto i profeti, ma anche molti giusti, siano stati anticipatamente avvertiti
dallo Spirito della sua venuta, e abbiano domandato con le loro preghiere
di essere di -quel tempo in cui avrebbero visto a faccia a faccia il loro Si­
gnore... il Signore l’ha reso manifesto - dicendo : Moiri profeti e giusti hanno
desiderato vedere ciò che voi vedete, ecc.» (Tradótto dall’armeno [in frane.],
B ayan-F roidevaux, «‘R evue de l’Orient chrétien » 1933-34, p. 370-71). O rigene,
In JVurn., hom. 5 , j i . .1 (B., p. 26); in 3o., t. 6, c. 4 e 6 (Pr;, p. I l i e 113); C,
Celsum, 1, 1, c. 48 (ly., t. 1, p. 98). P ilastro, Haer. 81 : « Trinitas itaque chri­
stianitatis ab origine mundi praedicabatur, et veritas pietatis sine intermis­
sione-ubique docebatur» (Boysen,. p. 72). L ucifero di Cagliari, De sancto
Alhanasio, 1. 1, c. 41- (Hartel, p. 139) ; De non parcendo in Deum delinquen­
tibus,. c. 12 (p. 210-11). G regorio, Moralia in Job. 1. 29, n. 69-70 (P . L . 76,
ram antiquis iustis a Deo mirabiliter factis, mystica significatio'^wecuturae Ve­
ritatis inerat, maioribus et perfectioribus 'manifesta, simplicioribus forte oc­
culta» (204, 712). (R iterrà più accentuata in S. B ernardo, De baptismo, c, 3;
P . L . 182, 103841).
Si sa bene quale penetrazione spirituale senza pari la -tradizione cristiana,
erede della credenza ebraica, abbia a lungo attribuito a M-o-sè, spesso parago­
nato a S. Paolo, talvolta anche a Cristo (C irillo A less ., Glaphyra in Exod.;
P. G. 69, 593-6). Gf. già Act., VII, 35-39 (discorso di Stefano).
(39) E pifanio , Panarion, 1. 1 , t . 1, c. 5 (P. G. 41, 182). P seudo A tanasio (28,
523-30). F ilastro, Haer.. Sii- e 82 (B„ p. 71-5). A mbrosiaste , Liber quaestionum,
c. 3, n. 4 (So uter, p. 234); ecc. (Insistenza sull’idea che Dio aveva accordato la
Legge quasi a suo malgrado, e che aveva concesso ciò ohe, assolutamente par­
lando, non voleva: C risostomo , In Isaiam, c. 1, n. 4 (P. G. ‘56, 19); iC iiullo
A l e s s ., De adoratione In spiritu (68, '226).
(40) Ir en eo , Adv. Haer., 4, 36, 4: «Plus dedit, non quod alterius Patris
agnitionem ostendit, sed quia maiorem donationem paternae gratiae per suu-m
adventum effudit iii humanum genus» (P. G. 7, 1093-4). E 4, 11, 3: «Plurimum
daturum se pollicitus est, secundum mensuralionem gratiae suae, sed non secun­
dum commutationem agnitionis» -(1002); ecc. Cf, S, L eone, sermone % (P.
L, .54, 405).
(41) A gostino, De baptisino, 1, 1, c. 16, n. 25 (P. L. 43, 123); De peccata
originali, c. 25-32: «Eodem. Spiritu fidei ab illis haec futura'videbantur, quo a
238 PREDESTINAZIONE DELIA CHIESA
nobis facta credantur..,» (44, 399-403); In psalm. 50, n 17: «Tempora variata
sunt, non fides» (36, 596); In Io, tract. 45, n. 9: « in ejus fidei societate no«
biöcuiu et illi patres... » (35, 1722-23); Confessioni, 1. 10 n. 68 (32, 808); De
Civ. Dei, 1. 18, c. 47 (41, 609-610); esce. Agostino, che sa distinguere i tempi,
non vuole eJhe si dividano- come se non tutti appartenessero al medesimo 'Cristo
e non concorressero allo stesso diségno di salvezza: «Nio-n «icut Pelagius et
eius discipuli tempora dividamus» (44, 400).
F ulgenzio , A d Moninwm,. 1, 2, c. 2-3 (-P. L. 65, 180); Epist. 14, n. 47 : « Una
est fides Novi et Veteris Testamenti ; haèc in antiquis Patribus -credebat pro­
missa, quae in nobis iam credit impleta...» (65, 435); De fide, n. 4 (65, 673-4).
à g obAttuo, Adv. Fredegisiim, c. 21-2-2 ; «Quae -nos credimus et tenemus praete­
rita, illi tenuerunt ac crediderunt futura.;.» (104, 173-4). O dilone df Cl u n y ,
Herrn. 4 (142, 1002). Cf, P ier D am iani e lo P seudo U go buI* grappolo d’uvà ripor­
tato da Chanaan dai due uomini , che raffigurano i due popoli (145, 1036-7*;
175, 658).. ■' J -• • *•'.......... ■ /• •'
(42) I reneo, Adv, llaer,, 4, 14, 2: «assuescens hominem portare spiritum
et communionem -habere cum Deo » (P; G. 7, 1011). Nella Dimostrazione, c. 46.
Ireneo parla d’una specie di consuetudine reciproca: « Il Verbo di -Dio prelu­
deva così e s’abituava in certo modo ai nostri usi» (tr. -Bartboulot, P . O. 12,
779). Cfr, T ertulliano , Adv, Marcionem, 1. 2, c. 27 (Kr„ p. 373).
(43) O ricene , C. Celsum, 1. 3, c. 14 (K., t. 1, p. 213). -Cirillo di G erusalem ­
m e , Catechesi 17, c. 34 (P, G. 33, 1108).
(44) I reneo, Adv. Haer., 4; 9, 3 ,(P. G. 7, 998-9), O rigene , I n Gen., hom. 12,
n. 5, sulla crescita d’Isacco : « Isacco era piccolo nella -logge, -ma con il tempo
diviene grande,,. Già cresce nei profeti... Quando la lettera della'legge avrà co­
minciato ad essere scossa come la paglia, dell’orzo, allora Isacco diverrà del tutto
grande» (B„ p. I l l ) ; In Exodum, bom. 2, n: 4; (OB., p. 160*1); In Levit., bom.
L n - 4 (B., p. 286). Si vede che non si dovrebbe esagerare l’opposizione ehe
si usa segnalare nei Padri tra partigiani d’una « condiscendenza » divina -prov­
visoria, e partigiani del simboli:-mo, opposizione che talvolta si S' riassunta nei
nomi d’Irenetó" e d’Origene. Per lutti, p er quanto in proporzioni, diverse,- l’An­
tico Testamento fu preparazione insieme e figura. >Cf. per ea. Eusebio, H» E.,
1.1, c. 2, n. 19-23,. e c. 3, n. 1-7 (Gràpin, t. 1, p. -24*8 e 31-4).
Of. T ertulliano , Adv. Marcionem, 1. 4, c. 21, «he oppone la realtà di . Cri­
sto « diu infans, vix -puér, tarde homo.» all’idea che se ne faceva Marcio no: «se­
mel grandis, semel totus, statim Christus» (Kr,, p. 491), Capitula theol.etoeco-,
nomica,..centur. 1, n. 93 (P. G. 90, 1121).
(45) Cf. E siodo, Le opere e i giorni, v . 109-201, sullé cinque età del mondo:
oro, argento, bronzo, eroi, ferro; P linio il V ecchio , citante Omero e citato
da A costino, De C. Dei, 1. 15, c, 9 (P. L. 41, 448); P latone , Fìlobp, 16
'Cicerone , Tuscul. 1. 1,-c. 12, n . 26. G f. & T om m aso , 3% q. 70; a . 2 ad lm.
(46) Leggere nel contesto il passo citato- sopra, nota 30,- p.,221. P ilastro ag­
giunge: « Languenti saeculo in fine plus - contulit medicinae, u t et illorum pri­
morum virtue >praepotens monstraretur, -et nostri generis periculosa infirmitas
nosceretur ».-
(47) Cosi ancora il Dialogo d’Àdumanxio, disimi. 1, c. 9': p in . bn dato di­
verse leggi agli uomini,-secóndo i progressi dèi loro spirito (VÀN de S ande,
p. 18-21). • ‘ . . .
(48) Banchetto,. -disc. 10 (Farges,, p.172-85), ó ’ ì Siriaci S .E fr e m (In 1
Reg.; Opera, syriace et latine, V . 1, 1737, t> . 440), e Filossewè D i Mabrough
(Tract, de Trinitate et Incarnatione, trad. Vaschalde, p. .166-9). Tendenza /ana­
loga nel medio evo, per e», in,IsaCco della S te lla , \serm-.9 (P. L .194,171?-
20), o in Enrico di Marc^, Tràci, de peregrinatila Citi. Dei, 1. 14 (204, 363-5),
NOTE '239
■sui- « libri » successivi della Sapienza o le « vesti » successive ' del Verbo. Si
■può confrontare con un testimonio della tendenza inversi!: Ruperto, In Reg.,
1. 1, c. 1 (P. L. 167, 1059).
(49) A gostino, De Civ. D ei,- 1. 2, c. 18, n . 3 (P . L. 4 1 , 64).
(50) H. E.,. 1. T, c. 2, n. 16 e n. 21-3 (Grapin, t, 1, p. 23 e 25*9). Si riconosce
qui il tema da cui «’ispirava Teodoreto.
(51) ■Epistola a Diogneto, c. 8-10*' «Avendoci dunque convinto -dapprima
delFimpotenza della nostra -natura di arrivare alla vita, Dio viene a mostrarci
ch e il Salvatore poteva «alvarc anche l’impotenza » (F unic , p. 4C6).
Spiegazione analoga; meno la nota •soggettiva, in G reg. N is s ., Adv. Apolli•
narem, c. 53 (P. G..45, 1252) e Discorso catechetico, é.-29 (M., p. 134-9); in cui
.Gregorio formula' così l’obiezione a cui rispónderà: «Perchè Dio ha differito
il suo beneficio? Perchè, -quando il vizio era ancora ai suoi inizi, non ha ta­
gliato corio ai »noi progressi ulteriori? » Consultationes Zacchaei et Apollonii,
1. 1,* c. 21 (M o rin , p. 26-8). P a o lin o di N o la , Epist, 12, n , 3 (P . L. 61, 201), G re­
gorio, Moralia in Job, 1. 18, c, 46, n . 73 ( 76, 81). C o s ta n t in o -D iacono, Elogio,
(P. G. 88, 480-1); eco. Vedere Äom., V. 20.
T esto 41.
(52) Senno 154, n. 1: «Q uid duhitamus ad hoc datam ease Légem, ut inve­
niret se homo? Quando enim Deus non prohibebat a malo, latebat se hom.o:
.vires suas languidas non invenit, nisi quando legem prohjbi.ionia accepit. Inve­
nit ergo se, in malis invenit se. Quo fu-git se? Quocumque enim fugerit-se, se-
q u itu rsei F t -.quid.:prodest ei de s e 'inventò scientia; quarrt sauciat conscientia? »
(P. L. 38, 833); Sermo 155, n. 4. (38, 842*3); C. adversarium legis et prophetarum,
1. 2, c, 7, n. 24 (42, 652). Ugo dì S. V ittore, De sacramentis, 1. H, p. 8, c. 3-e 12
(P, L, 176, 307 e 313-4), B onaventura , Breviloquium, p. 4, c. 4 (Quaracchi,
p, 244). Somma d’Alessandro,, 4%- q. 10, n. 2, a. 1. -Cf. Rom., IV, 15.
. (S3) ut. R u p e r to , In Jo, L 6: Prima di mandare il Figlio suo, Dio prepara
■gli uomini facendo far loro l’esperienza dèlia'vanità dei loro sacrifici; suscita
in.essi «humilitatis voces », eccita la loro fame spirituale; poi, « in plenitudine
temporis», invia loro «iPa-nem vivum e t . verum, Panem angelorum» (P. L,.
169, 467),
(54) In Galat., 1. 2 (P. L. 8, 1176). T e r t u l l i a n o , Adversus Gnosticos, c. 5:
« Dominus, sustentato fervore .delicti, donec tempore medicina temperaretur,
paulatim remedia composuit» (2, 133). D. B ar S a lir i, Comment, in evangelio:
«.Quemadmodum infanti non àb initio. damus cibum carnalem, priusquam per­
venerit- ad maturitatem, ita, tempore quo pervenit genus nostrum ad perfectio­
nem, venit ad ipsum medicus. Postquam enim superemmuit tota mensura pec­
catorum et non erat amplius ullum genus malitiae hominum quod patratum non
fuerat, tunc venit medicus ad redemptionem eius» (Tr., S ed la c e k , f. l,..p. 11-12).
(55) T ertulliano * De virginibus velandis, c.-l (P. L. 2, .890); A dv; Judaeos,
$/;2: .-.« C’e da meravigliarsi se u h saggio precettore, allarga a poco a poco le
sue lezioni e, dopo deboli inizi, conduce infine. le «Ose alla • perfezione? »
.(-2,- 660). ....................... '
• (56) T e r t u l l i a n o , Adv. Marcionem, 1, 3, c. 2 (Kr., n*. 378). M a r io V itto r in o ,
In Ephes., 1. 1 (P. L. 8, .1238). G reg. o ’E lv ir a , Tract, 3 (Bat.-W., p. 23) ;. cf.
tract. 9 (p, 96). Ir en eo , Adv, Haer'., 4, 37, 7: «Et tandem aliquando mntiirus -fiat
homo» (P; G. 7, 1104). :.S, T om m aso ancora, benché con minor rilievo : « Hoc
autem n o n 'subito; neque a crtsu, sed ex diving dispositione factum esse, mani­
festum estf e x h o c q u o d hoc s e -facturam. Deus miillis .ante prophetarum -prae.*
dixit'oraculis»,; C .,Gentes, 1. .1, c. 6. Le parole di S. Tommaso sono' ancora
quelie dl Mar e di Tertulliano. . ,
(57) Èpist. 138, n. 5 (P. L. 33, 527). De inoribus Ecclesiae cath,, 1. 1, n. 12

240 PREDESTINAZIONE DELLA CHIESA
r
32, 1315-6). De C, Dei, 1. I l, e. 18 : • « ordinem saeculorum tanquam pul­
cherrimum carmen ex quibusdam quasi antithetis honestaret» (41, 332). De
Trìnit,, 1, 3, c, 11, n. 22 (42, 882). Lettera a Gerolamo, (Hilberg, t. 3, p. 213-4).
De sermone Domini in monte, 1. 1, c. 1, n, 2: « Unus Samen Deus per
sanctos prophetas et famulos suos, secundum ordinatissimam distributionem
temporum, dedit minora praecepta populo -quem adhuc timore alligari opor­
tebat, et per Filium suum, maiora populo quem caritale iam liberari convenerat.
Cum autem minora minoribus, maiora maioribus dentur, ab eo dantur qui solus
novit congruentem suis temporibus generi humano exhibere medicinam» (34,.
1231). C lem ente , Pedag,, 1. 1, c. 8 (St., t. 1, p, 133). Disdogo. d'Adamanzia. (V a n
D e S ande , p. 85, 89, 91, 93, 99). Gerolamo, Epist. 123, n. 12 (H., t, 3, p. 86).
P seudo G erolamo, Epist, 24, c. 7 (P. L. 30, 27 C). I sidoro di S iviglia , Sen t,
1. 1, c. 20, n. 2: «Admirabilis (Deus), quia manens incommutabilis, quid- cuique
tempori commodum fuit, magna cum distributione concessit.» (83, 586). B ona-
ventura , Breviloq., prolog., n. 2: « ad modum cuiusdam pulcherrìmi carminis
ordinati...» (Q., T. 5, p, 204); In I Sent., d, 44, a. 1, q. 3. ' ne comunità. Questa gioia viene dallo spirito, dalla tensione delle anime,
(58) Q u in tt lia n o , Institutio oratoria, 1. 1, c, 10. I la r io , paragona la Scrit­
tura al Salterio, strumento di musica perfetto. A g o s tin o , C. Faustum, 1. 22, c, 94
(P . L, 42, 463). Isid o ro di S iv ic lia , Quaest, in Gen., pra,ef. (83, 208),
(59) Cf. B oyàncé, Etudes m r le songe ih Stipimi, p. 111-112.
(60) I reneo , Adv. Haer., 2, 25, 1-2 (P . G. 7, 798). Cf. Sine sio , De somniis,
c. 3 (nella raccolta di trad, dì Marsilio Fi ein o, 1516, fól. 44). B aterio di "Ve - .
dona: «O quam hic abyssus' veteris testamenti abyssum invocat nevi! O quam
antiquiora ré centro ribus concinunt » (tP. L. 136, 746). - , (74) Clem ente , Proteinico, c. 114.
(61) G recork) N az „ Disc., 31, c. 25 (P. G. 36, 160).
(62) GrimalbOj Liber Sacramentorum (P. L. 121, 898).
(63) A mbrogio, In psalmi 39, n, 5*9 (P., p. 216-8).
(64) O rigene , In Num., -hom. 23, n. 3 : «in vesperam mundi Salvatoris ad­
ventum» (B., p. 214); ecc. G reg. N azianzeno , Disc. 45, c. 16 (P. G. 36, 644).
G reg. M agno, In evang., hom.- 38"“(P.*~BI 76"," 1282). I sacco di N inive , Seri», siti
sabato e la domenica: « Durante- cinque mila anni Irbcìò soffrire l’uomo, poi,
nella suà bontà, venne a 'lu i alla fine dei giorni» (C habot , De S .I s . Nin, vita, .
1892, p . 37). P . R adberto, De corp. et. sa n g u in e Dom., c. 20 (P , L. 120, 1330).
P ier D a m ia n i , (145, 900). B runo di S egni (165, 1079). I nnocenzo I H , De sacro
altaris mysterio, 4. I, c. I : « SexT.o die perfecit Deus caelum et terram et omnem
ornatum eorum, et cum in plenitudine temporis sexta venisset aetate, sexta
quoque die, sub hora sexta, gemis redemit humanum » (217, 775), D urando di
M ende , Rationale, 1. 5, c. 9 e L 6, c. 13; ecc.
(65) Isid o ro d i S iv., Quaest. in Gen., c. 18, n. 4 (P. t . 83, 250). C ip rian o, Ad
Demetr., c. 3: «mundus senescens». A g o s tin o , Sermo 81,. n . -8 (P. L. 38, 504-5)
e S. 163, n. 4: «Impletum est desiderium senis (iSimeon), mundi ipsius senectute
vergente; Ipse ad senem hominem venit,'qui mundum veterem invenit» (38,
891). B a b a n o M a u ro , Hom. 53 (110, 247). .
(66) ln Pascha sermo I : « La Pasqua doveva essere immolata non la aera,
ma aU’avvicinarsi della sera; ciò' significava che Cristo 'soffrirebbe non alla
fine ste-sa del mondo, ma verso la fine» (P .G , 59, 724). P seudo E pifanio , Hont.r
3 (43, 469). G audenzio , Tract. 8 e 9 (GÌueck, p. 61 e 76). F irm ico M aterno
( H e u t e n , p. 109). P seudo G erolamo, In Marc., 14: «Vespera diei, vesperam
indicat m undi» (P. L. 30, 631). P, R adberto, !« Mat., L ' 7, c. 16: «Primus
adven'us eins bene vesperi comparatur, quia in fine saeculi fuit» (120, 552).
(67) Anafora della Tradizione apostòlica. Greg, Niss.- (P. G. 44, 1320).
De occur«» Domini (46, 1152). Severo d’Antiochia, Hom. 58 (>P. O. ‘8, .216)'.
C irillo A less. !» Jo., 1. 2 (73, 228);
1
NOTE 241
(68) P seudo A gostino, Sermo 167, n. I : • « In consummatione saeculorum
passus est» (P. L. 39, 2069). G iuliano di T oledo, De comprobatione aetatis
sextae, 1, 3, n. 14: «Ut -qui sexto die fecerat ■hominem, sexta etiam aetate
saeculi veniret .ad humani generis reparationem» (96, 575). G ilberto, In Can­
tico, s. 4, n, 4; « Quo die est homo conditus, eo reparatus » (184, 28 C ),.
O norio d -Au t u n , Hexaemeron, c. 6 (172, 266), G arnieri di R ochefort , sermone
18 (205, 693), ecc.
(69) -Ruperto, De div. officiis, 1. 4, c. 6, commento del salmo 91: «Exalta­
bitur sicut unicornis cornu meum, et senectus mea in «misericordia uberi » (P.
L. 170, 91 o 92). In Reg., 1. I, c. I (167, 1059).
(70) P. Radberto, !» Mat., 1, 10, c. 22: «Tenditur autem tempus nuptia­
rum ab 'exordio incarnationis Christi, quousque ipse redeat Christus ut omnia
nuptiarum compleantur «aeramenta » (iP. L. 120, 741).
T esto da 38 a 42.
(71) «... Una gioia d’essenza spirituale solleva,., la giova­
dalla' coiilezza d’appartenere ad un mondo nuovo, ecc.». L. Gerfaux , La pre­
mière communaluté chrétienne à Jerusalem, in « Ephemerides theologicae lo-
vanienses », 1939, p. 30. Cf. Clem ente , Pedagogo, 1. 5, c. 5, n. 20-21.
(72) Oppure, se si vuole un’altra metafora: Cristo è venuto a cominciace­
la mietitura con la falce del 'Vangelo, — ed è venuto a seminare il seme per
la messe futura: A gostino, s , 101, n. 2 e 3 (P. L. 38, 607).
(73) Messale mozarabico, sabato santo, oratio ad pacem (P. L. 85, 474).
(75) «Ablato vetustatis errore» (orazione.'della messa del giovedì santo
e dell’ufficio del venerdì santo). A gostino, Epist. 140, n. 19: « in sordibus ve­
tustatis — .munditiam novitatis» (P, L. 33, 546).' A nfiloquo , sermone per il
sabato santo: & xopvftv Hai jtocp«&ó{;tov npuyp&xwvl (P. L. 39, 89 D). Gri-
maldo (P. L. 121, 897), © numerosi testi liturgici;
(76; I reneo, Adv. Haer., 4, 34, I (iP. G. 7, 1038). (Ireneo aggiunge: «Hoc
ipsum praedicabatur, quoniam novitas veniet, innovatura et vivificatura homi­
nem»), A mbrogio, In psalm. 38, n. 2 5: «Iam discessit umbra mortis et cali­
ginis iludaeofuin, dies -appropinquavit Ecclesiae» (P., p. 203), é In psalm. 39,
n. 21 (p. .226).. P ier Crisologo, s . 86: «ludaicae doctrinae instabat vesper, quia
Evangeli! imminebat aurora » (P. L, 52, 443). Meglio dì ogni altro, A gostino
spiritualizza questo tema della vecchiaia del mondo e del suo rinnovamento
per memo <di Cristo; sermone 81, n, 8: «Seni A brahaenatus est filius, quia
erat utique Christus in ipsius mundi senectute venturos. Venit ciim omnia
veterascerent, et novam te fecit. Res facta, res condita, res peritura iam ver­
gebat in occasum. Ne cesse erat ut abundaret laboribus: venit ille, et consolari
te inter labores, et promittere tibi in sempiternum requiem. Noli adhaerere
velle seni mundo, et nolle juvenescere in Christo, qui -tibi dicit: Perit mundus,
senescit mundus, deficit mundus, laborat anhelitu .senectutis. dNToli timere:,
renovabitur iuventus tua sicut aquilae» (P. L. 38, 504-5).
(77) P seud © M assim o » i T orino OSpacnolo-T urner , p . 167). Origenf., In
Ex od,, hom, 7, n , 8 (B., 214-15); In Levificum, h o m . 16, n . , 7 (p , 506). A go­
stino , De Civ. Dei, 1 . . 1 8 , c , 31, n. .2 (P. L. 41, 588). Grécorio, In I Reg. 1. 2
(79, 81 B-C). Seconda ‘Messa di Natale, post communio : «H uius mos, Domi­
ne sacramenti semper novikas natalis instauret, cuius nativitas sin gu laris
humanato repulit Vetustatem».
(7 8 ) -Clemente, Protreptico, c. 10, in 'fin e (St., t. I, p, 78). Cf. Bergson,
16
242 PREDESTINAZIONE DELLA CHIESA
Le& deux Sources, p , 231: «Lo saut brusque, qui fut définiti}, n’«ut rien d’oc.
cidentel ».
(79) I Cor., XV, 45.
(80) Hebr. IX, 26.
(81) V. ancora G reg. d’E lvira, Tractatus (Origenis) 3 « 9 (Bat.-Wilm.,
P. 23 e 96) A mbro si aste , Q. i« V. -et N. T q. 83 (P. L. 35, 2278). P rudenzio ,
C. Symtnacum, 1. 2, v. 309-334» (60, 205-6). I sidoro d i S iv ., Sen*., 1, I, c. 20 (83,
586); ecc. Il medio evo non ha interamente lasciato cadere questa tradizione;
testimonio G uglielmo d ’A lvernia , De saor. Etichar., c. 2 (Opera, 1674, t. I,
p. 437). Cf. G uerric , abb., De nativitate Dom., s. 4 n. 34: « -Cum enim mundus
consenuisset, atque prope interi-um esset temporis aetate* subito, ad adven'um
Conditoris sui nova et insperata est virtutis iuventute, fidei que quo doni juve­
nili calore » (P. L. 185, 4d).
(82) E u se b io , Praep e v a n g 1. 14, c. 3. (P. G. 21, 1185-88); H. E., 1. I, c. 2,
n . I (G ra p in , t. I, p . 13). T ertulliano , Apolog., c. 1 ? ( W altzing , p . 4 2 ); Adv.
ludaeos, c. 2 (P. L. 2, 599-602). Liber quaestionum, c. 3 n. 4: «Itaque, sem ­
p er ch ristia n ism u s » (S outer , p . 23-24). C esario d’A rles , S érm o de compara*
' tione Ecclesiae v e l Synagogae (M orin, p . . 412-16).
•083) Cl. 'L. V aganay, Porphyre, D.T:C,, t. 12, coi, 2578.
(84) TeutuijjAno, Adv, Maredonem, 1. 4, c. 21 (Kr,, n. 489).
(85) G reg. N issisn o , In Cant., hom. 13 (P. <G. 44, 1048). P. R a b erto , In Mat.,
1. 2, c. 24: «Si iam nobis certi a»imum esset ad omnes gentes evangelium per­
venisse, nec tamen possemus dicere quantum temporis remaneret.. » (P: L.
120, 805). II. testo di Matteo, XXIV, 14, presenta la consumazione come sus­
seguente alla predicazione universale, senza prospettiva, come nelle profezie.
Cf.. Marco, XIII, 10.
(86) R asano M aura , In Macóhdb,, 1. 1, c. 4: «»Quod autem septem annis-a edi­
fica tum est Templum, significat quia per totum huius saeculi tempus,, quod sep-
tem diebus evolvitur, sanclae structura Ecclesiae numquam crescere desinit».
(P. L. 109, 1162). R aoul di S. G ermer , In Levit., 1. ‘17, praef.: «Toto, hoc tem­
pore a Christi adventu usque ad reditum, per septiformem Spiritus gratiam con­
struitur Ecclesia, donec in fine temporum consummetur » (M. Bibi. vet. Patrum,
t. 17, p. 208). A n se l m o d’H avelbekg, Dialoghi, 1. 1, c, 7-10 (P. L. 188, 1150.6). Si
noterà, sotto l’analogia delle formule, la. diversità dei punti di vista di questi
due testi.
(87) Isaia, XIX, 23-5.
(88) G erolamo, Epist. 46, n. 7 (H. t. I, p . 336).
(89) U go di S. V ittore, Adnot. in Threnos. (P. L. .175, 257). Cf. i lamenti
di Guglielm o di Saint-Thierhy, Expositio altera iti Cantica, c. 3: «V idi in k
quitatem in civitate. Quae est haec civitas? Saeculum. Quae est haec civi’.as?
Ut cum dolore dicam, saeculum saeculare, Eccle ia in. saeculo. Plus .dicam,
et dolens dicam: omnis ordo, omnis habitus religionis, ecc. » (P. L. 180, 542)..
Aqbon, serm o* 5: «Christianitas, quiam nostra quotidie prava destruit vita»
(132, 771 A). G erhoh di Reichersberc, De investigatione Anlichristi, 1. I, e.
18 (Libelli de Ute, t, 3, p. 32'5),
(90) T ertulliano , Apolog., c. 1, n. 2 (Waltz., p. 1). E c. 7, n. 3 : « Cum odio
sui eaep-it Veritas ;. simul apparuit, inimica est » (p. 17) ; cf. De carnis resur-
rectione, c. 3 (Kr., p. 29). La parola di Tei^ulliano è ripresa da A gostino, che,
sc ne serve per esprimere in certo modo i l -leit-motiv della sua Città di Dio.;'
1. 15, c. 15, n. 1: « Civitatis in hoc mundo perogrinantis, et supernam patriam-,
requirentis » ; 1. 18, c. 51, n. 1; n. 2: «usque in huius saeculi’ finem, inter
persecutiones mundi et consolationes Dei peregrinando procurrit Ecclesia»;
NOTE 243
c. 152, n. 2: ‘« illa (civitas) quae caelestis peregrinatur in terra» (P. L. 41,
456, 614, 620). Cf. l’etimologia di- «parrocchia»: rcapowetv = soggiornare
in paesi stranieri (P. D e Labriolle, in «Archivum latinitatis medii aevi»,
1927).
(91) O ricene , C. Celsum, 1. 8, c. 72 (K., t. 2, p. 289). Ambrogio, In Luc., 1, 7,
n. 193: « Duos populos... ex Israel ©t ex gentibus in unum, resurrectionis tem­
pore-congregandos » (P, L. 15, 1751).
(92) Lettres de M. VAbbé de Lionjve (1700), p. 36. N avarette, Tratados
historicos, t. 2; cf. P fister , Notices biographiqiies... (1875, p. 88-89). Cf. Am­
brogio, In psalm, 1, n- ÖO: « Gentes omnes in unum Corpus -Ecclesiae congre­
gare» (tP., -p. 42).
(93) Rom., V ili, 25.
(94) Cf. Rom., V ili, 22, R aoul di S, G ermer, In Levit., 1. 17, c. 3: «Quod
vero nunc addidit, « a quintadecima die mensis, quando congregaveritis omnes
fructus terrae vestrae», illud respicit quod superius dictum est, in quintade­
cima die mensis septimi, Ecclesiae plenitudinem allegoriae intelligendam, post­
quam per orbem diffusa, ad dexteram et ad laevam gentes occupavit, congregans
de terra fructus quibus caelestem replent apothecam, et suae messis ubertate
praebens caelo terrisque laetitiam » (p. 212). . . . .
(95) f W , V ili, 18-39. Cf. 1 Tini., 111, 15*6, e il commento d’Agostino, Epist.
199, e. 12, n. 50 (P. L. 33, 924).
(96) Tutta la dottrina della giustificazione d’altronde è considerata da
S, Paolo in ima prospettiva sociale. Cf. C erfaux , op. cit,, p. 183-4.
(97) E ’ S. A gostino, come si sa, che ha fatto deviare l ’esegesi di Rom., XI,
33, servendosi di questo testo per rispondere alia domanda: perchè Dio non
nccorda la perseveranza al tale o al tal altro? De correptione et gratia, c. 8,
n. 17 (P. L, 44, 926). Cf. F ulgenzio, De ventate praedestinationis, 1. 1, c. 13,
n. 30. (65,. 618).. Si sa quanto i Giansenisti dovevano usare e abusare dell’escla­
mazione di Paolo cosi compresa: A jrnauld, (Em res, t. 16, p. 229 e 311-2; t. 18,
p, 375 ss.' t. 28, p. .471-2; t. 39, p. 489 ss, Al contrario, per-esempio, E sichio
di Ger usa le m m e (Pseudo Atanasio) De titulis psalmorum, in ps. 146, v. TI *
« e t sapientiae eius non est numerus», commenta questo versetto citando San
Paolp:. .«o altiludo » e aggiunge: «avendolo, infatti deciso col Padre è lo
Spirito Santo, essendosi consegnato alla morte, ha vivificato coloro che erano
morti » (P, G. 27, 1325 B), -Cf. Scuola di Abelardo', in Rom.: «Investigabiles
viae»,. Vias autem appellat ipse effecta, quae viae sunt eundi ad Deum, ut
Deus cognoscatur » (L andgraff, p. 173), .
(98) In psalm. 41, n. 11: « Vide apostolum, licet in pace tractaret, intendens
tamen mysterium.Dei, perturbatile exclamat : 0 altitudo 1 » (P. L. 9, 907). (Nella
sua edizione critica .dei Tractatus, super psalmos dTlario, A. C ingerle rigetta
questo trattato tra gli apocrifi: p, XII). Cf. In psalm. 13, n. 1, «<ul timore reli­
gioso col quale bisogna trattare la paròla dì Dio (Z., p. 78-9); e Ugo di S. Vit-
tore. Explanatio t» canfic. B. Mariae: «Tremor autem beatorum spirituum con­
cussio non est tranquillitatis, sed incessabilis et vivifica intentio perpetuae con­
templationis ... » . (P, L. 175, 417).
(99) O rigene, In Rom., 1. 8, u. 13: « Il santo Apostolo, considerando che
tanto grandi sono le ricchezze della -bontà d i-Dio, e che tanto .grande è l’opera
dèlia divina sapienza compiuta verso gli esseri ragionevoli, e che Dio è .così
ricco; di misericordia, così libérale verso coloro che l’invocano, e che tanto gran,
de. è l’ampiezza della sua bontà, della sua pazienza .e della sua longanimità;
vedendo tutto ciò -con uno sguardo istantaneo degli occhi del suo cuore, e per-
244 PREDESTINAZIONE DELLA CHIESA
capendo con un atto solo questa immensità, colpito insieme da «stupore e da
im’emo ai on e violenta, esclama, ecc. » (P. G, 14, 1200). Passo spesso riprodotto,
Lo si- trova ancora in A im o ne d’H albEkstadt, In Rom. (P. L. 117, 467), e in 1
H ervü du B ourc-D ie u , ln Rom . (181, 760); Cf. M elanctone , In Rom. Xd
(Corpus Reformatorum voi. XV, col. 701-2).
C irillo ammira anche il « mistero dì sapienza » nascosto « in Cristo » ì il
primo progetto di bontà non è s’ato reso vano dalVincredulìtà degli Ebrei, poi­
ché per l ’effetto della misericordia divina la loro -caduta provoca la salvezza
del mondo intero: In Rom., 15, 7 (P. G, 74, 856). Anche T eodoreto, In Rojn.i
Gsaoàpsvoc ifjc Belag tptXavfrpWTclag fißuooov:; 182, 181). E A mrrogio, In
psalm. 1, n. 50: «XJt scìas, quia supra meritum nostrum Dèi bonitas rèdundavit,
apostolus ait... » (P., p. 42) ; in psalm. 61, n. 29 (p. 395). B arano Mauro, In Rom.,
(P. L. 111, 1539).
(100) . Confrontare XI, 33 e X, 12; Ephes., 11, 4. Si noterà anche che le espres­
sioni energiche del cap. 9 sull’indurimento e sulla .pietra di scandalo, come quelle
sui «vasa irae apla in interitum », sono a proposito 'd’Israele, che tuttavia in fin
dei conti sarà salvo. T eofelatto, In Rom .: «Ciò che egli chiama ricchezze, è la
bontà, di cui può soltanto ammirare la profondità, non misurandone la quan­
tità..,» (P. G . 124, 496). S.. F rancesco di S ai.e s , Trottato dell’am or di Dio,
1, 4, c, 7 e 8.
(101) H uby -R ousselot , Christus, la religion chrétiennè (1932), p. 57-8.
■ (102) E’ ciò che chiamerà nell’Epist. agli Efesi, 141, 10, « la sapienza mul­
tiforme di Dio». 'Cf. S. L eone , Sermo 62, c. 1 ; « Succumbat ergo hiunana in­
firmitas gloriae Dei, et. in explicandis operibus misericordiae, eius, imparem
'ae semper inveniat!» (P, L. 54, 349*50).
(103) S. Acostino, 7» psal, 58, S. % n. 7-; « Quomodo enim pariter inventi
sunt in iniquitate, ita pariter pervenient ad salui em » (P. L. 36, 711).. Cf;
S. Caterina da S iena , Dialogo: «La misericordia è il mio distintivo... Io vo-,
glio. fare misericordia al mondo iniero, (farò misericordia al mondo e al coipo,
mistico della santa Chiesa) ».
(104) 1 Cor., XV, 28; cf. Ephes., 1 e Gal.; I l i , 22, Vedi L agrance, L’Epitre
. aux Romains, p, 217 e 289-90; P. C. B ovlan, Ss. Paul’s epistle to the Romaìis,
p. 188-9; J. H ùby , UÉiHtre mix Romains, p. 305. .S. Agostino esprime la stessa
speranza fondamentale, quando dice ohe m ai il diavolo potrà «seducere Ec­
clesiam»: De C. Dei, L. 20, .c, 8, n. 1.
(105) Philip., 11, 12. Ucp di S. V ittore, In opist. od Rom., q .2 2 9 :« Nullus
alius (a Chri:to) poterat separare Apostolum; ipse tam en.poierat seipsnm se- ;
parare...» (Pi L. 175, 488).
(106) Rom., XI, 17-24. .
. (107) Strontàt. 6, c. 14 (St., t, 2, p. 487). Cf. Is., XL, 15. A gostino) In Jo.,
tract. 26, n. 13 : . « Putre membrum, quod resecari mereatur » (P. L. 35, 1613),
S, C aterina da S iena , Dialogo.
(Ì03) Oppure, com-e. dice G iuda , v . 12: « sradicati », esclusi spiritualmentft
dalla comunità. Paolo diceva ai cristiani che-essi erano « radicati » (
pevot ) in Cristo (Col., XI,. 7). Ma J, C h a in é , eh© fa quest’accostamento, ag­
giunge saggiamente contro Wohlenberg : « Niente indica che Giuda abbia pen­
sato qui al Cristo mistico ». Los ÉpUres catholiques, p. 317-8,
(109)Rom., XI, 25-6. Paolo considera i Gentili e Israele come popoli, non
pretende fare la somma degli individui (L agrange, op. cit,i p. 283-5). V, anche
Dorn., XI, 12, dovè Paolo parla ugualmente del itXvJptcpa degli Ebrei, in' oppo­
sizione al loro iJxxYjjia. Cf. G erolamo, In Michàmm: . «T unc te totum con-
gregabo, Jacob! » (P.. L.-25, 1174'D)»--
NOTE 245
(HO) Adv. H a e r 3, 24, 1 (P. G.. 7, 967).
(111) 1, 16, 3: «Tutti quelli che si allontanano dalla Chiesa operano da se
stessi la loro propria dannazione» (7, 633). E 3, 24, 1: « Cuius (Spiritus) non
snnt participes omnes qui non currunt ad Ecclesiam, sed semetipsos fraudant
a vita, per sententiam malam et operationem pessimam. Effugientes fidem Ec­
clesiae, rejicientes Spiritum » (7, 966-7). Geiiolamo, In Ezech. 1. 4, c. 16 (P. L.
25, 124). S te fa n o di B a u ce, Tract, de sacramento altaris,, c. 13 : « Omnia membra
huius corporis, quam diu sibi cohaerent glutino caritatis, sunt quasi -una per­
sona: qui dividuntur ab hac unitate... alieni sunt a Christi regno et Ecclesiae».
(172, 1289). Cf. Jo., XV, 6.
(112) A gostino, In 1 jfo., tr. 3, n. 4 e 5 (P. L.. 35» 1999); In Jo., tr. 45,
n, 11 e 12; «aliquando se ipsae neBciunt, sed pastor novit eas... Quam multae
oves foris, quam m u li lupi intus! » (35, 1724, 25); In psalm. 106, n. 14
(37, 1428): «Quam multi non nostri adhuc quasi intus, et quam m ulti'nostri
adhuc quit si foris ! » ecc.; sermo 354, c. 2, n. 2: «Mullo enim peiores sunt qui
intus videntur, ct foris sunt» (39, 1564). De baptismo c. dontaistas, 1. 4, n. 24
è L 5, n. 27 (43, 155-6. e 193). In Apoc. -exp. visio 7 (17, 947). P. R adrekto, In
Mat., 1. 8, c. 18 (120, 635-7), P ier D amiani, S. 72: « U t ergo, dilectirsimi, sancti
operis nostri structura permaneat, Spiritus. Dei vos in fraternae caritatis com­
page connectat, Non- enim omnes, qui cliristianum videntur habere vocabulum,
pervenire merentur ad Christum; neque omnes -qui habent Ecclesiae societatem,
ad ecclesiastici corporis pertinent veraciter unitatem » (144, 910). A rnaldo di
B onneval , M'editationes : « Quanti sunt hodie qui dicunt, nos siimus de domo
Christi, nos sttmus de'domo 'Ecclesiae! Et sunt de domo Caipliae.... Quod Pe­
trus negando,-hoc ipsi faciunt affirmando. Sed nisi confitendo foras exeant, et
amare fleant, non intrant in Ecclesiam Christi » (189, 1738). O ricene , In Mat.,
t. 16, n. 22: Alla fine dei tempi, Cristo scaccerà .il gruppo xöv voiit^oiiivwv slvai
èv x$ lep$ xoö 0eo6 (KI., p. 554),
(113) 4, 31, 3 (P.'G. 7, 1070). 4» 33, 9: «Ecclesia... sàepe debilitata', et statini
augens membra, et integra fiens, quemadmodum et typus eius, quae ìuit illius
• Lot, salis figmentum» (7, 1078). Cf. Sodoma, c. 3 (inter opera Tert„ P. L. 2,
1104).
(114) A im o n e s u Rom.» XI, 25: «Plenitudo haec, non ad numerum cunc­
torum pertinet» (P. L. 117, 464).
(115) E’ ciò che O rigene chiamerà « i l mistero della risurrezione di tutto
il Còrpo del -Cristo» (In Jo., t. 10, n. 20; Pr., -p. 209) e G regario N iss e n o , la
risurrezione «dell’uomo in ie ro » , vale a dire «dell’insieme» del genere um a­
no, comunicandosi il trionfo di Cristo agli altri, membri « in .virtù della con-
. tin u ità e d e ll’u n ità d ella n a tu r a » (Disc, catechètico, c. 32, n . 3*4; Méridier ,
. p. 144-6). La dottrina così espressa è indipendente, in se stessa, dalle teorie ori-
geniste sull’apocatastasi. Si avvicina a quella d’IftENEo (Adv. Haer., in fine); e
per l’essenziale è anche quella (^Agostino, quando paria del Chrisma totus, ben-
che le prospettive’cosmiche siano molto più sfumate nella tradizione latina che'
nei Greci; Infatti, con Agostino e secondo il Vangelo, bisogna distinguere il
, mondo, termine della creazione, che deve .essere salvato, dal mundùs perditio­
nis il quale, per quanto possa essere vasto, non nuoce, all’integrità organica 'del .
primo. «Corporis integritas universis membris constat» (In 1 Jo., tr. 3, n. 4;
P. L. 35, 1999); quelli che si separano da questo corpo, non essendo più vera­
mente membra, bisogna paragonarli-a umori viziosi, che il corpo deve rigettare
per la sua salute. Il mondo creato da Dio non è per Agostino soltanto il sim-
bolo della Chiesa (Conf., 1, 13,"c. 13, n. 14, e c. 34, n. 49; P. L. 32, 850 e 866-7):
ma la Chiesa stessa, nella sua realtà ultima, è il mondo intero, nel primo dei
due sepsi che la parola ha nella Scrittura e specialmente in S. Giovanni; essa
 246 PREDESTINAZIONE DELLA CHIESA

è il mondo riconciliato:' «totus mmidus Eccl&sìa est» {In Jo., Xr. 87, n. 2, o
U\ I l l , n. 1 e 5; P. L. 33, 1853, 1925, 1929. Cf. Collatio cunt donat. 3n dies, c. 9,
n. 15, e A d donat, post collationem, c. 6, n. 9; P. L. 43; 6.12 e 657*8).
V. ancora 'Pseudo Epifanio, Horn. 2 (P. G. 43, 440). T eofilatto, In Ephes.,
e. 1 (124, 1049), Ambrogio, In psalm. 36, n. 16: «Gloria autem Christi maxima,
ut se univorsorum hominum .pectoribus infundat, et omnes revocet ab impie*
tate perfidiae, et gentilitatis affectu,- ut sibi faciat esse sublectos. Cum autem
sibi su'biecerit -omnia, cum intraverit plenitudo gentium et salvus fuerit corpus IX
in C hristo:.tunc erit et ipse subjectus,'munus suum Deo P atri offerens, et quasi
Princeps omnium sacerdotum, et caelestibus corpus (var.: compos) altaribus,
ut sit sacrificium fides omnium » (P. L. 14, 973*4;. P etsch., p. 82); In psalm. 40’, C ATTO L I CI SM O
n. 33 (P., p. 252); Epist, 35, n. 7: «redemptio totius corporis Ecclesiae» (P.
L. 16, 1079 B ); De Elia et ieiunio, c. 21, n. 80: «Gaudebit -areatura mundi,
quae nunc congemiscit et parturit, quia vanitati etiam illa creatura subiecta
est, donec multiplicetur adoptio diliorum, et -totius corporis redemptio com­
pleatur.,.» (14, 726 C). IL FRUTTO DELLA TERRA

Se il secondo avvento della Chiesa è per noi oggetto di

fede e dì speranza pura, non è lo stesso per il primo, per il
suo progresso stilla superficie della terra. Autunno e prima­
vera temporali ancora per tutto un aspetto di se stessi, quanto
da venti secoli s’offre al nostro sguardo. Come matura que­
st’autunno“, e come sboccia questa primavera? L’essenziale
ne è imprevedibile, poiché è tutto donato, tutto gratuito, e
perchè non c’è storia dell’eterno. Ma poiché la legge che pre­
siede alle effusioni della carità è una legge di incarnazione,
non possiamo forse, raccogliendo una volta ancora le lezioni
dei Padri insieme con gli ©sèmpi degli Apostoli, cercare di
definire, almeno nei suoi tratti generali, l’atteggiamento della
Chiesa di fronte a quella umanità multiforme, che essa in­
veste pazientemente? Con ciò saremo condotti a rivedere, sotto
qualche aspetto più concreto, quello che essa stessa ci ha inse­
gnato sul suo bei nome di « cattolica ».
il |! 5 Dal giorno in cui, piena della forza e delle promesse dello
i; i ! Spirito, uscì dal Cenacolo per invadere la terra, la Chiesa
\ fi trova ovunque nel suo cammino paesi già occupati religiosa-
t r,
mente. Ora, le religioni con le quali si affronta, non sono,
per i loro popoli rispettivi, come un semplice mantello che
basti togliersi. Usi,, tradizioni, vita sociale, vita intellettuale,
vita morale, tùtto porta il loro segno. Esse talvolta hanno for­
mato tutto, almeno hanno tutto penetrato, tutto imbevuto.
248 CATTOLICISMO
Bisognerà dunque, per far posto al Vangelo rigettare tutto in
l>locco?.Non sono mai mancati degli spiriti che l ’hanno pre­
teso. Nelle false religioni, dicono, tutto è cattivo. Sono men­
zogna e perversione. Bisogna ucciderle. Abbiamo davanti a
noi la Città di Satana: bisogna abbatterla. Bisogna cambiare
e rifare tutto. Tutto demolire per ricostruire a nuovo. Così
press’a poco ragionava-una volta Taziano riguardo al vecchio
mondo greco-romano. Così ragionava Marcione, non eccet­
tuando dalla sua severità nemmeno Israele, Così, più vicinò
a noi, dei giansenisti estremisti rifiutano di credere che possa
uscire dalla gentilità qualche cosa che non sia corruzione.
Tale atteggiamento è ingiusto. Non è possibile che ciò che
ha avuto una durata e fatto vivere dei popoli non sia rispet­
tabile almeno per qualche aspetto. Esso è anche illusorio.
Nell’interno del nostro mondo non c’è cominciamento asso­
luto in nessuna parte, in nessun ordine, e se, per assurdo, si
potesse tutto distruggere, dopo si avrebbe un grande impe»-
dimento per tutto creare... Lasciamo dunque a Nicodemo la
sua maniera di intendere il rinnovamento cristiano, e doman­
diamo alla Chiesa stessa, alla sua storia, alla sua dottrina,
come essa si comporti.
La natura umana, ci dice essa da principio, è certamente
inalata, inferma, ma non è totalmente corrotta. La ragione
umana è debole, vacillante, ma non è interamente condan­
nata all’errore, e non. è possibile che la divinità le sia intera­
mente nascosta (I). « lì seme del Verbo è innato in lutto il
genere umano » (2). LTmmagine divina può anche trovarsi
in esso oscurata, velata, sfigurata: ma vi resta sempre. Etsi
avertis, Domine, faciem tuam a nohis, tamen signatum est m
nobis lumen vultus tui, Domine (3). Le false religioni sono
dunque religioni che si smarriscono o affondano nella terra,
più che religioni il cni slancio sarebbe ingannevole o i. cui
principi sarebbero falsi. Sono basate^ d’altronde, su conce­
zioni infantili molto piu spesso che su concezioni perverse (4):
questo ci rivela sempre meglio oggi lo studio della formazione
IL FRUTTO DELLA TERRA 249
dei miti e dei comportamenti « magici » del pensiero. Il Crea­
tore e il Redentore, aggiunge la Chiesa, sono un solo e mede­
simo Dio; non potrebbe dunque esservi opposizione tra le
loro opere, ed è un’aberrazione credere che si esalterà la se­
conda screditando la prima. Il Verbo che s’è incarnato per
riparare e consumare tutte le cose, è anche Colui che già illu­
mina ogni uomo che viene in questo mondo (5). Dominus na-
turalìa legis non dissolvit, sed extendit et implevit (6). Come
lui, i suoi messaggeri vengono dunque non a distruggere, ma
a compire; non a devastare, ina ad elevare, trasformare, con-
. sacrare. E gli stessi scadimenti contro i quali urtano, doman­
dano non un’espulsione, ma un raddrizzamento.. Sana quod
est saucium, rege quod est devium.
Molto prima che la teologia avesse codificato questi prin­
cipi, la Chiesa li viveva. Sono alla base della sua pratica co­
stante, è quando alcuni « riformatori », non contenti di pren­
dersela con abusi troppo reali, pensarono di denunciare ovun­
que ciò che essi chiamarono le infiltrazioni pagane della Chiesa
Romana, furono obbligati, per indicarne la sorgente, di risa­
lire à poco a poco fino alle primissime origini.-La stessa Scrit­
tura apparve contaminata... (7).
L’opera del Creatore, per quanto sia guastata dall’uomo,
resta tuttavia la preparazione naturale e necessaria dell’opera
del Redentore. A misura che la storia delle origini cristiane
è conosciuta meglio, ce ne rendiamo maggiormente conto.
« Quanto è bello, esclamava Pascal, vedere con gli òcchi della
fede Dario e Giro, Alessandro, i Romani, Pompeo, Erode agi­
re,.-senza saperlo; per il trionfo del Vangelo ». La nostra am­
mirazione può essere oggi più profonda. Quanto è bello ve­
dere gli « elementi del mondo » lentamente formarsi, matu­
rare, evolversi, senza che nessuno lo sappia, per fornire il
corpo al Cristianesimo nascente ! .
II cristianesimo ha trasfigurato l’antico mondo assorben­
dolo. Si può concepire il pensiero di S. Paolo tagliato dalle
mille radici che Io ricollegano al suolo di Tarso e di Geni-
250 CATTOLICISMO
salemme, alla civiltà greca, al misticismo orientale, allTm-
pero romano? Radicamento necessario, e tanto più, quanto
più alta è la trascendenza. <( Soprannaturale » non significa
affatto « superficiale », nonostante una pericolosa analogia
verbale. Così abbiamo visto i Padri essere d’accordo nell’u-
tilizzare l’idea paolina della pienezza dei tempi, come nel
mettere in rilievo le (( preparazioni evangeliche ». Sensibili
come noi alla novità deFMiracolo cristiano, non volevano me­
no risparmiargli l’aspettò di una (( improvvisazione subita­
nea », e non ammettevano che Cristo si fosse levato sul mon­
do « come un astro -straniero » (8). Se difatti il Cristianesimo
è divino, tutto divino, é anche, in un certo senso, umano,
lutto umano, ed è venuto a trasformare l’uomo e rinnovare
la faccia della terra, insinuandosi, senza lacerarlo, nel fitto
tessuto della storia umana (9).
. Gesù, nostro Salvatore, ha preso nella nostra razza gli
elementi del suo corpo. Nato dà donna, la sua natura umana
non è una natura idealmente simile alla nostra: è la nostra
propria natura. Aperiatur terra et germinet Salvatorem. L’e­
resia docetista, anche attenuata, rovinando la sua umanità,
rovina la nostra salvezza. « Poiché se non avesse ricevuto dal-
l’uomo la sostanza della sua carne, se non fosse homo ex. ho­
mine, non sarebbe veramente uomo » (10). Dono di Dio, Gesù
non è dunque meno, nello stèsso tempo, fiore di lesse. Ve­
nuto dal, cielo, è anche il frutto della terra. Dominus dabitt
benignitatem, et terra nostra dabit fructum suum (11). Ugual­
mente la Chiesa; è l’umanità che le fornisce il suo còrpo.
Ora, a mano a mano che la Chiesa cresce, questi apporti
umani devono.; aumentare. Prolungamento della stessa verità,
che la maggior parte, dei Padri non esitavano nemmeno loro
a riconoscere. Forti della divinità del Cristianesimo, che giu­
dicavano. dai suoi effetti, e che lo mette di colpo in un ordine
a parte, sottolineavano piuttosto con compiacenza — talvolta
anche con eccesso -—'la rassomiglianza fra i suoi dogmi è le
dottrine dei. filosofi (12), preparando così alcuni fàcili argo-
ÀDATTAMENTO 251
menti ai razionalisti moderni. Severi verso l’orgoglio delle
loro pretensioni e schernendo volentieri la loro impotenza
d’andare fino in fondo al vero (13), non esitavano tuttavia
a mettersi alla loro scuola, e a pensare il dogma attraverso i
loro concetti. Mai hanno inteso « la purezza del Cristianesi­
mo » nella maniera del tutto negativa di alcuni dei loro di­
fensori (14). E per quanto fossero convinti dell’origine dia­
bolica dei culti idolatrici, le osservazioni indignate o ironiche
di un Porfirio, di un Giuliano ù di un Fausto alla vista degli
usi « pagani » introdotti a poco a poco nella vita cristiana *
non riuscivano a turbarli (15). Erede del loro spirito, Newìnan
dice, in lina formula perfetta: «Ci si obietta : queste cose
sono nel paganesimo, dunque non sono cristiane; nói al con­
trario preferiamo dire: queste cose soùo nel Cristianesimo,
dunque non sono pagane ». « Non ci allarmiamo, aggiunge,
se veniamo a sapere che la dottrina degli angeli proviene da
Babilonia, poiché sappiamo die essi cantarono la notte di Na­
tale; nè che là visione di un Mediatore è in Filone,.seil vero
Mediatore è veramente morto per noi sul Calvario »;( 16). .
' _ • ADATTAMENTO
Finché la crescita è spoiitanea, moltiplioandosi a mano a
mano le comunità cristiane, nel modo con cui si spande una
macchia d’olio, questi apporti umani, divèrsi secondo i luo­
ghi, avveggono anch’èssisjwntàheamentè,sènza che vi si pen­
si, e sono ancora dèlie reazioni spontanee che eliminano il
veleno. Tutta l’alteiizione può concentrarsi^ sènza rischio gra­
ve d’ingiustizia, sull’erróre è sul ^male da combattersi. Ma
dal momento in cui l’apostolato asstime degli scopi lontani è
si rivolge a nazioni stranière, prende più nèttamente cosciènza
della sua'legge, è la riveste di mi metodo. Lo vediamo già,
per esempio, in Gregorio Magno; che detta le siiè istruzioni
ai monaci che manda a piantare la Chiesa in Inghilterra (17),
e in Giovanni da Montecorvino, nel XIII secolo, che traduce
252 CATTOLICISMO
senza indugio il Nuovo Testamento e il Salterio nella lingua
elei Mongoli (18). Ma questo appare in piena luce nei grandi
missionari dei tempi moderni: Matteo Ricci, che, senza far^
l’orientale, « divenne letterato con tanta astuzia insieme e
diletto, che ne ebbe Fanimo e ne mostrò Faspetto )) (19); Ro­
berto de’ Nobili, suo discepolo nelle Indie, si fece bramino
tra i bramini (20): la stessa diversità dei loro metodi attesta
Punita e la purezza dello spirito cattolico che li ispirava, come
ispira ancora oggi i loro successori. Il medesimo spirito si ma­
nifesta nel XVII secolo, in tutte le Istruzioni di Propaganda
ai Vescovi che mandava « alla Cina », e si ritrova negli inse­
gnamenti solenni degli ultimi Papi, Maximum illud di Bene­
detto XV (1919), Rerum Ecclesiae di Pio XI (1926).
Pur. essendo cosciente e metodica, questa doppia volontà
d’accogliere tutto ciò che è assimilabile e di non imporre nien­
te che non sia della fede, non è tuttavia, come qualche volta
è stata accusata, un calcolo d’uomini abili in cerca del pro­
cedimento che riesce. E5 comandata da intenzioni dottrinali;
Non è meno vero <— e l’esperienza ne fa fede — che solo essa
è pienamente efficace. Ma questo •avviene solo a costo d’uno
sforzo metodico e perseverante, che soltanto l’amore renderà
possibile. Poiché non domanda solamente all’apostolo un adat-
famento di sé continuamente rinnovato, sull’esempio di San
Paolo, che, facendosi tutto a tutti, non parla davanti all’Areo­
pago come parla ai suoi compatrioti. Gli domanda molto più
di un adattamento esteriore: uno « spaesamento » intimo, un
esodo fpori delle sue più segrete dimore: « Esci dal tuo pae­
se, dalla tua famiglia e dalla casa di tuo padre, per andare
nel luogo che ti mostrerò ». Esige anche una lunga pazienza,
perchè non può. essere coerente senza uno studio approfon­
dito dei popoli da evangelizzare, delle loro istituzioni, dei
loro costumi, delle loro credenze. Senza venire a patti con
l’errore, evita le polemiche sterili, e al contrario cerca gli
« addentellati » che la Provvidenza ha disposto Ovunque per
l’edificio della Verità. Sa che dei due modi d’essere severo:
ADATTAMENTO 253
uno, che è ingiusto e viene dall’incomprensione, l’altro, che
è un’esigenza procedente dalFamore, il primo aggrava il male,
mentre il secondo suscita il bene non ancor sorto. S’applica
a far vedere in ogni soggetto come la dottrina rivelata, nella
sua qualità di cattolica, assume e completa tutti i giusti pen­
sieri dell’uomo, i quali per se stessi hanno sempre qualche
cosa- di frammentario e di meschino.
Essa comporta evidentemente alcuni rischi, perchè deve
rimettere in questione tante cose rese quasi sacre da una lun­
ga abitudine, e molte delle (quali sembrano toccare da vicino
l’essenza stessa del dogma. Può generare anche delle illusioni.
Quando il P. Ricci faceva con Confucio ciò che Ambrogio
aveva fatto con Seneca e Cirillo con Platone, era sulla buona
strada ; nemmeno i suoi discepoli avevano interamente torto,
quando, nel loro ardore di scrutare come lui « il lungo Av­
vento del pensiero cinese » vedevano nel vecchio saggio « un
compendio di tutto ciò che i filosofi avevano riconosciuto di
più solido in materia di morale », e anche « come un abbozzo
o un’ombra del Cristianesimo » ( 21); a titolo ancor più giusto
essi avrebbero potuto esaltare la morale di Mo-tseu; ma molti
di loro dopo si smarriscono stranamente nella lettura degli an­
tichi libri canonici... Tuttavia questi rischi, queste illusioni o
questi eccessi possibili non potrebbero velare la necessità d’un
metodo, imposto dalla logica della fede, e senza di cui la Chiesa
sarebbe paralizzata. Se, per esempio, i tentativi di conversione
fatti presso i mussulmani sono restati così a lungo infruttuo­
si, tanto che l’Islam si è fatta una reputazione, ancora troppo
diffusa, d’essere refrattario alla conversione, lé difficoltà non
furono forse accresciute dal fatto che, per molto tempo, i cri­
stiani non hanno saputo fare a suo riguardo lo sforzo indi­
spensabile di comprensione? Spaventati dal pericolo in cui li
aveva gettati l’ardore conquistatore della posterità di Agar,
molti non pensavano che ad eseguire la parola d’ordine lan­
ciata dai loro Capi: Ejice ancillam hanc et filium eius, senza
ricordarsi abbastanza che dovevano procurare anche il com-
254 CATT0UC1SM0
pimento delFalta sentenza : Benedicentur in semine tuo omnès
gentes terrae (22). Le favole più assurde sulla legge dell’Islam,
sul suo fondatore, furono divulgate dai Crociati e raccolte
nelle opere polemiche (23). S. Tommaso d’Àquino,.. eco di
S. Raimondo di JPennafort, se ne lamentava al principio del­
la sua Somma contro i Gentili, e ne approfittava per ricor­
dare la conoscenza esatta che gli antichi Padri avevano gene­
ralmente delle dottrine che dovevano combattere, e per lo­
dare il metodo d i discussione in onore fra di essi : « Ut ex bis
qua e dicunt (errantes) possimus rationes assumere ad eorum
errores destruendos » (24). (cLa Verità, aveva detto prima Se­
vero di Antiochia, :deve investire ognuno cominciando dai pro­
pri: pensieri » (25).; Su un continente lontano, a secoli di di­
standa, iun missionario esprime la stessa legge essenziale:
(( L’induismo, scrive il P. Wallace, riportando un discorso che
gli era stato rivolto^ è un albero che non cadrà mai finché il
manico dell’ascia che lo attacca non sarà stato fatto dal suo
tronco » (26). Ed è esattamente quanto diceva nel XVIII se­
colo un altro missionario dell’Ìndia, il P. Calmette, nelle let­
tere con cui annunciava all’Europa, dotta la scoperta dei Veda,
che aveva allora fatto ;
Non è oro puro, è come quello che ai estrae dalle miniere, ma
lo' splendore che emanano certe nozioni e certi passi fa-giudicare
che .c’è veramente dell’oro... Ne ricaviamo già grandi frutti per. i l
progresso della Religione, poiché ne traiamo ormai per combat­
tere L dottori deiridolatria, e sono quelle che li Jerißcono più pro-
fondaméntè (27).
Metodo d’immanenza che è il più tradizionale di tutti, e
che non si applica soltanto nelle discussioni e nei libri. Quan­
do è autentico .— amorevole e giusto —- una parola, un sem­
plice gesto può rivelarlo. JJna discreta opera d’arte ne con­
denserà i pazienti tentativi. E’:questo, metodo ancora che s’in­
dovina all’opera in quella umile cappella di El Àbiodh, pro-;
ìungando in terra d’IsIam la silenziosa veglia di Charles de
Foucauld: in essa i’Angelus, dalla terrazza, chiama alla pre-
CIKCUMDATA VARIETATE 25 5
ghiera; una stazione supplementare della Via crucis, nicchia
orientata verso Gerusalemme come il mihrah delle moschee
s’orienta verso la Mecca, ricorda a tutti i figli d’Àbramo l’amo»,
re di Cristo agonizzante...
CIRCUMDATA VARIETATE
Quant’è urgente un tale sforzo d’intelligenza, quando si
tratta di aspetti di civiltà, il cui torto principale talvolta non
è altro che quello di disorientarci! La storia delle missioni ce
ne offre molti esempi felici, le cui lezioni non sono ancóra
esaurite. Ma quale differenza, a questo riguardo, tra il clas­
sico secolo d’oro e il secolo ultimo! Questo, che fu l’epoca
dell’espansione dell’Europa, fu anche troppo spesso da parte
sua un secolo d’accecamento barbaro, e mai più d’allora ebbè
corso tra noi quel « pregiudizio generale che il sole rischiara
l’Occidente con tutto il suo disco, e sul resto dell’Universo la­
scia cadere solo lo scarto dei suoi raggi )) (28). I fondatori
della nostra civiltà scientifica non avevano la stortura altez­
zosa di coloro che ne raccolsero Lfrutti. Possiamo ora batterci
il petto,, tanto ingiusti verso gli altri popoli ci ha reso l’orgo­
glio delle nostre macchine e delle nostre armi, tanto ci hanno
chiuso gli occhi alle bellezze create dall’uomo sotto altri cieli
le grettezze d’un’educazione che pretendeva darci l’unica cul­
tura umana (29). Ma la Chiesa, come non resta macchiata dai
nostri errori, così' non è ristretta dai nòstri limiti, nè indurita
dai nostri pregiudizi. La sua ambizione di riunire tutta la fa­
miglia umana non ha niente di comune con le nostre meschine
pretese. Ambasciatrice della Carità, essa non professa nessun
imperialismo culturale. Qualunque sia il rimescolamento che
si opera oggi sulla superficie dèlia terra, sa che le civiltà, ori­
ginali conic le persone, sono irriducibilmente diverse (3Ö).
Tutti i paesi possono, uno dopo l’altro, acconciarsi alPeuró-
pea. I procedimenti della grande industria e le forme politiche
dell’Occidente possono diffondersi ovunque. Questa apparente
unificazione non impedirà che sussistano alcuni grandi tipi

256 CATTOLICISMO
d’esperienza spirituale, nel senso più vasto della parola, logi­
camente inconciliabili: ora, la missione della Chiesa è purifi­
care e vivificare ognuno di essi, approfondirli e portarli a com­
pimento (31), per mezzo della rivelazione soprannaturale di
cui essa ha il deposito. Missione universale per eccellenza,
alla quale la Chiesa non potrebbe rinunciare per mettersi al
servizio esclusivo dell’una o dell’altra forma di civiltà (32).
Per essa non è soltanto, questione di giustizia. Infatti
— anche considerando che nessun successo umano ha ricevuto
le promesse dell’eternità — per la messa in valore del tesoro
divino di cui è depositaria, sa che tutte le razze, tutti i secoli,
tutti i focolari di cultura devono fornire la loro parte: ex loto
mundo totus mundus eligitur (33). Specie di casa del tesoro,
«dove si distribuiscono cose antiche e cose nuove, dove si
fonde, per raffinarlo, l’oro dei nuovi tributari» (34). Attenta
alle armonie provvidenziali che, per i suoi primi sviluppi, le
hanno preparato le risorse della Grecia e di Roma, avendo
coscienza che in questo incontro s’è fatto qualche cosa di de­
finitivo, essa tuttavia non partecipa all’illusione di qualcuno
dei suoi figli, per i quali il compito oggi è terminato ; ma, do­
vendosi seguitare il miracolo del passato, crede a nuove armo­
nie provvidenziali per nuovi sviluppi (35). Nelle ore di con­
flitto brutale, spera ancora, fosse pure solo per mezzo del più
umile dei suoi membri; e nel silenzio della preghiera e deflo
studio si prepara l’assimilazione. La storia di alcuni frati pre­
dicatori che assimilano e quasi seducono Aristotile (mentre
ad alcuni sembrava che essi fossero sedotti da lui), non è un
caso unico. Del resto, il suo passato fornisce alla Chiesa anche
un’altra espérienza, ed essa conserva una coscienza troppo do­
lorosa degli impoverimenti con i quali è stato pagato il conto
dei grandi scismi, per non desiderare apporti compensatori
E perchè dovrebbe essa cambiare l’articolata e forte unità del­
la sua struttura per una oscura uniformità? Perchè vorrebbe
« imporre al sole che s’alza, i colori del sole che tramon­
ta? » (36). Arca unica della Salvezza, deve accogliere nella
lt: i
ÌK
iif
CIRCUMDATA VARIETATE 257
sua vasta navata tutte le diversità umane (37). Unica Sala del
Banchetto, le vivande che distribuisce sono attinte da tutta la Ii:i;i'
creazione (38). Veste senza cucitura di Cristo, essa è anche I:I
—• ed è la stessa cosa — la veste di Giuseppe, dai molti co­ [Il
lori (39). «Legame di concordia indissolubile e di perfetta
coesione » (40), vuole legare un covone abbondante e fitto. Sa
che la molteplicità dei costumi che essa consacra « conferma
l’unanimità della sua fede» (41), che questa, cattolicità visi­
bile è l’espressione normale della sua ricchezza interiore, e
che la sua bellezza risplende nella varietà: circumdata va­
rietate (42). '
E’ la Chiesa cattolica: nè latina, nè greca, ma univer­
sale (43). Erede della catholica bonitas di Dio stesso, dice
sempre, come al tempo di S. Agostino: «Ego in omni­
bus linguis sum; mea est graeca, mea. est syra, mea est
hebraea, mea est omnium gentium, quia in unitate sum
omnium gentium » (44). Niente di veramente umano, da qua­
lunque luogo venga, le deve rimanere estraneo. « Il patrimo­
nio di tutti i popoli è la sua dote inalienabile ». Luogo d’in­
contro dei desideri dell’uomo e dei desideri di Dio, insegnan­
do ovunque all’uomo il suo dovere, vuole anche nel medesimo
tempo soddisfare contemporaneamente, e sorpassarle, le aspi­
razioni di tutte le anime e di tutti i tempi. Raccogliere tutto,
per salvarlo e santificarlo (45). «Chiunque tu sia, in te non
c’è niente d’eccellente, che ti impedisca d’accettare il mio
soccorso ». A più forte ragione non c’è niente di eccellente che
il cattolicesimo non sia pronto a rivendicare per suo. Vedere
nel cattolicesimo una religione fra tante altre, una disciplina
fra tante altre, quand’anche si aggiungesse che è la sola reli­
gione vera, la sola disciplina efficace, sarebbe un ingannarsi
sulla sua essenza, o almeno fermarsi al di fuori. Il -cattolicesi­
mo è la Religione. E’ la forma che deve investire l’umanità
per essere infine se stessa. Sola realtà che non ha bisogno, pei’
essere, di opporsi, è dunque il contrario di una « società
chiusa », Eterno e sicuro di sè come il suo Fondatore, la stessa
17
258 CATTOUCISMO
intransigenza dei suoi principi mentre gli impedisce sempre di
impigliarsi nei valori che periscono, gli assicura una flessuo­
sità infinitamente comprensiva ; tutto il contrario di queil’e*
sclusivismo e di quella rigidezza che caratterizzano lo spirito
di setta. Omnis gem secundam suam patriam in Ecclesia psal­
lit Auctori (46). La Chiesa è ovunque a casa sua, e ognuno
deve poter sentirsi a casa sua nella Chiesa. Così il Cristo ri­
suscitato, quando si manifesta ai suoi amici, .prende il volto
di tutte le razze, e ciascuno lo intende nella sua lingua...
GATTOìLICISMO
Tale è la Chiesa, tale il -suo autentico atteggiamento. Tan­
to più importa oggi proclamarlo, e mostrarlo effettivamente,
quanto più violente, si fanno le tentazioni in senso contrario,
e un’idea ben differente tende a prevalere in molti testimoni
esterni. Dopo aver legato, in un periodo d’ottimismo conqui­
statore, le sorti dell’Europa alle sorti del Cristianesimo, accade
oggi che, in un movimento di ritirata delusa, si legamo le sorti
del Cristianesimo a quelle di un’Europa di cui si crede intra­
vedere il decadimento. Dopo aver creduto di poter facilmente
occidentalizzare l’Oriente, si incomincia a dichiarare che bi­
sogna rinunciare al disegno di cristianizzarlo, come a una chi­
mera:
Bisognerà pure, si dice, che il cristianesimo finisca col ricono­
scere di non poter intaccare certe grandi religioni... Ovunque,
sulla superficie del globo, è avvenuta la divisione delle zone d'in­
fluenza, sono prese le posizioni... Abbandonare, un sistema di fede
per entrare in un altro, è cambiare di civiltà molto più che di re­
ligione. Bisognerà bene che i l cristianesimo finisca con l’accettare
il fatto evidente d’essere legato ad una cultura e a dei modi di
pensiero che non sono universali (47).
Idea disastrosa, idea mortale, conservata da un troppo
grave passato e da troppe apparenze ancora presenti. Idea che
trova ancora in noi stessi troppe complicità segrete, e che solo
una grande abnegazione spirituale è capace di vincere.
\igj CÀTTOLICISMO 259
-,'sjòrs
Avendo fiducia nello Spirito che la conduce, la Chiesa ha
anche fiducia in tutti i popoli clic libera. Non c’è in questo,
da parte sua, nessuna ingenuità. Non tutte le razze, lo sa
bene, si trovano allo stesso grado di cultura. Non tutte
offrono le stesse virtualità. Ma sa anche che tutti gli uomini
sono uniti nella comunanza della loro origine e del loro de­
stino divini: questa basta a rassicurarla contro tutte le teorie
che generano l’orgoglio e .l’egoismo. Si è ripetuto molto che
con il Concilio Vaticano e l’enciclica Pascendi la Chiesa aveva
difeso i diritti della ragione umana. Si può dire oggi che essa
difende la nobiltà e l’unità della natura umana (48). La sua
prudenza materna non le impedisce di compiere, nelle ore de-
cisivej qualcuno di quei gesti arditi che la nostra prudenza
troppo circospetta vorrebbe ritardare indefinitamente. Del re­
sto il solo metodo efficace per discernere il vero occulto e per
non soffocare il bene che vorrebbe sbocciare, non consistè
forse in una volontà sistematica di studiare con simpatia i
pensieri che ci sono più lontani e d’aggrapparsi in questo stu­
dio ai casi privilegiati, per quanto possano essere rari? L’uma­
nità deve essere compresa dalle sue cime, Sempre abbastanza
presto saranno esplorate le pianure — o i bassifondi.
Come non è un’ingenuità, il metodo della Chiesa non è
nemmeno un sincretismo. Cosa costruita, opera il più delle
$?:• volte di governanti e di letterati, il sincretismo suppone una
fede cadente. E’ un insulto a Dio vivente. Secondo l’energico
linguaggio dei Profeti, il sincretismo è fornicazione. Nell’or­
dine spirituale è sterile come la politica o la filosofia, di cui è il
pollone (49). Abbassa e volgarizza tutti gli elementi che com­
bina, come quei « sabirs )), gerghi bastardi dei nostri grandi
porti. Ma il passato della Chiesa, ancora una volta, ci istruisce.
Il Cristianesimo ha respinto la gnosi, che rappresentava il me­
todo sineretistico ; questa franchezza intransigente non gli ha
impedito di compiere la sua opera assimila tri ce con un’ampiez­
8^
za che apprezziamo ogni giorno meglio.
■M Infine non è maggiormente conveniente parlare di « libe-
a
264. GATTOUCISMO
tiens et des missionnaires de la Chine, du Japon et des indes, cantre deux ti­
er es intitules « La m onth pratique des Jesuit es » et « I f esprit de M. Arnauld »,
1687, preface.
(C... G’est moi qui ai propose l’Àlgérie ou la civilisation conquérante pour •
prix de poesie (all’Accademia francese). Cette revanche de In: civilisation qui
eh asso partout le barbare me sem-ble bicn demeurer par devant ì’histoire le
trait caractéristiqnc d e n o ti'e siede... À leur insù, ou sciemment, 1b& peoples
d'e race enropéenne s’avancent «ontre ce qui reste de Barbaras, l ’Américain
chasse Ics Siminoles, le Russe les Civcassiens, 1’Anglais les Chinois, le Frangale
les Arabes et les Mores...».
(30) Saggio per caratterizzarne le principali dominanti in J. M o n c h a n in ,
Sauté, sapesse, saint eie (in «Miédocine et Education », p. 214-7). Dello stesso
autore: V ln d e et la contemplation, in Dìen Vivant, n. 3; VH ìndouism e, nel
« Bulletin des Facultés cath cliques de Lyon », die. 1946 ; Islam et Christiani­
sme. ibid., 1938, p. 10-23; Islam, in «iBn terre d'IsIam », 1938, p» 107-123.
(31) Cf. G erolamo, In Zachairiam: « Tunc pendentes ibotros colorabit Sol
Itislitiae ». (P, L. 25, 1471 B). l varietas linguarum, unum aurum praedicatur; non diversum aurum, sed varie­
(32) A gostino, De Civ. Det, 1. 19, c. 17: « Haec ergo caelestis civitaa dum
peregrinatur in terra, ex omnibus gentibus cives evocat, atque in omnibus lin ­
guis peregrinam colligit societatem; non curans quidquid in moribus, legibus, ■
insti tu tisque diversum est, quibus pax terrena vel conquiritur, vel tenetur; nihil
eorum rescindens, nec destruens, imo etiam servans ac sequens: quod licet di­
versum in diversis nationibus, ad unum tamen eumdemque finem terrenae pads
intenditur, si religionem qua unus summius et verus Deus colendus docetur,
non impedit » (P. L, 41, 646).
(33) Prospero, Pro Augustino respons, ad Gali,, sententia super 8 (P. L. 51,
172).
(34) N e w m a n , ìissays, t. 1, p. 233,
(35) Vedi B runo de S oi.ages, nella « R. apologétique », giugno 1928; e A l­
preu » e S oras, Risposta all’inchièsta sull’umanesimo, in F. C harmot , Ullum a-
nieme et VHumain, 1934, p. 336-8.
(36) M. Blondwl, hinéraire philosophique, -p. 277.
(37) A gostino, C. Faustum, 1. 12, c. 14 (P. L . 42, 262).
(38) . A gostino , In psalm. 103, s. 3, n. 2 (P. L. 37, 1358). P rospero, In psalm.
103 (51, 291). De vocatione omnium gentium, 1. 2, c. 14 (51, 698-70Ó). Cf. R u ­
merà, De div. officiis, 1. 10, c. 17, sull’effusione dello Spirito nella Pentecoste:
«Novum signum: significabat enim .quod 'Ecclesia .Deuini, hactenus notum sibi
iu sola Jndaea, linguis omnium gentium deinceps eBSet locutura » (P. L, 170,
381). ß. A vito, ex homil, Libro fr. 7 (Opera, 1883, p, 113). P seudo A gostino,
b. 101, n. 2 (P. L. 39, 1940). G erolamo, In Isaiam, unisce le due parabole del­
la visione di Pietro ,a Gioppe e dell’arca di (Noè (P. I/. -24, 148-9).
(39) Gmcc. d’E lvira, tract. 5 (B.-W., p. 48-9). Gf. Gen. XXXVII e 1 Petr., IV',
30. R adano M auro , De Universo, 1. 21, c. 15 fp . L. I l i , 570-1).
(40) C i p r i a n o , . De calli. Eccl. unit., c. 7 (H., p. 216).
(41) Cf', I r e n e o , in E u s e b i o , H. E., 1,- 5, c, 24, n. 13 (Grapin, t. 2, p, 129),.
(42) B enedetto XV, allocuzione al Concistorio del 10 marzo 1919: «Nec
solum (-Nostri predeceseores) orientalium mores et instituta, seorsum a Jatinis,
conservanda, sed etiam eonnn ritus, nobiles certe ac splendidos, incorrupte et
integre retinendos curarunt, quo scilicet Sponsa 'Christi in vestitu deaurato dr*
cumdata varietate 3iiam melius pulchritudinem ostenderet» A.Ä.S., 1919,
p. 98. Fulbeuto di Charities, Epist. 3: « Nec tamen nos -offendit observantiae
diversitas, ubi fidei non scinditur unitas. Porro in multis -Graecia ah Hispa­
nia, ab illis Romana e Gallicana discrepat Ecclesia... Stat enim regina iEccIe- ■
NOTE 265
eia a dextris regis sui in vestitu deaurato circumdata varietate» (P. L. 141,
192 D).
s• (43) B enedetto XV, Motu proprio dei 1° maggio 1917, con cui istituiva la
&!
J! Sacra Congregazione per la -Chiesa orientale; «... cum vel ex hac re ait mani­
festum, in Ecclesia I obu Christi, ut -quae non latina sit, non graeca, non slavo-
mea, sed catholica.,.». À.A.S., 1917, p. 530. Cf. YEnciclica su S, Efrem del 5
ottobre 1928 (ibid., 0920, p, 466). Apoc,, VII, 9. V. anche l ’Enciclica Allatae sunt
di B enedetto XIV, 25 luglio 1755, dove sono lungamente ricordati tutta una se­
rie di documenti e di falli anteriori, che testimoniano dell’atteggiamento della
Chiesa romana riguardo ai diversi riti. La Sede apostolica, conclude il Papa,
desidera vivamente «ut omnes Catholici sint, non ut omnes Latini fiant». S u l­
lanum , t. 3, Prati, 1846, p. 249-272.
(44) A g o s tin o , In psalm. 147, n. 19 (P. L. 37, 1929); In psalm. 44, n. 24:
cfVestitus reginae huius quis «st? Et pretiosus est, et varius èst: «aeramenta
doctrinae in linguis omnibus variis. Alia lingua afra, alia syra, alia graeca, alia
bebraoa, alia illa «t illa... In veste varietas sit, scissura non Bit... Quaelibet sit
tas de auro... » (36, 509).
(45) Clem ente A l ess ., Protreptico, c . 11: «Tutti gli altri pensieri che hanno
gli uomini sono meschini e frammentari, solo la dottrina cristiana è ” cattolica ”»
CSt-, t. 1, p. 79). ..La Verità, dice ancora Clemente, è lacerata dalle -sètte pagane
come Dioniso 'dai Titani : il Logos viene a ridare vita e splendore a questi fram­
menti sparsi e sfigurati, riprendendoli nella su a unità. Ugualmente G iu s t in o ,
2* Apologia, e. 10, n. 1-3 (PÀ uttgny, p . 169).
(46) R abano M auro, D e Universo, 1. 22, c. 3 (P. L. I l i , 598); G erolamo,
In Isaiam; « Sed et omnis lingua cunctarum gentium barbararum... in Christi
Ecclesia confitetur Deum » (24, 449 D). O rigene , Contra Celsum, 1. 8, n. 37
(P. L. 11, 1573 B).
(47) J. S c h lu m b e r c e r , Sur les frontières religieuses, 22 (1935). Cf. P. L.
Cquchoud, Jésus le dieu fait komme (1937), conclusione.
m (48) Si -conoscono, specialmente, i diversi interventi di Pio XI contro il
razzismo. Cf. Documentation catholique, agosto 1938, ecc.
m (49) Si cita talvolta il manicheismo come esempio d’una religione sincre-
tistica che sarebbe riuscita. Non è per niente esatto. Poiché se è vero che Mani
praticò deliberatamente un certo miscuglio di dottrine, ciò fu a profitto d’una
di esse, il dualismo persiano, che dnuase intatta nel b u o fondo e vivace, e d’al­
tronde ciò che d’artificioso entrò nella costituzione del nuovo culto, senza dub­
bio spiega il suo debole successo. «Il manicheismo, osserva H. Lietzmann, non
■M è «tato capace di svilupparsi; s’è mummificato e ha durato un migliaio d’anni
iu margine alla storia universale, conservando la sua forma, ma perdendo il suo
spirito » (Histoire de VÉglise ancienne, tr. fr., t. 2 (1937) -p, 279). Vedi À. C h r i­
s t e n s e n , I f Iran sous'les Sassanides, c. 4 : 'Le prophète Mani et sa religion.
(50) Act., XV, .28: « E’ parso allo Spinto . Santo e a noi di non imporre (ai
Gentili) altro peso, fuori di queste cose necessarie».
(51) 1 Cor., I, 17; V, 7 ; IX, 12 e 19-22. Galat., I, 10-1; II, 11-24. R. M auro,
h o m 36 (P. L. 110, 213-4).
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