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Civiltà capitalistica

Il capitalismo storico possiede alcune caratteristiche esclusive come sistema storico, uno di esse è che
esso è stato valutato criticamente da coloro che ne facevano parte. La possibilità di fare un bilancio tra le
sue virtù e dei suoi difetti è un aspetto esclusivo di questo sistema. Vi sono due gruppi critici che
sembrano contrapporsi a vicenda, uno ne critica l’eccessivo egualitarismo che distrugge la pace sociale e
l’armonia pubblica; l’altro ne critica invece l’inegualitarismo. I difensori del capitalismo storico tuttavia
non ne esaltano la moderazione ma ne lodano le caratteristiche rivoluzionarie e progressive e la capacità
di riconoscere il merito individuale. Così sia detrattori che difensori assumono posizioni e valutazioni
estreme senza optare per la mediazione. Bisogna dunque chiedersi se sia possibile un bilancio della civiltà
capitalistica. Questa ha affermato la possibilità di andare oltre la storia e la religione, che proponeva
soluzioni ultraterrene ai mali del mondo (i quattro cavalieri dell’apocalisse), attraverso la risoluzione
terrena di questi problemi. Il capitalismo aumentando l’efficacia della produzione ha accresciuto la
ricchezza collettiva in modo che chiunque ne ricevesse maggiormente rispetto ai precedenti sistemi storici
(teoria della distribuzione per diffusione), facendo sì che il capitalismo figurasse come unico sistema
“naturale”. Le prove di ciò sono di carattere dimostrativo e legate alla centralità del ruolo della scienza
nel capitalismo storico. Solo in questo sistema la scienza si è veramente sviluppata perché: gli scienziati
sono stati liberati dai vincoli dei sistemi precedenti e aiutati dagli imprenditori per fini remunerativi. Un
altro argomento a favore è invece di carattere medico e riguardo la accresciuta salvaguardia dell’individuo,
con l’aumento della prevenzione e debellazione delle malattie e della collettività, come creazione di un
migliore ambiente sanitario. Di contro sul lato medico il capitalismo ha portato tre svantaggi:
mescolamento degli insiemi di geni parassitari portati dai perfezionamenti tecnologici nei trasporti, alta
diffusione delle malattie dovute legate a tecnologie economiche e alla espansione demografica.
Nonostante ciò, a causa comunque del declino della mortalità e dell’allungamento della vita è possibile
fare un bilancio positivo della civiltà capitalistica sulle malattie. Un altro argomento riguarda poi la
diminuzione dell’influenza climatica sulle coltivazioni e sull’aumento dei cambiamenti climatici che
conducono a danni sulle foreste, savane e dei relativi popoli e offerta alimentare. Anche le guerre civili
sono derivate dall’economia mondo-capitalistica che avvicina in zone urbane gruppi sociali differenti
definibili come popoli e li inserisce nella relazione complessa tra due costrutti: popolo e stato. Si è
prodotta poi una etnicizzazione della forza lavoro mondiale fino ad una stretta correlazione tra strato
etnico e collocazione occupazionale e di classe secondo un sistema stratificato che riduce i costi del lavoro
e contiene le spinte delegittimative verso le strutture statali. Di contro crea il fondamento strutturale per
la lotta continua tra strati etnici superiori ed inferiori, che si acutizza nei momenti di contrazione
dell’economia, nonché alimenta un’ideologia di razzismo, necessaria per arrivare a definire alcuni
segmenti della popolazione come sotto-classi. Infine vi è il tema della guerra, che pur non essendo
caratteristica esclusiva della civiltà capitalistica è stata acutizzata dalla tecnologia. Infine vi è poi la
questione dell’accrescimento della ricchezza materiale, avvenuto a scapito dell’esaurimento di alcune
sostanze naturali primordiali e con un plusvalore distribuito solo ad 1/7 della popolazione mondiale,
ossia al ceto medio. La civiltà capitalistica ha sconfitto i cavalieri dell’apocalisse solo parzialmente e in
maniera ineguale.
Wallerstein passa poi a trattare temi relativi all’ambito qualitativo, partendo dal tema della qualità della
vita individuale. Essa ha a che fare con il benessere e il consumo aldilà dei bisogni fondamentali, la cui
distribuzione è straordinariamente ineguale. Se infatti è vero che gli strati più poveri possiedono più dei
loro antenati è altresì verso che il divario tra i primi e la vetta cresce in maniera quasi esponenziale. I critici
del sistema capitalistico ne sottolineano il crescente divario, i sostenitori invece affermano che il divario
è solo relativo e che in assoluto la popolazione è meno povera, la questione morale risiede nel considerare
accettabile o meno un divario crescente anche solo relativo. Un altro argomento di dibattito è dato poi
dalle istituzioni educative mondiali e al concetto di istruzione formale universale, considerata dai
sostenitori come un prodotto della economia-mondo capitalistica. Odiernamente non esiste infatti alcuna
giurisdizione politica che non preveda disponibilità di istruzione primaria per i bambini, con espansione
verso istruzione secondaria e universitaria. I sostenitori affermano l’importanza dell’istruzione nel
maggior accesso a livelli superiori di occupazione, affermazione vera per solo relativamente e non in
maniera assoluta. I detrattori invece sottolineano come una conseguenza sia l’allontanamento di gruppi
generazionali dalla casa e da luoghi di lavoro con la conseguenza di non guadagnare più reddito per il
proprio aggregato domestico ma arrivando a costare quote significative di reddito. Una seconda
conseguenza è stato lo sviluppo e il consolidamento della divisione della realtà individuale in diversi stadi
di vita, il lato positivo è rappresentato dalla possibilità di realizzazione umana che tale divisione rende
possibile, l’aspetto negativo è invece l’esclusione dal mondo lavorativo e da piena partecipazione al potere
per un vasto lasso di tempo.
Wallerstein passa poi a trattare i temi relativi alla qualità della vita collettiva, ossia l’universalismo e la
democrazia, considerati dai sostenitori come conquiste del capitalismo e dai detrattori come assenze
dovute al capitalismo. L’universalismo è la tesi secondo cui esistono verità che sono razionali, oggettive
ed eterne, ossia universali. Sul piano morale ciò corrisponde da un lato all’idea dell’esistenza di una etica
universale che conduce sul piano giuridico all’affermazione dei diritti umani e dall’altro all’idea di standard
oggettivi di competenza, ossia la meritocrazia (che forma dunque un trittico con scienza e diritti). I
sostenitori del capitalismo pongono poi l’accento sulla scienza in quanto fondamento della tecnologia
che ha accresciuto le qualità della vita individuale. La fiducia nella scienza riflette la fiducia nella capacità
di espansione illimitata nell’accumulazione capitalistica. Ciò si basa su un’idea di scienza baconiana e
newtoniana che ha dominato fino al 900, quando si sono fatte avanti teorie sul caos e sulle rivoluzioni
scientifiche. La nuova idea di scienza è ora connessa a problemi etici che sollevano discussioni sulla
sostenibilità di un avanzamento senza regole. Per quanto riguarda il problema della libertà e dei diritti
umani, i sostenitori affermano come la civiltà capitalista abbia contribuito a far riconoscere e promuovere
tali diritti. Di contro è però possibile affermare come essi siano assenti in molte zone del mondo, ciò è
spiegato dai sostenitori affermando come ad un alto grado di civiltà capitalistica corrisponda un alto grado
di riconoscimento di diritti umani, i detrattori affermano invece come il sistema capitalistico tenda a
concentrare benefici in una zona mondo piuttosto che in un'altra. Si passa così al terzo punto, quello
della meritocrazia, affermando come solo nella società capitalistica vige un sistema di assegnazione dei
posti in base al merito, assente nei sistemi precedenti. In realtà questa non è una esclusiva del capitalismo,
che lo ha reso però come virtù (e non più solo come realtà effettiva) e quello di aver aumentato la
percentuale, pur rimanendo ancora una minoranza e dunque un falso universalismo. Inoltre il problema
del sistema meritocratico risulta essere quello di giustificare il corretto uso delle istituzioni volte a valutare
tale meritocrazia. La seconda rivendicazione della civiltà capitalistica è poi quella di aver alimentato la
democrazia, massimizzando la partecipazione ai processi decisionali su tutti i livelli, espresso nella formula
“una persona, un voto”. Le rivendicazioni egualitarie hanno però due controtendenze: il privilegio e le
presentazioni competenti. I critici sostengono che la gerarchia necessaria della meritocrazia costituisca
una copertura per quella dei privilegi.
Wallerstein passa poi a tirare un bilancio qualitativo della civiltà capitalistica: il quadro non è univoco e la
domanda da porsi è se la società capitalista sia tra i sistemi storici, che presentano tutti gerarchie di
privilegio, il migliore finora presentato. Il privilegio oggi riguarda sicuramente una parte maggiore della
popolazione rispetto al passato e coloro che ne fanno parte godono di una qualità della vita migliore di
coloro i quali facevano parte di sistemi precedenti. Tuttavia è anche vero che per coloro che non fanno
parte di questa fascia il mondo perduto risulta peggiore rispetto ad uno nella medesima situazione in
sistemi precedenti, in quanto più soggetti rispetto al passato di limitazioni arbitrarie. Il mondo capitalistico
è dunque un mondo estremamente polarizzato e che è sopravvissuto anche grazie alla fiducia nel
superamento di tale divario, pur non potendo sussistere per Wallerstein in un tempo infinito.
Prospettive Future
Per Wallerstein il capitalismo è entrato nel suo “autunno” e per comprenderne la fine dobbiamo guardare
alle sue contraddizioni, poiché esse ne determineranno il crollo come sistema storico o più in generale le
sue prospettive future. Vi sono tre grandi contraddizioni: accumulazione, legittimazione politica e
progetto geoculturale. Tali dilemmi, presenti sin dalla nascita del sistema capitalista, sono tutti arrivati a
punti di non ritorno.
Accumulazione: la tensione qui si trova tra necessità del conseguimento di monopoli per la
massimizzazione dei profitti, che implica tra l’altro l’aumento del divario tra costi di produzione e costo
al pubblico del prodotto, e la ricerca di ogni imprenditore del monopolio che implica l’aumento della
concorrenza. La concorrenza impedisce a sua volta che si creino dei monopoli e comporta una divisione
assiale del lavoro in prodotti centrali monopolizzati e prodotti periferici estremamente concorrenziali.
Ciò implica che i produttori per continuare la loro accumulazione devono rivolgersi a due istituzioni: lo
Stato e le consuetudini. Lo Stato può creare le condizioni che conducono al monopolio di vendite e a
quello dei fattori di produzione attraverso una legislazione formale, che ha però due limiti: uno spaziale,
ossia è limitato dallo spazio dello Stato, l’altro sociale, rappresentato dalle pressioni politiche degli
imprenditori esclusi dal monopolio e dai non produttori danneggiati da esso. Per questo motivo la strada
perseguita dallo Stato è quello di una ingerenza selettiva nel mercato, intromettendosi come stato più
forte su stati più deboli, imponendo accessi preferenziali, tramite decisioni riguardanti motivi fiscali e di
bilancio, impedendo ai venditori dei fattori di produzione di combattere posizioni monopsoniche. La
seconda istituzione è data dalla consuetudine, ossia la creazione di mercati attraverso la creazione di gusti.
L’idea della società di consumi, ossia della necessità di acquistare determinati tipi di prodotti e non altri è
una invenzione del capitalismo. I canali attraverso i quali ciò si diffonde sono differenti e svariati,
solitamente culturali e linguistici. La concorrenza ha fatto però si di creare un lento esaurimento dei
monopoli che unito all’aumento della concorrenza ha creato la compressione dei profitti e lunghe
stagnazioni, che a loro volta hanno richiesto adeguamenti per incrementare i livelli di profitto. Ve ne sono
tre principali: riduzione del costo dei fattori di produzione, solitamente mediante la riduzione dei costi
del lavoro mediante una meccanicizzazione; accrescere la domanda effettiva (in contrapposizione però
con il primo adeguamento) alzando il livello assoluto complessivo di retribuzione. Solitamente questi due
metodi di adeguamento vengono coniugati insieme mediante la separazione geografica dei due elementi.
Il terzo è invece quello del cambiamento tecnologico, ossia la creazione di prodotti guida. Per Wallerstein
il limite più grande che tali adeguamenti hanno risiede nel primo tipo (benché anche gli altri due non
siano esenti da difficoltà), poiché nuove zone da incorporare nell’economia mondo con forza lavoro a
basso prezzo sembrano essere cessate e perché sembrano cessare anche il processo di trasposizione da
lavoratori rurali a dipendenti di fabbrica.
Legittimazione politica: All’inizio, nel periodo di formazione degli Stati nazionali, il capitalismo crede
di poter fare fede dei vecchi modi di legittimazione. Tuttavia era il capitalismo stesso a minare
l’accondiscendenza della massa tramite l’idea di scienza ed innovazione tecnologica, mobilità sistematica
di grandi popolazioni, che richiesero un ripensamento della cultura politica che fece del concetto di
sovranità popolare la nuova giustificazione morale del sistema politico. Si pose il problema dunque di
continuare a ricompensare i quadri e contemporaneamente incorporare classi lavoratrici nelle strutture
statali, ossia il problema della lotta di classe. Questi venne arginato offrendo alle classi lavoratrici una
parte della “torta”, che nelle speranze dei lavoratori fosse percentuale all’espansione dell’accumulazione,
tale non minacciare l’accumulazione ma abbastanza da soddisfare le richieste dei lavoratori. Nel XIX sec.
due erano le strade intraprese per questo adeguamento: aumento della partecipazione politica tramite
elezioni, ossia l’aumento del suffragio universale, e la ridistribuzione della ricchezza imposta dallo Stato,
ossia la legislazione sociale e il welfare state. Se la soluzione funzionò nel XIX sec. con gli Stati centrale,
nel post WW1 il problema si ripropose su scala globale, la soluzione adottata qui fu quella del wilsonismo,
che adottò il sistema di auto-determinazione delle nazioni decretando la parità politica di tutti gli stati
all’interno delle strutture interstatali (in analogia alla parità dei cittadini in uno Stato). Il wilsonismo
culminò nella decolonizzazione politiche e nella nascita di movimenti di liberazione nazionale nel Terzo
Mondo; con l’impedimento però di non poter contare su di una ulteriore espansione geografica, ciò causò
che il limite di ciò che poteva essere offerto nella redistribuzione mondiale senza generare impatto
negativo sul plusvalore assegnato ai quadri venne raggiunto intorno al 1970.
Progetto geoculturale: il capitalismo si basa sull’idea che l’individuo sia il soggetto della storia, esso fa
dell’iniziativa individuale e dell’interessa la molla per la prosperità e la conservazione del sistema. Il mito
proteico non ha però sono incoraggiato all’espansione delle capacità umane individuali ma è anche
responsabile dell’invenzione del concetto di organizzazione politica formale e dei movimenti
antisistemici. Il problema è riconciliare queste due anime. La soluzione adottata è stata quella di
enfatizzare due temi opposti: l’universalismo da un lato e il sessismo/razzismo dall’altro. L’universalismo
afferma l’esistenza di universali del comportamento umano che sia possibile riconoscere e analizzare,
rifiutando l’idea quindi che alcuni gruppi agiscano in modo intrinsecamente differente rispetto ad altri.
Tale concezione dell’universalismo conduce da un lato a considerare la contraddizione tra individualismo
come impulso e individualismo come lotta illimitata, come non reale e giustifica la disparità sociale tramite
il concetto di meritocrazia. Dall’altro lato il razzismo/sessismo divenne la spiegazione per giustificare il
bilancio peggiore per la maggioranza. Le due tendenze possono essere utilizzate l’una contro l’altra: il
razzismo/sessismo per impedire che l’universalismo vada verso l’egualitarismo e l’universalismo per
impedire che il razzismo/sessismo si spinga verso un sistema di casta che blocchi la mobilità sociale
La civiltà capitalistica è stata dunque costruita all’interno di contraddizioni, Wallerstein ne descrive tre e
i relativi meccanismi di adeguamento, i quali però si sono logorati, la conclusione a cui giunge è che tale
logorio è il sintomo di una crisi sistematica del sistema-mondo, oramai giunto ad un punto di
biforcazione, ossia ad un punto dove si hanno molteplici soluzioni all’instabilità e in cui giocano un ruolo
chiave, per la formazione di un nuovo sistema equilibrato, i “rumori”, ossia gli elementi esterni al sistema.
L’economia mondo capitalistica è stato un sistema storico relativamente stabile per circa 500 anni, ma da
circa 1970 ad oggi la sua stabilità ha subito dei contraccolpi. La prima biforcazione è indicata nelle
rivoluzioni sociali del 1968, la seconda nel crollo dei comunismi nel 1989. Nel 1968 si ha una rivolta
culturale contro la civiltà capitalistica e la sua struttura dominante, ossia l’egemonia statunitense nel
sistema mondo, ma anche dei movimenti anti-sistemici precedenti, accusati di legittimare implicitamente
il sistema mondo. Vi furono degli adeguamenti, che però se furono importanti nei paesi centrali, furono
invece minimi nelle zone periferiche e nei paesi a stampo socialista, anche perché l’economia capitalista
lasciò loro una minore flessione. Molti di questi paesi si sfaldarono e furono costretti alla tutela del Fondo
Monetario Internazionale con conseguente perdita di legittimità politica. La seconda svolta si ebbe nel
1989 con il crollo dei comunismi, questo causa la fine della possibilità di giustificare il fallimento dei
movimenti anti-sistema per via della loro scarsa adesione al modello comunista e più in generale portò
ad una disillusione verso la possibilità di un cambiamento sociale progressivo.
Wallerstein conclude affermando come l’economia mondo capitalistica continuerà a muoversi lungo poli
di accumulazione oramai logori come Giappone, Stati Uniti e Europa occidentale, che si avrà una
espansione della produzione mondiale, una maggiore monopolizzazione dei settori produttivi; tali poli
non manterranno però lo stesso tasso di accumulazione a causa della contrazione delle risorse mondiali
di lavoro di riserva, con conseguente polarizzazione delle ricompense e una crescente critica verso la
legittimazione politica. Tutto ciò conduce ad una sfiducia nei confronti del progresso e la perdita dell’idea
che l’individuo sia davvero il soggetto della storia, spostando il tema geoculturale su quello di “identità”
e su “cultura”, non privo però di contraddizioni e spinte opposte poiché diramabile sia come uguaglianza
di tutte le culture, sia come richiesta del mantenimento di specificità.

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