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1.
Dicimus ergo quod cantio, in quantum per superexcellentiam dici-
tur, ut et nos querimus, est equalium stantiarum sine responsorio
ad unam sententiam tragica coniugatio, ut nos ostendimus cum
dicimus
Donne che avete intelletto d’amore.
Quod autem dicimus “tragica coniugatio”, est quia, cum comice fiat
hec coniugatio, cantilenam vocamus per diminutionem: de qua in
.iiij. huius tractare intendimus 1.
*
Questo lavoro riunisce osservazioni e ipotesi riguardo al De vulgari eloquen-
tia di Dante e alle cosidette “glosse metriche” di Francesco da Barberino, risultato
del mio lavoro di ricerca come Fellow Marco Praloran presso la Fondazione Ezio
Franceschini e l’università di Losanna. Colgo l’occasione per ringraziare entrambe
le istituzioni e inoltre la famiglia Praloran per l’offerta a giovani studiosi di questa
occasione per sviluppare ricerche su temi cari a Marco Praloran. Ringrazio inoltre
uno degli anonimi revisori di questo lavoro per le sue preziose osservazioni.
1
Tavoni 2011, pp. 1478-1480.
2
Fenzi 2012, p. 205.
3
Cfr. Tavoni 2011, pp. 1480-1481.
4
Mengaldo 1979, p. 205.
5
Cfr. Carapezza 1999, pp. 330-331, citazione a p. 330.
6 Maria Clotilde Camboni
6
Bologna 2006, p. 212.
7
Orlando 2005, p. LXII.
8
Per alcuni esempi, cfr. Bologna 2006, pp. 211-212.
9
Per tali questioni cfr. Mews 2011, pp. 2-3, 10-12.
Nota sulla terminologia metrica del primo Trecento 7
10
Per un’analisi più approfondita di questa parte della trattazione dell’Ars
musice e più esaustivi riferimenti bibliografici, rimando a un capitolo (il terzo) del
volume in cui presento i risultati delle ricerche svolte nel quadro della fellowship
Praloran (M. C. Camboni, Fine musica. Percezione e concezione delle forme della poe-
sia, dai Siciliani a Petrarca, Firenze, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio
Franceschini, in c. di s.).
11
Mews 2011, p. 68 (traduzione a fronte, p. 69: «[9.4] Cantus coronatus is cal-
led simple conductus by some, which, because of its excellence in text and cantus, is
crowned by masters and students with sounds, as in the French Ausi com l’unicorne
or Quant li rousignol. Indeed, it is normally composed by kings and nobles, and also
sung before kings and princes of the earth, so that it may move their spirits to bold-
ness and bravery, magnanimity, and liberality, which all make for good government.
For this cantus is about delightful and lofty material, such as friendship and love. And
it is made entirely from longs and perfects. [9.5] Cantus versualis is what is called
cantilena by some in comparison with coronatus, and it lacks the latter’s excellence
in text and concord, as in the French, Chanter m’estuet, quer ne m’en puis tenir or Au
repairier que je fis de prouvence. This cantus ought to be performed for the young lest
they fall completely into idleness». Per una diversa traduzione dell’oscuro circa sonos
cfr. Page 1993, p. 23 e nota 27, a cui si rimanda anche per una rassegna di ulteriori
interpretazioni e relativa bibliografia).
8 Maria Clotilde Camboni
12
Aussi com l’unicorne (R 2075, di Thibaut de Champagne o Pierre de Gand);
Quant li roussignol jolis (R 1559, contesa tra Raoul de Ferrières e il Chastelain de
Couci); Chanter m’estuet, quer ne m’en puis tenir (R 1476, di Thibaut de Champagne);
e l’anonima Au repairier que je fis de prouvence (R 624).
13
Mews 2011, p. 70 (traduzione a fronte, p. 71: «[10.3] But the verse in a cantus
coronatus is that which is constructed of many puncta and concords making har-
mony with each other. But the number of verses in a cantus coronatus, by reason of
the 7 concords, is fixed at 7. For so many verses ought to contain the whole statement
of the material – neither more nor less. [10.4] A verse in a cantus versicularis is as
much like that of a cantus coronatus as it can be. But the number of verses in such
a cantus is not fixed, but in some is extended more, in others less, according to the
abundance of the material and the will of the composer». Per il significato di puncta
in questo contesto cfr. Page 1993, p. 28 e nota 47; approfondisco la questione anche
nel terzo capitolo del volume di cui alla nota 10).
14
Cfr. Mullally 1998, pp. 7-8.
Nota sulla terminologia metrica del primo Trecento 9
15
Testo dall’edizione diplomatica Egidi 1905-1927, vol. II, p. 263.
16
Canettieri 1995, p. 292.
17
Cfr. Schulze 2004, p. 28.
18
Cfr. Abramov-van Rijk 2009, p. 69.
10 Maria Clotilde Camboni
19
Mews 2011, p. 74 (traduzione a fronte p. 75: «[13.3] But the number of puncta
in a ductia they placed at 3, paying attention to the number, 3, of perfect consonan-
ces. There are some called notae, however, with 4 puncta that can be rendered as a
ductia or an imperfect stantipes. There are also some ductia having 4 puncta such as
the ductia Pierron. [13.4] But the number of puncta in a stantipes certain people pla-
ced at 6, looking at the rationale of the syllables. Others, however, perhaps conside-
ring afresh the number of concords, 7, or led by natural inclination, raise the number
to 7, for example Tassinus. Stantipedes of this type are pieces with 7 “strings”, or the
difficult piece of Tassinus»). (Il punctus in questo passo è ciò che in inglese si defi-
nisce “double versicle”: un insieme di frasi musicali che può essere suddiviso in due
parti, in ognuna delle quali si ripete lo stesso materiale melodico nello stesso ordine,
salvo in chiusura dove si danno – o possono darsi – effetti del tipo ouvert/clos).
20
Tra la diversa bibliografia sull’argomento si possono vedere in particolare
Schima 1995, McGee 1989 e McGee 2001.
21
Cfr. Mews 2011, p. 122, note 85 e 86.
22
Cfr. Page 1989, p. 75 (ipotizza anche che il codice di Montpellier conservi
frammenti delle estampies di Tassin).
23
Un ulteriore esempio di componimento che avrebbe assunto il nome
Nota sulla terminologia metrica del primo Trecento 11
dell’autore della sua melodia potrebbe essere la cosiddetta «Note Martinet», «docu-
mentato negli anni intorno al 1275 in qualità di «menestrello», ossia musicista, del
Conte di Boulogne, Guy de Dampierre» (Asperti 1995, p. 85), su cui cfr. van den
Boogaard 1974.
24
Per quanto comunque con «un termine connesso inequivocabilmente alla
musica» (PSS II, p. 591).
25
Di Girolamo 2005, p. 699.
26
Canettieri 1995, p. 314; sull’argomento ritorno estensivamente nel terzo capi-
tolo del già ricordato libro.
27
Canettieri 1995, p. 293.
28
Su cui cfr. Giunta 2002, pp. 7-9; che con discordium Francesco da Barberino
«parrebbe designare la tenzone» è anche l’opinione di Asperti 1995, p. 84.
12 Maria Clotilde Camboni
29
Testo dall’edizione diplomatica Egidi 1905-1927, vol. II, p. 263 (con l’aggiunta
degli accapo per maggior chiarezza).
30
Malgrado il fatto che il termine che ricorre è contentio, a giudicare da quel
che si può attingere del significato il sottotipo di un genere più ampio parrebbe essere
l’ultimo qui presentato. La contentio inter duos del primo di cui si dà la definizione si
svolge infatti tramite gruppi di versi (concursibus rimarum) metricamente equivalenti o
meno (similibus vel diversibus), che tuttavia (tamen) per quel che riguarda la loro suc-
cessione (serie) provengono alternativamente dall’uno e dall’altro interlocutore («serie
trattis ex utraque parte per unum» sarebbe insomma un modo abbastanza contorto per
spiegare che i due coinvolti nella discussione parlano a turno). Invece la discussione
inter duos riguardo argomenti comunque tra loro in relazione («super similibus»: vale a
dire, i due interlocutori non fanno discorsi completamente scollegati) che possono però
essere i più vari (de quibuscumque) si svolge usando strutture (cioè schemi metrici) tra
loro equivalenti, o meglio lo stesso schema (similis ordo). I due generi dialogici citati
da Francesco da Barberino sarebbero insomma la tenzone o generica corrispondenza
in versi, che può svolgersi anche tra testi dallo schema metrico o addirittura di genere
differente (cfr. Giunta 2002, pp. 178-181), e un suo sottogenere che invece prevede il
riuso delle stesse strutture metriche – se non sta parlando della tenzone “alla provenza-
le”, «testo scritto in collaborazione da due autori, una strofa per uno, non scambio di
testi uno in risposta all’altro» (Beltrami 2011, § 182 nota 12, p. 243).
Quanto ai termini con cui Francesco da Barberino indica questi due generi, data
l’ipotesi di errori di trascrizione dovuti a certe particolarità dell’antigrafo in questa
sezione del commento (per cui cfr. infra), forse è meglio non associarli con nettezza
a un genere o sottogenere piuttosto che ad un altro.
31
Nel latino sia classico che medievale, intentio può essere anche l’esposizione
delle rimostranze dell’accusatore o parte lesa in un giudizio, significato che sembre-
rebbe calzante per il contenuto del genere lirico per eccellenza disforico.
Nota sulla terminologia metrica del primo Trecento 13
32
Supino Martini 1996, p. 953.
33
Cfr. ibid., p. 950, in particolare nota 23.
14 Maria Clotilde Camboni
Bibliografia citata