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UNIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI TRENTO

Facoltà di Lettere e Filosofia


Corso di laurea in scienze dei beni culturali
Anno Accademico 2002-2003
Semestre I

“LA FOTOGRAFIA APPLICATA ALLE SCIENZE DEI BENI CULTURALI”


Corso di fotografia tradizionale, fotografia digitale
e tecniche di documentazione fotografica

LEZIONE 1

Appunti per il corso a cura di Paolo Chistè


INTRODUZIONE 3

BIBLIOGRAFIA 6

CENNI DI STORIA 8

LEZIONE N. 1 - LA LUCE 13

1. Caratteristiche della luce. 13

2. Il colore. 18

3. La luce naturale. 20

4. L’illuminazione. 23

2
CORSO DI FOTOGRAFIA

Introduzione

L’idea di inserire nel corso delle lezioni di fotografia, nasce dall’esigenza di fornire allo studente
quelle nozioni di base utili affinché egli sia in grado di eseguire in modo sufficientemente autonomo
delle buone fotografie di documentazione.
Uno dei problemi maggiori non è tanto l’acquisizione della teoria necessaria al fine di conoscere il
mezzo fotografico, né quello di offrire una serie di “ricette” sicure per fotografare bene determinate
situazioni, ma quello di collegare le nozioni acquisite teoriche con l’effettiva pratica che si dovrà
andare a svolgere.
La documentazione fotografica si rende indispensabile per la necessità di avere una testimonianza
effettiva della realtà visiva, che non è possibile rendere pienamente con la sola documentazione
grafica. Quest’ultima rappresenta una sintesi della realtà, effettuata attraverso una metodologia
standardizzata con l’impiego di tecniche ed elementi grafici predefiniti ed omogenei, che devono
essere scelti secondo criteri tendenzialmente oggettivi, ma che vengono applicati infine dal
disegnatore e dal rilevatore, secondo una propria concezione degli elementi ritenuti importanti.
Questa concezione, che dipende dal soggetto che interpreta, influenza la documentazione grafica in
modo soggettivo. La fotografia di documentazione, applicata secondo precise regole tecniche, è
l’unico mezzo che può rappresentare in modo assolutamente oggettivo la realtà visiva, lo stato di
fatto, senza dipendere dalla soggettività del fotografo. Naturalmente l’una non sostituisce l’altra, ma
la fotografia costituisce un fondamentale supporto insieme alla documentazione grafica, alle schede
inventariali e alle relazioni tecniche, per la documentazione dei beni, siano essi archeologici,
architettonici, storico artistici o librari.
Nel caso di uno scavo archeologico, occorre tenere presente, che l’opera di scavo condotta da un
archeologo, anche se eseguita con la metodologia più appropriata, è per sua natura sempre
distruttiva nei confronti dello status in cui si trovano “sepolti” gli elementi. Questo status anche se
documentato, non potrà mai essere ripristinato esattamente come era in origine. Quindi ai posteri
non rimane che la documentazione di scavo prodotta a suo tempo e la fotografia è l’unica in grado di
dare un’idea reale visiva, ma anche dimensionale, di come era l’ambiente e gli elementi portati alla
luce nel corso dello scavo.
L’immagine si realizza sia attraverso l’obbiettivo della fotocamera e le informazioni luminose
trasmesse dal soggetto che vengono registrate sulla pellicola, sia secondo regole rigorosamente
matematiche, che governano le leggi della prospettiva e dell’ottica, i rapporti dimensionali, ed il
calcolo dell’esposizione.

a cura di Paolo Chistè 3


La fotografia implica un coinvolgimento della propria persona, della propria mente, delle nozioni
teoriche acquisite e delle doti pratico-manuali che si potranno affinare solo con l’esperienza acquisita
direttamente sul campo.
Le situazioni di ripresa possono essere molto varie e le particolari condizioni in cui si è costretti
ad operare non sono sempre funzionali al tipo di ripresa, soprattutto in interno o sullo scavo
archeologico, oppure sono dovute il più delle volte ai pochi mezzi a disposizione o alle varie
difficoltà da superare per effettuare una presa fotografica. Tutte queste difficoltà implicano un
maggiore impegno e un necessario sviluppo dell’ingegno personale per riuscire a realizzare in ogni
caso una buona documentazione fotografica.
Nonostante vi possano essere delle difficoltà di varia natura, la documentazione fotografica è
comunque indispensabile e molte volte si è costretti a scegliere il miglior compromesso possibile tra
l’impossibilità di disporre delle condizioni ottimali per realizzare una data fotografia, come la qualità
della luce e/o l’attrezzatura adeguata per risolvere il problema, e la necessità di avere comunque una
testimonianza effettiva della realtà di quel preciso istante, data dall’immagine fotografica, e tale
scelta può andare anche a discapito della qualità ottimale.
Vi sono molti trattati di fotografia, una ricerca bibliografica generale rende subito evidente la
quantità e la variegata offerta di titoli che possiamo trovare inerenti la fotografia (anche se in realtà i
libri che veramente insegnano qualcosa sono molto pochi). Questa comprende un campo vastissimo
di applicazioni e di tecniche di ripresa (solo la fotografia scientifica ad esempio, usa tecniche che
spaziano dall’impiego di raggi infrarossi, raggi ultravioletti, raggi X, ecc., unite a sistemi di ripresa
specifici per ogni particolare studio), ed è formata da una notevole estensione di elementi, costituiti
da vari tipi di attrezzatura e accessori, di materiali, di processi chimici, e dalla infinita varietà di
soggetti da fotografare, ecc. che combinati tra loro generano un’infinità di variabili dalle quali
dipende in ultimo l’esito della foto.
Il fotografo deve quindi avere molte conoscenze teoriche, ma soprattutto pratiche, dettate

dall’esperienza per trovare la combinazione più idonea alla realizzazione di una particolare ripresa

fotografica. L’esperienza può essere acquisita solo con una continua sperimentazione, indispensabile

per affinare tecniche e processi che più si avvicinino alle proprie esigenze e al tipo di fotografia che si

intende realizzare. Solo in questo modo il fotografo potrà avere un controllo sufficiente sugli

elementi che determineranno il risultato finale nella fotografia.

4
CORSO DI FOTOGRAFIA

L’argomento “fotografia” è così vasto che occorre consultare più testi per avere nozioni
specifiche relative ad un particolare interesse. Per quanto riguarda la fotografia relativa alle opere
d’arte o all’archeologia, la bibliografia specifica si riduce di molto, ma vi sono comunque degli ottimi
testi da consultare, che spiegano anche in dettaglio le varie metodologie di lavoro e l’utilizzo degli
apparecchi e delle tecniche fotografiche per la documentazione di siti, di scavi, e di reperti.
Consiglio quindi di approfondire le proprie conoscenze e le capacità nel campo della fotografia di
documentazione, consultando i libri elencati nella lista bibliografica allegata.
Se si vuole utilizzare davvero il mezzo fotografico occorre imparare a conoscerlo a fondo e
questo è possibile solo mettendo in pratica le conoscenze teoriche acquisite, con sistematicità e
precisione, con “prove di scatto” ed esperimenti (quando possibile), e soprattutto scrivendo sempre
per ogni fotografia, sul quaderno di campagna, gli appunti con le note tecniche di ripresa (situazione,
illuminazione, tempi, diaframmi, ecc.). Questi dati saranno di fondamentale importanza per capire gli
errori commessi e permettere di correggerli alla prossima occasione, e consentiranno di poter
ripetere determinati tipi di fotografie riuscite bene senza dover rifare tutto daccapo.

"Fare delle fotografie significa riconoscere - simultaneamente e nello spazio di una


frazione di secondo - sia il fatto stesso sia la rigorosa organizzazione delle forme percepite
visivamente che danno loro significato. Significa mettere la propria testa, il proprio occhio
e il proprio cuore sullo stesso asse."

Henry Cartier-Bresson

a cura di Paolo Chistè 5


Bibliografia

Fotografia archeologica:
♦ Necci, Maurizio, La fotografia archeologica, by La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1a ed., 1992
(consigliato per seguire il programma del corso).
♦ Dorrel, Peter G., Photography in archeology and conservation, Cambridge manuals in
archeology, Cambridge University Press, 1989.
♦ Gabrielli, Fausto, Le tecniche fotografiche in archeologia, Università degli Studi di Pisa, Scuola
di specializzazione per archeologia, Pisa, 1993.

Fotografia digitale:
♦ Ihring, Sybil, Ihring, Emil, Scanner – Acquisizione delle immagini, McGraw-Hill, Milano, 1999,
ISBN 88 386 4058 0.
♦ Ihring, Sybil, Ihring, Emil, Immagini digitali – Trattamento e stampa, McGraw-Hill, Milano,
1999, ISBN 88 386 4057 2.

Fotografia generale:
♦ Adams, Ansel, The Camera, 1980; tr. it. Marinucci Michele, La fotocamera, Zanichelli Ed.,
Bologna, 1989.
♦ Adams, Ansel, The Print, 1983; tr. it. Marinucci Michele, La stampa, Zanichelli Ed., Bologna,
1988.
♦ Adams, Ansel, The Negative, 1981; tr. it. Sapienza Lauretta, Il negativo, Zanichelli Ed., Bologna,
1987.
♦ Schaefer, John P., Basic Techniques of Photography, 1992; ed. it. Soletti F., Fotografia - Un
corso base secondo l’insegnamento di Ansel Adams, Zanichelli Ed., Bologna, 1994.
♦ Kodak Eastman Company, Encyclopedia of pratical photography, Eastman Kodak e Amphoto,
New York, 1979; ed. it. a cura di Peroni Baldo, La fotografia per tutti, Istituto Geografico De
Agostini S.p.A., Novara, 1983.
♦ Langford, M. J., Trattato completo di fotografia, Cesco Ciapanna Ed., Roma, 1980.
♦ Hedgecoe, John, The Photographer’s Handbook, by Ebury Press, National Magazine House,
1977; tr. it. Franco Giorgio, Il manuale del fotografo, Arnoldo Mondadori Ed., Milano, 1a ed.,
1978.

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CORSO DI FOTOGRAFIA

♦ Wiesenthal, Mauricio, Historia de la fotografia, Salvat Editores S.A., Barcellona; tr. it. Vaccaro
Carmine, Storia della fotografia, Istituto Geografico De Agostini S.p.A., Novara, 1983.
♦ Macdonald, Gus, Camera. A Victorian Eyewithness, 1979; tr. it. Pacca Paolo, L’occhio dell’
800, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1a ed. 1981.
♦ Corti L. - Gioffredi Superbi F., Fotografie e fotografie negli archivi e nelle fototeche,
presentazione di Bertelli C., Regione Toscana - Giunta Regionale, Ricerche e documenti per il
Catalogo dei beni culturali, Firenze, 1995.
♦ Weber a., Ernst, Sehen, Gestalten un Fotografieren, Walter de Gruyter & Co., Berlin, 1979; tr.
it. di Baracchini Caputi Augusto, LA FOTO - Come si compongono e come si giudicano le
fotografie, Ciesco Ciapanna Ed., Roma, 1981.
♦ Wagner Günter, Fotografia con l’infrarosso, Cesco Ciapanna Ed., Roma, 1980.

N.B. Nelle note del testo che seguiranno verrà indicata soltanto una abbreviazione delle opere
citate della bibliografia.

a cura di Paolo Chistè 7


Cenni di storia

Si può affermare che la fotografia, così come la conosciamo ai giorni nostri, è nata quasi per caso.
I primi studi, che portarono successivamente alla nascita della fotografia, erano volti principalmente
alla ricerca di una tecnica che consentisse di riprodurre meccanicamente i disegni che dovevano
essere riprodotti nella stampa tipografica. Questi solitamente venivano incisi a mano da pazienti
incisori su apposite lastre per la stampa, ma tale tecnica essenzialmente manuale necessitava
ovviamente di tempi molto lunghi.
L’interesse di alcuni studiosi agli inizi dell’Ottocento, si indirizzò su alcune sostanze chimiche,
conosciute già dagli alchimisti verso la metà del XVI secolo, che si annerivano con l’esposizione alla
luce, denominate luna o argento còrneo1. I primi esperimenti su queste sostanze incuriosivano molto
e non solo gli studiosi, tanto che nelle serate della buona società, si eseguivano silhouettes di piante e
fiori su fogli di carta impregnati di queste sostanze. Gli oggetti che si volevano riprodurre venivano
appoggiati direttamente sulla la carta che veniva esposta alla luce del sole; la carta anneriva e
rimaneva inalterata sotto agli oggetti riproducendone il contorno. Questi esperimenti venivano
effettuati spesso come divertimento, perché dello strano fenomeno non si riusciva a dare una
spiegazione se non che fosse la luce stessa a disegnare magicamente le figure sui fogli cosparsi di
queste sostanze, e che con altrettanta magica rapidità sparivano mentre le si osservava.
L’apparecchio fotografico stesso deriva da un antico strumento, la “camera obscura”, usata anche
da Leonardo Da Vinci nel XV secolo per lo studio della prospettiva. Lo strumento consisteva in una
piccola stanza portatile a tenuta di luce entro la quale trovava posto il disegnatore, la stanza veniva
posta davanti al paesaggio da riprodurre. Da un piccolo foro, detto foro stenopeico, posto sulla una
parete difronte al paesaggio, entravano i raggi luminosi che ne proiettavano l’immagine su un foglio
di carta disteso internamente alla camera sulla parete opposta al foro. Al disegnatore non rimaneva
che tracciare i tratti dell’immagine proiettata per riprodurre fedelmente la veduta della realtà con una
corretta prospettiva, anche se l’immagine appariva capovolta e con i lati invertiti. La camera obscura
fu in seguito perfezionata con l’aggiunta di una lente di vetro al posto del foro stenopeico in modo
da migliorare la luminosità e la qualità dell’immagine. In seguito vennero prodotte delle piccole
camere obscure portatili in legno, dotate di obbiettivo e uno specchio che raddrizzava i lati
dell’immagine, con le quali il disegnatore poteva porre il foglio direttamente su un vetro posto sopra

1
Cfr. C.Bertelli, G.Bollati, Storia d’Italia, L’immagine fotografica 1845-1945, Annali 2, Tomo secondo, Giulio
Einaudi Ed., Torino, 1979.

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CORSO DI FOTOGRAFIA

la camera2 e tracciare il disegno. Queste venivano usate soprattutto nei ritratti per tracciarne i
contorni il più fedelmente possibile.
Fu Joseph Nicéphore Niepce, iniziati gli esperimenti nel 1814, il primo ad unire le nozioni di
chimica con la camera obscura, ottenendo nel 1816 la prima immagine fotografica.
Dall’unione della sperimentazione chimica sulle sostanze fotosensibili, dello studio della luce e
delle leggi di ottica e dell’abilità artigianale con il progresso tecnologico, nacque la fotografia.
Fasi riassuntive della storia della fotografia3:
1800 - Thomas Wedgwood e Humphry Davy eseguono i primi esperimenti importanti che aprono
la strada verso la storia della fotografia. Wedgwood ottenne le prime figure di oggetti
opachi come conchiglie o foglie, appoggiandole su carta o pelle bianca sensibilizzata con
nitrato d’argento ed esponendola alla luce del sole. Davy realizzò, sullo stesso supporto,
immagini proiettate da un microscopio solare. Essi però non conoscevano ancora un
sistema per rendere permanenti le immagini, infatti queste divenivano sempre più scure
con le successive esposizioni alla luce e potevano essere osservate solo al lume di candela
nel tentativo di ridurne gli effetti di evanescenza. In entrambi i casi si trattava di abbozzi di
figure, non di chiare immagini.
1816 - Joseph Nicéphore Niepce ottiene la prima immagine fotografica con un apparecchio
rudimentale, su un foglio di carta impregnato di cloruro d’argento, ma l’immagine risulta
in negativo con i toni invertiti, e Niepce considera questo risultato fallimentare. Egli
inoltre ha notevoli problemi dovuti alla difficoltà di fissare l’immagine, questa infatti
degenera inesorabilmente con l’esposizione alla luce.
1826 - Niepce, fissa la prima fotografia in modo permanente, su una lastra di stagno spalmata di
bitume, con una esposizione di circa otto ore ed uno sviluppo con olio di lavanda che
dissolve il bitume non esposto all’azione dei raggi luminosi. Ottiene così una immagine
positiva costituita dal grigio chiaro del bitume che definisce le luci dell’immagine e dal
metallo scuro della lastra che definisce le ombre.
1829 - Niepce sostituisce la lastra di stagno con una d’argento spalmata di una sostanza
bituminosa grigia e trova un sistema per ottenere l’immagine interamente su argento,
scurendo le parti d’ombra sull’argento con iodio ed eliminando poi il bitume.

2
Si attribuisce a Gian Battista Della Porta, celebre matematico e fisico napoletano, la costruzione di tali apparati verso
la metà del XVII secolo. Ibidem, p.207, 215.
3
Cfr. Kodak, Encyclopedia…, vol.9, pp.203-211.

a cura di Paolo Chistè 9


1835 - William Henry Fox Talbot ottiene immagini negative su carta trattata con cloruro
d’argento ad annerimento diretto mediante lunghe esposizioni, ma le immagini sono fissate
ancora in modo imperfetto.
1838 - Louis Jacques Mandé Daguerre scopre un procedimento per registrare immagini su lastre
di argento sensibilizzate con vapori di iodio e sviluppate con vapori di mercurio,
l’immagine però non è ancora fissata e le lunghe esposizioni alla luce la degenerano.
1839 - Talbot con un procedimento di stampa a contatto ottiene finalmente copie di immagini
positive su carta partendo da un negativo sempre su carta. Con i consigli di Sir John F.W.
Herschel riesce a fissare le immagini con una soluzione di iposolfito di sodio (o tiosolfato
di sodio) scoperta da Herschel ancora nel 1819.
1839 - Nasce la dagherrotipia, con il dagherrotipo, dal nome del suo ideatore Daguerre.
L’immagine è ripresa su una lastra di rame argentata sensibilizza con vapori di iodio e
sviluppata con vapori di mercurio, le immagini vengono rese permanenti fissandole con
una soluzione di iposolfito di sodio.
1840 - Talbot scopre un metodo di sviluppo dei negativi su carta che consente di ridurre i tempi
di esposizione nell’apparecchio fotografico.
1841 - Henry Fox Talbot brevetta il procedimento della calotipia, che in seguito diverrà il
talbotipo, con negativi su carta sensibilizzata con ioduro d’argento, nitrato d’argento e
acido gallico, che vengono sviluppati in acido gallico, sono quindi trattati con cera per
aumentarne la trasparenza. I positivi vengono ottenuti sempre con il procedimento di
stampa a contatto su carta sensibilizzata in modo simile.
1842 - Sir John F.W. Herschel inventa il procedimento al blu di prussia; la cianotipia o
ferrografia, un procedimento negativo-positivo ad annerimento diretto basato sulla
scoperta della sensibilità alla luce di taluni sali di ferro.
1848 - Abel Niepce de Saint-Victor perfeziona l’uso dell’albume per ottenere composti sensibili
alla luce da spalmare su lastre di vetro al fine di produrre negativi assolutamente lisci e
trasparenti, caratteristiche difficili da ottenere con i negativi su carta, per ottimizzare la
definizione dell’immagine nel procedimento di stampa a contatto.
1851 – Frederick Scott Archer utilizza un procedimento che sostituisce all’albume il collodio per
le lastre di vetro, quest’ultimo una volta essiccato presenta caratteristiche di resistenza
migliori dell’albume. Si pone però il problema della preparazione delle lastre che devono
essere rivestite, sensibilizzate ed esposte subito con il collodio ancora umido (da qui il

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CORSO DI FOTOGRAFIA

nome comunemente usato “lastre al collodio umido”), per essere sviluppate prima che
questo si essicchi divenendo impermeabile, in un tempo medio di 20 minuti.
1851-52 – Sempre F.S.Archer e Peter W.Fry, realizzano il primo ambrotipo (questo però prese il
nome da James Ambrose Cutting che, nel 1854, brevettò tale tecnica per eseguire ritratti),
una variante del procedimento al collodio umido. Ottenuta un immagine negativa su una
lastra di vetro, scura e sottoesposta, veniva fatta sbiancare fino a renderla di un grigio
lattiginoso, ponendo la lastra a contatto su una superficie scura il negativo veniva ad
assumere l’aspetto di un positivo e poteva essere osservato direttamente.
1852 - Viene introdotta la ferrotipia, per ottenere immagini positive dirette su sottili lastre di
metallo smaltate di nero - più raramente di cartone - e rivestite con un’emulsione al
collodio umido, dette ferrotipi, molto simili agli ambrotipi, ma più economiche e rapide.
1861 - James Clerk Maxell pubblica delle comunicazioni sulla teoria della percezione del colore e
sulla separazione della luce in tre colori. Egli dimostra la sintesi additiva dei colori con
l’uso di filtri colorati a mano e della lanterna magica. Non è però possibile ancora alcuna
applicazione nel campo della fotografia a colori poiché i materiali fotografici del tempo
sono sensibili solo nella regione del blu dello spettro luminoso.
1862 - Viene dimostrato il primo procedimento di inversione di un negativo in positivo.
1871 - Richard Leach Maddox inventa il primo procedimento pratico per ottenere lastre asciutte
con un’emulsione alla gelatina contenente alogenuri d’argento in luogo del collodio.
1873 - H.V. Vogel scopre alcune nuove sostanze chimiche per portare la sensibilità delle
emulsioni dalla regione del blu dello spettro a quella del verde, consentendo di ottenere le
prime emulsioni ortocromatiche (non sensibili al rosso).1876 - Comincia in Gran Bretagna
la produzione industriale di lastre asciutte alla gelatina.
1888 - John Carbutt inizia la produzione di pellicole piane su supporto in celluloide.
1889 - Negli Stati Uniti la Eastman Dry Plate and Film Company immette sul mercato la prima
pellicola trasparente di celluloide in rullo.
1898 - Al reverendo Hannibal Goodwin viene concessa una licenza per una pellicola in rullo che
utilizza un’emulsione alla gelatina al bromuro d’argento.
1901 - In Francia viene inventato l’acetato di cellulosa, questo viene impiegato nelle pellicole
fotografiche in sostituzione del supporto in nitrato di cellulosa che era altamente
infiammabile, aumentandone la sicurezza. Per le pellicole cinematografiche si continuerà
ad usare il pericoloso nitrato di cellulosa fino al 1951.

a cura di Paolo Chistè 11


1904 - B. Homolka e E. König, inventano coloranti che estendono la sensibilità delle emulsioni
anche nella regione del giallo e del rosso dello spettro, le pellicole pancromatiche.
1906 - Wratten e Wain Wraight avviano la produzione commerciale di pellicole pancromatiche
sensibili a tutti i colori dello spettro luminoso.
1907 - Lumiére produce e commercializza il primo procedimento a colori, l’Autochrome, questo
è un procedimento che sfrutta la sintesi additiva dei colori: una lastra di vetro spalmata di
granuli di fecola di patate colorati di verde, blu e rosso, è rivestita con uno strato di
emulsione pancromatica.
1936 - Viene introdotta in Germania la prima pellicola invertibile Agfacolor, la prima pellicola a
colori tricromatica con copulanti cromogeni sottrattivi, ciano, magenta, e giallo,
incorporati negli strati dell’emulsione.
1946 - Kodak immette sul mercato la prima pellicola per diapositive a colori Kodak Ektachrome.
1947 - Edwin H. Land introduce il sistema Polaroid di fotografia immediata, basata su una
pellicola in bianco e nero autosviluppante che produce una immagine positiva con il
metodo a diffusione e transferto.
1963 - Viene messo sul mercato il sistema Polacolor per fotografie a colori, sempre con il metodo
di diffusione e transferto della Polaroid.
1963 - Viene introdotto dalla Kodak il sistema Cibachrome, materiale invertibile a colori per la
stampa di diapositive.

12
CORSO DI FOTOGRAFIA

LEZIONE N. 1 - La luce

1. Caratteristiche della luce.

La luce4
E’ un’energia elettromagnetica radiante alla quale è sensibile l’occhio umano e che consente
all’uomo di vedere5. La luce si considera come un’emissione luminosa, in quanto in fotografia, ha
sempre un origine.
Emissione luminosa (TAV.1)
Si definisce sorgente luminosa o punto luminoso il luogo dal quale ha origine l’emissione luminosa,
dalla sorgente si dipartono i raggi luminosi o raggi di luce. Un infinito numero di raggi luminosi
costituiscono un fascio di luce che si propaga in tutte le direzioni.
Lunghezza d’onda (TAV.2)
La luce è costituita, secondo il modello ondulatorio6, da onde elettromagnetiche che si propagano
nello spazio in modo rettilineo, esse sono caratterizzate in base alla lunghezza d’onda7. La velocità
assoluta di propagazione della luce nel vuoto non dipende dalla lunghezza dell’onda ed è di 299.790
Km/s, essa diminuisce quando la luce attraversa un mezzo diverso in funzione della densità dello
stesso8.
Propagazione luminosa (TAV.3)
Secondo il modello ondulatorio la luce trasporta energia sotto forma di campo elettrico e campo
magnetico, i cui vettori sono perpendicolari tra loro e perpendicolari alla direzione di propagazione.
Per semplicità dato che sono di uguale ampiezza e della stessa frequenza, si considera il
comportamento del solo campo elettrico9.
Lo spettro elettromagnetico (TAV.4)

4
Dal latino: lux , lucis, lucem, da luc- = splendere. Cfr. N.Zingarelli, Il Nuovo Zingarelli, Zanichelli,1985.
5
Ciò che comunemente chiamiamo luce è in realtà una sensazione mediata da una infinità di meccanismi fisici,
fisiologici e psicologici, che producono attraverso il senso della vista delle informazioni sensoriali che vengono
elaborate dal cervello per essere percepite.
6
Fu J.C.Maxell. a interpretare la propagazione ondulatoria della luce nell’ambito della teoria elettromagnetica. Cfr.
A.Caforio, A.Ferilli, Physica, vol.2, Le Monnier, Firenze, 1983, p.137.
7
La lunghezza d’onda è la distanza fra un picco di un’onda e il picco di quella successiva, come nel caso di un’onda
sinusoidale. Cfr. Kodak, Encyclopedia…, vol.9, pp.89-91.
8
Nell’aria la perdita di velocità è trascurabile, negli altri mezzi, vetro, acqua, ecc., determina degli effetti importanti
che devono essere tenuti in considerazione in fotografia.
9
Cfr. A.Caforio, A.Ferilli, Physica, vol.2, Le Monnier, Firenze, 1983, p.149.

a cura di Paolo Chistè 13


Esiste uno spettro elettromagnetico10 continuo di onde elettromagnetiche che va dalle onde
herziane, con lunghezze d’onda molto lunghe, alle onde radio, alle microonde; fino ai raggi X e
raggi gamma, e ai raggi cosmici con lunghezze d’onda sempre più corte.
L’occhio umano e la visione (TAV.5)
La “luce visibile” è costituita da onde elettromagnetiche di particolare lunghezza d’onda, che
giungendo sulla retina dell’occhio riescono a stimolare le cellule sensibili alla luce (bastoncelli =
luminanza; coni = colori11), queste generano degli impulsi elettrici che vengono inviati attraverso il
nervo ottico al cervello. La capacità di quest’ultimo di interpretare queste informazioni elettriche
passa attraverso schemi mnemonici interpretativi molto complessi che percorrono diverse fasi.
Semplificando le fasi sono: osservazione (forma elemento osservato); confronto e riconoscimento
(forma elemento + ricordo = forma oggetto); associazione mnemonico logica (forma oggetto +
funzione oggetto = funzione elemento); analisi logica/interpretativa (collocazione nella realtà
dell’elemento). Questo schema fornisce solo una traccia del fenomeno assai complesso della
percezione visiva nell’uomo.
Lo spettro del visibile (TAV.6)
La luce visibile è costituita da onde elettromagnetiche comprese in una banda12 ristretta dello
spettro elettromagnetico che viene definita anche spettro luminoso o spettro del visibile13, questa
comprende una gamma di lunghezze d’onda che va da ca. 400 nm14 a ca. 700 nm. Le onde
elettromagnetiche che sono agli estremi dello spettro visibile, la banda dell’ultravioletto ca. 10-400
nm, e quella dell’infrarosso ca. 700-4000 nm, sono anch’esse interessanti e importanti per
applicazioni particolari nel campo della fotografia scientifica.
Riflessione e riflettanza (TAV.7-8)
Un raggio luminoso si propaga nello spazio vuoto in modo rettilineo e all’infinito, almeno finché non
incontra un ostacolo lungo la sua traiettoria. Gli ostacoli possono essere costituiti da mezzi di

10
Lo spettro è una rappresentazione “a finestra” di un segnale in un diagramma. Nel caso dello spettro luminoso esso
è dato dall’insieme delle onde elettromagnetiche emesse da una sorgente, distribuite secondo la loro frequenza
sull’asse delle X e in rapporto alle relative ampiezze sull’asse delle Y.
11
Secondo la teoria di Young Helmholz, i bastoncelli sono estremamente sensibili ma solo all’intensità luminosa,
danno informazioni acromatiche relative alla luminanza (prive del colore); i coni sono meno sensibili, ma essendo di
tre tipi con pigmenti rispettivamente rossi, verdi e blu, danno informazioni relative al colore. Cfr. Kodak,
Encyclopedia…, vol.6, pp.231-232.
12
Per banda si intendono tutti i valori di una grandezza compresi entro un limite minimo ad un limite massimo di una
scala di valori.
13
Sir Isaac Newton fu il primo a scomporre la luce bianca tramite un prisma e studiare lo spettro luminoso, egli
descrisse i colori dal viola, blu, verde, giallo, arancione e rosso. Cfr. Kodak, Encyclopedia…, vol.9, pp.89-91.
14
Il nanometro è un sottomultiplo del metro: 1000000000 nm = 1 m, 1nm = 10-9 m.

14
CORSO DI FOTOGRAFIA

diversa densità rispetto al vuoto. Quando i raggi luminosi colpiscono un corpo opaco15 con
superficie liscia e piana, ad es. uno specchio ottico16, la propagazione della luce avviene per
riflessione speculare (l’angolo di incidenza è uguale all’angolo di riflessione). Se la superficie non è
liscia e presenta delle microscopiche irregolarità (SCABROSITA’), una parte della luce riflessa viene
sia assorbita, sia diffusa in tutte le direzioni. Il rapporto tra il flusso di luce incidente e quello di
luce riflessa (compresa quella diffusa) viene detto riflettanza e viene espresso in valori di
percentuale (%).
Rifrazione e trasmissione (TAV.9-10)
Quando la luce si propaga attraverso un corpo trasparente17 prosegue nel mezzo variando la
propria direzione (l’angolo di rifrazione si discosta da quello di incidenza secondo la densità del
mezzo attraversato, che si esprime mediante un coefficiente) e la propagazione avviene così per
rifrazione. Per i corpi traslucidi18 si possono avere entrambi i tipi di propagazione.
Flusso luminoso e intensità (TAV.11)
In fotometria19 è possibile misurare l’energia del flusso luminoso con le relative grandezze
fotometriche. Si misura l’energia in ordine di potenza emessa o potenza riflessa. L’intensità
luminosa esprime la potenza emessa da una sorgente luminosa, nel sistema ISO SI20, l’unità di
misura per una sorgente puntiforme 21 è la candela22. Dalla sorgente si origina il flusso luminoso la
cui intensità si misura in lumen23 (lm).
Illuminamento e luminanza (TAV.12)

15
Tutti quei corpi, come i metalli, il legno, ecc. che non si lasciano attraversare dalla luce sono detti opachi. Cfr.
A.Caforio, A.Ferilli, Physica, vol.2, Le Monnier, Firenze, 1980, p.63.
16
Gli specchi ottici si differenziano dagli specchi comuni in quanto vengono realizzati per riflettere i raggi luminosi
dal lato dove è depositato lo strato metallico e non attraverso il vetro, per evitare problemi dovuti alla rifrazione.
17
Alcuni corpi, come lastre di vetro, l'aria, l'acqua, si lasciano attraversare dalla luce permettendo di vedere gli oggetti
che si trovano dalla parte opposta dell'osservatore; questi corpi sono chiamati trasparenti. Ibidem.
18
I corpi traslucidi fanno passare la luce, ma non permettono di distinguere gli oggetti: ne sono esempi il vetro
smerigliato, il vetro bianco, la carta, ecc. Ibidem.
19
Il compito della fotometria è quello di definire dei metodi e delle unità di misura per la determinazione quantitativa
della percezione della luce. Cfr. Kodak, Encyclopedia…, vol.6, pp.64-69.
20
ISO, deriva da International Standard Organization, federazione che raggruppa gli organismi nazionali di
metrologia di tutto il mondo che ha approvato un sistema di norme uniformi per la determinazione delle varie unità di
misura con espressioni universali. Cfr. Kodak, Encyclopedia…, vol.5, pp.214. – SI deriva da Sistema Internazionale,
o sistema di misura internazionale adottato dall’Italia come riferimento transitorio.
21
Per luce puntiforme si intende un’emissione luminosa originata da un punto infinitamente piccolo.
22
In fotometria, il campione di intensità luminosa, detto candela (cd), è misurato mediante una cavità sferica riscalata
alla temperatura di fusione del platino, che emette luce attraverso un foro di superficie pari a 1/60 cm2 di una
composizione spettrale ben definita.
23
Un lumen corrisponde a 1/4π del flusso totale emesso da una sorgente puntiforme di intensità pari a una candela,
nella direzioni comprese entro l’angolo solido di un cono che sottende una calotta di un metro quadrato in una sfera di
un metro di raggio, ossia uno steradiante (sr). Si indica con Φ e l’unità di misura è il watt/sr. Cfr. Kodak,
Encyclopedia…, vol.6, pp.64-65.

a cura di Paolo Chistè 15


Il flusso luminoso che incide su una superficie costituisce l’illuminamento, e si misura in lux24 (lx).
La misura della potenza riflessa da una superficie si esprime in termini di luminanza e l’unità di
misura adottata è la candela per metro quadrato25 (cd/m2). La luminanza non dipende dalla
distanza da cui si effettua la misura, perché è l’illuminamento prodotto da una superficie e dipende
dalla dimensione della superficie. La luminanza si riferisce essenzialmente alla luce bianca, mentre
per le superfici colorate si usa esprimere la potenza riflessa in termini di brillanza. Il rapporto tra la
luminanza L (riflessione) di una superficie e l’illuminamento ricevuto, E (assorbimento), si chiama
coefficiente di riflessione, r (r = L/E), che è sempre inferiore a 1, poiché la luminanza è sempre
inferiore all’illuminamento (ad esempio il cartoncino grigio medio, di cui si tratterà in seguito, usato
per determinare l’esposizione di una pellicola ha un coefficiente di riflessione, r = 0.70).
Unità misura fotometriche (TAV.13)
In fotografia è più utile valutare la quantità totale di energia emessa o riflessa, ai fini del calcolo per
la determinazione dell’esposizione (intensità e durata), questa è strettamente legata anche alla durata
dell’emissione luminosa. Si considera quindi la quantità di luce come il flusso di luce emesso o
assorbito nell’unità di tempo di esposizione26. L’energia emessa si misura in watt per secondo27
(W/sec.) o joule28 (J) e l’energia ricevuta da una superficie si misura in Watt per secondo al metro
quadrato (W/sec./m2) o joule per metro quadrato (J/m2).
Inverso del quadrato (TAV.14)
Il flusso di luce, entro un determinato angolo solido, è costante, mentre la superficie illuminata
aumenta con il quadrato della distanza dalla sorgente o dal vertice dell’angolo solido.
L’illuminamento prodotto dalla sorgente sulla superficie è inversamente proporzionale al quadrato
della distanza (E=I/d2 : E=illuminamento in lux, I=intensità in candele, d=distanza in metri). La
quantità di luce ricevuta perpendicolarmente da una superficie è inversamente proporzionale al
quadrato della distanza tra la sorgente luminosa e la superficie illuminata. Se alla distanza di un
metro dalla sorgente luminosa misuriamo una luminanza pari a 1 cd/m2, alla distanza doppia pari a 2

24
Un lux equivale al flusso di un lumen che incide su una superficie di un metro quadrato, detto anche lumen al metro
quadrato (lm/m2). Un lux è l’illuminamento di una superficie di un metro quadrato posta alla distanza di un metro da
una sorgente puntiforme di intensità pari ad una candela. Cfr. Kodak, Encyclopedia…, vol.6, pp.64-65.
25
La luminanza (cd/m2) è l’unità di misura della luce riflessa: 1 cd/m2 equivale alla luminanza di una superficie di un
metro quadrato totalmente riflettente, illuminata da una sorgente di intensità pari ad una candela, alla distanza di un
metro e osservata da una direzione perpendicolare alla superficie stessa. Cfr. Kodak, Encyclopedia…, vol.6, pp.68-69.
26
Cfr. Kodak, Encyclopedia…, vol.6, p.69.
27
Il watt è l’unità di misura della potenza (1 watt = 1 ampere x 1 volt); il watt-secondo è una misura di energia ed è
uguale alla potenza di un watt che agisce per un secondo (1 watt-secondo = 1 ampere x 1 volt x 1 secondo). Cfr.
Kodak, Encyclopedia…, vol.10, pp.243.

16
CORSO DI FOTOGRAFIA

metri misureremo una luminanza pari a 1/4 cd/m2, quattro volte inferiore. In seguito questa
interdipendenza, utile ai fini della determinazione dell’esposizione, verrà approfondita.

28
Il joule è l’unità di misura più propria dell’energia, la potenza nel tempo (1 joule = 1 ampere x 1 volt x 1 secondo),
si esprime anche in watt/secondo (1 joule = 1 watt/sec). Cfr. Kodak, Encyclopedia…, vol.10, pp.243.

a cura di Paolo Chistè 17


2. Il colore.

La luce incoerente (TAV.15)


È essenzialmente la lunghezza d’onda che determinata il colore; ad ogni lunghezza d’onda
corrisponde uno specifico colore. I colori vanno dal violetto, blu, verde, giallo, arancione fino al
rosso, come rappresentato nello spettro del visibile. L’insieme di tutte le lunghezze d’onda entro lo
spettro luminoso, di conseguenza la miscela di tutti i colori, costituiscono una luce incoerente a
tonalità neutra, la luce bianca.
La percezione del colore (TAV.16)
Le dominanti di colore, rispetto alla luce bianca, si hanno quando alcune lunghezze d’onda
predominano rispetto alle altre come intensità, in questo caso la luce tenderà ad assumere il colore di
quelle determinate onde. Quando invece sono assenti dallo spettro alcune lunghezze d’onda la
dominante tenderà ad assumere il colore di quelle rimanenti. Così accade per le superfici colorate,
una superficie appare blu perché assorbe quasi tutte le radiazioni riflettendo maggiormente quelle
relative al blu. Una superficie appare nera quando assorbe tutte le radiazioni dello spettro, viceversa
appare bianca quando le riflette. Un vetro colorato appare verde perché rifrange solo le radiazioni
del verde bloccando le altre. La percezione del colore è comunque una sensazione mediata da una
infinità di meccanismi e nessuna persona percepisce i colori in modo identico ad un’altra.
Sono state formulate due teorie sulla formazione dei colori che trovano applicazione in fotografia, la
sintesi additiva e la sintesi sottrattiva del colore. Secondo queste teorie, lo spettro luminoso viene
diviso in tre porzioni alle quali vengono attribuiti tre colori fondamentali (Cfr. TAV.6); tutte le altre
sensazioni cromatiche sono determinate dalla miscela di questi tre colori.
La sintesi additiva (TAV.17)
Nel caso della sintesi additiva i colori sono il blu, il verde e il rosso29, ai quali sono sensibili le
cellule (coni) della retina dell’occhio umano, questi sono detti anche colori primari. La teoria si
basa sulla formazione dei colori attraverso la combinazione di fasci di luce di colori primari, blu,
verde e rosso, di diversa intensità. La miscela di luce blu e rossa, genera il magenta30; la luce rossa e

29
Dalle iniziali di questi tre colori in inglese deriva l’acronimo RGB riferito al colore (Reed, Green & Blue).
30
Colore cremisi molto intenso, risultante dalla combinazione dei colori violetto e rosso. Cfr. N.Zingarelli, Il Nuovo
Zingarelli, Zanichelli, 1985.

18
CORSO DI FOTOGRAFIA

verde, il giallo, e la luce verde e blu, il ciano31; l’unione dei tre colori in eguale quantità genera il
bianco.
La sintesi sottrattiva (TAV.18)
La sintesi sottrattiva invece si basa sull’eliminazione del colore dalla luce bianca attraverso filtri di
colore: cano, magenta o giallo32, detti anche colori complementari. I filtri ciano e magenta
lasciano passare solo la luce blu; i filtri magenta e giallo la luce rossa e infine il filtro giallo e quello
cyan, la luce verde; dalla combinazione di due filtri di diversa densità si ottengono le diverse
sfumature di colore, la sovrapposizione di tutti e tre i filtri impedisce di fatto il passaggio della luce
determinando il nero o limitandone il flusso generando tonalità di grigio.
La misurazione del colore
Un metodo per la misurazione del colore di una sorgente luminosa, consiste nella determinazione
della sua temperatura colore. Tale grandezza viene definita in base alla misurazione della
temperatura espressa in gradi kelvin33 (K) di un corpo nero34 riscaldato fino ad emettere radiazioni
luminose (come un ferro arroventato che comincia a diventare rosso, poi arancione, quindi giallo e
bianco). Variando la temperatura del corpo nero varia anche la lunghezza delle onde delle radiazioni
emesse e di conseguenza il colore, quindi per ogni colore emesso viene registrata la temperatura
particolare che diventa caratteristica di quel colore. Il termocolorimetro è lo strumento per mezzo
del quale è possibile avere una misura in gradi kelvin della temperatura colore delle sorgenti
luminose in funzione delle tre componenti fondamentali della luce: blu, verde e rosso.

31
Ciano o cyan, colore azzurro tendente al verde usato per la stampa in tricromia. Cfr. N.Zingarelli, Il Nuovo
Zingarelli, Zanichelli, 1985.
32
Dalle iniziali di questi tre colori in inglese deriva l’acronimo CMYK (Cyan, Magenta, Yellow, K sta per Key color)
usato nel settore delle arti grafiche.
33
La scala Kelvin di misura della temperatura parte dallo zero assoluto, 0 Kcorrispondono a -273,16 °C. Cfr.
A.Caforio, A.Ferilli, Physica, vol.2, Le Monnier, Firenze, 1980.
34
Un corpo nero è considerato un radiatore ideale di calore, nelle ricerche scientifiche si usa una cavità sferica
rivestita internamente di nerofumo dotata di un piccolo foro; le radiazioni incidenti che entrano nel foro vengono
facilmente assorbite dalle pareti interne di nerofumo, in questo modo non viene riflesso quasi alcun raggio. Il corpo
nero riscaldato a temperature superiori a 1000°K emette attraverso il foro radiazioni elettromagnetiche che si
producono all’interno della cavità in quantità rilevabile.

a cura di Paolo Chistè 19


3. La luce naturale.

Temperatura colore in relazioni alle condizioni atmosferiche (TAV.19)


Le radiazioni luminose emesse dal sole vengono in parte filtrate dai vari strati componenti
l’atmosfera della terra prima di arrivare al suolo. L’atmosfera assorbe una parte di radiazioni
luminose e le diffonde al suo interno a causa delle particelle d’acqua e di altre particelle sospese, è
per questo che il cielo sereno appare di colore azzurro (viene filtrato maggiormente il giallo). La luce
che arriva al suolo o luce diurna, è in parte quella diretta del sole (sorgente puntiforme), filtrata
dall’atmosfera, e in parte quella diffusa dall’atmosfera stessa. La temperatura colore del sole,
misurata direttamente, è di circa 6500 K, quella del cielo sereno è di circa 10.000-18.000 K, la
composizione media della luce risulta di circa 5500-5600 K, ma solo in condizioni ideali.
Per luce fredda si intende generalmente una luce tendente all’azzurro, che è conseguenza di una
temperatura colore piuttosto alta, viceversa si intende luce calda una luce tendente al giallo, che è
conseguenza di temperature colore relativamente basse. Le definizioni attribuite a colori caldi e
colori freddi sono dettate dalle emozioni che le sensazioni cromatiche generano nel nostro stato
d’animo e non corrispondono alle reazioni fisiche direttamente misurabili scientificamente.
Ad esempio nelle zone di ombra la luce proviene esclusivamente dal cielo (per riflessione della luce
solare diffusa) e avendo una temperatura colore molto alta, produce dei colori con una dominante
fortemente azzurra, di tonalità fredda, a differenza della luce a composizione media (sole + cielo) che
produce dei colori più naturali.
Temperatura di colore in relazione all’altezza del sole sopra l’orizzonte (TAV.20)
La luce diurna può variare sensibilmente la sua temperatura colore a seconda delle situazioni
ambientali o stagionali e può essere influenzata dalle condizioni atmosferiche, dalla variabilità della
quantità di nubi nel cielo, dall’inquinamento, dall’altezza sul livello del mare e dall’angolazione del
sole rispetto allo zenit, e quindi anche in funzione dell’ora. Soprattutto avvicinandosi nell’arco della
giornata all’alba e al tramonto, varia sensibilmente il colore della luce; all’alba avremo una luce tenue
tendente al giallo per l’atmosfera generalmente più limpida, mentre al tramonto la luce si tingerà di
un arancione tendente al rosso a causa della mutata densità dell’aria, dovuta alla maggiore umidità e
temperatura che assorbe maggiormente le radiazioni del blu.
Composizione della luce in base ai tre colori primari (TAV.21)

20
CORSO DI FOTOGRAFIA

La variazione di colore della luce diurna è determinata da un diverso bilanciamento delle tre
componenti fondamentali: blu, verde e rosso; in conseguenza a questo anche le superfici assorbono o
riflettono le componenti con un diverso equilibrio nell’arco della giornata variando così il loro
colore. La visione umana non è in grado di percepire queste variazioni, poiché il cervello adatta
continuamente nell’arco della giornata i colori osservati in modo che vengano percepiti come colori
naturali anche se non lo sono.
Composizione della luce bianca (TAV.22)
La composizione della luce bianca formata dalle tre componenti primarie: blu, verde e rosso, in
eguali proporzioni, corrisponde alla temperatura di 5500 K. Essa viene usata come riferimento
standard per la valutazione dei colori, in quanto la percezione del colore varia in funzione della
qualità dell’illuminazione, anche se viene compensata dal cervello entro certi limiti. Un foglio bianco
appare tale ai nostri occhi sia se illuminato dalla luce solare, sia se illuminato da quella di una
candela, ma riusciremo a distinguerlo da un foglio leggermente giallo solo se osservato alla luce del
sole.
Valori delle più comuni sorgenti luminose (TAV.23)
In assenza di luce solare o quando questa non è sufficiente si usa la luce artificiale, che può essere
continua o intermittente. La luce artificiale continua viene ottenuta, nelle comuni lampadine,
surriscaldando per mezzo dell’elettricità un filo di tungsteno ad altissima temperatura. Il filo
incandescente emette così delle onde elettromagnetiche, parte delle quali rientra nello spettro visibile
e costituisce il flusso luminoso. La luce artificiale intermittente è costituita essenzialmente dagli
illuminatori flash o lampeggiatori elettronici.
Diversi dispositivi di illuminazione e scala colorimetrica (TAV.24)
Vi sono vari tipi di luce artificiale e in fotografia si caratterizzano essenzialmente per la temperatura
colore della sorgente.
Distribuzione spettrale lampada tungsteno (TAV.25)
Le comuni lampadine, dette anche al tungsteno, hanno un’emissione intorno ai 2800 K. Le lampade
alogene, più efficienti di quelle normali al tungsteno, hanno una temperatura colore più alta, circa
3200 K e si usano molto anche in fotografia per le foto di interni e di reperti. Vi sono poi le lampade
tipo photoflood o survoltate che arrivano a circa 3400 K, ma queste sono poco usate a causa della
breve durata della lampada che è di poche ore.
Distribuzione spettrale lampada fluorescente (TAV.26-27)

a cura di Paolo Chistè 21


Le lampade fluorescenti o al neon, utilizzano una scarica elettrica in vapori di mercurio all’interno di
un tubo rivestito da sostanze fluorescenti, queste emettono luce quando vengono investite dalle
radiazioni ultraviolette generate dalla scarica. Lo spettro di emissione è abbastanza discontinuo,
caratterizzato da dei picchi in corrispondenza di alcune lunghezze d’onda, le parti continue sono in
funzione del tipo di rivestimento del tubo, i picchi sono determinati dal gas. Vi sono molti tipi di
lampade fluorescenti e anche se all’occhio umano la luce sembra simile, le componenti dello spettro
possono risultare fondamentalmente diverse e di conseguenza anche il colore del flusso luminoso. La
temperatura colore tuttavia non è sempre un riferimento univoco in quanto rappresenta il valore
medio delle tre componenti dello spettro visibile e non l’effettivo rapporto spettrale delle varie
lunghezze d’onda, questo viene influenzato inoltre dai picchi che possono avere anche una forte
emissione.
Il flash o lampeggiatore elettronico
Il flash costituisce una sorgente intermittente di luce artificiale, esso produce un lampo molto intenso
e di breve durata, mediante una scarica elettrica ad alta tensione in un tubo contenente una miscela di
gas rari. I lampeggiatori offrono notevoli vantaggi rispetto alle lampade: forniscono un’elevatissima
intensità luminosa, la temperatura colore è di circa 5800-6000 K, molto vicina al valore della luce
bianca. La velocità del lampo è brevissima, circa da 1/3.000 a 1/30.000 di secondo, consentendo di
bloccare anche i rapidi movimenti del soggetto. I flash consumano meno energia elettrica rispetto
alle lampade e hanno una vita molto lunga in termini di numero di lampi, inoltre alcuni lampeggiatori
possono essere alimentati a batteria e quindi essere impiegati anche in luoghi sprovvisti di energia
elettrica. I lampeggiatori distinguono essenzialmente in tre classi sulla base della potenza e della
trasportabilità: tipo miniatura (amatoriali), a staffa e da studio (professionali).

22
CORSO DI FOTOGRAFIA

4. L’illuminazione.

Illuminazione del soggetto (TAV.28)


L’illuminazione è costituita dalla luce che investe un soggetto da fotografare; un corpo è visibile in
quanto riflette i raggi luminosi provenienti da una sorgente luminosa. Sono questi raggi che
consentono di riprodurlo in fotografia, la luce disegna letteralmente gli oggetti35, ne delinea il
contorno, quindi la forma, la superficie, ovvero la testura, ed il volume, quindi le proporzioni,
consentendo di rivelare così la struttura e la natura degli oggetti; in assenza di luce solo pochi
oggetti dotati di luce propria generano un immagine visiva.
Per il fotografo è molto importante il controllo dell’illuminazione, in quanto è con essa che si
determina l’impressione visiva dell’oggetto; la realtà è rappresentata in forma bidimensionale sulla
fotografia e la luce è l’unico elemento che fornisce informazioni che caratterizzano l’oggetto. In
generale nelle fotografie la luce consente anche la cognizione delle distanze e delle proporzioni; ad
es. gli oggetti più chiari sembrano vicini, mentre quelli scuri sembrano più lontani.
Formazione delle ombre (TAV.29)
Uno dei primi effetti che la luce produce sugli oggetti è la formazione delle ombre, un’ombra è la
mancanza di luce. Se immaginiamo una sfera illuminata da un cono di luce proveniente da una
sorgente puntiforme, dietro la sfera si proietta un cono d’ombra su di un piano. Si delinea così
un’ombra, ovvero una mancanza di luce di forma circolare con i contorni ben definiti. Variando la
distanza della sfera verso la sorgente varia la dimensione dell’ombra. Aumentando le dimensioni
della sorgente, i raggi provenienti da più punti della stessa proiettano sempre un’ombra sul piano, ma
sovrapponendosi tra loro rischiarano il bordo dell’ombra prodotta. Si definisce così una zona
circolare più ampia di penombra, o ombra parzialmente illuminata, intorno all’ombra più scura che si
schiarisce allontanandosi dal centro, producendo dei contorni sfumati. Le sfumature delle ombre
sono molto importanti perché danno la sensazione di volume.
Caratteristiche della illuminazione (TAV.30)
In fotografia si considerano e si usano tipicamente due tipi di luce. La luce dura (puntiforme), tipica
del sole e data artificialmente da illuminatori di tipo “spot”, produce delle ombre nette, e la luce
morbida (diffusa), tipica invece del cielo senza sole o coperto da nuvole omogenee che produce

35
Il termine fotografia deriva dal greco phõs, photós (luce) e graphía (scrittura), Cfr. Kodak Encyclopedia…, vol.4,
p.156.

a cura di Paolo Chistè 23


delle ombre attenuate o quasi assenti. Questo tipo di luce viene prodotta artificialmente da
illuminatori con speciali diffusori (parabole e ombrelli), con ombre tipicamente sfumate o con
illuminatori tipo “bank”, con ombre molto sfumate o quasi impercettibili.
I vari tipi di illuminazione sono generalmente miscelati in diversi modi per ottenere una giusta
illuminazione a seconda del tipo di soggetto ed effetto che si vuole riprodurre in fotografia.
Tipi di illuminazione (TAV.31)
La luce può illuminare un soggetto da qualsiasi angolazione. Per definire la posizione di una sorgente
luminosa rispetto al soggetto nello spazio, si pone il soggetto al centro di una sfera immaginaria e la
sorgente luminosa in un punto qualsiasi della superficie della sfera. Si può suddividere la sfera
mediante il piano in orizzontale passante per il suo centro, e rappresentare la sezione divisa in quarti
e in ottavi, usando come riferimento per gli spostamenti angolari orizzontali l’indicazione: frontale
(luce puntata davanti e verso il soggetto), posteriore (luce puntata dietro al soggetto – controluce), a
destra (lato sinistro del soggetto), a sinistra, a ¾ sinistra (anteriore o posteriore) e a ¾ destra.
Suddividendo la sfera verticalmente si hanno i riferimenti per l’inclinazione della sorgente luminosa,
e si possono prendere come riferimento i gradi azimutali positivi, se relativi alla semisfera superiore
o negativi se riferiti a quella inferiore. Una determinata posizione di una sorgente, ad es. “3/4 destra,
45° ”, sta ad indicare una luce posta a sinistra del soggetto che illumina obliquamente dall’alto lo
stesso. Per semplificare possiamo considerare solo alcuni tipi di illuminazione fondamentali.
L’illuminazione inclinata a 45° dal piano su cui poggia il soggetto produce delle ombre normali
proporzionate con il soggetto, è la stessa illuminazione che viene applicata nelle tecniche di disegno
dei reperti.
L’illuminazione zenitale, posta sulla verticale che illumina il soggetto dall’alto, di norma non
produce ombre, poiché vengono solitamente nascoste dalla base del soggetto.
L’illuminazione radente, posta con un’inclinazione ridotta rispetto al piano del soggetto, permette
di evidenziarne la struttura superficiale.
L’illuminazione controluce, ovvero con la sorgente di luce posta dietro il soggetto verso
l’osservatore, illumina il soggetto dal retro e ne delinea così solo la sagoma che pertanto rimane
scura.
Questi tipi di illuminazione si trovano quasi sempre misti in natura e raramente in condizioni ideali se
non per brevi intervalli di tempo nell’arco della giornata: prime ore del mattino e ultime della sera, ill.
radente e controluce; tarda mattinata e medio pomeriggio, ill. a 45°; mezzogiorno, luce zenitale. In
studio si possono ricreare molto facilmente disponendo di alcuni illuminatori per luce artificiale e

24
CORSO DI FOTOGRAFIA

spesso si usano in combinazione tra loro per creare effetti particolari e per mettere in risalto tutte le
caratteristiche importanti di un oggetto.

a cura di Paolo Chistè 25

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