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Capitolo 1

INTRODUZIONE

1. Dall’arte del costruire alla Scienza e Tecnica delle costru-


zioni

L’uomo ha realizzato costruzioni fin da tempi antichissimi. Alcune ope-


re hanno resistito per migliaia di anni e destano tuttora la nostra am-
mirazione. Si pensi ad esempio alle piramidi di Giza e ai templi di Lu-
xor in Egitto, ai templi greci, alle costruzioni civili e religiose romane; o,
andando a tempi relativamente più recenti, alle cattedrali gotiche con le
loro mirabili forme slanciate. Nessuna di queste costruzioni è frutto di
un “calcolo”, nel senso che diamo noi oggi a tale parola. Le dimensioni
degli elementi ed i particolari costruttivi erano infatti dettati da regole
empiriche che si erano andate via via definendo nel tempo. Queste era-
no basate sull’esame del comportamento delle strutture realizzate e dei
problemi da esse presentate. Ogni dissesto dava origine a modifiche che
quando mostravano di essere efficaci venivano incorporate nelle regole
costruttive. Si è trattato in un certo senso di una continua sperimenta-
zione dal vero sulle cui basi è stata fondata l’arte del costruire. Il ricor-
do di tale modo di procedere permane anche oggi, tanto che una costru-
zione ben realizzata viene detta “fatta a regola d’arte”.
I primi tentativi di tradurre tali regole in formulazioni matemati-
che risalgono al 17° e 18° secolo. Fu infatti nel 1638 che Galileo propose
le prime formulazioni teoriche della resistenza a rottura di travi infles-
se mentre oltre un secolo dopo, nel 1773, Coulomb cercò di definire
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quantitativamente la resistenza a rottura di archi in muratura. Il prin-


cipio di elasticità lineare, destinato ad essere uno dei pilastri della
Scienza delle costruzioni, fu invece formulato da Hooke nel 1678.
Il 19° secolo vide giungere a piena maturità la teoria dell’elasticità.
Nel 1826 Navier propose un metodo organico per il dimensionamento di
strutture, basato sull’ipotesi di comportamento linearmente elastico dei
materiali costitutivi, e intorno al 1855 De Saint Venant formulò il suo
noto principio e fornì la soluzione del problema della relazione tra ca-
ratteristiche della sollecitazione e stato deformativo e tensionale in tra-
vi prismatiche. Verso la fine del secolo furono infine sviluppati i criteri
di resistenza basati sulla crisi puntuale del materiale (Rankine, 1875;
Mohr, 1882; Tresca, 1871).
Parallelamente venne affrontato il problema della valutazione delle
caratteristiche della sollecitazione nelle strutture iperstatiche. I con-
tributi più rilevanti in questo secolo furono quelli rivolti alla risoluzione
di schemi di travi continue col metodo delle forze (Clapeyron, 1852;
Mohr, 1860; Bresse, 1865).
All’inizio del 20° secolo vennero redatte le prime normative tecniche
(Francia, 1906; Italia, 1907) che seguendo l’impostazione di Navier im-
ponevano un’analisi lineare elastica. Grazie alla linearità di comporta-
mento, il margine di sicurezza tra carico di rottura e carico di esercizio
può essere garantito lavorando in termini di tensioni; ciò portò a deno-
minare tale modo di procedere “metodo delle tensioni ammissibili”. Suc-
cessivi sviluppi portarono al limit design o calcolo a rottura, finalizzato
alla valutazione della capacità portante ultima della sezione (anni ’40 e
’50), all’approccio probabilistico, che tiene conto della variabilità dei ca-
richi e delle caratteristiche dei materiali, e al metodo semiprobabilistico
(anni ’50 e ’60).
Per quanto riguarda la risoluzione di schemi iperstatici, nella pri-
ma metà del secolo ebbero ampio sviluppo i metodi iterativi, che con-
sentivano l’analisi manuale di telai (Cross, 1930; Grinter, 1937). Il pro-
gredire della tecnologia diede infine impulso alla metodologia matricia-
le, che sfrutta in maniera ottimale le potenzialità offerte dai calcolatori
elettronici (anni ’60 e ’70).
Introduzione 15

Il progresso teorico, brevemente delineato nelle pagine precedenti,


ha portato ad una chiara indicazione del modo con cui l’ingegnere deve
affrontare l’esame di una struttura. Il primo problema è quello della de-
finizione di un modello per lo schema geometrico e per i carichi. L’ogget-
to reale è sempre abbastanza complesso e nel tradurlo in modello ma-
tematico è inevitabile fare una serie di semplificazioni; spesso le incer-
tezze sono tali da rendere necessario l’uso di più modelli limite, per in-
dividuare una fascia entro cui sia compreso il reale comportamento del-
la struttura. Una volta definito lo schema geometrico e di carico occorre
passare alla sua risoluzione, cioè alla determinazione di deformazioni e
tensioni (o di spostamenti e caratteristiche di sollecitazioni); questa fase
viene usualmente denominata analisi strutturale, anche se questo ter-
mine è a volte utilizzato con una accezione più ampia. Infine occorre ef-
fettuare una verifica, per controllare che la struttura sia in grado di
sopportare le azioni che la solleciteranno durante la sua vita. Le tre fasi
qui indicate sono riferite allo studio di una struttura esistente o comun-
que già idealmente definita dal progettista. Nel caso di costruzioni an-
cora da realizzare, un compito preliminare dell’ingegnere è quello del
dimensionamento degli elementi strutturali; questo viene spesso fatto
mediante un calcolo che segue le linee generali innanzi indicate, ma con
modelli estremamente semplificati, anche se nelle situazioni più comuni
è l’esperienza stessa del progettista, eventualmente tradotta in formu-
lette di uso immediato, a suggerire le dimensioni da adottare.
In tempi ormai lontani tutte le problematiche e le conoscenze teori-
che citate erano racchiuse in un’unica disciplina, la Scienza delle co-
struzioni. Con tale nome è intitolata l’opera di Belluzzi1, che nonostante
gli anni trascorsi (la sua prima edizione risale al 1941) costituisce tut-
tora, secondo me, un valido riferimento per numerosissimi problemi di
Scienza e Tecnica delle costruzioni. Il progressivo aumento delle cono-
scenze ha reso necessario la suddivisione in due filoni, per l’appunto
Scienza e Tecnica delle costruzioni, che costituiscono nell’attuale ordi-
namento universitario italiano due raggruppamenti disciplinari, capeg-
giati dalle omonime discipline, che includono materie quali Calcolo ane-
lastico e a rottura, Teoria delle strutture e Dinamica (gruppo Scienza) o

1 O. Belluzzi, Scienza delle costruzioni, 4 volumi, Zanichelli, Bologna.


16 Capitolo 1

Costruzioni di ponti, Progetto di strutture e Ingegneria sismica (gruppo


Tecnica).
Proprio per la loro origine comune, Scienza e Tecnica delle costru-
zioni si presentano nel segno di una unitarietà che non sempre consente
una netta distinzione tra l’una e l’altra. Si può dire in linea di massima
che la Scienza delle costruzioni fornisce le basi teoriche generali. Essa
ad esempio affronta in maniera esaustiva la teoria della trave, di De
Saint Venant, per materiale omogeneo, isotropo, linearmente elastico e
sviluppa le relazioni tra caratteristiche della sollecitazione, spostamen-
ti, deformazioni e tensioni. Per quanto riguarda l’analisi strutturale, af-
fronta lo studio di base dei sistemi isostatici (reazioni vincolari, dia-
grammi delle caratteristiche di sollecitazione) e iperstatici (metodo del-
le forze, metodo degli spostamenti) e fornisce strumenti essenziali quali
il principio dei lavori virtuali e i teoremi di deformazione per sistemi e-
lastici. La Tecnica delle costruzioni passa ad applicazioni “tecniche”, più
legate alla realtà concreta. Ad esempio affronta il problema della non
omogeneità del materiale (tipico del cemento armato) e dell’influenza di
legami costitutivi σ-ε del materiale non linearmente elastici. Nell’ambi-
to dell’analisi strutturale, analizza procedimenti numerici specifici per
la risoluzione di schemi strutturali più comuni (travi continue, telai a
maglie rettangolari) per passare poi all’impostazione generalizzata del-
l’analisi matriciale (ma in questo caso la distinzione tra Scienza e Tec-
nica delle costruzioni diventa meno netta, perché questo argomento può
far parte anche del corso di Teoria delle strutture, del gruppo Scienza).
Nel corso di Tecnica vengono inoltre presentati i primi approcci al pas-
saggio da oggetti reali a schemi di calcolo. I corsi successivi del gruppo
Tecnica partono invece espressamente dall’esame di oggetti reali (pon-
te, edificio, ecc.) e studiano quali modelli, teorici e tecnici, utilizzare per
determinare le caratteristiche di sollecitazione e verificare o progettare
le sezioni, nonché tutti i dettagli costruttivi necessari per una corretta
esecuzione dell’opera.
Introduzione 17

2. Definizione del modello di calcolo

La definizione del modello di calcolo è il primo passo necessario per a-


nalizzare una struttura. Più precisamente, occorre definire uno schema
geometrico ed un modello per i carichi, ma anche un legame costitutivo
per il materiale nonché il tipo di analisi da svolgere.
Nel passato le potenzialità di calcolo erano molto limitate ed era
necessario adottare modelli molto semplici. Ad esempio, le travi ed i pi-
lastri di un edificio soggetto a soli carichi verticali venivano analizzati
separatamente (con lo schema di trave continua le prime, come singole
aste soggette a sforzo assiale i secondi). In presenza di azioni orizzontali
si rendeva necessario ricorrere a modelli più complessi, che tenessero
conto delle interazioni tra i diversi elementi, ma difficilmente si andava
oltre lo schema di telaio piano. Ovviamente, il progettista era ben con-
sapevole dei limiti del modello utilizzato e cercava di compensarne la
grossolanità abbondando nelle sezioni e nelle armature.
Con l’avvento dei calcolatori elettronici è diventato facile utilizzare
modelli anche notevolmente complessi, che ci forniscono indicazioni più
dettagliate sul comportamento delle strutture. Non dobbiamo però tra-
scurare alcuni rischi connessi a questa evoluzione. Innanzitutto, il pro-
blema della modellazione è diventato molto più rilevante proprio perché
molto più numerose di prima sono le possibilità a disposizione; la scelta
è ora più delicata ed il rischio di adottare un modello non appropriato è
maggiore. In secondo luogo, il computer non commette errori di calcolo
ma chi lo utilizza può sbagliare a fornirgli i dati; tanto più il modello è
complicato tanto maggiore sarà, in genere, la quantità di informazioni
da fornire e corrispondentemente crescerà la possibilità di un errore.
Infine, la disponibilità di modelli sofisticati può generare la falsa con-
vinzione di poter conoscere veramente il comportamento delle strutture;
non bisogna invece dimenticare che anche il programma di calcolo più
sofisticato ci fornisce solo una vaga immagine della realtà, perché
quest’ultima è sempre molto più complessa di qualsiasi modello.
Qual è allora il modo più giusto di operare? A costo di sembrare ba-
nale, io sono convinto che occorra usare in ogni situazione il modello più
semplice (tra quelli validi per il caso in esame) e soprattutto usare solo
modelli di cui si capisca bene il significato. Contemporaneamente, è im-
18 Capitolo 1

portante usare modelli, anche grossolani, che forniscano immediata-


mente l’ordine di grandezza delle sollecitazioni, in modo da poter con-
trollare i risultati forniti dai modelli più “esatti”.

3. Analisi strutturale

Un primo aspetto da chiarire nel parlare di analisi strutturale è se e


come il comportamento della struttura è influenzato dal modo in cui le
azioni che la cimentano variano nel tempo. In generale, una volta supe-
rata la fase transitoria di costruzione una parte dei carichi (ad esempio
il peso proprio degli elementi strutturali) si può considerare permanen-
te; un’altra parte invece (i cosiddetti sovraccarichi) varia nel tempo, ma
in maniera abbastanza lenta. Si parla in questo caso di carichi statici.
Ben diverso è l’effetto delle raffiche di vento su elementi deformabili,
come antenne e tralicci, o del moto del terreno durante un sisma. Si
parla in tal caso di carichi dinamici ed una analisi che tenga espressa-
mente conto della rapida variazione delle azioni nel tempo è detta ana-
lisi dinamica.
In secondo luogo, occorre esaminare in che modo il comportamento
della struttura è influenzato dalla legge costitutiva dei materiali di cui
sono costituiti gli elementi che la compongono. Un legame elastico line-
are consente di ipotizzare una analoga relazione lineare tra azioni e de-
formazioni. In caso contrario si deve effettuare un’analisi che tenga con-
to delle non linearità meccaniche.
Affinché la relazione tra azioni e deformazioni sia effettivamente
lineare è anche necessario che siano trascurabili gli effetti del secondo
ordine, ovvero che lo spostamento del punto di applicazione dei carichi
non influenzi sostanzialmente l’equilibrio. Quando ciò non avviene, oc-
corre effettuare un’analisi che tenga conto delle non linearità geometri-
che. Altri termini usati per far riferimento a questo problema sono: ef-
fetto P-δ, dai simboli utilizzati per la forza assiale e lo spostamento or-
togonale all’asse nelle prime trattazioni, oppure effetto instabilizzante
dei carichi verticali, perché un caso molto comune è l’incremento di sol-
lecitazioni flessionali nei pilastri a causa dello sbandamento orizzontale
dei traversi su cui sono applicati carichi verticali (fig. 1).
Introduzione 19

δ q

Fig. 1 - effetto P-δ o effetto instabilizzante dei carichi verticali

Il tipo di analisi effettuato in assenza di complicazioni di tipo mec-


canico o geometrico è denominato analisi lineare. Un aspetto molto im-
portante è che in essa valgono il principio di sovrapposizione degli effet-
ti e di unicità della soluzione. Ciò comporta vantaggi operativi tali da
rendere questo approccio estremamente conveniente. Si finisce così col
ricorrere ad esso anche in situazioni in cui non sarebbe rigorosamente
applicabile. Ad esempio, nel metodo degli stati limite, di cui si tratterà
più avanti, che mira a valutare la resistenza ultima della struttura si
usa convenzionalmente un’analisi lineare per determinare le caratteri-
stiche della sollecitazione indotte dai carichi e si tiene conto della reale
non linearità della legge costitutiva del materiale solo nella fase finale
di verifica delle sezioni.
Per tenere conto delle non linearità meccaniche occorre innanzitut-
to definire il legame costitutivo σ−ε del materiale e le conseguenti rela-
zioni tra momento M e curvatura χ per la sezione. Ad esempio, per una
sezione a doppio T in acciaio (fig. 2) il momento cresce linearmente con
χ fino al valore My, che corrisponde alla curvatura χy per la quale si
raggiunge lo snervamento nel bordo della sezione. All’ulteriore crescere
di χ la tensione nell’ala rimane costante ed il momento cresce di poco,
per il contributo della sola anima. Solo col raggiungimento della curva-
tura χh per la quale inizia l’incrudimento dell’acciaio nelle fibre di bordo
il momento riprende a crescere in maniera significativa.
20 Capitolo 1

M
Mu
My

χy χh χ

Fig. 2 - diagramma momento-curvatura per una sezione a doppio T in acciaio

L’andamento del diagramma momento-curvatura si presta ad esse-


re schematizzato con una bilatera, cioè ipotizzando un tratto elastico ed
uno perfettamente plastico. Si può così immaginare che, una volta rag-
giunto il momento massimo, all’ulteriore crescere del carico il concio di
trave si potrà deformare con rotazione relativa tra le sue facce senza in-
cremento di momento, come se fosse presente una cerniera. Si può allo-
ra suddividere l’analisi di una generica struttura in più fasi lineari. Ini-
zialmente si risolve lo schema di struttura integra e si valuta il carico
per il quale si raggiunge il momento limite nella sezione più sollecitata.
Poi si considera uno schema variato, che contiene una cerniera nella se-
zione plasticizzata e si valuta con esso l’incremento di sollecitazione in-
dotto da un incremento di carico, sommando i valori del momento a
quelli ottenuti nella prima fase. Si continua quindi a variare lo schema
finché la struttura diventa labile oppure si raggiunge in corrispondenza
di una cerniera un valore di rotazione relativa tanto elevato da portare
alla sua rottura completa. Nelle diverse fasi occorre però controllare che
la rotazione di ciascuna cerniera continui a crescere nello stesso verso;
in caso di inversione, infatti, lo scarico del materiale sarebbe elastico e
la sezione si comporterebbe in maniera monolitica. Il termine comune-
mente utilizzato per indicare questo modello di comportamento della
sezione è cerniera plastica, per differenziarlo dalla cerniera reale che
consente rotazioni relative in entrambi i versi. Un’analisi siffatta è de-
nominata analisi elastico-perfettamente plastica.
La figura 3 mostra un semplice esempio di analisi elastico-perfetta-
mente plastica. Lo schema è quello di trave continua a due campate di
luce uguale, una volta iperstatica, con carico uniformemente distribuito.
Introduzione 21

Analisi Analisi
lineare non lineare fase 1

fase 2
totale
Fig. 3 - analisi lineare e non lineare di una trave continua

Nella prima fase il momento massimo si ha in corrispondenza dell’ap-


poggio centrale. Quando tale valore è raggiunto si passa a uno schema
nel quale le due campate non sono più continue (nel senso che la rota-
zione degli estremi di trave a sinistra e a destra dell’appoggio centrale
non sono più uguali) ed il carico produce solo momento positivo. Com-
plessivamente si hanno quindi, rispetto all’analisi lineare, valori minori
del momento negativo all’appoggio centrale e valori maggiori del mo-
mento positivo in campata.
Dai risultati ora mostrati si possono trarre indicazioni utilizzabili
anche senza svolgere effettivamente un’analisi elasto-plastica. Quando i
risultati di un’analisi elastica mostrano in una sezione valori del mo-
mento flettente un po’ più alti del dovuto, è possibile accettarli comun-
que invocando il comportamento plastico, purché vi sia una sufficiente
riserva di resistenza in quelle sezioni nelle quali il momento aumente-
rebbe e a condizione che la sezione abbia sufficiente capacità deformati-
va plastica (duttilità). Questo modo di procedere è sempre stato seguito
dagli ingegneri esperti ed è ora codificato nella normativa europea che
lo denomina analisi elastica con ridistribuzioni e ne definisce i limiti di
applicabilità.
L’analisi elastico-perfettamente plastica è solo una dei possibili mo-
di per tenere conto delle non linearità meccaniche. Spesso, specie per
strutture in cemento armato, il comportamento della sezione è molto
lontano da quello che porta al modello di cerniere plastiche. Un’analisi
non lineare più sofisticata potrebbe essere svolta suddividendo ogni a-
sta in conci molto piccoli ed utilizzando la reale legge momento−curva-
tura per determinare la relazione complessiva tra carichi, caratteristi-
22 Capitolo 1

che della sollecitazione e deformazioni. L’onere numerico di tale impo-


stazione la rende però, almeno per ora, inadatta ad applicazioni profes-
sionali.

4. Verifica delle sezioni

La verifica delle sezioni è l’ultimo passo per esprimere un giudizio sulla


sicurezza della struttura. Mi sembra interessante mettere in evidenza
come il concetto di sicurezza sia variato negli anni.
Il Belluzzi nella prima pagina del suo testo afferma che “La Scienza
delle costruzioni studia gli effetti prodotti dalle forze che sollecitano una
costruzione e determina le condizioni cui devono soddisfare le diverse
parti di questa affinché possano sopportare tali forze.”
Cinquant’anni dopo, la normativa europea (Eurocodice 2, punto 2.1)
fissa, come requisito fondamentale della progettazione, il principio che
“Una struttura deve essere progettata e costruita in modo che:
− con accettabile probabilità rimanga adatta all’uso per il quale è pre-
vista, tenendo nel dovuto conto la sua vita presupposta e il suo costo;
− con adeguati livelli di accettabilità sia in grado di sopportare tutte le
azioni o influenze, cui possa essere sottoposta durante la sua realiz-
zazione e il suo esercizio, e abbia adeguata durabilità in relazione ai
costi di manutenzione.”
Si può notare una differenza fondamentale tra le due impostazioni.
Nella prima si parla di condizioni da soddisfare per sopportare le forze,
in una versione deterministica di relazione causa-effetto. Nella seconda
si passa invece ad un approccio probabilistico (accettabile probabilità,
adeguati livelli di accettabilità). Inoltre nel primo caso ci si preoccupa
solo della resistenza, mentre nel secondo si evidenzia una duplicità di
problemi, legati a fatti quotidiani (rimanere adatta all’uso) ed eccezio-
nali (sopportare tutte le azioni). Queste differenze rispecchiano l’evolu-
zione di pensiero, cui si è già accennato nel primo paragrafo e che sarà
oggetto del prossimo capitolo, che ha portato al cosiddetto “metodo pro-
babilistico degli stati limite”.
Capitolo 2
METODI DI VERIFICA

1. Metodo delle tensioni ammissibili

Il metodo delle tensioni ammissibili ha avuto un’importanza fondamen-


tale per tutto il 20° secolo. Esso è infatti nato con le prime normative
tecniche, promulgate a inizio secolo, ed è ancora oggi utilizzato dalla
quasi totalità degli ingegneri italiani. Nonostante tanta gloria, il meto-
do sembra però avviato ad un rapido declino. Le norme tecniche euro-
pee1,2 non lo prendono proprio in considerazione ed anche l’ultimo de-
creto ministeriale3, pur consentendone l’uso, non fornisce indicazioni
aggiornate ma si limita a rinviare a un decreto precedente4. Le resisten-
ze da parte di chi non vuole cambiare, soprattutto per la fatica che com-
porta il rimettersi a studiare ed il doversi abituare a un nuovo modo di
procedere, sono state e sono ancora molto forti. Tuttavia la richiesta di
corsi di aggiornamento per laureati che chiariscano le nuove imposta-

1 Eurocodice 2, Progettazione delle strutture di calcestruzzo, Parte 1-1: Regole


generali e regole per gli edifici, ENV 1992-1-1, dicembre 1991.
2 Eurocodice 3, Progettazione delle strutture di acciaio, Parte 1-1: Regole gene-
rali e regole per gli edifici, ENV 1993-1-1, aprile 1992.
3 D.M. 9 gennaio 1996, Norme tecniche per il calcolo, l’esecuzione ed il collaudo
delle strutture in cemento armato, normale e precompresso e per le strutture
metalliche.
4 D.M. 14 febbraio 1992, Norme tecniche per l’esecuzione delle opere in cemento
armato normale e precompresso e per le strutture metalliche.
24 Capitolo 2

zioni normative è sempre più pressante ed è facile prevedere che tra un


certo numero di anni chi non si sarà adeguato resterà inesorabilmente
tagliato fuori dal mercato.
Dal punto di vista didattico il metodo delle tensioni ammissibili ri-
mane comunque un ottimo punto di partenza per affrontare il problema
della verifica delle sezioni. Inoltre la metodologia su cui è basato deve
essere applicata in tutte le verifiche relative agli stati limite di eserci-
zio, che costituiscono un aspetto non trascurabile del metodo degli stati
limite.
Il metodo si basa sull’ipotesi che il legame costitutivo σ-ε del mate-
riale sia linearmente elastico e la verifica consiste nel controllare che in
nessun punto si superi un valore della tensione, definito valore ammis-
sibile. La linearità del legame costitutivo consente di effettuare un’ana-
lisi lineare e rende applicabile tutti i principi studiati nel corso di Scien-
za delle costruzioni, a condizione che il materiale sia omogeneo; in
particolare, nel caso molto frequente di strutture costituite da aste mo-
nodimensionali è possibile utilizzare la teoria di De Saint Venant, che
fornisce agevolmente lo stato tensionale corrispondente alle caratteri-
stiche della sollecitazione ottenute dal calcolo. I valori ammissibili delle
tensioni sono pari al valore di rottura diviso per un opportuno coeffi-
ciente di sicurezza, che dipende dal materiale stesso. In particolare, la
tensione ammissibile σ c del calcestruzzo è circa un terzo della sua resi-
stenza cubica caratteristica Rck mentre la tensione ammissibile σ s del-
l’acciaio è un po’ più della metà della sua tensione di snervamento ca-
ratteristica fyk.
Data l’entità dei coefficienti di sicurezza assunti, si può ritenere che
l’ipotesi di linearità del legame costitutivo sia abbastanza verosimile nel
valutare lo stato tensionale indotto dai carichi di esercizio. Il metodo
non fornisce però informazioni sufficienti sul margine di sicurezza ri-
spetto al collasso, perché al crescere del carico la non linearità del ma-
teriale diventa rilevante. Il rapporto tra carico di collasso e carico di e-
sercizio può quindi essere molto diverso, in dipendenza dalla forma del-
la sezione e dal materiale che la costituisce. Si pensi ad esempio a se-
zioni in acciaio, materiale per il quale la linearità della legge σ-ε si
mantiene fino allo snervamento, al quale segue un ampio tratto plastico
Metodi di verifica 25

con deformazioni a tensione costante. Per una sezione a doppio T sog-


getta a flessione semplice il momento ultimo Mu è maggiore di circa il
15% rispetto al momento My corrispondente al raggiungimento della
tensione di snervamento nelle fibre estreme; la differenza è dovuta al
contributo dell’anima, nella quale lo stato tensionale può ulteriormente
crescere dopo che l’ala si è snervata. Se la sezione fosse rettangolare
(piena) questo contributo sarebbe più rilevante ed il momento ultimo
Mu sarebbe maggiore del 50% rispetto a My .
Nonostante questi limiti, il metodo delle tensioni ammissibili è si-
curamente affidabile. I valori ammissibili delle tensioni sono stati defi-
niti usando coefficienti ben calibrati; inoltre i progettisti esperti adotta-
no semplici regole di “buona progettazione” che aiutano a superare i li-
miti del metodo e ad evitare grossi errori. A riprova di ciò, il comporta-
mento delle strutture ben progettate si è sempre rivelato soddisfacente.

2. Calcolo a rottura

Il calcolo a rottura è stato sviluppato intorno alla metà del secolo cor-
rente, con l’obiettivo di valutare la resistenza ultima delle strutture.
Nella sua impostazione più generale esso consiste nella determinazione
del meccanismo di collasso dell’intera struttura, e del carico che porta
ad esso, a partire dalla conoscenza dei valori delle caratteristiche di sol-
lecitazione che inducono la plasticizzazione e la rottura di ciascuna se-
zione. Queste sono ovviamente determinate tenendo conto della non li-
nearità del legame costitutivo σ-ε del materiale.
Spesso però, più semplicemente, si utilizza un’analisi strutturale
lineare e si controlla che in ogni sezione le sollecitazioni indotte da cari-
chi maggiorati mediante un coefficiente di sicurezza siano minori del
valore di collasso della sezione stessa. Data la linearità dell’analisi, ciò
equivale a confrontare le caratteristiche di sollecitazione indotte dai ca-
richi di esercizio con valori pari a quelli di rottura divisi per il coeffi-
ciente di sicurezza.
Il calcolo a rottura riesce ad ovviare ad alcune critiche rivolte al
metodo delle tensioni ammissibili, ma non è esso stesso esente da pro-
blemi. In particolare, nel caso di strutture in cemento armato si impone
26 Capitolo 2

lo stesso margine di sicurezza ad acciaio e calcestruzzo, che offrono in-


vece garanzie ben diverse. Inoltre esso trascura del tutto le condizioni
di esercizio, che possono invece presentare problemi di diverso genere.

3. Approccio probabilistico

3.1. Richiami di teoria delle probabilità


Si definisce variabile aleatoria, qui indicata col simbolo X, una variabile
che rappresenta il risultato di un esperimento che può fornire valori
“casuali”, intendendo con ciò valori non definibili a priori. Il generico
valore assunto da essa sarà indicato col simbolo Xi. Come esempio di
variabile aleatoria si può citare, nel nostro ambito tecnico, il valore Rc
della tensione di rottura fornito da una prova di schiacciamento di un
cubetto di calcestruzzo.

frequenza
a) distribuzione
di frequenza Numero limitato
di prove

0 4 8 12 16 20 24 28 32 36 40
resistenza [MPa]

b) densità di
probabilità Numero molto
elevato di prove

0 4 8 12 16 20 24 28 32 36 40
resistenza [MPa]
Fig. 1 - tensione di rottura fornito da una prova di schiacciamento
di un cubetto di calcestruzzo
Metodi di verifica 27

Dato un insieme di n valori casuali X1 ... Xn è possibile suddividerli


in un numero finito di intervalli (classi). Si indica col termine frequenza
il numero di valori che ricadono in una classe, mentre con distribuzione
di frequenza si intende l’istogramma che rappresenta i valori della fre-
quenza nelle diverse classi (fig. 1a). Quando si aumenta l’ampiezza del
campione (cioè il numero di valori) e si riduce l’ampiezza delle classi
l’istogramma tende ad una curva continua che viene detta funzione di
densità di probabilità (fig. 1b).
Due parametri molto importanti per esaminare un insieme di valori
casuali sono il valore medio µ e lo scarto quadratico medio σ, definiti ri-
spettivamente da
n n
1 1
µ=
n
∑X i σ=
n
∑(X i − µ) 2
i =1 i =1

Si definisce inoltre come frattile il valore al di sotto del quale ricade una
assegnata percentuale dei valori aleatori. Ad esempio, il frattile 5% è il
valore al di sotto del quale ricade solo il 5% dei valori aleatori, mentre
frattile 95% è quello al di sotto del quale ricade il 95% dei valori.
Una distribuzione statistica molto utilizzata, sia perché ad essa so-
no riconducibili molti fenomeni aleatori che per le proprietà di cui gode,
è la distribuzione normale Gaussiana, la cui funzione di densità di pro-
babilità ha un caratteristico aspetto a campana. Questo tipo di distri-
buzione è definita in maniera completa se si conoscono σ e µ ed un qual-
siasi frattile può essere calcolato a partire da essi. Si ha ad esempio
frattile 5% = µ − 1.64 σ frattile 95% = µ + 1.64 σ
Sia i carichi agenti su una struttura che la resistenza dei materiali
da cui essa è costituita possono essere considerate variabili aleatorie.
Quando si fa riferimento a una generica azione F assume particolare
importanza, più che il valore medio, un valore che abbia bassa probabi-
lità di essere superato, in particolare il frattile 95%. Tale valore è de-
nominato valore caratteristico ed è contraddistinto con il pedice k. Per le
resistenze f, invece, si considera come valore caratteristico fk il frattile
5%, perché in questo caso l’interesse è principalmente rivolto ad un va-
lore che sia garantito con sufficiente probabilità.
28 Capitolo 2

3.2. Verifica probabilistica


L’approccio probabilistico mira a valutare la probabilità di collasso ed a
controllare che essa sia inferiore ad un valore (molto piccolo) considera-
to accettabile. Per far ciò occorre innanzitutto conoscere la funzione di
densità di probabilità dei carichi e della resistenza dei materiali. Si de-
ve quindi determinare la relazione tra queste funzioni e la probabilità
di collasso, tenendo conto della non linearità del legame costitutivo σ-ε
del materiale. Se il metodo di analisi strutturale è lineare questo viene
fatto separatamente per ciascuna sezione; se è non lineare occorre farlo
globalmente per l’intera struttura.
Questo modo di procedere può essere chiarito con un semplice e-
sempio. Si consideri uno schema isostatico, una mensola con una forza
all’estremo (fig. 2), e si faccia riferimento solo alla sezione di incastro,
nella quale il momento flettente è massimo. In realtà questo non è del
tutto corretto perché per la casualità della resistenza la rottura potreb-
be avvenire in un’altra sezione, meno sollecitata ma più debole; per
semplicità trascuriamo questa eventualità.
La densità di probabilità ipotizzata per il carico F è mostrata nella
figura 3a. La densità di probabilità del momento che sollecita la sezione
di incastro MS può essere ricavata immediatamente, poiché per la sem-
plicità dello schema il momento è ottenuto moltiplicando la forza per la
lunghezza della mensola (che si suppone assegnata in maniera deter-
ministica) e la sua distribuzione probabilistica è analoga a quella del
carico (fig. 3b).
Si consideri ora la densità di probabilità della resistenza f del ma-
teriale (fig. 4a) e si supponga che la legge σ-ε del materiale dipenda solo
da tale parametro.

Schema: M=Fl

Fig. 2 - schema considerato nell’esempio


Metodi di verifica 29

carico a) carico b)sollecitante


momento momento sollecitante

Fk F MS k MS

Fig. 3 - densità di probabilità di carico e momento sollecitante

Per ciascun valore della resistenza è possibile ricavare il momento


di rottura MR, tenendo conto della non linearità del legame costitutivo.
Al variare di f il momento di rottura varierà in proporzione ed è quindi
immediato ricavarne la funzione densità di probabilità (fig. 4b).
Occorre ora confrontare il momento sollecitante col momento di rot-
tura. Un approccio possibile, anche se molto oneroso dal punto di vista
del calcolo, sarebbe quello di prendere a caso un valore del carico ed uno
della resistenza (conformemente alla densità di probabilità) e vedere se
la sezione riesce a sopportare le sollecitazioni indotte dal carico. Ripe-
tendo questa operazione un numero estremamente grande di volte si
avrebbe una indicazione della probabilità di collasso.
Se le funzioni densità di probabilità del momento sollecitante e del
momento di rottura sono note, lo stesso risultato può essere ottenuto
più facilmente. Con riferimento a un generico valore M1 del momento,
la probabilità che MS sia uguale a M1, o più precisamente che sia
contenuto in un intervallo di ampiezza dM centrato su M1, è pari al

resistenza a) resistenza b) momento di rottura


momento di rottura

fk f MR k MR

Fig. 4 - densità di probabilità di resistenza e momento di rottura


30 Capitolo 2

nuto in un intervallo di ampiezza dM centrato su M1, è pari al valore


della funzione densità di probabilità in M1 moltiplicata per dM, cioè
all’area tratteggiata in figura 5. Analogamente la probabilità che MR sia
minore di M1 è fornita dall’area sottesa dalla parte della curva densità
di probabilità di MR posta a sinistra di M1. La possibilità che entrambe
le condizioni si verifichino è data dal prodotto delle due aree e la proba-
bilità di avere MR < MS è fornita dall’integrale del prodotto delle due a-
ree.

MS
MR

M1

Probabilità
che MS=M1

MS MR

M1
Probabilità
che MR<M1

Fig. 5 - densità di probabilità di momento resistente e momento di rottura e va-


lutazione della probabilità di collasso
Metodi di verifica 31

L’approccio probabilistico è comunque un po’ troppo complesso per


un uso comune. Esistono soluzioni analitiche del problema solo per casi
semplici, in particolare in ambito lineare, mentre la soluzione numerica
è sempre possibile ma estremamente onerosa. Per questi motivi esso
viene utilizzato solo in ambito di ricerca.

4. Approccio semiprobabilistico

Il fatto che la probabilità di collasso sia calcolabile come integrale del


prodotto della due aree innanzi descritte (fig. 5) porta alla considerazio-
ne, semplice ed intuitiva, che essa sarà tanto più bassa quanto più “di-
sgiunte” saranno le due funzioni di densità di probabilità. Si può allora
assumere che la probabilità che l’effetto dei carichi superi la capacità
resistente della struttura sia accettabilmente bassa se le caratteristiche
della sollecitazione corrispondenti ad un frattile molto elevato dei cari-
chi, ad esempio il 995 per mille, sono minori dei valori di rottura corri-
spondenti ad un frattile molto basso della resistenza, come il 5 per mille
(fig. 6).

momento dovuto ai carichi momento di rottura

MSk MRk
MSd MRd
MSk = MS (Fk) momento dovuto al carico caratteristico Fk
MRk = MR (fk) momento di rottura per la resistenza caratteristica fk
MSd = MS (Fk γF) momento dovuto al carico di calcolo Fk γF
MRd = MR (fk /γM) momento di rottura per la resistenza di calcolo fk /γM
Fig. 6 - verifica semiprobabilistica, mediante confronto tra momento
sollecitante e momento resistente di calcolo
32 Capitolo 2

Questa impostazione è detta semiprobabilistica, perché consente di


effettuare una verifica che abbia una valenza probabilistica ma sia ese-
guita seguendo la stessa metodologia utilizzata in situazioni “determi-
nistiche”. Allo schema vengono infatti assegnati carichi ben definiti
(corrispondenti al frattile prescelto) ed in base ad essi si determinano le
caratteristiche della sollecitazione (con analisi lineare o non lineare).
Separatamente vengono calcolati i valori limite delle caratteristiche di
sollecitazione nella sezione, sulla base di valori assegnati della resi-
stenza ed utilizzando un opportuno legame costitutivo non lineare per il
materiale. Il confronto tra caratteristiche di sollecitazioni di calcolo e
caratteristiche di sollecitazioni limite consente di esprimere un giudizio
sulla sicurezza della struttura.
I valori del carico e della resistenza da utilizzare sono denominati
valori di calcolo e sono indicati col pedice d (iniziale della parola inglese
design, cioè progetto) e possono essere messi in relazione con i valori ca-
ratteristici mediante opportuni coefficienti. In particolare, il valore di
calcolo Fd di una azione è ottenuto amplificando il valore caratteristico
Fk mediante un coefficiente γF , mentre il valore di calcolo fd della resi-
stenza è messo in relazione al valore caratteristico fk mediante un coef-
ficiente riduttivo 1/γM .
fk
Fd = Fk γ F fd =
γM
I valori più idonei per γF e γM possono essere determinati mediante
analisi probabilistiche. In effetti numerosi sono stati gli studi effettuati
per ottenere indicazione quantitative, ma i valori proposti dalla norma-
tiva sono stati definiti soprattutto in maniera tale da avere una buona
concordanza con il metodo delle tensioni ammissibili.

5. Uso dei coefficienti di sicurezza nei diversi metodi

Prima di procedere oltre, è opportuno fare alcune considerazioni compa-


rative sul come vengono utilizzati i coefficienti di sicurezza nei metodi
innanzi descritti. Farò riferimento alla verifica di una sezione, prescin-
dendo dal tipo di analisi strutturale, lineare o non lineare.
Metodi di verifica 33

Nel metodo delle tensioni ammissibili il coefficiente di sicurezza è


applicato tutto alle resistenze. La verifica può essere indicata analiti-
camente dall’espressione
 fk 
M S ( Fk ) < M R  
 γ M′ 
nella quale il momento resistente MR è valutato con una legge costituti-
va σ−ε del materiale lineare.
Nel calcolo a rottura il coefficiente di sicurezza è invece applicato
tutto ai carichi. Si può scrivere
M S (γ F′′ Fk ) < M R ( f k )
ed il momento MR è valutato con una legge costitutiva σ−ε del materiale
non lineare. Se il tipo di analisi strutturale è lineare la condizione equi-
vale a

M (f )
1
M S ( Fk ) <
γ F′′ R k
Nel metodo semiprobabilistico, infine, sono applicati due coefficien-
ti di sicurezza, separatamente ai carichi e alle resistenze. Per questo
motivo il metodo è detto anche metodo dei coefficienti parziali. La con-
dizione di verifica diventa
 f 
M S (γ F Fk ) < M R  k 
γ M 
ed MR è valutato anche in questo caso con una legge costitutiva σ−ε del
materiale non lineare.

6. Metodo degli stati limite

Il metodo degli stati limite rappresenta la formulazione completa del


criterio di verifica, alternativo al metodo delle tensioni ammissibili, che
integra l’approccio semiprobabilistico con verifiche nelle condizioni di
esercizio. Si definisce in generale come stato limite uno stato al di là del
quale la struttura, o una sua parte, non soddisfa più le esigenze di com-
portamento per le quali è stata progettata.
34 Capitolo 2

Occorre distinguere tra due situazioni limite completamente diffe-


renti, denominate rispettivamente stato limite ultimo e stato limite di
esercizio. Lo stato limite ultimo corrisponde al valore estremo della ca-
pacità portante (limite di collasso) o ad altre forme di cedimento strut-
turale che possono mettere in pericolo la sicurezza delle persone (quali
ribaltamento o instabilità). Lo stato limite di esercizio è uno stato al di
là del quale non risultano più soddisfatti i requisiti di esercizio prescrit-
ti; comprende quindi situazioni che comportano un rapido deteriora-
mento della struttura (come tensioni di compressione eccessive o fessu-
razione, per il calcestruzzo) o la perdita di funzionalità (deformazioni o
vibrazioni eccessive).

6.1. Verifiche allo stato limite ultimo


Per garantire una sufficiente sicurezza nei confronti del collasso sareb-
be a rigore necessario esaminare il comportamento della struttura con
analisi non lineari, ma ciò comporterebbe un onere di calcolo non accet-
tabile per un comune progettista. È quindi prassi comune adottare
l’analisi lineare anche quando ci si preoccupa dello stato limite ultimo.
Le normative consentono anche di effettuare, in casi particolari, redi-
stribuzioni del momento per tener conto in maniera approssimata di un
comportamento inelastico globale. Ovviamente un’analisi non lineare è
sempre consentita, ma tale possibilità non è in genere sfruttata.
Il criterio di verifica adottato è quello già definito come metodo se-
miprobabilistico o metodo dei coefficienti parziali. Il valore di calcolo
della generica azione F è quindi determinato moltiplicando il valore ca-
ratteristico Fk per il coefficiente parziale γF , mente il valore di calcolo
della generica proprietà f del materiale (resistenza o altro) è ottenuto
dividendo il valore caratteristico fk per il coefficiente parziale γM. Nel va-
lutare le caratteristiche limite della sollecitazione in una sezione si uti-
lizza sempre una legge costitutiva σ−ε del materiale non lineare.

6.2. Verifiche allo stato limite di esercizio


Poiché in condizioni di esercizio lo stato tensionale è ben distante dai
valori di rottura, sia la legge costitutiva σ−ε del materiale che il metodo
di analisi strutturale adottato sono sempre lineari. In quanto ai carichi,
Metodi di verifica 35

si utilizzano per essi valori aventi una probabilità di essere superati


maggiore rispetto a quelli utilizzati per le verifiche allo stato limite ul-
timo (e quindi più bassi). Si distinguono condizioni di carico rare, fre-
quenti o quasi permanenti, con probabilità di superamento via via mag-
giori e valori del carico progressivamente minori.
Capitolo 3
NORMATIVA

1. Normativa tecnica

“Le regole servono a chi non sa regolarsi”. Ho sentito citare più volte
questa frase, attribuita di volta in volta a differenti personaggi, tutti
autorevoli, e non saprei a chi darne realmente la paternità. Come ogni
frase presa a se stante, si presta a numerose interpretazioni, anche con-
trastanti. A me piace citarla per ricordare che la responsabilità di un
progetto è sempre del singolo ingegnere e ciò che è veramente impor-
tante è la sua capacità di affrontare e risolvere un problema con la sua
testa. Con ciò non intendo dire che le norme non contano. Ritengo anzi
che la normativa debba essere vista come una guida autorevole, da
prendere sempre in considerazione. Essa però non deve mai essere ac-
cettata in maniera acritica: per fare un buon progetto non è sufficiente
rispettarla alla lettera, ma occorre a volte integrarla e interpretarla; i-
noltre ogni norma contiene anche prescrizioni prive di validità generale,
la cui applicazione può essere a volte inutile.
Non tutti concordano con questa mia visione della norma. In parti-
colare, per quanto riguarda le norme tecniche italiane l’interpretazione
più comune è che esse debbano considerarsi cogenti, cioè che le regole
applicative in esse contenute devono essere obbligatoriamente rispetta-
te, fin nei dettagli. La frase che ho citato all’inizio può forse essere vista
anche come un segno di insofferenza nei confronti di una impostazione
tanto restrittiva.
38 Capitolo 3

La normativa tecnica europea è stata invece concepita con una im-


postazione prestazionale, che privilegia gli obiettivi da conseguire. In
essa vi è una chiara distinzione tra principi, cioè affermazioni generali,
requisisti e modelli analitici per i quali non è ammessa alternativa, e
regole di applicazione, che hanno più un carattere orientativo e possono
essere sostituite da altre, che consentano di raggiungere gli stessi obiet-
tivi. Questo almeno nelle intenzioni del legislatore, perché in realtà la
classificazione fatta per i singoli punti della norma non è del tutto esen-
te da critiche.

1.1. Normativa italiana


L’attuale normativa italiana è basata su due leggi:
− Legge 5/11/71 n.1086, Norme per la disciplina delle opere di conglo-
merato cementizio armato, normale e precompresso, ed a struttura
metallica;
− Legge 2/2/74 n.64, Provvedimenti per le costruzioni con particolari
prescrizioni per le zone sismiche.
Queste leggi definiscono i principi generali e affidano al ministero dei
lavori pubblici il compito di emettere periodicamente decreti ministeria-
li contenenti indicazioni più specifiche.
Gli ultimi decreti emessi sulla base delle indicazioni della legge
1086 sono:
− D.M. 14/2/92, Norme tecniche per l’esecuzione delle opere in c.a. nor-
male e precompresso e per le strutture metalliche;
− D.M. 9/1/96, Norme tecniche per il calcolo, l’esecuzione ed il collaudo
delle strutture in c.a. normale e precompresso e per le strutture me-
talliche.
Il decreto del 96 ha sostituito il precedente, che però è rimasto valido
per la parte che riguarda le verifiche col metodo delle tensioni ammissi-
bili. Esso inoltre ha consentito l’uso degli Eurocodici 2 e 3.
Sulla base delle indicazioni della legge 64 sono stati emessi i se-
guenti decreti:
− D.M. 16/1/96, Norme tecniche relative ai “criteri generali per la veri-
fica di sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi”;
− D.M. 16/1/96, Norme tecniche per le costruzioni in zona sismica.
Normativa 39

Esistono inoltre documenti preparati dal Consiglio Nazionale delle


Ricerche (Istruzioni CNR) che sono solo orientativi e non hanno valore
di normativa, anche se in qualche caso i decreti ministeriali fanno e-
spressamente riferimento ad essi. In particolare:
− CNR 10011/86, Costruzioni in acciaio. Istruzioni per il calcolo, l’ese-
cuzione, il collaudo e la manutenzione;
− CNR 10022/84, Costruzioni di profilati di acciaio formati a freddo;
− CNR 10024/86, Analisi mediante elaboratore: impostazione e reda-
zione delle relazioni di calcolo.
In definitiva, per quanto riguarda i metodi di verifica strutturale
l’attuale normativa italiana consente queste tre possibilità:
− metodo delle tensioni ammissibili, regolato dal D.M. 14/2/92;
− metodo degli stati limite, regolato dal D.M. 9/1/96;
− metodo degli stati limite, regolato dagli Eurocodici 2 e 3, con i para-
metri fissati dal D.M. 9/1/96.
La tendenza normativa è chiaramente orientata verso un completo re-
cepimento degli Eurocodici e quindi quest’ultima impostazione verrà u-
tilizzata come principale metodo di riferimento per le applicazioni che
verranno svolte durante il corso.

1.2. Normativa europea


Col procedere dell’unificazione europea si è sentito il bisogno di norme
tecniche che guidassero i progettisti strutturali in maniera unica in tut-
ti i paesi dell’Unione Europea. Sono così nati gli Eurocodici, che stanno
man mano affiancando le normative nazionali, con l’obiettivo di sosti-
tuirle del tutto. Sono pronti o in preparazione nove Eurocodici:
− Eurocodice 1, Azioni;
− Eurocodice 2, Progettazione delle strutture di calcestruzzo;
− Eurocodice 3, Progettazione delle strutture di acciaio;
− Eurocodice 4, Progettazione di strutture miste acciaio-calcestruzzo;
− Eurocodice 5, Progettazione di strutture in legno;
− Eurocodice 6, Progettazione di strutture in muratura;
− Eurocodice 7, Progettazione di fondazioni;
− Eurocodice 8, Progettazione di strutture in zona sismica;
− Eurocodice 9, Progettazione di strutture in alluminio.
40 Capitolo 3

2. Panoramica delle principali normative

2.1. Decreto Ministeriale 9/1/96


Il decreto è stato pubblicato sul supplemento ordinario alla “Gazzetta
Ufficiale” n.29 del 5/2/96. Esso è organizzato nel seguente modo:
Decreto
contiene le formule di rito di approvazione delle norme tecniche ri-
portate in allegato;
nell’art.1 specifica che è ammesso l’uso del metodo degli stati limite,
del metodo delle tensioni ammissibili (secondo le indicazioni del D.M.
14/2/92) e delle norme europee sperimentali Eurocodice 2, parte 1-1
ed Eurocodice 3, parte 1-1;
nell’art.2 impone che il progettista adotti in maniera unitaria ed in-
tegrale uno (e uno solo) dei metodi citati.
Parte generale
contiene le considerazioni generali, comuni al cemento armato e al-
l’acciaio;
rinvia al D.M. 14/2/92 per quanto riguarda il metodo delle tensioni
ammissibili;
fornisce indicazioni sulle combinazioni delle azioni da considerare
per le verifiche agli stati limite ultimi ed agli stati limite di esercizio.
Parte I. Cemento armato normale e precompresso
Simbologia
Sezione I. Prescrizioni generali e comuni
fornisce indicazioni su calcestruzzo (par. 2.1), acciaio da cemento ar-
mato normale (par. 2.2) e acciaio da cemento armato precompresso
(par. 2.3), nonché prescrizioni sul collaudo statico (par. 3)
Sezione II. Calcolo ed esecuzione
fornisce indicazioni sui metodi per il calcolo delle sollecitazioni
(par. 4.1), sulle verifiche allo stato limite ultimo (par. 4.2) e sulle ve-
rifiche allo stato limite di esercizio (par. 4.3);
contiene inoltre regole pratiche di progettazione (par. 5), norme di
esecuzione (par. 6) e norme complementari relative ai solai (par. 7).
Normativa 41

Sezione III. Eurocodice 2


costituisce il Documento di Applicazione Nazionale (o NAD, National
Application Document) dell’Eurocodice 2 e contiene le prescrizioni
sostitutive, integrative o soppressive da applicare nell’utilizzare tale
normativa in Italia.
Parte II. Acciaio
Simbologia
Sezione I. Prescrizioni generali e comuni pag. 76-82
fornisce indicazioni sull’acciaio (par. 2.1-2.3), sulle saldature (par.
2.4), su bulloni e chiodi (par. 2.5-2.7), nonché prescrizioni sul collau-
do statico (par. 3)
Sezione II. Calcolo ed esecuzione
fornisce tra l’altro indicazioni sugli stati limite (par. 4.0), sul mate-
riale base (par. 4.1), sulle unioni con bulloni e chiodi (par. 4.2-4.4),
sulle unioni saldate (4.5);
contiene inoltre norme di calcolo relative alla verifica di stabilità
(par. 5), indicazioni sulle prove su strutture e modelli (par. 6) e rego-
le pratiche di progettazione e di esecuzione (par. 7).
Sezione III. Eurocodice 3
contiene le prescrizioni sostitutive, integrative o soppressive da ap-
plicare nell’utilizzazione dell’Eurocodice 3.
Parte III. Manufatti prefabbricati prodotti in serie
Parte IV. Costruzioni composte da elementi in metallo
diversi dall’acciaio
Parte V. Norme per travi composte “acciaio-calcestruzzo”
Allegati 1-7
prescrivono i controlli da effettuare sui diversi materiali.

2.2. Eurocodice 2
L’Eurocodice 2, parte 1-1, è stato approvato dal Comitato europeo di
normalizzazione (CEN) nel dicembre 1991 come norma europea provvi-
42 Capitolo 3

soria (ENV). La traduzione ufficiale italiana è stata pubblicata nel gen-


naio 1993 dall’UNI (ente italiano di unificazione).
Il già citato D.M. 9/1/96 autorizza l’uso di tale norma e fornisce spe-
cifiche prescrizioni integrative, sostitutive e soppressive delle indicazio-
ni contenute nell’Eurocodice stesso; la parte I, sezione III, del decreto
costituisce il Documento di Applicazione Nazionale (NAD) previsto dal
Comitato europeo di normalizzazione. l’Eurocodice 2 è organizzato nel
seguente modo:
Cap. 1. Introduzione
indica lo scopo dell’Eurocodice e riporta la simbologia.
Cap. 2. Basi del progetto
riporta i requisiti fondamentali (punto 2.1), le definizioni generali re-
lative a stati limite, azioni e proprietà dei materiali (punto 2.2), le
combinazioni di carico da usare per verifiche agli stati limite ultimi e
agli stati limite di esercizio (punto 2.3), indicazioni sulla schematiz-
zazione della struttura e sui metodi di analisi (punto 2.5).
Cap. 3. Proprietà dei materiali
fornisce indicazioni sul calcestruzzo (punto 3.1), sugli acciai per ar-
mature (punto 3.2), sugli acciai per precompressione (punto 3.3) e sui
dispositivi di precompressione (punto 3.4); l’intero capitolo è sostitui-
to dai punti 2.1, 2.2, 2.3 e 4.3.4.1 del D.M. 9/1/96.
Cap. 4. Progetto delle sezioni e degli elementi
fornisce indicazioni sui requisiti di durabilità (punto 4.1), riporta i
dati di progetto per i materiali (punto 4.2), le prescrizioni da seguire
per gli stati limite ultimi (punto 4.3) e per gli stati limite di esercizio
(punto 4.4).
Cap. 5. Prescrizioni costruttive
fornisce tra l’altro indicazioni sulla disposizione delle armature, an-
coraggi e sovrapposizioni (punto 5.2) e sugli elementi strutturali
(punto 5.4).
Cap. 6. Esecuzione e qualità dell’esecuzione
Cap. 7. Controllo di qualità
Normativa 43

Appendici 1-4
riportano ulteriori disposizioni relative agli effetti della deformazione
del calcestruzzo dipendenti dal tempo, all’analisi non lineare, agli
stati limite ultimi indotti da deformazioni strutturali, alla determi-
nazione delle deformazioni.

2.3. Eurocodice 3
L’Eurocodice 3, parte 1-1, è stato approvato dal Comitato europeo di
normalizzazione (CEN) nell’aprile 1992 come norma europea provviso-
ria (ENV). La traduzione ufficiale italiana è stata pubblicata nel giugno
1994 dall’UNI (ente italiano di unificazione).
Il già citato D.M. 9/1/96 autorizza l’uso di tale norma e fornisce spe-
cifiche prescrizioni integrative, sostitutive e soppressive delle indicazio-
ni contenute nell’Eurocodice stesso; la parte II, sezione III, del decreto
costituisce il Documento di Applicazione Nazionale (NAD) previsto dal
Comitato europeo di normalizzazione. l’Eurocodice 3 è organizzato nel
seguente modo:
Cap. 1. Introduzione
indica lo scopo dell’Eurocodice e riporta la simbologia.
Cap. 2. Principi di progettazione
riporta i requisiti fondamentali (punto 2.1), le definizioni generali re-
lative a stati limite, azioni e proprietà dei materiali (punto 2.2), le
combinazioni di carico da usare per verifiche agli stati limite ultimi e
agli stati limite di esercizio (punto 2.3), indicazioni sulla durabilità
(punto 2.4) e sulla resistenza al fuoco (punto 2.5).
Cap. 3. Materiali
fornisce indicazioni sull’acciaio strutturale (punto 3.2) e sugli ele-
menti di giunzione, come bulloni e chiodi (punto 3.3).
Cap. 4. Stati limite di servizio
fornisce principalmente i valori limite degli spostamenti verticali ed
orizzontali.
44 Capitolo 3

Cap. 5. Stati limite ultimi


fornisce i valori dei coefficienti parziali γM ed i criteri generali di veri-
fica (punto 5.1) e indicazioni sui metodi di analisi, sulla schematizza-
zione, sulle imperfezioni e sui problemi di stabilità (punto 5.2); ripor-
ta una classificazione delle sezioni trasversali in base alla capacità di
deformazione plastica (punto 5.3); fornisce le prescrizioni da seguire
per verificare la resistenza delle sezioni trasversali (punto 5.4), la re-
sistenza delle membrature all’instabilità (punto 5.5), la resistenza al-
l’instabilità per taglio (punto 5.6), la resistenza dell’anima alle forze
trasversali (punto 5.7), nonché prescrizioni specifiche per strutture a
maglie triangolari (punto 5.8) e membrature composte (punto 5.9).
Cap. 6. Collegamenti soggetti a carichi statici
fornisce tra l’altro i valori dei coefficienti parziali γM da usare nella
verifica dei collegamenti (punto 6.1), una classificazione dei collega-
menti stessi (punto 6.4), indicazioni sui collegamenti bullonati (punto
6.5) e saldati (punto 6.6), nonché prescrizioni specifiche per i colle-
gamenti trave-colonna (punto (6.9) e per i giunti di base (punto 6.11).
Cap. 7. Fabbricazione e montaggio
riporta indicazioni sulle tolleranze nella preparazione dei pezzi e nel
montaggio
Cap. 8. Progettazione integrata da prove
Cap. 9. Fatica
Appendici
riportano ulteriori disposizioni, normative o informative, relative a
problemi specifici; nel documento approvato dal CEN sono state in-
serite solo le appendici B, C, E, F, J, K, L, M, Y.

3. Azioni e loro valore di calcolo

Le problematiche fondamentali relative alle azioni vengono prese in e-


same nella parte generale del D.M. 9/1/96 e, in maniera un po’ più det-
tagliata, nei punti 2.2.2 e 2.3 degli Eurocodici 2 e 3. L’entità delle azioni
(carichi variabili, neve, vento, variazioni termiche) è definita nel D.M.
Normativa 45

16/1/96, Norme tecniche relative ai “criteri generali per la verifica di si-


curezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi”. La norma euro-
pea corrispondente a quest’ultimo è l’Eurocodice 1, non ancora utilizza-
bile in Italia.

3.1. Classificazione delle azioni


Le azioni vengono distinte principalmente secondo la loro variazione nel
tempo. Si ha:
− azioni permanenti G peso proprio, carichi fissi
− azioni variabili Q carichi variabili di esercizio, carichi di vento
o di neve
− azioni eccezionali A esplosioni, urto di veicoli
− precompressione P
Quest’ultima è in realtà un’azione permanente, ma viene trattata sepa-
ratamente per ragioni pratiche.
Le azioni possono però essere distinte anche in base alla loro varia-
zione nello spazio. Si ha:
− azioni fisse se sono applicate in una posizione ben defi-
nita (per esempio il peso proprio)
− azioni libere se possono essere applicate in posti diversi,
dando luogo a diverse disposizioni di carico
(carichi mobili)
Si indica col pedice k il valore caratteristico delle azioni (Gk Qk Ak
Pk ) che viene definito in genere dalle norme. Per le azioni variabili, ol-
tre al valore caratteristico si considerano altri valori, corrispondenti ad
una probabilità di superamento via via maggiore:
− valore di combinazione ψ0 Qk
− valore frequente ψ1 Qk
− valore quasi permanente ψ2 Qk
I coefficienti ψ sono definiti dalle norme; il D.M. 9/1/96 prescrive:
ψ0 ψ1 ψ2
carichi variabili per abitazioni 0.7 0.5 0.2
per uffici, negozi, scuole 0.7 0.6 0.3
per autorimesse 0.7 0.7 0.6
carichi da vento e neve 0.7 0.2 0
46 Capitolo 3

3.2. Valori di calcolo per verifiche agli stati limite ultimi


Il valore di calcolo del carico è ottenuto amplificando il valore caratteri-
stico mediante il coefficiente γF . In presenza di più carichi variabili in-
dipendenti occorre sceglierne uno come principale e ridurre gli altri
prendendone il valore di combinazione; questa scelta sarà ovviamente
fatta in modo da massimizzare le caratteristiche di sollecitazione ed in
caso di incertezza occorrerà provare le diverse alternative. In maniera
simbolica il valore di calcolo del carico è fornito dall’espressione
n
Fd = γ G Gk + γ P Pk + γ Q Qk1 + γ Q ∑ψ
i= 2
0i Qki

La norma italiana prescrive i seguenti valori per i coefficienti par-


ziali di sicurezza del carico:
− γG = 1.4 (1.0 se il suo contributo aumenta la sicurezza)
− γP = 0.9 (1.2 se il suo contributo diminuisce la sicurezza)
− γQ = 1.5 (0 se il suo contributo aumenta la sicurezza)
Per le azioni permanenti si definisce normalmente un unico valore
caratteristico; per esempio, il peso proprio di un elemento può essere
valutato in base alle sue dimensioni nominali ed al peso specifico medio
del materiale. Sia gli Eurocodici (punto 2.2.2.2) che il D.M. 9/1/96
(par. 5.1) specificano che devono essere definiti due valori caratteristici
distinti, uno superiore Gk,sup ed uno inferiore Gk,inf , solo nel caso di azio-
ni permanenti caratterizzate da un valore elevato del coefficiente di va-
riazione o che sono suscettibili di variazione durante la vita della strut-
tura (per esempio alcuni carichi permanenti addizionali).
Normalmente si adotta un solo valore di calcolo delle azioni perma-
nenti per tutte le parti della struttura. Ad esempio in una trave conti-
nua il peso proprio e i carichi fissi sono moltiplicati per 1.4 in tutte le
campate, anche quando si mettono i carichi variabili solo in alcune cam-
pate per massimizzare i momenti positivi o negativi. Si considerano in-
dipendenti la parte favorevole e quella sfavorevole delle azioni perma-
nenti, utilizzando quindi valori di calcolo differenti, solo quando ciò è
veramente rilevante, in particolare nel caso di verifiche di equilibrio
statico (Eurocodice 2, punto 2.3.2.3).
Normativa 47

3.3. Valori di calcolo per verifiche agli stati limite di esercizio


Nelle verifiche agli stati limite di esercizio si possono definire tre com-
binazioni di carico:
n
− combinazione rara Fd = Gk + Pk + Qk 1 + ∑ ψ 0i Qki
i=2
n
− combinazione frequente Fd = Gk + Pk + ψ11 Qk 1 + ∑ ψ 2i Qki
i=2
n
− combinazione quasi permanente Fd = G k + Pk + ∑ ψ 2i Qki
i =1

Si utilizzerà l’una o l’altra di queste combinazioni in funzione del tipo di


verifica da effettuare e delle indicazioni della normativa.
Quando vi è un solo carico variabile, il valore di calcolo del carico è
definito in maniera univoca. Invece quando vi sono più carichi variabili
indipendenti occorre scegliere come carico variabile principale quello
che genera le massime caratteristiche di sollecitazione; non sempre è
immediato capire quale sia la situazione più gravosa e in caso di incer-
tezza è necessario provare tra più alternative.

3.4. Esempio
Normalmente la scelta del carico variabile principale è immediata, o
addirittura non necessaria perché ne agisce uno solo. Per mostrare co-
me comportarsi in casi di particolare complessità possiamo prendere in
esame una copertura di capannone, non praticabile, costituita da una
trave ad unica campata (fig. 1), sulla quale agiscono oltre al peso pro-
prio G i carichi variabili uniformemente distribuiti Q1 (sovraccarico per
manutenzione) e Q2 (neve) ed un carico sospeso Q3.

Qk1 Qk2 Gk = 4.0 kN m-1


Gk Qk1 = 1.0 kN m-1
Qk3
Qk2 = 1.6 kN m-1
l = 15 m Qk3 = 11 kN

Fig. 1 - Schema geometrico e carichi


48 Capitolo 3

I valori dei coefficienti ψ sono definiti dalle norme solo per la neve;
si ipotizza che i valori relativi agli altri carichi siano stati forniti dal
committente; si assume quindi:
ψ0 ψ1 ψ2
sovraccarico per manutenzione 0.7 0.5 0.2
neve 0.7 0.2 0
carico sospeso 0.7 0.6 0.3

Calcoliamo i valori delle caratteristiche della sollecitazione che in-


sorgono prendendo di volta in volta uno dei tre carichi variabili come
carico principale.

1) carico variabile principale: sovraccarico per manutenzione


per lo stato limite ultimo si ha:
γ G G k + γ Q (Q1k + ψ 0 Q2 k ) = 14 . (1 + 0.7 × 1.6) = 8.78 kN m −1
. × 4 + 15
γ Qψ 0 Q3k = 15
. × 0.7 × 11 = 11.6 kN
e quindi
q l 2 F l 8.78 × 15 2 116
. × 15
Md = + = + = 290.4 kN m
8 4 8 4

per lo stato limite di esercizio, combinazione rara, si ha:


G k + Q1k + ψ 0 Q2 k = 612
. kN m −1 ψ 0 Q3k = 7.7 kN
e quindi Md = 201.0 kN m

per lo stato limite di esercizio, combinazione frequente, si ha:


G k + ψ 1 Q1k + ψ 2 Q2 k = 4.50 kN m −1 ψ 2 Q3k = 3.3 kN
e quindi Md = 138.9 kN m

2) carico variabile principale: neve


per lo stato limite ultimo si ha:
γ G G k + γ Q (ψ 0 Q1k + Q2 k ) = 9.05 kN m −1 γ Qψ 0 Q3k = 11.6 kN
e quindi Md = 298.0 kN m
Normativa 49

per lo stato limite di esercizio, combinazione rara, si ha:


G k + ψ 0 Q1k + Q2 k = 6.30 kN m −1 ψ 0 Q3k = 7.7 kN
e quindi Md = 206.1 kN m

per lo stato limite di esercizio, combinazione frequente, si ha:


G k + ψ 2 Q1k + ψ 1 Q2 k = 4.52 kN m −1 ψ 2 Q3k = 3.3 kN
e quindi Md = 139.5 kN m

3) carico variabile principale: carico sospeso

per lo stato limite ultimo si ha:


γ G G k + γ Q (ψ 0 Q1k + ψ 0 Q2 k ) = 8.33 kN m −1 γ Q Q3k = 16.5 kN
e quindi Md = 296.2 kN m

per lo stato limite di esercizio, combinazione rara, si ha:


G k + ψ 0 Q1k + ψ 0 Q2 k = 582
. kN m −1 Q3k = 110
. kN
e quindi Md = 204.9 kN m

per lo stato limite di esercizio, combinazione frequente, si ha:


G k + ψ 2 Q1k + ψ 2 Q2 k = 4.20 kN m −1 ψ 1 Q3k = 6.6 kN
e quindi Md = 142.9 kN m

Si può vedere come in questo caso il valore massimo del momento


per la verifica allo stato limite ultimo si ha assumendo come carico va-
riabile principale la neve. Questa condizione è più gravosa anche per la
combinazione rara dello stato limite di esercizio, mentre per la combi-
nazione frequente il valore massimo del momento è ottenuto assumendo
come carico variabile principale il carico sospeso.
Per la combinazione quasi permanente non ha senso parlare di ca-
rico variabile principale, perché ciascun carico variabile è moltiplicato
per il relativo coefficiente ψ2 . Per essa si ha
G k + ψ 2 Q1k + ψ 2 Q2 k = 4.20 kN m −1 ψ 2 Q3k = 3.3 kN
e quindi Md = 130.5 kN m

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