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Intervista con Dario Cecchini

5 novembre 2009 – Panzano in Chianti

Zachary Nowak: Sono con il signor Dario Cecchini, definito il macellaio più famoso del mondo
dall'LA Times.1 È il 5 Novembre 2009 e siamo a Panzano a parlare con lui per questa intervista.
Allora ci sono tante domande, la mia è tesi sulla tradizione culinaria, alimentare italiana e poi
come cambia nel tempo riguardo alle tensioni e poi alla fine fare l'etnografia di un macellaio che si
chiama Dario Cecchini. Vorrei sapere tante cose, tra l'altro la sua filosofia. Però iniziamo con la
biografia, non la sua però ma della sua macelleria. Mi racconti la storia della macelleria Cecchini,
soprattutto cosa vendevano ed a chi.

Dario Cecchini: La macelleria Cecchini o meglio le macellerie Cecchini nascono alla fine del 1700
quando la famiglia Cecchini che è in Chianti dal 1300 circa secondo lo storico di famiglia che si
chiama Gabriele Cecchini. Non sta molto bene di salute, nel senso è molto piegato. È curvo, è una
persona che credo abbia 80 anni, è mio cugino di secondo grado. I nostri genitori erano cugini e lui
è lo storico ufficiale della famiglia Cecchini. È un professore di Lettere e conosce tutto, sta
spiegando, tramandando a voce al mio nipote che è laureato in storia dell'arte medievale che è
figlio di mia sorella visto che io non ho figli. Sta tramandando la tradizione della nostra famiglia.
Chiaramente la registra perché a memoria è un po' difficile e quindi tutto quello che riguarda la
storia della macelleria, la storia vecchia. Il mio nonno faceva il macellaio, siamo alla settima, ottava
generazione che il primogenito maschio ha fatto questo lavoro ed io ho fatto il lavoro del babbo.

Z.N. : Però non doveva andare così.

D.C. : Non doveva andare così perché io studiavo veterinaria. Ho fatto il liceo scientifico a Firenze,
studiavo veterinaria a Pisa. Volevo curare gli animali. Volevo diventare un veterinario di
campagna. Volevo andare verso le famiglie dei contadini come avevo visto fare dai veterinari
quando ero piccolo. I veterinari erano forse la figura più importante in una famiglia di contadini.
Più importante addirittura del dottore per gli umani perché la morte di un animale era come la
morte di un familiare o quasi. Gli animali erano la sopravvivenza della famiglia, erano il lavoro,
erano il cibo, erano una cosa importantissima. C'era un grandissimo rispetto per questi animali.
In gioventù quando ho iniziato a fare il macellaio i consigli medici per me e come tutti i
macellai si chiedeva in veterinaria. Questa è una cosa molto interessante perché sembra un gioco.
Ma nella tradizione dei macellai gli uomini e gli animali erano legati dallo stesso destino. Noi
eravamo gli uccisori, gli assassini se tu parli con un animalista. Questo si fa parte di una catena
alimentare. Questo discorso torna ora come ha scritto Michael Pollan in Il dilemma dell'onnivoro, si
parla di sostenibilità della catena alimentare.
Se io avevo il raffreddore andavo dal veterinario. Non so se mi spiego bene, eravamo nella
stessa famiglia. Era un gioco delle parti: se io macello manzo, sono io l'uomo e lui il manzo.
L'appartenenza alla stessa famiglia. Questo si è rotto molto con la disponibilità economica delle
persone. Quando io ho cominciato a lavorare nel 1975 si stava già rompendo, arrivavano i
supermercati, avevano più soldi da spendere. Non era più un discorso di economia e di
sostentamento. Era una scelta, 'cosa mangio stasera...un filetto o una bistecca?' Tutto diventava in
più, cominciavamo ad essere ben nutriti. Ma la mia prima bistecca l'ho mangiata a 18 anni, io non
ho mangiato mai bistecche, io ho aperto il mio primo ristorante di sola ciccia perché era la cucina
1
Russ Parsons, “Lessons from Dario Cecchini, the world's most famous butcher”. L.A. Times, 12 marzo 2008.
della mia famiglia. Nella famiglia di un macellaio si mangia tutto che la gente considera meno
buono.

Z.N. : Cioè “tagli inferiori” tra virgolette?

D.C. : Sì. Capito? La storia della mia famiglia...avevano sempre macellerie qua nella zona, ma era
una famiglia che ha aperto queste macellerie alla fine del 1700 per avere un commercio che
sostenesse la famiglia. Erano mercanti, commerciavano di tutto, capivano che si doveva fare un
cambiamento e mettersi a fare un lavoro. Hanno insegnato tanti macellai.
Vicenzo Linni mi racconta sempre che il suo babbo era a scuola da mio nonno. Veniva a
scuola a Panzano. Ci sono degli legami di territorio, ma c'era già questo legame, una congiunzione,
con gli animali. C'era un grandissimo rispetto per gli animali. L'uccisione di un animale era e lo è
ancora un rito sacro. È un gesto violento però necessario perché noi siamo carnivori, almeno io lo
sono. Un gesto violento di qui uno si deve prendere la responsabilità. Nell'industria è Klamm che
si prende la responsabilità. Non so se tu hai letto Il castello di Kafka, tutti parlano di questo Klamm,
di questa entità che domina il castello che dirige il castello, che comanda il castello e nessuno l'ha
mai visto.
Ma nemmeno nel biologico, l'industria nel biologico...perché in molti casi è un' industria
soprattutto in America. L'industria ha imparato di fare biologico come viene ma con gli stessi
metodi che aveva prima.

Z.N. : Questo si vede nel libro di Pollan quando va a indagare perché in quel livello magari non
usano i fertilizanti...

D.C. : Certo, lui parla di world food, no? I meccanismi per gli animali sono i soliti, il sistema della
meccanizzazione è la solita, infatti ad un certo punto dice per preparare l'insalata biologica
prendono dei messicani e per non usare i diserbanti usano il lanciafiamme per bruciare l'erbaccia.
Allora lui si pone questa domanda, cosa è più ecologico? Il diserbante o il lanciafiamme? Quanto
gasolio viene usato per mandare avanti un lanciafiamme, quanto carburante fossile?

Z.N. : La domanda degli asparagi biologici che vengono dal Brasile dopo 3000 miglia in aereo...
Biologico lo è, però sostenibile...è un punto interrogativo.

D.C. : Io allevo in Catalunya e seguo un piccolo allevamento a Panzano, cos'è più sostenibile?
Avere carne Chianina a Panzano dove non c'è fieno, non c'è erba, non ci sono cereali per cui si deve
comprare il fieno e portarlo chissà da dove, comprare l'avena, l'orzo e non il gran turco. Qua l'orzo
e l'avena sono stati in integrazione perché qui l'erba non basta. C'è per due mesi all'anno. Bisogna
mettere cereali, si mette l'avena e si mette l'orzo nell'alimentazione. L'avena viene dalla Canada? O
forse dalla Sicilia? L'avena viene da dove costa meno alla fine. Allora è più sostenibile a Panzano a
chilometri zero? La carne è effettivamente a chilometri zero ma il cibo degli animali no.

Z.N. : C'è anche un altro libro dell'agnello che viene dalla Nuova Zelanda che alla fine ha meno
calorie investite che l'agnello di Inghilterra perché quello neozelandese mangia l'erba.

D.C. : Io allevo in Catalunya e finora e tutti quelli“sostenibili” hanno storto il naso perché io allevo
in Catalunya. C'è erba, ci sono i cereali, non diamo il gran turco ai nostri animali perché non è
abitudine. L'avena dà energia e calorie, l'orzo dà proteine. Ma lì c'è l'orzo, l'avena, il cibo, si
macellano lì, l'animale non ha stress. Forse chiude il macello in California. Gli allevatori della
Marin Organic dovranno mettere gli animali su un treno, fargli fare magari 2000 km e poi portarli
in macelleria. Io allevo lì, gli animali non hanno stress, non viaggiano, non si impauriscono, là
vivono bene.

Z.N. : Secondo lei è una buona morte.

D.C. : È una buona morte, buona vita, buon macellaio e possibilmente anche un buon
consumatore. Cioè una persona che si renda conto che mangiare quel pezzo di carne ha un valore.
Non è un gioco, non è cuocere un filetto sotto l'azoto liquido perché il cuoco ha deciso di cuocere
un filetto. Tutti vogliono il filetto è una piccolissima parte di un manzo...e del resto del manzo?
Che messaggio c'è dietro i successi commerciali?

Z.N. : Gli altri macellai o gli altri cuochi: i cuochi non usano questi altri tagli, i macellai che fanno
con questi altri pezzi?

D.C. : Non lo so, un macellaio ha un problema con questi tagli. Ormai nessuno lavora più il manzo
intero o il posteriore intero che è già metà manzo migliore. Lavorano pezzi, arriva tutto
dall'industria sottovuoto. I macellai poco a poco spariscono.
A Los Angeles c'è un solo macellaio. Ha 75 anni. A Hong Kong non ci sono più macellai. Mi hanno
chiesto una consulenza a Hong Kong per ristoratori che hanno sei ristoranti. Allora gli ho detto
scegliamo la migliore macelleria di Hong Kong, prendiamo rapporti con lui e cominciamo a
lavorare con un macellaio che è sul posto. Non ci sono macellai, c'è solo l'industria che manda tagli
già preparati.

Z.N. : Quindi non c'è bisogno di un macellaio? Nel senso che i pezzi vanno direttamente al
ristoratore.

D.C. : Certo, c'è solo industria.

Z.N. : Perché ci vuole il macellaio nel mezzo?

D.C. : Il macellaio nel mezzo ci vuole perché, a giudizio mio, dalla produzione dell'animale,
dall'erba, dall'alimentazione fino ad arrivare nel piatto ogni anello della catena alimentare deve
fare bene la sua parte. Il macellaio ci vuole perché manca quest'anello della catena alimentare.
Manca il tecnico che sceglie il momento migliore della macellazione, che dà i consigli all'allevatore.
Non su cosa dare da mangiare ma sul risultato della carne macellata. Sul dire, guarda che è troppo
magra, deve mangiare più calorie, è meglio macellarla in un' età...quello che si sta facendo con
quest'allevamento di razza Chianina qui a Panzano. Abbiamo già fatto la macellazione, la seconda
era molto meglio della prima come gusto perché è stata cambiata l' alimentazione in accordo con il
veterinario, capito? Ma ancora è poco coperta di grasso. Perché ci vuole un tipo di armonia diversa,
non ci vuole un tipo di alimentazione diverso. Come produrre un buon vino, ci vuol un buon
concime da vigna, una buona potatura della vigna, una buona raccolta della vigna nel momento
giusto, un buon cantiniere che fa fermentare bene l'uva, è tutto un insieme di particolari, di piccoli
passaggi ben curati. Non è una cosa sola, quella è razza Chianina e deve essere buona. Non è vero.
Deve avere una buona vita fatta di tante componenti, di buon cibo, di un buon ambiente, di avere
spazio libero...avere una buona vita come noi. Come gli umani.

Z.N. : Se io vado a Firenze a un ristorante che mi propone la fiorentina che non distingue fra la
Chianina o una altra carne oppure la fiorentina con la Chianina. Quella carne da dove viene?
D.C. : Non lo so, io dico semplicemente che io sono semplicemente un anello di questa catena. Il
mio compito, la mia idea, quello che io sento di volere e di poter fare e quello di far bene...cioè il
mio anello di questa catena sia resistente che permetta alla catena alimentare di funzionare. Ma io
non posso fare l'allevatore, non posso fare tutto. Non posso sapere cosa succede in un ristorante a
Firenze, cosa succede nella Chianina. Io posso solo cercare la qualità e cercare la sostenibilità. Per
me non è nemmeno sostenibilità, è rispetto. Io lavoro la carne di maiale, di manzo e di agnello. Io
devo avere il rispetto degli animali uccisi. Il mio rispetto è che ogni taglio, ogni zampa, ogni coda,
il muso, la lingua, un filetto...
Ogni taglio del manzo, del maiale... Io parlo sempre del manzo perché il maiale è più facile. Il
maiale si fa un salame in più. Al manzo ogni taglio deve essere portato all'eccellenza. A me piace
molto quando vengono gli americani che in questo momento francamente in questo momento sono
più sensibili, vengono a Solo Ciccia. Sono più sensibili degli europei perché il problema è più
grosso. Perché la catena del mais, la catena industriale è nata lì di fatto. McDonald’s, l'industria
grossa nasce lì. L'industria in Europa è molto più piccola anche se è grossa, io poi non so tutto. C'è
per esempio questo taglio del manzo.
Si mette tanta verdura cruda, sedano, carota, cipolla. Allora sui tenerumi di insalata io ho visto
almeno una decina di casi di persone illuminate. Hanno capito due cose: che il taglio è buono, gli
piace. È un taglio molto, molto buono ma hanno capito che fino a ora che è un taglio che viene
buttato via. Quel taglio viene buttato via, non viene usato nemmeno dai ristoratori forse per un
brodo, per un fondo alla francese. Ma non era stato trovato ancora, è una maniera antica, una cosa
che in famiglia mia si faceva, capito? Non era stato trovato ancora un buon modo di cucinarlo.

Z.N. : Perché la popolarità del filetto e della bistecca?

D.C. : È più facile.

Z.N. : Una persona lo può prendere, lo porta a casa...

D.C. : Cuoce in cinque minuti, è comodo, il taglio è più tenero. È più facile che fare tutta quella
preparazione dei tenerumi che cuociono per quattro ore. E poi non so che è più facile. Per conto
mio le cose si sanno e le cose non si sanno. Questa è anche la risposta perché ci vogliono i macellai.
Un' industria fa un conto economico, io non faccio mai un conto economico, lo faccio alla fine. Il
conto deve essere se qualcosa è a rimessa e qualcosa guadagna il conto economico è positivo,
funziona. In una famiglia di macellai si usa quello che gli altri non vogliono.

Z.N. : Per questo che non ha mangiato la bistecca fino a diciotto anni?

D.C. : Certo. Ma con questo sistema la famiglia vive, la famiglia si nutre, nell'economia della
famiglia dei macellai non c'è solo quello che si vende ma anche quello che mangia la famiglia
perché il cibo viene da...non costa. Si vive con quello. Quello che non si vende.

Z.N. : Quando io sono lassù sono in un ristorante, in una taverna, in una casa di macellaio, a un
convivio, dove sono?

D.C. : In un ristorante perché di fatto è un ristorante, serve cibo a tavola dal ristoro però è una
mutazione di un ristorante e anche una mutazione del lavoro del macellaio. È un modo
contemporaneo, riuscito anche, di trovare una lingua nuova. Io non sono il macellaio che diventa
chef, sono il macellaio che spiega attraverso il cibo il mio sapere, la mia filosofia , il mio modo da
vivere, io sono un artigiano che mette a tavola le persone.
Z.N. : Perché se io vado al ristorante tra virgolette “normale,” entro e mi chiedono 'Quanti siete?'
io dico due e siamo in un tavolo da soli. Perché è diverso il MacDario?

D.C. : Perché a me piace mettere la gente tutta a tavola, mi piace perché è un senso di comunione,
si mangia carne e mangiare carne ha qualcosa di religioso. Religioso nel senso filosofico, nel senso
spirituale, non nel senso cattolico, ebraico o qualche altra cosa. Condividere un cibo così
importante rende tutto più rituale e anche per me è migliore. Condividere il cibo è importante.

Z.N. : Perché è importante?

D.C. : Perché io non l'ho fatto per un calcolo, io l'ho fatto semplicemente perché è il mio modo di
essere. Nella mia famiglia se qualcuno aveva fame gli veniva dato da mangiare . In bottega se uno
ha fame entra e mangia perché la prima cosa è l'ospitalità, non è una cosa economica, fare un
lavoro come il mio, cioè fare l'artigiano non ha motivi economici. Io credo che il vero problema è
che abbiamo portato la vita in sistema commerciale, siamo convinti che la vita è denaro, che è
sempre denaro, che si lavora per denaro. Io lavoro per vivere, io amo il mio lavoro. Il mio lavoro è
la mia energia, è la mia espressione, il mio modo di essere. Non voglio essere un'artista, voglio
essere un artigiano.
Per me non è importante diventare ricco. Per me è importante essere Dario Cecchini, ho bisogno di
soldi però non sono il mio fine. Il mio fine è quello che mi serve per vivere, per le spese, per
mettere la benzina nella macchina, per comprare un paio di pantaloni, per regalare un mazzo di
rose al mio amore. Mi ci vogliono un po' di soldi ma il mio piacere è lavorare, fare il mio lavoro. Io
ho bisogno di esprimermi con lavoro, è il mio mezzo di espressione e cerco di farlo bene. C'è una
vecchia regola nella campagna. I contadini dicono che il contadino deve lasciare la terra migliore di
come l'ha trovato. Io vorrei lasciare, io credo che tutti noi abbiamo il dovere morale di lasciare il
mondo migliore di come l'abbiamo trovato. Io non posso fare questo tutti i giorni, cercare di dare il
meglio di me per migliorare nella mia arte, nel mio lavoro, insegnare a qualcuno.

Z.N. : Di mercoledì la macelleria non è aperta, perché? Che fate?

D.C. : È un giorno di chiusura, non si può lavorare tutti i giorni. Non ha senso. Purtroppo
nell'ultimo periodo abbiamo lavorato parecchio però ieri siamo stati a fare il compleanno di mia
sorella con degli amici in montagna, sopra il prato a mangiare davanti a un camino, a parlare.

Z.N. : Un mese eravate tutti insieme, sbaglio?

D.C. : Certo. Abbiamo fatto una cena mercoledì scorso perché Utzki, il nostro ragazzo giapponese
partiva e lui voleva mangiare pesce. La prima che si mangiava pesce nell'Officina della bistecca, ho
chiamato un amico mio molto bravo e ha cucinato pesce per Utzki perché tutto si può fare.
L'importante è farlo con lo spirito giusto. Eravamo intorno alla macelleria, fra chi lavora in
macelleria, i familiari, gli amici. Eravamo più di 30 persone. Eravamo nel bosco.
Io non sono sempre il capo, io sono il capo nel lavoro ma sono il capo inteso com'era il vecchio
sistema. Sono il maestro. Non dico 'Tu devi fare questo', l'importante è che io ti spiego che è bene
fare questo ma te lo spiego io a te dall'alto dalla mia esperienza. Io sono andato a levare le ariste da
forno ma la Claudia le aveva già levate perché lei sapeva che erano pronte, avendolo visto fare da
me molte volte e lei può farlo. Non ha bisogno del mio permesso. Se ha un dubbio chiama me,
questo è il concetto del maestro, è insegnare come il tuo professore a scuola. Il concetto
dell'industria nel mondo contemporaneo: 'Io sono il tuo capo quindi tu devi obbedire a quello che
io dico'. Non è così. Io sono il tuo maestro, vuol dire che io ho la mia esperienza e metto a tua
disposizione e ti insegno la via. Ti insegno la strada, ti faccio vedere la strada. Ti preparo per il
lavoro del macellaio .

Z.N. : È molto interessante questo fatto per quanto riguarda la cucina, no? Ero molto sorpreso
quando ho visto che quasi non c'era una gerarchia. I ragazzi si organizzavano fra di loro. Quasi
una domanda retorica: è frutto della sua filosofia?

D.C. : Ma certo che è frutto della mia filosofia, io spiego ai ragazzi quello che devono fare.
Riccardo è quello che ha più esperienza ma al momento che uno acquisisce l'esperienza diventa
“capo” fra virgolette, non deve aspettare per muoversi. Non sappiamo che dobbiamo fare questo
servizio, mettere a tavola le persone, fare un'hamburger, servire le patate e si cerca di fare il nostro
meglio. Io faccio assaggio, chiedo se manca un po' di sale, come mai la patata è un po' più molle o
perché quella cosa lì è da pulire. Chiedo, dico che 'Si può fare meglio'. Si cerca tutti insieme di fare
meglio. Io sono il capo ma c'è da spazzare in terra spazzo in terra, non è offensivo. Non sono lo
chef, non c'è una gerarchia tipo militare. Chef, sous-chef, commis, tutte queste cose. Io non la
conosco nemmeno anche perché non vengo dalla cucina, vengo da una bottega di macellaio.
Ezio vive in un manicomio, l' hai visto? È un disabile mentale, per gli altri è matto. Per me è Ezio.
Se ha un problema tutti aiutano Ezio a risolvere il problema, ma è bravo. Capisce le cose e fa le
cose. Quando non c'è Ezio si sente la mancanza di Ezio.
Questa è la biodiversità, è inutile che si parli di biodiversità o di cibo biologico, organico se non
iniziamo ad essere biodiversi e a sentirsi in comunità. Questi sono principi...non è che io metto in
pratica dei principi teorici che io ho pensato. Io sono cresciuto così. Io faccio le cose d'istinto. Io
non ho scelto di mettere tutte le persone a tavola perché economicamente era più conveniente, l'ho
fatto perché mi sembrava meglio. Mi sembrava più naturale per le persone condividere il cibo, più
naturale, più biologico. Inteso come biologia umana. Alla fine abbiamo un mondo biologico, pulito
dove non c'è chimica, dove non c'è inquinamento e tutto rimane basato sui principi dell'industria.
La vera rivoluzione di cibo non sarà quando ci sarà il 'world food market' come c'è, ma ci sarà
quando i poveri potranno permettersi cibo buono. Magari un'hamburger al posto di un filetto ma
buono. Cioè dello stesso manzo del filetto. Dello stesso manzo, della stessa qualità, lavorata bene,
fatta con amore e con passione.

Z.N. : Allora le faccio un'altra domanda. Ho letto diversi articoli che parlano di Lei, della
macelleria, dei prodotti, di tutto e non c'è nemmeno uno che non parla di Dante. Adesso sono
quattro volte che sono stato e non ho mai sentito Dante. Penso che un ruolo abbia Dante, ma qual è
il suo vero ruolo?

D.C. : Ognuno di noi deve avere un' armonia, deve avere un' equilibrio. Mi mantiene l'equilibrio
interno, mi mantiene l'armonia. Mi fa pensare in maniera più equilibrata, mi segna la via. Non è
quello che dice Dante o i significati della letteratura di Dante o il Dante ora va di moda, che tutti
leggono Dante, io facevo Dante quando era un ghetto. Quelli che studiavano la divina commedia
erano considerati pazzi, nostalgici, un po' fuori dalla realtà. Per me è un senso profondo di metro
quando qualcuno studia pianoforte, cioè un piccolo strumento che oscilla. Ecco, a me la poesia fa
pensare fuori dal quotidiano, mi fa pensare meglio le cose, non c'è bisogno di dire Dante. Non è il
macellaio poeta, non è vero. È un macellaio che ama la poesia e non mi sembra una cosa tanto
originale un macellaio che ama la poesia, forse per il mondo lo è. Il macellaio dovrebbe essere tipo
'Gang A New York' come Daniel Day Lewis, non è che un macellaio è così. Quelli erano
delinquenti non....
[cita Dante a memoria] È un bell’ esercizio spirituale. Io credo nella spiritualità della vita, ci credo
fermamente. Non vuol dire che uno deve essere cattolico o tutta questa discussione del crocifisso,
hanno rotto i coglioni con questo crocifisso, chi cazzo se ne frega? Vogliono mettere tutti questi
simboli religiosi ma questo non è religioso. Lascialo in pace. Non ha senso, tutti vedono...c'era un
bellissimo passaggio in un libro di principi zen che il maestro zen mette i discepoli nuovi davanti a
un muro e prende un secchio di vernice con un pennello e segna un punto nel muro, un punto
bianco. Poi chiede ai discepoli cosa vedono. E tutti gli dicono 'vediamo un punto bianco, maestro' e
lui alla fine dice 'il muro non lo vede nessuno?' Cioè se non riesci a vedere l'insieme tu ti perdi
nella tua scatola, capito? Tu puoi inventare biologico, bravo, tu puoi anche alzare la testa e
sembrare Gesù ma...Per questo che dicevo che mi sentivo un anello della catena alimentare. Mi ha
colpito molto quello che hai scritto nell'email 3 giorni fa. Qualcuno deve scrivere un libro sulla
carne e lo deve scrivere Lei, è vero. Io non ero ancora pronto a scrivere però comincio ad essere
pronto. Capisco quello che devo scrivere.

Z.N. : Forse è un altro discorso proprio, io sono un piccolissimo editore però sono prontissimo a
buttarmi dentro questo progetto perché non è libro della cucina toscana, cioè basta. 'De carne'.

D.C. : Non è nemmeno libro di carne, è un libro di insegnamenti sulla vita, di quello che io prendo
dalla vita. Io credo che c'è un' attesa da parte dei giovani che vogliono fare il macellaio. Loro
devono avere una buona inspirazione, una buona filosofia, una buona via, capito?

Z.N. : Ho altre cose e spero non sembrino banali però per me è molto interessante come ha fatto
non soltanto con la macelleria ma anche il ristorante sopra. Innanzitutto mi ha colpito tantissimo
che la prima volta che sono venuto, sono salito attraverso la macelleria.Perché è possibile questo?
C'è una ragione o no? Nel senso che uno può passare dalla macelleria e salire al ristorante?

D.C. : Un ristorante di sopra, un ristorante di fronte. È un discorso collegato, cioè un discorso


anche pratico perché noi dobbiamo essere vicini ma è bene anche che i ragazzi che stanno sopra
all'Officina MacDario e le ragazze che stanno al loro ufficio sono tutti parte dell'insieme, sono tutte
parte della macelleria, è per quello che ho deciso di mettere le persone a tavola perché era l'unica
maniera che avevo per spiegare il mio lavoro, la mia filosofia, il mio cibo. Non posso parlare da un
banco e spiegare a voi. Un cuoco deve mettere parte della sua anima, o magari tutta la sua anima e
vede quello che io gli do in una maniera sua. Io avevo bisogno di spiegare tutto quello che avevo
da dare in una maniera mia, quella è la differenza.

Z.N. : La tradizione toscana e anche italiana...come caratterizzerebbe la tradizione culinaria


italiana? Che è la tradizione culinaria italiana?

D.C. : È il mio concime, la terra in cui sono nato. Sono cresciuto ma gli antichi dicevano che
bisogna essere come un albero, bisogna avere le radici ben piantate in terra. In questo caso i piedi
ben piantati in terra nella tradizione ma bisogna avere anche chioma libera, che respiri. Io ho
bisogno di avere le mie radici nella tradizione, ho bisogno di avere il mio cervello, la mia testa, la
mia chioma nel contemporaneo, ho bisogno di trovare soluzioni.
Il MacDario è un fast-food. Se si parla oggi di fast-food è una parola orribile ma tutti hanno
bisogno di un cibo più veloce, un cibo più economico. Allora la scommessa qual'è? È possibile
servire un cibo a 10 euro a tavola? Che in America corrisponderebbero a 10 dollari, perché i prezzi
della carne...capito? Non corrispondono a 15 dollari, io non parlo di cambio. Quello che dico è che
se mangio 100 dollari quello che i arriva nei prezzi. Io pago in euro, se là pago in dollari non è un
tasso di cambio. Cercavo di spiegarmi meglio, i prezzi nei miei ristoranti sono in euro in Italia ma
sono in dollari in America. Se uno prende un manzo americano... Deve costare 10 dollari per
funzionare, sennò non funziona il mio sistema, capito?

Z.N. : L'ultima volta che abbiamo parlato di fast-food Lei è risalito al fast-food del Rinascimento.
Mi racconti anche un attimo tutto questo.

D.C. : Nel Rinascimento, nella Firenze del Rinascimento si mangiava per le strade perché nessuno
si poteva permettere le cucine in casa se non le famiglie ricche. Il cibo in strada era una
condivisione, si mangiava il lampredotto, si mangiava le frattaglie, si mangiava cose molto
semplici ma il cibo da strada era la base dell'alimentazione del popolo, delle persone normali o
anche delle persone povere. A Firenze è rimasto il panino, il lampredotto, con i trippai. Il fast-food
è una cosa antica cioè mangiare per le strade. In tutto il mondo non lo chiamano più 'fast-food' ma
'street-food', 'cibo da strada' ma la realtà è che si mangiava cibo in maniera abbastanza veloce nella
maniera più semplice. Non si cucinava in casa perché le case non erano grandi, non erano
attrezzate con delle belle cucine. Si cucinava nei palazzi di ricchi, nelle case di ricchi ma il cibo era
per la strada.

Z.N. : Come vede uno come Pellegrino Artusi? Un altro che non era fiorentino ma ha vissuto a
Firenze? Come vede lui per l'evoluzione culinaria italiana? Dove c'entra?

D.C. : C'era l'unità d'Italia, c'era l'affare dell'unità d'Italia. Riunire tutti questi popoli e da avere una
cucina nazionale anche perché imperava già la cucina francese. Lui ha preso un po' di ricette
regionali e le ha rimesse tutte insieme in un libro di cucina nazionale. Io non amo molto il libro di
Pellegrino Artusi, perché io adoro la cucina regionale italiana. Per me il grande valore della cucina
italiana è la diversità. Il fatto che ogni regione ha la sua cucina, non c'è bisogno di fare un
polpettone, di metterci un po' di carne di manzo secondo la tradizione fiorentina, e un po' di
formaggio, un po' di pane, un po' di latte, capito? La cucina regionale italiana, a giudizio mio,è
forse la più grande del mondo. E un buon libro ma se si prende con grandissimo rispetto per la
cucina regionale italiana che è meglio. Cucina regionale italiana: un libro della cucina regionale
italiana. Ottimo, eccezionale. Perché è vero, per quello che riguarda la cucina toscana ho provato
che la cuoca, la scrittrice ha fatto le cose per bene, ha raccontato la verità. Non ha aggiustato le
ricette.

Z.N. : Così Artusi voleva fare una guida nazionale...

D.C. : C'era bisogno di farla, ha fatto un grandissimo lavoro. Ha cercato di riunire gli italiani, un
unico popolo, e la cucina è fondamentale per riunire un popolo. I siciliani di Brooklyn alla terza
generazione non parlano più una parola d'italiano ma continuano a mangiare la pasta con le sarde.
È uno studio degli anni '70 sull'emigrazione: non parlano italiano ma continuano a mangiare la
pasta alla siciliana e i cannoli alla siciliana. Il cibo lega più della lingua, dà l'appartenenza.

Z.N. : Quali sono i prodotti sia dia macelleria, sia quelli che propone Lei che sono di inspirazione
antica. Questa mi interessa particolarmente. Quali sono gli altri e anche il tono del chianti?

D.C. : Sono tutti prodotti di ispirazione antica fatti nel 2009, fatti il 5 novembre 2009 che è oggi.
Che non hanno la presenza di essere filologici, cioè di avere il gusto di quando sono nati ma hanno
l' onestà che a giudizio mio è una cosa importante, l'onestà di essere fatti probabilmente come li
facevano e di prendere l'inspirazione da quel metodo lì, non cambiando gli ingredienti. Non si
mette peperoncino al posto di prezzemolo o limone al posto della cipolla. Il metodo è di mantenere
gli ingredienti e di farli con i forni che abbiamo ora, con il freddo che abbiamo ora, con la capacità
di conservare la carne che abbiamo ora quindi alleggerendoli molto delle spezie, facendo un lavoro
come si fa oggi. Io non amo molto quelli che dicono 'Questo è fatto secondo la ricetta della mia
nonna Rosa' o 'Questo è fatto secondo la ricetta di famiglia'. Come se un pittore dipingesse
Michelangelo come dipingeva Michelangelo, io non sono quello che fa le coppie del passato. Io
sono quello che cerca di dare un segno mio nel contemporaneo.

Z.N. : Quindi quanta innovazione ci dovrebbe essere in un piatto?

D.C. : Non lo so, io sono un artigiano. Io seguo la mia anima, il mio cuore, non lo so. Non faccio
tecniche alimentari o tecniche di cucina. Io testimonio quello che sono io anche perché credo che
ogni piatto non viene mai lo stesso.

Wec Creative Commons copyright 2010 by Dario Cecchini and Zachary Nowak.

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