Académique Documents
Professionnel Documents
Culture Documents
Mtukudzi
(1952-‐2019)
In
dodici
mesi,
il
23
gennaio
è
diventato
una
data
molto
triste
per
gli
amanti
della
musica
dell’Africa
Australe.
Un
anno
fa
moriva
il
trombettista
e
compositore
sudafricano
Hugh
Masekela,
la
settimana
scorsa,
sopraffatto
dal
diabete,
nella
Avenues
Clinic
di
Harare,
il
chitarrista,
cantante
e
compositore
dello
Zimbabwe
Oliver
Mtukudzi.
Per
oltre
quarant’anni,
la
musica
di
Oliver
Mtukudzi
ha
avuto
un
profondo
impatto
nel
suo
Paese,
e
all’estero.
Per
sua
volontà,
la
famiglia
non
ha
raccolto
l’offerta
del
governo
di
seppellirlo
nel
monumento
dedicato
agli
eroi
nazionali,
il
National
Heroes
Acre
e
la
cerimonia
funebre
è
avvenuta
domenica
27
gennaio
nella
terra
natale
della
sua
famiglia
a
Madziva
dove
sono
sepolti
i
suoi
antenati.
Nato
il
22
Settembre
1952
ad
Highfield,
era
il
primo
di
sette
fratelli
e
sorelle,
cresciuti
in
una
famiglia
dove
entrambi
i
genitori
amavano
cantare.
A
23
anni,
nel
1975,
Mtukudzi
incide
il
suo
primo
singolo,
“Stop
After
Orange”
e
comincia
a
tenere
concerti
prima
con
i
Wagon
Wheels
quindi,
dal
1978,
con
il
gruppo
da
lui
fondato,
i
Black
Spirits.
Sono
anni
di
lotta
per
l’indipendenza
e
chi
come
Thomas
Mapfumo
e
Mtukudzi
canta
in
shona,
la
principale
lingua
locale,
sa
di
prendere
rischi,
ma
anche
di
contribuire
ad
un
passaggio
epocale.
Ne
sono
testimonianza
brani
come
“Dzandimomotera”
che
i
Wagon
Wheels
dedicano
alle
durezze
del
regime
coloniale
e
“Zimbabwe”
e
“Mazongonyedze”,
brani
che
i
Black
Spirits
includono
nel
primo
album
“Africa”,
a
celebrazione
dell’indipendenza
raggiunta
nel
1980.
L’attenzione
per
le
vicissitudini
del
proprio
Paese
è
sempre
stata
una
caratteristica
delle
canzoni
di
Mtukudzi
e
lo
sforzo
di
veicolare
messaggi
socialmente
consapevoli,
attraversa
il
suo
67°
album
“Hanya’Ga”
(preoccupazione,
del
2017)
e
tutta
la
sua
discografia,
con
attenzione
per
chi
soffre
discriminazioni,
per
la
condizione
dei
giovani
e
degli
anziani,
per
chi
ha
contratto
HIV:
https://pindula.co.zw/Oliver_Mtukudzi_Discography.
Uno
dei
suoi
brani
simbolo
è
“Neria”
(https://www.youtube.com/watch?v=GhXGyer-‐cIg),
parte
della
colonna
sonora
del
film
realizzato
in
Zimbabwe
nel
1993
da
Godwin
Mawuru
su
un
testo
di
Tsitsi
Dangarembga.
La
canzone
e
il
film
(https://www.youtube.com/watch?v=M0Un8wyhOQ0)
seguono,
in
una
delle
aree
marginali
di
Harare,
Warren
Park,
le
vicissitudini
di
una
donna
rimasta
vedova,
madre
di
due
figli,
dopo
che
il
marito
viene
ucciso
in
incidente.
Da
Ladysmith
Black
Mambazo
a
Joss
Stone,
la
canzone
è
stata
l’occasione
per
numerose
incisioni
in
duo.
Ma
le
sue
canzoni
l’hanno
anche
portato
in
carcere.
Cantando
“Wasakara”
(dall’album
“Bvuma”,
tolleranza,
https://www.youtube.com/watch?v=pQfNLAio8iU)
il
29
dicembre
2000
nell’Harare
Convention
Centre,
ha
urtato
la
suscettibilità
del
presidente
Robert
Mugabe
che
si
è
riconosciuto
nel
testo
che
suggeriva
che
“qualcuno”
fosse
troppo
vecchio
per
continuare
a
fare
quel
che
stava
facendo.
Se
la
cavò
con
quattro
giorni
di
cella,
mentre
l’opposizione
faceva
della
canzone
uno
dei
suoi
strumenti
di
lotta.
Di
lì
a
poco,
il
suo
44°
disco
fu
molto
più
esplicito:
la
foto
di
copertina
dell’album
“Vhunze
Moto”
(Fuoco)
mostra
lo
Zimbabwe
mentre
arde
e
nella
canzone
“Moto
Moto”
chiedono:
“Perché
dobbiamo
aspettare
che
diventi
gigantesco
prima
di
riconoscere
l’incendio?”
(https://www.youtube.com/watch?v=-‐OEbZgjHsc0&list=PL-‐
71JmUDnz3leswtwLGx_hZa3fWt1yXEl)
Era
stato
soprannominato
il
cantante
“con
la
tosse”,
per
la
sua
voce
calda,
ma
scartavetrata,
una
voce
che
parlava
dritto
al
cuore.
Fra
chi
si
è
recato
a
salutarlo
per
l’ultima
volta,
Piki
Kasamba,
già
membro
dei
Black
Spirits,
ha
poi
tenuto
a
sottolinear
all’agenzia
locale
City
Press
quanto
“Tuku”
tenesse
a
contribuire
a
uno
Zimbabwe
in
cui
le
persone
potessero
sentirsi
libere
di
esprimere
appieno
le
proprie
capacità.