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Racconti ebraici

GETTA IL TUO PANE SULL'ACQUA


C'era una volta un uomo molto pio. Prima di morire, quest'uomo impose al figlio di giurare
che avrebbe sempre seguito l'esempio del padre e non avrebbe mai fatto mancare l'elemosina ai
poveri.
- La parola dell’Eterno, - spiegò il vecchio già sul punto di lasciare questo mondo, - ci
dice: Getta il tuo pane sull'acqua, perché dopo molto tempo tu lo ritroverai (Qohelet II, I). Serba
questo insegnamento, figlio mio, e non te ne pentirai né nulla mai ti mancherà.
Poco dopo aver pronunciato queste parole, l'uomo spiro.
Il figlio mantenne la promessa.
Dopo la morte del padre, il giovane ogni mattina andava sulla riva e gettava nel mare una
pagnotta di pane. Ogni giorno un pesce la mangiava. Passò del tempo.
Molto tempo.
E quel pesce che mangiava il pane divenne così grosso che gli altri andarono a lamentarsene
con il loro re, nientemeno che Leviatano.
- Quel pesce è diventato così grosso che in un sol boccone divora venti di noi! -
esclamarono. - Non possiamo più vivere, con lui nei paraggi!
Leviatano allora mando a chiamare quel colosso, e gli domandò:
- I tuoi fratelli e le tue sorelle che vivono negli abissi sono grossi non più della metà di te,
mentre tu che vivi appena sotto il pelo dell'acqua sei così pasciuto. Me ne spieghi la ragione?
- C'è un uomo che scende ogni giorno sulla riva e mi dà da mangiare, - spiego candidamente
il balenone. - Arriva tutte le mattine, getta il suo pane sull'acqua, e io lo acchiappo al volo.
- Portami subito quell'uomo! - intimò con il suo barrito il Leviatano.
L'indomani di buon mattino il pesce scavò un fosso sotto la sabbia, nel punto in cui
quell'uomo si recava ogni mattina a gettargli il pane, e si mise con le fauci aperte all'imboccatura.
L'uomo arrivò, precipitò nel buco e venne tosto inghiottito dal pescione, che in men che non si dica
lo condusse da Leviatano.
- Ora sputalo fuori! - ordinò il re di tutti i mari.
Il balenone tossicchiò, scaraventando sul fondo dell'abisso il malcapitato.
- Perché getti ogni mattina il tuo pane sull'acqua? - domandò Leviatano.
- Perché mio padre prima di morire mi ha insegnato a fare così, - rispose l'uomo.
Allora Leviatano con la sua bocca enorme gli diede un bacio e gli offrì un regalo. L'uomo
poteva scegliere fra la metà dei tesori di tutti gli abissi e la perfetta conoscenza di tutte e settanta le
lingue del mondo. L'uomo scelse saggiamente il secondo dono, Leviatano lo istruì e in men che non
si dica le padroneggiava tutte e settanta.
Poi il re dei mari lo portò presso una riva remota e qui, sulla sabbia calda, lo abbandono.
L'uomo si crogiolò un po' sotto il sole, finché non vide due corvi che volavano sopra di lui. Uno
diceva:
- Padre, vedo un uomo disteso laggiù. Sarà vivo o sarà morto ?
- Non saprei, figlio mio, - rispose l'altro.
- Ora scendo e lo becco sugli occhi, che sono la cosa che mi piace di più, - disse il giovane corvo.
- Non farlo! - lo mise in guardia il padre, - perché se fosse vivo ti catturerebbe e ti ucciderebbe.
L'uomo, che ormai conosceva tutte e settanta le lingue del mondo, comprese quelle degli animali,
capì quello che s'erano detti i due corvi e appena il più giovane atterrò sulla sua fronte, lo prese per
le zampe.
- Padre! Padre! - gridava l'uccello imprigionato, - sono perduto!
- Povero te, figlio mio! - gridava il padre dal cielo, - se solo mi avessi dato retta!
Poi scese più in basso e si rivolse all'uomo.
 Oh, quanto vorrei che il Signore, sia Egli benedetto, ti desse facoltà di capire le mie parole!
Ti pregherei in tal caso: «Lascia andare mio figlio, e io in cambio ti mostrerò un tesoro favoloso! »
L'uomo libero immediatamente il giovane corvo dalla stretta. Allora il corvo padre riconoscente gli
disse:
- Scava nel punto in cui si trovano i tuoi piedi, qui troverai il tesoro di re Salomone.
L'uomo fece come gli aveva detto il corvo e trovò ceste e ceste di gemme, pietre preziose e oro
zecchino. Da quel giorno in poi non fu mai più povero, non ebbe più bisogno di nulla. Ma continuò
a elargire generosamente la propria elemosina ai poveri, così come aveva promesso a suo padre.
(Fiabe ebraiche)

Il pensiero una volta letto questo racconto corre veloce al capitolo 11 del Qohelet,
quando furono scritte queste parole, il pane era l’alimento primario per la quasi totalità della
popolazione. Avere il pane significava poter sostentare la propria famiglia; essere senza invece,
significava attraversare periodi di carestia e sofferenza. Di conseguenza l’immagine di un uomo che
“getta” il pane nell’acqua è anche di difficile comprensione. Ma il Qohelet è pieno di paradossi, e
questo si sa, sappiamo anche che dobbiamo saper leggere tra le righe di ciò che è scritto, altrimenti
risulterà difficile smascherare le vanità nascoste.
Ancora una volta, l’analisi migliore di un verso bello e misterioso la fa l’autore stesso, che riesce a
"parlare" con tutte le parole del suo libro tanto da farci capire che la prima lettura, ovvero quella più
semplice non è di certo quella giusta. E così, leggendolo con un angolazione più ampia come è
giusto leggere il Qohelet, scopriamo che la chiave di lettura del cuore di questo capitolo è ancora la
polemica contro la visione “economica” della religione. Nulla era più sovversivo per la logica
economica di un pane gettato nell’acqua.

Nella società antica , molto più di adesso, il pane era un bene primario abbiamo detto, al di sopra
del suo valore commerciale. Di rado veniva acquistato o venduto. Era prodotto in casa o al limite
nella comunità, condiviso durante i pasti, e molto spesso se ne faceva dono a chi era più bisognoso.
Come si sa un tozzo di pane non si è mai negato a nessuno,fin dalla notte dei tempi. Lo si usava
anche come dono, come offerta sacra (Genesi 14, 18).
Al di fuori del fatto che venisse consumato nelle famiglie e degli usi cultuali e di solidarietà, il pane
non poteva e non doveva essere sprecato. Tutti coloro che hanno superato la “cinquantina” si
ricorderanno che quando eravamo bambini, se cadeva a terra un pezzo di pane e si sporcava
irrimediabilmente, prima di darlo agli animali o di buttarlo, le mamme lo facevano baciare.
La stessa Bibbia è talmente piena di episodi e racconti basati su di esso che ne fa capire la sua
sacralità .La manna è stato cibo per gli Ebrei durante l’Esodo, dove veniva impastata e cotta come
focaccia, lo stesso Corpo di Cristo si materializza nel Pane dell’Eucarestia.

Di certo Qohelet non ci sta invitando a fare dei sacrifici propiziatori al mare o agli dei acquatici per
mezzo del pane, di fatto Qohelet stesso non ha mai visto di buon occhio altri tipi di sacrifici ( vedi
Elohim nel tempio di Gerusalemme: 4,17). Né il pane gettato nell’acqua è quello destinato ai poveri
o per le offerte nel Tempio. Invece Qohelet lancia una sfida alla teologia che giustificava ogni atto
umano sulla base dei suoi risultati, pensiamo a chi donava il pane per essere giusto, e così da avere
un credito da vantare per poi arrivare alla benedizione di Dio: «Chi è generoso sarà benedetto,
perché egli dona del suo pane al povero» (Proverbi 22,9). E invece Qohelet ci suggerisce di
gettare il pane sul volto dell’acqua, se vogliamo rivederlo tornare in molti modi, molte volte, in
molti giorni. La sua è vera consapevolezza, del superamento dei confini dell’utilitarismo e della
convenienza, sociale e religiosa. Rivolgendosi a chi la propria vita l’ha davvero vissuta in tutte le
sue sfaccettature, a chi ha seguito un suo percorso senza un vero e proprio scopo di lucro, a chi ha
provato a fare del bene al prossimo semplicemente per vocazione o perché “sentiva” di farlo.

Ecco loro sanno che le cose più belle gli sono tornate quando sono stati capaci di andare oltre il
calcolo utilitaristico, quando hanno abbandonato la logica del dare per avere e, hanno
semplicemente agito sulla base dell’amore e del buon senso. Non sapendo se il Paradiso esiste per
davvero e soprattutto se sarà per noi, ma nonostante ciò abbiamo continuato a”seminare” quel pane
sull’acqua sapendo inconsciamente che un giorno ci sarebbe tornato indietro.

Allora a questo punto si deve per forza analizzare il concetto di “Amore assoluto”, nella nostra vita
ci sono molti atti amorevoli, ma quasi sempre sono figli del calcolo, oppure sono così blandi che
farli o non farli non cambia per noi assolutamente niente. Quindi sono tutti atti di un amore
“parziale” o incompleto, figli magari dei momenti che stiamo vivendo da un punto di vista emotivo,
siamo troppo spesso legati allo “scambio” , al dare per avere come già detto. Ma allora siamo capaci
davvero di generare un Amore Assoluto?
L’uomo è davvero programmato per generare un Amore Assoluto ? questo è un argomento da
trattare con molta attenzione è un argomento “pericoloso”, poiché si è sempre pensato che questo
tipo di Amore fosse riservato solo all’Onnipotente chiunque esso sia. Ma se noi veramente siamo
fatti a “Sua” immagine e se veramente vogliamo “Somigliare” a Lui, allora dobbiamo cercare di
raggiungere l’Amore in pienezza, al fine di rendere umana questa forma di Amore troppo spesso
sconosciuta.
Esistono però molti esempi di uomini che hanno raggiunto questa forma così Assoluta, magari una
sola decisiva volta, magari nel momento del sacrificio supremo o magari quando è rimasto l’ultimo
pezzo di pane da donare agli altri.

La vita quindi è piena di ritorni che arrivano solo quando usciamo, volutamente o per necessità,
dalla logica commerciale. Se avessimo la garanzia o solo la speranza che il pane donato verrà
moltiplicato, quel pane non sarebbe più la buona donazione capace di moltiplicarsi. Sarebbe un
investimento, un’assicurazione, o una scommessa. Per costruire qui in terra la "civiltà della
moltiplicazione", c’è bisogno di assimilare nuovamente la logica dell’eccedenza e del pane donato
alle acque.
Sono molti di più i pani che si perdono nelle acque di quelli che ci tornano indietro portati dalla
corrente. La straordinarietà del pane moltiplicato dalle acque sta nella certezza di averlo perso per
sempre nel momento che lo donavamo. Il valore infinito, e quindi impagabile, del pane donato che
torna molte volte in molti giorni, dipende anche dal molto pane che resta sul fondo del mare, e che
non torna più a sfamarci. Non tutto il dono donato ci torna; ma ciò che ci appare spreco e dolore
può entrare in un’altra economia più grande, quella che include almeno il mare e i suoi pesci. La
terra si nutre e vive anche delle nostre lacrime divenute pane (Salmo 42, 4). Il pane moltiplicato è
l’ultimo pane che ci restava ma che era stato donato ugualmente. Non è il pane superfluo, né quello
della filantropia dei ricchi. Sono le briciole di Lazzaro che possono tornare moltiplicate, non gli
avanzi del ricco epulone: «I sazi si sono venduti per un pane, hanno smesso di farlo gli affamati. La
sterile ha partorito sette volte e la ricca di figli è sfiorita» (1 Samuele, 2,5). Solo il pane dei poveri
può essere "salvato dalle acque", e un giorno ritornare per renderli di nuovo uomini liberi.

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