ORIGENE A SUA IMMAGINE:
FRAMMENTI DI AUTOBIOGRAFIA DALLE LETTERE
Lorenzo Perrone
PREMESSA: BIOGRAFIA E AUTOBIOGRAFIA
IN ORIGENE
Origene, a differenza degli altri grandi
scrittori dell’antichità cristiana, primo fra tutti
Agostino, non sembra concedere molto spazio
all’autobiografia. Non a torto lo si è dipinto
come “un uomo che non amava parlare di sé”,1
benché tale impressione sia, a ben vedere, un
po’ riduttiva. È vero che l’Alessandrino di solito
si comporta così, ma nella sua opera non man-
cano i risvolti di natura autobiografica e all’oc-
correnza essi tendono ad assumere un rilievo
tutt’altro che secondario. Se possiamo parlare di
una ‘Vita di Origene’, a proposito del VI Libro
della Storia Ecclesiastica di Eusebio, ciò dipende
dal fatto che il vescovo di Cesarea ripercorrendo
la biografia del maestro alessandrino ha attinto
alle sue testimonianze autobiografiche.2 In non
piccola parte il ritratto eusebiano ci appare il
frutto dell’autoritratto che Origene stesso ha
tracciato di sé in alcune lettere, una delle quali
è ormai vista da tempo negli studi come la ‘let-
tera autobiografica’ per eccellenza.3 Ricostruire
con precisione la presenza di questa ipotetica
fonte nella trama della narrazione di Eusebio
rimane comunque oggetto di discussione. Forse
ulteriori indagini sull’utilizzo e la rielabola-
zione dei materiali ad opera dello storico ci
aiuteranno a capire meglio come egli proietti
narrativamente nel suo racconto l’immagine
che Origene ha voluto dare di sé sotto l’urgenza
di circostanze particolari.
È facile intuire fin da adesso che questi
pronunciamenti rispondano perlopiù a un’i-
stanza apologetica, non rara del resto nel di-
scorso autobiografico, non solo dell’antichità.
L’Alessandrino è stato costretto a difendersi
dalle accuse che venivano mosse alle sue dot-
trine e al suo modo di interpretare la Bibbia,
specialmente nel momento in cui avviene la
rottura col suo vescovo Demetrio, a seguito
dell’ordinazione presbiterale in Palestina. In
tale vicenda e altre simili, dunque, l’istanza
difensiva e polemica lo porta a intrecciare
apologia e autobiografia. Tuttavia, si sbaglie-
rebbe a pensare che questa sia l’unica ragione
suscettibile di giustificare nell’Alessandrino il
ricorso al registro autobiografico. Non bisogna
dimenticare un elemento di portata ben più
vasta, che potremmo definire l’autoconsape-
volezza in Origene del peculiare approccio alla
Scrittura, fattore ai suoi occhi di un’esemplarità
auspicata e come tale capace d’imitazione.
Ora, l’Alessandrino parla più che volentieri del
suo ‘mestiere’ di esegeta, dei compiti e delle
difficoltà racchiuse in esso, ed è proprio a tale
livello, ricorrente nel tempo quanto caratte-
rizzato nei modi, che si dovrebbe ricostruire la
coscienza autobiografica di Origene ancor più
che dalle testimonianze dirette e circoscritte di
tale natura.
LO SPECCHIO DELLA COSCIENZA
E L’IMMAGINE RIFLESSA DI SÉ
Prima di approfondire l’‘autoritratto’ di Ori-
gene che emerge da alcuni frammenti epistolari,
non è quindi fuori luogo accennare brevemente
alla cornice più ampia dell’autocoscienza dell’A-
lessandrino, dal momento che anche i pronun-
ciamenti autobiografici si lasciano ricondurre,
in maniera più o meno diretta, a tale orizzonte.
D’altronde, egli ha trattato l’argomento in varie
occasioni. Secondo il Commento al Cantico dei
Cantici, l’uomo è chiamato alla conoscenza di
sé, cioè a guardarsi nello specchio della propria
coscienza per scoprire quale immagine di sé
egli vi rifletta. È l’‘esercizio spirituale’ al quale
siamo soliti dare il nome di ‘esame di coscienza’,
312 ORIGENE A SUA IMMAGINE: FRAMMENTI DI AUTOBIOGRAFIA DALLE LETTERE
perché investe lo scrutinio delle azioni e dei sen-
timenti di un individuo, anche se per Origene
non si riduce ad esso. Nel movimento interiore,
innescato dall’autoanalisi, occorre oltrepassare
la stessa individualità biograficamente connotata
da azioni e passioni per arrivare a cogliere la
radice profonda dell’anima, la sua sorgente in
Dio. L’esame di coscienza è infatti da condurre
nella prospettiva della dottrina dell’uomo cre-
ato ‘a immagine di Dio’ e la verifica del ritratto
individuale viene pertanto a commisurarsi con
tale modello come ideale e mèta.4 D’altra parte,
la valenza etica e spirituale, se non addirittura
mistica, ma in ogni caso antropologica e ad un
tempo cristologica del ben noto tema origeniano
dell’‘immagine’ non può ignorare la sua rica-
duta psicologica e diagnostica, in ultima analisi
biografica.
L’introspezione origeniana mira ad acquisire
una cognizione circostanziata dello stato spiri-
tuale in cui l’individuo si trova e a impedire di
conseguenza una sua deriva ‘identitaria’ risul-
tante dalla dispersione e frammentazione nel
molteplice, alla stregua di un “animale inquieto,
incerto, votato al peccato”,5 e ridotto a vagare
da un ‘pastore’ all’altro (Ct 1,8). Nello sviscerare
via via gli ambiti a cui l’esame di coscienza si
applica, Origene fa emergere con chiarezza la
sua vocazione di maestro, attento pedagogica-
mente al progresso morale degli allievi come
alla loro crescita intellettuale. In questa maniera
il modello di autoesame è costruito in primo
luogo sull’esperienza personale dell’Alessan-
drino che lo propone a titolo paradigmatico al
suo pubblico.6 Non è casuale che l’autoanalisi
inculcata dall’Alessandrino investa, fra l’altro,
alcune passioni tipiche di chi svolge un’attività
di studio. Una di esse consiste nell’aspettativa o
meno del riconoscimento altrui che giunge con
la fama o con la gloria, una passione alla quale
Origene non doveva essere del tutto insensibile,
come vediamo in altro contesto da una delle
‘confessioni’ in cui apre il proprio cuore confi-
dandoci la sua pena o la sua attesa.7 Nella XII
Omelia su Esodo egli sembra voler comunicare
all’uditorio di Cesarea l’esito di un esame di
coscienza condotto in corrispondenza alle istru-
zioni fornite nel Commento al Cantico dei Cantici:
Io rimprovero me stesso, giudico me stesso,
accuso le mie colpe. Coloro che ascoltano,
vedano da sé come valutare se stessi. Io al
momento dico che finché sono servo di
qualcuna di tali cose, non mi sono ancora
convertito al Signore… Anche se non sono
sopraffatto dall’amore del denaro, anche
se non mi opprime la sollecitudine per i
possessi e le ricchezze, tuttavia sono desi-
deroso di lode e perseguo la gloria degli
uomini, pendendo dai loro volti e dalle loro
parole, chiedendomi che cosa il tale pensi
di me, come il tale mi consideri, se io gli
rechi dispiacere o gli piaccia. Finché ricerco
tutto ciò, sono ancora servo di queste cose.
Ma io vorrei, in considerazione di ciò, agire
almeno in modo da poter diventare libero,
ed essere sciolto dal giogo di questa vergo-
gnosa servitù, pervenendo a quella libertà
a cui ci esorta l’Apostolo dicendo: Voi siete
stati chiamati a libertà, non fatevi schiavi degli
uomini (Gal 5,13; 1Cor 7,23).8
Anche l’ulteriore esemplificazione del Com-
mento al Cantico sulla propensione ad accogliere
il ‘verosimile’, piuttosto che ricercare il vero, e
la correlata cedevolezza dell’animo alla forza di
persuasione e al gradimento insiti nel discorso
retoricamente ben costruito tradisce uno dei
rischi a cui poteva andare incontro una voca-
zione intellettuale come quella perseguita da
Origene e dalla sua scuola. Significativamente,
sono tratti che trovano puntuale conferma nel
Discorso di ringraziamento dell’allievo di Cesarea,
identificato dalla tradizione con il nome di
Gregorio il Taumaturgo. Pure stando a questa
testimonianza, il maestro avrebbe raccomanda-
to ai discepoli di prendere coscienza dei moti
e degli impulsi dell’anima, rispecchiandovisi
come in uno ‘specchio’.9
Nel suo più giovane contemporaneo Plotino
le autorappresentazioni dell’anima appaiono
sempre inadeguate e sollecitano un trascen-
dimento conoscitivo che sfocia da ultimo in
un atteggiamento di preghiera.10 Secondo
Origene l’immagine riflessa dalla coscienza
rimanda sempre a un individuo che la plasma
di continuo, ad ogni istante della vita, nei suoi
 Lorenzo Perrone
pensieri e nei suoi atti, concorrendo a seconda
della loro bontà o malvagità ad attuare in sé ri-
spettivamente l’“immagine del celeste” oppure
l’“immagine del terrestre” (1Cor 15,49). Anche
per l’Alessandrino questo regime ‘iconico’ di
autorappresentazioni ha carattere parziale
e transitorio, costituendo lo stadio interme-
dio in un asse di sviluppo progressivo che va
dall’ombra, attraverso l’immagine, fino alla verità.
In questa prospettiva, dunque, la dimensione
dell’‘immagine’ è necessariamente provvisoria
e imperfetta; come tale, si riverbera in tutti
gli aspetti della condizione umana, costituti-
vamente segnati dal limite.11 Eppure, come
vediamo ad esempio dalla II Omelia sul Salmo
38, l’esistenza terrena, pur contraddistinta
dall’imperfezione del fieri, può già partecipare
della ‘verità’ finale e camminare anticipatamen-
te in essa.12 Resta il fatto che il regime presente
è segnato dalla grande varietà di ‘immagini’
che gli uomini costruiscono di sé, in positivo o
in negativo, e ciascuno è chiamato a scrutare
dentro il proprio cuore di quale immagine si
faccia portatore. Per questa via l’‘autoritratto’
è una proiezione dell’interiorità, non in forma
dispersiva e disorientata bensì guidata, come
suo criterio regolatore, dal riferimento esem-
plare all’immagine di Dio in Cristo.
Nel suggestivo trattatello Sulle promesse,
facente parte del Perì archôn (Prin II,11) e
singolarmente ricco di echi agostiniani per
l’insistenza sul motivo del desiderium, Origene
torna sull’idea di immagine riflettendo su come
essa venga tracciata da un pittore nelle varie
fasi di un ritratto. Egli ricorda come all’abbozzo
iniziale dei lineamenti dei volti faccia seguito
l’opera pittorica vera e propria mediante l’at-
tribuzione dei colori alla figura disegnata in
precedenza. Il ritratto sarà tanto più riuscito
quanto più lo schizzo preliminare risulterà
delineato con nettezza e con precisione da uno
stilo capace. Trasposta nell’ottica del discorso
origeniano sull’immagine, questa similitudine
sembra voler ridimensionare, per così dire,
l’iniziativa personale nel disegnare il proprio
ritratto. Infatti, esso può considerarsi riuscito
nel migliore dei modi solo se vede l’intervento
di Cristo come pittore nell’abbozzo.13 Anche tali
313
considerazioni, come le precedenti sui limiti
dell’orizzonte iconico costitutivo dell’esistenza
terrena, lasciano intravedere quali restrizioni
s’impongano a chi voglia tracciare una visuale
autobiografica in Origene. In questa luce, i
frammenti autobiografici dell’epistolario, in
sé tanto più preziosi quanto più sono rari, non
possono essere fatti oggetto di una sopravva-
lutazione, bensì sono da vedere come riflessi
parziali di una ‘storia dell’anima’ che si gioca
dentro una dialettica più complessa.
I FRAMMENTI EPISTOLARI: SULLE TRACCE
DI UN AUTORITRATTO
Le lettere sono notoriamente una fonte pri-
vilegiata per le ricostruzioni autobiografiche.
Tra le perdite più gravi della vastissima opera
di Origene è dunque da annoverare senz’altro
anche quella di gran parte dell’epistolario.
Eusebio di Cesarea, a quanto ci dice, aveva
raccolto un corpus comprendente più di 100
lettere in almeno nove libri,14 sebbene nella
Storia Ecclesiastica ne abbia fatto un uso assai
più ridotto di quanto non avvenga, ad esem-
pio, con l’epistolario di Dionigi di Alessan-
dria, sfruttato abbondantemente nel VI e nel
VII libro. Invece, le lettere dell’Alessandrino
dovettero rivestire un ruolo ben più cospicuo
nell’Apologia di Origene, scritta da Panfilo nel
309-310, con l’assistenza del suo discepolo
Eusebio, il che spiega presumibilmente anche
il silenzio relativo della Storia Ecclesiastica. Le
uniche due epistole conservatesi integralmen-
te – la Lettera a Giulio Africano (CPG 1494) e
la Lettera a Gregorio (CPG 1490) –, pur di am-
piezza così diseguale fra loro, ci fanno vedere
l’una e l’altra quanto le fonti epistolari siano
suscettibili d’interesse, contribuendo entram-
be ad arricchire il profilo dell’Alessandrino
sul piano biografico e scientifico. Tuttavia,
la nostra attenzione s’indirizzerà su alcuni
frammenti epistolari, ben più esigui rispetto
alle due lettere, ma dai contenuti più esplici-
tamente autobiografici. Si tratta dei seguenti
testi: 1) Lettera a Alessandro di Gerusalemme, o
‘Lettera autobiografica’ (CPG 1496); 2) Lettera
a Fabiano di Roma (CPG 1492); 3) Lettera agli
314 ORIGENE A SUA IMMAGINE: FRAMMENTI DI AUTOBIOGRAFIA DALLE LETTERE
amici di Alessandria (CPG 1491). Per nessuna
di esse possediamo indizi cronologici precisi,
anche se pare ragionevole presumere che si di-
spongano temporalmente secondo l’ordine qui
indicato. Anche in mancanza di una cronologia
sicura, questi testi ci dischiudono comunque
dei frammenti di un’autobiografia origeniana
e ci invitano a cogliere – come si è notato in
precedenza – le tracce della coscienza che
l’Alessandrino aveva di sé e della sua opera.
I. La Lettera a Alessandro di Gerusalemme:
Origene “votato alla parola”
Il primo testo è l’unico dei tre riportato da
Eusebio nella Storia Ecclesiastica (HE VI,19,12-
14). Egli l’introduce in risposta al famoso
estratto dal Contro i cristiani di Porfirio (HE
VI,19,4-8), contenente il problematico ritratto
di un Origene scisso in due, ‘barbaro’ nei costu-
mi in quanto credente in Cristo e ‘greco’ nelle
idee da adepto convinto della filosofia. Eusebio
non dichiara a chi la lettera fosse diretta, ma –
come ha provato Pierre Nautin – il destinatario
doveva essere Alessandro di Gerusalemme, già
amico e protettore di Clemente Alessandrino
e successivamente legato anche ad Origene, in
seguito ai viaggi di questi in Palestina, alla sua
ordinazione da parte dello stesso Alessandro
e di Teoctisto di Cesarea e alla predicazione
tenuta dall’Alessandrino nella Città Santa.15
Scopo della missiva era, secondo l’indicazione
di Eusebio premessa al testo, difendersi dalle
accuse di chi rimproverava Origene di prender-
si cura delle “discipline dei Greci”.16
Quando mi consacrai alla parola (රဎǓ໵͘Ԇࢆ็ဎဝ
ࢆ‫ڗ‬Ԇࠗရड़ཬࣹဝ) e si divulgò la fama della nostra
abilità (๊৓͘ङߥ), vennero da me ora degli
eretici ora dei conoscitori delle discipline
greche e soprattutto di filosofia. Mi parve
opportuno allora di dover esaminare tanto
le dottrine degli eretici quanto ciò che i
filosofi promettevano di dire riguardo alla
verità (›͘‫໇ݰ‬රड़ٗ۟͘໅Ǔߥड़ๆࣹ͘Ԇဎ์›Ǔࣹࣹ͘ड़ड़ཬࢆ͘ဎǓ).
Facemmo ciò imitando Panteno, il quale
prima di noi aveva recato beneficio a molti,
egli che possedeva una preparazione non
adesso siede fra i presbiteri di Alessandria.
Io lo trovai presso il maestro di discipline
filosofiche, che egli frequentava già da
cinque anni, prima che io cominciassi ad
ascoltare le sue parole (์໵͘໅ဎङဎࠗမဎड़ཬࣹङဎ).
A motivo di questo maestro, pur avendo in
precedenza indossato un abito comune, se
ne disfece e ne rivestì uno da filosofo che
usa ancor oggi; ed egli non smette mai di
studiare (‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫ࣹڗ‬မဎ), per quanto gli è pos-
sibile, libri greci.17
Origene si mostra chiaramente sulle difensive
e non esita per una volta a ricorrere, si direbbe,
a una forma di gossip, allorché sottolinea il fatto
che Eracla continui a indossare l’abito del filo-
sofo pur facendo ormai parte del presbiterio
di Alessandria (cosa che a lui – come sappia-
mo – non fu concessa in patria mentre gli fu
riservata all’estero, ad opera dei vescovi della
Palestina). Benché Origene si serva in chiave
tendenzialmente apologetica e polemica del
confronto con figure di maestri rappresentativi
della tradizione alessandrina – da Panteno, il
cosiddetto ‘fondatore’ del didaskaleion e maestro
di Clemente, fino al suo ex- discepolo e attuale
scolarca Eracla –, anche sull’onda di tali richia-
mi non mancano in questo frammento tratti
rivelatori della personalità dell’Alessandrino
e della sua vicenda intellettuale. A cominciare
dalle espressioni iniziali che contengono una
tournure caratteristica di Origene: infatti egli vi
si presenta, alla lettera, come “consacrato alla
parola” (රဎǓ໵͘Ԇࢆ็ဎဝࢆ‫ڗ‬Ԇࠗရड़ཬࣹဝ). Chi conosce
l’opera dell’Alessandrino sa quanto sia spesso
difficile, se non impossibile, rendere in italiano
lo spessore semantico del termine logos, da lui
così frequentemente adoperato. Esso racchiu-
de a seconda dei contesti un’ampia gamma di
significati, riassumibili per comodità nell’arco
che va dalla ‘parola’ o ‘ragione’ dell’uomo fino
al ‘Logos’ divino, come persona e messaggio o
parola rivelata. Potremmo supporre che il nostro
testo consigli di tradurre con ‘insegnamento’ o
‘dottrina’, ma a considerare l’insieme del fram-
mento s’intuisce che per Origene quella ‘parola’
a cui si è votato è di fatto distinta e contrapposta
piccola in queste materie e anche Eracla, che alle molte ‘parole’ (์໵͘໅ဎङဎ ࠗမဎ ड़ཬࣹङဎ, udite
 Lorenzo Perrone
alla scuola del maestro di filosofia, da parte di
uno di quei filosofi che “promettono di parlare
della verità” (ࠗඨ࿸›཮ࠗမဎ‫ݵ‬Ԇड़‫ݵཬۭڗ‬ङဎ›͘‫໇ݰ‬රड़ٗ۟͘໅Ǔߥ
ड़ๆࣹ͘Ԇဎ์›Ǔࣹࣹ͘ड़ड़ཬࢆ͘ဎǓ). Sembra di riecheggiare
l’inizio dell’opera più sensibile, fra tutti gli scritti
di Origene (fatta eccezione per la grande apo-
logia del Contro Celso), al contatto col pensiero
filosofico, cioè il Perì archôn:
Tutti coloro che credono e son certi che
grazia e verità son venute per opera di
Gesù Cristo, e sanno che Cristo è verità,
secondo quanto egli stesso ha detto: Io sono
la verità (Gv 14,6), ricevono la scienza che
indirizza gli uomini a vivere rettamente e
felicemente non da altri che dalle parole e
dalla dottrina di Cristo.18
Ma non è solo l’eco lontana della Prefazio-
ne de I principi che ci porta a indicare nella
‘parola’ a cui l’Alessandrino dichiara di essersi
votato la Parola divina, l’oggetto specifico
della sua vocazione di cristiano e di maestro.
Origene predilige il ricorso al medesimo verbo
(රဎǓ໵່ۭ۟͘ǓԆ) per designare le varie forme di una
“consacrazione” a Dio, prima fra tutte quella
che consistette per lui nel dedicarsi anima e
corpo – come vedremo meglio in seguito – allo
studio della Scrittura. Fra i molti esempi che si
potrebbero citare, basterà ricordare il prologo
del I Libro del Commento a Giovanni. Dopo avervi
richiamato le figure di “coloro che si consacra-
no al Logos divino” (‫่˗໌ڗ‬රဎǓ໵͘ໆࢆ͘ဎ‫ڗ‬Ԇࠗရ۟͘໅ဝ
ड़ཬࣹဝ),19 l’Alessandrino dichiara a riguardo di se
stesso: “per me tutta l’attività di tutta la mia vita
è consacrata a Dio” (රဎǓ໵͘Ԇࢆๆဎٗߥ۟͘ရ).20 Alla luce
delle occorrenze pressoché esclusive di natura
analoga (in netta prevalenza con un referente
divino), si può dunque affermare che l’idea di
‘votarsi alla parola’ implichi un’esperienza con-
notata fortemente in senso religioso e rimandi
al rapporto con Dio e la sua parola agli uomini.
C’è poi un altro vocabolo rivelatore sul piano
autobiografico, anche se all’apparenza piuttosto
anòdino: ๊৓Ԇߥ, ‘abilità’, ‘capacità’, ‘competenza’
(che tra l’altro fa da pendant con la ›Ǔ‫ݰ‬Ǔۭ໵͘࿰༓,
‘preparazione’, riconosciuta a Panteno). La sua
importanza particolare deriva dalla ricaduta
315
che esso ci attesta nell’opera e nella vita di
Origene, sia in prima persona sia in da parte di
terzi. Considerando anzitutto la testimonianza
diretta dell’Alessandrino, bisogna ricordare che
incontriamo il termine nel prologo al suo primo
scritto, il Commento ai Salmi 1- 25. Rivolgendosi
al suo patrono Ambrogio, egli confessa di es-
sersi finalmente deciso a scrivere dietro le sue
ripetute insistenze, pur essendo ben consape-
vole d’intraprendere così “un combattimento
grandissimo, dichiaratamente superiore a lui
e alla sua capacità (๊৓Ԇဎ!)”.21 Uno sguardo re-
trospettivo a questi inizi dell’attività letteraria
ad Alessandria ci è offerto poi dal ricorso del
medesimo vocabolo nel Contro Celso, composto
da Origene a Cesarea sul finire della propria
vita. Rievocando adesso l’interpretazione della
creazione del mondo secondo Mosè fornita a
suo tempo nel Commento alla Genesi, egli sembra
prenderne le distanze in rapporto al compito
presente e anche alle esigenze di un nuovo
approfondimento del tema, che richiederebbe
tutta una serie di trattati, soggiungendo: “lo ab-
biamo fatto, per quanto ci era possibile, molto
tempo prima della presente risposta a Celso…
in base alla capacità che possedevamo molti
anni fa (ර›཮ ༘ࠗߥ ›‫› ཮ݰ‬ड़͘Ԇ཭ဎङဎ ์ࠗမဎ ๊৓͘ङߥ)”.22
Abbiamo infine una terza incidenza significa-
tiva del nostro termine attestata da Eusebio di
Cesarea, quando ricorda come Origene abbia
acconsentito alla trascrizione delle sue omelie
solo oltre i sessant’anni d’età, avendo allora
acquisito “una capacità oltremodo grande,
grazie alla lunga preparazione (์໵༘ࠗߥࢆǓ໵‫ݰ‬ඪߥ
›Ǔ‫ݰ‬Ǔۭ໵͘࿰༘ߥ ๊৓Ԇဎ)”.23 La renitenza prolungata
del predicatore alla raccolta per iscritto dei suoi
sermoni rimanda alle resistenze giovanili di
Origene a trasformarsi da maestro della parola
in scrittore e tradisce un tasto sensibile nel pro-
filo della sua personalità. Non è solo questione
del rilievo valutativo connesso evidentemente al
nostro termine, ad esempio, nella prassi delle
scuole filosofiche del tempo, come ci testimonia
Porfirio nella Vita di Plotino24 e nel giudizio su
Origene del Contro i cristiani,25 o come vediamo
dallo stesso racconto di Eusebio circa la scuola
dell’Alessandrino26 o da quello del discepolo
Gregorio sulla figura del maestro,27 per cui sia
316 ORIGENE A SUA IMMAGINE: FRAMMENTI DI AUTOBIOGRAFIA DALLE LETTERE
gli insegnanti sia gli allievi vengono commisura-
ti alla loro ‘capacità’ (๊৓Ԇߥ) rispettiva. Pensiamo
invece che i tre luoghi esaminati implichino
quella acuta consapevolezza in Origene di
quanto fosse arduo il compito di spiegare a
fondo la Parola di Dio e come esso richiedesse
sempre all’interprete l’avvertenza dei propri
limiti. Ne troveremo qualche conferma a con-
clusione della nostra lettura.
‘Votato alla parola’ e avendo acquisita la
‘competenza’ necessaria ad affrontare il compi-
to dell’insegnamento, Origene… va lui stesso a
scuola. Il risvolto autobiografico più intrigante
del breve frammento epistolare è senza dubbio
l’apprendimento della filosofia presso quello
stesso maestro che Eracla aveva frequentato
per cinque anni prima di Origene, sia questi o
meno l’Ammonio Sacca, alla cui scuola Plotino
trascorse da parte sua ben undici anni. È com-
prensibile che Origene ne taccia volutamente il
nome entro un contesto in cui deve giustificarsi
dall’accusa di occuparsi di filosofia. Perciò gli
preme invocare piuttosto degli esempi autore-
voli di una condotta analoga alla sua e con un
passo, che risulta pressoché isolato in tutta la
sua opera, così scarsa solitamente di riferimenti
a predecessori, arriva a rievocare due anelli
della scuola di Alessandria: il più antico, Pante-
no, e quello più recente, Eracla. L’uno e l’altro
provano ai suoi occhi l’utilità della filosofia e
del fatto di “studiare i libri dei greci”. Orige-
ne si serve qui di un termine connotato a sua
volta semanticamente nel vocabolario cristiano
(‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫ࣹڗ‬မဎ), anche se nel caso di Eracla l’ado-
pera per indicare lo studio senza posa degli
autori pagani (ɘԆɘड़Ԇඦࠗ͘๒ड़ड़༔ဎङဎ໵Ǔࠗඨ˗࿲ဎǓࢆԆဎ
‫ڗ‬࿽›Ǔ࿲ࠗ͘ǓԆ‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫ࣹڗ‬မဎ), implicitamente per di-
stinzione o contrasto con quello dedicato alle
Sacre Scritture e chiamato a rappresentare la
vera ‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫ࣹڗ‬ໆǓ dei cristiani (come constateremo
meglio di seguito).28 Sorprendentemente l’Ales-
sandrino tace su Clemente, che pure di filosofia
se ne intendeva assai e che Eusebio ci propone
anzi come suo ‘maestro’, in quanto successore
di Panteno nelle diadochai del didaskaleion.
Quali che siano le ragioni di tale silenzio, Ori-
gene di fatto rivendica la sua partecipazione
all’operazione culturale intrapresa da questi
maestri alessandrini. Come confermano del
resto ampiamente i suoi scritti, essa conferisce
tendenzialmente un valore ausiliario, se non
meramente strumentale alla paideia greca, ivi
compresa la filosofia, come l’Alessandrino ha
chiarito, in particolare, nella Lettera a Gregorio
sfruttando il motivo esegetico delle ‘spoglie
degli egiziani’.
II. La Lettera a Fabiano di Roma:
Origene ‘filologo’
Il secondo frammento epistolare è altret-
tanto breve, ma non meno denso di notizie
autobiografiche interessanti. Esso consiste in un
estratto dalla Lettera a Fabiano, vescovo di Roma
fra il 236 e il 250, che ci è stata conservata dal
lessico della Suda e dal cronista bizantino Gior-
gio Cedreno (XI-XII sec.).29 La lettera figurava
originariamente nel VI Libro dell’Apologia di
Origene, che Eusebio aggiunse di suo all’opera
composta dal maestro Panfilo con l’assistenza
dell’allievo, e doveva presumibilmente essere
inclusa nella collezione delle lettere.30 Anche in
questo caso le circostanze e le finalità sarebbero
state di natura apologetica, stando almeno alla
testimonianza di Gerolamo (Ep. 84): a suo dire,
l’Alessandrino si sarebbe scusato con il papa
dei propri errori dottrinali addossandone la re-
sponsabilità ad Ambrogio, che aveva divulgato
alcuni suoi scritti senza autorizzazione, susci-
tando così le accuse di cui anche Fabiano si era
fatto interprete.31 L’estratto in nostro possesso
non offre però spunti per ricostruire lo sfondo
della missiva nei termini evocati da Gerolamo,
tanto più che questi delinea altrove (Ep. 43) una
situazione molto simile a quella tracciata nella
Lettera a Fabiano, ma presentandola stavolta
dalla prospettiva di Ambrogio. Entrambe le de-
scrizioni suggeriscono semmai un’eccezionalità
di natura positiva ed esemplare.
Il devoto Ambrogio, votato autenticamente
a Dio (۟͘ရࣹဎۭٗໆङߥරဎǓ໵͘ໆࢆ͘ဎ‫)ߥڗ‬, ti manda
molti saluti. Lui, ritenendo che io sia aman-
te del lavoro (‫ݵ‬Ԇड़ཬ›‫ڗ‬ဎ‫ڗ‬ဎ) e grandemente as-
setato della parola divina, mi ha messo alla
prova con la propria laboriosità (‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ›ڗ‬ဎ໅ධ)
<e> con il suo ardore (ํ‫ݰ‬ङࠗԆ) per i sacri
 Lorenzo Perrone 317

insegnamenti. Egli mi ha superato a tal
punto che io rischio di tacere dinanzi alle
sue domande (›‫ࠗڗݰ‬ඥۭ͘Ԇߥ). Infatti non è
possibile pranzare senza collazionare, né
dopo aver pranzato è possibile passeg-
giare e concedere una pausa al corpicino
dioso condiviso nel rapporto fra maestro e di-
scepolo.33 Ci appare anche conforme al modello
della didascalia origeniana che il discepolo sia
chiamato potenzialmente ad eguagliare, se non
a superare il maestro, come vediamo dai nume-
rosi appelli a un lettore collaborativo, capace di
(ۭङࢆඥࠗԆ‫ڗ‬ဎ: invece, anche in quei momenti
siamo costretti ad applicarci allo studio
(‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫່ࣹ͘ڗ‬ဎ) e a correggere le copie. E non
ci è nemmeno consentito dormire tutta la
notte per il ristoro del corpo, dal momento
che il lavoro sul testo (‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫ࣹڗ‬໅Ǔߥ) si prolun-
ga fino alla sera tardi. Non parlo poi delle
ore dall’alba fino alla nona, e talvolta fino
alla decima. Infatti, quanti vogliono dedi-
carsi al lavoro, consacrano questo tempo
all’esame (์৓ࠗ͘ඥۭ͘Ԇ) delle parole divine e
alle letture.32
Vi è più di un tratto di continuità, sul pia-
no lessicale e concettuale, col nostro primo
frammento, a partire dal modo in cui Origene
descrive l’atteggiamento del suo discepolo
e patrono: Ambrogio è anche lui, al pari del
maestro, “votato autenticamente a Dio”. Ma se
il testo precedente ci conduceva, per così dire,
fuori della scuola dell’Alessandrino e ci faceva
intravedere l’ambiente delle scuole filosofiche
del tempo e, accanto ad esse, la tradizione del
didaskaleion cristiano della sua città, qui Origene
ci fa entrare nel suo atelier e ci dischiude il suo
regime di vita o meglio la sua agenda di lavoro,
invero assai stressante, di studioso indefesso
delle Scritture. Con l’ironia che trapela sia pure
impercettibilmente sotto il velo di una modestia
preoccupata di invertire urbanamente l’ordine
dei protagonisti, egli si spende dapprima in lodi
per lo zelo eccezionale del discepolo, mentre
presenta se stesso come uno che è messo alla
prova da questi, arrancando con fatica a rimor-
chio dell’iniziativa di Ambrogio. È implicito che
il ritratto elogiativo del discepolo racchiuda di
fatto un autoritratto del maestro: l’amore del
lavoro (‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ›ڗ‬ဎ໅Ǔ), la sete della Parola di Dio,
fino alla rara applicazione ad essa del termine
ํ‫ݰ‬ङߥ, sviscerato in positivo dall’Alessandrino
quasi esclusivamente nel Commento al Cantico,
sono le manifestazioni comuni di un ethos stu-
andare oltre l’interprete, che troviamo sparsi
nell’opera di Origene.34 Il tramite didattico più
immediato e normale per tale superamento,
non a caso, è dato dal metodo delle quaestiones et
responsiones, che interviene anche nel nostro pas-
so a dimostrazione del progresso di Ambrogio:
egli è divenuto così bravo che Origene rischia di
tacere dinanzi alle domande (›‫ࠗڗݰ‬ඥۭ͘Ԇߥ) dell’al-
lievo. Paradossalmente, sembra di ritrovare
l’inversione dei ruoli svolti nell’educazione di
Origene bambino, come ce la racconta Eusebio:
il padre Leonida, che lo iniziava a leggere la
Scrittura, sarebbe stato in imbarazzo a rispon-
dere alle domande del precoce fanciullo circa
il senso profondo del testo sacro.35
Ma il ‘graffito’ autobiografico si concentra
soprattutto su un’attività dominante nel pen-
sum quotidiano di Origene. Essa è indicata
dall’occorrenza rivelatrice dei due termini che
vogliono contraddistinguerla in senso più rav-
vicinato:‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫່ࣹ͘ڗ‬ဎ e ‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫ࣹڗ‬໅Ǔ. La singolare
‘laboriosità’ (‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ›ڗ‬ဎ໅Ǔ), lodata ancora da Ata-
nasio nel IV secolo, cioè in pieno clima di or-
todossia ormai in via di consolidamento, come
tratto caratterizzante il profilo di Origene,36 si
manifesta soprattutto nella forma dell’esercizio
filologico tipico della cultura letteraria di Ales-
sandria: collazione dei manoscritti, correzione
delle copie, trascrizioni del testo. Si direbbe
quasi che il nostro frammento voglia marcare
implicitamente una differenza rispetto al dato
della Lettera ad Alessandro, dove la ‘filologia’ di
Eracla consisteva nello ‘studio’ degli autori greci
(ai quali Origene stesso ammetteva di essersi
dedicato in subordine), mentre qui rappresenta
un’immersione nel testo delle Scritture. Rispet-
to alla decina scarsa di passi in cui incontriamo
il gruppo di parole negli scritti dell’Alessandri-
no, manca solo ‫ݵ‬Ԇड़཭ड़‫ߥڗࣹڗ‬, ma è evidente che
egli si raffigura esattamente come tale.
Certo l’immagine del ‘filologo’ Origene,
che gli studi recenti ci hanno restituito in tutta
318 ORIGENE A SUA IMMAGINE: FRAMMENTI DI AUTOBIOGRAFIA DALLE LETTERE
la sua evidenza sia tecnica che biografica,37 va
inquadrata – come suggerisce lo stesso excerptum
che abbiamo sotto gli occhi – nel più ampio e
onnicomprensivo ‘rapporto di amore’ con il
testo sacro. È questa, del resto, l’accezione verso
cui punta in fin dei conti l’utilizzo positivo del
gruppo di parole, attestato principalmente dal
Contro Celso: se la polemica col filosofo platonico
richiama la figura del ‘filologo’ nel significato
più generico di esperto di letteratura o anche
semplicemente di persona dotata di cultura38
(alcuni dei quali, fra gli stessi greci, hanno
aderito al cristianesimo), Origene osserva
anche che l’esigenza di comprendere a fondo
il messaggio cristiano ha fatto nascere molti
‘filologi’ di orientamento diverso all’interno
dello stesso cristianesimo, analogamente a
quanto è avvenuto con il formarsi di diverse
scuole in seno al giudaismo e all’ellenismo.39 E
se è vero che soltanto quelli che si considerano
‘filologi’ hanno accesso agli scritti di Platone,
stilisticamente ben più felici della rozza lettera
delle Scritture, ma come tale accessibile a tutti,
Origene non esita peraltro a definire ‘filologi’
gli stessi apostoli in un frammento sull’episodio
della Samaritana nel Vangelo di Giovanni (Gv
4,33), coniando addirittura quello che risulta
essere un hapax legomenon:‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫ߥ່ࣹ͘ڗ‬.
Essi conoscitori profondi e attenti della Leg-
ge com’erano (ဎ‫ࢆڗࢆڗ‬Ǔ່۟͘ߥ˗่໵Ǔ໇‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫ߥ່ࣹ͘ڗ‬
ཱིဎࠗ͘ߥ), avendo notato del resto che era l’ora
del cibo, si chiedevano se per caso non fosse
stato portato del cibo a Gesù, cosi come per
ordine di Dio era stato portato da Abacuc il
pranzo a Daniele a Babilonia e da un angelo
e da corvi era stato procurato del cibo a Elia
durante il cammino.40
La ‘filologia’ degli apostoli è ‘a immagine’
di quella auspicata da Origene: la conoscenza
approfondita delle Scritture e la capacità di
stabilire dei nessi fra le diverse articolazioni
del suo corpo scoprendone la fondamentale
symphônia. Come vediamo dal frammento,
per l’Alessandrino si tratta di un’occupazione
quanto mai coinvolgente e faticosa, che investe
la mente e il corpo dell’‘amante della Parola’.
Benché Origene abbia accusato momenti di
stanchezza in varie occasioni, mai ci aspet-
teremmo una confessione tanto diretta sulla
pena del corpo in un autore che vive come lui
per lo spirito. Il ‘corpicino’ (ۭङࢆඦࠗԆ‫ڗ‬ဎ), desi-
gnato con understatement solo apparente (dato
che il vocabolo ha avuto una sua fortuna nella
lingua dei filosofi, specie stoici) vorrebbe far
valere il giusto diritto al riposo.41 Ma se non
bastasse l’attività filologica, che accorcia le ore
del sonno e impedisce di sgranchirsi almeno
un po’ le gambe dopo aver pranzato, il resto
del tempo, con le ore migliori della giornata
dal mattino presto al pomeriggio inoltrato, è
dedicato all’“esame delle parole divine e alle
letture”. Questo ‘esame’, ์৓็ࠗǓۭԆߥ, termine
consueto per Origene a indicare l’esegesi della
Bibbia, fa dunque da pendant interpretativo
alla correzione e trascrizione dei manoscritti.
Sembra mancare un aspetto, che in Origene
non dovette essere secondario: la preghiera,
accanto al lavoro. Ma nell’Ep. 43 di Gerolamo
la ritroviamo come elemento strutturale che
articola l’agenda quotidiana dell’Alessandrino,
sia pure attraverso una testimonianza attribuita
ad Ambrogio:
Ambrogio (mi riferisco a colui che ha per-
messo al nostro vero Adamanzio – il nostro
Calcentero – di comporre una quantità
innumerevole di libri per avergli offerto
carta, denari e copisti), in una lettera indi-
rizzata ad Origene da Atene, riferisce che
neanche una volta, quando si trovava con
lui, aveva preso cibo senza ascoltare qualche
lettura, e mai s’era addormentato senza
prima aver ascoltato qualche brano dei
testi sacri, che l’uno o l’altro dei suoi com-
pagni gli leggeva. Faceva in modo, cioè,
che giorno e notte la lettura lo portasse
alla preghiera e la preghiera alla lettura.42
Lasciando da parte al momento quali pos-
sano essere state le circostanze della lettera
e da quale fonte Gerolamo l’avesse attinta,43
la presenza pervasiva della lectio nel vissuto
quotidiano di Origene è del tutto in tono con
la descrizione in prima persona della Lettera
 Lorenzo Perrone
a Fabiano, mentre l’enunciazione del legame
costitutivo fra lectio e oratio, fra lettura o esegesi
della Bibbia e preghiera trova ampie conferme
nell’opera di Origene.44 Una sua lettera pro-
grammatica sul modo d’interpretare la Scrittura
– la già accennata Lettera a Gregorio – ce ne darà
fra breve una testimonianza eloquente.
III. La Lettera agli amici di Alessandria:
Origene e il suo ‘stile’
Anche il terzo frammento epistolare di carat-
tere autobiografico non è di facile collocazione.
Ci viene presentato come una Lettera agli amici
di Alessandria (Epistula ad caros), tramandata in
porzioni diverse, e solo in piccola parte coinci-
denti, da Gerolamo e Rufino, che la ripresero
entrambi dall’Apologia di Origene scritta da
Panfilo ed Eusebio. A Gerolamo dobbiamo la
documentazione dell’inizio, nell’Apologia contra
Rufinum, in risposta alla traduzione di un cru-
ciale passaggio sul diavolo fatta dall’ex-amico
nel De adulteratione librorum Origenis, che a sua
volta si sofferma maggiormente sul seguito del-
la lettera.45 Non è possibile ripercorrere adesso
i problemi letterari e storico-dottrinali sollevati
dall’Epistula ad caros, se non per inquadrare bre-
vemente il testo che ci interessa più da vicino.46
Origene dovette sentirsi calunniato dai
giudizi sul suo conto ad opera del vescovo di
Alessandria, come ci assicura polemicamente
Gerolamo, sostenendo che l’intera lettera mi-
rasse a ‘dilaniare’ costui (fosse egli Demetrio, se-
condo quanto asserisce lo Stridonense, o invece
Eracla, come ritiene, forse più verosimilmente,
Nautin).47 A scapito di ciò, i brani riportati dallo
stesso Gerolamo ci restituiscono un Origene
che ‘vola alto’, introducendo dapprima una
riflessione di carattere più generale su ‘male-
dire e benedire’ secondo il messaggio cristiano:
invece di reagire ai maldicenti, bisogna pregare
per loro e ricordare che “siamo stati creati per
benedire e non per maledire”.48 Come appare
dal seguito dell’argomentazione, queste ri-
flessioni legavano il discorso su benedizione
e maledizione al controverso problema della
sorte del diavolo, dato che – come ricordava
Origene citando la Lettera di Giuda – neppure
l’arcangelo Michele, “quando, in contesa con
319
il diavolo, disputava per il corpo di Mosè, osò
accusarlo con parole offensive” (Gd 9). Ora, ciò
che si rinfacciava all’Alessandrino era di aver af-
fermato espressamente la salvezza del diavolo.
Nel contesto di tale polemica, com’è docu-
mentato da Rufino nella seconda parte della
lettera, Origene si spinge a rievocare due epi-
sodi nei quali egli sarebbe stato ugualmente
oggetto di calunnie, essendogli state attribuite
opinioni non sue. Premesso che l’apostolo Paolo
era stato lui stesso vittima di simili falsificazioni
(2Ts 2,1-3), l’Alessandrino richiama i testi di
due dispute che avrebbero dato luogo entrambi
a manipolazioni del suo pensiero, tanto più che
la seconda era del tutto inventata. La prima
disputa, registrata dai tachigrafi, era realmente
avvenuta con un eretico non meglio precisato
che successivamente ne aveva modificato a suo
piacimento la trascrizione, senza che Origene
ne sapesse nulla.49 Messa in circolazione in que-
sta forma, essa aveva sollevato l’indignazione
degli amici in Palestina (presumibilmente di
nuovo i vescovi di Gerusalemme e di Cesarea,
patroni e familiari di Origene) che gli avevano
chiesto spiegazioni in proposito.
I fratelli che sono in Palestina, indignatisi
di ciò, mi mandarono un loro uomo ad
Atene perché ricevesse da me l’esemplare
autentico. Questa copia non l’avevo nep-
pure riletta e rivista in precedenza, ma
giaceva abbandonata tanto che fu quasi
impossibile ritrovarla. Tuttavia io la spedii
e, invocando Dio come testimone, aggiun-
go che quando incontrai colui che aveva
adulterato il libro e gli chiesi perché avesse
fatto ciò, egli, come se volesse darmi sod-
disfazione, mi rispose: “Perché ho voluto
abbellire maggiormente ed emendare la
nostra disputa”.50
Già in questa prima occasione si profila un
elemento al quale Origene farà ricorso lui stesso
nel prosieguo della lettera, sia pure facendolo
proprio in termini diversi: il manipolatore si
giustifica, infatti, accampando il desiderio di
migliorare (ornare) lo stile del testo e con ciò si
fa schermo, in apparenza, di esigenze di natura
320 ORIGENE A SUA IMMAGINE: FRAMMENTI DI AUTOBIOGRAFIA DALLE LETTERE
estetico-letteraria. Ma nel secondo caso, la di-
sputa sarebbe stata inventata di sana pianta da
un altro eretico – il valentiniano Candido, come
chiarisce Gerolamo51 –, che Origene incontrò ad
Efeso, verosimilmente sulla via del ritorno dal
viaggio ad Atene. Costui al momento si sarebbe
rifiutato d’ingaggiare un dibattito con l’Alessan-
drino, ma in seguito ne avrebbe composto uno
immaginario fingendo un dialogo tra i due e
diffondendolo nella cerchia dei discepoli, sicché
il testo era circolato all’insaputa di Origene a
Roma e anche ad Antiochia. L’Alessandrino però,
una volta giunto in questa città, sarebbe riuscito a
smascherarlo pubblicamente, col domandare che
fosse letto davanti a tutti in modo da riconoscere
se si trattasse o meno di farina del suo sacco.
Da ultimo, ad Efeso, quando un eretico mi
vide e non volle discutere con me, anzi non
aprì affatto bocca in mia presenza (anche
se non so per quale motivo evitasse di far
ciò), in seguito compose arbitrariamente
una disputa a nome mio e suo e la inviò
ai propri discepoli. Come ho appreso,
erano quelli che si trovano a Roma, ma
non dubito che l’abbia inviata anche ad
altri in luoghi diversi. Costui sparlava di
me anche ad Antiochia, prima che io vi
giungessi, di modo che il testo della disputa
che recava con sé venne a conoscenza di un
gran numero dei nostri. Ma quando arri-
vai, lo criticai alla presenza di molti. Dato
però che persisteva senza alcun ritegno ad
asserire impudentemente il falso, richiesi
che fosse portato il libro, affinché i fratelli
riconoscessero il mio modo di scrivere (sti-
lus), sapendo essi quali argomenti sia solito
trattare e a quale modo d’insegnamento
faccia ricorso. Allora lui, non avendo osato
tirar fuori il libro, venne smascherato da
parte di tutti e fu provato come falsario.
In tal modo i fratelli si convinsero a non
prestare ascolto alle accuse.52
Molti sono gli spunti interessanti che si po-
trebbero ricavare, in chiave biografica e auto-
biografica, dalla Lettera agli amici di Alessandria.
Accostata ai due frammenti precedenti, essa
mette in risalto quella che si presenta ormai
come la figura pubblica di Origene: non più
il catecheta-maestro della chiesa alessandrina,
che veste i panni ad un tempo del filosofo cri-
stiano e del filologo dedito esclusivamente allo
studio della Scrittura. Dopo il trasferimento a
Cesarea egli è diventato ancor più un perso-
naggio di fama internazionale, impegnato in
viaggi che lo portano in alcuni dei principali
centri culturali del tempo: Atene, Efeso e An-
tiochia. Da dottore riconosciuto e ascoltato
presso un pubblico scelto, egli difende la causa
dell’‘ortodossia’ nelle dispute con gli eretici,
che mostrano comunque di subirne il fascino
fino al punto di arrivare a imitarlo, se non a
riprodurne arbitrariamente il pensiero. Di que-
sta carriera pubblica, certo anche vivacemente
controversa (come evidenziano gli episodi qui
narrati), Eusebio ci ha conservato un’immagine
essenziale, descrivendone le principali traietto-
rie, ma il nostro ultimo estratto – per quanto
sfugga anch’esso a un esame più circostanzia-
to – ce ne offre un quadro abbastanza vivido.
Per apprezzarlo meglio, lo si può ad esempio
accostare alle testimonianze del dibattito in-
tellettuale nella scuola (neo-)platonica che ci
trasmette Porfirio nella Vita di Plotino.
La disputa all’interno della scuola plotinia-
na, con la discussione dei ‘problemi’ filosofici
(ර›‫ݰڗ‬ໆǓԆ, ৒ٗࠗ༔ࢆǓࠗǓ o quaestiones),53 si traduce
qui in eventi ‘pubblici’, capaci d’investire più
ampiamente le comunità cristiane del tempo,
anche a giudicare dalla reazione della gerarchia
episcopale, mentre attira uditori che risultano
ancora mescolati.54 Il nostro testo, infatti, ci fa
vedere il confronto diretto di idee fra ‘eretici’
e maestri della chiesa come era Origene.55
Ma ciò che è più rilevante dal punto di vista
autobiografico è il fatto che per tranciare la
discussione nel secondo episodio, in presenza
di un testo a suo dire inventato di sana pian-
ta, l’Alessandrino faccia appello al proprio
‘marchio di riconoscimento’: lo stilus, cioè il
suo modo di scrivere, insieme ai contenuti e
ai metodi del suo insegnamento.56 I criteri
invocati da Origene appaiono a tal punto riso-
lutivi che il confronto col testo di Candido non
viene neppure istruito. È notevole dunque la
 Lorenzo Perrone
rivendicazione di una propria ‘cifra’ stilistica e
argomentativa da parte dell’Alessandrino, con
una forte affermazione di identità distinta come
scrittore e come maestro che oggi, anche alla
luce dei nuovi studi su Origene scrittore, siamo
meglio in grado di confermare e corroborare.57
Anche a questo riguardo, del resto, appare ri-
velatore il riscontro con Plotino, che pure era
stato un maestro dell’insegnamento orale ben
più a lungo dell’Alessandrino. Porfirio non solo
lascia intendere a più riprese le caratteristiche
peculiari del suo modo di fare lezione, ma mette
in bocca al ‘filologo’ Longino anche un giudizio
su stile e metodo di Plotino che rispecchia in
larga misura i criteri invocati da Origene: egli
ammirava infatti “il carattere del suo stile, la
profondità del suo pensiero e il modo vera-
mente filosofico di proporre le questioni”.58
In tal modo Longino aveva superato le riserve
iniziali sul conto di Plotino, derivanti dal fatto
che non era ancora familiare con il suo “modo
consueto di scrivere”.59
EPILOGO: LA LETTERA A GREGORIO.
IL ‘FILO ROSSO’ DI UNA VITA
I frammenti di un’autobiografia intellettuale
ricavabili dagli excerpta epistolari in nostro pos-
sesso sono sicuramente troppo esigui per rico-
struire il ritratto che Origene aveva di se stesso.
Per farlo emergere in forma più compiuta bi-
sognerebbe sfruttare a fondo tutti quei luoghi
del vasto corpus degli scritti in cui l’Alessandrino
parla più apertamente in prima persona, confi-
dando ai suoi lettori problemi, aspettative, im-
pressioni e sentimenti. Si è già detto come per
alcune di tali esternazioni sia lecito parlare di
‘confessioni’, intendendo la parola in un senso
non troppo distante dall’accezione agostiniana
che si è imposta.60 Nondimeno, la testimonian-
za epistolare, pur parcellizzata in maniera così
frustrante, ha una sua ‘eloquenza’ particolare,
perché è per natura la più adatta a prestarsi
come sede di una soggettività più immediata e
manifesta. Non a caso la stessa rivendicazione
di uno ‘stile’ distintivo nella Lettera agli amici di
Alessandria rimane un unicum, sebbene Origene
sia sempre molto attento alle forme e ai risultati
321
del suo lavoro e auspichi per i suoi scritti –
come sappiamo – un lettore in linea con la sua
impostazione, altamente caratterizzata sotto il
profilo dei metodi e dei contenuti.
Né mancano i riscontri di carattere auto-
biografico anche nelle due uniche lettere che
ci sono pervenute integralmente: la Lettera a
Giulio Africano e la Lettera a Gregorio. Se la prima
ci lascia intravedere, sia pure di sfuggita, il lega-
me di Origene con la terra e i dotti d’Israele,61
la seconda si presta a essere letta quasi come
una sorta di autobiografia indiretta e anche di
testamento spirituale.62 Rivolgendosi al giova-
ne, designato affettuosamente come ‘figlio’,
l’Alessandrino osserva dapprima come le sue
doti naturali, se ben coltivate, potrebbero fare
di lui un giurista provetto oppure un filosofo
appartenente a una delle illustri scuole della
tradizione; ma egli auspica piuttosto che tutto
il percorso formativo di Gregorio sia finalizzato
al cristianesimo, sfruttando per tale scopo – a
titolo di ‘educazione curricolare’ (enkyklios pai-
deia) – lo studio di geometria e astronomia e
soprattutto della filosofia.63 Come non vedere
in questo auspicio il riflesso della vita di Ori-
gene stesso?: le doti del fanciullo, riconosciute
per tempo dal padre e orientate da lui tanto
verso le studio delle lettere quanto verso la
conoscenza delle Scritture, avevano fatto del
giovane Alessandrino prima un grammatico,
lettore e interprete dei classici, e poi su questa
stessa base un maestro dell’interpretazione
della Bibbia, col corredo aggiuntivo degli studi
filosofici intrapresi a titolo ausiliario.
Motivando biblicamente questa strada di
una doctrina christiana (il modello è, in prati-
ca, proprio lo stesso prefigurato da Agostino
nell’omonima opera), nutrita delle discipline
liberali e della filosofia quali scienze ancillari,
come non pensare di nuovo a una trasposi-
zione in chiave autobiografica delle parole di
Origene? Le ‘spoglie degli Egiziani’ (Es 11,2;
12,35 LXX), messe a frutto dagli Israeliti per
gli oggetti del culto divino, s’iscrivono in un
itinerario che l’Alessandrino aveva compiuto,
per così dire, doppiamente nel corso della
sua esistenza: in senso geografico, lasciando
anche lui l’Egitto per la Palestina; in senso
322 ORIGENE A SUA IMMAGINE: FRAMMENTI DI AUTOBIOGRAFIA DALLE LETTERE
spirituale, coltivando gli studi profani in vista
della Bibbia, come oggetto primo e ultimo dei
suoi sforzi. Per lui era stata una strada senza
ritorno e anche per questa ragione sembra
voler ricordare a Gregorio come secondo le
Scritture sia stato fatale “ridiscendere” in
Egitto per quegli Israeliti che l’avevano fatto.64
Così, la raccomandazione finale rivolta al gio-
vane rispecchia in maniera trasparente la sua
adesione alla mèta di un’intera vita, proposta
adesso a Gregorio con l’ardimento che gli vie-
ne “dall’amore di un padre”:65 la lectio divina,
cioè la lettura attenta della Bibbia e la ricerca
appassionata del suo significato nascosto, ac-
compagnate dalla preghiera per l’intelligenza
profonda delle cose divine.
Ma tu, mio signore e mio figlio, rivolgi
la tua attenzione principalmente alla
lettura delle divine Scritture, ma bada
che sia davvero con attenzione. Noi che
leggiamo i libri divini abbiamo bisogno
di molta attenzione, perché non parliamo
o pensiamo temerariamente riguardo ad
essi. E rivolgendo la tua attenzione alla
lettura dei libri divini, con una disposizio-
ne interiore di fede e gradita a Dio, bussa
dove essi sono chiusi ed essi ti verranno
aperti dal guardiano, di cui Gesù ha detto:
“Il guardiano gli apre” (Gv 10,3). E pre-
stando attenzione alla lettura divina cerca
rettamente e con fede ferma in Dio il senso
delle divine Scritture nascosto ai più. Ma
non accontentarti di bussare e cercare,
perché anche la preghiera è quanto mai
NOTE
1. Monaci Castagno 2010: 5. Analogo giudizio era già
stato formulato da Hanson 1982: 905; e anche da
Crouzel 1985: 46: “Origène… habituellement ne parle
jamais de lui”.
2. Si vedano i contributi raccolti nel volume di Monaci
Castagno (ed.) 2004.
3. Sull’uso dell’epistolario, cf. Eusebio, HE VI,1,2: ํ໵
ࠗԆဎङဎ์›Ԇۭࠗ‫ڗ‬ड़မဎ. Quanto alla ‘lettera autobiografica’,
si tratta di una definizione di Pierre Nautin (cf. Nautin
1961: 132-134; Id. 1977: 22-23 e passim).
necessaria per intendere le cose divine. Il
Salvatore, esortando ad essa, dice non sol-
tanto “Bussate e vi sarà aperto” e “Cercate
e troverete”, ma anche “Chiedete e vi sarà
dato” (Mt 7,7; Lc 11,9).66
Mettendo in guardia Gregorio dai rischi
di un connubio improprio fra i saperi profani
e il sapere della Bibbia, Origene fa appello a
quanto egli ‘aveva appreso con l’esperienza’
(ࠗ༚ ›͘ໆ‫ݰ‬ධ ࢆǓ۟နဎ): rari erano, ai suoi occhi,
coloro che si erano dimostrati capaci di far
tesoro delle ricchezze della scienza mondana,
indicata simbolicamente con l’Egitto, metten-
dole al servizio del culto divino; invece, erano
molto più numerosi coloro che avevano agito
in senso contrario.67 Certo l’Alessandrino non
poteva non annoverare se stesso fra i pochi
capaci di realizzare la sintesi qui prefigurata
tra cultura profana e cultura sacra e il richiamo
abbastanza inconsueto alla propria esperienza
appare di nuovo come un trasparente indizio
autobiografico. Che si trattasse di un percorso
impegnativo e di un compito particolarmente
difficile e oneroso lo abbiamo colto a più ri-
prese anche dai nostri frammenti epistolari,
ma la Lettera a Gregorio lo conferma anche
col fatto che Origene ammette apertamente
una sua certa audacia. Del resto, la posta in
gioco, proposta come auspicio e preghiera
per il giovane allievo dal suo ‘paterno’ mae-
stro (rafforzando con ciò l’impressione di un
‘testamento spirituale’) altro non era se non
una mèta ultima: giungere sempre più a ‘par-
tecipare di Dio’ stesso.68
4. CCt II,5,15 ad Ct 1,8. Cf. anche HCt I,9; Gregorio,
PanOr IX,119-122, 140-142.
5. La dispersione e il continuo vagabondaggio identita-
rio sarà la conseguenza del mancato riconoscimento
della propria natura: si enim nescieris temet ipsam et in
ignorantia tui vixeris nec scientiae studium gesseris, sine
dubio nec tabernaculum proprium habebis (CCt II,5,3). Un
primo aspetto di questa ricerca del sé è la compara-
zione con gli ultima mala, per far sì che l’anima agisca
tam malorum metu quam desiderio bonorum evitando di
 Lorenzo Perrone
ridursi a inquietum animal et vagum ac peccatis deputatum
(ibid.).
6. CCt II,5,28: Et quid opus est plura memorare, quibus ex
causis semet ipsam cognoscat anima… cum praesto sit vo-
lenti haec persequi largissimas occasiones ex his quae supra
memoravimus sumere, in quibus exerceri sermone scientiae
pro viribus possit?
7. CCt II,5,12: Adhuc et istud opus est animae cognoscentis se,
si gloriae multum cupida sit aut parum aut omnino nihil.
Quod inde colligit, si laudibus multum aut mediocriter de-
lectetur aut omnino nihil, et si in opprobriis satis aut parum
aut omnino nihil contristetur.
8. HEx XII,4: Ego me ipsum corripio, me ipsum iudico; ego
meas culpas arguo; viderint qui audiunt, quid de semet ipsis
sentiant. Ego interim dico quod, donec alicui horum deservio,
non sum conversus ad Dominum… Etiamsi me amor pecu-
niae non superat, etiamsi possessionum et divitiarum cura
non stringit, laudis tamen cupidus sum et gloriam sector
humanam, si de hominum vultibus et sermonibus pendeo,
quid de me ille sentiat, quomodo me ille habeat, ne illi displi-
ceam, si illi placeam, donec requiro ista, servus horum sum.
Sed volebam ex hoc saltim satis agere si possim liber fieri, si
possim iugo foedae huius servitutis absolvi et pervenire ad
libertatem secundum Apostoli commonitionem dicentis: In
libertate vocati estis, nolite fieri servi hominum (Gal
5,13; 1Cor 7,23).
9. PanOr 119: ໍဎ· ဟۭ›͘‫์ ݰ‬ဎ ໵Ǔࠗ཭›ࠗ‫ݰ‬ဝ ้Ǔ࿰ࠗ༖ဎ ۟͘ङ‫ݰ‬༔ۭǓۭǓ
Ǔ࿽ࠗඨߥࠗඨߥර‫ݰ‬शඨߥ໵Ǔ໇ྡໆ৒Ǔߥࠗမဎ໵Ǔ໵မဎ. Si veda anche § 142
(ibid.: 180), dove la conoscenza di sé si richiama al ben
noto motto di Delfi: ࠗ཮˗่͘໔ဎǓԆཱིဎࠗङߥํ‫ڗࣹݰ‬ဎ‫ڗݰݵ‬ဎ༔ۭ͘ङߥ
໵Ǔ໇ࠗǓ࿲ࠗٗဎ͘໔ဎǓԆࠗ༖ဎ۟͘ໆǓဎ‫ཬݰݵ‬ဎۭٗԆဎ໵Ǔड़မߥࠗ‫›ߥ່ڗ‬Ǔड़ǓԆ‫ߥ່ڗ‬
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10. Enn. V, 8, 9, 11. Rappe 1999: 253: “For Plotinus, any
conceptual representation of the self or subject of con-
sciousness can never be complete and can never succeed
in conveying the self that it purports to represent”.
11. H38Ps II,2: huius mundi quidem vita et conversatio ima-
ginaria quaedam sit et imago, futura autem non sit imagi-
naria sed vera; et hoc est quod dicitur, quia imaginem habet
unusquisque virtutis, non tamen proprie et sincere vivit in
ipsa virtute.
12. H38Ps II,2: qui in ipsis ambulat et in illorum desiderio et
cupiditate perdurat, iste non in imagine, sed in ipsa iam
ambulat veritate.
13. Prin II,11,4: Sicut cum aliquis velit imaginem pingere, si
ante futurae formae liniamenta tenuis stili adumbrationes
designet et superponendis vultibus capaces praeparet notas,
sine dubio per adumbrationem iam inposita praeformatio ad
suscipiendos veros illos colores paratior invenitur, si modo
adumbratio ipsa ac deformatio stilo domini nostri Iesu Christi
“in cordis nostri tabulis” (cf. 2Cor 3,3) perscribatur.
14. Eusebio, HE VI,36,3: ‫ݵ‬ๆ‫ࠗ͘ݰ‬ǓԆ˗่Ǔ࿽ࠗ‫ڗ‬࿴໵Ǔ໇›‫ߥ཮ݰ‬Ǔ࿽ࠗ཮ဎ
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323
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࿸›͘‫ݰ‬ɘǓԆဎ‫ڗ‬࿱ۭǓߥ. Il numero dei libri dell’epistolario nella
raccolta eusebiana lo si può ricavare dal catalogo degli
scritti dell’Alessandrino, inserito da Eusebio nella Vita
di Panfilo e ripreso da Gerolamo nell’Ep. 33. Nautin
1977: 229, ne ricostruisce così il testo: Firmi<li>ani et
Gregorii et diversorum ad eum epistularum libri II; epistulae
sinodorum super causa Origenis in libro II. Epistularum eius
ad diversos libri VIIII. Aliarum epistularum libri II; epistula
pro apologia operum suorum in libro II. Rufino, De adulter.
libr. Orig.7 ci dà la Lettera agli amici di Alessandria come
tratta dal IV libro (ex libro epistularum Origenis quarto).
15. Per un approfondimento, rinvio al mio contributo:
Perrone 2013.
16. HE VI,19,11: ༘ࠗߥ ྒྷ‫ݰ‬Ԇࣹ็ဎ‫ڗ‬࿰ߥ ໵Ǔ໇ ›͘‫ࠗ ໇ݰ‬ඨ ๒ड़ड़༓ဎङဎ
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17. HE VI,19,12-14: ์›͘໇ ˗่ රဎǓ໵͘Ԇࢆ็ဎဝ ࢆ‫ڗ‬Ԇ ࠗရ ड़ཬࣹဝ ༘ࠗߥ
‫ݵ‬༓ࢆٗߥ˗ԆǓࠗ‫͘ݰ‬श‫ڗ‬࿱ۭٗߥ›͘‫๊ߥ༘ࠗ໇ݰ‬৓͘ङߥ༜ࢆမဎ›‫ۭڗݰ‬༕ۭ͘Ǔဎ཯่ࠗ
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ර໵‫ڗ‬࿱͘Ԇဎ ์໵͘໅ဎङဎ ࠗမဎ ड़ཬࣹङဎÃ ˗Ԇ· ཱဎ ໵Ǔ໇ ›‫ڗݰࠗ͘ཬݰ‬ဎ ໵‫ڗ‬Ԇဎ༚
์ۭ༘۟ࠗԆश‫ݰ‬နࢆ͘ဎ‫ߥڗ‬ර›‫˗ڗ‬࿰ۭඥࢆ͘ဎ‫ߥڗ‬໵Ǔ໇‫ݵ‬Ԇड़ཬۭ‫ڗݵڗ‬ဎරဎǓड़Ǔɘဗဎ
ۭश༘ࢆǓ ࢆๆश‫ݰ‬Ԇ ࠗ‫ڗ‬࿴ ˗͘࿴‫ ່͘ݰٗࠗ ڗݰ‬ɘԆɘड़໅Ǔ ࠗ͘ ๒ड़ड़༓ဎङဎ ໵Ǔࠗඨ
˗࿱ဎǓࢆԆဎ ‫ڗ‬࿽ ›Ǔ࿱ࠗ͘ǓԆ ‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫ࣹڗ‬မဎ (trad. it. leggermente
modificata: Migliore 2001: 38).
18. Prin Praef. 1 (trad. Simonetti 1968: 118).
19. CIo I,2,10.
20. CIo I,2,12: Ҡඦۭٗߥࠗ‫ڗ‬ໆဎ࿰ဎ༜ࢆ່ဎ›‫ݰ‬ඦ৓͘ङߥ໵Ǔ໇›Ǔဎࠗ཮ߥࠗ‫ڗ‬࿴
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۟͘ရ (trad. Corsini 1968: 118). Per altre formula-
zioni tra le molte col verbo රဎǓ໵່ۭ۟͘ǓԆ si veda CIo
II,30,183 (ဟۭ›͘‫ ݰ‬න›ड़‫ڗ‬࿲ۭࠗ͘‫ڗݰ‬ဎ ›ඪߥ ඼ဎ۟‫ݰ‬ङ›‫ࠗ ߥڗ‬ရ ࿸›཮
۟͘‫ڗ‬࿴ ์໵ࠗ໅ۭ۟ǓԆ ඼ဎ۟‫ݰ‬ङ›ཬߥ ์ۭࠗԆ ۟͘‫ڗ‬࿴ රड़ड़· ‫ڗ‬࿽ श‫ࢆٗݰ‬Ǔࠗໆ৒͘Ԇ
›ඪߥ඼ဎ۟‫ݰ‬ङ›‫ڗ۟͘´ߥڗ‬࿴µ༩ࢆཬဎ‫۟͘཯ߥڗ‬ရරဎǓ໵͘໅ࢆ͘ဎ‫ ;)ߥڗ‬CC
III,5 (‫؞‬ङဂۭ༘ߥ˗่သߥ‫ڗ‬࿽ࣹཬٗߥරड़ड़·͘࿽ۭ͘ɘ༖ߥරဎ༖‫ݰ‬໵Ǔ໇ࠗရ
ࠗမဎ཰ड़ङဎරဎǓ໵͘ໆࢆ͘ဎ‫۟͘ߥڗ‬ရ); CC IV,75 (෕ड़ड़·༜ࢆ່͘ߥ‫ࠗ໌ڗ‬ရ
ࠗǓ࿴ࠗǓ໵ࠗ໅ۭǓဎࠗԆࢆཬဎဝරဎǓ໵͘ໆࢆ͘ဎ‫ڗ‬Ԇ۟͘ရऺ‫ݰ‬ԆۭࠗԆǓဎ‫ڗ‬໅); Orat
XIII,5 (ࠗ‫ڗ‬࿴ࠗ‫›ڗ‬ဎ͘࿰ࢆǓࠗԆ໵မߥ˗࿰ဎǓࠗཬဎ์ۭࠗԆဎ๊໵Ǔۭࠗ‫ڗ‬ဎࠗမဎ
රဎǓ໵͘Ԇࢆๆဎङဎࣹဎۭٗໆङߥࠗရ۟͘ရ໵Ǔ໇ဎ࿴ဎ์›Ԇࠗ͘ड़່͘ဎ). Come
risulta da questi e altri esempi, Origene adopera
රဎǓ໵່ۭ۟͘ǓԆ quasi esclusivamente in relazione a Dio e
alla sfera religiosa, distinguendosi in ciò dagli autori
contemporanei (ad es. Plotino) e successivi. È forte
quindi la presunzione di avere a che fare con un ter-
mine distintivo del lessico origeniano.
21. CPs 1-25 Prol. (Epiph., Pan. 64,5-7): ࠞǓ࿴ࠗǓ˗่༜ࢆ່ဎ์ဎ
›‫ڗڗݰ‬Ԇࢆໆဝड़็ड़͘໵ࠗǓԆ͘໑ߥࢆ็ࣹԆۭࠗ‫ڗ‬ဎරࣹမဎǓ໵Ǔ໇཯ࢆ‫ڗ‬ड़‫ڗࣹڗ‬࿰ࢆ็ဎङߥ
࿸›่‫ ݰ‬༜ࢆඪߥ ໵Ǔ໇ ࠗ༖ဎ ๊৓Ԇဎ ༜ࢆမဎ රဎǓࣹ໵Ǔ৒‫็ࢆڗ‬ဎ‫ڗ‬Ԇߥ ࿸›཮ ༘ࠗߥ
›‫ڗ‬ड़ड़༘ߥ ۭ‫ڗ‬࿰ ‫ݵ‬Ԇड़‫ࢆڗ‬Ǔ۟͘ໆǓߥ ໵Ǔ໇ ˗࿰ۭङ›‫ڗ‬࿰ࢆ็ဎ‫ڗ‬Ԇߥ ࿸›཮ ༘ࠗߥ
श‫ڗۭ ߥ཭ࠗٗࠗ཭ۭࠗٗݰ‬࿰ ໵Ǔ໇ ༘ࠗߥ ࢆࠗ͘‫ݰ‬Ԇ཭ࠗٗࠗ‫ ่ݰ͘໌ ߥڗ‬Ǘࢆɘ‫ۭ཭ݰ‬Ԇ͘
324 ORIGENE A SUA IMMAGINE: FRAMMENTI DI AUTOBIOGRAFIA DALLE LETTERE

໵Ǔࠗ͘ड़່۟͘ဎ. Per un’analisi di questo proemio, cf. Monaci ໵Ǔ໇ࠗඨ๊ङ۟͘ဎࢆๆश‫ݰ‬Ԇ༘ࠗߥ์ဎဎඥࠗٗߥํۭ۟·཰ࠗ͘໵Ǔ໇˗͘໵ඥࠗٗߥဟ‫ݰ‬Ǔߥਞ

Castagno 2003: 168-170. ›ඥဎࠗ͘ߥࣹඨ‫۟໌ڗݰ‬ๆड़‫ڗ‬ဎࠗ͘ߥ‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ›ڗ‬ဎ່͘ဎࠗ‫ڗ‬࿳ߥ໵ǓԆ‫ڗݰ‬࿳ߥࠗ‫ڗ‬࿱ࠗ‫ڗ‬࿰ߥ
22. CC VI,51: ༱࿴ဎ ˗่ ˗Ԇࣹٗ༔ۭǓۭ۟ǓԆ ࠗ཮ဎ ›͘‫ ໇ݰ‬ဎ‫ࠗٗڗ‬မဎ ໵Ǔ໇ ࠗ༚ ์৓ࠗ͘ඥۭ͘Ԇ ࠗမဎ ۟͘໅ङဎ ड़‫ࣹڗ‬໅ङဎ ໵Ǔ໇ ࠗǓ່ߥ රဎǓࣹဎနۭۭ͘Ԇဎ
Ǔ໑ۭ۟ٗࠗမဎड़཭ࣹ‫ڗ‬ဎ໵Ǔ໇ࠗໆဎǓࠗ‫ڗ›཭ݰ‬ဎ˗ԆǓဎ͘ဎ็ࢆٗဎࠗǓԆǓ໌‫ݵ‬࿲ۭ͘Ԇߥ රဎǓࠗԆ۟ๆǓۭԆ. Dal contesto, රဎࠗԆɘඥड़ड़‫ڗ‬ဎࠗǓ sembrerebbe
ࠗမဎ༜ࢆ͘‫ݰ‬မဎ͘໑ߥරࢆ‫ݰࠗ͘཭ݵ‬Ǔࠗඨ͘໒˗ٗ‫ڗ‬࿽›‫཭ݰ‬໵͘ԆࠗǓԆ‫ڗ‬࿽˗่ࠗඨ da intendersi nel significato di “mettere di fronte,
໵Ǔࠗඨࠗ‫ڗ‬࿳ߥࠗ཭›‫ڗ‬࿰ߥ์৓ࠗ͘ඦۭǓԆਞ཰ड़ङဎࣹඨ‫ݰ‬༜ࢆ່ဎۭ࿰ဎࠗඦ৓͘ङဎश‫͘ݰ‬ໆǓ confrontare, collazionare” piuttosto che “conversare”
͘໑ߥࠗ༖ဎ˗Ԇ༔ࣹۭٗԆဎ༘ࠗߥ໵Ǔࠗඨ‫؞‬ङဂۭ็Ǔ໵‫ڗ›ڗࢆۭڗ‬Ԇ໘Ǔߥਞ཰›͘‫ݰ‬໵Ǔࠗඨ familiarmente (come lo rendono Nautin 1961: 251: “Il
ࠗ཮ ˗࿰ဎǓࠗ཮ဎ ༜ࢆ່ဎ ›‫› ཮ݰ‬ड़͘ໆ‫ڗ‬ဎ‫ ߥڗ‬श‫཭ݰ‬ဎ‫ڗ‬࿰ ༘ࠗߥ ์ဎۭࠗٗ͘໵࿰ໆǓߥ ne m’est permis de manger qu’en devisant”; e Martens
›‫཮ࠗ ߥ཮ݰ‬ဎ ໸็ड़ۭ‫ڗ‬ဎ ۭ࿰ဎࠗඦ৓͘ङߥ ›͘›‫ڗ‬Ԇ༔໵Ǔࢆ͘ဎ ර›཮ ༘ࠗߥ ›‫཮ݰ‬ 2012: 42: “without conversation”). La ‘conversazione
›ड़͘Ԇ཭ဎङဎ ์ࠗမဎ ๊৓͘ङߥ ༡ߥ ์शङ‫ڗݰ‬࿴ࢆ͘ဎ ࠗ཭ࠗ͘ ˗ԆǓड़Ǔɘ཭ဎࠗ͘ߥ familiare’ mi avrebbe l’aria piuttosto di… un piacere
›͘‫ࠗ໇ݰ‬မဎ໵Ǔࠗඨ‫؞‬ङဂۭ็Ǔ๋৓༘ࠗߥ໵‫ڗ›ڗࢆۭڗ‬Ԇ໘Ǔߥ༜ࢆ͘‫ݰ‬မဎ. Ho della tavola.
esaminato questo e altri rimandi dell’Alessandrino ai 33. Positivamente, il termine ํ‫ݰ‬ङߥ è adoperato in nesso con
suoi scritti in Perrone 2011b: 33-34. ‘purezza’, a indicare la scelta di una vita continente, in
23. HE VI,36,1: ࿸›่‫ࠗݰ‬ඨ้৓༓໵‫ڗ‬ဎࠗඥ‫ݵ‬ǓۭԆဎํࠗٗࠗ཮ဎྒྷ‫ݰ‬Ԇࣹๆဎٗဎ CC I,26 (˗Ԇඨࠗ཮ဎํ‫ݰ‬ङࠗǓ༘ࠗߥ࿸›͘‫ݰ‬ɘǓड़ड़‫ڗ‬࿱ۭٗߥ໵Ǔ۟Ǔ‫)ߥڗࠗٗࠗ཭ݰ‬
ࣹ͘ဎཬࢆ͘ဎ‫ڗ‬ဎ ඲ࠗ͘ ˗༖ ࢆࣹ͘໅ۭࠗٗဎ ༧˗ٗ ۭ࿰ड़ड़͘৓ඥࢆ͘ဎ‫ڗ‬ဎ ์໵ ༘ࠗߥ e con applicazione analoga nella discussione sull’eu-
ࢆǓ໵‫ݰ‬ඪߥ ›Ǔ‫ݰ‬Ǔۭ໵͘࿰༘ߥ ๊৓Ԇဎ ࠗඨߥ ์›໇ ࠗ‫ڗ‬࿴ ໵‫ڗ‬Ԇဎ‫ڗ‬࿴ ड़ࣹ͘‫ࢆڗ‬ๆဎǓߥ nuchia in Mt 19,10-12, benché sia visto qui con riser-
Ǔ࿽ࠗရ ˗ԆǓड़ๆ৓͘Ԇߥ ࠗǓश࿰ࣹ‫ݰ‬ඥ‫ڗݵ‬Ԇߥ ࢆࠗ͘Ǔड़Ǔɘ່͘ဎ ์›Ԇࠗ‫ॣ็ݰ‬ǓԆ ‫ڗ‬࿽ va per la mancanza di misura (CMt XV,1: ‫ݵ‬ǓဎࠗǓۭໆධ
›‫ཬݰࠗ͘ཬݰ‬ဎ›‫ڗࠗࠗ͘ڗ‬࿴ࠗ‫ࣹ͘ڗ‬ဎๆۭ۟ǓԆۭ࿰ࣹ໵͘शङ‫ٗݰ‬໵ཬࠗǓ. ‫ཬݵ‬ɘ‫ڗ‬࿰ ۟͘‫ڗ‬࿴ ໵Ǔ໇ ۭङ‫ۭڗݰݵ‬࿲ဎٗߥ රࢆ็ࠗ‫ݰ‬ဝ ํ‫ݰ‬ङࠗԆ  ํ‫ݰ‬ङࠗǓ
24. Porfirio, V. Plot. 3: Plotino, con la preparazione (๊৓Ԇߥ) ۭङ‫ۭڗݰݵ‬࿲ဎٗߥ). In CIo I,9,55 designa il rapporto d’amo-
ricevuta alla sua scuola, frequentata assiduamente per re tra il Padre e il Figlio in quanto Sapienza (ࠞໆ˗่˗່͘
undici anni (232-243), è pronto per confrontarsi con la ۭ‫ݵڗ‬ໆǓߥड़็ࣹ͘Ԇဎ༟ဎํ໵ࠗԆۭ͘ဎ཯۟͘཮ߥර‫ݰ‬श༖ဎ཯˗မဎǓ࿽ࠗ‫ڗ‬࿴͘໑ߥํ‫ࣹݰ‬Ǔ
sapienza dei Persiani e degli Indiani. Porfirio adopera Ǔ࿽ࠗ‫ڗ‬࿴༣›‫็ۭڗݰ‬शǓԆ‫͘ݰ‬ဎ཯›Ǔࠗ༖‫ݰ‬Ǔ࿽༘ࠗߥ์ဎ͘࿰‫ݰݵ‬ǓԆဎ཭ࢆ͘ဎ‫ࠗߥڗ‬ရ
il termine anche a proposito delle capacità filosofiche ›‫ڗ‬ड़࿰›‫ڗ‬Ԇ໵ໆड़ဝဎ‫ࠗٗڗ‬ရ໵ඥड़ड़͘ԆǓ࿽༘ࠗߥ࿸›཮ဎ‫ࠗٗڗ‬မဎི‫۟ݵ‬Ǔड़ࢆမဎ
raggiunte dai discepoli (cf. V. Plot. 7, a proposito del ࢆ཭ဎङဎ ɘड़͘›‫็ࢆڗ‬ဎဝ ໵Ǔ໇ ͘໑ߥ ํ‫ݰ‬ङࠗǓ ࠗ཮ဎ ࠗ཮ ່۟͘‫ڗ‬ဎ ໵ඦड़ड़‫ߥڗ‬
medico Eustochio di Alessandria: ࢆ཭ဎ‫ڗ‬Ԇߥࠗ‫ߥ່ڗ‬Ҡड़ङࠗໆဎ‫ڗ‬࿰ ໵ǓࠗǓဎ‫ڗڗ‬࿴ဎࠗǓ‫ڗ‬࿽‫ݰ‬ඦဎԆ‫ڗ‬ဎ›‫ڗݰ‬໵Ǔड़‫ڗ‬࿰ࢆ็ဎဝ). FrIo 34 oppone
ۭश‫ڗ‬ड़ඦ৒ङဎ๊৓Ԇဎ›͘‫ݰ‬Ԇ͘ɘඦड़ड़ࠗ͘‫ࣹڗ‬ဎۭٗໆ‫ڗ‬࿰‫ݵ‬Ԇड़‫ڗݵ཭ۭڗ‬࿰). Abramo, desideroso del “giorno intellettuale”, a Nico-
25. HE VI,19,7: ࠗ༖ဎ์ဎࠗ‫ߥ່ڗ‬ड़ཬࣹ‫ڗ‬Ԇߥ๊৓Ԇဎ์໵Ǔ›༓ड़͘࿰ۭ͘ဎ. demo, trattenuto ancora dal regime della notte (‫ڗ‬࿽ࣹඨ‫ݰ‬
26. La ๊৓Ԇߥ fornisce un criterio per la divisione del dida- රဎǓࠗࠗ͘ඦड़໵͘ԆǓ࿽ࠗရ཯༘ࠗߥ˗Ԇ໵ǓԆ‫ۭڗ‬࿲ဎٗߥ༝ड़Ԇ‫ڗ›཯ߥڗ‬ԆٗࠗԆ໵཮ߥ༘ࠗߥ
skaleion alessandrino in due livelli d’insegnamento, ri- ဎ‫ߥ༘ࠗٗڗ‬༜ࢆ็‫ݰ‬Ǔߥ༡ߥ໵Ǔ໇෕ɘ‫ݰ‬Ǔඨࢆํ‫ݰ‬ङࠗǓड़Ǔɘဗဎ›Ǔ‫ۭ͘ݰ‬໵͘࿲Ǔۭࠗ‫ڗ‬
spettivamente per principianti e per avanzati, laddove ›‫཮ࠗߥ཮ݰ‬໑˗່͘ဎǓ࿽ࠗ༔ဎ໵Ǔ໇۟͘Ǔۭඦࢆ͘ဎ‫์ߥڗ‬शඦ‫)ٗݰ‬. Per l’accezio-
Origene si riserva questi ultimi. Cf. HE VI,15: Ǔ࿽ࠗရ˗่ ne originaria di ํ‫ݰ‬ङߥnel Commento al Cantico si veda
ࠗ༖ဎࠗမဎ์ဎ๊৓͘Ԇ‫ݵ‬࿰ड़ඥ৓Ǔߥර໵‫ཬݰ‬ǓۭԆဎ. FrCt 32 (์›Ԇࠗ͘ໆဎǓߥࠗ཮ဎํ‫ݰ‬ङࠗǓ), 34 (์›Ԇ່ࠗ͘ဎǓԆࠗ཮ဎํ‫ݰ‬ङࠗǓ),
27. Anche in PanOr 10 percepiamo lo spessore del ter- App. fr. 2 Barbàra (ࠗမဎ›Ǔ‫·ݰ‬๓ड़ड़ۭٗԆۭ‫ݵڗ‬မဎ›͘‫ݰํ໇ݰ‬ङࠗ‫«ߥڗ‬
mine nella prospettiva origeniana: Ҡ͘‫ࣹ ໇ݰ‬ඨ‫ ݰ‬රဎ˗‫ߥ཮ݰ‬ රड़ड़· ཰ࢆङߥ ༜ ۟͘ໆǓ ࣹ‫ݰ‬Ǔ‫ݵ‬༔ ࠗ཮ ࠗမဎ රဎ۟‫ݰ‬န›ङဎ ིड़Ԇۭ۟ٗ‫཮ݰ‬ဎ
˗ԆǓဎ‫ڗڗ‬࿴ࢆǓໆ ࠗԆ ड़็ࣹ͘Ԇဎ ‫ݵ‬ǓԆဎ‫็ࢆڗ‬ဎ‫ڗ‬࿰ ࢆ่ဎ ໵Ǔ໇ ˗‫ڗ‬໵‫ڗ‬࿴ဎࠗ‫ߥڗ‬ ์›ԆۭࠗǓࢆ็ဎٗࠗ཮ဎํ‫ݰ‬ङࠗǓ˗Ԇඨࠗ‫ڗ‬࿴රۭ۟͘ဎۭࠗ͘็‫ڗݰ‬࿰ߥ໵Ǔड़່͘).
රဎ۟‫ݰ‬န›‫ڗ‬࿰ࠗ཮˗่›‫ڗ‬ड़࿳༘ࠗߥ๊৓͘ङߥࠗ‫ߥ່ڗ‬໵Ǔ۟‫ݰڗ‬ඪဎ˗࿰ဎǓࢆ็ဎ‫ڗ‬Ԇߥ 34. Ne ho trattato, fra l’altro, in Perrone 2003a. Sulla
ර›ۭ͘໵͘࿰Ǔۭࢆ็ဎ‫ڗ‬࿰༧˗ٗࢆ͘ໆ৒‫ڗ‬ဎԆ›Ǔ‫ݰ‬Ǔۭ໵͘࿰༚ࢆࠗ͘ǓဎǓۭࠗඦۭ͘ङߥ reciprocità dei ruoli di docente e discente si veda, in
༘ࠗߥ›‫ڗ່۟͘཮ࠗߥ཮ݰ‬ဎ. particolare, HIer XIV,3 e le osservazioni in proposito
28. Sull’accezione cristiana del gruppo di parole, cf. Nu- di Barilli 2012: 270-271. Uno dei luoghi più eloquenti
chelmans 1950; Girardet 1970. si trova in CIo XXXII,10,118: ໵Ǔ໇ࠗ‫ڗ‬࿴ࠗ‫็ࠗڗ‬ड़‫໇ۭࠗ์ߥڗ‬ဎࠗ཮
29. Sull’identificazione del destinatario in Fabiano, non ›‫ࢆߥ཮ݰ‬Ǔ۟ٗࠗ༖ဎࠗ‫ڗ‬࿴˗Ԇ˗Ǔۭ໵ඦड़‫ڗ‬࿰༣˗Ԇ˗ඦۭ໵Ǔड़‫ڗ›ߥڗ‬Ԇ༘ۭǓԆࠗ཮ဎ
da tutti condivisa, si veda Nautin 1961: 251-253. ࢆǓ۟ٗࠗ༖ဎသߥ้Ǔ࿰ࠗ཭ဎໍဎǓࢆٗ໵ๆࠗԆ˗ๆٗࠗǓԆࠗ‫ڗ‬࿴˗Ԇ˗Ǔۭ໵ඦड़‫ڗ‬࿰༣
30. HE VI,36,4. ˗Ԇ˗ඦۭ໵Ǔड़‫͘ߥڗ‬໑඼ड़ड़ङߥǓ࿽ࠗ‫ڗ‬࿴˗͘༓ۭࠗ͘ǓԆ.
31. Gerolamo, Ep. 84,10: Ipse Origenes in epistula, quam 35. HE VI,2,9: ৒່ٗࠗ͘ဎ˗็ࠗԆ›ड़็‫ڗ‬ဎ໵Ǔ໇ɘǓ۟࿰ࠗๆ‫ݰ‬Ǔߥ༧˗ٗ์৓์໵͘໅ဎ‫ڗ‬࿰
scribit ad Fabianum Romanae urbis episcopum, paenitentiam ›‫ڗ‬ड़࿰›‫ݰ‬Ǔࣹࢆ‫ڗ‬ဎ່͘ဎ۟͘ङ‫ݰ‬໅Ǔߥဟۭࠗ͘໵Ǔ໇›‫ݰ‬ඥࣹࢆǓࠗǓ›Ǔ‫ݰ‬ๆश͘Ԇဎࠗရ
agit cur talia scripserit et causas temeritatis in Ambrosium ›Ǔࠗ‫ݰ‬໅ࠗ໅඼‫ݰ‬Ǔ์۟ๆड़‫ڗ‬Ԇ˗ٗड़‫ڗ‬࿴ဎࠗ཮༘ࠗߥ۟͘‫›ڗ‬ဎ͘࿱ۭࠗ‫ڗ‬࿰ࣹ‫ݰ‬Ǔ‫ߥ༘ݵ‬
refert, quod secreto edita in publicum protulerit. රဎǓ›࿰ဎ۟Ǔဎཬࢆ͘ဎ‫ߥڗ‬ɘ‫ڗ‬࿱ड़ٗࢆǓ.
32. Nautin 1961: 250-251: ཾ ໌͘‫ ߥ཮ݰ‬໵Ǔ໇ ۟͘ရ ࣹဎۭٗໆङߥ 36. Entrambi i passi in cui Atanasio menziona Origene,
රဎǓ໵͘ໆࢆ͘ဎ‫ࢆ෕ ߥڗ‬ɘ‫ۭ཭ݰ‬Ԇ‫ڗ› ߥڗ‬ड़ड़ඨ ›‫ۭڗݰ‬Ǔࣹ‫͘ݰڗ‬࿱͘Ԇ ۭ͘Ã ཰ۭࠗԆߥ lo designano come ‫ݵ‬Ԇड़཭›‫ڗ‬ဎ‫ߥڗ‬: De decr. Nic. syn. 27 (ࠗ‫ڗ‬࿴
ဎ‫ࢆڗ‬໅৒ङဎ ࢆ͘ ‫ݵ‬Ԇड़ཬ›‫ڗ‬ဎ‫ڗ‬ဎ ͘໔ဎǓԆ ໵Ǔ໇ ›ඥဎ࿰ ˗Ԇॣඪဎ ࠗ‫ڗ‬࿴ ۟͘໅‫ڗ‬࿰ ‫ݵ‬Ԇड़‫཭›ڗ‬ဎ‫ڗ‬࿰ࠗ཮‫཭ݰݵ‬ဎٗࢆǓ); Ep. IV ad Serap. (›‫ڗ‬ड़࿰ࢆǓ۟༖ߥ໵Ǔ໇
ड़ཬࣹ‫ڗ‬࿰ ༧ड़ࣹ͘৓͘ ࠗ༚ ໑˗໅ධ ‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ›ڗ‬ဎ໅ධ ໵Ǔ໇! ࠗရ ›‫ࠗ ߥ཮ݰ‬ඨ ඲ࣹԆǓ ‫ݵ‬Ԇड़཭›‫ڗ‬ဎ‫)ߥڗ‬.
ࢆǓ۟༓ࢆǓࠗǓํ‫ݰ‬ङࠗԆ཰۟͘ဎ์›໇ࠗ‫ڗۭڗ‬࿴ࠗཬဎࢆ͘›Ǔ‫͘ݰ‬ड़༓ड़࿰۟͘ဎဟۭࠗ͘ 37. Il lavoro classico è Neuschäfer 1987. Per una nuova
໵Ԇဎ˗࿰ဎ͘࿲͘Ԇဎර›Ǔ࿰˗ඪဎ›‫ࠗߥ཮ݰ‬ඨߥǓ࿽ࠗ‫ڗ‬࿴›‫ࠗڗݰ‬ඥۭ͘Ԇߥ‫܀‬࿾ࣹࠗ͘ඨ‫ݰ‬ prospettiva in chiave ‘biografica’ si veda Martens
˗͘Ԇ›ဎ༘ۭǓԆํۭࠗԆဎ཰ࠗԆࢆ༖රဎࠗԆɘඥड़ड़‫ڗ‬ဎࠗǓ‫ڗ‬࿾ࠗ͘˗͘Ԇ›ဎ༓ۭǓဎࠗǓ 2012: spec. 40-66 (“Specialization: The Elements of
ํ৓ۭࠗ͘Ԇ ›͘‫ݰ‬Ԇ›Ǔ༘ۭࠗǓԆ ໵Ǔ໇ ˗ԆǓဎǓ›Ǔ࿴ۭǓԆ ࠗ཮ ۭङࢆඥࠗԆ‫ڗ‬ဎ රड़ड़ඨ Philology”).
໵Ǔ໇์ဎࠗ‫ߥ່ڗ‬໵ǓԆ‫์ߥ່ڗݰ‬໵͘໅ဎ‫ڗ‬Ԇߥ‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫່ࣹ͘ڗ‬ဎ໵Ǔ໇ර໵‫ݰ‬Ԇɘ‫ڗ‬࿴ဎࠗඨ 38. L’accezione generica compare in CC II,34, dove Celso
රဎࠗ໅ࣹ‫ݰ‬Ǔ‫ݵ‬Ǔ රဎǓࣹ໵Ǔ৒ཬࢆ۟͘Ǔ ‫ڗ‬࿹ࠗ͘ ࢆ༖ဎ ཰ड़ٗဎ ์›໇ ۟͘‫ݰ‬Ǔ›͘໅ධ mette in bocca al Giudeo una citazione di Euripide: ‫܀‬࿽
ࠗ‫ڗ‬࿴ۭနࢆǓࠗ‫ࠗߥڗ‬༖ဎဎ࿱໵ࠗǓํ৓ۭࠗ͘Ԇဎ༜ࢆ່ဎ໵‫ڗ‬Ԇࢆඪۭ۟ǓԆ์›໇›‫ڗ‬ड़࿳ ›ඦဎ࿰ࢆ่ဎ‫ڗ‬ကဎ໧‫ڗ‬࿰˗Ǔ່‫ڗ‬Ԇࠗඨ๒ड़ड़༔ဎङဎ‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫ڗࣹڗ‬࿴ۭԆဎ෕ड़ड़·
༘ࠗߥ้ۭ›ๆ‫ݰ‬Ǔߥ༘ࠗߥ‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫ࣹڗ‬໅Ǔߥ›Ǔ‫ݰ‬Ǔࠗ͘Ԇဎ‫ڗ‬࿱ဎٗߥ๕မ˗่ड़ๆࣹ͘Ԇဎ ํۭࠗङࠗԆဎඨࠗမဎ໧‫ڗ‬࿰˗Ǔໆङဎ໵Ǔ໇‫ݵ‬Ԇड़཭ड़‫ڗࣹڗ‬ဎ‫ڗ‬࿹ࠗङࣹࣹ͘‫ڗ‬ဎ็ဎǓԆ.
 Lorenzo Perrone
39. CC III,12: ‫܀‬࿹ࠗङ ࠗ‫ڗ‬ໆဎ࿰ဎ ์›͘໇ ۭ͘ࢆဎ཭ဎ ࠗԆ ์‫ݵ‬ඦဎٗ ࠗ‫ߥ່ڗ‬
රဎ۟‫ݰ‬ပ›‫ڗ‬Ԇߥश‫ݰ‬ԆۭࠗԆǓဎԆۭࢆ཭ߥ‫ڗ‬࿽ࢆ཭ဎ‫ڗ‬Ԇߥသߥ཯໸็ड़ۭ‫ڗߥڗ‬໒ࠗ͘ǓԆ
ࠗ‫ ߥ່ڗ‬රဎ˗‫ݰ‬Ǔ›‫˗ڗ‬ङ˗ۭࠗ͘็‫ڗݰ‬Ԇߥ රड़ड़ඨ ໵Ǔ໇ ›‫ڗ‬ड़ड़‫ࠗ ߥ່ڗ‬မဎ ›Ǔ‫·ݰ‬
๓ड़ड़ۭٗԆ ‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़཭ࣹङဎ රဎǓࣹ໵Ǔໆङߥ ࿸›็ۭۭࠗٗǓဎ ‫ڗ‬࿽ ›ඦဎࠗङߥ
˗Ԇඨ ࠗඨߥ ۭࠗඦۭ͘Ԇߥ ໵Ǔ໇ ࠗ཮ ‫ݵ‬Ԇड़཭ဎ͘Ԇ໵‫ڗ‬ဎ Ǔ໌‫ۭ͘็ݰ‬Ԇߥ රड़ड़ඨ ˗Ԇඨ ࠗ཮
ۭ›‫ڗ‬࿰˗ඦ৒͘Ԇဎۭ࿰ဎԆ็ဎǓԆࠗඨश‫ݰ‬ԆۭࠗԆǓဎԆۭࢆ‫ڗ‬࿴໵Ǔ໇ࠗမဎ‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़཭ࣹङဎ
›ड़͘ໆ‫ڗ‬ဎǓߥ.
40. FrIo 59 (trad. Corsini 1968: 864-865): ဎ‫ࢆڗࢆڗ‬Ǔ່۟͘ߥ˗่
໵Ǔ໇‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫ཱིߥ່ࣹ͘ڗ‬ဎࠗ͘ߥۭ໵‫›ڗ‬༔ۭǓဎࠗ͘ߥ཰ࠗԆ໵ǓԆ‫ߥ཮ݰ‬༫ဎड़‫ڗ‬Ԇ›཮ဎ
ࠗ‫›཭ࠗ์ ߥ༘ݵڗݰ‬Ǔ ۭǓဎ ࢆ༖ ඼‫ݰ‬Ǔ သߥ ࠗရ ˳ǓဎԆ༖ड़ ͘໑ߥ ɃǓɘ࿰ड़မဎǓ
›‫ۭࠗڗݰ‬ඦ৓͘Ԇ۟͘‫ڗ‬࿴඼‫ݰ‬Ԇۭࠗ‫ڗ‬ဎ›‫ڗݰ‬໵͘໵཭ࢆԆۭࠗ‫ڗ‬࿸›཮ࠗ‫ڗ‬࿴෕ࢆɘǓ໵‫ڗ‬࿲ࢆ
໵Ǔ໇ࠗရ๹ड़ໆධ์ဎࠗ༚཯˗‫ڗ‬Ԇ›‫ݰڗ‬ໆධࠗ‫ݵڗݰ‬༖ ์˗ໆ˗‫ڗࠗڗ‬࿸›·රࣹࣹ็ड़‫ڗ‬࿰
໵Ǔ໇࿸›཮໵‫ݰڗ‬ඦ໵ङဎ‫ڗ‬࿹ࠗङ໵Ǔ໇ࠗရ໧ۭٗ‫ڗ‬࿴ࠗ‫ݵڗݰ‬༖༦ဎ็श۟ٗ. È
l’unica occorrenza di ‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫ࣹ͘ڗ‬࿲ߥ registrata dal Thesau-
rus Linguae Graecae. Contra Lampe 1961, Nuchelmans
1950: 47 e Girardet 1970: 326 n. 3 propendono per
la forma ‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫ࣹڗ‬༔ྶ in questo hapax. Sull’inventiva
lessicale dell’Alessandrino si veda Simonetti 2003;
Perrone 2011a.
41. È l’unica occorrenza in Origene. La prima attestazione
della letteratura cristiana è in Mart. Pol. 17,1 col signi-
ficato di ‘cadavere’. Il termine è particolarmente fre-
quente in Epitteto e Marco Aurelio, ma non ha necessa-
riamente valore diminutivo o spregiativo. L’equivalente
latino corpusculum sembra essere caro a Gerolamo.
42. Gerolamo, Ep. 43,1,a Marcella (trad. Cola 1961: 345,
leggermente modificata): Ambrosius, quo chartas, sumptus,
notarios ministrante, tam innumerabiles libros vere Adaman-
tius, et Chalcenterus noster explicavit, in quadam epistola,
quam ad eumdem de Athenis scripserat, refert, nunquam se
cibum Origene praesente sumpsisse, nunquam inisse somnum,
nisi unus e fratribus sacris litteris personaret. Hoc diebus egisse
et noctibus, ut et lectio orationem exciperet, et oratio lectionem.
43. È una lettera del periodo romano, sorprendente
ignorata da Nautin 1977.
44. Vi ho accennato a più riprese nel mio libro: Perrone
2011c: spec. 331-339.
45. Cf. rispettivamente Gerolamo, Apol. contra Ruf. II,18
e Rufino, De adult. libr. Or. 7. Nautin 1977: 161-166,
offre una ricomposizione del testo complessivo.
46. Si veda da ultimo Guly 2011.
47. Nautin 1977: 166-168.
48. Gerolamo, Apol. contra Ruf. II,18: Quorum magis misereri
quam eos odisse debemus, et orare pro illis quam eis maledi-
cere. Ad benedicendum enim et non ad maledicendum creati
sumus.
49. Rufino, De adult. libr. Or. 7: Talia ergo quaedam video
etiam nobis accidere. Nam quidam auctor haereseos, cum
sub praesentia multorum habita inter nos fuisset disputatio
et descripta, accipiens ab his qui descripserant codicem, quae
voluit addidit et quae voluit abstulit et quae ei visum est per-
mutavit, circumferens tamquam ex nomine nostro, insultans
et ostendens ea quae ipse conscripsit.
50. Rufino, De adult. libr. Or. 7: Pro quibus indignantes fratres
qui in Palaestina sunt, miserunt ad me Athenas hominem
qui acciperet a me ipsa authentica exemplaria. Quod ne
relectum quidem vel recensitum a me antea fuerat, sed ita
neglectum iacebat ut vix inveniri potuerit. Misi tamen, et
sub Deo teste loquor quoniam, cum convenissem illum ipsum
qui adulteraverat librum quare hoc fecisset, velut satisfaciens
325
mihi respondit: ‘Quoniam magis ornare volui disputationem
ipsam atque purgare.
51. Gerolamo, Apol. contra Ruf. II,18-19.
52. Rufino, De adult. libr. Or. 7: Denique in Epheso cum me
vidisset quidam haereticus et congredi noluisset neque omnino
os suum aperuisset apud me, sed nescio qua ex causa id facere
devitasset, postea ex nomine meo et suo conscripsit qualem vo-
luit disputationem et misit ad discipulos suos – ut ego quidem
cognovi, ad eos qui Romae erant, sed non dubito quod et ad
alios qui per diversa sunt. Insultabat autem et apud Antio-
chiam prius quam ego illuc venirem, ita ut et ad complurimos
nostrorum perveniret ipsa disputatio quam portabat. Sed ubi
adfui, multis eum presentibus argui; cumque iam sine ullo
pudore pertenderet impudenter adserere falsitatem, poposci
ut liber deferretur in medium <ut> stilus meus agnosceretur
a fratribus, qui utique cognoscerent quae soleo disputare vel
quali soleo uti doctrina. Quique cum ausus non esset proferre
librum, convictus est ab omnibus et confutatus est falsitatis;
et ita persuasum est fratribus ne aurem criminationibus
praeberent.
53. V. Plot. 13 ricorda il dialogo di tre giorni fra Porfirio
e Plotino sul problema ›မߥ༜ॣ࿰श༖ۭ࿲ဎۭࠗ͘ԆࠗရۭနࢆǓࠗԆ.
L’arrivo di un ascoltatore, Taumasio, che vorrebbe sen-
tire unicamente discorsi di Plotino in modo da poterli
trascrivere in un libro, ottiene la seguente replica di
Plotino: රड़ड़ඨ඾ဎࢆ༖Ҡ‫ݵݰڗ‬࿰‫ݰ‬ໆ‫ڗ‬࿰์‫ݰ‬ङࠗမဎࠗ‫ߥڗ‬ड़࿲ۭङࢆ͘ဎࠗඨߥ
ර›‫ݰڗ‬ໆǓߥ͘໑›່͘ဎࠗԆ໵Ǔ۟ඦ›Ǔ৓͘໑ߥࠗ཮ɘԆɘड़ໆ‫ڗ‬ဎ‫ڗ‬࿽˗࿰ဎۭٗ཭ࢆ۟͘Ǔ.
Cf. Gerolamo, Apol. contra Ruf. II,19, a proposito della
disputa tra Candido e Origene: rursum ad secundam
veniunt quaestionem.
54. L’esempio più noto di tale attività è ovviamente il
Dialogo con Eraclide.
55. Peraltro anche la scuola di Plotino conosce il confronto
con gli ‘eretici’: cioè i cristiani o gli gnostici che la
frequentano (V. Plot. 16: Гࣹ͘཭ဎǓۭԆ ˗่ ໵Ǔࠗႎ Ǔ࿽ࠗ཮ဎ ࠗမဎ
ऺ‫ݰ‬ԆۭࠗԆǓဎမဎ ›‫ڗ‬ड़ड़‫่ࢆ ໇ڗ‬ဎ ໵Ǔ໇ ඼ड़ड़‫ڗ‬Ԇ Ǔ໌‫ࠗ͘ݰ‬Ԇ໵‫์ ่˗ ໇ڗ‬໵ ༘ࠗߥ
›Ǔड़ǓԆඪߥ‫ݵ‬Ԇड़‫ݵڗۭڗ‬ໆǓߥරဎࣹٗࢆ็ဎ‫ڗ‬Ԇ).
56. Tentando di indovinare il vocabolo corrispondente
in greco a stilus viene in mente soprattutto ‫ݰݵ‬ඦۭԆߥ. CC
IV,51 menziona il termine, a proposito dei filosofi greci
convertiti al cristianesimo e allo studio delle Scritture,
adducendo in parte i criteri invocati nell’Epistula ad
caros: ์ဎ‫ڗ‬໏ߥ‫ڗ‬࿽ࢆ཭ဎ‫ڗ‬ဎ‫ݰݵ‬ඦۭԆߥ์৓༔ۭ໵ٗࠗǓԆරड़ड़ඨ໵Ǔ໇ဎ‫ڗ‬༔ࢆǓࠗǓ
໵Ǔ໇˗཭ࣹࢆǓࠗǓ໵Ǔ໇༜श‫ۭ༘ݰ‬Ԇߥࠗမဎသߥ‫ڗ‬໒ࠗ͘ǓԆර›཮ࠗမဎࣹ‫ݰ‬Ǔ‫ݵ‬မဎ
ࢆ࿲۟ङဎ཯໸็ड़ۭ‫ߥڗ‬.
57. Ne è prova, fra l’altro, il recente volume di Kaczma-
rek - Pietras (ed.) 2011. Quanto al metodo e al modo
di argomentare in Origene rimando al mio articolo:
Perrone 2000.
58. V. Plot. 19: ࠗ཮ဎ ˗่ ࠗ࿲›‫ڗ‬ဎ ༘ࠗߥ ࣹ‫ݰ‬Ǔ‫ ߥ༘ݵ‬໵Ǔ໇ ࠗမဎ ์ဎဎ‫ڗ‬Ԇမဎ
ࠗරဎ˗‫ࠗ ߥ཮ݰ‬༖ဎ ›࿰໵ဎ཭ࠗٗࠗǓ ໵Ǔ໇ ࠗ཮ ‫ݵ‬Ԇड़཭ۭ‫ڗݵڗ‬ဎ ༘ࠗߥ ࠗမဎ
৒ٗࠗٗࢆඦࠗङဎ˗ԆǓ۟็ۭ͘ङߥ࿸›͘‫ݰ‬ɘǓड़ड़཭ဎࠗङߥ඼ࣹǓࢆǓԆ. Nel giu-
dizio di Longino, Plotino e il suo discepolo Amelio si
distinguevano dai loro contemporanei “per il gran
numero dei problemi” e “per un metodo di ricer-
ca personale” (20: ‫ ่˗ ໌܀‬໵Ǔ໇ ›ड़༔۟͘Ԇ ›‫ڗݰ‬ɘड़ٗࢆඦࠗङဎ ප
ࢆࠗ͘͘श͘Ԇ‫ݰ‬ໆۭǓဎࠗ‫ࠗڗ‬༖ဎۭ›‫ڗ‬࿰˗༖ဎࠗ‫ڗ‬࿴ࣹ‫ݰ‬ඦ‫͘ݵ‬Ԇဎර›‫͘˗ڗ‬Ԇ৓ඦࢆ͘ဎ‫ڗ‬Ԇ
໵Ǔ໇ࠗ‫›཭ݰ‬ဝ۟͘ङ‫ݰ‬ໆǓߥ໑˗ໆဝश‫ۭٗݰ‬ඦࢆ͘ဎ‫ڗ‬Ԇ; cf. anche 21).
59. V. Plot. 20: ˗Ԇඨ ࠗ཮ ࢆ༖ ဎ‫່͘ڗ‬ဎ ࠗ‫ڗ‬࿴ රဎ˗‫ࠗ ߥ཮ݰ‬༖ဎ ۭ࿰ဎ༔۟ٗ
้‫ٗࢆݰ‬ဎ͘ໆǓဎ.
326 ORIGENE A SUA IMMAGINE: FRAMMENTI DI AUTOBIOGRAFIA DALLE LETTERE

60. Ho attinto ad alcuni di questi passi per tracciare

l’esperienza di Origene come ‘uomo di preghiera’ in
BIBLIOGRAFIA
Perrone 2011c: 645-656.
61. EpAfr 20: ໵Ǔ໇ ࠗ‫ڗ‬࿴ࠗ‫์ ڗ‬ဎ ࠗ༚ शပ‫ݰ‬ධ ࠗ‫ڗ‬࿴ ํ۟ဎ‫ڗ‬࿰ߥ ›‫ڗ‬ड़࿳ဎ Barilli C. 2012. Lexis paidike: L’infanzia in Origene (Tesi di
˗ԆǓࠗ‫ݰ‬ໆॣǓဎࠗ͘ߥश‫཭ݰ‬ဎ‫ڗ‬ဎࢆ͘ࢆǓ۟༔໵Ǔࢆ͘ဎ໵Ǔ໇›͘›ड़ٗ‫ݰڗݵڗݰ‬༔ࢆ۟͘Ǔ. Dottorato in Studi Religiosi: Scienze Sociali e Studi
62. Per un riesame recente, cf. Pereira 2011. Storici delle Religioni, “Alma Mater Studiorum” –
63. EpGr 1: ෕ड़ड़· ์ࣹဗ ࠗ༚ ›ඦۭ༰ ༘ࠗߥ ͘࿽‫ݵ‬࿰໘Ǔߥ ˗࿰ဎඦࢆ͘Ԇ Università degli Studi di Bologna, Bologna).
ۭ‫ڗ‬࿰ ์ɘ‫ڗ‬࿰ड़཭ࢆٗဎ ໵ǓࠗǓश‫ݰ‬༔ۭǓۭ۟Ǔໆ ۭ͘ ࠗ͘ड़Ԇ໵မߥ ࢆ่ဎ ͘໑ߥ Cola S. (trad.) 1961. San Girolamo: Lettere 1-52, Roma.
श‫ݰ‬ԆۭࠗԆǓဎԆۭࢆ཭ဎਞ ›‫ڗ‬ԆٗࠗԆ໵မߥ ˗่ ˗Ԇඨ ࠗ‫ڗ‬࿴ࠗ· ඾ဎ ٗ࿽৓ඦࢆٗဎ Corsini E. (trad.) 1968. Origene: Commento al Vangelo di
›Ǔ‫ݰ‬Ǔड़Ǔɘ່͘ဎ ۭ͘ ໵Ǔ໇ ‫ݵ‬Ԇड़‫ݵڗۭڗ‬ໆǓߥ ๒ड़ड़༔ဎङဎ ࠗඨ ‫ڗ໌ڗ‬ဎ͘໇ ͘໑ߥ Giovanni (Classici della filosofia 3), Torino.
श‫ݰ‬ԆۭࠗԆǓဎԆۭࢆ཮ဎ˗࿰ဎඦࢆ͘ဎǓࣹ͘ဎ็ۭ۟ǓԆ์ࣹ໵࿲໵ड़ԆǓࢆǓ۟༔ࢆǓࠗǓ༩ Crouzel H. 1985. Origène (Collection “Le Sycomore”: Série
›‫›ڗݰ‬ǓԆ˗͘࿲ࢆǓࠗǓ໵Ǔ໇ࠗඨර›཮ࣹ͘ङࢆࠗ͘‫ݰ‬ໆǓߥ໵Ǔ໇රۭࠗ‫ڗݰ‬ဎ‫ࢆڗ‬ໆǓߥ “Chrétiens aujourd’hui” 15), Paris.
श‫ݰ‬༔ۭԆࢆǓ์ۭ཭ࢆ͘ဎǓ͘໑ߥࠗ༖ဎࠗမဎ໌͘‫ݰ‬မဎࣹ‫ݰ‬Ǔ‫ݵ‬မဎ˗Ԇ༔ࣹۭٗԆဎ. Girardet K. 1970. “‫ލ‬Ԇड़yड़‫ ߥڗࣹڗ‬und‫ݵ‬Ԇड़‫ڗ‬ड़‫່ࣹ͘ڗ‬ဎ”, Kleronomia
64. Di fatto, si può osservare come al ritorno dal suo viaggio 2: 323-333.
in Palestina (HE VI,19,19), le difficoltà per Origene ad Guly S. 2011. “The Salvation of the Devil and the Kingdom
Alessandria siano divenute insostenibili, tanto da co- of God in Origen’s Letter to Certain Close Friends
stringerlo a lasciare la patria. È interessante che l’autore in Alexandria”, in Kaczmarek - Pietras (ed.) 2011:
del Discorso di ringraziamento, pur con una formulazione 197-220.
volutamente elusiva sul trasferimento di Origene, Guyot P. (trad.) - Klein R. (introd.) 1996. Gregor der
ricordi l’abbandono della “patria” (้ۭࠗໆǓ) da parte del Wundertäter: Oratio prosphonetica ac panegyrica in
maestro, associando l’Egitto ad Alessandria: ࠞ཮ဎ˗·໌͘‫཮ݰ‬ဎ Origenem. Dankrede an Origenes (Fontes Christiani
ࠗ‫ڗ‬࿴ࠗ‫ڗ‬ဎ඼ဎ˗‫ݰ‬Ǔ์໵༘ࠗߥǗ໑ࣹ࿲›ࠗ‫ڗ‬࿰์໵༘ࠗߥ෕ड़͘৓Ǔဎ˗‫็ݰ‬ङဎ›཭ड़͘ङߥ 24), Freiburg i.Br.
ํဎ۟Ǔࠗ༖ဎ้ۭࠗໆǓဎํशङဎํࠗ࿰श͘›‫ڗݰࠗ͘཭ݰ‬ဎ໵Ǔ໇Ǔ࿽ࠗ཮ဎ์໵ໆဎ͘Ԇ໵Ǔ໇ Hanson R.P.C. 1982. “Was Origen Banished from Alexan-
ࢆࠗ͘Ǔဎໆۭࠗٗ์›໇ࠗ཭˗ࠗ͘཮शङ‫ݰ‬ໆ‫ڗ‬ဎဟۭ›͘‫ݰ‬ර›Ǔဎࠗ༔ۭ‫ڗ‬ဎࠗǓ ༜ࢆ່ဎ dria?”, in E.A. Livingstone (ed.), Studia Patristica
๊ࠗ͘‫ݰ‬Ǔ›‫ݰ‬ඦࣹࢆǓࠗǓ‫܀‬࿽໵ํࣹङࣹ͘໵Ǔ໇ࠗǓ࿴ࠗǓǓ໑ࠗԆ‫ڗ‬ड़‫່ۭࣹ۟͘ڗ‬ǓԆ‫ڗ‬࿾ࠗ͘ XVII/2: Ascetica, Liturgica, Second Century, Tertullian
‫ڗ‬໔˗Ǔ໵Ǔ໇้໵ဗဎ›Ǔ‫ݰ‬༔ۭङ (PanOr 63). to Nicea in the West, Origen. Papers presented at the
65. EpGr 4: ࠗǓ࿴ࠗǓ ර›཮ ༘ࠗߥ ›‫ڗࢆ์ ۭ͘ ߥ཭ݰ‬࿴ ›Ǔࠗ‫ݰ‬Ԇ໵༘ߥ රࣹඦ›ٗߥ Eighth International Conference on Patristic Stud-
ࠗࠗ͘཭ड़ࢆٗࠗǓԆ. ies held in Oxford, from 3 to 8 September 1979,
66. EpGr 4: ম࿳ ‫ڗ‬ကဎ ໵࿲‫ݰ‬Ԇ͘ ࿰໌่ ›‫ڗࣹٗڗݰ‬࿰ࢆ็ဎङߥ ›‫ۭ͘཭ݰ‬श͘ ࠗ༚ Leuven, 904-906.
ࠗမဎ ۟͘ໆङဎ ࣹ‫ݰ‬Ǔ‫ݵ‬မဎ රဎǓࣹဎပۭ͘Ԇਞ රड़ड़ඨ ›‫ۭ͘཭ݰ‬श͘ Ҡ‫ڗ‬ड़ड़༘ߥ Kaczmarek S. - Pietras H. (ed.) 2011. Origeniana Decima:
ࣹඨ‫ڗۭڗݰ› ݰ‬श༘ߥ රဎǓࣹԆဎပۭ໵‫ڗ‬ဎࠗ͘ߥ ࠗඨ ່۟͘Ǔ ˗͘཭ࢆ۟͘Ǔਞ ໍဎǓ ࢆ༖ Origen as Writer. Papers of the 10th International
›‫ڗݰۭࠗ͘็ࠗ͘›ڗݰ‬ဎ͘໒›ङࢆ็ဎࠗԆဎǓ༩ဎ‫ڗ‬༔ۭङࢆ͘ဎ›͘‫໇ݰ‬Ǔ࿽ࠗမဎ໸Ǔ໇ Origen Congress, University School of Philosophy
›‫็ۭڗݰ‬शङဎࠗ༚ࠗမဎ۟͘ໆङဎරဎǓࣹဎပۭ͘Ԇࢆࠗ͘ඨ›Ԇۭ༘ࠗߥ໵Ǔ໇۟͘ရ and Education “Ignatianum”, Kraków, Poland, 31
ර‫ۭ͘ݰ‬໵‫ڗ‬࿲ۭٗߥ›‫ڗݰ‬ड़༔ॣ͘ङߥ໵‫ڗݰ‬࿴ࠗ͘ඨ໵͘໵ड़͘Ԇۭࢆ็ဎǓǓ࿽༘ࠗߥ໵Ǔ໇ August – 4 September 2009 (BETL 244), Leuven etc.
රဎ‫ڗ‬Ԇࣹ༔ۭࠗ͘Ǔໆۭ‫ڗ‬Ԇ࿸›཮ࠗ‫ڗ‬࿴۟࿰‫ݰ‬ङ‫ڗݰ‬࿴›͘‫ڗ໇ݰ‬࿻͘໔›͘ဎ཯໧ۭٗ‫ڗ‬࿴ߥਞ Lampe G.W.H. 1961. A Patristic Greek Lexicon, Oxford.
ࠗ‫ڗ‬࿲ࠗဝ཯۟࿰‫ݰ‬ङ‫ߥ཮ݰ‬රဎ‫ڗ‬ໆࣹ͘Ԇ໸Ǔ໇›‫็ۭڗݰ‬शङဎࠗ༚۟͘ໆධරဎǓࣹဎပۭ͘Ԇ Martens P.W. 2003. “Interpreting Attentively: The Ascetic
ི‫۟ݰ‬မߥ৒༔ࠗ͘Ԇ໵Ǔ໇ࢆࠗ͘ඨ›ໆۭࠗ͘ङߥ༘ࠗߥ͘໑ߥ۟͘཮ဎර໵ड़Ԇဎ‫ڗ‬࿴ߥࠗ཮ဎ Character of Biblical Exegesis according to Origen
໵͘໵‫ݰ‬࿰ࢆࢆ็ဎ‫ڗ‬ဎ ࠗ‫ڗ› ߥ່ڗ‬ड़ड़‫ ߥ່ڗ‬ဎ‫ڗ‬࿴ဎ ࠗမဎ ۟͘ໆङဎ ࣹ‫ݰ‬Ǔࢆࢆඦࠗङဎ and Basil of Caesarea”, in Perrone (ed.) 2003b II:
‫؞‬༖ර‫ݰ‬໵‫ڗ‬࿴˗่ࠗရ໵‫ڗݰ‬࿲͘Ԇဎ໵Ǔ໇৒່ٗࠗ͘ဎਞරဎǓࣹ໵ǓԆ‫ࠗڗ‬ඦࣹࠗٗඨ‫ݰ‬໵Ǔ໇ 1115-1121.
༜›͘‫ڗࠗ໇ݰ‬࿴ဎ‫່͘ڗ‬ဎࠗඨ່۟͘Ǔ͘࿽श༔ਞ์‫·ݵ‬༟ဎ›‫›็ݰࠗڗݰ‬ङဎ཯ۭङࠗ༖‫ݰ‬ Martens P.W. 2012. Origen and Scripture: The Contours of the
‫ڗ‬࿽ࢆ཭ဎ‫ڗ‬ဎ͘໔›͘ဎࠗ཭໵‫ڗݰ‬࿲ࠗ͘͘໵Ǔ໇රဎ‫ڗ‬Ԇࣹ༔ۭࠗ͘ǓԆ࿸ࢆ່ဎ໵Ǔ໇ࠗ཭ Exegetical Life (OECS), Oxford.
৒່ٗࠗࠗ͘͘໵Ǔ໇͘࿸‫ݰ‬༔ۭࠗ͘͘ਞරड़ड़ඨ໵Ǔ໇ࠗ཭Ǔ໑່ࠗࠗ͘͘໵Ǔ໇˗‫۟ڗ‬༔ۭࠗ͘ǓԆ Migliore F. (trad.) 2001. Eusebio di Cesarea: Storia Ecclesi-
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zione biblica di Origene, cf. Martens 2003. Monaci Castagno A. 2003. “Origene e Ambrogio: l’indipen-
67. EpGr 3: ໸රࣹဗ˗่ࠗ༚›͘ໆ‫ݰ‬ධࢆǓ۟ဗဎ͘໒›‫ڗ‬Ԇࢆ·඼ဎۭ‫ڗ‬Ԇ཰ࠗԆۭ›ඦဎԆ‫ߥڗ‬ denza dell’intellettuale e le pretese del patronato”,
ࢆ่ဎ཯ࠗඨश‫ݰ‬༔ۭԆࢆǓ༘ࠗߥǗ໑ࣹ࿲›ࠗ‫ڗ‬࿰ड़Ǔɘဗဎ໵Ǔ໇์৓͘ड़۟ဗဎࠗǓ࿲ࠗٗߥ in Perrone (ed.) 2003b I: 165-193.
໵Ǔ໇໵ǓࠗǓۭ໵͘࿰ඦۭǓߥࠗඨ›‫ࠗߥ཮ݰ‬༖ဎड़Ǔࠗ‫͘ݰ‬ໆǓဎࠗ‫ڗ‬࿴۟͘‫ڗ‬࿴›‫ڗ‬ड़࿳ߥ Monaci Castagno A. (ed.) 2004. La biografia di Origene fra
˗่཯ࠗ‫ڗ‬࿴໧˗‫ڗ‬࿰ࢆǓໆ‫ڗ‬࿰ූ˗͘‫ݰ‬ර˗͘ड़‫ߥ཭ݵ‬. Origene scambia qui storia e agiografia. Atti del VI convegno di studi
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Geroboamo, che fugge anche lui Salomone ma alla sua 2002 (Biblioteca di Adamantius 1), Villa Verucchio
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idolatrico (1Re 11,26–12,33). Monaci Castagno A. 2010. L’agiografia cristiana antica: Testi,
68. EpGr 4: ͹໑ ˗· ͘က ํश͘Ԇ ࠗඨ ࠗࠗ͘‫ڗ‬ड़ࢆٗࢆ็ဎǓ ༩ ࢆ༖ ۟͘཮ߥ ඾ဎ contesti, pubblico, Brescia.
͘໑˗͘ໆٗ ໵Ǔ໇ ཯ श‫ݰ‬Ԇۭࠗ཮ߥ Ǔ࿽ࠗ‫ڗ‬࿴ ໵Ǔ໇ ཯ ࢆࠗ͘็शङဎ ›ဎ͘࿲ࢆǓࠗ‫ߥڗ‬ Nautin P. 1961. Lettres et écrivains chrétiens des IIe et IIIe siècles
۟͘‫ڗ‬࿴ ໵Ǔ໇ ›ဎ͘࿲ࢆǓࠗ‫ݰऺ ߥڗ‬Ԇۭࠗ‫ڗ‬࿴ ‫็ࠗ͘؞‬श‫ڗ‬Ԇߥ ˗่ ۭ࿳ ໵Ǔ໇ ර͘໇ (Patristica 2), Paris.
Ǔ࿾৓‫ڗ‬Ԇߥࠗ༖ဎࢆࠗ͘‫ڗ‬श༖ဎໍဎǓड़็ࣹ༰ߥ‫ڗ‬࿽ࢆ཭ဎ‫ڗ‬ဎࠗ཭ࢆ็ࠗ‫ڗ‬श‫ڗ‬Ԇࠗ‫ڗ‬࿴ Nautin P. 1977. Origène: sa vie et son œuvre (Christianisme
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