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V 5.
Bibit hera, bibit herus Beve la padrona, beve il padrone,
bibit miles, bibit clerus beve il soldato, beve il chierico,
bibit ille, bibit illa beve quello, beve quella,
bibit servis cum ancilla beve il servo con la serva,
bibit velox, bibit piger beve il veloce, beve il pigro,
bibit albus, bibit niger beve il bianco, beve il negro,
bibit constans, bibit vagus beve l’indeciso e il costante,
bibit rudis, bibit magnus, beve il dotto e l’ignorante.
VI 6.
bibit pauper et egrotus Beve il povero e l’ammalato,
bibit exul et ignotus beve l’esule e lo sconosciuto,
bibit puer, bibit canus beve il giovane e l’anziano,
bibit presul et decanus beve il vescovo e il decano,
bibit soror, bibit frater beve la sorella con il fratello,
bibit anus, bibit mater beve la nonna con la madre,
bibit ista, bibit ille beve questo, beve quello,
bibunt centum, bibunt mille! bevon cento, bevon mille.
VII 7.
Parum sexcente nummate Durano poco seicento
durant, cum immoderate suffice denari, quando bevon
bibunt omnes sine meta tutti senza limiti, anche se
quamvis bibant mente leta. bevono con animo lieto.
Sic nos rodunt omnes gentes Così la gente ci denigra
et sic erimus egentes. e non ci offre nulla.
Qui nos rodunt confundantur Chi ci disprezza sia castigato
et cum iustis non scribantur! e sia messo tra i disonesti!
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Er nam den chocher unde den bogen Poi prese l’arco e la faretra,
bene venabatur cacciava molto bene!
der selbe hete mich betrogen Mi ha ingannato,
ludus compleatur. il gioco è finito.
Hoy et oe Hoy et oe
Maledicantur thylie Maledetti siano i tigli,
iuxta viam posite. posti lungo la via!
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Amen. Amen
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Osservazioni
1. Il testo è scritto in latino e appartiene all’area tede-
sca. È ugualmente presentato perché mostra che si
può fare cultura anche cantando i piaceri della vita; e
perché permette di cogliere la differenza tra la cultura
italiana ufficiale e quella straniera. Al tempo peraltro
esisteva una cultura europea che accomunava tutti gli
intellettuali.
2. Esso spinge a fare una riflessione su che cos’è la
cultura; e permette di dare una risposta: la cultura è
tante cose (cultura economica, religiosa, letteraria,
scientifica, giuridica, scolastica ecc.); ed è ora piace-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 17
Le maggiori correnti del Duecento polemiche religiose, che impegnano le sette eretiche
contro la corruzione della Curia romana. Egli vuole
Le maggiori correnti letterarie del Duecento sono: a) riformare restando dentro la Chiesa, perciò chiede ed
la Scuola siciliana (1230ca.-1260ca.), b) la Scuola to- ottiene il riconoscimento della Regola prima verbal-
scana (1260ca.-1280ca.), c) la corrente comico-reali- mente da papa Innocenzo III nel 1209, poi ufficial-
stica (1260ca.-1310ca.), d) il Dolce stil novo (1274- mente da papa Onorio III nei 1223. Muore nel 1226.
1294).
Francesco scrive le due Regole, il Cantico di Frate
Per tutto il secolo poi ha una grande diffusione la let- Sole (o Laudes creaturarum), e il Testamento. Il can-
teratura religiosa. Il termine religioso è soltanto indi- tico, scritto forse nel 1224, riprende due salmi della
cativo perché è inadeguato. La letteratura religiosa è Bibbia (Salmo 148; Daniele III, 52-90), che invitano
quasi tutta la letteratura esistente e gli autori sono per le creature a lodare Dio. Esso presenta una difficoltà
lo più ecclesiastici o, in alternativa, sono laici che di interpretazione: il significato da dare alla preposi-
hanno intrapreso la ben remunerata corriera ecclesia- zione per dei vv. 10, 12, 15, 17 ecc. Per può signifi-
stica ma che in cuore sono rimasti laici o quasi. care da (e allora le creature sono invitate dallo scritto-
------------------------------I☺I----------------------------- re a lodare Dio); o per l’esistenza di (e allora l’uomo
loda Dio perché gli ha donato le creature). Nessuna
delle due soluzioni però va bene per tutti i casi.
La letteratura religiosa L’ambiguità è comprensibile: Francesco usa il lin-
guaggio per comunicare, non si preoccupa di riflette-
I maggiori esponenti della letteratura religiosa sono re sulla lingua come strumento rigoroso e formale di
Francesco d’Assisi (1182-1226), Tommaso da Celano comunicazione. La seconda interpretazione è quella
(1190ca.-1260), Jacopone da Todi (1236ca.-1306). tradizionale dell’Ordine francescano, accolta anche
dalla critica più recente. Vale anche la pena di ricor-
Francesco d’Assisi (1182-1226) è figlio di un ricco dare che al tempo la lingua si stava formando e i ter-
mercante, conduce una vita dissipata, quindi ha una mini avevano un significato oscillante, ora legato al
crisi religiosa che lo porta a convertirsi. Fonda l’ordi- latino, ora legato al volgare. Ed è ragionevole pensare
ne dei frati minori, i cui ideali sono l’umiltà, la pover- che nel testo il significato si modifichi dai primi versi
tà, la castità e una totale fiducia nella Provvidenza di- agli ultimi.
vina. Francesco propone questi valori in una società ---I☺I---
dilaniata dai contrasti politici tra fazioni rivali e dalle
Francesco d’Assisi (1182-1226), Laudes Lode delle creature o Cantico di Frate Sole
creaturarum, 1224
1.
I
O Altissimo, onnipotente e buon Signore,
Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue sono le lodi, la gloria, l’onore
tue so’ le laude, la gloria e ‘honore
e ogni benedizione.
et onne benedictione.
A te solo, o Altissimo, esse spettano,
Ad te solo, Altissimo, se konfàno
e nessun uomo è degno di nominare il tuo nome.
et nullu homo ène dignu te mentovare.
2.
II
Che tu sia lodato, o mio Signore, con tutte le creature,
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
specialmente [per][averci dato] messer fratello Sole,
spetialmente messor lo frate sole,
che è luce del giorno, e tu c’illumini per mezzo di lui.
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Esso è bello e irraggia grande splendore:
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore,
di te, o Altissimo, è il simbolo.
de te, Altissimo, porta significatione.
Che tu sia lodato, o mio Signore,
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle,
per [averci dato] sorella luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
in cielo le hai create lucenti, preziose e belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere
Che tu sia lodato, o mio Signore, per fratello vento,
et nubilo et sereno et onne tempo,
il cielo nuvoloso e sereno e ogni tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
per mezzo del quale sostieni la vita delle tue creature.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,
Che tu sia lodato, o mio Signore, per sorella acqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
che è molto utile, umile, preziosa e casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,
Che tu sia lodato, o mio Signore, per fratello fuoco,
per lo quale ennallumini la nocte,
per mezzo del quale tu illumini la notte:
et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
esso è bello, gioioso, gagliardo e forte.
III 3.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano Che tu sia lodato, o mio Signore, per coloro
per lo tuo amore, che perdonano per tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione. e sopportano malattie e sofferenze.
Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace, Beati coloro che le sopporteranno in pace
ka da te, Altissimo, sirano incoronati. che da te, o Altissimo, saranno accolti in paradiso.
Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corpo- Che tu sia lodato, o mio Signore,
rale, per nostra sorella morte del corpo,
da la quale nullu homo vivente pò skappare: dalla quale nessun uomo vivente può fuggire:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; guai a coloro che morranno in peccato mortale;
beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, beati quelli che troverà nella tua santissima volontà,
ka la morte secunda no ‘l farrà male. perché la morte dell’anima non farà loro alcun male.
IV 4.
Laudate et benedicete mi’ Signore Lodate e benedite il mio Signore,
et ringratiate et serviateli cum grande humilitate. e ringraziatelo e riveritelo con grande umiltà.
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Commento
1. Il testo può essere diviso in quattro parti: a) l’in- rigine sociale risulta l’unico riferimento alla vita so-
troduzione che loda l’Altissimo; poi b) la lode per le ciale e terrena e agli scontri che caratterizzano la so-
creature date da Dio all’uomo; c) la lode sia per quelli cietà del tempo. Francesco peraltro conosce tali con-
che perdonano e soffrono in nome di Dio, sia per co- trasti e, per disinnescarli, propone valori terreni e
loro che muoiono in grazia di Dio; d) la conclusione ultraterreni alternativi (la sopportazione per amore di
che invita a lodare, riverire e servire il Signore. Dio, l’umiltà, l’importanza della salvezza eterna).
2. Dio è definito come “altissimu, onnipotente, bon 6. La conclusione invita apparentemente a incentrare
Signore”, al quale spettano tutte le lodi: l’uomo è nul- la vita su Dio e sulla salvezza eterna, quindi a una
la davanti a Lui e tuttavia Egli ama l’uomo, per il scelta radicalmente e solamente religiosa: il mondo
quale ha creato la Natura. Dio è padre buono e bene- terreno è in funzione di quello ultraterreno; la vita
fico nei confronti delle creature, alle quali è vicino. sulla terra è in funzione alla vita in cielo. In realtà
Esse possono riporre in Lui tutta la fiducia. dando importanza all’al di là e svalutando l’al di qua,
3. Le creature, che sono al servizio e ad uso dell’uo- Francesco ottiene il risultato di buttare acqua sul fuo-
mo, sono indicate ordinatamente: il sole, simbolo di co, cioè sui contrasti che provocavano gli scontri so-
Dio, la luna, le stelle, l’aria, il fuoco, l’acqua, il ven- ciali e sugli stessi valori dominanti, che si possono
to, il bello ed il cattivo tempo, la terra, che è madre e ignorare a favore di altri valori, più adatti alla convi-
nutrice per gli uomini. Nel cantico sono presenti tutte venza civile: un valore per essere tale deve essere ri-
le creature che fanno parte della natura; sono assenti conosciuto come valore. Nella Divina commedia di
gli animali, ma anche l’uomo e la società umana, che Dante agli inizi del Trecento, indubbiamente un testo
sono dilaniati dai contrasti e che ignorano e rifiutano molto più complesso, esiste un meccanismo simile,
la vita semplice a contatto con le altre creature. che tuttavia mostra in modo molto più visibile il fatto
4. Subito dopo le creature sono nominate le malattie, che l’al di là è in funzione dell’al di qua.
che hanno un’origine naturale, e le sofferenze, che 7. Non deve stupire che la cultura del tempo sia (qua-
invece hanno un’origine sociale. Le une e le altre si) soltanto religiosa: la Chiesa aveva avuto 800 anni
vanno sopportate per amor di Dio. L’invito acquista (476-1225) per conquistare l’intera società europea e
la sua importanza e mostra la sua utilità se si tiene per plasmarla con i suoi valori. Oltre a ciò nel mondo
presente che nel Medio Evo il dolore e le malattie so- antico greco e romano la religione era sempre presen-
no i compagni inseparabili della vita quotidiana. te nelle cerimonie private come nelle pubbliche.
5. Quindi sono nominate la morte del corpo, da cui ------------------------------I☺I-----------------------------
l’uomo non può fuggire, e la morte dell’anima, che
l’uomo deve fuggire morendo in grazia di Dio. La se-
renità del cantico è interrotta all’improvviso e per un
momento dalla minaccia “Guai a coloro che muoiono
in peccato mortale!”. L’accenno alle sofferenze di o-
Preces meae non sunt dignae, Le mie preghiere non sono degne,
sed tu bonus fac benigne, ma tu, o buono, fa’ benignamente
ne perenni cremer igne. che io non arda nel fuoco eterno.
Amen. Amen.
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Commento
1. Il Dies irae è una delle sequenze (=testi poetici che tutta l’umanità sarà sottoposta, è uno dei motivi più
si adattano al canto) più note del latino medioevale, e diffusi nell’immaginario collettivo medioevale. D’al-
ancor oggi è inserita nella liturgia dei defunti. Esso tra parte l’uomo medioevale, che non conosceva né
mostra quanto la spiritualità medioevale sentisse in l’igiene né la medicina né il controllo della natalità né
termini drammatici il problema della salvezza eterna un’alimentazione sufficiente, viveva in costante con-
ed il problema del rapporto dell’uomo con Dio, suo tatto con la morte nella vita quotidiana.
creatore. 4. Il giusto teme di finire nel fuoco eterno. Per evitare
2. Il testo è scritto in latino, la lingua ufficiale della ciò, non si rivolge alla Madonna, il cui culto si stava
Chiesa (e della cultura del tempo). Se si esclude la diffondendo e consolidando, ma ancora a Gesù. Inve-
vasta produzione di Jacopone da Todi, la letteratura ce nella Divina commedia (Pd XXXIII, 1-54; 1317-
religiosa in lingua italiana non presenta testi di uguale 21) Bernardo e tutti i santi si rivolgono alla Madonna.
intensità e valore sino agli Inni sacri di Alessandro 5. Il latino del testo è facile. Per chi studia latino può
Manzoni (1785-1873). essere un’occasione per dimostrare le proprie capaci-
3. La vita umana è vista come un cammino verso il tà di traduttore. Il contatto con il testo è il miglior
ricongiungimento con Dio nell’altra vita. La vita ter- modo per imparare una lingua, soprattutto una lingua
rena quindi è vista e vissuta costantemente in funzio- antica, che non si usa mai parlata. Grammatica e sin-
ne della vita ultraterrena. Il Giudizio Universale, a cui tassi aiutano.
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Il frate domenicano Tommaso d’Aquino (1225- nei decenni successivi. Si impegna però anche a scri-
1274) è considerato l’autore dell’inno Pange, lingua. vere inni sacri che permettano di esprimere coralmen-
Il teologo si dedica alle questioni dottrinarie e filoso- te la fede. La fede non ha solamente una dimensione
fiche, alla diffusione delle sue tesi e alla costruzione razionale e filosofica, ma ha anche una dimensione
di un sistema di pensiero che la Chiesa farà proprio più semplice e immediata, che si esprime nel canto.
Quis est homo, qui non fleret, Chi è l’uomo che non piangesse,
Matrem Christi si vidéret se vedesse la Madre di Cristo
in tanto supplìcio? in tanto supplizio?
Fac, ut árdeat cor meum Fa’ che il mio cuore arda d’amore
in amándo Christum Deum, per Cristo Dio, affinché io sia contento
ut sibi compláceam. dei sentimenti che provo.
Fac me tecum pie flere, Fa’ che io pianga con te, o pia,
Crucifìxo condolére e che io soffra insieme con il crocifisso,
donec ego vìxero. finché io vivrò.
Fac me cruce custodìri O Cristo, fa’ che io sia custodito dalla croce,
morte Christi praemunìri, che io sia protetto dalla tua morte,
confovéri grátia. che sia favorito dalla grazia.
Amen. Amen.
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Enfin del mondo a la finita Fino alla fine del mondo (=fino alla morte)
sì mme duri questa vita mi sia data questa vita,
e poi, a la scivirita, e poi alla partenza [per l’al di là]
dura morte me sse dìa. mi sia data una dura morte.
Commento
1. Jacopone è un grande letterato: la laude ha rime 4. Jacopone vede in termini positivi la sofferenza, i
difficili (i primi tre versi di ogni quartina hanno la tormenti e la distruzione del corpo, purché in funzio-
stessa rima; il quarto rima con i quarti versi di tutte le ne di uno scopo più alto. Contemporaneamente i va-
altri quartine). lori dominanti sono completamente opposti: il potere,
2. Il poeta si augura ogni sofferenza e ogni tormento, la ricchezza, il piacere. Insomma i valori non sono né
fino a giungere all’autodistruzione, perché soltanto unici né assoluti. La scelta dipende dall’epoca in cui
liberandosi del corpo può raggiungere la mistica u- si nasce, dal luogo in cui si nasce, dalla famiglia in
nione con Dio; e perché soltanto in questo modo può cui si nasce e da tante altre circostanze.
infliggersi un’adeguata punizione per i suoi peccati: ------------------------------I☺I-----------------------------
Dio lo ha creato con un atto d’amore ed egli risponde
con la più totale ingratitudine. Proprio questa ingrati-
tudine ha ucciso Cristo sulla croce. Il poeta si sente
responsabile della morte di Cristo: sono stati i suoi
peccati, i peccati degli uomini a ucciderlo sulla croce.
3. I tormenti che il poeta si augura non sono pura fin-
zione letteraria: nel Medio Evo e sino a tempi recenti
l’uomo soffriva effettivamente, anche se non se lo au-
gurava, perché la medicina era impotente anche a cu-
rare le più piccole malattie. Gli analgesici e la peni-
cillina compaiono a metà Novecento. La sofferenza e
la morte erano le compagne quotidiane di ogni uomo
e di tutte le classi sociali.
CRISTO Mamma col core afflitto, CRISTO O mamma, con il cuore afflitto
entro ‘n le man’ te metto tra le mani ti metto
de Ioanni, meo eletto; di Giovanni, il mio prediletto:
sia to figlio appellato. sia chiamato tuo figlio.
VERGINE Figlio, l’alma t’è ‘scita, VERGINE O figlio, l’anima ti è uscita [dal corpo],
figlio de la smarrita, figlio della smarrita,
figlio de la sparita, figlio della sperduta,
figlio attossecato! figlio avvelenato!
Commento
1. La laude si compone di 33 quartine (esclusa la ri- primi tre versi di ogni quartina hanno la stessa rima;
presa) che corrispondono agli anni di Cristo quando il quarto rima con i quarti versi di tutte le altri quarti-
venne crocifisso, mentre la descrizione del suo corpo ne); fa un ampio ed efficace uso delle figure retori-
inchiodato alla croce si concentra nei vv. 64-75, dun- che, in particolare dell’anafora (o ripetizione); e fa
que nelle tre strofe centrali del componimento, con stare il dialogo di ogni protagonista in una o più quar-
una perfetta simmetria e nel rispetto della simbologia tine intere. Il linguaggio è sempre comprensibile ed
religiosa del numero tre. Il testo ha rime difficili (i intenso. I punti oscuri sono pochissimi, son dovuti al
Il suo viso mi riempie di gioia Sanza mia donna non vi voria gire,
quella c’ha blonda testa e claro viso,
Il suo viso mi riempie di gioia, ché sanza lei non poteria gaudere,
il bel viso mi riempie di vita, estando da la mia donna diviso.
il viso mi conforta infinite volte,
il bel viso che mi fa soffrire. Ma non lo dico a tale intendimento,
perch’io peccato ci volesse fare;
Il viso luminoso della più bella, se non veder lo suo bel portamento
il bel viso mi fa sorridere di gioia.
Di quel viso parla la gente, [che dice] e lo bel viso e ‘l morbido sguardare:
che nessun viso gli può stare alla pari. ché lo mi teria in gran consolamento,
veggendo la mia donna in ghiora stare.
Chi ha mai visto occhi così belli da vedere
né occhi che rendano le sembianze così belle Io mi sono proposto in cuore di servire Dio
né bocca che abbia un sorriso così dolce?
Io mi sono proposto in cuore di servire Dio,
Quando io le parlo, le muoio davanti, per poter andare in paradiso,
e mi sembra di andare in paradiso, nel santo luogo, dove (ho sentito dire),
e mi ritengo il re degli innamorati. c’è sempre divertimento, gioco e risate.
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Senza la mia donna non vi vorrei andare,
Riassunto. Il viso della mia donna – dice il poeta – mi quella che ha i capelli biondi e il viso luminoso,
riempie di gioia e di vita, ma mi fa anche soffrire. Il perché senza di lei non potrei essere felice,
viso della mia donna è luminoso, e di esso parla la restando separato da lei.
gente. Chi ha mai visto un viso così bello? Quando io
le parlo, mi sembra di andare in paradiso. E mi consi- Ma non lo dico con questa intenzione,
dero il più fortunato degli innamorati. di voler peccare con lei;
ma per vedere il suo bel portamento,
Commento
1. Il poeta prova un sentimento di ebbrezza estatica il bel viso e il dolce sguardo,
davanti alla sua donna. L’intensità di questa emozio- perché riterrei una grande consolazione
ne è resa ripetendo più volte la parola viso (anafora). I vedere la mia donna stare in paradiso.
versi riescono a riprodurre efficacemente questa esta- ---I☺I---
si terrena e laica. Essa va confrontata con l’estasi mi-
stica di Jacopone da Todi (O Segnor, per cortesia) o Riassunto. Il poeta dice di aver fatto un proponimen-
di Dante (Pd XXXIII, 97-145). to: servire Dio per andare in paradiso. Però non ci
2. Il sonetto si propone di usare il maggior numero di vuole andare senza la sua donna, che è bionda ed ha il
volte la parola-chiave viso: ben 10. Il poeta vuole di- viso luminoso. Egli la vuole in paradiso non per pec-
mostrare la sua abilità in questa sfida difficile. Anche care, ma per poter ammirare il suo bell’aspetto: sa-
Dante, con le rime petrose, si cimenta in questo gene- rebbe una grande consolazione poterla vedere nella
re letterario. gloria dei cieli.
3. In questo sonetto, ma anche negli altri, il poeta po-
lemizza con un’altra concezione dell’amore prove- Commento
niente dalla Francia, quella di Andrea, cappellano del 1. Il poeta trova il modo per rendere compatibili
re di Francia. Nel De amore questi propone la tesi che l’amore per la sua donna e la salvezza ultraterrena.
l’amore è pena ed è tormento, che la natura ha voluto Tradizionalmente la donna era considerata la tentatri-
infliggere all’uomo. Questa concezione si diffonde in ce, che conduceva l’uomo alla dannazione eterna
Europa alla fine del sec. XII. (nella Bibbia essa, istigata dal serpente, tenta l’uomo
---I☺I--- con la mela, e porta il genere umano a una vita di fa-
tiche e di sofferenze). Ora essa diventa l’intermedia-
ria tra l’uomo e Dio: se l’uomo si salva, si salva per
merito della donna, che è una creatura celeste. Inco-
mincia così l’opera di recupero della figura femmini-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 32
le. Contemporaneamente sorge e si diffonde il culto
della Madonna, la Madre di Dio, alla quale il fedele si
rivolge di preferenza per piegare la volontà del Figlio
ed ottenere la grazia.
2. La cultura laica deve fare i conti con la Chiesa, che
da secoli ha il completo dominio della cultura tradi-
zionale. Essa perciò deve trovare il suo spazio pren-
dendo e reinterpretando un motivo del campo avver-
sario: la figura della donna. Per la Chiesa la donna era
sia Eva, la tentatrice, che induceva l’uomo al peccato,
sia la Vergine Maria, che accettava di diventare Ma-
dre di Dio, per salvare l’umanità interra. Per la nuova
cultura la donna è colei con cui si va insieme in para-
diso o colei che si ammira in paradiso. Una volta sot-
tratto all’ambito della cultura ecclesiastica, questo
tema può conoscere numerose variazioni all’interno
della successiva produzione letteraria in campo laico.
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V 5.
Splende ‘n la ‘ntelligenzia del cielo Dio creatore risplende nell’intelligenza motrice
Deo criator più che ‘n nostr’occhi ‘l sole: del cielo più del sole risplenda ai nostri occhi:
ella intende suo fattor oltra ‘l cielo, essa intende il suo creatore, oltre al suo cielo,
e ‘l ciel volgiando, a Lui obedir tole; e, prende ad ubbidirgli, facendo girare il cielo,
e con’ segue, al primero, e consegue subito un felice risultato
del giusto Deo beato compimento, conforme alla giustizia divina:
così dar dovria, al vero, allo stesso modo la donna, che splende negli occhi
la bella donna, poi che ‘n gli occhi splende del suo gentile amante, dovrebbe veramente
del suo gentil, talento infondere in costui il desiderio
che mai di lei obedir non si disprende. di non cessare mai d’ubbidirle.
VI 6.
Donna, Deo mi dirà: “Che presomisti?”, O donna, Dio mi dirà, quando la mia anima sarà
siando l’alma mia a lui davanti. davanti a lui: “Quale presunzione hai avuto?
«Lo ciel passasti e ‘nfin a Me venisti Hai oltrepassato il cielo e sei giunto sino a me
e desti in vano amor Me per semblanti: e mi hai paragonato ad un amore effimero,
ch’a Me conven le laude perché a me e alla Regina del cielo
e a la reina del regname degno, spetta la lode,
per cui cessa onne fraude». perciò lascia frode (=ogni realtà ingannevole)!”
Dir Li porò: “Tenne d’angel sembianza Io gli potrò dire: “La mia donna aveva l’aspetto
che fosse del Tuo regno; di un angelo venuto dal tuo regno:
non me fu fallo, s’in lei posi amanza”. non commisi peccato, se riposi in lei il mio amore”.
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Riassunto per strofa. 1. L’amore – dice il poeta – tro- del cielo?”. Io Gli potrò dire che la mia donna asso-
va sempre dimora nel cuore gentile come l’uccello migliava a un angelo disceso dal suo regno, perciò
trova rifugio nel bosco: la natura ha fatto sorgere con- non commisi peccato, se riposi in lei il mio amore.
temporaneamente amore e cuore gentile. 2. Il fuoco
dell’amore si accende nel cuore gentile come la virtù Riassunto sintetico. Il poeta afferma che l’amore e il
attiva si accende nella pietra preziosa. Dal cielo di- cuore gentile sono la stessa cosa. E fa numerosi e-
scende in essa la virtù attiva soltanto dopo che il sole sempi tratti dalla natura (1-3). Quindi critica l’uomo
l’ha purificata. Allo stesso modo il cuore prima è reso che si vanta per la sua nobiltà di sangue. Ed afferma
puro e gentile dalla natura, poi è fatto innamorare dal- che la gentilezza è gentilezza d’animo, non di sangue,
la donna. 3. L’amore dimora nel cuore gentile per lo e che essa non può mai prescindere dai meriti perso-
stesso motivo per cui il fuoco risplende in cima alla nali (4-5). Infine immagina di esser giunto davanti a
torcia: questa è la sua natura. 4. Il sole colpisce il Dio e che Dio lo rimproveri per aver cantato un amo-
fango tutto il giorno, ma il fango resta senza valore. re destinato a durare poco. Gli risponderà che la sua
L’uomo superbo dice: “Io son nobile per nascita”. Io donna sembrava un angelo disceso dal cielo, perciò
paragono lui al fango, perché la nobiltà non può pre- non ha commesso peccato se ha riposto in lei il suo
scindere dai meriti personali. 5. Dio illumina le intel- amore (6).
ligenze angeliche, che muovono i cieli. Esse gli ubbi-
discono e perciò portano a termine felicemente i loro Commento
compiti. Allo stesso modo la donna illumina il suo 1. Il testo non è sempre chiaro, le tesi che caratteriz-
amante, e infonde in lui il desiderio di ubbidirle sem- zano il movimento sono però espresse più volte con
pre. 6. O donna, Dio mi dirà, quando giungerò davan- chiarezza e con determinazione. La prima tesi (amore
ti a Lui: “Come hai osato paragonare l’amore verso e cuore gentile si identificano) è trattata nelle prime
una donna all’amore che devi a me e alla Regina tre strofe. La seconda (la nobiltà non è di sangue né si
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 46
eredita, è di spirito e si conquista con i propri meriti) messi, alla coesistenza, a parziali alleanze o a parziali
è trattata nelle successive due strofe. La terza tesi (la fusioni.
donna è un angelo disceso dal cielo per portare 3. I due riassunti mostrano che non c’è un unico mo-
l’uomo a Dio) è trattata nell’ultima strofa. do per riassumere un testo: si può riassumere strofa
2. L’autore vuole contrapporsi con forza e con deci- per strofa (primo riassunto) o si può fare un riassunto
sione alla cultura aristocratica tradizionale, perciò concettuale (secondo riassunto). Si può fare un rias-
contrappone una nuova forma di nobiltà, quella per- sunto aderente al testo o si può fare un riassunto che
sonale e spirituale, contro quella antica, che è nobiltà porti alla luce il filo conduttore del testo. Le possibili-
di famiglia, di sangue e di titoli. Dietro a questa pro- tà sono molteplici. Ben inteso, si possono fare rias-
posta culturale sta anche la consapevolezza di appar- sunti più lunghi o meno lunghi. E si possono fare
tenere ad una classe diversa – la borghesia –, che è in riassunti in funzione dello scopo o dell’utente a cui
ascesa, deve affermarsi ed ha bisogno di una sua spe- sono destinati.
cifica cultura per farlo. La lotta di classe insomma -----------------------------I☺I-----------------------------
avviene sia sul piano economico sia sul piano ideolo-
gico-culturale.
3. L’ultima tesi (la donna è un angelo disceso dal cie-
lo), per quanto espressa in una sola strofa, è partico-
larmente suggestiva. Almeno in questa strofa il poeta
si pone su un piano ben superiore a quello espresso
da Giacomo da Lentini, che vuole andare in paradiso
con la sua donna.
4. Per spiegare il suo pensiero, il poeta ricorre più
volte ad immagini naturalistiche. L’intera canzone
però condensa una vasta cultura scientifica, filosofi-
ca, astronomica e religiosa, che Bonagiunta Orbiccia-
ni criticava aspramente. Il Dolce stil novo si apre al
sapere, alla filosofia e alla scienza o, meglio, alla fi-
losofia della natura.
5. Nobiltà di sangue vuol dire che il capostipite di
una famiglia si è distinto in qualche impresa civile o
militare (e che è stato ripagato con il titolo) o che ha
acquistato il titolo dal papa o dall’imperatore, che co-
sì rimpinguavano le loro finanze. I titoli poi andavano
dal più basso (conte) al più alto (re).
Osservazioni
1. Anche con il Dolce stil novo si è seguito lo schema
di esposizione usato per le altre correnti: a) il luogo di
nascita; b) la durata; c) gli autori; d) i motivi poetici.
Ogni punto è stato trattato a seconda della sua impor-
tanza. Ad esempio nel punto b) si è data particolare
importanza a Guido Guinizelli, non tanto perché è il
caposcuola, quanto perché nella canzone-manifesto
ha proposto le tesi che caratterizzano la scuola; e a
Dante Alighieri, perché è il poeta più grande del
gruppo. Di quest’ultimo si dà anche estesamente la
vita e l’opera, perché ha un’importanza ben più gran-
de: la produzione stilnovistica è soltanto una parte –
quella giovanile – della sua vasta produzione artisti-
ca. Lo schema quindi è stato “aggiustato” sull’argo-
mento che doveva esporre.
2. Anche il Dolce stil novo, come le altre correnti o
scuole poetiche, ha una specifica matrice sociale: gli
stilnovisti hanno alle spalle la borghesia cittadina, che
ha il potere economico e che deve acquistare spazio
politico e prestigio sociale a spese delle forze tradi-
zionali, la nobiltà e la chiesa. In genere le classi e-
mergenti non riescono mai ad imporsi completamente
sulle classi tradizionali: si giunge ad ampi compro-
Voi che per li occhi mi passaste ‘l core Voi che con gli occhi mi trapassaste il cuore b
Voi che per li occhi mi passaste ‘l core O voi, che per gli occhi mi trapassaste il cuore
e destaste la mente che dormia, e risvegliaste la mia mente che dormiva,
guardate a l’angosciosa vita mia, guardate la mia angosciosa vita,
che sospirando la distrugge Amore. che Amore distrugge a forza di sospiri.
E’ vèn tagliando di sì gran valore, E ferisce con una forza così grande,
che’ deboletti spiriti van via: che gli spiriti vitali indeboliti fuggon via:
riman figura sol en segnoria rimane soltanto l’apparenza esterna,
e voce alquanta, che parla dolore. e una voce flebile, che esprime dolore.
Questa vertù d’amor che m’ha disfatto Questa potenza d’amore, che mi ha distrutto,
da’ vostr’occhi gentil’ presta si mosse: si mosse veloce dai vostri occhi gentili:
un dardo mi gittò dentro dal fianco. una freccia mi scagliò dentro il fianco.
Sì giunse ritto ‘l colpo al primo tratto, Il colpo colpì al primo tiro, così
che l’anima tremando si riscosse che l’anima tremando si riscosse,
veggendo morto ‘l cor nel lato manco. vedendo il cuore morto nel lato sinistro.
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Riassunto. Il poeta si rivolge alla sua donna, le dice cuore), dalle regole dell’amor cortese di Andrea Cap-
che entrata attraverso i suoi occhi fino al cuore, e lo pellano (l’amore è pena), infine dal Dolce stil novo
ha sconquassato. L’amore che prova gli ha indebolito (l’amore scoppia subito, appena l’ha vista). Ci sono
gli spiriti vitali, e del suo corpo sono rimaste soltanto pure i sospiri, che non esprimono letizia come in
l’apparenza esterna e una voce flebile. La freccia a- Dante (Tanto gentile e tanto onesta pare), ma soffe-
morosa è partita velocemente dai suoi occhi gentili e renza, una sofferenza tanto profonda, che distrugge il
gli è penetrata in profondità dentro il fianco. Il colpo corpo. Nel sonetto c’è il raddoppiamento degli occhi:
fece centro al primo tiro e l’anima fu presa da tremiti gli occhi belli della donna sono entrati per gli occhi
e si riscosse, vedendo che il cuore nella sinistra del del poeta e sono giunti sino al cuore, che hanno scon-
petto era morto. volto.
3. “Parla dolore”: il verbo è usato in modo transitivo.
Commento 4. Il sonetto ha rima ABBA ABBA CDE CDE.
1. Cavalcanti non descrive l’aspetto della sua donna, ---I☺I---
ma gli effetti sconvolgenti che ha avuto su di lui, sul-
la sua mente e sul suo cuore.
2. Il poeta prende dalla scuola siciliana (l’immagine
della donna che attraverso gli occhi giunge sino al
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 48
I’ vegno il giorno a te infinite volte Io vengo a te infinite volte al giorno
Or non ardisco per la vil tua vita Ora per la tua vita volgare non oso
far mostramento che tuo dir mi piaccia, mostrarti che i tuoi versi mi piacciano,
né in guisa vegno a te che tu mi veggi. né vengo a te in modo che tu mi veda.
Riassunto. Guido con il pensiero va a trovare Dante gentile, che ora si è involgarito, il disprezzo per la
più volte al giorno ed è dispiaciuto perché trova moltitudine volgare e per le persone fastidiose, l’af-
l’amico che non dimostra più il suo animo gentile né fetto che l’amico gli ha dimostrato. Adesso Guido
le sue capacità. Era solito disprezzare le persone vuo- non ha più il coraggio di dire che i suoi versi gli piac-
te e fuggiva le persone importune e provava un gran- ciono e va da lui senza farsi vedere. Spera che il pre-
de affetto verso di lui, Guido, tanto che avrebbe rac- sente sonetto allontani dall’amico lo spirito malefico
colto tutte le sue poesie. Ma ora, per la vita volgare che lo opprime e che lo ha reso volgare.
che tiene, non vuole mostrargli che i suoi versi gli 2. Il sonetto di Cavalcanti va letto tenendo presente il
piacciono e va da lui ma senza farsi vedere. Se legge sonetto Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io e il sonet-
spesso questo sonetto, che ha scritto per lui e che gli to irriverente Dante Alighier, s’i’ son bon begolardo,
manda, spera di poter cacciare lo spirito malefico che di Cecco Angiolieri. L’immagine di Dante acquista
opprime e ha involgarito l’amico. una dimensione più concreta e vicina al lettore. Il so-
netto sull’uomo volgare di Cavalcanti fa da contrap-
Commento punto al sonetto di Dante sulla donna angelicata per
1. Dante si dà alle gozzoviglie, e l’amico Guido lo passa per strada.
rimprovera. Gli ricorda l’amicizia passata, l’animo 3. Il sonetto ha rima ABBA ABBA CDE CDE.
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Per man mi prese, d’amorosa voglia, Mi prese per mano, con desiderio amoroso,
e disse che donato m’avea ’l core; e disse che mi aveva donato il suo cuore;
menòmmi sott’ una freschetta foglia, mi portò sotto un fresco cespuglio,
là dov’i’ vidi fior’ d’ogni colore; dove vidi fiori di ogni colore;
e tanto vi sentìo gioia e dolzore, e vi provai tanta gioia e dolcezza,
che ’l die d’amore – mi parea vedere. che mi sembrava – di vedere il dio Amore.
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Riassunto. Il poeta in un bel bosco incontra una pa- semplice: incontra la ragazza, che canta. Egli le chie-
storella bellissima (1). Era bionda, aveva i capelli ric- de se ha un amante. Lei precisa che è sola e che,
ci e conduceva le pecore al pascolo con un piccola quando canta, è innamorata. Egli chiede con educa-
verga. Era scalza e bagnata di rugiada. E cantava co- zione se la può abbracciare e baciare. Lei non lo inti-
me se fosse innamorata (2). Egli la saluta e le chiede morisce minacciando di chiamare genitori e fratelli,
se avena un amante. Lei risponde che se ne andava da anzi lo prende per mano e lo porta subito dietro a un
sola per il bosco e che, quando l’uccello canta, desi- cespuglio, dove consumano. Qui egli prova tanta dol-
dera avere un amante (3). Dopo la sua risposta e poi- cezza, da pensare di vedere il dio Amore. Non si sa se
ché gli uccelli cantavano nel bosco, il poeta dice tra lei abbia goduto, ma si può pensare di sì, visto il suo
sé e sé che può prende piacere con la ragazza. E le spirito d’iniziativa…
chiede di poterla baciare e abbracciare, se è d’accordo 2. Il poeta fornisce una descrizione accurata dell’a-
(4). La pastorella lo prende per mano, dice che gli ha spetto fisico e del lavoro della ragazza. È bellissima,
donato il suo cuore e lo porta sotto un bel cespuglio, bionda, ricciuta, scalza, accudisce le pecore. Ma gli
dove c’erano fiori pieni di colori. Egli provò tanta animali sono tranquilli e lei si prende una pausa
dolcezza, che credette di vedere il dio Amore (5). d’amore o di sesso. Ma si preoccupa anche del conte-
sto, della scenografia: il bosco è bello, la ragazza è
Commento bella, il cespuglio è bello, ci sono poi molti fiori pieni
1. Guido Cavalcanti (Firenze, 1258-Firenze, 1300), di colori. E la ragazza è come lui o gli uomini la desi-
un guelfo bianco molto rissoso, scrive questa ballata derano: senza remore, senza problemi, disponibile
che si inserisce nel genere provenzale della pastorel- per una frullata
la. Il poeta o il protagonista incontra una pastorella 3. Lo stilnovismo è lontano (il genere è provenzale).
nel bosco, è tutta sola, la corteggia, la ragazza si rifiu- L’amore non è spirituale, è fisico e soltanto fisico, e
ta, ma alla fine cede e si concede. La sua ballata è più senza patemi d’animo o richiesta di matrimonio.
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Perch’i’ no spero di tornar giammai Perché io non spero di tornar mai più
Perch’i’ no spero di tornar giammai, Perché io non spero di tornar mai più,
ballatetta, in Toscana, o mia piccola ballata, in Toscana,
va’ tu, leggera e piana, va’ tu, leggera e piana,
dritt’ a la donna mia, diritta alla donna mia,
che per sua cortesia che per sua cortesia
ti farà molto onore. ti farà molto onore.
Deh, ballatetta, a la tu’ amistate Deh, o mia piccola ballata, alla tua amicizia
quest’anima che trema raccomando: raccomando la mia anima che trema:
menala teco, nella sua pietate, conducila con te, nella sua pietà,
a quella bella donna a cu’ ti mando. a quella bella donna a cui ti mando.
Deh, ballatetta, dille sospirando, Deh, o mia piccola ballata, dille sospirando,
quando le se’ presente: quando sarai alla sua presenza:
“Questa vostra servente “Questa vostra serva
vien per istar con vui, viene per restare con voi
partita da colui ed è partita da colui
che fu servo d’Amore”. che fu vostro servo d’Amore!”
Madonna è disiata in sommo cielo: Madonna è desiderata nel cielo più alto (=l’Empireo):
or voi di sua virtù farvi savere. ora voglio farvi sapere della sua virtù.
Dico, qual vuol gentil donna parere Dico che qualunque donna voglia apparire gentile,
vada con lei, che quando va per via, vada con lei, che, quando cammina per strada,
gitta nei cor villani Amore un gelo, il dio Amore getta nei cuori incolti un gelo,
per che onne lor pensero agghiaccia e pere; per cui ogni loro pensiero si ghiaccio e muore;
e qual soffrisse di starla a vedere invece chi sopportasse di starla a guardare
diverria nobil cosa, o si morria. diventerebbe nobile o morirebbe.
E quando trova alcun che degno sia E, quando lei trova qualcuno che sia degno
di veder lei, quei prova sua vertute, di vederla, quello mette alla prova il suo valore,
ché li avvien, ciò che li dona, in salute, poiché tutto ciò che lei gli dona diventa beatitudine
e sì l’umilia, ch’ogni offesa oblia. e lo rende così umile che dimentica ogni offesa.
Ancor l’ha Dio per maggior grazia dato Dio le ha fornito anche una grazia maggiore,
che non pò mal finir chi l’ha parlato. che chi le ha parlato non può finire dannato.
Dice di lei Amor: “Cosa mortale Amore dice di lei: “Come può una creatura
come esser pò sì adorna e sì pura?” terrena essere così bella e pura?”.
Poi la reguarda, e fra se stesso giura Poi la osserva e tra sé e sé giura
che Dio ne ‘ntenda di far cosa nova. che Dio intende fare di lei qualcosa di straordinario.
Color di perle ha quasi, in forma quale Ha quasi il colore delle perle, nella forma (= misura)
convene a donna aver, non for misura: che a una donna conviene avere, non fuor di misura:
ella è quanto de ben pò far natura; essa è quanto di bello la natura può fare;
per essemplo di lei bieltà si prova. sull’esempio di lei si misura la bellezza.
De li occhi suoi, come ch’ella li mova, Dai suoi occhi, a seconda di come li muova,
escono spirti d’amore infiammati, escono spiriti infiammati d’amore,
che feron li occhi a qual che allor la guati, che feriscono gli occhi a chiunque allora la guardi
e passan sì che ‘l cor ciascun retrova: e passano così, che ciascuno di essi ritrova il cuore:
voi le vedete Amor pinto nel viso, voi le vedete il dio Amore dipinto nel viso,
là ‘ve non pote alcun mirarla fiso. là dove nessuno può fissarla con lo sguardo.
Riassunto per stanza. Il poeta si rivolge alle donne no invita la canzone ad andare tra la gente a predicare
che hanno una conoscenza profonda dell’amore, per- la pace.
ché egli vuole parlare della sua donna. Il dio Amore 2. Nella canzone Guinizelli coinvolge la sua donna,
lo ispira a scrivere. Egli però vuole cantare legger- se stesso e Dio. Cavalcanti coinvolge la sua donna, se
mente la sua donna (1). Un angelo si lamenta con Di- stesso e la ballata. Rispetto agli altri autori Dante
o, perché in cielo manca Beatrice. Dio gli risponde coinvolge un numero maggiore di personaggi: Beatri-
che resterà sulla Terra quanto lui vorrà e che laggiù ce, le donne di animo gentile, donne e uomini di ani-
c’è qualcuno che teme di perderla e che grazie a lei mo volgare, se stesso, il dio Amore, Dio e i santi, la
potrà disprezzare l’inferno (2). Quindi il poeta tesse canzone. La differenza più significativa è la presenza
le lodi di Beatrice. La sua donna è desiderata nel- del dio Amore.
l’Empireo, dove si trova la sede dei beati. Quando 3. Dante ripete due volte che grazie a Beatrice eviterà
passa per strada, il dio amore raggela i pensieri delle la dannazione eterna (stanza prima e terza). E in If V
persone villane (=incolte), mentre chi la sta a guarda- con l’episodio di Francesca e Paolo riprende il moti-
re diventerebbe di animo gentile o morirebbe. E chi le vo stilnovistico che il cuor gentile non può respingere
parla non può finire dannato (3). Il poeta descrive poi chi lo ama: “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”
il suo aspetto fisico: ha la pelle candida che assomi- (“L’Amore, che costringe chi è amato a riamare”).
glia alle perle, ma il suo candore è nella giusta misu- 4. Il poeta introduce un elemento estraneo alla tradi-
ra. Dai suoi occhi escono spiriti d’amore che colpi- zione cristiana: il dio Amore, che fa innamorare sca-
scono nel cuore chi la guarda (4). Nel congedo il poe- gliando le sue frecce amorose (stanza quarta). Anche
ta invita la canzone a parlare di Beatrice a molte don- Petrarca seguirà questa strada; il dio Amore è da per
ne, di chiedere la strada che la porta da Beatrice, di tutto ed anzi lo perseguita, ma egli è contento (Solo e
evitare la gente volgare, di mostrarsi soltanto a donne pensoso; Chiare, fresche e dolci acque). Anzi egli
e a uomini di animo gentile, che la condurranno da non si salverà con le sue forze, ma perché Laura, ve-
Beatrice per la strada più breve. Con la donna troverà dendo la sua tomba, sparge una lacrima, che gli farà
anche il dio Amore. E il poeta la prega di raccoman- ottenere la salvezza eterna.
darlo a lui (5). 5. Conviene notare il rapporto positivo tra poeta,
donna e salvezza eterna nella Scuola siciliana come
Commento nel Dolce stil novo: la donna ha l’aspetto di un angelo
1. Il poeta riprende e rielabora i consueti motivi stil- venuto dal cielo e porta l’innamorato a Dio, alla sal-
novistici della canzone-manifesto Al cor gentil rem- vezza eterna. In seguito Petrarca vive il rapporto in
paira sempre amore di Guido Guinizelli: a) amore e modo drammatico e conflittuale: la donna è e rappre-
cuore gentile si identificano; b) la nobiltà non è nobil- senta i beni e i valori terreni; egli cerca di liberarsi del
tà di sangue che si eredita, è gentilezza (o nobiltà) suo pensiero, ma invano; e chiede perciò aiuto a Dio
d’animo che si conquista con il proprio ingegno; c) che lo liberi del suo “indegno amore”. È il “dissidio
la donna è un angelo venuto dal cielo per portare interiore”. Peraltro è il poeta che introduce questa
l’uomo a Dio. Ma si riallaccia anche alla Scuola sici- frattura tra terra e cielo, che non ha alcun motivo di
liana: la donna e una creatura concreta, terrena, capa- essere. La donna è stata creata da Dio, da una costola
ce però di portare l’uomo in cielo. Riprende anche di Adamo, per essere la compagna di Adamo, dunque
motivi della ballatetta di Guido Cavalcanti: nel con- è cosa buona. Anche se ha preso gli ordini minori, la
gedo i due poeti invitano la canzone ad andare a par- causa del conflitto non è Laura, ma le altre donne che
lare della propria donna alle altre donne, per dire che incontrava.
è in fin di vita (Cavalcanti), ma non a tutte, bensì sol- 6. In Pg XXIV, 43-63, Dante incontra Bonagiunta
tanto a quelle di animo nobile (Dante). In seguito an- Orbicciani, che si lamenta peché è stata abbandonata
che Petrarca in Italia mia, benché ‘l parlar sia indar- la poesia tradizionale, quella di Guittone d’Arezzo e
sua, e perché le poesie stilnovistiche sono fatte “per
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 54
forsa di scritura”, cioè sono piene di cultura. In chi la prova. E pare che dal suo volto si muova uno
quell’occasione Dante dimentica le tesi stilnovistiche spirito soave, pieno d’amore, che invita l’anima a so-
sulla gentilezza d’animo e si presenta come lo scritto- spirare.
re sacro, ispirato dal dio Amore: “Io son uno che,
quando l’Amore m’ispira, annoto, e nel modo, che mi Commento
detta nell’animo, scrivo in versi” (vv. 52-54). La de- 1. Il poeta incontra la sua donna non più nel cortile
finizione di Dolce stil novo, data oltre 20 anni dopo, è del castello, secondo i moduli della poesia cortese,
sicuramente tendenziosa. Dante non era ispirato dal ma per le vie della città, dove si sono spostate la vita
dio Amore, ma dalla sua classe sociale, la piccola no- economica e la vita culturale. E, come gli altri spetta-
biltà cittadina, legata alla borghesia. Ma, quando tori, è affascinato dalla sua bellezza e dal suo com-
scrive il Purgatorio, i tempi sono cambiati ed egli si portamento. Essa pare un angelo disceso dal cielo,
trova in esilio e senza una classe sociale alle spalle. per stupire gli uomini. Egli è tanto affascinato da ri-
---I☺I--- manere, come tutti i presenti, senza la forza di parla-
re.
Tanto gentile e tanto onesta pare, XXVI 2. Inseriti in un contesto diverso, ci sono motivi sici-
liani: l’amore che entra attraverso gli occhi e giunge
Tanto gentile e tanto onesta pare fino al cuore. Ora però l’amore non è più provocato
la donna mia quand’ella altrui saluta, dalla bellezza fisica della donna ma dalla bellezza
ch’ogne lingua deven tremando muta, spirituale: la donna perde la sua dimensione fisica per
e li occhi no l’ardiscon di guardare. essere trasformata in angelo, che appartiene soltanto
al regno dei cieli.
Ella si va, sentendosi laudare, 3. Il poeta vive una doppia vita spirituale ed affettiva:
benignamente d’umiltà vestuta; quella con l’ideale (Beatrice e il mondo dell’imma-
e par che sia una cosa venuta ginario che essa rappresenta), e quella con la realtà
da cielo in terra a miracol mostrare. (Gemma Donati, giudiziosa e pratica, che lo accom-
pagna nell’esilio senza mai lamentarsi e che costitui-
Mostrasi sì piacente a chi la mira, sce il mondo concreto della vita quotidiana).
che dà per li occhi una dolcezza al core, 4. Beatrice, ulteriormente idealizzata (diviene il sim-
che ‘ntender no la può chi non la prova: bolo della fede e della teologia), guida il poeta nella
parte finale della Divina commedia: dal paradiso ter-
e par che de la sua labbia si mova restre, che si trova in cima alla montagna del purgato-
un spirito soave pien d’amore, rio, sino alla conclusione del viaggio in paradiso, che
che va dicendo a l’anima: “Sospira!”. avviene con la visione mistica di Dio. Anche qui la
moglie è assente.
Tanto gentile e tanto degna di rispetto appare ---I☺I---
Tanto gentile e tanto degna di rispetto appare Le Rime sono i componimenti che il poeta non ha in-
la donna mia quando ella saluta qualcuno, serito nella Vita nova. Uno di essi è dedicato all’a-
che ogni lingua diviene tremando muta mico Guido Cavalcanti.
e gli occhi non hanno il coraggio di guardare.
Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
Ella se ne va, sentendosi lodare,
benignamente vestita di umiltà, Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
e pare che sia una creatura venuta fossimo presi per incantamento
dal cielo in terra a mostrare un miracolo (=lei stessa). e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;
Si mostra così piacevole a chi la guarda,
che dà attraverso gli occhi una dolcezza al cuore, sì che fortuna od altro tempo rio
che la può intendere soltanto chi la prova: non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
E pare che dal suo volto si muova di stare insieme crescesse ‘l disio.
uno spirito soave, pieno d’amore,
che va dicendo all’anima: “Sospira!”. E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
Riassunto. La donna del poeta appare tanto gentile con noi ponesse il buono incantatore:
quando saluta qualcuno, che non si ha il coraggio di
risponderle né di guardarla. Ella si sente lodata, ma e quivi ragionar sempre d’amore,
non insuperbisce: sembra una creatura discesa dal e ciascuna di lor fosse contenta,
cielo. E a chi la guarda dà, attraverso gli occhi, una sì come i’ credo che saremmo noi.
tale dolcezza al cuore, che la può intendere soltanto
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 55
O Guido, io vorrei che tu e Lapo ed io ---I☺I---
Era Venerdì Santo, il giorno in cui il sole si offuscò indi trahendo poi l’antiquo fianco
per l’extreme giornate di sua vita,
Era Venerdì Santo, il giorno in cui il sole si offuscò quanto più pò, col buon voler s’aita,
per la compassione verso il suo creatore, rotto dagli anni, et dal camino stanco;
quando io fui catturato (io non stavo in guardia),
perché, o donna, fui incatenato dai vostri begli occhi. et viene a Roma, seguendo ‘l desio,
per mirar la sembianza di colui
Non mi sembrava il tempo di dovermi riparare ch’ancor lassù nel ciel vedere spera:
contro gli assalti del dio Amore; perciò me ne andai
sicuro, senza sospetti, così nel comune dolore così, lasso, talor vo cerchand’io,
[per la morte di Cristo] incominciarono i miei guai. donna, quanto è possibile, in altrui
la disïata vostra forma vera.
Il dio Amore mi trovò completamente disarmato,
e aperta la strada che va dagli occhi al cuore, Il vecchietto con i capelli bianchi e pallido
che sono divenuti uscio e varco per le lacrime.
Il vecchietto con i capelli bianchi e pallido lascia
Perciò, secondo me, non gli fede onore il dolce luogo in cui ha trascorso la giovinezza
colpirmi con la freccia [mentre ero] in quello stato; e la famiglia smarrita,
e non mostrare a voi armata nemmeno l’arco. che vede l’amato padre venir meno;
Riassunto. Petrarca va in chiesa il Venerdì Santo. Qui quindi, trascinando il vecchio corpo
vede Laura e se ne innamora. Questo amore è però a negli ultimi giorni della sua vita,
senso unico, perché non è corrisposto. Il poeta perciò quanto più può con la buona volontà si aiuta,
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 62
sfinito dagli anni e dal cammino; et anchor de’ miei can’ fuggo lo stormo. 160
e viene a Roma, seguendo l’antico desiderio Canzon, i’ non fu’ mai quel nuvol d’oro
di ammirare il volto di Colui (=Cristo) che poi discese in pretïosa pioggia,
che spera di vedere lassù in cielo. sì che ‘l foco di Giove in parte spense;
ma fui ben fiamma ch’un bel guardo accense,
Allo stesso modo, ahimè, talvolta io cerco, et fui l’uccel che più per l’aere poggia, 165
o donna, quant’è possibile, nel viso d’un’altra donna alzando lei che ne’ miei detti honoro:
il vostro desiderato e vero volto. né per nova figura il primo alloro
seppi lassar, ché pur la sua dolce ombra
Riassunto. Come il vecchietto abbandona la casa e la ogni men bel piacer del cor mi sgombra.
famiglia per andare a Roma a vedere il volto di Cristo
impresso nella Veronica, così il poeta cerca di vedere Nel dolce tempo della giovinezza
nel volto delle altre donne quello di Laura. […]
Fui uno spirito dolente, che vagava (mi ricordo)
Commento per spelonche deserte come un pellegrino,
1. Il poeta fa un paragone la cui prima parte è lunga e piansi per molti anni la mia sfrenata audacia.
ben 11 versi, la seconda soltanto 3: l’elaborazione let- Poi conobbi la fine di quel male
teraria del testo è fuori di ogni ragionevole dubbio. e ritornai nel mio corpo terreno, 145
2. Egli si paragona ad un vecchietto che è mosso da credo per sentire con esso più dolore.
un grande desiderio, se è disposto ad abbandonare ca- Io seguii tanto avanti il mio desiderio
sa e famiglia, nonostante l’età avanzata. che un giorno m’incamminai (come di solito facevo)
3. Egli paragona il volto di Laura al volto di Cristo, per incontrarla; e quella fiera bella e crudele
cioè mescola profano e sacro; il paragone però suona se ne stava tutta nuda in una fonte d’acqua, 150
irriverente verso la religione e anche sproporzionato. quando il sole ardeva più forte.
4. Il sonetto ha un ritmo estremamente lento ed è co- Io, che non m’accontento di alcun’altra vista,
stituito da una sola e lunghissima proposizione. stetti a mirarla, perciò ella provò vergogna.
5. Il poeta, anziché andare alla ricerca concreta di E, per vendicarsi o per nascondersi,
Laura, si limita a cercare nelle altre donne il volto di con le mani mi spruzzò l’acqua sul viso. 155
Laura. Insomma più che di Laura egli è innamorato Dirò la verità (forse essa sembrerà una menzogna):
dell’amore per Laura, e prova piacere ed interesse io sentii di perdere il mio aspetto umano
soltanto nell’esaminare esasperatamente le manife- e mi trasformai in un cervo solitario e bello
stazioni di questo amore dentro di lui, non ad avere che corre veloce di selva in selva,
concretamente, davanti agli occhi, la figura di Laura. per fuggire allo stuolo dei miei cani. 160
6. L’opera riprende il continuo dialogo con se stesso
che sant’Agostino (354-430) fa nelle sue Confessioni. O canzone, io non fui mai quella nuvola d’oro
---I☺I--- che poi discese sotto forma di pioggia preziosa,
così che spense in parte il fuoco di Giove;
Nel dolce tempo de la prima etade, XXIII ma fui ben la fiamma che un bello sguardo accese,
e fui l’uccello che più vola per l’aria, 165
[…] inalzando lei che onoro nelle mie poesie.
Spirto doglioso errante (mi rimembra) Né seppi lasciare il primo alloro per il nuovo aspetto,
per spelunche deserte et pellegrine, perché basta soltanto la sua dolce ombra
piansi molt’anni il mio sfrenato ardire: per sgombrarmi dal cuore ogni piacere meno bello.
et anchor poi trovai di quel mal fine,
et ritornai ne le terrene membra, 145 Riassunto. Il poeta ricorda che da giovane frequentò
credo per più dolore ivi sentire. posti isolati e grotte solitarie, e che pianse per molti
I’ seguì’ tanto avanti il mio desire anni la sua sfrenata audacia, l’amore per Laura. Un
ch’un dì cacciando sì com’io solea giorno cercò la donna lungo il fiume Sorga, come era
mi mossi; e quella fera bella et cruda solito fare. La vide che se ne stava tutta nuda in una
in una fonte ignuda 150 pozza d’acqua a causa della calura. Egli si fermò per
si stava, quando ‘l sol più forte ardea. ammirarla, lei provò vergogna e, per vendicarsi o per
Io, perché d’altra vista non m’appago, nascondere il suo corpo, con le mani lo spruzzò d’ac-
stetti a mirarla: ond’ella ebbe vergogna; qua sul viso. Egli si sentì trasformare in un cervo, che
et per farne vendetta, o per celarse, correva veloce per fuggire i suoi cani che lo insegui-
l’acqua nel viso co le man’ mi sparse. 155 vano. Quindi nel congedo si rivolge alla canzone e le
Vero dirò (forse e’ parrà menzogna) dice che non fu mai la pioggia d’oro con cui Giove
ch’i’ sentì’ trarmi de la propria imago, spense in parte la sua passione amorosa. Fu invece
et in un cervo solitario et vago una fiamma, accesa dallo sguardo di Laura, e fu l’uc-
di selva in selva ratto mi trasformo: cello che passa il tempo in volo, per innalzare lei con
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 63
le sue poesie. Né seppe abbandonare l’alloro poetico sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
per acquisire il nuovo aspetto, perché basta soltanto et fiumi et selve sappian di che tempre
l’ombra di Laura, per liberare il suo cuore da ogni sia la mia vita, ch’è celata altrui.
piacere disonesto (o turpe o vergognoso o ignobile).
Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
Commento cercar non so ch’Amor non venga sempre
1. La poesia di Petrarca vive del passato e dei ricordi ragionando con meco, et io co·llui.
del passato. In questa canzone egli va indietro nel
tempo e ricorda che da giovane si rifugiava nei boschi Solo e pensoso i più deserti campi
a piangere le sue inclinazioni amorose. Un giorno,
com’era solito fare, cercò Laura. La trovò che se ne Solo e pensoso i campi più deserti
stava tutta nuda in una pozza d’acqua, poiché il sole misuro con i miei passi tardi e lenti,
bruciava forte. Egli si fermò a guardarla. La donna, e rivolgo gli occhi (pronti a fuggire)
presa da vergogna, con le mani gli spruzzò acqua sul dove il terreno mostri qualche orma umana.
viso, per impedirgli di vedere. Egli allora si sentì tra-
sformato in un cervo, inseguito (come Atteone) dalla Non trovo altra difesa che impedisca alla gente
torma dei suoi cani. E poi commenta: egli non fu mai di vedere chiaramente [quanto io sia innamorato],
la nuvola che poi si trasformò in pioggia d’oro, come perché nei miei atti privi di allegria
fece Giove, per calmare in parte il fuoco della passio- di fuori si vede quanto io dentro bruci di passione:
ne amorosa. Egli fu invece la fiamma, accesa da uno
sguardo della sua donna, fu l’uccello, che passò il così che io credo ormai che i monti, le pianure,
tempo a volare per cantarla nelle sue poesie. Né di- i fiumi e i boschi sappiano come
menticò l’alloro poetico perché l’aveva vista nuda: sia la mia vita, che è nascosta agli altri.
bastava l’ombra della sua donna per cacciargli dal
cuore ogni desiderio indegno. Ma non so cercare vie così aspre né così selvagge,
2. Il lettore, se pensa che almeno una volta Petrarca si che il dio Amore non venga sempre
comporti umanamente e faccia il guardone o ne ap- a discutere con me… ed io con lui!
profitti per saltarle addosso, è subito deluso. Il poeta
va subito a immagini letterarie: Atteone trasformato Riassunto. Petrarca cerca luoghi deserti per non mo-
in cervo e inseguito dai suoi cani, perché aveva sbir- strare alla gente quanto è innamorato. Tuttavia, do-
ciato Artemide nuda; Giove che si trasforma in piog- vunque egli vada, il dio Amore viene sempre a discu-
gia d’oro per possedere Danae, che il padre aveva ri- tere con il poeta, ed il poeta con lui.
chiuso in una torre. E a questi riferimenti mitologici
seguono due paragoni: egli è la fiamma di fuoco, ac- Commento
cesa dallo sguardo di Laura, è l’uccello che vola, per 1. Anche qui Petrarca pensa che la gente si preoccupi
cantare Laura. A parte i riferimenti mitologici, Pe- che egli è innamorato. Questo è però ciò che egli pen-
trarca guardone rimanda alla pittura, al tópos di Su- sa; da parte sua non si preoccupa affatto di sapere se
sanna nuda al bagno, concupita e importunata da due la gente è innamorata o meno. In altre parole il poeta
vecchioni. Ad ogni modo un Petrarca guardone, vero fa girare il mondo – compresa Laura – intorno a se
o falso che sia, fornisce un’idea diversa del poeta. stesso e intorno al fatto che egli è innamorato.
3. Petrarca distingue l’amore puro e ideale per Laura, 2. Da una parte sembra che egli voglia fuggire dal dio
e l’amore sensuale e fisico che pratica con diverse Amore, dall’altra dice che egli gli risponde. Ciò vuol
donne, pur essendo un chierico. Esse gli danno dei dire che prova piacere a parlare con lui. Il suo atteg-
figli, i più importanti dei quali sono Giovanni (1337) giamento è quindi contraddittorio, ma proprio questa
e Francesca (1343). contraddizione sta alla base dell’ispirazione poetica
---I☺I--- di tutto il Canzoniere.
3. Il poeta non si accontenta di dire che la gente, se lo
Solo e pensoso i più deserti campi, XXXV incontrasse, vedrebbe subito quanto egli è innamora-
to. Giunge ad affermare anche che tutta la natura co-
Solo et pensoso i più deserti campi nosce questa sua passione amorosa (e questo fatto è
vo mesurando a passi tardi et lenti, ancora più incredibile del primo). Ma egli ritiene che
et gli occhi porto per fuggire intenti tutto il mondo giri intorno a lui, al suo amore e al suo
ove vestigio human l’arena stampi. dissidio interiore.
4. In questo sonetto non è citata Laura, ma il dio A-
Altro schermo non trovo che mi scampi more: l’amore esiste soltanto dentro l’animo del poe-
dal manifesto accorger de le genti, ta, che in proposito strumentalizza anche Laura: la
perché negli atti d’alegrezza spenti donna esiste in quanto egli la pensa e la ricorda. Non
di fuor si legge com’io dentro avampi: ha un’esistenza propria.
---I☺I---
e benedetto sia il mio primo dolce affanno, Padre del ciel, dopo i perduti giorni,
che io ebbi congiungendomi con il dio Amore; dopo le notti vaneggiando spese
l’arco, le frecce che mi colpirono, con quel fero desir che al cor s’accese
e le ferite che giunsero fino al cuore. mirando gli atti per mio mal si adorni;
Benedette siano le parole che io ho sparso piacciati omai, co’l tuo lume, ch’io torni
chiamando il nome della donna, ad altra vita et a più belle imprese;
i sospiri, le lacrime e il mio desiderio [di lei]; sì ch’avendo le reti indarno tese
il mio duro adversario se ne scorni.
e benedetti siano tutti gli scritti
(con cui io le procuro fama) e il mio pensiero, Or volge, signor mio, l’undecimo anno
che pensa solo a lei e non ha posto per nessun’altra. ch’i’fui sommesso al dispietato giogo,
che sopra i più soggetti è più feroce.
Riassunto. Il poeta benedice tutto ciò che riguarda il
suo incontro con Laura (l’anno, il mese, il giorno e Miserere del mio non degno affanno;
l’ora in cui l’ha incontrata), quindi conclude dicendo reduci i pensier vaghi a miglior luogo;
che pensa soltanto a lei e che nel suo cuore non c’è rammenta lor com’oggi fosti in croce.
posto per nessun’altra.
O Padre del cielo, dopo i giorni di perdizione
Commento
1. Il poeta esalta il momento in cui ha visto e si è in- O Padre del cielo, dopo i giorni di perdizione,
namorato di Laura. L’esaltazione mistica cede ora il dopo le notti consumate in pensieri vani
posta all’esaltazione amorosa profana. I precedenti con quel crudele desiderio che si accese al cuore,
letterari di questa esaltazione davanti alla figura guardando gli atti [di Laura] per mio male così belli,
femminile si possono rintracciare in Lo viso mi fa an-
dare alegramente di Giacomo da Lentini o in Gioio- ti piaccia ormai con la tua grazia che io ritorni
samente canto di Guido delle Colonne, ambedue del- a un’altra vita e a più belle imprese,
la Scuola siciliana. così che il mio crudele avversario (=il demonio),
2. Questo amore è fatto nello stesso tempo di gioia e avendo teso invano le reti, rimanga scornato;
di affanni. Anche qui Petrarca recupera la tradizione
letteraria: la concezione drammatica dell’amore come ora, o mio signore, sta passando l’undicesimo anno
da quando io fui sottoposto allo spietato giogo
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 65
(=l’amore per Laura), che è più crudele sui più debo- I capelli biondi erano sparsi all’aria
li.
I capelli biondi [di Laura] erano sparsi all’aria,
Abbi pietà del mio indegno affanno; che li faceva ondeggiare in mille dolci nodi,
ricondùci i miei i pensieri erranti verso il cielo; e oltre ogni misura ardeva la luce
ricorda loro come oggi tu fosti crocefisso. di quei begli occhi, che ora sono meno luminosi;
Riassunto. Il poeta si rivolge a Dio, riconoscendo di e mi pareva (non so se era vero o falso)
aver consumato il suo tempo in un amore terreno. Gli che il viso assumesse un aspetto di compassione;
chiede di poter intraprendere una vita più degna con io, che nel petto avevo l’esca amorosa,
l’aiuto della sua grazia, in modo da sconfiggere il che meraviglia c’è se mi innamorai subito?
demonio. Ricorda ancora che da 11 anni è sottoposto
alla schiavitù amorosa, perciò gli chiede di aver pietà Il suo camminare non era da essere mortale,
per il suo indegno affanno e di ricondurre i suoi pen- era quello di un angelo, e le sue parole
sieri verso il cielo. suonavano oltre la voce umana;
II 2.
S’egli è pur mio destino, Se è mio destino
e ‘l cielo in ciò s’adopra, (e il cielo opera in questa direzione)
ch’Amor quest’occhi lagrimando chiuda, che Amore mi faccia morire piangente,
qualche grazia il meschino spero che per qualche sorte benigna
corpo fra voi ricopra, il mio povero corpo sia sepolto in mezzo a voi
e torni l’alma al proprio albergo ignuda. e che l’anima, separata dal corpo, torni al cielo.
La morte fia men cruda La morte sarà meno dura,
se questa spene porto se porterò con me questa speranza
a quel dubbioso passo; al momento dell’incerto trapasso:
ché lo spirito lasso il mio spirito affaticato
non poria mai in più riposato porto non potrebbe fuggire dal corpo travagliato
né in più tranquilla fossa per trovare riparo in un porto più sicuro
fuggir la carne travagliata e l’ossa. o in un sepolcro più tranquillo.
III 3.
Tempo verrà ancor forse Forse in un tempo futuro
ch’a l’usato soggiorno la crudele bella e mite,
torni la fera bella e mansueta, intenerendosi per me,
et là ‘ ov’ ella mi scorse ritornerà in questo luogo abituale,
nel benedetto giorno e lì, dove mi vide in quel giorno fortunato,
volga la vista disiosa et lieta, volgerà gli occhi desiderosi
cercandomi: et, o pieta!, e lieti di vedermi, volendomi cercare. E, ahimè!,
già terra infra le pietre vedendomi divenuto polvere fra le pietre
vedendo, Amor l’inspiri del sepolcro, il dio Amore le ispirerà
in guisa che sospiri tali dolci sospiri
sì dolcemente che mercé m’impetre, che ella mi farà ottenere
et faccia forza al cielo, la misericordia divina,
asciugandosi gli occhi col bel velo. asciugandosi gli occhi con il suo velo.
IV 4.
Da’ be’ rami scendea Dai bei rami scendeva
(dolce ne la memoria) (mi è dolce il ricordo)
una pioggia di fior sovra ‘l suo grembo; una pioggia di fiori sopra il suo grembo,
et ella si sedea ed ella sedeva
umile in tanta gloria, umilmente in tanta gloria,
coverta già de l’amoroso nembo. ormai ricoperta da una nuvola amorosa.
Qual fior cadea sul lembo, Un fiore le cadeva sulla veste,
qual su le trecce bionde, un altro sulle trecce bionde (quel giorno
ch’oro forbito et perle sembravano oro lucente e perle),
eran quel dì, a vederle; un altro si posava per terra,
qual si posava in terra, e qual su l’onde; un altro sulle onde del fiume,
qual, con un vago errore un altro vagava dolcemente nell’aria
girando, parea dir: “Qui regna Amore”. e sembrava dire: “Qui regna il dio Amore!”.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 67
V 5.
Quante volte diss’io Quante volte io allora,
allor pien di spavento: pieno di stupore, dissi:
Costei per fermo nacque in paradiso. “Certamente costei è nata in paradiso!”.
Così carco d’oblio A tal punto la divina bellezza,
il divin portamento il volto, le parole e il dolce sorriso
e ‘l volto e le parole e ‘l dolce riso mi avevano fatto
m’aveano, et sì diviso dimenticare e separato
da l’imagine vera, dalla realtà,
ch’i’ dicea sospirando: che io dicevo sospirando:
Qui come venn’io, o quando?; “Come sono venuto qui? E quando?”,
credendo esser in ciel, non là dov’era. poiché credevo d’essere in cielo, non là dov’ero.
Da indi in qua mi piace Da allora in poi mi piace tanto quell’erba,
questa erba sì, ch’altrove non ho pace. quel luogo, che non so trovar pace altrove.
VI 6.
Se tu avessi ornamenti quant’ hai voglia, O canzone, se tu fossi bella come vorresti,
poresti arditamente potresti avere il coraggio
uscir del bosco e gir in fra la gente. di uscire dal bosco e andare tra la gente.
---I☺I--- ---I☺I---
Riassunto. 1. O dolci acque del fiume – dice il poeta 3. Il testo è, come di consueto, assai ricercato e assai
–, o ramo gentile, o erba e fiori, o aria serena [dove elaborato sul piano letterario. Agli inizi si rivolge a
Laura è vissuta], ascoltate le mie ultime parole. 2. Se parlare alle acque del fiume Sorga, al ramo, all’erba e
dovrò morire piangendo, spero di essere sepolto in ai fiori. Alla fine personifica anche la canzone, che il
mezzo a voi, che per me siete il luogo più sicuro e poeta invita ad andare tra la gente. Il lettore non deve
tranquillo. 3. Forse in futuro ella tornerà qui e mi cer- preoccuparsi del contenuto, piuttosto semplice, ma
cherà e, vedendomi morto e sepolto, implorerà il cie- delle immagini che il poeta cerca di evocare. Quel
lo ed otterrà per me la grazia divina. 4. Ricordo con che conta sono soltanto le immagini letterarie: il poe-
dolcezza quando sopra di lei e intorno a lei cadevano ta ha perciò saccheggiato la letteratura prima di lui.
fiori, che sembravan dire: “Qui regna il dio Amore”. 4. Petrarca descrive un locus amoenus e vi immerge
5. Quante volte io, stupito, dissi che era nata in para- Laura, l’unica che a lui par donna, cioè domina, si-
diso! La sua bellezza mi faceva dimenticare a tal pun- gnora e padrona. La scenografia è coinvolgente e
to la realtà, che io mi chiedevo com’ero giunto lì, straordinaria.
perché pensavo di essere in cielo. Perciò non riesco a 5. Anche qui tutta la realtà, compresa Laura, gira in-
vivere altrove. 6. O canzone, se tu fossi bella come torno al poeta, che vive dei ricordi del passato, ma
vorresti, lasceresti questo luogo per andare tra la gen- che immagina anche di essere morto nel futuro. Per la
te. prima ed ultima volta si preoccupa di quel che prova
Laura: alla vista della sua tomba la donna verserà
Commento qualche lacrima, che sarà sufficiente per fare andare il
1. Il riassunto, che si limita ad eliminare gli aggettivi poeta in cielo.
e le proposizioni dipendenti superflui, mostra chiara- 6. Questo testo, come tutti i precedenti, mostra quanto
mente quanto (poco) il poeta sia interessato al conte- la poesia di Petrarca sia intessuta di citazioni lettera-
nuto, e quanto (molto) sia interessato alla forma lette- rie precedenti, di riflessioni e di sentenze tratte dalla
raria in cui il contenuto è espresso. Bibbia, dagli stoici, dai Padri della Chiesa, da sant’A-
2. La canzone riprende e rielabora immagini e motivi gostino. Essa è e vuole essere una poesia in cui la di-
della tradizione letteraria siciliana e stilnovistica, a mensione letteraria (fusa con l’egocentrismo del poe-
cui si aggiunge il mai sopito dissidio interiore tra ter- ta) si impone completamente sui contenuti. Il riassun-
ra e cielo. “L’angelico seno” è la piega del vestito o to più sopra lo dimostra.
anche i seni (al singolare). E ad ogni modo è un rife- ---I☺I---
rimento alla donna angelicata del Dolce stil novo.
Quello che conta non è se il discorso ha un senso, ma
il riferimento letterario, con cui il poeta pensa ed e-
sprime i suoi sentimenti. Letteralmente sembra che la
donna si sia spogliata per prendere il sole, abbia mes-
so da una parte il vestito e si sia distesa supina
sull’erba lì vicino. L’immagine rimanda alle figure
femminili a seno nudo – in particolare le statue –, che
riempiono le chiese. Gli angeli sono asessuati o erma-
froditi. Hanno un aspetto effeminato.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 68
Italia mia, ben che ‘l sperar sia indarno, O Italia mia, benché la speranza sia vana
CXXVIII
I 1.
Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno O Italia mia, benché le mie parole non possano
a le piaghe mortali guarire le tue piaghe mortali,
che nel bel corpo tuo sì spesse veggio, che così numerose vedo sul tuo bel corpo,
piacemi almen che ‘ miei sospir’ sian quali desidero almeno che i miei sospiri siano
spera ‘l Tevero et l’Arno, come li spera il Tevere, l’Arno ed il Po,
e ‘l Po, dove doglioso et grave or seggio. dove ora, addolorato e pensoso, io mi trovo.
Rettor del cielo, io cheggio O Dio del cielo, io ti chiedo che la compassione,
che la pietà che Ti condusse in terra che ti fece venire sulla terra, ti faccia ora
Ti volga al Tuo dilecto almo paese. guardare il tuo amato paese.
Vedi, Segnor cortese, Vedi, o Signore cortese, come futili motivi
di che lievi cagion’ che crudel guerra; siano causa di guerre crudeli!
e i cor’, che ‘ndura et serra Apri, o Padre, intenerisci e sciogli i cuori,
Marte superbo et fero, che ora Marte (=il dio della guerra),
apri Tu, Padre, e ‘ntenerisci et snoda; superbo e feroce, ha indurito e richiuso.
ivi fa che ‘l Tuo vero, Fa’ che qui la tua verità, anche se io valgo poco,
qual io mi sia, per la mia lingua s’oda. sia detta dalla mia bocca.
2.
II
O voi, che dalla sorte avete avuto il governo
Voi cui Fortuna à posto in mano il freno
de le belle contrade, delle nostre belle contrade, per le quali
non mostrate di avere alcuna compassione,
di che nulla pietà par che vi stringa,
che cosa fanno qui tante armi straniere? Pensate
che fan qui tante pellegrine spade?
davvero che la nostra terra verdeggiante si tinga
perché ‘l verde terreno
del sangue dei barbari? Vi fa piacere sbagliare!
del barbarico sangue si depinga?
Vedete poco e vi sembra di vedere molto,
Vano error vi lusinga:
poiché cercate l’amore e la fedeltà
poco vedete, et parvi veder molto,
in cuori che si vendono.
ché ‘n cor venale amor cercate o fede.
Perciò chi ha più mercenari è anche colui
Qual più gente possede,
che ha più nemici intorno.
colui è più da’ suoi nemici avolto.
Questo diluvio è stato raccolto
O diluvio raccolto
in paesi selvaggi e spaventosi,
di che deserti strani
per inondare i nostri campi fertili!
per inondar i nostri dolci campi!
Se prepariamo con le nostre mani
Se da le proprie mani
la nostra rovina, chi ci potrà salvare?
questo n’avene, or chi fia che ne scampi?
3.
III
La Natura si preoccupò della nostra sicurezza,
Ben provide Natura al nostro stato,
quando pose le Alpi come barriera
quando de l’Alpi schermo
tra noi e la rabbia tedesca.
pose fra noi et la tedesca rabbia;
Ma il desiderio cieco, ostinato
ma ‘l desir cieco, e ‘ncontr’al suo ben fermo,
contro il proprio bene, si è poi tanto impegnato,
s’è poi tanto ingegnato,
che ha procurato la scabbia al corpo sano dell’Italia.
ch’al corpo sano à procurato scabbia.
Ora dentro ad una stessa gabbia si trovano
Or dentro ad una gabbia
belve feroci e greggi mansuete,
fiere selvagge et mansüete gregge
così che il migliore geme sempre.
s’annidan sì che sempre il miglior geme:
E, per nostro maggior dolore,
et è questo del seme,
queste belve discendono dal popolo senza legge,
per più dolor, del popol senza legge,
al quale, come dice la storia,
al qual, come si legge,
Caio Mario inflisse una tale sconfitta,
Mario aperse sì ‘l fianco,
che è ancor vivo il ricordo dell’impresa,
che memoria de l’opra ancho non langue,
quando l’esercito romano, assetato e stanco,
quando assetato et stanco
trovò nel fiume più sangue che acqua.
non più bevve del fiume acqua che sangue.
V 5.
Né v’accorgete anchor per tante prove Non vi siete ancora accorti, neanche dopo tante
del bavarico inganno prove, dell’inganno dei mercenari tedeschi,
ch’alzando il dito colla morte scherza? i quali, alzando un dito [in segno di resa],
Peggio è lo strazio, al mio parer, che ‘l danno; si prendono gioco della morte?
ma ‘l vostro sangue piove La beffa è, secondo me, peggiore del danno.
più largamente, ch’altr’ira vi sferza. Il vostro sangue però è versato largamente:
siete spinti gli uni verso gli altri da ben altro odio!
Da la matina a terza
Riflettete un momento sulla vostra situazione,
di voi pensate, et vederete come e capirete che non può avere caro alcuno colui
tien caro altrui che tien sé così vile. che ritiene se stesso così vile, da vendersi per denaro.
Latin sangue gentile, O nobile stirpe latina, allontana da te il peso dannoso
sgombra da te queste dannose some; di questi mercenari, e non trasformare in idolo
non far idolo un nome la loro vuota fama, che non ha riscontro nella realtà!
vano senza soggetto: È colpa nostra, non della natura,
ché ‘l furor de lassú, gente ritrosa, se il furore settentrionale,
vincerne d’intellecto, restio a ogni incivilimento,
peccato è nostro, et non natural cosa. ci supera nelle capacità intellettuali.
VI 6.
Non è questo ‘l terren ch’i’ toccai pria? Non è questa la terra ove nacqui?
Non è questo il mio nido Non è questo il mio nido
ove nudrito fui sì dolcemente? ove fui nutrito così dolcemente?
Non è questa la patria in ch’io mi fido, Non è questa la patria in cui ho riposto
la mia fiducia, la madre benigna e pietosa,
madre benigna et pia,
che ricopre ambedue i miei genitori?
che copre l’un et l’altro mio parente?
In nome di Dio, o principi, questo pensiero
Perdio, questo la mente
penetri qualche volta nella vostra mente,
talor vi mova, et con pietà guardate e, pieni di compassione, guardate le lacrime
le lagrime del popol doloroso, del popolo sofferente, il quale, dopo Dio,
che sol da voi riposo soltanto da voi può sperare protezione.
dopo Dio spera; et pur che voi mostriate E, purché mostriate qualche segno
segno alcun di pietate, di compassione, il coraggio [militare]
vertú contra furore contro la furia [straniera] impugnerà le armi,
prenderà l’arme, et fia ‘l combatter corto: e il combattimento sarà breve,
ché l’antiquo valore perché l’antico valore non è ancora
ne gli italici cor’ non è anchor morto. scomparso dai cuori degli italiani.
Riassunto per strofa. (1) O Italia mia – dice il poeta – l’Italia la terra dove sono nato e cresciuto e dove sono
, anche se le mie parole non ti possono guarire, parlo sepolti i miei genitori? O signori, abbiate compassio-
ugualmente come ti piacerebbe sentirmi parlare. O ne del nostro popolo, che soffre. Basterebbe un po’ di
Dio, volgi lo sguardo al tuo amato paese, sciogli i compassione a fargli prendere le armi e a fargli cac-
cuori induriti, e fa’ che la tua verità esca dalla mia ciare gli stranieri. Il coraggio dei romani non è ancora
bocca. (2) O signori, che governate l’Italia, perché ci scomparso dal suo cuore. (7) O signori, il tempo vola
sono qui tanti soldati stranieri? Pensate forse che co- e la morte si avvicina: quando arriva, bisogna lasciare
storo si ammazzino per voi? Vi illudete! Essi sono tutto. Perciò, mentre vivete, lasciate ogni odio, che
venuti per distruggere i nostri campi, e noi, chiaman- impedisce di vivere serenamente. E dedicate il tempo,
doli, ci stiamo distruggendo con le nostre mani. (3) che ora perdete ad angustiare gli altri, per imprese più
La Natura ha innalzato le Alpi, per separarci dai tede- degne. Così vivete felici sulla terra, e vi preparate la
schi. Voi invece li avete chiamati qui, ed ora lupi fe- salvezza del cielo. (8) O canzone, esponi con pruden-
roci e pecore mansuete vivono insieme, e chi ci ri- za i tuoi argomenti: devi andare tra gente abituata
mette è sempre il migliore. Eppure questi soldati di- all’adulazione, non alla verità. Poche persone ti ascol-
scendono da quelli che sono stati così duramente teranno. Chiedi la loro protezione, ne hai bisogno,
sconfitti da Caio Mario, che dell’impresa è ancor vivo perché vai a predicare la pace.
il ricordo. (4) Non parlo poi di Giulio Cesare, che li ---I☺I---
sconfisse più volte. Ora, se abbiamo perso la prote-
zione del cielo, è per colpa vostra! Le vostre ambi- Riassunto per strofa ma più breve. Il poeta si rivolge
zioni stanno rovinando l’Italia. Perché importunate il ai signori d’Italia e chiede perché hanno invitato sol-
vicino? Perché cercate soldati stranieri? Perché pro- dati stranieri (1). Essi non sono venuti qui per am-
vate piacere a veder spargere il sangue? Io parlo per mazzarsi tra loro, ma per depredare il nostro paese.
dire la verità, non per odio verso qualcuno. (5) Non (2). La natura ha innalzato le Alpi per dividerci dai
vedete che questi soldati, arrendendosi, evitano lo tedeschi, ed ora lupi feroci e pecore mansuete vivono
scontro, e si prendono gioco di voi? Riflettete un po’: insieme, e chi ci rimette è sempre il popolo italiano.
come può avere caro qualcuno chi ritiene di valere Eppure essi sono i discendenti di quei popoli che so-
tanto poco, da vendersi? O nobile sangue latino, non no stati così duramente sconfitti da Caio Mario (3) e
ammirare la loro fama, che è immeritata. E, se ci su- da Giulio Cesare. Perché i signori d’Italia vogliono
perano, la colpa è nostra, non della Natura. (6) Non è far guerra ai loro vicini (4)? I soldati stranieri fingono
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 71
di combattere e si prendono gioco dei loro datori di tutti, di lì a poco si fanno vedere. Con due secoli di
lavoro. Non possono essere fedeli a nessuno coloro anticipo il poeta invita i signori d’Italia a non com-
che si mettono in vendita per poco prezzo. La loro mettere errori e a cacciare fuori d’Italia gli stranieri!
fama militare è del tutto infondata (5). Quindi il poeta Il potere politico, ignorante e beota, non lo ascolta nel
fa due riflessioni. a) L’Italia è la terra dove egli è na- presente né nel futuro. Contemporaneamente ad Ario-
to, perciò invita i signori ad avere compassione del sto Machiavelli nel Principe (1512-13) si affanna a
popolo italiano e a fargli prendere le armi contro gli convincere Lorenzino de’ Medici a impugnare una
stranieri invasori (6). b) E poi il tempo vola, e si av- bandiera e a mettersi a capo del popolo italiano per
vicina la morte: nel poco tempo che ci rimane è me- cacciare i barbari fuori d’Italia... Insomma la valuta-
glio pensare alla salvezza ultraterrena che a farsi zione che Petrarca dà sulla classe politica italiana del
guerra (7). Infine il poeta invita la canzone ad andare suo tempo non è quella di uno sprovveduto intellettu-
tra la gente a predicare la pace. ale, che è apolitico e rinchiuso nella sua grettezza e
---I☺I--- nel suo egoismo. È quella di un intellettuale che non
può capacitarsi che si possa vivere a livelli così bassi,
Commento così contingenti, così banali.
1. La canzone è l’atteggiamento più politico che Pe- ---I☺I---
trarca riesce ad esprimere in tutta la sua vita. In realtà
egli non è interessato alla politica ed è lontano dalle Passa la nave mia colma d’oblio,
beghe politiche tra fazioni o tra città e città o tra state- CLXXXIX
rello e staterello che caratterizzano l’Italia del Due-
cento e poi del Trecento. Proiettato com’è nel mondo Passa la nave mia colma d’oblio
dei classici, nella repubblica ideale che lo fa incontra- per aspro mare, a mezza notte il verno,
re con i grandi dell’antichità, egli non capisce né può enfra Scilla et Caribdi; et al governo
capire come si possa perdere tempo in conflitti conti- siede ‘l signore, anzi ‘l nimico mio.
nui, inutili ed estenuanti. La guerra o le piccole guer-
re dei signori non sono i suoi valori. Egli ne ha altri. I
suoi valori non sono effimeri, né contingenti, perciò A ciascun remo un penser pronto et rio
guarda con fatica e con poco interesse ai signori che che la tempesta e ‘l fin par ch’abbi a scherno;
sono incapaci di uscire da un momento storico soffo- la vela rompe un vento humido eterno
cante e senza alternative, per attingere a quella vita di sospir’, di speranze, et di desio.
fuori del tempo che unisce i grandi del passato, del
presente e del futuro. Pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni
2. Petrarca è radicalmente diverso da Dante, che nella bagna et rallenta le già stanche sarte,
Divina commedia (1306-21) esprime le sue idee poli- che son d’error con ignorantia attorto.
tiche, sociali, religiose, scientifiche, che dedica i canti
VI delle tre cantiche ai problemi politici, che si sca- Celansi i duo mei dolci usati segni;
glia duramente contro i principi locali, contro i papi, morta fra l’onde è la ragion et l’arte,
contro gli imperatori, quasi contro Dio, contro i fio-
tal ch’incomincio a desperar del porto.
rentini (Pg VI), che hanno dimenticato il loro ruolo,
la loro missione, il loro ambito, che hanno dimentica-
Passa la nave mia colma d’oblio
to l’Italia e la funzione delle due grandi istituzioni, il
papato e l’impero. Che vede la conflittualità persi-
Passa la mia nave (=la mia vita) piena d’oblio
stente tra i signorotti locali (If XXVII). Non si può
per un mare aspro, a mezza notte, d’inverno,
dire chi, tra i due poeti, ha più ragione (o più torto),
fra gli scogli di Scilla e di Cariddi; e alla guida
poiché hanno valori diversi e vivono in due dimen-
siede il signore, anzi il mio nemico (=il dio Amore).
sioni diverse. Dante è attaccato alla sua Firenze. Pe-
trarca è un personaggio che ha vita, interessi interna-
A ciascun remo siede un pensiero sfrenato e reo,
zionali, e vive ospite di chiunque lo inviti, paghi i
che pare non curarsi della tempesta né della salvezza;
suoi servizi e gli permetta di dedicarsi ai suoi amati
la vela è battuta da un vento umido, continuo,
autori latini. In cambio egli dà lustro con la sua pre-
fatto di sospiri, di speranze e di desideri [vani].
senza e svolge incarichi diplomatici. Giustamente gli
umanisti si ricollegano a lui: hanno gli stessi valori,
La pioggia delle lacrime e la nebbia degli sdegni
gli stessi interessi, la stessa cultura e la stessa menta-
bagna e rallenta le sàrtie ormai stanche (=logore),
lità.
che sono fatte di errore intrecciato con ignoranza.
3. Qui Petrarca si chiede perché i signori d’Italia han-
no invitato milizie straniere per combattere per essi.
Si celano i miei due dolci e consueti segni (=gli occhi
Nel Cinquecento Ariosto si chiede meravigliato come
di Laura); è morta fra le onde la scienza e l’arte
sia possibile che Ludovico il Moro, signore di Mila-
di navigare, tanto che comincio a disperare del porto.
no, abbia potuto chiamare in Italia il re di Francia
contro il re di Napoli: le conseguenze, disastrose per
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 72
Riassunto. Il poeta paragona la sua vita a una nave, veggio fortuna in porto, et stanco omai
che con il mare in tempesta e in una notte d’inverno il mio nocchier, et rotte arbore et sarte,
attraversa uno stretto pericoloso. Al timone siede il e i lumi bei che mirar soglio, spenti.
dio Amore, che è il suo signore, ma anche il suo ne-
mico. Ai remi stanno pensieri sfrenati e colpevoli. E La vita fugge e non si ferma un momento
la vela è spinta dal vento irresponsabile delle passio-
ni. Non ci sono più gli occhi di Laura a guidarlo. È La vita fugge e non si ferma un momento
scomparsa fra le onde la scienza e l’arte di navigare, e la morte le vien dietro a grandi passi;
tanto che ormai egli dispera di raggiungere il porto. e le cose presenti e le passate
mi tormentano, e anche le future;
Commento
1. Il sonetto potrebbe risalire al 1343, quando il poeta e il ricordo e l’attesa mi angosciano
attraversa una profonda crisi spirituale: gli nasce da una parte e dall’altra, così che in verità,
Francesca, la seconda figlia naturale, e il fratello se non avessi pietà di me stesso,
Gherardo si fa monaco, nonostante che egli fosse sarei già fuori di questi pensieri (=mi sarei suicidato).
contrario. Laura poi è lontana da lui, perché egli si
reca a Napoli. Mi torna in mente se il mio cuore infelice ebbe mai
2. Il sonetto è fatto con la consueta abilità letteraria e qualche dolcezza; e poi, dall’altra parte (=al futuro),
con il consueto uso di figure retoriche: il paragone tra vedo i venti scatenati contro la mia navigazione:
la nave e la vita, l’accumulo di situazioni negative nei
primi 11 versi, la lentezza dei versi che con la loro vedo tempesta nel porto (=alla morte), è ormai stanco
gravità accentuano il carattere drammatico della si- il timoniere, sono rotti l’albero e le sàrtie, e spenti
tuazione, l’uso di termini pregnanti già indicati nel i begli occhi (=di Laura), che solevo ammirare.
sonetto iniziale (lacrimar, sdegni, error, ignorantia,
desperar), l’antitesi (signore-nemico), i consueti due Riassunto. Il poeta vede la vita passare in gran fretta e
termini congiunti (“Scilla et Caribdi”, “pronto e rio”, la morte avvicinarsi. Il presente ed il passato lo tor-
“bagna et rallenta”, “la ragion et l’arte”). mentano ed ugualmente il futuro, tanto che egli, se
3. La presenza massiccia, qui come altrove, della re- non avesse pietà di se stesso, si sarebbe già suicidato.
torica anche in questo sonetto che sembrerebbe più Il passato non gli ha dato gioie, il futuro si presenta
sincero di altri pone il problema se il Canzoniere sia minaccioso. Vede la sua vecchiaia sconvolta ancora
sincero o sia una semplice finzione letteraria. Una ri- dalle passioni, egli è ormai stanco e gli occhi di Laura
sposta potrebbe essere questa: il poeta ritiene che sol- si sono spenti.
tanto l’uso estesissimo della retorica sia capace di e-
sprimere adeguatamente i suoi sentimenti. La retorica Commento
è quindi l’abito letterario con cui egli vuole e deve 1. Il sonetto sembra avere un contenuto maggiore di
necessariamente rivestire e travestire i suoi pensieri altri (il riassunto è più lungo della media). In realtà il
ed i suoi sentimenti. E noi siamo costretti a rispettare poeta dimostra di aver raggiunto un controllo ancora
questa sua concezione della retorica e tenerla presente più raffinato del linguaggio, che ora controbilancia
quando leggiamo il Canzoniere. con il contenuto. Le figure retoriche sono numerose,
---I☺I--- ma non si avvertono, in tal modo il contenuto acqui-
sta più spazio e appare in primo piano.
La vita fugge e non s’arresta un’ora, 2. Il sonetto è pieno di figure retoriche: antitesi (fug-
CCLXXII ge/s’arresta, vita/morte, cose presenti/passate, ri-
membrar/aspettar, or quinci/or quindi ecc.); litote
(Non s’arresta); ripetizioni (il secondo verso ripete il
La vita fugge, et non s’arresta una hora, concetto espresso nel primo); metafore (i lumi, cioè
et la morte vien dietro a gran giornate, gli occhi di Laura) ecc. Ricompare la metafora della
et le cose presenti et le passate vita come di una nave e, di conseguenza, del vivere
mi dànno guerra, et le future anchora; come di un navigare, e della morte come del porto.
Addirittura il poeta medita una cosa reale come il sui-
e ‘l rimembrare et l’aspettar m’accora, cidio. Si tratta, come di consueto, di un atteggiamento
or quinci or quindi, sì che ‘n veritate, letterario.
se non ch’i’ ò di me stesso pietate, 3. I motivi del sonetto sono i consueti della poesia pe-
i’ sarei già di questi penser’ fòra. trarchesca: il passato angoscioso, il ricordo del passa-
to, il presente doloroso; il futuro incerto e sconvolto
Tornami avanti, s’alcun dolce mai dalle passioni; l’amore per Laura che non conosce
ebbe ‘l cor tristo; et poi da l’altra parte momenti di debolezza; la vita che passa, che è come
veggio al mio navigar turbati i vènti; una nave, che si dirige verso il porto della morte.
4. Il poeta recupera il motivo classico della vita o del
tempo che fugge. “A gran giornate” è un calco di ma-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 73
gnis itineribus, espressione militare che significa a lettura un po’ attenta mostra il lavoro letterario alle
marce forzate. Sulle meridiane medioevali era scritto spalle: “mali indegni et empi”, “a l’alma disvïata et
tempus fugit o tempus semper fugit. frale”, “in guerra et in tempesta”, “in pace et in por-
5. Il verso finale è riservato abilmente a Laura, che è to” e le diverse e facili contrapposizioni.
in cima a tutti i pensieri del poeta. Il sonetto sembra 2. Il sonetto va confrontato con la canzone di Guido
più sincero di altri proprio perché l’ars dicendi è me- Guinizelli Al cor gentil rempaira sempre amore. Nel-
no visibile, e perciò più efficace. Ed anche perché, la strofa finale il poeta immagina di esser davanti a
diversamente dal solito, gli aggettivi adoperati sono Dio che gli rimprovera di aver amato un essere terre-
pochissimi. no ed effimero, la sua donna, e non Lui e la Regina
---I☺I--- del Cielo. Ed egli risponde che la sua donna aveva
l’aspetto di un angelo disceso dal cielo, perciò non
I’ vo piangendo i miei passati tempi, commise peccato, se l’ha amata. La donna stilnovisti-
CCCLVI ca porta l’uomo a Dio, la donna di Petrarca lo porta
invece al dissidio interiore (la terra e i beni terreni o il
cielo) e al peccato. La salvezza può venire soltanto
I’ vo piangendo i miei passati tempi dalla grazia divina.
i quai posi in amar cosa mortale, ---I☺I---
senza levarmi a volo, abbiend’io l’ale,
per dar forse di me non bassi exempi.
Commento
1. Il sonetto sembra avere un contenuto maggiore di
altri, perché fa un uso misurato di aggettivi. Ma una
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 74
Canzone alla Vergine, CCCLXVI, 1367-72 Canzone alla Vergine
I 1.
Vergine bella, che di sol vestita, O Vergine bella (che splendente come il sole
coronata di stelle, al sommo Sole e coronata di stelle, piacesti al sommo Sole (=Dio)
piacesti sì, che ‘n te Sua luce ascose, a tal punto, che racchiuse in te la sua luce),
amor mi spinge a dir di te parole: l’amore mi spinge a parlare di te:
ma non so ‘ncominciar senza tu’ aita, ma non so iniziare senza il tuo aiuto e quello
et di Colui ch’amando in te si pose. di Colui che per amore s’incarnò nel tuo ventre.
Invoco lei che ben sempre rispose, Invoco colei che sempre rispose
chi la chiamò con fede: a chi la chiamò con fiducia;
Vergine, s’a mercede o Vergine, se mai a pietà
miseria extrema de l’humane cose ti mosse la misera condizione
già mai ti volse, al mio prego t’inchina, della vita umana, ascolta la mia preghiera,
soccorri a la mia guerra, soccorri ai miei affanni,
bench’i’ sia terra, et tu del ciel regina. benché io sia fango e tu regina del cielo.
II 2.
Vergine saggia, et del bel numero una O Vergine saggia, che fai parte del bel numero
de le beate vergini prudenti, delle beate vergini prudenti,
anzi la prima, et con più chiara lampa; anzi sei la prima, e con luce più luminosa;
o saldo scudo de l’afflicte genti o forte scudo delle genti afflitte
contra colpi di Morte et di Fortuna, contro i colpi della Morte e della Fortuna,
sotto ‘l qual si trïumpha, non pur scampa; sotto il quale non solo ci si salva, ma si trionfa;
o refrigerio al cieco ardor ch’avampa o refrigerio al cieco desiderio che brucia
qui fra i mortali sciocchi: qui tra gli sciocchi mortali;
Vergine, que’ belli occhi o Vergine, quei begli occhi
che vider tristi la spietata stampa che videro sofferenti l’impronta crudele delle ferite
ne’ dolci membri del tuo caro figlio, sul corpo del tuo amato figlio,
volgi al mio dubbio stato, volgi al mio incerto stato, che smarrito
che sconsigliato a te vèn per consiglio. viene a te per aver consiglio.
III 3.
Vergine pura, d’ogni parte intera, O Vergine pura, immacolata in ogni tua parte,
del tuo parto gentil figliola et madre, figlia e madre del tuo nobile parto,
ch’allumi questa vita, et l’altra adorni, che illumini questa vita e abbellisci l’altra,
per te il tuo figlio, et quel del sommo Padre, per mezzo di te e del sommo Padre, tuo figlio,
o fenestra del ciel lucente altera, o finestra del cielo luminosa e superba,
venne a salvarne in su li extremi giorni; venne a salvarci negli ultimi giorni del mondo;
et fra tutt’i terreni altri soggiorni e fra tutte le altre donne
sola tu fosti electa, tu sola fosti prescelta,
Vergine benedetta, o Vergine benedetta,
che ‘l pianto d’Eva in allegrezza torni. che tramuti in allegria il pianto d’Eva.
Fammi, ché puoi, de la Sua gratia degno, Rendimi, poiché tu puoi, degno della sua grazia,
senza fine o beata, o infinitamente beata,
già coronata nel superno regno. già coronata in paradiso.
IV 4.
Vergine santa d’ogni gratia piena, O Vergine santa, piena di ogni grazia,
che per vera et altissima humiltate che grazie alla tua sincera e nobilissima umiltà
salisti al ciel onde miei preghi ascolti, salisti al cielo, da dove ascolti le mie preghiere,
tu partoristi il fonte di pietate, tu partoristi la fonte di pietà
et di giustitia il sol, che rasserena e il sole di giustizia, che rasserena
il secol pien d’errori oscuri et folti; il secolo pieno d’errori, oscuri e numerosi;
tre dolci et cari nomi ài in te raccolti, tre dolci e cari nomi unisci in te,
madre, figliuola et sposa: madre, figlia e sposa;
V 5.
Vergine sola al mondo senza exempio, O Vergine unica al mondo e senza uguali,
che ‘l ciel di tue bellezze innamorasti, che facesti innamorare il cielo della tua bellezza,
cui né prima fu simil né seconda, a cui fu uguale né prima né seconda,
santi penseri, atti pietosi et casti santi pensieri, atti pietosi e casti
al vero Dio sacrato et vivo tempio fecero nella tua verginità feconda
fecero in tua verginità feconda. un tempio vivente consacrato al vero Dio.
Per te pò la mia vita esser ioconda, La mia vita può essere gioconda, o Maria,
s’a’ tuoi preghi, o Maria, o Vergine dolce e pietosa,
Vergine dolce et pia, se grazie alle tue preghiere,
ove ’l fallo abondò, la gratia abonda. dove l’errore abbondò, la grazia abbonda.
Con le ginocchia de la mente inchine, Con le ginocchia della mente inchinate
prego che sia mia scorta, ti prego di essere la mia scorta
et la mia torta via drizzi a buon fine. e si rivolgere la mia vita a buon fine.
VI 6.
Vergine chiara et stabile in eterno, O Vergine luminosa e stabile in eterno,
di questo tempestoso mare stella, stella per questo mare tempestoso,
d’ogni fedel nocchier fidata guida, guida fidata di ogni navigatore,
pon’ mente in che terribile procella rivolgi il pensiero alla terribile tempesta
i’ mi ritrovo sol, senza governo, in cui io mi ritrovo solo, senza timoniere,
et ò già da vicin l’ultime strida. e ho già vicine le ultime parole [della mia vita].
Ma pur in te l’anima mia si fida Ma la mia anima peccatrice
peccatrice, i’ no ‘l nego, si affida a te, io non lo nego,
Vergine; ma ti prego o Vergine; ma ti prego
che ‘l tuo nemico del mio mal non rida: che il tuo nemico non rida della mia dannazione:
ricorditi che fece il peccar nostro, ricordati che i nostri peccati
prender Dio, per scamparne, fecero che Dio s’incarnasse
humana carne al tuo virginal chiostro. nel tuo grembo virginale, per salvarci.
VII 7.
Vergine, quante lagrime ò già sparte, O Vergine, quante lacrime ho già versato invano,
quante lusinghe et quanti preghi indarno, quante lodi e quante preghiere, solamente
pur per mia pena et per mio grave danno! per accrescere la mia pena e il mio grave tormento!
Da poi ch’i’ nacqui in su la riva d’Arno, Da quando io nacqui sulla riva dell’Arno,
cercando or questa et or quel’altra parte, percorrendo ora questa, ora quell’altro paese,
non è stata mia vita altro ch’affanno. la mia vita non è stata altro che affanno.
Mortal bellezza, atti et parole m’ànno Bellezza, atti e parole mortali mi hanno
tutta ingombrata l’alma. ingombrato l’animo completamente.
Vergine sacra et alma, O Vergine sacra e vivificante, non tardare,
non tardar, ch’i’ son forse a l’ultimo anno. poiché io forse sono alla fine della mia vita.
I dì miei più correnti che saetta I giorni se ne sono andati più velocemente
fra miserie et peccati che una freccia, tra miserie e peccati,
sonsen’ andati, et sol Morte n’aspetta. e mi aspetta soltanto la Morte.
IX 9.
Vergine, in cui ò tutta mia speranza O Vergine, in cui io ripongo tutta la mia speranza,
che possi et vogli al gran bisogno aitarme, ti prego, aiutami nel momento del grande bisogno,
non mi lasciare in su l’extremo passo. non abbandonarmi nel passaggio estremo!
Non guardar me, ma Chi degnò crearme; Non guardare me, ma Chi si degnò di crearmi;
no ‘l mio valor, ma l’alta Sua sembianza, non il mio valore, ma la Sua infinita sembianza
ch’è in me, ti mova a curar d’uom sì basso. che è in me, ti spinga a curare un uomo così misero.
Medusa et l’error mio m’àn fatto un sasso Un amore insano e i miei errori mi hanno trasformato
d’umor vano stillante: in sasso che versa un inutile pianto:
Vergine, tu di sante o Vergine, riempi il mio cuore stanco
lagrime et pïe adempi ‘l meo cor lasso, di lacrime sante e pietose,
ch’almen l’ultimo pianto sia devoto, così che almeno l’ultimo piano sia devoto,
senza terrestro limo, libero da inquietudini,
come fu ‘l primo non d’insania vòto. come il primo non fu privo di follia.!
X 10.
Vergine humana, et nemica d’orgoglio, O Vergine benevola e nemica dell’orgoglio,
del comune principio amor t’induca: ti convinca l’amore per la comune origine:
miserere d’un cor contrito humile. abbi pietà di un cuore pentito e umile.
Che se poca mortal terra caduca Che se son solito amare con così mirabile fedeltà
amar con sì mirabil fede soglio, un po’ di terra mortale di breve durata (=Laura),
che devrò far di te, cosa gentile? che cosa dovrò fare verso di te,
Se dal mio stato assai misero et vile che sei creatur così nobile?
per le tue man’ resurgo, O Vergine, se mi risollevo dalla mia condizione
Vergine, i’ sacro et purgo assai misera e vile grazie al tuo aiuto,
al tuo nome et penseri e ‘ngegno et stile, io consacrerò al tuo nome e purificherò pensieri,
la lingua e ‘l cor, le lagrime e i sospiri. ingegno e stile, lingua, cuore, lacrime e sospiri.
Scorgimi al miglior guado, Guidami al passaggio migliore
et prendi in grado i cangiati desiri. e gradisci i miei desideri ormai cambiati.
XI 11.
Il dì s’appressa, et non pòte esser lunge, Il giorno si avvicina e non può essere lontano,
sì corre il tempo et vola, perché il tempo corre e vola,
Vergine unica et sola, o Vergine unica e sola, ora il rimorso,
e ‘l cor or coscïentia or morte punge. ora il pensiero della morte tormentano il mio cuore.
Raccomandami al tuo figliuol, verace Raccomandami a tuo figlio, vero
homo et verace Dio, uomo e vero Dio,
ch’accolga ’l mïo spirto ultimo in pace. affinché accolga il mio spirito nella pace del cielo.
---I☺I--- ---I☺I---
Riassunto. Il riassunto della ballata è impossibile. O destino o, meglio, della fortuna è affrontato di lì a po-
meglio esso è già sintetizzato nella ripresa: “La gio- co da Ludovico Ariosto (1474-1533) nell’Orlando
vinezza è bella, ma fugge via. È meglio coglierla nel furioso (1503-32), che parla del carattere imprevedi-
presente, perché il futuro è incerto”. Tutto il resto del bile e paradossale della vita umana, e da Niccolò Ma-
contenuto è accessorio, ha valore soltanto come ulte- chiavelli (1469-1527) nel Principe (1512-13), che ri-
riore e coinvolgente ripetizione e dimostrazione della fiuta ogni fatalismo e invita all’azione virile ed ir-
ripresa, che altrimenti risulterebbe una semplice ed ruenta contro tutti gli ostacoli che si frappongono alla
astratta enunciazione. Oltre alla ripresa e al resto del- volontà del principe.
la canzone (Bacco, Arianna, le ninfe ed i satiri), che ------------------------------I☺I-----------------------------
la illustra, la canzone è costituita dal senso di malin-
conia e di disperazione che i versi riescono ad emana- François Villon (1413-dopo 1463) ha una vita assai
re e ad infondere nel lettore (o nell’ascoltatore). Il movimentata che lo porta più volte in galera e a una
contenuto vero della ballata è proprio questo senso condanna a morte che evita grazie ai protettori. Dopo
disperato di malinconia. La ripetizione della ripresa il 1463 fa perdere le sue tracce. Data la vita spericola-
lo rende ossessivo ed esasperato: diventa un ango- ta, che lasciava tracce negli archivi dei tribunali, è
scioso (e non liberatorio) invito a godere finché c’è probabile che sia morto poco dopo. Le sue opere so-
tempo, prima del diluvio imminente. Questo è un ef- no pubblicate nel 1489 ed hanno un grandissimo suc-
fetto inconsueto della figura retorica dell’anafora (o cesso. Se ne fanno moltissime edizioni. Può essere
ripetizione). considerato l’antesignano dei “poeti maledetti” del-
l’Ottocento: Charles Baudelaire e i suoi seguaci.
Commento Scrive il poema giovanile Le lais e Il testamento, che
1. Lorenzo de’ Medici invita a cogliere la giovinezza, s’inseriscono nei filoni culturali e poetici del tempo.
poiché non si può riporre alcuna speranza nel futuro. Le sue poesie più famose sono la Ballata degli impic-
Il poeta sembra presagire le nubi che si stanno adden- cati e la Ballata delle donne del tempo che fu.
sando sull’Italia, che di lì a poco (1494) sarà invasa Il titolo della prima ballata non è dell’autore, quindi
dagli eserciti stranieri. Il fatto paradossale e assurdo è dovrebbe essere il primo verso. Tanto più che il poeta
che sono gli stessi italiani (gli Sforza di Milano) a voleva riservare la sorpresa di scoprire chi erano i
chiamare in Italia gli stranieri contro altri italiani (il protagonisti della ballata. Ma ormai con questo titolo
regno di Napoli). è nota e così resta. Nella seconda ballata l’avverbio
2. Il tema della giovinezza è collegato a quello jadis è un’aggiunta posteriore, ma ormai fa parte del
dell’amore e a quello della felicità. Lorenzo si appro- titolo ufficiale, e resta. Potrebbe essere considerato
pria di un motivo stilnovistico: soltanto chi ha il cuo- una ripetizione inutile.
re insensibile può resistere all’amore. La ballata degli impiccati è stata tradotta liberamente
3. La canzone, che pure invita alla gioia e all’amore, da Fabrizio De André, che assume un altro punto di
è attraversata da una profonda vena di tristezza: sem- vista: in Villon gli impiccati chiedono perdono ai vivi
bra che inviti a godere, perché domani non è più pos- per i loro crimini, nel poeta genovese gli impiccati
sibile farlo e non si può prevedere né dominare ciò accusano la società di averli giustiziati e di non aver
che ci aspetta. Il futuro incombe minaccioso sulla vita avuto pietà per loro.
dell’uomo. Con Lorenzo quindi finisce la fiducia ot- Si esce dalla letteratura italiana per mostrare che cosa
timistica che gli umanisti avevano nelle capacità u- succedeva e come si vedeva la morte e la bellezza
mane di costruire e di dominare il futuro. Il tema del femminile in una cultura vicina.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 125
François Villon (1413-dopo 1463), Ballade La ballata degli impiccati
des pendus, 1462, 1489
Frères humains qui apres nous vivez Fratelli umani che dopo noi vivete,
N’ayez les cuers contre nous endurciz, non abbiate il cuore contro noi indurito,
Car, se pitié de nous pauvres avez, perché, se pietà di noi miseri avete,
Dieu en aura plus tost de vous merciz. Iddio vi darà una ricompensa maggiore.
Vous nous voyez cy attachez cinq, six Qui ci vedete appesi, cinque, sei,
Quant de la chair, que trop avons nourrie, e la carne, che abbiamo troppo nutrito,
Elle est pieça devoree et pourrie, ormai è divorata [dai vermi] e imputridita,
Et nous les os, devenons cendre et pouldre. e noi ossa diventiamo cenere e polvere.
De nostre mal personne ne s’en rie: Del nostro male nessuno ci derida,
Mais priez Dieu que tous nous veuille absouldre! ma pregate Iddio che ci voglia assolvere!
Se frères vous clamons, pas n’en devez Se vi chiamiamo fratelli, non dovete
Avoir desdain, quoy que fusmes occiz aver disdegno, benché siamo impiccati
Par justice. Toutesfois, vous savez dalla giustizia. Tuttavia voi sapete
Que tous hommes n’ont pas le sens rassiz; che gli uomini non hanno troppo senno.
Excusez nous, puis que sommes transis, Poiché siamo trapassati, per noi chiedete perdono
Envers le filz de la Vierge Marie, al Figlio della Vergine Maria:
Que sa grâce ne soit pour nous tarie, che la sua grazia non sia per noi scarsa
Nous préservant de l’infernale fouldre. e ci salvi dal fuoco dell’Inferno.
Nous sommes mors, ame ne nous harie; Noi siamo morti, nessuno ci disprezzi,
Mais priez Dieu que tous nous vueille absouldre! ma pregate Iddio che ci voglia assolvere!
Prince Jhesus, qui sur tous a maistrie, O principe Gesù, che su tutti hai dominio,
Garde qu’Enfer n’ait de nous seigneurie: fa’ che l’Inferno non abbia su di noi signoria:
A luy n’avons que faire ne que souldre. con lui non abbiamo niente a che vedere.
Hommes, icy n’a point de mocquerie; Uomini, qui non c’è posto per lo scherno;
Mais priez Dieu que tous nous vueille absouldre. ma pregate Iddio che ci voglia assolvere!
---I☺I--- ---I☺I---
Riassunto. Il poeta si rivolge al suo signore e alla fine delle donne, ma la loro fama di essere bellissime. La
anche alla Vergine del cielo, e chiede di dire dove so- grafia è quella del francese di oggi.
no Flora, la bella romana, Arcipiada, Taide, Eco, E- 2. Taide è citata da Dante come prostituta e adulatri-
loisa, Berta dai grandi piedi, Erremburgis, Giovanna ce (If XVIII, 127-136): la si poteva considerare con
d’Arco, bruciata a Rouen, e altre donne (per unn tota- indulgenza una donna di liberi costumi, con un senso
le di undici). E ogni volta risponde con un’altra do- forte dell’altruismo e di dedizione al prossimo. Berta
manda: ma dove sono le nevi dell’anno passato? (La dai piedi grandi è considerata bella: ogni epoca ha il
risposta è implicita: esse si sono sciolte ed ora non ci suo concetto di bellezza, su cui non conviene discute-
sono più. Così anche queste donne sono scomparse e re, perché è arbitrario. Giovanna d’Arco (1412-1431)
non ci sono più.) Questa e soltanto questa è la rispo- è citata per ultima ed è la donna “più recente”: 30 an-
sta per il presente come per il futuro, che egli potrà ni prima. Il presente dunque è tristissimo…
avere da lui. 3. Il poeta si rivolge al suo signore, a cui pone una
domanda che interessava lui e tuti gli uomini: dove
Commento sono le donne più belle del passato. E dà ogni volta,
alla fine di ogni strofa di ottave, la stessa risposta, che
1. Le donne citate sono di diverso tipo: leggendarie è un’altra domanda: ma dove sono le nevi dell’anno
(Flora, Taide, la regina senza nome che assassinò Bu- passato? La risposta è immediata: le nevi dell’anno
ridano, Bianca, Beatrice, Alice), mitologiche (la ninfa passato si sono sciolte e sono scomparse. Così le
Eco), storiche (Eloisa, Berta, Eremburgis, Giovanna donne e la loro bellezza. Ma “d’antan” significa sia
d’Arco). Arcipiada è erroneamente un uomo: Alci- “anno passato”, sia un tempo indeterminato del pas-
biade (Atene, 450 a.C.-Frigia, 404 a.C.), un politico sato: “le donne del tempo che fu”. Curiosamente la
Ateniese su cui al tempo si avevano vaghe notizie. La
canzone non sviluppa l’idea che, se le nevi si sono
dodicesima donna è la Vergine Maria, che si contrap- sciolte, poi sono nuovamente cadute e quindi si sono
pone alle altre donne, poiché ha una vita e una bellez- nuovamente sciolte. Insomma le donne scomparse
za immortale. Ciò che conta però non è il numero sono state sostituite da nuove donne, più fresche e più
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 128
appetibili. Altrimenti il mondo sarebbe divenuto pre-
da dei sodomiti.
4. Lo scrittore è abile: la domanda che pone costringe
l’interlocutore a stare maggiormente attento alla bal-
lata. L’effetto sullo spettatore è poi potenziato dal
canto e dalla musica.
5. Il poeta tratta in modo originale il tema classico del
tempo che fugge e divora tutto, anche la bellezza
femminile. Tempus fugit, il tempo fugge, risale alla
cultura romana. Nel Medio Evo era scritto sotto le
meridiane insieme con espressioni equivalenti, spesso
con propensione al macabro:
Dum fugit umbra, simul fugit irreparabile tempus:
mentre l’ombra sulla meridiana si muove, il tempo
fugge irreparabile
Dum loquor, hora fugit: mentre parlo, il tempo passa
(Ovidio)
Ecce venit hora: ecco, viene l’ora della morte
Fugit (o fluit) irrevocabile tempus: scorre inarrestabi-
le il tempo
Fugit hora, ora: la vita passa, prega
Horas tibi serenas: auguro a te ore serene
Latet ultima: l’ultima ora della vita è sconosciuta
Horas tibi serenas: le tue ore passino serenamente
horae volant: le ore volano
Memento mori: ricordati che dovrai morire
Sua cuique hora: a ciascuno la sua ora
Vivere memento: ricordati di vivere
Vulnerant omnes, ultima necat: tutte feriscono,
l’ultima uccide
Una ex iis erit tibi ultima: una di queste sarà l’ultima.
6. Alle due ballate di Villon conviene confrontare gli
idilli di Leopardi: Il sabato del villaggio (il tema della
giovinezza e dell’amore), A Silvia (il tema dell’amore
e della bellezza, delle speranze nel futuro e della de-
lusione), e il Canto notturno di un pastore errante
dell’Asia (il senso della vita umana e la presenza del-
la noia). Sono due mondi, due culture e due epoche
diverse.
7. L ballata si può confrontare con un altro testo fran-
cese, molto anteriore: Jaufré Rudel Jaufré (1125-
1148), L’amore di terra lontana. Il poeta s’innamora
di una donna di cui ha sentito cantare la bellezza e le
virtù. E la va a cercare. Il viaggio è lungo e faticoso, e
giunge stremato e ormai morente a destinazione. La
donna ne è informata, si precipita al suo capezzale.
Ed egli muore felice tra le sue braccia. Un’altra ver-
sione dice che il poeta non fa niente per andarla a
cercare. Così il suo amore resta puro e idealizzato e la
donna non è mai messa a confronto con la realtà, nel-
la quale perde la sua bellezza e invecchia. Un poeta
pieno di buon senso.
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37. Vediamo una balena, la più grande che si fosse Astolfo è felice dell’amore che la maga prova per lui.
mai vista per i mari: undici passi e più mostra le sue Questo amore però finisce con la stessa rapidità con
spalle fuori delle onde salate. Tutti insieme cadiamo cui era incominciato: dopo tre mesi la maga si stanca
nello stesso errore, perché era ferma e perché non si di lui e lo trasforma in mirto. Così il paladino non
era mai mossa: credemmo che essa fosse un’isoletta, può andare in giro a sparlare di lei; e lei arricchisce il
così distanti tra loro erano testa e coda. suo giardino.
38. La maga Alcina faceva uscire i pesci dall’acqua Riassunto. Dopo un lungo volo con l’ippogrifo Rug-
con semplici parole e con puri incantesimi. Ella era giero discende su un’isola meravigliosa. Scende da
nata con la fata Morgana, non so dire se contempora- cavallo, lega l’animale a un cespuglio e si rinfresca il
neamente, o prima, o dopo. La maga Alcina mi guar- volto accaldato con l’acqua di un ruscello lì vicino.
dò, e subito le piacque il mio aspetto, come mostrò Ma il cavallo si imbizzarrisce e il cespuglio si mette a
subito. E pensò di separarmi dai compagni con parlare. Lo prega di slegare le briglie del cavallo dal
l’astuzia e con l’ingegno. E il piano le riuscì. suo fusto, perché lo feriscono. Ruggiero lo fa. Poi il
cespuglio racconta la sua storia. È Astolfo, uno dei
39. Ci venne incontro con il viso lieto e con modi paladini di Carlo Magno. La maga Alcina lo vede, se
graziosi e riverenti, e disse: “O cavalieri, se vi fa pia- ne innamora, lo separa dai suoi compagni, quindi lo
cere di restare oggi con me, vi farò vedere, mentre porta nella sua isola. Qui gli dichiara il suo amore.
pesco, specie differenti di tutti i pesci: quello che ha Astolfo è felice e a sua volta si sente innamorato. E
le scaglie, quello che è molle, quello che ha il pelo. folleggia con la donna. Lei si dedicava sempre a lui e
Essi saranno più numerosi delle stelle che sono nel lui a lei. Pensava che l’amore fosse eterno, ma dopo
cielo. tre mesi lei si stanca di lui e lo trasforma in cespuglio,
con cui adorna il suo giardino, come aveva fatto con
40. E, se volete vedere una sirena, che con il suo dol- tutti gli amanti precedenti. Così abbellisce il giardino
ce canto accheta il mare, passiamo da questa all’altra e lui non va in giro a sparlare di lei.
spiaggia, dove a quest’ora è sempre solita tornare”. E
ci mostrò quella balena grandissima, che, come dissi, Commento
pareva un’isoletta. Io, che fui sempre avventato nelle 1. Astolfo è il più saggio, il più razionale e il più re-
decisioni (e me ne rincresce), salii sopra quel pesce. sponsabile dei paladini... Orlando, il più forte dei pa-
ladini, diventa pazzo soltanto perché una donna lo ha
41. Rinaldo mi accennava, come Dudone, di non an- respinto. Ruggiero non ha né tempo, né voglia, né ca-
dare; ma non servì a niente. La maga Alcina, con il pacità per preoccuparsi di se stesso: ci pensa il mago
viso sorridente, lascia gli altri due e sale dietro di me. Atlante o Bradamante e, comunque, è sempre gradito
La balena, pronta a partire, se ne andò a nuoto per le e desiderato per la sua bellezza, e, finché non si spo-
onde salate. Mi pentii subito della mia sciocchezza, sa, può stare sicuro. Anche Astolfo però ha le sue de-
ma ormai mi trovavo troppo lontano dalla spiaggia. bolezze: si vanta perché ha fatto innamorare più di
qualche donna di sé (non dice però come abbia fatto).
42. Rinaldo si cacciò nell’acqua a nuoto per aiutarmi E non si dimostra troppo rapido di mente, perché non
e quasi annegò, perché si alzò un vento furioso, che capisce l’intenzione che la maga ha su di lui. Rinaldo
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almeno cerca di sottrarlo alle grinfie della donna. Poi scenza e di valutazione della realtà del suo tempo. La
però, dopo i primi momenti di timore, è contento dei ragione si dimostrava incapace di interpretare e ancor
propositi e della disponibilità amorosa della maga. più di dominare gli avvenimenti politici che dramma-
Non ha molte pretese per essere contento: basta che ticamente si susseguivano. Occorreva una rete con-
una donna s’innamori di lui (o almeno lo dica). Non cettuale più vasta, occorreva la rete del mondo
si accorge nemmeno di essere un uomo-oggetto: la dell’immaginazione, da lanciare sulla realtà. Lo stru-
donna lo usa (e lui è contento), si stanca e lo butta. O, mento era all’altezza della situazione: erano più in-
meglio, poiché non vuole sprecare niente dei suoi credibili i fatti che accadevano nella realtà o i fatti
amanti, lo trasforma in mirto per il suo giardino. È immaginati nel poema? Era più incredibile l’inva-
vero però che non se la prende troppo della sua sven- sione dell’Italia oppure un cavallo che vola o un dia-
tura di essere stato trasformato in mirto: il ricordo dei logo tra un uomo e un mirto?
piacevoli momenti passati con la maga ha il soprav- ---I☺I---
vento. E, fedele alla sua saggezza, dà a Ruggiero
buoni consigli che il paladino non ascolta. In seguito La maga Alcina, VII, 9-19
riacquista le sembianze umane e va sulla luna per ri-
prendere il senno di Orlando. Qui scopre che non a- Ruggiero incontra la maga Alcina nel suo castello. E
veva tutto il suo senno, come credeva... non può credere che sia malvagia, come gli ha detto
2. La maga Alcina rappresenta la donna lussuriosa, Astolfo, trasformato in mirto, perché è bellissima.
che ha e che pratica una concezione sensuale dell’a-
more. Essa ha le idee chiare su ciò che vuole dalla vi- 9. La bella Alcina venne un pezzo avanti, verso Rug-
ta: soddisfazioni fisiche procurate da una processione giero fuori delle prime porte, e lo accolse con un a-
interminabile di amanti, che licenzia e trasforma in spetto signorile, in mezzo alla bella e onorata cor-
alberi, non appena la stancano. In tal modo, giudizio- te. Da tutti gli altri tanto onore e tante riverenze furo-
samente, unisce il dilettevole – gli amanti – all’utile – no fatte al forte guerriero, che non potrebbero far più,
il possesso di un bel giardino –: gli amanti, una volta se Dio fosse sceso tra loro dal cielo più alto.
usati, vengono trasformati in piante e vanno ad arric-
chire il vasto giardino dell’isola... La donna però in 10. Il bel palazzo era eccellente non tanto perché vin-
tal modo ottiene anche un altro risultato: evita che es- ceva ogni altro palazzo per ricchezza, quanto perché
si, per il fatto di essere stati licenziati, si vendichino e aveva la più piacevole gente che fosse al mondo e di
sparlino di lei. Il proprio buon nome va sempre dife- più gentilezza. Poco era differente l’un dall’altro per
so... età fiorita e per bellezza: soltanto Alcina era la più
3. Davanti ad Astolfo le reazioni della maga sono ve- bella di tutti, così come il sole è più bello d’ogni stel-
locissime: lo vede, se ne innamora subito, escogita e la.
attua il piano di isolarlo dai suoi compagni e di rapir-
lo, quindi dichiara il suo amore. Dopo tre mesi, men- 11. Di persona era tanto ben formata, quanto di me-
tre il paladino è ancora “innamorato”, lei è già stanca glio i bravi pittori sanno immaginare. Ha la bionda
e lo trasforma in un bel cespuglio. La donna è indub- chioma lunga e annodata: l’oro non risplende né ab-
biamente lussuriosa, ma Astolfo ha l’innamoramento baglia di più. Sulle guance delicate si spargeva un co-
facile e di poche pretese, poiché cerca soltanto la lore misto di rose e di ligustri. e di terso avorio aveva
soddisfazione dei sensi. la fronte lieta, che completava il volto in una giusta
4. La maga Alcina si inserisce nella galleria di perso- proporzione.
naggi femminili creati dal poeta: Angelica, l’ideale
concreto di femminilità; Bradamante, la donna astuta 12. Sotto i due neri e sottilissimi archi delle sopracci-
e guerriera; la maga Alcina, la donna lussuriosa e glia aveva due occhi neri, anzi due chiari soli, pietosi
sensuale. Il poema presenta però numerosi altri per- a riguardare, a muovere parchi. Intorno ad essi pare
sonaggi femminili, ognuno dei quali si distingue e si che l’Amore scherzi e voli, e che da lì tutta la faretra
caratterizza rispetto a tutti gli altri. scarichi e che visibilmente rubi i cuori. Da qui il naso
5. Con la figura di Alcina Ariosto rovescia la figura scende in mezzo al viso, che l’invidia non trova ne-
sociale della donna, che in genere è sempre passiva. anche un punto da migliorare.
Con la figura di Astolfo riversa la sua ironia sulla fi-
gura maschile: il paladino è l’uomo più saggio del 13. Sotto il naso sta, quasi fra due vallette, la bocca
poema, ma senza opporre alcuna resistenza perde la sparsa di nativo cinabro. Qui due filze sono di perle
testa per la prima donna che incontra e che si dice elette, che un bello e dolce labbro chiude ed apre. Da
“innamorata” di lui. Egli prima subisce l’amore, poi qui escono le cortesi parolette da render molle ogni
subisce la trasformazione in mirto. Nell’ipotesi mi- cuor rozzo e scabro. Qui si forma quel soave sorriso,
gliore quindi gli uomini sono passivi e succubi delle che apre a sua posta il paradiso in terra.
donne...
6. I poemi tradizionali erano opere d’evasione oppure 14. Bianca neve è il bel collo, e il petto è latte; il collo
che celebravano il lettore-committente. Ariosto riesce è tondo, il petto colmo e largo. Due pomi acerbi, e
a trasformare la sua opera in uno strumento di cono- pure fatti d’avorio, vanno e vengono come onda al
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primo margine (=sulla spiaggia), quando una brezza Angelica e l’eremita, VIII, 47-50
piacevole combatte il mare. Argo con i suoi cento oc-
chi non potrebbe vedere le altre parti. Ben si può giu- Angelica in una delle sue numerose disavventure fi-
dicare che corrisponde a quel che appare di fuori quel nisce nelle mani di un eremita, che la consola con pa-
che si nasconde. role belle e devote e intanto le accarezza i seni e le
guance rigate di lacrime. Poi cerca di andare oltre…
15. Le braccia mostrano la loro giusta misura; e la
candida mano spesso si vede lunghetta alquanto e di 47. L’eremita comincia a confortarla con alquante ra-
larghezza angusta, dove né nodo appare né vena ec- gioni belle e devote. E, mentre parla, pone le mani
cede. Alla fine si vede il breve, asciutto e rotondetto audaci ora per il seno, ora per le gote bagnate di la-
piede della persona augusta. Gli angelici sembianti crime. Poi più sicuro va per abbracciarla; ella sdegno-
nati in cielo non si possono celare sotto alcun velo. setta lo percuote con una mano sul petto e lo rispinge,
e tutta si tinge d’onesto rossore.
16. In ogni parte del suo corpo aveva teso un laccio
(=una trappola), che parli, sorrida, canti o muova un 48. Egli, che aveva una tasca a lato, la aprì e ne trasse
passo. Non c’è da meravigliarsi se Ruggiero è cattu- un’ampolla di liquore; e negli occhi possenti, onde
rato, poiché la trova tanto ben disposta verso di lui. sfavilla la più rovente fiaccola ch’abbia Amore,
Quel che di lei aveva già sentito dire dal mirto spruzzò di quel leggermente una stilla, che ebbe la
(=Astolfo), che è perfida e malvagia, poco gli giova, capacità di farla dormire. Giace supina sulla sabbia a
perché non gli sembra che l’inganno o il tradimento tutte le voglie del vecchio rapace.
possano stare con un così soave sorriso.
49. Egli l’abbraccia e la tocca a piacere, ma ella dor-
Riassunto. La maga Alcina viene incontro a Ruggiero me e non può difendersi. Ora le bacia il bel petto, ora
e lo accoglie con un volto gentile. La corte della don- la bocca. E non vi è chi lo veda in quel luogo selvag-
na lo riceve con onore e riverenze. La maga era la più gio e solitario. Ma nell’incontro il suo destriero tra-
bella di tutti i presenti. Aveva un corpo ben formato, bocca, perché il corpo infermo non risponde al suo
le guance color di rosa, la fronte color dell’avorio. desiderio. Non era più adatto, perché aveva troppi
Aveva occhi che lanciavano frecce. Aveva la bocca anni; e potrà fare peggio, quanto più lo costringi.
rossa, due file di denti che sembravano perle e un sor-
riso luminoso. Il petto era colmo e largo. I seni erano 50. Tenta tutte le vie, tutti i modi, ma quel pigro roz-
acerbi e oscillanti. Si può pensare che quel che teneva zone non per questo salta. Invano gli scuote il freno e
nascosto sotto le vesti fosse bello come quello che si lo tormenta. Non riesce a fargli tenere alta la testa.
vedeva. Ogni parte del suo corpo era un laccio amo- Alla fine si addormenta presso la donna e un’altra
roso. Non c’è da meravigliarsi se Ruggiero è cattura- nuova sciagura ancora lo assalta: la Fortuna non co-
to. Saperla perfida e malvagia, come aveva detto A- mincia mai per poco, quando piglia a scherno e a gio-
stolfo, poco gli giova, perché è impensabile che co un mortale.
l’inganno e il tradimento possano stare con un sorriso
così soave. Riassunto. L’eremita cerca di confortare Angelica e
le palpeggia i seni e le guance bagnate di lacrime. Poi
Commento cerca di abbracciarla, ma lei lo respinge. Lui allora la
1. Ruggiero incontra la maga Alcina nel suo palazzo addormenta con una goccia di liquore. Lei è distesa
e circondata dalla sua corte. La donna è bellissima e sulla sabbia, nelle sue mani. Lui l’abbraccia e la tocca
non potrebbe essere più bella. Ogni parte del suo cor- a piacere Ella dorme e non può difendersi. Le bacia il
po è attraente e si trasforma in una trappola amorosa. petto e la accarezza, poi cerca di violentarla, ma il
Il guerriero sa da Astolfo che è perfida e malvagia, corpo infermo non risponde al desiderio e il suo arne-
ma poco gli giova, perché non gli sembra che se non reagisce. Invano cerca di fargli alzare la testa.
l’inganno o il tradimento possano stare con un sorriso Alla fine si addormenta accanto alla donna.
così soave.
2. Le bellezze della maga nascoste sotto le vesti sono Commento
appena accennate. Sono ampiamente descritte invece 1. Il vecchio eremita ha Angelica nelle sue mani.
quelle di Olimpia, che era stata offerta come cibo Prima la palpeggia, poi cerca di violentarla, ma il suo
all’orca (XI, 67-71). rozzone non ce la fa. Insiste, ma invano: non ne vuol
3. La maga Alcina era una ninfomane, sempre affa- proprio sapere. Allora si addormenta accanto alla
mata di sesso, come le donne dell’excursus di Astol- donna. Ariosto sviluppa più volte il tema dell’eroina
fo, re dei Longobardi, e Giocondo (XXVIII, 1-74). in mortale pericolo, che poi, in un modo sempre sor-
Ma le ninfomani esistono soltanto nei romanzi o nei prendente, esce indenne dai guai. Il tópos rimane an-
poemi come questo e sono una semplice proiezione cora oggi nei romanzi d’intrattenimento e nei film più
dei desideri maschili. o meno d’autore. Il lettore o lo spettatore, come la let-
---I☺I--- trice o la spettatrice si immedesimano nella situazione
di pericolo, senza però correrla materialmente.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 141
2. Un altro paradosso del poema: l’eremita ha Ange- scioltezza a voce fioca e lamentosa, ma non proseguì,
lica nelle sue mani, addormentata e distesa sulla sab- perché lo fece restare dentro il gran rumore che si
bia, insomma in suo potere e pronta all’uso. E po- sentì nel mare.
trebbe possederla, ma il suo armese non ce la fa. Egli
lo stimola, ma invano, alla fine desiste dal suo propo- 100. Ecco apparire lo smisurato mostro mezzo nasco-
sito e la donna è “salva”, lo stupro non è consumato. sto nell’onda e mezzo sorto. Come un lungo naviglio,
3. “Il destriero” è il pene dell’uomo, che non nitrisce sospinto da Borea o da Ostro, suole venire ad attrac-
né scalpita più: sono ricordi della giovinezza. Ma il care in porto, così la bestia orrenda viene al cibo, che
desiderio sessuale rimane pure forte, anche in un cor- le è mostrato. E l’intervallo è breve. La donna è mez-
po ormai debilitato dagli anni. In seguito Ruggiero si za morta di paura, né per il conforto altrui si rassicu-
prepara a fare la stessa cosa (sempre) con Angelica, ra.
ma il suo “arnese” (=l’armatura) gli fa perdere tempo
(X, 114). Il paladino non riesce a slacciarla e a to- [Ruggiero combatte strenuamente contro il mostro.
gliersela in fretta e ancora una volta la donna è salva. Alla fine lo stordisce con lo scudo fatato, fa salire
4. Dopo il mago Atlante (IV, 15-40) il vecchio eremi- Angelica sul cavallo alato e parte velocemente: il mo-
ta è il secondo personaggio anziano che si incontra stro non è morto.]
nel poema. Ma i due vecchi sono accomunati sola-
mente dagli anni. Per il resto sono del tutto diversi. 114. Qui il bramoso cavaliere fermò l’audace corso
Lo scrittore presta attenzione anche ai vecchi. del cavallo, discese nel prato e fece raccogliere al suo
---I☺I--- destriero le penne, ma non a un altro [uccello] che più
le aveva distese. Sceso del destriero, appena si trat-
Angelica legata allo scoglio, X, 95-115 tenne di salire l’altro [uccello]; ma l’arnese (=l’arma-
tura) lo trattenne, lo trattenne l’arnese, che doveva
Angelica è legata nuda a uno scoglio, per essere sa- togliere, e contro il suo desiderio aveva messo le
sbarre [all’uccello].
crificata al mostro marino che minaccia il villaggio.
Ma dal cielo arriva il salvatore.
115. In frettta e furia, si levava confusamente le armi
ora da questo, ora da quel lato. Non gli parve in altra
95. La fiera gente inospitale e cruda alla bestia crude- occasione di impiegare tanto tempo, perché, se scio-
le espose sulla spiaggia la bellissima donna, così i- glieva un laccio, ne annodava due. Ma, o Signore, il
gnuda come Natura prima la compose. Non ha neppu- canto è ormai troppo lungo e forse anche l’ascolto vi
re un velo, in cui richiudere i bianchi gigli e le vermi- è divenuto gravoso. Così io rimando la mia storia a
glie rose (che non appassiscono a luglio né a dicem- un altro momento, in cui sia più gradita.
bre), di cui sono cosparse le sue membra levigate.
Riassunto. La gente inospitale aveva legato Angelica
96. Ruggiero avrebbe creduto che fosse una statua nuda allo scoglio, per darla in pasto all’orca assassi-
finta o d’alabastro o d’altri marmi pregiati, così av- na. Per caso Ruggiero passa di lì, vede la donna, pen-
vinta sullo scoglio per motivi artistici da abili sculto- sa che sia una statua, ma si accorge che piange e poi
ri, se non vedeva la lacrima distinta tra fresche rose e la riconosce. Allora scende per liberarla. Ma proprio
candidi ligustri ricoprire di rugiada i pomi acerbi dei in quel momento esce dal mare l’orca. Il paladino e il
seni, e l’aria sventolare le chiome dorate. mostro ingaggiano una durissima lotta. Alla fine il
primo stordisce l’animale, che giace esanime. Poi li-
97. E, come nei begli occhi fissò i suoi occhi, si ri- bera Angelica, la fa salire sul suo cavallo e spiccano
cordò della sua Bradamante. Pietà e amore a un tem- il volo. Fa scendere il cavallo in un boschetto, cerca
po lo trafissero e appena si trattenne di piangere. E di liberarsi in fretta e furia delle armi, per violentare
disse dolcemente alla donzella, dopo che frenò le la donna, ma si intrica con le sue mani e perde tempo.
penne del suo destriero: “O donna, degna soltanto A questo punto il poeta tronca il canto, perché è già
della catena con cui Amore mena legati i suoi servi, troppo lungo e non vuole annoiare il suo Signore. Il
lettore immagina il seguito: Ruggiero alla fine si libe-
98. e ben di questo e d’ogni male indegna, chi è quel ra delle armi e con soddisfazione violenta la ragazza.
crudele che con una volontà perversa, legandoti al Ma ha una sorpresa… Ruggero e anche lo spettatore.
sasso in preda a un livore importuno, segna l’avorio
terso di queste belle mani?” Forza è che, a quelle pa- Commento
role, ella divenga quale è un bianco avorio asperso di 1. Lo scrittore nota che la donna con le mani cercava
grani (=arrossisca), vedendo di sé quelle parti ignude, di coprire come poteva il suo corpo nudo, ma invano.
che la vergogna nasconde, anche se sono belle. Sottolineando il suo pudore, Ariosto accende ancor
più i desideri degli ascoltatori.
99. E si sarebbe coperta il volto con la mano, se non 2. Il canto potrebbe essere intitolato: La bella, la be-
erano legate al duro sasso; del pianto, che almeno non stia e l’eroe. La diade (senza l’eroe) o la triade (con
le era tolto, lo cosparse, e si sforzò di tenerlo basso. l’eroe) diventano un tópos letterario e, nel secolo
E, dopo alcuni singhiozzi, incominciò a parlare con
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scorso, anche cinematografico. I contrasti sono sia sul 66. E nella luce dei begli occhi accende lo strale dora-
piano fisico, sia sul piano di mondo interiore dei tre to e lo smorza (=raffredda) nel ruscello, che scende
protagonisti. L’orca è la furia cieca, la furia distrutti- tra fiori bianchi e rossi: e, dopo averlo temprato, tira
va, che pretende vittime in nome della sua forza. De- di forza contro il giovane, che né scudo difende, né
ve soddisfare la sua fame. maglia doppia, né scorza di ferro, che, mentre sta ad
3. Ruggiero cerca di togliersi le armi in fretta e furia, ammirare gli occhi e le chiome della donna, si sente il
perché Angelica è nuda ed egli vuole cogliere l’oc- cuore ferito, e non sa come.
casione per violentarla. Ma nella fretta si ingarbuglia
con le sue mani e spreca troppo tempo. E all’im- 67. Le bellezze d’Olimpia erano di quelle che sono
provviso l’occasione sfuma. La vita è il colpo di for- più rare: non aveva belle soltanto la fronte, gli occhi,
tuna durano appena pochi secondi e il ritardo, seppur le guance e le chiome, la bocca, il naso, gli omeri e la
minimo, impedisce di cogliere il colpo di fortuna. gola; ma, discendendo giù dalle mammelle, le parti
4. Il poeta tronca il canto all’improvviso, perché la che soleva coprire con la veste, furono di tanta eccel-
storia ormai è divenuta troppo lunga e potrebbe esse- lenza, che forse potevano essere anteposte a tutte
re anche noiosa. Lo farà anche con la storia della paz- quelle che il mondo (=le altre donne) aveva.
zia di Orlando (XXIII, 136). Possiamo anche non
credergli e pensare che abbia voluto interrompere il 68. Vincevano di candore le nevi intatte ed erano più
canto sul più bello: i suoi lettori e i suoi ascoltatori che avorio lisce a toccare. Le poppe rotondette pare-
immaginavano già lo stupro della bella Angelica. Ma vano latte che hai appena appena tolto dai giunchi
rimandando lo stupro e poi non realizzandolo, evita [dove era stato messo a cagliare]. Fra loro discendeva
che ricada la vergogna sugli eroi positivi del suo po- un tale spazio, quale vediamo che mostrano le valli
ema. ombrose fra colli piccolini, nella stagione più favore-
5. Anche un’altra donna fa la fine di Angelica ed è vole, quando l’inverno le ha appena ricoperte di neve.
legata al sasso, per essere sacrificata, è pero salvata
fortunosamente da Orlando. Si chiama Olimpia ed era 69. I fianchi abbondanti e le belle anche, il ventre
stata abbandonata dal marito (XI, 67-71), che (a piatto, levigato più che uno specchio, e le cosce bian-
quanto pare) era del tutto insensibile alla sua bellezza. che parevano fatti al tornio da Fidia o da una mano
Ed anche lei avrebbe pagato in natura, se non ci fos- ancora più esperta. Vi devo dire anche di quelle parti,
sero stati degli imprevisti. Ma intanto Oberto vede e che ella pure desiderava invano celare? Dirò insom-
descrive minuziosamente Olimpia dalla testa ai piedi ma che in lei dal capo ai piedi, quanta bellezza può
e il lettore si immedesima in lui e nella paradisiaca esistere, tutta si vede.
visione che ha. La vita si ripete, ma, come diceva
Guicciardini, gli esempi non sono mai uguali agli e- 70. Se fosse stata nelle valli Idee vista da Paride, il
sempi precedenti. pastore frigio, io non so quanto Venere, anche se vin-
---I☺I--- ceva le altre dee, avesse portato il vanto di essere la
più bella. Né forse sarei andato nelle contrade Ami-
Olimpia è vista nuda da re Oberto, XI, 64- clee a violare il santo ospizio; ma avrei detto: “Resta
71 con Menelao, Elena pure; perché io non voglio altra
[donna] che questa”.
Orlando uccide l’orca che doveva divorare Olimpia, 71. E, se costei fosse stata a Crotone, quando Zeusi
che era stata legata nuda allo scoglio. La libera dalle iniziò a dipingere l’immagine, che doveva porre nel
catene e pensa a come ricoprila, perché è nuda. Ma tempio di Giunone, e accolse insieme tante belle don-
giunge Oberto, re d’Ibernia, che aveva sentito i rumo- ne nude; e, per farne una perfetta, prese da chi una
ri dello scontro. Vede la donna nuda ed è colpito dalla
parte e da chi un’altra, non doveva prendere altra che
sua bellezza, che guarda in modo attento e sistemati- costei, perché tutte le bellezze erano in lei.
co, dalla testa ai piedi. Così il lettore odierno scopre
qual era il modello di bellezza femminile del tempo. Riassunto. Re Oberto vede Olimpia nuda, perché era
stata appena liberata dallo scoglio, e la descrive in
64. […] Mentre raccontava [d’essere stata abbando- modo ordinato dalla testa in giù. Olimpia è bellosso-
nata da Bireno, il marito], i begli occhi sereni della ma, ha la pelle candida, i seni rotondi, i fianchi larghi,
donna (=Olimpia) erano pieni di lagrime. le anche armoniose. Sembrava scolpita da Fidia in
persona. Se Paride, che doveva indicare la dea più
65. Il suo bel viso era quale in primavera talvolta suo-
bella delle tre davanti a lui, l’avesse vista, avrebbe
le essere il cielo, quando la pioggia cade e nello stes- preferito lei a Venere e a Elena. Per dipingere una
so tempo il sole si sgombra intorno il velo di nubi. E donna perfetta, Zeusi prese da molte donne. Se avesse
come allora l’usignolo mena dolci carole (=danze, qui visto lei, avrebbe preso tutto da lei.
canti) tra i rami dell’albero, così il dio Amore si ba-
gna le piume alle belle lacrime e gode al chiaro lume.
Riassunto. Ricciardetto dice di essere la donna che 3. Chi vuole passi tre o quattro pagine, senza leggerne
Fiordispina amava e di aver subito un incantesimo, verso, e chi pur vuole leggere, gli dia quella medesi-
che lo ha trasformato in uomo. Fiordispina ci crede, si ma credenza che si suole dare a finzioni e a fole. Ma
scioglie e si concede con passione. Ricciardetto ne ritorniamo al nostro racconto. Dopo che vide i pre-
approfitta e se la frulla per qualche mese, con soddi- senti pronti ad ascoltarlo e a fargli spazio davanti al
sfazione reciproca. Poi la cosa si viene a sapere. cavaliere (=Rodomonte), l’oste incominciò così la
Giunge alle orecchie del re, che condanna il giovane storia.
ad esser bruciato vivo, una situazione incresciosa, da
cui lo toglie l’intervento di Ruggiero. Poi egli raccon- 4. «Astolfo, re dei Longobardi, quello a cui il fratello
ta al salvatore tutta la storia, con il compiacimento di monaco lasciò il regno, fu nella sua giovinezza così
un maschio che racconta ad un altro maschio le sue bello, che mai pochi altri giunsero a quel grado di
imprese amorose. bellezza. Con il pennello Apelle o Zeusi (o se vi è
qualcuno più abile di loro) avrebbe a fatica disegnato
Commento un’immagine altrettanto bella. Era bello, ed a ciascu-
1. L’episodio mette in scena due giovani che si incon- no appariva bello: ma egli di molto si riteneva ancor
trano per caso: Ruggiero salva Ricciardetto dal rogo, più bello.
Ricciardetto lo ripaga raccontandogli la sua storia.
Per frullare Fiordispina, dice di essere la donna che la 5. Egli non stimava tanto di avere ognuno a lui infe-
ragazza amava e di essere stato trasformato in uomo riore per l’altezza del suo grado, perché di genti e di
da un incantesimo… La donna ci crede, si scioglie e ricchezza era il maggiore di tutti i re vicini; quanto
si concede. I due frullano come matti per alcuni mesi, che di presenza e di bellezza aveva per tutto il mondo
ma poi il sovrano lo viene a sapere e sono guai. l’onore del primo posto. Godeva di questo, sentendosi
2. Fiordispina credeva di essere o voleva essere lesbi- lodare, quanto di cosa che si ode più volentieri.
ca, ma provava soltanto un profondo sentimento di
amicizia verso l’amica del cuore, scambiata per amo-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 149
6. Tra i suoi cortigiani aveva assai grato Fausto Lati- come voglio ritornare al più tardi fra due mesi. Né il
ni, un cavaliere romano. Con questi sovente si lodava re mi farebbe oltrepassare d’un giorno il segno (=la
ora del bel viso ora della bella mano. Un giorno gli data del ritorno), neanche se mi donasse metà del suo
domandò se mai aveva veduto, vicino o lontano, un regno.”
altro uomo con un aspetto così bello. Contro quello
che si aspettava, gli fu risposto. 14. Ma la donna non si riconforta. Dice che si piglia
troppo tempo; e, se al ritorno non la trova morta, non
7. “Dico” rispose Fausto, “che secondo che io vedo e può essere se non gran meraviglia. Il dolore, che
che sento dire da tutti, nella bellezza hai pochi pari al giorno e notte la fa penare, non le lascia gustare cibo
mondo, e questi pochi io li restringo ad uno soltanto. né le lascia chiudere occhio, tanto che per la compas-
Quest’uno è un mio fratello, detto Giocondo. Eccetto sione Giocondo spesso si pente di aver fatto la pro-
lui, ben crederò che tu ti lasci molto indietro ognuno messa al fratello.
per la bellezza. Credo che soltanto costui ti raggiunga
e ti sorpassi.” 15. Ella si sciolse dal collo un suo monile, che aveva
una crocetta ricca di gemme e di sante reliquie che un
8. Al re parve impossibile udire una cosa simile, per- pellegrino boemo raccolse in molti luoghi. Costui,
ché fino ad allora aveva ritenuto sua la palma della venendo a morte, l’aveva lasciata in eredità al padre
bellezza; e gli venne un grande desiderio di conoscere di lei, che lo aveva ospitato in casa quand’era tornato
il giovane che era stato così lodato. Fece pressioni su infermo da Gerusalemme. Se la levò e la diede al ma-
Fausto, che dovette promettere di far venire qui il fra- rito.
tello, benché sarebbe stato difficile indurlo a venire.
E gli disse la causa: 16. Lo prega che la porti al collo per suo amore, af-
finché si ricordi sempre di lei. Il dono piacque al ma-
9. suo fratello era un uomo che in vita sua non aveva rito, che lo accettò, non perché il monile dovesse far-
mai messo piede fuori di Roma; si era dedicato con gli ricordare la moglie: né il tempo né l’assenza, né la
tranquillità e senza affanni al bene che la Fortuna gli buona o la cattiva fortuna, a cui andava incontro, po-
aveva concesso; né aveva mai accresciuto né diminui- tevano mai far vacillare quella memoria salda e forte
to la roba, che il padre gli aveva lasciato in eredità. che ha sempre di lei e che avrà anche dopo la morte.
Ed a lui Pavia parrebbe lontana più che ad un altro
non parrebbe Tanais sul mar Nero. 17. La notte, che precedette l’aurora che fu il termine
estremo per la partenza, pare che muoia in braccio al
10. Ma la difficoltà maggiore sarebbe stata riuscire ad suo Giocondo la moglie, che tra poco deve restare
allontanarlo dalla moglie, con cui era legato da tanto senza di lui. Nessuno dorme; e un’ora prima del gior-
amore, che se lei non voleva una cosa, neanche lui no il marito viene per l’ultimo saluto. Montò a caval-
poteva volerla. Pure, per ubbidire a lui che gli è si- lo e partì effettivamente. La moglie si ricoricò nel let-
gnore, disse che andava e che avrebbe fatto l’im- to.
possibile. Alle preghiere il re aggiunse tali offerte e
tali doni, che non gli lasciò alcun motivo per rifiutar- 18. Giocondo non aveva ancora percorso due miglia,
si. che si ricordò della crocetta, che la sera prima aveva
messo sotto il guanciale e che poi per dimenticanza
11. Così partì, e in pochi giorni si ritrovò a Roma aveva lasciata lì. “Lasso!” diceva tra sé, “quale scusa
dentro le case paterne. Qui pregò tanto, che smosse il mai troverò che risulti accettabile, affinché mia mo-
fratello e lo persuase a venire dal re. E, benché fosse glie non creda che il suo amore infinito sia da me po-
difficile, riuscì anche a tacitare la cognata, mostran- co gradito?”
dole il bene (=i vantaggi) che ne deriverebbe, oltre
all’obbligo che egli avrebbe sempre avuto verso di 19. Pensa ad una scusa, ma si accorge che essa non
lei. sarebbe accettabile né buona, se manda servi o se vi
manda altra gente, ma non vi andasse egli stesso di
12. Giocondo fissò il giorno della partenza. Intanto persona. Si ferma e al fratello dice: “Ora sprona len-
trovò cavalli e servitori. Si fece fare dei vestiti per tamente fino al primo albergo di Baccano, perché de-
mostrarsi elegante, perché talvolta un bel manto ac- vo per forza ritornare a Roma. Credo però di poterti
cresce la bellezza. La moglie, di notte al suo fianco e raggiungere per strada.
di giorno intorno a lui, con gli occhi di tanto in tanto
pieni di pianto, gli dice che non sa come potrà sop- 20. Nessun altro potrebbe fare il mio bisogno, e non
portare la sua lontananza senza morire; dubitare, perché io sarò ben presto con te.” Voltò il
ronzino di trotto, disse a Dio (=lo raccomanda a Dio,
13. perché, soltanto a pensarci, nel fianco sinistro si lo saluta) e non volle con sé alcun servo. L’oscurità
sente strappare il cuore dalle radici. “Deh, o vita mia, della notte incominciava già a fuggire davanti al sole,
non piangere” le dice Giocondo, e tra sé e sé egli non quando passò il fiume Tevere. Smonta da cavallo, en-
piange di meno; “questo viaggio mi sia felice, così
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tra in casa e va al letto. Qui ritrova la consorte pro- 28. A Fausto rincresce di vedere il fratello ridotto a
fondamente addormentata. un simile stato, ma molto più gli rincresce di apparire
del tutto bugiardo a quel principe, davanti al quale lo
21. Alzò la cortina senza dir parola, e vide quello che aveva lodato. Aveva promesso di mostrargli il più
meno credeva di vedere: la sua casta e fedele moglie, bello di tutti gli uomini e invece gli mostrava il più
sotto la coltre, giaceva in braccio a un giovane. Rico- brutto. Ma, continuando la sua via, lo condusse con
nobbe subito l’adultero, per la lunga pratica che ne sé fin dentro a Pavia.
aveva. Era un garzone della sua servitù, di umili ori-
gini, che egli aveva allevato. 29. Non vuole che il re lo veda all’improvviso, per
non mostrarsi privo di giudizio. Ma con una lettera lo
22. Se restò attonito e scontento, è meglio pensarlo e avvisa in anticipo che suo fratello arriva appena vivo;
dare credito ad altri, piuttosto che farne mai esperien- e che all’aria del bel viso un affanno di cuore (ac-
za di persona, come con gran dolore fece costui. As- compagnato da una febbre perniciosa) era stato tanto
salito dallo sdegno, provò il desiderio di estrarre la nocivo, che più non pareva quello che era di solito.
spada e di ucciderli ambedue. Ma l’amore che, a suo
dispetto, porta all’ingrata moglie, glielo impedì. 30. Il re gradì la venuta di Giocondo quanto si può
gradire la venuta di un amico. Al mondo non aveva
23. L’Amore, questo dio briccone (vedi quanto l’a- desiderato cosa altrettanto, che vedere lui. Né gli di-
veva fatto suo servo), non gli permise nemmeno di spiacque di vederlo secondo, e rimanere dietro [a lui]
destarla, per non darle il dolore che egli la cogliesse per la bellezza, anche se riconosce che, se non fosse
in fallo così grande. Quanto più poté, uscì di casa ammalato, gli sarebbe superiore o uguale.
senza far rumore, scese le scale e rimontò a cavallo.
E, spronato dall’amore, così spronò il cavallo, che 31. Quando giunge, lo fa alloggiare nel suo palazzo,
raggiunse il fratello prima che questi giungesse lo visita ogni giorno, ne chiede notizie continuamen-
all’albergo. te. Si dà da fare in tutti i modi che sia a suo agio, e si
impegna assai e prova piacere ad onorarlo. Giocondo
24. A tutti parve che fosse cambiato nel volto, tutti invece è abbattuto, perché lo rode sempre il pensiero
videro che non aveva il cuore lieto. Ma non vi è alcu- malvagio che ha della moglie che lo ha tradito. Né lo
no che indovini neppure lontanamente la causa e pos- spettacolo dei giochi, né l’ascolto della musica pos-
sa penetrare nel suo segreto. Credevano che li avesse sono diminuire il dramma del suo dolore.
lasciati per andare a Roma e invece era andato a Cor-
neto. Tutti capiscono che l’amore è la causa del male, 32. Le sue stanze, che sono le ultime presso il tetto,
ma nessuno sa dire in che modo. hanno davanti una sala antica. Qui si ritraeva i solitu-
dine, perché ogni diletto ed ogni compagnia gli era
25. Il fratello pensa che sia addolorato perché ha la- insopportabile, aggiungendo sempre al petto di più
sciata la moglie sola. Invece egli è pieno di rabbia e gravi pensieri nuova fatica. Ma qui trovò (chi lo cre-
di dolore per il motivo contrario, perché era rimasta derebbe?) chi lo sanò della sua piaga sanguinante.
troppo accompagnata. L’infelice sta con la fronte cor-
rugata e con le labbra gonfie di pianto, e guarda sol- 33. In capo alla sala, dove è più buio, perché non si
tanto per terra. Fausto, che usa ogni mezzo per con- usa di aprire le finestre, vede che il palco si congiun-
fortarlo, conclude poco, perché non ne sa la causa. ge male con il muro, e fa uscire un raggio di luce più
chiaro. Pone qui l’occhio, e vede quello che sarebbe
26. Gli unge la piaga con un unguento contrario e, duro a credere a chi lo udisse raccontare. Egli non lo
dove dovrebbe togliere, gli accresce il dolore, dove ode da altri, ma lo vede con i suoi occhi. Ma neanche
dovrebbe farla rimarginare, più la apre e la rende ai suoi occhi vuole proprio credere.
pungente. Gli fa questo ricordandogli la moglie. Non
riposa né di giorno né di notte: il sonno fugge lontano 34. Attraverso la fessura scopriva tutta la stanza più
con il desiderio di mangiare, ed egli non riesce mai a segreta e più bella della regina: nessuna persona vi
prenderlo. La faccia, che prima era così bella, si cam- verrebbe introdotta, se ella non l’avesse ritenuta mol-
bia a tal punto, che non sembra più quella. to fedele. Poi, guardando, vide che un nano era avvi-
ticchiato con quella in una strana lotta: e quel piccoli-
27. Pare che gli occhi si nascondano nella testa (=so- no era stato così bravo, che aveva messo la regina di
no completamente infossati). Il naso pare accresciuto sotto.
nel viso scarno. Gli resta così poca bellezza, che non
potrebbe fare alcun paragone. Con il dolore venne 35. Attonito e stupefatto, e credendo di sognare, Gio-
una febbre così molesta, che lo fece soggiornare nelle condo stette per un pezzo a guardare. E, quando vide
acque del fiume Arbia e dell’Arno. E, se aveva con- che ciò accadeva realmente e non in sogno, credette a
servato qualcosa di bello, ben presto restò come una se stesso. “A un mostro gobbo e deforme dunque”
rosa colta [e lasciata] al sole. disse, “si sottomette costei, che ha per marito il re più
40. Se da Giocondo il re bramava udire da dove ve- 48. In incognito cercarono donne in Italia, in Francia,
nisse l’improvviso conforto, non meno Giocondo lo nelle terre dei Fiamminghi e degli Inglesi. E quante
desiderava raccontare, e informare il re di tanta ingiu- ne vedevano di bella guancia, trovavano tutte cortesi
ria; ma non voleva che, più di se stesso, il re volesse alle loro preghiere. Davano, ed era loro data la man-
punire la moglie per quel torto. Così volendo dirglielo cia. E spesso riguadagnavano i danari spesi. Essi pre-
senza far danno a lei, fece giurare il re sull’agnusdei. garono molte donne, ma anche altrettante pregarono
loro.
41. Lo fece giurare che né per una cosa detta, né per
una cosa spiacevole che gli fosse mostrata, benché 49. Soggiornando in questa terra un mese, in quella
egli riconosca che danneggiava direttamente sua due, si accertarono con una vera prova che la fedeltà
Maestà, farà mai vendetta presto o tardi. Vuole anco- e la castità si trova non meno nelle loro, che nelle al-
ra che il re taccia, così che il malfattore non com- trui femmine. Dopo qualche tempo increbbe ad am-
prenda mai, per un fatto o una parola, che il re lo sa. bedue di procacciare sempre nuove prede, perché mal
potevano entrare nelle case altrui senza mettersi a ri-
42. Il re, che potrebbe credere ad ogni altra cosa, se schio di morte.
non a questa, gli giurò largamente. Giocondo gli ma-
nifesta la causa, per cui era stato addolorato per molti 50. È meglio trovarne una che di faccia e di costumi
giorni: aveva trovata quella disonesta di sua moglie sia gradita ad ambedue, li soddisfi tutti e due insieme
fra le braccia di un suo vile dipendente; e tale pena e non ne debbano mai essere gelosi. “E perché” dice-
alla fine lo avrebbe ucciso, se il conforto avesse tar- va il re, “voglio che mi dispiaccia di avere te più che
dato a venire. un altro come compagno? So bene che in tutto il
grande numero delle femmine non ce n’è una che si
43. Ma in casa di sua Altezza aveva veduto qualcosa accontenti soltanto di un uomo.
che gli scemava molto il dolore, perché, sebbene fos-
se caduto in obbrobrio, era almeno sicuro di non esse-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 152
51. Una, senza abusare delle nostre energie, ma quan- 59. La fanciulla si stringe nelle spalle e risponde che
do il bisogno naturale inviti, ci goderemo in festa e in fu troppo lento a venire. Il Greco piange e sospira, e
piacere, e non avremo mai contese né liti. Né credo intanto finge: “Mi vuoi” dice, “lasciar morire così?
che ella si debba dolere: anche se ogni altra avesse Con le tue braccia almeno cingimi i fianchi e lasciami
due mariti, più che ad un solo, a due sarebbe fedele; sfogare tanto desiderio: prima che tu parta, ogni mo-
né forse si udirebbero tante lamentele.” mento che io sto con te mi fa morire contento.”
52. Il giovane romano parve rimanere molto contento 60. La fanciulla, impietosita, rispondendo: “Credi”
di quello che il re aveva detto. Dunque ben fermi in diceva, “che non lo desidero meno di te. Ma non pen-
tale proposito, cercarono tra le molte montagne e in so che sia né il luogo né il tempo qui, dove tanti occhi
molte pianure. Infine trovarono, secondo il loro inten- ci guardano.” Il Greco soggiungeva: “Sono certo che,
to, la figlia di un oste spagnolo, che aveva un albergo se tu mi ami un terzo di quel che io ti amo, tu troverai
nel porto di Valenza, bella di modi e bella di presen- almeno in questa notte il modo per poterci godere un
za. poco insieme.”
53. Era ancora tenerella sul fiorire della sua primave- 61. “Come potrò” gli diceva la fanciulla, “se di notte
ra e di età ancora acerba. Il padre era gravato di molti giaccio sempre in mezzo a loro due e con me ora
figli ed era nemico mortale della povertà (=tirchio e l’uno ora l’altro si trastulla e sempre a uno di loro mi
avido). Così fu facile convincerlo a dar loro la figlia trovo in braccio?” “Questo per te non sarà una diffi-
in possesso; che potessero condurla dove piacesse lo- coltà” soggiunse il Greco, “perché ben ti saprai to-
ro, dopo che avevano promesso di trattarla bene. gliere da questo impaccio e uscire di mezzo loro, pur-
ché tu lo voglia. E devi volerlo, se t’importa qualcosa
54. Pigliano la fanciulla, e ne hanno piacere ora l’uno di me.”
ora l’altro in carità e in pace, come a vicenda i manti-
ci che danno, ora l’uno ora l’altro, fiato alla fornace. 62. Ella pensa alquanto, poi gli dice di venire quando
Quindi se ne vanno a vedere tutta la Spagna, e passa- potrà credere che ognuno dorma; e pianamente come
rono poi nel regno di Siface (=in Africa). Il giorno convenga fare, e lo informa dell’andare e del tornare.
che partirono da Valenza vennero ad albergare a Zat- Il Greco, come ella gli aveva indicato, quando sente
tiva (=Jativa). dormire tutta la torma (=padroni e servi), viene
all’uscio e lo spinge, e quello gli cede. Entra pian pia-
55. I padroni vanno a vedere strade e palazzi, luoghi no e va a tentoni con il piede.
pubblici e chiese, perché hanno l’abitudine di pigliare
simili piaceri in ogni città in cui entrano come pere- 63. Fa lunghi passi, e si appoggia sempre sul piede di
grini. Invece la fanciulla resta con la servitù. Altri dietro. Pare che muova l’altro come se temesse di ur-
servi badano ai letti, altri ai ronzini, altri hanno cura tare oggetti di vetro. Non pare che debba calpestare il
che sia apparecchiata la cena al rientro dei loro signo- terreno, ma le uova. E tiene la mano davanti a sé con
ri. lo stesso proposito. Va brancolando finché non trova
il letto: e là dove gli altri avevano le piante dei piedi,
56. Nell’albergo stava come servo un garzone, che si cacciò silenziosamente con il capo in avanti.
già stette al servizio del padre in casa della giovane, e
di essa fu amante fin dai primi anni, e godette del suo 64. Fra l’una e l’altra gamba di Fiammetta, che gia-
amor. Si riconobbero subito, ma non lo diedero a ve- ceva supina, venne diritto. Quando le fu a pari, la ab-
dere, perché ognuno di loro temeva di esser notato. bracciò stretta e si tenne sopra di lei fin quasi all’alba.
Ma non appena i padroni e la servitù glielo per- Cavalcò forte e non andò a staffetta, perché non do-
misero, si guardarono tra loro negli occhi. vette mai mutare bestia. Questa pare a lui che trotti
così bene, che non ne vuole scendere per tutta notte.
57. Il servo domandò dove ella andasse e quale dei
due signori l’avesse con sé. La Fiammetta (così aveva 65. Sia Giocondo sia il re avevano sentito il calpestio
nome, e quel garzone il Greco) raccontò il fatto a che aveva scosso il letto per tutta la notte; e sia l’uno
puntino. “Quando sperai che venisse, ohimè!, il tem- sia l’altro, ingannati dallo stesso errore, avevano cre-
po” il Greco le diceva, ”di vivere con te, Fiammetta, duto che fosse il compagno. Dopo che ebbe fornito il
anima mia, tu te ne vai, e non so se ti rivedrò mai più. suo camino, il Greco se ne tornò com’era venuto. Il
sole lanciò i suoi raggi dall’orizzonte (=giunse l’al-
58. I miei dolci progetti si fanno amari, poiché tu sei ba). Fiammetta si alzò e fece entrare i paggi.
di un altro e da me ti allontani. Con gran fatica e gran
sudore io avevo messo da parte alcuni danari, che a- 66. Il re, motteggiando, disse al compagno: “Fratello,
vevo avanzato dai miei salari e dalle mance di molti devi aver fatto molto cammino; ed è ben tempo che ti
ospiti. E progettavo di tornare a Valenza, domandarti riposi, quando sei stato a cavallo tutta notte.” Gio-
a tuo padre per moglie e sposarti.” condo rispose a lui di rimando e disse: “Tu dici quel-
76. Passando fra quei mucchi, il paladino chiede [no- 83. Esso era come un liquido sottile e molle, facile da
tizie] alla guida ora di questo ora di quello. Vide un evaporare, se non si tiene ben chiuso, e si vedeva rac-
monte di vesciche piene d’aria, entro le quali si senti- colto in diverse ampolle, chi più chi meno capienti,
vano tumulti e grida. Seppe che erano le antiche co- adatte a quello scopo. La più grande di tutte era quel-
rone degli Assiri, dei Lidi, dei Persiani e dei Greci, la in cui era versato il gran senno del folle signore di
che un tempo furono illustri e che ora sono quasi sco- Anglante (=Orlando) ed era distinta dalle altre, per-
nosciuti. ché fuori aveva scritto “Senno d’Orlando”.
77. Vede lì vicino in gran quantità rami d’oro e 84. Allo stesso modo tutte le altre ampolle avevano
d’argento: erano i doni che si fanno a re, a principi e a scritto il nome di coloro, dei quali era stato il senno.
protettori con la speranza di ricevere ricompensa. Il duca (=Astolfo) vide gran parte del suo senno, ma
Vede lacci nascosti nelle ghirlande e chiede e ode che molto più meravigliare lo fecero molti, che egli cre-
deva che non ne avessero neanche un briciolo di me-
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no e che qui davano chiaramente la notizia che ne te- troppo stanca. E lo scrittore deve variare i sapori, i
nevano poco, perché la maggior parte era in quel luo- colori e i profumi.
go. 2. Ariosto tratteggia la sua filosofia della follia: l’u-
manità – vuoi per un motivo, vuoi per un altro – è tut-
85. Alcuni lo perdono in amore, altri negli onori, altri ta pazza. Tanto vale essere indulgenti. Prima dell’in-
[lo perdono] in cerca di ricchezze percorrendo i mari, dulgenza però c’è una capacità acutissima ed anche
altri nelle speranze dei signori, altri [lo perdono] cor- amara di vedere le cose, gli uomini, le spinte più pro-
rendo dietro a magiche sciocchezze (=le scienze oc- fonde (e niente affatto nobili) delle loro azioni. Chis-
culte), altri in gemme, altri [lo perdono] in opere di sà, forse gli uomini trovano nella pazzia il senso della
pittori ed altri in altro che apprezzano più di ogni al- loro esistenza, che non hanno saputo trovare nella ra-
tra cosa. Qui è raccolto molto senno di filosofi e di gione. La descrizione della corte, che pure era il luo-
astrologi ed anche di poeti. go ideale in cui vivere, è precisa, pacata e disincanta-
ta. Ma la realtà, gli uomini non si possono cambiare.
86. Astolfo prese il suo, perché glielo permise l’auto- 3. Il mondo poetico di Ariosto si può opportunamente
re dell’oscura Apocalisse. Egli si mise soltanto sotto confrontare con i valori e gli ideali, che emergono
il naso l’ampolla, in cui era, e pare che quello se ne dalla Gerusalemme liberata di Tasso, che è scritta e
sia andato al suo posto. Turpino (=un amico del pala- pubblicata qualche decennio dopo (1581). Ariosto ha
dino) da quel momento in poi confermò che Astolfo una visione scettica e disincantata della vita: gli uo-
visse saggiamente per lungo tempo, ma che un errore, mini perdono il loro tempo in cose superficiali, per
che fece poi, fu la causa che gli levò il cervello quanto volute e piacevoli; e devono fronteggiare quo-
un’altra volta. tidianamente circostanze impreviste ed imprevedibili.
87. Astolfo prese l’ampolla più capiente e più piena, Tasso crede intimamente nei valori sociali e religiosi
nella quale si trovava il senno, che doveva rendere che canta, e propone un poema incentrato sul motivo
saggio il conte Orlando. E non è così leggera, come religioso – la liberazione del santo Sepolcro da parte
stimò quando essa era nel mucchio con le altre. dei crociati – e sulla lotta tra il bene ed il male, con la
vittoria finale del bene. Sia i caratteri dei due poeti sia
Astolfo porta l’ampolla a Orlando, gliela fa annusare, la situazione umana e culturale in cui scrivono sono
e il cervello, quasi per miracolo, torna al suo posto. completamente diversi: Ariosto scrive nel Rinasci-
Così Orlando può ritornare a combattere e rovesciare mento maturo (1490-1530) e mostra le infinite com-
le sorti traballanti dell’esercito cristiano. Il poema si binazioni della vita; Tasso scrive dopo il concilio di
conclude con un duplice lieto fine: la vittoria dell’e- Trento (1545-63), nell’età della Controriforma, e si
sercito cristiano su quello pagano; e il matrimonio di preoccupa di riportare il lettore ai doveri sociali e re-
Bradamante con Ruggiero (che intanto si è fatto cri- ligiosi, costantemente minacciati dal fascino dei beni
stiano). Le nozze possono essere veramente felici, e dei valori mondani.
perché non sono più minacciate dalla profezia, se- 4. L’analisi che Ariosto fa dell’uomo, della società e
condo cui egli sarebbe morto dopo la loro celebrazio- della realtà può essere opportunamente confrontata
ne. con le riflessioni che Machiavelli fa confluire nel
Principe (1512-13): il primo è ironico ed indulgente,
Commento il secondo è pessimista ma fiducioso nella virtù del
1. Astolfo è il più saggio dei paladini e va sulla luna a principe. Peraltro la “realtà effettuale”, che Machia-
recuperare il cervello di Orlando, perché l’esercito velli si vanta di aver scoperto, non trova sempre un
cristiano ha bisogno del paladino. Recuperare il sen- riscontro empirico: Ariosto descrive senza illusioni le
no per andare a combattere è indubbiamente un segno corti e i comportamenti meschini ed opportunistici
di saggezza e di razionalità... Nell’episodio il saggio dei principi. Machiavelli invece attribuisce al principe
Astolfo (ma anche lui in seguito riperde il cervello...) una volontà super-umana, capace di opporsi e di im-
presenta, commenta e, in alcuni casi, condanna dura- porsi alla fortuna avversa, ma anche la passione poli-
mente le follie degli uomini. La condanna è dura e, tica e una dedizione totale al bene comune, cioè a
una volta tanto, senza indulgenza per quanto riguarda conservare, a consolidare, ad allargare lo Stato e a di-
la miseria morale delle corti, sia dei cortigiani, sia fenderlo da nemici interni ed esterni.
dei signori (eppure la corte per il poeta era il luogo ------------------------------I☺I-----------------------------
ideale in cui vivere), le promesse, non mantenute, che
si fanno a Dio quando si è morti, la donazione di Co-
stantino... Sulla donazione di Costantino era interve-
nuto Dante, con versi di estrema durezza (If XIX, 88-
117), ma anche Lorenzo Valla (1405-1457), che nel
1440 ne aveva dimostrato la falsità. I versi di questo
episodio sono gli unici in cui Ariosto condanna senza
ironia e senza indulgenza fatti umani. Ma anche ciò
rientra nel suo senso della misura e della varietà. Il
1. Resta ora da vedere quali debbano essere i modi e i Riassunto. Machiavelli si chiede come il principe si
comportamenti di un principe verso i sudditi (=in deve comportare in pubblico e in privato. E si richia-
pubblico) e i collaboratori (=in privato). E, poiché io ma alla “realtà effettuale”, cioè alla realtà dei fatti.
so che molti hanno scritto su questo argomento, temo, Egli vuole parlare di quel che effettivamente succede
se lo tratto anch’io, di essere ritenuto presuntuoso, e non di quello che dovrebbe succedere. Non intende
perché, affrontando la materia, mi allontano comple- parlare di repubbliche ideali, che non sono mai esisti-
tamente dalle posizioni altrui. Ma, poiché il mio pro- te; vuole fare un discorso utile. Quindi introduce una
posito è quello di scrivere cosa utile a chi la com- serie di valori opposti, una virtà e il vizio corrispon-
prende, mi è parso più conveniente andare dietro alla dente: liberale-taccagno, pietoso-crudele, coraggioso-
realtà effettuale (=la realtà dei fatti) in discussione, vigliacco, credente-miscredente. E conclude che sa-
che a ciò che si immagina su di essi. E molti si sono rebbe molto lodevole se il principe avesse tutte le
immaginati repubbliche e principati che non si sono qualità ritenute positive. Ma, poiché ciò è difficilis-
mai visti né riconosciuti esistenti nella realtà. E c’è simo o impossibile, perché le condizioni umane non
tanta differenza tra come si vive da come si dovrebbe lo permettono, allora deve evitare i vizi che gli fareb-
vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello beo perdere lo Stato e, se non vi riesce, può abban-
che si dovrebbe fare, impara a rovinarsi, piuttosto che donarsi ai vizi che non glielo farebbero perdere. . Il
a preservarsi. Un uomo che in ogni occasione voglia principe, se vuole mantenere il potere, deve perciò
comportarsi bene, va inevitabilmente incontro alla comportarsi in modo tale da non perdere lo Stato.
rovina in mezzo a tanti che si comportano non bene
(=male). Perciò è necessario che un principe, che vo- Commento
glia conservare il potere, impari a comportarsi non 1. Il testo contiene l’espressione pregnante “realtà ef-
bene (=male) e a usare questa sua capacità quando fettuale”, cioè la realtà dei fatti, che distingue reci-
serve. samente i fatti dalle cose che sui fatti si sono imma-
2. Pertanto, lasciando da parte le cose che su un prin- ginate. Come applicazione di questo concetto segue,
cipe sono state immaginate e discutendo di quelle che subito dopo, il riscontro che c’è una frattura tra ciò
sono vere, dico che tutti gli uomini (quando si parla che si dovrebbe fare e ciò che invece si fa; e il consi-
di essi, e soprattutto di principi, che sono posti più in glio che si deve agire tenendo presente ciò che gli al-
alto) sono giudicati per alcune di queste qualità, che tri fanno, non ciò che dovrebbero fare. Se si agisce in
recano loro o biasimo o lode. Così qualcuno è ritenu- base a come si dovrebbe agire, si causa inevitabil-
to generoso, qualcuno misero (=taccagno) (usando un mente la propria rovina. Perciò il principe deve impa-
termine toscano, perché avaro nella nostra lingua è rare ad essere anche “non buono”, e deve saper usare
colui che cerca di arricchirsi anche con la rapina, in- questa sua capacità, se è necessario, cioè se le circo-
vece misero è colui che risparmia eccessivamente); stanze lo richiedono.
qualcuno è ritenuto generoso nel far doni, qualcuno 1.1. L’autore si allontana subito dalla realtà effettuale
rapace; qualcuno crudele, qualcun altro pietoso; uno che decanta: parla di un principe italiano del Quat-
che rompe i patti, l’altro che mantiene la parola data; trocento che sta conquistando e consolidando il pote-
l’uno debole e vigliacco, l’altro deciso e coraggioso; re e dimentica che al suo tempo i principi europei a-
l’uno affabile, l’altro superbo; l’uno lussurioso, l’al- vevano risolto questo problema (la Spagna, ultima
tro casto; l’uno sincero, l’altro astuto; l’uno ostinato, arrivata, è riunificata nel 1492) e dovevano preoccu-
l’altro disponibile; l’uno fermo nelle sue decisioni, parsi di governare lo Stato, come Botero (1589) ben
l’altro volubile; l’uno credente, l’altro non credente, e capisce. I lettori critici non hanno mai notato questo
così via. Ed io so che ognuno ammetterà che sarebbe errore.
molto lodevole che, di tutte queste qualità, un princi- 1.2. La scelta della “realtà effettuale” va incontro an-
pe avesse quelle che sono ritenute buone. Ma, poiché che a un altro errore, che si può esprimere con un e-
non si possono avere tutte né osservare interamente, sempio: vedo un adulto che dà denaro a un ragazzo.
perché le condizioni umane non lo permettono, è ne- Ho informazioni sufficienti per capire che cosa suc-
cessario che sia tanto prudente da saper fuggire l’in- cede? La risposta è no: potrebbe essere un padre che
famia di quei vizi che gli farebbero perdere lo Stato, e dà denaro al figlio; o il datore di lavoro che paga il
astenersi da quelli che non glielo farebbero perdere, dipendente; o un adulto che paga le prestazioni ses-
se vi riesce; ma, se non vi riesce, vi si può abbando- suali del ragazzo. Quando valuta il comportamento
nare con minore riguardo. E inoltre non si deve cura- dei principi e li propone come esempi, l’autore pensa
re di cadere nell’infamia di quei vizi, senza i quali sempre di avere informazioni sufficienti sull’esempio
difficilmente potrebbe conservare lo Stato, perché, se proposto. Ma è facile vedere che non le ha. Inoltre
si considera bene tutta la questione, si troverà qualche non sa che lo Stato emana le leggi e che il principe le
qualità che appare virtù e, seguendola, lo porterà alla può usare a suo uso e consumo. Non occorre che
rovina; e qualcun’altra che appare vizio e, seguendo- ammazzi o faccia ammazzare gli avversari politici. Al
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 160
tempo di Dante si confiscavano i beni della parte av- Grecia) ha trasformato in leggi. Roma emana le leggi
versa e la si mandava in esilio. scritte (diritto pubblico e privato) nel 551-50 a.C. e le
1.3. Ma l’errore più insidioso a cui va incontro la espone in pubblico: le leggi delle dodici tavole, ben
scelta della “realtà effettuale” è un altro: l’autore ha più complesse dei dieci comandamenti. In conclusio-
visto i principi agire. E, per il fatto di aver visto, pen- ne il principe infrange leggi dello Stato e con questa
sa di aver capito tutto e di essere capace di compor- infrazione deve fare i conti, non con i comandamenti
tarsi come loro. Se bastasse guardare il maestro di della Chiesa, che può ignorare. Ma né l’autore né i
bottega, per imparare un’arte, allora le scuole e gli suoi estimatori se ne accorgono.
apprendistati sarebbero superflui. E invece si deve 3.2. Ancora, né l’autore né i suoi ammiratori si ac-
fare esperienza diretta, apprendistato, sotto il control- corgono che lo Stato emana le leggi, che il principe
lo del magister. Lo scrittore non ha mai fatto espe- ha la legge dalla sua parte e la può usare: ogni Stato
rienza diretta di quello che vuole insegnare al princi- ha leggi che vietano la sedizione. I sediziosi perciò si
pe. Ha visto la realtà effettuale soltanto per il buco possono incarcerare, quindi processare e condannare
della serratura. Inutile notare che i suoi lettori e am- legalmente. Non occorre farli assassinare da sicari. La
miratori non si sono mai accorti di questa sua svista. storia di Firenze era un esempio sotto gli occhi: il
Non basta vedere una partita a scachi, per imparare a colpo di Stato contro Lorenzo de’ Medici (1478).
muovere i pezzi e vincere la partita… 4. In conclusione Machiavelli valuta virtù e vizi non
2. La discussione su essere e dover essere continua con un criterio morale, ma con un criterio politico:
quindi in questo modo: nell’opinione di tutti ci sono quale che sia l’opinione positiva o negativa su un cer-
comportamenti valutati come buoni e comportamenti to comportamento, il principe deve evitare quelle vir-
valutati come cattivi. A questo punto sono presentati tù che gli farebbero perdere lo Stato e applicare quei
binomi di comportamenti, che indicano una virtù e il vizi che glielo fanno mantenere. Egli propone una
vizio contrapposto. Il ragionamento prosegue così: concezione strumentale delle azioni: una virtù va evi-
sarebbe opportuno che il principe avesse soltanto vir- tata, se fa perdere lo Stato; un vizio va applicato se lo
tù ed evitasse i vizi. Ciò però non sempre le circo- fa mantenere. L’azione non ha più un valore in sé, ma
stanze lo permettono. Il principe perciò deve accetta- acquista un valore positivo o negativo nella misura in
re di essere biasimato, ma deve evitare quelle virtù cui è capace di raggiungere il fine prefissato. E, nel
apparenti, che gli farebbero perdere lo Stato e appli- caso del principe, il fine supremo, per il quale tutto va
care quei vizi apparenti che gli permettono di conser- sacrificato, è la difesa e il consolidamento dello Stato.
varlo. Machiavelli come i suoi critici non si accorge 4.1. La dimensione fin troppo umana del principe ap-
che il ragionamento è “scivoloso” e porta il principe, pare quando l’autore gli consiglia di non insidiare le
soprattutto se messo alle strette, a prendersi “libertà” ricchezze e le donne dei sudditi (cap. XVII). Un prin-
sempre più criminali verso gli avversari. cipe effettuale ha la sua classe sociale, il suo giro di
3. Machiavelli usa termini come virtù, vizio, che de- donne (se ne vuole più d’una) e ha le sue fonti di ric-
sume dal mondo romano, di cui però la Chiesa si era chezza, che eventualmente cerca di aumentare facen-
appropriata e di cui aveva modificato il significato. do guerra ai nemici, come lo stesso autore indica
Essi rimandano alla morale dell’uomo comune del (XVII, 3). Machiavelli non ci aveva fatto caso. Si de-
presente come del passato e agli storici antichi: i tito- ve poi tener presente che egli sta parlando non a un
letti in latino mostrano quanto l’autore sia legato al principe in generale, ma a Lorenzino, un principe del-
passato. I lettori critici di Machiavelli invece li riferi- la famiglia de’ Medici, che hanno una molteplice e-
scono alla Chiesa cattolica, contenti che lo scrittore sperienza di vita alle spalle e una ricchezza del tutto
abbia affermato che qualche virtù è dannosa e qual- considerevole. Una grandissima presunzione.
che vizio è utile. L’errore di interpretazione è gravis- 5. Machiavelli parla di essere e di dover essere, e si
simo e porta a fraintendere il testo. Il fraintendimento inventa una morale (e dei valori) che il principe può e
nasconde anche l’odio dei laici verso la Chiesa e, an- anzi deve infrangere, se gli fa(nno) perdere il potere e
cora, il loro moralismo spicciolo, che loda i principi lo Stato. Questa morale è la morale dell’uomo comu-
immorali (nessun problema, vanno contro la morale ne e non della Chiesa, come normalmente si tende a
dei preti!) e che condanna gli ecclesiastici immorali. fare. Perciò, quando si dice, con una sintesi sicura-
Guicciardini, che definisce scellerati i preti, fa testo mente eccessiva, che egli ha separato la (scienza) po-
per tutti. litica dalla morale, si deve intendere dalla morale
3.1. L’uso del binomio vitù-vizio porta lo scrittore ad comune, non dalla morale della Chiesa, che non esiste
affrontare i problemi politici in termini morali. Egli o è altra cosa. La “morale” della Chiesa indica regole
non si accorge che ad esempio non uccidere è in pri- di convivenza civile (non rubare, non desiderare la
mo luogo una legge dello Stato. E che quindi il prin- roba degli altri, non desiderare la donna degli altri),
cipe, che uccide, non va contro le leggi della morale o indica regole sociali o leggi, per quanto semplici. Ci
i comandamenti della Chiesa, ma contro le legge e- sono elementi che coincidono tra morale comune e
manate dallo Stato e che servono alla collettività. Né “morale” della Chiesa, ma sono concepiti in un con-
si accorge che i comandamenti “morali” della Chiesa, testo diverso. Ad esempio il cittadino romano fa le
risalenti all’Antico testamento, sono regole che poi lo elemosine e aiuta i poveri, per un senso di solidarietà
Stato (dalla città-stato della Mesopotamia e poi della verso i miseri. Anche il cristiano fa questo, ma per
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amor di Dio: l’azione è la stessa, ma le motivazioni 5.4. Ben altra cosa è la realtà effettuale di Botero, che
sono completamente diverse. La morale comune e i indica quali devono essere le qualità del principe: de-
comandamenti della Chiesa dicono di non uccidere, ve risparmiare e deve essere religioso, genuinamente
Machiavelli invece dice che il principe deve uccidere, religioso, perché la menzogna non può durare a lungo
se è necessario. La morale comune e quella della e perché con la religione tiene i sudditi uniti e obbe-
Chiesa dice ancora di non rubare e di non desiderare diente. L’ex gesuita però va oltre: a) il principe deve
la donna d’altri, e Machiavelli su questi due punti spendere le sue ricchezze per non pesare sulle spalle
concorda pienamente e non immagina eccezioni. Dal dei sudditi (ad esempio se vuole finanziare una guer-
contesto poi risulta che il principe è un uomo comu- ra); e b) deve sostenere i sudditi in difficoltà, ma an-
ne, assurto alla maestà del principato (in modo eredi- che quelli che non riescono a educare i figli, deve pu-
tario o anche in modo scellerato), ma senza esperien- re incentivare l’agricoltura e la manifattura per arric-
za alle spalle (come normalmente hanno i principi ef- chire se stesso, il suo Stato e i sudditi. Ben altra cosa
fettuali, di vecchia data) e con le remore morali era l’esperienza culturale e politica che l’ex gesuita
dell’essere e del dover essere, che caratterizzano aveva alle spalle.
l’uomo comune e di cui non è ancora riuscito a libe- 6. Fin d’ora conviene indicare la differenza abissale
rarsi. tra Machiavelli e Botero: Machiavelli è il cortigiano
5.1. Conviene riflettere su un punto del Principe, mai che dal suo punto di vista dà consigli al principe, che
messo a fuoco: la distinzione di essere e dover essere ha un altro punto di vista sulle cose. Invece Botero è
e il consiglio conseguente dato al principe di dimenti- il docente che insegna al principe come comportarsi e
care il dover essere, se ciò lo danneggia. L’autore non si mette costantemente dal punto di vista del principe.
si accorge (come non si sono accorti i suoi lettori cri- Botero non deve chiedere lavoro né favori al princi-
tici) che l’orizzonte delle analisi e delle proposte è pe: lo costringe a venire a mangiare alla sua greppia.
ancora morale o moralistico: la morale non scompare, E principi vengono e sono contenti. E il re di Spagna
perché egli suggerisce al principe di infrangerla, Filippo II lo ripaga con una pensione.
quando lo danneggia. Machiavelli resta schiavo della 7. Il Principe conclude lo straordinario rapporto che
morale comune o della morale che egli attribuisce al- si era stabilito nel Quattrocento tra intellettuali italia-
la Chiesa. E l’uso di questa “tenaglia” per interpretare ni e principi: i primi fornivano gli ideali che i secondi
la realtà dimostra i suoi limiti concettuali. Ben altra attuavano. E prelude al nuovo e deludente rapporto in
cosa è Botero, che istruisce il principe prescindendo cui gli intellettuali diventano cortigiani adulatori ed
dalla morale e vedendo le cose dal punto di vista del esecutori più o meno esperti di una volontà e di valori
principe e non dal punto di vista proprio, della Chie- provenienti da altri, e a loro estranei. Ma a loro non
sa o del suddito. Eppure c’era un facilissimo e imme- dispiace di consigliare al principe azioni criminali.
diato precedente storico anti-moralistico: Dante se la Eppure l’operetta ha un limite di fondo, che la rende
prende con gli ignavi, che vissero senza infamia e fragile: la pretesa dello scrittore di avere qualcosa da
senza lode (If III). A suo avviso dovevano fare qual- insegnare al principe, alla casa de’ Medici, che aveva
cosa che li ricordasse, sia qualcosa di nobile (e andare esperienza di potere da lunga durata.
in paradiso) sia qualcosa di turpe e di infame (e finire ---I☺I---
all’inferno).
5.2. I lettori critici di Machiavelli dei secoli successi- Cap. XVI: La liberalità e la parsimonia
vi hanno capito che ha separato la politica dalla mora-
le della Chiesa. Hanno proiettato sulla Chiesa la loro 1. Rifacendomi dunque alle prime qualità descritte
modestissima esperienza di vita. Non hanno neanche più sopra, dico che sarebbe bene essere ritenuto libe-
letto il trattato Della ragion di Stato (1589) di Gio- rale. Non di meno, la liberalità (=lo spendere denaro),
vanni Botero, per capire qual era la posizione ufficio- usata in modo tale che tu sia tenuto [in gran conside-
sa o ufficiale della Chiesa in fatto di regimen princi- razione], ti offende (=danneggia); perché, se tu la pra-
pum. Né si sono accorti che il binomio virtù-vizio va tichi in modo virtuoso, come la si deve praticare, essa
bene nella cultura dell’uomo comune, perché consi- non sarà conosciuta, così non eviterai l’infamia del
derare l’assassinio un vizio è piuttosto incongruo. suo contrario. Perciò, se si vuole mantenere il nome
5.3. Machiavelli promette mari e monti, suggerisce di liberale fra gli uomini, è necessario non lasciare
consigli per governare bene e poi dà consigli generici indietro alcuna qualità di sontuosità (=bisogna spende
e perciò inutili. Alla fin fine dice che il principe deve moltissimo). Un principe di tale fama consumerà
ignorare quelle virtù che gli fanno perdere lo Stato e sempre in simili opere tutte le sue ricchezze; e alla
praticare quei vizi che glielo fanno mantenere. E que- fine, se vorrà mantenere il nome di liberale, sarà co-
sta sarebbe la (sua) realtà effettuale e i suoi consigli. stretto a gravare sul popolo in modo pesantissimo,
Nel cap. XVII si espone un po’ di più e dice che il dovrà essere esoso nelle imposte e fare tutte quelle
principe ha tutto l’interesse ad essere liberale, ma che cose che si possono fare per avere denari. Ciò comin-
rischia di consumare tutte le sue ricchezze e quindi di cerà a renderlo odioso agli occhi dei sudditi e a farlo
diventare esoso con i sudditi. Insomma non se lo può stimare poco da ciascuno. E diventerà povero. In tal
permettere e non se lo permette. Deve perciò accetta- modo con questa sua liberalità offende i molti e pre-
re di essere considerato risparmioso, cioè taccagno. mia i pochi, perciò sente ogni più piccolo disagio ed è
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in pericolo ad ogni più piccolo pericolo. Quando se oppure, per fuggire la povertà, diventi rapace e odio-
ne accorge e se ne vuole ritrarre, incorre subito so. E tra tutte le cose di cui un principe si deve guar-
nell’infamia di misero, di tirchio, cioè di colui che dare, è quella di essere disprezzato e odiato. La libe-
vuole risparmiare eccessivamente. ralità lo conduce all’una e l’altra cosa. Pertanto è più
2. Pertanto un principe che non possa usare questa saggio tenersi il nome di taccagno, che genera
virtù (=buon nome) di liberale senza suo danno, in un’infamia senza odio, che, per volere il nome di li-
modo che sia ampiamente conosciuta, se è prudente, berale, essere costretto a incorrere nel nome di rapa-
non si deve curare del nome di misero, cioè di tacca- ce, che partorisce un’infamia accompagnata da odio.
gno (o tirchio). Con il tempo sarà ritenuto sempre più
liberale, poiché farà vedere che con la sua parsimonia Riassunto. Per Machiavelli sarebbe bello se il princi-
le sue entrate gli bastano, può difendersi da chi gli pe potesse permettersi di essere liberale, ma non se lo
muove guerra, può fare imprese senza gravare sulla può permettere, perché, una volta consumate tutte le
popolazione. Così egli viene ad usare liberalità verso sue ricchezze, dovrebbe pesare sui sudditi con le tas-
tutti quelli a cui non toglie, che sono infiniti, e spilor- se. Se è liberale, fa gli interessi di pochi. Se impone
ceria verso tutti coloro a cui non dà, che sono pochi. tasse , perché essere liberali è dispendioso, danneggia
Nei nostri tempi noi non abbiamo veduto fare grandi molti. Per di più, quando cessa di essere liberale, in-
cose se non a quelli che sono stati ritenuti miseri, cioè corre subito nell’infamia di misero, cioè di taccagno.
taccagni. Invece abbiamo visto gli altri essere spenti. La conclusione perciò è che, se il principe non può
Papa Giulio II, come si fu servito del nome di liberale essere liberale, non si deve preoccupare di essere
per giungere al papato (=ha comperato la sua elezione considerato taccagno. Con il tempo acquisterà una
con il denaro), non pensò poi a mantenere tale nome, fama diversa, quella di praticare la parsimonia, per-
per poter fare guerra. L’attuale re di Francia ha fatto ché si fa bastare le sue entrate e non pesa sulla popo-
tante guerre senza porre un dazio straordinario ai suoi lazione. Quindi lo scrittore precisa: il principe conso-
sudditi, soltanto perché ha applicato costantemente la lidato non è costretto ad essere liberale; il principe
parsimonia alle spese superflue. Il re di Spagna pre- nuovo ha convenienza ad esserlo. E conclude: il prin-
sente, se fosse ritenuto liberale, non avrebbe fatto né cipe può essere liberale in guerra, con le ricchezze dei
vinto tante imprese. nemici. Sia lui sia il suo esercito si dividono il bottino
3. Pertanto, un principe deve stimare poco di incorre- conquistato. Soltanto in questo caso non perde ed an-
re nel nome di taccagno, per non dover poi derubare i zi acquista reputazione, poiché spende ricchezza al-
sudditi, per potersi difendere, per non diventare pove- trui e non dei sudditi.
ro e disprezzato, per non essere costretto a diventare
rapace. Questo è uno di quei vizi che lo fanno regna- Commento
re. Se qualcuno dicesse che Giulio Cesare, il generale 1. Machiavelli non considera l’ipotesi di spendere
romano, con la liberalità pervenne al potere e molti una quantità limitata di ricchezze e dimostrarsi ragio-
altri, che sono stati e che sono ritenuti liberali, sono nevolmente liberale. Eppure il mondo antico sostene-
giunti ai gradi supremi dello Stato, rispondo: o tu sei va che in medio stat virtus: né troppo spendaccioni,
un principe ormai al potere o tu sei in via di acqui- né troppo tirchi. E non vede alcun effetto della sua
starlo. Nel primo caso questa liberalità è dannosa; nel liberalità: chi ci guadagna appare soltanto uno scroc-
secondo è ben necessario essere ritenuto liberale. Ce- cone, che dimentica subito il dono ricevuto. Né coglie
sare era uno di quelli che voleva pervenire al princi- un altro aspetto del problema: verso chi essere libera-
pato di Roma. Ma, una volta giunto al potere, se fosse li, quando e perché, per ottenere quale risultato. Egli
sopravvissuto e non si fosse temperato da quelle spe- dimentica di guardare la realtà effettuale, a cui tanto
se, avrebbe distrutto quel potere. Se qualcuno repli- si richiama. Ad esempio al suo tempo (anche prima e
casse che molti principi sono stati ritenuti liberalissi- anche dopo) le case regnanti finanziavano gli artisti e
mi, perciò con gli eserciti hanno fatto grandi cose, ri- in cambio avevano l’opera d’arte: dalla produzione
spondo: o il principe spende del suo e dei suoi sudditi letteraria alla produzione pittorica ecc. In Francia, a
o di quello d’altri. Nel primo caso deve essere parsi- Parigi, operava la manifattura reale, che produceva
monioso; nell’altro non deve lasciare indietro alcuna arazzi e otteneneva in cambio denaro e prestigio. In-
manifestazione di liberalità. Quel principe che va con somma in questo caso la liberalità non era a fondo
gli eserciti, che si nutre di prede, di saccheggi e di ta- perduto, era utile, le opera d’arte celebravano il com-
glie (=balzelli, imposte ), maneggia la ricchezza di mittente e ne facevano gli interessi. Dal capitolo ri-
altri. Questa liberalità gli è necessaria; altrimenti non sulta che l’autore non ha mai fatto esperienza diretta
sarebbe seguito dai soldati. Di quello che non è tuo né di liberalità e non ha capito bene o non ha visto bene
dei tuoi sudditi, si può essere più largo donatore. Si la realtà effettuale che aveva sotto gli occhi.
comportarono così Ciro, Cesare e Alessandro. Spen- 1.1. Nel mondo greco e romano esisteva la figura
dere la ricchezza di altri non ti toglie reputazione, ma dell’εὐεργέτης, il benefattore, che sentiva suo dovere
te ne aggiunge. Solamente spendere il tuo è quello fare opere di pubblica utilità. In cambio aveva
che ti nuoce. E non c’è cosa che consumi se stessa l’appoggio e la simpatia dei beneficati. Poi arriva la
quanto la liberalità. Mentre tu la pratichi, perdi la ca- χάρις , la grazia o, meglio, la carità cristiana, che di-
pacità di usarla. Così diventi povero e disprezzato ce di fare le stesse cose, ma in nome di Dio.
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2. Ben altra cosa è la trattazione dell’argomento da E tuttavia il principe deve essere cauto nel credere
parte di Botero, che passa la vita in mezzo ai grandi, [all’esistenza di pericoli] e nell’agire, né deve farsi
senza provare alcuna soggezione verso di loro (Della paura da se stesso. Deve saper conciliare prudenza e
ragion di Stato, II: La temperanza). Egli suggerisce al umanità, affinché la troppa confidenza [in sé] non lo
principe di essere temperante, cioè parsimonioso, ma renda imprudente, e la troppa diffidenza [negli altri]
indica chiaramente verso chi deve essere liberale, non lo renda intollerabile.
quando e perché lo deve essere: deve spendere il suo 2. Da ciò nasce una questione: se è meglio che il
denaro a favore del popolo indigente, perché ciò gli principe sia amato piuttosto che temuto, oppure il
dà buon nome, e deve spendere in particolare quando contrario. La risposta è questa: sarebbe opportuno che
il popolo è colpito da calamità, così la sua buona fa- il principe sia amato e contemporaneamente temuto;
ma cresce ancor di più. Insomma il principe spende, ma, poiché è difficile mettere insieme amore e timo-
ma non a fondo perduto: ha il suo tornaconto. re, è molto più sicuro per il principe essere temuto
3. La stupidità o l’incapacità di Machiavelli di vedere che amato, quando fosse assente uno dei due. Perché,
la realtà effettuale è colossale: non capisce quello che degli uomini si può dire in generale questo: che sono
ha sotto gli occhi da decenni, cioè le spese enormi ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori
della Chiesa che assolda i migliori artisti sul mercato dei pericoli, desiderosi di guadagno. E, mentre fai lo-
per costruire e abbellire Roma e i palazzi del clero. Il ro del bene, sono tutti tuoi, ti offrono il sangue, la ro-
papa, i cardinali non sono dementi né spreconi. Fanno ba, la vita, i figli (come dissi più sopra), quando il bi-
investimenti oculati, per il presente come per il futu- sogno [che tu hai di loro] è lontano; ma, quando esso
ro. Uno di questi è la cappella Sistina, un altro sono i si avvicina, essi si rifiutano e si ribellano. E il princi-
musei vaticani, che attirano milioni di visitatori, ieri pe, che si è fondato sulla loro parola, trovandosi sen-
come oggi. Filippo II di Spagna si fa costruire za altra difesa [nel momento del pericolo], va incon-
l’Escorial poco fuori di Madrid e chiama pittori da tro alla rovina. Perché le amicizie, che si acquistano
tutta Europa, che lo celebrino. Ma l’intelligenza di dando benefici e non con la propria grandezza e no-
Machiavelli e dei laici suoi ammiratori è assai limita- biltà d’animo, si comperano, ma non si hanno effetti-
ta. vamente, e al momento del bisogno non si possono
---I☺I--- spendere. E gli uomini si preoccupano meno di of-
fendere uno che si fa amare che uno che si fa temere,
Cap. XVII: La crudeltà e la pietà; se è meglio perché l’amore si fonda su un vincolo morale, il qua-
essere amati o temuti, oppure il contrario le, poiché gli uomini sono tristi, è infranto ogni volta
che contrasta con il proprio interesse, mentre il timore
1. Passando poi a considerare le altre qualità sopra è tenuto ben saldo dalla paura della pena, che non
elencate, dico che ogni principe deve desiderare di abbandona mai.
essere ritenuto pietoso e non crudele. Deve tuttavia 3. Tuttavia il principe deve farsi temere in modo che,
avere l’accortezza di non usare male questa pietà. Ce- se non acquista l’amore [dei sudditi], almeno fugga
sare Borgia era ritenuto crudele; e tuttavia quella sua l’odio, perché si possono ben conciliare il fatto di es-
crudeltà era servita a riordinare la Romagna, a unirla, sere temuto ed il fatto di essere non odiato. Ciò av-
a pacificarla e a renderla leale [verso il governo]. E, verrà sempre, quando il principe si astenga dalla roba
se si considera bene ciò (=il risultato), si concluderà dei suoi cittadini e dei suoi sudditi, e dalle loro don-
che egli è stato molto più pietoso del popolo fiorenti- ne. E, se proprio deve uccidere qualcuno, deve farlo
no, il quale, per evitare il nome di crudele, lasciò che quando ci sia una giustificazione conveniente e una
la lotta tra le fazioni distruggesse Pistoia [1501]. Per- causa manifesta. Ma, soprattutto, deve astenersi dalla
tanto un principe non deve curarsi dell’infamia di roba altrui, perché gli uomini dimenticano più facil-
crudele, per mantenere i suoi sudditi uniti e leali. In mente la morte del padre piuttosto che la perdita del
tal modo con pochissimi atti di crudeltà sarà più pie- patrimonio. E poi i motivi per togliere la roba non
toso di coloro i quali, per troppa pietà, lasciano avve- mancano mai; e sempre colui, che incomincia a vive-
nire i disordini, dai quali sorgono uccisioni e rapine. re di rapina, trova motivo per appropriarsi della roba
Queste ultime di solito offendono l’intera cittadinan- altrui. Al contrario i motivi per uccidere sono più rari,
za, mentre le esecuzioni che provengono dal principe e vengono meno più presto [cioè non appena lo Stato
offendono soltanto i singoli cittadini. E, fra tutti i è consolidato].
principi, il principe nuovo non può evitare il nome di 4. Ma quando il principe è con l’esercito, e comanda
crudele, perché gli Stati nuovi sono pieni di pericoli. migliaia di soldati, allora è necessario soprattutto non
Virgilio pone queste parole nella bocca di Didone [E- preoccuparsi del nome di crudele, perché senza que-
neide, I, 563-564]: sto nome non si tenne mai un esercito unito né pronto
ad alcuna impresa. Tra le mirabili azioni di Annibale
“Le necessità politiche e la novità del mio regno si annovera questa: pur avendo un esercito grossissi-
mi spingono a tali cose, e a vigilare con cura mo, composto da infinite razze di uomini, condotto a
su tutto il mio territorio”. combattere in terre straniere, non vi scoppiasse mai
alcun contrasto, né tra i soldati, né contro il generale,
sia nella cattiva sia nella buona sorte. Ciò dipese sol-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 164
tanto dalla sua inumana crudeltà, la quale, insieme nersi dall’insidiare le donne dei suoi sudditi, che non
con le sue infinite capacità militari, lo rese sempre avrebbero apprezzato né dimenticato.
venerabile agli occhi dei suoi soldati. E senza di essa 2.1. In questa visione pessimistica degli uomini man-
le altre capacità militari non sarebbero riuscite ad ot- cano le donne. Nella realtà effettuale dell’autore non
tenere quel risultato. Gli storici poco avveduti [come ci sono le donne. Eppure nella realtà esse esistono ed
Tito Livio] da una parte ammirano la compattezza egli anzi ne appezzava i favori. Ma esse non esistono
dell’esercito, dall’altra condannano la principale cau- nella vita politica, restano a casa a fare e ad accudire i
sa di essa. bambini. Tutte casa, bambini e letto. Eppure egli è un
pensatore corretto e va dove lo porta il ragionamento.
Riassunto. Per Machiavelli il principe dovrebbe esse- Nella Mandragola i maschi (Callimaco, Nicia, Ligu-
re contemporaneamente amato e temuto, cioè rispet- rio, fra’ Timoteo) usano la ragione fraudolenta con-
tato; ma, poiché è molto difficile anche per il principe tro l’onesta Lucrezia. Ma la donna li prede in contro-
farsi contemporaneamente amare e rispettare-temere, piede e li piega ai suoi desideri. Essi stupidamente
è meglio che si faccia temere-rispettare, perché sol- non se ne accorgono nemmeno. Usa il potere magico
tanto così avrà i suoi sudditi dalla sua parte nella e onnipossente della vagina. Essi pensano davvero
buona come nella cattiva sorte. Il principe però non con il loro membro e più in là non vanno.
deve farsi odiare; e si fa odiare quando insidia le ric- 3. Machiavelli continua a proporre una concezione
chezze e le donne dei sudditi. L’autore commenta strumentale della violenza e, in genere, delle azioni:
pessimisticamente e realisticamente che si dimentica la violenza, se serve, si usa; se non serve, non si usa.
più facilmente la morte del padre, ucciso, che la per- In se stessa essa non ha alcun valore; lo acquista nella
dita del proprio patrimonio. misura in cui riesce o non riesce a raggiungere il fine
prefissato. In questo capitoletto il ragionamento è ar-
Commento ricchito con un’altra precisazione: è meglio uccidere
1. Il segretario fiorentino parla male dei sudditi, che pochi individui e subito, piuttosto che lasciare che la
sono sleali e ingrati, e bene del principe, che sarebbe situazione degeneri. Se degenera, le violenze e le di-
generoso. Il principe invece può essere tutte queste struzioni aumentano e il conflitto si allarga nello spa-
cose che egli rimprovera ai sudditi… Oltre a ciò non zio e si allunga nel tempo. All’autore non vengono in
è detto che le cose stiano così; anzi, se si ascolta A- mente altre soluzioni, ad esempio che sia meglio pre-
riosto (a cui è confiscato un terreno), i principi sfrut- venire che curare, come dicono i medici. E, ancora di
tano i loro dipendenti e sono ben poco generosi. Egli più, che sia meglio usare le leggi dello Stato e non
tuttavia è giustificato: il manuale che sta scrivendo l’omicidio spicciolo per risolvere i problemi. Guic-
deve andare in mano a un principe, perciò è opportu- ciardini commenta dicendo che, se ammazzi un ne-
no parlar bene di loro. E soltanto il principe, come mico, quello fa nascere molti altri nemici, come la te-
dice subito dopo (cap. XVIII), può venir meno alla sta tagliata dell’idra, e perciò non conviene uccidere.
parola data, ma, nobilmente, lo fa non per sé, bensì 4. Il principe di Machiavelli è ancora il principe ita-
per il bene superiore dello Stato (se vogliamo credere liano del Tre-Quattrocento, che ha un piccolo Stato;
allo scrittore). I sudditi invece lo fanno soltanto per i che ha consiglieri e segretari umanistici, che è litigio-
loro ristretti interessi egoistici. so e ama far la guerra, e che è circondato da artisti.
2. Nel cap. XV l’autore indica uno dei capisaldi del Anzi egli stesso è un artista, e, com’è suo compito,
suo pensiero: la “realtà effettuale”, la “realtà dei fat- crea uno Stato che è un’opera d’arte. L’autore non
ti”. In questo capitolo indica il secondo: la concezio- vede ancora che nel Cinquecento il principe illumina-
ne pessimistica dell’uomo. Le due cose sono in con- to e umanista, il principe mecenate circondato dagli
traddizione: se si inizia con la “realtà effettuale”, non artisti e abbastanza vicino ai sudditi – come poteva
si può continuare con una concezione pessimistica essere Lorenzo de’ Medici – è ormai definitivamente
degli uomini. Bisogna prendere gli uomini come ef- tramontato. Ci sono monarchi assoluti, lontani, a capo
fettivamente sono e non condannare come sono. Oltre di grandi eserciti e di grandi burocrazie, che cercano
a ciò il giudizio pessimistico su di loro incorre in non la costruzione o il mantenimento dello Stato
un’altra contraddizione: è un giudizio moralistico. I (nessuno glielo insidia), ma l’allargamento e il conso-
due caposaldi vanno quindi letti separatamente o fan- lidamento dello Stato al fine di ottenere altro potere,
no crollare l’approccio dell’autore alla realtà. Ben di- altra fama, altra gloria, altra ricchezza. Gli orizzonti
verso l’approccio di Botero: cita il comportamento umanistici e ideali del segretario fiorentino sono
dei principi come dei sudditi, dà una “valutazione” completamente ignorati, a favore dei brutali rapporti
descrittiva e disincantata, mai morale, tanto meno di potere che lega il monarca ai suoi sudditi e ogni
moralistica. E cerca di indicare al principe come monarca agli altri monarchi.
comportarsi nelle varie situazioni. La sua concezione 4.1. L’autore scrive quindi facendo riferimento sol-
degli uomini è terra terra, e ignora anche l’esistenza tanto alla situazione italiana, che lo interessa e che
dell’anima e di una vita oltre la morte: gli uomini si aveva bisogno di una maggiore unità per fermare le
fanno comandare dalle donne, che li ricattano con il invasioni degli eserciti stranieri e per cessare di esse-
potere magnetico della vagina. Sulle donne Machia- re terra di conquista e di sfruttamento. Da questa si-
velli aveva detto soltanto che il principe doveva aste- tuazione non si allontana mai.
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5. Machiavelli distingue tra il comportamento che il sono scomparse le cause che la fecero promettere. Se
principe deve tenere nella vita politica normale e gli uomini fossero tutti buoni, questo precetto non sa-
quello che deve tenere quando è a capo dell’esercito. rebbe buono; ma, perché essi sono tristi (=malvagi) e
In questo caso dev’essere sempre crudele, perché sol- non la manterrebbero a te, tu pure non devi mantener-
tanto così può tenere uniti i soldati. Il principe si deve la a loro. Né mai ad un principe mancarono i motivi
dedicare alla guerra, per ottenere fama, gloria e ric- legittimi per giustificare questa inosservanza. Di ciò
chezza, e per ampliare lo Stato. si potrebbero dare infiniti esempi moderni e mostrare
6. L’autore conclude il capitoletto affermando che si quante paci, quante promesse sono state nulle e vane
dimentica più facilmente l’uccisione del proprio pa- perché i principi non hanno rispettato la parola data.
dre, che la perdita del proprio patrimonio. Il cinismo E quello che ha saputo usare meglio la volpe, ha otte-
della battuta è fuori luogo. Egli non vede la realtà ef- nuto migliori risultati. Ma è necessario sapere ben na-
fettuale: il patrimonio garantiva la sopravvivenza del- scondere questa natura ed essere gran simulatore e
la famiglia; senza patrimonio la famiglia scompariva. dissimulatore. Sono tanto semplici (=stupidi, ingenui)
Ed esisteva la famiglia, non esisteva l’individuo. gli uomini, e tanto obbediscono alle necessità del
L’individuo era soltanto un ramoscello transeunte momento, che colui che inganna troverà sempre qual-
della famiglia. Per di più la mortalità infantile era al- cuno che si lascerà ingannare.
tissima. Perciò tutti i componenti della famiglia erano 4. Fra gli esempi recenti voglio citare questo. Papa
sacrificabili, ma non il patrimonio. Anche il padre, la Alessandro VI non fece mai altro, non pensò mai ad
persona più esperta della famiglia, era sacrificabile. Il altro che ad ingannare gli uomini; e sempre trovò
suo posto era preso immediatamente dal primogenito. qualcuno da poterlo fare. Nessuno mai ebbe maggior
Il dovere di tutti era difendere, consolidare e aumen- forza persuasiva di lui e nessuno mai con i più grandi
tare il patrimonio, cioè le possibilità di sopravvivenza giuramenti affermò una cosa, che poi non mantenes-
della famiglia. se. E tuttavia sempre i suoi inganni ebbero successo,
---I☺I--- perché conosceva bene questa parte della natura u-
mana. Un principe dunque non deve necessariamente
Cap. XVIII: In che modo la parola data debba avere di fatto tutte le qualità sopra indicate, ma deve
essere mantenuta dai principi apparire (=mostrare) di averle. Dirò di più: se le ha e
se le osserva sempre, esse sono dannose; se appare
1. Ciascuno intende quanto sia lodevole un principe (=mostra) di averle, sono utili. Egli deve apparire
che mantenga la parola data e che viva con integrità e (=mostrarsi) pietoso, leale, umano, sincero, religioso;
non con astuzia. Tuttavia si vede per esperienze re- e deve avere queste qualità. Tuttavia, quando bisogna
centi che hanno fatto grandi cose quei principi che non averle (=sono controproducenti), deve anche es-
hanno tenuto poco conto della parola data e che han- sere capace di saperle mutare nel loro contrario. E bi-
no saputo con l’astuzia aggirare i cervelli degli uomi- sogna capire che un principe, soprattutto un principe
ni; e che alla fine hanno superato coloro che si sono nuovo, non può osservare tutte quelle cose per le qua-
fondati sulla lealtà. li gli uomini sono ritenuti buoni, perché spesso, per
2. Dovete dunque sapere che ci sono due modi di mantenere lo Stato, è necessitato ad operare contro la
combattere: l’uno con le leggi, l’altro con la forza. Il parola data, contro la carità, contro l’umanità, contro
primo è proprio dell’uomo, il secondo è delle bestie. la religione. Perciò bisogna che egli abbia un animo
Ma, perché il primo molte volte non basta, conviene disposto a cambiare, secondo che i venti della fortuna
ricorrere al secondo. Pertanto un principe deve sapere e i mutamenti delle cose gli impongono. E, come dis-
usare bene la bestia (=la forza) e l’uomo (=le leggi). si più sopra, non deve allontanarsi dal bene, se può
Questo principio è stato insegnato ai principi in modo farlo; ma deve sapere entrare nel male, se è costretto
coperto (=allusivo, simbolico) dagli antichi scrittori, i dalla necessità.
quali scrivono che Achille e molti altri principi anti- 5. Pertanto un principe deve avere gran cura che non
chi furono allevati dal centauro Chirone, affinché li gli esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle
ammaestrasse alla sua scuola. Ciò vuol dire avere cinque qualità sopra indicate; e appaia, a vederlo e a
come precettore un essere mezzo bestia e mezzo uo- udirlo, tutto pietà, tutto lealtà, tutto sincerità, tutto
mo, perché un principe deve saper usare l’una e l’al- umanità, tutto religione. E non c’è cosa più necessaria
tra natura e perché l’una senza l’altra non può durare. che apparire (=mostrare) di avere quest’ultima quali-
3. Un principe dunque, essendo necessitato a saper tà. Gli uomini in generale giudicano più in base a ciò
usare bene la bestia, deve prendere come modello la che vedono (=l’apparenza) che non in base a ciò che
volpe ed il leone, perché il leone non sa difendersi dai toccano (=la realtà effettiva): tutti vedono l’aspetto
lacci (=trappole, inganni), la volpe non sa difendersi esteriore delle cose, ma pochi intendono ciò che vi sta
dai lupi (=forza, violenza). Bisogna dunque essere dietro (=la realtà effettiva). Pertanto un principe deve
volpe per conoscere i lacci ed essere leone per inti- preoccuparsi unicamente di vincere e di mantenere lo
morire i lupi. Coloro che praticano soltanto il leone Stato: i mezzi saranno sempre giudicati onorevoli e
non si intendono di politica. Pertanto un signore pru- lodati da tutti, perché il volgo va sempre trascinato
dente non può né deve mantenere la parola data, con l’apparenza e non con la realtà effettiva, e nel
quando il mantenerla è controproducente e quando mondo c’è soltanto volgo, ed i pochi non avranno se-
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guito né ascolto, quando i molti hanno dove appog- gliono più sapere di lui. Un traditore si prende la fa-
giarsi (=i risultati ed i successi ottenuti dal principe, ma di traditore e se la tiene cucita addosso. Il principe
comunque essi siano stati ottenuti). Un principe dei si pone a un altro livello, ma i problemi arrivano lo
nostri tempi (=Ferdinando il Cattolico, re di Spagna), stesso: chi non mantiene la parola, spinge l’avver-
che non è bene nominare, non predica mai altro che sario o a precederlo o a non mantenerla o a dedicarsi
pace e lealtà, e dell’una e dell’altra è inimicissimo; e a tempo pieno all’inganno. Sono gli effetti collaterali
l’una e l’altra, se le avesse osservate, gli avrebbero che l’autore non ha la malizia o l’intelligenza di pre-
più volte fatto perdere la reputazione o lo Stato. vedere e di disinescare. Qui non si vuol dire che il
principe debba essere onestissimo e mantenere sem-
Riassunto. Per Machiavelli sarebbe lodevole che il pre la parola data. Si vuol dire una cosa più modesta:
principe mantenga la parola data, ma di recente si so- l’analisi di Machiavelli è troppo semplice, perciò è
no visti principi ottenere grandi risultati perché non pericolosa e imprudente, perché non considera gli ef-
l’anno mantenuta e hanno ingannato. A questo punto fetti collaterali, indesiderati, di un’azione, di un’a-
l’autore fa un paragone: il principe deve essere astuto zione qualsiasi, “buona” o “cattiva” che sia. Inoltre
come la volpe (che vede gli inganni, ma non sa difen- nella “realtà effettuale” (ma l’autore non lo sa) esiste
dersi dai lupi) e forte come il leone (che non vede gli anche la revisione dei trattati: si ridiscutono i termini
inganni ma sa difendersi dai lupi). E conclude: un degli accordi, quando la situazione è divenuta troppo
principe prudente non può né deve mantenere la paro- diversa da quella che aveva spinto a firmarli. Esistono
la data, se il mantenerla lo danneggia e se sono scom- gli ambasciatori per questo sccopo.
parse le cause che gliel’hanno fatta dare. Quindi sug- 1.2. L’autore non sa che di propria iniziativa non si
gerisce al principe di apparire tutto pietà, tutto lealtà, danno consigli ai superiori, tanto meno consigli cri-
tutto sincerità, tutto umanità, tutto religione, poiché minali a un principe. Si danno soltanto se esplicita-
gli uomini credono all’apparenza e non riescono ad emnte richiesti. E poi immagina che un principe abbia
andare oltre le apparenze. E infine fa esempi tratti dal bisogno dei suoi consigli desunti dalla lettura degli
presente, che confermano la sua analisi. storici antichi, dalla sua esperienza decennale e da
qualche viaggio all’estero… Un illuso.
Commento 2. Il capitoletto presenta due capisaldi del pensiero di
1. La tesi di Machiavelli è semplice e ormai prevedi- Machiavelli: a) la “realtà effettuale”, cioè la realtà
bile: la parola data si mantiene se è strumentalmente dei fatti (già incontrata nel cap. XV), che deve sosti-
utile mantenerla; non si mantiene se è dannoso man- tuirsi a tutte le teorizzazioni astratte; e b) il pessimi-
tenerla. Il principe “prudente non può né deve mante- smo circa l’uomo e la natura umana. L’unica speran-
nere la parola data, quando il mantenerla è contropro- za per imporsi e per dominare questa realtà negativa è
ducente e quando sono scomparse le cause che la fe- la virtù del principe, che lotta con ogni mezzo per co-
cero promettere”. Sarebbe bello – commenta l’autore struire e consolidare lo Stato. Non si capisce perché il
– poterla mantenere; ma nel mondo reale in cui si vi- principe debba “sacrificarsi” per il bene dello Stato o
ve se tu la mantieni al tuo avversario, quello non la dei sudditi. È più ragionevole pensare che lo faccia
mantiene a te, e tu sei rovinato: è meglio prevenirlo. per interesse personale. Sembrerebbe poi che nello
Anche Guicciardini dà importanza alla simulazione e Stato sia il principe sia l’uomo comune trovino il luo-
alla dissimulazione. Botero invece è contrario: se la go e i modi per condurre una vita degnamente umana.
virtù non è effettiva, o prima o poi si scopre l’ingan- L’autore però non si spinge ad affrontare questa pro-
no, con conseguenze negative. Ovviamente si tratta blematica, poiché è preso dai problemi relativi alla
di un lapsus o di una semplificazione di Machiavelli, costruzione preliminare e al mantenimento dello stes-
che parla di “parola data” e non di “trattati firmati so Stato.
dalle due parti”. L’autore non si preoccupa che il 3.1. L’autore non si è accorto che attribuisce al prin-
principe avversario si comporti allo stesso modo ver- cipe una morale “più alta”, che fa gli interessi dello
so il principe di cui si è consiglieri, e quindi una volta Stato, dei sudditi e si suppone anche suoi. Egli non
è danneggiato un principe, un’altra l’altro principe… riesce ad uscire dall’orizzonte dell’essere e del dover
Dire che tu non la mantieni a lui perché lui non l’a- essere. Non riesce a immedesimarsi nel punto di vista
vrebbe mantenuta a te è una giustificazione grezza, del principe né a liberarsi dei pre-giudizi o dei pre-
empirica, fragilissima, che resta al livello dei fatti e supposti della sua analisi politica della realtà sociale.
non sale al livello della teoria. Di solito si cerca o si Morale e immorale sono fratelli gemelli. Il loro oppo-
costruisce il casus belli e si preferisce intavolare lun- sto è soltanto ciò che è a-morale, fuori della morale,
ghissime trattative di pace. che non si preoccupa minimamente della morale, né
1.1. Lo scrittore non si rende conto che è prudente di rispettarla, né di andarle contro.
considerare anche le conseguenze delle azioni o delle 3.2. “Per mantenere lo Stato” significa qui banalmen-
scelte e non limitarsi a cercare un piccolo vantaggio te “per restare al potere”. Gli orizzonti del principe e
nel presente e magari precludersi un grosso vantaggio di Machiavelli si sono assai ristretti. La morale “supe-
nel futuro. La sua vita testimonia contro di lui: im- riore” del principe è andata a spasso. Ma anche qui
piega cinque anni a entrare nelle simpatie dei Medici egli parla soltanto della realtà italiana: i Medici sono
e, quando sono ricacciati, i suoi ex amici non ne vo- stati cacciati e poi sono ritornati. Nelle grandi monar-
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chie del tempo il sovrano non conquistava più il pote- una cattiva fama, e la cura, se essa fa i suoi interessi.
re con le armi e non rischiava mai il trono. È istruttiva una novella di Luigi Pirandello, La paten-
3. Il testo mostra anche come l’autore si avvicina ai te. Chiàrchiaro, il protagonista, vuole incrementare la
testi antichi, che interpreta in modo allegorico; e co- sua fama di iettatore e si veste da iettatore. Pensava di
me si avvicini in modo per noi antistorico e anacroni- usare questa fama per garantirsi lo stipendio. Gengis
stico al passato, per trarne insegnamenti validi per il Kahn si faceva precedere dalla fama di essere sangui-
presente. Sotto questa metodologia c’è la convinzione nario, così spingeva i nemici ad arrendersi senza
che esista una realtà immutabile ed astorica e una combattere.
scienza ugualmente astorica e perenne, capace di in- 6. La guerra o la vita o le relazioni sociali si fanno
terpretare le azioni umane in tutti i tempi. Peraltro anche nel mondo immaginario, nel mondo dei simbo-
questo comportamento, indubbiamente più raffinato e li, e non soltanto con gli eserciti e le armi. Ma l’attac-
più critico, non è certamente troppo diverso da quello camento dell’autore alla realtà effettuale impedisce di
espresso dai primi crociati, che in Terra Santa pensa- capirlo. La realtà “vera” va ben al di là della realtà
vano di incontrare gli uccisori di Cristo o i loro diretti dei fatti. Basti pensare al mondo delle idee di Platone
discendenti. Ed erano passati 1.000 anni. Il tempo di (la realtà vera è costituita dalle idee, di cui le cose so-
Machiavelli è ancora il tempo ciclico delle stagioni, è no una semplice realizzazione materiale) e al rapporto
ancora il tempo agricolo, che caratterizza la società tra geometria e realtà presso i greci (la geometria eu-
europea fino a tempi recentissimi (1950). Il suo ap- clidea si può costruire a partire da postulati, non serve
proccio al passato non è diverso da quello proposto studiare o misurare la realtà).
da Dante nel Convivio (1304-07) con i quattro sensi 7. La “realtà effettuale” impedisce all’autore di vola-
delle scritture. Eppure il Medio Evo con questo ap- re, di passare dalla realtà dell’esperienza a una realtà
proccio aveva prodotto idee davvero significative e ben più concreta, quella della teoria. In questo come
originali. Insomma si può anche esser anti-storici, nei capitoli precedenti l’autore vive di fatterelli e/o di
quel che conta sono soltanto i risultati. esempi e non riesce mai a passare dagli esempi alla
4. Il principe di Machiavelli ha certamente qualche teoria. Anzi il suo approccio ai problemi gli impedi-
debolezza umana; tuttavia è un uomo diverso dagli sce di fare questo passaggio o anche questo salto. I
altri uomini, poiché, nonostante gli strumenti abietti mesopotamici avevano esempi di somme, sottrazioni
che usa, si propone di realizzare un preciso ideale, ecc., perché non avevano ancora scoperto l’addizione.
addirittura il bene comune: la costruzione dello Stato. Gli egizi misuravano ogni anno le terre alluvionate
Soltanto tale realizzazione giustifica l’impiego immo- dal Nilo, non scoprirono mai la geometria. I greci in-
rale o, meglio, amorale di qualsiasi mezzo. Uno Stato vece scoprirono la geometria e con essa dominarono
in pace e funzionante è sicuramente utile al principe e l’esperienza. L’autore è soltanto il guardone della re-
alla popolazione. Tuttavia l’autore non giustifica ra- altà, che non riesce mai ad immedesimarsi nel (punto
zionalmente perché il principe si debba darsi tanto da di vista del) principe e nella creatività del principe per
fare per creare lo Stato. Il motivo effettivo emerge (o affrontare i problemi di gestione del potere.
sembra emergere) soltanto alla fine dell’opera, quan- ---I☺I---
do egli invita la casa de’ Medici a mettersi a capo di
un movimento di liberazione nazionale che cacci gli Cap. XXV: Quanto può la fortuna nelle azioni
stranieri dall’Italia e costruisca (forse) uno Stato na- umane e in che modo possa essere affronta-
zionale. Fino a questo momento però non si capisce ta
perché il principe debba attuare uno scopo così altrui-
stico; sarebbe più ragionevole pensare che voglia co- 1. Non ignoro che molti sono stati e sono dell’o-
struire lo Stato per il suo interesse personale e per pinione che le cose del mondo siano governate dalla
poter sfruttare adeguatamente i sudditi. E ciò era fortuna o da Dio in modo tale, che gli uomini con la
quanto si poteva normalmente riscontrare nell’Italia loro prudenza non possano modificarle, e che anzi
del tempo. non vi abbiano alcun rimedio. Perciò essi potrebbero
5. Machiavelli non riflette adeguatamente sulla fama, giudicare che non ci si debba impegnare a fondo per
cioè sul buon nome che al principe conviene avere. E [modificare] la realtà, ma che ci si debba lasciar go-
gli esempi che riporta non gli aprono la mente. Non vernare dalla sorte. Questa opinione è stata professata
ha capito che i principi come i papi cercano di avere soprattutto ai nostri tempi, a causa dei grandi muta-
buona fama tra i sudditi o i cittadini, e cercano poi menti della situazione politica che si sono visti e che
anche di curarla e consolidarla. Così poi, quando si vedono ogni giorno, fuori di ogni capacità umana
commettono qualcosa che va contro la loro buona di prevederli. Pensando a ciò, io talvolta mi sono in
fama, gli altri (principi, sudditi ecc.) sono stupiti, an- qualche modo inclinato verso questa opinione.
che traumatizzati, ma ben presto ritornano a pensare 2. Tuttavia, affinché il nostro libero arbitrio non sia
bene come in precedenza. La considerano un caso, un negato, giudico che possa esser vero che la fortuna
errore, un’eccezione, un consiglio sbagliato. La stessa sia arbitra della metà delle nostre azioni e che lasci
cosa succede se qualcuno ha una cattiva fama incolla- governare a noi l’altra metà, o quasi. E paragono
ta addosso. Fa una fatica di Sisifo a togliersela di dos- quella ad uno di quei fiumi rovinosi, che, quando si
so. Ben inteso, ci può essere anche chi cerca di avere adirano (=si ingrossano e rompono gli argini), allaga-
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no la pianura, sradicano gli alberi e distruggono gli questi mutamenti; sia perché non possiamo deviare da
edifici, levano da questa parte terreno e lo pongono quella direzione verso la quale la nostra natura ci in-
dall’altra. Ciascuno fugge davanti ad essi, ognuno ce- clina, sia anche perché, avendo sempre camminato
de al loro impeto, senza potervi in alcun modo resi- per una certa strada, non riusciamo a persuaderci ad
stere. E, benché siano fatti così (=per natura violenti), abbandonarla. Perciò l’uomo cauto, quando è giunto
nulla impedisce che gli uomini, quando i tempi sono il tempo di usare l’impeto, non lo sa fare, perciò rovi-
tranquilli, possano prender provvedimenti con ripari e na; invece, se mutasse natura in relazione [al mutare]
con argini, in modo che essi, quando crescono, sfo- dei tempi e delle cose, manterrebbe la fortuna.
ghino [la furia delle loro acque] per un canale o non 7. Papa Giulio II procedette impetuosamente in ogni
avrebbero un impeto così sfrenato e così dannoso. sua cosa; e trovò i tempi e le cose conformi a questo
3. In modo simile si comporta la fortuna, la quale di- suo modo di procedere a tal punto, che ottenne sem-
mostra la sua potenza dove non c’è alcuna virtù pre buoni risultati. Considerate la prima impresa che
(=forza) impegnata [consapevolmente] a resisterle; e fece a Bologna [1506], quando era ancora vivo mes-
rivolge il suo impeto proprio lì dove essa sa che non ser Giovanni Bentivogli (=il signore della città). I ve-
sono stati costruiti gli argini ed i ripari per contenerla. neziani non approvavano l’impresa e nemmeno l’ap-
E, se voi considerate l’Italia, vedrete che essa è una provava il re di Spagna. Con la Francia egli era in
campagna senza argini e senz’alcun riparo; perché, se trattative. E tuttavia con la sua ferocia (=determina
essa fosse difesa da un’adeguata virtù (=forza milita- zione) e con il suo impeto prese parte personalmente
re), come la Germania, la Spagna e la Francia, questa a quell’impresa. Questa sua mossa fece stare incerti e
piena (=le invasioni straniere) non avrebbe provocato fermi (=li aveva colti di sorpresa) sia gli spagnoli sia i
i grandi mutamenti che ci sono stati oppure non sa- veneziani; questi per paura, quelli per il desiderio che
rebbe nemmeno avvenuta. E voglio che basti aver avevano di rioccupare il regno di Napoli. Inoltre egli
detto questo per quanto riguarda l[a possibilità di] si tirò pure dietro il re di Francia, il quale, vedendolo
opporsi alla fortuna in generale. in azione e desiderando farselo amico per abbattere i
4. Ma, restringendomi ai casi particolari, dico che og- veneziani, giudicò di non potergli negare il suo aiuto
gi si vede un principe ottenere buoni risultati e doma- senza offenderlo in modo esplicito. Perciò Giulio II
ni rovinare senza avergli visto mutare natura o qualità con la sua azione impetuosa ottenne un risultato che
alcuna. Io credo che ciò dipenda in primo luogo dalle nessun altro pontefice con tutta la sua umana pruden-
cause che si sono lungamente discusse più sopra, cioè za avrebbe mai ottenuto; perché egli, se aspettava di
che quel principe, che si affida completamente alla partire da Roma con gli accordi fatti e con le cose or-
fortuna, va in rovina, non appena essa varia. Credo dinate, come qualunque altro pontefice avrebbe fatto,
inoltre che ottenga buoni risultati quel [principe] che non avrebbe mai ottenuto quei risultati: il re di Fran-
adatta il suo modo di procedere alle caratteristiche dei cia avrebbe avuto mille scuse e gli altri [gli] avrebbe-
tempi e che similmente non ottenga buoni risultati ro messo mille paure. Io voglio lasciar stare le altre
quello che non adatta il suo modo di procedere ai sue imprese, che sono state tutte simili a questa. La
tempi. brevità della sua vita non gli ha fatto provare il con-
5. Perché si vede che gli uomini – nelle azioni che li trario, perché, se fossero giunti tempi che richiedesse-
conducono al fine che si sono prefissi, cioè gloria e ro di procedere con cautela, avrebbe conosciuto la sua
ricchezze – procedono in modi diversi: l’uno con cau- rovina. Né mai avrebbe deviato da quei modi [di pro-
tela, l’altro con impeto; l’uno con violenza, l’altro cedere] ai quali la natura lo inclinava.
con arte; l’uno con pazienza, l’altro con impazienza. 8. Concludo dunque che gli uomini, poiché la fortuna
E ciascuno vi (=alla gloria ed alle ricchezze) può per- cambia e poiché essi restano attaccati ostinatamente
venire con questi diversi modi [di procedere]. Si ve- ai loro modi [di procedere], ottengono buoni risultati,
dono poi due individui cauti, uno [dei quali] raggiun- finché concordano con la fortuna (=le circostanze);
ge il suo scopo, l’altro no. E similmente si vedono non li ottengono più, quando non concordano più con
ottenere ugualmente buoni risultati due [individui] essa. Io giudico bene questo: è meglio essere impe-
che hanno applicato princìpi diversi, essendo l’uno tuosi che cauti, perché la fortuna è donna ed è neces-
cauto, l’altro impetuoso. Ciò dipende semplicemente sario, volendola sottomettere alla propria volontà,
dalle caratteristiche dei tempi, che si adattano o che batterla e spingerla. E si vede che essa si lascia vince-
non si adattano al [modo di] procedere degli interes- re più facilmente da questi che non da coloro che
sati. Da qui nasce ciò che ho detto, [cioè] che due, procedono con la fredda ragione. Perciò sempre, co-
operando in modo uguale, raggiungono uno il fine, me donna, è amica dei giovani, i quali sono meno
l’altro no. cauti e più feroci (=risoluti, decisi) [degli uomini ma-
6. Da questo ancora dipende il variare della fortuna turi e perciò più cauti e meno arditi] e con più audacia
umana, perché un [principe], se governa con cautela e la comandano.
con pazienza e se i tempi e le cose girano in modo
che il suo governo sia buono, allora ottiene buoni ri- Riassunto. Contro coloro che ritengono il futuro im-
sultati; ma, se i tempi e le cose mutano, egli rovina, prevedibile e incontrollabile Machiavelli afferma che
perché non muta il suo modo di procedere. Né si tro- la fortuna controlla la metà delle azioni umane o poco
va un uomo così prudente, che si sappia adattare a più. E fa l’esempio del fiume che rompe gli argini e
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allaga i campi. L’inondazione non sarebbe avvenuta o vorevoli, l’uomo deve prendere provvedimenti per
sarebbe stata meno dannosa, se si fossero presi prov- quando le cose vanno male e le circostanze sono sfa-
vedimenti e rinforzato gli argini, quando il fiume era vorevoli. Con la prudenza e la prevenzione non è det-
in secca. Quindi allarga la riflessione: due individui to che l’uomo riesca a piegare la fortuna secondo le
ottengono il successo, pur operando in modo opposto; sue intenzioni; ma almeno ci prova, così non può
un individuo ha sempre vinto operano in un certo rimproverarsi di non aver tentato. Oltre alla prudenza
modo e all’improvviso va incontro alla sconfitta. e alle precauzioni l’uomo però può fare intervenire
L’autore dice che ciò dipende dal fatto che l’interven- un’altra variabile: la virtù, l’impeto, il coraggio, l’au-
to era adatto o non era adatto alla situazione da gesti- dacia, la passione, la decisione, la determinazione.
re. E conclude con un’osservazione sul carattere: noi Essi certamente esulano dall’ambito della ragione,
ci abituiamo ad agire in un certo modo, che ci ha che in genere non si contrappongono alla ragione e
condotto al successo; ma, quando la situazione non che possono intervenire positivamente, quando la ra-
richiede più quel modo di intervento, andiamo incon- gione ha esaurito le sue risorse e i suoi mezzi di in-
tro all’insuccesso. In ogni caso per l’autore il modo tervento. L’autore punta proprio su questi interventi
d’intervenire più efficace è il colpo di mano, l’azione irrazionali, quando la ragione (propria ed altrui, cioè
imprevista e imprevedibile, che porta alla vittoria e degli avversari) entra in stallo. E, come di consueto, a
che mette gli avversari davanti al fatto compiuto. La sostegno della sua tesi porta come prova la “realtà ef-
fortuna perciò è amica dei giovani, che sono audaci, fettuale” di un fatto concreto preciso: la presa di Bo-
che non hanno nulla da perdere e tutto da guadagnare. logna ad opera del papa Giulio II, che con il suo
comportamento deciso e imprevedibile sorprende gli
Commento avversari e li mette davanti al fatto compiuto. L’au-
1. Il tema della fortuna è uno dei motivi più impor- tore però si dimentica di citare i casi in cui l’impeto
tanti del Principe ed è un motivo che l’autore eredita ha fallito…
dagli umanisti italiani del Quattrocento. La fortuna ha 3. Il testo svolge alcune interessanti riflessioni sulle
una lunga storia. È la Necessità dei greci, che pensa- abitudini: ognuno di noi si abitua ad operare in un
no alle tre vecchie – Cloto, Làchesi, Àtropo – che certo modo, cioè in quel modo verso cui si sente più
nell’Averno filano, tessono e interrompono la vita predisposto e che gli ha procurato successo e soddi-
umana e il cui potere è superiore alla volontà degli sfazioni. Ciò però può essere pericoloso: le cose con-
dei. È la dea Fortuna (o il Fato, cioè il destino, la sor- tinueranno ad andarci bene soltanto se continueranno
te, le circostanze) dei romani, che è cieca e che, indif- a presentarsi circostanze che richiedano quello speci-
ferentemente, ora è favorevole, ora avversa agli uo- fico modo di affrontarle; altrimenti ci aspetta la rovi-
mini. È la Provvidenza cristiana, che per Dante è la na. D’altra parte – nota giustamente l’autore – ognu-
ministra di Dio ed esegue la volontà imperscrutabile no ha un carattere specifico che lo spinge a compor-
di Dio (ciò però non gli impedisce di prendersela con tarsi in un certo modo; e oltre tutto non si può cam-
lei, quando è sfavorevole) (If VII, XV ecc.). È la For- biare facilmente un modo di operare che ormai è di-
tuna degli umanisti del Quattrocento, che la riteneva- venuto la nostra natura. Anche in questo caso l’autore
no interamente controllabile, quando affermavano respinge l’ottimismo umanistico, che attribuiva
che “ognuno è artefice del suo destino”. È il caso im- all’uomo la capacità di imporre la sua volontà al de-
prevedibile, incontrollabile, assurdo e paradossale, stino. Egli mostra che la questione è molto più com-
che domina le vicende dell’Orlando furioso, che fa plessa del previsto, e che resta sempre un notevole
impazzire Orlando, perché respinto da Angelica; che margine di rischio e di incertezza circa la riuscita del-
fa innamorare Angelica di un oscuro fante; e che fa le nostre azioni. Il futuro non è più completamente
intersecare a più riprese i destini incrociati dei prota- prevedibile né trasparente.
gonisti del poema. La trama del poema di Ariosto 4. Guicciardini invece ritiene che la Fortuna condi-
mostra una ben maggiore articolazione del problema zioni interamente le azioni umane, perché l’uomo non
della fortuna, come di altri problemi, e una ben mag- può prevedere e controllare tutti i casi possibili. E
giore aderenza alla realtà dei fatti. spesso la conoscenza dei particolari è determinante.
2. Machiavelli non ha più la fiducia umanistica, se- Machiavelli ha fatto dieci anni di esperienza politica,
condo cui l’uomo può controllare interamente il suo Guicciardini ha fatto il mediatore e l’ambasciatore tra
destino. Rifiuta però il fatalismo deterministico, che i potenti per tutta la vita. Dovrebbe essere più atten-
toglierebbe all’uomo qualsiasi merito e qualsiasi re- dibile Guicciardini, ma non è detto: l’autore non era
sponsabilità per ciò che fa. E inserisce le azioni uma- un uomo d’azione, ma di mediazione, perché doveva
ne all’interno delle circostanze, ora favorevoli ora mediare tra le due parti e dedicarsi a trattative logo-
sfavorevoli, in cui avvengono. Nel primo caso le cose ranti (come egli stesso sottolinea).
vanno bene; nel secondo vanno male. Egli è convinto 5. La parte finale del capitoletto, in cui si afferma che
che la fortuna controlli la metà delle azioni umane la fortuna è donna ed è amica dei giovani, risente più
(primo caso) e che lasci agli uomini il controllo della passionalità che caratterizza la conclusione
dell’altra metà (o quasi) (secondo caso). La sua idea, dell’opera, che della prudenza e della riflessione dei
per contrastare le circostanze sfavorevoli, è questa: capitoli precedenti. Ciò è comprensibile: Machiavelli
quando le cose vanno bene e le circostanze sono fa- ha bisogno non più di dimostrare e di trasmettere gli
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 170
insegnamenti di una scienza; deve incitare all’azione. quelle piaghe che ormai da tempo sono aperte. Si ve-
E la ragione preferisce la riflessioni teorica all’irruen- de come essa prega Dio affinché Egli le mandi qual-
za e ai pericoli dell’azione. cuno che la liberi dalle atrocità e dalle violenze com-
6. Anche in questo capitolo l’autore pensa di dire messe da potenze straniere. Si vede pure che essa è
qualcosa di nuovo, mai detto in precedenza. Glielo tutta pronta a seguire una bandiera, purché ci sia
concediamo senza difficoltà… Peccato che di lì a po- qualcuno che la innalzi e si faccia seguire. Né al pre-
co tiri fuori il nostro “libero arbitrio”, che non è affat- sente si vede nessun altro, in cui l’Italia possa spera-
to pertinente e che è una teoria importante della Chie- re, se non il Vostro (=di Lorenzo de’ Medici) illustre
sa. Non gli passa neanche per la mente che di certi casato, il quale con la sua fortuna ed il suo valore, a-
argomenti non conviene parlare o se ne parla soltanto vendo il favore di Dio e della Chiesa, alla quale ha
in privato o in segreto. E i segreti non si rivelano, al- dato ora un papa (=Giovanni de’ Medici, divenuto
trimenti perdono tutto il loro valore e il loro potere. papa nel 1513 con il nome di Leone X), possa guidare
Anche in questo caso parla più dell’Italia che dei e attuare la liberazione dallo straniero. Ciò non sarà
grandi Stati europei: i Medici sono cacciati e poi ri- molto difficile, se avrete davanti a voi, come modello,
tornano a Firenze, diversi principi sono andati al po- le azioni e la vita dei soprannominati [Mosè, Ciro e
tere con la violenza e poi hanno cercato di consolida- Teseo]. E, benché quegli uomini siano rari e straordi-
re il loro potere. La vita del suo principe è molto in- nari, tuttavia furono uomini, e ciascuno di loro ebbe
certa e nelle mani della fortuna, del caso o delle pro- un’occasione meno favorevole di questa occasione
prie capacità personali. Basta una malattia e Cesare presente; e la loro impresa non fu più giusta di questa,
Borgia perde tutto ciò che aveva acquistato. Ma que- né più facile, né Dio fu più favorevole a loro che a
sta non era la situazione degli altri regnanti d’Europa. voi. Qui sta la giustizia più grande: “È giusta la guer-
---I☺I--- ra per chi è necessaria, e le armi sono sante dove non
c’è alcuna speranza se non nelle armi” [T. LIVIO, Ab
Cap. XXVI: Esortazione a conquistare l’Italia urbe condita, IX, 1]. Il popolo italiano è dispostissi-
e a ripristinarne la libertà dagli stranieri mo [a prendere le armi contro gli stranieri]; e, dove
c’è grandissima disponibilità, non può essere grande
difficoltà [a farsi seguire], purché la casa de’ Medici
1. Tenendo dunque presenti tutte le cose precedente-
prenda come modelli coloro che io ho proposto. Oltre
mente discusse e riflettendo dentro di me se in questo
a questo, qui si vedono avvenimenti straordinari, sen-
momento la situazione italiana è favorevole all’af-
za precedenti, mandati da Dio: il mare si è aperto; una
fermarsi di un nuovo principe e se le circostanze pos-
nuvola vi ha mostrato il cammino; la roccia ha fatto
sono permettere ad un uomo cauto e valoroso di in-
scorrere acqua; qui è piovuto la manna; tutto contri-
trodurre nuovi ordinamenti politici, che facciano ono-
buisce alla vostra grandezza [e al vostro successo].
re a lui e giovino a tutti gli italiani, mi sembra che ci
Voi dovete fare il resto. Dio non vuole fare ogni cosa,
siano tanti elementi capaci di aiutare un principe
per non toglierci il libero arbitrio e parte di quella
nuovo, che non ricordo che ci sia stato un altro mo-
gloria che tocca a noi.
mento più adatto di questo. E, come io dissi, se per
[…]
vedere il valore di Mosè era necessario che il popolo
5. Non si deve dunque lasciar passare questa occasio-
ebraico fosse schiavo in Egitto; se per conoscere la
ne, affinché l’Italia, dopo tanto tempo, veda un suo
grandezza d’animo di Ciro era necessario che i per-
salvatore. Né posso esprimere con quale amore egli
siani fossero oppressi dai medi; se per conoscere le
sarebbe ricevuto in tutte quelle provincie che hanno
grandi capacità di Teseo era necessario che gli atenie-
patito per queste alluvioni (=invasioni) esterne; con
si fossero disorientati ed incerti; così ora, per cono-
che sete di vendetta (=giustizia), con che ostinata fe-
scere il valore di un personaggio italiano, era necessa-
de, con che pietà, con che lacrime. Quali porte reste-
rio che l’Italia si riducesse nella situazione in cui è al
rebbero chiuse davanti a lui? Quali popolazioni gli
presente, cioè era necessario che fosse più schiava
negherebbero l’obbedienza? Quale Italiano gli neghe-
degli ebrei, più serva dei persiani, più disorientata ed
rebbe l’ossequio? A ognuno puzza questo barbaro
incerta degli ateniesi; era necessario che fosse senza
dominio. Pigli dunque l’illustre casa vostra questo
capo, in preda al caos, sconfitta, saccheggiata, lacera-
compito con quell’animo e con quella speranza con
ta, percorsa da eserciti nemici e che avesse subito o-
cui si intraprendono le imprese giuste, affinché sotto
gni specie di distruzione.
la sua bandiera questa patria sia nobilitata, e sotto i
2. E, benché finora si sia potuto vedere qualche indi-
suoi auspici si verifichi quel detto di Petrarca [Can-
zio in qualcuno (=in Cesare Borgia, detto il Valenti-
zoniere, CXXVIII, 93-97]:
no), da far pensare che fosse stato mandato da Dio a
salvare l’Italia, tuttavia si è visto in seguito che nel
“Virtù (=il coraggio) contro la furia [dei barbari]
momento decisivo delle sue imprese questo perso-
prenderà le armi, e il combattimento sarà corto,
naggio è stato abbandonato dalla fortuna. Perciò
perché l’antico valore [dei romani]
l’Italia, come se fosse rimasta senza vita, aspetta chi
nel cuore degli italiani non è ancor morto”.
le sani le ferite, ponga fine ai saccheggi che hanno
devastato la Lombardia e ai tributi che devono pagare
il Regno di Napoli e la Toscana, e la guarisca da
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 171
Riassunto. Machiavelli conclude il trattato invitando 2. L’ultimo capitolo però prosegue e conclude anche
Lorenzino de’ Medici a liberare l’Italia dagli stranie- altre indicazioni e altre riflessioni, che attraversano
ri: la situazione è favorevole, può contare sull’aiuto l’opera: la virtù, l’impeto, l’irruenza passionale e ir-
del papa (è della famiglia de’ Medici) e sull’aiuto di razionale hanno la meglio sulla riflessione, sulla ra-
Dio, come dimostrano i fatti prodigiosi che si sono gione e sulla preparazione meticolosa. La ragione può
visti. E sarà sicuramente seguito dal popolo italiano, dare i suoi contributi migliori soltanto nel prendere
che aspetta soltanto che un principe impugni la ban- precauzioni per il tempo in cui la fortuna favorevole
diera della liberazione nazionale. I barbari non sono vien meno. Tutto ciò non deve portare ad accusare
audaci come sembrane si arrendono subito. E l’antico Machiavelli di fare scelte irrazionali, perché talvolta
valore militare non è ancora morto nel cuore degli ita- una situazione in stallo si può sbloccare soltanto con
liani. un’azione irrazionale – cioè si può “forzare” –; poi
perché l’irrazionalità e la passionalità non si sostitui-
Commento scono alla ragione, ma intervengono quando la ragio-
1. L’ultimo capitolo fornisce gli elementi per inter- ne si trova in stallo e ha mostrato i limiti del suo in-
pretare correttamente il breve trattato: l’autore auspi- tervento; e infine perché l’intervento passionale e ir-
ca l’avvento di un principe, che nel caso specifico è razionale introduce nella realtà una variabile di cui la
un esponente della casa de’ Medici, che cacci gli e- ragione (degli avversari, ma anche nostra) fa fatica a
serciti stranieri fuori d’Italia e restituisca la libertà a- prevedere le conseguenze.
gli italiani. La liberazione nazionale viene dall’alto, 3. Le considerazioni appena fatte devono però tenere
non dal popolo. Il popolo deve soltanto seguire la conto di alcune altre idee di Machiavelli: la forza
bandiera innalzata dal principe. Machiavelli ha anco- dell’abitudine che si impossessa delle azioni del prin-
ra una visione ristretta e municipale della politica: il cipe, sia nel caso in cui il principe usi la ragione, ed
principe può fare tutto da sé, perché il suo Stato non abbia successo, perché le circostanze richiedono a-
supera i confini regionali e la vita politica è estrema- zioni razionali; sia nel caso in cui il principe usi
mente semplice. Ciò però succede soltanto in Italia, l’impeto passionale, l’audacia e la determinazione, ed
che da secoli si era cristallizzata in piccoli Stati e in abbia ancora successo, perché le circostanze richie-
Stati regionali, sempre in lotta tra loro fino alla pace dono un tale tipo di intervento. La forza dell’abitudi-
di Lodi (1454), perché nel resto dell’Europa ci sono, ne per il principe diventa un suicidio politico, quando
e da tempo, gli Stati nazionali, che fondano la loro intervengono circostanze che egli con la sua mentalità
potenza su un territorio vasto, su una popolazione ed il suo comportamento – vuoi razionali vuoi pas-
numerosa, su una burocrazia efficiente e su un eserci- sionali – non è abituato ad affrontare e non ha l’espe-
to stabile e ben armato. rienza specifica con cui affrontarle.
1.1. L’ultimo capitolo mostra quanto il trattato sia 4. Machiavelli si preoccupa in primo luogo che l’Ita-
condizionato dalla dedica del Principe a un esponente lia sia liberata dalla presenza straniera; a questo pro-
di casa de’ Medici. La proposta di unificare l’Italia è posito ritiene che la casa de’ Medici abbia le maggio-
il piatto prelibato che l’autore offre al suo futuro (lo ri possibilità di successo. A questo punto però l’au-
spera) datore di lavoro. Lorenzino poteva farsi abba- tore si ferma: non dice che cosa succederà in Italia
gliare e ringalluzzire per la proposta, e pensare di rea- una volta che gli stranieri siano stati cacciati. La casa
lizzarla. Ma poi non ci pensa nemmeno. de’ Medici dovrà forse continuare l’opera di unifica-
1.2. “Qui si vedono avvenimenti straordinari, senza zione nazionale oppure si dovrà fermare, contenta dei
precedenti, mandati da Dio”: il testo va interpretato risultati ottenuti? E, se dovrà continuare, come si do-
nei termini indicati dallo stesso Machiavelli in Di- vranno comportare gli altri Stati della penisola: la
scorsi sopra la prima deca di Tito Livio, I, 11. I mira- Repubblica di Venezia, lo Stato della Chiesa e il Re-
coli non avvengono, sono soltanto fole inventate per gno di Napoli? Dovranno farsi conquistare in nome
il popolo che servono per mantenere il popolo com- dell’unità italiana o potranno resistere e reagire? E, al
patto. L’ex gesuita Botero non scomoda i miracoli (è di là della presenza degli eserciti stranieri, questo era
pericolosissimo, perché, se lo scopre, la gente si sen- il problema che pesava, ormai da alcuni secoli, sulla
te raggirata!), pensa che la Chiesa svolga egregia- penisola. L’autore vuole dimenticare che le potenze
mente il compito di tenere il popolo compatto e ubbi- straniere erano in Italia dal 1494, cioè da quando Lu-
diente al principe. È curioso un uomo che non crede dovico il Moro, signore del ducato di Milano, aveva
ai miracoli e che se li inventa perché gli servono… invitato in Italia Carlo VIII, re di Francia, contro il
1.3. Dio, salvatore, speranza son termini religiosi. regno di Napoli; e il sovrano francese era giunto fino
Nello scrittore però la Chiesa non ha scopi autonomi, a Napoli senza colpo ferire. Soltanto a questo punto
è soltanto uno instrumentum regni. Un’interpreta- gli Stati italiani si coalizzano contro il sovrano fran-
zione davvero semplice e povera della Chiesa, che si cese, che è momentaneamente fermato. Essi però so-
proponeva di predicare il Vangelo, la buon novella, a no immediatamente presi dal loro individualismo e
tutte le creature, a tutti gli uomini della terra (Mc 16, dalle loro conflittualità tradizionale, così le potenze
9-20). Che finanziava gli artisti ad maiorem Dei glo- straniere invadono la penisola e vi restano fino
riam e che aveva il dominio incontrastato sulle co- all’unità d’Italia (1859-70).
scienze dei fedeli.
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5. Le posizioni di Machiavelli – ma il discorso vale data sopra i responsi degli oracoli e sopra la setta de-
per ogni autore – acquistano spessore politico e teori- gli indovini e degli aruspici. Tutte le altre cerimonie,
co se confrontate (ad esempio) con la visione che sacrifici e riti, dipendevano da queste; perché essi
Dante ha dello Stato (l’impero deve garantire pace e credevano facilmente che quel Dio che ti poteva pre-
giustizia agli uomini) o con la visione che ne ha dire il tuo futuro bene o il tuo futuro male, te lo po-
Thomas Hobbes (1588-1679) nel Seicento (lo Stato tesse ancora concedere. Di qui nascevano i templi, di
deve avere tutto il potere politico nelle sue mani, cioè qui i sacrifici, di qui le suppliche ed ogni altra ceri-
deve essere assoluto perché soltanto così riesce a im- monia che venerava gli dei. Da qui l’oracolo di Delo,
porre la pace nella società dilaniata dai conflitti tra le il tempio di Giove Ammone e altri celebri oracoli,
opposte fazioni). Da questo confronto emerge più che riempivano il mondo di ammirazione e devozio-
chiaramente quanto, al di là delle parole, l’autore è ne. Quando costoro cominciarono a parlare e a com-
rimasto legato al passato e quanto è andato oltre. portarsi come i potenti e questa falsità (=vita corrotta
5.1. Machiavelli ha avuto forti estimatori tra i pensa- dalla ricchezza, contraria al Vangelo) fu scoperta dai
tori laici che dal Risorgimento in poi lo hanno voluto popoli, gli uomini diventarono increduli (=persero la
contrapporre all’oscurantismo della Chiesa cattolica. fede) e disposti a perturbare ogni ordine sociale buo-
In realtà, se si va a vedere più attentamente e senza no (=divennero sediziosi, ribelli, pieni di pretese). I
pregiudizi il pensiero politico medioevale, si scopre principi di una repubblica o di uno regno devono
con sorpresa che il principe di Machiavelli è molto dunque mantenere i fondamenti della religione che
simile – troppo simile – al rex, al monarca assoluto, essi tengono; e, fatto questo, sarà loro facile mantene-
di cui parla Tommaso d’Aquino nel De regimine re la loro repubblica religiosa e, di conseguenza, buo-
principum (1266). Il compito supremo del rex era na e unita. E devono favorire e accrescere tutte le co-
quello di preoccuparsi ad oltranza del bonum commu- se che nascano in favore di quella, anche se le giudi-
ne, cioè della difesa e della sicurezza dello Stato, del- cassero false; e tanto più lo devono fare, quanto più
la pace e dell’ordine sociale. In nome del bene comu- sono prudenti e quanto più conoscitori delle cose na-
ne poteva essere sacrificata anche la vita del singolo turali. E, poiché questo modo è stato osservato dagli
individuo. uomini saggi, è nata l’opinione dei miracoli, che si
6. Conviene confrontare Machiavelli, Guicciardini e celebrano nelle religioni anche se falsi (=mai accadu-
Botero, che sono contemporanei, per i temi comuni ti); perché i prudenti li aumentano, da qualunque
che affrontano e per le soluzioni che propongono: i principio nascano; e la loro autorità dà poi ad essi
sudditi, lo Stato, il principe, le virtù del principe, la credibilità presso chiunque. A Roma avvennero mol-
pace e la guerra, l’infrazione della morale comune e/o tissimi di questi miracoli. Tra essi ci fu questo: men-
ecclesiastica, la Fortuna, la Chiesa. tre i soldati romani saccheggiavano la città di Veio,
7. Alla fine della lettura del Principe si ha l’im- alcuni di loro entrarono nel tempio di Giunone, si ac-
pressione che l’autore abbia visto la realtà per il buco costarono all’immagine della dea e le dissero: “Vis
della serratura o anche al di là del buco, ma che non venire Romam?” (“Vuoi venire a Roma?”). A qual-
abbia mai parlato con l’esperienza di chi è stato pro- cuno parve di vedere che accennasse di sì, a qualcun
tagonista diretto, attivo, in prima persona dei fatti. E altro che dicesse di sì. Perciò, essendo quegli uomini
c’è una radicale opposizione tra essere protagonisti e pieni di religione (=spirito religioso) (secondo Tito
immaginare di essere protagonisti. La realtà effettua- Livio, Ab Urbe condita libri, V, 22, entrando nel
le si è presa una vacanza. tempio, vi entrarono senza tumulto, tutti devoti e pie-
---I☺I--- ni di riverenza), parve loro di udire quella risposta
che alla loro domanda per avventura avevano posto.
Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio Questa opinione e credenza fu del tutto favorita ed
(1513-17), I, 12 accresciuta da Furio Camillo (=il loro comandante) e
dagli altri principi della città. Questa religiosità, se si
fosse mantenuta agli inizi della repubblica cristiana,
Di quanta importanza sia tener conto della religione, come fu ordinato dal datore d’essa (=Dio), gli Stati e
e come l’Italia, per esserne mancata a causa della le repubbliche cristiane sarebbero più uniti e assai più
Chiesa romana, è andata incontro alla rovina. felici, di quanto ora sono. Né si può fare altra mag-
giore congettura del declino di essa, quanto è vedere
1. Quei principi o quelle repubbliche, che si vogliono come quei popoli che sono più vicini alla Chiesa ro-
mantenere incorrotte, hanno sopra ogni altra cosa a mana, capo della nostra religione, hanno meno reli-
mantenere incorrotte le cerimonie della loro religione, gione. E chi considerasse i suoi fondamenti e vedesse
e tenerle sempre nella loro venerazione; perché nes- quanto l’uso presente sia diverso dai romani, giudi-
sun maggiore indizio si può avere della rovina d’una cherebbe senza dubbio che si stia avvicinando la ro-
provincia (=paese), che vedere disprezzato il culto vina o la peste.
divino. Questo è facile da intendere, una volta che si 2. E, poiché molti sono dell’opinione che il benessere
sia conosciuto su che cosa sia fondata la religione do- delle città d’Italia nasca dalla Chiesa romana, voglio,
ve l’uomo è nato; perché ogni religione ha il fonda- controbattere con le ragioni (=argomentazioni) che
mento della sua vita su qualche suo ordine principale. mi servono allo scopo. Ne presento due, che hanno
La vita della religione dei gentili (=i pagani) era fon-
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grandissima forza e che, secondo me, non possono queste perché essi credevano facilmente che quel Dio
essere confutate. La prima è che, per gli esempi col- che poteva predire il tuo futuro favorevole o il tuo fu-
pevoli di quella corte, questa provincia (=paese, turo avverso, te lo poteva anche concedere. Da questa
l’Italia) ha perduto ogni devozione e ogni religione. E convinzione nascevano i templi, si facevano i sacrifi-
ciò si tira dietro infiniti inconvenienti e infiniti disor- ci, si rivolgevano le suppliche e si celebravano le ce-
dini, perché, come dove è religione si presuppone o- rimonie che veneravano gli dei. Ma, quando i sacer-
gni bene, così, dove essa manca, si presuppone ogni doti si comportarono come i potenti, gli uomini di-
male. Noi italiani abbiamo dunque con la Chiesa e ventarono increduli e furono disposti a perturbare
con i preti questo primo obbligo (=debito), di essere l’ordine sociale. I principi perciò devono mantenere
diventati senza religione e cattivi. Ma ne abbiamo pu- incorrotta la religione, perché soltanto così il popolo
re uno maggiore, che è la seconda causa della nostra sarà religioso, buono e compatto. Devono favorire e
rovina: la Chiesa ha tenuto e tiene questa provincia accrescere tutte le cose che riguardano la religione,
(=l’Italia) divisa. E veramente nessuna provincia fu anche se le giudicassero false. E tanto più lo devono
mai unita o felice, se non obbedisce (=è sottoposta) fare, quanto più sono prudenti e quanto più conosco-
tutta a una repubblica o a un principe, come è avve- no le cose naturali. In particolare con la loro autorità
nuto per la Francia e per la Spagna. E la causa che devono sostenere la veridicità dei miracoli, anche se
l’Italia non sia in quella situazione, né abbia o una re- sanno che non sono mai accaduti. Nella Roma pagana
pubblica o un principe (=monarchia) che la governi, è avvennero moltissimi miracoli. Uno di questi, secon-
solamente la Chiesa. In effetti, avendovi quella abita- do Livio, avvenne nella città di Veio. Alcuni soldati
to e tenuto il potere temporale, non è stata così poten- romani entrarono in un tempio, dove c’era una statua
te né di tanta virtù che abbia potuto occupare la tiran- di Giunone. Uno di essi chiese alla dea se voleva ve-
nide d’Italia e farsene principe. E neppure è stata così nire a Roma, quella accennò di sì o sembrò che dices-
debole che, per paura di perdere il dominio delle sue se di sì con il capo. La credenza di un miracolo fu ap-
cose temporali, non abbia potuto convocare un poten- poggiata dal capitano dei soldati e dai principi della
te che la difenda contro quello che in Italia fosse di- città. Se questa religiosità, conclude Machiavelli, si
ventato troppo potente, come si è visto anticamente fosse mantenuta nell’Europa cristiana, gli Stati e le
per assai esperienze, quando con Carlo Magno cacciò repubbliche cristiane sarebbero più uniti e assai più
i longobardi (774), che erano divenuti re quasi di tutta felici, di quanto ora sono. E invece si può riscontrare
l’Italia; e quando nei nostri tempi ella tolse la potenza facilmente che i popoli più vicini alla Chiesa romana
ai veneziani con l’aiuto della Francia e poi cacciò i sono meno religiosi e meno uniti a causa della corru-
francesi con l’aiuto degli svizzeri (1512-13). Perciò, zione del clero. A questo punto lo scrittore sviluppa il
non essendo stata la Chiesa tanto potente da occupare suo ragionamento. Contro coloro che sostengono che
tutta l’Italia, né avendo permesso che un altro la oc- il benessere dell’Italia sia dovuto alla Chiesa egli op-
cupasse tutta, è stata causa che l’Italia non è potuta pone due argomentazioni, che ritiene inconfutabili.
venire sotto un solo capo; ma è stata sotto più principi La prima è che per la corruzione della Chiesa, l’Italia
e signori, dai quali è nata tanta disunione e tanta de- ha perduto ogni devozione e ogni religione. E ciò
bolezza, che la si è fatta diventare preda, non sola- provoca infiniti inconvenienti e infiniti disordini. La
mente dei barbari potenti, ma di qualunque l’assalta. seconda è ancora più tremenda: la Chiesa è stata la
Di questo noi altri italiani abbiamo obbligo (=debito) causa della mancata riunificazione dell’Italia sotto un
con la Chiesa e non con altri. E chi volesse vedere, potere centrale, come è avvenuto per gli altri Stati eu-
per esperienza certa, più pronta la verità, bisognereb- ropei. Essa non è stata né troppo potente da riunifica-
be che fosse di tanta potenza da mandare la corte ro- re l’Italia sotto di sé; né troppo debole, da non poter
mana ad abitare, con l’autorità che ha in Italia, nelle chiedere aiuto a qualche potente, affinché la proteg-
terre degli svizzeri (=in uno Stato estero). Essi oggi gesse. Come è avvenuto quando chiese e ottenne
sono soltanto popoli che vivono come i popoli anti- l’aiuto di Carlo Magno contro i longobardi che mi-
chi, quanto alla religione e quanto agli ordini milita- nacciavano i suoi territori o come quando recente-
ri. E vedrebbe che in poco tempo in quella provincia mente chiese aiuto alla Francia contro i veneziani e
(=paese) farebbero più disordine i costumi corrotti di poi agli svizzeri contro i francesi. Perciò la Chiesa,
quella corte, che qualunque altro accidente che in non essendo stata tanto potente da sottomettere tutta
qualunque tempo vi potesse sorgere. la penisola né tanto debole da permettere che una re-
pubblica o una monarchia la riunificasse sotto di sé, è
Riassunto. Per Machiavelli i principi o le repubbliche, causa della mancata unificazione dell’Italia. Gli Sta-
che si vogliono mantenere incorrotti, devono mante- terelli in cui è divisa fanno sì che l’Italia sia debole e
nere incorrotte le cerimonie della loro religione e te- quindi preda degli Stati stranieri. A conclusione del
nerle sempre nella loro venerazione, perché il mag- suo ragionamento l’autore fa un exemplum fictum: se
gior indizio della rovina di un paese è vedere disprez- mandiamo la corte romana in Svizzera, che vive co-
zato il culto divino. La vita religiosa dei gentili (=i me i popoli antichi in fatto di religione e di ordini mi-
pagani) era fondata sopra i responsi degli oracoli e litari, in poco tempo i costumi corrotti degli ecclesia-
sopra la setta degli indovini e degli aruspici. Tutte le stici farebbero più danni di qualsiasi altra cosa.
altre loro cerimonie, sacrifici e riti, dipendevano da
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 174
Commento perché la religione deve essere un sentimento perso-
1. Machiavelli dice che il principe dev’essere al di nale e privato, da richiudere dentro le mura di casa. E
sopra della morale. Però, quando lo fa la Chiesa di non si ricordano nemmeno che il segretario fiorentino
Roma, egli s’inalbera e diventa più moralista dell’ul- l’aveva celebrata come instrumentum regni, l’unico
tima beghina e baciapile. E in questo passo tira in bal- strumento efficace per mantenere compatte e obbe-
lo la corruzione della Chiesa, denunciata a partire da dienti le masse. L’ignoranza dei laici è divenuta anco-
Dante fino a Lutero, che avrebbe un effetto scristia- ra più solida e compatta nel sec. XX.
nizzante sulle coscienze dei fedeli. Ma a questa accu- 1.5. Machiavelli è interessato soltanto a ciò che i ro-
sa ne aggiunge un’altra, a sua dire ancora più tremen- mani hanno fatto e che gli permette di concludere che
da: la Chiesa è stata la causa della mancata riunifica- la religione è stata e al presente deve essere ancora
zione dell’Italia, come invece è avvenuto per gli altri instrumentum regni. Non si chiede quali erano i rap-
Stati europei. Essa non ha conquistato la penisola né porti tra Stato e religione presso i greci e presso gli
ha permesso che altri lo potessero fare. Essa, se debo- ebrei, una domanda pertinente e che magari mostrava
le, ha sempre trovato qualcuno che la soccorresse. E altre possibilità e altre soluzioni. I greci avevano gli
fa l’esempio di Carlo Magno a cui chiede aiuto quan- oracoli, importanti non più di tanto, uno era nell’isola
do i longobardi avevano occupato quasi tutta l’Italia di Delo, un luogo scomodo da raggiungere; gli ebrei
(774). Il segretario fiorentino dimentica quel che un avevano invece una casta sacerdotale forte e ben or-
altro fiorentino aveva detto della compiacenza di un ganizzata, che condizionava la vita della popolazione
papa al potere politico. In Pg XXXII Dante aveva e chiedeva di essere mantenuta. Né si pone altre do-
usato parole durissime contro la Chiesa del suo tem- mande, pure pertinenti: prima di Numa Pompilio
po, che fu vista puttaneggiare con i re, tra cui il re di c’era o non c’era la religione? O c’era e il re romano
Francia. In Pg VI fa poi una durissima requisitoria l’ha soltanto piegata ai suoi interessi e l’ha trasforma-
contro imperatore, papa, signori d’Italia e popolo fio- ta in semplice instrumentum regni? E, più in genera-
rentino. A suo avviso tutti hanno la loro parte di col- le, prima della nascita delle città-Stato e poi dello
pa. Stato c’era o non c’era la religione? La domanda a
1.1. L’autore dimentica un’altra possibilità: uno Stato monte che doveva porsi suonava grosso modo così: è
italiano tanto forte da poter conquistare i territori del- nato prima lo Stato o prima la religione?
la Chiesa. Ma, umanamente parlando, non si può pre- 1.6. L’autore ciancia tanto di “verità effettuale” e si
vedere tutto… Di fatto gli Staterelli italiani perdeva- riempie il cervello di passato e di ammirazione per il
no tempo a litigar tra loro. mondo greco e latino, e dimentica di esaminare che
1.2. E poi inventa un’argomentazione, che avrà molto cosa succede e che cosa fa la Chiesa nell’Alto e nel
successo in seguito: la Chiesa ha provocato la scri- Basso Medio Evo. La risposta è importante ed è ba-
stianizzazione di molte regioni con il suo comporta- nale: l’impero romano crolla, la Chiesa subentra al
mento corrotto e immorale, compresa l’Italia del potere politico, protegge gli italici dai barbari invaso-
tempo. Con la minaccia o il ricatto implicito, rivolti ri e occupa i territori intorno a Roma. Nello stesso
alla Chiesa: attenti, o preti, se vi comportate male tempo conquista e gestisce le coscienze dei principi
perdete fedeli e obolo dei fedeli. Non si capisce per- come della gente comune di tutta Europa. Con la (fal-
ché si preoccupa se le entrate della Chiesa diminui- sa) Donazione di Costantino qualcuno aveva giustifi-
scono. Dovrebbe essere contento, così il denaro delle cato giuridicamente il suo potere temporale. Senza
offerte va ai principi, come succede in Germania con queste conoscenze è impossibile preparare un attacco
la riforma luterana (1517). al suo potere politico e religioso.
1.3. Machiavelli inizia il capitoletto proponendo una 2. Vien da dire che la colpa è sempre degli altri. Mai
riforma religiosa della Chiesa che invece doveva es- che un laico valuti con lo stesso metro Chiesa e Stato,
sere messa alla fine, come conclusione delle sue ana- ecclesiastici e politici. Almeno Guicciardini aveva
lisi. Nel capitoletto precedente aveva sostenuto che sottolineato che la causa delle invasioni dal 1494 in
Numa Pompilio aveva introdotto la religione per far poi era stato l’invito del duca di Milano al re di Fran-
accettare le sue innovazioni e per rendere più compat- cia di andare a far guerra al re di Napoli. Il re di
to lo Stato. Dopo aver notato che senza la compattez- Francia parte e arriva a Napoli senza colpo ferire. E
za e l’unità data dalla religione uno Stato rovina e sfugge poi costantemente che Machiavelli assume il
dopo aver affermato che la Chiesa di Roma ha corrot- punto di vista a favore dello Stato e contro la Chiesa.
to la religione, lo scrittore doveva concludere che si Come storico e intellettuale doveva essere sopra le
doveva moralizzare la Chiesa e poi che la si doveva parti e sentire le posizioni e le pretese dell’uno come
integrare nello Stato, per costringere il cittadino a ri- dell’altro contendente e poi fare le sue considerazio-
spettare di più le leggi. Il lettore può fare la correzio- ni. Come storico doveva anche vedere e capire perché
ne senza difficoltà. Peraltro della moralizzazione del- la Chiesa era così potente politicamente ed economi-
la Chiesa poi non si parla più, tanto meno del suo uso camente e magari poteva anche chiedersi se in passa-
come instrumentum regni. to essa aveva fatto qualcosa di buono per gli italiani,
1.4. Nell’Ottocento i suoi seguaci laici e patriotardi ad esempio la costruzione di chiese, poi riempite di
parlano rozzamente di “libera Chiesa in libero Stato”, opere d’arte (lavori pubblici plurisecolari), se aveva o
ma intendono dire che la Chiesa non rompa lo Stato, non aveva difeso gli italici dalle invasioni barbariche
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 175
ecc. Come diceva Tommaso d’Aquino, di una que- laico ha la verità in tasca e, quando parla, la deve sol-
stione si devono vedere tutti gli aspetti e non soltanto tanto e non deve fare altro. I laici sono normalmente
quelli che interessano. E, come dicevano i praticoni superiori al papa che è infallibile soltanto quando, u-
della partita doppia, si devono vedere e segnare sia le nito ai cardinali nel sinodo, enuncia una nuova verità
entrate, sia le uscite. di fede. Invece essi sono infallibili sempre. Ed ora un
3. Lo scrittore continua l’errore di Principe, XV: la commento laico a favore di Machiavelli e contro la
distinzione tra essere e dover essere, che lo spinge Chiesa cattolica:
poi, a parole, ad abbandonare il dover essere, se ciò
danneggia il principe e lo Stato. Qui condanna la “Il passo è strettamente collegato al cap. 11, in cui l’autore
Chiesa, perché non si comporta come si dovrebbe descriveva la religione pagana dell’antica Roma come un
comportare. Possiamo anche essere indulgenti e pen- complesso di norme e rituali dal significato politico e uti-
sare che l’accusa alla Chiesa sia soltanto strumentale, lissimo per mantenere unito il popolo romano e saldo il suo
per trovarle delle magagne che ha. Ma possiamo an- governo, attribuendo perciò alla religione un valore civile e
che immaginare che il punto di partenza dell’autore di instrumentum regni che prescinde totalmente da qualun-
sia inadeguato e che l’approccio iniziale ai problemi que considerazione metafisica: nel cap. in esame Machia-
non possa né debba essere la contrapposizione tra es- velli riprende la sua concezione e afferma che la religione
sere e dover essere con il rifiuto in certe circostanze deve avere la stessa funzione anche negli Stati moderni,
del dover essere. Ma un’altra, che si avvicini ai fatti che si mantengono saldi fino a quando nel popolo è viva la
senza alcuna preclusione o pregiudizio: che cosa suc- devozione e iniziano a declinare quando si diffonde un se n-
cede nella realtà? E perché? Quali scelte conviene fa- timento irreligioso, scettico verso il culto divino. Lo scrit-
re? E a chi? Con quali conseguenze desiderate e inde- tore afferma chiaramente che gli uomini saggi giudicano
siderate? Conviene introdurre delle regole o delle inconsistenti sul piano razionale molti insegnamenti della
leggi? Esse ammettono eccezioni o no? Ma l’autore fede, come ad es. i miracoli (egli fa riferimento a quelli at-
non si pone queste domande: il suo scopo non è ri- tribuiti agli dei pagani, anche se è evidente l’allusione al
spondere alla domanda che cos’è la religione, ma racconto biblico), tuttavia essi devono convalidarli e raf-
convincere il destinatario a dargli un posto d lavoro. forzarli di fronte al popolo, con tanta maggior convinzione
4. C’è un curioso “errore” di competenza: Machiavel- quanto maggiore è la consapevolezza che si tratta di fole,
li dice che la religione racconta favole, che però van- proprio perché il timor dei è un potente fattore di coesione
no difese e confermate, perché la religione è il più ef- sociale e di sottomissione delle masse al potere dei gover-
ficace strumento di governo. L’autore a) invade un ni. Ne emerge una riflessione di carattere laico e moderno
ambito che non è di sua competenza, e non doveva che rompe i ponti con la tradizione letteraria medievale e
farlo; b) non si accorge che implicitamente fa i com- che concepisce la religione come un mezzo per mantenere
plimenti alla Chiesa e ai preti, che hanno saputo ven- il potere e l’ordine politico non diversamente dalla legge,
dere fandonie ai credenti e incassare denaro, dalle of- anch’essa del resto descritta come espressione della giusti-
ferte ai lasciti testamentali; e c) non si chiede che co- zia terrena e non divina”
sa pensano in proposito i preti. Ma egli è il capofila di (http://letteritaliana.weebly.com/religione-e-politica.html,
laici che non riescono mai a fare considerazioni lai- 80.10.2017).
che, si impegolano nella morale e in altri discorsi mo-
ralistici e si attaccano a valori morali, che gli avversa- Insomma i politici devono chiedere aiuti ai preti, se
ri (e soltanto gli avversari) dovrebbero rispettare. vogliono governare e tenere sottomesso il popolo,
4. Se fosse stato più cauto e più intelligente, Machia- perché da soli non ce la fanno. Anziché accogliere
velli (e i suoi seguaci) avrebbero fatto un’analisi ben supinamente le idee del segretario fiorentino, conve-
più complessa delle favole, delle fandonie e dell’im- niva chiedersi se erano adeguate o se non lo erano, se
maginario costruito, elaborato, inventato dalla Chiesa facevano un’analisi decente dei fatti e della storia
in 1.512 anni. Così la Chiesa è presentata come una romana e d’Italia oppure no. E in ogni caso se si po-
sanguisuga, che succhia denaro a fedeli di poco cer- teva andare oltre le sue conclusioni. Ma non è un
vello, che è utile a se stessa ma anche allo Stato e che comportamento laico né da laici adoperare il cervello.
non fornisce alcun servizio ai credenti. Se per caso o La memoria è preferibile. Il termine metafisica è poi
perché seguiva una donna, il segretario fiorentino en- improprio: riguardava e riguarda soltanto Aristotele e
trava in una chiesa di Firenze (il duomo è sufficien- la sua filosofia: qui vale filosofica, oltremondana.
te), poteva vedere che era piena di opere d’arte, che L’autore è impegolato nella religione laica, nel laici-
facevano girare denaro. A parte la fiumana di pelle- smo, con i suoi dogmi impliciti e le sue ossessioni.
grini. La Chiesa è stata la prima finanziatrice degli Ed ha la mania e il culto del moderno: “una riflessio-
artisti e dell’arte fino al sec. XIX. Ovviamente lo fa- ne di carattere laico e moderno che rompe i ponti con
ceva pro domo sua, ma questo dovrebbe essere ovvio, la tradizione letteraria medievale”. Questi sono i suoi
è un principio che tutti applicano, e non le dovrebbe valori, e rifiuta l’ipotesi che ci siano anche altri valo-
essere rimproverato. ri, ad esempio quelli dei preti. Il commentatore è su
6. Un minimo di correttezza vorrebbe che sull’argo- posizioni laiche oltranziste e rifiuta lo Stato confes-
mento si sentissero anche la voce della Chiesa, dei sionale. Magari conveniva avere il culto dell’argo-
fedeli “ingannati” e altre posizioni. E invece no. Un mentazione e della corretta ricostruzione storica del
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passato, che e perché per noi tutti è più vantaggiosa. 8.1. Machiavelli e i suoi seguaci non si accorgono che
Per di più il suo odio per il Medio Evo, soprattutto hanno una concezione dello Stato ben carente, se lo
per il Basso Medio Evo, è superficiale e infondato. Stato ha bisogno della religione – la credenza negli
Ufficialmente Petrarca e Boccaccio appartengono al dei e nei miracoli – per imporre le sue leggi. Una pic-
Basso Medio Evo. Anche Lorenzo Valla e l’Umane- cola svista. Il segretario fiorentino coglie poi abba-
simo. E il Medio Evo oscurantista e pieno di diavoli stanza bene la fusione presso i romani di civis e sa-
goffi e di streghe, come diceva Giosuè Carducci ne Il cerdos, ma non si rende conto che al suo tempo Stato
comune rustico, è una favola interessata e strumenta- e Chiesa erano ormai due istituzioni distinte, non i-
le, inventata dagli illuministi (sec. XVIII) e dai loro dentificabili, con scopi e interessi diversi e pure di-
seguaci. Papa Giovanni XXI, al secolo Pietro Ispano, vergenti. E che perciò si trattava di inventare nuovi
scrive le Summulae logicales. Un altro papa, Bonifa- rapporti tra di loro.
cio VIII, indice il primo giubileo (1300) e fonda 8.2. Se la religione serve allo Stato e perciò la si defi-
l’università di Roma (1303). Un medico come Pietro nisce instrumentum regni, cioè strumento del potere
d’Abano o uno scrittore politico come Dante non po- dello Stato (o del principe o del sovrano), per gover-
tevano certamente essere messi tra i medioevali oscu- nare, allora l’espressione doveva avere un valore po-
rantisti. sitivo per tutti gli interessati e almeno per loro. Per
7. Interpretare la religione cristiana (o una qualsiasi quanto riguarda i credenti, si può lasciare il discorso
altra religione) come una raccolta di fandonie fatta in sospeso. E invece l’espressione instrumentum re-
per ingannare e derubare i fedeli dimostra l’assoluta gni ha acquistato un significato negativo, perché lo
incapacità di pensare, di osservare e di vedere degli strumento è sempre inferiore ai fini che si vogliono
interessati. A parte poi l’errore di parlare di argomen- raggiungere.
ti su cui non sono informati e che non sono di loro 9. Il miracolo di cui parla Machiavelli citando Tito
competenza. Gli errori si sprecano. Noi crediamo ai Livio è ridicolo e non è un miracolo. Bastava poco
numeri e li usiamo in modo forsennato, anche se non per smontarlo. Oltre a ciò trasformarlo in miracolo
li abbiamo mai visti e mai li vedremo e ci limitiamo a grazie alla testimonianza del comandante Camillo è
disegnarli sulla carta. E, comunque, preferiamo la stata un’altra idea ridicola e balorda, ugualmente faci-
numerazione araba a quella romana o a quella greca o le da smontare: il “miracolo” era dato dalle testimo-
a quella egizia. Magari conveniva ritener vere o im- nianze e non da fatti che lo testimoniassero in modo
maginare che fossero vere le convinzioni e le teorie autonomo. In ambedue i casi poi chi ascoltava sentiva
della controparte. L’immedesimazione poteva portare puzza di imbroglio. Il popolo non ha un solo cervello
a comprendere meglio la Chiesa e i suoi successi a cui si possa dar da bere e da credere quel che si
mondani. vuole. Ha tante teste e qualcuna è capace di pensare.
8. Anche interpretarla come mero instrumentum regni Camillo e i principi poi dovevano sapere (ma se erano
è inadeguato. Eppure il segretario fiorentino aveva militari o politici!) che la religione conta balle e che è
sotto gli occhi la religione romana, su cui poteva ri- uno strumento di governo; e pensavano con la loro
flettere in modo più approfondito, per poi passare ad testa, non con la testa né con le idee che Machiavelli
esaminare la religione cristiana nei suoi 1.500 anni di 2.000 anni dopo attribuisce loro. C’è però un proble-
vita. Ma è stato impedito dal pregiudizio con cui si è ma linguistico di non poco conto: che cosa vuol dire
avvicinato al passato. Doveva assumere il punto di miracolo.
vista dei romani e dimenticare il suo punto di vista e 9.1. In latino miracolo si dice miraculum, e indica un
le sue idee sulla religione. Ad ogni modo già interpre- fatto meraviglioso, incredibile, un prodigio (come
tare la religione come instrumentum regni è qualcosa. spesso dice e traduce lo scrittore). Una nevicata nel
Nel mondo romano accanto alla religione pubblica deserto del Sahara è un miracolo, un fatto prodigioso,
esisteva anche la religione privata, il culto dei lari, gli magari voluto dagli dei, che tuttavia non va contro
antenati protettori della casa: il cittadino romano rac- alcuna legge di natura. Machiavelli parla dei miracoli
contava baggianate e fandonie anche a se stesso, nelle latini e non dei miracoli della Chiesa, che sono molto
stanze segrete della casa? Né Machiavelli né i suoi diversi, poiché non sono soltanto fatti prodigiosi, ec-
laici ammiratori colgono la presenza della religione cezionali, ma fatti che infrangono le leggi della natu-
privata e riflettono sulla religione privata dei romani ra, come la resurrezione di Lazzaro. Lo scrittore parla
e degli altri popoli antichi. Riflettere è troppo fatico- soltanto di Tito Livio, così evita di parlare dei mira-
so: si può rimandare alle calende greche o anche più coli della Chiesa e di dire se sono o non sono dello
in là. Oltre a ciò non si chiedono se, almeno per i pre- stesso tipo o se sono di altro tipo. Peraltro, se ritiene
ti, la religione abbia o possa avere motivazioni auto- una fandonia un fatto soltanto meraviglioso (e che
nome, che prescindono (anche se non escludono) non va contro alcuna legge di natura di ieri e di oggi),
l’interpretazione della religione come instrumentum riterrà ancora più fandoniesco un fatto che va contro
regni. È per di più facile dimostrare che è nata prima le leggi della natura (di ieri come di oggi). Bisogna
la religione (o il sentimento religioso) e poi lo Stato anche precisare: le leggi della natura che noi abbiamo
(o un sistema di governo più complesso rispetto elaborato e che noi conosciamo ieri o oggi, ma noi
all’organizzazione del branco animale o del gruppo non conosciamo né tutta la natura né tutte le leggi
umano). della natura. Ma l’autore non è interessato alla do-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 177
manda se un miracolo è accaduto o no, bensì all’uso cettate, difendete e diffondete l’ortodossia della Chie-
politico che si fa del miracolo per tenere uniti i suddi- sa, la Chiesa non mette naso nella vostra vita privata.
ti. Un buon contratto. Ma arrivano i laici bacchettoni e
9.2. Non discutiamo la pretesa di Machiavelli di co- intolleranti che accusano la Chiesa di corruzione o di
noscere a sufficienza le leggi della natura, in modo da concubinato. Ma no! Gli ecclesiastici praticavano ra-
poter dire che i miracoli di Tito Livio e ancor più i ramente la corruzione in quanto ecclesiastici. Pratica-
miracoli della Chiesa sono soltanto delle fandonie. vano l’amore per le ricchezze e il concubinato nella
Per di più egli è un politico e non uno scienziato e loro vita privata. La loro vita pubblica era incentrata
non dovrebbe uscire dal suo ambito di competenza. sul motto ADMG, Ad Dei maiorem gloriam. Oltre a
Magari il problema dei miracoli non si poteva porre ciò, se invadiamo la loro vita privata, allora dobbia-
nei termini di Vero o Falso (il miracolo è veramente mo invadere anche quella del principe o dei politici,
accaduto o è una fandonia?), come egli pensa, ma in per pari opportunità. Curiosamente non si parla mai
altri termini. Normalmente i poeti antichi si inventa- di corruzione pubblica o privata dei principi: erano
vano le storie sugli dei, e nessuno aveva niente da ri- tutti morali e onesti, a parte quando dovevano com-
dire, nessuno diceva che gli dei erano inesistenti e a piere qualche crimine con scopi altruistici, per il bene
maggior ragione ciò che veniva loro attribuito. Addi- maggiore dello Stato. La classe politica italiana di
rittura Ovidio scrive quattro libri di Metamorfosi, che oggi lo conferma.
parlano della trasformazione di un essere in un altro. 12. Se la religione è strumento di governo, chi la usa
Se noi li leggiamo in termini scientifici di Vero o Fal- e perché? Non si dice. Nel capitoletto precedente Ma-
so, compiano un anacronismo, un errore di lettura: chiavelli aveva indicato il principe, cioè Numa Pom-
l’autore e i suoi lettori li interpretavano in modo del pilio, re di Roma. Sembra che anche nel presente la
tutto diverso, come racconto-spiegazione che appar- usi o la debba usare il principe o lo Stato e che i reli-
teneva al mondo dei simboli e al mondo dell’imma- giosi obbediscano allo Stato o vogliano fare gli inte-
ginario. Se noi non capiamo o non apprezziamo o ri- ressi dello Stato. Ma non è detto esplicitamente. Inol-
teniamo falso quel mondo, sono problemi nostri. tre nel mondo romano non c’era una casta di sacerdo-
10. Sulla corruzione della Chiesa si può fare qualche ti potente, c’era fusione tra la figura del cittadino e la
osservazione: a) era ormai un genere letterario; b) chi figura del sacerdote sacrificante, e il pontifex maxi-
è potente fa quel che vuole, ecclesiastico o laico che mus era una carica pubblica. Oltre a ciò dentro casa il
sia, e non c’è morale che tenga; c) le accuse erano ve- paterfamilias svolgeva pure la funzione di sacerdote e
re e nello stesso tempo pretestuose, perché servivano faceva sacrifici agli dei e agli antenati. Nel caso della
per colpire l’avversario, la Chiesa; d) per l’autore il Chiesa cattolica la situazione è del tutto diversa: ci
principe può fare quel che vuole, magari nascondere i sono la gerarchia ecclesiastica e i laici o fedeli, e la
vizi a lui dannosi, ma gli ecclesiastici devono rispet- Chiesa è potente, ricca e soprattutto organizzata. Sta-
tare la morale, una pretesa ridicola da parte di chi a- to e Chiesa sono divenuti quindi due realtà distinte,
veva scritto che un principe si può abbandonare a separate e anche contrapposte (basti pensare alla lotta
quei vizi che non gli fanno perdere lo Stato; e) l’au- per le investiture, sec. XII). Si pone perciò per le due
tore assume sempre il punto di vista dello Stato e i- parti e anche per i sudditi o i cittadini il problema di
gnora sempre il punto di vista della Chiesa, ma ciò è quali rapporti sono convenienti alle due parti.
scorretto; f) l’unità d’Italia era un valore per Machia- 13. Anche per le idee sulla religione conviene con-
velli, non lo era per la Chiesa e neanche per i marzia- frontare tra loro Machiavelli, Guicciardini e poi Bot-
ni o i gioviani, ma né lui né i suoi seguaci lo capisco- tero. Botero indica una strada che fa inorridire tutti i
no, e muovono accuse interessate; g) la Chiesa non è laici, di ieri e di oggi: la collaborazione tra Stato e
corrotta, gli ecclesiastici sì, e i corrotti erano gli intel- Chiesa (peraltro come avveniva nel mondo antico e
lettuali come Machiavelli e Guicciardini che avevano proposta anche da Machiavelli). La chiamano vol-
scelto la missione o la professione di chierico anziché garmente Stato confessionale. I laici sono contro lo
di medico o di docente universitario; lo stesso Guic- Stato confessionale, ma sono a favore dello Stato lai-
ciardini poi non si fa remore a mettersi al servizio cista, che impone le sue superstizioni, i suoi dogmi
della Chiesa corrotta, che lo paga sicuramente con il terreni, le sue verità infondate e che mette il bavaglio
denaro ottenuto dalla corruzione, e pretende sicura- ai cattolici: una nuova religione, fatta di pregiudizi,
mente che la Chiesa non metta il naso nella sua vita paraocchi, ossessioni (per lo più sessuali) e intolle-
privata; h) l’accusa di corruzione è anche pretestuosa, ranza. Si è manifestata in particolare con gli alberi
per colpire con armi laiche l’avversario e accusarlo di della libertà e il culto della dea Ragione durante la
non rispettare i suoi valori; i) ogni giocatore gioca le rivoluzione francese (1789-92). Oggi pretende che
sue carte in modo da fare al meglio i suoi interessi, soltanto i laici abbiano libertà di parola e che i cri-
vale per il principe ed anche per la Chiesa; l) i segua- stiani, anzi i cattolici, debbano starsene zitti e profes-
ci di Machiavelli sono galline leopardiane che ripeto- sare rigorosamente in privato le loro convinzioni reli-
no il loro verso e che non approfondiscono gli argo- giose, che offendono gli stranieri, e vengono prima
menti. gli stranieri e poi i cattolici.
11. Gli accordi tra la Chiesa e i laici che volevano en- 14. Nell’opera Della Ragion di Stato (1589) l’ex ge-
trare nella gerarchia erano semplici e chiari: voi ac- suita Giovanni Botero non parla mai di miracoli, dice
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invece che la Chiesa educa i sudditi ad obbedire. Ma- La Mandragola, 1518
chiavelli ne parla e dice che i principi devono asse-
condare e diffondere la fede nei miracoli, anche se La Mandragola (1518) è la più bella commedia ita-
sanno che sono menzogne ed anche se era più ragio- liana del Cinquecento. Essa trasporta sulla scena le
nevole pensare che lo dovessero fare i sacerdoti (au- riflessioni che l’autore aveva fatto in ambito politico,
guri e aruspici), per i loro interessi. Non si chiede che ma con risultati del tutto inattesi. La commedia è am-
cosa succede se i credenti scoprono che i miracoli bientata a Firenze nel 1504.
propagandati sono menzogne: non si può pensare a
tutto. Oggi molti laici sono contrari alla religione e L’opera integrale in versione italiana e commentata si
hanno fatto crociate contro i miracoli, come quelli di trova in
Lourdes e di Fatima o il sangue di san Gennaro (Na- http://www.letteratura-
poli), che diventa liquido. A loro avviso i miracoli italia-
sono menzogne costruite artatamente dalla Chiesa na.com/pdf/letteratura%20italiana/04%20MACHIAVELLI%20Mandrago
cattolica. E normalmente aggiungono anche che Dio la.pdf
non esiste. Non riescono a vedere neanche l’aspetto
utilitaristico (per lo Stato) della religione, quello indi- Riassunto. Callimaco, che ha 30 anni e da 20 vive a
cato da Machiavelli e poi da Botero. E neanche Parigi, sente parlare della bellezza e dell’onestà di
l’aspetto economico della religione: l’incessante mo- Lucrezia. Decide perciò di lasciare la città per venire
vimento di denaro causato dai santuari, ancor prima a Firenze per possederla. La donna è moglie di Nicia,
dell’avvento del Cristianesimo. I laici se la devono un avvocato, che è molto più anziano di lei. Ed è mol-
vedere loro con le tesi di Machiavelli e con l’idea, to più bella di quel che aveva sentito dire. Pensa per-
sempre di Machiavelli, che la religione sia soltanto un ciò a come raggiungere lo scopo. Si fa aiutare da Li-
semplice o complesso instrumentum regni. Ovvia- gurio, il suo servo cinico ed astuto. Ligurio pensa di
mente non riescono a porsi la domanda se per caso la sfruttare il desiderio di Nicia di avere figli. Perciò
religione abbia un qualche valore in sé, a prescindere Callimaco si finge un famoso medico venuto da Pari-
dal fatto che sia o possa essere usata come strumento gi. Nicia va a chiedergli una consulenza. Callimaco
di governo. Né riescono a porsi l’altra domanda, se in riesce a conquistarsi subito la fiducia dell’avvocato
1.512 anni o in 2.017 anni la Chiesa abbia fatto qual- con alcune frasi in latino, e fornisce la ricetta: dare da
cosa di positivo, che meriti di essere indicato. I laici bere alla donna una pozione estratta dalla radice della
veri non sono mai andati né in chiesa né dei musei e mandragola, un’erba selvatica. Il farmaco però ha un
non hanno mai visto le opere d’arte che essi contene- effetto collaterale: può uccidere il primo uomo che ha
vano. L’ignoranza o la mancanza di curiosità umana, rapporti con la donna. Nicia si spaventa per le conse-
filosofica e scientifica, potenziata da un adeguato su- guenze. Né vuole diventare cornuto. Ma Ligurio lo
per-paraocchi, caratterizza il laicismo volgare e intel- convince che la bontà del fine giustifica i mezzi:
lettuale, che va all’assalto dei problemi con la sua ar- l’adulterio non è veramente tale e forse neanche il
rogante presunzione e con le sue aberranti ossessioni. primo che giace con la donna è destinato a morire.
15. I laici di ieri e di oggi, sempre di una onestà ada- Nicia si lascia convincere. Bisogna però superare le
mantina, hanno rimosso la difesa dei miracoli di Ma- resistenze della donna. Nicia cerca di ottenere il con-
chiavelli. Egli dice che sono fandonie, che sono in- senso dalla moglie facendola convincere dalla madre
ventati, ma che vanno difesi e affermati ad oltranza Sostrata, di costumi ben diversi dalla figlia, e dal con-
come veri, perché la religione è un ottimo strumento fessore, fra’ Timoteo, ben disposto a fornire il suo a-
di governo. Nell’Ottocento e poi nel Novecento i laici iuto in cambio di una lauta ricompensa. Sostrata porta
si scatenano per confutare i miracoli di Lourdes e di la figlia da fra’ Timoteo, che con una lunga serie di
Fatima, della Sacra Sindone e del sangue di san Gen- citazioni prese dalla Bibbia le dimostra che la propo-
naro. Un comportamento antiscientifico: in latino mi- sta del marito non va contro la morale. Lucrezia non è
raculum è soltanto il fatto prodigioso, essi però lo in- convinta, ma accetta ugualmente. A sera Callimaco
terpretano come un evento che va contro le leggi del- invia la pozione alla donna, mentre Nicia, Ligurio e
la natura. Ma le leggi della natura sono storiche: se fra Timoteo (che si finge Callimaco) vanno a caccia
va contro quelle di oggi non vuol dire che andrà an- del giovane che deve giacere con la donna. Essi cattu-
che contro quelle di domani. La rispsota non può es- rano un giovane male in arnese, che è Callimaco che
sere definitiva, rimane in sospeso. si è travestito, e lo infilano nel letto di Lucrezia. Il
16. Paradossalmente Botero e soltanto Botero affrot- mattino dopo Nicia butta fuori di casa Callimaco, che
na la scienza politica in termini… laici. Conosce il poco dopo racconta a Ligurio com’è andata. Egli ha
punto di vista del principe, quello della Chiesa, quello confessato alla donna l’inganno e il suo amore. Lu-
dei sudditi ecc., e parla a ragion veduta. Non parla crezia gli ha risposto che lei non avrebbe mai fatto
mai di dogmi religiosi, invece sottolinea spesso ciò che l’astuzia di Callimaco, la sciocchezza del ma-
l’utilità che il principe ha dai buoni rapporti con la rito, la semplicità della madre e la tristezza del con-
Chiesa. Non fa prediche religiose e neanche laiche. fessore l’hanno indotta a fare. Perciò ritiene che quel
Trova soluzioni che vanno bene alle due parti. che è successo sia una disposizione del cielo. E lo ac-
---I☺I--- cetta come amante. Quindi lo invita a riprendere il
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 179
suo travestimento da dottore, per recarsi la mattina tuire, rafforzare e difendere lo Stato in nome del bene
stessa in chiesa, dove lui e il marito sarebbero dive- comune. Il principe perciò risulta irreale, idealizzato.
nuti compari. Fra’ Timoteo, che li sta aspettano, be- Inesistente. Proprio come le repubbliche inesistenti
nedice il nuovo legame tra Nicia e Callimaco. Nicia, che lo scrittore criticava. E, quando esso è rivisto in
soddisfatto, consegna poi la chiave di casa a Callima- termini di realtà effettuale, scompare il principe rina-
co, affinché possa entrare e uscire quando desidera. scimentale, che considera lo Stato un’opera d’arte
soggetta alla sua volontà e alle sue capacità, e compa-
Commento re l’individuo che per il suo tornaconto si comporta
1. La Mandragola continua in un’altra veste e in un come il principe e ignora o calpesta i valori su cui si
altro ambito le riflessioni che l’autore aveva raccolto basa la società. E per questa via si giunge in un vicolo
nel Principe. Presenta però significative differenze cieco: tutti gli interessati sono contenti o dicono di
rispetto alle conclusioni raggiunte nel manuale: a) esserlo, ma i nuovi valori che stanno alla base della
non è la virtus (l’impeto irrazionale e passionale) né società sono la violenza, la menzogna e l’inganno.
l’audacia giovanile (che pure è capace di imporsi sul- Che non sembrano proprio grandi guadagni. Così
la fortuna) a vincere; b) è invece la ragione fraudo- Machiavelli è giunto in un vicolo cieco: la sua rifles-
lenta ad avere la meglio sui valori e sulle resistenze sione lo ha portato a scoprire che, se l’individuo si fa
della donna. La vittoria di questa ragione lascia peral- principe e agisce come il principe, i valori sociali so-
tro un amaro in bocca allo spettatore: non è la vittoria no distrutti. Negli stessi anni con i Discorsi sopra la
dell’intelligenza, ma dell’inganno; non è la vittoria prima deca di Tito Livio, infligge a se stesso un’altra
del migliore, è soltanto la distruzione dei valori, che sconfitta, poiché interpreta la religione e i miracoli
travolge anche il vincitore, per il quale la più grande come una serie di fandonie, che la Chiesa predica. E
vittoria consiste nella conquista e nel possesso fisico la giustifica come mero instrumentum regni, non si sa
del bel corpo di Lucrezia. Eppure alla fine della bene se per la Chiesa o solamente per lo Stato, che
commedia tutti hanno tratto vantaggio: Nicia ha avuto coopta la Chiesa nel governo. Anzi il principe deve
il sospirato figlio, Callimaco ha avuto l’amore e il garantire che i miracoli sono veri, anche se sa che so-
corpo di Lucrezia, fra Timoteo ha avuto il suo torna- no falsi. E anche per questa via l’autore giunge a por-
conto economico, Ligurio si è dimostrato un consi- re l’inganno e le fandonie alla base della società. con-
gliere abile e spregiudicato, capace di realizzare i de- tro di lui non facciamo alcuna osservazione, prefe-
sideri del suo datore di lavoro. riamo citare due autore laici, atei e materialisti: Ugo
1.1. Machiavelli tra il 1513 e il 1518 scopre che la Foscolo e la sua religione delle illusioni, e Gabriele
virtus, l’impeto passionale, ha i suoi limiti, che la D’Annunzio e la sua “favola bella” dell’amore. La
fredda ragione garantisce maggiormente il successo “realtà effettuale” ha bisogno di strumenti ben più po-
rispetto alla virtus. Ma scopre anche cose imprevedi- tenti, per essere indagata.
bili: il successo può avere costi elevatissimi ed effetti 4. I sei anni che lo separano dal Principe hanno reso
devastanti, può distruggere i valori che stanno alla l’autore più realistico e più vicino alla realtà effettua-
base della convivenza civile. Il fatto che alla fine tutti le: non si può dire che ci sia l’abbandono del principe
siano contenti non vuole affatto dire che si debba can- idealizzato a favore della realtà effettuale e della sua
tare vittoria. La realtà è molto più complessa del pre- turpitudine. C’è un effettivo mutamento di prospetti-
visto. E la ragione, se non diventa altrettanto com- va. La passione ideale e ugualmente la virtus, l’im-
plessa, corre il rischio di vincere e di distruggere il peto, l’irruenza non possono nulla contro l’inganno,
mondo che vuole conquistare. Lo scrittore ha il co- l’astuzia, la ragione e tutte le sue perversioni. La ra-
raggio di andare oltre i risultati del Principe e di con- gione strumentale raggiunge il suo fine, perché è on-
tinuare l’analisi della realtà effettuale. nipotente.
2. Nella Mandragola Machiavelli ha lasciato il prin- 5. Le radici della commedia vanno trovate in molte
cipe e i suoi ideali politici ed è disceso in mezzo alla novelle del Decameron, ed anche nella produzione
realtà effettuale, tra gli uomini. Scopre che gli uomini classica. Alcuni personaggi rimandano a figure stere-
non sono soltanto malvagi e stupidi. Sono anch’essi otipe come il marito cornuto, lo sciocco che si crede
capaci, come il principe, di usare la forza e l’astuzia intelligente, il consigliere cinico e amorale, che mette
per realizzare i propri desideri. E le usano per rag- la sua intelligenza al servizio del suo datore di lavoro,
giungere i loro fini, molto meno nobili di quelli del il servo fedele ecc. I rimandi e le citazioni del mondo
principe. classico costituivano il comportamento normale e ob-
3. La discesa in mezzo alla realtà effettuale ha però bligato: i commediografi del Cinquecento citavano
imprevisti contraccolpi sulla figura del principe. La gli scrittori latini, come questi citavano e contamina-
realtà di Nicia e di Callimaco è senz’altro una realtà vano le commedie greche. Machiavelli riesce però a
degradata: il desiderio di avere un figlio ad ogni costo distruggere gli stereotipi e a costruire personaggi reali
e il timore della fama di cornuto; e la conquista del e credibili, ognuno dei quali ha carattere e mentalità,
corpo e dell’amore di Lucrezia. Ma forse l’autore in valori e psicologia specifici. Nella commedia egli ha
precedenza ha attribuito al principe caratteristiche che trasferito le sue riflessioni politiche ed anche la cono-
nella realtà effettuale il principe non ha: capacità e scenza dell’animo umano acquisita come segretario
valori fuori e sopra della mischia, la volontà di costi- fiorentino, ma ha fatto anche proprie le straordinarie
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 180
ricostruzioni psicologiche dei personaggi del Deca- gione è usata per ottenere la vittoria e il premio: le
meron. I personaggi della commedia si riconoscono prestazioni sessuali di una donna o la giustificazione
subito dalla battuta e nel corso della commedia resta- delle richieste sessuali di una donna. Machiavelli ha
no fedeli e coerenti con se stessi e con i propri valori. voluto guardare la realtà effettuale e ha scoperto che
Essi, come individui reali, hanno ormai raggiunto la è senza valori. Ed è rimasto deluso. Ma era ovvio che
maturità e certamente non sarebbero più cambiati. era senza valori: è l’uomo che proietta le sue inten-
Soltanto Lucrezia cambia: il marito la vede tutta tre- zioni e i suoi valori su di essa.
mante la sera quando deve prendere la pozione e gia- 10. Oltre a Boccaccio la commedia di Machiavelli si
cere con uno sconosciuto; la vede aggressiva come un può confrontare con la figura dantesca di Guido da
gallo il giorno dopo. Essa è venuta a contatto con la Montefeltro (1220ca.-1298), che si fa ingannare da
realtà effettuale (lo sciocco marito e l’astuto amante, papa Bonifacio VIII (If XXVII), un inganno inserito
la semplicità della madre e la corruzione del confes- in un contesto completamente diverso.
sore), che ha voluto aggirare la sua onestà e i suoi va- 11. Conviene confrontare tra loro i testi erotici di
lori. Essa non piange né si dispera: prende in mano le Boccaccio, Masuccio, Ariosto ed ora Machiavelli. La
redini della sua vita e della vita del marito come del- vita è fatta di cultura, ma anche di eros.
l’amante. Essa possederà le loro menti e la loro vo- ------------------------------I☺I-----------------------------
lontà. La realtà effettuale l’ha cambiata e l’ha spinta
a scoprire le sue capacità e il suo potere.
6. I personaggi sono costruiti con cura dentro e fuori.
Il loro nome rispetta la convinzione che nomina con-
sequentia rerum, cioè che i nomi sono conseguenze
delle cose: Nicia è ironicamente il vincitore, Callima-
co è invece il bel combattente o colui che combatte
per la bellezza, fra’ Timoteo è ironicamente colui che
ha timore di Dio, Lucrezia rimanda all’onestà della
madre dei Gracchi. In diversi casi i nomi mostrano
proprio una realtà rovesciata.
7. Machiavelli riesce a far parlare fra’ Timoteo con la
stessa cultura, con gli stessi valori e con la stessa
mentalità dei predicatori del suo tempo. Paradossal-
mente il frate anticipa il lassismo che, stando ai lettori
laici, i gesuiti, sorti nel 1534, mettono normalmente
in pratica dalla fine del secolo in poi. La figura e i ra-
gionamenti di fra’ Timoteo vanno però confrontati
con i personaggi e il contenuto delle prediche di Ja-
copo Passavanti, ma anche con i personaggi e i valori
degli ecclesiastici che appaiono nel Decameron: il
santo frate che usa la scaletta per confessare ser
Ciappelletto (I, 1) o frate Cipolla (VI, 10).
8. Il comportamento da predatore di Callimaco an-
drebbe confrontato con il comportamento ben diverso
di Federigo degli Alberighi (V, 9) e di Nastagio degli
Onesti (V, 8). Il primo si rovina nel corteggiare ma-
donna Giovanna, il secondo non approfitta della vit-
toria ottenuta sulla ragazza che ama.
9. La commedia potrebbe essere opportunamente
confrontata con il mondo ideale e nobiliare e non no-
biliare descritto da Boccaccio nel Decameron: Mu-
sciatto Franzesi, Geri Spina, Currado Gianfigliazzi,
Andreuccio da Perugia, Nastagio degli Onesti, Fede-
rigo degli Alberighi, frate Cipolla ecc. L’atmosfera è
diversa. Ser Ciappelletto consegue un’effettiva vitto-
ria sul frate credulone; il frate si preoccupa della sal-
vezza eterna del moribondo, ma anche di fare i suoi
interessi, cioè gli interessi del convento. Andreuccio
si fa ingannare, perché è inesperto, ma poi reagisce e
vince. Nastagio non approfitta della vittoria sulla ra-
gazza che ama. Frate Cipolla para la beffa e la piega a
suo vantaggio. Ma andrebbe confrontato anche con le
30 novelle erotiche del decameron, nelle quali la ra-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 181
Francesco Guicciardini (1483-1540) un trattato politico come il Principe non è possibile,
lo scrittore cerca altri strumenti: la riflessione sui sin-
La vita. Francesco Guicciardini nasce a Firenze nel goli fatti e sui singoli problemi e soprattutto l’analisi
1483. La sua famiglia è fedele ai Medici. Ha una piscologica dei personaggi incontrati. Se per gli ora-
prima formazione umanistica in ambito familiare, de- tori vale la massima rem tene, verba sequentur (cono-
dicata allo studio dei grandi storici dell’antichità (Se- sci bene l’argomento, le parole seguiranno da sole),
nofonte, Tucidide, Livio). Studia giurisprudenza a per Guicciardini vale una massima equivalente: ani-
Ferrara e poi a Padova. Finisce gli studi nel 1506. mum tene, acta sequentur, conosci l’animo dell’av-
Contro il volere del padre sposa Maria Salviati, figlia versario o dell’amico (non di come dovrebbe essere
di Alamanno Salviati, appartenente a una famiglia ma di come a causa del suo carattere è costretto ad
apertamente ostile al governo repubblicano di Pier essere), le tue previsioni seguiranno. La conoscenza
Soderini, all’epoca gonfaloniere a vita di Firenze. Nel della controparte è l’unica arma che possiamo avere
1508 inizia le Storie fiorentine e i Ricordi. Nel 1509, per gestire i rapporti sociali. E, poiché gli uomini
in occasione della guerra contro Pisa, è chiamato a provano sentimenti di simpatia, antipatia, odio, invi-
pratica dalla signoria, ottenendo, grazie all’aiuto di dia e vendetta, bisogna imparare a muoversi cauta-
Salviati, l’avvocatura del capitolo di Santa Liberata. mente nella società, per evitare di favorire qualcuno e
Questi incarichi portarono Guicciardini anche ad una nel contempo di suscitare l’odio o l’invidia di un al-
rapida ascesa nella politica internazionale, poiché nel tro. Nei rapporti sociali perciò acquista una grandis-
1512 riceve dalla Repubblica Fiorentina l’incarico di sima importanza la simulazione e la dissimulazione:
ambasciatore in Spagna presso Ferdinando il Cattoli- tieni per te i tuoi pensieri e ti mostri come le circo-
co. Nel 1513 ritorna a Firenze, dove da un anno i stanze richiedono. Irritare qualcuno non serve a nien-
Medici avevano ripreso il potere. Per i servizi prestati te. Suggerisce poi di confidare i propri segreti soltan-
riceve numerosi incarichi, diventa avvocato concisto- to se e nella misura minima in cui si è costrettoi a far-
riale e governatore di Modena nel 1516, quando lo. Ma è pericoloso: ti metti nelle mani di chi ti ascol-
al soglio pontificio sale Giovanni de’ Medici con il ta. Meglio non confidare niente a nessuno.
nome di Leone X, poi è nominato governatore di Guicciardini dà grande importanza alla buona fama e
Reggio Emilia e di Parma (1517) e commissario all’onore, che valgono in se stessi ma che costringono
dell’esercito pontificio (1521). Quando nel 1527 i anche a comportarsi in modo coerente. In mezzo a
Medici sono cacciati e ritornano i repubblicani, si riti- una foresta intricata di sentimenti, di amori, odi e in-
ra in volontario esilio nella sua villa di Finocchieto vidie, l’uomo assennato può fare una sola cosa: pen-
presso Firenze. Nel 1529 scrive le Considerazioni in- sare al suo utile, al suo utile particolare, perché, fa-
torno ai “Discorsi” del Machiavelli “sopra la prima cendo bene il proprio lavoro e i propri interessi, fa
deca di Tito Livio”, in cui critica la visione pessimi- pure il bene dello Stato e della collettività.
stica dell’uomo di Machiavelli. In seguito alla confi-
sca dei beni (1529), si trasferisce a Roma, dove si Machiavelli e Guicciardini. Conviene fare subito un
mette al servizio di papa Clemente VII, che gli offre rapido confronto tra Machiavelli e Guicciardini.
un incarico diplomatico a Bologna. Nel 1531 i Medici Machiavelli ha una visione pessimistica dell’uomo,
ritornano a Firenze ed egli diventa consigliere del du- vuole parlare di realtà effettuale e non di repubbliche
ca Alessandro. Cosimo I, che succede ad Alessandro, ideali, pensa che si possa costruire una scienza politi-
lo mette da parte ed egli si ritira nella sua villa di ca studiando il passato e il presente. È scrittore e let-
Santa Margherita in Montici ad Arcetri (1538). Qui terato di professione: il suo stile sa esprimere perfet-
riordina i Ricordi politici e civili, raccoglie i suoi di- tamente sentimenti, passioni ed emozioni. E scrive
scorsi politici e soprattutto scrive la Storia d’Italia. riscaldando gli animi. Ha un’esperienza politica de-
Muore ad Arcetri nel 1540. cennale alle dipendenze della repubblica di Pier So-
derini, per la quale svolge varie ambascerie. Scopre la
Le opere. Guicciardini scrive le Storie fiorentine realtà con gli occhi ingenui di chi non ha una forma-
(1508-10), i Ricordi (1525, 1530), Del reggimento di zione politica alle spalle e vede il mondo per la prima
Firenze. Considerazioni intorno ai “Discorsi” del volta. È così presuntuoso o imprudente o ingenuo da
Machiavelli “sopra la prima deca di Tito Livio” pensare di poter dare consigli ai Medici, che gover-
(1528), la Storia d’Italia (1537-40), che va dal 1492 navano Firenze da decenni.
al 1534, e diverse relazioni delle sue attività di di- Guicciardini ha una visione ottimistica dell’uomo: se
plomatico. l’uomo sbaglia, è colpa delle circostanze, non della
sua natura. Vuole esaminare la realtà effettuale come
Il pensiero. Per Guicciardini, a differenza di Machia- Machiavelli, ma pensa che non sia possibile passare
velli, non si può fare scienza politica, né si possono dai fatti o dagli esempi a una scienza politica genera-
usare gli esempi per dimostrare qualcosa. Il motivo è le, perché la realtà presenta troppe variabili e perché
semplice: le variabili in gioco sono troppe e anche nessun esempio è completamente uguale a un altro.
una piccola differenza tra due esempi può avere Usa un linguaggio pacato, razionale, senza emozioni,
un’importanza significativa. Ogni situazione quindi da uomo che mette in secondo piano i propri senti-
va esaminata per quel che è e per quel che appare. Se menti e le proprie emozioni. Egli si preoccupa del
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 182
comportamento degli individui che lo circondano, che sono accorpati secondo l’argomento trattato. Essi so-
sono dominati dalle passioni e dai sentimenti di sim- no successivi al Principe (1512-13), alla Mandragola
patia, antipatia, odio e invidia. Diventa perciò neces- (1518) e ai Discorsi sulla prima deca di Tito Livio
sario distinguere ciò che si pensa e si prova (i senti- (1512-19) di Machiavelli, trattano gli stessi argomen-
menti privati) da ciò che conviene dire o fare (la si- ti, ma le analisi e le conclusioni sono radicalmente
mulazione) o nascondere (dissimulazione) in pubbli- diverse. Ad ogni modo sono immediate due osserva-
co. Ha una preparazione familiare e poi universitaria zioni: a) non si può governare con gli aforismi; e, b)
assai profonda, svolge a tempo pieno la professione anche se ogni caso ed ogni esempio è un caso singo-
di ambasciatore e di mediatore tra le parti in contra- lo, si può fare un minimo di adattamento o di acco-
sto. Ha quindi una grandissima esperienza personale modamento e non perdere tempo su sfumature di se-
e ad alto libello della vita politica nazionale e interna- condaria importanza. Oltre a ciò, se si sono conside-
zionale. Non ha la capacità di riscaldare gli animi e di rati di secondaria importanza particolari che poi si
scrivere di Machiavelli (un’accusa che nell’Ottocento sono dimostrati determinanti, vuol dire che sono stati
dilaga), ma il suo compito era costantemente quello fatti grossi errori di analisi. Nella vita i vestiti sono
opposto di raffreddare gli animi, di portarli alla ra- adattati o costruiti su misura per la persona che li de-
gione e alla firma degli accordi. In questa attività di ve portare; e i bravi giocatori di scacchi riescono a
diplomatico ritiene assolutamente necessario poter prevedere cinque o sei mosse. L’esperienza acquisita,
fare un’analisi psicologica e poter avere un’adeguata su cui peraltro l’autore insiste, deve poi rendere più
conoscenza psicologica del carattere degli interlocu- veloce la comprensione della situazione e le scelte
tori. opportune da fare. Un fiume che rompe gli argini una
Machiavelli si preoccupa di separare la politica dalla tantum non fa testo; un fiume che rompe gli argini
morale e, se è necessario, il principe uccide, per il be- ogni due anni fa testo, va tenuto sotto osservazione e
ne superiore dello Stato. Guicciardini non perde tem- va reso sicuro quanto prima.
po sul problema: il principe deve evitare di uccidere,
ma se è costretto a farlo lo fa. Magari “gonfia” ed e- La fortuna
sagera l’uccisione, per sfruttarla il più possibile e
convincere i sudditi a restarsene tranquilli. I, 52. Ancora quelli che, attribuendo tutto alla pru-
Per Machiavelli la religione è uno strumento di potere denza e alla virtù (=valore, capacità), si ingegnano di
e di governo. Guicciardini si limita a condannare gli escludere la fortuna non possono negare che almeno
ecclesiastici per la loro corruzione, e non si chiede sia grandissimo beneficio di fortuna che al tempo tuo
mai come governano e se governano bene. Ad esem- si presentano occasioni che richiedono e valorizzano
pio se assoldano i migliori professionisti sul mercato, quelle parti o virtù in cui tu vali; e si vede per espe-
come lui. rienza che le stesse virtù sono stimate più o meno a
La conclusione è paradossale: Machiavelli, che aveva un tempo che all’altro, e le stesse cose fatte da uno a
una limitata esperienza di vita politica e per di più tempo opportuno saranno utili, fatte a un altro tempo
fatta come personaggio di secondo piano, ritiene che saranno inutili.
si possa fare scienza politica; Guicciardini, che è poli- I, 80. Quanto bene disse colui: Ducunt volentes fata,
tico e diplomatico di professione ed opera a livello nolentes trahunt (Il destino conduce chi si abbandona
nazionale e internazionale, lo esclude categoricamen- a lui, trascina con forza chi resiste)! Ogni giorno si
te, perché le variabili che intervengono sono troppe e vedono tanti fatti che confermano questa massima,
perciò le previsioni diventano impossibili. Con ciò che a me pare che mai niente si dicesse meglio.
non si vuole concludere che Machiavelli abbia torto, I, 89. Chi entra nei pericoli senza considerare quello
perché possono intervenire altre variabili che atte- che comportano si chiama bestiale (=si comporta in
nuano le divergenze. Ad esempio il principe di Ma- modo irrazionale come un animale senza ragione);
chiavelli è giovane e aitante, è un novello Alessandro invece è animoso chi, conoscendo i pericoli, vi entra
Magno. Il politico di Guicciardini è un vecchio che con animo aperto, o per necessità o per un motivo
ha dimenticato del tutto la sua giovinezza, che ha uno onorevole.
Stato vasto e che passa il tempo a fare trattative sfi- I, 96. Le cose del mondo sono così varie e dipendono
branti con i diplomatici dello Stato avverso. da tanti accidenti, che difficilmente si può fare una
previsione sul futuro; e si vede per esperienza che
I Ricordi, I-II, 1525, 1530 quasi sempre le congetture dei saggi (=gli esperti) si
dimostrano sbagliate. Perciò non lodo il consiglio di
I Ricordi sono iniziati nel 1512, sono editi nel 1925 e coloro che lasciano la sicurezza di un bene presente,
poi, ampliati, nel 1530. Non sono ricordi in senso benché minore, per paura di un male futuro, benché
proprio, sono cose o consigli da ricordare, massime, maggiore, se non è molto vicino o molto certo; per-
aforismi, un filone portante della filosofia e della mo- ché non succedendo poi spesso quello di cui temevi,
ralistica greca e latina. Lo scrittore inizia in età mo- ti trovi per una paura vana ad avere lasciato quello
derna il genere dell’aforisma. I ricordi, tutti brevi o che ti piaceva; e perciò è saggio il proverbio: di cosa
brevissimi, non seguono un filo conduttore né sono nasce cosa (=aspetta l’ultimo momento, prima di
raggruppati con un qualche criterio. Qui sotto però cambiare).
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 183
I, 117. Le stesse imprese, che fatte fuori di tempo so- II, 152. Abbiate grandissima circospezione prima di
no difficilissime o impossibili, quando sono accom- entrare in imprese o faccende nuove, perché, una vol-
pagnate dal tempo o dalle occasioni sono facilissime. ta iniziate, siete costretti a procedere per necessità.
E a chi le tenta fuori del suo tempo, non soltanto non Perciò succede spesso che gli uomini incontrino una
succedono, ma anche si porta pericolo che l’averle difficoltà dopo l’altra, tanto che, se prima ne avessero
tentate non le guasti (=le renda impossibili) per quel immaginato l’ottava parte, avrebbero assolutamente
tempo che facilmente sarebbero riuscite; perciò i sag- evitato di prendere quella decisione. Ma, una volta
gi sono ritenuti pazienti. che si sono imbarcati in un’impresa, non possono più
I, 138. Chi conosce di avere buona fortuna, può tenta- tirarsi indietro. Accade questo soprattutto nelle inimi-
re le imprese con maggiore animo; ma è da avvertire cizie, nelle parzialità, nelle guerre. In queste cose e in
che la fortuna non soltanto può essere varia di tempo tutte le altre, prima di decidere, non c’è considerazio-
in tempo, ma anche in un tempo medesimo può esse- ne né diligenza così esatta che sia superflua.
re varia nelle cose; perché chi osserva, vedrà qualche
volta lo stesso individuo essere fortunato in una spe- Commento
zie di cose ed essere sfortunato in un’altra. E io nel 1. Guicciardini è su posizioni antitetiche a Machia-
mio particolare ho avuto fino al 3 febbraio 1523 in velli. Il segretario fiorentino affermava che la fortuna
molte cose buonissima fortuna, ma non l’ho avuta nei domina la metà delle nostre azoni, o giù di lì. E ag-
commerci e neanche negli onori che ho cercato di a- giungeva che, quando abbiamo la fortuna dalla nostra
vere; perché quegli che non ho cercato mi sono corsi parte, dobbiamo prendere provvedimenti in previsio-
da loro stessi dietro; ma quelli che ho cercato, mi è ne di quando ci sarà avversa. Guicciardini invece af-
parso che mi volessero sfuggire. ferma che la fortuna ha grandissima importanza nelle
I, 139. L’uomo non ha maggior nemico che se stesso, imprese umane e che supera e scardina ogni pruden-
perché quasi tutti i mali, i pericoli e i travagli super- za, ogni virtù e ogni previsione dei saggi. E lo ripete
flui che ha, non procedono da altro che dalla sua pure spessissimo. Di qui due consigli: a) nella vita e
troppa cupidigia (=avidità). nelle precisioni le piccole cose sono importantissime
I, 171. Nelle cose importante non può fare buon giu- e determinanti, è meglio farci caso; b) è meglio pen-
dizio chi non sa bene tutti i particolari, perché spesso sarci bene prima di iniziare un’impresa pericolosa,
una circostanza, benché minima, varia tutto il caso. perché, una volta iniziata, non si può più tornare in-
Ho visto spesso giudicare bene uno che non ha noti- dietro.
zia di altro che delle cose generali e lo stesso giudica- 2. Aggiunge anche che un’impresa fatta a tempo op-
re peggio, intesi che ha i particolari, perché chi non portuno costa poca fatica. Invece è impossibile o qua-
ha il cervello molto perfetto e molto libero dalle pas- si impossibile, se fatta fuori tempo. Lo aveva detto
sione, intendendo molti particolari, facilmente si con- anche Machiavelli.
fonde o cambia idea. 3. E conclude che il maggior pericolo dell’uomo è se
II, 30. Chi considera bene non può negare che nelle stesso, e aggiunge che i mali, i pericoli e i guai non
cose umane la fortuna ha grandissimo potere, perché arrivano dalla natura, ma dalla cupidigia umana. Una
si vede che ricevono continuamente grandissimi moti riflessione in linea con gli umanisti del Quattrocento.
da accidenti fortuiti e che non è in potere degli uomi- 4. Machiavelli preferiva l’azione improvvisa, che
ni né prevederli né schivarli; e, benché l’accorgi- spiazzava gli avversari, che portava al successo e che
mento e la sollecitudine degli uomini possa moderare li metteva davanti al fatto compiuto. Ma insisteva an-
molte cose, tuttavia da sola non basta, ma ha ancora che (e Guicciardini ripete) sul fatto che l’azione do-
bisogno della buona fortuna. veva essere in sintonia con le circostanze. Né l’uno
II, 31. Coloro ancora che, attribuendo tutto alla pru- né l’altro notano però che tocca all’individuo capire
denza e alla virtù, escludono quanto più possono il le circostanze e capire se con le capacità che ha è a-
potere della fortuna, devono almeno confessare che è datto ad affrontarle.
molto importante imbattersi o nascere in tempo che le 5. Non è detto che Guicciardini abbia capito la strate-
virtù o le qualità, che pensi di avere, siano richieste, gia di Quinto Fabio Massimo (275-203 a.C.). Il con-
come dimostra l’esempio di Fabio Massimo, al quale sole romano, dopo le dure sconfitte subite dai romani
il carattere di temporeggiatore (cunctator) dette tanta ad opera di Annibale, voleva evitare lo scontro in
reputazione, perché incontrò una specie di guerra, campo aperto, la cui conclusione era o vincere o per-
nella quale la fretta [di combattere in campo aperto] dere o una vittoria di Pirro. Le scaramucce potevano
era pericolosa, la lentezza (=il rinvio dello scontro logorare l’esercito nemico, erano veloci e mettevano
frontale in campo aperto) utile. In un altro momento a rischio pochi uomini e pochi mezzi. Una delle sca-
sarebbe potuto accadere il contrario. Perciò la sua for- ramucce più famose ha come protagonista Annibale,
tuna consisté in questo, che i suoi tempi avessero bi- che tende un’imboscata ai due consoli romani e li uc-
sogno di quella qualità che egli aveva. Ma chi potesse cide. Ha avuto anche fortuna. I consoli erano due per
variare la sua natura secondo le condizione dei tempi, evitare che l’esercito restare senza comando, nel caso
il che è difficilissimo e forse impossibile, sarebbe che uno fosse ucciso. Perciò i due consoli non dove-
molto meno dominato dalla fortuna. vano mai muoversi insieme. Un’imprudenza mortale.
Amiam, ché ‘l Sol si muore e poi rinasce: 6. Amiamo, perché il Sole muore e poi rinasce.
a noi sua breve luce A noi egli nasconde la sua
s’asconde, e ‘l sonno eterna notte adduce. breve luce ed il sonno ci porta una notte eterna.
Ohimè! dal dì che pria 2. Ohimè!, dal giorno in cui respirai per la prima
trassi l’aure vitali e i lumi apersi volta le arie vitali e apersi gli occhi in questo mondo
in questa luce a me non mai serena, che per me non è mai stato sereno, io fui
fui de l’ingiusta e ria un giocatolo e un bersaglio di quella [dea] ingiusta
trastullo e segno, e di sua man soffersi e malvagia, e dalla sua mano soffersi ferite
piaghe che lunga età risalda a pena. che il passare degli anni rimargina appena.
Sàssel la gloriosa alma sirena, Lo sa Partenope, la gloriosa Sirena, genitrice
appresso il cui sepolcro ebbi la cuna: [di Napoli], presso il cui sepolcro io nacqui:
così avuto v’avessi o tomba o fossa così, avessi io potuto avere lì la mia tomba
a la prima percossa! o una semplice fossa al primo colpo [avverso
Me dal sen de la madre empia fortuna della Fortuna]! L’ingiusta Fortuna mi strappò
pargoletto divelse. Ah! di quei baci, ancor bambino dal seno di mia madre. Ah!,
ch’ella bagnò di lagrime dolenti, sospirando io mi ricordo di quei baci che ella bagnò
con sospir mi rimembra e degli ardenti con lacrime di dolore e [mi ricordo] delle preghiere
preghi che se ‘n portár l’aure fugaci: ardenti che il vento fugace portò via:
ch’io non dovea giunger più volto a volto io non dovevo congiungere mai più il mio viso
fra quelle braccia accolto al suo viso, accolto fra le sue braccia con abbracci
con nodi così stretti e sì tenaci. così stretti e tenaci. Ahimè!, e seguii con passi incerti,
Lasso! e seguii con mal sicure piante, come Ascanio o Camilla, mio padre costretto
qual Ascanio o Camilla, il padre errante. a peregrinare [di corte in corte].
Amor vid’io, che fra i lucenti rami L’Adone (1623) è un poema in 20 canti, composto da
de l’aurea selva sua, pur come sòle 5.113 ottave, che canta gli amori tra Adone e Venere.
tendea mille al mio cor lacciuoli ed ami; L’opera contiene molte deviazioni dal tema principa-
le ed è lunga 40.904 versi (nelle Metamorfosi Ovidio
e nel sol de le luci uniche e sole racconta la stessa storia in soli 73 versi): tre Divine
intento e preso dagli aurati stami, commedie di Dante Alighieri. L’opera vuole essere il
volgersi quasi un girasole il sole poema dei poemi: l’autore vuole riprendere tutti i mo-
---I☺I--- tivi della poesia tradizionale (l’eroico, il romanzesco,
il tragico, il mitologico, il pastorale, il didascalico, il
Per la sua donna, che aveva sciolto le sue chiome al comico, il patetico-sentimentale, l’erotico), e superare
sole i poeti del passato. In due episodi famosi il poeta can-
ta la rosa e gareggia con l’usignolo.
All’aria i capelli (che han tolto ogni valore all’oro) ---I☺I---
il mio bel sole, alzandosi dal suo letto,
aveva sciolto dai suoi biondi volumi, Elogio della rosa, III, 155-160
per raddoppiare forse la luce del nuovo giorno.
155. Poi le luci girando al vicin colle,
Parte di essi, scherzando in una nuvola ricca e folta, dov’era il cespo che ‘ bel piè trafisse,
cadeva come una pioggia sopra le belle spalle;
fermossi alquanto a rimirarlo, e volle
una parte a forma di riccioli d’oro se ne andava
serpeggiando tra la bellezza del seno e del viso. il suo fior salutar pria che partisse;
e vedutolo ancor stillante e molle
Io vidi il dio Amore che fra i rami lucenti quivi porporeggiar, così gli disse:
dei suoi capelli dorati (com’è solito fare) “Sàlviti il Ciel da tutti oltraggi e danni,
tendeva mille trappole al mio cuore; fatal cagion dei miei felici affanni:
159. Non superbisca ambizioso il Sole 33. Udir musico mostro, o meraviglia,
di trionfar fra le minori stelle, che s’ode sì,ma si discerne apena,
che ancor tu fra i ligustri e le viole come or tronca la voce,or la ripiglia,
scopri le pompe tue superbe e belle. or la ferma,or la torce,or scema,or piena,
Tu sei con tue bellezze uniche e sole or la mormora grave,or l’assottiglia,
splendor di queste piagge, egli di quelle. or fa di dolci groppi ampia catena,
Egli nel cerchio suo, tu nel tuo stelo, e sempre,o se la sparge o se l’accoglie,
tu Sole in terra, ed egli rosa in cielo. con egual melodia la lega e scioglie.
[...]
Commento
1. Che piaccia o no, questa è l’idea di cultura che a-
vevano Marino e gli intellettuali del Seicento. Una
idea di successo, che il pubblico apprezzava. E, se il
pubblico apprezza, vuol dire che l’intellettuale sa fare
il suo mestiere, sa soddisfare i desideri e l’immagi-
nario del suo pubblico pagante e sbarca onorevol-
mente il suo lunario. In tal modo tutti sono contenti.
---I☺I---
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 244
Non-sense, antipetrarchismo e po- E vidi le lasagne
andare a Prato a vedere il Sudario,
esia barocca e ciascuna portava l’inventario.
Commento
Francesco Berni (1497-1535), Chiome
1. Berni usa il linguaggio petrarchesco, ma lo usa in
d’argento fine, irte e attorte modo sfasato, in tal modo ottiene risultati parodistici:
i capelli dorati diventano ora viso d’oro, i primi sono
Berni anticipa il Barocco o, in alternativa, fa la paro- belli, ma il secondo è sconvolgente! E infatti il poeta,
dia della poesia petrarchesca tradizionale, che parlava fissando il viso della sua donna, impallidisce: tradi-
di donne bellissime, ma immaginarie e inesistenti. zionalmente si impallidiva per la bellezza del viso;
ora si impallidisce dall’orrore...
Chiome d’argento fine, irte, ed attorte 2. Anche Berni, come Cecco Angiolieri e poi i poeti
senz’arte intorno ad un bel viso d’oro; del Seicento, prende in giro la poesia ufficiale, inse-
fronte crespa, u’ mirando, io mi scoloro, rendosi in quella tradizione anti-letteraria a cui hanno
dove spunta i suoi strali Amore e Morte; dato alcuni contributi anche Guido Cavalcanti e lo
stesso Dante. Del petrarchismo si criticano la mono-
occhi di perle vaghi, luci torte tonia, l’irrealtà della donna cantata e gli eccessi. E se
da ogni obbietto disuguale a loro; ne fa la parodia (il termine deriva dal greco e signifi-
ciglie di neve; e quelle, ond’io m’accoro, ca strada vicina).
dita e man dolcemente grosse e corte; ------------------------------I☺I-----------------------------
labra di latte; bocca ampia celeste; Anton Maria Narducci, Sembran fere
denti d’ebeno, rari e pellegrini;
d’avorio in bosco d’oro
inaudita, ineffabile armonia;
costumi alteri e gravi; a voi, divini Sembran fère d’avorio in bosco d’oro
servi d’Amor, palese fo che queste le fère erranti onde sì ricca siete;
son le bellezze de la donna mia. anzi, gemme son pur che voi scotete
da l’aureo del bel crin natio tesoro;
Capelli d’argento fine, irti ed attorcigliati
o pure, intenti a nobile lavoro
Capelli d’argento fine, irti ed attorcigliati così cangiati gli Amoretti avete,
senz’arte, intorno a un bel viso d’oro; perché tessano al cor la bella rete
fronte rugosa, guardando la quale io impallidisco, con l’auree fila ond’io beato moro.
dove spezza le sue frecce amore e morte;
O fra bei rami d’or volanti Amori,
occhi color di perla, strabici, incapaci di vedere gemme nate d’un crin fra l’onde aurate,
anche oggetti in linea obliqua [rispetto allo sguardo]; 11fère pasciute di nettarei umori;
ciglia di neve, dita e mani dolcemente grosse
e tozze, per le quali io trasalisco; deh, s’avete desio d’eterni onori,
esser preda talor non isdegnate
labbra bianche come il latte, bocca ampia, il celeste, di quella preda onde son preda i cori!
denti neri come l’ebano, radi e oscillanti;
Inaudita ed inesprimibile armonia; Sembrano fiere d’avorio in un bosco d’oro
Costumi superbi e pesanti; a voi, o divini Sembrano fiere d’avorio in un bosco d’oro
Servi del dio Amore, dico chiaramente che queste le fiere vagabonde di cui siete così ricca;
Sono le bellezze della donna mia. anzi sono gemme quelle che voi scuotete
dal tesoro dorato dei vostri capelli;
Riassunto. Il poeta descrive le bellezze della sua don-
na: ha capelli d’argento fine (=grigi), un viso d’oro oppure, intenti al loro nobile lavoro,
(=giallastro, quindi malato), che lo fa impallidire, do- avete così cambiato gli amorini,
ve spezza le sue frecce l’Amore come la Morte, ha affinché essi tessano una bella rete al mio cuore
occhi di perla (=bianchi) e che guardano obliquamen- con i capelli dorati, per i quali muoio contento.
te (=è strabica), ciglia candide come la neve (= bian-
che, è vecchia) e mani dolcemente grosse (=sono bel- O amorini, che volate fra bei rami dorati,
o gemme nate in mezzo alle onde dorate dei capelli;
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 246
o fiere che vi siete nutrite di alimenti dolcissimi, Commento
1. Il verso finale è una acutezza e vuol dire che i la-
deh, se volete onori eterni, menti del poeta non hanno mai fine: si spostano sem-
non rifiutatevi di essere talvolta preda pre più in là.
di quella preda di cui son preda i cuori. 2. Il sonetto, fondato sulla “poetica della meraviglia”,
mostra l’abilità e il virtuosismo del poeta nello svi-
Commento luppare con metafore continue due temi paralleli: la
1. Narducci polemizza con il petrarchismo, che can- pulce, che è piccola e nera; e i seni, su cui si muove la
tava una donna bellissima ed inesistente; e, con mag- pulce, che sono candidi e grandi: Picciola macchia...
giore aderenza alla realtà, canta i pidocchi di cui la in sen d’argento (vv. 1-2), Lieve d’ebeno... fra nevosi
sua donna è ricca. Anzi in essi si sono trasformati gli sentier (vv. 5-6), volatil neo d’almo candore (v. 9),
amorini, per farlo capitolare... L’ultima terzina con- che si esprime anche nei continui contrasti di colore:
tiene l’invenzione ingegnosa: il triplice uso del termi- macchia/argento, sol/ombra, ebeno/nevosi, neo/can-
ne preda. Ma tutto il sonetto è pieno di sferzante in- dore. Una serie di aggettivi metaforici esprime la
ventiva. mobilità dell’animaletto: instabil, volatil, non fermo.
------------------------------I☺I----------------------------- Alcune metafore iperboliche ne descrivono il corpo:
ombra palpabile e pungente (v. 4), antipodo nero (v.
Giuseppe Artale (1628-1679), Pulce sulle 7), volatil neo (v. 9), atomo d’amore (v. 11). Alcuni
poppe di bella donna richiami interni sono: brieve e lieve (vv. 4 e 5), anti-
podo e mondo (vv. 7 e 8), indivisibil e atomo (vv. 10
e 11), ma anche lungo e languore (v. 13).
Picciola instabil macchia, ecco, vivente 2.1. La terzina finale contiene una metafora gramma-
in sen d’argento alimentare e grato; ticale: prolisso (=lungo), periodi (=espressioni la-
e posa ove il sol fisso è geminato (=doppio) mentose), punto (=conclusione), non fermo (=non
brieve un’ombra palpabile’ e pungente. concluso). “Non isdegnate” (“non rifiutatevi”) è una
raffinata litote, a cui il poeta ricorre per rendere più
Lieve d’ebeno (=nero) star fera mordente elevato (e comico) il testo e il momento del saluto fi-
fra nevosi sentier veggio in aguato, nale.
e un antipodo nero abbreviato 3. L’ideale secentesco di bellezza femminile è costi-
d’un picciol mondo, e quasi niente un ente. tuito dalle donne pantagrueliche e sensuali del pittore
fiammingo Pieter Paul Rubens (1577-1640), che si
Pulce, volatil neo d’almo candore, forma in Italia (1600-08) e che ritorna ad Anversa,
che indivisibil corpo hai per ischermo,
dove apre una bottega, che ha un grande influsso sul-
fatto etïopo un atomo d’amore; la pittura europea successiva.
------------------------------I☺I-----------------------------
tu sei, di questo cor basso ed infermo
per far prolisso il duol, lungo il languore,
de’ periodi miei punto non fermo.
Riassunto. Il poeta canta il sorriso della sua donna, 2. L’iperbole barocca è trasformata in grazia musica-
che ha le labbra rosse come le rose e che, sorridendo, le: né terra, né mare, né cielo sanno fare un sorriso
mostra i suoi denti candidi. Egli lo vuole cantare in bello come quello della sua donna.
modi nuovi. E dice: quando la brezza vaga tra i fiori 3. L’immagine della donna, proposta da Chiabrera,
del prato, noi diciamo che la terra sorride. Quando il continua a trasformare e ad arricchire l’immagine e le
venticello agita appena appena le onde, noi diciamo funzioni della figura femminile, che erano state can-
che il mare sorride. Quando l’aurora si veste di un ve- tate dall’intera tradizione letteraria, dalla Scuola sici-
lo dorato, noi diciamo che il cielo sorride. Ma né ter- liana ai poeti comico-realistici, dal Dolce stil novo a
ra, né mare, né cielo sanno fare un sorriso bello come Petrarca e ai petrarchisti, dall’Umanesimo al Manieri-
quello della sua donna. smo, dal Barocco al classicismo del Seicento (e poi
all’Arcadia del Settecento).
Commento 4. La donna è bella, ma non sappiamo com’è. Non ha
1. La canzonetta unisce grazia classicheggiante e me- alcun aspetto particolare, ha soltanto un sorriso e due
tafore blandamente barocche: le labbra rosse della labbra rosse. Tutto è trasformato in musica e in musi-
donna del poeta che sono paragonate alla natura con calità, e la donna scompare. Conviene confrontarla
limpide immagini. La leggerezza delle immagini e la con le altre donne incontrate e che si incontreranno.
musicalità dei versi sono ottenute anche sostituendo 5. L’abilità del poeta è straordinaria: la lingua italiana
l’endecasillabo con versi più brevi. è poverissima di parole brevi.
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Commento
1. Il tema della partenza è un tópos della lirica arcadi-
ca, anche se si trova già nella letteratura del passato.
L’abilità del poeta consisteva nel costruire nuove va-
riazioni, senza modificare né approfondire la situa-
zione sentimentale.
2. L’ode ha uno schema metrico elementare, la rima è
ABAB, il secondo verso però ha una rima particolare,
perché è sempre tronco. La facilità e la scorrevolezza
dei versi non deve ingannare: rivela nell’autore una
grandissima abilità professionale e una altrettanto
grande conoscenza della lingua italiana.
3. Il testo è stato composto per essere musicato e can-
tato sulla scena. Qui esso esprime tutta la sua linearità
e la sua musicalità. La sola lettura lo fa apparire in-
consistente e superficiale.
4. “Oh Dei!”: il poeta si rivolge agli dei dell’Olimpo,
meno irriguardoso e più naturale, visto l’argomento
della canzonetta (la donna) e visto il comportamento
di quegli dei. Ma da secoli si passava con assoluta na-
turalezza dall’Olimpo cristiano all’Olimpo greco, e
viceversa.
5. La canzonetta ha molteplici antecedenti che me-
scolano la divinità con l’amore per una donna. Nel
sonetto I’ m’aggio posto in core a Dio servire Gia-
como da Lentini vuole andare in paradiso, ma vuole
andarci con la sua donna, che ha un bel viso e capelli
biondi. Alla fine della canzone Al cor gentile rempai-
ra sempre amore Guido Guinizelli si trova davanti a
Dio, che lo rimprovera di avergli preferito un amore
profano, la donna. E il poeta si difende: la sua donna
sembrava un angelo venuto dal cielo, perciò non
commise peccato, se l’ha amata. Il tema dell’amore
sacro e profano è il motivo conduttore del Canzonie-
re di Francesco Petrarca. E le invocazioni a Dio o alla
Madonna si sprecano.
6. Il motivo del poeta che muore e della donna che lo
cerca e ne scopre la tomba appartiene alla tradizione
letteraria. Nella canzone Chiare, fresche e dolci ac-
que, CXXVI, Petrarca immagina di essere morto e
sepolto, che Laura venga a cercarlo e che, vedendolo
morto, sparga una lacrima di compassione. Proprio
quella lacrima gli aprirà la porta del cielo…
Nell’episodio di Erminia tra i pastori della Gerusa-
lemme liberata (VII, 1-22) Erminia, mentre accudi-
sce alle pecore, immagina di essere morta e che sulla
sua tomba venga Tancredi e sparga una lacrima.
Quella lacrima la renderà felice. Il contesto poetico è
però completamente diverse: in Petrarca si inserisce
nel dissidio interiore tra amore sacro ed amore pro-
fano; in Tasso il tema è rovesciato (è la donna che
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 252
Pietro Metastasio (1698-1782) Negli anni successivi continua a comporre con suc-
cesso. Egli però si sente estraneo ai valori e ai princi-
pi estetici diffusi dalla cultura illuministica. Perciò, a
La vita. Pietro Trapassi nasce a Roma nel 1698 da partire dalla metà del secolo, si dedica a riflessioni
una famiglia di modeste condizioni sociali. Per la sua teoriche sui principi che avevano ispirato la sua pro-
abilità nell’improvvisare versi si fa notare da Gravi- duzione. Nel 1773 traduce e commenta l’Arte poetica
na, che lo avvia agli studi letterari, conducendolo di Orazio, e porta a termine l’Estratto della “Poeti-
prima a Napoli (1712) poi in Calabria, dove studia ca” d’Aristotile e considerazioni sulla medesima.
sotto la guida di Gregorio Caloprese, un filosofo di Muore nel 1782.
fede cartesiana. Il suo protettore gli cambia il nome in
Metastasio. Nel 1718 ritorna a Roma, dove prende gli La poetica. Metastasio rinnova il melodramma, cioè
ordini minori e decide di studiare diritto. Alla morte il dramma melodico, cantato. Prima di lui il testo del
Gravina gli lascia l’eredità. Il testamento però è im- melodramma era ridotto ad un libretto al servizio del-
pugnato dagli altri arcadi, perciò egli nel 1719 ritorna la musica. Esso doveva presentare un certo numero di
a Napoli. Qui è introdotto nei salotti aristocratici dalla arie, collocate in parti specifiche del dramma e ben
cantante Marianna Bulgarelli Benti, detta la Romani- suddivise tra i personaggi principali. Esse permette-
na, che lo spinge anche a studiare musica. Nel 1721 e vano ai cantanti di dimostrare la loro bravura. Il pub-
nel 1722 Metastasio compone due azioni drammati- blico le seguiva con attenzione, mentre non si interes-
che. Il successo però giunge nel 1724 con la rappre- sava dei recitativi, cioè delle parti dialogate, che fa-
sentazione di Didone abbandonata. Ed è ripetuto dal- cevano procedere l’azione. Metastasio mantiene la
le opere successive, tanto che i suoi drammi sono struttura tradizionale in tre atti del melodramma. In-
musicati più volte dai maggiori compositori del tem- nova però l’idea stessa di melodramma. Egli è con-
po. Nel 1730 Metastasio è invitato a Vienna come vinto che il testo poetico abbia un valore autonomo
“poeta cesàreo” e con un generoso compenso. Egli rispetto alla musica. Nello stesso tempo però scrive
accetta. Per la corte compone drammi, azioni sceni- versi particolarmente musicali, che ben si adattano ad
che di argomento mitologico e di argomento sacro. essere cantati. Anche la trama ed i toni sono coerenti
Tra il 1730 e il 1740 il poeta scrive le sue opere più allo stesso scopo: il poeta esclude dal suo repertorio i
belle: Demetrio (1731), Olimpiade (1733), Demofo- toni (e le storie) drammatici, per privilegiare quelli
onte (1733), La clemenza di Tito (1734), Achille in elegiaci e patetici, che giustificano il lieto fine.
Sciro (1736), Zenobia (1740) e Attilio Regolo (1740). ---I☺I---
che più l’usato impero 10. perché le tue labbra non hanno
quei labbri in me non hanno; più su di me il potere di un tempo,
quegli occhi più non sanno né i tuoi occhi conoscono più la via
la via di questo cor. per giungere al mio cuore.
Quel, che or m’alletta, o spiace. 11. Ciò che ora mi rende lieto o triste,
se lieto o mesto or sono, se ora sono lieto o triste,
già non è più tuo dono, non è più merito tuo,
già colpa tua non è: non è più colpa tua:
Riassunto. Il poeta è stato lasciato dalla sua donna, prima metà del Settecento, prima della diffusione del-
che gli ha preferito un altro. Egli però ha superato il le idee e dei principi artistici dell’Illuminismo.
momento dell’abbandono, e riesce a parlare di lei 2. La canzonetta svolge un motivo ormai divenuto un
senza emozionarsi e a notare in lei aspetti che prima tópos letterario: il poeta è abbandonato dalla sua don-
gli sembravano belli ma che non lo erano. Alla fine na. Il contenuto è esilissimo ed anche banale, ma i
conclude dicendo che la donna ha perso un innamora- versi musicali riescono a farlo lievitare. Le strofe po-
to fedele, mentre egli può trovare facilmente un’altra tevano procedere indefinitamente. Comunque sia, o-
donna pronta ad ingannare. gnuna di esse riesce a interessare l’ascoltatore. La
strofa migliore è giustamente quella conclusiva (co-
Commento me il Barocco aveva insegnato), pregevole per l’os-
1. La libertà, con La partenza (1746), è una delle servazione psicologica. Ad ogni modo il linguaggio
canzonette più famose del poeta. Essa sintetizza la di tutta la canzonetta riesce a rinnovare il contenuto e
poetica metastasiana ma anche il gusto estetico della i “fatti” descritti.
Riassunto. Nice parte. Il poeta è addolorato. Vuole 3. La Scuola siciliana (1230-1260ca.) inizia l’opera di
seguirla almeno con il pensiero. Poi ricorda i tempi recupero della figura femminile, che la Chiesa pre-
felici, quando erano insieme. Adesso la donna riceve- sentava come la tentatrice, colei che portava l’uomo
rà i complimenti ed i pianti da altri innamorati. Egli alla perdizione eterna. Il Dolce stil novo poi fa della
ha il cuore ancora ferito dall’amore. E si chiede, a più donna la donna-angelo, discesa sulla terra per portare
riprese, se la donna si ricorderà ancora di lui. l’uomo a Dio. Metastasio, come altri poeti del Sette-
cento, la trasforma nell’ingannatrice, che tradisce
Commento l’uomo. E comunque – almeno sulle scene teatrali –
1. Il motivo della canzonetta è anche qui assai esile. Il sorge una articolata dialettica tra i sessi: l’uomo non è
nome della donna, Nice, significa vittoria o, meglio, più onnipotente, e la donna ha una volontà, che fa pe-
la vincitrice. Essa insomma vince il poeta e tutti gli sare sull’uomo. Può scegliere ed abbandonare il suo
altri amanti che la corteggiano. amante. Può farlo soffrire.
2. La canzonetta, che è musicata dallo stesso poeta, ------------------------------I☺I-----------------------------
poi da Angelo Maiorana e, per le prime due strofe,
anche da Ludwig van Beethoven, trasforma tutto in
grazia e sentimento. Il dramma non è consono alla
cultura del Settecento. Il finale di strofa ricorda
Quant’è bella giovinezza (1492) di Lorenzo de’ Me-
dici.
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Riassunto. Il poeta invita il giovin signore ad ascol- 2. Con una notevole semplificazione il poeta contrap-
tarlo: gli farà da precettore e gli insegnerà i riti socia- pone la vita sana, all’aperto e operosa del contadino e
li. dell’artigiano, che valuta positivamente, alla vita not-
All’alba il contadino si alza dal letto, che ha diviso turna, oziosa e dissipata del giovin signore. Dimenti-
con la moglie e con i figli, e va con il bue nei campi. ca che la vita dei primi è dura e scomoda e che è lieta
Contemporaneamente si alza anche l’artigiano, che soltanto nei quadretti aggraziati tratteggiati dai poeti
ritorna nella sua bottega e riprende in mano i lavori dell’Arcadia.
interrotti: uno scrigno antifurto per la dama. Non è 3. Il poeta se la prende con le figure, a suo dire, inutili
questo il mattino del giovin signore: egli ritorna a ca- e parassitarie del maestro di danza, di canto e di lin-
sa a tarda notte sulla carrozza lanciata al galoppo, gua. Egli ignora che tutti costoro sarebbero disoccu-
quindi cena con vini francesi e ungheresi, poi va a pati, se il giovin signore – l’unico soggetto che in
dormire quando gli altri si alzano. Si sveglia a mez- quella società ha potere d’acquisto – non chiedesse i
zogiorno e suona il campanello. Il cameriere arriva e loro servizi. La poesia pariniana si ispira insomma a
apre le finestre, evitando che il sole colpisca il padro- ideali astratti e pregiudiziali, che ignorano – colpe-
ne negli occhi. Quindi gli chiede se vuole la cioccola- volmente o meno non importa – la dimensione eco-
ta o il caffè. Il giovin signore sceglie la prima, se vuo- nomica e sociale del lavoro, in nome di un mitico ri-
le stimolare lo stomaco; ma sceglie il secondo se vuo- torno ad una società parsimoniosa ed agricola. Per di
le evitare di ingrassare ulteriormente. Il cameriere più questi ideali, proposti sulla pelle altrui, contrasta-
deve però impedire che la giornata incominci male no con la continua ricerca di denaro, di sicurezza e-
con l’arrivo del sarto che presenta un conto intermi- conomica e di riconoscimenti sociali, e di vita mon-
nabile e vuole essere pagato. Deve invece annunciare dana, che il poeta fa per tutta la vita.
subito, perché sono sempre graditi, il maestro di dan- 4. L’episodio iniziale del poemetto presenta sia i pre-
za, quello di canto, di violino e di lingua francese. gi sia i limiti della poesia pariniana: la visione classi-
cistica del lavoro contadino, la critica moralistica del-
Commento l’ozio nobiliare, la proposta di una vita parca e vicina
1. Parini recupera la cultura classica, che sviluppa in alla natura, che rifiuti la ricerca della ricchezza e del
ambito civile. Contemporaneamente, nella seconda benessere sociale, la mansuetudine e l’accettazione
metà del Settecento, si sviluppa il Neoclassicismo, dei soprusi, l’incapacità (e il divieto) di ribellarsi con-
che si diffonde in tutte le arti e che alla fine del seco- tro l’ordine sociale costituito, la stabilità e la staticità
lo subisce varie commistioni con il Romanticismo. La sociale, il contrasto tra il popolo buono (e sfruttato)
cultura classica è presente anche negli intellettuali ed il ricco ozioso (e depravato), il rifiuto delle novità
romantici che portano l’Italia all’unità, poi nella poe- introdotte con il commercio, l’immobilismo sociale
sia di Giosuè Carducci (1835-1907), infine nel Na- ed economico, la difesa dell’agricoltura e dell’aristo-
zional-fascismo (1922-45). Aveva ispirato la cultura crazia latifondistica contro la borghesia commerciale
medioevale ed aveva provocato la rivoluzione cultu- e cittadina, la sottomissione dei servi, i riferimenti
rale dell’Umanesimo quattrocentesco e del Rinasci- mitologici esasperati alla cultura classica, la critica
mento quattro-cinquecentesco.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 269
continua, monotona e meccanica alla nobiltà, che non proprio quella classe nobiliare che critica e che vor-
pratica più gli antichi valori. rebbe soltanto più consapevole della sua funzione e
5. Il linguaggio è classicheggiante e pieno di riferi- delle sue responsabilità sociali. Soltanto essa ha pote-
menti mitologici. Il rinnovamento del linguaggio poe- re d’acquisto. Contemporaneamente a Parini e su po-
tico è l’eredità che Parini lascia agli scrittori che ope- sizioni ideologiche critiche verso la nobiltà, Goldoni
rano tra la fine del Settecento ed i primi dell’Ot- sceglie un altro pubblico, la piccola borghesia, e pro-
tocento, da Foscolo a Manzoni a Leopardi. I riferi- pone un’arte che indica valori da mettere in pratica e
menti mitologici circoscrivono il pubblico a cui il po- che rappresenta la vita quotidiana dei suoi spettatori.
eta intende rivolgersi: non il popolo analfabeta, ma
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Forse vero non è; ma un giorno è fama, Forse non è vero; ma è fama che un giorno
che fûr gli uomini eguali; e ignoti nomi gli uomini furono tutti uguali; e che ignoti furono
fûr plebe, e nobiltade. Al cibo, al bere, i nomi di Plebe e di Nobiltà. A mangiare,
all’accoppiarsi d’ambo i sessi, al sonno a bere, ad accoppiarsi, a dormire
un istinto medesmo, un’egual forza uno stesso istinto, una stessa forza
sospingeva gli umani: e niun consiglio spingeva gli esseri umani: nessuna
niuna scelta d’obbietti o lochi o tempi decisione, nessuna scelta di oggetti, di luoghi
era lor conceduta. A un rivo stesso, o di tempi era loro concessa. Allo stesso rivo,
a un medesimo frutto, a una stess’ombra allo stesso frutto, alla stessa ombra
convenivano insieme i primi padri andavano insieme gli antenati
del tuo sangue, o signore, e i primi padri del tuo sangue, o Signore, e gli antenati
de la plebe spregiata. I medesm’antri del volgo spregevole. Le stesse spelonche,
il medesimo suolo offrieno loro lo stesso suolo offrivano loro
il riposo, e l’albergo; e a le lor membra il riposo e il riparo. Una sola preoccupazione
i medesmi animai le irsute vesti. era comune a tutti, fuggire il dolore;
Sol’ una cura a tutti era comune ed ai cuori umani era ancora
di sfuggire il dolore, e ignota cosa sconosciuto il desiderio.
era il desire agli uman petti ancora. L’aspetto uniforme degli uomini dispiacque
L’uniforme degli uomini sembianza agli dei celesti: a rendere più varia la Terra
spiacque a’ celesti: e a variar la terra fu spedito il dio Piacere.
fu spedito il Piacer. Quale già i numi Come un tempo gli dei scendevano sui campi
d’Ilio sui campi, tal l’amico genio, di battaglia di Troia, così il Genio amico,
lieve lieve per l’aere labendo scivolando lievemente nell’aria, si avvicina
s’avvicina a la terra; e questa ride alla Terra; e questa sorride con un sorriso c
di riso ancor non conosciuto. Ei move, he prima non aveva mai conosciuto.
e l’aura estiva del cadente rivo, Egli si muove; l’aria estiva dal ruscello
e dei clivi odorosi a lui blandisce scrosciante e dai colli profumati gli accarezza
le vaghe membra, e lentamente sdrucciola le belle membra e scivola lievemente sul tondeggiare
sul tondeggiar dei muscoli gentile. gentile dei muscoli. Intorno a lui si aggirano
Gli s’aggiran d’intorno i Vezzi e i Giochi, i Vezzi e i Giochi: e, come ambrosia, le lusinghe
e come ambrosia, le lusinghe scorrongli gli scorrono dalle labbra color di fragola:
da le fraghe del labbro: e da le luci dagli occhi socchiusi, languidi e umidi
socchiuse, languidette, umide fuori fuoriescono scintille di tremulo fulgore,
di tremulo fulgore escon scintille per le quali arde l’aria che egli varca
ond’arde l’aere che scendendo ei varca. scendendo sulla Terra.
Alfin sul dorso tuo sentisti, o Terra, Infine, o Terra, sul tuo dorso sentisti stamparsi
sua prim’orma stamparsi; e tosto un lento per la prima volta la sua orma; e subito
tremere soavissimo si sparse un tremito lento e dolcissimo si sparse
di cosa in cosa; e ognor crescendo, tutte di cosa in cosa; e, crescendo sempre più,
di natura le viscere commosse: sconvolse tutte le viscere della natura:
come nell’arsa state il tuono s’ode come nell’estate riarsa si ode il tuono,
che di lontano mormorando viene; che vien mormorando di lontano
e col profondo suon di monte in monte e che con il suo suono profondo riecheggia
sorge; e la valle, e la foresta intorno di monte in monte; e la valle e la foresta
mugon del fragoroso alto rimbombo, risuonano per il suo fragoroso rimbombo,
Riassunto. Forse non è vero, ma è fama che un giorno plebe invece a causa dei loro organi meno sensibili
gli uomini fossero tutti uguali: bevevano allo stesso non furono capaci di cogliere le differenze, e come
ruscello, si nutrivano degli stessi frutti e si rifugiava- animali continuarono a vivere la vita di prima. Perciò
no nella stessa grotta, e, spinti dagli stessi bisogni, è giusto che essi abbiano ricevuto in dono la laborio-
non conoscevano la possibilità di scegliere. Avevano sità e rechino sulla mensa altrui i beni che hanno pro-
una sola preoccupazione, fuggire il dolore. Stanchi di dotto.
questa vita monotona, gli dei inviarono sulla Terra il
dio Piacere. La Terra fu sconvolta fin nelle sue visce- Commento
re all’arrivo del dio. A questo punto l’umanità si divi- 1. L’episodio fonde cultura classica e grazia arcadica
se. I progenitori del giovin signore, a cui gli dei ave- e neoclassica, sensismo illuministico e, ancora, culto
vano dato gli organi più sensibili, percepirono le dif- classicheggiante della bellezza. La grazia e la sensua-
ferenze, e impararono a distinguere il buono dal catti- lità del passo contrastano con le espressioni dure con
vo, il bello dal brutto, il vino dall’acqua, e si impa- cui è descritta la sorte infelice del popolo, destinato a
dronirono del buono e del bello. I progenitori della servire ai nobili quei beni che produce con il suo su-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 271
dore. Parini però non va oltre questa condanna, per ciali: esse sono state volute dagli dei e dalla natura,
dire al popolo di ribellarsi, di far valere i suoi “diritti” poiché la nobiltà ha organi più sensibili, capaci di co-
evangelici o politici. E neanche per dare al popolo gli gliere le differenze e di apprezzare il meglio. La ple-
strumenti, come l’istruzione e un minimo di cultura, be invece ha organi rozzi, che le impediscono di di-
che lo facciano uscire dalla sua condizione di impo- stinguere e di scegliere. Le differenze tra le due classi
tenza nei confronti dell’aristocrazia. Egli insomma non hanno quindi un’origine sociale, ma sono state
vorrebbe fare le riforme, ma senza cambiare nulla: la stabilite dalla natura e dagli dei fin dalla notte dei
nobiltà deve recuperare il suo antico ruolo sociale di tempi. Perciò è inutile sia voler cambiare le cose, sia
garante dell’ordine e dovrebbe evitare i comporta- voler dare il buono alla plebe.
menti antipopolari più odiosi; il popolo dovrebbe es- 3. Preso dal fascino del dio Piacere, che scende sulla
sere trattato con più umanità e dovrebbe continuare a Terra con grazia e sensualità, Parini dimentica una
fare i lavori e la vita di sempre. L’autore non parla volta tanto di fare la consueta e pesante ironia anti-
nemmeno di una più equa distribuzione delle ricchez- aristocratica.
ze sociali e dei prodotti del lavoro, e preferisce rifu- 4. È opportuno confrontare le posizioni caute e filo-
giarsi in un severo quanto inutile moralismo. Per di nobiliari di Parini con quelle di Jean-Jacques Rousse-
più, ignaro ed ostile alla scienza economica, non si au (1712-1778) (Discorso sull’origine e i fondamenti
accorge che il risparmio e i minori consumi dei nobi- dell’ineguaglianza tra gli uomini, 1750; Contratto
li, che propone, si trasformano in un aumento di di- sociale, 1762); con quelle di Adam Smith (1723-
soccupazione per il popolo, se non cambia la tipolo- 1790) (Ricerca sulla natura e le cause della ricchezza
gia dei beni prodotti e se, contemporaneamente, non delle nazioni, 1776); e con quelle, piene di fiducia e
sorgono altre figure di consumatori. di ottimismo nella ragione, di Immanuel Kant (1724-
2. Parini immagina una favola, piena di grazia e di 1804) (Risposta alla domanda: che cos’è l’Illumini-
sensualità, in cui i nobili giustificano le differenze so- smo?, 1784).
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Mezzogiorno: Pèra colui che primo osò la Mezzogiorno: “Perisca colui che per primo osò al-
mano zare la mano”
Le Odi
quel dì che insana empiea quel giorno in cui, impazzita [dal dolore],
il sacro Ida di gemiti, riempiva di gemiti il monte Ida a lei sacro;
e col crine tergea, e con i capelli asciugava
e bagnava di lacrime e bagnava di lacrime
il sanguinoso petto il petto sanguinante
al ciprio giovinetto (=Adone). al giovane Adone, che amava.
Riassunto per strofa. Il poeta invita le Grazie a prepa- dere la donna svenuta sulla sabbia pietrosa (13). Allo-
rare i balsami e le bende profumate che esse porgeva- ra il poeta augura la morte a quell’uomo incivile che
no a Venere, quando si punse con una spina (1), men- per primo osò affidare il corpo femminile a un corsie-
tre, impazzita dal dolore, piangeva sul corpo insan- ro selvaggio e con un consiglio maldestro aprì alla
guinato di Adone, che amava (2). Ora gli Amorini bellezza un nuovo pericolo (14). Se non lo avesse fat-
piangono Luigia Pallavicini, la più bella delle donne to, ora egli non vedrebbe il suo volto pallido e i suoi
liguri. E per lei portano in voto fiori sull’altare di A- occhi che sperano di riavere la bellezza di prima (15).
pollo (3). La danza la chiamava, mentre la brezza Un giorno le cerve tiravano il cocchio di Artemide,
portava un insolito profumo, quando i capelli in di- ma, spaventate dalle fiere, fecero precipitare la dea
sordine impacciavano i suoi movimenti (4). Come lei, lungo le pendici dell’Etna (16). Le empie [dee] che
anche Pallade Atena con la mano bagnata tratteneva i abitavano l’Olimpo gioivano d’invidia, perché ai
capelli fuori dell’acqua (5). Parole melodiose usciva- banchetti Artemide nascondeva il volto con un velo
no dalle sue labbra; e dai suoi occhi sorridenti traspa- (17). Ma ben presto piansero, perché nelle feste in
rivano sue delusioni amorose, i suoi pianti e le sue suo onore a Efeso la dea si presentò con le vergini a
speranze future (6). Il poeta invita l’amica a dire per- lei devote ancor più bella (18)!
ché ha rivolto il suo corpo femminile ad occupazioni
maschili e perché si è dedicata non alle Muse, ma ai Riassunto breve. Il poeta invita le Grazie a preparare
giochi pericolosi di Marte (7). Poi si rappresenta la per Luigia Pallavicini i balsami e le bende profumate
caduta: invano i venti cercano di fermare il destriero, che avevano preparato per Venere quando si era pun-
che il morso irrita ancora di più (8). L’animale agita ta con una spina e piangeva Adone ferito. Ora gli
la testa superba, schizza la schiuma e sporca le sue Amorini piangono Luigia e portano fiori sull’altare di
vesti, le briglie e il seno (9). Il destriero è tutto sudato Apollo. Nelle feste notturne la donna danzava affa-
e si mette a correre. Le grotte marine risuonano del scinando i presenti, mentre i capelli in disordine im-
suo scalpitìo, che solleva polvere e sassi (10). Poi si pacciavano i suoi movimenti. Come lei, anche Palla-
lancia nel mare e ormai nuota nell’acqua fino alla de Atena con una mano tratteneva i capelli fuori
pancia. Le onde, affamate di preda, dimenticano che dell’acqua. Dagli occhi sorridenti di Luigia traspari-
dalle loro nacque la dea Venere (11). A questo punto vano amori, delusioni, pianti e speranze per il futuro.
il dio Nettuno lascia la sua dimora nelle acque pro- A questo punto il poeta rivolge all’amica un rimpro-
fonde del mare e respinge sulla riva il destriero im- vero implicito chiedendole perché si è dedicata non
pazzito (12). L’animale scalpitando indietreggia, ma alle Muse, ma a un’occupazione maschile come anda-
si alza sulle zampe posteriori, scuote la sella e fa ca- re a cavallo. E poi immagina la caduta: il destriero
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 284
sente che la mano che tiene le briglie è incerta e si
lancia a un folle galoppo, quindi entra in acqua. Allo-
ra dal profondo del mare interviene il dio Nettuno,
che risospinge il destriero sulla spiaggia. Ma l’ani-
male s’impenna e disarciona la donna, che cade pe-
santemente al suolo. A questo punto il poeta augura
la morte all’uomo che per primo osò affidare il corpo
femminile a un corsiero selvaggio e con un consiglio
maldestro aprì alla bellezza un nuovo pericolo. Ma è
fiducioso e ricorda che un giorno le cerve, spaventate
dai lupi, rovesciararono il cocchio di Artemide, che
cadde lungo le pendici dell’Etna. In seguito la dea
andò al banchetto degli dei con il volto coperto. Le
altre dee dell’Olimpo, piene d’invidia, gioivano di
soddisfazione. Ma ben presto piansero, perché nelle
feste in suo onore a Efeso la dea si presentò con le
vergini a lei devote ancor più bella.
Commento
1. In azzurro i termini che appartengono al mondo
classico.
2. Luigia Pallavicini monta un cavallo focoso, anche
se non sa cavalcare. Il cavallo si mette al galoppo sul-
la spiaggia, schizzando acqua e sassi. E le si fa stupi-
damente disarcionare e ferire. Su questo fatto insigni-
ficante di vita quotidiana il poeta scrive un’ode che si
preoccupa dell’amica ma che tocca tanti altri proble-
mi. Tra cui quello, il più importante, della bellezza
rasserenatrice, unico rimedio al vaneggiare degli uo-
mini. Disturba il cielo, il mare e gli inferi con para-
goni che fanno uscire il fatterello dalla sua banalità.
Infine le augura che anche lei come Artemide ritorni
più bella di prima.
3. Lo scrittore interviene direttamene nell’ode: chiede
alla donna perché si è dedicata ad attività maschili,
come andare a cavallo, e non si è limitata a praticare
le attività delle Muse (danza, poesia, musica, canto).
E descrive la donna come alla disperata ricerca
dell’amore.
4. L’incidente della caduta non è rimosso, ma è con-
tornato di mitologia classica, che lo trasforma. Per
Foscolo il mondo classico non è finzione, l’ode ne fa
sentire la concretezza anche al lettore di oggi. Nel
sec. XVIII è riportata alla luce la città di Pompei,
sommersa di ceneri e lapilli, che condiziona forte-
mente l’arte e l’immaginario collettivo dell’epoca.
---I☺I---
Fiorir sul caro viso Sul tuo caro viso vedo tornare
veggo la rosa; tornano il color roseo; ritornano
i grandi occhi al sorriso 15 a sorridere i grandi occhi seducenti;
insidïando; e vegliano e a causa tua madri preoccupate [per i figli]
per te in novelli pianti e amanti gelose stanno in veglia,
trepide madri, e sospettose amanti. versando sempre nuove lacrime.
Ebbi (=Foscolo) in quel mar la culla, 85 Io (=Ugo Foscolo) nacqui in quel mare,
ivi era ignudo spirito dove vagava, ormai anima priva di corpo,
di Faon la fanciulla, la fanciulla (=Saffo) che amava Faone;
e se il notturno zeffiro e, quando lo zeffiro notturno
blando su i flutti spira, spira dolcemente sui flutti del mare,
suonano i liti un lamentar di lira. 90 i lidi risuonano al lamento della sua lira.
Ond’io, pien del nativo Perciò io, ripieno dello spirito poetico
aër sacro, su l’itala del suolo natale, trasporto
grave cetra derivo per te la poesia greca
per te le corde eolie (=di Eolo), nella severa tradizione italiana,
e avrai, divina, i voti 95 così, o divina, fra i miei inni avrai le offerte
fra gl’inni miei delle insubri (=lombarde) nipoti. votive (=l’ammirazione) delle future donne lombarde.
---I☺I--- ---I☺I---
Forse perché sei l’immagine della morte Venere, e fea quelle isole feconde
tu, o Sera, scendi su di me così gradita! col suo primo sorriso, onde non tacque
Sia quando ti accompagnano lietamente le tue limpide nubi e le tue fronde
le nuvole estive e i venti sereni (=d’estate), l’inclito verso di colui che l’acque
sia quando dall’aria nevosa porti sulla terra cantò fatali, ed il diverso esiglio
notti inquiete e lunghe (=d’inverno), per cui bello di fama e di sventura
sempre scendi [da me] invocata, baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
ed occupi le vie più nascoste del mio cuore.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 289
Tu non altro che il canto avrai del figlio, a, che apparteneva al suo tempo e alla sua cultura, per
o materna mia terra; a noi prescrisse parlare dei problemi a lui contemporanei; i romantici,
il fato illacrimata sepoltura. proprio come aveva fatto Omero, prendono la mito-
---I☺I--- logia del loro tempo e non quella di altri tempi, per
parlare dei problemi contemporanei.
A Zacinto 3. Foscolo propone una interpretazione romantica di
Ulisse (egli, e non il guerriero Achille o il saggio Ne-
Io non toccherò mai più le tue sacre sponde, store o i sovrani Agamennone e Menelao, diventa il
dove trascorsi la mia fanciullezza, simbolo del mondo antico). L’eroe greco è “bello di
o Zacinto mia!, che ti specchi nelle onde fama e di sventura” – insomma più è sventurato, più è
del mar Egeo, dalle quali nacque la vergine romantico –, perché soltanto dopo lunghe peripezie
riesce a tornare nella sua “petrosa Itaca”. Il poeta è
Venere, che rendeva quelle isole feconde ancora più sventurato e quindi ancora più romantico
con il suo primo sorriso, perciò non tacque (e perciò superiore ad Ulisse), perché rispetto all’eroe
il tuo cielo sereno e i tuoi boschi greco egli è destinato a non ritornare più in patria e a
la grande poesia di Omero, che cantò morire in terra straniera.
4. Ulisse è una figura che ritorna a più riprese nella
le peregrinazioni sul mare e in altri luoghi, cultura italiana ed occidentale.
per cui Ulisse, bello di fama e di sventure, a) Omero gli dedica l’intera Odissea e lo presenta a-
baciò [alla fine] la sua Itaca rocciosa. stuto o, meglio, “dall’ingegno multiforme”. L’eroe
greco con l’inganno del cavallo fa cadere la città di
Tu avrai soltanto il canto di questo tuo figlio, Troia; provoca l’ira di Nettuno, a cui ha accecato il
o mia terra natale; a me il destino ha prescritto figlio Polifemo; sfida mille pericoli, spinto dalla cu-
una sepoltura senza lacrime [in terra straniera]. riosità; e infine torna nel suo piccolo regno di Itaca,
dove Penelope, la moglie fedele, lo aspetta e dove
Riassunto. Il poeta si rivolge all’isola in cui è nato, deve sconfiggere la protervia dei nobili, divenuti ar-
lamentandosi di non poter più ritornare sulle sue roganti per la sua lunga assenza.
spiagge, davanti alle quali nacque Venere e che furo- b) Dante gli dedica un intero canto (If XXVI), lo pu-
no cantate da Omero, lo stesso che cantò le peregri- nisce come fraudolento ma lo esalta come simbolo
nazioni e il ritorno in patria di Ulisse. Egli potrà dare del mondo antico, che ricerca con tutte le sue forze il
solamente il suo canto alla sua isola, poiché il destino sapere e la sapienza: “Fatti non foste a viver come
lo farà morire in terra straniera. bruti – dice l’Ulisse dantesco ai suoi compagni di
mille avventure –, Ma a seguir virtute e canoscenza”.
Commento In nome della conoscenza Ulisse non ritorna a casa,
1. Il sonetto parla dell’autore nei primi due versi e dal figlio mai visto, dal padre e dalla moglie fedele, e
negli ultimi tre; negli altri parla delle tre figure più punta la nave verso lo stretto di Gibilterra, per visita-
significative del mondo classico: Venere, simbolo re il “mondo sanza gente”. Dopo cinque mesi di na-
dell’amore ma anche della bellezza, Omero, simbolo vigazione vede una montagna altissima, da cui sorge
della poesia, quindi Ulisse, simbolo dell’eroe. A di- un turbine che affonda la nave.
stanza di 2.500 anni la cultura greca è sentita come c) Il terzo Ulisse è l’Ulisse romantico e perciò neces-
contemporanea. Il poeta, in modo piuttosto esplicito, sariamente sventurato di Foscolo: più è colpito dalle
si paragona ad Ulisse (ambedue sono eroi romantici; sventure, più è fortunato, perché più diventa famoso.
l’unica differenza, che poi va a vantaggio del poeta, è d) Giovanni Pascoli nei Poemi conviviali (Il sonno di
che Ulisse riesce a ritornare in patria, egli no); ed an- Odisseo) (1904) dà un’interpretazione decadente del-
che ad Omero, il poeta per antonomasia, che ha can- l’eroe omerico: sta tornando a casa con i suoi compa-
tato la sua isola (ed i viaggi di Ulisse). Nel sonetto è gni, è giunto in prossimità della sua isola, quando si
presente un motivo estraneo alla cultura classica: è addormenta. I compagni aprono gli otri, dove erano
l’ideale romantico di patria, che proviene dalla Rivo- racchiusi i venti sfavorevoli, che allontanano la nave
luzione francese. I greci erano estremamente litigiosi, dal porto. Svegliandosi, Ulisse vede in lontananza
individualisti e campanilisti: la loro città era superiore una terra, ma non sa se si è avvicinato alla sua isola
a tutte le altre della Grecia. L’unica cosa che li univa da cui ora i venti lo allontanano o se è un’altra isola:
era l’odio verso i bàrbaroi, i balbuzienti, gli stranieri. il sonno gli ha impedito di essere pronto all’appunta-
2. Agli inizi dell’Ottocento scoppia una violentissima mento che il destino gli aveva preparato.
polemica tra i classicisti, che si richiamavano alla pe- e) Gabriele D’Annunzio dà un’altra interpretazione
rennità della cultura classica, ed i romantici, che pro- decadente dell’eroe greco: il poeta lo vede alla guida
ponevano una cultura impegnata ed attuale. Giovanni della sua nave, e chiede di prenderlo con lui. Ulisse lo
Berchet (1783-1851) nella Lettera semiseria di Gri- guarda per un attimo, e da quel momento egli si sente
sostomo al suo figliolo (1816) polemizza con i soste- superiore a tutti i suoi compagni (Laudi del cielo, del
nitori della cultura classica e sostiene la tesi che i veri mare, della terra e degli eroi. Maia, IV. L’incontro
classici sono i romantici: Omero ha usato la mitologi- con Ulisse, 1903).
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 290
f) Nel romanzo Ulysses (1922) lo scrittore dublinese In occasione della morte del fratello Giovanni
James Joyce (1882-1941) racchiude in un’intera gior-
nata le poco eroiche peripezie del suo Ulisse, un mo- Un giorno, se io non fuggirò sempre
desto impiegato del mondo contemporaneo, che trova da un popolo all’altro, mi vedrai seduto
anche il tempo di tradire la moglie. sulla tua pietra tombale, o fratello mio,
g) Nel breve componimento intitolato Ulisse (Medi- per piangere la tua giovinezza recisa.
terranee, 1946) Umberto Saba propone di sé l’imma-
gine di un Ulisse sempre pronto al pericolo e che non Nostra madre, trascinando ora da sola i suoi anni,
vuole invecchiare. parla di me [lontano] con le tue spoglie mute,
4. La patria di Foscolo è l’Italia del suo tempo, anco- ma io tendo a voi le mie mani senza potervi
ra divisa; ma in misura maggiore è la patria ideale co- abbracciare; e, se da lontano saluto la mia patria,
stituita dal mondo classico greco (e non latino). La
sua patria è quindi più nel passato che nel presente. sento il destino avverso e gli affanni segreti
Manzoni invece dimentica il passato, dimentica la che sconvolsero la tua vita, e prego
cultura greca e latina, e propone un ideale di patria anch’io di trovare la pace come te nella morte.
radicato nella storia e da attuare nelle sue varie di-
mensioni culturali e civili nel presente e nel futuro. In Questa di tante speranze è l’unica che mi resta!
Marzo 1821 (1821) egli ne dà questa sintetica defini- O genti straniere, consegnate almeno il mio corpo,
zione: “una d’arme, di lingua, d’altare, Di memorie, quando morirò, al petto di mia madre addolorata.
di sangue, di cor”. Foscolo usa un linguaggio neo-
classico e attento al passato; Manzoni invece pone le Riassunto. Un giorno, se non fuggirà sempre da un
basi per l’italiano moderno. Ancora, troppo semplice popolo all’altro, il poeta andrà a sedersi sulla tomba
e troppo alfieriana è la valutazione che Foscolo dà di del fratello, a piangere la sua giovinezza così prema-
Napoleone, prima liberatore e poi despota; ben più turamente recisa. Loro madre ha un figlio morto ed
complessa è invece la valutazione che Manzoni ne dà un altro lontano. Ed il poeta pensa di non poter più
nell’ode Cinque maggio (1821): Napoleone è l’uomo tornare in patria. Anche la sua vita è sconvolta dalle
inviato da Dio, per diffondere tra i popoli gli ideali di stesse passioni che hanno sconvolto la vita del fratel-
patria e di libertà e per indirizzare la storia verso la lo ed anche lui pensa di trovare pace, come il fratello,
realizzazione ottocentesca di tali ideali. soltanto nella morte. Questa è l’unica speranza che
---I☺I--- ora gli resta. Quando sarà morto, si augura che le sue
ossa siano consegnate a sua madre mesta.
Nel sonetto In morte del fratello Giovanni Foscolo
presenta il dramma del fratello suicida per debiti di Commento
gioco e il dolore di sua madre, che ha un figlio morto 1. Per Foscolo l’eroe romantico non è responsabile
e un altro lontano. Anche l’altro fratello, Costantino delle sue scelte, ma è vittima di un destino avverso.
Angelo, muore suicida. Gli stessi vizi e le stesse passioni sembrano essere e-
sterne e condizionare dall’esterno l’individuo roman-
In morte del fratello Giovanni, 1802-03 tico. Ciò vale per lo stesso poeta, per il fratello, per
Ulisse.
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo 2. Foscolo considera il punto di vista e il dolore di
di gente in gente, me vedrai seduto tutti e tre i personaggi: il fratello, loro madre, egli
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo stesso. E riesce a stabilire un rapporto affettivo inten-
il fior de’ tuoi gentil anni caduto. so (e drammatico) fra i tre protagonisti.
3. Nel sonetto è presente anche l’ideale di patria, dal-
La Madre or sol suo dì tardo traendo la quale gli “avversi numi” tengono lontano il poeta.
parla di me col tuo cenere muto, Si tratta in ogni caso di una patria ideale, nella quale
ma io deluse a voi le palme tendo il poeta non può più tornare.
e sol da lunge i miei tetti saluto. 4. In morte del fratello è un eufemismo e una mani-
polazione della realtà. Si doveva intitolare: Per il sui-
Sento gli avversi numi, e le secrete cidio di mio fratello Giovanni per debiti di gioco e
cure che al viver tuo furon tempesta, furto. Libertà poetica.
e prego anch’io nel tuo porto quiete. 5. Questo sonetto di Foscolo sulla morte di un con-
giunto può essere confrontato con altre poesie che
Questo di tanta speme oggi mi resta! trattano la stessa situazione; ad esempio con Pianto
Straniere genti, almen le ossa rendete antico (1871) di Giosuè Carducci (1835-1907) o con
allora al petto della madre mesta. le numerose poesie che Giovanni Pascoli (1855-
1912) dedica alla morte del padre.
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Riassunto. Il sonno della morte – dice il poeta – non è lisse, che non le meritava: la morte dispensa giusta-
meno duro perché confortato dalle lacrime dei propri mente la gloria. Il poeta quindi invita le Muse a
cari. Quando il sole non risplenderà più per noi, l’u- chiamarlo ad evocare gli eroi. Oggi nella Troade, or-
nica ricompensa dei giorni passati sarà soltanto una mai sterile, risplende un luogo caro ad Elettra. Prima
inutile lapide, che distingue le nostre ossa dalle infini- di morire, la ninfa si rivolse a Giove, che la amava,
te ossa disseminate in terra e in mare dalla morte. È chiedendogli l’immortalità della fama, se non poteva
ben vero: anche la Speranza ha abbandonato le tom- avere quella del corpo. In quel luogo essa fu sepolta
be. [...] con tutta la sua discendenza. Sulla sua tomba veniva-
Le tombe dei grandi spingono il forte animo a com- no le donne troiane, per allontanare, ma inutilmente,
piere grandi imprese. Il poeta, quando vide nella dai loro mariti la morte vicina. Veniva anche Cassan-
chiesa di Santa Croce le tombe di Niccolò Machiavel- dra, quando era ispirata dal dio Apollo, e cantava un
li, di Michelangelo Buonarroti e di Galileo Galilei, canto d’amore ai nipoti: “Se essi fossero tornati dalla
gridò che Firenze era fortunata per il suo clima e per i prigionia, avrebbero cercato invano la loro patria; di
suoi fiumi; e perché per prima sentiva la Divina essa sarebbero rimaste soltanto le tombe. Un giorno
commedia e conosceva la poesia di Francesco Petrar- tra quelle tombe sarebbe venuto un cieco (=Omero)
ca. Era però ancor più fortunata perché in quella chie- ad interrogare le urne. Esse avrebbero raccontato la
sa conservava le uniche glorie che forse erano rimaste fine di Troia per mano dei principi greci. Il sacro poe-
all’Italia. E, quando gli italiani vorranno riconquistare ta avrebbe placato quelle anime ed eternato il nome
la libertà, da qui trarranno l’augurio di vittoria. A dei principi greci per tutta la terra. E Ettore avrebbe
quei sepolcri venne spesso Vittorio Alfieri ad ispirar- avuto lacrime di compianto dovunque sia sacro il
si; e ora con quei grandi italiani riposa per sempre. sangue versato per la patria e finché il sole risplende-
Dalla pace di Santa Croce parla lo stesso dio protetto- rà sulle sciagure dell’umanità”.
re della patria che a Maratona aveva ispirato i greci a
combattere con furia contro i persiani invasori. Il ma- Commento
rinaio, che di notte passa davanti alla pianura di Ma- 1. Gli elementi portanti del carme sono: a) il senti-
ratona, assiste ancora allo scontro tra i fantasmi dei mento romantico-aristocratico della vita; b) la centra-
soldati greci e quelli dei soldati persiani. lità della cultura classica greca; c) la funzione civile
È fortunato l’amico Ippolito Pindemonte, che nella ed immortalatrice della poesia, che supera il silenzio
giovinezza percorreva il mar Egeo. Egli certamente dei secoli e che attribuisce la fama e la gloria; d) la
ha udito narrare che la marea ha portato le armi di centralità dell’ideale romantico-rivoluzionario di pa-
Achille sulla tomba di Aiace, dopo averle tolte ad U- tria, che è proiettato sulla cultura greca; e) la funzione
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 295
incitatrice e civile delle tombe dei grandi; f) un pes-
simismo fatalistico, che celebra la guerra (e mette in
secondo piano le arti), anche se è portatrice di morte e
di distruzioni. Il carme sembra mettere in secondo pi-
ano la bellezza rasserenatrice cantata dalla cultura
neoclassica e proporre l’immagine e l’ideale di una
società guerriera, in sintonia con la società europea
posteriore alla Rivoluzione francese, che conosce una
militarizzazione diffusa dal 1789 al 1815. A questa
visione “militaristica” della società e della storia non
è forse estranea la professione militare del poeta.
2. Conviene confrontare questa visione individualisti-
ca, bellicistica, passatistica ed aristocratica della so-
cietà e della patria di Foscolo con quella ben più arti-
colata di Manzoni: “una d’arme, di lingua, d’altare,
Di memorie, di sangue, di cor” (Marzo 1821). Fosco-
lo è totalmente proiettato verso la storia e la cultura
del passato; Manzoni invece si preoccupa di dare il
suo contributo teorico e pratico, per attuare l’unità
d’Italia nel presente: la patria è liberata non dagli eroi
romantici, nel cui animo vibra il dio protettore della
patria; ma dai patrioti, che nel segreto tramano e pre-
parano le armi, e che poi mettono in atto la loro stra-
tegia razionale e democratica.
3. Conviene confrontare la visione foscoliana della
cultura con quella proposta appena 10 anni dopo da
Giovanni Berchet nella Lettera semiseria di Griso-
stomo al suo figliolo (1816), intervenendo nella po-
lemica della superiorità degli antichi o dei moderni.
Foscolo pensava che la cultura classica fosse eterna e
che perciò fosse valida anche per il presente. In lui
l’Illuminismo era venuto e passato invano. E del Cri-
stianesimo non si era mai occupato: la chiesa di Santa
Croce, dove erano sepolti i grandi italiani, era soltan-
to un tempio pagano. Berchet invece pensava che la
cultura fosse storica, sia quella degli antichi in rela-
zione al loro tempo, sia quella dei moderni, in rela-
zione al loro tempo.
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Dolce e chiara è la notte e senza vento, La notte è dolce e chiara e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti e la luna riposa quieta sopra i tetti e in mezzo
posa la luna, e di lontan rivela ai giardini, e in lontananza rivela
serena ogni montagna. O donna mia, serenamente ogni montagna. O donna mia,
già tace ogni sentiero, e pei balconi già tace ogni via del paese (=Recanati), e la luce
rara traluce la notturna lampa: notturna traluce fioca da qualche finestra).
tu dormi, che t’accolse agevol sonno Tu dormi, poiché il sonno ti accolse agevolmente
nelle tue chete stanze; e non ti morde (=ti addormentasti facilmente) nelle tue quiete stanze;
cura nessuna; e già non sai né pensi e non ti tormenta nessuna preoccupazione;
quanta piaga m’apristi in mezzo al petto. e già non sai né immagini
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno quale ferita [amorosa] mi apristi in mezzo al petto.
appare in vista, a salutar m’affaccio, Tu dormi. Io mi affaccio a salutare questo cielo,
e l’antica natura onnipossente, che così benigno appare a chi lo guarda, e l’antica
che mi fece all’affanno. A te la speme natura onnipossente, che mi fece nascere
nego, mi disse, anche la speme; e d’altro per farmi soffrire. “A te nego la speranza”
non brillin gli occhi tuoi se non di pianto. – mi disse –, “anche la speranza; e i tuoi occhi
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli non brillino d’altro se non di pianto”.
prendi riposo; e forse ti rimembra Questo giorno fu solenne. Ora tu prendi riposo
in sogno a quanti oggi piacesti, e quanti dagli svaghi; e forse ti ricordi
piacquero a te: non io, non già ch’io speri, in sogno a quanti oggi piacesti e quanti piacquero
al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo a te. Io [certamente] non ritorno nei tuoi pensieri,
quanto a viver mi resti, e qui per terra non già che io vi speri. Intanto io chiedo
mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi quanto mi resti da vivere, e qui per terra mi getto
in così verde etate! ahi, per la via e grido e fremo. Oh, giorni orrendi
odo non lunge il solitario canto in questa età così verde (=la giovinezza)!
dell’artigian, che riede a tarda notte, Ahi, per la via odo non lontano il canto solitario
dopo i sollazzi, al suo povero ostello; dell’artigiano, che ritorna a tarda notte,
e fieramente mi si stringe il core, dopo i divertimenti, alla sua povera dimora.
a pensar come tutto al mondo passa, E per l’angoscia mi si stringe il cuore
e quasi orma non lascia. Ecco è fuggito al pensiero che tutto al mondo passa e quasi
il dì festivo, ed al festivo il giorno non lascia traccia. Ecco è fuggito il giorno festivo,
volgar succede, e se ne porta il tempo e al festivo succede il giorno normale, e il tempo
ogni umano accidente. Or dov’è il suono porta via ogni vicenda che riguarda l’uomo.
di que’ popoli antichi? or dov’è il grido Ora dov’è il suono (=il rumore ella civiltà)
de’ nostri avi famosi, e il grande impero di quei popoli antichi? Ora dov’è il grido dei nostri
di quella roma, e l’armi, e il fragorio avi famosi e il grande impero di quella Roma
che n’andò per la terra e l’oceano? e le armi e la fama delle imprese militari,
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa che si diffuse per tutta la terra e per tutti i mari?
il mondo, e più di lor non si ragiona. Tutto è pace e silenzio, e tutto riposa
Nella mia prima età, quando s’aspetta il mondo, e più non si parla di loro.
bramosamente il dì festivo, or poscia Nella mia fanciullezza, quando si aspetta con infinito
ch’egli era spento, io doloroso, in veglia, desiderio il giorno festivo, a quest’ora, dopo
premea le piume; ed alla tarda notte che il giorno era terminato, io pieno d’angoscia,
un canto che s’udia per li sentieri in veglia, premevo le piume [del letto](=me ne stavo
lontanando morire a poco a poco, sveglio, incapace di addormentarmi). E a tarda notte
già similmente mi stringeva il core. un canto, che si udiva allontanarsi per i sentieri
---I☺I--- e poi morire a poco a poco,
stringeva in modo simile il mio cuore.
---I☺I---
Riassunto. La notte è serena e senza vento, la luna il- una giornata di festa. In sogno ricorda a quanti piac-
lumina il paesaggio e, in lontananza, le montagne. Il que e quanti le piacquero. Tra questi ultimi certamen-
paese è silenzioso e la luce di qualche rara lampada te non è il poeta. Egli non ha speranza. E, anche se
brilla fiocca tra le imposte. La donna, di cui il poeta è giovane, si lascia andare alla disperazione. Per la via
innamorato, si è addormentata facilmente. Non sa né ode il canto dell’artigiano che a tarda notte, dopo i
immagina quanto lo ha turbato. Mentre ella dorme, divertimenti, ritorna a casa. Egli invece prova un’in-
egli si affaccia a guardare il cielo e la natura, che lo finita angoscia a pensare che al mondo tutto passa
ha messo al mondo per farlo soffrire. Lei dorme dopo senza lasciare traccia. È passato il giorno festivo ed è
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 300
giunto il giorno feriale. Le grandi imprese di Roma, nel suo animo, viene violentemente abbattuto, ed egli
di cui si parlava per terra e per mare, ora sono com- è sconvolto dalle emozioni e dall’angoscia.
pletamente dimenticate. Quand’era fanciullo, alla fine 6. L’amore come pena ed angoscia, presente anche
del giorno festivo, egli se ne stava a letto, incapace di nella canzone Il primo amore, può essere sincero. Ma
dormire: un canto, che si perdeva in lontananza e poi non è questo il problema. Quel che conta è che esso
moriva, gli riempiva il cuore con una uguale ango- ha una lunga tradizione letteraria e risale addirittura
scia. agli inizi della letteratura, con Andrea Cappellano
(sec. XIII). Ed è ripreso ed esasperato con mille in-
Commento venzioni da Petrarca nel Canzoniere. Il poeta ricorre
1. L’idillio mescola temi consueti: l’amore infelice e alla letteratura precedente, per esprimere i suoi sen-
non corrisposto, la giovinezza e l’infelicità di cui il timenti, le sue emozioni e le sue angosce.
destino è responsabile. Il tema dell’amore angosciato ---I☺I---
e disperato è però mescolato con la riflessione: il tem-
po passa inesorabile. La fama degli antichi romani
non è più nemmeno un fioco ricordo, proprio come è
ormai dimenticato il giorno festivo, appena terminato,
con tutti gli avvenimenti gioiosi che lo hanno riempi-
to. Tutto diventa ricordo, memoria, ma poi sfugge an-
che alla memoria. Il poeta continua a vivere in
quell’angoscia che lo accompagnava anche nella fan-
ciullezza.
2. L’idillio è costruito sulla riflessione e sull’azione
di ricordare gli avvenimenti. Il pensiero della donna
porta però il poeta prima a riflettere sulla sua vita, poi
ad allargare la sua riflessione al tempo, al passato: le
imprese degli antichi romani sono silenzio proprio
come quel giorno festivo. Il destino è lo stesso. Il te-
ma del tempo e del passato, anzi dell’infinito spaziale
e temporale, si trova già nell’idillio L’infinito.
3. Il poeta, deluso, si affaccia al balcone della sua ca-
sa ed ammira la natura onnipossente. Altrove inter-
rompeva il lavoro sulle sue sudate carte, si affacciava
al balcone e ascoltava il canto di Silvia (A Silvia). Il
canto che si disperde nella notte rimanda anche al
canto dell’erbivendolo, che riprende il suo cammino
quando il temporale è passato (La quiete dopo la
tempesta) e all’Ultimo canto di Saffo. Il canto è la po-
esia, lo strumento che permette all’uomo di mettersi
in contatto e di descrivere la natura, ma anche di e-
sprimere i suoi sentimenti, le sue pene, la sua ango-
scia, le sue speranze e le sue illusioni e le sue delu-
sioni. Altrove è lo strumento della riflessione filoso-
fica sulla vita (Canto notturno di un pastore errante
dell’Asia).
4. Il tema della sera, della festa si trova anche in altri
idilli, da Il sabato del villaggio a Il passero solitario.
Questi idilli propongono anche il tema del paese, il
natio borgo selvaggio, che sorge tra il mare e i monti,
come emerge dall’idillio A Silvia.
5. La compostezza classica è turbata ad un certo mo-
mento dall’onnipotenza dell’amore: “e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo”. L’atteggiamento con-
sueto del poeta è quello di contemplare e di riflettere
sulla realtà. Ciò emerge fin dall’idillio L’infinito: egli
va sul colle, si siede dietro la siepe e immagina “spazi
sterminati, silenzi sovrumani ed una quiete profondis-
sima oltre la siepe”. In questo caso l’amore è così in-
tenso ed irruento, che lo spinge a un comportamento
scomposto: il diaframma della riflessione filosofica e
poetica, che filtra il mondo esterno che vuole entrare
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 301
Ultimo canto di Saffo, 1822 Ultimo canto di Saffo
Placida notte, e verecondo raggio 1. O placida notte e verecondo raggio della luna che
della cadente luna; e tu che spunti tramonta; e tu (=il pianeta Venere), o nunzio del gior-
fra la tacita selva in su la rupe, no, che spunti fra la tacita selva sulla rupe; o voi, a-
nunzio del giorno; oh dilettose e care spetti della natura, dilettosi e cari agli occhi miei,
mentre ignote mi fur l’erinni e il fato, mentre mi furono ignoti i tormenti e il destino crudele
sembianze agli occhi miei; già non arride (=da fanciulla)!; ormai il vostro spettacolo dolcissimo
spettacol molle ai disperati affetti. non piace più ai miei sentimenti disperati. Una gioia
Noi l’insueto allor gaudio ravviva insolita ci rallegra, quando per l’aria umida e per i
quando per l’etra liquido si volve campi ondeggianti passa il soffio polveroso del vento
e per li campi trepidanti il flutto e quando il fulmine, il potente fulmine di Giove, tuo-
polveroso de’ Noti, e quando il carro, nando, squarcia sul nostro capo l’aria tenebrosa. Noi
Grave carro di Giove a noi sul capo, amiamo aggirarci tra le nuvole per le balze e le valli
Tonando, il tenebroso aere divide. profonde, [vedere] la fuga in più direzioni dei greggi
Noi per le balze e le profonde valli sbigottiti o [ascoltare] il suono e la furia vittoriosa
natar giova tra’ nembi, e noi la vasta delle onde presso la sponda malsicura di un fiume
fuga de’ greggi sbigottiti, o d’alto profondo.
fiume alla dubbia sponda
il suono e la vittrice ira dell’onda.
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella 2. È bello il tuo manto, o cielo divino, e bella sei tu, o
sei tu, rorida terra. ahi di cotesta terra bagnata dalla pioggia. Ahi, di questa infinita
infinita beltà parte nessuna bellezza i numi e l’empia sorte non fecero parte alcu-
alla misera saffo i numi e l’empia na alla misera Saffo. O natura, io, sottomessa alle tue
sorte non fenno. A’ tuoi superbi regni leggi superbe come un’ospite vile e sgradita e come
vile, o natura, e grave ospite addetta, un’amante disprezzata, invano rivolgo supplichevole
e dispregiata amante, alle vezzose il cuore e le pupille alle tue forme eleganti. A me non
tue forme il core e le pupille invano sorride la campagna soleggiata né la luce del primo
supplichevole intendo. A me non ride mattutino [che scende] dalla porta del cielo. Non mi
l’aprico margo, e dall’eterea porta saluta il canto degli uccelli colorati, né il mormorio
il mattutino albor; me non il canto dei faggi. Ed il ruscello, dove all’ombra dei salici
de’ colorati augelli, e non de’ faggi piangenti fa scorrere le sue limpide acque, ritrae sde-
il murmure saluta: e dove all’ombra gnoso le sue acque correnti davanti al mio piede in-
degl’inchinati salici dispiega certo e, fuggendo, preme contro le rive ricoperte di
candido rivo il puro seno, al mio fiori profumati.
lubrico piè le flessuose linfe
disdegnando sottragge,
e preme in fuga l’odorate spiagge.
3. Quale errore mai, quale colpa così vergognosa mi
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso macchiò prima di nascere, per il quale il cielo e il vol-
macchiommi anzi il natale, onde sì torvo to della fortuna mi fossero così ostili? In che cosa
il ciel mi fosse e di fortuna il volto? peccai da bambina, quando la vita ignora il misfatto,
In che peccai bambina, allor che ignara per il quale poi il ferrigno mio stame (= l’oscuro filo
di misfatto è la vita, onde poi scemo della mia vita), privo di giovinezza e di bellezza, si
di giovanezza, e disfiorato, al fuso avvolgesse al fuso della Parca inflessibile? [Accusan-
dell’indomita Parca si volvesse do gli dei], il tuo labbro pronuncia parole incaute: un
il ferrigno mio stame? Incaute voci disegno misterioso governa gli eventi prestabiliti.
spande il tuo labbro: i destinati eventi Tutto è misterioso, fuorché il nostro dolore. Nascem-
move arcano consiglio. Arcano è tutto, mo per piangere come figli abbandonati, e il motivo
fuor che il nostro dolor. Negletta prole [di ciò] si trova in grembo agli dei celesti. Oh deside-
nascemmo al pianto, e la ragione in grembo ri, oh speranze dei miei anni più verdi! Alla bellezza
de’ celesti si posa. Oh cure, oh speme esteriore, alla sola bellezza esteriore il padre Giove
de’ più verd’anni! Alle sembianze il Padre, concesse di regnare per sempre tra le genti. E nem-
Alle amene sembianze eterno regno meno per le imprese più valorose, per l’abilità nella
diè nelle genti; e per virili imprese, lira o per la dolcezza del canto la virtù risplende in un
per dotta lira o canto, corpo deforme.
virtù non luce in disadorno ammanto.
Viva mirarti omai 2. Ormai non mi resta alcuna speranza di vederti viva,
nulla spene m’avanza; se non quando il mio spirito, nudo e solo (=senza il
s’allor non fosse, allor che ignudo e solo corpo), verrà per una strada sconosciuta ad una ignota
per novo calle a peregrina stanza dimora (=l’oltretomba). Già allo schiudersi della mia
verrà lo spirto mio. Già sul novello giornata incerta e dolorosa (=la giovinezza), io pensai
Aprir di mia giornata incerta e bruna, che tu vagavi (=eri di passaggio) in questo arido
te viatrice in questo arido suolo mondo terreno. Ma non è cosa sulla terra che ti asso-
io mi pensai. Ma non è cosa in terra migli; e, se anche qualcuna assomigliasse nel viso,
che ti somigli; e s’anco pari alcuna negli atti, nelle parole, sarebbe, anche così, assai me-
ti fosse al volto, agli atti, alla favella, no bella.
saria, così conforme, assai men bella.
3. Fra tanto dolore, quanto il destino fece dono alla
Fra cotanto dolore vita umana, se qualcuno sulla terra ti amasse reale e
quanto all’umana età propose il fato, quale il mio pensiero ti dipinge, la vita per lui sarebbe
se vera e quale il mio pensier ti pinge, beata. Io vedo ben chiaro che l’amore per te mi fa-
alcun t’amasse in terra, a lui pur fora rebbe ancora inseguire la fama e virtù come [facevo]
questo viver beato: nella mia prima giovinezza. Ora il cielo (=il destino)
e ben chiaro vegg’io siccome ancora non aggiunse nessun conforto ai nostri affanni; e con
seguir loda e virtù qual ne’ prim’anni te la vita mortale sarebbe simile a quella che gli dei
l’amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse vivono in cielo.
il ciel nullo conforto ai nostri affanni;
e teco la mortal vita saria 4. Per le valli, ove suona il canto dell’agricoltore la-
simile a quella che nel cielo india. borioso, io siedo e mi lamento dell’errore giovanile
(=le illusioni della giovinezza) che mi abbandona; e
Per le valli, ove suona per i poggi, ove io ricordo e piango i desideri perduti
del faticoso agricoltore il canto, (=irrealizzati) e la perduta speranza dei miei giorni;
ed io seggo e mi lagno pensando a te, riprendo a palpitare. Almeno io potes-
del giovanile error che m’abbandona; si, in questo secolo oscuro e in quest’atmosfera male-
e per li poggi, ov’io rimembro e piagno detta, conservare la divina sembianza! Mi devo ac-
i perduti desiri, e la perduta contentare [soltanto] dell’immagine, poiché la realtà
speme de’ giorni miei; di te pensando, mi è tolta.
a palpitar mi sveglio. Epotess’io,
nel secol tetro e in questo aer nefando, 5. Se tu sei una delle idee eterne, che la ragione eter-
l’alta specie serbar; che dell’imago, na [di Dio] non volle che fosse vestita con un aspetto
poi che del ver m’è tolto, assai m’appago. sensibile (=destinato al dolore), né che provasse gli
affanni di una vita dolorosa in mezzo agli esseri mor-
Se dell’eterne idee tali; o se un altro pianeta ti accoglie percorrendo le
l’una sei tu, cui di sensibil forma orbite celesti fra innumerevoli mondi e la stella vicina
sdegni l’eterno senno esser vestita, più bella del sole ti illumina e respiri un’aria più beni-
e fra caduche spoglie gna; dalla terra, dove gli anni sono infausti e brevi,
provar gli affanni di funerea vita; ricevi questo inno scritto da un amante sconosciuto.
o s’altra terra ne’ supremi giri
fra’ mondi innumerabili t’accoglie, Riassunto. 1. Il poeta ricorda la donna che lo ha fatto
e più vaga del sol prossima stella innamorare e che nella giovinezza lo ha turbato gior-
t’irraggia, e più benigno etere spiri; no e notte. E si chiede se vive ancora tra la gente o se
di qua dove son gli anni infausti e brevi,
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 305
il destino la riserva agli uomini che vivranno in futu- della capacità di resistere al dolore.
ro. 4. La conclusione, garbata, unisce la poetica della
2. Egli invece la potrà vedere soltanto dopo la morte. meraviglia e le iperboli del Barocco con l’eleganza
Fin da giovane egli pensava che essa vagasse sulla sensuale dell’Arcadia. In proposito l’autore che Leo-
terra. Ma nessuna donna le assomigliava. Ed anche se pardi tiene maggiormente presente, è Gabriello Chia-
qualcuna le assomigliava, era assai meno bella di lei. brera. L’Arcadia per altro aveva rivolto in altra dire-
3. La vita umana è piena di dolori. Ma, se qualcuno zione la poesia: verso versi brevi ed orecchiabili, e
amasse una donna reale come il suo pensiero la di- verso la trasformazione del dolore in motivo allegro,
pinge, costui sarebbe certamente beato. L’amore per tenue, malinconico e cantabile. Il dolore è faticoso,
lei spingerebbe il poeta ad inseguire ancora la fama e per spiriti forti, non per l’uomo comune, che ne ha in
la gloria, come faceva nella sua giovinezza. Con lei la abbondanza. È meglio stimmatizzarlo e trasformarlo
vita umana sarebbe simile alla vita degli dei. nel suo contrario. Fortunati coloro che erano abban-
4. Nelle valli il poeta si lamenta perché le illusioni donati dalle mogli o dalle amanti, che potevano can-
della giovinezza lo abbandonano. Per i colli ricorda e tare l’aspetto positivo di tale separazione: la libertà
piange i desideri giovanili che sono rimasti irrealizza- riconquistata! È il tema della canzonetta più famosa
ti. Pensando a lei, il suo cuore si mette a palpitare. di Metastasio: La libertà. Basta credere a quel che si
Vorrebbe ancora vederla, ma si deve accontentare dice, anche se talvolta (o spesso) esser abbandonati
soltanto dell’immagine che ha impresso nella sua dal partner o dalla partner è un vero e proprio colpo
mente. di fortuna (così si evita di prendere l’iniziativa di cac-
5. Infine il poeta si rivolge alla donna e le dice: se tu ciarlo o di cacciarla fuori di casa).
sei un’idea eterna che Dio non ha voluto rendere sen- 5. Il poeta, come in altri canti, si rivolge e impreca o
sibile o se provieni da un altro pianeta, dove non esi- si lamenta contro il cielo. In realtà il cielo non è com-
ste il dolore che esiste sulla terra, ricevi questo scritto pletamente colpevole. Egli, come Orlando, si trovava
da un amante sconosciuto. davanti a due vie. Orlando inforca la via che lo porta
a scoprire che Angelica, la sua donna o, meglio, quel-
Commento la che considera la sua donna, si è innamorata di Me-
1. Il canto è pieno di termini presi dal Canzoniere di doro. La donna invece non si considera affatto sua, si
F. Petrarca (1304-1374). Anche la sensibilità è pe- sente realizzata a fare la civettuola, e poi va dove e
trarchesca. Le differenze sono però significative: Pe- da chi la porta il cuore... Leopardi poteva decidere di
trarca “usa” Laura per indagare in modo esasperato il fare il poeta o di fare la vita normale dei suoi coeta-
suo animo. Leopardi è effettivamente innamorato e nei. Ha scelto di studiare, di fare il poeta, di diventare
proiettato verso la donna, che lo provoca e lo respin- diverso dai suoi coetanei. Era già diverso, poiché era
ge. Per il resto la vita dei due poeti è completamente conte e aveva una vita più agiata della loro. Così le
diversa: Petrarca è uomo di successo, ha una amante diversità aumentano. È riuscito a fare grande poesia.
che gli dà due figli, produce opere in latino, scrive il Poi però non può prendersela con il cielo. Anzi deve
Canzoniere, ma come opera privata, per se stesso. ringraziare il cielo di averlo fatto soffrire, altrimenti
Leopardi scrive i Canti come opera che contiene e con una vita normale e tranquilla, come il contadino
propone la sua sensibilità, la sua esperienza amorosa che apre il Giorno di Parini, non vi sarebbe riuscito.
insoddisfatta, le sue speranze, le sue illusioni e le sue Ma l’animo umano è contraddittorio, vuole una cosa
delusioni. Nel Canzoniere Petrarca sembra debole, e il suo contrario. Non si può volere la poesia e la fe-
fragile e ripiegato su se stesso (cosa che non è). Nei licità: l’una esclude l’altra. Il diavolo logico che ruba
Canti Leopardi sembra che voglia avere un atteggia- l’anima di Guido da Montefeltro a san Francesco ri-
mento attivo verso la realtà (cosa che non è). peterebbe: la contraddizione non lo permette (If.
2. Il poeta delinea la donna incomparabile, la mirabile XXVII).
visione, la donna angelicata o che non ha eguali. Le 6. L’amante sconosciuto che per paura o per timore
fonti sono il Dolce stil novo e, ancora, Petrarca. Il non si manifesta ha un curioso precedente religioso: il
tema della morte è tipicamente petrarchesco. Il tema dio sconosciuto a cui i greci pensarono di erigere una
dell’amore come pena è un motivo letterario che risa- statua, nel timore di aver saltato qualche divinità e
le ancora ad Andrea Cappellano (sec. XIII) e che vie- che costei, inviperita, se la prendesse con loro. L’ini-
ne ripreso da Petrarca nel Canzoniere. Leopardi lo zio della sapienza è una sana pratica di prevenzione e
sviluppa interamente in un’altra direzione: la vita di prudenza...
come dolore e come affanno, la vita come infelicità. ---I☺I---
La vita come male è un motivo dell’Ecclesiaste, uno
dei libri della Bibbia, secondo cui ogni giorno ha il
suo affanno.
3. Il testo presenta anche un motivo proveniente dal-
la letteratura greca, che Leopardi abbina al tema del-
l’amore: la donna e l’amore verso la donna sono ca-
paci di rendere la vita umana simile a quella degli dei.
Epicuro però parlava dei banchetti, dell’amicizia e
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 306
A Silvia, 1828 A Silvia
I 1.
Silvia, rimembri ancora O Silvia, ricordi ancora
quel tempo della tua vita mortale, quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea quando la bellezza risplendeva
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, nei tuoi occhi sorridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare e tu, lieta e pensierosa, ti preparavi a varcare
di gioventù salivi? la soglia della giovinezza?
II 2.
Sonavan le quiete Le stanze tranquille e le vie
stanze, e le vie d’intorno, circostanti risuonavano
al tuo perpetuo canto, al tuo canto continuo,
allor che all’opre femminili intenta quando sedevi occupata nei lavori
sedevi, assai contenta femminili, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi. di quel vago avvenire, che avevi in mente.
Era il maggio odoroso: e tu solevi Era il mese di maggio, pieno di profumi. E tu solevi
così menare il giorno. passare in questo modo la giornata.
III 3.
Io gli studi leggiadri Io, interrompendo talvolta
talor lasciando e le sudate carte, gli studi belli e gli scritti faticosi,
ove il tempo mio primo nei quali si spendeva la mia adolescenza
e di me si spendea la miglior parte, e la miglior parte di me,
d’in su i veroni del paterno ostello dai balconi della casa paterna
porgea gli orecchi al suon della tua voce, porgevo gli orecchi per ascoltare
ed alla man veloce il suono della tua voce e la mano veloce,
che percorrea la faticosa tela. che si muoveva velocemente sul telaio.
Mirava il ciel sereno, Guardavo il cielo sereno,
le vie dorate e gli orti, le vie indorate dal sole e i giardini,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte. da una parte il mare lontanano, dall’altra i monti.
Lingua mortal non dice Nessuna lingua mortale sarebbe stata capace
quel ch’io sentiva in seno. di dire ciò che io provavo dentro di me.
IV 4.
Che pensieri soavi, Quali pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia! quali speranze, quali sentimenti [provavamo],
Quale allor ci apparia o Silvia mia! Come ci apparivano belli allora
la vita umana e il fato! la vita umana ed il nostro destino!
Quando sovviemmi di cotanta speme, Quando mi ricordo di tali speranze,
un affetto mi preme sono preso da un tormento
acerbo e sconsolato, acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura. e torno a provar dolore per la mia sorte sventurata.
O natura, o natura, O natura, o natura, perché non mantieni poi
perché non rendi poi ciò che prima hai promesso?
quel che prometti allor? perché di tanto Perché inganni completamente
inganni i figli tuoi? i tuoi figli?
V 5.
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno, Tu, prima che l’inverno rendesse
da chiuso morbo combattuta e vinta, arida l’erba, stremata e vinta
perivi, o tenerella. E non vedevi da una malattia che ti consumava da dentro,
il fior degli anni tuoi; morivi, o poverina. E non vedevi
non ti molceva il core gli anni della tua giovinezza;
la dolce lode or delle negre chiome, non ti addolciva il cuore la dolce lode
or degli sguardi innamorati e schivi; per i tuoi capelli neri e per gli sguardi
né teco le compagne ai dì festivi innamorati e pudìchi,
ragionavan d’amore. né con te le tue coetanee nei giorni di festa
parlavano d’amore.
VII 7.
All’apparir del vero Quando apparve la realtà, tu (=la speranza, ma anche
tu, misera, cadesti: e con la mano Silvia, perché la speranza del poeta segue lo stesso
la fredda morte ed una tomba ignuda destino della ragazza),
mostravi di lontano. o infelice, cadesti; e con la mano, ormai lontana
---I☺I--- (=dall’al di là), mi indicavi la fredda morte
ed una tomba spoglia.
---I☺I---
Riassunto. 1. Il poeta si rivolge a Silvia e le chiede se nello stesso tempo è anche temperato dalla riflessio-
ricorda ancora quand’era in vita e si preparava a var- ne: il poeta non abbandona mai un equilibrio e un
care la soglia della giovinezza. 2. Il suo canto risuo- controllo classico sui suoi sentimenti, sia di gioia sia
nava per le vie illuminate dal sole, mentre era occu- di dolore.
pata nei lavori femminili e immaginava un futuro fe- 3. L’idillio unifica diversi motivi: l’amore, la giovi-
lice. Era maggio, e lei trascorreva così le giornate. 3. nezza, le speranze, la felicità; ed anche il dolore,
Il poeta interrompeva i suoi studi faticosi e porgeva l’infelicità, la delusione, la morte, la Natura madre e
gli orecchi per sentire la sua voce. Nessuna lingua matrigna. Essi saranno ripresi e sviluppati negli idilli
mortale può dire quel che egli provava nel cuore. 4. successivi.
Com’erano fiduciosi allora nel futuro! Quando pensa 4. Il tema della giovinezza e dell’amore ha numerosi
a tali speranze, egli torna a lamentarsi della sua sven- precedenti letterari: a) la canzone I’ mi trovai, fan-
tura. E, angosciato, si chiede perché la natura fa tante ciulle, un bel mattino di Agnolo Poliziano (1454-
promesse, che poi non mantiene, e perché inganna in 1494); b) la Canzona di Bacco e Arianna (1492) di
quel modo i suoi figli. 5. Prima che giungesse l’in- Lorenzo de’ Medici (1449-1492); c) la “favola bo-
verno, Silvia, colpita dalla malattia, moriva e non schereccia” Aminta (1573) e l’episodio del pappagal-
conosceva la giovinezza né l’amore. 6. Poco dopo lo filosofo che invita a cogliere il fiore della giovi-
moriva anche la speranza del poeta: il destino gli ha nezza nella Gerusalemme liberata (XVI, 9-19) di
negato anche la giovinezza. Di tutte le speranze che Torquato Tasso (1544-1595).
ha riposto nel futuro non è rimasto nulla. E la morte 5. Leopardi non vede nella morte la possibilità di una
di Silvia come la caduta delle speranze mostrano che “corrispondenza d’amorosi sensi” e nelle tombe dei
il futuro gli riserva soltanto la morte e una tomba grandi uno stimolo a compiere grandiose imprese,
spoglia. come invece faceva Foscolo. Per lui la morte è la to-
tale e irreparabile negazione della vita. Insomma è
Commento meglio non morire, è meglio vivere, anche se la vita è
1. Leopardi canta la giovinezza, la bellezza e le spe- dolore. Ci sono però la speranza (verso il futuro) e i
ranze nel futuro di Silvia. Scopre però con angoscia ricordi (verso il passato), che allietano la vita.
che la natura fa promesse di felicità, che poi non ---I☺I---
mantiene. Così Silvia muore ancor prima di conosce-
re la giovinezza e l’amore. Ed il poeta scopre che an-
che il suo destino è segnato dal dolore: non ha potuto
vivere la sua giovinezza e la morte della ragazza indi-
ca la caduta di ogni speranza e un futuro di morte.
2. L’idillio è incentrato sulla memoria: il poeta ricor-
da Silvia, la sua bellezza, i suoi canti, l’interruzione
dei suoi studi per ascoltare la ragazza, le speranze che
ambedue riponevano nel futuro. Egli dialoga con se
stesso e con la sua memoria, come aveva fatto ne
L’infinito e Alla luna. Il dialogo è angoscioso, ma
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 308
Il passero solitario, 1829 Il passero solitario
I 1.
D’in su la vetta della torre antica, Dalla cima dell’antico campanile,
passero solitario, alla campagna o passero solitario, canti rivolto
cantando vai finché non more il giorno; alla campagna, finché non muore il giorno.
ed erra l’armonia per questa valle. E il tuo canto si diffonde per tutta la valle.
Primavera dintorno La primavera brilla dappertutto
brilla nell’aria, e per li campi esulta, nell’aria ed esulta per i campi,
sì ch’a mirarla intenerisce il core. così che a guardarla il cuore si intenerisce.
Odi greggi belar, muggire armenti; Si odono le greggi belare, gli armenti muggire.
gli altri augelli contenti, a gara insieme Gli altri uccelli, felici, a gara insieme
per lo libero ciel fan mille giri, per il cielo libero fanno mille voli,
pur festeggiando il lor tempo migliore: anche se festeggiano il tempo più bello della vita.
tu pensoso in disparte il tutto miri; Tu in disparte guardi tutto,
non compagni, non voli, non hai compagni, non fai voli,
non ti cal d’allegria, schivi gli spassi; non cerchi l’allegria, eviti i divertimenti.
canti, e così trapassi Canti, e così passi il più bel tempo
dell’anno e di tua vita il più bel fiore. dell’anno e della tua vita.
II 2.
Oimè, quanto somiglia Ohimè, quanto il mio modo di vivere
al tuo costume il mio! sollazzo e riso, assomiglia al tuo! Divertimento e risate,
della novella età dolce famiglia, dolci compagni dell’età giovinile,
e te german di giovinezza, amore, e te, o amore, fratello della giovinezza,
sospiro acerbo de’ provetti giorni, rimpianto doloroso della maturità,
non curo, io non so come; anzi da loro io non curo, non so perché, anzi da loro
quasi fuggo lontano; quasi fuggo lontano.
quasi romito, e strano E, quasi solitario ed estraneo
al mio loco natio, al mio paese natale,
passo del viver mio la primavera. passo la primavera della mia vita.
Questo giorno ch’omai cede la sera, Questo giorno, che ormai cede [il posto] alla sera,
festeggiar si costuma al nostro borgo. è usanza festeggiare nel nostro paese.
Odi per lo sereno un suon di squilla, Si ode per il cielo sereno un suono di campana,
odi spesso un tonar di ferree canne, si ode spesso un tuonare di fucili,
che rimbomba lontan di villa in villa. che risuona in lontananza da una borgata all’altra.
Tutta vestita a festa Tutta vestita a festa,
la gioventù del loco la gioventù del luogo
lascia le case, e per le vie si spande; esce di casa e si spande per le strade,
e mira ed è mirata, e in cor s’allegra. ammira ed è ammirata, e in cuore si rallegra.
Io solitario in questa Io, uscendo da solo verso
rimota parte alla campagna uscendo, la campagna in questa zona appartata,
ogni diletto e gioco rimando al futuro
indugio in altro tempo: e intanto il guardo ogni divertimento e gioco. E intanto lo sguardo,
steso nell’aria aprica disteso nell’aria luminosa,
mi fere il sol che tra lontani monti, mi è colpito dal sole, che tra i monti lontani,
dopo il giorno sereno, dopo il giorno sereno,
cadendo si dilegua, e par che dica cadendo scompare, e pare che dica
che la beata gioventù vien meno. che la beata giovinezza è destinata a finire.
III
Tu solingo augellin, venuto a sera 3.
del viver che daranno a te le stelle, Tu, o uccellino solitario, giunto alla fine
certo del tuo costume della vita che il destino ti concederà,
non ti dorrai; che di natura è frutto certamente non ti addolorerai per il tuo modo
ogni nostra vaghezza. di vivere, perché ogni vostro comportamento
A me, se di vecchiezza è prodotto dalla natura.
la detestata soglia A me, se non otterrò
evitar non impetro, di evitare l’odiosa soglia
della vecchiaia (=se non morirò giovane)
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 309
quando muti questi occhi all’altrui core, (quando questi miei occhi non diranno più nulla
e lor fia voto il mondo, e il dì futuro al cuore altrui, e ad essi il mondo apparirà vuoto
del dì presente più noioso e tetro, e il futuro sarà più noioso e angoscioso del presente),
che parrà di tal voglia? che cosa sembrerà tale scelta? Come appariranno
Che di quest’anni miei? Che di me stesso? questi miei anni? Che cosa penserò di me stesso?
Ahi pentiromi, e spesso, Ahi, mi pentirò [di essere vissuto da solo], e spesso,
ma sconsolato, volgerommi indietro. ma sconsolato, mi volgerò indietro.
---I☺I--- ---I☺I---
Riassunto per strofa. 1. Dall’antico campanile il pas- verso il passato, per esprimere la sua insoddisfazione
sero solitario canta verso la campagna fino sera, e la verso le scelte che sta facendo.
dolcezza del suo canto si diffonde per tutta la valle. È 4. Il poeta descrive affascinato e con tenerezza il “na-
primavera: gli altri uccelli volano insieme nel cielo, e tio borgo selvaggio” e il paesaggio che circonda il
festeggiano il più bel tempo dell’anno e della vita. Il suo paese anche negli idilli La quiete dopo la tempe-
passero invece vive in disparte e guarda: non cerca sta e Il sabato del villaggio. Le sue descrizioni sono
compagni né soddisfazioni, contento di passare il suo antitetiche alla ricerca dell’orrido, di paesaggi cupi ed
tempo a cantare. 2. La vita del poeta assomiglia alla invernali, e delle notti illuminate dalla luna del Ro-
vita del passero: non si preoccupa (e non sa perché) manticismo inglese. Sono antitetiche anche a quelle
né dei divertimenti né dell’amore, il compagno inse- di Foscolo e alle interpretazioni eroiche del Romanti-
parabile della giovinezza. E passa la sua giovinezza cismo, che proiettano sulla natura passioni sconvol-
come se fosse uno straniero nel luogo in cui è nato. genti ed impetuose. Leopardi ha un rapporto di con-
Nel suo paese è consuetudine festeggiare il giorno templazione con la natura, non la sovraccarica con i
prefestivo: i giovani si riversano nelle strade, vestiti a suoi sentimenti: si abbandona ad essa e alle dolcissi-
festa; ammirano e si fanno ammirare; e sono felici. Il me sensazioni che gli fa provare.
poeta invece si rifugia da solo tra i campi e rimanda ---I☺I---
al futuro il momento dei piaceri e del gioco. Intanto il
sole, tramontando, sembra dire che la giovinezza è
destinata a passare. 3. L’uccellino però, giunto alla
fine della vita, non proverà dolore per la sua vita soli-
taria, perché questa è la sua natura. Il poeta, se non
riuscirà ad evitare la vecchiaia, morendo giovane, che
cosa penserà della sua scelta? Si pentirà, e sconsolato
si volgerà indietro.
Commento
1. Il poeta continua ad essere affascinato dal paesag-
gio, tanto che paragona la sua vita solitaria a quella di
un uccellino. La gioia è nel paesaggio, nel sole che
tramonta e che sembra salutare la giovinezza che se
ne va, nella gioventù del paese, tutta vestita a festa,
che cerca l’amore. La tristezza è soltanto dentro di
lui, che non frequenta i coetanei, non cerca l’amore,
cerca la solitudine e rimanda al futuro il momento del
contatto e del rapporto con gli altri. Anche qui la ri-
flessione e la memoria hanno grande spazio: il poeta
immagina di essere giunto alla fine della sua esisten-
za e di trarre le conclusioni: il passero sarà contento,
perché ha seguito la sua natura solitaria; egli non lo
sarà, e spesso, ma sconsolato, si volgerà indietro.
2. L’idillio contiene la stessa parte riflessiva e gli
stessi motivi (la giovinezza, l’amore, il dolore, la soli-
tudine, la bellezza intensissima della natura) presenti
nei Piccoli e nei Grandi idilli precedenti. In genere il
poeta struttura l’idillio in due parti: la prima è descrit-
tiva; la seconda è riflessiva.
3. Il poeta mantiene lo stesso atteggiamento già e-
spresso negli idilli L’infinito e Alla luna: non si getta
nella vita; ha un contatto riflessivo e memoriale con
la vita. In questo caso egli addirittura immagina di
essere ormai vecchio e di rivolgere il suo pensiero
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 310
Le ricordanze, 1829 I ricordi del passato
I 1.
Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea O vaghe (=belle e desiderate) stelle dell’Orsa,
tornare ancor per uso a contemplarvi io non credevo di ritornare ancora a contemplarvi
sul paterno giardino scintillanti, scintillanti sopra il giardino paterno
e ragionar con voi dalle finestre e a ragionare con voi dalle finestre
di questo albergo ove abitai fanciullo, di questa dimora in cui abitai da fanciullo
e delle gioie mie vidi la fine. e in cui vidi la fine delle mie gioie.
Quante immagini un tempo, e quante fole Un tempo quante immagini e quante fantasie
creommi nel pensier l’aspetto vostro mi creò nel pensiero l’aspetto vostro
e delle luci a voi compagne! allora e delle stelle a voi compagne! quando, in silenzio,
che, tacito, seduto in verde zolla, seduto sul prato erboso, io solevo passare
delle sere io solea passar gran parte gran parte delle sere guardando il cielo
mirando il cielo, ed ascoltando il canto e ascoltando il canto della rana
della rana rimota alla campagna! lontana nella campagna!
E la lucciola errava appo le siepi E la lucciola errava presso le siepi
e in su l’aiuole, susurrando al vento e sulle aiole, mentre sussurravano al vento
i viali odorati, ed i cipressi i viali [di alberi] odorosi ed i cipressi là
là nella selva; e sotto al patrio tetto nella selva; e sotto il tetto paterno risuonavano
sonavan voci alterne, e le tranquille le voci dei dialoghi e le tranquille faccende
opre de’ servi. E che pensieri immensi, dei servi. E che progetti immensi, che dolci
che dolci sogni mi spirò la vista sogni mi ispirò la vista di quel lontano
di quel lontano mar, quei monti azzurri, mare, quei monti azzurri, che da qui riesco
che di qua scopro, e che varcare un giorno a vedere e che io pensavo di varcare
io mi pensava, arcani mondi, arcana un giorno, immaginando per la mia vita
felicità fingendo al viver mio! arcani mondi e un’arcana felicità!
Ignaro del mio fato, e quante volte Ignaro del mio destino, quante volte avrei
questa mia vita dolorosa e nuda cambiato volentieri con la morte questa mia vita
volentier con la morte avrei cangiato. dolorosa e infelice.
II 2.
Né mi diceva il cor che l’età verde Né il cuore mi prediceva che sarei stato
sarei dannato a consumare in questo condannato a consumare la mia giovinezza
natio borgo selvaggio, intra una gente in questo natio borgo selvaggio, tra gente zotica
zotica, vil; cui nomi strani, e spesso e vile; per la quale la cultura e la conoscenza
argomento di riso e di trastullo, sono nomi strani e spesso argomento
son dottrina e saper; che m’odia e fugge, di riso e di trastullo; che mi odia e mi fugge,
per invidia non già, che non mi tiene non per invidia, perché non mi tiene maggiore
maggior di sé, ma perché tale estima di sé, ma perché pensa che io mi ritenga tale
ch’io mi tenga in cor mio, sebben di fuori nel mio cuore, sebbene di fuori
a persona giammai non ne fo segno. io non ne faccio mai segno a persona.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto, Qui passo gli anni, abbandonato, nascosto,
senz’amor, senza vita; ed aspro a forza senza amore, senza vita; e per forza
tra lo stuol de’ malevoli divengo: divento aspro tra lo stuolo dei malevoli:
qui di pietà mi spoglio e di virtudi, qui mi spoglio di pietà e di virtù e per il gregge
e sprezzator degli uomini mi rendo, (=i compaesani) che ho appresso mi metto
per la greggia ch’ho appresso: e intanto vola a disprezzare tutti gli uomini.
il caro tempo giovanil; più caro E intanto vola il caro tempo giovanile;
che la fama e l’allor, più che la pura più caro che la fama e l’alloro (=la gloria),
luce del giorno, e lo spirar: ti perdo più che la pura luce del giorno e il respiro.
senza un diletto, inutilmente, in questo Ti perdo senza un diletto, inutilmente,
soggiorno disumano, intra gli affanni, in questo soggiorno disumano, tra gli affanni,
o dell’arida vita unico fiore. o unico fiore della mia arida vita.
VI 6.
Chi rimembrar vi può senza sospiri, Chi vi può ricordare senza sospiri, o primo
o primo entrar di giovinezza, o giorni incontro con la giovinezza, o giorni belli,
vezzosi, inenarrabili, allor quando inenarrabili, quando le donzelle sorridono
al rapito mortal primieramente per la prima volta al giovane estasiato.
sorridon le donzelle; a gara intorno A gara intorno a lui ogni cosa sorride;
ogni cosa sorride; invidia tace, e l’invidia tace: essa non è ancora sorta oppure
non desta ancora ovver benigna; e quasi è benigna. E il mondo gli porge quasi la mano
(inusitata maraviglia!) il mondo per aiutarlo (una maraviglia veramente insolita!),
la destra soccorrevole gli porge, scusa i suoi errori, festeggia il suo nuovo arrivo
scusa gli errori suoi, festeggia il novo nella vita (=l’entrata nella giovinezza) e, inchinandosi
suo venir nella vita, ed inchinando [davanti a lui], mostra (=finge) di accoglierlo
mostra che per signor l’accolga e chiami? come [se fosse il suo] signore e di chiamarlo così?
Fugaci giorni! a somigliar d’un lampo O giorni fugaci! si sono dileguati con la rapidità
son dileguati. E qual mortale ignaro di un lampo. E quale uomo può ignorare
di sventura esser può, se a lui già scorsa la sventura, se per lui è già passata quella bella
quella vaga stagion, se il suo buon tempo, stagione, se [è finito] il suo tempo migliore, se la gio-
se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta? vinezza, ahi la giovinezza, è spenta?
VII 7.
O Nerina! e di te forse non odo O Nerina! forse non odo questi luoghi
questi luoghi parlar? caduta forse parlare di te? forse tu sei caduta dal mio pensiero?
dal mio pensier sei tu? Dove sei gita, Dove sei andata, perché qui di te trovo soltanto
che qui sola di te la ricordanza il ricordo, o dolcezza mia? Questa terra,
trovo, dolcezza mia? Più non ti vede dove sei nata, non ti vede più: quella finestra,
questa terra natal: quella finestra, dalla quale eri solita parlarmi e sulla quale [ora]
ond’eri usata favellarmi, ed onde il raggio delle stelle si riflette mestamente, è deserta.
mesto riluce delle stelle il raggio, Dove sei, perché [ora] non odo più la tua voce
è deserta. Ove sei, che più non odo sonora, come [avveniva] un tempo, quando il suono
la tua voce sonar, siccome un giorno, anche lontano delle tue labbra, che mi giungeva,
quando soleva ogni lontano accento era capace di farmi impallidire? Era un altro tempo.
del labbro tuo, ch’a me giungesse, il volto O mio dolce amore, i tuoi giorni appartengono
scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi al passato. Tu sei morta. Oggi tocca ad altri
furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri vivere sulla terra ed abitare questi colli odorosi.
il passar per la terra oggi è sortito, Tu se morta ancor giovane e la tua vita fu
e l’abitar questi odorati colli. come un sogno. Andavi danzando [verso la vita];
Ma rapida passasti; e come un sogno la gioia ti risplendeva sulla fronte, negli occhi
fu la tua vita. Iva danzando; in fronte ti risplendeva quella fiducia e quella speranza
la gioia ti splendea, splendea negli occhi nel futuro, quella luce della giovinezza,
quel confidente immaginar, quel lume quando il destino li spegneva, e giacevi [morta].
di gioventù, quando spegneali il fato, Ahi Nerina! In cuore sento ancora l’antico amore.
e giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna Se talvolta mi reco a qualche festa, se mi reco
l’antico amor. Se a feste anco talvolta,
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 313
se a radunanze io movo, infra me stesso a qualche festa in campagna, dentro di me io dico:
dico: o Nerina, a radunanze, a feste “O Nerina, per le feste in campagna, per le feste
tu non ti acconci più, tu più non movi. tu non ti prepari più, tu non vai più.
VIII 7.
Se torna maggio, e ramoscelli e suoni Se ritorna maggio e gli amanti portano
van gli amanti recando alle fanciulle, ramoscelli e canti alle fanciulle,
dico: Nerina mia, per te non torna io dico: “O Nerina mia, per te la primavera
primavera giammai, non torna amore. non tornerà mai più, non tornerà l’amore”.
Ogni giorno sereno, ogni fiorita In ogni giorno sereno, ad ogni luogo fiorito
piaggia ch’io miro, ogni goder ch’io sento, che io guardo, per ogni godimento che io sento,
dico: Nerina or più non gode; i campi, dico: “Nerina ora non gode più;
l’aria non mira. Ahi tu passasti, eterno non guarda più i campi, né l’aria”. Ahi tu sei morta,
sospiro mio: passasti: e fia compagna o mio eterno sospiro. Tu sei morta! Ed il ricordo
d’ogni mio vago immaginar, di tutti acerbo [di te] sarà compagno delle mie speranze
i miei teneri sensi, i tristi e cari nel futuro, di tutti i miei teneri sensi,
moti del cor, la rimembranza acerba. di tutti i tristi e cari sentimenti del mio cuore.
---I☺I--- ---I☺I---
I 1.
La donzelletta vien dalla campagna La fanciulla viene dalla campagna
in sul calar del sole, con il suo fascio d’erba, al tramonto del sole;
col suo fascio dell’erba; e reca in mano e reca in mano un mazzetto di rose e di viole,
un mazzolin di rose e viole, con le quali (com’è solita fare)
onde, siccome suole, si prepara ad ornarsi il corpetto e i capelli
ornare ella si appresta domani, giorno di festa.
dimani, al dì di festa, il petto e il crine. La vecchietta siede con le vicine
Siede con le vicine sulla scala a filare, con il viso rivolto
su la scala a filar la vecchierella, là dove finisce il giorno;
incontro là dove si perde il giorno; e parla della sua giovinezza,
e novellando vien del suo buon tempo, quando nei giorni di festa
quando ai dì della festa ella si ornava, ella si adornava
ed ancor sana e snella e, ancora sana e snella,
solea danzar la sera intra di quei era solita danzare la sera con coloro
ch’ebbe compagni nell’età più bella. che ebbe come compagni dell’età più bella.
Già tutta l’aria imbruna, Ormai tutta l’aria imbruna;
torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre il cielo sereno diventa d’un azzurro cupo,
giù da’ colli e da’ tetti, le ombre scendono dai colli e dalle case,
al biancheggiar della recente luna. mentre sorge la luna nuova.
Or la squilla dà segno Ora la campana annuncia
della festa che viene; la festa che viene;
ed a quel suon diresti e a quel suono diresti (=si direbbe)
che il cor si riconforta. che il cuore si riconforta.
I fanciulli gridando I fanciulli, gridando
su la piazzuola in frotta, a gruppi sulla piazza
e qua e là saltando, e saltando qua e là,
fanno un lieto romore; fanno un rumore gradevole.
e intanto riede alla sua parca mensa, E intanto il contadino, fischiando,
fischiando, il zappatore, ritorna alla sua modesta mensa, e pensa
e seco pensa al dì del suo riposo. tra sé e sé al giorno del suo riposo.
II 2.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face, Poi, quando ovunque sono spente le luci
e tutto l’altro tace, e tutto il paese tace,
odi il martel picchiare, odi la sega si ode il martello picchiare,
del legnaiuol, che veglia si ode la sega del falegname,
nella chiusa bottega alla lucerna, che è ancora sveglio con la lucerna accesa
e s’affretta, e s’adopra nella bottega chiusa, e si dà da fare
di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba. per terminare il lavoro prima dell’alba.
III 3.
Questo di sette è il più gradito giorno, Il sabato dei sette è il giorno più gradito,
pien di speme e di gioia: perché porta speranze e gioia.
diman tristezza e noia Domani le ore porteranno tristezza e noia [perché
recheran l’ore, ed al travaglio usato le speranze non si sono realizzate], e ciascuno
ciascuno in suo pensier farà ritorno. con il pensiero farà ritorno al lavoro consueto.
IV 4.
Garzoncello scherzoso, O fanciullo spensierato,
cotesta età fiorita la giovinezza è come un giorno pieno di allegria,
è come un giorno d’allegrezza pieno, un giorno chiaro e sereno, che precede la festa
giorno chiaro, sereno, della tua vita (=la maturità). Sii felice,
che precorre alla festa di tua vita. o fanciullo mio, perché la giovinezza è uno stato
Godi, fanciullo mio; stato soave, dolcissimo, è un periodo lieto.
stagion lieta è cotesta. Non ti voglio dire nient’altro; ma non provare
Altro dirti non vo’; ma la tua festa dispiacere se ti sembra che la tua festa (=la maturità)
ch’anco tardi a venir non ti sia grave. impieghi troppo tempo a giungere.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 318
Riassunto. Il poeta descrive il sabato del suo paese: la 5. A questa ulteriore argomentazione segue l’argo-
fanciulla ritorna dai campi con un mazzo di fiori, con mentazione finale: o fanciullo, godi la tua giovinezza,
cui si farà bella il giorno dopo; la vecchietta siede con godi l’attesa della maturità, non avere fretta di rag-
le vicine e, filando, ricorda il tempo felice della sua giungere la maturità, perché soltanto adesso puoi es-
giovinezza. Intanto scende la sera. I ragazzi giocano sere felice, perché soltanto nell’attesa consiste la feli-
sulla piazza del paese, mentre il contadino ritorna a cità. La maturità sarà una delusione, perché non ti da-
casa, pensando che il giorno dopo potrà riposare. Poi rà la felicità che speravi e perché preannunzia la tri-
scende la notte ed il silenzio avvolge tutto il paese. stezza della vecchiaia.
Soltanto il falegname è ancora sveglio: cerca di finire 6. Il poeta si proietta verso il paese, come fa anche ne
il lavoro prima dell’alba. A questo punto il poeta Il passero solitario, e guarda con tenerezza la ragaz-
svolge alcune riflessioni: il sabato è il giorno più bel- za, la vecchietta, i ragazzi, il contadino, poi dialoga
lo della settimana, perché porta speranze e gioia; la con il ragazzino che ha fretta di crescere. Una sera
domenica invece sarà triste e noiosa, perché le spe- diversa è quella di Dante in Pg VIII, 1-6; quella di
ranze non si realizzano. Quindi fa un paragone: la Foscolo nel sonetto Alla sera; quella di Pascoli intito-
giovinezza è come il sabato, ed è il più bel tempo del- lata La mia sera; quella di D’Annunzio intitolata La
la vita perché porta speranze e gioia; la maturità è sera fiesolana.
come la domenica, ed è triste e noiosa perché le spe- ---I☺I---
ranze non si realizzano. Così il poeta può concludere
invitando il ragazzino a non aver fretta di diventare
adulto: la felicità è il periodo che sta vivendo, è
l’attesa della maturità; invece la maturità sarà infeli-
ce, perché le speranze non si realizzeranno.
Commento
1. L’idillio ha una struttura estremamente ordinata: a)
la descrizione del sabato in paese e la gioia che esso
porta a tutti; b) il contrasto tra le gioie e le speranze
del sabato e la tristezza e la noia della domenica; c) il
paragone della giovinezza e della maturità con il sa-
bato e la domenica; infine d) l’invito a godere il pre-
sente, perché la felicità non giunge con la maturità
della vita, ma è il presente stesso, è la giovinezza, è
l’attesa della maturità. Perciò il garzoncello non deve
avere nessuna fretta di crescere: la maturità porta sol-
tanto delusioni e prelude alla vecchiaia e alla morte.
2. Anche in questo idillio il poeta si sofferma a de-
scrivere con grande partecipazione la natura: il sole
che tramonta, l’aria che imbruna, il cielo che diventa
d’un azzurro cupo, il sorgere della luna nuova, il si-
lenzio notturno. E quindi l’ambiente paesano: la fan-
ciulla che ritorna dai campi, la vecchietta che fila e
che ricorda i bei tempi della sua giovinezza, i fanciul-
li che giocano, il contadino che ritorna a casa stanco
ma felice, il falegname che vuole finire il lavoro pri-
ma dell’alba.
3. Dopo la parte descrittiva c’è la parte riflessiva, che
presenta la vita in termini sereni. I toni pessimistici
sono completamente assenti. Il sabato è più bello del-
la domenica perché porta speranze e gioia; la dome-
nica invece sarà una delusione, perché porta tristezza
e noia. Il poeta ha costruito l’idillio in modo ordinato
e consequenziale; ed ora presenta un’argomentazione
quasi matematica, per dimostrare le sue idee.
4. A questo punto il poeta arricchisce e allarga il testo
introducendo una identità-corrispondenza tra sabato-
domenica da una parte, giovinezza-maturità dall’al-
tra: la giovinezza corrisponde al sabato, quindi la ma-
turità corrisponde alla domenica. E l’argomentazione
diventa questa: come il sabato, anche la giovinezza è
gioiosa; come la domenica, anche la maturità è triste.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 319
Canto notturno di un pastore errante Canto notturno di un pastore errante dell’Asia
dell’Asia, 1829-30
1.
I
Che fai tu, o luna in cielo? dimmi che fai,
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
o silenziosa luna?
silenziosa luna?
Sorgi alla sera e vai, contemplando
Sorgi la sera, e vai,
le steppe deserte; quindi tramonti.
contemplando i deserti; indi ti posi.
Tu non sei ancora sazia
Ancor non sei tu paga
di ripercorrere sempre le stesse vie?
di riandare i sempiterni calli?
Non ti sei ancora annoiata,
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
ancora sei desiderosa
di mirar queste valli?
di guardar queste valli?
Somiglia alla tua vita
Assomiglia alla tua vita la vita del pastore.
la vita del pastore.
Si alza all’alba; conduce il gregge
Sorge in sul primo albore
per la pianura;
move la greggia oltre pel campo, e vede
vede greggi, fontane ed erbe;
greggi, fontane ed erbe;
poi, stanco, si riposa alla sera:
poi stanco si riposa in su la sera:
non spera mai nient’altro.
altro mai non ispera.
Dimmi, o luna, a che vale
Dimmi, o luna: a che vale
al pastore la sua vita,
al pastor la sua vita,
a che vale la vostra vita a voi?
la vostra vita a voi? dimmi: ove tende
questo vagar mio breve, dimmi: dove tende
questo mio breve cammino,
il tuo corso immortale?
dove tende il tuo corso immortale?
II
2.
Vecchierel bianco, infermo,
Un vecchierello bianco, infermo,
mezzo vestito e scalzo,
mezzo vestito e mezzo scalzo,
con gravissimo fascio in su le spalle,
con un pesantissimo fardello sulle spalle,
per montagna e per valle,
per montagne e per valli, per strade
per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
sassose, per sabbioni profondi
al vento, alla tempesta, e quando avvampa
e per macchie di pruni,
l’ora, e quando poi gela,
sotto il vento, sotto la pioggia,
corre via, corre, anela,
quando la stagione è rovente
varca torrenti e stagni,
e quando poi gela, corre via, corre,
cade, risorge, e più e più s’affretta,
ansima, oltrepassa torrenti e stagni,
senza posa o ristoro,
senza riposo o senza ristoro, lacero,
lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
insanguinato; finché arriva là
colà dove la via
dove fu rivolta la sua gran fatica:
e dove il tanto affaticar fu vòlto:
abisso orribile, immenso (=la morte),
abisso orrido, immenso,
dove egli, precipitando,
ov’ei precipitando, il tutto obblia.
dimentica tutto.
Vergine luna, tale
O vergine luna, questa
è la vita mortale.
è la vita umana.
III
3.
Nasce l’uomo a fatica,
Nasce l’uomo a fatica,
ed è rischio di morte il nascimento.
ed è rischio di morte la sua nascita.
Prova pena e tormento
Prova pene e tormenti come prima cosa;
per prima cosa; e in sul principio stesso
e fin dall’inizio la madre e il padre
la madre e il genitore
prendono a consolarlo di essere nato.
il prende a consolar dell’esser nato.
Via via che cresce, l’uno e l’altro
Poi che crescendo viene,
genitore lo sostengono,
l’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
e senza sosta con atti e con parole
con atti e con parole
cercano di fargli coraggio
studiasi fargli core,
IV 4.
Pur tu, solinga, eterna peregrina, Tu, o solitaria, eterna pellegrina,
che sì pensosa sei, tu forse intendi che sei così pensosa, tu forse comprendi
questo viver terreno, che cosa siano questa vita sulla terra,
il patir nostro, il sospirar, che sia; i nostri patimenti, i nostri sospiri;
che sia questo morir, questo supremo tu forse comprendi che cosa sia
scolorar del sembiante, questo estremo scolorirsi delle sembianze,
e perir della terra, e venir meno questo andarsene dalla terra
ad ogni usata, amante compagnia. e questo venir meno ad ogni solita
E tu certo comprendi ed affettuosa compagnia.
il perché delle cose, e vedi il frutto E tu certamente comprendi il perché delle cose,
del mattin, della sera, e vedi il frutto (=lo scopo) del mattino,
del tacito, infinito andar del tempo. della sera, del silenzioso ed infinito
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore procedere del tempo.
rida la primavera, Tu sai, tu sai certamente, a quale suo
a chi giovi l’ardore, e che procacci dolce amore sorrida la primavera,
il verno co’ suoi ghiacci. a chi giovi la calura estiva
Mille cose sai tu, mille discopri, e che cosa procuri l’inverno con il suo freddo.
che son celate al semplice pastore. Mille cose tu sai, mille cose tu scopri,
Spesso quand’io ti miro che sono nascoste al semplice pastore.
star così muta in sul deserto piano, Spesso, quando io ti guardo stare
che, in suo giro lontano, al ciel confina; così muta sulla pianura deserta,
ovver con la mia greggia che nel lontano orizzonte confina
seguirmi viaggiando a mano a mano; con il cielo, oppure quando ti vedo seguirmi
e quando miro in cielo arder le stelle; con il gregge e accompagnarmi passo dopo passo,
dico fra me pensando: e quando guardo in cielo arder le stelle;
A che tante facelle? dico, pensando fra me e me:
che fa l’aria infinita, e quel profondo a quale scopo ci sono tante luci?
infinito seren? che vuol dir questa che fa l’aria infinita? che significa
solitudine immensa? ed io che sono? questa immensa solitudine? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza Così ragiono dentro di me:
smisurata e superba, e non so indovinare nessun uso (=utilità),
e dell’innumerabile famiglia; nessun frutto (=scopo) della stanza (=l’universo)
poi di tanto adoprar, di tanti moti smisurata e superba e della grande
d’ogni celeste, ogni terrena cosa, famiglia degli esseri viventi, delle continue
girando senza posa, trasformazioni della materia, di tanti movimenti
per tornar sempre là donde son mosse; di corpi celesti e di corpi terresti, che girano
uso alcuno, alcun frutto si son mossi senza riposo per tornare sempre là
indovinar non so. Ma tu per certo, donde (=dalla materia informe e senza vita). Ma tu
giovinetta immortal, conosci il tutto. certamente, o giovinetta immortale, conosci tutto.
Questo io conosco e sento, Io invece conosco e sento questo,
che degli eterni giri, che forse qualcun altro avrà qualche bene
che dell’esser mio frale, o qualche soddisfazione dalle eterne
qualche bene o contento orbite percorse dagli astri
avrà fors’altri; a me la vita è male. e dalla mia fragilità; per me la vita è male.
VI 6.
Forse s’avess’io l’ale Forse, se io avessi le ali,
da volar su le nubi, per volare sopra le nuvole
e noverar le stelle ad una ad una, e contare le stelle ad una ad una,
o come il tuono errar di giogo in giogo, o se come il tuono potessi andare di colle in colle,
più felice sarei, dolce mia greggia, sarei più felice, o mio dolce gregge,
più felice sarei, candida luna. sarei più felice, o candida luna.
O forse erra dal vero, O forse il mio pensiero, guardando alla sorte
mirando all’altrui sorte, il mio pensiero: degli altri esseri, si allontana dal vero:
forse in qual forma, in quale forse in qualsiasi forma, in qualsiasi condizione,
stato che sia, dentro covile o cuna, dentro un covile come dentro una culla,
è funesto a chi nasce il dì natale. è funesto per chi nasce il giorno della nascita.
---I☺I--- ---I☺I---
Riassunto. 1. Il pastore si rivolge alla luna e le chiede senso della vita umana. Forse comprende perché l’uo-
che cosa fa in cielo: sorge alla sera, contempla le mo viene meno alla consueta compagnia. Forse vede
steppe deserte, quindi tramonta. La sua vita assomi- il senso delle cose, il motivo per cui il tempo trascor-
glia a quella della luna: si alza all’alba, conduce il re. Forse sa perché ci sono le stagioni. Spesso, quan-
gregge al pascolo, quindi, alla sera, ritorna; non ha do la guarda, si chiede: a quale scopo ci sono tante
altra speranza. Che senso ha quindi la vita della luna? stelle? che cosa significa questa solitudine? ed egli
e che senso ha la sua vita? 2. Un vecchietto incanutito chi è? Ma non sa trovar nessuno scopo all’universo,
affronta mille difficoltà, senza mai fermarsi, finché né agli esseri viventi, né alle continue trasformazioni
giunge là dove fu rivolta la sua grande fatica: l’abisso della materia. Ma essa certamente conosce tutto. Il
orrendo della morte, precipitando nel quale dimentica pastore invece può dire soltanto questo: forse qualcu-
tutto. 3. L’uomo nasce nel dolore e prova tormenti no trae vantaggio dal movimento degli astri e dalla
per prima cosa. I genitori passano il tempo a conso- sua fragilità. Per lui invece la vita è un male. 5. Il
larlo di essere nato. Ma allora perché mettere al mon- gregge invece non conosce la propria infelicità; ed
do chi poi dev’essere consolato di essere vivo? Se la egli lo invidia. Non soffre e, se soffre, dimentica su-
vita è una sventura, perché la sopportiamo? Questa è bito gli affanni. Non prova tedio. Riposa contento la
la condizione umana. 4. La luna forse comprende il maggior parte dell’anno. Il pastore invece si annoia.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 322
Eppure non desidera nulla e, per ora, non ha motivo dall’Umanesimo del Quattrocento, all’episodio di
di lamentarsi. Non sa se il gregge è felice; egli lo è Erminia fra i pastori della Gerusalemme liberata di
poco. Ma non si lamenta solo di questo. Se il gregge Torquato Tasso, ai pastori dell’Arcadia. Anche Ga-
potesse parlare, gli chiederebbe: perché ogni animale briele D’Annunzio canta i suoi pastori. Leopardi tra-
se sta in ozio si sente soddisfatto, mentre egli è assali- sforma l’elogio tradizionale della vita pastorale, nella
to dalla noia? 6. O forse, se avesse le ali per volare quale il poeta intendeva evadere, in un momento di
sopra le nuvole, sarebbe più felice. O forse si sbaglia: riflessione filosofia e poetica sull’uomo, sul dolore
dovunque, in un covile come in una culla, è funesto che attraversa la vita umana e sulla morte che costi-
per chi nasce il giorno della nascita. tuisce il male supremo.
7. Le domande che il poeta-pastore rivolge alla luna
Commento restano senza risposte, perché l’autore professa una
1. Anche qui il poeta parla alla luna, ma fa un discor- visione atea e materialistica della vita, che lascia a-
so molto più vasto, che comprende il tema del dolore perti e senza risposta problemi come il senso del do-
umano e universale, il tema del senso dell’universo e lore, il senso della vita umana, il senso dell’universo.
della vita umana, il rifiuto della morte e l’attacca- Nel Dialogo della Natura e di un Islandese (1824)
mento ad oltranza alla vita. Nel 1609 Galileo Galilei l’autore propone questa risposta: la nascita e la morte
(1564-1642) aveva visto la luna in termini completa- sono necessarie affinché il ciclo della natura continui;
mente diversi… altrimenti, se si toglie la morte (e quindi il dolore e la
2. La visione del mondo proviene dalle concezioni distruzione), si toglie anche la nascita; ed il ciclo si
atee e materialistiche formulate dall’Illuminismo interrompe. Negli stessi anni Foscolo è sulle stesse
francese, che porta alle estreme conseguenze il mec- posizioni, ma respinge le conclusione materialistiche
canicismo e l’empirismo della scienza moderna. Il in nome della religione della bellezza e di altri miti,
poeta però si preoccupa più della condizione umana e coscientemente accettati; Manzoni invece propone
del dolore che accomuna tutti gli esseri viventi nel risposte legate alla sua fede religiosa, ma è preso da
loro rapporto con la natura, piuttosto che delle pole- dubbi vedendo nella storia l’assurdità o l’inesplica-
miche contro le religioni positive e contro gli effetti bilità del male.
negativi della vita sociale. Rousseau era un riformato- 8. Nei versi finali il poeta si preoccupa non più sol-
re sociale e un rivoluzionario; Leopardi è un filosofo tanto della condizione umana, ma anche della condi-
ed un poeta, con una scarsissima fiducia verso tutte le zione di ogni essere vivente: forse, se egli vedesse
ideologie, laiche e religiose, che promettono di fare dall’alto la vita degli uomini e la vita degli animali,
uscire l’uomo dalla sua condizione umana di dolore, e vedrebbe che il giorno della nascita è un giorno fune-
di fargli raggiungere la felicità, costantemente insi- sto per tutti gli esseri viventi. Il pessimismo del poeta
diata dalla sofferenza. da pessimismo storico (la vita umana è dolore) diven-
3. E come filosofo egli si chiede, qui come altrove, ta pessimismo cosmico (la vita di tutti gli esseri vi-
perché l’uomo continua a voler vivere, se la vita è venti è dolore). Resta inalterato però il valore della
sventura, se non può avere la felicità e se non può e- vita, alla quale il poeta resta ad oltranza legato.
vitare il dolore. Ma la ragione umana non è capace di 9. Contro i mali che la natura riserva all’uomo il poe-
rispondere a queste domande. Forse la luna conosce ta nella sua ultima opera La ginestra o il fiore del de-
le risposte, ma non le dice al pastore. serto è scettico sulle magnifiche sorti e progressive,
4. La morte non è affatto desiderata, neanche se la vi- di cui parla l’Illuminismo e che sarebbero garantite
ta è dolore: essa è vista come un abisso orrido e tre- dalla ragione e dalla scienza, e invita gli uomini alla
mendo, nel quale l’uomo dimentica tutto, e quindi si solidarietà.
annichilisce. Per il poeta vivere significa acquisire ed 10. Le riflessioni e il pessimismo di Leopardi saranno
essere un patrimonio di ricordi, che con la morte si riproposti 50 anni dopo da Govanni Verga (1840-
disperdono. Vivere però significa anche avere una 1922) nel racconto Fantasticheria (1878-79) e poi nei
“solita ed affettuosa compagnia di affetti”, che si in- Malavoglia (1881). È l’ideale dell’ostrica: essa, se si
terrompono drammaticamente con la morte. Egli è allontana dallo scoglio, a cui è attaccata, si perde nel
quindi legato ad oltranza alla vita, anche se la vita è vasto mare e con sé perde anche i suoi familiari. Ma è
costantemente dolore. anche la stranissima scoperta che i ragazzini vivono
5. Nell’idillio compare anche il tema del tedio, la noia felici e ignorano tutte le previsioni nefaste e il pessi-
che colpisce il pastore quando guarda le pecore. Gli mismo assoluto dello scrittore di Catania.
animali invece passano il tempo tranquillamente, sot- ---I☺I---
to l’ombra delle piante, al riparo dalla calura, e sem-
brano immuni dalla noia. Sembrano anche capaci di
dimenticare subito il dolore, appena è passato. Il tae-
dium vitae è un motivo già presente nella poesia ro-
mana. Il poeta però lo trasforma in una domanda filo-
sofica sulla condizione umana.
6. I pastori e la vita pastorale, costantemente idealiz-
zati, sono un filo conduttore della letteratura italiana:
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 323
Il tramonto della luna, 1936-37 Il tramonto della luna
I 1.
Quale in notte solinga, Come in una notte solitaria,
sovra campagne inargentate ed acque, sopra le campagne e le acque inargentate,
là ‘ve zefiro aleggia, là dove spira lo zefiro
e mille vaghi aspetti e le ombre lontane
e ingannevoli obbietti formano mille vaghi aspetti e ingannevoli
fingon l’ombre lontane oggetti fra le onde tranquille, i rami e le siepi,
infra l’onde tranquille le dolci colline e i casolari;
e rami e siepi e collinette e ville; la luna giunge al confine del cielo
giunta al confin del cielo, e scende dietro gli Appennini
dietro apennino od alpe, o del Tirreno o le Alpi o nell’infinito grembo
nell’infinito seno del mar Tirreno.
scende la luna; e si scolora il mondo; Ed il mondo si scolora; spariscono le ombre
spariscon l’ombre, ed una ed una stessa oscurità imbruna le valli
oscurità la valle e il monte imbruna; e le montagne. La notte resta cieca (=immersa
orba la notte resta, nel buio), mentre il carrettiere, cantando
e cantando, con mesta melodia, una mesta canzone, saluta dalla sua strada
l’estremo albor della fuggente luce, gli ultimi raggi della luce
che dianzi gli fu duce, che fugge, che poco prima
saluta il carrettier dalla sua via; gli ha fatto da guida.
II 2.
tal si dilegua, e tale Proprio allo stesso modo la giovinezza
lascia l’età mortale si dilegua e abbandona la vita umana.
la giovinezza. In fuga Fuggono le ombre e i fantasmi delle illusioni
van l’ombre e le sembianze che pure davano gioia; e vengono meno
dei dilettosi inganni; e vengon meno le lontane (=della fanciullezza) speranze,
le lontane speranze, nelle quali cercava conforto la natura umana.
ove s’appoggia la mortal natura. La vita resta abbandonata ed oscura (=vuota
Abbandonata, oscura e senza punti di riferimento).
resta la vita. in lei porgendo il guardo, Il viandante, smarrito, guarda in essa
cerca il confuso viatore invano e cerca invano lo scopo o la giustificazione
del cammin lungo che avanzar si sente del suo lungo cammino (=il tempo della vita)
meta o ragione; e vede che sente avanzare [inesorabile].
che a sé l’umana sede, E vede che la condizione umana è del tutto
esso a lei veramente è fatto estrano. estranea a lui ed egli del tutto estraneo a lei.
III 3.
Troppo felice e lieta La nostra misera sorte apparve lassù
nostra misera sorte (=in cielo, agli dei) troppo felice
parve lassù, se il giovanile stato, e lieta, se lo stato giovanile,
dove ogni ben di mille pene è frutto, dove ogni bene è frutto di mille pene,
durasse tutto della vita il corso. durasse per tutto il corso della vita.
troppo mite decreto È un decreto troppo mite quello
quel che sentenzia ogni animale a morte, che sentenzia la morte per ogni essere vivente,
s’anco mezza la via se già prima non gli si desse metà
lor non si desse in pria della strada assai più dura della morte
della terribil morte assai più dura. che pure è terribile.
D’intelletti immortali Degna invenzione di intelletti immortali
degno trovato, estremo ed estremo di tutti i mali, gli dei
di tutti i mali, ritrovàr gli eterni escogitarono la vecchiaia,
la vecchiezza, ove fosse nella quale il desiderio è insoddisfatto,
incolume il desio, la speme estinta, la speranza estinta, le fonti del piacere
secche le fonti del piacer, le pene rinsecchite, le sofferenze sempre maggiori
maggiori sempre, e non più dato il bene. e il bene sempre assente.
Riassunto. 1. Come in una notte solitaria la luna tra- gna...”). E ne L’ultimo canto di Saffo (“Placida notte,
monta nell’orizzonte più lontano dietro le montagne e e verecondo raggio Della cadente luna...”). La scelta
la notte diventa buia, della luna e non del sole caratterizza quindi la poesia
2. così la giovinezza si dilegua e abbandona la vita di Leopardi. La luna è tranquilla e notturna. Il sole è
umana. Scompaiono le speranze della fanciullezza e infuocato e illumina nitidamente il giorno. La luna
le illusioni che pure davano gioia. E la vita rimane spinge a meditare, il sole ad agire.
vuota. Il viandante non riesce a trovare un senso al 3. Il paragone giovinezza-sabato, maturità-domenica
suo cammino: egli si sente estraneo alla condizione de Il sabato del villaggio è sostituito dal paragone lu-
umana ed essa risulta estranea a lui. na-sole, giovinezza-vecchiaia. Il paragone però è in-
3. La vita umana apparve troppo felice agli dei: nella completo: la luna tramonta con la sua tenue luce e
giovinezza ogni gioia è frutto di mille dolori. Né fu- contemporaneamente il sole sorge con i suoi raggi in-
rono contenti che la vita di ogni essere si concludesse fuocati. Invece nel corso della vita umana la giovi-
con la morte. Perciò essi vollero che metà della vita nezza, cioè la luna, con la sua modesta felicità non ha
fosse più terribile della morte. E inventarono la vec- come seguito il sole, cioè una luce e una felicità più
chiaia con il suo séguito di desideri insoddisfatti, di grande. Subentra la scomparsa delle speranze, la fine
speranze deluse e di acciacchi sempre più dolorosi. delle illusioni, insomma il vuoto o, meglio, la vec-
4. Ma, quando la luna tramonta ad occidente, il sole si chiaia, con il suo pieno di insoddisfazioni, di acciac-
prepara a sorgere ad oriente e inonderà la terra di luce chi e di miseria. E la notte, che conclude il giorno, ha
e di calore. Invece, quando la giovinezza tramonta, come corrispettivo la sepoltura, che conclude la vita
non sorge un’altra luce. E la vita umana rimane vuota umana. La strofa finale ripropone la strofa finale
sino alla fine. E la notte, che pone fine ad essa, ha dell’idillio A Silvia: la morte della ragazza indica che
come segno distintivo la sepoltura. nel futuro per lui c’è soltanto la fredda morte e una
tomba ignuda.
Commento 4. Il tramonto della luna è quindi il simbolo e la con-
1. L’idillio ripropone temi consueti: la luna, la giovi- statazione che con la giovinezza tramontano le spe-
nezza, la felicità come breve frutto del dolore, la vita ranze e le illusioni. Arriva subito la vecchiaia, con il
come dolore, la vecchiaia con il suo séguito di ac- suo carico di sofferenza. Sorprendentemente è assente
ciacchi e di sofferenze, la morte che è terribile e che la maturità: con la fine della giovinezza cessano i mo-
conclude la vita. Manca soltanto il tema dei ricordi e ti del cuore, cessano le speranze. L’animo umano si
della maturità. svuota. Resta soltanto il corpo, condannato ad una
2. La luna compare fin dai Piccoli idilli, e sovrasta il sempre più visibile decadenza. La vecchiaia non è
paesaggio con la sua luce fredda e nitida (Alla luna). nemmeno allietata dall’esperienza accumulata, dal
È anche l’interlocutrice silenziosa dei problemi filo- bagagli dei ricordi piacevoli o dolorosi che siano.
sofici del poeta (Canto notturno di un pastore errante 5. Come manca il tema della maturità, così manca an-
dell’Asia). Compare anche ne La sera del dì di festa e che quello della bellezza e dell’amore, che pure sono
domina ancora il paesaggio (“Dolce e chiara è la not- (o erano) compagni di giovinezza. Il poeta ormai si
te senza vento E queta sovra i tetti e in mezzo agli or- sente interamente al di là di quel segnale che divide la
ti Posa la luna, e di lontan rivela Serena ogni monta- vita umana in due parti: prima e seconda metà, giovi-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 325
nezza e vecchiaia. Ha passato il mezzo del cammino viventi sono nati per soffrire, come aveva detto più
della sua vita. Il riferimento a Dante (If. I) è indubbio, estesamente nel Canto notturno di un pastore errante
ma non è polemico: il cammino che Dante sta intra- dell’Asia. Ne Il tramonto della luna non c’è nemme-
prendendo è lungo, difficile, ma è voluto dal cielo, è no quella in qualche modo comprensione e giustifica-
facilitato dalle guide e ha una conclusione che soddi- zione della sofferenza, insita nella condizione umana,
sfa il poeta oltre ogni desiderio umano. Il cammino di che era stata individuata dalla riflessione filosofica
Leopardi ha soltanto una dimensione terrena: la gio- nel Dialogo della Natura e di un Islandese (1824).
vinezza che porta speranze e gioia, è seguita imme- 9. Eugenio Montale (1896-1981), che quanto a pes-
diatamente dalla vecchiaia, con il suo bagaglio di sof- simismo non era secondo a nessuno, in Gloria del di-
ferenze, con il vuoto interiore, con la sua incapacità steso mezzogiorno (1925) canta invece con gioia
di dare e di ricevere affetto. Quest’ultimo motivo è l’arrivo della vecchiaia. Anzi per lui è il completa-
presente fin dagli inizi della sua poesia (Alla luna). mento, il massimo dispiegarsi della giovinezza e del-
6. L’uomo come viator (viandante, pellegrino, pas- l’esistenza umana: “Il sole incombe dal cielo; e qui,
seggero) è già presente nella canzone Alla sua donna sulla terra, il letto del torrente è reso asciutto. Il mio
(v. 18), ne La quiete dopo la tempesta (“passeggier”, giorno non è dunque passato (=la mia vita è giunta
v. 24) e ne La ginestra o il fiore del deserto (“peregri- allo zenit, al culmine, ed ora devo affrontare l’altra
no”, v. 20, 276; “passeggero”, v. 13). Ma c’è anche metà); L’ora più bella mi aspetta dall’altra parte del
“l’erbaiuol [che] rinnova / Di sentiero in sentiero Il muretto, Quando il sole scende verso un tiepido e pal-
grido giornaliero” (La quiete dopo la tempesta, vv. lido tramonto”.
15-18). Essa riprende l’immagine religiosa dell’uomo 10. La strofa finale rielabora con la specifica sensibi-
che è pellegrino su questa terra, in questa valle di la- lità di Leopardi un tema presente già in Torquato
crime, prima di salire al cielo. Il viandante però non Tasso (1544-1593). “Amiamo, perché il Sole muore e
compie un viaggio di sua spontanea volontà. Lo subi- poi rinasce. A noi egli nasconde la sua breve luce ed
sce. Il viaggio non lo porta a vivere una realtà supe- il sonno ci porta una notte eterna” (Aminta, atto III, O
riore, più complessa, ma è esso stesso dolore e si bella età dell’oro, congedo). Il poeta napoletano ave-
conclude con il peggiore dei mali, la morte. Il viaggio va tradotto alla lettera tre versi di Valerio Catullo
e il viandante di Leopardi vanno confrontati con i (Carmina, V, 4-6).
simboli di due grandi culture: Ulisse che nell’Odissea 11. I rimandi o il confronto con Tasso si possono an-
ritarda il ritorno a casa, spinto dal suo desiderio di sa- che estendere ad altri motivi. Nella Gerusalemme li-
pere e di fare esperienza degli uomini; Dante che berata (XVI, 15) il poeta invita a cogliere la rosa del-
compie concretamente con il corpo nell’al di là quel- la giovinezza, prima che appassisca: “[Come la rosa],
l’itinerarium mentis in Deum, che i mistici medioeva- il verde fiore [della giovinezza] se ne va con il tra-
li compievano soltanto con la mente. scorrere dei giorni della nostra vita mortale. E, se an-
7. Nella canzone però è anche un riferimento al sole che aprile (=la giovinezza) fa ritorno, essa (= la rosa e
che nel Cantico delle creature come in tutte le reli- la giovinezza) non rifiorisce né rinverdisce mai più.
gioni è il simbolo della divinità. Il poeta però rifiuta Cogliamo la rosa nel bel mattino di questo giorno,
qualsiasi riferimento ultraterreno. Gli dei sono il de- che ben presto perde il suo fulgore [perché volge alla
stino, la condizione umana, non sono mai realtà ultra- sera]. Cogliamo la rosa dell’amore ed amiamo ora,
terrene. E la vita umana si deve accontentare della quando si può amare ed essere riamati”. Ma esso ha
giovinezza con la sua tenue felicità, rappresentata tre fonti di ispirazione e di valori che gli riempiono e
dalla luna. La felicità completa forse c’è, forse è la che danno senso alla sua vita: i piaceri sensuali di una
giovinezza congiunta con la bellezza e con l’amore. vita secondo natura, la ricerca della fama e della glo-
Ma egli non l’ha provata. E la maturità e la vecchiaia ria ed anche della ricchezza di una vita secondo so-
sono ugualmente infelici: la prima, quando c’è, fa co- cietà, la pratica dei valori morali di una vita secondo
noscere la fine delle speranze e delle illusioni; la se- religione. Quanto a numero di valori non era messo
conda fa conoscere l’inizio di quelle sofferenze che si male; ma finiva in crisi ogni volta che cercava di ren-
concludono soltanto alla fine della vita con la morte. derli compatibili.
Eppure la morte non è invocata, è soltanto la consta- 12. Un altro riferimento si può fare ai versi iniziali
tazione che la vita è giovinezza (ma non per il poeta) del Giorno (1763) di Giuseppe Parini (1729-1799):
senza séguito di felicità, è dolore e morte. “Sorge il Mattino in compagnia dell’alba, Innanzi al
8. Il riferimento e il confronto con il Cantico delle Sol che di poi grande appare sull’estremo orizzon-
creature si può estendere anche altrove: Francesco te...”, e poi si passa al contadino che si alza dal letto,
accetta da Dio il bello come il cattivo tempo, le ma- lascia a casa la moglie e i figli e va a lavorare con il
lattie come le sofferenze, compresa la morte. Dio è bue.
buono e ama le sue creature e, se c’è il dolore, vuol ---I☺I---
dire che anche la sofferenza ha un senso. La vita in
ogni caso ha un senso: la salvezza eterna. Leopardi
non riesce a trovare nessun senso alla vita né al dolo-
re. Non ha senso l’universo, la vita umana si conclude
con l’abisso orrendo che è la morte, e tutti gli esseri
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 326
Le Operette morali, 1827 no due leoni mezzo morti di fame, che divorano
l’islandese. Così, almeno per quel giorno, sopravvi-
Le Operette morali (1827, 1835, 1847) affrontano in vono alla morte. Altri invece dicono che un vento
modo più sistematico e riflessivo i temi degli idilli. violentissimo lo seppellisce sotto la sabbia. Da qui è
Nel Dialogo della Natura e di un Islandese (1824) dissotterrato e collocato in un museo di una qualche
Leopardi affronta il tema dei rapporti dell’uomo con città dell’Europa.
la natura e del significato del dolore nell’esistenza
degli esseri viventi. La trama è la seguente: Commento
1. L’operetta morale non ha precedenti nella storia
della letteratura italiana: è nello stesso tempo opera di
Dialogo della Natura e di un Islandese,
prosa, di poesia e di filosofia.
1824 2. Essa ha una struttura dialogica e non propone veri-
tà a cui credere. La risposta resta problematica, pos-
Riassunto. Un islandese, che aveva girato tutto il sibile, aperta. L’autore vuole affrontare e discutere le
mondo, giunge in Africa, sotto l’equatore. Qui, con questioni, non proporre soluzioni dogmatiche, valide
l’aspetto di una donna gigantesca, incontra la Natura, una volta per tutte.
la sua mortale nemica. Tra uomo e Natura inizia un 3. Il tema dell’operetta è stato trattato più volte anche
dialogo. L’islandese dice che l’ha sempre fuggita. La negli idilli. Ogni volta però il poeta sa riesaminare e
Natura allora gli chiede perché. L’uomo ne spiega il ridiscutere le conclusioni a cui è pervenuto. La scelta
motivo raccontando la sua storia. Fin da giovane vide del dialogo è funzionale a questo scopo. Prima di lui
la vanità della vita e la stoltezza degli uomini: essi la scelta del dialogo – per sua natura aperto ed anti-
cercano piaceri che non dilettano e si fanno infiniti dogmatico – era stata fatta da Galileo Galilei (1564-
mali che potrebbero evitare. Egli perciò, volendo evi- 1642) e dal filosofo ateniese Platone (427-347 a.C.).
tare di recare e di subire offese, cerca una vita oscura Ad esempio qui il poeta cerca di approfondire la que-
e tranquilla. Ma non la trova. Egli si libera degli uo- stione, proponendo questa risposta alla realtà del do-
mini e delle loro molestie abbandonando la vita so- lore: nascita e distruzione sono ugualmente inevitabili
ciale. Tuttavia, pur vivendo privandosi di ogni piace- e necessarie, perché danno l’esistenza alla natura. Se
re, non riusciva ad evitare i patimenti: la sua isola era ne mancasse una, mancherebbe anche l’altra; e la na-
fredda d’inverno, calda d’estate, e poi c’era il costan- tura annichilirebbe. Nel posteriore Canto notturno di
te pericolo dei vulcani. Perciò egli la lascia e cerca un pastore errante dell’Asia (1829-30) il poeta fa un
altrove un luogo più vivibile. Ma ogni luogo della ter- dialogo solitario con la luna e scopre il dolore univer-
ra che visita ha i suoi pericoli, tanto che egli pensa sale, che coinvolge indistintamente tutti gli esseri vi-
che la Natura avesse destinato all’uomo un unico venti. In tal modo dal pessimismo storico perviene al
luogo della terra dove vivere e che perciò l’uomo do- pessimismo cosmico.
vesse incolpare se stesso delle sue sofferenze. Egli 4. Il pessimismo di Leopardi ribadisce il valore della
però non trova nessun luogo dove poter vivere senza vita e il disvalore della morte. Mezzo secolo dopo
incorrere in malattie, pur astenendosi da ogni piacere. Giovanni Verga (1840-1922) propone un pessimismo
Ed ora vede già che la vecchiaia sta tristemente so- assoluto e senza speranza nella novella Fantastiche-
praggiungendo. La Natura risponde che lei non ha ria (1878-79) come nelle altre sue opere: il mondo è
fatto il mondo per l’uomo e che non si preoccupa né fatto di vinti, chi cerca di uscire dalle sue dure condi-
della felicità né dell’infelicità umana. Anzi non si ac- zioni di vita e dalla sua collocazione sociale va incon-
corge nemmeno se provoca felicità o infelicità agli tro alla rovina e in essa coinvolge anche i suoi cari;
uomini. L’uomo allora risponde con un esempio: meglio per coloro che sono morti perché non soffrono
immaginiamo che un ricco m’inviti nella sua villa e più; e fortunati coloro che non sono nati, perché evi-
che io, per compiacerlo, ci vada. Qui egli mi fa man- tano una vita fatta soltanto di sofferenze.
giare e dormire male e mi fa bastonare dai servi. Se io 5. Le risposte che Leopardi propone dei problemi fi-
mi lamentassi dei maltrattamenti e se egli mi rispon- losofici si inseriscono nella filosofia atea e materiali-
desse che non ha costruito la villa per me, io allora gli stica del Settecento, che si può riassumere nella tesi
chiederei perché mi ha invitato: non gli ho chiesto io di Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794), l’iniziato-
di andare. L’islandese pone la stessa domanda alla re della chimica moderna, secondo cui “nulla si crea,
Natura: perché l’ha messo al mondo, perché lo rico- nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”.
pre di dolori e qual è il senso dell’universo? La Natu- 6. La problematica sull’uomo e sulla natura, che il
ra risponde che la vita dell’universo è un ciclo infini- poeta affronta, è ancora quella di una società pre-
to di produzione e di distruzione, ognuna delle quali industriale, in cui l’uomo è costantemente in balìa
alimenta l’altra. Perciò, se cessa una delle due, cessa delle forze della natura. La rivoluzione industriale in-
anche l’altra, e l’universo si dissolverebbe. La soffe- glese (1770), che rovescia i rapporti di forza tra uomo
renza è quindi necessaria. L’islandese allora chiede e natura, farà sentire il suo impatto in Italia soltanto a
che senso ha la vita dell’universo, se è conservata con metà Novecento.
la sofferenza e la morte di tutti gli esseri che lo com- 7. La natura è riscoperta a partire dal Quattrocento.
pongono. La Natura sta rispondendo, quando giungo- L’Umanesimo ne mette in luce la bellezza sensuale e
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 327
la struttura ordinata mediante la prospettiva. Ariosto
ne coglie il carattere rigoglioso e la fa diventare il
teatro delle avventure delle sue dame e dei suoi cava-
lieri. Tasso la considera il luogo di una felicità perdu-
ta (l’età dell’oro), ma anche il luogo che con le sue
seduzioni pagane affascina e tenta l’uomo. Galilei ne
coglie l’estrema ed imprevedibile ricchezza, e ne in-
dica la struttura matematica, che l’uomo può cono-
scere. Gli arcadi si rifugiano in essa, per alleviare i
loro affanni amorosi. Leopardi ne sottolinea la straor-
dinaria bellezza, ma anche l’insidia che contiene: il
dolore. Nell’Ottocento – dal Romanticismo al Veri-
smo al Decadentismo – appariranno altre immagini
della natura. Parallelamente anche gli artisti scopro-
no, dal Quattrocento in poi, i molteplici aspetti in cui
la natura si presenta ai loro occhi. Ogni autore ed o-
gni movimento quindi la interpreta e la presenta in
modo diverso e con una sensibilità diversa.
8. Dai Piccoli idilli alle Operette morali, ai Grandi
idilli rimane immutato l’atteggiamento riflessivo e
contemplativo dell’autore verso i problemi e verso la
realtà. I momenti di maggiore estroversione sono i
dialoghi immaginari dell’islandese con la Natura o
del pastore con la luna. Il suo approccio meditativo
alla realtà è ben diverso da quello romantico-
passionale di Foscolo e da quello intellettualmente e
politicamente aggressivo di Manzoni, che proietta la
sua fede militante sulla realtà.
9. La visione pessimistica della vita di Leopardi può
essere opportunamente paragonata con quella di Fo-
scolo e di Manzoni, e anche con quella posteriore di
Verga. La stessa cosa si può fare con il tema del dolo-
re e della morte, e con il tema del rapporto tra l’uomo
e la natura.
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Madre de’ Santi, immagine 1. [Tu, o Chiesa terrena,] Madre dei battezzati;
della città superna; fatta ad immagine della città celeste;
del Sangue incorruttibile che conservi per l’eternità
conservatrice eterna; il sangue incorruttibile [di Cristo];
tu che, da tanti secoli, tu che, da tanti secoli, soffri [le persecuzioni],
soffri, combatti e preghi, combatti [per la fede] e preghi
che le tue tende spieghi [per i vivi e per i morti];
Dall’uno all’altro mar; che ti estendi su tutta la terra;
Campo di quei che sperano; 2. [tu che sei] il campo di coloro che sperano
Chiesa del Dio vivente; [nella resurrezione della carne e nella vita eterna];
dov’eri mai? qual angolo tu, o Chiesa del Dio che vive in te;
ti raccogliea nascente, dov’eri mai? quale luogo riposto ti accoglieva
quando il tuo Re, dai perfidi agli inizi, quando il tuo Re, condotto dai carnefici
tratto a morir sul colle a morire sul colle (=il Golgota), imporporò
imporporò le zolle con il suo sangue la terra
del suo sublime altar? del suo sublime sacrificio?
Dagli atrii muscosi, dai fori cadenti, 1. Dagli antichi palazzi ricoperti di muschio, dalle
dai boschi, dall’arse fucine stridenti, piazze abbandonate, dai boschi, dalle officine riarse
dai solchi bagnati di servo sudor, dal fuoco e rumorose per il lavoro, dai campi bagnati
un volgo disperso repente si desta; dal sudore [di un popolo] asservito, una plebaglia di-
intende l’orecchio, solleva la testa visa rapidamente si sveglia, tende l’orecchio, solleva
percosso da novo crescente romor. 6 il capo, colpita da una nuova e sempre più diffusa no-
tizia.
Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
qual raggio di sole da nuvoli folti, 2. Dagli sguardi dubbiosi, dai visi timorosi – come un
traluce de’ padri la fiera virtù: raggio di sole in mezzo a nuvole spesse – traluce il
ne’ guardi, ne’ volti, confuso ed incerto superbo valore degli antichi romani: negli sguardi,
si mesce e discorda lo spregio sofferto nei visi, confuso ed incerto, si mescola e contrasta il
col misero orgoglio d’un tempo che fu. 12 disprezzo sofferto con il misero orgoglio di un tempo
ormai passato.
S’aduna voglioso, si sperde tremante,
per torti sentieri, con passo vagante, 3. Si raduna desiderosa [di sapere], si disperde im-
fra tema e desire, s’avanza e ristà; paurita [della sua audacia], per sentieri tortuosi, con
e adocchia e rimira scorata e confusa passo indeciso; fra timore e desiderio avanza e si
de’ crudi signori la turba diffusa, ferma; e guarda e riguarda, scoraggiata e confusa, la
che fugge dai brandi, che sosta non ha. 18 turba dispersa dei crudeli signori, che fugge lontano
dalle spade dei nemici e che non si ferma.
Ansanti li vede, quai trepide fere,
irsuti per tema le fulve criniere, 4. Li vede ansanti – come fiere impaurite –, con le
le note latebre del covo cercar; lunghe chiome rossicce rese irte dalla paura, cercare
e quivi, deposta l’usata minaccia, la familiare oscurità del nascondiglio; e qui, lasciato
le donne superbe, con pallida faccia, il consueto atteggiamento minaccioso, le donne su-
i figli pensosi pensose guatar. 24 perbe, con il viso pallido, guardare pensierose i figli
pensierosi.
E sopra i fuggenti, con avido brando,
quai cani disciolti, correndo, frugando, 5. E sopra i fuggitivi, con la spada assetata di sangue
da ritta, da manca, guerrieri venir: – come cani lasciati liberi – correndo, frugando, da
li vede, e rapito d’ignoto contento, destra, da sinistra vengono i guerrieri nemici: [la ple-
con l’agile speme precorre l’evento, baglia divisa] li vede e, rapita da una contentezza
e sogna la fine del duro servir. 30 sconosciuta, con agile speranza anticipa l’avve-
nimento e sogna la fine della sua dura servitù.
Udite! Quei forti che tengono il campo,
che ai vostri tiranni precludon lo scampo, 6. Udite! Quei forti guerrieri che tengono il campo [di
son giunti da lunge, per aspri sentier: battaglia], che precludono le vie di fuga ai vostri ti-
sospeser le gioie dei prandi festosi, ranni, son giunti da lontano, per sentieri difficili: so-
assursero in fretta dai blandi riposi, spesero le gioie di banchetti festosi, sorsero in fretta
chiamati repente da squillo guerrier. 36 da ozii piacevoli, chiamati repentinamente dalla
tromba di guerra.
Lasciar nelle sale del tetto natio
le donne accorate, tornanti all’addio, 7. Essi lasciarono nelle sale della dimora nativa le
a preghi e consigli che il pianto troncò: donne accorate, che ripetevano l’addio, le preghiere, i
han carca la fronte de’ pesti cimieri, consigli, che il pianto interruppe: hanno la fronte ca-
han poste le selle sui bruni corsieri, rica degli elmi ammaccati, hanno posto le selle sui
volaron sul ponte che cupo sonò. 42 loro bruni cavalli, volarono sul ponte levatoio, che
risuonò cupamente.
A torme, di terra passarono in terra,
cantando giulive canzoni di guerra, 8. A schiere passarono di terra in terra, cantando
ma i dolci castelli pensando nel cor: gioiose canzoni di guerra, ma pensando nel cuore ai
per valli petrose, per balzi dirotti, dolci castelli: per valli pietrose, per dirupi scoscesi
vegliaron nell’arme le gelide notti, vegliarono in armi nelle notti gelide, ricordando i
membrando i fidati colloqui d’amor. 46 confidenti colloqui d’amore.
E il premio sperato, promesso a quei forti, 10. E il premio sperato, promesso a quei forti [guer-
sarebbe, o delusi, rivolger le sorti, rieri], sarebbe, o illusi!, mutare la sorte, porre fine al
d’un volgo straniero por fine al dolor? dolore di una plebe straniera? Ritornate alle vostre
Tornate alle vostre superbe ruine, superbe rovine, alle opere servili delle officine riarse
all’opere imbelli dell’arse officine, dal fuoco, ai solchi bagnati da sudore servile.
ai solchi bagnati di servo sudor. 58
11. Il vincitore si mescola con il nemico vinto, con il
Il forte si mesce col vinto nemico, nuovo signore rimane l’antico; un popolo e l’altro vi
col novo signore rimane l’antico; stanno sul collo. Dividono i servi, dividono gli ar-
l’un popolo e l’altro sul collo vi sta. menti; si insediano insieme sui campi insanguinati di
Dividono i servi, dividon gli armenti; una plebaglia divisa, che non ha neppure il nome.
si posano insieme sui campi cruenti
d’un volgo disperso che nome non ha. 64
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Riassunto. 1. Dagli antichi palazzi in rovina e dai perciò la seguente: gli italici, se vogliono la libertà,
campi bagnati di sudore servile un volgo disperso al- non devono contare su aiuti stranieri; devono lottare
za la testa, colpito da una inattesa notizia. 2. Nei suoi con le proprie forze.
occhi dubbiosi traspare il coraggio degli antichi ro- 2. La tragedia ha una dimensione religiosa e politica.
mani; e l’umiliazione presente contrasta con il misero a) Essa affronta il problema del male e del dolore nel-
orgoglio per la grandezza del passato. 3. Si raduna e la vita umana e nella storia: Adelchi e la sorella Er-
si disperde, e guarda con speranza i crudeli oppressori mengarda appartengono al popolo degli oppressori
che fuggono davanti ai nemici. 4. Vede i superbi eppure essi stessi sentono il peso dell’ingiustizia e
guerrieri cercare i nascondigli del loro covo; e vede le dell’oppressione. Adelchi muore in difesa del suo po-
loro donne pallide guardare i figli. 5. Vede i vincitori polo. Ermengarda è ripudiata da Carlo, che essa ama-
inseguire gli sconfitti; e spera che siano giunti per va, e costretta a ritirarsi in convento: soltanto la morte
porre fine alla loro servitù. 6. Ma i vincitori sono sembra l’unica via d’uscita ad una vita di dolore. Car-
giunti da lontano, hanno interrotto la vita festosa per lo accorre in aiuto della Chiesa, minacciata dai lon-
impugnare le armi. 7. Hanno lasciato le loro donne e i gobardi; ma non è immune dalla violenza: ripudia la
loro castelli. 8. Hanno affrontato marce forzate e notti moglie per un’altra donna. Per lo scrittore resta irri-
gelide, pensando sempre alle loro dimore e ai collo- solto il problema ed il mistero del male nella storia.
qui d’amore. 9. Hanno sopportato la fame e rischiato b) Essa è anche il dramma di tre popoli: i longobardi
la vita in battaglia. 10. E il premio sperato, promesso opprimono gli italici; ma sentono a loro volta l’ama-
a quei forti, sarebbe quello di liberare un volgo stra- rezza della sconfitta. Gli italici sperano che i franchi
niero dall’oppressione? Gli italici si illudono, e pos- vincitori siano venuti a liberarli dall’oppressione lon-
sono tornare alle loro attività servili. 11. Il vincitore si gobarda. Ma la speranza dura poco: essi devono ora
mescola con il nemico vinto. Con il nuovo signore subire anche l’oppressione dei nuovi vincitori, che si
rimane anche l’antico: due oppressori ora pesano sul- alleano con gli antichi signori. I franchi scendono in
le spalle di un volgo che non ha nemmeno il nome. Italia per difendere la Chiesa, e sconfiggono i longo-
bardi. Essi però non hanno affrontato i pericoli per
Commento niente: dividono i servi e gli armenti dei longobardi
1. Il coro si può dividere in due parti: a) nella prima sconfitti. Così gli italici hanno un nuovo oppressore.
gli italici vedono i longobardi in fuga davanti ai fran- 3. Il poeta interviene direttamente nel coro, con du-
chi, e sperano che i franchi siano venuti a liberarli rezza e sarcasmo, nei confronti degli italici: “Udite!
dalla servitù; b) nella seconda il poeta interviene con Quei prodi che tengono il campo...”. Essi sono degli
una argomentazione: i franchi non hanno lasciato le illusi, se sperano che i franchi siano venuti a liberarli
loro dimore né hanno affrontato mille pericoli per ve- dall’oppressione longobarda. Egli fonde riflessione
nire a liberare un volgo straniero. Gli italici possono storica e ragionamento politico: i franchi non possono
perciò abbandonare la speranza di vedere finita la lo- avere affrontato tanti rischi per liberare un volgo di-
ro servitù: vincitori e vinti si uniscono e l’oppressione sperso; essi, realisticamente, li hanno affrontato in vi-
diventa ancora più grave. La conclusione, implicita, è sta del bottino che potevano conquistare. Altre argo-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 336
mentazioni si trovano in Marzo 1821: gli oppressori Marzo 1821 (1821, pubblicata nel 1848) è scritta in
hanno tradito le promesse di libertà che avevano fatto occasione dei moti piemontesi del 1821. Il poeta im-
quando Napoleone li opprimeva; Dio non può per- magina che i patrioti piemontesi si uniscano ai patrio-
mettere che un popolo sia oppresso da un altro. Ma ti lombardi per cacciare gli oppressori – l’impero a-
gli oppressi devono conquistare la loro libertà con le sburgico – dall’Italia. Ciò succede effettivamente 27
armi e il proprio sangue. anni dopo, nel 1848, quando scoppia la prima (e sfor-
4. Il poeta collega queste antiche vicende con la si- tunata) guerra d’indipendenza: l’esercito di Carlo Al-
tuazione politica presente: gli italiani sono oppressi berto accorre in aiuto dei milanesi insorti e insieme
dall’impero asburgico; ad essi indica la via per riac- cacciano il nemico. Il motivo politico però si fonde
quistare la libertà: non sperare nell’aiuto di altri po- con quello religioso: Dio non vuole che ci siano po-
poli, ma impugnare le armi e combattere. Questa tesi poli oppressi e si schiera con questi contro gli oppres-
è ribadita con forza anche in Marzo 1821. sori. E tuttavia gli italiani, se vogliono la libertà, non
5. La fede del poeta non è imbelle, è combattiva; e devono aspettarla né da Dio né da altri popoli: se la
non intende porgere l’altra guancia. I rapporti del po- devono conquistare con le loro forze e con il loro
eta con la Chiesa non sono mai stati facili. La sua fe- sangue. Nell’ode quindi motivazioni religiose e moti-
de non gli impedisce di ritenere positiva la fine del vazioni patriotiche si fondono intimamente.
potere temporale della Chiesa (per questo motivo ac-
cetta la cittadinanza onoraria di Roma); né gli impe-
disce di pensare che Roma è l’unica capitale che
l’Italia unificata può aspirare di avere.
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Alla illustre memoria di Teodoro Koerner poeta e Alla illustre memoria di Teodoro Koerner poeta e
soldato della indipendenza germanica morto sul soldato della indipendenza germanica morto sul
campo di Lipsia il giorno XVIII d’ottobre campo di Lipsia il giorno XVIII d’ottobre 1813 nome
MDCCCXIII nome caro a tutti i popoli che combat- caro a tutti i popoli che combattono per difendere o
tono per difendere o per riconquistare una patria per riconquistare una patria
I 1.
Ei fu. Siccome immobile, È morto. Come la salma,
dato il mortal sospiro, esalato l’ultimo respiro,
stette la spoglia immemore giacque inerte,
orba di tanto spiro, privata di uno spirito così grande,
così percossa, attonita così la terra è colpita e stupefatta
la terra al nunzio sta, per l’improvvisa notizia,
III 3.
Lui folgorante in solio Il mio genio poetico lo vide
vide il mio genio e tacque; sfolgorante sul trono, e tacque;
quando, con vece assidua, quando, con avvicendarsi rapido,
cadde, risorse e giacque, cadde, risorse e giacque [definitivamente sconfitto],
di mille voci al sònito non ha mescolato la sua voce al frastuono [di osanna
mista la sua non ha: e di vituperi] di mille altre voci:
V 5.
Dall’Alpi alle Piramidi, Dalle Alpi alle piramidi, dal Manzanarre (=Spagna)
dal Manzanarre al Reno, al Reno (=Germania), il fulmine (=l’effetto
di quel securo il fulmine pratico dell’azione) di quell’uomo sicuro
tenea dietro al baleno; [di sé e fiducioso nella sorte] teneva dietro al lampo
scoppiò da Scilla al Tanai, (=l’ideazione dei piani militari); scoppiò dalla Sicilia
dall’uno all’altro mar. al Don (=Russia), dall’uno all’altro mare.
VI 6.
Fu vera gloria? Ai posteri Fu vera gloria (=la gloria militare)? Ai posteri
l’ardua sentenza: nui [spetta] il difficile giudizio: noi
chiniam la fronte al Massimo chiniamo il capo davanti a Dio,
Fattor, che volle in lui il quale volle lasciare in lui
del creator suo spirito un segno più grande
più vasta orma stampar. della sua potenza creatrice.
IX 9.
Ei si nomò: due secoli, Egli impose la sua volontà: due secoli,
l’un contro l’altro armato, armati l’uno contro l’altro,
sommessi a lui si volsero, sottomessi a lui si volsero,
come aspettando il fato; come per aspettare il loro destino;
ei fe’ silenzio, ed arbitro egli impose il silenzio, e come arbitro
s’assise in mezzo a lor. si sedette in mezzo a loro.
XI 11.
Come sul capo al naufrago Come l’onda si abbatte e pesa
l’onda s’avvolve e pesa, sul capo del naufrago –
l’onda su cui del misero, l’onda sulla quale soltanto poco prima
alta pur dianzi e tesa, lo sguardo del misero
scorrea la vista a scernere scorreva alto e proteso a discernere
prode remote invan; invano approdi lontani –;
XIII 13.
Oh quante volte, al tacito Oh quante volte, al tramonto
morir d’un giorno inerte, silenzioso di un giorno trascorso nell’inerzia,
chinati i rai fulminei, abbassati gli occhi sfolgoranti,
le braccia al sen conserte, le braccia conserte sul petto,
stette, e dei dì che furono stette [immobile], e fu assalito
l’assalse il sovvenir! dal ricordo dei giorni passati!
XVII 17.
Bella Immortal! benefica O bella Immortale! O benefica
Fede ai trïonfi avvezza! Fede, abituata a vincere!
Scrivi ancor questo, allegrati; Scrivi anche questa vittoria, rallegrati;
ché più superba altezza perché un uomo più grande e più superbo
al disonor del Gòlgota non chinò mai il suo capo
giammai non si chinò. davanti alla Croce.
Riassunto. Tutta la terra è stupita e silenziosa alla no- tempi lunghi a cui è solito. Si lamenta per primo delle
tizia della morte di Napoleone. Manzoni, che non lo imperfezioni metriche e stilistiche. In effetti sul piano
ha adulato quand’era potente né l’ha oltraggiato artistico l’ode non è paragonabile ad opere coeve co-
quando rimase sconfitto (come avevano fatto gli altri me il coro dell’atto III dell’Adelchi o Marzo 1821.
intellettuali), esprime ora il suo giudizio, che è del 2. Egli dà un giudizio durissimo sugli intellettuali,
tutto positivo. Il genio militare di Napoleone si di- che hanno celebrato Napoleone quando era vincitore
spiegò in tutta Europa. Fu vera gloria? Il poeta sem- e l’hanno oltraggiato quando fu sconfitto. La stessa
bra lasciare ai posteri il compito di dare il difficile condanna si trova anche nei Promessi sposi.
giudizio (in realtà lo dà alla fine dell’ode). Napoleone 3. Manzoni immagina che Napoleone alla fine della
dominò due secoli e con le sue armate diffuse gli ide- vita sia stato toccato dalla fede: come era successo a
ali della rivoluzione francese (fraternità, uguaglianza lui e come succederà all’Innominato. La fede manzo-
e libertà, e patria). Questo è stato il compito che la niana però non è soffocante né totalitaria né integrali-
Provvidenza, di cui era strumento, gli ha fatto svolge- sta né apologetica. Essa tiene presente anche altri
re. Dopo la gloria militare sui campi di battaglia, egli punti di vista – quello politico, economico, sociale
si sentì oppresso dai ricordi nella piccola isola di ecc. –, che cerca di inquadrare in una visione più va-
Sant’Elena, e fu preso dalla disperazione. A questo sta, organica ed onnicomprensiva dell’uomo e della
punto però su di lui discese la Fede, che lo avviò per i storia.
sentieri della speranza, ai campi eterni, dove non ha 4. Manzoni quindi dà di Napoleone un duplice giudi-
alcun valore la gloria militare che ha conquistato sul- zio: terreno (Napoleone raggiunse la più grande glo-
la terra (questo è il giudizio del poeta). E, mentre gli ria terrena e, strumento della Provvidenza divina, dif-
uomini mostrano di averlo già dimenticato, Dio viene fuse gli ideali della Rivoluzione francese – e del Van-
al suo capezzale, per fargli la veglia funebre. gelo –, oltre che l’ideale di patria), ma anche ultrater-
reno (Dio volle stampare in Napoleone il simbolo più
Commento grande della sua potenza creatrice; in cielo la sua glo-
1. Manzoni usa versi facili e orecchiabili, perché sol- ria militare non ha alcun valore). Il giudizio politico e
tanto in essi poteva incanalare la sua fretta di espri- quello religioso si fondono nella conversione spiritua-
mere il suo giudizio su Napoleone: l’ode è scritta in le che coinvolge anche Napoleone (e che aveva già
soli tre giorni, un tempo brevissimo rispetto ai toccato il poeta).
La morte sta anniscosta in ne l’orloggi; Oh teste, vere teste da testiera (=da somaro)!
e ggnisuno pò ddì: ddomani ancora Tante ciarle per dire come si muore!
sentirò bbatte er mezzoggiorno d’oggi. due febbroni, a voi, qualche dolore,
una contrazione delle gambe, e buona sera.
Cosa fa er pellegrino poverello
ne l’intraprenne un viaggio de quarc’ora? Dal momento che ogni cazzaccio fa il dottore,
Porta un pezzo de pane, e abbasta quello. e sputa in cattedra e fa ipotesi e spera
27 ottobre 1834 di pesare l’aria dentro la stadera (=bilancia),
se ne hanno da sentire di ogni colore.
d) Gli Stati del Cinque-Settecento sono sovra-nazio- Dall’Alpi allo Stretto fratelli siam tutti!
nali: molti popoli convivevano pacificamente o quasi. Su i limiti (=confini) schiusi, su i troni distrutti
I sovrani avevano l’abitudine di farsi guerra, ma – piantiamo i comuni tre nostri color
nelle compagnie di ventura – si moriva più per malat- il verde, la speme (=la speranza) tant’anni pasciuta;
tie o mancanza di igiene che per ferite. I sovrani non il rosso, la gioia d’averla compiuta;
volevano rovinare il loro giocatolo costoso, l’esercito, il bianco, la fede fraterna d’amor.
preferivano fare manovre, ma non mandarlo sul cam-
po di battaglia in assalti frontali all’ultimo sangue. Su, Italia! su, in armi! Venuto è il tuo dì!
Prima degli eserciti (in senso blando) nazionali o so- Dei re congiurati la tresca finì!
vranazionali c’erano le compagnie di ventura, ingag-
giate dal signore che voleva far la guerra al vicino. I Su, Italia novella! Su, libera ed una (=unita)!
soldati non avevano voglia di combattere e di farsi Mal abbia (=maledetto) chi a vasta, secura fortuna
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 353
l’angustia prepone d’auguste (=famose) città! al patire virtù!
Sien tutte le fide (=fedi) d’un solo stendardo! ---I☺I---
Su, tutti da tutte! Mal abbia (=maledetto) il codardo,
l’inetto che sogna parzial libertà. Va’, o mio pensiero, sulle ali dorate
Su, Italia! su, in armi! Venuto è il tuo dì! Va’, o mio pensiero, sulle ali dorate,
Dei re congiurati la tresca finì! va’, e posati sui pendii e sui colli,
dove profumano tiepide e molli
Voi chiusi nei borghi, voi sparsi alla villa, le arie dolci del suolo natale!
udite le trombe, sentite la squilla
che all’armi vi chiama del vostro Comun! Saluta le rive del Giordano
Fratelli, a’ fratelli correte in aiuto! e le torri abbattute di Sion (=Gerusalemme).
Gridate al Tedesco che guarda sparuto: O mia Patria così bella e per noi perduta,
l’Italia è concorde, non serve (=è serva) a nessun! o ricordo così caro e fatale!
Su, Italia! su, in armi! Venuto è il tuo dì! O arpa d’oro dei profeti,
Dei re congiurati la tresca finì! perché pendi muta dai salici?
Riaccendi le memorie nel petto,
Commento cantaci del tempo che fu (=la patria perduta)!
1. “All’armi!”: alle armi!, impugnate le armi!
2. La terza strofa va tradotta: O arpa, fai risuonare un cupo lamento
Risorgi, o nuova Italia! Risorgi, libera e unita! simile alla sorte di Gerusalemme!
Sia maledetto chi a una grande, sicura fortuna Oh, il Signore ti ispiri un canto corale,
antepone la piccolezza di famose città! che infonda coraggio alla nostra sofferenza,
Le fedi si rivolgano tutte a una sola bandiera! che infonda coraggio alla nostra sofferenza,
Risorgete, tutti da tutte le città! Sia maledetto il co- alla nostra sofferenza!
dardo, l’incapace che sogna la libertà solo per alcu-
ni. Commento
3. “Dei re congiurati la tresca finì!”: il verso si riferi- 1. Il coro affronta il problema della patria in termini
sce ai moti del 1830-31, quando i re dei vari Staterelli universali: ogni popolo dev’essere libero. Il testo non
italiani si allearono e congiurano contro i patrioti che va letto (il testo è modestissimo), va cantato: il modo
cospiravano per liberare l’Italia dallo straniero. corretto per capirlo e apprezzarlo è sentirlo cantare
4. La metafora “Su, Italia” va resa esplicita. Indica “in coro”.
intellettuali, borghesi e nobili, ed esclude il popolo 2. Il concento della strofa finale significa: “un armo-
analfabeta o semi-analfabeta no. nioso accordo di più voci o suoni”, un “canto corale”.
-----------------------------I☺I----------------------------- 3. Il contesto del coro è questo: gli ebrei sono in esi-
lio e con il pensiero ritornano a casa, alla patria per-
Verdi Giuseppe (1813-1901), Nabucco, duta.
coro, 1842 4. una osservazione: intellettuali, borghesi e nobili
vanno a teatro, il popolo analfabeta o semi-analfabeta
no. Il suo problema quotidiano era banalmente avere
Va, pensiero, sull’ali dorate, cibo sufficiente.
va, ti posa sui clivi, sui colli, -----------------------------I☺I-----------------------------
ove olezzano (=profumano) tepide e molli
l’aure dolci del suolo natal!
Bosi Carlo Alberto (1813-1886), Addio,
Del Giordano le rive saluta, mia bella, addio, 1848
di Sionne le torri atterrate.
O mia Patria sì bella e perduta, Addio, mia bella, addio:
o membranza (=ricordo) sì cara e fatal! l’armata se ne va;
se non partissi anch’io
Arpa d’or dei fatidici vati sarebbe una viltà!
perché muta dai salici pendi?
Le memorie nel petto riaccendi, Non pianger, mio tesoro:
ci favella (=cantaci) del tempo che fu! forse ritornerò;
ma se in battaglia io moro
O simile di Solima (=Gerusalemme) ai fati in ciel ti rivedrò.
traggi un suono di cupo lamento
oh t’ispiri il Signore, un concento La spada, le pistole,
che ne infonda al patire virtù, lo schioppo li ho con me:
che ne infonda al patire virtù, all’apparir del sole
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 354
mi partirò da te! Dall’Ongaro Francesco (1808-1873), La
bandiera tricolore, 1848
Il sacco preparato
sull’òmero mi sta;
E la bandiera di tre colori
son uomo e son soldato:
sempre è stata la più bella:
viva la libertà!
noi vogliamo sempre quella,
noi vogliam la libertà!
Non è fraterna guerra
la guerra ch’io farò;
E la bandiera gialla e nera (=degli Asburgo)
dall’italiana terra
qui ha finito di regnare,
lo straniero caccerò.
la bandiera gialla e nera
qui ha finito di regnare.
L’antica tirannia
grava l’Italia ancor:
Tutti uniti in un sol patto,
io vado in Lombardia
stretti intorno alla bandiera,
incontro all’oppressor.
griderem mattina e sera:
viva, viva i tre color!
Saran tremende l’ire (=gli scontri),
grande il morir sarà!
Commento
Si muora: è un bel morire
1. L’inno è molto semplice, deve anzi essere facile e
morir per la libertà.
orecchiabile. Ma nell’Italia del tempo l’analfabetismo
era diffusissimo e i patrioti sono soltanto letterati, non
Tra quanti moriranno
sono porofessionisti della penna.
forse ancor io morrò:
-----------------------------I☺I-----------------------------
non ti pigliare affanno,
da vile non cadrò.
Mameli Goffredo (1827-1849), Fratelli
Se più del tuo diletto (=innamorato) d’Italia, 1848
tu non udrai parlar,
perito (=morto da un colpo) di moschetto
Fratelli d’Italia,
per lui non sospirar.
l’Italia s’è desta,
dell’elmo di Scipio
Io non ti lascio sola,
s’è cinta la testa.
ti resta un figlio ancor:
Dov’è la vittoria?
nel figlio ti consola,
Le porga la chioma
nel figlio dell’amor!
ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Squilla la tromba... Addio...
L’armata se ne va...
Stringiamoci a coorte,
Un bacio al figlio mio!
siam pronti alla morte
Viva la libertà!
l’Italia chiamò.
Commento
Noi siamo da secoli
1. L’inno, noto anche come L’addio del volontario
calpesti e derisi,
toscano, va confrontato con un canto di protesta suc-
perché non siam popolo,
cessivo, in cui il soldato non gradisce di lasciare la
perché siam divisi,
famiglia per andare a farsi ammazzare per la casa Sa-
raccolgaci un’unica
voia: O Gorizia, tu sei maledetta (1916).
bandiera, una speme (=speranza);
2. Il testo è semplice, chiaro e… didattico: fuga tutti i
di fonderci insieme
dubbi che un giovane o un patriota possa avere. Parti-
già l’ora suonò.
re è un dovere e io parto, forse morirò, ma non ti pre-
occupare, ti aspetto in cielo. Non morirò da vile. Se
Stringiamoci a coorte…
muoio, io non ti lascio sola, ti lascio un figlio che ti
consolerà. E, prima di partire, do un bacio a mio fi-
Uniamoci, amiamoci
glio. E viva la libertà dall’oppressore o dallo stranie-
l’unione e l’amore
ro.
rivelano ai popoli
3. Alle spalle del testo ci sono le canzonette del-
le vie del Signore.
l’Arcadia.
Giuriamo, far libero
-----------------------------I☺I-----------------------------
il suolo natìo;
uniti, per Dio!
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 355
Chi vincer ci può? Mercantini Luigi (1821-1872), Inno a Gari-
baldi, 1858
Stringiamoci a coorte…
All’armi! All’Armi!
Dall’Alpe a Sicilia
Si scopron le tombe,
ovunque è Legnano,
si levano i morti,
ogn’uom di Ferruccio
i martiri nostri
ha il cuore e la mano.
son tutti risorti.
I bimbi d’Italia
si chiaman Balilla.
Le spade nel pugno,
Il suon d’ogni squilla
gli allori alle chiome
i Vespri suonò.
la fiamma (=l’amor patrio) ed il nome
d’Italia sul cuor!
Stringiamoci a coorte…
Corriamo! Corriamo!
Evviva l’Italia!
su (=orsù, alzate), o giovani schiere,
Dal sonno s’è desta,
su al vento per tutto (=da per tutto)
dell’elmo di Scipio
le nostre bandiere,
s’è cinta la testa.
Dov’è la vittoria?
su (=orsù) tutti col ferro (=le armi),
Le porga la chioma
su tutti col fuoco (=l’amor patrio),
che schiava di Roma
su tutti col fuoco
Iddio la creò.
d’Italia nel cor.
Stringiamoci a coorte…
Va fuori d’Italia,
---I☺I---
Va fuori ch’è l’ora,
Va fuori d’Italia,
Commento
va fuori o stranier!
1. Publio Cornelio Scipione, detto l’Africano (235-
183 a.C.), il vincitore di Annibale a Zama (204 a.C.).
Commento
2. La coorte è l’unità, prima numerica e poi tattica,
1. Come gli altri, il canto è semplice, elementare, i
dell’esercito romano, composta di tre manipoli. Ogni
versi sono brevi e orecchiabili.
manipolo comprendeva 600 soldati.
2. Anche questo canto risorgimentale è impregnato di
4. Il testo unisce fede in Dio e religione della patria.
religione: le tombe si scoprono e i morti si alzano,
Nel mondo antico, greco e romano, succedeva nor-
come nel giudizio universale. I martiri è un altro ter-
malmente così. Anche negli USA o nella Russia di
mine religioso, che indica solamente i testimoni.
oggi. Il Cristianesimo è sentito come la religione del-
D’altra parte il Cristianesimo era diffuso in tutta Italia
la patria, anche se si deve cacciar via il papa dai ter-
ritori pontifici e da Roma. La storia ha sempre qual- e anche in Europa.
3. “Il ferro” indica le armi, la spada e la baionetta. I
che risvolto paradossale.
soldati andavano all’assalto frontale del nemico con
4. La quarta strofa fa riferimenti storici: a) A Legna-
la baionetta innestata. C’erano i cannoni e i fucili, ma
no la lega lombarda sconfigge l’imperatore Federico
i secondi facevano pochi danni: si caricavano per la
Barbarossa nel 1176. b) Ferruccio è Francesco Fer-
canna e l’operazione richiedeva qualche minuto. Il
rucci (1489-1530), un condottiero italiano al servizio
primo fucile efficiente è lo Chassepot francese a re-
della repubblica di Firenze. Nella battaglia di Gavi-
trocarica, che permette ai francesi di sconfiggere i ga-
nana, ferito e a terra, a Fabrizio Maramaldo, capitano
ribaldini a Mentana, vicino a Roma (1667). Aveva
delle truppe imperiali, che aveva ordinato di uccider-
una portata utile di m 1.200. I combattimenti cessano
lo, grida: “Vile, tu uccidi un uomo morto!”. c) Balilla
di essere all’arma bianca. O almeno dovrebbero ces-
(Giovan Battista Perasso, 1735-1781) è il ragazzo che
sare. E invece no: la prima guerra mondiale (1914-
nel 1746 a Genova scaglia un sasso contro le truppe
18) inizia ancora con questa strategia.
occupanti dell’impero asburgico e dà inizio alla rivol-
4. E si conclude con un’anafora (o ripetizione) sem-
ta. d) Nel 1282 i palermitani insorgono contro i fran-
plice ed efficace: “Va’ fuori” (oggi con l’apostrofo).
cesi, che li oberavano di tasse, e chiamano in loro
-----------------------------I☺I-----------------------------
aiuto gli spagnoli (Vespri siciliani). I francesi sono
cacciati.
-----------------------------I☺I-----------------------------
La poetica. Carducci né come poeta né come intellet- Le Rime nuove (1887) costituiscono la più ampia rac-
tuale può essere posto accanto ai grandi romantici di colta carducciana e contengono alcune delle poesie
primo Ottocento (Foscolo, Leopardi, Manzoni) o ai più note.
poeti decadenti di fine secolo (Pascoli, D’Annunzio):
i suoi ideali sono ideali letterari, che non fuoriescono San Martino, 1883
dall’ambito universitario in cui egli vive, per diventa-
re ideali civili, capaci d’intervenire sulla realtà politi- La nebbia a gl’irti colli
ca e sociale, come avevano saputo fare umanisti e piovigginando sale,
romantici. Egli è però un autore importante perché e sotto il maestrale
per oltre 40 anni (1863-1907) costituisce il punto di urla e biancheggia il mar;
riferimento della poesia italiana e l’espressione più
completa della cultura ufficiale e della classe dirigen- ma per le vie del borgo
te borghese. Il suo ritorno inoffensivo alla cultura e al dal ribollir de’ tini
mito della Roma classica diventa un comodo alibi per va l’aspro odor de i vini
nascondere con parole e immagini retoriche la mise- l’anime a rallegrar.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 369
Gira su’ ceppi accesi Traversando la Maremma toscana, 1885
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando Dolce paese, onde portai conforme
sull’uscio a rimirar l’abito fiero e lo sdegnoso canto
e il petto ov’odio e amor mai non s’addorme,
tra le rossastre nubi pur ti riveggo, e il cor mi balza in tanto.
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri, Ben riconosco in te le usate forme
nel vespero migrar. con gli occhi incerti tra ‘l sorriso e il pianto,
e in quelle seguo de’ miei sogni l’orme
San Martino erranti dietro il giovenile incanto.
La nebbia sale sulle colline irte, Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano;
mentre pioviggina, e sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
e sotto il vento di maestrale e dimani cadrò. Ma di lontano
il mare urla e biancheggia;
pace dicono al cuor le tue colline
ma per le vie del borgo con le nebbie sfumanti e il verde piano
dal ribollir dei tini ridente ne le pioggie mattutine.
l’aspro odore del vino [nuovo]
va a rallegrare gli animi. Attraversando la Maremma toscana
Riassunto. La nebbia sale sulle colline, mentre pio- Oh, ciò che ho amato, ciò che ho sognato fu vano;
viggina. Sotto il vento freddo di maestrale il mare ur- e sempre lottai, ma mai ottenni risultati;
la e biancheggia. Per le strade del paese si diffonde E domani la mia vita finirà. Ma in lontananza
l’odore del vino nuovo, che va a rallegrare gli animi.
Lo spiedo gira sopra i ceppi accesi, che scoppiettano. mi invitano alla pace le tue colline,
Sulla porta di casa il cacciatore fischia, mentre guar- con le nebbie che sfumano e la pianura verde,
da gli stormi di uccelli che si preparano a migrare che sorride nelle piogge del mattino.
nella sera.
Riassunto. Il poeta è felice nel rivedere la sua Ma-
Commento remma, da cui ha preso il suo carattere fiero e il suo
1. Le prime due quartine sono festose e veloci; le al- canto sdegnoso. Il paesaggio gli ricorda i suoi sogni
tre due rallentano il ritmo e si concludono in una (im- giovanili, i suoi odi e i suoi amori, che non hanno ot-
prevedibile ed incongrua) sensazione di tedio e di in- tenuto il risultato voluto. E perciò pensa alla morte
soddisfazione dell’animo: il profumo del vino nuovo che verrà. Ma in lontananza le colline lo invitano alla
e dell’arrosto non riescono a distogliere il cacciatore pace, con le loro nebbie che sfumano e con la pianura
dal desiderio di andarsene, come si stanno preparando che sorride nelle piogge del mattino.
a fare gli uccelli.
2. Le immagini, come i contrasti cromatici, sono Commento
semplici e chiare. Sono pure di facile comprensione il 1. Il poeta parla del suo animo indomito e della sua
paragone tra uccelli neri ed esuli pensieri, e il senti- lotta senza fine, che tuttavia è destinata a terminare
mento di tristezza e di insoddisfazione espresso dagli con la sconfitta. Egli professa un eroismo solitario e
aggettivi neri ed esuli. individualista, di lontana ascendenza romantica, e-
3. Il poeta riesce a presentare un quadretto paesaggi- spresso con un linguaggio limpido e classicheggiante.
stico e di vita quotidiana, ravvivato da versi orecchia- L’eroe passionale del Romanticismo diventa l’eroe
bili ed effervescenti, che colpiscono l’immaginazione classicamente virile, che si scontra con la realtà, a cui
e si fissano facilmente nella memoria. La poesia fa vuole imporre i suoi ideali, e che da questa è sconfit-
provare un rapido sentimento di malinconia, ma non to. Questa realtà avversa (la Storia, la Società, lo Sta-
riesce ad andare oltre.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 370
to, la Chiesa, i letterati, gli altri poeti?), destinata a ricoperto di bei fiori rossi,
sopraffarlo, non è ulteriormente precisata. nel giardino silenzioso e solitario
2. L’insoddisfazione e l’incapacità di rapportarsi agli è or ora tutto rinverdito,
altri emergono anche altrove, ad esempio in Pianto e il mese di giugno lo rinvigorisce
antico (1871), dove il poeta pensa soltanto al suo do- con la sua luce e il suo calore.
lore e dimentica il dolore della moglie per la morte
del figlio e quello dei figli per la morte del fratello, e Tu, o fiore della mia pianta (=o figlio mio)
in Alla stazione in una mattina d’autunno (1875-76), colpita dal dolore e divenuta arida;
dove non riesce a comunicare con Lidia, la sua aman- tu, che eri l’ultimo fiore
te, che ha accompagnato a prendere il treno. della mia vita ormai inutile,
3. Il sonetto può essere opportunamente confrontato sei nella terra fredda,
con il classicismo, con il neoclassicismo e con il ro- sei nella terra oscura,
manticismo di Foscolo, il quale nei sonetti proietta le il sole non ti rallegra più,
sue passioni sulla realtà, che in tal modo perde la sua né ti risveglia il mio amore.
esistenza oggettiva; e vede nei dolori, che colpiscono
l’individuo romantico, la manifestazione più comple- Riassunto. Il poeta pensa al figlio morto, che non può
ta di realizzazione e di successo individuale. Nel so- più giocare nel giardino: il melograno, a cui il figlio
netto A Zacinto il poeta si sente superiore ad Ulisse, tendeva la mano, si è nuovamente ricoperto di fiori
perché questi dopo tante sventure è riuscito a ritorna- rossi nel giardino ora silenzioso. Il figlio invece ora si
re in patria, mentre egli è destinato a morire in terra trova sepolto nella terra fredda ed oscura, dove il sole
straniera. non lo può più rallegrare, né lo può risvegliare il suo
4. I pregi (per il poeta e il suo tempo) e i limiti (per amore di padre.
noi) della poesia di Carducci sono gli stessi: la sua
esteriorità, il suo freddo splendore formale, sotto ed Commento
oltre il quale non c’è niente. L’ispirazione positivisti- 1. L’odicina esprime il dolore del poeta per il figlio
ca non riesce a trovare temi adeguati da cantare. A Dante, morto a tre anni nel 1870. Il pianto è l’espres-
risultati ben più persuasivi giungeva la poetica veri- sione classica di dolore per un parente defunto.
stica di Verga, che cantava il paesaggio e la società L’aggettivo antico indica la perennità del dolore che
meridionale; e poco dopo, su un versante completa- colpisce da sempre gli uomini.
mente diverso, il Decadentismo intimistico di Gio- 2. Nell’odicina manca senza alcuna giustificazione la
vanni Pascoli e quello attivistico, sensuale e supero- moglie del poeta, che doveva essere ugualmente ad-
mistico di Gabriele D’Annunzio. dolorata per la morte del figlio. Manca anche il com-
---I☺I--- prensibile dolore degli altri figli. Egli è rinchiuso nel
suo dolore, non vede il dolore dei suoi cari, né da ca-
Pianto antico, 1871 pofamiglia si preoccupa di consolarli. Non vede ne-
anche il punto di vista del figlio morto, che non può
L’albero a cui tendevi più dare affetto ai genitori e ai fratelli.
la pargoletta mano, 3. Il poeta costruisce l’odicina su facili contrasti cro-
il verde melograno matici (verde/vermiglio, sole/terra, luce/negro, calo-
da’ bei vermigli fiori re/freddo) e concettuali (vita/morte, luce/oscurità,
nel muto orto solingo caldo/freddo), su facili rime (fiore/amore) e su una
facile orecchiabilità. Ma nemmeno in questa odicina
rinverdì tutto or ora,
riesce a controllare in modo soddisfacente la rima:
e giugno lo ristora due quartine su quattro terminano con fior, che si tro-
di luce e di calor. va pure nella terza quartina; i primi due versi della
quarta sono ripetitivi, il secondo poi termina con un
Tu fior de la mia pianta aggettivo letterario per esigenze di rima (negra/ral-
percossa e inaridita, legra). Fior poi è un termine poetico abusato e per di
tu de l’inutil vita più generico. Altri termini letterari (orto=giardino,
estremo unico fior, solingo=solitario) soffocano la sincerità del dolore:
sei ne la terra fredda, l’odicina appare una esercitazione letteraria di mode-
sei ne la terra negra; sta fattura. Mentre la scrive, il poeta sembra pensare
né il sol più ti rallegra alle reminiscenze letterarie, non al suo dolore di pa-
né ti risveglia amor. . dre. Il titolo toglie intensità al sentimento che l’odi-
cina vuole esprimere, perché il poeta vuole collegare
Pianto antico intellettualisticamente il suo dolore al dolore che da
sempre è provato da chi perde un proprio congiunto:
L’albero a cui tu tendevi quando si è colpiti da una disgrazia, non si ha né
la tua piccola mano, tempo né voglia di pensare alle disgrazie altrui (o di
il melograno verde consolarci con il pensiero che anche gli altri hanno
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 371
avuto la nostra stessa disgrazia). Il metro, composto Il bove
da quartine di settenari, non sembra quello più adatto
ad esprimere il dolore a causa della musicalità dei Ti amo, o pio bove; e infondi nel mio cuore
suoi versi. un mite sentimento di vigore e di pace,
4. Questa poesia, autobiografica ed intimistica, può sia che tu guardi i campi aperti e fertili
essere opportunamente confrontata con il Canzoniere solenne come un monumento,
(1373-74) di Petrarca; con l’epicedio alla figlia di
Giovanni Pontano (1422-1503); o, ancor meglio, con sia che tu, piegandoti contento sotto il giogo,
il sonetto In morte del fratello Giovanni (1802-03) e aiuti con la tua forza il lavoro operoso dell’uomo:
il carme De’ Sepolcri (1807) di Foscolo, con l’idillio egli ti spinge e ti stimola, e tu gli rispondi
L’infinito (1819) e il Canto notturno di un pastore muovendo lentamente gli occhi pazienti.
errante dell’Asia (1829-30) di Leopardi. Foscolo spe-
ra di potersi sedere sulla tomba del fratello a piangere Il tuo fiato fuma dalle tue narici
la sua gioventù recisa; e pensa alla loro vecchia ma- umide e nere, e come una canzone lieta
dre, che ha un figlio morto e un altro lontano. In tal il tuo muggito si disperde nell’aria serena;
modo tiene presente anche il punto di vista dei suoi
cari e i loro sentimenti. Nel carme il poeta pensa che e nell’austera dolcezza del tuo occhio azzurro
le tombe permettano la “corrispondenza d’amorosi si rispecchia nella sua ampiezza e nella sua pace
sensi” tra i vivi e i morti; e che le tombe dei grandi il divino silenzio della pianura verdeggiante.
spingano il forte animo a compiere grandi imprese.
Leopardi pensa a ciò che si trova dietro la siepe e si Riassunto. Il poeta prova un sentimento di amore ver-
immagina “interminati spazi di là da quella, e sovru- so il bue, che gli infonde un sentimento di pace sia
mani silenzi”, che gli fanno pensare “l’eterno, e le quando l’animale guarda i campi aperti, sia quando
morte stagioni, e la presente”, cioè il mondo esterno a aiuta l’uomo nelle sue fatiche. Il suo fiato fuma dalle
lui, e quindi si abbandona alla dolcezza di queste sen- narici umide e nere; il suo muggito si disperde nell’a-
sazioni. Nel Canto notturno di un pastore errante ria come una canzone; e nel suo occhio si specchia il
dell’Asia Leopardi pensa non tanto al suo piccolo do- silenzio della pianura fertile.
lore, quanto al dolore di tutti gli uomini, anzi al dolo-
re di tutti gli esseri viventi. Tutti questi poeti presen- Commento
tano un mondo interiore molto più ricco, complesso 1. Carducci, che nell’Inno a Satana (1863) aveva
ed articolato di quello di Carducci. cantato la locomotiva come simbolo del progresso,
5. La rima, qui come altrove, si percepisce facilmente ritorna ora (1872) a temi classici e agricoli, ed esalta i
e soffoca il contenuto dell’odicina. In Pascoli e in valori tradizionali della laboriosità, della pazienza,
D’Annunzio invece il contenuto riempie e si dilata della bontà e della pace. Questo recupero retorico dei
nei suoni dei versi e la rima sembra scomparire. In valori contadini e classici è ereditato molti anni dopo
D’Annunzio anzi il contenuto perde qualsiasi impor- dal Fascismo (1922-45): il tempo passa, ma la cultura
tanza, trasformato nelle variegate sonorità del verso. ufficiale, la cultura di regime resta. Negli stessi anni
---I☺I--- Verga scrive la novella Nedda (1874), con cui passa
al Verismo, e la raccolta di novelle Vita nei campi
Il bove, 1872 (1880), con cui pone le basi al Ciclo dei vinti (1881,
1889).
T’amo, o pio bove; e mite un sentimento 2. Le disgiuntive “o che... o che...” hanno un prece-
di vigore e di pace al cor m’infondi, dente letterario: le correlative “e quando... e quan-
o che solenne come un monumento do...” del sonetto Alla sera di Foscolo. La poesia car-
tu guardi i campi liberi e fecondi, ducciana è fortemente letteraria e non riesce a stac-
carsi da tale ambito. Anche la poesia del Canzoniere
o che al giogo inchinandoti contento di Petrarca era una poesia letteraria, costruita sulle
l’agil opra de l’uom grave secondi: citazioni di opere precedenti e sugli aggettivi. Tutta-
ei t’esorta e ti punge, e tu co ‘l lento via riusciva a raggiungere un respiro e un controllo
giro de’ pazienti occhi rispondi. della metrica e dei suoni molto più vasti.
3. Il linguaggio rimanda alla tradizione aulica e clas-
Da la larga narice umida e nera sica: l’aggettivo pio, l’agil opra, lo spirto (= soffio,
Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto fiato). Esso presenta diverse forzature: nell’Eneide
il mugghio nel sereno aer si perde; pius è Enea; l’agil opra è un’espressione inadatta a
indicare la fatica dell’aratura; lo spirto è riferito inso-
e del grave occhio glauco entro l’austera litamente all’animale, per indicare banalmente il fia-
dolcezza si rispecchia ampio e quieto to; definire il mugghio come un lieto inno è una in-
il divino del pian silenzio verde. congruenza. Non si capisce nemmeno perché l’ani-
male debba essere contento di portare il giogo e di
lavorare per l’uomo.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 372
4. Si può confrontare il linguaggio letterario di Car- ardon che tu né sai né puoi lenir.
ducci con il linguaggio antiletterario, apparentemente
semplice e popolareggiante di Pascoli, che ricorre an- A le querce ed a noi qui puoi contare (=raccontare)
che a termini scientifici, a espressioni straniere e a l’umana tua tristezza e il vostro duol (=dolore).
pastiche. Questo quadretto bucolico può essere anco- Vedi come pacato e azzurro è il mare,
ra opportunamente confrontato con poesie di Pascoli come ridente a lui discende il sol!
che presentano argomenti legati alla terra, ad esempio
Novembre e Arano. E come questo occaso (=tramonto) è pien di voli,
---I☺I--- com’è allegro de’ passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli (=gli usignoli):
Davanti San Guido, 1874-86 rimanti (=rimani), e i rei fantasmi oh non seguire;
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti i rei fantasmi che da’ fondi neri
van da San Guido in duplice filar, de i cuor vostri battuti dal pensier
quasi in corsa giganti giovinetti guizzan come da i vostri cimiteri
mi balzarono incontro e mi guardâr. putride fiamme innanzi al passegger.
Mi riconobbero, e – Ben torni omai – Rimanti (=rimani); e noi, dimani, a mezzo il giorno,
bisbigliaron vèr’ me co ’l capo chino – che de le grandi querce a l’ombra stan
Perché non scendi? Perché non ristai (=ti fermi)? ammusando i cavalli e intorno intorno
Fresca è la sera e a te noto il cammino. tutto è silenzio ne l’ardente pian (=pianura),
Ma, cipressetti miei, lasciatem’ ire (=andare): E mangia altro che bacche di cipresso;
or non è più quel tempo e quell’età. né io sono per anche un manzoniano
Se voi sapeste!... via, non fo per dire, che tiri quattro paghe per il lesso (=per mangiare).
ma oggi sono una celebrità. Addio cipressi! addio, dolce mio piano (=pianura)! –
Nevicata
Dove e a che move questa, che affrettasi Dove va e verso che cosa questa gente
a’ carri foschi, ravvolta e tacita che si affretta verso le carrozze scure,
gente? a che ignoti dolori infagottata e silenziosa? A quali sconosciuti dolori
o tormenti di speme lontana? 12 o tormentate speranze lontane?
Van lungo il nero convoglio e vengono Vanno e vengono lungo il nero convoglio
incappucciati di nero i vigili, e incappucciati di nero i frenatori,
com’ombre; una fioca lanterna come ombre; hanno una fioca lanterna,
hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei 20 e mazze di ferro: e i freni di ferro
E gli sportelli sbattuti al chiudere E gli sportelli che sbattono alla chiusura
paion oltraggi: scherno par l’ultimo paiono offese: il segnale della partenza
appello che rapido suona: che suona rapido appare uno scherno:
grossa scroscia su’ vetri la pioggia. 28 la pioggia scroscia fitta sui vetri dei finestrini.
Già il mostro, conscio di sua metallica Già il mostro, conscio della sua anima
anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei metallica, sbuffa, crolla, ansima, sbarra
occhi sbarra; immane pe ’l buio i suoi occhi fiammeggianti; per il buio getta
gitta il fischio che sfida lo spazio. 32 il suo fischio altissimo che sfida lo spazio.
Va l’empio mostro; con traino orribile Va il mostro crudele; sbattendo le ali (=le porte)
sbattendo l’ale gli amor miei portasi. con un rumore orribile, si porta via il mio amore.
Ahi, la bianca faccia e ’l bel velo Ahi, il suo viso pallido e il suo bel velo
salutando scompar ne la tenebra. 36 scompaiono nelle tenebre mentre saluta.
Meglio a chi ’l senso smarrì de l’essere, È fortunato chi smarrì il senso della vita,
meglio quest’ombra, questa caligine: è preferibile quest’ombra, questa nebbia:
io voglio io voglio adagiarmi io voglio, io voglio adagiarmi
in un tedio che duri infinito. 60 in un tedio che duri per sempre.
---I☺I--- ---I☺I---
Riassunto. Tra gli alberi i fanali del treno avanzano 2. La poesia fonde descrizione della partenza del tre-
lentamente. La locomotiva fischia in modo stridulo. Il no (il treno che sbuffa, le varie operazioni del con-
cielo autunnale è plumbeo. Chissà dove va tutta la trollore e dei frenatori, il treno che fischia e parte) e
gente! Lidia porge il biglietto al controllore, e la sua emozioni per la partenza di Lidia (il ricordo bruciante
giovinezza, i momenti di gioia e i ricordi all’incalzare della giovinezza che passa, l’atmosfera buia e neb-
del tempo. I frenatori con una fioca lanterna in mano biosa che si riflette nell’animo, un tedio infinito che
vanno a controllare i freni del treno. In fondo all’a- avvolge tutte le cose e che non può essere allontanato
nima risponde un’eco di doloroso tedio. Il rumore da se stessi).
delle porte sbattute e il fischio della partenza sembra- 3. La poesia è apparentemente semplice e discorsiva.
no un oltraggio. Il mostro sbuffa e ansima, lanciando Dal punto di vista metrico è un’ode alcaica, che il po-
il suo fischio che sfida lo spazio. Il mostro parte e eta riproduce nel verso italiano con una combinazione
porta via con sé il mio amore. Il volto e il velo di lei di endecasillabi appunto “alcaici” (nei primi due versi
che saluta scompaiono nelle tenebre. Il suo viso dol- di ogni strofa, e composti con due quinari, di cui il
ce, dagli occhi lucenti e sereni, circondato da una ma- primo ad accentuazione piana, il secondo sdrucciola),
rea di capelli ricciuti. L’aria era piena di vita e un novenario al terzo verso, un decasillabo al quarto
l’estate fremeva, quando gli sorrisero per la prima verso (e sempre accentato sulla terza, sesta e nona sil-
volta. E il sole di giugno baciava la morbida guancia laba). Il linguaggio mescola termini dotti e termini
tra i capelli castani. Come un’aureola i miei sogni più quotidiani. Accidïosi è termine dotto e petrarchesco,
significa pigri. Tessera è un altro latinismo: sta per
belli circondavano la sua persona gentile. Egli ora
biglietto. Tentati è un latinismo: significa messi alla
torna sotto la pioggia, in mezzo alla nebbia, e con es- prova. Appello è un altro latinismo, vale chiamata o
se vorrebbe confondersi. Barcolla come un ubriaco e segnale. Mostro è ancore un latinismo: significa esse-
si tocca, nel timore di essere un fantasma. Le foglie re eccezionale, che desta meraviglia”. Tedio è un ul-
cadono e continuano a cadere gelide e pesanti sulla teriore latinismo: vale umor nero, melancholia, ma-
sua anima. Egli pensa che ovunque e per sempre nel linconia. Il simbolismo può passare inosservato a
mondo sia novembre e soltanto novembre. Fu fortu- causa del carattere descrittivo della poesia, ma c’è: il
nato chi smarrì il senso della vita ed è preferibile que- treno diventa il mostro della mitologia, che rapisce la
sta caligine: il poeta vuole adagiarsi in un tedio che sua donna; la partenza della donna spegne i suoi im-
duri per sempre. pulsi vitali ed egli è costretto a controllare di non es-
sere divenuto un fantasma. Il mondo interno del poe-
Commento ta, reso desolato dal tedio, è uguale al mondo esterno,
1. Lidia è lo pseudonimo di Carolina Cristofori Piva dominato dalle tenebre e dalla nebbia. Paradossal-
(1837-1881), donna amata dal poeta, conosciuta nel mente il linguaggio dantesco di Tanto gentile e tanto
1871. Egli la accompagna alla stazione a prendere il onesta pare o quello di molti sonetti di Cecco Angio-
treno. Per lui il distacco è dolorosissimo. Gli sembra lieri è molto più vicino al nostro che il linguaggio
che ovunque nel mondo sia novembre e soltanto no- contorto e letterario di Carducci.
vembre, per sempre. Novembre è il mese delle neb- 4. Nel verso finale Carducci appare accasciato e inca-
bie e del freddo. pace di reagire virilmente a una semplice separazio-
ne. Non usa neanche le parole incoraggianti di pram-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 380
matica: un invito alla speranza. Ma sì, ci rivedremo,
ci rivedremo lassù, in paradiso. Ed ha 40 anni. Mali-
gnamente si può commentare che aveva sempre la
moglie di riserva. Dante o Manzoni hanno sempre se-
parato la loro vita privata dalla loro vita pubblica (o
letteraria).
5. Il poeta riprende il taedium vitae latino e lo spleen
di Charles Baudelaire (I fiori del male, 1857, 1868) e
del “poeti maledetti”. Il precedente storico e poetico
però era stato Leopardi nel Canto notturno di un pa-
store errante nell’Asia (1829-30):
Il bove Romagna
Il bove con i suoi grandi occhi guarda il ruscello in a Severino
mezzo alla nebbia. Nella pianura che sfuma le acque
azzurrognole del fiume scorrono verso il mare sempre Sempre un villaggio, sempre una campagna
più lontano. mi ride al cuore (o piange), Severino:
il paese ove, andando, ci accompagna
Ai suoi occhi gli alberi diventano giganteschi nella l’azzurra visïon di San Marino:
luce polverosa. Un gregge bruca lentamente l’erba.
Sembra la mandria dell’antico dio Pan. sempre mi torna al cuore il mio paese
cui regnarono Guidi e Malatesta,
Uccelli dalle grandi ali diventano immagini di grifoni cui tenne pure il Passator cortese,
nell’aria. Chimere silenziose, simili a nubi, si muo- re della strada, re della foresta.
vono per il cielo profondo.
Là nelle stoppie dove singhiozzando
Il disco smisurato del sole scende dietro montagne va la tacchina con l’altrui covata,
altissime. Le ombre della sera si allungano nelle om- presso gli stagni lustreggianti, quando
bre di un mondo più grande (=quello della notte e del lenta vi guazza l’anatra iridata,
mistero).
oh! fossi io teco; e perderci nel verde,
Commento e di tra gli olmi, nido alle ghiandaie,
1. Pascoli vede la realtà con gli occhi deformanti del gettarci l’urlo che lungi si perde
bove. Le nebbie si alzano dal ruscello, nella pianura il dentro il meridïano ozio dell’aie;
fiume scorre verso un mare sempre più lontano, gli
uccelli che volano in cielo diventano immagini di gri- mentre il villano pone dalle spalle
foni, le chimere diventano simili alle nuvole, un disco gobbe la ronca e afferra la scodella,
gigante del sole tramonta dietro le montagne e scen- e ’l bue rumina nelle opache stalle
dono le ombre della sera, che anticipano quelle ben la sua laborïosa lupinella.
più profonde della notte e del mistero. Per il poeta il
mondo è avvolto dalle tenebre e la realtà è misteriosa Da’ borghi sparsi le campane in tanto
e sconosciuta. Anche la notte de Il gelsomino nottur- si rincorron coi lor gridi argentini:
no è misteriosa. chiamano al rezzo, alla quiete, al santo
2. L’atmosfera è decadente come in Novembre, Arano desco fiorito d’occhi di bambini.
e Lavandare. Diversi termini sono difficili o preziosi:
ceruleo (azzurrino), nume (divinità), immagini grifa- Già m’accoglieva in quelle ore bruciate
ne (minacciose), chimere (animali leggendari). Per il sotto ombrello di trine una mimosa,
resto, come di consueto, il linguaggio è quello che che fiorìa la mia casa ai dì d’estate
normalmente si parla. Il sonetto ha rime ABBA AB- co’ suoi pennacchi di color di rosa;
BA CDE CDE. Le rime non si percepiscono. Il sonet-
to è un’unica proposizione di 14 versi, piena di incisi e s’abbracciava per lo sgretolato
e di enjambement. muro un folto rosaio a un gelsomino;
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 386
guardava il tutto un pioppo alto e slanciato, dentro la pausa di mezzogiorno delle aie,
chiassoso a giorni come un biricchino.
mentre il contadino depone dalle spalle
Era il mio nido: dove, immobilmente, curve la ronca e afferra la scodella
io galoppava con Guidon Selvaggio e il bue rumina nelle stalle poco illuminate
e con Astolfo; o mi vedea presente il foraggio che mastica a lungo.
l’imperatore nell’eremitaggio.
Intanto dai borghi sparsi le campane
E mentre aereo mi poneva in via si rincorrono con i loro suoni argentini,
con l’ippogrifo pel sognato alone, chiamano all’ombra, alla quiete, alla tavola
o risonava nella stanza mia benedetta, piena di occhi di bambini.
muta il dettare di Napoleone;
In quelle ore calde, sotto un ombrello di rami,
udia tra i fieni allora allor falciati mi accoglieva una mimosa,
de’ grilli il verso che perpetuo trema, che fioriva sulla mia casa nei giorni estivi
udiva dalle rane dei fossati con i suoi pennacchi color di rosa.
un lungo interminabile poema.
E per il muro sgretolato un folto rosaio
E lunghi, e interminati, erano quelli si abbracciava a un gelsomino,
ch’io meditai, mirabili a sognare: guardava il tutto un pioppo alto e slanciato,
stormir di frondi, cinguettìo d’uccelli, chiassoso a giorni come un bambino.
risa di donne, strepito di mare.
Quello era il mio nido, dove, restando fermo,
Ma da quel nido, rondini tardive, io galoppavo con Guidon Selvaggio
tutti tutti migrammo un giorno nero: e con Astolfo o mi vedevo davanti
io, la mia patria or è dove si vive: l’imperatore Napoleone in esilio a Sant’Elena.
gli altri son poco lungi; in cimitero.
E, mentre mi mettevo a volare
Così più non verrò per la calura con l’ippogrifo verso la luna che avevo sognato
tra que’ tuoi polverosi biancospini, o risuonava nella mia stanza silenziosa
ch’io non ritrovi nella mia verzura (=vegetazione) la voce di Napoleone che dettava le sue memorie,
del cuculo ozïoso i piccolini,
udivo tra il fieno da poco falciato
Romagna solatìa, dolce paese, il verso dei grilli che trema continuamente,
cui regnarono Guidi e Malatesta; udivo dalle rane dei fossati
cui tenne pure il Passator cortese, un lungo e interminabile poema.
re della strada, re della foresta.
E lunghi e mai finiti erano i poemi
Romagna che io meditai, bellissimi da sognare:
all’amico poeta Severino Ferrari stormire di fronde, cinguettìo di uccelli,
risate di donne, strepito del mare.
Sempre un paese (=San Mauro di Romagna), sempre
una campagna (la tenuta dei conti Torlonia) Ma da quel nido (=casa), come rondini tardive,
mi sorride al cuore (o piange), o Severino: migrammo tutti un giorno terribile (=il padre è
il paese ove, andando, ci accompagna ucciso): io, la mia patria, ora è dove trovo lavoro,
l’azzurra visione di San Marino (=il monte Titano). gli altri son poco lontano (=sono nel mio ricordo), in
cimitero.
Sempre mi ritorna nel cuore il mio paese
su cui regnarono i conti Guidi e i Malatesta, Così non verrò più per la calura
che fu pure in pugno al Passator cortese tra quei tuoi polverosi biancospini,
(=Stefano Pelloni), re della strada, re della foresta. per non ritrovare nella mia verzura (=casa)
i pulcini del cuculo che non vuol far fatica,
Là nelle stoppie, dove singhiozzando
la tacchina va con la covata di pulcini altrui, o mia Romagna piena di sole, o mio dolce paese,
presso gli stagni lustreggianti, quando su cui regnarono i conti Guidi e i Malatesta;
lenta vi nuota l’anatra dalle penne iridate, che fu pure in pugno al Passator cortese
(=Stefano Pelloni), re della strada, re della foresta.
oh! fossi io con te; e potessimo perderci nel verde, ---I☺I---
e tra gli olmi, nido per le ghiandaie, potessimo
gettarci l’urlo che si perde lontano
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 387
Riassunto. Sempre il mio paese natale (=San Mauro Guidi e i Malatesta e che fu teatro delle imprese del
di Romagna), sempre una campagna (la tenuta dei Passatore), io non ritornerò più per le tue strade co-
conti Torlonia, dove il padre lavorava) sorridono (o steggiate di biancospino polveroso perché non voglio
piangono) al cuore del poeta, mentre in lontananza si vedere il mio nido, la mia casa, occupata da persone
vede il monte su cui sorge San Marino. Sempre ritor- sconosciute, cioè dalla famiglia che ha sostituito la
na nel suo cuore la Romagna, su cui regnarono i conti mia”.
Guidi e i Malatesta, che fu pure teatro delle imprese 5. La poesia è costruita sul ricordo dell’infanzia felice
del Passatore. Ed egli si abbandona ai ricordi ed e- (quartine 2-12), segue il ricordo del giorno sfortuna-
sprime il desiderio di essere con l’amico Severino tissimo che ha disperso la famiglia (quartina 13), e la
nelle stoppie, dove la tacchina porta in giro i pulcini chiusura affidata al ricordo (quartina 14-15). Anche
altrui e l’anitra dalle penne iridate nuota nello stagno. La mia sera (1899) ha la stessa struttura: una descri-
Vorrebbe perdersi con lui in mezzo al verde, dove le zione positiva della sera dopo il temporale del giorno,
ghiandaie fanno il loro nido, e lanciare un urlo, che si la vita difficile del poeta (egli non ha avuto l’affetto
perde nella pausa di mezzodì, quando il contadino dovuto come gli uccellini non hanno avuto il cibo du-
depone gli attrezzi da lavoro e si siede a tavola e il rante il giorno), la conclusione (il poeta ricorda quan-
bue rumina tranquillamente nella stalla. Il suono delle do a sera la madre gli rimboccava le coperte ed egli si
campane invita a mettersi all’ombra, a riposare, a addormentava).
mettersi a tavola con i figli. In quelle ore calde il poe- 6. Il poeta vorrebbe ritornare adolescente e fare la vi-
ta era accolto da una mimosa che fioriva d’estate sul- ta felice degli adolescenti con l’amico Severino. Ma
la sua casa e la ricopriva. Per il muro sgretolato un quella felicità che stava vivendo è all’improvvivo in-
rosaio abbracciava un gelsomino, e lì vicino si alzava terrotta e la famiglia è distrutta: alcuni membri fug-
un pioppo altissimo, pieno di uccellini. Quello era il gono altri muoiono e riposano nel cimitero. Essi sono
suo nido, in cui galoppava con Guidon Selvaggio o rimasti vicino a lui, nel suo cuore.
con Astolfo o immaginava di vedere Napoleone in ---I☺I---
esilio. E, mentre volava con l’ippogrifo o ascoltava
Napoleone dettare le sue memorie, udiva il verso in- Lavandare, 1894
sistente dei grilli e il gracidare delle rane. E immagi-
nava poemi lunghissimi e mai terminati, bellissimi da Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
sognare. Ma da quel nido tutti, il poeta e tutta la fa- resta un aratro senza buoi che pare
miglia, dovettero fuggire un giorno nero (nel 1867, dimenticato, tra il vapor leggero.
quando il padre è ucciso da ignoti). Ora la sua patria è
dove trova lavora, i suoi familiari sono poco lontano, E cadenzato dalla gora viene
in cimitero. Così egli non ritornerà più nella tenuta lo sciabordare delle lavandare
dei conti Torlonia, in mezzo ai biancospini polverosi, con tonfi spessi e lunghe cantilene:
perché non vuol sentire i pulcini del cuculo che hanno
occupato la casa della sua famiglia. E saluta la sua Il vento soffia e nevica la frasca,
Romagna piena di sole, su cui regnarono i Guidi e i e tu non torni ancora al tuo paese!
Malatesta e che fu pure teatro delle imprese del Pas- quando partisti, come son rimasta!
satore. come l’aratro in mezzo alla maggese.
Commento Le lavandaie
1. Severino Ferrari (1856-1905) è un poeta amico di
Pascoli. La tacchina può allevare pulcini altrui. Il cu- Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
culo mette le sue uova nel nido di altri uccelli, che resta un aratro senza buoi, che pare
poi le covano e allevano i suoi pulcini come loro figli. dimenticato, in mezzo al vapore leggero.
Guidon Selvaggio e Astolfo sono due personaggi
dell’Orlando furioso (1532) di Ludovico Ariosto. E dal fossato proviene il rumore
2. Il Passator cortese è Stefano Pelloni (1824-1851), cadenzato delle lavandaie, che battono i panni
detto Passatore dal lavoro di traghettatore ereditato con colpi fitti e lunghe cantilene:
dal padre. È un brigante che ruba e uccide e che a sua
volta è ucciso in uno scontro con i gendarmi pontifici. “Il vento soffia e la frasca lascia cadere le foglie,
Il poeta lo presenta in termini positivi: lo vede con gli e tu non ritorni ancora al tuo paese!
occhi dei popolani, contenti che derubasse (e assassi- Quando tu partisti come sono rimasta!,
nasse) i ricchi, anche se non dava ai poveri. come l’aratro in mezzo al campo lasciato incolto”.
3. Pascoli non vuole tornare più nella tenuta dei conti
Torlonia, perché non vuole incontrare i pulcini del Riassunto. Nel campo, arato per metà, resta un aratro,
cuculo, cioè la famiglia (per lui abusiva) che ha oc- che pare dimenticato. Dal fossato proviene il rumore
cupato il posto della sua famiglia. cadenzato delle lavandaie, che accompagnano il loro
4. La strofa 15 ha questa costruzione: “Così, o Roma- lavoro con lunghe cantilene: “È giunto l’autunno e tu
gna (piena di sole, o dolce paese, su cui regnarono i non sei ancora tornato. Quando sei partito sono rima-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 388
sta come quell’aratro in mezzo al campo lasciato in- Novembre
colto”.
L’aria è limpida come una gemma, il sole così chiaro
Commento che tu cerchi [con gli occhi] gli albicocchi in fiore
1. “Nel campo mezzo grigio e mezzo nero” perché e senti nel cuore il profumo
arato per metà. amarognolo del biancospino...
2. Il poeta usa un linguaggio veristico per ottenere ri-
sultati antiveristici: l’aratro abbandonato in mezzo al Invece il pruno è secco e le piante stecchite
capo diventa espressione e simbolo della solitudine segnano il cielo sereno con i loro rami senza foglie,
delle lavandaie, cioè della controparte umana. L’ara- e il cielo è vuoto, e il terreno è cavo al piede
tro iniziale ritorna nell’ultimo verso e conclude il sotto il quale risuona.
madrigale. L’aratro finale rimanda quindi all’aratro
del primo verso, perciò dà luogo ad una struttura ci- Da per tutto [è] silenzio: soltanto, ai colpi di vento,
clica, che non è casuale, perché si trova anche in mol- odi in lontananza, da giardini e da orti, le foglie
te altre poesie. Il madrigale è quindi soltanto apparen- rinsecchite che cadono e si spezzano. È l’estate,
temente facile: una analisi, anche superficiale, ne mo- fredda, dei morti (=l’11 novembre).
stra la complessità e lo spessore poetico.
3. Il passaggio dalla descrizione del paesaggio alle Riassunto. L’aria è limpida ed il sole è così chiaro
cantilene delle lavandaie è immediato e intuitivo. Il che con gli occhi si cercano gli albicocchi in fiore
poeta non ricorre ai segni d’interpunzione perché (=sembra primavera). Ma il pruno è secco e gli alberi
vuole mantenere questa spontaneità del sentimento. alzano al cielo i loro rami senza foglie. Da per tutto è
4. Il linguaggio è semplicissimo: i termini sono quo- silenzio. In lontananza si sente il rumore delle foglie
tidiani e la sintassi è elementare. Esso però è arricchi- spezzate dal vento. È l’estate fredda dei morti (=è no-
to da termini inconsueti come gora (=canale o fossato vembre; la realtà quindi è ben diversa da quello che
che spesso porta l’acqua ad un mulino) e lavandare appare).
(=lavandaie).
5. Il simbolismo tra l’aratro e la solitudine delle ra- Commento
gazze è facile e motivato: il poeta lo fa diventare 1. Il poeta mostra che la descrizione veristica della
“ovvio”. Ed è accompagnato da versi onomatopeici realtà è inattendibile e insufficiente: l’aria tiepida fa
come l’intera seconda terzina. Non i termini, ma le pensare alla primavera, invece è la breve estate di san
onomatopee esprimono il sentimento e le sensazioni Martino, che interrompe i giorni nebbiosi di novem-
che il poeta vuole trasmettere. bre. Il poeta accentua il significato tra ciò che appare
6. Il tono (apparentemente) dimesso e (apparentemen- ai sensi e ciò che effettivamente è identificando l’e-
te) popolareggiante del madrigale è espresso dalla ri- state di san Martino (11 novembre) con la commemo-
ma popolareggiante per assonanza frasca/rimasta, razione dei defunti (2 novembre).
con cui il poeta riproduce le rime approssimative dei 2. “Di foglie un cader fragile”, cioè “le foglie cadono
canti popolari. accartocciandosi e facendo il rumore di spezzarsi”.
---I☺I--- La fragilità delle foglie indica però anche la fragilità e
la caducità della vita umana. Il simbolismo appare
Novembre, 1891 giustificato e funzionale. L’onomatopea, contenuta
nell’espressione, riesce a rendere tangibile il passag-
Gemmea l’aria, il sole così chiaro gio dalla vita alla morte delle foglie.
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore, 3. La poesia presenta onomatopee (stecchite piante,
e del prunalbo l’odorino amaro piè sonante), contrasti di colori (chiaro/nere) e di
senti nel cuore... concetti (vita/morte) e simboli (cadere delle foglie e
caducità della vita umana). Dà grande spazio al senso
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante della vista, ma anche all’odorato (l’odorino amaro).
di nere trame segnano il sereno, L’idea di morte è espressa indirettamente con le im-
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante magini del pruno secco, delle piante stecchite, del
sembra il terreno. cielo vuoto e del terreno ghiacciato. In tal modo l’i-
dea di morte appare più concreta, più reale, incorpo-
Silenzio, intorno: solo, alle ventate, rata nelle cose. L’uso del termine morte sarebbe stato
odi lontano, da giardini ed orti, molto meno efficace. Un altro elemento di contrasto è
di foglie un cader fragile. E’ l’estate tra il sole del primo verso e i morti dell’ultimo.
fredda, dei morti. 4. Le rime alterne non si fanno notare, “schiacciate”
dalla ricchezza degli altri suoni dei versi. La poesia
sembra spontanea e immediata, ma una lettura un po’
attenta mostra le basi complesse della sua perfezione.
5. Il poeta non si rivolge alla ragione né usa la ragio-
ne per interpretare la realtà: è il cuore che sente (o si
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 389
illude di sentire) l’odorino amaro del biancospino. Pascoli, che vede i contadini, vede gli uccellini in at-
L’uomo ora diventa pura sensibilità, e con i sensi tesi tesa, vede la siepe e sente i suoni.
allo spasimo si mette in rapporto con (e vive) la real- ---I☺I---
tà, con la natura.
---I☺I--- Orfano, 1891
Nel campo, dove lungo il filare [di vigne] brilla La vecchia canta: “Intorno al tuo lettino
qualche pampino di color rosso, ci sono rose e gigli, tutto un bel giardino”.
e [dove] dal terreno ricoperto di cespugli sembra che Nel bel giardino il bimbo si addormenta.
la nebbia del mattino fumi, La neve fiocca lenta, lenta, lenta.
[i contadini] arano: uno spinge le lente vacche Riassunto. La neve cade fitta. In una casa un bambino
con grida lente [e monotone], un altro semina, piange. Una vecchia gli canta una ninna nanna per
un altro ribatte pazientemente le zolle farlo addormentare: “Intorno al tuo lettino c’è un
con la sua zappa, giardino di rose e di gigli”. In questo giardino il bam-
bino si addormenta, mentre la neve continua a cadere
perché il passero saputello è già felice in cuore e spia lentamente.
i loro movimenti [restandosene nascosto] tra i rami
spinosi del moro; e anche il pettirosso: nelle siepi Commento
fa sentire il suo canto tintinnante e melodioso 1. Il titolo primitivo era Neve; soltanto in seguito il
come il suono di una moneta d’oro. poeta lo sostituisce con Orfano, un titolo meno felice,
perché appesantisce la poesia con un significato sim-
Riassunto. Qualche pampino rosso brilla nel filare di bolico e lacrimoso. La composizione è un rispetto,
viti e la nebbia del mattino si alza dal terreno ricoper- molto usato nella poesia toscana dei primi secoli. Lo
to di cespugli. I contadini sono occupati nell’aratura, schema metrico è ABABCCDD. Le rime però, come
nella sarchiatura e nella semina. Il passero, nascosto altrove, non si sentono, “schiacciate” dai suoni, dalle
tra i rami del moro, spia i loro movimenti, assaporan- immagini e dalle figure retoriche. C’è una corrispon-
do il momento in cui andrà a beccare le sementi. La denza tra la ninna nanna cantata dalla vecchia e la
stessa cosa fa il pettirosso in mezzo alla siepe, da do- stessa poesia: anche quest’ultima può essere conside-
ve fa sentire il suo canto melodioso. rata una ninna nanna. Orfano ripete la stessa struttura
di Lavandare: la ninna nanna della vecchia corri-
Commento sponde alla cantilena delle lavandaie. È il principio
1. Il poeta tratteggia il campo nella nebbia del matti- della matrioska, che è applicato anche in numerose
no; quindi descrive il lavoro dei contadini, intenti altre composizioni.
all’aratura ed alla semina; infine si sofferma sul pas- 2. Il linguaggio è semplicissimo: i due protagonisti
sero e sul pettirosso, che aspettano il momento in cui sono un bimbo e una vecchia. La vecchia si rivolge al
i contadini se ne vanno per andare a becchettare le bambino usando una sintassi elementare, che con la
sementi. Il pettirosso fa sentire il suo canto, tintinnan- sua monotonia di suoni deve far addormentare il
te come una moneta d’oro. bambino. Si passa in modo spontaneo dal discorso
2. La poesia può essere facilmente confrontata con impersonale del narratore alla ninna nanna (non se-
T’amo, pio bove (1872), pesante, faticosa e inverosi- gnata dalle virgolette) della vecchia. Ci sono termini
mile di Carducci, che trasforma il muggito dell’ani- (zana=culla) e sintassi popolari (“c’è rose e gigli, tut-
male in lieto inno. Il confronto è tutto a vantaggio di to un bel giardino”). Compaiono però anche due ac-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 390
cusativi alla greca: il picciol dito in bocca, il mento non riesce a stabilire rapporti positivi con le altre case
sulla mano. Essi si confondono con il linguaggio e con gli altri “nidi”. Il poeta (e, simbolicamente, la
semplice e popolare, però mostrano che la spontanei- casa) è solo, non a combattere, ma a difendersi contro
tà della poesia è soltanto apparente: essa è il risultato il mondo esterno. La casa diventa rifugio, stretto e
di una profonda conoscenza del linguaggio e delle soffocante, di chi ha paura del confronto, della lotta,
sue possibilità espressive. I termini, i versi, le rime, i della vita. La stessa ideologia si trova ne La siepe dei
linguaggi settoriali, le immagini si lasciano plasmare Poemetti, che serve a delimitare e a difendere il cam-
dalle mani del poeta senza opporre alcuna resistenza. po del contadino dai vicini.
3. Il primo verso è concluso dall’ultimo, che rimanda 7. La poesia è soltanto in apparenza spontanea ed
al primo: la poesia appare ciclica, fuori del tempo e immediata: rivela un’elaborazione letteraria invisibile
dello spazio. L’unica differenza è che il primo verso ma raffinatissima ed espertissima. Oltre a ciò essa
ripete tre volte il termine fiocca, l’ultimo verso ripete trasmette, non alla ragione, ma all’inconscio una serie
invece, sempre per tre volte, il termine lenta. Come in di valori e di ideali che è opportuno portare alla luce
altre poesie, la fine si ricollega all’inizio, ed il ciclo si ed esaminare criticamente, per evitare di assumerli
ripete. La ripetizione dei termini ha però anche una come validi, oggettivi ed universali a causa del potere
funzione ipnotica e onomatopeica: serve a riprodurre ipnotico e persuasivo dei versi.
visivamente e fonicamente la lentezza con cui cade la 8. Si può confrontare Orfano con Nevicata (1881) di
neve. Anche altre poesie di Pascoli hanno una struttu- Carducci. La differenza tra i due autori è abissale: il
ra ciclica, che distruggono il tempo e che catturano il metro barbaro, tutto esteriore, di Carducci non può
lettore dentro un universo da cui non può più uscire. stare alla pari con il metro recuperato da Pascoli nella
In Lavandare l’aratro dell’ultimo verso rimanda all’a- nostra tradizione letteraria. Carducci descrive la neve
ratro del primo; la ripetizione è ribadita dai suoni che ricopre la città, si lascia distrarre dalle cose
monotoni dei panni sbattuti e dalle lunghe cantilene (l’erbivendola, la carrozza, la canzone ilare), dai pen-
delle lavandaie. Ne Il gelsomino notturno come ne La sieri (i passeri diventano gli amici che ritornano dal
mia sera la ciclicità è sostituita da un’altra struttura: sepolcro a chiamarlo tra loro) e dai suoi sentimenti (la
due serie di fatti paralleli che alla fine convergono. lotta indomabile, l’abbattimento esistenziale, la scon-
Nella prima poesia la vita della natura e la vita degli fitta). Pascoli evita le descrizioni razionali e trasfor-
sposi procedono parallelamente. Alla fine le due serie ma i suoni, i versi, le ripetizioni e le immagini in
di fatti convergono nell’“urna molle e segreta”, sia strumenti capaci di superare le barriere e le difese
dei fiori sia della donna, che è fecondata. Ne La mia della ragione e di penetrare oltre la coscienza, nel-
sera la vita del poeta sconvolta dal dolore è parallela l’inconscio del lettore. Carducci si concentra sul
al giorno sconvolto dal temporale. Alla fine la sera mondo esterno o sulla sua angoscia. Pascoli invece
tranquilla del giorno rimanda alla sera tranquilla della scompare, e risucchia tutta la realtà dentro la casa cir-
vita del poeta. Ma questa sera della maturità fa andare condata dal freddo e dalla neve, dove una vecchia
il poeta con il pensiero a quand’era bambino e si ad- culla un bambino che piange. Il lettore dimentica tut-
dormentava accudito e circondato dall’affetto della to, sente il freddo della notte, allunga la mano per
madre. Anche gli architetti medioevali conoscevano proteggere e per consolare il bambino, che ha bisogno
gli effetti suggestivi ed ipnotici delle strutture cicliche di aiuto. E chi è così senza cuore da non aiutare un
o circolari: i rosoni elaborati delle facciate delle cat- bambino? Il poeta manipola i sentimenti e le emozio-
tedrali lo testimoniano. ni del suo lettore.
4. Il poeta costruisce un contrasto tra la neve che cade ---I☺I---
senza fine fuori della casa nel buio della notte e la vi-
ta dentro la casa. Qui un bambino piange. I genitori Patria, 1894
non ci sono. La vecchia cerca di farlo addormentare
cantando una ninna nanna. Il bambino è solo e indife- Sogno d’un dì d’estate.
so, ha bisogno di affetto, di calore e di protezione, ma
può ricevere soltanto le cure della nonna. Il termine Quanto scampanellare
vecchia però dà l’idea di una distanza temporale ed tremulo di cicale!
affettiva – di una solitudine esistenziale – insuperabi- Stridule pel filare
le tra la nonna ed il bambino. moveva il maestrale
5. Anche qui, seppure in modo sfumato, c’è il freddo le foglie accartocciate.
della neve fuori della casa e, forse, il caldo o almeno
il tepore dentro la casa. La casa però non sembra mol- Scendea tra gli olmi il sole
to riscaldata, né dal caldo fisico, né dal calore affetti- in fascie polverose:
vo. La vecchia non può dare al bambino quel calore erano in ciel due sole
che soltanto i genitori possono dare. nuvole, tenui, rose:
6. La solitudine di questa casa ricorda la solitudine due bianche spennellate
dei due sposi de Il gelsomino notturno. Per il poeta in tutto il ciel turchino.
esiste soltanto la casa-nido che protegge i suoi abitan-
ti dalle aggressioni esterne. La casa però è solitaria, Siepi di melograno,
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 391
fratte di tamerice, complesse. In questo caso è il ricordo piacevole
il palpito lontano dell’Angelus (il suono delle campane del sogno), la
d’una trebbïatrice, causa del risveglio (il suono delle campane del pre-
l’angelus argentino... sente) e la causa della scoperta della propria condi-
zione esistenziale caratterizzata dallo spaesamento.
Dov’ero? Le campane 4. La patria di Pascoli non è la patria ideale e roman-
mi dissero dov’ero, tica di Foscolo, l’Ellade (A Zacinto), né quella civile
piangendo, mentre un cane di Manzoni (Marzo 1821: “una d’arme di lingua
latrava al forestiero, d’altare, Di memorie, di sangue, di cor”). È la patria
che andava a capo chino. intima, la patria personale, la sua patria. È la fami-
glia, la sua famiglia, che è stata colpita e dispersa dal-
Patria la durezza della vita. Altrove è La mia sera. È la sua
casa, il suo nido, da cui è stato costretto ad andarsene.
Sogno un giorno d’estate [della mia infanzia]. Nella Cavallina storna egli dice: “Or la patria è dove
si vive, Gli altri poco lungi (=lontani), in cimitero”.
Quanto scampanellare di cicale che friniscono! 5. L’autobiografismo di Pascoli non è spontaneo co-
Lungo il filare il vento [freddo] di maestrale me si potrebbe credere. È coscientemente e razional-
sollevava le foglie accartocciate, che rinsecchivano. mente cercato e trasformato in poesia. Ma ugualmen-
te con la ragione si può notare che egli evade il pre-
Il sole scendeva tra gli olmi in fasce polverose. sente per rifugiarsi nel passato, in una mitica età
In cielo erano soltanto due nuvole, sfilacciate, dell’oro che sarebbe la sua fanciullezza. Esisteva però
che sembravano due bianche spennellate anche un’altra possibilità: abbandonare questo atteg-
in tutto il cielo turchino. giamento difensivo e rinunciatario e con la virtus co-
struire nel presente e nel futuro altri rapporti, altri
[Si vedevano] siepi di melograno, cespugli motivi di vita, un altro nido, un’altra casa, un’altra
di tamerici, in lontananza [si sentiva] il rumore famiglia. Egli ha fatto la sua scelta affettiva e razio-
regolare e monotono di una trebbiatrice, nale, anche se dalla cultura classica Orazio Flacco gli
l’Angelus suonato dalle campane... diceva che il tempo abbellisce ed ingrandisce il pas-
sato e che in futuro Et haec olim meminisse iuvabit
Dov’ero? Le campane mi dissero dov’ero, (“Ci farà piacere ricordare anche questi dolori”).
piangendo, mentre un cane latrava al forestiero, ---I☺I---
che andava a capo chino.
Temporale, 1894
Riassunto. Il poeta sogna la sua fanciullezza felice: il
frinire delle cicale, le foglie accartocciate, il cielo tur- Un bubbolìo lontano…
chino, il paesaggio pieno di vita. Ma il suono delle
campane lo riporta alla realtà, al presente, comple- Rosseggia l’orizzonte,
tamente diverso. Quel mondo non gli appartiene più come affocato, a mare:
ed egli non appartiene più a quel mondo. È divenuto nero di pece, a monte,
un estraneo: il cane latra al forestiero. A lui. stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
Commento un’ala di gabbiano.
1. Il riassunto non rende il simbolismo della poesia,
che perciò va esplicitato. La poesia è autobiografica e Temporale
mette in contrasto la fanciullezza felice e spensierata
con la situazione di spaesamento del presente: quel Un bubbolìo lontano...
mondo non appartiene più al poeta, gli è divenuto e-
straneo. Egli non ha più patria. L’orizzonte è tutto rosso,
2. La poesia non è descrittiva: ci sono molte ellissi verso il mare [il cielo] è tutto di fuoco.
del verbo. È evocativa. Ottiene questo effetto median- Verso la montagna è invece nero come la pece,
te una continua onomatopea: le foglie accartocciate ed qualche nuvola bianca tutta sfilacciata.
danno l’idea visiva di come sono; l’aggettivo stridulo In mezzo al nero appare un casolare.
dà ancora l’idea del crepitìo che esse fanno accartoc- Sembra l’ala di un gabbiano.
ciandosi.
3. La campana toglie il poeta dal sogno e lo riporta Riassunto. In lontananza si sente il rumore del tuono.
alla realtà. La campana compare anche in altre poesie Il cielo verso il mare è rosso fuoco, verso la monta-
proprio per il suo suono. La poesia pascoliana è una gna è tutto nero. C’è qualche nuvola bianca. In mezzo
poesia di suoni, di colori, di odori, di percezioni, di al nero appare una casa che sembra l’ala di un gab-
ricordi, di emozioni. Il suono delle campane si inse- biano.
risce in questa strategia, ma svolge anche funzioni più
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 392
Commento X Agosto, 1896
1. Il riassunto è la stessa poesia, che è costruita sui
suoni e sui colori ed anche su un pacato simbolismo: San Lorenzo, io lo so perché tanto
il cielo, il mare, la terra e il fuoco. Sembra di assistere di stelle per l’aria tranquilla
ai primi momenti del temporale. La dimensione pro- arde e cade, perché sì gran pianto
fonda della poesia è il suo carattere di continua ono- nel concavo cielo sfavilla.
matopea.
2. La bubbola è un uccello che ha ricevuto il nome Ritornava una rondine al tetto:
dal verso onomatopeico - bu, bu, bu - che fa. Il poeta l’uccisero: cadde tra i spini;
costruisce un neologismo capace di indicare il rumore ella aveva nel becco un insetto:
che fa il temporale quando è ancora lontano. la cena dei suoi rondinini.
3. La poesia, come tante altre, non è certamente un
capolavoro di bellezza ma di bravura. Ora è là, come in croce, che tende
---I☺I--- quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
Il lampo, 1896 che pigola sempre più piano.
E cielo e terra si mostrò qual era: Anche un uomo tornava al suo nido:
la terra ansante, livida, in sussulto; l’uccisero: disse: Perdono;
il cielo ingombro, tragico, disfatto: e restò negli aperti occhi un grido:
bianca bianca nel tacito tumulto portava due bambole in dono.
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto, Ora là, nella casa romita,
s'apri si chiuse, nella notte nera. lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
Il lampo le bambole al cielo lontano.
Il cielo e la terra si mostrarono come erano: E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
la terra tutta ansante, livida, presa da un sussulto. sereni, infinito, immortale,
Il cielo ingombro [di nuvoloni], sconvolto, disfatto. oh! d’un pianto di stelle lo inondi
In questo silenzioso tumulto celeste una casa quest’atomo opaco del Male!
tutta bianca apparì e sparì ad un tratto.
Era come un occhio che, tutto aperto e stupefatto, X Agosto
si aprì e poi si chiuse nella notte nera.
O san Lorenzo, io so perché molte stelle
Riassunto. Il cielo e la terra si mostrarono per quel ardono e cadono nell’aria tranquilla,
che erano. Il cielo era ingombro di nuvoloni in conti- perché un così gran pianto sfavilla
nuo movimento. sulla terra una casa tutta bianca ap- nella volta celeste.
parì e sparì in un momento. Sembrava un occhio a-
perto, stupefatto, che si chiudeva nella notte nera. Una rondine ritornava a casa:
la uccisero. Cadde tra gli spini.
Commento Ella aveva nel becco un insetto,
1. Come nella precedente, il riassunto è la stessa poe- la cena dei suoi rondinini.
sia, che è costruita sui suoni e sui colori ed anche su
un pacato simbolismo: il cielo, e la terra. Il lampo Ora è là, come in croce,
mostra per un momento la casa, l’unico elemento che che tende quel verme a quel cielo lontano;
si collega alla vita dell’uomo. La dimensione profon- e il suo nido è nell’ombra, che attende,
da della poesia è il suo carattere di continua onoma- che pigola sempre più piano.
topea.
2. La casa, che indica la presenza umana, sembra un Anche un uomo ritornava al suo nido.
grande occhio sgranato che guarda la natura o, me- L’uccisero. Disse: “Perdono”.
glio, il cielo sconvolto dai venti che fanno correre e E restò nei suoi occhi aperti un grido:
turbinare le nuvole con estrema velocità. portava due bambole in dono...
---I☺I---
Ora là nella casa solitaria lo aspettano,
lo aspettano invano.
Egli immobile, stupefatto, addìta
le bambole al cielo lontano.
Commento
1. Il poeta canta con un linguaggio piano e quotidiano
la siepe, che costituisce una barriera che lo difende
dal mondo esterno e dalle sue interferenze. Eppure
essa svolge anche altre funzioni: dà riparo agli uccel-
li, fornisce cibo alle api, permette al pero e al ciliegio
di fruttificare in piena sicurezza. La vita che egli con-
duce non sarà eccezionale, ma egli è felice e si sente
come un re in trono.
2. Il linguaggio adoperato è talmente semplice e tal-
mente quotidiano, che spesso non ha bisogno di esse-
re tradotto. Un termine inconsueto può essere pio, ri-
ferito alla siepe. La siepe svolge una funzione pia,
pietosa, difende la casa. Il termine però implica anche
la religione della casa, la religione del nido, del
proprio nucleo familiare. Molti altri termini sono
presi dal linguaggio botanico.
3. La poesia rimanda inevitabilmente a L’infinito
(1819) di Leopardi. Il rimando è anche polemico: il
poeta è quasi sciatto e non impreziosisce mai il testo.
La sciattezza è apparente: il verso è costituito da ter-
zine dantesche, di cui la rima è impercettibile. Egli
vuole continuare con la poesia umile delle Myricae,
senza colpi d’ala. Se Leopardi voleva essere l’eroe,
Pascoli vuole essere l’antieroe. Se Leopardi pensava
a sterminati orizzonti spaziali e temporali, Pascoli
pensa allo spazio ristretto e limitato dalla siepe, entro
il quale vive felicemente, senza grilli per la testa e
senza tante pretese, il contadino, che è tutto dedito
alla moglie, alla casa e alla famiglia.
4. Si può pensare che gli orizzonti del poeta siano ri-
stretti e meschini come il perimetro della casa e della
siepe. E che abbia tirato i remi in barca fin dalla fan-
ciullezza. Si può pensare quel che si vuole, anche di-
sprezzarlo e accusarlo di professare ideali piccolo-
borghesi e anche reazionari. Ma non si deve dimenti-
care la sua vita colpita da disgrazie, né che i valori
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 396
I Canti di Castelvecchio, 1912 prosecuzione di Myricae. Il poeta sviluppa i grandi
temi dell’amore e della morte, e li esprime attraverso
I Canti di Castelvecchio (1903, 1912) costituiscono la i suoni della natura. L’opera è dedicata alla madre.
---I☺I---
Dai calici aperti si esala 3. Dai calici aperti [dei fiori] fuoriesce
l’odore di fragole rosse. l’odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala. Un lume risplende là, nella sala [della casa].
Nasce l’erba sopra le fosse. L’erba nasce sopra le fosse [dei defunti].
Per tutta la notte s’esala 5. Per tutta la notte fuoriesce [dalle corolle dei fiori]
l’odore che passa col vento. il profumo che è portato via dal vento.
Passa il lume su per la scala; Il lume passa [dalla sala] su per la scala,
brilla al primo piano: s’è spento... brilla al primo piano, e poi si spegne...
Riassunto. Ormai è sera. I fiori della notte si aprono e nascere una nuova vita. Un ulteriore motivo di con-
ritornano le farfalle del crepuscolo, mentre il poeta trasto è tra la fiducia nel futuro dei due sposi, che
pensa ai suoi cari defunti. Tutto è silenzio. In una ca- concepiscono una nuova vita, e l’atteggiamento ri-
sa un lume è ancora acceso. Un’ape cerca di entrare nunziatario e rivolto al passato del poeta, che pensa ai
nell’alveare, ma trova tutte le celle occupate. Il lume suoi defunti.
sale su per la scala, brilla al primo piano, poi si spe- 2. L’ape tardiva è lo stesso poeta, che ha avuto una
gne. Ormai è giunta l’alba: i fiori un po’ gualciti si infanzia piena di lutti e priva d’affetti. La Chioccetta
richiudono; dentro un’urna molle e segreta nasce una (nome contadino della costellazione delle Pleiadi) dà
nuova felicità. luogo ad un concettismo barocco: va per l’aia azzurra
(=la volta celeste) seguita dal suo pigolio di stelle,
Commento cioè dalle stelle gialle il cui brillio oscillante ricorda il
1. La poesia è dedicata all’amico Gabriele Briganti in pigolio dei pulcini, ugualmente gialli e sempre in
occasione del matrimonio. Pascoli ha così l’occasione movimento. Il parallelismo è perfetto.
di parlare della sua vita, rivolta al ricordo dei suoi 3. Il poeta canta la notte, che percepisce come luogo
morti. Egli la contrappone alla vita, piena di gioia e di in cui si manifesta una vita diversa da quella del gior-
speranze, che si apre davanti all’amico. Il poeta però no, ma altrettanto intensa e varia. Nel mistero dell’o-
radica nel mistero della notte il concepimento di una scurità si sviluppano in parallelo due ordini di eventi,
nuova vita e attribuisce una dimensione di violenza quelli naturali e quelli umani, che poi si riuniscono
anche all’atto amoroso dell’uomo verso la donna. La nell’ultima strofa. La vita che si svolge nella casa è il
poesia si basa sul contrasto tra vita e morte. Il contra- corrispettivo della vita delle piante e degli animali. La
sto però non è assoluto: l’erba nasce sopra le fosse, conclusione è la stessa: nell’urna-ovario del fiore,
quindi la morte genera nuova vita; e l’amore può far come nell’urna-grembo della donna sorge una nuova
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 397
e inesprimibile felicità, cioè una nuova vita. Alle due Nascondi le cose lontane:
urne si affianca però una terza urna, l’urna cineraria. le cose son ebbre di pianto!
Per il poeta vita e morte non si contrappongono, né Ch’io veda i due peschi, i due meli,
hanno confini ben definiti: “Nasce l’erba sopra le fos- soltanto,
se” (v. 12). che dànno i soavi lor mieli
4. L’urna molle e segreta è un termine polisignifican- pel nero mio pane.
te: è l’ovario del fiore; il grembo della donna; l’urna
cineraria. Vita e morte non sono quindi né contrappo- Nascondi le cose lontane
ste, né ben definite, né divise. Anche in questo caso il che vogliono ch’ami e che vada!
poeta rifiuta le certezze rigide e dogmatiche della Ch’io veda là solo quel bianco
scienza e della ragione, e propone una compenetra- di strada,
zione o una fusione degli opposti. Anche qui recupera che un giorno ho da fare tra stanco
il concettismo barocco. Come il Barocco anche il po- don don di campane...
eta usa l’analogia per studiare la realtà e trovare a-
spetti simili sorprendenti in aree della realtà molto Nascondi le cose lontane,
lontane tra loro. Il recupero della poetica secentesca è nascondile, involale al volo
sistematico: si trova anche in La mia sera. del cuore! Ch’io veda il cipresso
5. Come in Myricae, la poesia è piena di colori, odori, là, solo,
suoni, contrasti, onomatopee, sinestesie (il pigolio di qui, solo quest’orto, cui presso
stelle). Il linguaggio è semplice, lineare, quotidiano, sonnecchia il mio cane.
popolare (la Chioccetta). Il periodo è privo di su-
bordinate. Le figure retoriche sono numerose e inten- Nebbia
se. Il simbolismo (l’ape è il poeta rimasto escluso da-
gli affetti) è immediato e non pesante. Alcune meto- Nascondi le cose lontane,
nìmie sono straordinarie: “Sotto l’ali dormono i nidi, tu, o nebbia, impalpabile e scialba,
Come gli occhi sotto le ciglia” (la metonìmia è arric- tu fumo che ancora, all’alba,
chita da una similitudine). provieni dai lampi notturni
6. Il piccolo io di Pascoli diventa misero davanti e dai crolli di frane d’aria
all’io titanico dei romantici. Ben altra cosa sono la (=dalla dissoluzione del temporale notturno)!
“corrispondenza d’amorosi sensi” che per Foscolo
lega i vivi ai morti o lo stimolo, sempre foscoliano, Nascondi le cose lontane,
che le tombe dei grandi del passato hanno nello spin- nascondi quello che è morto (=il padre)!
gere l’animo forte a compiere grandi imprese. Dalle Che io veda soltanto
tombe dei suoi cari il poeta non trova conforto ed in- la siepe dell’orto,
citamento per affrontare virilmente la sua vita pubbli- il muro di cinta, che ha le crepe
ca e privata; egli ripiega sul passato, su quel momen- piene di valeriane.
to cruciale in cui la morte del padre ha bloccato per
sempre la sua vita, gli ha tolto l’affetto che si sentiva Nascondi le cose lontane:
in diritto di avere, gli ha fatto conoscere le ingiustizie le cose sono piene di pianto!
del mondo verso di lui (egli non pensa mai alle ingiu- Che io veda i due peschi,
stizie che il mondo ha riservato agli altri individui). i due meli soltanto, che danno
---I☺I--- la loro soave dolcezza
al mio nero pane.
Nebbia, 1899
Nascondi le cose lontane,
Nascondi le cose lontane, che vogliono che io ami
tu nebbia impalpabile e scialba, e che vada (=che mi comporti come gli altri)!
tu fumo che ancora rampolli, Fa’ che io veda là soltanto una strada bianca,
su l’alba, che un giorno (=alla morte) dovrò percorrere
da’ lampi notturni e da’ crolli tra uno stanco suono di campane...
d’aeree frane!
Nascondi le cose lontane,
Nascondi le cose lontane, nascondile, portale lontane
nascondimi quello ch’è morto! dai desideri del mio cuore!
Ch’io veda soltanto la siepe Fa’ che io veda il cipresso là,
dell’orto, da solo, qui, soltanto questo orto,
la mura ch’ha piene le crepe vicino al quale sonnecchia il mio cane.
di valeriane.
Riassunto. Il poeta invoca la nebbia affinché gli na-
sconda le cose lontane, gli nasconda i pericoli, il do-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 398
lore, la morte, la vita che tutti conducono. Egli si ac- 2. Nascondi è un imperativo, un comando, ma anche
contenta di una pesca, di una mela e di un pezzo di una preghiera e un grido d’angoscia (“Ti prego, na-
pane nero. Non vuole provare desideri, che lo posso- scondi…”). Agli imperativi con cui inizia ogni strofa
no far soffrire. Si accontenta di vedere il cipresso, si collegano i congiuntivi che esprimono desideri di
l’orto e il suo cane. piccole gioie.
3. Il poeta, sempre precisissimo nell’uso dei termini e
Commento nella descrizione della natura, ora sperimenta l’inde-
1. La nebbia invocata dal poeta è una nebbia fisica terminato: la nebbia e le cose lontane, che con la loro
che però acquista subito un valore simbolico e una indeterminazione disorientano il lettore, lo mettono a
funzione analgesica: deve nascondergli la realtà, deve contatto con l’impalpabile, un impalpabile però che è
diventare lo strumento e la barriera che difende il po- pieno di pericoli e pieno di dolore.
eta dalla realtà e dai suoi dolori. Deve separarlo dalle 4. Le indicazioni (pesco, melo, cipresso, orto, cane)
cose lontane: egli si accontenta delle piccole cose che indicano che il poeta è dentro casa, nel suo nido, dife-
ha a portata di mano. Due frutti, un pezzo di pane ne- so dal cane e dalla siepe. L’unica speranza nel futuro
ro, la vista di un cipresso e dell’orto e la vicinanza del è data dal pensiero che uscirà di casa dentro una bara,
suo cane. per andare al cimitero tra i suoi cari, in mezzo al suo-
---I☺I--- no stanco delle campane da morto.
---I☺I---
La mia sera, 1899 La mia sera
Che voli di rondini intorno! Quanti voli di rondini per tutto il cielo!
Che gridi nell’aria serena! quante grida nell’aria [ormai] serena!
La fame del povero giorno La fame che provarono durante il giorno
prolunga la garrula cena. fa prolungare e riempire di garriti la cena della sera.
La parte, sì piccola, i nidi Gli uccellini durante il giorno non ebbero
nel giorno non l’ebbero intera. interamente la loro parte di cibo.
Nè io... che voli, che gridi, Non l’ebbi nemmeno io... e quanti voli, quanti gridi,
mia limpida sera! 32 o mia limpida sera!
Riassunto. Il giorno fu pieno di lampi e di tuoni, ma del poeta e la sera di quand’era bambino. Il poeta or-
ora stanno per sorgere le stelle. Di tutto il temporale mai adulto vuole ritornare bambino e recuperare quel-
ora è rimasto soltanto il rumore prodotto dall’acqua le manifestazioni di affetto che non ha ricevuto. Ma,
di un ruscello e alcune nuvole color di porpora in cie- contemporaneamente, anche la poetica di Pascoli in-
lo. Anche la vita del poeta è stata così drammatica, vita a ritornare bambini. Quindi nel bambino (prodot-
ma ora è divenuta tranquilla. Le rondini prolungano to dal ricordo) che si addormenta c’è sia il Pascoli-
la cena, dopo il digiuno del mezzogiorno. Anche la individuo colpito da lutti familiari, sia il Pascoli-
vita del poeta è stata così. Il suono delle campane lo poeta antirazionale e decadente, sia il lettore che il
invita a dormire, lo fa ritornare bambino, quando sul poeta vuole riportare ad una situazione prelogica.
far della sera (=alla fine del giorno) sua madre gli 3. La poesia ha la stessa struttura de Il gelsomino not-
rimboccava le coperte, ed egli si addormentava. turno: due ordini di eventi, uno naturale (il temporale
del giorno, che si conclude con una sera tranquilla) e
Commento uno umano (la vita piena di dolori del poeta che si
1. Il poeta continua ad usare termini e sintassi sem- conclude con una maturità – la sera della vita – u-
plici e quotidiani. Presta una cura particolare all’in- gualmente tranquilla). La vita del poeta quindi ha le
terpunzione ma anche all’ellissi del verbo, che gli stesse caratteristiche degli eventi che hanno caratte-
permettono di ottenere risultati (e interruzioni dei rizzato il giorno. A questo punto il poeta, che sta vi-
versi) ipnotici e suggestivi. Continuano le onomato- vendo la sera del giorno e la sera della vita, va con il
pee e le allitterazioni (i lampi, un breve “gre gre” di pensiero alla sera di quand’era bambino: sua madre
ranelle, le tremule foglie dei pioppi, un cupo tumulto, gli rimboccava le coperte ed egli si addormentava.
quell’aspra bufera, “Don... Don...” ecc.), ma anche Questa struttura, assolutamente invisibile, rimanda a
le sinestesie (voci di tenebra azzurra) e le metonìmie strutture simili, peraltro molto più semplici, della po-
(la fame del povero giorno, la garrula cena, i nidi, esia barocca, ad esempio Donna che si pettina (la me-
cioè gli abitanti del nido). Continuano i contrasti (il tafora è condotta senza forzature per tutto il sonetto) e
temporale pieno di lampi e di tuoni del giorno, la pa- Per la sua donna, che avea spiegate le sue chiome al
ce e i garriti gioiosi della sera); i colori (porpora, sole (l’uso in più significati della parola sol) di Mari-
d’oro, nera, rosa, tenebra azzurra). Ed anche i rumo- no e Sembran fere d’avorio in bosco d’oro di Nar-
ri, spesso espressi con termini onomatopeici (che ducci (il triplice uso della parola preda).
scoppi!, le tacite stelle, il singhiozzo del ruscello, 4. Il poeta, soprattutto nell’ultima strofa, parla non
quel cupo tumulto, il singulto del ruscello, un rivo alla ragione, bensì alla parte sensitiva, irrazionale, in-
canoro, gridi ecc.), le luci (lampi, cirri di porpora e conscia dell’uomo, con un linguaggio fatto di suoni e
d’oro ecc.) e le sensazioni (umida sera, infinita tem- di immagini suggestivi e ipnotici. Alla fine anche la
pesta, la fame). La poesia quindi rivela una comples- coscienza si dissolve nel ricordo del passato e nel
sità insospettata, nascosta da una apparente sponta- sonno del bambino, indotto e cullato dalle campane.
neità. Anche qui le rime alterne sono “nascoste” dalla L’effetto suggestivo e ipnotico è prodotto da un cli-
ricchezza sonora dei versi. max discendente: il suono delle campane diventa
2. Il simbolismo della poesia è semplice ed immedia- sempre più lontano e sempre più tenue, via via che il
to: il giorno fu sconvolto da un temporale, ma ora la poeta cade nell’incoscienza del sonno.
sera è tranquilla; la vita del poeta fu piena di dolori, 5. La ripetitività e la ciclicità della vita e della morte,
ma ora la vecchiaia è tranquilla. Il poeta compare per il ricongiungimento della maturità all’infanzia attra-
un momento al v. 21, quindi agli inizi del v. 31, infine verso il ricordo è confermato anche dalla chiusura,
appare in tutta l’ultima strofa. Il simbolismo però non sempre uguale e sempre diversa, di ogni strofa: che
è totale: il poeta non paragona soltanto la sua vita al pace, la sera!, nell’umida sera!, nell’ultima sera! ecc.
giorno, poiché permette che ci sia un collegamento Il ricorso a strutture cicliche (la fine del componi-
effettivo, costituito dall’identificazione, alla fine della mento si riallaccia al suo inizio) è presente anche in
poesia, tra la sera della sua vita e la sera del giorno. Lavandare e Orfano.
Anche il simbolismo così smussato vuole essere 6. Conviene confrontare La mia sera con La quiete
spontaneo, “naturale”, e vuole evitare di essere cer- dopo la tempesta e con Il passero solitario di Leo-
vellotico, intellettuale, forzato. La strofa finale colle- pardi. Il poeta di Recanati fa del temporale il simbolo
ga ben tre sere: la sera del giorno, la sera della vita del dolore, che funesta la vita degli animali come de-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 400
gli esseri umani. Il dialogo avviene a tre: il poeta co), anzi davanti al fatto che tutti gli esseri viventi,
rimprovera la natura di aver fatto agli uomini pro- nessuno escluso, provano dolore (è il pessimismo co-
messe di felicità, che poi non ha mantenuto e che ha smico). Pascoli invece è chiuso e immiserito nel suo
sostituito con dolori ed affanni. Pascoli invece si rin- dolore individuale, dal quale non sa né vuole uscire,
chiude nel suo io egoistico: la sera è la sua sera, la anzi auspica La siepe che tenga gli altri fuori del suo
sera della sua vita. Gli altri non vi hanno posto. Il dia- “nido” e della sua intimità. Leopardi canta la giovi-
logo avviene tra sé e sé o al massimo, come succede nezza e l’amore, e prova nostalgia per il passato, an-
nel Gelsomino notturno (v. 2), tra sé e il ricordo dei che se doloroso, mentre non prova alcun interesse,
familiari defunti. In ogni caso gli altri non ci sono o prova anzi rifiuto, verso il futuro (la maturità non rea-
sono esclusi o, come ne La siepe dei Poemetti, sono lizza le speranze della giovinezza, la vecchiaia è triste
tenuti lontani. Anche ne Il passero solitario Leopardi e sconsolata, poiché non si ha nulla da dire agli altri).
è proiettato verso il mondo esterno: guarda con un 8. Un ulteriore confronto si può fare con la conclu-
misto d’invidia e rassegnazione i suoi coetanei che sione de I promessi sposi: per Renzo e Lucia i guai
escono nelle vie del paese desiderosi di cogliere la sono venuti anche se non li hanno cercati, e comun-
loro giovinezza e l’amore. E tuttavia è anche capace que la fiducia in Dio li ha resi più sopportabili. Essi
di abbandonarsi con piacere e con stupore alla bellez- però sono serviti anche a farli maturare. Pascoli inve-
za del paesaggio: “Questo giorno ch’omai cede alla ce prova un sospiro di sollievo: la fanciullezza con i
sera [...] par che dica Che la beata gioventù vien me- suoi lutti e la sua mancanza di affetto (X agosto, La
no”. La stessa proiezione verso gli altri si trova anche cavallina storna ecc.), e la giovinezza con la sua soli-
ne Il sabato del villaggio. Pascoli invece si rinchiude tudine e la sua mancanza di amore (La piccozza ecc.)
dentro il suo mondo, la sua casa, il suo “nido”, inca- sono per fortuna passate. E la vecchiaia – la sua ma-
pace di avere un po’ di attenzione per il prossimo e di turità – ha finalmente portato un po’ di pace e di tran-
capire che anche il prossimo ha i suoi problemi e le quillità.
sue difficoltà. Ancora: Leopardi, soprattutto nel Can- 7. Un confronto si può fare anche con il sonetto Alla
to notturno di un pastore errante dell’Asia, mette in sera di Foscolo e con La sera fiesolana di D’ Annun-
secondo piano il dolore personale davanti al fatto che zio. Foscolo si rivolge alla sera, che personifica e con
tutti gli uomini provano dolore (è il pessimismo stori- cui dialoga: essa gli fa pensare alla morte, ma dà an-
---I☺I--- che un po’ di pace ai suoi affanni e alle sue passioni.
D’Annunzio fa tacere completamente la ragione e si
I Poemi conviviali, 1892-1905 abbandona a pure sensazioni visive, auditive e olfat-
tive; parla di amore alla donna che sta vicino a lui; e
Nei Poemi conviviali (1892-1905) Pascoli rivisita in vede nelle colline del paesaggio due labbra ardenti,
termini decadenti il mondo antico greco, latino e cri- che si preparano a pronunciare parole segrete. Rispet-
stiano. Le figure che incontra sono Solone, Achille, to all’estroversione di costoro Pascoli ha un compor-
Ulisse, Alessandro Magno ecc. Essi sono attraversati tamento opposto: sentendosi minacciato dal mondo
da una vena di mestizia; e costituiscono l’espressione esterno, si ritrae in sé e si rifugia nel suo io, nella sua
più perfetta dell’estetica pascoliana. casa, nel suo “nido”.
---I☺I---
Poemi di Ate, II. L’etera, 1904
Poemi di Ate, II. L’etera
I
O quale, un’alba, Myrrhine si spense, 1.
la molto cara, quando ancor si spense O quale, un’alba, Myrrhine si spense,
stanca l’insonne lampada lasciva, la molto cara, quando ancora si spense
conscia di tutto. Ma v’infuse Evèno per la stanchezza l’insonne lampada lasciva,
ancor rugiada di perenne ulivo; 5 conscia di tutto. Ma Evèno vi infuse
e su la via dei campi in un tempietto, ancora rugiada (=olio) di ulivo perenne; e sulla via
chiuso, di marmo, appese la lucerna dei campi in un tempietto, chiuso, di marmo,
che rischiarasse a Myrrhine le notti; appese la lucerna affinché rischiarasse le notti
in vano: ch’ella alfin dormiva, e sola. a Myrrhine. Invano: ella alla fine
Ma lievemente a quel chiarore, ardente 10 dormiva, e [dormiva] sola.
nel gran silenzio opaco della strada, Ma lievemente a quel chiarore, che ardeva
volò, con lo stridìo d’una falena, nel gran silenzio opaco della strada,
l’anima d’essa: ché vagava in cerca la sua anima volò con lo stridìo
del corpo amato, per vederlo a cora, di una falena: vagava in cerca
bianco, perfetto, il suo bel fior di carne, 15 del corpo amato, per vederlo ancora,
fiore che apriva tutta la corolla bianco perfetto, il suo bel fiore di carne,
tutta la notte, e si chiudea su l’alba fiore che apriva tutta la corolla
avido ed aspro, senza più profumo. tutta la notte, e si chiudeva all’alba
avido ed aspro, senza più profumo.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 401
Or la falena stridula cercava Ora la falena stridula cercava
quel morto fiore, e batté l’ali al lume 20 quel fiore morto, e batté le ali al lume
della lucerna, che sapea gli amori; della lucerna, che conosceva gli amori.
ma il corpo amato ella non vide, chiuso, Ma ella non vide il corpo amato, chiuso
coi molti arcani balsami, nell’arca. nell’arca con molti e misteriosi balsami.
II 2.
Né volle andare al suo cammino ancora Né volle andare ancora al suo cammino
come le aeree anime, cui tarda 25 come le anime fatte d’aria, che tardano
prendere il volo, simili all’incenso a prendere il volo, simili all’incenso,
il cui destino è d’olezzar vanendo. il cui destino è di olezzare svanendo.
E per l’opaca strada ecco sorvenne E per l’opaca strada ecco sopravvenne
un coro allegro, con le faci spente, un coro allegro, con le fiaccole spente,
da un giovenile florido banchetto. 30 da un ricco banchetto di giovani.
E Moscho a quella lampada solinga E Moscho [davanti] a quella lampada solitaria
la teda accese, e lesse nella stele: accese la sua fiaccola, e lesse sulla stele:
MYRRHINE AL LUME DELLA SUA LUCERNA MYRRHINE AL LUME DELLA SUA LUCERNA
DORME. È LA PRIMA VOLTA ORA, E PER DORME. ORA È LA PRIMA VOLTA, E [VI
SEMPRE. 35 DORMIRÀ] PER SEMPRE.
E disse: Amici, buona a noi la sorte! E disse: Amici, la sorte ci è propizia!
Myrrhine dorme le sue notti, e sola! Myrrhine dorme le sue notti, e [dorme] sola!
Io ben pregava Amore iddio, che al fine Io ben pregavo il dio Amore che alla fine
m’addormentasse Myrrhine nel cuore: mi addormentasse Myrrhine sul cuore: pregai
pregai l’Amore e m’ascoltò la Morte. 40 l’Amore e mi ascoltò la Morte.
E Callia disse: Ell’era un’ape, e il miele E Callia disse: Ella era un’ape, e stillava il miele,
stillava, ma pungea col pungiglione. ma pungeva con il pungiglione.
E disse Agathia: Ella mesceva ai bocci E Agathia disse: Ella mesceva ai bocci dell’amore
d’amor le spine, ai dolci fichi i funghi. le spine, ai dolci fichi i funghi.
E Phaedro il vecchio: Pace ai detti amari! 45 E il vecchio Phaedro: Pace alle parole amare!
ella, buona, cambiava oro con rame. Ella, buona, scambiava l’oro con il rame.
E stettero, ebbri di vin dolce, un poco E, ebbri di vino dolce, stettero un poco lì
lì nel silenzio opaco della strada. nel silenzio opaco della strada.
E la lucerna lor blandia sul capo, E la lucerna, tremula, accarezzava sul loro capo
tremula, il serto marcido di rose, 50 il serto intrecciato di rose,
e forse tratta da quel morto olezzo e forse attratta da quel profumo di morte
ronzava un’invisibile falena. una invisibile falena ronzava.
Ma poi la face alla lucerna tutti, Ma poi [davanti] alla lucerna tutti, uno
l’un dopo l’altro, accesero. Poi voci dopo l’altro, accesero la fiaccola. Poi l’auletride
alte destò l’auletride col flauto 55 destò suoni profondi con il suo flauto
doppio, di busso, e tra faville il coro doppio, di busso, e con un sonoro trepestìo
con un sonoro trepestìo si mosse. il coro si mosse tra le faville [della fiaccola].
III 3.
L’anima, no. Rimase ancora, e vide L’anima non si mosse. Rimase ancora lì,
le luci e il canto dileguar lontano. e vide le luci e il canto dileguarsi lontano.
Era sfuggita al demone che insegna 60 Era sfuggita al demone che insegna
le vie muffite all’anime dei morti; le vie ammuffite alle anime dei morti.
gli era sfuggita: or non sapea, da sola, Gli era sfuggita. Ed ora non sapeva trovare
trovar la strada: e stette ancora ai piedi la strada da sola: stette ancora ai piedi
del suo sepolcro, al lume vacillante del suo sepolcro, davanti al lume vacillante
della sua conscia lampada. E la notte 65 della sua conscia lampada. E la notte era
era al suo colmo, piena d’auree stelle; al suo culmine, piena di stelle dorate;
quando sentì venire un passo, un pianto quando sentì venire un passo, venire
venire acuto, e riconobbe Evèno. un pianto acuto, e riconobbe Evèno.
Ché avea perduto il dolce sonno Evèno Perché Evèno aveva perduto il dolce sonno
da molti giorni, ed or sapea che chiuso 70 da molti giorni, ed ora sapeva
era nell’arca, con la morta etèra. che era chiuso nell’arca con la morta etèra.
E singultendo disserrò la porta E tra i singulti aprì la porta del bel tempietto,
del bel tempietto, e presa la lucerna, prese la lucerna
IV 4.
E fuggì, fuggì via l’anima, e un gallo E fuggì, fuggì via l’anima, e un gallo rosso
rosso cantò con l’aspro inno la vita: 85 cantò con l’aspro inno la vita:
la vita; ed ella si trovò tra i morti. la vita; ed ella si trovò tra i morti.
Né una a tutti era la via di morte, Né la via di morte era una per tutti,
ma tante e tante, e si perdean raggiando ma tante e tante, e si perdevano irraggiandosi
nell’infinita opacità del vuoto. nell’infinita opacità del vuoto.
Ed era ignota a lei la sua. Ma molte 90 Ed a lei era ignota la sua. Ma nell’ombra
ombre nell’ombra ella vedea passare ella vedeva molte ombre passare e dileguarsi:
e dileguare: alcune col lor mite alcune con il loro mite demone
demone andare per la via serene, andavano serene per la via, ed altre rifiutavano,
ed altre, in vano, ricusar la mano ma invano, la mano del loro destino.
del lor destino. Ma sfuggita ell’era 95 Ma ella era sfuggita
da tanti giorni al demone; ed ignota da tanti giorni al demone;
l’era la via. Dunque si volse ad una ed la via le era ignota. Dunque si volse ad una
anima dolce e vergine, che andando anima dolce e vergine, che andando
si rivolgeva al dolce mondo ancora; si rivolgeva ancora al dolce mondo;
e chiese a quella la sua via. Ma quella, 100 e chiese a quella la sua via. Ma quella,
l’anima pura, ecco che tremò tutta l’anima pura, ecco che tremò tutta
come l’ombra di un nuovo esile pioppo: come l’ombra di un nuovo esile pioppo:
“Non la so!” disse, e nel pallor del Tutto «Non la so!» disse, e nel pallore del Tutto
vanì. L’etèra si rivolse ad una svanì. L’etèra si rivolse
anima santa e flebile, seduta 105 ad un’anima santa e flebile, seduta,
con tra le mani il dolce viso in pianto. Che teneva tra le mani il dolce viso in pianto.
Era una madre che pensava ancora Era una madre che pensava ancora ai dolci figli;
ai dolci figli; ed anche lei rispose: ed anche lei rispose: «Non la so!»;
“Non la so!”; quindi nel dolor del Tutto quindi nel dolore del Tutto sparì. L’etèra errò
sparì. L’etèra errò tra i morti a lungo 110 tra i morti a lungo
miseramente come già tra i vivi; miseramente come già tra i vivi.
ma ora in vano; e molto era il ribrezzo Ma ora invano. E molto era il ribrezzo di là
di là, per l’inquïeta anima nuda per l’inquieta anima nuda,
che in faccia a tutti sorgea su nei trivi. che su nei trivi sorgeva in faccia a tutti.
V 5.
E alfine insonne l’anima d’Evèno 115 E alfine, insonne, l’anima di Evèno
passò veloce, che correva al fiume passò veloce. Correva al fiume dell’oblìo,
arsa di sete, dell’oblìo. Né l’una riarsa di sete. Né l’una riconobbe l’altra.
l’altra conobbe. Non l’avea mai vista. Non l’aveva mai vista.
Myrrhine corse su dal trivio, e chiese, Myrrhine corse su dal trivio, e a quella
a quell’incognita anima veloce, 120 sconosciuta anima veloce chiese
la strada. Evèno le rispose: “Ho fretta.” la strada. Evèno le rispose: «Non posso, ho fretta».
VI 6.
E più veloce l’anima d’Evèno E l’anima di Evèno corse più veloce,
corse, in orrore, e la seguì la trista in orrore, e la trista anima ignuda la seguì.
anima ignuda. Ma la prima sparve Ma la prima disparve in lontananza, nella nebbia
in lontananza, nella eterna nebbia; 125 eterna; e l’altra, ansante, l’etèra, sostò
e l’altra, amante, a un nuovo trivio incerto a un nuovo trivio incerto. E intese là bisbigli,
sostò, l’etèra. E intese là bisbigli,
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 403
ma così tenui, come di pulcini ma così tenui, come di pulcini
gementi nella cavità dell’uovo. gementi nella cavità dell’uovo.
Era un bisbiglio, quale già l’etèra 130 Era un bisbiglio, quale già l’etèra
s’era ascoltata, con orror, dal fianco s’era ascoltata, con orrore, venire su pio
venir su pio, sommessamente... quando dal fianco, sommessamente... quando
avea, di là, quel suo bel fior di carne, aveva, di là, quel suo bel fior di carne, i petali
senza una piega i petali. Ma ora senza una piega. Ma ora Myrrhine, l’etèra,
trasse al sussurro, Myrrhine l’etèra. 135 si ritrasse a quel sussurro.
Cauta pestava l’erbe alte del prato L’anima ignuda pestava cautamente
l’anima ignuda, e riguardava in terra, le erbe alte del prato, e guardava per terra,
tra gl’infecondi caprifichi, e vide. tra gli infecondi caprifichi, e vide.
Vide lì, tra gli asfòdeli e i narcissi, Vide lì, tra gli asfòdeli e i narcissi, starsene,
starsene, informi tra la vita e il nulla, 140 informi tra la vita e il nulla,
ombre ancor più dell’ombra esili, i figli ombre esili ancora più dell’ombra,
suoi, che non volle. E nelle mani esangui i figli suoi, che non volle. E nelle mani esangui
aveano i fiori delle ree cicute, avevano i fiori delle cicute colpevoli,
avean dell’empia segala le spighe, avevano le spighe dell’empia segala,
per lor trastullo. E tra la morte ancora 145 per loro trastullo. Ed erano ancora tra la morte
erano e il nulla, presso il limitare. e il nulla, presso il limitare. E Myrrhine venne
E venne a loro Myrrhine; e gl’infanti [fino] a loro; e gli infanti lattei, rugosi,
lattei, rugosi, lei vedendo, un grido vedendo lei, diedero un grido, smorto e gracile;
diedero, smorto e gracile, e gettando e, gettando i tristi fiori, corsero via con i guizzi
i tristi fiori, corsero coi guizzi, 150 delle gambe e delle lunghe braccia,
via, delle gambe e delle lunghe braccia, pendule e flosce; come nella strada
pendule e flosce; come nella strada molle di pioggia, al risuonare
molle di pioggia, al risonar d’un passo, di un passo, i piccolini
fuggono ranchi ranchi i piccolini di qualche rospo fuggono arrancando,
di qualche bodda: tali i figli morti 155 così [si mossero] i figli morti
avanti ancor di nascere, i cacciati prima ancora di nascere, i cacciati
prima d’uscire a domandar pietà! prima di uscire a domandare pietà.
VII 7.
Ma la soglia di bronzo era lì presso, Ma la soglia di bronzo della grande dimora
della gran casa. E l’atrio ululò tetro era lì vicino. E l’atrio ululò tetro
per le vigili cagne di sotterra. 160 a causa delle vigili cagne dell’oltretomba.
Pur vi guizzò, la turba infante, dentro, Pure vi guizzò dentro la turba degli infanti,
rabbrividendo, e dietro lor la madre rabbrividendo. E dietro a loro la madre
nell’infinita oscurità s’immerse. si immerse nell’oscurità infinita.
---I☺I--- ---I☺I---
Riassunto lungo. 1. Myrrhine, l’etèra, si spense all’al- va trovare la strada. Era ancora lì quando Evèno ri-
ba, con la lampada che teneva accesa durante la notte. torno indietro. Da giorni non riusciva a dormire. Il
Evèno la riempì d’olio e la mise nel tempietto, affin- suo sonno era richiuso nel sepolcro. Entrò nel tem-
ché rischiarasse le notti alla ragazza. Come una falena pietto e con la spada forzò il coperchio. L’anima era
la sua anima andò verso la lampada, alla ricerca del dietro di lui. Voleva vedere il suo corpo. Esso appar-
corpo amato. Ma ella non vide il corpo amato, perché ve. Ed Evèno lasciò cadere il coperchio sopra il suo
era chiuso nel sepolcro. sonno e sopra il suo amore.
2. Né volle iniziare il suo cammino. Per la strada 4. L’anima fuggì via, si trovò in mezzo ai morti. Non
giunse un gruppo allegro di giovani provenienti da un c’era un’unica via, ce n’erano tante, e si perdevano
banchetto. Moscho accese la fiaccola per leggere l’i- nell’oscurità. Lei non conosceva la sua. Vide molte
scrizione: “Myrrhine dorme alla luce della sua lam- ombre passare e dileguarsi, guidate dal loro demone;
pada. È la prima volta. Dormirà per sempre”. Egli vo- altre rifiutarsi di seguirlo. Chiese la via all’anima di
leva la ragazza, aveva invocato il dio Amore e gli a- una vergine. Quella la guardò, rispose che non la sa-
veva risposto la morte. Callia ricordò che stillava peva, e fuggì via impaurita. Chiese ad una madre in
miele ma pungeva con il pungiglione. Phaedo che lacrime che pensava ai suoi figli. Anche lei rispose
mescolava ai boccioli dell’amore le spine. Stettero lì che non la conosceva. L’etèra vagò a lungo tra i mor-
un poco, poi accesero tutti le fiaccole. Il flautista in- ti, come tra i vivi, ma invano. Molte anime provavano
tonò un canto. Quindi se ne andarono. ribrezzo per lei.
3. L’anima di Myrrhine rimase. Era sfuggita al de- 5. Infine passò veloce l’anima di Evèno, diretta verso
mone che insegna la strada ai morti, ed ora non sape- il fiume dell’oblio. Non si riconobbero. Myrrhine
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 404
chiese la strada, ma Evèno le rispose che doveva af- sa, per accoglier i suoi amanti. Ora muore. Evèno la
frettarsi. rimpiange subito e accende una lampada nel suo se-
6. Myrrhine si fermò ad un altro trivio. Qui intese dei polcro. Lei non riesce a staccarsi dal corpo, e vaga
bisbigli, come di pulcini dentro l’uovo. Conosceva introno al suo sepolcro. I suoi amanti ritornano da
quel bisbiglio: l’aveva sentito, con orrore, venire sul una festa, si fermano e la ricordano con un vivo rim-
dal fianco, quando aveva il suo bel corpo. Guardò per pianto: mescolava ai boccioli dell’amore le spine;
terra e vide, in mezzo agli infecondi caprifichi, in- scambiava l’oro con il rame. E il flautista intona un
formi tra la vita e il nulla, i figli suoi, che non volle. canto. Evèno forza il sepolcro, così vede il suo corpo.
Avevano in mano i fiori di cicuta e le spighe della se- E l’anima può andare tra i morti. Qui cerca la strada:
gala come trastullo. Vedendola, diedero un grido e non la può guidare il demone, perché gli era sfuggita.
con un guizzo fuggirono via. Chiede la strada a una vergine e a una madre, ma non
7. Ma la soglia di bronzo era lì vicino. La turba degli gliela sanno dire. Incontra anche Evèno, ma i due non
infanti vi si precipitò dentro, e dietro ad essi la loro si riconoscono. Infine ad un bivio incontra anche i fi-
madre. gli suoi, che non volle. Essi la vedono e fuggono. Si
precipitano oltre la soglia dell’Ade. E dietro a loro la
Riassunto breve. Myrrhine, l’etèra, muore. Evèno, il loro madre.
suo amante, accende la lampada del suo sepolcro. Es- 4. L’etèra è una ragazza che intrattiene gli ospiti con
sa non sa staccarsi dal suo corpo. Ritornando da un il canto, la musica, la cultura e il proprio corpo. Coin-
matrimonio, i suoi amici si fermano sulla sua tomba e cide con la geisha cinese.
la rimpiangono. Poi se ne vanno. Essa rimane. Evèno 5. La ragazza è morta giovane, ma ha lasciato un in-
viene e forza il coperchio del sepolcro, per vederla. tenso ricordo di sé. Evèno e gli amici la ricordano con
L’anima fugge, e si trova tra i morti. Ma qui le strade nostalgia. Ma lei è ancora legata al suo corpo, perciò
erano tante e lei non conosceva la sua, perché aveva il suo viaggio verso l’Ade non è facile: il demone non
rifiutato di seguire il suo demone. Chiede ad una ver- la guida. Così lei chiede la strada, ma le anime non
gine, che le risponde di non conoscerla. Chiede ad gliela sanno indicare. La chiede anche ad Evèno, ma i
una madre, che piangeva per i suoi figli, ed anche lei due non si riconoscono, ed egli deve affrettarsi per
le risponde che non la conosce. Incontra anche Evè- raggiungere il fiume dell’oblio. Infine incontra i figli
no, ma non si riconoscono. Egli le risponde che do- suoi, che non volle. Ed essi, fuggendola, guidano la
veva affrettarsi ad arrivare al fiume dell’oblio. Ad un madre oltre la porta dell’Ade.
nuovo trivio sente bisbigli che già conosceva, quando 6. La donna è vissuta con il corpo, e unicamente con
era in vita. Provenivano dal suo grembo. Guarda per il corpo. Ma, a detta dei suoi amici, è stata generosa.
terra e vede i figli, che non volle. Vedendola essi Dopo morta non riesce a staccarsi dal corpo, non pen-
fuggono via. Ma la porta degli inferi era lì vicina. La sa al viaggio che la porta nell’Ade, pensa ancora al
turba degli infanti vi si precipita dentro, e dietro a lo- suo corpo. E lo vuole rivedere. Perciò sosta vicina al
ro la madre. sepolcro. In vita non si è mai lamentata. Ora in morte
prova l’angoscia di vedersi separata dal suo corpo, «il
Commento suo bel fior di carne aperto», dentro/con il quale vi-
1. Nel Fedone, 107-108, di Platone Socrate racconta veva.
che, quando si muore, il demone, che in vita ha avuto 7. La ragazza scopre la sua colpa nell’altro mondo. In
cura del corpo, conduce l’anima per la strada che por- vita l’aveva sempre rimossa: il rifiuto di avere figli. I
ta all’Ade. Essa però non è dritta né unica, ma è piena figli le avrebbero impedito l’amore proprio e l’amore
di ramificazioni e di incroci. L’anima che ha vissuto altrui per il proprio corpo.
bene lo segue senza opporre resistenza. Quella che è ---I☺I---
ancora legata al proprio corpo vaga a lungo alla ricer-
ca del corpo. E il demone con estrema fatica riesce a
condurla con sé. L’anima che ha commesso una qual-
che delitto è sfuggita dalle altre anime, che si rifiuta-
no di accompagnarla. Ed essa soltanto dopo un ade-
guato periodo di espiazione e di dolore può iniziare il
cammino.
2. I Poemi conviviali mostrano un Pascoli ben diverso
da quello che vuole essere facile ed umile ad oltranza
e contro ogni ragionevolezza. Questi poemi riprodu-
cono con meticolosa precisione il mondo classico e le
sue problematiche valide anche per il presente. Ma
sono poemi difficili, perciò l’immagine che il poeta
ha lasciato dietro di sé è legata alla produzione più
semplice e più facile.
3. Myrrhine è una etèra, ha vissuto con il corpo per
tutta la vita. Di notte la sua fiaccola era sempre acce-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 405
Alexandros, 1895 Alexandros
I 1.
– Giungemmo: è il Fine. O sacro Araldo, squilla! “Siamo giunti: è l’estremo confine. O sacro araldo,
Non altra terra se non là, nell’aria, suona la tromba! Non v’è altra terra davanti a noi,
quella che in mezzo del brocchier vi brilla, se non quella che là nell’aria vi brilla in mezzo allo
scudo,
o Pezetèri: errante e solitaria o Pezetéri: una terra errante e disabitata (=la Luna),
terra, inaccessa. Dall’ultima sponda inaccessibile. Da quest’ultima sponda
vedete là, mistofori di Caria, vedete là, o mercenari della Caria,
dentro la notte fulgida del cielo. e si sprofonda dentro la volta fulgida del cielo.
II 2.
Fiumane che passai! voi la foresta O fiumane che passai! voi portate riflessa nelle chiare
immota nella chiara acqua portate, acque la foresta, che rimane; portate con voi
portate il cupo mormorìo, che resta. il cupo mormorio [della corrente], che non cessa mai.
Montagne che varcai! dopo varcate, O montagne che varcai! dopo che siete state varcate,
sì grande spazio di su voi non pare, dalla vostra cima non appare uno spazio così grande,
che maggior prima non lo invidïate. che prima non lo faceste immaginare più grande.
Azzurri, come il cielo, come il mare, O monti, o fiumi, azzurri come il cielo, azzurri come
o monti! o fiumi! era miglior pensiero il mare! Sarebbe stato un miglior pensiero fermarsi,
ristare, non guardare oltre, sognare: non guardar più avanti, sognare:
il sogno è l’infinita ombra del Vero. il sogno può ingigantire senza limiti la Realtà.
III 3.
Oh! più felice, quanto più cammino Oh!, ero tanto più felice quanto più cammino
m’era d’innanzi; quanto più cimenti, avevo davanti a me; quante più battaglie,
quanto più dubbi, quanto più destino! quanti più dubbi, quanto più destino!
Ad Isso, quando divampava ai vènti Ad Isso, quando il campo nemico con le mille schie-
notturno il campo, con le mille schiere, re, i carri oscuri e le infinite mandrie nella notte
e i carri oscuri e gl’infiniti armenti. mandava il bagliore dei fuochi alimentati dai venti.
A Pella! quando nelle lunghe sere A Pella, quando nelle lunghe sere,
inseguivamo, o mio Capo di toro, o mio Bucefalo, inseguivamo il Sole;
il sole; il sole che tra selve nere, il Sole che tra le nere selve ardeva
sempre più lungi, ardea come un tesoro. sempre più lontano, irraggiungibile, come un tesoro.
IV 4.
Figlio d’Amynta! io non sapea di meta O padre mio!, io non sapevo d’un confine ultimo,
allor che mossi. Un nomo di tra le are insuperabile, quando partii! Timòteo, il suonatore
intonava Timotheo, l’auleta: di flauto, intonava un canto fra gli altari:
soffio possente d’un fatale andare, invito possente ad andare sempre più avanti,
oltre la morte; e m’è nel cuor, presente oltre la morte; ed esso è presente nel mio cuore
come in conchiglia murmure di mare. come il mormorio del mare nella conchiglia.
O squillo acuto, o spirito possente, O squillo acuto, o spirito possente (=l’invito ad avan-
che passi in alto e gridi, che ti segua! zare), che passi alto sopra di noi e gridi che ti segua!
ma questo è il Fine, è l’Oceano, il Niente... Ma questo è il confine ultimo, è l’Oceano, il Niente...
e il canto passa ed oltre noi dilegua. – e il canto passa e oltre di noi si dilegua.”
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 406
V 5.
E così, piange, poi che giunse anelo: E così piange, dopo che giunse desideroso
piange dall’occhio nero come morte; [di avanzare]: piange dall’occhio nero come
piange dall’occhio azzurro come cielo. la morte, piange dall’occhio azzurro come il cielo,
Ché si fa sempre (tale è la sua sorte) perché (tale è il suo destino) nell’occhio nero
nell’occhio nero lo sperar, più vano; lo sperare si fa più vano; e nell’occhio azzurro
nell’occhio azzurro il desiar, più forte. il desiderare si fa più forte.
Egli ode belve fremere lontano, Egli ode le belve fremere lontano;
egli ode forze incognite, incessanti, egli ode forze sconosciute, inesauribili,
passargli a fronte nell’immenso piano, passargli davanti nell’immensa pianura,
VI 6.
In tanto nell’Epiro aspra e montana Intanto nell’Epiro, aspra e montuosa,
filano le sue vergini sorelle le sue vergini sorelle filano per lui,
pel dolce Assente la milesia lana. dolce assente, la lana di Mileto.
A tarda notte, tra le industri ancelle, A tarda notte, tra le ancelle operose esse torcono
torcono il fuso con le ceree dita; il filo con le dita bianche come la cera; e il vento
e il vento passa e passano le stelle. passa e passano le stelle (=passa tutta la notte).
le grandi quercie bisbigliar sul monte. le grandi querce bisbigliare sul monte.
---I☺I--- ---I☺I---
Riassunto. Il poeta reinterpreta in termini decadenti la prima di giungere alla fine del suo viaggio, al luogo
figura di Alessandro Magno: il sovrano macedone ha che non permette di passare in alcun altro luogo.
conquistato l’impero persiano ed è giunto sulle rive Questa impossibilità provoca il dramma e l’insoddi-
dell’Oceano Indiano. Dovrebbe essere contento, per- sfazione interiore: la realtà risulta molto – troppo –
ché ha conquistato tutto, ma non lo è, perché non ha inferiore al desiderio del cuore, al sogno. E l’in-
più nulla da conquistare. Era più bello il momento soddisfazione diventa connaturata con la vita e la na-
della partenza, quando aveva davanti a sé il pericolo e tura umana. La scelta giusta risultava fin dall’inizio
l’avventura. Ora le sue conquiste gli appaiono molto quella di sua madre, che aveva rifiutato la realtà a fa-
più piccole di quanto immaginava, perché la realtà si vore del sogno. Il sogno, non l’azione né la razionali-
è dimostrata molto inferiore al sogno. Egli sente che tà, le permetteva di entrare in contatto con le forze
nella realtà ci sono forze immense, che egli non può smisurate e misteriose della natura.
controllare, perciò si sente infelice. Sua madre invece 3. Il rifiuto della razionalità da parte di Pascoli risulta
è rimasta nella reggia e passa il tempo a sognare e ad più solido e motivato se si tiene presente che il Posi-
ascoltare il linguaggio delle forze ignote della natura, tivismo dominante – superficialmente ottimistico –
che essa comprende. era in crisi, che Freud conquistava nuovi territori alla
ricerca scientifica, che la scienza stava subendo tra-
Commento sformazioni radicali che la staccavano completamente
1. Anche in questa poesia Pascoli rifiuta la ragione, la dalla fisica galileo-newtoniana, che la società europea
scienza, la realtà, che sono di gran lunga inferiori, era dilaniata da tensioni e da conflitti a cui si rispon-
meno soddisfacenti e meno efficaci dell’intuizione e deva con la forza, con la violenza, con l’attivismo ir-
del sogno. razionalistico, con il nazionalismo, con il culto della
2. La poesia si sviluppa sulle dislocazioni dei tempi e guerra o della violenza o del superuomo. Alla fine del
dei luoghi: Alessandro è giunto sulle rive dell’Oceano secolo la società europea era in crisi, perché aveva
Indiano, non ha più nulla da conquistare davanti a lui, perso ogni certezza e ogni speranza. L’esplosione de-
perciò si volta indietro, a pensare al momento della gli irrazionalismi porta alla prima guerra mondiale
partenza, alle sue vittorie militari, a come apparivano (1914-18).
le difficoltà prima che le affrontasse e dopo che le 4. Il viaggio insoddisfacente di Alessandro Magno
aveva affrontate. Egli è in riva all’oceano, ma pensa a può essere confrontato con quello dell’Ulisse dante-
tutti i luoghi (e a tutte le avventure) che ha percorso sco (If XXVI), che abbandona il figlio, il padre e la
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 407
moglie e con i pochi fidati compagni sfida la volontà
degli dei, supera le colonne d’Ercole, si avventura
nell’oceano disabitato, e infine incontra la morte da-
vanti ad una montagna altissima (è la montagna del
purgatorio), pur di raggiungere “virtute e canoscen-
za”. Ma l’Ulisse dantesco rimanda alla interpretazio-
ne pascoliana dell’eroe greco. Ulisse sta tornando a
casa con i suoi compagni, è giunto in prossimità della
sua isola, quando si addormenta. I compagni aprono
gli otri, dove erano racchiusi i venti sfavorevoli. La
nave è spinta nuovamente in alto mare. Svegliandosi,
egli vede in lontananza qualcosa di indistinto, da cui
ora i venti lo allontanano. Ma non sa se è soltanto una
nuvola o se è la sua terra: il sonno gli ha impedito di
essere pronto all’appuntamento che il destino gli ave-
va preparato (Poemi conviviali, Il sonno di Odisseo,
1904).
5. Anche D’Annunzio reinterpreta in termini deca-
denti il mondo classico, ma in modo completamente
diverso. Il suo Ulisse non manca all’appuntamento
con il destino, è anzi artefice del suo destino. Il poeta
lo incontra mentre sta veleggiando a nord della sua
isola, gli chiede di metterlo alla prova, di fargli pro-
vare l’arco. Ulisse lo guarda per un attimo, e da quel
momento il poeta è divenuto diverso da tutti i suoi
compagni (Laudi del cielo, del mare, della terra e
degli eroi. Maia, IV. L’incontro con Ulisse, 1903).
6. Secondo la leggenda Alessandro ha gli occhi di co-
lore diverso: uno azzurro, l’altro nero.
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I 1.
Taci. Su le soglie Taci. Sulle foglie
del bosco non odo del bosco non odo
parole che dici parole che tu possa dire
umane; ma odo umane; ma odo
parole più nuove parole più nuove
che parlano gocciole e foglie pronunciate da gocce e da foglie
lontane. lontane.
Ascolta. Piove Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse. dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici Piove sulle tamerici
salmastre ed arse, bruciate dal sale e dal sole,
piove su i pini piove sui pini
scagliosi ed irti, scagliosi e irti di aghi,
piove su i mirti piove sui mirti
divini, sacri agli dei,
su le ginestre fulgenti sulle ginestre risplendenti
di fiori accolti, per le loro infiorescenze,
su i ginepri folti sui ginepri ricoperti
di coccole aulenti, di bacche profumate,
piove su i nostri volti piove sui nostri volti
silvani, che ormai appartengono al bosco,
piove su le nostre mani piove sulle nostre mani
ignude, nude,
su i nostri vestimenti sui nostri vestiti
leggieri, leggeri,
su i freschi pensieri sui nostri freschi pensieri,
che l’anima schiude che la nostra nuova anima
novella, dischiude,
su la favola bella [piove] sulla bella favola dell’amore,
che ieri che ieri
t’illuse, che oggi m’illude, illuse te, che oggi illude me,
o Ermione. o Ermione.
II 2.
Odi? La pioggia cade Odi? La pioggia cade
su la solitaria sulle fronde solitarie
verdura del bosco
con un crepitìo che dura con un crepitìo che perdura
e varia nell’aria e che è sempre diverso nell’aria,
secondo le fronde secondo le fronde,
più rade, men rade. più rade, meno rade.
Ascolta. Risponde Ascolta. Al pianto [della pioggia]
al pianto il canto risponde il canto
delle cicale delle cicale,
che il pianto australe che il pianto [della pioggia portato
non impaura, dal vento] del sud non impaurisce,
nè il ciel cinerino. né [impaurisce] il cielo grigio-cenere.
E il pino E il pino
ha un suono, e il mirto produce un suono, il mirto
altro suono, e il ginepro ne produce un altro, il ginepro
altro ancóra, stromenti un altro ancora: sono strumenti
diversi diversi
sotto innumerevoli dita. sotto le innumerevoli dita [delle gocce].
E immersi E noi siamo immersi
noi siam nello spirto nello spirito
silvestre, del bosco, e viviamo
d’arborea vita viventi; la verde vita degli alberi;
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 415
e il tuo volto ebro e il tuo volto inebriato
è molle di pioggia è bagnato dalla pioggia
come una foglia, come una foglia,
e le tue chiome e i tuoi lunghi capelli
auliscono come profumano come
le chiare ginestre, le ginestre lucenti,
o creatura terrestre o creatura della terra,
che hai nome che hai nome
Ermione. Ermione.
III 3.
Ascolta, ascolta. L’accordo Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale delle cicale, che abitano l’aria,
a poco a poco a poco a poco
più sordo si fa più sordo
si fa sotto il pianto sotto il pianto [della pioggia]
che cresce; che aumenta;
ma un canto vi si mesce ma ad esso si mescola
più roco un canto più rauco,
che di laggiù sale, che si alza da laggiù,
dall’umida ombra remota. dalla lontana ombra umida.
Più sordo e più fioco Esso rallenta il ritmo, [si fa] più sordo
s’allenta, si spegne. e più fioco, poi si spegne.
Sola una nota Soltanto una nota
ancor trema, si spegne, trema ancora, poi si spegne,
risorge, trema, si spegne. si fa risentire,
Non s’ode voce del mare. trema, e si spegne.
Or s’ode su tutta la fronda Non si ode il rumore del mare.
crosciare Ora si ode su tutte le fronde
l’argentea pioggia cadere la pioggia d’argento,
che monda, che pulisce [l’aria],
il croscio che varia il rumore varia
secondo la fronda secondo la fronda,
più folta, men folta. più fitta, meno fitta.
Ascolta. Ascolta.
La figlia dell’aria La figlia dell’aria (=la cicala)
è muta; ma la figlia è divenuta silenziosa; ma la figlia
del limo lontana, del fango in lontananza,
la rana, la rana,
canta nell’ombra più fonda, canta nell’ombra più fitta,
chi sa dove, chi sa dove! chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia, E piove sopra le tue ciglia,
Ermione. o Ermione.
IV 4.
Piove su le tue ciglia nere Piove sopra le tue ciglia nere,
sìche par tu pianga così che pare che tu pianga,
ma di piacere; non bianca ma di piacere; non sei più pallida,
ma quasi fatta virente, ma sei quasi divenuta di color verde,
par da scorza tu esca. sembra che tu esca dalla corteccia [d’un albero].
E tutta la vita è in noi fresca E tutta la vita scorre dentro di noi fresca
aulente, e profumata,
il cuor nel petto è come pesca il cuore nel petto è come una pèsca
intatta, intatta,
tra le pàlpebre gli occhi tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe, sono come polle d’acqua che sgorga tra le erbe,
i denti negli alvèoli i denti nelle gengive
con come mandorle acerbe. sono come mandorle acerbe.
Riassunto breve. Il poeta e una evanescente figura di in un flusso continuo ed affascinante di sensazioni e
donna sono sorpresi dalla pioggia in un bosco. Egli di emozioni, che aggirano la razionalità del lettore
invita la donna ad ascoltare i rumori delle gocce superano le sue difese e lo strappano dalla noia della
d’acqua sulla vegetazione, il canto delle cicale, che si vita quotidiana. In fin dei conti fare una passeggiata
affievolisce e scompare, il canto delle rane, che di- in un bosco (e aspettare il temporale) è alla portata di
venta sempre più intenso. E, mentre la natura del bo- tutti. Il poeta riesce a trasformare in modo suggestivo
sco si appropria della loro vita e dei loro corpi, egli e coinvolgente un fatto comune – in questo caso il
invita la donna a lasciarsi andare alle sensazioni, e temporale –, che, quando succede, in genere dà luogo
alla favola dell’amore, che prima aveva illuso lui e soltanto ad irritazione e ad imprecazioni. La vita ini-
che ora illude lei. mitabile, piena di un raffinato estetismo, non è quindi
riservata unicamente ai personaggi dalla sensibilità
Commento eccezionale. È anche alla portata del lettore, che deve
1. I due protagonisti, la donna ed il poeta, sono eva- soltanto imparare a vedere e a percepire la realtà in
nescenti ed immateriali, puri centri di sensazioni, co- modo diverso. In questo modo abilissimo e credibile
me ne La sera fiesolana. La ragione è completamente il poeta riesce a provocare l’identificazione del suo
assente e il poeta si abbandona (e invita la donna ad pubblico nella sua produzione artistica e nella sua vi-
abbandonarsi) alle sensazioni della natura, che entra- ta estetizzante.
no ed avvolgono la coscienza. In tal modo l’uomo 4. Tutta l’ode, in particolare la seconda strofa, ha
perde la sua umanità ed entra a far parte della vita suoni, rumori e una musicalità che fanno a gara con la
primordiale della natura. realtà rappresentata. Il poeta ha presente l’Adone di
2. Il poeta tratta il tema, a lui caro, della passeggiata. G. Marino (1569-1625), in particolare il passo in cui
E ribadisce la difficoltà del dialogo tra uomo e donna: il poeta secentesco si misura con il canto dell’u-
la favola dell’amore ieri ha illuso lei, oggi illude lui; signolo (VII, 32-37). D’altra parte Marino, prima di
e, ancora, ieri ha illuso lui, oggi illude lei. Insomma D’Annunzio, volle essere consapevolmente uno scrit-
sia l’uomo sia la donna si imprigionano con le loro tore professionista, che dalla produzione letteraria vo-
mani dentro le loro illusioni e non riescono a rompere leva ricavare onori, fama e ricchezza.
il bozzolo che li circonda per comunicare con l’altro. 5. In Alexandros Pascoli confronta ragione-realtà da
Il tema della passeggiata e dell’incomunicabilità fra una parte con il sogno che è infinitamente più bello
uomo e donna si inserisce in un evento naturale – il dall’altra, e sceglie il sogno. Niente di tutto questo in
temporale –, che provoca nei due esseri una trasfor- D’Annunzio, che sceglie la Natura e la divina onni-
mazione e li porta a divenire parte della vita imme- potenza della Parola, si abbandona alla molteplicità
diata, onnipervasiva e “vitalistica” della natura. delle sensazioni e fa confluire l’uomo nella vita della
3. La poesia trasforma la realtà in pure sensazioni au- Natura.
ditive, visive e olfattive. La ragione è assente, sosti- 6. Il motivo del temporale è trattato in termini molto
tuita da un rapporto immediato e panico con la natu- diversi da Leopardi (La quiete dopo la tempesta, dove
ra. La realtà – il fatto banale di un temporale che co- il temporale è simbolo del dolore umano) e da Pascoli
glie di sorpresa due innamorati mentre stanno facen- (La mia sera, dove la giornata sconvolta dal tempora-
do una passeggiata in mezzo al bosco – è trasformata, le rimanda simbolicamente alla vita del poeta, scon-
volta dai lutti familiari e dalla mancanza di affetto).
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 417
Un altro temporale famoso è quello che ne I promessi La brezza di ponente schiumò nei sui capelli.
sposi porta via la peste (XXXVII). Apparve immensa, in tutta la sua immensa nudità.
---I☺I---
Riassunto. Il poeta scorge una figura di donna. Si
Stabat nuda Aestas, 1902 mette ad inseguirla. La donna fugge in mezzo alla na-
tura, sfiorando gli aghi dei pini, le foglie degli ulivi,
Primamente intravidi il suo piè stretto le mèssi di frumento. La cicala tace, ma l’allodola la
scorrere su per gli aghi arsi dei pini chiama. I giunchi si chiudono al suo passaggio. Infine
ove estuava l’aere con grande sulla spiaggia, tra le alghe, il suo piede incespica. Ca-
tremito, quasi bianca vampa effusa. de distesa tra la sabbia e l’acqua. La brezza sollevò la
Le cicale si tacquero. Più rochi schiuma delle onde fra i suoi capelli. Ed essa apparve
si fecero i ruscelli. Copiosa in tutta la sua immensa e selvaggia bellezza.
la resina gemette giù pe’ fusti.
Riconobbi il colùbro dal sentore. Commento
1. Il madrigale Stabat nuda aestas (L’estate stava nu-
Nel bosco degli ulivi la raggiunsi. da) ripropone la donna evanescente di altre poesie
Scorsi l’ombre cerulee dei rami dell’Alcyone. In questo caso la figura evanescente è
su la schiena falcata, e i capei fulvi quella dell’estate. Il poeta la insegue in mezzo ai bo-
nell’argento pallàdio trasvolare schi, la sente davanti a sé. L’aria è ardente, le cicale
senza suono. Più lunghi nella stoppia, tacciono, l’allodola spicca il volo, i giunchi della pa-
l’allodola balzò dal solco raso, lude si muovono al suo passaggio e si richiudono die-
la chiamò, la chiamò per nome in cielo. tro di lei. Infine sta per raggiungerla in riva al male,
Allora anch’io per nome la chiamai. ma l’estate incespica e cade. La brezza di ponente
mescola la schiuma delle onde nei suoi capelli ed essa
Tra i leandri la vidi che si volse. appare in tutto il suo splendore. Il poeta non la rag-
Come in bronzea mèsse nel falasco giunge, perché non può raggiungerla. Quando sta per
entrò, che richiudeasi strepitoso. raggiungerla, essa si fonde completamente con la na-
Più lungi, verso il lido, tra la paglia tura e scompare. Al suo posto appare la natura.
marina il piede le si tolse in fallo. 2. Il titolo rimanda a Ovidio, Stabat nuda aestas et
Distesa cadde tra le sabbie e l’acque. spicea serta gerebat (L’Estate stava nuda e in capo
Il ponente schiumò nei sui capegli. portava la corona), Metam., II, 2. Il poeta personifica
Immensa apparve, immensa nudità. l’estate e la trasforma in un’evanescente figura di
donna che corre in mezzo alla natura. Egli la insegue
L’estate se ne stava nuda e infine la raggiunge sulla riva del mare. E vede tutta
la sua incomparabile bellezza.
Dapprima intravidi il suo piede stretto (=piccolo 3. La personificazione è presente anche in altre poesie
e agile) correre su gli aghi riarsi dei pini, di D’Annunzio: ne La sera fiesolana le colline
dove l’aria ribolliva con grande all’orizzonte diventano labbra che non vogliono a-
tremito, quasi fosse una bianca vampa [di fuoco]. prirsi; ne La pioggia nel pineto i due protagonisti so-
Le cicale tacquero. I ruscelli no puri centri di sensazioni, che vanno oltre i limiti
si fecero più rochi. La resina gemette della sensualità e dell’erotismo. Il poeta si sente parte
scendendo copiosa per i fusti [dei pini]. del tutto, mette da parte la ragione e si abbandona a
Riconobbi la serpe dall’odore [penetrante]. una fusione orgiastica con la Natura.
4. La poesia riesce a riprodurre la situazione di vita
La raggiunsi nel bosco degli ulivi. sospesa, che provoca la calura estiva. I rami degli al-
Scorsi le ombre azzurrine dei rami beri oscillano appena, le cicale tacciono, e ogni tanto
sulla sua schiena sinuosa, e [vidi] i capelli si sente il rumore improvviso di un’allodola che spic-
fulvi volar via nelle fronde argentee degli ulivi sacri ca il volo nel campo di frumento appena falciato. Ma
a Pàllade senza un suono. Più lontano tra le stoppie la riproduzione della realtà nelle parole non vuole es-
l’allodola balzò dal solco falciato, sere un verismo più vero della realtà. Vuole indicare
la chiamò, la chiamò per nome [volando] in cielo. un paesaggio dell’anima, la ricerca di qualcosa che ci
Allora anch’io la chiamai per nome. sfugge sempre di mano, il nostro far parte della natu-
ra, l’assenza della ragione, l’io umano ridotto o tra-
Tra gli oleandri vidi che si volse. sformato in puro centro di sensazioni.
Come nel grano maturo entrò fra i giunchi 5. L’estate è evanescente, anche se con la calura fa
di palude, che si richiudevano con un rumore secco. sentire la sua presenza. Ma anche il poeta è evane-
Più lontano, verso il lido, tra le alghe secche scente. È un puro centro di sensazioni, che ha perso la
della spiaggia il suo piede incespicò. sua identità umana, sociale, storica. È (divenuto) una
Cadde distesa tra la riva e l’acqua del mare. pura entità che percepisce e che insegue altre perce-
zioni.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 418
6. I versi di D’Annunzio fanno risuonare l’animo del delle spiagge salmastre.
lettore come le infinite mani della pioggia traevano
dalle fronde della pineta una musica sempre diversa. Per la sabbia del Tempo la mia mano era
La natura del poeta è quindi completamente diversa un’urna, il mio cuore palpitante una clessidra,
dalla Natura di Leopardi, che fa promesse di felicità l’ombra crescente di ogni arbusto perituro era quasi
che poi non mantiene e che fa soffrire gli uomini e l’ombra dell’ago [della meridiana] sul quadrante si-
tutti gli esseri viventi. È diversa anche dalla natura lenzioso.
misteriosa e spesso ostile di Pascoli. In ambedue i ca-
si c’è la ragione che valuta la condizione umana, che Riassunto. La sabbia scorre nella mano del poeta. Il
risulta insostenibile. D’Annunzio è parte della natura suo cuore percepisce che i giorni si erano accorciati.
ed esclude costantemente la presenza della ragione e Si stava avvicinando il mese di settembre con le sue
della razionalità. L’io è soltanto consapevolezza di sé piogge, che offusca lo splendore dorato della sabbia
e delle proprie percezioni. Ed è sempre sul punto di delle spiagge salmastre. La sabbia scorreva nella sua
ritornare a confondersi e a scomparire nella natura. mano come in una clessidra. E l’ombra crescente de-
7. L’inseguimento è una variante della passeggiata gli arbusti sembrava l’ombra disegnata dallo gnomo-
che ne La pioggia nel pineto compiono Ermione ed il ne sul quadrante della meridiana.
poeta. La conclusione è quasi la stessa: là le due figu-
re umane ritornano a fare parte della natura, qui sol- Commento
tanto l’estate si dissolve nella natura. Il luogo in cui 1. Di solito si usava il madrigale per lodare la fanciul-
molte poesie sono ambientate è la spiaggia, la pineta la che si amava o per esprimerle il proprio amore.
in riva al mare, il calore cocente del sole, che dà la D’Annunzio invece lo adopera per descrivere lo scor-
vita e che prosciuga la vita, insomma che dà la morte. rere inesorabile del tempo.
8. Nella maturità estrema o nella sospensione della 2. Il poeta è sulla spiaggia e fa scorrere nella mano la
vita, provocata dalla calura estiva, s’insinua inesora- sabbia. Il suo cuore percepisce che la stagione è cam-
bile il tema della morte o del fluire implacabile del biata, che le giornate si sono accorciate e che si sta
tempo. E tutto ciò provoca un improvviso contatto avvicinando settembre con le sue piogge. Così la sua
con la realtà, con il divenire. Le sensazioni si aprono mano diventa una clessidra, mentre le ombre degli
alla consapevolezza che il tempo fugge, travolge, di- arbusti diventano lo gnomone della meridiana. La sua
vora, distrugge. E compare o una tenue insoddisfa- azione di prendere in mano un pugno di sabbia, fatta
zione o un impalpabile desiderio di morte e di disso- in un momento di ozio, si è dilatata ed ha acquistato
luzione o il tedio, che spinge ad inebriarsi nuovamen- un significato ben più vasto: gli ha fatto percepire lo
te nelle sensazioni. E tutti questi sono temi della poe- scorrere inesorabile del tempo. Quel gesto riproduce
sia latina: tempus fugit, tædium vitæ. Ma i motivi l’azione della clessidra, che misura il tempo proprio
classici sono interamente riplasmati, per diventare in- facendo scorrere la sabbia attraverso un forellino. Ma
timamente dannunziani. la clessidra rimanda anche all’altra misura classica
del tempo: lo gnomone, che faceva cadere l’ombra
La sabbia del tempo, 1903 del sole sul quadrante della meridiana.
3. Il poeta legge in termini decadenti il gioco di far
Come scorrea la calda sabbia lieve scorrere la sabbia nella mano: essa è il simbolo del
per entro il cavo della mano in ozio, lento e inesorabile scorrere del tempo. Questo tempo
il cor sentì che il giorno era più breve. però è il tempo della natura, delle stagioni, dell’anno.
Non è il tempo della campana né della sirena della
E un’ansia repentina il cor m’assalse fabbrica. Non è il tempo meccanico né il tempo
per l’appressar dell’umido equinozio scientifico. Questi altri tempi disturbavano e distur-
che offusca l’oro delle piagge salse. bano, fanno pensare a cose precise, concrete, sgrade-
voli, fanno pensare al lavoro, alla società, ai rapporti
Alla sabbia del Tempo urna la mano sociali, che erano quelli descritti e portati sulla scena
era, clessidra il cor mio palpitante, teatrale da Pirandello. D’altra parte la società e
l’ombra crescente d’ogni stelo vano l’economia italiana erano ancora agricole, e non sa-
quasi ombra d’ago in tacito quadrante. rebbe stata sufficiente la furia distruttrice del Futuri-
smo (1909), che canta il progresso, il lavoro, le mac-
La sabbia che misura il tempo chine, per cambiare le cose e portare un vento nuovo
nella società italiana. Nel 1933 Mussolini manda nel-
Mentre la calda sabbia scorreva lievemente le sale cinematografiche uno degli spot più riusciti
dentro il cavo della mia mano in ozio, del regime: egli a torso nudo prende i covoni di fru-
il cuore sentì che il giorno era più breve. mento che gli vengono allungati e li getta dentro gli
ingranaggi della trebbiatrice.
E un’ansia repentina assale il mio cuore
per l’avvicinarsi dell’umido equinozio (=le piogge
di settembre), che offusca la sabbia dorata
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 419
Ed egli, pieno di nostalgia, si chiede perché non è ri-
masto con loro.
I pastori, 1903
Commento
Settembre, andiamo. È tempo di migrare. 1. Il poeta abbandona i consueti toni superomistici e
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori la visione edonistica ed estetizzante della vita, per ri-
lascian gli stazzi e vanno verso il mare: andare con il pensiero e con un po’ di nostalgia alla
scendono all’Adriatico selvaggio vita semplice e tranquilla, ciclica e atemporale, dei
che verde è come i pascoli dei monti. suoi pastori, in Abruzzo.
2. Egli tratta in termini autobiografici e nostalgici un
Han bevuto profondamente ai fonti tema, quello dei pastori, che è un tópos nella storia
alpestri, che sapor d’acqua natia della letteratura italiana: da Tasso (Aminta, Gerusa-
rimanga né cuori esuli a conforto, lemme liberata, VII, 1-22: Erminia tra i pastori)
che lungo illuda la lor sete in via. all’Arcadia, a Leopardi (Canto notturno di un pastore
Rinnovato hanno verga d’avellano. errante dell’Asia). Tasso contrappone la vita sempli-
ce e naturale dei pastori alla vita servile e corrotta
E vanno pel tratturo antico al piano, delle corti. Gli àrcadi danno a se stessi e alle loro
quasi per un erbal fiume silente, donne soprannomi di pastori, rifugiandosi in una vita
su le vestigia degli antichi padri. pastorale mai esistita. Leopardi si pone domande filo-
O voce di colui che primamente sofiche sul senso dell’esistenza dell’universo, sul sen-
conosce il tremolar della marina! so della vita umana, sulla morte, sul dolore che colpi-
sce uomini ed animali, sulla noia che prende l’uomo.
Ora lungh’esso il litoral cammina 3. L’esclamazione finale, piuttosto banale e piatta,
La greggia. Senza mutamento è l’aria. non è certamente all’altezza di quel grande versifica-
Il sole imbionda sì la viva lana tore che è D’Annunzio. L’idea dell’esilio rimanda a
che quasi dalla sabbia non divaria. Foscolo: A Zacinto (vv. 11-14) e In morte del fratello
Isciacquio, calpestio, dolci romori. Giovanni (v. 14) (1802-03). Ma è un tópos di tutte le
letterature.
Ah, perché non son io co’ miei pastori? ---I☺I---
Commento
1. Il poeta parla di se stesso, del suo mondo, della
sua malattia e delle piccole cose che egli ama e che la
sua musa ama cantare. Descrive le visite che faceva
alla signorina Felicita, una ragazza di antica nobiltà
che abita a Villa Amarena. Descrive i dialoghi con il
padre di lei e non nasconde la sua fama di usuraio. E
poi descrive la ragazza: è quasi brutta e apre la sua
bocca quando sorride come quando beve. Fa la civet-
tuola con lui e lo invita a cena. Egli resta e alle ore
21.00 se ne va, salutato da tutta la famiglia. Ma non
ama la compagnia, preferisce la cucina con i suoi o-
dori. E ama esplorare il solaio con lei. C’è l’ antico
quadro della Marchesa, un’anima in pena, che si sen-
te ancora aggirarsi per i corridoi di casa. Ci sono
stampe di personaggi con l’alloro in fronte, che la si-
gnorina scambia per un rametto di ciliegio. Lei gli
chiede perché non parla. Egli risponde che pensava
alle piccole cose della sua vita e che sarebbe stato
dolce restare qui con lei: una dichiarazione d’amore.
Sì, lì nel solaio, e per sempre. Una farfalla notturna
si alza dalla parete facendo un triste rumore. È la
Marchesa, dice lei. Da basso la cuoca avvisa che la
cena è pronta. Lei lo invita a scendere, lui vuole ri-
manere ancora un po’, e si mettono a contare le stelle.
Ma poi lei insiste di scendere, altrimenti potrebbero
pensare che stanno facendo cose poco belle.
2. La poesia di Gozzano è immersa nella vita quoti-
diana, che è presentata così com’è, nei suoi aspetti
banali, anche brutti e anche sgradevoli. La ragazza
non è abbellita, non è la donna di Guinizelli che porta
al cielo, né la Beatrice di Dante, che rende muti per la
sua bellezza e la sua grazia. Tanto meno è la donna
idealizzata e astratta di Petrarca e dei suoi seguaci. È
la ragazza normale e banale che si incontra per strada
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 439
Filippo Tommaso Marinetti (1876- 6. Bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo
e munificenza, per aumentare l’entusiastico fer-
1944) vore degli elementi primordiali.
7. Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna
La vita. Filippo Tommaso Marinetti nasce ad Ales-
opera che non abbia un carattere aggressivo può
sandria d’Egitto nel 1876. Studia a Parigi, dove fre- essere un capolavoro. La poesia deve essere con-
quenta le avanguardie artistiche, e pubblica le prime cepita come un violento assalto contro le forze
opere in francese. Nel 1905 si trasferisce a Milano. ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.
Nel 1909 pubblica a Parigi su un quotidiano di grande
8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!...
diffusione come “Le Figaro” il Manifesto del Futuri-
Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vo-
smo. Negli anni successivi si dedica alla diffusione
gliamo sfondare le misteriose porte dell’impos-
delle teorie futuristiche. Nel 1911 è tra i sostenitori
sibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi
della conquista della Libia. Nel 1913 partecipa ed
viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già
assiste agli scontri tra turchi e bulgari che culminano
creata l’eterna velocità onnipresente.
nell’assedio di Adrianopoli. Partecipa come volonta-
rio alla prima guerra mondiale. Nel dopoguerra si de- 9. Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene
dica all’attività politica fondando il Partito politico del mondo - il militarismo, il patriottismo, il ge-
futurista, che presto confluisce nel Partito Nazional- sto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si
fascista. Da questo momento inizia la fase calante di muore e il disprezzo della donna.
Marinetti e del movimento, poiché, quando il Fasci- 10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche,
smo conquista il potere (1922), essi diventano un e- le accademie d’ogni specie, e combattere contro
lemento di disturbo nell’opera di normalizzazione in- il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà
trapreso dal regime. Nel 1929 è nominato da Musso- opportunistica e utilitaria.
lini accademico d’Italia. L’adesione al regime lo fa 11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro,
partire volontario per la Russia e a schierarsi a favore dal piacere o dalla sommossa: canteremo le ma-
della Repubblica di Salò. Muore nel 1944. ree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni
nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fer-
Le opere. Marinetti scrive il romanzo Mafarka le fu- vore notturno degli arsenali e dei cantieri, incen-
turiste (Mafarka il futurista, 1909), la tragedia Le roi diati da violente lune elettriche; le stazioni ingor-
Bombace (Il re Baldoria, 1909), il Manifesto del Fu- de, divoratrici di serpi che fumano; le officine
turismo (1909), poi Zang Tumb Tumb (1913), una appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi;
delle sue opere sperimentali più famose, che parla i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i
dell’assedio di Adrianopoli (oggi Edirne, nella Tur- fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltel-
chia europea, guerra nei Balcani, 1912), l’Alcòva li; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte,
d’acciaio (1921), che racconta la sua esperienza di e le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano
guerra combattuta sulle autoblinde. sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbri-
gliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani,
Il Manifesto del Futurismo, 1909 la cui elica garrisce al vento come una bandiera e
sembra applaudire come una folla entusiasta.
1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitu-
dine all’energia e alla temerità. È dall’Italia che noi lanciamo per il mondo questo
nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria
2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno ele-
col quale fondiamo oggi il FUTURISMO perché vo-
menti essenziali della nostra poesia.
gliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena
3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari.
pensosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esal- Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di ri-
tare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, gattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli
il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il musei che la coprono tutta di cimiteri.
pugno. ---I☺I---
4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si
è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza del- Riassunto. Il Manifesto del Futurismo (1909) canta la
la velocità. Un’automobile da corsa col suo cofa- moderna civiltà della macchina, che è contrapposta
no adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito alla sonnolenta civiltà del passato. I punti più impor-
esplosivo... un’automobile ruggente, che sembra tanti, su cui l’autore insiste e che celebra, sono:
correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria a) il pericolo, il coraggio, l’audacia, la ribellione, lo
di Samotracia. schiaffo e il pugno;
5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il vo- b) la bellezza dell’“eterna velocità onnipresente”, che
lante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lancia- caratterizza la civiltà moderna e che ha arricchito il
ta a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita. mondo da quando è apparsa l’automobile;
c) la bellezza della lotta e, di conseguenza, la glorifi-
cazione della guerra, “sola igiene del mondo”, del mi-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 440
litarismo, del patriottismo, del gesto distruttore dei
libertari;
d) il rifiuto di tutta l’arte del passato, dei musei, delle
biblioteche, delle accademie;
e) la lotta contro il moralismo, il femminismo ed ogni
viltà opportunistica;
f) le folle agitate dal lavoro, dal piacere, dalla som-
mossa; gli arsenali, le officine, i ponti, i piroscafi e
tutto ciò che la tecnica ha saputo costruire.
L’autore intende lanciare il manifesto dall’Italia, per-
ché vuole liberare “questo paese dalla sua fetida can-
crena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’anti-
quari”.
Commento
1. Il Futurismo italiano è un movimento che ha un re-
spiro cosmopolita ed europeo (Romanticismo, Veri-
smo e Decadentismo erano stati importati dalla Fran-
cia, anche se hanno caratteristiche originali): riesce a
svecchiare la cultura italiana e a diffondersi anche
all’estero. È lanciato da Parigi, perché allora la capi-
tale francese era il maggiore centro di produzione
culturale dell’Europa.
2. Le manifestazioni più persuasive del Futurismo ita-
liano non vanno cercate nella produzione letteraria, di
livello assai modesto, ma nella produzione artistica,
dalla pittura alla scultura all’urbanistica: Umberto
Boccioni, Carlo Carrà, Antonio Sant’Elia.
3. Dopo il 1920 il Futurismo perde le sue spinte ever-
sive e finisce in una tranquilla celebrazione del regi-
me nazional-fascista, lasciando però segni evidenti
nelle successive correnti artistiche.
4. Se si vuole, Marinetti riprende la polemica di quasi
un secolo prima di Giovanni Berchet, che nel 1816
nella Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo
proponeva una cultura del presente, impegnata, ro-
mantica, contro i laudatores del tempo antico.
------------------------------I☺I-----------------------------
Commento
1. La canzone è scritta nel 1895 e pubblicata per la
prima volta nel 1898. La libertà di cui si parla è la li-
bertà dallo sfruttamento. I profughi sono sia i lavora-
tori che devono espatriare per trovare lavoro, sia i ri-
voluzionari che sono perseguitati dai vari Stati. Il ri-
tornello “Nostra patria è il mondo intero” è ripreso
dall’introduzione dell’opera buffa Il Turco in Italia
(1814) di Gioacchino Rossini su libretto di Felice Ro-
mani.
2. Il canto è coinvolgente ed emotivo. Ma, se si va a
vedere più da vicino, si scopre che il linguaggio è tol-
to quasi interamente dal repertorio ecclesiastico (fra-
telli, dolori, precursori) e che la protesta e le rivendi-
cazioni sono generiche (fieri vedicator). Se si vuole
andare sino in fondo, si scopre che lo scrittore e la
cultura provengono da esperienze scolastiche e clas-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 450
sicheggianti: il cor dell’Arcadia; e i proscritti di Silla, momento peggiore è con Francesco Crispi, ex mazzi-
la face (=la fiaccola) dei diritti. Molti intellettuali si niano e sedicente democratico di sinistra, che scatena
schierano dalla parte degli operai, con cui non hanno la repressione contro socialisti e rivoluzionari (1891-
nulla da spartire, soltanto perché non sono riusciti ad 96).
integrarsi nel sistema, di cui condividono la cultura, 5.1. Questa situazione permette di capire la costante
gli ideali e i valori. carica antistatale e antistituzionale delle canzoni di
3. Un mondo di fratelli, di pace e di lavor è l’ideale area socialista e rivoluzionaria. I nemici erano irri-
semplice semplice che Gori e la cultura socialista e di mediabilmente lo Stato e i padroni, che si aiutavano a
opposizione sono riusciti a proporre. D’altra parte gli vicenda e che reprimevano o sfruttavano gli operai. Il
operai – e non soltanto essi – hanno questa modesta canto è del 1904, quando Giovanni Giolitti è al potere
cultura, e conoscevano e conosceranno percentuali e propone uno Stato che non interferisca nei rapporti
altissime di analfabetismo fin verso il 1950. tra capitalisti e lavoratori, uno Stato neutrale, che fa
4. La presenza del linguaggio ecclesiastico non deve da mediatore se le due parti non riescono a trovare un
stupire: la Chiesa aveva il monopolio dell’istruzione; punto di accordo. Ma l’effetto Giolitti deve ancora
inoltre svolgeva estesi compiti di assistenza alla po- farsi sentire.
polazione, che invece dovevano essere di competenza 6. Allo Stato che reprime e che fa gli interessi dei ca-
dello Stato, ma che lo Stato si guardava bene dal- pitalisti sfruttatori la canzone e il movimento socia-
l’assumersi. La situazione resta così sino al 1950 e lista contrappongono un’altra patria, quella patria che
oltre, quando lo Stato inizia a svolgere qualcuno di è il mondo intero. Con molta ingenuità, perché le
questi compiti. Ribelli e rivoluzionari, oltre che socia- classi popolari del mondo avevano esperienza soltan-
listi, facevano ampio uso di questo linguaggio. Spes- to in quanto emigranti, un’esperienza non particolar-
so avevano militato a titoli diversi entro le organizza- mente felice. In seguito si richiamano a qualcosa di
zioni o le associazioni della Chiesa e ugualmente più preciso: l’URSS (1917), che diventa il luogo idea-
spesso si trovavano a fianco delle organizzazioni ec- le in cui si realizza il socialismo e la società senza
clesiastiche contro la repressione statale. A fine seco- classi. Un’altra menzogna, fino al 1978, quando il se-
lo i socialisti avevano le leghe rosse, i cattolici le le- gretario del Partito Comunista Italiano Enrico Berlin-
ghe bianche. guer dice che la spinta rivoluzionaria dell’URSS è fi-
4.1. Peraltro il pensiero laico, che non ha alcuna con- nita.
cezione del peccato e una percezione molto vaga del- -----------------------------I☺I-----------------------------
la legalità, non si è mai fatto scrupoli a condannare in
modo sguaiato e ripetitivo la Chiesa che bruciava Monte Nero, 1915
Giordano Bruno (1600) o che condannava Galileo Spunta l'alba del sedici giugno,
Galilei e a suo dire respingeva la teoria copernicana comincia il fuoco l'artiglieria,
(1632); e a derubare la Chiesa di molte idee o simboli il Terzo Alpini è sulla via
o marchi. Gli illuministi e la rivoluzione francese Monte Nero a conquistà
hanno saccheggiato il Vangelo con gli ideali di fra-
ternità, uguaglianza e libertà (1789). In altri casi i Monte Nero, Monte Nero,
laici hanno clonato o plagiato idee della Chiesa. Ma traditor della vita mia,
allora perché gli intellettuali che si mettono alle di- ho lasciato la casa mia
pendenze della Chiesa dovrebbero essere condannati, per venirti a conquistà!
mentre gli intellettuali organici, che si fanno pagare
dal partito, dovrebbero essere lodati e messi... sugli Per venirti a conquistare
altari? abbiamo perduto tanti compagni
5. I rapporti della popolazione italiana con lo Stato tutti giovani sui vent'anni:
sono sempre stati pessimi, fin dagli inizi. I picciotti la loro vita non torna più
siciliani aiutano Garibaldi contro i Borboni di Napoli,
ma il nuovo Stato italiano (1861) si schiera a favore Il colonnello che piangeva
dei latifondisti siciliani e napoletani. Ammazza 6.000 A veder tanto macello:
briganti (1862-63) e impone la leva obbligatoria, “Fatti coraggio Alpino bello,
prima sconosciuta, che dura ben sette anni. Le popo- che l'onore sarà per te!”
lazioni meridionali vedono le loro condizioni di vita
peggiorare sensibilmente con il nuovo Stato unitario. Arrivati a trenta metri
Quarant’anni dopo lo Stato italiano impiega l’esercito dal costone trincerato,
contro il nord, per sedare una protesta pacifica fatta a con assalto disperato
Milano contro il rincaro del pane: forse 198 morti il nemico fu prigionier.
(1898). Le elezioni fino al 1946 rappresentano una
parte minima della popolazione, ma tutta la popola- Commento
zione è costretta a pagare le tasse. In Gran Bretagna 1. Il 15 giugno 1915, quindi appena 20 giorni dopo la
pagava le tasse soltanto chi era rappresentato in Par- dichiarazione di guerra all’impero austro-ungarico, i
lamento. E dalla Magna Charta libertatum (1215). Il battaglioni Exilles, Pinerolo, Susa e Fenestrelle del 3º
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 451
Reggimento Alpini comandato dal col. Donato Etna, no gettato l’Italia nel lutto. Per cento anni il dolore
con un’azione notturna occuparono la cima del Monte resterà.
Nero (m 2.245), nelle alpi Giulie. L'impresa, che fu
citata dalla stampa internazionale come esempio bril- Commento
lante di azione bellica, ebbe però un costo assai ele- 1. “Fermati, o chiodo”: il chiodo era la punta che il
vato in termini di vite umane. Questo canto pare sia soldato austro-ungarico aveva sull’elmetto.
stato scritto e musicato dagli stessi alpini superstiti, 2. L’Italia entra in guerra grazie alle “radiose giornate
tra cui Giuseppe Malandrino, natìo di Rivoli (TO). di maggio”: studenti, intellettuali, borghesi, istigati da
2. La valorosa impresa non produce però risultati ul- D’Annunzio e Mussolini riescono a costringere il par-
teriori, poiché, falliti alcuni contrattacchi, respinti da- lamento a dichiarare guerra all’impero austro-unga-
gli alpini, gli austro-ungarici non sacrificano altri uo- rico. Giolitti, cattolici e socialisti sono contrari alla
mini e iniziano immediatamente a martellare la cima guerra, che sarebbe stata pagata con il sangue delle
con l’artiglieria, impedendo la discesa finale verso classi più umili. Ma furono scavalcati dalle manife-
Tolmino e determinando in tal modo il fallimento stazioni di piazza. Il costo umano di quattro anni di
dell’intera battaglia. guerra fu di 600.000 morti e di 600.000 mila vedove
3. La montagna deve il suo nome italiano a un errore o nubili. A parte i mutilati, mai contati. Gli storici e le
di traduzione: il nome sloveno Krn (“tozzo”) è confu- femministe si dimenticano di questo spaventoso prez-
sa con Črn (“nero”). zo pagato dalle donne. E gli stupidi di oggi disprez-
4. Da nessuna parte in Internet si sono trovate le per- zano che il Nazional-fascismo si sia preoccupato di
dite umane delle due parti. una politica a favore della famiglia con l’accusa in-
-----------------------------I☺I----------------------------- sulsa che voleva carne da macello per le sue guerre.
Dopo la guerra tocca a uno dei guerrafondai raccatta-
Addio padre e madre, 1916 re i cocci e risistemarli: Benito Mussolini. I partiti vo-
levano continuare a fare e a disfare governi. E se ne
Addio padre e madre addio, fregavano dei problemi dell’Italia e degli italiani.
che per la guerra mi tocca di partir, 3. Il protagonista è portavoce del popolo e dei suoi
ma che fu triste il mio destino, valori: la famiglia e la moglie. Deve partire per la
che per l’Italia mi tocca morir. guerra contro la sua volontà. È mandato subito al-
l’assalto alla baionetta, è ferito, cade per terra e un
Quando fui stato in terra austriaca soldato austriaco lo uccide con un colpo di pugnale.
subito l’ordine a me l’arrivò, A questo punto egli se la prende con gli studenti che
si dà l’assalto la baionetta in canna, hanno voluto la guerra, che hanno gettato l’Italia nel
addirittura un macello diventò. lutto e provocato dolori che dureranno un secolo, cioè
moltissimo tempo. La profezia si avvera.
E fui ferito, ma una palla al petto, -----------------------------I☺I-----------------------------
e i miei compagni li vedo a fuggir
ed io per terra rimasi costretto
mentre quel chiodo lo vedo a venir. Fuoco e mitragliatrici, 1916
“Fermati, o chiodo, che sto per morire, Non ne parliamo di questa guerra
pensa a una moglie che piange per me”, che sarà lunga un’eternità;
ma quell’infame col cuore crudele per conquistare un palmo di terra
col suo pugnale morire mi fé. quanti fratelli son morti di già!
Riassunto. La canzone lamenta i soldati morti per Riassunto. I soldati partono per andare al fronte e
conquistare un palmo di terra. E si chiede quando fi- combattere per Gorizia. Li aspettano soltanto i disagi
nirà questa maledetta guerra. I tentativi di conquistare della trincea e la morte. Perciò gridano assassini con-
Gorizia si sono rivelati inutili. E sul fronte un regi- tro i loro comandanti, che fanno la guerra senza ri-
mento fu più volte distrutto e nessuno tornò più indie- schiare la vita. I soldati invece lasciano a casa la mo-
tro. Il cannone spara, per preparare l’assalto dei fanti glie ed i figli. La conclusione può essere una sola:
alla trincea nemico. E si continua ad andare all’at- maledire Gorizia, che ha provocato soltanto morti e
tacco al grido di “Savoia!”. lutti.
Commento Commento
1. La canzone protesta contro le terribili condizioni 1. La prima guerra mondiale è una delle tante pagine
della guerra in cui, per conquistare pochi metri di ter- disonorevoli della storia italiana: proclamata con
ra, si devono perdere tanti compagni. Fu scritta pro- l’appoggio dei tumulti di piazza, voluta da irredenti-
babilmente tra il 16/12/1915 (episodio della trincea sti, da intellettuali e da politici, da Mussolini e da
dei raggi o razzi, che i fanti della Brigata “Sassari” D’Annunzio, contro la volontà del parlamento, dei
riuscirono a conquistare con un assalto alla baionetta) liberali, dei socialisti e dei cattolici, oltre che dell’in-
e il 29/03/1916 (quinta battaglia dell’Isonzo). tera popolazione, che aveva problemi di alimen-
2. “Savoia!, avanti, Savoia!” (la Casa Savoia, che re- tazione e di analfabetismo e che non capiva perché si
gnava sull’Italia) era il grido dei soldati che andavano dovesse morire per “una terra di là dai confini”. Il
all’assalto. confine era a favore degli austriaci, annidati sui mon-
-----------------------------I☺I----------------------------- ti. Le armi dell’esercito erano antiquate. Il comando,
affidato al gen. Cadorna, risulta subito disastroso:
O Gorizia, tu sei maledetta, 1916 250.000 morti nei primi sei mesi di guerra, e guada-
gni territoriali modesti. Un generale velleitario e in-
competente, che è rimosso soltanto dopo il disastro di
La mattina del cinque di agosto
Caporetto (1917). A lui imputabile e che fa ricadere
si muovevano le truppe italiane
vergognosamente sui soldati. L’Italia post-unitaria
per Gorizia, le terre lontane
aveva una tradizione militare disastrosa. Le sconfitte
e dolente ognun si partì.
di Custoza (1848, 1866) e di Lissa (1866) non aveva-
no insegnato niente; e lo Stato maggiore – come
Sotto l’acqua che cadeva a rovescio
l’intera classe dirigente – era al di là di ogni ragione-
grandinavano le palle nemiche;
vole dubbio incapace e incompetente. Essa poteva
su quei monti, colline e gran valli
anche vantarsi di essere l’unica nazione europea ad
si moriva dicendo così:
essere stata sconfitta in Africa da quattro indigeni
armati di archi e di lance (Adua, 1896). Al massacro,
O Gorizia, tu sei maledetta
inutile, della guerra succedono poi quattro anni di ca-
per ogni cuore che sente coscienza;
os istituzionale e sociale, quindi il Nazional-fascismo.
dolorosa ci fu la partenza
2. Popolazione, cioè classi meno abbienti, e Stato ita-
e il ritorno per molti non fu.
liano hanno rapporti conflittuali sia con la Destra sto-
rica, sia con la Sinistra storica, sia con lo Stato libera-
O vigliacchi che voi ve ne state
le (anche se in questo caso indubbiamente di meno).
con le mogli sui letti di lana,
In quattro anni (1919-22) Mussolini con abilità e
schernitori di noi carne umana,
spregiudicatezza sfrutta questi contrasti, per usare
questa guerra ci insegna a punir.
(industriali e) popolazione contro le classi tradiziona-
li, che detenevano da sempre il potere. Le liquida po-
Voi chiamate il campo d’onore
liticamente e caccia qualche avversario in esilio e ne
questa terra di là dei confini;
manda qualcun altro al confino. Esse rappresentavano
qui si muore gridando: assassini!
una percentuale modestissima dell’elettorato e della
maledetti sarete un dì.
popolazione. Per l’occasione liquida anche gli ex
compagni socialisti e... fa la pace religiosa con Chiesa
Cara moglie, che tu non mi senti
(Patti lateranensi, 1929). Ma non riesce a sottrarre
raccomando ai compagni vicini
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 453
alla Chiesa il monopolio dell’istruzione e delle asso- 2. Il monte Ortigara (m 2.105) sorge in Provincia di
ciazioni giovanili (1931). Vicenza, vicino al confine fra Veneto e Trentino-Alto
3. La poesia usa un linguaggio e immagini quotidiani Adige, nella parte settentrionale dell’Altopiano di A-
e immediati: cuore, onore, partenza; moglie, famiglia, siago. Nel 1917 è teatro di una battaglia sanguinosa
bambini. Alcune parole sono forti: onore, assassini, lunga 20 giorni, detta appunto Battaglia dell’Ortiga-
maledetta, coscienza. La rima è presente nel secondo ra, (10-29.06.1917): 22 battaglioni alpini sono man-
e terzo verso di ogni strofa. L’ultimo verso di ogni dati all’attacco per conquistare il monte occupato dal-
quartina è tronco. Ciò che caratterizza la poesia non è la prima linea austro-ungarica. La reazione dell’eser-
l’accuratezza letteraria, ma la capacità di coinvolgi- cito nemico è violentissima: in una sola mezza gior-
mento, la capacità espressiva, l’espressione piana ed nata consuma tonn 200 di munizioni (9-10.06.1917).
intensa della protesta. L’effetto aumenta, se chi la Il comando italiano dà il via all’attacco nonostante le
canta ha la voce adatta. cattive condizioni di tempo.
4. Per ogni cuore che sente coscienza mette insieme 2. Per ogni soldato austriaco fuori combattimento ci
il cuore (scritto normalmente e non sincopato o tron- sono tre soldati italiani morti, feriti o dispersi: «La
co, come nella poesia aulica) e la coscienza, un ter- segreteria del capo di Stato maggiore della 6ª Armata,
mine forte che proviene dal linguaggio ecclesiastico: in un rapporto del colonnello Calcagno, riporta le
l’esame di coscienza e il dolore per i peccati com- perdite complessive dell’intera armata per il periodo
messi. Con abilità l’autore lo usa in un contesto di- 10-30 giugno in 134 ufficiali morti, 566 feriti e 19 di-
verso (“per chiunque abbia un po’ di coscienza, di spersi, mentre per la truppa viene riportato un totale
sensibilità e di umanità”), anche se l’espressione sen- di 2.158 soldati morti, 12.059 feriti e 2.199 dispersi,
te coscienza non è delle migliori. È impensabile che il per un totale complessivo di 17.162 uomini fuori
termine provenga dal Neoidealismo, che al tempo si combattimento. Nello stesso rapporto viene poi speci-
stava diffondendo in Italia, e che guardava con di- ficato che le perdite sull’Ortigara furono di 106 uffi-
sprezzo i miseri problemi quotidiani di sopravvivenza ciali morti, 411 feriti e 17 dispersi, mentre per la
della popolazione. truppa conta 1.724 morti, 9.254 feriti e 1.753 dispersi,
-----------------------------I☺I----------------------------- per un totale complessivo solo sull’Ortigara di 13.265
vittime, confermando ancor di più come il massimo
Ta pum, 1916 sforzo dell’offensiva ricadde su una piccola porzione
Venti giorni sull’Ortigara del settore dove fu impegnata la 52ª Divisione e i suoi
senza il cambio per dismontà; battaglioni alpini[65]. Secondo i dati esposti nella re-
ta pum ta pum ta pum (due volte) lazione ufficiale italiana, in totale la battaglia costò
agli italiani 169 ufficiali morti, 716 feriti e 98 disper-
Con la testa pien de peoci si; 2.696 militari morti, 16.018 feriti e 5.502 dispersi
senza rancio da consumar (totale perdite 25.199 uomini): anche in questo caso
ta pum ta pum ta pum (due volte) si conferma che il salasso più cospicuo fu sofferto
dalla 52ª Divisione e soprattutto dai reparti alpini che
Quando poi ti discendi al piano ebbero 110 ufficiali morti, 330 feriti e 50 dispersi;
battaglione non hai più soldà; 1.454 militari morti, 8.127 feriti e 2.562 dispersi; per
ta pum ta pum ta pum (due volte) un totale di 12.633 perdite. A questa cifra vanno poi
aggiunte le perdite delle brigate “Regina” e “Piemon-
Dietro al ponte c’è un cimitero te”, del 9º Reggimento bersaglieri e dei reparti arti-
cimitero di noi soldà; glieria, mitraglieri e genio raggruppati sotto la 52ª
ta pum ta pum ta pum (due volte) Divisione. Per il 9º Reggimento bersaglieri, che fu
investito dal contrattacco austro-ungarico del 25 giu-
Quando sei dietro a quel muretto gno, in un rapporto del 28 giugno del generale Di
soldatino non puoi più parlar Giorgio si parla di un totale di 1.224 tra morti, feriti e
ta pum ta pum ta pum (due volte) dispersi, di cui 927 solo il 25 giugno; altre cifre diffu-
se dal 1º luglio parlavano di 48 morti, 442 feriti e 422
Cimitero di noi soldati dispersi per un totale di 912 bersaglieri perduti, altre
forse un giorno ti vengo a trovà; ancora aggiustano la cifra a 1.439 bersaglieri messi
ta pum ta pum ta pum (due volte) fuori combattimento durante il loro impiego al fronte.
[...] Le perdite austro-ungariche furono comunque an-
Commento ch’esse importanti e assommavano all’incirca a 26
1. Ta-pum era il caratteristico rumore che i soldati ita- ufficiali morti, 154 feriti e 71 dispersi mentre i milita-
liani sentivano stando in trincea quando i tiratori au- ri morti furono 966, i feriti 6.167 e 1.444 i dispersi,
striaci sparavano con il fucile Mannlicher M95. Gli per un totale di 8.828 uomini fuori combattimento;
spari partivano da lontano e prima si sentiva il rumore nei reparti che fronteggiarono la 52ª Divisione, la
dell’arrivo del proiettile, “ta”, e successivamente il proporzione delle perdite austro-ungariche è persino
suono della detonazione, “pum”. superiore, a comprova della durezza degli scontri in
La vita. Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria Il poeta si profonda negli abissi dell’io
d’Egitto nel 1888. Qui studia fino al 1905 in un col- e poi ritorna alla luce e dona la sua poesia,
legio svizzero. Nel 1912 lascia l’Egitto e si trasferisce senza tenere nulla per sé.
a Parigi, dove conosce le avanguardie artistiche: A-
pollinaire, Picasso, Braque, e gli intellettuali italiani Di questa [discesa-ascesa che ha portato alla] poesia
che spesso soggiornavano nella città: Papini, Soffici, mi resta soltanto
Palazzeschi, Boccioni, Modigliani, Marinetti. Nel la consapevolezza che il tentativo è stato vano,
1915 si trasferisce a Milano. Partecipa alla prima perché l’abisso è misterioso e inesauribile.
guerra mondiale. Dopo la guerra ritorna a Parigi. Nel
1921 si trasferisce a Roma. Aderisce al Nazional- Riassunto. Il poeta scende ed esplora il suo io e poi
fascismo. Nel 1928 fa un’esplicita professione di fede risale con la poesia, che distribuisce senza tenere nul-
cattolica. Nel 1936-42 è docente di Lingua e letteratu- la per sé. Dell’esplorazione che ha portato alla poesia
ra italiana all’università di San Paolo in Brasile. Ri- resta soltanto la consapevolezza che il tentativo è sta-
torna a Roma, dove ricopre la cattedra di Letteratura to vano, perché l’abisso è misterioso e inesauribile.
italiana contemporanea. Dopo la guerra l’Associa-
zione degli scrittori lo sottopone a procedimento di Commento
“epurazione” per i suoi rapporti con il regime, ma tut- 1. La lirica è la prima della raccolta di poesie e dà il
to si risolve con un nulla di fatto. Nel 1958 lascia nome all’intera raccolta. Lo stesso autore spiega il ti-
l’insegnamento universitario per limiti d’età. Muore a tolo: “Il porto sepolto è ciò che di segreto rimane in
Milano nel 1970. noi indecifrabile”. La metafora del porto proviene dal
leggendario porto sommerso nella baia di Alessan-
Le opere. Ungaretti scrive Il porto sepolto (1916), Al- dria, costruito prima della fondazione della città.
legria di Naufragi (1919, contiene anche le poesie de L’autore fa di questo ricordo dell’adolescenza il sim-
Il porto sepolto); poi Allegria (1931, 1942), Senti- bolo della sua poesia.
mento del tempo (1933), Il dolore (1947), La Terra 2. Il porto sepolto si riallaccia ai grandi simbolisti
Promessa (1950), Il taccuino del vecchio (1960). Nel francesi (Rimbaud, Mallarmé), ma anche al mito pri-
1969, con il titolo Vita d’un uomo. Tutte le poesie, mordiale della ricerca di Orfeo, che discende e risale
pubblica l’edizione completa dei suoi versi; e indica dagli inferi per riportare in vita la moglie Euridice.
la chiave di lettura della sua produzione poetica. Alla Nella risalita Orfeo si volta, contravvenendo agli ac-
produzione poetica Ungaretti affianca anche l’attività cordi con Plutone. E la moglie precipita nell’inferno,
di traduttore: Sonetti di Shakespeare (1946), Fedra di questa volta per sempre.
Jean Racine (1950), Visioni di William Blake (1965). 2.1. Nella mitologia greca e latina Orfeo era un poeta
---I☺I--- abilissimo, che con il suo canto sapeva ammansire
anche le belve feroci. Riesce a commuovere anche
Il porto sepolto, 1916 Plutone, che gli permette di riportare alla luce del so-
le la moglie. Ma la troppa fretta di vederla la fa pre-
cipitare nuovamente negli inferi.
Il porto sepolto (1916) parla della sua esperienza di 3. Il viaggio esplorativo del poeta però si sviluppa
soldato nella prima guerra mondiale (1915-18), vissu- dentro l’acqua. Ed il porto sepolto è ad un tempo al-
ta in trincea. In Vita d’un uomo (1969) il poeta così veo del fiume e alvo materno: l’immersione nelle pro-
commenta l’opera: fondità del fiume o del mare riporta alla condizione
“[...] ero un uomo che non voleva altro per sé se non i rassicurante ed incosciente della vita prima della na-
rapporti con l’assoluto. [...] Nella mia poesia non c’è scita.
traccia dell’odio per il nemico, né per nessuno: c’è la 4. Il viaggio di esplorazione e di scoperta del proprio
presa di coscienza della condizione umana, della fra- essere si scontra con l’inesauribile segreto: il mondo
ternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema interiore è inesauribile e misterioso. Ritornando alla
precarietà della loro condizione”. luce egli può portare perciò soltanto qualcosa, qual-
che sprazzo di conoscenza o di verità, qualche illumi-
Il porto sepolto, 1916 nazione, come i simbolisti francesi. La conoscenza e
l’esplorazione totale è impossibile. Il mondo come
Vi arriva il poeta mistero insondabile si trova anche in Pascoli e nella
e poi torna alla luce con i suoi canti scienza: Emile Du Bois-Raymond (1818-1896) scris-
e li disperde se un’opera intitolata I sette enigmi del mondo, ed era
uno scienziato...
Di questa poesia 5. La parola scava nel mondo reale, ma le conquiste
mi resta sono faticose, dolorose e sempre molto limitate. Non
quel nulla c’è più la parola che è il ó delle cose, che è Dio,
d’inesauribile segreto che abitò presso Dio e che discese tra gli uomini del
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 463
Vangelo di Giovanni. Né c’è la parola che plasma e vo. Ed è aggiunta la parola finale Fratelli, che riman-
trasforma la realtà di D’Annunzio (Epódo, 1887). da alla parola del titolo, costruendo una ripetizione
6. In questa come nelle altre poesie la punteggiatura è circolare.
assente. La poesia, come quasi tutte le altre, ha biso- 2. La poesia non ha bisogno di parafrasi. Essa è sem-
gno di essere aperta, scoperta, spiegata. È densa e de- plice e comprensibile. Ma è anche densa, e questa
ve essere resa più facile da comprendere. densità va riportata alla sua estensione normale.
---I☺I--- 3. La poesia va confrontata con altre visioni della
guerra, ad esempio con quella di F. T. Marinetti, l’ini-
Fratelli, 1916 ziatore del Futurismo (1909), che celebra la guerra,
“sola igiene del mondo”, e con quella di G. D’Annun-
Di che reggimento siete zio, che ritorna dalla Francia per entrare nelle schiere
fratelli? degli interventisti, compie la Beffa di Buccari e il vo-
lo su Vienna.
4. Su un altro versante si potrebbe confrontare con S.
Fratelli
Quasimodo, che scrive durante la seconda guerra
tremante parola mondiale, fa pure parte del gruppo dei poeti ermetici
nella notte ed è una delle ultime voci della corrente. Ad esempio
come una fogliolina Alle fronde dei salici e Milano 1943.
appena nata 5. Resta il fatto che, a parte interventisti e neutralisti,
l’entrata in guerra dell’Italia è stata una scelta stupida
Fratelli e irresponsabile, oltre che un colpo di Stato. L’Italia
saluto non era assolutamente preparata alla guerra e aveva
accorato un confine estremamente sfavorevole. I comandi mi-
nell’aria spasimante litari erano incompetenti e restano incompetenti. Nei
implorazione sussurrata primi sei mesi di guerra Cadorna fa ammazzare
di soccorso 250.000 soldati in inutili assalti frontali, che portava-
all’uomo presente alla sua fragilità no a minime conquiste territoriali. Negli altri tre anni
e mezzo di guerra morirono gli altri 250.000 soldati.
Fratelli, 1943 La guerra poi porta in regalo i conflitti sociali del do-
poguerra, che durano fino all’avvento del Fascismo,
Di che reggimento siete cioè dal 1919 al 1924. In genere gli storici, di salda
fede antifascista, condannano il totalitarismo fascista.
fratelli?
Insomma tra caos e conflitti sociali e istituzionali del
dopoguerra, e Fascismo preferirebbero al di là di ogni
Parola tremante ragionevole dubbio il caos del dopoguerra, che chia-
nella notte mano democrazia.
---I☺I---
Foglia appena nata
Soldati, 1916
Nell’aria spasimante
involontaria rivolta Si sta come
dell’uomo presente alla sua d’autunno
fragilità sugli alberi
le foglie
Fratelli
Bosco Courton luglio 1918
Riassunto. Il poeta è spinto dalla guerra e dal contatto
quotidiano con la morte a protestare sommessamente Riassunto. I soldati si sentono come foglie autunnali
e a provare per contrasto un fraterno sentimento di che di lì a poco il vento fa cadere per terra.
amore e di solidarietà verso gli altri soldati.
Commento
Commento 1. Il poeta soldato si sente come le foglie che in au-
1. La lirica conosce diverse redazioni. È significativo tunno si staccano dai rami degli alberi e cadono morte
il confronto tra la prima e l’ultima. Il poeta opera per per terra, dove si mescolano all’acqua e alla fanghi-
ridurre il testo alla sua forma più essenziale ed effica- glia. In trincea la vita dei soldati non aveva alcun va-
ce. Sfrutta anche le pause. La seconda strofa è spez- lore: le condizioni igieniche erano indescrivibili, le
zata in due parti; e scompare il come che introduceva malattie erano la norma, la morte era sempre in ag-
la similitudine. Ne risultano due immagini molto più guato. Cadere come foglie poteva essere un malinco-
intense ed efficaci. La strofa finale perde ben tre versi nico addio alla vita, preferibile alla vita stessa.
su sette, ed elimina il carattere discorsivo e descritti-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 464
2. L’immagine degli uomini che cadono in autunno domande filosofiche sull’esistenza, sul dolore, sulla
come foglie ha una lunga storia nella poesia greca e morte e sulla noia, che il pastore pone a se stesso.
latina. Dante la usa per indicare le anime che vanno 4. La poesia non ha bisogno di parafrasi. Il contenuto
in gran numero sulla spiaggia dell’Acheronte: «Come però deve essere esplicitato.
d’autunno si levan le foglie L’una appresso dell’altra, ---I☺I---
fin che ‘l ramo Vede alla terra tutte le sue spoglie,
Similemente il mal seme d’Adamo Gittansi di quel Sono una creatura, 1916
lito ad una ad una, Per cenni come augel per suo ri-
chiamo» (If. III, 112-117). Come questa pietra
---I☺I--- del S. Michele
così fredda
C’era una volta, 1916 così dura
così prosciugata
Bosco Cappuccio così refrattaria
ha un declivio cos’ totalmente
di verde velluto disanimata
come una dolce
poltrona Come questa pietra
è il mio pianto
Appisolarmi là che non si vede
solo
in un caffè remoto La morte
con una luce fievole si sconta
come questa vivendo
di questa luna
Sono una creatura
Quota Centoquarantuno l’11 agosto 1916
Come questa pietra
Riassunto. Bosco Cappuccio ha un declivio di verde del monte San Michele,
morbido che assomiglia ad una dolce poltrona. Il poe- così fredda,
ta vorrebbe appisolarsi là, da solo, come in un caffè così dura,
remoto sotto una luce fievole come la luce fievole di così prosciugata,
questa luna. così refrattaria,
così totalmente priva di vita;
Commento proprio come questa pietra
1. Il poeta osserva Bosco Cappuccio, che ha un pen- è il mio pianto segreto.
dio che sembra una poltrona morbidissima. Egli vor- Il premio di avere la morte
rebbe appisolarsi là, da solo. Vorrebbe sentirsi, in si paga duramente soffrendo
quel pendio, come in un caffè lontanissimo illuminato per tutta la vita.
da un debole chiarore come la luce della luna che il-
lumina il bosco dal cielo. Riassunto. Il poeta contrappone e rivendica la sua
2.1. C’era una volta è il titolo della poesia. Il poeta si umanità (Sono una creatura del titolo) alla vita inu-
sente trasportare fuori del tempo, in una favola, in un mana in trincea: il suo pianto segreto è divenuto arido
sogno. E mescola realtà e desiderio di evadere dalla e insensibile proprio come la roccia di cui è costituito
realtà, cioè di evadere dalla guerra. Bosco Cappuccio il San Michele del Carso, sul quale sta combattendo.
è una postazione di guerra con il nome favoloso, in Egli potrà avere il premio della morte soltanto dopo
sintonia con il titolo. Il caffè remoto può essere uno esserselo duramente conquistato con una vita piena di
dei tanti caffè parigini che il poeta frequentava e dove sofferenze e di dolore.
incontrava altri intellettuali. Fa parte dei suoi ricordi.
3. La luna sul bosco fa pensare all’idillio Alla luna di Commento
G. Leopardi (1798-1837). Il poeta guardava la luna, 1. L’esperienza inumana della trincea fa scoprire al
che sovrastava il bosco ed esprimeva la sua angoscia: poeta la sua umanità (Sono una creatura del titolo) e,
la sua vita era dolorosa, ed anche l’anno prima era contemporaneamente, il fatto che tale umanità è cal-
dolorosa. E non sembra destinata a cambiare. Lo con- pestata e annichilita. Anche il suo pianto di dolore si
sola soltanto il fatto che davanti a sé ha un lungo fu- è prosciugato, ed egli è divenuto duro, freddo e insen-
turo e dietro di sé pochi ricordi del passato. Da gio- sibile – insomma disumano – proprio come la roccia
vani la vita è ancora illuminata dalla speranza che il di cui è costituito il San Michele. Davanti a una vita
futuro sia migliore del presente. La luna però è pre- disumana e perciò non vivibile, il poeta rivendica il
sente anche in Canto notturno di un pastore errante valore della morte: la morte è il premio che si ottiene
dell’Asia, e costituisce l’interlocutrice silenziosa alle
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 465
dopo una vita di sofferenze e che si paga proprio con Commento
questa vita di sofferenze. 1. Come in altre poesie Ungaretti reagisce alla morte
2. La parola poetica è semplice ed essenziale, come i e alle distruzioni provocate dalla guerra con più in-
concetti che vuole esprimere. La poesia è un parago- tense manifestazioni d’amore. E si sente come non
ne, non molto lungo, e rifiuta la punteggiatura, che mai attaccato alla vita. Le parole riescono a dare
come espressione della razionalità impedisce un con- l’impressione e la sensazione concreta della morte del
tatto diretto e intuitivo con le cose e con l’essenza compagno massacrato dalle bombe o dai proiettili.
della vita umana. Essa però non è né spontanea né 2. L’autore reagisce e si oppone in modo isolato e
immediata come potrebbe sembrare a prima vista. Lo personale alla guerra, di cui condanna gli orrori, ma
dimostra la sapiente anafora su cui è costruita. con voce umile e silenziosa.
3. Il poeta scopre la sua umanità calpestata e annichi- 3. E come in altre poesie compare la luna e la sua lu-
lita. La scoperta però è radicalmente individualistica ce. La luna però è soltanto un oggetto inerte, che for-
e non lo spinge a scoprire e a rapportarsi agli altri in- nisce solamente una debole luce a quanto succede
dividui, che dovrebbero trovarsi nelle stesse condi- sulla terra. Essa fa sentire la presenza atemporale del-
zioni d’animo e nella stessa insoddisfazione esisten- la natura nelle vicende umane.
ziale. La volontà di morte da una parte e un adeguato 4. Si può confrontare il senso e il sentimento del pae-
rifiuto di quella vita disumana dall’altra non spingono saggio di Ungaretti con la bellezza stupefacente del
il poeta – né al livello individuale né, tanto meno, al paesaggio e della natura negli idilli di Leopardi.
livello collettivo – a trasformare la consapevolezza ---I☺I---
della disumanità del vivere in una virile protesta con-
tro le forze che hanno reso la sua e l’altrui vita inde- San Martino del Carso, 1916
gna di essere vissuta.
4. Il titolo rimanda implicitamente al Cantico di Frate Di queste case
Sole di Francesco d’Assisi (1182-1226). Le croci dei non è rimasto
cimiteri reali e di quel cimitero che è il cuore del poe- che qualche
ta rimandano alla passione e morte di Cristo sulla brandello di muro
croce. Il rimando al Cantico mostra che il poeta rifiu- Di tanti
ta la via della citazione letteraria esplicita, seguita da che mi corrispondevano
altri autori. Il ricorso alla croce come simbolo di do- non è rimasto
lore costituisce un semplice e immediato simbolismo, neppure tanto
che risulta quasi inavvertito. Ma nel cuore
---I☺I--- nessuna croce manca
È il mio cuore
Veglia, 1916 il paese più straziato
La madre
Commento
1. Non è più la Vergine Maria, è sua Madre, che in-
tercede per il poeta davanti a Dio, per chiedere la sua
salvezza. E la ottiene, perché, come per sua Madre, la
Vergine Maria, Egli non può dire no a una Madre.
2. La breve poesia riprende l’ultima strofa di Al cor
gentil rempaira sempre amore (1274) di Guido Gui-
nizelli: il poeta si salva perché ha amato la sua donna,
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 470
Eugenio Montale (1896-1981) Forse un mattino andando in un’aria di
vetro, 1923
La vita. Eugenio Montale nasce a Genova nel 1896. Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
Ha una formazione letteraria da autodidatta. Partecipa arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
agli ultimi mesi di guerra. Un intellettuale triestino, il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
Roberto Bazlen, gli fa conoscere le opere di Italo di me, con un terrore di ubriaco.
Svevo. Tra il 1925 e il 1926 Montale pubblica alcuni
articoli, con cui iniziano la fortuna critica e la fama
dello scrittore triestino. Il contatto con gli intellettuali Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
triestini, tra cui Umberto Saba, lo porta a firmare il alberi case colli per l’inganno consueto.
Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
Benedetto Croce nel 1925. Nello stesso anno pubbli- tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
ca Ossi di seppia. Nel 1927 diventa redattore della
casa editrice Bemporad di Firenze. Due anni dopo di- Forse un mattino camminando in un’aria limpida
venta direttore della prestigiosa biblioteca del Gabi-
netto Viesseux. Mantiene l’incarico fino al 1938, Forse un mattino camminando in un’aria limpida,
quando è licenziato per i suoi sentimenti ostili al re- arida, volgendomi indietro, vedrò compiersi
gime fascista. Nel 1939 pubblica Le occasioni. Du- il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
rante la seconda guerra mondiale pubblica a Lugano di me, e proverò il terrore di aver perso l’equilibrio.
Finisterre, che esce in Italia nel 1945. Nel 1946 inizia
la collaborazione con il “Corriere della sera”, che du- Poi, come sopra uno schermo, riprenderanno posto
ra sino al 1973. In quegli anni compie numerosi viag- di colpo alberi, case, colline, per l’inganno consueto.
gi all’estero e si diffonde la sua fama di poeta. Nel Ma sarà troppo tardi: io me ne andrò in silenzio
1957 pubblica La bufera e altro ed anche La fanfulla tra gli uomini, che non si voltano mai [a guardare],
di Dinard. Nel 1961 riceve la laurea honoris causa tenendomi il mio segreto.
dall’università di Milano. Nel 1966 pubblica Auto da
fè – Cronache in due tempi, che raccoglie articoli ed Riassunto. Forse un mattino, camminando nell’aria
interventi sulla cultura, la poesia, l’arte, la musica, il tersa, il poeta si volterà indietro e vedrà la realtà così
costume e gli intellettuali. Nel 1967 è nominato sena- com’è: il nulla, proprio il nulla. E proverà la stessa
tore a vita. La morte della moglie dà origine alle poe- perdita di equilibrio che prova chi si ubriaca. Poi tutto
sie di Xenia (prima serie, 1966; seconda serie 1968). ritorna normale, la realtà riprende le forme inganne-
Nel 1971, dopo 15 anni di silenzio, pubblica Satura, voli di sempre. Ma ormai è troppo tardi: egli ha visto.
che costituisce anche un profondo rinnovamento del E se ne andrà come al solito tra gli uomini, che non si
suo mondo poetico. Nel 1974 riceve la laurea anche voltano mai. E terrà per sé il suo segreto.
dall’università di Roma. Nel 1975 ottiene il premio
Nobel, che consacra il respiro internazionale della sua Commento
poesia. Nel 1977 pubblica Quaderno di quattro anni, 1. La poesia è un chiaro esempio di “poesia metafisi-
l’ultima raccolta poetica. Muore nel 1981. ca”: in pochi versi l’autore dà un’idea concreta di una
conclusione filosofica. Gli uomini guardano sempre
Le opere. Montale scrive Ossi di seppia (1925), Le avanti. Non fanno mai l’esperienza di voltarsi indie-
occasioni (1939), Finisterre (1943, 1945), La bufera tro. Forse il poeta un giorno la farà. E, quando si vol-
e altro (1956), la raccolta di articoli giornalistici Auto terà indietro, quando uscirà dagli schemi consueti che
da fè – Cronache in due tempi (1966), Xenia (prima condizionano e stritolano la nostra vita e la nostra e-
serie, 1966; seconda serie 1968), poi confluite in Sa- sperienza, riuscirà a vedere la realtà così com’è. La
tura (1971), Quaderno di quattro anni (1977). vedrà soltanto per un momento, ma la vedrà. E la re-
---I☺I--- altà, i valori consueti che dominano gli uomini, sono
nulla, un nulla assoluto. E questa scoperta gli farà
Ossi di seppia, 1925 provare le stesse emozioni e le stesse paure che prova
Ossi di seppia (1925) è la raccolta che apre l’attività l’ubriaco, che ha perso il senso dell’equilibrio. Poi
poetica di Montale. Il poeta non intende confrontarsi tutto ritornerà normale, tutto ritornerà come prima.
con le poetiche di altri autori. In Non chiederci la pa- L’inganno ritornerà al suo posto. Ma ormai è troppo
rola dà una definizione in negativo di che cosa inten- tardi, perché egli ha fatto in tempo a vedere. Conti-
de per poesia, e di quello che la sua poesia non può nuerà a vivere insieme con gli altri uomini, che non
né vuole essere. sono abituati e che non hanno mai cercato di voltarsi
indietro, di vedere, di riflettere. E si terrà la sua sco-
perta, si terrà il suo segreto. Il miracolo di vedere la
realtà succede raramente, e gli uomini non sono capa-
ci né di attuarlo né di capirlo. Il poeta così terrà per
sé, non potrà comunicare la scoperta che egli ha fatto.
Commento Commento
1. Il poeta descrive, come di consueto, rapidamente 1. Come di consueto la poesia è semplice e chiara. È
uno scorcio della città vecchia, che deve attraversare una delle migliori del Canzoniere, perché raggiunge
per andare a casa. Percorre una via oscura con una estrema leggerezza, che richiama la leggerezza
un’osteria, da cui esce la gente per ritornare a casa o del Dolce stil novo, ad esempio del sonetto Tanto
per andare in bordello. Proprio in questo porto di ma- gentile e tanto onesta pare di Dante, ma anche la
re, frequentata da una umanità degradata, l’infinito e produzione poetica leggera e melodiosa del classici-
l’umiltà si incontrano, ed in compagnia di questi umi- smo secentesco, quella di Gabriello Chiabrera (1552-
li egli sente che il suo pensiero si fa più puro, proprio 1638), e la produzione elegante dell’Arcadia, in par-
dove è più turpe la vita di altri essere umani. ticolare le canzonette di Paolo Rolli (1687-1765) e di
2. La poetica di Saba parla di fatti e fatterelli della vi- Pietro Metastasio (1698-1782). I tre rapidi e imme-
ta quotidiana, belli o brutti non importa, che poi diati paragoni finali ricordano proprio le tre metafore
commenta. Qui descrive un’osteria del porto, fre- (che sono anche iperboli) della canzonetta Belle rose
quentata da una umanità di derelitti, ubriaconi, mari- porporine di Chiabrera.
nai di passaggio, prostitute, ma non prova ribrezzo né 2. Il poeta canta la donna, anzi è forse uno dei pochi
esprime alcun giudizio di condanna. Qui egli sente poeti che canta la moglie e che non sdoppia la donna
che l’infinito e gli umili si incontrano ed egli, proprio nella moglie, che è utile, e nella donna ideale, la don-
davanti e a contatto con questa umanità degradata, si na dei propri desideri. Ma si allarga anche ad altre fi-
sente più puro. gure della famiglia e fuori della famiglia. Qui canta la
3. Probabilmente è la prima volta nella storia della figlia, altrove canta Glauco, “un fanciullo dalla chio-
letteratura che in una poesia compare la parola lupa- ma bionda”, poi Il garzone con la carriola (tutte poe-
nare, cioè bordello. sie confluite nel Canzoniere), poi un bambino, Il pic-
4. Anche ne La capra (1909-10) Saba vede una capra colo Berto (un’intera raccolta di poesie).
sotto la pioggia, non la slega, non interviene, e fa una 3. La poesia rimanda al genere letterario dei ritratti o
riflessione: la capra gli ricorda le sofferenze di tutti degli autoritratti; rimanda anche, per contrasto, a
gli uomini, colpiti dal dolore. Rosso Malpelo e a Ranocchio, i due ragazzini che la-
---I☺I--- vorano nella miniera, della novella Rosso Malpelo
(1878) di Verga. Un’altra ragazzina è Silvia a cui
Leopardi dedica l’idillio A Silvia, che si preparava a
varcare il limitare della fanciullezza, o il “garzoncello
scherzoso” dell’ultima strofa de Il sabato del villag-
gio. I giovanissimi peraltro hanno avuto poco spazio
nella produzione letteraria.
---I☺I---
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 485
La Malinconia, 1923-24 tu per me saresti quella casa.
Una porta si apre,
Malinconia tu entri vestita succintamente,
la vita mia e mi affascini.
struggi terribilmente;
e non v'è al mondo, non c'è al mondo niente Sei tanto piccola,
che mi divaghi. sei un incanto fugace
di primavera. Nascondi
Niente, o una sola nel berretto i tuoi biondi riccioli,
casa. Figliola, altri li mostri con ostentazione.
quella per me saresti.
S'apre una porta; in tue succinte vesti Ma la giovinezza,
entri, e mi smaghi. con la sua torbida ebbrezza,
passa, passa anche 'amore.
Piccola tanto, Così restano tristi presentimenti
fugace incanto nel cuore addolorato.
di primavera. I biondi
riccioli molti nel berretto ascondi, O Malinconia,
altri ne ostenti. la vita mia
amò lieta una cosa,
Ma giovinezza, sempre: la Morte. Ora essa è quasi dolorosa,
torbida ebbrezza, perché non spero altro.
passa, passa l'amore.
Restan sì tristi nel dolente cuore, Quando non si ama
presentimenti. più, non si chiama
lei a liberarci [dal vuoto];
Malinconia, e nel dolore non ci fa più felici
la vita mia il suo pensiero (=pensare a lei).
amò lieta una cosa,
sempre: la Morte. Or quasi è dolorosa, Io non sapevo
ch'altro non spero. questo; ora bevo
l'ultimo sorso amaro
Quando non s'ama dell'esperienza. Oh, quanto è mai più caro
più, non si chiama il pensier della morte (=pensare alla morte),
lei la liberatrice;
e nel dolore non fa più felice al giovanetto,
il suo pensiero. che come prima reazione
cambia colore e trema.
Io non sapevo E neanche il vecchio ama la tomba: la suprema
questo; ora bevo crudeltà del nostro destino di esseri mortali.
l'ultimo sorso amaro
dell'esperienza. Oh quanto è mai più caro Riassunto. La Malinconia (personificata) riempie la
il pensier della morte, vita del poeta, perché al mondo non c’è niente che lo
renda spensierato. Essa è divenuta la compagnia in-
al giovanetto, separabile della sua vita. Entra succinta nella sua ca-
che a un primo affetto sa, con i suoi riccioli, in parte nascosti dal berretto, in
cangia colore e trema. parte mostrati con ostentazione. E il poeta riflette:
Non ama il vecchio la tomba: suprema passa la giovinezza e passa anche l’amore, restano
crudeltà della sorte. soltanto tristi presentimenti nel cuore. Per tutta la vita
egli ha amato sempre, e con letizia, soltanto una cosa:
La malinconia la Morte (personificata). Quando non si ama più, non
si chiama lei, la liberatrice. E, quando siamo immersi
Tu, Malinconia, nel dolore, non ci fa più felici pensare a lei. Il poeta
riempi terribilmente non lo sapeva. Ora, che lo scopre, beve l’ultimo sorso
la mia vita amaro dell’esperienza. Il pensiero della morte è più
e al mondo non c’è niente caro al giovinetto che come prima reazione cambia
che mi svaghi. colore e trema. E neanche il vecchio ama la tomba, la
suprema forma di crudeltà del nostro destino di esseri
Niente o una sola
mortali. Ormai per il poeta nemmeno il pensiero della
casa. O figlia,
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 486
morte, la liberatrice, è rimasto più un sollievo, perciò Commento
si abbandona alla Malinconia. 1 . Il poeta si rivolge a un amico immaginario (il “tu”
del testo), in realtà parla delle sue reazioni verso Ma-
Commento ria, una delle ragazze che ha visto o che conosce o
1 . La Malinconia è divenuta la compagna inseparabi- che ha incontrato. In alternativa parla di Maria ad alta
le del poeta e riempie la sua casa. Egli riflette: passa voce, tra sé e sé. Maria è una ragazza, che ha uno
la giovinezza, passa anche l’amore e la vita resta vuo- sguardo equivoco, torbido, puttanesco. Non è bella, a
ta. Il poeta ha sempre amato la morte, la liberatrice. parte le mani, che attirano baci. Veste in modo pro-
Ma ha scoperto che, quando non si ama, più, non la si vocante e invitante, per adescare i maschi. È per metà
invoca. E neanche quando siamo immersi nel dolore bambina e per metà selvaggia. Eppure suscita nell’a-
la invochiamo; siamo legati alla vita. Essa è più cara nimo del poeta (o di chi la guarda) un sentimento
al giovane che al pensarla cambia colore e trema. E d’amore, anche se sa che è ladra e bugiarda, quindi
neanche il vecchio la ama: essa pone fine alla sua vi- una nemica dei suoi valori. E il risultato è che quanto
ta. Il poeta cos’ ha scoperto che non può contare più la sua ragione la disprezza, tanto più il suo cuore
nemmeno sulla morte. Gli resta soltanto la Malinco- la apprezza.
nia. 1.1. Il “tu” del testo può essere il poeta che parla a se
2. È simpatico ed inevitabile paragonare la malinco- stesso, un “tu” immaginario o anche un “tu” imperso-
nia di Saba con quella di Cecco Angiolieri, che ha nale. Il “tu” impersonale era molto apprezzato dalla
una ben diversa motivazione: la sua donna lo ignora retorica antica.
ed egli è tristissimo… (La mia malinconia è tanta e 2. Il poeta è affascinato dalla ragazza: non è bella, ha
tale). Ma anche con la malinconia di Charles Baude- uno sguardo torbido e puttanesco, è per metà selvag-
laire (Spleen, 1857) e dei “poeti maledetti”. gia, è anche ladra e bugiarda, insomma va contro tutti
---I☺I--- i suoi valori. Eppure egli la desidera lo stesso, e in-
tensamente. Insomma al cuore o all’istinto non si co-
Fanciulle, 1923-24 manda.
3. La ragazza lo attrae proprio perché ha mantenuto
caratteristiche presociali, è rimasta selvaggia. E, stan-
Maria ti guarda con gli occhi un poco do al titolo, è rimasta anche bambina, cioè è rimasta
come Venere loschi. adolescente.
Cielo par che s'infoschi (=renda torbido) 4. Saba canta piccoli eventi della vita quotidiana. e-
quello sguardo, il suo accento è quasi roco. venti effimeri, destinati a scomparire in breve tempo.
Vedi una ragazza diversa dal solito, ti colpisce e la
Non è bella, né in donna ha quei gentili desideri. E poi in genere si passa oltre.
atti, cari agli umani; 5. La poesia è rapida e garbata. Il lettore non si ac-
belle ha solo le mani, corge nemmeno che ripropone un motivo antichissi-
mani da baci, mani signorili. mo di Catullo (84-54 a.C.): “Odi et amo”.
6. La ragazza o la giovane donna è anti-stilnovistica
Dove veste, sue vesti son richiami (“Tanto gentile e tanto onesta pare La donna mia…”)
per il maschio, un’asprezza ed è anche anti-petrarchesca (“Erano i capei d’oro a
strana di tinte. È mezza l’aura sparsi”). Non è neanche la donna letteraria o
bambina e mezza bestia. Eppure l’ami. ricoperta di agudezas del Barocco. È la ragazza terra
terra, rozza o spontanea, non acculturata o selvaggia,
Sai ch’è ladra e bugiarda, una nemica ieri hippy ed oggi dark, che si incontra per strada e
dei tuoi intimi pregi; che ci colpisce per la sua giovinezza, che noi abbia-
ma quanto più la spregi (=disprezzi) mo dimenticato da poco o, in alternativa, da un pez-
più la vorresti alle tue voglie amica. zo.
7. Per il poeta la vita è fatta soltanto di giovinezza e
Riassunto. Maria ha uno sguardo equivoco, torbido, di amore. Pochino, pochino. Potrebbe essere anche
puttanesco, e ha la voce quasi roca. Non è bella e non vita dedita al lavoro, agli studi, alla poesia, all’auto-
ha quelle movenze che piacciono tanto agli uomini. fustigazione come i vattienti, all’amicizia, ai passa-
ha belle soltanto le mani, che vorresti baciare. Veste tempi, al sesso più sfrenato, che faccia a meno dell’a-
in modo provocante, da attirare i maschi. È mezza more, o anche all’ascessi mistica. O ai viaggi. Ma
bambina e mezza selvaggia. Eppure suscita in te un ognuno fa quel che può e ama quel che può.
sentimento d’amore. Sai che è ladra, bugiarda, una ---I☺I---
nemica dei tuoi valori. Ma, quanto più tu la disprezzi,
tanto più tu la vorresti amica dei tuoi desideri.
Miserere mei, Domine: Benigne fac, Domine, in bona voluntate tua Sion:
secundum magnam misericordiam tuam. ut aedificentur muri Ierusalem.
Quoniam iniquitatem meam ego cognosco: Abbi pietà di me, o Dio, con la tua misericordia,
et peccatum meum contra me est semper. nel tuo grande amore cancella il mio peccato.
Lavami da tutte le colpe e mondami dal mio peccato.
Tibi soli peccavi, et malum coram te feci: Conosco la mia colpa e il mio peccato è davanti a me.
ut iustificeris in sermonibus tuis,
et vincas cum iudicaris. Contro di te ho peccato, davanti a te ho fatto il male;
è giusta la tua parola e retto è il tuo giudizio.
Ecce enim in inquitatibus conceptus sum: Nella colpa sono generato, nel peccato concepito.
et in peccatis concepit me mater mea. Ma tu vuoi un cuore sincero, sapienza tu mi insegni.
Averte faciem tuam a peccatis meis: Insegnerò agli erranti le vie del tuo amore
et omnes iniquitates meas dele. e torneranno con gioia a te i peccatori.
Liberami dal sangue, o Dio, Signore di salvezza,
Cor mundum crea in me, Deus: e la mia lingua esalterà la tua giustizia.
et spiritum rectum innova in visceribus meis.
Apri le mia labbra, o Signore, proclamino la lode,
Ne proiicias me a facie tua: perché non gradisci il sacrificio, l’offerta.
et spiritum sanctum tuum ne auferas a me. Uno spirito contrito a Dio è sacrificio,
un cuore affranto e umiliato, o Dio, tu non disprezzi.
Redde mihi laetitiam salutaris tui:
et spiritu principali confirma me. Nel tuo grande amore fa’ grazia a Sion,
ed innalza le mura di Gerusalemme.
Docebo iniquos vias tuas: Accoglierai il sacrificio, preghiera ed olocausto,
et impii ad te convertentur. allora saliranno le offerte sopra il tuo altare.
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Libera me de sanguinibus,
Deus, Deus salutis meae:
et exsultabit lingua mea iustitiam tuam.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 495
O salutáris hóstia Regina caeli
Commento
1. L’inno riprende alcuni elementi dal Vangelo: la
Regina del cielo ha messo al mondo Cristo, che ha
riaperto la via del cielo con il suo sacrificio sulla cro-
ce.
2. Il verso iniziale è potente: dà l’impressione fisica
della gioia del fedele che si rivolge alla Madonna.
3. Si potrebbe confrontare l’Olimpo cristiano con
l’Olimpo greco e romano, per vedere la reciproca ori-
ginalità. Nel mondo greco e romano ci sono:
Salve, Regina
Salve, o Regina
Te, Deum, laudamus: te Dominum confitemur. Ti lodiamo, o Dio, affermiamo che tu sei il Signore.
Te aeternum patrem, omnis terra veneratur. Tutta la terra venera te, o Padre eterno.
Tibi omnes angeli, A Te tutti gli angeli,
tibi caeli et universae potestates: a Te le potenze del cielo e dell’universo,
tibi cherubim et seraphim, a Te i cherubini e i serafini,
incessabili voce proclamant: cantano con voce incessante:
“Sanctus, Sanctus, Sanctus “Santo, Santo, Santo
Dominus Deus Sabaoth. il Signore Dio degli eserciti.
Pleni sunt caeli et terra I cieli e la terra sono pieni
majestatis gloriae tuae”. della grandezza della tua gloria”.
Amen. Amen.
Egli sarà con noi nel grande giorno, perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
al suo ritorno. Gloria al Signor! D’ora in poi tutte le generazioni
mi chiameranno beata.
Cristo nei secoli! Cristo è la storia!
Cristo è la gloria! Gloria al Signor! Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome:
Commento
1. “Cristo risusciti” è un congiuntivo esortativo: “che di generazione in generazione la sua misericordia
Cristo risusciti”. “Il grande giorno” è il giorno del si stende su quelli che lo temono.
giudizio universale. “Risuscitare” è termine popolare
(Cristo risuscita in tutti i cuori). Normalmente si dice Ha spiegato la potenza del suo braccio
“risorgere” (i fedeli risorgono in Dio Salvatore), usa- ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
to poco più sotto.
-----------------------------I☺I----------------------------- ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
Il tredici maggio apparve Maria
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Il tredici maggio apparve Maria
a tre pastorelli in Cova d’Iria.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
Ave, ave, ave, Maria,
ave, ave, ave, Maria.
come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.
Splendente di luce veniva Maria,
il volto suo bello un sole apparia.
Gloria al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo.
Dal cielo è discesa a chieder preghiera
pei gran peccatori con fede sincera.
Come era nel principio e ora e sempre
nei secoli dei secoli. Amen.
In mano portava un rosario Maria,
che addita ai fedeli del cielo la via.
Ed insieme in paradiso,
grideremo viva Maria!
Grideremo viva Maria!
Viva Lei che ci salvò.
Bella tu sei qual sole... (Due volte.) Oh Dio del cielo, se mi vorrai amare,
scendi dalle stelle e vienimi a cercare.
Gli occhi tuoi son più belli del mare, Oh Dio del cielo, se mi vorrai amare
la tua fronte ha il colore del giglio, scendi dalle stelle e vienimi a cercare.
le tue gote baciate dal Figlio
son due rose e le labbra son fior. Senza di te non so più dove andare,
come una mosca cieca che non sa più volare.
Bella tu sei qual sole… (Due volte.) Senza di te non so più dove andare
come una mosca cieca che non sa più volare.
Commento
1. Saverio D’Aria scrive un inno alla Madonna inse- Oh Dio del cielo, se mi vorrai amare,
rendosi nella lunga tradizione degli inni in onore alla scendi dalle stelle e vienimi a salvare.
Vergine. Il canto è scritto in italiano, è semplice, o- Oh Dio del cielo, se mi vorrai amare
recchiabile, e da cantare in coro. La ripetizione delle scendi dalle stelle e vienimi a salvare.
strofe contribuisce a renderlo semplice e festoso. La
semplicità dimostra cultura e mestiere: alle spalle ci E se ci hai regalato il pianto ed il riso,
sono le canzonette dell’Arcadia. In azzurro sono i noi qui sulla terra non lo abbiamo diviso.
termini della poesia tradizionale. L’autore riesce a E se ci hai regalato il pianto ed il riso
combinarli in modo fresco e originale: essi riescono a noi qui sulla terra non lo abbiamo diviso.
creare una gradevole immagine della Madonna.
L’immagine mentale è rafforzata da tutte le immagini Oh Dio del cielo, se mi vorrai amare,
dipinte e le sculture che la rappresentano. scendi dalle stelle e vienimi a cercare.
2. L’autore descrive l’aspetto e la bellezza della Ma- Oh Dio del cielo, se mi vorrai amare
donna. I cantautori laici si dimenticano sempre di de- scendi dalle stelle e vienimi a salvare.
scrivere la ragazza che amano. Non hanno gli occhi,
forse neanche il cervello. Oh Dio del cielo, se mi cercherai,
3. L’autore riesce effettivamente a trasformare i suoni in mezzo agli altri uomini mi troverai.
in immagini semplici e coinvolgenti, rafforzate anche Oh Dio del cielo, se mi cercherai
dai ritornelli. nei campi di granturco mi troverai.
4. Conviene confrontare questo canto con la rappre-
sentazione della Vergine di Stabat Mater e di Donna Dio del cielo io ti aspetterò,
de paradiso di Jacopone da Todi e della preghiera al- nel cielo e sulla terra io ti cercherò.
la Vergine di Dante (Pd XXXIII, 1-39).
-----------------------------I☺I----------------------------- Oh Dio del cielo... (Sei volte.)
Riassunto
Il protagonista invita Dio a scendere dal cielo e, se
vorrà avere lui, lo troverà in mezzo agli altri uomini,
in un campo di granturco. Poi lo invita ad andarlo a
cercare, se lo vorrà amare. Non gli vuole rubare le
chiavi del paradiso, ma Dio gli potrebbe regalare un
attimo di gioia. Senza di Lui non sa dove andare, è
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 505
come una mosca cieca che non sa più volare. Se lo spetta un figlio, tutti la guardano con simpatia. Ma
vuole amare, deve venirlo a salvare. Se Dio ci ha re- l’essere madre ha due aspetti, il momento del dolore
galato il pianto e il riso, qui sulla terra non lo si è di- (il parto) e il momento della gioia (il bambino ormai
viso in modo equo. Se Dio lo cercherà, lo troverà in è nato). E non è importante se il figlio è un figlio
un campo di granturco. Il protagonista lo aspetterà, e, normalissimo nato da gente comune o è addirittura il
se Egli non verrà, nel cielo e sulla terra egli lo cerche- Messia. E nella maternità si realizza ogni donna.
rà. 3. Il cantautore accomuna Maria a tutte le altre donne
e propone un’immagine della donna e della Madonna
Commento che contrastava con l’idea di donna del tempo: im-
1. Lo spiritual è una musica afro-americana, che di perversavano le discussioni sulla donna-oggetto,
solito accompagna un testo religioso cristiano. Negli strumentalizzata dai cattivi capitalisti. I buoni intellet-
anni Sessanta dagli USA arrivano il jazz, Bob Dylan tuali di Sinistra lanciavano strali moralistici contro
e gli spiritual, che affascinano i giovani europei. arri- l’uso strumentale del corpo femminile, che a loro av-
vano anche i film di Hollywood, gli hippy e la conte- viso serviva soltanto a vendere maggiori quantità di
stazione giovanile. merci e ad aumentare squallidamente il profitto. Non
2. De André rovescia i termini della ricerca: non è più riuscivano nemmeno a capire che maggiore produ-
l’uomo che cerca Dio, è Dio che deve cercare l’uomo. zione di merci significava un maggior numero di po-
E lo cerca se lo vuole amare davvero, se lo vuole sal- sti di lavoro per gli operai. Gli attacchi al consumi-
vare davvero. L’uomo non vuole rubargli le chiavi smo e all’uomo a una dimensione – quella economica
del paradiso, ma non disprezzerebbe di ricevere un – erano però facili da interpretare: gli intellettuali e-
attimo di gioia. Egli non sa dove andare, perciò invita rano ai margini dell’economia e potevano avere quan-
Dio a venirlo a salvare. Egli ha regalato agli uomini il tità modestissime di beni di consumo.
pianto e il sorriso, ma, giunti sulla terra, non sono sta- 4. Oltre agli attacchi sconclusionati contro il capitali-
ti divisi equamente. Il protagonista si ripete: Dio, se smo, che si erano inventati, essi avevano un altro
lo vuole amare, deve venire a cercarlo sulla terra. E chiodo fisso: la lotta ad oltranza contro la repressione
quindi conclude: egli lo aspetta, ma, se non viene a sessuale di cui sarebbe stata responsabile la Chiesa
cercarlo, allora sarà lui a cercare Dio. cattolica. Non si sono mai accorti che la Chiesa atti-
3. Si può confrontare questa canzone con Francesco rava i fedeli con grandi quantità di sesso (Adamo ed
Guccini, Dio è morto (1965), portata al successo dai Eva prima nudi e poi vestiti, Susanna nuda al bagno
Nomadi. Ed anche con due testi medioevali: il Dies che eccitava i vecchioni, Betsabea che si spogliava
irae e Jacopone da Todi, Donna de paradiso. per leggere una lettera di David, Cristo nudo sulla
-----------------------------I☺I----------------------------- croce con il perizoma che sta sempre per cadere, il
bel san Sebastiano, culturista e soldato romano, la
De André Fabrizio, Ave Maria, 1970 Maddalena vestita di soli capelli, cioè nuda, ecc.). E
non hanno mai capito che è meglio frullare dentro il
matrimonio, non soltanto per evitare fastidiose malat-
E te ne vai, Maria, fra l’altra gente tie veneree, ma anche perché soltanto un rapporto
che si raccoglie intorno al tuo passare, stabile, una coppia stabile e affiatata, permetteva di
siepe di sguardi che non fanno male allevare decentemente il figlio che, o prima o poi,
nella stagione di essere madre.
cercato o meno, nasceva.
5. Anche Jacopone da Todi aveva cercato di assimila-
Sai che fra un’ora forse piangerai, re la Madonna a tutte le altre donne in Stabat Mater e
poi la tua mano nasconderà un sorriso: Donna de paradiso.
gioia e dolore hanno il confine incerto -----------------------------I☺I-----------------------------
nella stagione che illumina il viso.
Commento
1. Si può confrontare l’Ave Maria di De André con
l’inno Dell’aurora tu sorgi più bella di Francesco
Saverio D’Aria. Due mondi e due modi diversi di ve-
dere la Madonna.
2. Il testo è difficile. De André vuol dire che una
donna è prima femmina e poi madre. E, quando a-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 506
Le canzoni politiche del Novecento operaio. Una convinzione ingenua, dettata da una co-
noscenza insignificante della società, dell’economia e
Conviene dare un’occhiata anche alle canzoni politi- del potere costituito. Comunque sia, alla fine del se-
che del Novecento. In questo modo si completano tre colo i salari aumentano: i capitalisti capiscono che,
aree culturali diverse e avverse alla cultura letteraria aumentandoli, prendono due piccioni con una fava: 1)
ufficiale o dotta: l’area occupata dalla Chiesa cattoli- conquistano un un nuovo vastissimo mercato, quello
ca, le canzonette di Sanremo, e l’area politica (socia- costituito dalla popolazione che ha un modesto potere
lista-comunista, anarchica e anche nazional-fascista). d’acquisto; e 2) eliminano i motivi di protesta, di
I confronti fra le diverse aree sono assai interessanti. sciopero e di rivolta degli operai. Le organizzazioni
politiche e sindacali sono spiazzate, e allora alozano
In Europa la classe operaia nasce nei primi decenni il tiro, le richieste: le otto ore ecc. La storia fallimen-
dell’Ottocento e si sviluppa per tutto il secolo. In Ita- tare della Prima e Seconda Internazionale dei Lavora-
lia la FIAT apre i cancelli nel 1899, ma lo sviluppo tori lo dimostra. I dirigenti del movimento operaio
industriale è successivo alla seconda guerra mondiale. prima ingannavano se stessi e poi gli operai con le
I salari degli operai erano bassi, i fermenti di protesta loro fantasie e con le loro analisi economiche.
erano numerosi. Nel 1864 nasce la Prima Internazio-
nale operaia. Le idee, le aspirazioni, gli ideali trovano La bandiera e l’inno diventano i caratteri simbolici
spazio nelle canzoni politiche. Gli operai protestano che uniscono i lavoratori e le lavoratrici. Ma si devo-
contro lo “sfruttamento” e immaginano un mondo no ricordare anche due simboli particolari, ampia-
migliore, di pace e di lavoro, senza il padrone. Nel mente sfruttati in area socialista e comunista: la falce
1871 la Comune parigina è il primo esempio di go- e il martello. La falce indica i lavoratori dei campi, il
verno operaio della storia. Dura pochi mesi ed è martello indica gli operai. A dire il vero, il martello fa
spazzata via dall’intervento dell’esercito. Chi non re- pensare piuttosto al fabbro che batte il ferro sull’in-
sta ucciso nei combattimenti finisce a fare i lavori cudine. Ma era difficile trovare un simbolo facile, e-
forzati nella Guyana francese. spresso da una parola semplice, per indicare il lavoro
operaio in fabbrica: una chiave inglese non permette-
La cultura popolare ora si riallacciava alla cultura let- va di colpire e abbattere il sistema. E ad ogni modo il
teraria, ora prendeva dalla cultura religiosa, che per- martello è lo strumento con cui gli operai, guidati dal-
vadeva i pensieri, gli animi e le parole. Perciò non ci le loro organizzazioni sindacali (i partiti compariran-
si deve meravigliare se le canzoni di lotta e di prote- no più tardi), abbatteranno il sistema economico capi-
sta sembrano scritte da qualche spirito religioso. talistico. Una pia illusione, costantemente smentita
L’Inno dei lavoratori inizia con questo verso: “Su dai fatti. Essi non avevano la minima idea di quel che
fratelli, su compagni”. E poco dopo c’è non la spe- era l’economia del loro tempo. Il lavoro era conside-
ranza della felicità in paradiso, ma quella nel “sol rato sfruttamento, perché secondo intellettuali e lavo-
dell’avvenir”. E il “riscatto” (un altro termine eccle- ratori le merci spettavano agli operai che le avevano
siastico, che corrisponde alla salvezza terrena e ultra- prodotte, e il “padrone”, sempre vestito in modo ele-
terrena) non è più fatto da Dio che si sacrifica sulla gante, era uno sfaticato, che si appropriava dei frutti
croce per gli uomini, ma è ottenuto dalla lotta dei ri- del lavoro altrui.
voluzionari contro i padroni o i padrun o i “signoro-
ni” sfaccendati e pieni di orgoglio e presunzione. I Vale la pena di fare anche un’altra osservazione lin-
rivoluzionari vogliono una felicità terrena, anche se guistica: gli operai sono pochi o pochissimi, perché
rimandata a un futuro sicuramente molto prossimo, a normalmente si parla di proletari, cioè individui che
portata di mano. D’altra parte anche il laicissimo il- hanno moltissima proles, prole, figli. Ovviamente i
luminismo (1730-90) aveva fatto incetta di idee ec- figli nascono sotto i cavoli o tra i rami degli alberi.
clesiastiche, girate in salsa laica. Ma il termine è stato scelto perché il termine concor-
renziale di operaio faceva pensare a una situazione
I rivoluzionari sono maschi e femmine: anche le don- idilliaca, cosa che non si voleva. E così gli operai so-
ne del popolo vanno in fabbrica a lavorare. Curiosa- no stati declassati e denigrati: sono ricchi di prole, di
mente mantengono la caratteristica che tutte le donne figli, e sono poveri di denari. Magari una vita più
hanno da Santippe, moglie di Socrate, in poi: hanno prudente a letto con la moglie faceva gli interessi di
“delle belle buone lingue” e non hanno neanche pau- tutti. Se i figli sono molti, si è costretti a mandarli a
ra. lavorare a otto anni. Il alario non permette di mante-
nerli più a lungo.
La lega o il partito diventano punti di riferimento i-
deali e di lotta. La lega o il partito dei lavoratori de- La scelta del termine è fatta da Karl Marx (1818-
vono crescere, ma ci sono sempre le forze controrivo- 1883), un ebreo che immaginava di aver capito tutto
luzionarie e i crumiri in agguato, che fanno fallire gli di economia e che invece non aveva capito niente.
scioperi. Nell’Ottocento era diffusa la convinzione Non aveva neanche capito che il capitalista che inve-
che lo sciopero generale fosse capace di affossare il ste il suo denaro non lo fa per farsi caldo o per far
sistema capitalistico e di porre fine allo sfruttamento passare il tempo, ma per avere un rientro economico:
non il denaro sottratto al salario degli operai, ma il
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 507
denaro che gli spettava in quanto lavorava per farlo nomia di pace. Da una parte ci sono le squadr(acc)e
fruttare e in quanto rischiava il suo capitale. Suo è lo fasciste, provviste di olio di ricino e manganello, al
slogan più famoso in area proletaria (o operaia) e più servizio di latifondisti e industriali; dall’altra c’è l’oc-
insulso: “Proletari di tutto il mondo, unitevi!” (1848). cupazione delle fabbriche (“biennio rosso”, 1919-20),
che per la totale incapacità dei sindacati fallisce. E gli
Sua è pure la ridicola profezia che i capitalisti si fan- operai ritornano lemme lemme al lavoro. Le teorie
no concorrenza, chi perde finisce tra i proletari, così socialiste e comuniste prevedevano la conquista vio-
aumentano i proletari e diminuiscono i capitalisti, lenta del potere e la dittatura del proletariato, ma
finché si arriverà a un solo capitalista, e allora i prole- quella era violenza buona, perciò giustificabile…
tari faranno la rivoluzione… Già nel Basso Medio
Evo le imprese (raccolte nelle corporazioni) non si D’altra parte il clima di violenza era precedente alla
facevano concorrenza e concordavano le caratteristi- prima guerra mondiale: nel 1909 il Manifesto del Fu-
che e il prezzo sul mercato dei prodotti. Così si evita- turismo predicava la violenza come “sola igiene del
va di danneggiare l’imprenditore e le famiglie dei la- mondo”. Tocca a Mussolini liberare l’Italia e gli ita-
voratori. Nell’economia marxista la merce era con- liani dai partiti, che non svolgevano neanche a livelli
sumata dai marziani o si consumava da sé... In alter- minimi i compiti istituzionali previsti. Nel 1923 li
nativa non si riusciva a capire perché, pur essendo i mette fuori legge. Nemmeno dopo un secolo i partiti
prezzi bassissimi e pur essendo la merce utile e/o ne- vogliono riconoscere che, se il Nazional-fascismo è
cessaria, essa restava invenduta. Finalmente qualcuno andato (democraticamente) al potere, il merito o il
capisce che ciò dipendeva dal (limitato) potere d’ac- demerito spetta a loro. Gli italiani erano stanchi del
quisto degli acquirenti, operai compresi. loro non-governo e dei loro continui litigi.
In realtà il capitalista ha il problema di vendere le Leggendo la produzione di inni delle varie correnti
merci che produce o fa produrre e non c’è niente di politiche e leggendola in ordine cronologico, si fa una
meglio che vendere le merci agli stessi operai che le scoperta sorprendete e sconvolgente: rivoluzionari e
hanno prodotte, come avverrà a fine Ottocento. Così i nazional-fascisti usano spessissimo gli stessi termini
capitalisti o i padroni o gli sfruttatori prendono due e propongono spessissimo le stesse idee. Sono pure
piccioni con una fava: allargano il mercato delle loro accomunati dalla pratica della violenza, per fare la
merci, vendendole agli operai; e tolgono ogni velleità rivoluzione da una parte, per fermare gli internazio-
rivoluzionaria agli operai o ai proletari, che così non nalisti che rinnegano la patria dall’altra. Nelle leg-
hanno più alcun motivo per lamentarsi. In ogni caso gende metropolitane antifasciste sono violenti soltan-
soltanto alle leggi della fisica (come la forza di gravi- to i fascisti, invece la violenza proletaria è giusta o in
tà) non c’è rimedio. Per il resto si possono cercare so- alternativa non è mai vista. La storia si fa anche con il
luzioni che evitino il/un (improbabile) tracollo del paraocchi.
proprio ceto sociale. Tra l’altro nel corso del Basso E allora sorge una domanda: che cosa distingueva
Medio Evo esse erano state trovate e applicate: le nazional-fascisti e socialisti-comunisti. La risposta è
corporazioni (o le gilde) decidevano le caratteristiche semplice: i primi avevano una origine sociale picco-
e il prezzo del prodotto ed evitavano nel modo più lo-borghese e si appoggiavano allo Stato, erano di-
assoluto di farsi una stupida concorrenza abbassando pendenti statali o proprietari terrieri; i secondi aveva-
di più i prezzi e danneggiandosi con le proprie mani. no alle spalle (o pensavano di avere) gli operai e forse
qualche lavoratore della terra.
Per par conditio sono citati anche alcuni canti sia a-
narchici sia nazional-fascisti. I vincitori hanno sem- Ora si può passare alla lettura degli inni e dei canti di
pre un chiodo fisso: la damnatio memoriae, l’elimina- protesta, anche se sarebbe preferibile sentirli cantati e
zione totale dell’avversario sconfitto. In proposito accompagnati dalla musica. Come la Chiesa faceva e
l’opera degli antifascisti è stata efficace: hanno infie- insegnava a fare da 2.000 anni. Un’unica triste consi-
rito anche sul nome di alcune città italiane fondate dal derazione: oggi queste canzoni non si cantano più,
regime abbattuto (Littoria diventa Latina). E il Na- sono scomparse. Chi le cantava è cambiato a tal
zional-fascismo è divenuto il simbolo di ciò che è ne- ppunto, da non riconoscersi più in esse. Sono state
ro, brutto e cattivo. L’immagine che ne emerge è tal- cantate fino agli anni Settanta del secolo scorso. Oggi
mente falsificata e lontana dalla realtà, che non può ha chiuso anche “l’unità” (12.02.1924-02.06.2017), il
essere nemmeno paragonata ai discorsi scombinati e quotidiano storico del PCI-PD. Questo oblio è un
dementi che si fanno all’osteria dopo aver bevuto danno per tutti, anche per chi non si riconosceva in
venti birre super-alcoliche. queste canzoni, perché fanno parte della storia italia-
na di tutti, come i canti di chiesa. Oltre a ciò chi per-
I quattro anni di violenza della prima guerra mondiale de le sue radici diventa una minaccia sociale.
perdurano nel dopoguerra (1918-23): i partiti al go-
verno non riescono o non vogliono risolvere i pro- Un’avvertenza: ci sono canzoni fuori del Novecento.
blemi della ricostruzione, dell’inflazione, dei debiti Non è stato un errore: le canzoni o gli inni del passato
delle famiglie, del rientro dei reduci, della riconver- sono stati cantati a squarciagola dal 1960 al 1975. E-
sione dell’economia da economia di guerra ad eco- rano considerate attuali.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 508
Turati Filippo-Mattei Zenone, Inno dei la- crumiri col padrone…
voratori, 1886 E la libertà non viene,
perché non c’è l’unione,
crumiri col padrone
Su fratelli, su compagni,
son tutti da ammazzar.
su venite in fitta schiera,
sulla libera bandiera Oilioilioilà
splende il sol dell’avvenir. e la lega crescerà...
Nelle pene e nell’insulto Sebben che siamo donne,
ci stringemmo in mutuo patto, paura non abbiamo,
la gran causa del riscatto,
abbiam delle belle buone lingue,
niun di noi vorrà tradir. abbiam delle belle buone lingue…
Il riscatto del lavoro Sebben che siamo donne,
dei suoi figli opra sarà: paura non abbiamo,
o vivremo del lavoro abbiam delle belle buone lingue
o pugnando si morrà. e ben ci difendiamo.
O vivremo del lavoro Oilioilioilà
o pugnando si morrà. e la lega crescerà...
Commento E voialtri signoroni,
1. Il testo è presentato in versione breve. Si trova an- che ci avete tanto orgoglio,
che una versione che coinvolge le donne: “Su fratelli, abbassate la superbia,
su compagne”. Ci si aspetterebbe piuttosto un “Su
abbassate la superbia…
fratelli, su sorelle”.
2. I termini in azzurro indicano le parole chiave. Mol- E voialtri signoroni,
te sono di derivazione ecclesiastica. La Chiesa catto- che ci avete tanto orgoglio,
lica faceva pensare al paradiso. Il mondo socialista e abbassate la superbia,
rivoluzionario spostava invece il paradiso in terra e e aprite il portafoglio.
sperava nel “sol dell’avvenir”, nel futuro prossimo,
quando gli operai avrebbero conquistato il potere po-
Oilioilioilà
litico. e la lega crescerà
3. “Pugnando” è un termine letterario dotto e latino. e noialtri lavoratori,
La pugna è la battaglia. Il termine era di uso comune. e noialtri lavoratori,
Si trova anche in altre canzoni rivoluzionarie. oilioilioilà
-----------------------------I☺I----------------------------- e la lega crescerà,
e noialtri lavoratori
La lega, 1890-1914 vurumma vess pagà
(=vorremmo esser pagati).
Sebben che siamo donne,
paura non abbiamo, Commento
per amor dei nostri figli, 1. Una canzone dev’essere necessariamente semplice,
per amor dei nostri figli… comprensibile, suggestiva, orecchiabile, e deve in-
fiammare gli animi. Spesso però dà l’impressione che
Sebben che siamo che siamo donne, sia intellettuali vicini ai lavoratori, sia gli stessi lavo-
paura non abbiamo, ratori non vadano al di là delle idee e delle proposte
per amor dei nostri figli, contenute nei versi. In questo caso almeno si è davan-
in lega ci mettiamo. ti a un piccolo-grande risultato: la lega aumenta il po-
tere contrattuale dei lavoratori o degli iscritti.
Oilioilioilà 2. Qui gli iscritti alla lega se la prendono con i crumi-
e la lega crescerà ri, cioè con coloro che durante gli scioperi vanno a
e noialtri socialisti e noialtri socialisti, lavorare, rendendo gli scioperi stessi meno efficaci.
oilioilioilà e la lega crescerà 3. La libertà di cui si parla è la “libertà dallo sfrutta-
e noialtri socialisti vogliam la libertà! mento”, come in altre canzoni. Ma per il pensiero so-
cialista e comunista, lavoro dipendente significa sol-
E la libertà non viene tanto sfruttamento. Il “padrone” non ha alcun merito,
perché non c’è l’unione, neanche di aver aperto la fabbrica.
crumiri col padrone,
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 509
4. Le donne che cantano si dimenticano di essere la- Pietro Gori (1865-1911), Addio a Lugano,
voratrici. Si identificano con i lavoratori maschi. 1895
-----------------------------I☺I-----------------------------
Addio, Lugano bella,
Pietro Gori (1865-1911), Inno del primo o dolce terra pia,
maggio, 1892 scacciati senza colpa,
gli anarchici van via
Vieni, o maggio, t’aspettan le genti, e partono cantando
ti salutano i liberi cuori, con la speranza in cor.
E partono cantando
dolce Pasqua del lavoratori,
con la speranza in cor.
vieni e splendi alla gloria del sol.
Ed è per voi sfruttati,
Squilli un inno di alate speranze per voi lavoratori,
al gran verde che il frutto matura che siamo ammanettati
e la vasta ideal fioritura al par dei malfattori.
in cui freme il lucente avvenir. Eppur la nostra idea
è solo idea d’amor.
Disertate falangi di schiavi Eppur la nostra idea
dai cantieri da l’arse officine, è solo idea d’amor.
via dai campi, su da le marine
tregua tregua all’eterno sudor. Anonimi compagni,
amici che restate,
Innalziamo le mani incallite le verità sociali
e sian fascio di forze fecondo, da forti propagate (=diffondete).
noi vogliamo redimere il mondo, È questa la vendetta
dal tiranni de l’ozio e de l’or. che noi vi domandiam.
È questa la vendetta (=giustizia)
che noi vi domandiam.
Giovinezza dolori ideali,
primavere dal fascino arcano,
Ma tu che ci discacci
verde maggio del genere umano, con una vil menzogna,
date ai petti il coraggio e la fé, repubblica borghese,
un dì ne avrai vergogna.
Date fiori ai ribelli caduti Noi oggi t’accusiamo
collo sguardo rivolto all’aurora, in faccia all’avvenir.
al gagliardo che lotta e lavora, Noi oggi t’accusiamo
al veggente poeta che muor. in faccia all’avvenir.
Dio del Ciel se fossi una colomba Donne! Donne! Donne! Che l’amore trasformerà.
vorrei volar laggiù dov’è il mio amor, Mamme! Mamme! Mamme! Questo è il dono che
che inginocchiato a San Giusto Dio vi fa.
prega con l’animo mesto:
fa che il mio amore torni Tra batuffoli e fasce mille sogni nel cuor.
ma torni presto. Per un bimbo che nasce quante gioie e dolor.
Vola, colomba bianca, vola Mamme! Mamme! Mamme! Quante pene l’amor vi
diglielo tu dà.
che tornerò. Ieri, oggi, sempre, per voi mamme non c’è pietà.
Ogni vostro bambino, quando un uomo sarà,
Dille che non sarà più sola verso il proprio destino, senza voi se ne andrà!
e che mai più
la lascerò. Son tutte belle le mamme del mondo
quando un bambino si stringono al cuor.
Fummo felici uniti e ci han divisi Son le bellezze di un bene profondo
ci sorrideva il sole, il cielo, il mar fatto di sogni, rinunce ed amor.
noi lasciavamo il cantiere
lieti del nostro lavoro È tanto bello quel volto di donna
e il campanon din don che veglia un bimbo e riposo non ha;
ci faceva il coro. sembra l’immagine d’una Madonna,
sembra l’immagine della bontà.
Vola, colomba bianca, vola…
E gli anni passano, i bimbi crescono,
Tutte le sere m’addormento triste le mamme imbiancano; ma non sfiorirà la loro beltà!
e nei miei sogni piango e invoco te
anche il mi vecio (=vecchio) te sogna Son tutte belle le mamme del mondo
pensa alle pene sofferte grandi tesori di luce e bontà,
piange e nasconde il viso tra le coperte. che custodiscono un bene profondo,
il più sincero dell’umanità.
Vola, colomba bianca, vola…
Son tutte belle le mamme del mondo
Diglielo tu ma, sopra tutte, più bella tu sei;
che tornerò. tu, che m’hai dato il tuo bene profondo
e sei la Mamma dei bimbi miei.
Commento
1. San Giusto indica la cattedrale di San Giusto a Commento
Trieste. La canzone è cantata con grandissimo suc- 1. La canzone celebra tutte le mamme del mondo, che
cesso da Nilla Pizzi, Luciano Tajoli e Claudio Villa. hanno messo al mondo un bambino, che lo hanno al-
È esplicito il riferimento a Trieste divisa in due zone, levato e fatto diventare adulto. Esse con il tempo so-
una controllata dall’Italia, una dalla Jugoslavia: no imbiancate, ma non sfioriranno mai. E poi il bam-
“Fummo felici uniti e ci han divisi”. Gli USA nel trat- bino-adulto le ha piantate ed è andato per la sua stra-
tato di fine guerra (e non di pace) si preoccupano di da. La canzone inizia con una parte in prosa (“Donne!
dividere la città in due, metà all’Italia e metà alla Ju- Donne! Donne!”), e poi è cantata (“Son tutte belle le
goslavia, in modo da creare un motivo permanente di mamme del mondo…”). E scomoda anche Dio… Nel
tensioni e di guerra tra i due Stati. La situazione si ri- 1948, soltanto qualche anno prima, la DC prende il
solve soltanto nel 1975 con il trattato salomonico di 48,8% dei voti alle elezioni. La società italiana era
Osimo: si ratifica lo status quo durato vent’anni. cristiana e cattolica.
2. “Dio del ciel”: una citazione religiosa era normale 2. Alla fine della canzone il cantautore ha un colpo
nell’Italia del tempo. La vita di tutti era pervasa dalla d’ala. Dice che sono tutte belle le mamme del mondo
religione e dalla terminologia/cultura religiosa. Nel e soprattutto è bella la madre dei suoi figli. Un gradi-
1966 a Sanremo Domenico Modugno e Gigliola Cin- to complimento a sua moglie, per la quale ha lasciato
quetti cantano Dio, come ti amo, che fece scandalo, e la famiglia dei genitori. Ma era normale che la moglie
vincono al festival. andasse a vivere a casa di lui con i suoceri.
3. “Il mi vecio” è un soprannome affettuoso. 3. La canzone è destinata al successo e a un grande
---------------------------I☺I----------------------------- successo, perché, finita la seconda guerra mondiale, a
partire dai primi anni Cinquanta la natalità riprende in
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 547
modo massiccio e ci sono moltissime mamme con Commento
bambini piccoli. 1. Modugno mescola versi brevi e versi lunghi (o ver-
4. Il papà è assente: una dimenticanza. Ma normal- si in prosa). E usa anche il ritornello, trasformato in
mente non era mai associato al figlio. Si sarebbe sen- puro suono. È abile l’uso degli infiniti (volare, canta-
tito molto imbarazzato ad esprimere qualche senti- re) e pure della interiezione (oh!). È facile e immedia-
mento d’affetto verso di lui. I sentimenti sono cose da ta la contrapposizione “lassù” (e volare) e “quaggiù”
donne. (ma con te). E i versi sono onomatopeici. E abile an-
5. Con questa canzone Giorgio Consolino vince il Fe- che la variazione “Nel blu, dipinto di blu” e “Nel blu
stival di Sanremo nel 1954. degli occhi tuoi blu”.
-----------------------------I☺I----------------------------- 2. La canzone provoca una facile identificazione
nell’ascoltatore, che può volare perché canta. Cantare
Migliacci Franco-Modugno Domenico, era un’abitudine molto diffusa, fino alla comparsa
Nel blu, dipinto di blu o Volare, 1958 della radio. Basta poco o addirittura niente, per volare
ed essere felici. Il benessere economico (1958-61)
doveva ancora arrivare.
Penso che un sogno così non ritorni mai più;
3. La canzone o, come si diceva, il brano musicale
mi dipingevo le mani e la faccia di blu,
cantato, per l’importanza della musica, dimostra
poi d’improvviso venivo dal vento rapito
grandissimo mestiere e grande conoscenza della lin-
e incominciavo a volare nel cielo infinito…
gua. Essa è un buon prodotto ed è sicuramente buona
cultura. E si deve riconoscere che per la cultura popo-
Volare… oh, oh!…
lare hanno fatto di più Sanremo e Mike Buongiorno
Cantare… oh, oh, oh, oh!
(1924-2009) che la nuova scuola media italiana
Nel blu, dipinto di blu,
(1963).
felice di stare lassù.
---------------------------I☺I-----------------------------
E volavo, volavo felice più in alto del sole ed ancora
più su, Modugno Domenico-Verde Dino, Piove,
mentre il mondo pian piano spariva lontano laggiù, 1959
una musica dolce suonava soltanto per me…
Mille violini suonati dal vento,
Volare… oh, oh!… tutti i colori dell’arcobaleno
Cantare… oh, oh, oh, oh! vanno a fermare la pioggia d’argento
Nel blu, dipinto di blu, ma piove piove
felice di stare lassù. sul nostro amor.
Sarà triste dirci addio Paoli Gino (1934), Sapore di sale, 1963
sarà triste amore mio
ma l’amore dura un attimo Sapore di sale,
Quando credi di sognare sapore di mare,
ti risvegli tutto a un tratto che hai sulla pelle,
proprio quando dici t’amo che hai sulle labbra,
Ma se un giorno sarai solo quando esci dall’acqua
non scordarti che una volta e ti vieni a sdraiare
cantavamo una canzone: vicino a me
quest’autunno noi faremo vicino a me.
sotto il cielo più sereno
la vendemmia dell’amore Sapore di sale,
la la la... sapore di mare,
un gusto un po’ amaro
Commento di cose perdute,
1. I due innamorati hanno deciso di spupazzarsi in au- di cose lasciate
tunno, faranno la vendemmia dell’amore in contem- lontano da noi
poranea con la vendemmia dell’uva. Poi lei chiede di dove il mondo è diverso,
spiluccare un (grosso) grappolo d’uva e a ogni chicco diverso da qui.
lui le darà un bacio. Ma la vendemmia finisce presto
e i due si diranno addio, perché l’amore dura un atti- Qui il tempo è dei giorni
mo. Se un giorno infine sarà solo può ricordare che che passano pigri
cantavano una canzone: “Quest’autunno noi faremo e lasciano in bocca
sotto il cielo più sereno la vendemmia dell’amore”. il gusto del sale.
La canzone diventa circolare, una invenzione che si Ti butti nell’acqua
trova anche in Pascoli (Orfano, La mia sera). Non c’è e mi lasci a guardarti
alcun dramma a causa della rottura. O forse non c’era e rimango da solo
mai stata una vera unione, ma un incontro, una frulla- nella sabbia e nel sole.
ta e un saluto.
2. I due innamorati si amano e poi si lasciano, perché Poi torni vicino
l’amore dura un attimo. Nella stessa canzone lo scrit- e ti lasci cadere
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 551
così nella sabbia Però, prima di lasciarmi
e nelle mie braccia dimmi almeno il perché.
e mentre ti bacio,
sapore di sale, Il tuo amor
sapore di mare, non era sincero,
sapore di te. i tuoi baci
non erano veri.
Qui il tempo è dei giorni I tuoi occhi
che passano pigri (=una noia mortale!) mi han sempre mentito
e lasciano in bocca se tu ora
il gusto del sale. non mi ami più.
Ti butti nell’acqua Se mi vuoi lasciare
e mi lasci a guardarti dimmi almeno perché.
e rimango da solo
nella sabbia e nel sole. Tu dicevi sempre
che vivevi per me.
Poi torni vicino Ma se vuoi andare
e ti lasci cadere non ti voglio più qui.
così nella sabbia Però, prima di lasciarmi
e nelle mie braccia dimmi almeno il perché.
e mentre ti bacio,
sapore di sale, Il tuo amor
sapore di mare, non era sincero,
sapore di te. i tuoi baci
non erano veri.
Commento I tuoi occhi
1. La canzone è bella, spensierata, affascinante, coin- mi han sempre mentito
volgente. I due innamorati sono al mare, su una se tu ora
spiaggia che è disabitata o senza bagnati, che sono non mi ami più.
stati mentalmente rimossi. Lei esce dall’acqua in due Se mi vuoi lasciare
pezzi (o bikini) come una novella Venere. E viene a dimmi almeno perché.
sdraiarsi vicino a lui. Lui la guarda, anche con l’ani-
ma. E la bacia, sulla pelle e poi sulle labbra. Le mani Tu dicevi sempre
non danno alcun contributo all’impresa amorosa. I che vivevi per me.
genitori sono in agguato… Ma se vuoi andare
2. La canzone ha avuto giustamente uno straordinario non ti voglio più qui.
successo. È semplice, facile, orecchiabile, spensiera- Però, prima di lasciarmi
ta. Ci sono soltanto lui e lei, lei che esce dal mare, lei dimmi almeno il perché.
che si sdraia vicino a lui, lui che la guarda, la desidera
e la bacia, un lungo sguardo e (con il pensiero) un ba- Commento
cio diffuso su tutta la pelle. Tutti i problemi di rela- 1. Il protagonista è stato lasciato o quasi. E allora
zione e di lavoro sono dimenticati. chiede: se mi vuoi lasciare, dimmi almeno perché mi
3. Dietro a Gino Paoli ci sono le languide e orecchia- lasci. Una domanda (forse) legittima, che chiaramen-
bili canzonette dell’Arcadia. te non avrà risposta. Egli non capisce i motivi
-----------------------------I☺I----------------------------- dell’abbandono. E, comunque, si premura preventi-
vamente di incolpare lei d’essere stata bugiarda, di
Reverberi Gian Piero-Leva Rosario, Se mi aver detto che lo amava e addirittura che viveva per
vuoi lasciare, 1963 lui, anche se non era vero. Ad ogni modo lui la pren-
de con filosofia e senza drammi: “Ma, se vuoi andare,
Se mi vuoi lasciare non ti voglio più qui”. Insomma, dice sgarbatamente
dimmi almeno perché. di levarsi dai piedi. Non si chiede che cosa ha fatto
Io non so capire lui per farla scappar via. E invece alla domenica lui la
perché tu vuoi fuggire da me. lasciava sempre sola per andare a vedere la partita di
Se mi vuoi lasciare calcio con gli amici, si lamentava Rita Pavone ne La
dimmi almeno perché. partita di pallone (1962). Era l’anno prima.
2. Il verso “Se mi vuoi lasciare / dimmi almeno per-
Tu dicevi sempre ché”, ugualmente l’altro verso simile “Però prima di
che vivevi per me. lasciarmi…”, è martellante e sembra una mazzata
Ma se vuoi andare sulla testa dell’ascoltatore. È pure reso ancora più po-
non ti voglio più qui.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 552
tente dalla musica ad alto volume che lo accompagna.
L’ascoltatore è letteralmente frastornato. E tu chi sei?
3. Gianfranco Michele Maisano in arte è Michele Non mi pare che abbia di che lamentarti...
(1944). Voce e musica riempiono mente e cuore dello
spettatore. La mia famiglia è di gente bene
-----------------------------I☺I----------------------------- con mamma non parlo,
col vecchio nemmeno
Papes Enrico Maria-Di Martino Sergio, lui mette le mie camicie
Mettete dei fiori nei vostri cannoni, 1964 poi critica se vesto così
guadagno la vita lontano da casa
Mettete dei fiori nei nostri cannoni
perché ho rinunciato ad un posto tranquillo
era scritto in un cartello
ora mi dite che ho degli impegni
sulla schiena di ragazzi
che gli altri han preso per me
che senza conoscersi,
di città diverse,
Mettete dei fiori nei vostri cannoni
socialmente differenti
perché non vogliamo mai nel cielo
in giro per le strade della loro città
molecole malate,
cantavano
ma note musicali che formano gli accordi
la loro proposta
per una ballata di pace,
ora pare ci sarà un’inchiesta
di pace, di pace.
Tu come ti chiami?
Commento
Sei molto giovane
1. “Me ciami Brambilla e fu l’uperari, lavori la ghisa
per pochi denari” (dialetto milanese): “Mi chiamo
Me ciami Brambilla e fu l’uperari,
Brambilla, faccio l’operaio e lavoro la ghisa con un
lavori la ghisa per pochi denari
salario molto basso”. Dopo 103 anni dall’unità l’Ita-
e non ho in tasca mai
lia non era unita nemmeno al livello linguistico. Per
la lira
diletto possiamo immaginare un siciliano o un veneto
per poter fare un ballo con lei
che vanno a lavorare a Milano-Torino-Genova. In-
mi piace il lavoro
contrano barriere linguistiche insuperabili. Sono
ma non son contento
all’estero. La riforma della scuola media inferiore è
non è per i soldi che io mi lamento,
del 31.12.1962 (1963). A 60 anni di distanza si può
ma questa gioventù
dire se ha o non ha migliorato la comunicazione tra
c’avrei giurato che mi avrebbe dato di più.
gli italiani delle varie regioni. Soltanto i parroci in
chiesa, quando facevano le prediche, parlavano in ita-
Mettete dei fiori nei vostri cannoni
liano. E la messa è detta in italiano dopo il Concilio
perché non vogliamo mai nel cielo
Vaticano II (1962-65).
molecole malate,
2. La canzone risente delle proteste e della contesta-
ma note musicali che formano gli accordi
zione giovanile che era iniziata in USA (e poco dopo
per una ballata di pace,
in Francia) contro il consumismo di massa. La conte-
di pace, di pace.
stazione è fatta vestendo in modo trasandato, usando
droghe leggere (e anche pesanti), contestando la guer-
Anche tu sei molto giovane,
ra statunitense in Vietnam. I contestatori sono chia-
quanti anni hai?
mati hippy, figli dei fiori. La contestazione ha la sua
E di che cosa non sei soddisfatto?
acme nel 1968: numerose università americane, fran-
cesi, europee e italiane sono occupate. I contestatori
Ho quasi vent’anni e vendo giornali
non sanno che sono i figli del benessere, cioè della
girando quartieri fra povera gente
società consumistica. Essi possono contestare, perché
che vive come me,
la la società ha raggiunto una stabilità e solidità eco-
che sogna come me,
nomica tale, da resistere anche allo spreco di risorse:
sono un pittore che non vende quadri,
il boom economico italiano è del 1958-63. Bisogna
dipingo soltanto l’amore che vedo
però capire che cosa si intendeva per lotta contro il
e alla società non chiedo
consumismo: si criticava il consumismo degli altri e
che la mia libertà.
si voleva praticare il consumismo anche per sé. Non
si voleva essere esclusi, si voleva una fetta di consu-
Mettete dei fiori nei vostri cannoni
mi più consistente. A parte piccolissime frange di ir-
perché non vogliamo mai nel cielo
riducibili, la contestazione finisce rapidamente, poi-
molecole malate,
ché gli Stati trovano il modo di riversare una maggio-
ma note musicali che formano gli accordi
re quantità di risorse sui giovani studenti (presalario
per una ballata di pace,
ecc.). In Italia fino a metà anni Settanta i gruppi di
di pace, di pace.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 553
Sinistra inneggiavano e praticavano l’autoriduzione e la consueta maestria di Hollywood, ha un successo
l’esproprio (o furto) proletario. Comportamenti che enorme tra il pubblico giovanile e vince il premio per
dimostrano in modo certo come era intesa la lotta la miglior opera prima al 22º Festival di Cannes.
studentesca contro i consumi… I sinistrati si richia- 7. Canta il gruppo dei “Giganti”.
mavano poi a Karl Marx (1818-1883) che a loro dire -----------------------------I☺I----------------------------
aveva dimostrato in modo “scientifico” lo sfruttamen-
to dei proletari da parte dei capitalisti. I rivoluzionari Salerno Nicola-Panzer Mario, Non ho l’età
di Francia come d’Italia si erano appropriati di una (per amarti), 1964
cultura vecchia e ammuffita già nell’Ottocento, quan-
do era stata formulata. Marx ed Engels diventano gi- Non ho l’età non ho l’età per amarti
ganti del pensiero socialista soltanto dopo la rivolu- non ho l’età per uscire sola con te.
zione sovietica (1917). E non avrei, non avrei nulla da dirti
3. La canzone è modesta e velleitaria, ma non è que- perché tu sai molte più cose di me.
sto che conta. Il motivo è orecchiabile ed è un buono Lascia che io viva,
slogan di lotta contro la guerra e la società costituita. un amore romantico
Essa è costruita su una intervista a tre operai, che non nell’attesa che venga quel giorno
sono soddisfatti della loro vita. L’ultimo denuncia ma ora no,
l’impossibilità di comunicare con i genitori. Ovvia- non ho l’età non ho l’età per amarti,
mente il problema riguarda anche i genitori che non non ho l’età per uscire sola con te.
capiscono i figli, per i quali si sono sacrificati e che Se tu vorrai, se tu vorrai aspettarmi,
ora se li ritrovano ostili. quel giorno avrai
4. In effetti il rapidissimo sviluppo economico ha reso tutto il mio amore per te.
impossibile la costruzione di una nuova cultura o di
un semplice adattamento della vecchia cultura alla Non ho l’età non ho l’età
nuova situazione. Di qui le contestazioni, le tensioni, per uscire sola con te.
le manifestazioni “contro il sistema”. Queste tensioni E non avrei, non avrei nulla da dirti
sono destinate a durare (in Italia compaiono le “Bri- perché tu sai molte più cose di me.
gate Rosse”, che nel 1978 uccidono il segretario della Lascia che io viva,
DC Aldo Moro), perché non si può costruire una un amore romantico
nuova cultura dall’oggi al domani. I contestatori pari- nell’attesa che venga quel giorno
gini del maggio francese gridavano “l’immaginazione ma ora no,
al potere”, ma i contestatori non hanno dimostrato di non ho l’età non ho l’età per amarti,
avere immaginazione e il capitalismo industriale ha non ho l’età per uscire sola con te.
colto l’occasione per rinnovarsi radicalmente. Un Se tu vorrai, se tu vorrai aspettarmi,
buon generale sfrutta gli errori e gli attacchi del suo quel giorno avrai
nemico… tutto il mio amore per te.
5. Il testo evita i versi tradizionali, normalmente in
rima o con assonanze, e ricorre a una prosa poetica o Commento
ritmata. Una piccola innovazione. E ricorre al bilin- 1. Quando canta la canzone, Gigliola Cinquetti ha 16
guismo. Un’altra innovazione. E si apprezza per la anni. La voce è straordinariamente adatta al contenu-
sua sincerità e per la sua capacità di descrivere i gio- to della canzone ed è capace di esprimere i dubbi e le
vani così come sono: la giovinezza non mantiene le incertezze delle ragazze del tempo. La vita non era
sue promesse, poteva essere migliore; il dialogo tra più un rollino di marcia preconfezionato. Si poteva
padri e figli è impossibile; i valori dei figli sono di- uscire dal rollino, ma i rischi erano in agguato. L’in-
versi e inconciliabili con quelli dei genitori. I fiori certezza era un atteggiamento assai diffuso. Spesso la
rimandano anche agli hippy, i “figli dei fiori”, che a- soluzione era immedesimarsi nelle situazioni descritte
gli inizi degli anni Sessanta in USA contestavano la dalle canzoni di Sanremo. E viverle in prima persona.
vita e i valori ufficiali e che verso la fine del decennio 2. Conviene confrontare questa canzone con Sono
protestano contro la guerra degli USAin Vietnam. una donna, non sono una santa (1971), cantata da
6. Il film che meglio rappresenta la cultura e la conte- Rosanna Fratello, che presenta una situazione senti-
stazione giovanile americana è Easy Reader – Libertà mentale molto diversa: non vuole concedersi subito,
e paura (1969), diretto e interpretato da Dennis Hop- ma fra tre mesi, a maggio. Si può andare in campagna
per, con Peter Fonda e Jack Nicholson. Due giovani e l’aria è tiepida.
su due potenti moto fanno un viaggio attraverso gli 3. La canzonetta è fatta da due strofe diverse soltanto
USA da Los Angeles alla Louisana. Qui sono uccisi per i due semi-versi in azzurro.
da qualcuno che spara loro da un furgone, perché so- -----------------------------I☺I----------------------------
no capelloni, si drogano e rifiutano i valori americani
tradizionali. Le due chopper, costosissime, comperate
con i guadagni di un carico di cocaina, dimostravano
però il contrario. Il film è sgangherato, ma fatto con
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 554
Calabrese Giorgio-Guarnieri Gianfrance- Guccini Francesco (1940), Dio è morto,
sco, Un bene grande così, 1965 1965
Ho imparato Ho visto
che il bene più grande la gente della mia età andare via
che esiste nel mondo lungo le strade che non portano mai a niente
è sempre la mamma. cercare il sogno che conduce alla pazzia
È alla mamma, nella ricerca di qualcosa che non trovano
che mi vuole bene, nel mondo che hanno già
mi resta soltanto dentro le notti che dal vino son bagnate
una cosa da dire: dentro le stanze da pastiglie trasformate
“Anch’io ti voglio bene, dentro le nuvole di fumo
un bene grande così”. nel mondo fatto di città
“Anch’io ti voglio bene, essere contro od ingoiare
un bene grande così”. la nostra stanca civiltà.
Mi prendevi nel letto dei grandi, È un Dio che è morto
c’erano i tuoni, ed avevo paura, ai bordi delle strade, Dio è morto
mille modi di volere bene, nelle auto prese a rate, Dio è morto
e adesso, più grande, comincio a capire. nei miti dell’estate, Dio è morto.
“Anch’io ti voglio bene,
un bene grande così”. M’han detto
“Anch’io ti voglio bene, che questa mia generazione ormai non crede
un bene grande così”. in ciò che spesso han mascherato con la fede
Lo so che mi vuoi bene, sai, nei miti eterni della patria e dell’eroe
più di tutti, perché sei la mia mamma. perché è venuto ormai il momento di negare
“Anch’io ti voglio bene, tutto ciò che è falsità
un bene grande così”. le fedi fatti di abitudini e paura
una politica che è solo far carriera
Commento il perbenismo interessato
1. La canzone è valorizzata dalla musica e dalla voce la dignità fatta di vuoto
di Anna Identici. Il contenuto è esile, se si legge, ma l’ipocrisia di chi sta sempre
diventa altra cosa quando è cantato e ascoltato. La con la ragione e mai col torto.
voce della cantante (con accompagnamento del coro) È un Dio che è morto
ha un fascino ipnotico incredibile. nei campi di sterminio, Dio è morto
2. La canzone alla mamma è un tributo dovuto: coi miti della razza, Dio è morto
l’Italia, soprattutto al sud, vive dentro la famiglia e con gli odi di partito, Dio è morto.
legata alle tradizioni. La vita pubblica (lavoro, ferie e
spettacoli) acquisterà importanza soltanto in futuro. Ma penso
In quegli anni decolla la riviera romagnola. I milanesi che questa mia generazione è preparata
vi si precipitavano a fare i 15 giorni di ferie e poi tor- a un mondo nuovo e a una speranza appena nata
navano al lavoro. ad un futuro che ha già in mano,
3. La canzone va confrontata con un’altra canzone di a una rivolta senza armi
successo, Tutte le mamme (1954) di Umberto Bertini perché noi tutti ormai sappiamo
e Eduardo Falcocchio, sicuramente più complessa, che se Dio muore è per tre giorni
perché mette in rapporto le mamme con i figli, e poi e poi risorge.
le mamme invecchiano e i figli diventano grandi. In ciò che noi crediamo Dio è risorto,
-----------------------------I☺I----------------------------- in ciò che noi vogliamo Dio è risorto,
nel mondo che faremo Dio è risorto!
Commento
1. Francesco Guccini e Fabrizio De André sono i due
cantautori italiani che hanno la formazione culturale
più solida. Le loro canzoni trasudano cultura e rifles-
sioni. In Dio è morto, un titolo forte e provocatorio, il
cantautore esprime in modo sistematico i motivi che
spingono i giovani a contestare il “sistema” e il con-
sumismo. I giovani si sono staccati dalla generazione
dei padri e non li capiscono più. Non capiscono più la
loro vita e il loro sistema di valori, perché pensano
che si possa volare, che si possono realizzare nuovi
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 555
valori, fatti di pace, musica, amore, libertà. Credono a zoni sentimentali con un pizzico di tragedia e molta
una “speranza appena nata” e credono anche che i va- commedia, e un mondo che guarda la vita e la cultura
lori sociali possano risorgere, come è risorto Dio. È con ben altro respiro. Ma ci sono stati e ci sono esti-
facile credere, realizzare quel che si crede è molto più matori di Sanremo come estimatori di Guccini. Me-
difficile. Con il senno di poi si può dire se i contesta- glio così.
tori americani, europei ed italiani degli anni Sessanta -----------------------------I☺I-----------------------------
hanno costruito una nuova società oppure no.
2. È interessante la fusione di sacro e profano in un Celentano Adriano-Beretta Luciano-Del
autore di estrema Sinistra, poco tenero con la Chiesa Prete Miki, Il ragazzo della via Gluck,
e poco tenero anche con i partiti ufficiali della Sini- 1966
stra. Ma così è. Il fatto è che in quegli anni (ma anche
nei secoli precedenti…) la Chiesa aveva l’egemonia Questa è la storia
sulla cultura e forniva la sua terminologia anche ai Di uno di noi
rivoluzionari e ai contestatori. Risulta anche dai canti Anche lui nato per caso in via Gluck
rivoluzionari di fine Ottocento, pieni di speranza, di In una casa, fuori città
fede nell’avvenire e di valori cristiani messi in salsa Gente tranquilla, che lavorava
socialista o comunista. Là dove c’era l’erba ora c’è
3. È facile contestare, ma bisogna mettersi anche dal Una città
punto di visa di chi è contestato. Un’auto comperata a E quella casa
rate serviva per andare al lavoro e/o a far la spesa, per In mezzo al verde ormai
i bisogni della famiglia e per andare in ferie. E anche Dove sarà
le ferie erano considerate un valore: un po’ di tempo
libero e di chiacchiere senza capo né coda con gli a- Questo ragazzo della via Gluck
mici e con i bagnanti che si trovavano sulla spiag- Si divertiva a giocare con me
gia.al limite anche con la propria moglie. Le prime Ma un giorno disse
ferie degli italiani risalgono agli anni Trenta e sono Vado in città
un merito del Nazional-fascismo. E lo diceva mentre piangeva
4. La società tradizionale è però condannata in bloc- Io gli domando amico
co, senza attenuanti. Eppure proprio i genitori, che si Non sei contento
erano scannati per dare ai figli un futuro migliore del Vai finalmente a stare in città
loro, danno ai figli quella sicurezza economica e quel Là troverai le cose che non hai avuto qui
tempo libero che permette sia di pensare sia di conte- Potrai lavarti in casa senza andar
stare. Ma i giovani contestatori non lo sanno e non lo Giù nel cortile
capiscono. Né lo capiranno. Mio caro amico, disse
5. Sul piano stilistico e musicale gli “attacchi” delle Qui sono nato
tre strofe sono potenti, soprattutto grazie alla voce In questa strada
dell’autore: “Ho visto”, “M’han detto”, “Ma penso”. Ora lascio il mio cuore
La canzone è immersa in una cultura ecclesiastica. Il Ma come fai a non capire
Concilio Vaticano II (1962-65) era appena terminato. È una fortuna, per voi che restate
Ma quella e soltanto quella era la cultura del tempo, A piedi nudi a giocare nei prati
che pervadeva l’intera società. D’altra parte anche i Mentre là in centro respiro il cemento
rivoluzionari del Settecento e dell’Ottocento prende- Ma verrà un giorno che ritornerò
vano o rubavano a piene mani dalla Chiesa cattolica. Ancora qui
Niente di nuovo sotto il sole. E sentirò l’amico treno
5. Resta il fatto di una radicale frattura tra i valori Che fischia così”.
delle giovani generazioni e i valori dei padri, della
generazione precedente. Anche i bambini contestano, Passano gli anni
e poi cambiano modo di pensare e vedono la realtà Ma otto son lunghi
con altri occhi, quelli di adulti. A distanza di 50 anni Però quel ragazzo ne ha fatta di strada
si può vedere se quei giovani contestatori accaniti Ma non si scorda la sua prima casa
hanno costruito una società migliore, conforme alle Ora coi soldi lui può comperarla.
loro idee, uguale o peggiore di quella dei loro padri. Torna e non trova gli amici che aveva
Le parole sono soltanto emissioni di voce, servono i Solo case su case
fatti. Certamente si può riconoscere che i giovani era- Catrame e cemento
no in buona fede e le loro speranze erano sincere. E Là dove c’era l’erba ora c’è
che essi mancavano di qualsiasi esperienza della vi- Una città
ta… E al futuro, alla nuova società, hanno lasciato E quella casa in mezzo al verde ormai
soltanto le loro spesso splendide canzoni. E basta. Dove sarà?
6. Se si confronta Guccini con Sanremo, si scopre Eh no,
l’incompatibilità dei due mondi: il mondo delle can- Non so, non so perché
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 556
Perché continuano Molto, molto più di prima io t’amerò
A costruire le case in confronto all’altro sei meglio tu
E non lasciano l’erba e d’ora in avanti prometto che
Non lasciano l’erba quel che ho fatto un dì non farò mai più
Non lasciano l’erba
Non lasciano l’erba Ognuno ha il diritto di vivere come può (=vuole)
Eh no, (la verità ti fa male, lo so)
Se andiamo avanti così, chissà Per questo una cosa mi piace e quell’altra no
Come si farà (la verità ti fa male, lo so)
Chissà … Se sono tornata a te,
ti basta sapere che
Commento ho visto la differenza tra lui e te
1. Conviene confrontare la canzone di Celentano con ed ho scelto te
quelle che negli stessi anni erano scritte dalla cultura Se ho sbagliato un giorno ora capisco che
di Sinistra come Monopoli (1970) di Giovanna Mari- l’ho pagata cara la verità,
ni o Non piangere oi bella (1972) di Alfredo Bandel- io ti chiedo scusa, e sai perché?
li. Sono due mondi diversi. Celentano sa articolare in Sta di casa qui la felicità.
versi un buon ragionamento e buone osservazioni Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu!
sull’individuo e sui cambiamenti sociali negativi che
aspettano l’individuo, lo spettatore e l’ascoltatore. La Riassunto. La protagonista afferma che ognuno ha il
cultura di Sinistra si limita a protestare, a recriminare diritto di vivere come può (=è capace o come vuole).
e a dare la colpa agli altri, ai borghesi, ai capitalisti, ai Lei ha sbagliato, è andata con un altro. Ma riconosce
nordisti (ovviamente) razzisti che disprezzano i “ter- di aver sbagliato ed è ritornata dal primo ragazzo,
roni”. E tuttavia i “terroni” continuano ad andare a perché è meglio dell’altro. Ma neanche lui la può
lavorare al nord o restano al sud a fare lavori social- giudicare. Gli chiede scusa perché ha sbagliato. Ma è
mente non necessari, come quello dei forestali, il cui ritornata da lui perché è sicura che soltanto con lui,
lavoro consiste nel far passare il tempo o anche (co- non con l’altro, sarà felice. Ma insiste: neanche lui la
m’è successo e continua a succedere) nell’incendiare può giudicare.
qualche bosco per dimostrare che c’è bisogno assolu-
to della loro presenza. Commento
-----------------------------I☺I----------------------------- 1. La canzone è innovativa e anzi è addirittura scon-
volgente per quegli anni. Applica la regola delle pari
Pace-Panzeri-Beretta-Del Prete, Nessuno opportunità: se il ragazzo può scegliersi la ragazza,
mi può giudicare, 1966 anche la ragazza può fare altrettanto. Qualcuno ha
pensato che la canzone anticipasse argomenti femmi-
nisti, poiché rivendica per la donna la possibilità di
La verità mi fa male, lo so...
scegliere tra più partner. Ma è in errore. Da sempre
La verità mi fa male, lo sai!
vale il proverbio o il postulato che l’uomo sceglie la
donna che lo ha scelto. Si possono dare per scontato
Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu
commenti pesanti su ragazze che si comportano così
(la verità ti fa male, lo so)
e passano da un ragazzo all’altro (“È una puttana!”).
Lo so che ho sbagliato una volta e non sbaglio più
Il fatto è che le generazioni che vengono dopo il bo-
(la verità ti fa male, lo so)
om economico pensano di poter fare e scegliere di te-
Dovresti pensare a me
sta loro, rifiutando in blocco il passato e la saggezza o
e stare più attento a te
almeno l’organizzazione sociale implicita nel passato.
C’è già tanta gente che
E fanno esperienza sulla loro pelle: commettono “er-
ce la su con me, chi lo sa perché?
rori” (che magari non sono tali), che poi pagano. La
nuova cultura si fa in corpore vili, sulla stessa pelle
Ognuno ha il diritto di vivere come può (=vuole)
degli interessati.
(la verità ti fa male, lo so)
2. “Ognuno ha il diritto di vivere come può” significa
Per questo una cosa mi piace e quell’altra no
“come è capace di vivere”. In realtà sembra che la
(la verità ti fa male, lo so)
donna dica “come vuole”, che “vuol fare quel che
Se sono tornata a te,
vuole”, tanto da andare contro le regole o le conven-
ti basta sapere che
zioni sociali. Una persona così complica la vita a se
ho visto la differenza tra lui e te
stessa e agli altri, e inutilmente. In genere si adopera
ed ho scelto te
il linguaggio che la società usa o impone, ma lo si a-
datta a se stessi, per fare quel che si vuole, senza irri-
Se ho sbagliato un giorno ora capisco che
tare nessuno.
l’ho pagata cara la verità,
3. La canzone si può confrontare con Sono una don-
io ti chiedo scusa, e sai perché?
na, non sono una santa (1971), di Rosanna Fratello:
Sta di casa qui la felicità.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 557
la ragazza prega lo spasimante (uno spasimante effet- Mogol-Soffici Piero, Perdono, 1966
tivo) di aspettare tre mesi, a maggio, con il bel tempo
gliela darà. L’amore diventa una semplice frullata in Perdono, perdono, perdono...
mezzo ai campi, fatta con il bel tempo. La vita non io soffro più ancora di te!
conosce pianificazione e non va al di là della domeni-
ca successiva. Se ci scappa il figlio, c’è sempre una Diceva le cose che dici tu
possibilità di recupero: o l’aborto clandestino, fatto Aveva gli stessi occhi che hai tu
con una pompa di bicicletta, o il “diritto” all’aborto, Mi avevi abbandonata
riconosciuto ufficialmente in Italia con la legge ed io mi son trovata
194/1978. I giovani parlano tanto di libertà e di amo- a un tratto già abbracciata a lui...
re libero, e si accontentano di Woodstock, 3 Days of
Peace & Rock Music, “tre giorni di pace e musica Perdono, perdono, perdono...
rock” (15-18.08.1969). Se non riescono ad andarci di io soffro più ancora di te!
persona, lo possono vedere qualche mese dopo al ci- Perdono, perdono, perdono...
nema. il male l’ho fatto più a me!
4. Del 1969 è anche Easy Rider, un film diretto e in-
terpretato da Dennis Hopper, con Peter Fonda (Wyatt A volte piangendo non vedi più
"Capitan America") e Jack Nicholson (George Han- Da come ha sorriso, sembravi tu...
son). Il film è modestissimo, ma diventa un simbolo Di notte è molto strano
per i giovani di tutto l’Occidente, compresi i giovani ma il fuoco di un cerino
rivoluzionari di Sinistra: due moto potenti e costosis- ti sembra il sole che non hai!
sime, comperate con i soldi della cocaina venduta, un
po’ di droga, un vago “amore libero” pieno d’inibi- Perdono, perdono, perdono...
zioni e tabù, un viaggio sconclusionato dentro e fuori io soffro più ancora di te!
di se stessi, che attraversa l’America da Los Ange- Perdono, perdono, perdono...
les alla Louisiana. E alla fine del viaggio arriva il cat- il male l’ho fatto più a me!
tivo con il fucile, che ammazza i due cappelloni, sol-
tanto perché hanno i capelli lunghi. Di notte è molto strano
5. E gli hippy, i figli dei fiori e i giovani simpatizzanti ma il fuoco di un cerino
pensano di aver conquistato il mondo e di aver attuato ti sembra il sole che non hai
il paradiso terrestre in terra. Il fatto è che costruire
una nuova cultura non è facile. E che anche una sem- Commento
plice frullata in mezzo ai campi può essere qualcosa 1. La canzone è cantata da Caterina Caselli ed è suc-
di assai complesso, che va oltre i pochi minuti di or- cessiva a Nessuno mi può giudicare, cantata dalla
gasmo. Bisogna prima capire la cultura che si vuole stessa Caselli.
buttare a mare, quali problemi risolveva e come li ri- 2. La ragazza lo lascia (lui però la trascura) e si trova
solveva. Era una cultura che si era assestata nel corso abbracciata a un altro (lo fa per dispetto). Però l’altro
dei millenni e i contestatori la volevano buttare via gli assomigliava (il tradimento è quindi soltanto par-
dalla mattina alla sera. Non la si poteva scaricare con ziale) e ad ogni modo era stata una sbandata con un
l’accusa di essere antiquata. Così si trovano spiazzati, cerino acceso. È ritornata perché lui è il sole, è molto
spiazzati con le stesse loro mani, davanti ai loro pro- meglio dell’altro.
blemi, che erano poi i problemi di sempre, di tutte le 3. La ragazza è andata a brucare altrove, lui la trascu-
generazioni. Niente di nuovo sotto il sole. O, in altre rava e lei lo vuole fare ingelosire o arrabbiare. Ma
parole, non serve a niente farsi un viaggio per andare l’erba del vicino era ancora peggio. Tanto vale torna-
al di là del mare: si cambia cielo, non l’animo. Coe- re indietro a brucare la solita erba. Può anche essere
lum non animum mutant qui trans mare currunt sincera: l’altro era uno schifo, cioè era un cerino.
(Quinto Orazio Flacco, Epistulae, I, 11 v. 27). Porti il Meglio che mi accontenti di te, sei un paio di cerini o
tuo animo e i tuoi problemi con te. Meglio restare a una candela e ti paragono al sole. Sei il mio sole. Se ti
casa propria, sdraiati sul divano, e risolverli. faccio un complimento, forse riesco a darti un po’ di
-----------------------------I☺I----------------------------- vita e a farti uscire dalla tua indolenza preistorica e
dalla tua anoressia sessuale.
4. Mogol è il nome d’arte di Giulio Rapetti (1936).
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Commento
1. La canzone è lo specchio del pubblico a cui si ri-
volge. Il linguaggio è semplice ed elementare. E gira
intorno alla parola magica, che alza il livello della si-
tuazione e del rapporto: l’infinità. Lei potrebbe essere
la donna della sua vita.
2. I due protagonisti hanno passato una notte d’amore
in un motel e lui ha scopeto che lei non è poi così ma-
le: il rapporto poteva continuare. Ben inteso, a condi-
zione che lei lo volesse o ci tenesse. Da parte sua, se
lei diceva di no, lui ne avrebbe sentito solo la man-
canza. Egli vive al risparmio e ha risparmiato anche
la parola amore: troppo sdolcinata e troppo borghese.
La “camera segreta” vuol dire che sono andati in mo-
tel senza che nessuno lo sapesse: è il loro segreto.
Non hanno neanche l’intenzione di raccontare la bra-
vata agli amici, che dopo avrebbero sparlato per giro.
3. Non ci sono progetti o programmi di vita in comu-
ne. Si tratta di una semplice sveltina in una comoda
camera ad ore di un motel (l’albergo costa troppo),
con le lenzuola pulite. E il pubblico grazie a questa
canzone va a far l’amore in albergo con il pensiero, e
con il corpo resta a casa. L’evasione con il pensiero
in un albergo, normalmente irraggiungibile a causa
dei costi, basta e avanza.
4. La canzonetta va confrontata con canzoni degli
stessi anni sullo stesso argomento: Tenco Luigi, Ieri,
1959 (lei ora dice di amarlo, ora lo vuole lasciare e
lui risponde “ma fai come ti pare, / tanto non t’amo
più”); Salerno Nicola-Panzer Mario, Non ho l’età
(per amarti), 1964 (Gigliola Cinquetti che la canta ha
appena 16 anni); Mogol-Soffici Piero, Perdono, 1966
(la ragazza è andata a fare esperienza con altri ragaz-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 566
Romanzi italiani e stranieri del No-
Tutti i romanzi qui presentati sono esaminati in modo
vecento (1890-2010) più articolato in
http://www.letteratura-
E, per finire, cinque romanzi di autori italiani del No- italiana.com/pdf/letteratura%20italiana/14%20Scrittura%20creativa.pdf
vecento, circondati da 13 romanzi di autori stranieri: ------------------------------I☺I-----------------------------
Italo Svevo è triestino e ragioniere di banca, che
pubblica tre romanzi; Dino Buzzati è un letterato,
che scrive in uno splendido italiano; Umberto Eco è
un pubblicista, un linguista, un divulgatore culturale,
che scrive romanzi vari e che si può vantare di essere
stato insignito di 40 lauree honoris causa; Valerio M.
Manfredi è un docente di storia antica, che scrive
romanzi d’avventura; Licia Troisi è una giovane
scrittrice di successo per ragazzi. La scelta non è arbi-
traria: sono gli autori più significativi e capaci che in
Italia hanno condizionato la cultura e le vendite delle
librerie: anche l’economia vuole la sua parte. I rias-
sunti sono meticolosi e permettono di “entrare” nei
romanzi.
Terre libere
Nihal, con il suo drago Oarf, e i suoi due compagni, il
mago Sennar e lo scudiero Laio, devono partire. Ha la
febbre a causa di una ferita. Al collo ha il talismano
con otto alvei vuoti da riempire. Soltanto esso avreb-
be permesso di sconfiggere il Tiranno. Cercano la
prima pietra in una palude della Terra dell’Acqua.
Entrano in una strana costruzione, dove trovano una
scritta: Aelon o dell’imperfezione (1). Qui incontrano
una donna d’acqua che cresce a dismisura. Essa è di-
sposta a darle la prima pietra. Poi con le arti magiche
se ne vanno. Passano la notte nella grotta del mago
Megisto, un vecchio che è loro amico. Nevica. La
febbre alta impedisce alla ragazza di ripartire. Dopo
alcuni giorni Sennar riprende il viaggio da solo e a
piedi. Deve raggiungere il Santuario che si trova nel
Bosco Marino. In un villaggio incontra il conte Varen
che conduceva truppe in difesa del Mondo Emerso.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 623
Grazie all’amico ottiene una cavalcatura. Il suo fanti- non parla ancora. Vrasta, un nemico, gli chiede per-
no si chiama Aymar. Raggiungono il santuario che ché non parla. Per Vrasta, un fammin, non c’è diffe-
sorge al centro del golfo di Lamar. Intanto Nihal gua- renza tra vita e morte. Egli si limita a eseguire gli or-
risce. Megisto le predice che Sennar sarà in pericolo. dini. Il fammin si affeziona a lui e lo fa fuggire. Di-
E allora lei e Laio cercano di raggiungerlo con il dra- venta suo amico. Nihal raggiunge Seferdi e trova sol-
go volante. Sennar prende una barca e si avvia verso tanto rovine. Piange. Vedono anche una fila di pati-
il santuario, riconoscibile dalle Arshet, due enormi boli con uomini, donne, bambini. Per magia i cadave-
scogli. Sulla porta del Santuario legge una scritta, Sa- ri non si decompongono. Riprendono il viaggio verso
rephen o dell’odio verso gli uomini (2). Un enorme la Terra della Notte. Ido è convocato da Raven, il ge-
tentacolo lo afferra e lo sbatte sulla scalinata. Egli nerale supremo. Il generale vuole che prepari per il
perde i sensi. Il mostro ha dieci teste e infiniti tenta- combattimento anche i suoi studenti. Pur sconvolto
coli. Ma arriva Nihal, che taglia il tentacolo e uccide dalla richiesta, lo gnomo cede e inizia a prepararli.
il mostro. Poi costringe il guardiano a darle la secon- Con il suo fiuto Vrasta riesce a rintracciare Nihal e
da pietra. Sennar riprende conoscenza. Nihal è irritata Sennar. La ragazza prova sentimenti contrastanti ver-
per il colpo di testa dell’amico: non vuole morti sulla so il nemico. Pensa che tutti i fammin siano spietate
coscienza. La terza pietra si trova sui monti Serhet, al macchine da guerra. Il fammin riferisce alla ragazza
confine con la Terra dei Giorni. I monti sono altissi- che Seferdi è stata distrutta non dai fammin, ma dagli
mi. Volano per diversi giorni. Infine giungono in un uomini. Lei non ci crede. Lo legano per la notte. Sarà
pianoro pieno di fiori. Trovano il santuario. Sotto loro prigioniero. Entrano nella Terra della Notte. Vra-
l’ingresso una scritta: Glael o della solitudine (3). sta sente che altri fammin si avvicinano e li avvisa.
Sentono una voce che inneggia alla luce. Il guardiano Vrasta prega Nihal di ucciderlo, così non li avrebbe
vuole qualcosa in cambio. Si sente solo. Ma Nihal gli traditi. A malincuore la ragazza lo uccide. Poi rag-
ricorda che è suo compito fare il guardiano della pie- giunge la caverna. Sennar e Laio si scontrano con i
tra. Il vecchio mago Ido si era sentito stringere il cuo- fammin. Laio è ferito a morte. Preso dall’ira, Sennar
re quando aveva visto Nihal partire sul drago Oarf. In ricorre a una formula proibita e ferma i nemici, bru-
groppa a Vesa scompiglia le file nemiche. Si scontra ciandoli vivi. Intanto Nihal incontra Goriar o della
con un Cavaliere di Drago. Ha la peggio. L’amico colpa (5), il guardiano dell’oscurità. Il guardiano la
Mavern lo salva. Va a trovare la maga Soana per invita a riflettere su se stessa e sulla sua missione. E
chiederle una spada magica per combattere i nemici. le dà la quinta pietra. Poi Nihal raggiunge la tana do-
Il giorno dopo lo gnomo riparte con la spada poten- ve si erano rifugiati Sennar e Laio. Neanche con la
ziata. magia riescono a far guarire lo scudiero. Alcuni gior-
ni dopo muore tra le braccia di Nihal. La ragazza è
Fra i nemici presa dalla disperazione. Riprendono la fuga. Sennar
Nihal e i suoi amici devono ora penetrare in territorio le confessa che ha ucciso l’uomo e i fammin con una
nemico. Partono a piedi. Lasciano Laio al villaggio magia proibita. Lei gli si butta al collo. Lui inizia ad
che faceva loro da base. Sui monti nevica. Il primo e accarezzarla. E sta per baciarla, ma lei si scioglie
il secondo valico sono controllati dai nemici e non dall’abbraccio. Allora si calma. Si mette in bocca un
possono superarli. Infine trovano un varco. Intanto paio di lamponi. Il pensiero di Laio li tormenta.
Laio chiede notizie degli amici. Li vuole raggiungere. All’improvviso precipitano nel vuoto.
Il generale Nelgar ha ricevuto ordini di non farlo par-
tire e lo sbatte in prigione. Da qui però lo scudiero Verso il fondo
riesce a evadere. Alla frontiera però si fa catturare dai Ido e i suoi allievi vanno in prima linea. Il re Galla,
nemici. Nihal e Sennar attraversano il deserto. Perdo- loro alleato, sfida Deinoforo, il Cavaliere del Tiranno.
no la cognizione del tempo. Sono investiti da una Ma ha la peggio. Il giorno dopo Ido si scontra a sua
tempesta di sabbia. Infine trovano uno strano palazzo. volta con Deinoforo, lo ferisce a una mano, ma anche
È il santuario. Da esso avevano origine tutti i venti. lui è ferito. Nihal e Sennar cadono in una delle galle-
Finiscono in un enorme labirinto. Si separano per er- rie per l’approvvigionamento dell’acqua. Cercano di
rore. Nihal incontra la guardiana del Tempo, Thoolan uscire, invano. Ci sono migliaia e migliaia di canali.
o dell’oblio (4). La vecchia le dice che si illude, se Nihal vuole fare il bagno. Invita Sennar a non guar-
pensa che dal Tiranno venga tutto il male. La ragazza darla, si spoglia e si immerge nell’acqua. Sulle spalle
non le crede. La vecchia aggiunge che l’odio è radi- Sennar scorge il tatuaggio di due ali. In un canale tro-
cato da sempre nel cuore delle creature. E la invita a vano il cadavere di un uomo, ma non capiscono se è
restare. Nell’illusione creata dalla guardiana rivede amico o nemico. Poco dopo sono catturati. Ido è cura-
Fen, il ragazzo che amava e che era morto due anni to dalla maga Soana. Scopre che ha perso un occhio e
prima. Ma rifiuta di restare. Ottiene la pietra e se ne che soltanto 50 allievi si sono salvati nello scontro. Si
va. Percepisce Sennar, che la sta cercando. Poi Nihal erano dovuti ritirare e leccarsi le ferite. Nihal e Sen-
decide di andare a Seferdi, la città su cui aveva regna- nar sono caduti nelle mani di amici. Quando vede
to suo padre. In una taverna alcuni soldati li costrin- Sennar, Aires, il loro capo, abbraccia il mago. Sono
gono a brindare al Tiranno. Intanto Laio è frustato, affamati, li invita a mangiare. La ragazza fuma la pi-
ma non parla. Poi è torturato con ferri arroventati, ma pa. Era innamorata di lui, ma egli l’aveva dimentica-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 624
ta. Ricordano gli eventi che li hanno uniti. Ora lei gono due giganti, che la attaccano. Il guardiano le di-
guida la comunità che li aveva catturati. Si fermano ce che può avere la pietra soltanto se si batte con loro.
alcuni giorni. Quando decidono di partire, lei propone Egli si annoia. Per facilitarla, dice che essi sono dei
di fare loro da guida. Essi accettano. Una notte le due golem. Allora la ragazza li colpisce sulla fronte, deve
ragazze si abbandonano alle confidenze: Aires non cancellare la prima e di emeth, ed essi ritornano sab-
era mai stata insieme con Sennar, e si vedeva chiara- bia. Ottiene la pietra e raggiunge Sennar. Fuggono.
mente che Nihal era innamorata del mago. Raggiun- Sennar però è ferito. Nihal fa l’incantesimo del volo e
gono la Terra del Fuoco. Al centro di un lago sorgeva si rifugiano nel santuario. Lo depone sull’altare. Il
il santuario. Sulla porta, vergata con il fuoco, una mago ha la febbre. Confessa di amarla. Lei lancia in-
scritta: Flaren o del destino (6). Era il santuario di cantesimi per tutta la notte, infine riesce a fermare
Shevrar, il dio a cui la ragazza era consacrata. Un l’emorragia. Sennar non le aveva mai detto di amarla,
uomo immerso nelle fiamme si inginocchia davanti a perché temeva di non essere ricambiato. Si baciano.
Nihal: lei era la predestinata. Il suo destino era ferma- Nihal ricorda il bacio a Fen, l’unico bacio che aveva
re il Tiranno. Ma lei dice che l’avrebbe fatto perché dato in vita. Si amano sull’altare. Nulla ora li poteva
non poteva fare altrimenti, non per sua scelta. Ottiene separare. Lei aveva trovato lo scopo della sua vita.
la pietra e raggiunge i due amici. Prima di darle Sennar però le ricorda il dovere di combattere il Ti-
l’addio, Nihal invita Aines a preparare un esercito: ranno. Doveva partire. Le dà il pugnale che rimarrà
nella battaglia definitiva avevano soltanto un giorno luminoso finché egli è in vita. Lei piange.
per sconfiggere il Tiranno. Nihal e Sennar riprendono
il viaggio. La ragazza è stanca di combattere. Temo- L’ultima battaglia
no di essere inseguiti. La strada da percorrere è anco- Nihal parte. Poco dopo Sennar è scoperto dai nemici.
ra lunga. Si scontrano con uno gnomo e alcuni fam- In un cespuglio sotto un albero enorme Nihal scopre
min e li sterminano. Ido recupera la sua spada, spez- Phos. Il folletto la aspettava: lei è il ponte di passag-
zata da Deinoforo, e con Vesa raggiunge il campo gio tra il vecchio e il nuovo mondo, perché alla di-
militare dove si trova il generale Raven. Gli chiede di struzione segue sempre la rinascita. L’ultima pietra è
poter ritornare a combattere. Raven lo accusa di aver nel cuore dell’albero, Mawaso o del sacrificio (8).
dimenticato i suoi allievi per dedicarsi al combatti- Nihal la prende, poi riparte. È passato un mese. Il Ti-
mento contro il Cavaliere nemico. Ido lo aggredisce ranno va a trovare Sennar in cella. Gli dice che gli
con la spada, ma il generale lo disarma facilmente. uomini sono dominati dall’odio. Sennar ribatte che
Poi Ido se ne va rattristato. Cerca conforto nella maga c’è del buono a questo mondo. Il boia non era riuscito
Soana. Le chiede chi era Deinoforo, la maga lo invita a farlo parlare con la tortura. Il Tiranno sarebbe entra-
ad andare dalla maga Reis. Poi va da Parsel, un istrut- to nella sua mente. Sennar è preso dal terrore. Nihal
tore, con cui vuole allenarsi a combattere. La vista raggiunge l’accampamento principale. Qui trova Ido,
non è tutto, ci sono anche gli altri sensi. A malincuore che la ospita. Ognuno racconta la sua storia all’altro.
Parsel accetta di allenarlo, ma soltanto di notte. Du- Poi incontra Soana, impegnata a schierare le truppe.
rante il giorno è occupato all’Accademia. È ormai au- La data della battaglia è fissata per la fine di dicem-
tunno quando decide di recarsi dalla maga Reis. Essa bre. Nihal sente Ido come un padre. Si fa preparare le
rivela che Deinoforo è Debar, un giovane che aveva armi. Il talismano era l’unica speranza di vittoria.
fatto carriera nell’esercito. Ma con una manciata di Nevicava. Si chiede dov’era Sennar. Il giorno della
prove la sua famiglia era stata accusata di tradimento, battaglia Nihal su Oarf e Ido su Vesa puntano sulla
i suoi genitori linciati e sua sorella violentata. Egli Rocca del Tiranno. Le truppe nemiche sono bloccate
non aveva potuto fare niente, perché ferito e in fin di dall’enorme potere del talismano. La Rocca sembra
vita. Ido aveva cercato di rimediare all’ingiustizia, ma addormentata, indifferente. Intanto nelle segrete il Ti-
troppo tardi. La maga ricorda anche che da giovane si ranno riesce a forzare la mente di Sennar. Nihal lan-
era innamorata di Aster, le aveva donato tutto il suo cia l’incantesimo nominando il nome delle pietre: A-
cuore. Ma Aster non la ricambiò. E divenne il Tiran- el, Glael, Sareph, Thoolan, Flar, Tareph, Gloriar,
no. Suo padre la sottrasse al fascino diabolico del ra- Mawas. Tutto si ferma, gli incantesimi dei nemici so-
gazzo. Il Tiranno non aveva più bisogno di lei e la no neutralizzati. Una sfera luminosa avvolge la ra-
imprigionò. Ido si chiede tra sé come mai il Tiranno gazza. Una voce le dice che il potere non è per lei, ma
l’aveva poi lasciata andare. Al campo riprende gli al- per tutti coloro che amano la pace. Inizia la battaglia.
lenamenti. Poi ritorna dal generale, che è disposto a Il generale Raven è in prima fila. I nemici non sono
metterlo alla prova, mandandolo nella Terra del Sole più protetti dalla magia e devono combattere ad armi
sotto il generale Londal. Nihal e Sennar continuano il pari. I Cavalieri del Tiranno escono dalla Rocca. Ve-
loro cammino, sempre inseguiti dai nemici. Raggiun- dendo scomparire i poteri magici, Aster ha un mo-
gono una città disabitata, dove incontrano soltanto mento di paura, ma sa che quel giorno doveva arriva-
una vecchia. Riprendono il viaggio. Attraversano una re. Aines insorge contro gli oppressori. Il Tiranno
foresta pietrificata. Sono raggiunti dai nemici. Sennar manda Semeion e Dameion, i due gemelli, a sedare la
li ingaggia a battaglia per trattenerli. Nihal precipita rivolta. Ci sono stragi da ambedue le parti. Ido cerca
nel sottosuolo. È un labirinto. Vede un’enorme scrit- Deinoforo. Lo trova. Il combattimento dura a lungo.
ta: Tarephen o della lotta (7). Alla fine da terra sor- L’avversario non è protetto dalle arti magiche.
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 625
All’improvviso la mano meccanica di Deinoforo lo Poi sarebbe morta: le pietre le avrebbero risucchiato
afferra e gli strappa un brandello di carne. Continua- tutta l’energia che aveva.
no a combattere a terra. Ognuno dei due ribadisce le
sue ragioni e gli ideali per cui combatte. Alla fine Ido Epilogo
ha la meglio e uccide l’avversario. Nihal guida Qualche tempo dopo Sennar riflette su quanto è suc-
l’attacco alla Rocca. Un soldato la prende di mira con cesso. Il tiranno voleva l’annientamento di sé e del
l’arco. Il generale Raven la difende con il suo corpo e mondo. Provava un’infinita pena per sé e per le crea-
rimane ucciso. Nihal entra nella Rocca facendo strage ture del Mondo Emerso. Non era crudeltà, era amore.
dei difensori. Con Oarf cerca il luogo in cui Aster si L’annientamento era l’unica speranza. Quando la
nasconde. Entra nel Palazzo, attraversa la biblioteca, Rocca crollò i combattenti capirono che l’età del Ti-
il centro del potere del Tiranno, raggiunge la sala del ranno era finita. Ma la nuova era aveva ricevuto un
trono. Infine incontra Aster. Seduto sul trono c’è un battesimo di sangue, il sangue versato dai soldati dei
bambino dalla bellezza inquietante. Non poteva esse- due schieramenti. Varen e le truppe del Mondo
re lui Aster: il Tiranno regnava da 40 anni. Il Tiranno Sommerso dettero un contributo determinante alla
dice di essere vecchio e stanco: era stato un mago a vittoria. Aines sopravvisse con appena 300 dei 3.000
dargli quell’aspetto. Nei suoi occhi la ragazza non ribelli. Ma sapeva che quello era il prezzo per liberar-
vede né odio né malvagità. Egli aveva uno scopo da si del Tiranno. Egli fu trovato tra le macerie. La sua
raggiungere: un mago gli aveva predetto che un mez- gamba non è stata salvata e se la trascina inerte. Per
zelfo si sarebbe messo sulla sua strada. Lei. E allora molti giorni Nihal fu creduta morta. Il merito della
egli aveva sterminato la razza dei mezzelfi. Egli è un vittoria era suo. Gli furono tributati grandi onori. Una
mostro tanto quanto lei e il suo esercito. Anch’essi sera un esserino minuscolo entrò nella sala funebre e
avevano compiuto stragi. Lei dice che combattono le si avvicinò. Era Phos. L’albero secolare aspettava
per la Libertà. Lui la accusa di essere esperta nell’o- la pietra, altrimenti sarebbe morto. Sfiorò la pietra, la
dio. Anche Laio alla fine aveva trovato la forza di uc- pietra si illuminò e illuminò le altre pietre, che ora ri-
cidere. E ribatte che il bene è effimero, il male è eter- splendono di una nuova luce, tranquilla e rassicuran-
no. Sua madre era una mezzelfo, suo padre un uomo. te. Le guance della ragazza divennero rosee. Era viva.
Quando nacque, per ordine del capo del villaggio suo Il Padre della Foresta muore, ma la figlia rinasce. Poi
padre fu ucciso e sua madre fu marchiata con il mar- Phos se ne andò. Nihal e Sennar si stabilirono nella
chio delle sgualdrine. Con sua madre fu cacciato dal Terra del Vento. Sennar ripensa ad Aster: la loro vita
villaggio. Divenne mago a 14 anni con stupore dei è stata simile, ma egli era stato fortunato, aveva in-
suoi esaminatori. Entrò nel Consiglio a 16 anni. Co- contrato Nihal. Il Tiranno invece non aveva incontra-
nobbe Reis, sapeva che l’avrebbe amata per sempre. to l’amore.
Lei ricambiò. Quando lo seppe, suo padre le proibì di
frequentarlo. Ma essi continuarono. Allora Oren im- Commento
prigionò la figlia e fece richiudere lui in prigione. La 1. Il romanzo è abilmente costruito sulla psicologia
figlia si convinse che l’aveva ingannata e lo cacciò del lettore di 8-15 anni e sul suo mondo reale/im-
via. Egli sentì sorgere dentro di sé un odio profondo. maginario. Le conoscenze acquisite alle scuole ele-
Oren fece un incantesimo ed egli rimase bambino per mentari e alle scuole medie non hanno ancora intac-
sempre. Così nessun’altra donna lo poteva amare. In cato la sua visione magica della realtà. L’autrice di-
seguito lui l’aveva fatta rapire e portare alla Rocca. mostra una grandissima esperienza in letteratura per
Le ricordò il loro amore, ma Reis provava soltanto ragazzi, in marketing e in tante altre cose (se lei non
disgusto. Pensava che il Tiranno volesse soltanto il ha queste conoscenze, le ha la redazione della sua ca-
suo aspetto e la sua bellezza, e allora volle diventare sa editrice). Il romanzo è sicuramente un buon pro-
brutta. Nihal lo accusa di mentire. Ma dentro di sé dotto, capace di ripagare delle fatiche e degli investi-
sente che è sincero. Il Tiranno riprende: se si uccido- menti richiesti per la sua compilazione. Esso si inseri-
no a vicenda, si estingue l’odio e le Terre Emerse sce in una trilogia (è il terzo ed ultimo) e dà origine a
hanno una nuova possibilità di pace. Nihal risponde una saga, in cui un romanzo tira e piazza sul mercato
che ci sono dei giusti. Egli ribadisce che l’odio è più gli altri due: un’ottima strategia. Alla fine del roman-
forte dell’amore. Lei nega. E allora lui le chiede per- zo i ringraziamenti indicano i familiari e gli amici che
ché ha abbandonato Sennar. Lei gli chiede di dirle se in molti modi l’hanno aiutata. Un piccolo neo: il ro-
sta bene. Lui le dice che si era fatto torturare pur di manzo non ha l’indice, che era utile, poiché ha 40
non rivelare il suo amore per lei. Lei si mette a pian- capitoli divisi in sei parti. C’è però l’elenco dei per-
gere. Lui le rivela che per pietà, per non vederlo sof- sonaggi della trilogia (pp. 513-17).
frire, l’aveva ucciso. Lei poteva unirsi a lui o morire 2. I lettori hanno 8/10-13/15 anni, ma immaginano di
subito. Presa dall’ira e dall’angoscia, Nihal lo colpi- avere qualche anno in più: gli anni dei protagonisti,
sce e lo uccide. Il bambino si trasforma in un vecchio cioè 18-20 anni. Non hanno ancora conosciuto l’amo-
e poi si dissolve. La vendetta era compiuta. La Rocca re sentimentale, il primo bacio né le carezze date e
inizia a sbriciolarsi. Ma la debole luce del pugnale le ricevute né l’amore fisico. E fantasticano. Credono
dice che Sennar non è morto. Lei lo cerca e lo trova. ancora agli oggetti magici, ai portafortuna, che nel
Con l’ultimo incantesimo lo porta via dalla Rocca. romanzo diventano il talismano del potere e della vit-
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 626
toria. Il romanzo riproduce il loro mondo ideale e rea- la frullata, che non scandalizza nessuno, né lettori né
le: nel gruppo degli amici ora ci si schiera con uno, genitori. Lui è ferito, quindi tocca a lei darsi da fare e
ora con un altro, ora si resta da soli ecc. Anche nel impalarsi. Ha però un’amnesia pericolosa: dimentica
romanzo le distinzioni sono altrettanto esili e sfuoca- che può restare incinta. Forse lo dimentica anche la
te. scrittrice (ma non è una ragazza?). La TV mostra in-
3. Il linguaggio è semplice, chiaro, scorrevole, molto finite scene erotiche anche in momenti della giornata
curato e fortemente mitico, capace di evocare le cose. non pertinenti. Ovviamente nella realtà a 18-20 anni
I tre romanzi si ripetono. I capitoli potrebbero conti- si hanno maggiori conoscenze sessuali. Invece nel
nuare all’infinito. romanzo c’è la proiezione dei lettori (ancora bambini-
4. Lo schema è semplice: ci sono i Buoni (i protago- adolescenti) sulle figure dei due protagonisti.
nisti) e i Cattivi (gli antagonisti), ma la linea del Bene 7. L’autrice tratta tutti i problemi e tutti i dubbi del
e del Male è oscillante, non è mai ben determinata. I suo lettore: la pace, la guerra, l’odio, l’amore, l’ami-
cattivi cambiano campo per diventare buoni, ma in cizia, il pacifismo, il disimpegno, la vita privata, la
ogni caso hanno buoni motivi per fare quel che fanno. vita pubblica. Che cala in un’atmosfera adatta, un’at-
Ed anche i buoni cambiano campo e si schierano tra i mosfera pervasa dai sentimenti, dall’avventura ed an-
cattivi, ed anche loro per validi motivi. E, comunque, che dalle prime sconfitte, dai primi dolori, dalla sco-
ognuno combatte valorosamente per la sua parte. perta dei propri limiti, dei propri errori, dei propri pu-
Strada facendo, i protagonisti scoprono cose antipati- dori. Il romanzo parla del Mondo Emerso, del Mondo
che o che fanno soffrire. Il proprio odio non risulta Sommerso e di infiniti personaggi. In realtà il mondo,
così giustificato come si sperava e, in ogni caso, a prescindere dai camuffamenti, non va al di là della
anch’esso provoca dolore e morte. Il filo conduttore è famiglia (padre, madre, fratello, sorella, zii, zie, nonni
la ricerca dell’arma decisiva, un talismano con otto ecc.), degli amici e della famiglia degli amici. E il
pietre, capace di rovesciare le sorti della guerra in Mondo non va al di là del paese, del quartiere, della
corso. La protagonista e il suo amico, Nihal e Sennar, città, delle vacanze ai monti o al mare e del primo vi-
devono quindi ricercare le otto pietre, ma… contem- aggio all’estero che il lettore fa in gita scolastica con
poraneamente questo filo conduttore è interrotto dalle la scuola. Tutto viene trasformato e trasfigurato e di-
avventure di altri personaggi (Ido e lo scudiero Laio) venta più grande, più avventuroso, più mitico, più
e dalla comparsa di nuovi motivi (la pace, la guerra, leggendario, più eroico. Dalla prima all’ultima riga il
l’odio, l’amore, i ricordi piacevoli e dolorosi legati al romanzo è a misura del lettore e parla dei problemi,
passato) e di nuovi personaggi (i custodi delle pietre). della vita, dei dubbi, dei sentimenti, dei successi e
Forse una sorpresa: Nihal non sa di essere innamorata degli insuccessi del lettore e della lettrice adolescenti.
di Sennar, glielo dice allora Aines. Ma è comprensi- Per questi motivi il romanzo ha successo di vendite.
bile che non si possa sapere tutto di se stessi. Così il 8. Le riflessioni dell’autrice sono sempre di buon li-
periodo dell’adolescenza e della maturazione è riper- vello e interessanti: l’odio è più forte dell’amore, la
corso in modo ricco e articolato dalle vicende narrate. distruzione è necessaria per la ricostruzione. È il mito
I dubbi sorgono quando meno lo si desidera… dell’araba fenice, che ogni mille anni si getta nel fuo-
5. Il protagonista, come il lettore, non ha un’idea co, muore, ma poi risorge. Nihal abbandona Sennar e
chiara del potere. Ha una conoscenza troppo limitata segue il suo “dovere” di fermare il Tiranno. Il Tiran-
del mondo in cui vive. Vive ancora in un mondo ma- no le rimprovera di aver dimenticato l’amore e di a-
gico e mitico, in cui la contrapposizione tra buoni e ver seguito la via dell’odio… Ma ci sono tante altre
cattivi e tra Bene e Male è ancora molto vaga. Nihal cose interessanti: se un mago non avesse predetto che
va da otto guardiani a chiedere la pietra ed essi gliela un mezzelfo si sarebbe messo di mezzo, il Tiranno
danno. È come se il lettore andasse dai genitori o dal- non avrebbe sterminato il popolo di Nihal. Se Oren, il
la zia e chiedesse loro di regalargli un giocattolo ed padre di Reis, non avesse contrastato l’amore della
essi eseguono. E ancora: Nihal si mette a parlare con figlia e se non avesse lanciato la magia che impediva
il Tiranno come se fosse un suo vecchio amico, addi- ad Aster di diventare adulto e di ricevere l’amore di
rittura gli chiede notizie di Sennar, e si mette a pian- una ragazza (al limite, di un’altra ragazza), il destino
gere. È quello che fa il bambino davanti alla mamma del Mondo Sommerso sarebbe stato diverso. Di chi la
che lo ha appena sculacciato: corre a cercare prote- colpa? Del mago porta-iella o di Aster? Del padre di
zione da lei, anche se ciò sarebbe una contraddizio- Reis o, ancora, di Aster? Possiamo sempre rimandare
ne… ai posteri l’ardua sentenza. Ma un granello di sabbia
6. Niente sesso. Il lettore o la lettrice non è ancora può determinare pesantemente e negativamente il fu-
stato travolto dall’esplosione degli ormoni, ma qual- turo. E, comunque, perché il padre di Reis non aveva
cosa intuisce. Nihal si abbandona ad un abbraccio con il diritto o la possibilità di interporsi e di interferire?
Sennar, il ragazzo ne approfitta per palpeggiarla. Lei Chi glielo poteva negare? E perché il mago non aveva
si ritrae. Non è proprio vero che l’occasione (o la lon- il diritto o il potere di lanciare l’incantesimo per im-
tananza dai genitori) fa il ragazzo audace o la ragazza porre al mondo la sua volontà? Le domande non sono
disponibile. Alcuni capitoli dopo Sennar, ferito a una finite: e chi dice che le cose sarebbero andate in ogni
gamba, ha il coraggio di confessare a Nihal che la caso bene (o meglio), se Aster e Reis vivevano il loro
ama. Lei si spoglia e lo spoglia e… si fanno una bel- amore? Se una strada è bella (o brutta), non vuol dire
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 627
che la strada opposta sia brutta (o bella). Magari (1884), Cuore (1886), Il mago di Oz (1900). Vale la
qualche anno dopo Reis e Aster scoprivano che non pena di confrontare il romanzo della Troisi con essi.
erano fatti l’uno per l’altra, che l’amore non era capa- Ed anche con il mito dell’araba fenice in Fahrenheit
ce di superare le differenze di mentalità, razza, cultu- 451 (1953) di Ray Bradbury.
ra, abitudini, passatempi ecc. e che in sostanza, se a- 11. Nel romanzo non ci sono adulti. I personaggi so-
vessero ascoltato le parole di Oren, sarebbe stato me- no soltanto adolescenti, al di là dei titoli che hanno e
glio… Ma ormai era troppo tardi! E Oren, se avesse delle cariche che ricoprono. La scrittrice non ha volu-
espresso con più garbo le sue idee, senza offendere, to mettere adulti perché disturbavano, perciò ha volu-
forse sarebbe stato ascoltato… E Oren, se li avesse to costruire un mondo di adolescenti per adolescenti?
lasciati fare (sicuro che o prima o poi il loro amore Gli adolescenti non riescono a vedere né a rapportarsi
finiva), poi era pronto a lenire le ferite della figlia ed con gli adulti? Domande, sempre domande. Manca
anche del genero mancato… Il labirinto è costituito anche la curiosità degli adolescenti verso il mondo e
anche dalle possibilità che ognuno di noi in ogni verso gli adulti. Si può semplificare il problema di-
momento ha davanti, e non realizza. Si vede la prima cendo che lo scrittore ha il diritto di fare quel che
possibilità, che piace, ma non si vedono le conse- vuole. Ha sicuramente buoni motivi per giustificare le
guenze che essa si tira dietro. La scrittrice costringe scelte che ha fatto. Quel che si coglie è che i perso-
l’adolescente a riflettere su se stesso e sulle scelte che naggi sono medi (o mediocri o svampiti), niente affat-
ha davanti, ma costringe anche i genitori a riflettere to eroici né super-umani, proprio come i lettori, che
sulle scelte del figlio o figlia e sulle loro scelte, che stanno passando il periodo più denso e rapido di tra-
spesso danno come scontate o come le migliori pos- sformazioni della loro vita. Il proposito di non esclu-
sibili… dere spinge l’autrice a scegliere una protagonista
9. Il romanzo si inserisce nella tradizione dei poemi femminile (accanto a co-protagonisti maschili: Sen-
cavallereschi scritti dopo il Mille: il ciclo carolingio nar, Ido, lo scudiero Laio) e a presentare alla fine un
(la Canzone di Orlando, sec. XI) e il ciclo bretone (Il personaggio-protagonista menomato: la ferita di lan-
romanzo di Perceval o il racconto del Graal, 1175- cia non è guarita e Sennar “tira avanti la gamba”. Ma
1190; re Artù e i cavalieri della tavola rotonda; Lan- la speranza è per tutti: egli ha ugualmente l’amore di
cilloto e Ginevra; Tristano e Isotta). Ripresi in Italia Nihal. Vale anche per il lettore: non deve spaventarsi
nel Quattro-Cinquecento: il Morgante (1478-1483) di se ha qualche menomazione. Le donne non ci fanno
Luigi Pulci, l’Orlando innamorato (1495) di Matteo mai caso, neanche le ragazze in cerca dell’amore. Pe-
Maria Boiardo, l’Orlando furioso (1532) di Ludovico rò non deve restare piccolo e bambino come il Tiran-
Ariosto e la Gerusalemme liberata (1575) di Torqua- no: anche se è bellissimo, nessuna gli vorrà bene. E
to Tasso. In Francia compare Pantagruele (1532) e poi ha il gingillo troppo piccolo e inadatto per le frul-
Gargantua (1534) di François Rabelais. Ripresi in late! Un cantautore italiano ricordava che i nani han-
tempi moderni: Ivanhoe (1820) di Walter Scott e i no il cuore troppo vicino al… e qui è meglio censura-
suoi imitatori. I film che saccheggiano le saghe me- re. D’altra parte la ragazza potrebbe essere accusata
dioevali sono innumerevoli. La Troisi vi aggiunge un di ignobili depravazioni sessuali e di violenza sui mi-
po’ e soltanto un po’ di magia e sostituisce i cavalli nori, perché psico-pedo-porno-laido-filo-ferro-tram-
con i draghi buttafuoco. Traduce abilmente l’avven- viaria. Per il resto la scrittrice riproduce maschietti e
tura in linguaggio e in immagini moderne, e il gioco è femminucce come sono nella realtà: i maschietti sono
fatto. Senza la traduzione i testi resterebbero indigesti gnomi, le femminucce sono streghe. E vox populi,
e illeggibili, proprio come pensano gli studenti sui vox Dei. Nessuno ha niente da criticare in proposito:
banchi di scuola, quando devono sorbirsi l’Iliade o nessuna offesa al pudore e alle gerarchie che ci sono
l’Odissea o l’Eneide, tradotte molti secoli fa. anche tra bambini, adolescenti e giovani. Laio è il fra-
10. Gli otto santuari indicano le tappe per crescere. tellino più piccolo che va all’asilo e che si vuole in-
Fanno parte dei riti di passaggio di cui ha parlato un trufolare tra gli adulti, cioè tra gli adolescenti. E poi
secolo fa Arnold Van Gennep (I riti di passaggio, Pa- si mette nei guai. Altre due cose: Reis mente, raccon-
ris 1909; Bollati Boringhieri, Torino 2002) e che in- ta la sua storia con Aster con manipolazioni eccessi-
dicano i momenti obbligati della formazione. Essi so- ve. Va be’, si sa che ogni ragazza dice delle balle. Se
no: Aelon o dell’imperfezione (1), Sarephen o del- non le dicesse, ci si deve preoccupare! L’unico adulto
l’odio (2), Glael o della solitudine (3), Thoolan o che fa cose da adulto è Oarn, il padre di Reis: vuole
dell’oblio (4), Goriar o della colpa (5), Flaren o del impedire loro di vedersi ed essi lo fanno di nascosto,
destino (6), Tarephen o della lotta (7), Mawaso o del così passa a interventi più pesanti e fa la fattura ad
sacrificio (8). Al giovane lettore la scrittrice dà l’elen- Aster, che resta nano per sempre. Di lui si pensa sol-
co ordinato, anche da mandare a memoria. I guardiani tanto male: ha impedito l’amore. O forse voleva so-
sono sempre amichevoli: hanno il compito di far cre- lamente impedire il fallimento del loro rapporto. Chi
scere l’adolescente, di costruirne (o formarne) il cor- sa? Al lettore la sua sentenza. Il padre pakistano o
po, la mente, i sentimenti, la volontà. Insomma il ro- indiano che uccide la figlia che vuole occidentalizzar-
manzo proporne dei valori e una morale, come Alice si è un’invenzione dei razzisti. Anche gli scontri tri-
nel paese delle meraviglie (1865), L’isola del tesoro bali tra utsi e tutsu e gli eccidi etnici nell’ex Jugo-
(1883), Pinocchio (1883), Le avventure di Huck Finn slavia. I conflitti e l’incompatibilità culturale invece
Genesini Pietro, Letteratura italiana 123, Padova 2017 628
esistono ed hanno effetti tragici e nefasti. Sono belli Genere: romanzo fanta-horror-apocalittico
soltanto per scrivere un romanzo mozzafiato e coin-
volgente come la storia conflittuale di Carson (india- Alten Steve (1959), L’ultima profezia
no) e Cabeza de Vaca (spagnola) in Mount Dragon. 2012. Il testamento maya, 2001
Quando la scienza diventa terrore (1996) di Douglas
Preston & Lincoln Child. Non nella realtà.
Steve Alten (Philadelphia, 1959) è uno scrittore ame-
12.1. Il romanzo si può confrontare con Cuore (1886)
ricano di fantascienza, conosciuto per la serie Meg
di De Amicis. La scrittrice ha affinato le capacità di
(1997), composta da quattro romanzi del terrore.
De Amicis ed ha forgiato un prodotto in sintonia con
Molte sue opere sono divenute film di successo.
i tempi. Ha eliminato lo spirito di sacrificio, cioè la
dedizione totale, il suicidio, e i piccoli valori di Enri-
Riassunto.
co. E ha proposto l’avventura, il dubbio, le ferite
Diario di Julius Gabriel. 14.06.1990. Al centro
all’animo e al corpo, che colpiscono il giovane letto-
dell’altopiano di Nazca sta facendo uno scavo nel
re. Eppure Nihal non si arrende, combatte per i suoi
campo di calcio davanti alla Piramide del Sole a Teo-
ideali, piccoli o grandi che siano, accetta il confronto.
tihuacàn con la moglie e il figlio. In un involucro di
Non caccia via Franti. Ascolta l’avversario (e non è la
iridio lungo cm 50 trova una mappa. Apre il conteni-
sola) e scopre un mondo più complesso di quello che
tore e riesce a fotografare la mappa, prima che essa si
aveva immaginato: lei è nel giusto, gli avversari sono
trasformi in polvere.
ingiusti e crudeli. Lei ha trovato l’amore, il Tiranno
no. E proprio per questo motivo è divenuto “cattivo”
e pensa alla distruzione di tutto. Il lettore può capire Prologo. 65 milioni di anni fa un’astronave aliena è
che i valori altrui non sono migliori o peggiori dei inseguita e colpita. Plana su un pianeta sconosciuto,
suoi. Egli nega agli avversari il diritto di vendicarsi, e la Terra, popolata dai dinosauri. Per l’umanità inizia
non capisce che, applicando lo stesso diritto che però il conto alla rovescia.
attribuisce a se stesso, provoca danni e sofferenze agli
avversari. L’8 settembre 2012 Dominique Vasquez, abbreviata
12.2. Si può confrontare anche con i romanzi fantasy in Dom, 31 anni, psicologa tirocinante, si presenta al
coevi (1997-2007), che hanno come protagonista un Centro Malati Mentali del Sud Carolina. Il dottor Fo-
maghetto, Harry Potter, inventato dalla scrittrice in- letta le affida un paziente, Michael Gabriel, 35 anni,
glese Joanne “Kathleen” Rowling. Lo fa il lettore. rinchiuso da 11 anni in ospedali psichiatrici, che è
------------------------------I☺I----------------------------- convinto che la fine del mondo sia vicina. La avverte
di non farsi catturare dal suo fascino. La ragazza in-
contra Mick, che le dice di non essere pazzo e la im-
plora di leggere il diario del padre senza pregiudizi.
La ragazza accetta e inizia a leggere il diario.