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coordinati da
Lorenzo Braccesi
con
Maddalena Bassani e Marco Molin
Comitato Scientifico
Massimo Cacciari
Lorenzo Calvelli
Antonio Carile
Monica Centanni
Giovannella Cresci Marrone
Luigi Fozzati
Giuseppe Gullino
Maurizio Messina
Roberta Morosini
Raffaele Santoro
Antonio Senno
Giuseppe Sassatelli
Michela Sediari
Luigi Sperti
Francesca Veronese
Niccolò Zorzi
Segreteria di redazione
Greta Massimi e Cristina Rocchi
Venetia / Venezia 1
LEZIONI MARCIANE
2013-2014
Venezia prima di Venezia
archeologia e mito, alle origini di un’identità
a cura di
Maddalena Bassani e Marco Molin
«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER
LEZIONI MARCIANE 2013-2014
Venezia prima di Venezia
archeologia e mito, alle origini di un’identità
a cura di Maddalena Bassani e Marco Molin
VENETIA / VENEZIA, 1
Quaderni adriatici di storia e archeologia lagunare
coordinati da Lorenzo Braccesi
con Maddalena Bassani e Marco Molin
978-88-913-0870-2 (Rilegato)
978-88-913-0866-5 (PDF)
CDD 930.107445121
1. Venezia
PRESENTAZIONE
Maurizio Messina, Direttore della Biblioteca Nazionale Marciana. . . . p. 7
CONTRIBUTI
NOTE E DISCUSSIONI
Venetia / Venezia
VENEZIA/VENUSIA NATA DALLE ACQUE
Monica Centanni
«L’anno sopradetto 421 il giorno 25 del mese di Marzo nel mezzo giorno del Lunedì Santo, a
questa Illustrissima et Eccelsa Città Christiana, e maravigliosa fù dato principio ritrovando-
si all’hora il Cielo (come più volte si è calcolato dalli Astronomi) in singolare dispositione.
E ciò successero l’anno della creation del mondo 5601, dalla venuta di Christo, 421; dalla
edificatione di Aquileia, e Padova, 1583; e finalmente dalla venuta dè Heneti alla laguna la
prima volta anni 13. […] Il tempo, la stagione, il mese, settimana, giorno, et hora, insieme
con molt’altre circostantie, furono presaghi delle grandesse sue, alla quale con larga mano
dovea il Sommo Fattore concedergli. Adunque l’anno 421. Hebbe principio nel qual tem-
po gl’huomeni (come a’ secoli de Santi Padri, più vicini nella ragione), erano inferverati
nella stagion Primavera, per dimostrare da essere Floridissima in tutte le attione sue. Nel
mese di Marzo, il quale era venerato capo dell’anno; nel quale si fa comemorattion di tal
misterio Giorno che alla Beata Vergine fu annunciata l’incarnazione del Verbo dall’Angelo
Gabriello. Lunedì che nel maggior colmo della pienezza sua si ritrovava la Luna. Hora che il
sole mostrava la sua più intensa calidità, e chiarezza, segni evidenti che questa Eccelsa Città
doveva essere Vergine Christiana e della Croce divota, e della Passione di Christo, e pari-
menti libera, florida, chiara: e piena assicurarsi dall’eternità sua la Giustizia e il fondamento.
Nell’Equinotio, all’hora erano i giorni. Nella Sede di San Pietro Pontefice Massimo, all’ho-
ra havea la residenza sua Papa Celestino Secondo. Nell’Imperio si ritrovavano Teodosio il
Giovine, et Valentino, dinotando la detta Città essere Celeste, e Valenti, gli habitatori di lei,
e parimenti di humiltà, di ricchezze, e di prudenza dotati»1.
Leggiamo il brano sulla nascita di Venezia nella versione volgarizzata di una delle
redazioni del Chronicon Altinate, contenuta in un codice del Museo Correr: in que-
1
Anonimo, inizi del XIV secolo: Biblioteca Museo Correr, P.D. 308, CV, Raccolta Stefani.
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«[Giorno] nel quale si tiene che questa mondial macchina dal grande Iddio fusse fabbricata,
e nel istesso punto che il Verbo Divino per noi miseri peccatori prese carne humana»2.
Stando a queste fonti, la nascita di Venezia è marcata da una cifra tutta religiosa
– cristiana e segnatamente mariana. Varie testimonianze insistono sulla resisten-
za ai ‘barbari’ pagani delle fiere genti venete e in questo contesto di coincidenze
storico-cosmologiche Venezia è presentata come una sorta di frutto secondo della
incarnazione di Cristo.
Da quando abbiamo tracce di un programma iconografico ideologicamente
connotato e deciso nei dettagli per l’ornamento delle “fabbriche pubbliche” – reli-
giose e laiche – della città (per dirla con Francesco Sansovino), si rimarca l’insisten-
za sull’icona della Vergine annunciata che diviene un elemento immancabile della
rappresentazione della città gemellata a distanza, per data di nascita, con il Figlio
incarnato. Ricordiamo soltanto un caso – il più clamoroso e, simbolicamente, il più
esibito e potente.
Sulla facciata principale della Basilica di San Marco, in una alternanza studiatissima
di originali bizantini e bassorilievi rifatti en pendant come spolia in re, l’immagine
2
Ibidem.
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Fig. 1 - Venezia, Basilica di San Marco, facciata. Bassorilievi raffiguranti la Vergine e l’Arcangelo Gabriele, pietra
scolpita, secc. XII-XIII (foto dell’autore).
della Vergine e dell’Angelo è posta nella serie che comprende ai lati i due Eracle,
allegorie di forza e di salvezza (di vittoria sui mostri della terra e del mare), e le im-
magini di San Demetrio e San Giorgio, già protettori dell’esercito bizantino e ora
arruolati come ‘santi in armatura’ a proteggere Venezia, in quanto principale erede
dell’impero bizantino3.
Si tratta, come ha ben detto Grabar, di una sorta di «scudo ideale», una protezio-
ne difensiva attivata per difendere la cappella dogale e la città di Venezia. Nel cuore
della serie, schierati tra gli Ercole e i Santi guerrieri come figure della protezione e
dell’identificazione stessa della città, sta la coppia dei bassorilievi con la Madre di
Dio e l’Angelo annunciante.
Rinascimento a Venezia
Dopo la spoliazione reale e simbolica di Bisanzio avvenuta nel 1204 a seguito della
IV crociata, Bisanzio sbarca a Venezia nel 1438.
L’8 febbraio 1438 approda a Venezia una folta delegazione proveniente da
Bisanzio, con destinazione Ferrara, perché nella città estense un mese prima si era ri-
3
Kantorowicz [1961] 1995; Centanni 2010.
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80 Monica Centanni
Fig. 2 - Venezia, Basilica di San Marco, facciata. Serie di bassorilievi raffiguranti le imprese di Ercole (con il cinghia-
le di Erimanto, da Costantinopoli, secolo V; con la Cerva di Cerinea, secolo XIII) e i Santi protettori dell’esercito
bizantino e veneziano (Giorgio secolo XIII; Demetrio da Costantinopoli secolo XI), marmo e pietra scolpiti (foto
e montaggio dell’autore).
aperto il Concilio, già iniziato a Basilea, che doveva sancire la riunione tra le Chiese di
Oriente e di Occidente. Nel novembre del 1437, su richiesta del papa Eugenio IV (un
veneziano, dell’antica famiglia di mercanti Condulmer, promossi patrizi già dopo la
serrata del Maggior Consiglio del 1237), il Senato della Serenissima aveva provveduto
a inviare ben quattro galee, a cui i Bizantini aggiunsero quattro navi delle proprie, per
trasportare tutti i delegati. Alla testa dei Bizantini c’era lo stesso imperatore, Giovanni
VIII Paleologo; lo accompagnavano Giuseppe, il Patriarca di Costantinopoli, venti-
due vescovi, e un seguito di circa settecento persone: filosofi, dotti, teologi.
Già il padre e il nonno dell’imperatore (rispettivamente Manuele II e Giovanni
V) erano stati a Venezia per chiudere, più o meno felicemente, patti strategici ed
economici. Giovanni VIII stesso era già stato in città nel 1423, dove aveva otte-
nuto un prestito consistente di 1500 ducati, somma di cui il Senato aveva chiesto
puntualmente il saldo prima della nuova visita: l’imbarazzo diplomatico, che po-
teva compromettere l’importante iniziativa, si risolse grazie al figlio di Francesco
Morosini, che saldò il debito per conto dell’imperatore4. L’arrivo fu predisposto dal
4
Nicol [1988] 1990, p. 481.
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doge Francesco Foscari con grande fasto. La flotta bizantina gettò le ancore al Lido
e il Doge si recò sull’imbarcazione dogale con una scorta di piccole imbarcazioni a
ricevere Imperatore e Patriarca di Costantinopoli.
«Il doge salpò per il Lido sull’imbarcazione di Stato con una scorta di navi più pic-
cole, una delle quali rappresentava un quadro vivente della potenza di Venezia: ai
fianchi erano appese vivaci bandiere bizantine; la prua portava due leoni d’oro di San
Marco che fiancheggiava l’aquila bizantina; il ponte superiore era un palcoscenico di
figure allegoriche e i rematori portavano berretti colorati con gli emblemi di Bisanzio
e Venezia. Girò in cerchio intorno alla nave dell’imperatore al suono delle trombe,
mentre il doge porgeva i suoi omaggi ufficiali»5.
Il corteo della delegazione bizantina nel Bacino di San Marco consegna all’Occiden-
te una visione potente: la porpora delle vesti e dei calzari del Basileus ton Rhomaion,
il rosso dei molti cappelli cardinalizi, le fogge esotiche delle vesti e dei copricapi dei
dignitari, impressionano in modo indelebile l’immaginario della città più orientale
d’Occidente. Si tratta di un fisico e spettacolare contatto con l’Oriente, e con la ca-
pitale dell’Impero Romano miracolosamente conservatasi nei secoli. Si tratta anche
di uno sbarco simbolico: la potestas imperiale è concretamente arrivata a sancire, in
forza dell’auctoritas antica, la potenza politica ed economica della città.
A seguito dell’Imperatore e del Patriarca c’era Bessarione, futuro fondatore della
Biblioteca Marciana, vera officina della cultura rinascimentale; con tutta probabi-
lità c’era anche il dotto Andronico Callisto, la cui amicizia e collaborazione con
il Bessarione era saldissima e la cui presenza a Padova è documentata a far data
dal 1441. A fianco delle massime autorità bizantine si trovava Nicolò da Cusa che,
dopo annose trattative, aveva convinto Imperatore e Patriarca a muoversi alla volta
dell’Italia per partecipare al Concilio.
Il Concilio, già radunato a Basilea fin dal 1431, si trovò ad affrontare la questione urgente
della riunione delle Chiese d’Oriente e d’Occidente, caldeggiata dallo stesso Papa e, soprat-
tutto, dai Veneziani. Nel 1434 fu inviata a Costantinopoli una delegazione per convincere
l’imperatore di Bisanzio a mandare una rappresentanza della Chiesa ortodossa al Concilio.
Le trattative lunghe e difficili, disturbate anche da frazioni in seno al Concilio, si conclusero
nel 1437 quando il papa Eugenio IV decretò il trasferimento del conclave a Ferrara. Come
delegato del partito papale fu inviato a Costantinopoli Nicolò da Cusa che riuscì a convin-
cere le gerarchie politiche e religiose della capitale a recarsi in Italia per siglare la riunione
delle due Chiese, separate dal Concilio di Nicea (VIII secolo). Il Concilio venne trasferito
indi a Firenze, dove nel 1439, dopo approfondite discussioni teologiche mediate tra gli altri
dal greco Bessarione di Nicea, fu siglata la riunione con la bolla papale del 6 luglio 1439,
Laetantur caeli. In seguito al ruolo prezioso svolto nel Concilio, Eugenio IV nominò car-
5
Nicol 1990, p. 481.
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dinale, tra gli altri, il Bessarione (già nel 1439). Nicolò da Cusa, che aveva svolto un ruolo
cruciale nelle relazioni con i Bizantini, ma che all’epoca di Basilea aveva assunto posizioni
antipapali, verrà nominato cardinale nel 1448 da Niccolò V. Il Concilio proseguì fino al
1445 (trasferito nuovamente a Roma nel 1443) e in anni di trattative Eugenio IV ottenne
anche la riunione con la Chiesa armena (che abiurò l’eresia monofisita), con la Chiesa gia-
cobita di Siria e Mesopotamia e con le Chiese caldea e maronita. La prima e più importante
unione con la Chiesa bizantina fu accolta con ostilità in Oriente; ma durò realmente fino
alla caduta di Costantinopoli – quando Maometto II fece eleggere come nuovo patriarca
Giorgio Scolario (Gennadio II) – e formalmente fino al 1472, quando fu ufficialmente rotta
l’unione sancita a Firenze.
Bisanzio sbarca a Venezia, grazie alla mediazione del più grande filosofo del
Quattrocento, Nicolò da Cusa: trasmigrano fisicamente i dotti greci e i loro libri,
i classici antichi. Trasmigrano simbolicamente, da Oriente a Occidente, colori e
simboli e si mescolano con i colori e gli emblemi delle città e delle corti italiane, che
avevano già reinventato, con i comuni e i principati, lo spazio profano della polis
antica; approdano non a caso a Venezia, che dalle origini si pensa e si rappresenta –
costituzionalmente, politicamente, economicamente – come l’Atene periclea.
Dopo il Concilio, il cardinal Bessarione resta in Italia: a Venezia promuove la
costituzione della Biblioteca Marciana, l’officina culturale in cui sarà concepita e
realizzata l’impresa primaria della raccolta di tutti i testi classici, greci e latini, e poi
il grandioso progetto delle edizioni a stampa dei testi originali, tradotti in latino,
o addirittura direttamente volgarizzati. Nella stessa occasione arrivano in Italia i
dotti greci, la cui permanenza provocherà – a ridosso della metà del Quattrocento
– l’istituzione di cattedre di insegnamento del greco a Bologna, a Padova, a Firenze.
Solo nel Quattrocento Venezia, che nel XIII secolo aveva saputo riproporsi come
“terza Roma”, conoscerà un Rinascimento da lei stessa propiziato: accadde, l’8 febbra-
io 1438, con la solenne cerimonia simbolica dell’unione tra Bisanzio e la Serenissima.
Tradurre l’oro
Venetia / Venezia
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All’evento del 1438, che sancisce l’unione politica di Bisanzio con Venezia, dopo
un periodo di ultima agonia, segue nel 1453 l’inabissamento definitivo delle for-
tune dell’antica capitale dell’impero romano. Ma grazie alla fusione avvenuta
simbolicamente e formalmente quindici anni prima tra Oriente e Occidente,
la scomparsa del residuo formale della “seconda Roma” anziché provocare un
nostalgico rimpianto dell’antico, spalanca definitivamente la possibilità di una
rinascita.
In una lettera al doge del 1468 Bessarione scrive che ai Greci, arrivando a
Venezia, sembra di entrare in quasi alterum Byzantium, e già nel 1453, nell’anno
della caduta di Costantinopoli, Bessarione scriveva al doge Foscari esponendo un
programma espansionistico che avrebbe permesso a Venezia di raccogliere l’eredità
politica di Bisanzio (ovvero di Roma)7. Anche il dono alla Repubblica della bibliote-
ca bessarionea è proprio nel segno di questa continuità: un’eredità riaffermata con
solennità nel segno antiturco e cristiano. Ma a Venezia la continuità con i Romei è
solo una delle continuità possibili. Come nota Tafuri:
6
Anonimo, Threnos tes Konstantinoupoleos, vv. 32-61: il testo è pubblicato in Pertusi 1976 II,
pp. 378 ss.; la traduzione è di chi scrive.
7
Citato in Tafuri 1985, p. 25 nota.
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rivolto verso l’origine stimola rinnovamenti all’interno di una continuità che ha in se stessa
la propria perfezione»8.
Venezia, «la città singolarissima», «unico sito congiunto con le sue parti che si gode
in un tempo medesimo la comodità dell’acqua e il piacere della terra»9; «la città
impossibile» come la definisce Francesco Sansovino in Venetia città nobilissima
(del 1513), è tale anche perché è la città “compossibile”: che ha nel proprio albe-
ro genealogico tante origini, e nella propria vicenda storica tanti modelli possibili.
Uno dei più potenti è il modello classico: di una classicità che, a dispetto dei reperti
e della tradizione letterariamente latina e archeologicamente romana, grazie alla
mediazione bizantina e per il fortunato sbarco della delegazione del Concilio di
Ferrara, finisce inevitabilmente per assimilarsi con maggiori affinità alla classicità
greca, rispetto a quella romana.
Lo stesso Marin Sanudo nel suo De origine, situ eu magistratibus urbis Venetiae,
ovvero La città di Venetia (1493-1530) soppianta la classica comparatio con la po-
tenza di Roma, con la più prestigiosa assimilazione di Venezia alla Grecia:
Un confronto per Venezia vincente sia sul piano degli arma che su quello delle litte-
rae. Dunque, solo dopo la caduta dell’impero dei Romei, Venezia può pensare a una
rinascita dell’antico – che sarà però un antico non tanto romano quanto piuttosto
‘costantinopolitano’, ovvero greco10.
La stessa Venezia, da sempre scostante rispetto alle sue origini tardo-romane, è
fisiologicamente sensibile alla fiducia di una rinascita dell’antico nella forma delle
sue istituzioni: dal mito di rifondazione della classicità nell’attualità politica con-
temporanea – segnatamente nella forma repubblicana – Venezia è magneticamente
attratta. Si tratta però di un desiderio di apparentamento con l’antico che lascia
spazio all’emergere di forme nuove, che più o meno esplicitamente si richiamano
alla classicità, soprattutto alla più lontana classicità greca.
E perciò, non solo dal punto di vista letterario ma anche per quanto riguarda il
modello costituzionale, l’antichità ellenica – quell’antichità che sta prima, a fonda-
mento anche di Bisanzio – diviene modello e paradigma. Intorno alla metà del XV
secolo Giorgio da Trebisonda, nel dedicare all’amico e sodale Francesco Barbaro la
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sua traduzione latina delle Leggi di Platone, ricostruirà un mito retroattivo delle ori-
gini greche della costituzione della Serenissima. Infatti ex memoria vetustatis viene
alla luce l’antiqua nobilitas delle istituzioni veneziane:
«All’argentea e volgare tradizione che esaltava i fondatori di Venezia quali padri e garanti
di ogni libertà si sostituiva ora, tramite uno studio ‘filologico’ dei testi antichi, un prezioso e
rilucente mito, di autorevole matrice classica, capace per questo di poter eternare nel tempo
la fama di Venezia […]. La città poteva fregiarsi dell’appellativo di Serenissima […] perché
eterna, quasi svincolata dal divenire in quanto partecipe di una più alta dimensione meta-
storica, quella mitica appunto; eterna perché perfetta – cioè costituzionalmente completa
– e perfetta perché mista»11.
11
Mondì 2001; sul tema della particolare declinazione del platonismo a Venezia si vedano anche
Gaeta 1961, Gaeta 1970, Garin 1973.
12
«Arachnearum tellas puerorumque ludos audire mihi videor cum excellentes veterum civitates
in medium afferuntur. Quid enim? Atheniensiumne populum Venetis comparabimus? Nolo a
diuturnitate illius imperii quam brevissima vestigium capere ne id fortune potius quam reipublice
culpa fuisse videatur. […] Lacedemoniarum libertas diutius duravit, sed nec navalia gloria valuit nec
dignitate imperii maiestate digna perfulsit et cupiditate vincendi semper inflammata nulla in re alia
quam in acie valuisse comperitur. Romana respublica magna quidem illa, sed non diuturna libertas,
quia nunquam eadem pene constansque in se fuit»: Giorgio da Trebisonda, Prefatio alla traduzione
delle Leggi di Platone, 10-11 (in Mondì 2001).
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13
Tafuri 1992, p. 24.
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Fig. 3 - Giovanni Bellini, Madonna degli Alboretti, 1487, olio su tavola, Venezia, Gallerie dell’Accademia; Giovanni
Bellini, Madonna Lochis, 1475, tempera su tavola, Bergamo, Accademia Carrara; a confronto con i modelli del
mosaico della Basilica di Santa Maria Assunta di Torcello e alcune tipologie di icone bizantine – la Nicopeia e
Pelagonitissa (montaggio dell’autore).
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Fig. 4 - Giovanni Bellini, Madonna adorante il Bambino dormiente, 1475, tempera su tavola, Venezia, Gallerie
dell’Accademia, Giovanni Bellini, Pietà Martinengo, 1505 ca., olio su tavola, Venezia, Gallerie dell’Accademia.
Intanto che a Ferrara, a Mantova, a Firenze le figure delle divinità antiche invadeva-
no il campo delle rappresentazioni a tema sacro, gli artisti veneziani si esercitavano
a umanizzare il volto e gli atteggiamenti della Madre di Dio.
Cronologicamente, Venezia arriva tardi al Rinascimento. Ma ci arriva con uno
slancio e una immediatezza tali da far sì che i pittori veneziani divengano gli artisti
più rappresentativi di quello che, nel mondo, è il Rinascimento italiano. Tocca a
Bellini, Giorgione, Tiziano, Sebastiano del Piombo, dare forma e vita all’esito estre-
mo e insuperabile dell’arte rinascimentale: le nuovissime allegorie sacre e profane
che a partire da elementi antichi reinventano un modo nuovo di costruire teatri del
simbolo e del mito.
È dunque soltanto sul finire del XV secolo che a Venezia si inventa un altro
Rinascimento: il Rinascimento della sensualità e del colore. E sarà solo in questo
contesto che Venezia si ricorderà di essere non tanto sposa del mare, ma, come
Venere, nata dal mare. Due figure preparano la rappresentazione venusiana di
Venezia: Flora e la ninfa addormentata.
La figura di Flora ritorna nell’immaginario quattrocentesco nell’erudito recupe-
ro che nei primi anni ‘80 del ‘400 compie Botticelli – complice Poliziano – della
versione ovidiana del mito di Zefiro e Flora, rielaborata dallo stesso Poliziano nelle
Stanze per la giostra di Giuliano: secondo la fabula ovidiana così come la leggiamo (e
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Poliziano leggeva) nel V libro dei Fasti, la ninfa Chloris rincorsa e poi sedotta e rapi-
ta dal vento Zefiro, a compensazione dello stupro subìto, è ‘promossa’ a dea dei fiori.
Ovidio, Fasti
Chloris eram quae Flora vocor: corrupta Latino
nominis est nostri littera Graeca sono.
Chloris eram Nymphae campi felicis [...]
Ver erat, errabam, Zephyrus conspexit: adibam
insequitur, fugio, fortior Ille fuit
[...]
Vim tamen emendat dando mihi nomina nuptae
[...]
Vere fruor semper, semper nitidissimus annus
arbor habet frondes, pabula semper humus
[...]
Hunc meus implevit generoso flore maritus,
atque ait arbitrium tu dea floris habe’.
Saepe ego digestos volui numerare colores
nec potui: numero copia maior erat14 .
Fig. 5 - Sandro Botticelli, Primavera, 1482 ca., tempera su tavo-
la, Firenze, Galleria degli Uffizi (dettaglio).
Nella pittura veneziana la figura di Flora diventa l’alias mitico della figura della
nymphe, la fanciulla pronta per le nozze che si offre allo sposo, mostrando il seno e
porgendo dei fiori come promessa di fertilità.
Fino alla metà del secolo scorso una critica moralistica (e in quanto tale tenden-
zialmente morbosa) vedeva in queste immagini una serie di “ritratti di cortigiane”.
In uno studio degli anni Sessanta del Novecento, Julius Held ricordava che a Roma
nel 1638 veniva pubblicata, ad opera di Lodovico Aureli di Perugia, la traduzione
italiana di un testo latino di Giovan Battista Ferrari da Siena, intitolato “Flora”
overo “Cultura di fiori”. Nel testo, fin dalle prime illustrazioni, si insiste sull’esi-
stenza di «delitie innocenti di Flora» e si fa esplicita menzione di una «Flora pudica
che non contamini i costumi, ma che semini i fiori negli animi meglio che nella
terra»15. Questo richiamo a una “Flora pudica”, secondo Held, resterebbe privo di
senso se non si ammette una communis opinio riguardo a una “Flora impudica”: e
questo, secondo lo studioso dipende prima di tutto dalle fonti mitografiche, anti-
che e medievali. Anche Boccaccio nel De claris mulieribus tratta il mito titolandolo
De Flora meretrice, dea florum et Zephiri coniuge16, e così una “Nimpha Flora”
14
Ov. fast. V, 195 ss.
15
Held 1961, p. 208.
16
Boccaccio, De claris mulieribus, LXIV.
17
Boccaccio, Genealogia deorum, s.v. «Di Zephiro si recita tal favola, cioè una Nimpha nomata
Clori essere stata amata da lui et tolta per moglie, alla cui diede in premio dell’amore et della verginità
toltale ch’ella havesse ogni imperio et ragione sopra tutti i fiori, et di Clori la nominò Flora».
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Fig. 6 - Giorgione, Ritratto di giovane donna (Laura), Fig. 8 - Bartolomeo Veneto, Ritratto di giovane
1506, olio su tela incollata su tavola, Wien, Kunsthisto- donna (Flora), 1515-1520, tempera e olio su tavola,
risches Museum. Frankfurt, Städelsches Kunstinstitut.
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Fig. 10 - Andrea Mantegna, Coppia addormentata, ca. 1497 disegno, Londra, British Museum.
18
Weber-Woelk 1995, p. 26 ss.
19
Pozzi 1993, pp. 163-165.
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92 Monica Centanni
20
Pozzi 1993, p. 164.
21
Sulle possibili ragioni della scelta di Botticelli del soggetto di Zefiro e Flora, tratto da Ov. fast.
V, 195 ss., rimando a Centanni 2013.
22
Ricordiamo di passaggio a proposito della ‘Laura/Flora’ di Giorgione che, come ha mostrato
chiaramente Enrico Dal Pozzolo, e come per altro è ripetuto in tutti i repertori di elementi simbolici
cinquecenteschi, l’alloro significa, prima di ogni altra gloria, la gloria della castità di Dafne, secondo
il racconto delle Metamorfosi ovidiane (I 452 ss.): si tratta di un altro episodio di (tentato) stupro in
cui la nymphe però riesce a sfuggire al dio inseguitore, essendo tramutata dalla dea Terra appunto in
daphne-alloro (Dal Pozzolo 1995).
23
Così anche Gentili 1995, pp. 96-97: «Le Flore della pittura veneziana espongono un seno,
porta dell’anima e dell’amore, segnale di fecondità»; e Bertelli 1997, p. 12; Bertelli 2002, p. 84
ss.: «Le tante ‘Flora’ [...] saranno da intendersi come ritratti che rinviano all’amor coniugale e alla
promessa di futura prole».
24
Sul tema rimando a Bordignon 2006; Bordignon 2012; Centanni 2012.
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Fig. 12 - Tiziano, Venere di Urbino, 1538, olio su tela, Firenze, Galleria degli Uffizi.
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94 Monica Centanni
25
Hypnerotomachia Polyphili, p. 374.
26
Wind 1992, p. 193.
27
Secondo l’originale interpretazione di Settis, che prende spunto dalla versione sottostante del
dipinto giorgionesco, rivelata da una radiografia del 1939, in cui al posto della figura della “cingana”
appariva una “bagnante”, le figure rappresentano Adamo ed Eva, condannati dal peccato al parto
e al lavoro. La figura femminile sarebbe dunque Eva, come Eva doveva essere già la prima figura –
emersa dalla radiografia – di “bagnante” che, dopo quaranta giorni, secondo apocrifi della Bibbia,
si purifica dal peccato, o, secondo altre versioni, dal parto di Caino: «Intenta e pensosa, l’Eva della
Tempesta non sembra badare tanto al piccolo Caino, che, seduto su un lembo del lenzuolo che la
avvolge, comincia a succhiare dal seno della madre; ma piuttosto volge verso lo spettatore uno
sguardo non malinconico, ma come pieno di consapevolezza e trepidazione»: Settis 1978, p. 103 ss.;
per l’aggiornamento critico e bibliografico cfr. Nepi-Scirè 2003, pp. 134-143.
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Fig. 15 - Sebastiano del Piombo, Morte di Adone, 1512 ca., olio su tela, Firenze, Galleria degli Uffizi.
secondo uno schema allusivo e rappresentativo per eccellenza della città, vero e
proprio motivo musicale della partitura del mito trasportato sul terreno figurati-
vo – in una disposizione che bene si sarebbe adattata a un “Compianto su Cristo
morto”. L’assimilazione Venere (Venusia)-Venezia raggiunge in quest’opera uno
dei suoi punti più espliciti: in occasione della sconfitta nella battaglia di Agnadello
(14 maggio 1509) Venere piange Adone. Il dolore innescato dalla tragica morte
dell’amato diventa il lamento per Venezia e per la sua dissennata condotta strategi-
co-militare28. Ma, pur nella versione dolente e luttuosa, il quadro di Sebastiano del
Piombo celebra il fatto che il corpo di Venezia non è più, comunque, il corpo virgi-
nale di Maria, ma quello fiorente, o anche se come ora sofferente, dell’Alma Venus.
Sarà in questo contesto che emergerà, forte e chiara, un’immagine della
Serenissima tutta venusiana. La condizione di Venezia è una situazione geopolitica
tutta particolare: Venezia si riscatta dal mare (e in generale dalla violenza della na-
tura) costruendosi un habitat tutto artificiale, strappato metro per metro alle acque.
Da sempre, insomma, Venezia intrattiene un rapporto di controversa attrazione,
una relazione di amorosa distanza con il mare: la cerimonia dello Sposalizio del
mare, nota acutamente Carl Schmitt, più che il riconoscimento di una appartenen-
za e di una identità, è piuttosto il riconoscimento di una distanza che va superata
mediante il rito e il simbolo – un patto che va siglato e ribadito ogni anno tra la città
e l’elemento da cui Venezia sorge, da cui emerge il suo profilo29.
28
Puppi 1995, pp. 77-90.
29
Schmitt 2002, pp. 18-24.
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Venezia/Venusia nata dalle acque 97
30
Wilson 1999: «The inverse extremes of their sexuality cast them as binary opposites, yet their
visual appearance – their costume and their place – can be mistaken. Thus, it is not surprising
that Thomas Coryat was confused when he misidentified Venice as the Virgin in the ceiling of the
Palazzo Ducale. And while commenting on Venice, he wrote that many, ‘being allured with her
glorious beauty, have attempted to deflowre her’ […] But the Venus/Virgin dichotomy reveals the
indeterminacy in the Venetia image»; cfr. anche Wilson 2005, soprattutto pp. 132-133.
Venetia / Venezia
98 Monica Centanni
Fig. 17 - Tiziano, Amor sacro e amor profano, 1515 ca., olio su tela, Roma, Galleria Borghese.
31
Wind 1971, pp. 175-186; Panofsky 1992, p. 112 ss.; Gentili 1988, pp. 90-96.
32
Bull 2005, p. 219.
33
Sul “taglio della testa” della Venere Medici e il rimaneggiamento del modello da parte di
Botticelli, rimando a Centanni 2013; sul medesimo procedimento messo in atto da Pollaiuolo sulle
figure dei danzatori, nella Danza dei nudi di Villa La Gallina cfr. Gelussi 2002; Gelussi 2005. Sulla
presenza di “Venere Nuda Veritas” nella Calunnia di Apelle di Botticelli, v. Agnoletto 2014 (con
aggiornamento bibliografico).
Venetia / Venezia
Venezia/Venusia nata dalle acque 99
Fig. 18 - Venere Medici, fine I secolo a.C., marmo scolpito, Firenze, Galleria degli Uffizi a confronto con Sandro Bot-
ticelli, Nascita di Venere, 1485 ca., tempera su tela, Firenze, Gallerie degli Uffizi – dettaglio (montaggio dell’autore).
Vero è che a Venezia anche la tecnica della pittura a olio decide di una diffusione
dell’immagine di Venere nella committenza privata: una certa Venere appartiene
34
Ov. Ars Am. III, 219-222. Cfr. Plin. nat. XXXV 91: «Venerem exeuntem e mari divus Augustus
dicavit in delubro patris Caesaris, quae anadyomene vocatur, versibus Graecis tantopere dum
laudatur aevis victa sed inlustrata».
Venetia / Venezia
100 Monica Centanni
Fig. 19 - Antonio Lombardo, Venus Anadyo- Fig. 20 - Tiziano, Venere Anadyomene, 1520 ca., olio su
mene, ca. 1508-1516 ca., marmo scolpito, tela, Edimburgh, National Gallery of Scoltland.
London, Victoria & Albert Museum.
alla sfera privata, maliziosa, sensuale, segreta, nelle stanze da letto e nei grotti dei
giardini. Ma vero è anche che Venere nel XVI secolo diventa soprattutto l’alter ego
mitico della città, nella rappresentazione ufficiale di Venezia.
Una Venezia/Venere/Fortuna con in mano il gonfalone di San Marco com-
pare nella Medaglia di Sebastiano Renier (1537-1588, doge dal 1578). E il motto
MEMORIAE ORIGINIS VENETAE altro non è che un’ulteriore conferma del-
la predominanza di Venere sulla Vergine come personificazione della città nella
Venezia rinascimentale.
Nel 1577, nell’Orazione di Luigi Groto per l’elezione a doge di Sebastiano Renier
leggiamo:
«Direi che Vinegia e Venere, ambo celesti, ambo madri e nutrici di santissimo amo-
re, fussero sorelle, nate da uno stesso ventre del mare, prodotte da uno stesso seme
del cielo»35.
Venere nata dal mare, così vicina a Venezia anche nel nome al punto che, come in
uno degli epigrammi riportati in apertura di Venetia trionfante, et sempre libera di
35
Citato in Wolters 1987, p. 251 n. 1.
Venetia / Venezia
Venezia/Venusia nata dalle acque 101
Fig. 21 - Maffeo Olivieri, Medaglia di Sebastiano Renier (1537-1588) “MEMORIAE ORIGINIS VE-
NET” metà secolo XV, bronzo, collezione privata.
Giovanni Nicolò Doglioni, non è chiaro se è Venere ad aver preso nomen, omen, e
mito da Venezia, o Venezia da Venere:
In questo senso se negli affreschi a Palazzo Ducale, dopo l’incendio del maggio
1574, Tintoretto mette al centro del suo Paradiso l’incoronazione della Vergine, è
una Venere-Venezia che il pittore incorona come Arianna, sposa di Bacco Liber e in
quanto tale ‘Libera’37, orgogliosa incarnazione della Serenissima Repubblica la sola
che può vantare di ispirsi alle costituzioni degli antichi.
36
Doglioni 1613, incipit: «O Venere da Venezia prese il suo amabile nome, / o i Veneti hanno di
Venere con il nome il presagio. / Dicono che Venere sia nata dalla spuma del mare, e se vedi la città
di Venezia credi sia certo nata dal mare / Giove fu il genitore di quella [di Venere], questa [Venezia]
invece ha Marte per padre; quella [Venere] è sposa di Vulcano, questa [Venezia] è sposa del mare /
Venere riempie ogni cosa del suo amore: ma chi non ama la città di Venezia, / dovrà non essere mai
amato da Venere».
37
Bull 2005, p. 250.
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102 Monica Centanni
Fig. 22 - Jacopo e Domenico Tintoretto, Paradiso: Incoronazione della Vergine, 1588-1592, olio su
tela, Venezia, Palazzo Ducale.
Fig. 23 - Tintoretto, Venere incorona Arianna-Libera, sposa di Bacco, 1576-1577, olio su tela, Ve-
nezia, Palazzo Ducale, Sala dell’Anticollegio.
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Fig. 24 - Agostino Rubini, Angelo Gabriele e Maria Annunciata, 1590-1591, marmo scolpito, Venezia, Ponte di
Rialto.
«Nell’altro quadro dalla porta di mare è scolpita Venere significativa del Regno di Cipro,
come quella che fu Dea e Regina di quel Regno»38.
38
Sansovino 1591, p. 112.
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104 Monica Centanni
Fig. 25 - Jacopo Sansovino, Venere e Amore, 1437-1549, marmo scolpito, Venezia, Fregio della Loggetta del cam-
panile di San Marco.
«Questa è la verità […] che questa citta in l’isola di Rialto fo comenzata a edificar, et fatto
li primi fondamenti della chiesia di San Giacomo […] del 421, adì 25 Marzo in zorno di
Venere cerca l’hora di nona ascendendo, come nella figura astrologica apar, gradi 25 del
segno del Cancro. Nel qual zorno ut divinae testantur litterae fu formato il primo homo
Adam nel principio del mondo per la mano di Dio; ancora in ditto zorno la verzene Maria
fo annonciata da l’angelo Gabriel et etiam il fiol de Dio, Christo Giesù, nel suo immaculato
ventre miraculose introe, et secondo l’opinione theologica fo in quel medesimo momento
da Zudei crucefisso».
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39
Puppi 1995, p. 24.
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Bibliografia
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110 Monica Centanni
Abstract
The date in which Venice was founded is, by all the legendary sources, March
25th 421. According to a medieval chronicle the birth of the city is placed under the
sign of Mary, the Virgin. On the contrary, according to Marin Sanudo, Venice “born
from the waters” is placed under the sign of Venus.
In the imagination of the city these two representations – the Marian and the
Venusian one – alternate from the Middle Ages to the Renaissance, when the Virgin
and the Goddess of Love end up being confused with syncretic figure of Astrea, the
Divinity of the new Golden Age.
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