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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’AQUILA

Dipartimento di Medicina clinica, sanità pubblica, scienze


della vita e dell'ambiente

Corso di Laurea in Psicobiologia del comportamento

Tesi in didattica e pedagogia per i bisogni educativi speciali

Tesi finale

Viaggio verso l’Inclusione

Laureanda Relatore
Chiara Tomassetti ( matricola 182990 ) prof.ssa MariaVittoria Isidori
…………………… ……………………..

Anno accademico 2015-2016


Agli angeli del terremoto del 24 Agosto 2016
INDICE

Introduzione pag.1

CAPITOLO I

EXCURSUS NORMATIVO

1.1 Prospettiva normativa internazionale pag.4


1.2 Verso l’inclusione scolastica nella legislazione italiana pag.9
1.3 I BES nella scuola italiana pag.17

CAPITOLO II

FIGURE E STRUMENTI PER PROMUOVERE L’INCLUSIONE

2.1 Ruoli e organismi d’Istituto pag.40


2.2 L’organizzazione territoriale pag.45
2.3 Il profilo del docente inclusivo pag.47
2.4 La formazione degli insegnanti pag.51
2.5 La valutazione dell’inclusività pag.53

CAPITOLO III

BES E DIDATTICA

3.1 La Scuola dell’educazione inclusiva pag.57


3.2 Individuazione degli alunni con BES pag.64
3.3 PEI E PDP pag.70

I
3.4 Le misure dispensative e compensative pag.80
3.5 Strategie didattiche inclusive pag.83
3.5.1 Didattica metacognitiva pag.88
3.5.2Peer Education pag.92
3.6 3.5.3 La LIM pag.94
3.7 3.5.4 La flipped clasroom pag.99

CAPITOLO IV

BES E PLUSDOTAZIONE

4.1 La plusdotazione pag.103


4.2 Strumenti di individuazione pag.105
4.3 I superdotati a scuola pag.111

Conclusioni pag.113

Bibliografia pag.III

Normativa pag.IV

Sitografia pag.V

Ringraziamenti

II
Introduzione

Nel presente lavoro si ripercorrono le tappe che la Scuola ha vissuto nel


percorso verso l’inclusione. Se oggi , nella Scuola italiana, si pone molta
attenzione agli alunni che presentano “speciali” bisogni è perché, nel tempo, il
legislatore ha guardato con occhio sempre più attento ai problemi del diverso il
cui inserimento nella società è stato, nei secoli, fortemente condizionato dal
livello di emancipazione sociale e culturale della società stessa.

Basti pensare a quanto accadeva nell’antichità dove la menomazione fisica


era considerata fattore discriminante nell’integrazione sociale e quindi motivo
di emarginazione; i bambini con malformazioni fisiche venivano eliminati con
riti crudeli.

Ripercorrendo le principali tappe del percorso verso l’inclusione si è


iniziata, nel primo capitolo, a fare una disamina delle varie norme che , sia a
livello internazionale, sia a livello italiano, hanno permesso di vedere con
occhio diverso il disabile, l’alunno con handicap, bisognoso di attenzioni
speciali. Si è analizzato come nel tempo anche la denominazione usata per
questi alunni sia cambiata, come via via sia stato abbandonato il termine
handicap e sia stato introdotto il termine BES ( Bisogno Educativo Speciale)
riferito a tutti gli alunni che, per vari motivi, hanno bisogno di interventi
educativi particolari.

Nel secondo capitolo sono state analizzate le principali figure che all’interno
della Scuola si interessano degli alunni BES e quali caratteristiche deve avere il
docente inclusivo.

Nel capitolo terzo si è focalizzata l’attenzione sulla didattica e sono stati


analizzati non solo i principali criteri che permettono di individuare gli alunni

1
con BES ma sono state analizzate anche le principali metodologie che, in una
Scuola in cambiamento, possono essere utilizzate affinchè ogni alunno si senta
parte integrante di un gruppo classe stimolante, gruppo classe in cui se pur con
strumenti compensativi e misure dispensative, venga promossa la crescita di
tutti.

Infine nel quarto capitolo si è parlato di plusdotazione e di come sia


possibile e quando sia possibile inserire gli alunni plusdotati nei BES. Può
capitare , infatti, che tali alunni, pur essendo particolarmente dotati da un
punto di vista intellettivo, presentino difficoltà nello studio e possano andare
incontro ad un abbandono scolastico prematuro.

2
CAPITOLO I

EXCURSUS NORMATIVO

3
1.1 Prospettiva normativa internazionale

In ambito internazionale esistono molte convenzioni, dichiarazioni,


asserzioni e decisioni sulla disabilità, l’integrazione e l’istruzione speciale che
orientano le politiche e le strategie socioculturali ed economiche dei vari Paesi
interessati a rendere reale l’inclusione scolastica.
Il processo da lungo tempo avviato in Italia, finalizzato al miglioramento
dell’integrazione ed oggi ancor meglio all’inclusione scolastica degli alunni
con disabilità, trova le sue basi fondanti su principi internazionali.

Tornando indietro nel tempo possiamo citare la Dichiarazione universale


dei diritti umani approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10
dicembre 1948, in cui all’art.26 si legge: “ ogni individuo ha diritto
all’istruzione (…)” “l’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della
personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali1

Certamente nel 1948, anche se già si considera il diritto di ogni individuo ad


essere fruitore di un processo educativo, si è ancora ben lontani da quella che
deve essere una vera e propria integrazione scolastica, o ancor meglio da
un’inclusione scolastica dell’alunno con disabilità.
Per lunghi anni in Italia e in altri paesi esteri alle persone con handicap è
stata riservata una marginalità totale , concretizzata in forme di esclusione ed
isolamento.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha comunque mostrato nel tempo


sempre molta attenzione ai diritti delle persone con disabilità

Nella Dichiarazione dei Diritti del Bambino approvata dall’ ONU nel 1959,
al principio 5 troviamo : ” Il bambino che è fisicamente o mentalmente disabile

1
Dichiarazione Universale dei diritti umani . Assemblea generale delle Nazioni Unite 10
dicembre 1948

4
o che soffre qualche compromissione sociale dovrebbe ricevere il trattamento,
l’educazione e le cure richieste dal suo caso particolare”2
Ed ancora, facendo un notevole passo avanti, possiamo citare l’Anno
internazionale delle persone disabili (1981) con il word Programme of Action
in cui viene sottolineato il diritto delle persone con disabilità a godere delle
stesse opportunità degli altri cittadini.
Più recente è la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del
13 dicembre 2006 ( full inclusion) che l’Italia , con legge n.18 del 3 marzo
2009 ( pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.61 del 14 marzo 2009) ha ratificato
e resa esecutiva.
Tale convenzione, all’art. 24 dedicato propriamente all’istruzione recita :“
Gli Stati Parti riconoscono il diritto delle persone con disabilità all’istruzione .
Allo scopo di realizzare questo diritto senza discriminazione e su una base di
uguaglianza di opportunità, gli Stati Parti faranno in modo che il sistema
educativo preveda la loro integrazione scolastica a tutti i livelli e offra , nel
corso dell’intera vita, possibilità di istruzioni finalizzate al pieno sviluppo del
potenziale umano , del senso di dignità e dell’autostima ed al rafforzamento
del rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della diversità
umana.(…)”.
“Nel realizzare tale diritto , gli Stati dovranno assicurare che le persone
con disabilità non siano escluse dal sistema di istruzione generale sulla base
della disabilità e che i bambini con disabilità
non siano esclusi dall’istruzione primaria obbligatoria gratuita o
dall’istruzione secondaria in base alla disabilità.(…)”.
“Gli Stati Parti devono mettere le persone con disabilità in condizioni di
acquisire le competenze pratiche e sociali necessarie in modo da facilitare la

2
Dichiarazione dei diritti del bambino. Assemblea generale delle Nazioni Unite 20 novembre
1959

5
loro piena ed eguale partecipazione all’istruzione e alla vita della
comunità.(…)”.
“Gli Stati Parti assicureranno che le persone con disabilità possano avere
accesso all’istruzione post-secondaria generale, alla formazione professionale,
all’istruzione per adulti e alla formazione continua lungo tutto l’arco della vita
senza discriminazioni e sulla base dell’uguaglianza con gli altri.”.3
In tale documento compare ancora il termine integrazione anche se , già in
precedenza, si era cominciato a parlare di inclusione.
Pietra portante e significativa nel processo verso una scuola inclusiva è la
dichiarazione di Salamanca sui principi, le politiche e le pratiche in materia di
educazione e di esigenze educative speciali (U.N.E.S.C.O. 1994) dove viene
affrontato il tema dei bisogni educativi speciali e dell’educazione inclusiva. In
essa si può leggere :
“ 1. Noi , rappresentanti di 92 governi e di 25 organizzazioni internazionali
alla Conferenza mondiale sull’educazione e le esigenze speciali riunita a
Salamanca ( Spagna) dal 7 al 10 giugno 1994, riaffermiamo con la presente il
nostro impegno a favore dell’educazione per tutti, consapevoli che è
necessario ed urgente garantire l’educazione nel sistema educativo normale
dei bambini, dei giovani e degli adulti che hanno bisogni educativi speciali ed
approviamo il Piano
d’Azione per l’educazione e i bisogni educativi speciali, con la speranza che
lo spirito delle sue
disposizioni ed esortazioni guidi i governi e le organizzazioni.

2. Siamo convinti e proclamiamo che :


 l’educazione è un diritto fondamentale di ogni bambino che deve avere
la possibilità di acquisire e di mantenere un livello di conoscenze accettabili;

3
Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006

6
 ogni bambino ha caratteristiche, interessi, predisposizioni e necessità
di apprendimento che sono propri;
 i sistemi educativi devono essere concepiti e i programmi devono essere
messi in pratica in modo da tenere conto di questa grande diversità di
caratteristiche e di bisogni;
 le persone che hanno bisogni educativi speciali devono poter accedere
alle normali scuole che devono integrarli in un sistema pedagogico centrato
sul bambino, capace di soddisfare questa necessità;
 le scuole normali che assumono questo orientamento di integrazione
costituiscono il modo più efficace per combattere i comportamenti
discriminatori, creando delle comunità accoglienti, costruendo una società di
integrazione e raggiungendo l’obiettivo di un’educazione per tutti, inoltre
garantiscono efficacemente l’educazione della maggioranza dei bambini,
accrescono il profitto e, in fin dei conti, il rendimento complessivo del sistema
educativo.

3. Invitiamo ed esortiamo tutti i governi a:


 dare la priorità nelle politiche e nei bilanci al miglioramento dei
sistemi educativi al fine di poter accogliere tutti i bambini, indipendentemente
dalle differenze o difficoltà individuali;
 adottare , come legge o politica, il principio dell’ educazione inclusiva,
accogliendo tutti i bambini nelle scuole normali, a meno che non si oppongano
motivazioni di forza maggiori;
 mettere a punto progetti pilota e favorire scambi con i Paesi in cui
esistono già scuole di integrazione;
 stabilire meccanismi decentralizzati e di partecipazione per la
pianificazione, il controllo e la valutazione dei servizi creati a favore dei
bambini e adulti con esigenze educative speciali;
 incoraggiare e facilitare la partecipazione dei genitori, delle comunità
e delle organizzazioni di disabili alla pianificazione di misure prese per
soddisfare le esigenze educative speciali e le decisioni prese in materia;

7
 dedicare un impegno crescente sia alla messa a punto di strategie che
permettano di identificare rapidamente la necessità e di intervenire senza
ritardi, sia all’orientamento professionale dell’educazione integrata;
 fare attenzione affinchè, nel contesto di un cambiamento di sistema, la
formazione degli insegnanti, iniziale o durante l’incarico, tratti delle esigenze
educative speciali nelle scuole di integrazione”4
 Se da una parte in Italia si sono fatti notevoli passi avanti per quanto
riguarda l’integrazione , possiamo dire che non in tutti i paesi europei il
processo di integrazione è stato portato avanti e raggiunto allo stesso modo.

In base alla politica di integrazione adottata sul proprio territorio nazionale i


paesi possono essere suddivisi in tre categorie.

La prima ( approccio unidirezionale) riguarda i paesi in cui le pratiche


educative e le prassi di attuazione tendono ad inserire quasi tutti gli alunni nel
sistema scolastico ordinario. Questa scelta si poggia su una grande varietà di
servizi incentrati sulla scuola.
Esempi sono la Spagna, l’Italia, il Portogallo, la Svezia, l’Islanda, la
Norvegia , la Grecia, Cipro.
La seconda (approccio multi-direzionale) riguarda i paesi che presentano
una molteplicità di approcci in materia di integrazione. Offrono una pluralità di
servizi tra i due sistemi scolastici ( ordinario e differenziato). Esempi sono la
Danimarca, la Francia, l’Irlanda, il Lussemburgo, l’Austria, la Finlandia,
l’Inghilterra, la Lituania, il Liechtenstein, la Repubblica Ceca, l’Estonia, la
Polonia, la Slovenia.

La terza ( approccio bidirezionale) riguarda i paesi che prevedono due


distinti sistemi educativi. Gli alunni disabili vengono inseriti in scuole o classi
speciali. Esempi sono la Svizzera e il Belgio5

4
www.superando.it/files/docs/dichiarazionediSalamanca
5
www.isismaratea.gov.it/images/allegati

8
1.2 Verso l’inclusione scolastica nella legislazione italiana

Le tappe che hanno visto un percorso verso l’inclusione possono essere così
racchiuse:

Pre anni ’60 : dall’esclusione alla medicalizzazione

Anni ’60 - metà anni 70: dalla medicalizzazione all’inserimento

Metà anni ’70 - anni 90: dall’inserimento all’integrazione

Post anni ‘90: dall’integrazione all’inclusione

Nel tempo la storia dell’handicap , del diverso si è spesso concretizzata in


una triste vicenda fatta di esclusione, di diritti negati, di segregazione.

Si possono citare celebri esempi come l’assassinio sistematico dei bambini


deformi nella Sparta del IX secolo a.C. ; o la privazione dei diritti più
elementari, nella Roma imperiale, ai disabili perché inidonei ad implementare
la forza bellica .

È poi con il concetto di “medicalizzazione” del soggetto con handicap, che


si farà diventare la disabilità una vera e propria malattia.

Solo con il superamento del concetto di medicalizzazione si arriverà pian


piano all’inserimento, all’integrazione fin poi all’inclusione sia dei disabili sia
di tutti gli alunni con bisogni educativi speciali.

Vari fattori , nel tempo, hanno contribuito a ciò.

Tra essi possiamo ricordare:

 Istituzione dell’obbligo scolastico ( in Italia la legge sull’istruzione


elementare obbligatoria è del 1877 - legge Coppino)
 Affermazione di discipline quali la psicologia sperimentale, la
psicanalisi, la sociologia, la pedagogia scientifica

9
 Progresso medico scientifico che conduce allo sviluppo delle
conoscenze relative alle patologie
 Consolidamento di una nuova concezione dell’infanzia a cui
contribuiscono il movimento delle Scuole Nuove e la Pedagogia
dell’Attivismo.6

Risale ai primi anni del 1900 la nascita delle prime classi differenziali che
accolgono alunni tardivi o con lievi anomalie psichiche e sensoriali mentre agli
alunni con gravi deficit sono riservate le scuole speciali. Fino agli anni ’20 tali
istituzioni nascono grazie all’iniziativa dei Comuni e dei privati, è poi con la
riforma Gentile del 1923 che vengono istituite scuole speciali per alunni
portatori di handicap.

Un passo avanti nel passaggio dalla prospettiva medica a quella educativa è


senz’altro compiuto grazie all’opera di Maria Montessori che dette ampio
spazio all’educazione dei bambini portatori di handicap all’interno della scuola
ortofrenica di Roma da lei diretta.

Comunque anche se è già la Costituzione Italiana del 1948 a rappresentare il


primo vero documento in cui si affermano i diritti del ”diverso”, infatti
nel’art.34 troviamo scritto “ La scuola è aperta a tutti “, è solo nel periodo
compreso tra il 1971 e il 1992 che compaiono le più significative tappe
legislative verso l’inserimento e l’integrazione.

Fino agli anni ‘60, per denominare una certa categoria di alunni (gli attuali
disabili) esisteva una variegata terminologia: “anormali, subnormali, irregolari,
minorati”. Questi alunni in forza della

loro anormalità, potevano sì essere educati ed istruiti, ma in strutture


speciali e classi differenziali, in ambienti loro dedicati. Dunque la persona con
deficit, in quanto fuori dal normale (“anormale”, “subnormale” o “minorato”),

6
www.autonomia82.gov.it/scuola_secondaria

10
non poteva fruire degli stessi trattamenti degli alunni “normali”, ma era
ammesso a frequentare strutture segreganti.

Nella legge n.1859 del 1962 istituzione e ordinamento della scuola media
statale, all’art. 12 si parla di classi differenziali “possono essere costituite
classi differenziali per alunni disadattati scolastici. Con apposite norme
regolamentari, saranno disciplinate anche la scelta degli alunni da assegnare
a tali classi, le forme adeguate di assistenza , l’istituzione di corsi di
aggiornamento per gli insegnanti relativi, ed ogni altra iniziativa utile al
funzionamento delle classi stesse.

Della Commissione , che dovrà procedere al giudizio per il passaggio degli


alunni a tali classi, faranno parte due medici, di cui uno almeno competente in
neuropsichiatria, in psicologia o materie affini, e uno esperto in pedagogia.

Le classi differenziali non possono avere più di 15 alunni.

Con decreto del Ministro per la pubblica istruzione, sentito il Consiglio


superiore, sono stabiliti per le classi differenziali, che possono avere un
calendario speciale, appositi programmi e orari di insegnamento.”7

Così come nella legge n. 444 del 1968 ordinamento della scuola materna
all’art. 3 si parla di sezioni speciali o, per i casi più gravi, di scuole materne
speciali.

”(…)Per i bambini dai tre ai sei anni affetti da disturbi dell’intelligenza o


del comportamento o da menomazioni fisiche o sensoriali, lo Stato istituisce
sezioni speciali presso scuole materne statali e, per i casi più gravi, scuole
materne speciali. Ad ogni sezione non possono essere iscritti più di dodici
bambini.

7
Legge n.1859 del 31 dicembre 1962

11
Per il reperimento dei casi da ammettere alle sezioni speciali e alle scuole
materne speciali, e per l’assistenza sanitaria specifica, il servizio medico
scolastico si avvale di gruppi di esperti”.8

Solo negli anni ‘70 compaiono ingenti trasformazioni nel costume, nella
società, nella famiglia, nella cultura, nella politica che portano alla fine della
segregazione e all’avvio dell’integrazione.

Con la legge 118/1971 Nuove norme in favore dei mutilati e invalidi civili
si dispone l’inserimento degli alunni con disabilità nelle classi normali,
assicurando il trasporto, l’accesso agli edifici scolastici attraverso il
superamento delle barriere architettoniche e l’assistenza per i più gravi.

Tale legge segna la fine della separazione scolastica tra alunni normali e
alunni portatori di handicap, dando il via al loro processo di integrazione .

L’art. 28 ( provvedimenti per la frequenza scolastica) così recita: “Ai


mutilati e invalidi civili che non siano autosufficienti e che frequentino la
scuola dell’obbligo o i corsi di addestramento professionali finanziati dallo
Stato vengono assicurati:

a) il trasporto gratuito dalla propria abitazione alla sede della scuola o


del corso e viceversa, a carico dei patronati scolastici o dei consorzi dei
patronati scolastici o degli enti gestori dei corsi;

b) l’accesso alla scuola mediante adatti accorgimenti per il superamento e


l’ eliminazione delle barriere architettoniche che ne impediscono la frequenza;

c) l’assistenza durante gli orari scolastici degli invalidi più gravi.

(L’istruzione dell’obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica ,
salvi i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da

8
Legge n.444 del 18 marzo 1968

12
menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso
l’apprendimento o l’inserimento nelle predette classi normali9

Tale parte è stata poi abrogata dall’art. 43 della legge 5 febbraio 1992,
n.104.

(Sarà facilitata, inoltre, la frequenza degli invalidi e mutilati civili alle


scuole medie superiori ed universitarie).

La Corte Costituzionale, con sentenza 3 giugno 1987, n. 215 ha dichiarato


l’illegittimità costituzionale nella parte in cui, in riferimento ai soggetti
portatori di handicap, si prevede che sarà facilitata, anziché disporre che è
assicurata la frequenza alle scuole medie superiori. La parte è stata poi
abrogata sempre dall’art. 43 L. 5 febbraio 1992, n.104.

La tappa fondamentale che segna il vero inizio dell’integrazione totale


degli alunni handicappati nella scuola ordinaria è legato, si può dire
storicamente, alla legge 517 del 1977.

Se la legge 118/71 si limitava esclusivamente al principio dell’inserimento,


è con la legge 517/77 che si diede avvio all’attuazione del principio
dell’integrazione. In essa si stabiliscono condizioni, strumenti e finalità per
l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità che deve avvenire
mediante l’istituzione di interventi individualizzati, la presenza di insegnanti
specializzati per le attività di sostegno, l’intervento del servizio socio
psicopedagogico e forme particolari di sostegno.10

All’art.2 per la scuola elementare si legge: “la scuola attua forme di


integrazione a favore degli alunni portatori di handicaps con la prestazione di
insegnanti specializzati(…)”

9
Legge 118 del 30 marzo 1971
10
De Anna L., Pedagogia speciale . I bisogni educativi speciali. Guerini studio 2003

13
“(…) Devono inoltre essere assicurati la necessaria integrazione
specialistica , il servizio socio-psicopedagogico e forme particolari di
sostegno(…).”11

All’art.7 per la scuola media si legge, ad esempio, “al fine di agevolare


l’attuazione del diritto allo studio e la piena formazione della personalità degli
alunni, la programmazione educativa può comprendere attività scolastiche di
integrazione anche a carattere interdisciplinare, organizzate per gruppi di
alunni della stessa classe o di classi diverse, ed iniziative di sostegno, anche
allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei
singoli alunni. Nell’ambito della programmazione di cui al precedente comma
sono previste forme di integrazione e di sostegno a favore dei portatori di
handicaps da realizzare mediante l’utilizzazione dei docenti, di ruolo o
incaricati a tempo indeterminato, in servizio nella scuola media e in possesso
di particolari titoli di specializzazione, che ne facciano richiesta entro il limite
di una unità per

ciascuna classe che accolga alunni portatori di handicaps e nel numero


massimo di sei ore settimanali”.12

Sarà poi con la C.M.199/1979 che si farà riferimento al pieno


coinvolgimento dell’insegnante di sostegno nella programmazione didattica
della classe e alla collaborazione tra insegnanti di sostegno e insegnanti della
classe. 12

È comunque la legge quadro 104/92 che costituisce l’attuale indiscusso


punto di riferimento per tutti. Essa è il punto di riferimento normativo
dell’integrazione scolastica e sociale della persona con disabilità.

In essa, come si legge nell’art.12 comma 4 viene definitivamente affermato


che “l’esercizio del diritto all’educazione e all’istruzione non può essere

11
Legge 517 del 4 agosto 1977
12
Legge 517 del 4 agosto 1977

14
impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle
disabilità connesse all’handicap.”13

Ed ancora , dopo qualche anno, con la legge 53/03 , verrà ribadito il


concetto del diritto di tutti i ragazzi all’apprendimento.

All’art.1 si legge :” al fine di favorire la crescita e la valorizzazione della


persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e
dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia (…).”14

Sarà poi la legge n.170 del 2010 ad esplicitare gli interventi didattici e
personalizzati , che dovranno essere realizzati anche attraverso la redazione di
un Piano Didattico Personalizzato e l’indicazione degli strumenti compensativi
e delle misure dispensative, per l’inclusione degli alunni con disturbi specifici
d’apprendimento al fine di , come si legge nell’art.2 : ” garantire il diritto
all’istruzione, favorire il successo scolastico(…) , ridurre i disagi relazionali
ed emozionali(…)”15

È poi con la Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 “ Strumenti


d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione
territoriale per l’inclusione scolastica” che viene delineata e precisata la
strategia inclusiva della scuola italiana al fine di realizzare appieno il diritto
all’apprendimento per tutti gli alunni e gli studenti in situazione di difficoltà.

La Direttiva 12/12 ridefinisce e completa il tradizionale approccio


all’integrazione scolastica, basato sulla certificazione della disabilità,
estendendo il campo di intervento e di responsabilità di tutta la comunità
educante all’intera area dei bisogni educativi speciali (BES) comprendente non
solo la disabilità ma anche i disturbi specifici di apprendimento e/o i disturbi
evolutivi specifici, lo svantaggio economico e culturale, le difficoltà derivanti

13
Legge n.104 del 5 febbraio 1992
14
Legge n. 53 del 28 marzo 2003
15
Legge n. 170 dell’8 ottobre 2010

15
dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a
culture diverse.

La Direttiva estende pertanto a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla


personalizzazione dell’apprendimento, richiamandosi espressamente ai principi
enunciati dalla Legge 53/0316

Questo passaggio da una strategia dell’integrazione ad una strategia


dell’inclusione rappresenta una vera e propria rivoluzione in ambito scolastico.
Nell’ottica inclusiva, infatti, non si interviene più sul singolo secondo un
approccio compensatorio ma su tutti gli alunni con le loro diverse potenzialità ,
facendo in modo che la diversità diventi una ricchezza piuttosto che un limite.

16
De Anna L., pedagogia Speciale . I Bisogni Educativi Speciali Guerini Studio 2003

16
1.3 I BES nella scuola italiana

Storicamente la nozione di bisogni educativi speciali compare per la prima


volta in Inghilterra nel rapporto Warnock del 1978 per abolire il termine
“handicap” e per sottolineare la necessità di un rinnovamento in ambito
pedagogico ( the warnock Report Special Education Needs, Report of the
Committee of Enquiry into the Education of Handicapped Children and Young
People, 1978) .17

In questo documento viene suggerita la necessità di integrare, nelle scuole


della Gran Bretagna, gli alunni considerati “diversi” attraverso l’adozione di un
approccio inclusivo basato sull’individuazione di obiettivi educativi comuni a
tutti gli alunni, indipendentemente dalla loro abilità o disabilità.18

Sarà poi in un secondo momento , con lo Special Educational Needs and


Disability Act del 2001, che verrà affermata la necessità di prevenire ogni
forma di discriminazione riguardo all’ammissione a scuola degli alunni con
Bisogni educativi Speciali, di promuovere la loro piena partecipazione alla vita
scolastica e di coinvolgere le famiglie19

In ambito scolastico, in Italia, è la Direttiva Ministeriale del 27 dicembre


2012 relativa ai Bisogni Educativi Speciali ( BES) già precedentemente citata a
chiarire il concetto di BES .

17
www.educationengland.org.uk/documents/warnock1978.html
18
Tabarelli s., Pisanu f., Elementi generali di approfondimento sui BES nel contesto italiano. I
quaderni della Ricerca. Loescher Editore, 2013
19
AA.VV. Bisogni Educativi Speciali. Guida alla nuova normativa RCS Libri S.p.A. , Milano
2014

17
In essa gli alunni BES vengono così definiti:

“ ogni alunno, in continuità o per determinati periodi può manifestare


bisogni educativi speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per
motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano
adeguata e personalizzata risposta”.20

Calzante è anche la definizione di BES data da Ianes che così si esprime: ”Il
BES è qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito educativo e/o istruzionale,
causata da un funzionamento problematico per il soggetto in termini di danno,
ostacolo al suo benessere, limitazione alla sua libertà e stigma sociale,
indipendentemente dall’eziologia ( biostrutturale, familiare, ambientale-
culturale) e che necessita di educazione speciale individualizzata”.21

I BES riguardano gli alunni che , in una certa fase della loro crescita,
accanto a bisogni educativi normali, e cioè quelli dello sviluppo di competenze,
di appartenenza sociale, di identità e autonomia, di valorizzazione e di
autostima, di accettazione, hanno anche bisogni speciali, più complessi e
difficoltosi, talvolta patologici, generati da condizioni fisiche o da fattori
personali o ambientali che creano difficoltà di funzionamento educativo ed
apprenditivo.

In questa concezione di BES è centrale il concetto di funzionamento


educativo ed apprenditivo, che è il risultato globale delle reciproche influenze
esercitate, durante il percorso evolutivo e di crescita, dalle condizioni fisiche,
dai contesti in cui lo studente cresce e dalle sue caratteristiche personali.

È però importante dare il giusto peso al termine “speciale” per far sì che
esso non diventi stigmatizzante.

20
Direttiva Ministeriale 27 dicembre 2012 “ Strumenti d’intervento per alunni con Bisogni
Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”
21
Ianes D., Bisogni Educativi Speciali e inclusione Erickson 2005

18
Secondo un’analisi etimologica del termine “speciale” a cui si può fare un
breve cenno per le conseguenze di natura pedagogica-didattica e di politica
scolastica che ne possono derivare possiamo dire che “ speciale “ è tutto ciò
che si fa osservare per il suo aspetto, che si contraddistingue .

La parola deriva dal latino species che vuol dire aspetto, figura, forma
visibile e la cui radice è presente anche nel verbo spectare (osservare,
guardare).

In Biologia, dove il termine speciale è molto usato, esso sta ad indicare


una categoria che rappresenta l’unità fondamentale di un sistema di
classificazione, all’interno della quale si colloca qualcosa di straordinario, di
eccezionale che appunto si rende particolarmente visibile all’occhio
dell’osservatore.

Questo fa pensare che speciale è ciò che si fa osservare per il suo particolare
aspetto.

Nel considerare “ speciale” ciò che si fa osservare per il suo particolare


aspetto , che merita una “speciale” attenzione, bisogna stare attenti a non
riproporre, in altre forme, classificazioni piuttosto discriminanti che da tempo
sono state bandite del lessico e dalla pratica didattica.

Il rischio è rintrodurre il concetto di alunni “ speciali” che si distinguono


dagli altri perchè portatori di particolari svantaggi. L’aggettivo speciale deve
essere visto nell’ottica, così come previsto da una scuola inclusiva , che tutti gli
alunni possono essere considerati speciali nel senso che devono essere visti
nella loro unicità ed originalità e pertanto tutti ugualmente meritevoli di
speciale attenzione per il loro particolare aspetto.

Particolare considerazione, oltre che sull’aggettivo speciale, può essere fatta


sul termine bisogno. Anche questo, come l’aggettivo speciale, deve essere letto
nella sua connotazione positiva.

19
Il concetto di bisogno può avere, infatti, connotazioni negative nella nostra
lingua, e, per qualche aspetto, anche in alcune teorie psicologiche.

Questa “negatività” può condizionare alcune posizioni critiche nei confronti


dei BES.

Esaminando alcune teorie psicologiche che si sono occupate di bisogni (


Maslow, Murray, Lewin) e posizioni filosofiche come quelle di Heidegger, si
può pensare al concetto di bisogno non tanto come ad una mancanza,
privazione o deficienza, in se negativa, ma come ad una situazione di
dipendenza (interdipendenza) della persona dai suoi ecosistemi, relazione che
,(se tutto va bene) porta alla persona che cresce alimenti positivi per il suo
sviluppo. 22

È importante notare come molto diversi siano i soggetti a cui ci si riferisce


con tale Direttiva , rispetto a quanto era stato legiferato in precedenza.

Se, infatti, con la Legge 104/92 venivano considerati come bisognosi di


particolari attenzioni solo gli alunni disabili o, con la legge 170/10 solo gli
alunni con Disturbi specifici di apprendimento, con la Direttiva Ministeriale
del 2012 si allarga l’insieme degli alunni che vengono presi in considerazione.
Si prendono in considerazione non più solo i disabili o gli alunni che
presentano disturbi, disabilità e disturbi che sono innati e resistenti
all’intervento , ma anche tutti gli alunni con difficoltà le quali, a differenza dei
disturbi, non sono innate e sono modificabili con interventi mirati.23

Nell’ambito dei BES possiamo distinguere così tre grandi categorie:

DISABILITÀ certificata ai sensi dell’art. 3, comma 1 o 3 della Legge


104/1992 che dà titolo all’attribuzione dell’insegnante di sostegno.

22
Ianes D., Bisogni Educativi Speciali e inclusione Erickson Trento 2005
23
AA.VV., Dislessia e altri DSA a scuola Erickson 2013

20
Tale categoria riguarda gli studenti con disabilità fisica, psichica o
sensoriale ( per esempio non udenti, non vedenti, affetti da disturbi dello
spettro autistico o da ritardo cognitivo).

La disabilità deve essere certificata dalle ASL secondo le classificazioni


internazionali proposte dall’organizzazione mondiale della Sanità ( IC10 o
ICF) . Previo consenso informato della famiglia il gruppo Asl stila il Profilo
Descrittivo di Funzionamento dell’alunno, al fine di avviare il processo di
inclusione scolastica con l’assegnazione delle ore di sostegno da parte
dell’Ufficio Scolastico Regionale.

Lo strumento per la definizione del percorso scolastico è, per questa


categoria, il PEI che viene steso dal Consiglio di Classe in collaborazione con
la famiglia e con il referente ASL. Esso è uno strumento orientato a costruire
un progetto di vita riguardante la crescita personale e sociale dell’alunno
disabile, prevedendo attività educativo-didattiche scolastiche ed
extrascolastiche.24

DISTURBI EVOLUTIVI SPECIFICI ( da distinguere in DSA, deficit del


linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, disturbo
dell’attenzione e dell’ iperattività . Il funzionamento intellettivo limite viene
considerato un caso a confine tra la disabilità e il disturbo specifico.

Tali disturbi nell’ICD-10 (decima versione dell’International Classification


of Disorders) sono così definiti :

“I disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche comprendono gruppi


di condizioni morbose che si manifestano con specifiche e rilevanti
compromissioni dell’apprendimento delle abilità scolastiche. Queste
compromissioni nell’apprendimento non sono il risultato diretto di altre

24
Ceschel A., orientarsi tra i Bes ,bisogni educativi speciali in Scienze Magazine n.01
novembre 2014 Pearson Italia

21
patologie, sebbene essi possano manifestarsi contemporaneamente a tali
ultime condizioni. Frequentemente i disturbi in questione si presentano insieme
con altre sindromi cinetiche o altri disturbi evolutivi. L’eziologia dei disturbi
evolutivi specifici delle abilità scolastiche non è nota , ma si suppone che vi
sia un intervento significativo di fattori biologici, i quali interagiscono con
fattori non biologici producendo le manifestazioni.”

SVANTAGGIO SOCIO-ECONOMICO, LINGUISTICO E CULTURALE

Tale categoria potrà essere individuata sulla base di elementi oggettivi (


come ad esempio una segnalazione degli operatori dei servizi sociali), ovvero
di ben fondate considerazioni psicopedagogiche e didattiche. Per coloro che
sperimentano difficoltà derivanti dalla non conoscenza della lingua italiana, per
esempio alunni di origine straniera di recente immigrazione e, in specie, coloro
che sono entrati nel nostro sistema scolastico nell’ultimo anno, è parimenti
possibile attivare percorsi individualizzati e personalizzati e adottare strumenti
compensativi e misure dispensative.

Riassumendo si indicano nelle tabelle successive le tre principali categorie e


per quali di esse sono eventualmente necessarie certificazioni o
documentazioni.

22
DSA Area dello
Disabilità Disturbi evolutivi svantaggio socio-
specifici economico-linguistico e
culturale
Tutte DSA Svantaggi derivanti
Disturbi specifici del da:
linguaggio o bassa motivi fisici
intelligenza verbale, motivi biologici
disturbi della motivi fisiologici
comprensione motivi psicologici
Disturbo della motivi sociali
coordinazione motoria, motivi economici
disturbo non verbale,
disprassia, o bassa difficoltà derivanti
intelligenza non-verbale dalla non conoscenza
Disturbo dello spettro della cultura e della
autistico lieve ( non lingua italiana
rientrante nella legge
104) interazione tra i
A.D.H.D motivi
Disturbo oppositivo
provocatorio
Disturbo nella
condotta
Disturbo d’ansia e
dell’umore
Funzionalità cognitivo
limite
comorbilità

23
Riscontri documentali

DSA Area dello


Disabilità Disturbi evolutivi svantaggio socio-
specifici economico-linguistico e
culturale
certificazioni DSA : certificazioni Segnalazione ai o dai
Anche in attesa del servizi sociali
rilascio della Relazioni di eventuali
certificazione , si devono esperti
comunque accertare le Considerazioni
difficoltà e adottare un pedagogiche e didattiche
piano didattico dei docenti
individualizzato e Riscontri oggettivi
personalizzato
Altri disturbi:
relazioni di specialisti,
considerazioni
pedagogiche e didattiche,
riscontri oggettivi di
difficoltà

Tutte queste situazioni sono diversissime l’una dall’altra, ma malgrado la


loro clamorosa diversità un dato le avvicina e le rende sostanzialmente uguali
nel loro diritto a ricevere un’attenzione educativa sufficientemente
individualizzata ed efficace: ognuna di queste persone ha un funzionamento per
qualche aspetto problematico, che rende più difficile trovare una risposta
adeguata ai suoi bisogni.25

25
Ianes D., Cramerotti S., Alunni con Bes Bisogni Educativi Speciali indicazioni operative
per promuovere l’inclusione sulla base della D.M. 27/12712 e della C.m. n.8 del 06/03/13
Erickson 2013

24
Il concetto di bisogno educativo speciale è quindi una macrocategoria che
comprende dentro di sé tutte le possibili difficoltà educativo-apprenditive degli
alunni.

I bisogni educativi speciali possono derivare da svariate condizioni, quali ad


esempio:

 svantaggio e deprivazione sociale, riferito ad alunni cresciuti in


situazioni familiari/sociali povere, marginali, in contesti degradati con poche
occasioni formali e informali di apprendimento
 diversità etniche e culturali ( figli di immigrati, profughi, rifugiati con
lingua, cultura e religione diversa)
 difficoltà familiari (bambini che vivono in famiglie difficili, in cui sono
presenti fenomeni d’abuso, maltrattamento, violenza)
 difficoltà psicologiche, come basso livello di autostima , stati d’ansia,
scarso autocontrollo e scarsa tolleranza alle frustrazioni, bassa motivazione
intrinseca, assenza di interessi.
 difficoltà d’apprendimento, ambiente socioculturale, caratteristiche del
soggetto , date da fattori di tipo emotivo e emozionale che possono creare
difficoltà e disagio.
 difficoltà relazionali, aggressività o chiusura, difficoltà del linguaggio,
disagio, ritardi psicomotori, scarsa autostima, disturbi dell’attenzione e
ipercinesia.

Tutti, comunque, indipendentemente dal tipo di Bisogno Educativo


Speciale , avranno diritto a risposte adeguate alla loro situazione, perché non è
giusto “far parti uguali tra disuguali”, come ebbe a dire Don Milani in lettera a
una professoressa.

Tutte queste problematiche, ricomprese nei disturbi evolutivi specifici non


vengono o possono non venire certificate ai sensi della Legge 104/92 , non

25
dando conseguentemente diritto alle provvidenze ed alla misure previste dalla
stesse legge quadro, e tra queste, all’insegnante di sostegno.

Un discorso particolare si deve fare a proposito di alunni e studenti con


controllo attentivo e/o dell’attività, spesso definiti con l’acronimo ( A.D.H.D. (
Attention Deficit Hyperactivity Disorder) . L’ ADHD si può speso riscontrare
associato a un DSA , ha una causa neurobiologica e genera difficoltà di
pianificazione., di apprendimento e di socializzazione con i coetanei. Si è
stimato che il disturbo, in forma grave tale da compromettere il percorso
scolastico, è presente in circa l’1% della popolazione scolastica . Con notevole
frequenza l’ADHD è in comorbilità con uno o più disturbi dell’età evolutiva:
disturbo oppositivo provocatorio, disturbo della condotta in adolescenza,
disturbi specifici del’apprendimento, disturbi d’ansia, disturbi d’umore. Il
percorso migliore per la presa in carico del bambino/ragazzo ADHD si attua
senz’altro quando è presente una sinergia tra famiglia, scuola e clinica. Le
informazioni fornite dagli insegnanti hanno una parte importante per il
completamento della diagnosi e la collaborazione della scuola è un anello
fondamentale nel processo riabilitativo. La particolarità risiede nel fatto che, a
volte, il quadro clinico è particolarmente grave, anche per la comorbilità con
altre patologie, da richiede l’assegnazione dell’insegnante di sostegno, come
previsto dalla Legge 104/92 per la prima categoria dei BES, cioè quella della
disabilità.

Anche gli alunni con potenziali intellettivi non ottimali, descritti


generalmente con le espressioni di funzionamento cognitivo ( intellettivo)
limite ( o borderline) qualora non rientrino nelle previsioni della Legge 104 o
170, richiedono particolare considerazione.

Si tratta di bambini o ragazzi il cui QI globale risponde ad una misura che


va dai 70 agli 85 punti e non presenta elementi di specificità. Per alcuni di loro
il ritardo è legato a fattori neurobiologici ed è frequentemente in comorbilità
con altri disturbi. Per altri, si tratta soltanto di una forma lieve di difficoltà tale

26
per cui, se adeguatamente sostenuti e indirizzati verso i percorsi scolastici più
consoni alle loro caratteristiche, potranno avere una vita normale.

Per quanto riguarda i DSA, ricompresi all’interno dei BES, il riferimento


normativo, come già accennato nel precedente paragrafo è la Legge 170 dell’8
ottobre 2010.

Nell’art.1 si afferma “ La presente legge riconosce la dislessia, la disgrafia


, la disortografia e la discalculia quali disturbi specifici di apprendimento, di
seguito denominati DSA, che si manifestano in presenza di capacità cognitive
adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, ma
possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita
quotidiana”.26

Sempre nell’art. 1 , ai fini della Legge, i disturbi sono così intesi:27

 dislessia: disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà


nell’imparare a leggere, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici,
ovvero nella correttezza e nella rapidità della lettura;
 disgrafia: disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà
nella realizzazione grafica
 disortografia: disturbo specifico di scrittura che si manifesta in
difficoltà nei processi linguistici di transcodifica
 discalculia: disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà negli
automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri

Successivamente e in riferimento alla direttiva del 27/12/2012 viene poi


emanata la circolare MIUR n.8 del 6 marzo 2013 che insiste molto sulla
necessità di un progetto educativo didattico che dev’essere predisposto per tutti
gli alunni con Bisogni Educativi Speciali, anche per quelli che abbiano uno
svantaggio culturale, personale o sociale.

26
Legge n.170 dell’8 ottobre 2010
27
ibidem

27
Vi si legge infatti che “in questa nuova e più ampia ottica, il Piano
Didattico Personalizzato non può più essere inteso come mera esplicitazione di
strumenti compensativi e dispensativi per gli alunni con DSA; esso è bensì lo
strumento in cui si potranno, ad esempio, includere progettazioni didattico
educative calibrate sui livelli minimi attesi per le competenze in uscita,
strumenti programmatici utili in maggior misura rispetto a compensazioni o
dispense, a carattere squisitamente didattico-strumentale”.28

La Circolare passa poi a fornire chiarimenti per gli alunni con svantaggio
culturale e socioeconomico o personale, parte questa altamente innovativa: “Si
vuole inoltre richiamare ulteriormente l’attenzione su quell’area dei BES che
interessa lo svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale”.29

Con riferimento alla Direttiva, passa poi a ricordare che “ogni alunno, con
continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi
Speciali, o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi
psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano
adeguata e personalizzata risposta”.30

Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali hanno necessità di interventi


tagliati accuratamente su misura della loro situazione di difficoltà e dei fattori
che la originano e/o la mantengono. Questi interventi possono essere i più vari
nelle modalità , nelle professionalità coinvolte, nella durata, nel grado di
“mimetizzazione” all’interno delle normali attività scolastiche.

In alcuni casi questa individualizzazione prenderà la forma di un formale


Piano educativo individualizzato, in altri sarà, ad esempio, una semplice e
informale serie di delicatezze e attenzioni psicologiche rispetto a situazioni

28
Circolare Ministeriale n.8 del 6 marzo 2013
29
ibidem
30
ibidem

28
familiari difficili, in altri casi ancora potrà essere uno specifico intervento
psicoeducativo nel caso di comportamenti problema.

Utile strumento per meglio comprendere la categoria dei BES è l’ICF ,


strumento di classificazione elaborato dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità nel 2001, che analizza e descrive la disabilità come esperienza umana
che tutti possono sperimentare, proponendo un approccio all’individuo
normodotato e diversamente abile dalla portata innovativa e
31
multidisciplinare.

Il modello ICF riformula i concetti di funzionamento umano, salute e


disabilità a partire dall’idea di salute intesa non come assenza di malattia ma
come benessere bio-psico-sociale, piena realizzazione del proprio potenziale,
della propria capability e chiama fortemente in causa dimensioni sociali,
culturali, economiche, religiose che non sono biostrutturali.32

Il modello ICF, adottato nel nostro Paese nel 2002, riguarda quindi tutte le
persone e non soltanto quelle con disabilità ed esplora le diverse condizioni di
salute.

È utilizzabile in diversi campi, da quello clinico a quello del lavoro a quello


dell’istruzione.

In questo ultimo campo è considerato un valido strumento educativo che


permette una consapevole ed accurata programmazione.33

Il funzionamento umano, come indicato dall’ICF è la risultante di


un’interconnessione complessa, globale e multidisciplinare tra fattori personali
e contestuali, dove i fattori contestuali, sia interni che esterni alla persona,
giocano un ruolo di facilitazione facilitante e/o barrierante.

31
www.mhadie.it
32
Sen A., L’idea di giustizia Mondadori Milano 2011
33
Cottin L., Didattica speciale e integrazione scolastica Carocci Editore Roma , 2009

29
Secondo il modello bio-psico-sociale, una persona che presenta
un’alterazione dei livelli funzionali o strutturali del proprio corpo, non viene
più definita “svantaggiata” in un senso statico e rigido, ma, interagendo con
l’ambiente, potrà vivere due condizioni

 una perdita o una limitazione dei propri livelli di attività e di


partecipazione ai contesti di vita, qualora l’ambiente sia ostile o indifferente
 una buona performance nelle attività e nella partecipazione ai contesti
di vita, qualora l’ambiente abbia elementi facilitatori.

Nel 2007 è nato l’ICF-CY ovvero la versione per bambini e adolescenti


dell’ICF.

Anche in esso la lettura della situazione viene fatta considerando e


integrando le aree del funzionamento e della disabilità rispetto all’ambiente e al
contesto educativo in cui è inserita.

Tra i criteri per una concettualizzazione valida e utile operativamente del


concetto di BES ci sono le caratteristiche di reversibilità e di temporaneità .

Molte situazioni che si configurano come BES non sono stabili e


cristallizzate, anzi sono soggette a forti mutamenti nel tempo, a miglioramenti
e di conseguenza alla reversibilità.

La definizione di BES deve portare con sé proprio questo senso di


provvisiorietà e di reversibilità rispetto alle etichette diagnostiche tradizionali,
più rigide e più stabili.

Questa reversibilità facilita la famiglia e l’alunno stesso ad accettare un


percorso di conoscenza e di approfondimento della difficoltà e di successivo

30
intervento di individualizzazione. Difficile è infatti per una famiglia
intraprendere un percorso diagnostico che ha come unico sbocco una diagnosi
clinica e magari misure di supporto segreganti e stigmatizzanti. Se il concetto
di BES deriva da un modello globale di funzionamento educativo e
apprenditivo ed è considerato come possibilmente transitorio e reversibile,
allora l’impatto psicologico e sociale di questa valutazione e riconoscimento
sarà più lieve e meno doloroso per l’alunno e la sua famiglia.

Un’altra caratteristica importante e positiva del concetto di BES è quella


del minor impatto stigmatizzante che questa definizione ha rispetto ad altre
quali disabilità, dislessia, discalculia, disturbo da deficit attentivo con
iperattività, disturbo specifico di apprendimento.

La concettualizzazione di BES non dovrà fare riferimento alle origini


eziologiche dei disturbi né alle classificazioni patologiche, ma dovrà partire
dalla situazione complessiva di funzionamento educativo e apprenditivo del
soggetto, qualunque siano le cause che originano una difficoltà di
funzionamento.

Tale concettualizazzione di BES dovrà anche fondarsi sulla necessità di


individualizzazione, personalizzazione, di educazione/didattica speciale e di
inclusione. Un tentativo di definizione originale di BES potrebbe essere il
seguente:

Il bisogno educativo speciale è qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito


educativo e/o apprenditivo, che consiste in un funzionamento problematico
come risultante dall’interrelazione reciproca tra i sette ambiti della salute
secondo il modello ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il
funzionamento è problematico per l’alunno, in termini di danno, ostacolo o
stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia, e necessita di
educazione/didattica speciale individualizzata. Esaminando nel dettaglio le
singole componenti di questa definizione.

31
Un bisogno educativo speciale è una difficoltà che si deve manifestare in
età evolutiva e cioè entro i primi 18 anni di vita del soggetto. Questa difficoltà
si manifesta negli ambiti di vita dell’educazione e/o istruzione.

Può coinvolgere, a vario livello, le relazioni educative, formali e/o


informali, lo sviluppo di competenze e di comportamenti adattativi, gli
apprendimenti scolastici e di vita quotidiana, lo sviluppo di attività personali e
di partecipazione ai vari ruoli sociali. Anche un lieve difetto fisico, che non
incide affatto sulla funzionalità cognitiva e apprenditiva, può causare difficoltà
psicologiche e timore di visibilità sociale, limitando così la partecipazione del
bambino a varie occasioni educative e sociali.

Secondo il modello ICF/OMS la situazione di salute di una persona, nella


fattispecie il funzionamento educativo-apprenditivo, è la risultante globale
delle reciproche influenze tra sette fattori .

Condizioni fisiche e fattori contestuali stanno agli estremi superiori e


inferiori del modello. La dotazione biologica da un lato e dall’altro l’ambiente
in cui il bambino cresce, dove accanto a fattori esterni, come le relazioni, le
culture, gli ambienti fisici egli incontra anche fattori contestuali personali e
cioè le dimensioni psicologiche che fanno da sfondo interno alle sue azioni, per
esempio autostima, identità, motivazioni.

Questi contesti potranno essere dei mediatori facilitanti o delle barriere.

Nella grande dialettica fra queste due enormi classi di forze, biologiche e
contestuali, si trova il corpo del bambino, come concretamente si sta
sviluppando dal punto di vista strutturale e come si stanno sviluppando le varie
funzioni, da quelle mentali a quelle motorie e di altro genere .

Quando i vari fattori interagiscono in modo positivo, il bambino crescerà


sano e funzionerà bene dal punto di vista educativo-apprenditivo, altrimenti il
suo funzionamento sarà difficoltoso, ostacolato, disabilitato, ammalato, con
BES.

32
L’alunno che viene conosciuto e compreso, nella complessità dei suoi
bisogni, attraverso il modello ICF, può evidenziare difficoltà specifiche in sette
ambiti principali:

 Condizioni fisiche: malattie varie, acute o croniche, fragilità, situazioni


cromosomiche particolari, lesioni
 Strutture corporee: deficit visivi, motori, attentivi, di memoria
 Attività personali: scarse capacità di apprendimento, di applicazione
delle conoscenze, di pianificazione delle azioni, di comunicazione e di
linguaggio, di autoregolazione metacognitiva, di interazione sociale, di
autonomia personale e sociale, di cura del proprio luogo di vita
 Partecipazione sociale: difficoltà a rivestire in modo integrato i ruoli
sociali di alunno, a partecipare alle situazioni sociali più tipiche nei vari
ambienti e contesti
 Fattori contestuali ambientali: famiglia problematica, cultura diversa,
situazione sociale difficile, culture e atteggiamenti ostili, scarsità di servizi e
risorse
 Fattori contestuali personali: scarsa autostima, reazioni emozionali
eccessive, scarsa motivazione

In uno o più di questi ambiti si può generare un bisogno educativo speciale


specifico che poi interagirà con gli altri ambiti, producendo la situazione
globale e complessa dell’alunno.34

L’alunno potrà avere una difficoltà di funzionamento e cioè un BES ,


originata dalle infinite combinazioni possibili tra i 7 ambiti di funzionamento.

Una difficoltà di funzionamento potrà originarsi da combinazioni fisiche


problematiche: malattie varie, acute o croniche, fragilità, allergie o intolleranze
alimentari, patrimoni cromosomici particolari, lesioni , traumi, malformazioni,
disturbi del ciclo sonno-veglia, disturbi del metabolismo, della crescita. In

34
Linea didattica.altervista.org

33
questi casi il funzionamento globale è minacciato da un imput biologicamente
significativo, che irrompe sulla scena e può condizionate in maniera
drammatica l’apprendimento e l’educazione. Spesso problemi in questo ambito
portano a problemi anche nell’ambito successivo, quello delle strutture
corporee.

L’ambito delle strutture corporee può a sua volta originare difficoltà di


funzionamento educativo e apprenditivo, si pensi ad esempio al ruolo delle
malformazioni e mancanza di arti, organi o parte di essi, come ad esempio
strutture cerebrali o strutture necessarie per la fonazione o la locomozione.

Un’altra possibile fonte di difficile funzionamento educativo, e di


conseguente BES è una ridotta dotazione di attività personali . Un bambino con
scarse attività personali sa fare meno cose, o le fa in forme deficitarie, anche se
può essere perfettamente integro dal punto di vista strutturale e funzionale del
corpo.

Un’ulteriore fonte di funzionamento educativo-apprenditivo difficoltoso è la


partecipazione sociale. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità una
persona “funziona bene” se partecipa socialmente, se riveste ruoli di vita
sociale in modo integrato e attivo, non è sufficiente avere un corpo integro e
funzionante, ma bisogna anche partecipare socialmente. In questo ambito
possono generarsi difficoltà specifiche che diventano BES , difficoltà nello
svolgere i ruoli previsti dall’essere alunno, essere compagno di classe, essere
utente di servizi rivolti all’infanzia, culturali, sportivi, sociali .Il bambino che
venisse ostacolato nella partecipazione, emarginato o allontanato, isolato,
rifiutato, vivrebbe un elemento significativamente determinante per lo sviluppo
di un BES.

Dalle due classi di fattori contestuali, ambientali e personali, si possono


originare varie combinazioni di BES. Un bambino può infatti vivere fattori
contestuali ambientali molto difficili come ad esempio una famiglia
problematica, un contesto culturale e linguistico diverso, una situazione socio-

34
economica difficile, subire atteggiamenti ostili, indifferenza o rifiuto, può
subire scarsità di servizi, poche risorse educative sanitarie, incontrare barriere
architettoniche.

Anche nei fattori contestuali personali si possono originare cause o


concause di BES , ad esempio scarsa autostima, reazioni emozionali eccessive,
scarsa motivazione, stili attributivi distorti.

Nella proposta basata su ICF tutti i fattori ambientali vanno considerati,


tanto più quelli socioeconomici. Se viene messo il concetto di funzionamento
globale di un alunno alla base di quello di BES, nasce evidente il problema del
dove porre la soglia tra funzionamento “normale” e funzionamento
”problematico”.

Si può ipotizzare un continuum di funzionamento sul quale si deve


formulare un giudizio, a un certo punto di disfunzionalità e di problematicità
per il soggetto.

Evidentemente l’insegnante, l’educatore e il genitore “ sentono” attraverso


il loro disagio una problematicità di apprendimento e di sviluppo nel bambino,
ma questo loro disagio non è affatto sufficiente per giudicare realmente
problematici il funzionamento educativo-apprenditivo del bambino.

Questo loro disagio educativo è il primo motore, la prima energia che li


mette in moto per prendersi cura dello sviluppo del bambino, esso però può
essere eccessivo e di conseguenza essi possono giudicare problematica una
situazione di sviluppo, ritardata o differente, che in realtà non è problematica
per l’alunno. Potrebbe anzi essere una preoccupazione più per se stessi, per la
propria tranquillità che non per il benessere e lo sviluppo del bambino e di
conseguenza potrebbe creare falsi positivi in nome dell’ansia dell’insegnante o
del genitore.

In realtà la valutazione del BES deve difendere il bambino da un eccesso di


preoccupazione che diventa iperprotezione e limitazione in nome del proprio

35
benessere di insegnante e genitore, ma anche da una scarsa preoccupazione, da
un non cogliere in anticipo possibili fonti di difficoltà. La valutazione deve
quindi essere quanto più oggettiva possibile.

Il primo criterio per una valutazione oggettiva può essere quello del danno
effettivamente vissuto dall’alunno e prodotto su altri rispetto alla sua integrità
attuale fisica, psicologica o relazionale. Una situazione di funzionamento è
realmente problematica per un bambino se lo danneggia direttamente o
danneggia altri, basti pensare a disturbi del comportamento gravi,
all’autolesionismo, a disturbi emozionali gravi, a gravi deficit di attività
personali, a situazione di gravi rifiuti o allontanamento dal gruppo. In questi
casi si può osservare un danno diretto al bambino o ad altri che lo circondano.

Se questo accade è evidente che la situazione è realmente problematica e


non è affatto un falso positivo.

Se il danno non è osservabile in maniera chiara si può ricorrere al criterio


dell’ostacolo. Un funzionamento problematico è tale se lo ostacola nel suo
sviluppo futuro, se cioè lo condizionerà nei futuri apprendimenti cognitivi,
sociali, relazionali ed emotivi.

Se non è dimostrabile né un danno né un ostacolo allora si può ricorrere ad


un terzo criterio che è quello dello stigma sociale.

Con questo criterio ci si chiede se oggettivamente il bambino, attraverso il


suo scarso funzionamento educativo-apprenditivo, stia peggiorando la sua
immagine sociale, stia costruendosi ulteriori processi di stigmatizzazione
sociale.

Questa idea di BES, fondata sul funzionamento globale della persona porta
ad un superamento delle categorie diagnostiche tradizionali nella fase del
riconoscimento di una situazione problematica a motivo della quale l’alunno ha
diritto ad un intervento individualizzato e inclusivo.

36
Ciò non significa ignorare o rifiutare le diagnosi cliniche nosografiche ed
eziologiche che hanno un profondo significato per gli aspetti conoscitivi legati
alla terapia, alla prevenzione, ma significa

cercare un modo globale, più a valle della diagnosi, più largo, più
comprensivo e più rispondente a quella che è una reale situazione di BES e di
difficoltà.

In questo modello di BES entrano anche alcuni alunni che non potrebbero
essere diagnosticati con alcuna delle condizioni patologiche tradizionali, ma
che hanno talvolta enormi bisogni educativi speciali che vanno riconosciuti in
tempo anche se sfuggono ai sistemi di classificazione tradizionale e a cui va
data una risposta inclusiva efficace.35

Il concetto di BES , sovente radicato nell’immaginario comune e in quello


degli insegnanti, come correlato ad una dimensione patologica e di svantaggio
di alcuni alunni, deve essere letto in ottica di “ funzionamento umano” secondo
quanto proposto dalla classificazione ICF.

Il modello antropologico utilizzato dalla recente classificazione OMS,


sostiene che il benessere, il funzionamento, la salute o le difficoltà sono il
prodotto complesso di un sistema di influenze reciproche tra aspetti biologici,
strutturali, di partecipazione ai ruoli sociali, di facilitazioni o ostacoli
ambientali. Se la disabilità e/o i BES sono da intendersi come la conseguenza
di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo, i fattori
personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui egli
vive, e se è vero che l’ambiente può fungere da barriera ovvero da facilitatore,
ne consegue che anche l’ambiente scolastico non è esente e non può permanere
in una situazione di fissità, in un modello formativo univoco e rigido.

35
Ianes Bisogni educativi speciali e inclusione Erickson Trento 2005

37
La scuola, e i processi in essa attivati, devono assumere la dimensione della
dinamicità e plasticità in ordine a consentire la partecipazione e l’accesso ai
saperi attraverso percorsi e modalità didattiche plurali, divergenti,
individualizzate e, in taluni casi, anche personalizzate36

36
Ianes Bisogni educativi speciali e inclusione Erickson Trento 2005

38
CAPITOLO II

FIGURE E STRUMENTI PER PROMUOVERE


L’INCLUSIONE

39
2.1 Ruoli e organismi d’Istituto

La C.M. n.8 del 6 marzo 2013 individua anche gli organismi che, all’interno
dell’Istituto, devono occuparsi degli alunni con BES.

In essa non si fa espressamente riferimento alla presenza di una specifica


figura d’Istituto riferita ai BES in quanto lo spirito della direttiva è quello di
tendere ad allargare e a rendere partecipe tutta la comunità scolastica, e quindi
anche i docenti curricolari, di questa prerogativa proprio in virtù del fatto che la
scuola inclusiva deve essere una scuola che sia attenta ai bisogni di ognuno.

Proprio per questo, nel caso in cui venga individuata una figura BES
all’interno della scuola, questa non necessariamente deve coincidere con il
docente di sostegno eventualmente presente nella scuola per gli alunni
diversamente abili; pur essendo tale docente portatore di una formazione
specialistica e quindi risorsa per l’intero Istituto in materia di metodologie,
suggerimenti pratici e concreti per una didattica inclusiva è preferibile ,infatti,
allargare quanto più il raggio di coinvolgimento dei docenti della Scuola.

Nel rispetto delle autonome scelte ciascuna scuola potrà dotarsi quindi delle
figure di sistema che ritiene più funzionali alla propria organizzazione
scolastica e che garantiscano, nell’ambito di un progetto che deve attuare una
costruttiva sinergia tra tutte le componenti sociali responsabili dello sviluppo
dell’individuo, di:

 effettuare consulenza/informazione ai docenti, al personale ATA, alle


famiglie in materia di normativa e metodologia didattica;
 curare il rapporto con gli Enti del territorio;
 supportare i CdC/Team per l’individuazione degli alunni BES;
 raccogliere, analizzare la documentazione aggiornando il fascicolo
personale e pianificare attività/progetti/strategie ad hoc;

40
 partecipare ai CdC/Team , se necessario, e fornire
collaborazione/consulenza alla stesura di PDP e PEI;
 organizzare momenti di approfondimento/formazione/aggiornamento
sulla base delle necessità rilevate all’interno dell’Istituto;
 monitorare/valutare i risultati ottenuti e condividere proposte con il
Collegio Docenti e Consiglio d’Istituto;
 gestire e curare una sezione della biblioteca d’Istituto dedicata alle
problematiche sui BES;
 gestire il sito web della scuola in merito ai BES e collaborare con il
referente POF di Istituto;
 aggiornarsi continuamente sulle tematiche relative alle diverse tipologie
che afferiscono ai BES;

Per quanto riguarda gli organismi deputati a definire le strategie


d’intervento la sopra citata circolare 08/13 prefigura l’attivazione del Gruppo
di lavoro per l’Inclusione (GLI) , con il preciso compito di elaborare una
proposta di Piano Annuale per l’Inclusione ( PAI) riferito a tutti gli alunni con
BES.

Il GLI è un gruppo allargato composto dal Dirigente Scolastico o da un suo


delegato, dall’eventuale referente BES, dalle funzioni strumentali specifiche,
da insegnanti specializzati, da assistenti alla comunicazione, da docenti con
esperienza e/o formazione specifica o con compiti di coordinamento delle
classi, da genitori, da esperti istituzionali o esterni in convenzione con la
scuola.

Il GLI dovrà :

 provvedere alla rilevazione di BES presenti nella scuola;


 coordinarsi con i vari Consigli di Classe per stendere un piano di
intervento per gli alunni con BES non certificati o certificabili;
 provvedere alla raccolta e documentazione degli interventi didattico-
educativi posti in essere anche in rete tra scuole;

41
 operare un focus/controllo sui casi, consulenze, supporto ai colleghi su
strategie/metodologie di gestione delle classi;
 porsi come interfaccia dei CTS e dei servizi sociali e sanitari territoriali.

Per quanto riguarda l’ elaborazione di una proposta di PAI che verrà


presentato a fine anno scolastico, il GLI procederà ad un’analisi delle criticità e
dei punti di forza degli interventi di inclusione scolastica operati nell’anno
scolastico in corso e formulerà un’ipotesi globale di utilizzo funzionale delle
risorse specifiche, istituzionali e non per incrementare il livello di inclusività
generale della scuola nell’anno successivo.

Il Piano sarà quindi discusso e deliberato in Collegio Docenti e inviato ai


competenti Uffici degli UUSSRR, nonché ai GLIP e al GLIR, per la richiesta
di organico di sostegno, e alle altre istituzioni territoriali come proposta di
assegnazione delle risorse di competenza, considerando anche gli Accordi di
Programma in vigore o altre specifiche intese sull’integrazione scolastica
sottoscritte con gli Enti Locali. A seguito di ciò , gli Uffici Scolastici regionali
assegneranno alle singole scuole globalmente le risorse di sostegno secondo
quanto stabilito dall’art.19 comma 11 della Legge n.111/11.Nel mese di
settembre , in relazione alle risorse effettivamente assegnate alla scuola-
ovvero, secondo la previsione dell’art.50 della L.n.35/12, alle reti di scuole, il
Gruppo provvederà ad un adattamento del Piano, sulla base del quale il
Dirigente Scolastico procederà all’assegnazione definitiva delle risorse, sempre
in termini ”funzionali”.

La Circolare suggerisce, inoltre, il compito dei Consigli di Classe che hanno


come doveroso compito quello di indicare in quali casi sia opportuna e
necessaria l’adozione di una personalizzazione della didattica ed eventualmente
l’adozione di misure compensative o dispensative, nella prospettiva di una
presa in carico globale ed inclusiva di tutti gli alunni.

Al termine di ogni anno scolastico, secondo la C.M. n.8 del 6 marzo 2013,
ogni scuola, come già detto, deve redigere il PAI. Scopo del PAI è quello di

42
fornire un elemento di riflessione per il ( Piano dell’Offerta Formativa) POF,
di cui esso è parte integrante. Esso viene discusso e deliberato dal Collegio
Docenti e non va inteso come un mero adempimento burocratico, bensì come
uno strumento che possa contribuire ad accrescere la consapevolezza
dell’intera comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi
inclusivi in relazione alla qualità dei risultati educativi, per creare un contesto
educante dove realizzare concretamente la scuola per tutti e per ciascuno.

Il POF, documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e


progettuale delle istituzioni scolastiche che esplicita la progettazione
curriculare, extracurriculare, educativa e organizzativa che le singole scuole
adottano nell’ambito della loro autonomia, deve possedere una capacità
comunicativa plurilinguistica perché collega tra loro diversi soggetti, ha infatti
la funzione di informare la comunità circa le aree specifiche di settore sulle
quali verterà l’organizzazione degli interventi scolastici e i progetti che
verranno portati avanti.37

In esso occorre che trovino esplicitazione:


un concreto impegno programmatico per l’inclusione , basato su una
attenta lettura del piano di inclusività della scuola e su obiettivi di
miglioramento, da perseguire nel senso della trasversalità delle prassi di
inclusione negli ambiti dell’insegnamento curricolare, della gestione
delle classi, dell’organizzazione dei tempi e degli spazi scolastici, delle
relazioni tra docenti , alunni e famiglie;
 criteri e procedure di utilizzo funzionale delle risorse professionali
presenti privilegiando, rispetto a una logica meramente quantitativa di
distribuzione degli organici, una logica qualitativa, sulla base di un progetto di
inclusione condiviso con famiglie e servizi sociosanitari che recuperi l’aspetto

37
D.M. 275/99

43
pedagogico del percorso di apprendimento e l’ambito specifico di competenza
della scuola;
 l’impegno a partecipare ad azioni di formazione e/o di prevenzione
concordate a livello territoriale.

Tornando agli obiettivi del PAI si può dire che , in generale, il suo obiettivo
è quello di favorire i processi di apprendimento e di acquisizione di
competenze in tutti gli alunni, di rendere ogni soggetto, qualsiasi siano le sue
caratteristiche, il più autonomo possibile, di favorire in ogni soggetto una
crescita autonoma, mettendolo in condizioni di sperimentare attività in prima
persona. A garantire la realizzazione di tali piani sarà il Dirigente Scolastico
che , come ricordano le Linee Guida, nella logica dell’autonomia scolastica , è
il garante del diritto allo studio, dei servizi erogati e delle opportunità
formative offerte dalla scuola. Il Dirigente ha il compito di attivare e garantire
gli interventi di personalizzazione e individualizzazione previsti dalla
normativa e promuovere rapporti tra docenti e famiglia, sostenere gli
insegnanti promuovendo attività di formazione per il conseguimento di
specifiche competenze.

44
2.2 L’organizzazione territoriale

In una logica di sistema formativo integrato che investe sulla centralità della
persona e sui rapporti scuola, famiglia e territorio, il compito di coordinamento
e di indirizzo delle politiche scolastiche è demandato agli Uffici Scolastici
Regionali.

Tali Uffici hanno istituito, in accordo con il MIUR , I CTS collocati presso
scuole polo e la cui sede coincide con quella dell’istituzione scolastica che li
accoglie. Essi rappresentano l’interfaccia fra l’Amministrazione e le scuole e
tra le scuole stesse e svolgono le seguenti funzioni:

 informano i docenti, gli alunni, gli studenti e i loro genitori delle risorse
tecnologiche disponibili, sia gratuite sia commerciali;
 organizzano iniziative di formazione sui temi dell’inclusione scolastica
e sui BES, nonché nell’ambito delle tecnologie per l’integrazione, rivolte al
personale scolastico, agli alunni o alle loro famiglie;
 offrono, attraverso il contributo di un esperto, consulenza nell’ambito
della tecnologia, coadiuvando le scuole nella scelta dell’ausilio e
accompagnando gli insegnanti nell’acquisizione di competenze o pratiche
didattiche che ne rendano efficace l’uso anche in relazione alle attività di studio
a casa in collaborazione con la famiglia;
 acquistano ausili adeguati alle esigenze territoriali e possono definire
accordi con le Ausilioteche e/o Centri Ausili presenti sul territorio;
 raccolgono le buone pratiche di inclusione realizzate dalle istituzioni
scolastiche e, opportunamente documentate, le condividono con le scuole del
territorio di riferimento;
 individuano le modalità di personalizzazione che nel territorio sono
risultate più efficaci, così da assicurarne la diffusione tra i docenti della singola
scuola e tra scuole di diverso grado e indirizzo;

45
 raccolgono i piani educativi individualizzati e i piani didattici
personalizzati in un unico contenitore digitale che ne conservi sia la memoria
nel tempo che la socializzazione telematica ;
 inquadrano ciascun percorso educativo e didattico in un quadro
metodologico condiviso e strutturato con le parti sociali e istituzionali della
comunità di riferimento non solo per calibrare le attese rispetto alle barriere da
superare in quel determinato contesto ma soprattutto per evitare
improvvisazioni, frammentazioni e contraddittorietà degli interventi dei singoli
docenti, educatori , orientatori.

46
2.3 Il Profilo del docente inclusivo

Tra le questioni più rilevanti che gli insegnanti di ogni ordine e grado di
scuola si trovano ad affrontare emerge quella connessa all’eterogeneità degli
alunni, caratterizzata da diversità e originalità dal punto di vista degli stili e
delle strategie di apprendimento, dei bisogni emotivo-affettivi, degli
atteggiamenti relazionali, nonché delle specifiche situazioni familiari e
ambientali. Tale questione appare strettamente connessa a quella
dell’integrazione di tutti e di ciascuno in un contesto scolastico sempre più
aperto allo scambio e alla partecipazione democratica, ai percorsi
dell’inclusione , all’interno di un tessuto sociale caratterizzato da pluralità e
diversità culturale, atteggiamenti e stili di vita, abitudini e costumi, nonché
orientamenti religiosi e valoriali assai diversi tra loro. La scuola inclusiva
richiede formazione e aggiornamento permanente per l’insegnante e il corpo
dirigenziale. Un percorso che lascia alle spalle lo scenario duale tradizionale di
separazione tra insegnate curricolare e insegnante specializzato, perché
obsoleto e inadeguato a rappresentare una realtà multiforme, pluriproblematica,
in transizione che richiede una rivoluzione copernicana del modo di
organizzare la didattica.

Il cuore dell’attività dell’insegnamento sta nella dimensione educativa del


suo compito che è quello di “ prendersi cura” della persona nella sua globalità
facendosi carico dei suoi “ bisogni” , delle più profonde esigenze connesse alla
dignità della persona come tale.

Il benessere di un alunno in classe, specie se in difficoltà, è un obiettivo


imprescindibile per i docenti, ma di grande complessità. 38

Nell’età evolutiva, infatti, la scuola costituisce un fondamentale contesto di


crescita per l’allievo e tra le sue finalità primarie, accanto all’istruzione, vi è

38
Rossi A. Verso una cultura sociale dei BES -il sistema per l’inclusione- edizioni la
Meridiana Bari, 2014

47
principalmente l’educare e il favorire il processo armonico di sviluppo
dell’allievo come persona.

Stare bene a scuola per un alunno implica, infatti, non solo fattori quali un
apprendimento efficace ma anche buone relazioni con gli altri e una positiva
percezione di se stesso. Si tratta di fattori spesso interdipendenti che non
sempre risultano però in buon equilibrio e che, in ogni alunno, si combinano in
maniera diversa.

In tal senso il lavoro del docente si è fatto più difficile poiché sono davvero
tante le variabili e le differenze con cui è chiamato a confrontarsi in una classe:
intelligenze multiple, stili cognitivi, difficoltà di apprendimento, disabilità,
disturbi del comportamento, problemi relazionali.

All’esigenza di assecondare e coltivare i talenti di ognuno si unisce quella di


venire incontro alle difficoltà attraverso interventi individualizzati che
possibilmente non determinino stigma.

In tale contesto il ruolo del docente acquista una valenza nuova e rilevante.

È importante che il docente:

 sappia valutare la diversità degli alunni e consideri la differenza come


una risorsa e una ricchezza
 sappia sostenere gli alunni , coltivando alte aspettative sul loro successo
scolastico
 abbia un approccio collaborativo con gli altri colleghi
 sia pronto ad un costante aggiornamento professionale

In tal senso diviene sempre più necessario fare appello alle competenze
psicopedagogiche dei docenti “curricolari” per affrontare il problema , che non
può più essere delegato solo a specialisti esterni. Nel profilo professionale del

48
docente sono ricomprese, infatti, oltre alle competenze disciplinari, anche
competenze psicopedagogiche.39

Gli insegnanti devono assumere comportamenti non discriminatori, essere


attenti ai bisogni di ciascuno, accettare le diversità e valorizzarle come
arricchimento per l’intera classe, favorire la strutturazione del senso di
appartenenza, costruire relazioni socio-affettive positive.40

Saper leggere i bisogni degli alunni con bisogni educativi speciali significa
anche saperli interpretare e sapervi far fronte: in questo senso l’insegnante
rappresenta il primo strumento compensativo, il primo facilitatore, il
catalizzatore dell’apprendimento, l’amplificatore dei risultati, un modello di
identificazione. Quando un alunno manifesta uno svantaggio scolastico e
chiede una speciale attenzione, l’approccio educativo e didattico da seguire
dovrebbe rispettare una gerarchia d’interventi.

Se gli insegnanti hanno rilevato delle difficoltà transitorie e reversibili o


sospettano di essere di fronte a una situazione di rischio di disturbo, si
adopereranno per una abilitazione pedagogica, per un potenziamento delle
funzioni e/o delle abilità carenti o non ancora emerse, per favorirne e
promuoverne l’acquisizione e il normale sviluppo.

Nel caso in cui il processo di abilitazione non porti a breve a dei


miglioramenti, potrebbe essere necessario allora promuovere una didattica di
tipo compensativo in cui si propongono delle alternative e/o facilitazioni,
ovvero delle tecniche di supporto che rendono sì più facile la prestazione, ma
che non facendo più esercitare una funzione o un’abilità, potrebbero anche
provocarne una regressione.

39
CCNL comparto scuola art.27 profilo professionale docente
40
www.icsneviano.gov.it/fileallegati/158509strumentidiinte

49
Solo dopo aver appurato l’eventuale fallimento dell’intervento abilitativo e
dei sistemi compensativi, si può optare per la possibilità di dispensare l’alunno.

Questa dovrebbe essere una scelta da seguire in casi estremi.

Dispensare un alunno significa , infatti, scegliere di tutelarlo da eventuali


altri insuccessi, ma nella consapevolezza che ciò, diversamente dall’impiego di
strumenti compensativi, non lo porterà all’autonomia.

Nel caso di alunni con BES è importante che strumenti compensativi e


misure dispensative siano utilizzati per un tempo definito. Strumenti
compensativi e misure dispensative sono in sostanza delle impalcature, per loro
natura né fisse né stabili che verranno tolte con gradualità. 41

Nella distanza tra lo sviluppo attuale in un dominio specifico e lo sviluppo


potenziale (quanto l’alunno riuscirebbe a fare con l’aiuto di un adulto o di un
pari competente) sta il concetto di “potenza” da cui le idee di “zona di sviluppo
prossimale” di Vygotskij e di “modificabilità cognitiva strutturale” di
Feurstein. Sulla base di ciò i compiti proposti non dovranno situarsi né al di
sopra né al di sotto della zona di sviluppo prossimale. Nel primo caso infatti
non vi sarebbe apprendimento (l’alunno è già capace di eseguire quei compiti),
nel secondo caso si rischierebbe di non produrre apprendimento, ma addirittura
di provocare senso di frustrazione e di fallimento per l’inaccessibilità dei
compiti stessi. L’insegnante inclusivo è colui che vede le difficoltà di
apprendimento come sfide professionali che favoriscono lo sviluppo di nuove
modalità di lavoro; è l’insegnante che ricerca e sperimenta nuove modalità di
lavoro per sostenere l’apprendimento di tutti gli allievi e lavora con e attraverso
altri adulti che rispettano pienamente la dignità dei discenti come membri della
comunità della classe.

41
Ianes D., Cramerotti S., Alunni con Bes bisogni Educativi Speciali indicazioni operative
per promuovere l’inclusione sulla base della D.M. 27/12712 e della C.m. n.8 del 06/03/13
Erickson 2013

50
2.4 La formazione degli insegnanti

Una delle esigenze primarie degli insegnanti è quella di poter usufruire di


una formazione continua, costante e approfondita che permetta loro di avere
soprattutto un bagaglio mentale intellettivo ed educativo sufficientemente forte
e collaudato, in modo da essere in grado di affrontare e padroneggiare la realtà
scolastica, realtà spesso difficile.

La formazione superiore e specialistica del corpus docente sulle situazioni


speciali viene realizzata nell’ambito del corso di laurea di scienze della
formazione primaria per gli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria o
attraverso il percorso di formazione per il conseguimento della
specializzazione per le attività di sostegno didattico per gli alunni con
disabilità. Inoltre per la formazione in itinere dei docenti delle scuole
secondarie superiori vengono attivati Master di primo e secondo Livello,
nonché corsi di perfezionamento, diretti sia ad insegnanti di sostegno che ad
insegnanti disciplinari.42

Un valido progetto riguardante l’analisi della formazione del docente


inclusivo è il progetto triennale “ formazione dei docenti per l’inclusione”
portato avanti dall’Agenzia Europea Sviluppo Alunni Disabili. In esso viene
dedicato molto spazio alla formazione iniziale dei “nuovi insegnanti inclusivi”
in quanto ciò viene ritenuto un punto di partenza cruciale nella costruzione di
una Scuola Inclusiva e di Qualità. Tale progetto, anche se non ha visto la
partecipazione dell’Italia può rappresentare un ottimo spunto di riflessione
anche per le scuola del nostro Paese.

In esso viene indicato chiaramente che i percorsi di formazione/abilitazione


all’insegnamento dovrebbero :

42
Isidori M.V., I disturbi specifici dell’apprendimento a scuola -la formazione degli

insegnanti- , Anicia 2014

51
 sviluppare la capacità dei nuovi insegnanti ad essere più inclusivi nella
pratica scolastica quotidiana
 abilitare nuovi docenti capaci nelle strategie didattiche nonché esperti
dei contenuti disciplinari.

Un obiettivo della formazione iniziale dovrebbe essere quello di aiutare i


futuri docenti a sviluppare una propria personale teoria pedagogica basata sul
pensiero critico e sulla capacità di analisi, coerente con le conoscenze, le abilità
e i valori che si riflettono nelle competenze didattiche e professionali.

I percorsi di formazione e avviamento alla professione docente dovrebbero


sviluppare un apprezzamento del ruolo che si andrà a svolgere in relazione ad
una scuola concepita come comunità di apprendimento. Le norme e i valori
culturali di cui i futuri docenti sono portatori vanno viste, nel corso della
formazione iniziale, come il necessario punto di partenza per l’acquisizione di
conoscenza ed abilità. È importate che le attività formative iniziali sviluppino
la sensibilità personale stimolando una profonda comprensione delle questioni
riguardanti la diversità e la possibilità di mettere in azione questa capacità di
comprensione.

Il passaggio da una visione politica del programma scolastico come soggetto


base dell’istruzione a corsi e didattiche interdisciplinari di insegnamento ed
apprendimento si riflette anche nei programmi dei corsi di formazione iniziale
e abilitazione all’insegnamento proposti che dovrebbero quindi basarsi su un
modello che inserisce le prassi inclusive in tutte le aree disciplinari e in tutte le
materie di studio.43

43
Agenzia Europea per lo Sviluppo dell’Istruzione degli Alunni Disabili (2012) Profilo dei
docenti inclusivi, Odense, Danimarca. European Agency for Development in Special Needs
Education

52
2.5 La valutazione dell’inclusività

L’Inclusione è un processo che coinvolge tutta la comunità scolastica, che


ne condivide i principi e si attrezza per concretizzarli nella pratica didattica ed
educativa. La rilevazione, il monitoraggio e la valutazione del grado di
inclusività della scuola sono finalizzate ad accrescere la consapevolezza
dell’intera comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi
inclusivi in relazione alla qualità dei risultati educativi. Da tali azioni si
potranno inoltre desumere indicatori realistici sui quali fondare piani di
miglioramento organizzativo e culturale. Il compito è demandato alla singola
istituzione scolastica, con modalità di lavoro che possono essere ricondotte alla
autoanalisi d’ istituto, cosi definibile: “un’attività valutativa volta ad acquisire
informazioni sulla natura dell’oggetto considerato e ad accertarne il valore e il
merito attraverso modalità rigorose e formalizzate da parte della scuola stessa,
dell’attuale funzionamento della scuola stessa, con lo scopo di promuovere un
cambiamento delle condizioni di apprendimento utile ad un più efficace
perseguimento degli obiettivi educativi della scuola stessa”. 44

L’ autoanalisi d’Istituto in questa accezione si differenzia da altre pratiche


simili, quali l’analisi organizzativa, l’autovalutazione e la riflessione interna
alla scuola in quanto:

 il suo scopo è produrre un processo di cambiamento;


 il suo oggetto è l’istituto scolastico come sottosistema organizzato
dotato di una autonomia sostanziale e inserito in un determinato contesto
ambientale;
 la sua modalità di lavoro è una valutazione interna fondata su un
accertamento sistematico della qualità dei processi e dei prodotti educativi
della scuola da parte degli stessi soggetti che operano in essa.

44
www.ctsntd-milano.net

53
I modelli a disposizione per valutare la Scuola sono molti, fra gli altri
troviamo l’Index per l’inclusione che la Circolare Ministeriale n.8/2013 indica
come uno degli strumenti utili ai fini della rilevazione, del monitoraggio e della
valutazione del grado di inclusività della scuola.

Esso è un valido strumento per l’ autovalutazione e l’automiglioramento,


rivolto alle istituzioni scolastiche che hanno come obiettivo la trasformazione
della loro cultura e delle loro pratiche per arrivare a essere delle Scuole
Inclusive.

L’attenzione viene posta:

 su tutti gli alunni della scuola, non si limita agli alunni disabili o agli
alunni con bisogni educativi speciali, ma prende in carico l’insieme delle
differenze;
 ai valori e alle condizioni dell’insegnamento e dell’apprendimento.

Secondo questo modello la vita della scuola viene analizzata secondo 3


dimensioni: culturale, politica, pratica.

La culturale si riferisce all’orizzonte dei valori, delle convinzioni, delle


abitudini: mutare le culture in senso inclusivo è il presupposto per il
cambiamento virtuoso l’obiettivo è costruire comunità e affermare valori
inclusivi; la politica riguarda la gestione della scuola e del suo cambiamento
l’obiettivo è sviluppare la scuola per tutti e organizzare il sostegno alla
diversità; la pratica concerne le attività di insegnamento e apprendimento, lo
sviluppo e la valorizzazione delle risorse l’obiettivo è coordinare
l’apprendimento e mobilitare le risorse.

Ogni dimensione contiene due sezioni; a sua volta ogni sezione è declinata
in diversi indicatori (44 in totale) che rappresentano il livello direttamente
osservabile e misurabile di un determinato aspetto sulla base di dati e situazioni
precise.

54
Ad ogni indicatore corrispondono una serie di domande che esplorano nel
dettaglio la realtà della scuola. L’analisi della scuola viene effettuata tramite
questionari con domande chiuse e aperte. I questionari, che possono essere
modificati per adattarsi al contesto e sono basati sugli indicatori, sono rivolti al
personale scolastico, alle famiglie, agli alunni.

L’autoanalisi dà alla scuola oggetti di miglioramento chiaramente definiti,


su cui basare il PAI per l’anno successivo.

55
CAPITOLO III

BES E DIDATTICA

56
3.1 La Scuola dell’educazione inclusiva

La diversità in tutte le sue forme deve essere considerata una risorsa e una
ricchezza, piuttosto che un limite, e nell’ottica dell’inclusione si deve lavorare
per rispettare le diversità individuali.

Finalità della scuola è lo sviluppo armonico e integrale della persona,


all’interno dei principi della Costituzione italiana e della tradizione culturale
europea, nella promozione della conoscenza e nel rispetto e nella
valorizzazione delle diversità individuali, con il coinvolgimento attivo degli
studenti e delle famiglie.

Tale compito diventa sempre più difficile a causa di una sempre maggiore
complessità della società odierna che inevitabilmente si riflette anche sul
mondo scolastico. Proprio per questa complessità , in ogni classe è possibile
trovare alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una
varietà di situazioni.

Il docente si troverà davanti ad una multiforme e sfaccettata galassia di


difficoltà, le più varie, le più diverse, legate ognuna a una singola storia di un
singolo alunno e della sua ecologia di vita. Sfaccettature che riuscirà a leggere
grazie anche a una sempre maggiore capacità osservativa e interpretativa .

Gli insegnanti si rendono conto sempre più che le classi sono abitate, di
norma, da alunni che percepiscono essere sempre più diversi. Ne vedono la
diversità nei processi di apprendimento, negli stili di pensiero, nelle dinamiche
di relazione e di attaccamento, nei vissuti familiari, sociali, culturali.

57
In tale contesto l’educare dovrà basarsi sull’adozione di un modello di
curricolo che faciliti l’apprendimento di tutti gli alunni nelle loro diversità e
l’inclusione dovrà rappresentare un processo in cui gli alunni, a prescindere da
abilità, genere , linguaggio, origine etnica o culturale, possano essere
ugualmente valorizzati e forniti di uguali opportunità.

Una scuola inclusiva deve tendere a rimuovere gli ostacoli che


impediscono la piena partecipazione alla vita sociale, didattica, educativa
promuovendo il diritto ad ognuno di essere considerato uguale agli altri e
diverso insieme agli altri.

L’inclusione non deve basarsi sulla misurazione della distanza da un preteso


standard di adeguatezza ma sul riconoscimento del valore della piena
partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti che possono essere
valorizzati con rispetto e forniti di uguali opportunità .

Infatti nella Scuola inclusiva si deve lavorare riconoscendo la diversità, cioè


la dissomiglianza e il discostamento da ciò che è socialmente condiviso ed
accettato, da una presunta normalità, prendendosi cura delle differenze che
possono essere considerate come originalità e singolarità.. Una scuola inclusiva
è quindi una scuola che valorizza le differenze rispondendo ai singoli bisogni
formativi, dove anche gli alunni con difficoltà di apprendimento e adattamento
hanno diritto di sviluppare le proprie potenzialità conoscitive secondo personali
ritmi di crescita e attraverso la pianificazione di interventi mirati alla
socializzazione e all’apprendimento.45

45
Ianes D., Celi F., Cramerotti A., Il piano educativo individualizzato Erickson 2003

58
Tale concetto viene spesso ripreso da Canevaro secondo il quale uno dei
punti forti del modello scolastico italiano è dato dalla possibilità di spostare
l’attenzione dall’insegnamento all’apprendimento, “cogliendo in tal modo la
pluralità dei soggetti più che l’unicità degli insegnanti , perché
l’apprendimento è di ciascuno dei soggetti che apprendono e ciascuno ha il
proprio stile di apprendimento”.46

Alla luce di quanto detto nel primo capitolo in riferimento all’interazione tra
ogni individuo e il suo ambiente , è evidente poi che, in ogni scuola inclusiva,
ogni intervento educativo debba considerare tutti i fattori ambientali e genetici
che interagiscono tra di loro e che sono responsabili di quel processo di
sviluppo che Piaget definisce il “viaggio dallo stato di individuo allo stato di
persona”.47

La scuola inclusiva, inoltre, deve possedere un modello di organizzazione


dei servizi che la faccia diventare luogo di valorizzazione delle differenze ed
avere competenze adeguate a saperle trasformare in risorse. Non è sufficiente
infatti solo saper individuare i bisogni ma bisogna saper immaginare come
trasformare le differenze in risorse.

Importante documento a livello internazionale per comprendere ciò che può


essere la scuola inclusiva è rappresentato dalle Linee Guida per le Politiche di
Integrazione dell’Istruzione dell’Unesco risalente all’anno 2009 dove viene
suggerito che “ la scuola inclusiva è un processo di fortificazione delle
capacità del sistema di istruzione di raggiungere tutti gli studenti. Un sistema
scolastico <incluso> può essere creato solo se le scuole comuni diventano più
inclusive, in altre parole diventano migliori nell’educazione di tutti gli alunni
nella loro comunità”.(…)

46 Canevaro A., Aspetti pedagogici e sociologici del modello italiano, 2007

47 Carlini A., Disabilità e bisogni educativi speciali nella scuola dell’autonomia Tecnodid
Editrice 2012

59
Promuovere l’inclusione significa stimolare il dibattito, incoraggiare
atteggiamenti positivi ed adottare strutture scolastiche e sociali che possano
affrontare le nuove richieste che oggi si presentano”48

L’inclusione si basa non sulla misurazione della distanza da un preteso


standard di adeguatezza ma sul riconoscimento del valore della piena
partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti.
Se l’integrazione tende infatti ad identificare uno stato, una condizione,
l’inclusione rappresenta così come indicato anche nelle Linee Guida un
processo, una filosofia dell’accettazione.49

Per capire meglio la differenza tra integrazione ed inclusione si può


ricorrere a quanto esposto da Fabio Dovigo nell’introduzione dell’Index per
l’inclusione in cui così si esprime. “ il paradigma a cui fa implicitamente
riferimento l’idea di integrazione è quello <assimilazionista>, fondato
sull’adattamento ad un’organizzazione scolastica che è strutturata in funzione
degli alunni <normali>. All’interno di tale paradigma, l’integrazione diviene
un processo basato principalmente su strategie per portare l’alunno disabile a
essere quanto più possibile simile agli altri. La qualità di vita scolastica del
soggetto disabile viene dunque valutata in base alla sua capacità di colmar il
varco che lo separa dagli alunni normali. Ora non solo è improbabile che
questo varco possa essere effettivamente colmato(con il carico di
frustrazione che da ciò inevitabilmente deriva), ma soprattutto è l’idea stessa
che compito del disabile sia diventare il più possibile simile a una persona
normale a creare il presupposto dell’esclusione. Porre la normalità
(qualunque cosa essa sia) come modello di riferimento significa, infatti, negare
le differenze in nome di in ideale di uniformità e omogeneità.(…).
Viceversa l’idea di inclusione si basa non sulla misurazione della distanza
da un preteso standard di adeguatezza, ma sul riconoscimento della rilevanza
della piena partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti. Se
48
AA.VV. Principi guida per promuovere la qualità nella Scuola inclusiva 2009
49
Dovigo F., fare differenze. Indicatori per l’inclusione scolastica degli alunni con bisogni
educativi speciali, Erickson, Trento 2007

60
l’integrazione l’integrazione tende a identificare uno stato, una condizione,
l’inclusione rappresenta piuttosto un processo, una filosofia dell’accettazione,
ossia la capacità di fornire una cornice dentro cui gli alunni- a prescindere
da abilità, genere, linguaggio, origine etnica o culturale- possono essere
ugualmente valorizzati, trattati con rispetto e forniti di uguali opportunità a
scuola, (…) .
Inclusione è ciò che avviene quando ognuno sente di essere apprezzato e
che la sua partecipazione è gradita.”50
Il nodo fondante è quello di una didattica davvero inclusiva, centrata sui
bisogni e sulle risorse personali, che riesca a rendere ciascun alunno
protagonista dell’apprendimento qualunque siano le sue capacità, le sue
potenzialità e i suoli limiti. Va favorita pertanto la costruzione attiva della
conoscenza, attivando le personali strategie di approccio al “sapere” ,
rispettando i ritmi e gli stili di apprendimento e assecondando i meccanismi di
autoregolazione.

Ponendo la persona al centro - quale portatrice di diritti – l’educazione


inclusiva comporta dunque dei benefici a tutti gli studenti, con o senza
disabilità o bisogni speciali, li prepara a vivere e a lavorare in una società
pluralistica promuovendo una maggiore coesione sociale.
Investire nell’inclusione significa contribuire a garantire un futuro da
cittadini attivi e responsabili a tutti i ragazzi, soprattutto quelli più vulnerabili
perché la possibilità di fruire di una buona educazione è una condizione
indispensabile per una piena inclusione sociale ed economica, soprattutto dei
più svantaggiati.
L’inclusione può essere compresa non solamente come uno strumento per
porre fine alle discriminazioni, ma piuttosto come un impegno verso la
creazione di scuole che rispettino e valorizzino la diversità e che mirino alla

50
Booth T., Ainscow M., L’index per l’inclusione Erickson Trento 2008

61
promozione della democrazia e di un set di valori fondati sull’uguaglianza e
sulla giustizia sociale affinché tutti partecipino al proprio apprendimento.
Un approccio inclusivo promuove un equo accesso alle opportunità
d’istruzione e favorisce la qualità dell’insegnamento, a beneficio di tutti i
ragazzi, non solo dei più svantaggiati.
In questo modo il sistema d’istruzione può assicurarsi che nessuno sia
lasciato indietro e che tutti realizzino il loro diritto all’istruzione raggiungendo
il loro massimo potenziale in termini di capacità cognitive, emozionali e
creative. Un approccio inclusivo promuovere l’apprendimento attivo e
cooperativo, la pianificazione didattica individualizzata e l’uso di materiali
appropriati.
Tutto ciò comporta una ristrutturazione della scuola sotto molti aspetti.
La scuola inclusiva deve prevedere un’organizzazione flessibile, una
differenziazione della didattica, un ampliamento dell’offerta formativa nonché
un innalzamento della qualità di quest’ultima, creando reti tra scuole oltre che
una rete di collaborazione e corresponsabilità tra scuola, famiglia e territorio.
Il ruolo della famiglia è fondamentale nel supportare il lavoro degli
insegnanti e nel partecipare alle decisioni che riguardano l’organizzazione delle
attività educative e rappresenta un punto di riferimento essenziale per una
corretta inclusione scolastica dell’alunno sia perché fonte d’informazioni
preziose sia perché luogo in cui avviene la continuità tra educazione genitoriale
e scolastica.
Possiamo , sinteticamente racchiudere l’analisi del processo inclusivo,
utilizzando le parole di De Vecchi che individua cinque principi chiave relativi
all’inclusione. 51
 Accettare la diversità: la diversità è una caratteristica essenziale della
condizione umana

51
www.istruzione.lombardia.gov.it

62
 Assicurare la propria partecipazione attiva: l’inclusione non vuol dire
assicurare un posto in classe. Essere inclusivi richiede uno sforzo continuo che
assicuri una partecipazione attiva dell’alunno nell’ambito pedagogico e sociale
 Sviluppare pratiche di collaborazione: l’inclusione è un processo
continuo che richiede il supporto di tutti gli interessati
 Immaginare una scuola diversa: una scuola inclusiva è una scuola
diversa che impara da se stessa e promuove il cambiamento e lo sviluppo.

63
3.2 Individuazione degli alunni con BES

In merito alle aree di disabilità e dei disturbi evolutivi la scuola può trovarsi
in una situazione in cui tali patologie o disturbi siano già stati diagnosticati e
certificati da parte di professionisti dell’ambito clinico-riabilitativo, oppure
nella condizione in cui è l’osservazione sistematica dei comportamenti e delle
prestazioni scolastiche dello studente che fa sospettare l’esistenza di limitazioni
funzionali nello studente a causa di probabili patologie o disturbi.

L’osservazione è lo strumento primario, a disposizione dei docenti, per


condurre un’azione riflessiva continua, fondante e funzionale che porti
all’acquisizione di una conoscenza globale dell’alunno.

Vari sono gli aspetti che possono essere esaminati .

Essi possono spaziare dagli interessi che l’alunno manifesta, agli eventuali
comportamenti problematici che evidenzia, dalle eventuali barriere alle risorse
a sua disposizione.

Nell’ambito dell’apprendimento e delle applicazione delle conoscenze può


essere esaminata la capacità di attenzione, di memorizzazione, di
concentrazione, la capacità espressiva in forma sia scritta che orale, la capacità
di lavorare in modo autonomo, la capacità di controllare il proprio
comportamento.

Nell’ambito della comunicazione può essere esaminata la capacità di


manifestare il proprio vissuto, i propri stati d’animo, le emozioni, le idee, la
capacità di relazionarsi.

Più delicata è la situazione dei BES dell’area dello svantaggio


socioeconomico, linguistico, culturale in cui è l’ osservazione sistemica dei
comportamenti e delle prestazioni scolastiche dello studente che fa sospettare

64
con fondatezza il prevalere dei vissuti personali dei ragazzi o dei fattori
dell’ambiente di vita quali elementi ostativi dell’apprendimento.

L’individuazione degli alunni in situazione di BES e la scelta di un


intervento didattico specifico, non può quindi avvenire se non dopo una
rilevazione dell’esistenza di difficoltà nelle attività scolastiche, a cui segue
un’osservazione sistematica per raccogliere dati oggettivi, vagliata attraverso
un confronto tra adulti ed integrata con una valutazione degli elementi
contestuali che possono essere concausa delle difficoltà, ovvero mitigarle o
accentuarle.

Utile per un’osservazione oggettiva può essere la predisposizione di tabelle


per rendere quanto più l’osservazione oggettiva e sistematica. Quella sotto
riportata può essere un esempio.

65
Impegno  costante
 alterno
 superficiale
 incostante
Partecipazione e interesse  vivo
 discreto
 limitato ad alcune attività
 saltuario
 passivo
Autonomia  efficace in attività adeguate
 efficace in attività semplici
 richiede mediazioni
 va guidato costantemente
Comportamento  rispettoso e corretto
 vivace ma corretto
 irrequieto
 oppositivo
 non corretto, a volte
aggressivo
Relazione con pari  serena/aperta
 riservata
 conflittuale/oppositiva
 limitata/elitaria
 isolato
Relazione con adulti  rispettosa
 timida
 conflittuale/oppositiva
Comprensione Ha difficoltà in:
 conoscenza lessicale

66
 comprensione semantica
 comprensione d’ascolto
Attenzione  prolungata
 media
 alterna
 tempi ridotti/molto brevi
Memoria Ha difficoltà in:
 memoria di lavoro
 memoria a breve termine
 memoria a lungo termine
 memoria verbale
 memoria uditiva
 memoria visuo-spaziale
 memoria cinestesica
Modi dell’apprendimento Ha difficoltà in:
 formulazione di ipotesi
 procedere per anticipazioni e
inferenze
 operare con il conflitto
cognitivo
 realizzare il monitoraggio e
l’autovalutazione del proprio
operare
 portare a termine il lavoro in
tempi adeguati

Principali strumenti di valutazione funzionale nelle aree emotivo/affettiva e


intellettiva per diverse tipologie di BES sono quelle di seguito riportati.52

52
Isidori M.V. Bisogni Educativi Speciali FrancoAngeli Editore 2016

67
Per la valutazione emotivo-affettiva possono essere usati:

 il test ACESS che nasce quale risultato di una ricerca sulle variabili che
possono influenzare o essere influenzate da successo scolastico. È uno
strumento multidimensionale, poiché valuta diverse dimensioni quali il livello
di adattamento al contesto scolastico, di controllo dell’emotività, di identità
corporea, di adattamento sociale e delle relazioni familiari.
 il test TMA che propone quale ambito di attenzione valutativo la
dimensione dell’autostima, declinata in 6 aree di interesse: relazioni
interpersonali, competenza di controllo sull’ambiente, emotività, successo
scolastico, vita familiare e vissuto corporeo.
 Lo Youth Self Report che è un questionario di autovalutazione
multiassiale, che valuta le competenze sociali e i problemi emotivo-
comportamentali di bambini e adolescenti di età compresa tra gli 11 e i 18 anni.

Per la valutazione delle abilità intellettive possono essere usati:

 Le Matrici di Raven che vengono considerate elettive per la


misurazione dell’intelligenza fluida. Vi sono differenti tipi di matrici, da
utilizzare per diversi tipi di soggetti in relazione all’età dei soggetti
 Le Matrici Progressive Colorate, utilizzate per bambini da 4 a 11 anni,
adulti di basso livello intellettivo o anziani c costituite da tre serie di tavole (A,
Ab, B)
 Le Matrici Progressive Standard, utilizzate per soggetti dai 12 agli 80
anni e costituite da cinque serie di tavole (A,B,C,D,E)
 Le Matrici Progressive Avanzate, rivolte ad adolescentie adulti con
abilità di tipo superiore.
 Le Scale Wechsler che vanno ad analizzare le componenti cognitive in
maniera più analitica anche al fine di individuare possibili aree carenti; rispetto
a tale necessità e alla necessità di individuare prove affidabili si utilizzano, in
relazione all’età dei soggetti, la

68
 WPPSI (Wechsler Preschool and Primary Scale of Intelligence) giunta
alla terza revisione
 WISC (Wechsler Adult Intelligence Scale), giunta alla quarta revisione

Identificare un alunno come BES significa riconoscere per lui la necessità e


la convenienza non solo di un percorso didattico diverso da quello dei
compagni ma anche di una sua ufficializzazione, come assunzione formale di
impegni e responsabilità da parte della scuola e, se possibile, anche della
famiglia.

Una valutazione di convenienza deve considerare gli aspetti positivi e


negativi dell’intervento e prevedere, con ragionevole certezza, che i vantaggi
saranno prevalenti.

Scelte di questo tipo, infatti, non hanno solo aspetti positivi.

Differenziare formalmente il percorso didattico di un alunno rispetto a


quello dei compagni può comportare , a parte le complicazioni organizzative,
ricadute anche gravi nel campo dell’autostima, dell’accettazione, del rapporto
con i compagni, delle tensioni familiari e altro.

Sono rischi che vanno previsti, valutati, analizzati (prevedendo e attuando


eventuali correzioni) e confrontati con i benefici previsti o attesi.

Questa valutazione è fortemente condizionata dal contesto e quindi uno


stesso alunno può essere considerato BES in una realtà scolastica e non in
un’altra.

È una situazione ovviamente inconcepibile per la disabilità e i DSA : un


alunno dislessico, ad esempio, rimane tale anche se cambia classe, mentre per i
BES potrà accadere che un alunno potrà avere necessità di una
personalizzazione formalizzata in una scuola mentre in un’altra potrà non
essercene bisogno.

69
3.3 PEI e PDP

Poichè non è possibile elaborare percorsi specifici per alunni che non si
conoscono bene, il Piano didattico personalizzato non può essere elaborato il
primo giorno di scuola .

Nel caso di disturbo specifico di apprendimento, con diagnosi specialistica,


con documentazione rilasciata da una struttura pubblica, si ha diritto ai benefici
previsti dalla legge 170 in termini di strumenti compensativi e misure
dispensative, e pertanto deve essere predisposto , entro il mese di novembre
dell’anno scolastico di riferimento, un piano didattico personalizzato.

Nel caso di alunni con bisogni educativi speciali tali bisogni vengono
riconosciuti dai docenti e sarà il consiglio di classe o il team docente ad
elaborare il PDP.

È ragionevole pensare che è necessario un tempo di osservazione che è


diverso a seconda della situazione.

Infatti mentre è chiaro che un alunno straniero appena giunto in Italia avrà
subito bisogno di un piano didattico personalizzato, sarà necessario un tempo
più lungo di osservazione nei casi di deprivazione socio culturale o di
generiche e persistenti difficoltà scolastiche.

Successivamente all’acquisizione della documentazione clinica o del


periodo di osservazione sarà necessario coordinare le conoscenze e gli
interventi di dirigente scolastico, famiglia, referente BES, team docente o
consiglio di classe. Solo allora il PDP sarà significativo e potrà essere
consegnato alla famiglia.

In esso si troveranno indicati dati anagrafici, tipologia del disturbo o di


difficoltà, attività di individualizzazione e personalizzazione di carattere

70
didattico-educativo, strumenti compensativi, misure dispensative, verifica e
valutazione, patto con la famiglia.

Il PDP deve spiegare i punti di forza e le caratteristiche dell’allievo, è un


patto con le famiglie e pertanto deve essere condiviso, è l’opportunità per usare
nuove metodologie didattiche, che si rilevano benefiche anche per gli altri
studenti, non deve genericamente elencare ciò che l’allievo non sa fare, non è
fisso e immutabile ma evolve con l’evolversi e il mutare delle condizioni dello
studente.

Nel caso di uno studente delle superiori con DSA o con BES , pienamente
consapevole delle proprie caratteristiche di apprendimento, consapevole dei
propri punti di forza e dei propri punti di caduta sarà utilissimo che il referente
DSA o BES oppure il coordinatore di classe o anche un docente con cui il
ragazzo o la ragazza si sentono a proprio agio , possa avviare una riflessione su
cosa sia meglio fare o non fare di fronte allo studio delle varie discipline, ciò
metterà in moto nello studente una vera dimensione metacognitiva del proprio
stile di apprendimento e sarà lo stesso studente a comunicare quali strumenti
compensativi e quali misure dispensative senta consone o ancora quali
modalità organizzative del lavoro scolastico gli consenta, ad esempio, di
contenere l’ansia, o gli permetta una maggiore autonomia di studio.

In altre parole se lo studente DSA o BES sarà coinvolto in prima persona


nella redazione del proprio PDP questa consapevolezza e questa
responsabilizzazione si tradurrà in un trampolino di lancio per un reale
benessere nella vita scolastica.53

Se per gli alunni con disabilità viene redatto un piano educativo


individualizzato, per gli altri alunni con bisogni educativi speciali viene invece

53
Gabrielli R. Anno nuovo documentazione nuova tratto da BES e DSA in classe , rivista
pratica per l’inclusione scolastica, n. 3 , settembre 2014

71
redatto un piano didattico personalizzato con caratteristiche nettamente
contrapposte.
Alla base del Piano educativo individualizzato troviamo infatti la diagnosi
funzionale che è la descrizione analitica della compromissione funzionale dello
stato psicofisico dell’alunno , essa deve contenere l’anamnesi familiare, gli
aspetti clinici e gli aspetti psicosociali ed è redatta dalle ASL.
La diagnosi funzionale oltre alla compromissione psicofisica deve registrare
anche le effettive potenzialità dell’alunno in ordine agli aspetti : cognitivo (
livello di sviluppo raggiunto), affettivo-relazionale ( autostima e rapporto con
gli altri), linguistico ( capacità di comprensione, produzione e linguaggi
alternativi), sensoriale ( tipo e grado di deficit sensoriale), motorio-prassico (
motricità globale e motricità fine), neuropsicologico (memoria, attenzione,
organizzazione spazio-temporale), autonomia ( personale e sociale).
Successivamente alla diagnosi funzionale viene redatto il Profilo Dinamico
Funzionale. Esso è un documento che raccoglie la sintesi conoscitiva, riferita al
singolo alunno, relativamente alle osservazioni compiute sullo stesso in
contesti diversi, da parte di tutti i differenti operatori che interagiscono con lui:
famiglia, scuola, servizi.
Ha lo scopo di integrare le diverse informazioni già acquisite ed indicare,
dopo il primo inserimento scolastico, "il prevedibile livello di sviluppo che
l’alunno potrà raggiungere nei tempi brevi (sei mesi) e nei tempi medi (due
anni)".54

Questo documento "indica le caratteristiche fisiche, psichiche, sociali ed


affettive dell'alunno e pone in rilievo sia le difficoltà di apprendimento
conseguenti alla situazione di handicap, con relative possibilità di recupero, sia
le capacità possedute che devono essere sostenute, sollecitate

54
D.P.R. 24/02/94

72
progressivamente, rafforzate e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali della
persona handicappata". 55
Ha lo scopo di condividere le informazioni che delineano il funzionamento
della persona nei diversi contesti di vita al fine di individuare le possibili aree
di sviluppo e definire i relativi obiettivi su cui basare gli interventi riabilitativi,
educativi e didattici.
Esso viene redatto dalle Asl in collaborazione con il personale insegnante e i
familiari o gli esercenti la patria potestà e costituisce la premessa per la
redazione del Piano Educativo Individualizzato ( PEI) che è il documento
conclusivo e operativo nel quale vengono descritti gli interventi integrati ed
equilibrati tra loro, predisposti per l'alunno con disabilità, per un determinato
periodo di tempo, ai fini della realizzazione del diritto all'educazione e
all'istruzione, di cui ai primi quattro commi dell'art.12 della Legge 104/92.56
La strutturazione del P.E.I. è complessa e si configura come mappa
ragionata di tutti i progetti di intervento: didattico-educativi, riabilitativi, di
socializzazione, di integrazione tra scuola ed extra-scuola.
Esso è redatto da tutti coloro che, in modi, livelli e contesti diversi, operano
per "quel determinato soggetto in situazione di handicap” .

La stesura di tale documento diviene così il risultato di un'azione congiunta,


che acquisisce il carattere di progetto unitario e integrato di una pluralità di
interventi espressi da più persone concordi sia sull'obiettivo da raggiungere che
sulle procedure, sui tempi e sulle modalità sia degli interventi stessi che delle
verifiche.
Partendo dalla sintesi dei dati conosciuti e dalla previsione degli interventi
prospettati, specifica le azioni che i diversi operatori mettono in atto
relativamente alle potenzialità già rilevate nella Diagnosi Funzionale e nel
Profilo Dinamico Funzionale.

55
D.L. 297/94
56
D.P.R. 24/02/94

73
A partire dal PEI , documento previsto dalla Legge 104 verrà poi
predisposta una programmazione curricolare differente da quella prevista dalla
classe.

Altre caratteristiche presenta invece il Piano Didattico Personalizzato (


PDP) predisposto per venire incontro alle esigenze “speciali” degli alunni in
difficoltà, sia quelli con disturbi specifici dell’apprendimento e con disturbi
evolutivi specifici, sia quelli in condizioni di svantaggio socio-culturale che per
periodi o temporanei o più o meno stabili vivono condizioni di disagio
all’interno della famiglia e della società( precarie condizioni economiche,
malattie di genitori o familiari stretti, lutti, adozioni) ma anche per quelli
scarsamente dotati e motivati a causa della povertà o della diversità culturale
del contesto familiare, alunni dal comportamento oppositivo con bassa
autostima, che Ianes definisce “ arrabbiati”,57 sia per quegli alunni stranieri il
cui potenziale di apprendimento è limitato alla scarsa conoscenza della lingua
italiana e da una ancora precaria integrazione.
Per tutti questi alunni la normativa prevede l’attivazione di un PDP in cui
siano esplicitate le motivazioni didattiche e pedagogiche che hanno indotto i
docenti a valutare l’alunno come BES , gli obiettivi previsti e soprattutto le
metodologie personalizzate attraverso cui produrre i risultati auspicati.

Per quanto riguarda gli alunni stranieri la circolare n.2563 del 22/11/2013
ha cambiato la precedente normativa precisando che gli alunni stranieri che
possono beneficiare di un PDP devono essere:

 neo arrivati in Italia


 di lingua non latina
 di età superiore ai tredici anni

57
Ianes D., Bisogni Educativi Speciali e inclusione Erickson 2005

74
Per tutti gli altri alunni di diversa nazionalità e provenienza che non
rispondono al profilo sopra descritto la Circolare di riferimento è la 8/2013
che, relativamente all’integrazione degli alunni stranieri, prevede l’attivazione
di corsi e di interventi didattici finalizzati all’apprendimento della lingua
italiana.

Nella stessa Circolare viene anche indicato quando attivare, in presenza di


difficoltà di apprendimento, il PDP .

Per quelle lievi e transitorie non viene prevista l’attivazione di un PDP ma


forme di personalizzazione del curricolo di tipo informale.

Diverso è invece il caso di disturbi più complessi e stabili nel tempo e dei
DSA, per i quali sono necessari interventi più strutturati.

Il piano didattico personalizzato quindi è previsto per :

 alunni con disturbi specifici di apprendimento e disturbi evolutivi


specifici con certificazione.
 alunni per i quali lo specialista, chiamato ad accertare il disturbo, rilasci
una diagnosi clinica che, per bassi livelli di gravità, non ha dato luogo a
certificazione.
 alunni con difficoltà, privi di certificazione e diagnosi, per cui è il
Consiglio di Classe a decidere di attivare un PDP, in riferimento a motivazione
didattiche e pedagogiche.

Mentre , come detto prima, a partire dal PEI viene predisposta una
programmazione curricolare differente da quella prevista dalla classe, il PDP
consente di diversificare le metodologie, i tempi e gli ausili didattici per
l’attuazione di una programmazione curricolare che rimane uguale a quella
prevista per la classe di appartenenza.

Il piano didattico personalizzato è lo strumento mediante il quale gli


insegnanti possono attivare un percorso personalizzato nella linea dell’equità e

75
della piena inclusione. A tal proposito nella Circolare n.8/2013 si legge : “ In
questa nuova e più ampia ottica, il Piano Didattico Personalizzato non può più
essere inteso come mera esplicitazione di strumenti compensativi e dispensativi
per gli alunni con DSA; esso è bensì lo strumento in cui si potranno, ad
esempio, includere progettazione didattico-educative calibrate sui livelli
minimi attesi per le competenze in uscita ( di cui moltissimi alunni con BES,
privi di qualsivoglia certificazione diagnostica, abbisognano), strumenti
programmatici utili in maggior misura rispetto a compensazioni o dispense, a
carattere squisitamente didattico-strumentale.”“ Ove non sia presente
certificazione clinica o diagnosi, il Consiglio di Classe o il team dei docenti
motiveranno opportunamente, verbalizzandole, le decisioni assunte sulla base
di considerazioni pedagogiche e didattiche; ciò al fine di evitare contenzioso.”

Il PDP è la diretta e coerente conseguenza della normativa scolastica degli


ultimi decenni nella quale è stata posta sempre maggiore attenzione alla
realizzazione del successo nell’apprendimento e alle problematiche
dell’abbandono scolastico.

Il tipo di intervento da predisporre è fondamentale .

Quando identifica l’alunno come BES la scuola deve aver già chiaro il tipo
di intervento che intende attuare con quello specifico alunno, a supporto delle
sue difficoltà, perché solo in questo modo è possibile una consapevole
valutazione di convenienza.

Paradossalmente si può dire che gli alunni nei confronti dei quali ci si sente
impotenti perché non si sa cosa fare per loro, per quanto evidenti e gravi siano i
loro bisogni educativi, non possono essere considerati BES finchè non si sarà
in grado di dire come si intende effettivamente personalizzare il loro percorso
per poter valutare se esso sarà opportuno e conveniente.

Solo per il PDP dei DSA la normativa , nelle linee guida del 2011 , definisce
i contenuti del documento di programmazione.

76
Quanto espresso per il PDP dei DSA può essere un riferimento importante,
da prendere in considerazione come spunto di riflessione anche per gli altri
BES, ma non è assolutamente proponibile una sua automatica estensione
essendo l’approccio per i DSA troppo orientato verso strategie
compensative/dispensative, difficilmente applicabili in altri contesti senza
sostanziali correttivi.

Sia che sia riferito ai DSA che agli alunni con BES , il primo obiettivo del
PDP è proprio quello di individuare un sistema efficace per portare l’alunno a
superare i propri limiti ed arrivare veramente ad imparare attraverso una
didattica che tenga conto delle sue specificità, valorizzando le potenzialità.

Spesso purtroppo questo piano è concepito dalle scuole come una lista di
strumenti compensativi e misure dispensative, eventualmente con la
definizione di qualche criterio di valutazione, mentre del tutto secondaria
appare la sezione in cui viene esplicitato come la scuola intende adattare le sue
modalità di insegnamento per far conseguire all’alunno, nonostante le
difficoltà, un autentico successo formativo.

Per tutti , ma tanto più per i BES, non i DSA, occorre ribaltare le posizioni
e ribadire che esiste una gerarchia funzionale, che va rispettata:

 prima di tutto vengono gli interventi di tipo abilitativo, ossia didattico-


educativo, finalizzati a dare abilità e competenze.
 quando l’intervento abilitativo non è efficace si può ricorrere, se esiste,
ad un intervento di tipo compensativo, individuando un sistema alternativo per
raggiungere, almeno in modo parziale o in alcune limitate circostanze, risultati
funzionalmente equivalenti.

Uscendo dall’ambito ristretto dei DSA e parlando in generale di BES, le


situazioni in cui non esistono vere strategie compensative rappresentano la
regola , non più l’eccezione. Non ha senso inserire forzatamente in tutti i PDP
degli alunni con BES una sezione dedicata agli strumenti compensativi, come

77
per i DSA, ma essa dovrà derivare da un aspecifica scelta da considerare e
valutare in base al tipo di bisogno segnalato.

Per quanto riguarda le misure dispensative per alcuni di loro alcune forme di
dispensa possono essere necessarie per evitare inutili e rischiose situazioni di
forte disagio, tali da compromettere l’intero successo formativo, ma non
possono essere considerate, così come gli strumenti compensativi, elemento
indispensabile di un PDP, così come è previsto per i DSA.

In ogni caso è bene ricordare che per tutti, DSA e altri BES, le misure
dispensative:

 rappresentano una semplice presa d’atto della situazione, ma non


modificano le competenze.
 riguardano prestazioni, non obiettivi didattici(si può dispensare da
svolgere delle attività, non da imparare qualcosa).
 hanno lo scopo di evitare che il disturbo o la difficoltà possa comportare
un generale insuccesso scolastico con ricadute personali anche gravi.
 dipendono dagli altri e non danno autonomia.
 quando sono riferite ad attività importanti per lo studio, vanno sempre
accompagnate da sistemi alternativi per svolgere in modo diverso e,
possibilmente in autonomia, le medesime prestazioni richieste ai compagni.

Molto più efficace della dispensa risulta per i BES una strategia di
facilitazione.

Facilitare non significa fare uno sconto, esonerare da un’attività considerata


troppo difficile, ridurre gli obiettivi, accontentarsi di meno. Facilitare significa
fornire degli aiuti che portano a raggiungere , pur con strategie diverse e se
necessario in tempi diversi, gli obiettivi propri dell’età.

L’aiuto veramente finalizzato all’autonomia non deve essere mai eccessivo,


non deve essere deresponsabilizzante, deve essere programmato verso
l’estinzione, deve essere inserito quindi in un percorso che, a passi lenti ma

78
regolari, porti ad un metodo di studio autonomo eliminando progressivamente
le varie forme di aiuto diretto.

Nel PDP le facilitazioni saranno inserite e descritte tra le strategie didattiche


perché non ha senso proporre un’altra categoria, come gli strumenti
compensativi o le misure dispensative.

C’è il rischio che le nuove attenzioni verso gli alunni in difficoltà siano
considerate dalle scuole come una serie di adempimenti burocratici in più,
onerosi, se non vessatori.

La riscoperta attenzione verso gli alunni con bisogni educativi speciali va


vissuta realmente, non solo a parole, come un’opportunità per le scuole, ossia
come la “possibilità” non l’obbligo, di fare quello che serve e si ritiene davvero
utile, comprese alcune cose che prima sembravano impossibili, o quantomeno
di dubbia legittimità, come formalizzare un percorso diverso anche per chi non
ha portato a scuola documenti o certificati particolari diagnosi mediche, e la
centralità della scuola in questo campo deve essere fuori discussione. 58

58
Fogarolo F. , Rivista dell’Istruzione , Maggioli , gennaio/aprile 2014 BES ovvero la rivincita

della pedagogia

79
3.4 Le misure dispensative e gli strumenti compensativi

Come accennato nel precedente paragrafo nel PDP possono essere, anche se
non necessariamente, presenti appositi provvedimenti dispensativi e
compensativi di flessibilità didattica di cui gli alunni con BES hanno diritto a
fruire nel corso dei cicli di istruzione e formazione e negli studi universitari.

Ad essi le istituzioni scolastiche devono garantire:

 l’uso di una didattica individualizzata e personalizzata, con forme


efficaci e flessibili di lavoro scolastico che tengano conto anche di
caratteristiche peculiari dei soggetti adottando una metodologia e una strategia
educativa adeguate.
 l’introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di
apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure
dispensative da alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei
concetti da apprendere.
 per l’insegnamento delle lingue straniere, l’uso di strumenti
compensativi che favoriscano la comunicazione verbale e che assicurino ritmi
graduali di apprendimento, prevedendo anche, ove risulti utile, la possibilità
dell’esonero.

Le suddette misure devono essere sottoposte periodicamente a monitoraggio


per valutarne l’efficacia e il raggiungimento degli obiettivi.59

59
Terzi L., l’approccio delle capacità applicato alla disabilità: verso la giustizia nel campo
dell’istruzione. In AA.VV., ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità
Erickson 2009

80
Le misure dispensative esimono l’alunno dall’effettuazione di alcune
prestazioni, soprattutto a carattere strumentale. Il presupposto da cui si parte
per esonerare l’alunno è che l’effettuazione di tali prove non abbia il carattere
del miglioramento dell’apprendimento, ma anzi abbia come possibile e diretta
conseguenza l’affaticamento, la stancabilità e un impatto negativo anche sul
vissuto emotivo dell’alunno.

Esse possono essere a seconda della disciplina e del caso:

 la lettura ad alta voce.


 la scrittura sotto dettatura.
 prendere appunti.
 copiare dalla lavagna.
 il rispetto della tempistica per la consegna dei compiti scritti.
 la quantità eccessiva dei compiti a casa.
 l’effettuazione di più prove valutative in tempi ravvicinati.
 lo studio mnemonico di formule, tabelle, definizioni.
 la sostituzione della scrittura con linguaggio verbale e/o iconografico.

Per quanto riguarda gli strumenti compensativi l’alunno può usufruire di


strumenti compensativi che gli consentono di compensare le carenze
funzionali.

Tra i principali strumenti vengono riportati i seguenti:

 la tabelle delle misure e delle funzioni geometriche.


 il computer con programma di videoscrittura, correttore ortografico,
stampante e scanner.
 la calcolatrice o computer con foglio di calcolo e stampante.
 il registratore e le risorse audio(sintesi vocale, audiolibri, libri digitali).
 software didattici specifici.
 computer con sintesi vocale.
 vocabolario multimediale.

81
Al di là dell’obbligatorietà o meno delle misure compensative e dispensative
è importante che , qualora si decida di adottarle, gli insegnanti condividano con
i compagni di classe le ragioni dell’applicazione di questi strumenti.

L’alunno con BES non deve sentirsi discriminato o inferiore agli altri e i
compagni non devono viverlo come un ingiusto favoritismo.

Da tener presente comunque che il primo strumento compensativo è un


efficace metodo di strudio. Un efficace metodo di studio deve prevedere: 60
1) strategie organizzative : gestire il tempo, gestire gli spazi, l’ascolto, gli
appunti;
2) strategie per comprendere : lettura sia globale che analitica,
comprensione ( survey, question, read, recall, review);
3) questionari autoosservativi;
4) strategie per memorizzare : rime e ritmi, elaborazioni semantiche,
immagini, parole chiave, associazioni;
5) organizzatori grafici : mappe concettuali, mappe mentali, schemi e
tabelle, diagrammi e linee del tempo;

60
Capuano A., Storace F., Ventriglia L., BES e DSA . La scuola di qualità per tutti.

Librieliberi

82
3.5 Strategie didattiche inclusive

Le metodologie e le strategie educative devono essere volte a:

 ridurre al minimo i modi tradizionali di fare scuola ( lezione frontale,


completamento di schede che richiedano ripetizione di nozioni o applicazioni
di regole memorizzate, successione di spiegazione-studio interrogazioni);
 sfruttare i punti di forza di ciascun alunno, adottando i compiti agli stili
di apprendimento degli studenti e dando varietà e opzioni nei materiali e nelle
strategie d’insegnamento;
 utilizzare mediatori didattici diversificati ( mappe, schemi, immagini);
 collegare l’apprendimento alle esperienze e alle conoscenze pregresse
degli studenti;
 sollecitare la rappresentazione di idee sotto forma di mappe da
utilizzare come facilitatori procedurali nella produzione di un compito;
 far leva sulla motivazione ad apprendere ;
 favorire l’utilizzazione immediata e sistematica delle conoscenze e
abilità, mediante attività di tipo laboratoriale;
 favorire attività di gruppo.

Per quanto riguarda la didattica laboratoriale essa si propone come didattica


attiva ed è caratterizzata da tre fasi : comprensione, elaborazione,
metabolizzazione dell’esperienza vissuta . L’obiettivo è quello di coniugare
funzionalmente tra loro la cognizione, intesa come acquisizione di conoscenze,
l’affettività ( riflessione critica su tali conoscenze rispetto a se stessi) e le
abilità ( dimensione operativa e messa in pratica consapevole di quanto
acquisito).

Tale didattica risulta maggiormente efficace se affiancata da tecniche di


tipo simulativo .

83
Per quanto riguarda i metodi di gruppo essi possono essere elettivi per la
risoluzione di un problema , per scoprire il funzionamento di un processo, per
interpretare un brano di lettura, per osservare e capire il comportamento dei
sistemi viventi, per drammatizzare i fatti storici, per l’apprendimento diretto di
una competenza.

Importante è la formazione dei gruppi.

Per quanto riguarda i metodi di formazione dei gruppi i più noti sono:

 procedura randomizzata
Si tratta del metodo più semplice che comporta il dividere il numero degli
studenti nella classe per l’entità del gruppo desiderata [ es 30 studenti/3 = 3
gruppi da 10 e assegnare loro un numero ( ad esempio da 1 a 10) infine è
necessario raggruppare gli studenti con lo stesso numero ( ad esempio tutti i
numeri cinque);
 personaggi letterari o storici
Ad ogni studente viene dato un cartellino con i nomi dei personaggi letterari
o storici. I personaggi vengono raggruppati in base all’epoca in cui sono vissuti
o in base all’opera teatrale;
 procedura randomizzata per livelli
Si identificano una o due caratteristiche degli studenti e si assicura che uno
o più studenti di ogni gruppo abbia le stesse caratteristiche;
 preferenze
Si fa scrivere a ogni soggetto lo sport preferito, oppure il cibo, la musica, gli
animali e poi si chiede ai ragazzi di cercare compagni che abbiano le stesse
predilezioni.

All’interno del gruppo si dovranno riscontrare vari ruoli: il leader ( guida il


gruppo, controlla l’ordine degli interventi, la rumorosità del gruppo ), il
reporter ( espone agli altri il lavoro del gruppo cui appartiene) ,il verbalizzatore
( prende appunti, raccoglie dati importanti per aiutare il reporter nella

84
presentazione del lavoro) ,il timer ( controlla i tempi di lavoro, stimola il
gruppo a restare nei tempi stabiliti).

In tutti i casi è comunque necessario assegnare funzioni semplici, operare


una rotazione dei ruoli.61

Tra le strategie didattiche più appropriate per il potenziamento degli


apprendimenti negli alunni con BES e non solo, troviamo metodologia
metacognitiva, Peer Education , tecnologie didattiche e flipped classroom.
Qualunque sia la strategia didattica che si mette in atto , essa dovrà essere
finalizzata a determinare il successo scolastico dell’alunno con BES,
inserendolo nel circolo vizioso del successo e distogliendolo dal circolo vizioso
dell’insuccesso. 62

61
Isidori M.V., I disturbi specifici dell’apprendimento a scuola -la formazione degli
insegnanti- , Anicia 2014
62
www.comprensivodesulo.org.it Berretti S. Psicopatologia dello sviluppo a scuola

85
Il circolo vizioso dell’insuccesso

Ripetuti fallimenti
frustrazione

demotivazione
evitamento compito
bassa autostima

il circolo virtuoso del successo

esperienze soddisfazione
successo

motivazione impegno buona autostima

86
Gli alunni dovranno , per avere successo formativo, acquisire resilienza
vista come la capacità di fronteggiare situazioni di crisi attivando energie e
risorse al fine di proseguire lungo una traiettoria di crescita.
Nell’ambito della didattica inclusiva importante è anche la gestione degli
ambienti. La classe va gestita come un setting inclusivo attraverso il
decentramento della cattedra e dell’insegnante che diventa regista invisibile,
attraverso una diversa distribuzione dei banchi per la partecipazione di tutti.
Una classe inclusiva privilegia il lavoro cooperativo e una disposizione dei
banche a raggiera, in circolo o con i banchi a due a due frontali in modo tale da
facilitare la comunicazione attraverso gli sguardi.

87
3.5.1 Didattica metacognitiva

L’approccio metacognitivo tende a formare la capacità di essere gestori dei


propri processi cognitivi, dirigendoli attivamente con valutazioni ed indicazioni
operative personali. La didattica metacognitiva mira infatti a rendere
consapevole l’allievo dei suoi processi cognitivi e metterlo in grado di
controllarli, sceglierli, migliorarli. Tale approccio offre all’insegnante maggiori
sicurezze sulle conoscenze da veicolare , sui processi cognitivi da innescare ,
sul tipo e sulla qualità dell’integrazione che dovrebbe instaurare.

Nell’ottica metacognitiva l’attenzione dell’insegnante non è tanto rivolta


all’elaborazione di materiali o metodi nuovi per “ insegnare come fare a…”
quanto al formare quelle abilità mentali superiori che vanno al di là dei
semplici processi cognitivi primari ( leggere, calcolare, ricordare).

Questo andare al di là della cognizione significa sviluppare nell’alunno la


consapevolezza di quello che sta facendo, del perché lo fa, di quanto è
opportuno farlo e in quali condizioni. L’approccio didattico metacognitivo
origina nell’ambito della psicologia cognitiva e viene applicato con risultati
positivi sia a livello della metodologia didattica rivolta alla generalità degli
alunni, sia negli interventi di recupero e sostegno di quelli con difficoltà di
apprendimento, oltre che nell’educazione specializzata per gli alunni con
deficit più gravi. L’approccio metacognitivo consente agli insegnanti di non
separare rigidamente i necessari interventi di recupero o sostegno
individualizzato dalla didattica normale rivolta all’intera classe.63

Con il termine metacognizione si intende l’ insieme delle conoscenze che


ogni individuo possiede sul proprio funzionamento cognitivo e le diverse forme

63
Ianes D. Bisogni educativi speciali e inclusione, Erickson 2005

88
di controllo che è in grado di attuare prima, durante e dopo l’esecuzione di un
compito. 64
La metodologia metacognitiva interviene su quattro piani strettamente
interconnessi:
 conoscenze sul funzionamento cognitivo generale ( teorie della mente)
che possono scaturire da informazioni fornite agli alunni sui processi cognitivi
generali, sui loro limiti e sulla possibilità di influenzarli, a partire
dall’esplicitazione delle convinzioni personali che gli stessi hanno al riguardo,
in modo da renderli consapevoli della varietà e della complessità delle diverse
attività mentali. L’assunto fondamentale è che le conoscenze metacognitive
generali siano in grado di influenzare i processi di controllo e autoregolazione
delle attività cognitive.
 acquisizione di autoconsapevolezza in ordine al proprio funzionamento
cognitivo.
In questa fase gli allievi sono spinti verso l’introspezione e l’autoanalisi del
proprio funzionamento mentale e dei suoi limiti, che essi devono poter cogliere
in assoluta serenità, senza che ciò sia percepito come una minaccia alla propria
immagine ed al proprio senso di autostima.
 uso generalizzato di strategie di autoregolazione cognitiva, tutte
strutturalmente caratterizzate da una chiara individuazione degli obiettivi e
delle procedure, un costante monitoraggio del processo, una rigorosa
valutazione dei risultati prodotti. Siccome, soprattutto nel caso di alunni
svantaggiati, molti dei processi di autoregolazione sviluppati spontaneamente
dagli allievi potrebbero non risultare del tutto efficaci e soddisfacenti, i neo-
cognitivisti ritengono che sia possibile insegnarli in modo esplicito e diretto,
attraverso la presentazione di strategie utili allo svolgimento di diverse
tipologie di compiti di apprendimento, memoria o problem solving.

64
dida.orizzontescuola.it

89
 rilevazione di variabili psicologiche di natura psico-affettiva, interagenti
coi processi cognitivi.
A questo livello vengono prese in esame altre componenti altrettanto
importanti nel determinare la qualità delle performances scolastiche. Si tratta di
aspetti inerenti l’immagine di sé come persona che apprende, ovvero i
significativi affettivi connessi alle attività di apprendimento. Tra i fattori presi
in esame troviamo: il locus of control, ovvero la tendenza ad attribuire a sé o
all’esterno la responsabilità di successi e insuccessi; lo stile di attribuzione,
ovvero l’utilità attribuita alle strategie ed alle procedure di controllo; la
percezione di autoefficacia, ovvero la fiducia nelle proprie capacità di
raggiungere gli obiettivi attesi. 65

Di particolare interesse appaiono le implicazioni di carattere didattico


offerte dall’approccio meta cognitivo nei BES. Anche nel caso dei BES
l’obiettivo della didattica meta cognitiva è quello largamente condiviso nel
campo dell’apprendimento e dell’educazione in generale: offrire agli alunni
l’opportunità di imparare a interpretare, organizzare e strutturare le
informazioni ricevute dall’ambiente e la capacità di riflettere su questi processi
per divenire sempre più autonomi nell’affrontare situazioni nuove. L’obiettivo
è formare abilità mentali sovraordinate, sviluppare nel soggetto la
consapevolezza di quello che sta facendo, del perchè lo fa, di quando è più
opportuno farlo e in quali condizioni. La didattica metacognitiva ha dimostrato
la sua efficacia sia per l’affinamento di competenze trasversali, come
l’attenzione, la memoria, il metodo di studio, che per l’apprendimento di abilità
più prettamente curricolari, come la lettura e la comprensione del testo, la
matematica, la scrittura.

65
Gabrielli R., Gestione dell’errore in Besedsainclasse giugno 2016

90
Tali riscontri positivi sono stati osservati anche con allievi che presentavano
BES, in particolare nei deficit d’attenzione con iperattività, nelle difficoltà di
apprendimento, nel ritardo mentale e nell’autismo. 66

66
Isidori M.V. Bisogni Educativi Speciali FrancoAngeli Editore 2016

91
3.5.2 La Peer Education

Le relazioni tra pari sono determinanti come quelle tra studenti e insegnanti
per lo sviluppo della soddisfazione scolastica degli alunni.
Con il termine “ pari “ indichiamo persone che possono anche essere molto
diverse tra loro, che però possono condividere scopi e progetti comuni, purchè
ciascuno riconosca la dignità del contributo, dell’esperienza e della
responsabilità degli altri senza negare la diversità.67
Secondo l’Unesco, con la denominazione Peer education s’intende
“l’impiego di soggetti appartenenti a un determinato gruppo allo scopo di
facilitare il cambiamento presso gli altri componenti del medesimo gruppo”.
Si potrebbe dire che essa riprende il concetto Freiriano che “ nessuno educa
nessuno, ma tutti si educano di loro” in quanto sposta la centralità del ruolo
pedagogico dall’esperto tradizionale , adulto e professionalizzato, allo studente
opportunatamente addestrato.
La Peer education mette in gioco emozioni e competenze relazionali che
consentono al messaggio informativo/formativo di arrivare al suo scopo.
Essa ha lo scopo di rendere gli alunni soggetti attivi del proprio processo
formativo. Non sono gli insegnanti a trasmettere contenuti, valori, esperienze
ma sono i ragazzi a confrontarsi tra loro, scambiando i punti di vista,
riconoscendo problemi e immaginando autonomamente soluzioni sapendo di
poter contare sulla collaborazione di adulti esperti.

Il metodo prevede che alcuni alunni di una classe assumano nei confronti
dei compagni il ruolo di peer educator nella realizzazione di un progetto di
miglioramento.
I peer educator non vanno confusi con i gruppi di auto e mutuo aiuto.

67
Schettini B. Un’educazione per il corso della vita Luciano Editore, 2007

92
Si tratta di valorizzare tutti secondo le personali skills creando, quindi, un
turnover fra i peer educator di volta in volta individuati.
La scelta dei peers educators è l’aspetto più delicato in un gruppo classe e
deve essere effettuata in base a criteri che variano a seconda degli obiettivi che
si vogliono raggiungere e le attività che si intendono realizzare, ma anche a
seconda della personalità degli studenti.
Ciascuno è al tempo stesso artefice, responsabile del proprio apprendimento
e supporto per i compagni, aiuta l’altro nelle difficoltà e viene da quest’ultimo
aiutato nelle proprie.

93
3.5.3 La LIM

LIM è l’acronimo di Lavagna Interattiva Multimediale . Essa è un


dispositivo elettronico che, per forma e dimensione, è del tutto simile ad una
tradizionale lavagna a muro, di ardesia o di alluminio. La LIM sfrutta però una
superficie interattiva che permette a chi la utilizza di interagire direttamente
con i contenuti che vi sono proiettati.

Negli ultimi anni le tecnologie didattiche e, in particolare, le Lavagne


Interattive Multimediali hanno conosciuto una forte diffusione nelle scuole
italiane e, parallelamente ai piani nazionali e locali che ne hanno favorito
l’adozione dall’alto, si è assistito ad un interesse dal basso.

Secondo Ianes, l’uso della Lavagna Interattiva Multimediale, forse più di


quello di altre tecnologie, è un approccio in grado di facilitare processi positivi
di tipo inclusivo. La LIM, infatti, rispetto ad altri strumenti o ausili, ha un
carattere universale, si rivolge cioè già a tutti gli alunni, non soltanto a quelli
con qualche tipo di difficoltà. È già intrinsecamente inclusiva. 68
Infatti essa permette di:
valorizzare le differenze; facilitare la comunicazione, cooperazione e
appartenenza al gruppo; potenziare i processi di insegnamento-apprendimento;
realizzare la “speciale normalità”; facilitare la circolazione di buone prassi.
Uno degli aspetti costitutivi di una scuola inclusiva è senz’altro il
riconoscimento e l’uso valorizzato delle differenze individuali. I docenti che
vogliono costruire una didattica inclusiva si trovano di fronte ai due grandi
compiti complementari del conoscerle e del valorizzarle.

68
Ianes D., Didattica inclusiva con la LIM, Erickson, Trento 2009

94
La LIM può aiutare in questo compito in quanto con essa, un alunno o un
insegnante rende pubblico e visibile il suo modo di operare e di pensare (visivo
o verbale, globale o analitico, ad esempio), lo rende discutibile con gli altri
compagni e confrontabile apertamente. Si possono vedere in diretta i processi
di analisi, di elaborazione e di sviluppo di output di un alunno che riassume un
testo, che risolve un problema, che progetta qualcosa.
Inoltre grazie alla LIM un’attività può essere infatti presentata e condotta
dagli alunni in mille modi diversi e questo permette dunque l’espressione e la
valorizzazione delle differenze individuali.
Un altro punto di forza della LIM è quello di aiutare a sviluppare le
competenze comunicative, di cooperazione e di appartenenza-partecipazione al
gruppo: se infatti gli alunni lavorano sempre di più in modo cooperativo,
valorizzando a vicenda i diversi modi di operare, molto probabilmente
approfondiranno positivamente la conoscenza reciproca, abituandosi sempre di
più all’idea di essere, alla fine, una grande squadra in cui ognuno ha un posto
importante.
E anche in questo sta l’inclusione: un gruppo inclusivo è un gruppo in cui si
comunica bene, si coopera e in cui ci si sente accolti e ci si sente di far parte.
Scoprire pian piano le capacità e le caratteristiche dell’altro, fare insieme,
vivere insieme gli stati d’animo importanti (l’ansia, la tristezza, la gioia del
successo) creano quella familiarità che contribuisce ad abbattere le barriere e
ad avvicinare le persone. In questo modo il gruppo classe diventa un gruppo
sempre più resiliente, in grado di superare, migliorandosi, i vari stress delle
differenze, delle difficoltà e delle emozioni negative. 69
Una classe inclusiva è un ambiente che non solo non pone barriere
all’apprendimento di alcun alunno, ma che lo facilita attivamente, fornendogli
le condizioni idonee allo sviluppo del suo massimo potenziale. Dunque le
dinamiche di insegnamento e apprendimento e le condizioni adatte a sviluppare

69
Ianes D., Didattica inclusiva con la LIM, Erickson, Trento 2009

95
al meglio le competenze vanno ancora più potenziate in una classe inclusiva,
perché devono essere efficaci per tutti gli alunni.
Il vantaggio più grande nell’uso della LIM è sicuramente la sua straordinaria
multimedialità che potenzia, in alcuni casi enormemente, i processi di
apprendimento. Filmati, documenti audio, immagini, ecc. arricchiscono
indubbiamente l’input e stimolano i processi attentivi, facilitando anche i
processi di percezione sia visivi (facilitazioni date dalle dimensioni o dai colori
dei materiali scritti alla lavagna) che uditivi (aggiunta di input audio, musiche).
L’ archiviabilità e la facile recuperabilità dei materiali aiutano molto anche
la riflessione metacognitiva, il comprendere come e perché si sia arrivati a quel
risultato, attraverso quali processi, quali operazioni intermedie, quali decisioni,
ecc.
In questo modo si rendono più trasparenti i processi, li si può valutare e
correggere per le attività successive. Nell’elaborare una metodologia didattica
globale con la LIM, è utile dunque tener conto di questa sua grande potenzialità
metacognitiva.
Un altro punto di forza della LIM è quello di permettere la realizzazione di
ciò che sempre Ianes chiama “la speciale normalità”. La speciale normalità è
una condizione di sintesi tra specialità e normalità, che le contiene e le supera
entrambe: la normalità si arricchisce di specificità non comuni, di peculiarità,
di risposte tecniche particolari; la specialità va ad arricchire le normali prassi,
ne penetra le fibre più profonde e le modifica, le rende più inclusive e
rispondenti ai bisogni.
Più in generale, nella speciale normalità troviamo condizioni miste,
intrecciate, che presentano aspetti diversi: alunni normali che possiedono molti
tratti di specialità, alunni speciali con i bisogni essenziali della normalità,
risposte speciali che trasformano la normalità e in questo cessano di essere tali,
e così via.
Troviamo la speciale normalità quando analizziamo cosa sta accadendo sul
versante dei bisogni, vecchi e nuovi: i bisogni educativi speciali e la crescente
eterogeneità delle classi. Incontriamo la speciale normalità anche quando

96
guardiamo al versante delle risorse, in particolare ai nuovi ruoli e utilizzi degli
insegnanti, specializzati e curricolari, e ai più recenti sviluppi delle
metodologie educativo-didattiche. Se esaminiamo il concetto di Bisogno
Educativo Speciale (come sarà fatto più in dettaglio nel mio articolo alle pagine
seguenti) troviamo coesistere continuamente normalità e specialità.
Nelle varie situazioni accomunabili sotto questa categoria ( disabilità,
disturbi dell’apprendimento, differenze sociali e culturali, ecc.) da un lato c’è la
normalità del fondamentale bisogno di educazione e formazione, che è uguale a
quello di ogni altro alunno, perché è il bisogno che tutti abbiamo di uno
sviluppo e di una funzionalità il più possibile normale e rispondente alle
normali richieste dei normali luoghi di vita, oltre che di essere accolti, amati,
valorizzati, di sviluppare una nostra autonoma identità, e così via. Dall’altro
lato, però, in questa essenziale normalità troviamo anche la specialità, la
differenza e la peculiarità non ignorabile, anche grave: nella struttura e nelle
funzioni corporee, oppure nell’apprendimento, nelle relazioni, in alcuni aspetti
psicologici, a livello familiare.
Troviamo la speciale normalità anche nella crescente eterogeneità delle
nostre classi, crescente sia in termini di reale aumento di alunni con speciali
caratteristiche – si pensi soltanto al rapidissimo incremento di alunni disabili
intellettivi nella scuola secondaria superiore – sia in termini di una sempre
maggiore capacità e volontà da parte dei docenti di cogliere e comprendere le
differenze e le individualità per tentare di rispondervi in modo più
individualizzato. Troviamo la speciale normalità anche nella sempre maggiore
attenzione posta dai docenti alle normalissime differenze qualitative
individuali, alle specialità e singolarità di tutti gli alunni, che richiedono
differenziazioni nella didattica e varie altre individualizzazioni, ad esempio le
differenze di stile nell’elaborazione delle informazioni e nell’apprendimento e
la pluralità delle intelligenze e degli stili di pensiero.
Sempre di più si riesce a vedere una normalità sfaccettata e ricca di elementi
e caratteristiche di specialità: anche nell’alunno apparentemente più normale ci

97
sono infatti notevoli differenze e specialità, che vanno incontrate, conosciute e
a cui va data la possibilità di esprimersi e valorizzarsi.
Il concetto di speciale normalità ci è utile anche se volgiamo la nostra
attenzione al versante della costruzione e utilizzo di risorse per l’integrazione,
in particolare per quel che riguarda gli insegnanti specializzati per il sostegno e
quelli curricolari, coinvolti a pieno titolo nell’integrazione.

In conclusione possiamo quindi dire che la LIM non è uno strumento di


sostegno, né uno strumento innovativo dal punto di vista tecnologico, ma è uno
strumento al servizio dell’innovazione didattica necessaria per rispondere alla
complessità e alla eterogeneità della scuola attuale.70

Ed ancora , in sintesi, possiamo dire che l’uso della LIM permette di


lavorare sulla prospettiva inclusiva attraverso :71

 L’individualizzazione didattica che permette di trasformare,


destrutturare e semplificare il materiale didattico presentato a tutta la classe in
modo che venga adattato per gli alunni con disabilità all’interno del processo
didattico della classe.
 La creazione di un gruppo classe inclusivo.
 Lo sviluppo di strategie didattiche metacognitive.
 La creazione di un gruppo classe resiliente.
 La LIM può essere quindi un ottimo strumento per incentivare una
didattica inclusiva , in grado di dare vita ad azioni ed attività didattiche
specifiche, che migliorino la qualità della vita .

70
Zambotti F. didattica inclusiva con la LIM Erickson 2010

71
Bonaiuti G. Didattica attiva con la LIM Erickson 2009

98
3.5.4 La flipped classroom

La flipped classroom è un sistema che, attraverso l’uso delle tecnologie


didattiche, inverte il tradizionale schema di insegnamento/apprendimento ed il
conseguente rapporto docente/discente. I materiali didattici vengono caricati
all’interno dell’ambiente virtuale per del “gruppo classe” in forme e linguaggi
digitali anche molto differenziati. Per approfondire un contenuto o un tema non
si utilizzano più solo testi scritti ma anche audio, video, simulazioni e materiali
disponibili su Internet. Questi materiali possono essere approfonditi dagli
studenti da soli o in gruppo “fuori dalla classe” a casa, in biblioteca o in altri
luoghi di aggregazione informale. In classe poi, con l’insegnante, i contenuti
“appresi” attraverso la tecnologia diventano oggetto di attività cooperative
mirate a “mettere in movimento” le conoscenze acquisite.
La classe non è più il luogo di trasmissione delle nozioni ma lo spazio di
lavoro e discussione dove si impara ad utilizzarle nel confronto con i pari e con
l’insegnante.
Il docente, infatti, una volta scelto un tema da approfondire, e caricato il
materiale relativo sulla una piattaforma di elearning, indica allo studente quali
temi e contenuti studiare o approfondire nei giorni precedenti l’attività in classe
dedicata a quel tema.
In questo modo si realizza l’ “inversione” del setting tradizionale e si può
parlare di flipped classroom appunto.
Questa metodologia didattica ha origine nel mondo anglosassone – da
sempre più attento alla didattica laboratoriale e “per esperienza” - e si è diffuso,
in particolare negli Stati Uniti, dove già da anni le classi sono infrastrutturate
digitalmente e si utilizzano sistemi di elarning basati su sistemi di classi
virtuali.
La dinamica del processo didattico si svolge nel modo seguente.

99
Gli insegnanti predispongono i materiali di approfondimento all’interno del
Virtual Learning Environmet (Ambiente virtuale di appredimento) adottato
dall’Istituto scolastico e gli studenti approfondiscono prima della lezione, a
casa, il tema proposto.
Questa idea della classe “capovolta” (da to flip, capovolgere), oltre che negli
USA sta acquistando sempre maggiore popolarità e credibilità anche negli
ambienti educativi europei in particolare nel Nord Europa. Concretamente si
può dire che la classe diventa il luogo in cui lavorare secondo il metodo del
problem solving cooperativo a trovare soluzione a problemi, discutere, e
realizzare con l’aiuto dell’ “insegnante coach” attività di tipo laboratoriale ed
“esperimenti didattici” (reali o virtuali) di attivazione delle conoscenze.
In questo modo, inoltre, vengono valorizzati i nuovi stili di apprendimento
degli studenti che sono ormai “nativi digitali” e diviene molto più semplice
personalizzare gli apprendimenti, disegnando all’interno dell’ambiente virtuale
di apprendimento percorsi didattici specifici per singoli o gruppi con bisogni o
esigenze particolari.
L’aspetto più interessante di questa metodologia è il fatto che l’intero setting
didattico viene rivisto nell’ottica di massimizzare una risorsa che sempre di più
scarseggia nella scuola: il tempo dell’insegnante.
Vi sono due livelli di “inversione” del setting didattico:
il primo riguarda il fatto che le tecnologie digitali, attraverso l’utilizzo di
ambienti web di apprendimento cooperativo permettono di spostare “fuori
dall’aula in presenza” una serie di attività di tipo nozionistico liberando il
tempo dell’insegnate per seguire più direttamente i problemi di apprendimento
degli studenti.
il secondo consiste nella possibilità di generare all’interno dell’aula, in
particolare attraverso il lavoro di gruppo cooperativo, una nuova metodologia
attiva di apprendimento che trasforma la classe in un piccola “comunità di
ricerca”.

100
L’interazione docente/studente si trasforma radicalmente dal momento che
si riduce molto il tempo della “lezione frontale” e aumenta proporzionalmente
il tempo dedicato al problem solving cooperativo, al monitoraggio e al
supporto del lavoro degli studenti, così come quello dedicato alla “revisione
razionale” collettiva dei risultati dei lavori di gruppo.
Ovviamente questa trasformazione del setting didattico cambia
profondamente il ruolo del docente, ma certamente lo “aumenta” non lo
diminuisce affatto. Il docente, infatti, da esperto disciplinare e “erogatore” di
contenuti e valutazioni si trasformerà in una figura che integra più competenze,
ovviamente quelle disciplinari, ma anche quelle di tutoraggio, coaching e
mentoring (in presenza e on-line) dei suoi studenti. È, insieme, un progettista
didattico che allestisce il setting didattico/tecnologico e programma le attività
degli studenti in presenza e on-line, un esperto di contenuti disciplinari e nello
stesso tempo una guida, un sostegno alla costruzione della conoscenza
collaborativa da parte degli allievi. Funge, quindi, da stimolo per favorire
un’elaborazione personale e collettiva delle attività di gruppo e per favorire un
“apprendimento significativo”.
Aiuta, cioè, gli studenti a sviluppare metodologie e pratiche di studio che
consentano loro di acquisire competenze reali di gestione dei contenuti e non
mere nozioni. In questo processo, come ovvio, cambia anche il ruolo dello
studente, che diviene decisamente più attivo. Lo studente con l’adozione di
questo tipo metodologie didattiche innovative diviene sempre più protagonista
del processo apprendimento e, soprattutto, si responsabilizza maggiormente,
anche grazie alla collaborazione con i pari, rispetto ai progressi o alle difficoltà
che incontra durante lo studio.72

72
Ferri P., Nativi digitali, Bruno Mondadori, Milano 2011

101
CAPITOLO 4

BES E PLUSDOTAZIONE

102
4.1 La plusdotazione

Con il termine plusdotazione si intende un’intelligenza superiore alla norma.

Tali individui presentano non solo un’intelligenza superiore alla norma ma


anche una consapevolezza e una comprensione del mondo, delle regole sociali,
della giustizia e dei principali costrutti, sui quali si basa la società non in linea
con l’età anagrafica. Quindi la plusdotazione, non è solo essere più intelligenti
e rapidi ad apprendere, ma è anche una sorta di maggiore sensibilità e capacità
di analisi delle diverse situazioni alle quali si è esposti e che non possono
essere pienamente comprese, in quanto il soggetto stesso è troppo giovane e
non ha l’esperienza di vita necessaria per capirle.

Tale differenza tra lo sviluppo cognitivo e lo sviluppo emotivo, differenza


indicata con il termine dissincronia, crea forte disagio sociale in quanto non
permette loro di rispecchiarsi nel gruppo di appartenenza.73 Questa
dissincronia, nello sviluppo, porta ad una maggiore vulnerabilità che può essere
compensata bene se l’ambiente familiare, sociale ed il contesto scolastico in cui
vivono ne comprende le necessità e le peculiarità. Per chiarire il concetto di
plusdotazione, si può fare riferimento alle seguenti caratteristiche
normalmente presenti negli alunni plusdotati: 74

1) Intelligenza superiore o molto superiore alla norma;


2) Capacità molto superiori ai pari età in uno degli ambiti accademici;
3) Forte motivazione ad apprendere che però può non essere presente in
tutti i campi;
4) Creatività in uno o più ambiti;

73
Terassier J.C., Ragazzi superdotati e la precocità difficile. Giunti e Lisciani Teramo 1985

74
AA., VV., La plusdotazione ed i BES : un’analisi per l’inclusione

103
5) Capacità di leadership;
6) Dissincronia tra lo sviluppo emotivo e quello cognitivo a favore di
quest’ultimo.

Mentre i punti 1, 2, 3, 6 sono solitamente presenti negli studenti plusdotati,


gli altri due possono anche non esserlo perché dipendono da fattori legati alla
personalità del soggetto.

Questa popolazione di studenti, infatti, differisce per i fattori di personalità


così come la popolazione normale.

Omogeneizzare questo gruppo pensando che esso possa essere composto da


persone con caratteristiche simili così come si fa in presenza, ad esempio, di
disturbi di apprendimento, psicopatologie, autismo o altre forme di disagio e
difficoltà è un grosso errore perché la plusdotazione non può essere paragonata
ad una qualsiasi forma di disturbo o patologia. 75

75
AA., VV., La plusdotazione ed i BES : un’analisi per l’inclusione

104
4.2 Strumenti di individuazione

I sistemi più utilizzati per decidere se uno studente può essere considerato o
meno plusdotato includono:

 Nomination da parte dei genitori.


 Nomination da parte dei compagni di classe.
 Nomination fatta dallo studente stesso.
 Nomination fatta persone terze.
 Valutazione da parte di psicologi esperti nel campo della plusdotazione.
 Nomination da parte degli insegnanti.

Analizzando le diverse tipologie, possiamo vedere come il processo di


valutazione sul fatto se si è davanti o meno ad uno studente superdotato,
comprende diversi aspetti e mette in campo diverse figure, dallo studente
stesso, alla famiglia, agli insegnanti ed infine ai compagni di classe.

Questa valutazione fattoriale consente di superare i limiti dovuti al fatto


che, uno studente può apparire, ad esempio, poco attento in classe, perché si
annoia ed essere percepito come poco capace o addirittura con dei problemi,
mentre, sia i compagni che i genitori, possono coglierne le potenzialità od
anche viceversa.

Questo processo di valutazione, complesso ed articolato, consente anche di


superare i limiti imposti dalla testistica (scoring), legata al punteggio del
quoziente intellettivo totale o all’indice di Abilità generale misurati con le scale
Wechsler, quali il rischio di non considerare superdotati studenti che
presentano anche difficoltà o disturbi specifici dell’apprendimento, o ancora la
mancanza di una misurazione nel campo delle abilità musicali ed artistiche, o
della creatività.

Per superare queste difficoltà, si ritiene che l’inclusione degli studenti come
superdotati, dovrebbe avvenire attraverso sia la nomination da parte degli
insegnanti che valutano le competenze acquisite e la velocità di apprendimento

105
degli studenti, sia attraverso la valutazione testistica effettuata da psicologi,
neuropsicologi e neuropsichiatri esperti nell’ambito della plusdotazione, che
verificano le capacità cognitive dello studente. Per quanto riguarda la
valutazione testistica, la scala in assoluto più utilizzata è la Weschsler
Intelligence Scale IV, che consente di avere due tipi principali di punteggi : il
quoziente intellettivo totale e l’indice di abilità generale, oltre ai vari indici nei
quali è suddiviso il test. Per selezionare gli studenti plusdotati attraverso
l’utilizzo della scala Wechsler si utilizzano dei punteggi che vengono
considerati cut-off, sopra i quali lo studente viene inserito nella categoria dei
soggetti plusdotati. Per la Weschsler, il punteggio cut-off maggiormente
utilizzato, corrisponde a due deviazioni standard sopra la media, od a un
punteggio di 125 per il quoziente intellettivo totale (QIT) e di 124 per l’indice
di Abilità generale (IAG) , entrambi corrispondenti al 95° percentile.76

Bisogna però tenere presente che questi punteggi vanno comunque


interpretati adeguatamente, in quanto il soggetto può provenire da una famiglia
con svantaggio socioculturale od economico, avere problemi d’ansia o di
estrema timidezza,o può essere un soggetto che, oltre ad essere plusdotato, ha
anche un disturbo specifico di apprendimento.

Molti bambini, ragazzi, ma anche adulti plusdotati, sono stati spesso


erroneamente diagnosticati. Il non riconoscimento di una plusdotazione, che
può essere confusa con comportamenti patologici, può portare a delle
mis-diagnosi , tra cui le più comuni possono essere il Disturbo di Attenzione e
Iperattività, Disturbo oppositivo provocatorio, Disturbo ossessivo Compulsivo,
Disturbo dell’Umore.

76
Winner E., The origins and ends of giftedmen. American Psychologist,55 (2000)

106
Accanto al fatto che molti aspetti presenti nei plusdotati possono essere
erroneamente interpretati come segnali di patologia anziché come espressione
di intensità, creatività, curiosità su cui lavorare, bisogna anche dire che possono
esserci situazioni in cui alla plusdotazione si aggiungono caratteristiche
realmente assimilabili ad una precisa patologia ed, in questo caso, si parla di
comorbilità.

Il rischio più frequente, in queste situazioni, è che si osservi e riconosca


esclusivamente la patologia senza la possibilità di far leva sui punti di forza per
intraprendere un trattamento adeguato. Le conseguenze di una mis-diagnosi o
di un’assenza di doppia diagnosi, quando necessaria, possono essere di varia
natura, prima fra tutte di natura psicologica come ad esempio abbassamento del
senso dell’autostima e del senso di autoefficacia, senso di inadeguatezza,
abbassamento degli obiettivi di apprendimento e sociali, auto-
colpevolizzazione, disturbi comportamentali, aggressività auto o eterodiretta,
difficoltà familiari e sociali, rivalità, insuccessi. La discrepanza quindi tra punti
di forza e difficoltà presenti in bambini e ragazzi che mostrano la compresenza
di plusdotazione e di una difficoltà, di un disturbo specifico o di una
psicopatologia, possono causare sentimenti di frustrazione e possono interferire
pesantemente con il pieno sviluppo delle capacità del bambino/ragazzo stesso.

Il rischio di considerare solo uno dei due aspetti porta a conseguenze di


scarsa autostima, autoefficacia, dubbi sulle proprie abilità che non aiutano a
loro volta ad affrontare le discrepanze e a riconoscere le potenzialità seppur
presenti. Porre l’accento sulle difficoltà può a sua volta ostacolare il
riconoscimento della plusdotazione, così come può accadere che elevate
abilità portino il bambino/ragazzo a compiere sforzi tali da nascondere in parte
le difficoltà presenti. Ciò che più crea difficoltà è comunque il senso di
diversità avvertito in una società e in un contesto scolastico , senso di diversità
che può diventare peso, fatica da nascondere o superare.

107
Tra le più comuni mis-diagnosi di cui si è accennato in precedenza,
possiamo trovare:

 ADHD e plusdotazione

Molti bambini plusdotati vengono erroneamente diagnosticati come ADHD.


Alcune caratteristiche dei bambini plusdotati, tra le quali l’intensità con cui si
dedicano ad un’attività, la grande sensibilità, l’impazienza di vedere il frutto
del loro lavoro o di ricevere risposte e l’elevato bisogno di fare attività motorie
possono portare a diagnosi errata di ADHD. Alcuni bambini, invece possono
effettivamente avere l’ADHD e necessitare di una doppia diagnosi.

Caratteristiche di un bambino plusdotato annoiato sono:

scarsa attenzione e tendenza a sognare ad occhi aperti; bassa tolleranza per


la persistenza su compiti che sembrano inutili; tendenza ad iniziare molti
progetti diversi, non portandone a termine molti; necessità, talvolta, di mettere
in discussione l’autorità/l’adulto; alto livello di attività che può portare ad
avere minor bisogno di dormire; difficoltà nel frenare il desiderio di parlare;
caratteristiche di distrazione.

Se confrontate con le caratteristiche presenti in alunni con ADHD possiamo


trovare molte analogie che spiegano come talvolta non sia semplice fare una
diagnosi corretta. Alunni ADHD presentano, infatti, attenzione scarsamente
sostenuta; minore persistenza in compiti che non hanno conseguenze
immediate; tendenza a passare da un’attività ad un’altra lasciandole
incomplete; impulsività; necessità di avere regole per mantenere
comportamenti socialmente adeguati; maggiore irrequietezza rispetto ad altri
bambini.

 Disturbo oppositivo provocatorio e plusdotazione

Ci sono alcune caratteristiche dei bambini plusdotati quali l’intensità, la


sensibilità e anche il forte idealismo che spesso li porta ad essere considerati

108
come fortemente volitivi e questo può essere confuso con la presenza di un
disturbo oppositivo provocatorio, ciò però non toglie la possibilità che questo
tipo di disturbo possa essere comunque presente.

 Bi-Polari e altri disturbi dell’umore e plusdotazione

Talvolta esperienze emotive forti possono portare i bambini plusdotati a


viveri sbalzi di umore estremi. Questo può accadere, in particolare, durante
l’adolescenza, quando possono evidenziarsi periodi di depressione legati alle
delusioni rispetto ai propri ideali o alla solitudine che spesso questi ragazzi
vivono per mancanza di affinità con i pari.

 Disturbo ossessivo-compulsivo e plusdotazione

I bambini plusdotati, anche nell’età prescolare, amano l’organizzazione e le


regole rimanendo tal volta sconvolti che gli altri non sempre le seguano oppure
non capiscano i loro schemi. Questo può rischiare di farli apparire come troppo
perfezionisti, o come troppo prepotenti, perché cercano di strutturare ed
organizzare anche la vita degli altri, talvolta compresi gli adulti. Il loro senso di
coerenza, di perfezionismo, di idealismo e di scarsa tolleranza per gli errori
possono essere fraintesi e interpretati come un Disturbo ossessivo compulsivo,
altre volte è possibile che queste caratteristiche siano presenti al punto da
meritare una diagnosi specifica, compresente all’individuazione della
plusdotazione.

Possono trovarsi, a volte, anche delle doppie diagnosi. Tra esse possiamo
ricordare la plusdotazione unita a difficoltà di apprendimento o a disturbi del
sonno od ancora a molteplici disturbi di personalità e/o problemi relazionali .

È frequente che un bambino plusdotato mostri, nelle scale di intelligenza,


discrepanze enormi rispetto ad alcune aree, senza però manifestare disfunzioni
gravi; questo potrebbe indicare uno stile di apprendimento insolito o un lieve
disturbo dell’apprendimento. Altre volte, invece, sono presenti disturbi
specifici come la disgrafia, la dislessia e la discalculia che fanno arrivare ad

109
una doppia diagnosi in quanto i soggetti interessati presentano in alcune aree
notevoli abilità e talenti e difficoltà specifiche in altre.

Possono coesistere anche disturbi del sonno e plusdotazione. È stato


evidenziato che bambini e ragazzi plusdotati hanno talvolta incubi, disturbi di
insonnia e del sonno in generale. Dalla letteratura scientifica non sembra chiaro
se questo possa essere un elemento tale da portare ad una doppia diagnosi in
quanto varie ricerche hanno mostrato che alcuni bambini plusdotati hanno
meno bisogno di dormire rispetto ad altri, mentre altri, al contrario, mostrano
maggior bisogno di dormire rispetto a quanto ci si aspetti dai coetanei .

La plusdotazione può essere legata anche a molteplici disturbi di personalità


e/o problemi relazionali. Per quanto riguarda il primo caso sono stati svolti vari
studi che dichiarano che un bambino può avere un disturbo di personalità ed
elevate abilità intellettive in seguito a traumi infantili legati ad esempio a storie
di abusi che, nella crescita, hanno indotto la creazione e il mantenimento di
personalità separate quali strategie per affrontare il trauma stesso.

Questo concetto riguardante i disturbi di personalità è presente anche nei


bambini con problemi comportamentali e relazionali che si presentano insieme
alla plusdotazione. Questi bambini sono difficili da gestire al punto da rendere
le relazioni familiari estenuanti. Inoltre questi bambini, a scuola, essendo
impertinenti, volitivi e troppo sensibili - a fronte della loro plusdotazione -
rendono difficile anche la relazione con l’insegnante e con il gruppo classe e
questo perchè un bambino plusdotato ha interessi diversi, competenze e
capacità distanti da quelli dei coetanei e ciò non facilita l’instaurarsi e il
mantenersi di relazioni positive tra pari ( relazioni disfunzionali).

110
4.3 I superdotati a scuola

Tra i tanti miti che sopravvivono vi è quello che se uno studente è


plusdotato deve essere bravo a scuola in tutte le materie o viceversa. Non è
sempre così , perché vi sono dati che dimostrano come una percentuale
significativa di studenti plusdotati non termina neanche gli studi. Spesso,
infatti, anche se può sembrare paradossale, i bambini superdotati presentano
un fallimento scolastico. È opportuno però non legare in modo eccessivo la
plusdotazione alla performance e ai risultati ottenuti dallo studente ,
dimenticandosi della dimensione morale legata alla plusdotazione che è
intimamente legata alla dissincronia dello sviluppo tra le capacità cognitive e
quelle emotive e che fa sì che un bambino plusdotato, che ha maggiori capacità
di ragionamento in astratto rispetto ai pari età, abbia una lettura della realtà che
non appartiene alla sua età anagrafica. Più sarà alto questo dislivello e
maggiore sarà lo squilibrio tra queste due componenti con conseguente senso
di frustrazione e di diversità. 77

Se quindi la plusdotazione è uno sviluppo asincrono tra le capacità emotive


e quelle cognitive, nel quale il soggetto dimostra di avere capacità cognitive
superiori o molto superiori alla norma è anche vero che queste capacità
possono creare problemi e disagi che andrebbero adeguatamente trattati da
personale esperto e formato in questo ambito specifico. La scuola deve adottare
tutte le misure necessarie per andare incontro a questi studenti affinchè non se
ne disperda il loro potenziale.

La situazione nei Paesi Europei è altamente difforme per quanto riguarda


l’inclusione degli studenti plusdotati nei BES.

77
Silverman L., The moral Sensitivity of Gifted Children and evolution of Society. Roeper

Review , 17, 1994

111
Nel rapporto Gifted learners presentato dall’European Agency for
development in Special Needs Education nel 2009 si evidenzia innanzitutto
che non tutti i paesi europei hanno una definizione di plusdotazione all’interno
del loro impianto legislativo e che pochi includono gli studenti plusdotati nei
BES. Dall’esame emerge che solo sette paesi europei includono gli studenti
plusdotati nella categoria dei BES e che in molti casi vengono inclusi gli
studenti che presentano una twice-exceptional e quindi la presenza in
comorbilità di una difficoltà o di un disturbo.

In considerazione di ciò si può dire che deve essere fatta un’attenta lettura
dei bisogni degli alunni plusdotati affinchè non sia misconosciuto il loro diritto
alla personalizzazione quando risulti un bisogno educativo speciale, mentre se
non esiste un bisogno educativo speciale non dovranno essere inclusi nei BES.

Gli insegnanti devono, anche in questo caso, sentirsi investiti di precise


responsabilità pedagogiche-didattiche. Per migliorare le loro competenze è
utile istituire reti di scuole che condividano esperienze fatte in tal senso ,
materiali e modalità attuative. Utile è anche avere classi gestite in verticale .
Tutto questo permette una maggiore inclusività ordinaria nella didattica,
maggiore adattabilità e flessibilità per accogliere individuazioni e
personalizzazioni , senza trasformare in speciale un bisogno educativo che in
realtà , se non provoca danno , ostacolo o stigma sociale, è ordinario e normale.
Anche lo spazio che deve essere dato a questi studenti li dovrebbe vedere
protagonisti, e non come parte aggiunta ad una realtà scolastica complessa che
li potrebbe ulteriormente penalizzare con la scelta di percorsi riduttivi e
incompiuti.78

78
AA., VV., La plusdotazione ed i BES : un’analisi per l’inclusione

112
Conclusioni

Nel lavoro si è analizzato il ruolo che la Scuola svolge nel permettere di


superare i bisogni speciali che alcuni alunni manifestano.

Molto è stato fatto, ma molto dovrà ancora essere fatto in questo settore per
permettere effettivamente a tutti di essere ugualmente partecipi.

C’è da dire, comunque, che molto dovrà essere fatto anche al di fuori della
Scuola in quanto molti degli alunni con bisogni educativi speciali hanno
bisogni educativi speciali proprio perché vivono in un contesto familiare
deprivante e poco o nulla per loro la Scuola potrà fare senza un corretto
appoggio della famiglia , famiglia che, a volte, non è collaborativa.

Il primo insegnamento educativo si ha, infatti, nell’ambito domestico e


viene dato al bambino dalla madre che soddisfa i suoi bisogni primari.

Tale concetto è espresso nell’ambito della psicologia dello sviluppo come “


madre come base sicura”. L’ambiente domestico e l’atteggiamento dei genitori
influenzano, quindi, la personalità del bambino.

E non sempre la famiglia, purtroppo, influenza in modo positivo la crescita.

Molto spesso gli alunni BES su cui la Scuola cerca di intervenire sono
soggetti svantaggiati provenienti da famiglie che vivono in ambienti sociali
assai carenti, sono soggetti con nuclei familiari che presentano problematiche
di vario genere, di natura ad esempio economica , lavorativa, giudiziaria (uno o
entrambi i genitori in carcere) oppure che presentano problematiche legate
all’uso di alcolici o sostanze stupefacenti. Tutto ciò condiziona in modo
dannoso, influenza negativamente il processo di sviluppo della personalità e
rende il soggetto in crescita pauroso, insicuro, aggressivo, autolesionista, o
meglio, egocentrico ed asociale, in conflitto con gli altri.

113
Spesso tali tipi di famiglie si presentano chiuse in sé stesse e non
collaborative , assumono atteggiamenti disinteressati , non partecipano ai
momenti di scambio di informazioni , ai momenti d’incontro fondamentali per
la conoscenza del bambino ed il buon esito del percorso educativo.

Sarà allora difficile per la Scuola poter lavorare senza la sinergia di altre
figure referenziali all’esterno di essa.

Se molto quindi è stato fatto, molto ancora dovrà essere fatto per far sì che ,
nell’ottica di una lettura olistica della persona , così come proposto dal modello
ICF dell’OMS, si faccia in modo che il contesto, e non solo quello scolastico,
non rappresenti un fattore “barrierante”.

114
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www.istruzione.lombardia.gov.it

VII
Ringraziamenti

Non è facile citare e ringraziare, in poche righe, tutte le persone che hanno
contribuito alla nascita e allo sviluppo di questa tesi di laurea: chi con una
collaborazione costante, chi con un supporto morale o materiale, chi con
consigli e suggerimenti o solo con parole di incoraggiamento, sono stati in
tanti a dare il proprio apporto alla mia carriera universitaria ed a questo
lavoro, a loro va la mia gratitudine, anche se a me spetta la responsabilità per
ogni singola argomentazione , mai banale , ma sempre frutto di grande studio
e approfondimento , contenuta in questa tesi.

Ringrazio anzitutto la Professoressa Maria Vittoria Isidori: senza il suo


supporto e guida sapiente, questa tesi non esisterebbe. La ringrazio per avermi
incoraggiata a essere la vera ideatrice di questo lavoro e per aver riconosciuto
le mie capacità di persona capace di ragionare, ma soprattutto la ringrazio
per l’argomento della tesi che mi ha permesso di approfondire . Non è stato
facile ultimare tale tesi , dopo i tragici eventi del terremoto, ma lei è stata
sempre disponibile ad aiutarmi quanto piu’ possibile. E’ una grande persona
sul livello umano.

Un ringraziamento particolare va a chi mi ha incoraggiata a non mollare


questo percorso universitario, nonostante le tante difficoltà, o a ha speso parte
del proprio tempo per leggere e discutere con me le bozze del lavoro. Ai miei
genitori, che sono il mio punto di riferimento e che mi hanno sostenuta sia
economicamente che emotivamente e che mi hanno permesso di percorrere e
concludere questo cammino. I ringraziamenti più grandi vanno infatti a mia
mamma e a mio papà che mi hanno permesso, anche con il loro sostegno
economico, di completare questo ciclo di studi e di raggiungere questo
traguardo.

Grazie “al mio papà” che prima di ogni esame mi diceva sempre: “In
bocca al lupo e, mi raccomando, stai tranquilla!” e al sentire quelle parole io
rispondevo sempre “crepi il lupo si, ma tranquilla proprio no!”.
Mi irritava quel suo incoraggiamento, ma l’ho sempre aspettato prima di
ogni esame, perché anche se non l’ho mai ammesso, mi tranquillizzava
sentirglielo dire. A lui va un grande Grazie per avermi seguita, consigliata
anche in questo ultimo periodo, il piu’ importante , ma per altri versi anche
difficile, di preparazione della tesi.

Grazie alla Grande Donna , la mia mamma , che mi ha sempre sostenuta,


anche quando la vita per lei era davvero difficile, causa un periodo di
malattia, che pero’ mi ha sempre sostenuta e spronata a reagire”. La mia
mamma: la mia più fidata consigliera e il mio punto di riferimento. Mi ha
sempre sostenuta nell’affrontare ogni difficoltà, mi ha consigliato nelle scelte
più difficili, mi ha asciugato le lacrime durante le sconfitte, mi ha sgridata per
spronarmi a dare il massimo, sempre!

Alla mia piccola ma grande sorella, sempre pronta ad ascoltarmi e a darmi


consigli, a cercare in ogni occasione di far salire la mia autostima,
insegnandomi a camminare ogni giorno a testa alta, senza aver paura dei
giudizi degli altri. Grazie perché senza di voi non sarei mai arrivata fino in
fondo a questo difficile, lungo e tortuoso cammino. Questa tesi la dedico a voi
che siete la mia famiglia, il mio più grande sostegno e la mia guida.

Voglio ringraziare una persona unica e speciale, Ivan, il mio ragazzo, il mio
migliore amico, la mia spalla su cui piangere. “Abbiamo affrontato insieme
questo cammino, passo dopo passo, giorno dopo giorno, superando tutte le
difficoltà, festeggiando insieme ogni vittoria e rialzandoci più forti di prima
dopo ogni sconfitta. In questi anni ci siamo sempre sostenuti l’un l’altro, ci
siamo incoraggiati, ci siamo confrontati e abbiamo fatto tanti sacrifici. Grazie
per essere stato sempre al mio fianco in ogni momento e anche oggi, in questo
giorno importante, sei qui con me a festeggiare insieme questo mio traguardo,
questa mia vittoria.. che non è solo la mia, ma la nostra vittoria!

Grazie ai miei nonni per l’affetto che non mi hanno mai fatto mancare, per
essere sempre stati orgogliosi di me e per avermi fatto sentire la loro
“Dottoressa” anche quando questa avventura era appena iniziata. A nonno
Francesco e zio Fausto, che oggi non possono essere qui con me, ma che spero
mi guardino da Lassù e che siano orgogliosi di me e della donna che sono
diventata. Grazie anche a mia nonna Marilia, che avrei voluta inserire nella
dedica della mia tesi, deceduta l’8 agosto di quest’anno, alla quale devo molto
,la mia complice in mille avventure del mio percorso universitario, colei che
gioiva dei miei successi e che mi consolava negli insuccessi. Una Grande
Nonna. Ho pensato che la dedica migliore, visto un lavoro dedicato
all’insegnamento pedagogico e didattico, argomento di questa tesi, possa
essere “… agli Angeli del Terremoto “ … del 24 agosto 2016, che ha colpito la
mia Terra, il centro d’Italia.

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