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DELLA CALABRIA
II
ATTI
delle giornate di studio
1
Enti promotori:
Organizzazione:
2
Interventi:
Grotta della Madonna di Praia a Mare (Cosenza): le campagne di scavo del 2004
Maria Antonietta Fugazzola Delpino, Antonio Salerno, Antonio Tagliacozzo, Vincenzo Tiné
Soprintendenza al Museo Nazionale Preistorico Etnografico ‘L. Pigorini’, Roma
APPENDICE 1: dati geo-pedologici.
Gaetano Robustelli – Fabio Scarciglia
Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università della Calabria, Rende (CS)
APPENDICE 2: dati antropologici
Loretana Salvadei
Laboratorio di Antropologia. Soprintendenza al Museo Nazionale Preistorico Etnografico L. Pigorini, Roma
APPENDICE 3: dati archeozoologici
Antonio Tagliacozzo – Alessandra Facciolo
Laboratorio di Archeozoologia. Soprintendenza al Museo Nazionale Preistorico Etnografico L. Pigorini, Roma
APPENDICE 4: dati archeomalacologici
Alfredo Carannante
Laboratorio di Bioarcheologia, Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” Napoli
3
Broglio di Trebisacce (Cosenza): campagne di scavo 2004 - 2005
Silvana Luppino, Renato Peroni, Alessandro Vanzetti
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria; Cattedra di Protostoria Europea, Università degli Studi di Roma
"La Sapienza"
Alto Golfo di Squillace (Crotone): elementi dell’età del Bronzo e relazioni con le
aree contermini
Maria Grazia Aisa, Giuseppe Nicoletti
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria
4
Locride (Reggio Calabria): ricerche sulla protostoria
Massimo Cardosa
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria
Il quadro relativo alla frequentazione della costa ionica meridionale della Calabria durante l’età del
bronzo è stato a lungo alquanto frammentario ed evanescente, soprattutto se confrontato con quello
relativo alla zona più settentrionale della regione, gravitante sulla piana di Sibari.
Tuttavia già le ricognizioni di Hodder e Malone nel territorio di Caulonia e Monasterace1 negli anni
’80, rivelavano per il territorio in esame una realtà molto più ricca e rilevante di quanto non potesse
essere dedotto dai pochi rinvenimenti sporadici noti fino a quel momento; realtà che è stata
immancabilmente confermata successivamente, più a sud, dalle ricerche di Domenico Marino
nell’area di Crotone2 e dalle numerose segnalazioni di siti pre- protostorici nel territorio di Bova da
parte di Sebastiano Stranges, cui è seguito, ed è tuttora in corso, il progetto di ricerca guidato da
John Robb dell’Università di Cambridge3.
In questo quadro, per quanto riguarda la Locride, l’inaspettata scoperta, tra il 1994 e il 1997,
nell’entroterra dell’antica Locri Epizefiri, dell’insediamento dell’antica età del bronzo di Petti di
Portigliola, a lungo creduto uno dei villaggi dell’età del ferro cui erano da riferire le tombe a
grotticella del vallone di Canale, ha suggerito la necessità di effettuare una vera e propria
“campagna di scavo in museo”, alla ricerca dei materiali di rinvenimento occasionale di età pre-
protostorica già noti in bibliografia o da fonti di archivio, al fine di appurarne effettiva consistenza e
cronologia.
Questi lavori, tuttora in corso, cui si sono accompagnate campagne di ricognizione promosse dalla
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, per fini di tutela, nelle aree archeologiche
già note, permettono oggi di delineare un primo quadro complessivo dell’età del bronzo nella
Locride, e di cominciare ad inquadrarne gli aspetti culturali in relazione al resto della regione4.
Il punto di partenza per questo quadro generale, non può che essere il sito di Petti di Portigliola (fig.
1). Non è il caso di soffermarsi in questa sede sui particolari specifici che riguardano questo
importante insediamento, già edito in forma preliminare5. In sintesi basterà ricordare che si tratta di
uno degli insediamenti protostorici indagati più estesamente in Calabria, posto su un pianoro in
posizione dominante sulla stretta piana costiera dove in epoca classica sorgerà Locri Epizefiri. La
ceramica ad impasto affiorante in superficie sembra indicare un’estensione dell’abitato di circa 7
ettari, dimensioni quindi molto rilevanti se confrontate con gli insediamenti contemporanei della
regione. La porzione indagata con uno scavo in estensione ha permesso di portare alla luce, oltre a
una capanna a pianta ellittica, purtroppo pesantemente investita da lavori di sbancamento (fig. 2),
una serie di capanne con pianta a ferro di cavallo, con un diametro di circa 6 m, perimetro segnato
da 5 o 6 buchi di palo e due pali centrali lungo l’asse centrale a sostenere la copertura. Non sono
state trovate tracce di stratigrafie, a causa dell’esiguo interro del pianoro, cancellate nel tempo dalle
arature i cui segni sono ancora evidenti sulla superficie rocciosa. Le capanne erano disposte ai lati
di una fascia di terreno libera da strutture, rettilinea, al termine della quale è una piccola capanna
absidata (fig. 1B), di m 6x2, l’unica di questa tipologia al momento portata alla luce
1
HODDER – MALONE 1984.
2
MARINO 1998.
3
STRANGES 1993; ROBB 2004.
4
Ringrazio il dott. Sabbione, Direttore del Museo Archeologico di Locri e la dott.ssa Lattanzi, già Soprintendente ai
Beni Archeologici della Calabria, per l’aiuto e l’incoraggiamento con cui hanno sempre seguito i miei lavori sulla pre-
protostoria della Locride. I dati qui presentati costituiscono una sintesi e un’anticipazione di uno studio, in corso di
stampa a cura del Centro Studi Preistoria e Archeologia di Milano, sulla Locride nell’arco di tempo compreso tra il
Neolitico e la fase iniziale del Primo Ferro (CARDOSA c.s.).
5
CARDOSA 2003.
131
nell’insediamento. Il materiale ceramico recuperato (fig. 3A), purtroppo non molto abbondante e
spesso piuttosto fluitato, mostra un aspetto culturale che, pur con alcune particolarità, rimanda alla
facies di Cessaniti, relativa al Bronzo Antico 2, così come è stata descritta da Marco Pacciarelli e
Domenico Marino per la Calabria centrale1.
I dati più interessanti, anche se ancora non è completato l’esame di tutti i materiali, vengono però
sicuramente dagli scavi del chiostro di San Francesco a Gerace. Come è noto, per lungo tempo,
nonostante le numerose indagini archeologiche, il centro storico di Gerace non ha restituito tracce
chiare ed inequivocabili di una frequentazione precedente l’età altomedievale2, nonostante la sua
posizione dominante e la facile difendibilità ne facessero chiaramente una ubicazione invidiabile
per l’insediamento anche in epoca protostorica, come già notava Paolo Orsi3. E’ stato quindi con
grande sorpresa che nel 1999, in relazione ai lavori di recupero del complesso di San Francesco, sul
bancone roccioso interessato da numerose strutture di epoca medievale, si sono individuati alcuni
buchi di palo che nel riempimento recavano frammenti ceramici ad impasto databili alla prima età
del ferro. Un successivo ampliamento dello scavo (2002) arricchiva ulteriormente il quadro relativo
alla frequentazione di età protostorica dell’area, portando al rinvenimento di numerosi altri buchi di
palo e pozzetti ricchissimi di ceramica dello stesso orizzonte cronologico, fra cui anche forme quasi
completamente ricostruibili4. Le operazioni di lavaggio del materiale, tuttora in corso, ed un esame
più attento dello stesso, permetteva poi, in mezzo alla massa di frammenti ceramici collocabili
nell’orizzonte Torre Galli della prima età del ferro, di individuarne alcuni, probabilmente residui,
ancora inseribili nell’ambito dell’età del bronzo.
Si tratta di un nucleo di frammenti al momento non particolarmente abbondante, ma assai
significativo, che sembra coprire un arco di tempo continuo dalla fase iniziale del Bronzo Antico
(facies di Zungri – Corazzo), alla sua fase piena (facies di Cessaniti), alle fasi iniziali del Bronzo
Medio, con quell’aspetto culturale, la cui autonomia rispetto alla facies di Rodì – Tindari è stata
recentemente chiarita, caratterizzato da vasi a clessidra, su alto piede e da anse sopraelevate con
margini lievemente rilevati, definito di Messina – Ricadi5.
Materiali riferibili a questa stessa facies culturale provengono anche da un recupero effettuato negli
anni ’60 sul percorso dell’acquedotto del Novito in località Caruso, un piccolo pianoro nell’area
collinare inclusa nel perimetro murario della colonia di Locri Epizefiri. Anche in questo caso,
frammisti a frammenti di varie epoche, da età arcaica all’ellenismo, si sono individuati frammenti di
ceramica ad impasto pertinenti a “vasi a fruttiera” con incisioni radiali all’interno (fig. 3B), uno
degli elementi più caratteristici della facies di Messina – Ricadi.
Genericamente riportabili al Bronzo Antico sono anche due rinvenimenti casuali noti da tempo. Il
primo di essi è rappresentato da un’ascia di bronzo a margini rialzati e tallone diritto (fig. 4B), con
stringenti confronti in esemplari da contesti siciliani, pertinente a un ripostiglio costituito da un
numero imprecisato di asce6 rinvenuto negli anni ’60 nei pressi di Canolo (loc. Imbonello) e subito
andato disperso 7.
Il secondo, invece, è rappresentato da una grande olla ad impasto (fig. 4A) facente parte della
Collezione Candida, costituita da reperti di sicura provenienza locrese, una parte dei quali pertinenti
alle sepolture dell’età del ferro della necropoli di Canale8. Questo grande vaso trova confronti
particolarmente calzanti in esemplari usati come cinerario nella necropoli dell’antica età del bronzo
1
MARINO – PACCIARELLI 1996.
2
SABBIONE 1998, p. 21.
3
La notazione è riportata sui suoi taccuini (CARDOSA 2004, p. 514, nota 3).
4
CARDOSA 2004, p. 515.
5
PACCIARELLI – VARRICCHIO 2004, pp. 366-369.
6
Secondo uno degli operai che effettuarono la scoperta, interrogato a tal proposito a distanza di tempo, si trattava di 12
asce; il proprietario della cava dove avvenne il rinvenimento sostiene invece di aver visto solo 6 asce, mentre un
rapporto dei carabinieri effettuato alcuni anni dopo la scoperta parla di “2 o 3 piccole asce” (CARDOSA c.s.).
7
Un’unica ascia è pervenuta alle autorità competenti, ed è oggi conservata presso il Museo Archeologico di Locri
(CARDOSA 1991-92, pp. 13-15 e fig. 5).
8
QUAGLIATI 1911.
132
di Contrada Diana a Lipari, ma anche nell’area di Nicotera1 e potrebbe quindi essere da riferire ad
una necropoli posta nell’immediato entroterra locrese, forse da riferire allo stesso insediamento di
Petti di Portigliola.
Genericamente riportabili alle prime fasi dell’età del bronzo sono anche due altri siti identificati
durante operazioni di ricognizione sulle colline alle spalle di Locri antica: Cava di Vallone Rutolo e
Case Bumbaca. In entrambi i casi sembrerebbe trattarsi di piccoli insediamenti accomunati dalla
collocazione in posizione elevata, dominante sulla vallata della fiumara di Gerace, e sottoposti a
forte dilavamento2.
Al momento nella Locride non sono invece noti materiali riportabili alla fase finale del Bronzo
Medio e al Bronzo Recente, anche se non è da escludere che il completamento dello studio dei
materiali di S. Francesco di Gerace porti al rinvenimento anche di questa fase cronologica.
Ma i dati più interessanti, di recente acquisizione, riguardano sicuramente la fine dell’età del
bronzo. Nel 1979, in relazione ai lavori per la realizzazione della superstrada Jonio – Tirreno, erano
stati realizzati da parte della Soprintendenza Archeologica della Calabria alcuni saggi esplorativi in
località Santa Barbara di Mammola, dove era stata segnalata la presenza in superficie di materiale
archeologico di varie epoche. La località era già nota dalla fine dell’800 per aver restituito reperti
“che rimontano all’età preistorica”3 e fonti locali ricordano come in occasione della costruzione
della ferrovia Calabro-Lucana (1929) fossero venuti alla luce “armi, fibule, oggetti di bronzo e di
ferro vari, vasellame indigeno e importato”4.
Le esplorazioni promosse dalla Soprintendenza avevano permesso di portare alla luce resti di un
insediamento di età greca (V-IV secolo a.C.) ed un nucleo di sepolture dubitativamente attribuite, in
un primo momento, all’età del ferro5. Il recupero nei magazzini del Museo di Locri del materiale
rinvenuto in quell’occasione e di una parte della documentazione dello scavo, ha permesso di
appurare che due dei saggi effettuati (B ed L) avevano portato all’individuazione,
complessivamente, di quattro sepolture, due ad incinerazione ed altrettante ad inumazione,
pressoché prive di corredo, coperte da ammassi di pietrame. Oltre a vari frammenti di ceramica ad
impasto, raccolti nel terreno che circondava le tombe, con una datazione generica all’età del bronzo,
si è potuto così recuperare l’urna utilizzata per una delle incinerazioni, purtroppo molto
frammentata e lacunosa, e l’unico elemento di corredo pertinente a una delle tombe ad inumazione,
costituito da una fibula in bronzo ad arco semplice (fig. 5) di un tipo attestato nella necropoli di
Castellace di Oppido Mamertina6, permettendo di inquadrare la necropoli nell’ambito del Bronzo
Finale. Si tratta di un rinvenimento di grande rilevanza per la scarsità di dati che caratterizza questa
fase cronologica della Calabria. Al momento, infatti, nella regione sono noti solo tre contesti
funerari riportabili al Bronzo Finale: Tropea, Amendolara e, appunto, Castellace di Oppido
Mamertina7. Di tutti questi contesti al momento quello locrese è l’unico ad essere caratterizzato da
un rito misto. Le necropoli di Amendolara e Tropea sembrano infatti essere esclusivamente ad
incinerazione, mentre quella di Castellace ad inumazione. La stessa commistione dei due riti, che si
ritroverà, relativamente ad un’epoca successiva, anche nella necropoli della prima età del ferro di
Sant’Onofrio di Roccella, è invece presente nei contesti siciliani di Mulino della Badia e Madonna
del Piano, le cui analogie con l’ambito calabrese sono già state da tempo rilevate8.
1
CARDOSA 1991-92, pp. 15 e fig. 6; idem 2003, p. 878.
2
I materiali sono infatti sempre stati raccolti sui fianchi delle alture, dilavati dall’alto.
3
LUPIS CRISAFI 1887, p. 37.
4
Queste notizie sono riportate dall’avv. Emilio Barillaro, ispettore onorario della soprintendenza, sul Corriere di
Reggio del 26 novembre 1960.
5
SABBIONE 1986.
6
Cfr. PACCIARELLI 1999, fig. 40, n. 74.
7
PACCIARELLI 1999, p. 66-67.
8
ALBANESE PROCELLI – LO SCHIAVO 2004, p. 404.
133
BIBLIOGRAFIA
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Fig. 1: Petti di Portigliola A. Planimetria dello scavo B. Pianta della capanna absidata.
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Grotta del Romito: le campagne di scavo 2004 – 2005 (Papasidero, Cosenza)……….…... pag. 5
Fabio Martini, Domenico Lo Vetro
Grotta della Madonna di Praia a Mare (Cosenza): le campagne di scavo del 2004 ..…......……. pag. 13
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Grotta della Madonna, Praia a Mare (Cosenza). Archeocarpologia dei livelli olocenici: nuovi
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Maria Grazia Aisa, Giuseppe Nicoletti
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