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Prologo
Il Platone dei latini da theologus a philosophorum princeps
Una delle prime cose che si devono sapere da parte di chi si accosta alla
filosofia medievale è che quello che noi impropriamente chiamiamo “me-
dioevo”, cioè i dieci secoli ca. intercorrenti tra la crisi della tarda antichità e
il movimento della civiltà seguìto alle innovazioni tecniche e alle scoperte
geografiche del XV secolo e comprendenti le diverse fasi in cui si articola
sul piano diacronico un insieme complesso di aree linguistico-culturali non
sempre comunicanti tra loro, è prevalentemente caratterizzato, per quel che
concerne la sua cultura filosofica, dal platonismo; è in altri termini subito
necessario sfatare l’idea, accreditata anche da studiosi autorevoli e di una
certa fecondità nel secolo scorso ma col tempo divenuta poco più che mero
pregiudizio, secondo cui la filosofia medievale si identificherebbe con la
Scolastica e quindi troverebbe il proprio compimento nella “sintesi” tomma-
siana e sarebbe fondamentalmente aristotelica. Addirittura per ben sette se-
coli, dalla fine del V fino alla metà del XII, il platonismo costituisce in Oc-
cidente l’“orizzonte” concettuale esclusivo della filosofia, in continuità col
pensiero tardoantico, uniformemente platonico, nella “forma” onnicompren-
siva del neoplatonismo, “sintesi” filosofico-religiosa dei “valori” e dei saperi
della civiltà antica in crisi e ideologia tardoimperiale e aristocratica. Va co-
munque da sé che riconoscere tale uniforme modello speculativo di riferi-
mento non esime in alcun modo dal cogliere e analizzare gli apporti che ri-
ceve da molteplici tradizioni filosofiche che, sebbene in quanto tali distinte
da esso, è in grado di “metabolizzare” e le precipue istanze teoriche e prati-
che in virtù delle quali si è modificato nel tempo, suscitando di volta in volta
risposte altrettanto peculiari.
Il platonismo è quindi il terreno su cui si sviluppa e si articola una vera e
propria “storia della ragione” nel medioevo latino “alto” e “centrale”, un
processo di costruzione, anzi meglio di ricostruzione, del metodo non solo
come studio di una rigorosa validità formale delle strutture argomentative
ma anche come “logica della conoscenza”. In questo senso non ci troviamo
di fronte a un unico fenomeno; piuttosto si tratta di un lento ma costante mo-
vimento delle idee, connesso ai bisogni culturali della società civile e politi-
ca e alla “crescita” della biblioteca filosofica grazie all’attività di traduttori e
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secolo e la metà del XII ca., mi sento di menzionare gli studi e il prestigio di
Marta Cristiani e di Tullio Gregory come modelli per me influenti e suscita-
tori di innumerevoli e imprescindibili stimoli intellettuali, così come sento il
dovere di ricordare con gratitudine il ruolo di promozione degli studi italiani
sulla filosofia medievale, e in particolare di quelli svolti nelle Università e
nei centri di ricerca del meridione d’Italia, da parte di Loris Sturlese, i con-
tributi scientifici del quale, così come il suo ascendente sui miei interessi,
costituiscono per me un costante incentivo alla ricerca delle matrici medie-
vali delle professioni e delle “pratiche” filosofiche. Un affettuoso e grato
pensiero va ad Andrea Vella, alla cui intelligente dedizione agli studi filoso-
fico-medievalistici affido la speranza, di cui quotidianamente verifico la so-
lidità e in virtù del fattivo aiuto che da lui ricevo nel mio lavoro, e che mi ha
dato anche per la realizzazione del presente volume, che la mia ostinata ri-
cerca in testi scritti in lingue morte, sebbene indefettibilmente “vivi” e vivi-
damente attuali, delle radici e delle ragioni di un impegno intellettuale e civi-
le degno di essere coltivato non si riveli vana. Ringrazio infine, per la corte-
sia e la pazienza, le direzioni e il personale delle biblioteche che ho mag-
giormente frequentato, delle Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e
storico-artistiche e delle Scienze pedagogiche e psicologiche dell’Ateneo e
la Regionale Universitaria di Catania, della P.U. Gregoriana di Roma e del-
l’Università Cattolica di Milano.
Desidero infine esprimere la mia gratitudine a mia moglie Adriana Canta-
ro e a mio figlio Pietro, per la paziente e intelligente condivisione delle con-
seguenze del mio lavoro, dedizione che spero di ricambiare con il sostegno
dei loro impegni professionali e di studio e delle loro scelte personali. Mi è
caro dedicare questo volume alla memoria di mio padre, Pietro Martello, a
dieci anni dalla morte. Maestro di onestà e altruismo, è sempre a me presente
con ironia e discrezione.
1. La nozione di platonismo
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no, che nel produrle rimane in sé10; l’idea di ragione come legame oggettivo
e ordinatore e come facoltà attraverso cui l’anima governa le proprie capaci-
tà e passioni e organizza le relazioni con ciò che è altro da sé permea tutti i
cinquantaquattro trattati di cui sono costituite le Enneadi: la ragione ci dice
che l’ordine che caratterizza tutte le cose e l’insieme di esse è frutto della
subalternità, e quindi della dipendenza, di ciò che è esteso rispetto a ciò che
è inesteso11, essa astrae e distingue, compara e deduce, in quanto ciò che dif-
ferenzia gli enti, così i corpi come le forme intelligibili, non compromette la
comune afferenza all’essere di tutte le sostanze e di tutte le essenze, e di
conseguenza l’organicità e l’unitarietà del reale, condizioni della struttura
gerarchica di esso. L’ordine è inteso quindi come gerarchia, che corrisponde
all’articolazione dialettica del “mondo delle idee”, cioè all’andamento di-
scensivo e “diairetico” delle relazioni tra gli intelligibili.
Dal III secolo l’impostazione teorica plotiniana, che come s’è visto allar-
ga e chiarisce la prospettiva del precedente platonismo e che, in ragione
dell’accelerazione che imprime ai processi attraverso cui è messa in questio-
ne l’ontologia classica e dell’evidenziazione che opera della divisione del-
l’essere e dei saperi su di esso, è chiamata “neoplatonismo”, influenza, diret-
tamente o indirettamente, gli sviluppi successivi del pensiero filosofico; si
può dire anzi che costituisce la peculiare forma che assume il platonismo, e
più in generale la filosofia, nella tarda antichità e il “terreno comune” della
“crescita” dei saperi nelle diverse aree culturali in cui si articola e si modifi-
ca la civiltà euro-mediterranea, quanto meno fino al XII secolo, quindi, per
limitarci alle tre più importanti, sia nell’area greco-bizantina, che conserva
per intero e usa la biblioteca filosofica e costituisce quindi per le altre impre-
scindibile punto di riferimento e fonte di “aggiornamento”12, sia in quella
arabo-islamica, che dal IX secolo manifesta uno straordinario e originale in-
teresse nei confronti di una teologia filosofica in grado di “catalizzare” e or-
dinare i saperi e le pratiche culturali e cultuali, sia nell’Occidente latino, ca-
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Enn. V 2 (40), 1, 1-11; 2, 24-31.
11
Enn. VI 4 (15), 13, 1-26.
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Dell’ampia bibliografia riguardante la “matrice” greca della cultura filosofica mediava-
le, mi limito qui a citare S. Gersh, From Iamblichus to Eriugena. An Investigation of the
Prehistory and Evolution of the Pseudo-Dionysian Tradition, Brill, Leiden 1978, trad. it. Da
Giamblico a Eriugena. Origini e sviluppi della tradizione pseudo-dionisiana, Edizioni di Pa-
gina, Bari 2009, J. Marenbon, Early Mediaeval Philosophy (480-1150), Routledge, Lon-
don/New York 1988, pp. 1-42, e C. D’Ancona, Storia della filosofia nell’Islam medievale,
Einaudi, Torino 2005, pp. 180-258.
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