Il delitto di truffa è incriminato dall’art. 640 c.p.
La truffa consiste in un inganno con il
quale si provoca un danno ingiusto al patrimonio altrui. La frode è un inganno produttivo di danno altrui, dove l’opera della vittima è cagionata dall’ingannatore, che è in qualche modo “autore mediato” del risultato (profitto ingiusto per lui e danno per la vittima). Questa struttura generale della frode si riscontra anche nella frode patrimoniale, di cui la truffa è il prototipo. Una caratteristica che permette di distinguere la truffa dagli altri delitti che non richiedono la collaborazione della vittima, detti unilaterali, è l’atto di disposizione patrimoniale compiuto dalla vittima o da chi per lei. La collaborazione della vittima può assumere gradi assai diversi: alcune volte viene sorpresa la buona fede di una persona attenta ed avveduta, altre volte vengono scelte dal truffatore come vittime persone deboli ed indifese ( donne anziane, casalinghe), altre volte si verifica il caso della truffa “americana”, dove viene prospettato un guadagno illecito e la vittima disonesta abbocca all’amo. Esiste una dottrina tedesca degli anni ’80, la vittimo-dogmatica , secondo la quale l’intervento penale nei casi di truffa sarebbe ingiustificato sulla base dei principi di sussidiarietà e di ultima ratio. Ma la verità è che tali principi significano che l’intervento penale deve essere evitato, se è possibile sostituirlo con un intervento pubblico meno invasivo, per cui l’intervento pubblico non è sussidiario all’autodifesa privata. Il fatto che la vittima si lasci ingannare facilmente richiede, anzi, una tutela penale ancora più completa. L’oggetto di tutela è duplice: da un lato la buona fede del sogg. ingannato, dall’altro il patrimonio di chi riceve il danno. La procedibilità a querela è compatibile con entrambi i beni giuridici tutelati. Se la persona ingannata è diversa da quella che riceve il danno patrimoniale, entrambe saranno considerate soggetti passivi del reato, cui spetta il diritto di querela e tutti gli altri diritti spettanti alla persona offesa del reato. La persona giuridica può essere soggetto passivo della truffa , ma non in quanto persona ingannata, ma soltanto per l’aspetto patrimoniale dell’offesa. Soggetto attivo può essere chiunque. Il fatto commesso da pubbl. ufficiale o da incaricato di pubbl. servizio integra la concussione per induzione. La condotta tipica è descritta tramite una elencazione a cascata dei suoi requisiti, che sono tre: la condotta connotata da artifici o raggiri, errore altrui, ingiusto profitto con altrui danno, i quali sono legati tra loro da una relazione causale e da un rapporto di tipo finalistico. La truffa è un reato di evento, cioè un reato in cui il risultato nel mondo esterno rende tipica la condotta che lo produce. Artifici o raggiri: artificio è la creazione di una falsa apparenza nel mondo esterno. Raggiro è l’avviluppare in un complesso di ragionamenti e convincimenti la persona da ingannare. Né gli artifici, né i raggiri possono consistere in un’omissione. Una semplice menzogna non è artificio , né raggiro, perché essa deve essere accompagnata da artifici o raggiri. Ciò vale anche per silenzio e reticenza, i quali devono avere un concreto valore concludente tale da ingannare la vittima. Il silenzio è una condotta positiva dell’agente e non ha valore di omissione ex art. 40 cpv. c.p. Induzione in errore. La condotta dell’agente, caratterizzata da artifici o raggiri, ha come conseguenza indurre qualcuno in errore. L’errore è una convinzione non corrispondente alla realtà e si differenzia dall’ignoranza, ma si suppone che l’ignoranza si tramuta necessariamente in errore. L’errore può essere di fatto o di diritto e qualsiasi errore può essere rilevante, purchè abbia condotto la vittima a un fare o ad un omettere che abbia provocato le conseguenze dannose. L’errore può riguardare anche giudizi di valore, che possono essere convertiti in situazioni di fatto. La induzione. Indurre in errore significa determinare in altri uno stato di errore. Non si sfrutta un errore già esistente, ma si mantiene altri in errore con una condotta positiva. Il rapporto tra condotta dotata di artifici o raggiri e la induzione in errore è di tipo causale- condizionali stico, nel senso che, se non fosse stata posta quella condotta, non si sarebbe verificato l’errore della persona ingannata. L’atto di disposizione patrimoniale. E’ ricavato tramite la riflessione che, se l’errore dell’ingannato non si estrinseca in una qualche condotta, non ne può derivare alcun danno patrimoniale, né alcun profitto. Occorrerebbe, quindi, che l’ingannato compia tale atto. Vi rientrano condotte consistenti in un dare o in un facere, come il compimento di un atto giuridico ( pubblico o privato) o di un atto materiale che comunque abbia effetti giuridici, l’esecuzione di una prestazione lavorativa, l’astenersi dal compiere qualche condotta. La persona ingannata. Deve esserci affinchè vi sia truffa consumata. La truffa processuale. La persona ingannata può essere anche un giudice che abbia il potere di emettere un provvedimento patrimonialmente dannoso per taluno. La sentenza del giudice funge da atto di disposizione rilevante agli effetti della truffa. La truffa in apparecchi automatici. Farlo funzionare abusivamente comporta l’inganno della persona che lo ha predisposto, la quale sarebbe contraria al rilascio del bene o del servizio laddove la controprestazione non è effettuata. Dall’atto di disposizione della vittima deriva un ingiusto profitto per il truffatore o per altri e con correlativo danno per altri. Tale derivazione è un nesso condizionalistico: l’errore è condizione indispensabile del comportamento dell’ingannato e questo è indispensabile perché si sia verificato il profitto, con altrui danno correlativo. Qui valgono le regole della condicio sine qua non. Profitto è ogni accrescimento del patrimonio o la sua mancata diminuzione. Il profitto è ingiusto quando il soggetto non ha il diritto e neppure la facoltà di conseguirlo a danno di altri e quando è contrario alle valutazioni di fondo dell’ordinamento. Danno è diminuzione del patrimonio e va considerato per saldo, cioè dopo aver soppesato vantaggi e svantaggi che derivano dalla disposizione patrimoniale. Anche il danno arrecato deve essere ingiusto così come deriva dalla stretta correlazione con il profitto. Elemento soggettivo. È il dolo. Esso deve ricoprire tutti gli elementi della truffa, svolgendosi a partire dagli artifici o raggiri, passando attraverso la volontà di indurre taluno in errore e giungendo fino alla volontà di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. Solitamente il truffatore mira al profitto, ma in alcuni casi può mirare a provocare il danno. Vi è volontà dell’evento più volontà del mezzo. Non vi è truffa se l’agente non ha voluto neanche uno solo dei momenti di realizzazione esteriore. La mancata consapevolezza che il profitto è ingiusto comporta un errore rilevante agli effetti dell’art. 47 ult. comma c.p. Alcune volte l’agente è in dubbio: qui varranno le regole generali in tema di dolo eventuale. Il delitto di truffa si consuma nel momento in cui si verifica il danno patrimoniale provocato dall’atto di disposizione della persona ingannata. Il tentativo è configurabile.