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Stefano Besoli*
IL FUNGERE DELL’INTENZIONALITÀ COME TEMA
DELLA FENOMENOLOGIA TRASCENDENTALE
1. In filosofia, chiunque abbia avuto un’idea nuova è facile che l’abbia avuta da un altro.
A tale destino non sembra sottrarsi nemmeno la nozione d’intenzionalità, che si è soliti
considerare lo shibboleth della fenomenologia. Al riguardo, se s’intende con ciò riferirsi
al generico carattere intenzionale della conoscenza, non vi e dubbio che già in Platone
sia presente un perspicuo richiamo al fatto che non c’è conoscenza che non sia cono-
scenza di qualcosa e che l’oggetto, al fine di essere conosciuto, e necessario che sia, a
prescindere dal senso in cui si dice che l’oggetto di conoscenza per l’appunto è, ovvero
dall’impegno ontologico con cui lo si pensa1. Al di là dei tratti rappresentazionalistici
della filosofia cartesiana, in termini moderni è stato Kant a investire in particolare su
questo tipo d’intenzionalità, a partire dalla celebre lettera a Marcus Herz del 21 febbraio
© 2016 Vita e Pensiero / Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
17722, che non a torto è stata vista come l’atto di nascita della Critica della ragion pura.
Il problema che Kant affronta in tale lettera è su che cosa si fondi il rapporto tra le rap-
presentazioni che sono in noi e l’oggetto cui esse si rivolgono, ovvero da dove venga
la concordanza che le nostre rappresentazioni devono realizzare con gli oggetti, tanto
più se si tratta di rappresentazioni intellettuali basate su un’attività interna. Al riguardo,
si può dire che tale problematica intenzionale preceda in Kant la stessa indagine cono-
scitiva3, poiché essa s’interroga, in maniera preliminare, sulle condizioni in base a cui
le nostre rappresentazioni sono ritenute passibili di andar oltre se stesse, in direzione
di qualcosa che ne costituisce il riferimento. Per certi versi, anche nella Confutazione
dell’idealismo, inserita nella seconda edizione della Critica della ragion pura4, si allude
*
Università degli Studi di Bologna.
1
Cfr. Platone, Resp., V, 476 e - 477 a; ma si veda anche Soph., 237 e 254-259.
2
Cfr. I. Kant, Kants gesammelte Schriften, hrsg. von der Königlich Preussischen Akademie der
Wissenschaften, Bd. X, Kants Briefwechsel, 1, 1747-1788, Reimer, Berlin 1900, 19222, pp. 129-135.
3
Su ciò cfr. R. Brandom, Tales of the Mighty Dead: Historical Essays in the Metaphysics of Intention-
ality, Harvard University Press, Cambridge MA 2002, pp. 21 ss. Per una critica radicale dell’impostazione
kantiana si veda E. Husserl, Ding und Raum. Vorlesungen 1907, hrsg. von U. Claesges, Nijhoff, Den
Haag 1973; tr. it. di A. Caputo - M. Averchi, a cura e con introduzione di V. Costa, La cosa e lo spazio,
Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2009, pp. 169 ss.
4
Cfr. I. Kant, Kritik der reinen Vernunft (1781, 17872), in Id., Kants gesammelte Schriften, Bd. III,
hrsg. von B. Erdmann, Reimer, Berlin 1904, 19112, rist. de Gruyter, Berlin 19692; tr. it., introduzione,
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alla nozione più ovvia d’intenzionalità, allorché – seguendo la traccia della spazialità
quale condizione di apertura a tutto ciò che ci si manifesta esteriormente – Kant revoca il
privilegio di realtà e immediatezza accordato all’esperienza interna, conferendo all’«e-
sistenza degli oggetti nello spazio fuori di me»5 la capacità di accreditare una coscien-
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za empiricamente determinata della mia esistenza nel tempo, fino a fare intravedere il
principio di una correlazione esperienziale peraltro già viziata da un’ingenua visione
trascendentale di stampo mondano, che rischia di compromettere l’esito di tale confuta-
zione o di far derogare Kant dall’assunzione dei suoi stessi principi. In ogni caso, rende-
re l’intenzionalità in termini di rappresentazione ha comportato non solo difficoltà per
la dottrina rappresentazionalistica della percezione, ma soprattutto ha costretto a inter-
rogarsi sulla natura dell’atto del rappresentare e su quella dei suoi correlati, al fine tra
l’altro di stabilire se vi sia una qualche forma di pensiero, ontologicamente neutrale, che
si ponga alla base delle altre forme di pensiero che intrattengono invece, con la dimen-
sione dell’essere, un certo tipo d impegno.
Sul versante della tradizione più propriamente fenomenologica, si è spesso enfa-
tizzato il legame di continuità tra la ricognizione psicologica dell’intenzionalità, attua-
ta da Brentano, e la generalizzazione del tema dell’intenzionalita come problematica
universale della fenomenologia husserliana. Sebbene il pensiero di Brentano abbia
avuto un impatto consistente sugli esordi della riflessione husserliana, rischiando
addirittura di sviarne il percorso – data l’incauta equiparazione tra fenomenologia e
psicologia descrittiva, poi prontamente ritrattata da Husserl nel 19036 – le rispettive
concezioni manifestano però una profonda divergenza. Ciò, in chiave storica, è testi-
moniato dal fatto che l’acquisizione fenomenologica dell’intenzionalità non discende
da una ristretta matrice psicologica, poiché Husserl ha iniziato a delineare la propria
dottrina approfondendo questioni di semantica logica, in cui i rapporti tra coscienza
ed essere trovano una loro formulazione dispiegata, in quanto retti da un’essenziale
correlatività e da un’effettiva trascendenza7. Nel suo rifarsi a fonti aristotelico-scola-
stiche, non sfruttate però in tutta la loro ampiezza e potenzialità, il metodo empirico
di Brentano affronta la questione dell’intenzionalità sotto un profilo assai limitato.
note e apparati di C. Esposito, Critica della ragion pura, Bompiani, Milano 2004, pp. 425 ss. (B 274 ss.).
Tale confutazione non è espressamente condotta nella prima edizione della Critica, ma è per così dire
contenuta – con il rifiuto dell’idealismo problematico al prezzo di un fenomenismo dispiegato su entrambi
i lati – nelle discussioni riguardanti i Paralogismi della ragion pura, e segnatamente in quelle sul paralo-
gismo dell’«idealità del rapporto esterno» (cfr. ibi, pp 1269 ss., A 366 ss.). Nella seconda edizione della
Critica Kant non si limitò però ad attuare un riequilibrio tra due forme d’intuizione divaricate, ma cercò
di mostrare come «il gioco condotto dall’idealismo venisse a ritorcersi a maggior ragione contro di esso
(ibi, p. 429, tr. in parte adattata), giacché per fare della propria esistenza un oggetto dell’esperienza interna
occorreva determinare la successione dei propri stati coscienziali attraverso la percezione di «qualcosa di
permanente», che non è possibile solo «in virtù della semplice rappresentazione di una cosa fuori di me»,
ma richiede appunto «una cosa fuori di me» (ibi, p. 427 ss.).
5
Ibi, p. 427 (B 275).
6
Cfr. E. Husserl, Rezension zu: Th. Elsenhans, «Das Verhältnis der Logik zur Psychologie» (1897), in
Id., Aufsätze und Rezensionen (1890-1910), Husserliana, Bd. XXII, hrsg. von B. Rang, Nijhoff, Den Haag
1979, p. 206 (la recensione husserliana è del 1903).
7
Su ciò cfr. Id., Husserls Abhandlung “Intentionale Gegenstände”. Edition der ursprünglichen Druck-
fassung (1894), hrsg. von K. Schuhmann, «Brentano Studien», 3 (1990/1991), pp. 137-176; tr. it. di S. Beso-
li, Oggetti intenzionali, in Id., Logica, psicologia e fenomenologia. Gli Oggetti intenzionali e altri scritti, a
cura di S. Besoli e V. De Palma, con introduzione di S. Besoli il Melangolo, Genova 1999, pp. 87-124.
il fungere dell’intenzionalità come tema della fenomenologia trascendentale 917
Nel quadro di un empirismo in larga parte riformato, Brentano non mostra per il tema
dell’intenzionalità un interesse gnoseologico, ovvero non tratta dell’apprensione o
costituzione del dato oggettuale, ma intende solo connotare – mediante il carattere
positivo dell’«inesistenza intenzionale» – il tratto distintivo dei fenomeni psichici,
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legittimandone la radicale separazione da queffi fisici. Col ricorso alla sola forma
aggettivale dell’intenzionalità, Brentano si limita a mettere in rilievo il modo in cui la
coscienza ha in sé un oggetto, ovvero la specifica modificazione accidentale a cui la
sostanza psichica ‘va incontro’, arricchendosi di sempre ulteriori modalità, senza più
avere però nell’oggetto una controparte effettiva del proprio riferimento.
La definizione brentaniana della struttura intenzionale del contesto psichico
risponde all’esigenza di tracciare una linea di demarcazione tra fenomeni di segno
contrapposto, per congedarsi dal sensismo imperante nella psicologia dell’epoca
e riconoscere il ruolo fondante di una scienza puramente fenomenica che, pur non
essendo esente da implicazioni metafisiche, sancisce il definitivo passaggio da una
psicologia associazionistica a una psicologia dell’atto. Nell’impianto della psicologia
descrittiva brentaniana non c’è spazio dunque per questioni riguardanti la possibilità
dell’essere e la sua esperibilità, né si assume in essa che i fenomeni psichici – par-
tecipi di tale orizzonte tematico – si rivolgano a uno stesso oggetto nella sua stretta
identità – condizione senza cui non si potrebbe tuttavia parlare di atti descrittivamente
diversi che manifestano il medesimo rivolgimento intenzionale8. A differenza degli
atti intenzionali, che si caratterizzano per un aspetto sintetico con cui si realizza – nel
passaggio dall’intenzione significante al riempimento intuitivo – una «forma di unità
fenomenologicamente peculiare»9, i fenomeni psichici tracciano i contorni di una sfe-
ra dell’interiorità o immanenza nella quale restano invischiati gli oggetti della relazio-
ne intenzionale, da intendersi come contrassegno esclusivo dell’esperienza psichica.
In altri termini, è come se l’assenza dell’«intenzionalità» nel lessico concettuale
di Brentano ne avesse certificato l’impedimento a vedere la «cosa». Nella sua con-
cezione pre-fenomenologica, Brentano non parla mai, infatti, d’intenzionalità della
coscienza o d’intenzionalità degli atti, bensì il suo recupero di una tematica scola-
stica – sottratta così all’oblio – è funzionale solo a stabilire il nucleo formale di ogni
attuazione della vita psichica, adibendo tale requisito a criterio di una divaricazione
fenomenica. Posto che non sarebbe stato sintomo di particolare originalità affermare
che la coscienza è sempre «coscienza di qualcosa», la cosiddetta scoperta brentaniana
dell’intenzionalità – che non può essere rubricata a mera riscoperta – risulta inconsa-
pevole, se non addirittura involontaria, dal momento che Brentano aveva di mira solo
l’individuazione di un principio descrittivo capace di dirimere ciò che è psichico da
ciò che è fisico, cogliendo appunto nel riferimento intenzionale il carattere distintivo
8
Cfr. su ciò E, Husserl, Nachwort zu meinen «Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomeno-
logischen Philosophie» (1930), in Id., Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Phi-
losophie, Drittes Buch, Husserliana, Bd. V, hrsg. von M. Biemel, Nijhoff, Den Haag 1952, 19712, pp. 156 ss.;
tr. it. di V. Costa, Postilla alle Idee, in Id., Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologi-
ca, vol. I, Libro primo: Introduzione generale alla fenomenologia pura, nuova ed. a cura di V. Costa, intro-
duzione di E. Franzini, Einaudi, Torino 2002, pp. 429 ss., laddove si rileva che l’introduzione brentaniana
in psicologia di un concetto d’intenzionalità descrittivo resta comunque debitrice di un’eredità naturalistica.
9
Id., Logische Untersuchungen (1900-1901), ora in Husserliana, Bd. XIX/2, hrsg. von U. Panzer,
Nijhoff, Den Haag 1984, p. 366; tr. it. e introduzione di G. Piana, Ricerche logiche, 2 voll., il Saggiatore,
Milano 1968, Net, Milano 20052, vol. 2, p. 332.
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sterile tentativo brentaniano di fornire un’interpretazione dei «dati psichici» alla luce
del loro essere contrassegnati dal «modo singolare dell’intenzionalità»10.
In questa prospettiva, la pura classificazione dei fenomeni della percezione interna,
motivata dal voler dotare la psicologia genetico-esplicativa di un fondamento descritti-
vo che fissi in maniera statica le possibili forme di connessione tra le diverse relazioni
intenzionali, non poteva che assumere un ruolo limitato quanto all’esigenza di effettuare
un’indagine della vita intenzionale della coscienza e di avviare un’autentica «psicologia
dell’intenzionalità», per la quale infatti Brentano non aveva saputo cogliere un punto di
partenza convincente, poiché con la sua intuizione – che pure aveva evitato le secche
di una «psicologia dei dati» – non si poteva dar corso a nulla, sulla falsariga di quanto
del resto era già accaduto con la scoperta del cogito cartesiano. Il tema sollevato da
Brentano restò dunque per così dire intatto, giacché egli perse di vista il senso dell’inten-
zionalità e, ancor più, il problema dell’«essere dell’intenzionalità»11, indagando il quale
si sarebbe invece riusciti a dar conto della caratterizzazione humeana delle impressioni
come «impressioni di», con auspicabile risoluzione del vero problema humeano disco-
nosciuto da Kant, e cioè dell’«enigma di un mondo», il cui essere è tale «in virtù di un’o-
perazione soggettiva»12, per cui si può risalire al suo senso originario solo interrogando
la natura ugualmente enigmatica dell’intenzionalità.
Affrontare l’enigma del mondo e quello della sua peculiare trascendenza signifi-
cava in primo luogo riconoscere che l’espressione «coscienza di qualcosa» comunica
un’ovvietà, ma al tempo stesso contempla un aspetto «profondamente incomprensi-
bile»13. Tale enigma è ciò che giustifica l’impostazione genetico-trascendentale della
fenomenologia, rendendola di per ciò stesso necessaria. Infatti, l’intenzionalità non
rappresenta più, per Husserl, il tratto essenziale di atti coscienziali di tipo specifico,
magari ristretti a quelli di portata conoscitiva od obiettivante, ma esibisce la struttura
fondamentale della coscienza che introduce all’immenso programma di lavoro della
fenomenologia, il cui cammino si apre a un continuo approfondimento dei «sostra-
to»14, e cioè dell’originaria tensione monadica da cui – attraverso una considerazione
riflessiva – emerge ogni vissuto nella sua più circostanziata fisionomia. In Husserl,
10
E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie.
Eine Einleitung in die phänomenologische Philosophie, Husserliana, Bd. VI, hrsg. von W. Biemel,
Nijhoff, Den Haag 1954, 19592; tr. it. di E. Fiippini, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia tra-
scendentale, prefazione di E. Paci, il Saggiatore, Milano 1961, il Saggiatore/Net, 2002, p. 234 (tr. modif.).
11
E. Fink, Das Problem der Phànomenologie (1939), ora in Id., Studien zur Phänomenologie 1930-
1939, Nijhoff, Den Haag 1966, p. 223.
12
Cfr. Husserl, La crisi delle scienze europee, p. 124.
13
Cfr. Id., Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie (1913),
Erstes Buch, Husserliana, Bd. III/1, hrsg. von K. Schuhmann, Nijhoff, Den Haag 1976, p. 201; tr. it. a cura
di V. Costa, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, p. 223.
14
Cfr. Id., Erste Philosophie (1923/24). Erster Teil: Kritische Ideengeschichte, Husserliana, Bd. VII, hrsg.
und eingel. von R. Boehm, Nijhoff, Den Haag 1956, pp. 259 ss. e 266 ss. (si tratta dello scritto del 1924 su
Kant und die Idee der Transzendentalphilosophie, tr. it. di C. La Rocca, Kant e l’idea della filosofia trascen-
dentale, con introduzione di G. Funke e postfazione di M. Barale, il Saggiatore, Milano 1990, qui p. 160).
il fungere dell’intenzionalità come tema della fenomenologia trascendentale 919
15
E. Husserl, Phänomenologische Psychologie, Husserliana, Bd. IX, hrsg. von W. Biemel, Nijhoff,
Den Haag 1962, 19682, p. 34; cfr. anche Id., La crisi delle scienze europeee, p. 255.
16
F. Brentano, Psychologie vom empirischen Standpunkt, 2 Bde., Duncker & Humblot, Leipzig 1874; 3
Bde. mit Einleitung, Anmerkungen und Register hrsg. von O. Kraus, Meiner, Leipzig 1924-1928, Bd. 2, p. 134.
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né si traduce nel contenuto di una metafisica della presenza di tipo cartesiano. Nella
filosofia husserliana, lungi dall’aver esaurito la propria vocazione nel riscontro clas-
sificatorio dei diversi modi coscienziali, l’intenzionalità assume – nel contesto di
una coscienza concepita come incarnata, e quindi come strettamente personale – il
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17
Circa la distinzione tra concetti operativi e concetti tematici, cfr. E. Fink, Operative Begriffe in Husserls
Phänomenologie (1957), ora in Id., Nähe und Distanz. Phänomenologische Vorträge und Aufsätze, hrsg. von
F.-A. Schwarz, Alber, Freiburg i.Br. - München 1976, pp. 180-204.
18
Husserl, Phänomenologische Psychologie, p. 36, ma cfr. anche pp. 246 ss., 267 ss., 309 ss., 353 ss.
e 420 ss.
19
Cfr. ibi, p. 36.
il fungere dell’intenzionalità come tema della fenomenologia trascendentale 921
del tutto latente anche nella trattazione cartesiana, in cui l’uso massiccio del termine
«cogitatio» rispondeva solo al programma di elaborare una conoscenza obiettiva, che
però finì inevitabilmente per tradursi in una conoscenza che «trascende metafisicamente
l’ego»20, e come tale destinata a incorrere – contravvenendo all’obbligo di considerare
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20
Cfr. Husserl, La crisi delle scienze europee, p. 111.
21
Id., Cartesianische Meditationen (1931), Husserliana, Bd. I, hrsg. und eingel. von S. Strasser,
Nijhoff, Den Haag 1950; nuova tr. it. a cura di F. Costa, Meditazioni cartesiane con l’aggiunta dei Discorsi
parigini, presentazione di R. Cristin, Bompiani, Milano 1989, p. 84 (tr. modif.).
22
Id., Formale und transzendentale Logik. Versuch einer Kritik der logischen Vernunft (1929),
Husserliana, Bd. XVII, hrsg. von P. Janssen, Nijhoff, Den Haag 1974; tr. it. di G.D. Neri, Logica for-
male e trascendentale. Saggio di critica della ragione logica, con prefazione di E. Paci, Laterza, Bari
1966, rist. Mimesis, Milano - Udine 2009, p. 198 (tr. modif.).
23
Cfr. ibi, p. 199 (tr. modif.).
24
Cfr. su ciò Fink, Das Problem der Phänomenologie, pp. 201 ss.
922 stefano besoli
modi di datità, come una storia sedimentata – una storia che si può di volta in volta
svelare con un metodo rigoroso»25. Viceversa, l’esclusiva attenzione epistemica per la
sfera più circoscritta degli oggetti intenzionali relegò l’intenzionalità ad evento monda-
no, privandola di quel «filo conduttore trascendentale» che avrebbe fornito una guida
alle «“analisi” costitutive», deputate a mettere in luce tutti i risvolti più intimi della vita
soggettiva tramite gli «svelamenti d’implicazioni intenzionali»26. Proprio la natura rive-
lativa della fenomenologia mira a disoccultare, tramite uno scavo archeologico, ciò che
di norma resta precluso alla vista, scomponendo l’intero regno delle implicite strutture
intenzionali. In tal modo la fenomenologia husserliana certifica il divario della propria
impostazione trascendentale che attua un rovesciamento prospettico del consueto modo
di guardare il mondo, non ponendo più il molteplice in relazione a ciò che è identico –
come avviene invece nell’ambito della percezione quotidiana – ma dipanando, in un
continuo lavoro di approfondimento, le «“molteplicità” in cui l’“unità” si costituisce»27.
A partire da un’unità intenzionale di senso apparentemente compiuta28, l’impegno a
svolgere tutte le intenzionalità implicate nel campo tematico di una soggettività propria-
mente fenomenologica – in quanto contrassegnata da un’operatività «intenzionale-co-
stitutiva»29 – esibisce l’intreccio tra la struttura dell’intenzionalità, che esige una sua
esplicitazione sistematica, e la funzione trascendentale della fenomenologia.
L’intenzionalità, in Husserl, non rappresenta più, banalmente, una direzione o un
senso di marcia, né configura una più complessa modalità di relazione, ma è stretta-
mente connessa al concetto di trascendenza da un modo di fondazione che delinea la
congruenza tra la funzione assolta dall’intenzionalità e la peculiarità trascendentale
della fenomenologia husserliana, giacché proprio l’intenzionalità è il luogo che ospita
il trascendentale, ovvero è il versante su cui si attua ogni tipo di genesi costitutiva. La
trascendenza, infatti, non va concepita come ingenuo manifestarsi di una realtà alla
coscienza, bensì come designazione dell’operazione costitutiva del modo d’essere
della soggettività, che proprio in tal senso assume la determinazione di trascenden-
tale. Di conseguenza, se la fenomenologia trascendentale è tale perché deve rendere
comprensibile il problema «della costituzione trascendentale di tutte le trascendenze,
anzi di tutte le oggettualità in generale»30, essa – in ragione dell’intima correlazione
esistente tra il concetto di trascendentale e quello di trascendente – potrà assolvere al
compito di chiarire il senso della trascendenza mondana solo attraverso un «sistema-
tico svelamento dell’intenzionalità costitutiva stessa»31. Se tra le acquisizioni mature
della fenomenologia vi è l’asserzione che «il mondo che è per noi, che è il nostro
mondo in base al suo essere ed essere-così, trae il suo senso d’essere interamente dalla
25
Husserl, Logica formale e trascendentale, p. 303 (tr. modif.).
26
Cfr. ibidem.
27
Ibi, p. 322.
28
Cfr. al riguardo ibi, p. 258.
29
Ibi, p. 215.
30
Ibi, p. 311 (tr. modif.).
31
Id., Meditazioni cartesiane, p. 109 (tr. modif.); ma si veda anche p. 29 (Discorsi parigini).
il fungere dell’intenzionalità come tema della fenomenologia trascendentale 923
nostra vita intenzionale, attraverso un insieme tipico d’operazioni che può essere esi-
bito a priori – esibito e non argomentativamente costruito o escogitato in un pensiero
mitico»32, al fondo di essa traspare una condizione strutturale che nulla ha a che fare la
presunta incidenza soggettiva di una soggettività trascendentale di per sé anonima33,
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ma che conferma invece l’intenzionalità nel ruolo di tramite in base a cui le cose giun-
gono progressivamente a svelare il rispettivo senso d’essere, nel «come dei suoi modi
di datità». Per questo, la scoperta dell’intenzionalità non dev’essere solo radicata nel
pieno sviluppo del programma fenomenologico, nel susseguirsi delle sue specifiche
articolazioni tematiche, ma va anche subordinata alla scoperta ben più fondamentale
che segnò il prosieguo della riflessione husserliana, imponendo di dare a tale sconvol-
gente novità un’elaborazione sempre più sistematica.
Ciò che Husserl riconobbe assente nell’atteggiamento ancora naturalistico dell’im-
postazione brentaniana, era il riscontro della correlazione tra «noesis e noema, cogito
e cogitatum qua cogitatum»34, ovvero del tipico «modo di considerazione correlativo»
che aveva imposto le «ricerche orientate soggettivamente» – contenute nel secondo
volume delle Ricerche logiche – che risultarono ancor più significative, dal punto di
vista dell’assoluta rilevanza fenomenologica, delle indagini meramente riconducibi-
li al piano ontologico35. L’inizio della fenomenologia, per quanto ancora imperfetto,
coincide – in piena gestazione delle Ricerche logiche, e cioè all’incirca dal 1898 – con
«la prima irruzione di questo a priori universale della correlazione tra l’oggetto dell’e-
sperienza e i modi di datità», una problematica che di lì a poco – incrementata dai
temi della soggettività umana – incontrò una radicale trasformazione soddisfatta, in
termini dottrinari, dalla «riduzione fenomenologica all’assoluta soggettività trascen-
dentale»36. Con il tema della correlazione, che in fondo anticipa lo spettro funzionale
occupato dal Dasein e dai vari Existenzialien heideggeriani, vien messo a nudo lo
schema fondamentale che, mediante la riflessione, emerge dall’esperienza stessa. L’a-
spetto fondamentale della correlazione riguarda il suo precedere, kata logon, i termini
stessi tra i quali essa si stabilisce. In tal senso la correlazione non va semplicemente
intesa come relazione tra, ma assume una sorta di rilievo contenutistico, che restitui-
sce il tratto organicistico dell’esperienza fenomenologica. La correlazione può esser
tematizzata in più modi, ma il suo carattere di contenuto si riconosce dal fatto di esser
sempre in presenza di qualcosa di più originario e fondamentale dei termini rispetto
a cui essa si definisce. L’esperienza è infatti, per Husserl, una corrente di vita, un
flusso di percezioni i cui fenomeni tendono, nella riflessione, a organizzarsi in unità
armoniche sempre più vaste, per cui la fenomenologia ha il compito di far emergere
dal vissuto – rendendolo con ciò manifesto – quel logos che non è mai manifestazione
di qualcosa di absconditus che si cela al di là del flusso fenomenico. Esso infatti al
contrario rappresenta il «logos del mondo estetico», che richiede il principio-guida
dell’intenzionalità per compiere l’«indagine della costituzione trascendentale»37, che
32
Husserl, La crisi delle scienze europee, p. 207 (tr. modif.).
33
Cfr. Id., Erste Philosophie (1923/24), Zweiter Teil, Theorie der phänomenologischen Reduktion,
Husserliana, Bd. VIII, hrsg. von R. Boehm, Nijhoff, Den Haag 1959, p. 417 (Beil. XVIII, 1924).
34
Id., Logica formale e trascendentale, p. 322 (tr. modif.).
35
Cfr. Id., La crisi delle scienze europee, p. 255.
36
Ibi, p. 292 n. 13 (tr. modif.), ma cfr. anche pp. 186 ss. e 192.
37
Id., Logica formale e trascendentale, p. 356 (tr. modif.).
924 stefano besoli
sola può provvedere a esplicitarne il senso. Nella configurazione di una «vera e pro-
pria ontologia universale», la fenomenologia trascendentale, le cui prime attuazioni
frammentarie erano già presenti nelle Ricerche logiche, non si serve più dell’inten-
zionalità come strumento al servizio di una descrizione innocua, ma la eleva a motore
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38
Husserl, Meditazioni cartesiane, p. 170 (tr. modif.); cfr. anche p. 32 (Discorsi parigini).
39
Id., La crisi delle scienze europee, p. 255 (tr. modif.).
40
Cfr. Fink, Das Problem der Phänomenologie, pp. 208 ss.
41
Un primo distanziamento da Brentano si era già realizzato in quest’opera di esordio, laddove – nell’a-
vanzare una diversa interpretazione circa il senso dell’intenzionalità – Husserl aveva distinto il «significato»,
nella sua trascendenza qualitativa e non ontica, dal fenomeno, che ne costituisce in qualche modo lo sfondo
anonimo: «[...] si deve in generale distinguere tra il fenomeno in quanto tale e ciò che per noi significa e
per cui lo utilizziamo e, in conformità a ciò anche tra la descrizione psicologica di un fenomeno e l’indi-
cazione del suo significato. Il fenomeno è il fondamento del significato, ma non è il significato stesso» (E.
Husserl, Philosophie der Arithmetik. Mit ergänzenden Texten (1890-1901), hrsg. von L. Eley, Nijhoff, Den
Haag 1970; tr. it. e introduzione di G. Leghissa, La filosofia dell’aritmetica, Bompiani, Milano 2001, p. 74).
42
Cfr. Id., Logica formale e trascendentale, pp. 104 ss.
il fungere dell’intenzionalità come tema della fenomenologia trascendentale 925
base a rigorose forme di legalità, nella corrente dei flussi temporali, con il concorso di
sintesi che operano costantemente di nascosto. Opponendosi al mito della sensazione
come materia prima, e in funzione di critica dell’atomismo sensoriale, l’analisi feno-
menologica husserliana mostrò che già al grado zero del puro dato iletico l’associazio-
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43
Sulle differenze tra il concetto fenomenologico di costituzione e quello criticistico, cfr. E. Fink, Die
phänomenologische Philosophie Edmund Husserls in der gegenwärtigen Kritik (1933), ora in Id., Studien
zur Phänomenologie 1930-1939, pp. 144 ss.
44
Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. I, Libro primo, p. 361.
45
Sul carattere di tale «fenomenologia dell’associazione», che unisce i problemi deIl’«universale
legalità essenziale della genesi fenomenologica» fino al fondo costituito da una «genesi passiva nella for-
mazione di sempre nuove intenzionalità e appercezioni senz’alcuna partecipazione attiva dell’io», cfr. Id.,
Discorsi parigini, p. 25 (tr. modif.), ma si veda anche Meditazioni cartesiane, pp. 93 ss., 102 ss. e 125 ss.
Sulle «legalità essenziali della genesi passiva», che abbracciano la sfera della coscienza «in quanto sfera
della temporalita immanente», cfr. Id., Logica formale e trascendentale, cit., p. 393 (tr. modif.).
926 stefano besoli
tempo concreta e trascendentale – come «l’ego che si costituisce per se stesso nell’u-
nità, per così dire, di una “storia”»46.
Se si fosse prestata da subito la dovuta attenzione al modo di procedere della feno-
menologia, che s’interroga a ritroso al fine compiere un’analisi sempre più accurata
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46
Husserl, Meditazioni cartesiane, p. 100 (tr. modif.).
47
Cfr. Id., Ricerche logiche, vol. I, p. 274; Id., La crisi delle scienze europee, p. 225. Sul motivo del
Rückfragen, dell’interrogare a ritroso, come perno della concezione trascendentale della fenomenologia,
cfr. ibi, pp. 97 ss.
48
Id., Logica formale e trascendentale, p. 189.
49
Ibi, p. 215 (tr. modif.).
50
Id., Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. I, Libro primo, p. 246.
il fungere dell’intenzionalità come tema della fenomenologia trascendentale 927
sempre più precisa del nesso di rimandi che attengono, in modo strutturale, al senso
intenzionale di operazioni costitutive che non possono essere fissate – in una sorta d’i-
stantanea – come se fossero datità presenti sul piano coscienziale, in analogia al modo
in cui gli oggetti appaiono nella loro definitiva costituzione naturalistica, e cioè come
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51
Fink, Das Problem der Phänomenologie, p. 218.
52
M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, Gallimard, Paris 1945; tr. it. di A. Bonomi,
Fenomenologia della percezione, il Saggiatore, Milano 1965, Bompiani, Milano 20032, p. 504.
53
Cfr. Husserl, Meditazioni cartesiane, p. 64.
54
Cfr. ibi, pp. 73 ss.; ma si vedano anche i Discorsi parigini, p. 17.
55
Id., Discorsi parigini, p. 19.
928 stefano besoli
risalendo alle spalle dei quali si può cogliere la dinamica dei loro modi di datità, sia ai
nessi operativi nei quali essi vengono a costituirsi quale esito finalistico dell’attività
intenzionale. Per questo l’analisi intenzionale copre l’intero spettro della realtà espe-
rienziale, cosicché l’opera di chiarificazione, a cui la fenomenologia trascendentale
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56
Husserl, Logica formale e trascendentale, p. 290 (tr. modif.).
57
G. Brand, Welt, Ich und Zeit. Nach unveröffentlichten Manuskripten Edmund Husserls, Nljhoff,
Den Haag 1955; tr. it. di E. Filippini, Mondo, Io e Tempo nei manoscritti inediti di Husserl, con introduzio-
ne di E. Paci, Bompiani, Milano 1960, p. 72 (tr. modif.).
58
Cfr. Husserl, La crisi delle scienze europee, pp. 147 ss. e 152 (tr. modif.), ma sul mondo-della-vita
«come regno di fenomeni soggettivi rimasti “anonimi”» si veda anche ibi, pp. 141 ss.
il fungere dell’intenzionalità come tema della fenomenologia trascendentale 929
soggettività, che – ricca di graduazioni, sfumature e chiaroscuri – può essere ora rico-
nosciuta nella sua «vita di profondità “latente”»59, facendo così della fenomenologia
una psicoanalisi di segno trascendentale, che punta a rimuovere le funzioni operative
anonime, rischiarandole nella loro natura d’«intenzionalità “inconsce”»60.
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59
Ibi, p. 149 (tr. modif.).
60
Ibi, p. 258.
61
Cfr. Brand, Mondo, Io e Tempo, p. 87.
62
Cfr. Husserl, Logica formale e trascendentale, p. 304 (tr. modif.).
63
Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, p. 22.
64
Ibi, pp. 26 ss.
930 stefano besoli
dimeno, tra le pieghe della Critica della facoltà di giudizio Husserl avrebbe potuto
trovare – «prima dell’oggetto» – indicazioni a lui congeniali circa «una natura del
soggetto», da rendere tematica in quella modalità di descrizione del tutto peculiare
che è l’analisi intenzionale65. Del resto, lo stesso Husserl aveva avvertito con favore
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la presenza in Kant di un intelletto che ha due funzioni rispetto alla natura, ovve-
ro dell’intelletto «doppiamente fungente» di cui c’era traccia nella «deduzione tra-
scendentale» della prima edizione della Critica della ragion pura, ma che era rimasta
alla stregua di una «semplice scoperta preliminare» per via del «metodo meramente
regressivo» di Kant, prima di essere trasformata in autentica scoperta – a partire dagli
anni Venti – nel quadro del grande progetto genealogico della fenomenologia husser-
liana66. Proprio l’individuazione dell’«arte recondita dell’immaginazione» che agisce
«nelle profondità dell’animo umano», e il riconoscimento del mondo come «indivi-
duo preoggettivo la cui unità imperiosa prescrive alla conoscenza il suo scopo», porta-
rono Husserl a distinguere, secondo Merleau-Ponty,
tra l’intenzionalità d’atto, che è quella dei nostri giudizi e delle nostre prese di posizione volon-
tarie, la sola di cui la Critica della ragion pura abbia parlato, e l’intenzionalità fungente [fun-
gierende Intentionalität], quella che costituisce l’unità naturale antepredicativa del mondo e
della nostra vita, che appare nei nostri desideri, nelle nostre valutazioni, nel nostro paesaggio
più chiaramente che nella conoscenza oggettiva, e che fornisce il testo di cui le nostre cono-
scenze cercano di essere la traduzione in linguaggio esatto67.
5. Tuttavia, se per Merleau-Ponty la messa a nudo, al di sotto della soglia dell’intenzio-
nalità tetica, di un’intenzionalità fungente, sarebbe la spia dell’abbandono, da parte di
Husserl, del programma trascendentale della fenomenologia, e quindi di una sua defini-
tiva curvatura esistenziale coincidente con l’approdo al mondo della vita, proprio il tema
dell’intenzionalità fungente e il risalire al «come» di tale intenzionalità definiscono inve-
ro la radicalità della problematica trascendentale della fenomenologia, poiché tale forma
d’intenzionalità – nella sua originarietà di ordine per così dire materiale – è condizione
di possibilità della stessa intenzionalità d’atto. Fin dall’epoca delle lezioni sulla Feno-
menologia della coscienza interna del tempo, Husserl aveva già colto, all’interno di tale
coscienza da intendersi come «il luogo originario della costituzione» in generale68, una
duplice forma d’intenzionalità. È in questa sede, infatti, che l’analisi intenzionale tema-
tizza il presupposto passivo e anonimo che delinea la condizione trascendentale dell’e-
sperienza di ogni ente, svelando così l’orizzonte strutturale di ogni esperienza. Il fluire
incessante dell’esperienza conferisce ad ogni sua attualità un carattere processuale che
non reca tracce della temporalità obiettiva, ma riconosce al continuum temporale della
coscienza un carattere così primordiale – in qualità di un «ultimo e vero assoluto»69 – da
non esserci nemmeno i nomi per definirlo nella sua assoluta spontaneità, giacché tale
accadere anonimo – che precede la stessa genesi costitutiva della soggettività – non fa
65
Ibidem.
66
Cfr. Husserl, La crisi delle scienze europee, pp. 133 ss. (tr. modif.), ma si veda anche ibi, p. 122 ss.
67
Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, p. 27, ma cfr. anche ibi, pp. 477 ss.
68
E. Husserl, Analysen zur passiven Synthesis. Aus Vorlesungs- und Forschungsmanuskripten 1918-
1926, Husserliana, Bd. XI, hrsg. und eingel. von M. Fleischer, Nijhoff, Den Haag 1966; tr. it. e introduzio-
ne di V. Costa, Lezioni sulla sintesi passiva, La Scuola, Brescia 2016, p. 220.
69
Id., Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. I, Libro primo, p. 203.
il fungere dell’intenzionalità come tema della fenomenologia trascendentale 931
senso esperienziale, dalla «corrente di vita», ovvero dalla «costituzione della temporalità
immanente», che impone «una rigida legalità» alla vita di coscienza, «originariamente
data in una forma essenzialmente necessaria di fatticità, nella forma della temporalità
universale [...]»70. Tuttavia, il flusso della coscienza è animato, per Husserl, da una doppia
intenzionalità, poiché esso non è solo determinato da un’impressione sensoriale presente,
ma esibisce un continuum di orizzonti ritenzionali e protenzionali che fonda l’esperienza
stessa della temporalità. In tale contesto problematico c’è posto quindi sia per un’«inten-
zionalità trasversale» – che si rivolge ai contenuti sensibili, all’apparire degli «oggetti
temporali», svolgendo una funzione oggettivante che coglie il flusso temporale in un trat-
to, come «una specie di oggettualità» passibile di una durata – sia per un’«intenzionalità
longitudinale» che, considerata da Husserl solo sul piano della ritenzione, coglie il flusso
della coscienza nella sua condizione assoluta, ovvero nella sua originaria «auto-appari-
zione», che fa del flusso qualcosa che «dev’essere necessariamente afferrabile nel fluire»,
complice l’intenzionalità costitutiva di una continua generazione materiale, pur in assen-
za di un oggetto di cui avere coscienza in senso proprio71.
La presenza tacita di un’intenzionalità fungente, di un’intenzionalità priva di
oggetto al fondo di un’intenzionalità viceversa oggettivante esclude di poter risalire
alle origini trascendentali di ogni costituzione mediante un processo di sola riflessione
fenomenologica, ma al tempo stesso conferma che la vita intenzionale del soggetto è
sempre costituita dall’intreccio di entrambe le forme d’intenzionalità, che rappresen-
tano infatti due lati di una medesima cosa. Peraltro, non vi è solo la sintesi materiale
– che qualifica in termini di regresso costitutivo il divenire strutturale della coscienza
interna del tempo – a limitare per così dire dall’esterno le funzioni della soggettività,
giacché la «soggettività è ciò che è – un io costitutivamente fungente – solo nell’in-
tersoggettività»72. In ogni caso, l’intenzionalità è sempre però il fungere della vita
soggettiva, indipendentemente dal modo in cui essa si attua. Infatti, nella misura in
cui l’intenzionalità equivale a trascendenza, la coscienza-di è sempre, essenzialmente,
coscienza di qualcosa, nel senso che la coscienza intenzionale è sempre presso l’ente
di cui è coscienza, anche se «una coscienza di qualcosa non deve necessariamente
avere in sé la forma privilegiata dell’essere-diretto su questo qualcosa [Was], sulla
sua oggettualità»73. In tal senso, a partire dal primato genetico delle sintesi passive –
temporali e contenutistiche – non si può certo dire che l’intenzionalità risponda a una
spontaneità di ordine soggettivistico, in linea cioè con un conferimento di senso che
70
Husserl, Logica formale e trascendentale, p. 389 (tr. modif.).
71
Su ciò cfr. Id., Zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstseins (1893-1917), Husserliana, Bd. X,
hrsg. von R. Boehm, Nijhoff, Den Haag 1966; tr. it. di A. Marini, Per la fenomenologia della coscienza inter-
na del tempo, Franco Angeli, Milano 1985, 20015, in particolare § 39, ma si veda anche §§ 30 sg. e 36 (cfr. pp.
93 ss. e 106 ss., tr. modif.). Cfr. inoltre Parte II, Appendici I e VI (pp. 123 ss. e 135 ss.); Testi integrativi per
l’esposizione dello sviluppo del problema, nr. 54 (pp. 354 ss.). Sulle questioni riguardanti i temi spazio-tem-
porali dell’intenzionalità impressionale, cfr. R. Bernet, La vie du sujet, P.U.F., Paris 1994, pp. 318 ss.
72
Husserl, La crisi delle scienze europee, p. 199 (tr. modif.).
73
Id., Lezioni sulla sintesi passiva, p. 177.
932 stefano besoli
prescinderebbe dalla struttura delle sintesi passive, quando invece la sua natura più
propria consiste nel rispondere ai richiamo delle tendenze, delle intenzioni passive,
dell’affezione come «stimolo coscienziale, trazione [Zug]» peculiare che un oggetto
dato alla coscienza esercita sull’io. Si tratta di una trazione che trova soddisfazione nel
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volgersi dell’io e che da qui si dispiega verso l’intuizione originalmente offerente che
disvela sempre più il se stesso oggettuale, nella tendenza «verso l’acquisizione cono-
scitiva, verso l’osservazione più dettagliata dell’oggetto»74.
6. Nell’«atteggiamento ingenuo-naturale diretto» l’intenzionalità è del tutto nascosta,
operando per così dire in incognita. Solo con la riflessione trascendentale, che pas-
sa attraverso la riduzione fenomenologica, ha senso dire che l’intenzionalità è «già
data»75. La funzione rivelativa della fenomenologia consiste nel riappropriarsi di un
senso del mondo e della vita che, nell’eccessivo coinvolgimento mondano, risulta-
va precluso nella sua feticizzazione naturalistica, non potendolo riconoscere come il
risultato di un’operazione trascendentale costituente. Questo modo di essere implicito
dell’intenzionalità è ciò che anima la struttura orizzontica di ogni esperienza ogget-
tuale, ma è anche ciò che la rende non immediatamente riconoscibile in quanto tale,
proprio perché quest’intenzionalità senza oggetto è il presupposto trascendentale di
ogni esperienza, per cui essa non può mai essere a sua volta un oggetto di cui fare
esperienza. Liberarsi, mediante la riduzione, di ciò che impedisce di cogliere il mondo
come puro correlato di coscienza, significa disporsi a incontrare il senso originario
dell’intenzionalità, acquisendo l’atteggiamento filosofico che non muta nella sostanza
le cose, ma consente di recuperare il senso del mondo – ovvero la sua mondanità – a
livello di struttura operativa. Peraltro,
quando sono nell’ingenuità della vita, non si presenta alcun pericolo. L’intenzionalità vivente
mi porta, mi predelinea, mi determina praticamente nella mia intera condotta, anche in quella
naturale di pensiero, sia che essa produca l’essere o la parvenza, quand’anche essa – nel suo
fungere vivente – possa essere non tematica e non svelata, e quindi sottratta al mio sapere76.
Col ricorso al metodo della riduzione, la fenomenologia si libera dunque di quell’«in-
genuità trascendentale» che è legata, in maniera statica, al «compimento di un’apper-
cezione trascendentale del mondo per così dire ultimata», al fine di porre in rilievo
– riscattandola dall’anonimia – l’«intenzionalità fungente», nella sua portata di auten-
tico «correlato trascendentale», ovvero di «appercezione trascendentale costitutiva di
tutte le rispettive appercezioni particolari»77. Lungo il percorso di continuo supera-
mento che contrassegna il fungere essenzialmente anonimo dell’orizzonte intenziona-
le dell’esperienza, maturano le condizioni – del tutto assenti in un trascendentalismo
d’impronta kantiana o in una filosofia dell’immanenza incline a un dogmatico sogget-
tivismo – per risalire alla «soggettività assolutamente fungente» che, obiettivandosi
nella soggettività umana78, rende possibile un’auto-esplicitazione della soggettività,
74
Ibi, p. 243 (tr. modif. e adattata). Su ciò cfr. G. Brand, Die Lebenswelt. Eine Philosophie des konkreten
Apriori, de Gruyter, Berlin 1971, pp. 75 ss.
75
Cfr. Husserl, La crisi delle scienze europee, pp. 171 ss.
76
Id., Logica formale e trascendentale, p. 290 ss. (tr. modif.).
77
Cfr. Id., La crisi delle scienze europee, p. 233 (tr. modif.).
78
Cfr. ibi, p. 281, ma anche pp. 126 ss., laddove si fa riferimento a una «soggettività fungente come pri-
il fungere dell’intenzionalità come tema della fenomenologia trascendentale 933
che riflettendo ottiene una piena comprensione delle «sue funzioni trascendentali»79.
In questo modo, una volta scoperta la presenza di un’intenzionalità che svela il senso
del mondo costituendolo, il problema posto da tale intenzionalità – nella sua fungente
anonimia – viene a coincidere con il tema più autentico della fenomenologia trascen-
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ma fonte [...] come primo luogo di tutte le formazioni oggettive di senso e delle validità d’essere» (tr. modif.).
79
Husserl, Logica formale e trascendentale, p. 336.
80
Cfr. Id., La crisi delle scienze europee, p. 286 (tr. modif. e adattata).
81
Cfr. Brand, Mondo, Io e Tempo, p. 71.
82
Sulla «soggettività assoluta che funge ovunque nella profonda latenza» da cui la riduzione tra-
scendentale la riporta alla luce con la «sua intera vita trascendentale», cfr. Husserl, Phänomenologische
Psychologie, p. 250. In un breve abbozzo datato 1935, Husserl rileva che la stessa Weltanschauung «teleo-
logica» di Aristotele è di stampo «obiettivistico» e che l’«antichità» nel suo complesso non è stata in grado
di scorgere il «grande problema della soggettività coscienziale che opera in maniera fungente» (cfr. Id.,
Aufsätze und Vorträge (1922-1937), mit ergänzenden Texten, hrsg. von T. Nenon - H.R. Sepp, Kluwer,
Dordrecht 1989, p. 228).
83
Cfr. Id., Erste Philosophie (1923/24), Zweiter Teil, p. 318 ss. (Beil. 11, 1924-1925).
84
Cfr. Fink, Das Problem der Phänomenologie, p. 218.
85
Cfr. Husserl, Phänomenologische Psychologie, p. 436 (Beil. XVII, all’incirca 1928).
86
Brand, Mondo, Io e Tempo, p. 69 (tr. modif.).
87
Ibidem (tr. modif.).
934 stefano besoli
le»88, nel tentativo di svelare i modi impliciti in ciò che all’apparenza si presenta nella
forma semplificata di un’unità compatta.
L’analisi intenzionale risulta dunque assai diversa dall’analisi nel senso più abitua-
le, poiché essa nella sua peculiarità – che procede nel senso prescritto dalla riflessione
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noematica – si rivolge sempre all’oggetto «nel come di ciò che è inteso», cercando di
spezzare l’unità dell’atto in cui esso è colto, per rendere oggettuale l’intero sistema dei
modi di manifestazione in cui esso si dà, e da qui risalire agli orizzonti di esperienze
sedimentate, quali implicite operazioni costitutive del senso oggettivo unitariamente
considerato nella sua dimensione naturalistica89. Rendere tematico il carattere geneti-
co dell’intenzionalità fungente significa coglierla come operatività recondita in tutto il
divenire mondano, escludendo di principio dal quadro dell’analisi intenzionale la possi-
bilità di approdare a un dato di fatto ultimativo, giacché nella sua valenza trascendentale
quest’intenzionalità latente travalica di continuo ciò che è dato, per cercare di svelare
progressivamente la matrice nascosta nelle massime profondità dell’ente e, in parallelo,
della vita intenzionale della coscienza. D’altronde, l’analisi intenzionale non si lega a un
concetto d’intenzionalità che fa completamente presa su un oggetto, ma
è guidata dalla conoscenza fondamentale che ogni cogito come coscienza è, nel senso più ampio,
intenzione del suo intenzionato, ma che quest’intenzionato è in ogni momento più (un intenziona-
to con un più) di ciò che in ogni momento vi è di esplicitamente inteso [...] Quest’intendere-al di
là di-sé che è in ogni coscienza, dev’essere considerato come momento essenziale di essa90.
Come sintesi continua che opera in maniera latente e dunque non tematica, l’intenzio-
nalità fungente dev’essere perciò analizzata, senza però che l’esercizio di descrizione
che essa richiede possa risolversi in una fedele raffigurazione di qualcosa di conclusi-
vamente già dato, poiché nello svelare l’intenzionalità fungente scopriamo l’andamento
dinamico del suo fungere, ovvero non le mere stratificazioni di un’unità già di per sé
compiuta, ma le condizioni di possibilità della sua sempre ulteriore esplicitazione, dal
momento che ogni dato partecipa di un’intenzione che lo trascende. Il costante rimando
alle condizioni di esplicitazione del dato fa sì che lo stile dell’analisi intenzionale risen-
ta in maniera profonda, nella sua inclinazione descrittiva, dell’intenzionalità fungente
come oggetto tematico della sua esposizione chiarificatrice. Proprio in quanto rivolta a
ciò che non è presente nei termini di una rigida fissità, l’analisi intenzionale assume la
prerogativa di un «determinare che scopre», poiché – spingendosi nell’orizzonte di sen-
so delle implicazioni intenzionali – essa disocculta ciò che è «da determinare» nelle sue
funzioni clandestine, divenendo perciò essa stessa un «modo del fungere»91. L’analisi
intenzionale libera dunque l’intenzionalità fungente da quell’anonimia che la vedeva
occultata nella visuale estremamente ridotta dell’intenzionalità d’atto. Tuttavia, l’espli-
citazione dell’intenzionalità fungente non estingue del tutto la sua anonimia, poiché essa
– in direzione del mondo – si mantiene in tale condizione di parziale occultamento, per
88
Husserl, Meditazioni cartesiane, p. 78 (tr. modif. e adattata).
89
Cfr. su ciò Fink, Das Problem der Phänomenologie, pp. 219 ss.
90
Husserl, Meditazioni cartesiane, p. 73. Cfr. anche Id., Lezioni sulla sintesi passiva, p. 95, laddove si
dice: «Ciò che è sempre di nuovo conosciuto è sempre ancora sconosciuto. Ogni conoscenza pare dunque
sin da principio priva di speranze».
91
Su ciò cfr. Fink, Das Problem der Phänomenologie, pp. 221 ss.
il fungere dell’intenzionalità come tema della fenomenologia trascendentale 935
cui «noi esperiamo ciò che si mostra, ma non il suo mostrarsi»92, che lo contorna infatti
come zona d’ombra da rischiarare nel prosieguo dell’analisi intenzionale.
Nel passaggio da una semplice articolazione strutturale dell’intenzionalità d’atto al
chiarimento della natura essenziale dell’intenzionalità tout court si coglie appieno come
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Abstract
92
Brand, Mondo, Io e Tempo, p. 73 (tr. modif.).
93
Ibi, p. 89.
94
Ibi, p. 95 (tr. modif.).
95
Cfr. Husserl, Meditazioni cartesiane, p 55.
96
Cfr. Id., La crisi delle scienze europee, p. 500 (tr. modif.). Si tratta dell’Appendice XXI al § 46,
scritta da Fink nel 1936.
97
Id., Meditazioni cartesiane, p. 55.
98
Cfr. Id., La crisi delle scienze europee, p. 500 (tr. modif.).
936 stefano besoli