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Facoltà di Psicologia 1

Corso di Storia della psicologia e delle


metodiche di sperimentazione
Prof. Guido Cimino

Enzo Bonaventura
A cura di: Emiliana Stendardo
Email: estendardo@tiscali.it
L’atto di nascita della psicologia scientifica viene tradizionalmente
collocato negli anni ’70 dell’ 800 e identificato con la pubblicazione del
manuale “Grundzuge der physiologischen Psychologie” o con la creazione
del laboratorio di Lipsia nel 1879. Si accorda tale preminenza a Wundt
per l’importanza che assume nella sua opera la sperimentazione per lo
studio dei fenomeni psichici e in particolare della percezione.
Nello stesso periodo fioriscono ricerche psicologiche in Germania, in
Inghilterra, negli Stati Uniti e in Italia. Esperienze che dimostrano un più
profondo interesse nella seconda metà dell’ottocento per la psicologia
intesa come scienza autonoma mentre fino a quel momento si era
sviluppata nell’ambito della filosofia. Molti maestri della disciplina come
Kant, avevano negato alla psicologia la possibilità di essere considerata
scienza, non potendo configurarsi in termini matematici. Nella seconda
metà dell’ottocento, invece, si fa strada la consapevolezza
“epistemologica” o più propriamente la volontà di fondare una nuova
scienza, distinguendo oggetto, metodo,idee guida e limiti, separando la
psicologia nettamente dalla filosofia. Nella volontà di fondare una nuova
scienza si può individuare la linea di separazione tra psicologia scientifica
e psicologia prescientifica.
In Italia gli studi psicologici di tipo scientifico sono da collocare
nell’ambito del positivismo, che si diffuse insieme al darwinismo sociale.
Quest’ultima, che si manifesta anche nella letteratura (ad esempio nelle
opere del Verga), concepì lo sviluppo della società fondato sulla lotta per
l’esistenza e affermò il principio della sopravvivenza del più adatto. In
questa prima fase della psicologia scientifica italiana il filosofo più
significativo fu Roberto Ardigò che pubblicò nel 1870 il volume “La
psicologia come scienza”, ritenuto da molti l’atto di nascita della psicologia
scientifica in Italia. In sostanza però Ardigò non volle sganciare la
psicologia dalla filosofia. In contrasto con la teoria spiritualista di
Rosmini, che considerava la psicologia come parte della gnosologia, egli
sostenne l’autonomia della psicologia sia dalle discipline scientifiche che
dalla filosofia. A suo avviso la psicologia ha come oggetto fenomeni
psichici da studiare con metodi diretti e indiretti delle scienze positive,
ma, diversamente da Comte, egli non considera la psicologia come
fisiologia, ne’ la filosofia come scienza. La filosofia è matrice e guida delle
singole scienze. Il suo interesse per il metodo scientifico è evidente, non
solo nella proposta di istituire insegnamenti di psicologia nella facoltà di
Padova ma anche nell’acquisto di strumenti per un laboratorio di
psicologia.
Alla stessa epoca appartiene l’antropologo Giuseppe Sergi il quale propose
di sostituire la filosofia con l’antropologia, in quanto quest’ultima è
scienza che studia l’uomo in tutti i suoi aspetti. I fenomeni psichici sono
da lui considerati come funzioni adattative, ovvero funzioni biologiche che
consentono l’adattamento dell’uomo all’ambiente. La finalità ultima dello
studio della psicologia è il miglioramento delle condizioni sociali e umane.
Il prestigio di cui godeva gli consentì di ottenere nel 1889
l’autorizzazione a istituire un laboratorio di psicologia sperimentale
nell’istituto di antropologia annesso alla facoltà di scienze dell’università
di Roma, e più tardi nel 1905 fu proprio lui ad organizzare il quinto
congresso internazionale di psicologia.
La figura sicuramente più significativa del positivismo nonostante la sua
breve attività è quella dello psichiatra siciliano Gabriele Buccola, morto
precocemente all’età di trentuno anni. Nell’istituto di psichiatria di Reggio
Emilia egli condusse una serie di esperimenti di carattere psicofisico su
malati di mente studiando, con l’aiuto del cronoscopio, i tempi di reazione
(il tempo necessario al pensiero per formarsi).
Grazie al lavoro condotto sia sul piano teorico che pratico dai positivisti,
si assiste nei primi decenni del novecento al decollo della psicologia
italiana. Nel 1905 infatti vengono istituite tre nuove cattedre di
psicologia sperimentale a Roma, Torino e Napoli che furono affidate
rispettivamente a Sante De Sanctis, Federico Kiesow e Cesare Colucci.
Nello stesso anno fu organizzato il quinto congresso nazionale di
psicologia. Erano inoltre operanti in Italia alcuni laboratori: quello
dell’istituto psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia, quello inserito
nell’istituto di antropologia voluto da Giuseppe Sergi e quello a Firenze
voluto da Francesco De Sarlo nel 1903. Nello stesso periodo furono
istituiti due laboratori: uno a Torino per iniziativa di Federico Kiesow e
uno a Roma per volere di Sante De Sanctis. Intensa era anche la
pubblicazione di riviste specialistiche tra cui ricordiamo la rivista di
psicologia applicata alla pedagogia e alla psicopatologia di Bologna e
l’archivio italiano di psicologia di Torino. In questa seconda fase di grande
fervore si assiste ad uno scontro tra psicologia scientifica e filosofia che
si manifesta nel congresso di Roma del 1905.
I sostenitori della psicologia scientifica, ispirandosi alla psicologia
tedesca, cercano di attribuire uno statuto scientifico alla loro disciplina,
utilizzando il metodo dell’introspezione controllata in laboratorio oppure
dell’osservazione indiretta. Non si può parlare di proposte originali perché
si tratta in sostanza di rielaborazioni o riproposizioni di analoghi
esperimenti condotti nei laboratori stranieri. Tra i sostenitori di questa
linea ricordiamo Giulio Cesare Ferrari che segue prima esperimenti di
psicofisica e psicofisiologia per poi dedicarsi alla psicologia individuale di
Binnet, rivolgendo il suo interesse a temi quali l’emozione, la volontà e
l’attenzione.
Sante De Sanctis insegnante alla sapienza nel 1906 non si pronuncia su
questioni di ordine generale ed è interessato solo alla psicologia applicata.
A suo avviso la psicologia scientifica deve indagare i fenomeni psichici,
rimanendo nell’ambito fenomenico e non andando alla ricerca delle cause
prime ne’ delle ragioni ultime degli eventi perché questi aspetti
riguardano più propriamente la filosofia. Definito un agnostico, egli
mantenne attivo dal 1906 al 1930 l’istituto di psicologia della facoltà di
medicina nell’università di Roma e promosse molte ricerche nel campo
della psicologia infantile e dell’educazione.
L’attività di Federico Kiesow si svolse invece a Torino, città in cui egli
promosse la divulgazione del metodo wundtiano avendo studiato e lavorato
a Lipsia con Wundt e con i maggiori fisiologi e psicologi tedeschi quali
Ludwig e Kulpe. Dal 1905 fino al 1933 diresse l’istituto e il laboratorio
torinese in cui si formarono Padre Agostino Gemelli e Ponzo. Di Wundt
condivise i presupposti teorici, il parallelismo psicofisico, ma,
diversamente dagli psicologi scienziati, egli ritiene che la psicologia deve
rimanere in contatto con la filosofia senza però chiarire tale rapporto.
In questa seconda fase dello sviluppo della psicologia in Italia si colloca
anche l’opera di Francesco De Sarlo, il quale pur essendo medico fu
sostenitore di una psicologia filosofica. Egli infatti sostenne che
psicologia e filosofia svolgono due funzioni diverse ma complementari. La
psicologia grazie alle tecniche sperimentali osservative consente di
conoscere pezzi circoscritti della realtà mentre la filosofia deve
ricomporre tali conoscenze parziali e settoriali in una visione di insieme.
Pertanto, il suo pensiero è lontano sia dai positivisti che dall’idealismo
crociano, che andava affermandosi in quel periodo sostenendo che la vera
psicologia è scienza filosofica.
E’ proprio a Firenze, nel laboratorio di Francesco De Sarlo che si formano
Antonio Aliotta, Enzo Bonaventura e Renata Calabresi.
Antonio Aliotta, dopo un‘ iniziale interesse verso la psicologia
sperimentale, manifestata nel suo testo “La misura in psicologia
sperimentale” (nella quale passa in rassegna i diversi metodi quantitativi
sviluppati nei laboratori di psicologia), rivolgerà il suo interesse verso la
filosofia.
Dopo questa fase di espansione si parla di una “crisi” della psicologia,
dovuta, secondo molti, all’affermarsi della cultura neoidealista che
determina il prevalere della psicologia filosofica. Rimangono attivi
psicologi sperimentali come Sante De Sanctis, Enzo Bonaventura, Vittorio
Benusssi e Cesare Musatti, ma non riescono a dare stabili fondamenta alla
disciplina. Non vengono istituite nuove cattedre e dopo il pensionamento
di Federico Kiesow a Torino e di Cesare Colucci a Napoli la cattedra di
psicologia in queste due università sarà abolita. Nel 1920 viene affidata la
cattedra di psicologia a Padova a Vittorio Benussi, ma rimarrà senza
successore dopo la morte di quest’ultimo. Intanto alla Cattolica di Milano
veniva istituita la cattedra di psicologia di padre Agostino Gemelli. Alla
“crisi” della psicologia scientifica contribuisce, oltre alla diffusione della
cultura idealista, anche la riforma Gentile applicata nel 1923 la quale
eliminava dai programmi dei licei l’insegnamento della psicologia.
In questo difficile contesto culturale operò Enzo Bonaventura, nato a Pisa
nel 1891 da famiglia ebrea. Studiò a Firenze laureandosi nella facoltà di
lettere e filosofia. Fu allievo di Francesco De Sarlo, di cui non condivise
sempre le posizioni, e lavorò nel laboratorio di psicologia sperimentale di
Firenze fino al 1938, data in cui lasciò l’ Italia, in seguito alle leggi razziali
emanate dal fascismo, e raggiunse la “terra dei padri”, la terra promessa.
Nel 1938 infatti scriveva al rettore dell’università ebraica di
Gerusalemme, che il suo più grande desiderio sarebbe stato quello di
poter insegnare lì. Questa volontà veniva esposta anche al presidente
dell’associazione sionistica mondiale Chaim Weizmann nello stesso anno.
Israele in quegli anni però era sotto il mandato inglese e solo dopo la
morte del Bonaventura raggiunse l’indipendenza.
La vita di Bonaventura fu segnata da esperienze difficili, da un intenso
studio e da una vasta cultura nei diversi ambiti della psicologia. La sua
attività passa attraverso diverse discipline: dall’esperienza nel
laboratorio di Psicologia a Firenze per aprirsi poi agli studi di psicoanalisi
e alla psicologia sociale negli anni trascorsi a Gerusalemme.
Dalla lettura delle pagine di Alberto Marzi, collaboratore e amico del
Bonaventura, emerge il ritratto di un uomo di intelligenza, grande
spessore morale e assoluto attaccamento al dovere.
La sua prima pubblicazione fu “Le qualità del mondo fisico”, in cui egli
spiegava l’origine delle nostre rappresentazioni, analizzando l’importanza
degli agenti esterni sulla qualità della rappresentazioni stesse.
In quest’opera egli dimostra di non voler rifiutare l’ipotesi dello
spiritualismo, infatti afferma:“ci volgiamo ora con fiducia verso lo
spiritualismo, convinti che allo stato attuale della cultura, sia l’ipotesi più
saldamente fondata su risultati scientifici”.
Nonostante il suo interesse per la metafisica, dopo il conseguimento della
laurea, Bonaventura si dedicò alla ricerca psicologica studiando sia la
memoria effettiva sia la percezione del tempo. Egli si dedicava quindi alla
ricerca imparziale, tecnicamente impeccabile, come appare evidente nell’
articolo “Le ricerche sperimentali sulle illusioni dell’introspezione”. In
questo saggio Bonaventura analizza i principali fattori che determinano la
deformazione dei ricordi. Confrontando i dati oggettivi e quelli soggettivi,
infatti, si notava spesso una differenza fra questi, cosa che rivelava
l’infedeltà della memoria e i limiti dell’introspezione connessa ad essa.
La sua adesione sempre più convinta alla scienza sperimentale in psicologia
si manifestò in modo aperto nel congresso di psicologia del 1925, durante
il quale solo Bonaventura e Benussi non condivisero la tesi di De Sarlo
sull’inserimento dello studio della psicologia nella facoltà di filosofia.
Nonostante le diverse linee di sviluppo del suo pensiero rispetto a quello
del suo maestro, egli scrisse su di lui un saggio pubblicato nel 1934 sulla
rivista “Logos” intitolato “La psicologia nel pensiero e nell’opera di F. De
Sarlo”.
A proposito dell’iniziale positivismo di De Sarlo, che comunque lasciò nel
suo pensiero, come dice Limentani, “un’ impronta di positività”,
Bonaventura afferma che il suo maestro rimase sempre convinto che “il
mondo in cui noi siamo ci è accessibile solo attraverso quella forma di
cognizione che è detta cognizione scientifica”. Secondo De Sarlo
bisognava superare però quel modo di procedere descrittivo e analitico
effettuando l’integrazione di vari metodi.
Nel suo libro “La psicologia” Bonaventura spesso ritorna ad esaminare il
pensiero di De Sarlo, notando la somiglianza fra la sua classificazione
delle funzioni intellettive e quella di Brentano. Quest’ultimo divide le
funzioni intellettive in rappresentazioni e giudizi, De Sarlo parla di un
atteggiamento rappresentativo o immaginativo e di un atteggiamento
giudicativo o conoscitivo.
Il pensiero di De Sarlo nella sua ultima opera “Vita e Psiche” del 1935 si
orienta ancora verso temi evoluzionistici, che lo stesso Garin giudica
sostanzialmente arcaici. Come nota Bonaventura, che in quegli anni si
orientava verso la psicoanalisi, si manifesta una certa apertura ai
problemi della vita inconscia rivelati dalla sua distinzione tra processi
psichici noetici e anoetici.
La Gori-Savellini nel suo saggio su Enzo Bonaventura sottolinea nelle
notazioni conclusive alcuni eventi fondamentali della vita di Bonaventura:
”il sostanziale isolamento tra gli alunni di De Sarlo e la vittoria senza
cattedra nel concorso del 1930…”. Tale concorso riguardava la cattedra
occupata precedentemente da De Sanctis : essa fu assegnata a Mario
Ponzo e nonostante Bonaventura e Musatti comparvero nella terna dei
vincitori, essi non furono chiamati in nessuna università italiana.
In una lettera del 1933 Padre Gemelli, scrivendo dell’impossibilità di
ottenere una cattedra a Firenze, consigliava a Bonaventura di dedicarsi
alla psicologia applicata, sia nelle industrie che nelle scuole.
Fino al 1938 egli si dedicò attivamente al laboratorio di psicologia. Nel
1929 intanto era uscito “Problema psicologico del tempo” in cui giungeva
ad una sintesi dei dati dell’introspezione con i dati delle investigazioni
oggettive e accennava al problema del presente psichico, che poi sarà
sviluppato più ampliamente da Renata Calabresi. Le tematiche si collegano
al pensiero di Bergson, Einstein e di psicologi come Pearson e Pieron.
Bonaventura esamina anche la percezione del tempo, la valutazione
soggettiva della durata nel compimento di lavori manuali o mentali, la
coscienza e i limiti della simultaneità. Il suo progetto era quello di portare
a compimento anche un’opera sulla percezione dello spazio, ma questa fu
pubblicata dopo la sua morte e non secondo le volontà dell’autore. Tutte
queste ricerche condotte dal Bonaventura si proponevano di distinguere la
parte svolta dalle disposizioni innate, da quella determinata
dall’esperienza individuale nella formazione delle rappresentazioni del
tempo e dello spazio nell’uomo.
Nel 1927 Bonaventura vinceva il concorso Brioschi con un manuale
sull’educazione della volontà, in cui aveva condensato le teorie di James
sulla volontà per dare precetti pratici per rafforzarla. Secondo l’autore la
volontà si può rafforzare soltanto disciplinando tutta la personalità. A
questo scopo egli insiste sull’importanza dello spazio fisico consigliando
soprattutto l’alpinismo come lo sport più completo sia sotto il profilo
fisico che psichico.
Grande divulgazione ebbe anche per la chiarezza di esposizione, per la
ricchezza di dati e il criterio di praticità il suo volume “Psicologia dell’età
evolutiva”. Nel periodo fiorentino egli affiancò a questo lavoro di
rielaborazione e di risistemazione nei vari ambiti della psicologia, un
lavoro in laboratorio come sperimentatore. Utilizzò in modo originale gli
strumenti raccolti dal maestro De Sarlo aggiungendovene di nuovi, anche
se purtroppo rimarranno inutilizzati quando egli lascerà Firenze. E’ giusta
pertanto l’osservazione che l’allontanamento di Bonaventura fece perdere
all’Italia l’occasione di dare inizio ad una scuola fiorentina di psicologia.
Tra gli strumenti, particolare interesse va dato al tachistoscopio da lui
ideato, funzionalmente diverso da quello di Wundt. Questo nuovo
strumento è chiamato doppio tachistoscopio a caduta o meglio
tachistoscopio a doppia caduta. Mentre il tachistoscopio di Wundt serviva
ad indagare i singoli processi attentivi e mnestici, quello di Bonaventura
indaga la durata del fenomeno di apprendimento (argomento su cui Renata
Calabresi pubblicherà il libro “La determinazione del presente psichico”).
Nel congresso del 1925 De Sarlo, il maestro di Bonaventura, cerca di dare
una definizione del valore della scienza psicologica nel tempo presente;
mentre altri studiosi tra cui Musatti preferiscono intervenire
condividendo le loro ricerche sperimentali con gli altri psicologi.
Quest’ultimo espone l’indagine sui fenomeni stereocinetici mentre
Bonaventura partecipa argomentando sulle sue ricerche sperimentali
sull’inibizione volontaria del movimento, sull’uso del tachistoscopio a
caduta per lo studio sul tempo di apprendimento e sulla percezione del
tempo. Renata Calabresi da poi una definizione del “presente psichico”
inteso come presente nostro, reale. Esso dura all’incirca un secondo e se
in questo accadono due eventi separati essi vengono da noi percepiti come
un tutto insieme attuale.
Sempre nel periodo fiorentino si dedicò anche alla psicologia applicata e
alla psicoanalisi.
Nella psicologia applicata egli mostrò interesse non tanto per il lavoro
quanto per le persone che lavorano. Non poneva il suo interesse nel
trovare la persona adatta ad un posto, ma nel trovare un posto adatto alla
persona. Questi studi iniziati durante gli anni del fascismo saranno
continuati in Palestina, dove ritenne fondamentale la funzione delle
istituzioni scolastiche e dell’orientamento professionale, al fine di
favorire l’integrazione sociale e culturale di ebrei provenienti da diverse
parti d’ Europa.
Nel 1938 pubblica un nuovo lavoro intitolato “La psicoanalisi”. Nella
prefazione di questo saggio Bonaventura con chiarezza e incisività
afferma che si tratta di un lavoro pienamente obiettivo con il solo scopo
di esporre e divulgare la disciplina, per destare interesse in un‘ampia
cerchia di persone e non solo negli esperti, che non troveranno niente da
aggiungere alle loro conoscenze. Il volume è composto quasi per intero
dalle teorie freudiane a causa della maggiore importanza e quantità di
materiale. Nonostante ciò viene riservato un capitolo alla produzione
psicoanalitica “extra-freudiana” in modo tale da far avere al lettore una
panoramica generale più ampia. Inoltre i volumi già esistenti in materia
erano stati scritti da psicanalisti che, pur conoscendo la loro disciplina
perfettamente, non erano molto informati sulla psicologia generale e
pertanto cadevano in errore pensando di fare scoperte che in realtà già
da tempo appartenevano alla scienza. Bonaventura sempre nella
prefazione, rivelando lo scopo del libro, rivela anche la sua personalità.
Come nella vita, anche nel lavoro egli vuole porsi in una posizione
intermedia “attutendo asprezze sia negli ammiratori fanatici che negli
avversari irriducibili”. L’ultimo capitolo de “La psicoanalisi” è intitolato
“Considerazioni critiche e conclusioni”. Bonaventura impartisce ai capitoli
precedenti oggettività e solo nell’ultimo si lascia andare a considerazioni
personali, non a scopo divulgativo ma per lasciare al lettore qualche idea
per un ulteriore esame e qualche precisazione. In quest’ultimo capitolo
Bonaventura chiarisce subito la sua opinione nei confronti della
psicoanalisi affermando che, dal suo conto, un accrescimento culturale si
ha solo nel momento in cui le varie tendenze si incontrano e collaborano.
La psicoanalisi agisce in questi termini in modo peculiare nei confronti
della psicologia sperimentale, in quanto collabora con essa colmando alcune
lacune di quest’ultima, come ad esempio l’uso di procedimenti troppo
analitici, l’interesse dedicato solo a problemi superficiali che riguardano la
sfera della vita psichica cosciente e l’atteggiamento posto nei confronti
del paziente in modo troppo freddo e distaccato, trattandolo come cavia
da laboratorio. Inoltre con questo saggio Bonaventura ritorna
sull’introspezione e, anche se non è più quella di Wundt, diventa uno
strumento di indagine capace di cogliere le molteplici caratteristiche
della personalità. Nel 1915 egli aveva pubblicato le ricerche sperimentali
sulle illusioni dell’introspezione, e ne “La psicoanalisi” riprende e
approfondisce quest’argomento che già lo aveva interessato. Nella
conclusione Bonaventura sottolinea che il compito della scienza è quello di
unificare diversi fenomeni, riducendoli ad un unico principio di
spiegazione. La realtà rimane sempre più complicata della teoria, quindi
anche la psicoanalisi, come tutte le costruzioni filosofiche scientifiche,
tende necessariamente “all’unilateralità e allo schematismo”. Affermando
di non essere in grado di prevedere il futuro della psicoanalisi, egli sa per
certo che se un giorno la psicoanalisi dovesse risultare, alla luce di nuove
scoperte, superata, o fosse inglobata in teorie più complesse e vaste, ad
essa va riconosciuto un ruolo fondamentale e “un posto di onore nella
storia della scienza”, per lo sforzo compiuto da Freud nel cercare di
penetrare negli abissi dell’animo umano. La partenza di Bonaventura
dall’Italia con la speranza di riprendere in Israele un lavoro di tipo
sperimentale determinò la fine della sua attività in questo campo. Gli
studi condotti nei dieci anni seguenti (dal ’38 al ‘48) non ci sono
completamente noti. Sappiamo che egli volle mantenere un rapporto con
l’Italia tenendo una lezione di psicologia sociale sugli studi sullo spazio
presso l’università di Firenze.
Anche in Palestina egli non fu riconosciuto tanto quanto avrebbe meritato
e la cattedra universitaria gli fu conferita solo alla vigilia della sua morte,
avvenuta tragicamente il 13 Aprile del 1948, quando un convoglio di
autoambulanze, autobus, camion e automezzi, diretti al luogo di studio
ricerca e insegnamento nei pressi del monte Scopus, fu assalito dagli
arabi. Alcuni riuscirono a salvarsi, ma tutti gli altri furono colpiti o arsi
vivi. In questo modo perse la vita Enzo Bonaventura, trasformato dalla
stampa israeliana in un eroe di guerra, nonostante la sua volontà fosse ben
diversa, ovvero essere un portatore di pace e collaborazione.
Se si vuole esprimere il modo di agire, pensare e criticare di Enzo
Bonaventura si può sicuramente affermare che egli fu uomo mite, riuscì a
trovare sempre il giusto equilibrio, ponendo se stesso e il suo giudizio, con
estrema moderatezza, sempre nel mezzo.
Bibiliografia

• La psicologia in Italia - G. Cimino e N. Dazzi


• Enzo Bonaventura – S. Gori-Savellini
• Tra due secoli – E. Garin
• Francesco De Sarlo – S. Gori-Savellini e R. Luccio
• Franz Brentano e Francesco De Sarlo – L. Albertazzi
• La psicologia – E. Bonaventura
• Francesco De Sarlo in Rivista Pedagogica n.XXX (1937 ) – L.
Limentani
• Il problema psicologico dello spazio – E. Bonaventura
• La psicologia nel pensiero e nell’opera di F. De Sarlo in Logos n.IV
(1934) – E. Bonaventura

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