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Una dimora per la parola

Vivere la Bibbia in famiglia

José Granados

Lo staretz Zosimo, maestro del giovane Aliosha ne I fratelli Karamazov di


Dostoevskij lasciò come testamento una sua biografia. In essa troviamo un ricordo
emozionato: l'impressione causata dal ascolto della Bibbia nell'infanzia del monaco. La
Scrittura, il racconto sacro, rimase impresso nel cuore del bambino, che ricorderà con
lacrime quei primi momenti familiari di avvicinamento alla Parola di Dio, nel contesto
liturgico della domenica.
Della casa paterna mi sono rimasti solo preziosi ricordi, giacché non c'è nulla di più prezioso
per un uomo dei ricordi che risalgono alla prima infancia […] Fra i ricordi di casa mia,
annovero anche i ricordi sulle Sacre Scritture […]. Avevo un libro allora, una Storia Sacra, con
bellissime illustrazioni, dal titolo "Cento e quattro storie sacre del Vecchio e del Nuovo
Testamento": fu su quello che imparai a leggere. Ancora adesso lo conservo qui nello scaffale,
lo conservo come un ricordo prezioso. Ma ricordo che ancora prima che imparassi a leggere,
all'età di otto anni, per la prima volta mi visitò un profondo sentimento di devozione. Mia
madre mi stava portando alla messa nella casa del Signore, il lunedì della Settimana Santa […].
Era una bella giornata e ricordo, come fosse adesso, l'incenso che si diffondeva dal turibolo e
fluttuava dolcemente verso l'alto […] Io guardavo commosso e per la prima volta nella mia
vita, quel giorno, consapevolmente, accolsi nell'anima mia il primo seme della parola di Dio.
Un adolescente avanzò verso il centro della chiesa con un grosso libro, così grosso da reggerlo
a fatica, almeno così mi sembrò allora, lo poggiò sul leggio, lo aprì e cominciò a leggere; per la
prima volta all'improvviso io capii qualcosa, per la prima volta nella vita capii quello che si
legge nella chiesa di Dio. Nel paese di Us viveva un uomo, giusto e timorato di Dio, ed egli
possedeva molte ricchezze […] Padri e maestri, abbiate indulgenza per queste mie lacrime -
giacché è come se in questo momento la mia infanzia tutta risorgesse davanti a me, ed io
respiro adesso come respiravo allora, con il piccolo petto di un bambino di otto anni e sento lo
stesso stupore, lo stesso turbamento e la stessa felicità di allora. […] Da allora non riesco a
leggere quel sacro racconto senza piangere - anche ieri l'ho riletto. Quanta grandezza, quanto
mistero e quanta imperscrutabilità vi è in esso!1
“Quanto bene può fare un bel ricordo!”, dirà alla fine del romanzo Aliosha,
parlando ai suoi amici bambini: seminare un ricordo bello e duraturo, che faccia
presente la bontà dell'origine, ecco in cosa consista secondo lui l'arte di educare2.
Magari Aliosha pensava a quel ricordo originario nella mente del suo Maestro Zosimo,
il ricordo di una lettura della Bibbia seminata in famiglia, che ha fiorito dopo in una vita
compiuta e feconda.
La forza della testimonianza di Zosimo ci invita a pensare il rapporto tra Bibbia
e famiglia, rapporto affermato dall'esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini
(n. 85). Il nesso tra Bibbia e famiglia poggia, prima di tutto, sul fatto che la Bibbia offre
una visione della famiglia. La Bibbia vede la famiglia costituita sull'unione in una carne
di uomo e donna e aperta alla procreazione ed educazione dei figli. “La Parola di Dio
riafferma la bontà originaria dell’uomo, creato come maschio e femmina e chiamato
all’amore fedele, reciproco e fecondo” (ibidem). Nella Scrittura ci sono anche degli
insegnamenti sul cammino che deve percorrere la famiglia; racconti concreti che

1
Cf. F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, trad. it. M. Grati, Dalai, Milano 2011, libro VI, II, B.
2
Cf. F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Epilogo, III: “Sappiate che non c'è nulla di più
sublime, di più forte, di più salutare e di più utile per tutta la vita, di un buon ricordo e soprattutto di un
ricordo dell'infanzia, della casa paterna. Vi parlano molto della vostra educazione, ma qualche
meraviglioso, sacro ricordo che avrete conservato della vostra infanzia, potrà essere per voi la migliore
delle educazioni. Se un uomo porta con sé molti di questi ricordi nella vita, egli sarà al sicuro fino alla
fine dei suoi giorni”.

1
illuminano le strade della vita, come le storie di fraternità del libro della Genesi3; oppure
esempi dei problemi e le fatiche che le famiglie sperimentano nella lotta contro la morte
e il male, superati con l'aiuto di Dio, come nel libro di Tobia. In tutto questo possiamo
parlare di una Parola di Dio sulla famiglia, di un Vangelo sulla famiglia.
Essendo questo aspetto molto importante, il rapporto tra Bibbia e famiglia non si
reduce tuttavia a ciò che la Scrittura dice sulla famiglia. Se nelle sacre pagine troviamo
un messaggio per la famiglia, la famiglia ha anche qualcosa da contribuire all'esegesi
della Bibbia. Essa è il luogo dove la Scrittura può essere letta, l'ambito dove si riesce a
capire l'unità della Parola di Dio e la sua connessione con la pienezza di una vita. È per
questo che l'esortazione apostolica invita a che ogni casa abbia la sua Bibbia, a che si
formino gruppi di preghiera e meditazione della parola in famiglia, e ricorda la
responsabilità degli sposi come primi annunciatori della Parola di Dio ai figli (Verbum
Domini, n. 85). Se le cose stanno così, allora l'esperienza della famiglia non è solo
illuminata dall'esegesi, ma è anch'essa necessaria per l'esegesi. Insieme ad una Parola di
Dio sulla famiglia, possiamo parlare di una Parola di Dio che risuona nella famiglia e si
ascolta attraverso la famiglia.
Anche se l'esortazione Verbum Domini parla della famiglia in modo esplicito
solo al n. 85, ci sono altri momenti in cui appare questo riferimento alle esperienze
familiari come chiave di lettura della Bibbia. Penso, soprattutto, a quanto l'esortazione
dice sul ruolo di Maria: la Parola è accolta da una donna che diventa così Madre del
Verbo di Dio, Mater Verbi Dei (cfr. Verbum Domini 28). Questo ci insegna che la
Parola è ricevuta in una famiglia, che c'è una famiglia in cui la Parola prende carne e di
cui la Parola nasce; e che, a immagine di questa famiglia, ogni famiglia è chiamata a
diventare un luogo dove la Parola è accolta perché possa portare frutto abbondante.
Questo contributo vuole illustrare come la famiglia apre l'ambito in cui è
possibile accostarsi alla Bibbia. Convocata e illuminata dalla Parola di Dio, la famiglia a
sua volta diventa dimora dove questa Parola è accolta e trasmessa. Un documento della
Pontificia Commissione Biblica ha fatto un elenco sui nuovi approcci esegetici
contemporanei4. Questi consentono, senza diminuire il contributo del metodo storico-
critico, integrarlo in un contesto più ampio. Mi riferirò in questo contributo a tre
prospettive che ricevono nuova luce dall'esperienza familiare: in primo luogo,
l'approccio che, aiutato dalle scienze umane, prende in conto il rapporto della parola di
Dio con l'esperienza originaria della persona; in un secondo momento, l'approccio
cosiddetto canonico, che poggia sul contesto ecclesiale in cui risuona la Parola; e,
finalmente, l'approccio narrativo, che legge la Scrittura come una storia intrecciata con
gli eventi del mondo e indirizzata verso un compimento definitivo in Dio.

1. Il linguaggio dell'esperienza e l'acceso al testo biblico


Sia la messa in scritto della Bibbia, sia la sua lettura, si realizzano in
connessione a esperienze fondamentali della vita, che aprono l'esistenza dell'uomo verso
gli altri uomini e verso Dio. Esiste allora una circolarità tra il linguaggio di queste
esperienze e il linguaggio della Parola di Dio. La Bibbia testimonia la ricchezza della
vita, possibile appunto nel rapporto con il Dio vivente, ne conserva il ricordo, ne fa
possibile la sua trasmissione ad altri; e, viceversa, l'approfondimento in questa
esperienza vitale originaria aiuta a leggere la Bibbia. Per capire questo rimando della
Bibbia all'esperienza e dell'esperienza alla Bibbia, ci aiuterà la riflessione di due

3
Cf. L. Alonso Schökel, Dónde está tu hermano? Textos de fraternidad en el libro del Génesis,
Verbo Divino, Estella 1997.
4
Pontificia Commissione Biblica, “L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa”, in Enchiridion
Vaticanum, vol. 13, Dehoniane, Bologna 1995, nn. 2846-3150 (cfr. soprattutto: nn. 2892-2946).

2
filosofi, Hans Jonas e Paul Ricoeur. Ambedue ci consentono di mettere in rilievo il
valore della famiglia al servizio di questa esperienza originaria, e quindi di valorizzare il
nesso tra famiglia e Bibbia.

1.1. L'empatia, chiave per arrivare al passato: Hans Jonas


Hans Jonas si domanda in un suo saggio sulla possibilità che abbiamo di
conoscere un'esperienza che ci arriva tramite un testo che è stato scritto molti secoli fa5.
Non rimane quest'esperienza passata irrimediabilmente chiusa per noi? È possibile
accedere a quello che, perché accaduto tempo fa, sembra perso, in modo definitivo, per
il nostro presente?
Jonas risponde con una riflessione sulla struttura della nostra esperienza. È
importante capire che l'esperienza umana ha a che fare con un “essere fuori di se stesso”
indicato dal prefisso “ex”6. L'esperienza non succede dunque nell'interno isolato della
coscienza, ma ha sempre l'inizio in una chiamata dall'esterno. Così il bambino, dice
Jonas, impara a sorridere attraverso il sorriso dell'altro; c'è una simpatia originaria che ci
lega alle persone e ci permette di accedere alla loro intimità. Questa simpatia è possibile
grazie alla condizione incarnata della persona umana, che la situa nel mondo e la apre al
rapporto con gli altri.
Se questo è così, allora l'esperienza che altri hanno avuto nel passato non è
totalmente chiusa per noi. La stessa situazione incarnata che ci permette di abitare il
mondo dei nostri contemporanei e di capire i loro scritti, si estende nel tempo verso il
passato o il futuro, rendendo accessibile l'esperienza di coloro che hanno vissuto in
epoche diverse. Esiste una base comune di umanità, che non va ricercata nell'interiorità
isolata dell'uomo, ma nell'esperienza concreta del nostro corpo e dei nostri affetti: sono
essi che ci situano tra le cose e tra gli altri, che ci fanno percepire come propria la
temporalità e la storia. È per questo che Jonas parla del bisogno di una “immaginazione
empatica” (p. 256: empathic immagination) per poter capire un testo scritto, in modo
che si svegli in noi la conoscenza del passato.
Questa base comune, definita dal nostro essere nella carne, ci consente poi di
aprirci verso la diversità dell'esperienza dell'altro, di entrare in essa e di uscirne
arricchiti. L'alterità del passato non appare allora come barriera insormontabile, ma
come invito a fare più grande l'esperienza a partire da un sostrato condiviso. I genitori
possono comprendere, per esempio, l'esperienza di Abramo e Sara, la loro sofferenza e
la loro lotta; e capiscono anche la loro gioia nel concepire Isacco. A partire di questa
comune umanità il padre e la madre che leggono la storia dei Patriarchi si aprono a un
mondo diverso, intravedono una speranza nuova nell'azione feconda di Dio nelle loro
vite.
Jonas avvisa che il rango delle nostre esperienze presenti deve essere
commensurabile a quello delle esperienze passate, così come, per tradurre un testo
straniero, ambedue le lingue devono avere simili capacità espressive. Nella nostra
cultura moderna sembra essere a disposizione, aggiunge Jonas, una capacità empatica
unica, una flessibilità per capire meglio il diverso, che ci consente di poter ricuperare
meglio il passato. In quest'affermazione s'intravede una certa ironia riguardo alla pretesa
moderna di trovarsi al di sopra di ogni altro tempo. La nostra apparente ricchezza
esperienziale, non nasconde a volte una certa ottusità riguardo ai momenti più semplici

5
Cfr. H. Jonas, “Change and Permanence: On the Possibility of Understanding History”, in H.
Jonas, Philosophical Essays: From Ancient Creed to Technological Man, Prentice Hall, Englewood
Cliffs, 1974, 237-260.
6
Sull'argomento mi permetto di rimandare a: José Granados, “Taste and See: The Body and the
Experience of God”, Communio. International catholic review 37 (2010) 292-308.

3
e originari della vita umana? La nostra società virtuale non ci preclude in certo modo
l'acceso alla realtà dei rapporti con il mondo e gli altri?
L'approccio di Jonas ci aiuta a capire meglio il rapporto tra esperienza della
famiglia e lettura della Bibbia. La famiglia è infatti il primo luogo di esperienza del
nostro corpo e dei nostri affetti, della loro capacità relazionale, della loro apertura agli
altri; è anche l'ambito dove cogliamo la nostra estensione nella storia, di generazione in
generazione, per cui il passato diventa forza viva attraverso la memoria e il futuro si può
toccare come frutto in speranza. Nella famiglia si formano le esperienze originarie che
ci insegnano l'empatia con le esperienze altrui e ci consentono di entrare nel mondo
diverso degli antenati che hanno vissuto molto prima di noi.
Ridurre la nostra empatia, eliminare il linguaggio della corporalità, impoverire la
capacità di stabilire legami aperti alla trascendenza... tutto questo riduce la nostra
sensibilità per tradurre il testo biblico, per immaginare la sua portata per la nostra vita.
Al contrario, un'esperienza familiare forte, che ci insegni la situazione nel mondo
attraverso il nostro corpo, che ci confermi l'apertura del nostro amore e la sua capacità
di formare legami duraturi, che apra questi legami alla trascendenza... quest'esperienza
della sarà un aiuto indispensabile per cogliere il messaggio biblico.
Se le riflessioni di Jonas si occupano di ogni testo del passato, hanno un
particolare campo di applicazione nella Bibbia. La Bibbia, infatti, ci chiede di capire
l'esperienza che gli altri hanno avuto di quell'Altro che è Dio. La famiglia, da canto suo,
ci invita a vedere che è nell'incontro con altre persone che l'Altro si fa presente:
l'esperienza degli sposi che scoprono la novità del loro amore, dei genitori che
accolgono i figli come un dono insospettato, dei figli che ringraziano il padre e la madre
e arrivano così alla sorgente stessa della vita... Ecco allora che l'esperienza di Dio non è
esperienza isolata, irraggiungibile da altri; ma è esperienza che nasce in un incontro
personale e chiede di essere comunicata in incontri concreti.
Certamente, una forte esperienza familiare non basta per capire la Bibbia.
Quest'esperienze debbono essere anche aperte a una trasformazione. Potremo, infatti,
chiuderci nel ricordo delle nostre origini senza lasciare che si aprano all'Origine primo,
come ha successo al ricco del Vangelo, consapevole del rispetto dovuto ai suoi genitori,
ma incapace di vedere la profondità di questo rapporto verso l'unico necessario, come
gli ha ricordato Gesù: “una cosa sola ti manca...” (Mc 10, 21). La Bibbia ci presenta
sempre davanti all'esodo in cui, attraverso la morte (la morte anche di tante cose che
appartengono ai rapporti familiari) si passa a nuova vita. Tuttavia, in questo cammino le
esperienze della famiglia non sono distrutte, ma sono ritrovate in pienezza lungo la
strada7.

1.2. L'esperienza dell'amore e la lettura della Bibbia


Queste riflessione sul nesso tra l'interpretazione di un testo scritto molto tempo
fa e l'esperienza umana, trovano un'applicazione diretta nell'esegesi del Cantico dei
Cantici. Alla sua luce vedremo il rapporto tra l'esperienza più originaria e radicale
dell'uomo, l'esperienza dell'amore, e la lettura biblica. In quanto la famiglia custodisce
la vera forma dell'amore, si vedrà il suo rapporto fecondo con la Bibbia come storia di
amore8.

7
Cfr. J.J. Pérez Soba, “Il Vangelo della famiglia nel contesto postmoderno”, in L. Melina - J.
Granados (a cura di), Famiglia e Nuova Evangelizzazione: la chiave dell'annuncio, Cantagalli, Siena
2012, 43-62.
8
Sul rapporto tra lettura e esperienza è interessante il commento al brano della Divina Comedia
su Paolo e Francesca fatto da R. Girard, “Un desiderio mimetico: Paolo e Francesca”, in Geometrie del
desiderio, Raffaello Cortina, Milano 2012, p. 35. Girard mette in rilievo come il racconto di un'altra

4
Paul Ricoeur, in un suo saggio sulla metafora nuziale, divide in due correnti
l'esegesi contemporanea del Cantico. La prima è letterale, fedele di solito al metodo
storico-critico. Vede nel Cantico un epitalamio, l'esaltazione dell'amore umano tra un
uomo e una donna, in cui non c'è riferimento religioso. La seconda è la lettura allegorica
contemporanea, che cerca di collocare il poema nel contesto di tutta la Scrittura. Per
essa il poema s'interpreta alla luce dell'Alleanza tra Dio e il suo Popolo, e si cercano
similitudini soprattutto con i testi profetici, che raccontano la storia della salvezza in
termini nuziali.
Ricoeur segnala come ambedue l'esegesi condividono in fondo, malgrado
l'apparente opposizione, un punto comune: il desiderio di arrivare alle origini,
all'intenzione primordiale del autore o del redattore9. Questo fatto, evidente nell'esegesi
storico-critica, è adottato anche dall'esegesi allegorica moderna, che si differenzia in
questo dalla lettura allegorica antica. L'approccio allegorico di oggi cerca di sfuggire
all'accusa di soggettivismo attraverso similitudini verbali tra il Cantico e gli altri libri,
soprattutto i profetici, in modo di poter dire che la connessione era presente
nell'intenzione dell'autore originario.
Ricoeur vede in questi due modi di leggere il testo una mancanza: nessuno
prende conto del lettore, il cui ruolo non è estrinseco all'atto di scrittura. Ogni
linguaggio è dialogico, relazionale, e deve aver conto del lettore a cui è rivolto. Nessun
scrittore scrive per se stesso, senza avere in mente un destinatario. La reazione,
immaginata o reale, di quelli che leggeranno, modifica il suo stile, i temi che presenta, il
genere letterario che usa. Possiamo notare ormai un'idea che svilupperò più avanti, nel
prossimo paragrafo: appunto perché la comunità di lettori si stende nel tempo, è
possibile leggere la Bibbia in unità, mettendo in connessione libri diversi. A questo
punto vediamo ormai un rapporto tra Bibbia e famiglia, perché la famiglia è il luogo
dove la parola prende sempre un valore comunitario che attraversa i tempi, ereditata
dagli antenati, e imparata nel appello dei genitori e nel dialogo con loro e con i fratelli.
Ebbene, la crisi della lettura allegorica del Cantico che si è verificata nella
modernità si deve, secondo Ricoeur, alla trasformazione contemporanea del lettore, o
meglio, di quello che egli chiama la “posizione di lettura”10. Abbiamo così una prova
concreta di come la profondità e ricchezza di un'esperienza possa modificare il modo di
accostarsi alla Bibbia. La lettura allegorica diventava facile nel contesto antico, dove era
naturale per l'uomo di mettersi alla ricerca del destino ultimo nell'unione di amore con
Dio. La secolarizzazione moderna, unita a una riscoperta del valore della sessualità e
dell'amore umano, fa difficile per i nostri contemporanei assumere questo sguardo. Noi,
lettori moderni, dice Ricoeur, non abbiamo bisogno di cercare l'al di là dell'amore;
l'esperienza nuziale ci sembra abbastanza piena in se stessa perché ci sia bisogno di
un'allegoria che magari pensiamo toglierebbe all'amore la sua integrità11. Ecco come
una forma concreta di esperimentare l'amore può orientare il modo di leggere un testo12.

esperienza accende il desiderio della sua imitazione: “Galeotto, Galehault, è il cavaliere fellone, il nemico
del re Artù, che semina i germi della passione nel cuore di Lancillotto e Ginevra. È stato proprio il
romanzo, dichiara Francesca, a giocare nella loro vita il ruolo del mezzano diabolico, il ruolo di
mediatore. La fanciulla maledice il libro e il suo autore. Non si tratta di attirare la nostra attenzione su uno
scrittore in particolare. Dante non è uno storico della letteratura; si limita a sottolineare che, orale o
scritta, è sempre la parola di qualcuno che accende il desiderio. Nel destino di Francesca il romanzo
occupa il posto del Verbo nel Vangelo secondo Giovanni. Il Verbo umano diventa diabolico se usurpa
nella nostra anima il posto del Verbo divino”.
9
Cfr. P. Ricoeur., Penser la Bible, 429.
10
Cfr. P. Ricoeur, Penser la Bible, 460-461.
11
Cfr. P. Ricoeur, “Métaphore nuptial”, en P. Ricoeur, “La métaphore nuptiale”, in A. Lacocque
- P. Ricoeur (a cura di), Penser la Bible, Seuil, Paris 1998, 427-476, p. 463: “Si, pour la tradition

5
Questo non vuol dire che l'acceso al libro sia misurato solo dal punto di vista
soggettivo di chi legge. Si deve parlare, meglio, di una circolarità tra la nostra
esperienza dell'amore e la lettura della Bibbia. Il libro propone una visione dell'amore
che, a sua volta, quando la si esperimenta, apre la strada per capire il libro. L'esegesi
avviene in questo cerchio di mutua illuminazione, tra il racconto biblico e l'esperienza
originaria dell'uomo.
Così, per esempio, una lettura attenta del Cantico scopre una visione dell'amore
aperta al di là dei due amanti che si guardano a vicenda. In primo luogo, perché l'amore
è sempre situato nella natura: il poema, pieno d'immagini cosmiche, fa vedere come
tutte le cose sono simbolo dell'unione degli amanti, in modo tale che gli amanti possano
simbolizzare anche al di là di sé stessi. Inoltre, il poema situa l'amore nella comunità
familiare, perché rimanda all'amore originario dei genitori, quando menziona, nel suo
punto culminante, quel luogo “dove ti concepì tua madre” (Ct 8, 5)13. È nella tradizione
di un amore che si trasmette di generazione in generazione, e che s'impara nella propria
famiglia di origine, che si può arrivare all'unione generosa tra l'amato e l'amata. Questo
è il luogo dove il Cantico vede anche la connessione con la trascendenza, proprio alla
conclusione, nel modo discreto di alludere al nome di Dio (fiamma del Signore: Ct 8,
6). Quest'apertura dell'amore rende possibile unire il Cantico dei Cantici con i libri
profetici, che mettono più in chiaro la presenza divina nell'unione sponsale, nel contesto
della storia dell'Alleanza.
Siccome la famiglia è l'ambito dove l'amore mostra la sua apertura relazionale,
situando il rapporto coniugale, sia nella natura, sia nella connessione tra le generazioni,
sia nel rapporto con la trascendenza, possiamo notare la ricchezza dell'esperienza
familiare per capire pienamente il messaggio del Cantico. Questa è appunto l'esperienza
di Israele come popolo familiare, che comprende l'unità della sua storia di generazione
in generazione. Il rapporto tra Bibbia e famiglia sarà valido, anche se trasformato, per il
Nuovo Testamento, dove la struttura familiare è chiamata a scoprire la sua radice più
profonda nel Padre dal quale prende nome ogni paternità in cielo e terra (cfr. Ef 3, 14-
15).
L'interpretazione tipologica della Scrittura, propria ai Padri della Chiesa, si è
appoggiata anche su quest'esperienza integrale dell'amore nuziale. Nelle regole
esegetiche di Ticonio, ampiamente usate da Sant'Agostino, l'esegeta cerca di trovare chi
persona parla in un testo determinato. In questo modo la Scrittura appare come dialogo
tra le persone, e in particolare tra Gesù e la Chiesa, il suo Corpo e la sua Sposa. Il fatto
che la Sacra Pagina prende così i tratti nuziali dell'una caro, appare evidente quando si
dice che non troviamo solo due voci che s'invocano e rispondono, ma in molti testi
Cristo e la Chiesa parlano ad una sola voce. Agostino lo spiega così: “Se Egli stesso ha
detto non più due, ma una sola carne, che c'è di strano se ci sono una sola carne, una

ascétique et mystique fortement liée à la condition monastique, la signification du nuptial est à titre
premier spirituelle, pour nous, Modernes, elle est devenue à titre premier charnelle, au point que nous ne
voyons pas plus de différence entre nuptial et érotique que les Alexandrins n'en voyaient entre nuptial et
mystique”; ibidem, 464: “Nous n'avons pas de peine, aujourd'hui, à célébrer la joie sexuelle en tant que
telle, sans tenir compte de son encadrement matrimonial; autrement dit, nous sommes disposés à
distinguer l'appartenance mutuelle dans laquelle se consomme la relation érotique de l'institution
matrimoniale, que nous continuions ou non à approuver cette dernière”.
12
Cfr. P. Ricoeur, Penser la Bible, 248: “On l'a dit en d'autre occasions: une interprétation
innovante naît le plus souvent de l'irruption d'un événement nouveau survenu dans l'ordre de la croyance;
c'est à partir de ce dernier que devient possible une relecture de textes anciens qui en déplace, en élargi,
en augmente le sens”.
13
Cf. C. Granados, “Amor y reconocimiento en el Cantar de los Cantares”, in J.J. Pérez-Soba -
L. Granados, Il logos dell’agape. Amore e ragione come principi dell’agire, Cantagalli, Siena 2008, 239-
250.

6
sola lingua e le stesse parole, in quanto di una sola carne, del Capo e del Corpo?”14.
Ecco un modo concreto in cui l'esperienza dell'unità in una caro, rivelata nella Bibbia,
illumina a sua volta concretamente l'esegesi di un testo biblico.

2. Bibbia, Chiesa, famiglia: la dimora della Parola


Tra gli approcci che completano la prospettiva storico-critica, situandola in un
contesto più ampio, troviamo il metodo “canonico”, che mette in rilievo il contesto
ecclesiale in cui fu ispirata la Bibbia, necessario per la sua comprensione. La Scrittura
deve essere letta dall'interno di quella comunione ecclesiale in cui è stata scritta e a cui è
rivolta. La Chiesa è necessaria come ambito per leggere la Bibbia, come dimora capace
di accoglierla, come luogo in cui risuona il suo messaggio.
Ebbene, siccome dentro della Chiesa si trova la famiglia, sua cellula basica di
rapporti che la edificano, l'approccio ecclesiale apre un nuovo spazio di connessione tra
Bibbia e famiglia. Nella Chiesa, grande dimora della Parola, la famiglia diventa anche
una piccola dimora per la Bibbia.
Il metodo storico critico si preoccupa di trovare la genesi originaria dei brani che
compongono la Bibbia15. Essendo questa una domanda importante e necessaria in ogni
esegesi, ritengo valida l'osservazione di Paul Ricoeur, accennata sopra, che l'esegesi
debba anche aprirsi a un altro punto di vista complementare. Bisogna tener conto, vale a
dire, che il testo ha sempre in mente un lettore, qualcuno che lo riceve e dialoga con
esso. Non basta quindi mettersi dalla parte del redattore originario; è necessario
considerare anche la “postura del lettore”, o dei lettori, perché questi sono sempre
insieme, in comunità. La Parola si capisce solo quando donata e ricevuta, e la sua
ricezione determina la sua interpretazione. In questo senso il testo ha una vita al di là
dell'intenzione originaria del suo redattore. O, meglio: quest'intenzione originaria
includeva implicitamente l'interesse di dialogo con i lettori che avrebbero ricevuto il
testo.
I diversi approcci canonici prendono in considerazione, sia la Scrittura nel suo
stato finale (B.S. Childs), sia il processo storico di formazione del canone (J.A.
Sanders)16. Il lettore inteso dal testo biblico è la comunità credente che viaggia
attraverso i tempi; avere conto di questo lettore è necessario per l'esegesi. È giustificato,
da questo punto di vista, leggere la Bibbia nel suo insieme, senza per questo perdere il
rispetto dovuto all'integrità di ciascuna parte. È infatti la Chiesa che ci ha donato la
Scrittura costituendo il suo canone, trasmettendo ogni libro come una unità e tutti i libri
come una sola Bibbia.
In questo contesto cappiamo l'importanza conferita da Paul Ricoeur
all'intertestualità, che illumina un testo mettendolo insieme con altri, e ogni libro alla
luce di altri libri della Scrittura. A partire da questa visione, testi da autori separati nel
tempo possono essere uniti perché si ha conto dell'unità del lettore attraverso le
generazioni.

14
Sant'Agostino, Enarr. in Ps. 37, 6 (CCL 38, 387): “Si ergo ipse dixit: Iam non duo, sed una est
caro, quid mirum si una caro, una lingua, eadem uerba tamquam unius carnis, capitis et corporis? Sic
audiamus tamquam unum, sed tamen caput tamquam caput, et corpus tamquam corpus. Non diuiduntur
personae, sed distinguitur dignitas; quia caput saluat, saluatur corpus […] Sed neque cum corporis uoces
audieritis, separetis caput; neque cum capitis uoces audieritis, separetis corpus; quia iam non duo, sed una
caro”; cfr. A.M. La Bonnardière, “L'interprétation augustinienne du magnum sacramentum de Ephes. 5,
32”, Recherches augustiniennes 12 (1977), 3-45, pp. 26-27.
15
P. Ricoeur, Penser la Bible, 427-476.
16
Cf. Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, I, C, 1, nn.
2912-2919.

7
Questa postura del lettore è in primo luogo quella di Israele e poi della Chiesa,
che riceve la Bibbia e la legge come un tutto. Ebbene, all'interno dell'esperienza del
popolo credente gioca un ruolo del tutto singolare la famiglia. L'esperienza familiare è
importante per cogliere quella postura adeguata del lettore, che è intrinseca al processo
di scrittura della Bibbia. Se la Chiesa è importante per leggere il testo biblico, la
famiglia è cruciale per capire l'essere della Chiesa. Si trova in questo rapporto una
circolarità feconda. Da una parte, la Chiesa illumina la famiglia, svelando la sua
vocazione ultima, nell'amore tra Gesù e la Chiesa, e l'orizzonte di una missione che
porta la famiglia al di là di se stessa, al servizio dell'intera famiglia umana. D'altra parte,
la famiglia, in quanto è assunta nel Corpo di Cristo con tutti i suoi dinamismi e legami
propri, svela la natura della Chiesa, Corpo e Sposa di Cristo, Madre ricca di figli.
L'esperienza della famiglia diventa essenziale per il Vangelo, come lo era ormai
all'interno dell'Antico Testamento17. La nuova filiazione di Gesù, il dono totale del suo
corpo che si consegna per gli uomini, la fecondità nuova che Egli annuncia... solo
possono capirsi a partire dalla filiazione, dal dono di sé, dalla fecondità che si vivono
originariamente nella famiglia, anche se devono essere poi purificati e trasformati
secondo una nuova misura.
La famiglia aiuta così ad offrire un'esperienza diretta dell'unità dei lettori
attraverso i tempi, di generazione in generazione18. Questo si rende manifesto in molte
famiglie attraverso copie della Bibbia donate da padri a figli. Questa pratica permette di
capire l'eredità della Parola, per mezzo di testi che a volte conservano annotazioni al
margine, testimoni di una lettura continua e del modo in cui Dio illumina il passo delle
generazioni.
L'esperienza della famiglia non incide principalmente sull'interpretazione di
brani isolati, ma piuttosto sulla lettura d'insieme della Scrittura. Così, ad esempio, in
quanto la famiglia è presente nell'esperienza originaria di Israele, essa preserva la verità
della Creazione e dell'Alleanza. D'altra parte, in quanto il rapporto sponsale è stato
assunto da Cristo per manifestare il suo amore per la Chiesa, la famiglia appartiene al
linguaggio specifico del Vangelo. Per questo l'esperienza familiare, tra creazione e
redenzione, sarà di grande aiuto per capire l'unità dei due Testamenti a partire dalla
pienezza in Gesù.

3. Approccio di famiglia e approccio narrativo


L'esperienza dell'amore ci offre una chiave per scoprire il messaggio centrale
della Scrittura. Così è sintetizzato da Gesù nella sua risposta allo scriba che gli chiedeva
sul comandamento più importante. Or bene, questa stessa esperienza dell'amore, nel suo
accadere nel tempo, ci dona anche la prospettiva giusta per capire il tessuto biblico nel
suo sviluppo dall'origine verso la pienezza. I tempi biblici, la loro memoria, la loro
fedeltà alla promessa iniziale, la sua abbondanza nel compimento fecondo, sono tempi
familiari.
A questa lettura unitaria ha dedicato i suoi studi l'esegeta Paul Beauchamp, che
ha descritto l'Antico Testamento come insieme di figure che cercano continuamente il
loro compimento19. La legge del tempo in Israele misura la strada verso il futuro nuovo,
che è simultaneamente ricerca continua dell'Origine. Il ritorno all'Origine non è infatti

17
Cf. L. Melina - J. Granados, “Famiglia e Nuova Evangelizzazione: La chiave dell'annuncio”,
Cantagalli, Siena 2012.
18
Cf. S. Hahn, Kinship by Covenant: A Canonical Approach to the Fulfillment of God's Saving
Promises, Yale University Press, Yale 2009.
19
Cfr. P. Beauchamp, L'un et l'autre Testament. II: Accomplir les Écritures, Seuil, Paris 1990; P.
Beauchamp, La loi de Dieu : d'une montagne à l'autre, Éditions du Seuil, Paris 1999.

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ripetizione, perché lo si ritrova e riconosce in modo nuovo attraverso l'esodo dell'amore.
L'uomo lascia padre e madre, le sue origini, e incontra la donna per unirsi ad essa e per
scoprire, in quest'unione, un modo nuovo di rapporto con il Creatore, la cui presenza si
fa evidente nel dono del figlio, a cui si genera con l'aiuto di Dio e a cui si trasmette
l'immagine e la somiglianza (cf. Gen 5, 3).
È in questo incontro che sorge anche il linguaggio come modo di capire l'azione,
di domandarsi quindi per l'unità dei tempi. Se nella storia di Adamo il linguaggio
appariva prima solo come nome (Adamo davanti agli animali), nell'incontro con Eva
prende la forma del fatto concreto (“questa volta sì”) e la caratteristica dell'azione
(“lascerà”, “si unirà...”). Proprio della Parola biblica è la sua capacità di ordinare i
tempi, pronunciando il rapporto di ogni presente con l'origine e la fine: il racconto della
Creazione è per questo diviso in giorni, secondo l'alternanza della luce, creata per
primo, e le tenebre. Non altra è la funzione della parola pronunciata in famiglia, che
anch'essa misura il tempo dell'origine e della promessa, e il cui fine è rassicurare contro
la minacciosa dispersione del tempo della vita.
Il ricordo dell'Origine è presente per esempio nel comandamento dell'amore,
centro della legge: si deve amare (“amerai”: Deut 6,5) perché si è stato amato per primo
(Dio ti ha fatto uscire dall'Egitto: Deut 5,6). Se l'amore può essere comandato, dice Paul
Ricoeur, è perché l'amore obbliga (“l'amour oblige...”). Per capire questo
comandamento dell'amore è preciso pensare a certe esperienze familiari che sole
aiutano a cogliere il senso del obbligo del ringraziamento all'amore ricevuto20. Davanti
alla nascita di un bambino, come davanti alla nascita di un amore nuovo, facciamo
esperienza di quest'obbligo dell'amore: “Tu, amami!”21
Perdere il senso di quest'esperienze familiare ci rende quindi meno capaci di
leggere la Scrittura. Quando la famiglia sparisce, i movimenti dell'amore, così ben
descritti nella ricerca continua tra gli amanti del Cantico dei Cantici, non conducono a
nessun porto, non rivelano né l'origine né il compimento, girano in cerchi chiusi. Ma
allora si perde anche la capacità per cogliere il senso del racconto biblico, che tende in
questo caso a vedersi come insieme di storie frammentate, incapaci di costituire un
insieme che illumini i passi dell'uomo.
Le esperienze della famiglia, invece, offrono nuovi orizzonti al cammino, e
permettono di capire il racconto biblico come unità dei tempi. Così, ad esempio, la
Bibbia testimonia il vissuto della fraternità. In essa è chiave la condivisione di

20
Cfr. quanto dice P. Ricoeur sul comandamento dell'amore nel saggio “Une obéissance
amante” en Penser la Bible, 162-195, p. 174: “Certes, que l'amour de l'amant oblige, cela surprend mais
ne fait pas scandale. Peut-être en comprenons-nous quelque chose dans une situation en apparence très
éloignée de l'idée d'une législation suprême édictée dans l'orage. Cette situation est celle de la naissance
d'un enfant. Du seul fait qu'il est là, sa fragilité oblige. Peut-être la naissance - d'un enfant, mais aussi de
tout ce qui est soumis à la loi du naître, croître, périr - est-elle l'occasion par excellence où les humains
entendent quelque chose du: “Toi, aime-moi!” La même expérience est répétée, ou plutôt recréée, dans la
maturité d'un amour érotique comme celui du Cantique des Cantiques, qui est à sa façon une naissance,
tout aussi menacée que celle du nouveau-né et tout aussi exigeante à l'égard de ce qui peut aider à croître.
Toi, aime-moi, toi, aide-moi”.
21
Ricoeur aggiunge alla questione dell'amore il tema della vita, nel suo commento di Ez 37,
tema anche importante per la famiglia, dove si da l'esperienza dell'unione tra famiglia e vita: cf. P.
Ricoeur, Penser la Bible, 253: “Restant dans le cadre biblique de ces études, c'est du Cantique des
Cantiques que nous aimerions rapprocher l'exégèse amplifiante que nous venons de pratiquer à propos
d'Ézéchiel 37, 1-14. L'amour nous a paru déployer, autour du symbole nuptial, un éventail comparable de
significations, déployées cette fois entre la sexualité et la dilection spirituelle. Il apparaît ainsi que l'amour
et la vie offrent des parcours métaphoriques parallèles. Ce qui les réunit, c'est l'idée de création. Là où le
Cantique, dans sa “sagesse”, déclare l'amour aussi fort que la mort, le prophète, dans sa “folie”, proclame
la vie plus forte que la mort. Il faut écouter les deux voix”.

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un'origine unica, di cui si riceve l'unica benedizione. La ragione di quest'unicità è che la
benedizione di Dio soltanto ha senso se vissuta in comunione, quando il dono del
fratello si vede come dono proprio. Quest'esperienza di fraternità nell'unica benedizione
offre una chiave di lettura per tutta la storia biblica, in quanto storia della benedizione
fino alla pienezza di Gesù22.
Un altro esempio è offerto dall'esperienza di fedeltà coniugale. L'unità
dell'alleanza si può capire soltanto a partire da una promessa che si prolunga nel tempo
e che consente di edificare un tempo comune. Questa promessa deve camminare sempre
accanto al perdono, che rigenera la fede nell'origine buona della vita, capace di
rigenerare sempre ciò che è stato prima generato.
Nel Nuovo Testamento il racconto si apre verso il compimento nell'amore di
Gesù e della Chiesa. I coniugi che vivono il sacramento del matrimonio sono testimoni
dell'unità della storia: unità tra creazione e redenzione, tra origine, presente e pienezza
futura, che offre la chiave per leggere la Bibbia nella sua unità. Così i Padri hanno
potuto usare l'immagine familiare delle nozze tra Gesù e la Chiesa per rileggere la
Scrittura come un tutto, dalla Creazione di Adamo ed Eva fino alle nozze definitivi
dell'Agnello (cfr. Ap 21, 9).
In questo modo la riflessione sulla famiglia può situarsi al centro della lettura
della Bibbia. Si potrebbe parlare di un “approccio familiare” per leggere la Scrittura,
giustificato sulla circolarità tra Bibbia e famiglia. È un approccio vincolato agli altri
segnalati nel documento della Pontificia Commissione Biblica citato sopra, all'interno di
cui si apre anche lo spazio per la ricerca delle fonti secondo il metodo storico critico23.
La famiglia può servire così di nesso tra gli approcci centrati sulla tradizione, come
quello canonico; e gli approcci che poggiano sull'esperienza umana e la narratività.
In conclusione, la famiglia aiuta a leggere la Scrittura in quanto luogo
dell'esperienza di un amore incarnato che da unità ai tempi della vita. Possiamo dire che
la Parola di Dio si scrive, non solo nelle pagine bibliche, ma anche nel corpo e nel
tempo dell'uomo, e che la famiglia, perché ha la chiave per leggere il linguaggio del
corpo, traccia anche una strada singolare per accostarsi alla Bibbia.
Ne è testimonianza l'esperienza del profeta Geremia. Il suo corpo, plasmato da
Dio nel seno materno dove il profeta è stato consacrato (Ger 1, 5), appare per lui come
luogo dove sono scritti i primi e indelebili segni della sua vocazione, il linguaggio della
chiamata prima. Allo stesso tempo il profeta propone un paragone tra il suo corpo e il
rotolo dove è scritta la Parola (Ger 36), rotolo bruciato e riscritto, perché condivide lo
stesso viaggio attraverso la morte verso la vita piena, che la sofferenza corporale di
Geremia svelerà24. È questa corrispondenza tra ciò che è scritto nel libro e ciò che è
scritto nel corpo che giustifica la connessione tra la famiglia, luogo originario del
linguaggio del corpo, e la Bibbia come Parola di Dio che accompagna la strada degli
uomini.

22
Cf. J. Ratzinger, Die christliche Brüderlichkeit, Kösel, München 1960.
23
Cf. Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia.
24
Cfr. M. Cucca, “Il corpo e il rotolo” in Il corpo e la città : studio del rapporto di
significazione paradigmatica tra la vicenda di Geremia e il destino di Gerusalemme, Cittadella, Assisi
2010, 181-199.

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