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Pandolfi
Politecnico di Torino
Dipartimento di Matematica
iii
iv INDICE
Introduzione all’analisi
funzionale
L’Analisi funzionale è nata quando, tra la fine del XIX e il primo trentennio del
XX secolo, sono stati raccolti in un’unica teoria molti risultati provenienti da
varie parti dell’analisi matematica; in particolare, dalla teoria delle equazioni
integrali della forma
Z b
x(s) = µ K(s, ξ)x(ξ) dξ + y(s) , s ∈ [a, b] (1.1)
a
ove µ è un parametro e K(s, ξ), y(s) sono funzioni note mentre la funzione
x(s) è incognita.
L’intervallo [a, b] è limitato. Equazioni di questo tipo si chiamano equazioni
di Fredholm di seconda specie e si incontrano per esempio nella soluzione di
problemi di elasticità (problemi che hanno stimolato i primi studi di Fredholm).
La funzione K(s, ξ) si chiama il nucleo dell’equazione di Fredholm.
Si chiama equazione di Fredholm di prima specie l’equazione
Z b
K(s, ξ)x(ξ) dξ = y(s) , s ∈ [a, b] (1.2)
a
3
4 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE ALL’ANALISI FUNZIONALE
Per semplicità supporremo che le funzioni a(s) e b(ξ) siano continue su [a, b].
Nel caso del nucleo degenere la soluzione dell’equazione di Fredholm si
riduce ad un problema di algebra lineare e quindi richiamiamo alcune nozioni
che dovremo usare.
1.0.1 L’equazione Ax = φ
Ricordiamo che C I indica l’insieme dei numeri complessi e che C I n indica il
n
prodotto cartesiano di n copie di C I . In C
I esistono infinite basi, ciascuna di n
elementi. Si chiama base canonica la base {e1 , . . . , en }, avendo indicato con
ei il vettore le cui componenti sono tutte nulle, salvo la i–ma, che vale 1.
I n , scriveremo
Se x è un vettore di C
h i n
X
x = col x1 . . . xn = xi ei .
i=1
I m.
3. L’equazione Ax = φ ammetta esattamente una soluzione per ogni φ ∈ C
5
Dunque, se per una φ la soluzione non è unica, allora esiste y 6= 0 e tale che
Ay = 0. E viceversa:
L’insieme
ker A = {x | Ax = 0}
si chiama il nucleo di A.
Passiamo ora a studiare il problema dell’esistenza di soluzioni. Chiamiamo
immagine di A l’insieme
I n} .
im A = {Ax | x ∈ C
V ⊥ = {ψ | hφ, ψi = 0 ∀φ ∈ V } .
Teorema 4 si ha
0 = hx, A∗ φi = hAx, φi In
∀x ∈ C
Corollario 5 Vale:
1.0.2 L’equazione λx − Ax = y
Sia ora n = m e quindi A sia una matrice quadrata, e studiamo l’equazione
(λ̄I − A∗ )ψ = φ
det(λI − A) 6= 0 . (1.7)
L’insieme dei numeri λ per cui vale l’unicità di soluzione si chiama l’insieme
risolvente della matrice A e si indica col simbolo ρ(A); il suo complementare
si chiama lo spettro della matrice e si indica col simbolo σ(A). Gli elementi
di σ(A) si chiamano gli autovalori di A.
Si noti che
det(λI − A)
8 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE ALL’ANALISI FUNZIONALE
ossia m
X Z b
x(s) = µ ar (s)xr + y(s) , xr = br (ξ)x(ξ) dξ .
r=1 a
I numeri xi dipendono dalla funzione incognita x(s) e quindi non sono noti;
però, moltiplicando i due membri dell’uguaglianza per bi (s) e integrando da a
a b, si trova che essi risolvono
m
kir = ab bi (s)ar (s) ds
( R
X
xi = µ kir xr + yi , (1.10)
yi = ab bi (s)y(s) ds .
R
r=1
come si voleva.
Possiamo quindi trasferire all’equazione integrale di Fredholm i risultati
che abbiamo enunciato per i sistemi di equazioni lineari:
Teorema 11 L’equazione di Fredholm (1.1) con nucleo degenere ammette al
più una soluzione se e solo se l’equazione
ψ = µ̄K ∗ ψ + φ (1.12)
ossia
Kx = y . (1.14)
Per vedere la differenza tra questa e l’equazione (1.11), esaminiamo il caso
particolare in cui
(
Z b 0 se i 6= r
kir = bi (ξ)ar (ξ) dξ =
a kii 6= 0 se i = r .
(1 − µk11 ) x1 y1
(1 − µk22 )
x2
y2
.. .. = .. ,
.
.
.
(1 − µkmm ) xm ym
k11 x1 y1
k22
x2
y2
.. .. = .. .
.
.
.
kmm xm ym
Ambedue queste equazioni sono, in principio, facilmente risolubili e le soluzioni
sono, rispettivamente,
y1 /[1 − µk11 ] y1 /k11
y2 /[1 − µk22 ]
y2 /k22
.. , .. .
. .
ym /[1 − µkmm ] ym /kmm
11
1.0.5 Ricapitolazione
Ora poniamoci alcuni problemi, la cui soluzione guiderà la scelta degli argo-
menti di analisi funzionale che studieremo. Il primo è questo: tutti i nuclei
espressi mediante polinomi sono degeneri. Ma per esempio
k(t, s) = esξ
α(x + y) = αx + αy ∀α ∈ Φ , ∀x , y ∈ X
(α + β)x = αx + βx ∀α , β ∈ Φ , ∀x ∈ X
1x = x ∀x ∈ X .
0x = 0 ∀x ∈ X
(−αx) = −(αx) ∀α ∈ Φ , ∀x ∈ X
α0 = 0 ∀α ∈ Φ .
13
14 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
1) ||x|| ≥ 0 ∀x ∈ X
2) ||x|| = 0 se e solo se x = 0
3) ||αx|| = |α| · ||x|| ∀α ∈ Φ , ∀x ∈ X
4) ||x + y|| ≤ ||x|| + ||y|| ∀x , y ∈ X .
Teorema 17 Vale:
||x|| − ||y|| ≤ ||x − y|| (2.1)
ossia la (2.2).
E’ conseguenza della (2.1):
Teorema 18 La norma, come trasformazione dallo s.l.n. X a IR, è unifor-
memente continua.
Inoltre:
Teorema 19 Sia f (x) una funzione da uno s.l.n. X ad uno s.l.n. Y . Si
equivalgono le condizioni
Si vede facilmente che tutte le regole di calcolo dei limiti che valgono in IRn
I n valgono in qualunque s.l.n. (ma ovviamente il teorema della funzione
o in C
monotona, che dipende dalla relazione di ordine, non ha corrispondente). Im-
portanti eccezioni sono le seguenti: si sa che sia IRn che C
I n sono spazi completi.
Invece:
Teorema 21 Esistono s.l.n-ti non completi.
2.1. SPAZI LINEARI NORMATI 17
Il teorema 23 può quindi enunciarsi dicendo che esistono s.l.n-ti non sepa-
rabili.
Per concludere quest’introduzione, ricordiamo che sul medesimo s.l.n. X
possono introdursi più norme.
h Per esempio
i I n sono norme tra loro diverse
su C
le seguenti. Se x = col x1 . . . xn :
" n
#1/p
p
X
||x||p = |xi | , (se p ≥ 1) ||x||∞ = max{|xi | , i = 1 . . . , n} .
i=1
(E’ facile provare che || · ||1 e || · ||∞ sono norme. Gli altri casi sono più difficili.
Si noti però che || · ||2 è l’usuale norma euclidea).
Tuttavia, su CI n , la proprietà
lim xn = x0 (2.3)
Definitione 26 Siano || · ||1 e || · ||2 due norme sul medesimo s.l.n. X. Si dice
che le due norme sono equivalenti se la condizione
implica la condizione
e viceversa.
Teorema 27 Sia X uno s.l.n. e siano || · ||1 e || · ||2 due norme su X. Esse
sono equivalenti se e solo se esistono due numeri m ed M tali che
Abbiamo notato che esistono spazi lineari normati e non completi. E’ bene
sapere:
Teorema 29 Sia X uno s.l.n. Si costruisce uno s.l.n. X̂ con queste proprietà:
• X̂ è completo;
Se fosse anche lim xn (·) = φ(·) nello spazio in cui stiamo lavorando, ossia con
φ(·) continua avremmo
Z 1 Z 1
|φ(s) − sgn(s)| ds ≤ lim ||φ − xn || + lim |xn (s) − sgn(s)| ds = 0 ;
−1 −1
ossia, φ(t) = sgn(t) q.o. t ∈ [−1, 1]. Ciò non può aversi perché φ(·) dovrebbe
essere continua mentre la funzione segno ha un salto.
||y − x(1) || ≥ 1 .
||y − x(k) || ≥ 1
t < − n1
0
1
− n1 ≤ t ≤ 0
n t+
n
xn (t) =
1
1
−n t − n
0≤t≤ n
0 t > n1 .
Figura 2.1:
1.5
0.5
−0.5
−1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5
||xn − x0 ||2 → 0 .
Definiamo yn = xn /n. E’ ovvio che (yn ) tenda a zero in || · ||2 mentre invece
||yn ||1 ≥ 1 per ogni n; e quindi (yn ) non converge a zero rispetto a || · ||1 .
Questo non si dà, per ipotesi, e quindi esiste m > 0 per cui vale la prima
diseguaglianza in (2.4).
Analogamente si vede che se la convergenza in || · ||1 implica la convergenza
in || · ||2 allora vale la seconda diseguaglianza in (2.4) per un certo M.
22 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
Questa definizione ha senso perché se (xn ) è fondamentale allora (||xn ||) è una
successione fondamentale di numeri, come si vede facilmente dal Teorema 17.
Si vede inoltre che la norma cosı̀ definita dipende dalla classe di equivalenza e
non dal rappresentante, ed ha effettivamente le proprietà di una norma su X̂.
Lo spazio X0 è quelo delle classi di equivalenza che hanno un rappresentante
costante. E’ immediato verificare che X0 ed X sono isometrici.
Notiamo ora che X0 è denso in X̂ perché ogni elemento [(xn )] di X̂ si
approssima mediante la successione ( [(yn )]r ) cosı̀ costruita: yn = xn se n < r;
altrimenti yn = xr .
Y =X oppure X = Φ.
(x, y) → x + y da X × X → X
(α, x) → αx da Φ × X → X
sono continue.
Dim. Per provare la prima affermazione, si fissa (x0 , y0 ) e si nota che, lavorando
con || · ||1 su X × Y , la disuguaglianza triangolare implica
Si ha quindi
||αx − α0 x0 ||X < ǫ
se si sceglie
||x − x0 ||X ≤ ǫ/2α0
(e quindi anche ||x||X ≤ ||x0 ||X + ǫ/2α0 ) ed anche
ǫ
|α − α0 | < .
2[||x0 ||X + ǫ/2α0 ]
Siano (am ) (bm ) successioni, rispettivamente siano f (x) e g(x) funzioni misu-
rabili su Ω. Vale rispettivamente:
+∞
" +∞ #1/p " +∞ #1/q
|an |p |bn |q
X X X
|an bn | ≤ ,
n=0 n=0 n=0
Z Z 1/p Z 1/q
|f (x)g(x)| dx ≤ |f (x)|p dx |g(x)|q dx .
Ω Ω Ω
Questo simbolo indica lo s.l.n. i cui elementi sono le funzioni continue sull’in-
tervallo [a, b] chiuso e limitato. La struttura lineare è quella usuale e la norma
è quella della convergenza uniforme:
• I simboli lp , 1 ≤ p ≤ +∞.
26 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
Il simbolo Lp (a, b) si usa per indicare gli s.l.n-ti i cui elementi sono le funzioni
f (·) tali che, rispettivamente,2
Rb
a |f (x)|p dx < +∞ se 1 ≤ p < +∞ ,
sup |f (x)| < +∞ se p = +∞ .
non sono norme su questi spazi: una funzione nulla in tutti i punti salvo
uno ha integrale nullo. L’estremo superiore è invece una norma ma ben poco
2
gli integrali vanno intesi nel senso di Lebesgue. Si ricordi che una funzione f (x) è
integrabile nel senso di Lebesgue se e solo se |f (x)| lo è.
3
come notazione, si scrive L∞ (a, b), rispettivamente L∞ (a, b), invece di L+∞ (a, b) o
+∞
L (a, b)
2.3. GLI ESEMPI PRINCIPALI DI SPAZI DI BANACH 27
Bisogna sapere:
Teorema 34 Esistono successioni (xn (·)) di funzioni misurabili e limitate su
un intervallo [a, b] e tali che: 1) la successione di numeri (xn (t)) non converge
per nessun valore di t; ma 2) esiste una funzione integrabile x0 tale che
Z b
lim
n
|xn (t) − x0 (t)| dt = 0 .
a
Se s 6= s′ si ha
sup |xs (t) − xs′ (t)| = 1
t∈(a,b)
Sia Ω ⊆ IRn un aperto (limitato o meno). Si usa il simbolo W 1,p (Ω) per
indicare lo spazio delle (classi di equivalenza di) funzioni u(·) ∈ Lp (Ω) tali che
esistono funzioni (ossia, classi di equivalenza) g1 , g2 ,. . . , gn in Lp (Ω), tali che
Z Z h i
u(x)∇φ(x) dx = g1 (x) . . . gn (x) φ(x) dx
Ω Ω
4
è più comune vedere usata la norma equivalente
Z +∞ 1/p
1 p
sup |φ(x + iy)| dy .
x>0 2π −∞
Ci sono buone ragioni, legate alla teoria della trasformata di Fourier, per privilegiare questa
scelta.
2.3. GLI ESEMPI PRINCIPALI DI SPAZI DI BANACH 31
a) la funzione x0 appartiene a X;
||xn || < M ∀n .
una funzione che si spera appartenga allo spazio che stiamo considerando e
che sia limite di (xn ). Proviamo:
a) la funzione y appartiene ad X.
Questo è facile se X non è né C(K) né c0 . Infatti in tal caso basta notare
che y è una funzione limitata come limite puntuale di una successione (xn )
che, essendo fondamentale, è limitata: |xn (t)| < M per ogni t e per ogni n.
Inoltre, se X = L∞ (Ω), la funzione y può costruirsi a partire da un qualsiasi
rappresentante delle classi di funzioni [xn ], e ne è limite puntuale q.o.; e dunque
è misurabile.
Se X = C(K) allora la continuità di y seguirà dalla convergenza uniforme
della successione di funzioni continue (xn ), che proveremo al punto b), grazie
al Corollario 43.
Sia X = c0 . In questo caso ciascuna delle successioni xn = xn (k) tende a
zero per k → +∞, e, come proveremo al punto b), la successione stessa con-
verge uniformemente ad y = (y(k)). Il Teorema del doppio limite, teorema 42,
mostra che limk y(k) = 0, ossia che y ∈ c0 .
Proviamo ora
||xn − xm || < ǫ .
|y(t) − xn (t)| ≤ |y(t) − xn+r (t)| + |xn+r (t) − xn (t)| ≤ |y(t) − xn+r (t)| + ǫ . (2.6)
2.3. GLI ESEMPI PRINCIPALI DI SPAZI DI BANACH 33
Questa disuguaglianza vale per ogni t e per ogni r > 0. Esiste r (dipendente
da t) tale che |y(t) − xn+r (t)| < ǫ. Il numero r esiste perché y(t) (per il
valore fissato di t) è limite della successione di numeri (xn+r (t)) (l’argomento
precedente vale q.o. su Ω se X = L∞ (Ω)).
Dunque,
segue che per ogni k la successione numerica (xn (k)) è fondamentale e quindi
convergente. Ciò induce a definire la successione x0 con
Proviamo ora
a) la successione x0 appartiene ad lp .
b) vale x0 = lim xn in lp .
||xn − xm || < ǫ .
||xn − x0 ||lp ≤ ǫ .
Facciamo vedere che una successione di funzioni (xn ) con tale proprietà am-
mette una sottosuccessione convergente q.o.
Ricordando la definizione di Nǫ in (2.7), la sottosuccessione si costruisce
con la regola seguente:
• si fissa ǫ = 1 ed il numero N(1). Si sceglie n1 = N(1) + 1;
• si fissa ǫ = 1/2 e si sceglie n2 = N(1/2) + 1;
• in generale, con ǫ = 1/2k , si sceglie nk = N(1/2k ) + 1.
Si considera quindi la sottosuccessione (yk ) = (xN (k)+1 ).
La successione (yk ) gode della seguente proprietà:
1
||yr − yr+1 ||Lp (Ω) ≤ .
2r
Proviamo che la successione di funzioni (yk ) converge q.o. E’ strumentale
a ciò introdurre la serie telescopica
∞
X
zk , zk = yk+1 − yk .
k=1
Essendo m
X
zk = ym+1 − y1 ,
k=1
per provare la convergenza della successione, basta provare quella della serie.
La costruzione della successione (yk ) implica la convergenza assoluta della
serie: ∞ Z 1/p ∞
1
|zk (s)|p ds
X X
≤ k
= 1. (2.8)
k=1 Ω k=1 2
Consideriamo la successione di funzioni
n
X
gn (s) = |zk (s)| .
k=1
36 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
converge q.o. su Ω. Ciò mostra che la successione (yk (s)) converge q.o. su Ω
e permette di definire una funzione
+∞
X
x0 (s) = lim yk (s) = zk (s) + y1 (s) .
k=1
Ciò prova che la successione di classi di equivalenza ([yk ]) converge alla classe
di equivalenza ([x0 ]). Ciò è quanto volevamo provare.
Osserviamo che, in particolare, abbiamo anche provato un teorema sulla
convergenza in media:
v = ∇u
un → u0 , vn → v0 .
lim xn (t) = Ln .
t
38 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
Vale allora:
Teorema 42 (Teorema del doppio limite ) Per ogni n, esista finito il li-
mite Ln in (2.9).
Se (xn ) converge ad x0 uniformemente su Ω allora esiste finito
lim x0 (t) = L0
t→α
e vale
L0 = lim Ln ;
n
ossia vale
lim
n
lim xn (t) = lim lim
n
xn (t) .
t→α t→α
Dim. Proviamo prima di tutto che L0 = limt→α x0 (t) esiste finito. Un teorema
dovuto a Cauchy5 dà una condizione necessaria e sufficiente per l’esistenza del
limite finito:
lim x0 (t) = L0 ∈ IR
t→α
|x0 (t′ ) − x0 (t′′ )| ≤ |x0 (t′ ) − xn (t′ )| + |xn (t′ ) − xn (t′′ )| + |xn (t′′ ) − x0 (t′′ )| .
Non abbiamo ancora scelto né t′ né t′′ ma, comunque essi saranno scelti,
certamente avremo
lim xn (t) = Ln .
t→α
|x0 (t′ ) − x0 (t′′ )| ≤ |x0 (t′ ) − xn (t′ )| + |xn (t′ ) − xn (t′′ )| + |xn (t′′ ) − x0 (t′′ )| < 3ǫ .
L0 = lim x0 (t) .
t→α
Grazie alla convergenza uniforme, esiste un numero Nǫ tale che per ogni t
vale
n > Nǫ =⇒ |x0 (t) − xn (t)| < ǫ .
Scegliamo come numero n in (2.10) il numero Nǫ + 1.
Dunque, per t ∈ Iǫ vale
Teorema 51 Sia {hν (s)} un’identità approssimata e sia f (x) una funzione
uniformemente continua e limitata su IR. Sia u(ν, x) la funzione
Z +∞ Z +∞
u(ν, x) = hν (x − s)f (s) ds = hν (s)f (x − s) ds .
−∞ −∞
2.4. SOTTOSPAZI DI SPAZI LINEARI NORMATI 43
Vale:
lim u(ν, x) = f (x) .
ν→0+
1.4 y
1
1.2 y
0.8
ν=.3
1
0.6
0.8
ν=.3
0.6 0.4
ν=.5
0.4
0.2 ν=1
ν=1
0.2
ν=.5
0
0 s
s
−0.2 −0.2
−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 −2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2
s2
!
1 2 1
h(s) = √ e−s : ht (s) = √ h .
π 4πt 4t
Sia ora f una funzione continua su [a, b]. Estendiamola in modo qualsiasi
ad una funzione continua su IR, nulla per x < a−1 e per x > b+1. Indichiamo
ancora con f la funzione cosı̀ estesa.
E’ chiaro che la funzione f è uniformemente continua su IR. Sia u(t, x) la
funzione definita in (2.11). Si vede facilmente che questa funzione è continua
per t > 0 ed x ∈ IR.
Applichiamo il Teorema 51, ottenendo
1 Z +∞ −(x−s)2 /4t
f (x) = lim u(t, x) = lim √ e f (s) ds .
t→0+ t→0+ 4πt −∞
Ora facciamo intervenire la condizione che f è nulla per s < a − 1 e per
s > b + 1. Si ha cosı̀
1 b+1 (x−s)2
Z
u(t, x) = √ e− 4t f (s) ds .
4πt a−1
con M = max |f |.
Si ha quindi:
Nσ 2 k
!
1 Z b+1 X
1 (x − s)
u(tσ , x) − √
− f (s) ds
4πtσ a−1 k=0 k! 4tσ
Nσ 2 k
!
1 1 (x − s)
Z b+1 2
(x−s)
− 4t
X
=√
e σ − − f (s) ds
4πtσ a−1 k=0 k! 4tσ
Nσ k
r2
!
1 x−a+1 − 4tr2 1
Z
X
=√
e σ − − f (x − r) dr < σ/2 .
4πtσ x−b−1 k=0 k! 4tσ
46 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
con c ∈ [a, b]. Si prova che la funzione g(x) è continua e q.o. derivabile, con
derivata q.o. uguale ad f (x).
Ciò vale sia su intervalli limitati che illimitati.
Supponiamo ora che (a, b) sia un intervallo limitato e che f (x) sia limitata,
|f (x)| < M .
Dunque,
lim Φh (x) = f (x)
h→0
Lemma 55 Sia (a, b) un intervallo limitato e sia f ∈ Lp (a, b), 1 ≤ p < +∞.
Esiste una successione (pn (x)) di polinomi che converge ad f (x) in Lp (a, b).
˜ −
Se la funzione f (x) non è limitata, si determini k in modo tale che ||f(x)
f (x)||Lp (a,b) < 1/3n, con
(
˜ = f (x) se |f (x)| < k
f(x)
k altrimenti.
˜ = f (x).
Se f (x) è limitata, sia f(x)
Introduciamo ora i rapporti incrementali
1 Z x+h ˜
Φh (x) = f (s) ds .
h x
Da quanto detto sopra si deduce che per ogni n esiste un valore hn di h
tale che
˜ − Φh (x)||Lp (a,b) < 1 .
||f(x) n
3n
Per ogni h la funzione Φhn (x) è continua su [a, b] (limitato e chiuso). Per
il Teorema di Weierstass, esiste un polinomio pn (x) tale che
1
max |pn (x) − Φhn (x)| <
[a,b] 3n(b − a)1/p
2.5 La compattezza
Ricordiamo che un s.insieme K dello s.l.n. X si dice relativamente compatto
quando ogni successione (xn ) a valori in K ammette s.successioni (xnk ) con-
vergenti. L’insieme K si dice compatto quando è relativamente compatto
e chiuso. Il teorema di Bolzano-Weierstrass può riformularsi dicendo che se
Φ = IR oppure Φ = CI allora ogni s.insieme limitato e chiuso di Φn è compatto.
Si ricordi che questa proprietà è cruciale per la dimostrazione del teorema di
Weierstrass sull’esistenza di massimi e minimo.
Sfortunatamente, l’analogo del Teorema di Bolzano-Weierstrass non vale in
spazi di Banach di dimensione infinita; anzi:
{x | |x − x0 | = ǫ}
Infatti, se K contiene punti interni esso contiene una sfera chiusa, che deve
essere compatta perché ogni s.insieme chiuso di un compatto è esso stesso
compatto. Ciò non può darsi se dimX = +∞.
E’ però vero che:
50 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
|x(t′ ) − x(t′′ )| < ǫ , ∀t′ t′′ ∈ [a, b] per cui |t′ − t′′ | < δ.
ǫ > 0 esiste δ > 0 tale che per ogni x ∈ K e per ogni t′ , t′′ in [a, b] tali che
|t′ − t′′ | < δ si ha:
|x(t′ ) − x(t′′ )| < ǫ .
d(x1 , M) = d > 0 .
La definizione di distanza mostra che per ogni σ > 0 esiste vσ ∈ M tale che
Sia
y = x1 − vσ .
Ovviamente,
δ = ||y|| = ||x1 − vσ || ≤ d(1 + σ)
e inoltre d(y, M) = d(x1 , M) perché vσ ∈ M; ossia
1 1
d(y, M) = d(x1 , M) = d ≥ ||x1 − vσ || = ||y|| .
1+σ 1+σ
In particolare,
||y|| ≤ d(1 + σ) . (2.14)
Scegliamo ora
y
x0 =
||y||
52 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
e notiamo che
!
y y
d(x0 , M) = d , M = inf{ − m | m ∈ M}
||y|| ||y||
1 1
= inf{ ||y − (m||y||) || | m ∈ M} = inf{ ||x1 − (vσ + m||y||) || | m ∈ M}
||y|| ||y||
1 d 1
= inf{ ||x1 − m|| | m ∈ M} = > .
||y|| ||y|| 1 + σ
M1 = span{x1 } = {tx1 | t ∈ Φ} .
1
d(x2 , M1 ) > .
2
In particolare vale ||x2 − x1 || > 1/2.
Definiti x1 ,. . . , xk , si sceglie xk+1 di norma 1, distante almeno 1/2 dallo
spazio generato dai vettori x1 ,. . . , xk .
Essendo dim X = +∞, X 6= span {x1 , . . . xk } e quindi questa costruzione
conduce ad una successione (xn ) i cui elementi distano due a due almeno 1/2,
e quindi priva di s.successioni convergenti.
Dim. per assurdo sia K compatto e sia ǫ0 > 0 un numero tale che la proprietà
non valga. Scelto un qualsiasi x1 ∈ K, B(x1 , ǫ0 ) non copre K; e quindi esiste
x2 ∈ K che dista da x1 più di ǫ0 . Ancora perchè ǫ0 non soddisfa alla proprietà
detta nel lemma, B(x1 , ǫ0 ) ∪ B(x2 , ǫ0 ) non copre K. Dunque esiste x3 in K
che dista più di ǫ0 sia da x1 che da x2 .
Iterando questo procedimento, si trova una successione (xn ) i cui punti
distano l’uno dall’altro almeno ǫ0 , e quindi priva di s.successioni convergenti.
Ciò contrasta con la compattezza di K.
Proviamo ora che l’insieme K, compatto in X = C(a, b), è equicontinuo.
Si fissi ǫ > 0 e si fissino k1 , . . . , kr tali che
[
K⊆ B(ki , ǫ) .
Ciascuna delle funzioni ki è una funzione uniformemente continua e quindi
l’insieme delle ki , che sono in numero finito, è equicontinuo: esiste δ > 0 tale
che se |t′ − t′′ | < δ allora |ki (t′ ) − ki (t′′ )| < ǫ per ogni i.
Sia ora x ∈ K qualsiasi e ki0 una funzione dell’insieme {k1 , . . . , kr } che
dista da x meno di ǫ. Valutiamo:
|x(t′ ) − x(t′′ )| ≤ |x(t′ ) − ki0 (t′ )| + |ki0 (t′ ) − ki0 (t′′ )| + |ki0 (t′′ ) − x(t′′ )| < 3ǫ .
Questa disuguaglianza vale per |t′ − t′′ | < δ e per ogni x ∈ K. Notando che δ
non dipende da x ∈ K segue l’equicontinuità.
Proviamo ora la condizione sufficiente: proviamo che se K ⊆ C(a, b) è
sia limitato che equicontinuo allora K è relativamente compatto. Per que-
sto, scegliamo una qualsiasi successione (xn ) in K e diamo un metodo per
costruirne una s.successione convergente. Per fare ciò, fissiamo prima di tutto
una successione iniettiva (tn ) la cui immagine è densa in [a, b]. Procediamo
ora per passi: consideriamo la successione di numeri (xn (t1 )). Questa è una
successione di numeri limitata perché K è limitato. Dunque ammette una
s.successione convergente. Indichiamo col simbolo x(1) n (t1 ) questa successione
di numeri e consideriamo la successione di funzioni (x(1) n ). Valutiamo queste
funzioni nel punto t2 ottenendo la successione di numeri (x(1) n (t2 )). Estraiamo
da questa una successione convergente, che indichiamo col simbolo (x(2) n (t2 )).
Consideriamo quindi la successione di funzioni (x(2) n ) e la successione di numeri
(2)
(xn (t3 )). Iteriamo il procedimento.
In questo modo si definiscono induttivamente le successioni di funzioni
(x(1) (2)
n ), (xn ),. . . , ciascuna delle quali è s.successione delle precedenti. Dun-
que, la successione (xn(k) (tr )) è una successione di numeri che converge per ogni
r ≤ k. Inoltre, (x(1) n ) è s.successione della (xn ).
Consideriamo ora la tabella seguente:
54 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
Si ha:
• in ogni casella compare una delle funzioni della successione;
• gli elementi della prima riga costituiscono una s.successione della (xn );
Si fissi δ > 0 tale che se |t′ − t′′ | < δ allora ogni x ∈ K verifica
Rappresentiamo l’intervallo [a, b], che è limitato, come unione finita di intervalli
di lunghezza minore di δ:
ν
[
[a, b] = [as , bs ] , bs − as < δ .
s=1
Per ciascun intervallo [as , bs ], fissiamo uno dei punti della successione (tn ) che
gli appartiene. Indichiamolo col simbolo t̄s .
2.6. OPERATORI LINEARI 55
|x(n) (m)
n (t̄s ) − xm (t̄s )| < ǫ
ed i punti t̄s sono in numero finito e non dipendono dal punto t. Dunque, la
dimostrazione si completa scegliendo Nǫ = max{N1 , . . . , Nν }.
Il procedimento di estrarre la successione diagonale, dovuto a Cantor, va
sotto il nome di metodo diagonale di Cantor.
{(x, y) | y = f (x)} .
56 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
Notiamo ora:
B(x0 , r) = {x | ||x − x0 || ≤ r} .
x = x0 + y , y ∈ B(0, r) ∩ L .
S(x0 , r) = {x | ||x − x0 || = r}
non è convessa.
Gli insiemi convessi di IR sono tutti e soli gli intervalli (limitati o meno).
Il risultato seguente è di ovvia dimostrazione:
Teorema 67 Sia A lineare da X in Y . Se K ⊆ domA è convesso in X, allora
AK è convesso in Y .
Le palle centrate in 0 sono insiemi convessi che hanno in più una proprietà
di simmetria: se x ∈ B(0, r) allora αx ∈ B(0, r) per ogni α tale che |α| ≤ 1.
In generale, un insieme K si dice equilibrato se
|α| ≤ 1 , x∈K =⇒ αx ∈ K .
Si vede immediatamente:
• un insieme di C I equilibrato rispetto a z0 e che contiene z ′ contiene anche
il disco di centro z0 e raggio |z ′ − z0 |. Affermazione analoga vale per gli
insiemi equilibrati di IR, sostituendo i dischi con gli intervalli simmetrici
rispetto a z0 . In particolare:
Di conseguenza,
Dunque:
Lemma 70 Vale:
Un operatore lineare che è limitato su una palla, non può “crescere troppo
velocemente”. Infatti:
Dim. Il viceversa è ovvio e quindi basta provare che se A è limitato su B(0, 1),
allora vale la disuguaglianza (2.15). Basta considerare il caso x 6= 0. Se x 6= 0,
x/||x|| ∈ B(0, 1) e quindi
1 x
||Ax|| = A ≤ MA .
||x|| ||x||
2.6. OPERATORI LINEARI 59
lim ||Ax||Y = 0
||x||X →0
domA = X , Ax = x(a) .
60 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
Essendo
||Ax − Ay||Φ = |x(a) − y(a)| ≤ ||x − y||X
si vede che A è addirittura uniformemente continuo.
xn (t) = tn /n .
lim xn = x0 = 0
Si noti che l’esempio precedente mostra che anche funzionali lineari impor-
tanti per le applicazioni possono essere discontinui; e, l’esempio specifico spiega
perchè il problema della derivazione numerica è assai delicato.
Esempi di operatori lineari, rispettivamente continui e non continui, tra
s.l.n-ti ambedue di dimensione infinita sono i seguenti:
E’ Z t
||Ax − Ay||Y = max [x(s) − y(s)] ds ≤ (b − a) · ||x − y||X ;
[a,b] a
Sia X = L2 (0, 1), Y = C([0, 1]). Il dominio di A sia lo spazio lineare delle
classi di equivalenza dotate di rappresentante continuo. Sia
Ax = y , y(t) ≡ x(1) .
xn (t) = tn
Axn ≡ 1 .
Passiamo ora a studiare le proprietà degli operatori lineari che sono anche
continui. Abbiamo notato che gli operatori lineari continui degli esempi pre-
cedenti sono anche uniformemente continui. Come ora vedremo, è questo un
fatto generale.
Dunque,
||Ax − Ax1 || = ||A(x1 − (x′ − x0 )) − Ax1 || = ||A(x′ − x0 )|| = ||Ax′ − Ax0 || < ǫ .
max{||Ax||Y | ||x||X ≤ 1}
non esiste.
Dim. Si scelga X = L1 (0, 1) ed il funzionale
Z 1
Lx = sx(s) ds .
0
||x|| ≤ 1 =⇒ |Lx| ≤ 1 ;
ossia Z 1
|x(s)| ds ≥ 1 + (1 − δ)α .
0
Ix = x .
x = n′x + αx′ x0
Ψx = x′ (0) .
Sia B(x0 , δ/2) = {x | ||x − x0 || < δ/2}. L’immagine ΨB(x0 , δ/2) di B(x0 , δ/2)
è un insieme equilibrato (rispetto a Ψ(x0 )) in IR oppure in C
I , che non contiene
0, perché B(x0 , δ/2) non interseca ker Ψ. Per il Lemma 68, ΨB(x0 , δ/2) è
limitato, e quindi Ψ è continuo.
Si chiamano iperpiani i sottospazi chiusi di codimensione 1 e gli insiemi
che si ottengono da essi per traslazione. Dunque:
Teorema 84 Gli iperpiani sono tutti e soli gli insiemi della forma
H = {x | Ψx = c}
x = nx + αx x0 , n∈N.
Notazioni
In pratica quando Ψ è un funzionale lineare e continuo su X, invece di scrivere
Ψ(x) per indicare il valore preso da Ψ nel punto x, si scrive
hhΨ, xii
ossia
hhΨ, xii = Ψ(x) .
Avremo modo di vedere la comodità di questa notazione. Va notato esplici-
tamente che il simbolo del funzionale lineare viene scritto sulla sinistra, cosı̀
come sulla sinistra compare nella notazione Ψ(x). Insistiamo su questo perché
in alcuni libri esso si trova scritto sulla destra, ossia si trova scritto hhx, Ψii
invece di hhΨ, xii. Ci sono buone ragioni per l’uso di ambedue le notazioni10 .
Lo spazio lineare di tutti i funzionali lineari e continui definiti su X si chiama
lo spazio duale di X, e si indica col simbolo X ∗ oppure X ′ .
lim Axn = y0 .
Si definisce quindi
Ãx0 = y0 .
Se (x′n ) è una seconda successione convergente ad x0 , vale
e quindi
lim Axn = lim Ax′n ;
ossia il valore y0 dipende solo da x0 , e non dalla particolare successione (conver-
gente ad x0 ) scelta per calcolarlo. Dunque l’operatore à che abbiamo costruito
è un operatore univoco.
Ovviamente, Ã estende A: se x0 ∈ domA, scegliendo xn = x0 per ogni n si
vede che
Ãx0 = Ax0 .
68 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
||Ãx0 ||Y = lim ||Axn ||Y ≤ M lim ||xn ||X = M · ||x0 ||X (2.18)
Si lascia al lettore la facile verifica che quella appena definita è una norma.
Conviene notare una conseguenza utile della definizione (2.19):
Corollario 87 Per ogni x ∈ X vale:
ossia la (2.20).
La (2.20) mostra che:
ossia
||Ã|| ≤ M .
Però, Ã estende A e quindi ||Ã|| ≥ M. dunque:
70 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
B(αx + βy) = lim An (αx + βy) = lim {αAn x + βAn y} = αBx + βBy
E’:
||B − An || = sup ||(B − An )x||Y .
||x||≤1
Sia ǫ > 0 e sia Nǫ tale che, per n, m maggiori di Nǫ , valga (2.24). Fissato
x con ||x|| < 1, scriviamo
Notiamo che questa disuguaglianza vale per ogni x con ||x|| ≤ 1 e per tutti
gli m > Nǫ .
La definizione di B mostra l’esistenza di un opportuno m > Nǫ (dipendente
sia da x che da ǫ) per cui vale anche
11
si noti che in questa dimostrazione si usa anche la continuità della norma.
72 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
spazio duale
l1 l∞
′
lp , p < +∞ lp , p′ = p/(p − 1)
c0 l1
L1 (Ω) L∞ (Ω)
′
Lp (Ω) , p < +∞ Lp (Ω) , p′ = p/(p − 1)
C(a, b) NV (a, b)
Il duale di lp , 1 ≤ p < +∞
Per caratterizzare il duale di lp ed anche di c0 abbiamo bisogno di una parti-
colare successione di elementi dello spazio lp stesso, che indichiamo con (e(n) ).
Dunque, ciascun e(n) è a sua volta una successione di numeri. Per definizione,
(
(n) 1 se i = n
ei = (2.27)
0 altrimenti.
Si ha
N
hhx∗ , xii = limhhx∗ , x(N ) ii = limhhx∗ , xk e(k) ii
X
N N
k=0
N N +∞
xk hhx∗ , e(k) ii = lim
X X X
= lim ȳk xk = ȳk xk .
N N
k=0 k=0 k=0
è continua su l1 .
Ciò completa l’analisi del caso p = 1.
In modo analogo trattiamo il caso 1 < p < +∞.
′
Siano x = (xn ) ∈ lp ed y = (yn ) ∈ lp . Dalla disuguaglianza di Hölder si
vede che:
+∞
X
ȳn xn ≤ ||(yn )||p′ · ||(xn )||p = ||y||p′ · ||x||p .
k=0
′
è continua su lp e suggerisce di considerare la trasformazione L da Y = lp in
X ∗:
+∞
X
(Ly)(x) = ȳn xn ,
k=0
||Ly||X ∗ ≤ ||y||p′ .
yi = hhx∗ , e(i) ii .
e, d’altra parte,
n
′
hhx∗ , x(n) ii = |yi|p .
X
i=1
||y||p′ ≤ ||x∗ || .
′
Dunque, y ∈ lp e ||y|| ≤ ||x∗ ||.
Proviamo ora che vale la (2.63). Fissato l’elemento x ∈ lp , consideriamo la
successione x(n) di elementi di lp ,
n
(
(n) i xr se r ≤ n
x(n)
X
x = xi e , ossia r =
i=0
0 se r > n .
x = lim x(n) .
r→+∞
Inoltre,
+∞ n +∞
limhhx∗ , x(n) ii = lim ȳr x(r)
X X X
n n = lim ȳr xn = ȳr xr
r=0 r=0 i=0
′ P+∞
perchè si è già provato che y ∈ lp e quindi che x → i=0 ȳr xr è un funzionale
continuo. Si trova cosı̀ che vale la rappresentazione
+∞
hhx∗ , xii =
X
ȳr xr .
i=0
Il duale di c0
Ricordiamo che il simbolo c0 indica il s.spazio di l∞ i cui elementi sono le
successioni che convergono a zero. Proviamo che il duale di c0 è realizzato da
l1 . Per provare questo notiamo che se (ξk ) ∈ l1 allora la trasformazione
+∞
ξ¯k xk
X
x→ (2.32)
k=1
2.7. ESEMPI DI SPAZI DUALI 77
g(t) = hhx∗ , χt ii
E’:
e quindi
n Z b Z b
hhx∗ , ψii = ¯ ¯
X
ψi ξ(s)χti (s) ds = ξ(s)ψ(s) ds .
i=1 a a
è continuo.
Sia ora x ∈ L1 (a, b). Esiste una successione di funzioni a scala ψn conver-
gente ad x in L1 (a, b). Allora,
Z b Z b
∗ ∗
hhx , xii = limhhx , ψN ii = lim ¯
ξ(s)ψN (s) ds =
¯
ξ(s)x(s) ds .
N N a a
Il duale di C(a, b)
Introduciamo ora una realizzazione del duale di C(a, b), lo spazio di Banach
delle funzioni continue sull’intervallo limitato e chiuso [a, b], con la norma
dell’estremo superiore. Fissiamo un elemento x∗ del duale. Per rappresentarlo,
procediamo in tre passi:
PASSO 1) Introduciamo lo spazio lineare di tutte le funzioni limitate su [a, b],
continue o meno, dotato della norma dell’estremo superiore. Si trova uno s.l.n.
che indicheremo col generico simbolo B.
80 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
ossia n
X
zn (t) = f (ti−1 )[χti (s) − χti−1 (s)] .
i=1
Si ha quindi
n
hhx∗ , f ii = hhx̃∗ , f ii = limhhx̃∗ , zn ii = lim f (ti−1 )[hhx̃∗ , χti (s)ii − hhx̃∗ , χti−1 (s)ii]
X
i=1
n
X
= lim f (ti−1 )[vti (s) − vti−1 (s)] .
i=1
Si noti che nel caso particolare in cui v(t) = t, tale limite è ab f (s) ds.
R
(ovviamente, il limite non dipende dalla partizione scelta per definirlo, dato
che esso deve essere hhx∗ , f ii).
Il particolare integrale definito da (2.66) si chiama integrale di Stiltjes .
Si osservi che la rappresentazione di x∗ come integrale di Stiltjes usa la
continuità uniforme di f ; e quindi in generale x̃∗ non avrà tale rappresentazio-
ne.
PASSO 3) Ricapitolando, abbiamo rappresentato ogni elemento del duale di
C(a, b) come un integrale di Stiltjes. Dobbiamo ora studiare le proprietà di
tale integrale, per trovare uno spazio di Banach che realizzi [C(a, b)]∗ .
2.7. ESEMPI DI SPAZI DUALI 81
Si ha
n
X n
X
|v(ti ) − v(ti−1 )| = {sgn [v(ti ) − v(ti−1 )]}[v(ti ) − v(ti−1 )]
i=1 i=1
n n o
hx̃∗ , sgn [v(ti ) − v(ti−1 )][χti − χti−1 ] ii
X
i=1
n n o
= hx̃∗ ,
X
sgn [v(ti ) − v(ti−1 )][χti − χti−1 ] ii
i=1
n
≤ ||x̃∗ || sup |χti (s) − χti−1 (s)| = ||x̃∗ || = ||x∗ ||
X
s i=1
e questo suggerisce di scegliere come spazio per rappresentare [C(a, b)]∗ uno
spazio di funzioni a variazione limitata. Bisogna però notare che può aversi
Z b Z b
f dv = f dv ′ ∀f ∈ C(a, b)
a a
Il duale di C(K)
Ricordiamo che simbolo C(K) l’insieme K è compatto.
Non abbiamo gli strumenti per studiare il duale di C(K). Possiamo però
descrivere come si rappresenta l’azione su C(K) di un elemento x∗ del suo
duale. Per ogni x∗ ∈ (C(K))′ si trovano una misura di Borel m ed una funzione
ψ(s) misurabile secondo Borel su K e tale che
|ψ(s)| = 1 q.o. s ∈ K
||Ax|| ≤ Mx ∀A ∈ A . (2.35)
Xn = {x | ||Ax|| ≤ n ∀A ∈ A} .
è esso stesso chiuso. Abbiamo quindi una famiglia di chiusi la cui unione è X.
Per il Teorema di Baire, uno almeno deve avere punti interni. Sia esso XN .
Esiste x0 ∈ XN ed esiste ǫ > 0 per cui
{x0 + x | ||x|| ≤ ǫ} ⊆ XN .
L’esempio seguente mostra che operatore chiusi ma non continui non solo
esistono ma sono anche importanti per le applicazioni:
Esempio 104 Sia X = Y = C(0, 1) e sia
domA = C 1 (0, 1) , Ax = x′ .
Se x ∈ domA, vale Z t
x(t) = x(0) + x′ (s) ds .
0
Come si verifica facilmente, l’operatore A non è continuo. Proviamo che il
suo grafico è chiuso. Consideriamo quindi una successione nel grafico che è
convergente e mostriamo che essa converge ad un punto del grafico. Sia quindi
(xn , Axn ) → (x0 , y0) .
86 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
e da (
xn → x0 uniformemente su [0, 1]
x′n → y0 uniformemente su [0, 1].
Osserviamo infine:
Corollario 105 Siano X, Y e Z tre spazi di Banach. Sia A ∈ L(X, Y ) e sia
B un operatore lineare chiuso da Y in Z. Se
im A ⊆ dom B
allora l’operatore composto BA è continuo.
Dim. Si vede facilmente che BA è definito su X, ed è chiuso. Dunque è
continuo.
2.8.1 Proiezioni
Un operatore P ∈ L(X) si dice una proiezione se
P2 = P .
Si noti che le proiezioni vengono sempre a coppie. Infatti,
Teorema 106 L’operatore P è una proiezione se e solo se l’operatore I − P
è una proiezione. Inoltre, imP ∩ im(I − P ) = {0}.
Dim. Infatti,
(I − P )(I − P ) = I − P − P + P 2 = I − P
se e solo se P 2 = P ossia se e solo se P è una proiezione.
Se x = P x′ = (I − P )x′′ allora
P x′ = x′′ − P x′′ da cui P x′ = P x′′ − P 2 x′′ = P x′′ − P x′′ = 0
e quindi x = P x′ = 0.
Inoltre:
2.8. IL TEOREMA DI BAIRE E LE SUE CONSEGUENZE 87
P yn = P 2 xn = P xn → y0
x = P x + (I − P )x .
X2 = im(I − P ) .
X1 + X2 = {P x + (I − P )y | x ∈ X , y ∈ Y } = X .
Figura 2.3:
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0 x
P
−0.2
P’’
−0.4 P’
x
−0.6
−0.8
−1
−1 −0.8 −0.6 −0.4 −0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
|f (x + h) − f (x)| ≤ nh .
Si prova che:
• L’insieme An è chiuso e privo di punti interni.
Accettando queste proprietà che proveremo più avanti, il Teorema di Baire
mostra che esiste una funzione continua f (x) che non appartiene a ∪An .
Se f ∈
/ ∪An allora per ogni x e per ogni h vale
|f (x + h) − f (x)| > nh
90 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
|f (x0 + h) − f (x0 )|
≤ |f (x0 + h) − fk (x0 + h)| (2.37)
+|fk (x0 + h) − fk (xk + h)| (2.38)
+|fk (xk + h) − fk (xk )| (2.39)
+|fk (xk ) − fk (x0 )| (2.40)
+|fk (x0 ) − f (x0 )| . (2.41)
Ciò prova che ciascuno degli insiemi An è chiuso. Proviamo ora che ciascuno
di essi è privo di punti interni. Fissato n ed f ∈ An , proviamo che per ogni
ǫ > 0 esiste ζ ∈/ An che dista da f meno di ǫ.
Si sa che esistono funzioni g continue e lineari a tratti tali che
Basta quindi provare che data una qualunque g continua e lineare a tratti si
può costruire ζ ∈
/ An , che dista meno di ǫ/2 da g. Sia per questo
Figura 2.4:
0.6
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
−0.1
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
se m > r/ǫ, con x′ tale che |x − x′ | < 1/2m. Se ora m verifica anche m >
(n + r)/ǫ, allora ζ ∈
/ An . Ciò completa la dimostrazione.
Sia ora f (x) una funzione continua su [−π, π]. Si associ ad essa la serie
+∞
1 +π
Z
fn einx , f (s)e−ins ds
X
fn =
n=−∞ 2π −π
che si chiama la serie di Fourier della funzione f (x). Sotto ipotesi di rego-
larità, per esempio se la funzione f (x) è di classe C 1 e inoltre f (−π) = f (π),
la serie converge ad f (x) e questa condizione può indebolirsi, ma non fino alla
sola continuità. Infatti:
92 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
Teorema 111 Sia x0 ∈ [−π, π]. Esiste una funzione f continua su [−π, π]
tale che f (0) = f (2π) e tale che inoltre la serie di Fourier ad essa associata
non converge in x0 .
f (−π) = f (π) .
Si vede facilmente che questo è un s.spazio chiuso di C(−π, π), e quindi esso
stesso uno spazio di Banach.
Studiamo le somme parziali della serie di Fourier. Indichiamo per questo
con FN l’operatore definito su CP (−π, π) da
N N
1 π
Z
inx
ein(x−s) ds .
X X
(FN f )(x) = fn e = f (s)
n=−N 2π −π n=−N
Si provi che
(
2N + 1 se x = 0
DN (x) =
= sin(N +1/2)x
PN inx
n=−N e sin x/2
se x 6= 0 .
Ciò vuol dire che la serie di Fourier di questa funzione f˜ non converge in x0 .
˜ Sup-
Per completare la dimostrazione basta quindi provare l’esistenza di f.
poniamo che tale funzione f˜ non esista. Allora, per ogni f ∈ CP (−π, π) si
ha:
sup |(FN f )(x0 )| < +∞ .
N
e
1 Zπ 1 Zπ
|F0,N f | ≤ |DN (t)f (t)| dt ≤ |DN (t)| dt ||f ||CP (−π,π)
2π −π 2π −π
cosı̀ che
1 π
Z
||F0,N || ≤ |DN (t)| dt . (2.43)
2π −π
In realtà vedremo che vale l’uguaglianza. Accettando ciò,
1 π 1 π sin[(N + 1/2)t]
Z Z
||F0,N || = |DN (t)| dt = dt
2π −π 2π −π sin t/2
1 Z π sin[(N + 1/2)t] 2 Z (N +1/2)π | sin t|
> dt = dt
π −π t π 0 t
2 NX
−1 Z (k+1)π
| sin t| N −1
2
X Z (k+1)π
≥ dt ≥ 2 kπ
| sin t| dt
π k=0 kπ t k=0 (k + 1)π
2n
4 X 1
= 2
−→ +∞ .
π k=0 (k + 1)
1 π
Z
lim |F0,N fk | = |DN (t)| dt (2.44)
k 2π −π
94 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
cosı̀ che
||xn − xn+m || < ǫn .
Sia lim ǫn = 0. Da
||xn − xn+m || < ǫn
si vede che la successione (xn ) è fondamentale ossia convergente,
lim xn = x̃ .
Sia ora (An ) una successione di insiemi chiusi e (Bn ) una successione di
palle con le proprietà appena dette e tali che, inoltre,
(cl Bn ) ∩ An = ∅ . (2.45)
ha interno non vuoto grazie alla continuità delle traslazioni, per ogni insieme D
(e quindi anche per D = C).
Inoltre, se C contiene punti interni, allora (cl C)−(cl C) contiene un intorno
di 0.
Proviamo ora il teorema 99. Ricordiamo che per definizione, un operatore
A ∈ L(X, Y ) ha dominio uguale ad X.
96 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
Ciò prova che A0 è interno ad im A e, per traslazione, si trova che Ax0 è interno
ad im A per ogni x0 (nuovamente, si usa la continuità delle traslazioni).
Precisamente, proveremo che esiste un intorno W di 0 in Y che è contenuto
in A(BX,2 ). Useremo per questo l’inclusione seguente, che vale per ogni r > 0
ed r ′ > 0:
BX,r − BX,r′ ⊆ BX,r+r′ . (2.46)
Consideriamo le palle
Dato che [
X= BX,2n
n
e quindi, per il teorema di Baire almeno uno degli insiemi cl (A(BX,2n )) ha pun-
ti interni. Moltiplicando per numeri positivi si vede che ciascuno degli insiemi
cl (A(BX,r )) contiene punti interni, grazie alla continuità della moltiplicazione
per scalari.
Da (2.46) si ha che
cl A(BX,1 ) ⊆ A(BX , 2) .
2.9. LO SPAZIO DUALE 97
Ciò mostriamo ora. Sia per questo ỹ ∈ cl A(BX,1 ). Mostriamo che ỹ ∈ A(BX,2 ).
Si sa che cl A(BX,1/2 ) contiene un intorno di 0. Dunque esiste x1 ∈ BX,1 tale
che ||ỹ − Ax1 || è cosı̀ piccolo da aversi ỹ − Ax1 ∈ cl A(BX,1/2 ).
In modo analogo, cl ABX,1/4 contiene un intorno di 0 e quindi esiste x2 ∈
BX,1/2 per cui (ỹ − Ax1 ) − Ax2 ∈ cl A(BX,1/4 ). Iterando questo procedimento
per ogni n si trova
Sia ora
+∞ +∞
X X 1
x= xi cosı̀ che ||x|| ≤ < 2.
i=1 i=1 2n
Per questo vettore x vale
1
||ỹ − Ax|| = lim ||ỹ − Axn || ≤ lim = 0 , ossia ỹ = Ax con ||x|| < 2 .
2n
Ciò mostra che ogni ỹ ∈ cl A(BX1 ) è anche in A(BX,2 ) e conclude la dimostra-
zione.
Teorema 113 (di Hahn-Banach ) Sia X uno s.l.n. e sia Y un suo s.spazio.
Sia L0 un funzionale lineare continuo su Y . Esiste un’estensione di L ad X
tale che
||L||X ∗ = sup{|Ly| | y ∈ Y , ||y||X = 1} .
Teorema 114 Sia X uno spazio lineare su IR. Esista una funzione p: X → IR
1. positivamente omogenea , ossia tale che p(tx) = tp(x) per ogni x e per
ogni t ≥ 0;
L0 x ≤ p(x) ∀x ∈ Y .
Lx ≤ p(x) ∀x ∈ X .
|Lx| ≤ p(x) ∀x ∈ X .
2.9. LO SPAZIO DUALE 99
Nel caso reale, dal Teorema 114 si vede l’esistenza di L, funzionale lineare su
X, che estende L0 e tale che
Lx ≤ M||x||
e quindi anche
−Lx = L(−x) ≤ M|| − x|| = M||x||
ossia
|Lx| ≤ M||x|| . (2.48)
Nel caso complesso la disuguaglianza (2.48) figura direttamente nell’enun-
ciato del Teorema 115. Dunque il Teorema 113 vale.
Mostriamo ora alcune conseguenze importanti. La prima è che X ∗ , duale
di X, ha “molti elementi. Più precisamente,
Teorema 116 Per ogni x0 6= 0 in X ed ogni m ∈ Φ, esiste L ∈ X ∗ tale che
m
Lx0 = m , ||L|| = . (2.49)
||x0 ||
Dim. Si sceglie come spazio Y la retta per 0 ed x0 ,
Y = {λx0 | λ ∈ Φ} .
L0 (λx0 ) = λm .
||L|| = ||x0 || .
|Lx0 | = ||x0 || .
Lx1 6= Lx0 .
x , y ∈ A =⇒ tx + (1 − t)y ∈ A ∀t ∈ [0, 1] .
{x | hhx∗ , xii = α}
E’ ovvio che in generale due insiemi disgiunti non possono essere separati
da iperpiani, si veda la figura 2.5 a sinistra. Per avere buoni risultati di
separazione dovremo lavorare con insiemi convessi. La figura 2.5 a destra
mostra che insiemi convessi e disgiunti non possono, in generale, separarsi
strettamente.
Valgono però i due teoremi seguenti, la cui dimostrazione viene posposta:
e
102 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
Figura 2.5:
3
y y
x −1
−2
−3
−0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5
H ⊆ ker x∗ .
hhx∗ , hii = 0 ∀h ∈ H ,
come volevamo.
Il viceversa è ovvio.
Inoltre,
2.9. LO SPAZIO DUALE 103
Osservazione 123 Invece, il duale di uno spazio separabile può non essere se-
parabile. Mostreremo infatti che l∞ è isometricamente isomorfo al duale di
l1 . Si sa già che l∞ non è separabile mentre è facile verificare che l1 lo è.
Figura 2.6:
4
−1
−2
−3
−4
−4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4
E’ facile provare:
ossia
hhx∗ , (x − x0 )ii ≤ (−φ) · (t − t0 ) . (2.51)
106 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
Notiamo che se φ = 0 si ha
hhx∗ , x − x0 ii ≤ t − t0 .
• il numero f (x) è l’estremo superiore dei valori delle funzioni lineari affini
il cui grafico è sotto quello di f . L’estremo superiore è un massimo, in
ogni punto x, se l’epigrafo è chiuso.
Definitione 131 Una funzione (anche non convessa) con epigrafo chiuso si
chiama semicontinua inferiormente . Una funzione f si dice semicontinua
superiormente se −f è semicontinua inferiormente.
La disuguaglianza
√ √ √
a+b≤ a+ b ∀a ≥ 0 , b ≥ 0 (2.53)
In questo modo,
√
n 1
d(gi, 0) = d(f, 0) = √ d(f, 0) < r ,
n n
ossia gi ∈ B(0, r) ⊆ V . Inoltre,
n n
X 1X
nf = gi ossia f= gi .
i=1 n i=1
Osservazione 134 Si noti che l’enunciato del Lemma di Zorn non richiede
che ogni catena debba avere massimo; ossia, nell’applicare il Lemma di Zorn,
basta mostrare l’esistenza in F di maggioranti delle singole catene.
110 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
L1 x ≤ p(x) ∀x ∈ Y1 .
L1 ≤ L2 se L2 estende L1 .
L̃x = L′ x .
Si è detto che L′ non è unico; ma l’essere C una catena prova che la trasfor-
mazione L̃ appena definita è univoca e lineare.
E’ ovvio che L̃ è dominato da p.
Discende dal Lemma di Zorn che F ha un elemento massimale L: un’esten-
sione L di L0 , dominata da p, non ulteriormente estendible, e quindi con
dominio X.
Proviamo ora la parte tecnica della dimostrazione, consistente nella costru-
zione dell’estensione L1 . Prima però notiamo:
Osservazione 135 Sia X uno spazio di Banach di dimensione infinita e sia
{en } un sistema linearmente indipendente di elementi, tutti di norma 1. Defi-
niamo
L0 en = n
e quindi estendiamo L0 a
X
span {en } = { αi ei } .
finita
2.9. LO SPAZIO DUALE 111
L’argomento precedente basato sul lemma di Zorn può ripetersi anche senza
far intervenire la funzione p(x) e conduce a provare l’esistenza di un funzionale
L definito su X e che estende L0 . Ciò mostra che esistono funzionali lineari
non continui, il cui dominio è tutto lo spazio X.
L0 y + tξ ≤ p(y + tx0 ) , ∀y ∈ Y0 , t ∈ IR .
Quest’eguaglianza equivale a
L0,(R) x = ℜe L0 x .
ossia,
−p(−x) ≤ L(R) (x) ≤ p(x) . (2.56)
Definiamo ora l’operatore
Dunque, L estende L0 e inoltre vale |Lx| ≤ p(x) per ogni x ∈ X. Infatti se ciò
non fosse potrebbe trovarsi x0 tale che
Ovviamente la disuguaglianza stretta non può valere, e quindi, nella sola ipo-
tesi di semicontinuità inferiore, segue la (2.57); ossia segue che k0 è punto di
minimo.
Definitione 140 Sia (xn ) una successione in uno spazio di Banach X. Dicia-
mo che (xn ) converge debolmente ad x0 se
w− lim xn = x0 oppure xn ⇀ x0 .
debole, come sopra, facendo intervenire il suo duale; ma si può anche definire
la convergenza debole stella , come segue:
Definitione 142 Sia (x∗n ) una successione in X ∗ . Diciamo che (x∗n ) converge
in senso debole stella ad x∗0 se
Per indicare la convergenza debole stella si usa uno dei due simboli
Esempio 143 Sia X = L2 (0, 2π). Vedremo che (L2 (0, 2π))∗ è isometricamen-
te isomorfo ad L2 (0, 2π) stesso. In particolare ogni g ∈ L2 (0, 2π) si interpreta
come elemento di (L2 (0, 2π))∗ , quell’elemento definito da
Z 2π
f −→ ḡ(x)f (x) dx .
0
Si sa, dalla teoria della serie di Fourier, che ogni f ∈ L2 (0, 2π) si rappre-
senta
k=+∞
ikx 1 Z 2π
f (x)e−ikx dx = hhek , f ii
X
f (x) = fk e , fk = √
k=−∞ 2π 0
lim fk = 0 .
Vale però:
Teorema 144 Il teorema di unicità del limite vale sia per la convergenza
debole che per la convergenza debole stella.
Dim. Se
w− lim xn = x0 ed anche w− lim xn = y0
allora si ha
Si ha
hh[x∗0 − y0∗], xii = lim{hhx∗n , xii − hhx∗n , xii} = 0
per ogni x ∈ X. E quindi x∗ = y ∗ .
Esistono alcune relazioni importanti tra la convergenza debole, oppure
debole stella, e le proprietà che valgono in norma. Tra queste:
||x||X = ||jx||X ∗∗ ,
ossia:
||x||X = sup |hhx∗ , xii| .
||x∗ ||X ∗
• se w∗ − lim x∗n = x∗0 allora lim inf ||x∗n ||X ∗ ≥ ||x∗0 ||X ∗ .
120 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
e dunque
hhx∗0 , xii = limhhx∗n , xii ≤ lim inf ||x∗n ||X ∗ .
Da qui:
||x∗0 ||X ∗ = sup hhx∗0 , xii = sup limhhx∗n , xii ≤ lim inf ||x∗n ||X ∗ .
||x||X =1 ||x||X =1
La dimostrazione è posposta.
L’asserto analogo non vale in X e ciò suggerisce di dare un nome particolare
agli spazi X tali che jX = X ∗∗ .
Teorema 154 Ogni successione limitata in uno spazio riflessivo ammette s.suc-
cessioni debolmente convergenti.
Corollario 155 (di Mazur ) Sia (xn ) una successione debolmente conver-
gente ad x0 . Esiste una successione (sn ) in X, tale che:
Pn Pn
• sn = k=1 λk xk per opportuni numeri λk ∈ [0, 1] tali che k=1 λk = 1;
Dim. Sia A = co{xn }, il più piccolo convesso chiuso contenente gli xn . Per il
Teorema 151, x0 appartiene ad A. Da qui segue l’asserto.
Applichiamo ora il Teorema 151 allo spazio X × IR. Sia A l’epigrafo di una
funzione convessa e continua su X. L’insieme A è convesso e chiuso e quindi
sequenzialmente chiuso. Dunque vale:
Osservazione 158 Ciò mostra una profonda differenza tra lo spazio L1 (a, b)
e gli spazi Lp (a, b) con 1 < p < +∞. Vedremo infatti che questi ultimi spazi
sono riflessivi e quindi tutte le successioni limitate in Lp (0, 1), con 1 < p < +∞
ammettono s.successioni debolmente convergenti.
2.10. CONVERGENZA DEBOLE E DEBOLE STELLA 123
Dim. Proviamo che nelle ipotesi del teorema, l’operatore lineare A, definito
su X, è chiuso.
Sia xn → x0 tale che Axn → y0 (rispettivamente nelle norme di X e di Y ).
Allora, xn ⇀ x0 e quindi, per le ipotesi, Axn ⇀ Ax0 ; D’altra parte, Axn → y
implica Axn ⇀ y. Per l’unicità del limite debole, y = Ax0 ossia la successione
di punti ( (xn , Axn ) ) se converge, converge ad un punto del grafico, che quindi
è chiuso.
Ciò prova che l’operatore lineare A è chiuso e quindi, avendo dominio uguale
ad X, continuo.
Si osservi che la dimostrazione precedente fa uso sia del teorema di Hahn-
Banach che del Teorema di Baire.
∗ ∗ ∗ ∗
hhy1,1 , x1 ii hhy2,1 , x1 ii hhy3,1 , x1 ii hhy4,1 , x1 ii ...
∗ ∗ ∗ ∗
hhy1,2 , x2 ii hhy2,2, x2 ii hhy3,2 , x2 ii hhy4,2 , x2 ii ...
..
.
∗ ∗ ∗ ∗
hhy1,k , xk ii hhy2,k , xk ii hhy3,k , xk ii hhy4,k , xk ii ...
..
.
∗
la successione (yn,k ) che figura su ciascuna riga è s.successione di tutte le
∗ ∗
successioni yn,r , con r < k; e quindi (hhyn,k , xr ii) converge, per ogni r ≤ k.
∗ ∗
Dunque, la successione diagonale (yn,n ) ha la proprietà che (hhyn,n , xr ii)
converge per ogni r.
∗
Proviamo che in realtà la successione (hhyn,n , x0 ii) converge per ogni x0 ∈ X.
Basta provare che essa è fondamentale, dato che essa prende valori in Φ.
Si fissi per questo ǫ > 0 ed x0 ∈ X, qualsiasi. Sia N tale che
Osservazione 161 Nel caso in cui il duale X ∗ di X sia separabile, può sem-
brare possibile applicare il ragionamento precedente ad una successione (xn ) di
X, arrivando a provare un analogo del teorema di Alaoglu in X. Ci si convinca
che ciò è falso esaminando bene la dimostrazione e notando che, tentando di
ripetere la dimostrazione, NON si proverebbe la convergenza debole di (xn ) in
X, ma la convergenza debole stella di (jxn ) in X ∗∗ .
spazio duale
l1 l∞
′
lp , p < +∞ lp , p′ = p/(p − 1)
c0 l1
L1 (Ω) L∞ (Ω)
′
Lp (Ω) , p < +∞ Lp (Ω) , p′ = p/(p − 1)
C(a, b) NV (a, b)
Il duale di lp , 1 ≤ p < +∞
Per caratterizzare il duale di lp ed anche di c0 abbiamo bisogno di una parti-
colare successione di elementi dello spazio lp stesso, che indichiamo con (e(n) ).
Dunque, ciascun e(n) è a sua volta una successione di numeri. Per definizione,
(
(n) 1 se i = n
ei = (2.59)
0 altrimenti.
Si ha
N
hhx∗ , xii = limhhx∗ , x(N ) ii = limhhx∗ , xk e(k) ii
X
N N
k=0
N N +∞
xk hhx∗ , e(k) ii = lim
X X X
= lim ȳk xk = ȳk xk .
N N
k=0 k=0 k=0
128 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
è continua su l1 .
Ciò completa l’analisi del caso p = 1.
In modo analogo trattiamo il caso 1 ≤ p < +∞.
′
Siano x = (xn ) ∈ lp ed y = (yn ) ∈ lp . Dalla disuguaglianza di Hölder si
vede che:
+∞
X
ȳn xn ≤ ||(yn )||p′ · ||(xn )||p = ||y||p′ · ||x||p .
k=0
′
è continua su lp e suggerisce di considerare la trasformazione L da Y = lp in
X ∗:
+∞
X
(Ly)(x) = ȳn xn ,
k=0
||Ly||X ∗ ≤ ||y||p′ .
yi = hhx∗ , e(i) ii .
e, d’altra parte,
n
∗ (n) ′
|yi |p .
X
hhx , x ii =
i=1
||y||p′ ≤ ||x∗ || .
′
Dunque, y ∈ lp e ||y|| ≤ ||x∗ ||.
Proviamo ora che vale la (2.63). Fissato l’elemento x ∈ lp , consideriamo la
successione x(n) di elementi di lp ,
n
(
(n) i xr se r ≤ n
x(n)
X
x = xi e , ossia r =
i=0
0 se r > n .
x = lim x(n) .
r→+∞
Inoltre,
+∞ n +∞
limhhx∗ , x(n) ii = lim ȳr x(r)
X X X
n n = lim ȳr xn = ȳr xr
r=0 r=0 i=0
′ P+∞
perchè si è già provato che y ∈ lp e quindi che x → i=0 ȳr xr è un funzionale
continuo. Si trova cosı̀ che vale la rappresentazione
+∞
∗
X
hhx , xii = ȳr xr .
i=0
Il duale di c0
Ricordiamo che il simbolo c0 indica il s.spazio di l∞ i cui elementi sono le
successioni che convergono a zero. Proviamo che il duale di c0 è realizzato da
l1 . Per provare questo notiamo che se (ξk ) ∈ l1 allora la trasformazione
+∞
ξ¯k xk
X
x→ (2.64)
k=1
g(t) = hhx∗ , χt ii
E’:
è continuo.
Sia ora x ∈ L1 (a, b). Esiste una successione di funzioni a scala ψn conver-
gente ad x in L1 (a, b). Allora,
Z b Z b
∗ ∗
hhx , xii = limhhx , ψN ii = lim ¯
ξ(s)ψN (s) ds =
¯
ξ(s)x(s) ds .
N N a a
Il duale di C(a, b)
Introduciamo ora una realizzazione del duale di C(a, b), lo spazio di Banach
delle funzioni continue sull’intervallo limitato e chiuso [a, b], con la norma
dell’estremo superiore. Fissiamo un elemento x∗ del duale. Per rappresentarlo,
procediamo in tre passi:
PASSO 1) Introduciamo lo spazio lineare di tutte le funzioni limitate su
[a, b], continue o meno, dotato della norma dell’estremo superiore. Si trova
uno spazio di Banach che indicheremo col generico simbolo B.
C(a, b) essendo un s.spazio di B, il funzionale lineare e continuo x∗ , de-
finito su C([a, b]), si estende ad in funzionale lineare continuo su B, con la
stessa norma, per il Teorema di Hahn-Banach. Tale estensione non è unica.
Fissiamone una, che indichiamo col simbolo x̃∗ .
Per ogni t ∈ [a, b], introduciamo le funzioni definite come in (2.65) e la
funzione
v(t) = hhx̃∗ , χt ii .
Sia ora f ∈ C(a, b). Essendo [a, b] compatto, la funzione f è uniformemente
continua e quindi si approssima in modo uniforme con funzioni costanti a tratti.
Queste possono costruirsi scegliendo un insieme finito {ti }ni=1 di punti di [a, b],
abbastanza fitto, e quindi definendo
ossia n
X
zn (t) = f (ti−1 )[χti (s) − χti−1 (s)] .
i=1
Si ha quindi
n
hhx∗ , f ii = hhx̃∗ , f ii = limhhx̃∗ , zn ii = lim f (ti−1 )[hhx̃∗ , χti (s)ii − hhx̃∗ , χti−1 (s)ii]
X
i=1
n
X
= lim f (ti−1 )[vti (s) − vti−1 (s)] .
i=1
Si noti che nel caso particolare in cui v(t) = t, tale limite è ab f (s) ds.
R
(ovviamente, il limite non dipende dalla partizione scelta per definirlo, dato
che esso deve essere hhx∗ , f ii).
134 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
i=1
n n o
= hx̃∗ ,
X
sgn [v(ti ) − v(ti−1 )][χti − χti−1 ] ii
i=1
n
∗
|χti (s) − χti−1 (s)| = ||x̃∗ || = ||x∗ ||
X
≤ ||x̃ || sup
s i=1
Vab v = sup
X
|v(ti) − v(ti−1 )| < M .
{ti }
e questo suggerisce di scegliere come spazio per rappresentare [C(a, b)]∗ uno
spazio di funzioni a variazione limitata. Bisogna però notare che può aversi
Z b Z b
f dv = f dv ′ ∀f ∈ C(a, b)
a a
NV (a, b)
Vab (v) .
Il duale di C(K)
Ricordiamo che simbolo C(K) l’insieme K è compatto.
Non abbiamo gli strumenti per studiare il duale di C(K). Possiamo però
descrivere come si rappresenta l’azione su C(K) di un elemento x∗ del suo
duale. Per ogni x∗ ∈ (C(K))′ si trovano una misura di Borel m ed una funzione
ψ(s) misurabile secondo Borel su K e tale che
|ψ(s)| = 1 q.o. s ∈ K
Dim. Ciò discende dal fatto che si è già notato che X è isometrico ad un
s.spazio di X ∗∗ .
L’esempio seguente mostra che non vale l’implicazione inversa.
Ax = y , In
x, y ∈C
ker A = {0}
ed in tal caso esiste l’operatore inverso A−1 di A che è lineare e che verifica
ambedue le condizioni (
AA−1 = I
A−1 A = I ;
anzi, se un operatore indicato con A−1 soddisfa una delle due uguaglianze
precedenti esso soddisfa anche la seconda ed è l’operatore inverso di A, si veda
il paragrafo (1.0.2)16 . La situazione è più complessa in dimensione infinita.
Infatti:
Esempio 168 • Un operatore può avere nucleo nullo senza essere suriet-
tivo. Per esempio, sia X = Y = l2 . Un operatore con tali proprietà è
l’operatore S dato da:
Sx = S(x1 , x2 , x3 , . . .) = (0, x1 , x2 , x3 , . . .) .
16
I n . Se essi appartengono a spazi diversi
si ricordi che x ed y appartengono ambedue a C
allora l’ultima affermazione è falsa.
2.12. INVERSI DI UN OPERATORE 137
• Un operatore può avere nucleo non nullo ed essere suriettivo: per esempio,
ancora con X = Y = l2 , Un operatore con tali proprietà è l’operatore T
dato da:
T x = T (x1 , x2 , x3 , . . .) = (x2 , x3 , . . .) .
AKx = x ∀x ∈ X ,
x = AKx
138 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
(con m = 1/ρ > 0). Questa condizione implica anche che ker A = {0}.
Dunque:
Dim. Sia q < 1 tale che ||A|| < q, ossia tale che ||Ax|| ≤ q||x|| per ogni x.
Vale:
||(I − A)x|| = ||x − Ax|| ≥ ||x|| − ||Ax||
= ||x|| − ||Ax|| ≥ (1 − q)||x|| .
Si ha:
n+m n+m n+m
k k
qk .
X X X
||Sn − Sn+m || =
A ≤ ||A || ≤
k=n+1 k=n+1 k=n+1
140 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
Per definizione
+∞ n n +∞
! ! !
k k k
Ak x .
X X X X
A x = lim A x = lim A x =
k k
k=1 k=1 k=1 k=1
Dunque:
+∞ +∞ +∞
!
k
Ak x − Ak+1 x
X X X
A (I − A)x =
k=0 k=0 k=0
n n
( )
Ak x − Ak+1 x = lim{x − Ak+1 x} = x
X X
= lim
k=0 k=0
Notiamo infine:
Teorema 176 Siano A e B operatori lineari ambedue invertibili con
im B ⊆ dom A .
Siano continui gli operatori inversi A−1 e B −1 . Allora (AB)−1 esiste e vale
(AB)−1 = B −1 A−1 .
Dim. Immediato, notando che dom AB = dom B e che
B −1 A−1 ABx = x ∀x ∈ domA .
2.13. LO SPETTRO DI UN OPERATORE 141
(z0 I − A)x = y
ker S = {0} 6 X,
e im S =
ker T 6= {0} e im T = X .
è risolubile in modo unico allora (zI − A) ammette inverso, definito sulla sua
immagine e questo è un operatore lineare. Ma, in generale, l’inverso non è
continuo.
Queste considerazioni suggeriscono la definizione seguente, che si applica
ad ogni operatore lineare A da X in X, anche non continuo ma con dominio
denso:
i) ker(zI − A) 6= {0};
Definiamo quindi:
• spettro di punti l’insieme dei numeri z per i quali si verifica il caso i);
• spettro residuo l’insieme dei punti per i quali si verifica il caso ii);
• spettro continuo l’insieme dei punti per i quali si verifica il caso iii).
Dunque x è dato da Z t
x(t) = − ez(t−s) y(s) ds
0
−1
cosı̀ che l’operatore (zI − B) è continuo.
(zI − T )x = 0
144 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
Dim. Sia A qualsiasi, anche non continuo. Proviamo che il suo risolvente è
aperto. Se esso è vuoto niente va provato. Dunque supponiamo che esista un
numero z0 ∈ ρ(A) e mostriamo che esso è interno al risolvente; ossia proviamo
l’esistenza di ǫ > 0 (che dipende sia da z0 che da A) tale che se |z| < ǫ allora
z + z0 ∈ ρ(A). Per questo scriviamo
h i
(z + z0 )I − A = zI + (z0 I − A) = (z0 I − A) I + z(z0 I − A)−1 . (2.72)
è invertibile se
1
|z| < ǫ =
||(z0 I − A)−1 ||
2.13. LO SPETTRO DI UN OPERATORE 145
n=0
Dalla (2.73) si vede che per |z| → +∞, la funzione f (z) tende a zero; e
quindi f (z) è una funzione intera e limitata, e quindi costante. Dato che un
suo limite è nullo, essa deve essere identicamente zero.
Dunque, abbiamo provato che
(zI − A)−1 x ≡ 0
per ogni x ∈ X. Ciò non può darsi perché (zI − A)(zI − A)−1 x = x per ogni
x ∈ X.
La contraddizione trovata prova il teorema.
Nonostante che lo spettro di un operatore continuo non possa essere vuoto,
può essere che esso sia un insieme molto più piccolo del disco di raggio ||A||.
Per esempio, in dimensione 2, la trasformazione lineare la cui matrice è
" #
0 1
0 0
ha norma 1 ed il solo autovalore 0. E’ un utile esercizio vedere che un caso
analogo può darsi anche in dimensione infinita.
Dim. Si prova, esattamente come nel caso scalare, che una serie di potenze a
valori operatori converge in un disco di centro z0 , che si chiama ancora disco
di convergenza ,. Questo disco coincide col disco di convergenza della serie di
potenze
+∞
||An ||(z − z0 )n .
X
n=0
an+m ≤ an + am
n = md + r , 0≤r<m
e quindi
an = amd+r ≤ dam + ar .
Dividiamo per n e passiamo al limite per n → +∞.
Il numero ar è funzione di n limitata al variare di n perché prende valori
nell’insieme finito a1 ,. . . , am−1 . Dunque lim ar /n = 0.
Ancora perché r prende un numero finito di valori,
d n−r 1 r 1
= = − → .
n nm m nm m
Dunque,
an am
lim sup ≤ ∀m .
n m
E quindi
an an
lim sup ≤ lim inf .
n n
Ciò prova l’esistenza del limite.
A2n = 2n I , A2n+1 = 2n A .
2.13. LO SPETTRO DI UN OPERATORE 149
17
come al solito, orientata in verso positivo, ossia antiorario.
150 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
e la serie corrispondente
+∞
fn An .
X
(2.75)
n=0
Nel caso particolare in cui f (z) = p(z) sia un polinomio, la serie (2.75) è una
somma finita e definisce un operatore che, ovviamente, si indica col simbolo
p(A). Per esempio, se p(z) = z 2 , allora p(A) = A2 . Se f (z) è una generica
funzione analitica la cui serie converge in un intorno di 0, la serie (2.75) in
generale non converge, ma certamente converge in L(X) se
||A|| < R
con R raggio di convergenza della serie di potenze di f (z). Infatti in tal caso
m m m
X
n
fn ||A||n ≤ fn r n ,
X X
fn A ≤ r < R,
n=k n=k n=k
Si noti che questo calcolo vale grazie alla condizione (2.76) e, se vale (2.76),
allora si ha anche
σ(A) ⊆ {z | |z| < R} .
2.13. LO SPETTRO DI UN OPERATORE 151
0 0 2 0 0 1/(z − 2)
Sia γ una curva semplice e chiusa che racchiude 0 e che lascia fuori 2. Si calcola
immediatamente che
1 0 0
1
Z
(zI − A)−1 dz = 0 1 0 .
2πi γ
0 0 0
Si trova cosı̀ la proiezione sull’autospazio generalizzato dell’autovalore 0.
Operando in modo analogo con una curva che racchiude 2 e lascia fuori 0
si trova la proiezione sull’altro autospazio.
Abbiamo cosı̀ calcolato l’integrale nel caso della funzione f (z) = 1. Se
f (z) = z un calcolo analogo dà
0 1 0 0 0 0
0 0 0 , 0 0 0
0 0 0 0 0 2
rispettivamente, a seconda della scelta della curva. Queste sono le restrizioni
di A ai due autospazi. Si trova cosı̀ una “diagonalizzazione a blocchi” della
matrice A.
152 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
Figura 2.7:
6 6
4 4
2 2
γ’
γ γ
0 σ (A) 0 σ (A)
1 1
−2 −2
σ (A) σ (A)
2 2
−4 −4
−6 −6
−4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4
In tal caso:
Teorema 194 Valgano le condizioni appena dette. L’operatore
1 Z
P = (zI − A)−1 dz
2πi γ
è una proiezione.
Dim. Ricordiamo che vale il teorema di Cauchy. Da ciò si deduce che due
curve γ e γ ′ semplici e chiuse in Ω, che ambedue racchiudono σ1 (A) e lasciano
fuori σ2 (A) (come in figura 2.7, a destra) definiscono il medesimo operatore P :
1 1
Z Z
P = (zI − A)−1 dz = (ζI − A)−1 dζ .
2πi γ 2πi γ′
Dunque,
1 Z 1 Z
P2 = (zI − A)−1 dz (ζI − A)−1 dζ
2πi γ 2πi γ ′
1 1
Z Z
−1 −1
= · (zI − A) (ζI − A) dζ dz .
2πi 2πi γ γ ′
2.13. LO SPETTRO DI UN OPERATORE 153
Z " #
1 −1 Z 1
= dz (ζI − A)−1 dζ .
2πi γ ′ 2πi γ ζ − z
L’integrando
1
z→
z−ζ
ha ζ per polo semplice, perché la curva γ ′ è racchiusa dalla curva γ. Dunque
−1 Z 1 1 Z 1
dz = dz = 1
2πi γ ζ − z 2πi γ z − ζ
e quindi
1
Z
P2 =
(ζI − A)−1 dζ = P .
2πi γ ′
Supponiamo ora che σ1 e σ2 sino due s.insiemi limitati di σ(A), appartenenti
alla regione interna rispettivamente di γ1 e di γ2 , curve di Jordan di sostegno
in ρ(A) ed esterne l’una all’altra come in figura 2.8.
18
si noti che questa formula estende l’uguaglianza, valida tra numeri,
1 1 1 1
= − .
(z − a)(ζ − a) ζ −z z−a ζ −a
154 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
Figura 2.8:
6
2
γ1
0 σ1(A)
γ2
−2
σ2(A)
−4
−6
−4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4
Poniamo
1 Z 1 Z
P1 = (zI − A)−1 dz , P2 = (zI − A)−1 dz .
2πi γ1 2πi γ2
Una dimostrazione analoga a quella del teorema precedente porta a:
Teorema 195 Nelle ipotesi dette, si ha: P1 P2 = P2 P1 = 0. Inoltre X1 =
im P1 ed X2 = im P2 sono spazi lineari invarianti per A e lo spettro della
restrizione di A ad im Pi è l’insieme σi . Tale restrizione è data da
1
Z
Ax = z(zI − A)−1 x dz , ∀x ∈ Xi .
2πi γi
k1 = f (k0 ) , . . . , kn = f (kn−1 ) .
kn = f (kn−1 )
si trova
x0 = f (x0 )
156 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
Valutiamo ora
Presentiamo ora una semplice modifica del teorema 196 che è spesso utile.
Indichiamo con f (n) la funzione su X ottenuta componendo f con sé stessa
n–volte:
f (1) (x) = f (x) , f (k) (x) = f f (k−1) (x) .
Può accadere che f non sia una contrazione, ma che esista un numero ν per
cui f (ν) è una contrazione. Vale:
f (f (x0 )) = f (x0 ) = x0
La funzione
f (x)
F (x) = x −
f ′ (x)
ha un punto fisso x0 se e solo se f (x0 ) = 0 e viceversa (si ricordi che la derivata
non si annulla).
Si calcola immediatamente che
f (x)f ′′ (x)
F ′ (x) =
f ′ (x)2
e quindi, nelle ipotesi fatte, F è una contrazione. Ha quindi un punto fisso che
si costruisce come segue: fissato un qualsiasi x0 , il punto x1 è
f (x0 )
x1 = F (x0 ) = x0 − ′ ,
f (x0 )
punto nel quale la tangente in (x0 , f (x0 )) al grafico di f ,
y = f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ) ,
taglia l’asse delle ascisse.
Ciò è l’interpretazione geometrica del punto x1 e quindi anche dei successivi
punti xn che approssimano lo zero di f (x).
158 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
2.14.2 I differenziali
Sia f (x) una trasformazione da uno spazio di Banach X in uno spazio di
Banach Y . Supponiamo che x0 sia un punto interno al suo dominio.
Nel caso in cui X = IRn si sa che si possono definire le “derivate direzionali”
in x0 e la “matrice jacobiana”, che rappresenta il “differenziale”. Vogliamo
estendere queste definizioni al caso in cui X è un generico spazio di Banach.
Sia v un qualsiasi elemento di X. Consideriamo il limite
f (x0 + tv) − f (x0 )
lim .
t→0 t
Questo limite può esistere o meno. Se esiste si indica col simbolo
Dv f (x0 )
v −→ Dv f (x0 ) (2.80)
C = {(x, y) | x2 + y 2 = 1} .
(x, y)
.
||(x, y)||
Questo può essere uno dei punti (xk , yk ) o meno. Se non è uno di tali punti,
si pone f (x, y) = 0. Se invece esiste un indice k per cui
(x, y)
= (xk , yk )
||(x, y)||
allora si definisce q
f (x, y) = k||(x, y)|| = k x2 + y 2 .
160 CAPITOLO 2. GLI SPAZI DI BANACH
In particolare, f (0, 0) = 0.
Fissata una qualsiasi direzione v = (x, y), consideriamo i rapporti incre-
mentali
f (tv) f (tx, ty)
= .
t t
Se v/||v|| non è uno dei punti (xk , yk ), il valore del rapporto incrementale è
zero per ogni t; e quindi
f (tv)
lim = 0.
t→0 t
Altrimenti, se esiste un indice kv per cui
v
= kv (xkv , ykv )
||v||
allora
f (tv) tkv ||v||
lim = lim = kv ||v|| .
t→0 t t→0 t
Dunque, df (x0 , v) esiste per ogni vettore v, ma non è funzione lineare di v.
v −→ df (x0 , v) ,
e quindi
f (x0 + tv) − f (x0 )
= df (x0 , v) + o(t; x0 , v)
t
ove o(t; x0 , v) indica una funzione della variabile reale t a valori in X e tale
che
o(t; x0 , v)
lim = 0.
t→0 t
Si noti però che il limite non è generalmente uniforme rispetto a v. Si consideri
infatti l’esempio seguente:
Esempio 203 Sia X = IR2 e sia
(
1 se x2 < x < x4
f (x, y) =
0 altrimenti.
2.14. TRASFORMAZIONI NON LINEARI 161
Si dice che una funzione f (x) è differenziabile secondo Fréchet nel punto
x0 quando esiste un funzionale lineare L per cui
Col simbolo o(v; x0 ) si intende una funzione, questa volta da X in sé, tale che
o(v; x0 )
lim = 0.
||v||→0 ||v||
Si richiede cioè che L verifichi
||f (x0 + v) − f (x0 ) − Lv||
lim = 0.
||v||→0 ||v||
Il funzionale lineare L si chiama il differenziale di Fréchet della funzione f in
x0 , e si indica col simbolo
df (x0 )v .
E’ facile provare:
• Se esiste il differenziale di Fréchet in un punto x0 allora esiste anche
quello di Gâteaux, e questi coincidono;
Spazi di Hilbert
f (0, 0) = f (r · 0, 0) = rf (0, 0)
f (0, 0) = 0 .
Si noti che la funzione f (x, y) non è lineare rispetto ad y ma, per ogni
fissato x, vale
163
164 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
hx, yi
a= .
|hx, yi|
è una norma su X.
Si ha quindi q q q
hx + y, x + yi ≤ hx, xi + hy, yi .
Questa è la disuguaglianza triangolare. Le altre proprietà della norma sono
immediate. Si noti che la proprietà ||x|| > 0 per x 6= 0 vale perché hx, xi =
6 0
per x 6= 0.
Naturalmente scriveremo
q
||x|| = hx, xi . (3.4)
x → hx, yi
Si provi che l’identità del parallelogramma non vale per la coppia dei vettori
x = (1, 0) ed y = (0, 1).
Teorema 209 Siano h, k due elementi tra loro ortogonali di uno spazio di
prehilbertiano H. Vale:
perché h ⊥ k.
Lo spazio l2
è uno spazio di Hilbert, dotato del prodotto interno
+∞
X
h(hi ), (ki)i = k̄i hi .
i=i
lo spazio L2 (K)
è uno spazio di Hilbert, il cui prodotto interno è
Z
hf, gi = f¯(x)g(x) dx .
K
L’integrale dipende dagli elementi di L2 (K), ossia dalle classi di equivalenza, e
non dai rappresentanti delle classi stesse, e converge grazie alla disuguaglianza
di Schwarz per gli integrali.
Si ricordi, dal paragrafo 2.11, che anche in questo caso lo spazio è una
realizzazione del suo duale.
Lo spazio H 2
è uno spazio di Hilbert. Il prodotto interno nel caso di H 2 (D) è1
Z 2π
hf, gi = sup f¯(reit )g(reit ) dt .
r∈(0,1) 0
Lo spazio W 12 (K)
è uno spazio di Hilbert dotato del prodotto interno
Z Z
hf, gi = ḡ(x)f (x) dx + ∇f¯(x) · ∇g(x) dx .
K K
Nel caso in cui K = [a, b], un prodotto interno che conduce ad una norma
equivalente è Z b
hf, gi = ḡ(a)f (a) + ḡ ′ (x)f ′ (x) dx .
a
si vede facilmente che lo spazio quoziente può essere dotato della struttura di
spazio di Hilbert, esattamente come si fa quando si introduce lo spazio L2 (Ω)
che, con queste notazioni, è niente altro che L2 (Ω; ρ) con ρ(x) ≡ 1.2
La norma di f ∈ L2 (Ω; ρ) è data da
Z
2
||f || = ρ(x)|f (x)|2 dx
Ω
0 < m ≤ ρ(x) ≤ M
n=0
||x − y||2 = 2 ,
√
ossia x dista 2 da y. Dunque, se in uno spazio di Hilbert si trova una famiglia
non numerabile di vettori a due a due ortogonali, questo spazio non è separabile.
2
Naturalmente, procedendo in modo analogo, si potrebbero introdurre gli spazi di Banach
p
L (Ω, ρ) per ogni p ≥ 1.
170 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
Consideriamo le funzioni
t → eist , t ∈ IR
dove s è un parametro reale.
Consideriamo lo spazio lineare generato da queste funzioni e su esso il
prodotto interno
1 T
Z
hf, gi = lim ḡ(t)f (t) dt .
T →+∞ 2T −T
Abbiamo detto che l’esistenza della proiezione non è ovvia. Possiamo però
immediatamente provare che, se la proiezione esiste, essa è unica:
hh − x0 , xi = 0 , hh − x1 , xi = 0 ∀x ∈ X .
hx1 − x0 , xi = 0 ∀x ∈ X .
Ora, X è uno spazio lineare a cui appartengono sia x0 che x1 e quindi anche
x1 − x0 ∈ X. Scegliendo x = x1 − x0 si trova
e quindi x1 = x0 .
Il problema della proiezione è uno dei problemi che si studiano nella geo-
metria euclidea e si sa che, in tale contesto, la proiezione x0 di h è anche il
punto di X che ha minima distanza da h. Questa proprietà vale anche in spazi
prehilbertiani:
h − x = (h − x0 ) + (x0 − x) .
hh − x0 , xi = 0 ∀x ∈ X . (3.6)
ℜe hh − x0 , xi = 0 .
Im hh − x0 , xi = 0 .
min{||h − x|| | x ∈ X} .
d = inf{||h − x|| x ∈ X}
Proviamo:
Teorema 214 Sia H uno spazio prehilbertiano. La successione (xn ) è fonda-
mentale.
Dim. Fissati n ed m, si deve valutare ||xn − xm ||. Per semplicità valutiamone
il quadrato. Usiamo l’identità del parallelogramma per scrivere
Teorema 215 Sia H uno spazio di Hilbert e sia X un suo s.spazio chiuso.
Per ogni h ∈ H esiste x0 , proiezione di h su X.
A⊥ = {h | h ⊥ A} = {h | hh, ai = 0 ∀a ∈ A} .
Ovviamente:
A ∩ A⊥ = {0} .
hx0 , ai = limhxn , ai = 0 .
hx, hi = 0 (3.8)
hx, hi = limhx, an i = 0 .
Vale:
176 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
H = X ⊕ X⊥ .
Dim. Abbiamo già notato che X ∩ X ⊥ = {0}. La (3.9) mostra che ogni
elemento di H è somma di un elemento di X e di uno di X ⊥ .
L(P x + (x − P x) ) = L0 x .
A ⊆ [A⊥ ]⊥ (3.10)
X = [X ⊥ ]⊥ .
Dim. Per assurdo, l’inclusione sia propria, esista cioè ξ ∈ [X ⊥ ]⊥ , che non
appartiene ad X. Sia ξ0 la proiezione ortogonale di ξ su X. In tal caso
ξ − ξ0 ⊥ X, ossia ξ − ξ0 ∈ X ⊥ ed anche ξ − ξ0 ∈ [X ⊥ ]⊥ , dato che sia ξ che ξ0
sono in [X ⊥ ]⊥ . E quindi ξ − ξ0 appartiene sia ad X ⊥ che al suo ortogonale. E’
dunque nullo, ossia ξ = ξ0 ∈ X.
Studiamo ora le proprietà dell’operatore P , proiezione ortogonale di H
sul suo s.spazio chiuso X. L’operatore P è ovviamente una proiezione, ed è
naturalmente associato alla proiezione su X ⊥ , che è data da Q = I − P , ove I
è l’operatore identità. Dal teorema di Pitagora, per ogni h ∈ H vale
Dunque,
||P || ≤ 1 , ||(I − P )|| ≤ 1 . (3.11)
3.3. COMPLEMENTI ORTOGONALI E PROIEZIONI ORTOGONALI 177
h = P h + (I − P )h .
(im P ) ∩ (im (I − P )) = 0
H = im P ⊕ im (I − P ) .
hk − P k, P hi = hP (k − P k), hi = hP k − P k, hi = 0 .
x, y ∈ S , x 6= y =⇒ x ⊥ y .
Ad x2 associamo
z2
e2 = ove z2 = x2 − hx2 , e1 ie1 .
||z2 ||
||en − em ||2 = 2 .
con un calcolo del tutto analogo a quello noto in dimensione finita. Dunque,
k
X
x0 = hh, ei iei .
i=1
Dim. La somma di una serie è il limite della successione delle somme parziali,
+∞
X n
X
αi ei = lim αi ei
n
i=1 i=1
Inoltre
3.3. COMPLEMENTI ORTOGONALI E PROIEZIONI ORTOGONALI 181
i=1 i=1
+∞
X
x0 = hh, ei iei (3.14)
i=1
i=1
dove
1 Z +π
fn = f (ξ)e−inξ dξ .
2π −π
Ciò è sufficiente per provare il teorema.
Servono per questo tre osservazioni:
perché
ein(x−π) = ein(x+π) .
3.4. ESEMPI DI SISTEMI ORTOGONALI MASSIMALI 185
π
(
φ (ξ) sin[n(x − ξ)] dξ = 0 ,
R
limn −π
Rπ x (3.19)
limn −π φx (ξ) cos[n(x − ξ)] dξ = 0
e il limite è uniforme rispetto ad x.
• Vale
(
se x = 0
N 2N + 1
oppure x = 2π
ikx
X
DN (x) = e = (3.20)
k=−N
sin[ 2N+1 x]
2
altrimenti,
sin(x/2)
si veda la (??).
+N h
1 +π
Z i
e−inξ einx dξ
X
= [f (x) − f (ξ)]
2π −π n=−N
1 +π sin[(2N + 1)(x − ξ)/2]
Z
= [f (x) − f (ξ)] dξ =
2π −π sin[(x − ξ)/2]
1 +π f (x) − f (ξ)
Z
sin[(2N + 1)(x − ξ)/2] dξ
2π −π sin[(x − ξ)/2]
1 Zπ f (x) − f (ξ)
= [sin N(x − ξ)] dξ (3.21)
2π −π tan[(x − ξ)/2]
1 Zπ
+ [cos N(x − ξ)] {f (x) − f (ξ)} dξ . (3.22)
2π −π
L’integrale in (3.22) tende a zero per N → +∞, grazie a (3.19) con φx (ξ) =
f (x) − f (ξ). Mostriamo che la proprietà in (3.19) può applicarsi anche al-
l’integrale in (3.21). Essendo tan t periodica di periodo π, ciascuna delle
funzioni
f (x) − f (ξ)
ξ → φx (ξ) =
tan[(x − ξ)/2]
è periodica di periodo 2π. Proviamo che la funzione ξ → φx (ξ) è periodica di
classe C 1 con derivata uniformemente limitata rispetto ad x e ξ.
Essendo f (ξ) differenziabile, f (x) − f (ξ) = o(x − ξ), si ha che ξ → φx (ξ)
ammette estensione continua a ξ = x. Mostriamo che la sua derivata è periodi-
ca e continua anche per ξ = x, e che c’è una limitazione della derivata uniforme
rispetto ad x e ξ, grazie al fatto che f (ξ) ammette due derivate continue.
La derivata ddξ φx (ξ) è:
−f ′ (ξ) tan[(x − ξ)/2] + (1/2)[f (x) − f (ξ)] {1/ cos2 [(x − ξ)/2]}
tan2 [(x − ξ)/2]
f (x) − f (ξ) − f ′ (ξ) sin(x − ξ)
= .
2 sin2 [(x − ξ)/2]
Questa funzione è periodica di periodo 2π. Per mostrare la regolarità si scrive
il numeratore come
Osservazione 230 Abbiamo provato che le somme parziali delle serie di Fou-
rier di f (x) convergono uniformemente ad f (x) se f (x) è periodica e di classe
C 2 . E’ facile immaginare che le condizioni di regolarità possano indebolirsi, e
si potrebbe congetturare che sia sufficiente la sola continuità di f (x). Si sa,
dal teorema ??, che questa congettura è falsa.
Come si è detto, la successione di funzioni (Dk (x)) si chiama nucleo di Di-
richlet e non è un’identità approssimata (il grafico di D10 (x) è in figura (3.1))
dato che le funzioni DN (x) non hanno segno costante. Ciò mostra che la con-
vergenza della serie di Fourier dipende dalla compensazione di valori negativi
e positivi e quindi è un fenomeno piuttosto delicato.
Figura 3.1:
30
25
20
15
10
π x
−5
−1 0 1 2 3 4 5 6 7
1
en = √ eint .
2π
Allora,
√
fˆ(n) = 2πhf, en i .
1 n=+∞
||f ||2L2(−π,π) |fˆ(n)|2 .
X
= (3.23)
2π n=−∞
1
hg, en i = √ ĝ(n) .
2π
1 n=+∞ ˆ + T )|2 .
||g||2L2(−π,π) = ||f ||2L2(−π,π) =
X
|f(n
2π n=−∞
Ay = λy
ossia
σ(x)y ′′ (x) + τ (x)y ′ (x) = λy(x) (3.25)
Ovviamente, dopo aver specificato lo spazio in cui si intende lavorare, questo
sarà un problema di calcolo di autovalori ed autofunzioni.
Notiamo subito una forma diversa sotto cui si può porre questo problema:
sia ρ(x) soluzione non nulla di
(σ(x)ρ)′ = τ (x)ρ .
di Hermite . La tabella riporta σ(x), τ (x), ρ(x) e gli autovalori nei tre casi.
La prima riga riporta i simboli standard che si usano per indicare tali polinomi
e l’ultima riga riporta lo spazio di Hilbert in cui, come vedremo, questi sono
un sistema ortogonale completo.
Le informazioni nella tabella 3.1 sono ripetute, e completate, nella tabel-
la 3.2.
Osservazione 232 Si osservi che gli autovalori sono negativi. Talvolta invece
di usare l’espressione (3.25), si studia il problema
σ(x)y ′′ + τ (x)y ′ + λy = 0 .
τ (x)y ′ = λy .
y(x) = x + b .
b = τ (0)
λ
= ττ′(0)
(0)
.
Si noti che λ < 0 perché τ ′ (0) < 0.
Quest’osservazione si può generalizzare procedendo per induzione.
Supponiamo di aver trovato autovalori
λ0 = 0, λ1 = τ ′ (0), λ2 , . . . , λn
e corrispondenti autovettori
σ ′′ (0)
" #
(Apn+1 ) (x) = λn+1 pn+1 (x) , λn+1 = (n + 1) n + τ ′ (0) .
2
Si noti che ogni polinomio r(x) di grado n al più, può rappresentarsi come
combinazione lineare dei pk (x), con k ≤ n, perché pk (x) ha grado k.
Costruiamo un ulteriore autovettore q(x) di grado n + 1. Ricerchiamo q(x)
nella forma
n
q(x) = xn+1 +
X
αj pj (x) .
j=0
Imponendo
Aq(x) = µq(x)
si trova
x2
" #
′
(n + 1)n σ(0) + xσ (0) + σ ′′ (0) xn−1
2
n n
+(n + 1) [τ (0) + xτ ′ (0)] xn + λj αj pj (x) = µxn+1 +
X X
µαj pj (x) .
j=0 j=0
j=0
Ciò può farsi perché il grado di pj (x) è j e inoltre [µ − λj ] 6= 0 per ogni j cosı̀
che {(µ − λj )pj (x)} è un sistema linearmente indipendente in Pn .
Osservazione 234 Si noti quindi che A ha esattamente n + 1 autovettori
distinti nello spazio Pn , di dimensione n + 1.
Nel calcolo precedente abbiamo anche specificato l’espressione dei λn . Ci
si potrebbe chiedere se esistano valori λ diversi da questi in corrispondenza dei
quali la (3.24) ammetta soluzioni polinomiali. La risposta è negativa: se ciò
accadesse, per un certo valore di n, l’operatore A avrebbe in Pn più di n + 1
autovettori linearmente indipendenti e ciò non può aversi perché lo spazio ha
dimensione n + 1.
Il polinomio pn (x) è soluzione dell’equazione (3.25) con λ = λn . Essendo
questa un’equazione differenziale lineare del secondo ordine, essa ammette un
seconda soluzione, linearmente indipendente da pn (x). Per quanto detto sopra,
questa non è un polinomio e si potrebbe provare che questa funzione non
appartiene ad H.
Mostriamo ora:
Teorema 235 La successione {pn (x)} è un sistema ortogonale massimale in
H.
Dim. Indichiamo con (a, b) l’intervallo, eventualmente illimitato, su cui le
funzioni di H si considerano, si veda la Tabella 3.1. Proviamo che se n 6= m
allora Z b
hpn , pm iH = pn (x)ρ(x)pm (x) dx = 0 .
a
Ricordiamo che λn 6= λm e quindi, da
d d
[σ(x)ρ(x)p′n ] = λn ρ(x)pn , [σ(x)ρ(x)p′m ] = λm ρ(x)pm ,
dx dx
si trova
(λn − λm )hpn , pm iH
Z b( )
d ′ d
= [σ(x)ρ(x)pn (x)] pm (x) − pn (x) [σ(x)ρ(x)p′m (x)] dx
a dx dx
b b
[σ(x)ρ(x)p′n (x)]pm (x)
− pn (x)[σ(x)ρ(x)p′m (x)] =0
a a
194 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
tenendo conto dei limiti di ρ(x) e di σ(x) per x tendente agli estremi di (a, b).
Come si è detto, ogni polinomio è combinazione lineare dei pn (x); e l’insie-
me di tutti i polinomi è denso in H, si veda l’osservazione 233. Ciò prova che
il sistema ortonormale dei pn (x) è massimale in H.
n=0
xk ∈ span {q0 , . . . , qk }
con
τ(1) (x) = τ (x) + σ ′ (x) , λ(1) (x) = λ − τ ′ (x)
(si noti che τ (x) ha grado 1 e quindi λ(1) è costante. Non si confonda λ(1) con
λ1 né i numeri λ(k) che ora introdurremo con λk ).
196 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
In modo analogo, se v(k) (x) = y (k)(x), si vede che v(k) (x) risolve
′′
σ(x)v(k) + τ(k) (x)v(k) = λ(k) v(k) , (3.30)
k(k − 1) ′′
τ(k) (x) = τ (x) + kσ ′ (x) , λ(k) = λ − kτ ′ (x) − σ (x)
2
(si noti che λ(k) è costante perché sono costanti sia τ ′ (x) che σ ′′ (x)).
Si sa che, introducendo ρ(x) > 0 soluzione di
(ρ(x)σ(x)y ′ )′ = λρ(x)y .
e quindi
ρ′(k) (x) ρ′ (x) σ ′ (x)
= +k .
ρ(k) (x) ρ(x) σ(x)
Ricordiamo che le funzioni ρ(x) e ρ(k) (x), ambedue positive, sono definite
a meno di una costante e quindi, prendendo le primitive dei due membri e
ponendo uguale a 0 la costante additiva, si trova
e quindi anche
ρ(k) (x) = σ(x)ρ(k−1) (x) .
3.4. ESEMPI DI SISTEMI ORTOGONALI MASSIMALI 197
Combinando la (3.33) con queste relazioni, e posto v(0) (x) = y(x), ρ(0) (x) =
ρ(x) e λ(0) = λ, si vede che per ogni k ≥ 0 vale
d h ′
i d h ′
i
λ(k) ρ(k) (x)v(k) (x) = σ(x)ρ(k) (x)v(k) (x) = ρ(k+1) (x)v(k) (x) .
dx dx
′
Ricordando che, per definizione, v(k) (x) = v(k+1) (x) si trova
d h i
λ(k) ρ(k) (x)v(k) (x) = ρ(k+1) (x)v(k+1) (x) .
dx
Partendo ora da k = 0 e iterando si vede che
" #′
1 1 1
ρ(x)y(x) = ρ(0) (x)v(0) (x) = [ρ(1) (x)v(1) (x)]′ = ′
ρ(2) (x)v(2) (x)
λ λ λ(1)
e, iterando ulteriormente,
1 dk h i
ρ(x)y(x) = ρ(k) (x)v(k) (x)
λ(0) · λ(1) · λ(2) · · · λ(k−1) dxk
1 dk h k
i
= ρ(x)σ (x)v(k) (x) .
λ(0) · λ(1) · λ(2) · · · λ(k−1) dxk
Ripetiamo che questa relazione vale per ciascuna soluzione y(x) della (3.25).
Se però in particolare y(x) è un polinomio di grado n, la sua n–ma derivata,
ossia v(n) (x), è costante. Quindi, scrivendo la relazione precedente con k = n,
si trova la (3.28).
La formula (3.28) si chiama formula di Rodriguez .
Usa scegliere reale la costante moltiplicativa cosı̀ che, come si è già notato,
i polinomi ortogonali classici sono polinomi a coefficienti reali.
Inoltre,
Teorema 238 I polinomi di Legendre ed Hermite di grado pari sono funzioni
pari; quelli di grado dispari sono funzioni dispari.
Dim. Nel caso dei polinomi di Legendre e di Hermite l’intervallo (a, b) =
(−a, a), a = 1 oppure a = +∞, è un intervallo simmetrico rispetto a 0 e il
peso è una funzione pari. Quindi, se m < n,
Z a Z a
0= pn (x)ρ(x)xm dx = (−1)m pn (−x)ρ(x)xm dx
−a −a
pn (−x) = Cn pn (x) .
Identificando i coefficienti dei termini di grado più alto, si vede che Cn = (−1)n .
Usiamo ora il principio di identità dei polinomi ed uguagliamo i coefficienti
dei termini dello stesso grado a destra ed a sinistra. Si vede che per avere
l’uguaglianza con n pari devono essere nulli i coefficienti degli addendi di grado
dispari; se n è dispari devono essere nulli i coefficienti degli addendi di grado
pari.
La formula di Rodriguez dà un modo per il calcolo dei polinomi ortogonali,
a meno di una costante di normalizzazione, che fa intervenire il calcolo di
derivate. Se invece di richiedere ai polinomi di avere norma 1 richiediamo che
siano “monici”, ossia che il coefficiente del termine del grado maggiore sia 1,
allora la costante nella formula di Rodriguez è uguale ad 1.
Il modo più efficiente per calcolare la successione dei polinomi ortogonali
“monici” è di usare la formula di Rodriguez per calcolarne i primi, e per i
successivi usare invece la relazione di ricorrenza che ora vediamo.
Il polinomio xpn (x) ha grado n + 1, e quindi è combinazione lineare dei
polinomi di grado minore od uguale a n + 1:
n+1
X
xpn (x) = cr,n pr (x) . (3.34)
r=0
cn+1,n pn+1 (x) = xpn (x) − cn,n pn (x) − cn−1,n pn−1 (x) , (3.35)
dove si intende p−1 (x) = 0 e anche c−1,1 = 0. D’altra parte, abbiamo detto
di lavorare con polinomi monici. Confrontando i termini di grado più alto nei
due membri, si vede che
cn+1,n = 1
e quindi rimane
pn+1 (x) = xpn (x) − cn,n pn (x) − cn−1,n pn−1 (x) . (3.36)
3.4. ESEMPI DI SISTEMI ORTOGONALI MASSIMALI 199
Teorema 239 Sia {pn } una successione di polinomi monici due a due orto-
gonali. Esistono due successioni {an } e {bn } di numeri reali, con b1 = 0, tali
che
xpn (x) = pn+1 (x) + an pn (x) + bn pn−1 (x) .
In questa formula si intende p−1 (x) = 0.
Le due successioni possono calcolarsi in modo ricorsivo.
e quindi, posto x = 1,
dxn
H L2 (−1, 1) L2 (0, +∞; ρ) L2 (−∞, +∞; ρ)
1 d n2
y(·) −→ (Bn y)(x) = [xy ′ (x)] − 2 y(x) .
x dx x
In certe applicazioni l’indice n è un qualsiasi numero complesso. Noi però ci
limiteremo a considerare il caso degli indici interi; e dato che n figura elevato
al quadrato, considereremo il caso degli indici n che sono numeri interi non
negativi.
Siano y(x) ed z(x) due autofunzioni corrispondenti ad autovalori −λ e −µ
tra loro diversi (il segno meno è introdotto solamente per conservare la nota-
zione più comune in letteratura). Procediamo in modo formale a verificarne
una proprietà di ortogonalità. Diciamo che stiamo operando “in modo forma-
le” perché ancora non abbiamo specificato lo spazio in cui si intende lavorare
e nemmeno il dominio dell’operatore Bn . D’altra parte, le equazioni per gli
autovalori sono
d n2
[xy ′ (x)] − y(x) = −λxy(x)
dx x
d n2
[xz ′ (x)] − z(x) = −µxz(x) .
dx x
3.4. ESEMPI DI SISTEMI ORTOGONALI MASSIMALI 203
Queste equazioni del secondo ordine hanno certamente soluzioni in ogni inter-
vallo che non contiene 0. Dato che i coefficienti non sono regolari in zero, niente
possiamo dire del comportamento delle soluzioni per x tendente a zero. Ciò
nonostante, moltiplichiamo la prima per z̄(x) e moltiplichiamo per y(x) la co-
niugata della seconda. Integriamo si [0, 1] e sottraiamo gli integrali. Notiamo
che anche questo è un passaggio formale, che poi andrà giustificato, perché
non sappiamo se gli integrali sono finiti.
Integrando per parti si trova l’uguaglianza
Z 1
1
(λ − µ̄) xy(x)z̄(x) dx = [xy(x)z̄ ′ (x) − y ′(x)xz̄(x)]0 .
0
n2
( )
1 d
Z
0= z̄(x) [xy ′ (x)] − z̄(x)y(x) + λxz̄(x)y(x) dx
0 dx x
1
Z 1 Z 1
1
= [xz̄(x)y ′ (x)]0 − xz̄ ′ (x)y ′ (x) dx − n2 z̄(x)y(x) dx
0 0 x
Z 1
+λ xz̄(x)y(x) dx .
0
Si vede da qui una differenza tra il caso n = 0 ed il caso n > 0: se n > 0, per
dare senso a quest’uguaglianza, bisogna esplicitamente richiedere l’integrabilità
di z̄(x)y(x)/x.
Le funzioni y(x) e z(x) sono regolari per x = 1 ma potrebbero non esserlo
per x = 0. L’uguaglianza precedente però mostra che, se i passaggi formali
possono giustificarsi; se [xz̄(x)y ′ (x)]10 = 0 e se µ̄ 6= λ, allora y(x) e z(x) sono
ortogonali in L2 (0, 1; ρ), con ρ(x) = x.
I passaggi precedenti sono giustificati se si richiede che le “autofunzioni”
y(x) e z(x) appartengano al s.spazio delle funzioni φ(x) ∈ L2 (0, 1; ρ), ρ(x) = x,
che verificano alle proprietà seguenti:
φ(x) ∈ W 2,2 (ǫ, 1) per ogni ǫ > 0 , φ(1) = 0 ,
lim supx→0+ |φ(x)| < +∞ , lim supx→0+ |φ′(x)| < +∞ ,
2 (3.40)
Bn φ ∈ L (0, 1; ρ) ,
√1 φ(x) ∈ L2 (0, 1) ,
x
proprietà da richiedere solo se n > 0.
Si ricordi che se una funzione di una variabile ha derivata (in senso debole)
che è integrabile, essa è continua e quindi ha senso richiedere che il suo valore
in 1 sia nullo. Niente possiamo dire per ora del valore in 0 perché la condizione
φ′′ (x) ∈ L2 (ǫ, 1) per ogni ǫ > 0 non implica l’integrabilità di φ′′ (x) in un intorno
di 0.
Si osservi che l’equazione per l’autovalore λ può anche scriversi come
n2
!
1 d
[xy ′ (x)] − − 1 y(x) = 0 ossia x2 y ′′ + xy ′ − (n2 − x2 )y = 0 .
x dx x2
(3.42)
Questa è l’equazione degli autovalori scritta con λ = 1, ma non stiamo af-
fermando che λ = 1 debba essere un autovalore. E’ però vero che la conoscenza
delle soluzioni dell’equazione di Bessel e dei loro zeri conduce ad identificare
tutti gli autovalori e le corrispondenti autofunzioni di Bn . Mostriamo ciò nel
caso n > 0 lasciando al lettore le considerazioni analoghe nel caso n = 0.
Supponiamo di poter trovare una soluzione y(x) di (3.42), che verifica
Essendo
perché x = 0 è l’unico punto nell’intorno del quale l’equazione non si può scri-
vere in forma normale. Posto y0 (x) = φ(x/c) si trova una soluzione di (3.42),
con le proprietà dette sopra; e quindi possiamo concludere che lo studio delle
soluzioni dell’equazione di Bessel (3.42), e dei loro zeri, conduce ad identificare
tutte le autofunzioni di Bn .
Va osservata però una difficoltà che è questa: due autofunzioni φ(x) e ψ(x)
del medesimo autovalore c potrebbero condurre a soluzioni y0 (x; φ) e y0 (x; ψ)
di (3.42) del tutto indipendenti l’una dall’altra. Vedremo invece che non è cosı̀
e che infatti y0 (x; φ) e y0 (x; ψ) sono tra loro proporzionali. Ciò è conseguenza
del teorema seguente.
1 − 4n2
" #
′′
u + q(x)u = 0 , q(x) = 1 + . (3.43)
4x2
Mostriamo:
Teorema 245 Ogni soluzione u(x) di (3.43), e quindi ogni soluzione y(x)
di (3.42), ha una successione (ck ) di zeri, ck → +∞.
u′ (x)
v(x) = .
u(x)
3.4. ESEMPI DI SISTEMI ORTOGONALI MASSIMALI 207
Questa funzione è ben definita per x ≥ x0 perchè abbiamo supposto che u(x)
non si annulli. Si vede immediatamente che verifica
v ′ (x) = −q(x) − v 2 (x) ≤ −q(x) .
Dunque,
x 1
Z
v(x) ≤ v(x0 ) − q(s) ds ≤ v(x0 ) − (x − x0 ) → −∞ per x → +∞ .
x0 2
Dunque, v(x) è negativa per x abbastanza grande, diciamo per x ≥ x1 , perché
si è supposta la positività di u(x). E quindi u′ (x) < 0 per x > x1 ; e ricordiamo
che u′ (x) decresce.
Dunque si trova la contraddizione
Z x
u(x) = u(2x1 )+ u′(s) ds ≤ u(2x1 )+(x−2x1 )u′ (2x1 ) → −∞ per x → +∞ .
2x1
Ciò prova che la u(x) deve annullarsi in un punto x̃0 > x0 e quindi prendere
valori negativi a destra di x̃0 .
Un argomento analogo al precedente mostra però che non può rimanere
permanentemente negativa; ossia che x̃0 non è l’ultimo degli zeri di u(x).
Si osservi che il teorema precedente si applica a ciascuna soluzione dell’e-
quazione di Bessel; anche alle soluzioni che non sono regolari per x → 0+. Le
funzioni Jn (x) essendo analitiche in x = 0 non hanno una successione di zeri
che tende a zero. Ciò vale anche per le soluzioni che non sono regolari in 0,
anche se la dimostrazione precedente non permette di dedurlo.
Quindi
Corollario 246 Esiste una successione (λk , φk ) di autovalori e autofunzioni
dell’operatore Bn , con λk reale e φk (x) a valori reali. Inoltre, φk è ortogonale
a φr nello spazio L2 (0, 1; ρ), ρ(x) = x, se k 6= r.
Le funzioni φk (x) sono date da
φk (x) = Jn (ck x) essendo (ck ) la successione degli zeri di Jn (x).
Si noti che le funzioni φk (x) cosı̀ costruite non hanno norma unitaria in X =
L2 (0, 1; ρ), ρ(x) = x; essendo però ortogonali due a due, ogni f ∈ X apparte-
nente allo spazio lineare che esse generano potrà scriversi nella forma
+∞ +∞
X X 1
f (x) = fk φk (x) = fk Jn (ck x) , fk = hf, φk i (3.44)
k=0 k=0 ||φk ||2
(norma e prodotto interno essendo quelli di X).
Serie di questo tipo si chiamano serie di Fourier-Bessel .
E’ importante conoscere il seguente risultato, che non proviamo:
208 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
F ′′ + F = 0 , F (0) = 0
e i numeri ck = kπ sono gli zeri non negativi di F (x). Il primo di essi è nullo
e ciò mostra che il primo termine della serie è nullo.
d h −n i
x Jn (x) = −x−n Jn+1 (x)
dx
d h n+1 i
x Jn+1 (x) = xn+1 Jn (x) .
dx
3.4. ESEMPI DI SISTEMI ORTOGONALI MASSIMALI 209
In particolare, se n = 0, si trova
d d
J0 (x) = −J1 (x) , xJ1 (x) = xJ0 (x) ,
dx dx
relazioni che “sostituiscono” quelle tra le derivate di sin x e cos x. Una diffe-
renza importante è però questa:
Dim. ricordando l’equazione (3.43), basta provare che la funzione u(x) rimane
limitata.
Come si è detto, per x > x0 è q(x) > 1/2. Moltiplichiamo per u′(x) i due
membri di (3.43). Si trova
1 d ′ 1 d 2 1 d 2
[u (x)]2 = −q(x) u (x) ≤ − u (x) . (3.45)
2 dx 2 dx 4 dx
Integrando i due membri si trova
1 1
[u′ (x)]2 + u2 (x) = [u′ (x0 )]2 + u2 (x0 ) .
2 2
In particolare,
1
[u′ (x)]2 ≤ [u′ (x0 )]2 + u2 (x0 ) , u2 (x) ≤ 2[u′(x0 )]2 + u2 (x0 )
2
come volevamo.
Sostituendo nell’equazione, si trova una serie che si vuole essere nulla; ossia si
vuole che i suoi coefficienti siano tutti nulli. Devono quindi valere le condizioni
h i
4m(m − 1) + 1 − 4n2 u0 = 0
h i
4m(m + 1) + 1 − 4n2 u1 = 0
4ur−2
ur = − .
4(r + m)(r + m − 1) + 1 − 4n2
Dunque, il valore di u0 determina gli u2k mentre il valore di u1 determina i
coefficienti u2k+1 . Se u0 = u1 = 0 si trova la soluzione identicamente nulla,
caso che non ci interessa. Quindi esaminiamo separatamente il caso u0 6= 0 ed
u1 = 0 dal caso u0 = 0 ed u1 6= 0.
Se u1 = 0 e u0 = 1 allora m deve verificare
1
4m2 − 4m + (1 − 4n2 ) = 0 e quindi m=n+
2
(la soluzione m = −n + 1/2 si esclude perchè si è chiesto m ≥ 0. Una ragione
più cogente per escluderla si dirà in seguito).
3.4. ESEMPI DI SISTEMI ORTOGONALI MASSIMALI 211
u2k x2k+n+1/2 ,
4u2(k−1)
u2k = −
4(2k + n + 1/2)(2k + n − 1/2) + 1 − 4n2
u2k−2
=− . (3.46)
4k(k + n)
Se invece si decide di lavorare con u0 = 0 ed u1 = 1 allora
1
m=n− .
2
Questo caso quindi non va considerato se n = 0 perché conduce ad m < 0. Si
può considerare se n ≥ 1. In tal caso gli addendi della serie con r = 2k + 1
vengono ad essere
u2k−1
u2k+1 x2k+n+1/2 , u2k+1 = − .
4(2k + n + 1/2)(2k + n − 1/2) + 1 − 4n2
Si vede quindi che i due casi apparentemente diversi conducono alla medesima
soluzione.
Consideriamo quindi il caso u1 = 0, u0 = 1 ossia il caso (3.46). Si vede che
(n − 1)!
u2k = (−1)k .
4k k!(n
+ k)!
Dunque,
√ +∞ (−1)k
" 2k+n #
n
X x
u(x) = 2 [(n − 1)!] x .
k=0
k!(n + k)! 2
√
Dividendo per 2n [(n − 1)!] x si trova la funzione Jn (x).
L’equazione di Bessel, come l’equazione per u(x), è un’equazione differen-
ziale del secondo ordine e quindi ammette una seconda soluzione, linearmente
√
indipendente dalla Jn (x). Ovviamente, questa si ottiene dividendo per x una
seconda soluzione della (3.45), linearmente indipendente dalla soluzione u(x)
appena trovata. Sembrerebbe naturale ricercare questa soluzione scegliendo
per m il valore negativo che abbiamo scartato, m = −n + 1/2 e quindi ripe-
tendo i calcoli precedenti. E’ facile vedere che in questo modo non si trova
una soluzione dell’equazione perché la relazione di ricorrenza che permette di
costruire u2k noto u2k−2 ha denominatore che si annulla per certi valori di k.
Invece, nota la soluzione u(x) di (3.45), ricerchiamo una seconda soluzione di
forma
u(x)v(x) .
212 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
h → hh, ki
φ(h) = hh, yi .
ker φ 6= H
||z|| = 1 .
Essendo !
φ(h)
h− z ∈ ker φ , z ∈ [ker φ]⊥
φ(z)
214 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
si ha
φ(h)
hh, [φ(z)z]i = h z, φ(z)zi = φ(h) .
φ(z)
Dunque,
xφ = φ(z)z .
Ciò prova che ogni φ ∈ H ∗ si rappresenta come in (3.47)
E’ immediato verificare che la trasformazione φ → xφ , definita su H ∗ , è
antilineare. Inoltre, si è notato che la norma della trasformazione h → hh, xφ i
è uguale a ||xφ ||.
Vale:
e quindi
hh, z − ζiH .
3.6. L’OPERATORE AGGIUNTO 215
Quest’uguaglianza vale per ogni h ∈ dom A, che è denso in H. ciò implica che
ζ = z.
E’ quindi lecito definire
A∗ k = z .
E’ immediato verificare che l’operatore A∗ , da K in H, è lineare.
E’ facile vedere che dom A∗ può essere “molto piccolo”:
Esempio 254 Sia H = L2 (0, 1) e sia
Ax = x(0) .
Ciò può solo aversi se k = 0 (e allora anche z = 0); ossia, dom A∗ = {0}.
Proviamo:
Teorema 259 Ogni operatore aggiunto è chiuso.
Dim. Sia A un operatore lineare da H in K, con dominio denso in H, e sia A∗
il suo aggiunto. Dobbiamo provare che il grafico di A∗ è chiuso. Sia per questo
( (yn , A∗ yn ) ) una successione che appartiene al grafico di A∗ e che è convergente,
lim yn = η , lim A∗ yn = ξ .
hAx, yn i = hx, A∗ yn i .
Supponiamo ora che A sia esso stesso chiuso. In tal caso vale
Teorema 263 Se A è chiuso con dominio denso anche A∗ è chiuso con do-
minio denso; e quindi A∗∗ può definirsi, ed è uguale ad A.
La dimostrazione è posposta.
Abbiamo cosı̀ identificato una classe di operatori, più generale di L(H, K),
nella quale il calcolo dell’aggiunto ha buone proprietà.
Concludiamo infine con alcune regole di calcolo per gli operatori aggiunti.
E’ immediato verificare che
(αA)∗ = ᾱA∗ .
Valgono inoltre le regole:
Teorema 264 Siano A e B operatori lineari da H in K, ambedue con dominio
denso in H.
a) Supponiamo che dom (A+B) sia denso in H. Se k ∈ (dom A∗ )∩(dom B ∗ )
allora k ∈ dom (A∗ + B ∗ ) e
(A + B)∗ k = A∗ k + B ∗ k ;
La dimostrazione è posposta.
hAh, ki = 0 ∀h ∈ dom A .
Inoltre, se A−1 è continuo allora [A∗ ]−1 lo è; se [A∗ ]−1 ha dominio denso
in H ed è continuo, anche A−1 è continuo.
220 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
La dimostrazione è posposta.
Usando il Teorema 266, proviamo prima di tutto:
hh0 , A∗ ki = 0
0 ∈ σ(A) ⇐⇒ 0 ∈ σ(A∗ ) .
E quindi (λ̄I − A∗ )h = 0 .
Proviamo la prima. Se λ ∈ σp (A) allora esiste x0 per cui
λ ∈ ρ(A) ⇐⇒ λ̄ ∈ ρ(A∗ )
λ ∈ σ(A) ⇐⇒ λ̄ ∈ σ(A∗ )
λ ∈ σr (A) =⇒ λ̄ ∈ σp (A∗ )
La dimostrazione è posposta.
Gli operatori per cui A = A∗ si chiamano autoaggiunti e sono importan-
tissimi nelle applicazioni. Per essi vale anche
Ax = λx , Ay = µx .
Allora, x ⊥ y.
Dim. Dal Teorema 272 si sa che λ e µ sono reali. Come nel caso delle matrici,
si moltiplichi scalarmente la prima per y, la seconda per x e si sommi. Si trova:
(λ − µ)hx, yi = 0 .
perchè una funzione che appartiene ad L2 (0, +∞) insieme alla sua derivata ha
limite nullo per t → +∞. Calcolando
(iI − A)x = f
si trova l’equazione
x′ = x + if
la cui soluzione è Z t
x(t) = et−s [if (s)] ds
0
Teorema 276 Sia A chiuso e sia λ ∈ ρ(A). In tal caso (λI −A) ha immagine
uguale ad H.
224 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
Dim. notando che λ ∈ ρ(A) se e solo se 0 ∈ ρ(λI − A), basta provare che se
0 ∈ ρ(A) allora im A = H.
Sia k0 ∈ H qualsiasi. Dobbiamo provare che h ∈ im A. Essendo 0 ∈
ρ(A), l’operatore A ha immagine densa ed inverso continuo. Esiste quindi una
successione (hn ) tale che lim Ahn = k0 .
La continuità di A−1 mostra che
hn = A−1 (Ahn )
converge,6
lim hn = h0 .
Dunque, hn → h0 e Ahn → k0 . Grazie al fatto che l’operatore A è chiuso
possiamo dedurre che h0 ∈ dom A e Ah0 = k0 , come dovevamo provare.
(Aφ)(s) = φ′ (s) .
6
sia h0 = lim hn = lim A−1 [Ahn ] ed Ahn → k0 . Non si può dedurre da qui che
h0 = A−1 k0 perché ancora non sappiamo che k0 ∈ dom A−1 = im A: questa inclusione
è precisamente l’inclusione da provare.
7
più correttamente, la derivata calcolata come limite del rapporto incrementale
appartiene alla classe di equivalenza della derivata debole.
8
ossia nulle per x ∈
/ [c, d] ⊆ (a, b).
3.6. L’OPERATORE AGGIUNTO 225
• Vale (A∗ )−1 = (A−1 )∗ . In particolare, A−1 è continuo se e solo se (A∗ )−1
è continuo.
226 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
Lemma 278 Sia A ∈ L(H) e sia X un s.spazio invariante per A: sia cioè
AX ⊆ X. Allora, X ⊥ è invariante per A∗ .
Dim. Bisogna provare che A∗ X ⊥ ⊆ X ⊥ . Sia per questo h ∈ X ⊥ e sia x ∈ X.
Si ha:
hx, A∗ hi = hAx, hi = 0
perché Ax ∈ X ed è h ⊥ X. Ciò vale per ogni x ∈ X e quindi A∗ h ∈ X ⊥ .
Proviamo ora:
Lemma 279 Sia A lineare da H in K, con dominio denso. Il s.spazio ker A∗
è chiuso in K.
Dim. Essendo il dominio di A denso in H, possiamo definire l’operatore A∗ .
Questo è un primo uso che faccioamo dell’ipotesi su dom A. Questa stessa
ipotesi sarà nuovamente usata più sotto.
Sia (yn ) una successione in ker A∗ , yn → y0 . Per ogni x ∈ dom A vale
0 = hx, A∗ yn i = hAx, yn i → hAx, y0 i .
Dunque, x → hAx, y0 i ≡ 0 è una funzione continua, ossia y0 ∈ dom A∗ e
0 = hAx, y0 i = hx, A∗ y0 i .
Ciò implica A∗ y0 = 0 perchè il dominio dell’operatore A è denso in H.
Il risultato principale che vogliamo provare è il seguente:
3.6. L’OPERATORE AGGIUNTO 227
c) cl (ker A) ⊆ [im A∗ ]⊥ ;
0 = hx, A∗ yi = hAx, yi
hAx, yi = 0 e quindi A∗ y = 0 .
ossia la d).
Sia ora A continuo definito su H. Ricordiamo che in tal caso si ha (A∗ )∗ = A
e che ker A è chiuso.
228 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
e quindi la d’).
Infine:
Ossia:
Introduciamo la notazione
Ĝ = {(−Ah, h) | h ∈ dom A} .
Ĝ ⊆ [G(A∗ )]⊥ .
Ĝ = [G(A∗ )]⊥ .
(A + B)∗ k = A∗ k + B ∗ k .
hABx, ki = hBx, A∗ ki
Ciò vale per ogni x perché im B ⊆ dom A; e quindi per ogni k ∈ dom A∗ si ha
(AB)∗ k = B ∗ A∗ k .
si ha
hA−1 η, A∗ ki = hη, ki ∀h ∈ domA , k ∈ domA∗ .
Ciò prova che A∗ k ∈ dom(A−1 )∗ per ogni k ∈ domA∗ e che
(A−1 )∗ A∗ k = k ∀k ∈ dom A∗ .
Questa disuguaglianza vale per ogni h ∈ dom [A∗ ]−1 e per ogni k con ||k|| ≤ 1.
Se inoltre si sceglie k ∈ dom A−1 , la disuguaglianza precedente si scrive
h i∗
∀h ∈ dom [A∗ ]−1 = dom A−1 = dom [A∗ ]−1 .
−1
hA k, hi ≤ M||h||
Dunque si trova
h(λI − A)x, xi = λ̄hx, xi − hAx, xi . (3.56)
232 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
|β| · ||x||2 = |Im h(λI − A)x, xi| ≤ |h(λI − A)x, xi| ≤ ||(λI − A)x|| · ||x|| .
(3.57)
Ciò implica che l’inverso sinistro di (λI − A) è continuo, si veda la (2.67).
Dunque, se β 6= 0 deve essere iβ ∈ σr (A). Esiste quindi ξ 6= 0 tale che
Accenniamo alla dimostrazione, che dovrebbe essere nota: per provare l’e-
sistenza del minimo, si costruisce una successione minimizzante (kn ) in K,
ossia una successione tale che
Definitione 287 Sia (xn ) una successione in uno spazio di Hilbert X. Dicia-
mo che (xn ) converge debolmente ad x0 se
w− lim xn = x0 oppure xn ⇀ x0 .
lim fk = 0 .
Vale però:
Teorema 289 Per la convergenza debole vale il teorema di unicità del limite.
3.7. CONVERGENZA DEBOLE IN SPAZI DI HILBERT 235
Dim. Se
w− lim xn = x0 ed anche w− lim xn = y0
allora si ha
hy, (x0 − y0 )i = lim{hy, xn i − hy, xn i} = 0
per ogni y ∈ X. Scegliendo in particolare y = x0 − y0 si vede che y0 = x0 .
Esistono alcune relazioni importanti tra la convergenza debole e le proprietà
che valgono in norma. Tra queste:
Vale il seguente risultato (che riformula per il caso degli spazi di Hilbert il
Teorema ??):
Teorema 292 Sia f (x) una funzionale su H a valori reali che è continua e
convessa. La funzione f (x) è debolmente semicontinua inferiormente.
236 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
||xn − x0 || → 0 .
E’
Per ipotesi, ||xn ||2 → ||x0 ||2 e hxn , x0 i → ||x0 ||2 . Dunque il membro destro ha
limite nullo e ciò implica l’asserto.
Proviamo ora:
Teorema 294 Sia A un insieme sequenzialmente debolmente chiuso in X.
Allora, A è anche chiuso in norma.
Dim. Sia A chiuso rispetto alla convergenza debole. Sia (xn ) una successione
in A, che converge in norma ad un x0 .
La convergenza in norma implica la convergenza debole, e quindi (xn )
converge debolmente ad x0 . Dato che A è debolmente chiuso, si ha x0 ∈ A; e
quindi A è chiuso in norma.
L’esempio 288 mostra che la superficie di una sfera di L2 (0, 2π), pur es-
sendo chiusa in norma, non è debolmente chiusa. Combinando questo col
teorema precedente si vede che che la topologia della convergenza debole è
effettivamente meno fine di quella della norma.
Vale però:
C = lim Cn
Dim. Proviamo il teorema nel caso generale in cui ogni operatore Cn è com-
patto, senza fare ipotesi sul suo nucleo.
Proviamo che ogni successione (xn ) limitata di H ha per immagine una
successione (Cxn ) che ammette s.successioni convergenti nella topologia della
norma di K. Usiamo il procedimento diagonale di Cantor: si consideri la
successione
n → C1 xn .
3.8. OPERATORI COMPATTI 239
• Dunque, (Cj xi,n ) è convergente per ogni indice j < i, perché (xi,n ) con
i > j è s.successione di (xj,n ).
||xn || < M ∀n .
Ancora per ipotesi, Cr → C in L(H, K) e quindi per ogni ǫ > 0 esiste rǫ tale
che
||C − Cr || < ǫ/4M .
Con questo valore di r fissato, si ha
Chkr ,mr = z0 .
3.8. OPERATORI COMPATTI 241
E’ noto che σ(C) = {0}, si veda l’Esempio 187. Mostriamo che C è compatto.
Notiamo per questo che l’immagine di C contiene soltanto funzioni continue e
che C è anche continuo da L2 (0, 1) in C(0, 1). Inoltre, ogni s.insieme compatto
di C(0, 1) è anche un s.insieme compatto di L2 (0, 1). Dunque basta provare
che è compatto l’operatore
Z t
2
C : L (0, 1) → C(0, 1) , (Ch)(t) = h(s) ds .
0
Come si è notato, è sufficiente provare che l’immagine della sfera unità di
L2 (0, 1) è compatta in C(0, 1). La continuità di C mostra che l’immagine è
limitata. La disuguaglianza
Z t
q Z 1 1/2
2
|(Ch)(r) − (Ch)(t)| ≤
|h(s)| ds ≤ |t − r| |h(s)| ds
r 0
CC ∗ ∈ L(K) , C ∗ C ∈ L(H)
(C ∗ C)C ∗ v = µC ∗ v
e quindi il numero µ (non nullo) è uno degli m (non nulli). In modo analogo
si vede che ciascuno degli mi coincide con uno dei numeri µi .
Dim. Infatti,
1 1 1 1
hωr , ωs i = h Cvr , Cvs i = hC ∗ Cvr , vs i = mr hvr , vs i
σr σs σr σs σr σs
nullo se r 6= s perché vr ⊥ vs , altrimenti uguale a 1.
Poiché i {vi } sono un sistema ortonormale massimale in [ker C ∗ C]⊥ , si può
scrivere
+∞
n ∈ ker C = ker C ∗ C
X
x= hx, vi ivi + n ,
i=1
e quindi
+∞
X +∞
X
Cx = hx, vi iCvi = σi hx, vi iωi . (3.61)
i=1 i=1
Si ha
Dim. Infatti,
N +∞
≤ σN +1 ||x||2
X X
||Cx − CN x|| = Cx − σ hx, v iω = σ hx, v iω
i i i i i i
i=1 i=N +1
poniamo
+∞
X
UA x = hx, vi iωi .
i=1
A = UA |A| .
Dunque,
2
+∞ +∞
||Cx||2 = X
σi2 |hx, vi i|2 ≤ σ12 ||x||2
X
σi hx, vi iωi =
i=1 i=1
Dim. Se x ∈ [L̃n ]⊥ , si ha
∞
X
x= xi vi + n , xi = hx, vi i , n ∈ ker C
i=n+1
∞ ∞
λi x2i ≤ λn+1 x2i ≤ λn+1 .
X X
hCx, xi =
i=n+1 i=n+1
Per provare il teorema basta mostrare che per ogni altra scelta di L ∈ L[n] si
ha n o
λn+1 ≤ max hCx, xi , | ||x|| = 1 , x ∈ L⊥ . (3.62)
Sia L = span {h1 , . . . , hn } e sia
n+1
X
φ= φivi .
i=1
Per quest’operatore si ha
∞
X
(C − Ã)x = σi hx, vi iωi
i=n+1
Sia ǫ > 0. L’uniforme continuità di K mostra che esiste δ > 0 tale che
|t − t′ | < δ =⇒ |K(t, s) − K(t′ , s)| < ǫ2
e quindi, per |t − t′ | < δ,
|(Kx)(t) − (Kx)(t′ )| < ǫ .
Ciò prova l’equicontinuità e quindi la compattezza.
Consideriamo ora l’equazione integrale
Z b
x = µKx + φ = µ K(t, x)x(s) ds + φ(t) .
a
forma che generalizza quella che abbiamo introdotto, per le equazioni con
nucleo degenere, al paragrafo 1.0.3.
Lemma 318 Sia (vn ) una successione limitata che appartiene ad im(λI − C),
con C compatto e λ 6= 0:
vn = (λI − C)kn .
Essendo
kn vn
(λI − C) = −→ 0 , (3.64)
||kn || ||kn ||
si ha anche
kn kn
lim λ = lim C = w0 . (3.65)
||kn || ||kn ||
Questo ha due conseguenze:
||w0|| = |λ| =
6 0 ossia w0 6= 0 . (3.66)
252 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
D’altra parte,
w0 kn
(λI − C) = lim(λI − C)
λ ||kn ||
kn kn
= lim λ − lim C =0
||kn || ||kn ||
w0 ∈ ker(λI − C) .
v0 = (λI − C)x0 .
Assumiamo quindi che valga (3.63). Come si è visto al Lemma 318, possiamo
assumere che la successione (xn ) sia limitata. In questo caso, passando ad una
s.successione, si può assumere lim Cxn = y, perché C è compatto. Si ha quindi
che
1 1
xn = [vn + Cxn ] , lim xn = [v0 + y] ,
λ λ
ossia (xn ) converge ad x0 = [v0 − y]/λ. D’altra parte C, essendo compatto, è
continuo. Dunque, da vn = (λI − C)xn , si ha v0 = (λI − C)x0 . Ciò prova che
v0 ∈ im (λI − C), come volevamo.
Proviamo ora:
3.8. OPERATORI COMPATTI 253
Dim. Sia λ 6= 0, e sia λ ∈/ σp (C). Si è visto che l’immagine di (λI − C), con
λ 6= 0, è chiusa. Se questa è diversa da X allora λ ∈ σr (C). Se l’immagine
è X allora, per il teorema di Banach, Teorema 101, (λI − C)−1 è continuo e
quindi λ ∈ ρ(C).
Notiamo che non abbiamo ancora provato che gli elementi non nulli di σ(C)
sono autovalori. Possiamo però provare:
CXn ⊆ Xn
10
la dimostrazione usa il Teorema di Banach, Teorema 101: se un operatore lineare è
continuo, invertibile e suriettivo, il suo inverso è continuo.
254 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
ed inoltre
(λn I − C) Xn ⊆ Xn−1
perché (λn I − C)xn = 0.
Grazie al Lemma 327, la dimensione di Xn è esattamente n e quindi Xn−1 ⊆
Xn , l’inclusione essendo stretta. Dunque in Xn può trovarsi un vettore en di
norma 1, che dista 1 da Xn−1 . Mostriamo che se λ0 6= 0, la successione C λenn
non ammette s.successioni convergenti. Ciò contrasta con la compattezza di
C e mostra che λ0 = 0. Per ottenere ciò, basta provare che per ogni n, m vale
en em
C −C > 1.
λn λm
Per fissare le idee, sia n > m e si scriva
en em em C
C −C = en − C + I− en .
λn λm λm λn
I due vettori
C em
I− en , C
λn λm
appartengono a Xn−1 mentre en ∈ Xn . Dunque,
en em
C −C ≥ dist(en , Xn−1 ) ≥ 1 .
λn λm
Si trova quindi che la successione (en /λn ) ha immagine priva di s.successioni
convergenti; e la successione (en /λn ) è limitata se λn → λ0 6= 0. Ciò contrasta
con la compattezza di C e mostra che deve essere λ0 = 0.
Vorremo provare che
σr (C) − {0} = ∅ .
Per ora però proviamo:
Per i risultati già provati, si può trovare una successione di numeri positivi
(rn ), rn → 0, tali che
{λ : |λ| = rn } ⊆ ρ(C) .
Infatti, 0 è l’unico punto di accumulazione sia di σp (C) che di σr (C); e si è già
visto che σc (C) ⊆ {0}.
Con un abuso di linguaggio comune nella teoria delle funzioni olomorfe,
indichiamo con Γn la “curva” costituita dalle due circonferenze di centro 0 e di
raggio rispettivamente rn , rn+1 . Sia Ωn la corona circolare delimitata da Γn .
Consideriamo l’operatore
1
Z
Pn = (zI − C)−1 dz .
2πi Γn
Dim. Ricordiamo che gli autovettori, per definizione, sono non nulli. Dunque,
in particolare x1 6= 0 cosı̀ che l’insieme {x1 } è linearmente indipendente e, se gli
autovettori non sono linearmente indipendenti, esiste un primo n0 per cui
n0
X
xn0 +1 = αi xi . (3.68)
i=1
Moltiplicando i due membri della (3.68) per λn0 +1 e sottraendo la (3.69), si trova
n0
X
[λn+1 − λi ]αi xi = 0 .
i=1
Ciò mostra che xn0 +1 non è il primo degli autovettori linearmente dipendente dai
precedenti. Ciò contraddice la scelta di n0 e prova l’asserto.
Osservazione 328 Si noti che l’asserto precedente vale per ogni operatore
lineare A, anche non compatto ed anche non continuo.
Dim. Sia per assurdo X 6= [ker C]⊥ e quindi X ⊥ 6= ker C. Essendo X inva-
riante per C, allora X ⊥ è invariante per C ∗ ed essendo C = C ∗ , X ⊥ è anch’esso
invariante per C. La restrizione di C ad X ⊥ è essa stessa un operatore autoag-
giunto e quindi ammette un autovalore, per il Corollario 330 e se X ⊥ 6= ker C
allora la restrizione di C ad X ⊥ è non nulla. Esiste quindi un autovalore di
C un cui autovettore appartiene ad X ⊥ . Ciò contrasta con la definizione di
X che, per costruzione, contiene tutti gli autovettori di C relativi ad autovalori
non nulli. La contraddizione trovata prova il teorema.
Per costruzione, l’insieme degli autovettori (normalizzati) di C che corri-
spondono ad autovalori non nulli genera X0 ed è quindi un sistema ortonormale
massimale in X. Mostriamo:
258 CAPITOLO 3. SPAZI DI HILBERT
Dim. Basta provare che gli autovettori si possono scegliere due a due ortogona-
li. Si è già visto al Teorema 273 che l’ortogonalità è automatica per autovettori
che corrispondono ad autovalori diversi. Sia ora λ0 6= 0 un autovettore di mol-
teplicità maggiore di 1 e sia N0 il relativo autospazio. Essendo C compatto,
la dimensione di N0 è finita e quindi N0 ammette una base ortonormale di
autovettori perché la restrizione di C ad N0 è un operatore autoaggiunto su
uno spazio di dimensione finita.
con
Cei = λi ei , λi 6= 0 , Ch0 = 0 .
Dunque, per ogni h ∈ H si ha anche
+∞
X
Ch = λi hh, ei iei .
i=1
||Chn ||2 ≤ α2 .
Non supponiamo che la successione {||Chn ||2 } sia convergente. Però la dimo-
strazione precedente implica
n o
0 ≤ lim sup ||Chn − αhn ||2 = lim sup ||Chn ||2 − 2αhChn , kn i + α2 ≤ 0 .
Distribuzioni e Trasformata di
Fourier
4.1 Le distribuzioni
Prima di introdurre le distribuzioni, conviene vedere un esempio che ne giu-
stifica l’uso. Consideriamo l’equazione a derivate parziali
xt = xs , x = x(t, s) . (4.1)
263
264 CAPITOLO 4. DISTRIBUZIONI E TRASFORMATA DI FOURIER
t = −s + k
x(−s + k, s) = φ(k) .
per una “qualsiasi” funzione φ. Ovviamente però per poter giustificare i calcoli
precedenti, dovremo richiedere che la φ sia almeno derivabile. Si capisce però
che la (4.2) si potrà sostituire in (4.1) anche se φ non è ovunque derivabile,
trovando che l’uguaglianza (4.1) vale “nei punti nei quali i calcoli hanno senso”.
Però, non è immediato capire quali proprietà più deboli la φ debba avere per
giustificare i calcoli. Più ancora, ogni funzione continua è limite di funzioni di
classe C 1 e quindi si può intendere la (4.2) come “soluzione in senso debole”
di (4.1), indipendentemente dalla regolarità della φ e quindi senza preoccuparci
dell’effettiva possibilità di sostituire la (4.2) nella (4.1).
Queste considerazioni, in quest’esempio semplicissimo, sono già un po’ diffi-
cili da formalizzare. Ovviamente non si potranno estendere a casi più comples-
si. Mostriamo però un altro modo per verificare che la funzione x(t, s) = φ(t+s)
è soluzione di (4.1). Moltiplichiamo ambedue i membri per una “funzione test”
ψ(t, s) di classe C ∞ (IR2 ) e integriamo per parti. Per evitare la comparsa di
integrali impropri e dei termini sulla frontiera del dominio su cui si integra,
supponiamo che ψ(t, s) abbia supporto compatto , ossia che sia zero per t ed
s abbastanza grandi. Integrando per parti si trova
( R
= − RIR2 x(t, s)ψt (t, s) dt ds ,
R
2 x (t, s)ψ(t, s) dt ds
RIR t
IR2 xs (t, s)ψ(t, s) dt ds = − IR2 x(t, s)ψs (t, s) dt ds
e quindi l’uguaglianza
Z Z
− 2
x(t, s)ψt (t, s) dt ds = − x(t, s)ψs (t, s) dt ds (4.3)
IR IR2
4.1. LE DISTRIBUZIONI 265
supp φ = cl {x | φ(x) 6= 0} .
Una funzione definita su IRn , di classe C ∞ ed a supporto compatto si chiama
una funzione test su IRn .
L’insieme delle funzioni test è ovviamente uno spazio lineare che si indica
col simbolo D(IRn ). Nello spazio D(IRn ) si definisce una topologia la cui
descrizione è piuttosto complessa. Limitiamoci a definire la convergenza di
successioni:
266 CAPITOLO 4. DISTRIBUZIONI E TRASFORMATA DI FOURIER
Definitione 338 Sia (φn ) una successione in D(IRn ) e sia φ ∈ D(IRn ). Dicia-
mo che
lim φn = φ
se:
• Esiste un compatto K che contiene i supporti sia delle φn che di φ;
α = (k1 , k2 , . . . , kn ) , ki ≥ 0 .
La lunghezza di α è
|α| = k1 + k2 + · · · + kn .
Al multiindice α si associa l’operatore di derivata parizale
∂ |α|
Dα = .
∂xk1 ∂xk22 · · · ∂xknn
1
D α φn → D α φ
4.1.2 Le distribuzioni
Si chiama distribuzione un funzionale lineare e continuo su D(IRn ); ossia, una
distribuzione è un funzionale lineare χ su D(IRn ) tale che
Esempio 340 Sia f (x) una funzione su IRn che è localmente integrabile, ossia
tale che Z
|f (x)| dx < +∞
K
per ogni compatto K.
Se φn → 0 in D(IRn ) allora esiste un compatto K che contiene i supporti
di tutte le φn e quindi
Z Z
f (x)φn (x) dx = f (x)φn (x) dx .
IRn K
ossia, la trasformazione
Z
φ → hhDf , φii = f (x)φ(x) dx
IRn
Esempio 343 Sia f (x) una funzione definita su una superficie Σ, localmente
integrabile su Σ. E’ una distribuzione la trasformazione
Z
φ→ f (x)φ(x) dΣ .
Σ
Esempio 344 Sia f (x) una funzione definita su una superficie Σ, localmente
integrabile su Σ. E’ una distribuzione la trasformazione
d
Z
φ→ f (x) φ(x) dΣ
Σ dn
dove d/ dn indica la derivata normale a Σ. Si interpretra questo numero come
ottenuto da una distribuzione di dipoli su Σ, ciascuno di asse perpendicolare
a Σ. Questa distribuzione si chiama distribuzione di doppio strato su Σ, di
densità f (x).
converge in (D(IR))′ alla δ di Dirac. Si dice più brevemente che “le identità
approssimate approssimano la δ di Dirac”.
Nello spazio (D(IRn ))′ possono definirsi altre operazioni. Tra queste:
suggerisce di definire
Ossia,
DDf = Df ′ . (4.4)
Dunque,
DDh = δ
non è una distribuzione regolare.
Iterando questo procedimento si vede che
φ(·, z + h) − φ(·, z)
−→ φz (·, z) (4.6)
h
nel senso di D(IRk ). Infatti, i rapporti incrementali hanno supporto in un
medesimo insieme compatto e inoltre
" #
φ(·, z + h) − φ(·, z)
− φz (·, z) ≤ h max ||∇φ(y, z)|| .
h
(y,z)
d φ(·, z + h) − φ(·, z)
hhχ, φ(·, z)ii = lim hhχ, ii = hhχ, φz (·, z)ii . (4.7)
dz h→0 h
In particolare, la funzione z → hhχ, φ(·, z)ii, che ha supporto compatto, è
continuamente derivabile.
Notando che anche la funzione φz (y, z) è una funzione test, l’argomento
precedente può iterarsi e si conclude che la funzione z → hhχ, φ(·, z)ii è una
4.1. LE DISTRIBUZIONI 275
funzione test. Dunque, ad essa può applicarsi una ξ ∈ (D(IRn−k ))′ , ossia si
può considerare il funzionale
χξ = ξχ .
Scrivendo
si vede che
ǫ0
hhχ, φk (·, z0 )ii >
2
in contrasto col fatto che, invece, hhχ, φk (·, z0 )ii → 0 dato che, come abbiamo
notato, φk (·, z0 ) tende a zero in D(IRk ).
276 CAPITOLO 4. DISTRIBUZIONI E TRASFORMATA DI FOURIER
Siano δ(y) e δ(z) la delta di Dirac di IR. La δ di Dirac non è una funzione e
quindi la notazione δ(y) non indica il “valore in y”. Questa notazione si usa
per dire che δ(y) agisce sulla variabile y. Ossia che:
Analogo significato per δ(z). Sia invece δ(x) = δ(y, z) la delta di Dirac su IR2 .
Mostriamo che
δ(y, z) = δ(x)δ(z) .
Questo si vede facilmente notando che
e quindi
hhδ(z), ψ(z)ii = φ(0, 0) = hhδ(x), φii .
Esempio 353 Sia χ una distribuzione a supporto in una palla ||x|| < R di IRn
e sia v ∈ IRn un vettore fissato. Consideriamo le traslazioni Tnv e mostriamo
che
lim Tnv χ = 0 .
4.1. LE DISTRIBUZIONI 277
Esempio 355 All’esempio 350 √ abbiamo calcolato la derivata di log |x|. Con-
sideriamo ora la funzione log x + y su IR2 . Si vede facilmente che questa
2 2
Si ha quindi
∂
Z q
− log x2 + y 2 ds =
φ(x, y)
Cǫ ∂ν " #
1 h
Z 2π i − cos θ
− φ(ǫ cos θ, ǫ sin θ) 2 ǫ cos θ ǫ sin θ ǫ dθ
0 ǫ − sin θ
Z 2π
= φ(ǫ cos θ, ǫ sin θ) dθ → 2πφ(0, ) .
0
uniformemente su IR.
L’immediata dimostrazione si omette.
In realtà lo spazio L1 (IR) è troppo piccolo per la maggior parte delle appli-
cazioni nelle quali la trasformata di Fourier interviene. Però, come primo pas-
so, limitiamoci a studiare le proprietà della trasformata di Fourier di funzioni
integrabili.
Vale:
Teorema 357 Se f ∈ L1 (IR) allora la sua trasformata di Fourier è uniforme-
mente continua su IR.
Dim. E’: Z +∞ ′
fˆ(ω) − fˆ(ω ′ ) = [eiω − eiω ]f (t) dt .
−∞
Allora,
Z
−Tǫ ′
|f (ω) − f (ω ′)| = [eiωt − eiω t ]f (t) dt
−∞
Z
Z Tǫ +∞
iωt iω ′ t ′
[eiωt − eiω t ]f (t) dt
+ [e − e ]f (t) dt +
−Tǫ −Tǫ
ǫ
Z Tǫ
′
≤ + |e−iωt − e−iω t | |f (t)| dt
2 −Tǫ
ǫ
Z +∞
−iωt −iω ′ t
≤ + max |e −e | |f (t)| dt .
2 t∈[−Tǫ ,Tǫ ] −∞
4.2. LA TRASFORMATA DI FOURIER DI FUNZIONI 281
allora
′ ǫ
|eiωt − eiω t | < R +∞ .
[2 −∞ |f (t)| dt]
′
Dunque, per |ω − ω | < σǫ /Tǫ vale
ˆ
|f(ω) − fˆ(ω ′)| < ǫ .
esiste in L1 (IR) (non è detto che debba esistere puntualmente). Vale inoltre
1
dalla teoria dell’integrazione secondo Lebesgue.
2
relativo allo scambio di ordine di integrazione dell’integrale di Lebesgue.
282 CAPITOLO 4. DISTRIBUZIONI E TRASFORMATA DI FOURIER
• f ∗ (g + h) = f ∗ g + f ∗ h;
• f ∗ g = g ∗ f.
Ovviamente:
lim fˆ(ω) = 0 .
|ω|→+∞
4.2. LA TRASFORMATA DI FOURIER DI FUNZIONI 283
Figura 4.1:
1
0.9
0.8
0.7
0.6
0.5
0.4 f(t)=e−5(t−.2)
2
−5(t+.2)
f(t)=e
0.3
0.2
0.1 2
(−5t )
f(t)=e
0
−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2
π
Si faccia la sostituzione t = τ + ω
e si noti che
Si trova: Z +∞
ˆ
f(ω) =− f (τ + π/ω)e−iωτ dτ . (4.11)
−∞
cosı̀ che
1 +∞
Z
ˆ
|f(ω)| ≤ |f (τ ) − f (τ + π/ω)| dτ .
2 −∞
Essendo f ∈ L1 (IR), il membro destro tende a zero per |ω| → +∞, dal
teorema 360.
Osserviamo ora:
284 CAPITOLO 4. DISTRIBUZIONI E TRASFORMATA DI FOURIER
(F f ′) (ω) = iω fˆ(ω) .
Dim. L’uguaglianza
Z T
f (T ) = f (0) + f ′ (s) ds
0
e l’integrabilità di f e di f ′ mostrano
lim f (T ) = 0 .
|T |→+∞
Scriviamo ora
Z +T Z +T
e−iωt f ′ (t) dt = e−iωT f (T ) − eiωT f (−T ) + iω e−iωt f (t) dt .
−T −T
Teorema 363 Se f (t) e tf (t) sono ambedue integrabili, allora fˆ(ω) è deriva-
bile, con derivata
d ˆ
Z +∞
f(ω) = e−iωt [−itf (t)] dt .
dω −∞
h(t) = e−|t| .
(si veda (4.12)) e quindi la funzione continua fˆ è integrabile su IR. Ciò mostra
che l’integrale in (4.15) ha senso. Inoltre, l’integrabilità di f ′ mostra che f è
limitata.
Consideriamo l’uguaglianza (4.13). Usando (4.14), questa si scrive
1 +∞ +∞
Z Z
−isr −ν|r|
f (t) = lim f (t − s) e e dr ds .
2π ν→0+ −∞ −∞
Si scriva quindi
Z +∞
−x2 /2 −iωx −ω 2 /2
√ Z +∞ √ √
2)+i(ω/ 2)]2
√ √
e e dx = e 2 e−[(x/ d[(x/ 2) + i(ω/ 2)]
−∞ −∞
−ω 2 /2
√ Z +∞
−s2
√ 2 /2
=e 2 e ds = 2πe−ω .
−∞
F f = fˆ .
Notando che
Z +∞ Z +∞
f (x)eiωx dx = ¯
f(x)e ¯
−iωx dx = F (f)(ω) ,
−∞ −∞
4
Le proprietà di questo spazio sono state studiate al paragrafo 4.1.1. Non è però
necessario conoscerle per leggere questa parte sulla trasformata di Fourier.
5
che non abbiamo provato
4.2. LA TRASFORMATA DI FOURIER DI FUNZIONI 289
In particolare,
+∞ 1 +∞
Z Z
¯
f(x)g(x) dx = fˆ(ω)ĝ(ω) dω . (4.17)
−∞ 2π −∞
la (4.18) si scrive
hhfˆ, gii = hhf, ĝii . (4.20)
Osservazione 369 Si noti che il funzionale hhx, yii è lineare sia in x, tenendo
y costante, che in y, tenendo x costante.
F̃ G̃ = G̃ F̃ = I ,
ossia:
Si noti che una proprietà analoga non vale né su L1 (IR) né su D(IR).
Ricapitolando, abbiamo esteso la trasformata e l’antitrasformata di Fourier
ad L2 (IR) per continuità. Si sa, dal teorema 257 che l’estensione per continuità
può anche costruirsi calcolando aggiunti. Consideriamo quindi due funzioni f
e φ ambedue in D, che è un s.spazio denso di L2 (IR). La formula di Plancerel
mostra che
hhF f, φii = hF f, φ̄i = hf, F ∗ φ̄i .
E’ immediato calcolare che:
F ∗ φ̄ = F φ = φ̂ .
Converrà quindi usare, come punto di partenza per l’estensione della tra-
sformata di Fourier, la formula di Plancherel (4.20). Va notato subito però
che lo spazio D è troppo piccolo. In particolare, la trasformata di Fourier
di una φ ∈ D non appartiene a D. Vedremo però al paragrafo successivo lo
spazio S, più grande di D, ancora denso sia in L1 (IR) che in L2 (IR) e su cui la
trasformata di Fourier è invertibile. Gli argomenti appena presentati valgono
anche sostituendo ovunque D con S.
Concludiamo questa parte esaminando l’esempio seguente:
sin ω
2
ω
Si trova quindi
2
+∞ sin ω
Z
dω = π .
−∞ ω
E’ chiaro che S è un sottoinsieme sia di L1 (IR) che di L2 (IR) e che per gli
elementi di S valgono sia la formula della trasformata che dell’antitrasformata
di Fourier:
1 +∞ iωt
Z +∞ Z
−iωt
φ̂(ω) = e φ(t) dt , φ(t) = e φ̂(ω) dω .
−∞ 2π −∞
Vogliamo mimare su S la costruzione della trasformata ottenuta per dualità
su L2 (IR). Per questo è necessario munire S di una topologia la quale tenga
conto della proprietà (4.23). E’ un fatto che ciò non può farsi introducendo
una norma in S. D’altra parte, la definizione della topologia porterebbe via
troppo tempo. Dunque limitiamoci a introdurre un concetto di convergenza
di successioni in S.
Per definizione,
lim φn (x) = 0
quando per ogni k intero non negativo e per ogni r intero non negativo si ha
lim xk φ(r)
n (x) = 0
n
uniformemente su IR.
Esplicitamente questo vuol dire che per ogni ǫ > 0 esiste N = N(ǫ, k, r)
tale che se n > N(ǫ, k, r) allora
|xk φ(r)
n (x)| < ǫ .
φ → φ+ψ, φ → αφ
φ(x) → p(x)φ(x)
è continua.
Sono anche continue le trasformazioni seguenti:
φ(x) → φ(rx) , r ∈ IR
φ(x) → φ(k) (x) .
φ(x) → f (x)φ(x)
converge in S ′ alla δ di Dirac. Si dice più brevemente che “le identità appros-
simate approssimano la δ di Dirac”.
dr k
x φn (x)
dxr
296 CAPITOLO 4. DISTRIBUZIONI E TRASFORMATA DI FOURIER
xj φ(m) (x)
4
Questo mostra che ex non è una distribuzione temperata regolare. Per mo-
strare che non è nemmeno una distribuzione temperata, usiamo di nuovo il
Teorema 378. Sia {φn } una successione in D(IR) che tende a ψ nel senso di S.
Possiamo supporre che per ogni x sia
Si trova:
dk r
" #
Z +∞
r+k k −iωx
(−1) (i) e x ψn (x) dx
−∞ dxk
k
e−iωx
" #
2 d
Z +∞
r+k k
= (−1) (i) 2
(1 + x ) k xr ψn (x) dx .
−∞ 1+x dx
Sia ora ǫ > 0. Esiste N(ǫ, k, r) tale che
dk r
n > N(ǫ, k, r) =⇒ (1 + x2 ) x ψ (x) <ǫ
n
dxk
6
concernente lo scmbio dell’integrale di Lebesgue con i limiti.
298 CAPITOLO 4. DISTRIBUZIONI E TRASFORMATA DI FOURIER
dr
Z +∞
k
ω e−iωx ψn (x) dx ≤ πǫ .
dω r −∞
φ → hhl, φ̂ii .
Vogliamo provare che lim ˆln = ˆl0 . Ogni φ̂ è in S e quindi la precedente si scrive,
scegliendo per φ la φ̂:
con f (x) integrabile su IR, si chiama distribuzione regolare che, per chiarez-
za, indicheremo col simbolo Df (ma che in pratica si indica col simbolo f ,
confondendo il simbolo della funzione e della distribuzione da essa identificata).
Conviene ora vedere il calcolo di alcune trasformate.
In particolare,
Esempio 384 Consideriamo ora la funzione f (t) = eiαt , che non è né inte-
grabile né a quadrato integrabile, e quindi non ha trasformata di Fourier nel
senso che abbiamo introdotto per le funzioni. Nel senso delle distribuzioni, la
sua trasformata di Fourier è
Z +∞
φ → hhDf , φ̂ii = eiαx φ̂(x) dx = 2πφ(α) .
−∞
si vede che
F (eiαx ) = 2πδα .
Usando le formule di Eulero,
δ̂ = 1 ;
4.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE 301
Osservazione 386 Si è detto, nell’esempio 352 del paragrafo 4.1.3 che per
indicare una distribuzione χ che agisce sulle funzioni φ della variabile x si indica
anche la notazione χ(x), anche se ovviamente non ha alcun senso parlare del
“valore in x” della distribuzione χ. Analogamente, per indicare Th χ è comune
scrivere χ(x − h). Con queste notazioni si ha:
eiαx 2πδ(ω − α)
1 2πδ(ω)
δ 1
sin αx = −iπ{δ(ω − α) − δ(ω + α)}
cos αx π{δ(ω − α) + δ(ω + α)}
φ → Dφ = φ′
da S in sé, definiremo
hhD ∗ l, φii = hhl, Dφii .
Si esamini l’effetto di D ∗ sulle distribuzioni regolari e si chiarisca perché invece
di “D ∗ ” si usa il simbolo “−D”:
Dl = l′ .
Du = δ .
304 CAPITOLO 4. DISTRIBUZIONI E TRASFORMATA DI FOURIER
Dunque,
1
hhF (Ra l), φii = hhl, F (Ra φ)ii = hhR∗a ˆl, φii = hh Ra ˆl, φii :
|a|
1
F (Ra l) = R1/a ˆl .
|a|
Veniamo infine alla trasformata della derivata di una distribuzione:
hhF (Dl), φii = hhDl, φ̂ii = −hhl, Dφ̂ii = −hhl, F (M−it φ)ii = −hhM−it ˆl, φii
e quindi
F (Dl) = iω ˆl .
Ciò mostra che l’azione di certe distribuzioni viene descritta mediante integrali
dipendenti da parametri, e loro limiti. Noi non presentiamo questo aspetto
del problema. Diciamo solamente che in questo modo si riesce a dare senso
all’espressione û = 1/(iω).
hhl, ψii
φ → hhl ∗ m, φii
10
abbiamo usato anche il simbolo l(x). In questo paragrafo è probabilmente più chiaro
usare il simbolo lx che meno ricorda quello di una funzione della variabile x.
4.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE 307
continua su S.
Di conseguenza, la possibilità di definire la distribuzione l ∗m dipende dalle
proprietà delle distribuzioni con cui si lavora. I dettagli di quest’argomento
sono piuttosto delicati e noi ci limitiamo ad enunciare i due risultati seguenti.
Definiamo prima: una distribuzione l ha supporto in un insieme chiuso K
quando hhl, φii = 0 per ogni φ ∈ S il cui supporto non interseca K; ossia che è
nulla in un aperto contenente K.
Vale:
Teorema 392 La formula (4.25) definisce la convoluzione delle due distribu-
zioni temperate l ed m in uno dei due casi seguenti:
• almeno una delle due distribuzioni ha supporto compatto;
l ∗ (h + k) = l ∗ h + l ∗ k ,
(l + m) ∗ h = l ∗ h + m ∗ h ;
• associatività:
l ∗ (h ∗ k) = (l ∗ h) ∗ k ;
• commutatività:
h ∗ k = k ∗ h;
• regola di derivazione:
F (l ∗ h) = ˆl(ω)ĥ(ω) ;
δ ∗ h = h.
308 CAPITOLO 4. DISTRIBUZIONI E TRASFORMATA DI FOURIER
Dunque,
l ∗ (δ ′ ∗ u) = l .
Anche (l ∗ δ ′ ) può calcolarsi, dato che δ ′ ha supporto compatto e si vede
facilmente che
l ∗ δ′ = δ .
Dunque,
(l ∗ δ ′ ) ∗ u = δ ∗ u .
Calcoliamo esplicitamente δ ∗ u.
Ricordiamo che
Z +∞
ψ(y) = hhux , φ(x + y)ii = φ(x + y) dx
0
cosı̀ che Z +∞
hhδ, ψii = ψ(0) = φ(x) dx = hhu, φii .
0
Si è quindi trovato δ ∗ u = u, ossia
(l ∗ δ ′ ) ∗ u = u 6= l = l ∗ (δ ′ ∗ u) .
Dunque, in questo caso la proprietà associativa non vale.
4.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE 309
come volevamo.
Una via un po’ più involuta per arrivare allo stesso risultato è la seguen-
te. Conviene vederla perché suggerisce un modo semplice per calcolare la
trasformata di Fourier del treno d’impulsi.
Consideriamo l’estensione periodica, di periodo 1, della funzione
(se vogliamo una funzione definita su IR si può anche imporre f (0) = 0).
Dunque,
1 1
se n < x < n + 1 allora f (x) = x − (n + 1) + =x−n− .
2 2
Il grafico della funzione è nella figura 4.2. Essendo f (x) limitata su IR, essa
Figura 4.2:
1.5
0.5
−0.5
−1
−1.5
−4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4
1 − Df
+∞
1 X 1
fˆ(ω) = i
X
[δ(ω − 2nπ) − δ(ω + 2nπ)] = i δ(ω − 2nπ)
n=1 n n6=0 n
X 1
= −i δ(ω + 2nπ) .
n6=0 n
ˆ
X ω
F (1 − Df ) = 2πδ(ω) − iω f(ω) = 2πδ(x) + δ(ω + 2nπ)
n6=0 n
+∞
X 2nπ X
= 2πδ(ω) + δ(ω + 2nπ) = 2π δ(ω − 2nπ) . (4.29)
n6=0 n n=−∞
11
si ricordi che:1) la notazione δ(x) si usa per indicare che la distribuzione agisce su
funzioni della variabile x; 2) la notazione δ(x − a) si usa per indicare la distribuzione δa ; 3)
per ogni polinomio vale p(x)δ(x − a) = p(a)δ(x − a), si veda la (4.24).
312 CAPITOLO 4. DISTRIBUZIONI E TRASFORMATA DI FOURIER
f (t) ˆ
f(ω)
2
e−|t| 1+ω 2
sin ωT
χ[−T,T ] (t) ω
2 √ −ω 2 /2
e−x /2 2πe
eiαt 2πδα
sin αx −iπ{δα − δ−α }
cos αx π{δα + δ−α }
δ 1
1 2πδ
R +∞
Heaviside φ→ 0 φ̂(ω) dω
314
immagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5, 55 Palla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
insieme aperto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 polinomi di Hermite . . . . . . . . . . . . . . . 187
— convesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 — di Laguerre . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187
— equilibrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .56 — di Legendre . . . . . . . . . . . . . . . . . 187
— limitato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 — ortogonali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181
— risolvente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 — ortogonali classici . . . . . . . . . . . .187
integrale di Stiltjes . . . . . . . . . . . . . 79, 132 prima formula del risolvente . . . . . . . 151
intorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 procedimento diagonale di Cantor . .122
inverso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135, 138 prodotto cartesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
— destro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 — di una distribuzione
— sinistro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 con una funzione . . . . . . . . . . . . 266
iperpiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 — diretto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 271
— di supporto . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 — interno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161
proiezione . . . . . . . . . . . . . . . . . 85, 149, 168
Lemma di Riesz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 punto fisso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 152
— di Zorn . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
lunghezza (di un multiindice) . . . . . . 262 Raggio spettrale . . . . . . . . . . . . . . . . . 145, 254
rappresentazione polare . . . . . . . . . . . . 243
Maggiorante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .107 realizzazione
massimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 (di uno spazio duale) . . . . . . . . . . . 71, 123
metodo di Gram–Schmidt . . . . . . . . . .176 relativamente compatto . . . . . . . . . . . . . 48
— diagonale di Cantor . . . . . . . . . . . 54
multiindice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 262
Segmento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
semicontinità . . . . . . . . . . . . . . . . . 105, 230
Norma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .14 — inferiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114
— indotta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 semispazi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64
norme equivalenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 separazione (di insiemi convessi) . . . . 99
nucleo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3, 5, serie di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . 90, 181
— (di un operatore) . . . . . . . . . . . . . 55 — di Fourier astratte . . . . . . . . . . . 180
— degenere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3, 8 — di Fourier-Bessel . . . . . . . . . . . . .205
— di Dirichlet . . . . . . . . . . . . . . 91, 185 — di von Neumann . . . . . . . . . . . . . 138
sistema ortonormale massimale . . . . 180
Omotetia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23, 265 sottodifferenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . .104
operatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 spazi di Hardy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
— aggiunto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .212 — di Sobolev . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
— autoaggiunto . . . . . . . . . . . . . . . . 219 — prehilbertiani . . . . . . . . . . . . . . . . 164
— chiuso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84, 214 — riflessivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119
— compatto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 235 spazio lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
— di Bessel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 200 — lineare normato . . . . . . . . . . . . . . .14
— identità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 — lineare separabile . . . . . . . . . . . . . 17
— lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 — complementare . . . . . . . . . . . . . . . 41
— modulo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 242 — di Banach . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 31
— nullo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 — di Hilbert . . . . . . . . . . . . . . . 161 164
— positivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 242 — duale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65
— risolvente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140 — duale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
— simmetrico . . . . . . . . . . . . . 175, 220 spettro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7, 140
ortogonale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5, 176 — continuo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140
ortogonalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162 — di punti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140
ortonormale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 176 — residuo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140
316
subadditività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 146
successione fondamentale . . . . . . . . . . . 16
— minimizzante . . . . . . . . . . . 113, 230
superficie sferica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
supporto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 260, 261
supporto di una distribuzione . 302, 272
Sviluppi in serie di Fourier-Bessel . . 181
Teorema del doppio limite . . . . . . . . . . . . . 38
— della limitatezza uniforme . . . . 83
— della mappa aperta . . . . . . . . . . . 83
— delle contrazioni . . . . . . . . . . . . . 153
— delle proiezioni . . . . . . . . . . . . . . 168
— di Alaoglu . . . . . . . . . . . . . . 119, 234
— di Ascoli-Arzelà . . . . . . . . . . . . . . 50
— di Banach . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83
— di Banach-Steinhaus . . . . . . . . . . 82
— di Baire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
— di Hahn-Banach . . . . . . . . . . 78, 96
— di Lebesgue . . . . . . . . . . . . . . . . . 278
— di Mazur . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119
— di Pitagora . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164
— di Riemann-Lebesgue . . . . . . . . 279
— di Riesz . . . . . . . . . . . . . 81, 133, 210
— di Riesz–Fischer . . . . . . . . . . . . . 179
— di Weierstrass . . . . . . . 40, 113, 230
topologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
trasformata di Fourier . . . . . . . . 185, 275
— di Fourier di
distribuzioni temperate . . . . . . 294
trasformazione antilineare . . . . . . 71, 123
traslazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23, 139
treno d’impulsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 305
Uniforme limitatezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . .49
Valori singolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241