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PARTE PRIMA: SOCIETA’ DIRITTO E STATO

CAPITOLO 1: COMUNITÀ E DIRITTO

PARAGRAFO 1: I GRUPPI E GLI INTERESSI SOCIALI ED IL LORO PRINCIPIO


ORDINATORE. FENOMENO GIURIDICO E FENOMENO ASSOCIATIVO

L’uomo vive in continua relazione con i suoi simili, assieme ai quali costituisce dei gruppi sociali più o meno
complessi ed articolati e dotati del carattere della stabilità. Di questi gruppi vi entra a far parte o necessariamente, cioè
senza alcuna determinazione di volontà (per esempio far parte del gruppo sociale stato per il solo fatto di essere nato
da padre o madre cittadini italiani) o volontariamente, quando si associa ad un gruppo già costituito o ne costituisce
uno insieme ad altri.
La ragione per cui l’uomo tende ad unirsi ad altri uomini è che certi interessi non possono essere soddisfatti
dall’individuo isolato, bensì soltanto collettivamente.
Gli interessi che il gruppo sociale tende a soddisfare si distinguono in individuali (si riferiscono a singoli componenti)
e collettivi (sono comuni a tutti i componenti del gruppo). A loro volta, gli interessi individuali possono essere
puramente egoistici o collettivi, cioè quando possono essere soddisfatti solo in forma associata. Se ci si allontana
dall’interesse individuale nelle sue due forme di interesse egoistico e di componente e di interesse collettivo e si fa
riguardo all’interesse dell’intero gruppo, considerato come entità a sé stante, si avrà l’interesse generale.
Una particolare rilevanza assumono i cosiddetti interessi diffusi, alcuni dei quali hanno per oggetto beni come il
paesaggio, l’ambiente o la salute, direttamente tutelati dalla costituzione. Tuttavia, l’interesse alla conservazione e alla
fruizione di questi beni non può essere definito collettivo, perché esso non riguarda l’individuo che specificamente fa
parte di una determinata collettività e perché per il suo soddisfacimento il singolo non ha bisogno di associarsi agli
altri. Pertanto, gli interessi diffusi si caratterizzano per non avere un loro centro di riferimento ed essere i propri di una
serie aperta ed indeterminata di soggetti non collegati tra di loro da alcun vincolo associativo.
Dunque, gli interessi umani possono essere rappresentati da una graduazione che dall’interesse individuale-egoistico
giunge, attraverso l’interesse individuale-collettivo, fino all’interesse generale, che li racchiude tutti.
Tutti gli interessi umani appaiono ordinati secondo un principio di confliggenza-composizione esistente sia tra
interessi dello stesso grado, sia tra gli interessi di grado diverso.
Un gruppo sociale può dirsi costituito quando allo stadio irrazionale del principio di confliggenza-composizione si
sovrappone un altro principio ordinatore, che lo disciplina per assicurare la coesione interna del gruppo. Questo
principio ordinatore rappresenta la causa prima della formazione del gruppo, la sua condicio sine qua non. Esso
esprime la volontà del gruppo e di superare lo stadio irrazionale di confliggenza degli interessi.
Quindi, un gruppo sociale viene ad esistenza ancora prima che esso si dia delle regole che servono per disciplinare le
procedure di composizione degli interessi e le strutture sociali. Esse verranno dopo, soltanto quando si è prodotto un
fatto razionale che ha generato il vincolo associativo.
Queste regole sono chiamate regole organizzative, perché hanno l’essenziale funzione organizzativa, cioè dovranno
dare al gruppo il carattere della stabilità e della continuità nel tempo e lo faranno predisponendo per esempio le
procedure per il soddisfacimento degli interessi, ripartendo i compiti tra gli associati, stabilendo a chi spetti la
direzione del gruppo. Tuttavia, perché il gruppo sociale sia realmente esistente, è necessario che questa
organizzazione sia operante, cioè che queste regole vengano osservate spontaneamente o fatte osservare
coattivamente e che, in caso di loro violazione, venga applicata una sanzione. L’osservanza di queste regole deve
essere sorretta dall’intimo e diffuso convincimento all’interno del gruppo che tali regole assicurano la sussistenza del
gruppo sociale.
Principio ordinatore e organizzazione sono alla base del gruppo ed imprimono ad esso il carattere della giuridicità ad
ogni consociazione umana. E poiché non ci può essere società senza la compresenza di un principio ordinatore e di
una organizzazione, ne deriva che il fenomeno giuridico connaturato al fenomeno associativo (ubi societas ibi ius).
Le regole organizzative, essendo dirette a determinare strutture e procedure per la composizione degli interessi, non
assumono alcuna qualificazione e sono fini a se stesse. In ogni gruppo sociale ci sono altre regole che esprimono
giudizi di valore e stabiliscono che determinati interessi assumono rilevanza rispetto ad altri e devono essere tutelati a
preferenza di altri. Queste regole vengono chiamate regole istituzionali ed esprimono i valori e gli interessi alla base
del gruppo e per il cui soddisfacimento e tutela il gruppo si è costituito. Queste regole sono l’espressione linguistico-
formale di un valore immanente nel gruppo e vengono definite istituzionali proprio perché esprimono i valori intorno
ai quali il gruppo si è costituito e proprio per questo troveranno effettiva e piena corrispondenza nella realtà sociale.

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Queste regole dovranno essere linguisticamente formulate in modo tale da consentire all’interprete di individuare
l’interesse in essa obiettivizzato, ma non sempre ciò accade e per questo spesso l’applicazione giudiziale della legge
non sempre risulta uniforme.
Le regole istituzionali, in quanto espressione del principio ordinatore e dei valori propri del gruppo, sono strettamente
collegate a questi ultimi; tuttavia se sul piano astratto esistono valori assoluti come la libertà, la giustizia, la morale,
nella loro disciplina positiva questi valori si atteggiano in maniera diversa. Di conseguenza, anche le regole
istituzionali saranno diverse pur richiamandosi sempre agli stessi valori.
Il diritto, dunque, perché sia veramente tale dovrà essere l’espressione, il prodotto e la vita stessa di una determinata
comunità sociale in un determinato momento storico.

PARAGRAFO 2: LA COSTITUZIONE IN SENSO MATERIALE

Il problema della fonte prima e suprema dell’ordine normativo è stato preso in esame dal Mortati con la teoria della
costituzione materiale. Per costituzione materiale il Mortati intende “ quel nucleo essenziale di fini e di forze che
regge ogni singolo ordinamento positivo” la costituzione in senso materiale si identifica nelle forze politiche
organizzate che in un determinato momento storico riescono ad interpretare attivamente l’interesse generale della
comunità politica. Per il Mortati la costituzione materiale rappresenta la fonte giuridica primigenia e la sua funzione è
quella di identificare quelle norme, nelle quali sono sanciti i principi fondamentali di un determinato ordinamento,
principi di natura tale che, se vengono sovvertite, lo stesso ordinamento cessa di esistere.
Mortati ha precisato anche che il diritto non è l’insieme delle norme contenute in un testo di legge, ma il diritto
vivente, cioè quel complesso ordinato di situazioni e di rapporti che a un centro di autorità e che può essere anche
contrastante con il diritto legale.
La costituzione materiale acquista grande valore quando si mette a confronto l’assetto determinato dalle forze
politico-sociali (la realtà politica) con le prescrizioni della costituzione formale, data dal documento in cui vengono
racchiuse le norme costituzionali. Le due costituzioni, infatti, possono in tutto o in parte, divergere: in questo caso si
dovranno eliminare le ragioni del contrasto o modificando la costituzione formale per adeguarla a quella materiale
(ciò accade quando i valori e le previsioni costituzionali conservano la loro vigenza, ma non vengono comunque
attuati o vengono attuati in modo distorto dalle forze politiche che hanno assunto il governo) oppure affermando la
forza e la preminenza della costituzione formale. In ambedue i casi, la costituzione materiale dà vita alla costituzione
effettivamente vigente.
Il maggior merito della teoria di Mortati è quello di aver collegato l’ordine reale all’ordine giuridico, identificando la
fonte suprema dell’ordinamento nell’organizzazione delle forze sociali stabilmente ordinate intorno ad un sistema di
interessi e di fini ha detto esse corrispondenti.

PARAGRAFO 3: LA DOTTRINA DEL DIRITTO NATURALE. LA PLURALITÀ DEGLI


ORDINAMENTI GIURIDICI. SOCIALITÀ E STORICITÀ DEL DIRITTO.

Si possono fare delle considerazioni finali.


1) DIRITTO NATURALE: Prima di tutto, il fenomeno giuridico è un fenomeno sociale, nel senso che esso è proprio
delle società umane. Il fenomeno giuridico, infatti, non si rinviene in natura e perciò non può essere considerato come
fenomeno naturale, a meno che non si intenda il fenomeno giuridico come naturale, perché intimamente legato
all’uomo.
Dei riferimenti alla natura si hanno anche da parte della dottrina del diritto naturale: questo diritto si distinguerebbe
dal diritto positivo perché trova il suo fondamento nella natura. Nel corso dei secoli sono stati elaborate diverse idee
di diritto naturale, ma possono individuarsi due precise tendenze: secondo la prima, il diritto naturale avrebbe i
caratteri dell’assolutezza, dell’eternità, della certezza e dell’oggettività. Esso sarebbe il solo diritto giusto ed il solo
vero diritto. La seconda più recente tendenza sostiene che anche il diritto naturale andrebbe ricollegato all’uomo che
alla storicità della condizione umana. Il diritto naturale sarebbe anch’esso condizionato dall’individuo e dalla società,
dal particolare momento storico e dal sistema di valori di riferimento.
La ricerca della dottrina del diritto naturale risponde all’esigenza di sottrarre il diritto positivo alla mutevolezza del
divenire quotidiano. Al diritto naturale vengono riportati il principio di uguaglianza e le varie libertà civili, oltre ad
alcune norme costituzionali, come l’articolo 2, l’articolo 3, l’articolo 29 e l’articolo 42. Attualmente, però, è difficile
individuare una fonte unica per alcuni tipi di valori, visto che esistono una pluralità di sistemi giuridici ispirati a
principi fondamentali diversi e talvolta contrastanti e che le varie culture esprimono valori diversi o interpretano
diversamente gli stessi valori.
2) PLURALITA’ DEGLI ORDINAMENTI GIURIDICI: se è vero che il fenomeno giuridico è connaturato al
fenomeno associativo, ne discende che gli ordinamenti giuridici possibili e sono tanti quanti sono i gruppi sociali. Il
diritto non è prodotto soltanto dallo stato ma da ogni altro gruppo sociale, anche se piccolo o semplice. Per questo

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motivo, viene riconosciuta ai gruppi sociali stanziati sul territorio una certa autonomia, cioè la potestà di darsi un
proprio ordinamento, le cui norme hanno la stessa natura di quelle statali.
Ovviamente, la molteplicità e la varietà dei gruppi sociali e la conseguente pluralità degli ordinamenti giuridici deve
essere ricondotta alla armonia, in modo che sia assicurato un ordinato svolgimento della vita sociale. Per questo si
rende necessario assegnare ad uno dei possibili gruppi sociali e dei possibili ordinamenti una posizione di preminenza
su tutti gli altri, per consentirgli di regolare secondo leggi da esso stesso dettate, sia i rapporti interindividuali sia i
rapporti con le collettività minori comprese nel suo ambito. Questo gruppo sociale sarà individuato nello stato, perché
la comunità statale è la maggiore fra tutte e l’unica alla quale possano riferirsi interessi veramente generali. La
posizione di preminenza dello stato viene espressa dalla preminenza riconosciuta agli interessi generali rispetto agli
interessi collettivi, settoriali o individuali: questi ultimi tipi di interessi, infatti, saranno riconosciuti soltanto se non si
porranno in contrasto con l’interesse generale.
Queste osservazioni valgono per quanto riguarda il rapporto tra lo stato e le collettività minori comprese nello stato,
ma non saranno più valide nella comunità internazionale, che una comunità tra eguali, nella quale a ciascuno stato
vengono riconosciute, in pari misura, situazioni giuridiche attive e passive.
3)l’ultima considerazione parte dal fatto che il diritto non si autogenera, ma è generato ed è il prodotto di una fonte
variamente identificata nella natura, nella norma fondamentale, nell’istituzione, nella costituzione in senso
materiale…
Tuttavia, c’è da dire che il fenomeno giuridico nasce col nascere di un gruppo sociale, cioè esso si rinviene là dove c’è
stato un fatto razionale di composizione di interessi ed una o più regole che esprimono valori e stabiliti hanno nel
tempo le procedure di composizione degli interessi configgenti e le strutture necessarie per mettere in atto queste
procedure. Viene così riaffermata la socialità e della storicità del diritto: non ci sarebbe società se non ci fosse il
diritto. Gruppo sociale e diritto si implicano a vicenda.
In conclusione, si può dire che la fonte prima del diritto deve rinvenirsi nella necessità dell’uomo di associarsi ad altri
uomini per soddisfare quegli interessi che da solo non può perseguire. Questa necessità è nello stesso tempo un fatto
naturale, perché espressione della tendenza dell’uomo a non vivere isolato, è di un fatto razionale, perché l’associarsi
degli uomini è determinato e regolato dalla ragione e non lasciato, invece, al caso o all’istinto.

PARAGRAFO 4: DIRITTO PUBBLICO E DIRITTO PRIVATO.

Il fine ultimo del diritto è la conservazione del gruppo sociale e per questo motivo che ogni norma è predisposta per
raggiungere questo fine. Il fine proprio del diritto può essere perseguito o indirettamente, mediante la tutela di
determinati interessi individuali, oppure direttamente, mediante la tutela di interessi pubblici. A questi due diversi
modi di perseguire il fine del diritto si collega la tradizionale distinzione tra norme di diritto privato e norme di diritto
pubblico. La norma di diritto pubblico tutela direttamente un interesse pubblico; la norma di diritto privato tutela in
via diretta un interesse individuale e solo indirettamente un interesse pubblico. Le norme di diritto pubblico sono
quelle proprie dello stato, delle regioni, delle province e dei comuni, cioè di tutte quelle società che tutelano
l’interesse della collettività e che perseguono fini generali.
Saranno norme di diritto pubblico le norme di diritto costituzionale, amministrativo, processuale civile e penale, di
diritto penale, e internazionale, ecclesiastico, tributario, parlamentare, regionale…; mentre il campo del diritto privato
comprende le restanti norme che disciplinano i rapporti tra privati e che sono racchiuse in massima parte nel codice
civile.

SEZIONE II: L’ORGANIZZAZIONE E GLI ATTI DEI PUBBLICI POTERI

PARAGRAFO 1: IL PRINCIPIO DELLA SEPARAZIONE DEI POTERI E LE


INTERFERENZE FUNZIONALI

Il potere dello stato viene suddiviso al fine di garantire che esso non venga esercitato in maniera arbitraria e
incontrollata.
Secondo il principio della separazione dei oteri, ciascuna delle 3 funzioni viene affidata a ciascun potere dello stato .Il
principio della separazione dei poteri risale a LOCKE e MONTESQUIEU e, in tale principio, per potere si intende
quella figura organizzatoria composta da uno o più organi collegati tra di loro, ai quali l'ordinamento attribuisce in via
istituzionale l'esercizio di una frazione dell'autorità.
In questo senso, il principio viene accolto dalla costituzione, la quale si limita ad indicare quali siano gli organi quali
viene attribuito l'esercizio delle funzioni secondo un CRITERIO DI PREVALENZA (cioè al parlamento la funzione
legislativa, al governo e agli organi collegati la funzione amministrativa, ai magistrati ordinari la funzione

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giurisdizionale), ma prevede anche le cosiddette INTERFERENZE FUNZIONALI, cioè prevede anche che la stessa
funzione possa essere esercitata da organi diversi da quelli cui essa è stata istituzionalmente attribuita.
Nell’ordinamento italiano avremo;
 POTERE LEGISLATIVO: costituito dalle due camere. Esso svolge la funzione legislativa, ossia pongono le
norme dell’ordinamento.
 POTERE ESECUTIVO: costituito dal governo e tra organi da esso dipendenti. Esso svolge la funzione
amministrativa, ossia svolge un’attività concreta al soddisfacimento dei suoi fini immediati (sicurezza pubblica,
difesa del territorio, rapporti internazionali..)
 POTERE GIUDIZIARIO: costituito dalla magistratura ordinaria. Esso accerta la volontà normativa da far valere
al caso concreto e applica le sanzioni in caso di inosservanza della legge.
Ogni potere, poi, emana i propri atti con una forma tipica: il legislativo con la legge formale, l'esecutivo con il
decreto è il giudiziario con la sentenza.

Tuttavia, una rigida separazione dei poteri non è attuabile in concreto, perché non verrebbe attuata la coordinazione
tra i vari poteri, l'esigenza fondamentale di ogni stato e viste le varie interferenze funzionali.
È necessario, perciò, sia fare degli spostamenti di competenza per assicurare un ordinato e armonico svolgimento
delle funzioni statali, sia attribuire l'esercizio di una delle funzioni dello stato ad un organo non rientrante nei tre
poteri tradizionali (esempio: corte costituzionale che svolge funzioni giurisdizionali).

INTERFERENZE FUNZIONALI:
Il potere legislativo svolge funzioni
 materialmente amministrative (esempio: la nomina dei dipendenti delle camere)
 materialmente giurisdizionali (esempio: porre in stato d'accusa il presidente della repubblica)

 Istituzionalmente, invece, svolge una attività di direzione politica, la quale viene esercitata sia attraverso atti
formalmente legislativi (le cosiddette leggi di indirizzo politico) sia attraverso procedure di controllo, di indirizzo e
di informazione nell'ambito del rapporto fiduciario che lega le camere al governo.
 Inoltre, le camere sono chiamate anche ad eleggere tutti o parte dei componenti di alcuni organi costituzionali
(presidente della repubblica, cinque giudici costituzionali, dieci componenti CSM )

Il potere esecutivo svolge funzioni


 materialmente legislative (emanazione di regolamenti, decreti-legge e decreti legislativi)
 nomina alcuni organi della giurisdizione amministrativa ordinaria e speciale (tribunali amministrativi regionali,
consiglio di stato, corte dei conti)

 Il potere giudiziario svolge funzioni


 materialmente amministrative, mediante provvedimenti rientranti nella cosiddetta volontaria giurisdizione
(autorizzazione ad acquistare o alienare i beni appartenenti ai minori, omologazione di un concordato, nomina di un
tutore...)
 nel nostro ordinamento, però, ai magistrati è assolutamente precluso svolgere funzioni materialmente legislative,
cioè creare la norma da applicare al caso concreto.

PARAGRAFO 2: GLI ORGANI

NOZIONE: le persone giuridiche sono entità astratte che, per volere ed agire, hanno bisogno di persone fisiche.
L'organo è la persona fisica che vuole e agisce per la persona giuridica. Esso è costituito, oltre che dalla persona
fisica, anche dalla sfera di competenza attribuita dall'ordinamento all'organo stesso o, dai mezzi materiali ed alla
struttura organizzativa di cui l'organo si avvale per esplicare le sue funzioni.
L'organo non si differenzia dalla persona giuridica, ma è immedesimato in essa e con essa forma un tutt'uno. Ciò
significa che l’attività esplicata dalla persona fisica titolare dell’organo viene imputata direttamente all’ente, anche
quando l’atto è compiuto al di fuori della sfera di competenza e quindi viziato e annullabile.

Figura del funzionario di fatto: si ha quando il titolo di investitura della persona fisica all'organo sia irregolare,
scaduto o venga a mancare. In questo caso, gli atti posti in essere dal funzionario di fatto sono considerati validi e
continuano ad esplicare la loro efficacia.

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Usurpatore di pubbliche funzioni: è colui che svolge una pubblica funzione o le attribuzioni inerenti ad un pubblico
impiego senza avere alcun titolo di investitura. In questo caso, invece, gli atti dell'usurpatore di pubbliche funzioni
sono nulli.

funzionari: sono le persone fisiche titolari di un organo o di un ente pubblico. Se sono collegati all'ente da un
rapporto di impiego, saranno chiamati pubblici impiegati, i quali non sono titolari dell'organo, ma svolgono attività
tecnica. Se invece manca il collegamento stabile con l'ente, saranno chiamati funzionari onorari.

Esercizio indiretto delle funzioni statali: si hanno quando lo stato soggetto affida la cura di alcuni servizi suoi
propri ad altri enti che devono sopportare anche la spesa relativa (es. servizi anagrafici, elettorali..). se l’assunzione di
questi servizi comporta un rapporto organico, la persona giuridica che diventa titolare dell’organo non agisce come
distinto soggetto di diritto, x cui i suoi atti vengono giuridicamente imputati direttamente allo stato.

PARAGRAFO 3: CLASSIFICAZIONE DEGLI ORGANI

Gli organi possono essere classificati e distinti in base a vari criteri:


 IN BASE ALLA STRUTTURA:
 organi individuali: costituiti da una sola persona (presidente della repubblica) e organi collegiali: costituiti da una
pluralità di persone che agiscono come unità (giunta comunale, Senato)
 organi semplici: costituiscono unità indivisibile e organi complessi: composti da più organi (parlamento=
camera+Senato; governo= presidente del consiglio+ vari ministri+ consiglio dei ministri).

 IN BASE ALLE LORO ATTRIBUZIONI:


 Organi esterni: hanno il compito di formare o manifestare la volontà dell'ente oppure di porre l'ente che rapporti
giuridici con altri soggetti. Gli organi esterni si distinguono in primari, se hanno per legge una propria competenza
(esempio prefetto), secondari, se sono destinati a sostituire altri organi in assenza o impedimento del titolare di
questi (esempio vice prefetto) e organi interni: esauriscono la loro attività entro la sfera giuridica dell'ente, senza
alcuna rilevanza al di fuori di essa.

 Organi centrali: la loro competenza si estende a tutto il territorio (ministero) e organi locali: la loro competenza e
territorialmente delimitata (intendenza di finanza).

 organi attivi: i formano o manifestano la volontà dell'ente o la portano ad esecuzione (camere, governo)
 Organi Consultivi: non esercitano funzioni di volontà, ma solo di apprezzamento tecnico tramite pareri (esempio:
consiglio di stato)
 Organi di controllo: effettuano controlli di legittimità (cioè accertano la conformità degli atti degli organi attivi
alle norme di legge), controlli di merito (accertano la conformità degli atti degli organi attivi all'opportunità e alla
convenienza amministrativa); controlli di gestione (accertano successivamente il raggiungimento degli obiettivi
stabiliti dalla legge, valutando modi, costi e tempi dello svolgimento dell'azione amministrativa)

 IN BASE AL MODO DELLA LORO FORMAZIONE:


 organi rappresentativi: sono in collegamento diretto col popolo attraverso l'istituto della rappresentanza politica
(camere) e sono collegati con un gruppo sociale mediante l'elezione dei suoi componenti e organi non
rappresentativi: non sono in collegamento diretto col popolo.

 IN BASE ALLA LORO POSIZIONE GIURIDICA:


 organi direttivi: esercitano funzione di amministrazione attiva e non hanno, all'interno dell'ordinamento, superiori
gerarchici (esempio: ministro, sindaco...) e Organi dipendenti: sono gerarchicamente subordinati ai primi
(esempio: segretario comunale rispetto al sindaco).

Organi costituzionali: sono quegli organi dello stato che sono poste al vertice dell'organizzazione statale.
Essi sono:
- indipendenti
- in condizioni di parità giuridica tra di loro (questo, però, non esclude che ci possano essere dei controlli esercitati da
un organo costituzionale nei confronti di un altro, come per esempio il controllo che le camere esercitano sul
governo).
- sono indefettibili, cioè la loro presenza nell'ordinamento serve a caratterizzare la forma di stato con la forma di
governo e, se dovessero venir meno, ciò provocherebbe un mutamento dell'assetto costituzionale dei poteri.
- sono: presidente della repubblica, a camere, governo, corte costituzionale.
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Organi a rilevanza costituzionale: questi organi non servono a caratterizzare la forma di stato o di governo, ma, per
le funzioni esercitate (ausiliarie delle camere o del governo) e la posizione di indipendenza dei loro componenti,
assumono rilevanza costituzionale. Essi sono individuati, ma non disciplinati dalla costituzione, che rinvia al
legislatore ordinario per la disciplina della loro struttura, organizzazione e attività.
Inoltre, che essi non partecipano alla funzione politica, cioè non individuano i fini che lo stato deve perseguire, in
quanto ciò spetta agli organi costituzionali.
Essi sono: consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL), consiglio di stato, corte dei conti, consiglio
superiore della magistratura (CSM).

PARAGRAFO 4: GLI ATTI GIURIDICI E LA LORO CLASSIFICAZIONE.

La vita del diritto prende corpo e forma in fatti, attività e atti diretti alla produzione di effetti giuridici.

FATTI:
- naturali: avvengono senza la volontà dell'uomo.
- umani: si distinguono in atti in senso proprio (si caratterizzano per la presenza dell'elemento della volontà) e meri
fatti.

Lo stato e gli altri enti pubblici svolgono le loro funzioni prevalentemente mediante attività ed atti di diritto pubblico
che assumono la forma tipica della legge, del decreto e della sentenza. Oltre che in queste forme, l'attività dei pubblici
poteri si svolgerà anche mediante il tutto una serie di atti preparatori all'emanazione dell'atto definitivo.
La classificazione degli atti giuridici per alcuni aspetti si ricollega alla classificazione degli organi. Si avranno
dunque:
 Atti semplici: posti in essere o da un solo soggetto o da un solo organo. Questi possono essere individuali o
monocratici (esempio: il decreto del presidente della repubblica) o collegiali (quando la volontà di più persone viene
ricondotta ad unità, come la deliberazione del consiglio dei ministri).
 Atti composti: si distinguono in reiterati o continuati (sono quegli atti per la cui formazione si richiede più di una
manifestazione di volontà da parte dello stesso organo. Esempio: legge costituzionale deve avere una doppia
deliberazione da parte di ciascuna delle camere) e complessi (sono quegli atti risultanti dalla funzione della volontà
di più organi. Esempio: legge formale è un atto formato dalla fusione delle volontà di camera e Senato).
 Atti collettivi: i risultano anche essi dal concorso di più volontà, ma mentre nell'atto complesso le volontà si
fondono, nell'atto collettivo restano distinte. Ciò comporta che, in caso di vizio di una volontà, l'atto non diventa
invalido, come accade nell'atto complesso.
 Procedimento: è il modo con cui si formano la maggior parte degli atti giuridici. Indica il modo della formazione di
un atto quando questa risulta preceduta da una serie di atti e attività tra di loro funzionalmente collegati. Il
procedimento si divide in tre fasi: quella dell'iniziativa, quella costitutiva e quella integrativa dell'efficacia
(esempio: procedimento di formazione della legge, procedimenti giurisdizionali o processi).
Un problema molto importante è quello della formazione della volontà degli organi collegiali e soprattutto i modi di
calcolare la maggioranza.
Un principio importante è il cosiddetto principio maggioritario secondo cui la volontà dell'intero collegio è espressa
dalla maggioranza e c'è il metodo più usato. Ad esso si contrappone il principio dell'unanimità e, secondo cui la
volontà del collegio dovrebbe risultare dalla volontà concorde di tutti i suoi componenti.

Maggioranza semplice o relativa: serve il voto favorevole della metà + uno dei presenti.
Essa può verificarsi:
 Se la maggioranza non interviene alla seduta o i suoi componenti sono in numero inferiore a quelli della minoranza.
 Quando sono considerati presenti coloro che esprimono voto favorevole o contrario, escludendo quindi gli astenuti
dal calcolo della maggioranza.
Tuttavia, per evitare che a prevalere sia la volontà della minoranza , quando è richiesta la maggioranza semplice, è
richiesto anche il quorum per la validità delle sedute, vale a dire la metà+ 1 dei componenti (cosiddetto numero
legale)

maggioranza assoluta: voto della metà + 1 dei componenti il collegio

maggioranza qualificata: voto di una frazione dei componenti il collegio o dei presenti alla seduta, superiore alla
metà: 2/3, 3/5...

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PARAGRAFO 5: GLI ATTI GIURIDICI: PERFEZIONE, VALIDITÀ, EFFICACIA, VIZI.

Perfezione: l'atto si dice perfetto quando è completo di tutti i suoi elementi strutturali e funzionali. Inoltre, un atto è
giuridicamente esistente quando sono in esso presenti tutti sue elementi costitutivi, altrimenti è nullo.

Efficacia: l'atto è efficace quando è in grado di spiegare sugli effetti.

Validità e vizi: un atto giuridico si dice valido quando i suoi elementi costitutivi, oltre ad essere presenti, sono anche
regolari, cioè non viziati.
I vizi degli atti di diritto pubblico sono di due tipi:

VIZI DI LEGITTIMITÀ: si hanno quando l'atto non è conforme al suo modello legale. Si distinguono in:
1) Incompetenza: l'atto è posto in essere da un soggetto diverso da quello previsto nel modello legale. Può essere di
due gradi: assoluta, quando il soggetto agente appartiene ad un ramo diverso dell'amministrazione, e relativa, quando
il soggetto agente appartiene allo stesso ramo dell'amministrazione. Si ha incompetenza anche quando l'atto viene
emanato da un organo appartenente ad un ente diverso da quello legittimo (per esempio, una regione che emana una
legge su una materia non prevista nell'articolo 117 e che viene riservata alla sfera legislativa dello stato.
2) Eccesso di potere: si ha quando l'atto è posto in essere per perseguire un fine diverso e da quello previsto dalla
disposizione normativa oppure quando non è idoneo a perseguire il fine (esempio commissione di concorso che, nel
giudicare diversi candidati, applica criteri diversi e contrastanti). L'eccesso di potere è proprio degli atti amministrativi
e trova le sue specificazioni:
 Contraddittorietà di provvedimenti, quando un provvedimento è adottato in palese contraddizione e con uno o
più provvedimenti assunti in precedenza e che riguardano la stessa persona o lo stesso oggetto.
 Manifesta illogicità o ingiustizia, quando un provvedimento è manifestamente illogico o ingiusto.
 Disparità di trattamento, quando un provvedimento, senza motivarne la ragione, tratta in modo diseguale
situazioni uguali o in modo uguale situazioni diseguali.
 Sviamento di potere, quando un provvedimento, anziché un interesse pubblico, persegue un interesse privato.
 Errore o travisamento dei fatti, quando un provvedimento è motivato sulla base di fatti o circostanze
inesistenti o erroneamente valutate.

3) Violazione di legge: si ha quando l'atto è contrario alla legge o nell'aspetto formale (esempio: mancato rispetto di
una norma sul procedimento di formazione) o nell'aspetto contenutistico, quando il contenuto è contrario alla legge .

VIZI DI MERITO: si hanno quando l'atto, anche se legittimo, sembra essere non opportuno, non conveniente e
comunque non idoneo a perseguire il pubblico interesse.

SEZIONE III: LA COSTITUZIONE DELLO STATO

PARAGRAFO 1: CONCETTO E TIPI DI COSTITUZIONE

Ogni gruppo sociale si pone un fine fondamentale da raggiungere e, per questo motivo, si dà una organizzazione volta
al suo raggiungimento. Per questo, in ogni gruppo sociale ci sarà un complesso di norme scritte o non scritte e una
struttura sociale che servono a tracciare le linee maestre dell'organizzazione del gruppo. In queste norme verranno
espressi valori ed esigenze del gruppo, fini che il gruppo si propone di raggiungere e ci sarà un apparato autoritario
che si è dato per il conseguimento del fine e per garantire l'osservanza delle regole sociali.
Anche lo stato, come gruppo sociale organizzato ha, e non può non avere, un assetto fondamentale, ovvero una
propria costituzione. L'aspetto fondamentale di uno stato è il frutto dell'ideologia dominante in un dato momento
storico e del modo in cui sono venuti a comporsi i rapporti tra le varie parti della società statale. Quindi non esiste un
concetto ideale di costituzione, ma è un concetto che viene determinato storicamente. Tuttavia è possibile isolare
indeterminate epoche storiche un concetto di costituzione che sia valido per più stati, tra loro accomunati dalla stessa
ideologia.
La traduzione in termini normativi della costituzione (intesa come assetto fondamentale)è necessaria per assicurare la
stabilità e la certezza dei valori, dei fini istituzionali e della struttura organizzativa dello stato. Ciò avviene
generalmente in forma scritta, riunendo e coordinando in un unico testo le norme in esame, ma può anche avvenire in
forma consuetudinaria.
Può anche accadere che nel corso del tempo l'assetto fondamentale dello stato si modifichi in seguito al mutare dei
rapporti di forza tra le parti sociali e dell'ideologia dominante, così come può accadere che l'aspetto fondamentale
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rimanga immutato, ma cambiare è il modo in cui ad esso viene data in concreto attuazione da parte delle forze politico
sociali dominanti. In questi due casi, la costituzione intesa come assetto fondamentale e intesa come traduzione in
termini normativi di questo assetto non coincidono più: è necessario, quindi, riportarle ad unità, dando la prevalenza
ai fini e ai valori effettivamente vigenti nella comunità statale, in quanto sorretti dal consenso e dalle aspettative
popolari.
Da ciò si possono definire tre tipi di costituzione:
Costituzione in senso sostanziale: è risultante dal complessivo assetto della società statale
Costituzione in senso formale: è risultante dalla composizione in disposizioni scritte dall'assetto fondamentale
Costituzione in senso materiale: è quella che realizza e porta a compimento i valori e i fini istituzionali presenti nella
società statale .

La costituzione può essere:


1) scritta: quando i principi e gli istituti fondamentali dell'assetto dello stato vengono consacrati in un documento,
definito costituzione o statuto o carta (sono chiamate anche costituzioni formali o in senso formale e possono essere
rigide o flessibili). Le costituzioni scritte possono essere chiamate anche formali o in senso formale, quando sono
racchiusa in una particolare forma giuridica che viene loro data da un procedimento di formazione diverso da quello
adottato per l'emanazione degli altri atti normativi e che assume carattere di solennità. Esse possono essere rigide e
flessibili.

2) consuetudinaria: si ha quando non esiste un documento in cui viene racchiusa la maggior parte delle norme
costituzionali, ma si hanno singole leggi in materia costituzionale che regolano solo particolari rapporti ed enunciano
solo alcune regole istituzionali ed organizzative. In questo caso l'assetto costituzionale dello stato viene coordinato
attraverso norme consuetudinarie e di costume, e espresse dalla collettività spontaneamente e viene garantito da un
esteso e duraturo consenso popolare .

3) rigida: per modificare o abrogare le disposizioni in esse contenute è necessario ricorrere ad un procedimento
diverso e aggravato rispetto a quello delle leggi ordinarie .
- le costituzioni rigide, nella gerarchia delle fonti, assumono un grado superiore a quello delle leggi ordinarie: ciò
significa che le leggi ordinarie in contrasto con una norma contenuta in una costituzione rigida sono
costituzionalmente illegittime .

4) flessibili: per modificare o abrogare le disposizioni in essa contenute è sufficiente il procedimento ordinario di
formazione delle leggi.
- nella gerarchia delle fonti, le costituzioni flessibili sono di pari grado delle leggi formali: ciò significa che una legge
in contrasto con una norma contenuta in una costituzione flessibile verrà preferita a quest'ultima, perché si tratta di
una comune successione nel tempo di norme aventi la stessa forza formale.

5) Corte: si limitano a disciplinare l'organizzazione dello stato, i rapporti tra governanti e governati e i diritti e doveri
dei cittadini (esempi: costituzione federale degli Stati Uniti, composta da sette articoli e 25 emendamenti; statuto
Albertino di 84 artt.).

6) lunghe: contiene anche i principi ispiratori dell'azione dei pubblici poteri. Disciplinano sia la materia costituzionale
che materie diverse

7) costituzioni-bilancio: sono rivolte al presente e hanno come loro fine quello di dare forma giuridica ad una realtà
sociale già esistente .

8) costituzioni-programma: si propongono anche di promuovere la trasformazione della realtà sociale esistente,


indicando gli obiettivi da raggiungere e gli strumenti idonei a questo scopo. La costituzione italiana è di questo tipo.

9) convenzionale: è il frutto di reciproche concessioni che forze politiche in contrasto hanno dovuto concordare per
dare un nuovo assetto costituzionale allo stato .

10) ordinativa: è la costituzione che promana da un'unica forza politica che detiene il potere .

11) ottriate: si hanno in regime monarchico, quando il sovrano concede una costituzione scritta ai suoi sudditi, spesso
costretto dalle pressioni popolari, come accade in Italia nel 1848.

12) votate: si hanno quando la costituzione è espressa dal basso e viene redatta dai rappresentanti del popolo riuniti in

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assemblea costituente

LA COSTITUZIONE ITALIANA DEL 1947 È:


 scritta : perché i principi e gli istituti fondamentali della organizzazione dello Stato italiano sono consacrati in un
documento e perché è espressamente previstala forma scritta nell'articolo 138 per le leggi che regolano la materia
costituzionale.
 Rigida: perché alle norme in essa contenute è stata assegnata una efficacia superiore a quella delle leggi ordinarie.
Per cui le leggi che modificano la costituzione e le leggi in materia costituzionale devono essere adottate dal
parlamento con procedura aggravata.
 Votata: perché è stata redatta e approvata dai rappresentanti del popolo eletti dall'assemblea costituente.
 Convenzionale perché le forze politiche che l'hanno redatta erano tra loro in contrasto (marxista; cattolico-
solidarista; liberale) per cui è stato necessario, per dare un nuovo assetto costituzionale allo Stato, che esse
procedessero a delle reciproche concessioni.
 Costituzione programma.

PARAGRAFO 2: ORIGINI DELLA COSTITUZIONE

La nostra costituzione rappresenta la conclusione di un periodo travagliato della nostra storia che comincia nel
momento in cui lo stato liberale ottocentesco va in crisi e che trova la sua punta massima dopo la fine della prima
guerra mondiale .
una data molto importante è la notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, notte in cui il gran consiglio del fascismo e votò una
mozione di sfiducia nei confronti del capo dello stato di allora, Benito Mussolini. Il re revocò dall'ufficio di capo del
governo Mussolini e nominò il maresciallo Pietro Badoglio.
Il 2 agosto 1943 venne soppresso il partito nazionale fascista e sciolta la camera dei fasci e delle corporazioni, che
aveva preso il posto della camera dei deputati.
L'8 settembre 1943 il governo Badoglio firmò un armistizio con le potenze alleate, ponendo fine alle operazioni
belliche, ma a questo seguì la reazione della Germania, alla quale l'Italia era legata da un trattato di alleanza politico
militare. L'Italia venne occupata dalla Germania, la quale travolse la debole resistenza delle truppe alleate e, in seguito
a ciò, fu creata la repubblica sociale italiana, il cui capo fu Mussolini. Al sud invece, nella parte del territorio liberata
dagli alleati, si rifugiarono il re, i membri del governo e le alte cariche militari, e il governo legittimo continuò a
svolgere la sua attività.
In questo clima di instabilità, si creò il comitato di liberazione nazionale, che aveva il compito di collaborare col
governo del re e di organizzare e condurre la resistenza armata contro tedeschi e fascisti. Tuttavia, si creò un contrasto
tra monarchia, rigidamente conservatrice, che i partiti antifascisti del comitato di liberazione nazionale, ispirati ai
principi di libertà e democrazia. A tale contrasto viene risolto formalmente nel 44 con il patto di Salerno, che diede
luogo alla cosiddetta tregua istituzionale. Essa prevedeva che i partiti rinunciassero alla richiesta di applicazione
terreno in cambio della partecipazione del governo; inoltre, il re doveva nominare un luogotenente, al quale trasferire
tutte le sue funzioni. Infine, si era decisa la sospensione di ogni decisione relativa al cambiamento della forma di
governo e all'assetto costituzionale dello stato.
Con il decreto legislativo luogotenenziale 151 /44 si stabiliva che, dopo la liberazione del territorio nazionale, le
forme istituzionali dovevano essere scelte dal popolo italiano, il quale doveva eleggere a tal fine, a suffragio
universale diretto e segreto, una assemblea costituente per deliberare la nuova costituzione dello stato. Inoltre, tale
decreto attribuiva la funzione legislativa, in attesa dell'elezione del nuovo parlamento, al consiglio dei ministri.
Questo decreto venne modificato dal decreto legislativo luogotenenziale 98 / 46, che stabiliva che la decisione della
forma istituzionale dello stato (repubblica o monarchia) era sottratta all'assemblea costituente e ed era attribuita al
popolo, che avrebbe espresso la sua volontà mediante un referendum.
Il referendum si svolse il 2 giugno 1946, contemporaneamente alle elezioni dei deputati dell'assemblea costituente:
vinse la repubblica.
L'assemblea costituente si riunì per la prima volta il 25 giugno 46 e, in tale sede, e Enrico De Nicola venne eletto
come capo provvisorio dello stato.
Il 15 luglio, l'assemblea decise la nomina di una commissione di 75, che avrebbe dovuto elaborare e proporre entro tre
mesi il progetto della costituzione. Quest'ultimo venne presentato il 31 gennaio 47, fu promulgato dal capo
provvisorio dello stato il 27 dicembre e ed entrò in vigore il primo gennaio 1948.

PARAGRAFO 3: CARATTERISTICHE DELLO STATO ITALIANO SECONDO LA


COSTITUZIONE.
Sulla base della vigente costituzione, lo stato italiano può definirsi repubblicano, democratico, fondato sul lavoro,
interventista, parlamentare, decentrato, non confessionale e aperto alla comunità internazionale.
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PARAGRAFO 4: LO STATO REPUBBLICANO

Secondo l'articolo 1 della costituzione " l'Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità
appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione ".
L'articolo 1 identifica un particolare tipo di repubblica:
Repubblica democratica: si caratterizza per la partecipazione del popolo al governo dello stato, mediante l'elezione
degli organi del potere legislativo da parte dei cittadini.
Fondata sul lavoro: è un valore fondamentale che impone il perseguimento di una politica di difesa sociale, tesa ad
eliminare le diseguaglianze e gli privilegi economici, attraverso la promozione e la tutela privilegiata di ogni attività
lavorativa.

La costituzione ha anche una norma di chiusura, l'articolo 139, che stabilisce che " la forma repubblicana non può
essere oggetto di revisione costituzionale ": ciò significa che il nostro ordinamento o è repubblicano o non è.

PARAGRAFO 5: LO STATO DEMOCRATICO

Etimologicamente parlando, la democrazia significa governo di popolo, cioè si ha democrazia quando il popolo
partecipa al governo dello stato. Tuttavia ogni gruppo sociale deve avere un'autorità al quale viene affidata la
direzione del gruppo: cioè, che ci devono essere governanti e governati. Ora, secondo l'ideale democratico, questa
distinzione dovrebbe essere abolita per rendere possibile un pieno e assoluto autogoverno, fino all'identificazione tra
governanti e governati, ma bisogna accettare un concetto più realistico di democrazia secondo cui la distinzione tra
governanti e governati deve rimanere, ma i primi vengono posti in continuo collegamento con i secondi.
Soltanto così l'azione governativa sarà conforme alle effettive esigenze della collettività popolare.
Inoltre in alcuni ordinamenti i governati hanno gli strumenti per poter manifestare direttamente la loro volontà anche
in contrasto con le decisioni politiche dei governanti (esempio: referendum abrogativo).
In contrapposizione allo stato democratico, c'è lo stato autoritario, dove:
 il collegamento tra governanti e governati viene troncato,
 solo coloro che hanno assunto la direzione politica dello stato sono i veri e esclusivi interpreti della volontà
popolare,
 al popolo non viene riconosciuta nessuna capacità politica, se non quella di assentire alle decisioni dei governanti.
 vengono eliminati tutti i procedimenti elettorali per la scelta dei governanti,
 i controlli sull'attività svolta dai governanti
 ci sono gravi limitazioni delle libertà politiche e di alcune civili.

Gli ordinamenti degli stati democratici, invece, prevedono una serie di istituti giuridici diretti ad immettere il
popolo nel governo dello stato:
1 ) indirettamente: democrazia rappresentativa: i rappresentanti sono designati dal corpo elettorale.
2) direttamente: democrazia diretta: attribuisce al corpo elettorale alcuni poteri di decisione o di impulso per quanto
riguarda l'attività di governo.
3) in maniera decentrata: democrazia decentrata o pluralista: le società intermedie a carattere politico e i singoli
individui possono concorrere a determinare l'indirizzo politico dello stato e ad evidenziare le esigenze, gli interessi
della collettività ritenuti meritevoli di considerazione e tutela.

Tutte e tre le forme di partecipazione del popolo al governo dello stato sono state disciplinate e garantite dalla nostra
costituzione, prima di tutto con l'articolo 1 " la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti
della costituzione".
Il collegamento tra governanti e governati e la garanzia che l'azione dei governanti sia conforme alla volontà dei
governati vengono assicurati:
1) Per quanto riguarda la democrazia rappresentativa,rendendo elettivi, da parte di tutti i cittadini, uomini e donne che
hanno raggiunto la maggiore età, gli organi del potere legislativo e collegando il governo a rappresentanti del popolo,
attraverso l'istituto della fiducia (articolo 94 costituzione).
2) per quanto riguarda la democrazia diretta, attraverso il referendum abrogativo delle leggi ordinarie, referendum
costituzionale, referendum in materia di creazione, fusione o modifiche territoriali e di regioni, in materia di creazione
o di modifiche territoriali dei comuni; attraverso gli istituti dell'iniziativa popolare delle leggi (articolo 71
costituzione), attraverso l'istituto della petizione con la quale i cittadini possono rivolgersi alle camere per proporre
provvedimenti legislativi o esporre necessità.
3) per quanto riguarda la democrazia decentrata o pluralista, attraverso l'attribuzione ai cittadini che sono associati in
partiti politici del potere di concorrere, con metodo democratico, a determinare la politica nazionale (articolo 49
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costituzione). Viene inoltre attribuito i cittadini associati in sindacati il potere di autotutelare gli interessi della
categoria alla quale appartengono con contratti collettivi di lavoro (articolo 39 costituzione) e con il diritto di sciopero
(articolo 40).
4)dalle società intermedie, che sono delle società intermedie tra il cittadino e lo stato. Tra queste si possono
annoverare la famiglia, le associazioni culturali, politiche, economiche, le comunità religiose, la comunità scolastica e
tutte quelle formazioni sociali nelle quali l'uomo svolge la sua personalità e svolge la cosiddetta partecipazione
democratica.
5) Dall'associazionismo spontaneo (esempio movimento studentesco) che esprime uno stato di insoddisfazione nei
confronti delle strutture della società e una richiesta di partecipazione alla vita sociale.
6) dal volontariato e dai gruppi di pressione, la cui attività sfugge ad ogni disciplina formale, ma la loro azione non è
del tutto negativa se è diretta a conoscere ed elaborare e i dati della realtà sociale.
7) Inoltre, l'inserzione, nelle attività di governo, delle esigenze popolari, viene resa possibile dall'esercizio dei diritti
inviolabili che la repubblica, nell'articolo 2 della costituzione, riconosce e garantisce all'uomo, sia come singolo sia
nelle formazioni sociali (esempio: diritto di riunione, di associazione, libera manifestazione del pensiero).
8) Infine, il carattere democratico del nostro stato è completato dalla ampio riconoscimento del principio di
uguaglianza formale e sostanziale consacrato nell'articolo 3 della costituzione, il quale assicura ai cittadini la parità di
trattamento giuridico (uguaglianza formale) e impegna la repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale che, limitando di fatto le libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese.

PARAGRAFO 6: LO STATO FONDATO SUL LAVORO (ART. 1 E 4 COST)

L'articolo 1, che afferma che " l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro " viene collegata all'articolo 4 della
costituzione, che enuncia il diritto-dovere al lavoro. Si è detto, cioè, attribuita rilevanza costituzionale al lavoro: ciò
sta a significare che nella nostra repubblica non si dovrebbero riconoscere i privilegi economici perché condannevoli,
ma il solo lavoro deve essere il titolo di dignità del cittadino. Quest'ultima è commisurata esclusivamente alla sua
capacità di concorrere al progresso materiale o spirituale della società. Per questo ci sono molte norme nella
costituzione che permettono allo stato di intervenire nel settore dell'economia per eliminare sperequazioni o privilegi a
svantaggio delle forze del lavoro.

PARAGRAFO 7: LO STATO INTERVENTISTA.

La nostra costituzione è frutto dell'incontro di tre ideologie: marxista, cattolica-solidaristica, liberale. Tuttavia,
l'assemblea costituente fu concorde nel ritenere e che l'assetto politico sociale andava cambiato e per questo oppose
alcune norme per modificarlo: i
- articolo 2: garantisce i diritti inviolabili, ma richiede l'adempimento di alcuni diritti inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale .
- articolo 3: impegna la repubblica ad intervenire per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale per rendere
effettiva l'uguaglianza
-articolo 4: riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e fa carico il legislatore di porre in essere le condizioni
necessarie per raggiungere la piena occupazione.
- titolo III, parte prima costituzione: è la parte della costituzione relativa ai rapporti economici.

Lo stato interventista è che uno stato che, pur conservando i tradizionali istituti della proprietà privata e della libertà
dell'iniziativa economica privata non li considera più come istituti dal valore intangibile, ma ritiene necessario
intervenire nel settore dei rapporti economici per coordinare l'attività economica ed indirizzarlo al raggiungimento di
un maggior benessere comune.
Gli articoli della costituzione nei quali è delineato lo schema di intervento dello stato sono: articoli 41, 43, 44
costituzione. Questi articoli:
- definiscono il rapporto tra iniziativa economica e proprietà privata e l'intervento dei pubblici poteri in un'economia
che si può definire mista, in quanto convivono iniziativa privata è stato imprenditore.
- tendono ad istituire un sistema di economia regolata.
- Prendono atto della realtà preesistente e si propongono di modificarla affinché possano essere raggiunti alcuni fini,
come i fini sociali (articolo 41), fini di utilità generale (articolo 43), razionale sfruttamento del suolo e stabilimento di
equi rapporti sociali (articolo 44).
L'attività economica privata e l'intervento pubblico nel sistema economico delineato dalla Costituzione possono
coesistere, ma è necessario che i due tipi di intervento siano resi complementari e armonizzati, per il raggiungimento
di cui fini sociali e di benessere collettivo. Questo principio è chiaramente affermato nell'articolo 41 costituzione,
dove si dice che l'iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in
11
modo da arrecare danno alla sicurezza alla libertà e alla dignità umana. Da un lato si tendono ad eliminare le
condizioni di privilegio, dall'altro si tende ad assicurare la piena e libera espansione della persona umana.

Gli strumenti predisposti dal legislatore costituzionale per realizzare il processo di sviluppo sono:
 Programmazione (articolo 41, ultimo comma): " la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché
l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali ". La programmazione
serve per indirizzare e coordinare l'attività economica pubblica e privata per raggiungere fini sociali. Il governo,
cioè, stabilisce preventivamente gli obiettivi che l'economia nazionale deve raggiungere ed individua le misure
necessarie a questo scopo. In seguito, indirizzerà l'attività delle imprese private verso queste finalità, concedendo
finanziamenti e agevolazioni fiscali e svolgerà esso stesso attività economiche, attraverso imprese che operano sul
mercato in concorrenza con quelle private.
 L'espropriazione di imprese e categorie di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di
energia o a situazioni di monopolio e che abbiano carattere di preminente interesse generale e il loro trasferimento
allo stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti.
 La riforma agraria (articolo 44): l'obiettivo è quello di sembrare il latifondo per distribuire le terre ai contadini e
di trasformare le zone malsane e incolte per incentivare la nascita e la diffusione della piccola e media proprietà
agraria per valorizzare e le aree più povere e disagiate del paese.
Negli ultimi anni il ruolo dello stato imprenditore si è andato ridimensionando e sono state avviate le privatizzazioni
delle imprese pubbliche (ENEL, ferrovie dello stato sono diventate società per azioni, soggette quindi al diritto
privato). Inoltre, il legislatore è intervenuto per evitare situazioni di monopolio o oligopolio, dettando una normativa
antitrust, diretta ad assicurare una concorrenza leale e ha vietato accordi tra le imprese per l'acquisizione di una
posizione dominante da parte di un solo imprenditore o di un gruppo di imprese.

PARAGRAFO 8: LO STATO PARLAMENTARE (ARTICOLO 94 COSTITUZIONE)

Articolo 94, primo comma: " il governo deve avere la fiducia delle due camere ". Questo articolo caratterizza la
nostra forma di governo. Nei commi successivi vengono disciplinate le modalità per la concessione o la revoca della
fiducia.

Articolo 95 prevede:
 la responsabilità politica davanti alle camere del presidente del consiglio dei ministri e dei ministri, i quali
rispondono collegialmente per gli atti del consiglio dei ministri, individualmente per gli atti dei loro dicasteri.
 La direzione della politica generale del governo è affidata al presidente del consiglio, al quale spetta di mantenere
l'unità dell'indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri.

Questi poteri vengono accentrati nel raccordo parlamento-governo, mentre al presidente della repubblica non vengono
attribuiti i poteri di indirizzo politica, ma può condizionare in vario modo l'attività di indirizzo politico attraverso
l'esercizio dei suoi poteri di impulso, di freno e di controllo, che ne fanno garante della legittimità costituzionale.

Governo parlamentare delineato nella costituzione: è un tipo di governo a tendenza equilibratrice (o stabilizzato), che
si ha quando nessuno degli organi di indirizzo (cioè governo e parlamento) assegnata la prevalenza, in quanto questi
sono chiamati ad operare in condizioni di parità, pur nella distinzione di ruoli sui propri.
Tuttavia, i poteri attribuiti al parlamento lo porrebbe formalmente in una posizione di centralità nell'intero sistema, in
quanto
 le camere partecipano attivamente alla petizione politica dello stato con una serie di atti di diretti a determinare i
vicini generalissima dell'azione statale e a predisporre gli strumenti finanziari e organizzativi e necessari affinché i
fini possano essere conseguiti;
 inoltre, svolgono una penetrante attività di controllo sugli organi dell'apparato esecutivo.
 Inoltre, in uno stato in cui il potere è decentrato a vari livelli territoriali (regioni) ed istituzionali (partiti,
sindacati...), il parlamento costituisce la massima sede rappresentativa in cui operare la sintesi delle varie istanze
comunitarie e le scelte definitive.
In questo modo, il parlamento si pone non come organo dello stato-soggetto, ma come un organo dell'intera comunità
statale.

12
PARAGRAFO 9: LO STATO DECENTRATO (ARTICOLO 5 COSTITUZIONE)

Articolo 5 costituzione " la repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie local1i; attua nei servizi
che dipendono dallo stato ampio decentramento amministrativo2; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione
alle esigenze dell'autonomia e del decentramento".

L'affermazione del riconoscimento delle autonomie locali e significa che lo stato prende atto della presa esistenza ad
esso dei comuni e delle province che costituiscono storicamente i primi centri di aggregazione delle comunità locali,
sorti per difendere gli interessi strettamente collegati al territorio.
Tuttavia, la costituzione ha dato vita ad un altro ente territoriale, la regione.
Le regioni si affiancano a province e comuni e servono:
- per incentivare la partecipazione del cittadino alla vita della comunità locale
- per permettere il più ampio decentramento regionale in campo legislativo e amministrativo.

poteri della regione:


 Può emanare norme legislative in determinate materie ed entro certi limiti
 Svolgono funzioni amministrative, relative alle materie nelle quali possono legiferare
 Svolgono funzioni amministrative, il cui esercizio è loro delegato con legge dello stato.
In questo modo si è programmato il più ampio decentramento regionale sia in campo legislativo che in campo
amministrativo; nello stesso tempo si è reso applicabile uno dei principi alla base di sistemi democratici di, cioè
l'avvicinamento dei cittadini allo stato, attraverso la mediazione dell'ente regione.

PARAGRAFO 10: LO STATO NON CONFESSIONALE

Riconosce la più ampia libertà di religione e l'uguale libertà di tutte le confessioni religiose;
Esclude che la professione di una certa religione possa costituire criterio discriminante tra i cittadini;
Esclude che le associazioni o istituzioni che abbiano carattere ecclesiastico a o perseguano fini di religione o di culto
possano essere oggetto di un trattamento differenziato.

- articolo 8, primo comma: " tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge".

- articolo 3 costituzione " tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione
di religione ".

- articolo 19 costituzione " tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa e in qualsiasi forma,
individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarlo né in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti
di riti contrari al buon costume "

- articolo 20 costituzione " il carattere ecclesiastico e il fine di religione e di culto di una associazione o istituzione
non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione,
capacità giuridica e ogni forma di attività ".

Lo stato italiano è uno stato laico. Ciò, però, non significa che si disinteressi al problema religioso. Significa, invece,
che
 riconosce l'uguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge
 la più ampia libertà di coscienza e di culto
 che agli effetti civili, non opera alcuna discriminazione tra i suoi cittadini in base alla religione professata.

1
Autonomie locali: è la potestà riconosciuta alle comunità locali di gestire attraverso leggi, regolamenti ed una propria amministrazione e le
attività e le funzioni pubbliche connesse alle esigenze della collettività locale.

2
Decentramento amministrativo: è il trasferimento di compiti e poteri decisionali e dagli organi centrali statali ad organi periferici o ad altri
soggetti che esplicano le proprie funzioni in una precisa area territoriale.

13
PARAGRAFO 11: LO STATO APERTO ALLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE (ARTICOLO
10 COST.).

Il nostro stato si caratterizza per la sua vocazione internazionalistica.


Articolo 10
 comma 1 dispone che lo stato si impegna ad uniformare il suo diritto alle norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute,
 comma 2, stabilisce che lo stato si impegna a disciplinare la condizione giuridica dello straniero in conformità delle
norme e dei trattati internazionali.
 comma 3, afferma che lo stato si impegna a concedere allo straniero il diritto di asilo .

Articolo 11: lo stato si impegna


 a ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali
 A consentire, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che
assicuri la pace e della giustizia tra le nazioni.

PARAGRAFO 12: LE DISPOSIZIONI COSTITUZIONALI

Le disposizioni contenute nella costituzione non hanno tutte la stessa natura .


- disposizioni istitutive o organizzative: sono quelle che danno le linee generali dell'ordinamento e istituiscono i vari
organi costituzionali o di rilevanza costituzionale e ne stabiliscono la loro organizzazione riguardo alla struttura, alle
funzioni, alla carica dei loro componenti.

- disposizioni precettive: sono quelle che attribuiscono al cittadino (e, in alcuni casi, anche al non cittadino) un
diritto nei confronti dello stato o con gli impongono un dovere sempre nei confronti dello stato.

- disposizioni programmatiche: sono quelle che determinano i fini che lo stato istituzione (la repubblica) deve
perseguire per realizzare l'assetto politico sociale prefigurato e voluto dal costituente. In questa norma è contenuta la
formula politica della nostra costituzione.

Tutti e tre questi tipi di disposizione:


 devono essere poste sullo stesso piano, in quanto costitutive dell'ordinamento statale.
 Possiedono tutte, allo stesso grado, la dignità di disposizioni costituzionali inserite in una costituzione rigida e
pertanto non modificabili dal legislatore ordinario.
 L'unica differenziazione tra norme precettive e programmatiche sta nel fatto che il precetto contenuto nelle norme
precettive si indirizza a tutti i soggetti dell'ordinamento, mentre il precetto contenuto nelle norme programmatiche si
indirizza gli organi dello stato è in particolare al legislatore, il quale deve dare ad esse concreta attuazione.

PARAGRAFO 13: LA COSTITUZIONE VIGENTE

Bisogna chiedersi a distanza di cinquant'anni dall'entrata in vigore della Costituzione quale sia la costituzione
effettivamente vigente.
È stata attuatala parte organizzativa, ma non quella programmatica, in cui sono contenuti i principi direttivi per il
graduale rinnovamento della comunità statale. L' affermarsi della prassi, convenzioni e consuetudini contra
costitutionem, il permanere di leggi vecchie e nuove anche se costituzionalmente illegittime è la mancata emanazione
di altre leggi hanno finito col dar vita ad una costituzione effettivamente vigente in netta antitesi, in alcune sue parti,
con quella scritta.

Caratteri dello Stato secondo la costituzione effettivamente vigente:la natura repubblicana e la vocazione
internazionalistica non sono messe in dubbio, mentre in dubbio:
 sistema di democrazia sostanziale
 stato fondato sul lavoro: c'è infatti ancora tantissima disoccupazione e sottoccupazione;ci sono ancora notevoli
squilibri tra regione e regione, tra nord e sud.
 Carattere parlamentare: non sempre ha trovato attuazione in maniera conforme alla costituzione.
 Decentramento dello Stato: è in buona parte in atto, con la creazione delle regioni di diritto comune, anche se i
rapporti Stato-regione non sono stati ancora chiaramente definiti.

14
 Decentramento burocratico: non è stato del tutto attuato, in quanto gli uffici periferici dell'amministrazione statale
continuano a non essere dotati di quel potere discrezionale necessario perché possano assumere autonome decisioni.
 Carattere non confessionale: il precetto secondo cui tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla
legge richiederebbe sia il completamento della disciplina legislativa dei rapporti tra lo Stato e le confessioni
acattoliche, sia eliminando le residue discriminazioni sul piano legislativo tra religione cattolica e culti acattolici. È
indubbio però che la religione cattolica gode in Italia di una posizione di privilegio.

Tutte queste considerazioni portano a ritenere che il divario tra Costituzione formale e costituzione materiale debba
essere risolto, modificandola costituzione per adeguarla alla costituzione effettivamente vigente.

CAPITOLO 3: LO STATO

SEZIONE 1: STATO ISTITUZIONE; STATO APPARATO; COMUNITÀ STATALE

PARAGRAFO 1: LO STATO ISTITUZIONE

Per assicurare un ordinato svolgimento della vita sociale e è necessario ridurre la varietà e la pluralità degli
ordinamenti giuridici alla armonia e alla sintesi, rispettando comunque le individualità dei singoli ordinamenti. Questo
può essere ottenuto assegnando al maggiore tra i gruppi sociali una posizione di preminenza sugli altri, al fine di
consentirgli di regolare in modo autoritario sia i rapporti intersoggettivi che quelli con le collettività minori comprese
nel suo ambito.
Affinché un ordinamento venga qualificato come statale, devono esserci tre requisiti fondamentali:
1) originarietà e indipendenza: le regole istituzionali e organizzative non devono essere predisposte da un altro
ordinamento. Inoltre deve avere la capacità a e la forza di disciplinare gli interessi che ritiene giuridicamente rilevanti
e di mediare gli interessi in conflitto. Deve essere originario.
2) apparato autoritario preminente: e per regolare gli interessi in conflitto, è necessario che abbia un apparato
autoritario preminente rispetto a quelli minori.
3) territorio: deve esistere un elemento materiale, il territorio, come centro di riferimento degli interessi comunitari,
nonché come fattore di aggregazione e di stabilità.
Pertanto, non sono considerati stati i gruppi sociali organizzati non stanziati su un territorio (esempio gruppi nomadi)
o i gruppi sociali stanziati su un territorio le cui dimensioni non sono, però, sufficienti a renderlo centro di riferimento
di interessi generali. È il caso degli stati esigui, che sono frutto di compromessi politici. Tra i vari stati esigui si
ricordano città del Vaticano, che assicura alla Chiesa cattolica una sfera di sovranità territoriale e San Marino,
Andorra e Monaco, che sono residui storici di antiche posizioni di indipendenza rispetto all'autorità temporale o
spirituale.
Tutti questi tre elementi distinguono lo Stato dagli altri ordinamenti originari (lo stato infatti è un ordinamento a fini
generali, anche se originari, perseguono fini particolari) e dagli altri ordinamenti territoriali in esso compresi (questi
non hanno il carattere del Originarietà e dipendono dallo stato). Il

Nozione stato: lo stato è un ordinamento giuridico originario a fini generali e a base territoriale, dotato di un apparato
autoritario posto in posizione di supremazia.

PARAGRAFO 2: LE FORME DI STATO

Per forma di stato si intende il rapporto tra chi detiene il potere e chi vi rimane assoggettato. La distinzione tra le varie
forme di stato è fondata proprio sulla diversa misura in cui i governati partecipano alla direzione politica dello stato.
1) STATO FEUDALE: il territorio è patrimonio del sovrano e dei vari feudatari e il primo si limita ad impersonale
l'unità dei rapporti di vassallaggio in un ordinamento composto da tante società particolari, tante comunità politiche
autonome non coordinate tra di loro. Per questo motivo non esiste un interesse generale, perché ci sono tante società
particolari e tanti interessi localizzati nel feudo e impersonati nel feudatario.
2) STATO ASSOLUTO: fu una reazione al particolarismo feudale. Sostituì la pluralità di centri di potere con un
rigido accentramento e la creazione di un apparato autoritario, con al vertice il monarca quale fonte di ogni altro
potere politico. Quest' ultimo, se da un lato tendeva a distruggere le varie componenti dello stato feudale, dall'altro si
ritrovò a tutelare gli interessi di una società non più suddivisa. Una forma razionalizzata di stato assoluto fu il
cosiddetto stato di polizia, in cui il monarca sentiva come proprio compito quello di assicurare la felicità e il
benessere dei governati.
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In entrambi i casi la determinazione di ciò che deve considerarsi interesse della comunità procede dall'alto, perché i
sudditi sono del tutto esclusi dalla partecipazione al governo dello stato. Tuttavia nello stato di polizia, come Prussia e
Austria, il sovrano ritiene che rientri tra i suoi compiti quello di assicurare la felicità e il benessere dei governati. A
questi ultimi viene riconosciutala tutela giurisdizionale di diritti nei confronti dello stato, limitatamente ero al campo
patrimoniale.

3) il superamento dello stato assoluto si ha alla fine del 1700, quando il potere viene assunto dalla borghesia, la quale
diventa talmente potente da riuscire a governare lo stato da sola o con il monarca fortemente limitato. Nasce così lo
STATO MODERNO O DI DIRITTO, chiamato così perché i principi alla base di tale stato (uguaglianza formale,
uguaglianza formale, principio di legalità, tutela dei diritti fondamentali, autorità legittimata dal consenso dei
governati) sono solennemente proclamati e consacrati in carte fondamentali.
A questo grande passo avanti contribuirono molto le dottrine liberali del XVIII e XIX secolo che volevano di limitare
la sfera di azione dello Stato nei confronti dell'individuo e distribuire il potere tra i vari organi dell'apparato
autoritario, proprio per evitare gli arbitri dei governanti. Le prime forme di stati moderni avevano ancora natura
settoriale, in quanto erano ancora strutturate su basi oligarchiche, visto che realizzavano le cosiddette " dittature delle
borghesie ".La borghesia escludeva dal governo dello stato tutti coloro che non facessero parte di tale classe. In
seguito la sfera degli interessi appare notevolmente ampliata, ma ha ancora natura settoriale. In una seconda fase si ha
la progressiva estensione del suffragio e la conseguente costituzione dei partiti politici di massa, accanto a quelli di
elite.
Anche in questo caso, il fenomeno giuridico trova il suo fondamento in una realtà economico-sociale che tra il 1800 e
il 1900 subì notevoli trasformazioni dovute in buona parte delle due guerre mondiali.

4) alla fine della prima guerra mondiale lo stato di tipo liberale ottocentesco entra in crisi e nasce LO STATO
SOCIALISTA, nel quale tutto il potere appartiene lavoratori delle città e delle campagne, E LO STATO
AUTORITARIO, dove, da un lato veniva esaltata la collettività nazionale, dall'altro, non la si riteneva capace di auto
governarsi politicamente e che perciò era ritenuto necessaria la figura di un capo carismatico che la guidasse.

5) STATO SOCIALE: dopo la fine della seconda guerra mondiale, ci fu il passaggio dallo Stato moderno allo Stato
sociale. È caratterizzato dall'azione dei pubblici poteri, che tende a promuovere il benessere dei cittadini (welfare
state), la sicurezza sociale e un intervento sempre più massiccio nel campo economico sociale. Inoltre, esaltava le sue
varie componenti per sollecitarne la partecipazione ed il consenso. Esso non faceva leva soltanto sulle libertà civili e
politiche e sull'uguaglianza formale, ma anche su una più equa distribuzione dei redditi e sul raggiungimento
dell'uguaglianza sostanziale di tutti i governati.

6) STATO SOCIALISTA: si caratterizza per la collettivizzazione dei mezzi di produzione con la conseguente
incisiva limitazione del diritto di proprietà privata, per l'esistenza di un partito unico, il partito comunista e per la
prevalenza segnata al principio di uguaglianza sostanziale rispetto a quello delle libertà civili e politiche.

PARAGRAFO 3:FORME DI STATO: STATI UNITARI E STATI COMPOSTI

STATO UNITARIO: si ha quando il potere sovrano è attribuito dall'ordinamento ad un unico ente. Esiste un unico
governo sovrano che opera sia a livello centrale che a livello periferico.

STATO COMPOSTO: si ha quando il potere sovrano è suddiviso tra uno stato centrale e più enti che, all'interno
dell'ordinamento complessivo, hanno la caratteristica di stati. La forma più diffusa di stato composto è lo stato
federale: in esso, gli stati conservano la loro identità, ma si uniscono per dare vita ad un ordinamento statale ad essi
sovrapposto, che avrà determinati poteri sovrani e in materia internazionale, di comunicazioni, forze armate e
sviluppo economico. I rapporti tra lo stato centrale e gli stati che compongono lo stato federale (stati membri o
Cantoni) sono improntati al rispetto di quella parte della sfera di sovranità di cui questi ultimi sono rimasti titolari.
A sua volta, lo stato centrale è in una posizione di supremazia, legittimata dalla necessità che i poteri degli stati
membri vengano compressi a vantaggio di quelli dello stato centrale per consentire a quest'ultimo di adottare un
indirizzo unitario e soprattutto in politica economica e di nelle relazioni internazionali e della legislazione.

PARAGRAFO 4: FORME DI STATO: STATI ACCENTRATI E STATI DECENTRATI

Lo stato unitario tende a trasformarsi da stato accentrato, dove le tre funzioni fondamentali sono esercitate da organi
dello stato soggetto e dove l'autonomia e l'autarchia dei minori enti territoriali è molto ristretta, in stato decentrato.

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Nello stato decentrato vengono potenziate e garantite le autonomie locali, ma si cerca di attuare una più intensa forma
di decentramento attraverso la creazione di un ente, alla regione, al quale vengono conferite la potestà di legiferare in
determinate materie. Questo tipo di stato viene chiamato stato regionale.
Quindi, il decentramento può andare da un massimo (stato federale), ad una forma intermedia (stato regionale) ad un
minimo che si ha negli stati che concedono ristretti ambiti di autonomia e di cauta stia ai minori enti territoriali.
Questa forma di decentramento si chiama istituzionale, perché trasferisce dallo stato soggetto ad enti diversila
titolarità di parte delle funzioni sovrane ed il connesso potere decisionale. Diverso è il decentramento organico o
burocratico, che si ha quando la funzione amministrativa viene distribuita, all'interno dell'apparato autoritario dello
Stato, tra organi centrali e organi periferici: questi ultimi hanno funzioni esecutive e hanno potere decisionale in
ordine alle questioni locali.
Si avrà invece la deconcentrazione quando gli organi periferici non hanno poteri decisionali dello stato soggetto
continuerà ad essere accentrato. L'autogoverno invece si ha quando, nel tipo di decentramento burocratico, gli organi
statali periferici vengono formati con la partecipazione delle popolazioni locali.
La nostra costituzione disciplina il decentramento all'articolo 5, dove ribadisce prima e innanzitutto della repubblica è
una e indivisibile e dopo impegna il legislatore ha:
-a riconoscere e promuovere le autonomie locali (decentramento istituzionale) a
-attuare nei servizi che dipendono dallo stato il più ampio decentramento amministrativo (decentramento organico)
-ad adeguare i principi e dei metodi della legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.

PARAGRAFO 5: LE UNIONI DI STATI

Gli Stati possono unirsi tra di loro, pur conservando la loro sovranità, e dar vita ad una unione di stati. La più
importante è l'Onu, l'organizzazione delle Nazioni Unite.
Gli organi principali sono:
 Assemblea
 consiglio di sicurezza
 segretariato generale
 Consiglio economico e sociale
 Corte Internazionale di giustizia.

SCOPO:
 mantenere la pace e la sicurezza internazionale
 rispetto dei diritti dell'uomo
 rispetto delle libertà fondamentali
 rispetto della collaborazione tra gli stati
 sviluppo tra le nazioni di relazioni amichevoli e ripudio della guerra per risolvere controversie
 questioni politiche mondiali che mettono in pericolo la pace nel mondo.
Fanno parte tutti gli stati del mondo tranne la Svizzera, la città del Vaticano e altri pochi stati.
Altre unioni di rilievo sono le unioni politiche economiche così dette regionali, come il consiglio d'Europa, la CECA,
la CE e la CEEA.

Il processo per la fusione delle Comunità Europee è cominciato nel 1965 con la creazione di un consiglio unico e di
una commissione unica. Nel 1992, con il trattato di Maastricht, si è dato concreto avvio all'integrazione politico e
economica dell'Europa prevedendo un mercato unico europeo, una unione economica e monetaria è una vera e propria
cittadinanza europea, attribuite cittadini degli stati membri.
Molto importante per l'integrazione europea è stata l'elezione a suffragio universale diretto dei membri del parlamento
europeo che si è svolta nel 1979 (prima di questa data, l'assemblea era composta da delegati dei Parlamenti di
nazionali designati tra i propri membri). Ci sono state anche con queste parlamentari in materia di bilancio. Fino al
1970, il Parlamento veniva solo consultato dal consiglio sul progetto di bilancio. Con il trattato del 1975, è stato
riconosciuto all'assemblea il diritto di respingere in toto il progetto di bilancio che gli viene presentato dal consiglio.
Tuttavia, i poteri normativi delle Comunità restano ancora concentrati nel consiglio, del quale fanno parte i
rappresentanti degli stati membri.
Gli obiettivi della comunità europea sono le libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali.

I trattati istitutivi delle Comunità Europee è il trattato di Maastricht a sono stati modificati dal trattato di Amsterdam il
2 ottobre '97. Esso:
 che enuncia alcuni principi essenziali come la democratici tac,la tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali e le regole basilari dello stato di diritto.

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 Ampliamento dei poteri del parlamento europeo nel processo di formazione delle normative comunitarie.
 Indica la prospettiva di rendere un'uniforme l'elezione dei membri del parlamento europeo.
 Possibilità di raccordo del parlamento europeo con il Parlamento di nazionali e con il comitato delle regioni e delle
autonomie locali.
 Potere del parlamento europeo di approvare la nomina del presidente della commissione.
 Attribuzione al segretario generale del consiglio della funzione di alto rappresentante per la politica estera di
sicurezza comune.
 Un protocollo annesso al trattato di Amsterdam prevede la progressiva estensione a tutta l'unione delle norme
contenute nell'accordo di Schengen, stipulato nel 85, allo scopo di eliminare gradualmente controlli alle frontiere tra
gli Stati aderenti.

Il primo maggio 2004 l'unione europea ha avuto il più grande allargamento della sua storia, con l'adesione di ben dieci
nuovi stati. Per gestire al meglio questo allargamento si era reso necessario ripensare l'assetto istituzionale dell'unione.
Per questo motivo del 2001 è stato approvato il trattato di Nizza, entrato in vigore nel 2003: esso ha apportato
modifiche indispensabili per eliminare l'equilibrio istituzionale della nuova unione allargata.
Negli ultimi anni poi si era fatta strada l'esigenza di procedere ad una riorganizzazione del diritto scritto e non scritto
dell'unione e di fare un lavoro di sintesi che potesse portare alla redazione di una vera e propria costituzione e
europea. Dopo innumerevoli modifiche alla bozza della carta costituzionale e europea, il 29 ottobre 2004 a Roma, i
rappresentanti degli stati membri dell'unione europea hanno finalmente sottoscritto il trattato che adotta una
costituzione per l'Europa. Il documento riunisce organicamente in un solo testo tutti i precedenti trattati, da quelli più
lontani di Roma del 1957 fino ai più recenti di Maastricht e Nizza.

PARAGRAFO 6: LA CONFEDERAZIONE DI STATI

Esistono anche unioni di stati che hanno per fine di promuovere la difesa comune verso l'esterno. Essi sono la Nato, la
lega degli stati arabi e l'unione europea occidentale.
LA confederazione DI STATI è una forma particolare di unione, costituita in base ad un trattato da stati di solito
confinanti che conservano la loro sovranità. SCOPO della confederazione è quella di provvedere meglio alla loro
difesa verso l'esterno, di assicurare la libertà dei trattati e degli scambi e di mantenere un certo regime politico sociale
all'interno di ciascuno di loro.
L'organo più importante è l'assemblea confederale, che è costituita dai rappresentanti dei vari stati e ha il potere
legislativo.

PARAGRAFO 7: I SINGOLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLO STATO:

A) IL TERRITORIO

Il territorio dello stato è costituito:


 dalla terraferma
 Dalle acque interne comprese entro i confini
 Dallo spazio aereo sovrastante
 Dal sottosuolo
 Dal mare territoriale, cioè dal tratto di mare adiacente alle coste.

CONFINI: possono essere naturali o artificiali a seconda che le convenzioni internazionali assumano come linea di
demarcazione tra due stati elementi naturali oppure opere dell'uomo.
Nel caso di confini naturali, in mancanza di particolari convenzioni tra gli stati limitrofi:
- se si tratta di catena montuosa, la linea di demarcazione è la linea che congiunge le rette più elevate;
- se si tratta di fiume navigabile, la linea di demarcazione è la cosiddetta linea Talweg, ovvero la linea della più alta e
forte corrente (ciò per permettere ai due stati la navigazione rivierasca.
- se si tratta di laghi, è data dalla linea retta che unisce i punti terminali del confine in terraferma.

MARE TERRITORIALE: è variabile da stato a stato e va da un minimo di tre miglia marine ad un massimo di 12 -
15 mila a partire dalla linea della più bassa Maria e seguendo l'andamento delle coste. Il codice di navigazione italiano
fissa l'estensione del mare territoriale in dodici miglia. Al di là del mare territoriale, dove lo stato fa valere la propria
sovranità, si estende il mare libero (o alto mare), che non è soggetto alla sovranità di alcuno stato.

ISTITUTI COLLEGATI AL TERRITORIO:

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- extraterritorialità: è una finzione giuridica in base alla quale le navi e gli aerei militari che si trovano in acque
territoriali o nello spazio aereo di un altro stato o sono assoggettati alle leggi dello stato per il quale battono bandiera
(mentre dovrebbero essere assoggettati alla potestà di imperio dello Stato nel cui territorio si trovano).
Inoltre gli atti e i fatti compiuti a bordo di una nave o di un aereo in uno spazio soggetto alla sovranità di un altro
stato, sono soggetti alla legge nazionale della nave o dell'aereo mobile (tranne in caso di diversa disposizione).
Infine, le navi e gli aerei italiani sono considerati come territorio dello stato ovunque si trovino, a meno che siano
soggetti, secondo il diritto internazionale a una legge territoriale straniera.
- immunità territoriale: si ha quando una porzione del territorio statale e risulta parzialmente immune dalla potestà di
imperio dello stato. I casi più frequenti sono dati dalle sedi delle rappresentanze diplomatiche straniere, dove lo stato
non può esercitare la sua potestà di imperio. Un caso particolare di immunità territoriale è quello di piazza San Pietro,
la quale, nonostante appartenga allo stato città del Vaticano, resta aperta al pubblico ed è soggetta ai poteri di polizia
italiani fino ai piedi della scalinata della basilica .
NATURA DEL DIRITTO DELLO STATO SUL PROPRIO TERRITORIO: santi romano ritiene che il diritto
dello stato sul territorio rientra nella categoria dei diritti sugli elementi costitutivi della propria persona e non nella
categoria dei diritti reali (perché il diritto reale presuppone un oggetto giuridicamente distinto dalla suo titolare). Il
territorio, indice il, è elemento costitutivo non soltanto dello stato, ma anche dei cosiddetti enti territoriali, chiamati
così proprio per sottolineare il fatto che il territorio sia una condizione essenziale per la loro giuridica esistenza. Ciò li
distingue dagli enti non territoriali, per i quali il territorio costituisce soltanto l'ambito entro cui esercitano le
attribuzioni loro conferite dalla legge.

B) IL POPOLO

NOZIONE: è la comunità di tutti coloro ai quali l'ordinamento giuridico statale assegna lo status di cittadino. Da
questo status deriva una serie di situazioni giuridiche attive e passive, che distinguono il cittadino dal non cittadino
(straniero o apolide), il quale in è escluso dal godimento di alcuni diritti politici e non è tenuto all'osservanza di alcuni
doveri.

PRESUPPOSTO: presupposto per l'acquisto della qualità di cittadino è la comunanza di alcuni valori e di interessi
materiali e spirituali. Ciò fa emergere lo stretto rapporto tra popolo e territorio, se si tiene presente la definizione di
territorio come centro di riferimento degli interessi comunitari, idoneo ad esprimere e a localizzare interessi generali.

CONCETTO DI POPOLO: il popolo, tuttavia, non è soltanto il complesso degli individui che esistono in un dato
momento, ma e la collettività di essi in sé e per sé considerata nel suo complesso, che non viene meno e non muta con
il mutare dei suoi componenti.

I MODI DI ACQUISTO DELLA CITTADINANZA (LEGGE 91 / 92): è cittadino italiano


 il figlio di padre o di madre cittadini
 Chi è nato nel territorio della repubblica se entrambi genitori sono ignoti o apolidi o se il figlio non segue la
cittadinanza dei genitori secondo la legge dello stato al quale questi appartengono.
 Il minore straniero adottato da cittadino italiano
 Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano.

PERDITA DELLA CITTADINANZA: ex articolo 22 della costituzione, nessuno può essere privato per motivi
politici della cittadinanza (della capacità giuridica e del nome). Tuttavia, può rinunciare alla cittadinanza il cittadino
che risieda o stabilisca la propria residenza all'estero oppure il cittadino che, avendo accettato un impiego o una carica
pubblica da uno stato estero o presti servizio militare per uno stato estero, non ottempera all'intimazione che il
governo italiano ha può rivolgere gli di abbandonare l'impiego, alla carica o il servizio militare.

L'appartenenza ad uno stato non vale più a fare del popolo di ogni stato una entità isolata e racchiusa entro i confini,
soprattutto da quando si è ha avuto un notevole sviluppo dell'economia, dei mezzi di trasporto, delle conoscenze
tecniche e scientifiche. Questo fenomeno ha avuto particolare rilievo con l'avvio del processo di integrazione europea
e la creazione di organizzazione sovranazionali.
Il trattato istitutivo della CEE prevede:
 l'abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza tra i lavoratori degli Stati membri per quanto
riguarda l'impiego, la retribuzione e le condizioni di lavoro.
 Libera circolazione delle persone
 graduale soppressione delle restrizioni alla libertà di stabilimento di cittadini di uno Stato membro nel territorio di
un altro stato.
 Il trattato di Maastricht:
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 ha istituitola cittadinanza europea e spetta a chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro
 diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri
 diritto per i residenti in uno Stato membro di cui non sono cittadini di voto e di eleggibilità nelle elezioni comunali,
alle stesse condizioni di cittadini dello stato.

POSIZIONE GIURIDICA DEL POPOLO NELL'ORDINAMENTO STATALE: il popolo è una figura giuridica
soggettiva, cioè è un soggetto privo di personalità giuridica, ma titolari di situazioni giuridiche, anche se non di veri e
propri diritti soggettivi. La più importante di tali situazioni soggettive è la sovranità, ossia il massimo potere di
governo, da esercitare nelle forme e nei limiti della costituzione.
POPOLAZIONE: essa è il complesso di tutti coloro (cittadini, stranieri, apolidi) che, in un dato momento, risiedono
stabilmente sul territorio dello stato e sono sottoposti alle sue leggi.

STRANIERI: sono i cittadini di un altro stato. In Italia, gli stranieri sono titolari delle situazioni giuridiche attive e
passive non riservate espressamente dalla costituzione e dalle leggi ai cittadini. Ex articolo 10, comma 2 costituzione
" la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali ".

APOLIDI: sono coloro che non hanno la cittadinanza di alcuno stato e sono anche essi sottoposti alle leggi dello
stato.

NAZIONE: essa è un'entità etnico-sociale caratterizzata dalla comunione di razza, di lingua, di cultura, di costumi, di
tradizione, di religione fra coloro che la compongono. Questa entità preesiste allo stato e, anzi, rappresenta uno dei
fattori che promuove la formazione del gruppo sociale.
Possono esistere stati i cui cittadini che appartengono a più nazioni (a cosiddetti stati plurinazionali), ma, mentre in
alcuni stati plurinazionali il processo di assimilazione tra le varie nazioni è abbastanza avanzato, in altre i caratteri
distintivi delle varie nazioni sono talmente esasperati da apportare a conflitti etnici.
L'Italia non può essere considerata come uno stato plurinazionale, ma in ogni caso tende a tutelare le minoranze
linguistiche, stabilendo che la lingua non può costituire fattore di discriminazione fra i cittadini davanti alla legge.

C) LA SOVRANITÀ

La sovranità può essere intesa in due significati: come originarietà e indipendenza e come supremazia
dell'ordinamento statale rispetto agli altri ordinamenti minori.
Indipendenza, originarietà e supremazia dell'ordinamento sono fra loro strettamente interdipendenti, se si considera
che un ordinamento è supremo soltanto se trova in se stesso la forza coattiva della capacità per mediare gli interessi in
conflitto.
I due significati sono normativamente assunti nell'articolo 7 costituzione, che stabilisce che lo stato e la chiesa
cattolica sono indipendenti e sovrani.
la supremazia dell'ordinamento statale non è solo un principio astratto, masi concreta in una serie di atti tipicizzati
mediante quali viene esercitato il comando e fatta valere la supremazia. Essi sono la legge, l'atto amministrativo e la
sentenza. L'autorità dello Stato si oggettivizza in atti formali cui l'ordinamento attribuisce una particolare efficacia: la
forza della legge, l'esecutorietà dell'atto amministrativo e la cosa giudicata della sentenza definitiva.
Per quanto riguarda il problema della spettanza della sovranità, bisogna capire a quale soggetto figura giuridica
soggettiva sono imputati i fatti e le attività, espressione della sovranità.
A questo proposito, ci sono varie teorie che tendono a determinare la fonte della sovranità:
 teoria teocratica:la fonte di ogni autorità è la volontà di Dio. Tale teoria era proprio della civiltà medievale, la
quale sosteneva che poiché il potere del re derivava da Dio, i governanti dovevano a lui illimitata obbedienza.
 Teoria della sovranità popolare: fonte dell'autorità è la volontà popolare.
 Teoria della sovranità nazionale: vede nella nazione quasi un'entità metafisica, distinta come tale dal popolo, la
cui volontà viene interpretata ed espressa dai rappresentanti eletti al Parlamento. Questa teoria ente in crisi nel XX
secolo quando, dal suffragio ristretto i censi Dario si passa a suffragio universale e i rappresentanti non vengono più
eletti da una sola classe sociale ma da tutto il popolo, diventando così espressione dell'intera collettività.
 Teoria nazionalsocialista dello Stato: tentò di collegare il Fuhrer alla volontà popolare. Secondo gli autori
tedeschi Hitler possedeva lo spirito del popolo e la volontà del popolo. La sua autorità cioè derivava dal popolo che
lo Stato, in quanto popolo politicamente organizzato era uno stato popolare.

Ora, negli ordinamenti in quello stato è persona giuridica, gli atti mediante quali si esercitala sovranità sono imputati
al soggetto stato: sono cioè atti dello Stato. Tuttavia, la sovranità va riconosciuta non più allo stato soggetto per il solo
fatto che da esso emanano gli atti dell'autorità, bensì a quel complesso di persone alle quali l'ordinamento giuridico,

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con le sue regole sull'organizzazione dello Stato e sull'attribuzione dei poteri conferisce istituzionalmente il potere
supremo di decidere per lo Stato.
Inoltre, il secondo comma dell'articolo 1 della costituzione stabilisce che " la sovranità appartiene al popolo, che la
esercita nelle forme e nei limiti della costituzione ".
Dunque, la nostra costituzione non si è limitata prevedere la formazione di una società politica perfetta, come può
esserlo una repubblica democratica, ma, attribuendo la sovranità al popolo, ha voluto anche garantire che questo tipo
di società si realizzi è che la democrazia non si risolva in una vuota formula ma diventi un metodo giuridico di
governare lo stato.

PARAGRAFO 8: STATO ISTITUZIONE - STATO APPARATO - COMUNITÀ STATALE

Il termine stato può essere assunto in diversi significati:


1) STATO ISTITUZIONE: indica uno dei tanti corpi sociali organizzati, avente determinate caratteristiche
(originarietà, territorialità, apparato autoritario preminente), comprendente i minori corpi sociali e gli ordinamenti
particolari ed è sovraordinato ad essi. La nostra Costituzione lo designa col termine Repubblica, Stato, Italia, patria,
paese.

2) STATO APPARATO O STATO GOVERNO: in questo caso designa l'apparato autoritario, cioè il complesso
delle autorità cui l'ordinamento attribuisce formalmente il potere di emanare e di applicare le norme. È il complesso
dei governanti. Ad esso l'ordinamento può conferire la personalità giuridica e si chiamerà allora stato soggetto o stato
persona. Nell'ordinamento italiano, lo stato apparato è persona giuridica, in quanto titolari di situazioni attive e
passive nei confronti dei cittadini e degli altri soggetti pubblici e privati.

3) STATO COMUNITÀ: è l'insieme dei governati. Tuttavia, poiché è un entità eterogenea, formata da soggetti
pubblici e privati, da cittadini e non cittadini e da tutta una realtà sociale che non può essere ricondotta ad unità, è
preferibile parlare di comunità statale, in continua trasformazione. I rapporti tra comunità statale e stato apparato
dipendono dalla partecipazione della prima alla formazione degli atti in cui si esprimono l'autorità dello stato,
partecipazione che può essere soltanto formale, ma può anche avere natura sostanziale quando viene riconosciuta a
soggetti pubblici e privati un'ampia sfera di autonomia costituzionalmente garantita.

Conclusioni sul problema della sovranità: quando si parla di sovranità come elemento essenziale dello Stato ci si
riferisce allo stato istituzione.
Quando si imputano formalmente allo stato di atti mediante quali si esercita la sovranità, è allo stato soggetto che ci si
riferisce.
L'imputazione sostanziale degli atti dell'autorità, e quindi della sovranità, al popolo come figura giuridica chiude
l'anello, riconducendolo allo stato istituzione, perché il popolo è elemento essenziale dello stato istituzione ed è
titolare della sovranità (che è un altro elemento essenziale) che esercita nelle forme e nei limiti dell'ordinamento e
nell'ambito spaziale, costituito dal territorio, anche esso elemento essenziale.
Le due sfere dell'autorità e della libertà non sono nettamente separate, in quanto anche nelle forme più rigide di
Governo totalitarie, anche i governanti sono sottoposte alle leggi e sono quindi anche governati. Non si può però
neanche eliminare uno dei due termini, perché non si può pensare ad una società in cui tutto sia riferibile alla sfera
dell'autorità o a quella della libertà. Società politica e società civile sono sempre storicamente coesistite e
continueranno a farlo, regolando in vario modo i loro rapporti, a seconda delle ideologie e delle forze politiche e
sociali dominanti. Anzi, c'è la tendenza sempre più a far partecipare alla formazione dei comandi un numero sempre
maggiori di governati. In questo modo si attua un tipo di democrazia non solo formale, che esalta le singole
componenti della comunità statale e ne garantisce l'effettiva partecipazione al governo.
In conclusione si può dire che da comunità statale costituisce un entità non omogenea che non può ricondursi allo
stato istituzione, il quale la comprende ma non la esaurisce. Infatti, lo stato istituzione è una realtà giuridica ben
determinata nei suoi elementi costitutivi, mentre la comunità statale è una realtà sociale in continua trasformazione,
composta da cittadini e non cittadini, da singoli individui e da gruppi sociali preesistenti allo stato o creati dallo Stato,
riconosciuti o no.
Quanto al rapporto tra stato apparato è comunità statale, la comunità statale partecipa con lo stato apparato alla
formazione degli atti in cui si esprimono l'autorità dello Stato.

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PARAGRAFO 9: L’ORGANIZZAZIONE DELLO STATO APPARATO

A) LE FUNZIONI DELLO STATO

NOZIONE: Per funzione si intende il complesso delle attività dirette a produrre gli atti dell'autorità.
Nella nostra Costituzione, questo termine è adottato nel significato di attività organizzata è preordinata al
conseguimento di uno scopo negli artt. 70, 102, 118 per 124.
Per la produzione di norme giuridiche e di atti amministrativi, la funzione è attribuita, oltre che allo stato, anche ad
altri enti, in particolare alle regioni, alle province e ai comuni, come condizione essenziale perché essi possano
perseguire i loro fini, che sono fini generali su dimensioni locali. Questi enti, infatti, possono emanare atti normativi e
amministrativi che possiedono la stessa forza dei corrispondenti atti statali. Questa forma di decentramento delle
funzioni su base territoriale prende il nome di autonomia, nel caso dell'attribuzione della funzione normativa, e di
autarchia, nel caso dell'attribuzione della funzione amministrativa. Gli enti territoriali minori, però, non sono titolari
della funzione giurisdizionale e non possono istituire propri organi giurisdizionali.

Funzioni dello stato:


1. FUNZIONE LEGISLATIVA: L’articolo 70 indica sia le attività dirette alla produzione della legge, sia le autorità
che la esercitano (il parlamento). Riguarda l'emanazione delle norme e tale funzione è affidata alle Camere
collettivamente.
2. FUNZIONE GIURISDIZIONALE:l'articolo 102 indica sia le attività dirette alla produzione della sentenza, sia le
autorità che la esercitano (la magistratura ordinaria). Si concreta nella individuazione della regola da applicare in
caso di controversie ed è affidata alla magistratura ordinaria.
3. FUNZIONE AMMINISTRATIVA: gli articoli 118 e 124 indicano soltanto le attività dirette alla produzione
dell’atto amministrativo, mentre non c'è nessuna indicazione riguardo l‘autorità che la esercita, per cui si deve
ritenere che l'attribuzione di tale funzione all'apparato di governo sia presupposta nel titolo III, nella parte relativa
al governo, mentre è esplicita nell‘art 118 e 124. Attraverso la funzione amministrativa si dà attuazione concreta
alle leggi e si curano in modo immediato gli interessi pubblici. Tale funzione è affidata al governo
4. FUNZIONE DI INDIRIZZO POLITICO: attraverso essa si definiscono i fini fondamentali dell'attività statale,
armonizza e coordina tutti i vari compiti svolti dai vari organi autonomi in modo da assicurare il risultato che si
attende. In realtà è meglio parlare di ATTIVITA’ DI INDIRIZZO POLITICO, che consiste in una sequela di atti
che incidono sulla realtà politica e che sono diretti al conseguimento dei fini.
Questa attività consiste:
 Nel determinare i fini dell’azione statale
 Nel funzionalizzare la volontà dei governanti
 Nel predisporre gli strumenti giuridici e i mezzi materiali per il suo svolgimento
 Nel conseguire i fini.

B) LE FORME DI GOVERNO

Per forma di governo si intende il modo in cui le funzioni dello stato sono distribuite e organizzate fra i diversi
organi costituzionali e, avuto riguardo all'attività di indirizzo politico (che precedette e condiziona l'esercizio
delle funzioni statali) e ai modi del suo svolgimento.

1) FORMA DI GOVERNO PARLAMENTARE: sorta originariamente in Inghilterra nel XVIII secolo , si è poi
affermata in Europa dove ha assunto caratteristiche diverse: perciò esistono tanti tipi di governo parlamentare quante
sono state le sue concrete realizzazioni.
Caratteristica comune ai vari tipi è il rapporto fiduciario che lega le camere rappresentative al governo, per cui:
- il governo deve ottenere la fiducia delle camere per poter iniziare a svolgere la sua attività di indirizzo politico e tale
fiducia deve mantenere per poter restare in carica.
- il parlamento ha potere di controllo sull'attività politico amministrativa e finanziaria del governo, in modo tale da
essere in grado di far valere la responsabilità politica del governo attraverso il voto di sfiducia.
- il governo ha l'obbligo di dimettersi in seguito al voto di fiducia delle camere essendo venuto meno il rapporto
fiduciario.
Il governo parlamentare richiede una applicazione attenuata del principio della separazione dei poteri: infatti ciascun
potere, oltre la funzione che gli viene istituzionalmente attribuita, svolge anche funzioni proprie di altri poteri.

2) FORMA DI GOVERNO PRESIDENZIALE: questa forma di governo ha preceduto la forma parlamentare e fu


adottata negli USA.
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Caratteristiche:
 il Presidente è al centro del sistema presidenziale: egli ha sia funzioni del capo dello Stato che quelli del capo del
Governo; può nominare e revocare gli alti funzionari dello Stato; determina l’indirizzo politico; non può sciogliere
il parlamento.

 non c’è rapporto fiduciario tra Parlamento e Governo, ma tra Presidente della Repubblica e Governo.
Tuttavia, la somma dei poteri che si concentra nel Presidente viene bilanciata dall’elezione diretta del Presidente da
parte del popolo e dai poteri di controllo che vengono affidati ad altri organi costituzionali e, in particolare, al
Parlamento.

 la separazione dei poteri viene attuata in maniera rigida. La funzione esecutiva e di indirizzo politico sono affidate
al capo dello Stato e all'amministrazione, la funzione legislativa è affidata alle assemblee elettive della funzione
giurisdizionale è affidata al corpo dei magistrati. Queste funzioni devono essere svolte senza interferenze da parte di
organi appartenenti a poteri diversi.

 Le camere non possono provocare la caduta del presidente a meno che non risulti colpevole di tradimento o di altri
gravi reati: in questo caso possono ricorrere all’impeachment. Il Inoltre, non hanno nessuna voce in capitolo nella
determinazione dell’indirizzo politico, anche se di fatto lo possono condizionare in maniera decisiva, attraverso la
manovra finanziaria, non approvando o riducendo lo stanziamento dei fondi necessari per il suo svolgimento. Da
parte sua, il Presidente può porre il vero all’entrata in vigore delle leggi, veto che però può essere superato se il
congresso riapprova la legge a maggioranza di 2/3

3) FORMA DI GOVERNO SEMIPRESIDENZIALE (Germania-repubblica di weimar e Francia). In questo tipo di


forma di governo, ci sono caratteristiche del regime presidenziale (come l’elezione diretta del presidente della
Repubblica o il rapporto fiduciario tra presidente e Governo) ed istituti tipici della forma di governo parlamentare
(come l’istituto della fiducia parlamentare all’esecutivo). Dunque l’esecutivo opera in un regime di doppia fiducia: è
nominato dal presidente, nei cui confronti risponde politicamente, ed è legato al parlamento da un rapporto di fiducia.

4) LA FORMA DI GOVERNO DIRETTORIALE: composto da:


- CONSIGLIO FEDERALE (potere esecutivo): è un organo collegiale di 7 membri, che viene eletto ogni 4 anni dalle
Camere riunite in Assemblea federale.Nonostante i componenti del consiglio vengano eletti dall’assemblea, tra i
due organi non si instaura nessun rapporto fiduciario. Tra i membri del consiglio viene eletto annualmente IL
PRESIDENTE DELLA CONFEDERAZIONE. Le funzioni di governo vengono svolte dai singoli membri del
consiglio.
- ASSEMBLEA FEDERALE (potere legislativo): ha la suprema autorità di governo della confederazione.

5) FORMA DI GOVERNO DI GABINETTO: questa è adottata in gran Bretagna.
CARATTERISTICHE:
- ruolo di preminenza affidata al gabinetto. Esso è formato da circa 20 ministri tra i più qualificati più il primo
ministro, posto in posizione di supremazia rispetto agli altri ministri e avente la direzione politica dello stato.
- c'è un rafforzamento dei poteri dell'esecutivo. La gran Bretagna si basa su un sistema bipartitico, cioè si alternano al
potere i due maggiori partiti e ciò serve sia per collegare il governo e, in particolare i il primo ministro con il corpo
elettorale, sia per dare particolare stabilità al governo, sia per legittimare lo scioglimento anticipato della camera
elettiva. Questo tipo di sistema dà grande stabilità al governo.

6) FORMA DI GOVERNO DEGLI STATI SOCIALISTI: hanno adottato forma di governo differenziate a
seconda che si trovassero in una fase di transizione verso l'integrale realizzazione del comunismo e dell'autogoverno
sociale comunista, che avrebbe portato alla scomparsa dello Stato (es. Russia) o a seconda che mantenessero, accanto
alle nuove strutture socialiste, alcuni elementi della FORME DI GOVERNO occidentali (come nelle cosiddette
democrazie popolari).

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CAPITOLO 2: LE FONTI DEL DIRITTO

Il fenomeno giuridico, strettamente connesso al fenomeno associativo, si concretizza in una serie di regole
istituzionali e organizzative, nelle quali sono espressi e fissati gli interessi del gruppo sociale e le procedure per la
composizione e il soddisfacimento degli stessi. Il complesso di queste regole forma un sistema, ovvero una entità
omogenea di cui elementi risultano tra loro intimamente coordinati.
Avremo pertanto:
 una serie di valori che assicurano la vigenza di un sistema e lo legittimano nel suo complesso
 una serie di regole in cui questi valori vengono fissati in una formulazione linguistica
 una serie di regole che stabiliscono gli organi e le procedure delle regole in cui vengono fissati valori
 una serie di regole per coordinare il sistema nel suo interno.

La fonte primaria del fenomeno giuridico è la necessità dell'uomo di associarsi ad altri uomini per perseguire certi
interessi e tutelare certi valori e si esteriorizza con le regole istituzionali ed organizzative. Quindi le fonti
dell'ordinamento giuridico sono i valori e gli interessi per perseguire quali il gruppo si è costituito.

PARAGRAFO 1: LA NORMA GIURIDICA

La norma giuridica consiste in una regolamentazione eteronoma delle attività dei consociati, accompagnata dalla
minaccia dell'irrogazione di una sanzione in caso di inosservanza della norma.

Destinatari:
- tutti i consociati
-alcuni di essi, individuabili in base a determinate caratteristiche (per esempio i capaci e i meritevoli)
-singoli individui
-organi e soggetti appartenenti allo stato apparato
-nessuno: in questo caso enunciano i valori intorno al quale lo stato si è costituito (norme istituzionali).

Caratteristiche:
 Giuridicità: attitudine ad assicurare la stabilità e la continuità nel tempo di un gruppo: ciò sottolinea l'intima
connessione tra norma giuridica e gruppo sociale e significa che le norme giuridiche si distinguono dalle altre norme
sociali (morali, religiose...) perché determinano e specificano gli interessi per il cui soddisfacimento il gruppo si è
costituito e le procedure per la loro composizione. Quando gruppo sociale ritiene che una determinata regola sia
essenziale per la stabilità della pacifica convivenza dei consociati, la traduce in norma e ne garantisce l'osservanza
attraverso una sanzione. Se la fonte di una norma è scritta, la sua formulazione linguistica dovrà evidenziare gli
interessi propri del gruppo, dovrà prescrivere i modi e i limiti con i quali i soggetti possono perseguire questi
interessi, dovrà determinare gli organi e le procedure per accertare e dichiarare di inosservanza delle prescrizioni e
dovrà stabilire la sanzione da applicare nei confronti di chi non ha osservato la norma.
 Positività: deve enunciare un interesse effettivamente vigente nella comunità e deve predisporre organi e procedure
per il soddisfacimento e la tutela degli interessi vigenti.
 Effettività: si collega al carattere di positività e consiste nella concreta efficacia della norma. Una norma è
concretamente efficace quando è osservata dal maggior numero di persone alle quali si indirizza (in quanto la
disobbedienza è chiaro un indice della non corrispondenza del precetto stesso ai valori e agli interessi comunitari).
L'effettività può essere intesa in due modi: in senso prescrittivo-deontologico (una norma è tale solo se in concreto è
efficace e applicabile); in senso storico-esistenziale (significa che la norma di gode o ha goduto in un certo periodo
storico di concreta efficacia e applicazione). Una norma avrà il carattere di positività-effettività non quando essa è
puramente osservata, ma quando riesce ad esprimere e tutelare gli interessi e i valori del gruppo sociale. La
positività-effettività, intesa in un altro significato, indicherà la norma stessa non così come essa è posta
nell'ordinamento, ma come è in concreto fatta valere ed applicata nelle aule giudiziarie, negli uffici amministrativi,
nei negozi tra privati.
 Coattività: capacità del precetto di affermarsi coattivamente, indipendentemente dalla volontà del soggetto,
attraverso il sistema delle sanzioni. Coattività e sanzione sono strettamente collegati tra di loro, anche se non tutte le
norme esprimono un comando assistito da una sanzione: è il caso delle norme istituzionali, organizzative,
permissive, definitorie, promozionali, di incentivazione). Quindi, accanto alle norme coattive, ci sono queste altre
che sono non coattive, anche se sono dotati comunque del carattere di positività, in quanto esprimono un interesse,
un valore considerato meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento giuridico. Tali norme, anche se non sono
assistiti da una sanzione, richiedono per la loro stessa natura di essere attuate, perché esse determinano i fini intorno
ai quali la comunità statale si è costituita e il cui perseguimento è essenziale per il corretto funzionamento del

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sistema.
 Esteriorità: soltanto i comportamenti esterni dell'uomo o sono tenuti ad adeguarsi alle norme giuridiche e non
anche la coscienza, come richiedono i precetti morali.
 Generalità ed astrattezza: la generalità è l'attitudine della norma a regolare categorie di fatti o comportamenti
senza riferimento a situazioni o soggetti determinati. L'astrattezza si ha perché la norma, proprio perché disciplina
categorie e non casi concreti, dispone in via preventiva e ipotetica. Grazie alla generalità e all'astrattezza, la norma
può essere applicata ad un numero indeterminato di persone e a un numero indefinito di casi. Eccezioni sono le
leggi personali (che hanno per destinatari soggetti singoli e determinati) e leggi provvedimento (che sono leggi con
le quali vengono presi provvedimenti concreti con riferimento a situazioni e soggetti determinati). Le leggi
provvedimento hanno la forza propria della legge e non hanno natura normativa, cioè non contengono norme
giuridiche. Tali leggi costituiscono uno dei casi di deroga al principio della divisione dei poteri, in quanto non
spetterebbe al legislatore ordinario emanare atti a contenuto concreto, ma all'autorità amministrativa. Oggi le leggi
provvedimento è lo strumento usato dal legislatore per raggiungere in via diretta ed immediata (cioè senza la
mediazione delle autorità amministrative), avvalendosi della forza tipica dell'atto, alcuni fini propri dello stato
sociale. Quanto ai limiti alle leggi provvedimento, la Costituzione non vieta che la legge assuma un contenuto
concreto, ma ciò non significa che il legislatore possa disporre a suo piacimento nel campo proprio dell'esecutivo,
perché in questo caso il principio della divisione dei poteri può essere stravolto.

In conclusione si può dire che la norma giuridica è una prescrizione generale ed astratta che identifica ed enuncia gli
interessi vigenti in un gruppo sociale o appresta procedure per la loro tutela ed il loro concreto soddisfacimento e della
quale deve essere garantita l'osservanza.

PARAGRAFO 2: VARI TIPI DI FONTI

In presenza di una fonte si distingue: l'aspetto formale, cioè l'atto in quanto posto in essere secondo una certa
procedura (legge, decreto legge...); l'aspetto sostanziale, cioè il contenuto della atto; la norma giuridica desumibile
dalla atto in via interpretativa. Testo scritto e norma sono due entità distinte, in quanto sono in rapporto di contenitore
e contenuto.
Si definiscono fonti normative gli atti e i fatti i mediante i quali vengono prodotte le norme giuridiche.
Tra i vari tipi di fonte ci sono:
1) fonti di produzione: ogni atto o fatto abilitato dall'ordinamento giuridico per innovare il diritto oggettivo. Sono cioè
lo strumento tecnico predisposto dall'ordinamento per produrre il diritto oggettivo. A loro volta, però, le fonti di
produzione a vengono predisposte dall'ordinamento nel senso che esso disciplina gli organi e le procedure necessarie
alla produzione delle norme.
2) fonti sulla produzione: atti che disciplinano i procedimenti formativi delle fonti di produzione. Esse indicano i
soggetti che hanno il potere di emanare le norme, stabiliscono le procedure che devono essere seguite per l'adozione
delle norme e stabiliscono le modalità con cui le norme devono essere portate a conoscenza dei destinatari. Tra le
fonti sulla produzione più importanti troviamo l'articolo 138 (legge costituzionale), 70 (legge ordinaria), 76 (legge
delegata), 77 (decreto legge), 87 (regolamenti governativi). A loro volta, le fonti sulla produzione derivano anche se
da una fonte, cioè da un atto o da un fatto che determina il modo in cui devono essere poste. L'articolo 1 del decreto
luogotenenziale 25 giugno 1944 n. 151 stabiliva che la nuova costituzione doveva essere deliberata da un'assemblea
costituente eletta a suffragio universale dal popolo italiano. Proprio popolo italiano è statola fonte primaria
dell'ordinamento, in quanto, e leggendo i deputati dell'assemblea e scegliendo con il referendum del 2 giugno 1946 la
Repubblica come forma istituzionale dello Stato, ha orientato e condizionato le decisioni politiche dell'assemblea.

All'interno delle fonti di produzione si distinguono:


3) fonti-atti: manifestazioni di volontà di organi o enti nell'esercizio dei poteri loro attribuiti. In genere si tratta di fonti
scritte.
4) fonti-fatti: consistono in un comportamento oggettivo (esempio consuetudine) o Lina t di produzione giuridica
esterni al nostro ordinamento che, per questo, vengono considerati come fatti. In genere si tratta di fonti non scritte.
La distinzione tra fonti atti e fonti fatti è importante in quanto di limitala competenza della corte costituzionale la
quale, nei giudizi di legittimità costituzionale è chiamata a sindacare la conformità alla costituzione delle fonti atti e
non delle fonti fatti, ed in particolare delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle regioni.
5) fonti dirette: sono fonti regolate e previste nello stesso ordinamento.
6) fonti indirette: la fonte è regolata e disciplinata in un ordinamento esterno a quello dello stato. In questo caso la
norma prodotta deve essere recepita o resa efficace nell'ordinamento in cui la si vuole applicare, mediante alcune
procedure.

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7) fonti non giuridiche: sono la morale, i principi politici, le dottrine giuridiche. È possibile, però, che se
l'ordinamento lo ritenga opportuno, possono essere trasformate in norme giuridiche e quindi in vere e proprie fonti del
diritto.
8) necessità: rientra tra i fatti produttivi di norme. È intesa come elemento intrinseco che legittima un'attività che,
senza di esso, sarebbe contraria al sistema legale delle fonti. La necessità come fonte opera al di fuori o anche contro
l'ordinamento e si riconnette strettamente ad un fatto che alla forza di imporsi di per sé stesso come normativo ovvero
di la necessità diventa fonte del diritto quando bisogna far fronte a situazioni eccezionali, non previste nei prevedibili,
al fine di salvaguardare i valori essenziali dell'ordinamento.
8) fonti di cognizione: non sono vere e proprie fonti, ma sono i documenti ufficiali nelle quali vengono racchiuse le
disposizioni normative e che servono per agevolare la conoscenza di norme poste dalle fonti del diritto.

PARAGRAFO 3: LA DELEGIFICAZIONE

La varietà delle fonti, ma soprattutto l'eccessiva produzione legislativa, hanno posto il problema della delegificazione.
Si vuole porre un freno alla infrazione delle leggi, sottraendo al legislatore il potere di disciplinare una materia non
legislativa, giungendo in questo modo a delegificare intere materie o settori di materie per attribuirli alla competenza
del potere esecutivo.
La delegificazione in senso tecnico consiste nel decongestionare il parlamento da attività superflue e comunque non
consone alle funzioni che dovrebbe svolgere, mediante il ricorso ad una legge avente per disposto il trasferimento di
certe discipline dalla sede legislativa a quella regolamentare (questi regolamenti non hanno forza di legge).
Importante è la legge 400/88: essa dispone che con decreto del presidente della repubblica e previa deliberazione del
Consiglio dei Ministri e sentito il Consiglio di Stato, devono essere emanati i regolamenti per la disciplina delle
materie non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla costituzione, materie per le quali le leggi della
repubblica, che autorizzano l'esercizio della potestà regolamentare del governo, determinano le norme generali che
regolano la materia è dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme
regolamentari.
Dalla delegificazione si distinguono:
 deregulation: consiste nella riduzione dell'intervento dei poteri pubblici nelle attività.
 Denazionalizzazione o privatizzazione: si ha quando lo Stato, già titolare di una impresa o di un'attività, decide di
ritrarsi da tali campi di intervento e di affidare per intero ai privati la relativa disciplina che obbedirà, pertanto, in
caso di attività economica, alle regole del libero mercato.
 deburocratizzazione: tende a rendere più efficiente la Pubblica amministrazione mediante l'eliminazione di norme
che appesantiscono le attività e procedimenti amministrativi.

PARAGRAFO 4: I CRITERI PER COMPORRE LE FONTI IN SISTEMA

I criteri più importanti per comporre le fonti in sistema sono:


- criterio cronologico: non si applica la norma precedente (perché viene abrogata), ma quella successiva.
L'abrogazione può essere: è espressa, tacita o innominata, nel caso in cui il legislatore non specifichi quali norme vi
siano oggetto. Tale criterio non trova applicazione della legge precedente a carattere speciale o e eccezionale.
-criterio gerarchico: consiste nel coordinare le fonti secondo la diversa efficacia loro attribuita dall'ordinamento per
cui la fonte di grado superiore prevale su quella di i grado inferiore.
-criterio della separazione delle competenze: l'efficacia delle fonti viene distinta a seconda della sfera territoriale o
materiale in cui essa opera. Si fonda sulla diversità di oggetto, su una diversità di ambito territoriale e su una diversità
di oggetto e territorio.

EFFICACIA O FORZA DELLE FONTI NORMATIVE:


Natura sostanziale: se ci si riferisce alle fonti intese come atti o fatti i mediante i quali vengono prodotte le norme
giuridiche, l'efficacia delle fonti indica l'attitudine della fonte a creare è ad immettere nell'ordinamento regole dotate
di caratteri propri della norma giuridica (la fonte produce norme giuridiche).
Natura formale: se si intendono le fonti come atti emanati da determinati organi secondo procedure prefissate.
La maggior parte delle leggi e delle altre fonti, in quanto produttive di diritto, avranno sia efficacia formale sia
sostanziale. Il criterio gerarchico di classificazione delle fonti del diritto si fonda sulla diversa misura in cui le varie
fonti sono abilitate a produrre diritto, ma poiché questa misura è collegata all'atto in quanto posto in essere da
determinati organi secondo procedure prefissate, ecco che l'efficacia sostanziale dipende da quella formale. In altre
parole, ciascuna fonte a una sua misura di efficacia, che è data dall'ambito entro il quale essa può produrre diritto:
questo ambito viene predeterminato dall'ordinamento attribuendo a ciascuna fonte una sua efficacia formale, cioè una
sua forza.

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PARAGRAFO 5: SISTEMA DELLE FONTI:

La Costituzione non contiene una elencazione completa ed organica delle fonti di produzione, per cui il loro
ordinamento gerarchico deve ricostruirsi in via interpretativa.

1) FONTI DI LIVELLO COSTITUZIONALE

-COSTITUZIONE : nell'ordine delle fonti in realtà la Costituzione non è menzionata perché essa è sopra ordinata
tutte le altre fonti.

- LEGGI COSTITUZIONALI : la legge costituzionale è posta in posizione di supremazia rispetto tutte le altre. Con
essa si può procedere, entro certi limiti, alla revisione o alla deroga della costituzione e dichiarare costituzionalmente
illegittime e far perdere efficacia alle fonti in contrasto con la Costituzione o con una legge costituzionale. Per questi
motivi si richiede una procedura aggravata per l'approvazione di questa legge, alla quale può partecipare il corpo
elettorale con il referendum.

- LEGGI DI REVISIONE COSTITUZIONALE

2) FONTI PRIMARIE

- LEGGE FORMALE: a tale legge viene assegnata la preminenza nella gerarchia delle fonti (principio di preferenza
della legge) e le riserva è espressamente la disciplina di alcune materie. Questo perché il passaggio dallo Stato
assoluto allo Stato moderno è stato caratterizzato soprattutto dalla sottrazione al monarca del potere di dettare norme
costitutive dell'ordinamento per affidarlo ad assemblee costituite a tal fine. Si è ritenuto che l'identificazione e
l'enunciazione degli interessi del gruppo sociale potevano essere meglio effettuate da un organo collegiale, invece che
da una sola persona, soprattutto se l'organo collegiale era collegato al gruppo sociale da un rapporto di rappresentanza
costituito mediante l'elezione dei suoi componenti.

- ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE (DECRETI LEGISLATIVI E DECRETI LEGGE); la disciplina relativa agli
atti aventi forza di legge è limitata sia per quanto riguarda l'oggetto, sia per quanto riguardale modalità e i presupposti
dell'esercizio del potere normativo da parte del governo. Tuttavia, tra le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge,
la Costituzione preferisce le prime. Infatti, per quanto riguarda i decreti legislativi, l'esercizio della funzione
legislativa da parte del governo è subordinata alla previa emanazione da parte del Parlamento di una legge che
determini il tempo entro cui il governo può legiferare, le norme fondamentali cui il governo deve attenersi, gli scopi
che il governo deve perseguire, la materia che il governo deve trattare e i principi direttivi ai quali il governo dovrà
uniformarsi. Inoltre, l'efficacia dei decreti legge è subordinata alla conversione in legge formale entro 60 giorni dalla
pubblicazione.

- LEGGI REGIONALI: tra la legge formale e delle leggi regionali non c'è rapporto di pari ordinazione, ma di
separazione: in queste materie la potestà legislativa viene ripartita tra lo Stato e le regioni.

- REFERENDUM ABROGATIVO DI LEGGE: efficacia sostanziale pari a quella della legge del Parlamento si
riconosce anche al referendum abrogativo di una legge o di un atto avente forza di legge, perché il referendum ha
come fine quello di far venir meno delle norme già esistenti. L'abrogazione di una o più norme provocala
modificazione dell'ordinamento giuridico preesistente, in quanto una determinata materia o fattispecie cessano di
essere disciplinate in seguito all'abrogazione di una norma che le disciplinava. Pertanto l'ordinamento sarà chiamato a
provvedere a colmare il vuoto normativo lasciato dall'esito positivo del referendum.

- BANDI MILITARI: controversa è l'ammissibilità tra le fonti dei Bandi militari. Sono atti emanati dal comandante
supremo delle forze armate nella zona di operazioni oppure in parti del territorio minacciate da un pericolo esterno
grave e imminente oppure nel caso di occupazione militare di territori oltre confine, ai quali l'ordinamento attribuisce
forza di legge. Poiché presupposto di questi Bandi è lo stato di guerra, alcuni autori hanno ritenuto che la loro
legittimità costituzionale fosse da ricercare nell'articolo 78 secondo cui " le Camere deliberano lo stato di guerra e
conferiscono al governo e poteri necessari ". Per governo s'intende presidente del consiglio, ministri e consiglio dei
ministri e non anche organi ed istituzioni che formano il potere esecutivo, dei quali fanno parte le forze armate. Perciò
la deliberazione con cui il Parlamento conferisce il potere necessario in caso di guerra deve disciplinare anche le
modalità per l'esercizio del potere di bando da parte delle autorità militari.

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- FONTI COMUNITARIE: trattati istitutivi , regolamenti, direttive, decisioni. Sono atti che, una volta immessi nel
nostro ordinamento, occupano una posizione di preminenza rispetto alla legislazione ordinaria statale. Queste fonti
non sono previste nella costituzione, anche se esse devono trovare in questa la loro legittimazione. Il loro fondamento
si fa risalire all'articolo 11 della costituzione, il quale dispone che l'Italia consente, in condizioni di parità con gli altri
stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace la giustizia tra le nazioni e
promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

3) FONTI SECONDARIE

- I REGOLAMENTI DELL'ESECUTIVO, che non possono essere in contrasto con le fonti legislative ordinarie.
Questi regolamenti possono immettere nuove norme nell'ordinamento solo se esse non sono in contrasto con quelle
contenute in leggi formali o in atti di uguale forza. L'articolo 4 delle preleggi stabilisce che " i regolamenti non
possono contenere norme contrarie alle disposizioni di leggi. I regolamenti delle autorità diverse dal governo non
possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal governo ". Tuttavia, per esigenze pratiche, in
quanto la fonte regolamentare è più immediata, si possono ammettere eccezioni. È il caso dei regolamenti autorizzati,
che sono regolamenti che derogano disposizioni di legge, abrogando discipline di rango legislativo (per esempio
regolamento di delegificazione, che autorizza il governo ad emanare regolamenti che sostituiranno la legge vigente).
È anche il caso dei regolamenti indipendenti, che disciplinano materie non disciplinate dalla legge, ponendosi in
questo caso come unica fonte regolatrice. In entrambi casi la misura dell'efficacia sostanziale è pari a quella della
legge, ma non hanno la stessa efficacia formale, essendo i regolamenti sempre considerati come fonti inferiori alla
legge.

- REGOLAMENTI STATALI NON GOVERNATIVI: possono essere emanati da singoli ministri, da più ministri
(regolamenti ministeriali ed interministeriali) o da organi centrali e locali. Questi regolamenti sono subordinate alle
fonti primarie e ai regolamenti governativi.

- STATUTI E REGOLAMENTI DEGLI ENTI TERRITORIALI (REGIONI, PROVINCE, COMUNI):


 statuti comunali e provinciali: devono essere emanati nell'ambito dei principi fissati dalla legge
 regolamenti di province e comuni : devono rispettare sia la legge che lo statuto

- FONTI ESTERNE ALL'ORDINAMENTO: sono le fonti che vengono recepite nell'ordinamento costituzionale
italiano in virtù dell'appartenenza del nostro paese alla comunità internazionale (adattamento automatico, rinvio,
ordine di esecuzione).

- REGOLAMENTI DEGLI ORGANI COSTITUZIONALI (regolamenti interni delle camere, della corte
costituzionale, della presidenza della repubblica e del consiglio dei ministri). Gli organi costituzionali sono:
Parlamento, governo, presidente della Repubblica, corte costituzionale, corpo elettorale. Questi organi sono definiti
costituzionali in quanto godono di una posizione di autonomia qualificata e sono chiamati ad individuare i fini che lo
Stato deve perseguire (funzione politica). Gli organi a rilevanza costituzionale, invece, sono: CNEL, corte dei conti,
Consiglio di Stato, CSM, CSD. Sono organi a rilevanza costituzionale quelli che, pur non partecipando alla funzione
politica e pur non essendo essenziali alla struttura costituzionale dello Stato, sono individuati, ma non disciplinati
dalla Costituzione, che rinvia al legislatore ordinario la disciplina della loro struttura, organizzazione e attività. Questi
organi possono darsi dei propri regolamenti per disciplinare la propria organizzazione interna, lo stato giuridico ed
economico del personale e a volte anche il modo di esercizio delle loro funzioni.
 Regolamenti delle Camere: questi non sono delle fonti in senso tecnico, ma sono delle fonti subordinate solo
alla costituzione (quindi sono da considerare come fonti primarie) che, in buona parte, danno esecuzione a norme
in essa contenute. L'articolo 64 della costituzione stabilisce una riserva di regolamento parlamentare: ciò significa
che questi regolamenti non possono essere ordinati gerarchicamente, ma secondo il criterio delle competenze. In
questo modo, la legge formale non può disciplinare la materia loro propria. Essi sono espressione del potere di
ciascuna camera di autoregolamentarsi, sono adottati a maggioranza assoluta (metà più uno) dei componenti di
ciascuna camera e contengono norme sull'organizzazione e il funzionamento delle assemblee legislative e sui
rapporti tra queste e gli altri organi costituzionali.
 Regolamenti Corte Costituzionale: i regolamenti della corte troverebbero il loro fondamento nella legge
ordinaria alla quale rimanda all'articolo 137 per stabilirele altre norme necessarie perla costituzione ed il
funzionamento della corte. Essi disciplinano l'esercizio delle sue funzioni e sono dei veri e propri regolamenti, per
cui sono subordinati gerarchicamente alla legge ordinaria.
 Regolamenti Della Presidenza Della Repubblica: spetta al presidente della repubblica l'approvazione del
regolamento interno della presidenza, nonché stabilire con suo decreto lo stato giuridico ed economico e gli
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organici del personale addetto alla presidenza
 Regolamento CSM: disciplina il funzionamento del consiglio e la gestione di spesa.
 Regolamento del CNEL: esso può adottare propri regolamenti, limitatamente ad alcune materie, che sono
approvati, su proposta del presidente del Consiglio dei Ministri e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri,
con decreto del presidente della Repubblica.
 Regolamento Del Consiglio Dei Ministri: con legge 400/88 può disciplinare i modi di esercizio dei propri lavori
e le modalità di informazione sui lavori del consiglio.
Concludendo sui regolamenti, si può dire che togliendo i regolamenti delle camere, per i quali esiste una riserva
costituzionale di competenza, negli altri casi esiste un generico e vago potere di auto organizzarsi, ma sono le
disposizioni costituzionali che tracciano la linea di confine tra l'attività normativa del legislatore e l'analoga attività di
organi ai quali è riconosciuto e il potere di auto organizzazione. Si creano così due campi di intervento
reciprocamente garantiti: il legislatore non potrà disciplinare, oltre certi limiti, l'organizzazione e le modalità di
funzionamento di alcuni organi senza incidere sulla loro autonomia e indipendenza. D'altro canto, le norme
organizzative interne dovranno essere emanate entro i confini loro posti dalle disposizioni costituzionali o dallo stesso
legislatore ordinario.

4) FONTI CONSUETUDINARIE

la Costituzione non menziona la consuetudine come fonte fatto e si limita ad assumere è a legittimare come fatti
normativi, ex articolo 10 della costituzione, le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Inoltre non
menziona né meno il procedimento (il rinvio) per l'immissione nell'ordinamento giuridico italiano di norme poste in
un ordinamento giuridico straniero. Il primo comma dell'articolo 10 della costituzione segna un'apertura della
repubblica ai principi e alle regole generalmente riconosciute della comunità internazionale. Prevede infatti che le
norme del diritto internazionale generalmente riconosciute entrino a far parte dell'ordinamento nazionale
automaticamente e che le norme pattizie, contenute nei trattati, si trasformino in norme di diritto interno solo in
seguito all'approvazione di una legge che vi dia e esecuzione. Inoltre, prevede che le norme nazionali in contrasto con
quelle di Diritto Internazionale consuetudinario vengano giudicate invalide e abrogate.

- LA CONSUETUDINE (ARTICOLO 8 PRELEGGI-FONTE DI TERZO GRADO).


Articolo 8 preleggi " nelle materie regolate dalle leggi e dei regolamenti, gli usi hanno efficacia solo in quanto sono
da essi richiamati ".
La consuetudine è una regola non scritta che si forma in seguito al costante ripetersi di un dato comportamento e
nell'ambito di una determinata collettività. Essa è una fonte fatto, cioè un fatto produttivo di norme.
Ci sono vari tipi di consuetudine:
- secundum legem o interpretative: la consuetudine è richiamata dalle leggi iscritte
- praeter legem co Introduttive: regolano o integrano materie non disciplinate da fonti scritte.
- contra legem: sono consuetudini contrarie alle leggi e regolamenti e non sono ammesse.
DESUETUDINE: si ha quando i destinatari della norma pongono in essere in modo reiterato e diffuso un
comportamento omissivo (cioè non osservano un precetto legislativo). Essa sembra messa nel nostro ordinamento,
anche se l'articolo 15 delle preleggi stabilisce che " le leggi non sono abrogate che da leggi successive ".
Elementi costitutivi della consuetudine:
-fatto esteriore: comportamento uniformemente e costantemente diffuso nel tempo e nello spazio (è un diritto che
viene creato spontaneamente dagli stessi destinatari della norma).
-motivazione psicologica (opinio iuris ac necessitatis): convincimento da parte degli appartenenti al gruppo sociale
che il comportamento sia giuridicamente obbligatorio e conforme al diritto. L’opinio iuris ac necessitatis assume il
carattere di elemento essenziale per il sorgere della consuetudine in un momento successivo, cioè quando il fatto
stesso del ripetersi uniforme e costante di un determinato comportamento finisce con nell'ingenerare la credenza della
sua giuridica obbligatorietà.
la norma consuetudinaria si distingue da altre regole (di costume, di correttezza):
- per la diversa motivazione psicologica: nella norma consuetudinaria, il comportamento è determinato dal
convincimento che esso costituisca un modo di perseguire i fini propri del gruppo o di comporre i conflitti di interessi;
negli altri casi può essere determinato dall'educazione, dall'abitudine...
- per le diverse conseguenze derivanti da un comportamento difforme da quello generalmente osservato: se viene
violata una norma consuetudinaria, sarà il giudice, cioè un organo dello Stato, ad essere competente ad accertare è a
dichiarare l'inosservanza della norma e ad applicare la sanzione; negli altri casi, la sanzione può mancare e, quando
c'è, può limitarsi ad una manifestazione di generica riprovazione da parte degli appartenenti al gruppo sociale.
Inoltre, essendo una fonte non scritta del diritto, per poterla applicare in giudizio bisogna provarne l'esistenza. Per
evitare di provare, volta per volta, l'esistenza di una norma e per il principio di certezza del diritto, si ricorre in alcuni
casi alla redazione scritta delle norme consuetudinarie. In Italia per esempio c'è la " raccolta degli usi "che viene
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affidato in sede provinciale alle camere di commercio, industria artigianato e agricoltura; in sede nazionale al
ministero per l'industria e il commercio che sotto pongono tali raccolte ad una revisione periodica per inserire nuovi
usi o eliminare usi non più vigenti.

- CONSUETUDINE COSTITUZIONALE
Nella nostra costituzione, molti istituti importanti (come per esempio la formazione del governo o l'impedimento del
presidente della repubblica) non sono disciplinati. Ovviamente, quando insorgono questioni pratiche, gli organi
costituzionali e i soggetti politici finiscono per assumere determinati comportamenti che tendono ad essere ripetuti
ogni qual volta la questione si presenti.
La consuetudine costituzionale è una fonte extra-ordinem ed è una fonte di rango costituzionale, perché integra le
lacune della costituzione.
La consuetudine costituzionale deriva dal ripetersi uniforme e costante di un determinato comportamento da parte dei
soggetti politici costituzionali e disciplina i rapporti tra organi costituzionali o istituti costituzionali, a differenza della
consuetudine di diritto comune e discipline rapporti tra privati.
Tuttavia, la consuetudine costituzionale presenta alcune differenze con la consuetudine di diritto comune. Nel primo
caso i soggetti che la pongono in essere sono organi dell'apparato autoritario dello stato, mentre nel secondo caso sono
privati. I due tipi di consuetudine si distinguono tra di loro anche per le modalità della diffusione e della ripetizione
nel tempo: infatti, essa è posta in essere a da un numero molto limitato di soggetti e può essere limitata a pochi casi
soltanto.
Inoltre, ci possono essere consuetudini costituzionali contra costitutionem, che derogano cioè a norme costituzionali
scritte.
Casi frequenti di consuetudine costituzionale si hanno quando organi costituzionali pongono in essere atti mediante i
quali vengono creati nuovi istituti, ad integrazione di quelli esistenti.
Un criterio valido per riconoscere l'esistenza di una consuetudine costituzionale è quella di accertare la conformità
della regola alla costituzione materiale, nel senso che questa costituzione può esprimere norme integratrici di lacune
esistenti nella costituzione formale e gli organi costituzionali possono farsi portatori di queste norme.

ALTRE FONTI EXTRA ORDINEM:

Le convenzioni costituzionali, le norme di correttezza costituzionale, la prassi e i precedenti devono essere


considerate fonti extra ordinem, contrapposte come tali alle fonti legali, cioè a quelle fonti che danno vita al diritto
teorico e che sono ordinate in sistema.

1) CONVENZIONI COSTITUZIONALI: sono regole di condotta che disciplinano l'esercizio delle competenze
degli organi costituzionali oppure un temporaneo assetto dello stesso ordine costituzionale. Queste vengono stabilite
in seguito ad un accordo tra gli operatori politici ed intervengono negli spazi lasciati liberi dalle norme scritte che
regolano l'esercizio delle competenze. Per questo motivo assumono rilevanza e sono vincolanti finché gli operatori
che hanno stipulato l'accordo le ritengano valide per raggiungere il modo migliore il fine per il quale il potere stesso è
stato conferito.
Un esempio è il procedimento di nomina del governo. La costituzione si limita a stabilire che il presidente della
repubblica nomina il presidente del consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri. Tutta la fase intermedia
del procedimento è stata disciplinata, almeno in un primo tempo, in via convenzionale.
Le convenzioni possono trasformarsi in consuetudini qualora si stabilizzino uniformemente nel tempo trovando in tale
ipotesi la loro legittimazione nella costituzione materiale.

2) NORME DI CORRETTEZZA COSTITUZIONALE: riguardano il comportamento o di singoli individui


operanti nell'ambito costituzionale (si pensi ai parlamentari tenuti al rispetto del cosiddetto galateo parlamentare)
oppure il comportamento degli organi costituzionali nei loro reciproci rapporti che devono essere improntati alla
lealtà, alla cortesia, al rispetto, ad un certo cerimoniale. La violazione di queste regole può dar luogo ad un generico
biasimo o, nei casi più gravi, ad una responsabilità politica, con conseguente applicazione di una sanzione.

3) LA PRASSI: consiste in una serie di atti o di fatti posti in essere da organi costituzionali e che esprimono il modo
in cui questi intendono l'esercizio delle competenze loro affidate. La differenza con la consuetudine sta nel fatto che
nella prassi manca il carattere della continuità nel tempo, ma si trasformerà in consuetudine quando un cambiamento
o un'integrazione della costituzione formale ad opera di quella materiale legittimerà, e quindi renderà giuridico, un
nato o un fatto extra ordinem, che è uniforme mente costantemente ripetuto nel tempo.

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4) IL PRECEDENTE: è costituito da un atto o fatto singolo cui si uniforma, in presenza delle stesse circostanze,
l'attività dell'organo che lo ha posto in essere o di un diverso organo. Per cui si può definire il precedente come un
modello di comportamento non vincolante. Un esempio può essere dato dalla procedura con la quale nel 1964 sia
certo l'impedimento del presidente della repubblica e si affidò l'esercizio delle funzioni del capo dello stato e al
presidente del Senato. Se in futuro dovessero presentarsi le stesse circostanze, quanto accaduto nel 1964 potrebbe
essere invocato come un precedente.

LA GIURISPRUDENZA

Le decisioni dei giudici assumono rilevanza per varie ragioni. Essi, infatti, sono chiamati a decidere su quale legge
scegliere in presenza di più leggi, a volte non coordinate tra di loro, che disciplinano la stessa materia; sono chiamati
ad applicare leggi vecchie di decenni in una realtà sociale in parte mutata; devono attrarre la norma da formule
legislative generiche o dai cosiddetti concetti valvola, la cui determinazione può variare col variare della coscienza
delle convenzioni sociali. Tuttavia, la funzione più importante del giudice è quella di trarre la norma dalla sfera
astratta (la previsione normativa) al concreto (il caso cui la norma deve essere applicata). La norma, infatti, enunciati
in astratto un principio: spetterà al giudice stabilire se la fattispecie concreta corrisponda alla fattispecie astratta. Per
fare questo il giudice deve interpretare la disposizione, cioè capirne il significato e deve interpretare il caso concreto.
Per questo, molto importanti sono il processo interpretativo delle sentenze, che costituiscono l'atto finale del processo
interpretativo ed è uno degli strumenti mediante i quali l'ordinamento giuridico prende corpo e si attua.
Questa funzione è talmente importante e che si può affermare che l'ordinamento giuridico non è quello che risulta dai
codici e dalle varie leggi e bensì quello che risulta dalle sentenze della magistratura: in questo senso si può
riconoscere alla giurisprudenza valore di fonte del diritto.
La sentenza del giudice acquista un più spiccato carattere normativo quando diventa definitiva, perché in questo caso
diventa obbligatoria tra le parti e inopponibile ai terzi.
Sebbene il giudice, nel pronunciarsi sulla causa, deve seguire le norme del diritto, in alcuni casi, la legge può
attribuire al giudice il potere di decidere il merito della causa " secondo equità ", qualora riguardi diritti disponibili e
le parti ne facciano concorde richiesta. In questo caso il giudice potrà creare egli stesso la regola da applicare, in
modo da decidere il merito della causa secondo criteri di giustizia che la norma scritta non sarebbe idonea ad
assicurare.

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO E LA DOTTRINA

Anche se non ancora operanti, fonti del diritto sono i contratti collettivi di lavoro, in quanto si sono stipulati da
sindacati registrati acquistano ex articolo 39 della costituzione, ha efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle
categorie alle quali il contratto si riferisce. Sono fonti del diritto non statali e, in quanto la costituzione riserva la loro
formazione alla determinazione autonoma delle associazioni contrapposte dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Questi contratti, perciò, non possono contenere clausole in contrasto con leggi e regolamenti generali. Inoltre, si
inseriscono nel sistema delle fonti secondo il criterio della separazione delle competenze: ciò significa che leggi e
regolamenti non possono disciplinare nei dettagli la materia oggetto della contrattazione collettiva a, ma l'intervento
del legislatore rimane fermo per la tutela degli interessi pubblici o collettivi, come la lotta all'inflazione e la garanzia
di livelli salariali minimi.
Attualmente non esistono sindacati registrati, per cui i contratti stipulati dovrebbero valere soltanto tra le parti. Di
fatto, però, i contratti di lavoro individuali, stipulati dai datori di lavoro e dai lavoratori non iscritti ad un sindacato,
riproducono le clausole dei contratti collettivi per quanto riguarda il trattamento economico, che deve assicurare
un'esistenza degna della persona umana. In questo modo si ricollega alla validità erga omnes dei contratti collettivi
all'articolo 36 della costituzione, a norma del quale il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla
quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e
dignitosa.
Tutt'oggi non è stata emanatala cosiddetta legge sindacale che dovrebbe regolare anche la procedura di registrazione
dei sindacati. Di conseguenza non esistono sindacati-persone giuridiche e quindi neanche contratti collettivi di lavoro
di diritto pubblico (fonti del diritto), però il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici è regolato da contratti collettivi
stipulati dall'agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) ed alle confederazioni
maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
Del decreto legislativo 29/ 93 viene stabilito che nelle materie non soggette a Riserva di legge, eventuali norme di
legge, intervenute dopo la stipula di un contratto collettivo, cessano di avere efficacia dal momento in cui enti in
vigore e successivo contratto collettivo. Da ciò si può capire come contratti collettivi che disciplinano il rapporto di
lavoro dei pubblici dipendenti possono essere annoverati tra le fonti del diritto.

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-dottrina: questa è costituita dall'interpretazione delle norme e compiuta dagli studiosi del diritto e non può essere
annoverata tra le fonti, in quanto non trova mai applicazione diretta, ma soltanto indiretta, qualora l'interpretazione
stessa venga utilizzata dagli operatori pratici del diritto.

PARAGRAFO 6: FONTI POSTE IN ORDINAMENTI ESTERNI A QUELLO ITALIANO E


LORO EFFICACIA NELL’ORDINAMENTO MEDIANTE:

A) PER LE NORME DI DIRITTO INTERNAZIONALE, L’ADATTAMENTO AUTOMATICO


E L’ORDINE DI ESECUZIONE.

per quanto riguarda le fonti che sono poste in altri ordinamenti, ma che spiegano indirettamente la loro efficacia nello
Stato, bisogna prima di tutto individuare gli ordinamenti esterni e a quello dello Stato. Essi possono essere di due tipi:
- Ordinamento generale: l’ordinamento generale per eccellenza è la comunità internazionale; fonti della
comunità internazionale sono le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute e le norme patrizie .
- Ordinamento particolare: sono quelli dei singoli stati o di istituzioni non assimilabili ad uno Stato (es. la
chiesa cattolica. Le fonti sono la presupposizione ed il rinvio
- Ordinamento intermedio: è dato dall’unione di più stati ed ex intermedio tra quello dei singoli stati e quello
della comunità internazionale. Fonti degli ordinamenti intermedi sono le norme comunitarie.

La comunità internazionale è costituita da tutti gli stati sovrani. Questa comunità si fa storicamente risalire alla
RESPUBLICA CHRISTIANA, che uni interessi e principi di tutti gli stati dell'Europa occidentale dopo l'anno 1000.
Questa comunità inizialmente era sottoposta all'autorità dell'imperatore e del Papa, ma nel 1948 con il trattato di
westfalia, gli stati affermarono la loro piena indipendenza da ogni altra volontà e formarono una comunità di eguali.
Mancando un apparato autoritario sovraordinato ai singoli componenti che ponga le norme che regolano i vari
rapporti e che le faccia rispettare coattivamente in caso di violazioni, la formazione del diritto che da essa emana
(diritto internazionale) avviene prevalentemente in via consuetudinaria e convenzionale, mentre per quanto riguarda
l’osservanza delle singole regole create, che essa è affidata ai singoli stati sulla base di due principi fondamentali:
pacta sunt servanda e consuetudo est servanda.
Non c'è un apparato autoritario istituzionalizzato. Inoltre il principio secondo cui la comunità internazionale è una
comunità tra eguali è puramente teorico, visto che di fatto gli stati economicamente e militarmente più forti sono in
grado di determinare o comunque di influenzare la volontà degli stati minori (cosiddetto paternalismo costituzionale
internazionale).
C'è una tendenza che porta gli stati a porre nelle costituzioni norme dirette ad assicurare l'efficacia delle norme di
diritto internazionale, all'interno del loro ordinamento e che porta a creare forme e strutture di organizzazioni
sovranazionali, dotate di un apparato autoritario istituzionalizzato.
Forme di collegamento tra il diritto internazionale e il diritto interno sono l’adattamento automatico e l’ordine di
esecuzione.

· ADATTAMENTO AUTOMATICO: l’art. 10 della Cost. dispone che “ l’ordinamento giuridico italiano si
conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute ". Scopo della norma è quello di adeguare il
diritto interno italiano a quelle norme che sono generalmente riconosciute nell'ambito della comunità internazionale in
quanto rispondenti alle esigenze e agli interessi di tutti gli stati.
In virtù dell’art. 10 della Cost., perciò, il legislatore ordinario non può emanare norme in contrasto con le norme di
diritto internazionale generalmente riconosciute. Se ciò accadesse queste norme potrebbero essere impugnate davanti
la Corte Costituzionale per violazione dell’art. 10. Per la stessa ragione, devono essere considerate costituzionalmente
illegittime le leggi emanate prima dell’entrata in vigore della Costituzione in contrasto con le norme di diritto
internazionale generalmente riconosciute.
Per quanto riguarda il rapporto tra le norme di diritto internazionale e le norme costituzionali, di regola queste ultime
prevalgono sulle prime, quindi se una legge ordinaria è in contrasto con una norma di diritto internazionale
generalmente riconosciuta, ma è conforme ad una norma costituzionale, la legge ordinaria sarebbe costituzionalmente
legittima. Quando, invece, la norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta è modificata in un momento
successivo, il rapporto si investe, a cedere è la norma costituzionale, non più in armonia con il principio
dell’adattamento automatico. In questo caso, gli organi di revisione costituzionale avranno l’obbligo di modificare la
norma stessa per adeguarla alla norma di diritto internazionale a modificata.

· ORDINE DI ESECUZIONE: esso riguarda il c.d. diritto internazionale pattizio , cioè le norme di diritto
internazionale prodotte dall’accordo tra due o più stati e diretto a regolare i loro rapporti in campo politico,
32
commerciale, civile, penale…. Con la stipulazione dell’accordo, gli stati contraenti sono tenuti ad applicare il
principio pacta sunt servanda e adattare il loro ordinamento alle norme di diritto internazionale pattizio.
Questo può avvenire secondo due procedure:
-con l’emanazione di una legge o di un atto avente forza di legge con cui vengono prodotte nell’ordinamento interno
le norme esecutive dell’accordo internazionale; in questo caso è il legislatore statale a porre direttamente le norme
esecutive del trattato.
-con l’ordine di esecuzione, che è il procedimento di regola adottato. Questo ordine di solito è contenuto in una legge
e consiste nella formula “ piena ed intera esecuzione è data al trattato “ di cui è annesso il testo integrale. In questo
caso, invece, il legislatore si limita ad operare un rinvio al trattato.
Il trattato diventa operante in Italia e attraverso la ratifica del presidente della repubblica, la quale deve essere
preceduta da una legge di autorizzazione delle camere, in cui esse obbligano anche il governo ad emanare le norme
necessarie per adattare il diritto interno al trattato.

B) PER LE NORME DI ALTRI ORDINAMENTI STATALI, LA PRESUPPOSIZIONE E IL


RINVIO.

Per quanto riguarda l’efficacia indiretta nello Stato di fonti proprie di ordinamenti particolari, gli istituti più importanti
sono la presupposizione ed il rinvio.
- PRESUPPOSIZIONE: si ha la presupposizione quando per interpretare e quindi per applicare una norma
dell’ordinamento statale è necessario il riferimento ad una norma contenuta in un ordinamento straniero.
- RINVIO: si ha quando la norma dell’ordinamento interno prevede che debbano essere applicata la norma propria di
un altro ordinamento. Il rinvio è ammesso anche tra norme appartenenti allo stesso ordinamento (es. tra una legge e un
regolamento).
Di solito si distinguono due tipi di rinvio:
· rinvio formale o non recettizio: si ha quando lo Stato pone nel suo ordinamento una norma che rinvia per
determinare il suo contenuto alla norma di un ordinamento straniero, stabilendo però i criteri per la determinazione
della stessa. In questo caso la norma non entra a far parte dell’ordinamento italiano e quindi dovrà essere identificata
volta per volta, quando bisognerà applicarla nell’ordinamento interno.
I casi di rinvio formale sono i più frequenti e si hanno quando è necessario disciplinare nell’ordinamento interno fatti
o rapporti che presentano, rispetto allo Stato, elementi di estraneità (per es. cosa mobile o immobile situata all’estero o
i rapporti tra coniugi di diversa nazionalità). Questa norme di diritto interno che rinviano ad un ordinamento straniero
per la disciplina dei fatti o rapporti che presentano elementi di estraneità rispetto allo Stato, costituiscono il c.d. diritto
internazionale privato. In Italia, le norme generali in materia di diritto internazionale privato sono contenute nella L.
218/95. Queste norme enunciano un criterio di collegamento in base al quale viene individuato l’ordinamento
straniero.

· rinvio materiale o recettizio: si ha quando la norma posta nell’ordinamento statale (c.d norma in bianco)
rinvia alla norma dell’ordinamento straniero per farne proprio il contenuto, cioè per nazionalizzarlo. In questo caso la
norma viene fatta propria: ciò significa che se viene modificata o abrogata nell’ordinamento straniero, continuerà ad
essere applicata nella sua formulazione originaria nell’ordinamento interno, finché non viene disposto altrimenti. I
casi di rinvio recettizio sono rari.

C) PER LE NORME COMUNITARIE, I TRATTATI ISTITUTIVI DELLE COMUNITÀ.

Particolarmente importanti sono le c.d. norme comunitarie, cioè le norme emanate dalla CECA (comunità europea del
carbone dell’acciaio, istituita con il trattato di Parigi del 1951), CEE, CEEA (comunità europea per l’energia
atomica), istituite con i trattati di Roma del 1957 .
Fanno parte dell’unione europea 25 stati. Gli atti delle istituzioni comunitarie che hanno la funzione di disciplinare
aspetti interni della vita degli ordinamenti nazionali vengono di solito accomunati sotto i termini “ diritto comunitario
“ o “ fonti comunitarie “, ma non tutte presentano i caratteri propri delle fonti del diritto (per es. quello della generalità
e dell’astrattezza) e per questo motivo alcuni di essi costituiscono piuttosto a veri e propri atti amministrativi.
I principali tipi di fonte comunitaria in senso proprio sono i regolamenti (per la CEE e la CEEA), le decisioni generali
e le raccomandazioni per la CECA, e le direttive.
L’adeguamento dell’ordinamento italiano all’ordinamento comunitario è disciplinato dalle leggi 183/87 , 86/89 e
128/98. Secondo queste leggi, il Parlamento approva ogni anno una legge governativa, la c.d. “ legge comunitaria
“per assicurare l’adeguamento attraverso disposizioni che modificano o abrogano norme vigenti in contrasto con gli
obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla comunità europea e attraverso disposizioni per dare attuazione o
assicurare l’applicazione dei regolamenti, delle direttive, delle decisioni e delle raccomandazioni.

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Ex art. 189 del trattato CE, il regolamento ha portata generale ed è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente
applicabile in ciascuno degli stati membri. La direttiva, invece, vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto
riguarda il risultato da raggiungere, mentre è lasciata alla libertà degli stati la scelta del mezzo e della forma per
raggiungere il risultato.
Le differenze tra le due fonti sono:
- Unico destinatario della direttiva è lo Stato membro, mentre il regolamento può indirizzarsi ad uno qualsiasi
dei soggetti di diritto interno.
- Il regolamento è interamente obbligatorio, mentre la direttiva da norme di scopo, che lasciano libero il
destinatario sia per la scelta del mezzo che della forma più opportuni per la realizzazione del fine.

CARATTERI DEI REGOLAMENTI: il regolamento è la fonte di diritto comunitario per eccellenza ed ha i


seguenti caratteri :
· Ha portata generale: il regolamento si dirige ad una o più categorie di destinatari determinate astrattamente
nel loro complesso.
· È obbligatorio: l’obbligatorietà caratterizza il regolamento rispetto ad altri atti comunitari non vincolanti,
come raccomandazioni e i pareri, e rispetto ad atti vincolanti ma non in tutti i loro elementi, come per esempio le
direttive.
· È direttamente applicabile: l’applicabilità diretta serve per rendere efficace il regolamento all’interno degli
ordinamenti e degli stati membri per il fatto stesso che siano stati emanati a livello comunitario. Dal principio
dell’applicabilità diretta discende il c.d. primato del diritto comunitario sul diritto interno, cioè il regolamento può
derogare perfino le leggi formali. A fondamento dell’applicabilità diretta dei regolamenti si trova l’ordine di
esecuzione dei trattati istitutivi delle comunità e l’obbligo da parte dell’Italia di consentire che queste norme abbiano
efficacia nel suo interno come se fossero proprie norme. Bisogna tener conto, però, che la norma immessa
nell’ordinamento italiano è una fonte sulla produzione. E’ necessario, perciò, trovare un fondamento costituzionale
all’efficacia delle norme comunitarie nell’ordinamento interno, perché dando esecuzione mediante una legge ordinaria
e non con legge costituzionale e ai trattati istitutivi delle comunità, si è interrogato all’ordine costituzionale delle
competenze, in quanto fonti esterne all’ordinamento statale possono sostituirsi a fonti interne e acquistano efficacia
diretta nei confronti dei soggetti estranei alla comunità. Questo fondamento è stato rinvenuto nell’art. 11 della Cost.,
secondo cui “ l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un
ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali
rivolte a tale scopo “. L’effetto dei regolamenti comunitari nei confronti delle leggi statali preesistenti è generalmente
riconosciuto, mentre per quanto riguarda l’ipotesi inversa, se cioè una legge successiva possa modificare o abrogare
un regolamento comunitario, la corte costituzionale ha stabilito che il regolamento comunitario va sempre applicato,
sia che segua sia che preceda nel tempo le leggi ordinarie con esso incompatibili, a meno che i regolamenti comunitari
siano in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e con i diritti inalienabili della persona
umana.

PARAGRAFO 7: LE C.D. FONTI ATIPICHE E LE LEGGI RINFORZATE

Le fonti atipiche sono:


 le fonti il cui coordinamento in sistema può variare a seconda che si adotti il criterio della gerarchia o quello della
separazione delle competenze. Nel caso dei regolamenti parlamentari, la Costituzione riserva la disciplina
dell’organizzazione e dell’esercizio delle funzioni delle assemblee legislative.
 fonti di pari forza della legge formale emanate da organi diversi dal parlamento o il cui procedimento di formazione
è aggravato rispetto a quello ordinario: è il caso dei decreti-legge e dei decreti legislativi che, pur avendo la forma
propria degli atti del potere esecutivo, hanno la stessa efficacia della legge formale.
 fonti la cui forza attiva o passiva ed potenziata o al contrario potenziata. Per esempio alcune fonti, come le leggi
tributarie e di bilancio, sono sottratte all’abrogazione mediante referendum: hanno cioè una forza o efficacia
formale potenziata, mentre di converso la fonte referendum abrogativo ha una forza dei potenziata.
 fonti per la cui formazione sono prescritti alcuni adempimenti esterni al procedimento di formazione in senso
stretto. Infatti, a volte esistono differenze tra fonti di pari grado che si sostanziano essenzialmente in un diverso
procedimento di formazione, al quale sono chiamati a partecipare organi o tenti estranei agli organi cui il
procedimento stesso è normalmente affidato ovvero in un procedimento aggravato (le c.d. leggi rinforzate-fanno
anche esse parte delle fonti atipiche). Di solito, però, gli adempimenti previsti aggiuntivi rispetto al procedimento
legislativo in senso stretto, consistono sostanzialmente in una partecipazione dal basso degli enti e delle popolazioni
interessate alla decisione politica, la quale rimane sempre e comunque affidata agli organi legislativi statali o
regionali. Quindi rinforzato non sarà la fonte-atto, ma il momento partecipativo.

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PARAGRAFO 8: L’INTERPRETAZIONE DEI TESTI NORMATIVI

La distinzione tra fonte del diritto, come formulazione linguistica espressa in un testo, e norma pone il problema
dell’interpretazione, perché bisogna trarre dalla fonte la norma, cioè capire la sua portata e il significato della norma
stessa nel contesto dell’ordinamento giuridico.
L’interpretazione non potrà mai essere arbitraria, in quanto le norme sono ordinate in sistema e quindi sono tra loro
strettamente coordinate, perciò bisognerà interpretare la norma in modo che si inserisca armonicamente nel sistema.
L’interpretazione dei testi normativi, proprio perché non può essere arbitraria, deve svolgersi secondo regole
predeterminate. L’art. 12, comma 1 Preleggi stabilisce che “ nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire
altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e
dall’intenzione del legislatore “. La norma che si trae da questo testo di legge è che l’interprete di un testo normativo
deve tener conto del significato grammaticale delle parole, non isolatamente considerate, ma secondo la loro
connessione sintattica (interpretazione letterale), nonché dell’intenzione del legislatore (la c.d. ratio legis).
Interpretazione letterale e la ricerca della mens legis vanno integrate con l’interpretazione sistematica: poiché la
norma non è isolata, ma inserite in un sistema unitario, essa deve essere calata nel sistema e deve essere colta nelle
sue connessioni con le altre norme che disciplinano la stessa materia.
Dopo che la norma sarà stata calata nel sistema, essa potrà o arricchirsi di significato (interpretazione estensiva)
oppure restringersi di significato (interpretazione restrittiva).
Si potranno avere anche altri tipi di interpretazioni. Infatti, poiché dallo stesso testo possono trarsi norme diverse in
distinti periodi a causa del cambiamento dei principi fondamentali che regolano l’ordinamento, quando si applica il
criterio di interpretazione sistematica, occorrerà adeguare il significato della norma ai nuovi e diversi principi
(interpretazione adeguatrice). Può anche accadere che i principi rimangano gli stessi, ma col passare del tempo la
norma viene interpretata diversamente e verrà anche applicata in maniera diversa. Questo è un fenomeno fisiologico,
giacché proprio il trascorrere del tempo determina un distacco sempre più crescente tra il significato originario del
testo e quello che l’interprete gli attribuisce al momento in cui deve applicarla. Si parla in questo caso di
interpretazione evolutiva, cioè la disposizione da interpretare viene adattata al contesto storico e socioculturale in
cui deve essere di volta in volta applicata.
In alcuni casi si ha anche interpretazione autentica, in particolare quando un testo normativo è mal formulato e, di
conseguenza, può ricevere varie e, a volte, contrastanti interpretazioni. In questo caso è lo stesso legislatore che
interviene con legge, decreto legge o decreto legislativo per chiarire e precisare il significato del testo.
L’interpretazione autentica è vincolante per gli interpreti, i quali non potranno attribuire alla norma un significato
diverso. Una sentenza del 2000 della corte di cassazione ha stabilito che una legge di interpretazione autentica non
può incidere sulle sentenze passate in giudicato perché in caso contrario sarebbero resi i principi relativi ai rapporti tra
potere legislativo e potere giurisdizionale.
Può avvenire anche che l’interprete non trovi una norma che disciplini esplicitamente una determinata fattispecie: in
questo caso si applicherà il secondo comma dell’art. 12 delle preleggi, il quale stabilisce che “ se una controversia
non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o
materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico
dello Stato “. In questo caso, l’interprete procederà alla c.d. interpretazione analogica o analogia legis: l’interprete,
cioè, dovrà ricavare la norma dalle disposizioni che disciplinano casi simili o materie analoghe. Nel caso in cui non
sia possibile rinvenire con certezza il secondo termine di paragone, dovrà ricorrere ai principi generali
dell’ordinamento giuridico (la c.d. analogia iuris). Tra i principi generali dell’ordinamento, che sono desumibili da
norme scritte e dalla struttura stessa dello Stato istituzione, i più importanti sono il principio di uguaglianza, la
separazione dei poteri, il decentramento politico-amministrativo e la gerarchia delle fonti. L’interpretazione analogica,
tuttavia, non è consentita in materia penale e in caso di rapporti o situazioni eccezionali.
Se neanche l’interpretazione analogica da risultati, secondo alcuni, l’interprete dovrà prendere atto che
nell’ordinamento esiste una lacuna normativa. Secondo altri, invece, non esisterebbero lacune, perché tutto ciò che
non è disciplinato è giuridicamente permesso e sia perché, qualora non si riesca a trovare una norma o un principio
che regoli una determinata fattispecie, essa va ritenuta giuridicamente irrilevante, perché il diritto disciplina solo quei
comportamenti ed interessi che considera rilevanti e meritevoli di tutela.
Può succedere, inoltre, che l’ordinamento giuridico può essere completo sotto il profilo normativo, ma può non
esserlo sotto il profilo istituzionale. Avremo pertanto le c.d. lacune istituzionali, che si hanno quando un istituto
normativamente previsto non è stato in concreto costituito(per esempio CSM, CNEL e corte costituzionale sono stati
istituite solo dopo alcuni anni l’entrata in vigore della Costituzione. Lacune istituzionali si hanno anche quando un
istituto funzionante viene a mancare (per esempio, l’estinzione di una dinastia in regime monarchico).

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PARAGRAFO 9: L’INTERPRETAZIONE DELLE DISPOSIZIONI COSTITUZIONALI
L’interpretazione delle norme costituzionali è molto importante, perché esse esprimono i valori e fini politici ritenuti
fondamentali dalla comunità che si è organizzata in Stato.
Per quest’interpretazione, data la sua grande importanza, è stato creato un apposito organo, la Corte Costituzionale.
Essa è in grado, più degli altri giudici, per la sua composizione e per l’estrazione dei suoi componenti, di cogliere il
significato delle disposizioni della Costituzione formale, eventualmente adeguandolo ai mutamenti intervenuti nella
costituzione materiale.
La caratteristica peculiare di quest’interpretazione sta nella molteplicità e varietà di soggetti che sono chiamati ad
osservare le disposizioni costituzionali. Infatti, sono chiamati ad interpretare la Costituzione:
-i cittadini, sia come singoli che come associati;
-il legislatore
-i giudici
-i pubblici amministratori
-gli organi di indirizzo politico.

PARAGRAFO 10: L’EFFICACIA DELLE NORME NEL TEMPO E NELLO SPAZIO


L’applicabilità delle norme giuridiche ha una sua dimensione temporale e spaziale.
1) DIMENSIONE TEMPORALE: l’art. 11 delle preleggi stabilisce che “ la legge non dispone che per l’avvenire:
essa non ha effetto retroattivo “. Ciò significa che una norma non può essere applicata a situazioni di fatto o rapporti
giuridici sorti e conclusisi prima della sua entrata in vigore.
L’irretroattività della legge è stata prevista anche dall’art. 25 della Cost., limitatamente però al campo penale: viene
stabilito infatti che “ nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto
commesso “ .
Una volta stabilito che la retroattività delle leggi costituisce un’eccezione a cui ricorrere solo in casi di estrema
necessità, un problema importante che si pone è fino a che punto la legge possa disporre per il passato. Non c’è
dubbio che una legge non può applicarsi a rapporti giuridici che, al momento della sua entrata in vigore, avevano
esaurito i loro effetti in conseguenza di una sentenza passata in giudicato, di un arbitrato o una transazione. È la c.d.
teoria dei diritti quesiti, cioè acquistati definitivamente. Una legge, invece, si applicherà ai rapporti e alle situazioni
che non hanno, al momento della sua entrata in vigore, ancora esaurito i loro effetti.
la retroattività non è ammessa per i regolamenti, perché, essendo fonti secondarie, per il criterio della gerarchia, non
possono derogare ad un principio contenuto in una fonte primaria (a. L'articolo 11 delle preleggi).

ABROGAZIONE DELLE LEGGI: L’art. 15 delle preleggi disciplina l’abrogazione delle leggi. Una legge spiega
la sua efficacia nel tempo finché una legge successiva o una fonte di pari grado (decreto legge o decreto legislativo)
non la abroghi. L’art. 15 stabilisce che l’abrogazione può essere espressa, quando la legge successiva dispone
espressamente che una legge precedente è abrogata, oppure può essere tacita, quando le disposizioni della nuova
legge sono incompatibili con quelli della legge precedente o quando la nuova legge regola l’intera materia già regolata
dalla legge anteriore.
L’abrogazione può avvenire:
-ad opera di un referendum: in questo caso l’abrogazione sarà sempre espressa.
-per leggi a termine: esse sono leggi che fissano esse stesse la durata della loro efficacia o la loro efficacia è
predeterminata dall’ordinamento.
-quando il termine di una legge è condizionata dalla persistenza di determinati stati di fatto o di diritto (come nel caso
di alcune leggi emanate in periodo di guerra, la cui efficacia è venuta meno col venir meno dello stato di guerra).
-In caso di disapplicazione delle leggi: si ha quando la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale di
una legge. In questo caso la norma cesserà di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.
Spetterà poi al parlamento emanare una nuova legge che contenga norme in armonia con la Costituzione.
Un altro problema che si pone è quello della durata della Costituzione: la vigenza di una Costituzione non può avere
limiti temporali prefissati, perché ogni Costituzione nasce ed è posta per durare nel tempo.
La sua durata è indeterminata, in quanto dipende da fattori esterni; dalla persistenza nel tempo dei valori fondamentali
in essa normativizzati; dalla capacità delle forze politico sociali che vanno poste in essere di salvaguardare il nucleo
essenziale di fini e interessi. Tuttavia, può accadere che la Costituzione contenga una serie di disposizioni che
pongono alcune deroghe a quanto in essa contenuto che fissano i termini di tempo e i modi della sua attuazione:
assume cioè valore transitorio (per esempio alcune delle 18 DISPOSIZIONI TRANSITORIE)

2) DIMENSIONE SPAZIALE: l’applicabilità delle norme giuridiche secondo una dimensione spaziale viene
ricollegata di solito al c.d. “ principio della territorialità della legge “ secondo cui l’efficacia delle norme vige
nell’ambito territoriale entro il quale lo Stato esercita la sua sovranità.

36
Tuttavia, questo principio non è esclusivo, prima di tutto perché rapporti e le situazioni sorti nel territorio dello Stato
possono essere disciplinati da norme proprie di altri ordinamenti (per esempio, l’ordinamento italiano rinvia ad un
ordinamento straniero); in secondo luogo, perché i rapporti e le situazioni sorte nel territorio di un altro Stato possono
essere disciplinati da norme dell’ordinamento italiano ( l’ordinamento straniero rinvia a quello italiano).
Dunque il principio di territorialità della legge va integrato avendo riguardo ai destinatari delle norme, perché sono
soggetti alle norme dello Stato non solo tutti coloro (cittadini, stranieri e apolidi) che si trovano nel territorio dello
Stato, ma in alcuni casi la legge italiana si applica anche se il suo destinatario si trova al di fuori del territorio dello
Stato.
Occorre infine tener conto che in un ordinamento, come quello italiano, con una pluralità di fonti legislative, l’ambito
di vigenza delle norme è suddiviso in tre livelli territoriali di applicabilità delle leggi: uno statale, uno regionale e uno
provinciale, limitatamente alle province di Trento e Bolzano

IL POTERE LEGISLATIVO

IL BICAMERALISMO

Il potere legislativo è attribuito in Italia al Parlamento che, a norma dell’art. 55 Cost., si compone della Camera dei
deputati e del Senato della repubblica. Dunque, il nostro Parlamento è un organo complesso, perché formato da due
organi collegiali.
Mentre in alcuni stati, come Irlanda e Gran Bretagna, viene usato un sistema di bicameralismo imperfetto, in cui le
Camere non sono in posizione di parità funzionale tra di loro e la volontà di una delle due Camere prevale sulla
volontà dell’altra, in Italia è stato adottato il bicameralismo perfetto, in cui le Camere adottano le stesse
identiche funzioni.
Motivi a favore del bicameralismo perfetto:
- le leggi, dovendo essere sottoposte all'approvazione di due distinte assemblee, risultano elaborate con maggiore
accuratezza e riflessione.
- l'esistenza di due Camere permette di utilizzare un numero maggiore di competenze, anche se l'identità di funzioni
delle due Camere può a ritardare eccessivamente allo svolgimento delle loro attivita.

IL PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE

Il Parlamento in seduta comune è un organo a se’ stante, in particolare è un organo collegiale, in quanto i membri di
Camera e Senato agiscono come fossero unità.
Il Parlamento in seduta comune non esercita funzioni legislative, bensì funzioni tassativamente indicate dalla
Costituzione. Esso si riunisce:
 Per l’elezione e il giuramento del Presidente della Repubblica
 Per la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica
 Per l’elezione di 1/3 del CSM e di 5 giudici Costituzionali.

Ex art. 63 Cost. quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, il Presidente e l’ufficio di presidenza sono quelli
della Camera dei deputati, così come il regolamento da adottare, anche se nulla vieta che si possa dare un proprio
autonomo regolamento.

Un problema che si pone è se il Parlamento in seduta comune debba essere considerato un collegio perfetto (cioè
legittimato a discutere prima di deliberare) oppure un collegio imperfetto (legittimato a deliberare senza discutere).
A favore della tesi del collegio perfetto, c'è il fatto che l'organo debba darsi un regolamento e questa necessità
testimonia da sola che la discussione è ammessa quanto meno in ordine a questioni preliminari, incidentali o
procedurali. In più, c'è anche un principio di carattere generale, implicitamente contenuto nella Costituzione, a norma
del quale ogni deliberazione che gli organi di direzione politica deve essere preceduta dalla discussione.

PARLAMENTO: organo complesso: formato da due organi

PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE: organo collegiale: i membri di


Camera e Senato agiscono come unità.

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SEZIONE 1: LA FORMAZIONE DELLE CAMERE

PARAGRAFO 1: ELEZIONI ED ORDINAMENTO DEMOCRATICO

Un concetto realistico di democrazia richiede che i governati vengano posti in continuo collegamento con i
governanti, in modo che l’azione governativa risulti quanto più conforme alle esigenze della comunità popolare. In
altre parole, il Governo deve essere di estrazione popolare.
Si distinguono due modi di scelta dei governanti: il modo democratico (ossia l’elezione) e il modo non democratico,
che comprende l’eredità, la cooptazione e la conquista.
Nell’ordinamento italiano, soltanto le due Camere risultano composte mediante elezione: scopo di quest’ultima è di
scegliere i migliori dal punto di vista della loro capacità politica. Tuttavia, la scelta degli elettori non viene influenzata
soltanto dalla persona del candidato, ma anche dall’orientamento politico del partito a cui il candidato appartiene. Di
conseguenza, il voto espresso da ogni elettore adempie ad una duplice funzione: di designazione dei candidati e di
approvazione del programma politico del partito a cui il candidato appartiene.
Eccezioni al modo di designazione tramite elezione sono previste dalla Costituzione per i componenti del Senato,
alcuni dei quali sono nominati Senatori a vita dal Presidente della Repubblica per aver illustrato la Patria per altissimi
meriti in campo sociale, scientifico, artistico e letterario (art. 59 Cost), altri diventano Senatori di diritto (per es. gli ex
presidenti della repubblica, salvo rinuncia).
Una prima questione che si pone è se ciascun Presidente possa nominare cinque senatori a vita oppure fino al cinque
senatori a vita (in modo che il numero complessivo dei senatori di nomina presidenziale non sia mai superiore a tale
cifra). La dottrina prevalente è a favore di quest'ultima tesi. Ovviamente nella scelta il presidente ha discrezionalità,
ma nel compierla non deve essere guidato da criteri politici o di parte della persona scelta deve avere il requisito della
cittadinanza.
Per quanto riguarda i sistemi elettorali , di essi non c’ menzione nella Costituzione, ma da alcuni principi impliciti
nel sistema si deduce che deve essere adottato un sistema elettorale che garantisca la rappresentanza delle minoranze.

PARAGRAFO 2: LA RAPPRESENTANZA POLITICA

L’elezione, come modo democratico di selezione dei governanti, conferisce a questi la qualità di rappresentanti.
Tuttavia, il c.d. rapporto rappresentativo che si instaura tra eletti ed elettori non ha nulla a che vedere con la
rappresentanza diretta o di volontà. In quest’ultima i negozi compiuti dal rappresentante in nome e per conto del
rappresentato, producono effetti direttamente nella sfera giuridica del rappresentato.
Nella rappresentanza politica, invece:
1. Gli eletti non rappresentano gli elettori, ma la nazione
2. Non esiste alcun rapporto giuridico tra eletti ed elettori; anzi, a norma dell’art. 67 Cost esercitano le loro funzioni
senza vincolo di mandato;
3. Non esiste la possibilità degli elettori di revocare gli eletti
4. Il rapporto è esclusivamente bilatero e non trilatero come nella rappresentanza di volontà.

La rappresentanza politica è una figura vaga, ma che è strettamente connessa all’elezione. Tale modo di designazione
è stato preferito agli altri in quanto i governanti debbano essere posti in collegamento con i governati al fine che la
loro azione risulti conforme alle effettive esigenze della collettività popolare. Affermare, tuttavia, che gli organi
elettivi rappresentino solo per questo la volontà popolare è riduttivo, non solo perché alle volte essi non rappresentano
coloro dai quali sono stati eletti (es. il Presidente della Repubblica non rappresenta i parlamentari che lo eleggono),
ma anche perché se l’elezione non avviene con certe garanzie e in certe condizioni di libertà, perde qualsiasi
significato rappresentativo.
Rappresentanza e rappresentatività sono due cose diverse: la prima attiene al momento dell’autorità, l’altra attiene al
momento della libertà e ha alla base la consonanza che si viene a stabilire tra governanti e governati quando i primi
riescono a tradurre in formule giuridiche, e quindi a tutelare, i valori preminenti della comunità.
La rappresentanza politica è una qualità che viene convenzionalmente attribuita agli organi elettivi, ma può anche
rivelarsi priva di contenuto reale qualora essa non trovi conferma nella rappresentatività degli organi stessi.

PARAGRAFO 3: ELETTORATO ATTIVO ED ELETTORATO PASSIVO

CAMERA:
 Elettorato attivo: possono votare coloro che hanno raggiunto la maggiore età (art. 48 Cost)
 Elettorato passivo: possono essere eletti alla Camera coloro che hanno compiuto 25 anni

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SENATO:
 Elettorato attivo: possono votare al Senato coloro che hanno compiuto 25 anni anni (art. 56 Cost)
 Elettorato passivo: possono essere eletti coloro che hanno compiuto 40 anni.

Con legge Costituzionale 1/2000 è stata istituita una circoscrizione estero per l’elezione delle Camere. Con legge
Costituzionale 1/2001 sono stati modificati gli artt. 56 e 57 della Costituzione, stabilendo che le circoscrizioni estero
eleggono 12 deputati e 6 Senatori.

LIMITI AL DIRITTO DI VOTO: L’art. 48, comma 3 Cost dispone che “il diritto di voto non può essere limitato
se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla
legge”.
Non hanno diritto di voto:
 I falliti, finchè dura lo stato di fallimento, ma non oltre 5 anni dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento;
 Coloro che, ritenuti persone pericolose per la sicurezza e la pubblica moralità, sono stati sottoposti a misure di
prevenzione;
 I sottoposti a misure di sicurezza detentive o a libertà vigilata o al divieto di soggiorno
 I condannati a pena che importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici o l’interdizione temporanea per tutto il
tempo della sua durata.

PARAGRAFO 4: I SISTEMI ELETTORALI

Per sistemi elettorali si intende il complesso delle norme che regola e determina la ripartizione dei seggi per la
rappresentanza di un determinato corpo elettorale.
La distinzione fondamentale dei sistemi elettorali è basata sul carattere maggioritario o non maggioritario, ossia se
mirano ad accertare soltanto la volontà della maggioranza dei votanti oppure tengono conto anche degli altri votanti
rimasti in minoranza.

 SISTEMI MAGGIORITARI: nei sistemi maggioritari, i seggi sono assegnati ai candidati che hanno ottenuto la
maggioranza.
- -vantaggi: assicura il massimo collegamento tra elettori e candidati, evita l’eccessivo frazionamento del sistema
partitico; maggiore stabilità politica
- svantaggi: è poco rappresentativo della volontà dei votanti, in quanto favorisce la polarizzazione tra i due partiti
maggiori e sottorappresenta i partiti minori.

 SISTEMI PROPORZIONALI: assicurano alle diverse parti politiche un numero di seggi in proporzione ai voti
ottenuti.
- vantaggi: c’è una maggiore rappresentatività, in quanto il Parlamento rispecchia più fedelmente la volontà degli
elettori
- svantaggi: favorisce il frazionamento tra i diversi partiti e di conseguenza potrebbe essere difficile la formazione di
stabili maggioranze di governo. Meno stabilità.

PARAGRAFO 5 : I CARATTERI DEL VOTO (ART. 48, COMMA 2)

L’art. 48, comma 2 “Il voto è personale, uguale, libero e segreto. Il suo esercizio è un dovere civico”.

1. PERSONALE: il diritto di voto deve essere esercitato personalmente, a mneo che non si tratta di persone disabili:
in quel caso è ammesso l’aiuto di un parente o di una persona scelta volontariamente come accompagnatore. Non è
ammesso il voto per procura.

2. EGUALE: ciascun voto ha lo stesso valore di tutti gli altri. Pertanto non sarà ammesso il voto plurimo, che si ha
quando al voto dell’elettore viene attribuito un valore superiore all’unità, ed il voto multiplo, che si ha quando un
elettore è ammesso a votare in più collegi.

3. LIBERO: l’intero ordinamento deve impedire che l’elettore subisca alcuna forma di pressione o di coazione a
favore di un partito o di un candidato.

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4. SEGRETO: proprio per assicurarne la libertà, la segretezza del voto è assicurata dalla scheda di Stato (uguale per
tutti gli elettori) e dalle cabine elettorali, in cui l’elettore deve isolarsi per esprimere il suo voto.

5. DOVERE CIVICO: l’espressione non vale a rendere l’esercizio di voto giuridicamente obbligatorio.

PARAGRAFO 6: IL PROCEDIMENTO ELETTORALE

1. Il procedimento elettorale si apre con il Decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio
dei Ministri, che indice le elezioni. Esse devono svolgersi entro settanta giorni dalla fine della legislatura.

2. Designazione dei candidati e presentazione delle candidature: la dichiarazione di presentazione del gruppo deve
essere sottoscritto da un certo numero di elettori, variabile a seconda del numero di abitanti della regione.

3. Presentazione e pubblicazione delle candidature aprono la campagna elettorale: l. 515/93 3 l. 28/2000:

a. queste leggi devono assicurare la par condicio per assicurare la parità di trattamento, la completezza e
l’imparzialità dell’informazione.
b. In campagna elettorale è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di svolgere attività di
propaganda
c. E’ vietato rendere pubblici i risultati dei sondaggi sull’esito delle elezioni e sugli orientamenti politici
degli elettori nei 15 giorni precedenti la data delle elezioni e fino alla chiusura delle operazioni di
voto.

4. Elezioni: Si svolgono in 2 giorni presso le varie sezioni nelle quali sono stati ripartiti gli elettori nel collegio. Per il
vecchio e nuovo sistema elettorale, vedi pagg. successive.

5. Proclamazione degli eletti: Deputati e Senatori entrano nel pieno esercizio delle loro funzioni all’atto della
proclamazione.

6. Verifica delle elezioni

PARAGRAFO 7: VECCHIO SISTEMA ELETTORALE:


MAGGIORITARIO CON CORRETTIVO PROPORZIONALE

ELEZIONE DELLA CAMERA

 La l. 277/93 ha introdotto il sistema maggioritario con correttivo proporzionale: i 630 seggi della Camera dei
deputati vengono suddivisi in due parti: il 75% verrà eletto con il sistema maggioritario in collegi uninominali , il
restante 25% verrà eletto con sistema proporzionale.

 Per la Camera, il territorio nazionale è suddiviso in 26 circoscrizioni elettorali; i 630 seggi della Camera
vengono ripartiti tra le varie circoscrizioni, in proporzione al numero di abitanti che risultano dall’ultimo
censimento della popolazione. A sua volta, il territorio di ciascuna circoscrizione è diviso in tante aree
geografiche, dette collegi uninominali, quanti sono i deputati da eleggere con il sistema maggioritario. Ogni
collegio elegge un solo deputato.

 Vengono utilizzate due schede: una per scegliere il candidato nel collegio uninominale (da ogni collegio risulterà
eletto deputato chi ottiene più voti nell’ambito del singolo collegio), una per votare la lista.

 75% seggi: sono assegnati col sistema maggioritario in collegi uninominali: si vota una persona; è eletto deputato
chi ottiene più voti nell’ambito di un singolo collegio.

 25% seggi: assegnati col sistema proporzionale: si vota una lista, ma, a causa della clausola di sbarramento del
4%, solo le liste che superano il 4% dei voti su scala nazionale sono ammesse al recupero proporzionale.

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ELEZIONE DEL SENATO

 Avviene su base regionale (ovvero le regioni Costituiscono le maggiori circoscrizioni in cui si svolgono le
operazioni elettorali: dunque, per il Senato ci sono 20 circoscrizioni elettorali)

 Per il Senato viene utilizzata una sola scheda, che serve per scegliere il candidato nell’ambito del proprio
collegio uninominale.

 75% seggi: assegnati col sistema maggioritario, ossia i seggi saranno attribuiti al candidato che otterrà nel
collegio la maggioranza.

 25% seggi: assegnati col sistema proporzionale (c.d. recupero proporzionale) ossia i seggi vengono assegnati
sulla base dei voti riportati dai partiti nei collegi uninominali di ciascuna regione. Saranno eletti Senatori i
candidati non risultati eletti nei collegi uninominali che hanno riportato le percentuali di voto più alte.

PARAGRAFO 8: NUOVO SISTEMA ELETTORALE (L. 278/05):


SISTEMA PROPORZIONALE

ELEZIONE DELLA CAMERA: TORNA IL VOTO AI PARTITI

1. ABOLITI I COLLEGI UNINOMINALI: Il territorio nazionale è diviso in 26 circoscrizioni (più la Val


d’Aosta), nelle quali ogni partito proporrà il suo simbolo e la lista dei candidati (ogni circoscrizione esprime un
numero definito di deputati, in rapporto agli abitanti)
 La ripartizione dei seggi avviene su base proporzionale: più voti si prendono, più deputati di quel partito ci
saranno. I seggi sono ripartiti in proporzione al risultato ottenuto da ciascuna lista in ambito nazionale.

 L’elettore, anziché votare su due schede il candidato prescelto nel proprio collegio uninominale e la lista preferita,
si limiterà a votare la lista stessa. Gli elettori non possono esprimere preferenze.

 Le liste dei candidati saranno chiuse e le graduatorie direttamente indicate dai partiti (l’elezione dei parlamentari
dipende quindi completamente dalle scelte e dalle graduatorie stabilite dai partiti

 I partiti o i gruppi politici organizzati depositano il programma elettorale e indicano il candidato premier

2. PREMIO DI MAGGIORANZA: alla coalizione vincente viene garantito un minimo di 340 seggi (i 12 seggi della
Circoscrizione estero + il seggio della Val d’Aosta vengono contemplati a parte). Per garantire alla coalizione
vincente una maggioranza di seggi in grado di governare, il legislatore stabilisce che lo schieramento che ha
ottenuto più seggi avrà il c.d. premio di maggioranza ossia se il polo vincente non arriva a 340 seggi, gliene
vengono “abbuonati” tanti quanti ne mancano per arrivare a 340.

3. SOGLIE DI SBARRAMENTO: Per ottenere seggi alla Camera:


 Coalizioni: 10% significa che se la somma dei partiti coalizzati non raggiunge il 10%, quella coalizione non avrà
deputati in Parlamento. Questa soglia è stata fissata per spingere i partiti a Costruire coalizioni il più ampie possibili
 Partiti non coalizzati: 4%
 Partiti coalizzati: 2%
 Minoranze linguistiche riconosciute: coalizzate o non coalizzate, potranno cmq accedere al riparto dei seggi per la
Camera dei deputati ottenendo il 20% dei voti nella circoscrizione in cui concorrono.
 Circoscrizioni estere: Per la prima volta dalla loro Costituzione (l. Cost. 1/2000 e l.Cost 1/2001) sono state previste
delle circoscrizioni estere che permetteranno di eleggere 12 seggi alla Camera.

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ELEZIONE DEL SENATO: PROPORZIONALE REGIONALE (in ossequio all’art. 57 Cost)

1) ABOLITI COLLEGI UNINOMINALI: come per la Camera, sono stati aboliti i collegi uninominali e i relativi
candidati per dare spazio a liste di partiti e liste “bloccate”. Anche per il Senato, l’elettore non potrà esprimere
preferenze.
 Il Senato viene eletto in modo proporzionale: più voti prende un partito, più Senatori vengono eletti di quel partito.
A differenza, però, di quanto accade alla Camera, dove la ripartizione tiene conto di quanti voti ha preso un
determinato partito in tutta Italia, la ripartizione dei seggi avverrà su base regionale, ossia ogni regione,
proporzionalmente a quanti voti presi dai singoli partiti, eleggerà un certo numero di parlamentari.

 Cambiano, rispetto alle regole previste per l’elezione della Camera, le soglie di sbarramento e le modalità di
ripartizione dei seggi.

2) PREMIO DI MAGGIORANZA: Mentre per la Camera viene assegnato tenendo conto dei seggi ottenuti su base
nazionale, al Senato viene assegnato su base regionale. Ciò significa che se un polo vince, per es. in Sicilia e un
altro vince in Piemonte, entrambi, ciascuno nella propria regione, otterranno un “bonus” di seggi parti a fargli
raggiungere (sempre in quella regione) il 55% dei consensi. (n.b. in Molise, Val d’Aosta e all’estero non è
previsto nessun premio di maggioranza.

3) SOGLIE DI SBARRAMENTO: Anche le soglie di sbarramento (che alla Camera vengono calcolate su base
nazionale), sono calcolate su base regionale. Ciò significa che se la media nazionale di un partito supera la soglia
prevista, quel partito potrebbe non raggiungerla in una certa regione. Ciò implica che in quella regione i suoi voti
non serviranno ad eleggere nessun Senatore.
 Coalizioni: 20%
 Partiti non coalizzati: 8%
 Partiti coalizzati: 3%
 Minoranze linguistiche: è previsto che 6 dei 7 seggi spettanti al Trentino Alto Adige devono essere assegnati
tramite collegi uninominali
 Circoscrizioni estere: possono eleggere 6 Senatori

PARAGRAFO 9: DIFFERENZIAZIONE TRA LE DUE CAMERE

1. È richiesta un’età diversa per l’acquisto dell’elettorato attivo e passivo

2. Il numero dei membri è diverso: 630 per la Camera, 315 per il Senato, più i Senatori a vita e di diritto

3. Il rapporto rappresentativo è più alto nel Senato che alla Camera, in quanto i membri sono di meno

4. I sistemi elettorali sono parzialmente diversi per le due Camere

5. La Camera è interamente elettiva, mentre al Senato fanno parte anche i Senatori di diritto e i Senatori a vita

6. Con la riforma del ’63 è stata eliminata un’altra differenza tra le due Camere, parificando la durata delle stesse a 5
anni (mentre prima il Senato durava 6 anni e la Camera 5)

PARAGRAFO 10: INELEGGIBILITÀ ED INCOMPATIBILITÀ PARLAMENTARI

CAUSE DI INELEGGIBILITA’: Le cause di ineleggibilità comportano l’esclusione di alcune categorie di persone


che ricoprono determinati uffici. Le cause di ineleggibilità non incidono sulla capacità elettorale passiva, nel senso
che chi è colpito da una causa di ineleggibilità non perde il diritto all’elettorato passivo, ma tale diritto non può essere
validamente esercitato finchè permane la causa impeditivi. Una volta venute meno, il diritto può essere validamente
esercitato, ma se un candidato viene eletto nonostante sia colpito da una causa di ineleggibilità, l’elezione è nulla.

PERSONE COLPITE DA CAUSE DI INELEGGIBILITA:


 Persone che ricoprono determinati uffici, avvalendosi dei quali potrebbero esercitare a loro favore pressioni su
alcuni elettori (es. capi e vice capi di polizia, prefetti..)

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 Persone che abbiano preso impiego in governi esteri, per impedire possibili interferenze straniere nello svolgimento
delle elezioni.

 Persone che sono legate allo Stato da particolari rapporti economici, in modo da evitare che i loro interessi personali
possano interferire con lo svolgimento del mandato parlamentare

 Giudici della Corte Costituzionale e i magistrati.

CAUSE DI INCOMPATIBILLITA’: sono quelle cause che impediscono di ricoprire contemporaneamente la carica
di parlamentare e un’altra carica. Gli eletti colpiti da una causa di incompatibilità devono scegliere tra i due uffici.

 Senatore e deputato
 Membro del Parlamento e Presidente della Repubblica
 Membro del Parlamento membro del CSM o della Corte Costituzionale
 I membri del Parlamento non possono ricoprire cariche o uffici in enti pubblici o privati
 I professori universitari di ruolo eletti al Parlamento sono collocati d’ufficio in aspettativa per la durata del
mandato

PARAGRAFO 11: LA VERIFICA DELLE ELEZIONI

Appena proclamato eletto, il parlamentare assume immediatamente la qualità di deputato o Senatore e può esercitare
le funzioni del suo ufficio. Per assicurare il rispetto della Costituzione e delle norme di legge, viene fatta la verifica
delle elezioni, che è affidata alla Giunta delle elezioni alla Camera e alla Giunta delle elezioni e delle immunità
parlamentari, al Senato.
La verifica delle elezioni si svolge in due fasi:
PRIMA FASE: CONTROLLO DI DELIBAZIONE (fase necessaria)
Questa fase ha natura amministrativa. Si accerta la validità delle elezioni: in particolare si accerta che l’eletto abbia
tutti i requisiti per la validità dell’ammissione nell’ufficio (capacità elettorale passiva, mancanza di cause di
ineleggibilità ed incompatibilità) e che le operazioni elettorali si siano svolte in modo regolare.
- se la giunta convalida le elezioni: ne dà comunicazione all’Assemblea, che ne prende atto.
- Se la giunta non convalida l’elezione: la contesta e si apre la seconda fase.

SECONDA FASE: GIUDIZIO DI CONTESTAZIONE (fase eventuale)


Questa fase ha funzione materialmente giurisdizionale e si divide in due parti:
- prima parte: si svolge davanti alla Giunta, che alla fine delibera contro o a favore della convalida
- seconda parte: si svolge davanti all’intera Assemblea, che discute la deliberazione della Giunta e decide
definitivamente, a scrutinio segreto, se convalidare o meno l’elezione.

SEZIONE 2: LO STATUS DI MEMBRO DEL PARLAMENTO

Per status di parlamentare si intende la posizione complessiva in cui i parlamentari si trovano in ragione della loro
appartenenza alle Camere. Questo status si acquista con la proclamazione e, per i senatori a vita, con la
comunicazione della nomina.
Le guarentigie parlamentari sono previste dall’art. 68 Cost. Esse hanno la funzione di assicurare il libero esercizio
delle funzioni parlamentari e l’indipendenza sia del parlamentare che dell’assemblea nel suo complesso.

PARAGRAFO 1: L’IRRESPONSABILITA PER LE OPINIONI EPSRESSE E I VOTI DATI


(ART 68, COMMA 1)

L’art 68, comma 1 dispone che “i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni
espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.
Ciò significa che i parlamentari sono esonerati da ogni responsabilità civile, penale, amministrativa e disciplinare che
potrebbe sorgere da un’opinione espressa o da un voto dato, al fine di consentire loro la più ampia libertà di decisione
nell’esercizio del mandato.
Tuttavia, tale irresponsabilità è limitata:
 ai voti e alle opinioni : ciò significa che se viene commesso un fatto materiale che integra gli estremi di un reato, il
parlamentare è perseguibile penalmente;

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 alle opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari e non anche in altra sede. Di fatto, però, i
parlamentari tendono ad estendere l’irresponsabilità anche per le opinioni espresse al di fuori delle sedi nelle quali
esse svolgono istituzionalmente le loro funzioni.

Recentemente la Corte Costituzionale ha assunto una posizione più rigorosa in tema di insindacabilità delle opinioni
espresse fuori dalle sedi parlamentari: infatti, tra le opinioni espresse al di fuori dei lavori parlamentari e dell’esercizio
dei lavori parlamentari, ha ritenuto insindacabili solo quelle che hanno un nesso funzionale con l’esercizio dell’attività
parlamentare. La dichiarazione, cioè, deve essere espressione dell’attività parlamentare.
La Corte Costituzionale ha, inoltre, ritenuto sindacabili le opinioni espresse da un deputato anche all’interno delle sedi
parlamentari, ove non sia riscontrabile lo stretto nesso funzionale all’esercizio di una funzione parlamentare.
Un temperamento ad una regola così rigida è contenuto nei regolamenti parlamentari, a norma dei quali, quando nel
corso di una discussione un deputato o un senatore è accusato di fatti che ledono la sua onorabilità, può chiedere al
presidente dell'assemblea di nominare una commissione (giurì d'onore), che è chiamata a giudicare sul fondamento
dell'accusa. Le conclusioni della Commissione vengono comunicate al presidente dell'assemblea, la quale deve
limitarsi a prenderne atto.

PARAGRAFO 2: LE GUARENTIGIE DELLA LIBERTA’ PERSONALE E DOMICILIARE E


DELLA LIBERTA’ DI COMUNICAZIONE E CORRISPONDENZA (ART. 68 COMMA 2 E 3)

A norma dell’at 68, comma 2 e 3 Cost, nessun membro del Parlamento, senza autorizzazione della Camera a cui
appartiene, può essere:
a) sottoposto a perquisizione personale o domiciliare;
b) arrestato o privato della libertà personale o mantenuto in detenzione, tranne nel caso in cui sia stato colto in
flagranza di reato;
c) sottoposto ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni ed a sequestro di
corrispondenza.

La riforma del ’93 ha abolito l’autorizzazione dell’assemblea per sottoporre il parlamentare a processo penale,
autorizzazione che spesso veniva negata per proteggere il parlamentare anche nel caso di commissione di reati che
non avevano nessuna implicazione politica.
Inoltre con la L. 140/2003 è stato stabilito che non possono essere sottoposti a processi penali, per qualsiasi reato
anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle stesse:
 Presidente della Repubblica
 Presidente della Camera e del senato
 Presidente del Consiglio dei Ministri
 Presidente della Corte Costituzionale.
I processi già iniziati, al momento dell’entrata in vigore della citata legge nei confronti di uno dei titolari delle cariche
sopra citati, devono essere sospesi fino alla cessazione delle medesime.

PARAGRAFO 3: SANZIONI DISCIPLINARI A CARICO DEI PARLAMENTARI

Sono assunte dal Presidente dell’assemblea e vengono applicate secondo quanto disposto dai regolamenti
parlamentari. Esse consistono:
 richiamo all’ordine, qualora il parlamentare pronunci parole sconvenienti o turbi l’ordine delle discussioni e
della seduta col suo comportamento.
 Esclusione dall’aula per il resto della seduta, dopo un secondo richiamo all’ordine e nei casi più gravi, come
ingiurie a colleghi o ad un membro del Governo..
 Censura, spesso accompagnata dall’esclusione dall’aula, con l’interdizione a partecipare ai lavori parlamentari
per un determinato periodo di tempo.

PARAGRAFO 4: DIVIETO DI MANDATO IMPERATIVO (ART 67 COST)

L’art. 67 Cost dispone che “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza
vincolo di mandato”.
Ciò significa che il parlamentare, poiché è rappresentante dell’intera nazione e non degli elettori, non può ricevere da
questi disposizioni vincolanti circa il modo in cui deve svolgere il suo mandato.
Dal divieto di mandato imperativo discende anche l’irresponsabilità politica dei parlamentari nel corso della loro
permanenza nell’ufficio, in quanto mancano gli strumenti per far valere la loro responsabilità (per es. la revoca del
mandato).
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Tuttavia, il divieto di mandato imperativo risulta attenuato dalla presenza in Parlamento dei partiti politici, dato che
deputati e senatori sono tenuti a seguire le direttive degli organi del partito al quale appartengono. Alcuni autori
sostengono che il parlamentare venga trasformato in un mero portavoce del partito, mentre altri sostengono che la
sottoposizione del parlamentare alla disciplina del partito non fa venir meno il divieto: il parlamentare, infatti, non è
tenuto all’obbedienza e può sempre orientare la sua volontà in maniera difforme dalle direttive ricevute. Di fatto,
però, ciò non accade: infatti, la disciplina del partito viene ad imporsi ed eventuali casi di ribellione vengono
puntualmente puniti con l’applicazione di sanzioni disciplinari che possono giungere fino all’espulsione del partito o
all’esclusione dalle liste elettorali.

PARAGRAFO 5: L’INDENNITÀ PARLAMENTARE (ART 69 COST.)

L’art. 69 Cost. dispone che “I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge”.
Tale indennità consiste in quote mensili comprensive anche del rimborso di spese di segreteria e di rappresentanza.
A tale indennità va aggiunta una diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma.
Ai parlamentari spetta inoltre:
 La carta di libera circolazione sulle linee delle ferrovie dello Stato e sulle linee aeree;
 Un assistente pagato con fondi appositamente stanziati dalle Camere.
 Un assegno vitalizio. Esso spetta a quei parlamentari che hanno compiuto 60 anni e hanno corrisposto i contributi
per almeno 5 anni di mandato, nonché ai parlamentari che provano di essere diventati inabili al lavoro in modo
permanente, purchè abbiamo esercitato il mandato parlamentare o abbiano comunque effettuato i versamenti per
almeno 5 anni.

PARAGRAFO 6: LE GUARENTIGIE DELLE CAMERE NEL LORO COMPLESSO

Le guarentigie di cui godono le Camere si riflettono automaticamente anche sui singoli componenti e si riferiscono a
ciascuna di esse nel suo complesso.
 Esistono speciali norme che puniscono gli attentati diretti ad impedire alle Camere l’esercizio delle loro funzioni.
 Immunità della sede, ovvero il divieto fatto alla forza pubblica di entrare nelle sedi in cui le Camere svolgono i
loro lavori, se non per ordine del Presidente dell’assemblea.
 I poteri necessari per il mantenimento dell’ordine interno delle Camere spettano alle Camere stesse e sono
esercitati dal Presidente che direttamente, o dando disposizioni ai questori, si avvale della guardia di servizio. La
forza pubblica non può, cmq, entrare nell’aula se non per ordine del Presidente e dopo che sia stata tolta o sospesa
la seduta-
 Autonomia contabile delle Camere: determinano da se stesse il loro fabbisogno finanziario e gestiscono i fondi
somministrati senza alcun controllo esterno.

SEZIONE 3: L’ORGANIZZAIONE ED IL FUNZIONAMENTO DELLE CAMERE

PARAGRAFO 1: I REGOLAMENTI PARLAMENTARI

L’art 64 co. I Cost stabilisce che “ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi
componenti”.
I regolamenti parlamentari sono un complesso di disposizioni che ciascuna Camera vota, esercitando il loro potere di
autonormazione.
Tali regolamenti disciplinano:
 Lo svolgimento dei lavori
 La sua organizzazione
 I rapporti con gli altri organi Costituzionale e a rilevanza Costituzionale
 I rapporti con estranei che vengono ammessi nelle sedi delle Camere.

Essi sono fonti del diritto, in virtù della riserva del regolamento parlamentare contenuto nell’art 64 comma 1, ma
sfuggono ad una collocazione nella scala gerarchica delle fonti. Si tratta infatti di fonti separate: ciò significa che con
legge non si può disciplinare la materia dell’organizzazione interna e dello svolgimento delle funzioni Camerali.
Per quanto riguarda la loro efficacia, essi posseggono l’efficacia sostanziale delle fonti normative, ma la loro efficacia
formale non è quella del regolamento, ovvero di una fonte subordinata alla legge, in quanto nel loro campo si
pongono come fonte esclusiva di primo grado, subordinata solo alla Costituzione.
Questi regolamenti non sono soggetti al sindacato di legittima Costituzionale: essi infatti non sono menzionati nell’art
134 Cost, che enumera gli atti soggetti al sindacato della corte. Ciò perché la costituzione ha instaurato una
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democrazia parlamentare, collocando il parlamento al centro del sistema e facendone l'istituto caratterizzante
l'ordinamento. È ovvio quindi che alle Camere spetti una indipendenza guarentigiata nei confronti di qualsiasi altro
potere, cui deve ritenersi precluso ogni sindacato degli atti di autonomia normativa ex articolo 64, comma 1.
Lo schema dei regolamenti parlamentari è uguale alla Camera e al Senato:
 la prima parte : è dedicata all’organizzazione e al funzionamento delle Camere e al procedimento di formazione
delle leggi.
 la seconda parte: i regolamenti disciplinano le procedure, di indirizzo, di controllo, di informazione che
riguardano prevalentemente i rapporti Camere-Governo.

PARAGRAFO 2: L’ORGANIZZAZIONE DELLE CAMERE

IL PRESIDENTE E L’UFFICIO DI PRESIDENZA

L’art. 63 Cost. dispone che “ciascuna Camere elegge a maggioranza dei suoi componenti il Presidente e l’ufficio di
presidenza”, composto da 4 vicePresidenti 8 segretari e 3 questori.
Il presidente:
 rappresenta la Camera
 è un organo super partes.
 è garante dei diritti e delle minoranze, oltre che del corretto svolgimento delle attività parlamentari.
 Deve anche assicurare il buon andamento dei lavori dell’Assemblea facendo osservare il regolamento
 dirige modera le discussioni
 pone le questioni
 stabilisce l’ordine delle votazioni e ne annuncia il risultato.

I regolamenti camerali distinguono i ruoli dei due presidenti, assegnando a quello del Senato Attribuzioni maggiori sia
per quanto riguarda i poteri di direzione dei dibattiti e di organizzazione dei lavori, sia per quanto riguarda l'esercizio
delle funzioni proprie delle Camere.

UFFICIO (E CONSIGLIO) DI PRESIDENZA:


 delibera il progetto di bilancio preventivo ed il rendiconto consuntivo delle Camere.
 Nomina il segretario generale.
 Decide in via definitiva i ricorsi dei dipendenti delle Camere.

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DEI GRUPPI PARLAMENTARI:


 delibera il programma dei lavori dell'assemblea.

SEGRETARI:
 sovrintendono il processo verbale delle sedute compilato dagli stenografi e ne danno lettura.
 Procedono allo scrutinio delle votazioni.
 Aiutano il presidente nello svolgimento delle sue funzioni.

QUESTORI:
sovrintendono al cerimoniale e al mantenimento dell'ordine nella sede della camera.

I GRUPPI PARLAMENTARI
I regolamenti di Camera e Senato stabiliscono che i deputati e i Senatori devono dichiarare a che gruppo
appartengono. Poichè, però, i parlamentari iscritti ad un partito aderiranno allo stesso gruppo, avremo di regola tanti
gruppi parlamentari quanti sono i partiti politici rappresentati alle Camere. In questo modo sorge uno stretto
collegamento tra il gruppo parlamentare ed il partito politico (MA NN C’è PERFETTA COINCIDENZA) .
Ogni gruppo parlamentare è composto da almeno 20 deputati e da almeno 10 Senatori. Al gruppo misto aderiscono gli
indipendenti ed i parlamentari la cui forza numerica non è sufficiente a formare un gruppo.
Ogni gruppo di dà un’organizzazione interna:
 Nomina un presidente
 Uno o più vice Presidenti
 Un comitato direttivo (alla Camera)
 Uno o più segretari al Senato
 Approvano un proprio regolamento.

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Inoltre, ad ogni gruppo parlamentare è assicurata:
 La disponibilità di locali ed attrezzature delle Camere
 Dei contributi a carico del bilancio delle Camere.

LE COMMISSIONI PERMANENTI
Sono organi interni alle Camere composte, di regola, in modo da rispecchiare la composizione politica delle Camere.
Le commissioni svolgono ruoli di grande rilievo. Esso, infatti, si riuniscono:
1. in sede referente: quando devono esaminare questioni sulle quali devono poi riferire all’Assemblea

2. in sede consultiva: quando devono esprimere pareri

3. in sede legislativa: quando devono esaminare e approvare progetti di legge

4. in sede redigente: quando devono formulare gli articoli di un progetto di legge

5. in sede politica: quando devono ascoltare e discutere comunicazioni del Governo, quando devono esercitare le
funzioni di indirizzo, di controllo e di informazione e quando devono presentare all’Assemblea relazioni e
proposte sulle materie di loro competenza.

I regolamenti del 71 hanno esaltato la natura di organi di decentramento interno delle commissioni rispetto
all'assemblea. Le commissioni svolgono da un lato un'attività preparatoria di quella dell'assemblea, ma in alcuni casi
possono giungere fino a sostituirsi all'assemblea con propri poteri decisionali. Inoltre, le commissioni portano
sicuramente ad uno snellimento dei lavori delle Camere. Esse si danno un'organizzazione interna eleggendo un
presidente, due vicepresidenti, due segretari.
Dalla data della loro costituzione, sono poi rinnovate ogni biennio, ma il loro componenti possono essere
riconfermati.

LE GIUNTE
Anch’esse sono organi permanenti delle Camere, ma si distinguono dalle commissioni sia per la specificità dei loro
compiti, sia per il modo di composizione: i componenti, infatti, vengono nominati dal Presidente dell’Assemblea,
rispettando il criterio della proporzionalità tra i vari gruppi e non vengono rinnovati.

Giunte alla Camera:


- Giunta per il regolamento
- Giunta delle elezioni
- Giunta per le autorizzazioni

Giunte al Senato:
- Giunta per il regolamento
- Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari
- Giunta per gli affari delle Comunità Europee.

COMMISSIONI DI INCHIESTA: (organo straordinario)


L’art. 82 Cost dispone che “ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. A tale scopo
nomina tra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La
commissione d’inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità
giudiziaria”

Le commissioni di inchiesta sono degli organi, istituiti da una sola Camera o da entrambe (ma spesso, nella prassi,
sono organi bicamerali), al quale è demandato il compito di procedere alle indagini (c.d. funzione ispettiva) allo scopo
di acquisire notizie ed informazioni su un determinato fenomeno, per poi riferirne all’Assemblea. Durante lo
svolgimento di tal mandato, esse godono di piena indipendenza di fronte alle Camere stesse, che non possono
procedere a inchieste parallele né interferire in nessun modo nelle deliberazioni adottate dalla commissione.
Sono organi straordinari, che vengono cioè creati ogni volta che se ne presenta la necessità.
La scelta dei membri spetta al Presidente di ciascuna Camera su delega dell’Assemblea: l’unica condizione che deve
essere rispettata è che devono essere composte in modo da rispecchiare la proporzione politica dei vari gruppi
parlamentari.
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GLI ORGANI BICAMERALI
Accanto agli organi unicamerali, troviamo gli organi bicamerali, ossia organi composti pariteticamente da deputati e
Senatori. Possono essere permanenti e temporanee.
A questo riguardo, la Costituzione non prevede espressamente tale categoria di organi: ne istituisce soltanto uno (la
commissione bicamerale per le questioni regionali) e non esclude che le inchieste parlamentari possano essere svolte
congiuntamente dalle due Camere.
Ci possono essere commissioni bicamerali per i procedimenti di accusa, commissioni di indirizzo, di vigilanza e di
controllo, commissioni consultive, di inchiesta e miste.
Doppi sono stati avanzati in ordine:
- all'opportunità della loro costituzione: essendo il nostro un sistema bicamerale, le camere dovrebbero operare
distintamente. Quindi, l'operare in comune delle due Camere è l'eccezione giustificabile tutte le volte che si tratti di
assicurare un coordinamento tra le due assemblee ed una maggiore produttività dei lavori parlamentari.
- alla loro composizione: il regolamento del Senato dispone che gli organi bicamerali devono essere composti in modo
da assicurare, nel rispetto del criterio di proporzionalità, la rappresentanza del maggior numero di gruppi parlamentari
costituiti nei due rami del parlamento. Può accadere quindi che non tutti gruppi parlamentari siano rappresentati ed il
sacrificio spetterebbe ovviamente ai gruppi minori. In questo caso, il principio della partecipazione delle minoranze
alle funzioni parlamentari non sarebbe osservato.

PARAGRAFO 3: 1) LA LEGISLATURA, 2) LA DECADENZA DEI PROGETTI DI LEGGE, 3) LA


PROROGATIO, 4) LA CONVOCAZIONE DELLE CAMERE

LEGISLATURA: per legislatura si intende il periodo che va dalla prima riunione delle Assemblee al giorno del loro
scioglimento normale (dopo 5 anni) o al giorno del loro scioglimento anticipato (ad opera del Presidente della
Repubblica.

DECADENZA DEI PROGETTI DI LEGGE: con la fine della legislatura, decadono tutti quei progetti di legge che
non erano stati approvati da entrambe le Camere, per cui essi devono essere ripresentati alle nuove Camere per essere
presi nuovamente in esame, qualora se ne ravvisi l’opportunità politica.

PROROGATIO: a norma dell’art 61 Cost. “finchè non siano riunite le nuove Camere, sono prorogati i poteri delle
precedenti”.
Il prolungamento dell’esistenza normale delle Camere senza un limite di tempo è , invece, escluso dalla Costituzione
ed è ammesso soltanto in caso di guerra e deve essere deliberato con una legge.
Fine della prorogatio è quella di impedire vuoti ed interruzioni nell’attività dello stato durante il periodo necessario al
rinnovo dei suoi organi.
In regime di prorogatio, le Camere devono attenersi alla normale amministrazione Costituzionale, nella quale possono
farsi rientrare:
 le attività di controllo politico sul Governo;
 la funzione legislativa, qualora questa abbia i caratteri dell’indifferibilità e dell’urgenza (es. conversione in legge
dei decreti legge, approvazione della legge di bilancio, deliberazione dello stato di guerra..).
A questo proposito ci si chiede se il riesame di una legge rinviata dal Presidente rientri negli atti aventi il carattere
dell'indifferibilità e dell'urgenza. Essa non avrà il carattere dell'urgenza, ma solo l'indifferibilità e ciò per due motivi.
In primo luogo, il rinvio alle Camere investe dell'esame le Camere che hanno approvato la legge e non le nuove.
Infatti, l'articolo 74 richiede una nuova deliberazione da parte delle stesse Camere, mentre si a deliberare fossero le
Camere NEO elette, esse sarebbero chiamati a pronunciarsi su una nuova legge e non su quella rinviata dal Presidente
della Repubblica. In secondo luogo, precluderne alle Camere in regime di prorogatio di riesaminare la legge rinviata
equivarrebbe ad attribuire al Presidente della Repubblica un sostanziale potere di diritto. Infatti, se la legge non
potesse essere ripresa in esame e quindi eventualmente riapprovata, essa, con lo scioglimento delle Camere,
decadrebbe.

CONVOCAZIONE DELLE CAMERE: le Camere sono convocate di diritto:


a) non oltre il 20° giorno dalle elezioni (art. 61) in una data fissata nel decreto del Presidente della Repubblica che
indice le elezioni;
b) il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre;
c) quando una Camera si riunisce in via straordinaria (per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della
Repubblica o di un terzo dei suoi compinenti), si riunisce di diritto anche l’altra e ciò per permettere il
contemporaneo svolgersi dei lavori delle due Camere.

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CESSAZIONE DALL’UFFICIO: le Camere cessano dal loro ufficio e vengono rinnovate:
 Alla fine dei 5 anni della loro durata in carica
 Anticipatamente, qualora vengano sciolte dal Presidente della Repubblica, sentiti i Presidenti di ciascuna Camera.

PARAGRAFO 4: IL FUNZIONAMENTO DELLE CAMERE

LA PUBBLICITA’ DELLE SEDUTE: le sedute della Camera sono pubbliche, anche se ciascuna Camera o il
Parlamento in seduta comune possono deliberare di riunirsi in seduta segreta (art. 64).
La pubblicità delle sedute si attua:
 Ammettendo il pubblico ad assistere alle sedute da apposite tribune
 Pubblicazione degli atti parlamentari
 Trasmissione televisiva diretta.

DELIBERAZIONI DELL’ASSEMBLEA: perché le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento in seduta


comune siano valide è necessaria la presenza alla seduta della maggioranza dei loro componenti, il c.d. numero
legale, che è sempre presunto, a meno che non venga richiesta la verifica (la verifica è preclusa per le votazioni
segrete e per appello nominale).
Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento in seduta comune non sono valide se non sono adottate a
maggioranza dei presenti (c.d. maggioranza semplice), salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza
speciale: la maggioranza assoluta (cioè la metà più uno dei componenti l’Assemblea) o la maggioranza qualificata
(cioè una percentuale elevata dei componenti l’Assemblea: i 2/3, 3/5).
Per quanto riguarda il problema degli astenuti (ovvero se vanno considerati presenti votanti, presenti non votanti o
assenti), alla Camera, essi, anche se presenti, vengono considerati come assenti (cioè non vengono computati ai fini
della determinazione della maggioranza); al Senato, gli astenuti, ai fini della determinazione della maggioranza,
vengono considerati come presenti. La norma contenuta nel regolamento della Camera, disponendo che gli astenuti
non sono computati ai fini della determinazione della maggioranza, si pone in contrasto con l'articolo 64 della
Costituzione a norma del quale le deliberazioni della Camera non sono valide se non sono adottate a maggioranza dei
presenti. Questo è uno dei casi di una norma di regolamento parlamentare costituzionalmente illegittima nei confronti
della quale non è possibile esperire alcuna forma di controllo per eliminarla dal sistema.

VOTAZIONI: le votazioni possono essere palesi o segrete.


La votazione palese può avvenire:
 Per alzata di mano
 Per divisione in due settori distinti dell’aula dei favorevoli e dei contrari
 Con procedimento elettronico (con registrazione dei nomi)
 Per appello nominale: quest’ultima forma di votazione è sempre richiesta per accordare o revocare la fiducia al
Governo ed, alla Camera, per il voto sulla questione di fiducia.

 La votazione segreta può avvenire:


 Per schede (quando si tratta di eleggere una o più persone: es. Presidente della Repubblica..)
 A scrutinio segreto: di solito viene fatto con procedimento elettronico con apparati che garantiscono la segretezza
del voto. Questo tipo di votazione viene usato nelle riunioni del Parlamento in seduta comune alla Camera, nelle
votazioni riguardanti le persone, le votazioni sulle modifiche del regolamento, sull'istituzione di commissione
parlamentare d'inchiesta, sulle leggi ordinarie riguardanti gli organi costituzionali, sulle leggi elettorali. Tuttavia,
lo scrutinio segreto non è consentito nelle votazioni sulla legge finanziaria, sulle leggi di bilancio e per tutte le
deliberazioni che hanno conseguenze finanziarie.

Il voto segreto offre il vantaggio di consentire la libera espressione della propria volontà, ma di contro si sostiene che
la segretezza del voto offra l'opportunità di sottrarsi alla rigida disciplina del partito. Il voto palese andrebbe preferito,
a condizione, però, che l'ordinamento interno dei partiti assicuri un effettiva partecipazione degli iscritti alla
determinazione della linea politica. La votazione palese è richiesta solo per la concessione o la revoca della fiducia,
mentre è lasciata ai regolamenti parlamentari e alla discrezionalità delle due assemblee di determinare negli altri casi i
modi di votazione.

ORDINE DEL GIORNO, PROGRAMMAZIONE DEI LAVORI E CALENDARIO: le Camere non possono
discutere o deliberare su materie che non siano all’ordine del giorno e ciò in ossequio ad una regola democratica
secondo cui bisogna conoscere gli argomenti sui quali si è chiamati a deliberare e non possono essere prese decisioni
di sorpresa.
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Inoltre le Camere devono organizzare i lavori secondo il metodo della programmazione:
- Camera : il progetto di programma (per non oltre 3 mesi) è predisposto dalla conferenza dei Presidenti dei gruppi
parlamentari e deve essere approvato con una maggioranza di almeno ¾ dei componenti della Camera. Il programma
è predisposto sulla base delle indicazioni del Governo e delle proposte dei gruppi e diventa impegnativo dopo la
comunicazione all’Assemblea.

- Senato: il progetto di programma è predisposto dal Presidente, presi gli opportuni contatti con il Presidente della
Camera e col Governo. Il programma è predisposto ogni due mesi, tenendo conto delle priorità indicate dal Governo e
delle proposte avanzate dai gruppi parlamentari e dai singoli Senatori. E’ adottato all’unanimità dalla conferenza dei
Presidenti dei gruppi parlamentari. Sulla base del programma, poi, sempre la conferenza, approva, sempre
all’unanimità il calendario dei lavori.

Secondo i regolamenti del 71, il programma ed il calendario devono essere deliberati all’unanimità, ma poiché essa
non è facile da raggiungere in una Assemblea politicamente eterogenea, nel ’97 alla Camera è stata sostituita
l’unanimità con la maggioranza di ¾ . se non si raggiunge questa maggioranza nella conferenza dei Presidenti dei
gruppi, sarà il Presidente a predisporre il programma, tenendo conto delle indicazioni del Governo e inserendo nel
programma stesso le proposte prevalenti nonché quelle in minoranza.

PARAGRAFO 5: GLI INTERNA CORPORIS

Per interna corporis si intendono gli atti e le attività compiuti all’interno delle Camere.
Il problema che sorge è quello della loro sindacabilità da parte di organi esterni. Generalmente questa sindacabilità
viene esclusa a causa della posizione di indipendenza Costituzionale delle Camere da cui deriva la loro autonomia.
Non saranno sindacabili:
 Il modo di convocazione dell’organo
 Il modo in cui è stata determinata la maggioranza
 Il modo e l’esito delle votazioni ecc..
 Le norme dei regolamenti parlamentari che sono sottratte, come tutti gli interna corporis al sindacato della Corte
Costituzionale.
 Tutte le attività che sono riconducibili a fattispecie disciplinate dai regolamenti, la cui osservanza deve essere
curata dai Presidenti.

La Corte Costituzionale ha, però, affermato la sua competenza tutte le volte che bisogna accertare l’osservanza delle
norme Costituzionali sul procedimento di formazione delle leggi. In particolare, ha stabilito che le spetta accertare se
il testo di una legge che viene mandato all’altra Camera, sia effettivamente conforme al testo approvato dalla stessa
Camera.

PARAGRAFO 6: L’OSTRUZIONISMO

Per ostruzionismo si intende l’uso esasperato di strumenti procedurali messi a disposizione dai parlamentari e
riguardanti i procedimento di formazione della volontà Camerale, al fine di ostacolare, ritardare o impedire la
formazione della volontà Camerale stessa. Questo viene chiamato ostruzionismo tecnico, che si differenzia dal c.d.
ostruzionismo fisico, che si manifesta mediante la violenza e che è del tutto illecito.
Generalmente dell’ostruzionismo tecnico si avvale l’opposizione per evitare che le scelte politiche della maggioranza
si trasformino in provvedimenti concreti. Gli espedienti ai quali si ricorre sono tratti per lo più dai regolamenti
parlamentari, esasperando l’esercizio di diritti e strumenti procedurali. Per esempio protraggono i discorsi in aula per
ore, presentano centinaia di emendamenti o articoli aggiuntivi ad un progetto di legge, abbandonano l’aula per far
venir meno il numero legale, richiedono continuamente le votazioni per appello nominale.
Ci si chiede se l’ostruzionismo rientra o meno nel gioco democratico. Sicuramente è legittimo quando rappresenta
l’ultima spiaggia per combattere contro misure liberticide proposte dalla maggioranza o quando l’opposizione lo
conduce in Parlamento con l’appoggio dell’opinione pubblica e di vasti movimenti popolari.
Non è sicuramente legittimo quando viene condotto per fini di parte o per opporsi all’approvazione di leggi attuative
della Costituzione.

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SEZIONE 4: IL PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DELLE LEGGE ORDINARIA

PARAGRAFO 1: A) FASE INTRODUTTIVA: L’INIZIATIVA LEGISLATIVA

La legge formale è un atto complesso eguale, cioè alla sua formazione partecipano in posizione di parità entrambe le
camere attraverso una manifestazione di volontà che si concreta nell’approvazione dello stesso testo.

L’iniziativa legislativa, che consiste nella presentazione ad una delle due camere di un progetto di legge, è attribuita al
Governo, ai singoli membri delle Camere, al popolo, al CNEL e ai Consigli regionali.

1) INIZIATIVA GOVERNATIVA: l’iniziativa governativa è la più rilevante sia perché il governo è l’organo
meglio in grado di valutare, l’opportunità o la necessità di interventi nei vari campi della vita nazionale, sia perché ad
esso fa capo l’iniziativa della legge di bilancio, della legge finanziaria e in materia di rapporti internazionali e
comunitari. Inoltre i progetti di legge di iniziativa governativa (che vengono chiamati più propriamente disegni di
legge) hanno maggiori probabilità di essere approvati, in quanto il Governo può contare sul voto favorevole della
maggioranza dei parlamentari. L’iniziativa governativa si esercita con l’approvazione da parte del Consiglio dei
Ministri di un disegno di legge, per la cui presentazione alle Camere è necessario, però, un decreto del presidente
della Repubblica.
Inoltre, per consentire al governo di attuare, entro congrui limiti di tempo, il programma che intende perseguire, si è
proposto di inserire nei regolamenti parlamentari norme idonee a sveltire il procedimento di formazione delle leggi di
cui ha assunto l'iniziativa (cosiddetta corsia preferenziale). Pertanto i regolamenti fissano un termine entro il quale
l'esame di alcuni disegni di legge di iniziativa governativa (bilancio, legge finanziaria...) deve essere compiuto.

2) INIZIATIVA PARLAMENTARE: è esercitata dai membri delle Camere che presentano una proposta di legge
alla Camera alla quale appartengono.

3) INIZIATIVA POPOLARE: è esercitata mediante la proposta di un progetto redatto in articoli (il modo da essere
immediatamente discusso ed eventualmente approvato) da parte di almeno 50.000 elettori. La proposta deve essere
accompagnata da una relazione che ne illustri le finalità e le norme e deve essere presentata al Presidente di una delle
due Camere.

4) INIZIATIVA DEL CNEL: sembra che l’iniziativa possa essere assunta soltanto nel campo economico-sociale.

5) INIZIATIVA DEI CONSIGLI REGIONALI: è esercitata dai singoli Consigli regionali o da più consigli
congiuntamente e deve avere per oggetto materie che interessano la regione. Tuttavia, nn è escluso che una regione o
più regioni presentino alle Camere proposte di leggi che riguardino i rapporti fra Stato e regioni.

6) INIZIATIVA DEI COMUNI: attribuita dall’art. 133 Cost, qualora essi vogliano promuovere il mutamento delle
circoscrizioni provinciali o vogliano istituire nuove province nell’ambito di una regione.

Infine si parla di:


 Iniziativa vincolata: si ha quando la presentazione di una proposta di legge alle Camere non ha carattere
facoltativo, ma si pone come attuazione di un obbligo (per es. la presentazione del disegno di legge sul bilancio che
deve avvenire annualmente ex art. 81 Cost).
 Iniziativa riservata: si ha quando ad esercitare il relativo potere è uno solo dei titolari.

PARAGRAFO 2: B) FASE COSTITUTIVA: L’APPROVAZIONE DELLE CAMERE

L’approvazione del progetto di legge da parte di ciascuna Camera può avvenire secondo 3 diversi procedimenti:
ordinario, decentrato (o per commissioni), misto.

PROCEDIMENTO ORDINARIO (commissione in sede referente)

L’art. 72, comma I stabilisce che “ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo
regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con
votazione finale”.

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1) il progetto di legge viene prima esaminato da una commissione legislativa competente nella materia a cui il
progetto si riferisce. In questo caso, la commissione svolgerà il suo lavoro in sede referente. La commissione può
anche proporre modifiche al testo originario e redigere, qalora siano presentati più progetti di legge su uno stesso
oggetto, un testo unificato.

2) la commissione trasmette all’Assemblea il progetto di legge, accompagnandolo con una o più relazioni.

3) il progetto viene discusso nelle sue linee generali dall’Assemblea, per capire se l’assemblea sia o meno favorevole
allo stesso) e la discussione generale si chiude con la presentazione e la votazione di ordini del giorno.

4) se l’assemblea si è dimostrata favorevole al progetto, passano alla discussione e all’approvazione dello stesso
articolo per articolo

5) approvati tutti gli articoli, si sottopone il progetto nel suo complesso alla votazione finale, per la quale è richiesto lo
scrutinio palese.

Il procedimento ordinario deve essere sempre adottato (art. 72, comma 4):
 Per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale;
 Per i disegni di legge di delegazione legislativa;
 Per i disegni di legge di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Questi possono essere esaminati e a
approvati soltanto col procedimento ordinario.
 Per i disegni di legge di approvazione di bilanci e consuntivi. Questi non possono essere abrogati mediante
referendum.
 Per i disegni di legge di conversione di decreti-legge (non previsti nell’art. 72)
 Per i disegni di legge rinviati alle Camere dal Presidente della Repubblica per una nuova deliberazione.

Per quanto riguarda i disegni di legge di autorizzazione a ratificare trattati internazionali e i disegni di legge di
approvazione di bilanci consuntivi, questi rientrano nelle materie legislativamente privilegiate, in quanto possono
essere approvate solo col procedimento ordinario e non possono essere abrogati mediante referendum. Ciò perché,
essendo materie attinenti all'indirizzo politico, si è voluto che l'esame e l'approvazione delle leggi relative avvenisse
ad opera dell'intera assemblea. Infatti, poiché queste leggi non possono essere abrogati mediante referendum, la loro
abrogazione potrà avvenire soltanto mediante legge formale.

L’art. 72, comma 2 prevede anche dei PROCEDIMENTI ABBREVIATI per i progetti di legge dei quali è
dichiarata l’urgenza. Tali procedimenti non differiscono da quello ordinario, vengono ridotti solo i termini interni.
Il procedimento abbreviato comincia con la dichiarazione d'urgenza. Su di essa l'assemblea delibera per alzata di
mano. Se la dichiarazione di urgenza è approvata, al Senato i tempi si riducono alla metà, alla Camera invece la
riduzione dei tempi viene disposta volta per volta.

PROCEDIMENTO DECENTRATO (o per commissioni) (commissione in sede deliberante)


Nel procedimento decentrato, le commissioni legislative svolgono i loro lavori in sede deliberante: non si limitano
ad esaminare il progetto, ma lo approvano. Per questo motivo, tale procedimento viene definito decentrato: perché
non si svolge davanti all’intera assemblea, ma in sede decentrata, ovvero davanti alla commissione legislativa
competente per materia.
L’assegnazione del progetto alla commissione in sede deliberante è proposta alla Camera dal suo Presidente e deve
essere approvata dall’intera Assemblea. Al Senato è decisa dal suo presidente che ne dà comunicazione all'assemblea.
Il procedimento decentrato non può essere adottato per tutti quei progetti di legge elencati nel comma 4 dell’art. 72.
Il procedimento decentrato, che affida a commissioni ristrette l'approvazione dei progetti di legge, se gestisce molto
l'iter legislativo. Tuttavia, il sistema si è prestato spesso ad abusi: infatti risulta che la maggior parte delle leggi
approvate in commissioni sono settoriali (le cosiddette leggine) e non di interesse generale. Questo abuso si spiega
facilmente se si pensa che questo tipo di leggi ha maggiore probabilità di essere approvate in commissione dove, per il
ridotto numero dei componenti, è più facile raggiungere il compromesso tra maggioranza ed opposizione.
La prassi finora adottata è quindi contrari alla Costituzione, che richiede che le Camere esercitino di regolala funzione
legislativa con la partecipazione di tutti i componenti. L'articolo 72 comma 3 ammette il procedimento decentrato solo
nei casi e nelle forme stabiliti dal regolamento delle Camere, ma anche quando lo ammette prevede la rimessione in
aula del progetto, affinché venga discusso e approvato in assemblea.
Un criterio generale per assegnare i progetti alle commissioni in sede deliberante esiste solo alla Camera: essi possono
essere assegnati alle commissioni solo quando riguardano questioni che non hanno speciale rilevanza di ordine
52
generale. Al Senato, invece, l'assegnazione avviene senza nessun criterio direttivo, in quanto il presidente
dell'assemblea ha un illimitato potere di scelta e deve limitarsi a darne comunicazione all'assemblea.

IL PROCEDIMENTO MISTO (commissione in sede redigente)


questo procedimento è stato introdotto dai regolamenti parlamentari.
Nel procedimento misto, i lavori vengono suddivisi tra la commissione e l’assemblea. La commissione provvede alla
stesura del testo e alla discussione e votazione dello stesso, mentre l'assemblea approva i singoli articoli senza
dichiarazione di voto e la legge nel suo complesso con dichiarazione di voto.
CAMERA:
- l’assemblea incarica la commissione competente, permanente o speciale, di elaborare e votare i singoli articoli del
progetto di legge.
- L’Assemblea poi voterà i singoli articoli senza dichiarazione di voto e procederà all’approvazione finale del progetto
di legge con dichiarazioni di voto.

SENATO:
- il presidente del senato può assegnare in sede redigente alle commissioni permanenti o speciali progetti di legge per
la deliberazione dei singoli articoli
- l’assemblea procederà alla votazione finale con dichiarazioni di voto.

In entrambe le camere, il procedimento misto non può essere adottato per i progetti di legge previsti dall’art. 72,
comma 4.

PARAGRAFO 3: CONSIDERAZIONI SULLA FASE COSTITUTIVA

1. LE CAMERE DEVONO APPROVARE IL PROGETTO DI LEGGE NEL MEDESIMO TESTO: se una camera
apporta al progetto già approvato dall'altra degli emendamenti, il progetto dovrà tornare alla Camera che lo ha
approvato per prima perché anche questa approvi a sua volta gli emendamenti (cosiddetta navette).
2. I REGOLAMENTI DELLE CAMERE STABILISCONO CHE I PRESIDENTI DELLE CAMERE POSSONO
DISPORRE CHE SU UN PROGETTO DI LEGGE ASSEGNATO AD UNA COMMISSIONE SIA SENTITO IL
PARERE DI UN'ALTRA COMMISSIONE (cosiddette commissioni filtro).
3. IL PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE ADOTTATO DA UNA CAMERA NON VINCOLA ANCHE
L'ALTRA (per esempio una camera può usare il procedimento ordinario, l'altro il procedimento decentrato).
4. Quando l'approvazione di una legge ha avuto un iter molto travagliato, È NECESSARIO IL SUO
COORDINAMENTO FORMALE, che è affidato alla Camera al suo presidente, al Senato all'assemblea.
5. Il presidente dell'assemblea può richiedere il parere di un'altra commissione, di organi o enti estranei al Parlamento
su un progetto di legge da lui assegnato ad una commissione.

PARAGRAFO 4: C) FASE INTEGRATIVA DELL’EFFICACIA: LA PROMULGAZIONE E LA


PUBBLICAZIONE DELLA LEGGE.

LA PROMULGAZIONE
La legge approvata da entrambe le camere viene trasmessa a cura del presidente della camera che l’ha approvata per
ultima, al Presidente della Repubblica per la promulgazione.
La promulgazione delle leggi deve avvenire entro un mese dall’approvazione (salvo in casi d’urgenza: in questo caso
le Camere stabiliscono un termine inferiore).
Essa consiste in un decreto del Presidente della repubblica con il quale egli:
 Attesta che la legge è stata approvata dalle due camere
 Dichiara la sua volontà di promulgare la legge
 Ordina la pubblicazione della legge e vi appone la clausola esecutiva.

Il Presidente della repubblica non è tenuto a promulgare le leggi. Ex art. 74 Cost, egli “prima di promulgare la legge,
può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione”.
Egli, cioè, entro un mese, può rinviare la legge alle Camere, accompagnandola con un messaggio nel quale esporrà i
motivi per cui ha ritenuto di non dover promulgare e chiedere una nuova deliberazione.
Egli può porre, alla base del rinvio della legge:
 Motivi di legittimità formale della legge (quando non è stato rispettato il procedimento previsto dalla Costituzione)
 Motivi di legittimità sostanziale (quando la norma contenuta nella legge è in contrasto con una norma contenuta
nella Costituzione
53
 Motivi di merito costituzionale (quando per esempio, per il lungo procedimento di formazione, la legge non risulta
più adeguata alla situazione)

Tuttavia, il controllo (che può essere di legittimità costituzionale formale e sostanziale) svolto mediante il rinvio si
risolve in un atto che non ha valore definitivo e decisivo (cioè non serve ad impedire l’entrata in vigore della legge),
in quanto le Camere sono assolutamente libere di accogliere o meno i rilievi del Presidente della Repubblica. Di
conseguenza, se le Camere dovessero riapprovare la legge nel medesimo testo, il Presidente dovrà promulgarla.
Il presidente può rifiutarsi di promulgarla: in questo caso potrà sorgere un conflitto di attribuzione tra Parlamento e
Presidente, risolvibile dalla corte costituzionale. Se invece le camere approvano emendamenti diversi da quelli
suggeriti dal presidente della repubblica nel messaggio, egli potrà di nuovo rinviare la legge alla Camera, almeno
limitatamente alle modifiche apportate.
LA PUBBLICAZIONE
La pubblicazione avviene ad opera e sotto la responsabilità del Ministro Della Giustizia, il quale appone il visto (con
il quale attesta la regolarità del documento) e del Gran sigillo dello Stato (che vale come autenticazione). Dopo ciò, il
testo della legge viene inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana (assicurala
certezza del diritto, perché il testo che entra in vigore è quello inserito in essa) e viene pubblicato nella Gazzetta
ufficiale della Repubblica italiana (realizza una forma di pubblicità notizia).
 Alla pubblicazione delle leggi si deve provvedere subito dopo la promulgazione (art. 73) e cmq non oltre 30 giorni
da essa.
 La legge entra in vigore nel 15° giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (c.d.vacatio legis)
 Una volta pubblicata la legge nella Gazzetta Ufficiale (e decorso il termine di vacatio) sorge la presunzione assoluta
che tutti i destinatari la conoscano, per cui essi sono tenuti cmq ad osservarla e non possono invocare a loro scusante
il fatto di non aver preso visione del testo. Tuttavia, il rigore di tale principio è stato molto attenuato da una sentenza
della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 cod. pen. Nella parte in cui
esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile.
 La data della legge è quella del decreto di promulgazione, il numero quello della sua inserzione nella Raccolta
Ufficiale

PARAGRAFO 5: IL PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DELLE LEGGI DI REVISIONE


COSTITUZIONALE E DELLE ALTRE LEGGI COSTITUZIONALI.
(Articolo 138 costituzione)

Dal carattere rigido della nostra Costituzione discende che le leggi approvate con uno dei procedimenti ordinari, misti
o decentrati non possono modificare la Costituzione, essendo necessaria una legge approvata con una procedura
aggravata (art. 138 Cost.).
La procedura aggravata ha in comune con quella diretta alla formazione delle leggi ordinarie la fase dell’iniziativa, la
fase della promulgazione (con qualche modifica di formulazione) e della pubblicazione; se ne differenzia per quanto
riguarda la fase dell’approvazione.

Inoltre, nella fase di formazione delle leggi costituzionali può inserirsi la manifestazione di volontà del corpo
elettorale, mediante referendum costituzionale.

Ex art. 138 Cost. “le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna
Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di 3 mesi, e sono approvate a maggioranza
assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione”.

DIFFERENZE CON LA PROCEDURA ORDINARIA:

1) I progetti di legge costituzionale devono essere deliberati 2 volte da parte di ciascuna Camera e fra la prima e la
seconda deliberazione deve intercorrere un intervallo non inferiore a 3 mesi. Questo per permettere alle Camere di
esaminare con maggiore attenzione le leggi costituzionali, tenendo conto anche delle reazioni dell’opinione pubblica
nei 3 mesi di intervallo tra una deliberazione e l’altra.
La doppia deliberazione deve avvenire in forma alternativa tra una Camera e l’altra (ovvero, prima vota una camera,
poi l’altra, poi il progetto torna alla prima Camera e poi ripassa alla seconda camera). Nella seconda deliberazione, la
commissione competente riesamina il progetto nel suo complesso e riferisce all'assemblea. Dopo si passa alla
votazione finale del progetto di legge senza procedere alla discussione degli articoli.

2) nella seconda votazione, il progetto costituzionale deve essere approvato a maggioranza assoluta dei suoi
componenti (e non dalla maggioranza semplice, come si richiede nel procedimento ordinario).
54
3) il progetto di legge costituzionale non si trasforma in legge, ma resta allo stato di progetto. Come tale, esso viene
pubblicato nella Gazzetta ufficiale al solo fine di far conoscere il suo contenuto. Si tratta di una pubblicazione
anomala, sia perché la pubblicazione precede la promulgazione, sia perché il progetto non è inserito nella Raccolta
ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana.

4) entro 3 mesi da tale pubblicazione, 500.000 elettori, 1/5 dei membri di ciascuna Camera o 5 consigli regionali
possono richiedere che il progetto di revisione costituzionale o di legge costituzionale sia sottoposto a referendum
popolare (art. 138, co. 2)
 Il referendum è indetto con decreto del Presidente della Repubblica
 Il progetto si intende approvato dal corpo elettorale qualora abbia ottenuto la maggioranza dei voti validi
(esclusi cioè i voti nulli e le schede bianche). Se questa maggioranza non è raggiunta, il progetto è respinto.
 Il referendum è facoltativo e non obbligatorio. Pertanto i tre mesi posso decorrere senza che esso venga
richiesto. In questo caso, il progetto verrà tacitamente approvato dal corpo elettorale che, pur avendone potere, non ha
richiesto il referendum.
 Il progetto di revisione costituzionale o di legge costituzionale approvato espressamente mediante referendum
o tacitamente dal corpo elettorale si trasforma in legge, che sarà promulgata dal Presidente della Repubblica nelle
forme dovute
 Tuttavia, se nella seconda deliberazione, il progetto viene approvato da ciascuna delle camere a maggioranza
di 2/3 dei suoi componenti, esso si trasforma in legge (che verrà promulgata e pubblicata). In questo caso, cioè, non è
prevista la possibilità di sottoporre il progetto a referendum, in quanto si ha la presunzione assoluta che anche il corpo
elettorale, i cui rappresentanti hanno votato favorevolmente in una percentuale molto alta, approvi la legge
costituzionale.

Se invece il progetto non è approvato ne è data notizia sulla Gazzetta Ufficiale e la leggesi considera come mai
emanata.

Leggi di revisione costituzionale e altre leggi costituzionali: le leggi di revisione costituzionale sono quelle leggi
che disciplino la materia in maniera difforme da quello in cui la stessa materia è disciplinata dalla Costituzione o in
altre leggi costituzionali.
Le altre leggi costituzionali sono quelle che integrano il testo costituzionale, ovvero servono per aggiungere qualcosa
alla Costituzione, ma sono anche quelle leggi che aggiungono competenze agli organi costituzionali.

Rottura della costituzione: si ha quando una norma contenuta nella costituzione si pone in contrasto con un'altra
norma o con un principio contenuto nello stesso testo.

PARAGRAFO 6: I LIMITI ALLA REVISIONE COSTITUZIONALE

Non tutte le disposizioni costituzionali possono essere modificate. Esistono, infatti, dei limiti alla revisione, che
possono essere espressi o impliciti nel sistema.
La costituzione di uno stato può subire modificazioni nel tempo:
 Modificazioni espresse: possono avvenire
 Ad opera di un’assemblea appositamente eletta o delle due Camere riunite
 Con l’intervento del corpo elettorale (chiamato ad approvare la revisione tramite referendum)
 Con l’intervento degli stessi organi legislativi ordinari ma con procedure aggravate-

 Modificazioni tacite: dipendono


 Dal modo in cui viene data attuazione alla Costituzione da parte delle leggi ordinarie, delle consuetudini e
delle convenzioni costituzionali, delle sentenze della magistratura, dei regolamenti parlamentari, della
prassi costituzionale;
 O, al contrario, dalla mancata attuazione di alcune sue parti.

Dunque, nonostante la rigidità della Costituzione, sono ammesse delle modifiche, in quanto essa, per quanto rigida, ha
una sua elasticità, che è dovuta essenzialmente alla formulazione del testo costituzionale che si presta, per la
genericità delle sue formule e l’indeterminatezza di alcuni concetti (concetti valvola), ad essere interpretato ed attuato
in modo non univoco.
Il problema, quindi non è tanto quello di ammettere la revisione quanto piuttosto quello di stabilire il grado e la
misura della revisione.

55
A questo proposito, esiste una teoria secondo cui esistono limiti assoluti alla revisione costituzionale, che possono
essere espressi o impliciti:
 Principio democratico
 Il principio secondo cui il lavoro è posto a fondamento dello stato
 Il principio dell’inviolabilità della persona umana
 Il principio di uguaglianza formale e sostanziale tra tutti i cittadini
 Il principio di unicità ed indivisibilità della Repubblica
 Il principio della tutela e del rispetto delle minoranze
 Il limite espresso contenuto nell’articolo 139 Cost che stabilisce che “la forma repubblicana non può essere oggetto
di revisione costituzionale”: ciò significa che la forma repubblicana dello stato deve essere considerata come
intimamente connessa alla struttura della nostra società e al sistema costituzionale.

Se le disposizioni nelle quali questi principi sono contenuti fossero abrogate o subissero rilevanti deroghe, verrebbe
meno parte dell’ordinamento che si fonda su questi principi. Anche la Corte costituzionale ha affermato che “la
Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che nn possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto
essenziale”.

SEZIONE 5: L’ATTIVITA’ DI INDIRIZZO POLITICO DELLE CAMERE

Le Camere non hanno soltanto la funzione legislativa, ma anche quella di collaborare con il Governo nello
svolgimento dell’attività di indirizzo politico, in virtù del rapporto fiduciario che ad esso lo lega.

PARAGRAFO 1: L’INDIRIZZO POLITICO

L’attività di indirizzo politico precede la distribuzione dei vari compiti statali tra molteplici organi forniti di
autonomia ed il loro esercizio e consiste in un momento di impulso unitario e di coordinazione, affinché essi svolgano
in modo armonico per tutto il periodo necessario ad assicurare il risultato che se ne attende.
L’indirizzo politico è strettamente collegato con l’azione di Governo, in quanto concerne la condotta ed il Governo di
ogni comunità sociale.
L’attività di indirizzo politico può suddividersi in 3 fasi:
1) fase teleologica: in questa fase determinano i fini dell’azione statale, che viene fatta in stretto coordinamento tra
Parlamento e Governo (coordinamento che si instaura nel momento in cui il Governo ottiene la fiducia da parte della
maggioranza di entrambe le Camere).
Le Camere partecipano alla determinazione dell’indirizzo politico
 approvando il programma del Governo mediante il loro voto favorevole sulla mozione di fiducia;
 attraverso una serie di atti di direzione politica (ordini del giorno, mozioni, risoluzioni) che sono diretti ad
integrare o modificare il programma originariamente concordato o ad impegnare il Governo e la P.A. a dargli
attuazione;
 in senso negativo, attraverso la mozione di sfiducia

2) fase strumentale: in questa fase gli organi di indirizzo politico predispongono un apparato organizzativo ed i
mezzi materiali necessari per tradurre in risultati giuridici la volontà concordata e per conseguire i fini.
In questa fase Governo e Parlamento discutono e approvano la legge di bilancio (cioè quella legge con la quale i
mezzi finanziari reperiti attraverso il gettito delle imposte vengono ripartiti tra i vari settori dell’attività statale), ma
anche le leggi finanziarie ed organizzative,

3) fase effettuale: si svolge attraverso una serie di atti da parte degli organi centrali e periferici nei quali i fini
programmati trovano concreta attuazione.

4) procedure di informazione e di controllo: all’attività di indirizzo politico vanno ricondotte anche queste
procedure, con le quali le assemblee legislative accertano che l’indirizzo effettivamente svolto dal Governo sia
conforme a quello enunciato e in base al quale esse hanno votato la fiducia. In caso contrario, le Camere possono far
valere la responsabilità politica del governo, colpendolo con una mozione di sfiducia e obbligandolo alle dimissioni.

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C’è da ricordare, infine, che Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale non svolgono istituzionalmente
attività di indirizzo politico, anche se questi due organi hanno una loro forza politica, nel senso che i loro atti possono
in qualche modo condizionare l’indirizzo politico svolto da Camere e Governo.
È esclusa dall'attività di indirizzo politico la funzione giurisdizionale, in quanto estranea alle 3 fasi dell'indirizzo
politico.
È da ricordare infine che i partiti politici, i sindacati, i gruppi di pressione e nell'opinione pubblica influenzano ab
externo l'attività che gli organi di indirizzo politico

PARAGRAFO 2: ATTI DI INDIRIZZO POLITICO

A) MOZIONE DI FIDUCIA

B) LE LEGGI DI INDIRIZZO POLITICO


 la legge di bilancio: serve a predisporre normativamente la ripartizione dei mezzi finanziari tra i vari rami
dell’amministrazione in stretta correlazione con i fini che si intendono conseguire.
 la legge finanziaria: serve ad operare modifiche ed integrazioni a disposizioni legislative aventi riflessi sul
bilancio dello Stato e sui bilanci delle aziende del settore pubblico allargato.
 le leggi di approvazione dei programmi economici (o leggi di programma): servono ad identificare e rendere
espliciti i fini sociali ai quali deve essere indirizzata e coordinata l’attività economica pubblica e privata, traendoli
dall’astrattezza e dalla generalità del programma di Governo.
 le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali: servono ad esprimere il consenso del Parlamento
su un atto estraneo all’ordinamento, ma che è pur sempre espressione di indirizzo politico (il trattato
internazionale), la cui efficacia è sospesa finchè la ratifica del trattato non è autorizzata dalle Camere.
 le leggi di concessione dell’amnistia e dell’indulto: indicano la volontà politica del Parlamento riguardante la
concessione di questi particolari provvedimenti di clemenza

C) LA DELIBERAZIONE DELLO STATO DI GUERRA

D) LE PROCEDURE DI INDIRIZZO
 mozione
 risoluzione

E) LE PROCEDURE DI CONTROLLO E DI INFORMAZIONE


 l’interrogazione
 l’interpellanza
 le inchieste
 le indagini e le attività conoscitive

F) LA MOZIONE DI SFIDUCIA

PARAGRAFO 3: A) LA MOZIONE DI FIDUCIA

Riguarda la fase della determinazione dell’indirizzo politico.


A norma dell’art. 94 Cost, comma 3 “Entro 10 giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta alle Camere per
ottenerne la fiducia”.
I 10 giorni decorrono dal giuramento che viene prestato dai membri de Governo nelle mani del Presidente della
Repubblica.
 Il Governo espone, tramite il Presidente del Consiglio, il programma che intende svolgere (c.d. dichiarazioni
programmatiche);
 in seguito si apre la discussione su tali dichiarazioni
 tale discussione si conclude con la presentazione, da parte dei gruppi parlamentari di maggioranza, di una
mozione di fiducia, che deve essere
- motivata , perché le Camere devono esprimere le ragioni del loro consenso al programma politico presentato dal
Governo ed impegnano il Governo allo svolgimento di quel programma;
- votata per appello nominale, in modo che il Paese possa conoscere l’orientamento di ciascuno dei suoi
rappresentanti e ciascuno dei Parlamentari possa assumersi le sue responsabilità.

57
Per l’approvazione della mozione di fiducia viene richiesta la maggioranza dei presenti (e non una maggioranza
qualificata), oltre alla presenza della maggioranza dei componenti la Camera, in ossequio all’art. 64, comma 3 Cost.

PARAGRAFO 4: B) LE LEGGI DI INDIRIZZO POLITICO

Si definiscono leggi di indirizzo politico quelle leggi mediante le quali il Parlamento partecipa direttamente alla
direzione politica dello Stato.

LA LEGGE DI BILANCIO E LA LEGGE FINANZIARIA

A norma dell’art. 81, comma 1 Cost “le Camere approvano ogni anno i bilanci ed il rendiconto consuntivo3 dello
Stato”.

La legge di bilancio è una legge la cui iniziativa è vincolata, perché deve verificarsi ogni anno, e riservata, in quanto
solo il Governo è legittimato ad esercitare il relativo potere.
La L. 468/78 (modificata dalla legge 208/99) dispone che:
1) l’impostazione delle previsioni di entrata e di spesa del bilancio dello Stato è ispirata al metodo della
programmazione finanziaria e che a tal fine il Governo presenta alle Camere:
 30 giugno: il documento di programmazione economico-finanziaria4;
 30 settembre: il disegno di legge di approvazione del bilancio annuale e pluriennale5, il disegno di legge
finanziaria, la relazione revisionale e programmatica, il bilancio pluriennale programmatico.

2) il bilancio annuale (che comprende bilancio di competenza e bilancio di cassa) deve indicare:
 Bilancio di competenza: cioè l’ammontare delle entrate che si prevede di accertare o delle spese di cui si autorizza
l’impegno;
 Bilancio di cassa: cioè l’ammontare delle entrate che si prevede di riscuotere o delle spese di cui si autorizzi il
pagamento.

3) la conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni esprima il proprio parere


 entro il 15 luglio sul documento di programmazione economico-finanziaria
 Entro il 15 ottobre sul disegno di legge di approvazione del bilancio annuale e pluriennale.
In questo modo le Regioni sono chiamate a partecipare alla programmazione economico-finanziaria e alla
elaborazione dei bilanci.

4) entro il mese di giugno , il Ministro dell’economia e delle finanze deve presentare al Parlamento un disegno di
legge contenente il rendiconto generale scaduto il 31 dicembre. Tale rendiconto, prima della presentazione al
Parlamento, deve essere trasmesso alla Corte dei Conti per la parificazione.

5) L’esame in commissione e in Assemblea della legge di bilancio e di quella finanziaria avviene secondo
disposizioni presenti nei regolamenti.
In particolare, alla Camera l’esame del disegno di legge finanziaria, del disegno di legge di approvazione dei bilanci
di previsione, annuali e pluriennali, ha luogo in un’apposita sessione parlamentare di bilancio (di 45 gg) nel corso
della quale è sospesa ogni deliberazione sui progetti di legge che comportano nuove o maggiori spese o diminuzioni
delle entrate.

La legge di bilancio è legge di indirizzo politico, perché con essa le entrate vengono suddivise tra i vari settori di
attività dello Stato in funzione dei fini che si intendono raggiungere.
La legge finanziaria è legge di indirizzo perché deve essere predisposta in base a determinati obiettivi come lo
sviluppo del reddito e dell'occupazione.

L’approvazione della legge di bilancio da parte delle Camere autorizza il Governo a riscuotere le imposte e ad
impegnare e pagare le tasse, cioè a reperire e utilizzare i mezzi finanziari necessari per lo svolgimento della sua

3
Il rendiconto consuntivo dello Stato è un documento contabile nel quale sono inseriti tutti i dati relativi all’attività finanziaria
svolta nel corso dell’anno precedente che vengono posti a confronto con i corrispondenti valori inseriti nel bilancio di previsione
4
Nel documento di programmazione economica e finanziaria vengono resi noti al Parlamento i criteri che il Governo intende
adottare per portare a termine la manovra di finanza pubblica nell’arco di tempo indicato nel bilancio pluriennale.
5
Il bilancio pluriennale è il documento contabile nel quale vanno indicate le entrate che saranno acquisite e le spese che saranno
erogate dallo Stato in un periodo non inferiore a 3 esercizi finanziari.
58
attività. Questa autorizzazione ha effetto per l’esercizio finanziario che ha durata annuale (dal 1/01 al 31/12), il c.d
anno finanziario.
Qualora le Camere non facciano in tempo ad approvare il bilancio di previsione prima della data di inizio dell’anno
finanziario (entro il 31 dicembre), esse approvano una legge per concedere al Governo l’esercizio provvisorio del
bilancio, per una durata non superiore ai 4 mesi.

Art. 81, comma 3 “Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese”
Art. 81, ultimo comma “Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”.
Quest’obbligo di indicare le risorse con cui far fronte a nuove o maggiori spese va riferito a qualunque atto normativo.

Il controllo sull’osservanza della legge di bilancio da parte delle amministrazioni statali è affidato in Italia al
Parlamento, che lo esercita avvalendosi della Corte dei Conti (art. 100, comma 2 Cost.)
La Corte dei Conti è chiamata a controllare la legittimità dell’atto sia in generale (ovvero deve controllare la sua
conformità alle leggi e ai regolamenti) sia con particolare riguardo alla legge di bilancio, ovvero deve controllare che
le spese non devono superare le somme stanziate nel bilancio e queste si devono applicare alle spese prescritte.
Gli atti soggetti al controllo preventivo di legittimità sono gli atti non aventi forza di legge e cioè:
- provvedimenti emanati in seguito alla deliberazione del Consiglio dei Ministri.
- atti normativi a rilevanza esterna.
- I provvedimenti di disposizione del demanio e del patrimonio immobiliare.
- i decreti di variazione del bilancio dello Stato.
 SE L’ATTO SUPERA IL CONTROLLO: viene vistato dalla corte e registrato
 SE L’ATTO NON SUPERA IL CONTROLLO: il consigliere delegato al controllo lo trasmette al presidente della
Corte, che promuove una pronuncia motivata della sezione di controllo.
- se il consigliere delegato o la sezione di controllo ricusano il visto, la relativa deliberazione sarà trasmessa al
ministro competente e, se necessario, sarà presa in esame anche dal Consiglio dei ministri.
- Se il consiglio dei ministri delibera che l’atto o decreto debba in ogni caso aver corso, la Corte è chiamata a
deliberare a sezioni riunite e, qualora non riconosca cessata la causa del rifiuto, ne ordina la registrazione e vi
appone il visto con riserva.
- La Corte dei Conti ogni 15 gg. Comunica direttamente alla Camera dei deputati e al Senato l’elenco delle
registrazioni eseguite con riserva, che vengono subito assegnati alla commissione competente per materia che
provvede ad esaminarli entro un mese dall’assegnazione. In questo modo, il controllo di legittimità della
Corte può trasformarsi in un controllo politico, in quanto le Camere possono ritenere responsabile il Governo
per aver insistito, nonostante i rilievi della corte, nel voler dar corso all’atto o al decreto.

La corte esercita di regola il controllo in via preventiva, ovvero dopo che l’atto si è perfezionato, ma prima che
acquisti efficacia (appunto perché il controllo è una delle condizioni di efficacia degli atti amministrativi).
Spetta poi alla corte:
 Il controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato e sul rendiconto generale dello Stato (cioè sul
bilancio consuntivo dello Stato) al fine di confrontarne i risultati, sia per quanto riguarda le entrate quanto per le
spese, ponendoli a riscontro con la legge di bilancio (c.d. parificazione)
 Accertare che i risultati dell’attività amministrativa rispondano agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando
comparativamente Costi, modi e tempi dello svolgimento dell’attività amministrativa (c.d.controllo di gestione)

LE LEGGI DI APPROVAZIONE DEI PROGRAMMI ECONOMICI

Le leggi di approvazione dei programmi economici sono leggi di indirizzo politico, in quanto servono ad offrire una
serie di direttive allo sviluppo economico del Paese attraverso previsioni tecniche di tale sviluppo e l’individuazione
degli obiettivi da raggiungere entro il periodo di tempo prefissato.
Inoltre, queste leggi sono strettamente connesse con la legge di bilancio: infatti, un razionale programma di sviluppo
economico-sociale ha bisogno di un supporto finanziario adeguato, per cui il bilancio, con particolare riguardo a
quello pluriennale, diventa lo strumento necessario per il conseguimento dei fini programmati.
Tuttavia, la programmazione economica in Italia, anche se dovrebbe avere un carattere di preminenza, non è
incoraggiante, in quanto manca una organica legge di programmazione generale, mentre si sono susseguiti negli
ultimi anni una serie di programmi settoriali ed intersettoriali, non sempre coordinati tra di loro.

LE LEGGI DI AUTORIZZAZIONE ALLA RATIFICA DEI TRATTATI


INTERNAZIONALI.

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I trattati internazionali Costituiscono, insieme alle consuetudini ed ai principi generali di diritto, una delle fonti del
diritto internazionale: essi Costituiscono il c.d. diritto internazionale pattizio.
Poiché esso è un atto esterno all’ordinamento giuridico italiano, il trattato acquista efficacia nell’ambito interno in
seguito ad un apposito ordine di esecuzione, che di solito viene adottato con decreto presidenziale o inserito nella
legge di autorizzazione alla ratifica.
Procedimento di formazione dei trattati:
 Negoziazione
 Conclusione, che però non fa sorgere alcun obbligo;
 Ratifica: ovvero l’approvazione da parte del capo dello Stato
 Scambio di ratifiche o loro deposito presso uno Stato incaricato di raccoglierle. I trattati diventano obbligatori
solo dopo lo scambio delle ratifiche da parte degli stati contraenti.

Ex art. 80 Cost , la ratifica deve essere autorizzata con legge delle Camere, nel caso in cui il trattato abbia natura
politica, preveda arbitrati o regolamenti giudiziari, importi variazioni, oneri alle finanze o modificazioni di leggi.
Secondo una prassi ormai consolidata, le Camere esprimono nella stessa legge di autorizzazione alla ratifica la
volontà di dare esecuzione al trattato nell’ordinamento interno (il c.d. ordine di esecuzione, consistente nella formula
“piena ed intera esecuzione sia data al trattato”)

LE LEGGI DI CONCESSIONE DELL’AMNISTIA E DELL’INDULTO

L’art. 79, comma 1 Cost dispone che “l’amnistia e l’indulto sono concessi con
legge deliberata a maggioranza dei due terzi (qualificata) dei componenti di
ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale”.
Tale legge può essere considerata come una legge di indirizzo politico in quanto è espressione della discrezionalità del
Parlamento sia per quanto riguarda il momento in cui adottarla, sia per quanto riguarda le categorie di reati che
possono essere oggetto dei provvedimenti di clemenza. La natura di legge di indirizzo politico è poi confermata da
dalla maggioranza qualificata richiesta per l’approvazione dei singoli articoli e per la votazione finale.

 Amnistia: estingue il reato e, se vi è stata condanna, l’esecuzione della stessa e delle pene accessorie.

 Indulto: condona in tutto o in parte la pena senza estinguere il reato o la commuta in altra minore.

In ogni caso, l’amnistia o l’indulto non si applicano ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno
di legge.

PARAGRAFO 5: C) LA DELIBERAZIONE DELLO STATO DI GUERRA

Art. 78 Cost: “Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari”.
Spetta poi al Presidente della Repubblica dichiarare lo stato di guerra deliberato dalle Camere.
Anche in questo caso si è voluto affidare alle Camere, rappresentative della volontà popolare, la decisione su un
evento così rilevante della vita nazionale.
Bisogna anche tener conto del fatto che l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli
e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (articolo 11 costituzione) e che quindi è consentita solo
e soltanto una guerra difensiva.
L’art. 78 non richiede espressamente che la deliberazione dello stato di guerra avvenga con legge, quindi si ritiene che
la deliberazione possa anche assumere forma non legislativa (si sarebbe in presenza di un atto biCamerale non
legislativo di indirizzo politico. Altri hanno ritenuto che la deliberazione debba avvenire con legge, dato che questo è
l'atto tipico con il quale il Parlamento non solo legifera ma anche delibera. Se poi si tiene conto che il Parlamento
deve conferire al Governo i poteri necessari per deliberare e ciò non può non avvenire con legge, si ritiene che anche
lo stato di guerra debba essere deliberato con legge.

PARAGRAFO 6: D)LE PROCEDURE DI INDIRIZZO, DI CONTROLLO E DI


INFORMAZIONE

LE PROCEDURE DI INDIRIZZO
Il rapporto fiduciario è per sua natura dinamico, sia perché il programma sul quale il Governo ha ottenuto la fiducia ha
bisogno di essere di continuo specificato, integrato e modificato, sia perché l’attività di direzione politica del Governo
in attuazione del programma concordato è sottoposta al controllo del Parlamento.
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Le procedure di indirizzo sono la mozione e la risoluzione, che sono atti uni camerali attraverso cui le Camere e
esercitano la loro attività di direzione politica:
 La mozione: ha il fine di promuovere una deliberazione dell’Assemblea su un determinato argomento. Essa va
distinta dalla mozione di fiducia e di sfiducia. Consiste nella richiesta fatta dai singoli membri del Parlamento alla
Camera a cui appartengono, di procedere alla discussione e votazione su un determinato oggetto su cui una precedente
interpellanza avesse lasciato insoddisfatti i parlamentari. Può, inoltre, essere posta indipendentemente da precedenti
interpellanze.

 La risoluzione: rappresenta l’atto di indirizzo politico per antonomasia. Alla Camera serve a manifestare
orientamenti o a definire indirizzi su specifici argomenti. Essa può essere votata in commissione su proposta di un suo
componente, negli affari per i quali la commissione non deve riferire all’Assemblea; alla discussione deve essere
invitato a partecipare il rappresentante del Governo il quale può chiedere che non si proceda alla votazione di una
proposta e che di questa sia investita l’Assemblea. Il regolamento del senato, invece, prevede che, a conclusione
dell’esame di affari ad esse assegnati, le commissioni possono votare risoluzioni intese ad esprimere il loro pensiero e
gli indirizzi che ne derivano sull’argomento di discussione. Quindi può chiudere un dibattito provocato da una
mozione o da una comunicazione del Governo e può essere votata in aula o in commissione: in quest’ultimo caso, il
Parlamento esercita la sua funzione di indirizzo politico anche con riferimento a questioni di carattere settoriale

Per quanto riguarda l’efficacia vincolante delle mozioni e delle risoluzioni (che vengono definite direttive
parlamentari), essa va ricondotta nell’ambito del rapporto fiduciario, per cui se il Governo non dovesse dare
esecuzione alla direttiva verrebbe meno all’obbligo di svolgere e contenere la sua attività nell’ambito di questo
rapporto; con la conseguenza che la Camera potrebbe far valere la responsabilità politica nei confronti del Governo.

LE PROCEDURE DI CONTROLLO E DI INFORMAZIONE

Il Governo è sottoposto ad un continuo controllo da parte delle Camere per quanto riguarda lo svolgimento della sua
attività politico amministrativa, in quanto, concedendogli la fiducia, le Camere lo impegnano ad attuare quel
determinato indirizzo politico concordato con esse. Da ciò si può evincere che le Camere devono essere poste nelle
condizioni di sapere anche nei minimi particolari l’attività svolta dal Governo e dagli organi dipendenti per poter
accertare se essa corrisponda all’indirizzo politico concordato.

 Interrogazione: consiste nella semplice domanda, rivolta da un parlamentare per iscritto al Governo (o ad un
singolo ministro) circa la conoscenza di una determinata situazione: cioè per conoscere se un fatto sia vero, se certe
informazioni siano esatte o se il Governo deve comunicare alle Camere notizie o informazioni o vuole prendere
qualche provvedimento su un oggetto determinato. Di regola il Governo risponde oralmente in aula o in commissione
e l’interrogante può replicare brevemente per dichiararsi soddisfatto o meno. Sono previste anche interrogazioni a
risposta immediata e interrogazioni a risposta scritta, dove non c’è possibilità di replica.

 Interpellanza: consiste nella domanda, rivolta per iscritto al Governo, circa i motivi o gli intendimenti della
condotta del Governo in questioni che riguardano determinati aspetti della politica. Quindi queste hanno un carattere
più penetrante delle interrogazioni sia perché si riferiscono più direttamente all’attività di indirizzo politico sia perché,
qualora l’interpellante dovesse ritenersi insoddisfatto della risposta ottenuta, potrebbe trasformare l’interpellanza in
mozione ed investire così l’intera Assemblea della discussione e del voto sulla condotta del Governo (n.b. la
possibilità di trasformare l’interpellanza in mozione non è prevista nel regolamento del senato).
QUESTION TIME: consiste in una pura e semplice domanda al Governo, formulata per iscritto, senza alcun
commento, al quale il Governo risponde per non più di due minuti.
 Inchieste: possono essere disposte da ciascuna Camere su materie di pubblico interesse (art. 82 Cost). le
Camere, tuttavia, possono anche deliberare congiuntamente di condurre un’inchiesta nei casi in cui la materia su cui
indagare sia complessa o, per la sua spiccata connotazione politica, sia opportuno impegnare il Parlamento nella sua
totalità (in questo caso si forma una commissione biCamerale).
- inchiesta politica: è diretta ad accertare la situazione dell’ordine pubblico in una determinata parte del paese (es.
inchiesta sul fenomeno della mafia), le responsabilità dei funzionari e di uomini politici in relazione ad una situazione
di pubblico interesse, il funzionamento di un apparato dello Stato o di enti pubblici…
- inchiesta legislativa: mira ad acquisire dati ed informazioni per un migliore svolgimento dell’attività legislativa

Le inchieste sono condotte da apposite commissioni (commissioni di inchiesta), formate in modo da rispecchiare la
proporzione dei vari gruppi parlamentari.
La commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi pteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria
(art. 82, comma 2): di conseguenza, sarà legittimata a citare ed interrogare testimoni, ordinare perizie, richiedere
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documenti, ma incontrerà, allo stesso modo, i limiti derivanti dal diritto di alcune persone di astenersi dal testimoniare
determinato dal segreto professionale e dal diritto di altre di astenersi dal testimoniare su fatti conosciuti per ragioni
d’ufficio e che devono rimanere segreti perché coperti dal servizio di Stato.
Dalle commissioni di inchiesta vanno di stinte le commissioni di vigilanza, (Costituite su basi paritetiche e rispettando
il criterio di proporzionalità tra i gruppi) sia perché svolgono funzioni diverse, sia perché sono organi permanenti e
non temporanei come le prime.

 Indagini e attività conoscitive : esse sono svolte dalle commissioni in sede politica e sono dirette ad
acquisire notizie, informazioni e documenti utili alle attività delle Camere.
Per quanto riguardale attività conoscitive, le commissioni hanno la facoltà di chiedere ai rappresentanti del Governo
informazioni o chiarimenti su questioni, anche politiche, in rapporto alle materie di loro competenza e di procurarsi
direttamente dei ministri competenti informazioni, notizie e documenti.
Un particolare tipo di indagine conoscitiva sono le udienze legislative, ovvero indagini svolte in occasione
dell’esame di un progetto di legge da parte di una commissione Camerale. Indagini conoscitive e udienze legislative
sono importanti ai fini del recupero della rappresentatività del Parlamento, in quanto vengono ascoltati anche soggetti
appartenenti all’area della comunità statale (sindacati, regioni ed altri soggetti pubblici o privati). Poiché l’attività di
tali commissioni è meramente conoscitiva, esse non hanno i poteri dell’autorità giudiziaria, né hanno facoltà di
esercitare alcun sindacato politico, di emanare direttive ecc..

PARAGRAFO 7: E) LA MOZIONE DI SFIDUCIA

Le Camere possono terminare il loro rapporto che le lega al Governo attraverso l’approvazione della mozione di
sfiducia. In seguito all’approvazione di tale mozione, il Governo ha l’obbligo di dimettersi, presentando le sue
dimissioni al Presidente della Repubblica (se non si dimettesse spetterebbe al Presidente della Repubblica revocarlo
dalla carica). Si apre così la c.d. crisi di Governo. Il venir meno del rapporto fiduciario può essere determinato o da
un mutamento della maggioranza parlamentare oppure da un’insanabile dissenso tra maggioranza e Governo.
L’art. 94 Cost., ultimo comma regolamenta la mozione di sfiducia. Essa deve essere:
 motivata
 votata per appello nominale,
 deve essere firmata da almeno 1/10 dei componenti la Camera
 non può essere messa in discussione prima di 3 giorni dalla sua presentazione (per consentire che il voto sia
l’espressione meditata e sicura della volontà della maggioranza parlamentare.
 La sfiducia deve colpire l’intera azione politica di del Governo
 Il voto contrairo di una o entrambe le Camere non importa obbligo di dimissioni

Differenza tra mancata fiducia iniziale e voto di sfiducia: la prima si ha quando il Governo, presentatosi alle
Camere dopo la sua formazione, non ne ottiene la fiducia; il secondo si ha quando la fiducia, già concessa, viene
revocata dalle Camere con l’approvazione della mozione di sfiducia.

Questione di fiducia: si distingue dalle mozioni di fiducia e sfiducia, perchè, mentre le prime sono presentate dai
parlamentari, la questione di fiducia è posta dallo stesso Governo quando, temendo colpi di mano da parte della
maggioranza in sede di votazioni a scrutinio segreto, vuole assicurarsene l’appoggio quando si tratta di votare su un
atto (es. progetto di legge, emendamento..) il cui risultato è essenziale per proseguire la sua attività politica.
Ponendo la questione di fiducia, cioè, il Governo avverte le Camere che, in caso di esito negativo, si dimetterà ed
aprirà la crisi.
Inoltre, la questione di fiducia Costituisce un efficace strumento per superare l’ostruzionismo delle minoranze e per
ottenere decisioni più tempestive: in questo caso si parla di fiducia tecnica, per sottolineare che la questione non
coinvolge l’azione globale di Governo, ma solo alcuni aspetti tecnici e procedurali.
La questione di fiducia non può essere posta:
 su proposte di inchieste parlamentari
 su proposte di Modificazioni del regolamento e relative interpretazioni
 autorizzazioni a procedere
 su tutte quelle questioni (verifica delle elezioni, nomine, sanzioni disciplinari...) che riguardano il funzionamento
interno della camera
 su tutti quegli argomenti per i quali il regolamento prescrive votazioni per alzata di mano o per scrutinio segreto.

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C'è da dire infine che il voto di sfiducia può colpire anche un singolo ministro, qualora le Camere lo ritengano
politicamente responsabile per gli atti del suo dicastero.

CAPITOLO 2: IL POTERE LEGISLATIVO DEL POPOLO

il popolo può esercitare la funzione legislativa:


 indirettamente, attraverso i suoi rappresentanti in Parlamento
 direttamente mediante i referendum, abrogativo o costituzionale
 l’iniziativa legislativa.

Esso, cioè, interviene sia nella fase introduttiva del procedimento di formazione della legge (con l’iniziativa) sia in
quella costitutiva (con il referendum costituzionale), sia nell’abrogazione di una legge. In questo modo si valorizza il
momento della partecipazione popolare al governo dello Stato e si rende operante il principio della sovranità popolare.

PARAGRAFO 1: IL REFERENDUM ABROGATIVO

Con l’abrogazione, viene eliminata dall’ordinamento una norma: in seguito all’abrogazione, l’ordinamento risulta
modificato nella sua globalità, in quanto i rapporti già disciplinati dalle norme abrogate saranno diversamente regolati.
Per questo motivo il referendum abrogativo può essere considerato una fonte del diritto, anche perché il risultato
favorevole viene recepito attraverso la successiva emanazione di un decreto del Presidente della Repubblica: in tal
modo, il risultato del referendum costituisce un atto normativo dello Stato con la conseguenza che la Corte
Costituzionale può esercitare il proprio controllo di legittimità costituzionale.

PARAGRAFO 2: A) LA DISCIPLINA (ART. 75 COST.)

Art. 75 Cost. “E’ indetto il referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o
parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono 500.000
elettori o 5 Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di
indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
Hanno diritto a partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la
Camera dei deputati.(intero corpo elettorale)
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la
maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente
espressi.
 La legge determina le modalità di attuazione del referendum.

Il referendum abrogativo è disciplinato dall’art.75 cost e dagli artt. 27-40 della Legge 352/70 (quest’ultima
determina le modalità di attuazione del referendum).

L’art. 75 cost. dispone che:


1. il referendum è indetto per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di
legge (leggi ordinarie, decreti legislativi e decreti legge. Sono quindi escluse dal referendum abrogativo le leggi
regionali e le leggi statali approvate con la procedura aggravata).
2. possono richiederlo 500.000 elettori o 5 Consigli regionali.
3. il referendum non è ammesso per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto e di autorizzazione a
ratificare trattati internazionali.
4. hanno diritto a partecipare al referendum gli elettori della Camera dei deputati, vale a dire l’intero corpo elettorale.
5. la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e
se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

Sull’ammissibilità del referendum abrogativo è chiamata a giudicare la Corte Costituzionale, cui spetta di accertare se
la legge rientri o meno tra quelle per le quali tale strumento abrogativo è escluso dall’art. 75.

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PARAGRAFO 3: B) I LIMITI E LE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
SULLA AMMISSIBILITA’

Un’interpretazione restrittiva dell’art.75 Cost porterebbe ad ammettere l’abrogazione per referendum di tutte le leggi
che non sono in esso indicate. Inizialmente la Corte Costituzionale, chiamata ad esprimersi sul referendum sul
divorzio, materia nn rientrante tra quelle escluse dalla costituzione, era orientata in questo senso; sembra tuttavia che
questa posizione non sia condivisibile.

In seguito, la Corte Costituzionale, nella sentenza 16/78 e in altre numerose sentenze emanate tra il 78 e il 2000, ha
escluso l’ammissibilità del referendum per le richieste che non riguardino atti legislativi dello Stato aventi la forza
delle leggi ordinarie, confermando quindi l’inammissibilità del referendum su materie che l’art. 75 esclude
espressamente dalla votazione popolare.
In particolare, la Corte Costituzionale esclude il referendum :
 per le richieste che tendono ad abrogare, in tutto o in parte, la Costituzione;
 per le leggi di revisione costituzionale
 per le altre leggi costituzionali considerate dall’art. 138 (questo perché il procedimento di revisione o di
integrazione della Costituzione è riservato al Parlamento e all’interno di questo procedimento, il corpo elettorale
può essere chiamato ad esprimersi, sempre mediante referendum, per confermare i porre nel nulla le deliberazioni
già assunte dalle Camere).
 Per i decreti legge vista la brevità del termine previsto.
 Leggi di delegazione, perché hanno norme incapaci di operare all’esterno, ma sono rivolte al governo.
o Quando la richiesta riguarda una serie di disposizioni legislative eterogenee tra di loro
o Quando la legge ha rilevanza o copertura costituzionale, ragion per cui è sottratta all’abrogazione.
o Quando la richiesta riguarda disposizioni legislative a contenuto costituzionalmente vincolato in quanto
strettamente connesse a disposizioni costituzionali di cui riproduce i contenuti.
o Quando i quesiti sono privi di chiarezza, semplicità e coerenza, quando sono di dubbio significato o quando sono
privi di quella chiarezza che assicura l’espressione di un voto consapevole.

PARAGRAFO 4: C) MODALITA’ DI ATTUAZIONE

Le modalità di attuazione del referendum sono disciplinate negli artt. 27-40 della legge 352/70.
1) La deliberazione di richiedere il referendum deve essere approvata dai consigli regionali con la maggioranza
assoluta.
2) Non può essere depositata la richiesta di referendum nell’anno precedente alla scadenza delle Camere e nei 6 mesi
successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l’elezione di una delle Camere.
3) Le richieste di referendum devono essere depositate dal 1° gennaio al 30 settembre, mediante la presentazione alla
cancelleria della Corte di Cassazione dei fogli contenenti le firme e dei certificati elettorali entro 3 mesi dalla data
del timbro apposto sui fogli medesimi. La loro legittimità è controllata dall’ufficio centrale per il referendum
costituito presso la Corte di Cassazione. Spetta inoltre a questo ufficio accertare se la legge o l’atto avente forza di
legge o le singole disposizioni di essi, cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati. Spetta sempre a questo
ufficio stabilire, sentiti i promotori, la denominazione della richiesta di referendum da riprodurre nella parte interna
delle schede di votazione.
4) Il referendum è indetto con decreto del Presidente della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei Ministri, in
una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno.
5) L’abrogazione totale o parziale di una legge o di un atto avente forza di legge mediante referendum è dichiarata
con decreto del Presidente della Repubblica; il decreto è immediatamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ed
inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana.
6) L’abrogazione ha effetto a decorrere dal giorno successivo a quello della pubblicazione del decreto nella Gazzetta
Ufficiale
7) In caso di risultato contrario all’abrogazione ne è data notizia
8) Se prima dello svolgimento del referendum la legge o l’atto avente forza di legge sono abrogati, le operazioni
relative non hanno più corso.

PARAGRAFO 5: IL REFERENDUM DI INDIRIZZO

La legge costituzionale 2/89 ha introdotto un nuovo tipo di referendum, il referendum di indirizzo, che può essere
identificato con una sorta di plebiscito
Il ricorso alla legge costituzionale si è reso necessario perché tale tipo di referendum non è disciplinato dalla
Costituzione. Tuttavia, la legge in esame si è limitata a disporre l’indizione di un singolo referendum, quando nell’89
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fu chiesto agli elettori di esprimersi sul conferimento di un mandato costituente al Parlamento europeo che sarebbe
stato eletto da lì a poco. Una volta svoltasi la consultazione, il referendum è uscito di scena e la temporanea rottura
della Costituzione si è sanata

IL POTERE ESECUTIVO

Con la funzione amministrativa lo Stato Apparato svolge un’attività effettiva e concreta, diretta a raggiungere i suoi
fini immediati. Questa complessa attività viene svolta dal Governo e dagli organi da esso dipendenti e dagli uffici dei
minori enti pubblici territoriali.
Tale attività può essere definita attività amministrativa e deve svolgersi secondo il principio di legalità,, ovvero
secondo le direttive ed entro i limiti predisposti nella Costituzione e nelle leggi.
Questi organi, oltre a svolgere attività amministrativa in senso proprio, svolgono anche l’attività di indirizzo politico,
diretta a determinare ed attuare l’indirizzo politico-amministrativo.

PARAGRAFO 1: GLI ORGANI DEL POTERE ESECUTIVO: IL GOVERNO E GLI


ORGANI DIPENDENTI.

Il potere esecutivo è costituito da un complesso di organi, centrali e periferici, al vertice dei quali è posto il Governo
come organo costituzionale.

Ex art. 92 cost., comma 1 “Il Governo della Repubblica è composto del


Presidente del Consiglio e dei ministri che costituiscono insieme il
Consiglio dei ministri”.

Il nostro Governo è attualmente composto da organi necessari ( Presidente del Consiglio e Consiglio dei Ministri),
chiamati così perché la loro assenza renderebbe illegittima la Costituzione di qualsiasi Governo, e organi non
necessari (vicepresidenti del Consiglio, ministri senza portafoglio, Sottosegretari di Stato, Consiglio di Gabinetto,
comitati interMinisteriali, commissari straordinari del Governo).
1) Ministeri: sono apparati centrali di settore, organicamente costituiti, chiamati Ministeri perché facenti capo ad un
organo costituzionale, che è il Ministro
2) Ministeri senza portafoglio: sono settori dell’amministrazione centrale che non vengono organizzati in Ministero
e che fanno capo a dipartimenti istituiti presso la Presidenza del Consiglio. Gli organi direttivi posti a capo di questi
settori saranno chiamati ministri senza portafogli se entrano a comporre il Consiglio dei Ministri e partecipano
all’attività di direzione politica del Governo, o di commissari straordinari di Governo, qualora si limitino a svolgere
attività amministrativa e non entrino a far parte del Consiglio dei ministri,
3) possono esserci uno o più vice-presidenti del Consiglio
4)Consiglio di Gabinetto: previsto dalla legge 400/88, è un Comitato composto dai ministri da lui designati, sentito
il Consiglio dei ministri e ha la funzione di coadiuvare il Presidente del Consiglio. Tuttavia, l’istituzione di tale
organo ha destato qualche perplessità, in quanto i ministri del Consiglio di Gabinetto sembrano svolgere più attività
nella determinazione della politica generale del Governo e potrebbero acquistare un plusvalore politico rispetto agli
altri.
5) Sottosegretari di Stato: non entrano a far parte del Governo in senso stretto ed esercitano funzioni, a volte di
rilevanza costituzionale, a volte meramente amministrative.
GOVERNO È’ UN ORGANO COMPLESSO FORMATO DA PIÙ ORGANI INDIVIDUALI E UN ORGANO
COLLEGIALE:
organi necessari:
 Presidente del Consiglio
 Consiglio dei ministri
Organi non necessari:
 vice presidente del Consiglio
 ministri senza portafoglio
 sottosegretari di Stato
 Consiglio di gabinetto
 comitati interministeriali
 commissioni straordinarie del Governo

L’ordinamento della Presidenza del Consiglio viene disciplinata dalla Legge 400/88, che disciplina:
 le attribuzioni del Consiglio dei ministri, del Presidente del Consiglio e dei Sottosegretari;
 i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome;
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 la potestà normativa del Governo;
 l’organizzazione amministrativa della Presidenza del Consiglio.

Inoltre, l’art 95, comma 3 Cost secondo cui “la legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e
determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei Ministeri” è stato attuato dal decreto legislativo 300/99, il
quale aveva fissato il nmero dei dicasteri a 12 (con legge 217/2001 sono saliti a 14 il numero totale dei dicasteri).
Nella stessa legge sono indicate le varie funzioni per ogni Ministero, mentre le strutture si uniformano ad un modello
unitario presente nella stessa legge.
Per snellire il funzionamento dei pubblici apparati sono state previste le c.d. Agenzie, che sono delle strutture che
svolgono attività a carattere tecnico operativo di interesse nazionale esercitate da Ministeri ed enti pubblici. Queste
agenzie operano a servizio delle amministrazione pubbliche, comprese anche quelle regionali e locali.

PARAGRAFO 2: LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE:

Con la locuzione pubblica amministrazione si intendono i pubblici uffici che compongono l’apparato amministrativo
dello Stato e degli altri enti pubblici. Questi uffici svolgono attività amministrativa:
 attiva: la P.A. mira a realizzare i fini che essa è chiamata a perseguire.
 Consultiva: gli organi che svolgono questa attività forniscono pareri agli organi dell’amministrazione attiva. I
pareri si distinguono in:
- facoltativi, quando sono chiesti di iniziativa dell’organo attivo;
- obbligatori, quando l’organo attivo deve, per legge, richiederli;
- vincolanti, quando l’organo attivo non solo ha l’obbligo di richiederli, ma se vuole emanare l’atto deva anche
uniformarvisi.
 Di controllo: tale attività è diretta a svolgere controlli di legittimità, controlli di merito e gli atti e l’operato degli
organi di amministrazione attiva.
 Di indirizzo e di coordinamento

Oltre agli uffici centrali e periferici dello Stato, entrano a far parte della PA anche gli uffici degli altri enti pubblici sia
territoriali (regioni, province e comuni) sia non territoriali (enti pubblici parastatali, Camere di commercio). Gli atti
posti in essere da questi uffici hanno la stessa forza ed efficacia degli atti amministrativi statali nei confronti dei
cittadini..
In conclusione, si può dire che la PA è composta dall’apparato (centrale e periferico) dello Stato, dall’apparato
centrale e periferico delle Regioni, delle province, dei comuni e degli enti pubblici non territoriali. Più in generale, la
locuzione Pubblica Amministrazione indica tutti quegli uffici pubblici che svolgono funzioni sostanzialmente
amministrative anche se non fanno parte dell’amministrazione, diretta o indiretta, dello Stato.

PARAGRAFO 3: I PRINCIPI COSTITUZIONALI SULLA PUBBLICA


AMMINISTRAZIONE

1) ORGANIZZAZIONE DEI PUBBLICI UFFICI


l'organizzazione dei pubblici uffici deve essere determinata dalla legge formale. Con legge si deve provvedere
all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e all'organizzazione e alle attribuzioni dei Ministeri.
Le disposizioni di legge che organizzano i pubblici uffici devono mirare ad assicurare il buon andamento e
l'imparzialità della pubblica amministrazione: a l'organizzazione amministrativa cioè deve tendere a raggiungere la
maggiore efficienza ed efficacia e deve assicurare la realizzazione dell'interesse collettivo senza subire influenze di
parte.
Efficienza: indica che la pubblica amministrazione deve perseguire i fini ed i risultati assegnati dalla legge con un
corretto e razionale impiego delle risorse umane e finanziarie di cui può disporre.
Efficacia: si valuta mettendo a confronto i risultati ottenuti con gli obiettivi programmati.
Imparzialità: l'art. 98 comma stabilisce che " i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione " e prevede
limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera, i funzionari ed agenti di
polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero, al fine di sottrarre i questi pubblici dipendenti ad ogni
influenza che potrebbero esercitare i partiti su di loro.

2) PRINCIPIO DELLA LEGALITÀ


Questo principio, ricavabile dalla Costituzione, può essere distinto in:
- principio di legalità formale: l'amministrazione deve agire nei limiti della legge ma è libera di compiere le sue scelte;
- principio di legalità sostanziale: l'amministrazione deve agire conformemente alla legge.

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3) PRINCIPIO DELLA DEMOCRATICITA'
secondo questo principio, l'attività amministrativa dovrà ispirarsi alle effettive esigenze della collettività popolare e ed
essere sottoposta a controllo da parte dei rappresentanti del popolo. Poiché l'amministrazione sarà tanto più
democratica quanto più si permetterà ai cittadini di parteciparvi nelle sedi in cui gli interessi da essa curati si
localizzano, l'art. 5 dispone che " la Repubblica, unica e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali e;
attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo, adegua i principi ed i metodi
della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia del decentramento ".

4) IL PRINCIPIO DEL CONCORSO PER L'ACCESSO AI PUBBLICI IMPIEGHI


l'efficienza della pubblica amministrazione è assicurata dal principio secondo cui "agli impieghi nelle pubbliche
amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge " (art. 97, comma 3, Cost.). Il
concorso, infatti, è lo strumento più valido per garantire la selezione dei più capaci. Inoltre, questo principio va
integrato con l'art. 51 il quale dispone che " tutti cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici
pubblici e alle cariche elettive secondo i requisiti stabiliti dalla legge ". Ovviamente la regola del concorso non
garantisce la selezione tecnica e neutrale dei migliori set nella composizione delle commissioni giudicatrici non è
assicurato il principio di imparzialità: per questo nelle commissioni e ci devono essere tecnici e o esperti in numero
prevalente e in modo che le scelte finali siano fondate su parametri neutrali e determinate soltanto dalla valutazione
delle attitudini e della preparazione dei candidati.

5) LA TUTELA DEI CITTADINI NEI CONFRONTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.


la Costituzione prevede una ampia tutela dei cittadini nei confronti degli atti della pubblica amministrazione e
stabilendo che:
 i funzionari dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali,
civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo
Stato e agli enti pubblici (art. 28).
 contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi
legittimi davanti agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa (art. 113).
 È infine da rilevare e che la responsabilità dello Stato o dell'ente pubblico è solidale con quella del dipendente, nel
senso che gli uni e l'altro sono obbligati al risarcimento, con la conseguenza che l'interessato può richiedere
l'adempimento sia allo Stato o all'ente sia al dipendente.
 Un ulteriore garanzia a degli interessi legittimi dei cittadini deriva dall'art. 24 Cost., a norma del quale e " tutti
possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi ": ciò significa che e sempre ammessa la
tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi (davanti alla giurisdizione ordinaria) è degli interessi legittimi (innanzi
alle giurisdizioni amministrative) e lesi dalla pubblica amministrazione.

PARAGRAFO 4: LA FORMAZIONE DEL GOVERNO

La formazione del Governo costituisce un procedimento (si articola in una serie di atti successivi coordinati e diretti
alla formazione del Governo), che inizia ogni qual volta che il Governo presenta le dimissioni e queste vengono
accolte dal Presidente della Repubblica, per cui si rende necessario nominarne uno nuovo.

La nostra Costituzione si limita a disporre nell'art. 92 della Cost.


che " il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del
Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri".

Le norme che presiedono al procedimento di formazione del Governo sono pertanto non scritte che costituiscono delle
convenzioni costituzionali. In base a tali principi, il Presidente della Repubblica dovrà procedere alla nomina di un
Governo che abbia le maggiori probabilità di ottenere mantenere la fiducia delle Camere, e in modo che esso acquisti
una certa stabilità e siano evitate frequenti crisi governative.
Il Presidente della Repubblica dovrà sempre mantenersi al di fuori degli interessi dei partiti e dovrà mirare soltanto ad
assicurare al paese e un Governo che possa soddisfare effettivamente la volontà popolare e che possa assicurare il
rispetto e l'osservanza della Costituzione.
Il procedimento di nomina del Governo inizia con le consultazioni svolte dal Capo dello Stato tra varie personalità.
Le personalità consultate esprimano al Capo dello Stato il loro parere sulla situazione politica generale, con
riferimento soprattutto alla formazione del nuovo Governo. Sicché, alla chiusura delle consultazioni, il Presidente
della Repubblica ha avrà degli elementi di valutazione in base ai quali procederà al conferimento dell'incarico a
quella personalità politica che egli ritenga abbia le maggiori probabilità di formare il Governo.
in condizioni particolarmente difficili (quando per esempio che i partiti non riescono a raggiungere un accordo per la
formazione della maggioranza), il Capo dello Stato affida ad una personalità (il Presidente del Senato o della Camera)
67
il cosiddetto mandato esplorativo, cioè ha il compito di svolgere delle consultazioni ristrette a quelle più essenziali
in modo da avere una visione più completa degli orientamenti delle forze politiche. Dal mandato esplorativo si
distingue il preincarico, che si ha quando il Presidente della Repubblica ha affida alla personalità politica alla quale
con ogni probabilità conferirà l'incarico, il compito di svolgere ulteriori consultazioni per avere elementi di
chiarificazione per la formazione del nuovo Governo.
In genere, l'incaricato non accetta semplicemente, ma si riserva di accettare o meglio accetta l'incarico con riserva di
rifiutare la nomina a Presidente del Consiglio, che di inizia una serie di piccole consultazioni dirette ad accertare in
concreto quali possibilità ci sono di formare una maggioranza che faccia un programma concordato tra i partiti che la
comporteranno e per formare la lista dei futuri ministri.
Se l'incaricato non riesce nel suo intento, tornerà dal Presidente della Repubblica, sciogliendo la riserva, dichiarerà di
rinunciare all'incarico che il Capo dello Stato affiderà ad altri. Qualora la rinuncia all'incarico che sia dovuta
all'impossibilità di formare una maggioranza, il Presidente della Repubblica può o rinviare il Governo dimissionario
alle Camere, affinché partiti i singoli parlamentari chiariscano ufficialmente la loro posizione ovvero sciogliere le
Camere demandando così al corpo elettorale la decisione sulla composizione politica del nuovo Parlamento.
Se invece l'incaricato avrà concluso positivamente i suoi colloqui e la sua opera, sottoporrà al Presidente della
Repubblica la lista dei ministri che si dichiarerà pronto a presiedere il nuovo Governo.
Si passa così alla fase conclusiva del procedimento, che vede la nomina del Presidente del Consiglio e dei ministri
con decreto del Presidente della Repubblica.
Nominati il Presidente del Consiglio ed i ministri, il Governo formato, ma prima di assumere le funzioni i membri
del Governo dovranno prestare giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica (art. 93 Cost.).
Entro dieci giorni dal giuramento, il Governo dovrà presentarsi alle Camere per ottenere la fiducia,
esponendo, tramite il Presidente del Consiglio, il suo programma .
Benché nessuna disposizione costituzionale preveda la presentazione alle Camere del programma di Governo, essa è
chiaramente implicita nel sistema, in quanto le Camere votano la fiducia sulla base degli obiettivi che il Governo si
propone di realizzare.
La funzione del programma di Governo è importantissima: infatti, dopo il voto di fiducia, che esso diventa di
indirizzo politico dello Stato e vincola Governo e Parlamento a darvi attuazione. Il programma di Governo e deve
essere espressione diretta ed immediata dell'accordo tra i partiti della coalizione (accordo di Governo).

per quanto riguarda la posizione del Governo nel periodo che va dal giuramento al voto di fiducia, dall'art. 93 della
Cost. si deduce chiaramente che il Governo, appena prestato giuramento, viene immesso nelle sue funzioni, anche se
non potrà svolgere attività di indirizzo politico prima che le Camere ne approvino il programma concedendogli la
fiducia.
Uno dei primi atti del Consiglio dei ministri è la designazione dei Sottosegretari di Stato, i quali vengono nominati
con decreto del Presidente della Repubblica, ma non fanno parte del Governo e non sono organi costituzionali. Essi:
 Non hanno attribuzioni proprie ma soltanto quelle delegate gli dal Ministro e in genere aiutano il Ministro nello
svolgimento delle sue funzioni.
 Possono intervenire come rappresentanti del Governo alle sedute e delle Camere e delle commissioni parlamentari
 Possono sostenere la discussione in conformità alle direttive del Governo per rispondere alle interrogazioni e
interpellanze.
Tra i vari Sottosegretari, il più importante è il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che svolge le funzioni di
segretario del Consiglio dei ministri ed è preposto al Segretariato generale della Presidenza del Consiglio.
Nel 2001 è stata introdotta la figura del vice Ministro non contemplata nella Costituzione. Possono essere nominati
vice ministri al massimo dieci Sottosegretari.

PARAGRAFO 5: I COMITATI INTERMINISTERIALI ED I COMITATI DI MINISTRI

I comitati interMinisteriali sono costituiti da più ministri e, alcuni di essi, anche da funzionari ed esperti. Il loro
compito è quello di coordinare l'attività del Consiglio dei ministri in determinati settori.
 CIPE (comitato interMinisteriale programmazione economica): esso svolge funzioni di coordinamento in
materia di programmazione di politica economica nazionale d'e di coordinamento della politica economica
nazionale con le politiche comunitarie.
 CSD (Consiglio supremo di difesa) e CIIS (comitato interMinisteriale per le informazioni di sicurezza). Al primo
spetta l'esame dei problemi generali politici e tecnici attinenti alla difesa nazionale; determina inoltre i criteri e fissa
le direttive per organizzare e coordinare le attività che riguardano la difesa nazionale. Il secondo ha funzioni di
consulenza e proposta, per il Presidente del Consiglio, sugli indirizzi generali e sugli obiettivi fondamentali da
perseguire nel quadro della politica informativa e di sicurezza.
C'è da dire, tuttavia, che una legge del '93 ha soppresso 13 comitati interMinisteriali le cui funzioni sono state
devolute essenzialmente al CIPE e alla Presidenza del Consiglio.
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Infine, la legge 400/88, ha stabilito che il Presidente del Consiglio può disporre l'istituzione di particolari comitati di
ministri con il compito di esaminare in via preliminare questioni di comune competenza, esprimere pareri su direttive
dell'attività di Governo e su problemi importanti da sottoporre al Consiglio dei ministri.

PARAGRAFO 6: LA FUNZIONE AMMINISTRATIVA

Sia i ministri che il Presidente del Consiglio assumono la duplice veste di organi burocratici , in quanto organi posti
gerarchicamente al vertice del rispettivo Ministero o degli uffici della Presidenza del Consiglio, e di organi di
Governo, in quanto organi che concorrono a determinare l'indirizzo politico e amministrativo. Queste due funzioni
sono strettamente interdipendenti tra di loro, poiché l'indirizzo amministrativo di ogni Ministero deve svolgersi in
armonia con la politica generale predisposta dal Consiglio dei ministri.
La funzione amministrativa del Governo si esplica attraverso organi centrali, raggruppati in Ministeri, e molti organi
periferici, la cui competenza è di solito limitata all'ambito di una provincia. L'attività svolta da tali organi è complessa
(dentro tale attività rientrano il rilascio di concessioni o autorizzazioni, la approvazione di progetti edilizi, lo sgravio
di imposta, ma può anche intervenire nella sfera giuridica del cittadino espropriando un terreno, pretendendo il
pagamento delle imposte con l'adempimento del servizio militare...), ma accanto ad essa c'è la cosiddetta alta
amministrazione, di difficile definizione e comunque al confine tra l'attività di indirizzo politico è quella
propriamente amministrativa. E tra gli atti di alta amministrazione e ci sono per esempio gli atti di preparazione dei
trattati degli accordi internazionali, gli atti riguardanti i rapporti con la chiesa cattolica... tali atti sono deliberati dal
Consiglio dei ministri ed emanati con decreto del Presidente della Repubblica a norma della legge 400/88, art. 2
comma 3.

PARAGRAFO 7: L'ATTIVITÀ DI DIREZIONE POLITICA.

Il Governo è l'organo al quale i è affidata insieme le Camere l'attività di direzione politica e ed al quale spetta, a
norma della legge 400 / 88, art. 2 comma 1,
 di determinare collegialmente , come Consiglio dei ministri, la politica generale del Governo
 ai fini dell'attuazione della politica generale del Governo, determinare l'indirizzo generale dell'azione
amministrativa
 deliberare su ogni altra questione relativa all'indirizzo politico fissato nel rapporto fiduciario con le Camere.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO: la nostra Costituzione ha riservato una posizione di preminenza al Presidente
del Consiglio nell'esercizio della funzione di direzione politica. L'art. 95 dispone che " il Presidente del Consiglio dei
ministri dirige la politica generale del Governo n è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed
amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri ".
Spetta al Presidente del Consiglio:
 Presiedere allo svolgimento dell'indirizzo politico, nel senso che egli è l'organo al quale spetta di assicurare che il
programma enunciato dal Governo davanti alle Camere e venga effettivamente realizzato.
 Deve indirizzare ai ministri le direttive politiche ed amministrative per attuare le deliberazioni del Consiglio dei
ministri;
 Coordinare e promuovere l'attività dei ministri per quanto riguarda la politica generale del Governo;
 Sospendere l'adozione di atti di ministri competenti su questioni politiche ed amministrative, sotto ponendoli al
Consiglio dei ministri.
Alla posizione di preminenza del Presidente del Consiglio (che ha il triplice potere di direzione, impulso e
coordinamento) corrisponde la sua responsabilità politica nel caso in cui le Camere ritengono che la politica generale
del Governo e non rispetti gli impegni assunti al momento della sua formazione. Accanto alla maggiore responsabilità
del Presidente del Consiglio, però, si pone anche la responsabilità dei ministri che rispondono collegialmente degli atti
del Consiglio dei ministri e individualmente degli atti dei loro dicasteri (art. 95 comma 2).

PARAGRAFO 8: LE FUNZIONI NORMATIVE:

A) LEGGI IN SENSO FORMALE E LEGGI IN SENSO MATERIALE

Il potere esecutivo in deroga al principio della divisione dei poteri pone anche in essere norme costitutive
dell'ordinamento giuridico dello Stato. Questa funzione viene detta materialmente legislativa per evidenziare come gli
atti normativi del Governo abbiano il contenuto tipico della legge, cioè una norma giuridica, ma non la forma, cioè
non si formano con il procedimento utilizzato dalle Camere.

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Per leggi in senso formale si intendono tutti gli atti deliberati dalle due Camere o da un organo cui è attribuita dalla
Costituzione la funzione legislativa, come i consigli regionali ed i consigli delle province autonome di Trento e
Bolzano, secondo il procedimento disciplinato negli articoli 70 e seguenti della Costituzione, negli statuti regionali e
nei regolamenti delle Camere e dei consigli regionali.
Per cui non andranno annoverati tra le leggi formali, proprio perché posti in essere secondo un procedimento diverso
da quello legislativo, i cosiddetti atti bicamerali non legislativi, come quelli che costituiscono commissioni bicamerali
di inchiesta o dichiarano lo stato di guerra.
Per leggi in senso materiale si intendono tutti gli atti , a prescindere dagli organi che li pongono in essere e a
prescindere dal loro procedimento di formazione, che contengono norme giuridiche. Ne consegue che gli atti del
potere esecutivo che contengono norme giuridiche sono leggi in senso soltanto materiale.
Per quanto riguarda il criterio da adottare per distinguere la legge tra gli atti aventi forza di legge, non c'è dubbio che
questo criterio vada rinvenuto sul piano formale, ovvero nel diverso procedimento di formazione, e non su quello del
contenuto. I due atti, infatti, hanno la stessa forza e, quanto al contenuto, non è possibile operare alcuna distinzione tra
di loro.
La forma degli atti normativi del potere esecutivo è quella tipica degli atti di tale potere, cioè il decreto. Qualora poi si
tratti di atti aventi forza di legge o di regolamenti governativi, la loro forma sarà, a norma dell'art. 87 Cost., quella del
decreto del Presidente della Repubblica.
Gli atti normativi del potere esecutivo si distinguono, infine, a seconda che abbiano o non abbiano la stessa efficacia
formale della legge. Così sono equiparate alla legge (cioè hanno la stessa efficacia) i decreti-legge e decreti legislativi,
mentre i regolamenti hanno un'efficacia inferiore a quella della legge.

B) I DECRETI LEGGE

A norma dell'art. 77 Cost. comma 2, “il Governo, in casi straordinari


di necessità e di urgenza, può adottare sotto la sua responsabilità,
provvedimenti provvisori con forza di legge
ma deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere
che, anche se sciolte, sono convocate e si riuniscono entro cinque
giorni.”

Dunque, il potere del Governo di adottare decreti-legge assume carattere di eccezionalità, in quanto la regola vuole
che le fonti di primo grado vengono emanate direttamente dalle Camere o dal Governo su delegazione delle Camere.
Quindi presupposto essenziale perché il Governo possa adottare un decreto legge è la sussistenza di un caso
straordinario di necessità ed urgenza: il Governo, cioè, può sostituirsi alle Camere ed approvare un atto avente la
stessa efficacia della legge soltanto quando la straordinarietà del caso e l'urgenza di provvedere impediscono alle
Camere di intervenire attraverso il lungo procedimento di formazione della legge.
Spesso però il ricorso al decreto-legge è diventato un modo frequente di accelerare il procedimento di formazione
della legge è molto spesso il presupposto dell'urgenza è stato smentito, soprattutto quando il governo ha dato
attuazione solo in parte col tardivamente alle norme contenute nel decreto.
La Corte Costituzionale ha affermato la propria competenza a verificare il rispetto di requisiti di validità
costituzionale relativi alla preesistenza dei presupposti di necessità e di urgenza. Essa ha dichiarato, con sentenza del
96, l'illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 77, dei decreti legge non convertiti nei termini costituzionali e
reiterati dal Governo6. Infatti, con la reiterazione, il carattere provvisorio di questi atti aventi carattere straordinario
viene contraddetto.
Limitazione ai decreti legge: Inoltre, la legge 400 / 88 ha posto una serie di limitazioni alla riduzione dei decreti-
legge: in particolare i decreti devono indicare le circostanze straordinari di necessità e di urgenza che giustifichino
l'adozione e devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo
e corrispondente al titolo.
Inoltre, il Governo non può mediante decreto legge:
 Provvedere alle materie indicate nel quarto comma dell'art. 72
 Conferire deleghe legislative
 Rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle
due Camere
 Regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti

6
si ha quando ad un decreto viene negata la conversione in legge e perciò il governo, a distanza di alcuni mesi, adotta un nuovo
decreto legge ripeté divo di quello decaduto.
70
 Ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale per vizi non attinenti al
procedimento.

Responsabilità del governo: Ex art. 77 comma 2, il Governo adotta i decreti-legge sotto la sua responsabilità: ciò
significa che risponde davanti alle Camere quando queste ultime, negando la conversione del decreto, ritengano che
abbia accusato del suo potere senza che ricorressero i presupposti.
C'è da dire che le Camere esercitano un controllo sull'esistenza dei presupposti richiesti dal secondo comma dell'art.
77 per l'adozione dei decreti-legge: alla Camera, la commissione affari costituzionali è chiamata ad esprimere il
proprio parere, scritto e motivato, sull'esistenza di tali presupposti, entro 3 giorni dalla presentazione del disegno di
legge di conversione. Se questo parere è contrario, l'assemblea delibera, con votazione a scrutinio segreto,
sull'esistenza dei presupposti. Se la votazione ha esito negativo, il disegno di legge di conversione si intende respinto.
Al Senato, se la prima commissione permanente esprime parere contrario sull'esistenza dei presupposti, questo parere
è trasmesso al Presidente del Senato che lo sottopone entro cinque giorni al voto dell'assemblea. Se il voto
dell'assemblea è contrario, il disegno di legge di conversione si intende respinto.

Efficacia dei decreti legge: i decreti-legge hanno un efficacia limitata a 60 giorni dalla loro pubblicazione nella
gazzetta ufficiale della Repubblica. Il giorno stesso della loro emanazione (ovvero quello della pubblicazione del
decreto sulla gazzetta ufficiale), il Governo presenterà alle Camere un disegno di legge di conversione in legge del
decreto legge.
Le Camere, entro 60 giorni potranno:
 Non prendere in esame il disegno di legge di conversione o prenderlo in esame ma non esaurire il procedimento di
formazione della legge
 Prenderlo in esame e non approvarlo
 Prenderlo in esame ed approvarlo convertendo in legge formale il decreto legge.
Nelle prime due ipotesi, il decreto legge non convertito in legge perde efficacia sin dall'inizio ed è da
considerare come mai esistito quale fonte a livello legislativo. Nella terza ipotesi, invece, il decreto legge
viene sostituito dalla legge approvata dalle Camere.

C) I DECRETI LEGISLATIVI

Art. 76 Cost. “L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al
Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per
tempo limitato e per oggetti definiti”.

Il Governo può adottare decreti aventi forza di legge anche senza che ricorrano casi straordinari di necessità e di
urgenza.
In situazioni di normalità, però, perché il Governo possa emanare questi atti è necessario che l'esercizio della funzione
legislativa gli venga espressamente delegato dalle Camere per mezzo di una legge chiamata legge delega o legge di
delegazione. Da notare che le Camere delegano al Governo non la funzione legislativa ma solo l'esercizio di tale
funzione. Di regola, le Camere ricorrono alla delega quando la materia da disciplinare è molto complessa, richiede
condizioni tecniche per cui il Governo appare come l'organo più qualificato a predisporre i provvedimenti legislativi,
in quanto può avvalersi dell'opera di organi consultivi tecnici.
Per esempio i codici o i testi unici, che sono raccolte di varie norme legislative emanate successivamente nel tempo e
coordinate tra di loro mediante modifiche per assicurare la loro organicità sono stati emanati con la forma del decreto
legislativo. Il ricorso ad una legge di delega per l'emanazione di un testo unico si giustifica se si pensa che il Governo,
nel coordinare le varie disposizioni legislative, può ritenere necessario apportare alla materia innovazioni sostanziali,
svolgendo in questo modo una attività legislativa.

I limiti e il contenuto della legge delega: ex art. 76 Cost., la legge con la quale le Camere delegano al Governo
l'esercizio della funzione legislativa deve contenere:
 La determinazione dei principi ed i criteri direttivi ai quali il Governo dovrà attenersi nel predisporre i decreti
legislativi;
 L'indicazione del limite di tempo entro il quale il Governo dovrà emanare i suddetti decreti;
 l'oggetto definito sul quale il Governo potrà legiferare.
 Altri limiti, come per esempio l’obbligo di sentire il parere di determinate commissioni parlamentari o di riprodurre
nel decreto legislativo alcune disposizioni contenute nella stessa legge di delega.

71
La delega al Governo, anziché in una apposita legge, può anche essere disposta in singoli articoli contenuti in una
legge che disciplini la stessa materia o una materia connessa a quella oggetto della delega.
La legge delega non può riguardare:
 revisione delle norme costituzionali e l'emanazione di leggi costituzionali.
 Gli atti attraverso cui il Parlamento esercita il controllo politico sull'attività del governo (per esempio approvazione
del bilancio dello Stato).
 Leggi che regolano i rapporti tra organi costituzionali.
 Materie riservate alla competenza regionale.

Quanto al procedimento di formazione della legge delega, questo, per espressa disposizione dell'art. 72 comma 4
Cost., deve essere sempre quello ordinario.
In conclusione si può dire che le Camere intervengono sempre nella attività normativa primaria del Governo: nel caso
dei decreti-legge interviene successivamente mediante la conversione o la non conversione in legge dei decreti; nel
caso dei decreti legislativi, prefissando al Governo i principi ed i criteri direttivi ai quali esso dovrà adeguarsi
nell'emanare i provvedimenti con efficacia di legge formale. In questo modo il principio della separazione dei poteri
viene in parte fatto salvo, in quanto il Governo non ha un potere indiscriminato di porre in essere atti che hanno la
stessa forza della legge formale.

D) I REGOLAMENTI

La potestà del Governo di emanare regolamenti è adesso prevista dalla legge 400/88 che disciplina l'attività di
Governo e l'ordinamento della Presidenza del Consiglio. La Costituzione, infatti, non contiene alcuna norma su tale
potestà, limitandosi a stabilire che i regolamenti sono formalmente emanati dal Presidente della Repubblica (art. 87).

Il procedimento di formazione dei regolamenti: i testi vengono deliberati dal Consiglio dei ministri, sentito il
parere del Consiglio di Stato e vengono emanati con decreto del Presidente della Repubblica. I regolamenti sono
inseriti nella raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana e pubblicati sulla gazzetta ufficiale.
Entrano in vigore dopo un periodo di vacatio di 15 giorni dalla pubblicazione.

Procedimento di formazione:
1) si deve udire il parere del Consiglio di Stato
2) sono deliberati dal Consiglio dei ministri
3) sono emanati con decreto del presidente della Repubblica
4) sono inseriti nella raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana
5) sono pubblicati sulla gazzetta ufficiale
6) entrano in vigore dopo quindici giorni di vacatio

Distinzione dei regolamenti:


 Regolamenti di esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi: sono emanati per rendere più concreto il contenuto
di una legge o di un decreto legislativo tutte le volte che questi hanno bisogno di norme di dettaglio, integrative o
esplicative.
 Regolamenti di attuazione e di integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio: si
distinguono dai regolamenti di esecuzione per la forza innovativa che le norme regolamentari e possono avere i nel
dare attuazione ad una legge, ad un decreto legislativo o nell'integrare le loro disposizioni.
 Regolamenti autonomi o indipendenti: vengono emanati in materie non ancora disciplinate da leggi o da atti aventi
forza di legge.
 Regolamenti di organizzazione: organizzano struttura, ripartizione delle competenze, stato giuridico del personale
dei pubblici uffici.
 Regolamenti autorizzati: con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei
ministri e sentito il Consiglio di Stato, possono essere emanati i regolamenti per la disciplina delle materie non
coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione. In queste materie le leggi della Repubblica,
autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali che regolano la
materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dalla entrata in vigore delle norme
regolamentari.
È stata introdotta una vera e propria riserva di regolamento mediante il comma 4 bis dell'art. 17 della legge 400 / 88.
Tale riserva riguarda l'organizzazione la disciplina degli uffici dei Ministeri.
Di particolare importanza appare l'art. 20 della legge 59 / 97, che fissa l'obbligo per il Governo di presentare al
Parlamento, entro il 31 gennaio di ogni anno, un disegno di legge per la delegificazione di norme concernenti
procedimenti amministrativi, che coinvolgono anche amministrazioni centrali, locali o autonome, indicando i criteri
per l'esercizio della potestà regolamentare.
72
PARAGRAFO 9: I LIMITI ALLA POTESTÀ REGOLAMENTARE. LA RISERVA DI
LEGGE.

I regolamenti, in virtù della loro collocazione nel sistema delle fonti e secondo il criterio della gerarchia, non possono
modificare o abrogare una legge formale od un atto ad essa equiparato. Inoltre, incontrano limiti specifici contenuti in
riserve di legge espressamente previste nella Costituzione per garantire i diritti individuali e le prerogative essenziali
del Parlamento.
Nozione: Si ha una riserva di legge quando una norma costituzionale riserva alla legge la disciplina di una
determinata materia, escludendo pertanto che essa possa essere fatto oggetto del potere regolamentare del Governo.
La riserva di legge ha principalmente una funzione garantista dei diritti individuali e delle prerogative essenziali del
Parlamento, ma non solo: in uno Stato interventista ed in un tipo di economia mista si voluto riservare legislatore le
scelte politiche di fondo, assegnandogli il compito di determinare i programmi e di controlli opportuni per il
raggiungimento di determinati fini o obiettivi.
Un primo problema che ci si pone è se la riserva di legge deve intendersi come riserva di legge statale o debba riferirsi
anche alle leggi provinciali e regionali. La risposta sembra essere affermativa, anche perché se si accogliesse la tesi
secondo cui la Costituzione rinvia soltanto alla legge dello Stato, la potestà legislativa regionale verrebbe ad essere
gravemente limitata.
Un'altra questione che ci si pone è se nelle materie riservate, il termine legge debba intendersi esclusivamente come
legge formale ovvero anche come comprensivo degli atti aventi forza di legge. La dottrina e la giurisprudenza
costituzionale hanno fissato alcuni criteri ed identificato due tipi di riserva:
 Assoluta, che si ha quando la disciplina della materia è riservata alla legge del Parlamento, con esclusione quindi di
altre fonti. Questo tipo di riserva vale nel campo penale ed in quello dei diritti delle libertà fondamentali dei
cittadini. Tuttavia decreti-legge e decreti legislativi sono stati parificati alla legge formale, anche ai fini di eventuali
riserve di legge. Dunque, nelle materie coperte da riserva assoluta di legge, resta escluso l'esercizio del potere
regolamentare, a meno che si tratti di regolamenti di esecuzione.
 Relativa, che si ha quando la materia può essere disciplinata, oltre che da leggi formali ed agli atti ad esse
equiparati, anche da altre fonti, ovviamente solo dopo che la legge ha determinato le linee essenziali della
disciplina. Dunque, la riserva di legge relativa ammette l'intervento del potere normativo del Governo attraverso i
regolamenti autorizzati, di organizzazione e di attuazione.

Sia la riserva di legge assoluta che quella relativa possono essere rafforzate quando la Costituzione non si limita a
rinviare semplicemente alla legge (in questo caso si parlerà di riserva di legge semplice), ma disciplina essa stessa
parte della materia ponendo in questo modo altrettanti limiti alla discrezionalità del legislatore.
[Riserve rafforzate si ritrovano per esempio nell'art. 16, a norma del quale la legge può stabilire limitazioni alla libertà
di soggiorno e di circolazione in via generale e per motivi di sanità o di sicurezza; nell'art. 97, a norma del quale la
legge deve disciplinare l'organizzazione dei pubblici uffici in modo che siano assicurati il buon andamento e
l'imparzialità dell'amministrazione.]
Una riserva di legge implicita è contenuta nell'art. 72 comma 4 Cost. il quale elenca le materie che devono essere
disciplinate con procedimento ordinario: in questo modo ha voluto riservare al solo Parlamento l'attività di indirizzo
politico attinente ai settori.
Si fa riserva di legge costituzionale e indicati nell'art..
Si ha riserva di legge costituzionale quando la Costituzione dispone espressamente che determinate materie debbano
essere regolate con legge costituzionale.

PARAGRAFO 10: LE CAUSE DI CESSAZIONE DEL GOVERNO.

Il Governo non è un organo a termine, nel senso che esso rimane in carica fino a quando le Camere non gli revochino
la fiducia o non decida di dimettersi. Generalmente le dimissioni sono provocate dal venir meno della maggioranza
(cosiddetta crisi di Governo) e possono essere determinate:.
 da un voto di sfiducia delle Camere, che è l'atto formale che sanziona l'inizio della crisi ponendo il Governo in
minoranza. Il Governo battuto da un voto di sfiducia ha l'obbligo giuridico di dimettersi. Si parla in questo caso di
crisi parlamentare .
 Dal ritiro dell'appoggio al Governo e da parte di uno o più gruppi parlamentari, se ciò comporta che il Governo
non può più contare su una maggioranza.
 Dalla decisione del Governo di dimettersi, quando dall'andamento di una discussione o di una votazione, si
convinca di non godere più della fiducia della maggioranza o di essere appoggiato da gruppi parlamentari che non
rientravano inizialmente nella maggioranza governativa ed il cui appoggio non intende accettare. Nelle ultime due
ipotesi si parla di crisi extra parlamentare perché non trovano la loro espressione formale nel Parlamento attraverso
il voto di sfiducia. In caso di crisi extra parlamentari, il presidente della Repubblica può chiedere, prima di
73
accettare le dimissioni, che si svolga un dibattito davanti alle Camere, ma se il Governo rifiuta di presentarsi alle
Camere, il presidente della Repubblica deve accettare le dimissioni.
 Il Governo è tenuto a dimettersi quando presentatosi alle Camere dopo la sua formazione non ottiene la fiducia. In
questo caso, le dimissioni sono dovute alla mancata costituzione iniziale del rapporto di fiducia e non alla rottura
del rapporto fiduciario già instauratosi tra il Governo ed il Parlamento.
 Altre cause di dimissioni del Governo possono essere: la morte del Presidente del Consiglio o alla cessazione o
sospensione dalla Camera per motivi inerenti alla propria persona; per l'elezione di un nuovo Presidente della
Repubblica: secondo una norma di correttezza costituzionale il Presidente della Repubblica entrante respingerà,
però, le dimissioni; in seguito ad elezioni generali, al fine di accertare la permanenza del rapporto fiduciario.

Dalla crisi di Governo va distinto il rimpasto, che si ha quando, fermo restando il rapporto fiduciario tra Governo e
Parlamento, il Presidente del Consiglio procede alla sostituzione di qualcuno dei ministri, al fine di poter continuare a
mantenere l'unità di indirizzo politico ed amministrativo del Governo stesso.

Il Governo dimissionario rimane in carica fino alla nomina dei nuovi ministri per il disbrigo degli affari correnti: ciò
significa che esso non potrà più compiere atti che impegnino l'indirizzo politico e la sua responsabilità nei confronti
del Parlamento.
Formalmente, Governo dimissionario e Governo in attesa della fiducia sono nella stessa posizione, in quanto sono
privi della fiducia delle Camere. In realtà la differenza si può accogliere nel fatto che un Governo in attesa della
fiducia è già sostenuto da un accordo tra i partiti che lo pone nelle condizioni di dare alla ordinaria amministrazione
un contenuto meno restrittivo rispetto a quello che può attribuirle un Governo dimissionario.

PARAGRAFO 11: LA RESPONSABILITÀ DEI MINISTRI

Secondo l'art. 95 comma 2 Cost. " i ministri sono responsabili collegialmente


degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro
dicasteri".

Secondo l'art. 89 comma 1 Cost. " nessun atto del Presidente della Repubblica è
valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la
responsabilità. Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge
sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio ".

Di particolare importanza, per configurare la responsabilità Ministeriale, è l'istituto della controfirma: infatti la
maggior parte degli atti del Presidente della Repubblica sono imputabili al Capo dello Stato soltanto formalmente
mentre sostanzialmente sono posti in essere dal Governo. Rispetto a questi atti, il Presidente della Repubblica può
esercitare un controllo di legittimità, ma deve emanarli qualora il Governo insista nel richiederne l'emanazione. Se,
invece, l'atto non è soltanto formalmente ma anche sostanzialmente imputabile al Presidente della Repubblica, la
controfirma assume il valore di un controllo della sua validità formale, anche se la responsabilità dell'atto può sempre
essere fatta valere nei confronti di chi lo ha controfirmato.
Gli articoli 95 e 89 della Cost. configurano una responsabilità giuridica ed una responsabilità politica dei ministri e del
Presidente del Consiglio.
La responsabilità giuridica dei ministri e del Presidente del Consiglio può essere distinta in:
 Civile: al pari degli altri funzionari dello Stato, sono direttamente responsabili per i danni arrecati a terzi
nell'esercizio delle loro funzioni (art. 28). Per i reati comuni, commessi al di fuori dell'esercizio delle funzioni
ministeriali, il regime applicato ai ministri è uguale a quello applicato a tutti gli altri cittadini, però, in base alla
legge 140/ 2003, il presidente del consiglio non può essere sottoposto a processi penali per i reati comuni fino alla
cessazione della carica. È prevista anche la sospensione dei processi penali eventualmente in corso.
 Penale: sono responsabili dei cosiddetti reati Ministeriali, cioè quei reati comuni commessi dei ministri in
occasione e a causa dell'esercizio delle loro funzioni ed abusando del potere loro conferito. Ex art. 96 della Cost., il
Presidente del Consiglio ed i ministri sono sottoposti, per questi reati, alla giurisdizione ordinaria, previa
autorizzazione della Camera di appartenenza (le Camere possono anche negare l'autorizzazione).
 Amministrativa: i titolari degli organi del Governo sono responsabili, come tutti i funzionari, davanti alla Corte dei
Conti per danni arrecati alla Pubblica Amministrazione.
La responsabilità politica dei ministri e del Presidente del Consiglio discende dall'art. 95 Cost.

74
Art. 95 Cost: “Il presidente del consiglio dei ministri dirige la politica generale
del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed
amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri.
I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del consiglio dei ministri, e
individualmente degli atti dei loro dicasteri.
La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina
il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri”.

La responsabilità politica si fonda sul rapporto fiduciario che lega il Governo alle Camere, in modo che qualora queste
ultime ritengano che il Governo o un Ministro siano andati contro l'indirizzo politico e amministrativo concordato,
possono colpirlo con un voto di sfiducia, facendo sorgere così l'obbligo giuridico delle dimissioni.
In conclusione si può dire che i ministri sono responsabili nel senso che devono rispondere del loro operato alle
Camere e devono di conseguenza sottostare a tutte le misure di controllo che le Camere stesse pongono in atto, al fine
di verificare se gli atti e l'attività del Governo o del singolo Ministro siano politicamente opportuni o conformi
all'indirizzo politico.

PARAGRAFO 12: GLI ORGANI AUSILIARI

Anche se la Costituzione prevede gli organi ausiliari nella sezione relativa al Governo, c'è da dire che questi sono
ausiliari sia del Governo sia del Parlamento (e anche delle regioni per quanto riguarda il CNEL).
Tali organi si dicono ausiliari perchè non svolgono una funzione di amministrazione attiva, bensì una funzione di
iniziativa, di controllo o consultiva e perché aiutano in vari modi e con diversa efficacia l'opera degli organi
deliberanti.
Gli organi ausiliari sono:

1) CNEL (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro) è previsto nell'art. 99 Cost.. Questo organo è stato
istituito nel 1957 per immettere nell'apparato dello Stato i rappresentanti delle varie categorie produttive del paese, al
fine di creare un significativo raccordo tra le forze economico sociali e le istituzioni. Tuttavia, nei primi decenni del
suo funzionamento non ha dato buona prova. Per questo nell'86 è stata fatta una riforma, che ha elevato il numero dei
componenti da 79 a 111, più il Presidente (ciò per consentire una rappresentanza più completa delle categorie
produttive, che ha modificato notevolmente le attribuzioni del Consiglio che adesso non riguardano più
prevalentemente l'attività consultiva e l'iniziativa legislativa. Infatti il Consiglio può intervenire in vari campi relativi
alla politica economica e alla programmazione economica e sociale, al mercato del lavoro e dalla contrattazione
collettiva). Grazie a questa riforma, le attribuzioni del consiglio non riguardano più solo l'attività consultiva e
l'iniziativa legislativa, ma possono intervenire in diversi campi relativi alla politica economica, alla programmazione
economica e sociale, al mercato del lavoro e alla contrattazione collettiva. In queste materie possono esercitare una
funzione consultiva. Inoltre è stata abolita ogni precedente limitazione all'esercizio del potere di iniziativa legislativa
(prima era limitata alla sola materia dell'economia e del lavoro). Di

2) CONSIGLIO DI STATO: è organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo e di tutela della giustizia
nell’amministrazione. I casi in cui il parere del Consiglio di stato è obbligatorio sono:
 per l'emanazione degli atti normativi del Governo e dei singoli ministri, nonché per l'emanazione dei testi unici;
 Per la decisione dei ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica;
 sugli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti da uno o più ministri.
 Il parere deve essere reso entro 45 giorni dalla richiesta; decorso il termine, l'amministrazione può procedere
indipendentemente da esso.

3) CORTE DEI CONTI: esercita il controllo preventivo di legittimità ed il suo visto è requisito di efficacia per
l'esecutività dell'atto sottoposto al suo esame (questo controllo è stato abolito sui decreti-legge e sui decreti legislativi
dalla legge 400 /88).
Essa:
 Esercita il controllo sulla gestione del bilancio dello Stato e sul patrimonio delle amministrazioni pubbliche è
riferisce annualmente al Parlamento sull'esito del controllo eseguito.
 Partecipa al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria.
 La Corte esercita anche funzioni giurisdizionali in materia contabile e finanziaria ed in materia di pensioni.
La corte dei conti esercitala sua funzione in modo autonomo, in posizione di indipendenza e quindi in veste obiettiva
e neutrale. Inoltre l'ambito del controllo della corte dei conti si è allargato in seguito al progredire del processo di
decentramento, estendendosi anche alle regioni.
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4) AVVOCATURA DELLO STATO: svolge
 il compito primario di assistere e difendere lo Stato e, più in generale, le pubbliche amministrazioni nei giudizi in
cui sono parte.
 Una funzione consultiva, nel senso che ad essa possono chiedere pareri le pubbliche amministrazioni nell'esercizio
delle loro attività.
 Il compito di assistere e difendere lo Stato nei giudizi davanti al ha la Corte Costituzionale.

IL POTERE GIUDIZIARIO

Con la funzione giurisdizionale, lo Stato garantisce l'osservanza e la conservazione delle norme ritenute essenziali ai
fini dell'ordinato svolgimento della vita sociale. Lo Stato accertala volontà normativa da far valere in un caso
concreto, allo scopo di eliminare lo Stato di doppio sulla qualificazione da dare al caso stesso e di mettere in atto le
sanzioni previste nell'ipotesi che la volontà di legge non sia stata osservata.
Si hanno tre diversi tipi di giurisdizione:
 Civile: regola le controversie sorte tra i privati o tra i privati e la Pubblica Amministrazione ed aventi per oggetto
un diritto soggettivo.
 Penale: mira a realizzare l'interesse della collettività organizzata a Stato affinché determinati valori o istituti (la
vita, la libertà personale e morale, la moralità pubblica e il buon costume...) vengano salvaguardati e irroga una
pena tra coloro che hanno commesso un reato in violazione di tali valori e istituti.
 Amministrativa: mira a tutelare gli interessi legittimi dei cittadini lesi da un atto della Pubblica Amministrazione ed
assicura in questo modo la giustizia nell'amministrazione.

La magistratura ordinaria è composta da: il giudice di pace, il tribunale ordinario, la Corte d'appello, la Corte di
Cassazione, il tribunale per i minorenni, il magistrato di sorveglianza. L'articolo 102 costituzione stabilisce che " la
funzione giurisdizionale è esercitata dei magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario
".
La magistratura speciale è composta dai tribunali militari, in materia penale; tribunali amministrativi regionali,
Consiglio di Stato e Corte dei Conti, in materia amministrativa e contabile; Corte Costituzionale in materia
Costituzionale.
Magistratura ordinaria: Magistratura speciale:
 giudice di pace  tribunali militari (in materia penale)
 tribunale ordinario  tribunali amministrativi regionali
 corte d'appello  Consiglio di Stato e Corte dei Conti (in
 corte di cassazione materia amministrativa e contabile)
 tribunale per i minorenni  Corte Costituzionale (in materia
 magistrato di sorveglianza Costituzionale)

PARAGRAFO 1: IL PRINCIPIO DELLA UNICITÀ DELLA GIURISDIZIONE

Non tutta la funzione giurisdizionale è esercitata dei magistrati ordinari. Tuttavia, la Costituzione contiene al riguardo
un preciso principio nell'art. 102 secondo cui, la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e
regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario" e organizza la magistratura ordinaria in un ordine autonomo e
indipendente da ogni altro potere (art. 104 comma 1). Questo è il principio della unicità della giurisdizione, la cui
applicazione integrale dovrebbe quindi portare ad attribuire l'esercizio della funzione giurisdizionale esclusivamente
ai magistrati ordinari.
Senonché la stessa Costituzione dispone delle deroghe a questo principio prevedendo che la funzione giurisdizionale
possa essere anche esercitata:
 Dal Consiglio di Stato e dagli organi di giustizia amministrativa per la tutela nei confronti della Pubblica
Amministrazione degli interessi legittimi.
 Dalla Corte dei Conti, nelle materie di contabilità pubblica.
 Dai tribunali militari che in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge ed in tempo di pace solo
quella per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate.
 Dalla Corte Costituzionale.
 Da ciascuna Camera in sede di giudizio sulle elezioni contestate, e dalle Camere in seduta comune quando devono
valutare le accuse mosse nei confronti del Presidente della Repubblica.

76
L'art. 102 prevede, inoltre, l'istituzione presso gli organi giudiziari ordinari di sezioni specializzate per determinate
materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura, mentre fa divieto assoluto di istituire
giudici straordinari e nuovi giudici speciali.

PARAGRAFO 2: GIUDICI STRAORDINARI, GIUDICI SPECIALI, SEZIONI SPECIALIZZATE.

GIUDICI STRAORDINARI: sono istituiti per la conoscenza della soluzione di singole e specifiche questioni. Il
divieto di istituire giudici straordinari discende direttamente dal principio secondo cui ciascun individuo deve
preventivamente conoscere quale sarà il suo giudice naturale, ovvero il giudice precostituito per legge dal quale sarà
giudicato se commetterà un determinato reato (art. 25 Cost.).
Ciò significa che non si possono creare giudici ad hoc, cioè per giudicare di fatti già previsti come reati o determinate
persone, ma implica anche che l'istruzione ed il giudizio non possono essere sottratti al giudice competente per
territorio.

GIUDICI SPECIALI: sono istituiti per conoscere e giudicare singole materie, caratterizzate da un alto grado di
tecnicità. Il divieto di istituire giudici speciali trova la sua giustificazione nel principio secondo cui tutta la funzione
giurisdizionale, tranne le eccezioni espressamente previste, deve essere esercitata dei magistrati ordinari. Tuttavia, la
presenza nel giudizio della Pubblica Amministrazione, la natura particolarmente tecnica di alcune controversie, la
particolare qualità di soggetti attivi del reato richiedono che la funzione giurisdizionale sia svolta da organi dotati di
una speciale competenza o inseriti nello stesso ordinamento particolare nel cui ambito il reato è stato compiuto. Per
questo la Costituzione ha previsto il mantenimento rispettivamente del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti e dei
tribunali militari.
In particolare:
 Il Consiglio di Stato ha giurisdizione per la tutela nei confronti della Pubblica Amministrazione degli interessi
legittimi e, in alcuni casi, anche di diritti soggettivi. Con l'entrata in vigore della legge 1034 / 71, che ha istituito i
Tribunali Amministrativi Regionali, il Consiglio di Stato in sede di giurisdizionale è diventato un organo di appello
verso le sentenze dei tribunali amministrativi regionali, creando così il doppio grado di giurisdizione anche nella
giustizia amministrativa.
 La Corte dei Conti:
- ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge.
- giudica sui conti che debbono rendere tutti coloro che hanno maneggio di denaro o di valori dello Stato e di altre
pubbliche amministrazioni designate dalla legge (giudizi di responsabilità contabile)
- giudica sulla responsabilità per danni arrecati all'erario da pubblici funzionari (giudizi di responsabilità civile)
- giudica sui ricorsi in materia di pensioni ordinarie e di pensioni di guerra
- spetta alla Corte dei Conti parificare il rendiconto generale consuntivo dell'amministrazione dello Stato e tutti i
rendiconti delle aziende autonome e soggette a suo riscontro prima che siano presentati al Parlamento
 I tribunali militari di pace: hanno giurisdizione soltanto per i reati commessi da appartenenti alle forze armate.
 Tribunali amministrativi regionali: sono stati istituiti nel 1971 ma sono entrati in funzione solo nel 1974. Essi
hanno assorbito non soltanto le funzioni giurisdizionali già attribuite alle soppresse giunte provinciali
amministrative in sede giurisdizionale ma funzionano anche come organi di primo grado nelle controversie prima di
competenza del Consiglio di Stato quale giudice unico. In particolare ai TAR è attribuita:
- la competenza a giudicare gli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, degli enti pubblici a
carattere ultra regionale, degli enti pubblici territoriali e non territoriali, lesivi di interessi legittimi e viziati di
incompetenza, di eccesso di potere e di violazione di legge.
- la competenza a decidere sui ricorsi che riguardano controversie in materia di operazioni per le elezioni dei
consigli comunali, provinciali e regionali.
 Tribunale superiore delle acque pubbliche: giudica su controversie per lesioni di interessi legittimi sui ricorsi
contro le sentenze dei tribunali regionali delle acque pubbliche (che sono sezioni specializzate delle corti di appello
di alcuni capoluoghi regionali).
 Commissioni tributarie e provinciali e regionali: sono competenti nel risolvere le controversie tra i contribuenti e
l'amministrazione finanziaria.
 Tra i giudici speciali devono farsi rientrare anche le Camere, il Presidente della Repubblica e la Corte
Costituzionale nell'esercizio della cosiddetta " giurisdizione domestica " o " autodichia ", che consiste nella potestà
riconosciuta a questi organi (e che si sostituiscono agli organi della giurisdizione amministrativa) di giudicare sui
ricorsi relativi al rapporto di impiego del personale da essi dipendente.

SEZIONI SPECIALIZZATE: sono istituite presso gli organi giudiziari ordinari e con la partecipazione di cittadini
idonei, estranei alla magistratura(art. 102 comma 2). La loro legittimazione va rinvenuta nel fatto che in determinate
materie si rende necessaria l'integrazione del collegio giudicante con degli esperti. Sezioni specializzate possono oggi
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considerarsi i tribunali per i minorenni, i tribunali regionali delle acque pubbliche, le sezioni specializzate in materia
agraria e per le tossicodipendenze, le sezioni di sorveglianza delle corti d'appello...

LA PARTECIPAZIONE DEL POPOLO ALL'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA: le corti d'assise di


primo grado e di appello rientrano, invece, in quei casi in cui la Costituzione (art. 102 comma 3) ammette la
partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia. Esse sono composte da due magistrati ordinari e
da sei giudici popolari. Il numero pari dei componenti fa sì che, in caso di parità di voto, prevalga la decisione più
favorevole all'imputato.

PARAGRAFO 3: IL PROBLEMA DELL'INDIPENDENZA DEI GIUDICI DELLE


GIURISDIZIONI SPECIALI

Mentre l'indipendenza dei giudici ordinari è garantita direttamente dalla Costituzione, quella dei giudici delle
giurisdizioni speciali è affidata dalla Costituzione (art. 108 comma 2) alla legge, la quale dovrebbe assicurare
l'indipendenza del Pubblico Ministero presso le giurisdizioni speciali e degli estranei che partecipano
all'amministrazione della giustizia.
Le leggi 186 /82 e 205 /2000 hanno dato attuazione all'art. 108, istituendo un Consiglio Di Presidenza Della
Giustizia Amministrativa.

Composizione del consiglio di presidenza della giustizia amministrativa:


 Presidente del Consiglio di Stato
 4 magistrati in servizio presso il Consiglio di Stato
 da 6 magistrati in servizio presso i tribunali amministrativi regionali
 da 4 cittadini eletti dai professori di università in materie giuridiche o gli
avvocati con vent'anni di esercizio professionale.

Un organo simile è stato istituito per la Corte dei Conti.

Composizione del Consiglio di presidenza della Corte dei Conti:


 i magistrati della Corte stessa,
 4 cittadini scelti tra i professori universitari ordinari in materie giuridiche o gli
avvocati con 15 anni di esercizio professionale.

Anche la magistratura militare ha un suo Consiglio, presieduto dal primo Presidente della Corte di Cassazione,
con le stesse attribuzioni del Consiglio superiore della magistratura.
In questo modo, si è dato vita ad un organo di autogoverno dei magistrati di queste giurisdizioni, in modo che i
Presidenti di questi organi esercitino alcune loro attribuzioni in conformità o in esecuzione delle deliberazioni del
Consiglio di presidenza.
Inoltre, l'articolo 100 della costituzione prevede espressamente che la legge debba assicurare l'indipendenza del
Consiglio di Stato e della Corte dei Conti e dei loro componenti di fronte al governo. Tuttavia, per la loro
composizione (metà dei posti dei consiglieri è riservato ai magistrati di due organi, l'altra metà è nominata dal
governo che elegge e elementi estranei) si è temuto che i componenti nominati dal governo possano subire influenza
da parte del potere politico. La questione è stata portata davanti alla Corte costituzionale, la quale ha escluso che
l'indipendenza dei magistrati delle giurisdizioni SPECIALI venga limitata qualora parte di essi vengano scelti con
procedimenti diversi da quelli del concorso, perché una volta intervenuta la nomina del governo, cessa ogni vincolo
eventualmente sussistente.

PARAGRAFO 4: LA RIPARTIZIONE TRA I VARI ORGANI DELLA FUNZIONE


GIURISDIZIONALE

Si è detto che il principio della unicità della giurisdizione non ha carattere di assolutezza; anzi, soffre di numerose
eccezioni. Si può suddividere la funzione giurisdizionale a seconda degli organi che la esercitano:

Giurisdizione Giurisdizione Giurisdizione Giurisdizione Giurisdizione Giurisdizione Giurisdizione


civile: penale: penale: amministrativa: Costituzionale: tributaria. delle Camere

esercitata esercitata esercitata esercitata esercitata dalla in materia di


1) dai giudici 1) dai giudici 1) dai giudici 1) dal Consiglio Corte convalida
di pace di pace di pace di Stato Costituzionale delle elezioni.
2) dal tribunale 2) dal tribunale 2) dalla Corte in sede di
2)dal 3) dalla Corte 3) dalla Corte dei Conti (che giudizi sulla

78
tribunale di assise di di assise di ha anche la legittimità
primo grado e primo grado e giurisdizione Costituzionale
3) dalla Corte di appello di appello contabile) delle leggi e
d'appello 4) dalla Corte 4) dalla Corte 3) dai tribunali degli atti aventi
di Cassazione di Cassazione amministrativi forza di legge,
4) dalla Corte -dai tribunali 5) dai tribunali regionali sui conflitti di
di Cassazione, militari militari 4) dal tribunale attribuzione e
che sono tutti 5) dalle 6) dalle superiore delle sulla
organi della Camere in Camere in acque pubbliche. ammissibilità
magistratura seduta comune seduta comune del referendum
ordinaria. 6) dalla Corte e dalla Corte abrogativo.
Costituzionale Costituzionale
nei giudizi nei giudizi
sulle accuse sulle accuse
promosse nei promosse nei
confronti del confronti del
Presidente Presidente
della della
Repubblica. Repubblica.

LA RIPARTIZIONE DI COMPETENZA TRA GIUDICI ORDINARI E GIUDICI AMMINISTRATIVI: per


quanto riguarda la ripartizione della competenza tra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa quando sono
chiamate a giudicare sulla lesione di situazioni giuridiche soggettive di cittadini da parte della Pubblica
Amministrazione, bisogna dire che il criterio fondamentale è quello che attribuisce alla cognizione del giudice
ordinario le controversie in cui si discute della lesione di un diritto soggettivo da parte di un atto amministrativo
illegittimo, mentre si lascia alla cognizione del giudice amministrativo le controversie in cui si discute della lesione di
un interesse legittimo. Tuttavia, chi agisce in giudizio davanti al giudice ordinario non può richiedere la revoca, la
modifica o l'annullamento dell'atto amministrativo, perché questo costituirebbe una indebita ingerenza dell'autorità
giudiziaria nel campo dell'attività amministrativa, ma potrà soltanto chiedere una sentenza dichiarativa della
illegittimità dell'atto e degli effetti che ne derivano. Spetterà poi all'autorità amministrativa l'obbligo giuridico di
procedere alla revoca, alla modifica o all’annullamento.
la giurisdizione esclusiva dei Tribunali Amministrativi Regionali e del Consiglio di Stato: tale giurisdizione si è
espansa sempre più: infatti in sede di giurisdizione esclusiva, questi organi sono competenti a decidere anche sulla
lesione di diritti soggettivi. Tali giurisdizione del giudice amministrativo è stata ulteriormente ampliata nel 2000,
quando una legge ha compreso in tale sfera le controversie in materia di pubblici servizi, di urbanistica e di edilizia.
La giurisdizione di merito: ai TAR e al Consiglio di Stato è stata attribuita la giurisdizione di merito, cioè la
competenza a giudicare con grande margine di discrezionalità nelle materie tassativamente indicate dalla legge e sulla
legittimità, opportunità, convenienza, utilità ed equità degli atti amministrativi.

In alternativa al ricorso giurisdizionale, è proponibile ricorso al Presidente della Repubblica contro gli atti
amministrativi definitivi che si assumono lesivi non solo di interessi legittimi, ma anche di diritti soggettivi. La
decisione del ricorso, che può portare all'annullamento dell'atto, avviene con decreto presidenziale.

Infine, secondo una tendenza giurisprudenziale che si sta affermando, è stata riconosciutala possibilità di tutelare in
giudizio i cosiddetti interessi diffusi, qualora l'interesse al godimento di un bene pubblico assuma dignità di diritto
soggettivo o di interesse legittimo. Nuova rigala legge 349/ 86 ha attribuito alla magistratura ordinaria l'intera materia
del risarcimento del danno ambientale.

PARAGRAFO 5: LE GIURISDIZIONI NON STATALI

Lodo arbitrale: Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte mediante una sentenza
(lodo arbitrale) che deve essere dichiarata esecutiva dal tribunale.
Gli arbitri sono dei privati nominati, di regola, tra le stesse parti.

L'art. 34 comma 4 del Concordato tra Stato e Chiesa disponeva che le


cause concernenti la nullità del matrimonio e la dispensa del
matrimonio rato e non consumato sono riservate alla competenza dei
tribunali dei dicasteri ecclesiastici.

Giurisdizione dei Tribunali ecclesiastici: Le cause suddette andavano pertanto portate alla cognizione dei tribunali
ecclesiastici e decise secondo le norme del codice canonico. Questa riserva è stata ribadita dalla Corte Costituzionale,
79
anche se la prevalente giurisdizione ordinaria ritiene superata la giurisdizione esclusiva dei tribunali ecclesiastici, per
l'abrogazione implicita dell'art. 34 comma 4 del concordato, in quanto non riprodotto nell'accordo tra Italia e santa
sede nel 1984. Le sentenze di nullità dei tribunali ecclesiastici sono dichiarate efficaci nell'ordinamento italiano con
sentenza della Corte d'appello competente per territorio.
Tuttavia, la Corte Costituzionale ha ritenuto l'art. 1 della legge 810 / 29 illegittimo nella parte in cui non prevede che
alle corti d'appello spetti accertare che nel procedimento davanti al tribunale ecclesiastico sia assicurato alle parti il
diritto di agire e resistere in giudizio e che la sentenza non contenga disposizioni contrarie all'ordine pubblico.
Pertanto l'accordo ha disposto che le sentenze ecclesiastiche acquistano efficacia nell'ordinamento italiano solo a
condizione che le corti d'appello accertino tali requisiti.

Giustizia Sportiva: sorgono delle perplessità sulla legittimità della clausola compromissoria prevista nei regolamenti
delle federazioni sportive, che vincola gli iscritti a tali federazioni a devolvere agli appositi organi federali tutte le
controversie attinenti all'attività sportiva e punisce il mancato rispetto di tale vincolo con l'espulsione dalla
federazione.

Giurisdizioni Internazionali: ad esse può ricorrere lo Stato membro della comunità internazionale, mentre alla Corte
europea dei diritti dell'uomo possono ricorrere i singoli cittadini.
La Corte internazionale di giustizia (organo dell'ONU) giudica, su ricorso dei singoli Stati, su ogni controversia di
natura giuridica che ha per oggetto:
 L'interpretazione di un trattato
 qualsiasi questione di diritto internazionale
 l'esistenza di un qualsiasi fatto che, se accertato, costituirebbe la violazione di un obbligo internazionale
 la natura o la misura della riparazione dovuta per la violazione di un obbligo internazionale.

La Corte di giustizia delle comunità europee:


 giudica sulla violazione del trattato da parte di uno Stato membro e sulle cosiddette questioni pregiudiziali
 esercita il controllo di legittimità sugli atti degli organi comunitari.

PARAGRAFO 6: L'AUTONOMIA ED INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA ORDINARIA

La Costituzione ha voluto assicurare ai magistrati ordinari una posizione di autonomia e di indipendenza nei confronti
degli altri poteri dello Stato (in particolare del potere esecutivo), sottraendo i giudici ad ogni forma di dipendenza dal
ministro della giustizia.
Ci sono vari istituti mediante i quali questa autonomia e indipendenza si realizza.
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA: ad esso spetta in via esclusiva di deliberare tutti i
provvedimenti relativi allo Stato giuridico dei magistrati.

L'art. 105 Cost. dispone che " spettano al Consiglio superiore della
magistratura le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le
promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati ".
(questo art. assicura l'autogoverno dei giudici).

Altre attribuzioni del Consiglio superiore della magistratura:


 Nomina e revoca dei giudici di pace e dei componenti estranei alla magistratura delle sezioni specializzate.
 La designazione per la nomina a magistrato di Corte di Cassazione di professori ordinari di università in materie
giuridiche e di avvocati che abbiano 15 anni di esercizio.
 La nomina delle commissioni per le assunzioni in magistratura.
 Il Consiglio può fare proposte al ministro della giustizia su tutte le materie riguardanti l'organizzazione e
funzionamento dei servizi relativi alla giustizia e può dare pareri al ministro sui disegni di legge riguardanti
l'ordinamento giudiziario e su ogni altro oggetto attinente a queste materie.

Di conseguenza, le attribuzioni residue del ministro della giustizia sono:


 Può formulare richieste per quanto riguarda provvedimenti inerenti allo stato giuridico dei magistrati (assunzioni,
assegnazioni di sedi e di funzioni, trasferimenti e promozioni, sanzioni disciplinari).
 Esercita tutte le altre attribuzioni che riguardano l'organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.
 Ha facoltà di promuovere l'azione disciplinare.

Composizione del Consiglio superiore della magistratura: a norma dell'art. 104 Cost., il Consiglio superiore è
 presieduto dal Presidente della Repubblica
80
 ne fanno parte di diritto il primo Presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione.
 due terzi (16) sono eletti i da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie
 un terzo (8) è eletto dal Parlamento in seduta comune tra professori universitari in materie giuridiche ed avvocati
dopo 15 anni di servizio.
La recente legge 44 /2002 ha abbassato il numero dei componenti da 33 a 27. La Costituzione ha voluto che nel
Consiglio fossero presenti, accanto alla maggioranza dei magistrati ordinari, anche dei membri laici, scelti tra teorici e
pratici del diritto particolarmente qualificati, eletti dal Parlamento. Infine, assegnando la presidenza dell'organo al
Presidente della Repubblica, la Costituzione ha voluto originariamente affidargli il compito di moderatore della
attività del Consiglio, essendo il capo dello Stato un organo super partes.
I membri elettivi del Consiglio superiore della magistratura durano in carica quattro anni e non sono immediatamente
rieleggibili. Essi:
 Non possono far parte del Parlamento, dei consigli regionali, provinciali e comunali, della Corte Costituzionale
 assumere la carica di ministro o di Sottosegretario di Stato
 I sei eletti dal Parlamento non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali.
 Non possono svolgere attività proprie degli iscritti ad un partito politico
 Non sono punibili per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni.

NATURA GIURIDICA DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA: si discute se esso debba
considerarsi organo Costituzionale, a rilevanza Costituzionale e o di alta amministrazione.
La natura di organo Costituzionale del Consiglio sembra potersi dedurre dalle attribuzioni che gli vengono conferite
dall'art. 105 Cost., se si considerano come integranti il precetto Costituzionale secondo cui la magistratura costituisce
un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere. Da questa prospettiva, il Consiglio rappresenterebbe un
organo indefettibile del nostro sistema, nel senso che se non ci fosse, verrebbero meno le garanzie di indipendenza e
di autonomia che la Costituzione ha voluto assicurare al potere giudiziario nel suo complesso e ai singoli magistrati
nei confronti degli altri poteri dello Stato.

ALTRE NORME COSTITUZIONALI SULLA AUTONOMIA E L'INDIPENDENZA DELLA


MAGISTRATURA:
 Art. 101: i giudici sono soggetti soltanto alla legge. Ciò significa che essi devono godere di una assoluta autonomia
di giudizio e non devono essere influenzati se non dalla loro conoscenza ed alla loro preparazione professionale.

 Art. 107 comma 1: i magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati
ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i
motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario o con il loro consenso. Ciò significa che i
magistrati non possono essere trasferiti ad altra sede o destinati ad altre funzioni se non con il loro consenso.
L'articolo 107 prevede una serie di garanzie per i magistrati. L’inamovibilità ha un duplice aspetto: inamovibilità
della funzione (il magistrato non può, contro o senza la sua volontà, essere estromesso dall'ordine giudiziario o
privato dell'esercizio delle sue funzioni) e inamovibilità della sede (cioè dal luogo in cui si trova l'ufficio al quale il
magistrato è addetto. Questo implica il divieto di trasferimento d'ufficio senza il consenso del magistrato).

 Art. 107 comma 3: i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni. Questa norma ha il fine di
sottrarre i giudici a rapporti di tipo gerarchico che ne intaccherebbero l'autonomia.

 Art. 107 comma 4: il Pubblico Ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme
dell'ordinamento giudiziario. Il Pubblico Ministero gode di una disciplina particolare, nel senso che esso esercita le
sue funzioni non più sotto la direzione del ministro della giustizia, bensì sotto la sua vigilanza.

 Art. 106: le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso. In questo modo si assicura la selezione dei migliori e
la sottrazione dei magistrati addetti influenze che potrebbero derivare da altri sistemi di designazione all'ufficio.

 Art. 109: l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria. Ciò significa che la polizia
giudiziaria è alle dipendenze dirette della magistratura, che può disporne indipendentemente dagli organi del potere
esecutivo.

La legge 374/ 91 ha istituito il giudice di pace: egli dura in carica quattro anni, rinnovabili una sola volta ed esercita
una giurisdizione civile, con competenza circoscritta alle cause che non superano un certo valore, e penale, con
competenza circoscritta ai reati puniti con la pena della multa.

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PARAGRAFO 7: ALTRE DISPOSIZIONI COSTITUZIONALI RELATIVE ALLA FUNZIONE
GIURISDIZIONALE

 Art. 111: dispone che contro le sentenze e contro provvedimenti riguardanti la libertà personale, pronunciati dagli
organi giurisdizionali ordinari e speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Questa
è un’ulteriore garanzia Costituzionale della libertà personale che viene riconosciuta all'imputato qualora i
provvedimenti restrittivi dell'autorità giudiziaria ordinaria e speciale siano ritenuti contra legem. Recentemente
questo art. è stato modificato dalla legge Costituzionale 2/ 99 che ha introdotto il principio del giusto processo, che
consiste nella garanzia del contraddittorio7 tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e
imparziale

 Art. 113: contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e
degli interessi legittimi davanti agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa. L'articolo configurala tutela
giurisdizionale nei confronti della Pubblica amministrazione come piena, senza esclusioni o limitazioni a particolari
mezzi di impugnazione o a particolari categorie.

 Art. 112: il Pubblico Ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale . L' azione penale è: obbligatoria (il
Pubblico Ministero deve e esercitarla tutte le volte che sussistono gli estremi della reato), Pubblica (è propria dello
Stato, che la esercita tramite il Pubblico Ministero), irretrattabile (una volta esercitata non si può tornare indietro e
chiedere l'archiviazione), rende effettivo il principio di legalità in ambito penale.

 Art. 24: tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto
inviolabile in ogni Stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per
agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli
errori giudiziari. Questo articolo consente il diritto di accesso alla giustizia di tutti, compresi gli stranieri e i non
abbienti, nonché la possibilità di difesa in ogni Stato e grado del procedimento.

 Art. 25: nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non
in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di
sicurezza e se non nei casi previsti dalla legge. Il giudice naturale precostituito per legge è il giudice che la legge
individua in base a criteri certi, oggettivi ed astratti, cioè relativi alla materia del contendere, al valore della
questione, al territorio sul quale si è svolto il fatto e comunque precedenti rispetto al fatto portato in giudizio, al fine
di garantire l'imparzialità. La Costituzione, con questo articolo, conferma la garanzia del giudice naturale e ha
enfatizzato il divieto di costituire tribunali straordinari (cioè costituiti dopo la commissione di un fatto considerato
come crimine).

 Art. 26: l'estradizione del cittadino può essere consentita soltanto se è espressamente prevista dalle convenzioni
internazionali. Non può in alcun modo essere ammessa per reati politici. L'estradizione consiste nella consegna da
parte di uno Stato ad un altro Stato di chi è accusato o condannato affinché possa essere giudicato o sottoposto alla
pena nello Stato richiedente. Essa è regolata da apposite convenzioni internazionali e la nostra Costituzione dispone
che può essere consentita soltanto se espressamente prevista da queste convenzioni (attualmente ce ne è una
stipulata nel 1957 a Parigi). Scopo di queste norme sembra essere quello di sottrarre il cittadino a persecuzioni
determinate da ragioni politiche, per cui l'estradizione è esclusa per motivi politici.

 Art. 27: la responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna
definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato. Da questo art. si può dedurre:
 il carattere personale della responsabilità penale secondo cui nessuno può essere ritenuto responsabile penalmente
se non per un fatto commissivo od omissivo a lui direttamente imputabile. Da questo comma si deduce che
ciascuno è responsabile delle proprie azioni, che nessuno può essere punito per un fatto che sia stato commesso da
altri è che il comportamento penalmente sanzionabile dev'essere imputato al soggetto solo quando sia da lui voluto
o sia rimproverabile a titolo di colpa (è esclusa la responsabilità oggettiva).
 la presunzione di non colpevolezza secondo la quale l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna
definitiva. Il semplice invio di un'informazione di garanzia non equivale a condanna: il soggetto in formato è
sottoposto alle indagini di magistratura e forza pubblica e possono essergli inflitte delle misure particolari, come la

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è il principio che prevede il necessario coinvolgimento nel processo di tutti coloro che abbiano un interesse giuridicamente
qualificato alla pronuncia del giudice, in quanto titolari attivi o passivi del rapporto sostanziale dedotta in giudizio.
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custodia cautelare in carcere per non farlo fuggire o impedirgli di inquinare le prove, ma ciò non equivale a
riconoscimento automatico di colpevolezza.
 la funzione delle pene, che non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato, anche se la pena deve avere anche una funzione intimidatrice e che remuneratrice.

PARAGRAFO 8: LA RESPONSABILITÀ DEI GIUDICI

 Responsabilità penale: anche se non esistono norme che configurino reati o sanzioni tipiche per i magistrati, ci
sono due articoli del codice penale che puniscono il giudice o il funzionario del Pubblico Ministero per omissione,
rifiuto o ritardo di un atto del suo ufficio quando concorrono le condizioni richieste per esercitare contro di essi
l'azione civile.
 Responsabilità civile: la legge 117/88 stabilisce che chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un
comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave
nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia, può agire contro lo Stato per ottenere il
risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali che derivano da privazione della libertà personale. Lo Stato,
dal canto suo, entro un anno dal risarcimento esercita l'azione di rivalsa nei confronti del magistrato, anche se la
misura della rivalsa non può superare 1/3 di una annualità dello stipendio. Questo limite non si applica al fatto
commesso con dolo.
 Responsabilità disciplinare: ( articolo 107 ) chiusa l'azione disciplinare nei confronti dei magistrati può essere
promossa dal ministro della giustizia o dal procuratore generale presso la Corte di Cassazione quando manchino ai
loro doveri, tengano in ufficio o fuori una condotta tale che li renda immeritevoli della fiducia e della
considerazione di cui devono potere.
 Responsabilità politica: problemi complessi presenta l'individuazione di tale tipo di responsabilità, in particolare
per quanto riguarda l'oggetto della responsabilità ed il soggetto nei confronti del quale i magistrati dovrebbero
essere politicamente responsabili. Oggetto della responsabilità politica è il modo in cui il giudice ha amministrato
giustizia ed il parametro di giudizio saranno le norme costituzionali nelle quali sono determinati i fini e i valori
politici fondamentali e non l'orientamento politico contingente. L'altro problema che si pone è individuare davanti a
chi il giudice ha dovrà essere chiamato a rispondere del suo operato, in quanto il nostro sistema non prevede la
possibilità che possa essere fatta valere la responsabilità politica del giudice almeno in sede istituzionale. Si è
ricorsi pertanto alla figura della responsabilità diffusa, cioè ad una forma di responsabilità che i giudici si
assumerebbero nei confronti dell'intera collettività.

PARAGRAFO 9: IL PROBLEMA DELLA POLITICITÀ DEL GIUDICE

La funzione giurisdizionale, per sua stessa natura, non entra a comporre alcune delle fasi in cui si articola l'indirizzo
politico: ciò significa che non esiste un indirizzo politico dei giudici o della magistratura, ma esistono i giudici quali
operatori politici, in quanto istituzionalmente chiamati ad incidere sulla realtà sociale.
Tuttavia, c'è una sostanziale differenza tra il giudice e gli altri operatori politici: mentre questi ultimi agiscono sempre
come " parti ", il giudice, invece, non è portatore di un particolare interesse, ma valuta interessi altrui e tutela quello
che tra essi riconosce conforme alla Costituzione.
Per cui il giudice deve essere libero da ogni influenza e suggestione che possano pervenirgli da altri organi o poteri.
Tuttavia, la soggezione soltanto alla legge non implica la sua neutralità politica, in quanto è proprio
nell'interpretazione della legge che egli esprime giudizi di valore, che non sono altro che una manifestazione delle sue
convinzioni, della sua cultura e della sua ideologia.

PARAGRAFO 10: LA RIFORMA DELL'ORDINAMENTO GIUDIZIARIO

Il 20 luglio 2005 la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva la legge delega di riforma dell'ordinamento
giudiziario (legge 25 luglio 2005, n. 150), dopo che il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il 16
dicembre 2004 aveva rinviato alle Camere il testo già approvato.
 La separazione delle funzioni tra Pubblico Ministero e giudice è un atto di equità: il giudice diventa finalmente
terzo, il Pubblico Ministero (accusa) sarà posto sullo stesso piano dell'avvocato (difesa), rendendo così il processo
un confronto alla pari tra parti dello stesso livello. Con la legge riformata i singoli poteri erano totalmente sbilanciati
a favore del pm.
 Questa riforma evita che chi oggi è pm, cioè rappresentante della pubblica accusa, si trovi il giorno dopo a diventare
giudice. I due percorsi in carriera devono per forza essere diversi.
 La formazione dei giudici e dei pm deve essere diversa, così come la loro inclinazione professionale. Chi ha avuto
compiti di indagine non può trovarsi in un attimo a passare a competenze giudicanti, e viceversa.

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 Rendendo autonoma l'azione disciplinare e tipicizzando (cioè specificando) gli illeciti disciplinari, la riforma fa sì
che il magistrato che sbaglia sia giudicato sulla base di precise responsabilità, con punizioni certe e stabilite per
legge. Non si avranno più così difese corporative da parte del Csm (Consiglio SUperiore della Magistratura), che
nel corso degli anni non ha fatto che assumere magistrati finiti sotto il processo disciplinare.
 L'avanzamento in carriera dei magistrati non solo per anzianità, ma anche per meriti a concorso, fa sì che presto
faranno strada i migliori magistrati in circolazione, con particolare riferimento alle giovani leve, e questo non potrà
che far bene alla macchina della giustizia.
 A dimostrazione che non è una riforma contro i magistrati c'è anche la protesta degli avvocati che la giudicano
troppo blanda. Lo sciopero dei magistrati contro la riforma è solo una difesa dei benefici dello status quo. Molte
richieste dell'Anm (Associazione nazionale magistrati) sono state accolte, eppure i magistrati protestano ancora.
Non volevano un confronto costruttivo, sia loro che la sinistra, ma hanno solo posto degli ultimatum, perché non si
arrivasse a nessuna riforma.
 Quando la riforma dell'ordinamento giudiziario sarà definitivamente legge, sarà molto più difficile assistere all'uso
politico della giustizia, così come è successo in particolar modo dal '92 ad oggi.
 La riforma costituisce un sistema graduale per modernizzare la nostra giustizia e portarla ai livelli di efficienza di
altre grandi democrazie.
 La riforma affronta la soluzione del drammatico problema della lunghezza dei processi, che ha creato situazioni
paradossali, lungaggini incresciose, veri drammi.
 La riorganizzazione delle procure segue la linea di un miglioramento fondamentale della giustizia in uno dei suoi
aspetti fondamentali: il procuratore capo sarà l'unico titolare dell'azione penale e l'unico a poter avere rapporti diretti
con i mass media. Si eviteranno così quelle esternazioni di magistrati che in questi anni hanno invelenito il clima
politico del Paese.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

PARAGRAFO 1: L'ELEZIONE E LA DURATA DEL MANDATO

Art 83 Cost. Il presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune
dei suoi membri.
All’elezione partecipano 3 delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in
modo che sa assicurata la rappresentanza delle minoranza. La Valle d’Aosta ha un solo
delegato.
L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a
maggioranza dei 2/3 dell’assemblea (maggioranza qualificata). Dopo il terzo scrutinio
è sufficiente la maggioranza assoluta.

Questo modo di formazione dell'organo evita i pericoli che potrebbero sorgere se il Presidente fosse direttamente
investito nell'ufficio dal popolo, in quanto, in questo caso, egli potrebbe essere indotto ad intervenire nella direzione
politica dello Stato.
Inoltre, richiedendo una maggioranza qualificata (o la maggioranza assoluta dopo il terzo scrutinio) e l’intervento dei
delegati regionali si è voluto allargare il più possibile la base elettorale, in modo che il Capo dello Stato non risulti
collegato ad alcun partito. Inoltre è stata prevista la segretezza del voto per dar modo agli elettori di votare in piena
libertà.

REQUISITI DI ELEGGIBILITÀ (ART 84): per essere eletto Presidente della Repubblica è sufficiente:
1. Essere cittadino italiano
2. Aver compiuto 50 anni di età
3. Godere dei diritti civili e politici.

LA DURATA DEL MANDATO: il Presidente dura in carica sette anni, che decorrono dal giorno in cui presta
giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione innanzi al Parlamento in seduta comune, in
quanto da quel momento che Presidente entra nell'esercizio delle sue funzioni. La lunghezza del mandato è
giustificata dal fatto che il Capo dello Stato non è organo di indirizzo politico, per cui non si rende necessario un
rinnovamento a scadenze ravvicinate della sua rappresentatività. Inoltre, la lunga durata dell'ufficio consente al
Presidente di esercitare meglio la sua funzione di moderatore tra le parti politiche.
La Costituzione non pone alcun divieto alla rieleggibilità del Presidente alla scadenza della carica.
La convocazione del Parlamento in seduta comune e dei delegati regionali per l'elezione del Presidente della
Repubblica è fatta dal Presidente della Camera 30 giorni prima che scada il termine di sette anni.
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PARAGRAFO 2: LE INCOMPATIBILITÀ, LA CESSAZIONE DALL'UFFICIO, LA SUPPLENZA.

INCOMPATIBILITÀ: Ex art. 84 comma 2 Cost. "l'ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con
qualsiasi altra carica".

CESSAZIONE DALL'UFFICIO:
1. Scadenza del settennio.
2. Impedimento permanente, nel caso in cui Presidente sia impossibilitato ad esercitare le sue funzioni. La natura
dell'impedimento deve essere tale da provocare l'impossibilità, fisica o psichica, del Presidente di esercitare le sue
funzioni per un periodo di tempo indeterminato, indeterminabile o particolarmente lungo. L'unico caso di
impedimento permanente si è avvenuto nel 1964. In questa occasione, il segretario generale della presidenza
presentò al Presidente del consiglio è al Presidente delle due camere il bollettino medico che attestò la malattia. Il
Consiglio dei ministri prese atto dell'impedimento e trasmise la notizia al Presidente del Senato , il quale convocò
il Presidente della Camera e il presidente del consiglio. Insieme decisero che si era verificatala fattispecie
dell'articolo 86 e diedero luogo alla supplenza.
3. Per morte o dimissioni . Le dimissioni hanno effetto immediato, in quanto non esiste un organo abilitato a riceverle
e ad accettarle e comunque queste non sarebbero compatibili con la posizione di organo super partes e propria del
Capo dello Stato.
4. Per decadenza dalla carica.
In caso di cessazione anticipata dall'ufficio, il Presidente della Camera indice l'elezione del nuovo Presidente della
Repubblica entro 15 giorni.

LA SUPPLENZA: qualora il Presidente sia permanentemente o temporaneamente impedito ad adempiere le sue


funzioni, queste vengono esercitate dal Presidente del Senato. Nel nostro ordinamento manca l'istituto della
vicepresidenza, ma per equilibrare i poteri dei due presidenti, al Presidente della Camera è affidato il potere di
presiedere il Parlamento in seduta comune. Per quanto riguarda le ipotesi di impedimento temporaneo, si può pensare
ad una grave malattia, che non importa guarigione entro breve termine oppure alla messa in stato d'accusa del
Presidente da parte delle Camere in seduta comune. Non sempre, invece, sono ricorsi alla supplenza quando il
Presidente si è assentato dal territorio nazionale recandosi all'estero in veste ufficiale. Questo perché, anche se il
Presidente è al di fuori del territorio italiano, può continuare a svolgere le sue funzioni.
Il supplente del Presidente della Repubblica acquista la sua carica automaticamente, senza bisogno, cioè, di alcun atto
di investitura e senza che debba prestare giuramento. I poteri del supplente sono quelli propri del Capo dello Stato,
anche se si ritiene che, per correttezza costituzionale e a meno che non ricorrano cause di assoluta necessità, egli
debba astenersi dal compiere atti che incidano sull'equilibrio dei rapporti tra gli organi costituzionali.

PARAGRAFO 3: IRRESPONSABILITÀ DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E SUOI LIMITI.


IN PARTICOLARE: LA CONTROFIRMA MINISTERIALE.

IRRESPONSABILITÀ POLITICA: bisogna distinguere tra responsabilità politica e responsabilità giuridica, civile
e penale. Il Presidente della Repubblica è politicamente irresponsabile in via istituzionale, in quanto la responsabilità
politica degli atti presidenziali è assunta dai ministri proponenti che li controfirmano, tenendo presente che gli atti che
hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei
ministri (art. 89).
L'art. 89 richiede la controfirma ministeriale di tutti gli atti presidenziali non soltanto come strumento idoneo fare
assumere la responsabilità di tali atti al ministro, ma anche come requisito di validità degli atti stessi.
Per quanto riguarda l'irresponsabilità giuridica del Presidente della Repubblica, egli non sarà irresponsabile sia
penalmente e civilmente per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, ma come privato cittadino egli sarà
pienamente responsabile ma, in materia penale, soltanto alla scadenza dall'ufficio.

I REATI PRESIDENZIALI: per alto tradimento si deve intendere ogni comportamento doloso che si concretizza
in una violazione del giuramento di fedeltà alla Repubblica, mentre per attentato alla Costituzione si deve intendere
ogni comportamento doloso diretto a sovvertire le istituzioni costituzionali o a violare deliberatamente la
Costituzione.
Spetta al Parlamento in seduta comune di mettere in stato di accusa, a maggioranza assoluta dei suoi membri, il
Presidente della Repubblica, qualora ritenga che l'atto da lui compiuto integri il reato di alto tradimento o di attentato
alla Costituzione; in tal caso, il Presidente sottoposto al giudizio della corte costituzionale (art. 134).

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PARAGRAFO 4: L'ASSEGNO E LA DOTAZIONE
Il Presidente della Repubblica ha diritto ad un assegno personale annuo di circa 100 mila euro da corrispondersi in 12
mensilità. La dotazione consiste nell'uso di beni patrimoniali indisponibili destinati alla residenza e agli uffici del
Presidente, come il Quirinale ed altri immobili.
Inoltre, gli vengono assegnati circa 2 miliardi e mezzo delle vecchie lire per le spese della presidenza.

PARAGRAFO 5: LE ATTRIBUZIONI

Il Presidente della Repubblica è posto al di fuori dei tre poteri fondamentali dello Stato. Egli quindi esercita le sue
attribuzioni come Capo dello Stato, per cui in dottrina si è identificato un autonomo potere presidenziale,
caratterizzato dalle funzioni ad esso connesse che non implicano mai una partecipazione diretta del Presidente
all'attività di indirizzo politico (potere neutro).

come garante della Costituzione nei confronti del: Come rappresentante


dell'unità nazionale
Potere legislativo Potere esecutivo Potere giudiziario
1) indice delle elezioni 1) nomina il governo 1) presiede il consiglio 1) nomina i cinque
delle Camere e ne 2) nomina i funzionari superiore della senatori a vita
fissala prima riunione. di più alto grado e i magistratura 2) rappresenta lo stato
2) può convocare in via sottosegretari di stato 2) nomina cinque 3) può concedere la
straordinaria le Camere 3) dichiara lo stato di giudici della corte grazia e commutare le
3) ratifica i trattati guerra, comanda le costituzionale pene
internazionali forze armate, presiede il
4) può sciogliere le consiglio superiore di
Camere difesa
5) può inviare messaggi 4) conferisce la
alle Camere cittadinanza e le o
6) autorizza la onorificenze
presentazione dei 5) accredita e riceve i
disegni di legge con suo rappresentanti
decreto diplomatici
7) promulga o rinvia 6) sciogliere i consigli
alle leggi comunali, provinciali e
8) emana i decreti regionali
aventi forza di legge e i
regolamenti
9) indice il referendum
abrogativo e
costituzionale

PARAGRAFO 6: I MESSAGGI ED IL POTERE DI ESTERNAZIONE.

Il messaggio del Presidente della Repubblica è disciplinato dalla Costituzione dagli articoli 74 e 87 comma 2. Ci sono
tre tipi di messaggi:
1. Messaggi con i quali il Presidente della Repubblica accompagna il rinvio di una legge alle Camere
chiedendone una nuova deliberazione (art. 74). L'articolo 74 prevede i messaggi con i quali il Presidente della
Repubblica accompagna il rinvio di una legge alle Camere chiedendone una nuova deliberazione. Il messaggio
motivato deve indicare le osservazioni del Capo dello Stato in merito alla legittimità e opportunità costituzionale della
deliberazione parlamentare. Anche per questo atto serve la sottoscrizione ministeriale, che in questo caso a funzione
di controllo dell'operato del Presidente.
2. Messaggi alle Camere. L'art. 87 comma 2 si limita a disporre che il Presidente della Repubblica può inviare
messaggi alle Camere. La sua dizione letterale porta quindi ad escludere che il Presidente possa leggervi o
pronunciarli personalmente dinanzi alle Camere. Con questo tipo di messaggio, il Presidente può segnalare agli organi
legislativi gravi necessità comuni o l'esigenza di provvedere a determinate situazioni senza prendere posizione a
favore dell'una o dell'altra parte politica. Entrambi i tipi di messaggi devono essere controfirmati sia perché con la
controfirma viene assunta dal Governo la responsabilità politica dell'atto e sia perché possano essere validi.
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3. Nella prassi si è affermato un altro tipo di messaggio, quello che il Presidente neoeletto pronuncia davanti
alle Camere in seduta comune subito dopo il giuramento. Questo messaggio si distingue dagli altri perché non è
inviato e non è controfirmato. Per questo rientra in un più generico potere di esternazione e non nel potere di
messaggio del Presidente. Ovviamente questa sua libertà di manifestazione del pensiero incontra dei limiti: prima di
tutto, egli deve evitare di ricorrere a forme di esternazione diverse dal messaggio quando potrebbe invece fare uso
proprio di tale strumento. In secondo luogo, il potere di esternazione del Presidente è strettamente connesso
all'esercizio delle sue funzioni e alla sua posizione di rappresentante l'unità nazionale. Ciò significa che egli può
esercitarlo in occasione dell'esercizio delle funzioni ed usando delle forme proprie di tale esercizio. Sicché ogni
manifestazione del pensiero presidenziale deve ottenere di regola la controfirma con l'assenso preventivo del
Governo. Infatti, il Presidente della Repubblica non è organo di indirizzo politico, perciò ogni altra forma tipica di
manifestazione del pensiero che abbia o possa avere riflessi politici dovrebbero trovare un limitato impiego,
soprattutto quando il Capo dello Stato può raggiungere lo stesso risultato usando delle forme tipiche in cui si svolge
sul rapporto con Parlamento e Governo.

PARAGRAFO 7: LO SCIOGLIMENTO DELLE CAMERE

Lo scioglimento delle Camere può essere determinato:


 da una situazione di contrasto tra Parlamento e Governo e in seguito all'approvazione di una mozione di sfiducia
da parte delle Camere. In questo caso lo scioglimento si dice successivo. Se il Governo viene battuto da un voto di
sfiducia, il Presidente della Repubblica può usare il suo potere di scioglimento e rimettere la decisione del
contrasto insorto tra Parlamento e Governo alla volontà popolare oppure può procedere alla nomina di un nuovo
Governo che può creare una maggioranza omogenea ed eliminare i termini di contrasto senza ricorrere alla
consultazione elettorale.
 Dalla constatazione che le Camere non rispettino più la volontà del corpo elettorale.
 Dalla incapacità delle Camere di esprimere una maggioranza stabile.
 Da una crisi di Governo che la maggior parte dei partiti politici ritiene di poter risolvere soltanto ricorrendo ad
una nuova consultazione elettorale. In questo caso lo scioglimento si dice anticipato o preventivo. Lo
scioglimento anticipato deve essere giustificato da ragioni obiettive e deve tendere a ristabilire il corretto
funzionamento del meccanismo costituzionale, inceppato dalla frattura tra Camere e corpo elettorale.

Il Presidente della Repubblica, ex art. 88 della Cost., prima di sciogliere le Camere, deve sentire il parere dei loro
Presidenti. Tale parere è obbligatorio, ma non è vincolante e serve per far acquisire al Capo dello Stato le valutazioni
politiche dei Presidenti delle Camere, i quali sono in grado di conoscere e di riferire obiettivamente le tendenze che si
sono manifestate all'interno delle assemblee.
Il semestre bianco: il Presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere negli ultimi sei mesi del suo
mandato, tranne che essi coincidano con gli ultimi sei mesi della legislatura. Si ritiene che tale divieto sia posto
considerando che, giunto alla fine del settennio, subisca un del potenziamento di rappresentatività e appaia meno
idoneo alle valutazioni di opportunità politica che lo scioglimento importa.

PARAGRAFO 8: CLASSIFICAZIONE DEGLI ATTI PRESIDENZIALI

Gli atti presidenziali possono classificarsi in tre grandi categorie a seconda che siano:

1) Atti formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi (il cui contenuto è cioè predisposto e voluto dei
membri del Governo). A questa prima categoria appartengono :
 i decreti presidenziali contenenti norme giuridiche sia aventi efficacia di legge formale (decreti-legge e decreti
legislativi) sia aventi efficacia subordinata a quella della legge formale (regolamenti )
 gli atti espressione della funzione amministrativa (per esempio la nomina degli alti funzionari).
 gli atti espressione dell'attività di indirizzo politico (per esempio la nomina dei ministri, l'autorizzazione alla
presentazione alle Camere di disegni di legge di iniziativa governativa).
Rispetto questi atti, il Presidente della Repubblica può esercitare soltanto un controllo di legittimità e richiederne il
riesame, senza poter incidere sulla determinazione di volontà del Governo. Tuttavia, se l'organo che li ha deliberati o
che ha formulato la proposta insiste nel volere il provvedimento, il Presidente non può rifiutarsi di sottoscriverli.

2) Atti formalmente e sostanzialmente presidenziali. Appartengono a questa seconda categoria:


 la nomina di 5 senatori a vita
 la nomina di 5 giudici costituzionali
 la nomina di 8 esperti quali componenti il CNEL.
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 il rinvio al Parlamento di una legge
 la promulgazione delle leggi
 i messaggi.
Rispetto a tali atti, il Presidente gode di un'ampia sfera di discrezionalità. La controfirma pertanto in questo caso
assume una funzione di controllo diretto ad accertare la legittimità formale dell'atto.

3) Atti sostanzialmente complessi, il cui contenuto è predisposto e voluto sia dal Presidente della Repubblica che
dal Governo. Appartengono alla terza categoria:
 la nomina del Presidente del Consiglio. In questo caso esso è un atto complesso, perché spetta al Presidente
scegliere la personalità che egli ritenga sia meglio in grado di costituire un Governo che posso ottenere fiducia,
mentre l'incaricato, accettando la nomina e controfirmando il relativo decreto, mostra di concordare con il
Presidente nella valutazione della situazione politica.
 lo scioglimento delle Camere. Nel caso di scioglimento anticipato, questo è un atto complesso perché il Presidente
non potrebbe di sua iniziativa rompere il rapporto Parlamento Governo senza provocare gravi ripercussioni
politiche. Nel caso di scioglimento successivo, invece, perché la sua decisione non può essere affidata, oltre che al
Presidente, anche al Governo dimissionario, che dovrà valutare l'opportunità politica dello scioglimento stesso ed
assumerne la responsabilità con la controfirma del relativo decreto.
 la concessione della grazia, che richiede l'accordo tra il Capo dello Stato ed il ministro della giustizia.

PARAGRAFO 9: LA POSIZIONE GIURIDICA

il Presidente della Repubblica è un potere neutro, cioè non entra nel gioco politico, è posto al di sopra delle parti e non
svolge alcuna funzione attiva nella determinazione e nell’attuazione dell'indirizzo politico. In questo senso il
Presidente è il rappresentante dell'unità nazionale (art. 87).
La Costituzione ha voluto assegnare all'ufficio del Presidente della Repubblica il carattere imparziale ed neutrale:
così, perché la sua imparzialità ed indipendenza siano effettive, il Presidente non è stato collegato ad alcuna parte
politica e quindi non potrebbe essere organo di indirizzo politico. Egli esercita soltanto una concreta influenza sul
corretto svolgimento delle attività costituzionali, vigila sul funzionamento del meccanismo costituzionale ed
interviene nel momento in cui le regole che lo disciplinano non vengono osservate, al fine di assicurare il rispetto
della Costituzione. Egli svolge questa sua funzione attraverso:
 il potere di controllo della costituzionalità dei provvedimenti sostanzialmente imputati al Governo
 Il potere di iniziativa, di impulso e di persuasione
 Il potere di decisione sul modo di risolvere i conflitti tra il Governo ed il Parlamento.
 Il potere di nomina del Presidente del Consiglio nel caso in cui sia politicamente possibile la formazione di più
coalizioni governative.

Il Presidente della Repubblica diventa garante della Costituzione, in quanto interviene qualora le regole costituzionali
non vengano osservate, in modo da riuscire ad assicurare il ristretto, formale e sostanziale, della Costituzione e di
mantenimento di un corretto equilibrio tra gli organi cui spetta la direzione politica e dello Stato.
Tuttavia, nel corretto funzionamento del sistema, la forza politica del Presidente della Repubblica deve essere sempre
esercitata in modo tale da non trasformarlo in uomo di parte: egli deve essere sempre dalla parte della Costituzione e
rappresentare l'unità nazionale.
Per quanto riguarda la figura dell'ex Presidente della Repubblica, l'art. 59 comma 1 gli riserva un seggio di diritto ed a
vita al Senato ed avrà il ruolo di consigliere nel procedimento di formazione del Governo.

LA CORTE COSTITUZIONALE

Il carattere rigido di una Costituzione richiede che le sue norme vengano garantite contro possibili violazioni del
legislatore ordinario. Per questo motivo esse prevedono alcuni strumenti mediante i quali è possibile controllare la
legittimità costituzionale delle leggi, al fine di togliere ogni efficacia a quelle che risultano essere in contrasto con una
disposizione Costituzionale.
La nostra Costituzione ha creato un organo ad hoc, che presenta dei caratteri propri che ne fanno un tipo a sé: la Corte
Costituzionale (art. 134 e seguenti) al quale è Stato affidato:
 Il giudizio sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge,
dello Stato e delle Regioni.
 Il giudizio sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e, tra lo Stato e le Regioni, tra le Regioni. (Per cadere
sotto il giudizio della Corte, i conflitti devono insorgere tra organi di poteri diversi)
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 Il giudizio sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica
 Il giudizio sulla ammissibilità del referendum abrogativo.

PARAGRAFO 1: LA COMPOSIZIONE ED IL FUNZIONAMENTO

1) COMPOSIZIONE DELLA CORTE DI NEI GIUDIZI DI LEGITTIMITÀ, CONFLITTI DI


ATTRIBUZIONE E A AMMISSIBILITÀ REFERENDUM:
la Corte Costituzionale, quando giudica sulle controversie di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi
forza di legge, sui conflitti di attribuzione e sull'ammissibilità del referendum abrogativo, è composta da 15 giudici
nominati (art. 135 Cost):
 per un terzo dal Presidente della Repubblica. I giudici la cui nomina spetta al Presidente della Repubblica sono
nominati con suo decreto, controfirmato dal Presidente del Consiglio dei ministri. Quest'atto è un atto formalmente
e sostanzialmente presidenziale.
 per un terzo dal Parlamento in seduta comune. I giudici la cui nomina spetta al Parlamento in seduta comune
sono eletti a scrutinio segreto e con la maggioranza dei due terzi dei componenti nel primo e nel secondo scrutinio
e dei 3/5 dei componenti negli scrutini successivi al terzo.
 per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative. I giudici la cui nomina spetta le supreme
magistrature sono eletti:3 da un collegio composto dai magistrati della Corte di Cassazione, uno da un collegio
composto dai magistrati del Consiglio di Stato, uno da un collegio composto dei magistrati della Corte dei conti.

In questi tre casi, i giudici della Corte Costituzionale sono scelti:


 Tra i magistrati delle giurisdizioni superiori, ordinaria e amministrativa.
 Tre professori ordinari di università in materie giuridiche
 tra gli avvocati dopo vent'anni di esercizio professionale .

2) COMPOSIZIONE DELLA CORTE NEI GIUDIZI SULLE ACCUSE: La Corte Costituzionale, quando
giudica sulle accuse mosse contro il Presidente della Repubblica, viene integrata con l’aggiunta di altri 16 membri
(giudici aggregati), che vengono estratti a sorte da un elenco di persone compilato mediante elezione ogni nove anni
dal Parlamento in seduta comune, tra i cittadini aventi i requisiti per l'eleggibilità a senatore.
I giudici ordinari della Corte sono nominati per nove anni, che decorrono dal giorno del giuramento e non possono
essere nuovamente nominati (art. 135 comma 3) e scaduto il termine, il giudice cessa dalla carica e dall'esercizio delle
funzioni. Viene prevista una sorta di prorogatio quando il giudizio non si è esaurito al momento della scadenza
dell'incarico: in questo caso i giudici ordinari e aggregati che costituiscono il collegio giudicante continuano a farne
parte fino all'esaurimento del giudizio, anche se è sopravvenuta la scadenza del nuovo incarico. Di conseguenza nei
giudizi penali la Corte sarà composta anche dei giudici ordinari scaduti che, in quanto prorogati, continuano a far
parte del collegio giudicante.
I giudici della Corte, prima di assumere le funzioni, prestano giuramento di osservare la Costituzione e le leggi nelle
mani del Presidente della Repubblica, alla presenza dei presidenti delle due Camere.

FUNZIONAMENTO: le udienze della Corte sono pubbliche, anche se il Presidente può disporre che si svolgano a
porte chiuse quando la pubblicità può nuocere alla sicurezza dello Stato o all'ordine pubblico o alla morale.
La Corte funziona con l'intervento di almeno 11 giudici. Le decisioni sono deliberate in Camera di Consiglio e
vengono prese con la maggioranza assoluta dei votanti. Nel caso di parità di voto prevale quello del Presidente. Nei
giudizi sulle accuse il collegio giudicante deve essere sempre costituito da almeno 21 giudici, dei quali i giudici
aggregati devono essere maggioranza. In caso di parità di voti prevale l'opinione più favorevole all'accusato.

PARAGRAFO 2: LO STATUS DI GIUDICE COSTITUZIONALE

INCOMPATIBILITA’: I giudici della Corte Costituzionale:


1. non possono essere membri del Parlamento o di un Consiglio regionale
2. non possono svolgere la professione di avvocato
3. non possono assumere conservare altri uffici o impieghi pubblici o privati
4. non possono esercitare attività professionali, commerciali o industriali
5. durante il periodo di appartenenza alla Corte, i giudici che siano magistrati in servizio o professori universitari non
potranno continuare nell'esercizio delle loro funzioni
6. non possono essere candidati in elezioni amministrative o politiche
7. non possono svolgere attività inerente ad una associazione o partito politico.

GARANZIE DI INDIPENDENZA:
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 non possono essere rimossi o sospesi dal loro ufficio se non con decisione della Corte, per sopravvenuta incapacità
fisica o civile o per gravi mancanze nell'esercizio delle loro funzioni.
 finché durano in carica godono delle guarentigie previste dall'art. 68 comma 2 per i membri delle Camere,
compresa quella per la sottoposizione al giudizio penale, abolita per i parlamentari.
 Non sono sindacabili nè possono essere perseguiti per le opinioni espresse ed i voti dati nell'esercizio delle loro
funzioni.
 Spetta alla Corte accertare l'esistenza dei requisiti soggettivi di ammissione dei propri componenti e dei cittadini
eletti dal Parlamento, deliberando a maggioranza assoluta dei suoi componenti.

Il Presidente della Corte gode di un ulteriore Guarentigia: non può essere sottoposto a processo penale per reati
riguardanti i fatti antecedenti l'assunzione della carica, fino alla cessazione della carica stessa, con conseguente
sospensione dei processi eventualmente in corso.

PARAGRAFO 3: IL PRESIDENTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Il Presidente assume nella Corte una particolare posizione.


ELEZIONE E DURATA IN CARICA: è eletto dalla Corte a maggioranza assoluta; se nessuno riporta la
maggioranza, si procede ad una seconda votazione e dopo di questa, eventualmente, alla votazione di ballottaggio tra i
candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti e si proclama eletto chi ha riportato la maggioranza. In caso di
parità sia legge il più anziano in carica o, in mancanza, il più anziano di età.
Ex art. 135 comma 4, il Presidente rimane in carica tre anni ed è rieleggibile.
FUNZIONI:
 rappresenta la Corte
 convoca la Corte, fissando con decreto il giorno dell'udienza pubblica.
 Presiede le sedute, regola la discussione e può determinare i punti più importanti sui quali essa deve svolgersi
 sovrintende l'attività delle commissioni
 può ridurre i termini dei procedimenti fino alla metà qualora lo ritenga necessario
 Nelle deliberazioni delle ordinanze e delle sentenze voterà per ultimo: in caso di parità di voto, prevale quello del
Presidente .

Posizione: la figura del Presidente assume una posizione di reale preminenza che gli consente di svolgere un ruolo di
impulso e di coordinamento nei lavori della Corte e di esercitare la sua influenza nello svolgimento e nella decisione
di giudizi.

SEZIONE 1: I GIUDIZI SULLA LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELLE LEGGI E


DEGLI ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE.

PARAGRAFO 1: I VIZI DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE NELLE LEGGI

Si distinguono vizi formali e vizi materiali:


VIZI FORMALI: si ha vizio formale quando la legge è approvata dal Parlamento violando una delle norme sul
procedimento di formazione delle leggi contenute nella Costituzione o secondo un procedimento diverso da quello
prescritto.
La Corte Costituzionale ha affermato la sua competenza a controllare la legittimità formale della legge che risulti
viziata per violazione delle norme costituzionali sul procedimento, ma ha escluso che il controllo possa estendersi
anche all'osservanza delle norme sul procedimento contenute nei regolamenti parlamentari sul leggi inesistenti, come
quelle che mancano di un requisito essenziale per la loro perfezione. L' accertamento dell'inesistenza della legge
spetta al giudice chiamato ad applicarla.
Dunque, i vizi formali attengono al procedimento con il quale l'atto è stato posto in essere.

VIZI MATERIALI: si ha vizio materiale quando:


 La norma contenuta in una legge ordinaria o in un atto ad essa equiparato è in contrasto con una norma
costituzionale o un principio costituzionale (violazione di legge). Esempio: legge che autorizza la limitazione della
libertà di corrispondenza senza richiedere il preventivo intervento dell'autorità giudiziaria come richiede l'art. 15.
 Quando l'organo che ha emanato la legge non era competente secondo la ripartizione delle competenze legislative
effettuata dalla Costituzione (incompetenza). Si ha questo tipo di vizio quando una legge dello Stato invade la sfera
di competenza riservata alle Regioni oppure quando la legge di una Regione disciplina una materia non rientrante

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tra quelle sulle quali può legiferare, oppure quando una legge regionale invade la sfera di competenza riservata allo
Stato o alla sfera di competenza di una altra Regione.
 Un atto è emanato per un fine diverso da quello previsto dallo schema normativo o non è idoneo a perseguire il fine
stesso (eccesso di potere legislativo). La Corte ha individuato alcuni criteri che valgono come indici dell'eccesso di
potere legislativo:
- assoluta illogicità, incoerenza o arbitrarietà della motivazione della legge o della palese contraddittorietà rispetto ai
presupposti
- irragionevolezza delle statuizioni legislative rispetto alla realizzazione concreta del fine.
- incongruità tra mezzi e fini che la legge intende conseguire.

Tuttavia tracciare una linea di confine tra il giudizio sulla legittimità delle leggi e il giudizio sul merito delle stesse
non è facile, in quanto la Corte è chiamata a giudicare la legittimità di una legge assumendo come canoni dei criteri
elastici e tenendo conto che alcune disposizioni costituzionali contengono concetti indeterminati, sono formulate
genericamente. Per cui per evitare che il giudizio sulla conformità delle leggi alla Costituzione si trasformi in un
giudizio di merito, la Corte deve attuare una rigorosa autolimitazione dei suoi poteri.
Il controllo di legittimità si estende anche agli atti aventi forza di legge e alle leggi costituzionali, che possono essere
controllate sia sotto il profilo della illegittimità formale, sia sotto il profilo della illegittimità materiale.
L'illegittimità costituzionale delle leggi e degli atti equiparati può farsi valere secondo due distinti procedimenti:
1) il procedimento in via incidentale (o d'eccezione);
2) il procedimento in via d'azione (o per impugnativa diretta). Questo secondo procedimento può essere adottato
soltanto dallo Stato per impugnare una legge regionale o provinciale oppure dalla Regione per impugnare una legge o
un atto avente forza di legge dello Stato o una legge di altra Regione.

PARAGRAFO 2: GLI ATTI SOGGETTI AL SINDACATO DI LEGITTIMITÀ


COSTITUZIONALE

L'art. 134 Cost. dispone che " la Corte giudica sulle controversie relative alla legittimità
costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni ".

Secondo una interpretazione restrittiva della disposizione, soggetti al sindacato sono le leggi e gli atti aventi forza di
legge.
Più in particolare, sottoposti al sindacato di legittimità sono:
 Le leggi ordinarie dello Stato e delle Regioni, più le leggi delle province di Trento e Bolzano.
 Le leggi costituzionali sia sotto il profilo dell'illegittimità formale sia anche sotto quello dell'illegittimità materiale.
 Gli atti aventi forza di legge dello Stato, cioè i decreti-legge e le leggi delegate.
 I decreti di attuazione degli statuti speciali e dei bandi militari emanati secondo le modalità stabilite dalle Camere
nella deliberazione con la quale conferiscono al Governo i poteri necessari in caso di guerra.

Esclusi dalla sindacabilità della Corte:


 I regolamenti , provvedimenti amministrativi (controllo compiuto dal giudice)
 gli atti normativi della Comunità Economica Europea , perché, anche se sono da considerare come atti avente forza
di legge in ogni paese della comunità, essi non sono, per l'autonomia che distingue i singoli ordinamenti da quello
della comunità, atti aventi forza di legge dello Stato.
 Dei decreti-legge non convertiti (la questione è manifestamente inammissibile)
 Referendum abrogativo, perché la relativa richiesta è sottoposta al giudizio di ammissibilità della Corte
costituzionale, per cui un successivo sindacato, a referendum avvenuto, sarebbe ripetitivo.
 Fatti normativi (consuetudine e norme appartenenti ad ordinamenti stranieri)

PARAGRAFO 3: IL PROCEDIMENTO IN VIA INCIDENTALE

A) LA PROPOSIZIONE DELLA QUESTIONE

L'art. 137 della Cost. ha rinviato ad una legge costituzionale perché stabilisse le condizioni, le forme, i termini di
proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale. La legge costituzionale a cui la Costituzione ha rinviato è la
legge 1/48, che ha escluso un ricorso diretto alla Corte costituzionale da parte di chi lamenti la lesione di una
situazione giuridica soggettiva dovuta ad una legge ritenuta costituzionalmente illegittima o da parte di un organo
pubblico a ciò deputato. Lo ha ammesso soltanto se le controversie di legittimità costituzionale insorgano tra Stato e
Regione o tra Regioni.

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L'art. 1 di questa legge dispone che “la questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di
legge della Repubblica, rilevata d'ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e non ritenuta
manifestamente infondata, è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione”.
Dunque, la questione di legittimità costituzionale:
Può essere sollevata,:
 mediante apposita istanza nel corso di un giudizio innanzi ad una autorità giurisdizionale. Adottando un
interpretazione estensiva, la Corte ha ammesso che la questione possa essere sollevata:
Innanzi ai giudici ordinari e speciali
Innanzi ad ogni autorità che eserciti una funzione qualificabile come giurisdizionale, come la Corte dei conti nel
giudizio di parificazione del bilancio, alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore Della Magistratura, alle
commissioni tributarie .
Davanti alla sezione di controllo della Corte dei conti.

Da chi può essere sollevata:


 Da una delle parti, compreso il pubblico ministero
 D'ufficio, dall'autorità giurisdizionale innanzi al quale verte il giudizio.
 Quindi il sistema adottato è quello del ricorso tramite una autorità giurisdizionale e in occasione e nel corso di un
giudizio. Dunque per aversi giudizio a quo è sufficiente che ricorra o il requisito oggettivo, consistente nello
svolgersi del procedimento " alla presenza o sotto la direzione del titolare di un ufficio giurisdizionale " o il
requisito oggettivo dell'esercizio di funzioni giudicanti per l'obiettiva applicazione della legge anche da parte di
organi che sono istituzionalmente adibiti a compiti di diversa natura.

Cosa si deve indicare nell'istanza:


 La disposizione della legge o dell'atto avente forza di legge che si assumono viziate da illegittimità costituzionale
 Le disposizioni della Costituzione e delle leggi costituzionali che si assumono violate.
 Può avvenire che il vizio di legittimità costituzionale sia determinato non dalla violazione indiretta di una
disposizione costituzionale ma dalla violazione di una cosiddetta norma interposta. Per esempio quando un decreto
legislativo è emanato in contrasto con il contenuto della legge di delega: infatti il primo ha violato l'art. 76 della
Cost. a norma del quale il Governo è tenuto ad osservare i limiti posti dalle Camere nella legge di delega
all'esercizio del potere legislativo delegato.

L'istanza respinta dal giudice innanzi al quale è stata presentata (giudice a quo) può essere riproposta all'inizio di ogni
grado ulteriore del processo.

SINTESI: la questione di legittimità costituzionale è il tema decidendum sottoposto al giudizio della


Corte costituzionale. Essa per oggetto una legge o un atto avente forza di legge che è una delle parti
o il giudice a quo (nel giudizio incidentale) o lo Stato o una regione (nel giudizio in via d'azione)
ritengono viziata di illegittimità costituzionale. Di conseguenza la Corte dovrà pronunciarsi se nel
procedimento la formazione dell'atto legislativo sia stata violata una disposizione costituzionale
(vizio formale) ovvero se la norma contenuta nell'atto legislativo sia in contrasto con una norma
contenuta nella costituzione o con un principio da essa desumibile in via interpretativa (vizio
materiale).

B) I POTERI DEL GIUDICE A QUO

Il giudice innanzi al quale è sollevata la questione deve pronunciarsi su di essa.


1)L'art. 1 della legge costituzionale 1 / 48 dispone che il giudice deve accertare:
 Che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione, cioè deve
accertare la rilevanza della questione. Egli, cioè, dovrà esaminare se la questione è stata sollevata nei confronti di
una legge o atto equiparato a legge che egli ritiene di dover applicare per poter definire il giudizio. Pertanto,
affinché la questione sia rilevante, deve esistere un rapporto di strumentalità necessaria tra la risoluzione della
questione stessa e la decisione del giudizio principale.
 Che la questione non sia manifestamente infondata. Ciò vuol dire che il giudice dovrà respingere la questione
quando palesemente gli appaia priva di ogni fondamento giuridico e dovrà accoglierlo quando, al contrario,
l'infondatezza non gli appaia manifesta, cioè quando egli sia sfiorato dal dubbio sulla legittimità costituzionale
della legge. Poiché non spetta al giudice il giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi, ma alla Corte
costituzionale, egli deve sospendere il giudizio in corso e demandare la decisione alla Corte. I poteri conferiti al
giudice a quo sono notevoli, in quanto la proposizione del giudizio innanzi alla Corte costituzionale dipende

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esclusivamente da lui, cioè egli funziona da introduttore necessario del giudizio di legittimità costituzionale
dinanzi alla Corte costituzionale.

2) Se il giudice respinge l'eccezione perché ritiene la questione è irrilevante o manifestamente infondata, deve
adeguatamente motivare la relativa ordinanza.
Qualora, invece, il giudice ritenga la questione rilevante e non manifestamente infondata, emette ordinanza, che deve
contenere il termini e i motivi dell'istanza con cui fu sollevata la questione stessa, con la quale dispone l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso.

3) l'ordinanza deve essere notificata:


 alle parti in causa
 Al pubblico ministero
 Al Presidente del Consiglio dei Ministri
 Al Presidente della Giunta Regionale
 Deve essere comunicata ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio regionale interessato.
Scopo della notificazione e della comunicazione: consentire che vengano adottate e le idonee iniziative legislative
dirette a modificare la legge eliminando i vizi denunciati, prima che la Corte costituzionale pronunci la sua sentenza,
ovvero ad abrogarla.

L'ordinanza è pubblicata, a cura del Presidente della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale e quando occorre
nel Bollettino Ufficiale delle Regioni interessate, al fine di portare a conoscenza di tutti che si è instaurato un giudizio
di legittimità costituzionale.

C) IL GIUDIZIO INNANZI ALLA CORTE COSTITUZIONALE

4) Entro 20 giorni dall'avvenuta notificazione dell'ordinanza emessa dal giudice a quo:


 le parti nel giudizio nel corso del quale è stata sollevata la questione possono esaminare gli atti depositati nella
cancelleria e presentare le loro deduzioni.
 La Costituzione delle parti ha luogo mediante deposito in cancelleria della procura speciale e delle deduzioni .
 Il Presidente Del Consiglio (rappresentato in giudizio dall'avvocatura dello Stato) ed il Presidente della Giunta della
Regione interessata (qualora sia impugnata una legge regionale) possono intervenire in giudizio e presentare le loro
deduzioni. A differenza delle parti nel giudizio principale, che si costituiscono nel giudizio innanzi alla Corte per
difendere un loro concreto interesse, il Presidente del Consiglio non ha alcun specifico interesse da far valere ed
infatti non assume la veste di parte. Inoltre l'intervento del Presidente del Consiglio è facoltativo e non obbligatorio.
Tuttavia c'è da dire che anche le parti nel giudizio a quo non sono tenute a costituirsi innanzi alla Corte (ovvero non si
hanno parti necessarie, perché oggetto del giudizio è la legittimità costituzionale della legge e non l'esistenza o meno
di una situazione giuridica soggettiva che ha dato luogo alla controversia tra le parti davanti al giudice a quo.), anche
se la Corte ha ammesso eccezionalmente la Costituzione in giudizio di parti estranee al giudizio principale tutte le
volte che essa rappresenti l'unica occasione per difendere situazioni giuridiche soggettive delle quali essi siano titolari
e sulle quali il giudizio incidentale abbia effetto direttamente.
Oggetto del giudizio è la legittimità costituzionale della legge e non l'esistenza o meno di una situazione giuridica
soggettiva che ha dato luogo alla controversia tra le parti innanzi al giudice a quo.

5) Trascorso il termine di 20 giorni entro il quale le parti possono costituirsi e i Presidenti del Consiglio o della Giunta
regionale intervenire, il Presidente della Corte nomina un giudice per l'istruzione e la relazione e convoca entro i
successivi 20 giorni la Corte per la discussione. Se non si costituisce alcuna parte, la Corte può decidere in camera di
Consiglio.
Nei giudizi di legittimità costituzionale come in quelli sui conflitti di attribuzione, la Corte funziona con intervento di
almeno 11 giudici e le decisioni sono deliberate in camera di Consiglio dei giudici presenti a tutte le udienze in cui si
è svolto il giudizio e vengono prese con la maggioranza assoluta dei votanti. Nel caso di parità di voto prevale quello
del Presidente. La Corte giudica in via definitiva con sentenza (mentre tutti gli altri provvedimenti di sua competenza
sono adottati con ordinanza).

 La Corte funziona con almeno 11 giudici.


 Le decisioni sono deliberate in camera di consiglio dei giudici presenti a tutte le udienze.
 Le decisioni vengono prese maggioranza assoluta dei votanti.
 In caso di parità di voto prevale quello del Presidente.

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PARAGRAFO 4: IL PROCEDIMENTO IN VIA D'AZIONE O PRINCIPALE

IL RICORSO DELLO STATO: Il nuovo testo dell'art. 127 comma 1, modificato dalla legge costituzionale 3
/2001, ha stabilito che il Governo della Repubblica, quando ritiene che una legge regionale eccede la competenza
della Regione può promuovere la questione di legittimità costituzionale innanzi alla Corte entro 60 giorni dalla
pubblicazione della legge medesima (nel vecchio testo, invece, era previsto il controllo del Governo preventivo sulla
legge approvate dal Consiglio regionale e il Governo poteva proporre la questione di legittimità non solo nell'ipotesi
di invasione della sfera di competenze dello Stato da parte della Regione, ma per qualsiasi violazione di norme
costituzionali). Ora invece la legge regionale può essere impugnata solo davanti alla Corte e solo dopo che essa sia
stata pubblicata, come accade per le leggi statali.
La questione è sollevata, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, dal Presidente del Consiglio.

IL RICORSO DELLA REGIONE: a norma del secondo comma dell'art. 127, la Regione, quando ritiene che una
legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di una altra Regione lede la sua sfera di competenza può
promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte entro 60 giorni dalla pubblicazione dell'una o
dell'altro (nel vecchio testo, invece, il termine per ricorrere a in via principale contro leggi dello Stato era di 30 giorni,
mentre quello per ricorrere contro leggi di altre Regioni era di 60 giorni. Le Regioni potevano impugnare una legge
statale o di altre Regioni e solo per invasione della propria sfera di competenza e non per altri vizi di legittimità
costituzionale).

Con la nuova normativa costituzionale, lo Stato della Regione vengono posti sullo stesso piano per quanto riguarda il
carattere del sindacato di legittimità costituzionale in via d'azione delle proprie leggi: sia che il ricorso provenga dallo
Stato, sia che provenga da una Regione, il sindacato è successivo alla pubblicazione della legge impugnata.

Caratteristiche del giudizio di legittimità costituzionale in via principale dopo le modifiche


introdotte dalla legge costituzionale 3/ 2001:
 è sempre un giudizio successivo all'approvazione della legge o di altro atto equiparato.
 Sia il Governo che le regioni possono adire la Corte entro 60 giorni dalla pubblicazione
della legge che si ritiene eccede le rispettive sfere di competenza.
 Il giudizio a contenuto specifico
 è una questione che può essere sollevata facoltativa mente dalle parti. Ciò significa che il
contrasto può anche essere risolto senza l'intervento della Corte.
Ratio della modifica: allargare l'autonomia regionale.

PARAGRAFO 5: LE DECISIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE

La Corte giudica in via definitiva con sentenza, la quale deve contenere le indicazioni di motivi di fatto e di diritto, la
data della decisione e la sottoscrizione del Presidente del giudice che le ha redatte. Tutti gli altri provvedimenti di sua
competenza sono adottati con ordinanza.
Come si può concludere il giudizio di legittimità costituzionale: qualora la Corte accerti l'illegittimità costituzionale
delle leggi e degli atti aventi forza di legge, deve dichiarare ciò con sentenza. Tuttavia, bisogna sempre tener presente
che, sia nel giudizio incidentale che in quello principale, oggetto della deliberazione della Corte è la questione così
come essa le viene posta dalle parti e dal giudice. Ciò significa che la Corte non può ampliare l'ambito del suo
giudizio ma deve attenersi nel pronunciare la sentenza a ciò che le è stato chiesto secondo il principio di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Dunque:
 se la Corte accerta il contrasto con la Costituzione della disposizione legislativa, la dichiarerà illegittima una volta
per tutte e le toglierà efficacia ed applicabilità.
 se ritiene che la questione, così come le stata posta non configura l'illegittimità costituzionale della disposizione
legislativa, non potrà dichiarare illegittima la disposizione, perché se così facesse si precluderebbe la possibilità di
un riesame della sua legittimità qualora la stessa parte in un altro giudizio o una parte diversa o i giudici d'ufficio
ripropongono la questione adducendo altri motivi di incostituzionalità. Ne consegue che la Corte potrebbe
successivamente ritenere illegittima una disposizione legislativa per vizi diversi da quelli in un primo tempo
denunciati. Può anche accadere che la Corte, che aveva dichiarato l'infondatezza della questione, muti
giurisprudenza e dichiari l'illegittimità della disposizione legislativa, anche se la questione denunci gli stessi vizi di
incostituzionalità.
 Un altro tipo di pronuncia della Corte è quella che si ha quando essa dichiara la manifesta infondatezza della
questione: questo può avvenire quando la Corte prende in esame questioni formulate negli stessi termini o motivi

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di altre già dichiarate infondate o questioni palesemente inconsistenti o quando il giudice a quo solleva una
questione su una norma diversa da quelle che deve applicare (aberratio ictus).
 Se si tratta di questioni relative a norme già dichiarate incostituzionali, la Corte preferisce ricorrere ad una
dichiarazione di inammissibilità.
 Un altro tipo di pronunce sono le decisioni processuali con le quali la Corte non definisce la questione di
legittimità costituzionale che le è stata sottoposta bensì il giudizio costituzionale cui la questione ha dato luogo
(per esempio pronunce di improponibilità, di manifesta inammissibilità). Nei giudizi in via incidentale la Corte
può poi pronunciare ordinanze interlocutorie per disciplinare lo svolgimento del processo e ordinanze istruttorie
con le quali può disporre l'audizione di testimoni è il richiamo di atti e documenti anche in deroga ai divieti
stabiliti da altre leggi.

A norma dell’art. 137 Cost. “contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione”.
Esse, cioè, sono definitive. In caso di omissioni o di errori materiali delle sentenze o delle ordinanze, la Corte
provvede a correggerli anche d’ufficio in camera di Consiglio, con ordinanza, previo avviso alle parti costituite.

PARAGRAFO 6: I TIPI DI SENTENZE

A) LE SENTENZE DI ACCOGLIMENTO

La Corte può:
 Dichiarare l'illegittimità costituzionale della disposizione legislativa: sentenza di accoglimento.
 Dichiarare l'infondatezza della questione: sentenza di rigetto.

L'art. 136 Cost. dispone che " Quando la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale
di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere
efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione ".

Dalla lettera della norma sembra che la sentenza dichiarativa dell'illegittimità produca effetti solo per l'avvenire.
L'art. 136 deve essere eletto integrandolo con l'art. 1 della legge costituzionale 1 /48 a norma del quale la questione
di legittimità costituzionale può essere posta alla Corte solo indirettamente e, nel corso di un giudizio, da una delle
parti o dal giudice. La legge costituzionale 1/48, introducendo il meccanismo dell'impugnazione incidentale nel corso
del giudizio, necessariamente impone che gli effetti della sentenza si dispieghino anche in quel giudizio. Infatti, la
parte che ha sollevato la questione di incostituzionalità, non avrebbe alcun interesse a farlo se non potesse beneficiare
degli affetti della sentenza della Corte, cioè se non sapesse che se la norma viene dichiarata illegittima, non verrà
applicata in quel giudizio.
Per cui la Costituzione, demandando ad una legge costituzionale di stabilire i termini di proponibilità dei giudizi, ha
lasciato a questa di determinare quale dovesse essere l'efficacia delle sentenze di accoglimento, limitandosi a precisare
che la norma dichiarata incostituzionale non avrebbe più potuto spiegare efficacia dal giorno successivo alla
pubblicazione della sentenza. Poiché l'art. 1 della legge 1 /48 ha stabilito che la questione di legittimità costituzionale
deve essere sollevata nel corso del giudizio, ne consegue che la perdita di efficacia va intesa nel senso che, dal giorno
successivo alla pubblicazione della sentenza, la legge non può più trovare applicazione. Quindi perdita di efficacia
deve essere intesa come disapplicazione della norma e non soltanto a dal giudice a quo, ma anche da parte di ogni
altro giudice (quando viene sollevata questione di costituzionalità, i giudici che hanno in corso un processo nel quale
la norma denunciata di incostituzionalità dovrebbe trovare applicazione, di regola lo sospendono anche essi in attesa
del giudizio della Corte), e non solo da parte di giudici ma anche da parte di chiunque avrebbe dovuto applicare la
norma.
Perciò, le sentenze di accoglimento della Corte hanno efficacia erga omnes e acquistano il valore di sentenze di
accertamento costitutivo con l'effetto di annullare le norme dichiarate illegittime.
Le sentenze di accoglimento si riferiscono anche al legislatore, il quale deve accettare l'immediata cessazione
dell'efficacia giuridica della norma illegittima.
Per quanto riguarda la questione dell'estensione dell'efficacia retroattiva della sentenza, sembra che le sentenze di
accoglimento non tocchino i rapporti già regolati in via definitiva dalla legge incostituzionale, come quelli disciplinati
da sentenze passate in giudicato o da atti amministrativi definitivi o dai rapporti caduti in prescrizione o in decadenza.
L'unica eccezione si ha quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza
irrevocabile di condanna: in questo caso ne cessano l’esecuzione e tutti gli effetti penali.
La sentenza della Corte si applica, invece, a tutti i rapporti ancora pendenti, cioè non ancora esauriti.
L'illegittimità costituzionale di una legge potrebbe verificarsi in un periodo successivo alla sua entrata in vigore,
quando per esempio cambia il quadro normativo in cui essa è inserita o quando cambia il diritto vivente.

95
Nella stessa sentenza di accoglimento, la Corte può dichiarare quali sono le altre disposizioni legislative la cui
illegittimità deriva come conseguenza della decisione adottata (illegittimità costituzionale conseguenziale). Il nesso
di conseguenzialità si rileva tutte le volte in cui ci si trovi in presenza di disposizioni confermative, applicative o
ripetitive di quelle dichiarate illegittime o di disposizioni a queste strettamente collegate sotto il profilo formale. La
dichiarazione di illegittimità conseguenziale costituisce una deroga al principio della corrispondenza a tra chiesto e
pronunciato.
Una ulteriore efficacia delle sentenze di accoglimento è data poi dalla riviviscenza delle norme abrogate dalle norme
dichiarate costituzionalmente illegittime. Si ha quando delle norme che erano state abrogate dalle norme dichiarate
costituzionalmente illegittime, diventano nuovamente operanti. Spetterà poi alla Corte controllare se le norme
ridiventate operanti non presentino a loro volta a un caso di illegittimità conseguenziale.

Il dispositivo delle sentenze di accoglimento è inserito nella Raccolta Ufficiale Degli Atti Normativi Della Repubblica
Italiana (perché la decisione della Corte incide sul preesistente ordine normativo); le sentenze e ordinanze vengono
pubblicate nel testo integrale nella prima parte della gazzetta ufficiale della Repubblica o nel bollettino ufficiale della
Regione interessata, se riguardano leggi regionali.
Le sentenze sono comunicate a entro 2 giorni dalla data del deposito alle Camere e ai consigli regionali interessati
affinché adottino i provvedimenti di loro competenza. Scopo della comunicazione è quello di consentire questi organi
di colmare il vuoto legislativo determinatosi in seguito alla sentenza della Corte. In casi urgenti può anche intervenire
il Governo con un decreto legge.
Le sentenze della Corte vengono anche pubblicate con il deposito nella cancelleria della Corte stessa.

B) LE SENTENZE DI RIGETTO

Sono le sentenze con le quali la Corte dichiara infondata la questione. Essa vale ad escludere la sussistenza dei vizi di
legittimità così come formulati nella questione e denunciati nell'ordinanza di rimessione con ricorso, ma non esclude
che gli stessi o altri vizi possano essere denunciati dalle stesse parti o da altre nel corso di una altro giudizi in via
incidentale e, qualora la sentenza sia stata pronunciata in giudizio in via d'azione, che la questione sia riproposta in via
incidentale.
Pertanto può accadere che:
 la Corte dichiari, in un nuovo giudizio, l'illegittimità costituzionale di norme rispetto alle quali si era già
pronunciata con una sentenza di rigetto, qualora siano denunciati nuovi e diversi vizi,
 che la Corte dichiari l'illegittimità costituzionale di norme denunciate di illegittimità per quegli stessi vizi di
incostituzionalità dei quali precedentemente, con una sentenza di rigetto, aveva escluso la sussistenza.
Le sentenze di rigetto non hanno efficacia erga omnes. La loro efficacia vale soltanto nei confronti del giudizio a quo,
nel senso che il giudice sarà tenuto ad applicare la legge rispetto alla quale era stata formulata la questione. Se, invece,
oggetto del giudizio era una legge regionale o provinciale impugnata in via d’azione, allora l'efficacia della sentenza
si spiegherà nel senso che sarà possibile la promulgazione e la pubblicazione della legge e la sua entrata in vigore.

C) LE SENTENZE INTERPRETATIVE

Si è detto che la Corte è chiamata a giudicare nei termini e per i motivi in cui fu sollevata la questione, cioè dovrà
decidere se una tale norma sia o no in contrasto con la Costituzione.
Tuttavia la Corte alle volte ha ritenuto di dover reinterpretare il testo legislativo. È accaduto così che la Corte ha tratto
dal testo legislativo non la stessa norma tratta dalle parti o dal giudice, ma una norma diversa e questa norma ha posto
ad oggetto del suo giudizio. A conclusione del giudizio, pertanto, non si avrà (essendo diverso il thema decidendum
da quello formulato dalle parti o dal giudice) nè una sentenza di accoglimento, né una sentenza di rigetto, bensì una
sentenza che è stata definita interpretativa e che, a sua volta, può essere di accoglimento o di rigetto.

SENTENZE INTERPRETATIVE DI RIGETTO: si hanno quando la Corte, avendo tratto dal testo legislativo una
norma in tutto o in parte diversa da quella tratta dalle parti e dal giudice, dichiara che, rispetto a questa norma, non
sussistono vizi di legittimità costituzionale, facendo in tal modo salvo il testo legislativo.
Ratio di queste sentenze: evitare quanto più possibile di emettere sentenze di accoglimento per non creare troppi
vuoti normativi. Per questo si riconosce alla Corte questo potere di reinterpretazione (senza peraltro che la Corte si
sostituisca alla corte di cassazione8, come nel passato le era stato contestato dalla magistratura ordinaria e in

8
la Corte di cassazione assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo a livello
nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni e delle sfere di competenza dei giudici di una stessa giurisdizione. Per
questo la Corte Costituzionale giudica solo sui vizi della sentenza indicati espressamente dalla legge e non il merito della
decisione.
96
particolare dalla stessa corte di cassazione), soprattutto quando la questione riguarda norme recenti sulle quali non si
sono formati ancora orientamenti giurisprudenziali.
In passato le sentenze interpretative di rigetto sono state contestate dalla Corte di Cassazione, la quale ha rimproverato
alla Corte costituzionale di non attenersi al principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e di sostituirsi
ad essa nella interpretazione delle leggi. D'altra parte bisogna anche considerare che se si ritenesse la Corte vincolata a
decidere sulla legittimità di una norma così come essa risulta tratta da un testo legislativo interpretativamente dalle
parti e dal giudice, si correrebbe il rischio di eliminare dall'ordinamento una disposizione legislativa solo perché le
parti ed il giudice vi hanno dedotto una norma rispetto alla quale hanno ritenuto non manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale per cui un potere di reinterpretare il testo legislativo deve essere riconosciuto
alla Corte, soprattutto quando la questione è relativa norme recenti sulle quali non si sono ancora formati orientamenti
giurisprudenziali consolidati.
Efficacia delle sentenze interpretative di rigetto: esse non privano di efficacia la legge, nel senso che fanno salvo il
testo legislativo, ma non hanno nemmeno efficacia erga omnes, perché se così fosse la Corte si sostituirebbe
indebitamente al legislatore ordinario con una specie di interpretazione autentica del testo legislativo. Ci si chiede a
questo punto se vincolato all'interpretazione della Corte sia il giudice a quo. A questo proposito la dottrina è divisa:
una parte sostiene che il giudice è tenuto ad applicare la norma come la Corte l'ha individuata nel suo proprio
significato (individuano un vincolo positivo), un'altra parte sostiene che il vincolo è solo negativo in quanto la
sentenza vieterebbe al giudice di interpretare il testo nel senso disatteso dalla Corte ma lo lascerebbe libero di dargli
qualsiasi altra interpretazione: il giudice a quo, se da un lato non può adottare l'interpretazione ritenuta
incostituzionale dalla Corte, dall'altro può decidere il caso a lui sottoposto secondo una diversa interpretazione.

SENTENZE INTERPRETATIVE DI ACCOGLIMENTO: si hanno quando la Corte dichiara l'illegittimità


costituzionale di un testo se ed in quanto si ricavi da esso una determinata norma. In questo modo vengono fatte salve
tutte le altre possibili interpretazioni del testo: in altre parole è dichiarato illegittimo soltanto un certo significato del
testo.
Tuttavia questo tipo di decisioni sono diventate sempre più rare, in quanto la Corte ha preferito ricorrere sempre più
spesso a sentenze di accoglimento parziale, che si hanno quando, pur lasciando immutato il testo, la Corte dichiara
l'illegittimità costituzionale di norme o di frammenti di norme che sono desumibili in via interpretativa. Con questo
tipo di sentenze la Corte in realtà interviene sulla portata normativa della disposizione, che viene estesa, ridotta o
mutata in modo da riportare il testo stesso nell'ambito della legittimità costituzionale. Questo tipo di sentenze vengono
chiamate sentenze manipolative, in quanto implicano la nascita di una nuova norma più ampia o più ristretta o
comunque diversa da quella che era stata prospettata come illegittima dal giudice a quo.
Le sentenze manipolative comprendono:
 Le sentenze additive, con le quali la Corte dichiara l'illegittimità di un testo nella parte in cui non contiene una
previsione normativa che deve necessariamente esserci (è il caso della sentenza 364/88 con la quale la Corte
dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 del codice penale nella parte in cui non escludeva dalla
inescusabilità dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile). Le sentenze additive possono essere:
 di garanzia, quando riconoscono un diritto fondamentale negato dalla norma illegittima,
 di prestazione quando riconoscono una pretesa patrimoniale tutelata dalla Costituzione e negata dalla norma
illegittima.
 additive di principio: può accadere che la Corte non immetta nell’ordinamento una regola direttamente
applicabile, ma soltanto un principio desumibile dalla Costituzione, cui il legislatore dovrà attenersi.
 Le sentenze riduttive, con le quali la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale di un testo nella parte in cui
contiene una previsione normativa, che non deve esserci.

D) ALTRI TIPI DI SENTENZE

 Sentenze sostitutive: si hanno quando la Corte sostituisce ad una parte del testo un’altra parte che essa stessa trae
dal testo in via interpretativa.
 Sentenze-indirizzo può sentenze-monito: con questo tipo di sentenze la Corte, una volta rilevata la mancanza in
una determinata leggi di disposizioni che invece dovrebbero esserci perché ritenute essenziali al fine di assicurare
il rispetto della Costituzione, si indirizza al legislatore e detta i criteri ai quali dovrà uniformarsi per adeguare la
disciplina della materia ai precetti costituzionali. Queste sentenze si distinguono dalle additive di principio perché
non immettono un principio nuovo in una disciplina particolare sottoposta al controllo della Corte, ma indicano
alle legislatore la strada da seguire per una futura normazione costituzionalmente legittima. In pratica, con le
sentenze monitorie la Corte invita il legislatore a rendere la disciplina di un dato oggetto conforme a Costituzione,
mentre con le sentenze additive di principio realizza essa stessa l'adeguamento alle norme costituzionali, lasciando
al legislatore il compito di concretizzare le regole specifiche.
97
SEZIONE 2: I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE

PARAGRAFO 1: I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE

I conflitti di attribuzione sono controversie che sorgono tra i poteri dello Stato9 (o tra Stato e regioni o tra regioni), sia
quando si rivendicano o si rifiutano determinate a Attribuzioni, sia quando esercitando in maniera non corretta le
proprie funzioni si incide sulle Attribuzioni altrui.
Si ha conflitto reale quando un atto è stato effettivamente emanato; conflitto virtuale quando si afferma la
competenza ad emanarlo senza che ciò sia ancora avvenuto.

A) TRA I POTERI DELLO STATO

L'art. 134 comma 3 Cost. dispone che " la Corte costituzionale giudica sui
conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, e su quelli tra lo Stato e le Regioni,
e tra le Regioni”.

Perché sorga conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato, risolvibile dalla Corte costituzionale, sono necessarie le
seguenti condizioni:
 Deve sorgere tra organi appartenenti a poteri diversi.
 Deve sorgere tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere a cui appartengono.
 Deve sorgere per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali.

Sono pertanto esclusi dalla competenza della Corte:


 I conflitti tra organi appartenente giurisdizione diverse (per esempio e tribunale ordinario) per quanto riguarda
l'appartenenza della potestà di decisione di una determinata questione (i c.d. conflitti di giurisdizione)
 I conflitti tra organi appartenenti ad uno stesso potere, per esempio tra due ministri (i c.d. conflitti di
competenza).
Per potere dello Stato si deve intendere la figura organizzatoria composta da un organo o da più organi tra loro
funzionalmente collegati e alla quale va riferita una sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita. In questo senso,
tre poteri dello Stato rientrano, oltre ai tre tradizionali, anche il Presidente della Repubblica, la Corte costituzionale, la
Corte dei conti in sede di esercizio sia della funzione giurisdizionale che della funzione di controllo e la frazione del
corpo elettorale rappresentata dei promotori che richiedono il referendum abrogativo.
La Corte ha fissato un criterio di individuazione e di delimitazione di questi poteri quando ha affermato che deve
trattarsi di figure soggettive cui ordinamento conferisce la titolarità e l'esercizio di funzioni pubbliche
costituzionalmente rilevanti e garantite, suscettibili di concorrere con quelle attribuite a poteri ed organi statali in
senso proprio. Per questo motivo saranno esclusi dei poteri esterni allo Stato-soggetto i partiti politici, i sindacati e
ogni altra figura soggettiva non compresa nell'apparato statale.

Gli organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono: essi sono gli organi
costituzionali che sono posti al vertice di ciascun potere. Si era posto il problema se fossero soltanto questi gli organi
competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere a cui appartengono: per quanto riguarda il potere
giudiziario, il problema si è risolto positivamente, mentre per quanto riguarda gli altri poteri, la cerchia è molto più
ampia di quella degli organi supremi e deve essere individuato caso per caso.
In conclusione si può dire che nel conflitto di cui si discute possono essere parti sia poteri strutturati in un solo organo
(poteri organo: Presidente della Repubblica, Corte costituzionale), sia organi minori di un singolo potere, competente
dichiarare definitivamente la volontà del potere al quale appartengono (organi poteri).

Quando si ha un conflitto di questo genere:


 perché sorga un conflitto di attribuzione, la sfera di attribuzioni degli organi configgenti deve essere delimitata
da norme costituzionali. La Corte risolve il conflitto sottoposto al suo esame dichiarando il potere al quale
spettano le attribuzioni in contestazione e, ove sia emanato un atto viziato da incompetenza, lo annulla.
 Deve trattarsi di un conflitto tra organi appartenenti a poteri diversi che ha per oggetto l'attribuzione di
una competenza. Ciò significa che la determinazione della sfera di attribuzioni ad opera della Costituzione può

9
i poteri dello Stato sono: legislativo, esecutivo e giudiziario; presidente della Repubblica; Corte Costituzionale; corte dei conti;
frazione del corpo elettorale.
98
anche non essere netta ed inequivocabile e che per questo l'organo che lamenta la lesione della sfera di competenza
adisca la Corte perché dichiari il potere al quale spetta l'attribuzione. Un esempio: il Parlamento adisce la Corte
sostenendo che il Presidente della Repubblica non poteva ratificare un trattato senza l'autorizzazione delle Camere.
 Il conflitto può sorgere quando un organo non rivendica a sè la competenza a compiere un determinato atto, ma
denuncia che il comportamento omissivo di un altro organo od un suo atto abbiano menomato la sua competenza o
abbia impedito l'esercizio (conflitto da menomazione). Un esempio: le Camere lamentano che il Presidente della
Repubblica non promulgando una legge entro un mese dall'approvazione ha impedito la tempestiva entrata in
vigore della legge, rendendo in tal modo vano l'esercizio della loro competenza.

Sull'ammissibilità del conflitto la Corte decide in Camera di consiglio con ordinanza e risolve il conflitto dichiarando
il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione, ove sia stato emanato un atto viziato di incompetenza, lo
annulla.

B) TRA STATO E REGIONI E FRA REGIONI

Questo conflitto può sorgere quando:


 Una Regione invade con un suoi atto la sfera di competenza assegnata dalla Costituzione allo Stato
 Quando lo Stato invade con suoi atto la sera di competenza costituzionale di una Regione.

Anche in questo caso:


 deve trattarsi di una sfera di competenza statale o regionale delimitata dalla Costituzione
 perché sorga conflitto si deve avere una invasione della sfera di competenza
 Il conflitto può sorgere in seguito all'emanazione di un atto. Nella prassi invece non è così perché la Corte
costituzionale ha allargato le ipotesi di conflitto, ritenendo che questo possa anche sorgere
 in seguito all'emanazione di una circolare,
 in seguito all'emanazione di qualunque atto, in qualsiasi modo posto in essere, con o senza elementi
rigorosamente formali, ma l’atto deve contenere una chiara manifestazione di volontà con la quale si affermi il
diritto di esercitare un potere per competenza propria.
 quando, pur non essendo contestata l'appartenenza del potere, il cattivo uso che se ne fatto configuri una
menomazione delle competenze costituzionalmente garantite al soggetto ricorrente.
 quando attraverso un comportamento significante si è avuto l'indebito rifiuto dell'emanazione di un atto.

Importante ricordare che, perché possa sorgere conflitto di attribuzione tra Stato
e Regioni, la lesione della sfera di competenza non deve essere operata da una
legge o da un atto avente forza di legge, perché in tal caso rientreremmo nelle
ipotesi di controversie di legittimità costituzionale, risolte dalla Corte nel giudizio
in via principale. Ne consegue che l'atto che da luogo al conflitto può essere un
qualunque atto che non sia una legge formale dello Stato o di una Regione oppure
un atto avente forza di legge.

In conclusione si può dire che un conflitto tra i poteri può sorgere quando un
atto con un comportamento, che si assume illegittimo, provochi un pregiudizio
al ricorrente o perché interviene nella sfera di competenza in tutto o in parte a
lui riservata oppure perché gli impedisce di esercitare proprie attribuzioni ed
ostacola l'efficacia dei suoi atti oppure perché ne turba in qualche modo
l'indipendenza sul piano strutturale come potere dello Stato.

Risoluzione del conflitto: nella sentenza con la quale risolve il conflitto, la Corte costituzionale dichiara a quale dei
due enti spetta e, se è stato emanato un atto viziato da incompetenza, lo annulla

99
SEZIONE 3: IL GIUDIZIO SULLE ACCUSE

PARAGRAFO 1: IL PROCEDIMENTO

LA DELIBERAZIONE: La deliberazione della messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica è adottata
dal Parlamento in seduta comune su relazione di un comitato formato dai componenti della giunta del Senato della
Repubblica e da quelli della giunta della camera dei deputati competenti per l'autorizzazione a procedere.
La deliberazione è adottata a scrutinio segreto.
Il Parlamento in seduta comune, nel porre in stato di accusa il Presidente della Repubblica, elegge anche tre suoi
componenti, uno o più commissari per sostenere l'accusa, i quali esercitano innanzi alla Corte costituzionale le
funzioni di pubblico ministero.

COMPOSIZIONE DELLA CORTE NEI GIUDIZI DI ACCUSA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA:
In questi giudizi intervengono, oltre giudici ordinari della Corte, 16 membri tratti a sorte da un elenco di cittadini
aventi i requisiti per l'eleggibilità a senatore, che il parlamento in seduta comune compila ogni nove anni mediante le
elezioni con le stesse modalità per l'elezione di giudici ordinari (art. 135 ultimo comma).
Il collegio giudicante deve in ogni caso essere costituito da almeno 21 giudici, dei quali i giudici aggregati devono
essere in maggioranza.
Il Presidente della Corte costituzionale provvede al compimento degli atti di indagine necessari, compreso
l'interrogatorio dell'imputato, ma anche alla relazione.

VOTAZIONE: nelle votazioni per la deliberazione della sentenza, il Presidente della Corte raccoglie i voti
cominciando dal giudice meno anziano che vota per ultimo. In caso di parità di voti prevale l'opinione più favorevole
all'accusato .

SENTENZA: chiuso il dibattimento, la Corte si riunisce in camera di consiglio senza interruzione alla presenza dei
giudici ordinari ed aggregati presenti a tutte le udienze in cui si è svolto il giudizio; i giudici ordinari ed aggregati che
costituiscono il collegio giudicante continuano a farne parte fino all'esaurimento del giudizio, anche se è sopravvenuta
la scadenza del loro incarico. Nelle votazioni per deliberare la sentenza non sono ammesse astensioni. In caso di
parità di voti prevale l'opinione più favorevole all'accusato.
La sentenza è irrevocabile, ma può essere sottoposta a revisione se dopo la condanna si scoprono nuovi fatti o nuovi
eventi di prova per i quali rendono evidente che il fatto non sussiste o che il condannato non lo ha commesso.

PARAGRAFO 2: CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

La Corte ha sicuramente una forza politica che viene espressa dai poteri che le vengono attribuiti. La Corte infatti è il
supremo giudice:
 Della legittimità costituzionale delle leggi statali, regionali e provinciali e degli atti equiparati alle leggi
 Dei conflitti tra poteri dello Stato per quanto riguarda la delimitazione costituzionale delle loro attribuzioni e al
modo di esercizio delle stesse .
 Dei conflitti tra Stato e Regioni.
 Dei reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione commessi dal Presidente della Repubblica .
 Dell'ammissibilità della richiesta del referendum abrogativo.

Pertanto alla Corte spetta l'interpretazione ultima della costituzione. Tutte queste funzioni possono essere ricondotte
ad un principio fondamentale unitario, cioè garantire e rendere operante il principio di legalità.
Il ruolo della Corte e la sua forza politica sono stati però accentuati in seguito all'inerzia e alle inadempienze
costituzionali delle maggioranze che hanno assunto il governo: infatti, è spettato alla Corte sostituirsi alle assemblee
legislative e al Governo e smantellare a colpi di sentenza il sistema legislativo anteriore alla Costituzione. Altre volte,
la Corte è intervenuta per dichiarare l'illegittimità costituzionale di leggi successive alla Costituzione e lesive di valori
fondamentali in essa contenuti.
Perciò, la forza politica della Corte scaturisce proprio dal fatto che oggi la Costituzione italiana risulta essere in buona
parte quella che la Corte ha statuito che sia, per cui molti suoi articoli vanno letti, interpretati e attuati alla luce delle
sentenze costituzionali. Per cui, sempre in conclusione che la Corte si sia ormai inserita nel circuito di indirizzo
politico condizionandolo nelle sue varie fasi. La Corte, infatti, nel nostro attuale sistema politico, ha occupato uno
spazio che la caratterizza ormai come soggetto politico proprio per le sue inappellabili decisioni, per la rilevanza che
assumono le motivazioni delle sue sentenze, per la tendenza a sostituirsi al legislatore inadempiente, per cui alla Corte
sono oggi affidati poteri sostanziali di indirizzo politico.
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CAPITOLO 1: LE LIBERTÀ

Nel corso della storia, il concetto di libertà è stato uno dei più condizionati: basti pensare ai diversi modi in cui gli
uomini sono stati o si sono sentiti liberi nei vari periodi storici e sotto i più vari regimi politici.
La libertà degli antichi consisteva nell'esercitare collettivamente, ma direttamente, la sovranità, mentre l'individuo era
talmente assoggettato alla comunità che ne controllava e guidava tutte le attività private.
Le libertà dei moderni, invece, si distinguono in libertà negative, con le quali viene garantita e riconosciuta una sfera
di autonomia dei cittadini nei confronti di pubblici poteri (libertà dallo Stato), e libertà positive, che sono libertà
dell'individuo all'interno delle formazioni sociali delle quali è entra a far parte (libertà nello Stato).
Strettamente connesso al concetto di libertà è quello di autonomia: entrambi i concetti esprimono l'idea della
relazione, cioè si è liberi nei confronti o rispetto a qualcosa. Quindi si c'è liberi o autonomi solo se si può, al riparo da
interferenze esterne, esprimere e selezionare i propri interessi e predisporre i moduli e le procedure idonei a comporre
e soddisfare gli interessi selezionati, ma per fare ciò è necessario che la misura e i limiti entro i quali si è liberi o
autonomi vengano predeterminati dall'ordinamento giuridico, cui spetta di dettare le regole di condotta ed
organizzative e di comporre i conflitti tra gli interessi.
All'interno delle libertà e delle autonomie rinveniamo:
- l'aspetto formale: la libertà e l'autonomia non esistono in assoluto, ma trovano il loro limite da un lato nella libertà
e nell'autonomia degli altri soggetti, e dall'altro nell'interesse generale.
- l'aspetto sostanziale: libertà ed autonomia sono quelle effettivamente vigenti nella misura ed entro i limiti in cui le
condizioni economiche e sociali dei soggetti ai quali vengono attribuite le rendono, di fatto, operanti.
C'è da sottolineare il rapporto libertà-autonomia e uguaglianza sostanziale, in quanto non si possono garantire le
prime, se al tempo stesso non si muovono gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono o ne limitano
l'effettivo esercizio.

SEZIONE 1: IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA

L'EGUAGLIANZA FORMALE
Art. 3, comma 1 " tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti
alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali".

La norma si riferisce non solo ai cittadini, ma in alcuni casi, anche agli stranieri e agli apolidi.
La pari dignità sociale significa che non esistono più distinzioni in base al titolo, al grado, all'appartenenza ad una
classe sociale, ma l'unico titolo di dignità, in una Repubblica fondata sul lavoro, è da rinvenire nello svolgimento di
una attività o di una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società (art. 4, comma 2).
Tra le leggi che hanno dato attuazione al principio di uguaglianza formale ci sono:
-L. 205/93, che punisce penalmente chi incita a commettere discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o
religiosi.
- L. 903/77, che riguarda la parità uomo-donna in materia di lavoro.

È importante sottolineare, però, che il principio di uguaglianza non significa assoluta parità di trattamento, perché
prima di tutto ci sono delle circostanze obiettive che impediscono che ciò avvenga; in secondo luogo, è la stessa
Costituzione che ha apportato delle deroghe al principio, ritenendo che esso dovesse cedere di fronte ad un altro
valore riconosciuto come prevalente [ è il caso dell'art. 29, dove l'uguaglianza morale e giuridica dei conti può essere limitata
dalla legge a garanzia dell'unità familiare; l'art. 68 e 122, che sottrae i parlamentari e i consiglieri regionali alla responsabilità
civile, penale ed amministrativa per le opinioni espresse ed i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni; l'art. 98, che prevede la
possibilità di stabilire con legge limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per alcune categorie di cittadini ]; in terzo
luogo, non ci può essere parità di trattamento, perché se così fosse, contraddirebbe se stesso: non è nemmeno
pensabile che situazioni diverse vengano trattate in modo uguale. Per questo l'art. 3 mira ad impedire che a danno dei
cittadini siano operate dalle leggi discriminazioni arbitrarie, ma alla disposizione non obbliga il legislatore a fissare
per tutti una identica disciplina. In questo modo gli è consentito adeguare le norme giuridiche e ai vari aspetti della
vita sociale e, di conseguenza, di dettare norme diverse per situazioni diverse. Il legislatore potrà derogare a questo
101
solo se ricorrono logiche e razionali giustificazioni, ma alla discrezionalità legislativa trova sempre un limite nella
ragionevolezza delle statuizioni, che mirano a giustificare la disparità di trattamento.
Tali statuizioni devono soddisfare tre esigenze diverse:
1) la salvaguardia della discrezionalità del legislatore
2) la tutela del principio di pari trattamento in situazioni uguali
3) il bilanciamento dei valori costituzionali diversi e contrastanti, allo scopo di individuare un equilibrio valido per la
fattispecie normativa considerata.

Il principio di eguaglianza si applica anche a situazioni di fatto diverse da quelle espressamente indicate nell'art. 3,
perchè in primo luogo il costituente ha già precisato le situazioni che non ammettono disparità di trattamento; in
secondo luogo, la legge può operare discriminazioni tra i cittadini che si trovino in situazioni diverse da quelle
previste nell'art. 3 o parificarle tra di loro tutte le volte che la disparità o la parità di trattamento trovino il loro
fondamento in motivi logici e razionali o si rendano necessarie per il perseguimento dei fini costituzionali.

Destinatari della norma:


Legislatore
Amministratori e giudici, che sono chiamati ad osservarla in sede di attuazione e applicazione della legge
Persone giuridiche
Associazioni di fatto
Rapporti di diritto privato.

Applicazione del principio di uguaglianza formale:


art. 8: uguale libertà di tutte le confessioni religiose
art. 29: uguaglianza formale e giuridica dei coniugi
Art. 37: uguaglianza di diritti e, a parità di lavoro, di retribuzione tra lavoratori, lavoratrici e minori
Art. 51: uguaglianza dei cittadini di entrambi i sessi nell'accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive.

L'UGUAGLIANZA SOSTANZIALE
Art. 3, comma 2 " è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza di
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori e all'organizzazione politica, economica e
sociale del paese ".

In questo comma, il costituente ha riconosciuto che non è sufficiente stabilire il principio dell'uguaglianza giuridica
dei cittadini quando esistono ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la loro libertà ed
uguaglianza, impedendo che siano effettive. Per questo motivo ha assegnato alla Repubblica il compito di rimuovere
questi ostacoli, affinché tutti i cittadini siano posti sullo stesso punto di partenza, abbiano le stesse opportunità,
possano godere tutti alla pari degli stessi diritti loro formalmente riconosciuti dalla Costituzione (il principio di
uguaglianza ha carattere programmatico).
Il principio di uguaglianza sostanziale mira:
A promuovere il pieno sviluppo della persona umana
A promuovere la partecipazione di tutti i cittadini all'organizzazione politica, economica e sociale del paese in un
regime di effettiva libertà ed uguaglianza.
In questo modo, le discriminazioni che ci saranno tra i cittadini saranno dovute non alle loro condizioni economiche e
sociali, bensì alle loro capacità naturali (come chi, pur potendo lavorare, non vuole farlo).

Leggi che hanno dato attuazione al principio di uguaglianza sostanziale:


-L. 125/91, che ha realizzato la parità uomo-donna nel lavoro
- L. 81/93, che riguarda le condizioni di pari opportunità tra uomo e donna e che devono essere previste negli statuti
comunali e provinciali.

La L. Cost. 1/2003 ha modificato l'art. 51 della Cost., stabilendo al primo comma che " tutti i cittadini dell'uno e
dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i
requisiti stabiliti dalla legge. (la legge costituzionale ha aggiunto) a tal fine la Repubblica promuove con appositi
provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.

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Altre norme contenenti principi in esame sono gli articoli 4, 24, 34, 36, 38, 41, 44: questi articoli che lo specificano in
relazione a determinate situazioni, pongono alcuni limiti all'autonomia privata e per tutelare la libertà e la dignità della
persona umana, per stabilire e qui rapporti sociali e per imporre a carico dello Stato obblighi a favore di categorie di
cittadini che si trovino in particolari condizioni di inferiorità economica e sociale.

SEZIONE 2: I DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI

I DIRITTI PUBBLICI SOGGETTIVI E LE LIBERTÀ


Il riconoscimento giuridico delle libertà segna il passaggio dallo Stato assoluto allo Stato di diritto e segna anche la
conquista della qualità di cittadino da parte di chi prima era considerato solo suddito. Tuttavia, il riconoscimento delle
libertà necessita anche di tutta una serie di garanzie dirette a stabilire di limiti invalicabili all'attività dello Stato.
Una prima forma di garanzia era costituita dalla riserva di legge, che doveva assicurare i cittadini contro gli arbitri
dell'esecutivo, ma ben presto ci si accorse che tale garanzia era solo apparente, perché il legislatore poteva
determinare entro quali limiti le libertà erano riconosciute potevano essere esercitate. Per questo motivo le norme
nelle quali le libertà erano enunciate hanno via via assunto un contenuto più preciso per quanto riguarda le materie
riservate. Inoltre, la riserva di legge è stata resa più efficace con il conferimento del carattere rigido alle costituzioni e
con la previsione di un sindacato sulla legittimità costituzionale delle leggi, prevedendo a volte anche delle riserve di
rafforzate.
A questo punto la libertà dallo Stato (o libertà negative) diventano l'oggetto di un vero e proprio diritto soggettivo,
assistito da precise garanzie e pienamente azionabile nei confronti dei pubblici poteri: le libertà, cioè, diventano diritti
inviolabili o diritti assoluti.
Le libertà riconosciute e garantite dalla legge consistono nella pretesa a ad un comportamento omissivo dello Stato,
costituiscono l'oggetto di un diritto soggettivo e quindi si configurano come interesse protetto in via diretta ed
immediata dall'ordinamento giuridico. Inoltre, pretendono anche un comportamento attivo dei pubblici poteri,
tendente a dare attuazione al principio costituzionale di uguaglianza sostanziale e perciò ad assicurare il pieno
sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i cittadini al governo dello Stato (libertà nello Stato).

Alcuni dei diritti soggettivi pubblici costituzionalmente garantiti non hanno, però, per oggetto una libertà :
Diritto alla difesa: la Costituzione nell'art. 24 lo definisce inviolabile in ogni stato e grado ed è strettamente
connesso al diritto di tutti di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa consiste
nella possibilità di resistere in un giudizio, sia personalmente, sia per mezzo di un difensore. Da ciò deriva anche il
diritto dell'imputato all'assistenza di un difensore nella fase dell'interrogatorio, il diritto di essere ascoltati prima
dell'emanazione di un provvedimento definitivo e il diritto alla notificazione degli atti processuali quale strumento
necessario ed indispensabile per instaurare il contraddittorio.
La Costituzione, all'art. 24 comma 3 si preoccupa di rendere effettivo il diritto in esame è disponendo che devono
essere assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
Inoltre, la L. costituzionale 2 /99 ha introdotto nell'art. 111 principi molto dettagliati per garantire un giusto processo
penale e per rendere effettivo il diritto alla difesa dell'imputato o dell'indagato:
- la persona accusata di un reato deve essere, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e
dei motivi dell'accusa elevata a suo carico.
- deve avere il tempo necessario e le condizioni necessarie per preparare la sua difesa.
- deve avere la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo
carico .
- deve poter ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e
l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore
- Deve essere assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo
- Deve essere garantito nella sua pienezza il principio del contraddittorio nel processo: non si può provare la
colpevolezza dell'imputato sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente
sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato del suo difensore. Si può fare a meno del contraddittorio per consenso
dell'imputato, per accertata impossibilità di natura oggettiva, per effetto di provata condotta illecita.

diritto di voto: (art. 48 Cost.) è il diritto ad essere iscritto nelle liste elettorali e a partecipare alle elezioni degli
organi rappresentativi dello Stato e degli enti pubblici territoriali e a votare nei vari referendum.
Diritto di petizione: (art. 50 Cost.) tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle camere per chiedere
provvedimenti legislativi può esporre comuni necessità. La petizione è uno degli istituti di democrazia diretta.

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Diritto all'accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive: (art. 51) consiste nel diritto a porre la propria
candidatura nelle elezioni politiche ed amministrative e a partecipare ai pubblici concorsi .
In questo diritto bisogna distinguere : lo ius ad ufficium, che consiste nel diritto ad essere investito della carica
elettiva e dell'ufficio in seguito ad un regolare atto di elezione e di nomina , e lo ius in officio, che consiste nel diritto
ad essere mantenuto nella carica elettiva e nell'ufficio ed esercitare le relative funzioni .
il diritto, per chi è chiamato a svolgere funzioni pubbliche elettive, di disporre del tempo necessario al loro
adempimento e di conservare il proprio posto di lavoro (art. 51 comma 3)

I DOVERI COSTITUZIONALI
La Costituzione, nel disciplinare i rapporti tra i singoli e pubblici poteri prevede anche una serie di prestazioni e
comportamenti, il cui adempimento, per la sua necessarietà e rilevanza sociale, è considerato un dovere.
La Costituzione impone ai cittadini i seguenti doveri:
Dovere di fedeltà alla Repubblica (art. 54 Cost.): questo dovere implica fedeltà ai principi dello Stato
Repubblicano e di osservare la Costituzione e le leggi; nel caso in cui siano loro affidate funzioni pubbliche, code che
hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
Dovere di difendere la patria (art. 52 Cost.:) :la difesa della patria è sacro dovere del cittadino. Ad esso si adempie
col prestare servizio militare e con la resistenza individuale o collettiva contro le forze militari straniere che abbiano
occupato il territorio italiano o parte di esso.
Dovere di prestare servizio militare (art. 52, comma 2): " il servizio militare è obbligatorio nei limiti e nei modi
stabiliti dalla legge. il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino né l'esercizio dei diritti
politici ".
Con la L. 230 / 98 è stata disciplinata ex novo la materia dell'obiezione di coscienza al servizio militare. I cittadini che
per obbedire alla loro coscienza non accettano l'arruolamento nelle forze armate e nei corpi armati dello Stato, hanno
il diritto di adempiere gli obblighi di legge prestando il servizio civile, diverso per natura e autonomo dal servizio
militare, ma come questo rispondente al dovere costituzionale di difesa della patria. In seguito a tale legge è stato
eliminato ogni potere discrezionale nella valutazione delle domande per ottenere il servizio civile sostitutivo. Gli
uffici di lega dovranno solo accertare che non sussistono determinate cause ostative:
- essere titolari di licenze per l'uso delle armi
- l'aver presentato da meno di due anni domanda per prestare servizio militare nelle forze armate e o in altri corpi
militari o armati dello Stato
- essere stati condannati per uso, trasporto, importazione o esportazione abusivi di armi o materiali esplodenti
- essere stati condannati per delitti non colposi commessi mediante violenza
- essere stati condannati per delitti riguardanti l'appartenenza a gruppi eversivi o di criminalità organizzata.
Il servizio civile ha la stessa durata del servizio militare e ad esso è parificato per gli effetti previdenziali, assicurativi
o amministrativi.
La L.331/2000, attuata con d. lgs.215/2001 prevede una progressiva sostituzione in sette anni, del servizio militare
obbligatorio di leva con il servizio volontario in ferma prefissata. Il servizio militare rimane obbligatorio in caso di
guerra o in caso di gravi crisi internazionale che coinvolge direttamente o indirettamente l'Italia.
La L.64/2001 ha creato poi il servizio civile nazionale, che ha la finalità di difendere la patria con mezzi non militari,
solidarietà sociale, cooperazione internazionale e salvaguardia dell'ambiente e del territorio.
Dovere al lavoro (art. 4, comma 2): il cittadino non solo ha il diritto di avere un lavoro, ma anche il dovere di
svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso
materiale e spirituale della società.
Dovere di prestazioni patrimoniali: tutti hanno il dovere di concorrere alle spese pubbliche, mediante il pagamento
di tributi, in ragione della loro capacità contributiva. In applicazione del principio di uguaglianza sostanziale e del
principio di solidarietà sociale, le aliquote delle imposte devono esser tanto più alte quanto più alto è il reddito
imponibile e tanta più alta la capacità contributiva.
Dovere di voto: l'art. 48 lo definisce come dovere civico, perché l'adempimento di questo dovere è affidato più alla
coscienza civica degli elettori che ha alla obbligatorietà della relativo comportamento.
Doveri sociali: trovano tutti i loro fondamento nell'art. 2 della Cost., a norma del quale la Repubblica " richiede
l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale ". Tali doveri sociali sono
specificati in altre disposizioni della Costituzione come gli articoli 4, 53 e 54.

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SEZIONE 3: LE LIBERTÀ NEGATIVE

Le libertà negative consistono nella garanzia che nessun altro soggetto, compreso lo Stato, possa intromettersi nella
sfera giuridica o nell'ambito di vita dell’individuo, il quale pertanto può determinarsi come meglio crede. Esse
assicurano all'individuo una sfera di autonomia che lo Stato non può sopprimere, ma solo delimitare e circoscrivere
quanto alle modalità di esercizio. Le libertà negative sono garantite erga omnes. La Costituzione predispone una serie
di garanzie a salvaguardia di tali libertà, stabilendo che possono subire delle limitazioni solo nei casi e nei modi
previsti dalla legge ed in seguito ad un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria, per motivi di sanità, di
sicurezza o di incolumità pubblica.
Le libertà negative rientrano tra i diritti inviolabili che l'art. 2 Cost. riconosce e garantisce all'uomo sia come singolo
sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.
L'inviolabilità dei diritti di libertà, pertanto, costituisce un limite:
- alla revisione costituzionale: non sarà possibile prevedere la soppressione o la riduzione delle garanzie che le
assistono.
- al legislatore ordinario, il quale, nel disciplinare l'esercizio di queste libertà, dovrà assicurare la loro massima
espansione, compatibilmente con l'interesse generale.

LA LIBERTÀ PERSONALE (ART. 13 COST.)


Art. 13: " la libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né
qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'autorità
giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di
pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati
entro 48 ore all'autorità giudiziaria e, se questa non convalida nelle successive 48 ore, si
intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
È punita ad ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di
libertà.
La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.

Nozione: consiste nella libertà della persona fisica da ogni coercizione che ne impedisca o limiti i movimenti e le
azioni. Essa comprende anche:
- la libertà morale: è la pretesa dei singoli all'autodeterminazione e alla integrità della propria coscienza, che non deve
essere coartata, direttamente o indirettamente, con minacce o intimidazioni, al fine di annientare la volontà che
renderle acquiescenti ai comandi dei governanti.
- la libertà di disposizione del proprio corpo.

Limitazioni della libertà personale: la libertà personale può essere limitata solo nei casi e nei modi previsti dalla
legge e per atto motivato dell'autorità giudiziaria.
Modi di limitazione:
Detenzione
ispezione
perquisizione
custodia cautelare
arresto o di polizia di chi è colto in flagranza di un delitto
il fermo degli indiziati di diritto.
Il nuovo codice di procedura penale ha maggiormente garantito la libertà personale dell'imputato: ora il ruolo del
pubblico ministero è nettamente distinto da quello del giudice, il quale è l'unico organo competente a pronunciarsi non
solo sulla colpevolezza e sull'innocenza dell'imputato, senza partecipare alla raccolta di prove, ma anche sulle misure
cautelari coercitive della libertà personale. Il pubblico ministero, invece, non può emettere provvedimenti restrittivi
della libertà personale, che sono di competenza del g.i.p..
Inoltre, non è più previsto il mandato di cattura obbligatorio. Infatti, anche nel caso di commissione di reati
particolarmente gravi, il giudice potrà, in relazione alle circostanze del caso, non disporre la cattura.
In caso di necessità e urgenza tassativamente indicati dalla legge, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria
possono adottare provvedimenti provvisori restrittivi della libertà personale, ma entro 48 ore devono essere

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comunicati all'autorità giudiziaria che deve convalidarli. Se entro le 48 ore successive non convalida i provvedimenti
provvisori, essi si intendono revocati e restano privi di effetto.

Altre garanzie della libertà personale:


- è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni di libertà.
- La legge stabilisce i limiti massimi alla carcerazione preventiva e quali sono fissati in relazione alla gravità del reato.
- Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del
condannato.
- Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.
- Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
- l'estradizione del cittadino può essere consentita solo se espressamente prevista dalle convenzioni internazionali e
non può in alcun caso essere ammessa per reati politici.
- contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o
speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma solo per le
sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.

LA LIBERTÀ DI DOMICILIO E IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA


(ART. 14 COST.)
LIBERTÀ DI DOMICILIO

Art. 14 " il domicilio è inviolabile.


Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei
casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela
della libertà personale.
Accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a
fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali. ".

Per domicilio non si intende il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi, ma
anche qualunque luogo, isolato dall'ambiente esterno, in cui la persona esplica la propria vita privata e professionale.
Per domicilio deve intendersi anche la sede delle persone giuridiche o degli enti di fatto.
La libertà di stabilire il domicilio è una delle più importanti espressioni della libertà personale. La Costituzione ha
voluto tutelare nel modo più ampio il diritto dell'uomo ad avere una propria sfera privata, parzialmente delimitata,
entro la quale egli possa svolgere, nella massima riservatezza e senza interferenze esterne, ogni è attività individuale.
In questo modo la libertà di domicilio tutela anche la privacy e il diritto alla riservatezza.
Per quanto riguarda le garanzie per la libertà di domicilio, esse sono uguali alle garanzie previste per la libertà
personale. Infatti l'autorità di pubblica sicurezza non può entrare nel domicilio per eseguire ispezioni, perquisizioni o
sequestri se non nei casi stabiliti dalla legge e in seguito ad atto motivato dell'autorità giudiziaria. In caso di necessità
e urgenza, l'autorità di pubblica sicurezza può limitare la libertà di domicilio, ma entro 48 ore deve dare
comunicazione dei provvedimenti adottati all'autorità giudiziaria, la quale deve 48 ore e convalidarle, altrimenti i
provvedimenti si intendono revocati che restano privi di ogni effetto.
Inoltre, il comma 3 dell'art. 14 prevede che leggi speciali possono disporre che accertamenti ed ispezioni per motivi di
sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali possano avvenire senza l'intervento dell'autorità giudiziaria.
In questo caso, la deroga alla garanzia della libertà domiciliare è giustificata dalla necessità di tutelare il prevalente
interesse generale.

TUTELA DEL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA:


è prevista nell'art. 615 bis del codice penale, il quale punisce chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o
sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nelle abitazioni altrui o in
altro luogo di privata dimora, o chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione le immagini ottenute
come sopra.
Inoltre, la diffusione delle comunicazioni informatiche e l'istituzione di numerose banche dati che raccolgono
informazioni, spesso riservate, riguardante gli individui ha fatto sorgere la necessità di una adeguata tutela della
privacy e è della riservatezza dei cittadini.
Sul piano normativo il d. lgs. 30 giugno 2003 numero 196, entrato in vigore il primo gennaio 2004, disciplina il
trattamento dei dati personali accogliendo l’intera materia in un’unica fonte. Esso ha abrogato, tra le altre, pure la L.
675/96, conosciuta per aver introdotto e reso effettivo nell’ordinamento italiano il diritto alla tutela della riservatezza.
Per trattamento dei dati personali si intende qualunque operazione o complesso di operazioni, svolto con o senza
l'ausilio di mezzi elettronici o comunque automatizzati, concernente la raccolta, la registrazione, la modificazione, la
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selezione, il confronto, l'utilizzo, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione dei dati. La materia
coinvolge valori costituzionali contrapposti (quali il diritto alla riservatezza e alla propria identità personale,
l'iniziativa economica, il diritto di cronaca, il buon andamento della pubblica amministrazione) e impone un adeguato
bilanciamento degli stessi. La disciplina, che assicura una protezione molto ampia della privacy, si estende ai
trattamenti di dati personali da chiunque effettuati nel territorio dello Stato, fatta eccezione per quelle a fini
esclusivamente personali e per alcuni trattamenti operati in ambito pubblico, come quelli concernenti finalità di
difesa, sicurezza e giustizia. Per poter effettuare un trattamento, la persona fisica o giuridica, pubblica o privata, cui
competono le decisioni in ordine alle finalità e modalità dello stesso (chiamata titolare del trattamento) deve darne
notificazione al garante per la protezione dei dati personali (che è una autorità che opera in piena autonomia e con
indipendenza di giudizio e di valutazione. È formato da quattro membri, eletti due dalla Camera e due dal Senato.
Devono essere scelte persone esperte è e di riconosciuta competenza in materia di diritto e dell'informazione) e
richiedere il consenso espresso e documentato per iscritto dell'interessato, che deve essere informato:
- delle finalità e delle modalità del trattamento
- della natura, obbligatoria o facoltativa, del conferimento dei dati e delle conseguenze di un eventuale rifiuto a
rispondere
- dei soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati possono essere comunicati e i loro ambito di diffusione
- dei dati identificativi del titolare del trattamento e del responsabile preposto allo stesso
- dei diritti spettanti all'interessato.
Una particolare attenzione è stata rivolta, proprio nel nuovo codice, al trattamento dei dati effettuato mediante sistemi
informatici o telematici, anche in considerazione della particolare facilità con cui è possibile acquisire dati personali
attraverso Internet.
Un esempio. Sulle pagine Web si incontrano con molta frequenza moduli on-line da compilare col proprio indirizzo e-mail o con
altri dati personali per permettere l’invio o la ricezione di messaggi, o per ricevere una newsletter.
L’indirizzo e-mail, in quanto informazione riferibile ad un individuo, è considerato dalla legge un dato personale e per tale motivo
deve essere acquisito solo previo consenso dell’interessato, e deve essere trattato e conservato secondo la normativa vigente.
Dati personali, in accordo con la definizione data dalla legge, sono pure: il nome, il cognome, l’indirizzo, il numero di
telefono, il numero di ICQ e ogni altra informazione che, anche indirettamente, attraverso il riferimento incrociato con
altre informazioni, consenta l'identificazione dell'utente (ad esempio un nick name o uno user ID).
Ulteriori limitazioni sono poi previste per quella particolare categoria di dati personali, detti "dati sensibili", idonei
cioè a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche,
l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale,
nonché i dati personali idonei a rivelare lo Stato di salute e la vita sessuale.
In tutti i casi in cui vengono acquisiti, conservati o trattati dei dati personali attraverso Internet, è necessario
adempiere ad una serie piuttosto articolata di prescrizioni.
Nella pratica, si deve preventivamente verificare se sussiste l’obbligo di notificare il trattamento al Garante (tale
obbligo riguarda ora le sole ipotesi di trattamento previste dall’art. 37 del D.lgs. 196/03). Poi si deve predisporre
un'informativa da rivolgere all'utente e contenente le informazioni indicate dalla norma. Infine, si deve acquisire il
consenso dell’utente al trattamento dei dati personali, in una delle forme prescritte dalla legge.
Inoltre, nel caso in cui il trattamento avvenga con strumenti elettronici, la normativa impone la predisposizione di un
documento programmatico sulla sicurezza da aggiornare annualmente e da riportare nella relazione accompagnatoria
del bilancio d'esercizio.
Anche per la conservazione dei dati, è necessario seguire particolari procedure, analiticamente descritte nella
documentazione allegata al nuovo codice di tutela della privacy e volte a limitare il più possibile l’accesso ai dati
stessi da parte di estranei. Tali procedure sono definite dalla normativa misure minime di sicurezza e sono vincolanti
per tutti i soggetti che acquisiscono e trattano dati personali.
La violazione delle norme dettate in materia di privacy, oltre alle richieste di risarcimento degli utenti eventualmente
danneggiati, può giungere a determinare gravi sanzioni di tipo penale o amministrativo (sino a 3 anni di reclusione e
sino a 90.000 Euro di sanzione).

LA LIBERTÀ E LA SEGRETEZZA DELLA CORRISPONDENZA (ART.


15 COST.)
Art. 15 Cost. " la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra
forma di comunicazione sono inviolabili.
La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità
giudiziaria ha con le garanzie stabilite dalla legge ".

Per corrispondenza si intende quella epistolare, telegrafica e telefonica.


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Il primo comma dell'art. 15 della Cost. stabilisce che i pubblici poteri non possono impedire che persone distanti
comunichino tra loro o limitino la loro libertà di comunicare e conoscere l'oggetto della comunicazione.
La segretezza della corrispondenza è tutelata anche nei confronti dei privati. Il codice penale punisce chiunque
sottragga o sopprima la corrispondenza a lui non diretta, oppure chi fraudolentemente prenda cognizione di una
comunicazione o conversazione telegrafica o telefonica, oppure chi installa, fuori dai casi consentiti dalla legge,
apparati o strumenti per intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni per telegrafiche o telefoniche tra altre
persone.

Limitazioni alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione: possono
avvenire mediante sequestro o intercettazione telefonica, che devono essere disposti con atto normativo dell'autorità
giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
Non è ammesso l'intervento della polizia giudiziaria senza il preventivo decreto dell'autorità giudiziaria, tranne nel
caso di necessità e urgenza. In questi casi bisogna dare comunicazione entro 48 ore all'autorità giudiziaria, la quale
deve convalidare i provvedimenti entro le successive 48 ore, altrimenti essi si intendono revocati e restano privi di
ogni effetto.
Il codice di procedura penale ha disciplinato in modo più rigoroso la facoltà di impedire, interrompere o intercettare
comunicazioni o conversazioni telefoniche e di altre forme di comunicazione: infatti ha disposto che ciò può avvenire
solo in caso di indagini relative ad alcuni reati e qualora l'intercettazione sia assolutamente indispensabile ai fini della
prosecuzione delle indagini.
Altre limitazioni riguardano detenuti, falliti, persone in stato di clemenza; il sequestro negli uffici postali e telegrafici
di lettere, pieghi, pacchi, valori e telegrammi che il giudice ritenga spediti dall'imputato o a lui diretti o che comunque
possano avere relazione con il reato.

LA LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE E DI SOGGIORNO (ART. 16 COST.)


Art. 16 " ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi
parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via
generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere
determinata da ragioni politiche.
Ogni cittadino che è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di
rientrarvi, salvo gli obblighi di legge. "

Nozione: consiste nella libertà di ogni cittadino di fissare il proprio domicilio o la propria residenza o soltanto di
dimorare e nella libertà di circolare in qualsiasi parte del territorio.

I limiti: a norma dell'art. 16 Cost., le limitazioni di questa libertà possono essere disposte soltanto con legge in via
generale e per motivi di sanità e di sicurezza (per esempio nel caso di un'epidemia per evitare il propagarsi
dell'epidemia stessa).
La L.1423/56 prevede che, qualora gli appartenenti a determinate categorie di persone siano pericolose per la
sicurezza pubblica o per la pubblica moralità e si trovino fuori dei luoghi di residenza, il questore può rimandarveli
con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio, inibendo loro di ritornare, senza preventiva
autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni nel comune dal quale sono state allontanati.
A carico di queste persone può disporre l'obbligo del soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale oppure il
divieto di soggiorno in uno o più comuni diversi da quelli di residenza o in una o più province.

Il primo comma dell'art. 16 della Cost. stabilisce anche che nessuna restrizione alla libertà di circolazione e di
soggiorno può essere determinata da ragioni politiche. Inoltre, l'art. 120 della Cost. dispone che la regione non può
adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone tra le regioni.
Il secondo comma dell'art. 16 sancisce la libertà di espatrio: questa è subordinata alla concessione del passaporto o di
altro documento equipollente. Alla libertà di espatrio va ricollegata anche la libertà di emigrazione (art. 35 ultimo
comma), che viene riconosciuta, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge, nell'interesse generale.

LA LIBERTÀ DI RIUNIONE (ART. 17 COST.)


Art. 17 " i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senza armi.
Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto
preavviso.
Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità,

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che possono vietarne soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di
incolumità pubblica ".

Comma 1: La prima fondamentale condizione perché i cittadini possano far valere il diritto di riunirsi è che le
riunioni avvengano pacificamente e senza armi.

Come ogni altro diritto di libertà, possono essere stabiliti i limiti e le condizioni che lo disciplinano per evitare che il
suo esercizio possa avvenire in modo socialmente dannoso e pericoloso.
Per riunione si intende qualsiasi raggruppamento di più persone non stabile e tuttavia non occasionale: si avrà una
riunione quando più persone convergono in un determinato luogo previo accordo tra loro o su invito dei promotori , al
fine di soddisfare un loro interesse individuale, che può essere di varia natura.
Nel diritto di riunione ha fatto rientrare il diritto di riunirsi in assemblea ai lavoratori, nell'unità produttiva in cui
prestano la loro opera, e agli studenti nei locali della scuola.
La libertà di riunione è di fondamentale importanza perché rappresenta la condizione per l'esercizio delle altre libertà,
come la libertà di manifestazione del pensiero, di insegnamento, di culto....
Le riunioni possono avvenire:
In luogo privato: per esempio una abitazione o comunque in un luogo in cui possono accedere solo coloro che sono
stati invitati.
In luogo aperto al pubblico: per esempio un cinema o comunque un luogo in cui l'accesso è consentito a determinate
condizioni o sottoposto a particolari limitazioni.
In luogo pubblico: per esempio una piazza o una strada o qualunque altro luogo che consenta il libero accesso di
tutti. In quest'ultimo caso i commi 2 e 3 dell'art. 17 stabilisce che è necessario il preavviso, in quanto svolgendosi la
riunione in luogo pubblico, è necessario tutelare la sicurezza e l'incolumità pubblica. L'autorità di pubblica sicurezza
potrà o dovrà pur predisporre, a tal fine, un servizio d'ordine ed intervenire, sciogliendo la riunione in corso, quando
questa non si svolga più pacificamente e senza armi.
L'autorità di pubblica sicurezza può anche legittimamente impedire che le riunioni non preavvisate non abbiano
luogo, mentre se il preavviso è stato dato, la riunione in luogo pubblico può ottenersi nel giorno e nell'ora indicati,
senza attendere nessuna determinazione da parte dell'autorità né autorizzazione.
L'autorità di pubblica sicurezza può vietare la riunione in luogo pubblico quando esistono fondati e comprovati motivi
per ritenere che, qualora si svolgesse, ne verrebbe nocumento alla sicurezza o all'incolumità pubblica (in particolare la
riunione può essere impedita per ragioni di ordine pubblico, moralità o di sanità pubblica).

Nella libertà di riunione va fatta rientrare la libertà di corteo, in quanto il corteo può considerarsi una riunione
movimento: in questo caso va applicato l'art. 17.

Riunioni elettorali: sono quelle riunioni che si svolgono in occasione prima delle elezioni, come per esempio i
comizi.. In questo caso non c'è l'obbligo del preavviso e chiunque, con qualsiasi mezzo, impedisce o turba una
riunione di propaganda elettorale e, sia pubblica che privata, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la
multa da 300 euro a 1500 euro.

LA LIBERTÀ DI ASSOCIAZIONE (ART. 18 COST.)


Art. 18 " i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza
autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.
Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche
indirettamente, a scopi politici mediante organizzazioni di carattere
militare. "

Le associazioni sono formazioni sociali stabilmente organizzate, costituite al fine di soddisfare determinati interessi
non contingenti, comuni a tutti coloro che ne fanno parte.
Tra le specificazioni della libertà di associazione ci sono la libertà di costituire un'associazione, di aderire ad una
associazione, di recedere da una associazione e di non associarsi.
La libertà di associazione è garantita sia sotto l'aspetto positivo che sotto l'aspetto negativo, come libertà di non
associarsi, però la corte ha riconosciuto il potere dello Stato di creare enti a struttura associativa (esempio gli ordini
professionali) per raggiungere e tutelare dei fini pubblici. Da ciò deriva l'obbligo dell'iscrizione a questi enti, che si

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pone come limite alla libertà di non associarsi, limite ammesso solo per tutelare altri interessi costituzionalmente
garantiti.

Un problema che si pone a questo proposito è se il singolo può pretendere di entrare a far parte di una associazione.
Per quanto riguarda le associazioni private, il diritto non può essere fatto valere, perché un'associazione privata può
autonomamente predisporre dei criteri e prevedere che i requisiti per l'ammissione dei soci. Per le associazioni
pubbliche, invece, il diritto di associarsi può essere fatto valere solo se ricorrono le condizioni previste dalla legge.

Fini per cui si può costituire una associazione: un'associazione si può costituire per qualsiasi fine politico, culturale,
religioso, economico, ricreativo..., purché non siano fini vietati ai singoli dalle leggi penali (cioè non possono esistere
associazioni che si propongono di commettere reati).
Le associazioni vietate sono:
Associazioni segrete: sono quelle associazioni che, all'interno di associazioni palesi, occultano la loro esistenza,
tengono segrete finalità e attività sociali o rendono sconosciuti i soci. In genere svolgono attività dirette ad interferire
sull'esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, di enti pubblici anche economici e
di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale.
Associazioni che perseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni aventi carattere
militare. Tali associazioni sono vietate perché, in regime democratico, i fini politici vanno perseguiti senza ricorrere
alle armi, alla violenza, a gerarchie di tipo militare. Si considerano associazioni aventi carattere militare quelle
costituite mediante l'inquadramento degli associati in corpi, reparti o nuclei, con disciplina ed ordinamento gerarchico
interno analoghi a quelli militari, con l'eventuale adozione di gradi e uniformi e con un'organizzazione atta all'impiego
collettivo in azioni di violenza o di minacce.
Associazioni, movimenti o gruppi avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza
per motivi razziali, tecnici, nazionali o religiosi.
Associazioni che si propongono di riorganizzare il disciolto partito fascista, in quanto il partito fascista è
incompatibile con lo Stato democratico.. Si ha riorganizzazione del partito fascista quando un'associazione o un
movimento persegue finalità antidemocratiche propria del partito fascista; quando esaltano, minacciano o usano la
violenza come metodo di lotta politica; quando propagandano la soppressione delle libertà garantite dalla
Costituzione, quando denigrano la democrazia, le sue istituzioni, i valori della resistenza e quando svolgono
propaganda razzista.

In conclusione si può dire che il fenomeno associativo trova specifica attuazione che nella Costituzione, che detta una
disciplina particolare:
- per associazione a fini politici (partiti, art. 49)
- per associazioni a fini sociali (la famiglia, la scuola: art. 29 e 33)
- per associazioni a fini economico-sociali (istituti di assistenza, sindacati, cooperative: art. 38, 39, 45).
- per associazione a fini religiosi (articoli 8 e 20).

LA LIBERTÀ DI RELIGIONE (ART. 19 COST.)


Art. 19 " tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa
in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di
esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di diritti
contrari al buon costume "

Dall'art. 19 si evince che l'unico limite alla libertà di religione è il buon costume.
Rientra nella libertà di religione:
- la libertà di non essere costretti a professare una fede religiosa, a farne propaganda e ad esercitare alcun culto
- la libertà di non essere credenti
- la libertà di non aver imposto il compimento di atti con significato religioso (per esempio giurare nei giudizi civili e
penali con la formula " consapevole della responsabilità che con il giuramento assumete davanti a Dio ").

Nel testo originario dell'art. 724 del codice penale veniva punito " chiunque bestemmia, con invettive o parole
oltraggiose, contro la divinità o i simboli o le persone venerati nella regione dello Stato ". La Corte Costituzionale lo
ha dichiarato illegittimo, limitatamente alle parole " i simboli o le persone venerati nella religione dello Stato ". In
questo modo ha esteso la tutela penale a divinità diverse da quelle della religione cattolica e di escludere invece da
tale tutela gli altri simboli religiosi, allo scopo di parificare la protezione del sentimento religioso di tutti i cittadini a
qualsiasi culto e si appartengano.

110
La Corte Costituzionale, nel 2000, ha dichiarato illegittimo anche l'art. 402 del codice penale, che puniva il vilipendio
della religione dello Stato, perché contrario al principio supremo di laicità dello Stato, che non tollera una tutela
penale, limitata ad un solo culto.

LA LIBERTÀ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO

A) LA LIBERTÀ DI STAMPA
Art. 21, primo comma " tutti hanno diritto di manifestare liberamente
il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione ".

Il primo comma dell'art. 21 non significa che tutti devono avere una materiale disponibilità di tutti i possibili mezzi di
diffusione, ma che a tutti la legge deve garantire la giuridica possibilità di usarli o di accedervi, con le modalità ed
entro i limiti necessari per assicurare l'armonica a coesistenza del pari diritto di ciascuno o di altri diritti
costituzionalmente apprezzabili.
Mezzi mediante i quali si può manifestare il pensiero:
La parola
Lo scritto
Radio e televisione
Spettacolo.

Per quanto riguarda la parola, ciascuno di noi è libero di manifestare il proprio pensiero, salvo poi assumersene la
responsabilità qualora commetta un reato, per esempio qualora commetta vilipendio alle istituzioni. Il vilipendio è
configurabile solo quando la manifestazione è diretta a negare ogni rispetto, prestigio, fiducia all'istituzione
considerata, inducendo i destinatari al disprezzo di questa o addirittura ad ingiustificate disobbedienza. Pertanto non
costituiranno i cosiddetti reati d'opinione e le critiche anche severe alle istituzioni vigenti.

Il problema della disponibilità dei mezzi di diffusione del pensiero si pone per gli altri mezzi di manifestazione. Tra di
essi, è molto importante è la stampa, in quanto è il mezzo più incisivo per la formazione di una consapevole opinione
pubblica.

L'art. 21, comma 2 " la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o
censure ".

Ciò significa che chiunque voglia pubblicare un libro, un giornale, un opuscolo, manifesto non deve chiedere nessuna
autorizzazione, cioè un consenso preventivo alla pubblicazione, ma è assolutamente libero di farlo. Una volta
stampato il libro, il giornale..e prima di procedere alla sua diffusione non deve sottoporlo ad alcuna censura, cioè ad
una approvazione preventiva dello scritto.
La registrazione della stampa periodica non incide sulla libertà di stampa, perché è un atto dovuto, cioè non implica
alcuna valutazione discrezionale. Il tribunale, infatti, non può rifiutarla qualora risultino adempiute tutte le condizioni
per tenerla.
Scopo della registrazione è consentire l'identificazione dei responsabili nel caso in cui siano commessi reati a mezzo
stampa. Dalla registrazione, che viene fatta presso la cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione la pubblicazione
deve effettuarsi, devono risultare i nomi e il domicilio del proprietario e del direttore responsabile.
L'unica forma di limitazione espressa della libertà di stampa è il sequestro degli stampati: è una misura avente
carattere repressivo, cioè che può essere posta in essere solo dopo la pubblicazione dello stampato e al fine di
impedirne la diffusione.

Il comma 3 dell'art. 21 dispone, infatti, che " si può procedere a


sequestro solo per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di
delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente l'autorizzi ho
nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per
l'indicazione dei responsabili ".

111
In caso di assoluta urgenza, il comma 4 dell'art. 21 stabilisce che il
sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di
polizia giudiziaria, che devono entro ventiquattro ore fare denuncia
all'autorità giudiziaria. Se questa non la convalida nelle ventiquattr'ore
successive, il sequestro si intende revocato e privo di ogni effetto.

L'ultimo comma dell'art. 21 stabilisce che " sono vietate le


pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e e tutte le altre manifestazioni
contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati
a prevenire e a reprimere le violazioni ".
L'unico intervento ammesso per reprimere la stampa contrarie al buon costume è il sequestro.

Nel quadro più generale della libertà di manifestazione del pensiero e delle limitazioni poste al suo esercizio a tutela
degli altri soggetti, dell'interesse pubblico o di altri interessi costituzionalmente rilevanti, si inserisce il problema della
libertà di cronaca, con speciale riguardo alla cronaca giudiziaria.
L'art. 684 del codice penale punisce chiunque diffonda atti o documenti di un procedimento penale su cui grava il
segreto istruttorio (la pubblicazione è vietata per legge). Inoltre la Cassazione ha determinato le condizioni in
presenza delle quali la libertà di cronaca può essere legittimamente esercitata: per esempio la verità non deve essere
incompleta, la forma della critica deve essere civile e improntata a leale chiarezza....

Altri limiti alla libertà di stampa sono:


- il silenzio stampa: è una forma di autolimitazione, che si ha quando gruppi editoriali, singoli direttori o la RAI e altre
emittenti televisive decidono autonomamente di non pubblicare o diffondere determinate notizie o documenti
riguardanti indagini in corso di polizia giudiziaria.
- un altro limite deriva dalla posizione che determinati soggetti che assumono nel sistema costituzionale: per esempio
il cosiddetto potere di esternazione del Presidente della Repubblica, che deve essere esercitato entro limiti rigorosi e
solo in stretta connessione con lo svolgimento delle sue funzioni.

Art. 21, comma 5 " la legge può stabilire, con norme di carattere
generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa
periodica ".
Lo scopo di ciò è quello di consentire una lettura critica e consapevole dei quotidiani e di periodici in genere, che è
resa possibile solo dalla conoscenza dei nomi dei proprietari e dei finanziatori, e dunque dei loro orientamenti. Questa
disposizione è molto utile in presenza di una stampa i cui mezzi di finanziamento sono spesso ignoti e che spesso, per
sopravvivere, è costretta a subire condizionamenti da parte di gruppi economici e la concentrazione delle testate.
Questo è un fenomeno molto preoccupante se si pensa che, soprattutto nel campo dell'informazione, dovrebbe essere
assicurato il principio del pluralismo per consentire la libera circolazione delle idee ed una formazione non
manipolata dell'opinione pubblica e del consenso. Tutte le competenze relative alla garanzia del pluralismo della
stampa sono state trasferite all'autorità di garanzia delle telecomunicazioni.
Dunque, tutti possono esprimere il proprio pensiero a mezzo stampa tramite un volantino, manifesto, libro o scritto su
un giornale..., ma l'esercizio effettivo della libertà di stampa è condizionato in buona parte dalla disponibilità dei
mezzi economici necessari.
Nel 2001 sono state modificate anche le norme sull'editoria.
è stato istituito un fondo per le agevolazioni di credito alle imprese del settore editoriale
Sono stati previsti sgravi fiscali per le imprese editoriali più dinamiche e innovative
È stato istituito un fondo per la promozione dei libro e dei prodotti editoriali di elevato valore culturale
È stata introdotta una nuova disciplina del prezzo dei libri.
È riaffermato il principio della necessaria riconducibilità dell'impresa editrice di giornali quotidiani a persone fisiche,
con lo scopo di assicurare la trasparenza alle fonti di finanziamento.

B) IL CINEMA E IL TEATRO
Anche lo spettacolo è uno dei mezzi di diffusione del pensiero. Poiché la censura degli spettacoli non è espressamente
vietata, essa può essere prevista per prevenire le violazioni del buon costume.
Cinema: Una legge del 62 dispone che, per la proiezione in pubblico di firma, è richiesto il nulla osta rilasciato su
conforme parere di apposite commissioni di primo e secondo grado. Tali commissioni possono anche decidere se alla
proiezione del film possono assistere i minori di 14 o di 18 anni, in relazione alla particolare sensibilità dell'età

112
evolutiva e alle esigenze della sua tutela morale. La commissione di primo grado darà parere contrario alla proiezione
in pubblico solo quando ravvisi nel film offesa al buon costume.

Teatro: la rappresentazione in pubblico dei lavori teatrali non è soggetta ad alcun nulla osta, tranne i lavori teatrali
eseguiti in rivista o commedia musicale a musica ed azione coreografica. In ogni caso, un'apposita commissione
esprime parere se alla rappresentazione teatrale possono assistere i minori di 18 anni.

L'intervento preventivo, però, non esclude quello repressivo, qualora siano commessi reati col mezzo della
cinematografia e della rappresentazione teatrale. Il giudice del luogo dove è avvenuta la prima proiezione in pubblico
dei film o la prima rappresentazione dell'opera può operare il sequestro del film o impedire la rappresentazione
qualora vi ravvisi violazione del buon costume.
Il sistema del doppio controllo (amministrativo e giudiziario) presenta alcuni inconvenienti, sia per l'eccessiva
discrezionalità di cui godono le commissioni di primo e secondo grado, sia per la diversità dei criteri che le
commissioni stesse e l'autorità giudiziaria possono adottare (per cui può, per esempio, accadere che un film che abbia
ottenuto il nulla osta venga poi sequestrato).
Devono considerarsi vietate ai minori le opere cinematografiche e teatrali che, pur non costituendo offesa al buon
costume, contengono battute o gesti volgari, comportamenti amorali, scene erotiche o di violenza verso uomini o
animali, scene relative a operazioni chirurgiche o fenomeni ipnotici o medianici se rappresentate in forma
particolarmente impressionanti o riguardanti l'uso di sostanze stupefacenti; quando fomentano l'odio e la vendetta;
quando presentano crimini in forma tale da indurre all'imitazione o al suicidio in forma suggestiva.

C ) LA RADIO E LA TELEVISIONE
Radio e televisione sono diventati i mezzi più importanti per diffondere il pensiero, per informare e per incidere
sull'opinione pubblica.
La Corte Costituzionale ha definito il servizio radiotelevisivo " un servizio sociale, in quanto diretto ad assicurare,
agevolando la circolazione delle idee, l'effettività della libera manifestazione del pensiero e della libertà di
informazione, considerate come due aspetti essenziali e inscindibili di un unico valore costituzionale protetto in via
primaria dall'art. 21 Cost. ".
La L. 249 / 97 (legge Maccanico) ha dettato per alcune regole essenziali sui sistemi delle telecomunicazioni e
radiotelevisivi.
-Ha, infatti, istituito l'autorità per le garanzie delle comunicazioni, composta dal presidente più otto commissari eletti
per metà da Camera e per metà dal Senato. Essa possiede vasti poteri di accertamento, regolazione, controllo e
sanzione per far rispettare le regole antitrust sancite dalla legge Maccanico.
-Ha previsto inoltre un forum per le comunicazioni che ha compiti di studio e di proposta nel settore della
multimedialità e delle nuove tecnologie nel settore della comunicazione.
- ha previsto un consiglio nazionale degli utenti, con il compito di esprimere pareri e formulare proposte sulle
questioni riguardanti la salvaguardia dei diritti e delle legittime esigenze dei cittadini, quali soggetti attivi del processo
comunicativo.
- ha introdotto un sistema di regole per impedire la formazione di posizioni dominanti nel settore, allo scopo di
tutelare il pluralismo delle idee e dell'informazione.

Per assicurare l'indipendenza, l'obiettività e l'apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali del servizio
pubblico radiotelevisivo, la determinazione dell'indirizzo generale del servizio stesso e l'esercizio della relativa
vigilanza sono affidate alla " commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi". Essa ha il compito di stabilire le norme per garantire il diritto di accesso al mezzo radiotelevisivo,
attribuito ai partiti e gruppi rappresentati in Parlamento, alle organizzazioni associative delle autonomie locali, ai
sindacati nazionali, alle confessioni religiose, ai movimenti politici, agli enti e alle associazioni politiche culturali, alle
associazioni nazionali del movimento cooperativo, ai gruppi tecnici e linguistici e agli altri gruppi sociali di rilevante
interesse sociale che ne facciano richiesta.
Il Presidente della Repubblica Ciampi, nel 2002, ha inviato un messaggio alle camere, nel quale vengono formulati i
principi fondamentali in materia di pluralismo e imparzialità dell'informazione. In questo messaggio, il capo dello
Stato enuncia alcune linee di indirizzo che devono stare alla base di una legge di sistema, intesa a regolare l'intera
materia delle comunicazioni, delle radiotelediffusioni, dell'editoria dei giornali e dei rapporti tra questi mezzi. Le linee
di indirizzo che indicate da Ciampi sono: il ruolo centrale del servizio pubblico, l'attuazione anche in questo campo
del titolo V della parte II della Cost., che ricomprende l'ordinamento della comunicazione nella legislazione
concorrente delle regioni, l'estensione della vigilanza del Parlamento, in coordinamento con l'autorità garante,
all'intero circuito mediatico per rendere uniforme e omogeneo il principio della par condicio.

113
Nel maggio 2004 è stata approvata la cosiddetta legge Gasparri (L.112/2004) che ha modificato la legge Mammì del
1990 e la legge Maccanico del 1997. La legge individua i principi generali che informano l'assetto del sistema
radiotelevisivo nazionale, regionale e locale e lo adegua all'avvento della tecnologia digitale e al processo di
convergenza tra la radiotelevisione e altri settori delle comunicazioni interpersonali e di massa, quali le
telecomunicazioni, l'editoria ed internet in tutte le sue applicazioni.
Per " sistema integrato delle comunicazioni " (SIC), si intende il settore economico che comprende le seguenti attività:
Stampa quotidiana e periodica
Editoria annuaristica ed elettronica anche per il tramite di internet
Radio televisione
cinema
Pubblicità esterna
Iniziative di comunicazione di prodotti e servizi
Sponsorizzazioni.

Secondo questa legge:


1) ogni fornitore di contenuti non potrà avere una copertura il più del 20% del totale dei programmi ed i ricavi
complessivi del SIC, compresa la raccolta pubblicitaria.

2) un limite antitrust ulteriore è dato dal divieto per chi ha più di una televisione di acquisire partecipazione in
quotidiani prima del primo gennaio 2009.

3) prevede il graduale passaggio al sistema digitale terrestre in quanto permetterebbe la moltiplicazione dei canali e
quindi dell'offerta mediati tratta

4) RAI e mediaset dovrebbero in futuro cedere il 40% dei programmi digitali a terzi per allargare la platea dei soggetti
dell'informazione.

5) l'emittenza radiotelevisiva di ambito locale valorizza e promuove le culture regionali e locali. La disciplina del
sistema di radiodiffusione televisiva tutela l'emittenza in ambito locale e riserva un terzo della capacità trasmissiva ai
soggetti titolari di autorizzazione alla fornitura di contenuti destinate alla diffusione in tale ambito.

6) tutela dei minori: nella programmazione televisiva, le emittenti sono tenute a garantire la tutela dei minori nella
fascia tra le 16 e le 19, soprattutto durante i programmi rivolti ai minori bisogna aver riguardo ai messaggi
pubblicitari. È inoltre vietato l'impiego di minori di 14 anni in programmi radiotelevisivi, e i messaggi pubblicitari e
spot.
La legge prevede anche una adeguata pubblicità per le sanzioni inflitte in caso di violazione: di esse deve essere data
adeguata pubblicità e l'emittente sanzionata deve dare notizia nei notiziari diffusi in ore di massimo o di buon ascolto.

IL DIRITTO ALL'INFORMAZIONE
Secondo la Corte Costituzionale, l'art. 21 tutela, oltre che la libertà di manifestazione del pensiero, anche l'interesse
generale all'informazione. Ciò implica:
- la pluralità di fonti di informazione
- il libero accesso alle fonti di informazione
- l'assenza di ingiustificati ostacoli legati alla circolazione delle notizie e delle idee.

Fondamento del diritto all'informazione:


Art. 21 Cost., che tutela anche il diritto di informare
Gli statuti delle regioni di diritto comune
L'intero sistema, perché in un regime davvero democratico devono essere conosciute le scelte operate dai governanti,
ma anche i governanti devono essere chiamati a partecipare alle scelte.
Il diritto in esame discende anche dal principio di democraticità dell'ordinamento e dal principio di imparzialità della
pubblica amministrazione, secondo i quali l'attività della pubblica amministrazione dovrebbe essere esercitata non nel
mistero e nel segreto degli uffici, ma in modo palese.

Tuttavia, il diritto all'informazione resta ancora una pura affermazione di principio, mentre nell'ordinamento
regionale, oltre a ricevere un espresso riconoscimento, è rafforzato dalla previsione del correlativo dovere di

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informazione, in modo da rendere il più possibile effettiva la partecipazione all'attività politica, legislativa ed
amministrativa della regione.
In questo senso il diritto all'informazione rientra più tra le libertà positive che tra quelle negative: infatti, si configura
come diritto a che la regione predisponga tutte le misure idonee, affinché cittadini ed organizzazioni sociali possano
essere informati e, pertanto, consapevolmente partecipare alla sua attività.

LA LIBERTÀ DELL'ARTE E DELLA SCIENZA E DEL RELATIVO


INSEGNAMENTO (art. 9 e 33 Cost.)
Libertà dell'arte e della scienza significa che non possono esistere un'arte o una scienza dello Stato e che all'artista e
allo scienziato è concessa la massima libertà di espressione (per esempio non considerando oscena l'opera d'arte o di
scienza oppure ponendo in essere tutte le misure idonee a consentire l'esercizio effettivo dell'attività artistica e
scientifica).

Gli articoli che tutelano tale libertà sono:


L'art. 9, comma 1 " la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica".
Art. 33 comma 1 " l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento ".

Questi due articoli sono strettamente collegati tra di loro perché pongono il problema dei rapporti tra arte/ scienza e
politica, cioè il problema di conciliare la libertà della scienza con la necessità di un apparato organizzativo pubblico di
supporto e di finanziamento.
Libertà scientifica, però, è anche fornire a chi opera nel campo della ricerca scientifica i mezzi e gli strumenti
organizzativi e finanziari sufficienti perché la ricerca possa effettivamente e liberamente svolgersi. Sotto questo
profilo, però, la libertà della scienza non è pienamente assicurata: basti pensare alle difficoltà di reperire finanziamenti
da parte del consiglio nazionale delle ricerche o alle crisi delle università come centri di ricerca. A tali inefficienze si è
tentato di riparare con l'istituzione, nel 1989, di un Ministero Dell'università E Della Ricerca, con l'autonomia
normativa delle università, con la riforma degli ordinamenti didattici universitari, con una legge del '93 che
disciplinava il finanziamento delle università e la loro autonomia organizzatoria.

Strettamente collegata alla libertà dell'arte e della scienza è la libertà di insegnamento: questa consiste nel garantire
il docente contro ogni costrizione e condizionamento da parte dei pubblici poteri. Inoltre, deve essere assicurata al
docente una assoluta autonomia circa gli indirizzi per gli ordinamenti culturali da elaborare o da seguire. Il docente ha
diritto di comunicare le proprie idee e di esporre le proprie teorie e il proprio modo di intendere e risolvere i problemi
scientifici, morali, artistici, religiosi a coloro ai quali impartisce l'insegnamento, purché rispetti, a sua volta la libertà
del dicente e stimoli suo senso critico, facendo conoscere anche le tesi diverse dalle sue.

SEZIONE 4: LE LIBERTÀ POSITIVE

Il passaggio dallo Stato moderno o di diritto allo Stato sociale avviene anche con il riconoscimento di alcuni diritti
sociali accanto alle tradizionali libertà negative e del principio di uguaglianza sostanziale, accanto a quello di
uguaglianza formale. Nello Stato sociale, accanto alla pretesa ad un comportamento omissivo dello Stato nei confronti
dell'autonomia privata (libertà negativa=libertà dallo Stato), si pone la pretesa di un comportamento attivo dello Stato,
affinché esso possa assicurare il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione dei singoli e delle
formazioni sociali e ai processi nei quali e mediante i quali si operano le scelte politiche economiche e sociali.

LIBERTÀ POSITIVE E LIBERTÀ NEGATIVE


Libertà positive: vanno considerate come il risultato ultimo di una serie di interventi dei pubblici poteri diretti a dare
attuazione al principio di uguaglianza sostanziale, in modo tale che la persona umana si possa pienamente sviluppare
e la partecipazione al governo possa diventare effettiva. Esse non si limitano a garantire diritti già acquisiti, ma
forniscono all'individuo i mezzi per realizzare il pieno sviluppo della propria personalità ed una effettiva
partecipazione alla vita politica, economica e sociale del paese.

Libertà negative: per l'importanza che hanno assunto le libertà positive, le libertà negative non sono più viste solo
sotto il profilo formale, ma anche sotto quello sostanziale dell'effettiva possibilità di esercizio. Infatti, non servirebbe

115
a niente riconoscere ai singoli alcuni diritti fondamentali se poi, nello stesso tempo, non si eliminano gli ostacoli, di
ordine economico e sociale, che limitano di fatto l'esercizio delle libertà ad essi connesse .

Disposizioni della Costituzione contenenti libertà positive:


Art. 49, nel quale la libertà negativa di associazione (art. 18) viene specificata come libertà positiva attribuendo a
tutti i cittadini il diritto di associarsi in partiti per concorrere a determinare la politica nazionale.
Art. 41: la libertà di iniziativa economica è riconosciuta, purché non si svolga in contrasto con l'utilità sociale e
l'attività economica privata può essere indirizzata e coordinata a fini sociali. È
Art. 42: la proprietà privata è riconosciuta e garantita a condizione che adempia ad una funzione sociale.
Art. 44: la proprietà terriera privata può essere soggetta ad obblighi e vincoli, al fine di conseguire il razionale
sfruttamento del suolo e di stabilire e qui rapporti sociali
Viene riconosciuto il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende ai fini della elevazione economica
e sociale del lavoro
Si devono ricordare le disposizioni che impegnano la Repubblica a rendere effettivo un diritto, come per esempio il
primo comma dell'art. 4 e il comma 4 dell'art. 34
Le disposizioni che attribuiscono a determinate categorie di soggetti alcuni diritti, definiti sociali, al fine di
consentire l'eliminazione delle disparità sociali e il conseguente pieno esercizio delle libertà civili e politiche.

I DIRITTI SOCIALI
Diritto al lavoro
diritto alla salute, che si specifica nel garantire cure gratuite agli indigenti e implica il diritto alla salubrità
dell'ambiente.
Diritto allo studio, pacchetto per i capaci e i meritevoli, il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
Diritto del lavoratore
-Ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità di lavoro svolta e sufficiente ad assicurare a sé e alla sua
famiglia un'esistenza libera e dignitosa
- al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite
- diritto della donna di essere parificata all'uomo
- diritto dei minori, a parità di lavoro, alla parità di retribuzione
- diritto al mantenimento e all'assistenza sociale dei cittadini inabili al lavoro e sprovvisti di mezzi necessari per
vivere
- diritto dei lavoratori ad avere assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia,
invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Diritto degli inabili ed i minorati all'educazione e all'avviamento professionale.

La Costituzione, soprattutto nel campo dei diritti sociali, non è stata ancora del tutto attuata e di conseguenza il suo
fine, cioè quello di rendere le libertà dallo Stato effettive ed operanti anche come libertà nello Stato, non è stato
ancora del tutto raggiunto: lo Stato sociale, cioè, non è ancora una realtà.

LE LIBERTÀ ECONOMICHE

A) LA PROPRIETÀ PRIVATA: ARTICOLI 42, 43, 44, 47


Il primo comma dell'art. 42 stabilisce che " la proprietà e pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato,
ad enti o a privati ".
Beni pubblici: si distinguono da quelli privati per il loro diverso regime giuridico. Possono essere di proprietà dello
Stato, delle regioni, delle province, dei comuni o di altri enti pubblici. La loro condizione giuridica è disciplinata dagli
articoli 822 e seguenti del codice civile, il quale li distingue in:
beni demaniali: sono quelli destinati a soddisfare in via immediata un interesse o un bisogno pubblico.
A loro volta si distinguono in:
- demanio necessario: sono beni che non possono non appartenere allo Stato (lido del mare, la spiaggia, i porti, i
fiumi...)
- demanio accidentale: questi beni possono anche appartenere ad altri enti (esempio strade, autostrade, immobili di
interesse storico, archeologico e artistico, le raccolte di musei e delle pinacoteche).

116
Regime giuridico: sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei
limiti stabiliti dalla legge.

Beni patrimoniali. Si distinguono in:


- beni indisponibili: miniere, le cose di interesse storico, archeologico, artistico, i beni che costituiscono la dotazione
del Presidente della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra. Questi sono
tutti dello Stato, mentre allo Stato e agli altri enti territoriali appartengono gli edifici destinati a sedi di uffici pubblici
con i loro arredi e gli altri beni destinati ad un pubblico servizio. Quanto al loro regime giuridico, non possono essere
sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalla legge.
- beni patrimoniali disponibili: sono tutti i residui beni di proprietà. Pubblica che non rientrano nella categoria di beni
indisponibili. Possono essere mobili (denaro, titoli di credito...) ho i mobili (boschi di proprietà delle province, edifici
non destinate ad uso pubblico).

Art. 9 Cost.: " la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e


della ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il
patrimonio storico e artistico della nazione. "
In Italia, tuttavia, manca un organico indirizzo è diretto alla tutela dei beni culturali e ambientali (per esempio
spiagge, fiumi, laghi, gli immobili di interesse storico, archeologico, artistico, le raccolte e musei, pinacoteche,
biblioteche. Recentemente si è cominciato a vedere l'art. 9 non come una mera dichiarazione di principio, ma come
una norma il principio, la cui attuazione è condizione per la tutela e soddisfacimento di altri valori costituzionali, da
quando è stato istituito il ministero per i beni culturali e ambientali e il ministero per l'ambiente e da quando sono
state adottate varie leggi per la difesa del suolo, del mare e da quando è stata avviata una politica di salvaguardia e
valorizzazione dei beni culturali da parte delle regioni.
Inoltre, il d. lgs. 112 / 98, ha trasferito alle regioni e agli enti locali (tranne alcune funzioni di rilievo nazionale che
sono rimasti allo Stato) le funzioni e i compiti amministrativi dello Stato in materia di protezione della natura
dell'ambiente, di tutela dell'ambiente dagli inquinamenti e di gestione di rifiuti.

Art. 42, comma 2: " la proprietà privata è riconosciuta e garantita


dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti,
allo scopo di assicurarne la funzione sociale che di renderla accessibile
a tutti ".
La proprietà privata, cioè, è riconosciuta e garantita come diritto solo se adempie ad una funzione sociale.

Art. 42, comma 3 " la proprietà privata può essere, nei casi previsti
dalla legge e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse
generale "..
L'indennizzo deve garantire un serio ristoro, in modo tale che non venga leso il principio di uguaglianza. Quindi non
deve essere simbolico o irrisorio, ma congruo, serio e adeguato.
Inoltre, la Corte Costituzionale ha considerato illegittimo l'art. 1 comma 65 della L.549/95, in quanto disponeva
l'applicazione di criteri di calcolo dettati dalla legge per determinare l'indennità espropriativa anche all'ipotesi di
liquidazione del danno spettante al proprietario che abbia subito l'accessione invertita, che si ha quando la pubblica
amministrazione, dopo aver ha dichiarato la pubblica utilità, occupa illegittimamente l'immobile e ne acquista la
proprietà, senza prima aver emanato il decreto di esproprio.

Art. 44 Cost.: " al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire
equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera
privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e regioni agrarie, promuove
ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione della t fondo è la ricostituzione
delle unità produttive; aiuta la piccola è la media proprietà.
La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane "

Art. 47 " la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme;


disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito.
Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla
proprietà diretta coltivatrice a è all'diretto e indiretto investimento azionario nei
grandi complessi produttivi del paese ".

117
Art. 43 " a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire,
mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di
lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a
servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano
carattere di preminente interesse generale ".
Dunque, perché possa essere operato il trasferimento deve trattarsi di imprese o categorie di imprese:
a) che si riferiscono a servizi pubblici essenziali, fonti di energia o a situazioni di monopolio
b) che hanno carattere di preminente interesse generale
c) che il trasferimento avvenga a fini di utilità generale.

B) LIBERTÀ DI INIZIATIVA ECONOMICA

Art. 41 " l'iniziativa economica privata è libera..


Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare
danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività
economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini
sociali ".

Questa disposizione è una di quelle che ha risentito maggiormente della partecipazione dell'Italia al processo di
integrazione europeo. Il trattato istitutivo della comunità europea persegue, infatti, l'obiettivo di creare un mercato
unico, la cui realizzazione si incentra su tre strumenti essenziali:
1) l'affermazione delle quattro libertà economiche, cioè libertà di circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e
dei capitali.
2) la creazione di un mercato libero disciplinato in modo da assicurare la concorrenza.
3) il divieto di aiuti statali alle imprese che possono falsare la concorrenza fra di esse.

Il recepimento di questi principi impone una rilettura dell'art. 41 della Cost.. Il primo comma, infatti, viene inteso nel
senso che l'iniziativa privata è libera nel territorio italiano, qualunque sia la nazionalità dell'impresa che la rivendica.
Quindi, il potere di disciplinare l'attività di impresa si sposta dal livello nazionale a quello comunitario. Del resto,
anche le limitazioni all'iniziativa privata per ragioni di utilità sociale vengono imposte livello comunitario e non più
solo a livello nazionale. Quanto alla programmazione economica, non è di per sé in contrasto con il principio del
mercato unico, purché essa non si riduca al sostegno esclusivo delle imprese nazionali o limiti una delle quattro libertà
economiche.

C) DIRITTO AL LAVORO
È Strettamente collegata alla libertà precedente, nel senso che l'obiettivo della piena occupazione deve essere
perseguito e raggiunto nel rispetto di alcuni valori (sicurezza, libertà e dignità della persona umana) che la
Costituzione vuole tutelati anche e soprattutto nei confronti dei lavoratori subordinati, nel senso che solo una seria
programmazione economica può valere a rendere effettivo il diritto al lavoro.

Art. 4 " la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e


promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità
e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al
progresso materiale o spirituale della società ".
Questo art. non attribuisce un diritto soggettivo pieno ed azionabile ad ottenere un posto di lavoro, perché spetta alla
Repubblica di promuovere le condizioni per rendere effettivo questo diritto per raggiungere la piena occupazione,
però, poiché l'obiettivo non è stato ancora raggiunto a causa di scelte economiche non sempre adeguate, della
mancanza di un'organica politica di programmazione e di una non equilibrata utilizzazione delle risorse, all'art. 4 va
collegato
l'art. 38 Cost., a norma del quale i lavoratori disoccupati involontari
hanno diritto ad avere assicurati i mezzi adeguati alle loro esigenze di
vita.

118
Al diritto parla alle lavoro si ricollega il diritto di lavoro, ossia il diritto di scegliere un lavoro secondo le proprie
capacità e attitudini.

" I NUOVI DIRITTI "


L'evoluzione della società e la mutata valutazione di beni e valori costituzionalmente protetti hanno provocato
l'insorgere di interessi che, seppure impliciti in alcune previsioni costituzionali e ad esse riconducibili, non godono di
una specifica tutela: sono i cosiddetti nuovi diritti. In realtà la definizione non è esatta perché non si tratta di nuovi
diritti, ma di diritti che trovano il loro fondamento in determinati principi o norme costituzionali, dai quali il loro
oggetto può essere enucleato, proprio perché già presente in nuce. Al massimo si potrà parlare di accrescimento o
arricchimento dell'oggetto del contenuto di queste norme e principi dovuto all'emergere di nuove esigenze sociali.
Tra i nuovi diritti ci sono:.
Diritto alla casa, all'informazione e alla salubrità dell'ambiente, all'accesso ai documenti amministrativi, diritto alla
riservatezza. In particolare, il diritto all'ambiente sta assumendo sempre più rilevanza per numerosi attentati ai
cosiddetti beni ambientali e in seguito allo sviluppo tecnologico ed economico: si pone quindi l'esigenza di una
adeguata legislazione che concili i bilanci e la tutela di questi due tipi di interessi, il cosiddetto sviluppo sostenibile .
I vari diritti degli utenti di pubblici servizi, i diritti dei malati, degli anziani, dei minori e i giovani, il diritto alla
qualità della vita.

La tutela di queste pretese emergenti, laddove non sia possibile ricondurla direttamente ad una norma costituzionale,
va affidata alle legislatore ordinario, chiamato ad operare su due fronti:
- sul fronte dei rapporti privati: in questo caso, il legislatore dovrebbe dare piena attuazione ad alcune norme
costituzionali, ricavandone tutte le possibili implicazioni.
- sul fronte dei rapporti tra singoli e pubblica amministrazione: in questo caso, le norme costituzionali da attuare
possono rinvenirsi: per quanto riguarda il diritto alla casa nell'art. 14; nell'art. 97, per quanto riguarda il diritto di
partecipazione all'attività amministrativa è il diritto all'informazione; e nell'art. 32 per quanto riguarda i diritti dei
malati e negli articoli 13, 34, 37 e 38 per quanto riguarda i diritti dei minori, dei giovani e degli anziani.

La legge, pertanto, dovrebbe assicurare la tutela di questi interessi sia in via diretta ed immediata (facendoli assurgere
alla dignità di diritti soggettivi), sia in via indiretta, prevedendo strutture organizzative, procedure, limitazioni,
controlli e strumenti giuridici adeguati, affinché questa tutela sia resa in ogni caso possibile.

Ci sono poi i diritti della terza generazione che sono quei diritti che sono emersi in questi ultimi anni, in seguito
all'evoluzione dei rapporti internazionali e all'insorgere di nuovi valori inerenti la salvaguardia della specie umana.
Essi sono il diritto alla pace, il diritto allo sviluppo economico e sociale, culturale e politico è il diritto ad un ambiente
sano ed equilibrato, oltre al diritto ad un patrimonio comune dell'umanità.

SEZIONE 5: LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DEI


DIRITTI DELL'UOMO E CHE LA CONDIZIONE GIURIDICA
DELLO STRANIERO

Dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, i diritti dell'uomo hanno ricevuto una particolare attenzione, sia
nell'ambito della comunità internazionale con la Dichiarazione Universale Dei Diritti Dell'uomo (approvata
dall'assemblea generale dell'ONU il 10 dicembre 1948), sia nell'ambito della comunità europea con la Convenzione
Per La Salvaguardia Dei Diritti Dell'uomo E Delle Libertà Fondamentali (firmata a Roma nel 1950 dagli stati aderenti
al consiglio d'Europa e resa esecutiva in Italia con L. 848 / 55).

LA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL'UOMO


Il suo valore è dato dall'essere stata approvata da un organismo internazionale al quale aderiscono la maggior parte
degli stati del mondo. La dichiarazione costituisce il frutto di un accordo sul riconoscimento e sulla tutela di alcuni
diritti fondamentali da parte di tutti gli stati aderenti all'ONU. Tuttavia, il suo valore giuridico è molto limitato. Nel
preambolo la dichiarazione viene definita come " ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le nazioni
". Spetterà quindi ai singoli stati membri di darle attuazione e se qualcuno dei diritti solennemente proclamati non sarà
riconosciuto o sarà violato in un singolo stato, l'ONU non potrà obbligare quest'ultimo a cambiare comportamento o
non potrà applicarsi una sanzione.

119
Diritti riconosciuti nella dichiarazione:
Principio di uguaglianza formale
Tradizionali diritti fondamentali: libertà personale, di domicilio, di corrispondenza, di circolazione e soggiorno, di
pensiero, di coscienza e di religione, di riunione e di associazione, di elettorato attivo e passivo.
Cosiddetti diritti sociali: il diritto alla vita, di sposarsi e fondare una famiglia, il diritto ad avere una proprietà
personale o in comune con gli altri, il diritto alla sicurezza sociale, al lavoro e alla remunerazione equa e sufficiente,
al riposo e allo svago, ad un tenore di vita sufficienti a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia..
Diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, per ignoranza, vecchiaia.
Diritto all'istruzione
Diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al
progresso scientifico e ai suoi benefici.

Tutti questi diritti sono stati meglio specificati e garantiti nei patti sui diritti economici, sociali e culturali e nei patti
sui diritti civili e politici, approvati dall'Assemblea Generale dell'ONU nel 1966 e resi esecutivi in Italia con la L. 881
/ 77.

LA CONVENZIONE PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI


DELL'UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI
Essa è stata stipulata dagli stati membri del consiglio d'Europa e resa esecutiva in Italia con la L. 848/55.
La convenzione si propone di prendere le prime misure adatte ad assicurare la garanzia collettiva di certi diritti
enunciati nella dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Tuttavia la convenzione appare:
- riduttiva, per quanto riguarda i diritti e le libertà in essa compresi, perché essa garantisce libertà negative e i diritti
sociali, come il diritto alla vita, alla protezione della persona umana, alla libertà e alla sicurezza, ad una sollecita e
imparziale amministrazione della giustizia, al rispetto della vita privata e familiare, alla libertà di domicilio di
corrispondenza, di pensiero e di coscienza e di religione, di riunione, associazione, di sposarsi e fondare una famiglia,
di circolazione e soggiorno, ma solo con la carta sociale europea, firmata a Torino nel 1961, i diritti sociali al lavoro,
la giusta retribuzione, alla sicurezza e alla salute sono stati riconosciuti.
- estensiva, per quanto riguarda la tutela di diritti e libertà, perché non si limita a proclamare i diritti e le libertà, ma,
al fine di assicurare il rispetto degli impegni assunti dagli stati firmatari istituisce:
Una commissione europea dei diritti dell'uomo: ad essa possono rivolgersi non solo le parti contraenti per
denunciare l'inosservanza delle disposizioni della convenzione imputabile ad un'altra parte contraente, ma anche ogni
persona fisica, ogni organizzazione non governativa o gruppo di privati, che pretende di essere vittima di una
violazione dei diritti riconosciuti nella convenzione, imputabile ad una delle parti contraenti .
Corte europea dei diritti dell'uomo: ha il compito, nel caso di fallimento della composizione amichevole della
controversia, di risolvere la questione che le viene sottoposta dalla commissione stessa o da una delle parti contraenti.
La decisione della corte è definitiva e quindi le parti contraenti sono obbligate a darle esecuzione.

Il consiglio europeo, nella sessione di Nizza del 7-9 dicembre 2000, ha proclamato solennemente la Carta Dei Diritti
Fondamentali Dell'unione Europea. Essa si applica alle istituzioni e agli organi dell'unione europea , nel rispetto del
principio di sussidiarietà, e agli stati membri nell'ambito dell'attuazione del diritto dell'unione. Inoltre, ponendosi
come una codificazione dei diritti fondamentali, al fine di sancirne in modo visibile l'importanza capitale e la portata
per i cittadini dell'unione, la carta rinvia, se pur con indubbi elementi di nuova attività, alle fonti di riferimento di quei
diritti.

Infine, disposizioni sulla tutela dei diritti dell'uomo sono contenute anche:
Nell'atto finale della conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (a Helsinki 1975)
Nel patto internazionale sui diritti civili e politici 1966
Nel patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali 1966
Nella convenzione sui diritti politici della donna e 1952
Della convenzione sui diritti del fanciullo 1959
Nella dichiarazione dei diritti e delle libertà fondamentali adottata dal Parlamento europeo il 12 aprile 1989.

120
LA CONDIZIONE GIURIDICA DELLO STRANIERO
Il nostro Stato non è tenuto ad assicurare agli stranieri il godimento dei diritti e delle libertà solennemente proclamati.
Vige, infatti, il principio della separazione tra diritto interno e diritto internazionale. Inoltre, l'obbligo dello Stato
italiano di regolare la condizione giuridica dello straniero in conformità delle norme e dei trattati internazionali è
vincolante nei limiti in cui norme e trattati non siano in contrasto con i principi del sistema costituzionale.
Tuttavia, lo Stato italiano è tenuto a parificare la condizione giuridica dello straniero tutte le volte che questo non
contrasta con i suoi preminenti interessi..
Gli stranieri non sono destinatari delle norme che attribuiscono diritti e doveri politici, cioè quelle situazioni
giuridiche soggettive strettamente inerenti alla qualità di cittadino. Pertanto non avranno:
- diritto di elettorato attivo e passivo,
- il diritto di associarsi in partiti,
- il diritto di rivolgere petizioni alle camere,
- il dovere di fedeltà alla Repubblica.

Avranno:
- il diritto di associarsi di riunirsi, purché non in partiti;
- il diritto di circolare e soggiornare nel territorio della Repubblica
- il diritto di ottenere un lavoro.

Anche il principio di uguaglianza, la cui applicazione non contrasta con i preminenti interessi statali, deve essere
esteso anche i non cittadini.

Diritto di asilo: l'art. 10 comma 3, attribuisce allo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio
delle libertà democratiche da essa garantite, il diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni
stabilite dalla legge. Dunque, perché lo straniero possa assumere la qualità di rifugiato politico, è condizione
indispensabile che non possa esercitare di fatto nel suo paese le libertà democratiche che la nostra Costituzione
garantisce. Lo straniero che ottiene asilo politico ha, a differenza degli altri stranieri, il diritto di soggiornare a tempo
indeterminato in Italia.

Disciplina dell'immigrazione: la L. 40 / 98 ha dato una nuova disciplina organica dell'immigrazione ed alla


condizione giuridica dello straniero non appartenente all'unione europea o apolide.
Allo straniero vengono riconosciuti tutti i diritti fondamentali attinenti alla persona umana, il diritto di partecipare alla
vita pubblica, la piena tutela giurisdizionale, l'accesso ai pubblici servizi, l'uso della lingua nazionale o di altra lingua
conosciuta nei rapporti con la pubblica amministrazione.
Lo straniero che soggiorna in Italia per un periodo di cinque anni e dimostra di avere un reddito sufficiente a
mantenere se stesso e la propria famiglia, ha diritto ad ottenere una carta di soggiorno a tempo indeterminato, mentre
la violazione delle procedure e degli obblighi per l'ingresso e soggiorno in Italia comporta l'espulsione, disposta dal
prefetto, con atto motivato ricorribile all'autorità giudiziaria. Tuttavia, l'espulsione non è ammessa quando da essa può
derivare per lo straniero persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche,
condizioni personali e sociali oppure se si tratta di minore o donne in stato di gravidanza o puerperio.
La L. 189 / 2002 ha previsto ulteriori e più restrittive condizioni per l'ingresso in Italia degli stranieri extracomunitari.
Ha prescritto rilievi fotodattiloscopici e particolari condizioni per la stipula di contratti di lavoro, senza dei quali non
possono essere rilasciati permessi di soggiorno.

SEZIONE 6: DIRITTI INVIOLABILI DELL'UOMO E


FORMAZIONI SOCIALI

IMPEGNO DELLA REPUBBLICA DI RICONOSCERE E GARANTIRE I


DIRITTI INVIOLABILI DELL'UOMO NELLE FORMAZIONI SOCIALI
Art. 2 Cost. " la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo
sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, che
richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica
e sociale ".

121
Nell'art. 2, " Repubblica " è un termine che sta a significare che l'impegno costituzionale di riconoscere e garantire i
diritti inviolabili dell'uomo è assunto non solo dallo Stato apparato, ma anche dallo Stato istituzione (comprensivo,
oltre che di tutti i minori corpi sociali, anche di tutti gli ordinamenti particolari e ad essi sovraordinato).
Il primo problema che si pone è se le formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell'uomo debbano inserire
nell'ordinamento interno norme che riconoscono e garantiscono i diritti inviolabili. In realtà l'obbligo non può esser
imposto dall'esterno dall'apparato autoritario, perché ciò comprimerebbe la sfera di autonomia delle formazioni
sociali, che è autonomia dallo Stato. Esse, infatti, devono essere libere di darsi un ordinamento interno in cui i diritti
inviolabili possono essere riconosciuti o non esserlo, garantiti o non garantiti. Per questo spetterà allo Stato apprestare
il riconoscimento di strumenti di garanzia dei diritti inviolabili di singoli, in quanto componenti di una formazione
sociale, nel momento in cui la Costituzione esige che certi valori siano tutelati non solo nei confronti dei pubblici
poteri, ma anche nei confronti del potere privato.
Il secondo problema che si pone è se il singolo, qualora le formazioni sociali non garantiscano o riconoscano i diritti
inviolabili, possa invocare ugualmente la tutela delle sue situazioni soggettive lese dal potere privato e sulla base di
quali norme egli possa invocarla.
L'art. 2 si presta ad essere interpretato sia nel senso che i diritti inviolabili dell'uomo sono solo quelli espressamente
garantiti da altre disposizioni costituzionali, nel senso che esso contiene un elenco aperto, in modo tale che dottrina e
giurisprudenza (e soprattutto quella costituzionale) possono trarne la garanzia di altre inviolabili situazioni soggettive.

LE FORMAZIONI SOCIALI A RILEVANZA COSTITUZIONALE


Le formazioni sociali a rilevanza costituzionale sono:
Confessioni religiose
Famiglia
scuola
la comunità del lavoro
partiti politici
regioni, province, comuni
minoranze linguistiche.
È richiesto il rispetto, in queste formazioni sociali, dei valori costituzionali di libertà e uguaglianza formale, i quali di
conseguenza dovrebbero essere riconosciuti e garantiti ai singoli.
La Costituzione ha dunque posto dei limiti all'autonomia delle formazioni sociali a rilevanza costituzionale nel senso
che impone loro il rispetto del principio di democraticità e del principio di uguaglianza, oltreché il rispetto
dell'ordinamento giuridico statale.

AZIONABILITÀ DEI DIRITTI INVIOLABILI E FORMAZIONI SOCIALI


Un problema che si è posto è se il singolo possa invocare la protezione dell'apparato autoritario dello Stato o
l'intervento del giudice nelle formazioni sociali e, in caso di risposta affermativa, come si possa conciliare l'intervento
dello Stato all'interno del gruppo sociale con la libertà delle associazioni di regolare autonomamente il loro
ordinamento interno e i rapporti con gli associati. La dottrina sul punto è divisa: ci sono infatti varie tesi:
Secondo una parte della dottrina, l'art. 2 consente la protezione giurisdizionale del singolo nell'associazione,
invocando l'art. 24 della Cost., che non fa alcun riferimento a forme o limiti e ambiti di tutela e ponendo alla base
della domanda non le norme di diritto privato, bensì direttamente le situazioni costituzionali lese.
Secondo un'altra tesi, è ammesso l'intervento del giudice, purché rispetti i limiti dell'autonomia privata.
Secondo un'altra tesi ancora, non si può operare una trasposizione meccanica all'interno delle formazioni sociali di
tutti i diritti di cui l'individuo gode nell'ordinamento generale.
Infine, è stato sostenuto che l'intervento del giudice nelle associazioni, a tutela degli interessi degli associati,
costituirebbe più che un fattore limitativo della libertà associativa o un ostacolo allo sviluppo della personalità
individuale, un modo di garantire i valori che i privati hanno posto alla base della formazione sociale che hanno
costituito, associandosi spontaneamente.

CONSIDERAZIONI FINALI
Le formazioni sociali non sono omogenee sotto vari profili:
- ci sono formazioni sociali necessarie, per esempio la famiglia, e formazioni sociali volontarie, come le confessioni
religiose, la scuola dopo il periodo di istruzione obbligatoria e i partiti.

122
- le formazioni sociali perseguono fini eterogenei, rispetto ai quali lo Stato istituzione può avere o un interesse diretto
(e in questo caso li enuncerà espressamente nella Costituzione) oppure un interesse indiretto (e in questo caso
riconoscerà e tutelerà le formazioni sociali che li perseguono, ma non ne determina espressamente i fini).
- diversi sono anche i limiti esterni posti dalla Costituzione all'ordinamento delle formazioni sociali in esame:
l'ordinamento giuridico italiano per le confessioni religiose; l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi per la
famiglia; il trattamento scolastico equipollente per la scuola privata; l'ordinamento interno su base democratica per i
sindacati; il metodo democratico per i partiti.
- diversa è l'intensità e la qualità del vincolo associativo. Per quanto riguarda l'intensità del vincolo, esso può giungere
sino a rendere giuridicamente irrilevante ogni recesso volontario(come nel caso del matrimonio per la Chiesa
cattolica) o a far venir meno il vincolo solo in alcuni casi (matrimonio) o a mantenerlo in vita parzialmente (rapporto
dei genitori nei confronti dei figli) o consente la più ampia libertà di associarsi o non associarsi (a creare o sciogliere il
vincolo).
Per quanto riguarda la qualità del vincolo, essa dipende sia dalla causa (può essere di ordine spirituale o materiale) sia
dai motivi (che di opportunità, di convenienza di solidarietà...).

In particolare, il rilievo assunto da alcune formazioni sociali, come partiti e sindacati, ha fatto ritenere che sia
necessaria una disciplina ad hoc, ma a ciòi sindacati i partiti si sono sempre voluti sottrarre per rifugiarsi nella zona di
minor controllo, cioè nella sfera di autonomia delle associazioni non riconosciute. In alcuni casi, invece, il legislatore
ha ritenuto di dover intervenire, dettando una disciplina diretta a tutelare:
- i diritti del lavoratore all'interno dell'impresa con la L. 300 /70 (cosiddetto statuto dei lavoratori): in questo modo si è
data attuazione al principio secondo cui l'iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da recare danno alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (art. 41, comma 2 Cost.).
- i diritti dei componenti la famiglia legittima con la riforma del diritto di famiglia: in questo modo si è data attuazione
al principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi e alle norme che prevedono la tutela dei figli all'interno
della famiglia.

IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA


È importante esaminare le connessioni tra la riservatezza e la libertà, cioè se la riservatezza può essere considerata un
diritto a sè stante o una componente della libertà..
Innanzitutto bisogna sottolineare come nella cosiddetta società tecnologica esistano strumenti che non consentono
all'uomo di godere appieno della propria sfera di intimità: telefono, radio, TV, computer... Nel nostro ordinamento
non esiste un autonomo diritto alla riservatezza, ma a livello costituzionale, la privacy rappresenta una componente di
alcuni diritti di libertà e, di conseguenza, risulta almeno formalmente garantita, ma se si tiene conto dei modi in cui la
sfera privata di ogni individuo può essere compressa e violata nelle moderne società di massa, allora bisogna
constatare che la sfera d'intimità di ognuno è solo debolmente protetta.
La Costituzione, però, nonostante non contenga nessun limite e per evitare un'invasione nella sfera di intimità altrui,
contiene due principi strettamente collegati tra di loro che possono valere per la tutela della privacy:
-L'art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo;
- l'art. 3 Cost., che richiede la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno
sviluppo della persona umana.

CAPITOLO II: LE AUTONOMIE DELLE FORMAZIONI


SOCIALI

LA FAMIGLIA (art. 29, 30, 31 Cost)


La prima formazione sociale in cui si svolge la personalità dell'uomo è indubbiamente la famiglia, la quale viene presa
in considerazione dalla Costituzione negli articoli 29, 30, 31.
Il costituente, quando ha redatto la Costituzione, aveva presente il modello classico di famiglia che emergeva dal
codice civile, ovvero una famiglia patriarcale, fortemente gerarchizzata ed in cui la donna aveva una posizione
subordinata. Tuttavia, il costituente ha nettamente rifiutato questo modello di famiglia, tanto che nel 1975 ha
riformato il diritto di famiglia e le disposizioni del codice civile si sono adeguate alle indicazioni costituzionali.

123
Art. 29 Cost. " la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come
società naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei
coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità
familiare ".
Da questo articolo si deduce che il vincolo familiare nasce solo con il matrimonio civile o con il matrimonio
concordatario trascritto (ovvero il matrimonio in Chiesa a cui segue la trascrizione dell'atto matrimoniale nei registri
dello stato civile).
La L. 151 / 75, nota come riforma del diritto di famiglia, ha ampiamente modificato la disciplina legislativa
previgente, mirando soprattutto a raggiungere l'uguaglianza giuridica e morale dei coniugi:
Ha sostituito la potestà maritale dei figli con quella coniugale.
Ha affermato il principio della condizione paritaria da parte di entrambi i coniugi del governo familiare.
Ha istituito il regime legale di comunione di beni, al posto del regime di separazione.
Ha modificato il regime successorio in modo più favorevole al coniuge superstite.
Per quanto riguarda l'uguaglianza morale, mira a proteggere soprattutto la pari dignità personale dei coniugi che
pertanto ad evitare i tentativi di umiliazione e spersonalizzazione di un coniuge da parte dell'altro.

Condizione dei figli:


l'art. 30 Cost. " è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed
educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.
Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i
loro compiti.
La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e
sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.
La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità. ".
Questo è un diritto-dovere, sanzionabile penalmente e civilmente per il caso di inadempienza. La stessa Costituzione,
nel secondo comma dell'art. 30 Cost. assegna alla legge di provvedere nei casi di incapacità dei genitori affinché siano
assolti i loro compiti.
I genitori, tuttavia, anche se vincolati all'assolvimento di questi doveri, sono liberi circa le modalità e i tipi di
istruzione ed educazione: oltre a dover essere assicurata la frequenza alla scuola dell'obbligo, queste ultime devono
procedere secondo le naturali inclinazioni dei figli, in modo tale che essi possono, anche nella famiglia, esplicare in
pieno la propria personalità e non vedere frustrate le proprie capacità intellettuali e spirituali dall'incomprensione dei
genitori.
I doveri di mantenimento, educazione ed istruzione dei figli non vengono meno nei casi di figli naturali riconosciuti,
ai quali è assicurata, tra altro, ogni tutela giuridica e sociale, compatibili con i diritti della famiglia legittima.

Art. 31 Cost. " la Repubblica agevola con misure economiche e altre


provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi
con particolare riguardo alle famiglie numerose.
Che protegge la maternità, infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti
necessari a tale scopo. "
La disposizione esprime un ampio favor sia nei confronti della famiglia che del minore, e individua a livello
costituzionale i cardini di un ampio programma di sostegno della famiglia e di protezione dell'infanzia e della
gioventù.. Tale politica di intervento pubblico trova ulteriori specificazioni in altri articoli della Costituzione, come
l'art. 34, con riferimento ai figli capaci e meritevoli nello studio oppure nell'art. 30, si con riferimento alla retribuzione
del lavoratore che provvederà alla sua famiglia.

LA SCUOLA (artt. 33 e 34 Cost.)


Direttamente collegata alla famiglia è la scuola, in quanto il processo di formazione intellettuale e spirituale del
cittadino si svolge nelle sue fasi iniziali dalla famiglia alla scuola. Quest'ultima assolve il compito di preparare
culturalmente l'individuo, in modo che questi possa, superato lo stadio scolare, inserirsi con un'idonea preparazione di
base nel mondo del lavoro.
La scuola ha una funzione sociale (per questo motivo la scuola è una formazione sociale a rilevanza costituzionale),
perché strumento di elevazione spirituale dell'uomo e di progresso civile, da cui si traggono tra l'altro benefici effetti
di natura economica. Per questo l'art. 34 comma 2 stabilisce che "l'istruzione inferiore, impartita per almeno otto
anni, è obbligatoria e gratuita ". La frequenza alla scuola dell'obbligo è un dovere civico e gli otto anni di frequenza
scolastica è il grado minimo dell'istruzione assolutamente inderogabile.

124
Art. 34, comma 3 e 4 " i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi,
hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni
alle famiglie a e altre provvidenze, che devono essere attribuite per
concorso ".
Dopo un periodo d'istruzione inferiore per tutti obbligatorio, i capaci e i meritevoli sono messi in condizione di
proseguire gli studi per mezzo di provvidenze economiche pubbliche che devono essere attribuite per concorso, ma ci
deve essere sia la capacità che il merito, perché la sola qualità intellettuale si può riscontrare anche in capo a persone
non bisognose; d'altro canto, il solo merito non è sufficiente, in quanto l'impegno assiduo e la volontà di studio di
soggetti naturalmente incapaci non vanno premiati con un diploma o una laurea, ma assicurando loro l'inserzione nel
mondo del lavoro.

Per quanto riguarda la struttura interna della scuola, essa ha natura pluralistica. Ciò perché non si è voluto mortificare
la personalità in fieri dello scolaro con un unico tipo o modello pedagogico. Per questo l'art. 33, comma 3 stabilisce
che " enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di locazione, senza oneri per lo Stato ".
L'esigenza di fornire agli scolari degli istituti parificati una adeguata istruzione è garantita:
- attraverso l'imposizione, a carico delle scuole non statali, dell'obbligo di assicurare " un trattamento scolastico
equipollente a quello degli alunni delle scuole statali, come stabilisce l'art. 33 comma 4.
- prescrivendo l'esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per
l'abilitazione all'esercizio professionale (art. 33 comma 5).
L'esclusione di pubblici finanziamenti a favore delle scuole private da un lato scoraggia il pluralismo scolastico,
dall'altro si giustifica con l'esigenza di salvaguardare la libertà di insegnamento, che sarebbe inevitabilmente
compressa dei controlli pubblici che si accompagnerebbero automaticamente ai finanziamenti.
Il pluralismo viene, inoltre, costituzionalmente favorito con l'attribuzione alle istituzioni di alta cultura, alle università
e alle accademie del diritto " di darsi degli ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato " (art. 33,
ultimo comma).

LE CONFESSIONI RELIGIOSE (ARTT. 8 E 19 COST.)


L'art. 8 Cost., primo comma stabilisce che " tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge ".
Questo comma è collegato all'art. 19 della Cost., secondo cui "tutti hanno diritto di professare liberamente la propria
fede religiosa, in qualsiasi forma a, individuale o associata a, di farne propaganda e di esercitarne in privato in
pubblico il culto, purché non si tratti diritti contrarie al buon costume ".
La differenza tra i due articoli sta nel fatto che l'art. 19 riguarda una libertà dell'uomo come tale, professata sia in
forma individuale che associata, mentre l'art. 8 riguarda l'uguale libertà del gruppo confessionale religioso in senso
istituzionale.
La libertà della confessione cattolica è e non può essere qualitativamente diversa dalla libertà delle confessioni
acattoliche, anche se, indubbiamente, il culto cattolico conserva una posizione peculiare rispetto agli altri culti.

La confessione cattolica: la storia dei rapporti tra Stato e Chiesa non si è sempre svolta secondo un'identica linea
evolutiva. Lo statuto albertino proclamava la religione cattolica, apostolica e romana come la sola religione dello
Stato e dichiarava che gli altri culti erano appena tollerati. Si instaurava quindi una situazione di privilegio a favore
del culto cattolico e a svantaggio degli altri culti.
Negli anni successivi dello statuto albertino, i rapporti tra Stato e Chiesa si incrinarono, soprattutto dopo
l'occupazione di Roma e la debellatio dello Stato pontificio (1870), che diedero vita alla cosiddetta questione romana.
Ci fu poi la legge delle guarentigie (1871), con la quale lo Stato italiano disciplinò unilateralmente le prerogative del
sommo pontefice e le sue relazioni con la Chiesa. Tale legge non fu mai formalmente accettata dalla Chiesa, che anzi
manifestò concretamente il proprio dissenso col divieto rivolto ai propri fedeli di partecipare alle elezioni politiche e
ad altre pubbliche manifestazioni (il cosiddetto non expedit).
La riconciliazione si ebbe nel 1929 con i Patti Lateranensi che constano di un trattato, con cui si pose fine alla
questione romana e si costituì lo Stato città del vaticano, una convenzione finanziaria e un concordato, modificato nel
1984, comprensivo di un protocollo addizionale.
Ai patti lateranensi fu data attuazione in Italia con la L. 810/29, in cui venne riaffermato il principio statutario della
religione dello Stato, che sarebbe stato superato solo con l'avvento della Costituzione Repubblicana. Quest'ultima,
nell'art. 7 stabilisce che " lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro
rapporti sono regolati dai patti lateranensi. Le modifiche dei patti, accertate dalle due parti, non richiedono
procedimento di revisione costituzionale ".

125
L'art. 7 contiene una norma sulla produzione giuridica e ha costituzionalizzato non le singole norme dei Patti
Lateranensi, ma il cosiddetto principio concordatario per il quale lo Stato sarebbe vincolato a disciplinare
bilateralmente i propri rapporti con la Chiesa, ma se l'accordo non viene raggiunto, sarà necessaria una legge
costituzionale che abroghi l'art. 7 per modificare unilateralmente la norma concordataria.
La Corte Costituzionale ha riconosciuto la propria competenza a sindacare i patti sotto il profilo del loro eventuale
contrasto con i principi supremi dell'ordinamento costituzionale, fermo restando che le norme pattizie non siano in
contrasto con questi principi non sono sindacabili.
La revisione del concordato fu necessaria per l'insanabile contrasto tra alcune norme concordatarie e il nuovo
ordinamento Repubblicano. Ci fu così l'accordo più il protocollo addizionale, stipulato tra la Repubblica Italiana e la
Santa Sede il 18 febbraio 1984, ratificato in Italia con la L. 121 / 85. Esso, di fatto, costituisce un nuovo concordato,
come si deduce dall'art. 13, a norma del quale le disposizioni del concordato non riportate nell'accordo sono abrogate.
Punti più importanti del nuovo concordato:
Neutralità dello Stato in materia religiosa: viene abrogato il principio della religione di Stato ed è affermata la piena
laicità dello stesso (uno Stato si definisce laico quando riconosce la libertà di religione delle confessioni religiose e
non esprime preferenze attribuendo ad una di esse la qualità di religione ufficiale di Stato, mentre lo Stato
confessionale riconosce una religione come sola religione dello Stato e assume atteggiamenti di repressione o al
massimo di tolleranza verso gli altri culti).
Assoluta autonomia della organizzazione ecclesiastica: è abrogata la norma che prescriveva il gradimento dello Stato
per la nomina di ecclesiastici ad uffici con cura di anime.
Abrogazione dei privilegi per gli enti ecclesiastici.
Nuova disciplina del matrimonio cattolico.
Superamento del principio secondo cui l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole costituiva fondamento a
coronamento dell'istruzione pubblica.

Per quanto riguarda le confessioni religiose diverse dalla cattolica, anche i rapporti tra lo Stato e i culti acattolici non
sempre si sono svolti all'insegna della reciproca comprensione. Si è infatti assistito ad un lentissimo processo di
liberalizzazione, sboccato sul piano normativo con l'entrata in vigore della Costituzione. Dalla tolleranza dello statuto
albertino nei confronti di ogni manifestazione religiosa non cattolica, s'è passati all'ammissione con la L.1159/29.
I rapporti tra lo Stato e le confessioni acattoliche sono regolati per legge sulla base di intese con le relative
rappresentanze (cosiddetto principio pattizio). Tra le intese più importanti, ci sono quelle con la tavola valdese, con le
assemblee di Dio in Italia, con le chiese cristiane avventiste del settimo giorno, con l'unione delle comunità
israelitiche italiane, con l'unione cristiana evangelica Battista d'Italia è con la Chiesa evangelica luterana in Italia.

LA COMUNITÀ DEL LAVORO


I sindacati sono libere organizzazioni di lavoratori, subordinati o indipendenti, o di datori di lavoro aventi per fine la
tutela degli interessi collettivi degli associati.
L'origine dei sindacati si fa risalire a metà del secolo scorso, quando la lotta per il salario svelò le condizioni
drammatiche dei lavoratori, vittime del liberismo economico. Il processo di affrancazione è stato lungo e faticoso e
solo recentemente la libertà sindacale si è affermata. In particolare, si è affermato il principio del pluralismo
sindacale, che consiste nella possibilità che gli appartenenti alla stessa categoria produttiva si organizzino in più
sindacati. Del resto, l'art. 39 della Cost. stabilisce che "l'organizzazione sindacale è libera ". La libertà sindacale si
collega alla libertà di associazione, che consiste sia nel diritto di associarsi liberamente con altri cittadini per tutelare
gli interessi comuni legati allo svolgimento dell'attività lavorativa, sia nel diritto dei sindacati di svolgere liberamente
e senza controlli la propria attività..
Per quanto riguarda la registrazione dei sindacati, prevista dall'art. 39, con essa il sindacato assume rilievo
pubblicistico ed essi possono stipulare contratti collettivi di lavoro aventi efficacia vincolante nei confronti di tutti gli
appartenenti (siano o no iscritti al sindacato) alla categoria cui il contratto si riferisce.
Per la registrazione, è necessario che gli statuti dei sindacati che chiedono la registrazione sanciscono un ordinamento
interno a base democratica.
Organizzazioni sindacali complesse: sono associazioni di associazioni, confederazioni o federazioni sindacali a
diffusione nazionale, che hanno il fine di tutelare gli interessi comuni alle varie categorie di lavoratori o di
imprenditori che aderiscono. Per i lavoratori c'è la CGIL, CISL e UIL, mentre per i datori di lavoro c'è la
Confindustria, la Confagricoltura e la Confcommercio.
I sindacati autonomi, invece, sono raggruppati a loro volta in una confederazione (CISAL) e sono presenti soprattutto
nel settore dei pubblici servizi. Sono poi sorti i Cobas, cioè i comitati di base, nati in alcuni settori dei pubblici servizi
per svolgere una azione prevalentemente rivendicativa sul piano del trattamento economico.

Gli strumenti di cui principalmente si avvale il sindacato per raggiungere i propri obiettivi sono:
126
1) contratto collettivo di lavoro: se stipulato da sindacati registrati, ha efficacia per tutti gli appartenenti alla
categoria ed è fonte del diritto. Tuttavia l'art. 39 non ha ancora trovato attuazione, anche a causa dell'opposizione
politica dei sindacati: l'unico contratto collettivo che si può stipulare è quello di diritto comune che dovrebbe avere
efficacia limitatamente ai sindacati stipulanti, ma di fatto è efficace anche nei confronti dei non iscritti.
Se invece è stipulato da sindacati non registrati, sono obbligatori solo per gli iscritti ai sindacati.
Per quanto riguarda il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale, le clausole del contratto collettivo
prevalgono su quelle del contratto individuale, a meno che quest'ultimo non disponga più favorevolmente per il
lavoratore (ma di solito e contratti individuali riproducono quelli collettivi).
I contratti collettivi per il pubblico impiego, invece, hanno un particolare regime che riguardano il personale civile
dello Stato, delle regioni a statuto ordinario, delle province e dei comuni, degli enti ospedalieri e degli enti parastatali.
Essi sono emanati dal Presidente della Repubblica e hanno efficacia erga omnes.

2) sciopero: art. 40 della Cost. dispone che " il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano ".
Lo sciopero dunque è riconosciuto costituzionalmente, perché nel conflitto tra imprenditori e lavoratori, questi ultimi
rappresentano la parte economicamente più debole alla quale la Costituzione ha attribuito il diritto di sciopero come
strumento per ristabilire l'equilibrio della lotta sindacale.
Lo sciopero è ogni astensione collettiva dal lavoro promossa dai sindacati e posta in essere da lavoratori subordinati e
ha come finalità quella di ottenere, facendo pressione sugli imprenditori, miglioramenti della situazione economica e
delle condizioni di lavoro rispetto a quelle disciplinate dal contratto collettivo. Lo sciopero è un diritto soggettivo
immediatamente azionabile e pertanto le leggi regolatrici dello sciopero, ex art. 40 Cost., possono disciplinare
esclusivamente le modalità di esercizio dello sciopero.
Limiti del diritto di sciopero: la L. 382 / 78 vieta ai militari di esercitare il diritto di sciopero ma anche di costituire
associazioni professionali a carattere sindacale e di aderire ad altre associazioni sindacali. Inoltre, la L. 121 / 81 vieta
agli appartenenti alla polizia di Stato l'esercizio del diritto di sciopero e di azioni sostitutive di esso che, effettuate
durante il servizio, possono pregiudicare le esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica o le attività di
polizia giudiziaria.

Serrata: consistere nella temporanea sospensione del lavoro disposta dal datore di lavoro al fine di fare pressione sui
lavoratori per motivi contrattuali ovvero per indurvi a rinunciare ad agitazioni promosse per ottenere miglioramenti
economici. La Corte Costituzionale ha ravvisato un tacito divieto della serrata, in quanto lo sciopero è stato regolato
nella Costituzione, al contrario della serrata. La corte, inoltre, affermato il principio che, senza in nulla coartare la
libertà del lavoratore che ha inteso scioperare, è legittimo sostituire temporaneamente i pubblici dipendenti che,
scioperando, interrompono servizio essenziale per la collettività.

La L. 146 / 90 ha disciplinato l'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, cioè quelli volti a
garantire il godimento dei diritti della persona alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libertà di
circolazione, all'assistenza è alla previdenza sociale, all'istruzione e alla libertà di comunicazione. Lo sciopero deve
essere esercitato nel rispetto di misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili, con un
preavviso minimo non inferiore a dieci giorni e con l'indicazione della durata dell'astensione dal lavoro.
I ministri competenti e i prefetti possono precettare i lavoratori che hanno annunciato lo sciopero o stiano effettuando,
quando ricorrono casi di urgenza o di grave necessità pubblica che impongono di non interrompere la prestazione
lavorativa.

Sciopero politico: esso era ritenuto che in passato illecito, oggi è diventato un vero e proprio diritto. La Corte
Costituzionale ha dichiarato:
-la legittimità dello sciopero non solo volto a finalità retributive, ma anche quando esso viene proclamato in funzione
di tutte le rivendicazioni riguardanti il complesso degli interessi dei lavoratori che trovano la loro disciplina nel titolo
III parte prima Cost. (il cosiddetto sciopero per le riforme).
-legittima solo la punizione dello sciopero politico che sia diretto a sovvertire l'ordinamento costituzionale o che si
converta in uno strumento diretto ad impedire o ad ostacolare il libero esercizio di quei diritti e poteri nei quali si
esprime la sovranità popolare.

Statuto dei lavoratori: L. 300 / 70. I punti più importanti sono:


È vietato l'uso di impianti audiovisivi o di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività del
lavoratore
Tutela la salute e l'integrità fisica del lavoratore
Attribuisce ai lavoratori studenti il diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli
esami.

127
Vieta la costituzione dei cosiddetti sindacati gialli o di comodo, cioè quelli sostenuti e finanziati dai datori di lavoro
al fine di controbattere le libertà sindacali dall'interno della fabbrica.
Prevede la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore il cui licenziamento sia stato dichiarato inefficace o
annullato perché intimato senza giusta causa o dichiarato nullo.
Prevede la possibilità di costituzione di rappresentanze sindacali aziendali, per iniziativa dei lavoratori, tra le
associazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Questa è una norma molto importante
perché specificativa della libertà di organizzazione sindacale all'interno del posto di lavoro.

Conclusioni: oggi la posizione di sindacati appare notevolmente potenziata e ciò non solo grazie all'assenza della
legge sindacale prevista dall'art. 39 e alla cui attuazione i sindacati si sono tenacemente opposti per evitare i controlli
statali nella loro organizzazione interna e anche sulla loro attività, ma anche grazie alla perdita di potere delle
istituzioni politiche. Per questo motivo si è assistito ad un graduale inserimento di sindacati nell'aria del potere,
soprattutto per la funzione consultiva in materia economica, svolta nei confronti del governo.
Per quanto riguarda il rapporto tra sindacati e partiti, i sindacati tendono ad affermare sempre più la loro autonomia
nei confronti dei secondi. La differenza tra sindacati e partiti risiede nel fatto che i partiti hanno fine socio-politico,
mentre i sindacati hanno fine socio economico. Sul piano strumentale, la differenza risiede nel fatto che i programmi
dei partiti possono diventare indirizzo politico se riescono a conquistare e comporre la maggioranza in Parlamento,
mentre i sindacati non possiedono gli strumenti giuridici per concorrere a realizzare pienamente le loro scelte di
politica economica sul piano dello Stato-governo. Tuttavia, l'azione sindacale ha avuto modo di esplicarsi sia
ricorrendo ai suoi strumenti (contratto collettivo e sciopero), sia mediante la formazione di una rete di rapporti con i
poteri dello Stato (per esempio il CNEL) e in particolare tra questi e i partiti.

I PARTITI POLITICI
Il partito politico è un'associazione di individui accomunati da una visione di parte degli interessi generali di una data
comunità statale.

Elementi costitutivi:
Pluralità di persone
Organizzazione
patrimonio
Scopo (cioè ideologia).

Per quanto riguarda la storia dei partiti, si è passati da periodi storici in cui i partiti erano considerati legittimi, al
periodo del regime politico liberale classico in cui i partiti erano meramente tollerati e perciò si configuravano come
semplici raggruppamenti parlamentari, privi di una reale presenza del paese. Quest'ultima si è avuta solo in epoca
recente: il partito da associazione elitaria si è trasformato in movimento politico di massa e, nello stesso periodo, si è
avuto il suo riconoscimento costituzionale tra le formazioni sociali.
Negli stati contemporanei, bisogna distinguere tra posizione costituzionale del partito come strumento privatistico
(come associazione non riconosciuta) tipica degli stati di democrazia occidentale, e tra situazione di incorporazione
nello Stato, attribuendo al partito la qualità di organo che determina la volontà statale, tipica degli stati autoritari e
socialisti.
Questa connessione tra regime politico e natura giuridico costituzionale dei partiti assume un’ulteriore
caratterizzazione a seconda del sistema partitico adottato. Nelle democrazie occidentali, si usa il bipartitismo oppure
pluripartitismo (nei sistemi bipartitici c'è l'alternanza al potere di due partiti numericamente consistenti; in quelli
pluripartitici, è necessario creare governi di coalizione è perciò spesso sono governi stabili). Negli stati socialisti, la
natura del partito come organo statale si accompagna ad un sistema mono partitico (i cosiddetti stati a partito unico).

Disciplina dei partiti:


l'art. 49 Cost. dispone che " tutti i cittadini hanno diritto di associarsi
liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a
determinare la politica nazionale ".
L'art. 49 è una specificazione dell'art. 18 che sancisce la libertà di associazione. Essendo quindi una libertà di
associazione e non un diritto, non si può pretendere l'iscrizione al partito, perché il partito ha la facoltà di operare una
selezione tra coloro che chiedono l'iscrizione, allo scopo di verificare la consonanza delle idee del singolo con
l'ideologia e programma del partito (per lo stesso motivo, il partito può espellere l'iscritto).
Limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti: il legislatore pone delle limitazioni a carico di alcune categorie di cittadini:

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- magistrati, militari di carriera, funzionari e agenti di polizia, rappresentanti diplomatici e consolari all'estero non
possono iscriversi a partiti politici.
- agli ecclesiastici e religiosi è fatto divieto di iscrizione e milizia politica.
- i giudici della Corte Costituzionale non possono svolgere attività proprie degli iscritti ad un partito politico.
Lo scopo di queste limitazioni è quella di preservare i cittadini che svolgono una funzione particolarmente delicata ed
istituzionalmente imparziale da influenze di natura politica.

Diritto di concorrere a determinare la politica nazionale: Un problema che è stato sollevato è se soltanto i cittadini
iscritti ai partiti che concorrono a determinare la politica nazionale. Negli stati monopartitici, soli i cittadini
politicamente attivi in quanto iscritti al partito possono determinare l'indirizzo politico. Negli stati pluripartitici,
invece, i partiti conservano la caratteristica di associazioni di fatto, agenti a livello della comunità statale. Quindi non
hanno il monopolio nella determinazione della politica nazionale .
Dunque, non sono soltanto i cittadini iscritti e partiti determinano la politica nazionale, ma essi concorrono, come
recita l'art. 49 della Cost., alla determinazione della politica nazionale insieme ad altre forze politico sociali. Il
concorso alla determinazione della politica nazionale deve avvenire con metodo democratico .

Finanziamento dei partiti: nel 74 era stata prevista una legge che prevedeva i finanziamenti pubblici e partiti che,
ma è stata parzialmente abrogata nel '93 con i referendum. Inoltre, nel '97 era stata approvata una altra legge che
prevedeva la possibilità per i contribuenti di destinare il 4 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e al
finanziamento dei partiti e dei movimenti politici, ma nel '99 questa forma di finanziamento è stata abolita ed è
ammesso solo il rimborso delle spese elettorali e alcune agevolazioni fiscali.

N.B: il partito politico in Italia è ancora un'associazione non riconosciuta.

LE MINORANZE LINGUISTICHE (art. 6 cost.)


L'art. 6 Cost. " la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche".
Questa tutela ha trovato attuazione negli statuti di alcune regioni in cui vivono gruppi di alloglotti: nel trentino alto
Adige che vengono tutelate le minoranze di lingua tedesca e ladina, nel Friuli Venezia Giulia le minoranze di lingua
slovena, in val d'Aosta le minoranze di lingua francese.

Disposizioni più importanti:


Tutela del gruppo linguistico di lingua tedesca nella provincia di Bolzano
Tutela della lingua materna: francese in val d'Aosta è tedesco in trentino sono parificate alla lingua italiana
Tutela delle popolazioni di lingua tedesca in val d'Aosta
È salvaguardia delle caratteristiche tecniche e culturali dei gruppi linguistici
L'ordinamento scolastico che prevede l'insegnamento bilingue.

Tuttavia, l'art. 6 non è del tutto attuato, in quanto non godono di nessuna tutela a le minoranze di lingua albanese,
greca, sarda, serbo croata.

LE AUTONOMIE DEGLI ENTI TERRITORIALI

SEZIONE 1: LA FORMAZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLE


REGIONI

IL PROBLEMA DELLE AUTONOMIE REGIONALI


Le Regioni sono state istituite in Italia con la Costituzione Repubblicana dell'47 e sono disciplinate dal titolo. " Le
Regioni, le province, i comuni ".
La Sicilia, la Sardegna, il trentino alto Adige, il Friuli Venezia Giulia e la valle d'Aosta hanno forme e condizioni
particolari di autonomia secondo Statuti adottati con legge costituzionale.
Ex art. 131 della Cost., ci sono 20 Regioni autonome.
Per quanto riguarda i precedenti storici, dopo la caduta del fascismo e della monarchia, l'esigenza di un decentramento
dello Stato si fece sentire, soprattutto perché la volontà popolare espressa il 2 giugno 1946 aveva manifestato

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l'esigenza di un nuovo ordinamento costituzionale che tenesse conto di alcuni problemi. Bisognava, infatti, tener
conto del fattore geografico, ovvero della configurazione della penisola italiana, e il fattore storico, cioè del fatto che
l'Italia si era spezzata in seguito a varie dominazioni straniere. Questi due fattori avevano contribuito a causare
problemi economici. Il problema delle autonomie regionali fu affrontato globalmente dall'Assemblea Costituente per
dare un nuovo assetto costituzionale allo Stato italiano. La Regione doveva essere un ente intermedio tra lo Stato e i
comuni e le assegnava il compito di valorizzare le forze locali nel quadro e nell'interesse dello Stato in generale.
Al dibattito in Assemblea Costituente parteciparono deputati di ogni partito e corrente. Alla fine, le norme
sull'ordinamento regionale previsto nel progetto di Costituzione furono approvate e poste nel titolo V della carta
costituzionale.

I CARATTERI DELL'AUTONOMIA REGIONALE


NOZIONE: L'autonomia regionale è la libertà di determinazione consentita ad un soggetto, che si esplica nel potere
di darsi una legge regolativa della propria azione o, più in generale, la potestà di provvedere a curare i propri interessi.

Caratteri dell'autonomia regionale:


Autonomia normativa: potestà di emanare leggi aventi valore di legge ordinaria . tale potestà può essere esercitata
dalle regioni nelle materie non espressamente riservate allo stato sulla base dell’art. 117
Autonomia organizzatoria, che caratterizza la situazione giuridica di indipendenza propria di alcune figure soggettive
rispetto ad altre figure soggettive, nei confronti delle quali godono di un regime giuridico parzialmente diverso
(esempio, l'università).
Autonomia politica: potere di alcuni enti di darsi un indirizzo politico diverso da quello dello Stato.
Autonomia finanziaria: potestà di stabilire e gestire in modo autonomo le risorse finanziarie di cui necessitano per
realizzare le funzioni loro affidate. Si concretizza nell'autonomia di entrata e di spesa.
Autonomia statutaria: potere di darsi propri Statuti, avente per oggetto la disciplina della forma di governo,
dell’organizzazione e del funzionamento dell’ente per tutte le attività non regolate direttamente dalla Costituzione.
Autonomia amministrativa: ciascuna regione è dotata di un proprio apparato amministrativo e ha la potestà di
emanare atti amministrativi (c.d. autarchia)

Dunque, lo Stato si è autolimitato, conferendo alle Regioni poteri e funzioni che gli erano propri: la Regione ha avuto,
di conseguenza, un vero e proprio diritto soggettivo alla intangibilità della sua sfera giuridica ed è legittimata ad agire
nei confronti dello Stato, qualora questo violi l'ambito della sua competenza.

GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA REGIONE


A) IL TERRITORIO
La Regione:
- è un ente pubblico a rilevanza costituzionale
- è un ente territoriale, ovvero è rappresentativo di una collettività stanziata su un determinato territorio ed è il centro
di riferimento degli interessi comunitari che nel territorio della Regione trovano la loro localizzazione.
- è un ente dotato di poteri e funzioni propri e di un ordinamento autonomo, nei limiti fissati dalla Cost.

Dunque, il territorio per la regione non è solo l’ambito spaziale in cui essa esercita i suoi poteri e le sue funzioni, ma è
elemento essenziale come centro di riferimento degli interessi comunitari che gli organi regionali sono chiamati a
soddisfare.

B) LA COMUNITÀ REGIONALE (la popolazione)


La comunità stanziata sul territorio regionale è presa in considerazione dall'ordinamento come destinataria sia di
norme regionali che di norme statali. Essa esprime determinati interessi, che richiedono la predisposizione dei
cosiddetti servizi personali (esempio: polizia urbana e rurale, fiere e mercati, assistenza sanitaria e ospedaliera) ma
esistono anche altri interessi, come l'interesse a partecipare al Governo della Regione. Spetta infatti ad una parte della
comunità regionale:
Eleggere il Consiglio Regionale
richiedere il referendum previsti negli articoli 123 e 132 della Cost. e nei singoli Statuti
Presentare proposte di legge e provvedimenti amministrativi del Consiglio Regionale.
Il momento della partecipazione è stato particolarmente accentuato negli Statuti ordinari, i quali riconoscono ai
cittadini e alle varie formazioni sociali il diritto di contribuire a determinare la politica regionale.
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C) L'APPARATO AUTORITARIO
Anche la Regione possiede, come tutti gli enti o istituzioni, un proprio apparato autoritario, un proprio Governo e la
relativa organizzazione. Tuttavia, la Regione non è un ente sovrano, perché il suo ordinamento non è originario e il
suo apparato autoritario è subordinato a quello dello Stato-istituzione.
Quando si dice che le Regioni hanno poteri propri significa che esse hanno un apparato di Governo, un insieme di
organi collegati tra di loro che svolgono funzioni proprie delle Regioni, cioè quella frazione dell'autorità che
l'ordinamento ha conferito alle Regioni.

I DUE TIPI DI REGIONE


Ex art. 131, la Repubblica Italiana si riparte in venti Regioni.
La Costituzione prevede due tipi di Regione: a Statuto ordinario e a Statuto speciale. Queste ultime hanno più
autonomia rispetto alle Regioni a Statuto ordinario. Esse sono state istituite, perché si ritenne che i fattori che stanno
alla base dell'autonomia assumevano in alcune Regioni italiane, a causa della loro peculiarità di carattere geografico
(natura insulare) o etnico (presenza nel loro territorio di popolazioni allogene) e politico (a salde e fondate tradizioni
autonomista) maggior rilievo che in altre. Per questo motivo la Sicilia, la Sardegna, il trentino alto Adige, al Friuli
Venezia Giulia e la val d'Aosta hanno avuto forme e condizioni particolari di autonomia.

Differenze tra i due tipi di Regioni:


Procedimento di formazione dello Statuto
Sfera di competenza legislativa e amministrativa
Sistemi finanziari
Il cosiddetto regionalismo differenziato: permette anche alle Regioni a Statuto ordinario di negoziare con lo Stato
altre forme e condizioni di autonomia in alcune materie tassativamente indicate: l'organizzazione della giustizia di
pace, le norme generali sull'istruzione, la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e di beni culturali, tutte le materie di
legislazione concorrente. Il nuovo testo dell'art. 116, modificato dalla L. Cost. 3 /2001 ha introdotto ulteriori
differenze. La Regione che prende l'iniziativa assume il parere obbligatorio, ma non vincolante degli enti locali, nel
rispetto dei principi dell'autonomia finanziaria di cui all'art. 119. Inoltre può formulare un progetto di legge statale che
deve essere approvato dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di una intesa tra Stato e
Regione che ne definisce i contenuti (art. 116 ultimo comma).

IL SISTEMA DI GOVERNO REGIONALE


L’art. 121 Cost. prevede che tutte le Regioni siano dotate di una struttura imperniata su 3 organi di vertice:
- il Consiglio regionale, che esercita funzioni simili a quelle del parlamento;
- la Giunta regionale, che corrisponde al consiglio dei ministri;
- il Presidente della Giunta, che cumula la carica di presidente dell’organo esecutivo e quello di Presidente della
Regione.

GLI STATUTI REGIONALI (ART. 123 COST.)


Art. 123 Comma 1 " ciascuna Regione ha uno Statuto che in armonia con la
Costituzione ne determina la forma di Governo e i principi fondamentali di
organizzazione e funzionamento. Lo Statuto regola l'esercizio del diritto di iniziativa
e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la
pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali ".

Prima delle modifiche apportate dalla L. Cost. 1 / 99, lo Statuto disciplinava l'organizzazione interna della Regione,
ma non dei rapporti tra gli organi regionali e la distribuzione tra di essi dei poteri. Inoltre, lo Statuto doveva
armonizzarsi non solo con i principi generali enucleati dalla Costituzione e con le norme presenti nelle leggi in
materia regionale da essa richiamati, ma anche con i principi posti dall'intero ordinamento nazionale in materia di
organizzazione.
Il primo e ultimo comma dell'art. 123 elencano il contenuto necessario dello Statuto, il quale, però, può avere
contenuti ulteriori che la Costituzione non affida ad altre leggi regionali. Lo Statuto deve contenere necessariamente:
La determinazione della forma di Governo (la L. Cost. 2 / 2001 ha esteso alle Regioni a Statuto speciale e alle
province autonome di Trento e Bolzano il principio dell'autonomia di ciascuna Regione nella determinazione della
forma di Governo).
131
L'organizzazione interna della Regione.
L'esercizio del diritto di iniziativa legislativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della
Regione.
Pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.
Consiglio delle autonomie locali (è un organo di consultazione tra la Regione e gli enti locali, introdotto dalla L.
Cost. 3 /2001).

Art. 123, comma 3 " lo Statuto è approvato e modificato dal Consiglio


Regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti
e, con due deliberazioni successive adottate di intervallo non minore di due
mesi. Per tale legge non è richiesta l'apposizione del visto da parte del
commissario di Governo. Il Governo della Repubblica può promuovere la
questione di legittimità costituzionale sugli Statuti regionali dinanzi alla
Corte Costituzionale entro 30 giorni dalla loro pubblicazione ".

La novella del 99 ha ridisegnato i tratti del procedimento di formazione dello Statuto regionale, attribuendo l'intera
competenza a livello regionale.
È stata abolita:
- L'approvazione successiva dello Statuto con legge del Parlamento nazionale. Tuttavia, il venir meno di questo
controllo è stato bilanciato con la facoltà del Governo della Repubblica di promuovere, entro 30 giorni dalla
pubblicazione degli Statuti, la questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte Costituzionale.
Inoltre, al controllo giuridico si affianca a quello democratico: infatti,

il comma 3 dell'art. 123 dispone che " lo Statuto può essere sottoposto a
referendum a qualora, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, ne faccia
richiesta 1/50 e degli elettori della Regione o un quinto dei componenti del
Consiglio Regionale. Lo Statuto sottoposto a referendum non è promulgato se
non è approvato dalla maggioranza dei voti validi ".

Lo Statuto, così, diventa una legge regionale atipica e rinforzata, approvata con un procedimento aggravato rispetto a
quello ordinario (è come una piccola Costituzione in ambito regionale).
- è stata abolita, con L. Cost. 3 / 2001, la procedura di apposizione del visto da parte del commissario di Governo
(mentre prima l'esclusione del visto rappresentava l'eccezione).

Modifica dello Statuto ordinario: bisogna eseguire lo stesso procedimento previsto per la formazione dello Statuto.

Statuti speciali: ex art. 116, sono adottati con legge costituzionale e possono essere modificati solo con la procedura
aggravata di revisione costituzionale e prevista nell'art. 138 della Cost..
Gli Statuti speciali sono atti dello Stato aventi la forma l'efficacia della legge costituzionale.
L'ordinamento delle Regioni a regime differenziato non si esaurisce nelle norme statutarie, ma è integrato da quelle
norme contenute nel titolo quinto della Costituzione, che costituiscono dei principi generali comuni ai due tipi di
Regione (esempio art. 120). Eventuali lacune statutarie possono essere colmate con il ricorso in via analogica ai
principi ricavabili sia dalla Costituzione sia da altri Statuti speciali.

132
SEZIONE 2: L'ORGANIZZAZIONE DELLE REGIONI

IL CORPO ELETTORALE REGIONALE


Gli organi direttivi della Regione sono:
Consiglio Regionale
Giunta Regionale
Presidente della Regione
Corpo elettorale.

Il corpo elettorale è quella parte dei cittadini iscritti nelle liste elettorali dei comuni della Regione che esercitano, su
base locale, la loro sovranità. Il corpo elettorale partecipa al Governo dell'ente attraverso:
L'esercizio del diritto di voto per la formazione del Consiglio Regionale
La presentazione di proposte di legge e di regolamenti al Consiglio Regionale
Referendum abrogativo di leggi e di provvedimenti amministrativi della Regione.
Altri tipi di referendum su base regionale sono quello previsto dall'art. 132 Cost. che dispone che si può:
- con legge costituzionale, sentiti i Consigli Regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove
Regioni. La proposta deve essere approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni.
- con referendum e con legge della Repubblica consentire che province e comuni siano staccati da una Regione ed
aggregati ad un'altra.

IL CONSIGLIO REGIONALE
Il Consiglio Regionale è il massimo organo deliberativo-rappresentativo dell'ente-ordinamento giuridico Regione ed è
eletto dal corpo elettorale.
Il sistema elettorale del Consiglio Regionale e del Presidente della Giunta è disciplinato dalla legge 165/2004.
E’ proclamato eletto Presidente della Giunta regionale chi, tra i candidati capilista al consiglio regionale ha conseguito
il maggior numero di voti validi. . il presidente della giunta regionale fa parte del consiglio regionale.
Sarà invece eletto alla carica di consigliere il candidato alla carica di presidente della giunta regionale che ha
conseguito un numero di voti validi immediatamente inferiore a quello del candidato proclamato eletto presidente.

Legge 2 luglio 2004, n. 165

"Disposizioni di attuazione dell’art. 122, primo comma, della Costituzione"

Capo I

Art. 1.(Disposizioni generali)

1. Il presente capo stabilisce in via esclusiva, ai sensi dell’art. 122, primo comma, della Costituzione, i princìpi
fondamentali concernenti il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri
componenti della Giunta Regionale, nonchè dei consiglieri regionali.

Art. 2.(Disposizioni di principio, in attuazione dell’art. 122, primo comma, della Cost., in materia di ineleggibilità)

1. Fatte salve le disposizioni legislative statali in materia di incandidabilità per coloro che hanno riportato sentenze
di condanna o nei cui confronti sono state applicate misure di prevenzione, le Regioni disciplinano con legge i casi di
ineleggibilità, specificamente individuati, di cui all’art. 122, primo comma, della Cost., nei limiti dei seguenti princìpi
fondamentali:

133
a) sussistenza delle cause di ineleggibilità qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione
a peculiari situazioni delle Regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli
elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati;

b) inefficacia delle cause di ineleggibilità qualora gli interessati cessino dalle attività o dalle funzioni che
determinano l’ineleggibilità, non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature o altro termine anteriore
altrimenti stabilito, ferma restando la tutela del diritto al mantenimento del posto di lavoro, pubblico o privato, del
candidato;
c) applicazione della disciplina delle incompatibilità alle cause di ineleggibilità sopravvenute alle elezioni
qualora ricorrano le condizioni previste dall’art. 3, comma 1, lettere a) e b);
d) attribuzione ai Consigli Regionali della competenza a decidere sulle cause di ineleggibilità dei propri
componenti e del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, fatta salva la competenza dell’autorità
giudiziaria a decidere sui relativi ricorsi. L’esercizio delle rispettive funzioni è comunque garantito fino alla pronuncia
definitiva sugli stessi ricorsi;
e) eventuale differenziazione della disciplina dell’ineleggibilità nei confronti del Presidente della Giunta
Regionale e dei consiglieri regionali;
f) previsione della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente
della Giunta Regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia.

Art. 3.(Disposizioni di principio, in attuazione dell’art. 122, primo comma, della Cost., in materia di incompatibilità)

1. Le Regioni disciplinano con legge i casi di incompatibilità, specificatamente individuati, di cui all’art. 122,
primo comma, della Cost., nei limiti dei seguenti princìpi fondamentali:

a) sussistenza di cause di incompatibilità, in caso di conflitto tra le funzioni svolte dal Presidente o dagli altri
componenti della Giunta Regionale o dai consiglieri regionali e altre situazioni o cariche, comprese quelle elettive,
suscettibile, anche in relazione a peculiari condizioni delle Regioni, di compromettere il buon andamento e
l’imparzialità dell’amministrazione ovvero il libero espletamento della carica elettiva;

b) sussistenza di cause di incompatibilità, in caso di conflitto tra le funzioni svolte dal Presidente o dagli altri
componenti della Giunta Regionale o dai consiglieri regionali e le funzioni svolte dai medesimi presso organismi
internazionali o sopranazionali;
c) eventuale sussistenza di una causa di incompatibilità tra la carica di assessore regionale e quella di consigliere
regionale;
d) in caso di previsione della causa di incompatibilità per lite pendente con la Regione, osservanza dei seguenti
criteri:

1) previsione della incompatibilità nel caso in cui il soggetto sia parte attiva della lite;

2) qualora il soggetto non sia parte attiva della lite, previsione della incompatibilità esclusivamente nel caso in
cui la lite medesima sia conseguente o sia promossa a seguito di giudizio definito con sentenza passata in giudicato;

e) attribuzione ai Consigli Regionali della competenza a decidere sulle cause di incompatibilità dei propri
componenti e del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, fatta salva la competenza dell’autorità
giudiziaria a decidere sui relativi ricorsi. L’esercizio delle rispettive funzioni è comunque garantito fino alla pronuncia
definitiva sugli stessi ricorsi;

f) eventuale differenziazione della disciplina dell’incompatibilità nei confronti del Presidente della Giunta
Regionale, degli altri componenti della stessa Giunta e dei consiglieri regionali;
g) fissazione di un termine dall’accertamento della causa di incompatibilità, non superiore a trenta giorni, entro il
quale, a pena di decadenza dalla carica, deve essere esercitata l’opzione o deve cessare la causa che determina
l’incompatibilità, ferma restando la tutela del diritto dell’eletto al mantenimento del posto di lavoro, pubblico o
privato.

Art. 4.(Disposizioni di principio, in attuazione dell’art. 122, primo comma, della Cost., in materia di sistema di
elezione)

134
1. Le Regioni disciplinano con legge il sistema di elezione del Presidente della Giunta Regionale e dei consiglieri
regionali nei limiti dei seguenti princìpi fondamentali:

a) individuazione di un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel Consiglio
Regionale e assicuri la rappresentanza delle minoranze;

b) contestualità dell’elezione del Presidente della Giunta Regionale e del Consiglio Regionale, se il Presidente è
eletto a suffragio universale e diretto. Previsione, nel caso in cui la Regione adotti l’ipotesi di elezione del Presidente
della Giunta Regionale secondo modalità diverse dal suffragio universale e diretto, di termini temporali tassativi,
comunque non superiori a novanta giorni, per l’elezione del Presidente e per l’elezione o la nomina degli altri
componenti della Giunta;
c) divieto di mandato imperativo.

Capo II

Art. 5.(Durata degli organi elettivi regionali)

1. Gli organi elettivi delle Regioni durano in carica per cinque anni, fatta salva, nei casi previsti, l’eventualità
dello scioglimento anticipato del Consiglio Regionale. Il quinquennio decorre per ciascun Consiglio dalla data
della elezione.

COMPOSIZIONE DEL CONSIGLIOREGIONALE


1) Regioni di diritto comune:
80 membri nelle Regioni con popolazione superiore a sei milioni
60 membri nelle Regioni con popolazione superiore a quattro milioni
50 membri nelle Regioni con popolazione superiore a tre milioni
40 membri nelle Regioni con popolazione superiore a un milione
30 membri nelle altre Regioni

2) Regione a Statuto speciale:


Il numero è fisso in:
Sicilia 90 consiglieri
Val d'Aosta 35 consiglieri
trentino 70 consiglieri
Sardegna 80 consiglieri
Nel Friuli, invece, è determinato in ragione di uno ogni ventimila abitanti o frazione superiore ai diecimila abitanti.

Durata in carica del Consiglio: il Consiglio dura in carica cinque anni, che decorrono dalla data delle elezioni. I
consigli delle Regioni di diritto comune esercitano le loro funzioni fino al 46° giorno prima della data delle elezioni
per il loro rinnovo: è quindi esclusa la prorogatio dei loro poteri, cosa che è prevista invece per i consigli delle
Regioni a Statuto speciale.

Attribuzione del Consiglio: le norme sulle attribuzioni e sul funzionamento dei consigli delle Regioni di diritto
comune sono dettate nella Costituzione e negli Statuti regionali.
Il consiglio:
Esercita le potestà legislative spettanti alla Regione (prima della L. Cost. 1/ 99 aveva anche la potestà regolamentare
che ora è passata la Giunta)
Può fare proposte di legge alle camere
Può richiedere il referendum abrogativo e costituzionale
Può designare i delegati che partecipano all'elezione del Presidente della Repubblica
Può partecipare alla modifica delle circoscrizioni territoriali
Determina l'indirizzo politico e amministrativo della Regione.

Status di consigliere regionale: è disciplinato sia dalla Costituzione che dai singoli Statuti.
Godono dell'insindacabilità ex art. 121 Cost.: non sono chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati
nell'esercizio delle loro funzioni.

135
Non sono investiti di un mandato imperativo, in quanto rappresentano l'intera Regione
Hanno diritto ad una certa indipendenza economica: hanno infatti diritto ad una indennità, il cui ammontare è
determinato in relazione alle funzioni e alle attività svolte in Consiglio.
I consiglieri regionali, a differenza dei parlamentari, non godono di immunità penale.

Ai Consigli Regionali spetta il potere di autorganizzazione, proprio di ogni organo collegiale. Per cui possono
approvare un regolamento consiliare che predispone la loro organizzazione interna e che disciplina i modi di esercizio
delle loro funzioni. Possono inoltre verificare i titoli di ammissione dei propri membri.
I Consigli, infine, hanno autonomia contabile funzionale.

LA GIUNTA REGIONALE
La Giunta Regionale è l'organo esecutivo della Regione ed è composta da un Presidente e da un numero variabile di
assessori, secondo i diversi Statuti.
La L. Cost. 1 / 99 ha modificato l'art. 122 Cost.. Il nuovo testo affida alla disciplina del sistema elettorale
l'individuazione dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità di Presidente della Giunta, assessori e consiglieri
regionali alla legge regionale e non più a quella statale, che si limita a fissare i principi fondamentali a tutela dell'unità
dell'ordinamento. Alla legge statale spetta anche fissare la durata degli organi elettivi.
Inoltre stabilisce anche che il presidente della Regione (che è anche Presidente della Giunta) è eletto a suffragio
universale e diretto. Il presidente nomina e revoca i componenti della Giunta (mentre il vecchio art 122 prevedeva che
la giunta venisse eletta direttamente dal consiglio e che i suoi membri venissero scelti dal consiglio stesso).
L'art. 126 Cost., modificato dalla legge.1 /99 stabilisce che il Consiglio Regionale può esprimere la sfiducia nei
confronti del Presidente della Giunta, mediante mozione motivata. Quest'ultima deve essere sottoscritta da almeno 1/5
dei componenti il Consiglio e deve essere approvata per appello nominale a maggioranza assoluta dei componenti. La
mozione non può essere messa in discussione prima di 3 giorni dalla presentazione. L'approvazione della mozione di
sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta e la rimozione, l'impedimento permanente, la morte o le dimissioni
volontarie del Presidente della Giunta comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del consiglio.

Attribuzione della Giunta: sono indicate negli Statuti delle Regioni e, per quanto riguarda le Regioni a Statuto
speciale, anche nelle norme di attuazione degli Statuti stessi.
Ha una competenza amministrativa generale: svolge tutte le attività che non sono specificamente assegnate ad altri
organi.
Partecipa alla funzione di indirizzo politico: partecipa cioè all'individuazione di fini che la collettività regionale deve
perseguire. Inoltre esercita l'iniziativa delle leggi regionali, allestisce i piani e programmi economici e territoriali,
presenta gli stati di previsione del bilancio e i rendiconti consuntivi, esegue le delibere del consiglio.

IL PRESIDENTE DELLA GIUNTA


Il Presidente della Giunta è, al tempo stesso, il capo dell'ente Regione. Per quanto riguarda l’elezione il comma 5
dell’art. 122 Cost, come modificato dalla L. cost. 1/99, prevede che venga eletto a suffragio universale e diretto, salvo
che lo Statuto disponga diversamente. L’elezione a suffragio universale e diretto e stato introdotto anche per i
presidenti delle regioni a statuto speciale..
Secondo il disposto della legge 165/2004, il Presidente non è immediatamente rieleggibile allo scadere del secondo
mandato.
Attribuzioni:
Rappresenta la Regione all'esterno
Dirige la politica della Giunta e ne è responsabile (convoca anche la Giunta e fissa all'ordine del giorno)
Promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali
Indice il referendum previsti dagli Statuti o dalle leggi regionali
rappresenta l'ente in giudizio
Esercita i diritti patrimoniali e non patrimoniali attribuiti alla Regione.
Inoltre, previa deliberazione della Giunta, promuove innanzi alla Corte Costituzionale la questione di legittimità
costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge dello Stato o di un'altra Regione che si ritenga abbiano
violato la sfera di competenza assegnata alla Regione dalla Costituzione o dallo Statuto speciale.
Il Presidente della Giunta può ricorrere alla Corte Costituzionale, sempre dopo la deliberazione della Giunta, nel
caso in cui si ritenga che lo Stato o un'altra Regione abbiano, con un atto non legislativo, invaso la sfera di
competenza costituzionalmente attribuite alla Regione.

136
Presidenti delle Regioni a Statuto speciale (più presidenti delle giunte di Trento e Bolzano): partecipano, per
espressa disposizione degli Statuti, al Consiglio dei Ministri, con voto consultivo, quando il Consiglio tratta questioni
che riguardano particolarmente la loro Regione. Un eccezione è costituita dal Presidente della Giunta siciliano che, a
norma dello Statuto della Sicilia, partecipa al Consiglio dei Ministri quando il Consiglio tratta materie che interessano
la Regione, ma col rango di ministro e con voto deliberativo.

La rimozione del Presidente: secondo il disposto del comma 2 dell’art. 126, l’approvazione da parte del Consiglio, a
maggioranza assoluta, di una mozione di sfiducia presentata da almeno 1/5 dei suoi componenti, comporta le
dimissioni della giunta e lo scioglimento del consiglio regionale. Gli stessi effetti conseguono nel caso di dimissioni
volontarie, impedimento permanente o morte del presidente. In pratica la cessazione dalla carica del Presidente
comporta un azzeramento complessivo degli organi di governo regionale e la necessità di procedere all’indizione di
nuove elezioni sia del consiglio sia del presidente,

LA FORMA DI GOVERNO REGIONALE


Il primo comma dell'art. 123 della Cost., modificato dalla L. Cost. 1 /99, attribuisce alla potestà statutaria delle
Regioni la determinazione della forma di Governo regionale. Il modello delineato nella riforma costituzionale del 99 è
quello cosiddetto neo parlamentare, salva la possibilità delle Regioni di scegliere una diversa forma di Governo.

Caratteristiche:
- il Presidente della Giunta viene eletto contestualmente al consiglio, a suffragio universale e diretto. Per assicurare la
consonanza tra Consiglio e presidente, è stato stabilito che sono candidati alla presidenza della Giunta Regionale i
capi lista delle liste regionali e che viene proclamato eletto il candidato che ha conseguito il maggior numero di voti
validi in ambito regionale. Questo dovrebbe assicurare che il corpo elettorale elegga contemporaneamente un
Governo e la maggioranza che lo dovrà sostenere.
- non c'è una separazione rigida tra esecutivo e legislativo: il Consiglio Regionale può esprimere la sua sfiducia nei
confronti del Presidente, provocando le dimissioni di quest'ultimo, unitamente a quelle della Giunta (art. 126 Cost.).

Il sistema, insomma, si caratterizza per la fissazione da parte degli elettori del rapporto fiduciario tra Presidente eletto
e maggioranza consiliare e per la facoltà accordata a quest'ultima di sciogliere tale rapporto con l'approvazione di una
mozione di sfiducia. In questo caso, però, è previsto anche lo scioglimento automatico del consiglio, proprio perché il
legame politico tra presidente e maggioranza consiliare deve essere fissato in sede elettorale. I consiglieri, con la
sfiducia, possono soltanto provocare una nuova pronuncia di cittadini.
La L. Cost. 2 /2001 ha esteso alle Regioni a Statuto speciale lo stesso regime previsto dalla L. Cost. 1/99 per le
Regioni di diritto comune, con la conseguenza che la forma di Governo neo parlamentare, in questo momento storico,
è predominante per gli enti politici diversi dallo Stato.

SEZIONE 3: I RACCORDI TRA LO STATO E LE REGIONI

IL REGIONALISMO COOPERATIVO
La Costituzione, nel ricostruire lo Stato italiano come Stato regionale, ha voluto configurare un modello in cui le
esigenze di garanzia della sfera complessiva delle attribuzioni di proprie di ciascun ente emergono insieme ad istanze
di reciproca collaborazione, soprattutto dove sono maggiormente evidenti i vincoli di interdipendenza tra il livello
degli interessi locali e quello degli interessi nazionali.
Poiché le Regioni esercitano, nelle materie di loro competenza, la gran parte delle funzioni amministrative prima
svolte dagli organi dell'amministrazione centrale, si è reso necessario provvedere ad instaurare una serie di raccordi
mediante i quali le attività riguardanti la stessa materia svolte dallo Stato (a livello nazionale) e dalle Regioni (a
livello locale) possono essere coordinate per raggiungere una maggiore efficienza nella cura degli interessi pubblici.
Questo è il cosiddetto regionalismo cooperativo, che però non ha avuto sempre una coerente applicazione, in
quanto la cooperazione Stato-Regioni si è frammentata tra i molteplici organi. A questo stato di cose ha posto, in
parte, rimedio la legge 400 /88, il cui art. 12 delega il Governo ad emanare norme aventi forza di legge intesi a
provvedere, in seguito all'istituzione della conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e province
autonome, al riordino e alla eventuale soppressione degli organismi a composizione mista Stato-Regione previsti sia
da leggi sia da provvedimenti amministrativi. Il decreto delegato 418 / 89 ha conferito alla conferenza le attribuzioni
degli organi a composizione mista.

137
LA PARTECIPAZIONE DELLE REGIONI AD ATTIVITÀ DELLO
STATO
Le Regioni possono partecipare ad attività dello Stato sia singolarmente che collettivamente.
1) il secondo comma dell'art. 121 Cost. dispone che i Consigli Regionali possono presentare proposte di legge,
ordinaria o costituzionale, alle Camere e in materia di interesse regionale e possono presentare anche voti e petizioni.

2) i consigli sono chiamati a dare pareri, obbligatori ma non vincolanti, sulla fusione di Regioni già esistenti o sulla
creazione di nuove Regioni e sulle modificazioni territoriali delle Regioni.

3) le Regioni partecipano alle elezioni del Presidente della Repubblica, ciascuna con tre delegati, tranne la val d'Aosta
che ne ha uno. Questi delegati vengono eletti dal Consiglio Regionale di modo che siano rappresentate le minoranze.
L'integrazione del Parlamento in seduta comune con i delegati regionali serve a dare al Presidente della Repubblica
una base più larga di quella parlamentare ed evitare così che egli possa essere espressione solo del partito più
numeroso.

4) altra forma circoscritta di collaborazione è la procedura di emanazione delle norme di attuazione degli Statuti
speciali. Tali norme di attuazione sono elaborate da una commissione paritetica Stato-Regioni ed emanate con decreto
del presidente della Repubblica.

5) per quanto riguarda l'esercizio collettivo di funzioni di partecipazione ad atti dello Stato, la richiesta di referendum
abrogativo o di referendum costituzionale può essere avanzata da 5 Consigli Regionali e devono avere per oggetto una
legge ordinaria o un atto avente forza di legge che incidano su interessi comuni a più Regioni e sui quali si vuole
provocare una pronuncia del corpo elettorale.

6) pareri che le Regioni sono chiamate a dare sul documento di programmazione economico finanziaria e sul disegno
di legge di approvazione del bilancio pluriennale a legislazione vigente.

7) cosiddetto accordo di programma: ha come scopo quello di porre in essere una iniziativa integrata e coordinata tra
Regioni e amministrazioni statali per la completa attuazione del programma predisposto.

LA CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO


STATO, LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME
È il principale strumento di partecipazione delle Regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano a tutti i
processi decisionali di interesse regionale, interregionale e infraregionale. La conferenza è stata istituita con legge 400
/ 88 ed è stata nuovamente disciplinata dal decreto legislativo 281 / 97.
Composizione della conferenza:
Presidente del Consiglio che la presiede.
Presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano
Ministri interessati agli argomenti trattati nelle singole sedute.

Compiti di conferenza:
promuovere e sancire le intese tra Stato, Regioni e province autonome di Trento e Bolzano.
Promuovere e sancire gli accordi tra Governo, Regioni e province autonome di Trento e Bolzano, al fine di
coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere attività di interesse comune.
Nel rispetto delle competenze del CIPE, promuovere il coordinamento della programmazione statale regionale,
nonché il raccordo della programmazione regionale con l'attività di enti soggetti che gestiscono funzioni o servizi di
pubblico interesse rilevanti per le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
Acquisire la designazione dei rappresentanti delle Regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano nei casi
previsti dalla legge.
Assicurare lo scambio di dati e informazioni tra Governo, Regioni e province autonome.
Determinare i criteri di ripartizione delle risorse finanziarie che la legge assegna alle Regioni e alle province
autonome di Trento e Bolzano.

138
Inoltre, esprime parere obbligatorio ma non vincolante su tutti gli schemi di disegno di legge, di decreto legislativo o
di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle Regioni o delle province autonome ed anche su ogni
altro oggetto di interesse regionale che il presidente del Consiglio dei Ministri e ritiene opportuno sottoporle.

La conferenza Stato-Regioni è unificata con la conferenza Stato-città ed autonomie locali nel caso di materie e
compiti di interesse comune delle Regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane.
La conferenza Stato-città ed autonomie locali è istituita presso la presidenza del Consiglio dei Ministri e ha compiti di
coordinamento, studio, informazione e confronto sulle problematiche connesse agli indirizzi di politica generale che
possono incidere sulle funzioni proprie di province e comuni.

LA FUNZIONE STATALE DI INDIRIZZO E COORDINAMENTO


La legge 281/70 riserva allo Stato la funzione di indirizzo e di coordinamento delle attività delle Regioni che
attengono ad esigenze di carattere unitario, cioè le attività amministrative.. Inoltre, la legge 382 / 75 ha stabilito che
l'indirizzo al coordinamento di queste attività si provvede con legge o atto avente forza di legge oppure mediante
deliberazioni del Consiglio dei Ministri, su proposta del presidente del Consiglio e sono emanati dal Presidente della
Repubblica.
L'esercizio della funzione può essere delegata al CIPE per la determinazione dei criteri operativi nelle materie di sua
competenza oppure al presidente del Consiglio col ministro competente, quando si tratta di affari particolari.
Gli atti di indirizzo e coordinamento sono adottati previa intesa con la conferenza Stato-Regioni.
Lo Stato e le Regioni devono essere adeguatamente garantiti nell'esercizio della funzione, affinché agli atti dello Stato
che ne costituiscono manifestazione sia prestato ossequio affinché gli atti delle Regioni non invadano indebitamente
la sfera delle attribuzioni regionali. Inoltre la legge 131 / 2003 ha esplicitamente statuito che gli atti di indirizzo e
coordinamento previsti dalla legislazione vigente non possono essere adottati nelle materie attribuite alla competenza
legislativa, esclusiva o concorrente, delle Regioni.

" IL PRINCIPIO DI LEALE COOPERAZIONE "


Il principio di leale cooperazione ha lo scopo di superare alcune formalistiche separazione di competenze tra i due enti
affinché le rispettive funzioni si svolgano nel modo più efficiente è coordinato possibile. Esso ha trovato concreta
attuazione in alcuni procedimenti di formazione degli atti statali nei quali è stata inserita la partecipazione delle
Regioni. Essi si concretizzano in formule abbastanza ampie ed elastiche che permettono agli uffici statali e a quelli
regionali di adottare nei loro reciproci rapporti varie misure di raccordo e di coordinamento (per esempio intese, le
consultazioni, che richieste di pareri, le convenzioni, le informazioni reciproche...).
La legge 131 / 2003 ha introdotto la figura del rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie.
Tale figura coincide in ogni Regione ordinaria con il prefetto preposto all'ufficio territoriale per il Governo avente
sede nel capoluogo della Regione. Le funzioni di rappresentante dello Stato sono:
Curare le attività dirette ad assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione tra Stato e Regione
Assicurare il raccordo tra le istituzioni dello Stato presenti sul territorio al fine di garantire la rispondenza dell'azione
amministrativa all'interesse generale; il miglioramento della qualità dei servizi resi al cittadino; favorire e rendere più
agevole il rapporto col sistema delle autonomia.
Il principio di leale cooperazione non può porre Stato e Regioni sullo stesso piano, perché una collaborazione del tutto
paritaria tra Stato e Regione non si armonizzerebbe con il disegno costituzionale, secondo cui gli ordinamenti
regionali non sono originari, bensì derivati da quello statale.

LE REGIONI E GLI ALTRI ENTI LOCALI


Art. 114: le Regioni e gli enti locali (comuni, province e città metropolitane) hanno pari dignità istituzionale, in
quanto concorrono in condizioni di parità a formare, insieme allo Stato, la Repubblica.
Art. 118: le funzioni amministrative sono attribuite, in via generale, al comune salvo che, per assicurare l'esercizio
unitario, siano conferiti a province, città metropolitane, Regioni e Stato (cosiddetto principio di sussidiarietà).
Art. 123: è istituito il Consiglio delle autonomie locali quale organizzazione di consultazione tra Regioni ed enti
locali.

LE REGIONI E L'UNIONE EUROPEA

139
Il nuovo testo della costituzione esplicitamente attribuisce alle regioni un ruolo attivo nel procedimento che porta
all’adozione degli atti comunitari e nella successiva fase di recepimento di tali atti. Secondo il nuovo testo del comma
5 dell’art. 117 “le regioni e le province autonome di trento e bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano
alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione
degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge
dello stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”.
La norma costituzionalizza i due principi che disciplinano la partecipazione delle regioni nella formazione e
nell’attuazione della normativa comunitaria, ovvero:

Principi costituzionali in tema di partecipazione delle Regioni al diritto comunitario:


Partecipazione alla fase ascendente del diritto comunitario: cioè partecipazione all'iter procedurale che porta
all'adozione, da parte delle istituzioni comunitarie, di determinati atti. Questa partecipazione si realizza attraverso la
presenza di rappresentanti delle autonomie locali in vari organismi (comitati delle Regioni, rappresentanza
permanente dell'Italia presso l'unione europea...).
Partecipazione alla cosiddetta fase discendente del diritto comunitario: cioè la partecipazione nel momento in cui
diventa necessario dare attuazione nel nostro Stato agli atti normativi comunitari ed in particolare in quelle materie in
cui è prevista una potestà, esclusiva o concorrente, delle Regioni. Come specificato dalla legge 11/2005, nelle materie
di propria competenza, le regioni possono dare immediata attuazione alle direttive comunitarie, senza alcuna
limitazione. Nelle materie di competenza concorrente, invece, pur potendo dare immediata attuazione alle direttive
comunitarie, le regioni devono rispettare i principi fondamentali inderogabili individuali dalla legge comunitaria. Nel
caso in cui gli organi regionali non provvedano all’attuazione delle direttive nei termini stabiliti, il governo può
attivare il proprio potere sostitutivo.

Una disposizione particolarmente innovativa, contenuta nella legge131/2003 è quella che attribuisce alle regioni il
potere di chiedere al governo di proporre ricorso alla corte di giustizia contro gli atti normativi comunitari ritenuti
illegittimi.
tuttavia, le regioni potrebbero agire solo nella limitata ipotesi in cui l'atto le riguardi direttamente e individualmente,
escludendo pertanto l'ipotesi di un ricorso e nel caso in cui si tratti di un atto ha portata generale (in particolare
regolamenti). Per questo motivo è stata introdotta la facoltà per le regioni e le province autonome di richiedere
l'azione del governo contro gli atti considerati illegittimi.
Il secondo comma dell'articolo 5 della legge131/2003 prevede due diverse procedure per poter chiedere al governo di
attivarsi in sede comunitaria e allo scopo di presentare ricorso alla corte di giustizia contro gli atti ritenuti illegittimi
dalle regioni. La richiesta infatti può essere rivolta:
- dalla singola regione o da più regioni: in questo caso tuttavia l'esecutivo nazionale è libero di prendere in
considerazione o meno la richiesta avanzata e non è nemmeno tenuto a motivare l'eventuale rifiuto ad agire.
- dalla conferenza stato-regioni con una votazione adottata a maggioranza assoluta. In questa ipotesi il governo non
gode di alcun margine di discrezionalità ed è tenuto a presentare il ricorso richiesto collettivamente dalle regioni.

LE REGIONI E L'ORDINAMENTO INTERNAZIONALE


L'art. 117 della Cost. riconosce alle Regioni il cosiddetto potere estero, cioè hanno la facoltà di dare esecuzione
agli accordi internazionali stipulati dallo Stato nelle materie di loro competenza e, sempre nelle materie di loro
competenza, hanno facoltà di stipulare accordi con altri stati o enti sub statali.

Vincoli costituzionali:
-il secondo comma dell'art. 117 stabilisce che lo Stato alla potestà legislativa esclusiva in materia di politica estera e
rapporti internazionali con l'unione europea.
- l'art. 120 della Cost. stabilisce che il Governo può sostituirsi ad organi delle Regioni e degli enti locali in caso di
mancato rispetto di norme e trattati internazionali. Tuttavia, la legge 131 / 2003 ha precisato che nei casi in cui trova
applicazione l'esercizio del potere sostitutivo dello Stato, il presidente del Consiglio assegna all'ente interessato, a
tutela della sua autonomia, un termine congruo per adottare i provvedimenti dovuti o necessari, decorso il quale il
Governo nella sua collegialità adotti provvedimenti necessari con nomina di un commissario.
Sempre a tutela dell'autonomia degli enti territoriali, alla riunione del Consiglio dei Ministri partecipa anche il
Presidente della Giunta Regionale interessata al provvedimento.
Nei casi di assoluta urgenza, qualora cioè l'esercizio del potere sostitutivo non si ha procrastinabile, la complessa
procedura descritta non trova applicazione. In tale eventualità infatti il consiglio dei ministri, su proposta del ministro
competente, anche su iniziativa delle regioni o degli enti locali, adotta direttamente provvedimenti necessari. Questi
ultimi devono essere comunicati immediatamente alla conferenza stato-regioni oppure alla conferenza stato-città.

140
L'articolo 120, tuttavia, non esaurisce la tipologia degli interventi sostitutivi, in quanto lascia impregiudicata
l'ammissibilità della disciplina di altri casi di interventi sostitutivi, configurabili dalla legislazione di settore, statale o
regionale, in capo ad organi dello stato o delle regioni o di altri enti territoriali. Ciò significa che alle ipotesi ordinarie
che esso prevede debbono aggiungersene altre di natura straordinaria. In tal senso si è espressa la corte costituzionale
che ha precisato che il potere sostitutivo deve assicurare comunque, in un sistema di più largo decentramento di
funzioni quale quello delineato dalla riforma, la possibilità di tutelare, anche al di là degli specifici ambiti delle
materie coinvolte e del riparto costituzionale delle attribuzioni amministrative, alcuni interessi essenziali che il
sistema costituzionale attribuisce alla responsabilità dello stato.
La corte ritiene pertanto che l'articolo 120 comma 2 non precluda, in via di principio, la possibilità che la legge
regionale (o anche la legge statale nell'ambito delle proprie competenze), intervenendo in materie di propria
competenza e nel disciplinare l'esercizio di funzioni amministrative di competenza dei comuni o di altri enti locali,
prevede anche poteri sostitutivi in capo ad organi regionali o ad organi statali, per il compimento di atti o di attività
obbligatorie, nel caso di inerzia o di inadempimento da parte dell'ente competente, al fine di salvaguardare interessi
unitari di livello regionale o statale che sarebbero compromessi dall'inerzia o dall'inadempimento medesimi.
Il potere sostitutivo delle regioni è, però, esercitabile a talune condizioni, vale a dire:
- le ipotesi di esercizio di poteri sostitutivi devono essere previste e disciplinate dalla legge che deve definirne i
presupposti sostanziali e procedurali.
- la sostituzione può prevedersi solo per il compimento di atti o di attività prive di discrezionalità.
Il potere sostitutivo deve essere esercitato da un organo della regione o sulla base di una decisione di questo.
Dovrà dunque prevedersi un procedimento nel quale l'ente sostituito o sia comunque messo in grado di evitare la
sostituzione attraverso l'autonomo adempimento e di interloquire nello stesso procedimento.
Soltanto nei casi in cui le esigenze unitarie della repubblica appaiono preminenti, lo stato può attrarre a sé funzioni
amministrative normative, sulla base del principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 118 della costituzione.

La legge 131/2003 stabilisce anche quando può essere esercitato il potere estero delle regioni:
1. l’esecuzione degli accordi stipulati dallo Stato: il primo comma dell’art. 6 della legge 131/2003 attribuisce
alle regioni il compito di dare direttamente attuazione ed esecuzione, nelle materie di propria competenza legislativa,
agli accordi internazionali ratificati dallo stato, dandone preventiva comunicazione al ministero degli affari esteri e
alla presidenza del consiglio dei ministri i quali, nei successivi 30 giorni dal relativo ricevimento, possono formulare
osservazioni.
2. la conclusione di intese con enti territoriali interni allo stato: il 2° comma dell’art 6 disciplina il potere delle
regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa, a concludere,
con enti territoriali interni ad altro stato, intese dirette a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale
nonché realizzare attività di mero rilievo internazionale.
3. la conclusione di accordi con altri stati: il comma 3 dell’art. 6 contiene le disposizioni di attuazione del potere
estero delle regioni e delle province autonome, vale a dire la facoltà loro attribuita di stipulare accordi con altri stati
che siano esecutivi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore, abbiano natura tecnico-amministrativa o
abbiano natura programmatica e siano finalizzati a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale.

SEZIONE 4: LE FUNZIONI DELLE REGIONI

A) LE FUNZIONI NORMATIVE

LO STATUTO: POSIZIONE NEL SISTEMA DELLE FONTI E


CONTENUTO
L'autonomia regionale trova la sua maggiore espressione nella potestà assegnata alla Regione di emanare leggi in
senso formale (fonti primarie). Tale autonomia è più ampia rispetto a quella degli altri enti territoriali minori
(province e comuni), che possono emanare solo fonti secondarie, cioè Statuti e regolamenti.
Nel sistema delle fonti regionali, di grande importanza è lo Statuto. Esso è una legge regionale approvata a
maggioranza assoluta, con due votazioni successive a distanza non inferiore a due mesi (art. 123 comma 2)..
Ovviamente è maggiormente importante rispetto alle altre leggi, perché è l'atto fondamentale della Regione approvato
con procedura aggravata. Ciò significa che la revisione dello Statuto può avvenire solo con l'adozione dello stesso
procedimento previsto per la sua deliberazione.
Ex art. 123, lo Statuto:
- deve contenere la determinazione della forma di Governo.
141
- Deve regolare l'organizzazione interna della Regione; l'esercizio del diritto di iniziativa legislativa e del referendum
sulle leggi e provvedimenti amministrativi della Regione; la pubblicazione di elenchi e regolamenti regionali. Questo
è il contenuto necessario dallo Statuto (la cosiddetta riserva di Statuto).
- disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione tra la Regione e gli enti locali
(introdotto dalla legge 3/ 2001).
- Inoltre, ciascuna Regione, in sede di formazione dello Statuto, può darsi un organizzazione interna diversificata per
adattarla alle proprie condizioni socio-politiche, nel pieno rispetto però dei principi costituzionali. In questo modo tra
le fonti statali della fonte statutaria si ha un regime di separazione delle competenze.
- In seguito alla riforma costituzionale approvata con l. cost. 3/2001 (nuovo comma aggiunto all’art. 123 cost.)lo
statuto regionale deve disciplinare anche il consiglio delle autonomie locali che, nelle intenzioni del legislatore,
dovrebbe fungere da organo di coordinamento che dia voce alle esigenze del territorio.

Gli statuti non possono regolare:


1. il tipo e il numero degli organi di governo della regione, predeterminati dalla costituzione;
2. la ripartizione della funzione di governo tra gli organi, già operata dall’art. 121 cost.
3. il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della
giunta regionale nonché dei consiglieri regionali. Essi infatti sono disciplinati con legge della regione nei limiti dei
principi fondamentali stabiliti dalla legge 165/2004, che fissa anche la durata degli organi elettivi.

Tale provvedimento, oltre a fissare i principi generali nei cui limiti le regioni disciplinano con legge i casi di
ineleggibilità e di incompatibilità:
a. prevede la non immediata rieleggibilità del presidente allo scadere del secondo mandato consecutivo.
b. Stabilisce che saranno i singoli consigli regionali a decidere in merito alle cause di ineleggibilità e di
incompatibilità dei propri componenti e del presidente della giunta eletto a suffragio universale e diretto.
c. Attribuisce alle regioni stesse la definizione del sistema di elezione del presidente della giunta e dei consiglieri
regionali. A tal fine si fa obbligo alle regioni:
- di individuare un sistema elettorale che agevoli la formazione di maggioranze stabili nel consiglio e assicuri
la rappresentanza delle minoranze;
- della con testualità dell’elezione del presidente della giunta e del consiglio, se il primo è eletto a suffragio
universale e diretto: nel caso in cui non sia eletto a suffragio universale e diretto, le regioni devono prevedere
dei termini elettorali tassativi, cmq nn superiori ai 90 giorni, per l’elezione del presidente e per l’elezione o la
nomina degli altri componenti della giunta.
d. Stabilisce che gli organi elettivi delle regioni durano in carica 5 anni, fatta salva l’eventualità dello scioglimento
anticipato del consiglio.

LE LEGGI REGIONALI ORDINARIE


1) PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE

Si suddivide in tre fasi: iniziativa, costitutiva e integrativa dell'efficacia.


A differenza della legge statale che è un atto complesso, la legge regionale è un atto semplice, essendo espressione
della volontà di un solo organo legislativo. Essa è comunque una legge formale, in quanto è un atto posto in essere da
un organo nell'esercizio della funzione legislativa.

Iniziativa delle leggi regionali: spetta:


Alla Giunta
Ai singoli consiglieri
Agli elettori della Regione
ai consigli comunali provinciali
alcuni Statuti estendono il potere di iniziativa anche alle organizzazioni sindacali e ai consigli di valle o alle
comunità montane e prevedono che ogni cittadino, associazione o ente ha diritto di far pervenire al Consiglio
osservazioni e proposte sui progetti di legge presentate al Consiglio medesimo.

Fase costitutiva: ogni progetto di legge:


È esaminato dalla commissione legislativa competente per materia
È poi discusso e votato dal Consiglio art. per art. e con votazione finale.
In sostanza, il procedimento adottato per la formazione delle leggi regionali è quello ordinario, con le commissioni in
sede referente, mentre è escluso il procedimento decentrato, con le commissioni in sede deliberante, perché l'art. 72

142
comma 3 non è estensibile analogicamente alle leggi regionali e perché il numero dei componenti le commissioni
consiliari è troppo ridotto e se si demandasse loro l'approvazione delle leggi, il principio della democraticità
dell'attività regionale sarebbe seriamente compromessa.

Fase integrativa dell'efficacia: le leggi:


Sono promulgate dal Presidente della Giunta
Sono pubblicate nel Bollettino Ufficiale della Regione
Sono riprodotte, a puro fine di conoscenza, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
Entrano in vigore non prima di 15 giorni dalla pubblicazione della legge nel bollettino ufficiale.

2) I LIMITI

L'esercizio della potestà legislativa regionale incontra diversi tipi di limiti, alcuni dei quali caratterizzano le forme e le
condizioni particolari di autonomia concesse alle cinque Regioni a Statuto speciale.
Non c'è un solo tipo di legge regionale, ma ne esistono più tipi, quale espressione del diverso grado di autonomia
attribuito alle Regioni.
I limiti alla potestà legislativa possono essere generali e speciali:
i limiti generali: sono quei limiti validi per tutti i tipi di legge regionali e i limiti generali sono limiti di legittimità.
Il primo comma dell'art. 117 della Cost., nel nuovo testo introdotto dalla L. Cost. 3/2001, pone e delimita i limiti
generali sia dello Stato che delle Regioni. Tali limiti sono:
- La Costituzione
- i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
- Alcuni limiti generali di legittimità sono propri delle leggi regionali e sono dati da alcuni principi costituzionali
assolutamente inderogabili:
Principio del decentramento: comporta il rispetto da parte delle Regioni dell'autonomia degli enti infraregionali.
Principio della tipicità delle forme: secondo tale principio le Regioni non possono seguire, nella formazione dei loro
atti, procedimenti diversi da quelli prescritti dalla Costituzione negli Statuti speciali e non possono dare gli atti stessi
un contenuto differente da quello che è da considerare tipico.

- altri limiti sono:


Limite delle materie: esso contiene un elevato margine di indeterminatezza e per questo motivo non è sufficiente da
solo a determinare la misura della competenza regionale. Per questo motivo, lo Stato, anche nelle materie attribuite
alla potestà legislativa delle Regioni (tranne che si tratti di potestà primaria) può intervenire con le sue leggi. Di
conseguenza, è necessario integrare la ripartizione orizzontale di competenza (o per materia) con una ripartizione
verticale, cioè relativa alla distribuzione della potestà legislativa su una stessa materia tra lo Stato e le Regioni.
Limite dato dalla natura territoriale dell'ente: la legge regionale deve esaurire la sua efficacia entro l'ambito del
territorio regionale. Tuttavia, questo limite non è assoluto, poiché quando la Regione agisce come ente esponenziale e
rappresentativo degli interessi della propria comunità, la sua autonomia può esercitarsi anche in forme che si
proiettano al di fuori del proprio territorio.

- il limite di legittimità si specifica nell'art. 120 Cost.. La Regione non può:


Istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni.
Adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi forma la libera circolazione delle persone e delle cose tra le
Regioni.
Limitare il diritto dei cittadini di esercitare in qualsiasi parte del territorio nazionale la loro professione, impiego o
lavoro.

Limiti speciali: sono soltanto di legittimità e indicano la misura della potestà legislativa regionale e sono dati:
Dai principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato
Dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali
Dagli obblighi internazionali dello Stato e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario
Dai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.

3) LA TIPOLOGIA:

LA POTESTÀ PRIMARIA O PIENA


La potestà legislativa regionale, dopo la riforma introdotta dalla L. Cost. 3 / 2001, si articola in due tipi: primaria (o
piena o esclusiva) e concorrente (o ripartita).
143
La potestà legislativa primaria appartiene alle Regioni a Statuto ordinario e speciale nelle materie non riservate alla
competenza dello Stato e non ricomprese tra quelle di competenza concorrente dall'art. 117 Cost.. Essa spetta anche
alle Regioni a Statuto speciale, nelle materie elencate nei rispettivi Statuti.
La potestà primaria, però, è soggetta a limiti, che servono ad assicurare il principio costituzionale dell'unità e
indivisibilità della Repubblica (cioè l'unitarietà dell'ordinamento giuridico).
I limiti sono costituiti:
dai principi generali dell'ordinamento giuridico: essi attengono all'ordinamento visto nel suo complesso e non
settorialmente, come accade per i principi fondamentali stabiliti per ciascuna materia di competenza legislativa
concorrente.
Dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali: questo limite era inizialmente previsto dagli Statuti
speciali solo per la potestà primaria per le Regioni ad autonomia differenziata, ma adesso, dopo la riforma della L.
Cost. 3 /2001, deve ritenersi valido anche per le Regioni ordinarie, in quanto legato anch'esso all'unità e indivisibilità
della Repubblica, che verrebbe compromessa se alcune grandi leggi di riforma votate dal Parlamento nazionale non
avesse l'ingresso nelle Regioni.
Dagli obblighi internazionali dello Stato dai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario: sia lo Stato che le
Regioni sono soggetti al limite del rispetto della Costituzione e agli obblighi comunitari e internazionali.
Le Regioni dunque non sono escluse dei processi formativi ed attuativi delle norme internazionali e sovranazionali.
Nelle materie di loro competenza partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e
provvedono all'attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'unione europea.
La Regione, inoltre, possiede una minore soggettività giuridica internazionale: nelle materie di sua competenza, essa
può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinate
da leggi dello Stato.

Gli articoli 5 e 6 della legge 131 / 2003, stabiliscono le procedure mediante le quali le Regioni possono realizzare,
nelle materie di propria competenza legislativa:
La partecipazione alla formazione degli atti comunitari
La stipulazione di intese con enti territoriali interne ad altro Stato
La conclusione degli accordi con altri Stati, esecutivi ed applicativi di accordi internazionali già regolarmente entrati
in vigore, accordi di natura tecnico-amministrativa o accordi di natura programmatica finalizzate a favorire il loro
sviluppo economico, sociale e culturale.
L'esecuzione diretta degli accordi internazionali ratificati.

LA POTESTÀ CONCORRENTE O RIPARTITA


La potestà concorrente o ripartita è propria sia delle Regioni a Statuto speciale sia delle Regioni ordinarie. Essa è
chiamata così perché, nelle materie attribuite alla competenza regionale, sono legittimati a legiferare ma con diversa
intensità, sia lo Stato che la Regione :
- allo Stato spetta stabilire, per ogni materia, con sue leggi (le cosiddette leggi cornice) i principi fondamentali;
- alla Regione, spetta nei limiti dei principi fondamentali stabiliti nelle leggi cornice, a svolgere i principi stessi,
adattando la sua legislazione alle condizioni e agli interessi propri della Regione medesima.
Quindi, lo Stato non può dettare norme di sviluppo e di dettaglio, la Regione non può dettare norme di principio.
Tuttavia, la legislazione statale di dettaglio trova applicazione nel territorio della Regione nel caso in cui manchi,
nella materia adatta, una disciplina regionale. Le leggi cornice, infatti, possono stabilire, oltre ai principi
fondamentali, anche norme puntuali di dettaglio, efficaci soltanto per il tempo in cui le Regioni non abbiano
provveduto ad adeguare la normativa di loro competenza ai nuovi principi dettati dal Parlamento (hanno quindi
soltanto natura suppletiva).
Se lo Stato non emana leggi cornice, la Regione può legiferare ugualmente nei limiti dei principi fondamentali, quali
si desumono dalle leggi vigenti (legge 131 / 2003), ma al fine di orientare l'iniziativa legislativa regionale in attesa
delle nuove leggi statali che dovranno determinare i principi fondamentali, la legge 131 / 2003 delega atti il Governo
di emanare decreti legislativi di ricognizione dei principi fondamentali attualmente vigenti. Gli schemi di questi
decreti devono essere sottoposti al parere della conferenza Stato-Regioni, della commissione parlamentare per le
questioni regionali e delle commissioni parlamentari competenti.
Per quanto riguarda la distribuzione della potestà regolamentare, allo Stato spetta di emanare regolamenti solo nelle
materie oggetto di legislazione esclusiva; alle Regioni spetta in tutte le altre materie; ai comuni, alle province e alle
città metropolitane spetta di emanare regolamenti in ordine alla disciplina dell'organizzazione e delle funzioni loro
attribuite.

LE MATERIE ATTRIBUITE ALLA POTESTÀ LEGISLATIVA REGIONALE


La L. Cost. 3/ 2001 ha introdotto un nuovo testo dell'art. 117 Cost., in base al quale e Stato adottato il metodo della
enumerazione delle materie di competenza statale, restando attribuita la competenza delle Regioni tutte le altre,
144
mentre nel vecchio testo dell'art. 117 derivare numerate le materie di competenza regionale ed affidava allo Stato tutto
il resto. Alla ripartizione orizzontale di competenza, che consiste nell'attribuzione in via esclusiva di materie allo Stato
o alle Regioni, si aggiunge la ripartizione verticale, che consiste nell'attribuzione congiunta di competenza allo Stato e
alle Regioni, lasciando al primo la legislazione di principio e alle seconde la normazione più specifica.
Dal vecchio testo dell'art. 117 Cost., venivano enumerate le materie di competenza regionali e venivano, invece,
affidate allo Stato tutto il resto. Questo, però, aveva portato ad una serie di leggi dello Stato lesive dell'autonomia
regionale, pur giustificate dall'esigenza di salvaguardare il preminente interesse della comunità nazionale mediante
norme di dettaglio, che invece sarebbero di competenza delle Regioni. Anche il trasferimento delle funzioni
amministrative corrispondenti alle funzioni legislative ha subìto rallentamenti dovuti alla riluttanza dello Stato
centrale a cedere poteri e controllo di interessi rilevanti.
La legge 59 / 97, cosiddetta legge Bassanini, ha realizzato il cosiddetto federalismo amministrativo a Costituzione
invariata: attribuiva allo Stato funzioni amministrative enumerate, mentre alle Regioni e agli enti locali tutte le altre.
Inoltre ha introdotto il cosiddetto principio di sussidiarietà, ovvero la generalità delle competenze e delle funzioni
deve essere attribuita alle autorità territorialmente più vicini cittadini. questo principio parte dalla posizione basilare
del comune, quale ente più vicino alla comunità amministrata e ammette che si possano conferire funzioni a livello
più elevato (province, Regioni e infine allo Stato) solo quando c'è impossibilità di curare in modo adeguato certi
interessi nell'ambito del comune stesso.
Il principio di sussidiarietà è stato costituzionalizzato con la legge 3 / 2001, la quale ha stabilito, modificando il primo
comma dell'art. 118, che le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio
unitario, siano conferite a province, Regioni e Stato, sulla base di principi di sussidiarietà, differenziazione (cioè nella
locazione delle funzioni si devono tener conto le diverse caratteristiche dei vari livelli di Governo) e adeguatezza
(cioè l'amministrazione cui vengono conferiti compiti e funzioni deve essere idonea organizzativamente a garantirne
l'esercizio).
Il nuovo testo dell'art. 117 della Cost. distingue tra:
- potestà legislativa esclusiva dello Stato: sono i 17 settori elencati nel secondo comma che si possono riassumere in:
politica estera, sicurezza anche militare dello Stato, ordine pubblico, giustizia, sistema monetario e valutario.
- potestà legislativa concorrente: sono le materie individuate nel terzo comma. Tra le materie più importanti troviamo:
i rapporti internazionali e con l'unione europea delle Regioni, commercio con l'estero, tutela e sicurezza sul lavoro,
istruzione, ricerca scientifica e tecnologica, salute e alimentazione, trasporti, l'armonizzazione dei bilanci pubblici e
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, valorizzazione di beni culturali e ambientali.
In queste materie, lo Stato determina i principi fondamentali, mentre le Regioni emanano la legislazione specifica di
settore, in osservanza dei principi fondamentali.
- potestà esclusiva delle Regioni: non sono definiti nel testo costituzionale, ma vanno ricavati per esclusione.

LA POSIZIONE DELLA LEGGE REGIONALE NEL SISTEMA DELLE FONTI

La legge regionale è una legge in senso tecnico, cioè un atto avente efficacia, formale e sostanziale, ed il valore (cioè
la sottoponibilità al giudizio di legittimità della Corte Costituzionale) della legge. Come tale, la legge regionale è
subordinata alla Costituzione nel suo contenuto (esso non può che essere contrario o derogare alle norme
costituzionali) e per il rispetto dei limiti posti dalla Costituzione all'esercizio della potestà legislativa regionale.
Rapporto legge statale- legge regionale: poiché le due fonti sono separate, nel senso che i loro ambito di
competenza è tenuto distinto dalle norme costituzionali, tra di loro non può esserci rapporto di pari ordinazione o
subordinazione per la mancanza del presupposto necessario, cioè l'inserimento della fonte nel sistema gerarchico.
Tuttavia, ciò non toglie che la legge statale può condizionare la validità a della legge regionale, quando serve a
specificare o rendere operanti all'interno dell'ordinamento i limiti di legittimità poste a tale fonte dalla Costituzione.
Esistono, però, anche dei limiti posti dalle norme costituzionali alla operatività delle leggi statali. La legge statale,
infatti:
non può disciplinare le materie attribuite alla competenza primaria delle Regioni
Non può contenere norme di sviluppo e di dettaglio nelle materie attribuite alla competenza ripartita, ma solo
principi fondamentali
Non può, nel dare attuazione agli accordi internazionali, operare invasione della sfera di competenza regionale che
non siano rese necessarie dagli accordi stessi
Leggi cornice devono tener conto anche della legislazione regionale
I principi generali dell'ordinamento giuridico devono essere ricavati anche dalle leggi regionali.
Il rapporto tra legge statale e legge regionale non è ordinato secondo il criterio gerarchico: la prima non è
sovraordinata alla seconda e quindi eventuali contrasti non vanno risolti invocando la maggiore forza della fonte
statale che porterebbe all'abrogazione della fonte di grado inferiore, ma è un rapporto che confluisce e si armonizza
nelle norme costituzionali, le quali delimitano gli ambiti di competenza di ciascuna legge, e va definito in termini di
validità-invalidità.
145
B) LE FUNZIONI AMMINISTRATIVE

LE FUNZIONI AMMINISTRATIVE REGIONALI E LOCALI

L'art. 118 della Cost., così come modificato dalla L. Cost. 3 / 2001, oltre a contenere il principio di sussidiarietà,
stabilisce che i comuni, le province e le città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di
funzioni amministrative conferite con legge statale e regionale, secondo le rispettive competenze. In questo modo la
sfera di competenza amministrativa degli enti locali e riceve una garanzia costituzionale.
Con la nuova L. Cost. 3/2001, i principi enunciati dalla legge Bassanini sulla ripartizione delle funzioni
amministrative tra i vari livelli di Governo (nazionale, regionale e locale) ricevono una base più solida. Alcuni di
questi principi assumono il rango di principi costituzionali tra cui:
Principio di sussidiarietà: esso implica pure che tutti gli enti pubblici, dallo Stato al comune, devono favorire
l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.
Principio di differenziazione: impone di tener conto delle diverse caratteristiche demografiche, territoriali e
strutturali degli enti attributari.
Principio di adeguatezza: implica l'idoneità organizzativa dell'amministrazione attributaria a garantire l'esercizio
delle funzioni.

Ex art. 120 Cost. comma 2, nel nuovo testo modificato dalla L. Cost. 3 / 2001 viene disposto che il Governo può
sostituirsi ad organi delle Regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni nel caso:
- di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria
- di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica
- in cui lo richiedano la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica.
Le procedure di intervento sono definite dalla legge 131/2003, e stabilisce che il Presidente del Consiglio assegna
all'ente interessato, a tutela della sua autonomia, un termine congruo per adottare provvedimenti dovuti e necessari.
Scaduto il termine, il Governo nella sua collegialità adotta i provvedimenti necessari o nomina un apposito
commissario (e ad ulteriore tutela dell'autonomia degli enti territoriali, alla riunione del Consiglio dei Ministri
partecipa anche il Presidente della Giunta Regionale).

IL DIFENSORE CIVICO REGIONALE


È l'organo di controllo del buon andamento dell'amministrazione regionale, designato dal ConsiglioRegionale con
votazione a maggioranza qualificata. Dura in carica cinque anni.
Egli ha potere di informazione sull'andamento di pratiche amministrative, la richiesta di qualunque interessato, e sullo
svolgimento dei relativi procedimenti.

SEZIONE 5: L'AUTONOMIA FINANZIARIA

PRINCIPI GENERALI
L'autonomia finanziaria è la potestà di stabilire e gestire in modo autonomo le risorse finanziarie di cui necessitano
per la realizzazione delle funzioni loro affidate.
Essa viene preso in considerazione dall'art. 119, che è stato modificato dalla L. Cost. 3 / 2001.
Dal nuovo testo dell’art. 119, si possono ricavare i seguenti concetti chiave:
1. l’autonomia finanziaria è ora esplicitamente attribuita anche ai comuni, alle province e alle città
metropolitane, oltre che alle regioni;
2. l’autonomia finanziaria si concretizza in un’autonomia di entrata e di spesa. La differenza è fondamentale.
Fino a pochi anni fa l’autonomia finanziaria delle regioni veniva intesa essenzialmente come “autonomia di spesa”
ossia come la capacità delle regioni di amministrare in modo autonomo le risorse finanziarie messe a disposizione con
leggi dello stato. Il nuovo testo, invece, evidenzia chiaramente anche l’autonomia di entrata delle regioni.
3. quest’ultima facoltà è ulteriormente sottolineata nel passaggio in cui si afferma che gli enti territoriali
“stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri”. L’abbandono della precedente impostazione centralistica, con la
quale si stabiliva che “alle regioni sono attribuiti tributi propri” è evidente, così come è chiaro l’intento della riforma

146
di attribuire una reale autonomia alle regioni nella fissazione dell’entità delle risorse finanziarie e nelle procedure
applicative di riscossione.

Art. 119, comma 1 " comuni, le province, alle città metropolitane e


le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa".
L'autonomia finanziaria è stata una dei punti principali della cosiddetta riforma federalista del titolo quinto della
Cost.. Fino a pochi anni fa, l'autonomia finanziaria delle Regioni veniva intesa essenzialmente come autonomia di
spesa, cioè potevano amministrare in modo autonomo le risorse finanziarie messe a disposizione con leggi dello Stato,
mentre il nuovo testo evidenzia anche l'autonomia di entrata.
Dall'art. 119 risulta che la finanza delle Regioni di diritto comune e degli enti locali (comuni, province e città
metropolitane) si basa sulle seguenti entrate:
Entrate derivanti dal proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato (n.b
nel nuovo testo il patrimonio non viene più attribuito soltanto alle Regioni ma anche agli altri enti).
Tributi propri stabiliti e applicati in armonia con la Costituzione e secondo principi di coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario.
Quote di partecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. Viene cioè affermato il cosiddetto
principio della territorialità dell'imposta, in base al quale almeno in parte il gettito prelevato da un territorio dovrà
rimanere nell'ambito della comunità che lo ha prodotto. L'obiettivo del legislatore è stato quello di ridurre la
dipendenza delle Regioni dai trasferimenti operati dallo Stato e di aumentare considerevolmente il gettito derivante
dai tributi propri e compartecipazioni a tributi erariali.
Eventuali risorse aggiuntive derivanti da interventi speciali dello Stato in favore di determinate Regioni o enti locali,
per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e
sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio
delle loro funzioni.

L'autonomia finanziaria delle Regioni ad autonomia differenziata, invece, è regolata dai rispettivi Statuti, a meno che
le nuove norme costituzionali non configurino un regime ad essere più favorevole.

" IL FEDERALISMO FISCALE " E IL FONDO COMUNE


In Italia esistono vistosi dislivelli della ricchezza, nel reddito e quindi nella capacità fiscale: di conseguenza, una
rigorosa applicazione dell'autonomia finanziaria accenderebbe questi dislivelli, andando contro i principi supremi di
uguaglianza e solidarietà.

Art. 119 comma 3 " la legge dello Stato istituisce un fondo


perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con
minore capacità fiscale per abitante ".

Il fondo perequativo è un fondo nel quale confluiscono quote di entrate tributarie e che viene distribuito in modo
diseguale, al fine di compensare eventuali squilibri tra le varie Regioni e di permettere ad esse di erogare i servizi di
loro competenza a livelli uniformi su tutto il territorio nazionale. Lo scopo è quello di garantire che in tutte le Regioni,
a prescindere quindi dalla capacità di ricavare risorse fiscali dal loro territorio, siano rispettati gli stessi standard nella
prestazione di determinati servizi. In realtà il fondo perequativo nasce nel '97, sostituito poi nel '99 dal fondo di
compensazione interregionale, alimentato con le eccedenze derivanti dal gettito IRAP. Nel 2000 è Stato poi istituito
un nuovo meccanismo, ovvero il fondo perequativo nazionale, alimentato da quote attinte dalla compartecipazione
all'IVA. Con la legge di riforma del 2001 tale meccanismo ha trovato un suo riconoscimento a livello costituzionale.

Art. 119 comma 5 " per promuovere lo sviluppo economico, la coesione


e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali,
per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona o per
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo
Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore
di determinati comuni, province, città metropolitane e Regioni ".

Rispetto ad altre forme di finanziamento, i trasferimenti aggiuntivi hanno le seguenti caratteristiche:


- sono risorse che esplicitamente possono essere assegnate solo ad alcune Regioni (o anche comuni, province e città
metropolitane)

147
- le aree verso cui sono indirizzate le risorse aggiuntive non devono necessariamente essere localizzate nel
mezzogiorno o nelle isole, come invece prevedeva il vecchio testo dell'art. 119.
- le risorse hanno un vincolo di destinazione, nel senso che devono essere erogate solo per il perseguimento delle
finalità esplicitamente enunciati in questo art.. Questa è la differenza col fondo perequativo, che invece non ha
vincolo di destinazione.

Art. 119 ultimo comma " i comuni, le province, le città metropolitane


delle Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i
principi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere
all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento. È esclusa
ogni garanzia dello Stato chi prestiti dagli stessi contratti ".

Nell'ultimo comma dell'art. 119 viene espressamente stabilito che l'aiuto dello Stato non può essere utilizzato per
spese irragionevoli o per ripianare indebitamenti assunti senza senso di responsabilità (cosiddetta finanza allegra). Se
da un lato, infatti, lo Stato deve garantire alle Regioni risorse finanziarie sufficienti a svolgere le funzioni attribuite,
dall'altro non può offrire alcuna garanzia sui prestiti che queste ultime intendono contrarre. Si dice infatti che le
Regioni e gli enti locali possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento, ma è esclusa
ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.
Già prima della riforma costituzionale del 2001, con un decreto legislativo del 2000 erano stati introdotti alcuni
principi profondamente innovativi nel sistema della finanza regionale, destinati a sostituire i trasferimenti dello Stato
con un aumento delle entrate fiscali autonome e delle quote di partecipazione ai tributi erariali, allo scopo dichiarato
di consentire a tutte le Regioni di svolgere le proprie funzioni e di erogare servizi di loro competenza a livelli
essenziali e uniformi su tutto il territorio nazionale.

I CONTROLLI SUGLI ATTI DELLE REGIONI (E DEGLI ALTRI ENTI


LOCALI)
Tradizionalmente, in Italia, i controlli sugli atti delle Regioni e degli altri enti locali sono sempre stati molto
penetranti: si controllava non soltanto la legittimità dell'atto, ma anche la sua opportunità (controllo di merito).
Con varie leggi successive poi è stato prima soppresso il controllo di merito e poi quello di legittimità, arrivando alla
L. Cost. 3 / 2001 che ha eliminato tutti i controlli, potenziando al massimo l'autonomia amministrativa improntata al
riconoscimento della pari dignità costituzionale degli enti che costituiscono la Repubblica e alla separazione dei ruoli
tra gli enti territoriali. Tuttavia la materia dei controlli resta centrale nei rapporti tra i diversi livelli di Governo.
La legge 131/ 2003 ha attribuito alla potestà statutaria dell'ente locale la disciplina dei controlli interni e degli
interventi previsti in caso di mancata approvazione del bilancio, di mancata adozione della delibera di salvaguardia
degli equilibri di bilancio e in caso di dissesto finanziario degli enti locali.
Restano salve le disposizioni in materia di controllo sugli organi degli enti locali e di vigilanza sui servizi di
competenza statale attribuiti al sindaco, quale ufficiale di Governo.
Le disposizioni volte ad assicurare la conformità dell'attività amministrativa alla legge, allo Statuto che ai
regolamenti.
Il controllo di conformità alla Costituzione (in virtù della nuova dignità costituzionale riconosciuta alle autonomie
locali) delle leggi regionali, così come quelle statali, viene effettuato solo dopo che l'atto legislativo è entrato in vigore
(controllo operato dalla Corte Costituzionale ex art. 127 Cost.), salvaguardando così l'autonomia dell'ente territoriale.

Sono stati abrogati:


- l'art. 124 della Cost.: è stata cancellata la figura del commissario di Governo, il quale, oltre a vistare le leggi
regionali, svolgeva importanti funzioni di raccordo e coordinamento tra amministrazione dello Stato e delle Regioni
(tale figura è stata cancellata perché è Stato abolito il controllo preventivo delle leggi). Per favorire quest'ultima
funzione, la legge 131 / 2003 ha introdotto la figura del rappresentante dello Stato per i rapporti col sistema delle
autonomie, che in ogni Regione coincide con il prefetto preposto all'ufficio territoriale per il Governo, aventi sede in
ogni capoluogo della Regione.
- primo comma art. 25
- l'art. 127 è Stato modificato
- l'art. 130 Cost..

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SEZIONE 6: I CONTROLLI SUGLI ORGANI DIRETTIVI
DELLA REGIONE

Gli organi direttivi delle Regioni, cioè consiglio, Giunta e Presidente della Giunta, sono sottoposti a controllo per
verificarne il comportamento o l'attività.
Poiché in questo caso manca un preciso paradigma cui raffrontare il comportamento con l'attività dell'organo (mentre
nel controllo di legittimità questo paradigma è dato dalla legge), questo tipo di controllo può essere esercitato secondo
un certo margine di discrezionalità politica.

SCIOGLIMENTO DEL CONSIGLIO REGIONALE E RIMOZIONE


DEL PRESIDENTE DELLA GIUNTA
A seguito del controllo, ci può essere lo scioglimento del Consiglio Regionale e la rimozione del Presidente della
Giunta.
L'art. 126 della Cost., modificato dalla L. Cost. 1 / 99 stabilisce che il Consiglio Regionale può essere sciolto e il
Presidente della Giunta può essere revocato:
Qualora abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge.
Per ragioni di sicurezza nazionale
Il Consiglio può anche essere sciolto quando sia stata votata una mozione di sfiducia al Presidente della Giunta, se è
Stato eletto a suffragio universale e diretto oppure per dimissioni contestuali della maggioranza dei consiglieri, perché
in tal caso viene meno e rapporto politico tra Consiglio e presidente.

La rimozione, l'impedimento permanente, la morte o le dimissioni del Presidente della Giunta comportano le
dimissioni della Giunta e lo scioglimento del consiglio.
Lo scioglimento e la rimozione sono disposti con decreto motivato del presidente della Repubblica, sentita una
commissione di deputati e senatori per le questioni regionali..

IL PROCEDIMENTO
Il procedimento di scioglimento dei Consigli Regionali costa di due fasi:
1) fase preparatoria:
Parere della commissione parlamentare per le questioni regionali (composta da 20 deputati e 20 senatori).
Deliberazione del Consiglio dei Ministri
Proposta avanzata dal presidente del Consiglio al capo dello Stato.
Accertamenti diretti a rilevare l'esistenza dei presupposti richiesti dalla Costituzione e dagli Statuti speciali per poter
procedere allo scioglimento.

2) fase costitutiva:
Decreto motivato del Presidente della Repubblica con il quale viene disposto lo scioglimento. L'atto di scioglimento
rientrerebbe tra gli atti presidenziali sostanzialmente complessi, perché al Presidente della Repubblica non sarebbe
riservato solo un potere di controllo sulla legittimità della proposta governativa, ma anche una valutazione obiettiva
dell'esistenza dei presupposti dello scioglimento.

PROVINCE, COMUNI E ALTRI ENTI LOCALI


Art. 114 comma 1 " la Repubblica è costituita dai comuni, delle province, dalle città metropolitane ".
Questo art. è stato modificato dalla L. Cost. 3 / 2001, la quale:
- costituzionalizza le città metropolitane in cui i centri periferici si saldano con i comuni capoluogo dando vita a
nuove realtà urbane.
- ridefinisce la struttura dell'ordinamento Repubblicano applicando, nell'inversa elencazione degli enti che
costituiscono la Repubblica, il principio di sussidiarietà: viene stabilito il ruolo primario del comune quale ente più
vicino ai cittadini.

L'art. 128 Cost. stabiliva che " le province e i comuni sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi
generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni ". Questo art. è stato abrogato dalla L. Cost. 3 / 2001 perché
attraverso la riformulazione dell'art. 114 comuni e province hanno pari dignità come elementi costitutivi della
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Repubblica. La legge statale disciplinerà solo gli organi di Governo, il sistema elettorale e le funzioni fondamentali
degli enti locali previste dall'art. 117, mentre lascerà ampi margini all'autonomia statutaria e regolamentare.
La legge 131 / 2003 ha chiarito gli ambiti normativi di Statuti regolamenti:
- gli Statuti disciplineranno i principi di organizzazione e funzionamento dell'ente, le forme di controllo, le garanzie
delle minoranze e le forme di partecipazione popolare.
- i regolamenti disciplineranno l'organizzazione, lo svolgimento e la gestione delle funzioni dell'ente (art. 117). La
potestà regolamentare si colloca in posizione subordinata rispetto allo Statuto.

Testo unico degli enti locali (decreto legislativo 267 / 2000): esso raccoglie in modo organico la vasta legislazione
statale in materia, introducendo modifiche rese necessarie da sentenze della Corte Costituzionale e da esigenze di
chiarezza e coerenza della normativa in materia.. Tale decreto legislativo testo è attuativo della delega contenuta nella
legge 265 / 99 che aveva a sua volta introdotto rilevanti innovazioni alla legge 142 /90: la più importante è l'obbligo
per gli Statuti degli enti locali di contenere norme per la tutela delle minoranze consiliari e la codificazione del
principio di sussidiarietà, in base al quale i comuni e le province possiedono funzioni proprie e funzioni conferite loro
con leggi dello Stato o della Regione di appartenenza. La ripartizione avviene sulla base della maggiore vigilanza
possibile del Governo alla comunità amministrata, che implica una competenza generalizzata del comune sulle
funzioni amministrative. A tal proposito,

il primo comma dell'art. 118 dispone che " le funzioni amministrative sono
attribuite ai comuni, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano
conferite a province, città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base di
principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza ".

Funzione della provincia:


La provincia è tenuta a svolgere tutte le funzioni amministrative che, in base a criteri di sussidiarietà, adeguatezza e
differenziazione, non possono essere svolte dal comune.
A norma del decreto legislativo 267 / 2000 alla provincia è affidata:
- la tutela e la valorizzazione dell'ambiente, delle risorse idriche ed energetiche, dei beni culturali, dei parchi e delle
riserve naturali.
- l'organizzazione e lo smaltimento di rifiuti a livello provinciale; rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi
delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore.
- servizi sanitari
- istruzione secondaria di secondo grado ed artistica, formazione professionale attribuiti dalla legislazione statale e
regionale.
- raccolta ed elaborazione dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali.
- programmazione.

ORGANI DEL COMUNE E DELLA PROVINCIA


Organi del comune:
Consiglio comunale: organo di indirizzo e di controllo politico amministrativo.
Giunta comunale: organo esecutivo
Sindaco: è il capo dell'amministrazione comunale ed ha vari compiti:
- rappresenta l'ente
- convoca e presiede la Giunta
- sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici
- sovrintende all'espletamento di funzioni attribuite o delegate dallo Stato o dalle Regioni
- nomina i responsabili degli uffici dei servizi
- esercita altre funzioni che gli vengono attribuiti dalla legge, dei regolamenti e dallo Statuto.
Vicesindaco
Altri organi del comune:
- segretario comunale: è un funzionario che collabora e assiste gli organi dell'ente sotto il profilo giuridico-
amministrativo.
- difensore civico: organo facoltativo è istituito allo scopo di tutelare i cittadini nei rapporti con l'autorità comunale.
-Direttore generale: organo facoltativo chiamato ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di Governo
dell'ente secondo le direttive impartite dal sindaco.
- dirigenti comunali: dirigono gli uffici e servizi e svolgono in generale i compiti che impegnano l'amministrazione
verso l'esterno.

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Organi della provincia:
Consiglio provinciale: organo di indirizzo di controllo politico-amministrativo.
Giunta: l'organo esecutivo.
Presidente della provincia: organo responsabile dell'amministrazione della provincia.

FUSIONI, ISTITUZIONI E MODIFICAZIONI TERRITORIALI DEI


COMUNI E DELLE PROVINCE
Art. 133 comma 1 " il mutamento delle circoscrizioni provinciali e
l'istituzione di nuove province nell'ambito di una Regione sono
stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei comuni, sentita
la stessa Regione ".
Il procedimento, dunque, ha impulso su iniziativa dei comuni interessati oppure di quelli che, per effetto del
mutamento delle circoscrizioni provinciali o delle istituzioni di nuove province, si verrebbero a trovare in un ambito
provinciale diverso da quello precedente. È necessario comunque il parere della Regione.
Il testo unico degli enti locali ha fissato i criteri ai quali la revisione delle circoscrizioni provinciali deve attenersi. Ciò
per evitare che tali variazioni possano pregiudicare la programmazione dello sviluppo economico in un determinato
territorio o determinare il frazionamento di un comune in più province. Inoltre, fissa un numero minimo di abitanti per
ciascuna provincia, che è di 200 mila e viene imposto alle province preesistenti di fornire alle nuove le risorse e i
mezzi adeguati per svolgere le proprie funzioni.

Art. 133 comma 2 " la Regione, sentite le popolazioni


interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio
nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e
denominazioni ".
L'istituzione di nuovi comuni e la modificazione delle loro circoscrizioni e denominazioni sono riservate alla legge
regionale.
La Regione provvede a definire in via generale le forme e le modalità con cui operare le modificazioni e ad attuare
queste modifiche mediante leggi-provvedimento.
È comunque richiesta una base di consenso proveniente dalle popolazioni interessate (e non dagli enti come nel primo
comma), attraverso un referendum consultivo o qualsiasi mezzo che si rivela utile allo scopo.

LE CITTÀ METROPOLITANE
Sono enti autonomi, costituzionalmente riconosciuti, che compongono la Repubblica, al pari dei comuni e delle
provincie. Sono enti territoriali in cui i centri periferici si saldano con i comuni capoluogo dando vita a nuove realtà
urbane.
Esse hanno potestà analoghe a quelle dei comuni e delle provincie, quindi potestà statutaria, regolamentare,
autonomia amministrativa e autonomia impositiva e finanziaria. Acquisiscono le funzioni della provincia, nonché le
funzioni ad esse conferite dallo Statuto o dalle leggi statali e regionali.

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