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PRIMA PARTE: LA POESIA DI SAFFO E IL TIASO NELLA GRECIA ARCAICA.

CAP. 1: LA FUNZIONE EDUCATIVA DELLE COMUNITÀ FEMMINILI.

Nella Grecia arcaica le comunità maschili svolsero un ruolo rilevante per l'educazione dei ragazzi in vista
dell'attività militare.

In età antica ad esse si affiancavano le organizzazioni femminili la cui importanza, probabilmente, non era di
molto inferiore a quella delle comunità maschili.

Le poche testimonianze riguardo a questo tipo di comunità, rispetto a quelle maschili, sono dovute al fatto
che la comunicazione letteraria in Grecia era quasi esclusivamente appannaggio degli uomini, ai quali erano
preclusi i culti femminili e i luoghi deputati dell'educazione delle giovani donne.1

Le maggiori notizie di queste istituzioni cultuali destinate anche all'educazione femminile provengono da
Sparta; tra queste il Partenio del Louvre (fr.3 Calame), carme lirico per un coro di ragazze, on occasione forse
della celebrazione di un rito in onore di Artemide Orthia.2

In questa composizione si parla di due fanciulle che non si lasciano più affascinare dalle grazie delle loro
compagne, perché prese dall'amore l'una per l'altra.

Le altre fanciulle invano cercano d'attirare la loro attenzione ("...vergine sono e dalla trave ho blaterato
invano"), l'amore delle due giovani desta il dolore delle compagne, che riescono a placare solo grazie alla
visione della loro bellezza ("ma solo in virtù di Agesicora le giovinette conseguono l'amabile pace.") 3

Da questo partenio possiamo comprendere non solo come l'amore omoerotico, tipico delle comunità
maschili, fosse normalmente accettato anche in quelle femminili, con una più o meno esplicita valenza
paideutica e in associazione con il culto della bellezza.

Da questo testo si comprende inoltre come la contestualizzazione sociale dell'omoerotismo femminile avesse
luogo in comunità di tipo religioso, legate cioè alla pratica del culto.

Ogni comunità era infatti legata ad una divinità, a cerimonie comuni, a un linguaggio "convenzionale" e, in
alcuni casi rispondeva anche a coerenti propositi etico-politici.4

Tutto ciò costituiva un'educazione iniziatica che preparava le fanciulle sia alla loro funzione pubblica, in
quanto attendenti a un culto, sia alla vita matrimoniale, insegnando loro a vestirsi con eleganza, a
comportarsi appropriatamente al proprio rango sociale (poiché queste comunità, per quanto ne sappiamo,
raccoglievano ragazze di estrazione aristocratica), ad imparare il linguaggio gestuale dell'eros, anche ai fini
della loro vita coniugale, e in alcuni casi ad apprezzare e praticare la mousikè, ossia l'unione di testo poetico
e musica.

Da una parte quindi il tìaso (useremo questa definizione convenzionale, sebbene si tratti di un termine
piuttosto tardo) si presentava come organismo utile alle esigenze della società, dall'altra invece appariva
come un microcosmo autosufficiente, che racchiudeva in sé diverse sensazioni, come lo stupore davanti alla
visione della bellezza, il dolore del distacco al momento delle nozze, la confessione erotica, le gelosie, le
ripicche e le irrisioni.
Il matrimonio era il momento di mediazione tra il tìaso e la società, l'occasione in cui la ragazza lasciava il
gruppo in cui era cresciuta e con cui aveva condiviso parte della propria vita.5

Le altre giovani l'accompagnavano fino all'ingressi dell'abitazione dello sposo e, per tutto il tragitto,
intonavano canti epitalamici.

Accanto agli epitalami, un altro genere tipico di queste occasioni e il canto di conforto, con lo scopo di
consolare le ragazze che debbono separarsi dalla compagna.6

In genere veniva commissionato un poeta per la loro composizione (come Alcmane); nel caso della comunità
saffica i canti erano scritti da chi ne viveva direttamente esperienza, lasciando trasparire i veri sentimenti
provati all'interno di questi circoli.

Il tìaso di Saffo non era quindi che uno dei tanti della Grecia, così come omoerotismo femminile non era una
pratica esclusiva dell'isola di Lesbo.

CAP. 2: SAFFO E IL SUO TIASO.

Saffo nacque ad Ereso, nell'isola di Lesbo, verso il 650 a.C. da Scamandrino e Cleide.

Rimase orfana di padre quand'era bambina e viveva a Mitilene quando andò in sposa a un ricco possidente
da cui ebbe una figlia, Cleide.

Fu a capo di una comunità femminile a Mitilene, con chiare funzioni cultuali; e pare godette di una certa
notorietà nell'isola.

Gli anni in cui ella visse erano di profondi rivolgimenti politici nell'isola di Lesbo, ma dalle opere della
poetessa non traspare un grande interesse per le vicende politiche dell'isola (a differenza di Alceo, suo
conterraneo), anche se ella dovette subire un periodo d'esilio in Sicilia.

Le uniche volte in cui vi allude sono quando critica la politica d'austerità promossa da Pittaco, quindi il
blocco delle importazioni d'oggetti preziosi dalla Lidia.

Ciò probabilmente accadeva per tutte le donne che, confinate nel tìaso, potevano percepire delle vicende
politiche solo il lato esteriore; infatti secondo Della Corte, il concetto di potere, per esse, si traduceva
semplicemente con la possibilità di possedere oggetti belli e di valore.7

Non dovrebbero esserci dubbi sul ruolo sacerdotale svolto da Saffo: nel frammento 2, in particolare, Afrodite
viene invocata perché partecipi ad un sacrificio nell'ambiente di un santuario all'aperto.

Infatti nelle sue composizioni Saffo appare sempre al centro di un gruppo di fanciulle che vanno e vengono
continuamente (il momento in cui una ragazza lascia le altre corrisponde spesso a quello delle nozze); inoltre
a Lesbo esistevano altri circoli femminili: dai frammenti possiamo sapere che c'erano donne considerate da
Saffo rivali, come Gorgo e Andromeda.

Sebbene in mancanza d'espliciti riferimenti nella frammentaria poesia di Saffo a rapporti sessuali tra le
componenti della comunità femminile, molti sono gli elementi allusivi che inducono a individuare
nell'omoerotismo uno strumento privilegiato di trasmissione dei valori paideutici nei quali il gruppo
s'identificava, come del resto accadeva nei circoli aristocratici maschili, come è documentato dalla letteratura
simposiale arcaica (Teognide, Anacreonte, ecc...).
Il tìaso di Saffo inoltre era ritenuto privilegiato dalle sue componenti, in quanto posto sotto la protezione di
Afrodite e delle Muse; i rapporti omosessuali al suo interno erano favoriti dalle divinità.

Grazie a questo privilegio esse eccellevano nella grazia del portamento e nella raffinata educazione; la
protezione delle divinità seguiva le componenti del gruppo anche dopo la morte, omento in cui sarebbero
state premiate con un aldilà di serenità.

Il significato religioso di questa esperienza emerge dal frammento 55:

Tu giacerai morta né alcuna memoria di te mai resterà

in futuro: ché tu non hai parte delle rose della

Pieria, ma anche nella casa di Ades vagherai oscura fra

le ombre dei morti, sospesa in volo lungi da qui. 8

Probabilmente quest'ode era indirizzata a una donna incolta ed estranea al tìaso saffico; ella non può godere
dello stesso privilegio, perché non ha compiuto nulla di cui si possa avere memoria in futuro, ciò che invece
Saffo ha fatto con la sua poesia, frutto del forte legame con le Muse.

La morte in questo modo non è più orribile, ma diventa semplicemente il momento di trapasso a una
gloriosa vita ultraterrena.9

CAP. 3: DESTINAZIONE E TEMI DELLA POESIA SAFFICA.

Con Saffo si ha un fenomeno di autocommittenza, in quanto le sue poesia erano destinate in primo luogo
alla comunità in cui nascevano, per essere eseguite e cantate durante i riti che vi si svolgevano.

I suoi canti sono caratterizzati da una notevole varietà di temi e di moduli espressivi e da rigore della
struttura, poiché ogni tema è adeguato a un pertinente percorso formale.

Inoltre gli accenni di Saffo alla sua gloria fanno pensare che i suoi carmi fossero conosciuti anche al di fuori
del tìaso e di Mitilene: essi potevano essere eseguiti in occasione di matrimoni o feste pubbliche.

I principali temi della poesia di Saffo sono i suoi amori e contrasti, i piaceri e i dolori del tìaso, la passione
per un'allieva favorita, la gelosia per una rivale.

Le ragazze da lei amate sono diverse: a noi è giunta notizia di Anattoria, Gongila, Atthis, Mica, Pleistodica e
Irene.

Ci sono giunti anche i nomi di due sue rivali, probabilmente a capo di altre comunità femminili: Andromeda
(che Saffo deride per la rusticità dei modi) e Gorgo.

Le fanciulle che lasciano il tìaso di Saffo per un altro e che amano donne degli altri gruppi vengono viste
come traditrici della comunità e delle divinità che la proteggono.

La specificità della situazione entro la quale la sua poesia nasce la porta a evidenziare le tensioni della sua
psiche, in modo che non trova riscontri nel resto della produzione poetica arcaica.
Nella cultura greca il rapporto tra un giovane (eròmenos) e una persona più matura (erastès) costituiva un
mezzo educativo istituzionalizzato, almeno negli ambienti aristocratici; quindi la diversità di Saffo non è nel
suo rapporto omoerotico con le fanciulle del tìaso, bensì nel fatto che ella viva questa esperienza con un forte
scarto tra la funzione istituzionale dell'eros e le sue valenze sentimentali, così da determinare e descrivere
spesso una situazione di sofferenza e nevrosi.

Proprio questo scarto nevrotico determina la singolarità della poetessa di Lesbo nel panorama lirico greco
arcaico, e costituisce l'elemento più caratterizzante della sua creazione poetica.10

Secondo Page, il giudizio sulla poetica e sui sentimenti di Saffo è stato per lungo tempo distorto dal
pregiudizio riguardo al suo contesto sociale e alla sua moralità.

La causa sarebbe da addurre al prestigio di cui godevano le idee di Wilamowitz, secondo il quale Saffo
sarebbe stata un esempio di virtù morale e sociale , con un effetto di fraintendimento generale dell'intera
produzione poetica di Saffo.

Egli avrebbe considerato la poetessa come un'insegnante che da' lezioni d'elevazione morale, sociale e
letteraria, un rispettato membro della società.11

Page, invece, sottolinea la passione dell'amore che ella dimostra verso le ragazze, la profonda commozione
che prova davanti alla loro bellezza.

Egli non dubita dell'attrazione omoerotica che Saffo sente nei loro confronti, poiché ella non ci dice nulla
riguardo alle loro qualità morali, spirituali o intellettuali, mentre descrive con un'estatica emozione il loro
aspetto, la loro grazia e il suo travolgente tormentoso sentimento alla loro vista.12

Page inoltre cerca di dare alla poesia di Saffo una dimensione più privata e ristretta a un numero limitato di
persone.

In realtà nella poesia saffica convivevano sia l'aspetto istituzionale (legato quindi al concetto di comunità) sia
quello individuale: l'uno era inscindibile dall'altro.

Infatti la sua produzione era soprattutto indirizzata verso un'educazione al sentimento, che faceva parte di
una paideia più generale; anche nel momento in cui esprimeva pubblicamente le proprie passioni, ella si
presentava come un modello da imitare.

Per cui la concezione piuttosto intimistica di Page sarebbe un po' prematura, se rivolta a quel contesto
storico; quelli di Saffo non sarebbero assimilabili agli sfoghi lirici moderni, poiché nella cultura greca arcaica
non esisteva ancora una netta separazione tra la sfera individuale e quella sociale: i sentimenti erano ritenuti
come parte integrante nell'educazione femminile, poiché legavano la donna all'oikos e alla sfera degli affetti
domestici, aiutandola così a svolgere il suo ruolo sociale.

3.a. L'Ode ad Afrodite: la funzione della divinità e la reciprocità del sentimento.

Fr.1

Immortale Afrodite dal trono variopinto figlia di Zeus,


tessitrice d'inganni, io ti supplico: non prostrare con ansie

e con tormenti, o dea augusta, l'animo mio,

ma qui vieni, se mai altra volta, udendo la mia voce di

lontano, le porgesti ascolto, e lasciata la casa del padre

venisti

aggiogando un carro d'oro; e passeggeri leggiadri ti guidavano

veloci al di sopra della terra nera con fitto battito d'ali

giù dal cielo per gli spazi dell'etere.

E subito giunsero, e tu, o beata, sorridendo nel tuo volto

Immortale mi domandasti che cosa di nuovo soffrivo e

perché di nuovo t'invocavo

e che cosa col mio animo folle volevo che più di ogni altra

si realizzasse per me: "Chi di nuovo debbo indurmi

a ricondurre al tuo amore? Chi, o Saffo, ti fa torto?"

Perché se fugge presto inseguirà, se dono non accetta

Anzi donerà, se non ama presto amerà pur contro il suo

volere".

Vieni a me anche ora e liberami dai tormentosi affanni,

e tutto ciò che il mio animo brama che per me si avveri,

avveralo tu, e tu stessa sii la mia alleata.

Questa composizione presenta la struttura di un'ode cultuale.

L'apparizione di Afrodite in questo caso si presenta come mediazione divina in una situazione tipica, come
quella della sofferenza per il rifiuto dell'amata.
Le epifanie divine sono frequenti nella cultura greca; esse sono simili ai sogni, entrambi tendono a riflettere
gli schemi tradizionali di una civiltà.

Non è da escludere, inoltre, che le apparizioni delle divinità fossero sentite come reali. 13

Nella poesia saffica sono frequenti le epifanie e le visioni oniriche, soprattutto di Afrodite.

Il frammento 1 si presenta come una richiesta d'aiuto alla dea.

Vi troviamo una lunga descrizione dell'epifania, in cui Afrodite viene vista scendere dal cielo su un carro
guidato da passeri (animali a lei sacri), in risposta alle suppliche della poetessa.

L'amore viene espresso in forma drammatica dalle parole della dea e il suo atteggiamento affettuoso verso
Saffo è certamente anticonvenzionale rispetto alle tradizionali descrizioni di epifanie.

I sentimenti descritti non sono però solo espressione di vicende reali della vita nel tìaso, ma s'inquadrano
anche in un preciso contesto rituale, per questo motivo viene scelto lo schema della preghiera alla divinità.

Saffo, in questo caso, si rivolge ad Afrodite, poiché un nuovo amore la fa soffrire, e chiede di liberarla dai
suoi affanni, come aveva già fatto altre volte , persuadendo al suo amore la ragazza oggetto di desiderio.

Page, nella sua interpretazione dell'ode, sottolinea la triplice ripetizione della parola "di nuovo" nel discorso
di Afrodite.

Egli contesta la banalizzazione interpretazione di Wilamowitz, secondo cui l'anafora dell'avverbio "di nuovo"
sarebbe dovuta al fatto che Afrodite ripete le domande perché Saffo non è in grado di risponderle.

In realtà, secondo Page, l'insistita reiterazione del "di nuovo" nelle domande della dea sottolinea
allusivamente il fatto che quella non è la prima volta che Saffo le chiede aiuto.

Ciò, secondo lo studioso, starebbe a significare un insieme di emozioni, in particolare indignazione e


impazienza, espresse dalla dea.

Saffo vorrebbe quindi suggerire un tono di rimprovero e impazienza nelle parole di Afrodite.14

Allo stesso tempo però la dea pare essere anche dolce e confidenziale, come un'amica; il che non si può
considerare un dato comune nella letteratura del tempo.

Ma, il rapporto tra il tìaso e Afrodite era sentito da Saffo e dal suo gruppo come un'esperienza privilegiata,
che portava a una più intima comunione con la divinità.

L'eleganza, la grazie e la leggiadria sarebbero il segno inconfutabile della presenza e della benevolenza della
divinità.

Ed è in questo senso che la triplice ripetizione del "di nuovo" da' maggior concretezza all'evento epifanico,
trasformandolo da fatto eccezionale in esperienza quasi quotidiana: è solo in virtù del fatto che l'evento sia
già accaduto precedentemente che il desiderio diventa più durevole e certo.

A questo scopo Saffo trasferisce la divinità del mito nella vita quotidiana del tìaso, in modo che non abbia
più l'aspetto distaccato e inavvicinabile che hanno gli dei dell'epos arcaico, ma di una divinità comprensiva,
amichevole e indulgente.
Inoltre rievocare un'immagine gradita come quella dell'epifania di Afrodite, assume anche una funzione
liberatoria.

Infatti Saffo definisce il suo animo turbato come "folle": ella si trova in uno stato di agitazione insistente e
ossessiva, indotta dal rifiuto della ragazza amata.

Avviene dunque che l'elemento erotico è subordinato allo stato di ossessiva insistenza della poetessa; in tal
modo l'eros si sovrappone alla nevrosi, cioè una situazione di forte dissociazione di fronte ai dati del reale.15

In questo caso la funzione della preghiera è quella di uscire dal cerchio esasperato del proprio io, per
rivolgersi ad un interlocutore che si sente come affidabile e che può risolvere il problema.

L'ansia così si risolve nell'atto stesso di pregare e grazie alla promessa della dea.

Inoltre il fatto che situazioni analoghe si siano già presentate tra la poetessa ed alcune componenti della sua
comunità è rassicurante, perché da' la speranza che anche in questo caso l'intervento della dea possa
ristabilire, come in precedenza, un "giusto" equilibrio.

Secondo Page, Afrodite appare un po' divertita dalla preoccupazione di Saffo; ciò sarebbe un segnale di una
certa capacità d'autocritica e d'autoironia della poetessa, che vedrebbe nella dea una parte di sé più
razionale16, che sorriderebbe nel vedersi soffrire per amore.17

Quindi egli afferma che Saffo, in realtà, non prenderebbe molto seriamente le sue pene d'amore e le sue
conquiste.

Certamente in quel momento il dolore della poetessa è autentico, ma probabilmente ella comprende allo
stesso momento la vanità e l'instabilità della sua passione.

Parlando invece della non corresponsione dell'amore da parte della ragazza amata, ciò che viene visto come
una forma di adikìa, vale a dire d'ingiustizia non solo nei confronti di Saffo, ma anche verso l'intera comunità
e la divinità stessa.

Quindi colei che non ricambia l'amore fa torto sia a Saffo sia ad Afrodite, e il suo atteggiamento comporta un
distacco dal gruppo.

Per questo motivo Afrodite decide che ella dovrà amare, senza tener conto del suo volere.

3.b. L'Ode ad Anattoria. L'ideale superiore della bellezza e dell'amore.

Fr.16

Alcuni dicono che sulla terra nera la cosa più bella sia un

esercito di cavalieri, altri di fanti, altri di navi, io invece

ciò di cui uno è innamorato;


ed è assolutamente facile farlo intendere a chiunque: perché

colei che di gran lunga superava in bellezza ogni essere

umano, Elena, abbandonato il suo sposo impareggiabile

traversò il mare fino a Troia né si ricordò della figlia e

degli amati genitori: lei... disviò

(Cipride), che inflessibile (ha la sua mente)...facilmente

...(così) ella ora mi ha fatto ricordare di

Anattoria lontana,

di cui vorrei contemplare il seducente passo e il luminoso

scintillio del volto ben più caro che i carri della Lidia e i fanti

che combattono in armi.

(Gli uomini) non possono mai essere (del tutto felici), ma possono

pregare di aver parte...

In quest'ode Saffo espone la sua gerarchia di valori, condivisa dal mondo femminile arcaico: in questo caso
espone che cosa sia per lei la cosa più bella.

Saffo oppone la sua visione femminile a quella maschile e dominante, elenca tutto ciò che per la concezione
tradizionale e guerresca poteva esserci di più straordinario, come un esercito, dei carri e delle battaglie.

Saffo espone così una sua concezione personale che però ritiene, alla luce del buon senso, come
comprensibile per chiunque, o almeno per le persone del suo stesso sesso.

Per illustrare meglio la propria concezione e anche per rimandare il momento in cui pronuncerà il nome
dell'amata (creando un effetto di suspense), Saffo introduce il mito d'Elena.

Ella rappresenta l'incarnazione del bello e dell'amore (i due valori cardini secondo Saffo): la sua passione per
Paride viene presentata come un'esperienza unica e irripetibile, che vivrà nel ricordo come qualcosa di
duraturo.

Elena però non aveva scelta, poiché il suo amore non viene presentato come sentimento interiore o libera
inclinazione, bensì come una forza ineluttabile, esterna, imposta da un dio.
Se questo sentimento fa dimenticare ad Elena tutto ciò che aveva di più caro, lo stesso amore coniugale e
l'affetto di madre, d'altra parte fa ricordare a Saffo l'immagine della persona amata, configurandosi quindi
come memoria di un passato che rivive nel presente.18

L'amore diventa inoltre passione per ciò che è luminoso e sua ricerca, la continua speranza di visualizzare
l'immagine che appaga; quindi non è importante possedere ciò che si ama, quanto fruire della visione della
sua bellezza.

La rievocazione della figura di Anattoria ha anche una funzione liberatoria per Saffo, consolandola della sua
mancanza, ma soprattutto Anattoria viene presentata come un esempio di paideia perfettamente compiuta:
dopo essere stata educata al sentimento e alla femminilità, ella ha lasciato il tìaso probabilmente per
affrontare il suo ruolo di moglie e madre.

3.c. I frammenti 31, 47, 130: l'amore come malattia.

Fr.31

Mi sembra pari agli dei quell'uomo che siede di fronte

a te vicino ascolta te che dolcemente parli

e ridi di un riso che suscita desiderio. Questa visione veramente

mi ha turbato il cuore nel petto: appena ti guardo

un breve istante, nulla mi è possibile dire,

ma la lingua mi spezza e subito un fuoco sottile mi

corre sotto la pelle e con gli occhi nulla vedo e rombano

le orecchie

e su me sudore si spande e un fremito mi afferra tutta

e sono più verde dell'erba e poco lontana da morte

sembro a me stessa.

Ma tutto si può sopportare, poiché...


Il frammento 31 probabilmente si riferisce a una situazione preepitalamica.

Paragonare l'uomo con la divinità, per metterne in luce l'eccezionalità, era tipico del linguaggio omerico, così
come dei canti epitalamici.

Per Wilamowitz e Snell si tratta senza dubbio di un canto di nozze, ma Page si è opposto a questa
interpretazione.19

Wilamowitz ha inteso questo carme come un semplice canto nuziale, rifiutando l'idea che Saffo esprimesse
pubblicamente una tale passionalità in un amore, a suo parere, contro natura.20

Page invece sostiene che l'amore "lesbico" sia un dato fondamentale di questo frammento, che quindi non
sarebbe di genere epitalamico.

Egli sostiene che la ragazza e l'uomo avrebbero potuto parlare tra di loro anche non in un contesto nuziale,
poiché non esisterebbe una prova che a Lesbo due persone di sesso diverso non potessero avere contatti.

L'uso, inoltre, in questo conteso, del tipico paragone dello sposo alla divinità verrebbe trasferito da Page a un
piano più soggettivo, poiché egli "sembra" a Saffo in questo modo, ma non è detto che lo sia veramente.

Egli interpreta quindi questo carme come una composizione destinata dalla poetessa ad un'amica; il soggetto
sarebbe l'emozione che ella prova, quando vede la giovane in compagnia di un uomo.

Una terza via esegetica sarebbe invece quella di pensare che il sentimento omoerotico espresso non escluda
un canto epitalamico.

Potrebbe perciò essere considerato come un carme che esprime lo struggente dolore dell'addio per una
ragazza che, andando in sposa, sta per lasciare Saffo e il gruppo, oltre che la gelosia di fronte al suo incontro
col promesso sposo.

Snell ha sottolineato come lo sposo e la sposa ripetano, con le loro nozze, il gamos divino tra Zeus ed Hera;
perciò la descrizione dello sposo rientrerebbe nel tipico motivo dei canti epitalamici.

Ma, anche Snell ha trovato sorprendente come Saffo esprima apertamente il suo amore davanti ai coniugi;
Page, in maniera più esplicita, ha espresso quest'incongruenza, ritenendo improbabile che la poetessa
potesse dichiarare una tale passione, senza preoccuparsi della reazione dei presenti. 21

Come si è già rivelato tuttavia, non c'era niente di anomalo, nella cultura greca, nell'esprimere
pubblicamente emozioni anche così violente.

Comunque il modo in cui Saffo esprime i propri sentimenti ha sicuramente una sua originalità.

L'amore da lei espresso si confonde con la nevrosi, un'agitazione che tende a manifestarsi in modo
patologico.

Saffo stessa sente e descrive la sua situazione di turbamento come fosse un malore, è consapevole della
violenza delle sue reazioni.

Nella descrizione del suo stato d'animo che Saffo fa nel fr.31 possiamo trovare elementi riscontrabili nei testi
della medicina ippocratica; infatti tali testi spiegano alcune malattie come l'effetto di un pensiero ossessivo, e
attribuiscono situazioni di agitazione psico-fisica ad esplosioni emotive forti e incontrollate.
Questo parallelismo con testi di tipo "medico" emerge anche dal modo in cui nel frammento è disposta la
descrizione dei sintomi, come in un elenco clinico, senza uno stile ornato.22

Saffo sente la sua solitudine non solo causata da un'occasione esterna, ma anche dalla sua dissociazione, che
ella stessa avverte e descrive come malattia.

La novità s'individua quindi nella straordinaria capacità d'approfondimento dell'auto-percezione, e nel


grande sviluppo dei mezzi espressivi.

Come forse nessun altro prima di lei, Saffo è capace d'inglobare il dato esterno nella sua soggettività.

Infatti Snell rintraccia nel carme due aspetti differenti: il canto è stato composto per una determinata
occasione, in un contesto sociale, in quanto l'uomo greco arcaico era molto legato alla comunità in cui viveva;
ma chi parla è un singolo individuo, che esprime i propri sentimenti e le proprie sensazioni personali a un
pubblico.23

Quindi, se da un lato la poesia di Saffo rispetta gli schemi convenzionali e le tradizionali immagini poetiche,
dall'altro la sua è una produzione strettamente individuale, in cui vengono espressi sentimenti originali.

Ella ci dimostra, in questo modo, come la consuetudine letteraria non sia un ostacolo, anzi favorisce le
espressioni di nuovi contenuti.

La convenzione si troverebbe nel tipico motivo del lamento delle compagne che dicono addio alla sposa, ma
Saffo usa questo schema per poter esprimere il suo tormentoso sentimento.

Altri due frammenti significativi per poter comprendere meglio la concezione dell'eros in Saffo sono il 47 e il
130.

Fr.47

...Eros ha squassato il mio cuore, come raffica che

irrompe sulle querce montane...

Fr.130

Di nuovo mi assilla Eros che scioglie le membra, dolceamara

invincibile creatura; ma tu, o Atthis, ti sei stancata

di pensare a me, e voli verso Andromeda.

L'eros viene paragonato a un forte vento che agita violentemente oppure, inserendosi nel solco della
tradizione epica rappresentata da Omero ed Esiodo, è visto come colui che "scioglie le membra".

In questo modo, Saffo vuole esprimere la sua impotenza di fronte alla passione.
A sua volta però introduce un nuovo ossimoro, definendo l'amore come una creatura "dolceamara"; in
questo modo ella, pur riprendendo una tradizionale concezione dell'eros come forza distruttiva, introduce
una componente nevrotico-patologica che in altri autori arcaici non si riscontra.

3.d. Il frammento 94: la memoria del passato che rivive nel presente.

Fr.94

...sinceramente vorrei essere morta. Lei mi lasciava

piangendo

a lungo, e così mi disse: "Ah! Che pene spaventose

soffriamo, o Saffo. Davvero contro il mio volere ti lascio."

Ed io così le rispondevo: "Va e sii felice e di me serba

memoria: tu sai quanto ti volevamo bene;

ma se non ricordi, allora io voglio farti ricordare

...tutti i momenti...e belli che abbiamo vissuto

insieme:

(ché) accanto a me tu ponesti (sul tuo capo molte

corone) di viole e di rose e di crochi (?)

e intorno al collo delicato molte collane conserte fatte di

fiori (incantevoli)

e con unguento floreale... e regale ti profumasti

e su morbidi giacigli... delicat-... placavi il

desiderio...
e non c'era (festa?) né sacrificio né da cui non

fossimo assenti,

non bosco, non danza... fragore (dei crotali).

Nei suoi carmi Saffo mostra sempre una grande attenzione per il presente e il quotidiano, che la porta ad
un'accentuata sensibilità verso il tempo vissuto.

A questo proposito, secondo Di Benedetto le invenzioni espressive più importanti che insieme caratterizzano
la sua poesia sono:

a) il richiamo al tempo della giovinezza, attraverso l'esperienza diretta delle giovani allieve;

b) il recupero, attraverso l'immaginazione, di un passato più prossimo, confrontato col presente;

c) il senso del fluire e della provvisorietà del presente.24

Saffo stabilisce quindi un rapporto tra la sua giovinezza passata e quella attuale delle ragazze.

Ciò accadrà anche in futuro, quando quelle fanciulle, non più giovani, ricorderanno il tempo attuale, e in
questo modo prolungheranno il presente e la giovinezza.

Nel frammento 94 viene descritto l'addio a un'allieva che sta per abbandonare il tìaso (probabilmente per
sposarsi).

Saffo cerca di consolarla ricordandole i momenti felici passati insieme.

Si ha perciò una rievocazione del passato attraverso la memoria, che si presenta, nel discorso di Saffo,
paradigmatico per tutte le fanciulle del tìaso che un giorno dovranno allontanarsi dalle altre per andare in
spose.

Il discorso dovrebbe avere una funzione consolatoria sia per la ragazza, sia per la poetessa, ma alla fine resta
pur sempre la sofferenza del presente.

Page vede però nell'atteggiamento di Saffo verso la giovane un certo "self-control", in ragione della sua
capacità di dare consigli nel momento del distacco.

L'unica veramente disperata in quella situazione sarebbe perciò la fanciulla.

La tristezza raggiunge la poetessa solamente in un secondo momento, l'affermazione "sinceramente vorrei


essere morta" viene pronunciata solo nell'istante in cui Saffo ricorda la scena della partenza.

Ma, per Page, la descrizione dell'addio sarebbe soprattutto un pretesto convenzionale per descrivere i piaceri
e le gioie del tìaso.25
Proprio all'interno di questa descrizione, troviamo delle parole che dovrebbero confermare l'esistenza di
rapporti omosessuali nel tìaso: "e su morbidi giacigli... placavi il desiderio".

Probabilmente ciò che sta alla base di questo frammento è il desiderio di prolungare il ricordo e di trattenerlo
con l'immaginazione, pur continuando ad essere consapevole della precarietà del presente.

CAP. 4: L'ORIGINALITÀ DI SAFFO.

Saffo si distingue dagli altri poeti del periodo arcaico per la sua relativa autonomia dai valori tradizionali e la
predilezione per la tematica erotica e introspettiva.

Ella sembra modificare la tradizionale concezione fisica e oggettiva dell'amore, in favore di una sua visione
più soggettiva e vissuta.

Ma, in lei il tormento amoroso non rompe l'equilibrio della sua lirica, non ne pregiudica l'armonia.

L'originalità di Saffo consiste inoltre nel sostituire all'equilibrio statico della poesia arcaica, il quotidiano, il
dinamico e l'alternanza della gioia e del dolore.

Proprio il mutamento degli stati d'animo porta a una vena d'inquietudine nella sua poesia.

Tale tendenza introspettiva non si ferma però, al livello individuale, ma, secondo uno schema tipico della
poesia arcaica, è trasferibile, come un'esperienza condivisa, sul piano sociale del gruppo: si potrebbe dire che
l'introspezione di Saffo miri a contagiare il suo pubblico.

SECONDA PARTE: LA FIGURA DI SAFFO NELLA POESIA TRA OTTOCENTO E


NOVECENTO.

CAP. 5: SAFFO ASSOCIATA ALLA SENSIBILITÀ ROMANTICA.

La lirica e la personalità di Saffo hanno particolarmente affascinato i poeti romantici e decadenti, che di lei
hanno preferito cogliere il lato più introspettivo, inquieto e sofferente.

Ciò che ha portato il Romanticismo a privilegiare la poetessa di Lesbo tra tutti gli altri lirici greci, è stato
probabilmente il fatto che ella più di ogni altro aveva saputo trattare il sentimento amoroso con una
profonda partecipazione interiore.

Inoltre, alla luce della sensibilità romantica, ella veniva considerata una figura trasgressiva, rivoluzionaria,
prototipo antico delle idee dei poeti anticonformisti.

Chiaramente l'immagine della poetessa viene distorta, adattata ai turbamenti dell'epoca moderna, spesso
usata come alter-ego del poeta.

L'uso che ne viene fatto è di tipo simbolico, che poco ha in comune con la reale figura di Saffo, ma riflette
spesso il pensiero e le immagini della poetica dell'autore moderno.
Gli autori che ho scelto per illustrare la popolarità che ella ebbe nell'immaginario poetico romantico e
decadente, sono Giacomo Leopardi (1798-1837), Charles Baudelaire (1821-1867), Gabriele D'Annunzio (1863-
1938) e Algernon Charles Swinburne (1837-1909).

LA GUERRA DI TROIA
Tra i molti miti e le molte leggende del popolo greco, uno sembra avere un certo riscontro storico e suscita ancora
oggi un grandissimo fascino: la guerra di Troia.

Troia sorgeva all'imbocco dello stretto dei Dardanelli (l'Ellesponto), sul lato turco, e sembra che all'epoca dei fatti
(circa il 1200 a.C.) avesse una considerevole importanza strategica. Data la sua posizione poteva controllare ogni
traffico diretto verso il Mar Nero e la Colchide (la regione a nord-est del grande bacino). Si dice che fosse un
grande emporio per l'oro e per l'argento e che vi arrivasse la giada dalla Cina.

Gli eventi di Troia sono narrati nell'Iliade e sono la causa di ciò che viene narrato nell'Odissea e nell'Eneide, di
Virgilio. Attorno a questi importanti poemi vi sono poi tutta una serie di altri miti e leggende, e altre ancora si sono
perse nell'oblio.

Gli schieramenti in campo

Dunque da una parte la migliore nobiltà greca, anzi, achea. Gli Achei occupavano il Peloponneso, probabilmente
provenienti dal nord, e dominavano la Grecia, tanto da diventarne sinonimo nell'età mitica di cui narra Omero.
Atreo (per questo la stirpe viene anche detta atride) era il padre di Agamennone e Menelao, i due re achei da cui
tutto partì. Assieme a loro altri eroi della stessa stirpe, tra cui Odisseo (Ulisse) e Achille.

Dall'altra parte la nobiltà che controllava Troia. Erano forse micenei, non certamente turchi, visto che, secondo
Omero, parlavano la stessa lingua dei greci. Troia era probabilmente una colonia micenea con una popolazione di
origine asiatica.
Il re di Troia era Priamo, i suoi figli erano Paride ed Ettore, il campione dell'esercito troiano.

I motivi della guerra

E' molto probabile che i veri motivi che spinsero gli achei ad attaccare Troia fossero legati ad una questione di
supremazia politica ed economica nella regione, ma qui si tratteranno principalmente i motivi legati al mito.

Dietro la guerra c'è notoriamente il rapimento di una donna. Elena era figlia di Zeus e di Leda ed era la più bella
donna del mondo. Andò in sposa a Menelao e da lì iniziarono i guai, perché si sa, l'invidia era molto in auge a quei
tempi in Peloponneso e nell'Olimpo (e forse anche oggi, nel mondo).

Accadde che Paride fu ospitato da Menelao, e che l'ospite, incantato dalla bellezza di Elena, decidesse di rapirla e
di portarsela a casa. Sulle modalità del rapimento molte sono le versioni, chi dice che Elena fu costretta con la
forza, altri che Afrodite l'avesse fatta impazzire d'amore per Paride, altri che Elena non fu mai rapita e che gli Achei
avessero assediato Troia inseguendo uno spettro. Per la versione di Gorgia si veda il capitolo sui sofisti.

Gli Achei, vista anche una promessa fatta a Tindaro, il padre mortale di Elena, non ci pensarono due volte ad
organizzare una spedizione per riportare il "bottino" in patria.

Qualche ostacolo e alcune profezie

Non fu così facile riunire i migliori tra gli Achei.

Di Odisseo, ad esempio, sappiamo che già prima di partire una profezia lo aveva avvertito che non sarebbe
tornato in patria entro vent'anni. Egli cercò di fingersi pazzo sostituendo ai buoi due asini e mettendosi ad arare la
spiaggia, ma quando Palamende venne a convocarlo e pose davanti all'aratro il figlio Telemaco, il padre
immediatamente rinsavì.

Per Achille si sapeva che se fosse partito non avrebbe più fatto ritorno. I genitori lo nascosero a Sciro,
travestendolo da donna e facendolo passare per una delle figlie del re Licomede.
A questo punto però Odisseo, saputo che senza Achille la guerra non sarebbe mai stata vinta, piombò alla corte di
Licomede e si mise a suonare una tromba di guerra: le figlie del re fuggirono e restò solamente l'indomito Achille,
che si fece così scoprire.

Ancora un altro ostacolo impedì una rapida partenza. Appena uscite dal porto le navi incontrarono un'improvvisa
bonaccia. Artemide pretendeva il sacrificio di Ifigenia, una figlia di Agamennone. Il re, seppur inorridito, non potè
rifiutare, convinto anche dagli altri membri della spedizione. Ifigenia, credendo di essere convocata per sposare
Achille, trovò la morte sull'altare del sacrificio (anche se si narra che Artemide, impietosita, la sostituì all'ultimo
momento con una cerbiatta).

Dopo il sacrificio il vento si alzò e la spedizione potè finalmente salpare.

L'assedio: dissidi tra Agamennone e Achille

L'assedio di Troia durò dieci anni ma gli eventi decisivi accaddero nell'ultimo anno.

Per nove anni i greci assediarono Troia e le sue mura possenti e respinsero gli attacchi dei troiani che tentarono
delle sortite, ma col passare del tempo erano sempre più stanchi e pessimisti sulla possibilità di scardinare le
difese avversarie.

A tutto questo si aggiunse il malumore che si venne a creare tra Agamennone e Achille. Agamennone aveva
ottenuto come bottino di una spedizione guidata da Achille una schiava, Criseide, figlia di Crise, sacerdote di
Apollo. Crise ottenne però da Apollo come ritorsione per il rapimento della figlia una terribile pestilenza che
puntualmente si abbattè sull'accampamento greco.

Fu chiaro che se Criseide non fosse stata restituita al padre la pestilenza sarebbe durata ancora a lungo. Achille
voleva restituirla, se non altro per interrompere l'epidemia, Agamennone non ne voleva sapere (diceva di preferire
Criseide alla moglie Clitennestra). Alla fine Criseide fu restituita, ma Agamennone, per dispetto, sotrasse ad Achille
il suo personale bottino di guerra, Briseide.

Sottratta Briseide, Achille si rifiutò di combattere e i greci dovettero fare a meno del loro "centravanti".
Agamennone gli restituì il bottino e gli offrì doni aggiuntivi, ma Achille fu irremovibile.

L'ira di Achille

I greci senza Achille erano in difficoltà. Patroclo, comandante dei Mirmidoni, chiese ad Achille di prestargli
l'armatura per incutere maggior terrore ai nemici. Achille accosentì e Patrcolo potè battersi con onore pur non
riuscendo ad evitare la morte per mano di Ettore.

Sconvolto dalla morte dell'amico, Achille pianse e si disperò. La madre Teti, ninfa del mare, gli procurò un'armatura
ancora più splendente. Achille tornò in battaglia e si riconcigliò con Agamennone.

La reazione di Achille fu tremenda. Caddero sul campo molti troiani e alla fine egli si trovò solo davanti ad Ettore.
Questi, preso dalla paura, scappò, e ad Achille non restò che inseguirlo per ben due giri attorno alle mura della
città nemica.

Quando Ettore si decise ad affrontare il nemico non potè che soccombere, trafitto alla gola dalla lancia di Achille.
Morendo, Ettore implorò Achille di non far scempio del suo cadavere, ma l'ira del suo assassino non era ancora
placata. Achille legò il corpo di Ettore a un carro e lo trascinò attorno alle mura di Troia, fra lo sgomento generale
dei nemici. Poi, stanco, abbandonò il cadavere tra le tende dell'accampamento greco.

Gli onori funebri a Patroclo furono eclatanti. Sulla pira destinata alla cremazione furono gettati dodici troiani.
All'alba, Achille trascinò per giorni il corpo di Ettore attorno al tumulo che raccoglieva le ossa dell'amico ucciso.
Furono indetti giochi funebri, quali lotta, corsa dei carri, corse a piedi, combattimenti, tiro con l'arco e del disco. Ma
gli dei erano stanchi e indignati dello scempio del corpo di Ettore. Zeus mandò Iride, suo messagero, a Troia per
comunicare a Priamo l'intenzione di riscattare il corpo del figlio.

Il vecchio re fu scortato segretamente alla tenda di Achille da Ermes. Priamo riuscì a intenerire Achille che gli
restituì il corpo del figlio. Ettore potè finalmente essere sepolto, secondo la tradizione funebre troiana.

Il tallone di Achille

Dopo la morte di Ettore, vennero in aiuto dei troiani le Amazzoni, guidate dalla loro regina Pentesilea, e gli Etiopi
comandati da Mnemone, ma Achille uccise entrambi. Tuttavia egli non poteva sfuggire al suo destino.

La madre Teti, appena nato il figlio, volle che diventasse immortale e invulnerabile, e per fare ciò lo immerse nelle
acque dello Stige, il fiume infernale, tenendolo per il tallone. Ma destino volle che Achille fosse colpito da un freccia
di Paride, il rapitore di Elena, proprio al tallone (l'unica parte vulnerabile del suo corpo).

Il cavallo di Troia

Di fronte all'impossibilità di sferrare un colpo risolutivo, i greci ricorsero al noto stratagemma. Prima finsero di
salpare e abbandonare il campo di battaglia, attraccando le navi presso un isola vicina, poi lasciarono sulla
spiaggia il cavallo di legno, ideato da Odisseo e realizzato da Epeo.

I troiani trovarono il greco Sinone, il quale raccontò che era stato lasciato sulla spiaggia come sacrificio e che i
greci avevano deciso di tornare in patria. Sempre secondo Sinone, il cavallo era stato costruito per propiziarsi
Atena, ed era stato concepito così grande per impedire che i troiani lo portassero in città, se ciò fosse accaduto,
infatti, essi avrebbero vinto la guerra (inutile dire che era tutto un trucco).

In realtà il cavallo era pieno di soldati greci, tra cui Odisseo e Neottolemo, il figlio di Achille. Quando i troiani lo
portarono dentro le mura, i soldati aspettarono che facesse notte e con tutta comodità uscirono per mettere a ferro
e fuoco la città. Così, grazie all'astuzia, cadeva la resistenza di una città assediata inutilmente per un decennio.

Re Priamo fu ucciso dal figlio di Achille, Elena riportata al marito, Menelao. Tra i pochi a salvarsi fra i troiani fu
Enea, destinato ad approdare nel Lazio e diventare capostipide della stirpe dell'Urbe (vedi storia di Roma).

Il destino di Agamennone

Ma anche per i vincitori il destino non fu benevolo. Odisseo e i suoi uomini erano destinati a vagare per dieci anni
prima di tornare a Itaca, mentre ad attendere Agamennone v'era un destino ben più amaro.

Considerato che Agamennone si era trastullato un pò troppo con i vari "bottini di guerra" anche la moglie,
Clitennestra, aveva visto bene di sistemarsi con Egisto. La moglie attese che il marito ritornasse per accoglierlo in
pompa magna, poi, una volta nel bagno, lo avvolse in una camicia con le maniche cucite e lo fece uccidere
dall'amante. Probabilmente alla base di tanto orrore v'era il rancore covato da Clitennestra per l'uccisione della
figlia Ifigenia.

Anni dopo, Clitennestra e l'amante furono a loro volta uccisi e vendicati dai figli di Agamennone, Oreste ed Elettra.
Oreste divenne pazzo ma fu scagionato all'Aeropago, l'omicidio di un marito venne considerato più grave rispetto a
quello di una madre.

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