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di Marco de Natale
E' superfluo soffermarsi a considerare l'etimo del termine analisi, per ciò
che enuncia - anche in musica - di un processo scompositivo con fini di
chiarimento su natura e funzioni delle parti o elementi costitutivi, ma
concorrenti nella condizione d'insieme. Non è neppure conveniente, in
sede per così dire extraterritoriale ove s'ambientano queste poche pagine,
indugiare a descrivere l'emergere dell'analisi come disciplina specifica in
successive tappe musicologiche, gli artefici delle quali s'affollano attorno
a figure quali Hugo Riemann, Heinrich Schenker e a un compositore a
tratti teorico come Arnold Schönberg. Brevemente: Riemann (1849-
1919), pur partendo da posizioni positivistiche, esplica in poderosi
Katechismen tendenzialmente compenetrati i vari aspetti della tecnica
compositiva del suo tempo, approdando alla fine a una ancor limbica
fenomenologia dell'immaginazione musicale. Schenker (1868-1935) mira
a una unificata visione delle classiche materie denominate contrappunto e
armonia (che rispettivamente trattano della linearità melodica a strati
simultanei e delle sovrapposizioni sonore in aree di varia condizione
fisionomica oltre che di vario equilibrio dinamico); in particolare lo
studioso austriaco realizza il suo intento per via di riduzioni di livelli
analitici, sino a reperire una struttura profonda (Ursatz) quale fondamento
strutturale della musica a impianto tonale (secc. XVIII-XIX). Infine
Schönberg (1874-1951) dedica la parte più originale dei suoi scritti
teorici alla forma come sviluppo di un intreccio coerente movendo da una
originaria cellula musicale (Grundgestalt) .
Precarietà s'è detto, della teoria musicale, non però del tutto in termini
negativi se si considera quanto le stesse cognizioni sparsamente raccattate
s'innescavano in territori - appunto quelli di una teoria della musica - la
cui friabilità sistematica si riscattava sul fronte di una potenziale ricaduta
in luoghi genetici di un atteggiamento gnoseologico in chiave
specificamente musicale. A questo punto è lecito insinuare l'idea che, se
da un lato l'esercizio analitico è tenuto a consustanziarsi con una visione
teorica generale oltrepassante le questioni d'interno assetto metodologico,
è pur sempre una teoria musicale, all'analisi sovraordinata, che deve
fornire non solo principi base dell'articolato analitico, bensì pure un a
fondo riguardo ai suoi lessemi tecnici - e relativi teoremi - che a guisa di
miraggi distali rimandano alle astrazioni (simboliche) cui la teoria
musicale si riporta. Si può dire che di quelle astrazioni una autentica
visione conoscitiva riscopre i modi di formazione in un campo di sabbie
mobili. Un campo posto fra i fondali sensomotori, addirittura impregnati
di pulsioni psicobiologiche (l'esperienza musicale primitiva ha zone
porose di vera e propria potenziale 'perdizione' dell'umanesimo
spiritualista!), e il traslitterarsi di esse in processi simbolici per altro
verso pregni di cose pertinenti le superiori sfere razionali ed etiche, delle
quali nondimeno la musica riscopre il gioco inventivo , ovvero ciò che
riguarda una loro 'verità' esistenziale in sede sonoramente immaginativa,
a suo modo a-concettuale e in-oggettuale 2.
Note: