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Analisi musicale e Filosofia

di Marco de Natale

Esplicare in sede filosofica la novità costituita dall'analisi nel campo degli


studi musicali è impresa non proprio facile. La difficoltà non sta tanto in
un oscuro in sé dell'argomento quanto nel doppio volto che la novità
assume in rapporto a due tradizioni di pensiero che vi si scontrano: da un
lato l'estetica e la filosofia dell'arte, sparsamente occupatesi di quella
sfera specifica di cultura che diciamo musica; dall'altro lato l'insufficiente
conoscenza che di fatto della questione si manifesta all'interno di quella
stessa sfera di cultura. Se la prima ha di suo una capacità prospettica che
difetta all'altra, nella seconda si dà l'inconsapevolezza di una esperienza
d'arte occultante in sé qualcosa di non trascrivibile compiutamente nei
classici termini conoscitivi della filosofia. Per prima cosa dunque un
discorso panoramico sulla novità dell'analisi in sede musicale esige una
attenta prospezione concettuale.

Credere che la recente apertura disciplinare di cui parliamo in àmbito


musicale costituisca il punto di raccordo della secolare disgiunzione or
ora rilevata, è allo stato delle cose poco credibile o quanto meno
azzardato. S'impone piuttosto in e per tale apertura una consapevolezza a
raggio ampio, tale da contribuire magari solo potenzialmente a ridurre il
vallo di confine fra due luoghi cognitivi topologicamente in precaria
adiacenza. Nella migliore delle ipotesi si può lasciare intravvedere una
zona per dir così transitiva fra luoghi di massima attenzione
all'architettura logica del pensiero, e luoghi dell'esperienza musicale di
inalienabile consistenza simbolica nel farsi più che nell'essere.
Esorbitando dagli àmbiti stessi in cui si sono distintamente imbrigliate le
due sfere di cultura sopra richiamate, occorre darsi conto che in quella
che diciamo musica si dà qualcosa di quella conoscenza tacita di cui
parla qualcuno che, in via generale, ad essa ha dedicato particolare
attenzione. Per farne il nome, si tratta dello scienziato-filosofo Michael
Polanyi, che pure dell'esperienza musicale tratta solo marginalmente nelle
sue opere, tre delle quali sono disponibili anche in versione italiana 1. La
conoscenza tacita - secondo Polanyi – non coincide con la conoscenza
esplicata in termini o simboli formalmente organizzati; quella è a questa
pre-messa nell’atto di fare, ossia di produrre qualcosa. Tale forma pre-
articolata di conoscenza è sorretta dalla capacità di montare per tentativi
ciò che vogliamo costituisca un risultato complessivo mirato.
Ora, che l’esperienza musicale non risulti trascrivibile, nella sua
effettualità, se non nei modi della sua comprensione, può spiegare la
stessa difficoltà di esplicare il pensiero musicale al di fuori degli atti che
lo costituiscono. Con l’opportuna consapevolezza, un aggancio teorico
non proprio estroverso rispetto all’oggetto dell’indagine, può condurci a
veder dentro l’analisi inedite possibilità di riaccostare conoscitivamente,
questa volta in termini espliciti, una particolare forma di pensiero artistico
quale è la musica, leggendo dentro l’intuitivo sapere che di essa possiede
il musicista.

E' superfluo soffermarsi a considerare l'etimo del termine analisi, per ciò
che enuncia - anche in musica - di un processo scompositivo con fini di
chiarimento su natura e funzioni delle parti o elementi costitutivi, ma
concorrenti nella condizione d'insieme. Non è neppure conveniente, in
sede per così dire extraterritoriale ove s'ambientano queste poche pagine,
indugiare a descrivere l'emergere dell'analisi come disciplina specifica in
successive tappe musicologiche, gli artefici delle quali s'affollano attorno
a figure quali Hugo Riemann, Heinrich Schenker e a un compositore a
tratti teorico come Arnold Schönberg. Brevemente: Riemann (1849-
1919), pur partendo da posizioni positivistiche, esplica in poderosi
Katechismen tendenzialmente compenetrati i vari aspetti della tecnica
compositiva del suo tempo, approdando alla fine a una ancor limbica
fenomenologia dell'immaginazione musicale. Schenker (1868-1935) mira
a una unificata visione delle classiche materie denominate contrappunto e
armonia (che rispettivamente trattano della linearità melodica a strati
simultanei e delle sovrapposizioni sonore in aree di varia condizione
fisionomica oltre che di vario equilibrio dinamico); in particolare lo
studioso austriaco realizza il suo intento per via di riduzioni di livelli
analitici, sino a reperire una struttura profonda (Ursatz) quale fondamento
strutturale della musica a impianto tonale (secc. XVIII-XIX). Infine
Schönberg (1874-1951) dedica la parte più originale dei suoi scritti
teorici alla forma come sviluppo di un intreccio coerente movendo da una
originaria cellula musicale (Grundgestalt) .

Più recenti, ma con minori valenze sistematiche generali, sono


orientamenti analitici spesso pesantemente ipotecati da imprestiti
dell'insiemistica matematica o computazioni statistiche, e ancora da
trasposizioni di termini e concetti della linguistica verbale a orientamento
cognitivistico.

Sommariamente detto, i meriti dei propugnatori dell'analisi stanno


innanzitutto nella elaborazione di criteri atti a dissaldare e coordinare gli
sparpagliati territori che la tradizione teorica aveva nei secoli passati
enucleato nella specie di discipline specifiche quali Contrappunto,
Armonia, Ritmo, Forma, Orchestrazione e qualcos'altro. In tal senso -
tralasciando di considerare conati in buona misura estroversi rispetto al
corpus metodicamente più stabilizzato dell'analisi -, questa ha per prima
cosa ripensato le posizioni classiche della teoria musicale, che peraltro
ristavano a ridosso di quella particolare, astraente semiografia che è la
notazione musicale; una teoria che rimaneva in bilico fra istanze di ordine
didascalico-operativo ( sorta di pensiero in musica nei trattati di
composizione), e di ordine logico-esplicativo (sorta di pensiero sulla
musica); in questo secondo caso ancora con imprestiti precari da
stagionate discipline quali la matematica e la fisica acustica, oppure la
logica formale o la psicologia indagante i fenomeni uditivi.

Precarietà s'è detto, della teoria musicale, non però del tutto in termini
negativi se si considera quanto le stesse cognizioni sparsamente raccattate
s'innescavano in territori - appunto quelli di una teoria della musica - la
cui friabilità sistematica si riscattava sul fronte di una potenziale ricaduta
in luoghi genetici di un atteggiamento gnoseologico in chiave
specificamente musicale. A questo punto è lecito insinuare l'idea che, se
da un lato l'esercizio analitico è tenuto a consustanziarsi con una visione
teorica generale oltrepassante le questioni d'interno assetto metodologico,
è pur sempre una teoria musicale, all'analisi sovraordinata, che deve
fornire non solo principi base dell'articolato analitico, bensì pure un a
fondo riguardo ai suoi lessemi tecnici - e relativi teoremi - che a guisa di
miraggi distali rimandano alle astrazioni (simboliche) cui la teoria
musicale si riporta. Si può dire che di quelle astrazioni una autentica
visione conoscitiva riscopre i modi di formazione in un campo di sabbie
mobili. Un campo posto fra i fondali sensomotori, addirittura impregnati
di pulsioni psicobiologiche (l'esperienza musicale primitiva ha zone
porose di vera e propria potenziale 'perdizione' dell'umanesimo
spiritualista!), e il traslitterarsi di esse in processi simbolici per altro
verso pregni di cose pertinenti le superiori sfere razionali ed etiche, delle
quali nondimeno la musica riscopre il gioco inventivo , ovvero ciò che
riguarda una loro 'verità' esistenziale in sede sonoramente immaginativa,
a suo modo a-concettuale e in-oggettuale 2.

Vista a distanza ravvicinata, l'analisi musicale, diversamente da ciò che


s'è finora detto, è stata prevalentemente e limitatamente apprezzata per la
sua efficacia nel centrare l'opus , in un sapere-del-come è fatto
quell'unicum artistico esaltato dalla moderna civiltà musicale. Ma se si
tien conto del discorso a più ampio raggio da cui abbiam preso le mosse,
vien fatto di dire che l'analisi si dispone a scoprire - dilatandosi in
direzione teorica - il gioco d'insieme dei fattori sottostanti l'opus, ovvero
la diffusa 'oralità' primaria del far musica, la sua forma fluens
temporalizzata fin nel midollo e il suo prodursi in un vibratile universo
acustico - anche artificialmente procurato -, con acquisizione di nebulose
di senso grado a grado evolventi fino alla soglia dei valori di musicale
fantasticità: che è come dire un gioco, un esaltante gioco che sublima
nelle sue proteiformi apparenze il senso dell'esistenza.

E' lecito domandarsi a questo punto se e come la filosofia dell'arte possa


dirsi interessata a conoscere quanto i due fronti d'impegno simbolico ed
esistenziale della musica come tale, proprio attraverso l'analisi musicale
siano tra loro coniugati o coniugabili; ciò peraltro allo scopo di misurare
l'utilità dell'analisi nel campo della critica d'arte a impianto estetico, oltre
che riconoscere un affidabile redde rationem nelle stesse modalità
attuative del pensiero analitico. Compito arduo questo, per non essere -
come s'è prima lasciato intendere - quel pensiero e le relative
testimonianze di fatto sufficientemente percepiti nel più stabilizzato
àmbito storiografico ed ermeneutico specificamente musicale. Detto a
mente fredda: quel compito è reso opinatamente imbarazzante per gli
ancora aurorali interessi analitici reperibili nelle strutture accademiche in
Italia, diffratte tra una musicologia assai poco incline a porsi istanze
teoretiche di fondo, e una amnesica prassi del fit facendo persistente nelle
sedi dell'esperienza musicale produttiva.

A mo' di conclusione va di chiedersi se l'uscita in campo aperto di


questioni a tutt'oggi irretite in sfere di competenza topologicamente
disgiunte, possa suscitare un qualche dibattito fruttuoso, proprio in una
zona con tutta apparenza depressionaria in fatto di studi in e sulla
musica quale è ritenuta a torto o a ragione l'italica cultura.
Marco de Natale

Note:

1. Cfr. di M. Polanyi La conoscenza inespressa, tr. it. Armando Armando, Roma


1979; dello stesso autore Studio sull'uomo. Individuo e processo cognitivo, tr. it.
Morcelliana, Brescia 1979 e ancora La conoscenza personale. Verso una filosofia
post-critica, tr. it., Rusconi, Milano 1990.

2. A questo riguardo merita un giusto richiamo la concezione - particolarmente per la


musica non proprio visionaria - di Johan Huizinga circa la funzione fondante del
gioco nel costituirsi delle varie sfere dell'umana cultura. Cfr. Homo ludens , tr. it.,
Bompiani, Milano 1972.

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