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Pubblicato il 26/09/2019
N. 11330/2019 REG.PROV.COLL.
N. 15122/2018 REG.RIC.

R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 15122 del 2018, proposto da


Società Italiana degli Autori ed Editori - SIAE, in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo
Turco, Maurizio Mandel e Domenico Luca Scordino, con domicilio
digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo
studio di quest’ultimo in Roma, p.zza Margana, 19;
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura
Generale dello Stato, presso cui domicilia “ex lege” in Roma, via dei
Portoghesi, 12;
nei confronti
- Soundreef S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avvocati Guido Scorza, Dario Reccia, Maria
Laura Salvati e Adriana Peduto, con domicilio digitale come da PEC da
Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via

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dei Barbieri, 6;
- Sky Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avvocati Piero Fattori, Antonio Lirosi,
Salvatore Spagnuolo, Paolo Galli e Lorenzo De Martinis, con domicilio
digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo
studio “Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners” in Roma, via delle
Quattro Fontane, 20;
- Associazione dell'Autorialità Cinetelevisiva 100autori (Associazione
100autori), Associazione Nazionale di Editori Musicali Italiani
(Denominata anche FEM, Federazione Editori Musicali), Associazione
Nazionale Editori Musicali (ANEM), Associazione Italiana Dialoghisti
Adattatori Cinetelevisivi (AIDAC), Writers Guild Italia (Writers),
Federazione Autori, Doc/It – Associazione Documentaristi Italiani,
Associazione Nazionale Autori Cinematografici (ANAC), in persona dei
rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutte rappresentate e difese
dagli avvocati Gian Michele Roberti, Maria Grazia Maxia, Ignazio De
Magistris e Marco Serpone, con domicilio digitale come da PEC da
Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma,
Foro Traiano, 1/A;
- Innovaetica S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avvocati Sacha D'Ecclesiis e Ugo Luca Savio
De Luca, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e
domicilio eletto presso lo studio “Orsingher Ortu – Avvocati Associati” in
Roma, p.zza di Campitelli, 3;
- Mediaset S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Rossi e Fabio Lepri, con
domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto
presso lo studio del secondo in Roma, via Pompeo Magno, 2/b;
- Vodafone Italia S.p.A., non costituita in giudizio;
e con l'intervento di

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ad opponendum:
Associazione LEA - Liberi Editori ed Autori, in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Guido
Scorza, Dario Reccia, Maria Laura Salvati e Adriana Peduto, con
domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto
presso il loro studio in Roma, via dei Barbieri, 6;
per l'annullamento, previa concessione di idonea misura cautelare,
- del provvedimento AGCM datato 25 settembre 2018, notificato in data
26 ottobre 2018;
- di tutti gli atti presupposti, consequenziali o comunque connessi, anche
allo stato non conosciuti, ivi compresa, ove occorra, la delibera 26531 del
5.04.2017 di avvio del procedimento e di comunicazione delle risultanze
istruttorie (“CRI”).

Visti il ricorso e i relativi allegati;


Visto il decreto cautelare monocratico presidenziale di questa Sezione n.
7857/2018 del 21.12.2018;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato, di Soundreef S.p.A., di Sky Italia S.r.l., di
Associazione dell'Autorialità Cinetelevisiva 100autori (Associazione
100autori), Associazione Nazionale di Editori Musicali Italiani
(Denominata Anche FEM, Federazione Editori Musicali), Associazione
Nazionale Editori Musicali (ANEM), Associazione Italiana Dialoghisti
Adattatori Cinetelevisivi (AIDAC), Writers Guild Italia (Writers),
Federazione Autori e di Doc/It – Associazione Documentaristi Italiani,
Associazione Nazionale Autori Cinematografici (Anac) nonchè di
Innovaetica S.r.l. e di Mediaset S.p.A., con la rispettiva documentazione;
Visto l’atto di intervento “ad opponendum” dell’Associazione LEA -
Liberi Editori ed Autori;
Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 343/2019 del 17.1.2019;
Viste le memorie difensive;
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Visti tutti gli atti della causa;


Relatore nell'udienza pubblica del 19 giugno 2019 il dott. Ivo Correale e
uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
La vicenda portata all’attenzione del Collegio trae origine dall’avvio, da
parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM” o
“Autorità”), di un procedimento nei confronti della Società Italiana degli
Autori ed Editori (“SIAE” o “Società”) per accertare l’esistenza di una
violazione dell’art. 102 del TFUE. All’esito della fase istruttoria, che
aveva visto la partecipazione di altre Parti oltre all’interessata, l’AGCM
adottava il provvedimento conclusivo ove riteneva accertato che la SIAE,
almeno dal 1 gennaio 2012, avesse posto in essere un “abuso di posizione
dominante” - in violazione del richiamato art. 102 TFUE - di cui a una
pluralità di condotte, complessivamente finalizzate a escludere i
concorrenti dai mercati relativi ai servizi di gestione dei diritti d’autore non
inclusi nella riserva originariamente prevista dall’art. 180 LDA (“Legge
sul diritto d’autore”), nonché a impedire il ricorso all’autoproduzione da
parte dei titolari dei diritti, garantita dall’articolo 180, comma 4, della
stessa LDA. Le condotte riscontrate avevano dato luogo a una complessa
strategia escludente che aveva determinato, attraverso la costante
affermazione di un monopolio non aderente alla normativa, la
compromissione del diritto di scelta dell’autore e la preclusione all’offerta
dei servizi di gestione dei diritti d’autore da parte dei concorrenti.
L’insieme delle condotte contestate alla Società risultava per l’AGCM
riconducibile a un’unica strategia escludente dei concorrenti, volta a
estendere e mantenere la propria posizione di monopolio – attribuita solo
per alcune attività dall’art. 180 LDA nel testo vigente sino al 15 ottobre
2017 e, dopo tale data, detenuta in via di fatto – ad ambiti estranei all’art.
180 LDA (quali la tutela dal plagio, la gestione dei DDA per le
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utilizzazioni “on-line”, la gestione dei DDA dei repertori di opere


straniere, la gestione diretta da parte dei titolari), impedendo in tal modo il
dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali.
Era risultato all’Autorità che i comportamenti della SIAE, pur nella loro
eterogeneità, erano stati tutti diretti a estendere e mantenere la posizione
dominante derivante dalla originaria riserva legale nei mercati non
ricompresi in tale ambito, senza tenere in considerazione, da un lato, la
diversa volontà degli autori, e, dall’altro, l’incontestabile evoluzione dei
mercati e del quadro normativo dell’Unione europea.
Tali condotte, in sintesi, riguardavano: a) l’imposizione di vincoli
nell’offerta di servizi diversi, tali da ricomprendere nel mandato relativo
allo svolgimento dei servizi rientranti nella riserva legale, vigente fino al
15 ottobre 2017, anche servizi suscettibili di essere erogati in concorrenza,
ostacolando la libertà dei titolari del diritto d’autore di gestire i propri
diritti al momento dell’attribuzione, della limitazione o della revoca del
mandato; b) l’imposizione di vincoli volti ad assicurare alla SIAE la
gestione dei diritti d’autore dei titolari non iscritti alla SIAE stessa, anche
dove questi ultimi avevano espressamente manifestato la volontà di non
avvalersi dei servizi da essa erogati; c) l’imposizione di ostacoli nella
stipulazione da parte degli utilizzatori - quali, emittenti televisive nazionali
e organizzatori di concerti “live” - di altri contratti di licenza d’uso delle
opere con i concorrenti della SIAE; d) l’esclusione dei concorrenti dai
mercati relativi alla gestione dei diritti d’autore di repertori esteri.
Specificava, quindi, l’AGCM che “…In un contesto in cui, SIAE è
l’operatore storico di riferimento e raccoglie l’adesione di quasi tutti gli
aventi diritto già attivi, le condotte sopra descritte hanno nel loro
complesso ostacolato, e ostacolano tuttora, la libertà di un avente diritto
di rivolgersi a una collecting concorrente o di gestire direttamente i propri
diritti d’autore nonché limitato lo sviluppo concorrenziale e l’innovazione
dei mercati dell’intermediazione del diritto d’autore in violazione

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dell’articolo 102 TFUE.” Con la conseguenza per la quale tali condotte


“…incidono negativamente sulla qualità dei servizi offerti e impediscono
lo sviluppo di operatori concorrenti e collecting specializzate. Come
dimostrato dalle evidenze in atti precedentemente descritte, SIAE ha posto
in essere condotte che ostacolano l’ingresso di operatori concorrenti,
qualsiasi sia la loro forma giuridica (OGC o EGI) e qualsiasi sia la loro
provenienza (italiana o estera).”
L’Autorità, dopo un’ampia descrizione delle condotte e a confutazione
delle tesi della Società come proposte nel procedimento, ordinava alla
SIAE di porre immediatamente fine ai comportamenti distorsivi della
concorrenza accertati e di astenersi in futuro dal porne in essere di
analoghi, irrogandole una sanzione pecuniaria simbolica, pari a 1000 euro,
in ragione del contesto entro cui si era realizzata la complessa strategia
escludente accertata e, in particolare, del fatto che le condotte censurate
erano state realizzate dalla SIAE in mercati caratterizzati da una stretta
contiguità con gli ambiti coperti dalla riserva vigente fino al 15 ottobre
2017, nonché per la specificità e complessità della fattispecie trattata.
Con rituale ricorso a questo Tribunale la SIAE chiedeva l’annullamento,
previe misure cautelari, di tale provvedimento, lamentando in sintesi
quanto segue.
“Cap. I Poteri dell’Autorità - Primo Motivo.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 bis della L. 287/90, nonché
dell’art. 14 della medesima legge. Violazione del principio di leale
collaborazione. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità e
violazione dei principi del giusto procedimento e sulla buona
amministrazione (art. 97 Cost.).”
Nei confronti di un’altra “pubblica amministrazione” – quale si riteneva la
ricorrente - l’AGCM non doveva effettuare una istruttoria ma un ben
diverso intervento, consistente nell’adozione di un parere motivato, con
eventuale dissenso poi deciso da un giudice; per tale ragione, il primo

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comma dell’art. 21 bis cit. attribuisce una speciale legittimazione che


consente all’AGCM di “agire in giudizio”.
Nel caso di specie, il concetto di “amministrazione pubblica”, rilevante nel
presente ambito, non poteva ricondursi a quello restrittivamente
individuato dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/01, sia per l’uso da parte
del legislatore dell’espressione indefinita “qualsiasi amministrazione
pubblica”, sia perché erano esclusi espressamente i soli enti pubblici
economici, sia per la “tradizione storica”, che riconosceva alla SIAE la
natura di persona giuridica pubblica desumibile dalla stessa “ratio” dell'art.
180 LDA, che introduceva una legittima peculiarità italiana analoga, sotto
certi aspetti, alla riserva nell'intermediazione di certi beni in favore dei
notai, ai quali l'ordinamento assegna una funzione pubblicistica che
comporta, tra l'altro, lo svolgimento di attività non remunerative (come la
riscossione delle imposte associata alla responsabilità solidale),
compensate dai profitti garantiti dall'esclusiva.
La medesima giurisprudenza aveva più volte riconosciuto che la SIAE è
l’ente pubblico che adempie alla funzione di interesse generale di tutela
della proprietà intellettuale considerata patrimonio comune del Paese, in
attuazione della funzione di promozione della cultura e nella diffusione
delle opere dell'ingegno di carattere creativo.
Anche la direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi
nel mercato interno (c.d. “Bolkestein”) tra le quindici deroghe (art. 17) alla
regola generale (art. 16) della libera prestazione di servizi ammetteva in
modo specifico i “diritti d’autore e diritti connessi”, nello stesso spirito
dell’art. 167 TFUE, secondo il testo del Trattato di riforma firmato a
Lisbona il 13 dicembre 2007.
Di conseguenza, la “direttiva Barnier” invocata dall’AGCM, nel suo
richiamo (al “considerando 3”) all'art. 167 TFUE, doveva di conseguenza
essere interpretata nel senso che le peculiari discipline degli Stati membri
restavano pienamente compatibili con le regole europee.

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Inoltre, il fine di promuovere la cultura assegnato alla SIAE era stato


ribadito anche da recenti modifiche di disposizioni legislative interne, quali
l'art. 1 della l. n. 2/2008, comma 1, ultimo periodo, e l’art. 71-octies,
comma 3-bis, LDA, che legittimavano la vigilanza pubblica plurima su
statuto, nomina del presidente e bilancio.
Vi era da considerare, poi, anche l'elemento oggettivo, dato che l’AGCM
contestava alla SIAE proprio gli atti di esercizio dei poteri pubblicistici,
laddove si riferiva a un esercizio vessatorio e abusivo dei poteri ispettivi di
accesso e controllo, al fine di impedire a un concorrente l'ingresso nel
mercato, a un esercizio verso gli organizzatori dei concerti di ripetute
pressioni - anche prospettando l’esercizio del recupero del credito coattivo
(vale a dire l’applicazione dell’art. 164 LDA) - per ottenere il pagamento
dell’intero, a un esercizio dei poteri di auto-organizzazione in violazione
delle norme a tutela della concorrenza e del mercato.
Applicando il giusto procedimento, quindi, per la SIAE si sarebbe dovuta
aprire una fase precontenziosa caratterizzata dall'emanazione, da parte
dell’Autorità, di un parere motivato rivolto alla p.a. nel quale segnalare le
violazioni riscontrate e indicare i rimedi per eliminarli e ripristinare il
corretto funzionamento della concorrenza e del mercato.
“Cap. II Sanzionabilità degli abusi - Secondo Motivo.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 106 TFUE e, per quanto occorrer
possa, dell’art. 8 della L. 287/90. Incompetenza assoluta e straripamento
di potere. Illegittimità derivata. Difetto di motivazione.”
La ricorrente si soffermava sulla motivazione del provvedimento
impugnato, ove era indicato che non si applicavano deroghe
all’impostazione della l. n. 287/90 perché “…l’attività di gestione e
intermediazione del diritto d’autore non può essere considerato alla
stregua di un servizio di interesse economico generale. È la stessa Corte di
Giustizia che, in linea con i propri precedenti, nella sentenza OSA sopra
richiamata [Corte di giustizia del 27 febbraio 2014, C-351/12] afferma che

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un ente come OSA non è idoneo a rientrare nell’ambito di applicazione di


tale prima disposizione [art. 106, par. 2, TFUE].
Per la SIAE la “sentenza OSA” rinviava a due precedenti (C-127/73 e C-
7/82) che però riguardavano ipotesi caratterizzate dalla assenza di
monopoli legali, ove il monopolio aveva finalità economica, non sociale, e
nasceva da un provvedimento concessorio ai sensi della legislazione ceca
di riferimento, diversa da quella italiana per quanto sopra precisato in
ordine alla istituzione “ex lege” della SIAE e alle finalità pubblicistiche
assegnatele.
Inoltre, l’AGCM non supportava la tesi sulla natura eccezionale dell’art. 8
l. n. 287/90 con argomenti specifici e neppure indicava quali fossero le
regole generali, o le altre leggi, rispetto alle quali tale articolo si pone come
deroga, così che restava certo che la SIAE esercita servizi di interesse
economico generale e che le relative operazioni non erano censurabili
dall’Autorità.
Anche integrandola con il disposto dell’art. 106, par. 2, del TFUE, la
disposizione dell’art. 8 cit. restava applicabile al caso in esame ed
entrambe le norme escludevano il potere d’intervento dell’Autorità.
Quest’ultimo, infatti, non è consentito nei confronti dei soggetti che già
operano in regime di monopolio sul mercato, poiché la competitività è
esclusa per legge e la posizione dominante non viene raggiunta attraverso
l’abuso, ma preesiste ed è giustificata dalla norma stessa, nel caso di specie
anche al momento dell’avvio del procedimento, con l’entrata in vigore del
d.lgs. 15 marzo 2017 n. 35/17 (di recepimento della direttiva 2014/26/UE),
il cui art. 4 fa salvo quanto disposto dall’art. 180 LDA in riferimento
all'attività di intermediazione di diritti d'autore.
Per la ricorrente, l’originaria illegittimità non era stata “sanata”
dall’intervento del d.l. 16 ottobre 2017 n. 148 (conv. con l. 4/12/2017 n.
172), il cui art. 19, comma 1, lett b), aveva esteso la riserva agli altri
Organismi di Gestione Collettiva (“OGC”), dato che la illegittimità della

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delibera di apertura inficiava tutti gli atti successivi e il procedimento


poteva essere sanato solo con nuovo atto formale di avvio; il monopolio è
in realtà tuttora vigente, attesa la incostituzionalità del d.l. in questione la
cui relativa eccezione, già proposta in altro giudizio pendente presso
questo Tribunale, sarebbe stata sviluppata nel prosieguo del giudizio,
fermo restando che, nella fase istruttoria, l’Autorità aveva sostenuto la
disapplicazione dell’art. 180 LDA ma, in effetti, nel provvedimento
impugnato tale originaria posizione non era ribadita, nonostante le
contestazioni riguardavano comportamenti tenuti dalla SIAE in epoche
precedenti alla entrata in vigore di quel decreto-legge, con conseguente
carenza di motivazione.
La SIAE si soffermava, poi, sulla “inesistenza di un mercato”, dato che il
richiamato art. 19 d.l. cit. non affidava per nulla la gestione dei diritti
d’autore al “mercato”, ma estendeva la possibilità di svolgere (alcune)
funzioni, prima riservate al monopolista, a soggetti sostanzialmente “non
imprenditori”, quali sono gli “OGC” regolati dal d.lgs. n. 35/2017,
caratterizzati, come la SIAE, dalla assenza di una finalità lucrativa
“esterna”, o perché in radice privi di tal finalità (art. 2, co.1 lett. b) o
perché detenuti o controllati dai propri membri (lett. a), che sono appunto
gli autori titolari dei diritti gestiti.
In realtà la stessa “direttiva Barnier” rendeva il processo di liberalizzazione
in materia solo parzialmente efficace nella misura in cui limitava ai soli
organismi di gestione collettiva la possibilità di competere con SIAE, di
cui restava dominante la finalità pubblicistica più volte richiamata e
riconducibile alla l. n. 633/1941, tant’è che lo stesso atto impugnato
distingueva la posizione della SIAE dagli altri “OGC”.
“PARTE 2 – CENSURE GENERALI IN PROCEDENDO E DI MERITO
Cap. I Vizi dell’organo decidente - Terzo Motivo.
Violazione dei principi sulla collegialità, e di proporzionalità e
adeguatezza. Incompatibilità del Collegio. Violazione del giusto processo e

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dell’art. 6 CEDU.”
La ricorrente lamentava la violazione dei principi di collegialità,
proporzionalità e adeguatezza, in quanto la decisione finale dell’AGCM,
quale organo collegiale, era stata adottata dai soli due componenti in carica
a quel momento, in assenza del presidente, applicando la norma che
prevede come il voto presidenziale (in quel caso del componente f.f.) valga
doppio, dando luogo in tal modo a una decisione sostanzialmente
“monocratica”.
Nel caso di specie non era ricostruibile la fase dialettica che, negli organi
collegiali, consente di ripercorrere l’”iter” logico che porta ad una
determinazione esterna unitaria, non era dato neppure di sapere se vi è stata
una effettiva partecipazione del secondo componente e quali siano state,
eventualmente, le sue posizioni.
Ancor più grave era la mancanza del collegio durante la fase istruttoria e,
in particolare, alla audizione finale del 20 luglio 2018, dato che l'art. 23
d.lgs. n. 201/2011 ammette il numero pari (ovviamente, due), solo ai fini
delle deliberazioni, e solo per esse il voto del Presidente vale doppio. In
sostanza, per la ricorrente, nel momento del confronto con le parti, restava
necessaria la presenza di tutti i componenti, posto che l’art. 19 del
Regolamento prevede la “presenza della Autorità”, organo, come s’è detto,
definito “collegiale” dalla legge.
In secondo luogo, la SIAE lamentava che l’AGCM aveva emanato il
provvedimento impugnato dopo aver reso tre pareri in sede consultiva sulla
medesima questione, pervenendo a conclusioni chiare nel ritenere la
volontà di ridurre il “privilegio” di SIAE che poteva tradursi in un ostacolo
allo sviluppo concorrenziale, con violazione del principio di separazione
tra attività consultiva e decisoria, auspicato anche in sede eurounitaria.
“Cap. II Illegittimità del procedimento - Quarto Motivo.
Violazione dei principi sulla partecipazione al procedimento. Violazione
degli artt. 1, 3, 9 e 10 L. 7/8/90 n. 241, difetto di istruttoria. Difetto di

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motivazione. Violazione dei principi sulla partecipazione e dei principi del


giusto processo anche sotto il profilo dei tempi del procedimento e del
divieto di mutamento delle conclusioni. Violazione del Diritto di difesa e
dell’art. 14 ter L. 287/90. Violazione dell’art. 15 L. 287/90.”
L’attività “preistruttoria”, iniziata nell’ottobre 2015, si era svolta senza la
partecipazione della SIAE, a cui era stato consentito presentare solo una
memoria, cui le parti segnalanti (Innovaetica s.rl. e Soundreef s.p.a.)
avevano avuto modo di accedere senza contraddittorio con la ricorrente,
con conseguente violazione dei principi generali di pubblicità, di
trasparenza e di imparzialità.
Inoltre, nella motivazione dell’atto impugnato, molti argomenti svolti dalla
SIAE, sia con le memorie sia in sede di audizione, non avevano trovato
alcun riscontro, per cui, secondo la ricorrente risultavano anche violazione
dell’art. 3 della l. n. 241, difetto di istruttoria e di motivazione.
La Società riscontrava anche la violazione dei principi sui tempi del
procedimento, per l’ingiustificato ritardo nell’avvio della fase istruttoria in
contraddittorio, dopo che in tutto il periodo di “preistruttoria” l’Autorità si
era limitata a poche audizioni.
A ciò doveva aggiungersi che al capo b) del provvedimento impugnato si
imponeva di cessare i comportamenti censurati “immediatamente”, in
violazione dell’art. 15 della l. n. 287/90, che prevede la fissazione di un
“termine per l’eliminazione delle infrazioni”.
Il provvedimento, in ogni caso, risultava illegittimo anche sotto il profilo
della congruità, logicità e coerenza, dato che all’insolita durata di tre anni
si contrapponeva la richiesta di un adempimento immediato e di una
relazione di ottemperanza entro due mesi, con l’intento evidente di
sovrapporre le due scadenze dell’obbligo di relazionare e del termine per
impugnare, così ostacolando l’intervento cautelare del Giudice adito.
Era riscontrabile per la ricorrente l’antinomia tra i capi b) e d) del
dispositivo, poiché nel primo si esigeva una immediata esecuzione

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dell’ordine di cessare i comportamenti, mentre nel secondo si assegnava un


termine per relazionare sull’adempimento, con il risultato che l’Autorità,
quand’anche la SIAE avesse relazionato in termini, avrebbe potuto
comunque contestare l’inottemperanza, per ogni comportamento, anche
omissivo, immediatamente successivo alla notifica del provvedimento.
Quest’ultimo, quindi, era strutturato in modo tale da rendere impossibile
alla SIAE una qualunque ottemperanza ed in modo da lasciare all’Autorità
la possibilità di sanzionare in ogni caso la ricorrente.
La SIAE aggiungeva che i pretesi abusi erano, con le prime contestazioni,
ancorati alla disapplicazione dell’art. 180 LDA, con argomento reiterato
nella Comunicazione delle Risultanze Istruttorie (“CRI”), ma abbandonato
nel provvedimento conclusivo, che invece poggiava su condotte ponibili al
di fuori di quella norma (su autori stranieri e tutela del plagio).
Nelle originarie contestazioni, la finalità dei comportamenti non veniva
denunciata come diretta alla restrizione della concorrenza e su questo
punto - essenziale - la SIAE e gli altri partecipanti al procedimento non
avevano svolto argomenti o difese. Solo nel provvedimento finale la
relativa contestazione emergeva, per dimostrare l’elemento soggettivo
degli abusi, impedendo anche alla ricorrente di assumere “impegni” tesi a
evitare la sanzione.
“Cap. III Difetto di elemento soggettivo - Quinto Motivo.
Difetto di istruttoria e di motivazione. Falso presupposto in fatto.
Violazione dell’art. 3 della L. n. 689/81 sotto il profilo dell’assenza
dell’elemento soggettivo.”
Il provvedimento impugnato, in ordine all’elemento soggettivo, affermava
che la SIAE non poteva ignorare che il suo comportamento aveva come
scopo la restrizione della concorrenza, con applicazione della figura del
“dolo eventuale”, senza considerare la peculiarità della materia e la
struttura della ricorrente, che avrebbe dovuto indurre a rilevare la sua
buona fede. Ciò soprattutto riguardo la posizione dei “non iscritti” e in

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base alle numerose risultanze probatorie che confermavano la volontà della


SIAE di approfondire la tematica sulle modalità di osservazione dell’art.
180 LDA.
Per la ricorrente, in sintesi, la consapevolezza del problema non era
consapevolezza della violazione e, tanto meno, dimostrava la finalità
illecita invece riscontrata dall’Autorità.
La SIAE lamentava che l’AGCM era partita dall’idea di assoggettare al
mercato le attività di mediazione sui diritti d’autore - come si evinceva dai
pareri 1 giugno 2016 e 19 ottobre 2016 - con una posizione di evidente
preconcetto, che non tollerava una gestione esclusiva già quand’era tale per
legge ed era quindi portata a censurare ogni condotta con cui la SIAE
utilizzava questa posizione di centralità nel sistema, denunciandola come
abuso.
La sua intenzione – per la ricorrente - non era di giudicare i comportamenti
alla luce delle regole vigenti, e quindi censurare, per le relative
inosservanze, i fatti che incidevano sulla concorrenza ma quella di
ridisegnare il sistema, sulla base di regole auspicate. Poiché l’intervento di
liberalizzazione non si era realizzato secondo i suoi desideri, con le norme
“medio tempore” intervenute (Dlgs. n. 35/17 e D. L. n. 148/17) –
aggiungeva la ricorrente - l’Autorità aveva tentato di raggiungere lo scopo
per via amministrativa, sostituendosi al legislatore con evidente sviamento
di potere.
In realtà, per la SIAE, non vi era stato alcun comportamento escludente nei
confronti di una “EGI” perché non vi è alcuna norma comunitaria –
principalmente la “direttiva Barnier” - che assegna ad una “EGI” il diritto
di intermediare, applicandosi solo agli “OGC” collettiva tutta la direttiva in
questione e, con essa, le previsioni di tutela degli aventi diritto.
La ricorrente, poi, si soffermava sulle singole contestazioni, descrivendo la
centralità della gestione collettiva nel sistema del diritto d’autore,
contraddistinta da concessione di licenze, percezione dei proventi e

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ripartizione dei medesimi. Dato che è pressoché impossibile che un


utilizzatore possa acquisire singolarmente tutte le licenze e che,
all’opposto, un autore possa gestire autonomamente i propri diritti, la
gestione collettiva si pone come elemento cardine del sistema, che
consente anche di facilitare all'utilizzatore l'acquisto dei diritti stessi.
Per la SIAE, una volta invece indebolito o addirittura disintermediato il
diritto d’autore (come effetto del provvedimento impugnato), l’unica
conseguenza possibile diveniva la mera riduzione della raccolta in sé
considerata e quindi del compenso da assegnare ad autori ed editori.
La ricorrente, poi, evidenziava che la decisione dell’AGCM risultava già
superata da due ordinanze, del Tribunale di Milano e di quello di Roma,
che si soffermavano sulla natura della SIAE e sull’interpretazione della
“direttiva Barnier”, secondo quanto riportato.
Da qui derivava che tutte le contestazioni mosse dall’AGCM alla SIAE si
riferivano ad un momento nel quale l’art. 180 LDA (che prevedeva
l’esclusiva di SIAE stessa nell’intermediazione del diritto d’autore) era
perfettamente vigente e non meritevole di disapplicazione (ed infatti non
disapplicato dall’AGCM) e, per converso, i comportamenti della ricorrente
non potevano avere alcuna natura o effetto escludente, giacché non può
escludersi dal mercato un soggetto che per legge non vi possa operare.
“Cap. II Vincoli nella offerta di servizi diversi - Settimo Motivo.
Violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 34, 180, 164, 185 e 186
LDA. Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della Convenzione di
Berna. Violazione e falsa applicazione dell’art. 167 TFUE. Violazione e
falsa applicazione della Direttiva Barnier. Violazione e falsa applicazione
degli artt. 4, 22 e 23 del Dlgs. 35/2017. Violazione e falsa applicazione
dell’art. 54 della L. 31 maggio 1995 n. 218. Sviamento di potere. Difetto di
istruttoria. Difetto di motivazione. Falso presupposto in fatto. Eccesso di
potere per contraddittorietà.”

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Erano poste specifiche censure alle singole contestazioni: a) sui servizi


“on-line” e sui servizi di “musica d’ambiente” con uso di repertori
stranieri, b) sulla circostanza per la quale un autore dovrebbe poter
assegnare alcune opere a SIAE, ed altre ad altre “collecting”, ed inoltre
revocare il mandato anche per singola opera, nonché per specifiche forme
di utilizzazione, a prescindere dalle definizioni legislative concernenti le
categorie di diritti di utilizzazione economica; c) sulla reale tutela del
plagio; d) sul deposito delle opere inedite; e) sul deposito dell’opera, come
presupposto per affidamento della gestione; f) sugli autori non iscritti e
dissenzienti; g) sulle licenze alle emittenti; h) sul principio di territorialità
nella gestione di repertori di autori stranieri e sulla corretta interpretazione
degli artt. 185-186 LDA, alla luce dell'art. 5 della Convenzione di Berna, e
dell'art. 4, co. 2 d.lgs. n. 35/2017.
Con il decreto cautelare in epigrafe era accolta la domanda ex art. 56 c.p.a.
al fine di mantenere la “res adhuc integra” fino alla trattazione collegiale.
Si costituivano il giudizio la Soundreef S.p.A., la Sky Italia s.r.l., le
Associazione dell'Autorialità Cinetelevisiva 100autori (Associazione
100autori), Associazione Nazionale di Editori Musicali Italiani
(Denominata anche FEM, Federazione Editori Musicali), Associazione
Nazionale Editori Musicali (ANEM), Associazione Italiana Dialoghisti
Adattatori Cinetelevisivi (AIDAC), Writers Guild Italia (Writers),
Federazione Autori, Doc/It – Associazione Documentaristi Italiani,
Associazione Nazionale Autori Cinematografici (ANAC), nonché
l’Autorità intimata, Innovaetica s.r.l., concludendo tutte – tranne le
suddette Associazioni che propendevano per l’accoglimento del gravame -
per l’inammissibilità e infondatezza del ricorso, alcune come da ulteriori
memorie depositate in prossimità della camera di consiglio. In prossimità
di questa anche la SIAE depositava una memoria illustrativa e risultava
rituale atto di intervento “ad opponendum” dell’Associazione LEA –
Liberi Editori e Autori, quale organismo per la gestione collettiva dei diritti

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operante in Italia ai sensi del d.lgs. n. 35/2017, ritualmente iscritto nel


pubblico registro tenuto dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni
ai sensi dell’art. 40, comma 3, d.lgs. cit. e, allo stato, qualificatasi come
unica concorrente diretta della SIAE e rappresentante in Italia dell’intero
repertorio di “Soundreef Ltd”.
Con l’ordinanza in epigrafe, questa Sezione, fermo il necessario
approfondimento della fattispecie nel merito per la sua complessità,
esercitava i suoi poteri cautelari concedendo un ulteriore termine di
sessanta giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza alla SIAE per
comunicare all’Autorità le iniziative poste in essere per ottemperare a
quanto richiesto, anche mediante contraddittorio con la stessa AGCM, che
avrebbe valutato in concreto quanto proposto dalla ricorrente sul punto.
Dopo tale pronuncia cautelare si costituiva in giudizio anche Mediaset
s.p.a., concludendo per il rigetto del gravame.
In prossimità dell’udienza di merito, quasi tutte le parti costituite
depositavano memorie, alcune anche “di replica”, ad ulteriore illustrazione
delle proprie tesi e dei fatti sopravvenuti e, alla pubblica udienza del 19
giugno 2019, la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio ritiene di precisare “in limine” di doversi pronunciare
sull’intero contenzioso come introdotto dalla SIAE, in assenza di espressa
rinuncia a specifici motivi di ricorso.
Ciò perché, nella sua memoria per l’ultima udienza pubblica del 19 giugno
2019, parte ricorrente aveva evidenziato che non vi era stata una esplicita
adesione all’”Accordo” sottoscritto da SIAE, Soundreef e LEA nelle more
del giudizio e dopo la fase cautelare, che avrebbe consentito di considerare
venuto meno il giudizio attuale. Aggiungeva la ricorrente che “…sembra
permanere il dissenso dell’AGCM rispetto ad alcuni principi che SIAE
ritiene centrali nel sistema della difesa del diritto di autore e che hanno
formato oggetto in particolare del sesto e Settimo Motivo di

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Ricorso….trattandosi peraltro di veri e propri ‘punti di diritto’ più che di


valutazione di comportamento – è dunque necessario l’intervento di
codesto Ill.mo TAR Lazio, con annullamento in parte qua del Provvediment
impugnato”.
Ebbene, sul punto il Collegio ritiene di precisare che, non svolgendo
“funzione consultiva” ma unicamente giurisdizionale senza alcuna
valutazione di “diritto oggettivo” nella materia posta alla sua attenzione,
non potrà che pronunciarsi sull’intero contenzioso al fine di rilevare
unicamente la legittimità o meno del provvedimento impugnato, che ha
ritenuto il verificarsi di una situazione di abuso di posizione dominante, ai
sensi dell’art. 102 TFUE, senza poter provvedere ad annullamento “in
parte qua” del provvedimento impugnato in relazione a specifiche
condotte, dato che la motivazione sulla violazione dell’art. 102 TFUE non
può che essere valutata nella sua integralità e a tal fine.
Né il Collegio può intervenire, verificando, o anche indirizzando, l’attività
di ottemperanza al provvedimento sanzionatorio qui in esame, in assenza
di specifico provvedimento della competente Autorità che ne rilevi
l’omessa o parziale esecuzione.
Si rammenta, infatti, che è la mera potenzialità dell'effetto restrittivo della
concorrenza a integrare l'illecito di abuso di posizione dominante ex art.
102 TFUE, atteso che l'ordinamento intende garantire la correttezza del
comportamento economico del concorrente e non la sola, oggettiva,
concorrenzialità del mercato (TAR Lazio, Sez. I, 31.5.18, n. 6080; Cass.
Civ. Sez. I, 18.4.18, n. 9579).
Pur in presenza di comportamenti leciti alla luce di singole normative
settoriali, quindi, l'interprete potrà ravvisare la sussistenza dell'illecito
anticoncorrenziale laddove la combinazione degli stessi sia espressiva di
un intento escludente, da accertare indiziariamente come un “quid pluris”
che si aggiunge alla sommatoria di comportamenti altrimenti leciti;
diversamente opinando, l'”abuso di posizione dominante” sarebbe

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pressoché inconfigurabile, grazie al semplice fatto che consiste il più delle


volte in comportamenti analiticamente leciti, se visti solo alla luce di
settori dell'ordinamento diversi da quello della concorrenza (TAR Lazio, n.
6080/18 cit.). Per tale ragione, quindi, non è possibile esaminare il ricorso
solo in relazione a specifici “punti di diritto” indicati dalle parti e da loro
ritenuti essenziali, anche per definire in futuro i vari rapporti, ma è
doverosa per il Collegio un’analisi integrale delle censure mosse in
relazione alla motivazione complessiva del provvedimento impugnato, al
fine di verificare l’effettivo perpetuarsi dell’”abuso” come rilevato
dall’AGCM, secondo la quale “…l’insieme delle condotte qui contestate,
basate su un’interpretazione dell’art. 180 LDA volta ad estendere la
riserva anche ad attività in essa non ricomprese, costituiscono una
violazione dell’art. 102 TFUE interamente imputabile alla SIAE…”,
secondo quanto più diffusamente specificato nei paragrafi 261-264 del
provvedimento impugnato.
Premesso ciò e andando a esaminare il primo motivo, si richiama l’art. 21
bis, l. n. 287/90.
In esso è stabilito, ai primi due commi, che:
“L'Autorità garante della concorrenza e del mercato è legittimata ad agire
in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i
provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme
a tutela della concorrenza e del mercato (comma 1);
- L'Autorità garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una
pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme
a tutela della concorrenza e del mercato, emette, entro sessanta giorni, un
parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni
riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta
giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorità può presentare,
tramite l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni”
(comma 2).

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Ebbene, la giurisprudenza ha sostanzialmente precisato, in primo luogo,


che per l'applicazione di tale norma è necessario che vi sia una
“amministrazione pubblica” e che questa adotti un “atto amministrativo”
(Cons. Stato, Sez. VI, 22.3.16, n. 1164).
Nel caso di specie è assente quantomeno un atto amministrativo specifico
da contestare, inerendo l’’iniziativa dell’AGCM a una pluralità di condotte,
proprio in quanto “atti materiali” già per tale ragioni escludibili dal novero
dell’art. 21 bis cit.
E’ stato poi ulteriormente precisato nella richiamata sentenza che “…La
giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di affermare, con
orientamento che la Sezione condivide anche in ragione della sua coerenza
con la nozione elastica di soggetto pubblico fissata dal diritto comunitario
in attuazione del principio dell'effetto utile, che ‘l'ordinamento si è ormai
orientato verso una nozione funzionale e cangiante di ente pubblico, con la
conseguenza che si ammette ormai senza difficoltà che uno stesso soggetto
possa avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a certi istituti,
e possa, invece, non averla ad altri fini, conservando rispetto ad altri
istituti regimi normativi di natura privatistica. Questa nozione
"funzionale" di ente pubblico, si è sottolineato, «ci insegna, infatti, che il
criterio da utilizzare per tracciare il perimetro del concetto di ente
pubblico non è sempre uguale a se stesso, ma muta a seconda dell'istituto
o del regime normativo che deve essere applicato e della ratio ad esso
sottesa». La conseguenza che ne deriva è «che è del tutto normale, per
così dire "fisiologico", che ciò che a certi fini costituisce un ente pubblico,
possa non esserlo ad altri fini, rispetto all'applicazione di altri istituti che
danno rilievo a diversi dati funzionali o sostanziali» (in questo senso,
Cons. Stato, sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660).”.
In quel caso la controversia riguardava il Consiglio Nazionale Forense ed
era evidenziato che “L'analisi complessiva della predetta disciplina e del
contesto normativo in cui si inserisce induce a ritenere che il CNF, a

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seconda degli ambiti in cui interviene, può svolgere "attività


amministrativa", "giurisdizionale" e "di impresa". A tale ultimo proposito,
la giurisprudenza europea e nazionale ha affermato che la nozione
europea di impresa include anche l'esercente di una professione
intellettuale…”.
Deve aggiungersi, inoltre, che la nozione di impresa ai fini “antitrust” è
ormai definita, nel senso che tale nozione alla quale occorre fare
riferimento per l'applicazione della l. n. 287/1990, è quella risultante dal
diritto comunitario e si riferisce a tutti i soggetti che svolgono un'attività
economica e, quindi, siano “attivi” in uno specifico mercato; per questo
sono ormai considerate “imprese”, ai fini specifici della tutela della libera
concorrenza, anche gli esercenti le professioni intellettuali che offrono sul
mercato, dietro corrispettivo, prestazioni suscettibili di valutazione
economica (TAR Lazio, Sez. I, 1.4.15, n. 4943; 16.2.15, n. 2688, 11.6.14,
n. 8349).
In sostanza, ai fini “antitrust”, la nozione di “impresa” da considerare è
quella legata non alla qualifica formale del soggetto ma alla natura
dell’attività, di stampo economico, in grado di incidere, anche solo
potenzialmente, sul mercato e sulla relativa concorrenza (Cons. Stato, Sez.
VI, 27.6.05, n. 3408).
A ciò deve aggiungersi che l’art. 1 della l. n. 2/2008 ha espressamente
stabilito che “La Società italiana degli autori ed editori (SIAE) è ente
pubblico economico a base associativa e svolge le funzioni indicate nella
legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni. La SIAE esercita
le altre funzioni ad essa attribuite dalla legge e può effettuare, altresì, la
gestione di servizi di accertamento e riscossione di imposte, contributi e
diritti, anche in regime di convenzione con pubbliche amministrazioni,
regioni, enti locali e altri enti pubblici o privati…L'attività della SIAE è
disciplinata dalle norme di diritto privato. Tutte le controversie
concernenti le attività dell'ente, ivi incluse le modalità di gestione dei

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diritti, nonché l'organizzazione e le procedure di elezione e di


funzionamento degli organi sociali, sono devolute alla giurisdizione
ordinaria, fatte salve le competenze degli organi della giurisdizione
tributaria.”.
Alla luce di quanto richiamato, pertanto, il Collegio ritiene di non
condividere le tesi della ricorrente di cui al primo motivo, in quanto: a) la
nozione di “qualsiasi amministrazione pubblica” di cui all’art. 21 bis cit.
deve essere letta ai fini che rilevano nel diritto “antitrust”, sicché è da
considerare quella legata non alla qualifica formale del soggetto ma alla
natura dell’attività che svolge, anche parzialmente, in un contesto
economico di libera concorrenza (da intendersi questo come “mercato”); b)
non rilevano in merito i richiami al d.lgs. n. 165/01 e relative disposizioni
che escludono dal novero gli enti pubblici economici; c) la SIAE è stata
coinvolta in quanto impresa in posizione dominante sui mercati rilevanti
del settore dell’intermediazione dei diritti d’autore; d) non rilevano in
merito i richiami alle funzioni – indicate come pubblicistiche in senso lato
– della SIAE, dato che nel caso di specie è in esame una fattispecie
riconducibile direttamente non alle funzioni suddette ma all’applicazione
del diritto “antitrust”, per cui le condotte della SIAE ben risultano soggette
allo scrutinio dell’AGCM; e) comportamenti astrattamente leciti,
comportanti l’esercizio di facoltà e prerogative specificamente previste
dalla legge, possono assumere portata anticoncorrenziale nel caso
concreto; f) non rilevano isolate pronunce dell’a.g.o. su casi specifici in
sede sommaria, laddove la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che
“…quando svolge funzioni non istituzionali, la SIAE è tenuta anche ad
assicurare la distinzione tra la gestione relativa alla tutela del diritto
d’autore e dei diritti connessi e quella relativa agli altri e ulteriori servizi,
nonché la separazione contabile tra le due distinte gestioni, con
perseguimento, in entrambe, dell’equilibrio finanziario; questo è il
proprium della c.d. “aziendalizzazione” della SIAE, la quale, con il

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corollario della devoluzione all’AGO di tutte le controversie… è evidente,


in base all’art. 2, co. 1 del D.lgs. 35/2017 e dell’art. 3 e dei considerando
7) e 19) della dir. n. 2014/26/UE, la possibilità d’una pluralità di
organismi gestori e di enti gestori indipendenti, in regime di concorrenza
tra loro, affinché i titolari dei diritti possano scegliere quale forma di
tutela o di collecting sia più acconcia alla propria sfera giuridica ed
economica;
– per vero l’art. 180 della l. 633/1941 va oggidì interpretata, secondo i ben
noti principi dettati dalla Corte di giustizia UE in tutti i casi di conflitto,
tra un ex-incumbent pubblico ma ora monopolista di fatto e munito di
poteri coercitivi verso i terzi e l’apertura del mercato del collecting ad
elementi di concorrenza, è risolto, almeno in una prima fase, con il
principio per cui una restrizione di questa, a fronte di tal residuo regime di
monopolio, può esser giustificata solo se essa risponda a ragioni
imperative d’interesse pubblico, sia idonea a garantire il conseguimento
dello scopo d’interesse pubblico così perseguito e sia congruente con
quanto occorre a realizzare lo scopo stesso (C. giust., 27 febbraio 2014, C-
351/12, OSA)” (Cons. Stato, Sez. VI, 8.8.18, n. 4879).
Parimenti infondato si palesa anche il secondo motivo, con il quale la
ricorrente lamenta – secondo la sintesi da lei stessa proposta – che
l’AGCM aveva violato ed erroneamente applicato l’art. 106 TFUE e l’art.
8 L. 287/90, ritenendo sussistenti gli abusi previsti dall’art. 3 della L.
287/90 nei confronti di un soggetto pubblico che svolge servizi di interesse
economico generale, che già operava in regime di monopolio sul mercato
per disposizione di legge.
In merito si richiama l’art. 106 cit., secondo cui:
“1. Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle
imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o
esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a
quelle contemplate dagli articoli 18 e da 101 a 109 inclusi.

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2. Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico


generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle
norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in
cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto
e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi
non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi
dell'Unione.
3. La Commissione vigila sull'applicazione delle disposizioni del presente
articolo rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri, opportune direttive o
decisioni.”
L’art. 8, commi 1 e 2, l. n. 287/90 prevede, a sua volta che:
1. Le disposizioni contenute nei precedenti articoli si applicano sia alle
imprese private che a quelle pubbliche o a prevalente partecipazione
statale.
2. Le disposizioni di cui ai precedenti articoli non si applicano alle
imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di
interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul
mercato, per tutto quanto strettamente connesso all'adempimento degli
specifici compiti loro affidati.”.
La ricorrente in primo luogo contesta l’affermazione dell’Autorità,
secondo cui l’attività di gestione e intermediazione del diritto d’autore non
può essere considerata alla stregua di un servizio di interesse economico
generale, secondo i principi della Corte di Giustizia rinvenibili nella c.d.
“sentenza OSA” (Corte CE, 27.2.14, in C-351/12).
Per la SIAE la “sentenza OSA” rinviava a due precedenti (C-127/73 e C-
7/82) che però riguardavano ipotesi caratterizzate dalla assenza di
monopolio legale, ove il monopolio aveva finalità economica, non sociale,
e nasceva da un provvedimento concessorio: mancava quindi la peculiarità
fondamentale del sistema italiano, dove la legge che ha istituito la SIAE le

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ha assegnato finalità pubblicistiche, peraltro compatibili con il monopolio


relativo (almeno ante 2017).
Inoltre, la ricorrente contestava la natura “eccezionale” dell’art. 8 della L.
n. 287/90, come ritenuta dall’AGCM che non supportava la sua tesi con
argomenti né indicava quali fossero le regole generali, o le altre leggi,
rispetto alle quali tale articolo si poneva come deroga. L’intervento
dell’Autorità non era consentito nei confronti dei soggetti che già
operavano in regime di monopolio sul mercato e l’originaria illegittimità
non era sanata dall’intervento del d.l. n. 148/17, successivo all’avvio del
procedimento.
Il relativo art. 19 non affidava comunque la gestione dei diritti d’autore al
“mercato”, ma estendeva la possibilità di svolgere (alcune) funzioni, prima
riservate al monopolista, a soggetti sostanzialmente “non imprenditori”,
quali gli “OGC” regolati dal d. lgs. n. 35/2017.
Il Collegio in merito osserva che sulla rilevanza non della struttura “in
astratto” ma della condotta in concreto si è già sopra espresso e alle
relative conclusioni rimanda.
Il Collegio rileva anche che, in realtà, la sentenza “OSA” in questione ha
precisato (per. 81, 82 e 83) che “…l'articolo 106, paragrafo 2, TFUE, che
contiene norme speciali applicabili alle imprese incaricate, in particolare,
della gestione di servizi d'interesse economico generale, non osta
all'applicazione dell'articolo 102 TFUE a un ente di gestione quale l'OSA.
Infatti, un simile ente di gestione, cui lo Stato non ha affidato alcun
compito e che amministra interessi privati, anche se si tratta di diritti di
proprietà intellettuale tutelati dalla legge, non è idoneo a rientrare
nell'ambito di applicazione di tale prima disposizione (v., in tal senso,
citate sentenze BRT II, punto 23, e GVL/Commissione, punto 32).
82 Per contro, una normativa come quella oggetto del procedimento
principale è tale da rientrare nell'ambito di applicazione dell'articolo 106,
paragrafo 1, TFUE. Difatti, una normativa di questo tipo comporta

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l'effetto di accordare a un ente di gestione come l'OSA diritti esclusivi


riguardo alla gestione dei diritti d'autore relativi a una certa categoria di
opere protette nel territorio dello Stato membro interessato, in tal modo
impedendo ad altre imprese di esercitare l'attività economica di cui trattasi
nello stesso territorio (v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2001,
Ambulanz Glöckner, C-475/99, Racc. pag. I-8089, punto 24).
83 Riguardo all'interpretazione dell'articolo 102 TFUE in un siffatto
contesto, secondo giurisprudenza costante, il semplice fatto di creare una
posizione dominante mediante l'attribuzione di diritti esclusivi ai sensi
dell'articolo 106, paragrafo 1, TFUE non è, di per sé, incompatibile con
tale primo articolo. Uno Stato membro viola i divieti sanciti da queste due
disposizioni solo quando l'impresa di cui trattasi sia indotta, con il mero
esercizio di diritti speciali o esclusivi che le sono attribuiti, a sfruttare
abusivamente la sua posizione dominante, o quando tali diritti siano
idonei a creare una situazione in cui l'impresa è indotta a commettere tali
abusi (sentenza del 3 marzo 2011, AG2R Prévoyance, C-437/09, Racc.
pag. I-973, punto 68 e giurisprudenza ivi citata).
Al Collegio appare chiaro che la Corte di Giustizia UE abbia voluto
evidenziare l’applicabilità dell’art. 102 anche in presenza dell’esercizio di
diritti speciali o esclusivi affidati per legge.
E’ infatti noto che la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Sez. II, n.
9041/16) abbia posto l’accento sulla circostanza per cui la necessità di
bilanciamento tra l’interesse economico generale e la “ratio” cui è ispirata
la normativa sulla concorrenza impone che la deroga di cui alle richiamate
norme sia ravvisabile soltanto per quei comportamenti che appaiano
strettamente connessi all'adempimento degli specifici compiti affidati
all'impresa e, nel caso di specie, non risulta provato da SIAE – né nel
procedimento né nella presente sede - che l’interesse generale richiamato
sarebbe pregiudicato con l’astensione dalle condotte contestate.

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Le regole “antitrust”, pertanto, devono trovare applicazione sempre, tranne


– secondo la stretta interpretazione propria delle norme derogatorie –
quando tale applicazione impedisca la cura dell’interesse generale secondo
quanto affidato “ex lege” come finalità istituzionale.
Nel caso di specie è in contestazione proprio l’estensione della posizione
dominante che derivava dall’originaria “riserva” ex art. 180 LDA ad
attività estranee e da tale riserva non previste e regolamentate con
copertura normativa (Cons. Stato, Sez. VI, 30.6.16, n. 3047).
Anche per tale ragione, non si rinviene alcuna contraddittorietà
nell’operato dell’AGCM in ordine alla disapplicazione o meno dell’art.
180 cit., avendo questa chiarito di agire in relazione a condotte imputabili
tutte alla SIAE e volte e estendere la riserva di cui all’art. 180 LDA anche
ad attività in esso non ricomprese, senza quindi alcuna necessità di
disapplicazione e con coerenza di motivazione, soprattutto laddove
l’Autorità è andata ad occuparsi diffusamente delle singole condotte.
Non si riscontra neanche la fondatezza dei molteplici profili evidenziati nel
terzo motivo di ricorso.
Riguardo alla ritenuta violazione dei principi di collegialità,
proporzionalità e adeguatezza, il Collegio rileva che l’art. 10 della l. n.
287/90 prevede sì che l’Autorità è un organo collegiale, costituito da tre
membri compreso il presidente (come da modifica di cui all’art. 23,
comma 1, lett. d), d.l. n.201/11 come convertito in legge n. 214/11) ma
nulla aggiunge sul numero minimo di componenti per assumere una
decisione.
Si rammenta che già la giurisprudenza ha chiarito che l'AGCM non
costituisce collegio perfetto ed è demandata ad essa stessa, ai sensi dell'art.
10, commi 2 e 6, l. n. 287/90, la definizione dell'assetto e delle
maggioranze, con riferimento al “quorum” sia strutturale sia funzionale
(Cons. Stato, Sez. VI, 12.2.01, n. 652; TAR Lazio, Sez. I, 7.4.99, n. 873).

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Il relativo Regolamento sul funzionamento dell’AGCM (delibera n. 26614


del 24.5.2017) – che non risulta impugnato - conferma tutto ciò,
prevedendo: a) all’art. 3, l’assenza del presidente o un suo impedimento,
con funzioni assunte temporaneamente dal componente con maggiore
anzianità nell’ufficio o, in caso di pari anzianità, dal più anziano di età; b)
all’art. 6, che per la validità delle riunioni dell’Autorità è necessaria la
presenza del presidente e di un componente, “ovvero di due componenti”;
c) all’art. 7, che le deliberazioni dell’Autorità sono adottate a maggioranza
dei votanti e in caso di parità prevale il voto del presidente ovvero, in sua
assenza, del componente che ne assume temporaneamente le funzioni ai
sensi dell’art. 3, comma 2.
Le modalità con cui è stata assunta la decisione impugnata, pertanto,
appaiono conformi alla regolamentazione e alla legge regolanti il
funzionamento dell’Autorità.
Né – anche qualora il collegio dell’Autorità fosse comprensivo dei tre
componenti “ex lege” - è comunque prevista una verbalizzazione della
discussione tra i componenti dell’Autorità tale da far comprendere se e
quale sia stato il grado di partecipazione alla decisione di ciascun
componente e quali siano state, eventualmente, le sue posizioni, secondo
quanto prospettato dalla ricorrente; così come non è necessaria alcuna
obbligatoria verbalizzazione di eventuale “dissenso”, anche nell’ipotesi di
piena formazione del collegio, fermo restando che la ricorrente non
fornisce alcun elemento, anche solo indiziario, da cui ritenere che l’altro
componente sia stato in dissenso con il presidente nell’assumere la delibera
impugnata.
Inoltre, il Consiglio di Stato, in relazione a situazione comparabile a quella
in esame relativa ad altra Autorità indipendente (ma riferibile a tutte le
autorità indipendenti per le quali è stata prevista la riduzione del numero
dei componenti dell’organo di vertice), ha chiarito che la disposizione sul
valore “doppio” del voto del presidente si comprende agevolmente

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considerando che tutti i collegi posti al vertice delle autorità indipendenti


(che non sono considerati collegi perfetti) sono stati portati a tre
componenti (con le sole eccezioni dell’AGCOM e della Commissione di
garanzia per gli scioperi nei servizi pubblici) e che tale riduzione del
numero dei componenti ha reso assai più probabile il verificarsi di
situazioni di “impasse” conseguenti all’astensione o all’impedimento di
uno dei componenti del collegio, con conseguente necessità di evitare che,
in ragione di tale impedimento o assenza, l’attività dell’Autorità risulti di
fatto paralizzata, con chiaro “vulnus” al principio costituzionale di buon
andamento (Cons. Stato, Sez. VI, 24.11.16, n. 4936).
Tali conclusioni, a maggior ragione, valgono a confutare l’ulteriore censura
della ricorrente in merito alla mancanza del collegio durante la fase
istruttoria e, in particolare, alla audizione finale del 20.7.2018, dato che la
durata dei procedimenti “antitrust” ha un limite e un arresto prolungato
non previsto dalla normativa, con sospensione di ogni procedimento in
attesa della nomina del presidente da parte di organi politici, porterebbe
ancor più alla paralisi dell’attività e alla consumazione del potere in
assenza di specifica norma di legge e in violazione del principio di
efficienza.
Riguardo alla lamentata incompatibilità del collegio, per aver reso tra il
2016 e il 2017 tre pareri in argomento, di cui due firmati dal medesimo
componente che ha assunto le funzioni di presidente, il Collegio rileva che
la ricorrente si riferisce ad attività di segnalazione nell’ambito delle
funzioni “consultive” di ordine generale di cui agli artt. 21 e 22 della l. n.
241/90, ben distinte di quelle di c.d. “enforcement”, di cui all’art. 14 l. cit.,
legate al riscontro di concrete condotte da parte di singole imprese.
Non vi sono elementi specifici, se non quelli fondati sulle apodittiche
deduzioni della SIAE, per ritenere che l’AGCM avesse già deciso sul caso
concreto laddove essa aveva espresso i suoi pareri di ordine generale in
data anteriore a quella di adozione del provvedimento impugnato.

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Né può ritenersi inibito all’Autorità – comunque composta “ex lege” dai


medesimi tre componenti - di dare luogo all’attività ex art. 14 cit. anche in
settori relativi a quelli in cui si era pronunciata in sede “consultiva”, o
meglio di “segnalazione”.
Passando all’esame del quarto motivo di ricorso, il Collegio ne riscontra
l’infondatezza.
La ricorrente contesta che la fase “preistruttoria” si è svolta senza la sua
partecipazione, se non con una memoria susseguente a un incontro con
l’allora presidente dell’Autorità, senza che fosse stato consentito alla SIAE
di prendere visione degli atti, a differenza delle parti denuncianti.
L’AGCM, poi, non avrebbe valutato né contraddetto con argomenti le
difese illustrate dalla ricorrente, in ordine a specifici punti che erano
evidenziati, soprattutto in merito ai livelli tariffari.
Sul punto si osserva che la normativa applicabile non contempla alcun
termine, neppure di natura acceleratoria, decorrente dalla data di
presentazione delle segnalazioni, entro il quale debba intervenire la
contestazione dell’addebito e la comunicazione d’avvio del procedimento.
La durata della delibazione preistruttoria è rimessa quindi alla valutazione
discrezionale dell’organo procedente, avuto riguardo alle caratteristiche
della vicenda di volta in volta sottoposta al suo vaglio, nel caso di specie
particolarmente complessa.
Inoltre, al fine di apprezzare la ragionevolezza del tempo impiegato per la
contestazione dell’addebito, occorre considerare non solo la data di
commissione della violazione, bensì anche il tempo necessario
all’accertamento dell’infrazione, facendo riferimento non alla mera notizia
del fatto ipoteticamente sanzionabile nella sua materialità, ma
all’acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita implicante il
riscontro della sussistenza degli elementi necessari per una matura
formulazione della contestazione.

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In questa fase di “preistruttoria” non è obbligatoria la partecipazione


dell’interessato proprio perché non si è ancora avviato alcun procedimento
e ben l’Autorità potrebbe pervenire a decisione di “archiviazione”.
Il Collegio rileva, poi, incongruenza nella contestazione di parte ricorrente
che, da un lato, lamenta di non aver partecipato alla “preistruttoria” e,
dall’altro, ammette che vi era stato un incontro con il presidente
dell’Autorità e il deposito di una memoria, per la quale contesta la mancata
considerazione. Non vi sono, inoltre, elementi per dedurre che le
segnalanti abbiano influito sulla decisione dell’AGCM di avviare il
procedimento a seguito dell’esame delle argomentazioni di cui alla
ricordata memoria, con conseguente asimmetria del contraddittorio come
contestata.
Quanto alla durata della fase preistruttoria, né nell’art. 14 l. n. 287 del
1990 né nel Regolamento dell’Autorità in materia di procedure istruttorie
viene individuato un termine massimo per la durata di tale fase. Tuttavia,
anche se la non applicabilità diretta del termine di cui all’art. 14 l.
689/1981 non può giustificare il compimento di una attività preistruttoria
che si dipani entro un lasso di tempo totalmente libero da qualsiasi vincolo
e ingiustificatamente prolungato, in contrasto con i principi “positivizzati”
nella legge n. 241/90 e, più in generale, con l’esigenza di efficienza
dell’agire amministrativo e di certezza del professionista sottoposto al
procedimento, nel caso di specie la complessità dell’approfondimento della
fattispecie, anche alla luce delle sopravvenienze normative di cui al 2017,
ha giustificato e legittimato la durata dell’attività “preistruttoria” in
questione (TAR Lazio, Sez. I, 23.12.16, n. 12811 e 1.4.15, n. 4943).
A ciò deve aggiungersi, come più volte rammentato dalla giurisprudenza di
questo Tribunale, che, ai fini della valutazione della congruità del tempo di
accertamento dell’infrazione, ciò che rileva, quale termine iniziale, non è la
notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile nella sua materialità, ma
l'acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita; conoscenza a

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sua volta implicante il riscontro, anche ai fini di una corretta formulazione


della contestazione, dell'esistenza e della consistenza dell'infrazione e dei
suoi effetti, per cui ne discende la non computabilità del tempo
ragionevolmente occorso, in relazione alla complessità delle singole
fattispecie, ai fini dell’acquisizione e della delibazione degli elementi
necessari allo scopo di una matura e legittima formulazione della
contestazione (TAR Lazio, Sez. III, 10.10.12, n. 8367).
Per quanto riguarda la mancata considerazione delle tesi di cui alle
produzioni difensive della ricorrente, il Collegio ricorda che la
giurisprudenza ha da tempo chiarito (per tutte: Cons. Stato, Sez. VI,
16.3.06, n. 1397 e TAR Lazio, Sez. I, 28.7.17, n. 9048) che nell'ambito di
un procedimento dinanzi all'AGCM, l'obbligo di esame delle memorie e
dei documenti difensivi non impone un'analitica confutazione in merito ad
ogni argomento utilizzato dalle parti stesse, essendo sufficiente un “iter”
motivazionale che renda nella sostanza percepibile la ragione del non
adeguamento alle tesi difensive e ne attesti la relativa consapevolezza,
come accaduto nel caso di specie ove il provvedimento impugnato esamina
diffusamente le tesi della SIAE in apposito paragrafo.
La ricorrente ha anche contestato che l’Autorità avesse imposto di porre
termine alle infrazioni “immediatamente”, in violazione dell’art. 15 L.
287/90, che prevede invece la fissazione di un “termine per l’eliminazione
delle infrazioni”, con conseguente incongruità, illogicità e incoerenza,
anche perché il procedimento aveva avuto un’insolita durata.
Il Collegio rileva sul punto che la previsione di un “termine” in sé non sta
a significare che tale termine debba essere obbligatoriamente differito nel
tempo, ben potendosi intendere come “termine immediato”, considerando
anche che l’Autorità aveva rilevato una condotta illecita che – logicamente
– non poteva in alcun modo prolungarsi. Né la circostanza per la quale il
procedimento aveva avuto una consistente durata poteva influire sul
termine per disporre la cessazione della condotta. Diverso è invece il

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termine per produrre una relazione sull’ottemperanza, termine che non


incide però sulla legittimità dell’atto impugnato ma, semmai, sulle
modalità di esecuzione, introducendo una nuova fase non oggetto del
presente giudizio di impugnazione, fermo restando quanto hanno precisato
le parti sul punto nelle loro ultime memorie difensive e quanto rilevato in
sede cautelare da questa Sezione.
La SIAE ha anche contestato che l’AGCM aveva, con le prime
contestazioni, ancorato le sue tesi alla disapplicazione dell’art. 180 LDA,
con argomento reiterato nella CRI del maggio 2018 ma abbandonato nel
provvedimento conclusivo. Nelle originarie contestazioni, la finalità dei
comportamenti non veniva denunciata come diretta alla restrizione della
concorrenza e su questo punto la SIAE e gli altri partecipanti al
procedimento non avevano svolto argomenti o difese, mentre solo nel
provvedimento finale emergeva la relativa contestazione per dimostrare
l’elemento soggettivo degli abusi, peraltro, sulla base di documenti
acquisiti contestualmente all’apertura dell’istruttoria. Pertanto,
l’impostazione originariamente seguita dall’AGCM sulla disapplicazione
dell’art. 180 cit. aveva impedito anche alla SIAE di assumere impegni.
Ebbene, in merito il Collegio osserva che, nella comunicazione di avvio
del procedimento, l’AGCM aveva indicato nella “Valutazioni conclusive”
(par. 40 e ss.) che i descritti comportamenti della SIAE apparivano volti a
preservare “…la posizione dominante detenuta dalla stessa, attraverso
un’interpretazione estensiva dell’art. 180 LDA…”, dando luogo a condotte
escludenti, “bundle” soggettivo e oggettivo dei diritti amministrati,
discriminazioni e riscossioni indebite, limitazioni all’intermediazione da
parte di “collecting” estere, all’esterno del perimetro dell’art. 180 cit.
Il richiamo alla disapplicazione di tale norma era posto solo come una
mera eventualità nell’ipotesi in cui i comportamenti delle interessate (vi
era anche altro soggetto coinvolto) potessero essere riconducibili, in tutto o
in parte, alla normativa di settore, tra cui in particolare l’art. 180 LDA.

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Dal contesto dell’atto, pertanto, si evinceva chiaramente che le condotte


erano considerabili estranee all’alveo dell’art. 180 LDA e cha la
disapplicazione di questo si poneva come ipotesi residuale, così che i
successivi atti del procedimento, non concludendo in tal senso, non
appaiono illogici o contraddittori, anche perché nella comunicazione di
avvio si invitavano le Parti proprio a interloquire sul punto e risulta che la
SIAE lo abbia ampiamente fatto.
Così pure nella CRI, al paragrafo VI, l’AGCM ha posto in evidenza che
l’art. 180 cit. è norma eccezionale e da interpretarsi in senso restrittivo, che
poteva essere letta, alla luce della “direttiva Barnier”, in maniera conforma
ai principi unionali e, quindi, che alle condotte della SIAE poteva
applicarsi certamente l’art. 102 TFUE.
Solo in via subordinata, quindi, l’Autorità faceva riferimento alla
“eventualità” di una disapplicazione, fermo restando che, per l’AGCM,
tale normativa poteva aver agevolato le condotte censurate ma non le
aveva certo “imposte”.
In sostanza, l’AGCM ha chiaramente indicato la sua opinione a riguardo
senza che per questa gradazione di prospettive possa individuarsi la
contraddittorietà del provvedimento finale qui impugnato, anche perché,
dalla lettura degli apporti dei partecipanti al procedimento di cui agli atti di
causa, emerge chiaramente lo sviluppo approfondito di ogni prospettiva
evidenziata dall’Autorità.
Infondato è anche il quinto motivo di ricorso, nel quale la SIAE lamentava
come l’AGCM avesse errato nel ritenere applicabile al caso di specie la
figura del “dolo eventuale” a proposito dell’elemento soggettivo
imputabile (dovere di astenersi nel dubbio sulla liceità del comportamento)
e ciò in quanto la LDA impone in realtà alla SIAE stessa la rappresentanza
di autori non iscritti, così come di acquisire il mandato per l’intera opera
affidata. Il dubbio su tale profilo semmai era ingenerato dal succedersi
della normativa eurounitaria e non sussistevano neanche profili indiziari

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gravi, precisi e concordanti idonei a indurre la convinzione che la


ricorrente avesse adottato una condotta con finalità diretta a restringere la
concorrenza, secondo le risultanze probatorie che erano richiamate e dal
cui esame derivava, tutt’al più, la consapevolezza di un problema e non la
consapevolezza della violazione.
Sul profilo generale, il Collegio rileva che la Corte di Giustizia UE ha
avuto modo di precisare che “ …se è vero che l’applicazione dell’art. 102
TFUE presuppone l’esistenza di un nesso tra la posizione dominante e il
comportamento che si asserisce abusivo, nesso che di norma non sussiste
quando un comportamento posto in essere in un mercato distinto dal
mercato soggetto a dominio produce conseguenze su questo stesso
mercato, è pur vero che trattandosi di mercati distinti, ma collegati, talune
circostanze particolari possono giustificare l’applicazione dell’art. 102
TFUE ad un comportamento accertato sul mercato collegato, non soggetto
a dominio, e produttivo di effetti su questo stesso mercato… Tali
comportamenti sono infatti idonei, in particolare a causa degli stretti nessi
che legano i due mercati rilevanti, a produrre l’effetto di affievolire la
concorrenza sul mercato a valle.” (Corte UE, 17.2.11 in C-52/09, par. 86 e
ss.).
Ne consegue che se anche vi fossero profili della LDA che legittimavano
la posizione della SIAE, ciò non costituiva esimente per le condotte, come
identificate, che andavano a incidere comunque su parti di “mercato
liberalizzato”.
A ciò si aggiunga che, riguardo proprio alla nozione di “abuso di posizione
dominante”, la giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia ha affermato
(sin dalla sentenza del 9.11.83, in C- 322/81) la “speciale responsabilità”
che incombe sull’impresa “dominante”, la quale è tenuta a non
compromettere con il suo comportamento lo svolgimento di una
concorrenza effettiva e non falsata, e, in questo quadro, si pone come
irrilevante l’elemento psicologico del dolo o della colpa, potendosi

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realizzare la fattispecie dello sfruttamento abusivo della posizione


dominante anche in mancanza dell’elemento volitivo (v. anche: 6.12.12, in
C-457/10, 19.4.12, in C-549/10, 17.2.11, in C-52/09, 11.12.08, in C-
52/07).
Inoltre, l’invocata “buona fede” risulta preclusa alla luce della
consapevolezza, in capo alla ricorrente, come emergente dalla
documentazione acquisita nel corso della svolta istruttoria, della necessità
di approfondire una problematica che comunque poteva portare a rilevare
l’incompatibilità della normativa interna con i principi eurounitari. Proprio
la peculiare posizione della SIAE, quale ente pubblico economico secondo
la natura giuridica sopra ricordata, avrebbe dovuto portare prudenzialmente
la stessa a non dar luogo o interrompere le condotte rilevate e non a
continuarle in attesa della soluzione della problematica, come individuata
dalla stessa.
Emerge chiaramente, nella descrizione delle acquisizioni istruttorie, la
preoccupazione di SIAE di procedere direttamente nei confronti di
Soundreef con azioni legali, di continuare a gestire i diritti di autori che si
erano rivolti a quest’ultima, di ostacolare l’espansione della stessa
Soundreef mediante azione di c.d. “win back” (par. 38 del provvedimento
impugnato con note in calce). Così pure emerge, da una “mail” interna
richiamata nel provvedimento impugnato, la consapevolezza della SIAE
che non vi era una certa interpretazione dei commi 4 e 5 dell’art. 180 LDA
a sostegno delle condotte perpetrate sull’incasso da parte degli utilizzatori
e sulla ripartizione dei diritti degli autori “non iscritti” (par. 250 del p.i.).
L’assenza dell’elemento soggettivo non appare utilmente confutata dalle
argomentazioni spese da parte ricorrente in ordine alla natura interna della
documentazione che asseritamente attesterebbe, in luogo della ritenuta
consapevolezza, semplici preoccupazioni ed incertezze applicative, in
quanto – come detto – la Società doveva astenersi da ulteriori attività
prima di approfondire tutte le problematiche emerse, dato che si profilava

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un ragionevole rischio di essere sottoposta ad una censura da parte


dell’Autorità.
Pertanto, la sussistenza di profili scriminanti doveva ritenersi esclusa in
assenza di univoci e chiari elementi che consentivano il consolidamento di
certezze in ordine a determinate posizioni e, avuto riguardo alla materia
sanzionatoria, idonei ad escludere che nell’autore della violazione si fosse
ingenerata la convinzione della liceità della condotta, la quale avrebbe
potuto trovare ragionevole fondamento solo in atti o comportamenti
dell’Autorità, che tale liceità avessero avvalorato, e solo in presenza di una
chiara valenza in tal senso di tali atti o comportamenti, profili del tutto
assenti nella fattispecie in esame.
In definitiva, non è ravvisabile nella fattispecie una situazione di apparenza
giuridica tale da ingenerare un legittimo affidamento in capo alla ricorrente
circa la liceità della propria condotta, stante l’assenza di concreti elementi
dotati di univoca valenza in ordine a tale liceità (Cons. Stato, Sez, VI,
21.6.11, n. 3719), come emerso nella stessa acquisizione probatoria in atti,
che ben configura un coacervo di elementi indiziari gravi, precisi e
concordanti nel senso individuato dall’AGCM.
Quest’ultima, semmai, ha correttamente considerato la situazione di
“transizione” normativa e la conseguente incertezza sulla compatibilità
comunitaria - anche della “novelle” di cui all’art. 180 LDA - al momento
dell’irrogazione della sanzione, contenuta infatti nella misura “simbolica”
di euro 1.000.
Il Collegio passa ora all’esame del sesto e settimo motivo di ricorso, su cui
particolarmente si è incentrata l’attenzione della ricorrente, anche nei suoi
successivi scritti difensivi.
Ebbene, per quanto riguarda il sesto, sotto il profilo della ritenuta
violazione dell’art. 10 l. n.287/90 anche sotto forma di “sviamento”, sulla
posizione dell’AGCM in sede di “segnalazione” e sulla compatibilità con
l’attività di “enforcement”, si è già detto in precedenza e alle precedenti

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riflessioni si rimanda nell’escludere che possa individuarsi alcuna forma di


“preconcetto” che abbia spinto l’AGCM a muoversi nel caso concreto.
Per quanto riguarda il merito della contestazione, parte ricorrente ritiene in
sostanza che la “direttiva Barnier”, così come il relativo d.lgs. n. 35/2017,
sia oggettivamente neutrale rispetto alla scelta del legislatore nazionale di
preservare un regime di monopolio legale, dato che in nessuna parte della
normativa si prevede un qualche obbligo degli Stati membri di rimuovere
eventuali ostacoli normativi o amministrativi in favore di un libero
esercizio dell’attività di intermediazione/gestione del diritto d’autore.
Anzi, agli “OGC” (quali Organismi di Gestione Collettiva) collettiva si
applica tutta la “direttiva Barnier” e con essa le previsioni di tutela degli
aventi diritto mentre alle “EGI” (quali Entità di Gestione”) no, limitandosi
l’applicazione a precise disposizioni, per cui non vi era stato alcun
comportamento escludente nei confronti di “EGI” perché non vi era alcuna
norma comunitaria che assegnava a essa il “diritto di intermediare”.
Il Collegio rileva che tali – sia pur suggestive - tesi non trovano conferma
nella normativa e, soprattutto, nell’impostazione del provvedimento
impugnato, che ha chiaramente descritto le condotte ritenute censurabili.
L’AGCM aveva indicato che la SIAE aveva posto in essere un'unica
strategia escludente dei concorrenti, volta a estendere la riserva
originariamente prevista dall'art. 180 LDA ad ambiti estranei a tale
disposizione, e, dopo la modifica dell'art. 180 cit., a mantenere tale riserva
in via di fatto, impedendo in tal modo il dispiegarsi della concorrenza e il
ricorso all'autoproduzione da parte dei titolari dei diritti, garantita
dall'articolo 180, comma 4, cit.
Le condotte attraverso le quali SIAE aveva attuato la propria strategia
escludente riguardavano dettagliatamente: “…a) l'imposizione di vincoli
nell'offerta di servizi diversi tali da ricomprendere nel mandata relativo
allo svolgimento dei servizi rientranti nella riserva legale vigente fino al
15 ottobre 2017 anche servizi suscettibili di essere erogati in concorrenza;

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b) 1'imposizione di vincoli volti ad assicurare alia SIAE la gestione dei


diritti d 'autore dei titolari non iscritti anche persino là dove questi ultimi
avevano espressamente manifestato la volontà di non avvalersi dei servizi
da essa erogati; c) l'esclusione dei concorrenti dai mercati relativi alia
concessione di licenze alle emittenti TV (relative a tutte le tipologie di
opere), attuata attraverso la conclusione di licenze che non tengono conto
della rappresentatività della SIAE, dell'uso effettivo delle opere e
dell'applicazione di un sistema di prezzi inadeguato a consentire la stipula
di licenze anche con altre collecting; d) 1'esclusione dei concorrenti dai
mercati relativi alla gestione dei diritti d'autore di repertori esteri e per
conto di collecting estere realizzata tramite 1'illegittima estensione della
riserva alia gestione dei repertori di autori stranieri in Italia.
254. Le condotte appena descritte esulano, ad evidenza, dal perimetro
dell'art. 180
LDA e, pertanto, non può trovare accoglimento la tesi della SIAE secondo
cui le stesse sarebbero state imposte dall'art. 180 LDA o costituirebbero
mero esercizio delle attribuzioni conferite in esclusiva alia parte dalla
medesima norma nel testo in vigore sino al 15 ottobre 2017.”
Il Collegio in primo luogo osserva che in realtà la “direttiva Barnier”
(2014/26/UE), al suo “considerando 15”, prevede che “I titolari dei diritti
dovrebbero essere liberi di poter affidare la gestione dei propri diritti a
entità di gestione indipendenti. Tali entità di gestione indipendenti che
differiscono dagli organismi di gestione collettiva, tra le altre cose perché
non sono detenute o controllate dai titolari dei diritti. Tuttavia, nella
misura in cui tali entità di gestione indipendenti svolgono le stesse attività
degli organismi di gestione collettiva, esse dovrebbero essere tenute a
fornire determinate informazioni ai titolari dei diritti che rappresentano,
agli organismi di gestione collettiva, agli utilizzatori e al pubblico.
Passando ad un esame sintetico della normativa, può richiamarsi poi
quanto segue.

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La direttiva in questione, come anche recepita in Italia, ha introdotto il


principio di libertà di scelta dell'avente diritto circa la “collecting” a cui
affidare la gestione dei propri diritti (art. 4, comma 2°, d.lgs. n. 35/17).
Infatti, l’art. 4, comma 2, d.lgs. cit. ha previsto che: “I titolari dei diritti
possono affidare ad un organismo di gestione collettiva o ad un'entità di
gestione indipendente di loro scelta la gestione dei loro diritti, delle
relative categorie o dei tipi di opere e degli altri materiali protetti per i
territori da essi indicati, indipendentemente dallo Stato dell'Unione
europea di nazionalità, di residenza o di stabilimento dell'organismo di
gestione collettiva, dell'entità di gestione indipendente o del titolare dei
diritti, fatto salvo quanto disposto dall'articolo 180, della legge 22 aprile
1941, n. 633, in riferimento all'attività di intermediazione di diritti
d'autore.”
Con la successiva novella dell'art. 180 LDA, di cui all’art. 19, comma 1,
lett. b), del richiamato d.l. n. 148/17, è stata abrogata la riserva sull'attività
di intermediazione nella gestione dei diritti di utilizzazione economica
delle opere dell'ingegno prevista a favore della SIAE, estendendola a tutti
gli “organismi di gestione collettiva”.
E’ stato indicato, infatti, che “…all'articolo 180:
1) al primo comma, dopo le parole: «Società italiana degli autori ed
editori (S.I.A.E.)», sono aggiunte le seguenti: «ed agli altri organismi di
gestione collettiva di cui al decreto legislativo 15 marzo 2017, n. 35»;
2) al terzo comma, le parole: «dell'ente» sono sostituite dalle seguenti:
«della Società italiana degli autori ed editori (S.I.A.E.)» e la parola:
«esso» è sostituita dalla seguente: «essa».
2. Per gli organismi di gestione collettiva di cui all'articolo 180, comma 1,
della legge 22 aprile 1941, n. 633, stabiliti in Italia, l'esercizio dell'attività
di intermediazione è in ogni caso subordinata alla verifica del rispetto dei
requisiti da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ai
sensi del decreto legislativo 15 marzo 2017, n. 35.”

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Alla categoria degli “OGI” appartiene - oltre a SIAE - ogni ente “…che,
come finalità unica o principale, gestisce diritti d'autore o diritti connessi
ai diritti d'autore per conto di più di un titolare di tali diritti, a vantaggio
collettivo di questi, e che soddisfa uno o entrambi i seguenti requisiti: a) è
detenuto o controllato dai propri membri; b) non persegue fini di lucro”,
secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 35/17.
Ebbene, dalla dettagliata ricostruzione del provvedimento impugnato, si
evince che le condotte contestate non riguardano le sole “EGI” ma distinte
modalità di concorrenza e l’esercizio diretto dei diritti da parte degli stessi
autori, riferendosi alla gestione di diritti diversi da quelli menzionati
dall’art. 180 LDA, riguardanti autori stranieri. Le condotte, inoltre, non
coinvolgevano unicamente le tradizionali modalità c.d. “offline”, quali
diffusione di musica all’interno di esercizi commerciali o musica dal vivo
ma anche modalità di comunicazione che consentono di monitorare a
distanza le utilizzazioni di opere protette, inerenti i rapporti fra la SIAE e
le emittenti televisive.
In sostanza è chiara la rilevazione di un coacervo di condotte orientate ad
ostacolare il dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali e il ricorso
all’autoproduzione da parte dei titolari dei diritti, garantita dall’articolo
180, comma 4, LDA, riguardando tutti i concorrenti attuali e potenziali
nella misura in cui precludevano in radice ogni forma di sviluppo di
dinamiche concorrenziali nella prestazione di servizi diversi non
ricompresi nella riserva legale (parr. 251 e ss. del p.i.).
Ciò portava a ritenere un abuso di posizione dominante in tutti i segmenti
del mercato dell’intermediazione dei diritti diversi da quello ricompreso
nel perimetro della esclusiva legale della SIAE, di cui all’art. 180, comma
1, LDA, secondo cui l’esclusiva della ricorrente riguarda i “…diritti di
rappresentazione, di esecuzione, di recitazione, di radiodiffusione ivi
compresa la comunicazione al pubblico via satellite e di riproduzione
meccanica e cinematografica di opere”.

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Non rientravano nell’ambito della riserva l’utilizzazione di repertori


stranieri in Italia e alcune attività come l’intermediazione dei diritti
d’autore per le opere comunicate on-line e l’attività di tutela delle opere
dal plagio.
Valga allo scopo riportare integralmente l’art. 180 nel testo in vigore:
“L'attività di intermediario, comunque attuata, sotto ogni forma diretta o
indiretta di intervento, mediazione, mandato, rappresentanza ed anche di
cessione per l'esercizio dei diritti di rappresentazione, di esecuzione, di
recitazione, di radiodiffusione ivi compresa la comunicazione al pubblico
via satellite e di riproduzione meccanica e cinematografica di opere
tutelate, è riservata in via esclusiva alla Società italiana degli autori ed
editori (S.I.A.E.) ed agli altri organismi di gestione collettiva di cui al
decreto legislativo 15 marzo 2017, n. 35.
Tale attività è esercitata per effettuare:
1) la concessione, per conto e nell'interesse degli aventi diritto, di licenze e
autorizzazioni per la utilizzazione economica di opere tutelate;
2) la percezione dei proventi derivanti da dette licenze ed autorizzazioni;
3) la ripartizione dei proventi medesimi tra gli aventi diritto.
L'attività della Società italiana degli autori ed editori (S.I.A.E.) si esercita
altresì secondo le norme stabilite dal regolamento in quei paesi stranieri
nei quali essa ha una rappresentanza organizzata.
La suddetta esclusività di poteri non pregiudica la facoltà spettante
all'autore, ai suoi successori o agli aventi causa, di esercitare direttamente
i diritti loro riconosciuti da questa legge.
Nella ripartizione dei proventi prevista al n. 3 del secondo comma una
quota parte deve essere in ogni caso riservata all'autore. I limiti e le
modalità della ripartizione sono determinati dal regolamento.
Quando, però, i diritti di utilizzazione economica dell'opera possono dar
luogo a percezioni di proventi in paesi stranieri in favore di cittadini
italiani domiciliati o residenti nella Repubblica, ed i titolari di tali diritti

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non provvedono, per qualsiasi motivo, alla percezione dei proventi,


trascorso un anno dalla loro esigibilità, è conferito alla Società italiana
degli autori ed editori (S.I.A.E.) il potere di esercitare i diritti medesimi
per conto e nell'interesse dell'autore e dei suoi successori o aventi causa.
I proventi di cui al precedente comma riscossi dalla Società italiana degli
autori ed editori (S.I.A.E.), detratte le spese di riscossione, saranno tenuti
a disposizione degli aventi diritto, per un periodo di tre anni; trascorso
questo termine senza che siano stati reclamati dagli aventi diritto, saranno
versati alla Confederazione nazionale professionisti ed artisti, per scopi di
assistenza alle categorie degli autori, scrittori e musicisti.”
Alla luce di tali presupposti, quindi, assumono spessore le osservazioni
dell’AGCM nelle sue difese, secondo le quali già anteriormente all’ultima
modifica dell’art. 180 LDA sussistevano attività non riservate a SIAE che
potevano essere liberamente esercitate da altri soggetti in concorrenza ma
che, quanto meno a far data dal 1° gennaio 2012, la SIAE aveva di fatto
ostacolato, impedendo la nascita e lo sviluppo della concorrenza in
relazione alle predette attività (par. 272 p.i.).
Anche dopo la modifica suddetta la SIAE aveva continuato a porre ostacoli
all’operatività sul mercato degli “OGC” concorrenti, tra cui LEA,
organismo con il quale Soundreef aveva nel gennaio 2018 sottoscritto un
accordo di rappresentanza per operare in Italia anche negli ambiti rientranti
nell’art. 180 cit.
La ricorrente, quindi, aveva dato luogo nell’offerta di servizi, di vincoli tali
da ricomprendere nel mandato lo svolgimento dei servizi rientranti nella
riserva legale vigente fino al 15 ottobre 2017 ma anche servizi suscettibili
di essere erogati “in concorrenza”.
Nei paragrafi 198 e ss. è indicato come fosse emerso che la SIAE aveva
imposto vincoli agli aventi diritto, sia “in entrata” che “in uscita”,
considerato che il mandato conferito alla SIAE dall’autore e/o editore era
molto ampio ed includeva tutto il repertorio presente e futuro e la tutela di

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tutti i diritti su tali opere. In particolare, la SIAE richiedeva


all’autore/editore di affidarle, in un’offerta congiunta di servizi, la gestione
delle opere per forme di utilizzazione riconducibili a mercati rilevanti
diversi e che, in alcuni casi (i ricordati servizi “on-line”, quelli di musica
“d’ambiente” con uso di repertori stranieri e quelli di tutela dal plagio)
esulavano completamente dall’ambito di applicazione della riserva di cui
all’articolo 180 LDA, pur potendo un titolare di diritti d’autore, se italiano,
iscriversi anche a “collecting” straniere,
Risultava anche un’attività di monitoraggio sull’attività dei concorrenti e
sull’andamento dei propri mandati, l’imposizione di vincoli volti ad
assicurare alla SIAE la gestione dei diritti d’autore di titolari non iscritti
alla stessa SIAE, tramite apposita dichiarazione, l’esclusione dei
concorrenti dai mercati relativi alla concessione di licenze alle emittenti
televisive, con applicazione di prezzi inadeguati a consentire la stipula di
licenze anche con altre “collecting”.
Risultava anche l’esclusione dei concorrenti dai mercati relativi alla
gestione dei diritti d’autore di repertori esteri e per conto di “collecting”
estere, realizzata tramite l’illegittima estensione della riserva legale
originariamente prevista dall’art. 180 LDA alla gestione dei repertori di
autori stranieri in Italia.
Alla luce di tali presupposti non può rilevare la pronuncia dell’a.g.o.
richiamata nel ricorso, fondata su situazioni soggettivi estranee
all’indagine dell’AGCM, non decisoria e ponente esclusivamente un rinvio
pregiudiziale alla Corte UE, su un contenzioso che appare non idoneo a
continuare presso quel Tribunale in ragione di un accordo nelle more
intervenuto tra le parti in causa.
Passando all’esame del settimo motivo, con il quale la ricorrente contesta
nel dettaglio la riconducibilità delle condotte sopra indicate a un abuso di
posizione dominante, ugualmente se ne rileva l’infondatezza.

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In proposito occorre rilevare che in contestazione è un insieme di condotte


ritenute foriere di abuso di posizione dominante, per cui la singola e
atomistica considerazione di ogni condotta non porta automaticamente a
escludere che l’insieme delle attività individuate possa aver violato l’art.
102 TFUE.
Sostiene la SIAE che i servizi “on-line” da oltre dieci anni possono essere
esclusi dal mandato alla SIAE, mentre quelli di musica d’ambiente,
indipendentemente dall’uso di repertori stranieri, rientrano e sono sempre
rientrati per giurisprudenza costante nel 180 LDA.
In merito il Collegio osserva che la ricorrente, però, non indica in dettaglio
come la norma riguardi tutti i repertori di autori stranieri, così che se
diffusa “on line” o con esclusivi repertori di autori stranieri possa essere
coinvolta nella riserva ex art. 180 cit., anche alla luce della giurisprudenza
nazionale, non rilevando lontani arresti giurisprudenziali o prassi della
stessa Autorità ben anteriori al 2017.
Riguardo al fatto che la SIAE non consentiva a un associato di
circoscrivere l’attribuzione del mandato (o la sua revoca) a singole opere,
ma solo in termini di interi repertori, la ricorrente richiama il
“considerando 19, par 2” e l’art. 5, par. 2, primo periodo, della “direttiva
Barnier” per sostenere che il frazionamento auspicato dall’Autorità, così
come il frazionamento dei diritti tra più coautori, renderebbe impossibile
un corretto rilascio delle licenze e l’incasso dei diritti.
Sul punto, il Collegio concorda con la ricostruzione dell’Autorità nel
rilevare che la normativa deve essere letta nella sua integralità e, pertanto,
anche in relazione all’art. 4 d.lgs. n. 35/17, secondo cui i titolari dei diritti
possono autorizzare un organismo di gestione collettiva di loro scelta o
un’entità di gestione indipendente di loro scelta a gestire i diritti, le
categorie di diritti o i tipi di opere e altri materiali di loro scelta
indipendentemente dallo Stato membro di nazionalità, di residenza o di
stabilimento dell’organismo di gestione collettiva o del titolare dei diritti o

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dell’entità di gestione indipendente e che i titolari dei diritti, qualora


affidino ad un organismo di gestione collettiva o ad un’entità di gestione
indipendente la gestione dei propri diritti, specificano, in forma scritta,
quale diritto o categoria di diritti o tipo di opere e altri materiali protetti,
affidano alla loro gestione.
Non si riscontra, quindi, dalla normativa, la conclusione a cui giunge la
SIAE nel ricorso ed emerge la facoltà (peraltro riconosciuta agli autori
dall’art. 180, comma 4, LDA) di esercitare autonomamente i diritti loro
riconosciuti in relazione, ovviamente, a forme di utilizzazione, che
possono presentano caratteristiche tecniche ed economiche differenziate e,
quindi, essere gestite da operatori, quali “OGC” ovvero “EGI” diversi.
Dirimente sul punto appare poi la constatazione dell’AGCM, secondo cui è
l’insieme dei vincoli contestato dal provvedimento, nella forma del
coacervo riscontrato, che impedisce al titolare del diritto di scegliere la
“collecting” di cui avvalersi, precludendo così alla radice lo sviluppo di
dinamiche concorrenziali e ponendo le basi per la violazione dell’art. 102
TFUE.
Su plagio, autori non iscritti o dissenzienti e licenze alle emittenti pure la
SIAE si sofferma a lungo, riguardando i singoli profili atomisticamente ma
senza cogliere però il quadro d’insieme su cui si incentrata l’AGCM in
ordine ai sostanziali vincoli “in entrata” e “in uscita” posti dalla SIAE.
Sul primo (plagio), la contestazione è in merito alla non distinzione dello
stesso dalla gestione dei diritti d’autore e all’imposizione di dichiarazione
di gestione dell’opera per intero al momento del deposito dell’opera. Che
la SIAE affermi che essa si limita a una “marcatura temporale” non è
elemento rilevante in questa sede di legittimità, ove è valutabile solo la
congruità dell’esame istruttorio dell’AGCM con le risultanze finali e, nel
caso di specie, vi è un ampio riferimento agli elementi che hanno indotto
l’Autorità a tale conclusione (vedi par. 210 del p.i. e relative note, da cui
emergeva tale obbligo imposto e quello rivolto a un autore di depositare

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l’opera anche dopo che questi aveva provveduto presso un’altra


“collecting”.
Sugli autori non iscritti, l’AGCM ha posto in evidenza in misura non
censurabile in questa sede di legittimità, e sempre nel quadro d’insieme
delineato, che sostanzialmente la SIAE aveva svuotato il contenuto
dell’autoproduzione, ai sensi dell’art. 180, comma 4, LDA, imponendo
licenza c.d. “in bianco”, che prescindevano dall’effettiva rappresentatività
della SIAE stessa, pretendendo il versamento di tutti i diritti d’autore,
anche di quelli spettanti ai non iscritti.
Che la ricorrente affermi che gli “OGC” non possono tutelare gli aventi
diritto senza bisogno di mandato e possono rappresentare gli autori solo se
questi li scelgono, restando altrimenti la rappresentanza per legge della
SIAE, quale unico soggetto munito di “poteri pubblici”, non toglie quanto
nella sostanza osservato dall’AGCM, secondo la quale risultava
un’imposizione contrattuale anomala, la ripartizione dei diritti dei non
iscritti “a valle” di quella degli iscritti e non sussisteva alcuna descrizione
“ex lege”, in relazione ai “poteri pubblici” richiamati dalla SIAE, che
confermasse un quadro di “non autonomia” tra i diversi diritti e non
flessibilità nella loro gestione, come peraltro assodato per la gestione dei
diritti d’autore “on line” e per il settore dei “diritti connessi”.
Ancora una volta, la SIAE nelle sue difese sembra non aver colto
l’impostazione dell’AGCM, tendente a superare proprio ogni vecchio
vincolo imposto da una posizione sostanzialmente monopolistica che la
SIAE ha cercato di perpetrare (si veda anche la contestata vicenda dei
concerti dal vivo e delle esecuzioni pubbliche in relazione alla posizione di
Soundreef), sia pure in un momento di trapasso normativo, anche in virtù
della legislazione eurounitaria.
Sul punto, come già detto in precedenza, non possono rilevare singole
pronunce dell’a.g.o., legate a situazioni particolari e non inserite

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nell’indagine complessiva sui diversi profili della condotta generale che


l’AGCM ha svolto al fine di verificare la violazione dell’art. 102 TFUE.
Tale conclusione vale anche per le licenze alle emittenti televisive su
repertori “Musica, DOR, Lirica, Olaf e Cinema”.
Risultava in atti che la SIAE continuava a prorogare contratti che
prevedevano licenze “in bianco” sul 100% delle opere rappresentabili in
Italia, ancorate a tariffe legate ai ricavi totali delle emittenti e non sulla
quantità del repertorio rappresentato.
Sostiene la ricorrente che in realtà erano spesso le emittenti a richiedere
forme di “prorogatio”, che i “report” inviati dalle emittenti erano spesso
incompleti e contenevano ampie percentuali di opere e autori “non
identificati”, che nelle licenze “on line” i consumi sono automaticamente
rilevati con la registrazione degli accessi e che l’art. 22 del d.lgs. 35/2017
impone e non solo consente di determinare tariffe “in rapporto, tra l’altro,
al valore economico dell’utilizzo dei “diritti negoziati”, secondo la “ratio”
della “direttiva Barnier”, come recepita, di aumentare le tutele del diritto
d’autore e migliorare, se possibile, l’adeguata remunerazione dovuta agli
autori.
In merito, il Collegio osserva come l’Autorità nella sua motivazione non
abbia rivolto l’attenzione sulla riduzione di compensi a favore delle
emittenti ma abbia richiamato la possibilità di ricorrere a modalità
alternative per definire i corrispettivi, anche in relazione a esperienze
internazionali e dei mercati “on line”, come liberalizzati, ma anche dai
mercati contigui della gestione e intermediazione dei diritti connessi al
diritto d’autore, nonché dall’esperienza acquisita (par. 238 p.i.).
Non illogico e fuorviante – alla luce della ricostruzione di insieme
richiamata – è anche il richiamo di cui al p.i. alla gestione dei repertori di
“collecting estere” di cui la SIAE afferma la esclusività (riserva legale),
confutando le tesi dell’AGCM sul principio di territorialità, in base del

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richiamo a pronunce giurisprudenziali e a una corretta interpretazione della


normativa.
Anche in questo caso, il Collegio rileva che le tesi dell’AGCM in realtà,
non escludono che un “OGC” estero possa continuare ad avvalersi della
SIAE ma pongono l’accento sull’effetto delle condotte di quest’ultima,
volte a disincentivare un autore dal servirsi di “collecting estere” perché
ponentesi come ostacolo alla possibilità che un “OGC” estero possa
scegliere anche “collecting” concorrenti.
Da ultimo, il Collegio rileva che non assumono rilievo le tesi della
ricorrente volte a rilevare una ritenuta illegittimità dell’operare di LEA e
Soundreef, visto che risulta agli atti come nelle more siano intercorsi
accordi con tali parti, che sono stati oggetto di richiamo anche nelle ultime
memorie depositate, nell’ambito di un’attività di ottemperanza al
provvedimento impugnato che, però, il Collegio, come già indicato, non
può valutare in questa sede in assenza di provvedimenti ulteriori che ne
valutino la congruità.
In definitiva, deve rilevarsi che il provvedimento impugnato, sia pure sullo
sfondo di una normativa complessa e di pronunce giurisprudenziali in
successione, sia coerentemente impostato e motivato, concludendo anche
per una sanzione “simbolica”, razionalmente individuata proprio a
riconoscimento della situazione di transizione che non legittimava, però, la
SIAE a perpetrare condotte non più coerenti con l’impostazione normativa
generale.
Per tutto quanto dedotto, pertanto, il gravame non può trovare
accoglimento.
La novità e l’estrema complessità della fattispecie, comunque, consentono
di compensare eccezionalmente le spese di lite tra tutte le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo

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respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 19 giugno 2019 e
17 luglio 2019, con l'intervento dei magistrati:
Ivo Correale, Presidente FF, Estensore
Laura Marzano, Consigliere
Lucia Maria Brancatelli, Primo Referendario

IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Ivo Correale

IL SEGRETARIO

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