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LA COMUNICAZIONE GENERATIVA

• Introduzione
1. Che cos’è la Comunicazione?
Sapere cosa sia non serve a molto perché la comunicazione appartiene a
saperi che sono ancora da inventare, da costruire. Questo libro è una
piccola riflessione inconclusa sulla comunicazione fra persone, fra
gruppi, fra uomini e cose, fra macchine, persone e res. Tra idee e res, fra
simbolico e fattuale, fra digitale informatico e digitale naturale. La
comunicazione è componente essenziale della nostra condizione di
uomini e di donne, rispetto alla quale un ruolo fondamentale lo hanno
sempre esercitato le macchine che ci aiutano a leggere/scrivere la realtà.
Le macchine condizionano, indirizzano l’azione e le nostre idee, le
nostre scelte, stabilendo nessi e obiettivi.
2. Tutto ciò che scriviamo non sono storie ma dati che inseriamo
secondo precise sceneggiature fisiche, mentali, spirituali. Ogni lettura è
una riscrittura. Noi stiamo perendo la literacy sociale, la cultura, cioè
necessaria per capire cosa oggi è lettura e cosa scrittura, per riconoscere
il testo individuale e sociale, il testo-mondo in cui siamo immersi e che
concorriamo a scrivere. Tendiamo a ignorare, prima ancora di che cosa e
come scriviamo, quando stiamo leggendo, assimilando a nostra insaputa
modelli e comportamenti, ideologie. Abbiamo perso il controllo su noi
stessi, la comprensione che dovrebbe permetterci di controllare il nostro
essere individuale e collettivo nel contesto storico, sociale, economico,
culturale in cui ci troviamo. Senza questa capacità d’analisi e di critica,
rinunciamo a conoscere e a valutare l’educazione implicita, la
comunicazione formativa invisibile in cui ci muoviamo e che tanto ci
condiziona. La scuola, l’università la stanno spostando giorno dopo
giorno nell’organizzazione dei nostri gesti più quotidiani. questa vita,
questa comunicazione non ci appartiene; siamo sempre più schiacciati
da routine, processi ripetitivi. Si sta azzerando anche la percezione del
disagio stesso, e quando affiora, ha tutte le caratteristiche di un sintomo
per ridurre il quale la risposta sarebbe nel rafforzamento delle
caratteristiche strutturali del sistema che lo causa.
3. La rete fu progettata negli anni Sessanta. La storia ufficiale della
digitalizzazione della società iniziò allora, nel pensare di poter dividere
quello che era stato unito da sempre e di mettere insieme ciò che fino
allora era stato sempre frammentato. Si avvertì l’urgenza, in tutti i campi
del sapere, di destrutturare e ristrutturare persone, idee, res. La Rete
telematica diventò il linguaggio per eccellenza di questa rivoluzionaria
visione della condizione umana, un linguaggio che aveva la peculiarità
di progettare e di rendere contemporaneamente fattuale il progetto, di far
esistere quello che s’immaginava, sollecitandoci a scoprire relazioni,
creare nessi ritenuti impossibili. Con il tempo la storia della Rete ha
segnato una progressiva perdita di fiducia nella possibilità di mutare la
struttura culturale, economica, sociale e politica tradizionale.
4. La comunicazione è la forza che genera senza sosta società e
individui. Il tempo che viviamo è quello degli script, delle sceneggiature
definite ma infinite per numero, delle storie per scrivere una storia
pressochè unica. Procedure facilitatrici, ci danno l’illusione di essere
creativi. le macchine e i loro processi creativi sono stati architettati per
indebolire il più possibile il processo generativo che univa da sempre le
grammatiche ai testi, in una reciprocità conflittuale ma sempre possibile.
Il medium non è il messaggio; è la grammatica invisibile che influenza e
condiziona i nostri testi. Gli script stanno riuscendo a cancellare nella
mente di chi se ne avvale la consapevolezza che da qualche parte ci
possano essere delle grammatiche che li ispirano, delle logiche di potere
che li guidano e che dovremmo conoscere e giudicare. Questo sistema
ha fatto si che l’idea stessa di grammatica sia sta indebolita in ogni
individuo, al punto che si legge e si scrive come si vuole: il correttore
automatico del sistema interviene e normalizza per elaborare i nostri dati
in ingresso e preparare i dati in uscita di cui avremo “certamente
bisogno”. La ricerca e la conoscenza diventano elementi fondamentali
dell’intero problema, e la posizione rispetto ad esse della comunicazione
si presenta come una questione strategica. Ovvero che il processo
comunicativo può essere stato progettato per generare conoscenza
oppure no; può essere il risultato di una visione della conoscenza che
pone la ricerca al centro della conoscenza stessa oppure no.
Il .linguaggio della propaganda e della pubblicità non a caso la fa da
padrone nel nostro tempo, trasversalmente ai campi politici e culturali
che tendono a comunicare tutti allo stesso modo.
5. La visione digitale della realtà, la nuova testualità che essa
rappresenta, può essere uno strumento indispensabile per costruire
questo futuro. La rivoluzione è oggettiva: la forza generativa del
processo comunicativo che l’uomo ha messo in moto con secoli e secoli
di storia è evidente quanto inarrestabile. Sta aspettando di essere
riconosciuta, progettata, governata nella consapevolezza della sua
inedita potenza. C’è una diffusa paura ad affrontare la cultura dei grandi
numeri, cui tendiamo a relazionarci secondo la solita cultura dei piccoli
numeri. Viceversa, GRANDE è immensamente bello se sappiamo
immaginarlo, idearlo secondo un progetto d’umanità radicalmente
diverso da quello che ha dominato nel nostro passato. Il libro della realtà
ha cessato di essere il libro eterno che consentiva si interpretazioni ma
che era immutabile per le generazioni future: l’ingegneria della realtà, da
quella fisica a quella simbolica, è oggi talmente potente che nell’arco
della sua vita una persona riesce a sentire chiaramente che il testo della
realtà è in continua riscrittura. L’analfabetismo comunicativo in cui ci
muoviamo non aiuta a capire e a interpretare il nuovo che abbiamo
davanti. Anche perché oltre un certo limite, se alla consapevolezza non
subentra la conoscenza e la libertà di essere, l’ignoranza e la rinuncia
diventano medicine necessarie.
6. L’attuale sistema comunicativo ha rafforzato la dimensione
trasmissiva, gerarchica che sia cioè espressione di una cultura che non
vuole far emergere la conoscenza implicita ed esplicita di cui siamo
sempre portatori. La comunicazione si pone come un ambiente
generativo di conoscenza, di esperienza, di saperi nella misura in cui
riesce a far maturare, nei soggetti coinvolti nel suo processo, la
consapevolezza dell’esistenza di conoscenze ignorate, negate, inibite
dalla cultura dominante, dall’organizzazione oggi vincente. La
comunicazione generativa ha l’obiettivo di andare oltre l’alternanza fra
processi comunicativi improntati ora a modelli top-down ora bottom-up;
è impegnata a individuare, intercettare le forze in atto che generano
senza sosta realtà oltre le nostre conoscenze e consapevolezze; ad
analizzarle, valutarle e valorizzarle secondo un progetto ben definito,
indirizzando così l’energia che attraversa, investe la nostra società, noi
stessi verso obiettivi definiti e condivisi. La comunicazione generativa è
l’ambiente dove far convergere nei limiti ancora ristretti del nostro
orizzonte culturale, un flusso generativo immenso, che l’uomo con la
sua storia di millenni ha reso possibile. Un’energia creatrice per lo più
fuori controllo, tutta da scoprire, da interpretare, in funzione di un
preciso progetto.
7. Questo libro è stato scritto lungo una ventina di anni, durante i quali
ho soprattutto sperimentato la comunicazione nelle modalità più diverse,
sempre ponendomi la domanda su come utilizzare al massimo le ultime
innovazioni tecnologiche. I capitoli che seguono sono tentativi di
proporre il senso che questo percorso di ricerca ha finora avuto. Li ho
pubblicati in ordine inverso rispetto a quando li ho elaborati, cioè dal
presente verso il passato: è una specie di rewind, di storia alla rovescia. I
capitoli quando non sono inediti sono rielaborati rispetto alla versione
che avevano quando sono comparsi la prima volta. Un lavoro che mi è
servito per precisare un aspetto fondamentale della comunicazione
generativa: il potere maieutico della comunicazione. L’editoria è stato
l’ambito naturale da cui è iniziato il lungo viaggio che mi ha portato
dalla filologia, dalla teoria e tecnica del testo alla comunicazione. Gran
parte del tempo l’ho passato nel mio laboratorio. Questo libro solleva
problemi nati dal fare comunicazione, cercando di rivisitare le
teorizzazioni più avanzate attraverso azioni comunicative piccoli e
grandi, ma concrete.

• CAP.1 – La società sceneggiata


1.1- Autori o lemmings?
Nel testo viene fatta una metafora in cui l’umanità viene paragonata ai
lemmings, personaggi di un videogioco creato da Amiga nel ’91, che si
muovono instancabilmente in fila, liberi solo di esercitare quelle poche
funzioni possibili nell’illusione così di dare un senso personale e
collettivo alla loro vita. La società che stiamo (o piuttosto si sta auto-)
costruendo è una società inedita, senza modelli a cui fare riferimento. La
scrittura sociale alla quale non ci si può sottrarre e che dunque vede
coinvolti tutti, non corrisponde ai meccanismi di creazione come atto
consapevole di generazione di idee, cose o persone, come scelta, atto di
volontà e quindi responsabilità propria. Siamo ormai oltre l’alienazione
di cui parlavano nel secolo scorso Marx e Ong: siamo oggetti attivissimi
di literacy comunicativa di cui ignoriamo gran parte della grammatica,
della testualità, degli strumenti. L’urgenza di Conoscere e diventare
autori consapevoli è resa ancora più forte dal fatto che il mondo delle
sceneggiature, a causa della sua complessità, è fortemente condizionato
dall’uso delle macchine, di computer, calcolatori, cioè di meccanismi
auto generativi i cui processi straordinariamente automatici sono sempre
e comunque espressione di scelte etiche, politiche economiche (e non
del progresso) tanto precise quanto oscure alla maggior parte delle
persone. Questi meccanismi, queste grammatiche, sono nascoste
talmente bene dietro gli algoritmi quotidiani, che gli è garantito potere
assoluto, soprattutto grazie all’uso pervasivo che la nostra società fa di
tali automatismi: urge allora iniziare a chiedersi per quali organizzazioni
sociali lavorino le interfacce a cui affidiamo il nostro agire quotidiano e
su cui si basano le nostre routine (visto che cosi facendo concorriamo a
rafforzare le loro grammatiche). Bisogna chiedersi “a cosa ci aiutano
questi sistemi facilitatori?” In queste tecnologie è facile riconoscere
caratteristiche tipiche della catene di montaggio; basti pensare al
rapporto che c’è tra l’investimento richiesto nel nostro fare quotidiano,
nei gesti ossessivamente ripetitivi, seriali, meccanici, e il ritorno in
qualità nella nostra vita. Un’intelligenza collettiva e connettiva come la
nostra è veramente libera? Durante tutto il Novecento si è cercato di
dimostrare prima e di studiare poi, l’esistenza di queste forze. Abbiamo
ora l’occasione di costruire un rapporto con la realtà che solo pochi
decenni fa non riuscivamo nemmeno a immaginare; il problema è che
manca la cultura e la capacità di governo per fare di tale energia, una
energia “buona”. E’ necessario abbandonare una prospettiva in cui si
alternano, contrapponendosi, un atteggiamento da una parte di delega/
affidamento al sistema, e dall’altra di opposizione/contrapposizione al
sistema stesso, in favore di un uso non tanto programmato ma strategico
della comunicazione e delle macchine (Morin). Occorre assumere una
prospettiva generativa, una cultura di progetto, che pone al centro il
principio naturale dell’inarrestabile produzione di realtà, fisica e
simbolica, abbandonando una visione della realtà conservativa. Ciò è
difficile in quanto considerata pericolosa per l’establishment, poco
rassicurante, e dunque si continua con questo sistema dove non si genera
conoscenza, ma si conserva, si rafforza e si ripete oltre la noia il già
noto. La tecnologia, da grandissima opportunità per tutti noi, può
trasformarsi in un potente manganello cognitivo, come una livella per la
nostra umanità. Nell’uso dominante e diffuso lo è già.
1.2- Invisibili script
Le sceneggiature sono il terreno in cui si giocano gli equilibri di potere,
perché in esso il sistema si propone con pratiche quotidiane in una forma
ritenuta necessaria, economica, che delegittima ogni possibile
alternativa. Gli script concorrono a definire gli ambienti in cui si
sviluppa la costruzione sociale della realtà, rispecchiando una
progettualità che varia, negli obiettivi e nelle forme, in base alle epoche
e ai contesti economico-politici. Non stupisce quindi che l’azione di
queste scritture/letture, deboli nella riconoscibilità ma fortissime negli
effetti, sia oggetto di indagine interdisciplinare (semiotica, psicologia,
antropologia, filosofia, ecc..), o meglio transdisciplinare, di
cooperazione “de-generativa” nel senso di superamento dei generi e di
creazione di generi nuovi fra scienziati dei territori più differenti. Così la
comunicazione, sempre più contaminata da processi conoscitivi e di
ricerca, sta gradualmente rivelando potenzialità divergenti dalle
grammatiche dominanti e destabilizzanti, forte da sconvolgere l’attuale
sistema e gettare le basi di uno nuovo. Questo tipo di comunicazione
nuova è la sola portatrice di speranza per un futuro possibile, sostenibile.
Il problema sta nel fatto che il sistema attuale garantisce si alternanze,
ma nella continuità (ad esempio il conformismo nella gestione del potere
politico-nella condivisione che non si debba cambiare nulla a livello di
strutture profonde), non è interessato cioè a sviluppare discontinuità,
competizioni vere che vadano verso un salto di sistema rispetto al
passato, da indurre gli stessi attori a trasformarsi profondamente e
radicalmente e a favorire la nascita di soggetti nuovi. Oggi è come se si
continuasse a rileggere e interpretare il libro della realtà sempre uguale a
se stesso, come se fosse stato scritto una volta e per sempre. Nel
frattempo la realtà continua a svilupparsi da sola, priva di progetto,
instancabile costruttrice di persone e cose. Occorre andare verso un
nuovo paradigma culturale, dove il continuo passaggio dal particolare al
generale, dall’ordine al caos e viceversa, è reso possibile dalla presenza
di un terzo elemento che gioca un ruolo importante in queste incessanti
interazioni; un processo generativo basato non più su una diade, ma su
una triade: se in ogni processo comunicativo non si possono dare
ambienti grammaticali senza ambienti testuali, la loro interazione
costituisce un ambiente autonomo.(una dimensione in cui si
materializzano le convergenze, territorio delle convergenze). Una terza
componente, oggetto di ricerca di molti studiosi negli ultimi anni.
Questa è la dimensione in cui si esprime tutta la complessità del nostro
presente, dovuta all’inedita possibilità di unire e dividere. Questo
territorio delle convergenze ci sta obbligando a ripensare l’intero
processo comunicativo. La dimensione progettuale assume una
posizione centrale nel nostro tempo, per progettare avendo chiaro il
legame esistente tra progettazione e azione sull’esistente, perché il
risultato finale si basa su un’interazione che non è lineare ma generativa,
è una realtà al tempo stesso risultato e origine, generata e generativa. La
metafora della “deriva” da cui siamo travolti, aiuta a capire la
sensazione diffusa che abbiamo circa l’impossibilità e l’inopportunità di
sottrarsi alle dinamiche di questa forza incessantemente generativa.
Intorno alla metafora c’è però un po’ di confusione: la deriva può essere
infatti interpretata in due modi opposti, con due diversi tipi di relazione
nei confronti della metafora della deriva: una forza talmente immensa da
impedirci di indirizzarla e induce in rassegnazione (spinge verso una
nostalgica e improbabile restaurazione del passato) oppure come la
scoperta di una nuova immensa forma di energia, impressionante, che
può permettere all’umanità di dare inizio a una inedita fase
storica(immensa energia di un sistema che sta collassando e che va
trasformata in un sistema nuovo).
Strategie conservazione/innovazione = automatismo/libertà l’uomo deve
uscire da una logica esecutiva di un programma per assumersi la
responsabilità di trasformarlo.
E’ la stessa natura, la vita, che ci ha fornito un incredibile feedback
naturale, perché ogni creatura che nasce è chiamata a un ripensamento
critico della realtà che è stata scritta dalle generazioni precedenti; la
storia sottopone a verifica le proprie grammatiche, sceneggiature e testi
sociali. Ciò solo nel caso in cui la comunicazione da trasmissiva si
trasformi in generativa e sta a noi educare e formare i giovani a una
cultura del progetto e ciò non è semplice in quanto implica una
durissima rivoluzione e un riassetto mondiale. Educazione e
Comunicazione hanno dunque un forte legame: i docenti non devono
essere trasmettitori di grammatiche immutabili, ma favorire lo sviluppo
della capacità critica. La comunicazione formativa deve favorire una
conflittualità conoscitiva che riguarda sia gli allievi che i docenti, una
indagine cooperativa tra allievi e docenti, un processo generativo di
conoscenza. Il conflitto di visione è il cuore pulsante di ogni forma di
progetto. E’ in questo senso che l’innovazione non fa confusa con la
tecnologia. Norman, parlando di tecnologia, ci ha spiegato che la
migliore è quella “invisibile”. Gli script sono comportamenti
tecnologici ormai così comuni, universalmente assimilati, da risultare
invisibili. Quello che preoccupa delle sceneggiature oggi è proprio il
fatto che siano difficilmente riconoscibili e questa loro invisibilità serve
a nascondere le grammatiche sociali che le ispirano.
1.3- Oltre il digitale informatico: il digitale naturale
Nel testo si fa l’esempio dell’evoluzione del digitale informatico, di
come sia sempre più diventato digitale naturale e di quanto naturale e
artificiale abbiano nel tempo sconvolto i termini della loro relazione
storica: l’immaginario cioè prende a interagire con le cose concrete della
nostra esperienza, ponendosi come realtà effettuale, come causa si
immaginata ma i cui effetti sono assolutamente concreti. Se
l’immaginario diventa cioè un soggetto agente, se il pensiero può
avvalersi di supporti esterni a se stesso cos’ tanto da indurre a ridiscutere
la soglia stessa che divide esteriorità e interiorità (realtà e finzione),
dove finirà la nostra meravigliosa libertà di pensare l’impossibile?
L’uomo oggi ha bisogno come mai di essere autore di finito e infinito: su
questa “coincidenza” poggiano le colonne della nuova umanità. Da
sempre l’umanità mescola realtà e finzione, non doveva certo arrivare il
digitale perché questo accadesse, ma la potenzialità di elaborazione
autonoma una volta avviato l’algoritmo, è un dato nuovo e difficilissimo
da elaborare. Un testo digitale collocato nel campo di relazioni della
Rete ad esempio, viene rielaborato e trasformato in un testo diverso da
quello del suo autore, i testi vengono fisicamente riscritti, è un sistema
generativo di significati e significanti. In futuro sarà sempre più difficile
distinguere tra digitale e non digitale. La digitalizzazione della realtà è
un processo storico che sta trasformando il mondo; la comparsa del
digitale informatico ne è solo una conseguenza. Purtroppo però il suo
successo commerciale, invece di aiutarci a capire di cosa siamo capaci,
ci ha portato a sostenere la natura speciale, quasi “magica” del supporto
e quindi a contrapporre digitale e reale. L’occasione non è sfuggita a chi
aveva interessi politici ed economici per ghettizzare le persone: anziché
aiutare a immaginare e progettare una società diversa, questo mondo ha
dato ai Signori del digitale la possibilità di controllare e sfruttare
l’immaginario Personal. Ma nonostante ciò, il digitale sta diventando un
linguaggio naturale. La parola vincente oggi nella comunicazione è
“personalizzazione”, ma spesso anziché assumere il significato di vivere
a pieno la nostra condizione così da incidere sulla storia fino a
cambiarla, è una dittatura mascherata, che si nasconde dietro l’illusione
di dare a ognuno la possibilità di scrivere testi ma è invece contraria ad
ogni tipo di sperimentalismo che porti a visioni nuove, di un mondo
radicalmente diverso dal nostro. E’ importante comprendere come le
sceneggiature siano elementi del processo di costruzione sociale oggi in
corso che è ad alto tasso di reificazione, che avviene a due livelli: 1)
quello degli script, interpretati come unico modo di fare, di essere
possibile. Fanno dimenticare di essere una possibilità di interazione fra
le tante possibili, magari che si sono affermate in seguito a precise scelte
di marketing, diventando percepite come cose preesistenti il pensiero e
l’azione umana. 2) riguarda gli esecutori degli script, coloro che li
trasformano in un testo vero e proprio, che vengono classificati in varie
tipologie in base all’uso e alle competenze raggiunte: ad esempio i
giovani, poiché riescono a trovare e memorizzare molto bene gli script
con cui interagire con i nuovi media siano detti digital mind in
contrapposizione ai digital immigrant, coloro che sarebbero
anagraficamente restii al digitale. Come se per pensare digitale bastasse
conoscere il maggior numero di script per usare le tecnologie! Questo
errore ha comportato l’esclusione (o meglio all’auto-esclusione) di
importantissimi gruppi del processo di digitalizzazione della realtà. Ad
esempio nella scuola molti docenti hanno visto nelle ITC un linguaggio
in via di definizione e sul quale fosse precoce investire. Ciò perché si è
posto al centro dell’innovazione le tecnologie e non i contenuti. Ci si è
fermati ad aspetti puramente esteriori del cambiamento storico in corso!
E’ più difficile uscire da vecchie pratiche, conoscenze, competenze e
visioni che comprare le macchine di ultima generazione e imparare
pochi script che ti illudono di saperle usare. C’è una spaventosa assenza
di visioni, di obiettivi per i quali avere voglia di conoscere, sapere,
appassionarsi; c’è assenza di futuro sia in senso di speranza che di
progettazione.
1.4 – Strategia di comunicazione
Lo sviluppo della tecnologia nel corso del XX secolo, ha fornito alla
strategia comunicativa strumentazioni prima inimmaginabili: è
importante capire se ne stiamo facendo buon uso. L’identità
comunicativa (l’insieme cioè dei caratteri fisici e simbolici che
caratterizza ogni attore sociale comunicante) è il risultato di scelte che i
vari soggetti esprimono in un determinato ambiente comunicativo che li
mette in condizioni di leggere/scrivere, tramite azioni che si appoggiano
a modelli facilitatori -> l’ambiente dello script, lo scriptwere, è ideato
per rispondere appieno ai nostri bisogni ed è l’habitat comunicativo in
cui siamo immersi e sono visibilissimi nell’uso ma invisibilissimi alla
conoscenza critica, servitori e disseminatori di grammatiche e di testi
sociali a nostra insaputa. Comprendere la dimensione autoriale di
questo habitat vuol dire iniziare a riappropriarsi della scrittura del
progetto con cui le organizzazioni concretizzano le loro mission. La
nostra cultura continua a basarsi sulla forza del potere (che logora chi
non ce l’ha) e non sulla Ricerca e la Conoscenza: la Conoscenza per
vivere deve accettare il suo continuo divenire, nessuna logica della
conservazione è compatibile con la conoscenza -> è un essere, e non un
avere. Ne consegue che ogni strategia comunicativa dovrebbe applicare,
al progetto che ha ideato, questo modo di intendere la centralità della
conoscenza. Conoscenza e Ricerca dovrebbero costituire le fondamenta,
indiscutibili e irrinunciabili, di una strategia di nuova generazione. E’
ovvio che ci sia difficoltà, per più di qualcuno, dato che se l’intelligenza
contemporanea consiste nell’accettare la sfida di essere in continua
trasformazione, questa può essere percepita come una minaccia alla
identità, un rischio di discontinuità intollerabile perché minaccia
l’identità. Bisognerebbe cominciare a pensare all’identità non come
sviluppo coerente di un nucleo originario, ma come ricerca-progetto in
corso, che agisce per trovare la forza creativa per progettare l’inesistente
e abbandonare l’idea di un’identità che cambia per non cambiare in
favore di una continuità identitaria spostando la nostra attenzione dal
prodotto al processo. Intanto è in corso una crisi, che per la cultura della
conservazione si sta rivelando provvidenziale. Qualsiasi tentativo che
miri al recupero della centralità sociale della Ricerca e della
Conoscenza, non può prescindere dall’abbandono definitivo del vecchio
modello che voleva la comunicazione come il prodotto della strettissima
interazione fra mondo dei testi (Textwere) e quello delle grammatiche
(Grammarwere) -> è indispensabile riconoscere il ruolo degli script,
cercando di inoltrarsi nell’oscurità dello scriptwere, che ha una funzione
così vitale per la nostra realtà e svelare quali grammatiche essi
nascondono e affrontare e ripensarne gli scopi, gli obiettivi e i valori che
la nostra umanità gli sta dando. Far uscire dalla zona d’ombra i contenuti
occulti: quello degli script sarà il territorio in cui avverrà la madre di
tutte le battaglie.
1.5 – La madre di tutte le battaglie: il linguaggio
Il linguaggio di Internet sta orientando pensieri, azioni e immaginari
come nessun’altra dimensione comunicativa; perché Internet riesce a
interiorizzare schemi interpretativi e valutativi nei gruppi e negli
individui->è opinione comune che niente e nessuno può sottrarsi a
internet. Gli autori della grammatica della Rete aggiustano
incessantemente il sistema, sfruttando gli input di chi, pur avvalendosi
del sistema, non può incidere su di esso più di tanto. Gli Script sono il
vero strumento di indirizzo e controllo, e come tutti i poteri forti non si
parla di loro: la realizzazione è riservata a pochissimi mentre il loro uso
è così comune da rendere invisibile la loro natura di testi che rispondono
a precise grammatiche. La Grammarwere della Rete è la logica attuale
della sua architettura, della sua strategia di comunicazione, ma è anche
molto di più -> è la visione, la dimensione ideologica che esprime e
genera in chi la usa. Ciò porta a una riflessione sulla Governance di
Internet, cioè le problematiche riguardanti gli aspetti gestionali,
rappresentative, istituzionali, tematiche di tipo politico, economico e
culturale (privacy, copyright, libertà d’espressione, pedopornografia,
ecc..). La testualità della Rete non può non risentire delle dinamiche
provenienti dalla Governance. L’Internetwere, cioè quella reale fatta di
persone e cose che l’affollano, crea effetti generando realtà che possono
essere opposte rispetto alle intenzioni progettuali, agli scopi dichiarati.
Studiare la testualità sociale di internet può dare un contributo
fondamentale alla sua Governance -> sarebbe già un risultato
importantissimo riuscire a far riflettere che la libertà della Rete, la sua
indipendenza, è direttamente proporzionale alla capacità di chi la
frequenta quotidianamente, di essere creativo, di essere autore a tutti i
livelli e non solo a livello di compilazione degli script. Il problema non è
il controllo fisico della rete, ma il controllo che ognuno ha del
linguaggio della rete, e quindi la cultura che ha per poter costruire
tramite di essa la propria libertà. La cultura di internet è rivoluzionaria, è
un potente mezzo per unire e dividere tutto e tutti come mai ed è una
cultura che nasce prima del digitale, prima di internet. E’ nata nelle
menti e nelle passioni dell’umanità risorta dalle tragedie degli anni ’30 e
’40 del secolo scorso, davanti agli orrori della possibilità concreta degli
uomini di autodistruggersi. Internet sarà libera soprattutto se la licteracy,
la conoscenza linguistica della sua testualità agita persone e cose,
l’Internetwere, sarà ben conosciuta e dominata e praticata da ognuno: la
Ricerca e la Conoscenza ci rendono liberi di costruire il Global brain e
non di esserne costruiti. Oggi la nostra capacità di scrivere/leggere la
Rete e con essa la realtà è minima, e la lacuna non è certo tecnologica
ma culturale. Ad esempio le e-mail, che ci raggiungono ovunque, anche
sul mobile, presenti nelle aziende, nelle organizzazioni in genere e che
dovrebbero facilitarne il lavoro, non è raro che lo imbroglino ancora di
più. Esse mal si integrano con l’esistente. (il che non significa che non
velocizzino o abbattano gerarchie fittizzie o male interpretate). Stefik,
dal suo Xerox Palo Alto research center, parlava anche dei Marketplace:
difficile dire se il mondo del marketplace abbia influenzato in maniera
rilevante la relazione fra venditore,prodotto, acquirente, tre attori sociali
ai quali va aggiunto un quarto, il produttore. L’uso di internetwere
avrebbe dovuto rivoluzionare il rapporto col cliente. Il Customer
Relationshio Management avrebbe potuto rivelarsi un’intuizione: quella
di usare le ICT (tecnologie, informazione e comunicazione) per far
entrare l’utente nel processo di produzione come un soggetto non target
ma attivo. E’ una di quelle cose che se ben interpretate possono
cambiare letteralmente il mondo. Non ci può essere Sviluppo senza una
valorizzazione delle capacità, prima ancora che delle libertà
d’espressione, perché la dimensione sovversiva della Conoscenza sarà
un aspetto fondamentale del prossimo sviluppo. Quindi le ICT nei
processi economici possono risultare strategiche per un cambiamento
dell’intera società. La Library è un’altra metafora proposta da Stefik: dai
cataloghi online delle biblioteche si sta assistendo da anni alla nascita
dell’editoria elettronica con annessi problemi di copyright e di diritti in
genere.. e tutto un intero groviglio di identità che vogliono rinnovarsi ma
senza cambiare. Un bel problema. Così facendo si sono potenziati alcuni
aspetti, ma indeboliti altri. Eppure ciò avrebbe potuto aprire il testo
biblioteca al testo mondo: sarebbe un’occasione stupenda per riportare le
biblioteche alla loro sede originale, in quel testo mondo da dove sono
venute; si potrebbe ad esempio leggere Cicerone in un’aula di tribunale.
Il problema è che se i libri iniziano a uscire dalle biblioteche e dalle
librerie non devono cercare di restare libri e generare altra testualità da
quella loro, ridefinire la propria identità.
L’unica delle metafore di Stefik erano i Worlds virtuali: un’occasione
stupenda offertaci dal digitale informatico e dalla rete, per immaginare,
elaborare, progettare quell’impossibile resosi storicamente necessario. Il
problema difficile da risolvere è la mancanza di autorialità nel tessere
collegamenti fra questi mondi testuali: la nostra è una crisi di scrittura,
ma soprattutto di cultura di progetto, di prospettiva, di futuro. La
tendenza oggi vincente (complici gli script facilitatori) è quella di
ignorare una cultura della domanda (Postman) che educhi a non pensare
all’esistente secondo una logica conservativa -> è invece tutta da
inventare una cultura della domanda che faccia del non-sapere uno
strumento insostituibile per la crescita della conoscenza, che parta cioè
dall’esigenza di andare oltre la descrizione dell’esistente: ciò significa
che le domande non possono avere risposte già pronte, ma che queste
sono da trovare e costruire, perché la prevedibilità non si addice al
nostro tempo. Lo sforzo richiesto da questa nostra nuova condizione è
durissimo e ci sono grandi resistenze. Il paradosso è che in un mondo in
cui opera un uomo il quale dispone oggi di strumenti di trasformazione
(il controllo è ben altro) su tutte le forme di esistenza, la creatività
umana è incredibilmente tutta impegnata a ripetere, replicare, riprodurre,
sia sul piano pratico che simbolico. Questa internet (quella attuale, non
quella possibile),è un ambiente che rassicura il senso devastante di
solitudine dell’uomo del terzo millennio, è una internet che è riuscita a
spezzare il consueto equilibrio tra qualità e quantità. Non si può
sostenere che questa internet sia il risultato di un alto profilo della
società e della complessità, anzi, così come è strutturata è un ambiente
estremamente lineare, portatore di una logica che risponde a modelli
organizzativi causali, trasmissivi su una testualità massiva. Internet vive
di ricorsività grammaticale. Pensare di cambiare tale grammatica oggi
appare assai difficile; questa internet è lo specchio di una società ancora
arroccata che non intende dare vita ad altro che non a se stessa. Di sicuro
questa non è internet che avevano immaginato i suoi inventori, fatta non
per mettere in ordine l’esistente, ma per scompigliare tutte le pratiche
conoscitive tradizionali. Questa scrittura reticolare, fortemente
generativa era stata ideata per sostenere le grandi trasformazioni storiche
che si richiedevano, e si richiedono ancor di più oggi e non invece per
gestire meglio (come di fatto è accaduto) una conoscenza fortemente
tradizionale e tradizionalista.
• CAP 2 – Essere e comunicare
• – Una crisi di governo della nostra storia
La crisi che stiamo vivendo, e che vivremo ancora per molti anni, viene
da lontano. Non risulta del tutto chiaro fino a che punto coloro che
parlano di “crisi di sistema” intendano ripensare non solo alla struttura
dell’impianto socio-economico attuale, ma gli stessi paradigmi culturali,
valori, obiettivi, strategie che ne sono alla base. Il pericolo è che si
dichiari di voler cambiare tutto per non cambiare nulla: come dire il
sistema va soltanto resettato. Si sta ignorando la necessità di progettare e
governare una realtà sociale, economica, politica esistenziale totalmente
nuova, la quale comunque prende corpo e si rafforza senza precisi
progetti da parte nostra. La natura di questa crisi è diversa da quelle
precedenti: è culturale, di visione del senso della nostra condizione di
uomini. Il modello attuale è in crisi in quanto si è rivelato inadatto a
mantenere la centralità dell’uomo di fronte alle grandi trasformazioni
che stanno andando avanti e di cui ne subiamo gli effetti. Domina a ogni
livello sociale una forte rassegnazione. Ma in questo Nuovo Umanesimo
la centralità dell’uomo va rafforzata e dunque occorre governare questo
immenso movimento epocale.. l’uomo sarà sempre più architetto della
propria condizione perché è nata una nuova società planetaria, dove la
politica di un cassonetto dei rifiuti sotto casa incide sulla vita di un altro
uomo che se ne sta agli antipodi.

• – Ridefinire il rapporto tra ideale e possibile


La nostra realtà, universalmente percepita, ma elaborata
consapevolmente da pochissimi, è simile a quella di Butterfly effect su
cui scrisse Alan Turing, padre dell’intelligenza artificiale: il semplice
battito di ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del
mondo. Il fatto è che viviamo questa realtà come un incubo anziché
come una cosa straordinaria che ci permette di prefigurare un uomo in
cammino verso la realizzazione di ideali e valori fin’ora ritenuti
impossibili da realizzare. (utopia). Realizzare l’ideale è una scelta etica,
politica ed esistenziale, che si sviluppa su due piani, distinti eppure
interdipendenti: 1) dare vita al praticabile in questo momento, pur con i
difetti che inevitabilmente avrà rispetto all’ideale e 2) agendo
concretamente su una realtà necessariamente difettosa, analizzare
comunque l’ideale che la ispira e valutando, se necessario, di apportare
le dovute modifiche di valori e principi; La comunicazione è in questo
caso uno strumento di ricerca, sviluppo, progettazione e realizzazione
dell’interazione fra i due piani, fra il praticabile e ciò che crediamo di
riuscire a immaginare. La comunicazione può trasformare la
realizzazione dell’ideale nel possibile. E’ una terra di mezzo, dove
superare il conflitto tra teorie e pratiche, materiale e immateriale. Ciò in
attesa che l’umanità si renda conto dell’eccezionale rinascita, una fase
straordinaria, un salto di significato antropologico: una discontinuità
assoluta rispetto al passato. Thomas Kuhn sosteneva che la storia della
scienza non procedeva per singole correzioni, aggiustamenti e scoperte,
ma per rivoluzioni di modelli e paradigmi, cioè per salti da un sistema
complesso a un altro. Nel Novecento gli uomini, dopo la seconda guerra
mondiale, erano profondamente cambiati: erano riusciti a sconfiggere
una distruzione che poteva essere totale, l’uomo che annienta sé
stesso,la bomba atomica. Con quell’ordigno l’uomo storico moriva per
dare vita a un uomo nuovo, per il quale il futuro sarebbe stato solo una
scelta.
• – Predicare nuovo, praticare vecchio
La condizione degli esseri umani oggi è contrassegnata dalla
complessità, che però non assume solo la connotazione negativa di
problemi da affrontare, ma anche quella positiva di risorse inesauribili
come senso più profondo del nuovo umanesimo. La svolta epocale degli
ultimi decenni, ha segnato l’affermarsi di un processo generativo di
condizioni, messo in moto non solo dalle azioni dell’uomo, ma anche
dal comportamento delle “cose” che essi hanno creato; come se i
prodotti “umani”, materiali e simbolici, avessero preso a vivere in
maniera autonoma. (si pensi alla simbiosi tra uomo e macchina, alle
tecnologie superiori, alla mitologia del Global Brain di internet). In tutto
ciò, la cosa di cui più si deve temere la perdita del controllo, è l’aumento
esponenziale della popolazione della Terra: da 791milioni nel 1750, 1
miliardo e 700 milioni nel 1900, oltre 6 miliardi di individui nel 2000 e
il previsto superamento dei 7 miliardi nel 2012. A metà del 2010 nei
paesi più sviluppati la popolazione ammontava a 1.236.646.000 contro i
5.655.673.000 dei paesi meno sviluppati. Dunque la prima causa della
crisi del sistema è la crescita demografica dell’essere umano: l’attività
antropica sta incidendo sugli aspetti etici e biofisici del nostro pianeta
come mai prima d’ora. La crescita della popolazione è causa, perché ci
condiziona tutti, ed effetto, perché non governandola provochiamo
effetti impressionanti. La nostra epoca geologica può essere chiamata
Antropocene. Occorre ripensare a una ecologia della condizione umana
che vada oltre la deriva biofisica e riguardi la dimensione invisibile della
realtà. Il rapporto tra avere ed essere è un punto nodale di questa crisi di
sistema che trae origine dalla crescita demografica dell’essere umano:
epidemiologi come ad es. Wilkinson e Pikket hanno fatto degli studi
sugli effetti negativi della crescita economica nei paesi più ricchi
(depressione, consumismo, obesità, droghe ecc..). Tutte le ricerche
evidenziano come il comportamento degli esseri umani risponde a scelte
che ormai non sono più percepite come tali, ma sono sentite come
inevitabili: le grammatiche sociali riescono a imporsi come “naturali”,
sono invisibili alla coscienza. Come siamo arrivati a questo punto? Forse
al secondo dopoguerra, quando pur ispirandosi a una umanità giusta,
non si è stati in grado di governare la rottura radicale rispetto al passato,
portando a una interazione tra ideale e reale controproducente, tanto che
le nuove generazioni (quelli intorno al ’68) finirono per predicare il
nuovo e praticare il vecchio. Quell’uomo respirò profondamente la
distruzione e il conflitto inaudito, innescando il desiderio diffuso di
vivere un “nuovo” che nessuno prima aveva avuto modo di
sperimentare, così come l’idea nuova del diritto all’educazione, ritenuta
indispensabile perché ognuno potesse vivere la propria condizione di
uomini. Tutto sembrava possibile, la vita individuale o collettiva,era
qualcosa da costruire, inventare. Erano in gioco in quegli anni, come
oggi, forze immense e fra loro contrarie, che non riuscirono allora e non
riescono oggi,a generare niente di nuovo rispetto alle solite dinamiche
sociali. Non aver avuto allora, e non avere oggi il coraggio di fare tesoro
del passato rompendo col passato stesso per migrare verso orizzonti
nuovi ha trasformato quella che poteva essere una meravigliosa
stagione, in un inverno che ancora ci avvolge. Bisogna riprendere in
mano il filo della storia, che da troppo tempo si è perso, ma che ha
continuato ad andare avanti per conto proprio, priva di progettualità.
Riassumendo, l’occasione storica è rimasta inespressa a causa di: 1) fuga
dalla responsabilità di progettare e ideare il futuro 2) indebolimento
delle nostre capacità di progettazione dovuto al fatto di affrontare una
realtà in continua trasformazione attraverso modelli di riferimento
vecchi 3)una diffusa rassegnazione accompagnata da nostalgie e
resistenze 4) una visione conservativa della vita.
Si deve ricominciare dalla centralità, antropologicamente inedita, della
Ricerca e della Conoscenza. La storia deve aiutarci a prendere coscienza
di questa rivoluzione avvenuta, che sta a noi trasformare da immensa
deriva a fonte inesauribile di energia per i secoli a venire. L’abbandono
di vecchie prospettive dovrebbe far affermare un nuovo scenario con
nuove priorità: bene comune, capitale sociale, cooperazione, economia
sociale, educazione, globalizzazione, legalità, libertà,pace,
partecipazione,sostenibilità, uguaglianza, ecc. La storia che abbiamo
ancora da scrivere, vede la comunicazione trasformarsi da gestione e
amministrazione dell’esistente a strumento insostituibile per conoscere,
progettare, realizzare un futuro che non c’è mai stato: tutta un’altra
storia.
2.4- Memorie in fuga dal futuro
Nel testo, Toschi racconta la sua esperienza di collaboratore con Coop
Toscana dal 1993, che gli consentì di conoscere da vicino il mondo delle
cooperative. In una conferenza tenutasi nel ’93, si discusse su come i
paesi più sviluppati, pochi e avvantaggiati, non si assumano la
responsabilità di fare delle scelte, rinviandole a un domani, che
comunque ci sta venendo incontro -> questo non è comunque tempo di
rinvii, dato che ogni rinuncia a scegliere è pura illusione, giacchè la
rinuncia costituisce di per sé una scelta. I paesi più sviluppati hanno
possibilità immense di progettare il futuro, ma l’impresa appare così
ardua che si resta aggrappati al presente. La paura del nuovo, del
cambiamento, porta a un progressivo impoverimento della nostra
umanità. Ai paesi più poveri va riconosciuta l’immenso valore e il
coraggio della gente che affronta le migrazioni, investendo speranze,
cercando contaminazioni, cercando il futuro e va riconosciuto anche che
recepiscono il peggio della nostra cultura quando si escludono, o tentano
di annientarci, isolandosi in nicchie. La causa della paura diffusa sta
nella scelta compiuta di voler relegare alla marginalità e alla
clandestinità le risorse che affiorano dal futuro. Non riusciamo cioè a
leggere nelle emergenze le ragioni di quel nuovo umanesimo che
cerchiamo. Abbiamo paura perché migliaia di anni di storia sembrano
aver perso il loro significato.
2.5– Il pianeta comunicazione
Un aspetto essenziale della comunicazione è quello della possibilità-
scelta critica di mettere in collegamento, oppure scollegare, elementi
macro e micro della nostra realtà materiale e simbolica e così facendo
trasformarla, crearla, cancellarla diventa nodale nella contemporaneità il
problema dei rapporti tra passato, presente e futuro: l’uomo nell’unire e
dividere si trova a creare sistemi che non ha mai incontrato nel passato.
E’ cioè chiamato a sostituirsi sempre più alla natura. Eppure nonostante
questo processo generativo della comunicazione, la cultura resta sempre
quella, conservativa. Il paradosso vede scontrarsi quotidianamente due
forze contrapposte: 1)tecnologie che potrebbero collegare tutto e tutti e
che collegano incessantemente uomini e cose generando nuove realtà
(gli aeri uniscono le culture ad esempio); ne scaturiscono sistemi la cui
gestione appare sempre più difficile perché priva di riferimenti al
passato. 2)quella di una cultura quotidiana della comunicazione che
pone moltissime resistenze a ogni tentativo di ibridazione, integrazione,
mescolanza,e ad ogni processo generativo di persone o cose
radicalmente nuove (il rinascere delle classi sociali ad esempio, o di
qualsiasi progetto che non sia prodotto, o effetto di variabili dipendenti
dallo stesso, bensì parti attive, creative. Due continenti che si stanno
scontrando, quello delle potenzialità della comunicazione e quello
dell’uso effettivo che se ne fa, ancora succube di modelli superati -> da
questa deriva sta emergendo un nuovo territorio, un mondo che pare
abbandonato a sé. Va urgentemente compreso che ragionare con vecchi
paradigmi non frena l’avanzata del nuovo: negare la storia non ha mai
fermato la storia, l’ha solo resa più disumana e crudele. Un’abdicazione
alla creatività e alla progettazione spinge le tecnologie, e tutti gli altri
sistemi che abbiamo realizzato, a svilupparsi senza obiettivi predefiniti e
scelte precise. Il che ci obbliga a intervenire sempre in ritardo. Il
proliferare di parole nuove, che evocano idee ottime, che però risuonano
provvisorie, vaghe, indefinite; le parole, come sempre nella storia della
rete, sono di grandissima suggestione ed evocano scenari futuri
auspicabilissimi.. alta cosa è quello che poi avviene in questa rete, e in
questa società. Le aziende dovrebbero tener presente il valore della
socialità, della condivisione e cooperazione fra le persone, della
partecipazione di tutta la comunità aziendale alla creazione di contenuti
condivisi (vedi in rete enterprice 2.0); Insomma creazione e gestione
della conoscenza come identità d’impresa: se alle parole
corrispondessero i fatti il mondo delle cooperative potrebbe diventare un
punto di riferimento per l’intera organizzazione sociale. I linguaggi, la
letteratura e le arti, i prodotti culturali possono ora andare oltre la loro
funzione storica di formazione e indirizzo delle menti e delle coscienze,
per trasformarsi in uno strumento collettivo di ideazione, progettazione,
sviluppo e monitoraggio della realtà stessa. Siamo entrati in un’epoca in
cui immaginario e utopia possono offrirsi come eccezionali strumenti
con cui dare vita al nuovo umanesimo. Le terre che stanno emergendo
dalla deriva, sono non solo inesplorate, ma nuove: per questo non ci
saranno di grande utilità le mappe e le cartine di sempre -> le
grammatiche di quelle terre sono diverse da quelle che pure le hanno
generate.
2.6– Non la, ma le comunicazioni
Toschi racconta come nel 1995 l’allora Coop Toscana Lazio gli
comunicò che intendeva avviare una ricerca sull’ Information
communication tecnology, su come i new media avrebbero potuto
contribuire a creare un ponte tra la memoria della cooperativa e la sua
storia futura, e di come questa attività fosse stata a suo avviso un segno
distintivo rispetto allo scenario sociale ed economico che si stava
delineando: si sentiva il bisogno di dare corpo a una nuova forma di
comunicazione -> dall’area soci a quella commericiale. La
comunicazione, cosi come oggi si è affermata, contribuisce
notevolmente alla crisi, perché da risorsa enorme quel potenzialmente è,
viene usata in maniera così errata da trasformarsi in veleno. La
posizione della cooperativa era assai divergente rispetto a quanto stava
accadendo nelle varie organizzazioni interessate ai nuovi media: la
divergenza stava nel fatto di voler studiare una forma di comunicazione
da collocarsi soprattutto dentro “il prodotto”, e non solo da intendersi
come comunicazione del “prodotto” (per prodotto si intende qualsiasi
cosa, servizi compresi). L’idea era quella di allargare la prospettiva che
in quegli anni si stava facendo strada, di potenziare la centralità del
socio-utente, di un coinvolgimento sempre maggiore nella definizione e
realizzazione dell’indirizzo strategico da dare alla comunità cooperante.
Era essenziale che la comunità diventasse sempre meno comunità di
prodotti e sempre più comunità di benefici, creando una fidelizzazione
più ampia possibile. L’obiettivo era quello di passare da una linearità a
una circolarità del rapporto tra innovazione, produzione,
commercializzazione, uso, mosso dalla centralità della conoscenza e
dell’educazione/formazione. Informare l’utenza, creare un sistema di
comunicazione tale da permettere di educarsi-esprimersi, ma non in
maniera superficiale, contingente. La comunicazione dunque come parte
integrante del ciclo vitale dei prodotti, dalla loro ideazione alla pressa di
possesso degli stessi. Il problema è che oggi la comunicazione continua
a essere praticata sulla base unicamente di modelli di tipo fortemente
gerarchico-trasmissivo-imitativo (GTI), anche se la veste appare mutata,
basti pensare ai social network e alle strategie di personalizzazione di
massa che caratterizzano il web. La soluzione infatti non può essere
tecnologica, ma a livello culturale, di cambiamento della knowledge
society: la libertà deve coniugarsi con conoscenza, che deve essere di
alto profilo per tutti, favorendo la politica della partecipazione,
denunciando la tendenza dominante a favorire una omogeneizzazione
delle culture, interpretata come tendenza ad abbassare il livello culturale,
il senso critico dei soggetti coinvolti. (se la gente è stata educata in
questo modo, si fa facilmente suggestionare,è maggiormente
manipolabile e a livello socio-economico ciò viene usato per
raggiungere obiettivi che possono essere giusti o no) Per questo la
comunicazione è uno strumento professionale, che può essere usato bene
o male, ma aldilà dei contenuti che trasmette. La comunicazione non
può essere espressione ed esprimere culture, valori e obiettivi diversi fra
loro e conflittuali. Si deve parlare non di comunicazione, ma di
comunicazioni al plurale, perché esistono tante comunicazioni quante
sono le visioni etiche, politiche,economiche del vivere sociale. Ogni
comunicazione, proprio perché diversa dalle altre, concorre a rafforzare
un tipo di società. Anzi, la comunicazione è il primo contenuto, perché
indica il modello socio-economico che vuole esprimere e che intende
sviluppare. Nell’organizzazione del lavoro, il lavoratore è
inevitabilmente inserito nel circuito di ricerca, formazione, conoscenza,
produzione commercializzazione ecc. ma non basta predicare la
partecipazione dei lavoratori perche questo accada. C’è bisogno di una
cultura dell’impresa, e più in generale del lavoro: in questo il contributo
della cooperativa può essere fondamentale, purchè le cooperative per
prima ne acquisiscano la consapevolezza. La comunicazione è posta
essenzialmente a valle del processo produttivo, serve cioè a far
conoscere il prodotto; raramente viene vista la possibilità di far
conoscere tramite il prodotto, come uno strumento di conoscenza sia per
chi produce che per chi usa.
2.7– Comunicazione identitaria
Una lezione in classe o un telegiornale alla tv hanno lo stesso modello
comunicativo: una persona trasmette la verità e gli altri ascoltano, e
cercano di riprodurla. La rete permette di personalizzare il percorso in-
formativo (riguardando filmati, tg ecc.) La comprensione è migliore in
chi è capace di assimilare i dati e di ritrasmetterli a sua volta in un
passaparola efficacissimo. Questo meccanismo trasmissivo, anche se
presentato in modalità interattiva e personalizzata, è il modello a cui si
ispira la comunicazione formativa assolutamente insufficiente e
fuorviante per gli obiettivi educativi che abbiamo avanti. Anziché usare
le propria intelligenza per comprendere e analizzare le cose, il ricevente
sii riduce a usarla per fare propria la visione della realtà fornita da chi
detiene il controllo dei processi comunicativi. -> la dimensione
amministrativa dell’esistenza domina su quella critico-generativa. Il
controllo della comunicazione viene esercitato sia attraverso gli
hardwere che con i softwere: il predominio economico si sta spostando
sempre più verso il territorio dei linguaggi, lo knowere. Chi controlla
questi ultimi non avrà alcuna difficoltà ad avere il predominio sul
business. Disseminandolo giorno dopo giorno in ogni contesto, si riesce
a rendere generale una tendenza, un atteggiamento, una forma mentis.
La comunicazione vincente dunque, mira al consolidamento degli
equilibri economico-politici di sempre, senza poterne discutere il senso.
Questa società affida alla comunicazione il compito di rafforzare
l’esistente: la scuola è il primo medium fra i media a diffondere questo
tipo di comunicazione. L’illusione di poter rispondere a un salto di
paradigma facendo riferimento a un modello comunicativo vecchio
emerge in tutte le pratiche quotidiane a livello politico ed economico.
Questa comunicazione e questa società non sono le uniche possibili, per
questo si deve parlare di comunicazioni al plurale: la comunicazione può
avere tante forme, ognuna di esse è fatta di progetti, strumenti e
comportamenti che condiziona strutturalmente la realtà in cui opera. La
comunicazione inizia a generare società prima di esprimersi attraverso
contenuti testuali, ma con i contenuti matrice (la grammatica) dandone
poi la chiave interpretative (script)..meno individuabili ma potentissimi!
La comunicazione è come la costituzione di una nazione, la carta su cui
si costituisce e costruisce la società che decide di sottoscriverla. La
comunicazione è come il dna, ha iscritto in sé i propri fini. Per la cultura
cooperativa ad esempio, raggiungere la pubblica opinione non significa
dover usare i mezzi e le strategie vincenti. Può essere assai più efficace
cercare di rafforzare la propria comunicazione anziché seguirne una che
penalizza tutti i valori in cui la cooperativa crede, col rischio di
degenerare e snaturare la propria mission. La cooperativa è nella misura
in cui si partecipa alla mission: al di fuori di ciò non c’è cooperativa. La
stessa leadership in una cooperativa dovrebbe emergere dall’attività
concreta (ciò sarebbe l’ideale anche nelle organizzazioni a scopo di
lucro). Leader non si nasce, per questo gli opinion leader, le celebrità
come testimonial sarebbero da valutare con cautela nella comunicazione
cooperativa.
2.8– Un modello cooperativo di comunicazione
Se quindi la cooperativa nel suo fare comunicazione contraddice la sua
“ragione” sociale ispiratrice, finirà per indebolire la propria identità
sociale fino a metterne in discussione la sopravvivenza, perché senza
una bandiera in cui riconoscersi e un progetto da interpretare. Creare e
gestire conoscenza diventa la scelta fondamentale per ogni ente, a
maggior ragione in una cooperativa: la comunicazione cooperativa è il
miglior modo per farlo, per dialogare con le altre comunicazioni. -> il
modello dominante di comunicazione è lontanissimo da una funzione
del genere, ne è una prova l’insanabile separatezza tra comunicazione
esterna e interna, ancora più aggravata dall’uso delle ICT inserite in un
sistema strutturalmente vecchio. Dividere forma e contenuto,
comunicazione e produzione è stato il grave errore in cui è cresciuta la
nostra debole società e ancor più debole economia. La buona
comunicazione sta dentro i prodotti, cioè prima di tutto dentro il
prodotto matrice, che è a monte di tutta la produzione, cioè dentro
l’identità sociale dell’impresa, dell’organizzazione, dell’identità sociale
di cui si sta parlando. -> comunicazione nel prodotto, anziché del
prodotto. Accanto all’impresa orientata al profitto c’è bisogno di
organizzazioni produttive che perseguono fini sociali. L’economia infatti
non è eticamente neutrale, per questo deve essere orientata
“eticamente” (Ben. 16°). Occorre la consapevolezza che acquistare è
sempre un atto morale, oltre che economico e c’è una responsabilità
sociale del consumatore. La comunicazione è importante in questo
processo -> è necessario passare dal marketing dei prodotti al marketing
dei progetti sociali. Deve essere chiaro che questa prospettiva di
cambiamento è contraria al modello consumistico della società, il che
significa che si devono gettare le basi per una economia differente, dove
il benessere non si identifichi necessariamente con il potere d’acquisto.
Si può cominciare ad esempio dal rapporto con i beni di consumo,
esigendo non più prodotti a scatola chiusa, ma la partecipazione alla loro
scelta, ideazione e produzione. -> abbandonare cioè il vecchio
paradigma, quello del desiderio imposto, legato a strategie definite da
altri, per inventarne uno nuovo dove desiderare significa creare,
realizzare in prima persona. Il chè è naturalmente difficilissimo: ricerche
recenti confermano che l’uomo vive in un racconto mediale che lo
abbandono fisicamente solo per poche ore al giorno, e non mentalmente.
Per non parlare dell’infanzia, dove la pubblicità impone ai bambini
modelli di comportamento interiori ed esteriori che educano a pensare
che se compri sei felice. La storia ci insegna che per dominare una
società è necessario controllare le sue storie -> la mondializzazione è
infatti prima di tutto l’imposizione di un’unica narrazione della realtà.
La comunicazione gerarchica, trasmissiva, imitativa genera
incessantemente realtà che trascinano l’uomo lontano dalla ricerca del
senso profondo dell’umanità: una libertà creatrice. La cultura
cooperativa deve credere ed essere consapevole del suo modello
originale di comunicazione, credere nel suo processo sociale.
• CAP 3. La deriva comunicativa. Verso un modello generativo
della comunicazione
3.1 – Per orientarsi nella lettura
Uno degli script dominanti nella nostra cultura è quello che ci sollecita a
provare, ad andare per tentativi, iniziando subito senza porsi domande
perché ci si impossesserà del meccanismo e del suo funzionamento
provandolo. Questo avviene anche con alcune espressioni. “Deriva” è
una parola oggi usatissima ed evoca “andare alla deriva”, cioè essere
spinti fuori rotta da una forza incontrollabile. In effetti la potenza
raggiunta dalla comunicazione negli ultimi anni è incredibile –> l’uomo
non ha mai avuto a disposizione una energia simile nella sua storia: le
ingegnerie delle tecnologie, con i loro processi automatizzati, giocano
un ruolo fondamentale in tutto questo, ma allo stesso tempo possono
generare eventi inattesi e fuori dal nostro controllo: per questo è
necessario progettare, programmare e pianificare , La rinuncia a questo
nella nostra società, che è immersa in processi veloci e incessantemente
generativi, è un atteggiamento pericoloso. Questa rinuncia può essere sia
frutto di una debole cultura del progetto, sia un’arma usata da chi vuole
raggiungere profitti personali. Bisogna assumersi la responsabilità e
decidere cosa fare di questa energia immensa che ci viene fornita dalla
comunicazione, e raggiungere obiettivi fin ora inimmaginabili: decidere
se trasformarla in un potente motore di ricerca e conoscenza oppure
abbandonarsi all’esistente fiume in piena.
Schema per orientarsi nel fenomeno della comunicazione generativa:
ELEMENTI: grammatiche/relazioni/testi
DINAMICHE DEGLI ELEMENTI: interazione degli elementi/processo
pseudo-spilariforme del sistema/convergenza fra gli elementi
DINAMICHE DEI SISTEMI: salto di sistema/era sistematica
Grammatiche e testi interagiscono ininterrottamente in base alle
relazioni che si stabiliscono: ad esempio i testi possono dominare sulle
grammatiche e questo darà un tipo di relazione, le grammatiche sui testi
ne darà un altro genere. Quindi come esistono diversi tipi di
grammatiche e testi, esistono anche differenti tipi di relazioni, che
possono essere ad esempio di reciproco influsso. La modalità di
sviluppo del sistema è un processo generativo continuo, almeno fino al
salto di sistema, che avviene quando questo non riesce più a interpretare
le trasformazioni all’interno delle proprie caratteristiche identitarie. Il
nuovo è sempre altro dagli elementi che l’hanno generato, per questo la
continuità va ricercata in quella di sistema. Tra le grammatiche, i testi e
le relazioni, va registrato un movimento pseudo-spiraliforme continuo,
che li porta a confondersi progressivamente gli uni con gli altri, in una
specie di entropia. L’entropia contribuisce alla morte di un’era sistemica
e alla nascita di un’altra. Il sistema presenta 3 forze: 1)il divenire del
sistema dalla nascita alla morte 2)gli elementi che interagiscono
3)l’evoluzione di questa interazione che porta alla convergenza degli
stessi , fino al collasso dell’intero sistema (collasso che genera una
nuova matrice). La svolta epocale che stiamo vivendo sta accelerando
verso un salto di sistema, per questo sono importanti le scelte che
faremo per il futuro dell’umanità. (VEDI FIGURE)
3.2- Ma è una vera comunicazione?
Il concetto “comunicazione” è oggi diventato diffusissimo: tutti
vogliono comunicare. Nel mondo di oggi ciò che non è comunicato non
esiste. In una società come la nostra, basata sull’apparenza e
l’immagine, la comunicazione è strumento di persuasione (ciò vale in
tutti i settori, politica, economia, cultura ecc). E’ comunque una parola il
cui significato è in continua trasformazione, è cambiata e cambierà nel
corso del tempo ed esiste al di là dei mass media o delle apparecchiature
tecnologiche. Si tratta infatti di un processo che: tramite precise
grammatiche, elabora la realtà nella sua complessità, creando testi,
coinvolgendo oggetti e soggetti in una riscrittura globale e totale
dell’esistente, ma così facendo mette alla prova e ridefinisce
continuamente sé stesso, comprese le relazioni fra grammatiche e testi.
Questa logica generativa coinvolge tutti e tre gli elementi, che tendono
alla convergenza che porterà il sistema alla massima affermazione di sé
e successivamente verso il definitivo collasso . L’avvento dei nuovi
media ha avuto ed ha in tutto questo un ruolo fondamentale. Perché?
3.3- La comunicazione e l’alfabeto dei Villani
Il fatto davvero epocale è che l’uomo per la prima volta nella sua storia
si trova in condizioni di poter “scrivere”, trasformare la propria realtà
come mai era avvenuto prima. Inevitabili le gravissime questioni etiche
e morali causate da questa svolta. Cos’è questa forza mai vista capace di
unire e dividere? Riguarda la stessa ingegneria della realtà, l’architettura
del reale che fino a pochi decenni fa era ritenuta immutabile,
sovraumana, comincia ad essere vista come un testo da scrivere, non
solo da riprodurre. A livello macro ad esempio, l’azione dell’uomo sta
provocando effetti sugli equilibri ecologici (si pensi allo scioglimento
dei ghiacciai, o alla trasformazione dei ceppi virali in seguito alla
mobilità che caratterizza sempre più la razza umana). A livello micro,
ma con una devastante capacità di penetrazione e difficilmente
reversibile, l’uomo da semplice copista di codice ha iniziato a rendersi
conto di poterne essere l’autore, quanto e come sta a lui scegliere, ma la
scelta è improrogabile: è come un treno in corsa dal quale non si può
scendere. Per esempio l’ambiente terra è già mutato, non fosse altro per
la crescita demografica che sta raggiungendo numeri che il vecchio
pianeta non può sostenere! Abbiamo la speranza di scegliere come
indirizzare il cambiamento. Il flusso comunicativo mondiale impatta
contro le vecchie grammatiche del reale, indebolendole. La loro
inadeguatezza risulta chiara in qualsiasi attività umana: l’esperienza
quotidiana grida al cambiamento -> uno scenario storicamente inedito e
rivoluzionario. Il divario tra ricchi (possidenti) e poveri (posseduti) è
sempre maggiore, influenti e influenzati, “signori” e “villani”: è sempre
più abnorme il divario soco-economico fra i due gruppi sociali.
Nonostante oggi abbiano possibilità mai offerte prima di “scrivere” la
realtà, l’alfabeto dei villani è poverissimo, la loro conoscenza della
scrittura e lettura sociale è sempre più debole. La qualità dei loro testi,
seppure resa numericamente immensa dalla rete, presenta qualità da
villani e non da signori. Gli strumenti facilitatori infatti li illudono di
essere liberi e creativi. In questo modo li controllano, gli fanno credere
di essere Signori (ma senza grammatiche). Quanto sta accadendo può
portare a due soluzioni opposte: 1) un progressivo e accelerato
impoverimento dell’umanità, a tutti livelli (Signori e Villani) 2) si
rimette al centro il valore della persona umana (che è altro dalla
personalizzazione). Se vogliamo capire il tipo di cambiamento che sta
avvenendo dobbiamo puntare dritti alle grammatiche, e non solo,
bisogna andare al senso più profondo delle relazioni che garantiscono il
rapporto fra grammatiche e testi. Le relazioni sono il terzo soggetto del
sistema, in questo momento il più importante. Testi, grammatiche e
relazioni caratterizzano l’identità del sistema, se cambia uno dei tre
cambiano necessariamente anche gli altri due. Il modello teorico del
feedback può aiutarci a capire il fenomeno a cui stiamo assistendo, la
nascita di un nuovo sistema. (fenomeno rarissimo). Feedback=ritorno di
infrmazione. Può essere di due tipi: negativo –> il sistema è
omeostatico, si nega la possibilità di grosse variazioni che possano
pregiudicarne l’identità, e positivo -> favoriscono il cambiamento del
sistema. Le informazioni dunque sollecitano il sistema in direzione di
una profonda trasformazione. L’errore di oggi quello di rapportarsi alla
realtà come se fosse un sistema omeostatico (continuità identitaria), ma
ci si trova davanti a cambiamenti caratterizzati da meccanismi
comunicativi improntati a feedback positivi. Il cambiamento è certo, non
lo è la sua qualità, che sarà gran parte il risultato delle nostre scelte. Il
processo di cambiamento in ogni modo, travolgerà tutti gli assetti, anche
quelli di potere.
3.4- Liaisons dangereuses: digitali e non
Internet non contribuisce solo a orientare e costruire il cambiamento, ne
è prima di tutto espressione. La comunicazione può avere un “paradigma
informazionale” -> connesso al concetto di diffusione/trasmissione di
informazioni/significati e un “paradigma relazionale”, legami orientati
alla costruzione/condivisione di senso. Una comunicazione di tipo
generativo supera la divisione tra paradigma informazionale
(trasmissione) e relazionale (costruzione) perché genera continuamente
nuovi soggetti, identità, persone, spazi, mondi. Tale modello generativo
è destinato progressivamente a diventare conflittuale col sistema
dominante, tanto che quest’ultimo reagisce cercando di trasformarla in
un processo “informativo” mirato cioè a ribadire ciò che è stato, che è e
che sarà. Il mondo della comunicazione aspetta di essere costruito,
prodotto non solo riprodotto, con libertà e consapevolezza che le nostre
scelte sono alla base di tutto. E’ importante che sia chiaro che la
comunicazione è un processo che caratterizza un sistema aperto, non
chiuso come da visione tradizionale, che, collegando identità diverse,
crea identità nuove e sempre interconnesse. L’importanza del digitale sta
nella sua inedita paradigmaticità: da una parte rappresenta il nuovo
(metaforicamente con la propria connettività) e dall’altra lo realizza
direttamente. La crescente possibilità di collegare tutto e tutti porta a
creare conflittualità. E’ il caso dei testi multimediali, spesso
incompatibili con le grammatiche e i processi preesistenti. La
comunicazione porta a turbare equilibri tradizionali.. che poi si faccia
finta che questo non accada è una delle cause dell’attuale crisi socio-
economica. Lo scontro si manifesta prima di tutto all’interno della
comunicazione stessa, nella contrapposizione tra visione “analogica” (le
vecchie cose buone di una volta) e visione “digitale” (area elettronica,
informatica) attorno alla quale si tende a far nuotare il senso stesso
dell’innovazione.
3.5- Digitale, nonostante tutto
Davanti alla crescita esponenziale del digitale, si è pensato di definire
tutto ciò che ancora non è digitale “analogico”. La struttura analogica
costruisce relazioni in base a corrisponderete, affinità..la misura che le si
addice di più è la continuità, linearità, sequenzialità. Il digitale
viceversa, ha la tendenza a segmentare, fondere cose che la
consuetudine ci ha consegnato come divise: è il risultato di un universale
processo culturale di digitalizzazione naturale della realtà; unire ciò che
da sempre era diviso, collegare e scollegare idee, cose, persone. Il
digitale da un importante contributo al salto di sistema che la
comunicazione sta realizzando -> l’acquisizione a livello culturale del
fatto che l’umanità ha la possibilità di collegare e scollegare tutto, che
ciò può essere fatto in un modo o in un altro, che si può percorrere una
strada in un modo o in un altro, seguendo sentieri tradizionali o non, ma
pur sempre frutto di inesorabili scelte! Nessuna neutralità o rinvio è
possibile.
3.6- Progettazione creativa
Il clima in cui siamo immersi è paradossale. Il rapporto che l’uomo sta
vivendo con le sue possibilità e potenzialità è assai oscuro. Ad esempio
nel marketing delle ICT: si vende con la tecnologia la possibilità di
immaginare, pensare, di fare cose fin poco tempo prima inconcepibili..
ma allo stesso tempo si cerca di farle immaginare come se il mondo non
fosse cambiato. Accanto alla rivoluzione in atto si fa di tutto per
rassicurare che tutto cambierà nella più assoluta continuità, perché le
ICT sono semplificazioni, agevolazioni. C’è una facilità d’approccio alla
complessità: la tecnologia ti porta in un altro mondo senza che tu debba
fare alcuna fatica, oltre a quella di comprare ovviamente. Da qui la
convergenza mediale: tutto in un solo strumento (ad es. cellulari).
L’effetto che si vuole ottenere è quello di diffondere l’idea che il
linguaggio delle nuove tecnologie rappresenta il passo in avanti e che la
complessità sia di per sé un valore negativo, soprattutto nella
comunicazione (rumore): è sempre proposta come sinonimo di
complicazione. Emerge che la semplicità debba essere una condizione
preesistente, a monte, non il punto di arrivo di un faticoso e complesso
percorso. Lo scopo strategico è quello di proporre una grammatica del
nuovo, con i suoi testi e relazioni, tale da poter azzerare il radicale salto
di sistema in corso. Anche se queste forze sono vincenti, perché
inducono a ritenere che tutto cambi perché niente cambi veramente,
ottengono una falsa vittoria perché non possono fermare ciò che sta
accadendo La lettura conservativa del nuovo che avanza cioè, agisce,
ma non può evitare il salto sistemico che è in corso. Purtroppo segna
pesantemente la sua fisionomia e i relativi contenuti, ne influenza la
direzione e la natura. L’idea di “novità” continua a riferirsi al precedente
linguaggio/sistema e la maggior difficoltà sta proprio nel fatto che è
impossibile cogliere ogni novità dal semplice confronto con ciò che
preesisteva. C’è impossibilità di cogliere la vera novità; occorre
abbandonare tante vecchie e comode dictomie, magari rivisitate. Il
digitale/virtuale è anche res (tutto ciò che ha un’esistenza effettiva, sia
esso inanimato o animato): una dimensione che ha una sua fisicità e
permette di elaborare, immaginare fuori da noi, in comune con gli altri,
quello che prima si poteva figurare solo nella mente -> un immaginario
condiviso e collaborativo, che è andato oltre lo storico rapporto tra
organico e inorganico, che potrebbe essere sfruttato come strumento di
ricerca sulle res che non ci sono ma che potrebbero esserci. La cultura
dell’innovazione e della ricerca gioverebbe molto da questa cultura della
progettazione creativa, che non sarebbe più limitata alla sola fase di
progettazione del prodotto, ma si identificherebbe con l’essenza stessa
del prodotto. Il prodotto servirebbe da usare per precisi scopi pratici e
per valutare i risultati ottenuti al fine di progettare oggetti nuovi e più
efficaci: da fine il prodotto diventerebbe mezzo per conoscere e
orientare la realtà. La circolarità evolutiva, spirale (garantita dalla
comunicazione) del processo, partirebbe dal progetto per far ritorno al
progetto stesso, quest’ultimo finalmente liberato dall’idea di dover
essere semplicemente il punto di partenza. Sarebbe quindi un grave
errore pensare che l’affermazione del virtuale significhi l’avvento di una
realtà lontana dalla dimensione materiale e fisica! -> l’impegno che si ha
davanti sta nel ripensare radicalmente il rapporto tra res e immaginario,
andando oltre le grammatiche, i testi e le relazioni che fino ad oggi lo
hanno definito.
3.7- Il digitale, internet compresa, va in bicicletta
Intanto però analogico e digitale continuano ad indicare due modi di
progettare relazioni, collegamenti, unioni, molto diversi. -> l’analogico
(da analogia) fa riferimento a regole di simmetria e uguaglianza, è
dunque una forza normalizzante che permette di contenere ogni spinta
arbitraria, con chiari effetti livellanti. Rinvia a un mondo chiuso, ad una
grammatica che rafforza gli schemi noti, sperimentati, senza mettere in
discussione la sua identità sistemica. Il digitale invece, sembra
presentare caratteristiche totalmente differenti, promettendosi di porsi
come forza non interna al sistema. E’ improntato a una lettura della
realtà discontinua, piena di salti e vuoti fra un elemento ed un altro,
senza passaggi graduali (es. ororlogio a/d). Il digitale permette quindi di
creare collegamenti senza bisogno di continuità spaziale e temporale: la
connettività globale è la caratteristica che meglio ne riassume la natura
permette di unire e dividere ciò che l’analogico ancora non può. Il
digitale è quindi maggiormente comunicativo rispetto all’analogico?
L’immaginazione è sempre stata considerata come qualcosa che portasse
lontano dalla conoscenza; ancora oggi la dimensione conoscitiva
dell’immaginazione continua ad essere negata. Il digitale ha
caratteristiche per cui riesce a trasformare le idee in scrittura, immagini,
suoni: l’immaginario digitale è res a tutti gli effetti, riesce cioè a uscire
da sé stesso dando vita ad altro. Soprattutto nelle applicazioni aziendali
si pensi al CAD, CAM, concorrono a definire una dimensione ibridata
che da anni si definisce come Augmented reality, ma che è realtà a tutti
gli effetti. (simulatore militare, presentatore tv in un ambiente digitale,
interventi chirurgici ecc..) Sono applicazioni di grande forza e
suggestione, dove il senso di novità ha contribuito a diffondere la
convinzione che il bit sia in grado di sviluppare una specie di mondo
parallelo. Quello che per molti è motivo di fascino per altri è motivo di
allarme: il virtuale come fuga dal concreto o come strumento di
supremazia delle classi forti su quelle deboli. In ogni caso si parte
sempre da una divisione netta del digitale dal non-digitale. E’ necessario
invece concepire la realtà in termini digitali, andare cioè oltre la visione
del digitale “informatico” e trovare la forza di tornare al digitale
“naturale”, cioè intervenire sulla realtà tutta. (assumere una prospettiva
ecologica del digitale=naturale) Solo così si potrà valorizzare il digitale
“informatico”, che in questo modo potrà dare un contributo
insostituibile, con le forti potenzialità di cui è portatore, a costruire la
realtà. Le cose però non stanno andando in questa direzione e il digitale
informatico sta incontrando molte difficoltà nella sua testualità specifica.
L’emergere di questa immane forza della comunicazione sarebbe
riduttiva se si riconducesse solo al digitale informatico, che è si
importante, ma è parte di un fenomeno ben più vasto. La natura
comunicativa della realtà comporta quindi il superamento del consueto
muro contro muro tra oggettivo (res) e soggettivo (immaginario): la
comunicazione con la sua forza generativa svolge una funzione
insostituibile nel creare realtà altrimenti inconcepibili, spingendo
l’immaginario a farsi cose e le cose a farsi immaginario.
3.8- Comunicazione vs comunicatori?
La forza dominante, davanti a tanta trasformazione, sembra essere quella
di impedire, a tutti i costi, che la forza connettiva della comunicazione si
trasformi in energia generativa, creatrice di nuovi mondi.Domina la
versione riproduttiva, preservativa della realtà. Collegamenti,
associazioni, relazioni inedite, stanno creando un mondo possibile che
non riusciamo a immaginare perché imprigionati nell’idea che l’uomo
non deve dividere/unire ciò che Dio/natura hanno separato/collegato. Il
rifiuto di accettare la fase generativa di rivoluzione che stiamo vivendo
rappresenta la crisi davanti alla quale l’uomo resta intimorito, represso,
violento. -> la comunicazione così è diventata comunicazione del già
saputo, dell’ovvio, del banale, ma tranquillizza e/o terrorizza, invece che
smuovere passioni, pensieri, utopie. Se si vuole trarre vantaggio dalla
comunicazione, bisogna accettare che la buona comunicazione sia fatta
anche di addii, abbandoni, conclusioni, e morti. In ogni modo la
comunicazione va avanti, con una sua forza naturale, aldilà dei nostri
comunicatori.
• CAP 4 Scuola di comunicazione
4.1- Non più idee vs cose, ovvero della comunicazione
Nel cambiamento i atto l’insidia sta nel fatto che donne e uomini si
stanno dimenticando che il loro senso della vita gioca sulla possibilità di
esercitare un giudizio critico, una propria scelta. Prima dell’uso delle
tecnologie, questa creatività deve riguardare prima di tutto la loro
progettazione che consiste nella scelta di obiettivi etici e politici per il
futuro. La domanda non dovrebbe essere “A cosa potrebbe servirmi un
computer”… ma “a cosa mi deve servire un computer” (un’auto, una
casa, la scuola, ecc..) Il progetto deve rimandare a una precisa visione
della realtà, a una sua grammatica, tenendo conto del suo futuro
implicito (infuturarsi). L’idea dominante che abbiamo della grammatica
della tecnologia è vecchia. In questo la comunicazione, come terra di
mezzo tra i due continenti (vecchio e nuovo) svolge un ruolo
fondamentale, specie nella scuola.
4.2- Scuola di comunicazione
La scuola è l’ambiente di comunicazione per eccellenza -> la
comunicazione è un meta curriculum che ci accompagna per tutta la
vita, fuori e dentro i processi formativi. Il fatto che non ci sia una
materia specifica è la conferma della natura trasversale,
interdisciplinare, di quale centralità abbia raggiunto. La comunicazione
efficace è come il potere: tanto più è forte tanto più è inavvertita, perché
è il tempo, è lo spazio ed è il contenuto. La comunicazione dovrebbe
essere la struttura portante di una dimensione di ricerca continua, essere
generativa di saperi! E’ importante una cultura della domanda, per far
costruire negli allievi un clima di dialogo aperto. La comunicazione
formativa nelle scuole opera incessantemente in direzione contraria,
consolidando il modello trasmissivo (dall’adulto al giovane) e quello
relazionale (buon clima interpersonale).Quasi del tutto ignorato il
processo generativo, che va oltre la gestione della conoscenza, e che
tende a sostenere la creazione di una nuova conoscenza, adeguata ai
tempi che cambiano. La scuola quindi opera su almeno due fronti:
1)dell’omogeneizzazione dei significati che crea cultura condivisa
2)dell’educazione a cosa è la comunicazione trasmissivo-gerarchica e a
come funziona. Si rifletta sull’omogeneità dei linguaggi curriculari: un
libro di matematica, se non fosse per i segni grafici, per impianto
comunicativo sarebbe uguale a quello di letteratura. Si insegna a cercare
quello che c’è, cosi com’è; non si aiuta gli allievi a fare propri i saperi
per poterli utilizzare in modo critico. La nostra non è una scuola
all’altezza dei tempi che stiamo vivendo, perché replica l’uomo vecchio,
non aiuta a creare l’uomo nuovo. Fra un programma televisivo, una
lezione scolastica, un videogioco, le differenze non sono cosi marcate:
l’impianto comunicativo resta di tipo trasmissivo-gerarchico-emulativo.
Il punto è che la scuola è il persuasore occulto per eccellenza, i suoi
script sono devastanti, essa resta il modello comunicativo a cui tutti si
ispirano, l’intera società tende a porsi come una scuola!! (quale altro
medium si accende tutti i giorni verso le 8 e si spegne quando si va a
dormire?). Il modello trasmissivo-gerarchico-emulativo non permette a
docenti e allievi di esprimere la propria personalità.
4.3- La città a scuola
La scuola è per fortuna ricca di esempi che vanno nella direzione
opposta . Nel testo Toschi descrive la sua esperienza come allievo nella
“scuola città Pestalozzi”, e di aver vissuto un’esperienza comunicativa
fuori dai modelli dominanti. Quella scuola è stata oggetto di studio di
illustri pedagogisti e sociologi. In quella scuola: non si stava seduti
troppo perché per pensare bisognava muoversi, non si avevano libri di
testo ma i libri venivano creati dagli allievi,non si aveva una propria
classe ma si andava in tante classi, se qualcuno taceva voleva dire che
non stava bene perché non esistono spiegazioni senza domande, ecc.
Viceversa, la scuola “Carducci” aveva un modello comunicativo assai
diverso: chi fa domande è perché non ha capito, chi si muove è perché
non sa applicarsi,ecc. Toschi ribadisce che allora chi usciva dalla scuola
Pestalozzi si trovava completamente in un altro mondo, un mondo che
dava alla comunicazione un significato molto diverso da quello
consueto. In quella scuola imparare assomigliava molto a una scoperta,
anche da parte dei docenti; il livello sempre più basso della scuola, la
sua crisi di identità non è l’effetto del venir meno dei contenuti di una
volta, ma dei contenuti che stanno scomparendo perché non sentiamo
più nostre le domande e i progetti da cui questi contenuti erano scaturiti;
perché i contenuti sono figli delle domande che facciamo al mondo. La
conoscenza viene usata come strumento di trasporto e baratto della
stessa, come se fosse una merce. La scuola è un’agenzia politica
potentissima .se solo lo si comprendesse liberandola da ogni intendo
propagandistico! Il comunicare, con i relativi cambiamenti
nell’insegnare e nell’apprendere, deve trovare il coraggio di fare i conti
con una società che sta chiudendo un’epoca e aprendone un’altra -> si
deve elaborare una comunicazione che abbia come obiettivo quello di
generare saperi e competenze adeguate ai tempi che corrono. Si deve
recuperare la centralità dei contenuti, ma non intesi come buoni per tutti
i contesti, ma dei contenuti per la storia che stiamo vivendo: contenuti
ricchi di progetto! La comunicazione è essenziale in questa attività di
ricerca e costruzione del mondo che vogliamo. La società e la cultura
che la esprime devono elaborare la propria fine, capire che il loro valore
si esprime ora nell’abbandonare la loro sopravvivenza a tutti i costi,
contribuendo così al salto di sistema. Nella scuola Pestalozzi la
formazione che si riceveva non era mossa da un’architettura
dell’esistente, ma da un progetto futuro! La metafora “città” stava
proprio nel dare ai ragazzi l’opportunità di progettare; cioè non venivano
negate le grammatiche, ma essendo ritenute inadeguate, si riteneva che
occorreva lavorare sui testi con l’obiettivo strategico di cambiarle e con
esse il tipo di relazione che aveva sempre caratterizzato appunto le
grammatiche e i testi -> in questa riscrittura delle grammatiche e dei
testi e specialmente del tipo di relazione che le legava, stava la svolta
rappresentata da quella piccola comunità fiorentina, la specificità della
sua comunicazione. Se si vuole introdurre l’educazione ai media nella
scuola dunque, sarebbe opportuno iniziare con lo spiegare quanta
comunicazione scolastica ci sia nei media!!
4.4- Nuovi paradigmi
Oggi alla comunicazione così come è utilizzata e interpretata, è affidato
il compito di sostenere la continuità a tutti i costi con i vecchi assetti. A
essa è affidata una funzione essenzialmente conservativa, per cui sembra
aver rinunciato alla sua principale missione, quella di creare un mondo
diversissimo da quello vecchio. Eppure la nostra realtà offre tanto,
moltissimo di diverso dai piani omogeneizzanti.. un divergente che in
quanto tale è strategicamente ignorato, taciuto, ma che comunque resta
molto forte -> un nuovo umanesimo è semplicemente dentro di noi,
nelle cose, e aspetta di emergere strutturalmente, anzi politicamente; Se
ciò non è ancora avvenuto è perché ci sono evidenti contraddizioni nella
cultura del cambiamento, perché molti affermano di volerla seguire ma
poi nei fatti la ostacolano! Occorre una rifondazione sociale che deve
avvenire nella scuola, il luogo per eccellenza dove si incontrano passato,
presente e futuro -> costruire una scuola nuova è il primo passo verso
una società nuova. Per costruire la strada al futuro sarà necessario il
massimo d’intraprendenza individuale o di gruppi inizialmente piccoli,
che riesca a operare al di fuori o contro il flusso storico dominante, nella
condivisione di un piano di valori e ideali a cui ispirarsi. E’ arrivato il
tempo di cambiare tutto. L’attuale, diffusa adesione al divenire continuo
e sempre più accelerato delle cose, senza alcun progetto, si sta rivelando
disastroso (anche per i mercati). Così come è stata intesa fino ad oggi la
comunicazione non puo fare altro che trasmettere e rafforzare le
consuete gerarchie. Se invece parliamo di un’altra comunicazione tutto
cambia in maniera sostanziale -> la buona comunicazione opera su 4
piani: 1) crea cose-idee-cose che progettando un futuro migliore, ne
sono strumenti per attuarlo 2) genera saperi, conoscenza, competenze
adatte al salto di sistema che stiamo vivendo 3) crea una comunità di
cultura differente da quella dominante, dando vita a un tessuto sociale
antropologicamente mutato. Dunque non bisogna temere di creare una
realtà parallela a quella dominante, perché se sarà quella giusta
soppianterà l’altra.
4.5- Etica e Polis.. se vi pare poco
Un movimento, individuale e collettivo, incessante, ci vedrà passare
dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, di un agire di tutti
gli esseri umani. Bisogna trovare il coraggio di uscire dall’esperienza
personale e di confrontarla a livello sempre più ampio per costruire un
nuovo tessuto socio-politico ed economico che sia voluto e saputo. La
comunicazione del piccolo (l’insegnante, il gruppo di studenti, la
singola, classe, la scuola ecc..) acquista una centralità strategica. In
questo la scuola non ha saputo cambiare la propria comunicazione in
funzione di una nuova società, ma ha pensato di salvaguardare i suoi
vecchi privilegi con azioni di restyling; ciò non vuol dire imporre nuove
grammatiche cadute dall’alto o scegliere un altro testo per farne un
paradigma educativo -> Accettare la complessità vuol dire prima di tutto
conoscerla e iniziare a rifletter sul fatto che essa si basa su almeno 4
elementi: le grammatiche, i testi, le relazioni fra grammatiche e testi,
l’ambiente comunicativo espressione della triade precedente e che
distingue ogni epoca. Costruire nuovi contenuti e relativi ambienti, deve
procedere da minoranze, da piccole realtà, che qualora abbiano costruito
una buona comunicazione fra loro, possono dare vita a una forza
generativa di una efficacia inimmaginabile! Si costruirà qualcosa fra
diversi, ma che hanno in comune la definizione di un progetto, ispirati
dalla ricerca di una visione comune dell’uomo che verrà. L’uomo nuovo
infatti sembra aspirare alla condivisione di valori e scelte morali pur
nella diversità delle espressioni individuali e collettive! La scuola nuova
è là dove c’è un maestro, un allievo, ecc.. che credono nel valore e nel
significato di quello che fanno: quello che conta non è di essere in
maggioranza -> la forza di queste micro-realtà è il punto di partenza per
il nostro futuro. Molte persone ne rivelano uno scarso senso di realtà,
perché schiacciate dal peso degli ideali e dei valori..la nuova umanità,
che siamo chiamati a generare, ha bisogno proprio di ideali, valori e
politiche, ma operative e concrete, del fare quotidiano. Il progresso è
quando dove si decide che sia, perché se riusciamo a viverlo allora già
c’è! Perché la comunicazione possa essere , in questa futura polis
divergente, sempre più generativa è necessario che si liberi al più presto
dell’idea di rivoluzione che per scaturire prima deve distruggere e
abbandonare l’idea che considera ogni sistema gradualmente
migliorabile; Il vecchio sistema resiste solo perché quello nuovo non si è
ancora emancipato da una specie di sudditanza filiale -> come nel caso
della scuola, il nuovo dovrà semplicemente scontrarsi sul piano della
realtà delle cose, fattivamente, senza cercare di essere legittimato dal
sistema che intende cambiare, dando vita giorno dopo giorno a una
nuova scuola e accettando la conflittualità che verrà fuori
inevitabilmente. Nella scuola l’insegnante deve assumersi la
responsabilità di dare una sua visione delle cose, comunicare il suo
bagaglio di conoscenze, ma al tempo stesso porsi verso gli allievi in
maniera da sollecitare una ricerca autonoma (il ruolo attivo degli
studenti va misurato sulla base di quanto e come il docente “rischia” il
loro giudizio) -> certamente questo non è in linea con quanto sta
succedendo nella scuola e nell’università negli ultimi decenni; il
modello pseudo-imprenditoriale dello “studente=cliente” porta in
direzione opposta. Il docente, temendo il disappunto e la
contrapposizione dei propri allievi, non agevola in questi
l’atteggiamento vitale del costruirsi una loro cultura, una loro società,
una loro personalità, su solide basi. Pessime leggi, modesti curricula
professionali, compensi avvilenti, hanno ormai spinto la classe docente,
sempre di minor prestigio e funzione sociale, a rinunciare al suo ruolo
fondamentale: il ruolo cre-attivo, di maestro, guida, diventando insicuro
circa le propria identità e preparazione. Questa tendenza all’invisibilità
della classe docente è stata robustamente sostenuta d politiche di anni!
Ciò ha causato negli studenti una perdita di fiducia e un atteggiamento
di disinteresse e sufficienza verso i propri docenti, con la conseguente
caduta libera dei risultati ottenuti. A scuola e poi nella società!

4.6- Praticità, concretezza e altri luoghi comuni


Molti docenti sensibili ai bisogni di rinnovamento della scuola, in cerca
di riqualificazione professionale hanno vissuto un interesse verso le ICT
come se fosse stato inaccettabile ignorarle. Si è rafforzata l’idea
fuorviante di un non-diritto a valutare le tecnologie, concentrando tutte
le capacità sull’utilizzo di procedure cognitivo-meccaniche -> questa è
una posizione tipica di “consumatori” piuttosto che di “ideatori”, che ha
contribuito a diffondere l’idea che l’innovazione venga dall’esterno, e
possibilmente a pagamento (=garanzia); si sono affermati numerosi
luoghi comuni anche nelle scuole, ad es. che lo studio è un fatto
individuale, l’innovazione scolastica passa dalla tecnologia, la Rete è il
miglior modo di comunicare e socializzare, che i giovani conoscono i
linguaggi delle tecnologie meglio degli insegnanti, da cui non hanno
nulla da imparare provocando imbarazzo a questi ultimi), i bambini
sembrano naturalmente portati alle tecnologie, ecc. Questi luoghi
comuni possono essere più o meno veri, ma ognuno di essi agisce sulla
fase di ripensamento della scuola.La mancata progettazione a livello
generale dell’uso delle nuove tecnologie ha rafforzato l’idea (specie con
internet) che queste potessero risolvere miracolosamente i problemi
senza dover rimettere in discussione il modello comunicativo della
nostra società, negando alla comunicazione la funzione essenziale di
creare, sviluppare e monitorare in tutti i settori sociali. Il digitale
informatico è stato considerato in sé innovativo, senza capire che una
grande azienda non può appropriarsi delle ICT senza riorganizzarsi
radicalmente e senza ripensare alla sua mission -> in pratica non si è
capito che le nuove tecnologie erano non la causa ma l’effetto di
emergenze e criticità che emergevano dalla storia degli ultimi decenni.
Le macchine possono riuscire laddove l’uomo ha fallito, ma ciò non
deve essere interpretato come una sorta di delega. Anche nella scuola è
preoccupante che si pensi che le tecnologie possano rilanciare il ruolo
del docente, o che per innovarsi basta trovare i soldi per acquistare le
nuove tecnologie, ecc..
4.7- Derive e relitti, opera in tre atti
Atto primo. Passato il momento del successo la comunicazione da
qualche tempo appare stanca - > tutto comunica, tutti comunicano.
Occorre comprendere il vero senso della parola. La comunicazione è il
punto nodale della lunga battaglia che l’uomo ha combattuto per entrare
nei meccanismi della natura, per diventare autore dell’ingegneria sociale
e naturale. Da qualche decennio però la comunicazione, da sempre
un’arma a doppio taglio, è passata da strumento di liberazione a
strumento di schiavitù! E’ da parte degli uomini una negazione della
propria storia, tanto più che il meccanismo messo da noi in moto è
inarrestabile. Si è assistito al tradimento della centralità dell’uomo. La
comunicazione è, in questo quadro negativo, tante cose, ma
principalmente è strumento per controllare, dominare culturalmente e
quindi economicamente e causa effetti caotici perché è una
comunicazione senza progetto ( a parte quelli di dominio economico).
Atto secondo. La comunicazione comunque è anche il contrario di
quanto appena detto, è causa ed effetto di dinamiche contrarie: genera
realtà incessantemente, è un meccanismo messo in moto da noi e che
procede malgrado noi. Per questo solo intervenendo con un programma
radicale, di rottura rispetto alla società da cui proveniamo, potremo fare
della comunicazione un’occasione storica eccezionale. In questa
prospettiva di una comunicazione che procede comunque, la ormai
classica opposizione fra apocalittici (chi pensa che sapere sia male
perché allontana l’uomo dai progetti di Dio) e integrati (chi pensa che la
condizione umana sia il perseguire la ricerca e la conoscenza) -> Come
se Dio ci avesse dato un libro già scritto, da leggere e ripetere, e non ci
abbia reso partecipi alla creazione infinita. La crisi che stiamo vivendo
in ogni modo, non è certo frutto del bisogno di aver cercato un
orientamento, di aver inseguito un’utopia, anzi è esattamente il
contrario! In questa prospettiva l’alternativa non è fra cambiamento e
conservazione, fra salvaguardia e rischio di perdere la nostra umanità,
ma fra viverla o morirne di paura. Deriva e noia, fatalismo, pessimismo,
sono gli ultimi strumenti di chi vuole impedire l’ingresso dell’uomo
nella Storia. La forza della comunicazione è generativa e può essere
raggruppata in due macrocategorie, quella degli strumenti necessari per
riprogettare la società, strumenti inimmaginabili fino a pochi decenni fa,
e quella degli effetti prodotti dall’immane azione comunicativa
planetaria. Insomma la grande energia comunicativa è la nostra
possibilità di unire e dividere l’uomo e le cose come mai era stato
praticabile; del resto tale capacità era ritenuta, e in parte lo è ancora, una
peculiarità divina! Il fatto che questa energia non sia stata governata ha
portato a un proliferare di comunicazioni che senza progetto
mantengono l’uomo aldilà della soglia da varcare.
Atto terzo.E’ tutto da scrivere. (non da interpretare). Perché questo
avvenga è una condizione imprescindibile perché questo avvenga è che
educazione e ricerca abbandonino la modalità comunicativa di tipo
trasmissivo-gerarchico, e che sostengano il valore primo della
conoscenza facendo della comunicazione generativa il loro strumento
essenziale. Una conoscenza che ha bisogno del ruolo critico dei docenti.
Una visione dei “contenuti” in totale contrasto con le metodologie oggi
dominanti. Non c’è più un copione da seguire, il nuovo non può essere
conosciuto con le modalità consuete a cui scuola e società ci hanno
abituato: è prima di tutto un atteggiamento, un modo di essere, una
filosofia di vita, non un patrimonio da trasmettere di generazione in
generazione. Occorrerebbe partire da una semplice domanda “si
comunica per vivere o si vive per comunicare?”. La crisi mondiale
(risorse energetiche, crescita demografica ecc..) ha molto a che fare con
la comunicazione. Il testo rimanda a un video web (www.csl.unifi.it)
• CAP5. Gli algoritmi del potere
5.1- La nuova frontiera è fra noi
La democrazia nel momento in cui ha deciso di accostarsi alla rete, non
ha avuto la forza di ridiscuterne il linguaggio, ma si è limitata a subirlo,
ignorando che le potenzialità tecnologiche della Rete potevano e
possono portare un radicale cambiamento al modo in cui la stessa
comunicazione è stata interpretata fino ad oggi. La comunicazione è un
rischio accuratamente progettato, ma pur sempre una accettazione
dell’imprevedibile, del non programmabile: è una scelta, un atto di
libertà che viene dalla democrazia. In questo scenario connettere,
collegare, congiungere ciò che prima era lontanissimo e impensabile,
non rende questo mondo più piccolo ma anzi ne allarga le possibilità. La
nuova frontiera di questi anni non sta davanti a noi ma fra noi! La
comunicazione ha bisogna di commesse, si deve scommettere. Il digitale
informatico è quindi uno strumento per dare forma al digitale naturale,
un mondo naturalmente digitale, dove l’impossibile può diventare
possibile, progettare e sostenere scenari inediti. La connessione digitale
è davvero democratica in sé? Fra democrazia e comunicazione c’è una
relazione strettissima, inscindibile -> la democrazia è il mezzo per
sviluppare la comunicazione, ma anche viceversa, la comunicazione è il
mezzo per potenziare la democrazia. Entrambe hanno in comune il
continuo divenire, per ognuno dei due l’altro rappresenta sia un fine che
un mezzo. L’educazione e la formazione sono parte integrante sia del
processo democratico che comunicativo -> comunicazione, democrazia,
educazione condividono moltissimo: danno vita a un processo di
interazione unitario. Democrazia e comunicazione sono un tentativo di
risposta dell’uomo alla sempre maggiore consapevolezza di vivere
immersi nel cambiamento, che la nostra condizione è all’insegna di un
continuo divenire. Questo sistema attiva un processo che favorisce
l’invenzione di un nuovo che non corrisponde alla somma delle parti
esistenti, il che significa che il sistema intero cambia in una ridefinizione
globale. Processo generativo e discontinuità sono inscindibili!
5.2- Luoghi- non
Processo. Sconnettersi dal sistema in cui operiamo per immaginarne uno
nuovo, ovvero comunicare cocciutamente contro ogni logica: si
“sconnette” per connettere ciò che prima era stato sconnesso. La buona
comunicazione produce comunicazione! La Ricerca è un elemento
importante nella riflessone del rapporto tra democrazia e nuove
tecnologie della comunicazione. In questa prospettiva la ricerca non è la
parte preliminare dei processi, ma ne è il senso profondo. Perciò, ogni
punto d’arrivo finisce con il prospettarsi come un nuovo punto di
partenza. Per la nuova umanità le risposte che non sollecitano altre
domande non sono risposte! Quando la democrazia cessa di cercare la
democrazia perché crede di averla raggiunta, perde la sua dimensione
umana e muore. La novità della dimensione digitale della
comunicazione sta nella possibilità inedita che offre di attivare un
processo dinamico, ciclico, in una prospettiva di ricerca illimitata.
Inevitabile quanto disatteso è l’accostamento delle nuove tecnologie
all’immaginario, all’immaginazione -> è proprio questa la sfida che
l’uomo sta perdendo. Le istituzioni ad esempio non riescono a ridefinirsi
in prospettiva tecnologicamente innovativa, i servizi sono digitalizzati
prima ancora che ripensati! Si continua a vedere nelle tecnologie un
potentissimo mezzo per rafforzare la propria vecchia mission, anziché
come strumento per rinnovare se stesse!
Conflittualità. E’ un grave errore insistere nell’informatizzare tutto ->
l’ambiente energetico messo in moto non è più contenibile nel sistema
attuale. Si informatizzano le piccole parti ma non la struttura, i suoi
elementi ma non l’impianto generale. Di qui la debolezza della risposta
alla crisi.
Sistema. Ciò significa che o il sistema cambia se stesso, aprendo a
scenari inediti, oppure sarà difficile pensare a un salto di sistema.
L’avvento del digitale implica che la trasformazione non riguardi solo
l’analogico ma anche lo stesso digitale, in interdipendenza fra i due.
Discontinuità. La realtà è complessa, interconnessa, globalizzante, per
questo procede per salti e va contro l’illusione consolatrice di una
possibile continuità fatta di forti legami fra cause ed effetti. La
prospettiva più promettente da cui affrontare la questione del digitale e
dell’analogico sembra essere quella di una discontinuità, un processo
che conduce ad altro, a un altro rapporto tra i due. Se si vuole parlare di
innovazione è necessaria una discontinuità, una rottura col sistema
esistente.
Luoghi-non. Questa energia immensa crea un mondo che però, per
essere tale, non può andare semplicemente ad aggiungersi al vecchio,
magari completandolo e arricchendolo. Lo spazio delle connessioni, dei
collegamenti, delle sinapsi, non sono più considerati come semplici aree
di transito: sono stati definiti luoghi-non. Il tempo e lo spazio “da.. a..”
stanno diventando importanti quanto il luogo di partenza e di arrivo: la
trama dei collegamenti può ridisegnare anche totalmente il testo.
5.3- Sic transit..
Luoghi-non, della comunicazione, una categoria nuova da applicarsi
anche alla politica: lo spazio e il tempo da attraversare si stanno
trasformando in spazi e tempi da vivere! Si deve fare propria una
visione nuova in cui la differenza tra nodi e link sia radicalmente
ripensata. La Rete non va identificata con quella grammatica che oggi la
caratterizza. La creatività umana si è ingolfata in una comunicazione
uomo-macchina, non orientata a rafforzare quella uomo-uomo. Un
errore strategico che si sarebbe potuto evitare se si fosse pensato al fatto
che la macchina è tanto più forte quanto più il ruolo dell’uomo è attivo,
quanto più le sue risposte sollecitano nuove domande da parte
dell’uomo. E’ necessario affermare una cultura della comunicazione del
tutto differente da quella dominante, e che internet possa rafforzare le
sue potenzialità come strumento per lavorare sull’inedito, piuttosto che
continuare a rafforzare ciò che già esiste! Dare un ruolo attivo e di
grande responsabilità sociale alle nuove generazioni è fondamentale per
cambiare questa grammatica (cosa diversa dai self-made millionaire
come l’inventore di facebook), ma che riguardi il diritto allo studio e al
lavoro certi e di qualità! La Rete e prima di essa la società, ha bisogno di
un linguaggio nuovo. La grande scoperta del secolo scorso sta nelle
potenzialità rivoluzionarie di collegare e associare realtà storicamente
separate, l’esistente invece necessita di una completa riscrittura della
mappa delle connessioni! L’hanno capito i virus che mutano
continuamente e faticano a comprenderlo gli uomini che sono rimasti
impietriti davanti alla presa di coscienza dei luoghi-non. La Rete
dovrebbe essere il luogo-non per eccellenza! Il rapporto che la politica
mantiene oggi verso la comunicazione ricorda molto lo stato in cui versa
la Rete -> si ricorre alla comunicazione per “comunicare” la politica,
non per “fare” politica. Il processo comunicativo cioè viene attivato per
comunicare il prodotto politico, per imporlo e non per creare 8grazie alle
caratteristiche che la comunicazione potenzialmente ha) un ambiente
comunicativo portatore di differenti progetti politici
5.4- Metafore
In Being Digital (1995) Nicholas Negroponte, parla del digitale usando
una delle più tradizionali metafore, quella del libro: i sistemi
multimediali lasciano poco spazio all’immaginazione, diversamente da
un libro, in cui la parola scritta scatena la fantasia -> per la rivoluzione
digitale ognuno deve mettere il suo, il coinvolgimento è ritenuto
indispensabile da Negroponte. Anche Stefik in Sogni, archetipi, miti e
metafore, sostiene che se l’uomo deve inventare qualcosa di
significativo è bene che attinga alla propria personalità, alla fantasia,
piuttosto che alla tecnologia; attingere ai sogni, alla voglia di scegliere,
di inventare. Ritornano poi più volte metafore di Internet usate in
politica: ad esempio quella dell’autostrada dell’informazione usata da
Clinton e Al Gore, come un’autostrada per trasmettere messaggi dal piu
piccolo villaggio alla più grande città, in tutti i continenti. La sua
proposta di avvalersi della forza della metafora opera su due piani VEDI
STEFIK.
5.5- Ai confini delle metafore
Francis Heylighen, sosteneva che era prossimo, se non già avviato, il
passaggio dal Web come memoria, come deposito di conoscenza, al web
come ambiente capace di creare e offrire nuove conoscenze, senza che
queste ultime fossero state preventivamente inserite dall’uomo stesso.
Affermarsi di un web “semanticamente strutturato”, dare vita a un
“livello metasistemico di pensare”. Il successivo livello metasistemico
può essere chiamato metarazionalità: capacità di creare automaticamente
nuovi concetti, nuove regole e nuovi modelli, e così dar forma al proprio
modo di pensare. La posizione di Heylighen rappresenta un ampio fronte
di riflessione sulla metafora del cervello globale-> centrale è la figura
degli utenti. Il web impara dai suoi utenti quello di cui hanno bisogno,
prevenendone le domande e così riducendo al minimo il loro dispendio
energetico nel trovare risposte. Una posizione che prospetta un web
intelligente che dovrebbe superare gli schemi di classificazione formali,
ideati da altri fra cui Tim Berners Lee, l’inventore del web. La metafora
ha come effetto-> proporre la tecnologia come attore sociale a tutti gli
effetti e suggerire un’ibridazione fra uomo e macchina, dove
quest’ultima pr4esenta caratteristiche che le permettono di proporsi
come nuovo strumento facilitatore di sviluppi di democrazia e libertà.
Questa posizione punta verso l’idea della macchina capace di salvare
l’uomo da se stesso, perché altrimenti segnato da carenze, intrinseche
alla sua natura. La rete quanto più cresce tanto più mette in evidenza i
limiti dell’umanità, cui non resta che sperare nell’altro dove l’altro è la
Rete che si pone in una luce quasi provvidenzialistica. Levy->filosofo
francese->motivo centrale-> intervenire nella costruzione d’internet->
nuove tecnologie-> aprono possibilità di civilizzazione per scelte
politiche e economiche-> obiettivo: progettare l’infrastruttura di una
civiltà di scala mondiale. Per far emergere le nuove intelligenze
collettive-> invenzione nuovi meccanismi di pensiero e di negoziazione.
Intelli. Collettiva-> migliore rimedio al ritmo destabilizzante del nostro
(passato)-presente-(futuro) e al contempo ne accelera il mutamento.
Centaralità-> immaginazione-> necessita di conoscenze e competenze
relative alla Rete. Digitale cambierà termini del problema della
formazione e educazione-> “accesso”-> possibilità d’intervenire sui
processi di d’intelligenza collettiva-> sistema aperto e in continua
definizione. Levy-> non ricorrere a un uso forte della metafora-> si
rischia di attivare processo di ritorno del vecchio mondo sull’inedito-
>ripensare al concetto stesso di metafora, di linguaggio. Derrick de
Kerckhove-> connected intelligence-> connessione si esprime attraverso
la dimensione del dare origine-> ciò che scaturisce dal collegamento,
non è contenibile in noi perché fa riferimento a una corporeità ancora
priva di una grammatica generale-> apre verso ciò che non stato
percepito pensato-> connettere per realizzare ciò che prima della
intelligenza connessa non esisteva-> telefonino-> rappresentazione
concreta e strumento più efficace per vivere nuova dimensione mediale
dell’uomo. Valorizzare ibridazione fra globale e locale, coltivo e
individuale, digitale e analogico, fra dire e fare->invenzione alfabeti
sconnessi come matrici per nuove connessioni e nuovi alfabeti-
>linguaggio senza società, società ancora senza linguaggio.
5.6. La grammatica della democrazia
La metafora, nella letteratura sul digitale informatico ha continuato e
continua ad essere uno strumento di analisi e progettazione molto usato..
essendo ancorati al passato non stupisce che quella più usata sia quella
della televisione (web casting, web tv, canali, ecc.) immediatamente
comprensibile, tutti sappiamo usare la tv. Si è cercato fin dagli arbori
della Rete, una strategia comunicativa che favorisse la povertà del
linguaggio, di abbassare la complessità e le potenzialità, in nome della
democrazia, di una comunicazione fruibile, agibile e agita da tutti.
Questa convergenza verso un linguaggio debole della Rete è perseguita
sia da chi vuole per i cittadini un ruolo attivo, sia da chi vuole per loro
un ruolo passivo.. ma questo è un fatto negativo, sia per gli effetti che ha
provocato, sia per l’idea, che vi è implicita, del rapporto tra democrazia
e comunicazione. L’uniformità attuale della Rete è da interpretare con
preoccupazione. La grammatica e i testi della rete necessitano di
creatività, varietà, difformità -> qui si nasconde gran parte dell’energia
del futuro: la soluzione non è imporre una grammatica ispirata a principi
democratici, la democrazia è un concetto sfuggente, indefinibile e in
continuo divenire che quando si afferma di averla trovata già non c’è
più. La centralità sta nel garantire agli “autori” la creatività sul sistema
di scrittura! I conflitti, le difformità sono risorse importanti per lo
sviluppo del progetto. Il web oggi stenta a capire la novità immensa che
rappresenta: macchine e uomini devono avere un linguaggio comune.
• CAP.6- Identità e fantasmi della comunicazione
6.1- il triangolo della comunicazione
Nel fare presente manca una visione del futuro. La nostra cultura
sostiene a gran voce che siamo una società fondata sulla conoscenza, ma
poi nei fatti il divario tra pochi e pagatissimi dirigenti e molti che non
hanno accesso alla conoscenza è enorme. E’ incredibile pensare che
nella società della conoscenza il “fare” sia separato dal “sapere”: il
sapere si addice a pochi eletti e il fare a tutti gli altri. Il nostro mercato
racconta questo. Educazione, Ricerca e Innovazione, rappresentano
l’auspicatissimo “triangolo della conoscenza” ed ha il proprio baricentro
nella comunicazione -> se però i risultati dell’interazione fra questi tre
elementi continua ad essere insufficiente per le necessità dei nostri
tempi, è perché la comunicazione fa ancora riferimento al vecchio
paradigma trasmissivo, che la vede di supporto al potere economico!
Solo un nuovo paradigma comunicativo può far si che questa interazione
attivi quel salto di sistema adeguato alla situazione storica in cui
viviamo.
6.2- La guerra dei paradigmi
Il paradigma comunicativo oggi dominante è quello “trasmissivo –
gerarchico – mimetico”, in cui un soggetto di turno indirizza la propria
conoscenza verso un altro soggetto cercando di convincerlo,
persuaderlo, orientarlo. Questo soggetto è il target, sul quale è
necessario avere il pieno controllo. (metafora cavallo di Troia: la
comunicazione produce un testo che ha la capacità di spingere gli stessi
troiani a condurlo in città) è un’occupazione del territorio degli altri a
tutti gli effetti! Si possono anche invertire i ruoli fra i soggetti(cosa assai
rara oggi), ma la logica comunicativa non cambia. Se si sostituisce
questo paradigma con un nuovo paradigma le cose cambiano. Il
“paradigma generativo” favorisce la creazione cooperativa al fine di
generare conoscenza: c’è un’interazione da parte dei soggetti coinvolti
completamente contraria al paradigma precedente. I soggetti si
identificano in un interesse comune e hanno deciso di costruire una
relazione comunicativa in cui nessuno possiede o è posseduto, non si
tratta di avere ma di essere! Questo tipo di comunicazione sostiene la
ricerca incessante da parte dei soggetti coinvolti della conoscenza della
realtà al fine di giudicarla, e se necessario di trasformarla! -> perde di
umanità colui che rinuncia al suo diritto di essere e favorisce l’avere.
Così la comunicazione che uniforma, standardizza, sopprime facendo
appello a un linguaggio comune o a un progetto comune solo per
un’operazione di potere e di controllo. E’ necessario abbandonare il
vecchio paradigma trasmissivo e portare la relazione comunicativa a un
livello non più di cose e di relativo possesso,ma di uomini liberi e
creativi di essere (dall’avere all’essere) -> questo passaggio porta a una
comprensione fra soggetti, che è una forza capace di generare in loro
cambiamenti profondi, strutturali, e creare soggetti totalmente nuovi
rispetto a quelli fin ora esistiti. La comunicazione proprio perché
connessa alla comprensione, presenta una dimensione effettuale, fattiva,
sulla quale non si è riflettuto abbastanza in quanto si tende a
contrapporre realtà concreta e realtà comunicativa -> questo perché
influenzati dall’idea che la comunicazione sia a valle del processo
produttivo, per far conoscere il prodotto finito. Morin propone due
strumenti per ridare vitalità all’azione umana: la scommessa e la
strategia. Scommessa: una volta accettata l’incertezza come dimensione
profonda della dimensione profonda del reale, l’azione sarà possibile
solo se basata sulla scommessa, che comporta l’abbandono del mito del
programma che si fonda su una sequenza di azioni in un ambiente
stabile e predittivo. Strategia: elabora scenari e relativi programmi, ma è
pronta a modificarli man mano che l’azione va avanti, fino ad ammettere
la rinuncia alla stessa azione iniziata!

6.3- Comunicazione come effetto e come causa


E’ quindi un errore pensare di eliminare o solo negare l’incertezza,
poiché essa è parte della nostra condizione di esseri umani. Non ci può
essere comunicazione senza scommessa e strategia; l’incertezza e la
strategia riportano la comunicazione a livello di scienza dell’uomo (per
conoscere la realtà). La comunicazione come strumento di comprensione
e creazione. Creazioni reali, non finzioni di valori. In questo modo la
comunicazione non trasmette, non persuade, non convince, non impone,
ma concorre alla creazione del prodotto. -> per far ciò la comunicazione
deve abbandonare il classico modello dominante basato sulla sequenza:
ideazione->progettazione->produzione->comunicazione->utenza, per
passare a un modello che riposiziona la comunicazione lungo tutto
l’arco del processo produttivo e d’uso. In questa direzione la
comunicazione è effetto di un cambiamento antropologico ma anche
strumento per realizzarlo! (trasformando una grande energia in un
progetto)
6.4- Comunicazione come agente creativo
L’impegno che si ha davanti esige che si vada oltre i concetti di sviluppo
e progresso a cui siamo abituati, elaborandone di nuovi. Un salto di
sistema, l’abbandono definitivo del paradigma per svilupparne un altro:
l’uomo del futuro. La comunicazione svolge un ruolo fondamentale
purchè decida di abbandonare i privilegi massmediali (persuasione) per
partecipare alla progetto, al processo creativo per realizzare un nuovo
umanesimo -> soprattutto trasformarsi da canale di trasmissione a canale
di connessione. Essa non si configurerà né come semplice mezzo né
come fine: apparirà sempre più come agente creativo! La dimensione è
concreta, lontanissima dalle illusioni e dagli effetti speciali -> per far
parte della nuova realtà ogni soggetto sarà chiamato non ad evolversi
(come se ci fosse un programma già scritto) ma ad inventarsi. Rischio e
strategia appunto. Ciò va in direzione opposta a quello che accade oggi
nella comunicazione massmediale che, creando una piatta uniformità,
cancellando differenze e conflitti, uniforma i valori, ma da in cambio
un’illusione di appartenenza, di riconquistata socialità. La
comunicazione invece è chiamata a differenziarsi, ad articolarsi al
massimo delle sue possibilità, alla diversificazione e alla valorizzazione
delle diversità. Rende bene l’idea la raffigurazione dell’ “anello
energetico”-> la comunicazione si basa su un processo centrifugo (verso
l’interno) seguito poi da una forza opposta centripeta (esterno) che tende
a collegare il soggetto con gli altri soggetti. Il processo comunicativo
non potrà essere compreso se non si terrà conto della terza entità che si
genera nell’interazione. L’interazione fra le tre energie comunicative da
vita a una sorta di anello energetico che alimenta ed è alimentato da un
altro anello perché si emancipa dalla realtà e comincia a confrontarsi con
tutti i testi del mondo (la noosfera). Solo cos’ contribuiranno alla
conoscenza. Una dinamica il cui punto di forza sta nella continua
trasformazione, nel loro divenire sulla base di ipotesi progettuali e di
continue verifiche che producono correzioni se non nuove ipotesi. ->
l’identità non appare più un punto stabile, ma piuttosto una creazione,
una scelta, in continuo divenire non per necessità ma per scelta!
• CAP.7 Quel flusso inarrestabile della creatività. Per una
storia dell’ipertesto d’autore
7.1- In cerca d’autore
L’innovazione tecnologica, il computer, erano nell’immaginario
collettivo una cosa per “esperti”, quasi elitaria, difficile nell’uso. Negli
anni ’80 c’è stata una profonda ridefinizione della propria immagine,
proponendosi come elettrodomestico dell’organizzazione, dell’iniziativa
e della creatività individuale. Ciò avvenne soprattutto con la campagna
pubblicitaria della Apple, trasmessa durante il Super Bowl nel 1984: il
Macintosh si presentava come l’anti-IBM, facendo del suo pc il paladino
contro massificazione e anticonformismo (spot: una donna corre con un
martello in mano, inseguita dai garanti dell’ordine, mentre tutti
camminano uguali, in fila, in ordine..arriva davanti a uno schermo sul
quale parla un volto tipo il grande fratello di Orwell, e lancia con forza il
suo martello distruggendo lo schermo in un urlo liberatorio). Fu l’inizio
del successo della tecnologia leggera, creativa = customer friendly e
custormer oriented. -> al di là di ogni previsione però lo scenario si è
complicato. Libertà e inventiva, a livello collettivo e individuale, stanno
assumendo i connotati di qualcosa di inevitabile, una obbligatorietà
quasi ossessiva! L’errore è stato quello di pensare che la tecnologia da
sola sarebbe bastata a cambiare lo scenario socio-culturale. -> il digitale
informatico invece non è causa, ma effetto di una trasformazione iniziata
da molto tempo e di cui il digitale informatico può diventare una delle
strumentazioni più efficaci. Lo scontro non è tra digitale e non digitale,
ma tra vecchia e nuova comunicazione: le ICT infatti continuano a
imbattersi in ostacoli strutturali e culturali che tendono invece a
mantenere ancora distinte le due aree di ricerca -> il calcolatore è visto
come qualcosa che ha a che fare con discipline ingegneristiche,
matematiche, c’è diffidenza verso un uso di queste in campo umanistico,
nella creatività artistica. Idee e cose, uomo e natura ecc..continuano a
essere considerate entità separate! Domina ancora l’idea che la
comunicazione sia una fase estranea al processo di ricerca di ogni tipo di
produzione. Oggi è più che mai urgente cercare di superare questa
separatezza, rilanciando lo sperimentalismo come valore essenziale:
occorre tentare, immaginare applicazioni che le possibilità informatiche
possono mettere alla prova, sfruttare l’immenso valore aggiunto fornito
dal digitale informatico. Questo non vuol dire che bisogna
necessariamente fare ricorso alle nuove tecnologie, ma decidere di non
avvalersene sarà una scelta per niente neutrale. E’ in corso una
trasformazione del concetto di pubblicazione che si vede costretta a
ridefinire il proprio rapporto con la comunicazione -> il libro, con la sua
fisicità, non sarà di certo soffocato dal digitale, solo che l’autore
disporrà di molte più strumentazioni per scriverlo: potrà addirittura
sceglierlo di comporlo in diretta, attraverso la rete avvalendosi anche dei
commenti dei lettori, sollecitati dall’autore stesso a una co-autorialità -
>comportamenti autoriali che prima erano impensabili. E’ vero che il
lettore è stato sempre co-autore in un certo senso, perché ogni lettura è
una riscrittura, il punto è che oggi sono possibili diversi livelli di
riscrittura: la storica sequenzialità (dall’ideazione alla pubblicazione) è
totalmente stravolta. La nascita del linguaggio digitale non sancisce la
scomparsa dei linguaggi preesistenti, ma piuttosto una loro ridefinizione.
La fonte di comunicazione più importante nella storia degli ultimi
millenni è stata la letteratura: l’analisi dei testi può assumere una
funzione strategica allo studio delle potenzialità inedite del testo digitale
informatico. Questo perché il testo digitale è l’ultimo punto di arrivo di
un filo rosso nella storia della comunicazione che ha radici nel’antica
oralità dei greci, nel cercare forme di scrittura cooperative; forse niente
come la letteratura sollecita al massimo la creatività quotidiana della
gente comune per arricchirci di conoscenza e quindi migliorare la nostra
umanità! Il testo digitale è quindi figlio di quel flusso creativo, è il
linguaggio che viene dalla scelta di essere e non di avere -> la grande
letteratura infatti non la si possiede mai, in alcun modo, si può solo farla
vivere, in modo sempre diverso. (E’ letitia=dal latino, felicità che esce
da se stessa per coinvolgere gli altri).
7.2- Tracce antiche di futuro
Domina l’idea che un testo letterario si destinato a rimanere invariato a
prescindere dalla forma fisica e paratestuale (comunicativa) che gli
viene data. Vittorio Alfieri fu uno scrupoloso editore di se stesso -> il
suo esempio è molto utile a comprendere le relazioni fra la creatività
letteraria e l’attrezzatura editoriale. Curò con attenzione due stampe
delle tragedie -> si accorse che la trasformazione del manoscritto in una
stampa depersonalizzava il testo. Mano a mano che la stampa andava
avanti l’autore si accorgeva che andavano perse tracce preziose del suo
percorso creativo, dai segni usati per cancellare, rinviare, spostare ecc.
Lo affascinava la scomparsa dell’altra storia, quella che accompagnava
l’autore durante il percorso creativo: affidando la sua scrittura al
linguaggio universale e impersonale dei caratteri di stampa, lo scenario
cambiava -> ma questo fatto fu sentito da Alfieri come una occasione
preziosa di vederlo in modo impersonale, di vederlo in una condizione
più simile a quella dei futuri lettori! Era una storia generata da una storia
privata, ma che con i lettori avrebbe iniziato a generare tante storie
private, diverse le une dalle altre! Era un’intuizione notevole. Ciò gli
suggeriva cose nuove che lo portavano a correggere continuamente le
stampe (tanto che l’editore Didot stabilì un costo aggiuntivo per ogni
correzione).
7.3 Povere illustrazioni
Nel 1832 una lettera-articolo di Stendhal spiega al pubblico italiano le
novità di un’opera come “le rouge et le noir”, e ci fornisce un resoconto
sul mercato librario e del gusto del pubblico in Francia. La condizione
femminile è che non tutte le donne hanno la stessa educazione e per
questo si distingue fra i romanzi per “femme de chambre” e quelli “des
salons”. I primi, mal sopportati da Stendhal, hanno il dominio
incontrastato in provincia e hanno un impatto narrativo poverissimo,
ruotando sempre intorno a un eroe perfetto e a una bellezza
sconvolgente. I secondi invece mostrano di avere delle pretese letterarie.
Per questa ragione non è possibile scrivere romanzi che vadano bene per
le provincie e la città. C’era dunque molta consapevolezza nel primo
Ottocento sulla dimensione pubblica che il testo letterario era chiamato a
governare. La rivoluzione editoriale ottocentesca, con l’affermarsi di
nuovi e potenti strumenti espressivi, pone lo scrittore in condizioni di
dover ridefinire il proprio ruolo .
Ad inizio 500 il rapporto con la scrittura fra autore e testo muta: dal
libro d’autore si passa all’autografia di un testo spoglio di tutta una serie
di significati che vengono delegati al tipografo: dall’impaginazione alla
scelta dei caratteri, dal frontespizio alle illustrazioni. Lo sconvolgimento
che si verifica nel XIX secolo è articolato: trasformazioni che investono
tutto l’arco della creatività: dalla scrivani dell’autore (il pennino
metallico, poi la stilografica, la carta cellulosa, l’inchiostro) alla
meccanizzazione della stampa. Scoperte tecniche e un mercato dalle
caratteristiche mai viste-> incalzarono sempre più gli scrittori del XIX
secolo a confrontarsi. Mercato aveva un suo paratesto e un suo contesto-
> forte da configurarsi come un aspetto essenziale del linguaggio. Oggi
le case editrici-> attente a rivendicare un ruolo attivo nell’uso di quel
paratesto in cui vedono uno dei motori del loro ritorno economico.
(approfondimento online). Scrittori moderni -> spazio alla storia-
spiegazione di se stessi, sostenere propria creatività con interventi come
prefazioni, interviste.. i mass media-> anticipano l’uscita di un romanzo,
ne orientano la fruizione, ancor prima di favorirne le vendite.
Cambiamento e trasformazione continua.
7.4 Il fastidio del mercato
Manzoni-> confrontarsi con lo strumento espressivo dell’illustrazione
era una scelta di metodo-> autore del testo alfabetico, regista attento
delle immagini, editore di sé-> capace di uscire dal territorio del
pensiero, delle idee-> I promessi sposi. Ide di scrittura stava cambiando-
> comunicazione cambiava nei modi e negli obiettivi, il libro non
sarebbe stato più lo stesso. Lavoro immenso che coinvolse l’intera
famiglia. La struttura figurativa-> obiettivo di creare un doppio binario
di lettura: quello alfabetico e quello illustrato. (maggiore attenzione al
pubblico degli analfabeti). Manzoni mirava a costruire un linguaggio del
tutto nuovo-< cerca di diventare sempre più autore di processi e non di
tradizionali oggetti letterari. Organizza una regia attenta ai minimi
particolari-> testo originalissimo. Manzoni sensibile all’esigenze
dell’impianto xilografico in legno di testa, fino a modificare, se
necessario il testo scritto; assumendo nel contempo rispetto al
documento iconografico la stessa impostazione metodologica adottata
nella stesura del romanzo, dove l’esattezza documentaria è elemento
fondamentale. Lo scrittore non scrive solo con la penna e l’inchiostro e
la carta; scrive con tutte quelle strumentazioni che caratterizzano il ciclo
produttivo e commerciale della creatività. L’edizione del ’40-> testo
indivisibile-> complesso sistema dove ogni componente rientra in un
progetto organico. Le immagini non sono altro che il sintomo più
evidente di una svolta sociologica allora in corso a livello mondiale e di
cui Manzoni fu uno dei massimi artefici.
7.5 Una macchina per generare testi
Nei Promessi sposi-> rapporto fra testo alfabetico e elementi figurati è
stretto. Illustrazione collocata sempre dopo le parole di riferimento
secondo una strategia espressiva molto articolata che fa riferimento a un
importante documento autografo. Esempio: sommossa per il pane:
capitano delle guardie accorso per riportare ordine, affacciatosi alla
finestra del forno delle grucce per convincere la folla dei rivoltosi ad
allontanarsi, riceve sulla fronte un sasso. L’inserimento dell’incisione
risponde all’esigenza di un assoluto sincronismo: il soldato sta dicendo
ai dimostranti che sono stati sempre dei buoni “fi” ma l’appellativo
“figliuoli”, usato pochi righi prima con intento suasorio, resta interrotto,
seguito da un “Ah canaglia!” e dalla vignetta con raffigurata la sassata.
La mano già portata alla fronte, la bocca aperta per gridare, la testa
ritratta etc sono particolari che collocano l’immagine esattamente nel
divenire del tempo narrativo-> compito di sviluppare visivamente le
ultime battute e di anticipare la spiegazione fuori campo dell’autore. Le
parole e le illustrazioni-> creano una struttura semantica-> ogni
elemento costruisce la propria identità in base alla funzione che viene a
esercitare in sistemi differenti di relazioni. L’intreccio fra testo pittorico
e testo alfabetico è stretto e genera un testo altro dai due che lo animano.
Le parole dello scrittore tendono a descrivere il paesaggio da una
posizione collocata ben a nord, in modo che si possano vedere
chiaramente la riva di destra e quella sinistra. Dopo di che la panoramica
si concentra sulla riva sinistra. Successivamente il narratore si porta
nella zona descritta, per una di quelle strade stradette.. avvertendo che
da lì la vista spazia per prospetti più o meno estesi: segue una carrellata
per campionature del paesaggio da nord a sud. Le vignette sono
realizzate stando sulla riva di destra con un punto di vista sempre a nord
creando così una nuova prospettiva rispetto al punto di vista emergente
dal testo alfabetico. Ne consegue che al di là delle facili suggestioni, la
ricordata strada verso il ponte di Lecco non ha niente a che vedere con
quella di Don Abbondio che si può solo immaginare, da qualche parte,
sulla riva opposta del lago: ma proprio per questo la trama iconica
contribuisce a creare una stereografia narrativa altrimenti improbabile. A
opera finita si rivelano molti casi di vistose dissonanze, o che possono
essere percepite come tali. Nell’insieme dell’opera le vignette possono
essere definite illustrazioni d’autore, ideate e realizzate sotto il suo
diretto e continuo controllo con l’obiettivo di affiancare e potenziare la
sequenzialità del racconto tradizionale.
7.6 Parolagini o immagirole?
Strategia di Manzoni-> ricorrere alle illustrazioni oltre un’ottica
meramente decorativa, poiché non c’è dubbio che i pochi tratti
dell’immagine riescano a dire assai più di ogni altra spiegazione.
Manzoni aveva costituito un sistema di cui le immagini rappresentano
un aspetto certo importante ma che da solo dice poco, un impianto che
non è lecito smembrare e che va dallo scrittore fino alle modalità
editoriali e commerciali con cui lo volle caratterizzare. La strategia è
una, inscindibile. Nella sua globalità, che sorprende, nella decisione di
non subire ma di governare i meccanismi espressivi, si potrebbe dire
estetici, di una produzione e di un mercato dalle caratteristiche ormai
sempre più sconvolgenti. Scegliere come compagno di viaggio un
pioniere della litografia come Gonin, siglare un contratto con editori
come Guglielmini e Redaelli, in prima fila nel mercato dei periodici, ne
sono altrettanto inequivocabili segnali. Lo scrittore cercò di abbattere le
persistenti barriere fra le varie fasi della realizzazione, rivendicando il
diritto o sostenendo la necessità di porsi come autore di tutto il ciclo
produttivo e distributivo. Con lui si fece strada una nuova idea non solo
di autore e di testo ma di comunicazione. Siamo alle prime mosse di un
processo di trasformazione della comunicazione letteraria che in Italia
vedrà nella parabola di due autori centrali (Verga e Pirandello)
altrettanto momenti emblematici. Il primo rifiuta inizalmente la
fotografia ma finisce con l’abbandonare la scrittura per esaltare proprio
la fotografia, il secondo proclama la negatività delle immagini e poi
muore celebrando il cinema come il mezzo più idoneo a raccontare la
realtà. Lo scrittore elettronico dispone di uno strumento in cui si
riassumono le possibilità che tradizionalmente erano in mano all’autore,
al tipografo, all’editore e al commerciale. Multimedialità-> vantaggio->
offre in aggiunta. La fissità di un’opera a stampa può essere restituita al
divenire del flusso creativo originario, facendo dello stesso un testo nel
testo, uno spettacolo nello spettacolo: ed è proprio in questo caso che il
digitale può dare il meglio di se.
7.7. Il limite inevitabile
il laboratorio manzoniano è stato tra i più studiati: i promessi sposi e il
fermo e lucia hanno suscitato grandi discussioni, tutte ruotanti intorno al
quesito: “Quanti sono i romanzi di Manzoni?” la sua stagione
romanzesca si sdoppia in due ramificazioni: una resta interrotta e inedita
(Fermo e Lucia) mentre l’altra viene alla luce con una stampa che
presenta il livello ultimo della scelta compositiva; per i livelli
precedenti, la situazione si presenta a seconda degli anni e dei suoi
interventi contraddittoria. I testi cambiano con il tempo anche per i loro
autori, che provvedono spesso ad approntare edizioni diverse o a
suggerirle lavorando magari sui loro archivi. L’opportunità offertaci
adesso dal digitale, di riunire tanti testi, con le loro relative possibilità di
lettura, in un supporto solo, potrebbe rivelarsi da questo punto di vista
molto interessante. La storia del rapporto fra autori e carta stampata si
caratterizza per un’oscillazione fra due estremi: da una parte al
dinamicità del testo, dall’altra la natura di un linguaggio dove domina il
vincolo dell’inalterabilità. Nella fissità dell’inchiostro tipografico-> chi
vede un limite chi ci vede un elemento di forza quasi liberatorio.
L’autofilologia d’autore, la scelta di lasciare memoria di sé sotto forma
di divenire; il desiderio di restituire alla fissità della carta stampata la
dinamica che la precede, la lunga, storia di cui essa è la forma ultima è
parte fondante della cultura in cui noi siamo immersi. Ricostruire
mentalemnte un testo secondo un arcipelago di operazioni identifica-
taglia-sostituisce ha sempre un limite fisiologico, per quanto capace sia
la working memory di chi opera. Utilità straordinaria di avere uno
strumento che ci dia non solo le lezioni differenti ma la possibilità di
cogliere il progressivo farsi di un’opera nella sua globalità.
7.8 Per una critica della quotidianità
1. la forza del digitale sta nel nuovo rapporto che esso può costruire fra
vita e scrittura. La sua capacità di tracciamento, di memorizzazione e di
restituzione delle varie fasi compositive del testo, porta a vedere la vita
come un libro che tutti concorriamo a scrivere.
2. pubblicare è sempre un po’ come morire. Ma è quella morte che sola
può garantire la sopravvivenza, perché segna la fine di un processo e
l’avvio di un processo generativo di altre realtà. La discontinuità è alla
base di ogni conoscenza, una divergenza che definisce trame, intrecci,
storie altrimenti invisibili.
3. l’universo digitale potrà aiutarci in questa operazione come pochi altri
strumenti perché rende tutto divisibile da tutto, così come collegabile a
tutto. Ma perché ciò avvenga perché cioè la comunicazione sia
realizzabile è necessario che l’uomo si faccia autore di domande. Non si
faccia irretire dall’illusione della memoria e del testo infinito, dell’opera
che non si chiude mai.

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