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Architettura a basso impatto

Per basso impatto si intende un ridotto consumo di risorse naturali non rinnovabili nella
costruzione e trasformazione dell’habitat (e più in generale nella modificazione antropica
dell'ecosistema). E le risorse implicate riguardano sia il manufatto (materiali ed energia) sia il
contesto (suolo, paesaggio). Rispetto alla costruzione dell'architettura, un efficiente utilizzo delle
risorse rinnovabili, in sostituzione delle risorse non rinnovabili, si traduce nel limitare gli
approvvigionamenti dei materiali di origine minerale, sostituendoli ove possibile con quelli di
origine vegetale o animale (ovviamente rispettando i limiti della riproduzione naturale), e di fare
riferimento a processi produttivi poco esigenti in termini di energia. Con il cumularsi nello spazio e
nel tempo degli interventi antropici, risorse inizialmente illimitate come suolo e spazio possono
diventare progressivamente sempre più scarse, tanto da richiedere il ripensamento della tecnologia o
addirittura del modello di sviluppo.

Alla scala del singolo intervento la misura dell’impatto si basa da un lato sulla relazione tra
domanda e offerta di risorse, dall'altro sulla quantificazione dei fattori inquinanti; si tratta però di
valutazioni relative che servono solo ad esplicitare vantaggi e svantaggi offerti dalle soluzioni
analoghe o alternative disponibili per dare soddisfazione ad una determinata esigenza come
l’abitare, il lavorare, lo studiare o altro. Invece alla scala del sistema insediativo mancano ancora
criteri di valutazione univoci, anche se si registra un'ampia convergenza circa la necessità di ridurre
le emissioni di anidride carbonica legate tanto alla costruzione quanto all'utilizzazione
dell'architettura.

Riferimenti

Le prime esperienze di architetture a basso impatto appaiono nella seconda metà degli anni sessanta
nel Nord America come diretta espressione di un neonato movimento ecologista. Nascono le
comunità ed i villaggi dei cosiddetti “figli dei fiori” che vanno ad abitare territori desertici alla
ricerca di un rapporto armonico con la natura, con lo spazio e con il tempo. Il supporto tecnologico
è offerto dalle geodetiche che R. B. Fuller porta a conoscenza degli studenti con una serie di
conferenze e di pubblicazioni. Questo tipo di struttura (un guscio reticolare) viene realizzato in
auto-costruzione, il più delle vote con materiali riciclati. Emblematica l’esperienza di Drop City
raccontata da Bill Voyd come il risultato di un happening collettivo a cui hanno partecipato
intellettuali ed artisti. Anche l’Università Mc Graw Hill a Montreal nei primi anni settanta
organizza corsi e sviluppa ricerche sul tema dell’abitazione a minimo impatto, realizzando
geodetiche in cartone e unità abitative autonome per quanto riguarda gli approvvigionamenti di
acqua ed energia, nonché per lo smaltimento dei rifiuti.

Negli stessi anni a Stuttgart, Frei Otto ed il Lightweight Institute orientano i propri programmi di
ricerca sul tema delle strutture tese (dal Padiglione Tedesco all’Expo di Montreal 1967 al villaggio
Olimpico di München 1972). Dalle membrane a doppia curvatura divergente, con l’opera di Jörn
Schlaich l’attenzione si sposta ai gusci reticolari trasparenti (dalla piscina a Neckarslum 1989 alla
DZ Bank a Berlino 1998) generalmente legati ad una doppia curvatura convergente. A differenza
delle precedenti esperienze americane, l’approccio europeo (soprattutto inglese e tedesco)
alleggerisce strutture e involucri utilizzando anche le tecnologie industriali dell’acciaio, del vetro e
delle plastiche.

Più recentemente sono state avviate una serie di iniziative in giro per il mondo che, sebbene
totalmente autonome e senza contatti tra loro, perseguivano lo stesso obiettivo con strumenti
analoghi. Dagli anni novanta Shigeru Ban lavora con materiali poveri, come la carta riciclata ed il
bambù, per realizzare gusci reticolari (dalle case per i terremotati in India e in Africa al padiglione
giapponese all’Expo Hannover 2000). Samuel Mockbee con i suoi studenti imposta il lavoro del
Rural Studio in Alabama per valorizzare i materiali riciclati. Sullo specifico tema del riciclo in Sud
America si sviluppano attività spontanee legate ad economie di sussistenza come quella dei
cartoneros a fianco a reinterpretazioni artistiche dei rifiuti come le opere di Alejandro Sarmiento.

Tecnologie

I fattori che determinano l’impatto alto o basso di una architettura riguardano la costruzione da un
lato, l’utilizzazione o il funzionamento dall’altro, lo smaltimento al termine della vita utile
dell’opera dall’altro ancora. Tra questi tre momenti o modi di manifestarsi dell’impatto ambientale,
esistono incoerenze e contraddizioni. Le soluzioni tecnologiche ritenute preferibili possono
divergere anche molto a seconda che si dia maggiore importanza alla riduzione dei consumi
energetici nella fruizione dell’architettura, rispetto alla limitazione della quantità di risorse (materie
prime ed energia) consumate per la costruzione oppure per lo smaltimento (restituendo o meno
suolo e spazio). In letteratura le soluzioni e le proposte per ridurre gli effetti negativi sull’ambiente
durante l’intera vita funzionale dell’opera, sono generalmente ricondotte a termini come architettura
ecosostenibile (e anche compatibile o eco-compatibile), architettura verde (green architecture o
green buildings), bioarchitettura, bioedilizia e simili.

Quando si parla di tecnologie e quindi di architetture a basso impatto, l’attenzione è


prevalentemente rivolta alla costruzione/smaltimento del manufatto, ovvero all’approvvigionamento
delle materie prime, alle modalità di produzione e alle relazioni con l’intorno territoriale. Un primo
criterio che rende sostenibili le scelte del progettista costruttore riguarda la rinnovabilità delle
risorse utilizzate: fintanto che si impiega una quantità di materiale uguale o inferiore al tasso di
riproduzione naturale (ad esempio si taglia non più di un albero ogni 40, se sono necessari 40 anni
perché l’albero giunga a maturazione) il sistema si considera in equilibrio. L’impiego di materiali
riciclati tende addirittura ad aumentare la disponibilità di risorse riducendo nel contempo la
presenza di fattori inquinanti.

Un secondo criterio correlato con il primo è quello di privilegiare la leggerezza nella progettazione
della struttura e dell’involucro. La relazione peso quantità è ovvia: alleggerire la costruzione
utilizzando meno materiale (ovviamente a parità di dimensioni e senza compromettere le prestazioni
del costruito) significa ridurre il prelievo e risparmiare risorse. Inoltre ridurre la quantità di
materiale resistente a parità di prestazioni strutturali non può che diminuire i costi, non solo di
approvvigionamento, ma anche di trasformazione e trasporto delle materie prime.

Operare nella logica della leggerezza significa cercare una corrispondenza tra i materiali con un
basso peso specifico, derivati da risorse rinnovabili salvo eccezioni, ed i comportamenti strutturali
che permettono di ottenere il massimo di resistenza e stabilità dai suddetti materiali. I tipi di
strutture che si prestano meglio di altre a ridurre la pesantezza dell’architettura (perché richiedono
spessori sottili e minimizzano il fabbisogno di materiale resistente), sono le membrane tese, i
sistemi funicolari o reticolari, i gusci sottili.

Un terzo criterio riguarda le modalità di produzione per le quali non basta mettere sotto controllo i
consumi energetici soddisfatti con fonti non rinnovabili. L’uso o il rilascio di sostanze tossiche deve
essere imputato all’architettura che se ne avvale, anche quando lo stabilimento industriale
inquinante è molto lontano dall’edificio. Anche la densità, il grande numero o la concentrazione
delle attività produttive (ivi compresa la densità degli edifici) è un fattore di conflitto con
l’equilibrio dell’ecosistema. La insanabile contraddizione tra economia e ambiente sta
nell’efficienza che il più delle volte è indispensabile alla gestione economica ma è direttamente o
indirettamente dannosa per la qualità ambientale. Non a caso le citate ricerche sulle architetture a
basso impatto fanno ricorso molto spesso ricorso all’autocostruzione o in alternativa privilegiano le
produzioni artigianali.

Un quarto criterio dipende dall’irresolubile antagonismo tra temporaneità e durabilità. Il mercato


dell’architettura è ancora saldamente ancorato all’idea della costruzione che sfida il tempo e che
riduce al minimo i costi di manutenzione. Conclusione: la terra si sta completamente urbanizzando,
accatastando aree dismesse, edifici, periferie degradate e tanto altro. Viceversa architetture che
esistono per il solo periodo dell’uso, che scompaiono e ricompaiono in relazione alle necessità del
momento, che degradano rapidamente ed altrettanto rapidamente tornano ad essere pienamente
funzionali, consumerebbero meno spazio, suolo o territorio.

( wikipedia )

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