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METAFISICA
DELLA PERSONA
TUTTE LE OPERE FILOSOFICHE E SAGGI INTEGRATM
A cura di
Giovanni Reale e Tadeusz Styczen
Revisione dei testi italiani, apparati
e indici di Giuseppe Girgenti
BOMPTANT
IL PENSIERO OCCIDENTALE
Nella presente riflessione è a tema la comprensione del
Disegno di Dio sulla famiglia nella sua interpretazione
umana e anche nella sua realizzazione umana. La famiglia
infatti è la realtà umana per eccellenza e gli uomini la realizzano
in base alla comprensione della sua essenza e del suo
senso, ma ne comprendono anche essenza e senso in base
alla vita e alla realizzazione. L'intimo senso umano del
matrimonio e della famiglia è conforme nello stesso tempo
al Disegno di Dio. La sua comprensione è frutto di ricerche
bibliche e patristiche ed è pure la quintessenza di quella
presa di posizione attuale della Chiesa contenuta nella
Costituzione Gaudium et Spes. Nel capitolo dal titolo
Dignità del matrimonio e della famiglia e sua ualorizzazione
il Concilio Vaticano I1 colloca in certo qual modo tutto il
patrimonio della propria tradizione dottrinale e pastorale
sul tema del matrimonio e della famiglia nel contesto dei
giorni nostri. Afferma, tra l'altro: «I1 valore e la solidità dell'istituto
matrimoniale e familiare prendono risalto dal fatto
che le profonde mutazioni dell'odierna società nonostante
le difficoltà che con violenza ne scaturiscono molto spesso
rendono manifesta in maniere diverse la vera natura dell'istituto
stesso» (GS, 47).
In ogni caso questa frase suggerisce una conclusione
ottimistica: nonostante tutti i traviamenti, e in un certo
senso anche attraverso essi, il vero valore dell'alleanza
coniugale e del legame familiare che da essa trae origine
prende risalto e si rafforza sempre più pienamente. Gli
errori nella realizzazione, le alterazioni nella pratica non
oscurano la luce divina, anzi le consentono di agire quasi in
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modo più penetrante sulla consapevolezza e sulle coscienze
degli uomini. L'intero testo di Gaudhm et Spes sembra
indicare uno sviluppo organico della teologia della famiglia.
Questo sviluppo consiste in una più profonda intuizione
delle relazioni e delle interconnessioni che si creano fra la
realtà del generare umano, della trasmissione della vita, e la
comunità delle persone che deve formarsi intorno a questa
realtà, sempre straordinaria, e pur così normale, che si
ripropone in milioni di dati statistici.
Questa stessa polarità fra la normalità di tutti i fatti della
nascita di uomini nelle famiglie umane e la straordinarietà,
l'irripetibilità di ognuno di essi, ci conduce a un'altra polarità
che mette in evidenza il senso di ogni concreta comunità
familiare di persone. Proprio per quest'ultima il fatto
della nascita di un uomo è straordinarlo e ogni volta irripetibile
e ogni volta di nuovo personale e di nuovo comunitario.
Al di là di questa dimensione - fuori dei confini della
famiglia - questo fatto perde tale carattere, diventa un dato
statistico, tema di oggettivazioni di vario genere fino alla
mera «registrazione» in senso statistico. È la famiglia il
luogo in cui ogni uomo si rivela nella sua unicità e irripetibilità.
È la famiglia - e deve esserlo - quel peculiare ordinamento
di forze in cui ogni uomo è importante e necessario
per il fatto che è e in virtù del chi è, l'ordinamento il più
intimamente «umano», edificato sul valore della persona e
orientato sotto ogni aspetto verso questo valore.
1. L'uomo come persona e dono
I1 Vaticano I1 presenta la sua dottrina dell'uomo che è la
sintesi di una lunga eredità di pensiero che cerca luce nella
Rivelazione: «L'uomo il quale in terra è la sola creatura che
Iddio abbia voluto per se stesso non può ritrovarsi pienamente
se non attraverso un dono sincero di sé» (GS, 24).
Pare che questa dottrina dell'uomo, questa antropologia
teologica, giunga come al nocciolo stesso di questa realtà
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umana che si chiama famiglia. Infatti da ogni punto di vista
alla base di questa realtà dobbiamo porre l'uomo. Ogni
uomo da essa trae il suo inizio, proprio come «creatura che
Dio vuole per se stesso*. E ognuno in essa, nella famiglia e
attraverso la famiglia, cerca la realizzazione di quella verità
su di sé che le parole sopra citate esprimono. La cercano gli
sposi, marito e moglie, in questa loro tappa di crescita dell'umanità,
di persone adulte, capaci di trasmettere la vita,
ma la cerca anche ogni figlio che da essi riceve la vita, inserendosi
fra i suoi genitori - fin dal primo istante del concepimento
- come uomo, cioè «creatura che Dio vuole per se
stesso». Tutta la fermezza che l'etica cristiana ha il dovere
di dimostrare in questo campo è la conferma di questa
antropologia in cui essa ha al tempo stesso le sue radici.
Esaminiamo in modo un po' più penetrante l'affermazione
di Gaudium et Spes, 24. In essa è contenuta la verità
teologica sull'uomo. Lo indica il contesto più immediato che
riporta le parole della preghiera sacerdotale di Cristo nell'ultima
cena: «il Signore Gesù quando prega il Padre perché
"tutti siano una cosa sola, come io e tu siamo una cosa
sola" (Gu 17,21-22), mettendoci davanti orizzonti impervi
alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine
tra l'unione delle persone divine e l'unione dei figli di Dio
nella verità e nella carità» (GS, 24). E proprio «questa similitudine
- leggiamo ancora - manifesta che l'uomo, il quale
in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stesso,
non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono
sincero di sé».
Così nel loro insieme suonano il testo e il suo contesto.
L'antropologia che noi mettiamo alla base della teologia
della famiglia è, per l'esattezza, un'antropologia teologica. I1
piano delle formulazioni di essa e degli studi su di essa è
definito da questa fondamentale verità sull'uomo che noi
leggiamo nelle prime pagine del Libro della Genesi: la verità
della similitudine fra l'uomo e Dio. Non è solo una similitudine
basata sulla natura raziocinante e libera - come affer1466
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ma tutta la tradizione del pensiero cristiano ridacciandosi
a varie correnti del pensiero extracristiano che affermano la
stessa cosa della natura umana, dell'uomo - ma è una similitudine
basata sull'essere persona. Proprio in base a questo
l'uomo è l'unica creatura sulla terra che Dio in ogni caso
«vuole per se stesso». In questa formulazione è espresso il
fatto dell'essere persona e contemporaneamente sono poste
in essa ragione e libertà. Grazie a esse infatti l'uomo è capace
di autoporsi e di autopossedersi, cioè è capace di esistere
e di operare «per se stesso», è capace di una certa «autoteleologia
» che significa, non soltanto darsi dei fini, ma anche
essere fine a se stesso. È questo che distingue dal mondo
l'uomo come persona. In certo qual modo ogni uomo è a se
stesso «mondo», microcosmo non solo nel senso che in lui si
concentrano e si assommano i differenti strati ontici che
ritroviamo negli esseri che formano questo mondo, ma
soprattutto per la proprietà e specificità del finalismo suo
proprio, per l'autoteleologia, che definisce il livello e il
dinamismo dell'essere personale.
La similitudine con Dio non trova tuttavia conferma solo
nella natura razionale e libera - cioè spirituale - dell'uomopersona.
I1 citato testo di Gaudium et Spes, 24, a proposito
del quale abbiamo detto che in certa misura contiene una
sintesi del pensiero sull'uomo alla luce della Rivelazione e
del Vangelo, mette anche in evidenza che questa similitudine
dell'uomo con Dio si ha in ragione del rapporto o relazione
che unisce le persone. I1 testo parla di «una certa similitudine
tra l'unione delle persone divine e l'unione dei figli di
Dio nella verità e nella carità». Si tratta dunque della
dimensione trinitaria della fondamentale verità sull'uomo
che leggiamo all'inizio stesso della Sacra Scrittura e che
definisce il piano teologico dell'antropologia cristiana. I1
testo conciliare sottolinea molto chiaramente la distanza
dell'analogia che qui interviene, parla infatti di «certa»
similitudine e subito all'inizio indica che le parole di Cristo
Signore «tutti siano una cosa sola come io e tu siamo una
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cosa sola» aprono alla ragione umana «orizzonti impervi»,
che riguardano cioè quel mistero nel senso più rigoroso del
termine che è l'unità delle Tre Persone in una unica
Divinità. Nondimeno questa similitudine dell'uomo con
Dio nella dimensione trinitaria è stata inserita nel Vangelo e
tutta la tradizione teologica la segue. L'uomo è simile a Dio
non solo a ragione della sua natura spirituale, esistendo
come persona, ma anche a ragione della capacità a lui propria
di comunità con altre persone.
Se diciamo che l'attualizzazione di questa capacità - e la
conferma di questa verità sull'uomo - è la vita sociale, diciamo
indubbiamente una verità, ma non la cogliamo ancora
in tutta la profondità che le è propria e specifica. E vero sì
che la famiglia costituisce una società, la più piccola cellula
della società, ma questa affermazione non ci dice ancora
molto della famiglia, non arriva a tutta quella profondità
ontologica che qui dovremmo svelare ed evidenziare.
Allora, seguendo il già citato testo di Gaudzum et Spes,
24, dobbiamo soffermarci sull'affermazione che «l'uomo ...
che Dio ha voluto per se stesso ... non può ritrovarsi pienamente
se non attraverso un dono sincero di sé». Alla base di
tutte le società e le comunità umane, soprattutto alla base
della famiglia, sta l'uomo con questa struttura intima del
suo essere personale. Infatti, il testo citato sembra suggerire
innanzitutto un certo ordine dell'agire, del donarsi, ma quest'ordine
si radica nell'ordine stesso dell'essere, nell'essere
personale dell'uomo. In questo senso sempre operari sequitur
esse. Se il «donarsi» è l'attributo dell'agire, del comportamento
umano, è tuttavia sempre basato su questo esse
personale che è capace di dono, del «dono sincero di sé».
Questo dono trova piena conferma in tutta la dinamica
dell'esse personale, nell'autoteleologia a lui propria; leggiamo
infatti che l'uomo «non può ritrovarsi pienamente se
non» attraverso questo dono di sé. L'uomo è capace di tale
dono proprio perché è persona: la struttura propria della
persona è struttura di autopossesso e autodominio. Perciò
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l'uomo è capace del dono di sé perché si possiede e anche
perché è signore di se stesso nella misura del proprio soggetto,
cosa che non limita il dominium altum dello stesso
Creatore in rapporto all'uomo come pure in rapporto alle
altre creature: infatti deriva proprio da questo dominium
altum di Dio. Tali questioni sono state trattate altrove in
modo più particolare e analitico (vedi lo studio Persona e
atto).
Tenendo conto di tutto questo si può affermare che l'uomo
in quanto persona è capace di comunità con gli altri,
comunità intesa come communio. Questa capacità è indicata
dalla tradizione del pensiero cristiano che si fonda suila
Rivelazione e la citata dottrina del Concilio Vaticano I1 è la
con~incentec onferma di questa tradizione.
E difficile fare qui un'analisi comparativa molto particolareggiata.
Basta dire soltanto che esiste una certa differenza
fra l'affermazione che l'uomo, essendo persona, possiede
una natura sociale e l'affermazione che attribuisce all'uomo
persona la capacità della comunità intesa come communio.
Questo non significa che questi due concetti siano antitetici.
Anzi si può dire che essi si comprendono reciprocamente,
che in certo qual modo sono l'effetto l'uno dell'altro.
L'uomo è un'entità sociale anche perché possiede la
capacità della comunità intesa come communio. Questa
capacità è qualcosa di ancor più profondo della stessa
caratteristica «sociale» della natura umana. La communio
indica assai di più la misura personale e interpersonale di
tutte le relazioni sociali.
È chiaro che dobbiamo affrontare l'analisi teologica della
famiglia a partire dalla realtà comunionale, dalla categoria
della communio e non soltanto dalla categoria della <<società»
o - come spesso si dice - della <<più piccola cellula della
società». Questo non significa la negazione di quell'altra
categoria. Essa si trova piuttosto nel punto d'arrivo che non
in quello di partenza. Nel punto di partenza dobbiamo
vedere la communio come la realtà che il Vaticano I1 descriSAGGI
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ve nel già citato passo di Gaudium et Spes che segue l'intera
tradizione del pensiero cristiano sull'uomo, l'antropologia
teologica.
Tralasciamo per il momento il problema di quanto questa
antropologia teologica sia frutto esclusivo della Rivelazione
e della fede, e quanto costituisca oggetto della conoscenza
naturale che traiamo dall'esperienza dell'uomo.
Occupiamoci invece dell'analisi della realtà della communio
fondandoci sul concetto espresso al n. 24 della Costituzione
Gaudium et Spes. Vale la pena aggiungervi subito una citazione
precedente dalla stessa Costituzione pastorale che
ancor più direttamente si riferisce alla teologia della famiglia:
«Ma Dio non creò l'uomo lasciandolo solo, fin da principio
"uomo e donna li creò" (Gen 1,27) e la loro unione
costituisce la prima forma di comunione di persone. L'uomo,
infatti, per sua intima natura è un essere sociale e senza
i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue
doti» (GS, 12).
Quando analizziamo il concetto di communio dobbiamo
avere costantemente davanti agli occhi la realtà personale,
interpersonale e anche la comunità umana (società) dato
che l'uomo è persona (vedi a questo riguardo il capitolo
Partecipazione dello studio Persona e atto). I1 concetto stesso
di communio possiede per i cristiani un senso soprattutto
religioso e sacrale in considerazione dell'Eucarestia che è
sacramentum communionis fra Cristo e i suoi discepoli e
quindi fra Dio e l'uomo. Non rischiamo di indebolirne o
diminuirne l'importanza trasferendolo a dimensioni umane
e interumane: anzi attraverso questa via si evidenzia più pienamente,
in modo indiretto, la profondità del Mistero
dell'Incarnazione. Infatti la stessa categoria di communio,
sulla base dell'analogia, può essere applicata a differenti
strutture e rapporti (relazioni) interpersonali e quindi
anche fra Dio e l'uomo e così pure fra gli uomini stessi.